La Fabbrica di Cioccolato - New Version

di MeliaMalia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Viola ***
Capitolo 2: *** Il Biglietto D'Oro ***
Capitolo 3: *** Le altre concorrenti e L'ingresso ***
Capitolo 4: *** Willy Wonka ***
Capitolo 5: *** Le concorrenti eliminate. ***
Capitolo 6: *** Flash-Back ***
Capitolo 7: *** La Proposta ***
Capitolo 8: *** Un Ascensore di Cristallo ***
Capitolo 9: *** Una Passeggiata ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Viola ***


CAPITOLO PRIMO

TUTTI A CACCIA DEL BIGLIETTO D’ORO!

E nessuno li trova! I cinque, preziosissimi, tagliandi sono racchiusi in altrettante barrette di Cioccocremoso Rosa, tavolette di cioccolato facenti parte di una serie di dolciumi dedicata esclusivamente alle ragazze che NON tengono alla linea!
Il padrone della fabbrica, il misterioso Willy Wonka, ha infatti disposto che solo le femminucce saranno ammesse alla fabbrica, e godere del giro panoramico che il padrone ha predisposto per loro.
Nessuno riesce a comprendere il perché di ciò, ma una cosa è certa: le Cioccocremose Rosa vanno a ruba!
Curiosità: Ragazzo si mette parrucca bionda, top rosso e gonna rosa, e fa incetta di Cioccocremose Rosa! Smascherato ed esposto all’ilarità pubblica, ha ammesso in lacrime che sperava di vincere e non essere scoperto. Gli esperti sono dell’opinione che, se si fosse almeno tagliato la barba, sarebbe risultato più credibile.


Camminava stringendosi il logoro colletto del cappotto attorno al collo. Le gambe affondavano nel manto nevoso, e nuvolette di fiato condensato esplodevano davanti al suo nasino arrossato.
Viola si racchiuse ancora più in sé stessa, avanzando con ostinazione. Era una giovane sui vent’anni, con lunghi capelli castani solitamente mossi e ribelli, ma quel giorno imprigionati in una lunga, spessa treccia. Gli occhi, blu come un lago nella notte, mai erano tentati di alzarsi, spiando qualcosa oltre la strada, o lasciandosi sfuggire un sogno innanzi ad una ricca vetrina.
Vento gelido imperversava per la grigia città: spazzava cartacce e sporcizia, speranze ed incubi, infiltrandosi nei suoi vecchi e sfibrati vestiti; la punzecchiava con mille aghi, divertito.
Accelerò il passo, superando infine i quartieri più eleganti; destino beffardo voleva che - lavorando dall’altra parte della città - quando alla sera tornava a casa stanca, debole ed infreddolita, fosse costretta a passare davanti a quelle ricche case e quei ricchi negozi che opulenti s’affacciavano sulla via.
Viola, invece, era povera.
Superò l’ultima presa per i fondelli di ogni giornata, ovvero la grande, maestosa fabbrica che ovunque espandeva aroma di cioccolato, e svincolò in un quartiere laterale: la via dei poveri, quella, fatta di enormi e minacciosi casolari color fumo, vecchi case popolari dove i meno abbienti trovavano rifugio.
Terza porta, a destra. Ecco il piccolo ingresso, legno marcito che l’aveva sempre accolta da quando era bambina. Si scosse di dosso la neve, ed abbassò la maniglia.
Un lieve calore l’accolse. Il piccolo fuocherello era già stato acceso, e ora sua nonna giaceva nuovamente sul letto accanto al focolare, ipnotizzata dalla primitiva danza delle fiamme.
“Nonna Dea…” Prima sua azione, rito che le rammentava d’essere finalmente a casa, era poggiare un dolce bacio su quell’antica fronte costellata di rughe.
La cara donna, stanca della vita, stanca degli affanni, poteva forse apparire come una creatura che ancora viveva per semplice inerzia: ed invece era pura forza di volontà a mandarla avanti, volontà di attendere la sera, attendere la nipotina che rincasava e le donava quel bel bacio.
Anni prima, quando Viola era una piccola creatura dalle rosse guance paffute, un’orfana in lacrime raccolta per la strada, era nonna Dea a lavorare e procurare soldi per andare avanti. Ma il tempo era passato, inesorabile, ed i ruoli si erano invertiti: ora, quasi del tutto bloccata a letto, nonna Dea altro non poteva, se non compiere il terribile sforzo di accendere il fuoco, ed attendere.
“Questa sera ho una bella novità, nonna!” Viola le si staccò con un sorriso sincero, mentre si avviava verso la piccola, povera cucina, e metteva una pentola al fuoco.
“Hai trovato un marito ricco?” Esclamò la pratica signora, alzandosi di scatto dallo schienale del letto, gli occhi che brillavano di speranza.
“Beh… no… ho trovato una patata da aggiungere alla zuppa…” Nonna Dea ricadde sdraiata e svuotata ogni speranza.
Quella sua nipote adottiva era una bravissima ragazza. Non solo! Era bella, molto bella. Forse un po’ magrolina a causa di una dieta non esattamente equilibrata – diciamo pure votata alla fortuna - ma tutto sommato niente di male. E allora perché cavolo non trovava uno straccio di marito, che le mantenesse entrambe?
Ma Viola non aveva la testa per quel genere di cose.
Tutte le mattine si alzava presto, si vestiva più che poteva e raggiungeva la fabbrica di pannolini dove era Addetta Inserimento Adesivi. Passava la giornata a lavorare come una folle, senza mai alzare lo sguardo o lanciare qualche sorriso suadente a un bel caporeparto. Finiva alla sera e correva a casa. Punto. E come accidenti sperava di trovarsi un marito, costruendolo con degli adesivi per pannolini?
Nonna Dea sospirò, sentendo canticchiare allegramente Viola. Animo semplice, poche aspirazioni. Un’ottima ragazza, ma non molto furba. Altre con il suo aspetto avrebbero già guadagnato qualcosa di più dalla vita.
“Accendi la televisione, ti prego… Voglio sentire le notizie di oggi.” La nipote lasciò la pentola a sé stessa, e regolò come poteva l’antenna della vecchia scatola che avevano il coraggio di definire televisore. Infine, dopo operazioni di angolazione precise sino al millimetro, ottenne un segnale decente sul terzo canale, e lasciò che quella distrazione occupasse ogni suo pensiero.
“Incidente… Incidente… Sparatoria…” Un po’ monotone come notizie, ma era sempre divertente ascoltare i commenti che Nonna Dea forniva: sembrava avesse un qualche insulto per ogni idiota del mondo. Una vecchietta simile sarebbe stata capace di zittire l’inferno, se solo avesse voluto.
“Infine, la notizia sulle bocche di tutti: la caccia al Biglietto D’Oro!”
“Ma tu guarda, ancora con queste stupide lotterie…” Borbottò Nonna Dea, coprendosi con il logoro copriletto.
“… Ogni biglietto è racchiuso in una tavoletta di cioccolato…”
“Tanto il cioccolato fa male!” Ma nonna Dea in realtà aveva una gran voglia di cioccolato… quando era stata l’ultima volta che aveva assaggiato una deliziosa barretta d’oro nero?
“… Cinque biglietti d’oro, messi in circolazione da Willy Wonka, che scorterà personalmente cinque fanciulle nella sua fabbrica…”
“Un cretino che non aveva altro da fare?”
“… Tutti sono alla ricerca dei biglietti d’oro emessi dal miliardario!”
“Miliard…! VIOLA! Corri a prendere una barretta di cioccolato!”
Viola scosse il capo, divertita dalle evoluzioni a letto della nonna. Bastava così poco per divertirla…
“Piantala di cucinare quella dannata zuppa, e vola a comprare un…!”

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Capitolo 2
*** Il Biglietto D'Oro ***


Accidenti, mi avete commentata subito! Beh, non so che altro dire oltre che GRAZIE!
Sono contenta che la storia vi piaccia, e spero che continui così! Ecco qua il secondo capitolo... noterete che questa parte della storia l'ho accorciata un po'... e che ne voglio dilatare un'altra parte!
Se avete piacere, continuate a leggermi e a commentare! ^^


