Pazze da morire di Dils (/viewuser.php?uid=64753)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 1 *** Prologo. ***
Matilde è timida e non dice mai di no. Non sa cos’è l’amore e non le interessa.
Ha una cotta terribile per Joe Jonas, il cantante del suo gruppo preferito, e non fa che parlare di lui. Cosa succederà quando nella sua classe arriverà un misterioso ragazzo americano di nome Chuck?
Ambra è un artista. Ama la musica e l’arte. La sua vita procede bene finché la rottura con il suo storico ragazzo e i problemi in famiglia non la sconvolgeranno.
Denise è convinta di sposarsi con il suo ragazzo e di vivere per sempre con lui. I suoi genitori si erano fidanzati giovanissimi perché non sarebbe potuto essere così anche per lei? Le sue certezze, però, cadranno quando capirà di vedere un suo compagno di classe con luce diversa che da un semplice amico.
Stella è una scrittrice e vive di libri.
Scrive pensieri su quel ragazzo che la fa tanto soffrire, scrive sul suo rapporto difficile con suo padre, scrive così... solo per il gusto di farlo e di scappare dalla realtà.
Con il suo fido iPod gira per la città persa nel suo mondo e non si accorge di quell’amico che le rivolge attenzioni speciali.
Ma soprattutto loro sono quattro ragazze unite da un amicizia eterna.
Loro sono le “Mads”, perché sono pazze.
Pazze da morire.
Pazze da morire.
Prologo.
Io lo so che non sono solo anche quando sono solo.
(Jovanotti – Fango)
L’autobus sfrecciava lento per la città, pieno zeppo di gente, il che era normale per quell’ora, tanto che molte persone se ne stavano in piedi, altre se ne stavano sedute l’una sull’altra. Quel giorno era riuscita a trovare un posto a sedere, cosa più unica che rara all’una del pomeriggio, quando tutti gli studenti, compresa lei, uscivano da scuola, e se ne stava seduta, guardando fuori, con le iPod alle orecchie, pur non ascoltando veramente la musica, persa in chissà quali pensieri.
«Stella? Hey?»
Qualcuno la stava chiamando, lo sentiva, ma decise di fare finta di niente, sapendo che quella voce, quella stessa voce che conosceva così bene, avrebbe rinunciato presto a reclamare la sua attenzione. O almeno così sperava. I suoi amici si erano ormai abituati ai suoi momenti di solitudine, in cui si estraniava dal mondo e se ne stava da una parte, pensierosa, senza parlare con nessuno, tutti tranne una persona, la stessa persona che la stava chiamando insistentemente: Andrea. Il ragazzo in questione, proprio in quel momento, si zittì e decise di lasciar perdere, scuotendo la testa sconsolato, e tornando dai suoi –dai loro- amici. Gli altro lo guardarono stranamente, chiedendogli silenziosamente perché non aveva rinunciato, come loro, a capire cosa passasse per la testa della mora.
Senza farsi notare, Stella, spostò lo sguardo verso i suoi amici, inquadrando due persone in particolare, Matteo e Denise. Lui moro, con dei capelli lisci, sempre arruffati, gli occhi castani accesi di una luce allegra e furba, la pelle chiara, la corporatura esile ma in qualche modo forte e mascolina, sedeva scomposto su un sedile, parlando con lei, sorridente. Innamorato. Lei, un leggero sorriso a incresparle le labbra, guardava adorante lui, con quei suoi occhi verdi e innocenti, arricciandosi di tanto in tanto i capelli rossi, tendenti al biondo, con un dito della mano destra, l’altra mano che teneva possessivamente quella di lui.
Per un attimo gli occhi le si bagnarono di un leggero strato di lacrime, ma lei fece di tutto per ricacciarle indietro. Non doveva, e non poteva, farsi vedere da loro in quello stato.
“Sono una stupida” E lo era, lo era davvero. Come le era venuto in mente di innamorarsi del ragazzo di una delle sue migliori amiche? Se glielo avessero detto qualche mese prima, non ci avrebbe creduto, eppure eccola lì, a isolarsi dai suoi amici per un ragazzo, a cercare di cacciare indietro le lacrime. Ma al cuor non si comanda, e ora sapeva perfettamente cosa volesse dire. Inizialmente aveva negato, perfino a se stessa, che quelle sensazione che provava appena lo vedeva non erano propriamente quelle di un’amica. Poi, in estate, Denise era partita per le vacanze e si era ritrovata a passare molto tempo da sola con Matteo, e fra scherzi, giochi e risate, dovette ammettere che, sì, gli piaceva. E forse anche qualcosa di più. Ma che cosa ci poteva fare? Così si era chiusa in se stessa, per cercare di reprimere quei sentimenti sbagliati, finendo per isolarsi completamente da tutto e tutti.
