One Man Army

di Dark_Blame
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - La prima volta che incontrai il Mietitore ***
Capitolo 2: *** 1. Un nome troppo dolce ***
Capitolo 3: *** 2. Lo Spettacolo ***
Capitolo 4: *** 3. Lasciare un segno ***
Capitolo 5: *** 4. Il Mietitore viene sconfitto ***



Capitolo 1
*** Prologo - La prima volta che incontrai il Mietitore ***


One Man Army



La taverna era semivuota da ormai una settimana, a parte loro. Il lerciume degli stivali appoggiati sopra al bancone era ormai un avventore abituale e la puzza non se ne sarebbe andata tanto presto, l'oste lo sapeva. Non c'era nessuno, nessuno in paese che sarebbe stato capace di scacciare quei tipi da lì. Una banda di quindici - e dico quindici - bastardi armati. Ironia della sorte, la maggior parte di loro nemmeno arrivava a saper contare oltre la dozzina.

Ma non erano stupidi, no. Forse due o tre. Gli altri erano pericolosi, cani randagi.

Con le pistole.

Prese uno straccio, ci sputò, e cominciò a pulire un bicchiere. Inutile fare tanti complimenti. Tanto nessuno avrebbe più frequentato la sua locanda, con la Banda stabilita lì ventiquattrore al giorno. Qualcuno andava e qualcuno usciva, ma c'era sempre un buon numero di loro dentro.

A mezzogiorno era l'ora di punta. Non si sognavano mica di andare fuori a rubare, col caldo che faceva.

«OSTE! Dov'è la sguattera che ci porta da bere? Falle muovere quel suo culo da orba, abbiamo sete!»

Il taverniere scosse la testa. Avevano sete, ma non pagavano mai, se non per sfottere. Ed erano tanti. Le loro gole erano così rovinate dal sapore del tabacco da masticare, però, che non si accorgevano di tutta l'acqua di scolo che finiva regolarmente ad allungare la birra, il che era un bene.

«LIIIIIIC!» Anche l'oste urlò. Sospettava che quella dannata ragazzina fosse sorda, oltre che orba, a volte. Arrivò con il solito passo da cane bastonato e prese il vassoio con le birre senza dire una parola, lo sguardo basso. Non era nemmeno arrivata al loro tavolo, che già avevano iniziato a prenderla in giro, mentre le loro mani scorrevano sulla sua schiena. Erano più su di giri del solito, dato che in genere l'occhio cieco - non esattamente un bello spettacolo - bastava a lasciarla in pace … entro un certo limite.

Le loro mani …

Non disse niente. Se solo avesse provato a fare qualcosa, sarebbe stato solo peggio. Finì di servire le birre, e stava per andarsene velocemente indietro quando uno di loro la fermò prendendola per un braccio.

«Dove corri, bastarda. Non vedi che hai fatto schizzare tutta la birra sulla mia giacca, eh? Ritardata.»

La serva lo guardò, e i loro occhi si incrociarono. In quel momento, ebbe paura, perché nonostante gli insulti, capiva benissimo. Capiva che non c'era nessuna macchia di birra sulla giacca del bandito, e che il suo tono non era quello di un uomo arrabbiato. Se fosse stato arrabbiato, se la sarebbe potuta cavare con delle botte.

No.

Quegli erano gli occhi di un uomo che aveva pensato a qualcosa di divertente.

Occhi che le facevano una paura dannata.

Non ho fatto niente. Non ho fatto niente. Ora mi lascia andare. Ora mi lascia andare.

Cercò di dire delle scuse, ma le parole le uscirono fuori a pezzi. Scosse la testa, i capelli neri che le ricadevano sul viso, e commise l'errore di cercare di liberarsi.

«Ah-ah-ah. Non pensarci nemmeno.»

I compagni ridevano. Guardavano la scena, pendevano dalle labbra di quello che parlava e si scambiavano sguardi complici.

Con la mano libera il bandito estrasse la pistola, una colt nera polvere da sparo, e dopo aver fatto alcuni giochetti con le dita, la prese saldamente, e mise la canna tra le gambe di lei, proprio tra le ginocchia, dove finiva la gonna del vestito. Cominciò piano, piano, a farla scorrere, verso il basso, ma poi subito verso l'alto. Poteva sentire il metallo freddo sulla pelle nuda, e non importava quanto stringesse i muscoli, gli altri si divertivano ancor di più. Il vestito si sollevava docile man mano che la mano avanzava, sempre più su, sempre più su, fino alla biancheria …


«Oste.» C'era una sagoma davanti all'ingresso. «Dammi da bere.»

Il nuovo arrivato era il primo vero cliente in una settimana. Si sedette al banco. I cani randagi lo guardarono prima con diffidenza, ma decisero che era più interessante il passatempo di prima.


La ragazza si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo quando la pistola scivolò via dalla sua pelle, solo un attimo prima che la tensione aumentasse di nuovo e che sentisse la canna puntata contro le sue natiche, alla ricerca … di un minuscolo … sporco … buco.

Gemette, ma la stretta del bandito era troppo forte.

«Che ne diresti se sparassi, ora?» Le diceva quello «O devo andare un po' più a fondo?»


In quel momento, un boccale da birra atterrò precisamente al centro della fronte del malvivente, rimbalzando sul pavimento e facendogli perdere i sensi.

La pistola cadde a terra, la presa si indebolì, la gonna del vestito tornò al suo posto.


Era stato più veloce di quanto chiunque si sarebbe mai potuto aspettare. Gli sguardi di tutti si spostarono verso il banco. L'oste pavido e opportunista? No. Era il nuovo arrivato. Aveva finito di bere, era sceso dalla sedia girandosi, e aveva tirato il bicchiere, tutto in una frazione di secondo.

«Chi diavolo ...» I più veloci avevano già le mani sulle fondine, ma lo sconosciuto aveva fatto già qualche metro, aveva preso una sedia e l'aveva tirata contro il gruppo, colpendoli prima che potessero premere il grilletto.

E subito dopo, era già arrivato vicino a loro. O meglio.

Era in piedi sul loro tavolo.

«Merda! Ha una spada!»

«Ottima visuale dei miei piedi, da qui.» Rispose lui, come se c'entrasse qualcosa. Con un calciò spazzò via tutti i bicchieri dal tavolo, mandando birra a fiumi e vetro ovunque, e cominciò a spaccare la faccia a tutti i banditi più vicini. Era uno spettacolo in parte terrificante e in parte ridicolo. Senza nemmeno estrarre un'arma, aveva ridotto sette uomini allo svenimento se non alla morte, a giudicare la strana angolazione del collo di qualcuno.


La serva era immobilizzata, con l'unico occhio sano spalancato dallo stupore, eppure non aveva smesso di tremare. Altri, sentendo il rumore, stavano venendo giù dalle camere di sopra, scendendo le scale come un branco di bufali.

Mise una mano al fodero ed una all'elsa.


Ed erano tutti ad agonizzare sul pavimento quando la spada fu riposta. Tranne uno, che era rimasto seduto in disparte, l'oste, e la ragazza.


Lo sconosciuto si avvicinò a quello che non si era mosso.

«Tu non mi hai attaccato» disse «Perché?»

Il capo-banda sorrise, cercando di nascondere il nervosismo.

