The Fallen Galaxy

di Aerius
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il Risveglio ***
Capitolo 3: *** Galbadia alla Guerra ***
Capitolo 4: *** Niente G.F. ***
Capitolo 5: *** Identità Rivelate ***
Capitolo 6: *** Dannati Esthariani ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

 

 

Prologo

Ogni volta che percorreva i corridoi dell’aeronave, diretto sempre alla stessa inevitabile meta, veniva preso sempre dalla stessa sensazione: disgusto, per sé stesso e per quello che era stato.

I suoi passi risuonavano amplificati in quei corridoi vuoti. Non c’era anima viva, apparentemente, ma in realtà vi erano in prossimità delle colonne metalliche alcune piccole nicchie in cui erano stati strategicamente posti alcuni Wardroid di ultima generazione. Per lui erano e sarebbero sempre stati delle insulse scatole di ferro, paragonabili a lavatrici.

Nella sua terra d’origine, era il guerriero più grande, imbattibile e imbattuto, un dio per quelle genti che lui poteva a ragione guardare dall’alto in basso. Aveva imbastito una guerra, e stava per decretare la fine di quel mondo patetico seguendo le direttive della Madre. Ma poi era arrivata la Regina, e tutto fu vano.

Aveva progettato ogni cosa con cura, aveva previsto ogni mossa dei suoi avversari, ogni minimo cambiamento! Ma quello come avrebbe potuto prevederlo..?

Percepì il disappunto della Madre, prima che la Regina la riducesse ad un cumulo di cenere. Un disappunto che lo maledì e torturò la sua mente, anche ora, anche adesso.

Ma i suoi piani erano quelli di una formica in confronto a quelli che aveva in mente la Regina. Fu costretto a mettersi al suo servizio, a piegarsi. Che altro poteva fare?

Per la prima volta, il guerriero più potente, consapevolmente, si piegò, decise di servire.. la parola stessa gli dava una orrenda sensazione di disgusto e vomito, ma era l'unica scelta, o quella o la morte. E la morte non era ancora un'opzione accettabile.

E avrebbe continuato a servire, almeno finché non avrebbe trovato una falla, un minimo spazio dove insinuarsi e distruggere la Regina. Ma doveva aver pazienza. Era da oltre tre anni che pazientava, e nulla. La Regina era e rimaneva sostanzialmente intoccabile.

L’aeronave dove ora si trovava era un vero capolavoro di ingegneria, una città volante di ferro, vetro e acciaio con sufficiente potenza di fuoco da spazzare via in un colpo solo una piccola nazione, e con una corazza sostanzialmente impenetrabile.. e il corridoio che stava ora percorrendo era il più difeso di tutta l'aeronave, a causa di ciò che era situato dietro alla porta in fondo, ovvero la Regina stessa, che lo stava attendendo. E come se non bastassero i Wardroid, numerose scatole metalliche che tappezzavano pareti e soffitto rivelavano la presenza di torrette laser con mirino ottico. Anche quelle erano solo macchine ai suoi occhi. Patetiche macchine.

In effetti, non bastavano: non contro di lui almeno.

Cos’era una macchina di fronte all’infallibilità di un corpo allenato e superiore, quale il suo? Nulla. Eppure doveva piegarsi al volere di chi, purtroppo, gli era superiore.

Era una schiavitù la sua, che mal sopportava, ma necessaria. Doveva vivere a sufficienza per vendicare la Madre e finalmente trovare la pace dei sensi.

Qual’era la sua maledizione? Semplicemente il rimorso, il rimorso di non aver saputo aiutare la Madre, il rimorso di essere stato così debole.. debole lui, che con un gesto della sua spada poteva annientare intere armate! Che con meno di un pensiero poteva uccidere un uomo comune!

“Mai più” continuò a dirsi, ancora e ancora. Un giorno la sua spada avrebbe trafitto il cuore della Regina.

E la Regina, stranamente, ne era conscia, lo sapeva che quel guerriero nutriva per lei il più tremendo e folle istinto omicida. E non ne era minimamente preoccupata, e lui sapeva anche perché.

Quei Wardroid, le torrette laser, tutte quelle difese tecnologiche.. erano nulla di fronte al vero e reale potere che deteneva, e che conservava da sguardi indiscreti, un potere così grande che grazie ad esso aveva piegato non solo il suo, ma molti altri pianeti. Dove abbia trovato tale potere, a lui non era stato concesso sapere. Un potere che lo aveva sconfitto e reso schiavo, e che ancora adesso teneva ben saldi i suoi ceppi. Ceppi privi di consistenza ovviamente, dato che godeva pur sempre di una posizione di prestigio all'interno della gerarchia e società creata dalla Regina, ma pur sempre presenti.

Lui comandava armate, sotto il suo vessillo combattevano e morivano uomini, e lui volentieri li lasciava morire: meglio loro che lui, i suoi piani erano troppo grandi per scomparire con la sua morte. Un giorno sarebbe morto, lo sapeva, ma non ora! Non sotto l'egida della Regina!

E sapeva che senza il potere, la Regina era nulla, solo un’altra regina, né più, né meno, una come tante, a capo di eserciti immensi, ma pur sempre un essere umano; tuttavia finchè deteneva quel potere a dir poco divino, nulla poteva essere fatto contro di lei.

Le porte automatiche della stanza della Regina si aprirono automaticamente non appena lui fu vicino ad esse.

Sempre a passo lento, percorse quella poca distanza che lo separava dal trono, ora rivolto verso l’immensa finestra della stanza. La Regina gli dava le spalle.

Molti altri guerrieri hanno dato le spalle a lui e tutti erano morti. Lei no, lei poteva permetterselo, in virtù del suo potere. Sapeva bene che non appena avesse anche soltanto fatto cenno di impugnare la spada, di lui sarebbe rimasto a malapena un ceppo carbonizzato.

La stanza era sfarzosamente arredata: il tappeto che dall’ingresso conduceva al trono era composto da una delle sete più pregiate e preziose di una terra chiamata Regno di Wu, l’oro che veniva mostrato sostanzialmente su tutto, da fregi e decorazioni a soprammobili era il più puro estratto dalle miniere di un luogo chiamato Fossil Roo, assieme a mithril e adamantio lavorato dai più abili artigiani di Edge, e poi ancora mobili antichi, vasi, porcellane, armi, tesori di ogni genere e tipo.

Trofei delle sue conquiste. Tante, troppe, a cui avrebbe dovuto un giorno mettere freno, non tanto per un senso di giustizia, quanto per pura, semplice vendetta. Per sè e per la Madre.

L’enorme finestrone dava verso l’esterno e mostrava lo spettacolo degli astri e una parte del mondo che ora la Regina era in procinto di assediare. L’aeronave stava infatti gravitando in orbita geostazionaria attorno a quel pianeta. Poco lontano vi erano due postazioni olografiche che proiettavano una mappatura completa dei continenti di quel pianeta. Curiosamente, due di essi erano collegati da una linea ferroviaria che tagliava a metà il mare che stava fra loro. Numerosi puntini luminosi indicavano le città presenti, altri puntini luminosi, più chiari, erano invece obiettivi strategici, basi militari..

Ma cosa gli importava in realtà? Nulla, era solo un altro pianeta da conquistare, un'altra compagna militare, altri morti, altre guerre, altre occasioni per strappare quel potere alla Regina e ritorcerglielo contro. Se solo ne avesse avuto l'occasione.

Giunto davanti ai numerosi gradini che conducevano al trono, tre metri più in alto, come prevedeva il protocollo Sephiroth cadde in ginocchio.

-Benvenuto, Generale Sephiroth- lo salutò la Regina, voltando il trono verso il guerriero con un comando elettronico. La Regina storse il suo volto grasso e molle in un bieco sorriso.

-Ti saluto, Regina Brahne-

 

 

Angolino dell'Autore:

E mentre aspetto che mi venga qualche geniale pensata per il Signore dei Kunai, ecco che inizio una nuova storia in un fandom totalmente nuovo.. u_u" si, sono un folle, lo so. Ma non c'è bisogno che me lo diciate, lo so da me u_u vista anche l'assurdità dell'idea, che non ho idea di come mi sia venuta o.o credo di aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male, probabilmente.. mah.. o.o bhe, vedremo come proseguirà.. e ricordate che recensire NON fa male alla salute! ^_^ Bye!

 

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Capitolo 2
*** Il Risveglio ***


Capitolo 1

 

 

 

Capitolo 1 -Il Risveglio-

-Ma proprio a nessuno..?-

-Se ti ho detto nessuno, vuole dire nessuno!-

-Ma tu lo hai detto a me! Perché io non posso dirlo ad altri?-

-Ti ho detto che non devi dirlo a nessuno! Secondo te cosa vuol dire?!-

-Nessuno..-

-A tutto il personale medico, recarsi in sala medica 4 del settore C, a tutto il personale medico..- una voce elettronica stava deviando buona parte di infermieri e medici verso la sala in questione.

Dalla sua posizione di controllo, Cid vedeva ogni cosa, compresa la suddetta sala medica dai suoi monitor, che tappezzavano tre pareti su quattro della sua postazione.

Aspirò pesantemente dal sigaro che teneva fra le labbra, per poi rilasciare una nube di fumo. Nessun problema, dopo tanti anni e tanti sigari, Cid Highwind riusciva perfettamente a vedere oltre il suo stesso fumo, nulla sfuggiva al suo sguardo attento.

Si può dire che non era cambiato di un baffo, stessa espressione sprezzante, stesso linguaggio sboccato, stessi occhiali da motorista. Dopo vent’anni, pure gli stessi vestiti, maglia azzurra, felpa attaccata alla vita e pantaloni da meccanico. C’era una ben fondata possibilità che non si fosse mai cambiato dato il puzzo che lo accompagnava perennemente. L’unico tratto che lo distingueva dal Cid che era vent’anni fa erano i capelli, ora diventati grigi e brizzolati. Addio, o stupenda chioma bionda.

Puntò gli occhi azzurri verso uno schermo, dove si vedeva la sala medica 4, ora ingombra di personale. Al centro della sala vi era una sorta di enorme capsula metallica a cui ora stavano applicando tubi, cavi, sacche di liquido di vario tipo.

-V.I.V.I., chi stanno Risvegliando oggi?- domandò Cid, apparentemente senza rivolgersi verso alcunché.

Una voce elettronica gli rispose, la stessa che prima aveva richiamato personale medico alla sala della capsula –una squadra recuperata nel settore CLR del pianeta 1 della Regina, tenente Highwind- rispose il computer.

-Tempo?- domandò ancora l’ex-pilota, apparentemente più interessato ad accendersi un altro sigaro.

-Venticinque anni fa, tenente Highwind-

-Che spreco di soldi dei contribuenti- rispose Cid con datato umorismo e un sorriso storto –almeno si sa cosa ci troviamo, dentro l’ovetto di pietra?-

-Le analisi hanno rilevato la presenza di almeno quindici burmer, tenente Highwind- rispose V.I.V.I. –e di un Jenoma-

Alla notizia, Cid si fece leggermente più attento. Ora, invece di fissare con aria annoiata il suo nuovo sigaro, stava fissando con aria annoiata lo schermo della sala medica 4.

Il Risveglio non è nulla di semplice o pratico. In sintesi si tratta di riportare in vita i morti, anche se molti medici potrebbero dirvi che non è esatto, che è impreciso e che è qualcosa di totalmente diverso. I morti non tornano in vita, loro “ricostruiscono”, “scongelano”, “restituiscono il tempo perduto” a corpi non funzionanti.

E’ un processo simile a quando si ripara un wardroid guasto.

Intanto bisogna avere la materia prima, pertanto un corpo in cui sia presente ancora almeno la scatola cranica con annessa materia cerebrale, un cuore parzialmente funzionante (minimo due cavità presenti), fegato, pancreas, polmoni.. più qualche altro organo vitale. Il resto è facilmente sostituibile con protesi bioniche.

Il Risveglio è necessario, senza non avrebbero uomini sufficienti ad opporsi agli sconfinati eserciti della Regina. Bhe, a dire il vero, nemmeno con il Risveglio hanno abbastanza uomini, ormai da anni applicano la tattica dei “pochi ma buoni”.

E infatti il Risveglio viene applicato solo quando ci si trova davanti a resti di individui di tipo Beta o superiore, secondo la scala biologica stilata dal direttore Reeve.

Il processo è ancora più complesso: alla materia organica devono essere applicate sacche rigenerative di ogni genere, e mentre si attiva la rigenerazione cellulare, devono essere applicati gli impianti bionici

E poi capitano a volte casi in cui non è necessario nulla del genere.

Quel giorno alla sala medica 4 era stato portato per il Risveglio un blocco di pietra vulcanica solidificata, al cui interno erano presenti quindici tracciati biologici. In realtà quel blocco era stato recuperato anni addietro ma nessuno aveva fatto nulla perché ancora non si conoscevano tecniche adeguate di Risveglio. Pertanto fu etichettato, marcato e inscatolato in un magazzino in sospensione criogenica.

Ma di recente un esimio dottore, tale dottor Totto, aveva messo a punto una tecnica di Risveglio ad area. Non si trattava d’altro che dell’inserimento di liquidi rigeneranti all’interno di appositi microcanali scavati nel blocco con alcuni nanodroidi, studiati appositamente.

E il dottor Totto era presente all’occasione, all’inaugurazione della sua brillante intuizione. Indaffarato, stava coordinando gli sforzi di infermieri e medici che ora affollavano la sala medica 4. Al centro della sala vi era l’enorme capsula, a cui erano stati attaccati una moltitudine di cavi e tubi.

Il dottore era dietro una scrivania, controllando documenti, digitando su tre tastiere e osservando quattro schermi diversi che mandavano dati come un flusso continuo a ininterrotto. Anche Totto era ormai un uomo vecchio e anziano: alto un metro e poca voglia di crescere, aveva enormi baffoni e una aureola di pochi e sparuti capelli bianchi. Un paio di occhiali spessissimi gli oscuravano gli occhi, posti su un enorme naso adunco.

-Muovetevi con quegli iniettori!- sbraitava ogni tanto –e quelle sacche di idrazina, che diavolo ci fanno lì?! Muovete le chiappe e applicatele ai cavi di iniezione superiori!-

Ah, ed invecchiando si era anche un tantino imburberito.

-Funzionerà?- domandò una voce femminile, alle sue spalle.

Il dottor Totto nemmeno si voltò. Conosceva bene la proprietaria.

-Che Lamù mi fulmini se non funziona, dottoressa Carol- rispose, continuando il suo lavoro.

-Dottor Totto, iniettori pronti!- sentì una voce, poco lontano.

-Sacche di idrazina pronte!-

-Sacche di liquido rigenerante pronte!-

-Tutti i nanodroidi usciti dai microcanali, dottore!-

-Tutti i relè operativi, dottor Totto. Quando vuole, posso iniziare la somministrazione-

-Tutti i tracciati biologici sono collegati ai microcanali?- chiese il dottor Totto, senza nemmeno alzare lo sguardo, serio e glaciale.

-Si, dottore, tutti i burmer e il Jenoma sono ok..- disse la dottoressa Carol, alle spalle di Totto, controllando a sua volta uno schermo.

Il dottor Totto sospirò, alzandosi in piedi, e togliendosi gli occhiali per passarsi le dita fra gli occhi, con aria grave.

-Ok, va bene.. va bene.. signori, si inizia-

Si sente.. vuoto.. il Vuoto lo circonda, lo permea.. perché andarsene via? Si sta così bene.. galleggiare senza meta..

Da quanto galleggia nel Vuoto? Potrebbe essere pochi secondi, come anni, come secoli.. che importanza ha? E’ il Vuoto, pertanto ogni idea di spazio o tempo perde significato.

Quando gli parlavano del Vuoto se lo immaginava nero, profondo, senza fine.. non è così, il Vuoto è più come un immenso mare, e lui ci nuotava dentro.. Da quanto ci nuota? Oh, ecco, di nuovo.. queste domande inutili.. c’è il Vuoto e tanto basta.

Ma dovrebbe tornare indietro, sente come.. un’urgenza. Ma se lì non c’è né tempo né spazio, rimanere ancora un po’ non guasterà mica..

Ma ecco che qualcosa cambia.

Dopotutto è il Vuoto, e in quanto tale, ci si accorge subito se cambia qualcosa.

Eccolo il cambiamento, lì, a poca distanza.. qualcosa si è aperto, una sorta di.. crepa.

Improvvisamente lo spazio comincia a significare qualcosa. Dalla crepa trapela luce, tanta luce.. perché rimanere nel nero Vuoto, quando fuori c’è tanta luce?

