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Ogni volta che percorreva i corridoi dell’aeronave, diretto
sempre alla stessa inevitabile meta, veniva preso sempre dalla stessa
sensazione: disgusto, per sé stesso e per quello che era stato.
I suoi passi risuonavano amplificati in quei corridoi vuoti.
Non c’era anima viva, apparentemente, ma in realtà vi erano in prossimità delle
colonne metalliche alcune piccole nicchie in cui erano stati strategicamente
posti alcuni Wardroid di ultima generazione. Per lui erano e sarebbero sempre
stati delle insulse scatole di ferro, paragonabili a lavatrici.
Nella sua terra d’origine, era il guerriero più grande,
imbattibile e imbattuto, un dio per quelle genti che lui poteva a ragione
guardare dall’alto in basso. Aveva imbastito una guerra, e stava per decretare
la fine di quel mondo patetico seguendo le direttive della Madre. Ma
poi era arrivata la Regina, e tutto fu vano.
Aveva progettato ogni cosa con cura, aveva previsto ogni
mossa dei suoi avversari, ogni minimo cambiamento! Ma quello come avrebbe potuto
prevederlo..?
Percepì il disappunto della Madre, prima che la Regina la
riducesse ad un cumulo di cenere. Un disappunto che lo maledì e torturò la sua
mente, anche ora, anche adesso.
Ma i suoi piani erano quelli di una formica in confronto a
quelli che aveva in mente la Regina. Fu costretto a mettersi al suo servizio, a
piegarsi. Che altro poteva fare?
Per la prima volta, il guerriero più potente,
consapevolmente, si piegò, decise di servire.. la parola stessa gli
dava una orrenda sensazione di disgusto e vomito, ma era l'unica scelta, o
quella o la morte. E la morte non era ancora un'opzione accettabile.
E avrebbe continuato a servire, almeno finché non avrebbe
trovato una falla, un minimo spazio dove insinuarsi e distruggere la Regina. Ma
doveva aver pazienza. Era da oltre tre anni che pazientava, e nulla. La Regina
era e rimaneva sostanzialmente intoccabile.
L’aeronave dove ora si trovava era un vero capolavoro di
ingegneria, una città volante di ferro, vetro e acciaio con
sufficiente potenza di fuoco da spazzare via in un colpo solo una piccola
nazione, e con una corazza sostanzialmente impenetrabile.. e il corridoio che
stava ora percorrendo era il più difeso di tutta l'aeronave, a causa di ciò che
era situato dietro alla porta in fondo, ovvero la Regina stessa, che lo stava
attendendo. E come se non bastassero i Wardroid, numerose scatole metalliche
che tappezzavano pareti e soffitto rivelavano la presenza di torrette laser con
mirino ottico. Anche quelle erano solo macchine ai suoi occhi. Patetiche macchine.
In effetti, non bastavano: non contro di lui almeno.
Cos’era una macchina di fronte all’infallibilità di un corpo
allenato e superiore, quale il suo? Nulla. Eppure doveva piegarsi al volere di
chi, purtroppo, gli era superiore.
Era una schiavitù la sua, che mal sopportava, ma necessaria.
Doveva vivere a sufficienza per vendicare la Madre e finalmente trovare la pace
dei sensi.
Qual’era la sua maledizione? Semplicemente il rimorso, il
rimorso di non aver saputo aiutare la Madre, il rimorso di essere stato così debole..
debole lui, che con un gesto della sua spada poteva annientare intere armate!
Che con meno di un pensiero poteva uccidere un uomo comune!
“Mai più” continuò a dirsi, ancora e ancora. Un giorno la
sua spada avrebbe trafitto il cuore della Regina.
E la Regina, stranamente, ne era conscia, lo sapeva che quel
guerriero nutriva per lei il più tremendo e folle istinto omicida. E non ne era
minimamente preoccupata, e lui sapeva anche perché.
Quei Wardroid, le torrette laser, tutte quelle difese tecnologiche..
erano nulla di fronte al vero e reale potere che deteneva, e che conservava da
sguardi indiscreti, un potere così grande che grazie ad esso aveva piegato non
solo il suo, ma molti altri pianeti. Dove abbia trovato tale potere, a lui non
era stato concesso sapere. Un potere che lo aveva sconfitto e reso schiavo, e
che ancora adesso teneva ben saldi i suoi ceppi. Ceppi privi di consistenza
ovviamente, dato che godeva pur sempre di una posizione di prestigio
all'interno della gerarchia e società creata dalla Regina, ma pur sempre
presenti.
Lui comandava armate, sotto il suo vessillo combattevano e
morivano uomini, e lui volentieri li lasciava morire: meglio loro che lui, i
suoi piani erano troppo grandi per scomparire con la sua morte. Un giorno sarebbe
morto, lo sapeva, ma non ora! Non sotto l'egida della Regina!
E sapeva che senza il potere, la Regina era nulla, solo
un’altra regina, né più, né meno, una come tante, a capo di eserciti immensi,
ma pur sempre un essere umano; tuttavia finchè deteneva quel potere a dir poco
divino, nulla poteva essere fatto contro di lei.
Le porte automatiche della stanza della Regina si aprirono
automaticamente non appena lui fu vicino ad esse.
Sempre a passo lento, percorse quella poca distanza che lo
separava dal trono, ora rivolto verso l’immensa finestra della stanza. La
Regina gli dava le spalle.
Molti altri guerrieri hanno dato le spalle a lui e tutti
erano morti. Lei no, lei poteva permetterselo, in virtù del suo potere. Sapeva
bene che non appena avesse anche soltanto fatto cenno di impugnare la spada, di
lui sarebbe rimasto a malapena un ceppo carbonizzato.
La stanza era sfarzosamente arredata: il tappeto che
dall’ingresso conduceva al trono era composto da una delle sete più pregiate e
preziose di una terra chiamata Regno di Wu, l’oro che veniva mostrato
sostanzialmente su tutto, da fregi e decorazioni a soprammobili era il più puro
estratto dalle miniere di un luogo chiamato Fossil Roo, assieme a mithril e
adamantio lavorato dai più abili artigiani di Edge, e poi ancora mobili
antichi, vasi, porcellane, armi, tesori di ogni genere e tipo.
Trofei delle sue conquiste. Tante, troppe, a cui avrebbe
dovuto un giorno mettere freno, non tanto per un senso di giustizia, quanto per
pura, semplice vendetta. Per sè e per la Madre.
L’enorme finestrone dava verso l’esterno e mostrava lo
spettacolo degli astri e una parte del mondo che ora la Regina era in
procinto di assediare. L’aeronave stava infatti gravitando in orbita
geostazionaria attorno a quel pianeta. Poco lontano vi erano due postazioni
olografiche che proiettavano una mappatura completa dei continenti di quel
pianeta. Curiosamente, due di essi erano collegati da una linea ferroviaria che
tagliava a metà il mare che stava fra loro. Numerosi puntini luminosi indicavano
le città presenti, altri puntini luminosi, più chiari, erano invece obiettivi
strategici, basi militari..
Ma cosa gli importava in realtà? Nulla, era solo un altro
pianeta da conquistare, un'altra compagna militare, altri morti, altre guerre,
altre occasioni per strappare quel potere alla Regina e ritorcerglielo contro.
Se solo ne avesse avuto l'occasione.
Giunto davanti ai numerosi gradini che conducevano al trono,
tre metri più in alto, come prevedeva il protocollo Sephiroth cadde in
ginocchio.
-Benvenuto, Generale Sephiroth- lo salutò la Regina,
voltando il trono verso il guerriero con un comando elettronico. La Regina
storse il suo volto grasso e molle in un bieco sorriso.
-Ti saluto, Regina Brahne-
Angolino dell'Autore:
E mentre aspetto che mi venga qualche geniale pensata per il Signore
dei Kunai, ecco che inizio una nuova storia in un fandom totalmente nuovo..
u_u" si, sono un folle, lo so. Ma non c'è bisogno che me lo diciate, lo so
da me u_u vista anche l'assurdità dell'idea, che non ho idea di come mi
sia venuta o.o credo di aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male,
probabilmente.. mah.. o.o bhe, vedremo come proseguirà.. e ricordate che
recensire NON fa male alla salute! ^_^ Bye!
-Ma tu lo hai detto a me! Perché
io non posso dirlo ad altri?-
-Ti ho detto che non devi dirlo a
nessuno! Secondo te cosa vuol dire?!-
-Nessuno..-
…
-A tutto il personale medico,
recarsi in sala medica 4 del settore C, a tutto il personale medico..- una
voce elettronica stava deviando buona parte di infermieri e medici verso la sala
in questione.
Dalla sua posizione di controllo,
Cid vedeva ogni cosa, compresa la suddetta sala medica dai suoi monitor, che
tappezzavano tre pareti su quattro della sua postazione.
Aspirò pesantemente dal sigaro
che teneva fra le labbra, per poi rilasciare una nube di fumo. Nessun problema,
dopo tanti anni e tanti sigari, Cid Highwind riusciva perfettamente a vedere
oltre il suo stesso fumo, nulla sfuggiva al suo sguardo attento.
Si può dire che non era cambiato
di un baffo, stessa espressione sprezzante, stesso linguaggio sboccato, stessi
occhiali da motorista. Dopo vent’anni, pure gli stessi vestiti, maglia azzurra,
felpa attaccata alla vita e pantaloni da meccanico. C’era una ben fondata
possibilità che non si fosse mai cambiato dato il puzzo che lo accompagnava
perennemente. L’unico tratto che lo distingueva dal Cid che era vent’anni fa
erano i capelli, ora diventati grigi e brizzolati. Addio, o stupenda chioma
bionda.
Puntò gli occhi azzurri verso uno
schermo, dove si vedeva la sala medica 4, ora ingombra di personale. Al centro
della sala vi era una sorta di enorme capsula metallica a cui ora stavano
applicando tubi, cavi, sacche di liquido di vario tipo.
-V.I.V.I., chi stanno
Risvegliando oggi?- domandò Cid, apparentemente senza rivolgersi verso
alcunché.
Una voce elettronica gli rispose,
la stessa che prima aveva richiamato personale medico alla sala della capsula
–una squadra recuperata nel settore CLR del pianeta 1 della Regina, tenente
Highwind- rispose il computer.
-Tempo?- domandò ancora
l’ex-pilota, apparentemente più interessato ad accendersi un altro sigaro.
-Venticinque anni fa, tenente
Highwind-
-Che spreco di soldi dei
contribuenti- rispose Cid con datato umorismo e un sorriso storto –almeno si sa
cosa ci troviamo, dentro l’ovetto di pietra?-
-Le analisi hanno rilevato la
presenza di almeno quindici burmer, tenente Highwind- rispose V.I.V.I. –e
di un Jenoma-
Alla notizia, Cid si fece
leggermente più attento. Ora, invece di fissare con aria annoiata il suo nuovo
sigaro, stava fissando con aria annoiata lo schermo della sala medica 4.
…
Il Risveglio non è nulla di
semplice o pratico. In sintesi si tratta di riportare in vita i morti, anche se
molti medici potrebbero dirvi che non è esatto, che è impreciso e che è qualcosa
di totalmente diverso. I morti non tornano in vita, loro “ricostruiscono”,
“scongelano”, “restituiscono il tempo perduto” a corpi non funzionanti.
E’ un processo simile a quando si
ripara un wardroid guasto.
Intanto bisogna avere la materia
prima, pertanto un corpo in cui sia presente ancora almeno la scatola cranica
con annessa materia cerebrale, un cuore parzialmente funzionante (minimo due
cavità presenti), fegato, pancreas, polmoni.. più qualche altro organo vitale.
Il resto è facilmente sostituibile con protesi bioniche.
Il Risveglio è necessario, senza
non avrebbero uomini sufficienti ad opporsi agli sconfinati eserciti della
Regina. Bhe, a dire il vero, nemmeno con il Risveglio hanno abbastanza uomini,
ormai da anni applicano la tattica dei “pochi ma buoni”.
E infatti il Risveglio viene
applicato solo quando ci si trova davanti a resti di individui di tipo Beta o
superiore, secondo la scala biologica stilata dal direttore Reeve.
Il processo è ancora più
complesso: alla materia organica devono essere applicate sacche rigenerative di
ogni genere, e mentre si attiva la rigenerazione cellulare, devono essere
applicati gli impianti bionici
E poi capitano a volte casi
in cui non è necessario nulla del genere.
Quel giorno alla sala medica 4
era stato portato per il Risveglio un blocco di pietra vulcanica solidificata,
al cui interno erano presenti quindici tracciati biologici. In realtà quel
blocco era stato recuperato anni addietro ma nessuno aveva fatto nulla perché
ancora non si conoscevano tecniche adeguate di Risveglio. Pertanto fu
etichettato, marcato e inscatolato in un magazzino in sospensione
criogenica.
Ma di recente un esimio dottore,
tale dottor Totto, aveva messo a punto una tecnica di Risveglio ad area. Non si
trattava d’altro che dell’inserimento di liquidi rigeneranti all’interno di
appositi microcanali scavati nel blocco con alcuni nanodroidi, studiati
appositamente.
E il dottor Totto era presente
all’occasione, all’inaugurazione della sua brillante intuizione. Indaffarato,
stava coordinando gli sforzi di infermieri e medici che ora affollavano la sala
medica 4. Al centro della sala vi era l’enorme capsula, a cui erano stati
attaccati una moltitudine di cavi e tubi.
Il dottore era dietro una
scrivania, controllando documenti, digitando su tre tastiere e osservando
quattro schermi diversi che mandavano dati come un flusso continuo a
ininterrotto. Anche Totto era ormai un uomo vecchio e anziano: alto un metro e
poca voglia di crescere, aveva enormi baffoni e una aureola di pochi e sparuti
capelli bianchi. Un paio di occhiali spessissimi gli oscuravano gli occhi, posti
su un enorme naso adunco.
-Muovetevi con quegli iniettori!-
sbraitava ogni tanto –e quelle sacche di idrazina, che diavolo ci fanno lì?!
Muovete le chiappe e applicatele ai cavi di iniezione superiori!-
Ah, ed invecchiando si era anche
un tantino imburberito.
-Funzionerà?- domandò una voce
femminile, alle sue spalle.
Il dottor Totto nemmeno si voltò.
Conosceva bene la proprietaria.
-Che Lamù mi fulmini se non
funziona, dottoressa Carol- rispose, continuando il suo lavoro.
-Dottor Totto, iniettori pronti!-
sentì una voce, poco lontano.
-Sacche di idrazina pronte!-
-Sacche di liquido rigenerante
pronte!-
-Tutti i nanodroidi usciti dai
microcanali, dottore!-
-Tutti i relè operativi,
dottor Totto. Quando vuole, posso iniziare la
somministrazione-
-Tutti i tracciati biologici sono
collegati ai microcanali?- chiese il dottor Totto, senza nemmeno alzare lo
sguardo, serio e glaciale.
-Si, dottore, tutti i burmer e il
Jenoma sono ok..- disse la dottoressa Carol, alle spalle di Totto, controllando
a sua volta uno schermo.
Il dottor Totto sospirò,
alzandosi in piedi, e togliendosi gli occhiali per passarsi le dita fra gli
occhi, con aria grave.
-Ok, va bene.. va bene.. signori,
si inizia-
…
Si sente.. vuoto.. il Vuoto lo
circonda, lo permea.. perché andarsene via? Si sta così bene.. galleggiare senza
meta..
Da quanto galleggia nel Vuoto?
Potrebbe essere pochi secondi, come anni, come secoli.. che importanza ha? E’ il
Vuoto, pertanto ogni idea di spazio o tempo perde significato.
Quando gli parlavano del Vuoto se
lo immaginava nero, profondo, senza fine.. non è così, il Vuoto è più come un
immenso mare, e lui ci nuotava dentro.. Da quanto ci nuota? Oh, ecco, di nuovo..
queste domande inutili.. c’è il Vuoto e tanto basta.
Ma dovrebbe tornare indietro,
sente come.. un’urgenza. Ma se lì non c’è né tempo né spazio, rimanere ancora un
po’ non guasterà mica..
Ma ecco che qualcosa cambia.
Dopotutto è il Vuoto, e in quanto
tale, ci si accorge subito se cambia qualcosa.
Eccolo il cambiamento, lì, a poca
distanza.. qualcosa si è aperto, una sorta di.. crepa.
Improvvisamente lo spazio
comincia a significare qualcosa. Dalla crepa trapela luce, tanta luce.. perché
rimanere nel nero Vuoto, quando fuori c’è tanta luce?
Si avvicina alla crepa da cui
esce la luce, scivola verso di essa. Accanto a lui percepisce come fantasmi
altri, altre entità che come lui cercano la crepa..
Ma la crepa sta iniziando a
chiudersi. Uno squarcio nel Vuoto che offre un’occasione solo a chi sa
coglierla.
La crepa continua a chiudersi, la
luce che trapela da essa continua a farsi sempre più flebile.
