My immortal di ribrib20 (/viewuser.php?uid=66821)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Parte 1 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 4 - Parte 2 ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Una
nuova
giornata sta iniziando qui, i vicoli della città sono ancora
deserti, e una
lieve foschia aleggia per le vie, danzando dolcemente con il vento.
Dolci aromi
si mescolano all'odore del muschio bagnato dalle gocce di pioggia
caduta la
notte appena trascorsa.
Cammino ad occhi chiusi, immerso in questo momento magico: adoro
passeggiare la
mattina presto mentre la città ancora riposa ... come fosse
in uno stato di
torpore. Come se il tempo si fosse momentaneamente fermato.
Percorro la strada che ormai conosco a memoria: destra, sinistra,
svolta nella
via dove il negozio del fornaio fa angolo ... ed eccomi arrivato alla
piazza.
Apro gli occhi, interrompendo quelle fantasie che mi vengono alla mente
ogni
mattina. Mi guardo attorno, cercando un posto ove sedermi. La piazza
del
mercato, solitamente gremita di gente, è ancora deserta.
"Anche qui il
tempo pare essersi fermato" penso, mentre l'ombra di un sorriso
attraversa
il mio viso.
Prendo una vecchia cassa di legno, precedentemente usata per portare la
frutta,
e mi siedo, richiudendo gli occhi e attendendo.
Aspetto che la città si animi.
Aspetto che i bambini arrivino.
E
nell’attesa chiudo gli occhi …
<< Secondo voi sta dormendo? >> Sento una
voce … <<
Non saprei... >> no, le voci
sono due. << Dai ... torniamo dopo, magari sta riposando,
poverino!
>> aah, questa è la piccola Elisabeth. Tenera
e dolce bambina. Sorrido e
apro gli occhi: << buongiorno ragazzi >>
dico, mentre con la mano
carezzo la testa della più piccola che abbassa lo sguardo,
mentre le sue guancie
si colorano di rosso.
Sorrido ancor di più. Che tenera.
<< Volete che vi racconti una storia? >>
chiedo, ma non ne ho
bisogno. Conosco già la risposta. Tre testoline annuiscono
convinte e i bambini
a un mio cenno si accomodano attorno a me, guardandomi in attesa.
Richiudo gli occhi. Iniziando a immergermi in un passato ben lontano.
Tutti sono in attesa.
Come se il tempo si fosse fermato.
Riapro gli occhi e mi alzo, facendo un aggraziato inchino che fa ridere
la
piccola Elisa:<< Benvenuti, madame e monsieur.
Io sono il cantastorie, figura
misteriosa che vi condurrà in giro per il tempo, facendovi conoscere tante persone
diverse. Vi parlerò
di dame e cavalieri. Vi narrerò di storie senza tempo. Di
leggende che non
hanno fine. Di esseri fantastici e di semplici creature. Vi prego,
mettetevi
comodi, il viaggio ha inizio... >>.
--- Note di rib ---
Nonostante sia arrivata ultima, sono fiera di questa storia, anche se forse non brilla per l'originalità.
Essendo una storia molto lunga, ho deciso di dividerla in più capitoli.
Spero che possa piacere a qualcuno e di ricevere recensioni che possano aiutarmi a migliorare.
Grazie.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Questa
è la
storia di Amore, il bel dio
immortale, che s’innamorò di un'umana qualunque,
andando contro le regole che
vietavano agli dei del cielo di intrattenere relazioni profonde con gli
umani. Ebbene,
Amore era un bellissimo uomo: lunghi capelli biondi che gli arrivavano
sino le
spalle, occhi azzurri come il cielo privo di nuvole. La sua pelle era
candida
come quella di un bambino, morbida e fresca come il petalo di un fiore
bagnato
di gocce di rugiada. Egli, in quanto dio immortale, manteneva sempre lo
stesso
aspetto di un giovane di venticinque anni.
Con
il suo
amico Fascino, molto spesso girava
per le strade delle città popolate dagli umani
"perché su, nel suo mondo,
il tempo scorreva infinito, e Noia,
cupa signora solitaria, regnava sovrana" e con questa scusa prendevano
il loro
adorato cavallo nero e scendevano giù, nelle
città. Il dio amava andare in giro
a guardare le bellezze della vita umana: si perdeva ad annusare i
profumi del paese,
del pane appena sfornato e dei mille colori del paese. La sua bellezza
attirava
sempre giovani fanciulle che, avvicinandosi a lui, lo volevano
conoscere. Ed
egli accettava, di buon grado.
Ma non c'era sentimento profondo quando rideva e parlava con loro.
Non vi era amore, nello sguardo che a esse rivolgeva quando
s’isolavano, in una
stanza, da soli.
Per lui esisteva solo divertimento. Per dimenticare la monotonia
dell'immortalità.
E continuava così: una, due, tre donne. Tutte sedotte e
usate per un misero
attimo di fuga dalla realtà.
Divertimento.
Feste.
Amori e momenti fugaci solo per appagare il bisogno fisico di avere
qualcuno al
proprio fianco.
Il giovane dio passava così le sue giornate. Le giovani che
lo conoscevano
continuavano a sperare che lui si innamorasse di una di loro, ma Amore,
puntualmente, rispondeva con le stesse parole: << E'
impossibile far
innamorare un dio immortale, sapete mie care? >>
<< Ma tu sei Amore! >> protestavano loro,
rosse in viso << come
puoi professare nel mondo tale nobile sentimento, se tu non l'hai mai
provato?
>> e allora lui sorrideva, un'ombra di dolore
attraversava i suoi limpidi
occhi: << Oh, è così inutile
l’amore. E' vero adorate fanciulle, non
dovrei dirlo io che lo professo, ma è così che la
penso: l'amore non esiste.
>>
Mostrava spavalderia
nell'affermarlo, ma chi
osservava bene, poteva notare un lampo di tristezza in quegli occhi
così
azzurri da sembrare innaturali. Sfortunatamente di tutte quelle
giovani, nessuna
mai se ne accorgeva e allora il dio faceva sempre la figura del
superficiale,
che poi, forse, un poco lo era.
Solo
una
volta a questa sua frase una donna gli rispose. Lei disse che era
sciocco. E
che gli immortali le facevano tristezza.
A
queste affermazioni
il sorriso all'apparenza triste del dio scomparve, lasciando spazio a
un ghigno
di divertimento misto a rabbia: come si permetteva quell'insulsa
mortale, di
giudicarlo così aspramente?! << Oh, e
perché mai dici questo, giovane
fanciulla? >> le chiese cercando di nascondere la sua
curiosità dietro ad
un tono freddo e scostante. Forse sperava di intimidirla, ma
così non fu,
infatti la giovane lo guardò, uno sguardo duro e pieno
d'orgoglio il suo, e gli
rispose fermamente:<< Gli immortali mi fanno tristezza
>> ripeté la
giovane fanciulla dai biondi capelli.
<< Perché mai? >> chiese
nuovamente Amore, che iniziava a
infastidirsi davvero dei modi di quella giovane donna umana.
<< Perché sono da soli. Conoscono molte
persone, certo. Vivono innumerevoli
avventure, ovviamente. Viaggiano, vedono e fanno tantissime cose. Ma
tutto
superficialmente. Anche con le persone è così.
Una conoscenza superficiale. Non
si cerca mai di avere un rapporto più profondo con questa o
quella persona. Le
amicizie... gli amori (se così vogliamo chiamarli)... E'
tutto così irreale. E'
la ricerca di un attimo di
felicità che, si sa, non durerà a lungo. Gli
immortali non si affezionano mai
veramente. Vivono come vogliono, cercando di non legarsi a nessuno...
forse
perché sanno che presto o tardi, coloro che gli stanno
attorno moriranno.
Mentre loro continueranno a vivere. Deve essere così doloroso. Vedere morire tutte le persone
che si conoscono. Forse
non si legano per questo.
Per non soffrire. La loro
è
un'esistenza … così
triste. E' come
se fossero obbligati da una forza esterna a non avere legame alcuno.
>>
Le parole della ragazza, dette con così tanta
sincerità, mantenendo tuttavia
quel tono così duro, colpirono profondamente il dio che
tuttavia, per orgoglio
cercò di non darlo a vedere: "Hai ragione" voleva dire il
suo animo,
così a lungo sofferente, invece decise di proseguire per la
strada che aveva
deciso di intraprendere e, guardandola ancor più freddamente
le rispose
sicuro:<< Io conosco un sacco di persone >>
affermò, ma non ne era convinto
nemmeno lui, e la giovane sembrò accorgersene,
perché chiese:<< Sì ma
quante persone puoi dire di conoscere veramente? >>
touché. Il Dio
sbruffone rimase in silenzio e abbassò anche la testa: aveva
perso.
<<
Appunto.
>> Sentì dire dalla ragazza. Ma non vi era
derisione, nel suo tono di
voce. Solo una traccia appena accennata di... malinconia? Per la prima
volta
Amore volle conoscere più a fondo una creatura umana. Per
curiosità verso
quell'unico individuo che era stato in grado di farlo crollare con
semplici e
banali parole.
Sì,
per la
prima volta da quando esisteva, provava curiosità verso
qualcun altro. Alzò
dunque la testa verso il luogo in cui fino a poco fa si trovava quella
creatura
ma, stupore, lei non era più in quel posto: per sua fortuna
non si era ancora
allontanata eccessivamente e quindi il giovane dio poté
raggiungerla. << Aspetta!
>> le urlò, un poco impacciato,
poiché non era sua abitudine correre
dietro alle donne (semmai era il contrario) << Oh, sei
tu. >>
rispose ella, semplicemente.
Ma
ancora
una volta non vi era traccia di curiosità o di
bontà, nella sua dura voce.
Anche
il suo
sguardo non rifletteva alcuna dolcezza. Sì, quella donna
umana lo incuriosiva
oltre ogni dire. Forse proprio per il suo atteggiamento così
diverso rispetto a
quello tenuto dalle altre fanciulle, forse per le sue parole...
chissà. Fatto
sta che un nuovo sentimento si stava facendo strada in lui, anche se,
ovviamente, il dio l'avrebbe scoperto solo molto tempo
dopo.<< Mai
nessuna ragazza prima d'ora mi aveva risposto così come tu
hai fatto oggi.
Dimmi qual é il tuo nome? >> <<
... >> lo guardò scettica,
scrutandolo. E i suoi occhi verdi sembravano studiare il suo animo,
alla
ricerca di chissà cosa. Il suo silenzio durò a
lungo e il dio non era molto
paziente: << Allora? >> le disse piano,
avvicinandosi a lei fino a
essere a pochi centimetri dal suo viso. Forse credeva che avrebbe
finalmente
ceduto davanti al suo fascino, ma la reazione della giovane lo
stupì
nuovamente.
Ella lo scostò leggermente e si congedò con un
<< Ora devo andare. Addio.
>>
Rimase sconcertato dalla reazione di quella fanciulla che tanto
malamente lo
trattava. "Si sta prendendo gioco di me" si ritrovò a
pensare
"vuole giocare con la mia pazienza" questi pensieri si facevano largo
nella sua testa, mentre la calma veniva meno e la rabbia iniziava a
ribollire
nelle sue vene: << Non posso lasciarla andare!
>>.
Era
una
sfida, ora. Quella donna tanto impudente l'aveva sfidato e giocava con
lui, col
suo desiderio di conoscerla. Non poteva, non doveva in alcun modo
fargliela
passare liscia. Quella creatura così incurante dei ranghi e
dell'importanza
degli dei, quella donna così dannatamente attraente che in
modo così diretto si
era disinteressata a lui, doveva pagarla. Mai,
mai alcuna mortale aveva osato
tanto,
mai nessuno l'aveva trattato in
questo modo!
Oh,
come si
sentiva ferito nell'orgoglio il giovane dio, che pensava che tutti gli
esseri
umani cadessero ai suoi piedi al semplice schioccar di dita.
Oh,
come si
sbagliava. << Non è finita qui.
>> Sibilò tra i denti e poi sparì.
La ritrovò alcuni giorni dopo, mentre passeggiava per le vie
della cittadina.
