Di pentimenti e di partite

di Appleeatyou
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prima manches [Primo turno] ***
Capitolo 2: *** 2. Seconda manches/ Time Out ***
Capitolo 3: *** Terza manches_Ultimo capitolo ***



Capitolo 1
*** 1. Prima manches [Primo turno] ***


Salve a tutti^^
E' la prima volta che pubblico in questa sezione, quindi piacere di fare la vostra conoscenza.
Questa è una Originale che ho scritto in occasione dell'ottava edizione dell'Original concorsi indetto da Eylis sul forum di efp.
Questa volta il tema era La stazione e... il Drago. E io ho creato questa one-shot di cinquemiladuecento parole.
Ho deciso di usare la suddivisione del testo originale, in turni, perché in effetti era una storia un po' troppo lunga per essere pubblicata tutta in una sola botta. Fate conto però che sia una one-shot, infatti non tarderò ad aggiungere le parti che seguono.
Comunque, non saranno più di tre o quattro aggiornamenti^^
Con questa storia, mi sono classificata SESTA su ventisette partecipanti. Il giudzio e il banner lo inserirò nell'ultimo capitolo della storia^^
In ogni caso, spero vi piaccia^^




• Nick dell’autore: Erena[-chan]
• Titolo: Di pentimento e di partite.
• Tipologia: one-shot suddivisa. O luna mini-long fiction. Io comunque l’ho pensata come una oneshot suddivisa in momenti!
• Lunghezza: circa 5’200 parole. In tutto sono tredici pagine di storia, più una di commento.
• Genere: Drammatico, Introspettivo, Soprannaturale.

• Avvertimenti: Oneshot
• Rating: Giallo
• Credits Le prime due frasi in inglese appartengono alla canzone Because of you di Kelly Clarkson. La citazione è ripresa invece dal film di animazione Finding Nemo, e viene pronunciata dal personaggio Dori. Tutto il resto è di miaaaa proprietàààà! Gli avvenimenti qui descritti non sono davvero avvenuti.
• Età dell'autore: 18 anni
• Note dell'autore: Alla fine.
• Introduzione alla storia:
Non puoi fare in modo che non gli capiti mai niente, dovrebbe non fare mai niente… sai che noia, povero Sergio! [Dori, tratto da Finding Nemo]

 

 

Buona lettura!

 

 

 

 

 

Di pentimento e di partite.

 

 

You never thought of anyone else you just saw your pain…

[…]

Because of you I learned to play in a safe side so I don’t get hurt.

[K. Clarkson]

 

 

 

Non puoi fare in modo che non gli capiti mai niente, dovrebbe non fare mai niente… sai che noia, povero Sergio!

[Dori]

 

 

[Game is starting]

 

 

 

 

 

 

1. Prima Manches [Primo turno]

 

Era buffo che ci fosse il sole, in una giornata tanto funesta... e per Cyndia quella giornata era terribile, non sono funesta.

 

Il cielo era blu come poche volte l’aveva visto, in Scozia: un azzurro limpido, solcato da un paio di nuvolette bianche e pure come batuffoli di cotone. Faceva caldo, non caldo umido o afoso, non una pioggerellina che intrizziva le ossa, ma quel caldo piacevole che i depliant delle compagnie di viaggio assicuravano sempre per luoghi come la Florida o le Hawaii.

 

Oltretutto, la Stazione cui lei si trovava davanti non aveva nulla a che fare con la bigia struttura di Ring Scotland Cross, la stazione che collegava Iverness, capitale del distretto Highland, a tutto il resto della Scozia.

 

In verità, Cyndia ricordava solo quel particolare, e nulla più. Ma proprio niente. Niente di niente.

Ricordava il suo nome, ma solo perché doveva essere stampato a fuoco nella sua mente: tutto il resto era una nebbia nebulosa, che non sembrava diradarsi neppure di un millimetro per permetterle di vedere chi cavolo fosse questa Cyndia.

 

Perché, era pur vero che ricordava il suo nome, ma non le veniva alla mente neppure un minuscolo episodio della sua vita, né del suo carattere, né dei suoi affetti. Sarebbe potuta benissimo uscirsene con la domanda “Cyndia chi?” senza venirne a capo neppure per sbaglio. Era una sensazione assurda, quella di non sapere nulla di se stessi. Era inquietante e sinistro essere al mondo e non conoscere se stessi neppure quel grammo necessario ad immaginare il modo di reagire ad un’amnesia totale come era la sua.

 

Naturalmente qualcosa provava. Confusione, certo, e un vago senso di panico. Chissà se lei soffriva di attacchi di panico? O andava in iperventilazione? O, merda, era debole di cuore?

 

Oh, beh, particolari come quelli poteva scoprirli facilmente. Bastava aspettare e vedere se per caso veniva stroncata da un infarto alle coronarie.

Coronarie? Non si diceva un infarto al miocardio?

Sto divagando, si disse Cyndia, e ritenne di aver scoperto due cose su se stessa: era colta [o vedeva un sacco di talk show e imparava termini tecnici da lì] e tendeva a divagare. Anche se quell’ultimo particolare poteva essere benissimo un semplice sintomo di shock da oh-merda-chi-cazzo-sono.

