One Man Army di Dark_Blame (/viewuser.php?uid=109676)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - La prima volta che incontrai il Mietitore ***
Capitolo 2: *** 1. Un nome troppo dolce ***
Capitolo 3: *** 2. Lo Spettacolo ***
Capitolo 4: *** 3. Lasciare un segno ***
Capitolo 5: *** 4. Il Mietitore viene sconfitto ***
Capitolo 1 *** Prologo - La prima volta che incontrai il Mietitore ***
One Man Army
La
taverna era semivuota da ormai una settimana, a parte loro.
Il
lerciume degli stivali appoggiati sopra al bancone era ormai un
avventore abituale e la puzza non se ne sarebbe andata tanto presto,
l'oste lo sapeva. Non c'era nessuno, nessuno in paese che sarebbe
stato capace di scacciare quei tipi da lì. Una banda di
quindici - e
dico quindici - bastardi armati. Ironia della sorte, la maggior parte
di loro nemmeno arrivava a saper contare oltre la dozzina.
Ma
non erano stupidi, no. Forse due o tre. Gli altri erano pericolosi,
cani randagi.
Con
le pistole.
Prese
uno straccio, ci sputò, e cominciò a pulire un
bicchiere. Inutile
fare tanti complimenti. Tanto nessuno avrebbe più
frequentato la sua
locanda, con la Banda stabilita lì ventiquattrore
al giorno.
Qualcuno andava e qualcuno usciva, ma c'era sempre
un buon numero di loro dentro.
A
mezzogiorno era l'ora di punta. Non si
sognavano
mica di andare fuori a rubare, col caldo che faceva.
«OSTE!
Dov'è la sguattera che ci porta da bere? Falle muovere quel
suo culo
da orba, abbiamo sete!»
Il
taverniere scosse la testa. Avevano sete, ma non pagavano mai, se non
per sfottere. Ed erano tanti. Le loro gole erano così
rovinate dal
sapore del tabacco da masticare, però, che non si
accorgevano di
tutta l'acqua di scolo che finiva regolarmente ad allungare la birra,
il che era un bene.
«LIIIIIIC!»
Anche l'oste urlò. Sospettava che quella dannata ragazzina
fosse
sorda, oltre che orba, a volte. Arrivò con il solito passo
da cane
bastonato e prese il vassoio con le birre senza dire una parola, lo
sguardo basso. Non era nemmeno arrivata al loro tavolo, che
già
avevano iniziato a prenderla in giro, mentre le loro mani scorrevano
sulla sua schiena. Erano più su di giri del solito, dato che
in
genere l'occhio cieco - non esattamente un bello spettacolo - bastava
a lasciarla in pace … entro un certo limite.
Le
loro mani …
Non
disse niente. Se solo avesse provato a fare qualcosa, sarebbe stato
solo peggio. Finì di servire le birre, e stava per andarsene
velocemente indietro quando uno di loro la fermò prendendola
per un
braccio.
«Dove
corri, bastarda. Non vedi che hai fatto schizzare tutta la birra
sulla mia giacca, eh? Ritardata.»
La
serva lo guardò, e i loro occhi si incrociarono. In quel
momento,
ebbe paura, perché nonostante gli insulti, capiva
benissimo.
Capiva che non c'era nessuna macchia di birra sulla giacca del
bandito, e che il suo tono non era quello di un uomo arrabbiato. Se
fosse stato arrabbiato, se la sarebbe potuta cavare con delle botte.
No.
Quegli
erano gli occhi di un uomo che aveva pensato a qualcosa di
divertente.
Occhi
che le facevano una paura dannata.
Non
ho fatto niente. Non ho fatto niente. Ora mi lascia andare. Ora mi
lascia andare.
Cercò
di dire delle scuse, ma le parole le uscirono fuori a pezzi. Scosse
la testa, i capelli neri che le ricadevano sul viso, e commise
l'errore di cercare di liberarsi.
«Ah-ah-ah.
Non pensarci nemmeno.»
I
compagni ridevano. Guardavano la scena, pendevano dalle labbra di
quello che parlava e si scambiavano sguardi complici.
Con
la mano libera il bandito estrasse la pistola, una colt nera polvere
da sparo, e dopo aver fatto alcuni giochetti con le dita, la prese
saldamente, e mise la canna tra le gambe di lei, proprio
tra
le ginocchia, dove finiva la gonna del vestito. Cominciò
piano, piano, a farla scorrere, verso il basso, ma poi subito verso
l'alto. Poteva sentire il metallo freddo sulla pelle nuda, e non
importava quanto stringesse i muscoli, gli altri si divertivano ancor
di più. Il vestito si sollevava docile man mano che la mano
avanzava, sempre più su, sempre più su, fino alla
biancheria …
«Oste.»
C'era una sagoma davanti all'ingresso. «Dammi da
bere.»
Il
nuovo arrivato era il primo vero cliente in una settimana. Si sedette
al banco. I cani randagi lo guardarono prima con diffidenza, ma
decisero che era più interessante il passatempo di prima.
La
ragazza si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo quando la
pistola
scivolò via dalla sua pelle, solo un attimo prima che la
tensione
aumentasse di nuovo e che sentisse la canna puntata contro le sue
natiche, alla ricerca … di un minuscolo … sporco
… buco.
Gemette,
ma la stretta del bandito era troppo forte.
«Che
ne diresti se sparassi, ora?» Le diceva quello «O
devo andare un
po' più a fondo?»
In
quel momento, un boccale da birra atterrò precisamente al
centro
della fronte del malvivente, rimbalzando sul pavimento e facendogli
perdere i sensi.
La
pistola cadde a terra, la presa si indebolì, la gonna del
vestito
tornò al suo posto.
Era
stato più veloce di quanto chiunque si sarebbe mai potuto
aspettare.
Gli sguardi di tutti si spostarono verso il banco. L'oste pavido e
opportunista? No. Era il nuovo arrivato. Aveva finito di bere, era
sceso dalla sedia girandosi, e aveva tirato il bicchiere, tutto in
una frazione di secondo.
«Chi
diavolo ...» I più veloci avevano già
le mani sulle fondine, ma
lo sconosciuto aveva fatto già qualche metro, aveva preso
una sedia
e l'aveva tirata contro il gruppo, colpendoli prima che potessero
premere il grilletto.
E
subito dopo, era già arrivato vicino a loro. O meglio.
Era
in piedi sul loro tavolo.
«Merda!
Ha una spada!»
«Ottima
visuale dei miei piedi, da qui.» Rispose lui, come se
c'entrasse
qualcosa. Con un calciò spazzò via tutti i
bicchieri dal tavolo,
mandando birra a fiumi e vetro ovunque, e cominciò a
spaccare la
faccia a tutti i banditi più vicini. Era uno spettacolo in
parte
terrificante e in parte ridicolo. Senza nemmeno estrarre un'arma,
aveva ridotto sette uomini allo svenimento se non alla morte, a
giudicare la strana angolazione del collo di qualcuno.
La
serva era immobilizzata, con l'unico occhio sano spalancato dallo
stupore, eppure non aveva smesso di tremare. Altri, sentendo il
rumore, stavano venendo giù dalle camere di sopra, scendendo
le
scale come un branco di bufali.
Mise
una mano al fodero ed una all'elsa.
Ed
erano tutti ad agonizzare sul pavimento quando la spada fu riposta.
Tranne uno, che era rimasto seduto in disparte, l'oste, e la ragazza.
Lo
sconosciuto si avvicinò a quello che non si era mosso.
«Tu
non mi hai attaccato» disse
«Perché?»
Il
capo-banda sorrise, cercando di nascondere il nervosismo.