«Ti ho riconosciuto. Sarebbe stato inutile. So chi sei.»

«E chi sono?»

«Sei il Mietitore. Lo sterminatore di imperi. Sei l'esercito da un solo uomo

«Bene» disse il Mietitore «Racconta a tutti che sono stato qui. Racconta ciò che hai visto.»


Detto questo se ne andò, con calma e disinvoltura come se ne era arrivato, uscendo dalla taverna.

Una puzza insopportabile proveniva dai pantaloni dell'oste.

Il sangue colava sul pavimento giù dalle scale.

La cameriera, finalmente, si mise a piangere.

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Capitolo 2
*** 1. Un nome troppo dolce ***



Più che deserto si trattava di una grande distesa di niente. Niente sabbia, niente dune, solo una pianura di terra battuta ovunque si posasse lo sguardo. La piana era attraversata da miliardi di crepe e venature nel terreno, causate dalla più totale mancanza d'acqua. Era come se il suolo, portato allo stremo dalla sete, stesse cercando di aprire delle bocche sdentate dappertutto nel tentativo folle di catturare anche solo un po' di umidità.

In un posto così - ovviamente - non c'era spazio per la vita. Molti anni prima un ipotetico viaggiatore magari avrebbe potuto vedere dei cambiamenti nel paesaggio, no so, magari un albero secco o un fascio di erba bruciata dal sole. Ma adesso, nel presente, gli alberi e l'erba secca, ogni forma di vegetazione possibile rimasta da tempi migliori, non erano che polvere. E appunto, l'unica variazione nel panorama si verificava quando il vento sollevava un po' di quella sabbia e creava sbuffi e figure in aria.


E quello era tutto ciò che ci fosse da vedere.


L'One Man Army stava camminando con passo spedito in mezzo a quella desolazione. Aveva fatto i suoi conti. Sprecare molto, molto tempo per aggirare il deserto e fermarsi ogni tanto in degli stupidi paesini di periferia, oppure attraversarlo tutto da un capo all'altro, direttamente verso la Quarta Città Imperiale?

Ovvio. Andare in mezzo al deserto era la soluzione migliore, anche se chiunque l'avrebbe considerata una pazzia.


Il sole era a picco. Si sedette un attimo su una sporgenza del terreno, e bevette un po' d'acqua. Con la coda dell'occhio controllò la strada dalla quale era venuto … e sospirò.

Era ancora là.

Lo stava seguendo da tre giorni, senza mai avvicinarsi troppo per qualche ragione. All'inizio voleva preparare una trappola, pensando che si trattasse dell'ennesimo cacciatore di taglie - uno particolarmente imbranato, dato che si era accorto subito della sua presenza - ma poi l'aveva riconosciuta. Era la cameriera della taverna in cui aveva … “sostato”. Era convinto che una volta entrati nel deserto l'avrebbe lasciato perdere, e invece ...

«Chissà che cosa diavolo vuole.» Disse. Parlare a se stessi è un'abitudine di ogni viaggiatore consumato, se per caso ve lo stavate chiedendo.



Era sul punto di crollare. La sete la stava consumando velocemente, e ogni singolo frammento di pelle esposto al sole si stava bruciando. Non aveva né qualcosa con cui coprirsi la testa, né delle scarpe adatte alle lunghe camminate. Le suole delle sue, già abbastanza vecchie e consumate, si erano assottigliate parecchio e non valevano nulla contro il calore che saliva dal terreno. Era quasi come camminare su due piastre ardenti. Ma dopo un po' aveva incominciato a non farci caso, dato che aveva altri problemi; camminare senza perdere l'equilibrio, per esempio, e cercare di capire perché stava vedendo doppio.


Si fermò di colpo, notando che qualcosa stava cambiando nel panorama. Un'ombra scura veniva nella sua direzione … aprì le labbra screpolate per dire qualcosa, ma non uscirono suoni dalla sua gola secca.

Cadde a terra a faccia avanti, perdendo finalmente i sensi.


Quando si risvegliò, si accorse che qualcuno le stava tenendo la testa alzata e una sensazione di fresco quasi dolorosa le partiva dalla bocca. Acqua.

«Ferma. Un po' per volta. Non berla tutta.»

Per un po' non riuscì a fare altro che seguire le istruzioni della voce. Lentamente, riemerse dal sonno. Tentò di aprire gli occhi, anche se la luce dal cielo gli dava fastidio.

Lui era piegato sopra di lei, con una borraccia in mano, e la squadrava con un'espressione a metà tra il preoccupato e il dubbioso, anche se era solo accennata.

Lui. Quello che aveva ammazzato quattordici persone senza il minimo sforzo.

Non appena si fu ripresa abbastanza da capire quel fatto, una nuova ondata di paura la invase … ma cercò di trattenersi. L'altro non disse nulla, e continuò ad aiutarla finché non fu in grado di alzarsi.

Prese un lembo del suo mantello, lo strappò e glielo diede.

«Mettitelo intorno alla testa come ho fatto io» disse «Altrimenti prenderai un altro colpo di sole.»

«Gr … grazie ...» Ancora si sentiva stordita, com'era comprensibile. Stava accadendo tutto molto in fretta … e lo svenimento, a dire la verità, non era mai stato nei suoi piani.

«Puoi avere l'acqua che resta in questa borraccia» disse lui, letteralmente mettendogliela tra le mani «Se tieni un buon ritmo e cammini un po' stanotte, dovresti essere fuori dal deserto in meno di un giorno. Va', ora. Addio.»

E, così veloce da rimanere sorpresi, si girò e cominciò ad andarsene come se nulla fosse successo.

«E-ehi! Aspetta!»

La figura si fermò per un'ultima volta, ma rimase di spalle.

«Portami con te!»

Di nuovo, un sospiro. Ma forse lei se l'era immaginato: il mietitore non poteva essere certo tipo da sospirare … anche se si era dimostrato incredibilmente gentile, a suo modo, per essere un pluriomicida, una macchina da guerra.

«Non se ne parla neanche lontanamente.»

«Perché no? Ti prego ...»

Si girò, e fissò la ragazza con occhi castani straordinariamente intensi.

«Torna a casa, ragazzina.»

«Ti prego .. io … non posso tornare. Fammi diventare … la tua apprendista … non so »

«Già, non sai. Moriresti alla prima occasione, perché anche se ti insegnassi qualcosa, dovresti essere due volte più brava di un talento naturale per vedere gli attacchi con quell'occhio … o dovrei dire senza.»

«Non importa! Io mi allenerò duramente! Io ...»

«Tu cosa? Mi hai preso per una sorta di magnate o cosa? Io UCCIDO, e questo è tutto. Stai forzando la mia pazienza, vattene.»

La distanza fra i due era diminuita, parlando, erano in pratica l'uno di fronte all'altra. Il mietitore fece per girarsi di nuovo, ma la ragazza gli afferrò un braccio, cercando di mostrarsi più risoluta, cercando di ignorare la voce che gli tremava.

«Allenami! Non importa se corro il rischio di morire … Farò tutto ciò che vuoi! Solo … non lasciarmi indietro … non voglio tornare … là»

Lui afferrò con il pugno un lembo del suo vestito sporco, all'altezza del collo, e la sollevò fin sopra le spalle. Era leggera, troppo leggera. Nonostante cercasse di divincolarsi, però, continuava a fissarlo con il suo unico occhio.