CAPITOLO SECONDO


Un’altra sera di neve, un altro frettoloso e freddo ritorno a casa.
In effetti, ora che vi faceva caso, Viola notò negozi di dolci letteralmente presi d’assalto da ragazze isteriche che s’ammassavano una sull’altra, tendendosi verso l’ingresso, le mani ricolme di banconote pronte ad essere spese.
Uno solo mancava all’appello: il primo era stato trovato da una ragazza molto in carne, abitante nel lontano nord del paese. Il secondo era tra le avide mani di una fanciulla ricca come una regina, e bella quanto una dea. Il terzo l’aveva rivenuto una specie di serial killer che impazzava per i ring, e il quarto una ragazzina con spessi occhiali, espressione intelligente, e computer sempre alla mano.
Viola aveva osservato tutti quei visi attraverso la nevosa immagine del suo televisore, con la nonna i sottofondo che borbottava chissà quale piano geniale per trovare l’ultimo biglietto.
L’ultimo biglietto…
Quel biglietto d’oro, che aveva fatto ammattire più del solito persino nonna Dea, ed era riuscito a scatenare una specie di psicosi generale, portando a sprechi inauditi. Molte ragazzine dalle perle tra i capelli e oro al collo scartavano barrette su barrette, gettando nell’immondizia sia la carta che il cioccolato; una cosa inaudita!
Ma tornando a casa infreddolita ed affamata, e vedendo quelle scene, Viola scelse di non giudicare nessuno; i ricchi avevano i loro passatempi, e se li potevano permettere. Lei… lei sarebbe rincasata anche quella sera, quella sera che in ogni caso aveva un qualcosa di speciale: era il suo compleanno! Certamente, come tutti gli anni, Nonna Dea si era faticosamente trascinata fuori dal letto, concedendosi una rara passeggiata sino al negozio di cappelli, e usando i poveri risparmi che possedeva per comprarne uno alla nipote.
Un cappello caldo, come il caldo abbraccio di nonna Dea. Non vi erano legami di sangue, tra loro, eppure quelle due donne povere e sole erano una vera famiglia! Nonna Dea l’aveva salvata quando ancora lei non sapeva parlare, e adesso Viola restituiva il favore. E l’amore, soprattutto, ora che la nonna era anziana, debole, inferma…
“Ragazzina maleducata, fammi passare o ti rompo la testa a bastonate…!” Uhm, che voce familiare. Proveniva dalla massa di pazze raccolte davanti a quel negozio di dolci di periferia…
“Senta signora, non è il suo turno!”, ribatté una giovanile voce tendente all’isterico. E alla violenza.
“Quando è il mio turno lo decidiamo io e il mio bastone!” Accidenti, la proprietaria di questa voce era invece molto anziana, ma parecchio arzilla! Un po’ come…
“Nonna!” Esclamò Viola, notandola finalmente, una cosina fragile fragile arrampicata in cima alla ressa di fanciulle.
“ Viola! E’ il cielo che ti manda! Vieni ad aiutarmi con queste selvagge!” Sbraitò lei, menando con il bastone a destra e a sinistra.
“Ma nonna, cosa fai?” La disgraziata nipotina si mise le mani nei capelli, mentre finalmente Nonna Dea sfondò la barriera umana e si precipitò nel negozio, affrontando ferocemente la rissa che ancora l’attendeva e posando sul bancone del proprietario qualche sudato, vecchio spicciolo.
“Una barretta per me!” Ringhiò, con toni che non ammettevano replica. Fu immediatamente accontentata, ed uscì trionfante dal negozio. “Guarda, Viola!”
Quale Viola? Forse quella fanciulla, quella che tentava di mimetizzarsi con la casa alle sue spalle, sperando che nessuno s’accorgesse che conosceva la pazza armata di bastone? Sì, proprio lei.
Nonna Dea, dimentica dell’età e degli acciacchi, le si avvicinò saltellante, ebbra di felicità, e le porse la tavoletta di Cioccocremoso Rosa.
“Ecco qua! Buon compleanno!” Annunciò, mettendole la barretta in mano e baciandola con caloroso affetto.
“Questa…” Azzardò lei, non afferrando la cioccolata, ma anzi fissandola con aria sconvolta.
“Buon compleanno!” Insistette l’altra, schiacciandogliela ancora di più sul palmo.
“Questo… è il mio regalo…? E… e il cappello?”
“Cappello!” Urlò la vecchietta, lasciando il cioccolato così che lei fosse costretta ad afferrarlo ed accettarlo. “Non si acchiappa un marito miliardario comprando un cappello!”
“Sì, ma non si acchiappa manco una sinusite, con un cappello…”
“Viola… sbaglio o non sembri contenta del mio generoso regalo di compleanno?” Nonna Dea si oscurò in volto. Non era un bene. Quando nonna Dea si oscurava a quel modo, non era mai un bene per nessuno.
“S… sono felicissima, nonna! In fondo… beh… viene dal cuore, no?” L’abbracciò forte, paurosa di rompere quella vecchia struttura in ossa, senza badare all’ambulanza che era corsa a soccorrere la povera ragazzina che aveva dovuto vedersela direttamente con il bastone di nonna Dea. “E anche se non vinceremo… beh, ci riempiremo lo stomaco, no?” Si apprestò ad aprire la tavoletta, ma immediatamente Dea la fermò.
“Non qui! Vieni!” L’afferrò il braccio, tirandola. “Devi aprirlo davanti alla fabbrica! Porta fortuna, secondo me!”
“Va bene, come preferisci…” Viola fece una faccia benignamente rassegnata, lasciandosi trainare, mentre una o due barelle venivano issate sull’ambulanza.

“Però… non facciamoci troppe illusioni, eh?” Domandò con gentilezza Viola, inebriata dai profumi che il dannato vento raccoglieva e trasportava sino al grande cancello in ferro battuto. Dietro esso, l’enorme amplesso della fabbrica riusciva persino ad oscurare il cielo.
“Illusioni? Quali illusioni? Io sono certa, non illusa!” Nonna Dea la squadrò, concedendole un buffetto sulla guancia. “Su, aprilo! Trova quel biglietto e non parliamone più!”
Viola sospirò. Gli anni avevano influito sulla mente della nonna, e ciò era evidente: era convinta di trovare un biglietto solo perché l’aveva trascinata alle otto di sera ad aprire una barretta davanti alla fabbrica! Beh, ma che le costava farla contenta? Più che altro, il suo cuore avrebbe tremato di dispiacere, nel vedere la delusione in quegli anziani occhi.
“Nonna… ehm… so che sei certa, ma metti il caso che non lo troviamo…”
“Se non lo troviamo…” Nonna Dea considerò l’idea, ma non rispose. Afferrò una delle sbarre del cancello, e la smosse con tutta la sua forza. “Dieci uomini dovrebbero bastare, credo…” Borbottò. Infine, con un sorriso che tutto aveva di folle, rispose alla nipote: “Oh beh… un piano alternativo lo si trova sempre, no?”
“Nonna!”
“Quante storie! Apri il cioccolato!”
Lentamente, afferrò la carta dai colori sgargianti, e tirò. Tirò, strappandola pian piano, svelando il nero contenuto… e Niente. Non c’era nulla di nulla; solo i quadratini di dolce che si lasciavano ammirare, pronti per essere divorati.
“Ecco… hai visto? Non avevamo probabilità di…” Ma s’interruppe. Sua nonna, la cui altezza era stata ridotta dall’età, fissava la barretta dal basso verso l’alto con un’espressione a dir poco sorprendente. Ma cosa…?
Quasi fosse un sogno, uno di quei sogno in cui si è costretti a fare le cose al rallentatore, con il cuore che ti martella in gola a velocità massima, lei voltò la barretta. Sotto, nascosto alla sua vista dalla bontà della cioccolata, stava un tagliandino d’oro, che brillava come di luce propria sotto i lampioni della sera.
“Oh… Dio…” Riaprì la bocca, ma poi la richiuse. Non era possibile, non era assolutamente possibile…
“IL TAGLIANDO!” Sua nonna impazzi letteralmente, svolazzando qua e là ed urlando. “Eccolo! Eccolo, il tagliando! SIIII!”
“Ma…?” Ricordò gli altri vincitori, quella schiera di eletti nella quale era appena stata sbattuta con malagrazia. Ricordò tutti i soldi spesi dalla folla in quella ricerca spaventosa. “Nonna! Smettila di saltare, nonna! Dobbiamo venderlo, subito!”
“Venderlo? Sei pazza!” Lei si bloccò all’istante, la bocca piegata in un sorriso dubbioso: non aveva ancora capito se la nipote voleva scherzare o meno.
“Non so pazza: sai quanti soldi può valere? Se lo vendiamo, smetteremo di soffrire la fame…”
“Fame! Prima o poi la fame tornerà, sai? Se invece…” Gli occhi le brillarono. “Se invece sposi il miliardario, sei a posto per la vita!”
“Sposare, chi? Io non…”
“Viola, ascoltami bene: se non ti presenterai alla fabbrica con quel tuo biglietto, io non ti rivolgerò MAI più la parola! E’ questo che vuoi?”
Viola abbassò il capo, con rassegnazione. Certe volte bisogna proprio dare ragione ai vecchi, senza fiatare.

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Capitolo 3
*** Le altre concorrenti e L'ingresso ***


Innanzitutto, grazie mille a coloro che mi hanno commentata! Grazie a cloudy_chan, anche se le sue minacce sugli Umpa-Lumpa mi fanno a dir poco rabbrividire xD... E grazie anche a VallyBeffy (sono curiosa di leggere la tua fic, sai? ^^). Shark Attack è stata la prima a commentarmi, e ringrazio anche lei! Infine, gracias a Fibrizio, che è sempre costretto a leggere ciò che scrivo xD
Ecco, questo capitolo non sarà frizzante come gli altri, perché è più che altro di translazione (prima o poi dovevo presentare come si deve tutte le altre concorrenti ^^'). Però nel prossimo... posso scrivere di Willy Wonka! Oddio, emozione! ^///^
Va beh, vi lascio alla lettura! Ecco il terzo capitolo!




CAPITOLO TERZO
Erano anni che non si faceva vedere in giro, eppure tutte le voci maturate sul suo conto avevano l’incredibile particolarità di non contraddirsi a vicenda; che fossero leggende metropolitane, o incredibile storie che potevano racchiudere un fondo di verità, i semplici aneddoti… tutti avevano in comune una particolare idea: Wonka era matto. Matto! Matto come un cavallo zoppo innamorato di un’ape malandrina.
A causa di un brutto caso di spionaggio industriale, da molte stagioni si era rinchiuso in quella sua fabbrica, che pareva tirasse avanti da solo. Una cosa impossibile, ovviamente, ma per un matto realmente matto esiste qualcosa oltre il limite del possibile?
“Nonna… non potrebbe essere pericoloso entrare sole solette in quella fabbrica?”
“Pericoloso! Che vuoi che succeda?” Nonna Dea non la smetteva di spazzolarla di qua, aggiustarle un orlo di là, metterle a posto la treccia così e cosà. Una cosa a dir poco estenuante.
“Non lo so… e se oltre che essere pazzo, è pure un pazzo maniaco?” Azzardò, impedendole di scioglierle i capelli.
“Oh, beh! In questa vita bisogna pur correre qualche rischio!” Nonna Dea sbuffò, lasciandole la treccia: che nipote ostinata! Eppure stava così bene, con i capelli sciolti...
“Sei sempre rassicurante…” Sussurrò Viola, alzando appena gli occhi al cielo, e non riuscendo proprio a rilassarsi: si sentiva leggermente osservata.
Forse questa sensazione era imputabile al fatto d’essere una delle cinque Prescelte che ora, quasi alle ore dieci di una fredda ma solare mattinata, formavano una riga irregolare di fronte al grande cancello d’ingresso. E dietro di loro, una folla. Giornalisti, uomini, donne, bambini: tutti che spiavano lo storico momento della riapertura della fabbrica. Ma chi glielo aveva fatto fare di presentarsi lì? Accidenti a nonna Dea…
Si sporse, spiando di sottecchi le altre vincitrici.
Prima fra tutte una fanciulla dai lunghi capelli simili al grano e circonferenza toracica da far invidia ad un ippopotamo; sgranocchiava distrattamente una barretta di Cioccocremoso Rosa, avvolta in un cappotto di pelliccia, che l’arrotondava ulteriormente, creando una perfetta illusione ‘orso bruno’. La sera prima, Viola aveva sfruttato qualche vecchio spicciolo per acquistare un giornale ed informarsi sulle concorrenti: grazie a questo, seppe dare un nome a quel rotondo faccione: Mara. Veniva dalle terre del nord. Un po’ golosa, ma dall’aria simpatica.
La seconda, invece, tutto sembrava, tranne che simpatica. Il suo nasino all’insù con una perenne puzza sotto ne lasciava intuire le origini, ovviamente francesi. Aveva lunghi capelli color fiamma, occhi simili a smeraldi che si guardavano attorno con aria annoiata, e candida pelle perlata. Vestiva abbastanza scollata, roba da prendersi una polmonite. Nonna Dea sostenne che forse le persone più abbienti hanno una specie di convenzione con la polmonite: pagano, e non la pigliano. Viola rise mentalmente di quella battuta; in effetti, Denise non aveva esattamente l’aspetto della proletaria.
Accanto a Denise, intenta a fissarla con sguardo truce, vi era la ragazza che più le incuteva timore: Sara. Chioma nera, corta, ribelle, che incorniciava sottili e glaciali occhi azzurri: un aspetto più che appropriato per una ragazza che sul ring si tramutava in una belva, pronta a sconfiggere anche un troll. Sentendosi osservata, Sara fece dardeggiare un terribile sguardo su Viola, la quale, deglutendo a fatica, decise che non avrebbe mai più osato tanto.
Solo l’ultima, quella cosina mingherlina accanto a lei, sembrava una persona più o meno normale. Beh, se si scavava un po’ sotto la facciata composta da enormi occhiali e un grande schermo di portatile, sulla quale Elmena, questo il suo nome, sembrava dannatamente concentrata, ecco allora era una comunissima ragazza, come tante altre.
“Tra quanto apre?” Sbottò ad un certo punto Denise, tichettando nervosamente il piede a terra. “Fa freddo, qui.”
“Alle dieci, com’è scritto sul biglietto, no?” La voce di Sara era una specie di miscuglio tra una alta nota di violino e il suono di una sega elettrica che affetta un povero innocente.
“Alle dieci… speriamo che si sbrighi! Mi perdo tutte le telenovela!” Bofonchiò Mara, addentando un nuovo dolcetto.
“Posso fartela vedere on-line, se ti va…” Elmena sorrise gentilmente, esibendo il note-book.
“Non potevi metterti qualcosa di scollacciato?”
”Nonna, ma che dici?”
”Hai delle belle forme, no? Mostrale!”
Viola provò l’irresistibile impulso di sbattere più volte il capo contro un muro; peccato che al momento non ne avesse a disposizione.
Fu allora: allo scoccare del campanile che festoso annunciava le ore dieci, con uno schianto i cancelli si spalancarono. Una voce gentile e sicura di sé eruppe dagli altoparlanti.
“Benvenute, splendide fanciulle! Se siete in possesso dei biglietti d’oro, prego: entrate!”
Denise non se lo fece ripetere due volte; partì in quarta, con feroce passo di modella. Avvertendo una sfida, Sara la seguì, stringendosi nel lungo cappotto nero come la notte; seguirono Mara – che entrò forse perché semplicemente attirata dall’intenso odore di cioccolato – ed Elmena, la quale non si sognò neppure di alzare il naso dallo schermo; c’era da chiedersi come facesse a non inciampare.
“Beh, che aspetti?” Ultima ma non ultima, ecco una povera ragazza, vestita di vecchi stracci, dalla lunga e spessa treccia, che veniva spedita nel cortile interno a pedate da un’arzilla vecchietta.
I cancelli si richiusero dietro Viola, come una prigione, facendola rabbrividire. Era dentro.