Oh, a quanto pareva era anche una donna volgare. O pensava in maniera volgare. Forse era una Gangster, con il sigaro perennemente tra le labbra e un occhio semichiuso in un’espressione di fastidio e minaccia, come il compianto Humphrey Bogart in molti suoi film.

 

Cyndia 2 – Amnesia 0. Aveva scoperto anche di aver visto un sacco di film.

 

 Oh, beh, pazienza. Non poteva tornare indietro [c’era un muro dietro di lei, e non c’era né una finestra né una porta. Neppure chiusa. Da dove cavolo era entrata nella Stazione?], quindi non le restava che avvicinarsi al treno e sperare di trovare un biglietto nella tasca del jeans blu che indossava.

 

Cominciò a camminare a passo svelto verso il treno, accorgendosi con fastidio di avvertire un  dolore al bassoventre. Era come se le fossero venute le mestruazioni con tanto di crampi, ma non si sentiva bagnata. Le faceva solo male tra le gambe, e basta.

E poi il dolore scemava mentre si avvicinava al treno, quindi poteva essere benissimo un dolore causato da qualche posizione sbagliata che aveva assunto prima, dopo o durante il suo arrivo alla Stazione. Niente di preoccupante, insomma.

 

Si avvicinò sempre più agli archi che delimitavano le rotaie, chiedendosi vagamente perché il treno fosse così pieno. C’erano un sacco di persone che stavano facendo la fila per salire, la maggior parte in jeans e maglietta. Solo un paio erano vestiti di tutto punto, ma soprattutto c’erano anche dei soggetti vestiti in maniera piuttosto strana: c’erano due vestiti da pilota d’aereo, uno vestito da campagnolo e ben quattro in mutande.

 

Fu quello, il vedere quelle persone con addosso solo un paio di mutande che fece finalmente diradare la nebbia di shock che era calata su Cyndia. Improvvisamente fu perfettamente consapevole di essere un’estranea a se stessa, e che era totalmente sola. Ma sola sul serio.

Si fermò proprio a pochi metri dalla porta più alla destra del treno, immobile come uno stoccafisso, poi si premette una mano sulla bocca e cominciò a tremare violentemente.

 

Le veniva da vomitare e da ridere e da piangere, tutto insieme, come se il suo corpo fosse ancora più spaesato di lei e non sapesse per nulla in quale direzione reagire. Alla fine l’isteria ebbe la meglio, e Cyndia si lasciò cadere su una delle panchine alla stazione con il volto tra le mani.

Cominciò a ridere e piangere insieme, mentre l’imbuto emotivo che stava governando le sue reazioni in quel momento non accennava a ristabilizzarsi.

 

-“ Assurdo. Assurdo!”- borbottò la donna fra le lacrime, tentando di assumere un tono sprezzante alla propria voce tremula, ma il risultato che ottenne fu meno che mediocre: una specie di guaito da cane bastonato, e neppure ben articolato. Con la gola e il naso intasati dalle lacrime non riusciva a pronunciare correttamente le lettere, e il suono che le uscì fu un lamento incomprensibile.

 

Ci volle poco tempo perché Cyndia cominciasse a calmarsi, stemperando i singhiozzi disperati e strazianti in un pianto triste, ma fondamentalmente innocuo. Piangere poteva andare bene, ma ridere e piangere e strillare era una cosa… beh, da pazzi.

 

Ed era quella la più grande paura di Cyndia.

 

La parte della sua mente più crudele, quella zona maligna ed oscura della psiche che nutriva istinti suicidi e distruttivi, aveva cominciato a corroderle il resto della coscienza come un tarlo con una finestra. Come se fosse un Es privato delle sue pulsioni di vita dell’Eros, e l’energia aggressiva che era rimasta non trovasse altra valvola di sfogo che attraverso l’autodistruzione.

 

E… se fossi  impazzita?

 

Era possibile, tutto era possibile. Naturalmente pensare di essere pazza avrebbe dovuto indicare che lei non lo era… ma si poteva davvero ritenere affidabile un aforisma  creato da qualche buontempone?

 

Cyndia si asciugò le lacrime, mentre i singhiozzi non accennavano a diminuire. Ora le sembrava quasi che non si sarebbe fermata più, costretta per il resto della sua vita a singhiozzare come un’anima in pena.

 

I suoi respiri si fecero sempre più rapidi, mentre il petto le si sollevava in spasmi irregolari e lei non riusciva a calmarsi. Chiuse gli occhi, mentre due lacrime grosse e tonde le scivolavano dallo stesso occhio, quasi nascosto da tumefazioni di carne gonfie e grigiastre.

 

Prese un paio di respiri profondi –cosa non facile, dato che le sembrava di avere un mantice al posto dei polmoni- e i suoi singhiozzi disperati scemarono pian piano in un respiro concitato e singhiozzante, ma almeno abbastanza gestibile.

 

Aprì gli occhi, osservando stancamente il treno che sembrava ormai pronto a partire. La folla di gente si era diradata [Santo Cielo, c’era perfino un uomo vestito da trapezista! Certo che la gente era proprio strana.], ma le entrate al treno erano ancora intasate da qualche persona che pareva indecisa se partire o meno.

