Here I Am
III°: Ora il mio corpo respira con te ~
Probabilmente
fu la pioggia a svegliarla. Quelle piccole e lente gocce che cadevano sul suo
corpo avevano avuto l’effetto di una spiacevole sveglia. Nami si
ritrovò per terra, coricata su un lato come se si fosse addormentata nel
suo letto.
C’era
silenzio e, da quella posizione, lei riusciva a vedere soltanto una distesa di
terra. Sembrava che l’avvolgesse il nulla, non c’era nulla a parte
la terra e i sassi che si univano al cielo plumbeo. Fissando il cielo, si
accorse che pioveva.
Lentamente
prese anche coscienza del fatto che la pioggia le aveva inzuppato il corpo come
un pulcino e che continuava a picchiettarla.
Devo alzarmi.
Ma non ne
aveva la forza. Era come essere in un sogno, nessuna parte del suo corpo le
doleva e quella pioggia leggera aveva quasi l’effetto di una ninna-nanna.
Non aveva
idea di che giorno fosse, né perché avrebbe dovuto alzarsi quando
quella posizione la rilassava tanto.
Sorrise
debolmente chiudendo gli occhi.
No, non c’è motivo che io
mi alzi. Vorrei riposare qui ancora qualche minuto.
Si sarebbe
addormentata se il fragore violento di un tuono non l’avesse fatta
sobbalzare- Nami, istintivamente, alzò la testa leggermente e in quel
momento fu come se i tuoni e i lampi iniziassero a far rumore nella sua testa.
Rufy esplose
con veemenza dentro di lei e così tutte le motivazioni che
l’avevano portata in quel bosco.
Non poteva
assolutamente dormire, doveva salvare Rufy.
Si
alzò di scatto dalla terra e il paesaggio intorno a lei mutò in
un istante.
Al posto del
totale nulla che vedeva prima – che credeva di aver visto – era
ricomparsa la costruzione in pietra.
Velocemente
tornò al punto in cui c’era Rufy, pregando che fosse anche quello
solo un brutto sogno.
L’ultimo
ricordo che aveva era lei accasciata sul corpo inerme di Rufy e
l’insistente gracchiare di quel maledetto corvo.
Poi
c’era il buio.
Poi iniziava
la speranza.
Arrivò
in quel punto esatto ma Rufy non era lì. Sapeva di non sbagliarsi,
l’immagine di Rufy le era rimasta impressa nella mente come una
fotografia, rimembrava perfettamente tutte le linee imperfette della terra in
quel punto e tutti i sassi che circondavano Rufy.
Lui era
stato lì.
[Sicura che ci fosse davvero?]
No, non ne
era per niente sicura. Ma doveva crederci o quei dubbi l’avrebbero fatta
impazzire. Convincendosi che Rufy fosse vivo – malridotto magari, ma vivo
– riprese a girare intorno alla costruzione di pietra in cerca di un
ingresso.
Nami non era
una persona che si abbandonava alle speranze, era realista, ma in quella
situazione in cui non sapeva neanche se fosse vera la terra che calpestava e la
pioggia che scendeva, le erano rimaste soltanto le speranze.
Doveva per
forza crederci ed aggrapparsi ad esse con tutte le forze.
Dopo aver
percorso qualche metro trovò una fessura nelle rocce, una specie di
porta. Si infilò dentro realizzando solo in quel momento quanto rumore
creasse la pioggia.
Era convinta
che tutto fosse in silenzio ma, invece, la pioggia creava un fragore talmente
forte che sembrava si fosse appena infilata delle cuffie.
Cominciò
a tremare violentemente, scossa da brividi. Era bagnata dalla punta dei capelli
alle unghie dei piedi, i suoi vestiti erano così zuppi di acqua che
pesavano 10 volte lei e aveva così freddo che sentiva le ossa gelarsi.