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Capitolo 4
*** Willy Wonka ***





Grazie mille a chi mi ha commentata! Scusate se vi faccio attendere, ma non ho mai molto tempo! Ecco, adesso entra inscena il caro Wonka... speriamo bene xD
Continuate a lasciarmi i vostri commenti, mi fanno piacere ^^


CAPITOLO QUARTO
“Mie graziose – perché siete graziose, vero? – vincitrici… accomodatevi!” La voce trillò allegramente dagli altoparlanti dell’enorme spazio brullo che divideva la fabbrica dal cancello; spazio che le cinque fanciulle attraversarono con non poca circospezione, spiate dalla folla in attesa al di fuori del perimetro recintato. “Venite avanti, vi prego, non abbiate paura!”
Paura? No, solo… inquietudine. Viola si strinse nel lacero cappotto, rabbrividendo ad una folata di vento più forte delle altre. Era protagonista di un evento irripetibile, eppure non sognava altro che tornarsene a casa e trovare un bel cappello per il suo compleanno. E magari una nonna un po’ più normale…
Di fronte al portone, la loro marcia si fermò. Alzarono i nasi, fissandolo a bocca aperta: il portone in realtà era una possente struttura in ferro, atta a proteggere la fabbrica dall’accesso casuale di qualsiasi forma di vita; non solo di un ladro, ma anche di un microbo.
“Non scherza, eh?” Azzardò Viola.
“Amore per sicurezza! Prafo!” Approvò Sara, nel suo tipico accento.
“Mmh… sento già un certo profumino di cioccolato…” Annusò Mara, quasi sollevandosi sulle punte.
“Come fai a sentirlo? Sembra una camera stagna!” Rimproverò Denise.
“Uhm, devo aggiornare l’antivirus.” Rifletté fra se e sé Elmena.
In quella, il portone si spalancò. Tutte e cinque trattennero il fiato...

“Devo uscire davvero? Mi sembrano tutte una più matta dell’altra…”
“Stia tranquillo… se qualcosa non dovesse andare bene, interverremo noi!”
“Mi fanno paura!”
“Senta: veda di portare fuori quel suo deretano da multimiliardario immediatamente, prima che la spinga io!”
“Ma… io…”

Fu con un balzo atletico, o con una spinta energica, che Willy Wonka volò fuori dal portone, atterrando miracolosamente sulle gambe, con un sorriso tutto fascino e carisma.
Le cinque si strinsero inconsapevolmente tra loro, fissando l’uomo appena entrato in scena. Era pallido, terribilmente pallido; vestito con una giacca a coda di rondine color prugna, pantaloni oliva e guanti color perla. Un completo elegante, sormontato dal lungo cilindro e accompagnato dal bastone dall’impugnatura a forma di sfera.
“Ah, le fortunate vincitrici!” Levò il cilindro dal capo, rivelando un taglio di capelli a dir poco ridicolo: una specie di caschetto dalla frangia cortissima, che faceva somigliare la sua testa ad un bizzarro uovo. Si prostrò in un profondo ed elegante inchino, esibendo un sorriso di denti perfetti, bianchi, abbaglianti.
Denise fu la prima a reagire. Reagì flettendo elegantemente un ginocchio, e piegando appena la testa, come salutano solo certe damine di certi film.
Dopo un momento di imbarazzo, fu presto imitata da: Elmena che inchinandosi fece cadere il note-book, Mara che inciampò non si sa bene come e rotolò su Viola e infine da Sara, che ripeté alla perfezione un rigido saluto militare.
“Ma sono davvero pazze…” Sussurrò il miliardario, cercando disperatamente una via di fuga.
No!
Non poteva fuggire! Aveva una missione da compiere, e per quanto spaventosa, l’avrebbe portata sino in fondo! E poi, aveva una valida protezione alle spalle, no? Sì. Niente paura, testa alta! Via con la prima fase del piano!
“Ehm…” Si schiarì leggermente la voce. “Nella speranza che la visita sia per voi il più gradevole possibile, vorrei sottoporvi ad un piccolo questionario…”
“Sondaggi d’opinione? Anche qui?” Denise sospirò pigramente.
Wonka al momento preferì soprassedere su quell’ignobile commento, mentre, mantenendosi a debita distanza da quelle pericolose creature, distribuiva loro un foglio a testa. Infine, rivolse uno sguardo tagliente a Denise: “Con i prodotti della MIA fabbrica, cara signorina, certi stupidi sondaggi sono a dir poco profani! E’ ovvio che i miei dolci piacciano, no?” Ribatté, con tutta la sicurezza del mondo.
Viola non ascoltò neppure ciò che Denise rispose, o se ebbe il coraggio di rispondere: era troppo sorpresa dalle domande.
Le prime erano più o meno normali, come SEI ALLERGICO AI DOLCI? o PREFERISCI IL CIOCCOLATO AL LATTE O QUELLO FONDETE?... però quelle che seguivano…
“Mi scusi, ma a lei cosa gliene importa se so stirare?” Balbettò Elmena, sbarrando gli occhi.
“E perché chiede quali potrebbero essere per me le qualità di un buon marito?” Sibilò Sara, già pronta a stracciare il foglio.
“Io preferisco il cioccolato al latte!” Cinguettò Mara, compilandolo gioiosamente.
“Preferisci piangere o ridere?” Viola sussurrò la penultima domanda, sempre più sbalordita. Ovviamente segnò la seconda opzione, quindi passò all’ultima, e forse una delle più ridicole. Ovvero: Preferiresti sposarti: a) In un campo di cacao b) In una chiesa di cioccolato c) In una fabbrica di dolci d) In nessuna delle precedenti opzioni. “Ehi, tu a questa che ci hai messo?” Balbettò, cercando di copiare da Elmena.
“Un attimo, sto facendo una ricerca su Google! Magari trovo le risposte…”
“Pazze, sono pazze… ho paura!” Willy Wonka tremò nuovamente innanzi alla follia delle cinque vincitrici. Fece un balzo di terrore, quando Viola gli si avvicinò per consegnarli il suo foglio – con l’ultima risposta ovviamente lasciata in bianco – e infine, recuperato un po’ di coraggio, lo accettò con un incerto sorriso. “Hai risposto con attenzione e cura?” S’informò il più cortesemente che poté.
Viola non ebbe il tempo di rispondere, dato che fu letteralmente scaraventata via dalle altre quattro, liete d’aver terminato il proprio compito. Wonka, ancora un po’ tremante, raccolse tutti i fogli, e li scorse velocemente.
“Uhm… Signorina Mara? Chi è la signorina Mara?” Domandò, alzando il capo con un’espressione che non prometteva nulla di buono.
“Sì, sono io!” Mara fece un paio di saltelli, alzando la mano.
“Sbaglio, o lei ha segnato che apprezza il cioccolato al latte?” Sibilò, la falda del cilindro che copriva parzialmente due occhi non esattamente felici.
“Ehm… sì…”
Wonka la squadrò ancora un attimo, prima di esplodere: “Ma è MERAVIGLIOSO! Anche io lo preferisco!” Si congratulò, stringendole energicamente la mano, e, nonostante la mole non indifferente, sbatacchiandola qua e là. “Ah, che bello! Forza, forza! Entriamo!” Fece loro cenno di seguirlo, e saltellando e danzando entrò nella fabbrica.
“E’ pazzo!” Gracchiò Viola. Tutte annuirono furiosamente, poi entrarono con aria furtiva.


