The past returns

di Elelovett
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** Cap.2 ***
Capitolo 3: *** Cap.3 ***
Capitolo 4: *** Cap.4 ***
Capitolo 5: *** Cap.5 ***
Capitolo 6: *** Cap.6 ***
Capitolo 7: *** Cap.7 ***
Capitolo 8: *** Cap.8 ***
Capitolo 9: *** Cap.9 ***
Capitolo 10: *** Cap.10 ***
Capitolo 11: *** Cap.11 ***
Capitolo 12: *** Cap.12 ***
Capitolo 13: *** Cap.13 ***
Capitolo 14: *** Cap.14 ***



Capitolo 1
*** Cap.1 ***


*

Ci sono cose che non possiamo dimenticare, e nemmeno lo vogliamo. Fatti troppo sconvolgenti, emozioni forti che hanno inciso ferite profonde dentro di noi. Possiamo piangere, dibatterci, gridare e distruggere tutto quello che ci circonda, ma i ricordi sono più forti. E allora forse la soluzione migliore è consumare il proprio dolore ma lasciare che si affievolisca col tempo, e andare avanti. Bisogna trovare un motivo per andare avanti. Emily quel motivo l’aveva trovato nel suo ventre.

Da quell’orribile notte nella cantina del negozio della signora Lovett in Fleet Street erano passati molti mesi. Mesi nei quali né Emily, né Claudia né Toby avevano dimenticato. Ma un susseguirsi di avvenimenti aveva affievolito il loro dolore, e adesso tutto sembrava passato.

Nelle loro menti quella notte era caos, confusione, dolore, paura. Ma un frastuono lontano, nitido a volte, sfocato ancora più spesso. Dopo qualche ora temendo il ritorno di Anthony e Johanna e la scoperta dei cadaveri i tre si erano affrettati a fuggire. Nonostante questo Emily si era rifiutata di andarsene senza portare con sé il corpo del suo unico ed eterno amore per dargli degna sepoltura. Claudia aveva tentato di dissuaderla dicendo che sarebbero state rallentate ed il trasporto sarebbe stato difficile, ma l’altra, come cieca e sorda, per tutta risposta aveva preso Pirelli per le spalle e aveva cominciato a trascinarlo con più delicatezza possibile, ma anche con fermezza, verso la porta. A quella vista disperata Claudia si era precipitata ad aiutarla, seguita da Toby. Se ne erano andati così, nella notte. Poco dopo Anthony e Johanna avrebbero scoperto i cadaveri nella cantina e avrebbero chiamato le forze dell’ordine.

La casa che Sweeney Todd aveva messo a soqquadro quello stesso pomeriggio era ancora abitabile dopotutto, ed i tre superstiti vi erano entrati decisi. Emily aveva adagiato Pirelli sullo stesso letto sul quale l’aveva curato per così tanto tempo. Era quasi scoppiata di nuovo in lacrime. Avevano deciso di seppellirlo approfittando del buio, e così avevano fatto. Non lontano, in un parco semi abbandonato, Claudia e Toby avevano scavato una fossa e vi avevano deposto il corpo. Il dolore e l’abbandono di Emily tornando verso casa furono immensi.

Le indagini sulla morte del giudice, del messo e di Sweeney e Mrs. Lovett non furono insistenti, come del resto accadeva in quel secolo in Inghilterra, e ben presto la gente si dimenticò dell’accaduto, si cessò di cercare un colpevole. In quanto ad Anthony e Johanna, liberi dall’incubo del giudice, poterono sposarsi e fuggire via, e di loro non si seppe più niente per molto tempo.

Da quella notte erano passati nove mesi o poco più, ed Emily, senza dimenticare, aveva trovato la sua ragione per andare avanti: era nata la sua bambina.

Mentre la cullava dolcemente a lume di candela canticchiando una ninnananna la osservava. Assomigliava così tanto a lui! La forma del viso, allungata come quella dei genitori, era incorniciata da cortissimi ciuffi di capelli castani, il colore di quelli di Pirelli, ma lisci come quelli di Emily. E anche gli occhi erano quelli della madre, azzurrissimi. Ma c’era qualcosa in quella smorfietta, in quelle manine, in tutto quell’esserino, che ricordava ad Emily Pirelli. E se gli occhi traevano in inganno, i capelli ne erano una prova. Mentre la guardava sorrideva e pensava cosa avrebbe detto lui della loro bambina. Un dolore profondo le si scioglieva in petto sognando tutte le cose che avrebbero potuto fare insieme come famiglia. Ma non potevano, lui non c’era più. Sarebbe potuto diventare marito, padre. Sarebbe stato bello. Tutto quello che le era rimasto di lui era quella piccina, così dolce e così indifesa, ma una prova vivida e costante di ciò che se n’era andato. Toby osservava madre e figlia pensieroso. Se prima era un bambino a cui la vita non aveva mai sorriso, ma comunque allegro, dopo quella notte era diventato più taciturno, più maturo. Troppe esperienze avvenute troppo in fretta, troppo amore regalato e poi strappato crudelmente. Ancora ardeva in lui il ricordo della cara signora Lovett. Il fatto di essere stato complice, se così si può dire, di un omicidio, e di aver assistito a tante morti lo aveva sconvolto, anche se non se ne rendeva conto. Non sarebbe tornato il Toby di prima, ma una traccia di ingenua allegria gli era rimasta, magari in profondità. In lui viveva ancora il Toby che gioiva di fronte ad un bicchiere di gin, il bambino che aspettava un penny per compare delle caramelle. Era solo schiacciato da amare realtà e ricordi tetri. Tuttavia si era trovato bene con le ragazze, e si era affezionato a loro quasi disperato, sentendosi mancare la terra sotto i piedi dopo la morte della signora Lovett. Con loro era tornato a sorridere, nonostante tutto. Per questo adesso guardava un po’ geloso quella bambina paffutella che si meritava tante moine e carezze dalle sue benefattrici. Come poteva un esserino così piccolo, piombato nel mondo da così poco tempo, richiedere tante attenzioni? Inoltre la trovava sì simile al suo precedente padrone, ma per questo estremamente bruttina. Non osava dirlo ad Emily, sentendo che nonostante fosse passato del tempo non fosse il caso offendere la memoria di Pirelli toccando un tasto dolente.

Infatti mettendo da parte l’amore materno, un amore che vede il proprio bambino l’essere più perfetto sulla Terra, osservando obiettivamente dobbiamo dire che la piccola non era propriamente graziosa. Era dolce, docile, ma non bella. Aveva qualche particolare qua e là, il visino troppo lungo, una certa forma degli occhi, una smorfia della bocca, che non poteva farla definire bella. Era decisamente simile al padre. Ma per Emily Pirelli e la bambina erano state le creature più meravigliose e straordinarie del mondo, e il suo sguardo di madre non vedeva altro che la bellezza.

Claudia aveva aiutato Emily durante il parto e nei mesi successivi. Si era affezionata tantissimo alla piccola, sebbene in cuor suo come Toby ne ammettesse la scarsa bellezza tipica dei neonati. Spesso la cullava anche lei e si divertiva a farle il bagnetto. Oltre a quella terribile notte Claudia non poteva dimenticare ciò che l’avrebbe macchiata per sempre, il senso di colpa che la lacerava ogni notte, quando nel buio del suo letto si ritrovava sola. Il fatto di aver tradito l’amica e Pirelli continuava a pesarle sulla coscienza, come se lei stessa avesse commesso un omicidio. Non voleva pensare, ma talvolta i suoi pensieri si spingevano fin là, che il suo tradimento era in un certo senso causa della morte di Pirelli. Se non si fosse lasciata abbindolare da Sweeney Todd, se non avesse tradito Emily, forse il padre della bambina sarebbe ancora vivo, tutti sarebbero stati felici. Il pensiero la faceva impazzire, si sentiva un mostro, anche se Emily l’aveva perdonata quella stessa notte. Così ogni giorno Claudia scontava tacitamente quella colpa, quel pesante fardello, facendo tutto il possibile per aiutare l’amica con la bambina. Ma per quanto facesse, una voce le diceva che era troppo tardi tentare di rimediare, Pirelli era già morto, tutto era successo…E quello scontare la pena non aveva mai fine, giorno dopo giorno. Claudia sapeva che avrebbe continuato ad aiutare Emily per saldare il suo debito invisibile fino alla morte, e solo allora sarebbe stata soddisfatta.

