Un racconto provenzale

di livia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caffé, cannella e cioccolato ***
Capitolo 2: *** Seppie, finocchio e tanto riso ***
Capitolo 3: *** Da me a ...tè. ***
Capitolo 4: *** Mi sciroppo all'albicocca ***
Capitolo 5: *** Timo, alloro e notte fonda ***
Capitolo 6: *** Un gran pezzo di filetto ***
Capitolo 7: *** Dolceamaro ***
Capitolo 8: *** Lacrime e ciliege ***
Capitolo 9: *** Crackers ***
Capitolo 10: *** Caffè italiano ***



Capitolo 1
*** Caffé, cannella e cioccolato ***



- Liviàààà! Liviaàààà!
Ogni volta che vengo qui mi riesce difficile abituarmi al tuo modo tutto francese di pronunciare il mio nome. Eppure è francese anche la mia mamma, tua figlia giustappunto, solo che lei mi ha sempre chiamato Livia, hai capito? Livia, senza quel dannato accento sulla “a” che lo fa assomigliare al nome di un detergente intimo femminile.
- Liviàààà!
Uffa, ma che avrai da urlare tanto? Lo so che sono quasi le dieci, ma ieri ho viaggiato per quasi tutto il giorno, abbi pietà. E poi, la colpa è tua. Ieri sera hai messo in tavola quel Paul Mas Sauvignon Blanc e ci abbiamo dato finché abbiamo potuto, solo che tu, vecchia filibustiera, era come se stessi bevendo acqua fresca, mentre io, dopo tre bicchieri, be'...
- Liviààààà!! Liviààà! Allegrììì!
E non chiamarmi per cognome, sempre con quell'accento, poi! Quando mi chiamano per cognome - un cognome dispettoso che dalla notte dei tempi dà adito agli scherni di amici e colleghi tutte le volte che mi girano a duemila, ma guarda com'è allegra oggi l'Allegri! – mi tornano in mente i tempi del liceo, quando mi interrogava la Bertoni. Apriva una pagina a caso del libro, e nove volte su dieci quella bastarda di pagina era la numero 200, 2+0+0=2: Agnesi....”Allegri”! Bingo. Mi indicava con l'indice della sua mano da strega di Biancaneve e mentre pronunciava il mio nome faceva scattare il pollice verso la lavagna alle sue spalle, me lo ricorderò per tutta la vita questo suo gioco tra indice e pollice, tra puntare me e puntare la lavagna, dio come lo odiavo! Anche perché all'epoca mi era molto difficile appassionarmi al Teorema di Lagrange, impegnata com'ero a trovare un'applicazione per quello di Le Bon: se staziono sul suo zerbino per 15 giorni, vale a dire per tutte le 360 ore che comporranno la mia vacanza-studio a Londra, le probabilità di incontrarlo sono pari a...
Ahia! Non importa che mi pizzichi, ma che modi sono? Mi alzo, mi alzo! Ma perchè gli altri hanno Nonna Abelarda, Nonna Quercia, Nonna Papera e io ho te?? Ho capito che il caffé è pronto, smettila di ripeterlo come se tu fossi un disco rotto. Tremo all'idea, sai? Il tuo caffè è un una vera ciofega, senza offesa ma voi francesi proprio non lo sapete fare, il caffè, anzi non sapete nemmeno cosa sia. Forse dovremmo correggerlo con un goccio di Armagnac per renderlo bevibile, ma non oso proportelo perché non ho il minimo dubbio che mi prenderesti in parola...
Eccomi, sono in piedi, mi vedi? Benone: allora piantala di gridare.
Scendo le scale dietro di te che ogni volta che ti vedo mi sembri più baldanzosa e pimpante, ma mi dici come cavolo fai, è forse l'aria della Provenza? Effettivamente qui si respira, mica come nell'afa umida e soffocante di Firenze, avvelenati dai vapori mefitici dello smog e di quella fogna a cielo aperto che ci ostiniamo a chiamare Arno. Con i tuoi passettini solleciti mi apri il varco fino alla cucina, neanche fosse la mattina di Natale e tu fossi la governante che sta scortando qualche Generalone di altri tempi al suo posto d'onore alla tavola imbandita. Mi godo la scena ridendo tra me e me finché il tuo corpo rotondetto ruota su se stesso e mi rivolgi un sorriso trionfante.
Non è una colazione, è...di più. Pane fresco, marmellata, frutta. E un aroma di caffé che riempie la stanza: caffé spruzzato di scaglie di cioccolato scuro e con un biscotto alla cannella di fianco alla tazza. Ooohhh....
Ci sediamo nella grande cucina in muratura, e penso che tutte le volte è sempre una scoperta ritrovare le padelle di rame appese vicino al vecchio lavello di porcellana, la stufa di ghisa, i grossi armadi di pino. Mi piace il senso del tempo che emana da queste cose, il modo in cui ogni segno e ogni traccia raccontano una storia. Soprattutto adoro un grosso stipo per le spezie in robusto legno di quercia, i cui cassetti sono scrupolosamente etichettati in inchiostro marrone, sbiadito dal tempo: Cannelle, Poivre Rouge, Menthe Verthe...parole scritte nelle calligrafia arzigogolata e leggermente inclinata a destra di nonno Armand, e che da bambina mi sembravano magiche.
I tuoi occhi sorridono soddisfatti dietro gli occhialetti tondi mentre mi guardi passare dal pane e marmellata alla frutta, dalla frutta al caffè, dal caffè al pane e marmellata come se non avessi mangiato da secoli.
Non mi hai ancora chiesto niente di Filippo. A dir la verità, mi sei sembrata quasi sollevata quando mi hai vista arrivare da sola. Diciamocelo: a te Filippo non è mai piaciuto, troppo intellettuale, e sto preparando un seminario sul Lazarillo di qua, e sto pubblicando un saggio su Bernarda Alba di là. Ti ha sempre dato l'idea di un pallone gonfiato che ostentava una competenza e una cultura ben al di sopra di quelle che erano le sue reali capacità. Tant'è vero che quando eravamo sole ti sei sempre divertita a chiamarlo Monsieur le Professeur in tono di scherno. Troppo presuntuoso, per te, troppo a tre metri da terra.
Tu, invece, sei sempre stata una creatura terrestre, anzi terragna. Ti ricordo insieme a nonno Armand con le braccia immerse nella terra fino ai gomiti, leggeri come due bambini mentre mi mostravate le meraviglie dell'orto, patate novelle, ravanelli, zucchine, Livià, viens ici, bébé, e intanto ti pulivi le mani al grembiule e con un gesto rapido ti risistemavi i ciuffi di capelli che ti erano sfuggiti dalla cuffietta, ricordi quanto ti prendevo in giro per quella cuffietta bianca, toglitela, dai, mi sembri la nonna di Cappuccetto Rosso...? Ma tu niente, hai sempre detto che era la cosa più pratica e igienica per lavorare nell'orto e continuavi a esibirla orgogliosa, proprio come fai adesso.
Sono le dieci e mezza e sono sazia. Chiudo gli occhi e respiro la fragranza di questo luogo mentre mi stiro sulla sedia. Sembra tutto così lontano, da qui, quasi la vita di un'altra: Filippo, la traduzione che non mi viaggia, quel buco in Oltrarno che mi costa un affitto spropositato. E sembra facile anche pensarci.
Un mese qui. Neanche mi sembra vero. Non accadeva da quando ero alle elementari e la mamma e il babbo mi spedivano da voi appena finita la scuola.
Un mese con te, piccola maga rotondetta, fata madrina occhialuta, nonnina stregata. Io e te da sole, alla faccia di tutti e tutto. Quasi mi esce una risata maligna mentre ripenso alla faccia della mia collega Cristina quando le ho detto che avrei trascorso le vacanze con mia nonna. Cosa vuoi che ne sappia, lei.
Ti alzi da tavola e con i tuoi passettini rapidi raggiungi l'armadio e tiri fuori una bottiglia di Calvados; ne versi un po' nelle tazze del caffé e mi inviti a un brindisi, e allora mi alzo anch'io, perché la solennità del momento lo richiede. Le tazze fanno dlin quando si toccano, e trangugiamo il loro contenuto senza troppe cerimonie. Poi mi rivolgi uno sguardo da ragazza birichina e io mi lancio verso di te, ti prendo a braccetto e usciamo all'aperto.

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Capitolo 2
*** Seppie, finocchio e tanto riso ***