Era
pomeriggio e il sole splendeva alto nel cielo, il vociare allegro dei
mercanti
in piazza riempiva l'atmosfera e ovunque si potevano vedere sgargianti
colori e
bellissimi prodotti in vendita. La vide davanti ad un bancone, mentre
rimirava
deliziata una pregiata stoffa, finemente ricamata. Decise quindi di
avvicinarsi
un poco, ma non troppo: non voleva che quella creatura della quale
ancora
ignorava il nome se ne andasse come l'ultima volta. <<
Quanto costa questa
stoffa? >> Le sentì chiedere al mercante, che
la guardò come fosse una
cosa di poco conto. << Troppo, per te. >>
rispose la voce roca del
mercante che detto questo le tolse dalle mani il fine tessuto, segno
che per
lei, ogni possibilità di trattativa era impossibile
<< Vattene a
lavorare, donna. >> la cacciò poi con un ampio
gesto della mano.
Il
giovane
dio allora guardò la giovane, per vederne la reazione a
tanta maleducazione e
si scoprì infastidito, quando vide la tristezza nei suoi
occhi. La vide andare
via e, dopo che lei fu abbastanza lontana da non vedere nulla, si
avvicinò al
mercante che poco fa, l'aveva trattata così malamente e
comprò quella stoffa. Poi
si volse e corse via, stando ben attento a non rovinare il prodotto
appena
acquistato: "Perché ho comprato un dono tanto costoso per
una donna della
quale non conosco neppure il nome?" si chiedeva, mentre correva e
correva,
cercandola per tutte le vie del paese.
Fino a quando... "eccola!": la vide mentre sorpassava l'entrata ai
giardini, con due rapide falcate la raggiunse, ma come salutarla, non
conoscendone neppure il nome? << Ragazza!
>> Sì, questo era l'unico
modo per farla voltare verso quella voce che, lei se lo sentiva, la
stava
chiamando. E quando gli occhi verdi di lei si posarono sulla sua
figura, il
cuore di Amore saltò, senza che lui ne comprendesse il
motivo.
<<
Oh,
sei tu … >> rispose semplicemente lei, con
quel suo tono così duro che
tanto contrastava in un corpicino così esile ai suoi occhi
di dio onnipotente e
immortale.
Lo
avvertiva.
Tutto
il
distacco che quella fanciulla riversava nelle sue poche parole, e
leggeva anche
un certo disprezzo, nei suoi occhi. Ma il giovane dio capì
che non gli interessava,
poiché lei l'aveva incuriosito subito, dal primo momento,
con le sue parole e i
sui gesti così diversi da quelli cui era abituato.
Ed era bella.
Oh, se era bella.
Da togliere il fiato.
Si
avvicinò,
ma non troppo, non voleva che quella piccola fanciulla fuggisse ancora
da lui.
No questa volta voleva parlarle. Capire perché era
così distaccata, comprendere
il motivo di tutto questo... odio nei suoi confronti.
Voleva capire. Non era mai successo con
nessun altro essere umano. Per lui rappresentavano solo passatempi.
Niente
d'altro. La curiosità
era cosa
nuova, che mai aveva sperimentato il suo giovane cuore.
<< Hai bisogno di qualcosa? >> interruppe i
suoi nascosti pensieri,
lei. E lui la guardò, domandandosi se quell'essere fosse
cosciente del fascino
che stava esercitando su di lui.
<<
Sto
aspettando >> No, probabilmente non ne era consapevole.
Era
dunque
una cosa non voluta, la sua? Quest’attrazione (che non gli
veniva da definire
puramente fisica) era una cosa che andava contro natura? Non lo faceva
apposta,
per attirarlo a sé, nella speranza di farlo suo, come
già gli era capitato con
altre ragazze (oh, le donne... erano esseri subdoli, certo. Per questo
lui non
s’innamorava mai. A tutte interessava
l'immortalità, non certo lui.)
No,
con lei
era diverso. Lo sentiva.
Perché lei era diversa.
E
per questo
la incuriosiva non poco.
Ma
come
spiegarle che le aveva comprato una costosissima stoffa solo per veder
affiorare un sorriso o per sentire un tono più dolce nella
voce di una
fanciulla che nemmeno conosceva?
<<
Cos'è
quella? >> lo interruppe di nuovo lei, probabilmente
stufa di essere
fissata, come in trans, dal dio.
<<
Ecco...
è un tessuto. Ho visto che prima lo stavi osservando e ho
deciso di prendertelo.
>> le disse, osservandola bene, nella speranza di captare
una scintilla
di felicità.
Ma
quella
non arrivò.
Al
contrario
di ogni aspettativa, la sua espressione, da prima semplicemente dura,
mutò
rapidamente fino a diventare la manifestazione della rabbia:
<< Tu! tu
divinità! Pensi di comprarmi con i tuoi doni? Pensi forse di
ingraziarti la mia
amicizia, semplicemente con beni materiali? Siete tutti così
superficiali! Odio le divinità!
>> E urlando
questo si pulì furiosamente gli occhi dai quali, il dio le
vide, iniziarono a
sgorgare le prime lacrime. Ella fece poi per scappare, ma Amore decise
che era
stanco di rincorrerla per tentar di comprendere il suo comportamento e
la
prese, delicatamente e senza stringere eccessivamente, per il suo esile
polso,
impedendole ogni via di fuga.
<<
LASCIAMI!
>> urlava lei mentre si dibatteva, ma stranamente
anziché arrabbiarsi, il
giovane la guardò tristemente e le chiese il motivo di tutto
il suo odio.
Odio insensato, a suo avviso.
Odio motivato, a detta della giovane.
<<
Voi
divinità siete tutte così! Pensate che basti
qualche regalino, qualche bella
parola per tenere buoni noi mortali, per far sì che non
giungano lamentele
contro di voi. Ci riempite di doni e favori per farci star tranquilli,
ma
l'unica cosa che volete è che i vostri animaletti stiano
buoni. La verità è che
per voi siamo solo dei giocattoli che usate quando non sapete che fare
e che
poi buttate via non appena ne siete stanchi, per poi sostituirli con
qualcun
altro, magari più bello e giovane! Io vi odio! Vi odio!
>> e ora le
lacrime che prima con tanto ardore stava cercando di nascondere (per
orgoglio,
forse) presero a scorrere libere dai suoi occhi, fino a lasciare
trasparenti
scie sulle guancie e poi giù, fino
al
terreno,
bagnandolo.
Vedendo
quegli occhi lucidi e quelle guancie arrossate, il Dio
allentò la presa al
polso della ragazza, mentre un irrefrenabile impulso si fece strada in
lui: il desiderio di abbracciare
una donna,
senza poi fare altro.
Solo
abbracciarla, per farle capire che
poteva sfogarsi, che lui l'avrebbe ascoltata.
La
lasciò
andare, comunque, convinto che se ne sarebbe andata; ma al contrario
delle sue
aspettative, ella rimase lì, in piedi.
A
piangere.
A
liberare
mille lacrime, come se non aspettasse altro che un pretesto per
lasciarsi
andare e liberare tutto il suo dolore.
"Che
cosa può esserle mai accaduto di così tremendo,
da farle odiare così un
dio?" si chiedeva Amore, mentre guardava quella creatura ai suoi occhi
ora
così fragile, piangere.
Ma
il dio,
che in altre occasioni si sarebbe offeso, in quel mentre non ci fece
caso.
Come
guidato
da una forza mistica, si avvicinò a lei, allargando le
braccia e accogliendola
tra di esse.
Un
sussulto
quello della giovane fanciulla, quando si rese conto di essere tra le
braccia
di un uomo. Di un dio.
E
allora
furiosamente riprese a dibattersi, tremando e urlando di lasciarla
andare,
mentre le lacrime continuavano a sgorgare, incapaci di fermarsi.
<<
Basta!
>> esclamò a un certo punto il ragazzo che era
stanco del comportamento
così strano di quella fanciulla. E a sentire la voce
così ferma e risoluta del
dio, lei si bloccò, un braccio alzato, pronto a calare su di
lui, per
picchiarlo. Lo guardò negli occhi, imponendosi di non
piangere più, perché non
voleva mostrarsi debole.
Non
di
fronte a qualcuno che poteva approfittarne a suo piacimento.
<<
Ho
desiderato regalarti quella stoffa perché volevo vederti
felice. Di solito non
faccio regali alle persone, per il semplice fatto che non
m’importa più di
tanto. Ma con te è diverso. Anche se ancora non ne ho capito
il motivo. Ma come
faccio a comprendere l’origine di questa attrazione che
sento, se tu mi urli in
faccia? Come faccio a capire se ho fatto qualcosa di male, se tu mi
insulti e
piangi? >> le disse, addolcendo il tono. <<
Spiegami.
Perché dici di odiare gli dei? >>
e la vide abbassare il braccio piano, fino a lasciarlo cadere lungo i
fianchi,
per poi guardarlo e successivamente abbassare lo sguardo, triste.
<< Non
mi capiresti … >> sussurrò ella, in
modo così lieve e basso, che lui
dovette avvicinarsi a lei, per sentirla. << Se non me ne
dai nemmeno
l'opportunità, non lo saprai mai. >>
tentò egli continuando a squadrarla
"E' davvero bella. Anche ora che ha il viso arrossato e rigato dalle
lacrime" si ritrovò a pensare nuovamente il dio, per poi
scuotere
lievemente la testa e attendere una parola, un cenno, un qualsiasi
gesto da
parte della ragazza.
Gesto
che
non arrivò.
Sembrava
che
la fanciulla si fosse chiusa in un ostinato silenzio, mentre il suo bel
viso si
corrucciava e chiudeva gli occhi, come se stesse cercando di riportare
a galla
eventi dolorosi.
Aspettò
in
silenzio, Amore, che tanto non aveva fretta (e non voleva
mettergliene). Ma più
il tempo passava, più ella stava muta e più la
pazienza del dio veniva meno:
<< Facciamo così >> le disse
dolcemente, perché di trattare male e
bruscamente quella creatura, proprio non se la sentiva <<
Non sei
obbligata a dirmi nulla. Ma se mai ne vorrai parlare, dovrai solo
chiamarmi. Io
arriverò da te subito. Ok? >> e detto questo
si girò, dandole le spalle,
pronto per allontanarsi. Ma non appena fece il primo passo per
andarsene, la
sua voce, ancora tremante, ma tuttavia così bella, e
sopratutto quello che
disse, lo bloccò e lo fece girare piano, verso di lei, che
ancora teneva la
testa bassa.
<< Hanno abusato di me. >>
<<
Chi?
Chi è stato a fare un gesto tanto deplorevole?
>> le chiese, il tono
dapprima dolce che ora tradiva una certa ansia e la rabbia nel venire a
conoscenza di una cosa simile.
Chi
aveva
osato? Chi aveva osato sporcare quella candida fanciulla?
Chi
aveva
potuto essere così crudele, nei suoi confronti?
Non
trovando
risposta fece per chiederlo direttamente a lei, che lo
precedette:<< Delle
divinità. Era il tramonto e io stavo tornando a casa dopo
una giornata di
lavoro, quando loro mi si avvicinarono. Iniziarono a parlarmi, dapprima
gentilmente, offrendomi aiuto nel portare il pesante carico che stavo
trasportando. Poi i loro discorsi si fecero più cattivi. E
le loro mani.... mi
presero di peso, portandomi in un vicolo buio, lontano da occhi
indiscreti e
lì... loro... >> un sussulto più
forte degli altri la obbligò ad
interrompere il racconto. Lo sguardo del dio stava diventando furente.
La
fanciulla cercò di calmare il tremore che si stava
nuovamente impossessando di
lei e riprese il suo discorso: << mentre mi toccavano mi
parlavano,
deridendomi. Dissero che io, in quanto debole umana, ero nata solo per
soddisfare i loro desideri, e che invece di piangere dovevo esser grata
loro,
perché mi stavano dedicando il loro prezioso tem
… >> ma non fece in tempo
a finire la frase che ella si ritrovò nuovamente tra le
braccia calde del
giovane dio, ora furente.
Ma
non urlò
né si dimenò, questa volta.