«Ti
ho riconosciuto. Sarebbe stato inutile. So chi sei.»
«E
chi sono?»
«Sei
il Mietitore. Lo sterminatore di imperi. Sei l'esercito da un
solo
uomo.»
«Bene»
disse il Mietitore «Racconta a tutti che sono stato qui.
Racconta
ciò che hai visto.»
Detto
questo se ne andò, con calma e disinvoltura come se ne era
arrivato,
uscendo dalla taverna.
Una
puzza insopportabile proveniva dai pantaloni dell'oste.
Il
sangue colava sul pavimento giù dalle scale.
La
cameriera, finalmente, si mise a piangere.
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Capitolo 2 *** 1. Un nome troppo dolce ***
Più
che deserto si trattava di una grande distesa di niente. Niente
sabbia, niente dune, solo una pianura di terra battuta ovunque si
posasse lo sguardo. La piana era attraversata da miliardi di crepe e
venature nel terreno, causate dalla più totale mancanza
d'acqua. Era
come se il suolo, portato allo stremo dalla sete, stesse cercando di
aprire delle bocche sdentate dappertutto nel tentativo folle di
catturare anche solo un po' di umidità.
In
un posto così - ovviamente - non c'era spazio per la vita.
Molti
anni prima un ipotetico viaggiatore magari avrebbe potuto vedere dei
cambiamenti nel paesaggio, no so, magari un albero secco o un fascio
di erba bruciata dal sole. Ma adesso, nel presente, gli alberi e
l'erba secca, ogni forma di vegetazione possibile rimasta da tempi migliori, non erano
che polvere. E appunto, l'unica variazione nel panorama si verificava
quando il vento sollevava un po' di quella sabbia e creava sbuffi e
figure in aria.
E
quello era tutto ciò che ci fosse da vedere.
L'One
Man Army stava camminando con passo spedito in mezzo a quella
desolazione. Aveva fatto i suoi conti. Sprecare molto, molto tempo
per aggirare il deserto e fermarsi ogni tanto in degli stupidi
paesini di periferia, oppure attraversarlo tutto da un capo
all'altro, direttamente verso la Quarta Città Imperiale?
Ovvio.
Andare in mezzo al deserto era la soluzione migliore, anche se
chiunque l'avrebbe considerata una pazzia.
Il
sole era a picco. Si sedette un attimo su una sporgenza del terreno,
e bevette un po' d'acqua. Con la coda dell'occhio controllò
la
strada dalla quale era venuto … e sospirò.
Era
ancora là.
Lo
stava seguendo da tre giorni, senza mai avvicinarsi troppo per
qualche ragione. All'inizio voleva preparare una trappola, pensando
che si trattasse dell'ennesimo cacciatore di taglie - uno
particolarmente imbranato, dato che si era accorto subito della sua presenza - ma poi l'aveva riconosciuta. Era la cameriera della taverna
in cui aveva … “sostato”. Era convinto
che una volta entrati
nel deserto l'avrebbe lasciato perdere, e invece ...
«Chissà
che cosa diavolo vuole.» Disse. Parlare a se stessi
è un'abitudine
di ogni viaggiatore consumato, se per caso ve lo stavate chiedendo.
…
Era
sul punto di crollare. La sete la stava consumando velocemente, e
ogni singolo frammento di pelle esposto al sole si stava bruciando.
Non aveva né qualcosa con cui coprirsi la testa,
né delle scarpe
adatte alle lunghe camminate. Le suole delle sue, già
abbastanza vecchie e consumate, si erano assottigliate parecchio e non valevano nulla contro il
calore che saliva dal terreno. Era quasi come camminare su due
piastre ardenti. Ma dopo un po' aveva incominciato a non farci caso,
dato che aveva altri problemi; camminare senza perdere l'equilibrio,
per esempio, e cercare di capire perché stava vedendo
doppio.
Si
fermò di colpo, notando che qualcosa stava cambiando nel
panorama.
Un'ombra scura veniva nella sua direzione … aprì
le labbra
screpolate per dire qualcosa, ma non uscirono suoni dalla sua gola secca.
Cadde
a terra a faccia avanti, perdendo finalmente i sensi.
Quando
si risvegliò, si accorse che qualcuno le stava tenendo la
testa
alzata e una sensazione di fresco quasi dolorosa le partiva dalla
bocca. Acqua.
«Ferma.
Un po' per volta. Non berla tutta.»
Per
un po' non riuscì a fare altro che seguire le istruzioni
della voce.
Lentamente, riemerse dal sonno. Tentò di aprire gli occhi,
anche se
la luce dal cielo gli dava fastidio.
Lui
era piegato
sopra di lei, con
una borraccia in mano, e la squadrava con un'espressione a
metà tra
il preoccupato e il dubbioso, anche se era solo accennata.
Lui.
Quello che aveva ammazzato quattordici persone senza il minimo
sforzo.
Non
appena si fu ripresa abbastanza da capire quel fatto, una nuova
ondata di paura la invase … ma cercò di
trattenersi. L'altro non
disse nulla, e continuò ad aiutarla finché non fu
in grado di
alzarsi.
Prese
un lembo del suo mantello, lo strappò e glielo diede.
«Mettitelo
intorno alla testa come ho fatto io» disse
«Altrimenti prenderai un
altro colpo di sole.»
«Gr
… grazie ...» Ancora si sentiva stordita, com'era
comprensibile.
Stava accadendo tutto molto in fretta … e lo svenimento, a
dire la
verità, non era mai stato nei suoi piani.
«Puoi
avere l'acqua che resta in questa borraccia» disse lui,
letteralmente mettendogliela tra le mani «Se tieni un
buon
ritmo e cammini un po' stanotte, dovresti essere fuori dal deserto in
meno di un giorno. Va', ora. Addio.»
E,
così veloce da rimanere sorpresi, si girò e
cominciò ad andarsene
come se nulla fosse successo.
«E-ehi!
Aspetta!»
La
figura si fermò per un'ultima volta, ma rimase di spalle.
«Portami
con te!»
Di
nuovo, un sospiro. Ma forse lei se l'era immaginato: il mietitore non
poteva essere certo tipo da sospirare … anche se si era
dimostrato
incredibilmente gentile, a suo modo, per essere un pluriomicida, una
macchina da guerra.
«Non
se ne parla neanche lontanamente.»
«Perché
no? Ti prego ...»
Si
girò, e fissò la ragazza con occhi castani
straordinariamente intensi.
«Torna
a casa, ragazzina.»
«Ti
prego .. io … non posso tornare. Fammi diventare
… la tua
apprendista … non so »
«Già,
non sai. Moriresti alla prima occasione, perché anche se ti
insegnassi qualcosa, dovresti essere due volte più brava di
un
talento naturale per vedere gli attacchi con quell'occhio …
o
dovrei dire senza.»
«Non
importa! Io mi allenerò duramente! Io ...»
«Tu
cosa? Mi hai preso per una sorta di magnate o cosa? Io UCCIDO, e
questo è tutto. Stai forzando la mia pazienza,
vattene.»
La
distanza fra i due era diminuita, parlando, erano in pratica l'uno di
fronte all'altra. Il mietitore fece per girarsi di nuovo, ma la
ragazza gli afferrò un braccio, cercando di mostrarsi
più risoluta,
cercando di ignorare la voce che gli tremava.
«Allenami!
Non importa se corro il rischio di morire … Farò
tutto ciò che
vuoi! Solo … non lasciarmi indietro … non voglio
tornare … là»
Lui
afferrò con il pugno un lembo del suo vestito sporco,
all'altezza
del collo, e la sollevò fin sopra le spalle. Era leggera,
troppo
leggera. Nonostante cercasse di divincolarsi, però,
continuava a
fissarlo con il suo unico occhio.