No! Lui vuole la luce, solo ora
si accorge di quanto il Vuoto sia crudele!
E’ disposto a fare qualsiasi cosa
per uscire di lì. Con uno scatto di volontà, rispedisce indietro alcune entità
che cercavano di raggiungere la crepa. Deve arrivare prima lui, deve..
..la luce lo avvolge, è
calda.
Inizia a sentire qualcosa, quanto
tempo è che non sente qualcosa? Non c’erano sensazioni nel Vuoto.
-Va tutto bene, si rilassi ora..-
sentì una voce sopra di sé. Udito e tatto, i primi sensi concessigli.
-Complimenti dottor Totto,
successo pieno..-
-Parla per te, ne abbiamo persi
quattro-
-Ma l’individuo di tipo Alfa è
tornato integro.. guardi, non è necessaria alcuna protesi bionica!-
-Ne abbiamo persi quattro! I miei
calcoli erano errati.. sarebbero dovuti tornare tutti..-
…
Aprì gli occhi. Una luce
elettrica gli illuminò il suo ritorno al mondo.
Si rialzò di scatto dalla
brandina metallica su cui era disteso, guardandosi attorno allarmato, sorpreso,
sconvolto.
Si trovava all’interno di una
celletta metallica, piccola, stretta, a malapena definibile come armadietto
delle scope. Sopra di lui, una lampada elettrica, coperta da una grata di ferro,
illuminava quello spazio angusto.
Accanto alla brandina c’era uno
scaffalino, e attaccato sopra allo scaffalino, sul muro, c’era uno specchio
metallico.
Si guardò prima le mani, provò a
stringerle a pugno, ad aprirle. A stento ricordava la sensazione di avere delle
mani. Si guardò, notando che indossava alcune vesti di stoffa arancione, una
maglia e dei pantaloni, senza alcun fregio o decorazione. Vi era solo un
numeretto, segnato in alto a sinistra, sopra un taschino. Il suo era CLR-01.
Chissà cosa voleva dire.
Provò ad alzarsi, ma come spinto
da una forza invisibile, ricadde seduto. Si guardò alle spalle, e vide una cosa
insolita: dal suo sedere spuntava una coda pelosa e marrone che perforava i
pantaloni arancioni.
Purtroppo era ancora troppo
ignorante per comprendere le dinamiche tipiche dello spostamento del baricentro
dovute alla presenza di una coda, ma non ci diede peso. Scrollò le spalle e
obliò il pensiero. La presenza di una coda era a suo parere una cosa
normalissima.
Si sporse verso lo specchio,
rimanendo sorpreso: capelli biondi, occhi azzurri e un volto fanciullesco.
Un pensiero, spontaneo, gli fece
capolino in testa: avrebbe fatto cadere tutte le ragazze ai suoi piedi, oh si!
Un pensiero talmente spontaneo che fece anche un sorriso da
sciupafemmine di rimando alla sua immagine nello specchio.
Poi scrollò il capo, confuso, e
strinse gli occhi, cercando di ricordare qualcosa. La sua testa era
sostanzialmente disastrata, non ricordava nulla o quasi. Bhe, ricordava di avere
una coda, di avere capelli biondi e occhi azzurri, e di essere.. dentro una
cella, seduto su una branda, con strani vestiti addosso.
Che bella situazione.
Una voce computerizzata lo
distrasse dai suoi pensieri.
-Ben svegliato, ospite
CLR-01- lo salutò V.I.V.I. Lui, ovviamente colto di sorpresa, si guardò
intorno, diffidente come un animale.
-Oh, non si spaventi.. le sto
parlando da quella grata metallica in alto a destra- spiegò –ora le
aprirò la porta della cella. E’ gentilmente pregato di seguire i cartelli e
recarsi in sala briefing- concluse il computer.
-Ma.. non ricordo nulla, non.. e
cosa diavolo è una sala briefing?!- ribatté, spalancando le braccia in chiaro
atteggiamento di confusione.
-La riunione in sala briefing
è per colmare per l’appunto le vostre lacune mentali- spiegò V.I.V.I.
-non si preoccupi, un’amnesia post-Risveglio è normale. In sala briefing avrà
tutte le risposte che cerca-
Sbuffò, poco convinto. La porta
davanti a lui emise uno scatto, quindi si aprì, mostrandogli un corridoio lungo
cui correvano tubi di ogni tipo e genere.
Si alzò dal letto, leggermente
traballante, poi sempre più sicuro. Fece capolino con la testa fuori,
guardandosi attorno. Non c’era nessuno, era l’unico essere vivente, o almeno
così pensava.
Uscì dalla cella, tastando coi
piedi nudi il pavimento metallico, liscio e privo di imperfezioni. Guardò con
aria vagamente sorpresa il corridoio, che dava su numerose altre celle simili
alla sua. Tutte aperte.
-Prego, alla sua destra-
lo invitò V.I.V.I. da un altro altoparlante.
-Uh, ok ok..- gli rispose,
incamminandosi nella direzione indicatagli.
Camminando lungo quel corridoio,
colmo di tubi che uscivano, entravano, correvano per un tratto e poi sparivano
di nuovo, vide anche altre celle come la sua, alcune chiuse, altre aperte, e
quelle aperte erano tutte vuote.
-Ora alla sua sinistra-
riprese V.I.V.I. e infatti vide che ora il corridoio aveva una biforcazione. Il
computer continuava a guidarlo gentilmente, dandogli l’imbeccata giusta quando
non sapeva dove andare.
I corridoi continuavano ad
apparire anonimi e privi di identificazione, finché non giunse davanti a una
porta metallica, che con uno scatto si aprì di lato, lasciandolo passare.
All’interno vide una sala con
pareti metalliche e numerose panche nel mezzo, in fondo invece vi era uno
schermo spento.
Sulle panche erano seduti
numerosi.. come definirli? Topi antropomorfi, ecco, che si guardavano
attorno con aria spaesata, movendo le grigie orecchie pelose e le code glabre in
chiari atteggiamenti confusi. Ancora non lo sapeva, ma erano gli undici burmer
sopravvissuti al Risveglio avvenuto poco prima. Alti poco meno di lui, avevano
muso da roditore e arti inferiori flessi ed articolati, tipici degli animali.
Una omogenea pelliccia grigia gli ricoprima, tranne che la coda ed alcune zone
dei piedi e delle mani.
Su un palco rialzato, davanti
allo schermo spento vi era invece un enorme e muscoloso omone di colore, con
barba e capelli neri striati di grigio e composti in alcune trecce elaborate,
con addosso un pesante gilet e pantaloni militari, e uno dei suoi avambracci, il
destro, era stato sostituito con un ricambio cibernetico. Il volto dell'uomo era
serio, deciso, solcato da alcune rughe proprie dell'avanzare dell'età.
-Ah, ci siete tutti, finalmente!-
esclamò l’omone, con voce burbera e profonda, squadrando i topi e il nuovo
arrivato, che si mise cautamente a sedere in una panca.
-Ok, possiamo iniziare
finalmente, porco mondo..- riprese l’omone, assai poco diplomaticamente –io sono
il sergente Wallace, ma voi potete, anzi, dovete chiamarmi Signore o
Sergente, sono stato chiaro? Bene- nemmeno calcolò la risposta di quei poveretti
seduti sulle panche –tanto per essere chiari, vi spiego come stanno le cose:
eravate morti, stecchiti, crepati, e noi vi abbiamo tirato fuori dall’inferno.
Si?- domandò, vedendo che uno dei topi aveva alzato tremante una mano.
-Ehm.. s-signore, come.. come
siamo morti..? Cioè, io temo di non.. di non.. ricordare bene, ecco..- domandò
balbettando leggermente.
Barret si fece pensoso –mh, in
effetti dobbiamo darvi un minimo di spiegazione..- concordò, facendosi
improvvisamente più benevolo –molto bene, prestate attenzione..- con un comando
del braccio cibernetico, accese lo schermo, su cui comparvero alcune immagini
–tutto ebbe inizio all’incirca venticinque anni fa.. ascoltate V.I.V.I., che è
molto più bravo di me a raccontare certe cose..-
…
Venticinque anni stellari
fa, secondo l’attuale datazione, Brahne Til Alexandros, la sovrana di
Alexandria,una città di un pianeta
chiamato Gaya iniziò a creare con l’aiuto di un uomo chiamato Kuja un esercito
di armi denominate Maghi Neri. Presto dichiarò guerra a tutte le altre
città, che caddero una dopo l’altra.
Prima toccò a Burmesia,
patria di voi burmer (un mormorio,
proveniente dagli stessi burmer, si propagò per la sala) poi Cleyra,
un’altra vostra città, venne rasa al suolo.
Brahne non si fermò lì: in
breve cadde anche Lindblum, polo tecnologico del pianeta, quindi invase gli
altri continenti, che senza alcuna forza militare furono velocemente
sopraffatti.
Kuja scomparve. Pensava di
poter controllare la sete di potere della Regina, ma non ci riuscì. Nessuno sa
che fine abbia fatto.
Non ci volle molto che
Brahne scoprì l’esistenza di un pianeta gemello a Gaya: Tera. L’asse dei due
pianeti è tale che si mettono in ombra a vicenda.
Attraverso un dispositivo
di spostamento intermundio, Brahne raggiunse anche Tera, che fece una fine
analoga a Gaya. A nulla valsero le incredibili risorse tecnologiche del pianeta
contro gli eserciti della Regina, che venne assoggettato e tutti i suoi segreti
saccheggiati.
La Regina fece inoltre
studiare il dispositivo di trasporto spaziale che fece applicare ad alcune navi,
ed iniziò un’espansione attraverso lo spazio.
Attualmente, oltre a Tera e
Gaya, anche un terzo pianeta fa ora parte del suo regno.
Ora ci stiamo apprestando
ad aiutare a difendere il quarto pianeta.
…
La spiegazione di V.I.V.I terminò, e lo schermo, che
aveva trasmesso immagini e testimonianze di quanto raccontava, si spense, e il
silenzio si propagò nella sala.
-Voi siete quanto resta di Cleyra- riprese Barret
–quanto siamo riusciti a salvare attraverso un procedimento incasinatissimo che
non vi sto nemmeno a spiegare..-
-M-mi ricordo tutto..- mormorò un burmer, con la
testa fra le mani –avevo.. avevo una moglie e.. e una figlia.. e..-
-Fuoco.. ce n'era tantissimo..-
-Distruzione.. senza motivo..-
I burmer erano tutti confusi e sconvolti. Apprendere
di essere tutto ciò che rimane di una città scomparsa venticinque anni prima può
essere traumatizzante. Soprattutto perchè per loro non erano passati anni, ma
pochi secondi, erano cose accadute l'altro ieri, secondo la loro mente
confusa.
-Quale altro pianeta ha conquistato?- domandò invece
CLR-01.
Barret si voltò verso il ragazzo –il mio.. tutti qui
hanno.. perso qualcosa, in qualche landa del proprio pianeta.. e alcuni come voi
hanno avuto il gran culo di tornare in vita- spiegò, aggirandosi per la sala –e
mi aspetto che ora tutti voi torniate ad indossare la corazza, ad imbracciare
un’arma e andare a sputare in faccia alla Regina!-
L’ultima affermazione venne salutata con una vera e
propria ovazione da parte dei burmer.
-Ed ora uscite da qui e dirigetevi all’armeria..
V.I.V.I. vi guiderà- li informò Barret, mentre i roditori e il ragazzo si
alzavano e lasciavano la stanza.
-Sergente, quando potremo uscire all’esterno..?-
chiese uno, incerto.
-Uscire?! AHAHAHA!!- rispose l’omone, emettendo una
gran risata di pancia –ragazzo, tu sei già fuori!- quindi schioccò le dita e un
pannello metallico si aprì, mostrando una finestra di spazio siderale. Il nero
del cosmo, le stelle, lontani punti luminosi e il profilo in
primissimo piano di un quarto di pianeta furono immediatamente
visibili.
-Giovanotti, benvenuti sulla Proteus, base spaziale
orbitante attorno al nuovo pianeta!-
Angolino dell'Autore:
E rieccomi qui, proprio una settimana dopo! Contenti? ..susu, non
piangete u.u ad ogni modo, nonostante la stranezza di questa storia (perchè è
strana.. davvero, non so come ho partorito questa idea o__o) ha comunque avuto
un minimo risvolto positivo, pertanto vado subito ai ringraziamenti, che saranno
sempre presenti a fine capitolo:
Tico_Sarah : grazie, o unica coraggiosa ad aver avuto il coraggio di
recensire! u_u bhe, direi che le intenzioni del caro Seph sono financo chiare,
ma si dovrà aspettare il prossimo capitolo per rivederlo in azione xD e non
interromperò, almeno finchè non mi arriveranno a tirarmi la carta igienica sotto
casa.. u__u" grazie ancora! =D
Comunico quindi che tenterò di continuare una pubblicazione
settimanale, che cadrà di domenica. Dico "tenterò" perchè so già che la mia
pigrizia cronica mi porterà a sgarrare.. moan.. alla prossima, e ricordate che
la recensione è cosa buona e giusta! =D
La sala comando della base
spaziale Proteus era immersa nel buio. Un finestrone era aperto nel muro più
lontano, e della luce stellare trapelava all’interno, dando a stento un’idea di
ciò che vi era al suo interno.
Forme simili a colonne di libri e
fogli si intravedevano, e alcuni mobili, da cui si elevavano neri spuntoni
riconducibili ad armi di vario genere. In fondo a tutto questo, rivolta verso la
porta d’ingresso del locale vi era un’ombra più grande di quella che
probabilmente era una scrivania, e da quest’ombra se ne elevava una seconda,
alta e rigida, forse una sedia o una poltrona.
Apparentemente la sala era vuota,
se non fosse che sulla poltrona vi era una figura seduta, in silenzio e
immobilità, a malapena intravedibile nella poca luce che trapelava dal
finestrone.
Qualcuno bussò alla porta,
lievemente, un suono leggero, ma questo bastò a risvegliare dal suo torpore la
figura sulla poltrona dietro la scrivania. Nel buio della stanza, all’altezza
dell’occhio sinistro della persona seduta, si accese una luce rossa, chiaramente
artificiale, che immediatamente sondò la porta.
Passò un istante, quindi emise un
mormorio stanco, dicendo –avanti-
La porta si aprì, lasciando
accedere alla stanza la luce del corridoio, che rese chiare molte ombre della
sala comando: i libri erano libri, accatastati su fogli, e poi su altri libri,
formando pile interminabili che tappezzavano ogni spazio libero della sala,
tranne un corridoio che dalla porta arrivava fino alla scrivania, in fondo alla
stanza; i mobili non erano mobili, ma vere e proprie rastrelliere di armi, piene
di spade, lance, archi, alcune pistole, pugnali, daghe.. ogni genere di arma,
bottino di ben tre mondi.
La scrivania era enorme,
gigantesca, un blocco nero privo di fregi o decorazioni, piena anch’essa di
libri e carte, che però erano state disposte in modo da lasciare un riquadro di
spazio da cui l’occupante della poltrona poteva guardare chi entrava a
disturbare la sua quiete. Ma ancora la sua figura era troppo in ombra e celata
per poter essere chiara, solo il suo occhio sinistro cibernetico, con la sua
rossa luminescenza era veramente visibile. Ma null’altro.
Dalla porta si fece avanti una
ragazza, con addosso un camice da scienziata, con sottobraccio un plico di
fogli. Di questa ragazza colpiva sicuramente la giovane età, non superiore ai
trent’anni, una bellezza non indifferente, ma soprattutto i capelli di un colore
inusuale, il viola, e poi, bhe.. un corno che spuntava esattamente al centro
della sua fronte, perforando la frangetta che la ragazza tentava di tenere a
bada con un fiocco.
Tenne la porta aperta, mentre
percorse il corridoio concesso da libri e fogli attraverso la stanza fino alla
scrivania in fondo.
-Ecco a lei, Colonnello Strife-
disse la ragazza, una volta arrivata davanti all’enorme scrivania, tendendo il
plico di fogli –il rapporto sul Risveglio effettuato due ore fa.. e un’analisi
sul nuovo Risveglio ad area del dottor Totto- espose, seria, precisa, diretta.
Non sembrava minimamente a disagio, come se venisse in quel luogo ogni
giorno.
Una mano con indosso un guanto
nero si fece largo tra le ombre e afferrò il plico di fogli. Per un attimo regnò
il silenzio, interrotto soltanto dai fogli che scorrevano fra le dita del
Colonnello, che evidentemente, grazie al suo occhio non aveva alcun bisogno di
luce per controllarne il contenuto.
-Ne avete persi quattro- fu
infine il commento, secco e diretto, del Colonnello. La sua voce era fredda e
glaciale, priva di qualsiasi morbidezza, paragonabile al ferro che striscia
sulla roccia.