Al
contrario
rimase lì buona, a farsi carezzare i capelli.
<< Troverò il modo di
punirli. >> Disse ad un certo punto il dio, rompendo
così il silenzio che
prima era interrotto solo dai deboli singhiozzi della giovane, che ora
alzò la
testa, per guardarlo meglio e scorgere la rabbia nei suoi giovani
occhi.
Ma
non era
rabbia verso di lei. Era collera verso... gli dei?
Un
dio era
arrabbiato, voleva punire i suoi stessi compagni? << Li
punirò per averti
fatto del male. >> Li voleva punire... per lei? Vide la
risoluzione nei
suoi occhi. Non capì per quale motivo un dio si interessava
tanto della vita di
un'umana, ma questo non le importò. Le parole, il semplice
averla ascoltata, al
contrario di tutti gli altri, che invece l'avevano derisa, dicendole
con parole
di scherno, che lei si era inventata tutto, perché gli dei
erano buoni e
clementi. Sbatté un paio di volte gli occhi, guardandolo
mentre ancora
continuava a mormorare e prometterle che li avrebbe trovati e puniti e
sorridendo
impercettibilmente gli si accoccolò contro, gesto che
interruppe all'istante i
pensieri del dio.
<<
Mi
abbracci? >> le chiese, sorpreso.
<<
Sì.
>> fu la semplice risposta.
<<
Per
quale motivo ora mi abbracci, se prima invece mi tiravi pugni e urlavi
parole
d'odio? >> la rabbia verso gli dei era ancora presente
nel suo animo, ma
ora stava subentrando ancora una volta la curiosità.
<<
Pensavo
fossi come le altre divinità. Frivolo. Superficiale.
Egoista. >>
<<
E
ora hai cambiato idea? >> le chiese ancora, azzardando
una carezza sulla
sua bionda nuca.
<<
Sì.
Perché sei rimasto ad ascoltarmi, invece di andartene via
dandomi della
"sciocca mocciosa" come invece fanno molti altri. Una persona
superficiale... si interessa forse dello stato d'animo di una
sconosciuta? >>
fu il suo turno di chiedere al dio, ma questa, più che
domanda, era una
affermazione.
Gli stava dando fiducia.
A
lui.
E
questo lo
fece sentire... bene.
<<
Se
ti abbraccio...mi manderai via? >> Chiese ancora, un poco
titubante, come
un giovane inesperto che deve gestire la sua prima cotta. "Stupido"
lo ammonisce il suo cervello "sei il dio dell'amore, hai sempre avuto
schiere di donne con te, cos'è tutta questa insicurezza,
tutta questa carineria che di certo non ti
appartiene?" "Con lei è diverso. Non so perché.
Ma lo sento." Si
rispose il dio, dandosi subito dopo dell'idiota, perché non
solo parlava da
solo, ma si rispondeva pure.
Un'
ulteriore stretta di braccia attorno alla sua vita risposero alla sua
domanda.
<< Non ti farò mai del male. Te lo prometto.
>> e detto questo la
strinse ancor di più a sé, accarezzandole la
testa e perdendosi nel suo
profumo.
E
quello fu
l'inizio di una splendida amicizia destinata a divenire qualcosa di
più
profondo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Un
nuovo
giorno stava iniziando.
Il
sole si
stagliava alto nel cielo, illuminando con la sua luce tutto
ciò che i suoi
raggi incontravano sul suo cammino: alberi, case e strade venivano
colte dai
caldi barlumi che annunciavano l'inizio di un nuovo giorno.
C'era
solo
silenzio nelle strade e la foschia calata nella notte stava sparendo;
camminando senza una meta precisa, Amore poteva godersi quella pace,
annusando
gli odori del pane appena sfornato che presto sarebbe andato ad
occupare i
banconi dei negozi, la leggera brezza mattutina che faceva venire
piacevoli
brividi sulla sua pelle candida.
Si
beava di
quella meravigliosa calma che faceva sembrare l'intera città
disabitata: come
se il tempo in essa si fosse fermato.
Tutto
ciò,
così diverso dal caos che regnava su, nei cieli dai quali
lui veniva, era fonte
di benessere per il giovane dio.
Il
suono
delle campane, con conseguente volo delle colombe che si erano posate
sul
campanile "che scenario romantico" mise la parola fine su quel breve
momento idilliaco. La piazza del duomo iniziò a riempirsi e
così tutte le
strade della città. Ovunque vi erano persone, risa, colori e
odori. Anche nella
piazza del mercato, dove Amore era solito incontrarsi, da un
po’ di tempo a
questa parte, con lei, quella giovane ragazza che l'aveva incantato,
era piena
di persone che urlavano, ridevano e barattavano preziose stoffe con
denari o
quant'altro.
Arrivato
al
punto d'incontro, il giovane si fermò e guardandosi attorno
attese di vedere
tra la folla la bionda figura che si avvicinava.
"Dove
sei, incantevole fanciulla, mio adorato angelo?" La chiamava dentro di
sé,
sperando che lei rispondesse al suo richiamo. Ed eccola, come per
incanto,
farsi strada fra tutte quelle persone e raggiungerlo: aveva il fiatone,
poverina, poiché per non arrivare in ritardo aveva corso da
casa sino a qui.
<<
Scusa
il ritardo. >> disse, mentre cercava di riprender fiato.
Le
sorrise
dolcemente, scostandole un ciuffo di capelli finitole davanti agli
occhi:
<< Non preoccuparti. Sono
appena
arrivato anche io. >> le rispose, per poi prenderle la
mano e stringerla
delicatamente con la propria, per poi avviarsi via, lontani dagli occhi
indiscreti di quelle giovani donne che un tempo furono sue amanti e che
ora
osservavano con occhi invidiosi i due, perché essi erano
legati da
un'invisibile forza chiamata amore.
Ma
nessuno
dei due se n'era ancora accorto. Andavano via, lontano da tutto e tutti
e
trascorrevano le giornate a parlare del più e del meno, a
scherzare (a dire il
vero più lui scherzava, più lei lo rimproverava
per qualcosa. E allora lui
rideva ancor di più, abbracciandola, mentre lei rossa in
viso, gli diceva che
era un dio stupido.).
Anche
quella
giornata non era diversa dalle altre, perché lei come al
solito stringeva a sua
volta la mano del dio, timida e poi gli chiedeva: << Dove
andiamo? >>
e allora lui le sorrideva e posandole l'indice della mano libera sulla
punta
del naso, le diceva che era una sorpresa, e che l'avrebbe scoperto solo
una
volta arrivati. E rideva, quando lei ogni volta metteva su
un'espressione
curiosa, come di un cucciolo di animale, che al giovane risultava
essere molto
buffa... lui
rideva
e
l'unico risultato che otteneva era il finto broncio di ella.
Finto, certo.
Perché
entrambi
sapevano ormai che quella della fanciulla era solo una corazza, ma che
in
realtà lei era la prima, a divertirsi alle battute del dio.
Era
lei la prima a diventare rossa ed imbarazzarsi, quando lui le cingeva
la vita e
le carezzava il collo con le labbra.
Passeggiavano
per le vie della città, salutando le persone che
incrociavano, ignorando gli
invidiosi e osservando il mondo andare avanti.
Lei sorrideva sempre.
Non
apertamente, certo. Non era quel genere di persona.
I
suoi erano
sorrisi appena accennati. Difficile per chi non la conosceva, dire se
era
felice o triste, allegra o arrabbiata. Ma per Amore quella giovane
fanciulla
non aveva più segreti. La conosceva ormai da un mese, ma mai
come con nessun
altro, lui si sentiva bene.
Mai
come a
nessun altro, il dio confidava le sue emozioni, le sue paure e le
gioie.
Con
lei
stava bene, davvero.
Molto
più di
quel che credeva.
E
più
andavano avanti, più si rendeva conto di provare qualcosa di
diverso per quella
giovane umana (perché lui, oh, non si era scordato della
differenza che correva
tra di loro e di sicuro anche lei era cosciente del fatto che la loro
era una
felicità effimera, che presto sarebbe finita. Ma entrambi
preferivano non
pensarci e godere l'uno della compagnia dell'altra fino al momento in
cui,
inevitabilmente, avrebbero dovuto separarsi per sempre.) che si era
fatta
strada nel suo cuore modestamente, al contrario di tutte le fanciulle
da lui
incontrate sino a quel momento.
Il
suo
atteggiamento così apparentemente scontroso l'avevano
attirato e l'avevano
spinto ad indagare (cosa assai nuova, per uno come lui, che dei
sentimenti
altrui non si era mai curato più di tanto) più a
fondo, scoprendo ciò che non
avrebbe mai voluto sapere: delle divinità,
divinità come lui!, le avevano fatto
del male. E lei in reazione a quanto accaduto aveva iniziato ad odiare
tutti
loro. Sentire queste parole, legate ai pianti e alle urla della
giovane,
l'avevano convinto che ella diceva il vero e il vedere quella donna che
all'inizio si era mostrata tanto sprezzante ma che in quel momento gli
pareva
fragile come una castello di sabbia tormentato dal vento, fece crescere
in lui
la voglia irrefrenabile di abbracciarla e dirle che sarebbe andato
tutto bene.
Come
due
normali esseri umani che scoprendo di amarsi, non possono
più fare a meno
dell'altro.
E
da lì era
iniziato tutto: si vedevano ogni giorno, tutte le volte che potevano e
andavano
in giro. Non importava dove. L'importante
è che fossero assieme.
Ogni
volta
lui la portava in un luogo diverso e quello non era certo un giorno
diverso:
l'aveva guidata in un angolo di spiaggia isolato da tutto il caos
cittadino e
lei, dopo la faccia meravigliata e felice, l'aveva abbracciato (cosa
che non
faceva mai di sua iniziativa, poiché troppo timida per
farlo.
O
forse solo
perché voleva mantenere un briciolo del suo atteggiamento
duro,quello che la
caratterizzava e che lui trovata così delizioso) e dopo
essersi tolta i sandali
era corsa in riva al mare a giocare con le onde, mentre lui si sedeva
sulla
sabbia e la osservava correre e ridere mentre l'acqua fresca le bagnava i piedi.
Lui
non
faceva nulla.
Si limitava ad osservarla e sorridere.
Felicità. Questo è
quello che provava
stando con lei. Nient'altro che
felicità.
E
per la
prima volta in vita sua si sentiva
davvero vivo. Passando il tempo con lei si accorgeva di
quante cose avesse
dato per scontato fino a quel momento.
<<
L'acqua
è molto fresca oggi. >> e la voce della
ragazza interruppe il flusso dei
suoi pensieri, riportandolo alla realtà.
<<
Davvero? >> le chiese lui, sorridendole e allungando una
mano che lei
afferrava senza esitazione, per poi sedersi al suo fianco, a guardare i
riflessi del sole sul mare calmo di Agosto.
<<
Sì.
Dovresti venire. Non ti annoi a stare sempre qui seduto a guardarmi?
>>
<<
No.
A guardarti ridere felice non mi annoierà mai.
>> e le sue guance si
tingevano di rosso, come accadeva ogni volta che il dio le faceva un
complimento o semplicemente diceva qualcosa di carino "probabilmente
non è
abituata a queste cose" si era ritrovato a pensare la prima volta che
capitò una cosa simile e subito scoprì di avere
ragione: ella non aveva mai
ricevuto complimenti o cose simili.
Era
sempre
rimasta isolata e non si poteva certo dire che fosse una chiaccherona.
Questo
l'aveva portata a non avere molti amici.
<<
Stavo
pensando ad una cosa. >> disse il dio, guardandola.
<<
A
cosa? >> volle ovviamente sapere lei, che anche se
continuava a mantenere
quel cipiglio duro (che solo con lui abbandonava) aveva comunque la
curiosità
tipica delle fanciulle della sua età.
Il
dio le
sorrise di nuovo, prima di stringere ancor di più la sua
piccola mano,
portandosela alle labbra, baciandogliela per poi riportarla al suo
posto,
appoggiata sulla spiaggia dorata:<< Non
ti piacerebbe vivere da immortale? >> le chiese.