In realtà era più di una persona: Cyndia ne vide almeno sette che vagavano con aria leggermente stonata nella Stazione, ed un’altra decina -vicino alle porte del treno- che avevano fermato la lunga fila dietro di loro.  I vagabondi nella Stazione sembravano abbastanza risoluti e concentrati, anche se chiaramente spauriti, mentre coloro che si erano fermati sulle porte o vicino alle rotaie erano troppo lontani per distinguerne bene le espressioni.

 

Cyndia, per un solo fulgido istante, avvertì distintamente la convinzione di fare l’errore peggiore, salendo su quel treno. Nonostante ciò il suo corpo si mosse da solo, prima procedendo a passi incerti, poi quasi correndo; eppure, per quanto corresse, il treno si avvicinava troppo lentamente.

 

Doveva arrivare al treno, entrarvi dentro e andare da qualche parte. Da qualunque parte e a qualunque costo, col biglietto, senza biglietto o con la tariffa speciale per donne incinta…

 

La ragazza ebbe uno scatto improvviso, fermandosi quasi di botto. Cos’era quel pensiero? Ora non ricordava distintamente cosa avesse pensato, ma le sembrava qualcosa riguardo una tariffa speciale… per anziani, forse? Beh, lei vecchia non lo era, poco ma sicuro.

E neanche invalida. Oh, non poteva esserne sicura, ancora non aveva potuto vedersi allo specchio, ma data l’agilità dei suoi movimenti e –abbassò il capo per controllare- il suo seno decisamente sodo…

Ma perché non ricordava?

 

-“ Perché vuoi andare nel treno?”-

 

Ecco, era una buona domanda. Beh, per avere un punto di partenza. Per uscire da quella dannata Stazione che non aveva né entrate né uscite di emergenza, ma solo mura di pietra stile Vecchia Inghilterra…

 

Chi ha parlato?

 

Cyndia sollevò il capo come un gatto che scorge l’ultimo guizzo di una coda di topo sotto la paglia di un granaio: aveva parlato una delle così dette voci interne, quei simpatici ospiti abusivi della mente che ogni tanto parlavano e facevano domande del tutto inadeguate.

E stupide, anche. Chi diavolo poteva aver parlato? Lei stessa, chi altri? Aveva fatto una domanda retorica ad alta voce, tutto qui. Nessuno era vicino a lei, ed era troppo lontana perché un passeggero l’avesse notata e rivolto la domanda. Dietro c’era ancora il fottuto muro…

 

-“ Ho parlato io, sai?”-

 

Eh, no. Non poteva prendere in giro se stessa. Lei non aveva aperto bocca, e…

 

Cyndia girò il capo a destra, trovandosi di fronte un elemento che prima non c‘era –o che prima non aveva notato- vicino a lei.

 

Era una statua di spregevole frattura, probabilmente di pietra grezza, e raffigurava una specie di lucertola con le ali appollaiata su di un piedistallo. Il muso della lucertola era rovinato e scheggiato, e conservava ben poco delle caratteristiche dell’animale che ritraeva. Le narici erano più grosse, per esempio, e gli occhi di una lucertola erano più piccoli di…

 

-“ Lucertola? Io sono un Drago!”- replicò la statua seccamente… e le sue labbra si mossero, come se stessero davvero articolando parole!

 

Cyndia fissò con sguardo spaurito l’enorme statua, appoggiata su di una colonna alta più o meno quanto lei. Il corpo in pietra si mosse, e il brutto muso della lucert…del Drago si trovò a pochi centimetri dalla sua fronte.

 

Sentì una ventata d’aria calda sul viso, una specie di sbuffo che proveniva dalle narici della statua, e fu allora che Cyndia arretrò precipitosamente, mentre la sua bocca si spalancava per dare voce ad un urlo di terrore.

 

-“ Vuoi gridare? E grida, nessuno ti darà retta.”- borbottò il Drago, mentre il volto prima immobile si stirava per assumere un’espressione sorniona. Il Drago spalancò le lunghe ali, che a differenza di tutto il corpo apparivano come quelle dei pipistrelli e non scolpite nella roccia, e si accucciò su tutte e quattro le zampe squamose, come se fosse un gatto pronto a balzare su di un topo.

 

Vuole mangiarmi?, si chiese la ragazza atterrita, mentre un altro paio di passi la separavano dal suo orribile interlocutore.

 

-“ Mangiarti? Perché dovrei? Credi che abbia un apparato digestivo?”- le domande furono interrotte da una breve risata del Drago –“ E come potrei, dato che sono fatto di pietra?”-

 

Le ali si chiusero dolcemente sui fianchi del mostro, che la fissava palesemente divertito.

 

-“ Il massimo che potrei fare è schiacciarti col mio peso, ma non sono qui per questo.”-

 

-“ E allora cosa diavolo vuoi?”- strillò allora Cyndia.