In quanto ad Emily e all’omicidio che aveva commesso, non le importava più di tanto. Dopo tante ingiuste morti, una in più, anche per mano sua, che differenza avrebbe fatto? Il suo era stato un atto giusto, una vendetta. Aveva ucciso un assassino. Il rimorso non le pesava, la bambina aveva cancellato ogni debole segno d’allarme della sua coscienza. Ma era proprio la figlia che cominciava a risvegliale dei dubbi, il terrore e la vergogna di dover rivelarle che sua madre era stata un’assassina. Ecco, solo questa vergogna, non il rimorso le impediva di dimenticare l’omicidio. Cercava così di nascondere a sé stessa, con il dolore della morte dell’amato e la consapevolezza di aver fatto qualcosa di giusto verso Pirelli, la vergogna dell’assassinio, in modo da nasconderla anche alla figlia. Aveva deciso di non raccontarle nulla di quella notte, se non la morte coraggiosa del padre. Non avrebbe potuto sopportare di svelarle che sua madre aveva ucciso un uomo.

La bambina ora dormiva, il respiro regolare. Emily la mise nella culla, poi passò accanto al letto sul quale era accovacciato Toby. Gli scompigliò i capelli con la mano sussurrando allegramente:

- Andiamo, ragazzo.

Il bambino obbedì e chiuse piano la porta. Una volta in corridoio chiese:

- Emily, credete che potrò dormire con voi nel lettone stanotte?

La ragazza sorrise e rispose:

- Ma certo. Ma vedi di non fare troppo rumore, non vorrai svegliare Serafine!

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Sono affamata di recensioni!!! XD  Davvero, voglio sapere che ne pensate di questo nuovo inizio.

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Capitolo 2
*** Cap.2 ***


*

Quel giorno la pioggia batteva insistente sui vetri delle finestre. Sul selciato si formavano tristi pozzanghere dove le gocce d’acqua formavano infiniti cerchi. Così sembrava che la strada fosse in movimento, in fibrillazione, animata da mille zampilli. Ma il cielo era sempre grigio e la prospettiva di uscire si faceva sempre più lontana nella mente di Serafine. La ragazza stava seduta vicino alla finestra, lo sguardo rivolto ai pochi passanti che si affrettavano a ripararsi nei primi negozi che incontravano. Se non avesse piovuto così tanto di certo sarebbe uscita e si sarebbe goduta una splendida giornata ad Hide Park con Toby. Ma un tuono la scosse dai suoi pensieri. Infastidita dai suoi progetti andati in fumo e dalla noia, tirò le tende e si voltò dalla parte opposta imbronciata e pensierosa. In quel momento Claudia stava entrando nella stanza con un cesto pieno di biancheria sporca. La locanda era chiusa.

- Cosa fai Serafine?- chiese allegra.

La ragazzina sbuffò e rispose lamentosa:

- Niente, zia Claudia. Come al solito. Non fa altro che piovere, e qui in casa non ho nulla da fare! Dov’è Toby?

- Credo sia uscito, cara.

- Certo…

Serafine si alzò e uscì dalla stanza impaziente. Quella casa, quelle quattro mura erano troppo piccole per lei. Era sempre stata una ragazza allegra e giocosa, e la pioggia la metteva di malumore. Inoltre andava su tutte le furie per un nonnulla. Adorava uscire all’aria aperta, ma non tanto tra le vie della città, quanto al parco, dove poteva stare sola, sedersi all’ombra di un albero e parlare con Toby. Il ragazzo spesso l’accompagnava: in fondo era stato il suo tutore quand’era bambina, aveva badato a lei quando le due donne erano impegnate ed era stato il suo maestro di vita. Per Serafine era un fratello maggiore. Emily non aveva voluto lasciare sua figlia un’analfabeta, come molti bambini della loro condizione sociale, e le aveva insegnato a leggere e a scrivere, le parlava spesso della letteratura, dei miti, delle scoperte scientifiche. Ovviamente la donna non poteva ricordare da dove venisse, tutte le scoperte della sua epoca, e si limitava a raccontarle ciò che il modo conosceva nel 1800. Così Serafine si era appassionata ai miti e alle leggende, alla letteratura, alle teorie filosofiche, ed era istruita al pari di una damigella d’alto rango. Tuttavia, il suo linguaggio abituale rimaneva quello di una ragazzina del popolo, e questo contrasto la rendeva buffa e interessante. Spesso dava lezioni a Toby, anche se più piccola, gli parlava del romanticismo nei romanzi dell’epoca, e dell’amore secondo Platone, la teoria delle due metà. Discutevano di scienza e di matematica, lei gli insegnava a ragionare con metodo. E il ragazzo restava allibito e affascinato dalle loro conversazioni, si lasciava coinvolgere dalle sue sfide, dalle sue domande.

Serafine non era diventata più bella con gli anni, ma non era neanche la brutta pargoletta di un tempo. Le sue linee si erano accentuate, il profilo cominciava ad addolcirsi e gli occhi furbi le davano un’aria sbarazzina. Non era ancora bella, ma gradevole. Raggiunti i suoi sedici anni il viso era diventato più dolce, e la sua smorfietta era rimasta. Portava i capelli lunghi sino alle spalle, le due ciocche ai lati della testa legati dietro la nuca da un fermaglio. Era un po’ goffa nei movimenti, ma sempre spensierata. Purtroppo non quel giorno. Costringerla a stare in casa era come mettere in gabbia un uccello del bosco. Si muoveva su e giù come una belva inferocita prigioniera. Emily spuntò all’improvviso nel corridoio, dove Serafine ancora faceva su e giù.

- Insomma, la vuoi smettere? Mi stai facendo impazzire, Serafine! Forza, dammi una mano!- disse portando una pila di teglie vuote.

La ragazza ne prese un po’ e le portò in cucina con la madre. Mentre le sistemava Emily la guardava, pensando ancora che somigliasse tanto a Pirelli! Ovviamente la somiglianza era meno evidente di quando Serafine era neonata, ma si notava ancora chiaramente. Specie quando Serafine storceva il naso imbronciata, sfregando una parte della teglia rimasta sporca. Poi si accorse che la madre la fissava. Chiese:

- Cosa c’è?

- Niente, niente. Grazie di avermi aiutata!- rispose prontamente la madre.

Non parlavano spesso del padre, non più. Serafine però sapeva che Emily ci pensava spesso. Ne parlavano molto quando la ragazza era più piccola, e le chiedeva mille cose sul padre. Emily glielo aveva descritto come un uomo divertente, un po’ esibizionista e pomposo, ma che le aveva amate tanto, anche se non aveva mai visto sua figlia. Purtroppo non aveva neanche un suo ritratto, se non quello scolpito nella sua mente. E quando Serafine le chiedeva di raccontarle tutto quello che sapeva di lui, di come si erano incontrati, Emily raccontava sempre la solita storia, il cui inizio era confuso persino per lei. Pirelli era il più famoso barbiere londinese, anche se i suoi affari spesso non erano del tutto onesti. Emily l’aveva salvato dall’attacco di un pazzo assassino, il barbiere Sweeney Todd. Mentre Pirelli veniva curato in casa loro, lui ed Emily si erano innamorati. Ma prima che potessero sposarsi, il feroce barbiere aveva tentato di ucciderli, e Pirelli si era sacrificato per Emily. E quando Serafine chiedeva che fine avesse fatto quell’assassino, Emily rispondeva sbrigativa che era stato punito e non sarebbe mai più tornato. Questo aveva creato nella mente di Serafine l’idea che Sweeney fosse morto definitivamente. Il resto della storia, la vera storia, le era oscuro. Si immaginava suo padre come un uomo esuberante e allegro, ma anche molto permaloso, un po’ come lei, e la cosa la faceva sentire meglio. Era come se lui fosse lì con lei, da qualche parte, chiuso in lei. Che non fosse stato onesto non le importava, crescendo aveva visto persone ben peggiori!

Quando chiedeva la versione della storia a Toby, lui parlava poco o nulla. Diceva solo di essere stato l’aiutante di Pirelli e che l’aveva salvato dall’orfanotrofio. Non aveva mai raccontato a Serafine dei calci, delle frustate, delle crudeltà del padrone. Non era l’immagine del padre che avrebbe voluto avere.

Così Serafine era cresciuta con un’immagine di Pirelli costruita sul racconto della madre e su sue proprie fantasie. A volte le era capitato di sognarlo, in mille modi diversi. Ma adesso non era più una bambina, aveva smesso di chiedere altri particolari, aveva saputo tutto quello che poteva sapere, ed era stanca di sentire la solita storia. Si era rassegnata ad essere orfana di padre, e si accontentava di pensare a lui solo a volte, quando era sola.