Proprio in quel momento, lo sguardo di Matteo incrociò il suo, sorprendendola nel trovarsi davanti due occhi preoccupati. Per lei. Per un attimo l’attraversò una strana sensazione di felicità, felicità nel capire che, almeno un po’, si preoccupava per lei … Poi la consapevolezza che, forse, avesse capito che cosa aveva provocato il suo comportamento degli ultimi mesi la colpì in pieno. Matteo sapeva, e con lui chissà quante altre persone.
Nella vana speranza che non avesse capito la verità, Stella scostò con studiata naturalezza lo sguardo sulla seconda coppia che se ne stava in piedi a fianco a Denise e Matteo.
«Ambra, sìsì, lo so scusami…»
Lorenzo, gli occhi azzurri che imploravano pietà, i lunghi capelli ricci che cadevano scompostamente sulle spalle, se ne stava in piedi, vicino a una ragazza minuta, dai lunghi capelli color miele, che sembrava alquanto adirata. Stavano litigando, ancora una volta.
«Lo dici sempre. Ma sembra che tu debba fare sempre qualcosa di meglio che stare con me! Ti rendi conto che non stiamo soli da due settimane? Due settimane, Lore.»
Sempre la solita storia, quelle discussioni erano ormai all’ordine del giorno. Lui, tra la scuola e la sua band, non riusciva mai a trovare del tempo per stare con lei facendola soffrire come non mai. Ambra ci stava male, ma puntualmente perdonava il ragazzo per paura di perderlo, teneva troppo a lui… Dopotutto dieci mesi passati ad amare una persona non si dimenticano così facilmente, no?
Non lontano da loro se ne stava Matilde, lo sguardo sognante perso chissà dove, le cuffie dell’iPod ben visibili. Avrebbe scommesso chissà cosa che stesse ascoltando la sua band preferita, i Jonas Brothers, sognando di trovarsi tra le braccia di Joe Jonas. Matilde era una ragazza timida e riservata, sempre persa nel suo mondo, la conosceva da sempre e da che ricordasse erano state amiche, nonostante i caratteri opposti. Sorridendo, un sorriso timido e appena accennato, scosse la testa divertita, chiedendosi, per la milionesima volta, cosa stessa passando per la testa della sua amica.
Si girò e lo sguardo tornò sul finestrino, anche se, anziché il paesaggio grigio della città, si trovò di fronte al suo stesso riflesso, più opaco, che la fissava.
Dai capelli scuri, leggermente mossi, che cadevano in onde setose fin sotto le spalle, spiccava un cerchietto rosso. Il viso, dalla forma ovale e i lineamenti fini, era teso in una smorfia seria, e la pelle olivastra risultava strana a causa del grigiore del cielo. Gli occhi grandi, color cioccolata, incorniciati da lunghe ciglia nere, solitamente accesi di una luce solare e maliziosa, erano vuoti, inespressivi, come se fosse… morta. Che le stava succedendo? Chi era quella ragazza? Colei che aveva imparato a conoscere, difetti e pregi, da quei sedici anni a quella parte, era scomparsa, e al suo posto ce n’era un’altra che, sì, aveva la sua bocca e i suoi capelli, ma in cui non si riconosceva.
Lei era quella allegra, piena di vita, sempre al c’entro dell’attenzione, quella che faceva battute maliziose e sapeva ascoltare le sue amiche come nessuna. Quella pronta a tutto, perfetta per fare pazzie e stupidaggini, quella testa calda fin troppo impulsiva. Gelosa, e un po’ egocentrica, con l’irrefrenabile parlantina e la passione per lo shopping. Colei che poteva sembrare la superficialità fatta a persona ma che poi si metteva a leggere Orgoglio e Pregiudizio davanti ai tuoi occhi o ti citava Oscar Wilde, sapendo benissimo chi fosse, facendoti rimanere sorpreso e confuso.
Era stata quella ragazza per molto tempo, ma ora, ora, chi stava diventando?
