E se...

di Seagullgirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arrivo ***
Capitolo 2: *** primo giorno ***
Capitolo 3: *** Assenze misteriose ***
Capitolo 4: *** Una di voi ***
Capitolo 5: *** Una di voi 2 parte ***
Capitolo 6: *** Festa ***
Capitolo 7: *** Amici ***
Capitolo 8: *** Incontro inaspettato ***
Capitolo 9: *** Invito ***
Capitolo 10: *** Tra sogno e realtà ***
Capitolo 11: *** Fuga ***
Capitolo 12: *** Spiegazioni ***
Capitolo 13: *** Tu non capisci ***
Capitolo 14: *** Resta qui ***
Capitolo 15: *** Confidenze e malintesi - parte I - ***
Capitolo 16: *** Confidenze e malintesi -II parte- ***
Capitolo 17: *** Vecchie conoscenze ***
Capitolo 18: *** Vita mondana! ***
Capitolo 19: *** Ricordi ***
Capitolo 20: *** Baci sotto il vischio ***
Capitolo 21: *** Rimproveri ***
Capitolo 22: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 23: *** Adesso si fa sul serio ***
Capitolo 24: *** Devo dirti una cosa ***
Capitolo 25: *** Dimmi che mi ami ancora ***
Capitolo 26: *** Promessa ***
Capitolo 27: *** Visite inaspettate... ***
Capitolo 28: *** Diploma ***
Capitolo 29: *** Il regalo più bello ***
Capitolo 30: *** Battaglia-I parte ***
Capitolo 31: *** Battaglia - II parte - ***
Capitolo 32: *** La scelta giusta ***
Capitolo 33: *** Matrimonio - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Arrivo ***


Ero appena arrivata a Forks, la cittadina più piovosa d’America. La nebbia era così fitta che non si vedeva oltre il proprio naso. I miei genitori mi avevano mandato lì per studiare senza distrazioni. A casa, a New York, ero troppo assente: invece di studiare chimica o biologia pensavo a come riuscire a vendicarmi di Ashley, la mia più acerrima nemica. Ero già stata richiamata varie volte dal preside, come quella volta che l’avevo fatta diventare tutta blu o che l’avevo trasformata in un oca.
Bè, in effetti oca lo era, e anche parecchio. Purtroppo, in seguito alla mia ennesima burla – l’avevo fatta levitare fino ad attaccarla al lampadario dell’aula di scienze- mia mamma aveva deciso che era meglio trasferirmi in un posto anonimo, semplice, dove la magia non c’era.
Pensava che questo mi avrebbe permesso di concentrarmi sullo studio e di lasciare da parte gli incantesimi, almeno per un po’. Per il resto dell’anno scolastico avrei alloggiato da mio zio, un poliziotto del posto. La sicurezza per lui era una fissazione. Chissà come avrebbe reagito se avesse saputo che cavalcavo la scopa senza casco né cintura di sicurezza? Ne sarebbe rimasto scioccato. Ma a Charlie non era permesso sapere che ero una strega.
Sua sorella -mia madre, Anne- era un’umana, mentre mio padre era un mago. Dalla loro felice unione ero nata io, Melanie. Mel, per gli amici. Ovviamente, visto che né Charlie ne sua figlia Bella sapevano nulla di tutto ciò, io ero vincolata al più assoluto silenzio. Bella, la figlia di Charlie e quindi mia cugina, si era trasferita a Forks da un paio d’anni, per permettere a sua madre di seguire il suo nuovo marito Phil durante i suoi viaggi di lavoro. Phil era un giocatore di baseball, serie minori, certo, ma viaggiava spesso, e così Bella era venuta ad abitare da suo padre per non essere d’intralcio. Lei e Charlie andavano abbastanza d’accordo e a quanto sapevo lei si trovava bene, nonostante odiasse il freddo e il bagnato. Beh, per lo meno avevamo qualcosa in comune - oltre l’età e il tetto intendo-
Speravo che conoscendo già qualcuno della mia età sarebbe stato più facile passare inosservata. Odiavo essere al centro dell’attenzione, quando quell’attenzione era più che altro un bisogno disperato di risollevare una piccola cittadina di provincia dalla noia permanente. Lungo tutto il tragitto da l’aeroporto a casa di Charlie mi sentii come un topo in gabbia. Passare da una città grande e caotica come New York ad una tranquilla e piccola cittadina come Forks era per me terribile e asfissiante. Adoravo la mia casa, la mia scuola, i miei amici e tutto l’ambiente rumoroso e insano che avevo avuto attorno fino al giorno prima e non l’avrei cambiato per nulla al mondo. Purtroppo però quello era il volere dei miei genitori e dovevo adeguarmi. Inizialmente sia io che Charlie restammo in silenzio, ma quando sorpassammo il cartello con scritto : “ Benvenuti a Forks” lui sembrò riprendersi e cercò di mostrarsi gentile e ospitale rivolgendomi alcune domande di cortesia.
- Allora, come è andato il viaggio? - chiese impacciato. 
- Bene - accidenti che cordialità. Solitamente ero piuttosto loquace, anche troppo. Ma con Charlie mi sentivo in imbarazzo, era come se si sentisse in obbligo ad essere cortese. Ma nonostante tutto si stava sforzando e meritava un incoraggiamento.
Ci riprovai. - E’ stato lungo. E faticoso. Non vedo l’ora di buttarmi sul letto e riposarmi.- era il meglio che potessi dire. Sempre molto più di lui.
- Ti capisco. Beh, non preoccuparti, la tua stanza è già pronta. - ora era un po’ più disinvolto. Forse aveva ragione mia mamma, la mia parlantina era contagiosa.
- La mia stanza? Credevo che avrei dormito sul divano-letto. - la cosa mi aveva sorpreso. Avrei avuto addirittura una stanza? Era meglio di quanto avessi immaginato.
- Non avrai pensato che ti facessi dormire sul divano per un anno?! – in effetti avrei dovuto immaginarmelo.
Ma ero stata troppo presa dal farmi assalire dallo sconforto per pensare ai dettagli pratici. - In realtà non ci avevo pensato. - Ti ringrazio Charlie. - dissi sorridendo. Lui ricambiò un po’ imbarazzato.
- Di nulla, figurati. Dopotutto sei mia ospite. –
- Già - lì finì la nostra conversazione, anche troppo lunga per lui. Un fatto positivo di Charlie era proprio che non ti assillava con domande inutili.
Tutto sommato saremmo andati d’accordo. Lui non voleva sapere niente di me e io non volevo dirgli nulla. Era perfetto. La casa di Charlie era molto carina, una tipica casa americana. Di legno, con le finestre grandi e a due piani. La mia camera era accanto a quella di Charlie, ed era molto graziosa. Appena arrivata disfai i bagagli e mi sedetti sul letto,a rimirare la mia nuova stanza. Charlie si era dato parecchio da fare a quanto pare. C’era una scrivania in mogano, non molto grande, nell’angolo.
La luce sulla scrivania era a neon, perfetta per studiare. Il letto era a una piazza e mezzo e le lenzuola erano bianche, con un piumone giallo sopra. Di sicuro era stata Bella a sceglierlo. Era carino da parte sua. Un gesto per farmi sentire più a casa. L’armadio non era molto grande, ma conteneva ampiamente i miei pochi vestiti. Sistemai il mio portatile sulla scrivania e feci lo zaino per il giorno dopo.
Il mio primo giorno al liceo di Forks. Speravo solo di uscirne incolume. Quella sera a cena Charlie cercò in tutti i modi di rassicurarmi da quello che mi aspettava.
– Allora, Melanie, sei nervosa per domani? E’ il tuo primo giorno di scuola.- nervosa era un eufemismo. Ero terrorizzata.
Solitamente ero loquace e allegra con le persone che conoscevo, ma quando si trattava di fare amicizia mi bloccavo e andavo nel panico.
– Non ti preoccupare, farai sicuramente amicizia con tutti. Tu sei socievole, se ricordo bene. Non come Bella…-  e così dicendo le lanciò uno sguardo di rimprovero, ma lei si limitò a guardarlo storto.
Rivedere mia cugina era stato più piacevole del previsto. Era sempre stata una persona introversa, ma quando stavamo insieme sembrava un'altra. Era come se la sua timidezza d’un tratto scomparisse. Eravamo sempre andate d’accordo, anche se ci vedevamo molto raramente, ma adesso eravamo sulla stessa barca, entrambe prigioniere dell’ispettore Swan. Tanto valeva farci coraggio a vicenda, no?
- Non dire così papà! Da come lo dici sembra che non abbia amici!- ribattè Bella
- Non volevo dire questo. E’ solo che stai sempre con Edward e Alice… e dimentichi gli amici che ti sono stati vicini… quando ne avevi bisogno. –
Non riuscivo a capire di cosa parlasse, ma qualcosa mi trattenne dal chiedere. Era una mia impressione o l’aria stava diventando piuttosto tesa? Bella lo fulminò con lo sguardo. No. Non era una mia impressione. Mi alzai e misi il mio piatto nel lavandino, spezzando la tensione.
– Sono sicura che Bella non dimenticherà nessuno dei suoi amici. A volte capita di trascurare un po’ qualcuno per stare con altri, è normale. Poi passa.- cercavo di allentare la tensione, ma era difficile. Ci fu una pausa, poi Charlie parlò di nuovo, emettendo il verdetto finale.
– Certo. Vorrei solo che se ne ricordasse ogni tanto.- disse posando anche lui il piatto nel lavandino. – Sono sicura che lo farà, Charlie.- risposi sorridendo. – Bene. Ehm, Bella, lavi tu i piatti stasera?- Bella era ancora seduta, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo perso nei suoi pensieri.
- La aiuterò io Charlie, tu va pure a guardare la TV.-  risposi al suo posto, cosciente che lei non lo avrebbe fatto. – Ma tu sei un ospite, non è carino farti lavare i piatti.-
- Non ti preoccupare, ci sono abituata. E poi, se voglio vivere qui devo fare la mia parte, o qualcuno potrebbe offendersi.- risposi ridendo e sospingendolo verso il salotto. – Sicura?- chiese ancora incerto.
– Certo. Non ti preoccupare.- finalmente riuscii a convincerlo e a liberarmene. Era più difficile di quanto pensassi. Tornata in cucina vidi Bella impegnata a lavare i piatti. Sparecchiai in silenzio, poi mi avvicinai a lei sorridente, nella speranza di contagiarla con il mio buonumore.
- Tu lavi e io asciugo, ci stai?- chiesi in un sorriso. – Certo- era ancora triste. Forse il silenzio era la cosa migliore. Dopo un paio i stoviglie fu lei a parlare.
– Grazie per prima.- era quasi un sussurro. Alzai le spalle.
- Figurati.- Lei si passò il dorso della mano sulla fronte.
- E’ che non lo sopporto quando fa così. Le sue preferenze per alcuni dei miei amici non mi riguarda.- Sospirai.
- Magari lo fa per il tuo bene. Davvero trascuri degli amici?- ci fu una pausa, ma aspettai che parlasse con calma. Vedevo che era turbata.
– Solo uno. Abbiamo avuto una specie di… lite. E adesso non ci parliamo più. Lui pensa che sia colpa di Edward, ma non è così. Non sa nulla.- avevamo finito, mi asciugai le mani con lo strofinaccio. – Edward è il tuo ragazzo?-
- Sì, una specie – feci spallucce.
– Forse è solo geloso. I padri lo sono spesso. Ora non ci pensare.- dissi toccandole la punta del naso con il dito. Lei sorrise.
- Ora vado a letto, perché sono stanchissima. Domani andiamo a scuola insieme?- le chiesi avviandomi al piano di sopra. – Certamente.- Sorrisi.
– Bene, mi serve del sostegno morale.- ridemmo entrambe. - ‘Notte Bella.-
- ‘Notte Mel.- strascicai i piedi fino alla mia stanza, e crollai sul letto ancora vestita.

 

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Capitolo 2
*** primo giorno ***


Quando mi svegliai fuori era ancora buio. Guardai l’orologio. Le sei e mezzo.
Non mi ero maQuando mi svegliai fuori era ancora buio. Guardai l’orologio. Le sei e mezzo. Non mi ero mai svegliata così presto, e pensai di approfittarne.
Lentamente mi diressi verso il bagno, attenta a non fare rumore per non svegliare né Charlie né Bella. Una volta lavata e pettinata tornai nella mia stanza per vestirmi. Avevo ancora addosso gli stessi vestiti con cui avevo viaggiato e dormito e dovevo cambiarmi assolutamente.
Cercai di vestirmi in maniera piuttosto comune, per mimetizzarmi con gli altri studenti. Un paio di jeans, una camicetta bianca e una felpa marrone andavano benissimo. Raccolsi i capelli in una coda, come facevo sempre, presi lo zaino e scesi giù a fare colazione. Mentre bevevo il mio latte sentii qualcuno scendere le scale. Era Bella.
- Charlie dorme ancora? – chiesi nel timore di averlo svegliato durante le mie manovre mattutine. – Sì. Ma non per molto. Si sveglia sempre presto per andare alla centrale.- la sua voce era roca, cercò di schiarirla con un colpo di tosse. Finii il mio latte e misi la tazza nel lavandino.
In quel momento scese Charlie. Era già in divisa, con la pistola e tutto. A guardarlo con indosso quell’arnese faceva quasi paura. – Buongiorno Charlie – dissi educata. Forse così avrei acquistato punti. - ‘Giorno ragazze. - era ancora mezzo addormentato. – Hai dormito bene, Melanie? – Chiese sbadigliando. Sorrisi. – Molto bene, ti ringrazio.- Charlie si versò una tazza di caffé e si mise la mano su un fianco, scostandosi la giacca e scoprendo la pistola. A quel punto non resistetti più. – Scommetto che Bella non ti porterà mai a casa nessun ragazzo, finché girerai con quell’arma, Charlie.- la mia voleva essere una semplice battuta, per rallegrare l’atmosfera, ma ottenne il risultato opposto. Improvvisamente Charlie si tese, e Bella mi guardò con aria spaventata, come a dire: “ Questo non dovevi dirlo”.
Lentamente Charlie si voltò a guardarmi. – A volte con certi… individui è meglio essere previdenti. Non si sa mai. – il suo tono era terrificante. Avevo davvero paura che mi sparasse per quello che avevo detto. Bella strinse i denti e abbassò la testa. Restammo tutti in silenzio per qualche istante. Io confusa, Charlie teso e Bella a testa bassa. Poi posò anche la sua tazza nel lavandino e alzò la testa.
– Noi andiamo, è tardi. – disse prendendo lo zaino da terra e dirigendosi verso la porta. Io, ancora sconvolta dalla conversazione, la seguii in silenzio. Sulla porta mi fermai e mi girai in direzione della cucina. - A dopo, Charlie - e senza aspettare risposta mi chiusi la porta dietro.
La macchina di Bella era uno Chevy vecchissimo, rosso, che aveva tutta l’aria di essere indistruttibile, ma probabilmente la sua vita era quasi alla fine. Non appena lo vidi parcheggiato sul vialetto scoppiai a ridere.
– Questo? Andremo in giro con questo? – era troppo anche per me. Quell’aggeggio non avrebbe mai superato i cento. Era davvero lento. – Non offendere il mio pick-up.- mi guardò storto, ma sorrideva. Feci un sospiro e salii dalla parte del passeggero. Mentre percorrevamo il vialetto che portava al parcheggio della scuola vidi che tutti stavano guardando me. All’inizio pensai che guardassero solo il pick-up, ma una volta scesa mi resi conto che invece guardavano proprio me.
Era quello che avevo temuto da quando avevo messo piede a Forks. Che fossi il pettegolezzo più succulento dell’anno era indiscutibile. Mi guardavano come se fossi una pazza che andava in giro in mutande. Era davvero irritante. Il brusio del loro chiacchiericcio volgare mi faceva prudere le mani. Avrei tanto voluto urlare. Ma dovevo sembrare normale e disinvolta. Quindi ignorai i loro sguardi critici che mi seguivano mentre salivo le scale ed entravo nell’edificio e anche mentre percorrevo il corridoio e mi dirigevo verso la segreteria, con Bella sempre al mio fianco. Anche lei faceva finta che io non fossi osservata come una criminale, probabilmente a lei era stata riservata un’attenzione anche maggiore al suo arrivo a Forks.
– Pensi di farcela da sola? Io ho lezione di biologia adesso, per cui dovrei… - disse una volta arrivate di fronte alla segreteria. – Certo, certo, non ti preoccupare, me la cavo da sola. – non volevo essere un peso per lei. Aveva già subito una volta quel trattamento. Sapevo che odiava essere al centro dell’attenzione, in qualunque situazione. Almeno questa volta volevo risparmiarla. - Sicura? – chiese grattandosi la testa. Lo faceva quando era in imbarazzo. - Sicura.- le sorrisi. In fondo quanto poteva essermi d’aiuto? - Bene. Allora… ci vediamo a pranzo, okay? –
- Va bene. A dopo. – la salutai mentre si avviava lungo il corridoio. Poi feci un respiro profondo e aprii la porta della segreteria. Una donna imponente, con i capelli rossi e gli occhiali se ne stava dall’altra parte di una grossa scrivania. Non appena mi avvicinai la donna alzo lo sguardo. – Posso esserti utile? -.
- Sono Melanie Wincert -, la informai, e immediatamente vidi i suoi occhi accendersi. Che anche lei sapesse chi ero? Incredibile la velocità con cui volavano i pettegolezzi. - Certo -, disse. Rovistò con la mano in una pila disordinata di documenti, finché ne estrasse quello che stava cercando.
– Qui c’è il tuo orario, assieme a una pianta della scuola -. Sistemò sul banco parecchi fogli e me li mostrò. Mi indicò le aule delle mie lezioni, poi mi diede un modulo da fare controfirmare ad ognuno dei miei professori e da riportare in segreteria a fine giornata. Mi sorrise e mi augurò di trovarmi bene, lì a Forks. Ricambiai gentilmente il suo sorriso.
Trovare la prima aula non fu difficile. La mia scuola di New York era tre volte più grande e affollata. Le aule erano piccole, il che non migliorava la situazione. Portai il mio modulo al professore, un uomo alto e calvo, che secondo la targhetta sulla cattedra si chiamava Mr Mason. Mi fece sedere in ultima fila, senza presentarmi ai miei nuovi compagni, il che mi fece molto piacere. Per tutta la durata della lezione cercai di concentrarmi sulla spiegazione del professore – insegnava letteratura, materia che io di solito adoravo- ma finii per perdermi nei ricordi della bellissima e caotica New York. Fu il rumore assordante della campanella a riportarmi con i piedi per terra.
Mentre raccoglievo il mio zaino un ragazzo piuttosto bruttino e basso, con i capelli biondo chiaro e gli occhi azzurri mi si avvicinò. – Tu sei Melanie, giusto?-, chiese - La cugina di Bella-. Come se fosse una cosa fantastica. Aveva l’aria di essere un suo fan. – Sì, sono io -. Gli rivolsi il sorriso più convincente che potessi. In realtà non vedevo l’ora di liberarmene. – Io sono Mike. Sono un amico di Bella.-, mi porse la mano, che strinsi controvoglia. – Mi aveva detto che arrivavi oggi, e di accoglierti bene.- sfoderò un sorriso imbarazzato. – Bè, ti ringrazio.- dubitavo che fosse stata Bella a dirglielo, ma se non volevo farmi odiare da tutti dovevo essere perlomeno accondiscendente. – Dove hai la tua prossima lezione?- chiese.
– Edificio 9, trigonometria con Varner-
- Se vuoi ti ci accompagno, io vado al 7-. Era più un’imposizione che una domanda. - Grazie-, risposi, nonostante fossi perfettamente in grado di arrivarci da sola. Mike mi accompagnò fino alla porta, e mi augurò buona fortuna. Lo ringraziai e andai a sedermi. Il resto della mattinata trascorse più o meno così; incontrai due ragazze e un ragazzo che si dicevano amici di Bella – come se per questo dovessero per forza essere anche amici miei-. La prima ragazza si chiamava Jessica, aveva i capelli lisci e castani, e la pelle molto chiara. Era piuttosto vivace e di certo la parlantina non le mancava. Il ragazzo si chiamava Eric, aveva i capelli neri e gli occhi leggermente a mandorla. Era vestito di tutto punto, con giacca e cravatta, il che per poco non mi provocò una crisi di ridarella. La seconda ragazza invece era molto carina e gentile, aveva i capelli neri e gli occhi marroni, e dei carinissimi occhiali trendy. Si chiamava Angela, ed era l’unica che riuscivo a sopportare dei tre, e speravo davvero che avremmo fatto amicizia al più presto.
Fu lei ad accompagnarmi alla mensa, fino al tavolo dove si trovava Bella. Non appena lo vidi restai pietrificata. Accanto a lei era seduto un ragazzo a dir poco bellissimo. Aveva i capelli color del bronzo, la pelle bianca come l’avorio e gli occhi color topazio. Indossava una camicia bianca con un pullover beige chiaro e un paio di jeans. Non riuscii a trattenermi dallo strabuzzare leggermente gli occhi.
Bella ci presentò subito. – Melanie, lui è Edward Cullen -. Lui alzò lo sguardo verso di me, e per un secondo rimasi pietrificata, poi gli porsi la mano. Lui la guardò dubbioso per un istante e poi la strinse. La sua mano era gelida, ma non ci feci caso. Lui mi sorrise. - Piacere di conoscerti, Melanie -. La sua voce era come quella di un angelo. – Bella mi ha parlato molto di te.- mi guardava come se si aspettasse un applauso, o che mi cadesse la mascella.
– Anche a me di te – risposi pronta. Come inizio non era male. Dall’altro lato del tavolo c’era Ben, il ragazzo di Angela, e Alice, la sorella di Edward. In effetti si somigliavano. Avevano lo stesso colore degli occhi e della pelle, e anche la sua mano era fredda come il marmo. I suoi capelli erano più chiari e corti, era minuta, somigliava ad un folletto. Era la ragazza più bella che avessi mai visto, ed era anche molto gentile e simpatica. Molto vivace, come me. Dopo che Bella ebbe fatto tutte le presentazioni necessarie mi sedetti a mangiare.
Notai che né Edward né Alice avevano toccato cibo, ma non dissi niente. – Hai per caso allertato tutta Forks del mio arrivo?- chiesi scherzosamente a Bella. Lei mi guardò stupefatta. –Perché?- aggrottò le sopracciglia. - Bè, oggi si sono tutti presentati da me dicendo di essere tuoi grandi amici, e così mi chiedevo a chi avessi detto del mio arrivo-. La guardai. – Solo a loro – disse rivolgendosi agli altri. – E come facevano Mike, Jessica e Eric a sapere di me?- lo dicevo io che era strano. Sicuramente Mike era il presidente del suo fan club. - Probabilmente l’avranno sentito in giro. Sai come vanno queste cose… la gente parla -.
Addentò un pezzo di pizza e io feci altrettanto. – Già. Scommetto che hanno trattato anche te come un’aliena, all’inizio.- Lei abbassò lo sguardo. – Già. All’inizio -. - Allora, Melanie, che ci fai qui a Forks? -, mi chiese d’un tratto Alice - Mi ci hanno spedito i miei. A casa c’erano dei… problemi -, arrossii. Edward mi guardò interrogativo, poi guardò Alice. Lei si voltò verso di me. - Che… che genere di problemi? – chiese con aria interrogativa. Chissà cosa pensava. - Non riuscivo a concentrarmi bene sullo studio-, spiegai, - C’erano troppe… distrazioni -.
Edward mi guardò, poi scoppiò a ridere. – E così sei venuta nella noiosa Forks?- non sapevo se arrabbiarmi o mettermi a ridere, ma il suo sorriso stupefacente mi fece dimenticare tutti i miei propositi. – Sì, più o meno -. Fu il massimo che riuscissi a dire. La pausa pranzo finii troppo presto. Avrei voluto stare lì con loro per sempre. Mi affascinavano. Erano diversi da chiunque altro avessi mai conosciuto. Mentre io e Bella tornavamo a casa continuai a pensare a Edward e Alice. In loro c’era qualcosa che mi sfuggiva… era come… come se non fossero… umani.
- Bella?- chiesi d’un tratto. – Sì? – lei mi guardo riflessa nello specchietto retrovisore. - I tuoi amici… i Cullen… sono…davvero dei tipi particolari -, lei non rispose subito. - Sì, lo so. Ma quando li conosci ti affascinano – sorrise lievemente. Già. Era vero. Metteva in soggezione stare con loro, ma stranamente allo stesso tempo una volta che li avevi conosciuti non riuscivi più a stare senza la loro presenza. – Soprattutto Edward - . In realtà stavo pensando a voce alta, più che altro, ma lei mi guardò in maniera strana. Apprensiva direi. – Non ti preoccupare, non è il mio tipo – dissi rassicurandola. Era vero. Troppo perfetto. Era quasi irreale. Ma bellissimo, senza dubbio. – Conoscerò mai gli altri? – chiesi. A mensa Alice mi aveva detto che la loro famiglia era numerosa. Rosalie, Emmett e Jasper si erano diplomati l’anno prima, e se n’erano andati al college. Carlisle, il loro padre adottivo, era medico, e lavorava all’ospedale di Forks. Esme, la sua compagna, invece, era una restauratrice, o qualcosa del genere.
– Non credo -, rispose Bella – Loro sono al college, in Alaska -. Era tesa, come se mi nascondesse qualcosa. Com’erano strani tutti… cercai di non pensarci. Il pomeriggio fu monotono, così come la sera. Bella passava il tempo a guardare l’orologio, come se aspettasse qualcuno e mi faceva innervosire. Non appena finì di lavare i piatti se la svignò in camera sua e io, per non rischiare di subire interrogatori da parte di Charlie, feci altrettanto. Ne approfittai per fare una ricerca su Internet. Mia madre mi aveva mandato a Forks convinta che non esistesse al mondo città più normale, ma quel pomeriggio mi aveva fatto venire lo strano e insensato presentimento che non fosse affatto così. Quella città era protetta da un velo di mistero che tutti vedevano ma nessuno cercava di scoprire. Ma io sì.
Così andai sul sito “ Creature nel mondo”. Era un sito accessibile per soli maghi e streghe, che era in grado di dirti se dove ti trovavi c’erano altre creature fantastiche. Digitai “ Forks” nello spazio apposito per la localizzazione. Non appena si aprì la schermata rimasi pietrificata. Una miriade di puntini rossi segnalavano a Forks la più alta densità di creature fantastiche mai vista. Avevo sospettato che quel posto non fosse quello che voleva apparire. Adesso ne avevo la certezza. Ed ero certa che anche Edward e Alice facevano parte delle creature sovrannaturali della zona.
Sì, ma come scoprire COSA erano davvero? Ero troppo elettrizzata all’idea di scoprire quel mistero per dormire, ma anche troppo stanca per rimanere in piedi.
Mi alzai dalla sedia e raccolsi il mio beauty- case da terra, dirigendomi verso il bagno. Una doccia calda mi avrebbe aiutata a rilassarmi, forse. Tornata in camera indossai i pantaloni della tuta e la maglietta a maniche lunge che usavo per dormire – era troppo freddo per un normale pigiama- , spensi la luce e andai a letto.
Rimasi a fissare il soffitto per parecchio tempo, immersa nelle mie riflessioni, ma ero talmente stanca che alla fine crollai addormentata.

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Capitolo 3
*** Assenze misteriose ***


 

 

La mattina dopo fu più facile. Durante la notte c’era stato un terribile temporale - a quanto diceva Charlie – e le nuvole erano state spazzate via lasciando il posto al sole. Fu molto piacevole uscire e godersi quel torpore almeno per un giorno. Altro fatto positivo era che la curiosità collettiva del giorno prima era diminuita notevolmente, e questo mi tranquillizzò un po’. Le lezioni erano spesso molto noiose – ero molto avanti nel programma a New York -, così ebbi tutto il tempo di riflettere su come fare per scoprire i segreti inconfessabili dei misteriosi Cullen. L’ora di pranzo sembrava non arrivare mai, e io ero sempre più impaziente di rivedere Edward e Alice.

Quando finalmente la campanella suonò la fine della lezione io mi diressi a passo molto svelto – quasi correndo – verso la mensa. Ma una sorpresa amara mi stava aspettando al tavolo dove si trovava Bella. I Cullen non c’erano. Rimasi lì impalata davanti al tavolo come un idiota, fissando il posto vuoto accanto a Bella e quello accanto a Angela. – Dove sono Edward e Alice? – chiesi sconvolta. Angela mi rispose comprensiva. – Sono andati a fare trekking. Lo fanno sempre quando è bel tempo. E’ una specie di… tradizione di famiglia – spiegò lei. – Anche gli altri lo facevano? – chiesi con tono investigativo. – Sì-. La cosa mi puzzava. Questo era un altro indizio. Affranta e delusa, mi sedetti al tavolo, rosicchiando la mia mela. Avevano tutti la mia faccia, specialmente Bella. Era ovvio che i Cullen non facevano quell’effetto solo a me. Durante la lezione di Biologia mi sedetti accanto ad Angela, sperando di riuscire a sapere qualcosa di più su di loro, ma anche perché mi era molto simpatica. – Tu conosci molto bene i Cullen?- le chiesi sottovoce ad un certo punto. - - Un po’. Ma la vera esperta è Bella -. Già, ma lei era muta come una tomba. Era ovvio che qualunque cosa nascondessero lei ne era al corrente. – Già. Ma sai, lei non è molto aperta, mi è difficile farle delle domande su di loro -. Lei mi guardò per un istante, poi tornò a scrivere. – Cosa vorresti sapere di preciso? - mi chiese sottovoce.

- Ieri ho notato che Né Edward né Alice hanno toccato cibo, pur avendo il vassoio pieno. E’ strano. Mi chiedevo se ci fosse una ragione particolare-. Lei sembrò rifletterci un momento, poi rispose. – Non saprei. A dire il vero non li ho mai visti mangiare. Neanche quando c’erano gli altri.- smise un secondo di scrivere e mi guardò. – Ma magari non me ne sono accorta – aggiunse. – O magari non hanno fame-. Risposi io per allontanare i sospetti. Sorridemmo entrambe e la conversazione finì lì. Il resto della giornata passò ancora più lentamente, e per di più il cielo era tornato ad oscurarsi. Fantastico.

Dopo cena salii in camera mia e accesi il computer. Dovevo fare delle ricerche più accurate se volevo scoprire qualcosa. Purtroppo non sapevo cosa cercare, perché non avevo la più pallida idea di COSA fossero i Cullen. Presi un foglio e cominciai ad annotare tutte le cose strane che avevo notato in loro. Forse questo mi avrebbe aiutato. Pelle gelida e fredda come il marmo, occhi dorati, non li vedi mai mangiare, non si fanno mai vedere nelle giornate di sole. Fissai un attimo il foglio e mi parve quasi di intravedere la risposta; ma poi mi sfuggì e rimasi impalata a fissare il tavolo. Anche quella sera filai subito a letto. Che strano, di solito per dormire a casa era sempre una lotta continua. Quel posto mi stava sconvolgendo persino il sonno. Spensi la luce e in pochi minuti mi addormentai profondamente.

 

Ero nella foresta e tutto era buio. Non si vedeva nulla. Ero terrorizzata. Il buio mi aveva sempre fatto paura. Poi ad un certo punto vidi una luce in lontananza. Forse c’era una via d’uscita. Cominciai a camminare, sempre più veloce, verso la luce. Correvo. Volevo andarmene da quel posto, e l’unica via di fuga era quella. Quando giunsi a pochi metri dalla luce mi accorsi che c’era qualcuno, nascosto tra gli alberi. Non vedevo bene chi fosse, ma era un uomo. Il mio istinto mi diceva di scappare, di urlare, ma il mio corpo non si muoveva. Ero immobile, pietrificata dalla paura. Poi l’uomo si mosse verso di me, uscendo dalle tenebre. Edward mi guardava, i suoi occhi erano neri. Improvvisamente capii che non era lo stesso Edward che conoscevo. Era pericoloso. Guardai la mia mano, che improvvisamente non era più ferma lungo i fianchi, ma stringeva una bacchetta. Ricordai solo in quel momento chi ero, e gli puntai la bacchetta contro. Lui sorrise, scoprendo una fila di denti perfetti. Ai lati, due lunghi canini sporgevano minacciosi.

Mi svegliai di soprassalto, tutta sudata dopo il terribile incubo. Accesi la luce e mi guardai intorno. Un gesto automatico. Non c’era nessuno a parte me. Mi alzai così violentemente da farmi girare la testa, e barcollante mi misi davanti al computer.

Digitai “ vampiro” e attesi. Trovai facilmente il sito che consultavo a scuola. Era un sito creato per lo studio delle creature fantastiche, e anche se si confondeva facilmente con gli altri la differenza con i siti comuni era che questo non raccontava leggende, ma solo la verità.

 

I vampiri sono creature sovrannaturali dotate di una forza immensa, bellezza e agilità. Solitamente sono nomadi, ma ci sono anche clan che vivono a stretto contatto con l’uomo e sono stabili in un luogo. Solitamente si nutrono di sangue umano, ma quelli che vivono vicino all’uomo preferiscono quello animale. Sono molto più civilizzati, e attualmente ne esistono solo due clan. Questi sono innocui, mentre bisogna prestare molta attenzione a quelli nomadi, con “gusti più classici”. Fisicamente sono simili: hanno la pelle fredda e dura come il marmo e bianca come l’avorio. Non mangiano né dormono mai e non si fanno vedere alla luce del sole, che rivelerebbe la loro vera natura riflettendo i raggi del sole come uno specchio. Quelli che si cibano di sangue umano hanno gli occhi rossi, come i nuovi nati, mentre quelli “vegetariani”- Così si definiscono loro stessi- li hanno dorati. Diventano neri quando sono affamati. Sono immortali.

 

Senza dubbio era molto educativo. Dovevo averli già studiati alla mia vecchia scuola – lì si studiava anche magia oltre alle materie normali- perché il testo mi era familiare. Da quanto c’era scritto dunque i Cullen erano innocui. Bevevano solo sangue animale, il che li rendeva più civilizzati e sopratutto rispettosi della razza umana. Ma Bella sapeva che Edward era un vampiro? Stavano assieme da due anni, perciò doveva saperlo per forza. Ma non potevo esserne certa. Guardai l’orologio. Le quattro. Senza stare a pensarci mi infilai i jeans, una maglietta e la giacca impermeabile. Poi mi diressi verso la mia valigia, riposta con cura nell’armadio, e ne estrassi la mia bacchetta. Sorrisi. Mia madre non sapeva che l’avevo portata. Era una fortuna che l’avessi messa in valigia lo stesso. Uscendo di casa feci molta attenzione a non fare rumore. Se Charlie si fosse accorto che non c’ero sarebbero stati guai seri. Chiusi delicatamente la porta di casa, pregando che Charlie dormisse troppo profondamente per accorgersene. Dovevo andare a casa dei Cullen per forza, ma il problema era che non sapevo dove fosse. Ma dopotutto ero una strega, no? Tirai fuori la bacchetta dalla tasca dei jeans e la innalzai verso il cielo.

– Mostrami il cammino – dissi piano, e una striscia luminosa uscì dalla punta della bacchetta per innalzarsi nel cielo e indicarmi la strada. Poi feci comparire una scopa e decollai. Era così bello volare dopo tanto tempo! Finalmente per la prima volta da quando ero arrivata a Forks mi sentii davvero libera. Fortunatamente nessuno poteva vedermi, grazie ad un incantesimo che mi rendeva invisibile, e nessuno poteva vedere la striscia luminosa, visibile solo da me. Quando giunsi nelle vicinanze della grande casa bianca atterrai. Feci scomparire la scopa e nascosi la bacchetta nei jeans. Percorsi il vialetto che portava alla casa fino a che non la vidi. Era fatta tutta di vetro, e aveva tre piani. Era immensa e bellissima. Molto moderna, e sicuramente costosissima. Salii i gradini e suonai dolcemente il campanello. Avevano un super udito, per cui non era necessario fare una scampanellata. Dopo pochi secondi qualcuno venne ad aprire. Un uomo molto giovane – poteva avere trent’anni, forse meno – e bellissimo mi guardò con aria interrogativa. Aveva i capelli biondo chiaro pettinati all’indietro e i suoi occhi erano dorati, esattamente come quelli di Edward e Alice. La sua pelle era bianca come l’avorio. – Posso esserti utile? – chiese con una voce soave. – Sono Melanie, la cugina di Bella -, dissi cercando di mantenere il controllo di me stessa. Lui mi guardò perplesso. – Mi dispiace, ma Bella non è qui -. Ovvio che non capisse. Mica mi leggeva nel pensiero. Forse era un vampiro, ma non un veggente. – In realtà cercavo Edward. Dovrei parlargli, è molto urgente -. Lui era sempre più in difficoltà. Rimase a guardarmi, indeciso sul da farsi, poi mi fece accomodare. – Entra -, disse quasi con un sospiro di rassegnazione. Feci due passi avanti ed entrai. Lui chiuse delicatamente la porta. – Questa non è un ora usuale per una visita di cortesia -, mi fece segno di accomodarmi sul grande divano bianco che si trovava al centro della stanza. Io feci finta di nulla e mi voltai verso di lui. – Come ho già detto è molto importante -. Non volevo perdermi in inutili cortesie. Volevo andare dritto al sodo, e farlo subito. Lui mi guardò sempre più confuso. Poi un lampo di lucidità passò sul suo volto.

- Ma che maleducato, non mi sono ancora presentato. Io sono Carlisle, il padre di Edward – disse porgendomi la mano. – Melanie -, ripetei stringendola.

- Carlisle, che succede? – Edward stava scendendo le scale con grazia innaturale

- Melanie, che ci fai qui a quest’ora? – mi chiese perplesso

Io lo guardai fredda. – Dobbiamo parlare -. Lui mi guardò concentrato per un istante, poi guardò Carlisle. Lui annuì e si diresse verso le scale, sparendo al piano di sopra.

Edward continuava a fissarmi. – Cosa sei venuta a fare qui a quest’ora?– chiese gentilmente. Io presi coraggio e parlai. – Voglio che la finiamo con questa pagliacciata. Io so cosa sei –. Ero tesa e spaventata, ma ero anche decisa ad andare fino in fondo. La sua espressione diventò più dura.

- Dillo -. Era una sfida, e allo stesso tempo una resa.

Feci un respiro breve e raccolsi tutto il coraggio che avevo per pronunciare una sola parola. – Un vampiro -. Il suo sguardo era gentile. Sapevo che non mi avrebbe fatto del male. Non era come l’Edward del mio incubo. – Hai paura? – stava quasi ridendo, come se fosse una cosa buffa. – No -. Dissi con tono ben fermo. Il suo sguardo si trasformò in compassione. – Sai in che guaio ti stai cacciando? Agli umani non è permesso sapere della nostra esistenza -. Non era minaccioso, ma agitato.

- Tu non mi farai del male -. No, non l’avrebbe mai fatto.

- No, certo che no. Io no.- fece una pausa. – Ma qualcun altro potrebbe. Gli umani non devono sapere.- io aggrottai le sopracciglia. – Ma Bella lo sa – doveva essere così per forza. – Sì. Lo sa. Ma lei diventerà presto una di noi. – lo guardai inorridita.

- O per lo meno questo è quello che pensano loro – mi fece l’occhiolino. Non mi soffermai a pensare chi fossero “loro”, ma non si riferiva alla sua famiglia. L’aveva detto come se si trattasse di boss mafiosi, il che mi spaventò un po’.

- Ma io sono già una di voi.- Dissi con un sorrisetto audace sulle labbra. Edward mi guardò perplesso e sconvolto. – Cos’è, pensavi di essere l’unico speciale qui?- feci un sorriso ironico.

- Ma tu non sei una vampira – rispose perfettamente calmo.

- Certo che no! – dissi con finto tono disgustato. Feci una pausa, come per dare enfasi alla cosa. Poi parlai, scandendo le parole una ad una.

– Sono una strega –

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Capitolo 4
*** Una di voi ***


Edward mi guardava, un misto di sconvolto e perplesso. - Una strega? – disse alzando un sopracciglio. Io annuì. Mi guardò negli occhi con aria assorta, concentrata. Come se cercasse di capire se mentivo, ma senza riuscirci. Rimase a fissarmi per un minuto interminabile, poi scostò lo sguardo, sospirando di sconforto.

- Non ci posso credere – disse prendendosi la testa tra le mani. Lo disse così piano che non capivo se parlava con me o con se stesso. Aveva un aria insolitamente frustrata, come se d’improvviso fosse stato battuto. Lo guardavo perplessa, cercando di capire a cosa si riferisse. All’inizio pensai che trovasse strabiliante la mia rivelazione, ma quando tornò a guardarmi capì che non si stava riferendo a quello.