E' quasi buio. Il cielo ha raggiunto quell'ombra luminosa di blu profondo che precede di poco la notte completa.
Sono stata a un internet point in paese, oggi, rischiando la vita sulla vecchia bicicletta che non inforcavo da almeno un anno e che ho il coraggio di usare solo qui. Niente posta da Filippo, nemmeno per chiedermi se sono arrivata bene.
Le cose tra noi sono cambiate, Livia....Ho bisogno di staccare, di stare da solo per un po'....
D'accordo, lo sapevo che “staccare” era un eufemismo per “chiudere per sempre”, ma almeno un messaggio per sapere se ero arrivata bene, cazzo, per quello si poteva sprecare Monsieur le Professeur!
In compenso c'era una e-mail del mio capo: “Livia, appena puoi fammi avere qualcosa. Giampaolo.”
E così eccomi qui, in quella che è stata la camera di mia madre da ragazza per poi essere declassata a a camera degli ospiti e di nuovo promossa al grado di camera della sottoscritta. Saldamente posizionata sul letto, a gambe incrociate come un grande capo indiano, a guardare minacciosa il computer portatile davanti a me. A noi due, Jean-Paul Debras.
Dopo sette anni di onesto lavoro da schiavetta alla casa editrice, dove le mie mansioni hanno spaziato da correggere le bozze degli altrui lavori fino a fare la coda all'ufficio postale e lavare i pavimenti se necessario, qualcuno si è finalmente accorto che possiedo una laurea in lingue straniere nonché una specializzazione in traduzione letteraria, e così mi è stato proposto, udite udite, di tradurre un romanzo, sì, proprio così, tradurre un romanzo!
L'eccitazione mi si è sciolta come neve al sole quando l'ho visto, il, chiamiamolo così, “romanzo”. Definirlo tale è un'offesa a tutti gli illustri rappresentanti di questo genere, da Moll Flanders a Germinal passando per La Regenta. Lo sapevo che ci doveva essere la fregatura. Il “romanzo” (ehm...) di questo tizio, ex insegnante, ex attore di teatro, ex musicista – troppi ex nella sua biografia, per i miei gusti... - , è un opuscoletto striminzito di sì e no ottanta pagine scritte in un francese pesante come un macigno al quale l'autore ha visto bene di dare l'incombente titolo di Arriverà. Chi o che cosa, dopo una decina di pagine tradotte, non l'ho ancora capito, e ancora più oscure mi sono le motivazioni per cui il mio capo avrebbe accettato di pubblicare questo obbrobrio.
Inizio a leggere, ma dopo due pagine sono già in piedi, affacciata alla finestra a guardare la sera che diventa notte. In lontananza posso scorgere un'altra costruzione, bassa e quadrata, quasi una piccola fattoria, e oltre a quella il paese: la guglia della chiesa, le strade che si snodano verso le guglie coltivate, le case. Un profumo d'estate si alza dal terreno umido e percepisco come un palpito nel profondo delle cose, quasi un battito lieve. “Casa”, lo dici da quando ti conosco, “è dove c'è il cuore”, e stasera non ho dubbi che il cuore sia qui.
Caro Debras, anche per stasera rinuncio. Ci penserò domani, come disse Rossella O'Hara. Preferisco pensare alla cena che abbiamo gustato stasera, un vero risotto alla provenzale come comanda la tradizione.
Bisogna lavare accuratamente le seppie e tagliarle a pezzetti che non siano né troppo grandi né troppo piccoli, ti ho osservato mentre eri intenta nell'operazione, curva sul tavolo con i capelli che ti sfuggivano dalla cuffietta; ti è sfuggita una lacrima mentre mondavi il porro e la cipolla e li tritavi insieme all'aglio e al sedano, ciononostante i tuoi occhi vigili non hanno mai smesso di sorvegliare i pomodori che avevi messo a sbollentare sul fuoco, e quando ti sei accertata con il cucchiaio di legno che potesse bastare, li hai pelati e hai tritato la polpa con gesti precisi come un dono che arrivava da molto lontano, da tutti gli anni passati in cucina. Sei poi passata ad affrontare i cuori di finocchio, che hai impietosamente tagliato in quattro dopo aver dato loro una bella lavata, e nel frattempo le seppie rosolavano allegramente nell'olio, sfrigolando al solletico della fiamma vivace. Con mano rapida le hai salate, pepate e vi hai aggiunto il trito di vegetali assieme ai cuori di finocchio, poi hai aperto lo stipo delle meraviglie e hai estratto ciuffi di timo e foglie di alloro che hanno profumato la stanza con la loro magia, e alla fine hai unito il pomodoro e hai coperto tutto con acqua calda. Come una strega buona che prepara un filtro d'amore hai versato il riso e hai rimestato energicamente finché è stato pronto per essere servito, e lo hai spolverizzato trionfale con una grossa manciata di prezzemolo.
E allora mi hai chiesto di Filippo, e io ti ho spiegato senza troppi giri di parole che siamo in una specie di stand-by, una pausa di riflessione che speriamo possa servire a entrambi a chiarirsi le idee riguardo a una storia che così com'è non funziona più.
Hai ascoltato in silenzio, con quei tuoi occhietti che mi scrutavano attenti, poi hai mandato giù un abbondante sorso di vino, mi hai guardato ancora per un attimo e se scoppiata a ridere.
Già.
Una cascata inarrestabile di risate che ha scosso tutto il tuo corpicino rotondo fino a farti sussultare, con gli occhi che ti lacrimavano copiosamente.
- Scusa, bébé -, hai balbettato quando ti sei ripresa, mentre con un lembo del grembiule asciugavi le lenti degli occhiali che ti si erano vistosamente appannate, - ma proprio non ho potuto farne a meno. Dev'essere questo vino, sai? - e hai additato alla bottiglia di Semillon come se stessi indicando un borseggiatore colto in flagrante – Del resto non se ne può fare a meno, lo sai come si dice, no? Il riso nasce nell'acqua ma muore nel vino...
Hai fatto una breve pausa, come per ripensare alle parole che avevi appena pronunciato, poi hai scosso la testa e dalla bocca ti è uscito un altro risolino che non hai saputo trattenere.
- Il fatto è...-, hai continuato, - il fatto è che mi è venuta in mente l'estate scorsa, quando tu e Filippo siete usciti per un giro in bici e lui...è caduto in quei rovi....e tu non sapevi come fare per togliergli tutte quelle spine....
Di nuovo le risate ti hanno scosso dall'interno, e ti sei piegata su te stessa nello sforzo di trattenerti, guardandomi con un'espressione di scusa.
- ….e allora sono intervenuta io con le mie pinzette... - più che una risata, la tua era oramai una valanga - ...e lui gridava come se lo stessero scuoiando..sono più coraggiosi i ragazzini di qui, abitati a rovi e spine come sono....E sai...?
Mi hai guardato perplessa, chiedendoti se dovessi continuare o no, ma in un attimo ti sei decisa e hai proseguito dritta, con le guance rosse come mele.
-...e sai, una spina dove ce l'aveva? Proprio nel bel mezzo del cu...
- Nonna! - ti ho interrotto io, mentre ti eri alzata da tavola e con l'indice mi mostravi eloquentemente la parte del corpo che avevi chiamato in causa. Solo che a quel punto non ce l'ho fatta più, e anch'io sono scoppiata a ridere fragorosamente, mentre alle orecchie mi giungeva la tua voce che quasi scoppiava:
- E allora gli ho detto, voltati, e...
Nonna, nonna: lo sapevo che mi avrebbe fatto bene venire qua. La tua capacità di ridere di qualunque cosa è un vero toccasana per una come me che si sente tutta soqquadrata. Sei un vero balsamo per l'anima. Vedi? Sono appena arrivata e sto già pensando che potrei fermarmi un po' di più, e magari potrei dare una sistemata al vecchio capanno degli attrezzi del nonno per trasformarlo nel mio studio, chissà che al mio Debras non possa servire. Ma tu mi hai guardato sorniona quando te l'ho proposto, dopo che finalmente eravamo riuscite a riprenderci dall'ilarità che ci suscitava il pensiero della chiappa infilzata del professeur.
- Non è necessario, bébé -, hai risposto, e la tua voce ha assunto un tono strano, - il capanno è perfetto, me lo ha sistemato tutto il commissaire...
- E chi é? -, ti ho chiesto, incuriosita.
- Oh, è un commissario di Parigi, che è venuto in pensione qui...
Questa è bella! Mia nonna ha una tresca! Sposata per cinquant'anni con mio nonno, sempre vissuta nel suo paesello in Provenza e ora si scopre non solo che ha visto il posteriore del mio ex fidanzato, ma anche che ha uno spasimante! E io sono qui a languire in una vita che fa acqua da tutte le parti, roba da matti...Questo posto è fantastico, penso, mentre scivolo sotto le lenzuola con buona pace di Debras. Non era solo una sensazione di quando ero bambina, è la pura realtà: qui c'è la magia, la magia vera, altroché. Non vedo l'ora di vederlo, il commissario....

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Capitolo 3
*** Da me a ...tè. ***