«Sei sicura di quello che stai dicendo? Ti metti così nelle mani di uno sconosciuto? Potrei non essere meglio dell'oste di quella taverna o dei banditi, ci hai pensato? Potrei sbatterti tutte le notti e farti andare in giro a quattro zampe di giorno, e sai una cosa? Tu non potresti farci nulla.

In battaglia, non avrei tempo di proteggerti, quindi te la dovresti cavare da sola. Potresti essere presa come ostaggio per arrivare a me, e io non ti salverei. Non avresti un momento di riposo o di svago. Mai.»

«....qua … qualunque cosa. Qualunque cosa, va bene, è uguale.»

Il mietitore la mise giù. Non c'era più collera nel suo sguardo, era tornato ad essere freddo.

«Va bene, allora. Il tuo allenamento inizia adesso - il nostro, anzi.

Visto che non ho nessuna intenzione di tornare indietro a fare scorta, attraverseremo il deserto con le provviste d'acqua che ho ora. Mezza razione ognuno.

Vedi di sistemarti. Sarà una lunga marcia»

Detto ciò, le tirò quello che restava del mantello, iniziando a camminare. La ragazza era ancora stupita, ma per prima cosa strappò due strisce di tessuto e ci fasciò i piedi, visto che con le scarpe che si ritrovava non sarebbe potuta andare molto lontano. Il resto se lo buttò sulle spalle per proteggersi dal sole.

«Come devo chiamarti? Mietitore? Maestro? One man army-»

«Khan andrà benissimo. Il tuo nome?»

«Licorice.»

«Licorice?» rispose lui, quasi sovrappensiero. «Liquirizia … un nome anche troppo dolce, per un'apprendista spadaccina. Ironico.»


Lui

Non era affatto quello che si dice un buon maestro.

Si sarebbe abituata a vederlo quasi sempre di spalle, con quei vestiti rossi accesi che saltavano sempre alla vista, le spalle dell'uomo che aveva scelto di seguire, messa alle strette dalle … necessità. Pur di avere un cambiamento.

A forza di seguire i suoi passi, di arrancare dietro al suo ritmo veloce, si sarebbe riempita con nient'altro se non il desiderio di raggiungerlo, un giorno, e camminare al suo fianco come sua pari, non più come una seccatura o un'allieva. Allora... allora, forse, sarebbe stata libera, per la prima volta in vita sua.


Lei

Era troppo magra e ridotta ad uno straccio.

Aveva lividi dappertutto, e un aspetto trasandato. Quel corpo abituato alla servitù e ai maltrattamenti

sarebbe potuto svenire in qualsiasi momento, in un allenamento severo.

Per non parlare dell'occhio cieco.

Probabilmente non aveva mai fatto un pasto decente in vita sua.

E cosa sarebbe successo se si fosse affezionato a lei?

Cosa avrebbero detto, che si era rammollito?

E i cacciatori di taglie?

Non aveva importanza - un uomo che è abituato a uccidere, quando salva una vita, ha il dovere di prendersene la responsabilità.


«Muoviamoci. La Quarta Città Imperiale ci attende.»

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Capitolo 3
*** 2. Lo Spettacolo ***


Stanchi e sfibrati. Avevano camminato per miglia, spesso anche fino a notte inoltrata, però, forse, il risultato ne valeva la pena.

Calindara, la Quarta Città Imperiale, giaceva lì, sotto i loro occhi, a poca distanza. Era come guardare a una montagna col fianco ricoperto di oro luccicante - quello, almeno, era l'effetto ottico causato dai tetti di metallo dorato e dalle torri che partivano direttamente dal piccolo monte ai margini del deserto. La Città aveva affondato i denti ben dentro la terra, creando continui terrazzamenti laddove in origine c'era solo un rilievo senza nome e di poca importanza. Piccolo, si, ma ricoprirlo, vetta esclusa, interamente d'acciaio e mattone e oro e legno, era stata un'impresa incredibile e nell'avvicinarsi, chiunque si sarebbe sentito schiacciato dall'enorme mole di una metropoli talmente grande da aver ricoperto un monte.


Finalmente raggiunsero la strada e il terreno sotto i loro piedi cessò di essere sabbioso e instabile, grazie alla pavimentazione di pietra. Era quasi un sollievo.

Khan il Mietitore si bagnò le labbra, trovandole secche e salate come la sabbia.

«Ho bisogno di un maledetto bagno» disse, praticamente pensando ad alta voce. «L'ultima volta che sono stato qui avevano delle belle terme, acqua che esce direttamente dal monte.»

Licorice non vedeva l'ora di togliersi quello che le restava del deserto addosso, ma ad un certo punto arrossì visibilmente al pensiero, Ogni cosa comunque era grande e nuova per lei, che non poteva far altro che spostare lo sguardo da una parte all'altra della strada man mano che si addentravano in Calindara. Le case non erano di legno secco, ma di pietra, mattoni e a volte addirittura di marmo, ostentando una ricchezza sempre più pacchiana man mano che andavano avanti. I passanti erano tutti riccamente vestiti, ma non solo i membri delle classi più abbienti; perfino i manovali sembravano in qualche maniera eleganti, tanto da far sembrare loro due, nuovi arrivati, poco più che vagabondi.


Senza dire una parola, Khan accelerò il passo, salendo una rampa di scale che portava al primo terrazzamento e poi svoltando in un vicolo al lato della strada. Licorice iniziò a corrergli dietro, con una paura di perdersi in quel mondo a lei completamente nuovo che quasi la soffocava. Scansò di fretta due abitanti, praticamente inciampando nel secondo e girandosi appena indietro per lanciare delle scuse, imboccò il vicolo, al bivio riuscì a intravedere di sfuggita la sagoma del Mietitore e la seguì, arrivò in una piazza affollata e si rese conto che l'aveva perso di vista. C'erano troppe persone, troppo via vai, troppi abiti colorati e troppe persone che andavano di fretta come formiche da un posto all'altro. Stava quasi per disperarsi quando notò che la sagoma familiare dell' One Man Army, che si distingueva per un cappotto rosso acceso con delle scritte nere sulla schiena, era a una decina di metri da lei, davanti a un edificio costruito al lato della piazza. Aveva un'aria molto dimessa e sembrava appartenere ad un altro mondo; facciata di legno, insegna di metallo scolorita dal tempo e una vetrata che dava su un interno buio e completamente vuoto, se non per dei tavolini e delle sedie.


Raggiunse Khan con un ultimo scatto e riprese fiato. Cosa doveva fare in quel rudere, quel locale abbandonato?. Il Mietitore aprì la porta, che cigolò mentre si scostava all'interno.


Entrarono. Dentro non era meglio che fuori; in un certo senso, non era molto migliore della locanda in cui lui l'aveva trovata. Lo spadaccino si guardò intorno, mentre la ragazza gli si avvicinava con aria dubbiosa.

«Sa che sono qui» disse, poi «Chissà dove si è nascosta. Stà dietro di me, potrebbe essere pericoloso.»

«Ma … ci sono nemici?» Non si era aspettata uno sviluppo del genere. Pensava, che dopo tutto quel tempo nel deserto, si sarebbero presi un po' di riposo.