- Non riesco a leggerti nel pensiero – disse a mò di spiegazione. Dapprima lo guardai con ironia, come se scherzasse. Ma la sua espressione era seria, non riuscivo a capire. Poi mi ricordai che avevo studiato qualcosa sul fatto che alcuni vampiri avevano dei “doni” per così dire, speciali. Forse questo era il suo e su me non funzionava.

- Tu leggi nel pensiero? – chiesi in un sussurro. Lui alzò la testa. – Riesco a leggere nella mente di tutti qui, tranne che in quella di Bella. Credevo fosse l’unica eccezione ai nostri poteri, invece… - mi sorrise leggermente, sconfortato. – Ma in fondo siete parenti, no? – continuò. – Anche la tua famiglia riesce a leggere nel pensiero come te? – domandai incuriosita. – No. Solo io posso farlo – si mise a sedere sul divano, accavallando le gambe. Io mi sedetti accanto a lui, un po’ più distante. – Ma Alice, lei riesce a vedere il futuro – continuò. Chissà quante cose c’erano da sapere su di lui e la sua famiglia. Sentivo che ormai ero una di loro, e questo mi eccitava. “Fantastico!” pensai . Improvvisamente Edward si girò verso di me. – Hai detto qualcosa? – Oh oh. Allora mi sentiva.

“Brutto imbroglione!”

- Ti sento! Riesco a sentirti adesso! – era su di giri. Io non ero così entusiasta. Non mi andava che sentisse i miei pensieri. Mi misi sulla difensiva e nello stesso istante lui smise di sorridere. – Ora non ti sento di nuovo – Non voglio infatti! Pensai, sempre sulla difensiva. Lui non reagì. – Mi hai sentito? – chiesi – No-  era di nuovo concentrato. – Sembra proprio che possa sentirti solo quando vuoi tu. Incredibile!- era così entusiasta di questa scoperta, e anche io mi sentivo fiera. Poteva esserci molto utile.

- Edward? – Carlisle stava scendendo le scale lentamente. – Tutto bene, Carlisle, non ti preoccupare – lui si avvicinò a noi, sorridente.

 - Ho seguito tutta la vostra conversazione – spiegò Carlisle. – Una strega – disse squadrandomi da capo a piedi con fare scientifico. – Fantastico – mi rivolse un sorriso a trentadue denti. Era strano. Avrei dovuto avere paura, o sentirmi irritata dal fatto che probabilmente volesse esaminarmi o prendermi dei campioni di sangue e cose così per potermi studiare, invece mi sentivo benissimo. Ero elettrizzata dal pensiero di essere sconosciuta e misteriosa persino per lui. Mi sentivo orgogliosa di me stessa.

 – Quindi, adesso che sai tutto, presumo che tu faccia parte della squadra – continuò  ironico Carlisle

– Mi piacerebbe molto – risposi tutta elettrizzata. – Bene- mi sorrise. – Ma ci sono un sacco di cose che devi sapere, ancora. Ti ci vorrà del tempo.-

- Io avrei un sistema più veloce – risposi tirando fuori la bacchetta. Loro mi guardarono perplessi. Carlisle mi osservò incuriosito. – Posso leggere nel pensiero a Edward con un incantesimo. In un istante saprò tutto quello che c’è da sapere. Posso leggere qualunque pensiero la sua mente abbia mai concepito. E’ un po’ come se mi raccontasse la storia della sua vita.- spiegai. Carlisle mi guardò con occhi lucidi.

– Stupefacente. Un po’ come Aro.-  disse rivolto a Edward.

Non chiesi chi fosse Aro, tanto l’avrei scoperto un istante dopo. – Allora procedi – disse Edward con un sorriso sghembo. Chissà che esperienza per lui! Scommetto che tutti quelli non immuni al suo potere come me e Bella avrebbero pagato per essere al mio posto. Era la vendetta che tutti loro aspettavano. Alzai la bacchetta e pronunciai l’incantesimo. –Leggiliments!-

In un attimo fui dentro la mente di Edward. Quando ne uscii mi sentì come se avessi appena scoperto un mondo. In pochi secondi ero riuscita a scoprire una storia che era durata due anni, cioè da quando aveva conosciuto Bella. Non c’era dettaglio di quello che era successo dal suo trasferimento (quello di Bella) di cui fossi all’oscuro in quel momento. Anzi, forse sapevo persino più dettagli di lei. Era meraviglioso, ma anche spaventoso. Non era una sola la minaccia che incombeva su Bella e su tutti i Cullen, e al momento c’era una guerra all’orizzonte. Lupi e vampiri avevano bisogno che qualcuno li tenesse lontani gli uni dagli altri, altrimenti rischiavano di azzuffarsi tra di loro e non combinare nulla di buono. Avevano bisogno del mio aiuto, e io glielo avrei dato.

- Vi aiuterò a uccidere Victoria – dissi con lo sguardo infuocato. Carlisle sorrise e mi porse la mano. – Benvenuta a bordo – disse facendomi l’occhiolino. Io sorrisi e gli strinsi forte la mano gelida.

Adesso che sapevo tutto sui Cullen e che loro sapevano tutto di me mancava solo una cosa da fare: dirlo a Bella. Ero certa che durante la giornata non avrei avuto nemmeno un momento per parlarle da sola, così appena tornata a casa sgattaiolai in camera sua, sempre attenta a non fare rumore. Non mi stupii vedendo che Edward era già lì, seduto sulla sedia a dondolo messa nell’angolo. Sapevo che Edward passava lì quasi tutte le notti a guardare Bella dormire. Avevo cercato di non soffermarmi sui dettagli intimi guardando i suoi ricordi, ma qualcosa avevo visto, e il pensiero bastò a farmi arrossire. All’inizio non capivo cosa ci trovasse di bello, ma adesso, guardandola dormire tranquilla, capivo cosa lo affascinasse. Sotto i deboli raggi della luna che filtravano dalla finestra, il suo viso sembrava di porcellana, e la sua pelle di seta. – Non è bellissima? – sussurrò Edward, che intanto si era disteso al suo fianco con un movimento così veloce che non l’avevo nemmeno visto. – Sì – risposi in un sorriso. Mi dispiaceva svegliarla, ma era necessario. Guardai l’orologio. Erano le sei e mezzo. Non era così presto dopotutto. Edward, con molta delicatezza le posò una mano sul braccio e la chiamò dolcemente, sussurrandole all’orecchio. – Bella – lei aprì gli occhi lentamente, e quando vide il volto di Edward sorrise. – Ciao – gracchiò.

- Bella, amore, c’è qualcuno che vorrebbe parlarti – disse Edward guardandomi. Bella si girò verso di me, confusa. Mi guardò spaventata, come se non avessi dovuto essere così. E probabilmente aveva ragione. – Mel – gracchiò ancora. – Cosa ci fai qui? – chiese, ma guardò Edward. – Stanotte Melanie è venuta a farmi visita, e mi ha raccontato una cosa così strabiliante che penso tu debba sapere – iniziò lui. Mi fece cenno di proseguire. Bella mi fissava, sempre più confusa. Feci un respiro profondo e presi coraggio. – Bella, c’è una cosa che non ti ho mai detto, e che credo sia ora che tu sappia – feci un altro respiro. – Io sono una strega – dissi tutto d’un fiato. A quel punto lei strabuzzò gli occhi, e guardò prima me e poi Edward. Rimanemmo in silenzio per qualche istante, poi finalmente si riprese dalla sorpresa. – Wow- fu tutto ciò che riuscì a dire. – Perciò adesso anche tu sai tutto su… - mi guardò incerta. Io risi. – Sì, so tutto. Ogni singolo dettaglio -  la rassicurai. – Perfetto. Allora sei dei nostri ormai. – non sembrava sconvolta come credevo. Forse ormai era così abituata ad essere circondata da creature non umane che sapere che sua cugina era una strega non la sconvolgeva più di tanto. – Già, sembrerebbe proprio così – risposi sorridente. Dopo fu più facile spiegarle tutti i dettagli: della mia visita alle quattro di notte, del fatto che pensavamo che i Volturi non sarebbero stati un problema, visto che anche io non ero esattamente umana, del fatto che Edward poteva sentirmi solo quando lo decidevo io, che gli avevo letto la mente eccetera. Il tempo passò in fretta, e alla fine rischiammo persino di arrivare in ritardo a scuola. I giorni successivi furono i più sensazionali della mia vita, finalmente sentivo di avere trovato il mio posto, lì a Forks, e avevo potuto condividere il mio segreto con Bella e con i Cullen. Ormai non ero più sola. Non ero mai stata così felice. E il bello doveva ancora arrivare.

Era venerdì, finalmente la scuola era finita e potevamo rilassarci. Quella sera a cena Bella cucinò un filetto alla Strogonoff, una ricetta di nonna Swan. Io e Bella avevamo deciso che a cucinare ci avrebbe pensato lei, mentre io avrei lavato, apparecchiato e sparecchiato. Non che non mi piacesse cucinare, ma ero una mezza frana, perché mia mamma si era sempre rifiutata di insegnarmi, per paura che sporcassi la cucina, così adesso mi ritrovavo a dover sottostare alla cucina degli altri, anche se per fortuna bella era una cuoca eccellente.

- Ottimo, Bells -, disse Charlie dopo aver trangugiato tre piatti.

- Contenta che ti sia piaciuto. Com’è andata a lavoro?- chiese lei

- Giornata lunga. Anzi, lunghissima. Ho giocato a carte con Mark per quasi tutto il pomeriggio -, ammise sorridendo. – Ho vinto, diciannove mani a sette. Poi sono stato un po’ al telefono con Billy -. Vidi l’espressione di Bella cambiare. La mascella si tese, e strinse i denti.

- Come sta? – chiese cercando di rimanere calma

- Bene, bene. A parte qualche fastidio alle articolazioni -.

- Ah. Mi dispiace –

- Chi è Billy?- chiesi guardando Charlie perplessa. In realtà sapevo chi era Billy, sapevo anche di Jacob, l’amico di Bella, quello che le era stato accanto quando Edward, per cercare di proteggerla, se n’era andato. Purtroppo Jacob era un licantropo, il che complicava la faccenda. Sapevo tutto questo perché l’avevo letto nella mente di Edward, ma teoricamente io non sapevo di Jacob, e dovevo stare al gioco.

- Billy è un amico di famiglia. Vive a La Push, giù alla riserva – fece una pausa, poi continuò. – Ci ha invitati a casa sua questo fine settimana. Pensava di chiamare anche i Clearwater e gli Uley. Iniziano i play-off, guardiamo la partita tutti assieme… - disse guardano prima me e poi Bella. Ovviamente Edward aveva già trovato il modo di tenerla lontana da casa per quel fine settimana. Un paio di giorni prima infatti, Edward aveva fatto notare a Charlie che Bella non aveva ancora sfruttato il vecchio regalo di compleanno di Esme e Carlisle, ovvero due biglietti aerei per andare a trovare sua madre in Florida. Il fatto che i biglietti fossero due, e che l’altro fosse destinato a Edward, inizialmente aveva fatto infuriare Charlie, ma alla fine aveva dovuto arrendersi davanti al fatto che Bella ormai era maggiorenne e che aveva tutto il diritto di andare a trovare sua madre con chi voleva. Da parte mia trovavo l’ attenzione di Edward un tantino psicotica, specialmente quando si trattava di tenere Bella lontano da Jacob. Per quanto avevo capito i licantropi non erano così pericolosi. Avevo studiato anche loro a scuola, e Bella me ne aveva parlato meglio nei giorni precedenti. Non erano proprio dei licantropi, erano mutaforma. La scelta del lupo come animale era casuale. Non erano assassini, anzi, il loro compito era proteggere gli umani. Chissà come aveva fatto Edward a sapere che Billy ci avrebbe invitati a casa sua proprio quel fine settimana. Poi tornai a pensare a quello che aveva detto Charlie: andare a vedere i play-off. Feci una smorfia. Il baseball non mi era mai piaciuto. Anzi, a dire la verità odiavo ogni tipo di sport. Non ero negata come Bella, la mia coordinazione occhio-mano era buona, e quando giocavo con gli amici mi divertivo, ma quando si trattava di seguirlo in TV avrei preferito morire. Charlie notò la mia smorfia di disgusto e rise.

- Non ti preoccupare, Melanie – disse – Ci sarà Jacob a farti compagnia. E’ il figlio di Billy, è un bravo ragazzo. Ha un anno meno di te, vi troverete bene. –

- Peccato tu non possa venire  – continuò Charlie rivolgendosi a Bella, - a Jacob avrebbe fatto piacere – stava tentando di dissuaderla dal partire? Ridacchiai al pensiero di quel suo debole e inutile tentativo. 

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Capitolo 5
*** Una di voi 2 parte ***


Sapevamo benissimo tutti e tre che Edward non le avesse mai permesso di andare alla festa, e nessuno dei tre era in grado di impedirglielo. Charlie, perché a parte fare una sfuriata non aveva altre opzioni – non sapeva nemmeno come stavano esattamente le cose – Bella, perché amava talmente tanto Edward che pur di farlo felice avrebbe fatto qualunque cosa, e infine io, la nuova arrivata, che in realtà nessuno prendeva sul serio. Almeno per ora.  Io avrei tanto voluto impedire a Edward di sequestrare Bella ogni volta che voleva, ma purtroppo non potevo, se ci tenevo a far parte del gruppo o a non essere rinchiusa in una cella sotterranea chissà dove.  Per questo nessuno dei tre poteva reagire, ed eravamo costretti a sottostare ai capricci insensati di Edward – chi consapevolmente, chi un po’ meno-. 

La cosa più fastidiosa di tutta quella faccenda, però, era che sarei stata sola, alla festa. Non che avessi bisogno di protezione, ma incontrare persone nuove mi metteva sempre un po’ a disagio. Era un piccolo segreto di cui solo i miei genitori e Bella erano a conoscenza, e che non avevo mai rivelato a nessuno – né avevo intenzione di farlo-.

- Lo so – rispose in quel momento Bella a Charlie. Improvvisamente mi ripresi dalla mia riflessione e parlai. – Non ti preoccupare, Bella, spiegherò io a Jake il motivo della tua assenza. Capirà, vedrai -, le dissi reggendole il gioco e sperando di calmare Charlie. – Ti ringrazio Mel -, rispose sorridendo. Io ricambiai. – Figurati -.

Parlammo un altro po’ della scuola e del lavoro, e la conversazione ,più o meno, finì lì. Era semplice parlare con Charlie e con Bella. Non si facevano mia discorsi a vuoto. Ogni giorno la discrezione di Charlie e la maturità di Bella mi colpivano sempre di più. Era come stare con due adulti, anziché con uno. Detta così potrebbe sembrare una cosa brutta, invece non lo era affatto. Anzi, era istruttivo. Ognuno dava qualcosa all’altro, e vivevamo in perfetta armonia, o quasi. Charlie mi insegnava ad essere meno ficcanaso,e io gli insegnavo a relazionarsi con le persone. Bella mi faceva diventare più matura e io le insegnavo a lasciarsi andare. Le uniche discussioni, o liti, in casa Swan erano sempre su gli stessi argomenti: Edward e Jacob. Gestire la faccenda con Charlie era ogni giorno più faticoso, soprattutto per Bella. O cercavo di aiutarla come potevo, ma non era sempre facile. Nell’insieme però andava tutto bene, e non potevo lamentarmi. Avevo conosciuto delle persone fantastiche e trovato il mio posto tra la gente, e tra i Cullen. Quello che non avrei mai pensato era che le sorprese non erano affatto finite lì.

 

 

 

Spazio dell'autrice:

Risposta al commento di 8Alice8 : grazie mille di avere letto la mia storia, spero continuerai a farlo, e grazie per la disponibilità. Per ora mi pare di essere riuscita a metterlo in HTML, ma se avrò bisogno di aiuto chiederò. Sono alle prime armi e un aiuto fa sempre comodo. Ancora grazie. Lele

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Capitolo 6
*** Festa ***


Incolla q

 5- Festa

 

Vedrai, ti piacerà -. Charlie stava guidando verso La Push, tutto eccitato. A quanto pare aveva deciso di mettere totalmente fine al mio proposito di rimanere nell’ombra e di comportarmi come una persona normale. Avevo cercato di convincerlo che potevo benissimo rimanere a casa anche se non c’era Bella, ma lui non aveva voluto sentire ragioni. “Non penserai di diventare scontrosa come lei, vero? “ aveva detto quella mattina. “Ma io neanche li conosco i Black, Charlie! Sarei di troppo!” era stato il mio disperato tentativo di sottrarmi all’impegno. “Appunto. Questa è l’occasione per farlo”, aveva risposto lui, mettendo così fine alla conversazione. In realtà il problema non era andare a casa di Billy, era con cosa ci sarei dovuta andare. Charlie aveva voluto per forza usare la macchina della polizia, nonostante le mie proteste, e quello non rientrava certamente nei miei criteri di normalità. Avevo anche provato a convincerlo ad andare con il pick-up di Bella, ma lui non aveva voluto saperne.

“ E’ lento, e poi che senso ha, possiamo benissimo andare con la mia auto “. Sì, certo, la sua auto. L’auto della polizia. Avevo posto ben in chiaro fin dall’inizio che non sarei mai salita di mia volontà su una volante, ma a quanto pare non ero stata abbastanza categorica.

- Certo, certo -, buffo, ancora non conoscevo Jacob e già avevo preso il suo tic. Sicuramente era perché l’avevo sentito nella mente di Bella, qualche giorno prima. Avevo letto anche la sua mente per poter avere anche una sua versione della storia, in modo da non vederla solo dal punto di vista di Edward. Lei aveva accettato di mostrarmi i suoi ricordi, molto dettagliati, e io avevo avuto il piacere di “conoscere” Jacob Black. O meglio, Jake. La mente di Bella non era affatto contorta come lei diceva, anzi, era una delle menti più interessanti che avessi mai ascoltato. Quella di Edward era “grande”, aveva un sacco di spazio a disposizione, ma gli unici ricordi felici che aveva erano quelli che comprendevano Bella. La sua esistenza era terribilmente travagliata, piena di contraddizioni. La mente di Bella invece era semplice, limpida. Tutti i suoi ricordi erano concentrati negli ultimi due anni. Edward riempiva i suoi pensieri costantemente, ma anche Jake era molto presente. Gli voleva un gran bene, e gli dispiaceva che fosse in guerra con Edward, lo considerava come un fratello. Uno molto speciale. E anche io, dopo aver letto i suoi ricordi, lo sentivo così. Lo sentivo vicino, e come lei, sentivo che soffriva. Soffriva per un’amica, una che era come una sorella. Nessuno riusciva a capire davvero il loro legame, così profondo, ma anche così semplice, per chi aveva gli occhi giusti per osservarlo. Molti, compreso Edward, lo percepivano nel modo sbagliato, come se fosse quasi amore. Non riuscivano a cogliere la sottile linea che rendeva quel legame diverso dall’amore e dall’amicizia, che lo rendeva unico e speciale, diverso da qualunque altro. Per un attimo mi tornò a mente il mio amico d’infanzia, Lucas, che ormai non vedevo da anni. L’ultima volta era stata nell’estate della mia terza media. Viveva in un paesino sperduto nel nulla, dove andavo tutte le estati, quando ero piccola, con mia nonna. Avevamo una casa lì, che era occupata solo da lei. Fino all’età di circa dieci anni passavo tre mesi di vacanze lì con lei, a farle compagnia. Poi lei invecchiò, e non fu più in grado di prendersi cura di me, così la visita a quella casa divenne rara, e quando morì, impossibile. Fu venduta, o meglio, svenduta, al miglior offerente, e non vidi più Lucas. Ci sentivamo spesso, ci scrivevamo, certo, ma non era come averlo. Come essere lì con lui. Per molto tempo l’avevo considerato quasi un fratello, e rivedere quell’antico legame in Bella e Jacob mi faceva pensare. Bella non lo aveva abbandonato, nonostante tutto e tutti, e lui non aveva abbandonato lei. Io l’avevo fatto, e mi sentivo tremendamente in colpa per questo. Due lacrime mi rigarono il viso.

- Ehi -, Charlie mi guardò preoccupato. – Tutto bene? – annuì, asciugandomi le lacrime con il dorso della mano. – Sicura? – insistette. – Sì. Stavo solo pensando – risposi sforzandomi di sorridere. Mi fissò ancora per un secondo, poi tornò a guardare la strada. Appoggiai la testa contro il sedile e guardai fuori dal finestrino. Una sfilza di alberi ricoperti di muschio delimitava la fine della corsia. In fondo quel posto non era male, a parte per il freddo. Era tutto così affascinante, misterioso. E non solo gli alberi. Una brusca frenata mi riportò con i piedi per terra. Eravamo arrivati, finalmente. Scesi dall’auto con estrema lentezza, guardandomi intorno. Davanti a me c’era una casa di legno, piuttosto piccola e malandata. Da dietro la casa spuntava una specie di capanno, che doveva essere il garage. Dovunque c’era fango. Mi guardai i piedi, e le converse immerse nella mota. “Meno male che sono nere”, pensai.

 – Charlie! – una voce maschile e profonda mi fece alzare gli occhi. Billy, sulla sedia a rotelle si stava spingendo verso Charlie, che gli andava incontro con una confezione di birra in mano. Si diedero una pacca sulla spalla, a mò di saluto, scherzando. Tutta quell’intimità mi metteva a disagio, mi sentivo di troppo.

- Quando torna Edward giuro che l’ammazzo per avermi portato via Bella -  borbottai tra me e me. Mi avvicinai a Charlie e Billy, sforzandomi di sorridere.

- E questa deve essere Melanie, giusto? - , Billy mi sorrise porgendomi la mano. – E’ un piacere conoscerti - , aggiunse. – Anche per me – ricambiai stringendogliela.

- Jake non c’è? – s’informò Charlie guardandosi attorno.

- No, dovrebbe fare un salto da queste parti fra poco, ma non potrà restare,

purtroppo -, rispose. Fantastico. Sola in mezzo a dei tifosi del baseball. Edward me l’avrebbe pagata. In quell’esatto momento, una voce chiamò Charlie.

Jacob si avvicinava a grandi passi, vestito solo da una maglietta a maniche corte e un paio di jeans malridotti. Salutò Charlie e mi sorrise. – Tu sei Melanie, giusto? –

-Sì – riuscii a malapena a pronunciare. – Jacob - , mi porse la mano, che strinsi con vigore. La sua era calda, caldissima, e la mia fredda, freddissima. Il contatto fu piacevolissimo. – Purtroppo non posso rimanere – disse rivolto a Charlie e Billy, - ma se non vi dispiace vorrei rubarvi Melanie, così avremo l’occasione di conoscerci meglio – continuò esibendo un magnifico sorriso. Sulle prime Charlie rimase sorpreso, non so se dalla richiesta o dal sorriso, poi annuì. – Certo – rispose.

- Perfetto. Allora noi andiamo -, concluse Jacob. Diede una pacca sulla spalla a Billy e salutò di nuovo Charlie con un cenno, mentre i due entravano in casa. Rimase a fissarmi per un istante, poi mi guardò dritto negli occhi. – Allora, ti va di fare due chiacchiere? – chiese sorridente.

 Come era successo con Edward la prima volta, mi persi nei suoi occhi marrone mogano, lo stesso colore dei tronchi degli alberi. Lo osservai attentamente, soffermandomi sui dettagli, prima di rispondere. La sua pelle era scura, color cioccolato al latte. I suoi capelli erano neri come la pece, le sue labbra piene erano aperte in un sorriso, che scopriva i denti perfetti, bianchi come perle, e ancora più belli a contrasto con la pelle scura. Era alto, molto più di me. Il suo corpo muscoloso era nascosto con difficoltà dalla maglietta, e la sua voce aveva un che di tranquillizzante e seducente allo stesso tempo. Molti non sarebbero stati d’accordo con me forse, ma io lo trovavo mille volte più bello di Edward. Nonostante i ricordi di Bella fossero abbastanza limpidi, vederlo nella sua mente e vederlo con i miei occhi era tutta un’altra cosa. E pensare che Bella era stata un anno intero senza Edward, in sua compagnia, e nonostante tutto erano solo amici. Potevo capire Jacob, sicuramente aveva mille ragazze più carine che facevano la fila per lui, ma Bella! Bella davvero non la capivo.

- Certo – riuscii a rispondere alla fine. – Bene – il suo sorriso, così splendido, così luminoso, mi aveva fatto fermare il cuore. Con un sussulto, ricominciò a battere.

“ Sarà una lunga, lunghissima giornata “ pensai tra me e me, e quel pensiero mi fece stare ancora meglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ui il testo.

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Capitolo 7
*** Amici ***


Ehi, ciao a tutti! Ho visto che ci sono nuovi commenti e che alcuni hanno letto la mia storia senza recensire... male! ;-P no, a parte gli scherzi, mi piacerebbe molto avere un vostro parere, anche breve, con consigli, critiche, suggerimenti e cose varie. Tutti i vostri suggerimenti sono bene accetti e OVVIAMENTE se dovessi utilizzare una vostra idea vi renderò merito, s'intende!
Spero che questo capitolo vi piaccia, e buona lettura! <3 Lele





Camminavo a passo svelto, cercando di stargli dietro, mentre le mie scarpe affondavano nella sabbia, facendomi sbilanciare.
- Ehi! - protestai, - Rallenta! Così non riesco a starti dietro! – Jacob si girò a guardarmi, e sorrise, rallentando. Lo raggiunsi, cercando di non sprofondare nel terreno. - Non volevi chiacchierare? - chiesi ansimando.
Lui ridacchiò, facendomi segno di sedermi su un enorme tronco piaggiato davanti a noi. Un’immagine mi balenò nella mente: un’immagine presa dalla mente di Bella. Quello era il loro albero. Sorrisi a me stessa e mi sedetti accanto a lui. Jacob guardava il mare, con un’espressione indecifrabile sul volto. Stranamente il silenzio non m’imbarazzava, anzi, era piacevole. Mi concentrai sui particolari del suo viso, dimenticandomi di tutto il resto, tanto che quando finalmente parlò la sua voce profonda mi fece sobbalzare. - Quando? - mi chiese con sguardo accusatore. - Cosa? - domandai confusa. - Bella - continuai a fissarlo con un' espressione ebete sulla faccia. Lui tirò un sospiro scocciato. - La trasformazione - disse con aria disgustata. Dunque era qui che voleva arrivare. La passeggiata era solo un diversivo per chiedermi di Bella. E io che avevo pensato… che idiota. - Ah - fu la mia banale reazione. - Dopo il diploma, credo - risposi. Lui si tese. Strinse i pugni e chiuse gli occhi, cercando di mantenere la calma. Le sue mani tremavano. " Cerca di non farlo arrabbiare, Mel " la voce di Edward mi risuonò in testa. Avrei dovuto allontanarmi, prendere le distanze, ma non lo feci. Rimasi impassibile, immobile al mio posto. Proprio come Bella, sentivo che Jacob era innocuo, che nemmeno volendo avrebbe potuto farmi del male. Mi sentivo al sicuro con lui. " Stai attenta". Sentii ancora la voce di Edward. Per un attimo fui tentata di alzarmi, ma poi lo guardai negli occhi e capii. Jacob non era arrabbiato. Era frustato. Soffriva, ma cercava di non darlo a vedere. Improvvisamente, nei suoi occhi marroni rividi Lucas. Rividi il suo sguardo il giorno che c'eravamo detti addio: la stessa sofferenza, la stessa rassegnazione. Allungai la mano fino alla sua, e la strinsi forte. Avrei voluto abbracciarlo, consolarlo, ma non ce la feci. Due lacrime dolci scesero lungo le mie guance, e caddero sulle nostre mani intrecciate. - Lo so - sussurrai. Lui fece un sorriso confuso. - Cosa? - domandò guardandomi negli occhi. - Cosa vuol dire perdere un amico - risposi con voce tremolante, cercando di trattenere le lacrime. Lui sorrise debolmente. - Ma soprattutto so come ci si sente quando facciamo soffrire qualcuno che amiamo senza volerlo - continuai. Lui mi guardò aggrottando le sopracciglia. - Quando ero piccola, andavo tutte le estati da mia nonna, in un piccolo paesino. Conoscevo tutti lì, ma soprattutto lì viveva il mio migliore amico, Lucas - lo guardai negli occhi un istante, cercando di capire la sua reazione. Lui mi osservava curioso. - Gli volevo molto bene, ma non ci vedevamo spesso. Un giorno mia nonna morì, e la casa dove viveva fu venduta. - feci una pausa, trattenendo a stento le lacrime. - Non sono più tornata lì. L'ultima volta che l'ho viso avevo tredici anni. - A quel punto le lacrime cominciarono a sgorgare come fiumi. - Ho sofferto molto. Per me era come un fratello. - Jake mi prese la mano, cercando di consolarmi. - Ho sempre dato la colpa a me stessa per quanto aveva sofferto, e adesso rivedo la sua sofferenza in te - continuai, -  Lo rivedo nei tuoi occhi, e mi rivedo in Bella - strinsi la sua mano - E' come se il destino volesse mostrami di nuovo tutto il male che gli ho fatto - ormai singhiozzavo. Improvvisamente, mi ritrovai tra le braccia di Jacob. Mi aveva avvolta nel suo abbraccio rovente, e mi carezzava la schiena. - Non è colpa tua. Non potevi farci nulla - mi sussurrò nell'orecchio. - L'ho abbandonato - singhiozzai - Ma non l'hai dimenticato. E' questo l'importante - mi rassicurò. Con riluttanza sciolsi l'abbraccio per guardarlo negli occhi. - Ti basterebbe? - chiesi con gli occhi rossi dal pianto.
- Non è la stessa cosa - mi teneva solo la mano, e guardava la sabbia. - Si che lo è - insistetti - Lui è la sua vita, e loro sono la sua famiglia - spiegai.
- Non è obbligata a diventare una di loro - rispose a denti stretti. - Neanche lui vorrebbe trasformarla - alzò lo sguardo.  - Tu e lui avete la stessa paura - feci una pausa enfatica. - Perderla - dissi infine. Lo guardavo, con gli occhi pieni di lacrime.
- Ma se quello che mi hai detto è vero, sarete sempre amici - continuai.
- Non vorrò più vederla, dopo - disse duro. Sorrisi di quella bugia. - Perché puzzerà? - ridacchiai. Lui mi fissò, serio. - Non sarà più la mia Bella. La mia amica non ci sarà più - disse sconsolato. Gli accarezzai il viso. - Tu non l'abbandonerai - insistetti. Lui mi fissò, insicuro. - Le vuoi troppo bene, e lei ne vuole a te - spiegai con un sorriso.
- Siete parte l'uno dell'altra ormai, e non puoi più tornare indietro –
 
Stavo tornando a casa, raggomitolata nel sedile del passeggero, nella macchina della polizia. “ Ti odio, ti odio, ti odio “ pensavo guardando Charlie sottecchi. Dio mio, perché dovevamo andare con quella stramaledetta macchina? Non era imbarazzante, era peggio. Pioveva, tanto per cambiare, e lo stridio del tergicristalli sul vetro mi dava ai nervi. Una volta arrivati a casa, Charlie parcheggiò e spense l’auto. Non uscì, ma restò immobile al volante. Dopo qualche minuto cominciai ad innervosirmi.
- Cosa c’è? Aspetti che smetta di piovere? – dissi ironicamente. Lì non smetteva mai di piovere. – Dobbiamo parlare – rispose lui. – Ti ascolto – lo guardai, perplessa.
- Oggi ho notato che tu e Jacob siete stati molto insieme… - lasciò la frase in sospeso
- Siamo solo amici – lo anticipai, capendo dove voleva arrivare. Lui sospirò, guardandomi negli occhi. – Non pretendo che tu mi racconti cosa fai con Jacob, voglio solo che tu stia attenta – O no, eccoci. Era il momento della ramanzina.
- Jake è un bravo ragazzo, Charlie – insistetti – Lo so. Ma è un ragazzo, Melanie – continuò imperterrito. – Non sono tutti dei pervertiti, sai Charlie? – risposi ironicamente. – Secondo me stai esagerando con questa storia, Charlie – continuai, -Anche con Bella. Insomma, anche se succedesse qualcosa, che male ci sarebbe? – Charlie diventò paonazzo, e prima che potessi cercare di calmarlo, esplose.
- Che male ci sarebbe?! Siete ancora due bambine, santo cielo! – mi urlò. – Non ti rendi conto dei pericoli?! Non si va a letto con il primo che passa! – a quel punto il mio istinto di adolescente s’impossessò di me. – Il primo che passa?!? Edward non è il primo che passa, e neanche Jacob! E poi io sono libera di fare quello che voglio! – ribattei ferocemente.
Charlie era sempre più rosso, ormai in preda all’isteria. –Ah si? Le cose stanno così? Bene! Tu con Jacob hai chiuso! – mi urlò in faccia –Cosa? E perché? Io cosa avrei fatto?!? – era davvero ingiusto. – Tu non mi rispondi così, signorina! Questa è casa mia e tu segui le mie regole! – starnazzò isterico. – Tu non capisci nulla! Stavo solo scherzando! – replicai – Ah, si? Bè, da ora scherzi poco! – sentenziò. Ora urlare serviva a poco. Il capo Swan aveva emanato la sua condanna.
- Io e Jacob ci siamo appena conosciuti, come puoi pensare una cosa del genere? – singhiozzai, arrabbiata. Che rabbia. Tutte le volte che ero arrabbiata piangevo, il che mi faceva imbestialire ancora di più. – Tu non hai nessun diritto di difendere Bella, signorina, così come Bella non ha il diritto di fare quello che vuole! -
Lo guardai con disprezzo. Mi aveva davvero delusa.
- Bella non farebbe mai una cosa del genere, e tu lo sapresti… - per un attimo fui incerta se finire la frase, ma poi la rabbia ebbe la meglio. – Se conoscessi tua figlia -
Quelle parola furono come un fulmine a ciel sereno per Charlie, che rimaneva pietrificato al suo posto, mentre uscivo dalla macchina, sotto la pioggia, entravo in casa e correvo su per le scale, ancora bagnata. Mi chiusi a chiave in camera mia, a piangere, a tempestare di pugni il cuscino e a urlare. Improvvisamente avrei voluto andarmene, scappare via, lontano da tutto e da tutti. Un solo pensiero mi impedì di farlo: Jacob. Continuai a piangere, finché, stremata, non crollai addormentata, con ancora i vestiti bagnati addosso.

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Capitolo 8
*** Incontro inaspettato ***


- Che noia – sbuffai irritata. Io e Alice eravamo sedute al tavolo di cucina, con i libri parati davanti, mentre fuori pioveva. Allungai le gambe sotto il tavolo per stiracchiarmi. Diedi un’occhiata fuori dalla finestra e pescai distrattamente una patatina dal sacchetto che era posato in mezzo al tavolo. – Non ho voglia di starmene a casa stasera – buttai lì come se niente fosse. – E cosa vorresti fare? – domandò subito curiosa Alice. – Cosa ne dici se facessimo un pigiama party a casa tua? – domandai tutta eccitata. – Sempre se non hai da fare…- continuai, più che altro per cortesia. Le guardai gli occhi. Erano dorati, quindi non sarebbe dovuta andare a caccia presto. Ebbi un moto di sollievo. Non avevo voglia di starmene da sola a casa. Era una fortuna che la casa di Alice fosse così grande, almeno quando non avevo voglia di stare gomito a gomito con Charlie potevo andarmene da lei. Un’altra fortuna poi era che a me piacesse di tanto in tanto andare a fare shopping o uscire, visto che Bella passava tutto il suo tempo con Edward e che odiava andare a fare compere. – Mi sembra un’ottima idea! – rispose Alice. Gli occhi le luccicavano per l’entusiasmo. – Prepariamo subito la tua roba e ci fiondiamo a casa mia! – io mi rabbuiai. C’era un dettaglio a cui non avevo pensato. – Dovrò dirlo a Charlie – mormorai. Alice vide la mia espressione e mi rassicurò. – Non preoccuparti ci penso io – disse facendomi l’occhiolino. Charlie era come creta nelle sue mani. Gli avrebbe firmato anche un assegno in bianco se gliel’avesse chiesto.  – Grazie, sei un’amica – gli sorrisi, e lei ricambiò. Ovviamente Charlie acconsentì a lasciarmi andare, così portammo subito la mia roba a casa sua e poi ci dirigemmo verso il garage, dove si trovavano le auto. – Che ne dici di fare un giretto? – mi chiese accarezzando il cofano della BMW di Rosalie. Non amavo le macchine, anzi, non mi interessavano proprio. Ma sapevo nasconderlo meglio di Bella. – Perché no? – risposi alzando le spalle e accomodandomi al posto del passeggero. Mi allacciai la cintura e in un istante partimmo a razzo. L’espressione sorridente di Alice che saettava verso l’autostrada era impagabile. Quando eravamo già lontani da Forks Alice accese l’autoradio e sparò il volume al massimo. Cantava un’ottava sopra la musica, dimenandosi come una pazza mentre guidava a più di cento all’ora. Rassegnata posai la testa sul sedile e cercai di pensare ad altro. Cullata da quella musica chiusi gli occhi, e mi appisolai. Quando li riaprì eravamo ancora sull’autostrada, ma la musica ora era solo un lieve sottofondo, e Alice aveva rallentato. Adesso il contachilometri girava intorno agli ottanta all’ora. Mentre mi stiracchiavo sentì un rumore insolito provenire dalla mia destra. Mi girai per guardare, e lungo il bordo dell’autostrada, che era circondata dalla foresta, notai qualcosa. Una sagoma nera, indistinta, sembrava nascondersi tra gli alberi. –Accosta – dissi nervosa. – Perché? – mi chiese Alice perplessa. –Tu fallo e basta – le ordinai . Lei rallentò malvolentieri e accostò poco dopo. Scesi frettolosamente dalla macchina e mi addentrai nel bosco, a passo svelto. Non sentii Alice seguirmi, ma non mi voltai per controllare. Più camminavo più i rumori dell’autostrada si facevano lontani. Non sapevo nemmeno dove ci trovavamo di preciso, ma dovevamo essere vicini a Seattle. Cercavo con lo sguardo la sagoma nera che avevo notato poco prima, ma non riuscivo a vedere niente. Improvvisamente due mani mi afferrarono nel buio. Lanciai un grido e schizzai via, estraendo automaticamente la bacchetta, come d’istinto. La tenevo dritta davanti a me, puntata verso la cosa che mi aveva toccata. Quel qualcosa, o quel qualcuno, si avvicinò, facendomi scoprire la sua identità. – Ehi, calma!- la voce di Jacob risuonò tutto intorno. Teneva le mani alzate, come se gli avessi puntato addosso una pistola.
- Potresti abbassare quell’aggeggio, per favore? – disse indicando la bacchetta con un dito. Abbassai la mano e la rimisi nei jeans. – Non sai nemmeno cosa potrebbe farti – dissi alzando le sopracciglia. – Meglio essere prudenti, non si sa mai – sghignazzò. Non riuscì a trattenere un sorriso. – Che ci fai qui? – gli chiesi perplessa. Strano che mi venisse dietro. Forse anche lui pensava che non fossi capace di cavarmela da sola?
- Facevo un giro di perlustrazione – rispose vago, alzando le spalle. –Tu piuttosto, cosa ci fai qui – sfoderò un magnifico sorriso ironico, di quelli che amavo tanto. – Non mi starai per caso seguendo? – scherzò fingendo di sentirsi offeso. – Veramente sono qui con Alice, facevamo un giretto – spiegai facendo un cenno verso l’autostrada.
- Un giretto? – ripeté ironico lui. – Vicino a Seattle? – continuò sghignazzando. Feci spallucce. – Bè, sai, Alice ha un concetto tutto suo di “vicino”- risposi ridacchiando. Anche lui rise. Scambiammo qualche chiacchera, e per un paio di minuti fummo soli, io e lui, nel bel mezzo del nulla. Ad un certo punto, una voce acuta interrompette la nostra conversazione. – Melanie? Dove ti sei cacciata? – la sentì chiamare.
- Arrivo! – le gridai, affrettandomi a salutare Jacob. – Bè, ora devo andare – gli dissi, con aria afflitta. – Possiamo rivederci, uno di questi giorni – aggiunsi sottovoce. Mi preparai all’inevitabile scusa e il rifiuto che sarebbe seguito, ma Jacob si limitò a rispondere: “Certo”, e mi fece un enorme sorriso. Lo guardai negli occhi, sbalordita.
- Ci vediamo, Mel – mi sorrise, e fece per andarsene. Poi si chinò e mi diede un bacio su una guancia. Mi rivolse ancora un sorriso mozzafiato e sparì nell’ombra. Io rimasi lì come un ebete, a bocca aperta, ad aspettare che qualcuno mi svegliasse da quel magnifico sogno. Attesi un istante interminabile ma nessuno lo fece, quindi cercai di farlo da sola. Lentamente mi girai e tornai alla macchina. Lì c’era Alice ad aspettarmi, con sguardo preoccupato. Mi sedetti con la lentezza di un bradipo e posai la testa sul sedile. – Che è successo? – mi chiese. – Nulla. Ho incontrato Jacob – risposi io senza pensarci troppo. – Jacob? – esclamò stupita. – E che ci faceva qui?-
- Perlustrazione, ha detto – spiegai atona. – Ah – concluse lei. Rimise velocemente in moto, mentre io mi perdevo in mille fantasie. – Fa quella faccia solo perché l’ha visto. Cominciamo bene.- borbottò mentre alzava il volume della radio. Io la ignorai, troppo emozionata e incredula per formulare una risposta coerente. Dietro di noi il bosco cominciava a svanire, mentre davanti a noi brillavano le luci della città. Alzai la testa al cielo e mi domandai se il mio trasferimento lì non fosse un segno del destino. Persa in mille pensieri, con la testa tra le nuvole dopo quel bacio, sentivo che quello era solo l’inizio. 