Ho vissuto un'esperienza da teatro dell'assurdo. Ti guardo mentre ti affaccendi attorno al roseto e alzi gli occhi al cielo dopo questa mia affermazione, so già cosa stai pensando: ma guardala questa, a trentaquattro anni suonati è ancora così adolescenziale, di ogni cosa che le capita ne fa un romanzo...be' del resto, lo sai, io sono la narratrice, anzi: la Narratrice. Ti ricordi quando venivano i cugini da Parigi, Etienne, Paul, Gabrielle? Ogni sera finivamo per rintanarci ben bene sotto quel vecchio copriletto di cotone, e io mi divertivo a inventare storie per tutti i gusti e per tute le esigenze: storie dell'orrore per le sere buie e tempestose, storie romantiche per i tramonti arancioni, storie comiche per scacciare la malinconia di fine estate...
Comunque, quello che mi è capitato oggi è davvero incredibile, ti giuro, e smettila di guardarmi scuotendo la testa, con le cesoie a mezz'aria strette nei guantoni da giardinaggio che ti nascondono le manine da pianista. Sono uscita in bici, più sicura dopo la corsa di ieri all'internet point, e sono partita in direzione delle terre coltivate con il mio pc e un quaderno nella borsa, alla ricerca di un luogo dove starmene in pace e farmi venire l'ispirazione per buttare giù qualche riga. Ho trovato il sentiero tra le vigne, e mi sono seduta ai margini di un filare che impregnava l'aria di un profumo vivace e goloso.
Allungando un po' il collo potevo vedere campi, case e piccole fattorie, frutteti e terre arate, e tutto era molto verde, quasi brillante. L'odore del timo mi pervadeva le narici insieme a quello delle viti: il timo, dici sempre, rafforza la memoria e stimola la mente. Mah, speriamo, mi sono detta. Ho estratto il pc dalla borsa e me lo sono posizionato saldamente sulle ginocchia, fiduciosa che il paesaggio, il timo e tutto il resto mi aiutassero a concentrarmi sul mio Debras.
Dopo aver scorso poche righe la mia attenzione è stata distolta da un ronzìo che si faceva di una frenesia crescente; mi sono guardata intorno e con una certa apprensione ho scoperto un buco piuttosto grande non lontano dalle viti, e intorno ad esso un intricato vespaio di fango. Mi sono alzata con l'intenzione di andarmene, ma poi mi sono fatta prendere dall'imprudenza e invece di allontanarmi mi sono più vicina.
Con Etienne ci divertivamo a stuzzicare i nidi di vespe, sentendoci invulnerabili. Ci infilavamo dentro dei ramoscelli che raccoglievamo in giro, e poi scappavamo seguendo tecniche che avevamo affinato con l'esperienza; chi veniva punto o ci andava vicino era un imbranato e pagava pegno.
All'improvviso mi sono sentita addosso una strana eccitazione che mi ha fatto avere di nuovo dieci, undici anni; ho raccolto un ramoscello da terra, forse un tralcio essiccato di una vite, e ho cominciato ad avanzare pian piano verso il buco del nido. Potevo udire gli insetti sotto la crosta sottile del terreno.
Mi sono mossa a testa bassa, tenendo il ramoscello proteso in avanti, e dopo l'esitazione di un momento ho spinto con decisione il ramoscello nel buco, rimestando ben bene come faceva Etienne.
Per un secondo o due non c'è stata reazione da parte delle vespe, poi una mezza dozzina è uscita volando come le scintille di un fuoco. Ho provato un moto d'euforia e ho fatto un balzo in avanti, pronta a correre, e questo è stato il mio primo errore, lo confesso. Etienne diceva sempre di tenersi bassi, di trovare un nascondiglio subito e di procedere accucciati, sotto una radice o dietro a un ceppo, mentre le vespe uscivano dal nido.
Le vespe, intanto, sono sprizzate fuori in un'altra piccola ondata, e io sono scappata a razzo verso le viti. Secondo errore, stando sempre al manuale di Etienne: le vespe sono attratte e eccitate dal movimento, quindi la cosa migliore è sdraiarsi a terra e coprirsi la faccia, mantenendosi immobili. Invece sono stata presa dal panico e questo mi ha fregato. Ai tempi d'oro avrei pagato un migliaio di pegni, chissà che risate si sarebbero fatti i miei cugini. Qualcosa mi ha punto sul braccio e ho cominciato a colpirla, col risultato di essere punta anche sulla mano. Ho continuato a correre alla cieca, urlando come un'ossessa. I miei dieci, undici anni non mi sono mai parsi così lontani, ti giuro: quasi mi è sembrato di sentire Etienne che rideva da un'altra dimensione temporale.
Mi sono rifugiata dentro la vigna, scalciando e tirando pugni all'aria, incurante di strappare diversi tralci così facendo, e ho continuato la mia corsa finché sono andata a sbattere contro qualcosa di grosso e di alto. Qualcosa, anzi qualcuno, che imprecava e mi urlava di stare attenta alle viti. Qualcuno con un fisico atletico e le spalle molto larghe, che mi ha preso per i polsi scuotendomi come fossi stata un alberello mentre io gridavo, e più gridavo e più gridava lui. Alla fine mi ha apostrofato in tono perentorio e minaccioso:
- Allora ti dai una calmata o no?!
Mi sono improvvisamente zittita, e improvvisamente mi sono sentita consapevole della mano e del braccio gonfi, dei jeans sporchissimi, della maglietta mezza strappata.
- Io..ho avuto un incidente -, ho spiegato.
- Lo vedo -, ha risposto lui, e ho colto una nota di divertimento nella sua voce. - Anche le mie viti, comunque.
Non sono riuscita a vederlo bene, perchè un cappellaccio di paglia gli copriva mezza faccia; ho visto solo che mentre parlava teneva qualcosa tra le labbra, forse un rametto, forse un filo d'erba, forse, orrore, uno stuzzicadenti...un vero lord, ho pensato, che prima di tutto si preoccupa delle sue viti quando io sono qui davanti a lui gonfia come un cadavere di una settimana.
- Meglio se vieni dentro -, ha proseguito il buzzurro, - credo di avere qualcosa per le punture d'insetto.
Ancora ansimante e troppo impaurita per opporre resistenza, ho lasciato che mi guidasse in una cucina allegra e disordinata, con diversi ciuffi di erbe aromatiche appesi sopra un lavello di porcellana, una mensola piena di brocche e una lunga tavola di quercia. Il bifolco – sì, ho detto bifolco, nonnina, così mi è sembrato del resto, inutile che mi guardi – mi ha indicato una sedia, poi ha aperto un armadietto e ne ha preso un contenitore di polvere bianca; ne ha messo un cucchiaio in una tazza, ha aggiunto un po' di acqua e ha mescolato con il cucchiaio prima di porgermi il tutto.
- Bicarbonato -, ha spiegato, - Dovresti metterne un po' sulle punture.
Ho seguito il consiglio sentendomi piuttosto cretina. Brava Livià, ho pensato. Che diavolo ti salta in mente di stuzzicare un nido di vespe come quando avevi dieci anni? E ora eccoti qui, qui in casa di questo zotico a spalmarti di bicarbonato le punture. Devi essere proprio impazzita, l'aria della Provenza ti fa male...
Dai, piantala di ridere, altrimenti non ti racconto più niente! Hai idea dello spettacolo che dovevo offrire, seduta lì tutta sporca e strappata a intingere timidamente il ditino nella tazza?
Insomma...mentre stavo rimuginando tutti quei pensieri, il raffinatone si è tolto cappellaccio e ramoscello - o filo d'erba, o stuzzicadenti, boh! - e mi ha offerto il panorama di due occhi nocciola che mi hanno fatto dimenticare il dolore, le vespe e tutto il resto. E una faccia, nonnina! Una gran faccia da schiaffi, di quelle che fanno battere il cuore di tutte le donne perché è risaputo che sono sempre i mascalzoni che ci fanno battere il cuore....Non ci crederai, e ti giuro che se non l'avessi visto non ci crederei nemmeno io. Dico, avete queste simili bellezze naturali da queste parti e tu non mi dici niente??? E smettila di ridere a crepapelle, insomma! Il buzzurro ha una faccia mozzafiato, per non parlare del fisico; e sai che ti dico? Non è neanche buzzurro: anzi, la sua voce ha assunto un tono molto gentile ed educato quando mi ha parlato:
- Scusami per prima, ma non stavo capendo un accidenti di quello che succedeva...
E sai?, ha fatto uscire una risata simpatica, contagiosa, niente a che vedere con quelle risatine stitiche di Filippo, dai, lo so che non c'entra niente, ma il paragone mi è venuto spontaneo...
- Ti va un tè?-ha chiesto, e prima ancora che io potessi rispondere – sì, ho capito, ho capito che lo sai già, che cosa avrei risposto, ma fammi finire!! - si è voltato verso il lavello -sì, nonnina, d'accordo: gli ho guardato le spalle, sì... - e ha riempito d'acqua un pentolino. Intanto ha tirato fuori una teiera piuttosto rabberciata e ci ha messo delle foglie di tè che ha preso da un contenitore dell'armadietto; ci ha versato sopra un po' di acqua bollente e, con un gesto che a me è sembrato a metà tra quello di uno chef e quello di un prestigiatore, ha fatto ruotare velocemente la teiera per far amalgamare bene gli ingredienti, poi ha buttato via l'acqua facendo bene attenzione a non perdere le foglie di tè. Io l'ho guardato senza riuscire a dire niente, un po' perché lui era concentrato in quello che stava facendo e non sembrava avere voglia di interruzioni, e un po' perchè mi sembrava quasi impossibile che un colosso come lui potesse avere quell'abilità con oggetti così delicati come teiere e pentolini. Ha preso un ciuffetto di menta e l'ha aggiunto al tè assieme a una generosa cucchiaiata di zucchero, e poi ha irrorato il composto con acqua bollente. Infine si è seduto di fronte a me e ha dato un'occhiata all'orologio.
- Solo cinque minuti di infusione – ha detto. Poi mi ha guardato con quell'aria che quasi mi strappava di mano un ceffone e ha sorriso di nuovo, e io ho pensato oddio oddio oddio, sono perduta, mi sono smarrita in Provenza, mi sono confusa tra le vigne golose e le terre di smeraldo verde, non trovo più la strada di casa, sono come Gretel e non ho nemmeno le molliche di pane, e questo gigante mi piace da morire...Nonna, se ridi un'altra volta giuro che prendo quelle cesoie e ti faccio la cuffietta a fiocchini!
-Il tè alla menta è riscaldante e rinfrescante allo stesso tempo -, ha spiegato – Un mio collega marocchino mi ha insegnato come prepararlo quando lavoravo a Marsiglia...Oh, ma sono passati!- ha esclamato guardando l'orologio, e si è alzato per prendere due bicchieri di vetro dove ha versato il tè, stando ben attento a eliminare le foglie di menta che galleggiavano in superficie.
- Ecco qua -, ha detto porgendomi un bicchiere, e sai? Ha davvero delle mani grandi e forti....insomma, nonna! “Per toccarti meglio, bébé!” te la potevi anche risparmiare, eh?! Comunque: il tè era squisito, davvero. Profumatissimo e con un gusto delizioso. E mentre bevevo ho pensato caspiterina, altro che bifolco e buzzurro, questo qua ha un passato da romanzo, te lo dico io, Livià: vorrei proprio sapere che tipo di lavoro facevi a Marsiglia, signor...signor?
Lo sai che non ci siamo presentati, nonna? Subito dopo aver bevuto il té lui ha di nuovo dato un'occhiata all'orologio, è balzato in piedi e mi ha chiesto di scusarlo, ma aveva appuntamento con un vecchio fattore che viveva lì vicino per discutere di alcune varietà d'uva....In pratica è stato lui a scappare da casa sua mentre io ero ancora seduta: roba da matti! Mi chiedo che cosa sarebbe successo se io, invece di alzarmi a mia volta e salutarlo come ho fatto, me ne fossi rimasta comodamente lì con il bicchiere in mano...Boh! Anche lui sarà bello, ma mica è tutto rifinito. Meglio lasciar perdere...
- Sai, siamo strani da queste parti....-, commenti con voce leggera. Hai smesso di ridere e mi guardi sorniona mentre rientro in casa. Con le cesoie intanto liberi alcuni tralci spinosi e scopri una grande rosa rossa.
- Guarda, Livià, una rosa antica – mi dici, con una vena di eccitazione nella voce – Il genere migliore per fare la marmellata di petali di rose. Fa bene al cuore, sai? Dovresti mangiarne un po'....
Io lascio perdere, e faccio per entrare. Quando ti ci metti sei proprio tremenda.
- Ah...Livià? - incalzi, proprio un attimo prima che io entri in casa. Mi volto: che cos'è quella luce maliziosa che ti si riflette nelle lenti degli occhiali?
- Cerca di alzarti un po' prima delle nove e mezzo, domani -, mi dici, e ancora mi sembra di vedere un sorrisetto mefistofelico che ti fa capolino sulle labbra – Ho invitato il commissaire per colazione...

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Capitolo 4
*** Mi sciroppo all'albicocca ***



