My immortal

di ribrib20
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Parte 1 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 4 - Parte 2 ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




Una nuova giornata sta iniziando qui, i vicoli della città sono ancora deserti, e una lieve foschia aleggia per le vie, danzando dolcemente con il vento. Dolci aromi si mescolano all'odore del muschio bagnato dalle gocce di pioggia caduta la notte appena trascorsa.
Cammino ad occhi chiusi, immerso in questo momento magico: adoro passeggiare la mattina presto mentre la città ancora riposa ... come fosse in uno stato di torpore. Come se il tempo si fosse momentaneamente fermato.
Percorro la strada che ormai conosco a memoria: destra, sinistra, svolta nella via dove il negozio del fornaio fa angolo ... ed eccomi arrivato alla piazza. Apro gli occhi, interrompendo quelle fantasie che mi vengono alla mente ogni mattina. Mi guardo attorno, cercando un posto ove sedermi. La piazza del mercato, solitamente gremita di gente, è ancora deserta. "Anche qui il tempo pare essersi fermato" penso, mentre l'ombra di un sorriso attraversa il mio viso.
Prendo una vecchia cassa di legno, precedentemente usata per portare la frutta, e mi siedo, richiudendo gli occhi e attendendo.
Aspetto che la città si animi.
Aspetto che i bambini arrivino.

E nell’attesa chiudo gli occhi …
<< Secondo voi sta dormendo? >> Sento una voce …  << Non saprei... >> no, le voci sono due. << Dai ... torniamo dopo, magari sta riposando, poverino! >> aah, questa è la piccola Elisabeth. Tenera e dolce bambina. Sorrido e apro gli occhi: << buongiorno ragazzi >> dico, mentre con la mano carezzo la testa della più piccola che abbassa lo sguardo, mentre le sue guancie si colorano di rosso.
Sorrido ancor di più. Che tenera.
<< Volete che vi racconti una storia? >> chiedo, ma non ne ho bisogno. Conosco già la risposta. Tre testoline annuiscono convinte e i bambini a un mio cenno si accomodano attorno a me, guardandomi in attesa.
Richiudo gli occhi. Iniziando a immergermi in un passato ben lontano.
Tutti sono in attesa.
Come se il tempo si fosse fermato.
Riapro gli occhi e mi alzo, facendo un aggraziato inchino che fa ridere la piccola Elisa:<< Benvenuti, madame e monsieur. Io sono il cantastorie, figura misteriosa che vi condurrà in giro per il tempo, facendovi  conoscere tante persone diverse. Vi parlerò di dame e cavalieri. Vi narrerò di storie senza tempo. Di leggende che non hanno fine. Di esseri fantastici e di semplici creature. Vi prego, mettetevi comodi, il viaggio ha inizio... >>.



--- Note di rib ---
Nonostante sia arrivata ultima, sono fiera di questa storia, anche se forse non brilla per l'originalità.
Essendo una storia molto lunga, ho deciso di dividerla in più capitoli.
Spero che possa piacere a qualcuno e di ricevere recensioni che possano aiutarmi a migliorare. Grazie.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Questa è la storia di Amore, il bel dio immortale, che s’innamorò di un'umana qualunque, andando contro le regole che vietavano agli dei del cielo di intrattenere relazioni profonde con gli umani. Ebbene, Amore era un bellissimo uomo: lunghi capelli biondi che gli arrivavano sino le spalle, occhi azzurri come il cielo privo di nuvole. La sua pelle era candida come quella di un bambino, morbida e fresca come il petalo di un fiore bagnato di gocce di rugiada. Egli, in quanto dio immortale, manteneva sempre lo stesso aspetto di un giovane di venticinque anni.

Con il suo amico Fascino, molto spesso girava per le strade delle città popolate dagli umani "perché su, nel suo mondo, il tempo scorreva infinito, e Noia, cupa signora solitaria, regnava sovrana" e con questa scusa prendevano il loro adorato cavallo nero e scendevano giù, nelle città. Il dio amava andare in giro a guardare le bellezze della vita umana: si perdeva ad annusare i profumi del paese, del pane appena sfornato e dei mille colori del paese. La sua bellezza attirava sempre giovani fanciulle che, avvicinandosi a lui, lo volevano conoscere. Ed egli accettava, di buon grado.
Ma non c'era sentimento profondo quando rideva e parlava con loro.
Non vi era amore, nello sguardo che a esse rivolgeva quando s’isolavano, in una stanza, da soli.
Per lui esisteva solo divertimento. Per dimenticare la monotonia dell'immortalità.
E continuava così: una, due, tre donne. Tutte sedotte e usate per un misero attimo di fuga dalla realtà.
Divertimento.
Feste.
Amori e momenti fugaci solo per appagare il bisogno fisico di avere qualcuno al proprio fianco.

Il giovane dio passava così le sue giornate. Le giovani che lo conoscevano continuavano a sperare che lui si innamorasse di una di loro, ma Amore, puntualmente, rispondeva con le stesse parole: << E' impossibile far innamorare un dio immortale, sapete mie care? >>
<< Ma tu sei Amore! >> protestavano loro, rosse in viso << come puoi professare nel mondo tale nobile sentimento, se tu non l'hai mai provato? >> e allora lui sorrideva, un'ombra di dolore attraversava i suoi limpidi occhi: << Oh, è così inutile l’amore. E' vero adorate fanciulle, non dovrei dirlo io che lo professo, ma è così che la penso: l'amore non esiste. >>

 Mostrava spavalderia nell'affermarlo, ma chi osservava bene, poteva notare un lampo di tristezza in quegli occhi così azzurri da sembrare innaturali. Sfortunatamente di tutte quelle giovani, nessuna mai se ne accorgeva e allora il dio faceva sempre la figura del superficiale, che poi, forse, un poco lo era.

Solo una volta a questa sua frase una donna gli rispose. Lei disse che era sciocco. E che gli immortali le facevano tristezza.

A queste affermazioni il sorriso all'apparenza triste del dio scomparve, lasciando spazio a un ghigno di divertimento misto a rabbia: come si permetteva quell'insulsa mortale, di giudicarlo così aspramente?! << Oh, e perché mai dici questo, giovane fanciulla? >> le chiese cercando di nascondere la sua curiosità dietro ad un tono freddo e scostante. Forse sperava di intimidirla, ma così non fu, infatti la giovane lo guardò, uno sguardo duro e pieno d'orgoglio il suo, e gli rispose fermamente:<< Gli immortali mi fanno tristezza >> ripeté la giovane fanciulla dai biondi capelli.
<< Perché mai? >> chiese nuovamente Amore, che iniziava a infastidirsi davvero dei modi di quella giovane donna umana.
<< Perché sono da soli. Conoscono molte persone, certo. Vivono innumerevoli avventure, ovviamente. Viaggiano, vedono e fanno tantissime cose. Ma tutto superficialmente. Anche con le persone è così. Una conoscenza superficiale. Non si cerca mai di avere un rapporto più profondo con questa o quella persona. Le amicizie... gli amori (se così vogliamo chiamarli)... E' tutto così irreale. E' la ricerca di un attimo di felicità che, si sa, non durerà a lungo. Gli immortali non si affezionano mai veramente. Vivono come vogliono, cercando di non legarsi a nessuno... forse perché sanno che presto o tardi, coloro che gli stanno attorno moriranno. Mentre loro continueranno a vivere. Deve essere così doloroso. Vedere morire tutte le persone che si conoscono. Forse non si legano per questo.
Per non soffrire. La loro è un'esistenza … così triste. E' come se fossero obbligati da una forza esterna a non avere legame alcuno. >> Le parole della ragazza, dette con così tanta sincerità, mantenendo tuttavia quel tono così duro, colpirono profondamente il dio che tuttavia, per orgoglio cercò di non darlo a vedere: "Hai ragione" voleva dire il suo animo, così a lungo sofferente, invece decise di proseguire per la strada che aveva deciso di intraprendere e, guardandola ancor più freddamente le rispose sicuro:<< Io conosco un sacco di persone >> affermò, ma non ne era convinto nemmeno lui, e la giovane sembrò accorgersene, perché chiese:<< Sì ma quante persone puoi dire di conoscere veramente? >> touché. Il Dio sbruffone rimase in silenzio e abbassò anche la testa: aveva perso.

<< Appunto. >> Sentì dire dalla ragazza. Ma non vi era derisione, nel suo tono di voce. Solo una traccia appena accennata di... malinconia? Per la prima volta Amore volle conoscere più a fondo una creatura umana. Per curiosità verso quell'unico individuo che era stato in grado di farlo crollare con semplici e banali parole.

Sì, per la prima volta da quando esisteva, provava curiosità verso qualcun altro. Alzò dunque la testa verso il luogo in cui fino a poco fa si trovava quella creatura ma, stupore, lei non era più in quel posto: per sua fortuna non si era ancora allontanata eccessivamente e quindi il giovane dio poté raggiungerla. << Aspetta! >> le urlò, un poco impacciato, poiché non era sua abitudine correre dietro alle donne (semmai era il contrario) << Oh, sei tu. >> rispose ella, semplicemente.

Ma ancora una volta non vi era traccia di curiosità o di bontà, nella sua dura voce.

Anche il suo sguardo non rifletteva alcuna dolcezza. Sì, quella donna umana lo incuriosiva oltre ogni dire. Forse proprio per il suo atteggiamento così diverso rispetto a quello tenuto dalle altre fanciulle, forse per le sue parole... chissà. Fatto sta che un nuovo sentimento si stava facendo strada in lui, anche se, ovviamente, il dio l'avrebbe scoperto solo molto tempo dopo.<< Mai nessuna ragazza prima d'ora mi aveva risposto così come tu hai fatto oggi. Dimmi qual é il tuo nome? >> << ... >> lo guardò scettica, scrutandolo. E i suoi occhi verdi sembravano studiare il suo animo, alla ricerca di chissà cosa. Il suo silenzio durò a lungo e il dio non era molto paziente: << Allora? >> le disse piano, avvicinandosi a lei fino a essere a pochi centimetri dal suo viso. Forse credeva che avrebbe finalmente ceduto davanti al suo fascino, ma la reazione della giovane lo stupì nuovamente.
Ella lo scostò leggermente e si congedò con un << Ora devo andare. Addio. >>
Rimase sconcertato dalla reazione di quella fanciulla che tanto malamente lo trattava. "Si sta prendendo gioco di me" si ritrovò a pensare "vuole giocare con la mia pazienza" questi pensieri si facevano largo nella sua testa, mentre la calma veniva meno e la rabbia iniziava a ribollire nelle sue vene: << Non posso lasciarla andare! >>.

Era una sfida, ora. Quella donna tanto impudente l'aveva sfidato e giocava con lui, col suo desiderio di conoscerla. Non poteva, non doveva in alcun modo fargliela passare liscia. Quella creatura così incurante dei ranghi e dell'importanza degli dei, quella donna così dannatamente attraente che in modo così diretto si era disinteressata a lui, doveva pagarla. Mai, mai alcuna mortale aveva osato tanto, mai nessuno l'aveva trattato in questo modo!

Oh, come si sentiva ferito nell'orgoglio il giovane dio, che pensava che tutti gli esseri umani cadessero ai suoi piedi al semplice schioccar di dita.

Oh, come si sbagliava. << Non è finita qui. >> Sibilò tra i denti e poi sparì.
La ritrovò alcuni giorni dopo, mentre passeggiava per le vie della cittadina.