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Capitolo 9
*** Invito ***



Ciao! Eccomi tornata, dopo luuunghe attese, con un altro capitolo. Chiedo scusa per il casino con il numeno dei capitoli, ho fatto confusione. Questo è il numero 8 e spero vi piacerà. Non sono del tutto convinta della grammatica, quindi se avete correzzioni o suggerimenti - anche a livello di contenuto- sarò felicissima di ascoltarli e rispondervi appena potrò. Scusate per le lunghe attese ma purtroppo non ho internet a casa e ho scarse occasioni per utilizzarlo. Provvederò a risolvere il problema il prima possibile. Intanto godetevi qst capitolo e commentate numerosi! Un bacio, Lele
Ps. a tutti quelli che hanno recensito ho risposto direttamente via mail,così non mi confondo ( nn sn molto pratica!!) e ringrazio loro per i magnifici suggerimenti e consigli! Sono così felice che vi piaccia la mia storia! Inoltre ho cercato di migliorare la presentazione ( prima era uno schifo!) sotto consiglio di una recensione. Spero vada meglio, fatemi sapere!!!






Mi svegliai nella camera da letto di Alice; il sole era alto e fuori dalla porta proveniva un ronzio acuto. Alice era già in piedi? "Lei è sempre in piedi, scema" mi corressi da sola. Non ricordavo a che ora eravamo tornate, la sera prima. Probabilmente mi ero addormentata durante il viaggio di ritorno. A dire la verità riuscivo solo a ricordare che avevamo incontrato Jacob durante l'andata, ma quello che era successo dopo era solo un vago ricordo. Mi pareva di ricordare un cinema, una pizzeria, Mike Newton che vomitava… no, quello era un ricordo di Bella.
Mi alzai lentamente. La testa mi girava per la lunga dormita, ma ero lucida.
Mugolai un po’, stiracchiandomi, poi mi ricomposi velocemente e scesi al piano di sotto. Alice gironzolava tranquillamente da una parte all'altra della casa, passandomi davanti con grazia e velocità vampiresca. Con la delicatezza di un elefante mi buttai sul divano bianco al centro del salone, sbuffando. Alice stava aggiustando un mazzo di rose in un vaso posato sul tavolo davanti a me. -Mi fai girare la testa, Alice - le dissi con una smorfia. - Non rallenti mai, tu? - le chiesi con un aria mista tra l'assonnato e l'infastidito. Lei non sembrò preoccuparsene, e fece spallucce. - E tu non acceleri mai? - rispose sarcastica rivolgendomi uno di quei suoi sorrisetti divertiti. - Mai prima delle undici -, controbattei accasciando la testa sul divano.
  La sentii ridacchiare, anche se con gli occhi chiusi non potevo vederla. - E poi non era Edward quello sarcastico della famiglia?- protestai ancora ad occhi chiusi, mentre si allontanava in direzione della cucina. - E chi lo dice? - la sua voce era un ottava più alta, anche se non urlava. - Il mio lato permaloso - borbottai in risposta, alzandomi dal divano e dirigendomi verso di lei. Il tavolo di cucina era apparecchiato con quella che doveva - per forza - essere la mia colazione. - Hai ospiti, per caso?- domandai indicando tutto quel cibo. - Solo te - rispose lei sempre indaffarata. Alzai le sopracciglia e la fissai stupita - E pensi che mangerò tutto questo da sola? - Evidentemente non aveva ben presente le dimensioni di un pasto umano. - Cos'è, mi fate ingrassare e poi mi servite come portata principale al pranzo della domenica? - scherzai divertita. - No, te lo chiedo perché se non lo sai, le streghe sono amare da fare schifo - continuai addentando un toast imburrato. Lei fece finta di non ascoltarmi, aggiustando i fiori in mezzo al tavolo. - Io lo dico per te, non vorrei che rimanessi delusa - biascicai assaggiando le uova con il bacon.  Lei si voltò verso di me, scuotendo la testa. - Muoviti a mangiare, Bella arriva tra poco - Meno male. Ero "scappata" di casa per quel motivo. Senza lei che rimaneva calma davanti alle insinuazioni di Charlie rischiavo di scoppiare. Ripensai alla sfuriata di due giorni prima e sentii le mani prudermi, come succedeva quando ero arrabbiata. Finito di mangiare mi alzai e misi i piatti vuoti nella lavastoviglie. La feci partire e rimasi lì, ferma, a pensare.
Guardando fuori dalla finestra, avevo voglia di volarmene lontano, e non tornare mai più. Per un attimo la mia mano esitò, prese la bacchetta, aprì la porta-finestra che dava sul bosco e rimasi lì, sul bordo della finestra, con i capelli scompigliati dal vento. Un piede nella realtà, uno nella fantasia. Volevo volarmene lontano, verso ciò che avevo perso; verso ciò che rivolevo indietro. Un ricordo di quando ero piccola mi passò davanti agli occhi. Io e Lucas che giocavamo vicino all'acqua. Sorridevamo, innocenti e inconsapevoli, ma felici. Cosa avrei dato per rivivere quei momenti. - Perché non sei qui? - sussurrai. Un pensiero, non una vera domanda. - Mi manchi - parlavo ad alta voce, ma solo perché il dolore era troppo forte per tenere dentro le parole, e forse, se le avessi affidate al vento, lui le avrebbe sentite.
-Che stai facendo? - la voce di Alice mi riportò sulla terra. Mi girai di scatto, i capelli scompigliati. Non mi vedevo, ma dovevo avere una faccia sconvolta, perché lessi la sua preoccupazione. - Va tutto bene? - chiese seria.
Asciugai le lacrime con la mano, e annuì frettolosamente. Il vento e il pianto avevano reso i miei occhi rossi. Mi fissò per un attimo, poi continuò. - Dobbiamo andare - mi disse. Annuii. -Dammi solo un minuto - chiesi con voce tremolante. Mi fissò, poi acconsentì con un gesto. - Ti aspetto alla macchina -
Le sorrisi, facendo cenno di si. Mi guardò un' ultima volta, poi uscì. Mi girai di nuovo verso la finestra, e altre due lacrime scesero veloci lungo le mie guance. Rimasi un istante a fissare il bosco, e l'orizzonte. Le braccia incrociate; strette contro lo stomaco che mi faceva male. Con un gesto lento asciugai le lacrime e chiusi la finestra. Lanciai un ultimo sguardo affranto fuori e raggiunsi Alice.
Salii in macchina, chiusi la portiera e allacciai la cintura. -Pronta a tornare a casa? - chiese Alice. Come se dovessi andare chissà dove. Stranamente però, una domanda così assurda, in quel momento pareva appropriata. - Non sarò mai pronta - risposi con un sospiro. Alice ridacchiò e mise in moto. Cinque minuti dopo ero già sul vialetto di casa, pronta per tornare alla solita vita. Bella era appena arrivata, la Volvo argentata era parcheggiata poco prima della nostra macchina, e Charlie stava appunto dando il bentornato ai piccioncini quando scesi di macchina. - Mel! - la voce di Bella era inconfondibile. Impacciata, delicata e sincera. La voce di un'amica, la voce di una sorella. -Bella!- le andai incontro abbracciandola.
Ero una delle poche che aveva il permesso di farlo. Solitamente lei non amava il contatto fisico, ma tra di noi era diverso. Con me era diversa. Diceva sempre che io riuscivo a tirare fuori il meglio di lei, a farla sentire meno impacciata. Un po come con Jake. - Mi sei mancata! -, la strinsi forte per un istante e poi la lasciai andare. -Anche tu a me - rispose in un sorriso. Lasciai che salutasse anche Alice, poi entrammo entrambe in casa. Edward insistette per portare al piano di sopra anche le mie cose, nonostante fossi perfettamente in grado di farlo da sola.
Era sempre gentile con tutti, dovevo ammetterlo. E anche se alcune volte era iperprotettivo era senza dubbio un ragazzo fantastico. Anche se troppo perfetto per me, era senza dubbio un ragazzo da sposare, e non per nulla l'unica che era riuscita ad attirare la sua attenzione era mia cugina. Aveva sbaragliato la concorrenza senza nemmeno rendersene conto. Vampire comprese. Dopotutto buon sangue non mente.
Mentre guardavo Edward salire velocemente le scale, il telefono squillò.  – Vado io! – urlai prendendo in mano la cornetta. – Pronto? – dissi automaticamente. – Melanie? – rispose una voce calda e familiare. – Jake! – esclamai sorpresa, - Volevi Bella? – domandai sporgendomi verso la cucina per vedere dove fosse. – In realtà volevo parlare con te – balbettò imbarazzato. – Oh – ,che figura, pensai. – Dimmi –
- Volevo sapere se sei libera, più tardi – chiese confuso. Io rimasi muta dalla sorpresa per un istante, prima di riprendermi. – Certo – balbettai in risposta. Sentivo le guance avvampare, e la temperatura salire. Improvvisamente sentivo caldo, come se fossi in un forno. – Perfetto, allora ci vediamo tra un ora? – nella sua voce c’era qualcosa di strano. Era come se stesse sorridendo, mentre parlava.
– Ok – confermai, - Tra un’ora -. – Perfetto – l’atmosfera si stava facendo tesa, forse era meglio interrompere la conversazione. – A dopo – balbettai, poi misi giù la cornetta. Rimasi immobile, in attesa che il sangue defluisse dal cervello. Posai una mano sulla guancia. Era in fiamme. Cercai di farmi aria per farle tornare al loro colorito normale, sperando che nessuno se ne accorgesse. – Caldo? – domandò Edward con tono malizioso. Se ne stava appoggiato al corrimano, un’espressione divertita sul viso. – Da quanto sei lì? – domandai piuttosto nervosa. Lui fece spallucce. – Non da molto – rispose con un sorriso sghembo. – Chi era al telefono? – domandò sempre con la stessa espressione. Per un momento considerai la possibilità di raccontargli una balla, ma poi ci ripensai. Se avesse sentito tutto avrei fatto la figura dell’idiota. – Jacob – risposi fingendo indifferenza. – Mi ha chiesto se posso raggiungerlo tra un’ora – spiegai facendo la vaga. – Capisco – annuì sorridendo.
 – Ecco perché avevi caldo – ridacchiò andandosene.
– Stai attenta Melanie - continuò mentre apriva la porta, - frequentare i licantropi non è sicuro – adesso era serio, non scherzava. Non mi piaceva quando faceva così.  – Perché invece avere un cognato vampiro è il massimo della sicurezza, vero? – scherzai con fare ironico. – Voglio solo che tu stia attenta – continuò senza accenni d’ironia sul volto. Gli rivolsi uno sguardo rassicurante. - Non ti preoccupare -, sorrisi. - Starò bene – davvero non c’era bisogno di tutto quell’allarmismo. Quando l’avrebbe capito? Edward annuì e in un lampo uscì di casa. – Gli uomini – sospirai scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo. – Sono così bambini! – esclamai a me stessa ridacchiando. Salii veloce le scale, verso la mia camera. Avevo meno di un’ora per essere perfetta.
  

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Capitolo 10
*** Tra sogno e realtà ***


Ciao a tutte!! Ecco a voi un altro capitolo della " saga" di Melanie! Stavolta scopriremo cosa c'è tra Jacob e Melanie una volta per tutte. Il capitolo "clou" della storia è arrivato! Eheheheh
Spero tanto che continuerete a leggermi e soprattutto a recensire!!!!! Besos Elly




- Calma Melanie - ero seduta al volante del pick up di Bella, le mani fredde sulle tempie. Il mio stomaco era tutto sottosopra, avevo le farfalle nello stomaco e il respiro accelerato. -Respira -, continuavo a ripetermelo, ma non funzionava. Avevo parcheggiato sul vialetto che andava a casa di Jacob, ma non avevo il coraggio di scendere dall'auto. "Chissà mai perché vuole vedermi " avevo pensato per tutto il tragitto; - Forse vuole solo sapere come sta Bella - cercai di convincermi. L'idea che volesse vedermi solo per parlare di mia cugina, però, peggiorava solo le cose. Era inutile restare lì a tormentarsi, tanto valeva uscire e affrontare la situazione. - Coraggio - dissi a voce alta, - ce la puoi fare -, mi ripetei uscendo dall'abitacolo. Sbattei forte la portiera nella speranza che Jacob mi sentisse e mi risparmiasse l'incombenza di dover suonare.
Proprio come avevo sperato, infatti, un istante dopo Jake mi stava venendo incontro sorridendo. - Ciao - sussurrò dolcemente. - Ciao - risposi io, sopraffatta dall'emozione. - Ti va di fare una passeggiata sulla spiaggia? - domandò guardandomi negli occhi. - Certo - non riuscivo neanche a parlare dall'emozione. Guardandolo negli occhi dimenticavo persino il mio nome. Mi sorrise dolcemente e facendo un cenno con la testa come per dire "Andiamo" si incamminò -
-Calma Melanie - ero seduta al volante del pick up di Bella, le mani fredde sulle tempie. Il mio stomaco era tutto sottosopra, avevo le farfalle nello stomaco e il respiro accelerato. - Respira -, continuavo a ripetermelo, ma non funzionava.
Avevo parcheggiato sul vialetto che andava a casa di Jacob, ma non avevo il coraggio di scendere dall'auto. "Chissà mai perché vuole vedermi " avevo pensato per tutto il tragitto; - Forse vuole solo sapere come sta Bella - cercai di convincermi. L'idea che volesse vedermi solo per parlare di mia cugina, però, peggiorava solo le cose. Era inutile restare lì a tormentarsi, tanto valeva uscire e affrontare la situazione. - Coraggio - dissi a voce alta, - ce la puoi fare -, mi ripetei uscendo dall'abitacolo. Sbattei forte la portiera nella speranza che Jacob mi sentisse e mi risparmiasse l'incombenza di dover suonare.
Proprio come avevo sperato, infatti, un istante dopo Jake mi stava venendo incontro sorridendo. - Ciao - sussurrò dolcemente. - Ciao - risposi io, sopraffatta dall'emozione. - Ti va di fare una passeggiata sulla spiaggia? - domandò guardandomi negli occhi. - Certo - non riuscivo neanche a parlare dall'emozione. Guardandolo negli occhi dimenticavo persino il mio nome. Mi sorrise dolcemente e facendo un cenno con la testa come per dire "Andiamo" si incamminò.
L'aria sulla spiaggia era gelida, e la sabbia era bagnata dopo la pioggia di quella notte. Passeggiavamo accanto, in silenzio; le mie mani erano gelide, rifugiate nelle tasche del cappotto. Ci sedemmo sul solito tronco, quello che una volta era il posto dove andava con Bella. Avrei dovuto sentirmi offesa da quella scelta forse, un po’ come se cercasse di ritrovare Bella in me, ma stranamente sentivo che non era così. Sicuramente la mia mente era offuscata e poco lucida in quei momenti, ma sentivo di non essere solo una ruota di scorta. O forse ci speravo con tutte le mie forze. - Ho le mani congelate - pensai a voce alta mentre le tiravo fuori dalle tasche e le strofinavo fra loro per riscaldarle.
- Vieni qui - Jacob le prese e le avvolse con le sue, riscaldandole. Non appena sentii la sua pelle calda venire a contatto con la mia il cuore cominciò a battermi forte. Lui mi guardò di sottecchi, ridacchiando. Mi persi nei suoi occhi cercando di capirne il motivo, finché non ricordai quanto fosse fine l'udito dei licantropi. Aveva sentito il mio battito accelerare, ecco perché aveva sorriso! Si spostò verso di me, cingendomi le spalle con il braccio e attirandomi a sé. Strofinò la mano contro il mio braccio, e posò la guancia contro la mia,
abbracciandomi. Il mio cuore continuava a battere sempre più forte, nonostante cercassi di calmarmi. Jacob mi stringeva tra le sue braccia, e la mia mente era sempre più confusa, inebriata del suo profumo. Posai il viso nell'incavo delle sue spalle, annusando l'odore della sua pelle. Sapeva di muschio e corteccia d'albero. Improvvisamente la sua mano di fermò, posandosi sulla mia schiena. Scostò la testa, guardandomi. Ebbi il terrore di aver fatto qualcosa di male, e il mio respirò eccellerò ancora.
Alzai la testa per guardarlo negli occhi, e vidi il mio viso riflesso nei suoi. In quel momento capii di non aver fatto nulla di sbagliato, anzi. Lentamente e con tutta la dolcezza possibile avvicinò il suo viso al mio, piegando la testa d'un lato. Le sue labbra incontrarono le mie, e sentii il calore della sua pelle invadermi. Fu un bacio intenso, ma dolce. Smisi di respirare, la mia mente era invasa solo dal suo profumo, dal calore della sua pelle. Intrecciai le dita tra i suoi capelli e avvicinai ancora di più il suo viso al mio, se possibile. Il ritmo crebbe, come un fuoco, e poi diminuì, fino a spegnersi. I suoi occhi incontrarono ancora i miei, che, lo percepivo, luccicavano. Anche i suoi avevano una vitalità che non avevo mai notato.            - I tuoi occhi ridono - sussurrò gentilmente. Non era la prima volta che qualcuno me lo diceva, ma detto da lui mi faceva sentire felice come non lo ero stata mai. - Sono bellissimi - sorrise, scostandomi un ciuffo dal viso. Ricambiai il sorriso, incapace di formulare una frase. Mi limitai ad accarezzargli a mia volta le guance, incredula. Non potevo credere che tra tutte, lui avesse scelto proprio me. Sembrava un sogno, e se lo fosse stato non avrei voluto svegliarmi mai più. Lo guardai ancora, con gli occhi pieni di orgoglio. Era bellissimo, ed era mio.
 
Camminavamo mano nella mano, vicino all'acqua. Era bellissimo. Tutto, era bellissimo. Il suo viso, il suo corpo, l'atmosfera, il momento. Tutto era perfetto. Mi chiesi se fosse davvero possibile. Io, la ragazzina timida che non era mai l'oggetto dell'attenzione di nessuno, adesso camminavo mano nella mano con un angelo bellissimo. Un angelo sceso dal cielo per portarmi in salvo e indicarmi quale era il mio posto. Era uno di quei momenti in cui hai davvero la sensazione che sia tutto troppo bello per essere vero, per essere reale e duraturo. Qualcosa doveva spezzare quello splendido incantesimo, per forza. Nell'esatto istante in cui lo pensai, il mio telefono squillò. - Mel? - la voce pacata di Bella mi ricordò su che pianeta mi trovavo. - Dove sei? - domandò ansiosa, - Alla riserva - risposi con tono piatto. Aveva interrotto il mio sogno ad occhi aperti, accidenti! Non dicevo sul serio sulla cosa dello spezzare l'incantesimo! Perché lassù dovevano prendere tutto alla lettera?
- Sei con Jake? - la sua voce era poco più che un sussurro. - Sì - risposi altrettanto imbarazzata. Ci fu una sostanziosa pausa, stavo quasi per chiederle se era ancora lì, ma capii che il motivo del suo silenzio era un altro. Cercavo di pensare ad un modo per non farli più soffrire. Mi si spezzava il cuore a vederli soffrire senza poter fare niente. Poco importava se poi Edward mi avrebbe uccisa; dovevo fare qualcosa. - C'è Edward lì con te? - domandai cauta. - Sì - fu l'unica risposta.
Capii che non poteva parlare con lui lì. -Ok. Senti, ho un'idea, ma non posso dirti nulla o vi scoprirebbero - sputai in un lampo. - Chi?- chiese lei confusa. Jacob mi guardava perplesso. - Non posso dirti nulla per ora. Fidati e basta, ok? - le chiesi d'un fiato. -Ok - rispose esitante. Chiusi il telefono con uno scatto secco. – Era Bella? - domandò Jacob in un sussurro abbattuto. – Sì, era lei – risposi con fervore. – Di cosa stavate parlando? – continuò curioso. Alzai la testa per guardarlo negli occhi. Vidi il mio sguardo determinato riflesso nei suoi. – Conosco un modo per farvi incontrare – lo sguardo cauto e speranzoso di Jake mi colpì al cuore. Non potevo più stare con le mani in mano, dovevo agire. E dovevo farlo subito. 


 

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Capitolo 11
*** Fuga ***


 

Ciao a tutti!!! Eccomi con un altro capitolo, un po corto, ma spero vi piaccia. Volevo ringraziare tutti quelli che mi seguono e sopratutto quelli che commentano, i vostri consigli sono molto importanti per me!! Continuate a seguirmi e a recensire ( guai a voi se non lo fate!! ;-P) Besos, Elly
ps. finalmente ho capito come fare a usare le virgolette per i discorsi... evviva!!! E poi vorrei farvi una domanda: voi come vi immaginate Melanie??? Visto che non ho dato alcuna sua descrizione sono curiosa di sapere voi come ve la siete immaginata!!! Rispondete numerosi!!!




 

 « Si può sapere cos'hai? » la voce di Alice interruppe le mie concitate riflessioni. Proprio quando dovevo pensare, starmene un po’ per conto mio, tutti sembravano avere bisogno di me. « Nulla, perché? » domandai subito sospettosa. Che avesse intuito il mio piano? « Sembri così assente » mugugnò crucciata, come una bambina alla quale viene rifiutato un dolcetto. « Stai bene? » domandò, adesso sospettosa.
« Certo, certo » mi affrettai a rispondere. Incredibile come Jake mi avesse contagiato velocemente con il suo tic. Sorrisi arrossendo, pensando a lui. « Ah », esclamò ad un tratto Alice. Alzai la testa di scatto. Il cuore mi batteva a mille. Quel tono non presagiva nulla di buono. Doveva aver visto qualcosa. « Cosa? » domandai tutta agitata. Lei mi fissò per un istante, un’espressione contrariata sul volto. « Si tratta di Jacob, vero? »
Smisi di respirare per un istante, pietrificata. « Come lo sai? » domandai con voce strozzata. Aveva visto il mio piano, sicuro. Sapeva di Jacob, della sua improvvisata.
Lei fece un’espressione come per dire: “ Secondo te?” e fui certa che aveva avuto la visione di Jacob che veniva a prendere Bella in sella alla sua moto, per portarla via.
« Ti prego, non dirlo a Edward » sussurrai, anche se lui non era lì. Probabilmente lui e Bella erano ancora in classe. « E perché dovrei? » domandò stupita. Dunque non trovava sbagliato quello che facevo. Forse anche lei trovava esagerato il comportamento di Edward. « Bè, sai, Edward non la pensa come me » balbettai abbassando la testa. « pensa che sia pericoloso » feci una risatina sommessa. Era davvero ridicolo. Come se vivere circondata da vampiri fosse il massimo del comportamento responsabile. Era davvero ipocrita. « Non ti preoccupare » Alice posò una mano sopra la mia. Alzai lo sguardo per osservare la sua espressione.
Sorrideva, complice. « Grazie » quasi lo mimai con le labbra, tanto era debole la mia voce. Lei si limitò a sorridere di nuovo, tornando al proprio posto. In quel momento arrivarono Bella ed Edward, e la conversazione si chiuse lì. Anche Angela e Ben erano al nostro tavolo, e ringraziando il cielo almeno loro parlarono.
Edward giocherellava con una ciocca dei capelli di Bella, mentre io mangiavo in silenzio, rivolgendo di tanto in tanto occhiate nervose prima ad Alice, poi a Bella. Guardavo l'orologio ogni cinque minuti, in attesa della fine della pausa pranzo.
Quando finalmente suonò la campanella mi alzai frettolosamente e attesi impaziente che Bella finisse. Non appena ebbe posato il vassoio vuoto al suo posto la presi sottobraccio, in modo che Edward non la trattenesse ulteriormente. « Hai fretta? » domandò lei stupita. « E' che ho delle domande da fare al professor Varner e non vorrei fare tardi » cercai debolmente di giustificarmi. Lei annuì, un po’ disorientata. « Noi andiamo » dissi in direzione degli altri. Non aspettai neanche che Edward aprisse bocca e la trascinai via. Uscimmo fuori dall'edificio, sotto la pioggia leggera. Andavo a passo svelto, cercando di distanziarmi il più possibile da Edward. Dubitavo che avrebbe tentato di riprenderla davanti a tutti, ma era meglio essere prudenti. « Si può sapere perché corri? » domando affannosamente Bella, che faticava a tenere il passo.
Un ruggito cupo e potente rispose alla sua domanda. Tutti nel parcheggio si girarono a guardare increduli mentre la moto nera e rumorosa frenava sgommando sull'asfalto, senza smettere di ringhiare. Bella guardò incredula Jacob, poi me. « Vai! » la esortai frenetica. Lei rimase impietrita per un istante, poi saltò in sella alla moto, stringendosi forte a Jake. Per un istante sentii un nodo allo stomaco, nel vederli assieme. « Grazie » mimò con le labbra, forse per non farsi sentire, forse perché semplicemente il rombo della moto era troppo alto.
Vidi i suoi occhi lucidi, e le sorrisi. Mi ricordava tanto me. Me con Lucas. Diedi una pacca sulla spalla di Jacob e feci un cenno con la testa. « Vai, vai! » gridai nervosa sopra il rumore. Non appena tolsi la mano Jacob sgommò via, come una furia. Li guardai allontanarsi, i capelli scompigliati dal vento e sferzati dalla pioggia. Nella furia non mi ero neanche coperta. Rimasi immobile al mio posto per alcuni istanti, con le lacrime agli occhi. Anche se non era molto corretto da parte mia, era giusto, quello che avevo fatto. Mi voltai lentamente. Edward e Alice erano impietriti davanti alla mensa. Edward mi fissò negli occhi, con lo sguardo accusatore che odiavo.
Rimasi a guardarlo, senza mai abbassare gli occhi. Speravo che cogliesse nei miei occhi anche i miei pensieri. Dopotutto era un abile lettore di anime. " Mi dispiace, ma sai che è giusto così", pensai lasciando che sentisse. Alzai il cappuccio e chiusi la cerniera del cappotto. Poi mi voltai, dirigendomi verso l'aula. 

 

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Capitolo 12
*** Spiegazioni ***


Ciao a tutti!!  Questo capitolo non è molto importante ai fini della storia, mi sono concentrata molto sulle piccole descrizioni e sui sentimenti di Bella e melanie. Prometto che il prossimo non sarà così lungo e descrittivo, giuro!! Spero non vi faccia annoiare, fatemi sapere ASSOLUTAMENTE cosa ne pensate, mi raccomando!!
ps. volevo ringraziare in particolar modo KatiaLee per le sue recensioni costanti e molto simpatiche!! Grazie mille!! Un grazie anke a tutti quelli che leggono e recensiscono le mie storie. Siete fantastici!   
                                                                                                                                            Besos, Elly


"Maledetta pioggia", pensavo mentre mi avviavo verso il pick-up. Aveva cominciato a piovere sempre più forte, nelle ultime due ore. Salii velocemente in macchina, e accesi il motore. Non era lungo il tragitto da scuola a casa, ma bastava a farmi annoiare. Una volta arrivata a casa scesi dalla macchina e corsi velocemente fino alla porta, sperando di non bagnarmi più di tanto. Una volta al caldo dentro casa preparai il pranzo in attesa che tornasse Charlie, poi mi rifugiai nella mia stanza a studiare. Sentivo la tensione della scuola, ultimamente, e dovevo mettermi d'impegno, se volevo restare. Con tutto quello che era successo negli ultimi tempi non ero riuscita a trovare la concentrazione necessaria, per cui adesso dovevo mettermi sotto. Studiai per un'ora abbondante, finché non sentii la porta al piano di sotto aprirsi e i passi pesanti di Charlie strascicare lungo il corridoio.             « Bella? » chiamò salendo le scale.
Uscii dalla mia stanza proprio mentre lui stava per bussare. « Ciao, Charlie » lo salutai con un sorriso. « Ciao Mel » mi guardò con aria investigativa. « Bella? » domandò. « E' con Jacob » risposi fiera. "Ed è tutto merito mio", avrei voluto aggiungere. Charlie strabuzzò gli occhi, a metà tra la sorpresa e la felicità. Sorrisi. «Con Jacob? » ripeté sconvolto. Annuii, con un sorriso a trentadue denti. Non sapeva cosa dire, Charlie. Era sollevato e sorpreso quanto me. « Bene » balbettò dopo un attimo di scock.  Fece per scendere le scale, ma a metà si voltò verso di me. « Tu c'entri per caso qualcosa? » domandò con aria investigativa. Io gongolavo per la soddisfazione: finalmente avevo il merito di qualcosa. « Certo. Io c'entro sempre qualcosa », gli feci l'occhiolino. Lui rimase in silenzio per un attimo, un lieve sorriso sul volto. Sapevo di aver fatto felice anche lui, con questa iniziativa. L'unico a sentirne il lato amaro era Edward, chissà perché.          « Sono contento che tu abbia preso l'iniziativa » mi interruppe Charlie, « Se devo essere sincero cominciavo a perdere le speranze » continuò. Lo sguardo fiero che mi rivolse mi fece sentire a casa. Finalmente servivo a qualcosa, finalmente facevo qualcosa di buono. « Era la cosa giusta » ripetei per l'ennesima volta. Me l'ero ripetuta milioni di volte nei giorni precedenti. Sapevo che avrei fatto infuriare sia Edward che Alice, e la loro approvazione era davvero molto importante per me, ma stavolta si sbagliavano. Loro non riuscivano a vedere quello che vedevo io. Non si rendevano conto di quello che era Jacob per Bella. Lui c'era stato quando nessun altro c'era; soprattutto Edward. Era stato l'unico che era riuscito a farla sentire ancora viva, dopo che lui se n'era andato. Quando pensavo che lui l'aveva abbandonata, l'aveva lasciata sola, avevo tanta voglia di appenderlo al muro. Volevo bene a mia cugina come ad una sorella, e il solo pensiero di quello che aveva passato mi uccideva. Come poteva Edward non sentirsi colpevole per quello che aveva fatto? Come poteva avere il coraggio di impedirle di vedere Jacob? Erano tutte domande a cui non sapevo darmi risposta.  Non aveva senso quello che faceva, davvero non riuscivo a capirlo. Charlie annuì in risposta, e scese le scale. Tornai nella mia stanza a studiare, mentre Charlie mangiava. Quella settimana avevamo un sacco di compiti da fare, specialmente matematica. Quanto la odiavo. Miracolosamente riuscii a mantenere la concentrazione per un paio d'ore, cosa che mi meravigliò a dismisura. Verso le cinque del pomeriggio decisi che avevo già fatto abbastanza, e mi accoccolai sotto le coperte, sonnecchiando.
 
Mi svegliai perché dovevo andare in bagno. Come succedeva sempre. Senza nemmeno fare caso a che ora fosse mi diressi verso il bagno, infreddolita. Quando tornai in camera mia diedi un'occhiata distratta all'orologio sulla scrivania.
« Le sette?!?! » urlai sconvolta. Avevo dormito due ore?? O mio Dio!
Mi ricomposi velocemente e scesi al piano di sotto a preparare la cena. Mentre sbucciavo le patate per il pollo arrosto sentì il rumore delle chiavi infilarsi nella toppa della porta e aprirsi. « Mel? » chiamò a voce bassa.          « Sono in cucina » risposi.
Bella si avvicinò lentamente al piano cottura, in silenzio. « Allora? » domandai curiosa, continuando a pelare le patate. « Cosa? » domandò con aria innocente. « Cosa avete fatto? » ora la mia curiosità stava diventando morbosa, quasi. « Siamo stati sulla spiaggia, e abbiamo parlato » rispose vagamente. « Di cosa? » insistetti io.     « Un po di tutto », fece spallucce. Abbandonai le patate per guardarla negli occhi. Era appoggiata al bancone, poco distante da me. I suoi occhi erano illuminati di una luce diversa, splendente. « Ti mancava molto, vero? » domanda retorica. Certo che gli mancava. Le si leggeva negli occhi quanto gli voleva bene. Ero quasi gelosa di quel legame speciale che avevano. « Tu non sai quanto » sussurrò delicatamente. Accennai un sorriso.
« Sì, lo so » risposi mogia. Sapevo quanto le mancava, perché a me mancava Lucas nello stesso esatto modo. Era così brutto non avere più la certezza di poter contare su di lui sempre, in qualunque momento. Non volevo che anche a lei accadesse questo, per quello l'avevo aiutata. « Grazie Melanie », disse in un sussurro, con gli occhi pieni di sincerità. La strinsi in un abbraccio, carezzandole la schiena. « Prego » risposi sorridendole. Era bello sapere che rivedere Jacob l'aveva resa così felice. Con questa certezza anche la prospettiva della furia di Edward sembrava meno terrificante.
Una volta finita la cena sparecchiai e lavai i piatti, il più lentamente possibile. « Come mai tutta questa calma stasera, Mel? » domandò sarcastica Bella. Di solito finivo in un lampo, per potermene andare in camera mia. Quella sera però, la prospettiva si preannunciava parecchio dolorosa. « Edward sarà di sicuro in camera ad aspettarmi » le sussurrai ridacchiando. « Cerco di posticipare la ghigliottina il più possibile » continuai sempre ridendo. Bella però sembrava alquanto preoccupata.
« Non voglio che si arrabbi con te » disse ansiosa, « tu non c'entri » era davvero agitata. Come se dovesse ghigliottinarmi davvero. « Calma, Bella », la rassicurai, « E' tutto a posto. So assumermi le mie responsabilità » dissi asciugandomi le mani. Lei mi guardò preoccupata, mentre salivo le scale in direzione della mia camera.
Arrivata in cima, mi bloccai davanti alla porta. « Togliamoci il pensiero » mormorai a me stessa. Con un movimento lento e cauto, aprii la porta.
  

 

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Capitolo 13
*** Tu non capisci ***


Aprii la porta con cautela, nel timore di vedermi saltare via la mano da un momento all’altro. La richiusi alle mie spalle, piano. Edward era immobile davanti alla finestra. Mi dava le spalle. « Ciao » sussurrai, un po’ per la paura, un po’ perché sapevo che mi sentiva lo stesso. Si girò lentamente, fissandomi. Per qualche istante ci guardammo negli occhi: lui arrabbiato e deluso, io con sguardo duro. Dopo qualche istante sbuffai, buttandomi a sedere sul letto. « Dai, inizia » dissi alzando gli occhi al cielo. Lui non rispose. « So già cosa vuoi dirmi, tanto » continuai impertinente, « Non dovevi farlo; l’hai messa in pericolo; poteva farsi male… e bla, bla, bla! » cercai di imitare il suo tono scocciato. Ancora nessuna risposta da parte sua. Ci guardammo fissi negli occhi, in silenzio. « Allora? Non parli? » domandai ad un certo punto scocciata. Se voleva farmi la ramanzina ok, ma se aveva intenzione di stare a fissarmi poteva anche levarsi di torno! « Tu non capisci » sussurrò appena.
« No, Edward », sussurrai avvicinandomi a lui, lentamente. « sei tu che non capisci » continuai.

« Tu credi di sapere cosa è giusto per lei, ma non lo sai » scuoteva piano la testa, con sguardo afflitto.
Lo fissai dritto nelle pupille. « E tu lo sai? » domandai con un fil di voce. « Tu credi che Jacob sia pericoloso. », affermai. « hai paura che le faccia del male », almeno questa era la sua scusante. « Ma non ti rendi conto che il pericolo più grande che Bella ha corso lo hai causato te », lo accusai dolcemente.
« Io ho visto i suoi ricordi, Edward. E quelli di Jacob », continuai scuotendo la testa, « L’unico momento in cui Bella ha davvero rischiato di morire è quando tu l’hai lasciata ». Sapevo che erano parole amare, forti, ma era la verità. Non lo dicevo per farlo sentire in colpa, ma per fargli capire che non era coerente in quello che faceva.
Vidi i suoi occhi riempirsi di dolore, la sua mascella tendersi, i suoi pugni stringersi contro i fianchi.
« Non mi perdonerò mai per quello che le ho fatto » sussurrò con gli occhi bassi. « Non sto cercando di farti sentire in colpa, Edward, ma di farti capire » gli ripetei posandogli una mano sulla spalla.
« Lei ha bisogno di Jacob », sussurrai ancora una volta, vicino al suo viso. « So che è dura da accettare, lo è anche per me », alzai la testa, parlando a voce un po’ più alta. « Ma lui ormai è parte di lei » ammisi a malincuore. Anche io, come Edward, avrei voluto che Jake fosse solo mio, ma dovevo accettare che quello che c’era tra lui e Bella era un legame profondo e indissolubile, che non si sarebbe spezzato così facilmente.
« Lo so » rispose Edward, « ma è anche pericoloso » continuò, testardo. Alzai gli occhi al cielo. Allora non voleva proprio capire! Bella se ne strafregava del pericolo! Il suo ragazzo era un vampiro, il suo migliore amico un licantropo e sua cugina una strega; se avesse pensato al pericolo  a quest’ora se ne sarebbe tornata a Phoenix da un pezzo!
« Ti chiedo solo di non fare più nulla di nascosto » mi interruppe Edward. « E ti prometto che sarò un po’ più indulgente, d’ora in poi », questo mi meravigliò. Avrebbe permesso a Bella di vedere Jake? Non mi ricordavo di essere così persuasiva. « Permetterai a Bella di andare a trovare Jacob? » strabuzzai gli occhi, incredula. « Vedremo », rispose con il suo solito sorriso beffardo. Poi, in un attimo, scomparve dalla finestra. Mi affacciai, ma era già scomparso. Con un rumore sordo la chiusi, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo.   

 

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Capitolo 14
*** Resta qui ***


C'eravamo io e Jacob, seduti sulla spiaggia. Ridevamo, parlavamo… lui mi accarezzava il volto, delicatamente. Mi baciava. Era tanto reale che sentivo il suo profumo… eppure era un sogno. Lo percepivo; non era reale. Ma il suo profumo… quello era troppo reale per essere parte del sogno. Aprii gli occhi controvoglia, attirata da quel dolce aroma di muschio e corteccia d'albero. Mi girai verso il centro della stanza, cercando il suo volto. E lo trovai. Se ne stava appoggiato contro il muro, sorridente. « Jake » gracchiai. Mi schiarii la voce, « Che ci fai qui? » domandai, spaesata. Forse stavo ancora dormendo. Mi strofinai gli occhi, ma lui era ancora lì.