 

-“ Oh, non l’hai intuito? Voglio provare a farti ragionare.”-

 

La risposta fu tanto simile a quella di un essere umano, la stessa di qualcuno che cerca di convincerti a non buttarti dal secondo piano o non spararti una pallottola nel cranio, che la ragazza rimase senza parole per qualche secondo. Il Drago ne approfittò per proseguire –“ Naturalmente non posso decidere per te, ma posso darti un consiglio del tutto disinteressato. Non salire su quel treno.”-

 

-“ Perché sei qui? Cosa vuoi da me?”-

 

-“ Se sono qui è perché ci sono sempre delle sciocche egoiste come te che pensano di mollare tutto e andarsene con l’Espresso. Da te, non voglio assolutamente nulla.”-

 

-“ C-cosa?”-

 

Il rettile sbuffò sonoramente –“ Senti, ho ancora da far da coscienza ad altre trentacinque persone prima della fine del turno, quindi non farla tanto lunga. Puoi salire o meno su quel fottuto treno. Se ci tieni tanto a mollate tutto, fallo. Io ti dico che sarebbe meglio di no.”-

 

Cyndia fissò quasi con odio lo stupido rettile, stringendo i pugni lungo i fianchi: la paura e lo sconforto erano nulla in confronto all’umiliazione per le offese di quell’idiota di un Drago. La stava letteralmente trattando come uno zerbino!

 

-“ Cosa diavolo stai insinuando? Io sarei una sciocca egoista?”-

 

Il Drago la fissò dritta negli occhi per la prima volta: il suo sguardo, occhi e pupille scolpite nella pietra grezza, erano allo stesso tempo umani e sovrumani. In loro si mescolavano nello stesso tempo due sentimenti contrastanti, spietatezza e pietà.

E questa realizzazione spiazzò Cyndia come nemmeno mille parole sarebbero riuscite a fare.

 

-“ Stai abbandonando tutto perché sei una donna debole d’animo. Non vedi altro che la tua sofferenza.”-

 

-“ La mia sofferenza? Di cosa stai parlando?”-

 

Il Drago la fissò freddamente, come se volesse dirle di piantarla di fare la finta tonta.

 

Il problema era che Cyndia davvero non sapeva a cosa si stesse riferendo. Poteva anche darsi che il Drago avesse ragione, che lei stesse scappando da qualcosa o qualcuno o per qualche motivo, ma il punto saliente era che lei stessa ne era all’oscuro. Non sapeva nulla di se stessa, figurarsi se sapeva chi o cosa c’entrava con la sua fuga…

 

-“ Le persone come te giocano sempre sul sicuro, vero? Non pensano mai che basterebbe una piccola fatica per avere un bene più grande.”-

 

Lei lo fissò stralunata. Inconsapevole. Ascoltava quel fiume di parole crudeli indirizzate verso di lei, ma non sapeva cosa ribattere. Perché la cosa più terribile di tutte era che forse il Drago aveva ragione.

 

Non sapeva cosa o come ribattere. Non lo sapeva. Ed era orribile non saper come difendere se stessi.

 

-“ Egoista.”- disse allora il Drago con disprezzo, mentre i suoi occhi di pietra divenivano per un secondo rossi come scintille di fuoco.

 

-“ Di cosa stai…?”-

 

-“ Del tuo parto.”- rispose il Drago interrompendola. –“ Del tuo parto, e del bambino che stai per abbandonare.”-


Continua




Chi volesse finire di leggere la storia in anteprima, può andare qui,  dove la storia è stata pubblicata dal giudice stesso. Lì troverete tutto: giudizio, banner e storia completa :D

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Capitolo 2
*** 2. Seconda manches/ Time Out ***


Grazie a chi ha commentato il primo capitolo della mia storia. Grazie a chi l'ha inserita in preferiti/da seguire/da ricordare.

Quello che segue è la seconda parte della storia, alla quale è unito anche una specie di intermezzo che potremmo chiamare "Ritorno alla normalità".

Vi manca solo un capitolo, e poi la storia sarà conclusa. Che altro dire...?

Buona lettura <3







2. Seconda Manches [Secondo Turno]

 

 

La rivelazione ebbe il potere di riscuotere Cyndia dalla nebbia di incredulità che fino a quel momento l’aveva avvolta. Guardò per qualche istante ancora il brutto corpo squamoso del rettile, poi scattò verso destra e corse verso il treno.

 

Devo andarmene da qui, pensò mentre correva lungo tutto il treno fino alle porte: stranamente, ora le era bastato fare una decina di passi concitati per raggiungerlo, e distrattamente rifletté che forse era stato proprio il Drago, prima, ad impedirle di avvicinarsi.

 

C’era uno stupendo sole luminoso fuori, fulgido e brillante e meravigliosamente calmo. Anche la Stazione sembrava più recente: i muri non erano più di pietra grezza, come quella della statua-Drago, ma erano fatti di bei mattoncini bianchi di granito o marmo e, man mano che arrivava alle porte del treno, la perplessità circa la scelta dei materiali per costruire la Stazione l’abbandonò.

 

Tutto appare migliore guardandolo da un treno, si disse la ragazza. Dove aveva sentito quella citazione? Era un aforisma preso da qualche biscotto della fortuna, forse…

 

Andiamo. Fuggiamo via insieme.

 

Era a pochi metri dalla porta del treno, quando quella voce dolce le parlò nel cervello, invitandola a salire sul treno. Stavolta non si sbagliò, e non la confuse con la proposta di qualche persona intorno a lei; la voce aveva parlato non al suo orecchio, ma direttamente dentro, come se una donna avesse avuto il ticchio di farle una proposta indecente e le avesse sussurrato quelle parole con le labbra attaccate al padiglione auricolare.