«No, non veramente. È solo che lei ce l'ha a morte con me, perché una volta ho rifiutato di sposare sua figlia. In genere, ogni volta che mi vede -» un suono simile al sibilo di un serpente squarciò l'aria. Velocemente, Khan si girò, strappò il fodero della spada dalla cintura con un colpo secco e intercettò con essa il pugnale volante, che si conficcò nel legno nero, vibrando. «... ecco, questo si che mi riporta alla mente tanti ricordi.»

Licorice si era vista passare la lama a pochi centimetri dal naso, e sudava freddo, mentre guardava verso la zona d'ombra da cui era arrivato il coltello, sotto a una rampa di scale che portavano probabilmente al piano superiore. Una risata inquietante venne fuori dal buio e dall'umido insieme al rumore di passi strascicati.


Era una vecchina, una donna dai capelli grigio bianchi lunghi fino alle spalle (curve), un gran naso, gli occhi così infossati nel volto da sembrare perennemente socchiusi come in una sorta di espressione ironica o misteriosa. Una visione terrificante, contando che aveva appena tirato un utensile da cucina come un'arma - arma che avrebbe potuto finire benissimo nella testa di Licorice.

La vecchia in ciabatte si avvicinò con lentezza esasperante, continuando a ridacchiare. Khan sembrava tranquillo, anzi, immerso in qualche strana considerazione.

«Come hai saputo che sarei arrivato?» chiese, con un sorriso largo fino alle orecchie.

«Non si usa più, salutare? Screanzato.» L'espressione della vecchina si fece improvvisamente seria, e lanciò una specie di sguardo omicida verso lo spadaccino. «Credo che tu abbia trovato il mio coltello, mi è scivolato per sbaglio mentre affettavo le carote.»

«Le carote, si.»

In un sottoscala buio. Ed è scivolato alla velocità di un proiettile.

Prese la lama con due dita e la staccò dal fodero della spada, porgendolo gentilmente alla vecchia dalla parte del manico.

«La tua mira, cioé, abilità culinaria, è sempre impeccabile, Baa'mama.»

L'altra bofonchiò qualcosa e si rimise il coltello in una piega del vestito. «Mi lusinghi solo per chiedermi un favore. Bah! Se fossi stata io ad educarti, ti avrei fatto pentire, si. L'One Man Army qui … il Mietitore là … l'esercito qui … la spada leggendaria là … cosa vuoi da me, avere un altro soprannome? O sei in città solo per infastidire una povera vecchia, Kilik?»

«Mi faccio chiamare Khan, adesso»

«Appunto, Kilik. Girovagare di qua, di là, sempre senza passare più di una settimana nello stesso posto» scosse la testa «Dove pensi che ti porterà?

All'inferno, te lo dico io. Se invece ti fossi sistemato ...»

«Baa'mama ...»

«...se invece ti fossi sistemato, a quest'ora avresti già dei figli, una famiglia, alla tua età! Ai miei tempi ci sposavamo anche prima di te, e facevamo bene. Tutta questa storia dello spadaccino. Bah...»

«... insomma, non vuoi dirmi nulla.»

Il tono dell'anziana cambiò improvvisamente, passando dai borbottii a una voce incredibilmente seria, decisa e in qualche modo autorevole, come se a parlare fosse una persona di molti anni più giovane e con una certa attitudine al comando.

«Ci vuole essere ciechi, per non vedere dove stai andando.

Basta una mappa del continente, per capirlo … un giorno, ti tenderanno una trappola, se continui così»

Khan non sembrò affatto spaventato, mentre Licorice si stupì all'idea che qualcuno fosse talmente organizzato da rendere anche quell'idea possibile … ma d'altronde non aveva molto a che fare con quei problemi. Si parla sempre delle azioni incredibili dell'One Man Army, e mai che sono in molti, molti a volerne la testa.

In quel momento, lo sguardo di Baa'mama si posò a lungo su di lei, guardandola sul serio per la prima volta. Poi si voltò verso il terreno, tirò fuori una scopa dall'ombra del sottoscala, e cominciò a spazzare con forza.

«Abbiamo viaggiato e siamo stanchi. Puoi farci mangiare o ce ne andiamo»

«Ma si, restate, restate. Tanto quanto resterete? Un giorno, due? Ma si. Fai un po' come ti pare.»

«Licorice, se vuoi farti un bagno devi salire le scale, troverai acqua calda e vestiti puliti, prendi quello che vuoi. Io cerco di farmi dire da questa vecchia cornacchia dove tiene il cibo.»

«S-si, se posso ...»


Un po' riluttante dato che si trovava in una casa che non conosceva, salì le scale. Khan si sedette su uno dei tavolini scheggiati, e riallacciò la spada alla cintura.

Baa-sama si girò verso di lui, smettendo di spazzare.

«Cosa hai intenzione di farci con lei?»

«... è la mia allieva.»

Silenzio.

«Lo sai che non dovresti prendere allievi. Non puoi.»

Un sorriso forzato.

«Non mi hai appena detto di fare come mi pare? Bhé, forse è ora che io ignori qualche regola.»

.

.

«... bah. Giovani.»


*

Licorice si svegliò in un letto morbido, così morbido come non l'aveva mai sentito prima. Già le pareva un sogno dormire lì dopo il giaciglio di assi e foglie di granturco - troppo poche - della sua vecchia casa e dopo le notti all'addiaccio nel deserto. Si ricordava di essersi addormentata come un sasso la sera prima. Scansò le coperte e scese, la sottoveste che aveva trovato nell'armadio le scivolava addosso come se fosse fatta d'aria. Si avvicinò al mobile di fronte del letto, la sua immagine che la guardava attraverso uno specchio opaco e in certi punti scrostato.

Era una sua impressione o il suo volto stava diventando più chiaro?

O forse era perché gli ematomi sul suo corpo stavano guarendo senza che se ne fosse aggiungendo nessun altro? Già, nessuno la picchiava, ora.

Cercò nella pila di vestiti - poteva prendere ciò che voleva, così le era stato detto dall'anziana burbera - ma non sentiva nessuno di quegli abiti veramente suo. In verità non sapeva nemmeno come indossarli, alcuni. In fondo alla pila trovò una blusa bianca che abbinò con una gonna non molto lunga - non quanto avrebbe voluto, ma se doveva imparare a combattere, gonne sotto le ginocchia le avrebbero solo dato fastidio. Si sentiva ancora a disagio a prendere quei vestiti, anche se erano di gran lunga i più modesti del mucchio.

Camminando scalza uscì dalla camera. Forse avrebbe dovuto chiedere a Khan cosa ne pensava. Si, per sapere se era una tenuta pratica per il combattimento, certo. Solo per il combattimento.


La sera ricordava di averlo visto andare e venire dalla camera in fondo al corridoio, quindi si avvicinò alla porta, che era solo socchiusa, ed entrò.

Lui non si era ancora svegliato. Era nel mezzo di un letto matrimoniale, le coperte leggere che erano state scalciate sul fondo, vestito solo di un paio di pantaloni fino al ginocchio. Il sole entrava dalla finestra e gli splendeva addosso, ma la faccia era ancora all'ombra. Dormiva abbracciato alla spada, per quanto fosse incredibile da credere, aveva una mano sull'elsa e una sul fodero, come se fosse pronto ad estrarla nel sonno in qualsiasi momento.