« Mi mancavi » rispose alzando le spalle e avvicinandosi al letto. « Posso? » domandò indicandolo. Annuii, facendogli posto. Lui si sdraiò accanto a me e mi abbracciò, stringendomi a sé. « Allora », iniziai con tono indifferente, « come è stato il pomeriggio? » gli domandai, curiosa. Lui sorrise, beffardo. « Carino », si limitò a rispondere. « Solo carino? » lo guardai con finto disappunto. Lui ridacchiò.
 « Scherzo », mormorò, « E' stato bello » ammise. Sentii qualcosa pungermi allo stomaco. Eppure ero felice che vedere Bella lo avesse fatto stare meglio… ma c'era qualcosa che mi faceva sentire senza fiato. « Sono contenta », risposi con un respiro breve. « Grazie, Mel » mi sussurrò in un orecchio, facendomi rabbrividire.
« Di nulla », risposi arrossendo. Scostai il viso per guardarlo negli occhi, ma lui mi colse di sorpresa con un bacio inaspettato. Sentii il mio respiro fermarsi per un istante, e poi ripartire accelerato. Le sue labbra si muovevano dolcemente insieme alle mie, come una cosa sola. Le mie dita si intrecciarono con i suoi capelli, sentivo il suo braccio intorno a me, la sua mano calda sulla mia schiena. Il bacio divenne sempre più passionale, più intenso. La sua mano scese lungo la mia schiena, piano, fino al bacino, poi risalì sollevandomi la maglietta del pigiama. La mia mano scese lungo il suo collo, avvicinandolo a me. Le sue labbra si spostarono sul collo, per poi tornare sulle mie. Non intendevamo andare oltre, ma non avevamo neanche intenzione di fermarci. Io, per lo meno, non ne avevo. Persi la cognizione del tempo, delle cose, persino di me stessa.
Volevo stare con lui; volevo sentire il suo petto caldo sul mio, volevo le sue labbra sulle mie. Volevo che fosse mio, mio e basta.
Ad un certo punto Jake si scostò e si distese su un fianco, di nuovo accanto a me.
« Devo andare » mi sussurrò all'orecchio. Sentii una morsa allo stomaco e lo strinsi a me più forte. « No, ti prego » lo trattenni, « Resta qui », cercai di convincerlo.
Non dovevano essere grandi impegni i suoi, perché non appena riavvicinai le labbra alle sue cedette.
Stavo scoprendo di avere un nuovo potere persuasivo che non avevo mai saputo di avere. Sorrisi contro le sue labbra. Non l'avrei lasciato andare mai più via da me.
 
Pov Jacob
 
« Resta qui » mi sussurrò delicatamente. Solitamente non mi lasciavo convincere così facilmente, ma con Melanie era diverso. Non riuscivo a starle lontano; non ci riuscivo. Non avevo grandi impegni in effetti, ma anche se li avessi avuti sarebbe stato uguale. Nell'esatto istante in cui posò le labbra sulle mie non me ne importò più niente di nessuno. La strinsi a me più forte, ma con delicatezza. Volevo che fosse mia, mia e basta. Non l'avrei lasciata andare mai più via da me.
 
  

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Capitolo 15
*** Confidenze e malintesi - parte I - ***


Ciao a tutti!! Stavolta ho postato 3 cap. insieme quindi vedete di farveli bastare per un pò! ;-P Nel capitolo precedente mi sono soffermata un pò su Melani e Jake, ma dal prossimo cap. andrò avanti con il succo della storia ( nn dimenticatevi che c'è Victoria da fare fuorii!!). Per adesso buona lettura a tutti e un bacio!!
Ps. recensite, mi raccomando!!!




Ero seduta al tavolo della cucina, lo sguardo perso nel vuoto. Jacob se n'era andato da poco, e io me ne stavo seduta a fare colazione, con la mente che tornava ai ricordi della notte che era appena passata. Il rumore di passi che scendevano le scale mi fece sobbalzare.
« 'Giorno Mel » mi salutò assonnata Bella, mentre versava il latte in una tazza. « 'Giorno », fu tutto quello che riuscii a dire. Lei mi guardò di sottecchi, aggrottando le sopracciglia. « Hai dormito, stanotte? », domandò sedendosi davanti a me. Io abbassai lo sguardo e arrossii, involontariamente.
« Non sembri molto sveglia », continuò. « Non esattamente », ridacchiai nervosa. « In che senso? » non me la ricordavo così curiosa, Bella. Ma forse era solo una mia impressione. In fondo, anche Edward passava tutte le notti nella sua stanza, e di sicuro non dormivano tutto il tempo! Lei era la mia migliore amica, la mia confidente: a lei potevo dirlo. « Ieri sera è passato Jacob », la informai. Non ne sembrò molto sconvolta.
« Ha passato la notte in camera mia » quasi lo sussurrai. Non ero sicura che Charlie fosse già uscito, per ciò era meglio essere prudenti. Lei sembrò leggermente imbarazzata, ma la cosa non la sconvolse più di tanto.
« Non so a che ora mi sono addormentata, ma di sicuro non era presto », ridacchiai sotto i baffi. Lei non disse nulla, ma sapevo che moriva dalla voglia di sapere di più. Non era un tipo curioso, ma era sempre molto interessata alla mia vita. Non era invadente, per questo non mi chiedeva nulla; semplicemente aspettava che fossi io a raccontargli ciò che volevo. Era sempre funzionato così tra noi, ed andava bene. Io ero felice di raccontargli sempre tutto, e lei era felice di ascoltarmi. « Non so cosa facciate tu ed Edward la notte, ma di sicuro non discutete del debito pubblico, no? », orami ridevo di gusto. « Devo preoccuparmi? » Bella mi guardò seria e perplessa. Io ridevo beata, pensando a lei ed Edward. « Di cosa? », le domandai sempre ridendo.
« Di te e Jake », sussurrò, guardandosi intorno in cerca di Charlie. Io le sorrisi, un po’ imbarazzata. Ma avevo l'aria di una così facile? « Non tornerò a casa con il pancione, se è questo che ti preoccupa », dissi mentre mi alzavo a posare la tazza nel lavandino. Bella abbassò la testa, con espressione colpevole. « Scusa, non volevo », si scusò. Io ridacchiai e mi sedetti accanto a lei per poter parlare meglio e a bassa voce.
« Bella, non mi offendo. So che lo dici solo perché mi vuoi bene », la rassicurai. Mi arrabbiavo quando era Charlie a farmi certi discorsi, perché non mi conosceva, ma lei poteva dirmi tutto ciò che voleva, senza paura.
« Non voglio entrare nella tua vita privata, scusa », ripeté in imbarazzo. « Senti », cominciai, « io non sono Charlie », ridacchiai, « so che nemmeno tu ed Edward state ad un chilometro di distanza », non volevo imbarazzarla, ma chiarire la cosa una volta per tutte.
« E' normale. Non dimenticare che ho letto le vostre menti. Per quanto mi sforzi di non sbirciare nell'intimo delle persone, qualcosa vedo », adesso ero io in imbarazzo. « E ti posso assicurare che quello che è successo stanotte tra me e Jake non è niente di più ne niente di meno ». Quel paragone forse le sarebbe servito per capire e tranquillizzarsi. Non fece a tempo a rispondere che Charlie scese le scale, ponendo fine alle nostre chiacchiere. Guardai l'orologio: erano già le sette e mezza! Salutammo in fretta Charlie e montammo sul pick- up. Arrivammo a scuola appena in tempo per il suono della campanella. Mi fiondai in classe, e cercai di rimanere attenta alle lezioni. In mensa mi sedetti al mio solito posto, accanto ad Alice. Lei mi guardava arrabbiata.
« Qualcosa non va, Alice? », le domandai preoccupata. « Noi due dobbiamo parlare « Noi due dobbiamo parlare », mi informò in un sussurro. « Di cosa? » non capivo perché ce l'avesse tanto con me. In quel preciso istante mi suonò il telefono. « Pronto? », risposi frettolosa « Elly! », una vocina squillante mi perforò un timpano. « Olli? Sei tu? », esclamai sorpresa. Olivia era una delle mie migliori amiche, a New York. Mi era dispiaciuto così tanto lasciarci… « Come stai ? » mi domandò sempre pimpante. « Bene, grazie », ero sorpresa di quella chiamata. « Perché mi hai chiamato, c'è qualcosa che non va? » gli domandai preoccupata. « No, no, tutto bene. Volevo solo invitarti per il week-end. I miei sono fuori città ». Che bella proposta! Non vedevo l'ora di rivedere New York le mie amiche e la mia famiglia! « Che bella idea! Vengo senz'altro! » esclamai euforica.
« Ok, allora ti chiamo dopo per i dettagli! », acconsentì lei. « A dopo », riattaccai. In quel momento suonò la campanella e io schizzai verso i cestini. « Dobbiamo parlare! », mi ricordò Alice. « Ora non posso, sono di fretta, scusa » le risposi mentre posavo il vassoio. La vidi davvero arrabbiata. « Ti prometto che passo dopo a casa tua, giuro », le promisi dandole un bacio sulla guancia. Poi schizzai verso le aule, in ritardo come al solito.

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Capitolo 16
*** Confidenze e malintesi -II parte- ***



Eccomi con un nuovo capitolo! Non è molto ricco di novità, ma mi serve per fare andare avanti la storia... m non vi preoccupate, le grandi news stanno per arrivare!! Vi prego commentate e fatemi sapere cs ne pensate!!!



Suonai il campanello di casa Cullen, scalpitante. Venne ad aprirmi Carlisle, e mi fece accomodare.
« Ciao Melanie », mi salutò cordiale. Lo salutai con due baci sulle guance, come ero solita fare. « Alice? » domandai guardandomi attorno.
Non appena pronunciai il suo nome vidi la sua testolina spettinata affacciarsi alle scale. « Mel! », mi chiamò mentre scendeva le scale.
« Sono venuta, come volevi », la informai di fretta. Lei annuì. « Andiamo in garage », propose.
Ci sedemmo sopra il cofano di un'auto, senza badare di chi fosse. Lei mi fissò negli occhi per qualche istante, severa.
« Perché non me l’hai detto? », mi domandò offesa. La guardai perplessa. Davvero non sapevo di che stesse parlando. 
« Di che parli, Ali? », le chiesi avvicinandomi a lei. « Di Bella e Jacob, ovviamente », rispose come se dovessi sapere a cosa si riferiva. « E’ stata una tua idea quella di farli scappare » mi accusò. Non capivo come mai tanta rabbia d’improvviso. « Certo. Ma lo sapevi », mi giustificai. Cos’era, d’improvviso aveva cambiato idea?
« No invece! » esclamò alzandosi in piedi sul cofano. Meno male che era leggera. Con uno scatto felino saltò giù dalla macchina. « Sì che lo sapevi! », ribattei irritata dal suo tono.
« L’hai anche visto, mentre eravamo a mensa » le ricordai. Aveva per caso battuto la testa? 
« No invece. Io non ho visto niente. Ho solo immaginato che stessi pensando a Jacob», mi spiegò. Oh. Allora era stato solo un malinteso. Bè, nulla di preoccupante però. « Credevo tu li avessi visti », mi giustificai ancora una volta. Era così facile offenderla…
« Se li avessi visti te lo avrei impedito » tuonò dura. Alzai la testa di scatto, impietrita. Sembrava Edward quando faceva così.
« Oh, no! Adesso non ti ci mettere anche te! » urlai stressata. E che palle! Ma era così difficile lasciare che Bella vivesse la propria vita? O mio Dio che nervoso mi facevano venire!
« Come fai a non renderti conto del pericolo?! » mi rimproverò lei. « Alice basta! Io passo ogni giorno con Jacob, e non mi pare di avere subito grosse lesioni », ribattei sempre più infastidita.
« Sai quale è la verità Alice? », continuai senza lasciarla rispondere, « Che siete più pericolosi voi dei licantropi », quasi la accusai, « e che se Edward non se ne fosse andato abbandonandola, come avete fatto tutti voi, lei e Jacob non sarebbero mai diventati così amici! », le tuonai in faccia. La vidi rimanere al suo posto, immobile. Non ribatté, ma rimase in silenzio. 
« Se pensi che siamo così pericolosi e cattivi, perché non te ne vai? », domandò acida. Il tono era arrabbato, ma anche sofferente, però.
Mi dispiaceva aver detto quelle cose, neanche io sapevo perché l’avevo fatto…
« Alice… » balbettai cercando di avvicinarla, ma lei mi respinse. « Vattene » pronunciò piano. Non urlò ne mi guardò male, ma capii che dovevo farlo, tanto non mi avrebbe perdonata, era troppo offesa.
Salii sulla macchina, velocemente. Guidai veloce fino alla riserva, senza un motivo. In realtà non avevo una meta, andavo dove mi capitava. Improvvisamente mi ritrovai davanti a casa di Jake. Non scesi dall’auto, ma rimasi ferma al volante, indecisa su cosa fare. Mentre cercavo di ragionare sentii due lacrime scendere lungo le guance, fino al mento. Mi facevano il solletico, perciò le asciugai velocemente.
Scesi dalla macchina, per prendere una boccata d’aria, e mi sedetti su un sasso. Posai la testa tra le mani e cercai di calmarmi. Dopo qualche minuto il rumore fastidioso della suoneria del cellulare ruppe il silenzio.
« Pronto? » gracchiai con la voce ancora tremolante per il pianto.  « Mel? Sono io, Olli », rispose la voce. « Oh, ciao », fu il meglio che riuscii a dire.
« Allora vieni qualche giorno a New York? » mi domandò esaltata.
Io esitai un attimo a rispondere. Avevo tanta voglia di tornare a casa, di staccare da tutti e da tutto… ma allo stesso tempo non volevo andare…
« Sì », risposi infine. Le vacanze di Natale erano molto vicine e potevo approfittarne.
« Vengo per Natale, contenta? » scherzai. « Sì, molto!! » esclamò lei felice.
« Ci sentiamo allora! » esclamò con la voce acuta.
« A presto Oli » la salutai.  Chiusi il telefono e lo rimisi in tasca. Forse quel viaggio arrivava al momento giusto. Forse era il caso di prendersi una pausa, di staccare.
Non ne ero certa. Risalii in macchina e guidai verso casa, mogia.

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Capitolo 17
*** Vecchie conoscenze ***



Ciao! Questo è un pò lunghetto, ed è solo un pezzo... lo divido in due o più parti... cm tt qll lunghi! :P Fatemi sapere mi raccomandoo!! Anke voi, sì, voi che leggete e non recensite! Non merito almeno due paroline? ;P
Baci, elly

« Sicura di volertene andare? », Bella cercava di dissuadermi dal partire.

« Sì », le risposi mettendo nella valigia le ultime cose. Non vedevo l’ora di tornarmene a New York. Mi mancava così tanto casa mia.
Bella mi guardava ancora, sempre con la stessa espressione afflitta sul viso.
« E dai! », buttai lì ridendo, « in fondo è solo per qualche settimana! », la rassicurai. Io che rassicuravo lei era il colmo! Era lei la più grande, era il suo compito. Sorrisi a me stessa. In fondo ero io che avevo sempre cercato di proteggerla.
« Dai, dai », dissi sollevando la valigia dal letto per posarla in terra. « Vedrai che ti divertirai più te di me » ridacchiai non troppo convinta. Lei accennò un debole sorriso. Sapevo che di più non sarei riuscita a strapparle.
Scesi le scale dietro a Edward, il quale trasportava la mia valigia fino alla macchina come se fosse una piuma, mentre il suo peso a occhio e croce era più o meno venti chili.
Aveva insistito per accompagnarmi all’aeroporto, nonostante avessi cercato in tutti i modi di convincerlo che non era necessario. Era davvero molto gentile con me, dovevo ammetterlo. Non era semplice cortesia, ci teneva. Un po’ come si assicurava che Charlie non si facesse male durante i casini che combinavano. Con affetto, diciamo. Anche io mi ero affezionata a lui, dovevo ammetterlo, e nonostante le nostre divergenze andavamo abbastanza d’accordo.
 Dopo aver salutato Bella e Charlie salii in auto. « Alice? » domandai in un sussurro rivolgendomi a Edward. Lui si limitò a scuotere piano la testa.
Io e lei non avevamo ancora fatto pace. Avrei voluto battere la testa nel muro per come mi ero comportata. Ero stata a dir poco spregevole. Non era la prima volta che mi succedeva una cosa simile. Era proprio un mio difetto, quello di aggredire così le persone per motivi futili. Non pensavo davvero quello che avevo detto, era stato solo un momento di rabbia. Avevo cercato di farglielo capire, ma era davvero furiosa.
Non era neanche venuta a salutarmi, tanto ce l’aveva con me. Non potevo darle torto.
« Sono un imbecille » borbottai.
« Non sei un’imbecille » mi rassicurò Edward. « Sei solo un po’ impulsiva » mi giustificò.
« Di pure stronza » risposi guardandolo male. Era inutile che mi giustificasse, tanto sapevo che lo ero stata.
C’era un’ altra persona, però, che doveva ancora salutarmi. Edward anticipò la mia domanda. « Incontriamo Jacob per la strada », mi disse. Dopo non molto, infatti, accostò, e accanto ad una moto nera, appoggiato contro il manubrio, c’era lui.
Era a petto nudo, con addosso solo un paio di pantaloncini mal ridotti, e sorrideva divertito. « Ma non ce l’ha una maglietta? » borbottò irritato Edward.
 Io ridacchiai. « Per fortuna no » sussurrai a me stessa, anche se sapevo che poteva sentirmi. Scesi dall’auto e gli andai incontro, abbracciandolo. Lui mi tenne stretta a se per un po’, senza parlare. « Non starò via molto » gli sussurrai ad un orecchio.
« E’ una promessa o una minaccia? », ridacchiò lui. « Entrambe », risposi ridendo.
Mi baciò dolcemente, continuando a stringermi tra le braccia. Questo mi sarebbe mancato. Mi sarebbe mancato il suo profumo, così dolce; mi sarebbero mancate le sue braccia, così forti; mi sarebbero mancati i suoi occhi, così caldi; e mi sarebbero mancate le sue labbra, morbide e delicate sulle mie. Tutto questo mi sarebbe mancato terribilmente.
« Ricordati di me », mi sussurrò dandomi un ultimo appassionato bacio. Risposi con altrettanta passione, e poi sciolse l’abbraccio. Risalii in macchina riluttante, e non appena chiusi la portiera Edward ripartì. Seguii Jacob con lo sguardo, finché non sparì dietro ad una curva.
L’aeroporto non era troppo lontano, per cui arrivammo abbastanza in fretta. Dopo aver fatto il check-in salutai Edward e mi imbarcai sull’aereo. Il viaggio fu lunghetto, ma meno spossante di come lo ricordavo. Forse perché ero così ansiosa di rivedere casa mia che non mi accorgevo del tempo che passava.
Quando atterrammo era pomeriggio inoltrato, ed era quasi buio. Presi un taxi che mi portò diritto fino a casa di Olivia. Anche i miei genitori mi avevano implorato di passare le vacanze di Natale con loro, ma dato che avevano molto da lavorare e sarebbero tornati solo per la vigilia, ne avrei approfittato per stare un po’ con le mie amiche. Arrivata davanti al palazzo suonai.
Mi aprì il portiere, salii fino all’ appartamento di Olivia ( meno male che c’era l’ascensore!) e suonai il campanello. Mi aprii un ragazzo sui diciotto anni, non un granché, e mi fece accomodare. « Tu devi essere Melanie », chiese.
« Sì, sono io. E tu sei Matthew, giusto? » Olivia mi aveva parlato di lui. Non vivevano assieme, ma lui passava molto tempo nel suo appartamento. Ebbi un moto di ridarella. « Piacere », gli porsi la mano, che strinse con fervore.
« Mel! », il grido acuto dell’Olli irruppe nella stanza. Mi saltò letteralmente addosso, stritolandomi. Risi, saltellando come un idiota assieme a lei.
 « Finalmente!» esclamò staccandosi per lasciarmi respirare. « Mi sei mancata! » esclamò tutta pimpante come al suo solito. Io e Olivia avevamo frequentato lo stesso liceo, prima che mi trasferissi a Forks. Era una delle mie migliori amiche. Ovviamente anche lei era una strega, ma viveva una vita perfettamente normale al di fuori della scuola. Amava essere normale, tutta la cosa della magia per lei era… incasinata. La sua vita invece era semplice, normale. Quella normalità che volevo disperatamente ritrovare…
« Anche tu, da morire! » esclamai sbaciucchiandola come facevo sempre. Era la mia cucciola, e come facevo con tutte le mie amiche amavo coccolarla. Lei non era particolarmente affettuosa, ma ogni tanto mi concedeva di spupazzarla un po’.
Il suo ragazzo ci guardava come fossimo due bambine… e in effetti lo eravamo. Mi sentivo sempre un po’ bambina, quando ero con lei… e mi piaceva. Mi piaceva molto.
« Io vado » disse Matt, ma nessuno lo cacò. Eravamo troppo prese da noi due.
« Devo raccontarti un sacco di cose! » esclamò euforica Olivia.
« Anche io, Olli, anche io » risposi in un sorriso. Finalmente ero a casa.
 
 
  

 

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Capitolo 18
*** Vita mondana! ***


Ciao a tutte! Scusate il ritardo, ma la scuola... uff! Comunque volevo dedicare questo cappy a KatiaLee, che mi dedica il suo tempo prezioso e che mi emoziona sempre con i suoi commenti e le sue storie! Sei unica, ragazza!




« E così hai il ragazzo, eh? », mi fece l’occhiolino. « Sì », confermai pimpante.

« Ed è una specie di uomo lupo », arricciò le labbra in un’ espressione di disgusto.
« E il tuo una specie di comodino », la rimbeccai. Jacob era bellissimo, aveva poco da criticare.
Alzò gli occhi al cielo, ma non obbiettò. Ancora non mi era ben chiaro il perché stessero insieme, lei e Matt, ma da quello che mi aveva raccontato e da quanto la conoscevo avrei giurato che era più che altro per ripicca.
Olli e io avevamo una cosa in comune: odiavamo le bionde. Non le potevamo proprio vedere, era una questione di principio. Per cui, quando Matt aveva lasciato la sua perfetta ragazza-barbie per chiedere a Olivia di mettersi con lui, ovviamente era stato accontentato. Lui sembrava innamorato, mentre mi pareva che per lei fosse solo una cotta. Ma magari mi sbagliavo…
« Senti, più tardi c’è un party » mi informò. Alzai gli occhi al cielo. Ero appena arrivata e già avevo programmi per la serata. Normalmente questo mi avrebbe scocciata da morire, ma stavolta ero contenta di distrarmi. Una bella festa mondana era quello che mi ci voleva.
« Verranno anche Irina e Sarah? » domandai. Nomi originali le mie amiche. Olivia aveva la mamma italiana, mentre Irina era un nome russo, come suo babbo. Sarah e io eravamo quelle un po’ più anonime.
« Certo » sorrise ampiamente. Adoravo quel sorriso così sincero.
« Allora ci sto » le sorrisi di rimando. Si fiondò nel guardaroba, alla disperata ricerca di qualcosa di adatto. Fortuna che io mi ero preparata anche a questa evenienza, o non ne saremmo uscite incolumi.
Non esisteva niente, nell’armadio di Olivia, che non fosse più appariscente di una felpa con scritto sopra: “ I <3 NY”
Mi occupai io del “ look”, mentre lei continuava a chiacchierare lasciandosi sbatacchiare di qua e di là per farsi “ addobbare”, anche se senza troppo entusiasmo.
Finalmente, dopo estenuanti macchinamenti di fronte all’armadio e davanti allo specchio riuscimmo a renderci presentabili ( lei un po’ meno, ma vabbè…) e verso le 9 eravamo già in taxi dirette verso la festa. Ecco un’altra cosa che amavo di New York: non avevi bisogno i macchine orrende ne di mezzi a due ruote che producevano un rumore assordante. Dovunque tu volessi andare, ti bastava fare un fischio e c’era subito un taxi disposto a scarrozzarti da una parte all’altra della città.  
Non come a Forks.  No, decisamente no.
« Com’è tornare nella Grande Mela? » mi domandò Olivia ad un certo punto.
Le sorrisi debolmente. « Irreale », non mi venivano davvero aggettivi migliori. Dopo  tre mesi passati in mezzo all’umido, al verde… e ai vampiri, tornare alla vita di sempre mi sembrava davvero irreale.
Il taxi ci fermò direttamente davanti al locale in questione. Fuori dalla porta c’era una fila di persone infinite. Tutta gente che cercava di imbucarsi, ovviamente. Noi scendemmo dalla macchina e ci dirigemmo verso l’entrata, esibimmo l’invito ed entrammo, sotto lo sguardo bieco di un gruppetto di ragazzi. Una volta entrati Olivia mi prese per mano trascinandomi tra la folla fino al piano bar.
« Una coca » ordinò al barman, sforandosi di sovrastare la musica con la sua voce acuta.
« Due » corressi subito, facendo segno con le dita. Lei si allontanò per cercare Irina e Sarah, mentre io l’aspettai al bancone. Ad un tratto, mentre mi guardavo attorno alla ricerca di qualche faccia conosciuta, sentii qualcuno chiamarmi con un colpetto su una spalla.
Mi girai e strabuzzai gli occhi, incredula. « Katia! » esclamai sorpresa. Non immaginavo assolutamente di trovarla lì, lei solitamente evitava quel tipo di feste. Preferiva starsene a casa, davanti ad un bel libro, o al bar con le amiche. Qualcosa di più intimo, insomma. Di solito anche io ero come lei, ma ogni tanto anche la vita mondana mi eccitava.
« Mel! » mi abbracciò ridacchiando. Cominciammo a chiacchierare del più e del meno, della sua famiglia, di lei, della scuola. Poi mi chiese di me, di come era Forks e alla fine le raccontai anche di Jacob. Ovviamente anche lei era una strega come me, e come quasi tutti i miei amici, quindi anche la storia dei licantropi e dei vampiri fu parte del racconto. Rimase scioccata ed eccitata allo stesso tempo e mi chiese di mostrargli una sua foto. Purtroppo non ne avevo con me, ma le promisi che prima di andarmene gliene avrei mostrata una.
Dopo una mezzoretta che chiacchieravamo Olivia finalmente tornò, superstite, con le mie migliori amiche. Ci fu un grande abbraccio di gruppo, baci, risate e vecchi ricordi.
La serata passò in fretta, e Irina mi costrinse a brindare diverse volte assieme a lei. All’ennesimo bicchiere di tequila mi sentivo rimbombare il cervello. Non ero abituata a bere. Io e Olivia prendemmo velocemente un taxi per tornare a casa, visto che eravamo entrambe stremate. Arrivate a casa mi aiutò a stendermi sul letto, ubriaca come ero. Dopo qualche minuto che ero comodamente distesa sul materasso un rumore assordante mi fracassò i timpani: il campanello. Ovviamente era Matt. Chissà se è questo l’udito che hanno i vampiri e i licantropi,pensai. Sentii un brusio venire dal corridoio; probabilmente stavano parlando di… O. MIO. DIO. D’un tratto sentii un conato di vomito salirmi dallo stomaco. La tequila voleva uscire e non avevo molto tempo. Saltai giù dal letto come un razzo e mi lanciai verso la porta, decisa a raggiungere il bagno in un nano secondo. Non appena aprii la porta, però, mi trovai Matt davanti. In quel momento, senza volerlo, non riuscii più a trattenermi e vomitai sulle sue scarpe nuove. Se non fosse stato che stavo malissimo, sarei arrossita fino alla punta dei capelli. Che figura di merda. Matt aveva una faccia schifata e preoccupata allo stesso tempo. Olivia, invece di aiutare me o il suo ragazzo, si stava piegando in due dal ridere, senza che io capissi il perché. Quando finalmente riuscii a parlare mi scusai con Matt e corsi in bagno, prima che la scena si ripetesse. Mentre chiudevo la porta del bagno sentii ancora una volta la risatina acuta dell’Olli. 

 

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Capitolo 19
*** Ricordi ***


Scivolavo, o perlomeno ci provavo, sulle lame sottili dei pattini, proprio sotto il Rockfeller Center. Dovevo utilizzare tutto il mio equilibrio per rimanere in piedi, un po’ perché non ero mai stata capace di scivolare leggermente sul ghiaccio, e un po’ perché non avevo ancora smaltito del tutto la sbronza della sera precedente.

Più volte dovetti aggrapparmi a Olivia per non cadere, e più volte lei mi mandò al diavolo per questo. «Basta », ansimai sfinita a bordo pista. Irina si fermò accanto a me, ridacchiando. «Stanca, eh? » disse appoggiandosi anche lei alle sbarre.
« dai, un altro giretto e andiamo », mi incoraggiò tirandomi per un braccio. Non appena alzai lo sguardo vidi qualcosa di davvero sconvolgente. « Irina! », la chiamai troppo forte.
Lei si girò guardandomi preoccupata. Sapevo di essere diventata bianca come u lenzuolo, lo sapevo bene. « Che c’è? » domandò perplessa « sembra che tu abbia visto un fantasma », continuò quasi ironica. « In un certo senso », le risposi sena smettere di fissare ciò che avevo visto. Alzai un dito indicando a cosa mi riferivo. A meno di centro metri da me stava scivolando leggermente sul ghiaccio una ragazza con i capelli rossicci e ricci, gli occhi color cioccolato e la pelle color porcellana. Era abbastanza alta, un fisico degno di una modella. Era la bellezza fatta persona. Purtroppo, però, era anche l’ambiguità, fatta persona. Digrignai i denti, d’istinto.
« Andiamocene », sputai tra i denti. Non aspettai neanche una risposta.
Mi girai di scatto, decisa ad andarmene il più possibile lontano da lì. Purtroppo, però, il mio precario equilibrio non giocò a mio favore. Nel girare, infatti, inciampai dei miei stessi piedi e caddi rumorosamente a terra. Non appena mi rialzai mi trovai faccia a faccia con Claire, la ragazza- modella. Lei mi fece un grosso sorriso, mostrando la dentatura perfetta. Per poco non le ringhiai in faccia. Quel sorrisetto falso era davvero odioso. « Melanie! », la sua voce squillante mi penetrò nel cervello, ancora non sintonizzato bene sui suoni acuti. « Claire » la salutai io con un sorriso appena accennato. « Che bello rivederti! » mi abbracciò delicatamente. « Quando sei arrivata? » mi domandò. Come se gliene importasse qualcosa. «Due giorni fa », risposi controvoglia. « Perché non mi hai chiamata? » si finse offesa. “ Perché non ti volevo vedere”, avrei voluto risponderle. Una volta Claire era una delle mie migliori amiche. Poi lei era passata al “lato oscuro” e le cose erano cambiate. Era difficile capire davvero quali fossero le sue intenzioni: un momento era dolce e affabile, quello dopo era una vipera inacidita. « Non ci ho pensato », mentii. Lei mi rimbeccò, « bè adesso che ci siamo incontrate dobbiamo assolutamente vederci ».
« Stasera c’è una festa, a casa mia », mi informò. « Possono venire anche le tue amiche, se vuoi ». Ecco, questo era il genere di momento in cui l’avrei presa volentieri a schiaffi. Lo diceva come se le mie amiche non fossero al suo livello e invitandole mi stesse facendo un grande favore. « Non so, devo chiedere a loro se non abbiamo programmi per stasera », risposi ricambiandola con la sua stessa moneta. Per un attimo la vidi spiazzata da quella risposta, come se non si aspettasse che anche io potessi avere una vita sociale.
« Ci sarà anche Jensen », sorrise perfida. Sentii il mio cuore fermarsi, il sangue gelarsi nelle vene e le sue parole rimbombarmi nel cervello. “ Stronza, stronza, stronza!” fu il mio grido muto. Sentivo le sopracciglia arcuarsi, il viso imbronciarsi e gli occhi inumidirsi. “ no, non qui “ , il mio cervello si ribellò. « Bene. Vedrò cosa posso fare per esserci », le sorrisi, finta come una moneta di cioccolata.
« Scusa, ma ora dobbiamo andare, è stato un piacere rivederti », senza darle modo di rispondere presi Irina per un braccio e mi diressi all’uscita. In trenta secondi ero già in macchina, fissamente saldata al sedile. Non proferii parola, mente Irina raccontava l’accaduto alle altre. « Che stronza! » fu l’esclamazione sincera di Olivia. Mi sfuggì un leggero sorriso, appena accennato. Ma ero troppo sconvolta per sorridere davvero. Quell’ultima frase di Claire era una chiara provocazione, una cattiveria a dire poco. Jensen, il ragazzo che aveva nominato, era stato il mio primo amore, poco tempo prima. Un anno prima che partissi per Forks era arrivato nella nostra scuola, e in poco era diventato amico di tutti. Tutte le ragazze gli andavano dietro, ma solo per il suo fisico, non per vero interesse.
Claire ovviamente era subito diventata sua amica, e io, che a quei tempi ero la sua migliore amica, avevo conosciuto il ragazzo più ambito della scuola. All’inizio pensavo che fosse uno dei soliti fighetti snob che conoscevo, ma poi conoscendolo meglio avevo scoperto in lui una persona meravigliosa e me ne ero innamorata.
Io, però, a differenza di tutte le altre, gli avevo rivelato i miei sentimenti, nonostante sapessi che era impegnato. Ma amare qualcuno che non ti ricambia è doloroso, e la nostra amicizia durò poco. Stargli vicino era troppo doloroso, e una volta che lui ebbe cambiato scuola decisi di non vederlo più. Evitavo accuratamente ogni festa, ogni evento al quale sapevo che avrebbe partecipato anche lui, e mi tenevo a distanza dal suo giro di amici. Lo evitavo perché vederlo mi faceva stare male, troppo male. Mi ci erano voluti due anni per dimenticarmi di lui, e adesso Claire con solo due parole aveva riaperto la ferita.
« Tanto non ci andrai », per Katia era sempre tutto così facile. Rimasi in silenzio, le unghie conficcate nel sedile in pelle nera. « Scusa, non dovrebbe decidere lei? », replicò irritata Irina.  Lasciavo che le mie amiche discutessero tra di loro, che decidessero per me cosa fare.
« Non mi sembra che ci sia molto da pensare », le interruppe Sarah, « non credo lo voglia rivedere… », lasciò il discorso in sospeso, perché con la coda dell’occhio vidi Irina darle una gomitata indicandomi con un cenno. Sentivo i loro sguardi addosso e nello stesso tempo sentivo gli occhi trattenere a stento le lacrime.
« Andiamo a casa », sussurrai quasi pregandole. Il rombo sordo del motore che si accendeva fu tutto quello che sentii. Nessuna proferii parola per tutto il viaggio, almeno fino a che non arrivammo a casa. Irina spense il motore delicatamente. Feci per scendere di macchina, ma bloccò le portiere con uno scatto. Tirai un sospiro e mi voltai verso quattro facce afflitte. C’era rabbia, dolore e pena sui loro volti. Quella maledetta pena che odiavo. Non sopportavo essere compatita; o almeno non in quei momenti. Avrei voluto solo urlare, piangere e disperarmi, ma allo stesso tempo non volvo che mi vedessero così. Non avevo problemi a sfogarmi davanti a loro, ma sapevo che per loro, al contrario mio, piangere era segno di debolezza. E io non volevo fargli vedere quanto lo ero.
« Cazzo Iry, vuoi aprire questa maledetta portiera? », le urlai tentando di raggiungere il tasto per sbloccarla. Lei non me lo permetteva, tenendo la mano saldamente ferma su di esso. Sentivo il respiro accelerato e le guance rosse divampare come fuoco.
« Possiamo parlarne dopo, per favore? », la supplicai con un respiro affannato. Lei mi guardò negli occhi per qualche secondo, poi sbloccò le portiere, permettendomi così di uscire. Entrai in casa velocemente e mi diressi verso la mia camera. Chiusi la porta e mi buttai sul letto, seppellendo la faccia tra i cuscini. In quel preciso momento mi sentii sola al mondo. Nessuno poteva capire come mi sentivo, nessuno. Chiunque non mi conoscesse bene avrebbe sicuramente pensato che ero pazza e melodrammatica, e avrebbe avuto ragione. In una situazione normale non mi sarei mai fatta prendere così dal panico. Ma quella volta era diverso. Le mie amiche erano così comprensive con me in quei momenti, perché sapevano quanto fossi sensibile riguardo a quell’argomento.
Ogni giorno combattevo con ogni cellula del mio cervello per rimarginare un po’ di più la ferita, mentre adesso, sentendo pronunciare il suo nome, era come se qualcuno – Claire per la precisione – avesse strappato via i punti che tenevano uniti i due lembi della spaccatura. Una spaccatura che in quel momento sentivo pulsare al centro esatto del mio cuore. Mi toglieva il respiro, facendomi ansimare come qualcuno che trattiene troppo il fiato sott’acqua per poi risalire in superficie e prendere avido quanto più ossigeno possibile. Ma non c’era un rimedio per me. Io non potevo risalire, ma solo sprofondare sempre di più. Strinsi le gambe al petto, come nel tentativo di rimanere intera. Un flash mi balenò nella mente: Bella, nel garage di Jake, durante uno dei suoi tanti pomeriggi a La Push, quando Edward se n’era andato. Anche lei stringeva le gambe al petto, esattamente come facevo io.
« Perché fa così male? », fu il mio lamento inudibile. Perché? Se io avevo già Jake, perché faceva così male pensare a Jensen? Perché soffrivo esattamente come prima? Perché vedevo il suo volto passarmi davanti in continuazione? Quegli occhi verdi, così profondi, le labbra piene e la mascella lievemente pronunciata… perché neanche il ricordo del profumo di muschio e corteccia d’albero che tanto amavo riusciva a farmi smettere di pensare a lui? Non mi diedi una risposta. Lasciai semplicemente che il dolore mi prendesse, mentre fuori dalla finestra guardavo i primi fiocchi di neve scendere dal cielo. 

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Capitolo 20
*** Baci sotto il vischio ***


             Ricordo i tuoi sorrisi, ricordo le tue risate,
ricordo come mi batteva forte il cuore, e a volte
mi pare di sentirlo battere ancora. Ho continui ricordi di te.
Ti ricordo, e non so perchè.

 




Respira. Respira profondamente. Ce la puoi fare.
Assurdo. Lo so che non ce la farò mai. Morirò non appena lo vedrò.

No, no, smettila.  E’ solo una festa. Solo una stupidissima festa. Ce la farai.
 