Si
spogliò della maglietta e della gonna strizzandole, per poi sedersi a
terra. Si rannicchiò a terra, tirando su le ginocchia al petto e
strofinandosi forte le braccia nel vano tentativo di trovare calore.
Restò
in quella posizione per un tempo, per lei, incalcolabile. Soltanto quando i
tremiti cominciarono a diminuire e la sensazione di gelo si andava affievolendo
riuscì ad alzarsi. I graffi, i lividi e le abrasioni che si era fatta si
fecero risentire tutti insieme e le sfuggì un gemito.
Osservò
meglio il posto in cui si era infilata. Era un spazio angusto, scavato in
quella costruzione di pietra, al centro si ergeva una piccola a scala a
chiocciola che saliva su verso un’apertura che conduceva in un altro
piano.
Si
infilò i vestiti umidi e decise di salire su per quella scala. Rufy
poteva trovarsi in qualche piano di quella torretta.
[Rufy o il suo corpo.]
Salì
piano le scale di legno che reggevano appena il suo peso, cigolando ad ogni
movimento. Dopo dieci scalini arrivò al piano superiore che
risultò essere pressoché identico a quello inferiore. Mura di
pietre e nessuna finestra, l’unica differenza era nel pavimento che,
invece di essere composto da terra e sassi, era di roccia.
Riprese a
salire la scala, arrivando stavolta al terzo piano. Fuori impazzava ancora la
pioggia ma lì dentro la sentiva come in lontananza. Anche questa stanza
era identica alle due precedenti ed inoltre ormai non vedeva più nulla
in quanto non c’era nessuna finestra e nessuna luce.
Nami
cominciò a perdere le speranze.
Forse Rufy
non era lì, forse era da tutt’altra parte e lei stava solo
perdendo tempo prezioso. SI girò lentamente, decisa a non proseguire la
salita.
Aveva
sentito che anche la pioggia sembrava essere cessata, in quanto il picchiettio
sui muri sembrava essere quasi scomparso.
Posò
un piede, cominciando la discesa.
Poi, però, lo sentì.
Sbarrò
gli occhi, fermandosi di colpo. Aveva sentito una voce. E non quelle che
sentiva da tutto il giorno ma era certa che fosse quella di Rufy. Conosceva
così bene la sua voce da essere capace di riconoscerla subito e di
capire immediatamente lo stato d’animo del suo capitano.
E quel tono
era quello di un Rufy solo e in pericolo.
Calmando i
battiti del suo cuore, tentò di razionalizzare la situazione.
Era davvero
la voce di Rufy?
Da quando
era entrata in quel bosco non aveva ancora capito cosa fosse reale e cosa fosse
un illusione. Sempre se non era
già tutta un’illusione.
In teoria e
per quello che aveva visto, Rufy era volato giù da un torre alta 5
metri. Ricordava di averlo scosso ma che lui non si fosse alzato né
mosso. E poi non c’era che il nulla.
Non sapeva
come aveva fatto a cadere addormentata di colpo, né dove fosse finito il
corpo di Rufy.
Eppure, a
dispetto di tutti quei ragionamenti logici, lei era certa di aver sentito la
voce di Rufy pronunciare il suo nome.
Si
girò nuovamente iniziando a correre su per le scale finché non
arrivò all’ultimo piano della torre.
Riprendendo
fiato notò la diversità di quella stanza rispetto alle appena
percorse. Questa aveva tre finestre e su ogni finestra era poggiata una
candela. Queste tre lucine illuminavano fiocamente la stanza e Nami ebbe modo
di vederlo finalmente.
Gettando un
urlo si inginocchiò vicino a Rufy che era con le spalle al muro e il
cappello di paglia fra le gambe.
Nami lo
scosse e, notando che non rispondeva, si fece prendere dal panico.
Gridò
il suo nome finché le lacrime non cominciarono a scenderle sulle
guancie. Respirò e, tremante di paura, avvicinò due dita al suo
collo.
E lo
avvertì.