Era pomeriggio e il sole splendeva alto nel cielo, il vociare allegro dei mercanti in piazza riempiva l'atmosfera e ovunque si potevano vedere sgargianti colori e bellissimi prodotti in vendita. La vide davanti ad un bancone, mentre rimirava deliziata una pregiata stoffa, finemente ricamata. Decise quindi di avvicinarsi un poco, ma non troppo: non voleva che quella creatura della quale ancora ignorava il nome se ne andasse come l'ultima volta. << Quanto costa questa stoffa? >> Le sentì chiedere al mercante, che la guardò come fosse una cosa di poco conto. << Troppo, per te. >> rispose la voce roca del mercante che detto questo le tolse dalle mani il fine tessuto, segno che per lei, ogni possibilità di trattativa era impossibile << Vattene a lavorare, donna. >> la cacciò poi con un ampio gesto della mano.

Il giovane dio allora guardò la giovane, per vederne la reazione a tanta maleducazione e si scoprì infastidito, quando vide la tristezza nei suoi occhi. La vide andare via e, dopo che lei fu abbastanza lontana da non vedere nulla, si avvicinò al mercante che poco fa, l'aveva trattata così malamente e comprò quella stoffa. Poi si volse e corse via, stando ben attento a non rovinare il prodotto appena acquistato: "Perché ho comprato un dono tanto costoso per una donna della quale non conosco neppure il nome?" si chiedeva, mentre correva e correva, cercandola per tutte le vie del paese.
Fino a quando... "eccola!": la vide mentre sorpassava l'entrata ai giardini, con due rapide falcate la raggiunse, ma come salutarla, non conoscendone neppure il nome? << Ragazza! >> Sì, questo era l'unico modo per farla voltare verso quella voce che, lei se lo sentiva, la stava chiamando. E quando gli occhi verdi di lei si posarono sulla sua figura, il cuore di Amore saltò, senza che lui ne comprendesse il motivo.

<< Oh, sei tu … >> rispose semplicemente lei, con quel suo tono così duro che tanto contrastava in un corpicino così esile ai suoi occhi di dio onnipotente e immortale.

Lo avvertiva.

Tutto il distacco che quella fanciulla riversava nelle sue poche parole, e leggeva anche un certo disprezzo, nei suoi occhi. Ma il giovane dio capì che non gli interessava, poiché lei l'aveva incuriosito subito, dal primo momento, con le sue parole e i sui gesti così diversi da quelli cui era abituato.

Ed era bella.

Oh, se era bella.

Da togliere il fiato.

Si avvicinò, ma non troppo, non voleva che quella piccola fanciulla fuggisse ancora da lui. No questa volta voleva parlarle. Capire perché era così distaccata, comprendere il motivo di tutto questo... odio nei suoi confronti.

Voleva capire. Non era mai successo con nessun altro essere umano. Per lui rappresentavano solo passatempi. Niente d'altro. La curiosità era cosa nuova, che mai aveva sperimentato il suo giovane cuore.
<< Hai bisogno di qualcosa? >> interruppe i suoi nascosti pensieri, lei. E lui la guardò, domandandosi se quell'essere fosse cosciente del fascino che stava esercitando su di lui.

<< Sto aspettando >> No, probabilmente non ne era consapevole.

Era dunque una cosa non voluta, la sua? Quest’attrazione (che non gli veniva da definire puramente fisica) era una cosa che andava contro natura? Non lo faceva apposta, per attirarlo a sé, nella speranza di farlo suo, come già gli era capitato con altre ragazze (oh, le donne... erano esseri subdoli, certo. Per questo lui non s’innamorava mai. A tutte interessava l'immortalità, non certo lui.)

No, con lei era diverso. Lo sentiva.

Perché lei era diversa.

E per questo la incuriosiva non poco.

Ma come spiegarle che le aveva comprato una costosissima stoffa solo per veder affiorare un sorriso o per sentire un tono più dolce nella voce di una fanciulla che nemmeno conosceva?

<< Cos'è quella? >> lo interruppe di nuovo lei, probabilmente stufa di essere fissata, come in trans, dal dio.

<< Ecco... è un tessuto. Ho visto che prima lo stavi osservando e ho deciso di prendertelo. >> le disse, osservandola bene, nella speranza di captare una scintilla di felicità.

Ma quella non arrivò.

Al contrario di ogni aspettativa, la sua espressione, da prima semplicemente dura, mutò rapidamente fino a diventare la manifestazione della rabbia: << Tu! tu divinità! Pensi di comprarmi con i tuoi doni? Pensi forse di ingraziarti la mia amicizia, semplicemente con beni materiali? Siete tutti così superficiali! Odio le divinità! >> E urlando questo si pulì furiosamente gli occhi dai quali, il dio le vide, iniziarono a sgorgare le prime lacrime. Ella fece poi per scappare, ma Amore decise che era stanco di rincorrerla per tentar di comprendere il suo comportamento e la prese, delicatamente e senza stringere eccessivamente, per il suo esile polso, impedendole ogni via di fuga.

<< LASCIAMI! >> urlava lei mentre si dibatteva, ma stranamente anziché arrabbiarsi, il giovane la guardò tristemente e le chiese il motivo di tutto il suo odio.

Odio insensato, a suo avviso.

Odio motivato, a detta della giovane.

<< Voi divinità siete tutte così! Pensate che basti qualche regalino, qualche bella parola per tenere buoni noi mortali, per far sì che non giungano lamentele contro di voi. Ci riempite di doni e favori per farci star tranquilli, ma l'unica cosa che volete è che i vostri animaletti stiano buoni. La verità è che per voi siamo solo dei giocattoli che usate quando non sapete che fare e che poi buttate via non appena ne siete stanchi, per poi sostituirli con qualcun altro, magari più bello e giovane! Io vi odio! Vi odio! >> e ora le lacrime che prima con tanto ardore stava cercando di nascondere (per orgoglio, forse) presero a scorrere libere dai suoi occhi, fino a lasciare trasparenti scie sulle guancie e poi giù, fino

al terreno, bagnandolo.

Vedendo quegli occhi lucidi e quelle guancie arrossate, il Dio allentò la presa al polso della ragazza, mentre un irrefrenabile impulso si fece strada in lui: il desiderio di abbracciare una donna, senza poi fare altro.

Solo abbracciarla, per farle capire che poteva sfogarsi, che lui l'avrebbe ascoltata.

La lasciò andare, comunque, convinto che se ne sarebbe andata; ma al contrario delle sue aspettative, ella rimase lì, in piedi.

A piangere.

A liberare mille lacrime, come se non aspettasse altro che un pretesto per lasciarsi andare e liberare tutto il suo dolore.

"Che cosa può esserle mai accaduto di così tremendo, da farle odiare così un dio?" si chiedeva Amore, mentre guardava quella creatura ai suoi occhi ora così fragile, piangere.

Ma il dio, che in altre occasioni si sarebbe offeso, in quel mentre non ci fece caso.

Come guidato da una forza mistica, si avvicinò a lei, allargando le braccia e accogliendola tra di esse.

Un sussulto quello della giovane fanciulla, quando si rese conto di essere tra le braccia di un uomo. Di un dio.

E allora furiosamente riprese a dibattersi, tremando e urlando di lasciarla andare, mentre le lacrime continuavano a sgorgare, incapaci di fermarsi.

<< Basta! >> esclamò a un certo punto il ragazzo che era stanco del comportamento così strano di quella fanciulla. E a sentire la voce così ferma e risoluta del dio, lei si bloccò, un braccio alzato, pronto a calare su di lui, per picchiarlo. Lo guardò negli occhi, imponendosi di non piangere più, perché non voleva mostrarsi debole.

Non di fronte a qualcuno che poteva approfittarne a suo piacimento.

<< Ho desiderato regalarti quella stoffa perché volevo vederti felice. Di solito non faccio regali alle persone, per il semplice fatto che non m’importa più di tanto. Ma con te è diverso. Anche se ancora non ne ho capito il motivo. Ma come faccio a comprendere l’origine di questa attrazione che sento, se tu mi urli in faccia? Come faccio a capire se ho fatto qualcosa di male, se tu mi insulti e piangi? >> le disse, addolcendo il tono. <<  Spiegami. Perché dici di odiare gli dei? >> e la vide abbassare il braccio piano, fino a lasciarlo cadere lungo i fianchi, per poi guardarlo e successivamente abbassare lo sguardo, triste. << Non mi capiresti … >> sussurrò ella, in modo così lieve e basso, che lui dovette avvicinarsi a lei, per sentirla. << Se non me ne dai nemmeno l'opportunità, non lo saprai mai. >> tentò egli continuando a squadrarla "E' davvero bella. Anche ora che ha il viso arrossato e rigato dalle lacrime" si ritrovò a pensare nuovamente il dio, per poi scuotere lievemente la testa e attendere una parola, un cenno, un qualsiasi gesto da parte della ragazza.

Gesto che non arrivò.

Sembrava che la fanciulla si fosse chiusa in un ostinato silenzio, mentre il suo bel viso si corrucciava e chiudeva gli occhi, come se stesse cercando di riportare a galla eventi dolorosi.

Aspettò in silenzio, Amore, che tanto non aveva fretta (e non voleva mettergliene). Ma più il tempo passava, più ella stava muta e più la pazienza del dio veniva meno: << Facciamo così >> le disse dolcemente, perché di trattare male e bruscamente quella creatura, proprio non se la sentiva << Non sei obbligata a dirmi nulla. Ma se mai ne vorrai parlare, dovrai solo chiamarmi. Io arriverò da te subito. Ok? >> e detto questo si girò, dandole le spalle, pronto per allontanarsi. Ma non appena fece il primo passo per andarsene, la sua voce, ancora tremante, ma tuttavia così bella, e sopratutto quello che disse, lo bloccò e lo fece girare piano, verso di lei, che ancora teneva la testa bassa.
<< Hanno abusato di me. >>

<< Chi? Chi è stato a fare un gesto tanto deplorevole? >> le chiese, il tono dapprima dolce che ora tradiva una certa ansia e la rabbia nel venire a conoscenza di una cosa simile.

Chi aveva osato? Chi aveva osato sporcare quella candida fanciulla?

Chi aveva potuto essere così crudele, nei suoi confronti?

Non trovando risposta fece per chiederlo direttamente a lei, che lo precedette:<< Delle divinità. Era il tramonto e io stavo tornando a casa dopo una giornata di lavoro, quando loro mi si avvicinarono. Iniziarono a parlarmi, dapprima gentilmente, offrendomi aiuto nel portare il pesante carico che stavo trasportando. Poi i loro discorsi si fecero più cattivi. E le loro mani.... mi presero di peso, portandomi in un vicolo buio, lontano da occhi indiscreti e lì... loro... >> un sussulto più forte degli altri la obbligò ad interrompere il racconto. Lo sguardo del dio stava diventando furente. La fanciulla cercò di calmare il tremore che si stava nuovamente impossessando di lei e riprese il suo discorso: << mentre mi toccavano mi parlavano, deridendomi. Dissero che io, in quanto debole umana, ero nata solo per soddisfare i loro desideri, e che invece di piangere dovevo esser grata loro, perché mi stavano dedicando il loro prezioso tem … >> ma non fece in tempo a finire la frase che ella si ritrovò nuovamente tra le braccia calde del giovane dio, ora furente.