«Sei
sicura di quello che stai dicendo? Ti metti così nelle mani
di uno
sconosciuto? Potrei non essere meglio dell'oste di quella taverna o
dei banditi, ci hai pensato? Potrei sbatterti tutte le notti e farti
andare in giro a quattro zampe di giorno, e sai una cosa? Tu non
potresti farci nulla.
In
battaglia, non avrei tempo di proteggerti, quindi te la dovresti
cavare da sola. Potresti essere presa come ostaggio per arrivare a
me, e io non ti salverei. Non avresti un momento
di riposo o
di svago. Mai.»
«....qua
… qualunque cosa. Qualunque cosa, va bene, è
uguale.»
Il
mietitore la mise giù. Non c'era più collera nel
suo sguardo, era
tornato ad essere freddo.
«Va
bene, allora. Il tuo allenamento inizia adesso - il nostro, anzi.
Visto
che non ho nessuna intenzione di tornare indietro a fare scorta,
attraverseremo il deserto con le provviste d'acqua che ho ora. Mezza
razione ognuno.
Vedi
di sistemarti. Sarà una lunga marcia»
Detto
ciò, le tirò quello che restava del mantello,
iniziando a
camminare. La ragazza era ancora stupita, ma per prima cosa
strappò
due strisce di tessuto e ci fasciò i piedi, visto che con le scarpe che si ritrovava non sarebbe potuta andare molto lontano. Il resto se lo buttò sulle spalle per
proteggersi dal sole.
«Come
devo chiamarti? Mietitore? Maestro? One man army-»
«Khan
andrà benissimo. Il tuo nome?»
«Licorice.»
«Licorice?»
rispose lui, quasi sovrappensiero. «Liquirizia …
un nome anche
troppo dolce, per un'apprendista spadaccina. Ironico.»
Lui
Non
era affatto quello che si dice un buon maestro.
Si
sarebbe abituata a vederlo quasi sempre di spalle, con quei vestiti
rossi accesi che saltavano sempre alla vista, le spalle dell'uomo che
aveva scelto di seguire, messa alle strette dalle …
necessità. Pur
di avere un cambiamento.
A
forza di seguire i suoi passi, di arrancare dietro al suo ritmo
veloce, si sarebbe riempita con nient'altro se non il desiderio di
raggiungerlo, un giorno, e camminare al suo fianco come sua pari, non
più come una seccatura o un'allieva. Allora... allora,
forse,
sarebbe stata libera, per la prima volta in vita sua.
Lei
Era
troppo magra e ridotta ad uno straccio.
Aveva
lividi dappertutto, e un aspetto trasandato. Quel corpo abituato alla
servitù e ai maltrattamenti
sarebbe
potuto svenire in qualsiasi momento, in un allenamento severo.
Per
non parlare dell'occhio cieco.
Probabilmente
non aveva mai fatto un pasto decente in vita sua.
E
cosa sarebbe successo se si fosse affezionato a lei?
Cosa
avrebbero detto, che si era rammollito?
E
i cacciatori di taglie?
Non
aveva importanza - un uomo che è abituato a uccidere, quando
salva
una vita, ha il dovere di prendersene la responsabilità.
«Muoviamoci.
La Quarta Città Imperiale ci attende.»
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Capitolo 3 *** 2. Lo Spettacolo ***
Stanchi
e sfibrati. Avevano camminato per miglia, spesso anche fino a notte
inoltrata, però, forse, il risultato ne valeva la pena.
Calindara,
la Quarta Città Imperiale, giaceva lì, sotto i
loro occhi, a poca
distanza. Era come guardare a una montagna col fianco ricoperto di
oro luccicante - quello, almeno, era l'effetto ottico causato dai
tetti di metallo dorato e dalle torri che partivano direttamente dal
piccolo monte ai margini del deserto. La Città aveva
affondato i
denti ben dentro la terra, creando continui terrazzamenti laddove in
origine c'era solo un rilievo senza nome e di poca importanza.
Piccolo, si, ma ricoprirlo, vetta esclusa, interamente d'acciaio e
mattone e oro e legno, era stata un'impresa incredibile e
nell'avvicinarsi, chiunque si sarebbe sentito schiacciato dall'enorme
mole di una metropoli talmente grande da aver ricoperto un monte.
Finalmente
raggiunsero la strada e il terreno sotto i loro piedi cessò
di
essere sabbioso e instabile, grazie alla pavimentazione di pietra.
Era quasi un sollievo.
Khan
il Mietitore si bagnò le labbra, trovandole secche e salate
come la
sabbia.
«Ho
bisogno di un maledetto bagno» disse, praticamente pensando
ad alta
voce. «L'ultima volta che sono stato qui avevano delle belle
terme,
acqua che esce direttamente dal monte.»
Licorice
non vedeva l'ora di togliersi quello che le restava del deserto
addosso, ma ad un certo punto arrossì visibilmente al
pensiero, Ogni
cosa comunque era grande e nuova per lei, che non poteva far altro
che spostare lo sguardo da una parte all'altra della strada man mano
che si addentravano in Calindara. Le case non erano di legno secco,
ma di pietra, mattoni e a volte addirittura di marmo, ostentando una
ricchezza sempre più pacchiana man mano che andavano avanti.
I
passanti erano tutti riccamente vestiti, ma non solo i membri delle
classi più abbienti; perfino i manovali sembravano in
qualche
maniera eleganti, tanto da far sembrare loro due, nuovi arrivati,
poco più che vagabondi.
Senza
dire una parola, Khan accelerò il passo, salendo una rampa
di scale
che portava al primo terrazzamento e poi svoltando in un vicolo al
lato della strada. Licorice iniziò a corrergli dietro, con
una paura
di perdersi in quel mondo a lei completamente nuovo che quasi la
soffocava. Scansò di fretta due abitanti, praticamente
inciampando
nel secondo e girandosi appena indietro per lanciare delle scuse,
imboccò il vicolo, al bivio riuscì a intravedere
di sfuggita la
sagoma del Mietitore e la seguì, arrivò in una
piazza affollata e
si rese conto che l'aveva perso di vista. C'erano troppe persone,
troppo via vai, troppi abiti colorati e troppe persone che andavano
di fretta come formiche da un posto all'altro. Stava quasi per
disperarsi quando notò che la sagoma familiare dell' One Man
Army,
che si distingueva per un cappotto rosso acceso con delle scritte
nere sulla schiena, era a una decina di metri da lei, davanti a un
edificio costruito al lato della piazza. Aveva un'aria molto dimessa
e sembrava appartenere ad un altro mondo; facciata di legno, insegna
di metallo scolorita dal tempo e una vetrata che dava su un interno
buio e completamente vuoto, se non per dei tavolini e delle sedie.
Raggiunse
Khan con un ultimo scatto e riprese fiato. Cosa doveva fare in quel
rudere, quel locale abbandonato?. Il Mietitore aprì la porta,
che
cigolò mentre si scostava all'interno.
Entrarono.
Dentro non era meglio che fuori; in un certo senso, non era molto
migliore della locanda in cui lui l'aveva trovata. Lo spadaccino si
guardò intorno, mentre la ragazza gli si avvicinava con aria
dubbiosa.
«Sa
che sono qui» disse, poi «Chissà dove si
è nascosta. Stà dietro
di me, potrebbe essere pericoloso.»
«Ma
… ci sono nemici?» Non si era aspettata uno
sviluppo del genere.
Pensava, che dopo tutto quel tempo nel deserto, si sarebbero presi un
po' di riposo.