Persa nei suoi dubbi, si accorse che l’autobus era arrivato alla sua fermata, così, prendendo la borsa a tracolla che usava per la scuola, si alzò sistemandosi il cappotto e la sciarpa, e scese dal pullman accennando appena un saluto ai suoi amici che, in tutto ciò, l’avevano guardata angosciati, come sempre del resto.
Notes.
Sì, la storia esisteva già, ma sinceramente non mi piaceva per niente o.ò Così ho deciso di riscriverla. I personaggi sono ispirati a persone realmente esistenti e le situazioni iniziali sono vere, risalenti a due anni fa, anche se io ho romanzato un po’ il tutto J Questo è il prologo, e sono consapevole che sia veramente corto, ma prometto che i prossimi capitoli saranno più lunghi… Ringrazio le 39 persone che avevano recensita e quelle che hanno messo nei seguiti/preferiti/da ricordare la precedente versione della storia, sperando che seguano anche questa versione.
Dedicated, obviously, alle mie migliori amiche
perché senza di loro non potrei vivere ♥
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Capitolo 2 *** Capitolo 1. ***
Pazze
da morire.
Diventi rossa se qualcuno ti
guarda e sei fantastica quando sei assorta nei tuoi problemi,
nei tuoi pensieri. (Albachiara - Vasco Rossi)
Si
sedette svogliatamente sul banco –quello vicino alla finestra,
nella seconda fila, per nascondersi meglio- poggiando a terra lo
zaino rosso, guardando distrattamente la classe ancora mezza vuota,
era arrivata in anticipo, come sempre. Denise, al contrario, come suo
solito, ancora non si vedeva, ed era certa che sarebbe piombata in
classe, trafelata, appena in tempo per il suono della seconda
campanella, che dettava l’inizio delle lezioni. Non sapendo
che fare, sfilò dallo zaino il libro di Latino, certa che quel
giorno la malefica professoressa l’avrebbe interrogata, più
che per passare il tempo che per ripassare veramente, era totalmente
e innegabilmente negata con quella materia quindi un ripasso veloce
non avrebbe certo migliorato la situazione. Intanto i compagni
avevano iniziato ad entrare, chi tra risate sconnesse, chi tra
chiacchiere, chi preoccupato per qualche interrogazione, chi ancora
mezzo addormentato. Ogniqualvolta che qualcuno la salutava, lei
rispondeva con un gesto veloce e appena accennato. Asia, una sua
compagna di classe con cui ogni tanto lei e Denise uscivano anche
fuori scuola con altri amici, si sedette elegantemente sul banco
davanti al suo, poggiando stancamente la schiena contro il
muro. «Ciao Mati! Ripassi latino?» Lei annuì
distrattamente, sorridendo. «Hai bisogno d’aiuto?» Asia
era quel genere di ragazza. Gentile e carina, in un modo quasi
stomachevole. Per di più era una specie di genietto e aveva
tutti voti alti nonostante studiasse si e no un’ora e mezzo al
giorno, come facesse non lo sapeva nemmeno lei stessa. Era così
perfetta da poter risultare quasi odiosa, ma nonostante tutto non
potevi fare a meno di volerle bene, per tua sfortuna. «Non
riesco a capire questa perifrastica passiva…» Asia
era appena partita nella spiegazione quando la prima campanella
suonò, facendo così in modo che tutti gli alunni si
precipitarono, tra la confusione generale, al proprio posto, e quasi
in contemporanea apparve Denise, ansante, come aveva previsto, appena
in tempo che la professoressa arrivasse. La ragazza in questione
velocemente si tolse il giacchetto e si avvicinò al banco
accanto a quello di Matilde, dove si sedette pesantemente, spossata
dalla corsa che aveva fatto per arrivare in orario. Quando si
riprese, si girò dietro di lei, dove la accolse lo sguardo
divertito e terribilmente cristallino di Luca, un altro loro compagno
di classe che era diventato loro amico anche fuori scuola, bè,
era diventato amico di Denise, un po’ meno suo, a cui lei
sorrise spontaneamente prima di girarsi di nuovo velocemente a causa
dell’arrivo della tanto temuta professoressa. La
professoressa Demofonti era una donna tarchiata sulla cinquantina,
dai capelli tinti di un biondo chiarissimo tenuti sempre in una
crocchia alta sulla fronte e i vestiti perennemente in ordine, che
aveva una terribile fissa per la pulizia, per questo girava sempre
con una bottiglietta di alcool rosa e uno straccio in mano ed ogni
mattina puliva meticolosamente la cattedra, con sguardo schifato e
ossessivo. Quella mattina, ovviamente, la tanto consueta scenetta si
ripeté e, dopo aver salutato gli alunni, si mise a pulire. La
prima settimana al Liceo Scientifico, due anni prima, erano rimasti
scioccati da quella professoressa così strana e apparentemente
perfida, ma con il tempo avevano scoperto in lei una donna, sì,
autoritaria ma capace di trattarti con una dolcezza inaudita, quasi
come una seconda mamma. Certo, tutto questo quando non doveva
interrogare. «Bene, allora, sbaglio o oggi devo
interrogare?»