Lei
lo
guardò confusa da una domanda così inaspettata.
Tutto si sarebbe immaginata
tranne che una simile domanda. Pensò che fosse l'ennesimo
scherzo del dio (mai
avevano affrontato l'argomento immortalità) ma lo sguardo
serio di quest'ultimo
le fece capire che non era più tempo delle risa e degli
scherzi. Era il momento
di affrontare un argomento spinoso e di sicuro di non facile
risoluzione.
<<
Non
ti piacerebbe diventare immortale? >> ripeté
ancora una volta il dio,
scrutandola.
Lei
si
sedette al suo fianco e sospirando, spostò lo sguardo dritto
verso l'orizzonte
davanti a sé.
Furono
attimi di silenzio carichi di tensione, nei quali ambedue pensavano
all'importanza del momento.
Cosa
avrebbero fatto?
Amore
avrebbe trovato il coraggio di superare la morte della fanciulla?
Sarebbe
stato in grado di innamorarsi di qualcun altro, dopo la sua morte? O
sarebbe
tornato tutto come prima?
Domande cui era difficile trovare risposta.
Forse perché questa era troppo dolorosa.
Forse perché, semplicemente, non c'era.
E
loro lo
sapevano bene.
Fu
la voce
ferma della giovane a interrompere il flusso dei loro pensieri:
<< No,
non mi piacerebbe. >> Disse lei, senza tanti giri di
parole, e a questo
il dio non poté fare a meno di sorridere: dare risposte
così schiette era
davvero da lei. Tuttavia il sorriso scomparve subito, non appena ella
continuò
con il suo discorso: << Se essere immortale vuol dire
perdere di vista le
cose importanti, se significa soddisfare solo bisogni materiali,
dimenticando
il significato di cose come l'amore, l'affetto... se essere immortale
vuol dire
andare avanti eternamente, escludendo gli altri dal proprio mondo, se
significa
restare soli... diventare aridi... no, non voglio vivere da immortale.
>>
Lui
la
guardò per un attimo, interdetto. Gli aveva forse appena
dato del superficiale?
<< Pensavo che non lo pensassi più...
>> disse, con un filo di voce
mentre piano tornava a guardarla. << Semplicemente dico
che gli immortali
vivono per sempre e come tali possono andare avanti per sempre,
assaporare i
piaceri della bella vita, conoscere persone, visitare paesi... hanno
tutta
l'eternità per fare quello che vogliono. Invece noi mortali
abbiamo così tanti
sogni, e così poco tempo per realizzarli. >>
<< E per questo li
invidi? >> chiese ancora lui. Ma già sapeva
quale sarebbe stata la
risposta: << No, non li invidio. >> Si
girò di scatto, guardandola
con sorpresa "pensavi ti rispondesse di si, vero? Eh, a quanto pare
questa
ragazza non smette mai di stupirti eh?" e a questo pensiero non
poté fare
a meno di sorridere, mentre con una mano le faceva cenno di andare
avanti a
spiegare << Non vi invidio. Perché avete tutta
l'eternità per fare ciò
che volete è vero. Ma man mano che andate avanti e vedete la
vita scorrere, le
persone morire, mentre voi restate sempre giovani e immortali vi viene
voglia
di piangere. Ma quando anche le lacrime vengono meno, l'unica cosa che
vi resta
è la solitudine. E quando anche quella non c'è
più, iniziate ad abituarvi a
questa vita, se così si può ancora chiamare, e
diventate...vuoti. Perché quando
non hai più lacrime, né dolore... quando se ne va
anche la solitudine, l'unica
cosa che vi rimane è... il vuoto.
Ed è
proprio per questo che desidero tenermi la mia vita da piccolo mortale
e
viverla al massimo, senza precludermi nulla... Forse perché
so che presto la
mia esistenza avrà fine...e proprio per questo voglio
assaporare ogni attimo,
ogni momento, come se fosse l'ultimo... voi immortali avete
l'eternità per
farlo. Noi no. >>
Il
dio
rimase ad ascoltare in silenzio.
Nella
voce
della giovane non c'era traccia di timore. Né di dolore. No,
non erano quelli i
sentimenti che governavano le parole della fanciulla, ma era qualcosa
di molto
più profondo. Qualcosa che il giovane dio non
riuscì a cogliere subito.
Intanto
il
silenzio continuava senza che nessuno dei due facesse niente per
interromperlo.
Si
sentiva
solo il rumore delle onde del mare che andavano a bagnare i piedi nudi
della
fanciulla.
<<
Ti
sei arrabbiato? >> chiese ad un certo punto ella, mentre
con una mano
andava a sfiorare, timida, la spalla del giovane dio, in una carezza
lieve,
come il suono della sua voce, ridotta ad un sussurro. Aveva forse paura
di
averlo offeso con le sue dure parole? Ancora una volta, amore non
poté non
sorridere a quella particolare fanciulla che era riuscita ad incantarlo
già dal
primo giorno. Dura e fredda all'apparenza, sapeva sciogliersi come neve
al sole
se ne aveva l'opportunità.
Era
così
dolce...
E
bella.
Così
meravigliosa che il ragazzo non resistette e si dovette avvicinare a
lei per
sigillarle le labbra in un candido bacio. Inutile dire che il gesto
sorprese
molto la fanciulla, che di tutte le possibili reazioni, quella era
senza dubbio
quella che si aspettava di meno.
E
mentre le
sue guancie si coloravano di rosso lei imbarazzata si alzava,
mormorando che
era ora per lei di andare. E poi si girava, per correre via, scappare,
sotterrarsi per l'imbarazzo sempre crescente. "E' stato troppo per il
tuo
orgoglio, piccola ninfa?" pensò il dio, che per non farla
scappare le
prese la mano e poi la tirò piano, senza tirare
eccessivamente, verso di sé,
per poi stringerla in un abbraccio.
<<
Ehi,
che fai... scappi? >> le chiese, mentre con una mano
andava ad
accarezzarle i biondi capelli.
Tutta
la
malinconia di prima stava svanendo, per lasciare lo spazio ad un'altro
sentimento, ben più forte e radicato nel loro cuore.
<<
Io...
>> mormorò piano lei, ora stretta tra le
braccia del giovane.
<<
Scappi
da me? >>
<<
Scusa.
Io ... io sono ... imbarazzata … >>
confessò ella mentre piano si
rilassava al tocco delle dolci carezze di Amore, lasciandosi andare e
godendosi
tutte quelle attenzioni tanto a lungo ricercate e mai trovate.
<<
Imbarazzata?
>> chiese lui, sorridendo <> domandò
ancora, questa volta posandole un piccolo bacio sulla testa, cosa che
fece
nuovamente fremere la giovane tra le sue braccia.
Non
poteva
vederlo, poiché il suo bellissimo viso era nascosto nel
petto, ma il dio poteva
immaginarlo: tutto questo la imbarazzava parecchio. "E sicuramente ora
le
sue guancie saranno tinte di un tenero rosa" e immaginandolo
soffocò uno
sbuffo tra i capelli biondi. << Sì, molto.
Sono dannatamente
imbarazzata! >> ammise lei, imbronciandosi un poco cosa
che la rese ancor
più tenera, agli occhi del dio << Un dio..un
dio mi ha baciata e io...
oh...non credo mi riprenderò facilmente! >>
<< Allora
aspetterò che tu ti sia
ripresa. Ma avvisami quando ciò avverrà...
perché ho una voglia matta di
baciare le tue labbra, le tue mani e il tuo viso >> disse
Amore,
prendendole la mano e portandosela alle labbra sorridenti, mentre lei
alzata lo
sguardo e lo guardava, rossa in viso, ma con un lieve sorriso sulle
labbra:
sorriso che non sfuggì all'occhio attento del ragazzo, che
sorridendo ancora le
posò la mano libera sulla morbida guancia, e avvicinandosi
al suo orecchio, le
sussurrò: << Sei felice? >>
<<
Sì >>
Rispose
ella, senza un attimo di esitazione. E questa volta fu lei a prendere
di
sorpresa il dio, alzandosi in punta di piedi e baciandolo delicatamente
sulle
labbra, per poi confermare quanto detto in precedenza: <<
Sì. Sono
felice >>.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Molto
tempo
passò da allora.
I
due
giovani continuavano a vedersi, come avevano sempre fatto.
E
ridevano e
scherzavano, lei diventava rossa quando lui le sussurrava all'orecchio
parole
d'amore per poi darle candidi baci sul viso e allora il ragazzo rideva
della
sua timidezza. Rideva perché era felice di avere quella
creatura incantata
tutta per sé.
Le
loro
giornate trascorrevano liete. Nessuno dei due tirò
più fuori la discussione
avuta tempo fa, quella sulla differenza tra mortali ed immortali. A
nessuno dei
due importava più: sapevano che prima o poi la morte, crudele, li avrebbe separati, ma a
loro non interessava. Non
più di tanto almeno: decisero di comune accordo di non
parlarne
più
e di
vivere al massimo quel poco tempo che era loro concesso di passare
assieme; senza problemi, senza dolore.
Anche
se a
volte, entrambi si rabbuiavano, al pensiero che quella loro pace,
quella loro
felicità non era destinata a durare. E allora nessuno
parlava più, e cominciava
un gioco di sguardi e di detto non detto che culminava con gli occhi
lucidi di
lei e con lo stringerla forte a lui, che dolce le sussurrava:
<< Non
piangere tesoro mio. Anche se non staremo più assieme
fisicamente, il mio amore
per te rimarrà immutato per sempre. Solo quando io
morirò allora smetterò di
amarti. >>
<<
E'
una promessa? >>
<<
Te
lo prometto >>
E
allora lui
la cullava, carezzandola e baciandola finché ella non si
calmava e tornava
piano a sorridere.
Accadde
però
un giorno, in cui i due dovettero separarsi, poiché il dio
era stato invitato
ad una festa e non poteva mancare.
<<
Non
puoi portarmi con te, vero? >> gli aveva chiesto la
fanciulla e lui,
com'era ovvio, le aveva risposto che no, proprio non poteva.
<<
Allora
ti aspetterò >> e sorridendo gli aveva baciato
le labbra e si era
congedata.
Ma
prima che
se ne andasse, quando già gli aveva dato le spalle, l'aveva
abbracciata, e
affondando il naso nel suo collo, per ispirare il suo profumo, le aveva
sussurrato di non mettersi nei guai, e che lui avrebbe pensato a lei in
ogni
momento. Lei aveva sorriso e aveva detto:<< Se avrò bisogno
ti chiamerò, e tu verrai
subito da me, vero? >>
<<
Certamente
>> aveva risposto il dio, e dopo un ultimo bacio l'aveva
lasciata andare.
Ma
un brutto
presentimento si stava facendo largo nei suoi pensieri.
Scuotendo
la
testa decise di non darci peso, "non farti le cosiddette seghe mentali!
Muoviti su, ti aspettano!" l'aveva ammonito il suo cervello e allora
lui
aveva chiuso gli occhi ed era sparito per poi ricomparire nel cortile
di casa
sua, lì, in cielo.
<<
Ben
arrivato, mio caro figlio! >> l'aveva accolto la madre,
mentre piano si
avvicinava a lui con le braccia aperte, in cerca di un abbraccio. Era
bellissima, la madre di Amore: pelle d'avorio e neri capelli d'ebano
facevano
da contorno ad un viso delicato, dove spuntavano dei vivaci ed
intelligenti
occhi azzurri. Oh sì, Afrodite era davvero stupenda "e come
potrebbe non
esserlo? Lei è la dea della bellezza. Non vi è
nessuna più bella di lei"
eppure... eppure per il giovane la fanciulla umana era dieci, cento,
mille
volte più bella della dea che intanto gli carezzava il viso,
sistemandogli i
ciuffi ribelli dietro le orecchie e lo baciava sulle guance con amore.
"Ma
guai a lasciarsi sfuggire una frase del genere. Sai com'è
fatta tua madre. E'
molto vanitosa ed orgogliosa. Non le andrebbe mai giù il
fatto che suo figlio,
il suo pupillo, trova una ragazza più bella ed affascinante
di lei. Sarebbe
troppo. Come una pugnalata alle spalle... e chissà cosa
farebbe a quella
fanciulla. Oh, non oso immaginare..." pensava il giovane, mentre la
madre
lo portava dagli ospiti e insieme salutavano con baci e abbracci tutti
gli
amici immortali; ma il pensiero del dio era altrove.