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Capitolo 5
*** Le concorrenti eliminate. ***



CAPITOLO QUINTO

Fu un vero e proprio sollievo entrare nella fabbrica; le accolse subito un familiare tepore, che si sostituì al pungente inverno del cortile. Anzi, lì faceva addirittura troppo caldo!
“Potete levarvi le giacche e lasciarle… dove vi capita!” Cinguettò il cioccolatiere, procedendo in quella sua camminata che quasi sembrava una danza.
“Ehi…” Elmeda si guardò attorno, spaurita. “Ma… la francese, lì… Denise! Dov’è?”
Viola si voltò, in contemporanea con il signor Wonka, assolutamente inespressivo, e le altre ragazze. In effetti, la signorina perennemente attaccata al note-book aveva ragione: Denise non si trovava da nessuna parte.
“Ah, dite la signorina bionda?” Con una mossa agile, il signor Wonka fece roteare il bastone, sorridendo come il peggiore dei demoni. “E’ stata eliminata dal gioco, e gentilmente riaccompagnata a casa!”
Come a conferma di quelle parole, da fuori si udì uno stridulo urlo, qualcosa tipo: ‘Che schifo, gli hobbit! Lasciatemiii!’. Viola istintivamente cercò un qualche oggetto contundete che potesse servirle come arma di difesa, e per un istante invidiò la preparazione di Sara, già in posizione d’attacco.
“Vi prego di rilassarvi, mie signorine!” Wonka mostrò loro i palmi aperti, in segno di inoffensività. “Non vi accadrà nulla di male…”
La voce di Denise imprecò ancora contro la maleducazione degli hobbit, e sbraitò affinché la liberassero all’istante.
“Che… perché è stata eliminata dal gioco?”
Wonka scosse il capo, con aria seriamente addolorata. “Beh… cercate di capire… una che nel test nega di amare i dolci, che ci viene a fare, qui?”
Viola ci provò, ma proprio non riuscì a capire.
Quasi soffrisse di personalità multiple, il cioccolatiere abbandonò all’istante l’espressione triste, esibendo un sorriso che partiva da un orecchio ed arrivava all’altro, e fece un ampio gesto di invito. “Andiamo, seguitemi! Facciamo presto!” E riprese il cammino.
Mara trotterellò dietro di lui, bella felice. “Ora vedremo i dolci, vero?”
“Certo. Ora li vedremo.”
“Quindi, nel caso, dovrei colpire così, e così?” Viola, rimasta in fondo alla fila con Sara ed Elmena, ripeté timidamente due colpi verso uno sfidante fantasma.
“Sì.” Sara annuì, assai soddisfatta della sua improvvisata allieva. “Allora, siamo d’accordo: se va fuori di matto del tutto, noi due lo si pesta…” E indicò sé stessa e Viola.
“…E io inoltro una richiesta di aiuto via internet!” Annuì Elemdia, completando il tutto. Infine, fortificate dalla sicurezza del piano, le tre stettero al passo dell’uomo.
Ed entrarono in paradiso.

Wonka fece un buffo saltello sul posto, quando casualmente Viola, il naso puntato per aria, la bocca spalancata per la meraviglia, lo sfiorò. Ansimò terrorizzato, strisciando un po’ più lontano da quelle temibili femmine, quindi si fece forza, gonfiò il petto come un tacchino ed annunciò: “Ecco! La mia Fabbrica!” E allargò teatralmente le braccia, mostrando loro il fenomenale panorama.
Giardini di caramelle; piante gommose; il fiume di cioccolato; e la…
“… Fontana di cioccolato!” Mara strillò, tutta eccitata e corse verso il bordo del fiume. Cadde in ginocchio, manco fosse una pastorella di fronte alla mistica visione della Madonna, e contemplò il suo riflesso sulla bruna superficie di cioccolato.
“Nessuno ha una cascata al cioccolato! Solo io! E il cioccolato viene buono, spumoso, fragrante… solo se rimescolato con una cascata al cioccolato!” La voce di Wonka vibrava d’orgoglio, mentre le dita avvolte nei guanti color perla indicavano l’armonioso scorrere del fiume di cioccolata. “Nessuno ha questa cascata, ah-ah! Proprio nessuno, nessuno al mondo! Può sembrare incredibile, ma nessuno è riuscito a procurarsi una cascata come la nostra!”
“Per caso ha detto che nessuno ha la stessa cascata?” Mormorò Elemena, facendo involontariamente ridere Sara. Entrambe si aggiravano, ammirate, tra la lussureggiante e dolcificante vegetazione. Viola, non si sa bene come, inciampò in una specie di rampicante al sapor di anice, riuscendo a cadere in una specie di fossa di rovi al sapor di mirtillo, che risultarono piante carnivore estremamente affamate; ne riemerse solo molto tempo dopo, tremendamente spettinata.
“Questo cioccolato è così… così…” Mara allungò un dito, tremante e vogliosa.
“Una cascata di cioccolato! Nessuno al mondo…” Wonka non la smetteva più.
“Non crederete mai dove sono caduta…!” Viola scosse il capo con incredulità, spiegando l’accaduto alle altre, che ne squadrarono l'aspetto assai scomposto dall'avventura.
“Così… invitante… posso toccarla?” Mara si stese lungo la riva scoscesa, incapace di trattenersi.
“Se non si rimescola la cioccolata con una degna cascata, essa non sarà mai…” Wonka ormai non lo fermavano manco coi cannoni.
“E poi mi ha afferrata coi suoi tentacoli, io l’ho morsa – era buona! – e…” Ma il racconto visionario di Viola fu interrotto da un terribile suono. Un terribile, sinistro ed orrendo suono.
Più precisamente, uno: SPLUT!
“Ma cosa…?”
“EEEEEK!” Wonka, se possibile, diede ancora più fuori di matto. “Nella cioccolata! E’ caduta nella MIA cioccolata!”
Mara, sparita sotto la superficie di cioccolato, emerse per un secondo, agitando convulsamente gli arti. Sparì. Riemerse, mulinando le braccia. Risparì. Riemerse, alzando e riabassando le mani. Sparì di nuovo.
“Dite che non sa nuotare?” Azzardò Elemena, titubante.
“O è quello, o come nuotatrice sincronizzata è pessima.” Dedusse Sara, come sempre spiccia.
“Ehi, tu! Levati immediatamente dalla mia cioccolata! A nessuno è permesso toccarla!” Wonka puntò l’indice accusatore sulla malcapitata, al momento troppo impegnata nel cercare dell’aria per poter badare a lui.
“Dobbiamo salvarla!” Viola si tolse frettolosamente la camicia che sua nonna l’aveva costretta ad indossare, rimanendo momentaneamente in reggiseno, e fece per correre verso la riva. Peccato solo che questo suo nuovo look non felicitò il cioccolatiere; anzi: in preda a spaventosi spasmi fobici, si coprì gli occhi, strillando qualcosa circa le ragazze scostumate.
Due sottospecie di nani con meno peli del previsto spuntarono da due palme al sapor di fragolina di bosco, assalendola fulminei, e costringendola ad indossare una camicetta alla coreana pescata chissà dove.
“E questi che sono?! Fermi!”
“Splut… aiut…”
“Copritela, copritela! Aiuto!”
“Cinque dollari che ci ricoverano tutti prima di sera.” Propose Sara.
“Ci sto.” Annuì Elmena.
Dopo una decina di minuti, le cose erano più o meno tornate alla normalità. Mara fu ripescata da una specie di idrovora volante e – guarda il caso – dichiarata squalificata dal gioco. La sua espressione triste si stampò sul vetro dello strano macchinario che la portava via, e con una mesta mano salutò gentilmente le altre tre, abbastanza sconvolte.
“Signor Wonka…?” Una volta sparita la giocatrice, Elmena abbassò lo sguardo sugli omini. “E questi, che accidenti sono?”
“Umpa-Lumpa.” Fu la breve descrizione del cioccolatiere, rassicurato dall’abbondante strato di tessuto che copriva i seni di Viola. “Lavorano per me!”
“Davvero? Non ho mai visto nulla del genere…”
“Beh, ci credo: non escono mai!”
“Cosa? E le ferie pagate?”
“Eh?”
“E la mutua? Se si ammalano!”
“Ah?”
Elmena sbuffò: “Ma almeno, glieli paga gli straordinari?”
“Ovvio che sì!” Si scandalizzò il proprietario, raddrizzandosi il cilindro. “In chicchi di cacao!”
Elmena corrugò la fronte. Lo fissò con malvagità. Infine, sorrise, maligna. “BECCATO!” Strillò, facendogli fare un triplo salto mortale con avvitamento. “Io sono del fisco! Brutto, schifoso imbroglione, lei…”
“EEEK! Una del fisco!” Il cioccolatiere emise uno strillo simile a quello procuratogli dal tuffo di Mara dalla cioccolata.
Poco dopo, com’è prevedibile, anche Elemena fu legata, imbavagliata, e soprattutto trascinata fuori.
Sara e Viola, rimaste solo col pazzo e coi nani, si strinsero tra loro.

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Capitolo 6
*** Flash-Back ***



CAPITOLO SESTO

“Hai notato che siamo rimaste solo noi due?” Viola annuì nervosamente. Stavano in disparte, mentre il cioccolatiere comunicava alcune disposizioni a quegli stranissimi esseri, gli Umpa-Lumpa.
“Dici che ne usciremo vive?” balbettò a mezza voce, lanciando maledizioni mentali a quella disgraziata di sua nonna.
“Certo che sì!” Sara la rassicurò con un occhiolino. “Magari non sane di mente, ma di certo vive sì!”
“Ah… evviva…”
“Io credo che…” Il tono della ragazza divenne ancora più basso. "Le altre siano sparite in così rapida successione perché…” e calò ancora, finendo in una nota a dir poco lugubre. “Perché l’autrice non ha più voglia di scrivere!” Annunciò infine, teatralmente.
“Oh!” Viola si portò le mani alle labbra, sorpresa. In realtà, cercò di allontanarsi quanto più possibile, dato che nemmeno codesta Sara stava dimostrando grande equilibrio mentale. Ma insomma, era finita in una gabbia di pazzi!
“Signore? Prego, da questa parte!” Una grande gondola color gomma da masticare si avvicinò a quello che sembrava un molo sul fiume di cioccolata, e Willy Wonka vi balzò agilmente sopra. “Accomodatevi!”
Un centinaio di Umpa-Lumpa fungeva da rematori; salire in una cosa galleggiante in un mare di cioccolata con sopra un pazzo vestito in giacca di rondine e mossa da un esercito di nani non era esattamente una delle cose che Viola s’era creduta di fare prima di sera, però, come ogni buon essere umano, si adattò alla situazione, seguendo Sara.
Vincendo il ribrezzo, lui allungò elegantemente un braccio, aiutando prima l’una e poi l’altra a salire ed accomodarsi. Infine, si sedette proprio accanto a Viola, dando agli Umpa-Lumpa il comando di partire. Ed essi obbedirono, solerti.
Sara si perse nell’affascinata ammirazione della barca che, lentamente, scivolava per l’immenso, morbido ed invitante fiume di cioccolata. Esso s’increspava sui fianchi dell’imbarcazione, denso e scuro.
Wonka allungò un mestolo fuori dalla barca, e riempì due tazze: una per sé, una per Viola.
“Bevi. Mi sembri un po’ secca.” Osservò, forse cercando d’essere gentile. O addirittura nel tentativo di un complimento.
Viola accettò la gentile offerta, e, presa la tiepida tazza tra le mani, ne bevve un goloso sorso.
“E’ davvero saporita!” Per la prima volta nella giornata, gli rivolse un sorriso sincero, che Wonka, quasi senza accorgersene, ricambiò.
“Ovvio che è saporita. Sai, la mischiamo con una cascata…”
“Ricorda quella che faceva mia madre.” Viola bevve un altro sorso.
“Tua madre disponeva di una cascata?”
“No...”
“Allora è impossibile che fosse buona come la mia!” concluse in piena logica.
“Oh, beh. Ma lei ci metteva l’amore. Credo fosse questo.”
E qui lui non rispose.
Le pupille gli si dilatarono, prese a fissare il vuoto e sembrò andare del tutto in botta. Notando il fenomeno, Viola annusò con preoccupazione la sua porzione di cioccolata