Ma non urlò né si dimenò, questa volta.

Al contrario rimase lì buona, a farsi carezzare i capelli. << Troverò il modo di punirli. >> Disse ad un certo punto il dio, rompendo così il silenzio che prima era interrotto solo dai deboli singhiozzi della giovane, che ora alzò la testa, per guardarlo meglio e scorgere la rabbia nei suoi giovani occhi.

Ma non era rabbia verso di lei. Era collera verso... gli dei?

Un dio era arrabbiato, voleva punire i suoi stessi compagni? << Li punirò per averti fatto del male. >> Li voleva punire... per lei? Vide la risoluzione nei suoi occhi. Non capì per quale motivo un dio si interessava tanto della vita di un'umana, ma questo non le importò. Le parole, il semplice averla ascoltata, al contrario di tutti gli altri, che invece l'avevano derisa, dicendole con parole di scherno, che lei si era inventata tutto, perché gli dei erano buoni e clementi. Sbatté un paio di volte gli occhi, guardandolo mentre ancora continuava a mormorare e prometterle che li avrebbe trovati e puniti e sorridendo impercettibilmente gli si accoccolò contro, gesto che interruppe all'istante i pensieri del dio.

<< Mi abbracci? >> le chiese, sorpreso.

<< Sì. >> fu la semplice risposta.

<< Per quale motivo ora mi abbracci, se prima invece mi tiravi pugni e urlavi parole d'odio? >> la rabbia verso gli dei era ancora presente nel suo animo, ma ora stava subentrando ancora una volta la curiosità.

<< Pensavo fossi come le altre divinità. Frivolo. Superficiale. Egoista. >>

<< E ora hai cambiato idea? >> le chiese ancora, azzardando una carezza sulla sua bionda nuca.

<< Sì. Perché sei rimasto ad ascoltarmi, invece di andartene via dandomi della "sciocca mocciosa" come invece fanno molti altri. Una persona superficiale... si interessa forse dello stato d'animo di una sconosciuta? >> fu il suo turno di chiedere al dio, ma questa, più che domanda, era una affermazione.

Gli stava dando fiducia.

A lui.

E questo lo fece sentire... bene.

<< Se ti abbraccio...mi manderai via? >> Chiese ancora, un poco titubante, come un giovane inesperto che deve gestire la sua prima cotta. "Stupido" lo ammonisce il suo cervello "sei il dio dell'amore, hai sempre avuto schiere di donne con te, cos'è tutta questa insicurezza, tutta questa carineria che di certo non ti appartiene?" "Con lei è diverso. Non so perché. Ma lo sento." Si rispose il dio, dandosi subito dopo dell'idiota, perché non solo parlava da solo, ma si rispondeva pure.

Un' ulteriore stretta di braccia attorno alla sua vita risposero alla sua domanda. << Non ti farò mai del male. Te lo prometto. >> e detto questo la strinse ancor di più a sé, accarezzandole la testa e perdendosi nel suo profumo.

E quello fu l'inizio di una splendida amicizia destinata a divenire qualcosa di più profondo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Un nuovo giorno stava iniziando.

Il sole si stagliava alto nel cielo, illuminando con la sua luce tutto ciò che i suoi raggi incontravano sul suo cammino: alberi, case e strade venivano colte dai caldi barlumi che annunciavano l'inizio di un nuovo giorno.

C'era solo silenzio nelle strade e la foschia calata nella notte stava sparendo; camminando senza una meta precisa, Amore poteva godersi quella pace, annusando gli odori del pane appena sfornato che presto sarebbe andato ad occupare i banconi dei negozi, la leggera brezza mattutina che faceva venire piacevoli brividi sulla sua pelle candida.

Si beava di quella meravigliosa calma che faceva sembrare l'intera città disabitata: come se il tempo in essa si fosse fermato.

Tutto ciò, così diverso dal caos che regnava su, nei cieli dai quali lui veniva, era fonte di benessere per il giovane dio.

Il suono delle campane, con conseguente volo delle colombe che si erano posate sul campanile "che scenario romantico" mise la parola fine su quel breve momento idilliaco. La piazza del duomo iniziò a riempirsi e così tutte le strade della città. Ovunque vi erano persone, risa, colori e odori. Anche nella piazza del mercato, dove Amore era solito incontrarsi, da un po’ di tempo a questa parte, con lei, quella giovane ragazza che l'aveva incantato, era piena di persone che urlavano, ridevano e barattavano preziose stoffe con denari o quant'altro.

Arrivato al punto d'incontro, il giovane si fermò e guardandosi attorno attese di vedere tra la folla la bionda figura che si avvicinava.

"Dove sei, incantevole fanciulla, mio adorato angelo?" La chiamava dentro di sé, sperando che lei rispondesse al suo richiamo. Ed eccola, come per incanto, farsi strada fra tutte quelle persone e raggiungerlo: aveva il fiatone, poverina, poiché per non arrivare in ritardo aveva corso da casa sino a qui.

<< Scusa il ritardo. >> disse, mentre cercava di riprender fiato.

Le sorrise dolcemente, scostandole un ciuffo di capelli finitole davanti agli occhi: << Non preoccuparti.  Sono appena arrivato anche io. >> le rispose, per poi prenderle la mano e stringerla delicatamente con la propria, per poi avviarsi via, lontani dagli occhi indiscreti di quelle giovani donne che un tempo furono sue amanti e che ora osservavano con occhi invidiosi i due, perché essi erano legati da un'invisibile forza chiamata amore.

Ma nessuno dei due se n'era ancora accorto. Andavano via, lontano da tutto e tutti e trascorrevano le giornate a parlare del più e del meno, a scherzare (a dire il vero più lui scherzava, più lei lo rimproverava per qualcosa. E allora lui rideva ancor di più, abbracciandola, mentre lei rossa in viso, gli diceva che era un dio stupido.).

Anche quella giornata non era diversa dalle altre, perché lei come al solito stringeva a sua volta la mano del dio, timida e poi gli chiedeva: << Dove andiamo? >> e allora lui le sorrideva e posandole l'indice della mano libera sulla punta del naso, le diceva che era una sorpresa, e che l'avrebbe scoperto solo una volta arrivati. E rideva, quando lei ogni volta metteva su un'espressione curiosa, come di un cucciolo di animale, che al giovane risultava essere molto buffa... lui

rideva e l'unico risultato che otteneva era il finto broncio di ella.

 Finto, certo.

Perché entrambi sapevano ormai che quella della fanciulla era solo una corazza, ma che in realtà lei era la prima, a divertirsi alle battute del dio.

 Era lei la prima a diventare rossa ed imbarazzarsi, quando lui le cingeva la vita e le carezzava il collo con le labbra.

Passeggiavano per le vie della città, salutando le persone che incrociavano, ignorando gli invidiosi e osservando il mondo andare avanti.

Lei sorrideva sempre.

Non apertamente, certo. Non era quel genere di persona.

I suoi erano sorrisi appena accennati. Difficile per chi non la conosceva, dire se era felice o triste, allegra o arrabbiata. Ma per Amore quella giovane fanciulla non aveva più segreti. La conosceva ormai da un mese, ma mai come con nessun altro, lui si sentiva bene.

Mai come a nessun altro, il dio confidava le sue emozioni, le sue paure e le gioie.

Con lei stava bene, davvero.

Molto più di quel che credeva.

E più andavano avanti, più si rendeva conto di provare qualcosa di diverso per quella giovane umana (perché lui, oh, non si era scordato della differenza che correva tra di loro e di sicuro anche lei era cosciente del fatto che la loro era una felicità effimera, che presto sarebbe finita. Ma entrambi preferivano non pensarci e godere l'uno della compagnia dell'altra fino al momento in cui, inevitabilmente, avrebbero dovuto separarsi per sempre.) che si era fatta strada nel suo cuore modestamente, al contrario di tutte le fanciulle da lui incontrate sino a quel momento.

Il suo atteggiamento così apparentemente scontroso l'avevano attirato e l'avevano spinto ad indagare (cosa assai nuova, per uno come lui, che dei sentimenti altrui non si era mai curato più di tanto) più a fondo, scoprendo ciò che non avrebbe mai voluto sapere: delle divinità, divinità come lui!, le avevano fatto del male. E lei in reazione a quanto accaduto aveva iniziato ad odiare tutti loro. Sentire queste parole, legate ai pianti e alle urla della giovane, l'avevano convinto che ella diceva il vero e il vedere quella donna che all'inizio si era mostrata tanto sprezzante ma che in quel momento gli pareva fragile come una castello di sabbia tormentato dal vento, fece crescere in lui la voglia irrefrenabile di abbracciarla e dirle che sarebbe andato tutto bene.

Come due normali esseri umani che scoprendo di amarsi, non possono più fare a meno dell'altro.

E da lì era iniziato tutto: si vedevano ogni giorno, tutte le volte che potevano e andavano in giro. Non importava dove. L'importante è che fossero assieme.

Ogni volta lui la portava in un luogo diverso e quello non era certo un giorno diverso: l'aveva guidata in un angolo di spiaggia isolato da tutto il caos cittadino e lei, dopo la faccia meravigliata e felice, l'aveva abbracciato (cosa che non faceva mai di sua iniziativa, poiché troppo timida per farlo.

O forse solo perché voleva mantenere un briciolo del suo atteggiamento duro,quello che la caratterizzava e che lui trovata così delizioso) e dopo essersi tolta i sandali era corsa in riva al mare a giocare con le onde, mentre lui si sedeva sulla sabbia e la osservava correre e ridere mentre l'acqua fresca  le bagnava i piedi.

Lui non faceva nulla.

Si limitava ad osservarla e sorridere.

Felicità. Questo è quello che provava stando con lei. Nient'altro che felicità.

E per la prima volta in vita sua si sentiva davvero vivo. Passando il tempo con lei si accorgeva di quante cose avesse dato per scontato fino a quel momento.

<< L'acqua è molto fresca oggi. >> e la voce della ragazza interruppe il flusso dei suoi pensieri, riportandolo alla realtà.

<< Davvero? >> le chiese lui, sorridendole e allungando una mano che lei afferrava senza esitazione, per poi sedersi al suo fianco, a guardare i riflessi del sole sul mare calmo di Agosto.

<< Sì. Dovresti venire. Non ti annoi a stare sempre qui seduto a guardarmi? >>

<< No. A guardarti ridere felice non mi annoierà mai. >> e le sue guance si tingevano di rosso, come accadeva ogni volta che il dio le faceva un complimento o semplicemente diceva qualcosa di carino "probabilmente non è abituata a queste cose" si era ritrovato a pensare la prima volta che capitò una cosa simile e subito scoprì di avere ragione: ella non aveva mai ricevuto complimenti o cose simili.

Era sempre rimasta isolata e non si poteva certo dire che fosse una chiaccherona. Questo l'aveva portata a non avere molti amici.

<< Stavo pensando ad una cosa. >> disse il dio, guardandola.

<< A cosa? >> volle ovviamente sapere lei, che anche se continuava a mantenere quel cipiglio duro (che solo con lui abbandonava) aveva comunque la curiosità tipica delle fanciulle della sua età.

Il dio le sorrise di nuovo, prima di stringere ancor di più la sua piccola mano, portandosela alle labbra, baciandogliela per poi riportarla al suo posto, appoggiata sulla spiaggia dorata:<< Non ti piacerebbe vivere da immortale? >> le chiese.