In quel momento in cucina entrò Toby, tutto bagnato dalla pioggia. Teneva sotto il braccio il pane appena comprato. Non era più un bambino, aveva venticinque anni ormai, ed era un bel ragazzotto. Era entrato con lo sguardo acceso, come se qualcosa l’avesse sconvolto. Ma sorrideva, ed esclamò:

- Emily, è successa una cosa a cui non crederete mai! Indovinate chi è appena tornato a Londra? Me l’ha detto il fornaio! Anthony e Johanna Hope sono qui, e si sono trasferiti vicino a Westminster Abbey!

Il suo non era un vero sorriso, quanto una strana smorfia interrogativa. Cosa avrebbero fatto? Emily lo guardò stupita, l’immagine della fatidica notte le tornò per un attimo alla mente. Erano qui, potevano sapere?

Serafine guardò interrogativa Toby, poi la madre. Infine chiese:

- Mamma, chi sono Anthony e Johanna Hope?

 

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Capitolo 3
*** Cap.3 ***


*

Ovviamente Emily non avrebbe mai pensato che sarebbero tornati. Questo cambiava completamente le cose. Alla domanda di Serafine non rispose, fece semplicemente cenno a Toby di seguirla nel corridoio e lasciò il pane in mano alla ragazzina, che la osservò con aria stupita. Che cosa stava succedendo?

La madre entrò in camera sua seguita dal ragazzo e chiuse la porta. Dentro la stanza era rimasta Claudia, che anche lei li guardò sorpresa.

- Qualcosa non va?- chiese.

Emily la guardò e disse seria:

- Anthony e Johanna sono tornati in città.

- Che cosa?!- esclamò Claudia sedendosi sul letto.

- Sì, l’ho sentito dal fornaio!- annuì Toby.

Ci fu un momento di silenzio. Claudia provò a dire:

- E credete che…

- …Che sospettino qualcosa? No, non credo. Ma ho paura che si mettano a curiosare dove non dovrebbero. Spero che non riportino alla luce quella faccenda.- terminò la frase Emily.

Il ragazzo disse:

- Perché dovrebbero ripensare a quella storia? Sono passati tanti anni ormai, e poi cosa vorrebbero cercare? Prove? Intendo…Nessuno ci ha visti quella sera…

Ancora faticavano a parlare di quel giorno. Emily abbassò lo sguardo. Claudia proseguì coraggiosamente:

- Toby ha ragione! Sì, è vero che sono stati loro a trovare i corpi, ma non ci hanno trovati sulla scena del delitto…Per loro potremmo anche non essere mai stati là! Hanno chiamato la polizia, ma le indagini non sono andate avanti. Dal loro punto di vista il colpevole potrebbe essere chiunque, non credo proprio che riaffronteranno la faccenda. E in ogni caso noi siamo al sicuro.

Emily si sedette dicendo:

- In effetti Johanna stessa ha visto Sweeney uccidere il giudice Turpin…Potrebbe aver pensato che sia lui il responsabile delle altre morti, e che ci sia qualcosa di losco anche intorno alla sua…Sì, dev’essere così. Ma non mi piace che siano in città. Tutto qui, ho una brutta sensazione.

Toby si avvicinò alle donne parlando a bassa voce:

- Qualunque cosa succeda l’importante è non perdere la calma. Non dobbiamo lasciar trapelare niente, assolutamente niente. Non che si presenterà l’occasione di parlare, ma…Non si sa mai…

Sentirono dei rumori dalla cucina. Emily guardò i due con determinazione. Quello sguardo voleva dire "tacete con Serafine" e non ci fu bisogno di altre spiegazioni.

Uscirono dalla stanza pensierosi. La ragazzina sembrava piuttosto arrabbiata. Esclamò:

- Insomma, cosa sono tutti questi segreti? Si può sapere cosa vi siete detti? Non posso sapere mai niente!

Toby le scompigliò i capelli con un’aria dissimulatrice che solo lui sapeva adottare, e con la quale solo lui poteva calmare Serafine:

- Quando sarai cresciuta un po’ ti racconteremo tutto…

La ragazzina lo spinse scherzosamente esclamando che anche lui non era ancora un uomo. Toby sorrise e, dato che non pioveva più, la invitò ad uscire, cosa che Serafine non si fece ripetere due volte. Quando Emily e Claudia furono sole si guardarono. Doveva andare tutto bene, doveva…

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Scusate se il capitolo è un po' corto ma il tempo è quello che è...

Per Euridice Volturi: Grazie di seguire anche il continuo della mia storia, anche se non c'è Sweeney...ù___ù

Per Tecla_Leben: Grazie anche a te di seguire il sequel! :D  Presto vedrai perché Anthony e Johanna sono tornati (be', non è un motivo poi così importante, non quanto quello che combinerà in seguito Anthony...).

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Capitolo 4
*** Cap.4 ***


*

Mentre sul selciato ristagnavano pozzanghere dai riflessi arcobaleno, un uomo camminava deciso e allegro verso St. Paul Cathedral. Osservando il cielo grigio non poteva fare a meno di sorridere e di pensare alla sua bella Londra, dove ancora una volta si era ritrovato. Entrò in una locanda dove ordinò una pinta di birra. Mentre era seduto si sentì osservato. Voltandosi vide un uomo piuttosto grasso dagli occhi minuscoli che lo squadrava. Indossava una divisa da marinaio, e continuava a fissarlo. Poi si decise a parlare:

- Che mi colpisca un fulmine se tu non sei Anthony Hope della Bountiful!

- Proprio io signore. Ho lasciato quella nave molto tempo fa.- disse l’altro cercando di ricordare dove avesse già visto quell’uomo.

- Sono Bill Hampton, non ti ricordi? Lavoravo anch’io sulla Bountiful! Certo, tu eri ancora un ragazzino…- proseguì il tipo.

Anthony all’improvviso si ricordò ed esclamò:

- Certo, Bill! Accidenti come sei cambiato! Sei ancora un marinaio?

Bill si avvicinò a lui scoprendosi il braccio e mostrando un enorme tatuaggio raffigurante un serpente marino tra le onde:

- Marinaio fin nel midollo, ragazzo!

- Bene! Un’altra pinta di birra per il mio amico…

- Ehi, grazie! E tu che fai? Se ti puoi permettere di offrirmi un altro giro…

- Be’, non sono più un marinaio…Sono un mercante di stoffe adesso!

- Perbacco! Cosa ti ha allontanato dal mare, ragazzo?

- In realtà Bill, mi sono sposato.

- Sistemato, eh? Ma senti!

- All’inizio vivevamo nella miseria più assoluta…Non potevo tornare a fare il marinaio, non avrei potuto portare Johanna sempre con me…Mi sono messo a fare qualche lavoretto e abbiamo fatto la nostra fortuna. E adesso ho deciso di stabilirmi a Londra. Però abbiamo viaggiato prima, eccome! Siamo stati due anni a Parigi, poi in America. E adesso come vedi…Sono qui.

- Ne hai fatta di strada! Io ho continuato a viaggiare, anche se non sono più sulla Bountiful…E mi fermerò poco qui. Anche se da un po’ di anni mi capita spesso di fermarmi a Londra…

- Non è cambiata…

- Oh, lo dici tu! Dove stai adesso?

- Vicino a Westminster Abbey. Volevamo un posto tranquillo per crescere la piccola Martha…

- Ah, hai messo su famiglia allora!

- Martha ha due anni. Assomiglia tantissimo a Johanna.

- E che mi dici del tuo amichetto? Quello che salvasti dalle onde? Accidenti, se non l’avessi avvistato tu credo che a quest’ora starebbe riposando sul fondo del mare!

- Il mio…Amichetto?

- Sì, quel tipo scontroso, pallidissimo! Che guardava sempre l’orizzonte e non parlava mai con nessuno…Tranne che con te.

- Vuoi dire…Sweeney Todd?

- Esatto! Accidenti, metteva i brividi, eh? Che fa adesso? Lo lasciammo qui a Londra!

Anthony impallidì e fissò la sua birra. Poi rispose:

- È morto. Circa un mese dopo il suo arrivo.

- Corpo di mille balene! Cosa gli è preso?

- In realtà non lo so…Non ho mai capito…Nessuno ha mai capito…Era un assassino. Mia moglie l’ha visto uccidere il suo tutore.