Piano,
debole ma il suo cuore batteva. Era solo svenuto, da chissà quanto
tempo. La faccia era pallida, aveva numerosi tagli su tutto il corpo e i suoi
vestiti erano a brandelli, ma era vivo.
Lo
abbracciò sentendo il suo cuore che ritornava a battere normalmente.
Ora doveva
solo portarlo fuori da quel posto infernale.
Ascoltare il
suo respiro lento e regolare la riempiva di gioia.
Aveva
realmente temuto di perderlo, di vederlo morire. Le si era fermato il cuore
quando l’aveva visto cadere da quel dirupo. Lui non poteva farle una cosa
del genere.
Ora
c’era da decidere cosa fare.
Dovevano
uscire da lì e tornare alla nave il più presto possibile. Rufy
pareva non essere grado di riprendere coscienza quindi avrebbe dovuto portarlo
lei.
Era stremata
e stanca e non sapeva quanto l’avrebbe retto sulle spalle ma non poteva
fare altro.
Mettendosi
il suo cappello sulla testa – le aveva sempre dato molto coraggio sentire
la paglia nei suoi capelli – e tentò di caricarselo sulle spalle.
Fortunatamente
Rufy non pesava moltissimo ma nello stato in cui era, dopo due passi era
già stanca.
Mentre
scendeva le scale poi lo sentì muoversi e mormorare qualcosa piano.
«Rufy?
Mi senti, come stai?» chiese lei ansiosa.
«Nami… sei veramente tu? O sto ancora sognando?»
replicò lui aprendo piano gli occhi.
«Sono
io, Nami. E’ da ieri che ti cerco…»
«Scusami,
ho ricordi molto confusi al momento. Questa agalmatolite mi sta distruggendo, non riesco
ad usare i mie poteri e mi sento debolissimo.» disse lui con la voce
rotta.
Era la prima
volta che Nami sentiva la disperazione così chiara nella sua voce, la
prima volta che era effettivamente così indifeso e in pericolo di vita.
«Ci
sono io Rufy. Non temere. Non riesci proprio a camminare?» domandò
lei mentre piano piano erano arrivati alla fine della
scala.
Il temporale
si era calmato. Nami sperava solo di riuscire a ritrovare la strada da cui era
arrivata alla torre.
«Sì,
ci riesco.» esclamò lui tentando di scendere. Lei lo aiutò
e, per la prima volta, dopo che si era messo in piedi poté guardarlo
negli occhi.
C’era
tanta paura dentro. Rufy era terrorizzato.
Pregò
che quella non fosse un’illusione e gli appoggiò una mano sulla
guancia per constatare se era reale. Le sue dita toccarono il gelo dei suoi
zigomi e poi lei gli rimise il cappello sulla testa. Quello che aveva bisogno
di più coraggio era Rufy. Lui le strinse la mano, avvertendone il calore
e la vicinanza.
Non avrebbe
mai voluto mettere in pericolo la vita di Nami, il suo compito era di
proteggere tutti i suoi nakama, non quello di essere
protetto.
Ma, in quel
momento, che era stanco e provato, provò una sincera sensazione di
sollievo. Non era tutto perso, ce la potevano fare.
Faticava a
reggersi in piedi a causa dell’agalmatolite ma era lì dentro da
così tanto tempo che riusciva, anche se a stento, a sopportarla.
I due pirati
uscirono dalla torretta e si inoltrarono nella direzione che Nami indicava. Il
peggiore timore di Nami era rivedere quel corvo, sentiva come se incarnasse
tutti i mali di quell’isola.
«Tu
hai incontrato un corvo, Rufy?»
«Può
essere, i miei ricordi sono molto confusi. Credo di essere rimasto svenuto per
quasi tutto il tempo, tranne quando vedevo cose che non erano vere.»
«Hai
avuto delle allucinazioni? Anche io.»
I loro
discorsi furono interrotti dal gracchiare del corvo, che li osservava da sopra
un albero.