Si avvicina alla crepa da cui esce la luce, scivola verso di essa. Accanto a lui percepisce come fantasmi altri, altre entità che come lui cercano la crepa..

Ma la crepa sta iniziando a chiudersi. Uno squarcio nel Vuoto che offre un’occasione solo a chi sa coglierla.

La crepa continua a chiudersi, la luce che trapela da essa continua a farsi sempre più flebile.

No! Lui vuole la luce, solo ora si accorge di quanto il Vuoto sia crudele!

E’ disposto a fare qualsiasi cosa per uscire di lì. Con uno scatto di volontà, rispedisce indietro alcune entità che cercavano di raggiungere la crepa. Deve arrivare prima lui, deve..

..la luce lo avvolge, è calda.

Inizia a sentire qualcosa, quanto tempo è che non sente qualcosa? Non c’erano sensazioni nel Vuoto.

-Va tutto bene, si rilassi ora..- sentì una voce sopra di sé. Udito e tatto, i primi sensi concessigli.

-Complimenti dottor Totto, successo pieno..-

-Parla per te, ne abbiamo persi quattro-

-Ma l’individuo di tipo Alfa è tornato integro.. guardi, non è necessaria alcuna protesi bionica!-

-Ne abbiamo persi quattro! I miei calcoli erano errati.. sarebbero dovuti tornare tutti..-

Aprì gli occhi. Una luce elettrica gli illuminò il suo ritorno al mondo.

Si rialzò di scatto dalla brandina metallica su cui era disteso, guardandosi attorno allarmato, sorpreso, sconvolto.

Si trovava all’interno di una celletta metallica, piccola, stretta, a malapena definibile come armadietto delle scope. Sopra di lui, una lampada elettrica, coperta da una grata di ferro, illuminava quello spazio angusto.

Accanto alla brandina c’era uno scaffalino, e attaccato sopra allo scaffalino, sul muro, c’era uno specchio metallico.

Si guardò prima le mani, provò a stringerle a pugno, ad aprirle. A stento ricordava la sensazione di avere delle mani. Si guardò, notando che indossava alcune vesti di stoffa arancione, una maglia e dei pantaloni, senza alcun fregio o decorazione. Vi era solo un numeretto, segnato in alto a sinistra, sopra un taschino. Il suo era CLR-01. Chissà cosa voleva dire.

Provò ad alzarsi, ma come spinto da una forza invisibile, ricadde seduto. Si guardò alle spalle, e vide una cosa insolita: dal suo sedere spuntava una coda pelosa e marrone che perforava i pantaloni arancioni.

Purtroppo era ancora troppo ignorante per comprendere le dinamiche tipiche dello spostamento del baricentro dovute alla presenza di una coda, ma non ci diede peso. Scrollò le spalle e obliò il pensiero. La presenza di una coda era a suo parere una cosa normalissima.

Si sporse verso lo specchio, rimanendo sorpreso: capelli biondi, occhi azzurri e un volto fanciullesco.

Un pensiero, spontaneo, gli fece capolino in testa: avrebbe fatto cadere tutte le ragazze ai suoi piedi, oh si! Un pensiero talmente spontaneo che fece anche un sorriso da sciupafemmine di rimando alla sua immagine nello specchio.

Poi scrollò il capo, confuso, e strinse gli occhi, cercando di ricordare qualcosa. La sua testa era sostanzialmente disastrata, non ricordava nulla o quasi. Bhe, ricordava di avere una coda, di avere capelli biondi e occhi azzurri, e di essere.. dentro una cella, seduto su una branda, con strani vestiti addosso.

Che bella situazione.

Una voce computerizzata lo distrasse dai suoi pensieri.

-Ben svegliato, ospite CLR-01- lo salutò V.I.V.I. Lui, ovviamente colto di sorpresa, si guardò intorno, diffidente come un animale.

-Oh, non si spaventi.. le sto parlando da quella grata metallica in alto a destra- spiegò –ora le aprirò la porta della cella. E’ gentilmente pregato di seguire i cartelli e recarsi in sala briefing- concluse il computer.

-Ma.. non ricordo nulla, non.. e cosa diavolo è una sala briefing?!- ribatté, spalancando le braccia in chiaro atteggiamento di confusione.

-La riunione in sala briefing è per colmare per l’appunto le vostre lacune mentali- spiegò V.I.V.I. -non si preoccupi, un’amnesia post-Risveglio è normale. In sala briefing avrà tutte le risposte che cerca-

Sbuffò, poco convinto. La porta davanti a lui emise uno scatto, quindi si aprì, mostrandogli un corridoio lungo cui correvano tubi di ogni tipo e genere.

Si alzò dal letto, leggermente traballante, poi sempre più sicuro. Fece capolino con la testa fuori, guardandosi attorno. Non c’era nessuno, era l’unico essere vivente, o almeno così pensava.

Uscì dalla cella, tastando coi piedi nudi il pavimento metallico, liscio e privo di imperfezioni. Guardò con aria vagamente sorpresa il corridoio, che dava su numerose altre celle simili alla sua. Tutte aperte.

-Prego, alla sua destra- lo invitò V.I.V.I. da un altro altoparlante.

-Uh, ok ok..- gli rispose, incamminandosi nella direzione indicatagli.

Camminando lungo quel corridoio, colmo di tubi che uscivano, entravano, correvano per un tratto e poi sparivano di nuovo, vide anche altre celle come la sua, alcune chiuse, altre aperte, e quelle aperte erano tutte vuote.

-Ora alla sua sinistra- riprese V.I.V.I. e infatti vide che ora il corridoio aveva una biforcazione. Il computer continuava a guidarlo gentilmente, dandogli l’imbeccata giusta quando non sapeva dove andare.

I corridoi continuavano ad apparire anonimi e privi di identificazione, finché non giunse davanti a una porta metallica, che con uno scatto si aprì di lato, lasciandolo passare.

All’interno vide una sala con pareti metalliche e numerose panche nel mezzo, in fondo invece vi era uno schermo spento.

Sulle panche erano seduti numerosi.. come definirli? Topi antropomorfi, ecco, che si guardavano attorno con aria spaesata, movendo le grigie orecchie pelose e le code glabre in chiari atteggiamenti confusi. Ancora non lo sapeva, ma erano gli undici burmer sopravvissuti al Risveglio avvenuto poco prima. Alti poco meno di lui, avevano muso da roditore e arti inferiori flessi ed articolati, tipici degli animali. Una omogenea pelliccia grigia gli ricoprima, tranne che la coda ed alcune zone dei piedi e delle mani.

Su un palco rialzato, davanti allo schermo spento vi era invece un enorme e muscoloso omone di colore, con barba e capelli neri striati di grigio e composti in alcune trecce elaborate, con addosso un pesante gilet e pantaloni militari, e uno dei suoi avambracci, il destro, era stato sostituito con un ricambio cibernetico. Il volto dell'uomo era serio, deciso, solcato da alcune rughe proprie dell'avanzare dell'età.

-Ah, ci siete tutti, finalmente!- esclamò l’omone, con voce burbera e profonda, squadrando i topi e il nuovo arrivato, che si mise cautamente a sedere in una panca.

-Ok, possiamo iniziare finalmente, porco mondo..- riprese l’omone, assai poco diplomaticamente –io sono il sergente Wallace, ma voi potete, anzi, dovete chiamarmi Signore o Sergente, sono stato chiaro? Bene- nemmeno calcolò la risposta di quei poveretti seduti sulle panche –tanto per essere chiari, vi spiego come stanno le cose: eravate morti, stecchiti, crepati, e noi vi abbiamo tirato fuori dall’inferno. Si?- domandò, vedendo che uno dei topi aveva alzato tremante una mano.

-Ehm.. s-signore, come.. come siamo morti..? Cioè, io temo di non.. di non.. ricordare bene, ecco..- domandò balbettando leggermente.

Barret si fece pensoso –mh, in effetti dobbiamo darvi un minimo di spiegazione..- concordò, facendosi improvvisamente più benevolo –molto bene, prestate attenzione..- con un comando del braccio cibernetico, accese lo schermo, su cui comparvero alcune immagini –tutto ebbe inizio all’incirca venticinque anni fa.. ascoltate V.I.V.I., che è molto più bravo di me a raccontare certe cose..-

Venticinque anni stellari fa, secondo l’attuale datazione, Brahne Til Alexandros, la sovrana di Alexandria, una città di un pianeta chiamato Gaya iniziò a creare con l’aiuto di un uomo chiamato Kuja un esercito di armi denominate Maghi Neri. Presto dichiarò guerra a tutte le altre città, che caddero una dopo l’altra.

Prima toccò a Burmesia, patria di voi burmer (un mormorio, proveniente dagli stessi burmer, si propagò per la sala) poi Cleyra, un’altra vostra città, venne rasa al suolo.

Brahne non si fermò lì: in breve cadde anche Lindblum, polo tecnologico del pianeta, quindi invase gli altri continenti, che senza alcuna forza militare furono velocemente sopraffatti.

Kuja scomparve. Pensava di poter controllare la sete di potere della Regina, ma non ci riuscì. Nessuno sa che fine abbia fatto.

Non ci volle molto che Brahne scoprì l’esistenza di un pianeta gemello a Gaya: Tera. L’asse dei due pianeti è tale che si mettono in ombra a vicenda.

Attraverso un dispositivo di spostamento intermundio, Brahne raggiunse anche Tera, che fece una fine analoga a Gaya. A nulla valsero le incredibili risorse tecnologiche del pianeta contro gli eserciti della Regina, che venne assoggettato e tutti i suoi segreti saccheggiati.

La Regina fece inoltre studiare il dispositivo di trasporto spaziale che fece applicare ad alcune navi, ed iniziò un’espansione attraverso lo spazio.

Attualmente, oltre a Tera e Gaya, anche un terzo pianeta fa ora parte del suo regno.

Ora ci stiamo apprestando ad aiutare a difendere il quarto pianeta.

La spiegazione di V.I.V.I terminò, e lo schermo, che aveva trasmesso immagini e testimonianze di quanto raccontava, si spense, e il silenzio si propagò nella sala.

-Voi siete quanto resta di Cleyra- riprese Barret –quanto siamo riusciti a salvare attraverso un procedimento incasinatissimo che non vi sto nemmeno a spiegare..-

-M-mi ricordo tutto..- mormorò un burmer, con la testa fra le mani –avevo.. avevo una moglie e.. e una figlia.. e..-

-Fuoco.. ce n'era tantissimo..-

-Distruzione.. senza motivo..-

I burmer erano tutti confusi e sconvolti. Apprendere di essere tutto ciò che rimane di una città scomparsa venticinque anni prima può essere traumatizzante. Soprattutto perchè per loro non erano passati anni, ma pochi secondi, erano cose accadute l'altro ieri, secondo la loro mente confusa.

-Quale altro pianeta ha conquistato?- domandò invece CLR-01.

Barret si voltò verso il ragazzo –il mio.. tutti qui hanno.. perso qualcosa, in qualche landa del proprio pianeta.. e alcuni come voi hanno avuto il gran culo di tornare in vita- spiegò, aggirandosi per la sala –e mi aspetto che ora tutti voi torniate ad indossare la corazza, ad imbracciare un’arma e andare a sputare in faccia alla Regina!-

L’ultima affermazione venne salutata con una vera e propria ovazione da parte dei burmer.

-Ed ora uscite da qui e dirigetevi all’armeria.. V.I.V.I. vi guiderà- li informò Barret, mentre i roditori e il ragazzo si alzavano e lasciavano la stanza.

-Sergente, quando potremo uscire all’esterno..?- chiese uno, incerto.

-Uscire?! AHAHAHA!!- rispose l’omone, emettendo una gran risata di pancia –ragazzo, tu sei già fuori!- quindi schioccò le dita e un pannello metallico si aprì, mostrando una finestra di spazio siderale. Il nero del cosmo, le stelle, lontani punti luminosi e il profilo in primissimo piano di un quarto di pianeta furono immediatamente visibili.

-Giovanotti, benvenuti sulla Proteus, base spaziale orbitante attorno al nuovo pianeta!-

 

Angolino dell'Autore:

E rieccomi qui, proprio una settimana dopo! Contenti? ..susu, non piangete u.u ad ogni modo, nonostante la stranezza di questa storia (perchè è strana.. davvero, non so come ho partorito questa idea o__o) ha comunque avuto un minimo risvolto positivo, pertanto vado subito ai ringraziamenti, che saranno sempre presenti a fine capitolo:

Tico_Sarah : grazie, o unica coraggiosa ad aver avuto il coraggio di recensire! u_u bhe, direi che le intenzioni del caro Seph sono financo chiare, ma si dovrà aspettare il prossimo capitolo per rivederlo in azione xD e non interromperò, almeno finchè non mi arriveranno a tirarmi la carta igienica sotto casa.. u__u" grazie ancora! =D

Comunico quindi che tenterò di continuare una pubblicazione settimanale, che cadrà di domenica. Dico "tenterò" perchè so già che la mia pigrizia cronica mi porterà a sgarrare.. moan.. alla prossima, e ricordate che la recensione è cosa buona e giusta! =D

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Capitolo 3
*** Galbadia alla Guerra ***


Capitolo 2

 

 

 

 

Capitolo 2 -Galbadia alla Guerra-

La sala comando della base spaziale Proteus era immersa nel buio. Un finestrone era aperto nel muro più lontano, e della luce stellare trapelava all’interno, dando a stento un’idea di ciò che vi era al suo interno.

Forme simili a colonne di libri e fogli si intravedevano, e alcuni mobili, da cui si elevavano neri spuntoni riconducibili ad armi di vario genere. In fondo a tutto questo, rivolta verso la porta d’ingresso del locale vi era un’ombra più grande di quella che probabilmente era una scrivania, e da quest’ombra se ne elevava una seconda, alta e rigida, forse una sedia o una poltrona.

Apparentemente la sala era vuota, se non fosse che sulla poltrona vi era una figura seduta, in silenzio e immobilità, a malapena intravedibile nella poca luce che trapelava dal finestrone.

Qualcuno bussò alla porta, lievemente, un suono leggero, ma questo bastò a risvegliare dal suo torpore la figura sulla poltrona dietro la scrivania. Nel buio della stanza, all’altezza dell’occhio sinistro della persona seduta, si accese una luce rossa, chiaramente artificiale, che immediatamente sondò la porta.

Passò un istante, quindi emise un mormorio stanco, dicendo –avanti-

La porta si aprì, lasciando accedere alla stanza la luce del corridoio, che rese chiare molte ombre della sala comando: i libri erano libri, accatastati su fogli, e poi su altri libri, formando pile interminabili che tappezzavano ogni spazio libero della sala, tranne un corridoio che dalla porta arrivava fino alla scrivania, in fondo alla stanza; i mobili non erano mobili, ma vere e proprie rastrelliere di armi, piene di spade, lance, archi, alcune pistole, pugnali, daghe.. ogni genere di arma, bottino di ben tre mondi.

La scrivania era enorme, gigantesca, un blocco nero privo di fregi o decorazioni, piena anch’essa di libri e carte, che però erano state disposte in modo da lasciare un riquadro di spazio da cui l’occupante della poltrona poteva guardare chi entrava a disturbare la sua quiete. Ma ancora la sua figura era troppo in ombra e celata per poter essere chiara, solo il suo occhio sinistro cibernetico, con la sua rossa luminescenza era veramente visibile. Ma null’altro.

Dalla porta si fece avanti una ragazza, con addosso un camice da scienziata, con sottobraccio un plico di fogli. Di questa ragazza colpiva sicuramente la giovane età, non superiore ai trent’anni, una bellezza non indifferente, ma soprattutto i capelli di un colore inusuale, il viola, e poi, bhe.. un corno che spuntava esattamente al centro della sua fronte, perforando la frangetta che la ragazza tentava di tenere a bada con un fiocco.

Tenne la porta aperta, mentre percorse il corridoio concesso da libri e fogli attraverso la stanza fino alla scrivania in fondo.

-Ecco a lei, Colonnello Strife- disse la ragazza, una volta arrivata davanti all’enorme scrivania, tendendo il plico di fogli –il rapporto sul Risveglio effettuato due ore fa.. e un’analisi sul nuovo Risveglio ad area del dottor Totto- espose, seria, precisa, diretta. Non sembrava minimamente a disagio, come se venisse in quel luogo ogni giorno.

Una mano con indosso un guanto nero si fece largo tra le ombre e afferrò il plico di fogli. Per un attimo regnò il silenzio, interrotto soltanto dai fogli che scorrevano fra le dita del Colonnello, che evidentemente, grazie al suo occhio non aveva alcun bisogno di luce per controllarne il contenuto.