Lei lo guardò confusa da una domanda così inaspettata. Tutto si sarebbe immaginata tranne che una simile domanda. Pensò che fosse l'ennesimo scherzo del dio (mai avevano affrontato l'argomento immortalità) ma lo sguardo serio di quest'ultimo le fece capire che non era più tempo delle risa e degli scherzi. Era il momento di affrontare un argomento spinoso e di sicuro di non facile risoluzione.

<< Non ti piacerebbe diventare immortale? >> ripeté ancora una volta il dio, scrutandola.

Lei si sedette al suo fianco e sospirando, spostò lo sguardo dritto verso l'orizzonte davanti a sé.

Furono attimi di silenzio carichi di tensione, nei quali ambedue pensavano all'importanza del momento.

Cosa avrebbero fatto?

Amore avrebbe trovato il coraggio di superare la morte della fanciulla?

Sarebbe stato in grado di innamorarsi di qualcun altro, dopo la sua morte? O sarebbe tornato tutto come prima?

Domande cui era difficile trovare risposta.

Forse perché questa era troppo dolorosa.

Forse perché, semplicemente, non c'era.

E loro lo sapevano bene.

Fu la voce ferma della giovane a interrompere il flusso dei loro pensieri: << No, non mi piacerebbe. >> Disse lei, senza tanti giri di parole, e a questo il dio non poté fare a meno di sorridere: dare risposte così schiette era davvero da lei. Tuttavia il sorriso scomparve subito, non appena ella continuò con il suo discorso: << Se essere immortale vuol dire perdere di vista le cose importanti, se significa soddisfare solo bisogni materiali, dimenticando il significato di cose come l'amore, l'affetto... se essere immortale vuol dire andare avanti eternamente, escludendo gli altri dal proprio mondo, se significa restare soli... diventare aridi... no, non voglio vivere da immortale. >>

Lui la guardò per un attimo, interdetto. Gli aveva forse appena dato del superficiale? << Pensavo che non lo pensassi più... >> disse, con un filo di voce mentre piano tornava a guardarla. << Semplicemente dico che gli immortali vivono per sempre e come tali possono andare avanti per sempre, assaporare i piaceri della bella vita, conoscere persone, visitare paesi... hanno tutta l'eternità per fare quello che vogliono. Invece noi mortali abbiamo così tanti sogni, e così poco tempo per realizzarli. >> << E per questo li invidi? >> chiese ancora lui. Ma già sapeva quale sarebbe stata la risposta: << No, non li invidio. >> Si girò di scatto, guardandola con sorpresa "pensavi ti rispondesse di si, vero? Eh, a quanto pare questa ragazza non smette mai di stupirti eh?" e a questo pensiero non poté fare a meno di sorridere, mentre con una mano le faceva cenno di andare avanti a spiegare << Non vi invidio. Perché avete tutta l'eternità per fare ciò che volete è vero. Ma man mano che andate avanti e vedete la vita scorrere, le persone morire, mentre voi restate sempre giovani e immortali vi viene voglia di piangere. Ma quando anche le lacrime vengono meno, l'unica cosa che vi resta è la solitudine. E quando anche quella non c'è più, iniziate ad abituarvi a questa vita, se così si può ancora chiamare, e diventate...vuoti. Perché quando non hai più lacrime, né dolore... quando se ne va anche la solitudine, l'unica cosa che vi rimane è... il vuoto.  Ed è proprio per questo che desidero tenermi la mia vita da piccolo mortale e viverla al massimo, senza precludermi nulla... Forse perché so che presto la mia esistenza avrà fine...e proprio per questo voglio assaporare ogni attimo, ogni momento, come se fosse l'ultimo... voi immortali avete l'eternità per farlo. Noi no. >>

Il dio rimase ad ascoltare in silenzio.

Nella voce della giovane non c'era traccia di timore. Né di dolore. No, non erano quelli i sentimenti che governavano le parole della fanciulla, ma era qualcosa di molto più profondo. Qualcosa che il giovane dio non riuscì a cogliere subito.

Intanto il silenzio continuava senza che nessuno dei due facesse niente per interromperlo.

Si sentiva solo il rumore delle onde del mare che andavano a bagnare i piedi nudi della fanciulla.

<< Ti sei arrabbiato? >> chiese ad un certo punto ella, mentre con una mano andava a sfiorare, timida, la spalla del giovane dio, in una carezza lieve, come il suono della sua voce, ridotta ad un sussurro. Aveva forse paura di averlo offeso con le sue dure parole? Ancora una volta, amore non poté non sorridere a quella particolare fanciulla che era riuscita ad incantarlo già dal primo giorno. Dura e fredda all'apparenza, sapeva sciogliersi come neve al sole se ne aveva l'opportunità.

Era così dolce...

E bella.

Così meravigliosa che il ragazzo non resistette e si dovette avvicinare a lei per sigillarle le labbra in un candido bacio. Inutile dire che il gesto sorprese molto la fanciulla, che di tutte le possibili reazioni, quella era senza dubbio quella che si aspettava di meno.

E mentre le sue guancie si coloravano di rosso lei imbarazzata si alzava, mormorando che era ora per lei di andare. E poi si girava, per correre via, scappare, sotterrarsi per l'imbarazzo sempre crescente. "E' stato troppo per il tuo orgoglio, piccola ninfa?" pensò il dio, che per non farla scappare le prese la mano e poi la tirò piano, senza tirare eccessivamente, verso di sé, per poi stringerla in un abbraccio.

<< Ehi, che fai... scappi? >> le chiese, mentre con una mano andava ad accarezzarle i biondi capelli.

Tutta la malinconia di prima stava svanendo, per lasciare lo spazio ad un'altro sentimento, ben più forte e radicato nel loro cuore.

<< Io... >> mormorò piano lei, ora stretta tra le braccia del giovane.

<< Scappi da me? >>

<< Scusa. Io ... io sono ... imbarazzata … >> confessò ella mentre piano si rilassava al tocco delle dolci carezze di Amore, lasciandosi andare e godendosi tutte quelle attenzioni tanto a lungo ricercate e mai trovate.

<< Imbarazzata? >> chiese lui, sorridendo <> domandò ancora, questa volta posandole un piccolo bacio sulla testa, cosa che fece nuovamente fremere la giovane tra le sue braccia.

Non poteva vederlo, poiché il suo bellissimo viso era nascosto nel petto, ma il dio poteva immaginarlo: tutto questo la imbarazzava parecchio. "E sicuramente ora le sue guancie saranno tinte di un tenero rosa" e immaginandolo soffocò uno sbuffo tra i capelli biondi. << Sì, molto. Sono dannatamente imbarazzata! >> ammise lei, imbronciandosi un poco cosa che la rese ancor più tenera, agli occhi del dio << Un dio..un dio mi ha baciata e io... oh...non credo mi riprenderò facilmente! >>

 << Allora aspetterò che tu ti sia ripresa. Ma avvisami quando ciò avverrà... perché ho una voglia matta di baciare le tue labbra, le tue mani e il tuo viso >> disse Amore, prendendole la mano e portandosela alle labbra sorridenti, mentre lei alzata lo sguardo e lo guardava, rossa in viso, ma con un lieve sorriso sulle labbra: sorriso che non sfuggì all'occhio attento del ragazzo, che sorridendo ancora le posò la mano libera sulla morbida guancia, e avvicinandosi al suo orecchio, le sussurrò: << Sei felice? >>

<< Sì >>

Rispose ella, senza un attimo di esitazione. E questa volta fu lei a prendere di sorpresa il dio, alzandosi in punta di piedi e baciandolo delicatamente sulle labbra, per poi confermare quanto detto in precedenza: << Sì. Sono felice >>.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Molto tempo passò da allora.

I due giovani continuavano a vedersi, come avevano sempre fatto.

E ridevano e scherzavano, lei diventava rossa quando lui le sussurrava all'orecchio parole d'amore per poi darle candidi baci sul viso e allora il ragazzo rideva della sua timidezza. Rideva perché era felice di avere quella creatura incantata tutta per sé.

Le loro giornate trascorrevano liete. Nessuno dei due tirò più fuori la discussione avuta tempo fa, quella sulla differenza tra mortali ed immortali. A nessuno dei due importava più: sapevano che prima o poi la morte, crudele, li avrebbe separati, ma a loro non interessava. Non più di tanto almeno: decisero di comune accordo di non parlarne

più e di vivere al massimo quel poco tempo che era loro concesso di passare assieme; senza problemi, senza dolore.

Anche se a volte, entrambi si rabbuiavano, al pensiero che quella loro pace, quella loro felicità non era destinata a durare. E allora nessuno parlava più, e cominciava un gioco di sguardi e di detto non detto che culminava con gli occhi lucidi di lei e con lo stringerla forte a lui, che dolce le sussurrava: << Non piangere tesoro mio. Anche se non staremo più assieme fisicamente, il mio amore per te rimarrà immutato per sempre. Solo quando io morirò allora smetterò di amarti. >>

<< E' una promessa? >>

<< Te lo prometto >>

E allora lui la cullava, carezzandola e baciandola finché ella non si calmava e tornava piano a sorridere.

Accadde però un giorno, in cui i due dovettero separarsi, poiché il dio era stato invitato ad una festa e non poteva mancare.

<< Non puoi portarmi con te, vero? >> gli aveva chiesto la fanciulla e lui, com'era ovvio, le aveva risposto che no, proprio non poteva.

<< Allora ti aspetterò >> e sorridendo gli aveva baciato le labbra e si era congedata.

Ma prima che se ne andasse, quando già gli aveva dato le spalle, l'aveva abbracciata, e affondando il naso nel suo collo, per ispirare il suo profumo, le aveva sussurrato di non mettersi nei guai, e che lui avrebbe pensato a lei in ogni momento. Lei aveva sorriso e aveva detto:<<  Se avrò bisogno ti chiamerò, e tu verrai subito da me, vero? >>

<< Certamente >> aveva risposto il dio, e dopo un ultimo bacio l'aveva lasciata andare.

Ma un brutto presentimento si stava facendo largo nei suoi pensieri.

Scuotendo la testa decise di non darci peso, "non farti le cosiddette seghe mentali! Muoviti su, ti aspettano!" l'aveva ammonito il suo cervello e allora lui aveva chiuso gli occhi ed era sparito per poi ricomparire nel cortile di casa sua, lì, in cielo.

<< Ben arrivato, mio caro figlio! >> l'aveva accolto la madre, mentre piano si avvicinava a lui con le braccia aperte, in cerca di un abbraccio. Era bellissima, la madre di Amore: pelle d'avorio e neri capelli d'ebano facevano da contorno ad un viso delicato, dove spuntavano dei vivaci ed intelligenti occhi azzurri. Oh sì, Afrodite era davvero stupenda "e come potrebbe non esserlo? Lei è la dea della bellezza. Non vi è nessuna più bella di lei" eppure... eppure per il giovane la fanciulla umana era dieci, cento, mille volte più bella della dea che intanto gli carezzava il viso, sistemandogli i ciuffi ribelli dietro le orecchie e lo baciava sulle guance con amore.