-L’individuo di tipo Alfa è
tornato integro- fece notare la ragazza –non sono stati necessari interventi
cibernetici..-
-Ne avete persi quattro, tre
individui di tipo Delta e un tipo Beta- ripeté il Colonnello, senza nemmeno
prendere in considerazione le parole dell’altra –dottoressa Carol, un individuo
di tipo Alfa non giustifica quattro perdite, non con gli organici ristretti che
ci ritroviamo-
-No, Colonnello Strife, ha
ragione.. il dottor Totto e io stiamo tentando in tutti i modi di..- tentò
nuovamente di scusarsi la dottoressa, ma il Colonnello continuò a parlare,
mostrando totale disinteresse.
-Vi do un’altra settimana-
esordì, senza mostrare emozione, gettando davanti a sè i fogli –e se non
porterete risultati accettabili per quella data, l’intero progetto sul Risveglio
ad area sarà cestinato.. e ora vorrei un rapporto sulla situazione attuale del
nuovo pianeta-
-Le spie ci riferiscono che
l’attuale presidente dello stato di Esthar, Laguna Loire, è in pericolo di vita-
lo informò la dottoressa, piegandosi alle decisione del Colonnello. Non che
potesse fare molto altro –la Regina ha intenzione di assassinarlo e sostituirlo
con un suo sottoposto-
Si sentì una secca risata
provenire dalle ombre del Colonnello –insolito.. una volta tanto Brahne mostra
un minimo di astuzia e sottigliezza..-
-Non è un caso- proseguì la
dottoressa –le risorse tecnologiche di Esthar sono.. bhe, incredibili, superano
di molto quelle rinvenute su Tera. I nostri strateghi sono dell’opinione che
voglia impossessarsene, prima di fare terra bruciata-
-Sbagliato- pronunciò invece il
Colonnello, con tono derisorio –ci troviamo di fronte a qualcosa di assurdo,
incredibile e.. vantaggioso-
La dottoressa Carol non poté
reprimere un’espressione di pura perplessità, non riuscendo a seguire il filo
del discorso –mi.. mi scusi?-
-Ha paura- chiarì il Colonnello
Strife, assaporando quelle parole –e noi ne approfitteremo.. convocate subito
Flatrey-
…
I proiettili fischiavano attorno
al misero masso che ora stava usando come nascondiglio. Si raggomitolò più che
poté, sentendo ogni colpo che veniva sparato sulla superficie rocciosa che lo
proteggeva.
-Rinforzi! Porca miseria, dove
siete?!?- urlò alla ricetrasmittente, mentre si sporgeva quel poco che bastava
da sparare un colpo.
-Fzzz*crack*zzz..
iamo.. crrr.. vando ora..- sentì rispondere. Imprecò
pesantemente. Pure le linee radio guaste. Grandioso.
Prima di poter fare qualsiasi
altro pensiero, sentì alle sue spalle il sibilo di un missile. Con uno scatto si
sporse a sinistra, correndo arretrando –ritirata!- urlò quindi –ripiegate verso
la seconda linea!-
Con un ultimo scatto, Irvine
Kinneas si accucciò e si rifugiò nella trincea, ansimando pesantemente. Sopra di
lui sentiva ancora il sibilo dei missili e il rumore di mitragliatrici che dalle
linee arretrate tentavano di tenere a bada il nemico quanto bastava a dare loro
un minimo di respiro.
Irvine si tolse il cappello a
falde larghe, da cowboy, sventolandoselo addosso per farsi un po’ d’aria, il
sudore gli imperlava totalmente il volto stanco. A parte il fucile che impugnava
con facilità con la mano destra, per il resto, con il suo giaccone lungo beige e
pantaloni e comodi stivali, non sembrava nemmeno un soldato, a differenza di
tutti gli altri che gli stavano attorno, chiusi in armature e caschi blu,
emblema delle uniformi di Galbadia.
Da qualche tempo, un nemico
misterioso aveva preso d’assedio il Garden, tanto che il Preside aveva chiesto
rinforzi dal governo. I SeeD purtroppo non bastavano, erano pochi, tutti
distribuiti lungo il perimetro del Garden, troppo ampio da essere coperto
efficientemente. Per questo i rinforzi dall’esercito.
Lui era stato assegnato assieme a
un piccolo manipolo di soldati nella prima linea, esattamente davanti
all’entrata. Una decisione cretina, visto che lui era un dannato cecchino. Chi
diavolo mette un cecchino in prima linea?!
Il punto è che non avevano
scelta, con la scarsità di combattenti che avevano.
Irvine era a conoscenza che il
Preside aveva chiesto aiuto anche ad altri Garden, ma a quanto pareva non erano
gli unici ad avere guai..
La copertura delle linee
arretrate finì, annunciando il silenzio.
-ORA!- urlò, sporgendosi dalla
trincea, e trovandosi davanti un enorme essere alto tre metri coperto da capo a
piedi da una elaborata corazza metallica, che sventolava un paio di mazze
ferrate come se fossero bouquet di fiori.
-Oh merda- riuscì solo a dire,
prima di saltare lateralmente, rintanandosi nuovamente nella trincea, prima che
entrambe le mazze ferrate di quell’enorme guerriero si abbattessero sul resto
dei suoi soldati.
-Rinforzi, dove cazzo siete?!-
urlò ancora al microfono, mentre apriva il fucile e caricava alcuni “colpi
speciali” –Irvine a Comando, qualcuno sa dirmi perché non siamo stati avvisati
che ci stava arrivando addosso un peso massimo?!- continuò, mentre prendendo di
mira la testa metallica di quell’enorme corazza, faceva esplodere una decina di
colpi perforanti che la trapassarono senza sforzo. E senza risultato, l’enorme e
tremendo essere corazzato continuava a massacrare le sue linee e a demolire le
trincee.
-Bzzz*crack*ccrr..
qui Com.. ando.. zzzccr.. è apparso all’improvviso! Doveva avere
qualche.. bbzztt.. dispositivo di occultamento!- fu la risposta alla
trasmittente.
-E i fottuti rinforzi dove
sono?!- continuò a urlare nella trasmittente, nella vana speranza che arrivasse
qualcuno. Il suo manipolo era stato annientato, ora a giudicare dall’elmo
perforato del bestio metallico, stava puntando verso di lui.
Ricaricò il fucile, mentre
l’altro gli si avventò contro mulinando una mazza che si infisse sul terreno a
mezzo metro da Irvine, che ebbe la prontezza di scansarsi, quindi alzò il
fucile, ora carico, iniziando nuovamente a tempestare il nemico di
proiettili.
Era un cecchino, quindi sapeva
individuare i punti deboli di chiunque con una sola occhiata; i suoi proiettili,
troppi e troppo veloci perché l’altro potesse accorgersene, trapassarono la
corazza della creatura all’altezza di gomiti e ginocchia come se fosse burro. Se
non andava giù normalmente avrebbe dovuto renderlo innocuo. L’essere metallico
traballò leggermente sulle gambe ora malferme, mentre gli cadevano di mano
entrambe le mazze metalliche.
-Vai giù, dannato, vai giù!-
mormorò a denti stretti Irvine, seriamente irritato –vai giù!!- urlò ora,
sparandogli un ultimo colpo all’altezza del collo.
Quello crollò prima sulle
ginocchia, si sentì uno stridore, come di ingranaggi che si bloccano
all’improvviso, quindi il bestione di ferro si fermò del tutto, senza più
muoversi.
Irvine tirò un sospiro di
sollievo ed esasperazione, mentre da una tasca del giaccone estraeva una
sigaretta e se l’accendeva, iniziando a fumare con espressione estatica.
-Irvine.. crrr..- si sentì
alla trasmittente –torna immediatamente.. bzzffssh.. re rapporto al
Comando..-
-No- rispose invece il SeeD
–venite voi qui. E mandatemi dei rinforzi. Tanti rinforzi-
All’orizzonte era chiaramente
visibile la massa e la forma di altri dieci orrori corazzati come quello appena
abbattuto.
…
La stanza era ampia, spaziosa,
enorme e riccamente decorata in ogni sua parte, con fregi dorati, ampi arazzi di
ogni colore e fattura, tutti splendidi e di gran pregio. Al centro della stanza
vi era un enorme e lungo tavolo, a cui erano poste otto sedie, due alle
estremità, e tre per lato. Una delle due sedie agli estremi aveva lo schienale
molto più alto, inoltre era assai più decorata delle altre, con fregi in
argento, mithril, oro. Ed era voltata verso una enorme e alta finestra che
mostrava all’esterno il Garden sotto assedio, dando le spalle alla porta
d’ingresso da cui stavano iniziando a entrare, lentamente, alcune persone.
Il primo a entrare fu un uomo ben
piazzato, anziano, chiuso dentro un’armatura completa, che appariva praticamente
perfetta, senza ammaccature, perfettamente lucida e in piena efficienza, con
sopra un cinturone che tratteneva sulle spalle uno spadone a due mani. Il volto,
visibile dall’elmo aperto era vecchio e stanco, con una cicatrice che gli
solcava il naso, e scendeva fino a tagliare il labbro, per poi perdersi
nell’enorme mascella. Si sedette in uno dei tre posti del lato destro del
tavolo.
Dopo il cavaliere, fece il suo
ingresso una donna coi capelli castani e una benda metallica che gli copriva un
occhio, indosso aveva una giacca lunga grigia a cui erano state applicate in
alcune parti, con grande perizia, precisione e abilità delle placche metalliche
e pezzi di armatura. Al fianco portava una spada a una mano, con curiosi intarsi
rossi. Si sedette accanto al cavaliere, anch’ella senza dire nulla.
L’ultimo a entrare fu un giovane
dall’aspetto nobile, con lunghi capelli grigi e un’espressione di perenne
derisione sul volto efebico. Il suo vestiario era nero, nera giacca, con neri
stivali e neri guanti; un paio di spallacci metallici gli ornavano le spalle, e
al fianco portava senza alcuno sforzo e impedimento una lunghissima katana. Si
sedette con la massima naturalezza sull’altro posto a capotavola, poggiando i
piedi sul tavolo stesso, attendendo.
Ci fu un istante di silenzio, poi
una voce femminile dietro la sedia voltata domandò –e gli altri tre?-
Sephiroth, a capotavola, scrollò
le spalle, non ne aveva idea e non era affar suo.
-Uno è in missione a Pandemonium,
sta cercando una base di ribelli- rispose la donna, guardando le informazioni su
un supporto olografico apparso sul suo guanto –e altri due a Junon.. anche se so
che si sposteranno presto a Edge, per imbarcarsi sulla Diomedes-
-Grazie, Beatrix- rispose
nuovamente la voce femminile –passiamo al motivo di questa riunione.. la Regina
sta pensando personalmente alla faccenda di Esthar, e a delegato a me.. a noi..
la questione dei Garden- li informò –oggi ho testato alcuni wardroid di classe 3
contro le loro linee, e abbiamo ragione di supporre che abbia funzionato anche
l’interferenza radio..-
-Mpf, metodi indegni di noi..-
commentò l’uomo in armatura –una volta non ci saremmo sprecati in “interferenze”
e “prove” con squallidi robot di terza mano..- poi scosse il capo, concludendo
–‘mala tempora corrunt’-
-Oggi non è “una volta”,
Comandante Steiner- replicò la voce femminile, dietro all’alto schienale –oggi è
oggi, nient’altro. E oggi la Regina ha ordinato di ridurre al minimo le
perdite.. le prove coi wardroid sono state effettuate per testare le difese di
quella roccaforte, e hanno dato ottimi risultati-
Si sentirono alcuni rumori
elettronici, trasferimento dati, e ai tre presente apparve sul braccio uno
schermo olografico verde che iniziò a mostrare dati in sequenza.
-I vostri ordini..- replicò la
figura seduta sulla sedia, con voce angelica e incredibilmente compiaciuta –per
il momento, il comando delle truppe starà al Generale Sephiroth-
L’interessato sorrise, a sua
volta compiaciuto e felice. Un bagno di sangue è sempre un’occasione per lui di
essere felice. Tolse i piedi dal tavolo, alzandosi in piedi e facendo per
andarsene. Prima però, fece un lieve inchino, sempre con quel sorriso derisorio
che lo caratterizzava.
-Vi ringrazio per la fiducia,
viceRegina Garnet- ringraziò, prima di uscire dalla sala.
…
Irvine irruppe nella sala comando
come un uragano, coi vestiti bruciacchiati, e il cappello con ancora una
fiammella in cima, il volto che mostrava a chiunque incrociasse che era
veramente incazzato nero. In una mano teneva il fucile, ancora fumante,
addirittura rovente per via di tutti i colpi sparati, e nell’altra un pezzo di
armatura strappato di forza a una di quelle macchine che avevano attaccato
le sue linee fino a dieci minuti prima.
-Ah, Kinneas, finalment..- iniziò
a dire uno dei capi, ma Irvine lo bloccò sul nascere, sbattendo furiosamente sul
tavolo il pezzo di armatura, e ruggendo –Dove. Cazzo. ERAVATE?!?!-
Per un attimo vi fu il silenzio,
intervallato solo dai profondi respiri del SeeD che si sforzava di non
imbracciare il fucile e far secchi tutti i comandanti presenti.
-Irvine, se ti calmi giusto un
attimo..- iniziò a dire un ufficiale di Galbadia -..forse riuscirai a sapere che
tutto il perimetro del Garden è stato attaccato.. un centinaio di quei droidi
sono apparsi da tutte le direzioni praticamente dal nulla..- spiegò.
-Precisamente- prese la parola un
altro un ufficiale –pensiamo che abbiano utilizzato una qualche protezione
magica, ma..- scosse il capo –il nostro reparto scientifico ha raccolto alcuni
rottami ed ora li sta analizzando.. dice non c’è alcuna traccia di componenti
elettroniche, solo meccaniche- l’ufficiale scrollò le spalle, con aria impotente
-non riusciamo nemmeno a capire come si muovano..-
Irvine afferrò subito la
situazione e crollò a sedere sulla prima sedia disponibile, annichilito –quante
perdite?- chiese unicamente.
-I dieci soldati che componevano
la tua unità, altri tredici sul lato sud, e una trentina sparsi sugli spalti
durante il primo attacco con fuoco a distanza.. più quattro SeeD, e tre uomini
dei Gufi della Foresta- elencò l’ufficiale, leggendo un rapporto.
L’altro ufficiale invece esaminò
il pezzo di armatura che Irvine, nel pieno dell’ira, aveva portato fin lì. Batté
un paio di volte le nocche su di esso, tanto per saggiarne la durezza.
-Interessante..- disse poi, con
aria sorpresa –Wedge, quest’affare è di un materiale mai visto prima-
Gli altri due si tirarono su,
incuriositi.
-Cioè? Mi stai dicendo che non è
di questo mondo?- domandò l’altro, incredulo e sprezzante.
-Ho fatto un corso militare per
riconoscere i componenti delle armi, so cosa sto dicendo..- rispose, risentito
–e ti dico che mai è stato ritrovato un metallo simile. Diavolo, i nostri
cannoni al massimo gli potrebbero provocare una leggera scalfittura! Irvine,
come hai fatto ad abbatterne dieci..? E guardate il simbolo inciso sopra- i due
si sporsero, vedendo che sul metallo era inciso con un sistema a bassorilievo
una città da cui si innalzava una spada –dimmi tu, Wedge, hai fatto il corso di
geografia all’accademia, no? Di che paese è questo emblema?-
Irvine mollò un profondo sospiro
–insomma, non sappiamo nemmeno cosa diavolo stiamo combattendo! L’attacco di
oggi poi non era nemmeno un attacco, pareva che stessero..-
-Si, stavano solo mettendo alla
prova le nostre difese- concluse distrattamente per lui Wedge, ancora impegnato
nell’esaminare l’armatura.
-Ecco! E non solo, ma pure Balamb
e Trabia sono nella merda quanto noi..!-
-Ehm, no, Trabia non più..- si
intromise uno addetto alle comunicazioni lì vicino –abbiamo appena avuto
conferma che il Garden è stato distrutto-
La notizia fu come una doccia
gelida che paralizzò tutti i presenti. Un Garden era stato distrutto. Il
silenzio permeò per alcuni istanti i presenti, si sentiva solo il rumore delle
macchine che attorno a loro lavoravano.
Irvine si alzò di scatto e si
allontanò a grandi passi. Un ufficiale gli corse dietro.
-Irvine Kinneas, dove stai
andando?!-
-A Trabia, diavolo! Ho un’amica
lì..!-
-E qui hai oltre cinquecento
soldati che contano su di te per non crepare domani!- l’ufficiale lo fermò
prendendolo per un braccio e facendolo voltare.
-Biggs, ti consiglio di non
provare nemmeno a fermarmi- replicò il SeeD, serio e furioso.
-Fai come ti pare, ma prima
pensaci bene: cosa pensi di fare tu, da solo, in un Garden distrutto?- replicò
l’ufficiale –abbiamo appena avuto conferma da Balamb che il Garden sta
recuperando e accogliendo i superstiti.. tu ci servi qui, Irvine- fece un cenno
alle sue spalle –ora, se gentilmente vuoi seguirmi, devo assegnarti un nuovo
manipolo-
Le spalle di Irvine caddero,
prese dallo sconforto –ok.. va bene..- si rassegnò, seguendo nuovamente Biggs
all’interno della sala comando.