Faccio un sogno stranissimo. Sto correndo a perdifiato tra i vicoli di Marsiglia e l'odore quasi marcescente del porto mi punge le narici. Assieme a me c'è un giovane marocchino che assomiglia vagamente a mio cugino Etienne e che profuma persistentemente di menta e che mi grida: “le vespe, le vespe!”
Alla fine troviamo rifugio in una stanza sudicia e malmessa e il ragazzo chiude la porta a chiave; allora mi accorgo che la sua faccia si è trasformata in quella di Filippo. Mi spavento e sto per mettermi a urlare, ma vengo fermata da alcuni colpi alla porta seguiti da una risata simpatica, contagiosa e da una voce che grida: “Aprite, polizia!”
Maledizione, penso, tra un attimo sfonderanno la porta e ci troveranno, i poliziotti-vespe. Già i colpi sulla porta si fanno più vicini e decisi, così vicini che li sento quasi martellare nella mia testa, tactactactactac...tactactactactac...è questione di momenti...
Apro gli occhi, sollevata di trovarmi nel mio letto. Dal piano di sotto arriva un profumo inconfondibile, e allora decido di richiudere gli occhi e di lasciare che la mente mi trasporti in cucina, dove la nonna, lo so per averlo visto centinaia di volte, ha fatto ammorbidire il burro mescolandolo poi alla farina e allo zucchero; ha poi aggiunto il latte freddo, la marmellata di albicocche che è la mia preferita, la profumatissima acqua di fiori d'arancio e un pizzico di lievito come una spruzzata di polvere di stelle. La vedo lavorare l'impasto e versarlo in uno stampo imburrato, e poi, con la stessa magica abilità necessaria a trasformare le zucche in carrozze, dopo una mezz'ora esatta la vedo sfornare il dolce fragrante e profumato. Mi stiro a lungo sotto le lenzuola, già pregustando il momento in cui il sapore del burro e della confettura di albicocche si fonderanno nel mio palato, e intanto le immagini del sogno si stemperano lentamente lasciando spazio a una sensazione di completa soddisfazione. Eppure, nel sottobosco della mia testa sento ancora agitarsi i colpetti sulla porta, tactactactactac.....tactactactactac...
All'improvviso tutto mi torna in mente con una chiarezza accecante. Cavolo, l'invito a colazione! La nonna si era raccomandata che mi svegliassi presto e sono le...nove e mezzo, caspita! E quel martelletto insistente sulla porta è sicuramente lei che, impossibilitata a inveire dalla presenza del commissaire, sta cercando di svegliarmi in maniera gentile....
Mi precipito alla porta e apro uno spiraglio, dal quale subito penetra una mano veloce come un fulmine che mi colpisce con un vistoso pizzico sul braccio.
- E' un'ora che ti chiamo! -, ruggisce la nonnina, e prima ancora che io riesca a trovare il fiato per rispondere dichiara perentoria: - Hai dieci minuti per prepararti.
- Sempre ai vostri ordini, Comandante! - bofonchio io richiudendo la porta. Poi, però, mi assale un dubbio e la riapro, gettandomi all'insegumento della nonna nel corridoio.
- Cosa mi metto? -, le chiedo sottovoce.
Per tutta risposta lei mi squadra da capo a piedi, poi sfodera uno dei suoi sorrisetti che pungono più delle vespe.
- Oh, come ieri sarai perfetta! - esclama con gli occhietti che le si fanno piccoli piccoli tra le pieghine delle guance.
- Grazie mille! - ribatto io, chiedendomi ancora una volta in base a quale criterio di selezione Cappuccetto Rosso ha avuto in sorte sua nonna e io la mia. Non ho la più pallida idea di come ci si debba presentare davanti a un commissario in pensione, nonché cascamorto ufficiale di mia nonna, e invece di darmi qualche dritta per non sfigurare l'anziana colomba che fa? Si diverte a riportarmi alla memoria la misera figura che ho fatto ieri! Mi sento avvampare al solo pensiero, e decido che è meglio infilarsi sotto la doccia e lavare via tutti i ricordi legati a quell'avventura assieme al sonno che ancora mi rallenta nei movimenti.
Facciamo il punto della situazione, mi dico mentre mi stringo addosso l'accappatoio e mi dirigo a passo rapido verso l'armadio. Sono in Provenza ma non possiedo nemmeno un abito provenzale, che forse sarebbe stato adatto all'occasione. Il fatto è che mi fanno tristezza tutti quei fiorellini...Una camicia bianca, magari con il mio pantalone nero? Per carità: troppo serioso, fa molto concierge di hotel. Prego,signori, la vostra stanza è la numero...come se non stessi già reggendo il moccolo abbastanza....La mia gonnellona folk con i sandali? No, troppo figlia dei fiori, va' a finire che il vecchio commissario ritrova l'istinto da segugio e si mette a perquisirmi in cerca della Maria....Il vestito indiano? Magari detesta questo genere di cose, i ristoranti etnici, i bastoncini d'incenso...Alla fine decido per i soliti jeans e un'allegra camicia a righe azzurre che ho comprato da H&M rigorosamente a saldo. Dopotutto sono in vacanza, penso mentre mi arrotolo le maniche fino al gomito e infilo le vecchie All-Star bianche, e nessuno mi aveva avvisato del fidanzamento ufficiale di mia nonna.
La prima cosa che noto scendendo le scale, oltre alle gambe della mia agitatissima nonnina che zampettano affaccendate attorno ai fornelli, è una camicia fuori da un paio di jeans. Hai capito il commissario, sorrido tra me e me, fa il giovincello sportivo. Meglio così, concludo passando una mano sulla mia camicia che ho indossato altrettanto fuori dai pantaloni, se è un tipo informale sarà tutto più facile.
Man mano che scendo la sua figura si fa più delineata nel mio campo visivo: è di spalle, con la nonna che gli si rivolge in brodo di giuggiole arrotolando ancora di più le sue già arrotolatissime “erre”. E per essere un pensionato ha un fisico decisamente troppo atletico e giovanile, osservo. A meno che non sia sempre merito del solito ingrediente segreto di cui tutti da queste parti sembrano fare uso; a meno che io non abbia tralasciato il fatto che l'espressione “in pensione” poteva anche tradurre “in prepensionamento” per svariati motivi . A meno che, insomma, io non abbia capito niente. Uno strano sospetto comincia a farsi strada in me assieme a un certo sfarfallare nello stomaco, e si fa certezza lampante man mano che scendo gli ultimi gradini...
- Oh, eccoti, finalmente! -, cinguetta la nonna appena mi vede, - Ce ne hai messo di tempo, eh? Comunque: commissaire, questa è mia nipote Livià.
Ci introduce raggiante, con gli occhi che brillano per la soddisfazione, mentre lui si volta verso di me e io penso oddio, oddio, oddio, non può essere vero, non può essere lui, è sicuramente uno scherzo....Lui intanto ride con quella risata simpatica e contagiosa che ha solo lui e mi strizza un occhio con fare complice, oddio oddio oddio.
- Credo di averla già conosciuta -, sorride, poi abbassa la voce di un tono e aggiunge, quasi in un sussurro che un po' mi sembra da amicone e un po' mi sembra da seduttore:
- L'incantatrice di vespe....
Sto andando a fuoco, ho un incendio in corso e non ci sono pompieri nelle vicinanze. Sono certa di essere dello stesso colore dell'abitino prugna della nonna.
- E' un piacere, Livia -, aggiunge intanto lui mentre mi tende la mano, e oddio, ha pronunciato il mio nome senza quel fastidiosissimo accento, all'italiana, come se fosse la cosa più naturale del mondo per lui, come se avesse sempre masticato la mia lingua, con un fare da vero uomo vissuto, cosa c'era a Marsiglia, eh, commissario....commissario...?
- Livià, questo è il commissaire Lavigne. - Alain -, la corregge lui, e di nuovo ride mentre mi guarda, - E dovresti convincere tua nonna a smettere di chiamarmi commissario, dal momento che non lo sono più da quasi due anni...e comunque ero solo un vice-commissario....
- Sei sempre modesto...-, lo interrompe la mia nonna-Titti di Gatto Silvestro, affrettandosi poi a rivolgersi con aria angelica alla sottoscritta:
- Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere conoscere qualcuno della tua età.....ma vedo che hai già provveduto da sola!
Guardala come sorride, la vecchiaccia! Sapeva perfettamente di chi stessi parlando ieri, lo aveva invitato a colazione prima ancora che le vespe mi riducessero un colabrodo, e mentre le raccontavo le mie avventure faceva la parte di quella che cadeva dalle nuvole, roba da matti! Mentalmente ripercorro tutte le espressioni che ho usato con lei per descrivere il commissaire, mozzafiato, fisico da atleta, mi piace da morire....chissà come si è sganasciata dalle risate, da sola, le saranno perfino caduti gli occhiali e la cuffietta! Non avrà visto l'ora di arrivare a stamani, eh?! Razza di strega! Ora si spiega quel suo sguardo diabolico...Decido di ripiegare sui convenevoli per reprimere l'istinto nonnicida che improvvisamente mi sento friggere tra le mani.
-Mi dispiace – balbetto senza troppa convinzione – avervi fatto aspettare per mettervi a tavola...
- Nessun problema! - mi interrompe Alain (Alain? E da quando lo chiamo con il suo nome??), e intanto mi indica il piatto della torta dove sarà rimasto si e no l'equivalente di quattro porzioni.
- Diciamo che non mi sono formalizzato...- spiega ridendo, e all'improvviso anche a me viene voglia di ridere, ma mi fermo subito appena incrocio lo sguardo gongolante della nonna e realizzo senza possibilità di errore che l'adorabile anziana nasconde dentro di sé un piccolo demone che in questo preciso istante si sta sfregando le mani...
Mi siedo a tavola quando invece tutto quello che vorrei fare è afferrare un badile e scavare una fossa tanto profonda da sotterrarmi per sempre, non prima ovviamente di aver spezzato il suddetto badile in testa alla mia dolce e ruffiana nonnina. Contrariamente a quella che è la mia consuetudine non ho affatto appetito, mi si è chiuso lo stomaco e riesco a malapena a sbocconcellare la torta. Alain invece (ormai ci ho preso gusto a chiamarlo) non si lascia pregare e fa fuori anche il resto; io lo guardo e penso che quando sarà sui quarantacinque o quarantasei, tra una decina di anni, gli sarà venuta la panza, ma penso anche che andrà bene lo stesso...andrà bene lo stesso? Mentalmente mi tiro un sonoro schiaffo sulla guancia destra. Ma a chi, ma quando? Svegliati, Livia! La tua mente sta correndo verso zone che non vanno affatto bene, lo sai?
Mi costringo a scendere dalle nuvole dei miei pensieri (e sono tutti pensieri di case in campagna, bambini che scorrazzano tra i vigneti e padri con un accenno di pancia, chissà perchè!) e atterro sul tavolo della colazione giusto in tempo per sentire la mia nonna-Nonna Papera che disquisisce con il nostro ospite di semina, raccolta e vendemmia mentre versa un'abbondante dose di caffè nelle tazze di tutti. Con cannella e cioccolato, osservo, come piace a me. E anche a lui, vedo, che si versa un'altra tazza subito dopo aver terminato la prima alla velocità della luce.
- Ti staremo annoiando...- mi dice lui, e i suoi occhi nocciola, oddio oddio oddio, hanno quasi una sfumatura di scusa, e allora non so, forse è la cannella, o forse è il cioccolato che insieme al caffè dà una bella carica. Fatto sta che parto a razzo e gli dico che non mi annoio affatto, anzi mi piace molto ascoltarlo perchè fin da bambina mi divertivo tantissimo a stare nell'orto con la nonna, che era composto da tre file ciascuna di patate, rape, carote, carciofi e sedano-rapa, e gli racconto anche che mi ricordo benissimo che il nonno seminava la calendula tra le file di patate per eliminare i parassiti, e l'erba limoncina intorno alle carote per tenere lontani i maggiolini...
- Hai voglia di vedere il mio orto, domani? - mi chiede allora lui di colpo, - Magari ti va di darmi una mano....
Si interrompe bruscamente come se temesse di avermi fatto una proposta assurda, ma gli tolgo il dubbio accettando immediatamente.
- Niente vespe, stavolta- continua allora sorridendo, prima di affrontare la terza tazza di caffè – e sta' tranquilla: non ti farò svolgere lavori pesanti...
Anch'io mi verso un'altra tazza e per un attimo i nostri sguardi si incrociano sopra al boiler.
Improvvisamente mi viene voglia di essere ragazzina, quasi provocante.
- E perché no? -, gli chiedo in tono di sfida divertita.
Quando scende la sera incrocio le gambe davanti al pc e vado avanti sparata nella traduzione. Sei pagine di fila senza un attimo di sosta, senza ricorrere ai dizionari e in un italiano a dir poco da manuale.

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Capitolo 5
*** Timo, alloro e notte fonda ***