Sembrava che
volesse urlargli contro, scontento del fatto che si fossero trovati, che lei lo avesse trovato.
«Lasciaci
andare! Hai perso, l’ho trovato! Smettila di farci ancora del male!»
gli gridò Nami ricevendo in risposta un coro di voci che strillavano e
il corvo che volava lontano.
~
«Ha
smesso di piovere.» disse Brook appoggiato alla
finestra in cucina.
L’attesa
stava davvero logorando gli animi dei Mugiwara.
Rufy e Nami
erano scomparsi da ormai un giorno. Non potevano raggiungerli, non potevano
aiutarli. Sanji era ormai da ore fermo davanti a quei
maledetti alberi, sotto quella pioggia così impervia.
Nessuno era riuscito
a dormire e, a parte Zoro che era andato nella sua
torretta, gli altri erano tutti nella cucina, consci della loro
inutilità.
«Finalmente.»
rispose Robin alzandosi dalla sua sedia.
«Vado
nella mia stanza, è inutile stare tutti qui a vegliare. Se succede qualcosa…» disse Robin.
«Ti
avvertiremo.» concluse per lei Franky mentre
Robin annuiva.
Attraversò
velocemente il ponte della nave, mam entre stava per superare l’albero maestro
sentì il gracidio di un corvo provenire da vicino.
Alzò
lo sguardo verso la fonte del verso e vide un corvo appollaiato sul bordo del
ponte della nave che gracchiava.
Nel buio
riusciva a distinguere perfettamente i suoi occhi, gialli e lucidi. Sembravano
due pietre d’oro che si illuminavano nel buio della notte.
Robin
avvertì una sensazione angosciante al sentire del canto del corvo. Presa
da un terrore inspiegabile, urlò i nomi dei suoi compagni, senza
riuscire a smettere di fissare quell’animale.
Emanava
odio, dolore, paura.
Tutti si
precipitarono da Robin e, vedendola terrorizzata, temettero un attacco nemico.
«Robin!
Che hai? Sei ferita?» le chiese preoccupato Chopper.
Lei,
vedendoli lì vicino a lei, provò una sensazione di calore e
tentò di ritrovare la calma.
«Scusatemi.
Sto bene ma quel corvo…» rispose Robin
con voce fievole.
I ragazzi
sollevarono lo sguardo notando solo in quel momento l’uccello corvino che
aveva smesso di cantare e li fissava con quei suoi occhi gialli e demoniaci.
Le medesime
sensazioni che aveva sentito Robin furono immediatamente avvertite dagli altri,
anche se in maniera minore.
Franky reagì e si avvicinò di scatto al corvo che si librò
nell’aria.
«Dobbiamo
ucciderlo.» sussurrò Usopp guardando il
corvo volare sopra le loro teste con quegli occhi gialli con cui li fissava.
«Usopp?» chiese Chopper guardando l’amico con
sguardo preoccupato. Non era da lui fare quel genere di affermazioni
così nette ed autoritarie.
«E’
malvagio Chopper. Non lo senti anche tu?» rispose Usopp
con voce ferma.
«Sì
che lo avverto. Ma tu dici che dobbiamo ucciderlo?» domandò la
piccola renna.
«Sì.»
dichiarò il cecchino inforcando la sua arma, il Kabuto.
«Stella di fuoco!»
~
Nami si
tappò le orecchie mentre Rufy la guardava, sorpreso dal suo gesto.
«Ma tu
non le senti queste voci che gridano?»
Rufy le mise
anche le sue mani sulle orecchie, fissandola negli occhi.
«Corri!
Non c’è nessuna voce, è tutto finto!» le disse
tirandola per una mano e iniziando a correre, benché sapesse che non
avrebbe resistito molto quel ritmo. Ogni respiro gli tagliava la gola e i
polmoni e i suoi muscoli li sentiva come se andassero a fuoco.