“Mamma, ma esci anche questa sera?” un piccolino bussò spasmodicamente alla porta della stanza materna, e infine, con qualche sbuffo da parte della genitrice, questa gli fu aperta.
Sua madre afferrò il bocchino e si accese una sigaretta. Era una bella, bellissima donna, con enormi boccoli neri, e occhi neri come l’inferno. Aveva un neo finto al lato sinistro del volto, accanto alle bellissime ed enormi labbra dipinte di rosso, spesso ripiegate all’ingiù, in un’espressione di disgusto nei confronti del suo unico pargolo.
“Certo che esco.” Borbottò, mentre lui, tenendo il capo chino a causa dell’abbigliamento decisamente provocatorio della genitrice, entrava timidamente nella sua stanza. “Se non trovo da lavorare io, chi ci pensa?”
“Ma mamma… non potresti lavorare di giorno?”
“Di giorno? No. Di giorno dormo.” Il ragionamento non faceva una piega. Sua madre si chinò sul suo specchio, e prese a truccarsi con grande maestria gli occhi.
“Ma…”
“Willy, non rincomincerai con quelle storie tipo ‘non ci vediamo mai’ e simili?” Ringhiò colei che era la madre di Willy Wonka, a mo’ di avvertimento. “Non hai ancora capito che io non voglio vederti?”
“Ma…”
“Tuo padre prima mi frega, poi scappa con una biondina! Tutti uguali, voi uomini!” Ecco, adesso era lei che ricadeva nei soliti discorsi. “Avrei fatto prima a mollarti in un bidone, e invece no! Faccio sacrifici, ti mantengo…”
“Ma…”
“Vedi? Sei uguale a tuo padre! Prima ti lamenti, e poi…” Sua madre chiuse di scatto il mascara, andò dietro un paravento, e cominciò a cambiarsi gli abiti. O meglio, ad indossarli, finalmente. Sempre che i suoi capi d'abbogliamento potessero propriamente essere definiti abiti.
“Ma…”
“E POI SCAPPATE!” Lei si affacciò, il volto tinto di rosso dal furore. “Ah, ma io lo so ! Lo farai anche tu! Perché credi che non ti voglia vedere? Almeno non mi affeziono!”
“Ma…”
Lei uscì come una furia, afferrando distrattamente un rosso boa di struzzo, e mettendoselo sulle spalle. Controllò per un attimo il risultato allo specchio, quindi si avviò verso la porta.
“Anche tu un giorno farai così. Ti dimenticherai di me, mi mollerai per una sgualdrinella!” Mormorò, con voce addolorata. Quindi, si chiuse la porta alle spalle, lasciandolo come sempre solo.
Willy sentì lacrime bruciargli ai lati degli occhi. Era andato a cercarla solo per farle assaggiare i biscotti che aveva cotto al forno per lei, solo per lei. Perché non c’erano altre che lei, nel suo cuore, non c’era altro che quella mamma sfuggente e rabbiosa, quella mamma di un mestiere che tutti trovavano degno d’insulti. Ma era la mamma.
“Io non vorrò mai altre, oltre te…” Mormorò, pieno di dolore.


“Si… Signor Wonka…?” Viola, infine, dopo una consultazione con una Sara ancora più preoccupata di lei, si decise ad agitarli innanzi una mano.
“Eh? Ah!” Lui si riscosse, fissandola con aria sorpresa. "Si.. sente bene?" Azzardò Viola.
“Cos…? Sì, sì. Sto benissimo. Stavo solo… avendo un piccolo flash-back!”
“Ah. Le capita spesso?”
“Non capitava da un po’…” Ammise, con un sorriso tanto folle da poter terrorizzare un’intera armata di uomini. Sara e Viola decisero di sedersi vicine, lasciandolo in disparte. Non fosse mai che uno di codesti ‘flash-black’ contenesse, per esempio, un tentato omicidio.

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Capitolo 7
*** La Proposta ***


CAPITOLO SETTIMO

Il bizzarro viaggio in gondola terminò una decina di minuti dopo, quando il miliardario diede l’ordine e, con un balzo atletico, atterrò sul bordo di un altro molo.
“Da questa parte!” Invitò, gioioso. “Presto, presto, che è tardi!”
“Mi ricorda qualcuno… qualcuno con delle lunghe orecchie bianche.” Ironizzò Viola, aiutata a scendere dalla compagna di sventure.
“A me ricorda uno armato di motosega…” Mormorò preoccupata Sara, ed entrambe seguirono il ricco cioccolatiere verso l’ingresso di una nuova stanza.
Lui vi si fermò d’innanzi, l’aprì, e, con fare molto cavalleresco, lasciò che fossero loro due per prime ad introdurvisi. Una volta avvenuto ciò, con fare un po’ meno cavalleresco ma in compenso assai inquietate, sbatté violentemente la porta alle loro spalle, chiudendole ermeticamente nella stanza.
Le povere fanciulle sentirono il colpo dell’uscio sbarrato e immediatamente chiuso a chiave; fu in quel momento che Sara decise che l’educazione in casa d’altri poteva tranquillamente andare a farsi benedire.
“Maledetto, folle, orribile pazzo! Apra subito!” Strillò, menando contro la porta certi calci che Viola non avrebbe augurato neppure al suo peggior nemico. “Apra, o giuro che quando la ritrovo io…” Seguirono minacce che è assai meglio non trascrivere, per il bene degli stomaci dei lettori.
“Ed ora cosa gli è girato? Perché ci ha chiuso qui dentro?” Mormorò Viola, troppo stanca e derelitta anche per essere spaventata.
“Va a sapere cosa frulla nella testa di quel folle! Ma io gliela spappolo, la testa!”
“Sara, cerchiamo di mantenere la calma…”
“Sono calmissima!” Ribatté l’altra, prendendo a testate il povero ingresso. “Se non fossi calma, ti assicuro che te ne saresti accorta dalle tue viscere estrapolate all’esterno!”
Viola pregò di non trovarsi mai sola con una Sara che avesse seriamente perduto la calma; sospirando, si voltò, osservando la stanza… e rimanendoci di sasso.
“Uhm. Sara…?”
“Cosa c’è?” Ringhiò, mentre, con una spinta un po’ troppo forte, rompeva la maniglia.
“Io… ehm, non siamo sole…”
“Eh?” Fece appena in tempo a voltarsi e controllare con sguardo truce l’affermazione.
Fu allora che gli Umpa-Lumpa balzarono.

“Allora, siamo pronti per questa sfilata, o no?” Il cioccolatiere sedette sulla sua morbida poltrona, accomodandosi a gambe accavallate, le mani poggiate sull’elegante bastone.
“Abbiamo avuto qualche problema…” Azzardò l’umpa-lumpa, fissando il pavimento. “Una è pazza…”
“Cosa? Non siete ancora pronti?”
“Beh, sì… ma…”
“Niente ma! Cominciate!”

Avevano lottato con le unghie e con i denti. Sara pure con i masconi e con i calci rotanti.
Ma niente, alla fine i nani malefici l’avevano avuta vinta, ed avevano ottenuto il loro dannato scopo: spogliarle; bagnarle; profumarle. E rivestirle con quei ridicoli abiti da sera.
“Da piccola avevo delle Barbie vestite meglio…” Mugugnò Viola, osservando con aria afflitta l’insieme di tulle, pizzi e sete color della notte che formavano il suo vaporoso abito.
“Lo ammazzo, lo ammazzo, lo ammazzo…” Sara, a dire il vero, era conciata assai peggio: nell’interminabile rissa condotta allo scopo di far fuori quanti più umpa-lumpa le fosse stato possibile, aveva ridotto il suo vestito ad uno straccio strappato in più punti, e ora, seduta in quella specie di camerino ove le avevano infine gettate di malagrazia, sembrava una specie di inquietante disco rotto. “Lo ammazzo, lo ammazzo, lo ammazzo, lo ammazzo…”
“Sara…? Cosa pensi che accadrà ora?”
“Lo ammazzo, oh sì che lo ammazzo, lo ammazzo…”
“Sara? Mi fai paura, torna in te!”
“…Anzi, prima lo torturo, e poi lo ammazzo, lo ammazzo…”
Viola scosse il capo, pensando che quella mattina avrebbe dovuto dare una letta al suo oroscopo. Non che ci credesse, ma…