Si sentiva imbarazzata a guardarlo dormire, ma rimase per studiare a fondo i dettagli del suo viso. Finalmente aveva un'espressione rilassata, e poteva guardarlo senza dover sostenere a sua volta il peso del suo sguardo.

I capelli lisci erano sparsi sul cuscino come i raggi di un sole nero, creando un contrasto fortissimo tra quel colore a piuma di corvo e la bianca stoffa. Da dietro la nuca partiva una treccia fatta con delle ciocche volutamente più lunghe, giusto di qualche centimetro. Intorno alla punta erano legati dei ciondoli e dei braccialetti colorati. Inoltre, sul viso, due ciocche di capelli della frangia, l'una vicino l'altra, erano tinte di rosso acceso.

Licorice ripensò ai suoi occhi castani, un colore molto comune. Tutto, nel suo aspetto, invece, faceva pensare che stesse cercando di non passare inosservato. Perché sennò andare in giro con un cappotto rosso come le fiamme con decorazioni praticamente uniche, un abito che sarebbe possibile riconoscere tra mille? E la treccia? E i capelli tinti?

Se ne uscì silenziosa come era entrata, e scese nella sala al piano terra, quella che doveva essere stata, una volta, una locanda. La differenza tra le stanze superiori era ovvia e lampante. La parte dei tavolini, per esempio, era completamente dismessa.

«Quando dorme qui, si sente al sicuro»

Sussultò. La vecchia aveva l'abitudine di venir fuori dal nulla all'improvviso, evidentemente.

«Probabilmente dormirà fino a tardi. Intanto mangia questo se hai fame»

E con un semplice gesto “lanciò” una scodella e un piatto su uno dei tavolini. Latte, pane, e della sostanza bluastra, gelatinosa e molto zuccherata. Marmellata di mirtilli.

«Cosa ...» con una certa curiosità appoggiò il dito sulla marmellata, portandolo poi alla lingua. L'espressione che fece fu abbastanza eloquente, dato che la vecchina sorrise tanto da sembrare addirittura rassicurante, familiare, prima di tornare alla solita aria truce.

«Mangia, mangia. Sei magrissima, sciupata, mi sorprende che i vestiti di mia figlia ti stiano addosso senza scivolare via ogni momento.»

Licorice si era praticamente buttata sul latte e sulla marmellata, assaggiando tutte quelle prelibatezze in una volta sola. Cercò di parlare mentre mangiava, con scarsi risultati, quindi si fermò.

«Vostra figlia? Dov'è, ora?»

«Oh, è morta.»

Baa-sama si stava fingendo incredibilmente distaccata. Però aveva ricominciato a spazzare il pavimento.

*

«Giovane, capelli neri, una treccia da dietro la nuca, due strisce di rosso sulla frangia, occhi castani, lineamenti tipici della Steppa, indossa sempre un cappotto rosso e una spada, molto pericoloso.»

Strappò il foglio dal muro aggiungendolo alla pila di quelli che aveva sottobraccio. La gente per strada - buona parte - lo riconosceva, lo indicava e subito scostava la testa. Qualcuno mormorava.

Guardò il disegno che avevano fatto di lui sotto la scritta a caratteri cubitali: ONE MAN ARMY.

«Ma io sono molto più bello di come mi hanno ritratto qui, però.»

Era il trentesimo annuncio che lo dava come ricercato e prometteva una taglia esorbitante. Il trentesimo che avevano staccato da un muro qualunque.

«Khan … ti stanno guardando tutti ...»

«Lo so» rispose «Ma nessuno ha il coraggio di rischiare la sua vita nemmeno per tutti quei soldi, non qui. E poi ho finito.»


Erano su uno dei terrazzamenti più alti della città. Il Mietitore riprese a camminare con i cartelloni sottobraccio, fino ad arrivare ad affacciarsi davanti alla via principale, quella che saliva dal deserto direttamente su fino al centro cittadino. Dovettero farsi spazio tra la folla, perché si stava infittendo.

«Tutta questa gente ...»

«Sai una cosa? Non siamo qui da nemmeno tre giorni … e ci capita di trovare una parata militare. Non potevo sperare di meglio.»

«Come?»

«Aspettami qui. Dovresti avere una visuale perfetta.»


E tornò indietro, lasciandola davanti a una ringhiera che sia affacciava sulla via solo poco sottostante. In lontananza si sentiva il suono dei tamburi rullare, dal basso: i militari sarebbero saliti fino a quel punto della Quarta Città, in quella piazza, dove era stato preparato un grande trono.

Una portantina uscì da un vicolo accompagnata da dodici guardie armate col solo compito di sfoltire la folla al loro passaggio.


«Rendete tutti omaggio al Duca Imperiale!»


Urlò il banditore. E mentre tutti, Licorice esclusa, si inchinavano, una scarpa di seta uscì dalla portantina appoggiandosi con grazia a terra.


*Note e Altro*

Il capitolo originariamente doveva essere più lungo, ma l'ho spezzato in due; mi è venuto in mente molto altro da dire, quindi ho materiale anche per il prossimo.

Mi è piaciuto, scrivendo, il modo in cui è venuto fuori il personaggio dell'anziana, dato che era quasi completamente inaspettato anche per me, non pensavo.

Il vero “spettacolo” sarà nel prossimo cap, ma non anticipo nulla.


Volevo ringraziare Dust_and_Diesel per i commenti sempre incoraggianti, è un piacere vedere che piace a qualcuno.

Idem per Kuroshi, che comunque mi sente su msn e quindi sa già tutto.


P.s: Sono un ragazzo, lol.

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Capitolo 4
*** 3. Lasciare un segno ***


Quando il Duca Imperiale scese, la carrozza si sollevò leggermente da terra di qualche centimetro. In effetti doveva essere un'impresa sopportare un peso del genere per una struttura dall'aria così piccola e fragile.

Grosso, grasso. La sua pelle è perfettamente liscia e rosa, la faccia colorata di pesante trucco bianco. Era vestito di seta e stoffe pregiate di fantasie dorate sullo sfondo azzurro ciano. In testa, portava un cappello a forma di parallelepipedo, dello stesso colore dei vestiti, che sembrava un po' una piccola torre.

Attorniato da guardie e servitù, spostò quel suo corpo mastodontico verso il trono.


Altre carrozze arrivarono, tutti rimasero prostrati a terra. Licorice, però, era l'unica in piedi, quasi ammaliata da quello strano spettacolo. Un altro nobile vestito quasi come il Duca, ma senza cappello, veramente molto giovane e magro a confronto, uscì dalla stessa portantina e per un attimo la fissò con quei suoi occhi neri a risalto con la maschera pallida. In quel momento, lei si accorse di essere l'unica nella folla a non essere in ginocchio, in pratica, il modo più rapido per attirare l'attenzione.


Quello sguardo la fece impallidire … e in fretta, nervosamente, si inchinò come gli altri.


Il giovane figlio del duca non disse nulla, e seguì il grosso padre sistemandosi alla destra del suo trono. Ben presto tutti i nobili si furono disposti intorno al trono in mezzo alla piazza e la parata militare, con i suoi tamburi che ora erano ancora più vicini, stava arrivando in cima.