-Ne avete persi quattro- fu infine il commento, secco e diretto, del Colonnello. La sua voce era fredda e glaciale, priva di qualsiasi morbidezza, paragonabile al ferro che striscia sulla roccia.

-L’individuo di tipo Alfa è tornato integro- fece notare la ragazza –non sono stati necessari interventi cibernetici..-

-Ne avete persi quattro, tre individui di tipo Delta e un tipo Beta- ripeté il Colonnello, senza nemmeno prendere in considerazione le parole dell’altra –dottoressa Carol, un individuo di tipo Alfa non giustifica quattro perdite, non con gli organici ristretti che ci ritroviamo-

-No, Colonnello Strife, ha ragione.. il dottor Totto e io stiamo tentando in tutti i modi di..- tentò nuovamente di scusarsi la dottoressa, ma il Colonnello continuò a parlare, mostrando totale disinteresse.

-Vi do un’altra settimana- esordì, senza mostrare emozione, gettando davanti a sè i fogli –e se non porterete risultati accettabili per quella data, l’intero progetto sul Risveglio ad area sarà cestinato.. e ora vorrei un rapporto sulla situazione attuale del nuovo pianeta-

-Le spie ci riferiscono che l’attuale presidente dello stato di Esthar, Laguna Loire, è in pericolo di vita- lo informò la dottoressa, piegandosi alle decisione del Colonnello. Non che potesse fare molto altro –la Regina ha intenzione di assassinarlo e sostituirlo con un suo sottoposto-

Si sentì una secca risata provenire dalle ombre del Colonnello –insolito.. una volta tanto Brahne mostra un minimo di astuzia e sottigliezza..-

-Non è un caso- proseguì la dottoressa –le risorse tecnologiche di Esthar sono.. bhe, incredibili, superano di molto quelle rinvenute su Tera. I nostri strateghi sono dell’opinione che voglia impossessarsene, prima di fare terra bruciata-

-Sbagliato- pronunciò invece il Colonnello, con tono derisorio –ci troviamo di fronte a qualcosa di assurdo, incredibile e.. vantaggioso-

La dottoressa Carol non poté reprimere un’espressione di pura perplessità, non riuscendo a seguire il filo del discorso –mi.. mi scusi?-

-Ha paura- chiarì il Colonnello Strife, assaporando quelle parole –e noi ne approfitteremo.. convocate subito Flatrey-

I proiettili fischiavano attorno al misero masso che ora stava usando come nascondiglio. Si raggomitolò più che poté, sentendo ogni colpo che veniva sparato sulla superficie rocciosa che lo proteggeva.

-Rinforzi! Porca miseria, dove siete?!?- urlò alla ricetrasmittente, mentre si sporgeva quel poco che bastava da sparare un colpo.

-Fzzz*crack*zzz.. iamo.. crrr.. vando ora..- sentì rispondere. Imprecò pesantemente. Pure le linee radio guaste. Grandioso.

Prima di poter fare qualsiasi altro pensiero, sentì alle sue spalle il sibilo di un missile. Con uno scatto si sporse a sinistra, correndo arretrando –ritirata!- urlò quindi –ripiegate verso la seconda linea!-

Con un ultimo scatto, Irvine Kinneas si accucciò e si rifugiò nella trincea, ansimando pesantemente. Sopra di lui sentiva ancora il sibilo dei missili e il rumore di mitragliatrici che dalle linee arretrate tentavano di tenere a bada il nemico quanto bastava a dare loro un minimo di respiro.

Irvine si tolse il cappello a falde larghe, da cowboy, sventolandoselo addosso per farsi un po’ d’aria, il sudore gli imperlava totalmente il volto stanco. A parte il fucile che impugnava con facilità con la mano destra, per il resto, con il suo giaccone lungo beige e pantaloni e comodi stivali, non sembrava nemmeno un soldato, a differenza di tutti gli altri che gli stavano attorno, chiusi in armature e caschi blu, emblema delle uniformi di Galbadia.

Da qualche tempo, un nemico misterioso aveva preso d’assedio il Garden, tanto che il Preside aveva chiesto rinforzi dal governo. I SeeD purtroppo non bastavano, erano pochi, tutti distribuiti lungo il perimetro del Garden, troppo ampio da essere coperto efficientemente. Per questo i rinforzi dall’esercito.

Lui era stato assegnato assieme a un piccolo manipolo di soldati nella prima linea, esattamente davanti all’entrata. Una decisione cretina, visto che lui era un dannato cecchino. Chi diavolo mette un cecchino in prima linea?!

Il punto è che non avevano scelta, con la scarsità di combattenti che avevano.

Irvine era a conoscenza che il Preside aveva chiesto aiuto anche ad altri Garden, ma a quanto pareva non erano gli unici ad avere guai..

La copertura delle linee arretrate finì, annunciando il silenzio.

-ORA!- urlò, sporgendosi dalla trincea, e trovandosi davanti un enorme essere alto tre metri coperto da capo a piedi da una elaborata corazza metallica, che sventolava un paio di mazze ferrate come se fossero bouquet di fiori.

-Oh merda- riuscì solo a dire, prima di saltare lateralmente, rintanandosi nuovamente nella trincea, prima che entrambe le mazze ferrate di quell’enorme guerriero si abbattessero sul resto dei suoi soldati.

-Rinforzi, dove cazzo siete?!- urlò ancora al microfono, mentre apriva il fucile e caricava alcuni “colpi speciali” –Irvine a Comando, qualcuno sa dirmi perché non siamo stati avvisati che ci stava arrivando addosso un peso massimo?!- continuò, mentre prendendo di mira la testa metallica di quell’enorme corazza, faceva esplodere una decina di colpi perforanti che la trapassarono senza sforzo. E senza risultato, l’enorme e tremendo essere corazzato continuava a massacrare le sue linee e a demolire le trincee.

-Bzzz*crack*ccrr.. qui Com.. ando.. zzzccr.. è apparso all’improvviso! Doveva avere qualche.. bbzztt.. dispositivo di occultamento!- fu la risposta alla trasmittente.

-E i fottuti rinforzi dove sono?!- continuò a urlare nella trasmittente, nella vana speranza che arrivasse qualcuno. Il suo manipolo era stato annientato, ora a giudicare dall’elmo perforato del bestio metallico, stava puntando verso di lui.

Ricaricò il fucile, mentre l’altro gli si avventò contro mulinando una mazza che si infisse sul terreno a mezzo metro da Irvine, che ebbe la prontezza di scansarsi, quindi alzò il fucile, ora carico, iniziando nuovamente a tempestare il nemico di proiettili.

Era un cecchino, quindi sapeva individuare i punti deboli di chiunque con una sola occhiata; i suoi proiettili, troppi e troppo veloci perché l’altro potesse accorgersene, trapassarono la corazza della creatura all’altezza di gomiti e ginocchia come se fosse burro. Se non andava giù normalmente avrebbe dovuto renderlo innocuo. L’essere metallico traballò leggermente sulle gambe ora malferme, mentre gli cadevano di mano entrambe le mazze metalliche.

-Vai giù, dannato, vai giù!- mormorò a denti stretti Irvine, seriamente irritato –vai giù!!- urlò ora, sparandogli un ultimo colpo all’altezza del collo.

Quello crollò prima sulle ginocchia, si sentì uno stridore, come di ingranaggi che si bloccano all’improvviso, quindi il bestione di ferro si fermò del tutto, senza più muoversi.

Irvine tirò un sospiro di sollievo ed esasperazione, mentre da una tasca del giaccone estraeva una sigaretta e se l’accendeva, iniziando a fumare con espressione estatica.

-Irvine.. crrr..- si sentì alla trasmittente –torna immediatamente.. bzzffssh.. re rapporto al Comando..-

-No- rispose invece il SeeD –venite voi qui. E mandatemi dei rinforzi. Tanti rinforzi-

All’orizzonte era chiaramente visibile la massa e la forma di altri dieci orrori corazzati come quello appena abbattuto.

La stanza era ampia, spaziosa, enorme e riccamente decorata in ogni sua parte, con fregi dorati, ampi arazzi di ogni colore e fattura, tutti splendidi e di gran pregio. Al centro della stanza vi era un enorme e lungo tavolo, a cui erano poste otto sedie, due alle estremità, e tre per lato. Una delle due sedie agli estremi aveva lo schienale molto più alto, inoltre era assai più decorata delle altre, con fregi in argento, mithril, oro. Ed era voltata verso una enorme e alta finestra che mostrava all’esterno il Garden sotto assedio, dando le spalle alla porta d’ingresso da cui stavano iniziando a entrare, lentamente, alcune persone.

Il primo a entrare fu un uomo ben piazzato, anziano, chiuso dentro un’armatura completa, che appariva praticamente perfetta, senza ammaccature, perfettamente lucida e in piena efficienza, con sopra un cinturone che tratteneva sulle spalle uno spadone a due mani. Il volto, visibile dall’elmo aperto era vecchio e stanco, con una cicatrice che gli solcava il naso, e scendeva fino a tagliare il labbro, per poi perdersi nell’enorme mascella. Si sedette in uno dei tre posti del lato destro del tavolo.

Dopo il cavaliere, fece il suo ingresso una donna coi capelli castani e una benda metallica che gli copriva un occhio, indosso aveva una giacca lunga grigia a cui erano state applicate in alcune parti, con grande perizia, precisione e abilità delle placche metalliche e pezzi di armatura. Al fianco portava una spada a una mano, con curiosi intarsi rossi. Si sedette accanto al cavaliere, anch’ella senza dire nulla.

L’ultimo a entrare fu un giovane dall’aspetto nobile, con lunghi capelli grigi e un’espressione di perenne derisione sul volto efebico. Il suo vestiario era nero, nera giacca, con neri stivali e neri guanti; un paio di spallacci metallici gli ornavano le spalle, e al fianco portava senza alcuno sforzo e impedimento una lunghissima katana. Si sedette con la massima naturalezza sull’altro posto a capotavola, poggiando i piedi sul tavolo stesso, attendendo.

Ci fu un istante di silenzio, poi una voce femminile dietro la sedia voltata domandò –e gli altri tre?-

Sephiroth, a capotavola, scrollò le spalle, non ne aveva idea e non era affar suo.

-Uno è in missione a Pandemonium, sta cercando una base di ribelli- rispose la donna, guardando le informazioni su un supporto olografico apparso sul suo guanto –e altri due a Junon.. anche se so che si sposteranno presto a Edge, per imbarcarsi sulla Diomedes-

-Grazie, Beatrix- rispose nuovamente la voce femminile –passiamo al motivo di questa riunione.. la Regina sta pensando personalmente alla faccenda di Esthar, e a delegato a me.. a noi.. la questione dei Garden- li informò –oggi ho testato alcuni wardroid di classe 3 contro le loro linee, e abbiamo ragione di supporre che abbia funzionato anche l’interferenza radio..-

-Mpf, metodi indegni di noi..- commentò l’uomo in armatura –una volta non ci saremmo sprecati in “interferenze” e “prove” con squallidi robot di terza mano..- poi scosse il capo, concludendo –‘mala tempora corrunt’-

-Oggi non è “una volta”, Comandante Steiner- replicò la voce femminile, dietro all’alto schienale –oggi è oggi, nient’altro. E oggi la Regina ha ordinato di ridurre al minimo le perdite.. le prove coi wardroid sono state effettuate per testare le difese di quella roccaforte, e hanno dato ottimi risultati-

Si sentirono alcuni rumori elettronici, trasferimento dati, e ai tre presente apparve sul braccio uno schermo olografico verde che iniziò a mostrare dati in sequenza.

-I vostri ordini..- replicò la figura seduta sulla sedia, con voce angelica e incredibilmente compiaciuta –per il momento, il comando delle truppe starà al Generale Sephiroth-

L’interessato sorrise, a sua volta compiaciuto e felice. Un bagno di sangue è sempre un’occasione per lui di essere felice. Tolse i piedi dal tavolo, alzandosi in piedi e facendo per andarsene. Prima però, fece un lieve inchino, sempre con quel sorriso derisorio che lo caratterizzava.

-Vi ringrazio per la fiducia, viceRegina Garnet- ringraziò, prima di uscire dalla sala.

                   

Irvine irruppe nella sala comando come un uragano, coi vestiti bruciacchiati, e il cappello con ancora una fiammella in cima, il volto che mostrava a chiunque incrociasse che era veramente incazzato nero. In una mano teneva il fucile, ancora fumante, addirittura rovente per via di tutti i colpi sparati, e nell’altra un pezzo di armatura strappato di forza a una di quelle macchine che avevano attaccato le sue linee fino a dieci minuti prima.

-Ah, Kinneas, finalment..- iniziò a dire uno dei capi, ma Irvine lo bloccò sul nascere, sbattendo furiosamente sul tavolo il pezzo di armatura, e ruggendo –Dove. Cazzo. ERAVATE?!?!-

Per un attimo vi fu il silenzio, intervallato solo dai profondi respiri del SeeD che si sforzava di non imbracciare il fucile e far secchi tutti i comandanti presenti.

-Irvine, se ti calmi giusto un attimo..- iniziò a dire un ufficiale di Galbadia -..forse riuscirai a sapere che tutto il perimetro del Garden è stato attaccato.. un centinaio di quei droidi sono apparsi da tutte le direzioni praticamente dal nulla..- spiegò.

-Precisamente- prese la parola un altro un ufficiale –pensiamo che abbiano utilizzato una qualche protezione magica, ma..- scosse il capo –il nostro reparto scientifico ha raccolto alcuni rottami ed ora li sta analizzando.. dice non c’è alcuna traccia di componenti elettroniche, solo meccaniche- l’ufficiale scrollò le spalle, con aria impotente -non riusciamo nemmeno a capire come si muovano..-

Irvine afferrò subito la situazione e crollò a sedere sulla prima sedia disponibile, annichilito –quante perdite?- chiese unicamente.

-I dieci soldati che componevano la tua unità, altri tredici sul lato sud, e una trentina sparsi sugli spalti durante il primo attacco con fuoco a distanza.. più quattro SeeD, e tre uomini dei Gufi della Foresta- elencò l’ufficiale, leggendo un rapporto.

L’altro ufficiale invece esaminò il pezzo di armatura che Irvine, nel pieno dell’ira, aveva portato fin lì. Batté un paio di volte le nocche su di esso, tanto per saggiarne la durezza.

-Interessante..- disse poi, con aria sorpresa –Wedge, quest’affare è di un materiale mai visto prima-

Gli altri due si tirarono su, incuriositi.

-Cioè? Mi stai dicendo che non è di questo mondo?- domandò l’altro, incredulo e sprezzante.

-Ho fatto un corso militare per riconoscere i componenti delle armi, so cosa sto dicendo..- rispose, risentito –e ti dico che mai è stato ritrovato un metallo simile. Diavolo, i nostri cannoni al massimo gli potrebbero provocare una leggera scalfittura! Irvine, come hai fatto ad abbatterne dieci..? E guardate il simbolo inciso sopra- i due si sporsero, vedendo che sul metallo era inciso con un sistema a bassorilievo una città da cui si innalzava una spada –dimmi tu, Wedge, hai fatto il corso di geografia all’accademia, no? Di che paese è questo emblema?-

-Bhe..- rispose Wedge –nessuno, direi.. nessuno conosciuto almeno-

Irvine mollò un profondo sospiro –insomma, non sappiamo nemmeno cosa diavolo stiamo combattendo! L’attacco di oggi poi non era nemmeno un attacco, pareva che stessero..-

-Si, stavano solo mettendo alla prova le nostre difese- concluse distrattamente per lui Wedge, ancora impegnato nell’esaminare l’armatura.

-Ecco! E non solo, ma pure Balamb e Trabia sono nella merda quanto noi..!-

-Ehm, no, Trabia non più..- si intromise uno addetto alle comunicazioni lì vicino –abbiamo appena avuto conferma che il Garden è stato distrutto-

La notizia fu come una doccia gelida che paralizzò tutti i presenti. Un Garden era stato distrutto. Il silenzio permeò per alcuni istanti i presenti, si sentiva solo il rumore delle macchine che attorno a loro lavoravano.

Irvine si alzò di scatto e si allontanò a grandi passi. Un ufficiale gli corse dietro.

-Irvine Kinneas, dove stai andando?!-

-A Trabia, diavolo! Ho un’amica lì..!-

-E qui hai oltre cinquecento soldati che contano su di te per non crepare domani!- l’ufficiale lo fermò prendendolo per un braccio e facendolo voltare.

-Biggs, ti consiglio di non provare nemmeno a fermarmi- replicò il SeeD, serio e furioso.