- Lo sapevo! Sapevo che c’era qualcosa di losco in quel tipo!

- Ma io non riesco a capire…Con me era sempre stato molto gentile, mi ha aiutato quando ho dovuto salvare Johanna…Non me lo sarei mai aspettato. E quella sera l’abbiamo trovato lì, immerso nel sangue, in mezzo ad altri tre corpi. Ed era morto. Sembra che complottasse qualcosa di terribile con la sua vicina, la signora Lovett, perché c’erano molti altri cadaveri nella stanza…

- Si sarà ammazzato, poveretto! Non aveva la coscienza pulita, poco ma sicuro…

- Non so…Non so se si sia potuto uccidere…Anzi, vorrei proprio capire cosa si nasconde dietro a quella faccenda…Quella notte partii immediatamente e dopo non seppi più niente. Magari ci sono stati degli sviluppi, chi lo sa? Chiederò in giro.

- Io non ho mai sentito niente, ma non mi sono mai fermato ad ascoltare i pettegolezzi. E in mare certe storie non circolano.

Ci fu una pausa di silenzio. Poi Anthony si alzò:

- Bene, mi ha fatto piacere rivederti Bill!

- Anche a me Anthony! E se avrai nostalgia del mare vieni a cercarmi, eh?

- Certo! Ci vediamo!

Anthony uscì dalla locanda ripensando a Sweeney Todd. Aveva lasciato perdere il mistero, eppure adesso qualcosa lo spingeva a rifletterci…Voleva saperne di più.

Proseguendo entrò in Fleet Street senza quasi accorgersene, poi realizzò di essere vicino al negozio del barbiere. Affrettò il passo e si ritrovò proprio davanti all’edificio. Le porte e le finestre erano sbarrate e non si sentiva più il dolce odorino dei pasticci. La scala aveva dei gradini rotti e le lanterne nel piccolo cortile erano distrutte. I tavoli non c’erano più, probabilmente erano stati rubati.

Anthony proseguì afflitto. Possibile che tutto fosse scomparso così? Doveva assolutamente saperne di più.

Tornando verso casa, passando da Hide Park per ammirare il parco vide improvvisamente un ragazzo che gli fece sobbalzare il cuore. L’aveva già visto, e proprio insieme a Sweeney Todd! Riconobbe in lui l’aiutante della signora Lovett, quel bambino giovale e diligente che serviva ai tavoli. Lui doveva sapere qualcosa! Si avvicinò al ragazzo a grandi passi, mentre questo camminava mano nella mano con una ragazzina dall’aria spensierata. Ma quando Toby lo vide da lontano cambiò espressione, il terrore si dipinse sul suo volto. Anthony lo vide prendere in fretta la ragazza con sé e allontanarsi verso l’uscita del parco. Che stesse scappando proprio da lui? Che l’avesse riconosciuto? Ma perché avrebbe dovuto temerlo? Non lo seguì, ma, perplesso, tornò sui suoi passi.

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Per LazioNelCuore 1711: Grazie, sono contenta che ti piaccia questa storia!

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Capitolo 5
*** Cap.5 ***


* 

- Cosa stai facendo? Perché tutta questa fretta?- si dibatteva Serafine.

La lasciò andare solo quando erano in strada. La ragazza lo guardò male:

- Ci stavamo divertendo! Cosa ti è preso?

Toby si guardò alle spalle, quasi non l’ascoltava. Quello era Anthony Hope, e l’aveva visto! Stava per parlargli! La cosa migliore era stata fuggire cercando di non dare nell’occhio. Cercò una scusa per Serafine:

- C’erano dei brutti ceffi, non voglio tornare là dentro. Chissà cosa avrebbero potuto farti…

Lei gli sorrise:

- Ma ci sei tu con me.

Toby la guardò teneramente e la prese per mano dicendo che era meglio avviarsi verso casa.

Quando arrivarono il ragazzo lasciò che Serafine aiutasse Claudia a preparare il pranzo, ma disse ad Emily che doveva parlarle.

Poco dopo erano di nuovo in camera, lo sguardo di lei attentissimo e preoccupato. Toby le raccontò di aver visto lui stesso Anthony, e che l’uomo aveva cercato di fermarlo e parlare con lui. Era sicuro che l’avesse riconosciuto. Concluse dicendo:

- Ovviamente non so se volesse avvicinarmi per chiedermi qualcosa riguardo alla morte di Sweeney Todd…Ma quando l’ho visto il mio primo impulso è stato quello di scappare…

- Certo, hai fatto bene. E grazie di avermi avvertita. Come hai detto tu dobbiamo solo stare all’erta e mantenere la calma.

Uscita dalla stanza pensò che forse stava esagerando. Era impossibile che Anthony Hope stesse indagando su quella fatidica sera. Era soltanto la sua coscienza a suggerirle quella strana idea, stava ingigantendo qualcosa che forse neanche esisteva.

Durante il pranzo ognuno era immerso nei suoi pensieri. Persino Serafine era piuttosto taciturna. Claudia ancora non sapeva che cosa era successo al parco ma immaginava che ci fossero novità, e non dovette aspettare molto per esserne al corrente. Convennero che la cosa migliore era cercare di dimenticare Anthony Hope e in ogni caso non fare passi falsi. L’attività in negozio rubò loro molto tempo e nessuno pensò più all’accaduto di quella mattina.

E così passarono i giorni. Sembrava che tutto fosse tornato alla normalità.

Un pomeriggio Emily si svegliò dal suo pisolino con una strana sensazione. Aveva sognato Pirelli, cosa che non le succedeva da tanto tempo. Averlo rivisto, anche se solo in sogno, la faceva sentire immensamente persa, la sua voce l’aveva rassicurata e sentiva il cuore batterle forte, ma allo stesso tempo una profonda malinconia velava la sua anima, e si sentiva vuota. Era come se qualcosa le bruciasse dentro, il desiderio di riaverlo con lei era tornato vivo e doloroso. Con il passare delle ore la sensazione si affievolì, il sogno sembrava sempre più lontano e faceva meno male.

Quella sera il negozio era pienissimo, ma sia lei che Claudia ne erano contente, perché questo significava guadagni. Serafine aiutava la madre ed era molto cortese con i clienti. Toby stava attento ai forni e a volte serviva ai tavoli. Ad un certo punto Claudia si avvicinò alla vetrina e vide al di là, nella strada, un uomo ed una donna che guardavano dentro. Subito riconobbe Anthony e Johanna. Erano adulti, ma non poi così diversi. La coppia entrò e si sistemò all’unico tavolo rimasto. Claudia fece un bel respiro, guardò verso il fondo della sala per incrociare lo sguardo di Emily ed ottenere aiuto, ma vide solo Serafine che serviva pasticci. Decise di comportarsi con naturalezza. Non avrebbe fatto un passo falso, non stavolta. Si avvicinò sorridente, chiedendo:

- Un pasticcio signori?

- Grazie- rispose Anthony- ce ne porti due di maiale.

- Subito!

Si voltò e si diresse verso Serafine. Rubò due pasticci dal suo vassoio, ignorando le proteste della ragazzina. Voleva servire la coppia al più presto e vederli andar via. Ma quando portò i pasticci sentì chiederle quello che non avrebbe mai voluto.

- Ci siamo già visti, non è vero?

Arrossendo rispose ad Anthony:

- Non so signore. Passano tanti clienti qui. Voi non siete uno abituale.

Emily intanto stava uscendo dalla stanza del forno, e appena vide da lontano Claudia che parlava con Johanna ed Anthony si bloccò. Pensò di doverla aiutare. Calma, il segreto era la calma.

- Ma sì- stava dicendo Anthony- non ricordate? Venivo spesso a mangiare qui quindici anni fa. Come potete non ricordare? Vi raccontavo di come cercavo disperatamente di salvare…Mia moglie…

E toccò la mano di Johanna che sorrise. Poi continuò:

- Anthony Hope! Il marinaio.

Claudia pensò di non poter continuare a lungo con la finzione:

- Oh, ma certo! Adesso ricordo, è passato molto tempo! Anthony Hope, sì, mi raccontavate spesso delle vostre avventure. Bene, spero che amiate sempre i nostri pasticci, adesso devo…

- No, aspettate. Volevo chiedervi una cosa. Vi ricordate quando vi parlavo del barbiere Sweeney Todd?

- Mi dispiace, io dovrei proprio…

- Cosa succede qui?- li interruppe Emily con aria severa.

Fingeva di rimproverare Claudia per la sua loquacità con i clienti.