«No,
non veramente. È solo che lei ce l'ha a morte con me,
perché una
volta ho rifiutato di sposare sua figlia. In genere, ogni volta che
mi vede -» un suono simile al sibilo di un serpente
squarciò
l'aria. Velocemente, Khan si girò, strappò il
fodero della spada
dalla cintura con un colpo secco e intercettò con essa il
pugnale
volante, che si conficcò nel legno nero, vibrando.
«... ecco,
questo si che mi riporta alla mente tanti ricordi.»
Licorice
si era vista passare la lama a pochi centimetri dal naso, e sudava
freddo, mentre guardava verso la zona d'ombra da cui era arrivato il
coltello, sotto a una rampa di scale che portavano probabilmente al
piano superiore. Una risata inquietante venne fuori dal buio e
dall'umido insieme al rumore di passi strascicati.
Era
una vecchina, una donna dai capelli grigio bianchi lunghi fino alle
spalle (curve), un gran naso, gli occhi così infossati nel
volto da
sembrare perennemente socchiusi come in una sorta di espressione
ironica o misteriosa. Una visione terrificante, contando che aveva
appena tirato un utensile da cucina come un'arma - arma che avrebbe
potuto finire benissimo nella testa di Licorice.
La
vecchia in ciabatte si avvicinò con lentezza esasperante,
continuando a ridacchiare. Khan sembrava tranquillo, anzi, immerso in
qualche strana considerazione.
«Come
hai saputo che sarei arrivato?» chiese, con un sorriso largo
fino
alle orecchie.
«Non
si usa più, salutare? Screanzato.» L'espressione
della vecchina si
fece improvvisamente seria, e lanciò una specie di sguardo
omicida
verso lo spadaccino. «Credo che tu abbia trovato il mio
coltello, mi
è scivolato per sbaglio mentre affettavo le
carote.»
«Le
carote, si.»
In
un sottoscala buio. Ed è scivolato alla velocità
di un proiettile.
Prese
la lama con due dita e la staccò dal fodero della spada,
porgendolo
gentilmente alla vecchia dalla parte del manico.
«La
tua mira, cioé, abilità culinaria, è
sempre impeccabile,
Baa'mama.»
L'altra
bofonchiò qualcosa e si rimise il coltello in una piega del
vestito.
«Mi lusinghi solo per chiedermi un favore. Bah! Se fossi
stata io ad
educarti, ti avrei fatto pentire, si. L'One Man Army qui …
il
Mietitore là … l'esercito qui … la
spada leggendaria là …
cosa vuoi da me, avere un altro soprannome? O sei in città
solo per
infastidire una povera vecchia, Kilik?»
«Mi
faccio chiamare Khan, adesso»
«Appunto,
Kilik. Girovagare di qua, di là, sempre senza passare
più di una
settimana nello stesso posto» scosse la testa «Dove
pensi che ti
porterà?
All'inferno,
te lo dico io. Se invece ti fossi sistemato ...»
«Baa'mama
...»
«...se
invece ti fossi sistemato, a quest'ora avresti già dei
figli, una
famiglia, alla tua età! Ai miei tempi ci sposavamo anche
prima di
te, e facevamo bene. Tutta questa storia dello spadaccino.
Bah...»
«...
insomma, non vuoi dirmi nulla.»
Il
tono dell'anziana cambiò improvvisamente, passando dai
borbottii a
una voce incredibilmente seria, decisa e in qualche modo autorevole,
come se a parlare fosse una persona di molti anni più
giovane e con
una certa attitudine al comando.
«Ci
vuole essere ciechi, per non vedere dove stai andando.
Basta
una mappa del continente, per capirlo … un giorno, ti
tenderanno
una trappola, se continui così»
Khan
non sembrò affatto spaventato, mentre Licorice si
stupì all'idea
che qualcuno fosse talmente organizzato da rendere anche quell'idea
possibile … ma d'altronde non aveva molto a che fare con
quei
problemi. Si parla sempre delle azioni incredibili dell'One Man Army,
e mai che sono in molti, molti a volerne la testa.
In
quel momento, lo sguardo di Baa'mama si posò a lungo su di
lei,
guardandola sul serio per la prima volta. Poi si voltò verso
il
terreno, tirò fuori una scopa dall'ombra del sottoscala, e
cominciò
a spazzare con forza.
«Abbiamo
viaggiato e siamo stanchi. Puoi farci mangiare o ce ne
andiamo»
«Ma
si, restate, restate. Tanto quanto resterete? Un giorno, due? Ma si.
Fai un po' come ti pare.»
«Licorice,
se vuoi farti un bagno devi salire le scale, troverai acqua calda e
vestiti puliti, prendi quello che vuoi. Io cerco di farmi dire da
questa vecchia cornacchia dove tiene il cibo.»
«S-si,
se posso ...»
Un
po' riluttante dato che si trovava in una casa che non conosceva,
salì le scale. Khan si sedette su uno dei tavolini
scheggiati, e
riallacciò la spada alla cintura.
Baa-sama
si girò verso di lui, smettendo di spazzare.
«Cosa
hai intenzione di farci con lei?»
«...
è la mia allieva.»
Silenzio.
«Lo
sai che non dovresti prendere allievi. Non puoi.»
Un
sorriso forzato.
«Non
mi hai appena detto di fare come mi pare? Bhé, forse
è ora che io
ignori qualche regola.»
….
….
«...
bah. Giovani.»
*
Licorice
si svegliò in un letto morbido, così morbido come
non l'aveva mai
sentito prima. Già le pareva un sogno dormire lì
dopo il giaciglio
di assi e foglie di granturco - troppo poche - della sua vecchia casa
e dopo le notti all'addiaccio nel deserto. Si ricordava di essersi
addormentata come un sasso la sera prima. Scansò le coperte
e scese,
la sottoveste che aveva trovato nell'armadio le scivolava addosso
come se fosse fatta d'aria. Si avvicinò al mobile di fronte
del
letto, la sua immagine che la guardava attraverso uno specchio opaco
e in certi punti scrostato.
Era
una sua impressione o il suo volto stava diventando più
chiaro?
O
forse era perché gli ematomi sul suo corpo stavano guarendo
senza
che se ne fosse aggiungendo nessun altro? Già, nessuno la
picchiava,
ora.
Cercò
nella pila di vestiti - poteva prendere ciò che voleva,
così le era
stato detto dall'anziana burbera - ma non sentiva nessuno di quegli
abiti veramente suo. In verità non sapeva nemmeno come
indossarli,
alcuni. In fondo alla pila trovò una blusa bianca che
abbinò con
una gonna non molto lunga - non quanto avrebbe voluto, ma se doveva
imparare a combattere, gonne sotto le ginocchia le avrebbero solo
dato fastidio. Si sentiva ancora a disagio a prendere quei vestiti,
anche se erano di gran lunga i più modesti del mucchio.
Camminando
scalza uscì dalla camera. Forse avrebbe dovuto chiedere a
Khan cosa
ne pensava. Si, per sapere se era una tenuta pratica per il
combattimento, certo. Solo per il combattimento.
La
sera ricordava di averlo visto andare e venire dalla camera in fondo
al corridoio, quindi si avvicinò alla porta, che era solo
socchiusa,
ed entrò.
Lui
non si era ancora svegliato. Era nel mezzo di un letto matrimoniale,
le coperte leggere che erano state scalciate sul fondo, vestito solo
di un paio di pantaloni fino al ginocchio. Il sole entrava dalla
finestra e gli splendeva addosso, ma la faccia era ancora all'ombra.
Dormiva abbracciato alla spada, per quanto fosse incredibile da
credere, aveva una mano sull'elsa e una sul fodero, come se fosse
pronto ad estrarla nel sonno in qualsiasi momento.