-Fai come ti pare, ma prima pensaci bene: cosa pensi di fare tu, da solo, in un Garden distrutto?- replicò l’ufficiale –abbiamo appena avuto conferma da Balamb che il Garden sta recuperando e accogliendo i superstiti.. tu ci servi qui, Irvine- fece un cenno alle sue spalle –ora, se gentilmente vuoi seguirmi, devo assegnarti un nuovo manipolo-

Le spalle di Irvine caddero, prese dallo sconforto –ok.. va bene..- si rassegnò, seguendo nuovamente Biggs all’interno della sala comando.

 

Angolino dell'Autore:

Ebbene, come vedete, riesco a mantenere un minimo di continuità in questa storia che sta prendendo pieghe inaspettate anche per me.. <__<" passiamo subito ai ringraziamenti:

Tico_Sarah : ahimè, non hai indovinato, il tizio appena scongelato NON è Cloud, mi spiace.. u__u" anche perchè, che io sappia, Cloud non ha la coda o.O e nemmeno io saprei trovare una spiegazione plausibile del perchè venticinque anni prima fosse assieme a una quindicina di burmer (quelli scongelati assieme al tizio) °__° hai anche ragione a dire che però personaggi biondi con occhi azzurri abbondano in ogni Final Fantasy xD ma solo uno ha la coda u__u vedrò di continuare ad essere puntuale, ma visti i miei passati in fatto di puntualità, non è il caso di sperare troppo.. moan.. .__. grazie ancora! ^^

Questo è tutto per oggi, anzi per la settimana =) alla prossima!

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Capitolo 4
*** Niente G.F. ***


Capitolo 3

 

 

 

Capitolo 3 -Niente G.F.-

Il sergente Wallace aprì una porta metallica che dava in una stanza buia. Con il braccio cibernetico accese l’interruttore della luce, illuminando un’ampia sala che si estendeva per lungo, con lunghe panche e sui muri file infinite di armadietti metallici.

-Controllate sulle vostre tute- disse rudemente il sergente alla truppa che lo seguiva, ovvero gli undici burmer e il ragazzo biondo con la coda poco prima Risvegliati –ognuno di voi ha ricamato sul taschino un codice alfa-numerico.. quella è la sigla del vostro armadietto- con il braccio metallico li inviò verso una certa zona degli armadietti dove la nuova squadra avrebbe potuto trovare i loro.

-Ok, ci sono alcune semplici regole per tenersi un armadietto..- iniziò a dire il sergente, mentre con il braccio buono tirava un cazzotto al suo armadietto che si aprì di schianto. Agli occhi di tutti fu visibile all’interno un arsenale cibernetico, svariate corazze e altrettanti svariati calendari di donne nude. Accanto alle donne nude teneva un piccolo elenco di vittime, alcune segnate con una croce rossa, altri con la scritta aggiunta dopo “Kill Now” oppure “Miss, Damn”.

-Regola uno: tenere armi e armatura in ottimo stato, perché se crepate tutto quello che era vostro passa a un altro soldato.. e voi non volete che questo soldati crepi a sua volta per un’armatura tenuta male, vero?- era una domanda retorica, non si aspettava alcun tipo di risposta.

-Regola due: tenere l’armadietto pulito.. e per pulito intendo da poterci mangiare dentro- sbuffò, per poi riprendere –già viviamo nello spazio, un’infestazione di formiche o scarafaggi stellari sarebbe da evitare-

-Regola tre: chiudere sempre l’armadietto quando ve ne andate.. parecchi soldati recuperano armi del nemico e le tengono qui dentro, quindi a scanso di equivoci tenetelo sempre chiuso- scosse il capo, borbottando, per poi riprendere a voce più chiara –qualche anno fa è scoppiato un casino perché si è scoperto che un soldato era una spia e stava recuperando un sacco di armi prese sul campo..-

Il sergente scrollò le possenti spalle, per poi fare un cenno alla truppa, indicando un’altra stanza –ora come ora, i vostri armadietti sono vuoti, non c’è nulla dentro.. quando un soldato muore, tutti i suoi averi e le sue armi vengono depositate qui- Wallace accese un secondo interruttore, illuminando una stanza molto più grande e alta.

Non c’erano più armadietti, quella stanza era ricolma fino agli alti soffitti di.. armi. Nessuno di loro aveva mai visto una tale quantità di strumenti di guerra in un solo posto, fin dove l’occhio poteva vedere vi erano spade, lance, fucili, pistole, mazze ferrate, e ancora cannoni, armature, ricambi bionici, tutto di ogni misura e dimensione, alcuni accatastati in mucchi, altri in pile ordinate o appesi nella moltitudine di armadi a muro. Numerosi addetti erano chini sui mucchi di armi, con taccuini, impegnati nel compito di catalogare i nuovi arrivi.

-Quelli sono appena arrivati..- spiegò loro il sergente, indicando i mucchi informi di armi -..soldati morti.. i nostri, ma anche i loro.. ehe, spogliare i cadaveri fa un po’ schifo, ma almeno abbiamo armi in abbondanza- chiarì, con un sorriso storto –in quelle nicchie invece ci sono le armi già.. collaudate, diciamo..ok, chiedete agli addetti e procuratevi armi e armatura, il randez-vous è fra quindici minuti nella Sala Addestramento, settore B.. divertitevi-

L’ampio corridoio era vuoto mentre Squall lo percorreva a passi ampi e veloci, voltando poi l’angolo e dirigendosi verso l’ascensore. Una volta dentro impostò l’ultimo piano, quello del Preside, come destinazione, incrociò le braccia al petto e attese.

Si poteva dire tutto di Squall tranne che fosse un ragazzo allegro. Mai una volta qualcuno ha visto un sorriso solcargli il volto pallido, deturpato da una lunga e chiara cicatrice, ricordo di un duello con il suo rivale di sempre.

Rimaneva tuttavia un ragazzo affascinante che faceva sospirare una buona metà delle studentesse del Garden, col suo sguardo serio, gelido e penetrante, i suoi scomposti capelli marrone scuro, e il suo look con giacca nera, cintura rossa e ampi pantaloni neri, che lo facevano somigliare a una sorta di metallaro soft. Per non parlare della sua media scolastica che era a dir poco eccelsa.

Un singolo sbuffo uscì dalle sue labbra, quando finalmente l’ascensore toccò il piano del Preside Cid, un omino basso, con già una bella pelata, qualche ciuffo di capelli chiari, un paio di occhiali a coronargli il volto rotondo, e un panciotto rosso. Difficile immaginare che dietro quelle dimesse fattezze ci fosse uno dei SeeD migliori del mondo.. dopotutto essere Preside non è soltanto una carica onoraria.

In quel momento Cid era seduto alla scrivania, apparentemente sommerso dalla burocrazia, un’invasione di carte che il povero signore non aveva idea da dove prendere.

-Mh, Preside..?- provò a chiamarlo il ragazzo.

-Un attimo.. un attimo.. ma dove li avrò messi..? Dove sono finiti i miei occhiali..?- continuò Cid in tono lamentoso, guardandosi attorno con aria mesta.

-Ehm.. sul suo naso, Preside..- gli fece notare Squall, indicandosi debolmente il volto.

-Oh, grazie figliolo!- replicò entusiasta Cid, tastandosi gli occhi e trovando immancabilmente gli occhiali. Poi come dimentico improvvisamente di tutte quelle carte e rapporti, si protese dalla scrivania verso Squall, dicendo –dimmi tutto, ragazzo.. che succede?-

Il SeeD emise un secondo sbuffo, ma di impazienza. Incrociò nuovamente le braccia al petto, mentre l’espressione tornava gelida, e in qualche modo anche irata –Preside, ci stanno assediando ormai da due settimane da ogni direzione, e in due settimane ci hanno tolto la corrente, interrotto i rifornimenti con Balamb, chiuso il canale di trasferimento per i sopravvissuti di Trabia, e abbiamo subito ingenti perdite, ormai il nostro esercito è la metà di quello che era prima..- prese un respiro profondo –chiedo l’autorizzazione a usare i Guardian Force-

Cid scosse il capo, come fanno certi nonni di fronte ai capricci di un nipote –no, credimi Squall, mi dispiace, ma.. no-

Normalmente il ragazzo non avrebbe mai perso la pazienza, avrebbe mantenuto il self-control, non si sarebbe fatto sopraffare dalla rabbia. Ma questa volta doveva.

-Ma insomma!- sbottò d’un tratto, sbattendo entrambe le mani sul tavolo –i nostri crepano a decine là fuori, e lei ancora si ostina a non usare le nostre armi più potenti?! Almeno mi faccia capire perché!-

Cid si alzò dalla sedia, per un attimo si intravide il SeeD che fu nei bei tempi andati nei suoi occhi seri e controllati, sovrastati da un paio di occhiali orrendi.

-Perché non si può- fu la risposta seria e controllata –perché qualcosa sta impedendo l’uso dei Guardian Force- concluse, guardando Squall come un povero imbecille.

Il Preside ricadde sulla poltrona della scrivania –non farne parola con nessuno.. il divieto che ho messo serve proprio a far sì che nessuno lo scopra- scosse il capo, come spaventato –pensa se si venisse a sapere che le nostre armi migliori non funzionano più.. accadrebbe il panico, il caos..-

Le parole del Preside avevano sconvolto il ragazzo, che ora era indietreggiato lentamente, mostrando in volto un’espressione confusa e terrorizzata. Ogni tanto anche un pezzo di ghiaccio come lui mostrava un minimo di umanità. Ricadde su una sedia lì vicino, passandosi una mano sul volto.

-Io.. non ci ho nemmeno provato ad usarli, in effetti..- affermò, come colto da una folgorazione –quindi.. se ci avessi provato..?-

-Non sarebbe venuto nessuno- replicò Cid, con aria tranquilla e serena –ma non mi perdo d’animo, Galbadia ancora resiste, e noi faremo altrettanto.. ci hanno appena passato alcuni dati sui nostri nemici- aggiunse poi, alzandosi dalla sedia, con insolita vitalità e dirigendosi verso un scansa del muro, estraendone un rotolo di fogli –hanno recuperato e analizzato una sorta di droide nemico.. e ci consigliano di usare contro di loro proiettili di tipo incendiario..-

-Sono munizioni speciali per cecchini, quelle..- fece notare Squall, secco e depresso –ma ingegnandoci un po’ forse potremmo adattarle ai cannoni esterni- aggiunse poi, alzandosi.

Con aria paterna, Cid si avvicinò al ragazzo –avanti, figliolo.. ne abbiamo passate tante, supereremo anche questa.. e non pensarci troppo ai Guardian Force! Pensa a quello che rimane, non a quello che hai perso-

Squall scrollò le spalle –questa logica funziona solo se rimane qualcosa, Preside.. vada a dirlo a quelli di Trabia- concluse secco, dirigendosi verso l’ascensore, e uscendo dall’ufficio.

La stanza era immersa nella penombra, e non si avvertiva la presenza di alcun essere organico.. in compenso però là dentro vi era un rumore elettrico, di cavi e pulegge, di pistoni e ruote che non pareva aver mai fine, macchine enormi che anche senza il loro padrone continuavano indefesse e instancabili il loro lavoro. Poi dalle ambre si fece largo una figura avvolta in un camice bianco, con un paio di occhiali che ogni tanto brillavano sul volto quando venivano colpiti da un casuale raggio di luce. Si soffermava con aria paterna davanti al alcuni macchinari, per poi segnare qualcosa su un blocco di appunti che teneva fra le mani, e quindi proseguire.

-Leggere al buio rovina la vista, sai?- fece presente una voce da tenebre ancora più fitte.

La figura in camice si tolse gli occhiali, rivolgendo alla voce uno sguardo elettronico: entrambi gli occhi mandavano alcuni riflessi azzurrini segno di un esteso impianto cibernetico –lo so, ma non è un mio problema- rispose con voce acuta e untuosa, quindi si rimise gli occhiali e continuò senza badare alla voce, controllando ed esaminando i macchinari che aveva davanti. Ogni tanto vi poggiava la mano, come a sentirne il respiro profondo.

-Sai perché sono qui- riprese la voce dalle tenebre.

-Si, lo so..- riprese la figura in camice, in tono annoiato e lamentoso, senza nemmeno interrompere il suo lavoro –ti manda la Regina per quel solito controllo sul solito soggetto, no?-

Si udì uno sbuffo –sta diventando impaziente.. lo vuole pronto in tempo per la missione-

-Sarà pronto quando sarà pronto.. la scienza ha bisogno di tempo e pazienza- fu la placida replica. Scrisse ancora un paio di cose sul tabulato, prima di voltarsi infine verso la figura nelle ombre.

-Ma riferisci pure a Brahne che il soggetto sarà pronto per la missione- gettò i tabulati su un tavolo lì vicino –stavo proprio per andare a concludere il lavoro, sai?- aggiunse, avviandosi verso una direzione ben precisa –se vuoi assistere..- lo invitò con un cenno vago della mano. Non vide nulla, ma immaginò che l’altro lo stesse seguendo.

Percorsero gli ultimi passi in silenzio, prima di fermarsi di fronte a un pannello di controllo. La figura in camice premette alcuni pulsanti e mosse alcune leve, quindi si sentì un profondo ronzio metallico, e davanti a loro alcuni pannelli metallici scivolarono verso l’alto uno sull’altro, scoprendo una capsula di vetro, illuminata dall’interno, dentro cui galleggiava immerso in un liquido semitrasparente, un giovane uomo con lunghi capelli neri. La pelle dell’uomo era di un pallore quasi accecante, e gli occhi erano aperti mostrando un’iride rossa. Le due gambe e il braccio sinistro erano assenti, e dai monconi si dipanavano numerosi cavi, collegati ad elementi esterni alla capsula. E pareva incosciente, quasi cadavere.

-Gli manca qualche pezzo, mh?- domandò l’ombra, con ampio uso di ironia.

La figura in camice non disse nulla, si limitò a premere un altro pulsante, che accese una luce sopra un tavolo dove erano allineate due gambe e un braccio artificiali.

-E l’arma?- chiese ancora l’ombra, incontentabile.

Ancora uno sbuffo e un altro pulsante premuto. Una seconda luce illuminò un piccolo piedistallo su cui stava posta una pistola a tre canne finemente istoriata d’argento.

-Incontentabile..- mormorò la figura in camice, quasi ridendo.

L’ombra non replicò nulla, ma i suoi passi furono chiari nell’avvicinarsi alla pistola. Una mano guantata seguita da una manica rossa si fece largo nel cono di luce, carezzando lievemente il profilo della pistola.

-Siamo sicuri che il soggetto porterà a termine la missione senza.. imprevisti?- domandò ancora l’ombra.

La figura in camice annuì –ho riprogrammato personalmente ogni sua subroutines.. farà quello che deve fare, oppure io non mi chiamo più Hojo-

Il ragazzo biondo, il cui unico nome era quella strana sigla sulla tuta arancione , si aggirava per la grande sala delle armi con aria sperduta.

I suoi compagni burmer invece sembravano totalmente a loro agio, già molti di loro avevano imbracciato una lancia, ed ora la stavano provando facendola vorticare con abilità, come presi da una strana e incomprensibile frenesia.

Si grattò il capo, confuso. A differenza del resto della squadra, nella testa del biondo permaneva un gran casino di pensieri, misti ad un’amnesia che non voleva andarsene. E l’unico indizio di questa sua confusione era la sua coda che si muoveva su e giù, frustando l’aria senza costrutto.

Si aggirò per quei mucchi di armi senza vederli davvero, ogni tanto sollevava una pistola o una spada con una strana elsa, per poi gettarli dietro di sé e continuare a camminare. In effetti tutto questo non lo entusiasmava per nulla, non era la sua guerra, non da quello che ricordava almeno. Quindi che senso aveva per lui combattere?

-Stia attento, con quegli affari- lo riprese una voce, alle sue spalle, che colse il biondo totalmente di sorpresa, tanto che gli cadde su un piede la mazza di ferro che proprio in quel momento teneva fra le mani.

-Ahi! Dolore!- si espresse, cadendo a terra a gambe incrociate, tenendosi il piede. E fu allora che vide arrivargli davanti un uomo su una sedia a rotelle, facilmente comandabile da una levetta posta sul bracciolo destro.

Il biondo lo osservò meglio: a parte gli insoliti capelli grigio argento, molto corti, l’uomo aveva mezzo volto e buona parte del torso fasciati da bende, come anche la mano sinistra, inoltre non aveva addosso alcuna uniforme, ma solo quello che era definibile come un pigiama grigio.

Strinse l’occhio buono verso il ragazzo, come ad analizzarlo meglio.