Per cinque giorni di fila io e il commissaire rastrelliamo, diserbiamo, sfoltiamo, scegliamo le nuove pianticelle per sistemarle nelle loro aiuole, estirpiamo le erbacce dai cespugli di ribes, disponiamo le piante di patate nelle loro file, raccogliamo le fragole e i lamponi dalle loro culle verdi e ci arrampichiamo per staccare le pesche e le albicocche dagli alberi, cosa che a lui piace in particolar modo: “non c'è niente di meglio che raccogliere la frutta del tuo giardino”, puntualizza sempre, con i denti che morsicano la cicca di una delle sue Gauloises.
La frutta è così abbondante che potrebbe venderla se solo lo volesse, ma non ne è assolutamente interessato e preferisce regalarla agli amici, soprattutto alla nonna che in cambio lo riempe di vasetti di marmellata.
E' l'uva, più di tutto, che necessita di attenzione. In questa fase ha bisogno di luce solare, specialmente l'uva della vendemmia tardiva, quella destinata ai vini nobili che deve asciugare come zibibbo. La nebbia che si alza ogni mattina verso ottobre e novembre le conferisce la sua dolcezza e il suo gusto.
Mentre mi spiega tutte queste cose, Alain si lascia cadere sul terreno con i gomiti sulle ginocchia. La vigna è piccola, dice, produce solo ottomila bottiglie all'anno, e io rido con una punta di stupore perché a me sembrano comunque tante.
Per pranzo mangiamo pane alle noci con foie gras e formaggio, con le spalle appoggiate al pozzo; poi cii spostiamo nell'orto della nonna dove ricominciamo a dissotterrare le patate, picchettare i porri e curare le indivie, e ogni tanto ci ripuliamo a vicenda gli schizzi di terra e fango dalla faccia.
La nonna è improvvisamente pressata da una vasta gamma di impegni mondani, l'allestimento della fiera di beneficenza, il pomeriggio di scala quaranta e sembra fare di tutto per non trascorrere nenache un pomeriggio in casa; in compenso torna in tempo per preparare delle ricette fantastiche, per niente infastidita di avere il commissaire a cena tutte le sere.
Questa sera ha superato sé stessa preparando il pollo ai peperoni, ma, cosa più unica che rara, ha chiesto gentilmente il nostro aiuto, che noi ovviamente non ci siamo sentiti di rifiutarle. E così, mentre lei spezzettava il pollo e lo faceva dorare nell'olio, il commissaire è stato spedito a tagliare i peperoni rossi a cubetti, mentre a me è stato affibbiato l'ingrato compito di tritare la cipolla.
Ovviamente gli occhi mi si sono gonfiati come quelli di un rospo e ho pianto tutte le mie lacrime mentre maledicevo la simpatica nonnina che ancora una volta non aveva perso l'occasione per mettermi in ridicolo. Ma quando Alain si è avvicinato silenziosamente per asciugarmi una guancia con il tovagliolo, be', ho capito di avere la nonna migliore del mondo: cara Cappuccetto Rosso, mi dispiace per te...
Terminato di affettare e di piangere, ho messo la cipolla e i peperoni nella casseruola del pollo, e la nonna vi ha versato un bel bicchiere di vino rosso assieme a sale e pepe. Si è poi diretta allo stipo delle meraviglie e ha preso un barattolo di timo.
- La tradizione -, ha detto rivolta ad Alain, con il migliore dei suoi sorrisi ruffiani, - vuole che sia l'ospite a stabilire la manciata di timo necessaria a insaporire il piatto..quindi tocca a te...
Lui ha riso e ha annuito diverse volte come uno scolaro diligente prima di infilare la mano nel barattolo, e io l'ho guardato di sottecchi mentre ero intenta a tagliare i pomodori a cubetti e ad aggiungerli al pollo assieme a una bella dose di olive nere.
- Bene-, ha detto la nonna alzando la fiamma sotto la casseruola, rivolgendoci un'occhiata che al tempo stesso era ingenua e maliziosa, – Adesso dobbiamo solo sperare che accada qualcosa di buono...
Dopo cena ci alziamo a fatica, strapieni, e ci trasciniamo fino alla veranda per goderci l'aria che finalmente si è fatta più fresca.
Non perché appartiene a mia nonna, ma questo giardino ha davvero la migliore collezione di erbe del paese: la lavanda è profumatissima, e poi ci sono il timo, la menta, l'erba limoncina e grandi ciuffi di basilico. E, senza falsa modestia, è ancora più bello da quando ci lavoriamo anche noi: ha il gusto soffice delle cose fatte con amore...Sciaf! Altro schiaffo mentale alla mia guancia destra. Dove vuoi arrivare con questi pensieri, eh, Livia? Finiscila subito, non ci provare nemmeno!!!
Mi sistemo il pc sulle ginocchia, come faccio già da cinque sere consecutive. La traduzione sta andando a gonfie vele, Debras mi ha oramai catturato e batto velocemente con le dita che vibrano colpi decisi sulla tastiera, le parole ruzzolano quasi troppo rapidamente perché io tenga il ritmo. Faccio una pausa di tanto in tanto, consapevole della presenza del commissaire di fianco a me, anche se lui non dice niente mentre io lavoro e si limita a starsene semisdraiato sulla poltrona di legno con le gambe appoggiate contro il muro. Questa sera mi sembra particolarmente pensieroso mentre fissa il giardino con occhi pigri e al tempo stesso vivaci.
- Stanco? -, gli chiedo. Intanto ho abbassato la finestra di Debras e ho aperto quella di un raccontino che sto scrivendo, che manco a dirlo si svolge in Provenza e ha per protagonista una ragazza che trascorre le vacanze estive da sua nonna; non ho ancora deciso il titolo e per adesso l'ho chiamato “Racconto provenzale”, poi si vedrà. A un certo punto della storia fa la sua apparizione anche un bel tipo con gli occhi nocciola...
- Mmh-mmh -, annuisce lui mentre tira fuori il pacchetto di Gauloises, - E sull'orlo di un'indigestione. Facciamo quattro passi, o hai da fare?
Per tutta risposta io spengo il pc e mi alzo in piedi.
La notte adesso è fresca e calma, e mentre usciamo dal giardino della nonna mi accorgo con un certo stupore di quanto sia davvero buio. L'ultimo lampione è piazzato appena fuori del cancello della nonna, e il resto della strada è sprofondato in un'ombra così fitta da rasentare la cecità.
Dopo qualche metro, però, gli occhi ci si abituano alla notte e troviamo con facilità la strada verso i campi, il cui limite è segnato da un viale di alberi che si stagliano neri contro il cielo viola.
Sento rumori tutt'intorno a me, creature notturne, un gufo lontano, e soprattutto il fruscìo del fogliamo che si agita leggero con la brezza notturna. Istintivamente incrocio le braccia sul petto e mi stringo nelle spalle, ed è allora che lui mi appoggia una mano al centro della schiena, tanto delicatamente che quasi mi sfiora invece di toccarmi.
- Diverso dalla città, no? -, mi dice piano, e neanche mi sembra quello che sono abituata a veder sudare in mezzo alle erbacce.
- Già -, annuisco io, - Un bel cambiamento...come hai fatto?
- Ci si abitua -, risponde lui sorridendo.
Continuiamo a seguire la strada per qualche metro, con la sua mano che sfiora la mia schiena, senza dire niente. Alla fine prendo coraggio, in fondo è tanto che ci penso e stasera mi sembra la serata giusta per chiederglielo.
- Senti, Alain... - comincio, un po' titubante.
- Mmhh? -, fa lui. Intanto ha acceso una sigaretta e io penso che è la terza stasera, gliele ho contate.
- Mi dici com'è questa storia....insomma, perché saresti in pensione?
Non ottengo nessuna risposta per un tempo sufficiente a farmi pentire di averglielo chiesto. La solita impicciona, mi dico, ma cosa te ne frega, eh? In modo raffazzonato cerco di concedermi una via d'uscita onorevole.
- Se ti va di dirmelo, s'intende..-, aggiungo, con espressione imbarazzata.
Lui si ferma e sorride, e improvvisamente mi guarda. Mi guarda dritto dritto negli occhi, non mi dà un'occhiata d'insieme, si concentra esclusivamente sul mio sguardo e di nuovo mi sento dire a me stessa oddio, oddio Livia, oddio, ma dove ti perdi...
- E' una storia lunga – mi spiega, con quel sorriso da schiaffi che prima o poi, lo sento, prima o poi me ne farà scappare uno solo per il gusto di sentire la sua guancia contro la mia mano. - Sei sicura di volerla ascoltare?
- Sì..sì, sì..sì- rispondo prontamente, avvampando mentre mi accorgo che in questa risposta ci sono un po' troppi “sì”.
Lui scuote la testa prima di gettare la cicca assicurandosi che sia spenta.
- Non questa sera -, risponde, - Magari un'altra volta, magari domani...
- Magari -, gli faccio eco io.
-Domani ti invito a cena, che ne pensi?
Sono le due del mattino quando mi lascia sulla porta di casa e ci salutiamo con un bacio sulla guancia come due vecchi amici. Ovviamente non riesco a dormire, e ovviamente non è il caso di prendere in mano Debras. Ho un peso sullo stomaco, ma a pensarci bene non è proprio un peso. E' come se avessi un'intera famiglia di farfalle, papà mamma e tanti bambini, che si divertono a svolazzarmi qui, proprio sotto il petto....deve essere stato il pollo, i peperoni sono pesanti di sera. Decido di ricorrere allo stipo magico e ne estraggo due foglie di alloro che faccio bollire finché l'acqua non assume il colore della pianta, poi ci aggiungo mezzo limone e due cucchiaini di zucchero e bevo questa pozione trasparente e verdastra che ha lo stesso profumo della notte: acuto, terrestre e nostalgico. Come un giorno d'estate a tagliare erbacce e cogliere ribes. Come una passeggiata notturna in compagnia del buio e del fruscìo degli alberi, con una mano che ti sfiora leggera la schiena...

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Capitolo 6
*** Un gran pezzo di filetto ***