 

Cyndia girò il capo verso destra, dal lato della Stazione, trovandosi di fronte nuovamente la colonna e il suo irritante residente.

 

Sorpresa sorpresa, come no.

 

Il Drago le rivolse un sorriso di scuse, che più che rabbonirla la inorridì –“ Finché non varchi quella porta, sei sotto la mia responsabilità.”-

 

-“ Sei stato tu a parlare?”-

 

Il rettile la fissò per qualche secondo, poi i suoi occhi si socchiusero –“ No. Se hai sentito qualcosa tipo Oh, mettiamo via tutto e andiamocene è stata quella stronza.”-

 

Cyndia non si sorprese affatto: che diavolo, in ogni film che si rispetti c’era sempre la parte buona e la controparte cattiva, che si spalleggiavano il povero malcapitato di turno [Ovvero, lei] . Come dei moderni Humprey Bogart e Nadia nella commedia Provaci ancora, Sam.

 

Fantastico. Ricordava film, commedie e lanzichenecchi vari, ma non che le capitasse di venire a capo della sua identità.  Ovviante così sarebbe stato troppo facile, nevvero?

 

Meglio non sapere, non credi?, sussurrò di nuovo la voce…. E Cyndia non seppe se darle ragione o meno. Non sapere voleva dire non soffrire, in fondo. E il non soffrire era stato uno dei dieci comandamenti di sua madre, seguito a ruota da non esporti troppo al prossimo per arrivare a pensa prima a te stesso.

 

Sì, la sua non era stata affatto una madre ideale, anche se neanche la peggiore. Semplicemente, era stata una donna-ombra, che l’aveva accudita e poi era sparita di nuovo, come…

 

Un momento, pensò la ragazza. Aspetta un fottuto momento. Io sto ricordando…

 

Era vero. Stava ricordando di sua madre, e ora che rifletteva ricordava anche  altri particolari. Come per esempio il fatto di aver scoperto di essere incinta solo al terzo mese, per esempio. O di come il parto era filato tutt’altro che liscio, e che era… era…

 

Scacciò con forza quel pensiero, scacciò con forza tutti i ricordi. Meglio-non-sapere.

 

-“ Ecco che ritorna la cara vecchia Cyndia spaventata dal mondo.”- disse allora il Drago, e solo allora lei si rese conto che era ancora vicino alle porte del treno. Alzò lo sguardo verso la statua, negli occhi una muta preghiera.

 

Il Drago non si impietosì per nulla, anzi. Se possibile, il sorriso di pietra si fece ancora più grottesco e crudele –“ In fondo devi ringraziare tu madre per come sei ora. Tu hai sempre scelto di giocare nel lato più sicuro della strada, vero? Così da non rimanere ferita. Peccato che ti sia negata un sacco di esperienze belle, solo perché avevi paura degli altri.”-

 

-“ Io…”-

 

-“ Ma questo non giustifica la tua vigliaccheria!”- esplose allora la statua con veemenza. –“ Tu hai volontariamente scelto di essere sempre al sicuro, di non fare mai niente affinché non ti succedesse mai niente.”-

 

-“ Cosa avrei dovuto fare?”- implorò allora la ragazza, mentre i suoi occhi diventavano umidi e lucidi –“ Io sono stata cresciuta così, io… non è colpa mia! Sono così!”-

 

Brava, disse allora la voce. Continua a ripeterlo, convinci prima di tutto te stessa. E sali su quel treno.

 

-“ Lascia perdere quello che ti sta dicendo la Stazione!”- gridò allora il Drago. –“ Fai la tua scelta una volta per tutte, ma per l’amor del Cielo piantala di mentire a te stessa!”-

 

Cyndia ricacciò indietro le lacrime, mentre altri ricordi si affollavano nella sua mente senza che lei potesse farci nulla. Ricordava quanto, nonostante tutto, fosse stata contenta di essere rimasta incinta. Quanto amava quel bambino che era dentro di lei, come gli avrebbe insegnato ad essere una persona forte, migliore di lei e di sua madre. Ma, ancora una volta, il suo animo di coniglio aveva avuto il sopravvento, e alla prima difficoltà aveva abbandonato tutto ed aveva fatto i bagagli mentali.

 

Per non rimanere ferita di nuovo.

 

-“ Cos’è questo, allora? Dove sono? Cosa è successo?”- mormorò lei a bassa voce.

 

-“ Lo sai.”- tagliò corto il Drago. –“ E anche se non ricordassi, potresti intuirlo facilmente.”-

 

C’erano state complicazioni durante il parto, questo lo sapeva. Ma cosa era successo a suo figlio? Era vivo? Era salvo, almeno lui? E cosa era successo a lei?

 

Lascia stare. Lascia stare tutto, e parti!

 

Era una buona idea, un’ottima idea a dirla tutta, ma se non l’avesse fatto? Quale alternativa c’era?

 

-“ Direi tornare indietro, no?”- disse allora il Drago con tono di voce annoiato.

 

Cyndia abbassò il capo, lanciando brevi occhiate al treno e alla statua. Stava prendendo una decisone difficile, molto difficile, e per la prima volta in vita sua avrebbe giocato a carte scoperte.