Si
sentiva imbarazzata a guardarlo dormire, ma rimase per studiare a
fondo i dettagli del suo viso. Finalmente aveva un'espressione
rilassata, e poteva guardarlo senza dover sostenere a sua volta il
peso del suo sguardo.
I
capelli lisci erano sparsi sul cuscino come i raggi di un sole nero,
creando un contrasto fortissimo tra quel colore a piuma di corvo e la
bianca stoffa. Da dietro la nuca partiva una treccia fatta con delle
ciocche volutamente più lunghe, giusto di qualche
centimetro.
Intorno alla punta erano legati dei ciondoli e dei braccialetti
colorati. Inoltre, sul viso, due ciocche di capelli della frangia,
l'una vicino l'altra, erano tinte di rosso acceso.
Licorice
ripensò ai suoi occhi castani, un colore molto comune.
Tutto, nel
suo aspetto, invece, faceva pensare che stesse cercando di non
passare inosservato. Perché sennò andare in giro
con un cappotto
rosso come le fiamme con decorazioni praticamente uniche, un abito
che sarebbe possibile riconoscere tra mille? E la treccia? E i
capelli tinti?
Se
ne uscì silenziosa come era entrata, e scese nella sala al
piano
terra, quella che doveva essere stata, una volta, una locanda. La
differenza tra le stanze superiori era ovvia e lampante. La parte dei
tavolini, per esempio, era completamente dismessa.
«Quando
dorme qui, si sente al sicuro»
Sussultò.
La vecchia aveva l'abitudine di venir fuori dal nulla all'improvviso,
evidentemente.
«Probabilmente
dormirà fino a tardi. Intanto mangia questo se hai
fame»
E
con un semplice gesto “lanciò” una
scodella e un piatto su uno
dei tavolini. Latte, pane, e della sostanza bluastra, gelatinosa e
molto zuccherata. Marmellata di mirtilli.
«Cosa
...» con una certa curiosità appoggiò
il dito sulla marmellata,
portandolo poi alla lingua. L'espressione che fece fu abbastanza
eloquente, dato che la vecchina sorrise tanto da sembrare addirittura
rassicurante, familiare, prima di tornare alla solita aria truce.
«Mangia,
mangia. Sei magrissima, sciupata, mi sorprende che i vestiti di mia
figlia ti stiano addosso senza scivolare via ogni momento.»
Licorice
si era praticamente buttata sul latte e sulla marmellata, assaggiando
tutte quelle prelibatezze in una volta sola. Cercò di
parlare mentre
mangiava, con scarsi risultati, quindi si fermò.
«Vostra
figlia? Dov'è, ora?»
«Oh,
è morta.»
Baa-sama
si stava fingendo incredibilmente distaccata. Però aveva
ricominciato a spazzare il pavimento.
*
«Giovane,
capelli neri, una treccia da dietro la nuca, due strisce di rosso
sulla frangia, occhi castani, lineamenti tipici della Steppa, indossa
sempre un cappotto rosso e una spada, molto pericoloso.»
Strappò
il foglio dal muro aggiungendolo alla pila di quelli che aveva
sottobraccio. La gente per strada - buona parte - lo riconosceva, lo
indicava e subito scostava la testa. Qualcuno mormorava.
Guardò
il disegno che avevano fatto di lui sotto la scritta a caratteri
cubitali: ONE MAN ARMY.
«Ma
io sono molto più bello di come mi hanno ritratto qui,
però.»
Era
il trentesimo annuncio che lo dava come ricercato e prometteva una
taglia esorbitante. Il trentesimo che avevano staccato da un muro
qualunque.
«Khan
… ti stanno guardando tutti ...»
«Lo
so» rispose «Ma nessuno ha il coraggio di rischiare
la sua vita
nemmeno per tutti quei soldi, non qui. E poi ho finito.»
Erano
su uno dei terrazzamenti più alti della città. Il
Mietitore riprese
a camminare con i cartelloni sottobraccio, fino ad arrivare ad
affacciarsi davanti alla via principale, quella che saliva dal
deserto direttamente su fino al centro cittadino. Dovettero farsi
spazio tra la folla, perché si stava infittendo.
«Tutta
questa gente ...»
«Sai
una cosa? Non siamo qui da nemmeno tre giorni … e ci capita
di
trovare una parata militare. Non potevo sperare di meglio.»
«Come?»
«Aspettami
qui. Dovresti avere una visuale perfetta.»
E
tornò indietro, lasciandola davanti a una ringhiera che sia
affacciava sulla via solo poco sottostante. In lontananza si sentiva
il suono dei tamburi rullare, dal basso: i militari sarebbero saliti
fino a quel punto della Quarta Città, in quella piazza, dove
era
stato preparato un grande trono.
Una
portantina uscì da un vicolo accompagnata da dodici guardie
armate
col solo compito di sfoltire la folla al loro passaggio.
«Rendete
tutti omaggio al Duca Imperiale!»
Urlò
il banditore. E mentre tutti, Licorice esclusa, si inchinavano, una
scarpa di seta uscì dalla portantina appoggiandosi con
grazia a
terra.
*Note
e Altro*
Il
capitolo originariamente doveva essere più lungo, ma l'ho
spezzato
in due; mi è venuto in mente molto altro da dire, quindi ho
materiale anche per il prossimo.
Mi
è piaciuto, scrivendo, il modo in cui è venuto
fuori il personaggio
dell'anziana, dato che era quasi completamente inaspettato anche per
me, non pensavo.
Il
vero “spettacolo” sarà nel prossimo cap,
ma non anticipo nulla.
Volevo
ringraziare Dust_and_Diesel per i commenti sempre incoraggianti,
è
un piacere vedere che piace a qualcuno.
Idem
per Kuroshi, che comunque mi sente su msn e quindi sa già
tutto.
P.s:
Sono un ragazzo, lol.
|
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Capitolo 4 *** 3. Lasciare un segno ***
Quando
il Duca Imperiale scese, la carrozza si sollevò leggermente
da terra
di qualche centimetro. In effetti doveva essere un'impresa sopportare
un peso del genere per una struttura dall'aria così piccola
e
fragile.
Grosso,
grasso. La sua pelle è perfettamente liscia e rosa, la
faccia
colorata di pesante trucco bianco. Era vestito di seta e stoffe
pregiate di fantasie dorate sullo sfondo azzurro ciano. In testa,
portava un cappello a forma di parallelepipedo, dello stesso colore
dei vestiti, che sembrava un po' una piccola torre.
Attorniato
da guardie e servitù, spostò quel suo corpo
mastodontico verso il
trono.
Altre
carrozze arrivarono, tutti rimasero prostrati a terra. Licorice,
però, era l'unica in piedi, quasi ammaliata da quello strano
spettacolo. Un altro nobile vestito quasi come il Duca, ma senza
cappello, veramente molto giovane e magro a confronto, uscì
dalla
stessa portantina e per un attimo la fissò con quei suoi
occhi neri
a risalto con la maschera pallida. In quel momento, lei si accorse di
essere l'unica nella folla a non essere in ginocchio, in pratica, il
modo più rapido per attirare l'attenzione.
Quello
sguardo la fece impallidire … e in fretta, nervosamente, si
inchinò
come gli altri.
Il
giovane figlio del duca non disse nulla, e seguì il grosso
padre
sistemandosi alla destra del suo trono. Ben presto tutti i nobili si
furono disposti intorno al trono in mezzo alla piazza e la parata
militare, con i suoi tamburi che ora erano ancora più
vicini, stava
arrivando in cima.