Nami
continuava a sentire le voci che urlavano dentro la sua testa, se Rufy non
l’avesse tirata non sarebbe riuscita a muovere un passo, assordata da
quel caos sonoro.
Arrivarono
al villaggio abbandonato quanto, di colpo, cessò ogni voce. Nami
respirò forte mentre Rufy cadeva bocconi sul terreno.
Sentiva che
stava per svenire mentre vedeva puntini bianchi che gli coprivano la visuale.
Nami gli si avvicinò notando poi che stava fissando la fontana al centro
della piazza.
Si era fatto
pallido di colpo – benché non avesse mai avuto un colorito roseo
da quando l’aveva trovato – e gli occhi erano fissi e vitrei.
Si
sollevò e lo vide che tirava un pugno alla fontana che, vecchia e lisa,
cedette al colpo seppur senza forza di Rufy. La sua mano iniziò a
gocciolare, mentre Nami lo fissava tremante, dare altri colpi a quella fontana.
«Rufy
smettila! Cosa vedi? Non c’è niente in questa fontana!»
Lui si
riscosse al suo urlo, guardandola come se la vedesse di nuovo.
«Non
stai sanguinando… C’era il tuo sangue su
questa fontana… Il tuo corpo…
Non ti vedevo più» disse lui tremante mentre la mano continuava a
sanguinare.
Nami si
strappò un pezzo di maglietta e tentò di fasciargliela nel
miglior modo possibile.
«Sono
qui, sono viva. Dobbiamo fare affidamento uno sull’altro, altrimenti non
usciremo mai di qui.»
Se i suoi
cinque sensi la tradivano doveva fare affidamento su quelli di Rufy e lui sui
suoi. Non c’era altro modo di uscirne.
Nami gli
indicò il bosco da cui era passata. Ora non sapeva cosa fare,
all’inizio quei rami l’avevano fatta passare ma ora?
«Andiamo.»
disse Rufy sconvolto che quella fontana così
rossa fosse solo frutto di un’illusione.
«Appena
ti avvinerai a quegli alberi perderai conoscenza, ma ti giuro che ci
porterò fuori di qui.»
Lui le
strinse la mano, sapeva che respirando da così vicino
l’agalmatolite sarebbe svenuto. Ma avrebbe tentato di proteggerla,
finché ce l’avrebbe fatta.
Arrivarono
davanti agli alberi che prevedibilmente iniziarono ad attaccarli. Rufy
tentò di resistere il più possibile ma crollò al suolo
dopo pochi colpi. Nami, gridando, gli si accovacciò vicino, sussurandogli di resistere.
Stavolta
provò lei ad andare avanti, ma stavolta, queste liane non si fecero
pietà di lei ed iniziarono ad attaccarla esattamente come avevano fatto
con Rufy.
Tentò
di difendersi meglio che poté ma sentiva che non sarebbe resistita a
lungo. Difatti cadde a terra, ai piedi di quelle liane, mentre si chiedeva il
motivo di tutto quell’odio e violenza.
Rufy, a
furia di respirare quell’aria tossica, si era fatto nuovamente
pallidissimo e Nami temette che stesse per morire.
«Basta!
Vi prego, voglio solo salvarlo! Lasciate andare almeno lui!»
Al sentire
quelle parole fu come se le liane perdessero tutta la forza e smisero di
attaccarla.
Poi un boato
tremendo si diffuse su tutta l’isola, davanti agli occhi di Nami gli
alberi appassirono di colpo diventando secchi e logori, le case del villaggio
si ridussero in briciole come spazzate da un vento invisibile. Da lontano
poté vedere la torre di pietra che crollava su se stessa come se fosse
fatta di carta.
Si
avvicinò a Rufy, sconvolta da quegli eventi. Stanca svenne cadendo sopra
il suo petto.
I Mugiwara, dopo aver sentito l’enorme boato, videro
gli alberi mutare forma e immediatamente si diressero verso di loro.