Era
giù,
sulla terra.
Accanto ad una giovane fanciulla umana.
"Spero
stia bene. E che il mio sia solo un presentimento mal fondato..."
<<
Amore! Che hai? >> la voce vivace di Amos lo
riportò con la mente alla
realtà. Si girò, e quando vide il sorriso allegro
del suo giovane amico, non
poté fare a meno di sorridere a sua volta <<
Buongiorno Amos. >>
<<
Cosa
mi racconti? >>
<< Nulla di
importante. >>Rispose
col tono di chi non crede a ciò che dice <<
Non mentirmi amico mio. Ci
conosciamo da troppo tempo per non capire se qualcosa non va
nell'altro. >>
Rispose il suo amico, guardandolo coi suoi occhi neri, così
penetranti che
pareva scavassero nei meandri più nascosti dell'animo del
suo interlocutore.
Alla
fine,
sotto quello sguardo e certo di potersi fidare di lui, Amore ammise:
<< Stavo
pensando >> disse infine il dio
<< A che cosa? >>
<< Ad
una passante che sotto la pioggia chiuse di colpo l'ombrello,
lasciandosi
bagnare tutta. >> e detto questo ripensò a
quando, una volta, giù sulla
terra aveva piovuto dopo mesi di siccità: lei aveva chiuso
di colpo quello
strano oggetto umano e, ridendo, era corsa sotto le goccioline fresche,
felice.
Raramente
l'aveva vista così, perciò l'aveva raggiunta e,
dopo averla abbracciata,
l'aveva baciata.
Dolcemente.
E le aveva detto di amarla.
Per la prima volta aveva confessato i suoi
sentimenti.
Lei
non
aveva detto nulla. L'aveva abbracciato di rimando, sorridendo e
restando lì,
sotto la pioggia.
Sorrise
a quel piacevole
ricordo.
Intanto
il
suo amico lo osservava come se volesse capire, comprendere un qualcosa.
Lo
sguardo attento del suo interlocutore riportò Amore alla
realtà e, ben
cosciente delle leggi che vigevano lassù, decise di guardare
Amos di rimando,
cercando di essere il più glaciale possibile, anche se gli
veniva da sorridere.
Passarono
interminabili
minuti di silenzio.
<<
Stai
attento amico mio. Quel tipo di relazioni non sono ben viste qui.
>>
disse alla fine Amos, distogliendo lo sguardo per poi puntarlo verso un
punto
impreciso della folla.
Amore
rimase
turbato da quella frase, ma decise di non dire nulla. Seguì
invece lo sguardo
dell'amico, notando come stesse osservando una fanciulla dai capelli
rosso
fuoco.
"Che
anche lui...?" si chiese, ma per il momento decise di non indagare
più di
tanto. Erano in cielo. E lì c'erano occhi e orecchie
dovunque. Se due divinità
(minori o maggiori che fossero) volevano parlare di fatti privati,
dovevano
farlo parlando in codice, in modo che altri non capissero.
Era
dura, la
vita lassù.
<<
Faremo
attenzione entrambi allora. >> disse infine Amore, prima
di portarsi il
calice pieno di vino alle labbra, assaporando il succoso nettare rosso.
<<
Già.
>>
La
conversazione tra i due amici morì dopo quel breve ma
significativo scambio di
battute.
Passarono
i
minuti, le ore, e Amore continuava a scambiare battute un po’
con tutti,
concedendo a ciascuno un sorriso di circostanza, poiché
ormai, i sorrisi veri
li riservata solo alla creatura che amava.
Quella
stessa creatura che era sempre nei pensieri del dio e che anche ora,
mentre
stringeva la mani ad un parente e baciava le guancie ad un altro,
popolava la
sua mente: "chissà cosa starà facendo in questo
momento..."
continuava a pensare, mentre il cattivo presentimento che l'aveva colto
quella
mattina stessa, mentre lei si allontanava, tornava a farsi vivo in lui.
Non
potendo
più andare avanti con questa tensione sempre crescente,
decise di allontanarsi
dalla folla che banchettava allegramente con una scusa, per poi
dirigersi nelle
sue stanze private.
"E
ora,
fammi vedere dove sei, così non appena ti saprò
al sicura, tutta questa ansia
abbandonerà il mio corpo...".
Si
sedette
sul letto, portando le mani appoggiate alle ginocchia. Si
guardò in giro un
paio di volte, per controllare che nessuno arrivasse e infine chiuse
gli occhi
concentrandosi sull'aura della giovane, fino a trovarla: stava
camminando tranquillamente
per le vie affollate della città, serena.
Mentre
la
osservava camminare sorrideva dolcemente, il dio, pensando per
l'ennesima volta
che ella fosse la creatura più bella che avesse mai visto.
Vedendola
al
sicuro decise di interrompere il "pedinamento" e riaprì gli
occhi.
Ma
non
appena lo fece avvertì la sua aura sparire per un attimo,
per poi tornare, come
prima. La cosa allarmò il giovane che decise di
ricontrollare. Quindi richiuse
gli occhi e seguendo la sua aura la cercò.
Ma
di lei
non c'era traccia da nessuna parte. Allarmato, egli continuò
a cercarla, mentre
man mano che andava avanti nella sua ricerca iniziava a sentire una
debole
voce: "aiutami! amore mio, dove sei? Aiutami, ti prego!" e in queste
parole Amore riconobbe il tono di voce della fanciulla, che gli
sembrava stesse
piangendo.
Ancor
più
allarmato da ciò, il dio corse lungo i corridoi fino a
trovarsi nel giardino
ove stava la madre.
<<
Tesoro,
cosa succede? Per quale motivo sei così affannato?
>> gli chiese
Afrodite, avvicinandosi piano, mentre il dio, tra un respiro e l'altro
le
diceva: << Madre...io...non posso. Non posso restare...
un impegno... >>
La
donna,
che aveva avanzato sino a trovarsi di fronte a lui lo
guardò, tenendo sospesa
la mano che aveva alzato per carezzargli il viso sudato. Sorridendo
dolcemente,
come solo una madre sarebbe in grado di fare con il proprio figlio,
ella
abbassò la mano verso quella di lui per poi prenderla
delicatamente e condurlo
sul letto, per sedersi accanto a lei. Ma quando incontrò la
resistenza di
Amore, che non ne voleva proprio sapere di stare lì a
parlare con la madre, si
girò di scatto verso di lui:<< Cosa
può essere più importante di una
piacevole discussione con tua madre? >> gli chiese e
già l'avvertì,
Amore, la pazienza della madre venir meno.
Troppo
affanno, troppi misteri che ella non riusciva a capire: e lei odiava
non
capire.
Specialmente
se si trattava dei comportamenti del figlio.
<<
La
vita della donna che amo. >> Disse secco lui, che ne
aveva piene le
scatole di stare lì mentre la vita della fanciulla a lui
tanto cara era
probabilmente in pericolo.
Ma
questa
sua impazienza gli fu fatale. Solo che sul momento il giovane non se ne
accorse.
Detto
questo
si congedò, sparendo e lasciando sua madre sola in quella
stanza.
Furente.
Arrivato
sulla terra, Amore si concentrò unicamente sull'aura, sempre
più debole, della
giovane "Ai casini con mia madre ci penserò dopo" aveva
deciso. Ora
la sua priorità era una soltanto: trovare la fanciulla e
salvarla. E allora
corse, corse il dio per le strade della città.
Correva
sempre più velocemente, senza fermarsi un solo istante,
urtando oggetti e
persone, guardandosi attorno affannosamente... corse fino a che non si
bloccò
in mezzo alla strada: l'aura già debole della ragazza era
svanita.
<<
No!
>> Urlò improvvisamente e poi riprese a
correre fino a che finalmente non
la vide, riversa sul suolo di
un vicolo
isolato dove non circolava mai nessuno. La vide e corse verso di lei,
prendendola tra le braccia e chiamandola, due, tre, dieci volte.
Ma
ella non
rispondeva.
I capelli sparsi
disordinatamente sul suo
viso, sulla sua fronte, le coprivano gli occhi semiaperti, mentre un
rivolo di
sangue scarlatto colava dalle sue belle labbra.
<<
Ti
prego! Ti prego, apri gli occhi! >> continuava a urlare
il dio, preso dal
panico mentre qualcosa di bagnato andava a scendere sulle sue guancie e
un
sapore salato si posava sulle sue labbra, per poi cadere e infrangersi
sul viso
della donna, bagnandone le guancie, il naso e le palpebre.
Continuava
a
chiamarla, ma ella non rispondeva e alla fine, rassegnato all'idea di
averla
persa per sempre, smise di chiamarla e l'abbracciò
delicatamente, dando libero
sfogo a quella sensazione a lui nuova: abbandono.
Lui
si sentiva abbandonato per la prima volta da
qualcuno, quando era sempre stato lui a sedurre e abbandonare
le persone.
Persone che puntualmente piangevano e chiedevano il motivo di un cambio
così
repentino; e lui aveva sempre risposto freddamente, quasi non gli
importasse
nulla dell'umano che aveva di fronte a sé. "Loro... si
sentivano come mi
sento io ora?" capì di essere stato la causa del dolore di
quelle persone:
le giudicava sciocche, perché si lasciavano andare a
sciocchi
sentimentalismi... "lui era superiore a tutto questo" pensava, e per
questo le persone lo giudicavano superficiale, arido o come il classico
dio che
si elevava su un gradino più alto rispetto agli altri.
Ma come dar loro torto? E
d'altronde egli non
aveva mai fatto nulla per smentire.
Ma
ora... ora
che piangeva per quella donna che lo aveva stregato, ora che provava
quel
lancinante dolore al petto, ora che voleva urlare con quanto fiato
aveva in
gola ma al tempo stesso desiderava solo il silenzio, in quel momento
finalmente
capì.
Capì che l'unico sciocco era lui.
Capì quanto profondi potessero essere
quei
sentimenti umani che lui aveva sempre deriso.
Capì tutte queste cose.
<<
Non...
piangere... >> un sussurro molto lieve lo fece
sobbalzare, per poi fargli
alzare di scatto il viso, verso la fonte di quella flebile voce: la
ragazza lo osservava
dalle palpebre socchiude e respirava ancora a fatica <<
Non piangere. >>
Ripeté ella, alzando la mano verso i suoi occhi, per pulirli
dalle lacrime <<
Sono qui. >> continuò. Amore le sorrise dolce
e l'abbracciò con
delicatezza per non farle male e, affondando il viso nei suoi capelli
spettinati, continuò a piangere, ma questa volta erano
lacrime di gioia.
Gioia per averla ritrovata.
Felicità perché lei
non se n'era andata,
lasciandolo solo.
Era tornata lì, da lui.
<<
Mi
hai fatto preoccupare. Pensavo di averti persa per sempre, mi sentivo
così
imponente... ti vedevo riversa al suolo, col sangue che ti colava dal
labbro...
eri fredda... credevo di averti persa. >> E intanto le
carezzava piano i
capelli e le puliva il viso come meglio poteva.
<<
Mi
spiace se ti ho fatto penare così tanto. >>
rispose lei << Sono
stanca … >> e detto questo richiuse piano gli
occhi.<< Non
preoccuparti. Ora sei qui, con me. Ti porterò a casa e li ti
curerò. >> e
detto questo la prese in braccio per poi sparire.
Intanto,
degli occhi azzurri avevano osservato nell'ombra la scena.
Arrivarono
poco dopo, nella stanza del giovane dio. Lui voleva andare direttamente
nella
sua casa ultraterrena, ma lei, flebilmente l'aveva sconsigliato:
<< Ci
sono altre divinità … >> gli aveva
detto con un filo di voce, prima di ripiombare nel buio
dell'incoscienza;
l'aveva quindi portata nella stanza che era solito affittare quando
andava giù,
nel mondo umano.