La parata in realtà era molto più noiosa di quanto promettesse l'eccitazione di tutta quella gente. Una volta rialzatasi insieme agli altri, Licorice dovette stare quasi un'ora in piedi a sopportare il continuo sfilare di tutti quei soldati. All'inizio era impressionata di vedere così tante armi da fuoco, e armature scintillanti … ma dopo i primi venti minuti la noia incominciò a farsi sentire. Da un certo punto in poi le sembrarono tutti uguali, tutti in divisa, tutti a marciare come pupazzi, presentare le armi al Duca e andare via per una strada secondaria. A che servivano tutte quelle armi? L'Impero era in pace!


L'ennesimo reparto si fermò davanti al duca, fece il saluto militare … Un foglio di carta cominciò lentamente, come con pigrizia, a cadere dal cielo. E poi un altro, e un altro ancora.

In poco tempo, il cielo si riempì di fogli rettangolari svolazzanti.


Tutti con la faccia di Khan, sopra.


La folla iniziò a mormorare, fino a che qualcuno non alzò gli occhi al cielo e non vide una sagoma sopra uno dei tetti che no - non era una statua.

Lo spadaccino prese una rincorsa e si buttò dal tetto, atterrando su un balcone inferiore, per poi lanciarsi anche da quello, fino ad arrivare nel centro esatto della piazza.


Le guardie più vicine furono neutralizzate con dei colpi rapidi, con la parte non affilata della spada. Non aveva nemmeno toccato il suolo da cinque secondi e già c'erano dei corpi a terra intorno a lui. Con uno scatto si avvicinò al gruppo di nobili, portò l'arma al fianco, caricando un colpo …


Un semplice fendente. Un semicerchio fu disegnato in aria dalla punta d'acciaio della spada, punta che tagliò in due la gola grassa del Duca Imperiale …


La folla andò nel panico. C'era una testa per terra, ora, una testa con ancora quell'espressione a metà tra il gioviale e il severo. Con quelle sue guanciotte piene e rosse, come se fosse stato perennemente ubriaco.

Uno degli uomini dell'esercito prese il suo fucile e lo puntò contro l'One man Army, ma, improvvisamente, si rese conto di una cosa. Altri come lui stavano facendo la stessa, identica considerazione.


«Sparate a me» disse lui, ridendo con quel suo riso da sciacallo «e io eviterò i proiettili. Ma i vostri preziosi nobili … no.»


Si era posizionato esattamente tra le guardie e il seguito del Duca, sfruttando il fatto che agli aristocratici non piaceva avere guardie del corpo che si tenessero troppo vicine a loro - erano pur sempre plebei.


Il figlio del Duca, con espressione impassibile, disse, sottovoce:

«Ecco come un singolo uomo prende in scacco una Città.»

---


«Ottimo, ottimo»

Le sue mani grosse si sfregavano tra loro, scivolando sul sudore e facendo tintinnare gli anelli d'oro. Una mano si appoggiò sulle sue spalle, ma non era quella dell'uomo grasso. Era la mano del generale, quindi tutto andava bene, ancora.

Il Duca Imperiale di Calindara ha un gusto particolare per i bambini. È solito comprarli e poi usarli come schiavi, farsi nutrire, lavare, vestire, esclusivamente da bambini molto giovani. Ma voi siete diversi; non avrete niente a che fare con questo.”

L'uomo grasso si alzò in tutta la sua grandezza. Forse perché Khan era un bambino sembrava davvero un gigante rotondo ai suoi occhi. Ma non venne verso di lui. Era leggermente spostato al suo fianco, dove c'era A.

Il duca appoggiò una mano sulla testa di lei, leggermente piegandosi, e accarezzandole i capelli.

«Sei proprio una bella bambina.»

Il Generale si schiarì la voce:

«Le ricordo, signore, che sarebbe un grosso errore considerarli come bambini normali. Non avremmo investito il vostro tempo in maniera così indegna, altrimenti. La prego di tenere a mente questo fatto.»

Sembrò contrariato, e finì di seguire con le dita una ciocca dei capelli chiari di lei. Poi si raddrizzò, appoggiò le manone sui larghi fianchi, e disse:

«è un peccato, però. Un vero peccato. Un peccato che questa vostra creazione debba essere inutilmente sacrificata, domani, sul campo di battaglia. Siete congedati.»

Il Generale stavolta sorrise.

«Voi non avete fiducia in me. Ma confido che con i fatti di domani cambierete parere. Andiamo.»

Guidò il gruppo di bambini verso l'uscita. Solo Khan era rimasto a guardare, con gli occhi fissi, l'uomo grasso. Finché ad un certo punto non si girò, il peso della spada che si trascinava a fianco e che formava una linea dritta sul tappeto pregiato.


---

Era notte, e il palazzo era silenzioso. Una battaglia dopo l'altra, le avevano vinte tutte, avevano passato tutte le prove. I due più deboli, S. e D., erano morti, ma non aveva importanza. Erano strumenti. Come guardia imperiale, era permesso loro di dormire negli stessi quartieri del Duca, anche per una funzione di scorta. Khan non riusciva a dormire. C'era un grillo fuori dalla finestra che continuava a gracchiare, gracchiare, gracchiare.


Quando il grillo era morto - lo aveva ucciso - finalmente si era fatto silenzio, e il cadavere della creaturina era caduto dall'albero. Sembrava così piccolo, con le zampette rannicchiate contro la corazza. Non cantava più.

Dal giardino, tornò al corridoio interno che portava alle loro camere. La spada strusciava sul pavimento. Ad un certo punto si immobilizzò. C'era un rumore di passi … silenziosi. Una sagoma si delineò nell'ombra: era A.

Aveva indosso solo una semplice camicia da notte. I suoi occhi erano freddi e inespressivi come al solito.

«Che cosa ci fai in giro a quest'ora?»

Chiese lui, sospettoso.

«Fatti gli affari tuoi, poppante»

Khan storse il naso. A. aveva solo un anno più di lui, ed era più forte e più veloce.

«Cosa ci fai … in giro a quest'ora?»

Insistette. Non l'avrebbe avuta vinta di nuovo.

Stavolta, la ragazzina non rispose.

Quello che sarebbe diventato l'One Man Army si avvicinò. C'era un odore forte, intenso, proveniente da lei, un odore che non gli apparteneva. L'odore selvatico di un uomo.

Un uomo.


Sul collo bianco della bambina, c'era un segno arrossato. La traccia di un morso, o un bacio?


---

«Io sono l'One Man Army!» Disse, con voce chiara e forte «E con la mia spada ho ucciso il Duca Imperiale Faconio»

Buona parte della folla era corsa via urlando di paura, ma tanti erano rimasti per pura e semplice curiosità e gusto del macabro. La tensione nell'aria era altissima, i nobili sudavano freddo, temendo che a qualche giovane soldato potesse venire l'idea di contravvenire agli ordini e sparare.


Licorice era paralizzata. Di nuovo, era uguale a quella volta nella locanda, quando il sangue era sceso dalle scale come un fiume. Guardò lui. Le gambe aperte e le ginocchia leggermente piegate, la spada rivolta verso il basso, stretta con entrambe le mani. La corta treccia nera che ondeggiava al vento. Gli occhi castani, lampeggianti di adrenalina. Era l'unico, l'unico, l'unico, ad essere calmo in quella piazza.