- Non vi disturberà più signori- disse- è richiesta ai forni.

Johanna esclamò:

- No, siamo noi che l’abbiamo trattenuta!

- Sì, volevamo chiedervi un’informazione…- aggiunse Anthony.

Emily sentì un brivido lungo la schiena. Ma chiese con un sorriso:

- Di che cosa avete bisogno?

- Ecco- rispose l’uomo- siamo stati via per molti anni. Volevamo sapere qualcosa di più sulla morte del barbiere Sweeney Todd. Aveva una bottega in Fleet Street. L’ultima volta, quando abbiamo lasciato Londra, era stato trovato morto nella cantina del negozio di pasticci della signora Lovett. Le indagini sono proseguite? Sapete qualcosa riguardo alle circostanze della sua morte?

Emily aveva studiato questa risposta sperando di non doverla mai dare:

- Sweeney Todd? Non ne sappiamo niente. Siamo sempre state un umile negozio, non badiamo a certe storie. Sì, ci stupì la sua morte, ma per quanto ne sappiamo le indagini sono finite lì.

- Era un assassino, io l’ho visto.- disse cupa Johanna.

Claudia ammise:

- Sì, c’era qualcosa di poco chiaro, di losco in quello che faceva. Ma non sappiamo altro.

- In realtà- Emily non si poté trattenere- era un farabutto e un assassino. Ha ucciso centinaia di persone innocenti senza alcuna pietà e non merita di essere ricordato.

Si accorse dopo di aver parlato troppo. Si morse il labbro e cercò di non guardare Anthony. Lui esclamò:

- Be’, però questo lo sapete! Io lo conoscevo, eppure non posso ancora credere che fosse capace di…

- Sono solo voci- lo interruppe Claudia- abbiamo sentito in giro che era un assassino e che quella sera sono morte con lui altre persone. Solo questo.

Johanna abbassò lo sguardo ed emise un gemito. Forse non riusciva ancora a pensare al giudice Turpin. Anthony però insisteva:

- Voi forse non sapete altro, ma non lavora forse per voi un ragazzo…Come si chiama? Non ricordo il nome. Insomma, ho visto poco fa passare per i tavoli un ragazzo. Sono certo che lavorasse per la signora Lovett quindici anni fa. Lui deve sapere qualcosa! Sicuramente era presente quella sera, non vi ha mai raccontato niente?

Claudia non riuscì più a nascondere l’angoscia. Emily le strinse la mano e rispose:

- Non ne sa più di noi, e non ne abbiamo mai parlato a lungo.

Disgraziatamente Toby si trovava a passare proprio alle loro spalle. Anthony lo fermò con un gesto. Poi parlò:

- È da un po’ che volevo parlarti. Scusate se insisto ma è un argomento che mi sta molto a cuore, voi capirete. Si tratta di Sweeney Todd…

E mentre cominciava di nuovo il discorso con Toby, Emily mandò Claudia ad aiutare Serafine. Quando si voltò di nuovo verso il tavolo Anthony stava dicendo:

- Una strana faccenda…Ma voi non sapete assolutamente niente? Neanche dei misteri nel quale era coinvolto in vita?

- Niente, signore. Non mi ha mai rivelato niente. Io lavoravo per la signora Lovett e mi hanno sempre trattato con onestà. Non ero al corrente dei loro piani o dei guadagni. Quella sera, la sera in cui è morto, mi avevano raccomandato di andare a comprare le spezie per i pasticci, e ammetto di aver speso qualche penny ad una locanda. Una volta tornato ho trovato la polizia, e sono fuggito. Ma non so niente.

La menzogna che aveva appena così ben esposto, senza alcuna traccia di esortazione, era degna di un maestro del crimine. Emily lo ammirò come non mai. Ora che anche l’unico possibile testimone aveva detto di non saper niente li avrebbero lasciati in pace. Johanna cominciò a mangiare il suo pasticcio mentre Anthony li ringraziava per le informazioni. Emily concluse:

- Figuratevi. Ma sono passati tanti anni, ormai è quasi una leggenda. Vi consiglio di non pensarci più.

L’uomo annuì con la testa, ma non si sentiva soddisfatto. Voleva ancora sapere, tutto ciò non lo convinceva. Sweeney Todd era un assassino, ma con lui si era mostrato disponibile e davvero molto gentile. Aveva un carattere taciturno e irruente, ma era stato un suo compagno. Non avrebbe abbandonato le indagini.

Emily e Toby erano tornati al lavoro, tremando, ma fieri di essere usciti vincitori.

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Capitolo 6
*** Cap.6 ***


*

Mentre ricamava, Serafine guardava di soppiatto Toby, seduto sul divano. Aveva un’aria pensierosa e preoccupata, che lo rendeva molto interessante. Era strano, pensava la ragazza, conoscere a fondo una persona e poi vederla ad un tratto da un altro punto di vista. Si punse con l’ago e imprecò a bassa voce. Abbassò nuovamente gli occhi sul ricamo, come se qualche forza invisibile l’avesse ripresa e obbligata a lavorare. Osservando il misero ramoscello fiorito che andava componendo sul cerchietto, non poté fare a meno di chiedersi se anche a sua madre all’inizio era capitato di pungersi con l’ago mentre osservava di nascosto suo padre…

Nella stanza entrò Claudia, e la ragazza arrossì per il pensiero che ad un tratto le era salito alla mente. Toby si fece da parte per far sedere la donna, e questa lo ringraziò. Un'altra mattinata di pioggia, il locale chiuso. Emily dormiva ancora, avendo passato la notte in bianco dopo l’incontro con Anthony e Johanna.

- Non sembra che accenni a migliorare.- disse Claudia indicando con un cenno della testa la finestra.

Toby annuì e sorrise a Serafine:

- Sembra che continuerai a ricamare ancora per molto…

- Che cosa eccitante!- esclamò con tono sarcastico la ragazzina.

Si sentirono dei rumori dalle stanza attigue, e dopo un po’ uscì Emily con un lungo vestito verde ed il cappello da passeggio calato quasi fin sopra gli occhi.

Claudia le chiese stupita:

- Dove stai andando?

- Al parco.- rispose seccamente l’altra.

"Al parco" ormai era un’espressione chiara per Toby e l’amica: significava che stava andando a far visita a Pirelli. Emily non aveva mai detto alla figlia dove fosse sepolto, per evitare spiacevoli domande, come ad esempio perché non si trovasse nel cimitero comune e non avesse una lapide sua. Avrebbe dovuto spiegarle che per la fretta avevano trascinato via il cadavere dell’uomo e l’avevano sepolto di nascosto per non restare immischiati nella faccenda di Sweeney Todd. Se avessero avuto la coscienza pulita avrebbero certamente trovato il tempo di seppellirlo propriamente. A Serafine aveva sempre detto che era sepolto in un posto tranquillo dove niente e nessuno l’avrebbe più disturbato, e quando la figlia le chiedeva se poteva vedere la tomba, Emily le rispondeva che un sepolcro non era un posto adatto ad una ragazzina così solare e con tutta la vita davanti. In realtà avrebbe tanto voluto portarla dal padre, anche solo per pregare insieme per lui, ma quel luogo faceva parte di quell’orribile notte segreta e questo era il prezzo da pagare.

Mentre camminava sotto la pioggia diceva tra sé e sé che un giorno le avrebbe detto tutta la verità e l’avrebbe portata con sé. E non le sarebbe importato se suo padre riposava sotto un semplice cumulo di terra con una manciata di fiori sopra, in mezzo ad un parco abbandonato, avrebbe capito quanto quel luogo era importante e l’avrebbe amato.

Era arrivata al parco. Camminò per un po’ e alla fine riconobbe il posto. La pioggia si era fatta meno insistente ed Emily si avvicinò al cumulo di terra. Si inginocchiò di fronte e sfiorò il terreno. Poi cominciò a parlare, la voce ridotta ad un sussurro. Parlava sempre con Pirelli quando era lì.

- Ciao- diceva- sono tornata. Non sono potuta venire prima perché sono successe tante cose…È tornato Anthony Hope e fa così tante domande…Su di lui. Ma abbiamo recitato la nostra parte. Ce la caviamo. Speriamo che la faccenda si sia conclusa…

Poi notò che i fiori che aveva portato la settimana prima erano ormai appassiti. Stavolta si era scordata di portarne di nuovi. Di fronte alla misera figura dei fiori appassiti, e sentendosi quasi in colpa, le salirono le lacrime agli occhi. Cominciò a singhiozzare:

- I tuoi fiori sono appassiti, mi dispiace tanto tesoro…Avrei dovuto portartene di nuovi, come faccio sempre. Ma pioveva, e non ci ho pensato…Io…Oh, mi manchi così tanto!