« Melanie? », sentii una dolce voce chiamarmi delicatamente. Mi voltai verso la porta del bagno, appena socchiusa, dalla quale sbucava la testa di Sarah. Il suo volto sembrava di porcellana, le labbra risplendevano leggermente illuminate dal lucidalabbra e la matita nera appena accennata faceva risaltare gli occhi verdi.
Il suo viso ricordava quello di una bambolina, incorniciato da dei bellissimi boccoli castano chiaro. « Ci sono, arrivo », dissi per la milionesima volta. Lei mi sorrise scuotendo la testa, con disapprovazione. Non era per niente d’accordo sulla mia decisione, ma come mia amica si tratteneva dal fare commenti, come tutte loro. Sapevano quanto fossi sensibile sull’argomento, per cui cercavano di aiutarmi per quanto potevano. Mi guardai nello specchio un ultima volta: la matita blu faceva risaltare i miei occhi color nocciola, le labbra erano risaltate dal lucidalabbra, i capelli cadevano morbidi sulle spalle, in un onda non ben definita. Il mio corpo non troppo magro era coperto da un vestito rosso bordeaux senza spalline, appena sopra il ginocchio e tacchi neri, nulla di eccessivamente vistoso, visto la portata delle feste che organizzava Claire.
Un cerchietto dello stesso colore del vestito cercava disperatamente di tenere a bada i miei capelli, senza troppo successo. Feci un grosso respiro e uscii dal bagno.
« Ci sono », annunciai sorridente alle mie amiche. Tutte e quattro si girarono verso di me, guardandomi con occhi stupefatti.  
« Ricordami perché hai deciso di andarci », sbuffò irritata Olivia mentre cercava di tirare più giù il lembo del suo vestito.
« Secondo me ha fatto bene ad accettare », mi difese Irina, « non può evitarlo per tutta la vita », disse prendendomi a braccetto. « Andiamo, va », alzò gli occhi al cielo Sarah, costringendoci ad uscire. « Morirò », mi lamentai infilandomi la giacca.
« Secondo me sarà lui a morire, non appena ti vedrà », ammiccò Katia, facendomi arrossire. 
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« O my God!», la voce squillante di Claire mi colpì non appena varcai la soglia della sua casa. Stava ascoltando qualche assurdo pettegolezzo e fingeva di essere sconvolta da quello che sentiva. Sentivo, come spesso mi accadeva in quelle circostanze, di essere io la notizia succulenta del momento. Forse perché ero così sensibile in quel momento da temere che da un momento all’altro qualcuno in quella stanza potesse giocarmi un brutto tiro. O forse perché semplicemente tutti si voltarono verso di me non appena misi piede nel salone. Era arredato con gusto e dovunque si poteva ammirare la ricchezza pacata e moderna che rappresentavano l’Upper East side di Manhattan.
« Melanie! », mi accolse con un abbraccio delicato Claire.
« Alla fine sei venuta », si meravigliò. Per quello avevo deciso di andare. Se non l’avessi fatto probabilmente avrebbe passato tutta la sera a sparlare di me con le sue amiche, dicendo di come ero scappata piangendo con la coda tra le gambe non appena l’avevo vista. Non volevo che pensasse che soffrivo ancora solo a sentire nominare Jensen, anche se era così. Lei non aveva il diritto, di farmi soffrire. Né di farmi odiare da me stessa. In fondo io VOLEVO, rivedere Jensen. Ma questo non l’avevo detto alle mie amiche. Sapevo, nel profondo, che se non fossi andata a quella festa, me ne sarei pentita.
« Non c’era motivo per non farlo », mentii. Era quello che volevo farle credere. Che non mi era costato nessuno sforzo accettare il suo invito. Lei mi squadrò con invidia da capo a piedi. « Bel vestito », ammise. « Grazie », sorrisi beffarda.
“ Costa più di te”, pensai sghignazzando mentre mi allontanavo. La festa proseguì tranquilla, diluinemmeno l’ombra. Me ne stetti tutto il tempo con le mie amiche, ignorando, in linea di massima, gli altri inviati. Da una parte ero contenta che non ci fosse, ma dall’altra ero nervosa, come prima di un esame. Ad un certo punto alzai la testa e lo vidi. Era appena entrato. Con lo sguardo stava cercando la padrona di casa.
I suoi occhi si illuminarono non appena la trovò. La vidi andargli incontro e lui abbracciarla dolcemente. Lei era così bella… mi faceva venire da piangere…
Mi voltai verso il parapetto. Era un attico. Non esattamente il mio sogno, visto quanto soffrivo di vertigini. Per un minuto rimasi lì, immobile, tentata di andarmene. Non volevo girarmi di nuovo. Non per vederlo con lei, no.
Sei gelosa? Ecco di nuovo quella vocina nella testa.
No, non sono gelosa.
Oh, si che lo sei. Mi voltai leggermente intravedendoli appena, abbracciati.
Sì, lo sono. Lo sono terribilmente.
Melanie pensa a Jake. Tu ami lui.
Io…
 
« C’è Jensen », mi sussurrò Sarah. « Te ne vuoi andare? », chiese con discrezione. Sapevo che avrei potuto farlo senza problemi. « Sta venendo qui, decidi in fretta », mi incitò nervosa. Feci per andarmene, ma poi sentii la voce di Irina risuonarmi in testa. Non puoi evitarlo per sempre.No, non potevo. Presi un grosso respiro e mi girai verso di lui. Ormai era davanti a me, sorridente. « Ciao », sussurrò. «Ciao », risposi altrettanto imbarazzata. « Vi lascio », mi sussurrò appena Sarah.
Io e lui continuammo a guardarci negli occhi, senza dire nulla.
« E’ passato tanto tempo, eh? », mormorò. Per chissà quale motivo mi sembrava imbarazzato quanto me. « Già », non riuscivo a parlare, tanto ero nervosa.
« Mi sei mancata ». Le sue parole mi colpirono dritte al cuore, come una freccia. Sentivo il naso prudermi, come prima di piangere. Ricacciai dentro le lacrime.
« Anche tu », non riuscii a trattenermi. Le parole mi uscirono fuori da sole, come una cascata. Abbassai la testa e sentii le sue braccia avvolgermi stretta. Istintivamente ricambiai l’abbraccio, posando la testa sul suo petto.
« Sai », mi sussurrò nell’orecchio, « non ti accorgi di quanto tieni ad una persona finchè non la perdi ». Cosa voleva dire? Mi stava confondendo sempre di più le idee. « Mi dispiace davvero di come è finita tra noi », disse allontanandosi leggermente da me, ma continuando a cingermi la vita.
« Anche a me », ammisi. Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi verdi. Avevo passato ore a fissare il suo bellissimo viso, eppure ogni volta che lo guardavo mi sembrava sempre la prima. « Ma non è stata colpa mia », continuai. Adesso ero arrabbiata. Se teneva così tanto a me perché mi aveva rifiutata?
« No, è stata colpa mia », ammise con voce ferma. « Non mi sono reso conto di quanto valessi ».
Cos’era quella? Una confessione? Mi stava solo chiedendo scusa oppure…
« Ma adesso lo so », mi alzò il viso con due dita, costringendomi a guardarlo negli occhi. « e vorrei rimediare », sussurrò appena a due centimetri dal mio viso. Sentii il botto di una bottiglia che si apriva e i gridolini eccitati alle mie spalle. Guardai l’orologio. Mezzanotte. « Buon Natale », mi sussurrò. Alzò lo sguardo, e mi sorrise sghembo. « Vischio », ridacchiò. Appeso al soffitto, proprio sopra di noi, c’era un ramoscello di vischio. « Bè, le tradizioni vanno rispettate », rise di nuovo, avvicinandosi piano. Avrei avuto tutto il tempo di respingerlo; se solo avessi voluto. Ma non volevo. Bramavo le sue labbra da tutta una vita, bramavo le sue braccia attorno a me da sempre. E allora perché avrei dovuto mandarlo via? Se proprio dovevo perdere un altro briciolo di me, meglio esagerare. Sentii le sue labbra piene modellarsi sulle mie, le mie dita si intrecciarono ai suoi capelli disordinati, mentre le sue mani mi stringevano forte a sé. Sentii il mio cuore battere all’impazzata, e l’unica cosa che percepivo era il suo viso sul mio. Non c’era nient’altro al mondo. Solo noi due. Sentivo le grida di gioia provenire dal salone, ma non me ne importava.
In quel momento, per la prima volta in vita mia, non mi importava.
                                    
  

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Capitolo 21
*** Rimproveri ***



Ciao ragazze! Ahhhh! No, no vi prego non uccidetemi!! lo so, molte di voi vorrebbero farlo per la storia cn Jensen... ma tranquille, finirà tutto bene... :) ( anke perchè ci tengo alla vita!! ) sfortunatamente in questo cappi non succede nulla di che.. a parte una cosa con Olivia... hihih ;P per questo dedico il cappi a StarryLu... te l'avevo promesso!! ahahah :D baci a tutte Elly








« Ma sei pazza?!» mi urlò Sarah. Non l’avevo mai vista così arrabbiata, e non era la sola. « Tu non ragioni! », anche Katia era furiosa con me.

« Non pensi alle conseguenze?! », mi aggredivano, come se avessi fatto un torto a loro. « E’ stato solo un bacio », mi difesi. Non mi aspettavo tutta questa preoccupazione. « Non capisco dove sia la tragedia! », cos’era questa improvvisa agitazione? Sarah si fermò in mezzo alla stanza, fissandomi.
« Cosa ti è successo? », sussurrò carezzandomi una mano. « Ti conosco Melanie », insistette, « non è da te tradire Jacob », disse preoccupata.

Aveva ragione, non era da me. Tradire. Mi conoscevo, non ne sarei mai stata capace. Avevo sempre giurato a me stessa che non l’avrei mai fatto.Tradire. Come potevo farlo? Come avevo potuto farlo? Solo in quel momento mi resi conto di quello che avevo combinato. « Sarah… », mugolai cercando le sue braccia. Non avevo riflettuto, non avevo pensato. Non avevo cuore. Non avevo cuore. In quell’istante odiai me stessa come non avevo mai fatto in vita mia.
« come ho fatto? », chiesi a voce alta.

« Se non lo sai te… » Olivia se n’era stata in silenzio fino a quel momento, ma il suo disappunto era evidente. A quelle parole saltai via, veloce come il vento.
Mi chiusi in camera, decisa a non uscirne mai più. Ero troppo disgustata da me stessa, per farlo.

Come avevo fatto a non pensare? A non ragionare, a non…
Piangevo, le lacrime scorrevano veloci e i singhiozzi mi scuotevano il petto.
Assurdo.
Non posso piangere per qualcosa che ho fatto io! Eppure le lacrime scorrono, eppure i singhiozzi mi trafiggono… eppure soffro come se non fossi stata io a farlo…
Ok, è assurdo, assurdo! Non posso… come posso averlo fatto e rendermene conto solo ora…

Non riuscivo neanche a formulare un pensiero coerente… cercai di calmarmi. Io avevo fatto quello che avevo fatto, e ne ero cosciente. Non mi pentivo, ma ne soffrivo. Non volevo perdere Jake per un bacio, per un ricordo, una ripicca. Perché avevo baciato Jensen? Avevo desiderato ardentemente le sue labbra per tanto, troppo tempo. Mi si era presentata l’occasione e ne avevo approfittato. Ecco la spiegazione. La semplice, sincera spiegazione. Era egoismo. Egoismo allo stato puro. Avevo fatto quello che mi sentivo, senza pensare alle conseguenze. Senza pensare a Jake.
Mi arresi alla verità e me ne andai a letto, conscia che la notte mi avrebbe portato se non un rimedio, almeno un po’ di lucidità. Mi addormentai con l’immagine di Jacob nella mente e nel cuore.
 
« Esco », dissi di sfuggita mentre prendevo le chiavi dell’appartamento.
« Dove vai? », domandò curiosa Olivia dal divano. « Da Jay », risposi seria. Dovevo chiarire una volta per tutte la situazione con lui. Dovevo dirgli che quello che era successo la sera prima era stato solo l’impulso di un momento, che il mio cuore apparteneva a Jacob, a lui e a nessun altro. Uscii velocemente, come se volessi arrivare da lui il più velocemente possibile. Chiamai un taxi che mi fermò proprio sotto casa sua, poco distante dall’appartamento di Olivia. Salii fino al suo appartamento e suonai il campanello, nervosa. Pochi secondi dopo mi aprii e mi fece accomodare. « Dobbiamo parlare », esordii dandogli ancora le spalle.
« Certo », acconsentì facendomi sedere.
« Quello che è successo ieri sera… », mi imbarazzava parlarne. « Lo so », mi interruppe lui. Alzai lo sguardo, stupita. « So che sei impegnata », continuò.
Che bastardo! Lo sapeva eppure mi aveva baciata lo stesso!
« Non pretendo che tu rinunci a tutto per me », sorrise. Vorrei anche vedere, pensai.
« Sono contento che tu abbia trovato qualcuno che ti merita » posò una mano sulle mie. La ritirai subito. « E’ un altro modo per scaricarmi », affermai alzandomi incazzata nera. « No! », mi riprese per un braccio « non è così », cercò di farmi risedere, ma io mi rifiutai. « Non ci posso credere », avevo le lacrime agli occhi dalla rabbia. « e io che ti avevo creduto », gli urlai, « pensavo tu fossi cambiato », lui si alzò, sovrastandomi. « E’ così », disse con voce ferma. « sono cambiato », affermò sicuro. « nel tempo che sei stata lontana, quando non mi parlavi », mi spiegò, « ho capito quello che provavo per te », continuò, « ma ho capito anche un'altra cosa… », si avvicinò lentamente, « che se ami una persona vuoi solo il meglio per lei », mi carezzò delicatamente una guancia, « e io non sono il meglio. Tu hai Jacob »
Come sapeva il suo nome?  « Claire », rispose alla mia domanda muta.
« Non ti dirò che quello di ieri sera è stato uno sbaglio, perché non lo è stato,
per me», riprese, « tu mi hai amato come nessun’altra ha mai fatto », sussurrò.
Avevo le lacrime agli occhi, un po’ dalla commozione, un po’ dalla rabbia.
« ma è stato solo un momento », continuò, « non voglio rovinare quello che hai di più prezioso per un momento », « so che tu ami lui, non mi devi nessuna spiegazione », concluse.
Rimase a guardarmi. Come se fossi ad un esame, mi sentivo spaesata e sconvolta. Non l’avevo mai sentito fare un discorso del genere. Ero sinceramente strabiliata.
« Credo sia il discorso più serio che tu abbia mai fatto », sorrisi leggermente. Lui ridacchiò alzandosi. Lo seguii a ruota, guardandolo negli occhi. « Forse sei davvero cambiato », conclusi. «Forse », ridacchiò. Era cambiato, ma in fondo era ancora lo stesso ragazzo che avevo amato.
 
Una volta che ebbi chiarito con Jensen, me ne tornai a casa. Due giorni dopo me ne sarei tornata a casa e lì sarebbe stata la vera tragedia. Avrei dovuto dirlo a Jacob, rischiando di perderlo. Avevo davvero rovinato la mia vita per sempre.
« Oli », la chiamai entrando nell’appartamento. Nessuno rispose. « Olli! », la chiamai di nuovo. Di nuovo nessuno mi rispose. La cercai nel soggiorno, in cucina, in bagno. Non la trovai da nessuna parte. «Oli », ripetei ancora, stavolta dirigendomi verso la sua camera da letto. « Oli dove… », non finii la frase. Aprii la porta di scatto e mi trovai davanti uno spettacolo alquanto imbarazzante. Lei e Matt erano sul letto, in posizione e atteggiamento non proprio… casto. Mi scappò una risatina. Fortunatamente entrambi avevano i jeans addosso, mentre non si poteva dire lo stesso delle loro… ehm, magliette. Quella di Matt era bella che andata, lasciandolo a torso nudo, il che non era affatto spettacolare, mentre quella di Olivia era a terra, assieme alla felpa. Da quando aveva un reggiseno nero ricamato? Che l’avesse comprato per l’occasione? A completare il bel quadretto c’erano carte da gioco sparse ovunque. Matt le era completamente sopra, e non dava segno di volersi spostare. Almeno non credo l’avrebbe fatto, se non fossi arrivata io. Cercarono di ricomporsi, senza troppo successo. Olivia era anche più imbarazzata di Matt, completamente rosso in viso.
« Giocavate a scopa? », ridacchiai provocandoli. « magari la prossima volta chiuditi a chiave, genio », la rimbeccai chiudendo la porta e andandomene in salotto.
Li avevo imbarazzati anche troppo. Dopo qualche minuto li sentii uscire dalla camera, e vidi Matt dirigersi alla porta. Mi girai verso di lui, sporgendomi dal divano. « Matt », lo chiamai. Lui si girò verso di me, ancora imbarazzato. « domani io e te facciamo una chiacchieratina », gli feci l’occhiolino. Non rispose. Sentii la porta chiudersi e Olivia buttarsi sul divano accanto a me. « impicciona », bofonchiò. Ridacchiai. «sporcacciona », la schernii. Mi fece una linguaccia. « la prossima volta gioco anche io », la punzecchiai. Mi tirò un cuscino, prendendomi in piena faccia. Cominciammo a tirarci ogni cuscino che ci capitava a tiro, ridendo e scherzando. Fu un momento felice. Sapevo che molto probabilmente era l’ultimo, prima di tornare a casa. Prima di rendere la mia vita un inferno. Prima di dire addio alla normalità.

  

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Capitolo 22
*** Ritorno a casa ***


« Mi raccomando », mia madre mi baciò sulla fronte. « non combinare casini », mi ammonì. Avevo passato i due giorni che mi rimanevano da trascorrere a New York con i miei genitori, nella nostra casa. L’ho già fatto, mamma, avrei voluto dirle.

« E’ dura, dall’Upper East Side a Forks, eh? », ridacchiò mio babbo. Ah, ah. Molto spiritoso, come sempre. « Un po’ », sminuii. Salutai i miei genitori e le mie amiche e uscii dall’appartamento. « Ah, Matt! », lo chiamai dal pianerottolo. Lui mi raggiunse in pochi secondi. « Trattamela bene », lo ammonii. Lui ridacchiò nervoso.

« Posso farti una domanda? », esordii improvvisamente. « Certo », rispose perplesso.
« La ami? », chiesi senza ironia né rimprovero. Lui mi guardò un istante, imbarazzato, poi annuii convinto. Gli feci un grosso sorriso di approvazione ed entrai nell’ascensore. Presi un taxi, per l’aeroporto, e passai tutto il volo di ritorno a pensare a come raccontare tutto a Jake.

Come glielo dico? Mi odierà tutta la vita!
Dovevi pensarci prima!
E riecco la vocina del cazzo. Fottiti!
Non è colpa mia se sei cretina! Vai a cacare.
 
Ok, litigare con la propria coscienza è da veri idioti.
Il tempo volò letteralmente, e quando mi ritrovai di nuovo a terra mi sembrava fossero passati solo pochi minuti.
Assurdo. Come tutto quello che mi era successo fino ad allora, d’altronde.
« Melanie! », la voce di Bella mi risvegliò d’improvviso. Ero già a casa? Sì, a quanto pare. Nemmeno tre secondi dopo era già accanto a me. Da quanto era così veloce?
« Ciao », risposi disorientata e non troppo educatamente, forse. « Stai bene? », mi chiese lei, perspicace. Annuii leggermente e salutai mio zio.
Edward era l’unico ad accorgersi che non ero completamente me quel giorno. Non riuscivo a tenermelo per me, dovevo dirlo. Mentre me ne stavo sul divano guardai Edward accanto a me, e nella mente cercai di visualizzare un breve “ riassunto” di quello che era successo a New York.  Lasciai che mi leggesse nel pensiero, anzi, praticamente lo obbligai a farlo. Quando ebbi finito lo sentii guardarmi insistentemente, e presa completamente dal senso di colpa mi presi la testa tra le mani, in preda al panico.
« Edward ho fatto una cazzata », sussurrai senza che mi sentissero dalla cucina. Non volevo che Bella lo sapesse, perché sapevo che tradire Jake era come tradire anche lei. Edward si alzò con lentezza umana, mi sfiorò il braccio e sussurrò “ Non qui, su “, mi incitò salendo al piano di sopra. Lo seguii in camera mia, e chiusi la porta.  Era seduto sul mio letto, io davanti a lui, la schiena alla porta. Lo guardai, come ad implorarlo di aiutarmi.
Ma che aiuto può darti??Stavolta la vocina aveva ragione. Sapevo di comportarmi da idiota, a dir poco, sapevo che era perfettamente inutile mettere Edward in mezzo a quella faccenda, anzi, era egoista da parte mia, ma non potevo portare quel peso da sola, non ci riuscivo.
« Perché l’hai fatto? », mi chiese lui perfettamente tranquillo. Io non riuscii a rispondere, me ne restai zitta e ferma al mio posto.
« Lo ami? », mi domandò semplicemente. Io alzai la testa, gli occhi lacrimanti e rossi.
« Ci credi se ti dico che non lo so? », sussurrai sedendomi accanto a lui.
Sorrise dolcemente. Lo guardai in volto e una stana lucidità m’invase.
« Tu non hai mai dubbi », affermai, « tu sai cosa vuoi », continuai. « A volte ti invidio. Tu puoi anche sbagliare, tanto poi hai l’eternità per riparare ai tuoi errori », sembrava quasi un accusa.
Lui rise dolcemente, compassionevole. « sono io che invidio te », mi sorprese, « La tua vita è reale. Tu soffri, ridi, piangi. Puoi mostrare le tue emozioni », si rattristò. « Forse hai ragione », ammisi. Non potere più piangere, per me sarebbe stato bruttissimo in quel momento. « Glielo dirai? », mi domandò. Come se avessi una scelta.
« Devo. Non sono il tipo che nasconde certe cose », ridacchiai.
« A dir la verità non sono nemmeno il tipo che tradisce… », bella conversazione, si. Mi sorrise comprensivo. In quel momento il mio cellulare squillò. « Mel! », una voce calda e familiare mi fece saltare sul letto.
« Jake », pronunciare quel nome mi faceva ritornare i sensi di colpa. « Bella mi ha detto che sei appena tornata », mi spiegò, « mi sei mancata. Passi da me? », chiese ansioso.
« Certo », cercai di essere il più disinvolta possibile. « A dopo », lo salutai di fretta. Lo sentii ridacchiare dall’altra parte, nervoso. « A dopo, amore » e riattaccò. Rimasi immobile, con il telefono in mano. Sentirmi chiamare Amoreda Jake era sconvolgente. Sentivo il mio cuore battere all’impazzata e la testa girarmi frenetica. Era bellissimo sentirlo da lui.
« Devo andare », mi alzai di fretta. Edward aggrottò le sopracciglia.
« Non da sola », disse perentorio. Alzai gli occhi al cielo. « Vengo con te », aggiunse.
« Non essere sciocco, sai benissimo che non puoi! », se avesse superato il confine sarebbero stati dolori. « Ma è pericoloso », insistette debolmente.
« Ti prometto che starò lontana », lo rassicurai. « E poi è una cosa che devo fare da sola ». Lui non rispose. Lo presi come una resa e mi fiondai verso la porta.
« Grazie », sussurrai prima di lanciarmi verso le scale. Presi la giacca al volo e uscii.
« Vado da Jake », annunciai mentre chiudevo la porta. Non aspettai una risposta, mi fiondai dritta sul pick-up, diretta a La Push.
Ero convinta che quelle parole che mi avevano dato la forza di rirendermi mi avrebbero anche dato la forza di dire a Jacob tutta la verità. Guidai fino a casa di Jake, che mi aspettava fuori, proprio accanto alla sua moto. Scesi dall’auto sorridente e mi diressi verso di lui. Lasciai che le sue braccia mi avvolgessero e che il suo respiro penetrasse nella mia mente. Toccai il caldo miracolo della sua pelle e mi sentii a casa. Mi baciò delicatamente, ma con desiderio. Mi ricordò il nostro primo bacio. « Vieni », mi sorrise indicandomi la moto.
« Dove andiamo? », domandai emozionata salendo sulla moto.
« Sorpresa », rispose con un sorriso stupefacente. Mi aggrappai forte al suo petto e partimmo sgommando. Mi portò sulla spiaggia, in un posto isolato in cima agli scogli, dove none ero mai stata. Da quell’altezza si vedeva benissimo l’oceano.
Era bellissimo. Riamasi a bocca aperta dallo stupore. « E’… bellissimo », mormorai.
Mi sorrise abbracciandomi da dietro. Mi sporsi delicatamente dal burrone e mi ritrassi subito, aggrappandomi alla sua maglietta. « Ti ho mai detto che soffro di vertigini in maniera sconvolgente? », dissi ironica. Lui ridacchiò abbracciandomi più forte.
« Non ti preoccupare, ci sono io, amore », mi sussurrò tra i capelli. Sentii di nuovo un brivido. L’aveva detto di nuovo. Mi voltai guardandolo negli occhi. Lui vide il mio sguardo e si fece serio. Mi scostò un ciuffo dal viso, accarezzandomi la guancia.
« Ti amo », disse in un sussurro. Sentii il cuore fermarsi. Dovetti fare un respiro profondo, dopo l’apnea. Era così bello sentire quelle parole. « Anche io, davvero », mormorai stringendomi a lui. Avrei dovuto dirgli quello che era successo a New York, ma non ne ebbi il coraggio. Aveva appena detto di amarmi, non potevo. Due lacrime mi rigarono le guance e finirono sul suo collo. Mi scostò improvvisamente.
« Perché piangi? », chiese preoccupato. Io risi di gusto. « Perché sono felice », risposi tra il pianto. Le sue labbra si aprirono in un grosso sorriso, prima di posarsi sulle mie. Sentivo il suo sapore in bocca, le sue mani sulla mia schiena e sul mio viso. Volevo rimanere così, per sempre.
Diglielo!! Urlò sfrenata la vocina.
CHETATI!  Le urlai io mille volte più forte, mettendola a tacere. Volevo solo lui, adesso. Solo lui. E basta problemi. Io e lui, soli. Io e lui, innamorati. Io e lui… forse ancora per poco. 

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Capitolo 23
*** Adesso si fa sul serio ***


La notte passò velocemente. Il viso di Jensen si alternava a quello di Jacob, confondendomi. Mi svegliai la mattina dopo, più stanca che mai. Mi stiracchiai dolcemente. Mi guardai intorno, come se  sentissi qualcuno che mi osservava.
Una volta vestita scesi a fare colazione, ma non avevo fame e mi misi a leggere Orgoglio e Pregiudizio, il mio libro preferito. Proprio mentre leggevo del primo ballo in cui Elizabeth incontra Darcy qualcuno bussò alla porta. Andai ad aprire e mi trovai davanti Edward. Il suo sguardo era spaventoso. Gli occhi neri, i denti leggermente scoperti, in espressione da attacco.

Non appena lo vidi ebbi un tuffo al cuore. Edward non era certo il tipo che si scomponeva per poco, quindi se era così agitato doveva esserci un motivo serio.
« Cos’è successo? », sussurrai spaventata. Lui non mi rispose e si fiondò su per le scale, dritto in camera mia e poi in quella di Bella. Annusò l’aria inspirando, profondamente concentrato.
« Qualcuno è stato qui stanotte », disse minaccioso.
« Victoria? », balbettai spaventata.
 « No, è una traccia che non riconosco », rispose freddo.
« Mel, hai visto la mia camicetta rossa? », irruppe improvvisamente Bella.
« Che succede? » domandò vedendo i nostri volti crucciati. « Adesso lo scopriremo », risposi con fare esperto. Mi misi al centro della stanza di Bella e li feci allontanare.
Chiusi gli occhi e mi concentrai, la bacchetta ben salda nella mano destra.
« Praeterium tempum videmus», pronunciai disegnando un cerchio attorno a me con la bacchetta. Improvvisamente si formò una specie di cabina, intorno a me, nella quale potei vedere cos’era successo quella notte mentre Bella dormiva. Vidi un ragazzo, sicuramente un vampiro, prendere la camicetta di Bella e annusarla, poi andarsene di corsa. Mentre vedevo queste immagini cercavo di farvi accedere, tramite i miei pensieri, anche Edward. Finita la magia mi rivolsi a quest’ultimo.
 « Alice non ha visto niente? », domandai stranita. Eppure avrebbe dovuto.
 « Ha visto solo qualcuno in camera di Bella, stamattina. Sono corso subito », mi spiegò. Ecco il motivo di quella visita così mattiniera.
« Di cosa state parlando? », domandò curiosa Bella.
« Cos’è che doveva vedere Alice? », adesso era spaventata, come tutti noi.
« Qualcuno è entrato in camera tua, stanotte », spiegai mentre Edward cercava di capire chi potesse essere. « Victoria? », domandò Bella.
« No, non è la sua scia », ripeté Edward. « E allora chi è? », domandò ancora.
 « Non lo sappiamo », risposi preoccupata. Quello era un bel problema. Qualcosa di cui non volevo proprio occuparmi in quel momento…
« Vado a parlarne con Alice », annunciai. « Magari in due combiniamo qualcosa », borbottai. L’ultima cosa che volevo era rimanere lì. Quella casa mi opprimeva, avevo bisogno di aria. Presi il pick-up e la raggiunsi velocemente. Quando arrivai Alice era in garage, seduta sulla sua nuova Porche, un regalo di Edward. Lo stesso posto dove l’avevo vista l’ultima volta. « Ciao », la salutai debolmente. Lei mi sorrise appena.
« Non mi hai ancora perdonata? », domandai speranzosa. Lei scese dalla macchina e mi si avvicinò sorridendo. « Pensi ancora che sono pericolosa? », domandò.
« Oh, Alice! », l’abbracciai forte. « Scusa, scusa », sussurrai al suo orecchio.
« Ali non so quante cazzate ho fatto il due settimane », mi sentii di nuovo in colpa. Probabilmente mi sarei abituata presto a questa mia nuova vita. La vita della stronza.
« Addirittura », ridacchiò. « Ne hai ammazzati molti in mia assenza? », scherzò.
« Uno di sicuro », risposi triste. Lei aggrottò le sopracciglia. « Poi ti dico », rimandai. Adesso non ero lì per quello. « Cosa hai visto di preciso stamattina? », le domandai.
« Poco. C’era un ragazzo, nella camera di Bella… », disse vaga.
« Sì, l’ho visto anche io. Aveva in mano la camicetta di Bella », risposi nervosa. Lei aggrottò le sopracciglia, come a volere una spiegazione. « Un incantesimo », spiegai velocemente. « Dobbiamo cercare di capire chi è », pensai a voce alta.
« Ok, intanto vediamo dove è andato », annunciai. Con un altro incantesimo simile al precedente riuscii a vedere quale strada aveva preso lo sconosciuto.
Entrammo in casa, dove il resto della famiglia stava discutendo sull’identità dell’individuo.  Li informai su quello che avevo visto e dove era andato.
 « Seguiamolo », propose Jasper. « Vediamo dove finisce », concordai. Mentre Jasper ed Emmett seguivano le tracce io me ne stavo seduta sul divano accanto ad Esme. Nel frattempo Edward e Bella ci avevano raggiunti, e se ne stavano sul divano, seduti accanto. Carlisle cercava di capire chi potesse essere il visitatore, mentre io me ne stavo seduta immobile accanto ad Esme. La verità è che avevo paura. Non capivo come Bella, indifesa com’era – sebbene tutti fossimo lì pronti a difenderla -  non se la facesse addosso. Io ero letteralmente paralizzata dalla paura.
Nessuno dei Cullen riconosceva la scia, nessuno riusciva a capire il perché di quella visita. Ok, riflettiamo,pensai.
Primo: qualcuno era entrato in casa quella notte. Qualcuno che non conoscevamo.
Secondo: chiunque fosse non aveva fatto del male ne a me ne a Charlie ( Bella era a casa di Alice quella notte) quindi non era a noi che si interessava.
Terzo e non meno importante: Victoria andava su e giù lungo il confine, distraendo sia i Cullen che i lupi.
Coincidenza casuale? Non credo. Il vampiro sconosciuto non era un semplice curioso. Aveva preso la camicetta di Bella, questo significava che o voleva mostrarla a qualcuno per capire come mai l’odore dei Cullen si mescolava con il suo, oppure… ma no, quell’ipotesi era da scartare. Quanti vampiri girovagano in piena città di notte? Nessuno. Che l’avesse trovata per caso quindi era un ipotesi da scartare.
Se non era quello allora…. Carlisle stava formando le mie stesse ipotesi, adesso che lo ascoltavo. « Volturi », ipotizzò. « No », lo interruppi. « Non era uno di loro, e poi non avrebbero motivo di volere il suo odore. Già lo conoscono. Sono sicura che i Volturi non c’entrano », conclusi. Carlisle sembrò convinto. « Allora chi? », chiese.
« Io un idea l’avrei », sussurrai dubbiosa. Tutti si girarono verso di me.
« Non può essere un viandante, non avrebbe risparmiato Charlie. Non sono né i Volturi né Victoria », spiegai. « Ma potrebbe essere un suo sicario. Qualcuno che ha mandato lei. Qualcuno che ha bisogno del suo odore », riflettevo mentre parlavo, collegando gli indizi. « Magari non è solo. Victoria avrà pensato di far fare il lavoro sporco a qualcun altro. », conclusi.
 Jasper sembrò collegarsi sulla mia lunghezza d’onda. « Un esercito », si illuminò. Anche Edward sembrò avere un barlume di speranza. « Neonati », continuò. Sapevo qualcosa dei neonati, ma Jasper ce lo spiegò meglio, dato che neanche Bella ne sapeva nulla. « Esatto » concordai quando ebbe finito di spiegare.
« Gli indizi coincidono », sussurrai. « Ma a cosa gli serve un esercito? », Carlisle non sembrava convinto. « Non credo che Victoria lascerebbe che fosse qualcun altro ad uccidere Bella ». Rabbrividii a quelle parole.
« No », mi soffermai un minuto a pensare. « Però non può sconfiggerci tutti da sola », intervenne Jasper. « Loro uccideranno voi », ebbi un illuminazione. « Mentre voi venite distratti dai neonati lei uccide Bella », affermai.
« Ma un neonato non avrebbe risparmiato Charlie », disse Edward. In effetti no.
« Magari non è così giovane », ipotizzai.
« E poi lei sa che Edward non la lascerà sola ». Di sicuro Victoria aveva pensato anche a questo.
« Ha bisogno di qualcuno più controllato che possa combattere con Edward », continuai. « Un secondo in comando », spiegai.
 « Ma un gruppo di vampiri neonati non passa inosservato », intervenne Esme.
« Forse sono gli stessi che da un po’ turbano la quiete di Seattle », disse Jasper. Aggrottai le sopracciglia. Come mai nessuno mi aveva detto niente?
« Mentre eri a New York a Seattle è scoppiato un gran casino », si affrettò ad aggiornarmi Emmett. « Omicidi sanguinosi, incedi, incidenti stradali improbabili e con numerose vittime ». Sentii un brivido corrermi lungo la schiena.
« Di sicuro vampiri, e non pochi », spiegò.
« Perché i Volturi non sono intervenuti? ». Non avrebbero dovuto occuparsene loro?
« Non lo sappiamo », Carlisle era appoggiato al muro, accanto alle scale.
Tremai. Di sicuro non era casuale che i Volturi non intervenissero.
« Scommetto che non gli dispiacerebbe se Victoria riuscisse a decimare la famiglia Cullen », ringhiai. Edward sembrava d’accordo con me. « In ogni caso è bene che non si avvicinino a Forks », « se vedessero che Bella è ancora umana… », non terminò la frase.
« E poi potrebbero vedere te », aggiunse. E io cosa c’entravo?
« Tu sei qualcosa di nuovo per loro. Non hanno mai visto una strega così da vicino », rispose alla mia domanda muta. « Di sicuro Aro ti vorrebbe nella sua collezione », ringhiò.
« Io non sto nella collezione di nessuno », ringhiai in riposta. Lui sorrise beffardo.
« A chi lo dici », approvò.
« Ma non siamo soli », dissi per incoraggiarli. « Ci sono i Quileute », ricordai. Non sembrarono particolarmente entusiasti, anche se non potevano certo permettersi di fare gli schizzinosi in una situazione del genere.
« Pensi che Sam accetterà una tregua? », mi domandò Carlisle.
« Ne sono sicura », affermai convinta. Edward mi guardò storto. « Cosa ti fa pensare che riuscirai a convincerlo? », insinuò scettico.
Gli sorrisi beffarda. « Basta avere la giusta… leva », ridacchiai.
« Sarebbe? », Bella non sembrava convinta di tutto ciò. Se n’era stata in un angolino tutto il tempo, senza parlare. « Indovina », le feci l’occhiolino.
« Bene, allora io vado alla riserva per informare Jacob », annunciai. Carlisle annuì piano. Erano ancora tutti lì, immobili nel salone, visibilmente scossi. In realtà anche io lo ero molto, ma l’adrenalina mi faceva risultare super-energica.
Ovviamente il suo effetto non poteva durare a lungo, e quella sera crollai letteralmente. Dopo aver parlato con i licantropi e averli messi al corrente di tutto sancimmo una tregua, in modo che i Cullen e i Quileute collaborassero.
Jasper ci avrebbe addestrati a combattere contro i neonati – oramai non c’era più dubbio che si trattasse di questo – ed era necessario che anche i lupi partecipassero.
Convincerli ad aiutare i Cullen non fu affatto difficile, così come convincerli a partecipare all’addestramento. Quello che fu difficile, davvero, difficile, fu tenere segreto a Jake tutto quello che era successo a New York. Non ero contenta del mio comportamento, non lo ero di me stessa. Ma dire tutto a Jacob significava perderlo. E lui era tutto quello che avevo. Era la mia vita, la mia anima. Sarei bugiarda a dire che lo facevo per non distrarlo, anche se un po’ era anche per quello, ma in realtà lo facevo per me. Ero stata così egoista, continuavo ad esserlo… vi è mai successo di essere così? Di farvi schifo da soli? Non è bello, sappiatelo.
Le giornate passavano lentamente, le notti ancora di più. I miei sogni erano sempre più offuscati, misti di Jensen, Jake, me… cose inimmaginabili. Sognavo di cadere dalla scogliera, di affogare…
Mi svegliai nel cuore della notte, febbricitante. Respiravo affannosamente, piangevo. Il mio petto era scosso di continuo dai singhiozzi, non riuscivo a fermarli. Non ci riuscivo. In preda al panico mi alzai, con la tuta addosso mi misi la giacca a vento, presi la bacchetta, spalancai la finestra, feci apparire la scopa e me ne andai. Volai fuori, dopo essermi richiusa la finestra alle spalle, in alto, sempre più in su.
Non sapevo dove andavo, non mi interessava. Non mi interessava. Dovunque era meglio che lì. Stavo solo facendo soffrire la persona che amavo, sempre di più. Forse, se me ne fossi andata, avrebbe trovato qualcuno che lo meritava di più. Qualcuno che lo amasse davvero e non lo facesse soffrire. Volavo in alto, lontano.
Consapevole di rinunciare all’amore, per amore. 






Note dell'autrice:
Ok, ok, lo so. Si, forse alla fine è deprimente, ma non vi preoccupate, nel prossimo capitolo sarà meglio! U.U è drammatico per far capire quanto Mel si senta in colpa verso Jake... molti di voi credono sia cattiva e stronza cn jake, ma non è così! Tutti possiam sbagliare, no? Spero il cappi vi sia piaciuto!! Fatemi sapereeee! :P

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Capitolo 24
*** Devo dirti una cosa ***


L’amore ci rende fragili, vulnerabili.
Amare qualcuno ci espone ad un grande rischio: essere feriti.

Ma nonostante questo continuiamo ad innamorarci e non possiamo farci niente.

         Dopotutto sarebbe stupido smettere di amare per paura di soffrire:
                                                       sarebbe come evitare di vivere per paura di morire.
 
 




Ero nel bosco, da sola. Erano le sei, più o meno. Due o tre ore dopo che avevo
lasciato la mia stanza. Avevo vagato su e giù lungo il confine con il Canada per un po’, poi avevo deciso di fermarmi perché avevo davvero sonno e non riuscivo più a stare diritta sulla scopa.
Che bella idea, borbottò la mia coscienza.
Taci, la ammonii.
No, davvero, continuò,ora cosa pensi di fare? Mangiare uno scoiattolo vivo? O succhiare il sangue di un cervo? Ti ricordo che non siamo né vampiri né licantropi. Io la roba cruda non la mangio!

Non volevo farti mangiare carne cruda,
alzai gli occhi al cielo. Che coscienza frivola.
Era ovvio che dovevo tornare a casa, non potevo restare nel bosco per sempre. E se me ne fossi andata senza avvertire Charlie si sarebbe infuriato. Senza contare, poi, che non avevo dietro né il cellulare né vestiti. Potevo tornare a New York, ma il viaggio era lungo, senza contare che i miei mi avrebbero rispedito subito da Charlie.
Quindi la cosa più sensata era tornarmene a casa e rimandare la fuga ad un altro momento.
Brava, vedo che hai riacceso il cervello! La mia coscienza si stava facendo un po’ troppo impertinente!
Vedi di stare zitta, altrimenti ti lascio qui, la minacciai. Era ovvio che non potevo lasciarla lì, era la mia coscienza! Ma almeno servì a farla stare zitta.
Proprio mentre prendevo la bacchetta sentii un fruscio alle mie spalle.
Mi girai, ma non vidi niente. Un animale, pensai. Feci appena in tempo a prendere la bacchetta che qualcuno da dietro mi afferrò. Veloce come un fulmine mi girai e lo immobilizzai con un incantesimo. « Immobilus!! », gridai. Mi ci vollero alcuni istanti per rendermi conto di chi fosse, e non appena lo riconobbi rimasi paralizzata per la sorpresa.
Jasper era immobile davanti a me, un braccio a mezz’aria.
« Jazz! », una voce cristallina lo chiamò. Mi voltai. Alice era in mezzo al bosco, pochi metri lontano da me. « Melanie! », la sua voce era spaventata e sorpresa allo stesso tempo. « Cosa ci fai qui? », chiese stupita.
Ero imbarazzata. « Non avevo sonno », mentii.
« Cos’è successo a Jasper? », chiese avvicinandosi.  « Oh », balbettai, « gli ho solo fatto un incantesimo », alzai le spalle. « Dovresti tenerlo a bada », la ammonii scherzosamente.  « Già », mormorò.
Mi fissò per alcuni istanti, poi lo indicò con un dito. « Oh », capii. Con un colpo di bacchetta lo liberai. Lui si riprese all’istante, stordito e confuso, guardandomi.
« Sei fortunato che non lo dico a Edward », lo rimproverai. Attaccare così un umana!
« A dire la verità io sono qui », Edward spuntò dal nulla. O merda. Adesso ero nella cacca anche io! « Non dovresti lasciarlo da solo », mi finsi normale. Annuì, scrutandomi da capo a piedi. « E tu che ci fai nel bosco a quest’ora? », mi domandò.
Cazzo non c’era verso di cambiare discorso con lui!
« Non avevo sonno », dissi di nuovo. Lui fece una faccia poco convinta e ironica, ma stette zitto. Ovviamente non aveva mangiato la foglia. « Torno a casa », annunciai.
« Prima che a Jazz torni l’appetito », scherzai. Presi la scopa e volai via.
Arrivai a casa prima che Charlie e Bella si svegliassero. Mi ficcai a letto, nella speranza di dormire ancora un’ora o due. Non so quando mi addormentai, so solo che quando mi svegliai era mezzogiorno passato e che Jacob era appoggiato alla finestra, proprio davanti a me. Il suo sguardo era fisso nel vuoto, duro. Ebbi un tuffo al cuore. Edward gli aveva detto qualcosa, lo sentivo.
« Ehi », gracchiai ancora mezza addormentata. Non appena sentì la mia voce si voltò. Non c’era più traccia dello sguardo duro di poco prima. I suoi occhi erano cioccolato fondente, la sua voce zucchero, nonostante fosse bassa. « Ehi », rispose sedendosi accanto a me, accarezzandomi il viso. « Ti ho svegliata? », chiese premuroso.
No, Edward non gli aveva detto nulla. « No », lo rassicurai scuotendo la testa.
« A cosa stavi pensando? », domandai cercando la sua mano calda.
« Alice non ha ancora visto quando verranno », spiegò. Ecco il motivo di tanta agitazione.
« Sei preoccupato per Bella o per il branco? », domandai. Lui guardava fuori dalla finestra, stringendomi una mano. « Entrambi », rispose vago.
« Jake », mormorai. « Devo parlarti », mi sentivo già male. Era quello il momento, o ora o mai più.  Lui si voltò verso di me, accigliato. « Tutto bene? », domandò avvicinandosi.  « No », aumentai un po’ la voce, incisiva.
« Ti ricordi che ti ho parlato di Jensen? », iniziai. ( prima di partire per New York gli avevo raccontato di lui e Claire, tutta la storia). Era così difficile mantenere la calma…
« Sì », era tranquillo. Non sospettava nulla, lo leggevo nei suoi occhi. Era come un bambino. Era come ferire un bambino. Mi veniva da piangere.
« Ehi », mi asciugò una lacrima. « Che è successo? », mi accarezzava un braccio.
Non rendere tutto così maledettamente difficile! Fu il mio grido muto.
« Jake ho fatto una cosa orribile », mormorai nelle lacrime. Lui oramai era terrorizzato, chissà cosa pensava… era così dolce.
« A New York ci siamo rivisti… », lasciai la frase in sospeso per un po’, incapace di finirla. « E sarebbe una cosa orribile? », rise dolcemente. Magari fosse quello, pensai.
« Non è questo », balbettai ad occhi bassi.
Feci un respiro profondo. « Io e Jensen ci siamo baciati », dissi tutto d’un fiato.
Sentii come un tonfo, qualcosa nella mia testa che cadeva. Come una porta sbattuta, un incudine sul pavimento.
Dopo un istante interminabile riuscii a guardarlo negli occhi. Mi fissava, lo sguardo perso nel vuoto, sbarrato. Potevo sentire il suo cuore. Non batteva più. Non avevo il coraggio di parlare, perché non avevo giustificazioni.
Ero convinta che si sarebbe arrabbiato, invece le sue mani erano immobili, non tremavano. Provai a toccarlo, solo per farlo reagire. Lui scansò il mio tocco e si alzò di scatto, allontanandosi velocemente. « Devo andarmene », sputò tra i denti, uscendo dalla finestra. Non feci in tempo a fermarlo che era già per strada, correva tremante. In meno di un minuto sparì nel bosco, senza lasciare nessuna traccia, solo il vuoto nel mio cuore.
 