-Oh, interessante.. l’individuo alfa, suppongo- disse l’uomo sulla sedia, con voce profonda e calda –oh, si, ecco perché tutti quei burmer.. il nuovo gruppo.. non sono nemmeno sicuro di avere lance per tutti..-

L’uomo si riscosse all’improvviso, dato che il biondo aveva preso a guardarlo come se fosse un marziano, con gli occhini azzurri spalancati.

-Giusto, che maleducato.. sono Rufus Shinra, capo sezione arsenale- si presentò quindi, chinando lievemente il capo bendato –e tu sei..?-

Il biondo gli rimandò uno sguardo bovino, quindi si indicò la targhetta alfa-numerica sulla tuta –ehm.. non saprei pronunciarlo bene..- si giustificò, imbarazzato.

-Ah, amnesia post-Risveglio..- annuì comprensivo Rufus –capita, ragazzo, non ti preoccupare.. prima o poi torna tutto- e gli diede un paio di pacche paterne sulla spalla.

-Me lo dicono tutti, signore..- replicò il ragazzo, mesto e triste -..ma continuo a capire ben poco..-

L’uomo sulla sedia scrollò le spalle –stai combattendo per qualcosa di buono. Non è sufficiente?-

-Si, ma avrei voluto avere un minimo di scelta.. invece mi avete riportato qui e vi aspettate che faccia senza domande tutto quello che mi chiedete..-

L’uomo sospirò in modo molto convincente –ti abbiamo riportato in vita, giovanotto.. sono stati spesi soldi e sudore per il tuo sedere peloso.. ora il minimo che ci aspettiamo è che tu combatta per noi- l’uomo lo guardò bieco –insomma, un minimo di riconoscenza-

Il tono e la voce dell’uomo sulla sedia a rotelle erano così convincenti, che il ragazzo biondo non potè fare a meno di sentirsi in colpa. Annuì, sempre mesto e imbronciato.

L’uomo si ritenne soddisfatto, quindi voltò quindi la carrozzina di poco, verso l’immane quantità di armi e armature che li sovrastava –ora, se non sbaglio, ti serve un’arma, giusto?- domandò l’uomo, quasi con allegria.

-Ehm..-

-Non dire nulla, sono esperto di queste cose, riesco a capire con una sola occhiata cosa serve a un soldato- lo interruppe subito, indicandolo con il dito della mano sana –ora, alza le braccia-

-..così?- provò a chiedere il biondo, alzandole sopra la testa.

Rufus gli girò intorno con aria pensosa, quindi raccolse da terra un’arma e gliela porse. Era una sorta di lama lunga trenta-quaranta centimetri, con l’elsa bronzea istoriata con un motivo di foglie.

-Prova a tirare un paio di fendenti- lo incitò Rufus, sempre continuando a girargli attorno.

Il biondo alzò l’arma, e la calò in un fendente. E cosa insolita, sentì di provarci gusto. Se la rigirò fra le mani, con giochi di bravura di cui non si credeva capace.

-Ehi, ma.. wao!- replicò il ragazzo, mentre l’arma gli roteava abilmente fra le dita di ambo le mani.

-È una daga- lo informò Rufus –e mi sembri anche abbastanza in gamba da usarne due contemporaneamente.. ambidestria, è rara, sai? Ti fornirò anche un’armatura leggera, di cuoio.. una più pesante ti impaccerebbe solo i movimenti- concluse, prendendo una seconda arma dai mucchi di armi –ecco, ora ne hai due.. e questa- mise sulle braccia del ragazzo una veste di cuoio blu –è l’armatura. Indossala sempre in missione- voltò quindi la carrozzina, dicendo –ed ora fila dal sergente.. se lo conosco bene, e lo conosco bene, non ama i ritardatari-

Il ragazzo riuscì a malapena a sussurrare un –..‘azie..- che Rufus Shinra era già sparito fra i mucchi di armi.

-Allora, la situazione è questa- iniziò a dire Quistis, trafficando su un terminale, e mostrando su un megaschermo una mappa dettagliata della regione di Balamb.

Molti nemmeno guardarono la mappa, in apparente contemplazione invece dell’insegnante SeeD, che restituì una decina di occhiate di ghiaccio. Ma c’era poco da fare, Quistis Trepe era sempre stata un’insegnante estremamente giovane e apprezzata, con quei lunghi capelli biondi raccolti e quegli occhiali che tentavano malamente di dargli un’aria seria. Sempre compunta, formale, a poco serviva la sua serietà contro i commenti bollenti che ogni tanto la seguivano.

Ma questa volta non l’avrebbe permesso, la crisi era troppo grave per perdersi in idiozie.

-Il nemico ha formato una serie di piccoli accampamenti attorno a tutto il perimetro del Garden- continuò la ragazza, evidenziando le zone sul layout dello schermo –tranne a nord, dove siamo coperti dalle montagne.. abbiamo inoltre individuato una megastruttura davanti alla Caverna di Fuoco che supponiamo sia un mezzo di trasporto, e.. si, Seifer?-

Un ragazzo biondo, dall’aria strafottente e arrogante aveva alzato una mano. Dall’aspetto era molto simile ad uno dei soliti bulli, con lunga giacca grigia ornata a tribali, stravaccato sulla sedia con aria annoiata. Ma aveva alzato la mano, aveva una domanda.

-È possibile ora usare i Guardian Force?- chiese, in tono talmente gentile da risultare offensivo.

Quistis scosse il capo –il veto del Preside Cid rimane, Seifer- rispose, abbastanza amaramente da far capire a tutti che nemmeno lei apprezzava quella linea d’azione.

-Allora mi piacerebbe tanto sapere chi sia questo nemico.. perché si sa chi è, vero?- domandò in tono supponente, ma anche stanco. Lì lo erano tutti, dato che ormai facevano turni doppi al fronte dove l’esercito nemico ogni giorno li metteva alla prova.

Ma ciò che Seifer affermava era una piccola verità: nessuno aveva idea dell’identità del nemico.

Quistis sospirò, abbassando un poco la testa, stanca –no, Seifer, le loro insegne sono sconosciute, e ogni giorno ci attaccano con quelli che riteniamo essere droidi.. anche se non hanno la minima traccia di componenti elettronici o hardware..-

-Signori, un applauso al nostro sistema di intelligence!- replicò subito il biondo, in chiaro intento sarcastico –che in guerra non è nemmeno in grado di dirci contro chi diavolo stiamo combattendo- quindi senza dire altro, Seifer si alzò dalla sedia, e fece per uscire dall’aula..

-Cadetto Seifer Almasy, torni immediatamente al suo posto, il briefing non è ancora finito!- lo riprese Quistis, furente. Il ragazzo nemmeno la calcolò, ed uscì, mentre le porte automatiche si richiudevano dietro di lui.

E fu sorpreso di trovare proprio fuori dall’aula, appoggiato al muro e con le braccia conserte, Squall, con la solita espressione gelida e priva d’emozione.

-Spero che tu non stessi aspettando me..- iniziò subito Seifer, ostile.

Il moro scosse il capo.

-Non importa, seguimi- riprese immediatamente il biondo, con un cenno.

Squall scrollò le spalle e lo seguì, senza porsi tanti problemi. Stava aspettando qualcuno.. ma dopotutto, non aveva importanza.

Seifer camminava velocemente, percorrendo il corridoio ad ampi passi, e mentre camminava, parlava -..arrogante, una ragazzina, diavolo! E dobbiamo prendere ordini da lei! E non sa niente, io mi chiedo cosa diavolo pensi l’Alto Comando e..!- e da quel poco che Squall ascoltava erano lamenti, il biondo si lamentava di tutto e tutti.

Ma per l’appunto, Squall non lo ascoltava, pensava ad altro, pensava a come reintegrare i Guardian Force, pensava a tattiche, strategie, tutto tranne che inutili e sterili lamenti.

L’ennesima porta si aprì, consentendo loro il passaggio per il camminamento esterno. Erano sulle mura del Garden, accanto a loro vedevano guardie appostate che scrutavano in ogni momento ciò che faceva il nemico. Accanto a loro, leggermente rialzate, vi erano torrette di difesa perimetrale su cui proprio quel pomeriggio Squall aveva tentato di installare munizioni incendiarie. Con parziale successo, di cinquecento torrette solo una su dieci aveva accettato e integrato i proiettili modificati.

-Guardali, Squall- disse quindi Seiferi, interrompendo improvvisamente il suo lamento –guardali come si affaccendano, come formiche, mentre noi ce ne stiamo qui ad attendere..-

Squall inarcò un sopracciglio, non capendo il motivo di quelle affermazioni. Lui e Seifer non sono mai stati proprio in confidenza, ma forse dopo la morte di Raijin e Fuijin nella prima settimana il biondo aveva riconsiderato le sue priorità.. in effetti, anche se non sono mai stati grandi amici, i due sono sempre stati grandi rivali, la cicatrice che solcava il volto di Squall era infatti un regalino di Seifer durante un allenamento.

-Non capisco che intendi- replicò pacato Squall.

-Dico che dobbiamo fare la prima mossa. Attaccare noi per primi- chiarì l’altro, quasi impaziente.

-Sarebbe inutile, e perderemmo anche il vantaggio difensivo delle mura-

Seifer sbuffò, impaziente –quali mura? Dici quelle che quegli affari robot ieri ci stavano distruggendo a badilate?- fu la replica ironica –andiamo, hai capito che intendo! Non sto parlando di un attacco frontale!-

Questa volta l’espressione del moro mutò, facendosi improvvisamente interessata –mh, un’azione di sabotaggio..? E’ già più sensato..- convenne –ma dovremo preparare tutto con gran cura.. ne parlerò al Preside, e..-

-Squall, voglio essere io a capo della squadra di sabotaggio- proruppe immediatamente Seifer, interrompendo l’altro, quasi scattando con l’intero corpo.

Ci fu un istante di silenzio, in cui entrambi si esaminarono a vicenda, quindi Squall disse –vedrò cosa posso fare, ma lo sai che non sei un graduato.. posso inserirti nella squadra, ma dubito di poterti far avere il comando.. non prendo io queste decisioni-

Seifer annuì, rabbioso –allora vedi di convincere la Trepe, magari ricordandogli del penoso briefing di poco prima e di chi ha avuto l’idea su come dare una svolta a questo casino- concluse, voltandosi di scatto e percorrendo il camminamento in direzione opposta.

Squall emise un sospiro stanco, per poi rientrare nel Garden. Aveva un brutto, bruttissimo presentimento.

 

Angolino dell'Autore:

Inizio col dire che già dal prossimo capitolo la narrazione diventerà un tantino più lineare.. ^^ la storia, se si nota, in questi primi capitoli è un tantino frammentaria, appositamente studiata per presentare al meglio i personaggi "principali" u__u ..ma alla lunga credo diventi irritante, quindi inizierò a scrivere le cose un pò più linearmente, senza far salti qua e là xD Ringraziamenti:

Tico_Sarah : eh, si, quello è proprio il caro, vecchio, biondo Cloud, anche se con un solo occhio originale xD e vorrei ben vedere, dopo vent'anni di guerra al fronte xD il caro Sephitoth tornerà fra qualche capitolo, per ora lo lascio in pace.. (deo gratias! °_° NdSephiroth) infatti andrò a concentrarmi sulla squadra del biondo u_u nel prossimo capitolo si vedrà se hai indovinato chi sia xD grazie dei complimenti =D faccio quello che posso ^^ ho un sacco di altre ideuzze, ora vediamo se mantengo il ritmo xD (bhe, finora mi è andata bene.. <__<") grazie ancora! ^^

Questo è tutto per oggi, anzi, per la settimana, e fors'anche il mese .__. sto infatti entrando in periodo esami universitari e non ho idea di quando potrò rimettermi a scrivere.. zigh.. alla prossima!

 

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Capitolo 5
*** Identità Rivelate ***


Capitolo 4

 

 

Capitolo 4 –Identità Rivelate-

-Forza con quelle braccia, femminucce! Voglio vedervi sudare sangue!- sbraitò il sergente Wallace –muovete quei muscoli, dannazione! Cosa siete, vermi o uomini?!?-

-Burmer, signore!- fu l’istantanea risposta.

-Non ho sentito, sacchi di immondizia!-

-BURMER, SIGNORE!- nuovamente si udì la risposta, ma stavolta con molti più decibel.

Ormai da più di tre ore il sergente stava allenando implacabilmente la squadra di burmer Risvegliati, più il povero CLR-01. Come era stato detto loro, dopo aver preso l’equipaggiamento, avevano raggiunto il sergente nella sala addestramento, per poi finire vittime del suo sadismo senza fine, fra piegamenti, addominali, prove di forza e di velocità ad un livello a dir poco disumano. Ora stavano compiendo semplici esercizi di sollevamento pesi, praticamente come prendersi un caffè rispetto a quello che avevano appena sùbito.

I burmer non si lamentavano, essendo la loro razza molto incentrata sulla vita militare e sulla disciplina rigida, anzi si trovavano molto a loro agio con un sergente così severo, sostanzialmente privo di pietà. Quando Barret allenava le truppe perdeva del tutto la sua aria bonacciona per trasformarsi in un gigante nero crudele e malvagio.

Quello a disagio era CLR-01, il ragazzo biondo con la coda, che si scoprì per nulla avvezzo a ricevere ordini. E soprattutto ad eseguirli. I suoi compagni topomorfi magari si trovavano anche bene, ma lui no! Detestava sentirsi dire cosa fare, cosa che fece notare appena prima di cominciare l’allenamento..

Quel gesto di avventato coraggio gli costò trenta giri di sala, più tre serie da sessanta di addominali, più cinquanta piegamenti. E tutto tenendosi addosso l’equipaggiamento completo più tutte le armi della squadra. Poi gentilmente il sergente gli concesse di scaricarsi di dosso le armi, ma pretese che tutta la squadra si allenasse con addosso la corazza.

-Dovete abituarvi ad avere quella roba addosso!- spiegò, con il solito tono burbero –dovrete essere in grado di correre, saltare, combattere con la corazza! Spesso tutte e tre queste cose assieme! Mica vogliamo vedervi spompati dopo solo tre metri di corsa, vero?!-

E nessuno poteva dargli torto, nemmeno il ragazzo. I burmer poi non si lamentavano di nulla, facevano qualsiasi cosa il sergente chiedesse loro, animati da uno spirito a dir poco epico. Era opinione del ragazzo che fossero stati particolarmente colpiti dal racconto di V.I.V.I. e che quindi la loro era una sorta di.. vendetta. O qualcosa di simile. Almeno avevano un motivo valido per combattere questa guerra, al contrario di lui, che nonostante le parole di Rufus Shinra continuava a sentirsi del tutto inadeguato e fuori posto.

-Più piegamenti e meno ripensamenti!!- sbraitò Barret, tirando al povero biondo una gomitata sulle costole, notando la sua aria pensosa. Quello, che in quel momento di pensiero stava sostenendo sulle spalle un bilancere da ottanta chili, fu costretto a lasciarlo cadere a terra con gran clangore, per poi piegarsi in due dal dolore.

-Sospendete l'allenamento, sergente Wallace- la voce di V.I.V.I risuonò stentorea nella sala, con il consueto timbro elettronico -il colonnello Strife desidera vedere la squadra nella sala briefing per affidare loro una missione-

Barret emise una sorta di grugnito di malumore -dì a quel cretino biondo depresso che la squadra è ancora in fase d'addestramento- replicò verso l'altoparlante da cui V.I.V.I comunicava -se vuole, può mandarli al macello fra una settimana o due- concluse, con aria noncurante, voltandosi nuovamente verso i dodici componenti che ancora stavano sudando sotto i pesi e i bilancieri.

-Il colonnello Strife mi ha detto di riferirle che si tratta di una missione di livello Alfa con alte probabilità che degeneri in un livello Omega, e che se persisterà ad ignorare gli ordini verrà degradato a caporale e, cito testualmente- la voce del colonnello Strife sostituì quella di V.I.V.I. -#..sparato nello spazio a calci in culo, fin dentro a un fottuto cataclisma cosmico#-

Barret sbuffò, chiaramente scontento della decisione, ma sotto sotto soddisfatto della risposta. Per un qualche masochistico motivo, Barret pareva ascoltare solo chi sapeva stargli alla pari nel linguaggio scurrile.