 

Con una nuova calma ritrovata, si rivolse al Drago –“ Dove sono?”-

 

-“ Nel limbo.”- rispose lui.

 

-“ Chi sei tu?”-

 

La statua si strinse nelle spalle –“ Semplicemente qualcuno che voleva vederti fare la scelta giusta.”-

 

-“ E chi mi vuole convincere del contrario?”-

 

-“ La Stazione.”-

 

Cyndia alzò lo sguardo verso i mattoni di granito, che stavano tornando di pietra grezza. Assieme a loro, se ne andava anche il colore e la luce di quel giorno così spendente, come se la Stazione stessa cominciasse a perdere forze man mano che lei ragionava con la sua testa.

 

-“ Dove porta il treno?”-

 

-“ Avanti.”-

 

-“ E cosa mi aspetta lì?”-

 

-“ Oh, questo non lo so.”- replicò il Drago, battendo rapido le ali ed accoccolandosi sul suo basamento –“ Forse non ti fermerai mai, se era questo che volevi. Continueresti a fuggire.”-

 

Cyndia annuì, sapendo benissimo che era quello che avrebbe tanto voluto fare, ma essendo altrettanto cosciente che il desiderio di vedere suo figlio, anche se per poco, era ancora più forte.

 

-“ Cos’hai deciso?”- chiese allora la statua.

 

Sì, cosa hai scelto?, chiese la voce della Stazione. Sembrava irritata, e Cyndia si chiese cosa sarebbe potuto accadere se la Stazione, il limbo che smistava i morti, fosse stata furiosa con lei.

 

Oh, beh… non credeva di scoprirlo tanto presto. Non ne aveva voglia, e sperava di non porsi più una domanda del genere per molti anni a venire.

 

-“ Perché loro non partono?”- chiese allora guardando i pochi vagabondi che vagavano intorno a lei,  ignorando totalmente la domanda sia del Drago che della Stazione. In ogni caso sapeva già la risposta, tanto che non attese che il Drago parlasse. –“ Loro sono come me. Anche loro hanno deciso di voler vivere ancora un poco. E sono tutti spiriti.”-

 

-“ Anime.”- la corresse bonariamente il Drago. Sorrideva, ed esattamente come la Stazione stava perdendo forze e si stava imbruttendo, allo stesso modo la statua perdeva i segni del tempo. Il muso ormai privo di graffi si avvicinò a Cyndia, mentre il collo sottile del Drago diveniva possente, e il suo corpo diveniva più grande.

 

-“ Perché una Stazione?”- era l’ultima domanda alla quale Cyndia voleva aver risposta, e con sua grande sorpresa fu la Stazione stessa a parlarle.

 

Prima di morire  hai desiderato di fuggire via dall’ospedale, disse allora in tono di voce freddo, come se assieme al colore se ne fosse andata anche la benevolenza. Non farlo, Cyndia, te ne pentirai. Devi giocare sul lato sicuro della strada, o potresti farti male…

 

Forse me ne pentirò, concesse la ragazza. Anzi, è probabile. Non si può cambiare così velocemente, e io ho ancora paura…

 

Chiuse gli occhi per un secondo, mentre l’ultimo ricordo che aveva prima di arrivare lì, quella del viso piccolo e rosso di suo figlio che strillava a pieni polmoni la sua presenza al mondo, le invase la mente. Gli voleva bene. Lo amava. E ci sarebbe stata, per lui. Per poco o tanto che ancora le rimanesse da vivere.

 

Avrebbe lottato per lui.

 

…Ma voglio tornare da mio figlio.

 

-“ Voglio tornare indietro.”- disse allora Cyndia. Il Drago le sorrise un’ultima volta, e le indicò l’uscita con uno dei lunghi artigli lucidi.

 

-“ Di là. E attenta alle gambe, sembrano un po’ debolucce.”-

 

Cyndia rise, rise per la prima volta da quando era lì, libera da paura e preoccupazioni per la prima volta da quando era diventata donna.

 

Te ne pentirai… disse la Stazione per l’ultima volta.

 

Mentre correva verso l’uscita con l’enorme insegna al neon verde e l’immagine dell’omino bianco che andava verso la salvezza, Cyndia rifletté che quell’omino poteva essere lei.

 

Aveva corso una prima volta verso il treno, fuggendo da se stessa, credendo che così si sarebbe salvata. Ma ora stava correndo nella direzione giusta, per la prima volta padrona di se stessa, ed ebbe la sensazione che in tutta la sua vita non avesse fatto altro che aspettare quel momento.

 

 

 

 

 

.Time Out. [Intervallo]

 

Era passato meno di un mese da quando Cyndia aveva aperto gli occhi nel reparto di Terapia Intensiva, ed ormai aveva recuperato abbastanza di se stessa per tornare a casa. Suo figlio stava poppando al suo seno e con i grandi occhi azzurri ogni tanto fissava la mamma, come se volesse riconoscerla. Le piccole palpebre si chiudevano, poi si aprivano di scatto e fissavano estasiati la fonte di nutrimento. Tuttavia lo sguardo tornava sempre alla mamma e vi rimaneva a lungo, come se volesse instaurare un rapporto con il viso di Cyndia.