Pov Jacob
 
Correvo nella foresta, veloce, agile. Era meglio quando ero lupo, la mia parte istintiva s’impossessava di me, non lasciando spazio alle cose umane. Era più semplice sopportare il dolore, così.
Mi dispiace tanto, sussurrò Embry nella mia testa.
Vedevo i suoi occhi. Era lontano, a nord, ma aveva invertito la marcia e mi stava venendo incontro. Con un ruggito, accallerai.
Aspettaci, m’implorò Quil.
Lasciatemi stare, ringhiai.
Sentivo la loro preoccupazione nella testa, malgrado cercassi di annegarla nel rumore del vento e della foresta. Era questo che odiavo di più di quella forma: le tue emozioni, i tuoi pensieri, tutto era di dominio pubblico, messo in bella mostra davanti a tutti. Odiavo vedermi con i loro occhi, così pieni di compassione. Vedevano l’odio, la rabbia, la frustrazione, ma non smettevano di rincorrermi.
Un’altra voce risuonò nella mia testa.
Lasciatelo andare. I pensieri di Sam erano tranquilli, ma l’ordine fu perentorio, nessuno poteva disubbidire. Embry e Quil rallentarono, fino a camminare.
Si erano fermati, è vero, ma erano ancora lì. Sentivo ciò che pensavano, vedevo ciò che vedevano. La mia testa era affollata, l’unico modo per restare solo era tornare umano, ma a quel punto non avrei sopportato il dolore.
Trasformatevi, ordinò Sam. Ha bisogno di restare solo, spiegò.
Prima una e poi l’altra coscienza tacquero. Restava soltanto Sam.
Grazie, pensai.
Torna a casa presto, mi ammonii. Poi svanì anche lui, lasciandomi solo. Adesso era molto meglio. Riuscivo a non pensare, a non pensare a lei, a quello che aveva detto, a quello che aveva fatto… percepii la vista annebbiarsi, poi sentii una lacrima scendere lungo quello che ora era il mio muso. Che stronzata, piangere in forma animale.
Scossi la testa, come a cancellare il pensiero. Speravo che la lontananza da Melanie facesse cessare il dolore, anche se sapevo benissimo che non sarebbe mai successo.
Accelerai il ritmo della corsa per fuggire da Melanie Wincert.









Elly's space:

Ciao a tutte!! Volevo solo segnalare che il pov di Jacob cm avrete notato è in alcuni pezzi copiato da Eclipse. Spero nn vi dispiaccia, ma davvero lì non avrei saputo metterla bene... scusate se a qualcuno nn è piaciuto. :)
Per il resto spro vi sia piaciuto il cappi, a me è piaciuto molto scriverlo. :)
VI PREGO RECENSITE IN TANTII :)  Grazie mille a tutti, baci Elly
ps. Dedico il cappi a KatiaLee: amore, sei un mito, ti voglio un sacco di benee!! :)
 
  

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Capitolo 25
*** Dimmi che mi ami ancora ***


 E qui, davanti al primo raggio di sole, mi chiedo perchè esistano tante cose brutte.
Alla fine l'ho capito.
Se esistessero solo cose belle, lentamente ci faremmo l'abitudine.
 Ma le cose brutte, le tenebre, esistono perché quando tornano le cose belle, quando torna la luce, la felicità è sempre maggiore, perché ogni volta nei nostri occhi si accende una luce più brillante.  
 
 
 

 

« Melanie », Charlie mi chiamava da fuori la porta. « Posso entrare? », domandò gentilmente, cercando di persuadermi ad aprire.
Non risposi. Lo sentii appoggiarsi alla porta e cercare di aprire, inutilmente.
« Melanie, ti prego », insistette indefesso. « Non hai neanche cenato », protestò.
« Non ho fame », risposi irritata. Come mai tutto quell’interessamento?
Era difficile capire che volevo stare sola? Avevo appena distrutto la cosa più bella della mia vita, e lui voleva che mangiassi! Che razza di idee….
Non fare la melodrammatica,disse la vocina nel mio cervello. Stavolta somigliava alla voce di Sarah.
 Quando ero a New York era lei la mia “ badante”, stava attenta che non facessi stronzate.
E tu!La accusai, perché non sei venuta fuori quando dovevi?! Perché hai permesso che facessi questo a Jake?!, la rimproverai.
Come se si potesse davvero rimproverare la propria coscienza…
Non è colpa mia,cercò di difendersi. La mandai al diavolo e ficcai di nuovo la testa nel cuscino. La cosa veramente assurda, però, era che non avevo pianto. Non ci riuscivo. Era una settimana oramai che avevo raccontato a Jacob la verità. Una settimana che avevo smesso di vivere.
Stavolta non lo dico per drammaticità, era così davvero. In quei tre giorni tutto quello che avevo fatto era stato casa- scuola e scuola-casa.
Mi svegliavo, andavo a scuola, stavo – miracolosamente – attenta alle lezioni, tornavo a casa, preparavo il pranzo o facevo le faccende
( a seconda dei turni che avevo stabilito con Bella), studiavo, cenavo e andavo a letto. Niente amici, niente svaghi, niente.
« Melanie per favore », ricominciò Charlie.
« Voglio solo sapere come stai ».
« Sto bene », mentii spudoratamente. A confronto mio il capitano del Titanic aveva vinto alla lotteria!
« Almeno se non vuoi parlarne con me parlane con Bella », suggerii.
Un altro nodo alla gola si fece sentire.
« Bella non lo sa », lo informai con voce strozzata.
Non mi rispose. Sentii un improvviso silenzio, e poi borbottare qualcosa.
“ Provo a parlarci io “, sentii dire a qualcuno. Charlie brontolò ma alla fine cedette allo sconosciuto.
« Mel », mi chiamò una voce suadente e tranquilla. « Possiamo parlare? », chiese gentile. « Solo io e te », promise Edward.
Titubai un istante, incerta. Alla fine cedetti e acconsentii. « Entra ».
La maniglia si abbassò lentamente e vidi una figura alta e slanciata entrare in camera mia e chiudersi la porta alle spalle.
« Ciao », mi salutò con un sorriso. Lo feci sedere sul letto, accanto a me.
« Ciao », risposi. « Cosa c’è? », domandai.
« Sono giorni che mangi poco o niente. Non esci mai, te ne stai sempre chiusa qui… ».
« Non ho voglia di fare nulla », borbottai sedendomi e stringendo le gambe al petto.
« Non puoi isolarti così », insistette.
« Bella l’ha fatto quando te ne sei andato », protestai. Perché non mi lasciavano stare con il mio dolore?
Vidi il suo volto scurirsi e mi resi conto di aver toccato un tasto dolente.
« Scusa », sussurrai.
« So cosa provi, Mel », mi sfiorò il braccio con la mano fredda. Ironicamente, quel tocco freddo mi fece pensare immediatamente a lui. Caldo. Il freddo mi faceva ricordare il caldo. Ironico.
Scoppiai a singhiozzare, senza nessun apparente motivo plausibile.
Per la prima volta dopo settimane mi sentii bene. Non ero riuscita a piangere mai, fino ad allora. Forse era lo shock, così forte da impedirmi ogni reazione. Ma Edward era riuscito nell’impresa in cui io avevo fallito: liberarmi da quel peso che mi impediva di respirare.
Trovai rifugio nelle sue braccia, che mi circondarono cullandomi dolcemente. Canticchiava sottovoce la ninnananna di Bella, come si fa per calmare un bimbo piccolo che piange. In effetti stava funzionando.
Mi sentivo al sicuro tra le sue braccia, come se lì nulla potesse ferirmi.
Avevo sempre desiderato un fratello maggiore, ma non l’avevo mai avuto. Edward era perfetto per quel ruolo. Non so per quanto tempo piansi, so solo che quando smisi mi sentivo meglio. Più lucida, consapevole.
Lui mi asciugò dolcemente le lacrime e mi baciò sulla fronte. Era incredibile come lo sentissi vicino. Nel mio inconscio, per qualche motivo, sentivo che lui era l’unico che poteva farmi stare meglio in quel momento.
« Grazie », balbettai abbozzando un sorriso. « Sei come un fratello per me Edward, lo sai, vero? ». Sorrise dolcemente e annuii, stringendomi di nuovo a sé. Il mio petto sussultava ancora leggermente. Lui si limitò ad accarezzarmi la schiena, consolandomi.
Una volta calmata decisi che era inutile rimanere lì a piangermi addosso, dovevo agire. Se rivolevo Jacob dovevo andare a prendermelo.
Senza relazionarmi con nessuno uscii di casa e saltai sul pick-up.
Che rottame,pensai. Sentivo la mancanza dei taxi, giuro. Almeno a New York avevano un motivo, per andare piano!
Quando arrivai alla riserva ero tesa come un fuso. Scesi dalla macchina e bussai alla porta di Jake, presa non so da quale istinto folle e masochista.
Mi aprì Billy, con una faccia per nulla contenta di vedermi.
« Posso parlare con Jake? », domandai.
« Non c’è », rispose freddo. « non so dove sia ».
Non riuscivo a sopportare quello sguardo accusatore, quello di chi sa di avere davanti il colpevole di ciò che sta accadendo a suo figlio.
Non avendolo trovato a casa lo cercai da Sam, ma neanche lì lo trovai.
Decisi allora di cercarlo dall’alto. Dopo un paio d’ore che sorvolavo il Canada lo trovai, vicino al confine. Atterrai poco distante da lui, dove poteva vedermi. Mi ritrovai faccia a faccia con un enorme lupo rossiccio, molto più alto di me anche a quattro zampe. Se ne stava immobile davanti a me e mi guardava negli occhi. Titubante mi avvicinai, sperando che non se ne andasse. Intrecciai le dita alla sua pelliccia, carezzandogli i lati del muso. I suoi occhi erano umani, consapevoli. C’era l’accusa, il dolore, nel nero delle sue pupille. Senza volere cominciai a piangere. Continuavo ad accarezzarlo in silenzio, mentre le lacrime scendevano.
« Jake », gracchiai a mo’ di preghiera.
« So che quello che ho fatto è orribile », iniziai, « e so che forse non mi perdonerai mai, ma devo dirtelo », feci un respiro profondo.
« Quello che provo per te è unico. Non ho mai provato quello che provo adesso per nessuno. So di avere rovinato tutto, non sai quanto vorrei non averlo mai fatto ».
Non riuscivo a continuare a causa dei singhiozzi. Ad un certo punto lo sentii liberarsi dalle mie mani e correre via, da qualche parte. Quando riapparve era umano. Si fermò a pochi centimetri da me e mi guardò deluso. Alzai gli occhi per guardarlo, e vidi una maschera dura, l’espressione di Sam. Quella che aveva quando era arrabbiato, frustrato.
Mi fece male al cuore vederlo così, non era più lui.
« Ti prego, perdonami », fu tutto ciò che riuscii a dire.
Mi fissò alcuni istanti, poi scosse la testa. « E’ troppo tardi ormai ».
Abbassai la testa per nascondere le lacrime, e quando la rialzai lui non c’era più. Ero completamente sola, in mezzo ad una foresta sconosciuta.
Ma non era quello a farmi paura.
Quello che mi faceva paura era dover vivere senza di lui.
 
 

 

***
 
 
 
 
 

 

Altri giorni erano passati da quando avevo parlato con Jake. Più volte avevo cercato di chiamarlo, di parlarci. Altre due volte l’avevo cercato, ma non aveva voluto saperne. Non rispondeva alle mie telefonate, ai messaggi, non era mai in casa e se c’era diceva a Billy di non farmi entrare. Ormai cominciavo davvero a credere che non ci fosse più speranza.
Quella mattina però mi sentivo diversa, speranzosa. Come se sentissi che quel giorno era quello buono.
Senza che nessuno lo sapesse andai a casa sua. Stavolta però non bussai alla porta, ma entrai dalla finestra. Lo ammetto, dovetti scardinare la finestra, ma riuscii ad entrare in camera sua. Lo aspettai lì per tutto il pomeriggio. Quando oramai credevo non venisse più la porta si spalancò e lui entrò.
« Cosa ci fai qui? », chiese irritato
« Voglio parlare », insistetti speranzosa.
« Non ho nulla da dirti », rispose duro. Non mi piaceva quando aveva quel tono. « Io sì invece ».
Mi avvicinai di più a lui, guardandolo negli occhi.
« Non sono qui per dirti che mi dispiace », iniziai.
« Sarebbe inutile. Non sono qui per chiederti perdono, perché so che non lo farai mai », feci spallucce. « Io non lo farei. », feci un respiro profondo cercando di non piangere, altrimenti non avrei potuto parlare.
« Sono qui per dirti che ti amo », scandii bene, fissandolo dritto nelle pupille senza mai smettere di guardarlo, per fargli capire che non mentivo.
« Che ti amo come non ho mai amato nessuno. E che continuerò a farlo sempre e comunque », ammisi.
« Voglio solo sapere se puoi perdonarmi », sussurrai, ormai preda delle lacrime. « se mi ami ancora ».
Per un momento mi parve di vedere un barlume di speranza nel modo in cui mi guardò, addolorato.
« Ti prego, vattene », sussurrò abbassando la testa.
In quel preciso momento capii che non c’era nulla da fare, che l’avevo perso per sempre.
Mentre le lacrime mi solcavano in viso mi diressi lentamente verso la porta della camera. Sentivo un gran vuoto dentro il petto, come se un pezzo di me se ne fosse andato. Non sentivo dolore, solo il vuoto. Un vuoto incolmabile. Abbassai la maniglia della porta, arresa.
 
 
 
 
 
Pov Jacob
 
« Ti prego, vattene », le sussurrai. La sentii allontanarsi lentamente, e ad ogni passo che faceva verso la porta il dolore aumentava. Una lacrima mi rigò la guancia destra. Stringevo i pugni, come a trattenermi.
“ Mi ami ancora? “, le parole di Melanie mi risuonarono in testa.
Sì!  gridò forte il mio cervello. Che domande stupide! Certo che la amavo! La amavo più della mia stessa vita, e lasciarla andare era come separarmi da una parte di me. Ma avevo paura che non dicesse la verità. Paura che quel bacio non fosse solo un bacio, ma qualcosa di più. Come facevo ad essere certo che era sincera? Improvvisamente ebbi un flash-back.
I suoi occhi marroni, caldi e sinceri che si specchiavano nei miei, mentre mi diceva che mi amava. Improvvisamente la verità mi colpì in faccia.
Melanie mi amava davvero. Aveva sbagliato, aveva avuto il coraggio di dirmelo e adesso soffriva come me.
Senza pensare mi voltai, appena in tempo per vederla aprire la porta e mettere fuori un piede. D’istinto, la trattenni per un braccio, impedendole di andarsene. Lei voltò la testa, piangeva. Asciugai le sue lacrime con il pollice, carezzandole il viso. Era così bella. I suoi occhi saltavano qua e là confusi, specchiandosi nei miei. La attirai a me delicatamente, posando le labbra sulle sue. Lei si strinse di più a me, circondandomi il collo con le braccia. La abbracciai teneramente, cullandola sul mio petto.
« Ti amo », sussurrò al mio orecchio.
 Sì, era vero.
  



Elly's space



Ciao a tutte!!! Scusate per il ritardo madornale, ho avuto problemi con il cp e  dovevo riordinare le idee... spero vi sia piaciuto il finale ke ho dato alla storia tra Mel e Jake... molti colpi di scena devono ancora venire, preparatevi!!
Volevo dirvi che la frase che ho messo all'inizio non è mia ma l'ho presa dalla pagina di una mia amica.... quindi il genio è lei, non io! ^.^ Vi sarei molto grata se deste un occhiata alla sua pagina, merita davvero!! Questo è il link:
http://www.facebook.com/home.php?#!/pages/Smells-like-lemon/112044662197714 

Inoltre io ho appena creato una pagina tutta mia e ho bisogno di fan, vi sarei IMMENSAMENTE GRATA se le deste un occhiata!!!
http://www.facebook.com/home.php?#!/pages/Love-is-all-we-need/171855926190693 

Grazie mille, e recensite numerosi, vi prego!! Baci, Elly

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Capitolo 26
*** Promessa ***



Benvenuto popolo! Ehm... scusate, era per fare scena.
Lo so, lo so... sono in ritardissimo. Ma è mezzanotte e mezzo, per cui non mi dilungherò in spiegazioni. Vi prego solo di recensire, anche a dimostrazione che quello che scrivo non è una perdita di tempo e una schifezza colossale. Abbiate pazienza, ma è l'unico riconoscimento che posso avere. :)
Grazie mille e fatemi sapere, Elly <3













« Sei bellissima » esclamò pimpante Alice mentre dava un’ultima sistemata al mio vestito nuovo.

« Mai quanto te », sorrisi facendole l’occhiolino. Lei alzò gli occhi al cielo, scuotendo leggermente la testa. Continuava ad insistere che io ero molto più bella di lei, considerato che ero umana. Ovviamente io non ero affatto d’accordo. Mi risultava difficile immaginare qualcuno più bello di Alice, figurarsi se quel qualcuno ero io.
« Su, ci stanno aspettando » mi incitò dirigendosi verso le scale.
Ricordami perché mi sono fatta convincere,chiesi alla voce nella mia testa.
Per farla contenta,mi rammentò.
Ma proprio nove centimetri di tacco doveva mettermi?!
E ringrazia che non sono dodici…  deglutii rumorosamente al solo pensiero.
Mi concentrai sui gradini della scala che dovevo scendere, sforzandomi di non inciampare. Sul piano potevo anche starci con i tacchi, ma le scale…
Accidenti ha chi ha progettato questa casa! Proprio su due piani doveva farla?! Imprecai silenziosamente.
Non vorrei dire, ma credo l’abbia progettata Esmedisse la vocina.
E’ uguale, mi affrettai a risponderle.
Superata l’insidia della scalinata di casa Cullen mi ritrovai nel salone addobbato, nella stanza solo il divano in pelle bianca, un lungo tavolo con sopra numerosi pacchetti e un pianoforte nero lucido.
Adoro il giorno del mio compleanno, devo ammetterlo. Mi fa sentire importante. Per un giorno all’anno tutta l’attenzione è concentrata su di me.
Le braccia materne di Esme mi accolsero per prime in un delicato abbraccio. « Buon compleanno Melanie », sussurrò delicata.
Uno dopo l’altro tutti mi fecero gli auguri e mi diedero i rispettivi regali, che accettai ben volentieri – io amo ricevere regali, non come Bella -.
Carlisle ed Esme mi regalarono un carillon decorato a mano che riproduceva Claire de lune, una delle mie ninnenanne preferite. Emm e Rose un telefono di ultima generazione che avevano scelto insieme. Il mio cellulare era morto definitivamente pochi giorni prima in un… ehm… disgraziato e accidentale incidente con l’acqua ( del gabinetto…).
Alice aveva insistito per farmi un altro regalo ( nonostante le avessi ripetuto più volte che il pomeriggio di shopping a sue spese era più che sufficiente ) al quale aveva partecipato – almeno nel pensiero – anche Jasper: un ciondolo d’oro a forma di cuore che si apriva e all’interno l’incisione, da un lato, in francese,Portami nel cuore.
A Edward invece avevo personalmente richiesto - ebbene sì -
un cd contenente tutte le canzoni da lui personalmente composte e cantate.
Posso dire qualunque cosa contro di lui, ma quel ragazzo ha davvero una voce d’angelo.
Esentai Bella dal regalo poiché sapevo benissimo che per lei farne era difficile quasi come riceverne.
Ma il regalo più bello, e anche il più semplice, fu quello di Jacob. Un braccialetto intrecciato della tribù Quileute, fatto a mano.
 
 
« Bel braccialetto », mi disse scherzoso Edward. Mi voltai perplessa.
« Cosa vuoi dire? » chiesi cogliendo l’ironia di quella provocazione.
Lui si limitò a ridacchiare, senza rispondermi.
All’inizio pensai che quelle parole dovessero avere un significato nascoso ma poi mi convinsi che ero io a farmi troppi film in testa e lasciai perdere.
Intanto il tempo passava, e il momento degli esami – non solo scolastici – si avvicinava. Alice aveva previso l’arrivo dei neonati a breve, non appena la neve avesse attaccato al terreno.
Per questo motivo eravamo tutti molto tesi, e sia i Cullen che i lupi avevano intensificato l’addestramento e la sorveglianza notturna.
Quella sera Jacob non era di ronda, per cui ne aveva approfittato per passare la notte nella mia stanza, il che, a parer mio, era la miglior protezione che potessi avere.
Stavo accoccolata contro il suo petto, il viso poggiato vicino al suo collo. Riuscivo a sentire il suo dolce profumo, quell’aroma di muschio e corteccia d’albero che amavo tanto. Lui mi stringeva a sé con una mano, posata dolcemente sul mio fianco destro. La vicinanza era tale da farmi rabbrividire, nonostante fossi perfettamente al caldo sotto le coperte con lui.
« Jake », lo chiamai in un sussurro.
« Dimmi », fece scostandosi per guardarmi negli occhi.
« Il braccialetto che mi hai regalato… », tenni la domanda in sospeso.
Alzò le sopracciglia, come a chiedere il resto della frase.
«… ha un significato particolare, vero? ». Le parole che Edward mi aveva detto alla festa e che adesso mi erano tornate a mente avevano un significato ben preciso. Quel regalo era molto di più di quel che sembrava, me lo sentivo.
« Sì », rispose semplicemente.
« Quale? ». Volevo sapere, ero curiosa e anche un po’ preoccupata.
Lui mi guardò fisso negli occhi, incerto se dirmelo o no. Dopo una lunga pausa parlò. « Per i Quileute è una specie di promessa », mi spiegò.
« Che genere di promessa? ». Sorrise. « la promessa di amore eterno » sussurrò dolcemente. A quelle parole il cuore mi si fermò, per poi ripartire con un sussulto. « Quindi è una specie di… » non riuscivo nemmeno a pronunciarlo tanto mi sembrava irreale.
« anello di fidanzamento », concluse Jacob. Lo guardai con la bocca aperta, facendolo sorridere. « Siamo fidanzati? » domandai incredula.
Lui sorrise annuendo. « temo di sì », ridacchiò.
Non sapevo cosa dire. Ero sorpresa, scioccata, disorientata, ma soprattutto ero, ero….
Senza dire nulla lo baciai improvvisamente. Lui ricambiò il bacio con dolcezza. Lo lasciai per guardarlo ancora negli occhi. Non mi veniva niente da dire se non la cosa più banale. Ma dopotutto era anche quella più adatta, era quello che sentivo.
« Ti amo », balbettai commossa. Non avevo mai pianto di commozione prima. Lui asciugò con il pollice una fugace lacrima di gioia, sorridendo.
« Io di più », rispose. A quel punto mi baciò lui, nuovamente. Era un bacio dolce, ma che man mano diventava sempre più appassionato e profondo.
 Fece scorrere la mano dai miei fianchi, dove era delicatamente posata, alla schiena, infilandola sotto il mio leggerissimo pigiama.
Il contatto con la sua pelle calda mi diede un brivido, così forte che sembrava elettricità. Si spostò leggermente più verso di me, rotolando su un fianco. Di conseguenza al suo movimento la mano che era posata sulla mia schiena salì più in su, fino all’altezza della vita. Quel movimento improvviso mi fece dimenticare la delicatezza. Spostai la mano dai suoi capelli di nuovo sul suo collo e lo attirai ancora di più a me. Sentivo che lui mi desiderava almeno quanto io desideravo lui.
Non sapevo cosa mi prendesse, sapevo solo che lo volevo. Adesso.
Mi staccai dal bacio per riprendere fiato. Non smisi di guardarlo negli occhi mentre liberavo le mani dalla presa dei suoi capelli e facevo il gesto di togliermi la maglietta del pigiama. Prima che potessi farlo, però, lui mi bloccò le mani sui fianchi. Lo guardai perplessa e confusa.
« No », sussurrò al mio orecchio delicatamente.
« Perché no? », domandai in un sussurro.
Mi guardò negli occhi, il suo sguardo era imbarazzato .
« E’ presto », fu la sua spiegazione. Non riuscivo a capire. La situazione era davvero ironica. Lui che diceva a me che era troppo presto? Assurdo.
« Capisco ». Mi sedetti sul letto coprendomi il viso con una mano con nonchalance, cercando di nascondere che in realtà ci ero rimasta malissimo.
« Davvero? » Jacob sembrava stupito.
No! In realtà non ti capisco affatto! Se non mi volevi, il che posso capirlo benissimo, non mi mettere certe occasioni su un piatto d’argento!
Stavolta la vocina aveva ragione. E che cavolo, ho fatto una figura orrenda!
Sentivo la rabbia divampare insieme alla delusione per essere stata respinta e tutto questo mi faceva venire da piangere.
Non devi piangere!Cercavo di trattenere le lacrime e fingere indifferenza, ma non ci riuscivo. Pregai con tutta me stessa che Jacob non si accorgesse che le lacrime stavano sgorgando dai miei occhi.
« Mel! » esclamò preoccupato Jake.  E ti pareva! Se ne era accorto. Fantastico. Mentre mi scostava i capelli dal viso e mi guardava afflitto ebbi un moto di riso. « Era ovvio », mormorai a me stessa a voce troppo alta. Lui rimase a fissarmi, come in attesa di una spiegazione.
« Come potresti mai volermi? » dissi quasi involontariamente.
E rieccoci! O che palle Melanie! Che drammaticità!
Riecco la vocina di Sarah. Prima o poi la strozzo quella voce del caspio.
Sono una voce, non puoi!
Ah, adesso fa anche la spiritosa? Che bella coscienza, sì!
Molto amichevole. Nel mio immaginario Sarah mi fece una linguaccia in risposta.
Jake sorrise della mia drammaticità. « Che stupidaggine! » esclamò.
Non osavo parlare né alzare lo sguardo, mi sentivo in imbarazzo.
Che figura di merda che avevo appena fatto! L’unica volta in vita mia in cui avevo avuto il coraggio di farmi avanti… respinta! Non ci volevo credere.
« Melanie », parlò lentamente Jacob. « non essere sciocca » mi rimproverò.
« Io ti voglio » mi accarezzò dolcemente il viso. « Solo non adesso », spiegò.
« Perché? » chiesi semplicemente. Non rispose subito alla mia domanda, come se gli costasse un certo forzo dirlo.
« Ho fatto una promessa » disse dopo un profondo respiro.
Continuavo a non capirci una mazza.
« Ho promesso a me stesso… » lasciò la frase in sospeso. Aspettai che finisse la frase, sentivo che stava per dirmi qualcosa di molto privato.
« che non l’avrei fatto prima dei 18 anni » disse tutto d’un fiato ma in un sussurro. Mi ci volle qualche istante per collegare le parole con i fatti, capire cosa stava succedendo…
Ero a dir poco sorpresa da questa “ confessione “, ero stupefatta, confusa… e anche un po’divertita. Non che avessi nulla in contrario con la sua promessa, solo… fatta da un ragazzo suonava inverosimile.
Jake mi stava ancora fissando, come a cercare di capire la mia reazione.
« Diciotto anni? », ripetei cercando di trattenere le risatine.
Lui annuii, serio. Trattieniti Mel! Se ridevo adesso altro che figura di merda…
« Scusa, non lo sapevo » risposi semplicemente. Era la risposa più adatta che potessi dargli. Era nobile la promessa che aveva fatto, non meritava di essere buttata sul ridere.
« Davvero non la trovi insolita? » sembrava sorpreso che non fossi scoppiata a ridergli in faccia. Per poco non l’hai fatto, mi ricordò la vocina.
« Un po’sì in effetti…» alzai gli occhi. « per un ragazzo », conclusi.
E dillo!  Taci, vocina di merda. Ora lo dico, con calma…
« Anche io avevo fatto la tua stessa promessa » esordii all’improvviso.
« Ma io diciotto anni li ho compiuti un mese fa » sorrisi.
Adesso era lui quello senza parole. Mi guardava a metà tra lo sbalordito e lo stupito.
Improvvisamente sentii la sua sonora risata colpirmi al cuore.
« E questo allora cos’era? Un attacco premeditato? » ridacchiò mentre mi prendeva i fianchi e mi attirava a sé. Io allacciai le braccia attorno al suo collo, guardandolo negli occhi.
« Non andato a buon fine però », risposi a tono mentre lo baciavo.
Sentivo il sapore delle sue labbra calde sulle mie, la sua lingua delicata che sfiorava la mia. Mi scostai improvvisamente.
« Così non vale », protestai. « Poi non ti lamentare » finsi di mettere il broncio, sotto il suo sguardo divertito.
« E chi si lamenta », sorrise malizioso mentre mi baciava con passione.
Con uno sforzo immenso mi staccai dalle sue labbra. « Piantala » lo rimproverai.
« Di fare cosa? » chiese con tono innocente. « Di provocarmi ».
Mi allontanai, sedendomi più lontano da lui. Sorrideva divertito.
Io guardavo in basso, di nuovo in imbarazzo.
« Sai, non credevo che tu mi volessi », sussurrò timido.
Alzai il viso per guardarlo negli occhi. Erano così dolci, come gli occhi di un bambino.
« Stai scherzando » esclamai allibita, anche se parlavo sottovoce.
« Tu non sai quante volte ho sognato questo momento ».
Ops. Questo non dovevo dirlo.
« Tu hai sognato… me e te? » domandò incredulo.
Io mi limitai ad annuire, evidentemente in imbarazzo. Non osavo guardarlo negli occhi. Lui si avvicinò di nuovo a me, accarezzandomi una gamba dolcemente. « Non devi sentirti in imbarazzo », mi rassicurò.
« Anche io l’ho sognato spesso, e non me ne vergogno » mi scostò una ciocca di capelli da davanti al viso. Sentivo le guance divampare, rosse come pomodori.
« Ok, lasciamo perdere, ti va? » mormorai troppo imbarazzata.
Chiudiamo l’argomento dai, la mia coscienza mi sosteneva. Hippie.
« Ok », si limitò a rispondere lui.
Mi girai su un fianco, sicura che neanche evitando il suo sguardo sarei riuscita a dormire. Dopo un paio d’ore che pensavo e ripensavo alla conversazione appena avuta, imbarazzante all’ennesima potenza, stravolta dalla troppa tensione, crollai addormentata, con le sue parole che mi risuonavano in testa: anche io l’ho sognato spesso, e non me ne vergogno.
Ti prego, fa che sia vero. 

 

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Capitolo 27
*** Visite inaspettate... ***



Hi dude! ;) eccomi, dopo una luuuuunga attesa sono tornata!
Volevo dire un paio di cose su questo capitolo, a cui tengo particolarmente:
Innanzitutto lo dedico alle mie migliori amiche: Olivia, Irina, Fiamma e anche a Caterina.
Cate, anche se non ti conosco di persona, so che saremmo grandi amiche! Tvb.
Fiamma, Iry e Olli: ragazze vi AMO. Nel senso platonico della parola. Siete stupende, vi prego non cambiate mai. Ma sopratutto lo dedico a Olivia, perchè nella settimana che sei stata via mi sei mancata tantissimo, amore. Non si può descrivere l'amore che ho per te, e per le altre.  :)

Ho incentrato questo capitolo su voi, per farvi capire quanto vi voglio bene e quanto siete importanti.
E sopratutto simpatiche!!! XD

Ai lettori: Vi prego, commentate, anche se la storia non vi piace.
Il regalo più grande che mi possiate fare è questo. :)





 

Gli amici raddoppiano le gioie e dividono i dolori.
Vi amo, amiche mie. :)






Il rumore della pioggia che batteva sui vetri mi rilassava e mi faceva pensare. Lanciai uno sguardo fugace all’orologio appeso al muro davanti a me: le otto e mezza. Di domenica. Ero sola in casa, o perlomeno era come se lo fossi. Charlie e Bella dormivano profondamente, al sicuro nelle loro stanze. Ed è quello che avrei fatto anche io, se non fossi stata una pazza totale. La verità è che non riuscivo a dormire, l’ansia mi opprimeva.