-Ok, signorine, qui abbiamo finito!- urlò quindi verso il ragazzo biondo e i burmer, che con sospiri di sollievo poggiarono a terra bilancieri e pesi –ora andate a farvi una doccia, a cambiarvi, e poi scaraventatevi nella sala briefing! Chi tarda, al ritorno gli faccio fare tanti di quei piegamenti che vomiterà l’anima tre volte prima di riprendersi! Avete quindici minuti da..- controllò l’orologio integrato nel braccio cibernetico -..ora!-

Esattamente quattordici minuti e cinquantanove secondi dopo, gli undici burmer e il ragazzo biondo erano seduti sulle panche della sala briefing in cui si erano trovati quella mattina. Ma molte cose erano cambiate nel frattempo: intanto non c’erano panche ma sedie di plastica rigida, un materiale che nessuno di loro aveva mai visto, inoltre sul palco davanti a loro era stato montato una sorta di supporto metallico dal funzionamento tutt’ora oscuro; infine, Barret era assente, al suo posto c’era un uomo con assurdi capelli biondi sparati in tutte le direzioni possibili, con abiti neri, grossi paraspalle bordati d’argento e un occhio elettronico, il sinistro, stava squadrando con attenzione i soggetti che aveva davanti; l’altro occhio, azzurro e freddo, sembrava spento, neutro, privo di ogni scintilla vitale, come tutto il suo volto, duro e impietoso.

Alzò la mano destra, chiusa in un guanto nero, con cui accese il supporto metallico, che per un attimo lampeggiò, prima di cominciare a proiettare quella che sembrava una mappa olografica tridimensionale.

-Quella che vedete- iniziò a parlare l’uomo –è una mappa della periferia della città di Esthar- la sua voce era talmente fredda e atona da provocare in alcuni brividi di disagio lungo la schiena –il vostro compito sarà penetrare nella città, attraversare la periferia..- mentre parlava, la mappa seguiva il suo discorso, indicando zone e strade -..fino a giungere al centro della città, esattamente qui- la mappa si fermò, mostrando un grande edificio, indicando anche presidi, difese, guarnigione –una volta entrati, muovetevi con cautela e in silenzio, senza farvi scoprire. Se qualcuno nota i vostri movimenti, uccidetelo. Dovrete arrivare in cima e prelevare questa persona- la mappa sparì, al suo posto comparve la foto di un uomo di mezza età, anche se manteneva ancora un volto affilato e giovanile, con lunghi capelli neri e occhi vispi e attivi. Sotto a caratteri digitali vi era il suo nome: Laguna Loire –una volta recuperato, rientrate immediatamente alla Proteus. Non è ammissibile la perdita di questa persona, tantomeno la sua morte- un altro gesto della mano, e il supporto metallico si spense –supponiamo che la missione andrà liscia fino al termine della prima parte, ma le proiezioni tattiche suggeriscono che una volta raggiunto il soggetto la situazione possa.. complicarsi. Per questo sarà vostra priorità attendere i rinforzi prima di tentare di rientrare. Tu- e indicò un burmer in prima fila –sei a capo della prima parte dell’operazione. Una volta arrivati i rinforzi ti atterrai agli ordini dell’ufficiale in comando- altro gesto della mano, schietto, diretto, e di congedo –i vostri ordini gli avete. Preparatevi, quindi fra trenta minuti raggiungere l’hangar delle capsule- senza dire o fare altro, il Colonnello Strife, prese con sé il supporto metallico ed uscì dalla stanza.

-Hai notato, V.I.V.I.? Più invecchia e più diventa stronzo- commentò Cid, dalla sua posizione privilegiata. Davanti a lui, sugli schermi, saettavano ogni tipo di immagini, che controllava con la coda nell’occhio, ma negli ultimi minuti si era concentrato nel briefing della nuova squadra.

-Il Colonnello prende molto seriamente il suo ruolo- commentò la voce elettronica.

-Il Colonnello dovrebbe prendersi una vacanza- commentò invece il pilota, con improvvisa aria seria, accendendosi un sigaro, e stirandosi le braccia –e anche tu Vivi.. tutti noi.. sta andando avanti da troppi anni-

-L’alternativa è la resa, non la vacanza, tenente Highwind- fu la replica istantanea di V.I.V.I. –e la prego di non chiamarmi mai più così. Io sono V.I.V.I.-

Cid prese un paio di boccate dal nuovo sigaro, facendo fuori uscire poi con aria soddisfatta il fumo dal naso –lo so- fu la risposta, mentre stirava le gambe, e poggiava i piedi sul quadro comandi, con aria rilassata –ma sai com’è.. quando crei qualcosa tendi a ricordarne le origini-

La tensione era palpabile, mentre il gruppetto percorreva i corridoi metallici sulle cui pareti correvano tubi e cavi di diversa dimensione.

Tutti erano armati con corazze verdi, tranne il biondo CRL-01, a cui era stata data stranamente una corazza blu. Inoltre lui era l’unico a indossare stivali, data la natura delle estremità inferiori dei burmer, che non permettevano l’utilizzo di alcuna calzatura. Assomigliavano molto alle zampe inferiori dei roditori.. per non parlare poi delle orecchie che spuntavano dai buchi appositamente fatti sui caschi su misura dei topomorfi. La coda invece era il tratto comune di tutta la squadra, che fuoriusciva dal retro dei pantaloni di tutti, senza eccezione. La coda del biondo CLR-01 era anch’essa bionda e scimmiesca, mentre quella dei burmer era sottile e ricoperta di leggera peluria grigiastra.

Nonostante l’eccezionalità della loro razza, i fabbri della Proteus sapevano il fatto loro. Per il resto le armature erano identiche, con due grossi spallacci di cuoio indurito a proteggere busto e spalle, avambracci che partivano con uno snodo sul gomito, e che terminavano sul dorso della mano, quindi una protezioni semplice sul perone e infine degli schinieri di un materiale chiamato mith-rilh, che partivano con una protezione a snodo sul ginocchio per poi coprire tutto lo stinco. Inoltre la dotazione standard prevedeva una pistola semplice, un mitra leggero, un pugnale e diversi accessori, quali binocolo, diversi tipi di fumogeni, torce, cavi e funi di vario genere, alcuni kit di pronto soccorso, ganci e apparecchi radio-riceventi. Le armi personali, quali le lance dei burmer e le daghe del ragazzo biondo erano segnalate come extra, quindi erano solo responsabilità del soldato l’eventuale trasporto, stivaggio e utilizzo.

Ma nonostante tutto questo equipaggiamento, pianificazione e preparazione, il disagio sembrava l’emozione dominante.

-Ehi..- il ragazzo biondo tentò di richiamare l’attenzione del burmer nominato comandante della squadra, magari per avere qualche informazione in più –ehi, tu.. scusa, vorrei..-

-Soldato, siamo in missione- replicò il topomorfo, seccamente, come risposta, voltandosi di scatto –quindi chiamami signore o comandante-

-Thorwald, calmati.. che ti prende?- lo richiamò un compagno, lì accanto, poggiandoli la mano sullo spallaccio e agitando nervosamente la coda –è solo un ragazzo.. e qui siamo tutti compagni, ci conosciamo tutti- fece notare, indicando il resto dei burmer, disposti a semicerchio, fermi in mezzo al corridoio deserto -non ha senso una gerarchia di comando-

Thorwald sospirò pesantemente, a fondo, mentre le orecchie lunghe e grigie si abbassavano. Aveva un’aria sconfitta e preoccupata –hai.. hai ragione, Eleos..- ammise infine –scusami, mh, ragazzo.. è una situazione nuova per tutti..- gli altri burmer annuirono, anche se negli occhi si poteva leggere una sorta di rabbia repressa indefinita –chiamami pure Thor, come fanno tutti..- dispose infine con una scrollata di spalle, indicando il resto della squadra -..e tu invece sei..?-

-Ehr.. io..- iniziò il ragazzo biondo, improvvisamente in imbarazzo –non credo di.. ricordamelo.. tutti qui finora mi hanno chiamato così..- si giustifica, indicandosi la scritta CLR-01 stampata sulla corazza. Seguì un momento di silenzio.

-Si chiama Gidan- disse infine Eleos, rompendo l’assenza di suono –era a Cleyra, non vi ricordate? Assieme a.. uh..- si prese il capo con una mano, come se avesse un dolore improvviso –io.. non ricordo, ma era qualcuno di importante.. o qualcuna..-

-Abbiamo tutti vuoti di memoria- replicò Thorwald, secco e sintetico –ora andiamo, non ci è rimasto molto tempo per raggiungere l’hangar- concluse, intimando di riprendere a camminare.

-Ehi, amico.. grazie- disse Gidan, poggiando una mano sulla spalla di Eleos, con un sorrisone enorme –almeno ora so come mi chiamo-

L’altro gli rivolse un’occhiata vivamente perplessa e stranita, con anche un orecchio inclinato, indice di dubbio –“amico”..? Ti ho detto come ti chiami, e tu nemmeno mi dai un’occhiata come si deve?- replicò il burmer, con un’aria.. strana. Finta offesa, avrebbe detto.

E fu solo allora che il ragazzo guardò oltre il vetro del casco e vide un paio di occhi verdi chiaramente femminili, poi guardò un po’ più in basso e vide che effettivamente il pettorale dell’armatura era un po’ più sporgente rispetto agli altri..

Che gaffe per un gentleman come lui! Anche se burmer, aveva chiaramente confuso il sesso della topomorfa, cosa che lo gettò sostanzialmente nell’imbarazzo e nel panico più totale.

-Ehr.. io.. ecco.. vedi..- iniziò a balbettare, mentre la squadra aveva iniziato a correre, per non tardare all’appuntamento con le capsule -..non potevo.. non sapevo..-

-Ah, fossi il primo umano che si sbaglia..- replica pacata la burmer, correndo guardando davanti a sé –e ora taci e corri.. non ti ricordavo così, a Cleyra-

Il biondo spalancò gli occhi –tu.. ti ricordi tutto di Cleyra?!- domandò sconvolto, senza smettere di guardarla, avido di informazioni.

-Che ti ho appena detto? Taci e corri- tagliò corto la topomorfa, seguendo la squadra, che ora svoltato un angolo si ritrovò davanti a una gigantesca e robusta porta metallica, segnata a strisce nere e gialle. Lentamente e con grandi cigolii, la porta si aprì, rivelando un immenso hangar, rivestito di tubi, catene, e ganci;una luce gialla lampeggiante attorno a loro erano posteggiati aeronavi, caccia, motoveicoli, e mezzi di ogni genere e dimensione, su cui si affaccendavano meccanici e addetti di ogni razza e genia. Ovviamente gli umani erano la stragrande maggioranza, ma Gidan poté vedere fra loro anche strani pupazzi col cappello da mago in testa e inquietanti occhi gialli, altri burmer, strani animali simili a felini rossi con criniere nere e code fiammeggianti, grossi pennuti gialli che emettevano risuonanti “kuè!”, piccoli gattini rosa con alucce viola sulle spalle e un pompon rosso sulla testa appeso a un capello..

Ma non ebbe tempo di approfondire la conoscenza di quella insolita folla, la sua squadra parve ignorare tutto ciò, fiondandosi dove era stato loro ordinato. Ammirava e un po’ invidiava quella concentrazione ineccepibile di fronte a tante stranezze.

Si infilarono in un corridoio dove ai lati erano stati stivati enormi idrovolanti su cui un gran numero di meccanici stava lavorando con alacrità, lo percorsero di corsa, a ritmo serrato. Il ragazzo aveva già il fiatone, dato che era difficile stare al passo coi topomorfi, geneticamente adatti alla corsa.

Infine il gruppo si fermò davanti a una parete metallica, presieduta da un umano, stravaccato in un posto di comando.

-Gruppo Esthar?- chiese con voce annoiata. Thorwald si limitò ad annuire.

-Capsule Uno, Cinque e Tredici, e che il Lifestream sia con voi- rispose l’umano, con tono rassegnato, digitando alcuni comandi sulla tastiera. La parete metallica si aprì, mostrano oltre quindici vani, di cui tre aperti.

-Quattro per capsula- ordinò Thorwald; anche se avevano deciso di non adottare gerarchie, rimaneva sua la responsabilità della missione –Denis, Jemel e Dolon, con me; Closs, Kairone, Eleos e Gidan nella Cinque; i restanti nella Tredici- concluse, infilandosi nella capsula assieme agli altri burmer.

Le capsule erano piccole e strette, sufficienti a malapena a far stare la gente in piedi, illuminate da una permanente luce rossa. Disposti su quattro lati vi erano stretti sedili con cinture di sicurezza, in alto sopra di loro stivarono in strette aperture gli zaini, mentre le lance furono inserite in alcune aperture laterali verticali, e fissate con cinghie. E non appena si sedettero e si furono messi le cinture, prima ancora di chiedersi come avrebbero fatto a partire, iniziò la sequenza automatica di lancio.

L’apertura si chiuse, isolandoli nelle capsule.

All’esterno, nello spazio cosmico, la gigantesca stazione spaziale Proteus iniziava lentamente a voltarsi su sé stessa, mostrando verso il pianeta sotto di lei una paratia metallica che si apriva, dietro cui erano allineate le capsule. Tre di queste si illuminarono con luci rosse e verdi. Senza alcun suono, una dopo l’altra, vennero sparate verso il pianeta.

-Ossantocielo! Che gli antenati ci proteggano!- esclamarono fra ringhi di sorpresa tutti i burmer all’interno della capsula in cui era stato alloggiato Gidan.

-Porca di quella..!- si espresse anche lui, afferrando con le mani la prima cosa che potesse dargli stabilità.

Il contraccolpo era stato tremendo, come essere infilati in un proiettile e poi sparati con un fucile. Attorno a loro tutto tremò per un istante, strappandogli esclamazioni e commenti di diversa natura, nessuno lusinghiero. Ma con loro somma sorpresa, tale contraccolpo finì quasi subito. Attorno a loro avevano sempre l’impressione di andare veloci, ma ora erano nettamente più stabili.

-Rarefazione dello spazio cosmico- disse uno dei burmer, Closs –mi.. mi sono letto un file sullo spazio esterno.. non c’è atmosfera, niente aria, niente di niente, quindi.. niente attrito- concluse di spiegare, con un sorriso nervoso -..almeno, fino a quando non arriviamo sul pianeta..- aggiunse, sbiancando sotto la leggera peluria del volto topesco.

-Oddio.. io voglio uscire di qui! Subito!- disse l’altro burmer, Kairone, iniziando a fare cenno di togliersi le cinghie. Eleos, con massima nonchalance, gli tirò un gran cazzotto che lo privò di sensi.

-Qualcun altro vuole uscire di testa ora?- domandò, squadrando uno per uno i rimanenti sani di mente. Tutti scossero la testa, terrorizzati, ma senza darlo a vedere.

La capsula iniziò a tremare violentemente.

-Siamo entrati nell’atmosfera!- disse Closs, appiattendo le orecchie sul capo, e rattrappendosi.

-Ed è un bene o un male?- domandò Gidan, spaventato quanto lui.

-Se riusciamo a passare oltre i primi strati senza bruciare, direi bene..- fu la risposta dell’altro.

-Bruciare?! Aspetta un attimo, nessuno mi ha parlato di bruciare..!- l’affermazione del biondo cadde nel vuoto giacché le pareti delle capsule iniziarono ad arroventarsi.

Bruciando come meteoriti, luminose come comete, le tre capsule entrarono nell’atmosfera del pianeta. Impianti automatici di raffreddamento ridussero il riscaldamento delle paratie, riducendo lucore, fumo e scia. Solcarono per un attimo i cieli di Esthar, per poi precipitare al suolo, attivando altri sistemi automatici di anti-impatto. Solo alla fine, gli sportelli si aprirono.

-Dici che sia stata una buona idea?- domandò Cid, dopo aver monitorato ogni cosa.

-Non avevamo scelta- rispose la dottoressa Carol, accanto a lui, osservando mesta e seria anch’ella i monitor da cui Cid aveva seguito la disavventura del gruppo nelle capsule –tutte le altre squadre sono impegnate, lo stesso colonnello Strife è appena partito per una missione su Tera.. non c’era nessun altro che potesse impegnarsi in questo compito-

-Come dire, viva la sincerità.. qualcuno ha detto a quei poveri topi che li abbiamo mandati in missione, ma che ci aspettiamo al novantanove per cento dei casi un loro fallimento?- domandò quindi con distrazione Cid, digitando distrattamente su una tastiera. Davanti a lui comparvero alcuni diagrammi cardiaci.

-Certo che no.. guarda i loro diagrammi del cuore, l’unica cosa che impedisce loro di avere un collasso è la nostra fiducia in loro- rispose la dottoressa, indicando i monitor.

-Mph, che crudeltà.. ma non dovremmo essere i buoni, noi?-

 

 

 

 

Angolino dell’Autore:

 

Orbene, rieccomi ^_^ finalmente gli esami e l’università mollano un po’ il cappio che mi hanno stretto attorno al collo, così ne approfitto per sfogarmi un po’ postando un nuovo capitoletto, che come noterete è sì lineare, ma non rinuncio a qualche excursus qua e là <__< abitudine, come dice una certa Lucrecia “I’m so sorry..”