Scoppiò in lacrime e si accasciò sul cumulo di terra. Per fortuna era sola in quel parco abbandonato, troppo lontana dall’entrata perché qualcuno la sentisse.

Mentre si rimetteva in ginocchio lentamente le lacrime continuavano a sgorgare senza fine, ma il tono era più controllato:

- Non c’è giorno che non pensi a te. Credevo che il dolore sarebbe passato, ma non è così. Ti penso, e mi fa male. Vorrei che fossi qui. Lo sai, è buffo…Serafine in questo periodo è sempre imbronciata, non le piace il maltempo, e quando storce la bocca…Vedi, è proprio uguale a te, è come se ti vedessi di nuovo. Sta crescendo magnificamente. Merito anche di Claudia, e di Toby. Sì, lo so che preferiresti che quel ragazzo non avesse niente a che fare con nostra figlia, me è il suo unico amico. È importante per lei. Sono sicura che non lo odi poi così tanto…Se Serafine chiede spesso di te? Non più, a dir la verità, credo che ormai abbia accettato l’idea di essere orfana di padre. Ma sono sicura che pensa a te anche se non mi chiede niente. Vorrei portarla qui da te, lo sai. Ma non posso Davey, scoprirebbe che non hai una tomba tua, e di conseguenza che ti abbiamo sepolto noi. Non voglio che sappia cosa ho fatto per te. Spero che viva felice senza sapermi un’assassina. Anche se a volte… È difficile tacere. Spesso sono tentata di dirle tutto.

Aveva smesso di piangere, si asciugava le guance bagnate con un fazzoletto. Rimase in silenzio a fissare il cumulo, il vento che le batteva sul viso. Ogni tanto tracciava col dito linee flebilissime sul terreno. Dopo un po’ riprese a parlare:

- Io sto bene, nonostante tutto. Senza di te la vita è vuota, ma Serafine la sta riempiendo. E sono circondata da persone che mi vogliono bene, per questo sono contenta. Spero che anche tu stia bene, oggi è particolarmente freddo.

Tacque come per attendere una risposta dal sottosuolo. Solo le foglie sull’albero facevano rumore scricchiolando. Emily teneva gli occhi fissi sulla tomba.

- Ti amo.- mormorò.

Poi si alzò lentamente e decise di lasciare i vecchi fiori per non rendere il cumulo spoglio, anche se con quel vento sarebbero presto volati via. Voltò le spalle e se ne andò.

Intanto nel negozio Claudia, Serafine e Toby si divertivano con gli indovinelli. Stranamente quel giorno il ragazzo riusciva a batterle entrambe. Colui che riusciva ad indovinare poteva porre il prossimo indovinello, e gli veniva passata una mela. Era il frutto che doveva tenere in mano ognuno quando era il suo turno di parlare. La mela finiva ripetutamente nelle mani di Toby.

- Ma insomma, che hai oggi Serafine? Di solito sei la migliore! Hai la testa da qualche altra parte?- chiese Claudia con tono malizioso.

- No, zia Claudia. Sono solo un po’ fuori allenamento!- rispose la ragazza evasiva.

In realtà nemmeno lei riusciva a capire cosa le stava succedendo. Era come se nell’aria ci fosse qualcosa che le dava fastidio e allo stesso tempo le infondeva un piacevole calore all’altezza dell’ombelico, solo che non riusciva a capire che cosa fosse, né cosa le avesse suscitato quella sensazione. Era qualcosa che aveva a che fare con Toby, ne era certa. Ma respingeva il pensiero che aveva avuto quella mattina. Non poteva essere…Eppure era da un po’ che ci pensava.

Il ragazzo pose un indovinello e Serafine esclamò la risposta quasi senza pensarci. Toby le lanciò la mela, ma la ragazza era assorta nei suoi pensieri e non la prese.

Appena se ne accorse arrossì e si scusò. Ma il ragazzo si era già chinato a raccoglierla e gliela stava porgendo. Allora la sensazione si fece più forte e Serafine disse:

- Non importa, non ho più voglia di giocare. Vado nella mia stanza, continuate pure senza di me.

- Sei sicura di stare bene?- chiese Claudia preoccupata.

Serafine annuì con la testa e si ritirò. In camera si stese sul letto e rimase a fissare il soffitto. Toby era sempre stato il suo punto di riferimento. Il suo maestro e fratello, compagno e protettore. Perché ora lo vedeva ad un tratto cresciuto, e diverso? Che fosse la noia che la spingeva a questi pensieri?

Piano piano si appisolò. Quando si svegliò c’era sua madre nella stanza. La donna disse sorridendo:

- Qualcuno si è fatto un pisolino! Comunque, il pranzo è quasi pronto. Tra poco apriamo, è meglio che ti prepari.

Mentre Serafine si metteva a sedere e si stiracchiava le tornò in mente la strana sensazione e volle fare un tentativo.

- Mamma- chiese- ti capitava spesso, prima che mio padre si dichiarasse, di pensare a lui e di sentirti…Strana?

Il solo pensiero di Pirelli, e il fatto che fosse la figlia a parlarne, fece sobbalzare Emily.

- Strana…nel senso, senza appetito né sonno?- chiese la madre di rimando.

- No, non proprio questo- rispose Serafine- intendo…Confusa in sua presenza, e affascinata, ma anche in colpa e impaurita, perché non dovresti sentirti affascinata. Insomma, non lo sei mai stata, perché dovresti esserlo ora? Eppure lo sei!

Di fronte al discorso impacciato e confuso della ragazza Emily sorrise. Disse:

- Confusa e affascinata sì. In colpa no. Con tuo padre è stato amore a prima vista, non ho riflettuto sul perché avrei dovuto o non avrei dovuto sentirmi attratta da lui. Credo che la tua situazione sia un po’ diversa, ma credo anche che…Chissà…Possa essere amore!

La guardò curiosa e indagatrice allo stesso tempo. Serafine si affrettò a ribattere:

- Nessuna situazione! No, no, amore? Niente affatto! Stavo solo supponendo, non fraintendermi.

- Bene.- si accontentò di questo.

Emily uscì dalla stanza lasciando Serafine più impaurita di prima. Ma lei era contenta, perché, dopo tanto tempo, la ragazza aveva chiesto di suo padre.
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Per Tecla_Leben: Evviva, sono contenta che la storia ti tenga sulle spine già da adesso!!! La vera azione arriva tra un po' ma le basi sono già predisposte...Spero che tu continui a seguirmi così! ^^

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Capitolo 7
*** Cap.7 ***


* 

- Tesoro, credo che dovresti lasciar perdere!

- Non posso, Johanna, non capisci? Qui la gente chiude gli occhi, e nessuno si cura più di nessuno! Ma io devo sapere, fare un po’ di luce, anche se magari sarò l’unico nella storia!

- Non voglio che tu ti ritrovi in guai seri. La nostra vita va già bene così com’è. Era un assassino, l’ho visto, era spietato. Non ha bisogno di essere vendicato!

- Non voglio vendicarlo, solo capire cosa c’è sotto! Anche se scopro qualcosa, di certo non gliene verrà nulla, non credi? Lo faccio per me, per la giustizia in generale, quella che manca in questa città! E poi te l’ho detto, con me è stato gentilissimo, ed era disponibile a salvarti. Voglio capire come è diventato un assassino, e come è morto.

- Che cosa credi di fare? Non sei la polizia, Anthony, sei solo contro questa città!

- Non m’interessa. Qualcuno deve far luce sul mistero, non posso credere che il signor Todd sia morto in circostanze così circospette!

- Ripeti le stesse cose da giorni. Londra si è messa l’animo in pace, tu no.

- Johanna, ma tu sai…

- Sì, io so, Anthony, è proprio questo! Io so chi era quell’uomo, l’ho visto ricoperto di sangue che minacciava di uccidermi! Ricordo cosa voleva farmi il giudice Turpin, e dove sono finita! E ricordo come è morto…Non posso dimenticare Anthony, posso cercare di gettarmi tutto alle spalle, ma come posso riuscirci se rivanghi la faccenda in questo modo? Sai quanto è importante e terribile per me. Già non me la sentivo di tornare a vivere qui…

Johanna abbassò lo sguardo e rimase seduta. Anthony le toccò le spalle con entrambe le mani e disse piano:

- Te lo giuro, non verrai a sapere niente di questa storia. Farò tutto da solo, e arriverò alla soluzione…Scoprirò che è stato tutto un terribile equivoco, una storia triste…E non ne sentirai parlare mai più.