"Non
posso portarla su. La guarderebbero male e mia madre si arrabbierebbe.
Molto" pensando a questo scostò un ciuffo dal viso della
giovane, che ora
riposava sul letto dopo esser stata curata.
"Sei
così fragile. Così diversa da me... ho
l'impressione che potresti romperti con
una mia semplice carezza..." pensava il giovane, ritornando col
pensiero a
quanto successo poco prima: l'aveva trovata riversa sul suolo, a pancia
in giù
e quando era accorso per aiutarla, aveva notato dei lividi sulla sua
pelle e un
rivolo di sangue cadere dalle sue labbra. In quel momento il suo primo
pensiero
era stato quello di portarla da qualche parte e curarla, ma ora che lei
era con
lui, al sicuro, poteva analizzare con calma gli eventi e pensare a
possibili
idee sull'accaduto.
Aveva
analizzato l'idea della rapina, dell'aggressione con successivo
tentativo di
stupro o anche una regolazione di conti: ma troppe erano le
possibilità, perciò
capendo che non sarebbe stato in grado di venirne a capo da solo si era
alzato
dopo aver scosso la testa e l'aveva raggiunta, sedendosi a bordo del
letto e
carezzandole il viso, ora sereno.
<<
Tu
non hai idea, di quanto io ti ami. >>
sussurrò, mentre sorridendo si
chinava per baciarla dolcemente sulla fronte lievemente imperlata di
sudore.
<< Anche...io. >> un lieve sussurro lo fece
scostare velocemente
dal letto: la voce della giovane che credeva addormentata, l'aveva
colto di
sorpresa.
<<
Ehi,
vuoi farmi prendere un colpo? >> le chiese, sorridendo
maggiormente ora
che poteva nuovamente specchiarsi in quel verde che tanto gli
piaceva.<< Scusa,
non volevo spaventarti. >> disse lei, piano. E poi sorrise anch'ella,
probabilmente felice di
essere finalmente al sicuro, al suo fianco.
Il
viso del
dio si fece serio e, sedendosi a bordo del letto, al fianco della sua
amata, le
chiese ciò che più gli premeva sapere:
<< Cosa è accaduto? Chi ti ha
fatto... >> e con un gesto indicò la sua
guancia gonfia << ...
questo? >> e poi la guardò tristemente,
prendendole la mano tra le sue e
aspettando pazientemente che lei iniziasse a raccontare:
<<
Dopo che ci siamo salutati, io mi sono allontanata. Volevo andare al
mercato e
comprare un bell'abito... e qualcosa da mangiare. >> e
mentre lei
raccontava lui si limitava a carezzarle piano il volto, in silenzio
<< Dopo
aver scelto un bel vestito e i pezzi di carne migliori, ho salutato i
commercianti e mi sono diretta a casa, dove avrei preparato uno di quei
piatti
che piacciono tanto a te... io... volevo farti una sorpresa...
>> e qui
un singhiozzo la costrinse a interrompere il racconto: il giovane dio
la prese
tra le braccia e la cullò finché non fu pronta
per riprendere da dove si era
fermata:
<< Dicevo...
stavo rientrando a casa,
quando ho sentito qualcuno afferrarmi per il braccio e tirarmi su di
peso, per
poi calarmi un qualcosa, un panno forse, sulla testa. Ho avuto paura.
Era tutto
buio, non vedevo nulla e allora ho iniziato ad urlare e scalciare, ma
più lo
facevo più delle voci mi intimavano di smettere. Abbiamo
camminato per non so
quanto, e dopo un bel po’ ci siamo fermati e mi hanno messa
giù, ordinandomi di
non scappare. Ero paralizzata dalla paura. Hanno iniziato ad urlare,
dicendomi
che dovevo stare lontana da te, che non ero che uno sciocco passatempo
e che
non avrei mai potuto stare con te per sempre. Poi hanno iniziato a
picchiarmi... ho provato a difendermi, ma loro... erano davvero troppi.
Non ce l'ho
fatta... scusa. >> e finito il racconto
abbassò la testa, fino a coprire
gli occhi, nuovamente velati di lacrime, con la frangia.
Amore
dirignò i denti per la rabbia provocata da un gesto simile
compiuto da ignoti
"persone invidiose di noi, forse" i pensieri scorrevano come un fiume
in piena: pensava, pensava a chi potesse aver fatto una cosa tanto
deplorevole
verso una creatura indifesa.
Potevano
essere state le donne con le quali prima passava il suo tempo e che
invece ora
snobbava, che, prese dall'invidia, avevano minacciato la giovane di
lasciarlo
stare. "No, troppo deboli fisicamente. E poi ha parlato di una persona
che
l'ha caricata sulle spalle. Una donna, per quanto robusta di
costituzione, non
può portare in spalla un'altra fanciulla adulta. "Quindi,
quella delle
umane che hanno agito colte dall'invidia non regge..." ed era
così immerso
nei suoi pensieri che non si accorse dello sguardo, ora preoccupato,
della
donna al suo fianco.
Solo il lieve fruscio delle
coperte e il
successivo peso sul petto, lo ridestarono dai suoi pensieri.
<< A cosa
stai pensando? >> una flebile voce lo fece voltare verso
di lei, che lo
guardava, in attesa di risposta.
<<
A
chi può essere stato. >>
<<
E
hai qualche idea? >>
<<
Ho
pensato a qualche umano invidioso, ma ho subito scartato l'ipotesi.
>> Le
disse, carezzandole piano i capelli.
Furono
infiniti attimi di silenzio, durante i quali l'unico rumore che si
poteva
sentire era il loro respiro.
<<
Mi
spiace. >> disse lei, all'improvviso. Queste parole
fecero aprire un
occhio al dio, che precedentemente
aveva
deciso
di chiuderli, per potersi riposare: "a mente lucida si ragiona
meglio" si era detto. << E di cosa? >> le
chiede, alzandole il
viso con l'ausilio del dito sotto al mento, per poi guardarla negli
occhi.
<<
Di
averti fatto preoccupare. >> rispose la fanciulla, con un
filo di voce e
le guance rosse. << Sciocca. >> disse solo
il dio, prima di
riabbracciarla. << Nessuno ci dividerà mai.
Nessuno. Hai capito? >>
chiese, deciso. Sperava di infonderle un poco del suo coraggio, con
quell'affermazione e la cosa sembrò funzionare,
poiché lei sorrise,
apparentemente tranquilla.
Apparentemente,
perché per un secondo nei suoi verdi occhi passò
un velo di... dolore?
tristezza? Nessuno
lo
può dire.
E il dio non se ne accorse.
Forse, se se ne fosse accorto, qualcosa
sarebbe cambiato, o forse nulla sarebbe mutato, chi può
dirlo?
Fatto
sta
che non vide nulla e quindi chiuse gli occhi, respirando il profumo dei
suoi
capelli, perdendosi in dolci sensazioni.
<<
Non
permetterò più a nessuno di farti del male.
>> Le sussurrò, alzando gli
occhi verso il cielo, come se volesse farlo sapere anche ad una qualche
entità
non presente. << Te lo prometto. >>
Intanto
su,
in cielo, Afrodite osservava il figlio.
Il delicato viso etereo
contratto in una lieve
smorfia. << Figlio mio, è così
forte il tuo amore per quella donna umana?
>> Si chiese.
Aveva
provato ad allontanarli, arrivando a rapire e minacciare quella giovane
impertinente che come se nulla fosse le aveva portato via l'amore
incondizionato dell'adorato pargolo.
"Chi
era quella piccola mocciosa che aveva stregato il cuore del figlio?"
continuava a chiedersi Afrodite, ma più cercava la risposta
alle sue domande e
meno la trovava, non capendo che la soluzione era proprio
lì, davanti ai suoi
occhi ed era molto più semplice di quel che credeva.
Decisa
a far
ragionare il figlio, provando a convocarlo lì, da lei.
Lo
chiamò,
dunque, interrompendo il suo riposo al fianco di quell'umana.
<<
Dove vai? >> sentì dire dalla giovane umana al
figlio quando egli si alzò
piano, nella speranza di non farla svegliare. Lui allora si era girato
verso di
lei e le aveva sorriso amorevolmente: << Non temere amore
mio. Tornerò
subito da te. >> e, dopo averle dato un candido bacio a
fior di labbra se
n'era andato.
Di
nuovo.
Era
poi
ricomparso davanti alla madre: lo sguardo gelido e severo di chi
osserva il
colpevole di una qualche brutta azione.
Forse
perché
in cuor suo lui aveva capito chi aveva fatto del male alla sua adorata.
Ma
decise ugualmente
di stare in silenzio per sapere il motivo di questa chiamata
improvvisa. Anche
se la rabbia, la voglia di urlarle
contro era forte.
<<
Mi
avete chiamato, madre? >> chiese, ma nel suo tono non vi
era quella gioia
che sempre avevano contraddistinto la sua voce, quando era con la madre.
<<
Figliolo adorato...non mi abbracci neanche? >> chiese,
allargando le
braccia e avvicinandosi a lui, sorridente.
Ma
davanti a
quella dimostrazione di ipocrisia,
il dio non resistette più e quando la donna gli fu
abbastanza vicina, la spinse
lontano, senza tuttavia farle troppo male e le urlò contro:
<< Siete
stata voi, vero!? Voi avete fatto del male a quella ragazza!
>> urlò, con
quanto fiato aveva in gola, ormai preda della rabbia, al ricordo delle
ferite e
degli occhi velati di lacrime di della fanciulla che amava.
Afrodite
rimase interdetta di fronte alla reazione improvvisa del ragazzo. Suo
figlio,
sempre così calmo e freddo di fronte ai sentimenti, il suo
adorabile figlio,
colui che un tempo considerava gli esseri umani come semplici
passatempi... ora
si infuriava perché lei aveva tentato di allontanare con la
forza una ragazza
umana che aveva attirato tra le sue spire di serpe lui, l'amore della
sua vita.
E Afrodite, si sapeva, era molto gelosa.
Quasi ossessionata dal figlio.
Per
questo
si era sentita tradita, da lui.
Tradita
dal
sangue del suo sangue.
E
allora se
l'era presa con quella mocciosa comparsa dal nulla.
Ma
ora.
Ora
che
vedeva il figlio così... vivo; con gli occhi di solito
freddi, ora così pieni di
amore e passione, finalmente capiva.
Capiva che non aveva mai perduto il figlio.
Capiva che lui ormai era grande, e che era
giusto che amasse chi voleva.
Ma
questo,
in un angolo remoto della sua persona, ancora le faceva male.
Nonostante avesse
finalmente capito.
<<
Perdonami
… >> Riuscì a dire dopo attimi di
silenzio che le sembrarono infiniti.
A
capo
chino, l'orgogliosa dea Afrodite stava per la prima volta chiedendo
scusa. E lo
stava facendo nel modo più umile possibile. Questo
improvviso cambio d'atteggiamento
lasciò perplesso il giovane, che già si era
preparato ad una litigata come mai
prima d'ora e che invece si era trovato una controparte
così... triste?
Dispiaciuta? Nemmeno lui lo sapeva. L'unica cosa di cui era cosciente
era il
fatto che la donna che gli stava davanti senza guardarlo negli occhi, e
che ora
stava iniziando a piangere, gli stava chiedendo perdono.
<<
Madre...
>> aveva detto lui, avvicinandosi piano. Lei aveva
sussultato al suono
della voce del figlio e aveva chiesto nuovamente scusa, questa volta
alzando il
viso, improvvisamente rigato di lacrime: << Scusa, scusa
figlio mio.
Scusa per quello che ho fatto a te e a quella giovane! >>
<<
Per
quale motivo hai fatto un gesto tanto crudele su di una creatura che
nulla ti
aveva fatto? >> sospirò egli guardandola, alla
ricerca di una
giustificazione plausibile. Le scuse non gli bastavano: le aveva fatto
troppo
male.
<<
Ero...
lei... lei ti aveva portato via da me! Tu, figlio mio adorato, hai
sempre amato
solo me, tua madre. Il vederti con un'umana... per me è
stato bruttissimo. Ho
sentito come se il mio mondo, il mio bellissimo mondo crollasse... solo
io.