Angolino dell'Autore:
Ebbene, come vedete, riesco a mantenere un minimo di continuità in
questa storia che sta prendendo pieghe inaspettate anche per me.. <__<"
passiamo subito ai ringraziamenti:
Tico_Sarah : ahimè, non hai indovinato, il tizio appena scongelato
NON è Cloud, mi spiace.. u__u" anche perchè, che io sappia, Cloud non ha la coda
o.O e nemmeno io saprei trovare una spiegazione plausibile del perchè
venticinque anni prima fosse assieme a una quindicina di burmer (quelli
scongelati assieme al tizio) °__° hai anche ragione a dire che però personaggi
biondi con occhi azzurri abbondano in ogni Final Fantasy xD ma solo uno ha la
coda u__u vedrò di continuare ad essere puntuale, ma visti i miei passati in
fatto di puntualità, non è il caso di sperare troppo.. moan.. .__. grazie
ancora! ^^
Questo è tutto per oggi, anzi per la settimana =) alla
prossima!
Il sergente Wallace aprì una
porta metallica che dava in una stanza buia. Con il braccio cibernetico accese
l’interruttore della luce, illuminando un’ampia sala che si estendeva per lungo,
con lunghe panche e sui muri file infinite di armadietti metallici.
-Controllate sulle vostre tute-
disse rudemente il sergente alla truppa che lo seguiva, ovvero gli undici burmer
e il ragazzo biondo con la coda poco prima Risvegliati –ognuno di voi ha
ricamato sul taschino un codice alfa-numerico.. quella è la sigla del vostro
armadietto- con il braccio metallico li inviò verso una certa zona degli
armadietti dove la nuova squadra avrebbe potuto trovare i loro.
-Ok, ci sono alcune semplici
regole per tenersi un armadietto..- iniziò a dire il sergente, mentre con il
braccio buono tirava un cazzotto al suo armadietto che si aprì di schianto. Agli
occhi di tutti fu visibile all’interno un arsenale cibernetico, svariate corazze
e altrettanti svariati calendari di donne nude. Accanto alle donne nude teneva
un piccolo elenco di vittime, alcune segnate con una croce rossa, altri con la
scritta aggiunta dopo “Kill Now” oppure “Miss, Damn”.
-Regola uno: tenere armi e
armatura in ottimo stato, perché se crepate tutto quello che era vostro passa a
un altro soldato.. e voi non volete che questo soldati crepi a sua volta per
un’armatura tenuta male, vero?- era una domanda retorica, non si aspettava alcun
tipo di risposta.
-Regola due: tenere l’armadietto
pulito.. e per pulito intendo da poterci mangiare dentro- sbuffò, per poi
riprendere –già viviamo nello spazio, un’infestazione di formiche o scarafaggi
stellari sarebbe da evitare-
-Regola tre: chiudere sempre
l’armadietto quando ve ne andate.. parecchi soldati recuperano armi del nemico e
le tengono qui dentro, quindi a scanso di equivoci tenetelo sempre chiuso-
scosse il capo, borbottando, per poi riprendere a voce più chiara –qualche anno
fa è scoppiato un casino perché si è scoperto che un soldato era una spia e
stava recuperando un sacco di armi prese sul campo..-
Il sergente scrollò le possenti
spalle, per poi fare un cenno alla truppa, indicando un’altra stanza –ora come
ora, i vostri armadietti sono vuoti, non c’è nulla dentro.. quando un soldato
muore, tutti i suoi averi e le sue armi vengono depositate qui- Wallace accese
un secondo interruttore, illuminando una stanza molto più grande e alta.
Non c’erano più armadietti,
quella stanza era ricolma fino agli alti soffitti di.. armi. Nessuno di loro
aveva mai visto una tale quantità di strumenti di guerra in un solo posto, fin
dove l’occhio poteva vedere vi erano spade, lance, fucili, pistole, mazze
ferrate, e ancora cannoni, armature, ricambi bionici, tutto di ogni misura e
dimensione, alcuni accatastati in mucchi, altri in pile ordinate o appesi nella
moltitudine di armadi a muro. Numerosi addetti erano chini sui mucchi di armi,
con taccuini, impegnati nel compito di catalogare i nuovi arrivi.
-Quelli sono appena arrivati..-
spiegò loro il sergente, indicando i mucchi informi di armi -..soldati morti.. i
nostri, ma anche i loro.. ehe, spogliare i cadaveri fa un po’ schifo, ma almeno
abbiamo armi in abbondanza- chiarì, con un sorriso storto –in quelle nicchie
invece ci sono le armi già.. collaudate, diciamo..ok, chiedete agli addetti e
procuratevi armi e armatura, il randez-vous è fra quindici minuti nella Sala
Addestramento, settore B.. divertitevi-
…
L’ampio corridoio era vuoto
mentre Squall lo percorreva a passi ampi e veloci, voltando poi l’angolo e
dirigendosi verso l’ascensore. Una volta dentro impostò l’ultimo piano, quello
del Preside, come destinazione, incrociò le braccia al petto e attese.
Si poteva dire tutto di Squall
tranne che fosse un ragazzo allegro. Mai una volta qualcuno ha visto un sorriso
solcargli il volto pallido, deturpato da una lunga e chiara cicatrice, ricordo
di un duello con il suo rivale di sempre.
Rimaneva tuttavia un ragazzo
affascinante che faceva sospirare una buona metà delle studentesse del Garden,
col suo sguardo serio, gelido e penetrante, i suoi scomposti capelli marrone
scuro, e il suo look con giacca nera, cintura rossa e ampi pantaloni neri, che
lo facevano somigliare a una sorta di metallaro soft. Per non parlare della sua
media scolastica che era a dir poco eccelsa.
Un singolo sbuffo uscì dalle sue
labbra, quando finalmente l’ascensore toccò il piano del Preside Cid, un omino
basso, con già una bella pelata, qualche ciuffo di capelli chiari, un paio di
occhiali a coronargli il volto rotondo, e un panciotto rosso. Difficile
immaginare che dietro quelle dimesse fattezze ci fosse uno dei SeeD migliori del
mondo.. dopotutto essere Preside non è soltanto una carica onoraria.
In quel momento Cid era seduto
alla scrivania, apparentemente sommerso dalla burocrazia, un’invasione di carte
che il povero signore non aveva idea da dove prendere.
-Mh, Preside..?- provò a
chiamarlo il ragazzo.
-Un attimo.. un attimo.. ma dove
li avrò messi..? Dove sono finiti i miei occhiali..?- continuò Cid in tono
lamentoso, guardandosi attorno con aria mesta.
-Ehm.. sul suo naso, Preside..-
gli fece notare Squall, indicandosi debolmente il volto.
-Oh, grazie figliolo!- replicò
entusiasta Cid, tastandosi gli occhi e trovando immancabilmente gli occhiali.
Poi come dimentico improvvisamente di tutte quelle carte e rapporti, si protese
dalla scrivania verso Squall, dicendo –dimmi tutto, ragazzo.. che succede?-
Il SeeD emise un secondo sbuffo,
ma di impazienza. Incrociò nuovamente le braccia al petto, mentre l’espressione
tornava gelida, e in qualche modo anche irata –Preside, ci stanno assediando
ormai da due settimane da ogni direzione, e in due settimane ci hanno tolto la
corrente, interrotto i rifornimenti con Balamb, chiuso il canale di
trasferimento per i sopravvissuti di Trabia, e abbiamo subito ingenti perdite,
ormai il nostro esercito è la metà di quello che era prima..- prese un respiro
profondo –chiedo l’autorizzazione a usare i Guardian Force-
Cid scosse il capo, come fanno
certi nonni di fronte ai capricci di un nipote –no, credimi Squall, mi dispiace,
ma.. no-
Normalmente il ragazzo non
avrebbe mai perso la pazienza, avrebbe mantenuto il self-control, non si sarebbe
fatto sopraffare dalla rabbia. Ma questa volta doveva.
-Ma insomma!- sbottò d’un tratto,
sbattendo entrambe le mani sul tavolo –i nostri crepano a decine là fuori, e lei
ancora si ostina a non usare le nostre armi più potenti?! Almeno mi faccia
capire perché!-
Cid si alzò dalla sedia, per un
attimo si intravide il SeeD che fu nei bei tempi andati nei suoi occhi seri e
controllati, sovrastati da un paio di occhiali orrendi.
-Perché non si può- fu la
risposta seria e controllata –perché qualcosa sta impedendo l’uso dei Guardian
Force- concluse, guardando Squall come un povero imbecille.
Il Preside ricadde sulla poltrona
della scrivania –non farne parola con nessuno.. il divieto che ho messo serve
proprio a far sì che nessuno lo scopra- scosse il capo, come spaventato –pensa
se si venisse a sapere che le nostre armi migliori non funzionano più..
accadrebbe il panico, il caos..-
Le parole del Preside avevano
sconvolto il ragazzo, che ora era indietreggiato lentamente, mostrando in volto
un’espressione confusa e terrorizzata. Ogni tanto anche un pezzo di ghiaccio
come lui mostrava un minimo di umanità. Ricadde su una sedia lì vicino,
passandosi una mano sul volto.
-Io.. non ci ho nemmeno provato
ad usarli, in effetti..- affermò, come colto da una folgorazione –quindi.. se ci
avessi provato..?-
-Non sarebbe venuto nessuno-
replicò Cid, con aria tranquilla e serena –ma non mi perdo d’animo, Galbadia
ancora resiste, e noi faremo altrettanto.. ci hanno appena passato alcuni dati
sui nostri nemici- aggiunse poi, alzandosi dalla sedia, con insolita vitalità e
dirigendosi verso un scansa del muro, estraendone un rotolo di fogli –hanno
recuperato e analizzato una sorta di droide nemico.. e ci consigliano di usare
contro di loro proiettili di tipo incendiario..-
-Sono munizioni speciali per
cecchini, quelle..- fece notare Squall, secco e depresso –ma ingegnandoci un po’
forse potremmo adattarle ai cannoni esterni- aggiunse poi, alzandosi.
Con aria paterna, Cid si avvicinò
al ragazzo –avanti, figliolo.. ne abbiamo passate tante, supereremo anche
questa.. e non pensarci troppo ai Guardian Force! Pensa a quello che rimane, non
a quello che hai perso-
Squall scrollò le spalle –questa
logica funziona solo se rimane qualcosa, Preside.. vada a dirlo a quelli di
Trabia- concluse secco, dirigendosi verso l’ascensore, e uscendo
dall’ufficio.
…
La stanza era immersa nella
penombra, e non si avvertiva la presenza di alcun essere organico.. in compenso
però là dentro vi era un rumore elettrico, di cavi e pulegge, di pistoni e ruote
che non pareva aver mai fine, macchine enormi che anche senza il loro padrone
continuavano indefesse e instancabili il loro lavoro. Poi dalle ambre si fece
largo una figura avvolta in un camice bianco, con un paio di occhiali che ogni
tanto brillavano sul volto quando venivano colpiti da un casuale raggio di luce.
Si soffermava con aria paterna davanti al alcuni macchinari, per poi segnare
qualcosa su un blocco di appunti che teneva fra le mani, e quindi
proseguire.
-Leggere al buio rovina la vista,
sai?- fece presente una voce da tenebre ancora più fitte.
La figura in camice si tolse gli
occhiali, rivolgendo alla voce uno sguardo elettronico: entrambi gli occhi
mandavano alcuni riflessi azzurrini segno di un esteso impianto cibernetico –lo
so, ma non è un mio problema- rispose con voce acuta e untuosa, quindi si rimise
gli occhiali e continuò senza badare alla voce, controllando ed esaminando i
macchinari che aveva davanti. Ogni tanto vi poggiava la mano, come a sentirne il
respiro profondo.
-Sai perché sono qui- riprese la
voce dalle tenebre.
-Si, lo so..- riprese la figura
in camice, in tono annoiato e lamentoso, senza nemmeno interrompere il suo
lavoro –ti manda la Regina per quel solito controllo sul solito soggetto,
no?-
Si udì uno sbuffo –sta diventando
impaziente.. lo vuole pronto in tempo per la missione-
-Sarà pronto quando sarà pronto..
la scienza ha bisogno di tempo e pazienza- fu la placida replica. Scrisse ancora
un paio di cose sul tabulato, prima di voltarsi infine verso la figura nelle
ombre.
-Ma riferisci pure a Brahne che
il soggetto sarà pronto per la missione- gettò i tabulati su un tavolo lì vicino
–stavo proprio per andare a concludere il lavoro, sai?- aggiunse, avviandosi
verso una direzione ben precisa –se vuoi assistere..- lo invitò con un cenno
vago della mano. Non vide nulla, ma immaginò che l’altro lo stesse seguendo.
Percorsero gli ultimi passi in
silenzio, prima di fermarsi di fronte a un pannello di controllo. La figura in
camice premette alcuni pulsanti e mosse alcune leve, quindi si sentì un profondo
ronzio metallico, e davanti a loro alcuni pannelli metallici scivolarono verso
l’alto uno sull’altro, scoprendo una capsula di vetro, illuminata dall’interno,
dentro cui galleggiava immerso in un liquido semitrasparente, un giovane uomo
con lunghi capelli neri. La pelle dell’uomo era di un pallore quasi accecante, e
gli occhi erano aperti mostrando un’iride rossa. Le due gambe e il braccio
sinistro erano assenti, e dai monconi si dipanavano numerosi cavi, collegati ad
elementi esterni alla capsula. E pareva incosciente, quasi cadavere.
-Gli manca qualche pezzo, mh?-
domandò l’ombra, con ampio uso di ironia.
La figura in camice non disse
nulla, si limitò a premere un altro pulsante, che accese una luce sopra un
tavolo dove erano allineate due gambe e un braccio artificiali.
-E l’arma?- chiese ancora
l’ombra, incontentabile.
Ancora uno sbuffo e un altro
pulsante premuto. Una seconda luce illuminò un piccolo piedistallo su cui stava
posta una pistola a tre canne finemente istoriata d’argento.
-Incontentabile..- mormorò la
figura in camice, quasi ridendo.
L’ombra non replicò nulla, ma i
suoi passi furono chiari nell’avvicinarsi alla pistola. Una mano guantata
seguita da una manica rossa si fece largo nel cono di luce, carezzando
lievemente il profilo della pistola.
-Siamo sicuri che il soggetto
porterà a termine la missione senza.. imprevisti?- domandò ancora l’ombra.
La figura in camice annuì –ho
riprogrammato personalmente ogni sua subroutines.. farà quello che deve fare,
oppure io non mi chiamo più Hojo-
…
Il ragazzo biondo, il cui unico
nome era quella strana sigla sulla tuta arancione , si aggirava per la grande
sala delle armi con aria sperduta.
I suoi compagni burmer invece
sembravano totalmente a loro agio, già molti di loro avevano imbracciato una
lancia, ed ora la stavano provando facendola vorticare con abilità, come presi
da una strana e incomprensibile frenesia.
Si grattò il capo, confuso. A
differenza del resto della squadra, nella testa del biondo permaneva un gran
casino di pensieri, misti ad un’amnesia che non voleva andarsene. E l’unico
indizio di questa sua confusione era la sua coda che si muoveva su e giù,
frustando l’aria senza costrutto.
Si aggirò per quei mucchi di armi
senza vederli davvero, ogni tanto sollevava una pistola o una spada con una
strana elsa, per poi gettarli dietro di sé e continuare a camminare. In effetti
tutto questo non lo entusiasmava per nulla, non era la sua guerra, non da
quello che ricordava almeno. Quindi che senso aveva per lui combattere?
-Stia attento, con quegli affari-
lo riprese una voce, alle sue spalle, che colse il biondo totalmente di
sorpresa, tanto che gli cadde su un piede la mazza di ferro che proprio in quel
momento teneva fra le mani.
-Ahi! Dolore!- si espresse,
cadendo a terra a gambe incrociate, tenendosi il piede. E fu allora che vide
arrivargli davanti un uomo su una sedia a rotelle, facilmente comandabile da una
levetta posta sul bracciolo destro.
Il biondo lo osservò meglio: a
parte gli insoliti capelli grigio argento, molto corti, l’uomo aveva mezzo volto
e buona parte del torso fasciati da bende, come anche la mano sinistra, inoltre
non aveva addosso alcuna uniforme, ma solo quello che era definibile come un
pigiama grigio.
Strinse l’occhio buono verso il
ragazzo, come ad analizzarlo meglio.
-Oh, interessante.. l’individuo
alfa, suppongo- disse l’uomo sulla sedia, con voce profonda e calda –oh, si,
ecco perché tutti quei burmer.. il nuovo gruppo.. non sono nemmeno sicuro di
avere lance per tutti..-
L’uomo si riscosse
all’improvviso, dato che il biondo aveva preso a guardarlo come se fosse un
marziano, con gli occhini azzurri spalancati.