Johanna annuì come per rassicurarsi. In quel momento entrò nella stanza la balia, con in braccio Martha. Disse:

- La piccola è pronta per la passeggiata, miss Hope!

Johanna si alzò e prese la carrozzina. La balia vi pose dentro la bimba mentre la donna diceva:

- Noi usciamo, suppongo che tu farai lo stesso.

- Esatto.- ammise Anthony serio.

Le due donne uscirono e si ritrovò solo. Si guardò intorno, poi uscì anche lui. Aveva smesso di piovere, era un bel pomeriggio, anche se un po’ freddo.

Si avviò deciso verso Fleet Street, precisamente verso il negozio del barbiere. Una volta arrivato cercò qualche edificio di riferimento, una locanda, un posto dove iniziare le sue indagini. Dove qualcuno potesse sapere qualcosa. Ma la gente che vedeva era solo di passaggio. La campana suonò le tre in punto, e fu allora che lo colpì un’idea: la chiesa di St. Dunstan! Era proprio accanto al negozio. Non dovette nemmeno entrare perché in quel momento il parroco stava uscendo sulla soglia.

- Buonasera figliolo, volete confessarvi al nostro Signore?- gli chiese.

- No, padre, sono qui per ben altri motivi. Volevo porvi alcune domande importanti, se non vi disturbo.- rispose il giovane.

Il parroco allargò le braccia sgranando gli occhi, come per dichiararsi pronto ad ascoltare. Anthony proseguì:

- Il negozio qui accanto è abbandonato da molto tempo, giusto?

- Sì, molti anni ormai, quasi venti direi.

- Certo. Sapevate a chi appartenesse?

- Oh…Terribile, terribile tragedia…

- Come, scusate?

- Era un negozio di pasticci, ma al piano di sopra prestava servizio un barbiere. Luogo abbandonato da Dio, senza dubbio! Davvero non sapete? È stato nelle cronache nere per un bel po’!

- Davvero?

- Oh, sì…Brutta storia. Pare che…Oh, terribile anche solo da dirsi!

L’uomo continuava a segnarsi e pareva non poter andare avanti. Anthony lo esortò:

- Coraggio padre, ditemi!

- Vedete, Dio mi perdoni, il demonio doveva abitare in quella casa! Cose orribili sono accadute di notte…- di nuovo a segnarsi- Il barbiere e la donna erano due assassini! Si è poi saputo che le vittime da lui uccise venivano usate da lei…Nelle pietanze che cucinava!

L’ultima frase lo mortificò a tal punto che i segni della croce, se è possibile, si moltiplicarono. Anthony era ancora incredulo. L’uomo sembrava sconvolto, come se avesse visto i cadaveri in quel momento di fronte a lui. Ma proseguì:

- E poi una sera…Fu trovato il barbiere, morto, nella cantina. Con lui c’erano i corpi delle sue ultime vittime, tutta gente rispettabile! Della donna nessuna traccia, ma dicono che il forno emanasse un olezzo più terribile del solito quella notte, e che i ripiani per i pasticci fossero stati schiantati, le pietanze cadute nel fuoco…Se mi capite, credo che della donna non troveremo più traccia.

- Terribile.

- Una tragedia, ragazzo. Dopo la rimozione dei corpi si è smesso di indagare. Ce ne sono tanti di omicidi, incidenti…Dio mi perdoni, sono quasi un’abitudine in questa città.

- Non sapete altro? Quando è arrivato il barbiere a Londra?

- Oh, era lì da un mese o poco più. Mai venuto in chiesa, lei sì, qualche volta. Se penso che ha partecipato ai sacri riti…

Il parroco si segnò mortificato. Anthony non aveva ottenuto nulla di nuovo. Ritentò:

  • - È stato un piacere. Ma vi prego di non immischiarvi in certe questioni…Come dire…Diaboliche. La strada del Signore è sempre quella giusta, ricordatevelo!
  • Anthony annuì e si allontanò, immerso in ben altri pensieri. Ma si sentì chiamare da un sussurro. Si voltò. Un mendicante zoppo gli faceva cenno di avvicinarsi, e sebbene non fosse tentato, obbedì. L’uomo indossava un mantello logoro ed era molto vecchio. Anthony capì che era uno dei tipi poco raccomandabili di Fleet Street.

  • - Ho sentito che state cercando notizie di Sweeney Todd.- disse l’uomo con voce rauca.
  • Anthony annuì dubbioso. Il vecchio sorrise, un sorriso sdentato, e sussurrò:

  • - Io so cosa è successo, so tutto, ho visto! Ma nessuno ha voluto credermi, chi crederebbe al vecchio Joe? Ma voi mi sembrate un tipo intelligente e mi ascolterete, non è vero?
  •  
  • - Voi…Voi sapete come è morto?- chiese l’altro.
  • L’uomo, che ormai Anthony aveva identificato come un vecchio mendicante che in passato si era dato alla malavita, rispose indicando il negozio del barbiere:

  • - L’odore che proveniva di là era quasi insopportabile! Ogni notte da quel camino usciva del fumo nero…Ed eravamo in pochi ad aver capito cosa veramente cucinasse quella strega…Lui, dite? Era un tipo taciturno, non usciva mai, ma una cosa è certa: chi saliva su per quelle scale non le riscendeva mai più.
  • Anthony tentò di ribattere:

  • - Eppure io sono salito molte volte…
  •  
  • - Voi lo conoscevate, allora- lo interruppe l’uomo- perché se foste stato uno straniero, state certo che avrebbe pensato lui a voi.
  • Ormai rassegnato all’idea che il suo compagno fosse sul serio un terribile assassino, Anthony sospirò:

  • - Avete ragione. Ma allora? Cosa è successo quell’ultima sera?
  • Il vecchio si passò la lingua sulle labbra e raccontò:

  • - All’inizio non facevo caso al viavai di gente su per quelle scale…Ma avevo notato che c’era qualcosa di strano. Troppe persone, e non certo durante l’orario di apertura del negozio. Non ho badato all’edificio per un po’, anzi, mi ero allontanato da questa strada. Ma quando sono tornato tutto taceva. Taceva in modo pauroso, ragazzo. E ad un tratto le ho viste.
  •  
  • - Avete visto…Chi?- chiese Anthony quasi febbricitante.
  • L’uomo aveva fatto una pausa, sicuramente si stava divertendo un mondo a far stare sulle spine il suo interlocutore. Riprese:

  • - Era molto buio, notte fonda, e non potevo vederle bene…Ma potrei giurare che erano due ragazze, e stavano trascinando qualcosa…Qualcosa di molto pesante…Io mi ero nascosto dietro un angolo per osservare la scena, ed ero abbastanza vicino. Con loro c’era anche un bambino, o una persona molto bassa. Tutti insieme trascinavano quell’immenso fagotto, e si stavano avviando verso il buio.
  •  
  • - Avete detto due ragazze?- Anthony era allibito.
  •  
  • - È quello che ho detto. Stavano uscendo dal negozio di pasticci e speravano di non essere viste. Le ho sentite parlare…- spiegò l’uomo.
  • L’ex marinaio era più confuso che mai. Il vecchio si affrettò ad aggiungere:

  • - Io non sapevo ancora cos’era successo, ma sentii una delle ragazze dire all’altra con tono preoccupato che stavano correndo un grande pericolo, e poteva arrivare qualcuno da un momento all’altro. E l’altra ragazza, che sosteneva il peso con più forza, aveva ribattuto che ora che aveva ucciso Sweeney Todd niente di orrendo sarebbe più potuto accadere.
  • Anthony sgranò gli occhi. Esclamò:

  • - È stato ucciso! Ucciso da quella donna!
  • Il vecchio annuì sorridendo. Poi raccontò:

  • - Ero così eccitato, solo io sapevo la verità! Dopo che le due donne e il bambino hanno trascinato via quell’affare è arrivata una carrozza, poi la polizia. Così mi sono spaventato, non volevo essere incolpato, mi capite…Sono fuggito. Giorni dopo ho provato a raccontare quello che avevo visto, ma nessuno mi ha creduto, mi hanno dato del povero pazzo…Spero che invece voi mi crediate.
  • Anthony si dovette appoggiare al muro per non cadere. Un’immagine stava prendendo forma nella sua mente. Un bambino che esce dalla locanda…Doveva essere Toby…E chi potevano essere le due ragazze? C’era una sola possibilità…Le proprietarie del negozio di pasticci in cui aveva cenato tante volte! Le tracce conducevano sempre là, loro avevano negato…Ora tutto aveva un senso!