 

-“ E’ davvero un bel bambino, sa?”- le chiese l’infermiera che le aveva portato il bambino. Era una bella donna, sui venticinque anni, con lunghi capelli scuri e occhi ugualmente neri.

 

E’ troppo giovane per essere mamma, rifletté Cyndia nonostante lei stessa avesse solo ventidue anni.

 

-“ Grazie mille. La madre invece è da buttare!”- rispose la paziente con un sorriso gentile, perfettamente cosciente di essere molto più sciupata e strapazzata rispetto a quando era entrata nell’ospedale.

 

-“ Oh, no. Non volevo dire questo.”- replicò subito l’infermiera e, anche se sembrava una frase di routine, Cyndia ebbe l’impressione che lo pensasse veramente. –“ Però suo figlio è uno dei bambini più belli che io abbia mai visto… anche se non ricordo il nome…”-

 

-“ Alessandro.”- disse Cyndia, intimamente divertita dalla svampitaggine dell’infermiera.

 

La donna annuì, anche se dall’espressione sembrasse pensare che di lì a poco l’avrebbe dimenticato di nuovo. –“ Lei sembra giovane.”- riprese allora l’infermiera –“ Riuscirà a farcela da sola?”-

 

Cyndia chiuse per un secondo gli occhi, mentre la consapevolezza di non avere rapporti né con i suoi genitori né col padre di suo figlio la invadeva a lente ondate di tristezza. Il suo ragazzo aveva dato forfait appena aveva saputo che lei era in attesa, mentre sua madre e suo padre erano morti qualche anno prima in un incidente d’auto.

 

Era sola.

 

Sei pentita?, chiese una voce dai meandri della sua mente e, nonostante lei sapesse benissimo che era solo uno scherzo crudele della sua mente, non poté trattenere un tremito.

 

Guardò il bambino: la sua pelle pallida e liscia, i suoi occhi di un azzurro limpido ed innocente, e le piccole manine che si erano raccolte attorno al suo seno…

 

Non era pentita. E soprattutto non era sola.

 

-“ Ce la farò. Credo di esserne in grado. Farò in modo che non gli capiti mai niente…”-

 

L’infermiera emise una specie di risolino –“ Non può fare in modo che non gli capiti mai niente, dovrebbe non fare mai niente… sa che noia, povero Sergio… volevo dire Alessandro!”- si corresse prontamente l’infermiera.

 

Cyndia la fissò per qualche istante, con un terribile senso di deja-vu. Poi non riuscì più a trattenersi, e scoppiò a ridere.

 

La situazione era assurda ma, nonostante tutto, non poteva dare torto all’infermiera. Chissà se c’era stato qualcuno che aveva detto a sua madre quelle stesse parole? Lei credeva di no.

 

D’altronde la sua povera madre non era stata che un albero dalla corteccia debole, che si era impedito di mettere i fiori per non attirare le api e che si era seccato ancor prima di mettere i frutti.

 

Se qualcuno si fosse interessato a lei abbastanza da dirle quelle parole, forse sarebbe stato tutto diverso. Ma Cyndia riteneva che sua madre avrebbe fatto orecchie da mercante e mai avrebbe lasciato che qualcuno le si avvicinasse tanto da riuscire a darle qualche lezione di vita.…

 

In ogni caso, era certo: non avrebbe commesso lo stesso sbaglio di colei che l’aveva messa al mondo.


Continua...


A presto con il terzo e ultimo capitolo!



E.

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Capitolo 3
*** Terza manches_Ultimo capitolo ***


3. Terza Manches. [Terzo turno]

 

Un bambino di circa sette anni correva sull’acciottolato in pietra della stazione di Ring Scotland Cross, seguito a ruota da una giovane donna bionda che trasportava una grossa valigia e uno zainetto più piccolo.

 

-“ Un attimo, Alessandro!”-

 

Il bimbo si girò verso la madre, con un enorme sorriso stampato sul volto liscio e pallido –“ Muoviti, maaaaaammaaaa!”-

 

Cyndia sospirò, poggiò la valigia a terra e portò le mani alla base della schiena, sentendo scricchiolare le ossa con evidente piacere. Aprì gli occhi, e la prima cosa che vide fu la giacca vento verde militare di Alessandro che la precedeva di qualche passo.

 

Erano passati sette anni dall’ultima volta che aveva “visitato” Ring Scotland Cross, anche se la Stazione in cui era ora era molto diversa dal suo predecessore, ma ricordava ancora benissimo tutto quello che era successo lì: per lei quella Stazione aveva significato l’inizio di una seconda vita, e da lì sarebbe ripartita per provare ad avere una vita migliore.

 

Non era stata molto dura, in verità: dopo la sua scelta e dopo essere uscita dall’ospedale, aveva trovato subito lavoro come dattilografa presso una vecchia signora che desiderava pubblicare le memorie di un suo antenato. Niente di eclatante, ovviamente, ma già il fatto che potesse tranquillamente portare il suo bambino con sé era stata una vera benedizione del cielo.

 

Aveva svolto molti altri lavori man mano che suo figlio cresceva, ma erano sempre riusciti a cavarsela degnamente anche grazie alla signora Cattelhoun, la prima ad averla assunta come dattilografa, che aveva preso simpatia verso di lei e molto spesso l’aveva invitata a casa sua per tenerle compagnia come governante.