La
parata in realtà era molto più noiosa di quanto
promettesse
l'eccitazione di tutta quella gente. Una volta rialzatasi insieme
agli altri, Licorice dovette stare quasi un'ora in piedi a sopportare
il continuo sfilare di tutti quei soldati. All'inizio era
impressionata di vedere così tante armi da fuoco, e armature
scintillanti … ma dopo i primi venti minuti la noia
incominciò a
farsi sentire. Da un certo punto in poi le sembrarono tutti uguali,
tutti in divisa, tutti a marciare come pupazzi, presentare le armi al
Duca e andare via per una strada secondaria. A che servivano tutte
quelle armi? L'Impero era in pace!
L'ennesimo
reparto si fermò davanti al duca, fece il saluto militare
… Un
foglio di carta cominciò lentamente, come con pigrizia, a
cadere dal
cielo. E poi un altro, e un altro ancora.
In
poco tempo, il cielo si riempì di fogli rettangolari
svolazzanti.
Tutti
con la faccia di Khan, sopra.
La
folla iniziò a mormorare, fino a che qualcuno non
alzò gli occhi al
cielo e non vide una sagoma sopra uno dei tetti che no - non era una
statua.
Lo
spadaccino prese una rincorsa e si buttò dal
tetto, atterrando
su un balcone inferiore, per poi lanciarsi anche da quello, fino ad
arrivare nel centro esatto della piazza.
Le
guardie più vicine furono neutralizzate con dei colpi
rapidi, con la
parte non affilata della spada. Non aveva nemmeno toccato il suolo da
cinque secondi e già c'erano dei corpi a terra intorno a
lui. Con
uno scatto si avvicinò al gruppo di nobili, portò
l'arma al fianco,
caricando un colpo …
Un
semplice fendente. Un semicerchio fu disegnato in aria dalla punta
d'acciaio della spada, punta che tagliò in due la gola
grassa del
Duca Imperiale …
La
folla andò nel panico. C'era una testa per terra, ora, una
testa con
ancora quell'espressione a metà tra il gioviale e il severo.
Con
quelle sue guanciotte piene e rosse, come se fosse stato perennemente
ubriaco.
Uno
degli uomini dell'esercito prese il suo fucile e lo puntò
contro
l'One man Army, ma, improvvisamente, si rese conto di una cosa. Altri
come lui stavano facendo la stessa, identica considerazione.
«Sparate
a me» disse lui, ridendo con quel suo riso da sciacallo
«e io
eviterò i proiettili. Ma i vostri preziosi nobili
… no.»
Si
era posizionato esattamente tra le guardie e il seguito del Duca,
sfruttando il fatto che agli aristocratici non piaceva avere guardie
del corpo che si tenessero troppo vicine a loro - erano pur sempre
plebei.
Il
figlio del Duca, con espressione impassibile, disse, sottovoce:
«Ecco
come un singolo uomo prende in scacco una Città.»
---
«Ottimo,
ottimo»
Le
sue mani grosse si sfregavano tra loro, scivolando sul sudore e
facendo tintinnare gli anelli d'oro. Una mano si appoggiò
sulle sue
spalle, ma non era quella dell'uomo grasso. Era la mano del generale,
quindi tutto andava bene, ancora.
“Il
Duca Imperiale di Calindara ha un gusto particolare per i bambini.
È
solito comprarli e poi usarli come schiavi, farsi nutrire, lavare,
vestire, esclusivamente da bambini molto giovani. Ma voi siete
diversi; non avrete niente a che fare con questo.”
L'uomo
grasso si alzò in tutta la sua grandezza. Forse
perché Khan era un
bambino sembrava davvero un gigante rotondo ai suoi occhi. Ma non
venne verso di lui. Era leggermente spostato al suo fianco, dove
c'era A.
Il
duca appoggiò una mano sulla testa di lei, leggermente
piegandosi, e
accarezzandole i capelli.
«Sei
proprio una bella bambina.»
Il
Generale si schiarì la voce:
«Le
ricordo, signore, che sarebbe un grosso errore considerarli come
bambini normali. Non avremmo investito il vostro tempo in maniera
così indegna, altrimenti. La prego di tenere a mente questo
fatto.»
Sembrò
contrariato, e finì di seguire con le dita una ciocca dei
capelli
chiari di lei. Poi si raddrizzò, appoggiò le
manone sui larghi
fianchi, e disse:
«è
un peccato, però. Un vero peccato. Un peccato che questa
vostra
creazione debba essere inutilmente sacrificata, domani, sul campo di
battaglia. Siete congedati.»
Il
Generale stavolta sorrise.
«Voi
non avete fiducia in me. Ma confido che con i fatti di domani
cambierete parere. Andiamo.»
Guidò
il gruppo di bambini verso l'uscita. Solo Khan era rimasto a
guardare, con gli occhi fissi, l'uomo grasso. Finché ad un
certo
punto non si girò, il peso della spada che si trascinava a
fianco e
che formava una linea dritta sul tappeto pregiato.
---
Era
notte, e il palazzo era silenzioso. Una battaglia dopo l'altra, le
avevano vinte tutte, avevano passato tutte le prove. I due
più
deboli, S. e D., erano morti, ma non aveva importanza. Erano
strumenti. Come guardia imperiale, era permesso loro di dormire negli
stessi quartieri del Duca, anche per una funzione di scorta. Khan non
riusciva a dormire. C'era un grillo fuori dalla finestra che
continuava a gracchiare, gracchiare, gracchiare.
Quando
il grillo era morto - lo aveva ucciso - finalmente si era fatto
silenzio, e il cadavere della creaturina era caduto dall'albero.
Sembrava così piccolo, con le zampette rannicchiate contro
la
corazza. Non cantava più.
Dal
giardino, tornò al corridoio interno che portava alle loro
camere.
La spada strusciava sul pavimento. Ad un certo punto si
immobilizzò.
C'era un rumore di passi … silenziosi. Una sagoma si
delineò
nell'ombra: era A.
Aveva
indosso solo una semplice camicia da notte. I suoi occhi erano freddi
e inespressivi come al solito.
«Che
cosa ci fai in giro a quest'ora?»
Chiese
lui, sospettoso.
«Fatti
gli affari tuoi, poppante»
Khan
storse il naso. A. aveva solo un anno più di lui, ed era
più forte
e più veloce.
«Cosa
ci fai … in giro a quest'ora?»
Insistette.
Non l'avrebbe avuta vinta di nuovo.
Stavolta,
la ragazzina non rispose.
Quello
che sarebbe diventato l'One Man Army si avvicinò. C'era un
odore
forte, intenso, proveniente da lei, un odore che non gli apparteneva.
L'odore selvatico di un uomo.
Un
uomo.
Sul
collo bianco della bambina, c'era un segno arrossato. La traccia di
un morso, o un bacio?
---
«Io
sono l'One Man Army!» Disse, con voce chiara e forte
«E con la mia
spada ho ucciso il Duca Imperiale Faconio»
Buona
parte della folla era corsa via urlando di paura, ma tanti erano
rimasti per pura e semplice curiosità e gusto del macabro.
La
tensione nell'aria era altissima, i nobili sudavano freddo, temendo
che a qualche giovane soldato potesse venire l'idea di contravvenire
agli ordini e sparare.
Licorice
era paralizzata. Di nuovo, era uguale a quella volta nella locanda,
quando il sangue era sceso dalle scale come un fiume. Guardò
lui. Le
gambe aperte e le ginocchia leggermente piegate, la spada rivolta
verso il basso, stretta con entrambe le mani. La corta treccia nera
che ondeggiava al vento. Gli occhi castani, lampeggianti di
adrenalina. Era l'unico, l'unico, l'unico, ad essere calmo in quella
piazza.