- Ma allora cosa ti metti?
I suoi occhi sono ancora più luccicanti con il sole che le si riflette nelle lenti.
- Ma bastaaaa!!! -, esclamo io spazientita. Accidenti a me e a quando mi sono sentita in vena di confidenze, dovrei aver imparato a conoscerla oramai...
sia andata a letto alle due e mezza passate, mi sono svegliata prestissimo con una fame da lupi e una gran voglia di caffé. La nonna era già in cucina, seduta davanti alla sua tazza fumante ad ascoltare le notizie alla radio. E' un' abitudine che si porta dietro da quando lei e il nonno erano giovani e si alzavano presto perchè lui doveva andare a lavorare nei campi: si sedevano insieme a bere il caffè e ad ascoltare le notizie, e quello era il loro modo per iniziare la giornata insieme, il loro momento di tranquillità prima di venire assorbiti dalle occupazioni della giornata. Anche io me li ricordo così, seduti uno di fronte all'altra al grande tavolo di cucina, con il fumo delle tazze che saliva tra loro: crescendo quell'immagine mi si è cristallizzata nel cuore e nella mente come l'essenza stessa della stabilità, della vita a due.
Al mio ingresso in cucina la nonna ha alzato gli occhi e ho subito notato che aveva le lenti un po' appannate, anche questo un tratto che nella mia personale mitopoiesi affettiva di lei la caratterizza da sempre.
- Le farfalle non ti fanno dormire? -, mi ha chiesto con un sorrisetto malizioso.
In effetti la scorsa notte c'è stato un gran movimento dalle parti del mio stomaco, e non si trattava di farfalle ma di falene, falene di tutti i tipi. Piccole falene che si affacciavano di soppiatto, grandi falene spavalde che si muovevano in gruppi, falene mamme con ali accoglienti come braccia che tenevano falene cucciole con il ciuccio in bocca...
- Be', i peperoni sono pesantucci di sera – ho sorriso, letteralmente gettandomi sulla ciambella al cioccolato.
- Hai un bell'appetito per essere una che ha avuto problemi di digestione -, ha osservato la nonna con sguardo birichino, - O è stata la passeggiata notturna a farteli passare?
- Può darsi -, ho risposto io, rimanendo sul vago, - Ad ogni modo per questa sera cambio ristorante: ho avuto un invito a cena...
Maledetta me e quando gliel'ho detto! Non parla d'altro da allora, tanto che alla fine, esasperata, l'ho caricata sulla mia Michelina e l'ho portata fino a Brignoles a vedere il mercato. La Michelina, al secolo Twingo, si chiama così perché quando l'ho comprata, rigorosamente di seconda mano, aveva un adesivo dell'omino Michelin sullo specchietto del cruscotto e l'ho preso come un segno del destino. Ha un improbabile colore rosso di quelli che non si vedono più tanto in giro, e per questo la mia amica Cecilia mi ha regalato una scritta adesiva che ho subito esibito accanto al suddetto omino: “Da grande diventerò una Ferrari”.
Adesso la cara vecchietta è in contemplazione davanti alla vetrina di un negozio tutto viola che, oltre a centinaia di gadgets tutti rigorosamente alla lavanda – saponi, profumi, creme da bagno – offre anche un notevole assortimento di abitini provenzali, tutti tanto fioriti da sembrare una distesa di prati in primavera.
- Quello, Livià! -, esclama eccitata come una bambina davanti a un'esposizione di giocattoli, mentre con l'indice punta verso un vestitino azzurro costellato di minuscoli fiorellini bianchi, - Guarda come ti starebbe quello!
Come risposta mi limito a grugnire, cercando con lo sguardo un internet point.
- Ti riprende il colore degli occhi...E che dire di quello, Livià? -, continua lei in estasi, - Guarda, guarda il modello....
Io la prendo per un braccio e la trascino per qualche metro, come se fossi la mamma di un bambino che fa i capricci.
- Insomma! -sbotto, - Sembra che tu debba comprarmi l'abito da sposa! Piuttosto muoviamoci, che devo spedire il lavoro a Giampaolo....e per chiarirsi una volta per tutte, i fiorellini mi intristiscono, per non parlare di quello stile impero o come cavolo si chiama: una sembra sempre incinta...
La nonna ride di gusto, poi mi guarda con gli occhi che sono due fessurine sopra alle guance.
- Be', confesso che non mi dispiacerebbe affatto avere tanti nipotini con gli occhi color...
- Sì, certo! -, la interrompo io secca, prima che possa avere il tempo di dire il colore, - E magari il padre con la pancetta, eh?!
- Mon Dieu, no, che orrore! - esclama lei, con un'espressione che rasenta lo schifo, - Quello non te lo auguro davvero. Nonno Armand ha sempre avuto un fisico longilineo e...
- Nonno Armand non mangiava quanto mangia lui -, osservo io.
- Ma di chi stai parlando, bébé?
La voce della nonna è tutta un programma.
- Di nessuno, di nessuno –, taglio corto io, - Era così per dire....gli uomini di oggi mangiano di più e fanno meno movimento, e allora mettono su la pancetta...
- Ah, mi pareva... -, commenta lei con la voce che stuzzica, - Piuttosto, Livià, dopo pranzo dovresti dormire un po': hai due calamari neri sotto gli occhi che fanno spavento...e poi, mica vorrai crollare sul divano del commissaire, eh?!
Molto simpatico davvero, penso. Comunque la nonna ha ragione: crollo dal sonno per via della nottata quasi bianca, e mi riesce difficile persino la guida della Michelina sulla strada del ritorno. In più, la nonnina non la smette un momento di parlare e questo mi impedisce ulteriormente la concentrazione. Per sfuggire alla sua logorrea, appena arrivate decido di arraffare due pesche e di rifugiarmi in camera con il pretesto di dover assolutamente terminare un capitolo da spedire a Giampaolo, e trascorro quasi tutto il pomeriggio davanti al pc senza scrivere neanche una parola. Ogni mezz'ora mi alzo per prendere il cellulare, decisa a comporre il numero del commissaire per sfissare l'appuntamento, ma alla fine, dopo mille ripensamenti, mi ritrovo davanti alla sua porta all'ora stabilita, con addosso i miei jeans migliori, gli unici non comprati a saldo, e una maglietta bianca di Zara.
In mano ho un cestino di vimini con cinque vasetti di marmellata che la nonna ha insistito per affibbiarmi e che mi fa sentire una vera e propria deficiente: davvero non mi manca che la mantellina rossa...
Prima di suonare decido di dare un'occhiata in giro per esplorare la tana, cioè la casa, del commissaire senza di lui. Accanto alla porta, sotto la tettoia, c'è una poltrona di legno piuttosto male in arnese con i cuscini polverosi e alquanto sfilacciati, e ai piedi di questa fa bella mostra di sé una grossa tazza da caffellatte piena zeppa di cicche e cenere. Se questa fosse casa mia, mi ritrovo a pensare, sai che volo che farebbe tutta questa roba...decido di suonare per evitare di dovermi dare un altro schiaffo mentale alla guancia destra.
Da quando sono piccola sento mia madre dire che gli uomini hanno bisogno di un angolo dove farsi la propria cuccia, un luogo della casa un po' sporco e disordinato che possano sentire soltanto loro...be', questa poltrona mi sembra la riprova perfetta. Dietro c'è anche una massiccia collezione di quotidiani impilati uno sull'altro, e sono sicura che se andassi a leggere le date ne troverei alcuni risalenti a De Gaulle se non addirittura alla presa della Bastiglia, tanto sono vecchi e polverosi. E, naturalmente, a completare il delizioso quadretto domestico non mancano due lattine e tre bottiglie vuote, nonché un bicchiere appiccicoso.
Meraviglioso, penso, e abbandono il ridicolo cestino sulla sedia per piegarmi in avanti e contare le cicche. In quel preciso istante la porta si apre e il commissaire può usufruire della vista del mio sedere. Balzo in piedi come un soldato sull'attenti.
- Ciao... -, balbetto, - Io stavo....
- Ciao, Livia -, mi saluta, e noto che si sta sforzando di trattenere una risata, - Entri?
Si fa da parte per lasciarmi passare e mi accorgo che ha la camicia abbottonata solo per metà.
- Scusami se ti ho fatto aspettare, ma ero appena uscito dalla doccia e ci ho messo un bel po' a trovare una camicia, oramai mi sono abituato alle T-shirt....Comunque, è già pronto.
- Guarda che avresti potuto tranquillamente rimanere in maglietta -, gli dico in tono incoraggiante, indicando la mia. O anche senza, penso, a giudicare da quello che riesco a sbirciare dai bottoni non ancora allacciati.
Mi fa strada nella cucina apparecchiata con tovagliette all'americana.
Nessuna formalità, siamo d'accordo? - mi dice sorridendo.
- Nessuna formalità – gli ripeto io ridendo, e faccio per sedermi. Lui, però, mi anticipa di un passo e mi sposta la sedia.....Mi sposta la sedia???? Filippo entrava sempre nei locali prima di me, e poco ci mancava che non mi lasciasse sbattere in faccia le porte basculanti!!
-Vino? -, mi chiede con voce gentile, dopo essersi seduto di fronte a me. Io annuisco, ancora arrossata per il lieve imbarazzo che mi ha causato la sua accortezza di un attimo fa, e lui mi riempie il bicchiere con un gesto elegante. E io che lo avevo definito un bifolco, un buzzurro, uno zotico...!
- Chateau de Berne -, spiega, prima di avvicinare il suo bicchiere al mio, - Santé...
Il primo sorso mi arriva subito alla testa, ciononostante vuoto il bicchiere vedendo che lui fa lo stesso con molta disinvoltura, e immediatamente mi sento lo stomaco in subbuglio. Per forza, imbecille, mi dico: hai pranzato con due pesche, sarà bene che ti sbrighi a mangiare qualcosa!
- Il profumo è delizioso – osservo simulando una certa agilità, nel tentativo di accelerare i tempi. Lui però mi riempie nuovamente il bicchiere, e allora decido di prendere tempo prima di bere mentre lui attacca tranquillamente anche la sua seconda dose.
- Non è di questa vigna, vero? -, esordisco indicando la bottiglia. Cretina: mi ha appena spiegato di che vino si tratta.
- No -, ride lui scuotendo la testa con espressione desolata, e io per sfuggire all'imbarazzo vuoto il bicchiere. Fine del tentativo di conversazione, e forse anche della mia lucidità. Per fortuna lui si alza e mette in tavola un grande piatto di porcellana bianca, anche questo un po' rabberciato come la teiera che ho visto la prime volta che ci siamo incontrati.
- Filetto -, osservo.
- Filetto con le spezie–, mi corregge lui mentre mi serve una porzione piuttosto abbondante
E' piuttosto facile -, mi spiega ,- L'importante è lasciare il filetto per una notte intera con l'olio, l'aceto e una marea di spezie: la noce moscata, i grani di pepe, il timo, le foglie di alloro e persino la cipolla steccata con i chiodi di garofano....
Io lo ascolto senza interrompere, annuendo in silenzio e approfittando per mangiare e risistemarmi lo stomaco.
- Il giorno dopo lo passi sul fornello, ma deve rimanere al sangue – continua, - poi lo togli dal fuoco e aggiungi la panna al sugo di cottura, sali e fai addensare un po'...tutto qua.
- E' buonissimo – dico io, che intanto ho divorato l'intero piatto e mi sento decisamente meglio, - Dove hai imparato a cucinare?
Lui scoppia a ridere. - In realtà questa è l'unica cosa che so fare! -, esclama, e intanto allunga una mano per aprire il frigorifero dove fanno bella mostra di sé una serie massiccia di cibi preconfezionati, - Per il resto campo di schifezze, tranne quando mi invita a cena la mia vicina...
Ride di nuovo, guardandomi di sbieco, e io mi sento arrossire fino alla radice dei capelli.
- Be'...questo comunque è buono – abbozzo, indicando il piatto al centro della tavola.
Lui mi rivolge un'occhiata devastante e mi afferra la mano, stringendola con forza. Oddio, mi dico. Oddio, Livia.
- Già...- , mormora con la voce arrochita, - Un gran bel pezzo di filetto, vero, tesoro??
- Eeeeehhh?! - quasi grido io, improvvisamente pallida, poi viola, poi sudata, con la mia mano che si fa appiccicosa e al tempo stesso gelida dentro la morsa della sua.
Lui si versa un bicchiere di vino con la mano libera, e beve senza staccarmi gli occhi di dosso; sulla sua faccia si fa strada una reazione sospesa tra lo stupore e il riso, e lo vedo trattenere il fiato per qualche secondo, finché esplode in una risata e il vino gli esce di bocca in una specie di frenetica cascata che investe ogni cosa, piatti, bicchieri, tovagliette e la sottoscritta con la maglietta bianca di Zara.
- Oddio, mi dispiace... -, si scusa mentre ride, e ride ancora mentre si pulisce la faccia con il tovagliolo; poi si ferma un attimo a guardarmi, trattiene il fiato per un istante e finisce per scoppiare di nuovo a ridere fino a farsi venire le lacrime agli occhi.
E' che....- a malapena gli escono le parole da quanto ride - Insomma, l'avrai capito anche tu che questo è ciò che si sta immaginando la tua nonnina, no?!
Che stronzo. Non solo mi ha completamente inzuppata e puzzo di vino più di un vecchio barbone alcolizzato, ma ride a crepapelle e non accenna a smettere. E' così divertente avermi sputato addosso un quartino di Chateau de Berne?
- Davvero, non sono riuscito a trattenermi-, quasi singhiozza, mentre allunga la mano per asciugarmi la faccia con un angolo del suo tovagliolo e fa cadere tutte le posate e un bicchiere che si frantuma a terra senza che lui riesca a contenersi. E a questo punto scoppio a ridere anch'io, perchè ha una risata sana e contagiosa, e perché scopro che con lui rido volentieri, è liberatorio, è...appagante.
Rido così tanto che sento i polmoni che mi fanno male, rido come se fosse la prima volta in tutta la mia vita che lo faccio.
Ridiamo finché non ce la facciamo più, e allora piano piano ritorniamo presenti a noi stessi e ci calmiamo. Il commissaire estrae dalla tasca le Gauloises e fa per accedersene una, ma io lo fermo con una mano, forte della nuova complicità che si è creata tra noi.
- Dai ,- incalzo, - fuori è pieno di cenere....
Prima di rispondermi lui mi guarda per qualche istante con la sigaretta spenta a mezz'aria, e io comprendo che la conversazione potrebbe cambiare radicalmente di tono.
- Smetterò di sicuro -, mi dice, - ma mi ci vuole ancora un pochino...
Fa un'altra pausa, durante la quale si accende la sigaretta e io lo lascio fare.
- Mi sono beccato un proiettile in pancia, un paio di anni fa. Siamo stati colti di sorpresa e non eravamo preparati.
Lo dice d'un fiato, ma al tempo stesso con una naturalezza estrema, come se fosse una cosa che può accadere tutti i giorni come non rispettare una precedenza o essere tamponati.
- Quando mi sono svegliato, ho saputo che i miei due amici più cari erano rimasti uccisi: lei era il mio superiore, e lui...definirlo amico è troppo poco. Non ne ho voluto più sapere di Parigi e mi sono fatto trasferire: sono stato un anno a Marsiglia, ma ho fatto più danni della grandine...
Sorride, e intanto si porta l'indice e il medio alla fronte.
-La testa, sai....semplicemente arriva un momento in cui si rifiuta di fare certe cose. E così eccomi qua...chissà cosa ti eri immaginata, eh?!
Mi strizza l'occhio, e io mi chiedo come possa parlare di tutto questo e continuare a sorridere. Osservandolo bene, però, vedo che una piega amara all'angolo della bocca e intuisco che quella calma che ostenta è il risultato di un grosso lavoro interiore.
Ora va piuttosto bene -, continua, e quell' “ora” mi dice molte cose su un “prima” che deve essere stato tutt'altro che piuttosto bene, - Certo, fumo ancora un po' troppo, e non sempre mi riesce dormire...
Sorride ancora, come se stesse raccontando di essere uscito da una brutta influenza e di avere ancora il raffreddore.
- Il vantaggio è che in certi periodi dell'anno posso vedere la nebbia che si alza sui vigneti all'alba, e ti assicuro che è uno spettacolo...magari una mattina ti ci porto se riesci a buttarti giù dal letto, eh?
A questo punto avrei voglia di abbracciarlo, e di abbracciarlo forte. Ma mi viene in mente che potrebbe suonare troppo sdolcinato, o troppo scontato e quindi non del tutto sincero, e allora decido di fare un'altra cosa: mi sollevo un po' e lo bacio sulla fronte. Niente di erotico o provocante, solo un bacio amichevole, rassicurante, incoraggiante.
Lui rimane immobile per qualche istante...è una mia impressione o quel bacio se l'è gustato?
- Vieni, Cappuccetto Rosso -, mi sorride poi alzandosi in piedi e prendendomi per mano, - Ti riporto dalla nonna....
Ma prima di dirlo mi sfiora le labbra con le sue, e il sapore che sento, un misto di Chateau de Berne, noce moscata e un soffio di malinconia, mi piace: mi piace davvero.