Arrivati
notarono che ora le liane non li attaccavano più in quanto gli alberi
sembravano essere come morti.
«Dopo
che il tuo proiettile di fuoco ha colpito il corvo, l’isola ha subito
questo mutamento!» esclamò Chopper.
«Inoltre
noi non ci sentiamo male. E’ come se avessi ucciso tutti gli alberi Usopp.» costatò Robin notando che riuscivamo a
stare vicini agli alberi.
«Certo,
un albero appassito non produce né ossigeno né niente.»
esultò Chopper mentre Zoro e Sanji si precipitavano dentro il bosco.
«Forza,
ora che possiamo! Dobbiamo trovare Rufy e Nami!» esclamarono i due
seguiti subito da tutti gli altri.
Attraversarono
il bosco velocemente e li ritrovarono appena fuori dalla fine degli alberi.
Nami era stretta a Rufy e gli stringeva forte un lembo della maglietta. Erano
entrambi ricoperti da graffi e abrasioni e la fasciatura di Rufy era
completamente zuppa di sangue.
«Portiamoli
subito alla nave!» esclamò Franky mentre
Zoro prendeva in braccio Rufy e Brook
prendeva Nami.
Chopper,
nell’infermeria della Sunny, curò tutti
i loro tagli mentre i due dormivano. Finite le cure andò dagli altri per
aspettare che si svegliassero.
Robin decise
che dovevano andarsene immediatamente da quell’isola e furono tutti
assolutamente d’accordo per cui partirono dopo un’ora che avevano
ritrovato Rufy e Nami.
La notte la
passarono sul mare, allontanandosi il più possibile dall’isola.
Nami fu la
prima a svegliarsi e quando la prima cosa che vide fu Rufy che dormiva
saporitamente al suo fianco, non poté che riempirsi di gioia.
Rufy era
salvo.
Scese dal
suo letto andando poi verso il ponte dove fu accolto dai compagni che la
salutarono e cominciarono a domandarle ogni dettaglio su ciò che era
successo.
Nami rispose
che il tempo di mangiare qualcosa e avrebbe raccontato tutto, poi notò
che in cima all’albero maestro era poggiata una colomba bianca.
Era
così pura. I suoi occhi fissavano Nami penetrante e lei avvertì
sensazioni forti, come nel caso del corvo, ma stavolta erano buone.
Non ci
badò e scese in cucina per mangiare qualcosa.
Dopo pochi
minuti anche Rufy si era svegliato ed era subito andato da Sanji,
visto che stava morendo di fame.
«Rufy!
Come ti senti? Hai respirato agalmatolite a quintali, come stanno i tuoi
poteri?» gridò Chopper preoccupato per sollevarsi quando Rufy gli
mostrò i suoi arti che si allungavano perfettamente.
«Meno
male! Abbiamo seriamente temuto per te, testa vuota!» lo
rimproverò Zoro che cercava di nascondere la
contentezza.
Dopo che il
capitano e Nami ebbero mangiato a sazietà, tutti uscirono sul ponte per
ascoltare la vicenda.
Rufy
chiarì come si fosse avvicinato perché sentiva come se ci fosse
qualcosa che lo chiamava dentro quel bosco e poi, senza rendersene conto, era
svenuto e le liane lo avevano trascinato dentro il bosco. Gli altri invece gli
spiegarono come se ne fossero accorti soltanto al mattino e che le piante non
li facevano passare, soltanto Nami era riuscita ad attraversarle.
Rufy non
seppe dire cosa era successo da quando era svenuto e come si fosse ritrovato
nella torre di pietra dove lo aveva trovato Nami. Aveva soltanto dei flash di
ricordi che non sapeva neanche se fossero veri.
Anche Nami
confermò che lei aveva subito un sacco di allucinazioni, le era sembrato
perfino di vedere Rufy volare dalla torre di pietra.