Prese
fiato. Il sorriso sul suo volto si cancellò.
Li
ammazzerà! Li ammazzerà tutti!
Era
ovvio, bastava guardarlo. Era così sicuro, fermo, contro
quei
soldati incerti e privi di ordini, vestiti con le pesanti armature da
parata. Sprizzava pericolo da tutti i pori.
«Khan__!»
Le sfuggì un grido, anche se subito dopo si tappò
la bocca,
rendendosi conto che non doveva dire il suo nome a quelle persone,
non doveva far capire che lo conosceva, e non doveva distrarlo.
Per
un attimo il suo sguardo color nocciola si spostò verso di
lei, e
l'espressione seria se ne andò, lasciando il posto ad una
leggermente stupita.
In
quel momento, tre soldati estrassero le spade e caricarono, urlando,
pensando che forse avrebbero fatto in tempo a separare lui dai suoi
ostaggi.
Il
Mietitore si riprese subito. Rimise a posto la spada,
indietreggiò,
portò le mani all'indietro afferrando le maniche delle vesti
di due
nobili funzionari, che si videro tirati con una forza incredibile
contro le guardie stesse. I soldati che erano partiti alla carica,
quindi, dovettero per forza fermarsi. Dopodiché
saltò sulla
portantina che aveva usato il Duca per arrivare lì, e da
lì si
aggrappò ad una grondaia, risalendo velocemente lungo il
muro, per
fuggire dalla piazza.
Uno
dei due aristocratici che era stato afferrato e usato come scudo,
rosso in viso, cominciò a sbraitare:
«Sparate!
SPARATEGLI ORA!»
Una
pioggia di proiettili si schiantò contro la parete della
casa, ma
lui era già saltato sul tetto. I soldati più
veloci fecero in tempo
a ricaricare, ma prima che potessero riuscire a mirare a lui era
già
fuori visuale.
«SEGUITELO!»
Il
figlio del Duca allora si alzò, arrivando al centro della
piazza, e
poggiò una mano bianca sopra al nobile nervoso.
«No,
sarebbe inutile. Non voglio far morire uomini per prenderlo.
Da
oggi in poi, io, Franchen figlio di Faconio, prendo il posto di mio
padre come Duca Imperiale.»
E
si sedette sul treno, spostando e gettando a terra il corpo del
grasso genitore.
A
Licorice veniva da vomitare, inoltre, era preoccupata per Khan.
Facendosi strada fra la folla che cominciava a diventare di nuovo
più
fitta, tornò per uno dei vicoli da cui erano venuti.
Un
ufficiale delle guardie si inchinò di fronte al nuovo Duca,
e disse:
«Mio
signore, davvero non volete che seguiamo l'One Man Army? O che
teniamo d'occhio i suoi movimenti?»
«No,
no. Non mi ucciderà di certo.
Piuttosto,
hai visto quella ragazzina che non si è inchinata al
cospetto di mio
padre?»
Il
soldato sembrò un attimo contrariato, e alzò il
sopracciglio
destro, non capendo quasi la domanda.
«Si,
mi sembra di ricordarne il viso»
«Bene.
Portamela
qui.»
«Come
volete.»
Franchen
fece scrocchiare le dita delle mani e passò ad esaminarsi le
unghie,
sul trono del padre, mentre il cadavere dell'uomo veniva portato via.
Sotto la maschera di trucco bianco, però, era tutt'altro che
insensibile...
*Note
e Altro*
Ringrazio
i miei recensori! Se sono così svelto a scrivere i capitoli
è solo
perché è davvero bello sentire che a qualcuno
piace leggere quello
che scrivo, sul serio. Selenite, grazie per tutte le belle cose che
hai detto. Cercherò di snellire un po' la struttura dei
periodi, a
volte faccio delle frasi un po' pesanti.
Che
dire?
Khan
fa le sua entrata a effetto, nel posto in cui meno sembrava possibile
…
La
parte scritta in corsivo, è , ovviamente, una scena
dall'infanzia
dello spadaccino.
Chi
ha mai visto l'anime di Seven Samurai si accorgerà che mi
sono
ispirato un po' per le descrizioni del duca imperiale e del figlio.
Al
prossimo capitolo!
|
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Capitolo 5 *** 4. Il Mietitore viene sconfitto ***
Licorice
si guardava intorno con aria più spaesata del solito. Era in
una
sala enorme, con le pareti decorate da affreschi e intarsi d'oro e
colorate con altri colori sgargianti in fantasie astratte. Il
pavimento era coperto da un tappeto che sembrava riprendere
esattamente, punto per punto, la fantasia rappresentata sul soffitto.
Rombi, quadrati, linee, altre figure. Nell'insieme era uno spettacolo
disorientante. La stanza era rettangolare, e da dentro sembrava
davvero finta.
Era
in piedi davanti a due poltrone fatte con la stessa stoffa del
tappeto, probabilmente, e sovraccariche di cuscini dorati. Quella
più
vicina evidentemente era stata preparata per lei. L'altra, invece,
ospitava il nuovo Duca Imperiale Franchen.
«Puoi
sederti. Come ti chiami?»
Il
suo tono di voce era seccato, o forse nervoso.
«L-licorice.»
Rispose
lei, rimanendo però in piedi. Le guardie l'avevano portata
lì, in
maniera molto gentile in verità, ma anche lasciando
intendere che
non poteva certo scappare. Khan non era da nessuna parte. Controllava
in continuazione le finestre, aspettando di vederlo entrare da una di
esse.
«Tu
non sei di qui.»
«No,
infatti ...»
«Altrimenti
ti saresti inchinata con gli altri, poco fa»
«Si,
mi dispiace, è che non sapevo ...»
«Bene,
andiamo al dunque. Conosci l'One Man Army.»
Non
era una domanda. Licorice si sentì gelare. In
battaglia, non
avrei tempo di proteggerti, quindi te la dovresti cavare da sola.
Potresti essere presa come ostaggio per arrivare a me, e io non ti
salverei. La voce di Khan iniziò a risuonare
nella sua testa.
Davvero era successo così presto? Quasi non riusciva a
crederci.
Qualcosa
- tutto - nella sua espressione lasciava intendere che era vero.
Ci
fu una pausa di silenzio. Franchen abbassò un attimo lo
sguardo,
come se stesse pensando qualcosa, poi ritornò a guardarla.
Si
sentiva a disagio, e alla fine si sedette, appoggiando le mani sopra
la gonna nel tentativo di coprire un po' di più le gambe
magre con
ancora segni di botte sopra.
Il
Duca la guardava come se si stesse nutrendo della sua immagine. Si
portò una mano al mento, riflettendo su cosa dire. Si era
tolto il
cappello lasciando che i capelli neri, lunghi, lisci e lucidissimi,
ricadessero sulle spalle.
«...
chissà cosa ci avrà trovato, in te ...»
Sembrava
più una riflessione che una frase.
«C-come?»
Licorice
incominciava a chiedersi che cosa doveva aspettarsi. Khan gli aveva
ucciso il padre, ma quel tipo non sembrava affatto sorpreso. Aveva
pensato che l'avesse catturata per avere informazioni, e invece
…
se ne stava lì con quell'aria pensante e l'espressione
assorta, così
diversa dalla maschera di altezzosità che aveva in pubblico.
«Ti
ha mai fatto del male?»
«No»
«Ti
ha mai scopata?»
«N-no!»
La
sua voce era salita per un attimo di tono. Perché quelle
domande?
«Che
volete da me?»
Il
Duca sbuffò e si accasciò sulla poltrona morbida.