-Giusto, che maleducato.. sono
Rufus Shinra, capo sezione arsenale- si presentò quindi, chinando lievemente il
capo bendato –e tu sei..?-
Il biondo gli rimandò uno sguardo
bovino, quindi si indicò la targhetta alfa-numerica sulla tuta –ehm.. non saprei
pronunciarlo bene..- si giustificò, imbarazzato.
-Ah, amnesia post-Risveglio..-
annuì comprensivo Rufus –capita, ragazzo, non ti preoccupare.. prima o poi torna
tutto- e gli diede un paio di pacche paterne sulla spalla.
-Me lo dicono tutti, signore..-
replicò il ragazzo, mesto e triste -..ma continuo a capire ben poco..-
L’uomo sulla sedia scrollò le
spalle –stai combattendo per qualcosa di buono. Non è sufficiente?-
-Si, ma avrei voluto avere un
minimo di scelta.. invece mi avete riportato qui e vi aspettate che faccia senza
domande tutto quello che mi chiedete..-
L’uomo sospirò in modo molto
convincente –ti abbiamo riportato in vita, giovanotto.. sono stati spesi soldi e
sudore per il tuo sedere peloso.. ora il minimo che ci aspettiamo è che tu
combatta per noi- l’uomo lo guardò bieco –insomma, un minimo di
riconoscenza-
Il tono e la voce dell’uomo sulla
sedia a rotelle erano così convincenti, che il ragazzo biondo non potè fare a
meno di sentirsi in colpa. Annuì, sempre mesto e imbronciato.
L’uomo si ritenne soddisfatto,
quindi voltò quindi la carrozzina di poco, verso l’immane quantità di armi e
armature che li sovrastava –ora, se non sbaglio, ti serve un’arma, giusto?-
domandò l’uomo, quasi con allegria.
-Ehm..-
-Non dire nulla, sono esperto di
queste cose, riesco a capire con una sola occhiata cosa serve a un soldato- lo
interruppe subito, indicandolo con il dito della mano sana –ora, alza le
braccia-
-..così?- provò a chiedere il
biondo, alzandole sopra la testa.
Rufus gli girò intorno con aria
pensosa, quindi raccolse da terra un’arma e gliela porse. Era una sorta di lama
lunga trenta-quaranta centimetri, con l’elsa bronzea istoriata con un motivo di
foglie.
-Prova a tirare un paio di
fendenti- lo incitò Rufus, sempre continuando a girargli attorno.
Il biondo alzò l’arma, e la calò
in un fendente. E cosa insolita, sentì di provarci gusto. Se la rigirò fra le
mani, con giochi di bravura di cui non si credeva capace.
-Ehi, ma.. wao!- replicò il
ragazzo, mentre l’arma gli roteava abilmente fra le dita di ambo le mani.
-È una daga- lo informò Rufus –e
mi sembri anche abbastanza in gamba da usarne due contemporaneamente..
ambidestria, è rara, sai? Ti fornirò anche un’armatura leggera, di cuoio.. una
più pesante ti impaccerebbe solo i movimenti- concluse, prendendo una seconda
arma dai mucchi di armi –ecco, ora ne hai due.. e questa- mise sulle braccia del
ragazzo una veste di cuoio blu –è l’armatura. Indossala sempre in missione-
voltò quindi la carrozzina, dicendo –ed ora fila dal sergente.. se lo conosco
bene, e lo conosco bene, non ama i ritardatari-
Il ragazzo riuscì a malapena a
sussurrare un –..‘azie..- che Rufus Shinra era già sparito fra i mucchi di
armi.
…
-Allora, la situazione è questa-
iniziò a dire Quistis, trafficando su un terminale, e mostrando su un
megaschermo una mappa dettagliata della regione di Balamb.
Molti nemmeno guardarono la
mappa, in apparente contemplazione invece dell’insegnante SeeD, che restituì una
decina di occhiate di ghiaccio. Ma c’era poco da fare, Quistis Trepe era sempre
stata un’insegnante estremamente giovane e apprezzata, con quei lunghi capelli
biondi raccolti e quegli occhiali che tentavano malamente di dargli un’aria
seria. Sempre compunta, formale, a poco serviva la sua serietà contro i commenti
bollenti che ogni tanto la seguivano.
Ma questa volta non l’avrebbe
permesso, la crisi era troppo grave per perdersi in idiozie.
-Il nemico ha formato una serie
di piccoli accampamenti attorno a tutto il perimetro del Garden- continuò la
ragazza, evidenziando le zone sul layout dello schermo –tranne a nord, dove
siamo coperti dalle montagne.. abbiamo inoltre individuato una megastruttura
davanti alla Caverna di Fuoco che supponiamo sia un mezzo di trasporto, e.. si,
Seifer?-
Un ragazzo biondo, dall’aria
strafottente e arrogante aveva alzato una mano. Dall’aspetto era molto simile ad
uno dei soliti bulli, con lunga giacca grigia ornata a tribali, stravaccato
sulla sedia con aria annoiata. Ma aveva alzato la mano, aveva una domanda.
-È possibile ora usare i Guardian
Force?- chiese, in tono talmente gentile da risultare offensivo.
Quistis scosse il capo –il veto
del Preside Cid rimane, Seifer- rispose, abbastanza amaramente da far capire a
tutti che nemmeno lei apprezzava quella linea d’azione.
-Allora mi piacerebbe tanto
sapere chi sia questo nemico.. perché si sa chi è, vero?- domandò in tono
supponente, ma anche stanco. Lì lo erano tutti, dato che ormai facevano turni
doppi al fronte dove l’esercito nemico ogni giorno li metteva alla prova.
Ma ciò che Seifer affermava era
una piccola verità: nessuno aveva idea dell’identità del nemico.
Quistis sospirò, abbassando un
poco la testa, stanca –no, Seifer, le loro insegne sono sconosciute, e ogni
giorno ci attaccano con quelli che riteniamo essere droidi.. anche se non hanno
la minima traccia di componenti elettronici o hardware..-
-Signori, un applauso al nostro
sistema di intelligence!- replicò subito il biondo, in chiaro intento sarcastico
–che in guerra non è nemmeno in grado di dirci contro chi diavolo stiamo
combattendo- quindi senza dire altro, Seifer si alzò dalla sedia, e fece per
uscire dall’aula..
-Cadetto Seifer Almasy, torni
immediatamente al suo posto, il briefing non è ancora finito!- lo riprese
Quistis, furente. Il ragazzo nemmeno la calcolò, ed uscì, mentre le porte
automatiche si richiudevano dietro di lui.
E fu sorpreso di trovare proprio
fuori dall’aula, appoggiato al muro e con le braccia conserte, Squall, con la
solita espressione gelida e priva d’emozione.
-Spero che tu non stessi
aspettando me..- iniziò subito Seifer, ostile.
Il moro scosse il capo.
-Non importa, seguimi- riprese
immediatamente il biondo, con un cenno.
Squall scrollò le spalle e lo
seguì, senza porsi tanti problemi. Stava aspettando qualcuno.. ma dopotutto, non
aveva importanza.
Seifer camminava velocemente,
percorrendo il corridoio ad ampi passi, e mentre camminava, parlava
-..arrogante, una ragazzina, diavolo! E dobbiamo prendere ordini da lei! E non
sa niente, io mi chiedo cosa diavolo pensi l’Alto Comando e..!- e da quel poco
che Squall ascoltava erano lamenti, il biondo si lamentava di tutto e tutti.
Ma per l’appunto, Squall non lo
ascoltava, pensava ad altro, pensava a come reintegrare i Guardian Force,
pensava a tattiche, strategie, tutto tranne che inutili e sterili lamenti.
L’ennesima porta si aprì,
consentendo loro il passaggio per il camminamento esterno. Erano sulle mura del
Garden, accanto a loro vedevano guardie appostate che scrutavano in ogni momento
ciò che faceva il nemico. Accanto a loro, leggermente rialzate, vi erano
torrette di difesa perimetrale su cui proprio quel pomeriggio Squall aveva
tentato di installare munizioni incendiarie. Con parziale successo, di
cinquecento torrette solo una su dieci aveva accettato e integrato i proiettili
modificati.
-Guardali, Squall- disse quindi
Seiferi, interrompendo improvvisamente il suo lamento –guardali come si
affaccendano, come formiche, mentre noi ce ne stiamo qui ad attendere..-
Squall inarcò un sopracciglio,
non capendo il motivo di quelle affermazioni. Lui e Seifer non sono mai stati
proprio in confidenza, ma forse dopo la morte di Raijin e Fuijin nella prima
settimana il biondo aveva riconsiderato le sue priorità.. in effetti, anche se
non sono mai stati grandi amici, i due sono sempre stati grandi rivali, la
cicatrice che solcava il volto di Squall era infatti un regalino di Seifer
durante un allenamento.
-Non capisco che intendi- replicò
pacato Squall.
-Dico che dobbiamo fare la prima
mossa. Attaccare noi per primi- chiarì l’altro, quasi impaziente.
-Sarebbe inutile, e perderemmo
anche il vantaggio difensivo delle mura-
Seifer sbuffò, impaziente –quali
mura? Dici quelle che quegli affari robot ieri ci stavano distruggendo a
badilate?- fu la replica ironica –andiamo, hai capito che intendo! Non sto
parlando di un attacco frontale!-
Questa volta l’espressione del
moro mutò, facendosi improvvisamente interessata –mh, un’azione di sabotaggio..?
E’ già più sensato..- convenne –ma dovremo preparare tutto con gran cura.. ne
parlerò al Preside, e..-
-Squall, voglio essere io a capo
della squadra di sabotaggio- proruppe immediatamente Seifer, interrompendo
l’altro, quasi scattando con l’intero corpo.
Ci fu un istante di silenzio, in
cui entrambi si esaminarono a vicenda, quindi Squall disse –vedrò cosa posso
fare, ma lo sai che non sei un graduato.. posso inserirti nella squadra, ma
dubito di poterti far avere il comando.. non prendo io queste decisioni-
Seifer annuì, rabbioso –allora
vedi di convincere la Trepe, magari ricordandogli del penoso briefing di poco
prima e di chi ha avuto l’idea su come dare una svolta a questo casino-
concluse, voltandosi di scatto e percorrendo il camminamento in direzione
opposta.
Squall
emise un sospiro stanco, per poi rientrare nel Garden. Aveva un brutto,
bruttissimo presentimento.
Angolino dell'Autore:
Inizio col dire che già dal prossimo capitolo la narrazione diventerà
un tantino più lineare.. ^^ la storia, se si nota, in questi primi capitoli è un
tantino frammentaria, appositamente studiata per presentare al meglio i
personaggi "principali" u__u ..ma alla lunga credo diventi irritante, quindi
inizierò a scrivere le cose un pò più linearmente, senza far salti qua e là xD
Ringraziamenti:
Tico_Sarah : eh, si, quello è proprio il caro, vecchio, biondo Cloud,
anche se con un solo occhio originale xD e vorrei ben vedere, dopo
vent'anni di guerra al fronte xD il caro Sephitoth tornerà fra qualche capitolo,
per ora lo lascio in pace.. (deo gratias! °_° NdSephiroth) infatti andrò a
concentrarmi sulla squadra del biondo u_u nel prossimo capitolo si vedrà se hai
indovinato chi sia xD grazie dei complimenti =D faccio quello che posso ^^ ho un
sacco di altre ideuzze, ora vediamo se mantengo il ritmo xD (bhe, finora mi è
andata bene.. <__<") grazie ancora! ^^
Questo è tutto per oggi, anzi, per la settimana, e fors'anche il mese
.__. sto infatti entrando in periodo esami universitari e non ho idea di quando
potrò rimettermi a scrivere.. zigh.. alla prossima!
-Forza con quelle
braccia, femminucce! Voglio vedervi sudare sangue!- sbraitò il sergente Wallace
–muovete quei muscoli, dannazione! Cosa siete, vermi o uomini?!?-
-Burmer, signore!-
fu l’istantanea risposta.
-Non ho sentito,
sacchi di immondizia!-
-BURMER, SIGNORE!-
nuovamente si udì la risposta, ma stavolta con molti più decibel.
Ormai da più di tre
ore il sergente stava allenando implacabilmente la squadra di burmer
Risvegliati, più il povero CLR-01. Come era stato detto loro, dopo aver preso
l’equipaggiamento, avevano raggiunto il sergente nella sala addestramento, per
poi finire vittime del suo sadismo senza fine, fra piegamenti, addominali, prove
di forza e di velocità ad un livello a dir poco disumano. Ora stavano compiendo
semplici esercizi di sollevamento pesi, praticamente come prendersi un caffè
rispetto a quello che avevano appena sùbito.
I burmer non si
lamentavano, essendo la loro razza molto incentrata sulla vita militare e sulla
disciplina rigida, anzi si trovavano molto a loro agio con un sergente così
severo, sostanzialmente privo di pietà. Quando Barret allenava le truppe perdeva
del tutto la sua aria bonacciona per trasformarsi in un gigante nero crudele e
malvagio.
Quello a disagio era
CLR-01, il ragazzo biondo con la coda, che si scoprì per nulla avvezzo a
ricevere ordini. E soprattutto ad eseguirli. I suoi compagni topomorfi magari si
trovavano anche bene, ma lui no! Detestava sentirsi dire cosa fare, cosa che
fece notare appena prima di cominciare l’allenamento..
Quel gesto di
avventato coraggio gli costò trenta giri di sala, più tre serie da sessanta di
addominali, più cinquanta piegamenti. E tutto tenendosi addosso
l’equipaggiamento completo più tutte le armi della squadra. Poi gentilmente il
sergente gli concesse di scaricarsi di dosso le armi, ma pretese che tutta la
squadra si allenasse con addosso la corazza.
-Dovete abituarvi ad
avere quella roba addosso!- spiegò, con il solito tono burbero –dovrete essere
in grado di correre, saltare, combattere con la corazza! Spesso tutte e tre
queste cose assieme! Mica vogliamo vedervi spompati dopo solo tre metri di
corsa, vero?!-
E nessuno poteva
dargli torto, nemmeno il ragazzo. I burmer poi non si lamentavano di nulla,
facevano qualsiasi cosa il sergente chiedesse loro, animati da uno spirito a dir
poco epico. Era opinione del ragazzo che fossero stati particolarmente colpiti
dal racconto di V.I.V.I. e che quindi la loro era una sorta di.. vendetta. O
qualcosa di simile. Almeno avevano un motivo valido per combattere questa
guerra, al contrario di lui, che nonostante le parole di Rufus Shinra continuava
a sentirsi del tutto inadeguato e fuori posto.
-Più piegamenti e
meno ripensamenti!!- sbraitò Barret, tirando al povero biondo una gomitata sulle
costole, notando la sua aria pensosa. Quello, che in quel momento di pensiero
stava sostenendo sulle spalle un bilancere da ottanta chili, fu costretto a
lasciarlo cadere a terra con gran clangore, per poi piegarsi in due dal
dolore.
-Sospendete
l'allenamento, sergente Wallace- la voce di V.I.V.I risuonò stentorea nella
sala, con il consueto timbro elettronico -il colonnello Strife desidera
vedere la squadra nella sala briefing per affidare loro una
missione-
Barret emise una
sorta di grugnito di malumore -dì a quel cretino biondo depresso che la squadra
è ancora in fase d'addestramento- replicò verso l'altoparlante da cui V.I.V.I
comunicava -se vuole, può mandarli al macello fra una settimana o due- concluse,
con aria noncurante, voltandosi nuovamente verso i dodici componenti che ancora
stavano sudando sotto i pesi e i bilancieri.
-Il colonnello
Strife mi ha detto di riferirle che si tratta di una missione di livello Alfa
con alte probabilità che degeneri in un livello Omega, e che se persisterà ad
ignorare gli ordini verrà degradato a caporale e, cito testualmente- la voce
del colonnello Strife sostituì quella di V.I.V.I. -#..sparato nello spazio a
calci in culo, fin dentro a un fottuto cataclisma cosmico#-
Barret sbuffò,
chiaramente scontento della decisione, ma sotto sotto soddisfatto della
risposta. Per un qualche masochistico motivo, Barret pareva ascoltare solo chi
sapeva stargli alla pari nel linguaggio scurrile.