 

Cyndia si era decisa ad accettare solo dopo quattro anni di pacate ma insistenti richieste: non le piaceva abusare della gentilezza delle persone, ma quella povera donna era sola al mondo tranne per un figlio che non le scriveva mai e mai l’andava a trovare, proprio come lei, che a parte Alessandro non aveva nessuno.

 

Era giunto il momento di iniziare ad affrontare la vita, piuttosto che rivolgerle solo dei rabbuffi di spirito combattivo come aveva fatto in quei sei anni. Un quinquennio più un anno era trascorso affinché lei decidesse che ogni tanto valeva la pena di rincorrere la palla fino in strada anziché rimanere sul marciapiede e comprare un’altra palla.

 

La donna si alzò, leggera come mai si era sentita, e si avvicinò alle rotaie del treno seguendo la scia di Alessandro.

 

Sorrideva.

 

Stava ancora sorridendo quando inciampò in una sporgenza della pietra che prima non c’era e cadde di lato, finendo sulle rotaie proprio mentre il treno sopraggiungeva.

 

Stava ancora sorridendo quando si sentì mancare il suolo sotto i piedi, mentre suo figlio la chiamava interrogativo –“ Mamma?”-

 

Stava ancora sorridendo quando il suo corpo cadde contro le fredde rotaie e sentì distintamente una voce nella sua testa, crudele e beffarda.

 

Ti avevo detto che te ne saresti pentita, stronza.

 

Stava ancora sorridendo quando il treno le piombò addosso.

 

Stava ancora sorridendo, quando morì.

 

[Game over.]

You win.

 

 

 

Note autrice.

Vaaaa beeeene, non mi piace. Per niente.

E’ in alcuni punti melensa, in altri sciocca, in altri ancora depressiva.

 

Insomma, è uno schifo. E dire che l’idea mi era piaciuta molto!

 

Dunque, non penso di avere molto da dire. Potete prendere questa storia come una versione dell’eterna lotta tra bene e male o, per meglio dire, dell’eterna lotta tra la vita e la morte. Talvolta vince l’una, talvolta l’altra.

Stavolta, ha avuto la meglio la Morte.

 

Ok, forse il colpo di scena finale mi piace, ma sinceramente mi sono davvero spezzata le ossa per questa storia, perché purtroppo il limite era di novemila parole e io avevo in mente una storia più lunga e dettagliata rispetto a questa.

Grazie al cielo ho ricordato del limite, e allora ho meditato a lungo prima di decidere quali elementi dovevo tenere e quali potevo omettere… come la parte sulla madre di Cyndia, o quella in cui lei conosce la signora Cattelhoun. In effetti la storia non è troppo lunga, siamo sulle cinquemiladuecento parole, ma se avessi aggiunto altro mi sarebbe venuta voglia di allungare troppo il brodo e sarei tornata alle diecimila e ottocento parole della versione iniziale.

 

Il titolo è un gioco di parole, e può essere letto in due modi: Di pentimenti e di partite [intese come gioco tra Vita e Morte]  o Di pentimenti e di-partite [da leggere tutto attaccato nel senso di dipartita, morte. Cyndia, come è chiaro, muore].

 

Nel caso qualcuno se lo stesse chiedendo sì, è stata la Stazione a far inciampare Cyndia ed ucciderla. Per prendersi la sua rivincita, che diamine. Spero che ciò sia chiaro –si dovrebbe notare nel momento in cui la mia protagonista inciampa su di una sporgenza che prima non c’era, e quando la Stazione si prende gioco di lei un attimo prima di morire].

 

Cyndia è un bel nome. E’ preso dal manga Yugi-oh, ed era il nome della fidanzata di Pegasus. Oh, molti non sapranno di cosa parlo, fa niente^^.

 

Comunque trovo molto azzeccata sia la strofa di Kelly Clarkson sia le parole del pesciolino Dori. Le parole di Kelly sono riferite alla vita che Cyndia ha vissuto, sempre protetta e al sicuro, mentre le parole di Dori servono da monito alla mia protagonista per farle capire, prima di commettere lo stesso errore di sua madre, che non si può impedire ad una vita di svolgere il suo naturale corso degli eventi: ci sono sia momenti belli che momenti brutti, ma non può sempre non succedere niente.

 

Sarebbe come essere morti.

 

A parte questo mio piccolo sproloquio, spero che la storia vi sia piaciuta^^

 

E.

 

 

Per chi non sa l’inglese:

 

You win [Hai vinto - Riferito alla stazione]

Game over [Il gioco è finito]

Manche(s) [Turno]

Ring Scotland Cross: se non sbaglio esiste davvero, ma ora non ricordo dove o quando l’ho sentita! Comunque, esiste davvero una stazione di treni che collega Iverness –capitale di Highland- a tutta la Scozia, solo che non si chiama esattamente così. Ora mi sfugge il nome, ma controllerò!

Because of you/ I learned to play on the safe side so I don't get hurt: a causa tua ho imparato a giocare nel lato sicuro, così da non rimanere ferita.

You never thought of anyone else/ You just saw your pain: Non hai mai pensato a nessuno, vedevi solo la tua sofferenza.

Time out [Intervallo]

Game is Starting [Il gioco è iniziato]

 

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