Ringraziamenti:

Tico_Sarah : personalmente, nemmeno io impazzisco per Squall, anche se devo ammettere che ai fini della storia mi servirà, quindi avrà una parte bella consistente u_u come anche Irvine, decisamente più simpatico o_ò il loro momento ci sarà ma.. sarà più avanti, vista la vicenda che sto seguendo ora, ma che comunque si esaurirà in massimo un paio di capitoli, e.. e non dico altro, se no spoilero di brutto o__o grazie ancora! =D

Detto ciò, vi saluto, e aspettatevi pure un nuovo capitolo la prossima settimana! Ho finalmente recuperato un pò di ritmo, e non me lo voglio perdere! è_é see you soon!

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Capitolo 6
*** Dannati Esthariani ***


Capitolo 5

 

Capitolo 5 -Dannati Esthariani-

-..Perché non escono dalle capsule?-

-Non saprei-

-Non saranno mica morti?!-

-Nah, i diagrammi sarebbero crollati come tessere del domino! Sono quelle maledette capsule, la prima volta che le usi è come venire frullati e shakerati. Sono solo sconvolti-

-Si, ma ora devono uscire, altrimenti le capsule non attiveranno i sistemi automatici di occultamento!-

-Ecco il guaio della tecnologia.. si automatizza tutto e poi la missione va a puttane perché non è scattato quello o l’altro relè che doveva attivare qualche altra cosa di importante..- 

-Se non si automatizza, quelli non sanno nemmeno da che parte infilare l’elmo-

-V.I.V.I. sveglia i belli addormentati e sbattili fuori da quelle capsule!-

-Sarà fatto, tenente Highwind-

-Mph, la missione più breve di sempre.. già spacciati ancora prima di mettere il naso fuori.. glielo avevo detto a Cloud che dovevano concludere l’addestramento-

-Taci, che porti rogna-

-Squadra di Terra della missione Esthar, svegliatevi, e uscite subito dalle capsule!-

La voce artificiale di V.I.V.I. risuonò nel vuoto metallico dell’interno delle tre capsule.

-Squadra di Terra della missione Esthar,questo è un ordine prioritario! Svegliatevi, e uscite subito dalle capsule!-

Ancora nessuna reazione, dai suoi sensori V.I.V.I. poteva percepire i corpi dei cosmonauti stesi sui loro posti senza mostrare alcun segno di vita. Ma per fortuna i suoi sensori percepivano tutti e dodici i battiti cardiaci.

-Squadra di Terra della missione Esthar, è indispensabile che mi prestiate attenzione! Uscite subito dalle capsule! Gidan,svegliati!-

-Mmmhmmh.. eh..?- fece l’interessato, aprendo a malapena un occhio –chi.. cosa.. che diavolo..?- il ragazzo, con fatica, tentò di muoversi, scoprendosi ben allacciato al suo sedile. Si guardò attorno con aria assonnata e sorpresa, come se vedesse per la prima volta le pareti metalliche e i suoi compagni, tre burmesiani totalmente intontiti e incoscienti.

-Ossanti.. la capsula ha.. abbiamo.. noi siamo..- tentò di formulare il biondo, sconvolto, armeggiando con le cinture.

-Siete atterrati con successo sul pianeta a un chilometro e mezzo dalla città- lo informò V.I.V.I., nel suo solito tono piatto ed elettronico –avete venti minuti di tempo per uscire dalle capsule e attivare la sequenza automatica stealth prima che arrivino le locali forze di polizia. E la cintura non si apre così, spingi il bottone giallo-

-Fosse facile, c’è questa schifosa luce rossa che me lo fa diventare rosa il bottone!- fu l’irato commento del ragazzo, che fece infine scattare la cintura, liberandosene. Subito fece un balzo in avanti, prendendo i primi due burmer che gli capitarono a tiro per i colletti della corazza e scotendoli con forza –ehi, ragazzi! Svegliatevi, siamo atterrati, e siamo già nei guai!-

I due topomorfi si svegliarono tre scrollate dopo, emettendo curiosi mugugni e squittii di intontimento, ma al contrario di Gidan, si resero conto molto più in fretta della situazione.

-Oh, siamo atterrati?!- disse Eleos, staccandosi la cintura –porca miseria! Fuori, fuori tutti! Anche tu, bello addormentato!- aggiunse, tirando un pugno allo sterno del burmer che aveva scazzottato ancora prima di entrare nell’atmosfera –e non dimenticate il bagaglio e le lance! Un burmesiano senza lancia è come un umano senza gambe!-

-Questa me la faccio spiegare, prima o poi..- borbottò Gidan, recuperando il suo zaino e le daghe, che infilò alla cintura.

Uno alla volta uscirono dalla stretta apertura della capsula, e una volta fuori videro che anche nelle altre tre capsule, a parecchie decine di metri di distanza stava avvenendo la stessa cosa, con le altre due squadre di burmer che recuperavano armi e bagagli, ed uscivano dai crateri.

Eleos allungò una mano in segno di saluto –attiviamo le ricetrasmittenti- disse –sarà molto più semplice comunicare.. ..Thorwald, mi senti?-

All’orecchio di tutti, all’interno del casco, si sentì prima un brusìo, poi la voce del caposquadra -*crack crazzle* si.. ti sento, Eleos. Tutto bene?-

-Si, stiamo bene..- il burmer picchiato tossì leggermente -..circa.. cosa facciamo ora?-

-Vi sto mandando le coordinate di un luogo riparato. Andiamo lì e facciamo il punto della situazione- fu la risposta –mantenete i canali aperti in caso di problemi. Passo e chiudo-

-Va bene- poi si voltò verso gli altri tre, con espressione decisa –sentito? Muoviamoci!-

E mentre quei piccoli manipoli si allontanavano, dalle capsule abbandonate si sentì un fortissimo rumore elettronico. Tutti si voltarono, e videro quei tre contenitori metallici emettere un forte bagliore, quindi da alcune aperture spuntarono fuori dei congegni che iniziarono a ronzare, e ad illuminarsi. Uno alla volta iniziarono a proiettare attorno a loro dei fasci di luce, che si condensarono, iniziando a formare oggetti concreti. In un attimo, i crateri sparirono e con loro le capsule, al loro posto vi era soltanto una uniforme e solida pianura di terra.

-Ologrammi denso-attivi- spiegò in due parole Closs, l’unico burmer che aveva fatto la fatica di informarsi –per non far scoprire ai nativi le capsule-

Gli altri tre si limitarono ad annuire con aria grave, per poi mettersi in marcia verso il punto prestabilito. In lontananza già era possibile vedere l’avvicinarsi di alcune luci, assieme a un rombo di motori.

Il gruppo si ritrovò dietro ad una roccia affiorante, su cui cresceva una ispida e fibrosa piante, che concedeva un po’ di copertura. In lontananza era ancora possibile vedere il lavoro delle macchine di Esthar che controllavano il terreno dove erano cadute le capsule. Visto che nessuno li aveva informati sulle modalità di ritorno, speravano con fervore che le capsule resistessero a quell’esame.

-Non capisco proprio..- mormorò il burmer addetto all’osservazione delle macchine di Esthar –..non assomigliano a nulla che conosco.. nemmeno a Lindblum costruiscono affari simili. Sembrano grossi granchi metallici con una decina di chele ciascuno. E fluttuano per aria-

-Finchè non ci vengono a rompere le scatole, non ci deve interessare- replicò Thorwald –tienile sotto controllo, avvertici se iniziano a dirigersi in questa direzione. Intanto noi vediamo di mettere insieme un piano d’azione-

-Abbiamo una scadenza?- domandò un altro, Kairone, che ancora si massaggiava con una mano il volto dolorante –un tempo limite?-

-Il colonnello non ne ha fatto parola- rispose Thorwald –ma da come l’ha messa giù, questa è una missione mordi e fuggi. Trovare Laguna, e aspettare i rinforzi barricati nella stanza in cui si trova il nostro uomo-

-Ok, ma dall’istante in cui troveremo questo Laguna, quanto ci metteranno i rinforzi ad arrivare?- domandò Gidan, che tentava ancora di riprendere fiato per stare dietro ai velocissimi burmesiani.

-Posso rispondere io a tale quesito- rispose una familiare voce elettronica nei loro caschi, che fece venire a tutti un colpo apoplettico –la squadra di rinforzo verrà attivata nell’istante in cui il signor Gidan qui presente raggiungerà il signor Loire. Quando i due si troveranno nella stessa stanza a una distanza minima di cinque metri, verrà spedito un impulso alla Centrale di Comando della Proteus, che farà attivare all’istante la squadra-

-V.I.V.I.! Eri sempre qui, ci hai ascoltato per tutto il tempo!- ruggì Thorwald, alterato –pensavo che le comunicazioni con la base fossero saltate non appena abbiamo lasciato le capsule!-

-Infatti, ora riesco a comunicare con voi solo perché ora vi trovate in un’area non coperta dagli schermi anti-interferenza Esthariani- rispose V.I.V.I., docile come sempre –una condizione eccezionale, credo causata dal masso e dalle piante che ora vi proteggono. Non chiedetemi come o perché, sono troppo distante per darvi dati certi-

-Non ce ne frega niente di botanica, V.I.V.I.- replicò Eleos stavolta, secca e diretta –da quello che ci dici, mi pare di capire che Gidan è fondamentale per questa missione.. perché?-

-Perché sia lui che il signor Loire sono individui di tipo Alfa- fu la risposta immediata del computer –quando due individui di tipo Alfa si trovano a distanza ravvicinata, creano una distorsione nel campo magnetico del Lifestream del pianeta che provoca perturbazioni nei neutrini, causando..-

-Stringi, V.I.V.I.- fu stavolta l’acida replica di Gidan, anche lui partecipe alla conversazione.

-Va bene. In sostanza, quando vi incontrerete, creerete una distorsione percepibile dagli strumenti della Proteus. Una successiva verifica di posizionamento globale ci dirà che è la vostra squadra, quindi attiveremo i rinforzi. Chiaro, no?-

-No, ma non abbiamo scelta- fu la secca risposta di Thorwald –V.I.V.I., ora aspetteremo la notte, quindi inizieremo a muoverci verso la città, e le comunicazioni si interromperanno di nuovo-

-Molto bene, buona fortuna Squadra di Terra-

Quando infine il buio notturno calò nella zona, dodici agili figure iniziarono a muoversi verso la città, chine e veloci, saltando di riparo in riparo, usando qualsiasi cosa per occultare la loro figura agli allarmi piazzati in cima alle mura di Esthar.

I burmesiani data la loro propensione atletica avevano gioco facile: quando una zona non era percorribile, semplicemente spiccavano balzi tali da superare in un sol colpo metri e metri di territorio impraticabile, quindi senza nemmeno fermarsi, riprendevano a correre. Non parevano sentire né dolore né fatica, totalmente concentrati nel loro obiettivo.

Così purtroppo non era per il ragazzo biondo, che spesso rimase indietro bloccato da rami, terreno scivoloso, fango, erba alta.. solo ora si rendeva conto di non possedere un decimo dell’agilità dei suoi compagni di squadra. E la cosa lo faceva bruciare di rabbia, dato che erano costretti ad aspettarlo, visto che l’intera missione era imperniata su di lui.

Spesso si faceva strada con le daghe, tagliando tralci di erba che lo ostacolavano, e a volte non erano nemmeno tralci, ma intere giungle che ai burmesiani bastava un salto per evitare.

Come se non bastasse, ogni tanto gli capitò di trovarsi davanti a creature selvatiche di diversa natura, che ovviamente non apprezzarono la sua intrusione.

-Anf.. anf..- ansimò pesantemente, tagliando rami ed erba alta, ed uscendo dall’ennesimo intrico verde. Ad aspettarlo vide l’intera squadra, seduta all’interno di uno spiazzo, che si riposava, tenendo davanti a loro alcune mappe olografiche, generate dall’orologio al polso di Thorwald.

Gidan aveva in mano un daga, mentre con l’altra teneva stretta la coda di una bestia, che una volta uscita dal fogliame si rivelò essere un gigantesco rettile violaceo coperto di creste, con una bocca enorme e artigli lunghi mezzo metro sulle zampe anteriori. Qua e là era possibile notare diverse ferite da taglio sulla belva ormai morta e inerte.

Il ragazzo biondo si accasciò in ginocchio a terra, continuando ad ansimare per la fatica –non ce la faccio più.. quanto diavolo manca alla dannata città?!- esclamò, esausto.

-Siamo arrivati- mormorò placido Thorwald, senza degnare Gidan di un secondo sguardo. Quindi indicò alle sue spalle.

Era ancora buio, mancavano ancora diverse ore all’alba, ma Gidan alzò comunque lo sguardo, e vide davanti a lui, a una decina di metri di distanza, una parete liscia metallica, talmente lucida da riflettere il buio notturno, e quindi difficilmente individuabile. Ma poi il ragazzo, alzò ancora gli occhi, mentre l’espressione si faceva via via più stupefatta e sconvolta.

La parete metallica continuava fino a innalzarsi verso il cielo, apparentemente senza fine, e non solo ma continuava anche a destra e a sinistra. Una parete metallica, liscia e riflettente che pareva tagliare in due il mondo. Non si riusciva a vederne la fine da nessuna parte, né verso l’alto, né ai lati. Non sembrava finire mai. Gidan sentì un groppo allo stomaco, al solo pensiero di dover superare quel mostro metallico infinito.

-Abbiamo due strategie da poter attuare- stava dicendo intanto Thorwald, mostrando la mappa, e indicandone i punti salienti –possiamo scalare la muraglia metallica, oppure mimetizzarci nei mezzi in entrata- spiegò, indicando un punto dove il metallo si apriva e lasciava passare i giganteschi meccanizzati esthariani –e personalmente propendo per quest’ultima. Data l’altezza della muraglia, e vista la presenza di numerosi sistemi di allarme, per passare in tutta sicurezza ci metteremmo almeno una giornata e mezza-

Anche gli altri burmesiani scuoterono il capo, nel sentire l’ultima affermazione.

-Ehm.. scusate..- si intromise Gidan. Gli sembrava sempre di essere inopportuno -..io forse potrei ancora passare per uno di loro, ma voi come farete per mimetizzarvi..?- domandò, poco convinto.

In risposta, Thorwald cambiò l’immagine olografica, che iniziò a mostrare i giganteschi mezzi di trasporto esthariani, in particolare quelli che fino a poco prima stavano esaminando il terreno dove erano cadute le capsule.

-Questi cosi stavano facendo rilevamenti e studi dove siamo atterrati, e rientreranno a breve. I nostri sensori non rilevano alcuna traccia di vita a bordo- spiegò stavolta Eleos, indicando l’ologramma –quindi, se riuscissimo a infiltrarci al loro interno, avremmo un passaggio garantito per l’interno della città-

Gidan nel frattempo si era seduto su un masso e stava riprendendo fiato, ma comunque domandò ancora –e fra quanto rientreranno?-

-Fra mezz’ora circa.. supponiamo che entreranno da lì- rispose la topomorfa, indicando verso l’alto, dove c’era ad una ventina di metri d’altezza nel metallo infinito delle mura una linea incisa che formava una sorta di riquadro circolare.

Gidan sbarrò gli occhi, sconvolto –e noi come diavolo ci arriviamo là sopra?!-

-Controlla nel tuo zaino, pivello. Ci sono delle funi e dei ganci- ghignò Thorwald, mostrando alcune funi da scalata tirate fuori dal sul zaino, sulle cui estremità erano stati applicati dei ganci –quando passeranno sopra di noi, tireremo le funi, ci agganceremo e ci isseremo al loro interno o anche sopra di loro se sarà necessario- spiegò –dobbiamo essere veloci, non possiamo permetterci di perdere una giornata e mezza sulle mura- concluse, secco e autoritario. E il ragazzo non potè far altro che accettare. D’altronde che scelta avevano?

-Ricordate, avremo una sola occasione- mormorò appena Thorwald, nascosto dal fogliame, gli occhi da roditore puntati sull’apertura circolare sul muro metallico.

Era infine giunta l’ora, la mezz’ora era trascorsa, e a poca distanza si potevano vedere i mastodontici mostri meccanici Esthariani avvicinarsi lentamente, fluttuando a venti metri circa d’altezza.