Le lezioni proseguivano come al solito
e, tra qualche scoppio di ilarità collettiva, interrogazioni
più o meno disastrose (era riuscita a prendere sei a Latino!),
spiegazioni noiose, era arriva l’ora di ricreazione. Appena era
suonata la campanella, Matteo era comparso in classe con una velocità
inaudita visto che la sua aula si trovava due piani sopra la loro.
Matilde fece spallucce, era abituata a quel genere di
comportamento da parte del ragazzo: stravedeva per Denise. La ragazza
in questione, che in quel momento si stava mettendo il giacchetto
celeste per uscire in cortile a comprare la merenda, sorrise
vedendolo arrivare. «Ciao Amore!» Per tutta
risposta lui la baciò, così, davanti a tutta la classe,
come se niente fosse, senza prestare attenzione nemmeno alla
professoressa che, in tutto ciò, era rimasta a guardarli con
un tenero sorriso in faccia. Sì, aveva un debole per Denise,
le ricordava la se stessa di più di trent’anni prima.
Matilde allora scosse la testa, divertita, prendendo il
giacchetto per uscire in cortile, quando sentì due voci
familiari provenire dal corridoio. Stella e Ambra avanzavano nel
piccolo corridoio chiacchierando animatamente di un qualcosa che le
fece scoppiare in risa convulse, facendo così in modo che metà
scuola si girasse perplessa al loro passaggio. Matilde non si
sorprese più di tanto, quella scenetta andava avanti da due
anni ormai. Era sempre così, con quelle due. Attiravano,
volenti o nolenti, l’attenzione. Ambra, gli occhi verdi
divertiti, i capelli biondo cenere raccolti in una crocchia
improvvisata, avanzava sistemandosi la kefiah acqua marina, in
coordinato con la camicia stile boscaiolo e i jeans strappati.
Stella, i lunghi capelli mossi lasciati sciolti, indossava i soliti
jeans scuri, a sigaretta, delle semplici ballerine bianche, una
maglietta grigia coperta da un grande cardigan a grandi righe
orizzontali, grigie e blu. Il perfetto ritratto dello “Star
style”, come l’avevano soprannominata, giocando con il
suo nome. Nonostante quel giorno la sua amica si comportasse
normalmente, ridendo e scherzando come solo lei sapeva fare, sapeva
che dentro di lei stava morendo pian piano, lentamente. Lo vedeva nei
suoi occhi, vedeva che quella sofferenza la consumava giorno dopo
giorno, sapeva che tutta quella sua esuberanza era solo una maschera
che usava per affrontare il mondo. Una maschera che ogni tanto, per
una frase sbagliata o un ricordo improvviso, si sgretolava e faceva
chiudere Stella in se stessa, nel mondo in cui nessuno le faceva del
male. Quella stessa maschera che utilizzava per cercare ignorare
la verità, la realtà delle cose. Sì, sapeva
anche perché Stella era in quello stato. Non glielo aveva
detto apertamente, ma la conosceva quasi –anzi, sicuramente-
più di se stessa e spesso le parole, tra di loro, erano più
che superflue. Adorava Denise e Ambra, ma c’era qualcosa di
indefinibile che legava lei e Stella. Una complicità quasi
impercettibile agli sguardi altrui, un filo stretto che le univa
innegabilmente. Solo con lei riusciva ad essere se stessa, quando
erano insieme i caratteri completamente opposti –quello di lei,
timida e riservata, e quello dell’altra, esuberante e
completamente pazza- si annullavano ed erano… semplicemente
loro stesse. Non esistevano che le loro risate, le loro
chiacchiere serene, le loro canzoni preferite cantante al cielo e la
loro amicizia. Vederla così le faceva male, perché
quella che aveva di fronte era solo l’ombra dell’amica
che per lei era stata Stella da tredici anni a quella parte. Le
faceva male soprattutto perché non poteva farci niente, non
poteva prendere quel sentimento e farlo andare via come se niente
fosse. E non poteva certo chiedere a Denise di lasciare quello che
ormai tutti credevano fosse la sua anima gemella. Non capiva come
potesse l’amore ridurre qualcuno in quel modo. D’altro
canto lei, l’amore, proprio non riusciva a capirlo; lo sognava,
questo sì, ma le era ancora ignoto e, per quanto la
riguardava, talmente lontano che nemmeno si sforzava a capirlo. Ma
decise, in quel momento, mentre salutava due delle sue migliori
amiche, che non si sarebbe mai ritrovata a morire per un ragazzo –che
non fosse Joe Jonas, certo-, di questo ne era certa.