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Capitolo 7
*** Dolceamaro ***



L'indomani mi sveglio di buon'ora e quando Alain passa a prendermi sono già pronta da diverso tempo. Con ieri sera le cosa tra noi sono cambiate: non stiamo insieme come si era augurata la nonna, ma siamo molto più che amici, e anche se sono tante le cose che vorrei dirgli penso che per il momento sia tutto perfetto così.
Decido quindi di godermi questo silenzio mentre lui guida – un po' troppo da poliziotto, devo dire! - lasciando che il mio ginocchio sinistro si sposti sempre più verso destra per essere più vicino alla sua mano quando cambia di marcia...E com'è che mi sembra che anche la sua mano faccia lo stesso spostamento verso il mio ginocchio tutte le volte che si appoggia sul cambio?
Mentre lui va a parcheggiare appena fuori dal paese faccio una rapida corsa all'internet point, con l'intenzione di non trascorrerci un minuto di più del tempo necessario a spedire il mio lavoro a Giampaolo. E' proprio una sua e-mail che vedo appena entro nella mia casella di posta elettronica:
“Livia, hai davvero superato ogni aspettativa! La traduzione è una bomba, anche meglio dell'originale...e devo dire che mi è piaciuto un bel po' anche quel tuo “Racconto Provenzale” che mi hai mandato...”
Cavolo! Gli ho spedito anche quello, accidenti alla mia testaccia!!!
“Niente di eccezionale, beninteso, ma vi si intuisce una grande potenzialità narrativa che mi ha lasciato piacevolmente stupito, e a questo punto direi proprio che sarebbe interessante parlarne con più calma. Tra due giorni esatti, alle dieci e mezzo nel mio ufficio: non so cosa tu stia combinando lassù, mia cara Livià, ma le tue ferie sono irrimediabilmente revocate. Non tentare di darti alla macchia com'è tuo costume: se non avrò una tua risposta tra due ore comincerò a bombardare di chiamate il numero di tua nonna: in fondo sei tu che me lo hai lasciato per le emergenze...A dopodomani! Giampaolo”

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Capitolo 8
*** Lacrime e ciliege ***



La nonna ha borbottato come una pentola a pressione per tutta la preparazione del clafoutis. Chi diavolo si crede di essere questo Giampaolò, ha cominciato mentre lavava le ciliege e le privava del gambo e del nocciolo, e come si permette di dirti che le tue vacanze sono finite, eh?, ha esclamato sbattendo letteralmente la pirofila dai bordi bassi che ha imburrato con un gesto rabbioso. E poi, ha continuato, cospargendola di zucchero che cadeva un po' a casaccio, non sono un diritto di tutti i lavoratori, le vacanze? La gente ha fatto la Rivoluzione per i propri diritti!
Vedi, nonna, il fatto è che io sono una di quelli che si definiscono lavoratori atipici, le ho spiegato mentre lei sbatteva con violenza le uova e lo zucchero in una terrina fino a trasformarli in un composto chiaro e spumoso. Ho un contratto che è un vero cappio al collo, non ho diritti, non mi pagano le ferie, e se questa può essere un'occasione per migliorare il mio trattamento, ben venga....
Quindici giorni, ha incalzato lei, aggiungendo al composto la vanillina e la farina setacciata, si trattava solo di quindici giorni e poi avrebbe avuto tutto il tempo di parlare con te al tuo ritorno...
No, nonna, l'ho interrotta io mentre lei, più che versare lentamente, decisamente gettava il brandy e il latte nella terrina e li rimestava sgraziata, Giampaolo partirà per la Sardegna tra quattro giorni e...e sapendo che un po' più di soldi ti fanno comodo, ha concluso lei distribuendo le ciliege nella pirofila e versandoci sopra il contenuto della terrina, si diverte a farti ballare come un topolino, tanto che gliene frega a lui? Andrà a godersi le sue vacanze in Sardegna, razza di sfruttatore egoista, capetto infame...
Sono seguiti altri quarantacinque minuti di sproloqui, fino a quando il clafoutis è uscito dal forno e ci siamo accorte, con orrore, che invece di avere il consueto aspetto soffice e ben dorato era rinsecchito e bruciacchiato agli angoli.
- Tutta colpa di quel Giampaolò che mi ha fatto arrabbiare! -, ha esclamato la nonna con aria avvilita, - Guarda che disastro, Livià....
E mentre rivolgeva uno sguardo desolato alla pirofila, ho visto che le sono spuntate due lacrimuccie negli occhietti tristi.
- Dai, nonna, - l'ho incoraggiata, - Non è la morte di nessuno se ti è venuto male il clafoutis...
- Sai cosa me ne frega del clafoutis! -, ha ribattuto lei mentre le due lacrimuccie le si srotolavano sulle guance seguite da molte altre più copiose. - Piango perché te ne vai, bébé!
Alain invece ha commentato tutto con un semplice “Ah”, e ha continuato a guidare concentrandosi sulla strada verso casa. Dopo qualche istante di assoluto silenzio da parte di entrambi mi ha passato le sigarette e l'accendino facendomi gentilmente cenno di accendergliene una, e mi sono scoperta a indugiare non poco con la sigaretta tra le labbra sapendo che sarebbe finita tra quelle di lui.
- In fondo è la vita, no? -, ha osservato dopo qualche tiro, evitando accuratamente di voltarsi verso di me, - Le cose iniziano e poi finiscono, è così che succede... …...
E' stata una cena strana, durante la quale abbiamo finto che fosse tutto come sempre e che non ci fossero le mie borse già pronte di sopra, e anche adesso che prendiamo la strada verso le terre coltivate come abbiamo fatto per tante sere mi sembra impossibile che domani dormirò in un altro luogo.
-Non abbiamo visto la nebbia all'alba -, mi dici d'un fiato, dopo che abbiamo percorso un bel pezzo di strada in silenzio.
- Già-, asserisco io, e non posso aggiungere altro. Piuttosto che le falene, stasera mi sento un rospo gonfio che mi pesa sul petto, o forse è una nuvola carica di pioggia.
- Magari fai un salto a dicembre, eh?-, mi dici, e di nuovo la tua mano si appoggia leggera al centro della mia schiena ricordandomi la prima volta che lo hai fatto, - Il Natale è bello da queste parti...
- Magari, sì -, ti faccio eco, e già mi faccio coccolare dall'idea di un abete vero carico di decorazioni nel soggiorno della nonna invece di quel triste alberello di plastica che ho comprato all'Ikea, ma poi mi dico che è meglio non indugiare su questo quadretto perché sarà impossibile e lo sappiamo tutti e due.
- Ci sediamo, vuoi?-, e mentre lo chiedi sei già per terra con i gomiti sulle ginocchia, e mentre mi siedo accanto a te immagino già che tirerai fuori le Gauloises. Invece mi freghi, e mi circondi le spalle con un braccio.
- Magari vengo a trovarti io -, spari, con una punta di timidezza nella voce.
- Magari -, ripeto ancora, e mi sembra proprio un dialogo tra due intronati con tutti questi “magari”.
- Guarda -, mi dici, e indichi la luna piena che si è aperta un varco tra le nubi della sera e rischiara le sagome degli alberi e delle vigne.
Rimaniamo assorti nella sua contemplazione per un bel po', con la mia testa lievemente reclinata all'indietro sul tuo braccio e il tuo braccio che la sostiene. A un tratto ti volti verso di me con un leggero sussulto, come se ti avesse colto un'intuizione geniale.
- Livia...?
Anch'io mi volto verso di te, e i tuoi occhi sembrano fendere l'oscurità.
- Si?
Il silenzio che segue si può quasi toccare tanto è denso e carico di significati; poi scuoti la testa più volte e sorridi con un sorriso sottile, come se volessi scacciare un'idea bizzarra.
- No...niente -, sussurri.
Lo so, lo so.
Sarebbe perfetto se ora tu mi baciassi, se io potessi stringere il mio corpo al tuo e poi chissà...ma tutto questo renderebbe ancora più difficile partire, domani. Non si può, commissaire, siamo due mondi separati: abbiamo avuto la luna, non chiediamo anche le stelle.
Di nuovo ti bacio sulla fronte e di nuovo è un bacio amichevole, rassicurante, d'incoraggiamento, e tu mi guardi e sorridi, e capisco che hai capito.
- A che ora parti domani? -, mi chiedi mentre mi tieni per mano sulla via del ritorno.
- Presto, le sei e mezzo o le sette – ti rispondo, e forse solo ora mi accorgo davvero che domani me ne vado.
- Allora passo un po' prima -, annuisci, - a dare un'occhiata al motore della Michelina, per sicurezza....tanto mi sa che stanotte non dormo.
Ma dove lo trovo un altro così?, mi domando mentre ti guardo allontanarti sul vialetto. Mi stringo nelle spalle e entro in casa, con la nube nel petto che è molto, molto carica di pioggia.

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Capitolo 9
*** Crackers ***



Voglio andar via
i sogni cercano dove ma via (1)




Quando sparo Claudio a tutto volume in autoradio vuol dire che ho passato la misura.
E' venerdì e la Firenze-Pisa-Livorno è intasata dal traffico dei villeggianti in partenza, e io sembro essere l'unica cretina che sta ancora lavorando.
Che settimana d'inferno che è stata, questa mia prima settimana di rientro a Firenze.
Giampaolo è partito per la sua amata Sardegna dopo avermi fatto una proposta talmente irresistibile che ci ho sputato sopra. Il mio racconto gli è piaciuto, si vede che ho stile e vorrebbe davvero darlo alle stampe assieme a qualche altro che potrei scrivere in modo da costruire una piccola raccolta. Ovviamente sarei pagata solo ed esclusivamente in base alle vendite, e ovviamente ci sarebbe da apportare qualche piccola modifica funzionale.
- Per esempio, Livia, chi è questo grezzo che prima fa il commissario e poi fa il contadino? Suvvia, non si è mai visto: cerchiamo di dargli un'identità più credibile...
- Scusa se mi permetto, Giampi -, l'ho interrotto io. Il “Giampi” ce lo fa usare a tutti perchè “siamo una squadra di amici”, certo certo, - Il fatto è che io non avevo nessuna intenzione di mandarti quel racconto, l'avevo scritto per me. Riguardo al commissario, esiste davvero ed è un mio amico, e anche se non leggerebbe mai il racconto perché non parla italiano, non mi piace affatto l'idea di sputtanarlo così....
Ovvio che Giampi iniziasse una subitanea rappresaglia. Mi fa le pulci sulla traduzione, che dalla bomba che era si è improvvisamente trasformata in una vera schifezza, e visto che oramai sono rientrata ha visto bene di affibbiarmi tutto l'orario di quel lecchino di Gabriele che ha potuto andarsene in Versilia con la sua famiglia, cosa vuoi, in fondo lui ha i figli...
In questo primo girone infernale fiorentino, inoltre, ho anche rivisto Filippo, tanto per non farmi mancare nulla. Mi ha lasciato diecimila messaggi in segreteria pregandomi di contattarlo appena fossi tornata, e una sera siamo andati in pizzeria in Santo Spirito.
Si è fatto crescere un'ombra di barba che lo rende più interessante, anche se non ha perso l'abitudine di schiacciarmi la faccia contro le porte basculanti. Ha sfoderato tutto il repertorio di uno che vorrebbe tornare sui suoi passi, ho pensato tanto a noi, mi sei mancata, questa città è piena di ricordi...e mi sono sentita rispondergli con le stesse parole che lui ha usato con me non molto tempo fa: “ho bisogno di staccare un po'”. Incredibile come le situazioni si possano ribaltare in un batter d'ali.
Mi accascio sul volante, guardando la fila interminabile di macchine con aria desolata. Di questo passo arriverò a casa alle dieci, e in più ho anche una fame da lupi.
Frugo nello sportellino del cruscotto, approfittando del fatto che siamo completamente fermi: sono certa di averci messo un pacchetto di crackers prima di partire per la Provenza, e...la fila si rimette in movimento e allora appoggio una mano sul volante mentre con l'altra continuo le ricerche. Li ho forse mangiati in autostrada? No, mi sono fermata a un autogrill, me lo ricordo bene...ah, eccoli, finalmente! Apro la confezione con i denti e stacco un primo grosso morso....e quello che diavolo è?, mi chiedo mentre l'occhio mi cade sull'astuccio di un CD che non mi pare di aver visto prima di ora.
Lo tiro fuori e vedo che non ha copertina, ma solo una scritta sulla superficie del disco, in pennarello inedelebile:
“Buon viaggio, LiviÁ!”
Mi viene un tuffo al cuore e riesco solo per un pelo a evitare di tamponare la Kangoo davanti a me, con i freni della Michelina che stridono per il dolore.
La calligrafia la conosco eccome, dal momento che è la stessa che mi ha appuntato il proprio numero di telefono sulla pagina di un blocchetto in casa della nonna....
mano mi trema non poco mentre inserisco il CD nel lettore, e non me ne importa niente di essere intrappolata in questa fila di macchine che si è di nuovo bloccata e che sembra non dover ripartire mai.