Macchine enormi, con braccia cibernetiche, e le corazze lucide che brillavano anche sotto la tenue luce della luna, che riuscivano a rimanere sospese a mezz’aria senza alcun apparente motore, nessuno infatti riuscì a vedere reattori, propulsori, nemmeno ali! Sembravano ai loro occhi enormi granchi con due grosse chele in quello che pensavano il davanti e numerosi tentacoli che dalla ‘pancia’ si protendevano verso il basso.

-Attivati i disturbatori elettromagnetici- sussurrò nuovamente Thorwald, trafficando un istante con la sua cintura, che mandò un biiip per poi accendersi una lucina verde. Gli altri undici lo imitarono.

-Ora non lasciatevi prendere dalla fretta- iniziò a mormorare –ci sono quattro mezzi in arrivo.. se non riuscite ad agganciarvi al primo, aspettate il secondo.. non dobbiamo dare nell’occhio, questo è un ordine prioritario- detto ciò, il burmesiano si alzò dal nascondiglio, tese all’indietro il suo cavo con gancio, lo fece roteare, quindi con uno scatto di braccio e polso, lo lanciò verso l’alto.

Il cavo si agganciò saldamente a un tentacolo cibernetico del mezzo meccanico, che nemmeno registrò quell’aggancio. Thorwald iniziò agilmente a salire, arrampicandosi sul cavo.

A quel punto, altri tre burmesiani si alzarono, lanciando i cavi verso le braccia metalliche, e iniziarono a salire con eguale agilità, ogni tanto sbattendo contro il metallo dei tentacoli, che tuttavia non fecero una piega.

L’apertura sul muro metallico iniziò a illuminarsi e il metallo della porta iniziò a schiudersi verso l’interno, dividendosi in numerosi spicchi metallici che rientrarono, permettendo l’accesso ai mezzi. Il primo trasporto abusivo burmesiano entrò, mentre dal luogo riparato il resto della squadra lanciò i cavi, iniziando a risalire le spire metalliche.

-Raggiungete il tetto- ordinò Eleos a mezza voce, arrampicandosi velocemente –e fate in fretta, non abbiamo idea di quanto siano efficaci questi disturbatori elettromagnetici!-

Gidan roteò anch’egli il suo cavo, lanciandolo verso il tentacolo, dove si agganciò ed iniziò a risalire i tentacoli.

-Fate presto!- esclamò una voce alle ricetrasmittenti. Era Thorwald –questi.. cosi.. quando rientrano gli staccano i tentacoli per riporli a parte! Se non vi sbrigate a salire sul tetto finirete schiacciati!-

Ai quattro che ora stavano risalendo i tentacoli del secondo essere meccanizzato iniziò a scendere sudore freddo: potevano vedere distintamente, poco lontano a meno di dieci metri di distanza l’apertura circolare dentro cui ormai stava sparendo il primo mezzo meccanizzato.

Subito iniziarono a sforzarsi di arrampicarsi più in fretta, risalendo i cavi e sudando come dannati, artigliando il metallo e piegandolo sotto le dita munite di unghioni. Questo discorso ovviamente valeva per i burmesiani, il povero ragazzo biondo non possedeva nulla di simile, anzi il cavo stesso sotto i guanti dell’armatura continuava a scivolargli, facendogli perdere terreno e tempo prezioso. Ormai erano tutti risaliti fino alla base dei tentacoli posta sulla pancia metallica del mezzo, e l’apertura distava a meno di cinque metri.

Gidan iniziò a sudare freddo, continuava ad arrampicarsi, ma il metallo era scivoloso sotto i guanti, a malapena gli stivali, dotati di suola in gomma, aderivano al metallo.

-Muoviti, stiamo entrando ora!- gli urlò Eleos, dall’alto, sporgendosi per vedere i progressi del ragazzo, che purtroppo continuava a salire con inesorabile lentezza.

Venne improvvisamente buio, quando il mezzo meccanizzato varcò l’apertura, e poi improvvisamente luce, fari si accesero ovunque, illuminando il luogo, e tutti videro un ambiente ampio, gigantesco, una sorta di caverna coperta di cavi e paratie luminose, che mandavano bagliori bluastri, schermi, riquadri digitali, e ancora cavi e piattaforme li circondavano. Ma non solo, in angoli strategici erano piazzate alcune cannoniere automatiche, anch’esse illuminate di quella energia bluastra che pareva animare qualsiasi cosa attorno a loro. Solo ora notarono che lo stesso mostro meccanico su cui erano saliti era animato da quella stessa energia.

Lentamente, inesorabile, si avvicinò a ponte sopraelevato, simile a un molo, composto da paratie metalliche, dove adagiò un fianco. Immediatamente, i topomorfi che erano riusciti a guadagnare il tetto, saltarono via in un lampo ricadendo in uno spazio in ombra alle cannoniere, che si mossero repentinamente non appena videro del movimento sopra il tetto del mezzo, ma stranamente non spararono.

-Fermi! State fermi!- tuonò la voce di Thorwald sulle trasmittenti -i disturbatori elettromagnetici ci coprono e confondono le torrette, se non ci muoviamo non ci vedono!-

-Ma non possiamo rimanere fermi in eterno! Gidan è ancora fra i tentacoli, e noi dovremo pur muoverci da qui!- replicò Eleos, in un sussurro furibondo.

-State! Fermi!- ripetè Thorwald –ho mandato Jemel a sabotare la centralina di controllo, entro quattro minuti dovrebbe farcela..-

-Non ce li ho quattro minuti!- urlò a quel punto Gidan sulle trasmittenti. Mentre i burmesiani discutevano sul da farsi, la situazione fra i tentacoli era tragica, dato che dal fondo della caverna di cavi erano fuoriusciti una ventina di tubi neri di un materiale gommoso su cui correvano cavi e sostenitori cibernetici, che ricoprivano i tentacoli del mezzo robotica e li staccavano uno ad uno. Gidan era appena riuscito a raggiungere i tre quarti di tentacolo prima che uno di questi tubi iniziasse a ricoprirlo, e ad inguainarlo.

-Ehi, vattene via!- esclamò, tirando due calci al tubo, impedendogli di proseguire. Questo fece alcuni rumori insoliti, un ronzio infastidito, poi all’improvviso aumentò l’apertura della bocca, e sorpassò di netto in ragazzo, ricoprendolo assieme al tentacolo.

-Ehi, che diavolo..?!- urlò, ma il suo urlo venne smorzato all’improvviso, dato che il tubo, una volta raggiunta la base del tentacolo, si attaccò espellendo l’aria e aderendosi al tentacolo stesso, e ovviamente anche addosso al ragazzo, che si ritrovò bloccato e senza aria.

-Per gli antenati, soffocherà! Dobbiamo salvarlo!- esclamò Closs, saltando via dal suo rifugio.

-Fermo, idiota, i cannoni non sono ancora..!- un colpo di cannone spezzò l’avvertimento di Thorwald. Il burmesiano ricadde a terra con un tonfo secco e il fianco fumante, apparentemente privo di vita -..ancora disattivati.. che gli Antenati ci proteggano..- concluse Thorwald, lugubre.

-Dobbiamo comunque fare qualcosa, Gidan non resisterà a lungo! E senza di lui la missione è inutile!- disse in fretta Eleos, osservando la situazione. Il tubo ora aveva agganciato il tentacolo, e dopo aver emesso l’aria in eccesso si preparava a ridiscendere. Poteva distintamente vedere dalla sua posizione il rigonfiamento che era il ragazzo intrappolato.

E dalla sua prigione, Gidan, privo di aria e impossibilitato a muoversi, stava comunque tentando in ogni modo di liberarsi. Sentiva quel materiale simile a gomma premere ogni centimetro della sua pelle, tappandogli il respiro, premendo sul suo cranio stesso, comprimendogli il cervello, gli occhi.. sentiva la morte arrivare, sempre se prima non perdeva i sensi per mancanza d’aria.

“Assurdo che finisca così..” pensò, in un lampo di lucidità “..non so nemmeno perché sono qui.. ..perché sono qui?”

E miracolosamente, alla sua domanda posta solo a sé stesso, ebbe risposta, una risposta che giunse.. dall’esterno, da una voce lontana che tuttavia nonostante non la conoscesse, gli suonò estremamente sgradevole e odiata “..perché tu hai dato inizio a tutto questo. È tuo compito porvi fine. Ed ovviamente non puoi morire ora. Troppo facile e troppo comodo” dopo, la voce tacque, ma sentì improvvisamente il suo corpo scosso da brividi, come se qualcuno gli avesse versato nelle vene del fuoco o del ghiaccio o tutte e due le cose assieme.

Dall’esterno i burmesiani videro improvvisamente che dal rigonfiamento dove Gidan era bloccato iniziavano a crearsi alcune leggere, leggerissime ma sempre più frequenti scariche elettriche violacee, che ben presto iniziarono a percorrere l’intero tubo, che emise una sorta di ronzio di sofferenza agitandosi a destra e manca senza costrutto, come a volersi liberare di un prurito tremendo.

Poi d’un tratto la gomma nera di cui era composto si squarciò, le scariche elettriche violette si mescolarono a quelle bluastre dei cavi che animavano il tubo, per poi svanire nel nulla.

Come un proiettile, Gidan venne sputato fuori dal tubo ormai distrutto e devastato, che implose scagliando tutto intorno brandelli di gomma nera più un materiale vischioso e gelatinoso. Il ragazzo fece un volo che lo portò oltre il parapetto e lo fece rotolare proprio davanti a una cannoniera che lo puntò decisa, ma in quel momento si levò Eleos dal nascondiglio che con perfetto tempismo scagliò la lancia esattamente dentro la canna del cannone, che non appena caricò il colpo energetico, implose. Tutte le altre cannoniere si volsero verso di lei.

-Cazzo, Jemel, ora, ORA!- urlò Eleos, irrigidendo i muscoli, e preparandosi a essere freddata dalle venti e più cannoniere che ora la stavano pericolosamente puntando.

Vi fu una improvvisa luce, ardente e accecante, quando tutte le torrette caricarono il colpo energetico, riflettendosi migliaia di volte su cavi e paratie.. già la burmesiana vedeva passarsi davanti tutta la sua vita.. ma non accadde nulla. Le cannoniere riassorbirono il colpo e con un rumore di tostapane, si abbassarono e si spensero.

Con il respiro pesante, Eleos si accasciò a terra, accorgendosi di essere sudata fin alla punta della coda, e con gambe e braccia tremanti.

-Tu.. vai a controllare se Closs è vivo..- disse, indicando Kairone –tu.. invece vai a controllare Gidan.. e portami un sacchetto di carta- ordinò a un altro, sbiancando con l’aria di qualcuno che stava per vomitare l’anima. E ciò avvenne non appena ebbe fra le mani il sacchetto.

-Per gli Antenati, come state?!- esclamò Thorwald, non appena raggiunse il posto assieme al resto della squadra.

-Closs è vivo, il colpo non ha preso zone vitali- lo informò Kairone, che ne stava monitorando le condizioni –penso di riuscire a rimetterlo in piedi, ma difficilmente potrà saltare o correre come prima..-

-Capisco.. e Gidan?-

-Solo svenuto, si rimetterà a breve, sarà solo un po’ frastornato-

-Ottimo.. Eleos? Tutto bene?-

-BLLEEEEEAAAAARGH!!-

-Lo prendo come un si..-

...

-V.I.V.I., riesci a capire dove siano ora?-

-Non ne ho idea, tenente Highwind.. secondo le proiezioni tattiche, dovrebbero essere già entro le mura di Esthar- rispose la voce elettronica -ma non c'è modo di verificarlo, gli scudi e i disturbi sono troppo intensi per un esame.. anche se tre minuti e venti secondi fa ho rilevato un picco di energia molto intenso in questo punto- sullo schermo apparve un prospetto in scala digitale delle mura di Esthar, con una indicazione sul punto dove è stato fatto il rilevamento.

-Hai idea di che energia sia?-

-Solo ipotesi, tenente Highwind, ma non avremo alcuna certezza se prima il signor Gidan non torna dalla missione-

-L'ha emessa lui?!-

-Senza dubbio, l'impronta energetica è inconfondibile-

-E' forse quello che pensiamo..?-

...

Gidan e Closs si erano infine rimessi in piedi, anche se il secondo era un pò tentannante, con una fasciatura che prendeva tutto il busto e gli fermava tutta la spalla e il braccio sinistri, e zoppicava vistosamente. Generosamente, e soprattutto perchè era a causa sua, Gidan si offrì di fargli da sostegno. Eleos era ancora bianca in volto, ma almeno aveva smesso di riempire il sacchetto.

-Molto bene, fin qui ce la siamo cavata senza perdite, più o meno..- iniziò a dire Thorwald, mostrando davanti al gruppo la mappa del loro percorso -..ora arriva la parte facile, finalmente- con il dito indicò un punto -ci caleremo in questa fogna, a mezzo chilometro di distanza da qui, per percorrerla poi fino a questo palazzo..- la visuale elettronica si spostò, mostrando un enorme edificio, gigantesco e frastagliato. L'immagine era in scala e a colori, ma dava comunque l'impressione di una struttura importante, piena di strutture aggiunte, guglie e antenne di ogni genere.

-Risaliremo in questo punto, che dà accesso diretto all'ascensore, questo qui..- la visuale si avvicinò, mostrando l'interno del palazzo -..scardineremo e renderemo inutilizzabile l'ascensore, per poi salire lungo i cavi fino al cinquantasettesimo piano dove il signor Loire riposa-

-Scusa Thorwald.. ma non vedo come Closs possa seguirci in questo ultimo passaggio, messo com'è..- disse Gidan, reggendo un braccio del burmesiano sulle spalle.

-Ma può camminare.. Closs, tu non ci seguirai sull'ascensore, ma prenderai le scale- e la visuole evidenziò un passaggio accanto all'ascensore -con te verranno Gidan e Jemel, perchè dovete, man mano che saliamo, disattivare i sistemi di sorveglianza, esterni e interni, oltreche mettere fuori combattimento eventuali guardie..- nuovamente sulla mappa si evidenziarono numerosi punti, le telecamere, le torrette, anche le guardie. Nello stesso corridoio dell'ascensore era possibile vedere alcuni droidi in funzione, direttamente collegati a centraline periferiche. E ovviamente i burmesiani all'interno non potevano permettersi di perdere tempo a combatterci e sparargli contro, dato che erano impegnati nella faticosa mansione di salire lungo i cavi..

-Ma che senso ha che saliate lungo i cavi? Non è meglio se tutti prendiamo le scale?- interruppe nuovamente Gidan.

-Magari.. sarebbe molto più comodo..- mormorò seccato il burmesiano -peccato che il signor Loire sia il Presidente di questa dannata nazione e che abbia un sistema di sicurezza a dir poco machiavellico.. vedete qui?- e indicò una serie di punti da un altro lato dell'edificio -sono fotocellule, sensori che avvertono di un'intrusione non autorizzata a qualsiasi livello dell'edificio, e ognuna copre un intero piano a partire dal primo, quindi, per quello che ci interessa, sono cinquantasette fotocellule. Noi che penetreremo dal piano terra, che è pubblico, non verremo visti subito- Thorwald digitò alcune istruzioni sul supporto olografico -dobbiamo distruggerle ad una ad una, e l'unico modo per farlo è sparare un colpo attraverso dal corridoio dell'ascensore attraverso l'apertura che dà ad ogni piano. Ovviamente..- disse, con un sospiro pesante -..abbiamo una sola opportunità per fotocellula.. se sbagliamo anche un solo colpo, il sensore avvertirà subito la nostra presenza, e allora va tutto a puttane.. chiaro no?- concluse, con un cenno rassegnato.

Tutti annuirono, torvi. Nella mente di tutti, nessuno escluso, si formarono due limpide parole, un pensiero quanto mai palese.

"Dannati Esthariani".

 

 

 

Angolino dell'Autore:


Allora, che avevo detto la volta scorsa..? Il prossimo capitolo entro la prossima settimana..? <___<" eh, mi sarò sbagliato, essì.. <__< purtroppo le vacanze mi hanno colto impreparato, sono tutto uno stress! °-° come anche la prima sessione di esami dell'Università, che si terrà a breve breve breve.. quindi scrivo come e quando posso, perdonatemi.. é____è

Ma i ringraziamenti vanno fatti comunque u.ù :

 

ReisTheGuardian : mooooolto thanks, grazie di cuore =D sul 'come scrivo?' avrei molto da criticare a me stesso, ma grazie comunque ^^ per la storia e la trama.. bhe, all'inizio pensavo fosse uno sclero .__. fortuna che mi sbagliavo =D bye, alla prossima!

 

Detto ciò, il prossimo aggiornamento sarà.. sarà.. saràà.. sarà u.u punto u.u See you Soon!

 

 

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