«Chi
sei, tu, veramente?» Chiese, ignorando le sue domande come se
non
avesse mai parlato. «Non hai nessuna dote speciale. Sei cieca
da un
occhio, tanto per cominciare. Ma non solo; sei magra, piena di
lividi, capelli neri e poco curati, senza nessuna
particolarità, e
nemmeno eccezionalmente bella. Non che lui badi alla bellezza. E non
sembri nemmeno molto sveglia. Sei comune, ingenua, una ragazza
qualunque. Che cosa ha trovato lui in te? Eh?
Che
fai, non rispondi?»
Lei
rimaneva immobile al suo posto, tremando leggermente. Avrebbe voluto
rispondere a quelle parole d'insulto - comunque era abituata a
sentirsi dire molto peggio - la cosa più brutta era
però che molte
delle cose che diceva, erano vere. Le sentiva come vere. Non poteva
negare di non essere “niente di speciale”. Anni e
anni di lavori
umilianti, d'altronde, non le avevano dato grossa autostima.
Perciò
iniziò a chiedersi, seriamente, perché alla
fine il
Mietitore aveva accettato di portarla con sé.
«Perché
non ….» disse, il Duca Imperiale «
… perché non rimani in
questo palazzo, invece?»
Licorice
sollevò la testa e spalancò gli occhi per la
domanda, ancora una
volta completamente inaspettata.
–-
Camminava
per il corridoio pavimentato in legno. Era cresciuto di una decina di
centimetri in altezza, ora la spada quasi non toccava più il
terreno
mentre la portava al fianco. Il Generale diceva che era normale, per
loro, crescere ad un ritmo leggermente più veloce del
normale.
Le
battaglie andavano bene. Solo un altro di loro era morto, ma di
malattia, quindi non contava. Il sistema funzionava. Il Generale
diceva che X. non era normale fin dall'inizio, e diceva anche che a
loro difficilmente sarebbe capitata una fine simile.
Un
rumore da dietro l'angolo, alle sue spalle. Lo ignorò.
All'improvviso,
un ragazzino riccamente vestito sbucò nel corridoio urlando,
con
alta sopra la testa una spada corta. Khan si guardò un
attimo
indietro, riconobbe chi lo stava attaccando, e con noncuranza si
scansò di lato. La spada del “nemico” si
conficcò nel legno,
lasciandolo sbilanciato in avanti. A quel punto, Khan gli diede un
calcio in pieno stomaco, facendogli mollare la presa sull'arma e
mandandolo a terra con un tonfo.
L'espressione
del nemico cambiò un attimo per il dolore, ma rimane fissata in
quello sguardo d'odio.
«Tu!
Voi! Perché voi...! Siete solo plebei! Come osi attaccare
ME?»
Disprezzo.
Odio. Ma anche invidia. Paura di qualcosa che non si riesce a capire.
«Come
… oso?»
Ripeté
lentamente lui. Se non si fosse trattato del figlio del Duca
Imperiale, avrebbe tagliato in due il corpo di quel ragazzino
così
come aveva fatto con tutti gli altri che l'avevano attaccato.
«Io
non prendo ordini da te. Tu sei solo ...»
Lo
guardò negli occhi. Parlare, cercare le parole, era sempre
una gran
noia.
«...
feccia.»
Girò
le spalle tornò a camminare nel corridoio, lasciando che il
piccolo
nobile piangesse lì da solo.
Le
sue sfuriate di gelosia e il tentativo di avere l'attenzione del
padre, lui, né le capiva né gli interessavano.
---
«Potresti
vivere a palazzo. Nel lusso. Nell'agiatezza. Senza fare lunghe marce,
o allenamenti sfiatanti. Io ho il potere, il vero potere. Potresti
rimanere con me.»
Tese
la mano, bianca, verso di lei, alzandosi.
«Rimani
con me.»
Il
Duca le si avvicinò. Non riusciva a capire niente di quello
che
stava dicendo. Apriva e chiudeva la bocca senza emettere suoni.
Lui
cercò di metterle una di quelle mani sulle spalle - quelle
mani
bianche, pulite, con tanti anelli - ma lei, d'istinto, lo
scacciò
via. Lui allora emise una specie di imprecazione e di forza strinse
uno dei suoi polsi, costringendola ad alzarsi con uno strattone.
«Resta
qui! Io posso darti tutto, capisci? TUTTO!
A
LUI NON IMPORTA NULLA DI TE! NON GLI IMPORTA NULLA DI
NESSUNO!»
Licorice
non riusciva a liberarsi, rimaneva con lo sguardo basso e gemeva. Gli
sembra di essere di nuovo alla locanda, qualunque cosa dicesse il
Duca, gli sembrava di sentire l'oste che la insultava. Non poteva
fare altro che scuotere la testa e mormorare singhiozzando.
In
uno scatto d'ira, Franchen la lasciò libera, ma nello stesso
momento
la colpì con un pugno nel bel mezzo dello stomaco, facendola
piegare
in due.
La
ragazza cadde sulla poltrona stringendosi le braccia intorno al corpo
per il dolore. Lui si era già girato, e se ne stava andando.
«Vattene.
Esci di qui. Togliti dalla mia vista»
---
Quando
si rialzò, racimolò un po' di coraggio ed
uscì dalla reggia, con
la paura che le guardie potessero fermarla. Invece, arrivò
fuori,
nella piazza principale, come se niente fosse. Era pomeriggio, doveva
essere passata da parecchio tempo l'ora del pasto. Non c'era quasi
nessuno in giro per i ricchi quartieri.
Da
sotto l'ombra di un portico, uscì una figura familiare.
Era
Khan. Licorice gli corse incontro. Lui non disse niente.
«Khan!
Mi dispiace, mi dispiace tanto! Il-il Duca! ...»
«Non
importa. Andiamo via.»
Si
incamminò con la solita andatura verso una delle vie
secondarie,
senza dire nulla, più taciturno del solito e con
un'espressione …
si poteva dire, preoccupata?
Licorice
lo stette a guardare, poi lo raggiunse di corsa, e, timidamente, si
aggrappò a un lembo del suo vestito rosso, come fosse stata
una
bambina.
*Note
e Altro*
Anche
questo capitolo non era - quasi - in programma; ma probabilmente
riprenderò il personaggio del Duca in seguito. Anche qui
c'è uno
stralcio di background di Khan, e una scena eccessivamente zuccherosa
alla fine :3
Non
è da me.
L'ex-Duca
e suo figlio sono fatti apposta per suscitare disprezzo, è
normale
se vi stanno antipatici xD
Scusate
se questi spazi sono sempre piccini, ma in genere quando li scrivo o
è tardi, o ho una voglia matta di pubblicare il tutto, o
entrambe le
cose.
Due
parole ai fidati recensori:
Dust:
Grazie !
È confortante sapere
che i due personaggi principali ti piacciano. Piano piano li
svilupperò un po' meglio. Figurati per la tua storia, piano
piano
leggerò tutto xD
Kuroshi:
A quello che
ti chiedevi un po'
ho risposto in questo capitolo, e molto risponderò andando
avanti
con la storia, se lo facessi adesso, manderei tutto all'aria. Vedrai, non
disperare !
Selenite:
Bhé
di sicuro non ho deluso le
tue aspettative con il figlio del Duca, vero? Non è
questione di
limiti mentali, comunque; qui mi limito a capitoli corti, ma da altre
parti a volte me ne sono uscito con frasi lunghissime e periodi
illeggibili xD
Qualcuno
di voi si starà chiedendo perché il nome del
capitolo è “Il
Mietitore viene sconfitto” … cercate pure di
indovinare .D Anche
se le informazioni per risolvere “l'enigma” le
darò in uno dei
prossimi cap.
Al
prossimo capitolo !
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