Willy Wonka fece un gesto elegante con la mano.
“Introducetele!”
Un sipario si spalancò. Il camerino delle ragazze fu inondato di luce, e la musichetta di Miss Universe esplose da degli altoparlanti.
Viola si vide davanti una ridicola passerella, illuminata ai lati da bianche lampadine. Sara, invece, non vide nient’altro, oltre che Willy Wonka, seduto appena sotto lo spazio ove avrebbero dovuto sfilare; e partì in quarta, urlando, com’è ovvio:
“TI AMMAZZO, TI AMMAZZO, TI AMMAZZO!”
Lui dapprima la guardò stranito. Poi preoccupato. Infine, prima che lei, galoppando a rotta di collo, raggiungesse il bordo della passerella, si spicciò a pigiare un pulsante, e, venendole improvvisamente a mancare il terreno sotto ai piedi, la poveretta cascò giù, verso l’infinito ed oltre.
Sparì con urlo in lontananza.
“Avanti la prossima.” Ordinò annoiato il cioccolatiere, e Viola cercò febbrilmente una qualsiasi arma per difendersi. “Quante ce ne sono ancora?”
“Ehm. Ci… ci sono io…” Mormorò tremante dal fondo della passerella. Non rabbrividiva solo dalla paura: aveva pure un freddo boia, con quello stupido vestito che le lasciava le spalle scoperte, mostrando con generosità una bella dose di scollatura. Meno male che, almeno, le avevano sciolto i capelli, lasciando che i suoi ricci la scaldassero per quanto potessero.
“Lei è l’ultima? Eccellente! Venga avanti.” La invitò Wonka, ma lei non si mosse. “Beh?”
“I… tacchi. Non riesco a camminare coi…” Ora che anche Sara l'aveva abbandonata, si sentì letteralmente perduta. Accidenti, accidenti a sua nonna! Se mai fosse uscita di lì...
“Se li tolga, allora.”
"Eh?" Strappata ai suoi pensieri, fu seriamente preoccupata dall'affermazione dell'uomo.
"I tacchi, dico: se li tolga, no?"
Una scena davvero surreale: lei, vestita come una stella del cinema che, una volta abbandonate le calzature, avanzava a piedi nudi verso la fine della passerella. Wonka si alzò, osservandola con estrema attenzione, e annuì soddisfatto. Allungò una mano guantata, aiutandola cortesemente a scendere, e quando lei gli fu innanzi, si complimentò: “Lei è molto bella. Un po’ troppo magra, ma a questo si rimedia.”
“Ehm, grazie.” Che altro avrebbe potuto rispondere?
Era di poco più alto di lei, e non smetteva di studiarsela, impaurendola sempre di più. E imbarazzandola.
“Adesso che è arrivata in fondo, sola, c’è una cosa che devo dirle…”
“Beh, se deve…” Tossicchiò, sperando che lui le togliesse al più presto gli occhi di dosso. “Sinceramente, io gradirei andarmene, a dire il vero. Possibilmente, passando per l’ingresso principale.”
Con sua somma sorpresa, Willy Wonka le si inginocchiò davanti, afferrando una delle sue mani tra le sue. La osservò più intensamente di quanto fosse umanamente sopportabile, e infine fece la domanda del secolo.
“Vuole sposarmi?”
“Cosa? Lei è pazzo!” Strillò la poveretta, tentando di liberarsi della sua presa.
“Ti prego, dammi pure del tu.”
“TU SEI PAZZO!” Si corresse immediatamente, anche se lui non ne fu molto lieto. “Sposarti? E perché mai?”
“Sei arrivata sino in fondo! Hai superato le prove… meriti d’essere mia moglie!” Rivelò, con occhi luccicanti di gioia e pazzia.
“Io… cosa? Prove? Tutto questo… TEATRINO… è stato allestito allo scopo di trovarti una donna?” Non poteva credere alle sue orecchie.
“Sì.” Confessione più che candida.
“Pazzo! Non è questo il modo, cosa credi?”
“Ah, no?” Cadde dalle nuvole. “Pensare che gli umpa-lumpa lottano ferocemente tra loro nel fango, per assicurarsi una femmina…”
“Noi NON siamo umpa-lumpa!”
“Per questo nelle prove non ho inserito una lotta nel fango!” Wonka si rialzò in piedi, assai disturbato da quella reazione imprevista. “Non capisco cosa ci sia che non vada!”
“Cosa ci sia che non…? VUOI SPOSARMI, E NON SAI NEMMENO COME MI CHIAMO!”
“Certo che lo so! Vi… Virginia!”
Silenzio di tomba. Glaciale e letale silenzio di tomba.
“Dov’è l’uscita, signor Wonka?”
“Ehm, Valeria?”
“L’uscita, ho detto.”
“Violante?”
“Lasci perdere: faccio da sola.”
“Varuska!”
Ma lei se n’era già andata, lasciandolo solo.





Direi che la fic si sta avviando al termine... ancora un cpaitolo, al massimo due, e siamo a posto! xD
Ringrazio di cuore colore che mi hanno recensito, e continueranno a farlo: sono i commenti e i consigli dei lettori che aiutano ad andare avanti e migliorarsi ^^
Grazie. Al prossimo capitolo ^^

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Capitolo 8
*** Un Ascensore di Cristallo ***


CAPITOLO OTTAVO

Una porta fu aperta con rabbia; fu sbattuta con furia. Passi pesanti si susseguirono sul lercio pavimento. O uno yeti era appena piombato in città, entrando nelle case per mietere vittime, o sua nipote era finalmente tornata.
“Oh, cara! Com’è andata?” Cinguettò Nonna Dea, alzando il capo dalla tazza di tè fumante che stava consumando innanzi ad una calda stufa accesa, comodamente immersa in una vecchia poltrona.
“Non ti sembra una domanda un po’… stupida?” Sibilò Viola. Se uno sguardo potesse friggere le persone, la povera nonnina si sarebbe simultaneamente trasformata in una specie di buffo fritto misto gigante.
In effetti, la domanda era stata molto, molto stupida. Quando ci si trova davanti una fanciulla vestita di un rovinato abito da sera, sormontato da una vecchia, sgualcita giacca e con ai piedi scarponi da operaio, l’ultima cosa da chiedere è proprio ‘com’è andata?’. Si rischiano risposte che comprendono armi di distruzioni di massa.
Ringhiando maledizioni, Viola si avvicinò al fuoco, allungando le mani per scaldarsi; scoccò una nuova occhiata omicida nei confronti della nonna, che però, come suo solito, non riuscì a tenere la boccuccia chiusa.
“Ma insomma, cos’è successo?” Azzardò. I suoi occhi, più precisi di una calcolatrice industriale, avevano già adocchiato la preziosa stoffa del lungo abito della nipote, facendole forse intuire una parte di verità.
“Cos’è successo? Quell’uomo è pazzo! Pazzo!”
“Questo è un dato appurato.” Constatò pazientemente. “Ma cos’altro è successo?”
“Lui… oh Dio, anche a raccontarlo non ci credo! Lui ha organizzato delle prove! Per trovare moglie!” Scosse il capo, disperata, mentre tentava di liberare la sua chioma dalla neve che si stava sciogliendo. Ma quanta accidenti di lacca le avevano messo, quei nani mancati? Aveva i capelli più duri del cemento!
“Beh, e la novità dove sta?” Nonna Dea fece spallucce. “Era pure scritto sul giornale.”
Attimo di silenzio. Lungo, intenso attimo di silenzio. Infine, una domanda intelligente: “Eh?”
“Ma sì, era una cosa che sapevano tutti!” la nonna tacque, meditando. “Uhm. Non te lo avevo detto?”
“No.” Rispose Viola, la voce di qualche nota al di sotto dell’isteria. “Devi essertelo dimenticato, eh?”
“Beh, ormai è andata. Hai perso, no? Altrimenti non saresti qui…” Lei ricadde sulla poltrona, sconsolata e delusa. Le sue speranze d’ammogliare la nipote con qualcuno di schifosamente ricco sfumarono senza pietà alcuna, lasciandola sola nella sua depressione. E Viola non sopportava quell’espressione da cagnolino bastonato.
“A dire la verità…” Cominciò, prima di tapparsi con prepotenza la bocca. No. Se avesse raccontato cosa era accaduto in realtà, quella che ora era una cosina anziana e triste si sarebbe trasformata in una furia zannuta, che l’avrebbe trascinata nuovamente di fronte a quel pazzo. No. Per una volta, preferì l’amara menzogna alla pura verità.
Il guaio è che a volte sono i fatti a decidere per noi. E Viola ebbe modo di constatarlo immediatamente.
Il tetto della loro casupola crollò miseramente, mentre una specie di buffo box trasparente piombava nel loro salotto, distruggendo indiscriminatamente ogni cosa. La bocca della nostra protagonista assunse la forma di una O, osservando Willy Wonka che, dall’interno del suo ascensore semovente, le faceva allegramente ciao ciao con la manina.
Nonna Dea si alzò in piedi sulla poltrona, fissandolo con aria a dir poco stupita. Che divenne gioiosa. Che divenne estatica.
“Viola! Ci deve essere stato un ripescaggio! Forse hai ancora qualche speranza!” Esultò, saltellando gioiosamente, e rovinando a terra. La nipote, con un sospiro, la raccolse, sistemandola sulla poltrona.
Quindi, con sommo orrore di Wonka, stabilì, rabbiosa, che per quella giornata ne aveva avute anche troppe, di sorprese.
“TU!” Strillò, scagliandosi inutilmente contro le pareti di cristallo, e battendovi sopra con una furia tutta nuova. “Tu, maledetto pazzo! Vieni fuori ed affrontami, se ne hai il coragg… AIUTO!” L’ultima parola fu probabilmente imputabile all’azione di Nonna Dea, la quale, una volta recuperata una minima comprensione della situazione, si era affrettata ad atterrare la nipote, spiegando al cioccolatiere qualcosa che riguardava i frequenti cali di zuccheri di Viola, i quali, così parve di capire Wonka, la portavano a non certo pericolosi eccessi di isteria. Poi non poté aggiungere altro, dato che la poveretta, nel frattempo, aveva recuperato la postazione eretta, sovrastando le sue spiegazioni con altre urla di rabbia.
Molti vicini si affacciarono dalle loro case, attratti da quel rumore; quando notarono l’abitazione delle due distrutta da non-si-sapeva-bene cosa, decisero fosse cosa buona e giusta richiudere in tutta fretta le finestre, ritenendo inoltre opportuno serrare a doppia mandata le porte.
“Hai distrutto casa mia!” Seguitava nello sbraitare Viola. “Ho perso una giornata di lavoro! Ho subito traumi psicologici! Ho…” Cercò dell’altro. Lo trovò. “I MIEI CAPELLI SONO PIENI DI LACCA!” Stanca, distrutta, cadde a sedere sui calcinacci del suo tetto, prendendosi la testa tra le mani. Che cosa avrebbe fatto, l’indomani? Come sarebbero andate avanti?
Poteva sempre usare sua nonna nei combattimenti illegali, però… bastava dirle che vincendo le avrebbe trovato marito, e avrebbe fatto stragi. Sì, un ottimo piano. No, che accidenti stava pensando?
Ecco, quel pazzo aveva fatto uscire di testa anche lei. Ma che bello. Ora si sarebbero vestiti entrambi da coniglietti, per correre nel grande prato fucsia che solo loro potevano vedere… evviva.
Wonka si schiarì debolmente la voce, piuttosto preoccupato dall’aver intristito così una fanciulla. Possibile che con le donne fosse sempre stato così? Prima sua madre, che sembrava odiarlo senza motivo apparente; ed ora anche costei. Beh, forse questa aveva la scusante di una casa demolita, ma fatto stava che lo stava detestando senza che lui avesse realmente voluto ferirla.
Vedendola finalmente inoffensiva, aprì le porte della sua scatola, dalla quale uscì con un’eleganza tutta particolare.
“Ehm” Fu l’incipit di una conversazione sicuramente di alto livello intellettuale. “Err” Fu l’aggiunta geniale.
“Dì qualcosa di intelligibile, no?” Sibilò Nonna Dea, guru romantico di quella situazione totalmente all’opposto dei canoni romantici.
“Ah, sì. Uhm.” Viola neppure si disturbò ad alzare la testa per osservarlo: se l’avesse fatto, vi era l’alto rischio che la cosa si concludesse nel sangue. “Io… Ti chiami Viola, vero? Me lo sono ricordato.” Nascose di tutta fretta il guanto ove un umpa-lumpa gli aveva segnato il nome della fanciulla, e le rivolse un timido, brillante sorriso.
Gli occhi di lei si levarono dal terreno, osservandolo pieni di stupore. Aprì la bocca per parlare, ma non ne cavò un suono; e fu meglio, giacché qualunque cosa volesse uscire, sarebbe stata certamente una risposta non proprio gentile ed educata.
“Mi… dispiace di averti offesa.” Proseguì lui, d’un fiato. “Sono rimasto chiuso così a lungo in quella fabbrica da… beh, ho dimenticato le cose fondamentali.” Ammise, grattandosi il retro del cilindro. “Come la… come si chiama? La…”
“Buona educazione?” Suggerì in un sibilo Viola.
“No, non quella... quella cosa che si fa tra persone…”
Nonna Dea trovò opportuno arrossire violentemente.
“Ah, sì: conversazione!” Wonka, illuminato, si batté soddisfatto il pugno sul palmo. “Ho dimenticato persino quello, vedi?”
“Non so che farci.” Borbottò la ragazza, per nulla incline al lasciarsi addolcire.
“Vorrei che tu dimenticassi quello che è successo… vorrei una…” Spiò di fuggita la scritta sull’altro guanto. “Ehm, vorrei una seconda possibilità.”
“Seconda possibilità?” S’intromise ovviamente Nonna Dea. “In che senso?”
Oh, no. Viola attese con timore lo scoppio della bomba.
“Io le ho chiesto di sposarmi” spiegò Wonka con aria afflitta e colpevole. “Ma è stata una cosa molto offensiva, e…”
“OFFENSIVA?”
“Sì, ma voglio porgere le mie scuse, così da…”
“LE SUE SCUSE?” Nonna Dea, non potendo scrollare con rabbia la nipote, scrollò il povero cioccolatiere, già assai pentito d’aver abbandonato la sicurezza della propria fabbrica. “Sono io quella OFFESA! Viola! TU! Sangue del mio sangue… Hai rifiutato un matrimonio con un…”
“… Con un insensibile, folle idiota miliardario. Sì!” Ribatté la nipote, mentre Wonka tentava di stabilire se catalogare quegli aggettivi come insulti.
“E’ sempre quella storia del calo di zuccheri, signor Wonka. Ha rifiutato solo per un calo di zuccheri.” Tentò di salvare la situazione Nonna Dea; ma lui, più serio del dovuto, la superò, camminando verso Viola. Si fermò di fronte a lei, entrambe le mani poggiate sul buffo bastone.
“Perché sei venuto qui?” Ringhiò la fanciulla, sempre seduta su quello che fu il suo tetto.
“Perché volevo…”
“Perché non ne cerchi un’altra?”
“Perché ho trovato te.”
“Io non ti voglio.”
Furono parole fredde. Orribilmente fredde. Così gelide, da far dipingere un’espressione dolorosa sul volto dell’uomo; da spingerlo a voltarle le spalle, tornando al suo ascensore.
“Ma no, sta scherzando, è solo una ragazza…” Azzardò Nonna Dea, tentando inutilmente di fermarlo.
Il cioccolatiere raggiunse il suo ascensore, ma si voltò nuovamente ad osservarla. Ad osservare quella giovane dai capelli spettinati, dall’abito elegante parzialmente coperto da una giacca da quattro soldi. Ad osservare i suoi grandi occhi blu annacquati da lacrime di rabbia.
Infine, si voltò, salì a bordo. E ripartì.
Il silenzio e il gelo in quella casa furono del tipo più meschino e pesante che si possano sopportare.
“Viola…” Nonna Dea tentò di avvicinare la nipote, che però di alzò con rabbia.
“Lascia perdere. Devo ricostruire il tetto.”
Il resto della giornata fu caratterizzato da martelli che colpivano dita anziché i chiodi, e maledizioni che fecero fischiare le orecchie ad un famoso cioccolatiere.