"Ma guai a lasciarsi sfuggire una frase del genere. Sai com'è fatta tua madre. E' molto vanitosa ed orgogliosa. Non le andrebbe mai giù il fatto che suo figlio, il suo pupillo, trova una ragazza più bella ed affascinante di lei. Sarebbe troppo. Come una pugnalata alle spalle... e chissà cosa farebbe a quella fanciulla. Oh, non oso immaginare..." pensava il giovane, mentre la madre lo portava dagli ospiti e insieme salutavano con baci e abbracci tutti gli amici immortali; ma il pensiero del dio era altrove.

Era giù, sulla terra.

Accanto ad una giovane fanciulla umana.

"Spero stia bene. E che il mio sia solo un presentimento mal fondato..." << Amore! Che hai? >> la voce vivace di Amos lo riportò con la mente alla realtà. Si girò, e quando vide il sorriso allegro del suo giovane amico, non poté fare a meno di sorridere a sua volta << Buongiorno Amos. >>

<< Cosa mi racconti? >>

 << Nulla di importante. >>Rispose col tono di chi non crede a ciò che dice << Non mentirmi amico mio. Ci conosciamo da troppo tempo per non capire se qualcosa non va nell'altro. >> Rispose il suo amico, guardandolo coi suoi occhi neri, così penetranti che pareva scavassero nei meandri più nascosti dell'animo del suo interlocutore.

Alla fine, sotto quello sguardo e certo di potersi fidare di lui, Amore ammise: << Stavo pensando >> disse infine il dio
<< A che cosa? >>
<< Ad una passante che sotto la pioggia chiuse di colpo l'ombrello, lasciandosi bagnare tutta. >> e detto questo ripensò a quando, una volta, giù sulla terra aveva piovuto dopo mesi di siccità: lei aveva chiuso di colpo quello strano oggetto umano e, ridendo, era corsa sotto le goccioline fresche, felice.

Raramente l'aveva vista così, perciò l'aveva raggiunta e, dopo averla abbracciata, l'aveva baciata.

Dolcemente.

E le aveva detto di amarla.

Per la prima volta aveva confessato i suoi sentimenti.

Lei non aveva detto nulla. L'aveva abbracciato di rimando, sorridendo e restando lì, sotto la pioggia.

Sorrise a  quel piacevole ricordo.

Intanto il suo amico lo osservava come se volesse capire, comprendere un qualcosa. Lo sguardo attento del suo interlocutore riportò Amore alla realtà e, ben cosciente delle leggi che vigevano lassù, decise di guardare Amos di rimando, cercando di essere il più glaciale possibile, anche se gli veniva da sorridere.

Passarono interminabili minuti di silenzio.

<< Stai attento amico mio. Quel tipo di relazioni non sono ben viste qui. >> disse alla fine Amos, distogliendo lo sguardo per poi puntarlo verso un punto impreciso della folla.

Amore rimase turbato da quella frase, ma decise di non dire nulla. Seguì invece lo sguardo dell'amico, notando come stesse osservando una fanciulla dai capelli rosso fuoco.

"Che anche lui...?" si chiese, ma per il momento decise di non indagare più di tanto. Erano in cielo. E lì c'erano occhi e orecchie dovunque. Se due divinità (minori o maggiori che fossero) volevano parlare di fatti privati, dovevano farlo parlando in codice, in modo che altri non capissero.

Era dura, la vita lassù.

<< Faremo attenzione entrambi allora. >> disse infine Amore, prima di portarsi il calice pieno di vino alle labbra, assaporando il succoso nettare rosso.

<< Già. >>

La conversazione tra i due amici morì dopo quel breve ma significativo scambio di battute.

Passarono i minuti, le ore, e Amore continuava a scambiare battute un po’ con tutti, concedendo a ciascuno un sorriso di circostanza, poiché ormai, i sorrisi veri li riservata solo alla creatura che amava.

Quella stessa creatura che era sempre nei pensieri del dio e che anche ora, mentre stringeva la mani ad un parente e baciava le guancie ad un altro, popolava la sua mente: "chissà cosa starà facendo in questo momento..." continuava a pensare, mentre il cattivo presentimento che l'aveva colto quella mattina stessa, mentre lei si allontanava, tornava a farsi vivo in lui.

Non potendo più andare avanti con questa tensione sempre crescente, decise di allontanarsi dalla folla che banchettava allegramente con una scusa, per poi dirigersi nelle sue stanze private.

"E ora, fammi vedere dove sei, così non appena ti saprò al sicura, tutta questa ansia abbandonerà il mio corpo...".

Si sedette sul letto, portando le mani appoggiate alle ginocchia. Si guardò in giro un paio di volte, per controllare che nessuno arrivasse e infine chiuse gli occhi concentrandosi sull'aura della giovane, fino a trovarla: stava camminando tranquillamente per le vie affollate della città, serena.

Mentre la osservava camminare sorrideva dolcemente, il dio, pensando per l'ennesima volta che ella fosse la creatura più bella che avesse mai visto.

Vedendola al sicuro decise di interrompere il "pedinamento" e riaprì gli occhi.

Ma non appena lo fece avvertì la sua aura sparire per un attimo, per poi tornare, come prima. La cosa allarmò il giovane che decise di ricontrollare. Quindi richiuse gli occhi e seguendo la sua aura la cercò.

Ma di lei non c'era traccia da nessuna parte. Allarmato, egli continuò a cercarla, mentre man mano che andava avanti nella sua ricerca iniziava a sentire una debole voce: "aiutami! amore mio, dove sei? Aiutami, ti prego!" e in queste parole Amore riconobbe il tono di voce della fanciulla, che gli sembrava stesse piangendo.

Ancor più allarmato da ciò, il dio corse lungo i corridoi fino a trovarsi nel giardino ove stava la madre.

<< Tesoro, cosa succede? Per quale motivo sei così affannato? >> gli chiese Afrodite, avvicinandosi piano, mentre il dio, tra un respiro e l'altro le diceva: << Madre...io...non posso. Non posso restare... un impegno... >>

La donna, che aveva avanzato sino a trovarsi di fronte a lui lo guardò, tenendo sospesa la mano che aveva alzato per carezzargli il viso sudato. Sorridendo dolcemente, come solo una madre sarebbe in grado di fare con il proprio figlio, ella abbassò la mano verso quella di lui per poi prenderla delicatamente e condurlo sul letto, per sedersi accanto a lei. Ma quando incontrò la resistenza di Amore, che non ne voleva proprio sapere di stare lì a parlare con la madre, si girò di scatto verso di lui:<< Cosa può essere più importante di una piacevole discussione con tua madre? >> gli chiese e già l'avvertì, Amore, la pazienza della madre venir meno.

Troppo affanno, troppi misteri che ella non riusciva a capire: e lei odiava non capire.

Specialmente se si trattava dei comportamenti del figlio.

<< La vita della donna che amo. >> Disse secco lui, che ne aveva piene le scatole di stare lì mentre la vita della fanciulla a lui tanto cara era probabilmente in pericolo.

Ma questa sua impazienza gli fu fatale. Solo che sul momento il giovane non se ne accorse.

Detto questo si congedò, sparendo e lasciando sua madre sola in quella stanza.

Furente.

 

Arrivato sulla terra, Amore si concentrò unicamente sull'aura, sempre più debole, della giovane "Ai casini con mia madre ci penserò dopo" aveva deciso. Ora la sua priorità era una soltanto: trovare la fanciulla e salvarla. E allora corse, corse il dio per le strade della città.

Correva sempre più velocemente, senza fermarsi un solo istante, urtando oggetti e persone, guardandosi attorno affannosamente... corse fino a che non si bloccò in mezzo alla strada: l'aura già debole della ragazza era svanita.

<< No! >> Urlò improvvisamente e poi riprese a correre fino a che finalmente non la vide, riversa sul suolo  di un vicolo isolato dove non circolava mai nessuno. La vide e corse verso di lei, prendendola tra le braccia e chiamandola, due, tre, dieci volte.

Ma ella non rispondeva.

 I capelli sparsi disordinatamente sul suo viso, sulla sua fronte, le coprivano gli occhi semiaperti, mentre un rivolo di sangue scarlatto colava dalle sue belle labbra.

<< Ti prego! Ti prego, apri gli occhi! >> continuava a urlare il dio, preso dal panico mentre qualcosa di bagnato andava a scendere sulle sue guancie e un sapore salato si posava sulle sue labbra, per poi cadere e infrangersi sul viso della donna, bagnandone le guancie, il naso e le palpebre.

Continuava a chiamarla, ma ella non rispondeva e alla fine, rassegnato all'idea di averla persa per sempre, smise di chiamarla e l'abbracciò delicatamente, dando libero sfogo a quella sensazione a lui nuova: abbandono.

Lui si sentiva abbandonato per la prima volta da qualcuno, quando era sempre stato lui a sedurre e abbandonare le persone. Persone che puntualmente piangevano e chiedevano il motivo di un cambio così repentino; e lui aveva sempre risposto freddamente, quasi non gli importasse nulla dell'umano che aveva di fronte a sé. "Loro... si sentivano come mi sento io ora?" capì di essere stato la causa del dolore di quelle persone: le giudicava sciocche, perché si lasciavano andare a sciocchi sentimentalismi... "lui era superiore a tutto questo" pensava, e per questo le persone lo giudicavano superficiale, arido o come il classico dio che si elevava su un gradino più alto rispetto agli altri.

 Ma come dar loro torto? E d'altronde egli non aveva mai fatto nulla per smentire.

Ma ora... ora che piangeva per quella donna che lo aveva stregato, ora che provava quel lancinante dolore al petto, ora che voleva urlare con quanto fiato aveva in gola ma al tempo stesso desiderava solo il silenzio, in quel momento finalmente capì.

Capì che l'unico sciocco era lui.

Capì quanto profondi potessero essere quei sentimenti umani che lui aveva sempre deriso.

Capì tutte queste cose.

<< Non... piangere... >> un sussurro molto lieve lo fece sobbalzare, per poi fargli alzare di scatto il viso, verso la fonte di quella flebile voce: la ragazza lo osservava dalle palpebre socchiude e respirava ancora a fatica << Non piangere. >> Ripeté ella, alzando la mano verso i suoi occhi, per pulirli dalle lacrime << Sono qui. >> continuò. Amore le sorrise dolce e l'abbracciò con delicatezza per non farle male e, affondando il viso nei suoi capelli spettinati, continuò a piangere, ma questa volta erano lacrime di gioia.

Gioia per averla ritrovata.

Felicità perché lei non se n'era andata, lasciandolo solo.

Era tornata lì, da lui.

<< Mi hai fatto preoccupare. Pensavo di averti persa per sempre, mi sentivo così imponente... ti vedevo riversa al suolo, col sangue che ti colava dal labbro... eri fredda... credevo di averti persa. >> E intanto le carezzava piano i capelli e le puliva il viso come meglio poteva.

<< Mi spiace se ti ho fatto penare così tanto. >> rispose lei << Sono stanca … >> e detto questo richiuse piano gli occhi.<< Non preoccuparti. Ora sei qui, con me. Ti porterò a casa e li ti curerò. >> e detto questo la prese in braccio per poi sparire.

Intanto, degli occhi azzurri avevano osservato nell'ombra la scena.

 

Arrivarono poco dopo, nella stanza del giovane dio. Lui voleva andare direttamente nella sua casa ultraterrena, ma lei, flebilmente l'aveva sconsigliato: <<  Ci sono altre divinità … >> gli aveva detto con un filo di voce, prima di ripiombare nel buio dell'incoscienza; l'aveva quindi portata nella stanza che era solito affittare quando andava giù, nel mondo umano.