Prese fiato. Il sorriso sul suo volto si cancellò.

Li ammazzerà! Li ammazzerà tutti!

Era ovvio, bastava guardarlo. Era così sicuro, fermo, contro quei soldati incerti e privi di ordini, vestiti con le pesanti armature da parata. Sprizzava pericolo da tutti i pori.

«Khan__!» Le sfuggì un grido, anche se subito dopo si tappò la bocca, rendendosi conto che non doveva dire il suo nome a quelle persone, non doveva far capire che lo conosceva, e non doveva distrarlo.

Per un attimo il suo sguardo color nocciola si spostò verso di lei, e l'espressione seria se ne andò, lasciando il posto ad una leggermente stupita.

In quel momento, tre soldati estrassero le spade e caricarono, urlando, pensando che forse avrebbero fatto in tempo a separare lui dai suoi ostaggi.


Il Mietitore si riprese subito. Rimise a posto la spada, indietreggiò, portò le mani all'indietro afferrando le maniche delle vesti di due nobili funzionari, che si videro tirati con una forza incredibile contro le guardie stesse. I soldati che erano partiti alla carica, quindi, dovettero per forza fermarsi. Dopodiché saltò sulla portantina che aveva usato il Duca per arrivare lì, e da lì si aggrappò ad una grondaia, risalendo velocemente lungo il muro, per fuggire dalla piazza.

Uno dei due aristocratici che era stato afferrato e usato come scudo, rosso in viso, cominciò a sbraitare:

«Sparate! SPARATEGLI ORA!»

Una pioggia di proiettili si schiantò contro la parete della casa, ma lui era già saltato sul tetto. I soldati più veloci fecero in tempo a ricaricare, ma prima che potessero riuscire a mirare a lui era già fuori visuale.

«SEGUITELO!»

Il figlio del Duca allora si alzò, arrivando al centro della piazza, e poggiò una mano bianca sopra al nobile nervoso.

«No, sarebbe inutile. Non voglio far morire uomini per prenderlo.

Da oggi in poi, io, Franchen figlio di Faconio, prendo il posto di mio padre come Duca Imperiale.»

E si sedette sul treno, spostando e gettando a terra il corpo del grasso genitore.

A Licorice veniva da vomitare, inoltre, era preoccupata per Khan. Facendosi strada fra la folla che cominciava a diventare di nuovo più fitta, tornò per uno dei vicoli da cui erano venuti.



Un ufficiale delle guardie si inchinò di fronte al nuovo Duca, e disse:

«Mio signore, davvero non volete che seguiamo l'One Man Army? O che teniamo d'occhio i suoi movimenti?»

«No, no. Non mi ucciderà di certo.

Piuttosto, hai visto quella ragazzina che non si è inchinata al cospetto di mio padre?»

Il soldato sembrò un attimo contrariato, e alzò il sopracciglio destro, non capendo quasi la domanda.

«Si, mi sembra di ricordarne il viso»

«Bene.

Portamela qui.»

«Come volete.»


Franchen fece scrocchiare le dita delle mani e passò ad esaminarsi le unghie, sul trono del padre, mentre il cadavere dell'uomo veniva portato via. Sotto la maschera di trucco bianco, però, era tutt'altro che insensibile...


*Note e Altro*

Ringrazio i miei recensori! Se sono così svelto a scrivere i capitoli è solo perché è davvero bello sentire che a qualcuno piace leggere quello che scrivo, sul serio. Selenite, grazie per tutte le belle cose che hai detto. Cercherò di snellire un po' la struttura dei periodi, a volte faccio delle frasi un po' pesanti.


Che dire?

Khan fa le sua entrata a effetto, nel posto in cui meno sembrava possibile …


La parte scritta in corsivo, è , ovviamente, una scena dall'infanzia dello spadaccino.

Chi ha mai visto l'anime di Seven Samurai si accorgerà che mi sono ispirato un po' per le descrizioni del duca imperiale e del figlio.

Al prossimo capitolo!


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Capitolo 5
*** 4. Il Mietitore viene sconfitto ***


Licorice si guardava intorno con aria più spaesata del solito. Era in una sala enorme, con le pareti decorate da affreschi e intarsi d'oro e colorate con altri colori sgargianti in fantasie astratte. Il pavimento era coperto da un tappeto che sembrava riprendere esattamente, punto per punto, la fantasia rappresentata sul soffitto. Rombi, quadrati, linee, altre figure. Nell'insieme era uno spettacolo disorientante. La stanza era rettangolare, e da dentro sembrava davvero finta.

Era in piedi davanti a due poltrone fatte con la stessa stoffa del tappeto, probabilmente, e sovraccariche di cuscini dorati. Quella più vicina evidentemente era stata preparata per lei. L'altra, invece, ospitava il nuovo Duca Imperiale Franchen.

«Puoi sederti. Come ti chiami?»

Il suo tono di voce era seccato, o forse nervoso.

«L-licorice.»

Rispose lei, rimanendo però in piedi. Le guardie l'avevano portata lì, in maniera molto gentile in verità, ma anche lasciando intendere che non poteva certo scappare. Khan non era da nessuna parte. Controllava in continuazione le finestre, aspettando di vederlo entrare da una di esse.

«Tu non sei di qui.»

«No, infatti ...»

«Altrimenti ti saresti inchinata con gli altri, poco fa»

«Si, mi dispiace, è che non sapevo ...»

«Bene, andiamo al dunque. Conosci l'One Man Army.»

Non era una domanda. Licorice si sentì gelare. In battaglia, non avrei tempo di proteggerti, quindi te la dovresti cavare da sola. Potresti essere presa come ostaggio per arrivare a me, e io non ti salverei. La voce di Khan iniziò a risuonare nella sua testa. Davvero era successo così presto? Quasi non riusciva a crederci.

Qualcosa - tutto - nella sua espressione lasciava intendere che era vero.

Ci fu una pausa di silenzio. Franchen abbassò un attimo lo sguardo, come se stesse pensando qualcosa, poi ritornò a guardarla. Si sentiva a disagio, e alla fine si sedette, appoggiando le mani sopra la gonna nel tentativo di coprire un po' di più le gambe magre con ancora segni di botte sopra.

Il Duca la guardava come se si stesse nutrendo della sua immagine. Si portò una mano al mento, riflettendo su cosa dire. Si era tolto il cappello lasciando che i capelli neri, lunghi, lisci e lucidissimi, ricadessero sulle spalle.

«... chissà cosa ci avrà trovato, in te ...»

Sembrava più una riflessione che una frase.

«C-come?»

Licorice incominciava a chiedersi che cosa doveva aspettarsi. Khan gli aveva ucciso il padre, ma quel tipo non sembrava affatto sorpreso. Aveva pensato che l'avesse catturata per avere informazioni, e invece … se ne stava lì con quell'aria pensante e l'espressione assorta, così diversa dalla maschera di altezzosità che aveva in pubblico.

«Ti ha mai fatto del male?»

«No»

«Ti ha mai scopata?»

«N-no!»

La sua voce era salita per un attimo di tono. Perché quelle domande?

«Che volete da me?»

Il Duca sbuffò e si accasciò sulla poltrona morbida.