(1) “Via”, Claudio Baglioni

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Capitolo 10
*** Caffè italiano ***



Il CD è completamente vuoto, tranne per la registrazione del refrain di una canzone:



Quanta nebbia ho veduto salire leggera
(Non mi scordare nella nebbia dell'oblìo)

Quanti volti ho segnato sui vetri di sera
(Non ti dimenticare mai di come sono fatta io)

Quanta cenere, quanti perché
(Come sono io)

Quanta vita ho trovato dov'è
(Come sono io)

Quanta notte mi manca
e mi manchi stanotte
così come sei tu (1)




Per prima cosa sono le lacrime a tracimarmi dagli occhi fino a inondare tutto il viso; poi arrivano i singhiozzi, che sono liberatori e al tempo stesso arrabbiati.
-Maledizione! -, impreco, prendendo a manate il volante della Michelina, - Maledizione, maledizione, brutto stronzo di un francese, perchè non me lo hai detto, perchè mi hai lasciata partire, maledizione, maledizione...
Ho bisogno di aria, questo caldo mi soffoca. Spalanco la portiera e mi precipito fuori a scaricare tutta la mia rabbia con una raffica di calci sul cofano della Michelina, sotto gli sguardi attoniti degli altri automobilisti in coda.
- Che, ti dà noia il caldo? -, mi grida un raffinatone dall'altra corsia.
Io non gli rispondo nemmeno, impegnata come sono a picchiare la mia futura Ferrari.
- Accidenti a te, Alain, accidenti, accidenti, accidenti, accidenti....
- Si sente bene, signorina? -, mi chiede premurosa una coppia di anziani che è uscita a sua volta dal forno della loro macchina.
- Sì, sì...-, rispondo io alzando le mani in segno di resa per tranquillizzarli, - Io..devo solo tornare a casa...

- Possiamo accompagnarla, vuole? - ,chiede gentilmente la moglie, - Dove abita?
- Io..vicino a Brignoles...cioè, no...
….


Sono le dieci e mezzo di sera quando entro finalmente in casa, e subito mi precipito sul telefono.
- Rispondi...rispondi, rispondi, dai, rispondi... - imploro al portatile, ma dall'altra parte non mi arriva nessuna risposta. Mi sdraio sul letto e decido di provare con il numero del cellulare, ma mi risponde una cortesissima signora francese che mi dice che il numero che sto chiamando non è raggiungibile.
- Cazzo! -, esclamo, e solo per un attimo riesco a resistere all'istinto di scaraventare a terra il telefono, - Dove cazzo sei?
All'improvviso mi si accende una lampadina. La nonna!
Compongo il numero in fretta e lo sbaglio tre volte, rassegnandomi a un minuto e mezzo di conversazioni con le famigliole d'Oltralpe per spiegare che ho composto il numero errato. Alla fine mi risponde la nonna e la sua voce suona piuttosto allarmata.
- Livià, bébé, è successo qualcosa?
- No...sì -, le rispondo io raffazzonata, - Il tuo vicino....il mio amico...Alain....il commissaire....
- Sìììì...? - La nonna resta comprensibilmente in attesa di maggiori informazioni.
- Dove...dov'è? - , chiedo, con una certa apprensione nella voce.
Dall'altra parte delle Alpi la nonna mi risponde con una risata delle sue.
-Ma cosa vuoi che ne sappia, io? Chiama lui, no?
- Già fatto, nonna! -, esclamo spazientita, - L'ho già chiamato e non lo trovo...
-Cosa vuoi che ti dica, Livià? Non ne so nulla...
Nel silenzio che segue intuisco che gli ingranaggi di precisione della nonna si sono messi al lavoro.
- Aspetta, Livià! -, esclama infatti le poco dopo, - Ora che ci penso non lo vedo da ieri, e quando sono passata davanti a casa sua, questo pomeriggio, ho notato che tutte le finestre erano serrate. Credo che sia partito....
- Partito? -, ripeto io, - E...e quando torna?
Non lo so!-, ribatte la nonna, e in sottofondo mi sembra di sentire la sua lieve risatina, - Non so neanche se si partito o no, è solo una mia supposizione, ma che ti prende questa sera, Livià?!
Ma che diavolo ha da sghignazzare la vecchiaccia? Certo che questa storia deve averle proprio ravvivato l'estate!
- D'accordo, d'accordo -, taglio corto, innervosita, -Adesso ho da fare, devo andare, nonna...
Riaggancio sul suo “buonanotte, Livià, fa' sogni d'oro” che mi sembra una vera presa di giro per non dire di peggio, e corro a prendere le mie borse che comincio freneticamente a riempire di roba.
Tornerà, mi dico. Non potrà stare via per sempre, è casa sua. Prima o poi tornerà e allora mi troverà lì.
Domani saluto Giampaolo dal cellulare, e anche quel ladro del mio padrone di casa, chissà come sarà contento che gli ho già anticipato tre mesi d'affitto. Non c'è niente che mi appartiene qui, tranne il pc e la Michelina, ma loro vengono con me.
In quattro ore ho raccolto tutto quello che è mio in sei borse e due grosse valigie, e mi siedo sfinita sul pavimento a osservare le prime luci del giorno che penetrano dagli scuri. Improvvisamente mi sento svuotata di ogni energia, come se avessi fatto una corsa assolutamente senza senso. Ma che stai facendo, Livià?, mi domando imitando l'accento della nonna mentre scuoto la testa, con il mento appoggiato alle ginocchia.
Mi alzo alla ricerca della moka e di un pacchetto di caffè che avevo seppellito in una borsa.
Che matta che sei, mi dico accendendo il gas. Che matta, Livià, saresti stata già pronta a partire per la Luna. Ora torna sulla Terra, però, va bene?
Appoggio la moka sul tavolo, stando ben attenta a metterci sotto un tovagliolo di carta affinché non bruci il legno, e mi verso un po' di caffé in una tazzina recuperata anche lei da una valigia.
Mi siedo al tavolo guardandomi intorno e pensando che mi ci vorrà l'intera giornata per rimettere tutto a posto. Sbuffo esasperata da questa mia ennesima alzata d'ingegno, e poi crollo sul tavolo con la testa tra le braccia. Chiudo gli occhi e mi lascio scivolare lentamente verso un piccolo sonno ristoratore, ma vengo scossa quasi subito dal suono improvviso del campanello.
Vado alla porta ciabattando, sicura di trovarmi davanti il postino con nuove bollette da pagare. Bene, un portatore di simili notizie si merita la mia apparizione in tuta blu a pecore grigie....E rimango di sasso.
Il commissaire.
Alain.
Con l'inseparabile sigaretta e quel suo sorriso che mi contagia anche da lontano.
- Ciao -, mi dice.
- Ciao... - abbozzo io.
- Non hai un granché di aspetto -, commenta sorridendo mentre mi squadra da capo a piedi.
- Ecco, io stavo...impacchettando le mie cose.
- Mh-mh -, annuisce lui, - Immagino che avrai bisogno di qualcuno che ti aiuti a portarle in Provenza, allora, no?...
Si interrompe perché si accorge che gli occhi mi sono diventati lucidi lucidi, ma finge di non averlo notato e continua guardandomi in tralice:
- Ma non mi fai entrare? Quel maledetto treno ha avuto tre ore di ritardo e avrei tanta voglia di un caffé...(2)
Fa un passo avanti ma io gli sbarro intenzionalmente la strada con un sorriso malizioso.
- Capito...-, mi sorride lui a sua volta e mi prende tra le braccia: - Meglio, ora?
Mi porta fino alla cucina, dove si siede depositandomi sulle sue ginocchia. Io gli verso il caffé nella mia tazzina, che è anche l'unica che sono riuscita a rintracciare.
- Non trovo lo zucchero -, gli spiego in tono di scusa, e lui si stringe nelle spalle.
- Come hai fatto...- comincio, mentre lui beve lentamente e osserva che è proprio vero quello che dico, la loro è una vera ciofega rispetto a questo caffé, - Voglio dire: la canzone....Claudio...
Lui scoppia a ridere. La mia fantastica nonna! Ecco perché sghignazzava, al telefono...la mia adorabile strega!
Ridiamo tutti e due di gusto, e ancora una volta mi rendo conto di quanto mi piaccia ridere con lui. Un altro pensiero mi balena poi nella mente, e glielo dico mentre mi sistemo meglio sulle sue ginocchia e prendo atto di starci proprio bene:
- Ma perché non me lo hai detto prima che io partissi, eh?
Gli infilo le mani tra i capelli e penso che ho avuto una grandissima voglia di farlo in questi ultimi giorni. Lui mi guarda per qualche istante facendosi improvvisamente serio, come se stesse cercando le parole adeguate, poi mi spiega:
- Dovevi capire ciò che volevi veramente, Livia, e potevo anche non essere io. E così ti ho nascosto il CD nel cruscotto (Sì!, penso, ora mi ricordo: Passo un po' prima a dare un'occhiata al motore della Michelina, per sicurezza....diavolo di un francese!) e ho corso il rischio: male che andasse, avresti avuto un ricordo di me... Si interrompe un attimo e mi guarda con aria colpevole, stringendo le spalle...
- Poi, però, non ho resistito, e...
Lo zittisco con un bacio, il primo vero bacio che ci scambiamo. E sarà un caso, ma le campane di Santo Spirito si mettono a suonare.
Un'ora e mezza dopo siamo già sull'A1 in direzione Bologna, e la Michelina sembra piuttosto soddisfatta di essere toccata dalle mani del commissaire, e come darle torto?
Gli schiocco un bacio sonoro sul collo e lui mi accarezza dolcemente una coscia senza distogliere lo sguardo dalla strada, poi con un gesto rapido mi passa le sigarette e l'accendino. Faccio per accendergliene una, ma lui mi strizza l'occhio e mi fa cenno di gettarle dal finestrino.
- Stai scherzando! - esclamo.
- No -, mi fa lui serio.
Opto per una soluzione decisamente più sicura per gli altri automobilisti e seppellisco tutto sul fondo del mio zaino, ed è in quel momento che la suoneria del mio cellulare si mette a cantare “E tu”: la nonna.
- Guidate piano, bambini....



Forse sei l'amore...(3)


FINE



(1)“Come sei tu”, Claudio Baglioni con Dolcenera
(2) E' un dato di fatto: il treno che arriva la mattina presto a Firenze SMN da Parigi soffre di ritardi mostruosi!!
(3)“E tu”, Claudio Baglioni



GRAZIE A.....
Tetide, per la sua presenza costante con o senza fan fictions, il che poi è la cosa che conta
Loretta, per avermi battuto sul tempo nel ricercarci
Kikkisan, per la sua simpatia e il suo entusiasmo frizzante
Patrizia, per aver recensito anche fuori da questo sito e per la corrispondenza serrata che alleggerisce molto le mie giornate...a lei in particolare sono dedicati tutti i riferimenti musicali di questa storia, chissà perchè...!!!


Livia

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