Ero preoccupata non solo per il diploma, che si avvicinava ogni giorno di più, ma soprattutto per la battaglia. Mi ero esercitata insieme ai Cullen e ai Quileute per essere pronta.
Avrei combattuto con loro; una strega era qualcosa di davvero inaspettato per i neonati e per Victoria, persino più dei lupi. Edward e Jacob all’inizio non volevano che combattessi, avevano paura che mi potesse accadere qualcosa, e neanche Bella era d’accordo.
Io e Carlisle alla fine però eravamo riusciti a convincerli: io ero un vantaggio troppo grosso per loro per rinunciarci così. La mia presenza, anche solo marginale, ci avrebbe consentito di vincere a tavolino, secondo Jasper.
La verità, però, era che mentre prima mi sentivo così sicura di me, decisa a combattere, euforica al pensiero che finalmente avrei potuto essere d’aiuto a qualcuno, adesso ero terrorizzata. Il solo pensiero della battaglia mi paralizzava totalmente, non riuscivo neanche più a respirare.
Non avevo ancora detto a nessuno di questa mia paura, sperando che passasse da sola con il tempo. Ma ogni giorno che passava la faceva aumentare, anziché diminuire. Ma d’altra parte non volevo neanche tirarmi indietro all’ultimo minuto, privando i Cullen di un così grande vantaggio.
Non volevo essere vigliacca… se solo quella maledetta paura fosse sparita!
Come faceva Bella a dormire la notte, sapendo che là fuori c’era più di una persona che la voleva morta? Proprio non riuscivo a capirlo.
Io non ero mai stata forte come lei, mai. Anche se a volte cercavo di esserlo, non ci riuscivo. Nascondere segreti alla mia famiglia, alle mie amiche… per me era un peso enorme. Per quanto voglia bene a Bells, sarei già scappata, se solo non avessi trovato Jake. Lui era l’unica ragione per cui ero ancora lì, per la quale volevo combattere. Ma a quanto pare non bastava.
Ero talmente immersa nei miei pensieri che non mi accorsi di qualcuno che scendeva le scale finché non parlò.
« Mel » gracchiò mio zio a mo’ di saluto.
Io saltai sulla sedia per la sorpresa, poi mi girai e gli sorrisi. « Buongiorno ».
Era già vestito, nonostante fossero solo le otto e fosse domenica. Lo squadrai da capo a piedi: indossava una delle sue camicie a quadri che adoravo (e che ogni tanto gli fregavo), una giacca pesante con sopra un impermeabile blu. I pantaloni dovevano essere pesanti a giudicare dall’aspetto, le scarpe delle Timberland scure, un po’ infangate.
« Pesca? » domandai deducendo dall’abbigliamento.
« Sì » biascicò mentre dava un morso ad un cornetto alla crema che era sul tavolo.
« Buoni », si complimentò.
« Italiani. Più o meno. » ridacchiai.
« Devo ringraziarti per il cibo che porti in questa casa, Mel. Senza di te non avrei mai assaggiato tutte queste bontà » mi fece l’occhiolino.
Risi. « Come i carciofi fritti? » dissi alludendo ad uno dei miei contorni fiorentini.
« Li fai stasera per cena? » chiese speranzoso. Annuii dolcemente.
« Cosa farei senza di te? » domandò retorico dandomi una pacca sulla spalla.
« Ehhh. Visto? Avere una nipote mezza italiana serve » ridacchiai. Lui rise con me, poi mi salutò ed uscii di casa.
Ero di nuovo sola.
Ripensare all’ Italia mi aveva fatto venire alla mente tanti ricordi.
Era lì che avevo conosciuto Olivia, a Firenze. All’epoca frequentavo le elementari, avevo appena sei anni. Diventammo subito amiche, come fosse una cosa naturale. Da quel giorno non ci lasciammo più. Il primo anno di liceo ci trasferimmo tutte e due a New York. Mia mamma e suo babbo erano Americani, mentre mio babbo e sua mamma fiorentini. Sembrava uno scherzo, ma eravamo profondamente simili, e non solo per le origini.
Essere bilingue ci dava terreno per milioni di prese in giro, battute in fiorentino che nessuno qui capiva. Continuammo a frequentare la stessa scuola, e lì conoscemmo Sarah e Irina. Streghe tutte e quattro, ovviamente. A noi si aggiunse Katia, un po’ più tardi.
Anche Sarah e Irina erano un bel mescolio di nazionalità: Sarah aveva la mamma francese e il babbo inglese, Irina il babbo russo e la mamma brasiliana. Era indescrivibile l’affetto che si era creato tra noi cinque. Eravamo come sorelle, specialmente io e Olivia.
Mentre ero persa nei mieipensieri suonò il campanello. Saltai sulla sedia come un’imbecille, imprecando. Chi era il pazzo che andava a rompere le scatole alla gente alle 8 di mattina?
Di domenica, poi!
Lentamente e alquanto irritata aprii la porta con uno scatto secco.
Una chioma folta di capelli ricci e rosso scuro mi si parò davanti.
Per un millesimo di secondo sentii il cuore fermarsi, poi capii chi era.
Una ragazza alta e magra se ne stava davanti a me, il viso ovale, la pelle chiara coperta da qualche leggera lentiggine intorno al naso.
Il suo viso si aprì in un enorme sorriso che contagiò anche gli occhi, incorniciati da folte sopracciglia leggermente spettinate.
Passò un secondo e mi ritrovai tra le sue braccia, incapace di respirare per la forte stretta.
« O-olli! » mi stava strozzando. Mi stritolò per un momento e poi mi lasciò andare. Io vacillai su me stessa, stordita.
« Elly! » mi salutò la sua voce cristallina.
Altre tre teste spuntarono da dietro di lei. Sarah, Irina e Katia.
« Ragazze! », esclamai sorpresa, « che ci fate qui? ».
« Sorpresa! Ci mancavi », spiegò Olivia con semplicità.
Io ero ancora a bocca aperta, interdetta da quella bellissima e preoccupante sorpresa.
Le altre tre sgusciarono da dietro Olivia per venirmi ad abbracciare.
« Cos’è questo baccano? » la voce bassa di Bella che proveniva dalle scale mi fece voltare.
« Ragazze! » esclamò non appena le vide, « cosa ci fate voi qui? » era meravigliata e preoccupata quanto me.
Anche Edward, al suo fianco, aveva un espressione alquanto accigliata, e mi guardava interrogativo, come a chiedere spiegazioni. Io feci spallucce.
« Ci ha invitate Charlie » spiegò Olli.
« Pensava che sarebbe stato un bel regalo per il diploma… » continuò, adesso un po’ in imbarazzo.
Aveva percepito la tensione, stava capendo che c’era qualcosa che non andava.
« Il più bel regalo in assoluto » sorrisi per sviare la sua attenzione e non destare sospetti.
« Siamo solo sorpresi » mentii lanciando uno sguardo complice a Edward e Bella.
« S-sì » balbettò lei. Come fingeva male.
Ero davvero contenta di quella bellissima sorpresa, ma c’era un motivo se non avevo chiesto loro di venire per il diploma: Victoria.
Il suo arrivo era imminente, se loro restavano lì rischiavano di rimanerne coinvolte. E questa era l’ultima cosa che volevo.
« Ma dove dormirete? » domandai sempre più angosciata per la loro sicurezza, anche se cercavo di non darlo a vedere.
« In un ostello non lontano » disse pratica Sarah.
Mi voltai verso Edward, che oramai era accanto a me, cingeva la vita di Bella con un braccio.
« Ed, posso parlarti un attimo? » domandai sottovoce. Lui annuii.
« Voi fate come foste a casa vostra » sorrisi alle mie amiche prima di dirigermi in cucina, seguita da Edward.
« Charlie » sputai tra i denti a mo’ di imprecazione quando fummo soli.
« Adesso ci mancava anche questa », continuai lamentandomi.
« E’ pericoloso che restino qui » Edward aveva ragione. Troppo, troppo pericoloso.
Lo guardai negli occhi, ansiosa, in cerca di una soluzione.
« Dobbiamo dire loro come stanno le cose, e farle tornare a casa ».
Era l’unica soluzione.
« Ma nel frattempo vanno tenute sott’occhio. Non possono stare così lontane ».
« Casa nostra è grande, possono benissimo venire da noi. Così saranno al sicuro e protette ».
Oh, come avrei fatto senza Edward? Ma perché non avevo avuto la fortuna di avere un fratello come lui?
Gli sorrisi sollevata. « Grazie. Non sai quanto significhi per me sapere che sono al sicuro » lo abbracciai. « Figurati »
Tornammo in salotto, dove Olivia e Irina stavano già ridendo come delle pazze.
« Ragazze » le chiamai, « c’è un cambio di programma ».
« alloggerete a casa di Edward. E’ più vicina, ampia e almeno lì sarete in buona compagnia ». Annuirono tutte, d’accordo.
In quel preciso momento suonò il campanello.
Aprì Bella, che era la più vicina alla porta.
« Ciao Jake », disse con naturalezza salutandolo.
« Oh, avete ospiti » disse lui notando Olivia e Irina stravaccate sul divano. Loro lo salutarono come se lo conoscessero da sempre.
« Ciao! » dissero in coro. Erano davvero buffe a volte.
« Loro sono Olivia, Irina, Sarah e Katia » dissi indicandole mentre pronunciavo i loro nomi. Jacob porse la mano ad ognuna di loro, che strinsero con vigore. « Piacere ».
Poi lui si girò verso di me e mi salutò con un bacio a fior di labbra.
Io abbassai la testa, arrossendo. Katia ridacchiò sotto i baffi, e così anche Olivia.
Vendetta, mimò con le labbra. Io le feci una linguaccia.
Bimbe. Ecco cosa eravamo assieme. Cinque bimbe. E mi piaceva.
« Sei venuto solo per una visita di cortesia, Jacob? » domandò Edward ironico.
Purtroppo l’astio tra quei due non voleva saperne di andarsene.
« In realtà sono venuto per conto di Sam.Vuole parlarti. » rispose serio. Anche Edward cambiò espressione a quelle parole. Annuii.
Dopo aver salutato Bella e le mie amiche seguì Jake fuori.
Finalmente eravamo solo donne, potevamo parlare liberamente.
O meglio, loro potevano sputare tutti i commenti che avevano tenuto in serbo fino ad allora.
« W-O-W » sillabò per prima Katia. « dove l’hai trovato? » domandò riferendosi a Jake.
« Nelle patatine » risposi ironica.
Lei rise. « Devo comprarle più spesso, allora » mi fece l’occhiolino.
Anche Sarah aveva le sue perplessità. Si voltò verso Bella.
 « Non è che ha un fratello gemello? » disse stavolta riferendosi a Edward.
Quando voleva, anche lei non scherzava in fatto di simpatia. « Purtroppo no » risposi al posto di mia cugina.
« Io ho solo una domanda, Mel » esordii Irina lasciando in sospeso il discorso. Tutte ci voltammo a guardarla, curiose.
« Me lo presti qualche volta? ». La guardai bieca.
« Giù le zampe », la ammonii, rivolgendo un occhiataccia anche a Katia.
« Quindi a deduzione direi che qui da qualche parte devi avere una scatola di biscotti per cani, o un guinzaglio… » scherzò Sarah fingendo di cercare le suddette cose intorno a sé.
« No, ma il vero dilemma è un altro », la spalleggiò Olivia,
« non ti scoccia quando fa pipì in giardino? Insomma, ti rovina tutto il prato! » finse serietà, con fare scioccato.
Presi il cuscino più vicino e glielo tirai addosso.
« Piantala ». Ridemmo tutte, come delle sceme. « E’ bello avervi qui » le abbracciai tutte insieme.
 « Anche per noi », risposero in coro.
Le mie amiche erano proprio quello che ci voleva per tirarmi su il morale, farmi sentire più forte. Se c’erano loro avrei potuto affrontare qualunque cosa, perché loro erano tutto ciò che avevo di più caro al mondo, assieme a Jake. L'unico per cui ero preoccupata, e la ragione per cui volevo combattere, era Jake. I Cullen erano forti, se la sarebbero cavata benissimo anche senza di me. E così Bella.
Ma Jake era così euforico, smanioso di combattere... avevo paura che non la prendesse abbastanza seriamente, che fosse troppo sicuro di sè. Per questo volevo combattere, per difenderlo.
Ma questa motivazione non bastava. Ma adesso che c'erano le mie amiche avevo una ragione in più: difendere loro. E questo mi dava il coraggio per combattere.

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Capitolo 28
*** Diploma ***


Ciaooooooooooooooo!! Scusate sono di frettissima! Solo un paio di cose:
Dentro il capitolo ho messo ho messo i vestiti dei personaggi, poi metterò anche quelli dei cappi precedenti :)
VI PREGO RECENSITEEEEEEEE :)






« Alice ne hai ancora per molto? » domandai seduta sulla sedia da parrucchiere che aveva in bagno.

« Ho quasi finito, zitta » rispose lei con fare esperto.
Avevo chiesto ad Alice di truccarmi, pettinarmi e scegliere per me il vestito che avrei indossato per la festa di diploma che avrebbe dato a casa sua, ma adesso me ne stavo pentendo.
Va bene che per la bellezza ci vuole tempo, ma tre ore! Dovevo andare ad una festa, non a una sfilata di moda! Oramai non sentivo più il fondoschiena da quanto tempo era che stavo a sedere.
« Fatto » esclamò soddisfatta alla fine.
Aprii gli occhi e mi guardai subito allo specchio.
« C- come hai fatto? » strabuzzai gli occhi alla vista della mia immagine riflessa nello specchio.
I miei occhi erano avvolti in una leggera sfumatura di beige, che si intonava perfettamente al colore del vestito e delle scarpe. Le ciglia folte e nere facevano risaltare i miei occhi color mogano.
I capelli scendevano delicati sulle spalle, boccoli appena fatti che non mi appartenevano.
L’unica cosa che non avrei mai cambiato era il loro colore, un castano scuro che però dava anche l’impressione del rosso.
« Eh, magia » mi fece l’occhiolino lei.
Vidi la sua immagine riflessa nello specchio enorme: anche lei era bellissima, come sempre.
Indossava un vestito blu chiaro con una cintura dorata in vita, sottile, che risaltava le pieghe strategiche dell’abito.
Gli occhi erano messi in risalto dall’ombretto azzurro e i capelli erano sbarazzini, come sempre. Amavo quel taglio, rispecchiava la sua essenza.

Vestiti Melanie e Alice:  http://www.polyvore.com/prom/set?id=29277244
 
Vestiti Olivia, Irina, Sarah e Katia: http://www.polyvore.com/cgi/set?id=29529216 


Mi sorrise dolcemente e mi fece alzare. Che sollievo, dopo tanto tempo che ero seduta!
« E’ ora di scendere, tra poco arriveranno gli altri » disse da perfetta padrona di casa. Io annuii in silenzio e la seguì al piano di sotto.
Le mie amiche, che adesso vivevano praticamente in casa Cullen, erano già al piano di sotto, assieme agli altri.
« Mel! » esclamò Katia vedendomi scendere le scale.
« Sei bellissima » mi guardò stupefatta.
Io sorrisi imbarazzata. « Anche tu ». Katia era quella relativamente meno bella del gruppo.
Non che fosse brutta, assolutamente, ma era quella meno… particolare.
Irina era mezza brasiliana, perciò era impossibile non notarla, con i suoi lunghi capelli neri ondulati, la pelle più scura.
Sarah aveva degli occhi stupendi, verdi chiaro, le guancie piene, la pelle chiara e i capelli ribelli di un castano chiaro, un po’ rosso e un po’ biondo. Olivia era la più alta di tutte, anche lei non passava certo inosservata. Il viso ovale, le lentiggini sulla pelle bianca e i capelli ricci, lunghi fino al mento, la facevano sembrare ancora una bambina. Le davano un’aria dolce e sbarazzina. Per quanto riguarda me, la cosa che mi distingueva era proprio il colore dei miei capelli che tanto amavo, e il taglio degli occhi, così particolare ed espressivo dicevano, che avevo ereditato da mia madre. Katia era quella più anonima: 
i suoi capelli erano castano scuro, un colore uniforme e abbastanza comune.
Lisci, un po’ ribelli. Gli occhi color nocciola, la pelle chiara ma un po’ troppo rosata. La bocca piena, irregolare. Era carina, ma non spiccava, tra noi quattro così particolari. Ma per lei non era mai stato un problema, le andava bene così. Quello che la distingueva, invece, era il carattere, così forte, sicuro, determinato, ma allo stesso tempo fragile e dolce. Amava se stessa, anche i suoi difetti.
E la invidiavo per questo.
« Anche tu. Alice vi ha addobbate proprio bene! » risi guardando anche le altre.
Quella più restia a sottoporsi alla tortura era stata Olivia, che alla fine, se pure con numerosi lamenti e minacce, aveva acconsentito a farsi consigliare.
« Grazie » sorrise Katia. In quel momento suonarono alla porta e io andai ad aprire.
« Ciao Mel! » mi salutò pimpante Jessica. « Ciao Jess » sorrisi cortese e l’abbracciai.
Con lei c’erano anche Angela, che salutai calorosamente, Eric, Taylor e Mike. Quest’ultimo non appena mi vide strabuzzò gli occhi, incredulo.
« M-mel. Sei proprio tu? » chiese con un’espressione ebete sulla faccia. « Eh già » risi io.
Lui sbattè le ciglia come a riprendersi, mi squadrò da capo a piedi e poi mi salutò con un abbraccio imbarazzato che ricambiai di mala voglia.
Poco dopo di loro arrivarono anche gli altri invitati e io lasciai che a fare gli onori di casa stavolta fosse Alice.
Durante la festa Edward mi si avvicinò e sotto lo sguardo invidioso di molte ragazze lì presenti mi parlò nell’orecchio.
« Sto seriamente cominciando a pensare di buttare fuori Mike » disse nervoso. Io risi. « Perché? ».
« Sembra che il ragazzo abbia seri problemi a controllare i suoi… istinti. E’ tutta la sera che fa pensieri molto vividi… prima su Bella, e ora su di te » rispose evidentemente irritato.
Arrossii e risi, nervosa. « Oh bè, finché sono solo pensieri lascialo stare. Non credo che oserebbe mai provarci. Ha molta paura di te, anche se fa finta di no. Da Jake poi è praticamente terrorizzato. » risi sempre più divertita al pensiero di Jake che si arrabbiava con Mike.
« Lo so » rispose sghembo Edward. Ridemmo assieme.
Sentii suonare il campanello e vidi Bella che andava ad aprire.
Finalmente Jake era arrivato. « E’ arrivato Jake » dissi a Edward dirigendomi verso la porta.
Salutai Seth, Embry e Quil che erano con lui. Gli unici che sembravano a loro agio erano Jacob e Seth, mentre gli altri si guardavano attorno tesi.
« Tranquilli ragazzi, sono addomesticati » scherzai vedendo Embry che fissava Edward dall’altra parte della stanza. Lui si voltò verso di me e mi sorrise, un po’ imbarazzato.
Poi presi Jake per mano e lo trascinai via, in un punto della stanza un po’ meno caotico. « Ciao » lo salutai finalmente attirandolo a me per baciarlo. Lui sorrise sulle mie labbra, stringendomi a sé con una mano, mentre con l’altra mi teneva il viso.
Mi girava già la testa, avevo seriamente paura di svenire. Mi appoggiai letteralmente al suo petto, non ci tenevo a cadere da quei trampoli che Alice chiamava scarpe. Una caviglia slogata era l’ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento.
Qualcuno tossì, come a ricordarci che eravamo in pubblico. Olivia.
Le lanciai uno sguardo irritato, ma lei mi ignorò come suo solito.
« Mr "sono-figo-solo-io" vuole parlarti » mi informò ironica riferendosi a Edward.
 Ok, adesso dovevo uccidere anche lui. « Arrivo » dissi scocciata. Lei si allontanò e io alzai gli occhi al cielo. Jacob rise. « Vai » sussurrò facendomi venire i brividi. Gli diedi un ultimo bacio a stampo e mi diressi in cucina.
« Che c’è? » esordii scocciata non appena varcai la soglia. Edward e Bella stavano parlando tra loro, sottovoce.
« Mel, stasera, dopo la festa, è il caso che tu parli con le ragazze » disse. « Devono sapere cosa succede ».
Ero d’accordo con lui, ma non ero sicura di come avrebbero reagito. E se si fossero rifiutate di andarsene? Ma d’altra parte non riuscivo a tenere nascosto un segreto così grande alle mie migliori amiche. « Okay »annuii. Edward sorrise, senza aggiungere altro.
Qualche ora dopo, quando tutti gli invitati se ne furono andati, mi preparai a parlare con le ragazze.
Alice riuscì non so come a pulire tutto in un’ora, e la casa tornò perfetta in men che non si dica.
Io intanto camminavo nervosa da una stanza all’altra, pensando a come iniziare il discorso. Quando entrai nel salone trovai Jake seduto comodamente sul divano bianco, le gambe distese e incrociate, un gomito appoggiato allo schienale mentre con la mano si scompigliava i capelli. C’era solo lui nella stanza, le ragazze erano al piano di sopra. Non appena lo vidi mi bloccai di colpo, in piedi, ferma davanti a lui.
Un sorriso misto tra l’imbarazzato e il divertito spuntò sulla mia faccia.
Lui si girò per guardarmi, sottecchi. « Che c’è? » domandò innocentemente.
Avrei voluto alzare un sopracciglio solo come faceva Edward, ma non ero mai stata capace, così li alzai entrambi, come a rispondere ironica. Lui continuava a guardarmi, in attesa di una risposta.
« Spiegami una cosa » esordii alla fine, « come diavolo fai ad essere sexy anche stando fermo? » domandai seriamente curiosa.
Lui scoppiò a ridere, diventando ancora più bello.
Poi si alzò e mi venne incontro.
« Potrei chiedere la stessa cosa a te », disse prima di baciarmi.
Il suono di una risata fragorosa e di persone che scendevano le scale ci interruppe.
Lui si staccò di mala voglia da me, spostandosi di lato ma continuando a cingermi la vita con un braccio.
Le ragazze ci guardarono mentre scendevano e si sedevano sul divano.
Mi sedetti accanto a loro, seguita a ruota da Jacob. Nel frattempo
Anche gli altri erano entrati nel salotto. Presi coraggio a due mani e parlai.
« Ragazze, c’è una cosa che dobbiamo dirvi ».
E speriamo bene, pensai.
 

 

* * *
 
 

 

Dopo che ebbero ascoltato tutta la spiegazione rimasero in silenzio alcuni secondi. Credevo che si sarebbero impaurite, invece erano solo curiose. Serie, ma curiose.
« Voglio combattere » esordii per prima Sarah. Eccoci.
« Anche noi » la seguirono a ruota le altre.
Io alzai gli occhi al cielo « e ti pareva » mormorai soprattutto a me stessa.
« Saremo di grandissimo aiuto! Non faranno nemmeno a tempo a rendersi conto di quello che sta succedendo e saranno belli che morti » sorrise sadica. Tipico di lei.
Mi girai a guardare Edward, supplicandolo con lo sguardo di farle ragionare.
« Decidi tu » fu tutto quello che mi disse. Oh, grazie, bell’aiuto, sì!
Guardai Jasper, ormai convinta che alla fine l’avrebbero avuta vinta loro.
« Bè, sarebbero d’aiuto… » disse senza sbilanciarsi.
Sospirai e mi voltai verso di loro.
« Tanto lo sai che non hai scelta. Non ci convincerai mai a restare in disparte. » disse Irina.
Per qualche istante calò il silenzio più assoluto.
Non volevo che combattessero, le volevo al sicuro. Allo stesso tempo però le conoscevo come le mie tasche e sapevo che quando si fissavano su una cosa, specialmente Sarah, nessuno poteva smuoverle di mezzo millesimo, era inutile anche solo tentare.
« E va bene » mi arresi alla fine.
« Ma vi voglio pronte. Avete quattro giorni per diventare le Charlie’s angels » le ammonii subito. Grossi sorrisi di soddisfazione comparirono sui loro volti.
« Promesso » rispose Sarah per tutte.
Non invidiavo affatto Jasper. In quattro giorni le avrebbe dovute addestrare alla perfezione per la battaglia.
Dopo pochi minuti filarono tutte e quattro a letto, visto che l’indomani si sarebbero dovute alzare presto per l’addestramento.
Non appena salirono le scale chiusi gli occhi, sfinita, e mi accoccolai sul petto di Jacob, che mi strinse a se, cullandomi.
Il battito forte e regolare del suo cuore mi rilassava, e ben presto mi addormentai come una bambina.
  

 



 

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Capitolo 29
*** Il regalo più bello ***




Eeeecccoooomiiiiiiiiii ^.^ pensavate che vi avrei lasciate in pace? Purtroppo no... XD
Dunque. Voglio innanzitutto ringraziare tutti quelli che mi seguono e sopratutto che mi recensiscono. Non sono molti, ma spero che aumenteranno :) Grazie a tutti.
Poi volevo annunciarvi che questo cappi è molto importante per me, perchè ci sarà una sorpresa.... capirete poi! ^.^ vi prego commentate, è molto importante per me!
Buona lettura!







Mi svegliai nella mia stanza, ancora accoccolata contro il petto di Jake. Sorrisi ad occhi chiusi. Avevo percepito subito il suo profumo, lo sentivo accanto a me.

« Buongiorno » mugolai stiracchiandomi. Lui allentò la presa su di me, dandomi modo di muovermi. Dopo essermi rigirata varie volte per sgranchirmi lo abbracciai di nuovo, posando il viso sul suo petto caldo. « Buongiorno » ridacchiò lui.
« Mmm » mugolai stringendolo più forte. Poi mi spinsi più su con i piedi, fino ad arrivare all’altezza del suo viso.
Con una gamba gli circondai i fianchi, un po’ per stringerlo a me, un po’ per sgranchirla. « Dormito? » domandai con disinvoltura.
« Sì. Fortuna che tu non russi ».
« Ehh. Lo so, sono perfetta anche mentre dormo » dissi ironica.
Rise. « E modesta, soprattutto » aggiunse.
« Certo » risposi con una linguaccia.
Mi ci voleva un po’ di ironia quel giorno, mi ci voleva proprio.
Mancavano solo quattro giorni alla battaglia, ma soprattutto mancavano solo poche ore alla consegna dei diplomi.
Le mie amiche avevano avuto la fortuna di diplomarsi molto prima di me, tutte con ottimi voti. Alla cerimonia sarebbero stati presenti anche i miei genitori, che erano venuti apposta da NY, lasciando il loro amato lavoro.
Alice ovviamente mi aveva imposto anche stavolta il suo aiuto per trucco, acconciatura e vestiti. Non che a me dispiacesse, s’intende, solo che quando ero nervosa – come quella mattina – mi era difficile stare ferma, specialmente per ore. E Alice ci avrebbe messo un’era glaciale per prepararmi.
D’altro canto il mio sacrificio – che poi, intendiamoci, non era affatto un sacrificio a parte il dover stare seduta e ferma – era d’aiuto sia a Bella che alle ragazze. Infatti Ali aveva rinunciato a preparare anche loro, una vittima gli bastava. E la vittima ero io.
« Devo essere da Ali alle tre » mugolai alzandomi dal letto.
« Ma la cerimonia non è alle cinque? » chiese Jake. Io annuii facendo una faccia teatrale, come ad evidenziare il fatto che avrei dovuto essere torturata per due ore.
Lui capì al volo la mia espressione e scoppiò a ridere.
« Bè, allora è meglio che vada » si avvicinò per salutarmi.
« Arriva puntuale » lo ammonii. I miei genitori finalmente l’avrebbero potuto conoscere. Ero tesa anche per questo. Anche se gliene avevo già parlato sapevo che sarebbero stati critici, come sempre. Ma non m’importava.
Quel pomeriggio lo passai tutto da Alice, non potei nemmeno vedere i miei genitori, che probabilmente erano da Charlie a fargli milioni di domande sul mio conto.
Finalmente, dopo un’attesa infinita, arrivammo a scuola.
Devo ammetterlo, quando scesi dalla Posche gialla canarino e tutti si girarono a guardare me e Alice mi sentii una diva.
La cerimonia fu molto veloce rispetto a come me la immaginavo.
Jessica fece il suo discorso, senza grande significato a parere mio, e tutti la applaudirono. Ma credo che avrebbero applaudito anche ad un Dodo in quel momento. Non credo ci fosse nessuno, tra allievi e parenti, calmo, in quel momento. A parte i Cullen, ovvio. Ma solo perché loro l’avevano già vissuto milioni di volte.
Scesa dal palco, con le lacrime agli occhi e il diploma in mano, corsi dai miei genitori, per abbracciarli forte.
« Complimenti topino » mi abbracciò forte mio babbo. A diciotto anni ancora mi facevo chiamare in quel modo. Ma non m’interessava, perché mi piaceva.
« Ce l’hai fatta, Mel. Sei stata bravissima. Sono fiera di te » aggiunse mia mamma, accarezzandomi la schiena mentre ero ancora abbracciata a mio padre. Ero stata promossa con ottimi voti, come desideravano loro e come volevo anche io.
Dopo i loro complimenti fu il turno delle mie amiche, Charlie, Bella, Alice e Edward.
Dopo poco arrivò anche Jake, che presentai ai miei.
Non dissero nulla, ma guardandoli sembrava che gli piacesse.
Ad un certo punto, mentre parlavo con Jake e i miei genitori le mie amiche mi si avvicinarono con dei sorrisetti furbi sulle facce, specialmente Olivia.
« Mel, abbiamo un regalo per te » esordii.
« Un regalo? » le guardai perplessa.
« Per il diploma. Scommetto che ti piacerà » ridacchiò Irina.
Olivia mi prese per mano, portandomi fuori dalla palestra, mentre Irina mi copriva gli occhi con le mani.
Ad un certo punto si fermò. « Puoi aprirli ».
Lentamente sbattei le palpebre. Una figura, davanti a me, appoggiata alla ringhiera, mi guardava sorridente. Il mio cervello ci mise un po’ rendersi conto di chi avevo davanti.
« Ciao, Mel ». Una voce calda, familiare, che portava con sé milioni di ricordi, mi colpì dritta al cuore.
« Luca! » esclamai buttandomi tra le sue braccia. Senza volere, scoppiai in singhiozzi. Lui mi stringeva forte, il suo respiro caldo mi scompigliava i capelli, il suo profumo, simile alla cannella, mi fece piangere ancora di più. Per un attimo non l’avevo nemmeno riconosciuto, tanto tempo era passato. Cinque anni. Cinque lunghissimi anni. L’avevo lasciato che era un ragazzino, l’avevo ritrovato che era un uomo. Nonostante i lineamenti di ragazzo avessero lasciato posto a quelli da adulto, era sempre uguale.
Gli stessi occhi, marroni come i miei, i capelli corti e castani, il sorriso smisurato. Le lacrime continuavano a scorrere sulle mie guance, senza fermarsi. « Luchino… » sussurrai tra il pianto. Pianto di gioia, di felicità. Non lo chiamavo Lucas perché era Italiano, il suo nome vero era Luca, Lucas era la versione
“ internazionale ”. Parlavo piano nel suo orecchio, in italiano.
Lui rideva nervoso e mi accarezzava la schiena.
Ero consapevole del fatto che molto probabilmente stavamo dando spettacolo, ma sinceramente non me ne fregava nulla.
Lui era lì con me. Finalmente tutti quelli che amavo erano lì.
Con riluttanza mi staccai da lui, per guardarlo negli occhi.
Gli diedi due baci sulle guance, lo abbracciai un’ultima volta e poi mi voltai verso le mie amiche, ancora annebbiata dalle lacrime ma con un grande sorriso di gratitudine. Loro mi guardavano con dolcezza. « Grazie. Grazie di cuore » sussurrai. Guardai in particolare Olivia, sapevo che era stata lei a contattarlo. Era l’unica a conoscerlo di persona.
« E’ il più bel regalo di diploma che potevate farmi ».
Corsi ad abbracciarle, tutte assieme.
« Vi voglio bene » mormorai tra le loro braccia.
Finalmente era tutto perfetto.






Note autore:

 Aaaaallora! Visto che Lucas è stato nominato molto poco vi rinfesco la memoria su chi è:
il migliore amico di Mel, quello che ha dovuto lasciare dopo la morte della nonna, che abiatava in un paesino sperduto.... ricordate? Per ulteriori informazioni potete rileggere il capitolo " Festa", nel pezzo che parla del tragitto verso La Push. :)

 

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Capitolo 30
*** Battaglia-I parte ***






Ciaoooooooooo!  O:) * me con areola in testa * lo so, lo so... sono in ritardissimo!
Ma non è cosa facile scrivere una battaglia!
Vi premetto che sarà divisa in due parti, uno perchè sarà lunga, e poi per creare un pò di suspence.... XD
Cmq. XD dedico questo capitolo a Fiammetta ( alter ego di Sarah... o meglio, Sarah è il suo later ego... ma è uguale. ) perchè sono settimane che smania che vuole che pubblichi... e finalmente eccoti accontentata amore mio!
Dedico questo cappi anche a Caterina ( Jora Sana, che mi deve ancora spiegare il perchè di questo nuovo nome.. ) e OVVIAMENTE  ad IryBlue ( Irina) e StarruLu ( che oramai non mi caca più... ), cioè Olivia. Siete le mie migliori amiche ragazze vi voglio bene!
Detto questo... tutti a leggereeeee XD









« Attenta a dove la punti quella bacchetta, Olli! » esclamai scansandomi dall’ennesimo raggio di un incantesimo.

« Scusa! » mi urlò dall’altro lato della radura.
Sbuffai alzando gli occhi al cielo. « Mel, ti va di allenarci un po’ anche noi? » si rianimò improvvisamente Sarah alzandosi da terra.
« Certo » risposi posizionandomi davanti a lei.
« Prova con me » ci interruppe una voce alle mie spalle.
Edward si avvicinò a noi con un sorrisetto irritante sulla faccia.
« Se ci tieni », lo accontentai. Sarah si scostò, lasciando spazio a Edward. « Comincia tu » mi fece cenno con una mano.
Alzai la guardia. « Che galantuomo », sorrisi ironica, « ma ricorda che con me i tuoi trucchetti non funzionano » gli ricordai.
« Motivo in più per vedere come finisce » rispose a tono.
Feci spallucce e iniziai.
Edward schivava bene i miei colpi, ma io ero altrettanto abile a schivare lui. Ad un certo punto mi prese alle spalle, incrociandomi le mani dietro la schiena e buttandomi a terra. Ma io lo scaraventai via con un semplice gesto della mano. Furbo a non togliermi la bacchetta, sì.
 « Chi ha vinto? » domandai ironica con la punta della bacchetta posata sulla sua gola.
Jasper rideva alle mie spalle. « Ben fatto, Mel ».
« Vendetta! » la forte risata di Emmett contagiò anche Edward, che alzò le mani in segno di resa.
« Vendetta » ripetei facendo una linguaccia a Edward e tornando a sedermi.
Mentre Irina e Olivia si allenavano io e Sarah rimanevamo sedute e guardare, dando loro consigli su come muoversi.
A New York eravamo le migliori della classe, soprattutto nella parte pratica. Anche se non avevamo mai combattuto una vera battaglia eravamo avvantaggiate.
« Olli, occhi sull’obbiettivo » le gridai mentre cercava di tenere testa a Carlisle.
Mi avvicinai a Sarah, mentre continuavo a tenere gli occhi su Olivia.
« Forse non dovrebbero combattere » le sussurrai preoccupata.
« Non rinunceranno mai » rispose.
« Specialmente Irina. Figurati se si perderebbe l’occasione di far fuori un vampiro » continuò alludendo alla simpatia di Iry per questa specie. Negli ultimi giorni non aveva perso occasione per prendere in giro Edward. Jasper invece le stava simpatico, forse per la sua difficoltà ad adattarsi alla dieta vegetariana.
« Lo so… » dissi mogia. E figurati se Olivia avrebbe accettato di rimanersene a La Push.
Accidenti al vostro orgoglio, ragazze!
« Mi toccherà starvi dietro tutto il tempo…» borbottai.
Sarah si girò, scocciata. « Parla per loro! Io non ho bisogno dell’aiuto di nessuno ».
Parlavamo di orgoglio…alzai gli occhi al cielo. Che stress.
Qualcosa mi toccò la schiena improvvisamente, facendomi sussultare.
Mi voltai e vidi Jacob, in forma animale, che mi guardava sottecchi con i suoi occhi da cucciolo smarrito.
« Ma guarda che bel lupacchiotto » scherzai ironica accarezzandogli la folta pelliccia. A volte facevo fatica a ricordare che sotto quell’ammasso di peli c’era una persona, non un animale. Ma era così cuccioloso… e poi io adoravo i cani. E non è un insulto! Io amo i cani.
Lui alzò gli occhi al cielo, lasciando che lo spupazzassi come un vero cucciolo.
Gli diedi un bacio su un lato del muso e lo lasciai andare.
« Ma che schifo! » la voce acuta di Olivia mi spaventò. « Hai baciato un cane! » disse con faccia schifata. Lei già odiava i cani di suo…. i licantropi poi….
Ma lei era fatta così, oramai non mi offendevo più. Non risparmiava le critiche nemmeno a Matt, ed era tutto dire…
« Lo sai che non è un vero animale » sospirai con gli occhi al cielo.
« Sì ma fa schifo lo stesso » borbottò mentre si sedeva accanto a Sarah.
Adesso Irina stava provando con Jasper, che cercava di insegnarle a non farsi cogliere di sorpresa.
Mentre i due discutevano il cellulare di Irina che avevo nelle mani squillò.
Guardai lo schermo per vedere chi fosse che chiamava: Lee.
Sbuffai, nervosa. Se le dicevo chi era a chiamare avrebbe interrotto subito l’allenamento, mentre se non l’avessi fatto…
« Chi è? » mi urlò lei sentendo la suoneria del suo telefono. Io esitai, incerta se dirle una balla per farla rimanere concentrata o no.
« Diglielo, altrimenti quando lo scopre ti uccide » mi consigliò saggiamente Sarah a bassa voce.
Il telefono squillava ancora. Sbuffai, arresa. « Lee » urlai perché mi sentisse.
Tre millesimi di secondo dopo lei era già davanti a me, il telefono all’orecchio. Altri tre microsecondi dopo si era già allontanata per chiacchierare, noncurante del resto.
Esasperata emisi un suono sordo con la gola, mentre mi buttavo a terra con la schiena. « Che bugiarda » brontolai.
Sarah mi guardò con aria interrogativa. « Perché? »
«Il giorno che avrò un ragazzo non sarò una di quelle che dipendono solo da lui…» dissi imitando la voce di Irina.
« Infatti si è visto » brontolai. Sarah rise.
Lee era il ragazzo di Irina, stavano insieme da più o meno un anno. Si erano messi insieme qualche tempo prima che mi trasferissi a Forks, e lui era davvero un ragazzo d’oro. Biondo, occhi azzurri… azzurri - verdi tendenti al grigio, avrebbe detto Irina.
Un troiaio, insomma,avrei risposto io. Erano azzurri i suoi occhi, ovvia.
A parte questo. Io e Lee avevamo legato molto, quando ero ancora a New York. Lui era inglese…gli inglesi hanno fascino, aveva detto Irina quando l’aveva conosciuto. Tempo un mese, lui era cotto. Tempo tre secondi, lei era innamorata. Ma lei non l’aveva mai confermato, si arrampicava sugli specchi. In cinque anni che la conoscevamo, né io né gli altri l’avevamo mai sentita dire che era innamorata. In un anno che stavano insieme mai lei aveva detto a lui una sola volta “ Ti amo “. Non che il mondo ne fosse a conoscenza, comunque. Erano tutti e due così riservati che non sapevi mai nulla. Poi ovviamente però lei voleva che tu le raccontassi i dettagli della tua, di vita. Mi pare giusto.
 Un quarto d’ora dopo vedemmo Irina tornare verso di noi, gli occhi a cuore. Si sedette in terra accanto a noi, sorridente. Io la guardavo allibita.
Sieee, non se lo ricordava mica che stava combattendo, fino a tre minuti prima.
« Ai calciatori vietano di avere rapporti prima delle partite » ricordai,
« A te dovrebbero vietare le telefonate prima delle battaglie!» esclamai.
Tutti ridevano, mentre lei diventava rossa come un pomodoro.
Oramai era fuori gioco per tutta la giornata. Come tutte noi, del resto. Io ero a pezzi.
Mancavano solo due giorni all’arrivo dei neonati e tutto era pronto.
Edward non avrebbe combattuto, Bella gli aveva chiesto di rimanere con lei durante la battaglia. Che gran cacasotto, aveva commentato Irina.
Effettivamente aveva ragione. Ma non m’interessava. Lei aveva paura per tutti, come se fossero tutti suoi. Ma in realtà lei aveva molte meno persone di cui preoccuparsi. I Cullen erano praticamente indistruttibili, i lupi no.
Le mie amiche, no. Temevo per Jake, ma sapevo che in un modo o nell’altro lui se la sarebbe cavata. Non temevo per Edward o per Alice, loro erano di cemento armato. Ma le mie amiche. Sarah, così orgogliosa, testarda e determinata. Lei non temeva per se stessa, come le altre. Era brava, ma avevo sempre paura che fosse troppo sicura di sé.
Olivia. Ah, lei contava sulla sua fortuna sfacciata, si sopravvalutava. Non capiva che questo non era un esame di pozioni, dove basta studiare tutto il libro a memoria. Qui c’era la loro vita in ballo. E Irina. Anche lei, come Olivia, avrebbe fatto meglio a rimanere a casa, a parere mio. Anche lei non mancava d’orgoglio, di fortuna. Ma non basta la fortuna per non farsi uccidere. E poi sapevo che la sua testa era altrove, almeno per ora.
Devo dire a Lee di darsi una regola con ste’ chiamate,pensai.
Non che chiamasse spesso, ma a lei bastava sentire un nano secondo la sua voce che era già cotta.
Katia. Lei se ne stava sempre in disparte, ma quando ci si metteva le cose le faceva per bene. Per cui tutto sommato era forse quella per cui temevo di meno. Nei limiti del possibile, ovvio.
In sostanza, io avevo cinque persone di cui preoccuparmi, cinque persone che rischiavo di perdere.
Vaffanculo Bella, non potevi trovarti un ragazzo normale?!
Era brutto quello che pensavo, ma era la verità. Volevo bene a Edward e a tutti i Cullen, ma quando c’era in gioco la vita di chi amavo non riuscivo a non vederla così.
Due giorni, poi sarà tutto finito,pensavo in continuazione.
Sì, ma come sarà finita?
 
                                                            * * *
 

« Avete preso tutto? » domandò Alice a Edward e a Bella.
« Sì, non ti preoccupare sorellina » rispose Ed scompigliandole i capelli.
Lui e Bella si sarebbero accampati in montagna, lontani dalla radura.
Jacob avrebbe portato Bella in montagna, così da non far percepire ai neonati il suo odore.
Ahh, che complicazioni. In realtà non m’importava di cosa facevano gli altri. Sapevo solo che io e le mie amiche ce ne saremmo state per aria sulle scope. L’avevo suggerito il giorno precedente, chissà come aveva fatto a non venirmi in mente prima. In aria, non ci saremmo fatte nulla.
Dieci minuti, ecco quanto sarebbe durata.
E Bella era ancora lì che si crucciava, con la sua solita faccia spaurita.
 « E piantala, Bells! » borbottai. « Lo sai benissimo che durerà dieci minuti! » la rimproverai.
« Piantala con queste lagne ».
Ok, ero scortese, è vero. Ma non sopportavo quando si frignava addosso senza motivo. E che cavolo!
« Hai ragione Mel » cercò di ricomporsi. Già meglio.
Feci il punto mentale della situazione. Io, Bella e le mie amiche avevamo già un alibi con Charlie: grande pigiama party da Alice. Come se avessimo cinque anni. Ma l’importante è che ci creda. Charlie era da Billy, al sicuro.
Eravamo tanti, le mie amiche erano al sicuro, per aria.  Di cosa mi preoccupavo? Jake l’avrei tenuto costantemente d’occhio. Non l’avrebbero nemmeno sfiorato, quei bastardi.
Vacci piano con le parolacce, mi riprese la mia coscienza.
Sono nervosa, lasciami in pace. Stranamente si chetò subito. Meglio così.

 
Qualche ora dopo eravamo tutti già schierati, nella radura. Io e le mie amiche volteggiavamo a poca distanza da terra, forse un metro, pronte a salire non appena Alice ci avesse dato il comando. Avremmo preso i vampiri di sorpresa. Non avrebbero nemmeno fatto a tempo a rendersi conto di cosa stava succedendo.
« Quanto manca, Ali? » chiesi nervosa. « Cinque minuti » rispose secca. Si stava concentrando.
Silenzio. Silenzio. Ancora silenzio. Mi stavo innervosendo.
« C’è troppo silenzio », sembrò leggermi nel pensiero Olivia.
« Qualcuno racconti una barzelletta » propose. Non riuscii a trattenere un risolino nervoso.
« Non mi pare il momento » la riprese Edward.
Lei lo guardò bieca. « Che guastafeste che sei ».
« Eccoli, stanno arrivando » li interruppe appena in tempo Alice. Non era il caso di iniziare una discussione ora. « Salite » ordinò.
Ubbidimmo, schierandoci in fila, abbastanza in alto perché non potessero vederci.
« Ci siamo » sospirai. « Pronte? » domandai guardandole una per una.
Sarah rispose per tutte. « Mai state così pronte ». 







Note dell'autore:

Eccomi di nuovooo! XD Lo so che vi aspettavate la battaglia, ma come ho detto voglio suspenceeeeeee XD * me sadica*
ah, ringrazio MISS CULLEN per avermi fatto diventare così sadica... muahahahaha XD
potrei anche peggiorare, volendo.
Per ora vi lascio in sospeso, ma più recensioni vedrò ( anche negative ) prima aggiornerò :)
Una bacio, Elly. ;P

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Capitolo 31
*** Battaglia - II parte - ***


 
Ciaoooooo! :) Lo so che avete aspettato un sacco... XD ma amo la suspece!
 