Ecco, ci siamo quasi... ancora un capitolo, e forse avremo finito xD
Ringrazio moltissimo tutti coloro che mi seguono e mi recensiscono... senza di voi questa storia non potrebbe vedere una fine! ^^
Continuate a farmi sentire il vostro calore... e le vostre risate xD

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Capitolo 9
*** Una Passeggiata ***



CAPITOLO NONO

Una volta mi è capitato di recitare in uno spettacolo teatrale ambientato in una grande, meravigliosa chiesa, tanto imponente quanto piena di spifferi. Era un posto freddo; freddissimo. Per l’occasione, si presentò anche una docente universitaria; la mia docente universitaria. Seguì allegramente lo spettacolo, non mancando di farmi i complimenti.
Il giorno dopo avrei dovuto avere lezione con lei; solo che non si presentò. In quell’aula affollata, oltre me, vi erano in attesa un centinaio di studenti; e su cento, almeno un’ottantina avevano fatto non meno di cinquanta chilometri in treno. Cinquanta chilometri, o forse più, per arrivare e non trovare la lezione che interessava loro.
Così, quando sentii la notizia portata da un ragazzo: “La professoressa è a casa con una bronchite… pare che ieri sera abbia preso freddo a uno stupido spettacolo, o che so io!”, indovinate come mi sentii? Una cacca, esatto. Gli altri forse non si accorsero del fatto che io, nel mio sentimento di colpevolezza, cercai disperatamente di appiattirmi contro la parete, quasi abbassando le orecchie come un cane, eppure quello fu un gran, brutto momento. Una pessima sensazione, ecco, come se mi fossi inconsapevolmente appoggiata ad un innocuo pulsante e, dietro di me, un palazzo fosse stato raso al suolo. La stessa cosa.
Un’introduzione lunga, la mia, non perché io abbia sbagliato storia, ma solo per meglio calarvi a quelli che furono i sentimenti di Viola, quando, due giorni dopo, ancora era citata dai giornali scandalistici come la Donna Senza Cuore E Senza Volto che aveva osato rifiutare la Proposta del celebre Willy Wonka.
Proprio così la scrivevano: la Proposta. Manco fosse stata una professione di Fede, o chissà che altro. La Proposta. L’anonima ma, a parere di tutti i giornalisti, certamente poco intelligente fanciulla aveva osato scuotere il capo di fronte alla Proposta, ed ora non vi era nessuno che poteva evitare di girare per la strada commentando questo fattaccio. Oh, povero Willy Wonka. Chissà come ci era rimasto male, a causa di quella fredda creatura senza cuore.
Che quell’imbecille andasse a consolarsi con qualcun'altra, allora! E che la smettessero di parlare di lei!
Viola ringhiò un poco sentito ringraziamento all’elegante signore che, le scarpe nuovamente lucide, le allungava una misera moneta, allontanandosi da lei, il muso affondato in un quotidiano sulla cui prima pagina, ovviamente, svettava il sedicente titolo ‘WILLY WONKA CERCA IL SUICIDIO TRA LE CARAMELLE GOMMOSE’ e l’ancor più geniale sottotitolo: ‘Non posso sopportare oltre queste sofferenze d’amore! – Ha affermato tristemente il miliardario’.
La poveretta scosse il capo, affranta. Non solo, saltando una giornata di lavoro, aveva perduto il suo posto nella fabbrica di pannolini. Non solo aveva subito traumi psicologici in una fabbrica condotta da dei paranani. Non solo doveva ridursi fare la lucida scarpe, sotto quella morbida ma gelida neve cadente. No: le toccava pure essere sulla bocca di tutti, come una specie di sanguinario un mostro a tre teste. Basta, prima o poi sarebbe impazzita: avrebbe preso una sega elettrica, e avrebbe percorso le strade urlando come un’ossessa, mietendo innocenti vittime; così, se non altro, la fama di creatura indegna di appartenere alla razza umana avrebbe avuto una valida giustificazione.
“Le scarpe, per favore. Non ho tutto il giorno!” Una voce giovanile, quella di questo signorotto nascosto da un quotidiano aperto. E soprassediamo sui titoli principali di codesta testata.
Viola non alzò neppure il capo; preso il lucido e la spazzola, si mise pazientemente al lavoro.
“Eeh… un vero peccato per questa fanciulla.” Commentò l’uomo, alzando il piede affinché lei lavorasse meglio; non era neppure necessario specificare di che parlasse. “Ha sfiorato la fortuna, e l’ha calciata via.”
Non era il primo a voler tenere conversazione sulla vicenda. Eppure fu il primo che lei ritenne degno di una sua risposta.
“Secondo la mia modesta opinione, signore, sono dell’idea che la ragazza abbia avuto le sue buone ragioni.” Che effetto strano, parlare di sé in terza persona! Si sentì paurosamente spersonalizzata. Cancellò quel pensiero, concentrandosi sulla punta della calzatura, che sfregò con un po’ troppa convinzione.
“Ottime ragioni? Quali ottime ragioni?” S’incuriosì l’uomo, osservandola attraverso i fori del giornale. Oh, sì; proprio così: il giornale aveva due bei buchi, attraverso il quale lui, evidentemente sentendosi molto intelligente, spiava ogni movimento di lei. Sorridendo.
“Le ragioni possono essere varie… non voler sposare qualcuno quando lo si conosce da appena mezza giornata, per esempio… o chissà, forse una qual certa diffidenza nei confronti degli psicotici e… ah, sì: essere offese dal fatto di essere state scelte grazie a delle prove a dir poco idiote!” Tacque, usando una pezza per sistemare meglio il lucido in eccesso. Quindi, senza alzare il volto dai piedi del clienti, chiese: “Lei cosa ne pensa, signor Wonka?”
Il giornale si abbassò di scatto; Willy Wonka, come sempre vestito di tutto punto dalla punta del cilindro ai pedi, la osservò con aria spiazzata.
“Come mi hai riconosciuto?”
Viola, un sorriso quasi arrendevole che le illuminò il volto, rispose solo inarcando un sopracciglio.
Il silenzio che cadde su di loro fu pesante; sembrarono quasi estraniarsi da quella strada innevata, racchiusi in una sfera che solo loro potevano percepire. Wonka, a disagio, si sfiorò il bordo del cilindro, forse cercando parole che non la offendessero: se c’era una cosa che aveva imparato, da quella storia, era che offendere quella ragazza era straordinariamente facile. Quanto straordinariamente pericoloso.
“Io… ho pensato molto.” Ammise, sorprendendola: sino ad allora, Viola non lo aveva realmente ritenuto capace di un pensiero coerente. Insomma, guadagnò punti. “Mi sono comportato in modo stupido. Le prove, le concorrenti… è stato tutto molto, molto stupido.”
“Proprio così.” Ritenne opportuno confermare lei, tanto per premere ancora un po’ il macigno da venti tonnellate sulla sua schiena.
“E’ che… sai, avrei qualche trauma infantile, riguardo alle donne.” Ammise. Ripensò quindi a quella che era stata sua madre; e ritenne il termine ‘qualche’ fosse quanto meno inadeguato.
“E questo, cosa c’entra?”
“E’ che… avevo paura! Voi siete così…” Forse qualche aggettivo adeguato gli sovvenne, ma ritenne opportuno tenerlo per sé: non si sapeva mai. “Ho paura, anche solo di avvicinarvi. Tremo.”
“Io che c’entro? Vai da un’analista.” Viola fece spallucce. “Fanno dodici centesimi.” Alzò appena una mano, acida, per ricevere il compenso della pulitura delle scarpe. Wonka parve osservare, quasi in trance, quelle cinque dita bianche per il freddo.
Lentamente, si sfilò un guanto color perla; rabbrividì quando la sua mano nuda avvertì la temperatura esterna. Ma, soprattutto, rabbrividì al contatto di essa, quando la chiuse attorno a quella di Viola. Che lo fissò con infinito stupore.
Quasi fosse una di quelle favole che, da piccola, aveva visto nel suo sgangherato televisore, fu attirata da lui verso l’alto. Wonka esibì un sorriso incerto, che forse voleva dire: ehm, va bene come ho fatto?
E infatti, non visti, dall’angolo di un palazzo dall’altra parte della strada, un umpa-lumpa, in compagnia di un’anziana signora, mostrarono quattro incoraggianti pollici puntati verso l’altro. Quindi la vecchietta – e indovinate chi fosse? – gli fece nervosamente cenno di proseguire. E lui si spicciò ad obbedire.
“Vorrei conoscerti meglio; se la cosa non ti offende.” Mormorò, e Viola, maledicendosi, non poté certo non notare che, in fondo, fosse dannatamente attraente, in quel suo completo così elegante. Che avesse un viso dai lineamenti fini, delicati. E occhi che, se privi della solita luce di geniale follia, potevano inchiodare chiunque ad un muro, grazie all’intensità dello sguardo. Rise nervosamente, non riuscendo però a liberare la propria mano dalla sua gentile, educata stretta.
“Senti, perché io? C’è di meglio, in giro…” Lei volse il capo vero il nulla, smettendo di fissarlo. Accidenti, forse era la fame a confonderla così. O il freddo. Sì, il freddo.
“Mi sono preso il permesso di parlare con tua nonna…” Ammise il cioccolatiere, sfondando un muro in Viola.
“Ah, bella. No, ascolta.” Agitò nervosamente la mano libera, cercando febbrilmente qualche scusa per qualsiasi idiozia fosse fuoriuscita dalle gentili labbra dell’ava. “Qualsiasi cosa abbia detto, è solo una persona anziana, e…”
“Mi ha detto che hai trovato quel biglietto aprendo solo una confezione di cioccolata.” Proseguì Wonka, non intimorito ma bensì divertito dal nervosismo di lei.
“E’ anziana, e un po’ rimbambita, a volte non sa quello che dice…” Dall’angolo del palazzo dall’altra parte della strada, una nonnina, evidentemente in cerca di vendetta per l’aggettivo ‘rimbambita’, partì alla carica; fortunatamente, fu fermata ed atterrata da tre umpa-lumpa, che faticarono nel trascinarla nuovamente ove non potessero essere avvistati.
“Tu credi nel destino?” Chiese a bruciapelo Wonka, piegando di lato il capo.
“Perciò, anche se può averti blaterato di matrimon… eh?” La sua testolina confusa organizzò in fretta e furia un rewind, per poter rielaborare la sua ultima affermazione. Trovandola certamente folle; ma, nella sua follia, spaventosamente logica. “Cosa c’entra il destino?”
“Una sola barretta; il biglietto; l’essere rimasta ultima...” Wonka sorrise con una dolcezza più gustosa del suo stesso cioccolato.
“Sono solo coincidenze.”
“Sì, è vero. Però…” Lui fece spallucce. “Insomma, non ti chiedo di sposarmi. Voglio solo… conoscerti.”
Lei fissò il terreno. Liberò la sua mano da quella di lui, sentendo nuovamente il freddo dell’inverno avvolgerla, senza pietà. Infine, tornò a guardarlo.
Pazzo. Un confusionario, maleducato, tenero pazzoide. Ecco cos’era. Sorrise, finalmente intenerita.
“Se proprio insisti…”
Un ululato di pura gioia si levò da quel famoso angolo di quel famoso palazzo dall’altra parte della strada; prima che Viola, incuriosita, potesse voltarsi e decidere di controllare, lui, vincendo una nuova battaglia con sé stesso, la prese a braccetto, invitandola gentilmente ad una tranquilla passeggiata.