Solo io mi sentivo in diritto di avere l'amore incondizionato di mio
figlio! >>
confessò infine lei, singhiozzando.
Ma
ciò che
ottenne fu solo uno sguardo ancor più duro.
<<
Mi
stai dicendo che tu hai minacciato di morte e picchiato una ragazza
indifesa...per GELOSIA!?
>>
proruppe il dio, ora più irritato che mai.
Non
riusciva
a capacitarsi infatti di ciò che la madre aveva fatto. E
ancor meno comprendeva
il motivo che c'era dietro a questo suo gesto.
Voleva
il
suo affetto tutto per sé?
Era
gelosa?
Mai
motivo
fu più sciocco!
Ed
è questo
che le urlò, arrabbiato. Sordo alle scuse della madre.
<<
Non
voglio più sentire le vostre scuse madre! Avete compiuto
gesti orrendi in nome
di un mero desiderio egoistico! >>
<<
Ma
io...io volevo il tuo amore... >>
<<
Sciocche
scuse senza né capo né coda! La verità
è che voi volete comandare le persone,
controllare i loro sentimenti a vostro piacimento ed io, io che sono
vostro
figlio, non ne sono esente! >>
<<
Cerca
di capire amore mio... l'ho fatto solo per te... >>
continuò mesta, la
madre.
<<
Per
me?! >> non ci credeva. Adesso iniziava con la scusa del
"tesoro
l'ho fatto per te..." figuriamoci.
Adesso
ci
mancava che dicesse anche … << Non volevo
farti soffrire. >> … Appunto.
La
rabbia
del giovane era ormai incontenibile. Per quanto tempo ancora la madre
lo
avrebbe preso in giro?
"Prima
minacci e fai del male alla donna che amo, la cui unica colpa
è essere umana, e
poi ti comporti da madre preoccupata per il proprio figlio? Ma non ti
rendi
conto di quanta falsità trapela dai tuoi gesti, dalle tue
parole?" pensava
egli, mentre furente si avviava verso l'uscita della stanza.
Non
voleva
più vederla.
<<
Dove
vai? >> chiese la donna, che ancora in piedi, aveva
smesso di
singhiozzare e ora lo guardava: il trucco sbavato a causa delle lacrime
rendeva
ancor più goffo il suo tentativo di mostrarsi seria ed
indifferente a ciò che
stava accadendo.
<<
Dalla
donna che amo. >> Rispose solo, per poi poggiare la mano
sulla maniglia
ed aprire la porta. Stava finalmente per uscire, quando la voce della
donna lo
raggiunge << Sta morendo, figlio mio. >>
disse solo.
Il
dio
allora si girò di scatto e la guardò: ormai la
sua rabbia era incontenibile.
<<
Ancora con le tue scuse?! >> le urlò contro,
senza muoversi di un solo
millimetro. Si limitava a fissarla, ora con rabbia ora con astio. I
suoi occhi
erano diventati così gelidi che per un attimo un brivido
percorse la nuda
schiena di Afrodite.
<<
Non
sono scuse. Sto dicendo il vero, sfortunatamente …
>> continuò ella,
decisa più che mai a rivelare al figlio quanto scoperto su
quella fanciulla
umana. << E' gravemente malata e le resta poco da vivere.
>>
continuò.
<<
No.
>> disse solo il dio. << Tu menti. Menti
perché sei accecata dalla
gelosia! >> urlò egli, scuotendo con vigore la
testa.
<< Vorrei
fosse così, figlio mio. Vorrei fosse solo una
falsità, ma così non è. Sta
morendo. >>
ripeté la madre, con
serietà.
<<
Basta! Non voglio più sentire altre fandonie architettate
solo per separarmi da
lei! >>
<<
Tesoro...
>>
<<
Questa
discussione termina qui. >> Decise il dio che subito dopo
si congedò,
sparendo.
La
madre dal
canto suo abbassò semplicemente lo sguardo, portandosi una
mano davanti agli
occhi, di nuovo
colmi
di lacrime amare.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo 4 - Parte 1 ***
Da
allora
passarono i giorni, e le settimane.
Le
condizioni della fanciulla iniziarono a peggiorare: il suo bel volto
diveniva
ogni giorno più pallido, il suo corpo più debole
e i suoi occhi sempre più
lucidi.
Dormiva
spesso la giovane, sotto lo sguardo attento del dio, che non si
allontanava mai
da lei.
"Starò
con te per sempre" le aveva promesso una volta, in quel giorno di
pioggia
sotto la quale si erano entrambi bagnati come pulcini.
E
così
avrebbe fatto. Era ormai cosciente del fatto che la madre avesse detto
il vero,
quell'ormai lontano giorno, ma lui, sciocco, preso dalla rabbia non le
aveva
dato retta.
<<
Amor
mio... >> una flebile voce lo riportò coi
pensieri alla realtà. La
giovane si era appena destata dal sonno e ora lo cercava.
<<
Sono
qui, piccola. >> rispose solo, abbracciandola dolcemente.
<<
Tesoro mio, perdonami. >> continuò ella.
<< Perdonami, se ti sto
facendo soffrire... perdonami, se non potrò stare assieme a
te per sempre. Ti
prego, scusami. >> disse, abbracciandolo delicatamente,
poiché di forza
nelle braccia ormai, non ne aveva più.
Nel
vederla
così mogia allora, il dio decise di farle un dono.
Sì, le avrebbe regalato qualcosa, per
farla
sorridere nuovamente.
Per
questo si
alzò, sorridendole. << Che succede?
>> domandò la giovane,
seguendolo con lo sguardo << Non preoccuparti tesoro mio.
Ho intenzione
di uscire un attimo ma non temere: tornerò subito da te.
>>
<<
Uscire?
Per andare dove? >>
Il
dio le
sorrise ancora e, dopo averle posato un bacio sulla fronte lievemente
imperlata
di sudore, le disse << Ti farò sorridere di
nuovo. Te lo prometto.
>> e detto ciò sparì.
La
ragazza,
rimasta sola, si lasciò cadere sul letto e chiuse gli occhi
"dove sarà
andato, ora?" si chiese.
Ma
le parole
che le aveva rivolto le fecero credere che sarebbe tornato presto da
lei.
Riaprì
gli
occhi e guardò il soffitto: erano passate intere settimane
da quell'episodio.
Dopo aver parlato con la madre, il dio era tornato da lei, furente e le
aveva chiesto
senza nessun tatto se era vero che era ammalata e stata morendo. Lei
per tutta risposta
l'aveva guardato, presa alla sprovvista, per poi abbassare la testa e
dare
risposta affermativa.
Allora
lui
aveva sospirato. Credeva se ne sarebbe andato, invece l'aveva
abbracciata, e
ripetendole che l'amava, le aveva promesso che sarebbe rimasto con lei.
E
così era
stato.
Sorrise
debolmente.
Amava
quell'uomo. Oh, se lo amava. Avrebbe voluto restare ancora un
po’ di tempo con
lui, ma sapeva che per quanti sforzi lei facesse, non era proprio
possibile per
una mortale, stare con qualcuno la cui vita è destinata a
durare per sempre.
E
ormai, non
poteva più stare con lui.
La
sua ora
era giunta.
<<
Vieni avanti, ombra nera. Mostrati. >> disse con un fil
di voce.
Il fuoco della candela si
spense, la casa
venne invasa dal freddo e la sala divenne interamente buia.
Davanti
al
letto si materializzò una figura interamente coperta, la sua
lunga tunica nera
sembrava fosse fatta di nebbia. Niente di quella misteriosa presenza
era
corporeo.
<<
Sei
venuta a prendermi, dunque? >>
L'ombra
nera
annuì lentamente.
<<
...Quindi
deduco...che sia giunta la mia ora? >>
L'ombra
annuì di nuovo.
<<
Prima
vorrei sapere una cosa... >>
Non si nega mai l'ultimo desiderio ad un
condannato disse una voce atona, priva di qualsivoglia
emozione.
Una
voce che
rimbombò per tutta la piccola stanza e che fede rabbrividire
la giovane, che si
tirò le coperte sulle spalle.
"E'
dunque questa la voce di morte?" si chiese. Poi continuò:
<< Vorrei vederlo.
Un'ultima volta. Prima che
i miei occhi non vedano più... prima che le mie mani non
possano più
toccarlo... prima che le mie labbra non possano più
baciarlo. Voglio vederlo, in modo
che il suo viso
rimanga impresso nella mia mente, quando sarò
nell'aldilà. >> e guardò
quell'ombra senza volto, in attesa di risposta: poteva accontentarla,
oppure
calare sui suoi occhi, il freddo respiro della morte.
La
scheletrica mano della figura andò a posarsi sulla fronte
della giovane, che
istintivamente chiuse gli occhi.
Rilassati le disse la voce della morte.
E lei vide. Vide nella sua testa il giovane dio, suo unico vero amore,
girare
per le bancarelle alla ricerca di un regalo da farle. Lo vide sorridere
cordialmente a chi lo salutava per strada... lo vide felice e allora
iniziò a
piangere.
<<
Quando io morirò...lui...si sentirà solo?
>> si chiese, ad alta voce. La
morte non rispose.
Non
si mette
mai fretta, ad un condannato.
Gli
ultimi
suoi pensieri sono sacri.
<<
Sembra così felice ora... sorride sempre... >>
disse ancora, mentre
allungava una mano tremante, come se così fosse in grado di
sfiorarlo. <<
Quando non ci sarò più...non sarà
più in grado di sorridere? >> si
chiese.
E
intanto il
sapore salato delle lacrime andava a posarsi sulle sue labbra, ora
tremanti.
<<
Lui
si sentirà solo, senza nessuno che lo ami davvero?
Io...no... >> stava
crescendo in lei, quel desiderio.
Quello
che
tutti vogliono, ma che nessuno ottiene mai: il
desiderio di star per sempre con la persona che ami.
Stare con quella persona e con essa vivere
per sempre, superando il dolore, la morte.
Ma
non
funziona così.
Gli
umani
sono destinati a morire, mentre gli immortali vivranno in eterno.
E' tempo riprese dopo poco tempo la voce
atona.
<<
No...
>> protestò finalmente ella, che alla vista
dell'uomo che amava, e al
pensiero di condannarlo ad una vita senza di lei, aveva ritrovato la
forza
ultima di reagire, anche se troppo tardi, alla morte che su di lei
incombeva.
<< Non voglio... non voglio che lui sia triste. Se io
morirò... lui
tornerà come prima. Eviterà di legarsi per non
soffrire di nuovo. E allora
starà in solitudine per sempre... non voglio. Non voglio
condannarlo ad
un'esistenza simile. Non voglio che soffra... >>
Quindi umana, qual'é il tuo ultimo
desiderio? chiese la presenza, perché l'ultimo
desiderio di un moribondo
non si rifiuta mai.
<<
Non
voglio morire! >> urlò la giovane, ma sapeva
che per quanto implorasse,
per quanto ella pregasse, il fato, crudele, aveva già deciso
per lei.
Impossibile. Una sola parola
uscì dalla
bocca scheletrica.
L'enorme
falce si levò in aria e si abbatté su quel
pallido corpo umano in un sol colpo.
Dopodiché
la
morte sparì, accompagnando nell'aldilà
quell'anima bianca.
Nella
stanza, rimase solo il corpo ormai privo di vita di una giovane donna.
In lacrime.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo 4 - Parte 2 ***
<<
Amor
mio, perdonami. >> continuò ella.
<< Perdonami, se ti sto facendo
soffrire... perdonami, se non potrò stare assieme a te per
sempre. Ti prego,
scusami. >> disse, abbracciandolo delicatamente,
poiché di forza nelle
braccia ormai, non ne aveva più.
"Piccolo
tesoro, come posso alleviarti anche per poco, tutta questa sofferenza e
poi
vedere splendere sul tuo viso pallido uno di quei bei sorrisi che solo
a me
riservavi?" così si chiedeva il dio mentre teneva la giovane
tra le sue
braccia.