Dedico anche questo capitolo a Fiamma, perchè l'ho scritto solo grazie alla sua insistenza :) ti voglio bene, flox! XD
Grazie mille a tutti quelli che mi seguono, è un onore sapere che qualcuno apprezza quello che scrivo :)













 « Eccoli, da quella parte! » Sarah indicò un angolo della foresta, dalla quale stavano spuntando due ragazzi. Non feci a tempo a girare la testa che uno di loro si era già scagliato contro Carlisle. Lui era riuscito abilmente a schivarlo e con un colpo da maestro l’aveva atterrato, mentre Esme lo faceva a pezzi.
« Bella coppia quei due », commentò Irina. Coordinazione. Aveva ragione Jasper, i neonati non erano difficili da uccidere, se sapevi come farlo.
Intanto Emmett e Rose ne avevano fatto fuori un altro, e così Alice e Jasper. Oramai i neonati erano tutti nella radura. Avevamo aspettato che uscissero tutti allo scoperto per non rischiare di lasciarne qualcuno.
« Scendiamo » ordinai alle altre. Scendemmo in picchiata, immobilizzandone quanti più possibile. « Immobilus! » si sentì alle mie spalle. Non potevamo ucciderli, solo immobilizzarli, così che poi o i Cullen o i lupi potessero farli a pezzi.
Come previsto, non fecero nemmeno a tempo ad accorgersi di quello che succedeva. Mentre Alice finiva quello che avevo appena immobilizzato, vidi qualcosa al limite del mio campo visivo muoversi.
Sbattei le ciglia ed era sparito. Rimasi immobile, pietrificata a dieci metri da terra.
« Che succede? » mi gridò Sarah. Non risposi. Si avvicinò, preoccupata.
« Mel, che succede? ». Improvvisamente capii cos’era che avevo visto. Cosa stava succedendo. « Victoria », sputai tra i denti prima di lanciarmi nella foresta.
 
Victoria stava cercando di scappare. Aveva visto che la situazione non era affatto come previsto e voleva darsela a gambe prima che noi potessimo accorgerci della sua presenza.
Volando il più velocemente possibile sopra la sua testa cercai di superarla per poterla fermare, ma era difficile.
Correva velocissimo, a zig-zag, probabilmente per confondere chiunque potesse cercare di seguirla. Quasi non riuscivo a vederla, in mezzo agli alberi fitti. Dovevo fermarla prima che incrociasse la scia di Edward, altrimenti avrebbe sicuramente cercato di raggiungerlo. Con uno scatto la superai, feci testacoda con la scopa e scesi in picchiata mentre mi preparavo a colpirla.
 
 
Pov Sarah
 
« Mel, dove vai?! » urlai mentre lei spariva nella foresta. Sbuffai alzando gli occhi al cielo.
« Ma perché non mi dà mai ascolto quella ragazza? » mi lamentai. Riuscivo a tenere a bada gente come Irina ma non riuscivo a far ragionare quella testa di coccio di Melanie. Ogni tanto lo ammetto, mi sentivo impotente. Lei non mi dava ascolto quasi mai, e le rare volte che lo faceva era solo perché eravamo in più di due a dirle la stessa cosa.
Dava retta a Katia, ma a me no. Che nervi. Non è da me agitarmi, ma a volte l’avrei volentieri battuta nel muro.
« Meglio se le mando qualcuno » borbottai tra me e me. Scesi verso terra e gridai ad Emmett di andarle dietro. Lui annuii e dopo aver terminato con il vampiro che aveva tra le mani si lanciò nella foresta.
Intanto Alice e Carlisle stavano bruciando i resti degli ultimi, dato che erano finiti tutti. L’avevo detto che sarebbe durata poco. Che delusione però… mi aspettavo lotte furiose, sangue… ok, sangue no. Lotte furiose sì però… che delusione…
Mentre pensavo questo tutto accadde molto velocemente.
Mi voltai appena in tempo per vedere Olivia che veniva schiantata al suolo.
Uno dei neonati era riuscito a nascondersi, Olli l’aveva visto e si era lanciata in picchiata contro di lui; ma doveva essersi abbassata troppo, perché non appena mi girai vidi il ragazzo che prendeva il manico della scopa con una mano sola e la scaraventava a terra.
« Olli! » urlai, impaurita. Mi lanciai verso di lei per aiutarla, mentre il vampiro l’aveva già presa per il collo e la stava strozzando.
Con un incantesimo lo scagliai via e mi fermai a soccorrere Olivia, mentre gli altri si occupavano di finirlo.
« Olli, olli!! Stai bene?! » ero nel panico. IO, nel panico. Questo sì che era assurdo.
« Sì, si » tossì lei. « Calmati. Se ti agiti tu allora sì che siamo nella merda » scherzò. Le scoccai uno sguardo furibondo. Ma tu guarda questa! Mi fa anche preoccupare… a proposito, e Melanie?
« Emmett? L’ho mandato da Mel un quarto d’ora fa… » domandai agli altri dietro di me. Fecero spallucce.
« Che sarà successo? » mormorai a me stessa, guardando preoccupata Olivia, in ansia come me.
 
 
 
Pov  Melanie
 
Scendevo, ero vicina a lei, sempre di più… poi improvvisamente sentì qualcosa di forte afferrarmi e scaraventarmi al suolo. Una mano gelida mi teneva ferma alla gola, impedendomi di respirare. I suoi occhi rossi erano poco distanti da me. Calciò via la mia bacchetta, impedendomi ogni via di fuga. La stretta era sempre più forte, mi faceva male la testa perché il sangue non fluiva più. Divincolarsi non serviva a nulla, era come lottare contro una statua. Era come se l’Appennino mi fosse caduto addosso.
Stavolta non c’era via di scampo per me. Victoria mi fissava, in attesa che morissi. Voleva che soffrissi, morendo lentamente. Come se questo la vendicasse. Perché non andava a cercare Bella? In fondo era lei che voleva, io che c’entravo?
Ma non volevo morire portando rancore a mia cugina. Pensai a Jake, ai suoi occhi caldi, al suo sorriso. Pensai alle mie amiche, al bene che volevo loro. Ma soprattutto, non so perché, pensai a Sarah. Lei non era mai stata molto affettuosa, non era nella sua natura. Tuttavia la sua era un’amicizia profonda, importante. Non avevo bisogno di sentirle dire che mi voleva bene, perché lo sapevo.
Non era vero che non me lo diceva mai, solo che nessuno lo sapeva. Magari mi mandava un biglietto con scritto ti voglio bene e appena passava qualcuno lo nascondeva. Non perché se ne vergognasse, solo perché era una cosa tra me e lei, e se la sventolava troppo aveva paura che non apparisse più così vera, importante.
La mia mente si stava annebbiando sempre di più, oramai ero ad un passo dal buio totale.
 
 
 
 








 
 Non so quanto passò, prima che mi svegliassi, in mezzo alla radura.
Aprii lentamente gli occhi, accecata dalla luce e frastornata.
« Io le avevo detto di non farlo » disse qualcuno. Riconobbi subito la voce.
« Stai zitta Sarah » gracchiai portandomi una mano alla gola. « Ah, allora parli » rise Emmett.
Cercai di mettermi a sedere, ma non appena feci leva sulla mano sinistra cacciai un urlo. « Che succede? » Jake era accanto a me, preoccupatissimo.
« La mano » risposi sostenendomi con l’altra. Carlisle, anche lui lì accanto a me -come tutti del resto- me la prese con delicatezza, la mano fredda era un sollievo per il dolore. « E’ rotta » diagnosticò.
« Ma dai… » dissi con espressione ovvia. Lui sorrise divertito. « Basterà una steccatura, non è grave ». 
Annuii, non molto interessata. « Victoria? » domandai.
« Ci ho pensato io » si fece avanti Emmett. « Sono arrivato appena in tempo », si fece cupo, « stava per ucciderti ».
Sentii un brivido freddo attraversarmi la schiena e subito dopo calore. Jacob mi aveva abbracciata e mi stringeva forte. Per la prima volta fui io a consolare lui. Gli carezzai la schiena. « Ehi » risi, « sto bene » lo rassicurai.
Lui sciolse l’abbraccio per guardarmi negli occhi. I suoi luccicavano. « mi dispiace », sussurrò, « mi dispiace tanto, Mel ».
Capivo cosa voleva dire, di cosa si stava scusando. Si sentiva in colpa perché non c’era stato a proteggermi, perché non era stato lui a salvarmi. « Non importa, Jake », lo rassicurai. « è passato ».
Quello era il mio chiodo fisso in quel momento. Victoria era morta, i neonati anche. Eravamo tutti sani e salvi. Era finita.
Sembrava incredibile ma era così.
« Mi dispiace deluderti, Mel » ci interruppe Edward. Aveva evidentemente letto nella mia mente. « ma ancora non è finita ».
Io aggrottai le sopracciglia, come a chiederne il perché.
A rispondermi fu Alice. « I Volturi stanno arrivando » disse con voce dura.
Solo adesso avevano deciso di farsi vivi? Bella faccia tosta, sì.
I lupi dovettero tornarsene a casa – i Volturi non avrebbero rispettato la tregua con loro – e noi ci disponemmo in fila, in attesa che entrassero nella radura. « Ali, quanto manca? Voglio andare a casa » oramai scalpitavo. La mano mi faceva male, e trovavo tutto questo estremamente stupido.
« Abbi pazienza » mi sussurrò Edward ad un orecchio. Lo fulminai con lo sguardo.
Ne ho avuta fin troppa! Mi sono rotta una mano per colpa loro! Se si fossero occupati di questa cosa…
« Eccoli », Alice interruppe la mia conversazione mentale con Edward.
Cercai di ricompormi, per quanto difficile.
Ancora poco, Mel, e poi potrai andartene a casa, pensai.
« E di lei, cosa pensi ne faranno? » domandai sottovoce a Edward riferendomi alla ragazza alle mie spalle.
Carlisle aveva risparmiato una dei neonati perché aveva rinunciato a battersi. La ragazza si dondolava in su e in giù, a sedere in terra. Sembrava un’indemoniata, con gli occhi rossi e le unghie conficcate nel terreno. « Non lo so » rispose secco Edward.
« Le avete solo prolungato l’attesa. Jane la farà fuori subito » dissi sprezzante.
Avevo visto Jane solo nei ricordi di Edward e Bella, e già non la sopportavo. Nessuno la sopportava. Solo che erano tutti troppo vigliacchi per ammetterlo. E come biasimarli? Se dici qualcosa ti frigge…
« Dai Mel, facciamo anche questa », sospirai.
Dei mantelli rossi emersero dal buio del bosco, facendomi rabbrividire. 












Elly's space:

Avrei tante cose da dire su questo capitolo, ma sono di fretta.
Per cui vi chiedo solo di recensire, perchè davvero ci ho messo passione. :)

Grazieeeeeeeee!

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Capitolo 32
*** La scelta giusta ***








Eccomiiiii! :) Dopo una lunga, ma che dico lunga, estenuante, attesa, sono tornata.
Non so se a qualcuno è rimasta ancora un briciolo di voglia di leggermi, ma spero di sì.
Scusatemi se è così tanto che non aggiorno, ma ero talmente presa dalla scuola e poi dalle mie altre ff ( una in particolare... ) che non ho più scritto nulla. E ogni volta che ci provavo, non sapevo da dove iniziare. Poi un pomeriggio una mia amica mi ha detto, in modo un pò brutale e per l'ennesima volta, che non mi avrebbe fatto male aggiornare anche questa. ( Lei odia l'altra ff che sto scrivendo ), e così ho scritto di nuovo. Ma non perchè lei volesse, solo per dimostrare che non sono monotematica, ma ho i miei tempi, tutto qui.
Per questo voglio dedicare questo capitolo all'unica persona che in tutto questo tempo non mi ha pressata nè mi ha detto nulla dei miei altri interessi, anzi si è dimostrata interessata e gentile.
Questo capitolo è per te Cate. Ti voglio tanto bene e sono contenta che tu ci sia anche nei momenti più bui. :)










Tre figure apparentemente insignificanti si avvicinarono minacciose.

Riconobbi subito Jane e gli altri due alle sue spalle: Felix e Demetri.
Jane si fermò davanti al falò ancora acceso, lo guardò con sguardo vacuo e poi si rivolse verso di noi. « Avete fatto davvero un ottimo lavoro », acconsentì, « non ho mai visto una famiglia uscire completamente illesa da un attacco di questa portata ». Sembrava quasi dispiaciuta che fossimo ancora vivi, e probabilmente era davvero così.
« Sapete dirci quanti erano? » domandò subito dopo.
Edward rispose con tono freddo, distaccato.«Venti, la creatrice compresa »
Jane annuì leggermente. Poi si interessò della ragazza alle mie spalle.
« E lei? » domandò con tono neutro, ma più irritato di prima.
Stavolta fu Carlisle a parlare. « Si è arresa. Ha rinunciato ad attaccarci, perciò non mi è sembrato il caso di eliminarla. Ma sta a voi decidere.
Nessuno le ha mai insegnato niente. » spiegò. Felix e Demetri si scambiarono un’occhiata fugace.
« Ciò e irrilevante », insistette Jane.
« Come credi ».
Per un attimo vidi la sua espressione cambiare, mentre porgeva i saluti di Aro a Carlisle. Finzione. Pura e semplice finzione. Ci ero così abituata che la riconoscevo a chilometri di distanza.
Dopo quei brevi convenevoli, tornò a scrutare la ragazza.
« Tu » disse con voce aspra, « Dimmi come ti chiami ».
La neonata non rispose, le labbra ben strette e lo sguardo minaccioso.
Jane la ricambiò con un sorriso che poteva parere angelico, ma che io riconoscevo bene.
Uno strillo acuto rimbombò nella radura. Il corpo della ragazza s’inarcò in una posizione distorta di sofferenza.
Stinsi i denti per contrastare la voglia di colpire Jane. « Resisti », mi sussurrò Edward impercettibilmente. Strinsi i pugni e obbedii.
Finalmente le urla cessarono.
« Dimmi come ti chiami », ripeté inflessibile.
« Bree », tossì lei stremata. Il millesimo del mio cervello che ancora riusciva ad essere ironico mi ricordò che quello era il nome del mio formaggio preferito, e per mezzo secondo le mie labbra ebbero un movimento millesimale verso l’alto.
Jane chiese conferma di quanto raccontato da Edward e Carlisle alla vampira, poi domandò chi l’avesse trasformata e cosa le avessero raccontato per convincerla a combattere. Lei rispose impaurita, forse illudendosi che quello sarebbe servito a salvarla. Ma io sapevo bene che non era così.
Carlisle e Edward provarono inutilmente a difendere la ragazza, promettendo di occuparsi di lei e di insegnarle il dovuto, ma non servì a nulla. « Noi non diamo seconde possibilità », chiarì Jane impassibile.
Prima di emanare il giudizio finale, però, il suo sguardo si posò su me e le ragazze.
 « Loro? » domandò sul piede di battaglia. Si avvicinò a noi, come a scrutarci meglio. « Non sono umane » disse con tono sorpreso.
« Sento il loro cuore battere e nelle loro vene scorre sangue, ma c’è come una strana aura… » sembrava indecisa.
 « Siamo streghe », affermai con spavalderia improvvisa.
 Lei sembrò meno sorpresa di quanto avrei voluto. « Streghe? » 
« Sì. Possiamo dimostralo » mi affrettai a dire. Jane fece cenno d’assenso, e a turno ognuna di noi fece un incantesimo come testimonianza.
« Stupefacente », disse alla fine.
Carlisle parlò dopo di lei. « Sono sicuro che questa… “razza”, non ti è nuova. Anche loro, come noi, devono mantenere il segreto. Le loro regole sono dure almeno quanto le nostre ».
« Aro te lo confermerà », aggiunse. Jane annuii senza dire altro. Eravamo fuori pericolo, dunque. Carlisle mi aveva detto che i Volturi avevano già avuto a che fare con le streghe e che non ci sarebbe stato nessun problema con loro, ma non pensavo che sarebbe stato così semplice. Ma forse c’era una spiegazione più semplice a tutto questo: Jane aveva altro a cui interessarsi.
« Lo stesso non si può dire di lei, invece », aggiunse voltandosi verso Bella.
« A Caius farà molto piacere sapere che sei ancora umana. Magari deciderà di farvi visita », minacciò.
Alice però intervenne prontamente. « La data è decisa. Può essere che tra qualche mese saremo noi a farvi visita ». Jane non parve contenta, ma non obbiettò. Di nuovo, guardò Bree. « Occupatene tu, Felix », ordinò.
« Voglio tornarmene a casa ».
Serrai gli occhi, ma non potei fare a meno di sentire. Un urlo acuto e poi il silenzio, spezzato dal rumore di strappi e lacerazioni nauseanti.
Un forte odore si diffuse di nuovo quando buttarono i resti nel fuoco.
 « Venite », disse Jane.
Alzai lo sguardo appena in tempo per vedere i mantelli rossi che scomparivano nella foresta, così come ne erano emersi.
 
 
* * *
 
 
« Credevo che quella distratta fosse tua cugina », commentò Charlie indicando la mia mano.
« Non posso credere che tu sia caduta dalle scale », continuò imperterrito.
Volevo levarmi una scarpa e lanciargliela, ma mi trattenni.
« Eh già... » finsi malissimo. Non ero abituata a doverlo fare. A casa mia tutti sapevano che ero una strega, non dovevo inventarmi stronzate per coprirmi quando mi facevo male cadendo dalla scopa. Per di più se era per salvare il culo a sua figlia – che tra parentesi gli diceva una balla dopo l’altra -.
Non ti sembra di essere un po’ dura?Rieccola, la mia odiosissima coscienza.NO, per nulla.
Ultimamente mi giravano le scatole, lo ammetto. Ma sapevo che sarebbe passato presto.
« Carlisle deve avere una grande pazienza con voi, ragazze mie… »
Cos’è, Charlie aveva deciso di diventare simpatico tutto d’un colpo?
« Charlie è la prima volta in vita mia che mi rompo qualcosa », dissi con tono scocciato. Lui mi guardò leggermente storto, ma non rispose.
Sospirai, sentendomi un po’ in colpa. In realtà tutta quell’agitazione aveva un motivo preciso: il college.
Avevo mandato richiesta d’ammissione a varie università, e la versione ufficiale era che ancora non avevo ricevuto nessuna risposta, ma non era così. Il pensiero della battaglia mi aveva tenuta impegnata, ma adesso che non avevo più quello a cui pensare era arrivata l’ora di fare i conti con la realtà.
Solo mia madre sapeva della lettera che era arrivata qualche giorno prima da Yale, non ne avevo ancora parlato con nessuno. Insomma, il Connecticut non è proprio dietro l’angolo…. Ma Yale. Un’università così di prestigio… stavo sinceramente valutando l’idea da tanto, troppo tempo oramai. Per non dire che i miei genitori sarebbero stati così contenti se avessi accettato...
Yale era vicina a loro, e avrebbero potuto farmi visita spesso. Ma andare a studiare così lontano voleva dire lasciare Jake. E una relazione a distanza… non ero sicura che avrebbe potuto funzionare.
Così da giorni mi stavo tormentando cercando di prendere la decisione migliore, ma non era facile. Non lo era affatto. E intanto, dovevo cercare un modo per dirlo a Jake…
 
* * *
 
« Mel, va tutto bene? » mi chiese Jacob scostandomi una ciocca dal viso.
Sedevamo sulla sabbia asciutta davanti ad un grande falò acceso, mentre gli altri Quileute ridevano e scherzavano poco distante.
« Sì, si… » annuii senza troppa convinzione.
Mi guardò male, prima di ribattere. « Non è vero, sputa il rospo. Lo so che c’è qualcosa che non va ».
« Se lo sai perché me lo chiedi? » risposi stizzita. Mi pentii subito di averlo trattato male, mentre abbassava la testa e si zittiva.
« Scusa, è che sono nervosa ». Mi guardò perplesso, e ne aveva tutte le ragioni.
« Perché? La battaglia è finita, Victoria… », lo interruppi mentre parlava, come facevo quando ero nervosa.
« No, non è per quello ». Lui non parlò, aspettando in silenzio che dicessi quello che dovevo.
« Ho ricevuto una lettera da Yale, qualche giorno fa. Mi hanno ammessa ».
Aggrottò le sopracciglia scure, dispiaciuto. « Perché non me lo hai detto? »
« C’era la battaglia a cui pensare », fu tutta la mia spiegazione.
« E ci andrai? » domandò con un velo di paura nella voce.
« Non lo so, non ho ancora deciso… » ammisi a sguardo basso.
Da una parte avrei voluto correre a casa a fare i bagagli per andare a coglier quella sorprendente opportunità, mentre dall’altra…
« Vai », disse quasi come un ordine. Alzai la testa sorpresa. « Jake io non voglio lasciarti… » una lacrima rigò la mia guancia mentre lo dicevo.
« Mel è giusto così », mi rassicurò, « Questa è la tua vita, e devi viverla al meglio. Non posso pretendere che tu resti qui con me per sempre ».
Lui era molto razionale, vedeva le cose dalla prospettiva giusta.
« Ma il Connecticut è lontano, io… », mi posò due dita sulla bocca per non farmi ribattere. « Tu ci devi andare. Fallo per me », chiese con occhioni da cucciolo.
« E’ la richiesta più assurda che io abbia mai sentito », borbottai contro il suo dito. Lui rise della mia espressione.
« Non dico che sarà facile, è pur sempre una relazione a distanza. Ma sapevamo entrambi che prima o poi sarebbe accaduto ». Lo disse con una forza quasi dolorosa. Sembrava che l’idea di separarci non lo ferisse quanto lo stava facendo con me, ma sapevo che non era così. Che lo faceva solo per apparire sicuro di sé e convincermi ad andare.
« Già. Solo che non è facile… » dissi un po’ scontata.
Lui mi guardò negli occhi, valutando bene le parole prima di parlare.
« Ti amo, Melanie Wincert. Non dimenticarlo mai. Qui o dall’altra parte del pianeta, io ti amo » e concluse sostituendo le dita con le sue labbra.
Gli circondai il collo e lo strinsi forte a me, petto contro petto.
« Anche io ti amo, Jacob Black » gli sussurrai all’orecchio prima di sciogliere l’abbraccio.
Un piccolo pensiero si inoltrò però nella mia mente, fastidioso e continuo.
Ma non so se basterà.
 
* * *
 
Avevo dato la notizia agli altri la sera in cui avevo parlato con Jacob, ed erano stati tutti contentissimi per me. Bella ed Edward sarebbero andati a Darmouth – perlomeno questa era la versione ufficiale dei fatti – così come Alice, mentre Angela, Ben e gli altri si accontentavano delle università più vicine.
Sapevo che quello non era affatto un addio, ma un arrivederci. Sarei comunque tornata per Jake, Seth e gli altri, e anche per Charlie.
Io sapevo che era questione di poco prima che Bella venisse trasformata, ma lui non sospettava nulla, o quasi. Bè, qualcosa sapeva.
Il matrimonio. Quella era un’altra notizia che era arrivata come una bomba per il povero Charlie. Tutto sommato però l’aveva presa bene. Non aveva nemmeno provato ad uccidere Edward – o l’aveva fatto e io non ne sapevo niente -. La sua unica minaccia verso Bella era stata “ Devi dirlo tu a Reneè! “, minaccia che era andata a vuoto, visto che quest’ultima ci aveva sorpresi tutti con un “ Finalmente! “dicendo addirittura che se lo aspettava.
In ogni caso, la data era fissata. Dopo il matrimonio sarei partita subito per l’università, e probabilmente sarei rimasta nel Connecticut almeno fino a Natale, prima di poter rivedere Jake.
Ma come aveva detto lui quella era la mia vita, e dovevo scegliere per il futuro. Eppure c’era sempre quella strana sensazione… che non riuscivo a spiegare. Sarà solo suggestione, mi suggerì la mia coscienza.
Già, solo suggestione…o forse no? 

 

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Capitolo 33
*** Matrimonio - Epilogo ***



 

 

Dedico questo capitolo a Caterina, perchè è sempre pronta ad ascoltare le mie lamentele, nonostante tutto e tutti, a Irina, perchè non si sa come l'ho convinta a leggere, e a Fiamma, perchè in fondo in fondo, glielo devo. :)
 







« E’ davvero bello, Alice » la ringraziai mentre tirava su la cerniera lampo del mio vestito con delicatezza e velocità.
« Lo so. E’ perfetto per te » disse rimirandomi nel lungo specchio appeso alla parete.

Mi voltai per darle un abbraccio delicato, senza stropicciare i nostri vestiti.
Bella era seduta sulla sedia del bagno da diverse ore, e mi chiedevo come facesse a non farle male il sedere. Ma probabilmente era troppo agitata per pensarci, e non le davo torto. Con l’abilità che aveva lei a tenersi in piedi, poi, lo strascico e i tacchi che aveva scelto per lei Alice mi sembravano un vero attentato alla sua salute. Ma avevo imparato a tenere per me le mie impressioni, e mi limitai a rassicurare mia cugina con un sorriso, poco prima che prendesse a braccetto Charlie e iniziasse la discesa lungo la scalinata.
Ovviamente ero una delle damigelle, assieme ad Alice. Le mie amiche avevano accettato di ripartire assieme a me, la mattina dopo, così avrebbero potuto partecipare al matrimonio.
Sarah, così come Olivia, avevano ricevuto risposte positive da tutte le università alle quali avevano mandato domanda, così, dopo lunghe meditazioni, entrambe avevano scelto Harvard. Certo, avrebbero potuto scegliere Yale, ma le loro famiglie erano molto legate a Harvard, avevano una specie di tradizione, o giù di lì.
Katia invece sarebbe venuta a Yale con me, fortunatamente. Ero contenta che almeno una delle mie migliori amiche sarebbe stata con me, già sapevo che i prossimi mesi sarebbero stati duri e che avrei avuto bisogno di qualcuno con cui confidarmi.
Irina invece… quando me l’aveva detto non ci avevo creduto. Chiunque la conoscesse un minimo sapeva bene come era fatta. Aveva una grande dote che a me mancava: si metteva sempre al primo posto. E faceva bene. Non che non pensasse agli amici, o alla famiglia, solo che era difficile che mettesse gli altri prima di se stessa. Lo faceva solo con le persone più strette, come me, le ragazze, i suoi genitori… e Lee.
Non era il tipo che ti manifesta cosa prova con dimostrazioni d’affetto, ma io e le ragazze sapevamo quanto ci voleva bene, e io sapevo quanto ne voleva a Lee.
Ci voleva la sua dose di esperienza per capirlo, ma io lo vedevo. Nel modo in cui i suoi occhi sembravano inumidirsi quando parlava di lui. Era così dolce in quei momenti…lei mi avrebbe sicuramente presa in giro se glielo avessi detto, ma la trovavo davvero dolce.
Fatto sta che avevo avuto la conferma delle mie supposizioni proprio qualche giorno prima, quando Lee l’aveva chiamata dicendole che aveva ricevuto una borsa di studio per Oxford, in Inghilterra. Irina aveva pensato alla Brown e Yale, ma dopo quella telefonata, aveva cambiato radicalmente i suoi piani. Adesso Oxford era la sua futura casa, l’unico posto dove sapevo sarebbe mai potuta andare. Non l’avrebbe mai ammesso, ma era in quei momenti che mi rendevo conto di quanto amasse quel ragazzo. Per cui rimanevamo io e Katia.
« Che brutto quando bisogna lasciarsi », mormorò sovrappensiero lei mentre eravamo a sedere sulle scale, tutti che ballavano.
« Sono così contenta che Irina e Lee non debbano farlo », aggiunsi.
« Però mi dispiace che se ne vadano così lontani! Non potremo vederci spesso… » disse mogia.
« Non è così grave. Ci vedremo per le feste. E poi, a Yale non avremo molto tempo per uscire, quindi in ogni caso… » in realtà sapevo che avrei sentito la loro mancanza, ma sapevo anche che non era così terribile come appariva adesso.
« Tu e Jake, invece… »
Quello sarebbe stato senz’altro più difficile, è vero. Una cosa è coltivare l’amicizia a distanza, un'altra è l’amore. E quello è senza dubbio più difficile.
« Sarà difficile », fu tutto ciò che riuscii a dire. Sapevo che se avessi detto di più mi sarei messa a piangere, e non volevo. Dovevo essere forte, per una volta.
« Ci sono io con te », mi rassicurò cingendomi le spalle. « Lo so ».
Poggiai la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi per raccogliere le forze necessarie a superare il resto della serata.
 
 
 
Al matrimonio era stata invitata un sacco di gente, compresi i lupi e il clan di Denali. Quelle tre non mi stavano molto simpatiche a dire il vero, ma mi finsi ugualmente cortese e sorrisi leggermente quando Tanya mi porse la mano.
Passai la maggior parte della serata con le mie amiche e Angela, che continuava a guardarsi intorno con aria stupefatta. Alice era impegnata a dirigere la serata e schizzava da una parte all’altra della casa di continuo, come una piccola trottola.
Dei lupi erano venuti solo Seth, Quil, Embry e Jake, e solo Seth sembrava perfettamente a suo agio. Quil ed Embry erano visibilmente all’erta, mentre Jake teneva d’occhio le cugine di Denali con fare sospetto.
Vedere ballare Bella e Jake, poi, era uno spettacolo orrendo. Non facevano altro che dondolarsi da un piede all’altro, così come aveva fatto Charlie.
Una cosa orripilante, da non ripetere mai più.
Verso fine serata la stanchezza cominciava a farsi sentire, così mi sedetti sulle scale, poggiando la testa al corrimano e chiudendo gli occhi.
« Sonno? » domandò Jake sedendosi accanto a me. Annuii debolmente spostando la testa sulla sua spalla, decisamente più comoda.
« Sei preoccupato per Bella, vero? »
Lui meditò un attimo, la mascella tesa. Fece un profondo respiro e rispose.
« Perché vuole diventare un mostro? » domandò quasi più a se stesso che a me, « tu che sei sua cugina lo capisci? » mi guardò speranzoso, sperando in una specie di illuminazione da parte mia.
« Sì, lo capisco », ammisi.
Ma tanto sapevo che non l’avrebbe mai potuto capire. Per lui, come per Edward, era la sicurezza ciò che contava di più. Ma Bella non lo faceva per i Volturi, né per non invecchiare. Era così difficile da capire?
« Lei vuole passare il resto della sua vita con lui », dissi semplicemente,
« e questo è l’unico modo che ha per farlo ».
Jacob mi guardò sbalordito. « Potrebbe farlo comunque. Tanto una volta che lei sarà morta anche lui si farà ammazzare », disse quasi compiaciuto.
Lo guardai male prima di ribattere.
« Jake, proprio non vuoi capire? Mettiti nei suoi panni. Sarebbe egoistico volere che lui passi la sua vita con lei mentre invecchia, e poi sapere che dovrà morire anche lui. Io ho provato a vederla dal suo punto di vista, e se al suo posto ci fossi tu… non lo permetterei mai. Per cui, se c’è un’alternativa… fa bene a sceglierla ». Lui già sapeva che appoggiavo Bella in pieno nella sua scelta, per cui era inutile che tentasse di dissuadermi.
« Per cui a te non fa nessun effetto sapere che tua cugina tra poco diventerà un vampiro e che probabilmente ti vorrà uccidere? » chiese pieno di rabbia.
« Non credo sarà così. Non credo che vorrà mai uccidere o me o te ».
Mi guardò poco convinto, poi spostò lo sguardo altrove.
« Non sarà più la mia Bella », sussurrò con amarezza e dispiacere.
Gli posai una mano sulla spalla, cercando di confortarlo.
« Invece sì. Sarà sempre lei, solo molto meno imbranata », scherzai, ma lui non parve cogliere l’ironia.
Nonostante questa piccola nota scura, però, il matrimonio fu idilliaco.
La bravura di Alice nell’organizzare eventi era davvero sensazionale e mi congratulai con lei.
Ci fu un gran baccano alla fine, mentre gli sposi uscivano sommersi da orde di riso tra gli applausi di tutti e si dirigevano alla macchina.
La meta della luna di miele era sconosciuta a tutti, soprattutto a Bella.
Sapevamo solo che avrebbero preso un aereo, ma non era un grande indizio.
Mentre Bella salutava tutti tra le lacrime generali, sentii un nodo allo stomaco. In fondo un po’ Jacob aveva ragione: quella era l’ultima volta che avrei visto le guance di mia cugina arrossarsi, l’ultima volta che l’avrei vista inciampare o piangere, e un po’ mi rattristava. Ma in fondo tutti nella vita dobbiamo rinunciare a qualcosa, e lei l’aveva fatto. Ma come diceva sempre, quello che avrebbe ottenuto in cambio era molto di più.
« Mi raccomando, non ti dimenticare di noi mentre sei a Yale », mi sussurrò nell’orecchio mentre mi abbracciava.
« Tranquilla, non lo farò mai »
Edward mi abbracciò subito dopo di lei. « Non fare sciocchezze mentre non ci siamo », scherzò.
« Farò il possibile », risposi a tono.
Salirono in macchina insieme a tutto il riso che avevano tra i capelli dopo i formidabili lanci di Emmett e partirono, scomparendo nel buio della notte.
 
 

Vestito Melanie: http://www.polyvore.com/matrimonio/set?id=29047201 
                                                        

                                                           * * *
 
 
Guardai un ultima volta la casa con sguardo affranto, mettendo anche l’ultima valigia nel taxi. Stavolta avevo rifiutato di farmi accompagnare; prima mi separavo da loro e meglio era. Prolungando l’attesa avrei solo aumentato la difficoltà della cosa. Nonostante non volessero ammetterlo, anche le mie amiche erano dispiaciute di doversene andare, ma soprattutto lo erano per me. E io odiavo essere compianta, per cui cercavo di mostrarmi forte.
Alice mi saltò al collo con veemenza, abbracciandomi stretta. Vedendo la sua espressione capii che avrebbe pianto, se solo avesse potuto farlo.
« Non pensare di liberarti di me così facilmente », minacciò in un sorriso.
« Certo che no, ti obbligherò a farmi visita », risi tirandole una gomitata scherzosa nelle costole.
Charlie mi abbracciò con la sua solito impaccio e mi augurò buon viaggio, così come gli altri.
Gli abbracci migliori furono quelli dei Quileute, specialmente quello di Seth, caldo e amichevole.
« Torna a trovarci presto », disse Quil dandomi una pacca sulla schiena.
Passai da un paio i braccia all’altro, fino a che non trovai quelle che aspettavo di più. Jake mi strinse forte a sé, accarezzandomi i capelli e respirando nell’incavo del mio collo, facendomi venire i brividi.
« Mi mancherai da morire » sussurrai mentre le lacrime rigavano le mie guance. Sapevo che tanto prima o poi avrei pianto. Almeno l’avevo fatto solo una volta. Era già un bel traguardo.
« Tu di più », ripose tristemente. « Conterò i giorni », scherzò.
Mi guardò negli occhi per un tempo infinito, come a volersi imprimere bene nella mente quell’immagine e mi baciò delicatamente, ma con passione. Cercavo di godermi ogni istante di quel bacio, perché per molti mesi avrei dovuto farne a meno, e sapevo che sarebbe stato molto difficile.
Quello fu il saluto più triste di tutta la mia vita, ma per qualche motivo sentivo che avrei dovuto esserlo molto di più. Ma quella strana sensazione non accennava ad andarsene… cercavo di non pensarci.
Salii sul taxi assieme alle mie amiche e mi voltai per guardare cosa mi lasciavo alle spalle, mentre l’auto scivolava sulla strada bagnata.
 
 
                                                              * * *
 
 
Erano passate solo due settimane da quando Melanie se n’era andata da Forks, quando aveva ricevuto una chiamata da Alice.
Edward e Bella erano tornati dalla luna di miele in anticipo a causa… di qualcosa.
Sembrava che Bella avesse riscontrato una specie di… gravidanza accelerata. Carlisle stava studiando il caso, e ogni giorno Alice chiamava Melanie per aggiornarla sullo stato di sua cugina, ma purtroppo lei non poteva muoversi. Non poteva tornare a Forks, per cui doveva accontentarsi delle telefonate, almeno fino a che non fosse stato possibile allontanarsi dall’università. Si sentiva spesso anche con Jacob, che ogni volta le pareva sempre più nervoso e preoccupato.
Per questo motivo aveva deciso che non appena avesse dato l’esame che stava preparando si sarebbe assentata per un po’, in modo da poter tornare
Almeno per la data entro la quale era previsto il parto. La gravidanza invece di nove mesi sarebbe durata intorno ai tre, ma sempre abbastanza da permettere a Melanie di assentarsi dalla scuola.
Inizialmente Carlisle e Edward erano caduti nel panico più totale, non conoscendo il processo di sviluppo dell’embrione, ma Melanie era riuscita, anche grazie alle conoscenze dei suoi vecchi professori, ad ottenere qualche informazione in più, anche se non molte.
Per questo, Edward, sotto consultazione di Carlisle, aveva deciso che l’unico modo per salvare Bella era trasformarla subito dopo il parto, che sarebbe potuto essere devastante.
Ma quello non era l’unico problema: tra i lupi c’erano adesso due fazioni, perché l’essere che Bella portava in grembo era qualcosa di sconosciuto, e pertanto secondo Sam andava eliminato. La cosa creava non poche tensioni, e strane dinamiche nel branco, ormai diviso.
Ma c’era anche dell’altro…
 
 
Yale, Connetticut, Primo giorno.

 
« Wow. E’ davvero bellissimo » disse Katia con la bocca aperta, mentre si guardava in giro.
« Cosa ti aspettavi? Con la retta che paghiamo… » risposi un po’ cinica.
Lei fece finta di nulla, mentre continuava ad ammirare lo splendore generale.
Ora che me lo faceva notare, era davvero molto chic. Le finestre erano coperte dai rampicanti, il parco intorno immenso e verde, pieno di alberi sotto i quali sedevano gli studenti. Gli alloggi erano intimi, le aule grandi e l’edificio d’epoca. Era davvero molto bello.
Mentre contemplavo la bellezza di tutto ciò una voce interruppe i miei pensieri.
Il cuore mi saltò in gola mentre mi voltavo verso quello che ne era il proprietario.
« Ehi! Melanie, Katia, che piacere vedervi! » Jensen ci salutò con naturalezza.
« Il piacere è tutto tuo », sputò tra i denti Katia, sorpresa quanto me.
« Sempre molto carina, Kat », le rispose con quel suo solito fare arrogante e scherzoso.
Io lo fissavo ancora allibita. « Cosa ci fai qui? » la mia voce uscì con un non so che di terrorizzato.
« Mi pare ovvio, no? Ci studio », rispose con il suo solito sorriso sghembo.
Odiavo quel sorriso. Così arrogante, ma anche così terribilmente sexy.
« Fino a qui c’ero arrivata, ma credevo che fossi andato a quella di New York »
Lui fece spallucce. « Ho cambiato idea », disse semplicemente.
Aveva cambiato idea. Tutto qui.
E così, per un’ idea cambiata, mi ritrovavo a dover passare i prossimi mesi, e forse addirittura i prossimi anni, con lui. Certo, l’università era molto grande e probabilmente lo avrei incontrato al massimo un paio di volte al giorno, ma il solo sapere che lui era lì, mi innervosiva.
« Scusate, ma adesso ho una lezione. E’ stato bello rivederti, Mel » mi sorrise esi allontanò, salutando Katia con un cenno.
Mentre Jensen se ne andava mi voltai a guardarla. Era palesemente arrabbiata dopo quell’incontro. Scosse la testa e io sospirai.
Sarebbe stato un lungo, lunghissimo anno. 






Spazio dell'autore:

Eccomi qua! Non so se l'avete capito, ma questo è il nostro ultimo capitolo.

Ma non siate tristi, perchè a breve inizierò il seguito di questa storia, che sarà ancora più intricato e pieno di sorprese, quindi leggetelo!!
Volevo ringraziare tutte le persone che mi hanno sostenuto e incitato a continuare questa storia, tutte quelle che mi hanno recensito o messo nei preferiti, seguiti ecc...
E volevo ringraziare le mie amiche, che mi hanno ispirato i personaggi di Irina, Katia, Olivia e Sarah.  Nonostante a volte vi voglia strozzare ragazze, non avete idea del bene che vi voglio. :)
E per finire, cosa ne dite di lasciarmi una piccola recensione dicendomi cosa vi è piaciuto e cosa no di questa storia? Cosa avreste cambiato, come l'avreste fatta finire... tutto quello che volete.
Detto questo vi saluto, ma vi aspetto con il seguito di questa FF, molto molto presto!
Un bacio, Ellie.

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