«Chi sei, tu, veramente?» Chiese, ignorando le sue domande come se non avesse mai parlato. «Non hai nessuna dote speciale. Sei cieca da un occhio, tanto per cominciare. Ma non solo; sei magra, piena di lividi, capelli neri e poco curati, senza nessuna particolarità, e nemmeno eccezionalmente bella. Non che lui badi alla bellezza. E non sembri nemmeno molto sveglia. Sei comune, ingenua, una ragazza qualunque. Che cosa ha trovato lui in te? Eh?


Che fai, non rispondi?»

Lei rimaneva immobile al suo posto, tremando leggermente. Avrebbe voluto rispondere a quelle parole d'insulto - comunque era abituata a sentirsi dire molto peggio - la cosa più brutta era però che molte delle cose che diceva, erano vere. Le sentiva come vere. Non poteva negare di non essere “niente di speciale”. Anni e anni di lavori umilianti, d'altronde, non le avevano dato grossa autostima. Perciò iniziò a chiedersi, seriamente, perché alla fine il Mietitore aveva accettato di portarla con sé.

«Perché non ….» disse, il Duca Imperiale « … perché non rimani in questo palazzo, invece?»

Licorice sollevò la testa e spalancò gli occhi per la domanda, ancora una volta completamente inaspettata.


­-

Camminava per il corridoio pavimentato in legno. Era cresciuto di una decina di centimetri in altezza, ora la spada quasi non toccava più il terreno mentre la portava al fianco. Il Generale diceva che era normale, per loro, crescere ad un ritmo leggermente più veloce del normale.

Le battaglie andavano bene. Solo un altro di loro era morto, ma di malattia, quindi non contava. Il sistema funzionava. Il Generale diceva che X. non era normale fin dall'inizio, e diceva anche che a loro difficilmente sarebbe capitata una fine simile.

Un rumore da dietro l'angolo, alle sue spalle. Lo ignorò.

All'improvviso, un ragazzino riccamente vestito sbucò nel corridoio urlando, con alta sopra la testa una spada corta. Khan si guardò un attimo indietro, riconobbe chi lo stava attaccando, e con noncuranza si scansò di lato. La spada del “nemico” si conficcò nel legno, lasciandolo sbilanciato in avanti. A quel punto, Khan gli diede un calcio in pieno stomaco, facendogli mollare la presa sull'arma e mandandolo a terra con un tonfo.

L'espressione del nemico cambiò un attimo per il dolore, ma rimane fissata in quello sguardo d'odio.

«Tu! Voi! Perché voi...! Siete solo plebei! Come osi attaccare ME?»

Disprezzo. Odio. Ma anche invidia. Paura di qualcosa che non si riesce a capire.

«Come … oso?»

Ripeté lentamente lui. Se non si fosse trattato del figlio del Duca Imperiale, avrebbe tagliato in due il corpo di quel ragazzino così come aveva fatto con tutti gli altri che l'avevano attaccato.

«Io non prendo ordini da te. Tu sei solo ...»

Lo guardò negli occhi. Parlare, cercare le parole, era sempre una gran noia.

«... feccia.»

Girò le spalle tornò a camminare nel corridoio, lasciando che il piccolo nobile piangesse lì da solo.

Le sue sfuriate di gelosia e il tentativo di avere l'attenzione del padre, lui, né le capiva né gli interessavano.


---


«Potresti vivere a palazzo. Nel lusso. Nell'agiatezza. Senza fare lunghe marce, o allenamenti sfiatanti. Io ho il potere, il vero potere. Potresti rimanere con me.»

Tese la mano, bianca, verso di lei, alzandosi.

«Rimani con me.»

Il Duca le si avvicinò. Non riusciva a capire niente di quello che stava dicendo. Apriva e chiudeva la bocca senza emettere suoni.

Lui cercò di metterle una di quelle mani sulle spalle - quelle mani bianche, pulite, con tanti anelli - ma lei, d'istinto, lo scacciò via. Lui allora emise una specie di imprecazione e di forza strinse uno dei suoi polsi, costringendola ad alzarsi con uno strattone.

«Resta qui! Io posso darti tutto, capisci? TUTTO!

A LUI NON IMPORTA NULLA DI TE! NON GLI IMPORTA NULLA DI NESSUNO!»

Licorice non riusciva a liberarsi, rimaneva con lo sguardo basso e gemeva. Gli sembra di essere di nuovo alla locanda, qualunque cosa dicesse il Duca, gli sembrava di sentire l'oste che la insultava. Non poteva fare altro che scuotere la testa e mormorare singhiozzando.

In uno scatto d'ira, Franchen la lasciò libera, ma nello stesso momento la colpì con un pugno nel bel mezzo dello stomaco, facendola piegare in due.

La ragazza cadde sulla poltrona stringendosi le braccia intorno al corpo per il dolore. Lui si era già girato, e se ne stava andando.

«Vattene. Esci di qui. Togliti dalla mia vista»


---

Quando si rialzò, racimolò un po' di coraggio ed uscì dalla reggia, con la paura che le guardie potessero fermarla. Invece, arrivò fuori, nella piazza principale, come se niente fosse. Era pomeriggio, doveva essere passata da parecchio tempo l'ora del pasto. Non c'era quasi nessuno in giro per i ricchi quartieri.

Da sotto l'ombra di un portico, uscì una figura familiare.

Era Khan. Licorice gli corse incontro. Lui non disse niente.

«Khan! Mi dispiace, mi dispiace tanto! Il-il Duca! ...»

«Non importa. Andiamo via.»


Si incamminò con la solita andatura verso una delle vie secondarie, senza dire nulla, più taciturno del solito e con un'espressione … si poteva dire, preoccupata?

Licorice lo stette a guardare, poi lo raggiunse di corsa, e, timidamente, si aggrappò a un lembo del suo vestito rosso, come fosse stata una bambina.


*Note e Altro*


Anche questo capitolo non era - quasi - in programma; ma probabilmente riprenderò il personaggio del Duca in seguito. Anche qui c'è uno stralcio di background di Khan, e una scena eccessivamente zuccherosa alla fine :3

Non è da me.


L'ex-Duca e suo figlio sono fatti apposta per suscitare disprezzo, è normale se vi stanno antipatici xD


Scusate se questi spazi sono sempre piccini, ma in genere quando li scrivo o è tardi, o ho una voglia matta di pubblicare il tutto, o entrambe le cose.

Due parole ai fidati recensori:


Dust: Grazie ! È confortante sapere che i due personaggi principali ti piacciano. Piano piano li svilupperò un po' meglio. Figurati per la tua storia, piano piano leggerò tutto xD

Kuroshi: A quello che ti chiedevi un po' ho risposto in questo capitolo, e molto risponderò andando avanti con la storia, se lo facessi adesso, manderei tutto all'aria. Vedrai, non disperare !

Selenite: Bhé di sicuro non ho deluso le tue aspettative con il figlio del Duca, vero? Non è questione di limiti mentali, comunque; qui mi limito a capitoli corti, ma da altre parti a volte me ne sono uscito con frasi lunghissime e periodi illeggibili xD


Qualcuno di voi si starà chiedendo perché il nome del capitolo è “Il Mietitore viene sconfitto” … cercate pure di indovinare .D Anche se le informazioni per risolvere “l'enigma” le darò in uno dei prossimi cap.

Al prossimo capitolo !

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