"Non posso portarla su. La guarderebbero male e mia madre si arrabbierebbe. Molto" pensando a questo scostò un ciuffo dal viso della giovane, che ora riposava sul letto dopo esser stata curata.

"Sei così fragile. Così diversa da me... ho l'impressione che potresti romperti con una mia semplice carezza..." pensava il giovane, ritornando col pensiero a quanto successo poco prima: l'aveva trovata riversa sul suolo, a pancia in giù e quando era accorso per aiutarla, aveva notato dei lividi sulla sua pelle e un rivolo di sangue cadere dalle sue labbra. In quel momento il suo primo pensiero era stato quello di portarla da qualche parte e curarla, ma ora che lei era con lui, al sicuro, poteva analizzare con calma gli eventi e pensare a possibili idee sull'accaduto.

Aveva analizzato l'idea della rapina, dell'aggressione con successivo tentativo di stupro o anche una regolazione di conti: ma troppe erano le possibilità, perciò capendo che non sarebbe stato in grado di venirne a capo da solo si era alzato dopo aver scosso la testa e l'aveva raggiunta, sedendosi a bordo del letto e carezzandole il viso, ora sereno.

<< Tu non hai idea, di quanto io ti ami. >> sussurrò, mentre sorridendo si chinava per baciarla dolcemente sulla fronte lievemente imperlata di sudore. << Anche...io. >> un lieve sussurro lo fece scostare velocemente dal letto: la voce della giovane che credeva addormentata, l'aveva colto di sorpresa.

<< Ehi, vuoi farmi prendere un colpo? >> le chiese, sorridendo maggiormente ora che poteva nuovamente specchiarsi in quel verde che tanto gli piaceva.<< Scusa, non volevo spaventarti. >> disse lei, piano. E  poi sorrise anch'ella, probabilmente felice di essere finalmente al sicuro, al suo fianco.

Il viso del dio si fece serio e, sedendosi a bordo del letto, al fianco della sua amata, le chiese ciò che più gli premeva sapere: << Cosa è accaduto? Chi ti ha fatto... >> e con un gesto indicò la sua guancia gonfia << ... questo? >> e poi la guardò tristemente, prendendole la mano tra le sue e aspettando pazientemente che lei iniziasse a raccontare:

<< Dopo che ci siamo salutati, io mi sono allontanata. Volevo andare al mercato e comprare un bell'abito... e qualcosa da mangiare. >> e mentre lei raccontava lui si limitava a carezzarle piano il volto, in silenzio << Dopo aver scelto un bel vestito e i pezzi di carne migliori, ho salutato i commercianti e mi sono diretta a casa, dove avrei preparato uno di quei piatti che piacciono tanto a te... io... volevo farti una sorpresa... >> e qui un singhiozzo la costrinse a interrompere il racconto: il giovane dio la prese tra le braccia e la cullò finché non fu pronta per riprendere da dove si era fermata:

 << Dicevo... stavo rientrando a casa, quando ho sentito qualcuno afferrarmi per il braccio e tirarmi su di peso, per poi calarmi un qualcosa, un panno forse, sulla testa. Ho avuto paura. Era tutto buio, non vedevo nulla e allora ho iniziato ad urlare e scalciare, ma più lo facevo più delle voci mi intimavano di smettere. Abbiamo camminato per non so quanto, e dopo un bel po’ ci siamo fermati e mi hanno messa giù, ordinandomi di non scappare. Ero paralizzata dalla paura. Hanno iniziato ad urlare, dicendomi che dovevo stare lontana da te, che non ero che uno sciocco passatempo e che non avrei mai potuto stare con te per sempre. Poi hanno iniziato a picchiarmi... ho provato a difendermi, ma loro... erano davvero troppi. Non ce l'ho fatta... scusa. >> e finito il racconto abbassò la testa, fino a coprire gli occhi, nuovamente velati di lacrime, con la frangia.

Amore dirignò i denti per la rabbia provocata da un gesto simile compiuto da ignoti "persone invidiose di noi, forse" i pensieri scorrevano come un fiume in piena: pensava, pensava a chi potesse aver fatto una cosa tanto deplorevole verso una creatura indifesa.

Potevano essere state le donne con le quali prima passava il suo tempo e che invece ora snobbava, che, prese dall'invidia, avevano minacciato la giovane di lasciarlo stare. "No, troppo deboli fisicamente. E poi ha parlato di una persona che l'ha caricata sulle spalle. Una donna, per quanto robusta di costituzione, non può portare in spalla un'altra fanciulla adulta. "Quindi, quella delle umane che hanno agito colte dall'invidia non regge..." ed era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse dello sguardo, ora preoccupato, della donna al suo fianco.

 Solo il lieve fruscio delle coperte e il successivo peso sul petto, lo ridestarono dai suoi pensieri. << A cosa stai pensando? >> una flebile voce lo fece voltare verso di lei, che lo guardava, in attesa di risposta.

<< A chi può essere stato. >>

<< E hai qualche idea? >>

<< Ho pensato a qualche umano invidioso, ma ho subito scartato l'ipotesi. >> Le disse, carezzandole piano i capelli.

Furono infiniti attimi di silenzio, durante i quali l'unico rumore che si poteva sentire era il loro respiro.

<< Mi spiace. >> disse lei, all'improvviso. Queste parole fecero aprire un occhio al dio, che precedentemente

aveva deciso di chiuderli, per potersi riposare: "a mente lucida si ragiona meglio" si era detto. << E di cosa? >> le chiede, alzandole il viso con l'ausilio del dito sotto al mento, per poi guardarla negli occhi.

<< Di averti fatto preoccupare. >> rispose la fanciulla, con un filo di voce e le guance rosse. << Sciocca. >> disse solo il dio, prima di riabbracciarla. << Nessuno ci dividerà mai. Nessuno. Hai capito? >> chiese, deciso. Sperava di infonderle un poco del suo coraggio, con quell'affermazione e la cosa sembrò funzionare, poiché lei sorrise, apparentemente tranquilla.  

Apparentemente, perché per un secondo nei suoi verdi occhi passò un velo di... dolore? tristezza? Nessuno

lo può dire. E il dio non se ne accorse.

Forse, se se ne fosse accorto, qualcosa sarebbe cambiato, o forse nulla sarebbe mutato, chi può dirlo?

Fatto sta che non vide nulla e quindi chiuse gli occhi, respirando il profumo dei suoi capelli, perdendosi in dolci sensazioni.

<< Non permetterò più a nessuno di farti del male. >> Le sussurrò, alzando gli occhi verso il cielo, come se volesse farlo sapere anche ad una qualche entità non presente. << Te lo prometto. >>

 

Intanto su, in cielo, Afrodite osservava il figlio.

 Il delicato viso etereo contratto in una lieve smorfia. << Figlio mio, è così forte il tuo amore per quella donna umana? >> Si chiese.

Aveva provato ad allontanarli, arrivando a rapire e minacciare quella giovane impertinente che come se nulla fosse le aveva portato via l'amore incondizionato dell'adorato pargolo.

"Chi era quella piccola mocciosa che aveva stregato il cuore del figlio?" continuava a chiedersi Afrodite, ma più cercava la risposta alle sue domande e meno la trovava, non capendo che la soluzione era proprio lì, davanti ai suoi occhi ed era molto più semplice di quel che credeva.

Decisa a far ragionare il figlio, provando a convocarlo lì, da lei.

Lo chiamò, dunque, interrompendo il suo riposo al fianco di quell'umana.

<< Dove vai? >> sentì dire dalla giovane umana al figlio quando egli si alzò piano, nella speranza di non farla svegliare. Lui allora si era girato verso di lei e le aveva sorriso amorevolmente: << Non temere amore mio. Tornerò subito da te. >> e, dopo averle dato un candido bacio a fior di labbra se n'era andato.

Di nuovo.

Era poi ricomparso davanti alla madre: lo sguardo gelido e severo di chi osserva il colpevole di una qualche brutta azione.

Forse perché in cuor suo lui aveva capito chi aveva fatto del male alla sua adorata.

Ma decise ugualmente di stare in silenzio per sapere il motivo di questa chiamata improvvisa. Anche se la rabbia, la voglia di urlarle contro era forte.

<< Mi avete chiamato, madre? >> chiese, ma nel suo tono non vi era quella gioia che sempre avevano contraddistinto la sua voce, quando era con la madre.

<< Figliolo adorato...non mi abbracci neanche? >> chiese, allargando le braccia e avvicinandosi a lui, sorridente.

Ma davanti a quella dimostrazione di ipocrisia, il dio non resistette più e quando la donna gli fu abbastanza vicina, la spinse lontano, senza tuttavia farle troppo male e le urlò contro: << Siete stata voi, vero!? Voi avete fatto del male a quella ragazza! >> urlò, con quanto fiato aveva in gola, ormai preda della rabbia, al ricordo delle ferite e degli occhi velati di lacrime di della fanciulla che amava.

Afrodite rimase interdetta di fronte alla reazione improvvisa del ragazzo. Suo figlio, sempre così calmo e freddo di fronte ai sentimenti, il suo adorabile figlio, colui che un tempo considerava gli esseri umani come semplici passatempi... ora si infuriava perché lei aveva tentato di allontanare con la forza una ragazza umana che aveva attirato tra le sue spire di serpe lui, l'amore della sua vita.

E Afrodite, si sapeva, era molto gelosa.

Quasi ossessionata dal figlio.

Per questo si era sentita tradita, da lui.

Tradita dal sangue del suo sangue.

E allora se l'era presa con quella mocciosa comparsa dal nulla.

Ma ora.

Ora che vedeva il figlio così... vivo; con gli occhi di solito freddi, ora così pieni di amore e passione, finalmente capiva.

Capiva che non aveva mai perduto il figlio.

Capiva che lui ormai era grande, e che era giusto che amasse chi voleva.

Ma questo, in un angolo remoto della sua persona, ancora le faceva male. Nonostante avesse finalmente capito.

<< Perdonami … >> Riuscì a dire dopo attimi di silenzio che le sembrarono infiniti.

A capo chino, l'orgogliosa dea Afrodite stava per la prima volta chiedendo scusa. E lo stava facendo nel modo più umile possibile. Questo improvviso cambio d'atteggiamento lasciò perplesso il giovane, che già si era preparato ad una litigata come mai prima d'ora e che invece si era trovato una controparte così... triste? Dispiaciuta? Nemmeno lui lo sapeva. L'unica cosa di cui era cosciente era il fatto che la donna che gli stava davanti senza guardarlo negli occhi, e che ora stava iniziando a piangere, gli stava chiedendo perdono.

<< Madre... >> aveva detto lui, avvicinandosi piano. Lei aveva sussultato al suono della voce del figlio e aveva chiesto nuovamente scusa, questa volta alzando il viso, improvvisamente rigato di lacrime: << Scusa, scusa figlio mio. Scusa per quello che ho fatto a te e a quella giovane! >>

<< Per quale motivo hai fatto un gesto tanto crudele su di una creatura che nulla ti aveva fatto? >> sospirò egli guardandola, alla ricerca di una giustificazione plausibile. Le scuse non gli bastavano: le aveva fatto troppo male.

<< Ero... lei... lei ti aveva portato via da me! Tu, figlio mio adorato, hai sempre amato solo me, tua madre. Il vederti con un'umana... per me è stato bruttissimo. Ho sentito come se il mio mondo, il mio bellissimo mondo crollasse... solo io. Solo io mi sentivo in diritto di avere l'amore incondizionato di mio figlio! >> confessò infine lei, singhiozzando.