-Ok, signorine, qui
abbiamo finito!- urlò quindi verso il ragazzo biondo e i burmer, che con sospiri
di sollievo poggiarono a terra bilancieri e pesi –ora andate a farvi una doccia,
a cambiarvi, e poi scaraventatevi nella sala briefing! Chi tarda, al ritorno gli
faccio fare tanti di quei piegamenti che vomiterà l’anima tre volte prima di
riprendersi! Avete quindici minuti da..- controllò l’orologio integrato nel
braccio cibernetico -..ora!-
…
Esattamente
quattordici minuti e cinquantanove secondi dopo, gli undici burmer e il ragazzo
biondo erano seduti sulle panche della sala briefing in cui si erano trovati
quella mattina. Ma molte cose erano cambiate nel frattempo: intanto non c’erano
panche ma sedie di plastica rigida, un materiale che nessuno di loro aveva mai
visto, inoltre sul palco davanti a loro era stato montato una sorta di supporto
metallico dal funzionamento tutt’ora oscuro; infine, Barret era assente, al suo
posto c’era un uomo con assurdi capelli biondi sparati in tutte le direzioni
possibili, con abiti neri, grossi paraspalle bordati d’argento e un occhio
elettronico, il sinistro, stava squadrando con attenzione i soggetti che aveva
davanti; l’altro occhio, azzurro e freddo, sembrava spento, neutro, privo di
ogni scintilla vitale, come tutto il suo volto, duro e impietoso.
Alzò la mano destra,
chiusa in un guanto nero, con cui accese il supporto metallico, che per un
attimo lampeggiò, prima di cominciare a proiettare quella che sembrava una mappa
olografica tridimensionale.
-Quella che vedete-
iniziò a parlare l’uomo –è una mappa della periferia della città di Esthar- la
sua voce era talmente fredda e atona da provocare in alcuni brividi di disagio
lungo la schiena –il vostro compito sarà penetrare nella città, attraversare la
periferia..- mentre parlava, la mappa seguiva il suo discorso, indicando zone e
strade -..fino a giungere al centro della città, esattamente qui- la mappa si
fermò, mostrando un grande edificio, indicando anche presidi, difese,
guarnigione –una volta entrati, muovetevi con cautela e in silenzio, senza farvi
scoprire. Se qualcuno nota i vostri movimenti, uccidetelo. Dovrete arrivare in
cima e prelevare questa persona- la mappa sparì, al suo posto comparve la foto
di un uomo di mezza età, anche se manteneva ancora un volto affilato e
giovanile, con lunghi capelli neri e occhi vispi e attivi. Sotto a caratteri
digitali vi era il suo nome: Laguna Loire –una volta recuperato, rientrate
immediatamente alla Proteus. Non è ammissibile la perdita di questa persona,
tantomeno la sua morte- un altro gesto della mano, e il supporto metallico si
spense –supponiamo che la missione andrà liscia fino al termine della prima
parte, ma le proiezioni tattiche suggeriscono che una volta raggiunto il
soggetto la situazione possa.. complicarsi. Per questo sarà vostra priorità
attendere i rinforzi prima di tentare di rientrare. Tu- e indicò un burmer in
prima fila –sei a capo della prima parte dell’operazione. Una volta arrivati i
rinforzi ti atterrai agli ordini dell’ufficiale in comando- altro gesto della
mano, schietto, diretto, e di congedo –i vostri ordini gli avete. Preparatevi,
quindi fra trenta minuti raggiungere l’hangar delle capsule- senza dire o fare
altro, il Colonnello Strife, prese con sé il supporto metallico ed uscì dalla
stanza.
…
-Hai notato,
V.I.V.I.? Più invecchia e più diventa stronzo- commentò Cid, dalla sua posizione
privilegiata. Davanti a lui, sugli schermi, saettavano ogni tipo di immagini,
che controllava con la coda nell’occhio, ma negli ultimi minuti si era
concentrato nel briefing della nuova squadra.
-Il Colonnello
prende molto seriamente il suo ruolo- commentò la voce
elettronica.
-Il Colonnello
dovrebbe prendersi una vacanza- commentò invece il pilota, con improvvisa aria
seria, accendendosi un sigaro, e stirandosi le braccia –e anche tu Vivi.. tutti
noi.. sta andando avanti da troppi anni-
-L’alternativa è
la resa, non la vacanza, tenente Highwind- fu la replica istantanea di
V.I.V.I. –e la prego di non chiamarmi mai più così. Io sono
V.I.V.I.-
Cid prese un paio di
boccate dal nuovo sigaro, facendo fuori uscire poi con aria soddisfatta il fumo
dal naso –lo so- fu la risposta, mentre stirava le gambe, e poggiava i piedi sul
quadro comandi, con aria rilassata –ma sai com’è.. quando crei qualcosa tendi a
ricordarne le origini-
…
La tensione era
palpabile, mentre il gruppetto percorreva i corridoi metallici sulle cui pareti
correvano tubi e cavi di diversa dimensione.
Tutti erano armati
con corazze verdi, tranne il biondo CRL-01, a cui era stata data stranamente una
corazza blu. Inoltre lui era l’unico a indossare stivali, data la natura delle
estremità inferiori dei burmer, che non permettevano l’utilizzo di alcuna
calzatura. Assomigliavano molto alle zampe inferiori dei roditori.. per non
parlare poi delle orecchie che spuntavano dai buchi appositamente fatti sui
caschi su misura dei topomorfi. La coda invece era il tratto comune di tutta la
squadra, che fuoriusciva dal retro dei pantaloni di tutti, senza eccezione. La
coda del biondo CLR-01 era anch’essa bionda e scimmiesca, mentre quella dei
burmer era sottile e ricoperta di leggera peluria grigiastra.
Nonostante
l’eccezionalità della loro razza, i fabbri della Proteus sapevano il fatto loro.
Per il resto le armature erano identiche, con due grossi spallacci di cuoio
indurito a proteggere busto e spalle, avambracci che partivano con uno snodo sul
gomito, e che terminavano sul dorso della mano, quindi una protezioni semplice
sul perone e infine degli schinieri di un materiale chiamato mith-rilh, che
partivano con una protezione a snodo sul ginocchio per poi coprire tutto lo
stinco. Inoltre la dotazione standard prevedeva una pistola semplice, un mitra
leggero, un pugnale e diversi accessori, quali binocolo, diversi tipi di
fumogeni, torce, cavi e funi di vario genere, alcuni kit di pronto soccorso,
ganci e apparecchi radio-riceventi. Le armi personali, quali le lance dei burmer
e le daghe del ragazzo biondo erano segnalate come extra, quindi erano solo
responsabilità del soldato l’eventuale trasporto, stivaggio e
utilizzo.
Ma nonostante tutto
questo equipaggiamento, pianificazione e preparazione, il disagio sembrava
l’emozione dominante.
-Ehi..- il ragazzo
biondo tentò di richiamare l’attenzione del burmer nominato comandante della
squadra, magari per avere qualche informazione in più –ehi, tu.. scusa,
vorrei..-
-Soldato, siamo in
missione- replicò il topomorfo, seccamente, come risposta, voltandosi di scatto
–quindi chiamami signore o comandante-
-Thorwald, calmati..
che ti prende?- lo richiamò un compagno, lì accanto, poggiandoli la mano sullo
spallaccio e agitando nervosamente la coda –è solo un ragazzo.. e qui siamo
tutti compagni, ci conosciamo tutti- fece notare, indicando il resto dei burmer,
disposti a semicerchio, fermi in mezzo al corridoio deserto -non ha senso una
gerarchia di comando-
Thorwald sospirò
pesantemente, a fondo, mentre le orecchie lunghe e grigie si abbassavano. Aveva
un’aria sconfitta e preoccupata –hai.. hai ragione, Eleos..- ammise infine
–scusami, mh, ragazzo.. è una situazione nuova per tutti..- gli altri burmer
annuirono, anche se negli occhi si poteva leggere una sorta di rabbia repressa
indefinita –chiamami pure Thor, come fanno tutti..- dispose infine con una
scrollata di spalle, indicando il resto della squadra -..e tu invece
sei..?-
-Ehr.. io..- iniziò
il ragazzo biondo, improvvisamente in imbarazzo –non credo di.. ricordamelo..
tutti qui finora mi hanno chiamato così..- si giustifica, indicandosi la scritta
CLR-01 stampata sulla corazza. Seguì un momento di silenzio.
-Si chiama Gidan-
disse infine Eleos, rompendo l’assenza di suono –era a Cleyra, non vi ricordate?
Assieme a.. uh..- si prese il capo con una mano, come se avesse un dolore
improvviso –io.. non ricordo, ma era qualcuno di importante.. o
qualcuna..-
-Abbiamo tutti vuoti
di memoria- replicò Thorwald, secco e sintetico –ora andiamo, non ci è rimasto
molto tempo per raggiungere l’hangar- concluse, intimando di riprendere a
camminare.
-Ehi, amico..
grazie- disse Gidan, poggiando una mano sulla spalla di Eleos, con un sorrisone
enorme –almeno ora so come mi chiamo-
L’altro gli rivolse
un’occhiata vivamente perplessa e stranita, con anche un orecchio inclinato,
indice di dubbio –“amico”..? Ti ho detto come ti chiami, e tu nemmeno mi dai
un’occhiata come si deve?- replicò il burmer, con un’aria.. strana. Finta
offesa, avrebbe detto.
E fu solo allora che
il ragazzo guardò oltre il vetro del casco e vide un paio di occhi verdi
chiaramente femminili, poi guardò un po’ più in basso e vide che effettivamente
il pettorale dell’armatura era un po’ più sporgente rispetto agli
altri..
Che gaffe per un
gentleman come lui! Anche se burmer, aveva chiaramente confuso il sesso della
topomorfa, cosa che lo gettò sostanzialmente nell’imbarazzo e nel panico più
totale.
-Ehr.. io.. ecco..
vedi..- iniziò a balbettare, mentre la squadra aveva iniziato a correre, per non
tardare all’appuntamento con le capsule -..non potevo.. non sapevo..-
-Ah, fossi il primo
umano che si sbaglia..- replica pacata la burmer, correndo guardando davanti a
sé –e ora taci e corri.. non ti ricordavo così, a Cleyra-
Il biondo spalancò
gli occhi –tu.. ti ricordi tutto di Cleyra?!- domandò sconvolto, senza smettere
di guardarla, avido di informazioni.
-Che ti ho appena
detto? Taci e corri- tagliò corto la topomorfa, seguendo la squadra, che ora
svoltato un angolo si ritrovò davanti a una gigantesca e robusta porta
metallica, segnata a strisce nere e gialle. Lentamente e con grandi cigolii, la
porta si aprì, rivelando un immenso hangar, rivestito di tubi, catene, e
ganci;una luce gialla lampeggiante attorno a loro erano posteggiati aeronavi,
caccia, motoveicoli, e mezzi di ogni genere e dimensione, su cui si
affaccendavano meccanici e addetti di ogni razza e genia. Ovviamente gli umani
erano la stragrande maggioranza, ma Gidan poté vedere fra loro anche strani
pupazzi col cappello da mago in testa e inquietanti occhi gialli, altri burmer,
strani animali simili a felini rossi con criniere nere e code fiammeggianti,
grossi pennuti gialli che emettevano risuonanti “kuè!”, piccoli gattini rosa con
alucce viola sulle spalle e un pompon rosso sulla testa appeso a un
capello..
Ma non ebbe tempo di
approfondire la conoscenza di quella insolita folla, la sua squadra parve
ignorare tutto ciò, fiondandosi dove era stato loro ordinato. Ammirava e un po’
invidiava quella concentrazione ineccepibile di fronte a tante
stranezze.
Si infilarono in un
corridoio dove ai lati erano stati stivati enormi idrovolanti su cui un gran
numero di meccanici stava lavorando con alacrità, lo percorsero di corsa, a
ritmo serrato. Il ragazzo aveva già il fiatone, dato che era difficile stare al
passo coi topomorfi, geneticamente adatti alla corsa.
Infine il gruppo si
fermò davanti a una parete metallica, presieduta da un umano, stravaccato in un
posto di comando.
-Gruppo Esthar?-
chiese con voce annoiata. Thorwald si limitò ad annuire.
-Capsule Uno, Cinque
e Tredici, e che il Lifestream sia con voi- rispose l’umano, con tono
rassegnato, digitando alcuni comandi sulla tastiera. La parete metallica si
aprì, mostrano oltre quindici vani, di cui tre aperti.
-Quattro per
capsula- ordinò Thorwald; anche se avevano deciso di non adottare gerarchie,
rimaneva sua la responsabilità della missione –Denis, Jemel e Dolon, con me;
Closs, Kairone, Eleos e Gidan nella Cinque; i restanti nella Tredici- concluse,
infilandosi nella capsula assieme agli altri burmer.
Le capsule erano
piccole e strette, sufficienti a malapena a far stare la gente in piedi,
illuminate da una permanente luce rossa. Disposti su quattro lati vi erano
stretti sedili con cinture di sicurezza, in alto sopra di loro stivarono in
strette aperture gli zaini, mentre le lance furono inserite in alcune aperture
laterali verticali, e fissate con cinghie. E non appena si sedettero e si furono
messi le cinture, prima ancora di chiedersi come avrebbero fatto a partire,
iniziò la sequenza automatica di lancio.
L’apertura si
chiuse, isolandoli nelle capsule.
…
All’esterno, nello
spazio cosmico, la gigantesca stazione spaziale Proteus iniziava lentamente a
voltarsi su sé stessa, mostrando verso il pianeta sotto di lei una paratia
metallica che si apriva, dietro cui erano allineate le capsule. Tre di queste si
illuminarono con luci rosse e verdi. Senza alcun suono, una dopo l’altra,
vennero sparate verso il pianeta.
…
-Ossantocielo! Che
gli antenati ci proteggano!- esclamarono fra ringhi di sorpresa tutti i burmer
all’interno della capsula in cui era stato alloggiato Gidan.
-Porca di quella..!-
si espresse anche lui, afferrando con le mani la prima cosa che potesse dargli
stabilità.
Il contraccolpo era
stato tremendo, come essere infilati in un proiettile e poi sparati con un
fucile. Attorno a loro tutto tremò per un istante, strappandogli esclamazioni e
commenti di diversa natura, nessuno lusinghiero. Ma con loro somma sorpresa,
tale contraccolpo finì quasi subito. Attorno a loro avevano sempre l’impressione
di andare veloci, ma ora erano nettamente più stabili.
-Rarefazione dello
spazio cosmico- disse uno dei burmer, Closs –mi.. mi sono letto un file sullo
spazio esterno.. non c’è atmosfera, niente aria, niente di niente, quindi..
niente attrito- concluse di spiegare, con un sorriso nervoso -..almeno, fino a
quando non arriviamo sul pianeta..- aggiunse, sbiancando sotto la leggera
peluria del volto topesco.
-Oddio.. io voglio
uscire di qui! Subito!- disse l’altro burmer, Kairone, iniziando a fare cenno di
togliersi le cinghie. Eleos, con massima nonchalance, gli tirò un gran cazzotto
che lo privò di sensi.
-Qualcun altro vuole
uscire di testa ora?- domandò, squadrando uno per uno i rimanenti sani di mente.
Tutti scossero la testa, terrorizzati, ma senza darlo a vedere.
La capsula iniziò a
tremare violentemente.
-Siamo entrati
nell’atmosfera!- disse Closs, appiattendo le orecchie sul capo, e
rattrappendosi.
-Ed è un bene o un
male?- domandò Gidan, spaventato quanto lui.
-Se riusciamo a
passare oltre i primi strati senza bruciare, direi bene..- fu la risposta
dell’altro.
-Bruciare?! Aspetta
un attimo, nessuno mi ha parlato di bruciare..!- l’affermazione del biondo cadde
nel vuoto giacché le pareti delle capsule iniziarono ad arroventarsi.
…
Bruciando come
meteoriti, luminose come comete, le tre capsule entrarono nell’atmosfera del
pianeta. Impianti automatici di raffreddamento ridussero il riscaldamento delle
paratie, riducendo lucore, fumo e scia. Solcarono per un attimo i cieli di
Esthar, per poi precipitare al suolo, attivando altri sistemi automatici di
anti-impatto. Solo alla fine, gli sportelli si aprirono.
…
-Dici che sia stata
una buona idea?- domandò Cid, dopo aver monitorato ogni cosa.
-Non avevamo scelta-
rispose la dottoressa Carol, accanto a lui, osservando mesta e seria anch’ella i
monitor da cui Cid aveva seguito la disavventura del gruppo nelle capsule –tutte
le altre squadre sono impegnate, lo stesso colonnello Strife è appena partito
per una missione su Tera.. non c’era nessun altro che potesse impegnarsi in
questo compito-
-Come dire, viva la
sincerità.. qualcuno ha detto a quei poveri topi che li abbiamo mandati in
missione, ma che ci aspettiamo al novantanove per cento dei casi un loro
fallimento?- domandò quindi con distrazione Cid, digitando distrattamente su una
tastiera. Davanti a lui comparvero alcuni diagrammi cardiaci.
-Certo che no..
guarda i loro diagrammi del cuore, l’unica cosa che impedisce loro di avere un
collasso è la nostra fiducia in loro- rispose la dottoressa, indicando i
monitor.
-Mph, che crudeltà..
ma non dovremmo essere i buoni, noi?-
Angolino
dell’Autore:
Orbene, rieccomi
^_^ finalmente gli esami e l’università mollano un po’ il cappio che mi hanno
stretto attorno al collo, così ne approfitto per sfogarmi un po’ postando un
nuovo capitoletto, che come noterete è sì lineare, ma non rinuncio a qualche
excursus qua e là <__< abitudine, come dice una certa Lucrecia “I’m so
sorry..”