A ripensarci
aveva ancora i brividi, per quanto reale era stata la sensazione di vederlo
morto.
Poi la
navigatrice parlò agli altri del corvo che l’aveva perseguitata
nell’isola e loro di come Usopp l’avesse
ucciso.
«L’hai
ucciso?» chiese sbalordita lei.
«Sì,
sentivo che andava fatto ed infatti non appena è morto gli alberi sono
appassiti e tutto è crollato.»
«E’
vero, il boato… Le case in polvere e la torre a
pezzi. Quel corvo era la causa di tutti i mali.»
«Non
è propriamente esatto.» disse una voce limpida e cristallina.
I pirati
alzarono la testa per osservare la colomba bianca scendere verso di loro. Lei
si voltò verso Usopp.
«Grazie.
Facendo morire il corvo con il fuoco mi hai dato modo di rinascere dalle sue
ceneri.» disse la colomba inclinando la testa verso di lui mentre Usopp ringraziava a sua volta, imbarazzato.
«Il
corvo è solo l’animale in cui si era raccolto tutto il male
dell’isola. Nami avrai notato le case. Una volta nell’isola
c’era un villaggio con degli abitanti che vivevano felici e protetti,
grazie al recinto naturale di alberi, che appunto li difendeva soprattutto da
chi possedeva poteri dei frutti e voleva usarli a scopi malvagi.»
«Allora
quelle case erano veramente abitate… E tutte
quelle X?» chiese Nami stupefatta.
«Un
giorno il dottore del villaggio impazzì. Si narra che forse in uno dei
suoi numerosi viaggi fosse venuto a contatto con i frutti e che, quindi,
l’esposizione con l’agalmatolite gli fece perdere il senno della
ragione. Uccise tutti gli abitanti e con il sangue di ognuno scrisse quelle X.
Il fatto che le vedessi rosse e vivide era solo un’illusione.»
I Mugiwara ascoltavano la storia stupiti ed increduli,
comprendendo pian piano tutta la storia.
«Ma
perché hanno preso Rufy? E perché solo io sono riuscita a
passare?» chiese Nami.
«Con
calma Nami. Dopo aver ucciso tutti, catturò un corvo, lo uccise e poi si
suicidò nell’ultimo piano della torre. Gli spiriti di tutti i
poveri innocenti che uccise si inglobarono nel corvo e covavano solo rabbia,
rancore e brama di uccidere.
Solitamente
si limitavano a scacciare i visitatori ma si vede che in Rufy hanno visto un
cuore particolarmente puro, che ha alimentato la loro voglia di uccidere. E
Nami è stata l’unica a cui è stato consentito passare
perché semplicemente non hanno potuto contrastarla. Voleva troppo
ardentemente salvarlo.»
«Ma
poi le altre piante, vicino alla torre, quelle ci hanno provato a contrastarmi.»
constatò Nami.
«Sì,
è vero, ma eri più debole e poi il potere degli spiriti vicino
alla torre era più intenso. Ma, alla fine, quando ti sei riscossa e hai
desiderato nuovamente solo salvare Rufy ti hanno lasciata passare.»
«E
tutte quelle cose che ho creduto di vedere e di sentire? Rufy che vedeva il
sangue nella fontana, le voci nella mia testa?» domandò la
navigatrice.
«Erano
solo illusioni prodotte dagli spiriti. Credo che volessero spingerti a tornare
sui tuoi passi e a lasciare Rufy morire. Volevano destabilizzarvi, confondervi,
ingannarvi. Per fortuna alla fine siete riusciti a fare affidamento l’uno
sull’altra e a salvarli. L’intervento di Usopp
è stato vitale per uccidere tutto il male dell’isola ma le liane
si erano già arrese a Nami e alla sua disperata richiesta. E’ solo
grazie alla tua determinazione e al vostro spirito di gruppo che siete salvi.»
Ci fu
silenzio per molti minuti finché Robin non chiese: «Ora riposano
in pace?»