Uao, questo era l'ultimo capitolo... manca solo l'epilogo ^^
Bene, cosa dire? Ringrazio le fanciulle che mi seguono, che ridono e sorridono con me... Spero di aver fatto un bel lavoro; di avervi fatto sognare. E' questo che voglio ^^
Ma parlerò più a lungo dopo l'epilogo, ringaziandovi tutte ^^
Solo una cosa voglio precisare: l'innamoramento di Viola. Mi chiedevate come potesse innamorarsi di lui, in un solo capitolo: beh, avevate ragione. E' una cosa impossibile ^^
Infatti quello che è avvenuto qui non è un innamoramento. E' una prova. Una piccola speranza ^^
In ogni caso... io auguro a Viola di farsi andare bene il caro Wonka, o... NONNA DEA CADRA' VENDICATIVA SU TUTTI NOI xDD
Un bacio a voi tutte, ci vediamo all'epilogo... lasciatemi qualche consiglio, o anche solo un saluto, se ne avete voglia ^^

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


EPILOGO

Vi fu un matrimonio, ovviamente. Per la felicità di Nonna Dea.
Vi fu dopo molti mesi, preceduto da tentativi di corteggiamento al limite del paradossale. Come la romantica proposta di viaggio sino al paese natale degli Umpa-Lumpa, finita nel più disgraziato dei modi. O come il geniale anello di cioccolato che lui decise di metterle al dito, rimanendoci davvero malissimo quando, a contatto con il calore del corpo di lei, esso non ci mise molto a liquefarsi, lasciando una flebile macchia di sé. Potremmo andare avanti per molto, ve lo assicuro. Ma queste non sono cose importanti.
Cosa importante, se non fondamentale, fu il progressivo affezionarsi di Viola a quell’uomo. Lo conobbe lentamente, a volte ridendo ed a volte infuriandosi per la sua ordinaria pazzia, eppure non poté fare a meno di volergli bene. Dietro quella maschera di gentiluomo, nascosto sotto strati e strati di geniale follia, altro non vi era, se non un cucciolo abbandonato, spaventato. Che lei, infine, arrendevole, amò.
Cosa forse ancora più importante, almeno dal punto di vista dell’Umpa-Lumpa adibito al ruolo di analista del Signor Wonka, fu il parziale superamento dei suoi stravaganti traumi infantili: vedendo come, a differenza della fredda madre, Viola, sempre con quella deliziosa timidezza che la caratterizzava, tentava di ricambiare i suoi gesti affettuosi, acquisì sempre una maggiore padronanza nel suo relazionarsi al sesso femminile, fino ad una guarigione quasi completa. Sentiva di poterlo affrontare, sì. Sino a che, disgraziatamente, non gli capitava di litigare con Viola e, inevitabilmente, si ritrovava poi con una nonna Dea idrofoba attaccata al collo; a quel punto, chissà perché, la sua fobia tornava prepotentemente a farsi sentire.
Infine, come detto, vi fu il matrimonio. Fu celebrato in privato, con il romantico sottofondo di un’impetuosa cascata in puro cioccolato e il tropicale sfondo di una vegetazione in caramelle gommose. Umpa-Lumpa si schierarono ai lati, creando una sorta di navata, nella quale veleggiò Wonka, fermandosi di fronte ad un povero prete a dir poco sconcertato dalla situazione, il quale, tanto per non smentirsi, salutò subito con un sorriso folle. Il curato, anima pia, si sentì decisamente confuso dalla situazione; ma gli avevano pagato profumatamente quella celebrazione, quindi badò bene a starsene zitto.
Quindi arrivò Viola. E Nonna Dea cominciò a piangere. Era una nuvola bianca, quella ragazza, avvolta nel suo abito nuziale; i capelli, ancora una volta domati con parecchi quantitativa di lacca, s’inerpicavano su per la sua nuca, in un’elaborata acconciatura sormontata da un prezioso velo. Willy fu enormemente intenerito da quell’immagine. Quella che sarebbe divenuta la compagna della sua vita avanzò tra gli Umpa-Lumpa, un dolce ma intimorito sorriso stampato sul volto. Nonna Dea, non resistendo all’emozione del momento, la placcò, saltandole addosso in lacrime, non mancando certo di ricordare alle anziane amiche del circolo della canasta, da lei invitate, che la futura moglie del famoso miliardario era proprio la nipote. Come se la cosa non fosse ancora chiara a qualcuno; tutti i giornali ne avevano parlato, per settimane.
Fermato l’inglorioso spettacolo, e trattenuta Nonna Dea con la viva forza di almeno sette Umpa-Lumpa, Viola, decisamente più scomposta di prima, riprese la sua avanzata verso il futuro marito. Che non poté fare a meno di ridere. Contagiandola della sua risata.
E così, sghignazzando nel pronunciare le loro promesse d’eterno amore, si sposarono. Terminando la nostra storia. Ma iniziandone un’altra, assai più speciale.
E scusatemi se è poco.




Non ci credo, ho finito!
Ora che ci penso, questa è una frase che piazzo praticamente alla fine di ogni storia: 'non ci credo, ho finito'. Lo ripeto praticamente ogni volta. La cosa buffa è che, ogni volta, non ci credo per davvero. Eppure poi le finisco. Sorprendente.
Cosa posso dirvi di questa storia? La cominciai per gioco, e difatti gioco è rimasto. Ammetto di essermi affezionata ai miei personaggi, partendo da Viola – un mio personale mix di tutte le orfanelle che divengono principessine, aggiungendoci un pizzico di personalità – passando per Wonka – che non credevo di poter rendere così pazzo… ammetto di essere orgogliosa di me stessa! – per finire poi con nonna Dea. Ora, non ci crederete, ma nonna Dea non è un’invenzione: mia nonna (che di nome non fa Dea, ma Angela) è esattamente così. Ve lo giuro. Quindi, a chi altri potrei dedicare questo racconto – che non leggerà mai e che se leggesse definirebbe ‘belinata’ – se non alla mia cara nonnina?
Un bacio affettuoso a lei, e a voi, mie lettrici, che, accompagnandomi per questi capitoli, avete riso con me. Vi assicuro che mi sono divertita da morire. Un saluto ^^

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