Ringraziamenti:
Tico_Sarah : personalmente, nemmeno io impazzisco per Squall,
anche se devo ammettere che ai fini della storia mi servirà, quindi avrà una
parte bella consistente u_u come anche Irvine, decisamente più simpatico o_ò il
loro momento ci sarà ma.. sarà più avanti, vista la vicenda che sto seguendo
ora, ma che comunque si esaurirà in massimo un paio di capitoli, e.. e non dico
altro, se no spoilero di brutto o__o grazie ancora! =D
Detto ciò, vi saluto, e aspettatevi pure un nuovo capitolo la
prossima settimana! Ho finalmente recuperato un pò di ritmo, e non me lo voglio
perdere! è_é see you soon!
-Nah, i diagrammi sarebbero
crollati come tessere del domino! Sono quelle maledette capsule, la prima volta
che le usi è come venire frullati e shakerati. Sono solo sconvolti-
-Si, ma ora devono uscire,
altrimenti le capsule non attiveranno i sistemi automatici di occultamento!-
-Ecco il guaio della tecnologia..
si automatizza tutto e poi la missione va a puttane perché non è scattato quello
o l’altro relè che doveva attivare qualche altra cosa di importante..-
-Se non si automatizza, quelli
non sanno nemmeno da che parte infilare l’elmo-
-V.I.V.I. sveglia i belli
addormentati e sbattili fuori da quelle capsule!-
-Sarà fatto, tenente
Highwind-
-Mph, la missione più breve di
sempre.. già spacciati ancora prima di mettere il naso fuori.. glielo avevo
detto a Cloud che dovevano concludere l’addestramento-
-Taci, che porti rogna-
…
-Squadra di Terra della
missione Esthar, svegliatevi, e uscite subito dalle capsule!-
La voce artificiale di V.I.V.I.
risuonò nel vuoto metallico dell’interno delle tre capsule.
-Squadra di Terra della
missione Esthar,questo è un ordine prioritario! Svegliatevi, e uscite subito
dalle capsule!-
Ancora nessuna reazione, dai suoi
sensori V.I.V.I. poteva percepire i corpi dei cosmonauti stesi sui loro posti
senza mostrare alcun segno di vita. Ma per fortuna i suoi sensori percepivano
tutti e dodici i battiti cardiaci.
-Squadra di Terra della
missione Esthar, è indispensabile che mi prestiate attenzione! Uscite subito
dalle capsule! Gidan,svegliati!-
-Mmmhmmh.. eh..?- fece
l’interessato, aprendo a malapena un occhio –chi.. cosa.. che diavolo..?- il
ragazzo, con fatica, tentò di muoversi, scoprendosi ben allacciato al suo
sedile. Si guardò attorno con aria assonnata e sorpresa, come se vedesse per la
prima volta le pareti metalliche e i suoi compagni, tre burmesiani totalmente
intontiti e incoscienti.
-Ossanti.. la capsula ha..
abbiamo.. noi siamo..- tentò di formulare il biondo, sconvolto, armeggiando con
le cinture.
-Siete atterrati con successo
sul pianeta a un chilometro e mezzo dalla città- lo informò V.I.V.I., nel
suo solito tono piatto ed elettronico –avete venti minuti di tempo per uscire
dalle capsule e attivare la sequenza automatica stealth prima che arrivino le
locali forze di polizia. E la cintura non si apre così, spingi il bottone
giallo-
-Fosse facile, c’è questa
schifosa luce rossa che me lo fa diventare rosa il bottone!- fu l’irato commento
del ragazzo, che fece infine scattare la cintura, liberandosene. Subito fece un
balzo in avanti, prendendo i primi due burmer che gli capitarono a tiro per i
colletti della corazza e scotendoli con forza –ehi, ragazzi! Svegliatevi, siamo
atterrati, e siamo già nei guai!-
I due topomorfi si svegliarono
tre scrollate dopo, emettendo curiosi mugugni e squittii di intontimento, ma al
contrario di Gidan, si resero conto molto più in fretta della situazione.
-Oh, siamo atterrati?!- disse
Eleos, staccandosi la cintura –porca miseria! Fuori, fuori tutti! Anche tu,
bello addormentato!- aggiunse, tirando un pugno allo sterno del burmer che aveva
scazzottato ancora prima di entrare nell’atmosfera –e non dimenticate il
bagaglio e le lance! Un burmesiano senza lancia è come un umano senza
gambe!-
-Questa me la faccio spiegare,
prima o poi..- borbottò Gidan, recuperando il suo zaino e le daghe, che infilò
alla cintura.
Uno alla volta uscirono dalla
stretta apertura della capsula, e una volta fuori videro che anche nelle altre
tre capsule, a parecchie decine di metri di distanza stava avvenendo la stessa
cosa, con le altre due squadre di burmer che recuperavano armi e bagagli, ed
uscivano dai crateri.
Eleos allungò una mano in segno
di saluto –attiviamo le ricetrasmittenti- disse –sarà molto più semplice
comunicare.. ..Thorwald, mi senti?-
All’orecchio di tutti,
all’interno del casco, si sentì prima un brusìo, poi la voce del caposquadra
-*crack crazzle* si.. ti sento, Eleos. Tutto bene?-
-Si, stiamo bene..- il burmer
picchiato tossì leggermente -..circa.. cosa facciamo ora?-
-Vi sto mandando le coordinate
di un luogo riparato. Andiamo lì e facciamo il punto della situazione- fu la
risposta –mantenete i canali aperti in caso di problemi. Passo e
chiudo-
-Va bene- poi si voltò verso gli
altri tre, con espressione decisa –sentito? Muoviamoci!-
E mentre quei piccoli manipoli si
allontanavano, dalle capsule abbandonate si sentì un fortissimo rumore
elettronico. Tutti si voltarono, e videro quei tre contenitori metallici
emettere un forte bagliore, quindi da alcune aperture spuntarono fuori dei
congegni che iniziarono a ronzare, e ad illuminarsi. Uno alla volta iniziarono a
proiettare attorno a loro dei fasci di luce, che si condensarono, iniziando a
formare oggetti concreti. In un attimo, i crateri sparirono e con loro le
capsule, al loro posto vi era soltanto una uniforme e solida pianura di
terra.
-Ologrammi denso-attivi- spiegò
in due parole Closs, l’unico burmer che aveva fatto la fatica di informarsi –per
non far scoprire ai nativi le capsule-
Gli altri tre si limitarono ad
annuire con aria grave, per poi mettersi in marcia verso il punto prestabilito.
In lontananza già era possibile vedere l’avvicinarsi di alcune luci, assieme a
un rombo di motori.
…
Il gruppo si ritrovò dietro ad
una roccia affiorante, su cui cresceva una ispida e fibrosa piante, che
concedeva un po’ di copertura. In lontananza era ancora possibile vedere il
lavoro delle macchine di Esthar che controllavano il terreno dove erano cadute
le capsule. Visto che nessuno li aveva informati sulle modalità di ritorno,
speravano con fervore che le capsule resistessero a quell’esame.
-Non capisco proprio..- mormorò
il burmer addetto all’osservazione delle macchine di Esthar –..non assomigliano
a nulla che conosco.. nemmeno a Lindblum costruiscono affari simili. Sembrano
grossi granchi metallici con una decina di chele ciascuno. E fluttuano per
aria-
-Finchè non ci vengono a rompere
le scatole, non ci deve interessare- replicò Thorwald –tienile sotto controllo,
avvertici se iniziano a dirigersi in questa direzione. Intanto noi vediamo di
mettere insieme un piano d’azione-
-Abbiamo una scadenza?- domandò
un altro, Kairone, che ancora si massaggiava con una mano il volto dolorante –un
tempo limite?-
-Il colonnello non ne ha fatto
parola- rispose Thorwald –ma da come l’ha messa giù, questa è una missione mordi
e fuggi. Trovare Laguna, e aspettare i rinforzi barricati nella stanza in cui si
trova il nostro uomo-
-Ok, ma dall’istante in cui
troveremo questo Laguna, quanto ci metteranno i rinforzi ad arrivare?- domandò
Gidan, che tentava ancora di riprendere fiato per stare dietro ai velocissimi
burmesiani.
-Posso rispondere io a tale
quesito- rispose una familiare voce elettronica nei loro caschi, che fece
venire a tutti un colpo apoplettico –la squadra di rinforzo verrà attivata
nell’istante in cui il signor Gidan qui presente raggiungerà il signor Loire.
Quando i due si troveranno nella stessa stanza a una distanza minima di cinque
metri, verrà spedito un impulso alla Centrale di Comando della Proteus, che farà
attivare all’istante la squadra-
-V.I.V.I.! Eri sempre qui, ci hai
ascoltato per tutto il tempo!- ruggì Thorwald, alterato –pensavo che le
comunicazioni con la base fossero saltate non appena abbiamo lasciato le
capsule!-
-Infatti, ora riesco a
comunicare con voi solo perché ora vi trovate in un’area non coperta dagli
schermi anti-interferenza Esthariani- rispose V.I.V.I., docile come sempre
–una condizione eccezionale, credo causata dal masso e dalle piante che ora
vi proteggono. Non chiedetemi come o perché, sono troppo distante per darvi dati
certi-
-Non ce ne frega niente di
botanica, V.I.V.I.- replicò Eleos stavolta, secca e diretta –da quello che ci
dici, mi pare di capire che Gidan è fondamentale per questa missione..
perché?-
-Perché sia lui che il signor
Loire sono individui di tipo Alfa- fu la risposta immediata del computer
–quando due individui di tipo Alfa si trovano a distanza ravvicinata, creano
una distorsione nel campo magnetico del Lifestream del pianeta che provoca
perturbazioni nei neutrini, causando..-
-Stringi, V.I.V.I.- fu stavolta
l’acida replica di Gidan, anche lui partecipe alla conversazione.
-Va bene. In sostanza, quando
vi incontrerete, creerete una distorsione percepibile dagli strumenti della
Proteus. Una successiva verifica di posizionamento globale ci dirà che è la
vostra squadra, quindi attiveremo i rinforzi. Chiaro, no?-
-No, ma non abbiamo scelta- fu la
secca risposta di Thorwald –V.I.V.I., ora aspetteremo la notte, quindi
inizieremo a muoverci verso la città, e le comunicazioni si interromperanno di
nuovo-
-Molto bene, buona fortuna
Squadra di Terra-
…
Quando infine il buio notturno
calò nella zona, dodici agili figure iniziarono a muoversi verso la città, chine
e veloci, saltando di riparo in riparo, usando qualsiasi cosa per occultare la
loro figura agli allarmi piazzati in cima alle mura di Esthar.
I burmesiani data la loro
propensione atletica avevano gioco facile: quando una zona non era percorribile,
semplicemente spiccavano balzi tali da superare in un sol colpo metri e metri di
territorio impraticabile, quindi senza nemmeno fermarsi, riprendevano a correre.
Non parevano sentire né dolore né fatica, totalmente concentrati nel loro
obiettivo.
Così purtroppo non era per il
ragazzo biondo, che spesso rimase indietro bloccato da rami, terreno scivoloso,
fango, erba alta.. solo ora si rendeva conto di non possedere un decimo
dell’agilità dei suoi compagni di squadra. E la cosa lo faceva bruciare di
rabbia, dato che erano costretti ad aspettarlo, visto che l’intera missione era
imperniata su di lui.
Spesso si faceva strada con le
daghe, tagliando tralci di erba che lo ostacolavano, e a volte non erano nemmeno
tralci, ma intere giungle che ai burmesiani bastava un salto per evitare.
Come se non bastasse, ogni tanto
gli capitò di trovarsi davanti a creature selvatiche di diversa natura, che
ovviamente non apprezzarono la sua intrusione.
-Anf.. anf..- ansimò
pesantemente, tagliando rami ed erba alta, ed uscendo dall’ennesimo intrico
verde. Ad aspettarlo vide l’intera squadra, seduta all’interno di uno spiazzo,
che si riposava, tenendo davanti a loro alcune mappe olografiche, generate
dall’orologio al polso di Thorwald.
Gidan aveva in mano un daga,
mentre con l’altra teneva stretta la coda di una bestia, che una volta uscita
dal fogliame si rivelò essere un gigantesco rettile violaceo coperto di creste,
con una bocca enorme e artigli lunghi mezzo metro sulle zampe anteriori. Qua e
là era possibile notare diverse ferite da taglio sulla belva ormai morta e
inerte.
Il ragazzo biondo si accasciò in
ginocchio a terra, continuando ad ansimare per la fatica –non ce la faccio più..
quanto diavolo manca alla dannata città?!- esclamò, esausto.
-Siamo arrivati- mormorò placido
Thorwald, senza degnare Gidan di un secondo sguardo. Quindi indicò alle sue
spalle.
Era ancora buio, mancavano ancora
diverse ore all’alba, ma Gidan alzò comunque lo sguardo, e vide davanti a lui, a
una decina di metri di distanza, una parete liscia metallica, talmente lucida da
riflettere il buio notturno, e quindi difficilmente individuabile. Ma poi il
ragazzo, alzò ancora gli occhi, mentre l’espressione si faceva via via più
stupefatta e sconvolta.
La parete metallica continuava
fino a innalzarsi verso il cielo, apparentemente senza fine, e non solo ma
continuava anche a destra e a sinistra. Una parete metallica, liscia e
riflettente che pareva tagliare in due il mondo. Non si riusciva a vederne la
fine da nessuna parte, né verso l’alto, né ai lati. Non sembrava finire mai.
Gidan sentì un groppo allo stomaco, al solo pensiero di dover superare quel
mostro metallico infinito.
-Abbiamo due strategie da poter
attuare- stava dicendo intanto Thorwald, mostrando la mappa, e indicandone i
punti salienti –possiamo scalare la muraglia metallica, oppure mimetizzarci nei
mezzi in entrata- spiegò, indicando un punto dove il metallo si apriva e
lasciava passare i giganteschi meccanizzati esthariani –e personalmente propendo
per quest’ultima. Data l’altezza della muraglia, e vista la presenza di numerosi
sistemi di allarme, per passare in tutta sicurezza ci metteremmo almeno una
giornata e mezza-
Anche gli altri burmesiani
scuoterono il capo, nel sentire l’ultima affermazione.
-Ehm.. scusate..- si intromise
Gidan. Gli sembrava sempre di essere inopportuno -..io forse potrei ancora
passare per uno di loro, ma voi come farete per mimetizzarvi..?- domandò, poco
convinto.
In risposta, Thorwald cambiò
l’immagine olografica, che iniziò a mostrare i giganteschi mezzi di trasporto
esthariani, in particolare quelli che fino a poco prima stavano esaminando il
terreno dove erano cadute le capsule.
-Questi cosi stavano facendo
rilevamenti e studi dove siamo atterrati, e rientreranno a breve. I nostri
sensori non rilevano alcuna traccia di vita a bordo- spiegò stavolta Eleos,
indicando l’ologramma –quindi, se riuscissimo a infiltrarci al loro interno,
avremmo un passaggio garantito per l’interno della città-
Gidan nel frattempo si era seduto
su un masso e stava riprendendo fiato, ma comunque domandò ancora –e fra quanto
rientreranno?-
-Fra mezz’ora circa.. supponiamo
che entreranno da lì- rispose la topomorfa, indicando verso l’alto, dove c’era
ad una ventina di metri d’altezza nel metallo infinito delle mura una linea
incisa che formava una sorta di riquadro circolare.
Gidan sbarrò gli occhi, sconvolto
–e noi come diavolo ci arriviamo là sopra?!-
-Controlla nel tuo zaino,
pivello. Ci sono delle funi e dei ganci- ghignò Thorwald, mostrando alcune funi
da scalata tirate fuori dal sul zaino, sulle cui estremità erano stati applicati
dei ganci –quando passeranno sopra di noi, tireremo le funi, ci agganceremo e ci
isseremo al loro interno o anche sopra di loro se sarà necessario- spiegò
–dobbiamo essere veloci, non possiamo permetterci di perdere una giornata e
mezza sulle mura- concluse, secco e autoritario. E il ragazzo non potè far altro
che accettare. D’altronde che scelta avevano?
…
-Ricordate, avremo una sola
occasione- mormorò appena Thorwald, nascosto dal fogliame, gli occhi da roditore
puntati sull’apertura circolare sul muro metallico.
Era infine giunta l’ora, la
mezz’ora era trascorsa, e a poca distanza si potevano vedere i mastodontici
mostri meccanici Esthariani avvicinarsi lentamente, fluttuando a venti metri
circa d’altezza.
Macchine enormi, con braccia
cibernetiche, e le corazze lucide che brillavano anche sotto la tenue luce della
luna, che riuscivano a rimanere sospese a mezz’aria senza alcun apparente
motore, nessuno infatti riuscì a vedere reattori, propulsori, nemmeno ali!