Ambra
e Stella tornarono velocemente in classe, consapevoli di essere in un
ritardo mostruoso. Loro, al contrario di Matilde e Denise,
frequentavano il Liceo Classico che era immediatamente accanto allo
scientifico perciò riuscivano a vedersi quasi sempre a
ricreazione come se fossero nello stesso istituto, l’unica
pecca era che non sentivano mai la campanella della loro scuola che
dettava la fine dell’intervallo e arrivavano puntualmente in
ritardo a lezione. Come previsto la professoressa era già
in classe, pronta a iniziare la lezione di Greco, e le guardò
male non appena fecero il loro ingresso in classe, ma non disse
niente, perciò le due scivolarono il più
silenziosamente possibile nei loro banchi, infondo all’aula,
sotto la finestra, cercando di non attirare l’attenzione.
Naturalmente il buon proposito non sortì l’effetto
desiderato perché Ambra –sempre la solita- inciampò
su uno zaino e cadde rumorosamente. Dopo qualche minuto di risatine
convulse, un evidente imbarazzo di Ambra e qualche rimprovero da
parte della professoressa, la lezione cominciò. La classe
tornò nello stato di semi-dormiveglia in cui era prima,
sembrava che nessuno si fosse mosso dalla propria posizione tanto le
espressioni e i gesti erano li stessi di prima. Se non fosse stato
per il cambio di materia avrebbe potuto tranquillamente pensare che
se l’era immaginato, l’intervallo. La lezione procedeva
tranquillamente, la professoressa spiegava e, ovviamente, quasi
nessuno prendeva appunti, tranne alcune eccezioni. Stella incrociò
lo sguardo divertito di Andrea, che sedeva dall’altra parte
della stanza ma sempre all’ultimo banco, e gli lanciò un
sorriso complice, certa che avrebbero rinfacciato a Ambra quella
figuraccia fino alla fine dei suoi giorni. Conosceva Andrea fin
dalle scuole medie, quando era un grassoccio e impacciato ragazzino
di undici anni, e avevano fatto subito amicizia. Complice la passione
comune per Harry Potter e la lettura in generale. Avevano passato un
mese in completa simbiosi, e si erano detti di tutto. Avevano parlato
dei loro genitori, entrambi separati, dei loro sogni, dei loro
interessi, delle loro paure. Gli aveva detto cose che non aveva mai
detto nemmeno alle sue migliori amiche, paure che non avrebbe mai
confessato mai a nessun’altro. Con Andrea era così,
fin da subito c’era stata una specie di connessione, tra loro
due, un sentimento profondo che gli aveva uniti forse
inconsapevolmente. Ora, sedicenni e vaccinati, erano molto lontani
dall’essere i ragazzini che erano stati quando si erano
conosciuti, cinque anni prima, eppure non era cambiato molto. Erano
ancora… qualcosa. Più che migliori amici, più
che fratelli, più di qualsiasi cosa. Eppure, nonostante
ciò, nemmeno a lui era riuscita a confessare ciò che
provava verso Matteo. Non sapeva nemmeno lei il perché. Forse,
per la prima volta in vita sua, temeva il suo giudizio. Temeva che
gli dicesse, perfino lui, “sei una stupida, Stella, sei una
persona spregevole… è la tua migliore amica”. In
un attimo, come succedeva oramai troppo spesso, Stella si chiuse
dentro la sua fortezza di ferro, dentro quel guscio in cui nessuno,
nemmeno Andrea, riusciva ad entrare e si mise a guardare con occhi
malinconici e spenti fuori dalla finestra. Lasciando Andrea, per
l’ennesima volta, a chiedersi cosa stesse succedendo alla
ragazza a cui teneva più della sua stessa vita.
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