Ma ciò che ottenne fu solo uno sguardo ancor più duro.

<< Mi stai dicendo che tu hai minacciato di morte e picchiato una ragazza indifesa...per GELOSIA!? >> proruppe il dio, ora più irritato che mai.

Non riusciva a capacitarsi infatti di ciò che la madre aveva fatto. E ancor meno comprendeva il motivo che c'era dietro a questo suo gesto.

Voleva il suo affetto tutto per sé?

Era gelosa?

Mai motivo fu più sciocco!

Ed è questo che le urlò, arrabbiato. Sordo alle scuse della madre.

<< Non voglio più sentire le vostre scuse madre! Avete compiuto gesti orrendi in nome di un mero desiderio egoistico! >>

<< Ma io...io volevo il tuo amore... >>

<< Sciocche scuse senza né capo né coda! La verità è che voi volete comandare le persone, controllare i loro sentimenti a vostro piacimento ed io, io che sono vostro figlio, non ne sono esente! >>

<< Cerca di capire amore mio... l'ho fatto solo per te... >> continuò mesta, la madre.

<< Per me?! >> non ci credeva. Adesso iniziava con la scusa del "tesoro l'ho fatto per te..." figuriamoci.

Adesso ci mancava che dicesse anche … << Non volevo farti soffrire. >> … Appunto.

La rabbia del giovane era ormai incontenibile. Per quanto tempo ancora la madre lo avrebbe preso in giro?

"Prima minacci e fai del male alla donna che amo, la cui unica colpa è essere umana, e poi ti comporti da madre preoccupata per il proprio figlio? Ma non ti rendi conto di quanta falsità trapela dai tuoi gesti, dalle tue parole?" pensava egli, mentre furente si avviava verso l'uscita della stanza.

Non voleva più vederla.

<< Dove vai? >> chiese la donna, che ancora in piedi, aveva smesso di singhiozzare e ora lo guardava: il trucco sbavato a causa delle lacrime rendeva ancor più goffo il suo tentativo di mostrarsi seria ed indifferente a ciò che stava accadendo.

<< Dalla donna che amo. >> Rispose solo, per poi poggiare la mano sulla maniglia ed aprire la porta. Stava finalmente per uscire, quando la voce della donna lo raggiunge << Sta morendo, figlio mio. >> disse solo.

Il dio allora si girò di scatto e la guardò: ormai la sua rabbia era incontenibile.

<< Ancora con le tue scuse?! >> le urlò contro, senza muoversi di un solo millimetro. Si limitava a fissarla, ora con rabbia ora con astio. I suoi occhi erano diventati così gelidi che per un attimo un brivido percorse la nuda schiena di Afrodite.

<< Non sono scuse. Sto dicendo il vero, sfortunatamente … >> continuò ella, decisa più che mai a rivelare al figlio quanto scoperto su quella fanciulla umana. << E' gravemente malata e le resta poco da vivere. >> continuò.

<< No. >> disse solo il dio. << Tu menti. Menti perché sei accecata dalla gelosia! >> urlò egli, scuotendo con vigore la testa.
<< Vorrei fosse così, figlio mio. Vorrei fosse solo una falsità, ma così non è. Sta morendo.  >> ripeté la madre, con serietà.

<< Basta! Non voglio più sentire altre fandonie architettate solo per separarmi da lei! >>

<< Tesoro... >>

<< Questa discussione termina qui. >> Decise il dio che subito dopo si congedò, sparendo.

La madre dal canto suo abbassò semplicemente lo sguardo, portandosi una mano davanti agli occhi, di nuovo

colmi di lacrime amare.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Parte 1 ***


Da allora passarono i giorni, e le settimane.

Le condizioni della fanciulla iniziarono a peggiorare: il suo bel volto diveniva ogni giorno più pallido, il suo corpo più debole e i suoi occhi sempre più lucidi.

Dormiva spesso la giovane, sotto lo sguardo attento del dio, che non si allontanava mai da lei.

"Starò con te per sempre" le aveva promesso una volta, in quel giorno di pioggia sotto la quale si erano entrambi bagnati come pulcini.

E così avrebbe fatto. Era ormai cosciente del fatto che la madre avesse detto il vero, quell'ormai lontano giorno, ma lui, sciocco, preso dalla rabbia non le aveva dato retta.

<< Amor mio... >> una flebile voce lo riportò coi pensieri alla realtà. La giovane si era appena destata dal sonno e ora lo cercava.

<< Sono qui, piccola. >> rispose solo, abbracciandola dolcemente.

<< Tesoro mio, perdonami. >> continuò ella. << Perdonami, se ti sto facendo soffrire... perdonami, se non potrò stare assieme a te per sempre. Ti prego, scusami. >> disse, abbracciandolo delicatamente, poiché di forza nelle braccia ormai, non ne aveva più.

Nel vederla così mogia allora, il dio decise di farle un dono.

Sì, le avrebbe regalato qualcosa, per farla sorridere nuovamente.

Per questo si alzò, sorridendole. << Che succede? >> domandò la giovane, seguendolo con lo sguardo << Non preoccuparti tesoro mio. Ho intenzione di uscire un attimo ma non temere: tornerò subito da te. >>

<< Uscire? Per andare dove? >>

Il dio le sorrise ancora e, dopo averle posato un bacio sulla fronte lievemente imperlata di sudore, le disse << Ti farò sorridere di nuovo. Te lo prometto. >> e detto ciò sparì.

La ragazza, rimasta sola, si lasciò cadere sul letto e chiuse gli occhi "dove sarà andato, ora?" si chiese.

Ma le parole che le aveva rivolto le fecero credere che sarebbe tornato presto da lei.

Riaprì gli occhi e guardò il soffitto: erano passate intere settimane da quell'episodio. Dopo aver parlato con la madre, il dio era tornato da lei, furente e le aveva chiesto senza nessun tatto se era vero che era ammalata e stata morendo. Lei per tutta risposta l'aveva guardato, presa alla sprovvista, per poi abbassare la testa e dare risposta affermativa.

Allora lui aveva sospirato. Credeva se ne sarebbe andato, invece l'aveva abbracciata, e ripetendole che l'amava, le aveva promesso che sarebbe rimasto con lei.

E così era stato.

Sorrise debolmente.

Amava quell'uomo. Oh, se lo amava. Avrebbe voluto restare ancora un po’ di tempo con lui, ma sapeva che per quanti sforzi lei facesse, non era proprio possibile per una mortale, stare con qualcuno la cui vita è destinata a durare per sempre.

E ormai, non poteva più stare con lui.

La sua ora era giunta.

<< Vieni avanti, ombra nera. Mostrati. >> disse con un fil di voce.

 Il fuoco della candela si spense, la casa venne invasa dal freddo e la sala divenne interamente buia.

Davanti al letto si materializzò una figura interamente coperta, la sua lunga tunica nera sembrava fosse fatta di nebbia. Niente di quella misteriosa presenza era corporeo.

<< Sei venuta a prendermi, dunque? >>

L'ombra nera annuì lentamente.

<< ...Quindi deduco...che sia giunta la mia ora? >>

L'ombra annuì di nuovo.

<< Prima vorrei sapere una cosa... >>

Non si nega mai l'ultimo desiderio ad un condannato disse una voce atona, priva di qualsivoglia emozione.

Una voce che rimbombò per tutta la piccola stanza e che fede rabbrividire la giovane, che si tirò le coperte sulle spalle.

"E' dunque questa la voce di morte?" si chiese. Poi continuò: << Vorrei vederlo. Un'ultima volta. Prima che i miei occhi non vedano più... prima che le mie mani non possano più toccarlo... prima che le mie labbra non possano più baciarlo. Voglio vederlo, in modo che il suo viso rimanga impresso nella mia mente, quando sarò nell'aldilà. >> e guardò quell'ombra senza volto, in attesa di risposta: poteva accontentarla, oppure calare sui suoi occhi, il freddo respiro della morte.

La scheletrica mano della figura andò a posarsi sulla fronte della giovane, che istintivamente chiuse gli occhi.

Rilassati le disse la voce della morte. E lei vide. Vide nella sua testa il giovane dio, suo unico vero amore, girare per le bancarelle alla ricerca di un regalo da farle. Lo vide sorridere cordialmente a chi lo salutava per strada... lo vide felice e allora iniziò a piangere.

<< Quando io morirò...lui...si sentirà solo? >> si chiese, ad alta voce. La morte non rispose.

Non si mette mai fretta, ad un condannato.

Gli ultimi suoi pensieri sono sacri.

<< Sembra così felice ora... sorride sempre... >> disse ancora, mentre allungava una mano tremante, come se così fosse in grado di sfiorarlo. << Quando non ci sarò più...non sarà più in grado di sorridere? >> si chiese.

E intanto il sapore salato delle lacrime andava a posarsi sulle sue labbra, ora tremanti.

<< Lui si sentirà solo, senza nessuno che lo ami davvero? Io...no... >> stava crescendo in lei, quel desiderio.

Quello che tutti vogliono, ma che nessuno ottiene mai: il desiderio di star per sempre con la persona che ami.

Stare con quella persona e con essa vivere per sempre, superando il dolore, la morte.

Ma non funziona così.

Gli umani sono destinati a morire, mentre gli immortali vivranno in eterno.

E' tempo riprese dopo poco tempo la voce atona.

<< No... >> protestò finalmente ella, che alla vista dell'uomo che amava, e al pensiero di condannarlo ad una vita senza di lei, aveva ritrovato la forza ultima di reagire, anche se troppo tardi, alla morte che su di lei incombeva. << Non voglio... non voglio che lui sia triste. Se io morirò... lui tornerà come prima. Eviterà di legarsi per non soffrire di nuovo. E allora starà in solitudine per sempre... non voglio. Non voglio condannarlo ad un'esistenza simile. Non voglio che soffra... >>

Quindi umana, qual'é il tuo ultimo desiderio? chiese la presenza, perché l'ultimo desiderio di un moribondo non si rifiuta mai.

<< Non voglio morire! >> urlò la giovane, ma sapeva che per quanto implorasse, per quanto ella pregasse, il fato, crudele, aveva già deciso per lei.

Impossibile. Una sola parola uscì dalla bocca scheletrica.

L'enorme falce si levò in aria e si abbatté su quel pallido corpo umano in un sol colpo.

Dopodiché la morte sparì, accompagnando nell'aldilà quell'anima bianca.

Nella stanza, rimase solo il corpo ormai privo di vita di una giovane donna.
In lacrime.

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Capitolo 6
*** Capitolo 4 - Parte 2 ***


<< Amor mio, perdonami. >> continuò ella. << Perdonami, se ti sto facendo soffrire... perdonami, se non potrò stare assieme a te per sempre. Ti prego, scusami. >> disse, abbracciandolo delicatamente, poiché di forza nelle braccia ormai, non ne aveva più.

"Piccolo tesoro, come posso alleviarti anche per poco, tutta questa sofferenza e poi vedere splendere sul tuo viso pallido uno di quei bei sorrisi che solo a me riservavi?" così si chiedeva il dio mentre teneva la giovane tra le sue braccia.

Aveva scoperto dalla madre che le mancava poco da vivere, ma quando lui aveva chiesto alla giovane se ciò che aveva scoperto era vero e lei aveva annuito, triste, lui non si era arrabbiato.