Aveva
scoperto dalla madre che le mancava poco da vivere, ma quando lui aveva
chiesto
alla giovane se ciò che aveva scoperto era vero e lei aveva
annuito, triste,
lui non si era arrabbiato.
L'aveva
vista ancor più delicata e l'aveva presa tra le braccia "
allora è vero. Per
quanti sforzi facciamo, non potremo mai
stare assieme per sempre. Il fato, crudele, ci separerà"
aveva pensato,
mentre una fitta al cuore gli pulsava.
"
Allora, se è vero che ci rimane poco tempo, viviamo quel
poco che ci rimane al
massimo, in modo da non dimenticarcene mai" e allora avevano continuato
a
vivere normalmente, girando per la città e vivendo le loro
giornate come
avevano sempre fatto. Ma man mano che andavano avanti, lei si
indeboliva,
diveniva sempre più pallida e stanca e arrivò ad
un punto in cui non sorrideva
neanche, più per il dolore della separazione imminente che
per il dolore fisico
causato dalla malattia.
Lui
allora
aveva cercato una maniera per farle tornare, almeno momentaneamente, il
sorriso.
Sentendola
fragile tra le sue braccia chiedere perdono per quella pena (condanna
che il
dio non considerava tale) Amore aveva deciso di uscire e prenderle dei
fiori.
Semplici
e
colorati, come lei.
Chissà
se
così sarebbe stata felice? Chissà se avrebbe riso
nuovamente?
E
ora, con
questi pensieri in testa era lì, in piazza, a cercare un
qualsiasi fioraio dove
acquistare dei fiori da portarle.
Camminava
e
camminava, alla ricerca di una bancarella che ne vendesse, ma non fu un
mercante, ad attirare l'attenzione, bensì un prato.
Sì,
proprio
un prato.
Si
avvicinò
e guardò attentamente ciò che quel giardino
naturale offriva: nella sua ricerca
aveva intravisto proprio lì, in quel punto, delle
margherite.
"Un
semplice dono, per una semplice fanciulla" pensava. Quei fiori,
infatti,
rispecchiavano perfettamente l'animo della fanciulla che gli aveva
catturato il
cuore.
Si
chinò
dunque e ne raccolse una manciata che successivamente legò
con un fiocchetto
azzurro che si era portato dietro. A lavoro finito osservò
compiaciuto il
risultato ottenuto e, felice si diresse da lei.
Ma
il
giovane dio era ignaro della visita che nel frattempo aveva ricevuto la
sua
amata.
Per
questo
quando rientrò nell'abitazione, il suo sorriso si spense di
colpo, alla vista
del pallido corpo esanime della ragazza.
I
fiori
caddero dalla sua mano e il ragazzo corse da lei, prendendola tra le
braccia e
urlando.
Chiamandola.
E
intanto le
lacrime sgorgavano senza freni dai suoi occhi. Ma non gli importava.
"Al
diavolo l'orgoglio!" pensava. E continuava a chiamarla, implorandola di
tornare da lui, e di non andarsene. Ma ella non rispondeva
più, ella non apriva
più i suoi occhi chiari dicendogli "non urlare, ti sento!".
Il
caldo
soffio della vita non era più in lei.
E lui era rimasto solo.
Dopo
tanto
tempo, era tornato solo. Lui e la sua immortalità.
Condizione che, ad un
tratto, gli parve quasi una condanna.
Pianse molti giorni, Amore, tenendo stresso
a sé quel freddo corpo.
Pianse molte notti, il dio, che non aveva
intenzione di abbandonare la donna che amava.
E col tempo al pianto si susseguirono la
tristezza.
Il dolore.
Il
senso di
enorme impotenza: "che
senso ha
essere immortale, avere un corpo resistente... che senso ha essere un
dio, se
poi non riesci nemmeno a salvare chi ami?".
Continuò
così, fino a che Afrodite in persona andò da lui,
chiedendogli di tornare da
lei, su in cielo.
L'odore
di
morte e di chiuso impregnava ormai tutta la stanza e il buio impediva
la
visuale a chiunque entrasse in quel posto.
Il
cadavere,
era poggiato sul letto e pareva fosse una dama dormiente.
Una
dama il
cui petto non si alzava ed abbassava più.
<<
Torna
con me. >> disse la dea.
Ma
l'unica
cosa che ottenne fu uno sguardo assente. Il bell'azzurro degli occhi
del
giovane si era spento, e ormai privi della loro luce, essi scrutavano
ogni cosa
senza in realtà vederla davvero.
<<
Tesoro. Sono ormai passate settimane, da quando lei è morta.
E' tempo che tu
vada avanti... >> gli disse, la voce dolce.
Per
tutta
risposta ottenne il silenzio.
<<
Figlio
mio... >> provò a chiamarlo nuovamente.
<< Odio... >> un
sussurro appena udibile, quello del dio.
<<
Come?
>> chiese, avvicinandosi di un poco a lui.
<<
La
odio. >> ripeté la voce atona del dio, che
indicò con un cenno della
testa l'ormai cadavere della giovane, dolcemente sdraiato sul letto
lì a
fianco.
Silenzio.
Di
nuovo.
Solo
il
vociare delle persone all'esterno dell'abitazione interrompevano quella
surreale tranquillità.
Afrodite
si
avvicinò di più al figlio, preoccupata, mentre
alzava piano il braccio, per
andare a posare la mano sulla sua spalla, ma egli la precedette e come
una
furia si alzò in piedi, così improvvisamente che
fece sobbalzare la madre.
<<
E'
lei che io odio! Perché è morta, lasciandomi
solo! Mi è stata vicina, mi ha
incantato e mi ha fatto provare l'amore, quello vero. E poi
è morta! Se n'è
andata! E ora per colpa sua, del suo egoismo io sto soffrendo tanto!
>>
urlò, finalmente dopo tanti silenzi, il giovane.
"La
odi?" ma subito si bloccò, nel sentire dire simili
cattiverie sulla donna
che aveva (e che continuava) ad amare con tutto se stesso.
<<
No,
non posso odiare chi amo … >> si disse.
Aveva
lo
sguardo acceso di una luce che Afrodite non aveva mai visto, in lui.
Era
diverso,
dal solito Amore.
La
sua voce
era ancora atona, ma ad ascoltare bene, c'era quella nuova inclinazione
che si
poteva classificare come...follia?
Il
dio,
intanto, continuava quello che a tutti gli effetti pareva un monologo.
<<
La
odio perché la amo … >> continuava
a ripetersi, e poi: << La amo,
ma la odio perché mi ha abbandonato. >>.
E
avrebbe
continuato così per molto altro tempo ancora se una mano
delicata non fosse
andata a posarsi sul suo braccio e una voce, quella della madre, che
ora non
poteva più nascondere la preoccupazione ch' ella aveva per
le condizioni del
figlio non l'avessero riportato alla realtà:
<< Odi la ragazza umana
perché ha lasciato questo mondo? >>
<<
...
>> il dio pareva essere tornato nello stato in cui
versava poco fa.
Ora
la
guardava, lo sguardo nuovamente perso nel vuoto.
La
ascoltava, ma in realtà alle sue orecchie non giungeva alcun
suono.
<<
Tesoro,
ma tu lo sapevi. Lo sapevate entrambi, che la vostra era una
felicità che non
poteva durare.
E'
per
questo motivo che noi immortali stiamo ben lontani dagli umani che
abitano la
terra sotto di noi. Siamo diversi. Non ci leghiamo a loro per evitare
di
soffrire quando loro lasceranno questo mondo. >>
Gli
mancava.
La ragazza che amava era morta, e lui si
sentiva inutile.
<<
All'inizio
fa male...ma con calma tornerai a sorridere anche tu e ti lascerai alle
spalle
tutto. >>
Si
sentiva
come se si fosse improvvisamente svuotato di ogni cosa: anima, cuore,
sentimenti.
Nel suo corpo ormai non
ritrovava nulla di
tutto ciò.
Si sentiva vuoto.
Stanco.
E solo.
Alzò
lo
sguardo su Afrodite, che fino ad allora non aveva smesso di parlare,
senza che
lui la stesse veramente ascoltando.
La
guardò,
poi posò gli occhi su quel corpo così bello,
anche ora che era privo di vita.
<<
Non
posso più stare qui. >> disse solo, mentre la
madre lo guardava,
allibita.
E
poi sparì.
--- Note di Rib ---
Come potete notare ho preferito dividere in due parti questo capitolo, poichè le vicende qui, sono narrate dal punto di vista di entrambi i protagonisti.
Ringrazio chiunque stia leggendo la storia e in particolare stantuffo : grazie per la splendida recensione, mi fa piacere che la mia storia ti piaccia e mi fa un pò arrossire quello che hai scritto sul mio modo di scrivere. Grazie mille carissima, spero che anche questi capitoli ti piacciano!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Epilogo ***
<<
E
dove andò Amore? >> mi chiede la piccola
Elisabeth, davanti a me. Nei
suoi occhi posso leggere la tristezza per ciò che
è capitato ai due
protagonisti del racconto. E' una piccola molto dolce, alla quale
piacciono le
storie a lieto fine. Le sorrido lievemente e con una mano le carezzo la
testolina. << Ah, questo nessuno lo sa. >>
<<
E'
andato da lei. >> interviene un'altra bimba di qualche
anno più grande
dell'altra.
<<
Perché?
>> chiede ancora Elisa.
<<
Come
"perché"? Perché voleva stare con la donna che
amava, no? >>
Continuo
a
farle parlare mentre lentamente mi alzo.
<<
Ma
se lui era immortale, non poteva morire, giusto? >>
<<
Esatto
… >>
<<
Quindi se lei
è morta e lui non può, non
possono stare assieme! >>
Sorrido
lievemente: questa piccola è molto più attenta di
molte sue coetanee.
Mi
sgranchisco un po’ le gambe indolenzite dal troppo star
seduto.
<<
Ma allora... Non si
sente solo? >>
continua la piccola, mentre sul suo
viso appare un'espressione triste e i suoi occhi castani iniziano a
farsi
lucidi. Mi avvicino a lei, carezzandole la testa: << Non piangere. Di lacrime, ne
ho già viste fin
troppe. >>
E detto questo mi
allontano salutandoli.
Riprendo
il
mio girovagare per l'ennesima volta.
Senza
meta.
Solo
con il
pensiero rivolto ad una giovane fanciulla dai biondi capelli e dallo
splendido
ed assai raro sorriso.
<<
Che uomo stupido
… >>
mi sembra di sentirla ancora oggi, la
sua voce. Alzo lo sguardo verso il cielo azzurro e sorrido. E li mi
sembra di
vederlo distintamente, il suo bel viso.
<<
Io ti amo. E ti
amerò per sempre. >>
le dico, dolcemente.
<<
Scemo. >>
Il suo tono è duro e dolce allo stesso tempo. Proprio come
me lo ricordavo.
<<
... >>
<<
Anche io ti amo. >>
Sorrido
di
nuovo e riabbasso la testa.
La
voce è
sparita ( o forse me la sono sempre e solo immaginata) e
così anche la sua
bellissima immagine, dissolta nell'aria mattutina.
Percorro
la
strada del mercato, ora gremita di persone.
Non
faccio
caso a chi mi chiama, probabilmente riconoscendomi.
Non
faccio
caso ai mercanti che mi invitano a guardare i loro prodotti.
Cammino
senza fermarmi, e con la mente ripercorro tutti gli istanti legati a
quella
ragazza.
"E' impossibile far innamorare un dio
immortale, sapete mie care?" al ricordo di queste mie parole
il
sorriso sul mio viso sparisce e gli occhi mi si velano di un sottile
strano
umido.
"Un dio immortale non può
innamorarsi"... Alzo nuovamente la testa verso il cielo e
lascio che
una lacrima solchi la mia guancia: ma chi
ci crede più, ad una cavolata simile?
--- Note di rib ---
Ed ecco qui, l'ultimo capitolo.
Questa credo sia stata la storia più lunga che io abbia mai scritto.
Che dire? Malgrado la posizione, sono molto soddisfatta di questa storia, si si.
Ringrazio sin da ora chiunque voglia commentare, anche solo per dirmi "che schifo, non mi piace perchè..." xD
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=560853
|