«Sì,
ora sì. Ora stiamo tutti bene.» disse la colomba prima di spiccare
il volo e disperdersi nell’orizzonte.
Tutti la
video volare via in silenzio, consci che la brutta avventura era finita.
Chopper
chiese a Rufy e Nami di seguirli nello studio dove avrebbe voluto visitarli di
nuovo e, non senza protestare, furono costretti a seguirlo.
Dopo la
visita e dopo aver constatato che si stavano riprendendo si allontanò
lasciandoli nello studio.
«Mi
hai salvata la vita Nami. Grazie, io non ho saputo fare nulla. Ho solo
provocato guai.» iniziò lui calcandosi il cappello sulla testa.
Nami gli
mollò uno schiaffo nella guancia per poi rimproverarlo violentemente: «Smettila
di dire queste sciocchezze, non è stata colpa tua! E poi non avrei mai
potuto abbandonarti, sei troppo importante per me.»
«L’unica
illusione che ricordo bene eravate voi che mi lasciavate morire, dandomi dell’idiota.
Anche tu ridevi ed eri felice di vedermi morire. Ma io sapevo che non potevi
essere tu, che non potevate essere voi.»
Nami gli si
avvicinò alzandosi in punta di piedi per appoggiare la sua fronte su
quella di Rufy.
«Io
sono qui, vicino a te e ti proteggerò finché potrò. Tu mi
salvi la vita sempre, io quando posso. Sarò sempre qui, finché mi
vorrai.»
Rufy sorrise
per poi abbracciarla.
«Allora
temo che sarai sempre qui.»
E sorrisero
mentre un raggio di sole penetrava nella finestrella della stanza.
Un nuovo
giorno iniziava.
Fine.
Finita! xD
Ce
l’ho fatta, scusate tanto per l’attesa. ^^’
Dunque
intanto il bellissimo verso del titolo è della canzone
“Continuamente” di Valentina Giovagnini,
mi è venuto in mente quando Rufy e Nami devono fare ricorso uno ai sensi
dell’altro **
Mi è
uscita più lunga di quanto mi aspettassi ma non volevo tagliare ancora.
Dunque che dire… L’idea lo so era molto particolare, spero
di averla resa bene ed aver fugato tutti i dubbi xD
Ho amato questi Rufy e Nami che sono allo stesso livello e lottano insieme per
sopravvivere *_*
Secondo voi
come ho reso l’horror?
Infine dedico
quest’ultimo capitolo (soprattutto la parte finale) a TITTIVALECHAN91.
Spero tanto ti sia piaciuto ^O^
Ringraziamenti
time:
-
Tabas: Nono, niente del genere xD Era solo un’isola di spiriti xD;
-
NicoRobin92: tu hai letto la storia in anteprima quindi non puoi proprio
lamentarti cara v.v Voglio un mega-commento xD;
-
Akemichan: Grazie =) Bhe,
un po’ di romanticismo finale non guasta, ci stava dai xD Nono, spero di non fatto Nami OOC né Rufy (anche
se lui forse lo è leggermente) ma in fondo sono disperati e pieni di
panico, soprattutto per le illusioni;
-
TITTIVALECHAN91: Sì Nami super grintosa ** Grazie mille per la
recensione e la dedica alla tua fic super-meravigliosa.
Sì, un po’ di romanticismo non esagerato l’ho inserito! ^O^
-
gattabianca: oddio non uccidermi X°D Rufy è vivo, vivo! Grazie della recensione
- VidelB: studi
geologia? *O* a una mia amica piace moltissimo xD
Grazie dei complimenti e grazie della recensione =) Spero che la storia ti sia piaciuta
=)
-
Infine
ringrazio quelli che hanno letto, commentato, inserito nei preferiti/ricordati/seguiti
(rispettivamente 5, 2, 8).
Spero
vi sia piaciuta.
Un
bacio.
Marty De Nobili