L'aveva vista ancor più delicata e l'aveva presa tra le braccia " allora è vero.  Per quanti sforzi facciamo, non potremo mai stare assieme per sempre. Il fato, crudele, ci separerà" aveva pensato, mentre una fitta al cuore gli pulsava.

" Allora, se è vero che ci rimane poco tempo, viviamo quel poco che ci rimane al massimo, in modo da non dimenticarcene mai" e allora avevano continuato a vivere normalmente, girando per la città e vivendo le loro giornate come avevano sempre fatto. Ma man mano che andavano avanti, lei si indeboliva, diveniva sempre più pallida e stanca e arrivò ad un punto in cui non sorrideva neanche, più per il dolore della separazione imminente che per il dolore fisico causato dalla malattia.

Lui allora aveva cercato una maniera per farle tornare, almeno momentaneamente, il sorriso.

Sentendola fragile tra le sue braccia chiedere perdono per quella pena (condanna che il dio non considerava tale) Amore aveva deciso di uscire e prenderle dei fiori.

Semplici e colorati, come lei.

Chissà se così sarebbe stata felice? Chissà se avrebbe riso nuovamente?

E ora, con questi pensieri in testa era lì, in piazza, a cercare un qualsiasi fioraio dove acquistare dei fiori da portarle.

Camminava e camminava, alla ricerca di una bancarella che ne vendesse, ma non fu un mercante, ad attirare l'attenzione, bensì un prato.

Sì, proprio un prato.

Si avvicinò e guardò attentamente ciò che quel giardino naturale offriva: nella sua ricerca aveva intravisto proprio lì, in quel punto, delle margherite.

"Un semplice dono, per una semplice fanciulla" pensava. Quei fiori, infatti, rispecchiavano perfettamente l'animo della fanciulla che gli aveva catturato il cuore.

Si chinò dunque e ne raccolse una manciata che successivamente legò con un fiocchetto azzurro che si era portato dietro. A lavoro finito osservò compiaciuto il risultato ottenuto e, felice si diresse da lei.

Ma il giovane dio era ignaro della visita che nel frattempo aveva ricevuto la sua amata.

Per questo quando rientrò nell'abitazione, il suo sorriso si spense di colpo, alla vista del pallido corpo esanime della ragazza.

I fiori caddero dalla sua mano e il ragazzo corse da lei, prendendola tra le braccia e urlando.

Chiamandola.

E intanto le lacrime sgorgavano senza freni dai suoi occhi. Ma non gli importava.

"Al diavolo l'orgoglio!" pensava. E continuava a chiamarla, implorandola di tornare da lui, e di non andarsene. Ma ella non rispondeva più, ella non apriva più i suoi occhi chiari dicendogli "non urlare, ti sento!".

Il caldo soffio della vita non era più in lei.

E lui era rimasto solo.

Dopo tanto tempo, era tornato solo. Lui e la sua immortalità. Condizione che, ad un tratto, gli parve quasi una condanna.

Pianse molti giorni, Amore, tenendo stresso a sé quel freddo corpo.

Pianse molte notti, il dio, che non aveva intenzione di abbandonare la donna che amava.

E col tempo al pianto si susseguirono la tristezza.

Il dolore.

Il senso di enorme impotenza:  "che senso ha essere immortale, avere un corpo resistente... che senso ha essere un dio, se poi non riesci nemmeno a salvare chi ami?".

Continuò così, fino a che Afrodite in persona andò da lui, chiedendogli di tornare da lei, su in cielo.

L'odore di morte e di chiuso impregnava ormai tutta la stanza e il buio impediva la visuale a chiunque entrasse in quel posto.

Il cadavere, era poggiato sul letto e pareva fosse una dama dormiente.

Una dama il cui petto non si alzava ed abbassava più.

<< Torna con me. >> disse la dea.

Ma l'unica cosa che ottenne fu uno sguardo assente. Il bell'azzurro degli occhi del giovane si era spento, e ormai privi della loro luce, essi scrutavano ogni cosa senza in realtà vederla davvero.

<< Tesoro. Sono ormai passate settimane, da quando lei è morta. E' tempo che tu vada avanti... >> gli disse, la voce dolce.

Per tutta risposta ottenne il silenzio.

<< Figlio mio... >> provò a chiamarlo nuovamente. << Odio... >> un sussurro appena udibile, quello del dio.

<< Come? >> chiese, avvicinandosi di un poco a lui.

<< La odio. >> ripeté la voce atona del dio, che indicò con un cenno della testa l'ormai cadavere della giovane, dolcemente sdraiato sul letto lì a fianco.

Silenzio.

Di nuovo.

Solo il vociare delle persone all'esterno dell'abitazione interrompevano quella surreale tranquillità.

Afrodite si avvicinò di più al figlio, preoccupata, mentre alzava piano il braccio, per andare a posare la mano sulla sua spalla, ma egli la precedette e come una furia si alzò in piedi, così improvvisamente che fece sobbalzare la madre.

<< E' lei che io odio! Perché è morta, lasciandomi solo! Mi è stata vicina, mi ha incantato e mi ha fatto provare l'amore, quello vero. E poi è morta! Se n'è andata! E ora per colpa sua, del suo egoismo io sto soffrendo tanto! >> urlò, finalmente dopo tanti silenzi, il giovane.

"La odi?" ma subito si bloccò, nel sentire dire simili cattiverie sulla donna che aveva (e che continuava) ad amare con tutto se stesso.

<< No, non posso odiare chi amo … >> si disse.

Aveva lo sguardo acceso di una luce che Afrodite non aveva mai visto, in lui.

Era diverso, dal solito Amore.

La sua voce era ancora atona, ma ad ascoltare bene, c'era quella nuova inclinazione che si poteva classificare come...follia?

Il dio, intanto, continuava quello che a tutti gli effetti pareva un monologo.

<< La odio perché la amo … >> continuava a ripetersi, e poi: << La amo, ma la odio perché mi ha abbandonato. >>.

E avrebbe continuato così per molto altro tempo ancora se una mano delicata non fosse andata a posarsi sul suo braccio e una voce, quella della madre, che ora non poteva più nascondere la preoccupazione ch' ella aveva per le condizioni del figlio non l'avessero riportato alla realtà: << Odi la ragazza umana perché ha lasciato questo mondo? >>

<< ... >> il dio pareva essere tornato nello stato in cui versava poco fa.

Ora la guardava, lo sguardo nuovamente perso nel vuoto.

La ascoltava, ma in realtà alle sue orecchie non giungeva alcun suono.

<< Tesoro, ma tu lo sapevi. Lo sapevate entrambi, che la vostra era una felicità che non poteva durare.

E' per questo motivo che noi immortali stiamo ben lontani dagli umani che abitano la terra sotto di noi. Siamo diversi. Non ci leghiamo a loro per evitare di soffrire quando loro lasceranno questo mondo. >>

Gli mancava.

La ragazza che amava era morta, e lui si sentiva inutile.

<< All'inizio fa male...ma con calma tornerai a sorridere anche tu e ti lascerai alle spalle tutto. >>

Si sentiva come se si fosse improvvisamente svuotato di ogni cosa: anima, cuore, sentimenti.

 Nel suo corpo ormai non ritrovava nulla di tutto ciò.

Si sentiva vuoto.

Stanco.

E solo.

Alzò lo sguardo su Afrodite, che fino ad allora non aveva smesso di parlare, senza che lui la stesse veramente ascoltando.

La guardò, poi posò gli occhi su quel corpo così bello, anche ora che era privo di vita.

<< Non posso più stare qui. >> disse solo, mentre la madre lo guardava, allibita.

E poi sparì.


--- Note di Rib ---
Come potete notare ho preferito dividere in due parti questo capitolo, poichè le vicende qui, sono narrate dal punto di vista di entrambi i protagonisti.
Ringrazio chiunque stia leggendo la storia e in particolare stantuffo : grazie per la splendida recensione, mi fa piacere che la mia storia ti piaccia e mi fa un pò arrossire quello che hai scritto sul mio modo di scrivere. Grazie mille carissima, spero che anche questi capitoli ti piacciano!

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


<< E dove andò Amore? >> mi chiede la piccola Elisabeth, davanti a me. Nei suoi occhi posso leggere la tristezza per ciò che è capitato ai due protagonisti del racconto. E' una piccola molto dolce, alla quale piacciono le storie a lieto fine. Le sorrido lievemente e con una mano le carezzo la testolina. << Ah, questo nessuno lo sa. >>

<< E' andato da lei. >> interviene un'altra bimba di qualche anno più grande dell'altra.

<< Perché? >> chiede ancora Elisa.

<< Come "perché"? Perché voleva stare con la donna che amava, no? >>

Continuo a farle parlare mentre lentamente mi alzo.

<< Ma se lui era immortale, non poteva morire, giusto? >>

<< Esatto … >>

<<  Quindi se lei è morta e lui non può, non possono stare assieme!  >> Sorrido lievemente: questa piccola è molto più attenta di molte sue coetanee.

Mi sgranchisco un po’ le gambe indolenzite dal troppo star seduto.

<<  Ma allora... Non si sente solo?  >> continua la piccola, mentre sul suo viso appare un'espressione triste e i suoi occhi castani iniziano a farsi lucidi. Mi avvicino a lei, carezzandole la testa: <<  Non piangere. Di lacrime, ne ho già viste fin troppe.  >> E detto questo mi allontano salutandoli.

Riprendo il mio girovagare per l'ennesima volta.

Senza meta.

Solo con il pensiero rivolto ad una giovane fanciulla dai biondi capelli e dallo splendido ed assai raro sorriso.

<<  Che uomo stupido …  >> mi sembra di sentirla ancora oggi, la sua voce. Alzo lo sguardo verso il cielo azzurro e sorrido. E li mi sembra di vederlo distintamente, il suo bel viso.

<<  Io ti amo. E ti amerò per sempre.  >> le dico, dolcemente.

<<  Scemo.  >> Il suo tono è duro e dolce allo stesso tempo. Proprio come me lo ricordavo.

<<  ...  >>

<<  Anche io ti amo.  >>

Sorrido di nuovo e riabbasso la testa.

La voce è sparita ( o forse me la sono sempre e solo immaginata) e così anche la sua bellissima immagine, dissolta nell'aria mattutina.

Percorro la strada del mercato, ora gremita di persone.

Non faccio caso a chi mi chiama, probabilmente riconoscendomi.

Non faccio caso ai mercanti che mi invitano a guardare i loro prodotti.

Cammino senza fermarmi, e con la mente ripercorro tutti gli istanti legati a quella ragazza.

"E' impossibile far innamorare un dio immortale, sapete mie care?" al ricordo di queste mie parole il sorriso sul mio viso sparisce e gli occhi mi si velano di un sottile strano umido.

"Un dio immortale non può innamorarsi"... Alzo nuovamente la testa verso il cielo e lascio che una lacrima solchi la mia guancia: ma chi ci crede più, ad una cavolata simile?


--- Note di rib ---
Ed ecco qui, l'ultimo capitolo.
Questa credo sia stata la storia più lunga che io abbia mai scritto.
Che dire? Malgrado la posizione, sono molto soddisfatta di questa storia, si si. Ringrazio sin da ora chiunque voglia commentare, anche solo per dirmi "che schifo, non mi piace perchè..." xD

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