Sembravano ai loro occhi enormi granchi con due grosse chele in quello che
pensavano il davanti e numerosi tentacoli che dalla ‘pancia’ si protendevano
verso il basso.
-Attivati i disturbatori
elettromagnetici- sussurrò nuovamente Thorwald, trafficando un istante con la
sua cintura, che mandò un biiip per poi accendersi una lucina verde. Gli
altri undici lo imitarono.
-Ora non lasciatevi prendere
dalla fretta- iniziò a mormorare –ci sono quattro mezzi in arrivo.. se non
riuscite ad agganciarvi al primo, aspettate il secondo.. non dobbiamo dare
nell’occhio, questo è un ordine prioritario- detto ciò, il burmesiano si alzò
dal nascondiglio, tese all’indietro il suo cavo con gancio, lo fece roteare,
quindi con uno scatto di braccio e polso, lo lanciò verso l’alto.
Il cavo si agganciò saldamente a
un tentacolo cibernetico del mezzo meccanico, che nemmeno registrò
quell’aggancio. Thorwald iniziò agilmente a salire, arrampicandosi sul cavo.
A quel punto, altri tre
burmesiani si alzarono, lanciando i cavi verso le braccia metalliche, e
iniziarono a salire con eguale agilità, ogni tanto sbattendo contro il metallo
dei tentacoli, che tuttavia non fecero una piega.
L’apertura sul muro metallico
iniziò a illuminarsi e il metallo della porta iniziò a schiudersi verso
l’interno, dividendosi in numerosi spicchi metallici che rientrarono,
permettendo l’accesso ai mezzi. Il primo trasporto abusivo burmesiano entrò,
mentre dal luogo riparato il resto della squadra lanciò i cavi, iniziando a
risalire le spire metalliche.
-Raggiungete il tetto- ordinò
Eleos a mezza voce, arrampicandosi velocemente –e fate in fretta, non abbiamo
idea di quanto siano efficaci questi disturbatori elettromagnetici!-
Gidan roteò anch’egli il suo
cavo, lanciandolo verso il tentacolo, dove si agganciò ed iniziò a risalire i
tentacoli.
-Fate presto!- esclamò una
voce alle ricetrasmittenti. Era Thorwald –questi.. cosi.. quando rientrano
gli staccano i tentacoli per riporli a parte! Se non vi sbrigate a salire sul
tetto finirete schiacciati!-
Ai quattro che ora stavano
risalendo i tentacoli del secondo essere meccanizzato iniziò a scendere sudore
freddo: potevano vedere distintamente, poco lontano a meno di dieci metri di
distanza l’apertura circolare dentro cui ormai stava sparendo il primo mezzo
meccanizzato.
Subito iniziarono a sforzarsi di
arrampicarsi più in fretta, risalendo i cavi e sudando come dannati, artigliando
il metallo e piegandolo sotto le dita munite di unghioni. Questo discorso
ovviamente valeva per i burmesiani, il povero ragazzo biondo non possedeva nulla
di simile, anzi il cavo stesso sotto i guanti dell’armatura continuava a
scivolargli, facendogli perdere terreno e tempo prezioso. Ormai erano tutti
risaliti fino alla base dei tentacoli posta sulla pancia metallica del mezzo, e
l’apertura distava a meno di cinque metri.
Gidan iniziò a sudare freddo,
continuava ad arrampicarsi, ma il metallo era scivoloso sotto i guanti, a
malapena gli stivali, dotati di suola in gomma, aderivano al metallo.
-Muoviti, stiamo entrando ora!-
gli urlò Eleos, dall’alto, sporgendosi per vedere i progressi del ragazzo, che
purtroppo continuava a salire con inesorabile lentezza.
Venne improvvisamente buio,
quando il mezzo meccanizzato varcò l’apertura, e poi improvvisamente luce, fari
si accesero ovunque, illuminando il luogo, e tutti videro un ambiente ampio,
gigantesco, una sorta di caverna coperta di cavi e paratie luminose, che
mandavano bagliori bluastri, schermi, riquadri digitali, e ancora cavi e
piattaforme li circondavano. Ma non solo, in angoli strategici erano piazzate
alcune cannoniere automatiche, anch’esse illuminate di quella energia bluastra
che pareva animare qualsiasi cosa attorno a loro. Solo ora notarono che lo
stesso mostro meccanico su cui erano saliti era animato da quella stessa
energia.
Lentamente, inesorabile, si
avvicinò a ponte sopraelevato, simile a un molo, composto da paratie metalliche,
dove adagiò un fianco. Immediatamente, i topomorfi che erano riusciti a
guadagnare il tetto, saltarono via in un lampo ricadendo in uno spazio in ombra
alle cannoniere, che si mossero repentinamente non appena videro del movimento
sopra il tetto del mezzo, ma stranamente non spararono.
-Fermi! State fermi!-
tuonò la voce di Thorwald sulle trasmittenti -i disturbatori elettromagnetici
ci coprono e confondono le torrette, se non ci muoviamo non ci vedono!-
-Ma non possiamo rimanere fermi
in eterno! Gidan è ancora fra i tentacoli, e noi dovremo pur muoverci da qui!-
replicò Eleos, in un sussurro furibondo.
-State! Fermi!- ripetè
Thorwald –ho mandato Jemel a sabotare la centralina di controllo, entro
quattro minuti dovrebbe farcela..-
-Non ce li ho quattro minuti!-
urlò a quel punto Gidan sulle trasmittenti. Mentre i burmesiani discutevano sul
da farsi, la situazione fra i tentacoli era tragica, dato che dal fondo della
caverna di cavi erano fuoriusciti una ventina di tubi neri di un materiale
gommoso su cui correvano cavi e sostenitori cibernetici, che ricoprivano i
tentacoli del mezzo robotica e li staccavano uno ad uno. Gidan era appena
riuscito a raggiungere i tre quarti di tentacolo prima che uno di questi tubi
iniziasse a ricoprirlo, e ad inguainarlo.
-Ehi, vattene via!- esclamò,
tirando due calci al tubo, impedendogli di proseguire. Questo fece alcuni rumori
insoliti, un ronzio infastidito, poi all’improvviso aumentò l’apertura della
bocca, e sorpassò di netto in ragazzo, ricoprendolo assieme al tentacolo.
-Ehi, che diavolo..?!- urlò, ma
il suo urlo venne smorzato all’improvviso, dato che il tubo, una volta raggiunta
la base del tentacolo, si attaccò espellendo l’aria e aderendosi al tentacolo
stesso, e ovviamente anche addosso al ragazzo, che si ritrovò bloccato e senza
aria.
-Per gli antenati, soffocherà!
Dobbiamo salvarlo!- esclamò Closs, saltando via dal suo rifugio.
-Fermo, idiota, i cannoni non
sono ancora..!- un colpo di cannone spezzò l’avvertimento di Thorwald. Il
burmesiano ricadde a terra con un tonfo secco e il fianco fumante,
apparentemente privo di vita -..ancora disattivati.. che gli Antenati ci
proteggano..- concluse Thorwald, lugubre.
-Dobbiamo comunque fare qualcosa,
Gidan non resisterà a lungo! E senza di lui la missione è inutile!- disse in
fretta Eleos, osservando la situazione. Il tubo ora aveva agganciato il
tentacolo, e dopo aver emesso l’aria in eccesso si preparava a ridiscendere.
Poteva distintamente vedere dalla sua posizione il rigonfiamento che era il
ragazzo intrappolato.
E dalla sua prigione, Gidan,
privo di aria e impossibilitato a muoversi, stava comunque tentando in ogni modo
di liberarsi. Sentiva quel materiale simile a gomma premere ogni centimetro
della sua pelle, tappandogli il respiro, premendo sul suo cranio stesso,
comprimendogli il cervello, gli occhi.. sentiva la morte arrivare, sempre se
prima non perdeva i sensi per mancanza d’aria.
“Assurdo che finisca così..”
pensò, in un lampo di lucidità “..non so nemmeno perché sono qui.. ..perché sono
qui?”
E miracolosamente, alla sua
domanda posta solo a sé stesso, ebbe risposta, una risposta che giunse..
dall’esterno, da una voce lontana che tuttavia nonostante non la conoscesse, gli
suonò estremamente sgradevole e odiata “..perché tu hai dato inizio a tutto
questo. È tuo compito porvi fine. Ed ovviamente non puoi morire ora. Troppo
facile e troppo comodo” dopo, la voce tacque, ma sentì improvvisamente il suo
corpo scosso da brividi, come se qualcuno gli avesse versato nelle vene del
fuoco o del ghiaccio o tutte e due le cose assieme.
Dall’esterno i burmesiani videro
improvvisamente che dal rigonfiamento dove Gidan era bloccato iniziavano a
crearsi alcune leggere, leggerissime ma sempre più frequenti scariche elettriche
violacee, che ben presto iniziarono a percorrere l’intero tubo, che emise una
sorta di ronzio di sofferenza agitandosi a destra e manca senza costrutto, come
a volersi liberare di un prurito tremendo.
Poi d’un tratto la gomma nera di
cui era composto si squarciò, le scariche elettriche violette si mescolarono a
quelle bluastre dei cavi che animavano il tubo, per poi svanire nel nulla.
Come un proiettile, Gidan venne
sputato fuori dal tubo ormai distrutto e devastato, che implose scagliando tutto
intorno brandelli di gomma nera più un materiale vischioso e gelatinoso. Il
ragazzo fece un volo che lo portò oltre il parapetto e lo fece rotolare proprio
davanti a una cannoniera che lo puntò decisa, ma in quel momento si levò Eleos
dal nascondiglio che con perfetto tempismo scagliò la lancia esattamente dentro
la canna del cannone, che non appena caricò il colpo energetico, implose. Tutte
le altre cannoniere si volsero verso di lei.
-Cazzo, Jemel, ora, ORA!- urlò
Eleos, irrigidendo i muscoli, e preparandosi a essere freddata dalle venti e più
cannoniere che ora la stavano pericolosamente puntando.
Vi fu una improvvisa luce,
ardente e accecante, quando tutte le torrette caricarono il colpo energetico,
riflettendosi migliaia di volte su cavi e paratie.. già la burmesiana vedeva
passarsi davanti tutta la sua vita.. ma non accadde nulla. Le cannoniere
riassorbirono il colpo e con un rumore di tostapane, si abbassarono e si
spensero.
Con il respiro pesante, Eleos si
accasciò a terra, accorgendosi di essere sudata fin alla punta della coda, e con
gambe e braccia tremanti.
-Tu.. vai a controllare se Closs
è vivo..- disse, indicando Kairone –tu.. invece vai a controllare Gidan.. e
portami un sacchetto di carta- ordinò a un altro, sbiancando con l’aria di
qualcuno che stava per vomitare l’anima. E ciò avvenne non appena ebbe fra le
mani il sacchetto.
-Per gli Antenati, come state?!-
esclamò Thorwald, non appena raggiunse il posto assieme al resto della
squadra.
-Closs è vivo, il colpo non ha
preso zone vitali- lo informò Kairone, che ne stava monitorando le condizioni
–penso di riuscire a rimetterlo in piedi, ma difficilmente potrà saltare o
correre come prima..-
-Capisco.. e Gidan?-
-Solo svenuto, si rimetterà a
breve, sarà solo un po’ frastornato-
-Ottimo.. Eleos? Tutto bene?-
-BLLEEEEEAAAAARGH!!-
-Lo prendo come un si..-
...
-V.I.V.I., riesci a capire dove
siano ora?-
-Non ne ho idea, tenente
Highwind.. secondo le proiezioni tattiche, dovrebbero essere già entro le mura
di Esthar- rispose la voce elettronica -ma non c'è modo di verificarlo,
gli scudi e i disturbi sono troppo intensi per un esame.. anche se tre minuti e
venti secondi fa ho rilevato un picco di energia molto intenso in questo punto-
sullo schermo apparve un prospetto in scala digitale delle mura di Esthar,
con una indicazione sul punto dove è stato fatto il rilevamento.
-Hai idea di che energia
sia?-
-Solo ipotesi, tenente
Highwind, ma non avremo alcuna certezza se prima il signor Gidan non torna dalla
missione-
-L'ha emessa lui?!-
-Senza dubbio, l'impronta
energetica è inconfondibile-
-E' forse quello che
pensiamo..?-
...
Gidan e Closs si erano infine
rimessi in piedi, anche se il secondo era un pò tentannante, con una fasciatura
che prendeva tutto il busto e gli fermava tutta la spalla e il braccio sinistri,
e zoppicava vistosamente. Generosamente, e soprattutto perchè era a causa sua,
Gidan si offrì di fargli da sostegno. Eleos era ancora bianca in volto, ma
almeno aveva smesso di riempire il sacchetto.
-Molto bene, fin qui ce la siamo
cavata senza perdite, più o meno..- iniziò a dire Thorwald, mostrando davanti al
gruppo la mappa del loro percorso -..ora arriva la parte facile, finalmente- con
il dito indicò un punto -ci caleremo in questa fogna, a mezzo chilometro di
distanza da qui, per percorrerla poi fino a questo palazzo..- la visuale
elettronica si spostò, mostrando un enorme edificio, gigantesco e frastagliato.
L'immagine era in scala e a colori, ma dava comunque l'impressione di una
struttura importante, piena di strutture aggiunte, guglie e antenne di ogni
genere.
-Risaliremo in questo punto, che
dà accesso diretto all'ascensore, questo qui..- la visuale si avvicinò,
mostrando l'interno del palazzo -..scardineremo e renderemo inutilizzabile
l'ascensore, per poi salire lungo i cavi fino al cinquantasettesimo piano dove
il signor Loire riposa-
-Scusa Thorwald.. ma non vedo
come Closs possa seguirci in questo ultimo passaggio, messo com'è..- disse
Gidan, reggendo un braccio del burmesiano sulle spalle.
-Ma può camminare.. Closs, tu non
ci seguirai sull'ascensore, ma prenderai le scale- e la visuole evidenziò un
passaggio accanto all'ascensore -con te verranno Gidan e Jemel, perchè dovete,
man mano che saliamo, disattivare i sistemi di sorveglianza, esterni e interni,
oltreche mettere fuori combattimento eventuali guardie..- nuovamente sulla mappa
si evidenziarono numerosi punti, le telecamere, le torrette, anche le guardie.
Nello stesso corridoio dell'ascensore era possibile vedere alcuni droidi in
funzione, direttamente collegati a centraline periferiche. E ovviamente i
burmesiani all'interno non potevano permettersi di perdere tempo a combatterci e
sparargli contro, dato che erano impegnati nella faticosa mansione di salire
lungo i cavi..
-Ma che senso ha che saliate
lungo i cavi? Non è meglio se tutti prendiamo le scale?- interruppe nuovamente
Gidan.
-Magari.. sarebbe molto più
comodo..- mormorò seccato il burmesiano -peccato che il signor Loire sia il
Presidente di questa dannata nazione e che abbia un sistema di sicurezza a dir
poco machiavellico.. vedete qui?- e indicò una serie di punti da un altro lato
dell'edificio -sono fotocellule, sensori che avvertono di un'intrusione non
autorizzata a qualsiasi livello dell'edificio, e ognuna copre un intero piano a
partire dal primo, quindi, per quello che ci interessa, sono cinquantasette
fotocellule. Noi che penetreremo dal piano terra, che è pubblico, non
verremo visti subito- Thorwald digitò alcune istruzioni sul supporto olografico
-dobbiamo distruggerle ad una ad una, e l'unico modo per farlo è sparare un
colpo attraverso dal corridoio dell'ascensore attraverso l'apertura che dà ad
ogni piano. Ovviamente..- disse, con un sospiro pesante -..abbiamo una sola
opportunità per fotocellula.. se sbagliamo anche un solo colpo, il sensore
avvertirà subito la nostra presenza, e allora va tutto a puttane.. chiaro no?-
concluse, con un cenno rassegnato.
Tutti annuirono, torvi. Nella
mente di tutti, nessuno escluso, si formarono due limpide parole, un pensiero
quanto mai palese.
"Dannati Esthariani".
Angolino
dell'Autore:
Allora, che avevo detto la
volta scorsa..? Il prossimo capitolo entro la prossima settimana..? <___<"
eh, mi sarò sbagliato, essì.. <__< purtroppo le vacanze mi hanno colto
impreparato, sono tutto uno stress! °-° come anche la prima sessione di esami
dell'Università, che si terrà a breve breve breve.. quindi scrivo come e
quando posso, perdonatemi.. é____è
Ma i ringraziamenti vanno fatti
comunque u.ù :
ReisTheGuardian : mooooolto
thanks, grazie di cuore =D sul 'come scrivo?' avrei molto da criticare a me
stesso, ma grazie comunque ^^ per la storia e la trama.. bhe, all'inizio pensavo
fosse uno sclero .__. fortuna che mi sbagliavo =D bye, alla prossima!
Detto ciò, il prossimo
aggiornamento sarà.. sarà.. saràà.. sarà u.u punto u.u See you
Soon!