  • - Siete sicuro che una di loro abbia proprio detto di aver ucciso Sweeney Todd, mentre trascinava quel peso?- chiese.
  •  
  • - Non vi fidate allora! Vi dico che è tutto vero!- esclamò offeso il vecchio.
  •  
  • - E le avete più viste, le ragazze?- aggiunse Anthony.
  • L’uomo scosse la testa. L’altro fece un bel respiro e disse:

  • - Se ve le descrivo riuscireste a dirmi se sono le donne che avete visto?
  •  
  • - Posso provarci.- rispose il mendicante.
  • Anthony cominciò a descriverle, e ad un tratto l’uomo si illuminò:

  • - Sì, era buio, ma devono essere senz’altro loro! Voi sapete chi sono?
  • L’ex marinaio non rispose e guardò il negozio. Ora il mistero era chiaro. Quelle due donne erano coinvolte nella faccenda. Erano entrate e una di loro aveva ucciso Sweeney Todd, poi erano fuggite portandosi via qualcosa…Avevano forse rubato? Non aveva importanza, l’unica cosa rilevante ora era l’omicidio. Erano state loro, ed erano scappate. Ma lui aveva un testimone. Mentre era assorto nei suoi pensieri, notò che l’uomo lo guardava con fare avido e famelico. Capì cosa voleva e fece tintinnare un paio di monete nella mano sudicia del vecchio.

  • - Grazie delle informazioni signore.- aggiunse.
  •  
  • - Grazie a voi. Se avete bisogno di me, io sono spesso qui in Fleet Street.- esclamò con un ghigno il mendicante.
  • E si allontanò. Anthony tornò a casa indeciso sul da farsi. Una cosa era certa: le indagini non erano finite, il vecchio poteva aver mentito. Voleva chiedere qualcosa in più a chi conosceva bene le due donne.

    Quella notte non chiuse occhio. Al contrario, Emily, ignara di tutto, dormiva profondamente. E fece un sogno molto strano. Si trovava vicino al luogo dove era stato sepolto suo marito, ma si stava allontanando. Poi una voce la richiamò indietro. Si voltò, e lo vide. Sorrideva, appoggiato all’albero, con aria disinvolta. La figura slanciata sembrava piena di vitalità anche grazie al costume sgargiante. Le vennero i lucciconi agli occhi.

  • - Davey!- esclamò.
  • Corse tra le sue braccia e lui la baciò. Le mancavano i suoi baci, e per un attimo rimase ferma a contemplarlo da vicino. Lui la teneva stretta senza lasciarla andare. Sapeva che era un sogno, eppure erano anni che non sognava Pirelli…E tutto sembrava vero. Non lo vedeva ormai da tempo, eppure nella sua mente l’immagine doveva essere molto chiara, perché ora lui le appariva proprio come un tempo.

    Emily lo strinse forte dicendo:

  • - Ho aspettato di abbracciarti e di rivederti per così tanto…
  •  
  • - Lo so…- sussurrò lui accarezzandole la testa.
  • Lei gli prese le mani ed esclamò:

  • - Sei ancora così bello! Vorrei che Serafine potesse vederti!
  • L’uomo disse:

  • - Piacerebbe anche a me…Mi dispiace così tanto non potervi essere vicino…Lo so che sta crescendo…
  •  
  • - Tu sei sempre con lei…- Emily non riusciva a smettere di guardarlo negli occhi.
  • Pirelli la prese a braccetto e le propose di fare una passeggiata. Risero e scherzarono per tutto il tempo. Mano a mano che procedevano sul prato, il paesaggio che avevano superato scompariva, l’albero, il tumulo, tutto si affievoliva. Solo la strada davanti a loro era nitida. Ad un certo punto l’uomo disse:

  • - La cosa che più mi dispiace è che non sono riuscito a sposarti…
  • Emily si fermò e gli accarezzò il volto mormorando:

  • - Per quello che provo…È come se lo fossimo. Io sarò per sempre tua, lo sai.
  • Lui la baciò. Poi si mise a piovere a dirotto e Pirelli dal nulla tirò fuori un ombrello. Si misero a correre e trovarono riparo sotto ad una tettoia azzurra. Emily stava stretta a lui senza parlare. Pirelli guardò il cielo, sbuffò in modo comico e disse un po’ innervosito:

  • - Devo andare! Accidenti…
  • Abbassò lo sguardo sulla moglie e sorrise nuovamente. Mormorò:

  • - Presto potremo stare insieme…
  • La baciò a lungo, poi le mise l’ombrello in mano e in tutta fretta la spinse sotto la pioggia. Emily non poteva aspettarselo e quasi inciampò nella spinta. Sotto di lei si aprì un baratro, e vi cadde dentro urlando. Una morsa le aveva preso i polpacci e lo stomaco, un senso di vertigine immenso. Si tenne stretta all’ombrello gridando, poi aprì gli occhi e si ritrovò nel suo letto, i lembi del lenzuolo stretti nei pugni chiusi. Si asciugò il sudore dalla fronte e si distese più calma. Nonostante tutto era stato un sogno bellissimo…Era come se Pirelli non l’avesse davvero mai lasciata! Ripensando a cosa le aveva detto e a come l’aveva guardata provò un affetto immenso, un amore vivo che da tempo non provava. Da quando lui se n’era andato. Mentre chiudeva nuovamente gli occhi si chiese se fosse stato solo un sogno o se veramente Pirelli si fosse voluto mettere in contatto con lei.
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    Scusate per i puntini prima dei discorsi diretti...Non so perché ma spuntano come funghi! :O

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    Capitolo 8
    *** Cap.8 ***


    * 

    Quando Claudia rientrò al negozio quella mattina aveva un’aria affranta e stupita allo stesso tempo. Dato che Serafine era fuori con Toby, disse apertamente a Emily:

    - Qualcosa non quadra. Sono passata dal macellaio come al solito, ma mi ha guardata in un modo…Sembrava impaurito, e da una parte sospettoso. Non capisco…Tutti i clienti presenti sono stati alla larga da me e non mi hanno rivolto la parola!

    - Sarà una tua impressione! Perché dovrebbero?- esclamò Emily.

    Claudia sospirò e si abbandonò sulla poltrona. Poi disse:

    - Tutti sanno che il signor Bigg è il nostro fornitore…Io credo che Anthony stia ancora indagando e che possa avergli fatto delle domande…Su di noi.

    - È assurdo!

    - Non così tanto. E se sospettasse di noi? Se fosse andato dal macellaio a fare domande affermando che siamo sicuramente coinvolte nell’omicidio di Sweeney?

    - Non può sospettare di noi, non ha prove.

    - Ma Toby ora vive con noi. Anthony è convinto che lui sappia, ne sono certa. Sta interrogando chiunque ci conosca per estorcere informazioni…Magari diffondendo anche false notizie su di noi che potrebbero spingere la gente a sospettare…

    - Sciocchezze, davvero! Perché dovrebbero sospettare di noi, delle quali si fidano da anni, solo perché un forestiero dice loro che potremmo essere assassine? La gente è così stupida da credere al primo che passa?

    - Sono tempi duri e la gente ha paura.

    - Secondo me vediamo pericolo dove non ce n’è. Perché in effetti non abbiamo…Non ho la coscienza pulita…

    - Non abbiamo.

    - Ma non ha importanza. Non lo verranno a sapere, Anthony non otterrà niente. E la gente smetterà di credergli dopo un po’.

    Mentre parlava, Emily guardava fuori dalla finestra. Ma si bloccò: aveva visto uscire dalla casa di fronte proprio Anthony Hope. Stava salutando e ringraziando la loro vicina, nonché ottima cliente. Allora era vero…Era arrivato persino ad interrogare lei…Non era stata un’impressione, quella di Claudia! Anthony fece per andarsene, mentre la vicina chiudeva la porta. Emily continuava a fissarlo. I loro sguardi si incontrarono, lui si bloccò. Poi affrettò il passo. Emily tirò le tende dicendo lentamente:

    - Hai proprio ragione…Non siamo più al sicuro…

    Poco dopo Toby tentava di rassicurare le due donne:

    - Non è detto che sia un vero pericolo…Alzerà un po’ di polverone, tutto qui.

    - Quando uno solo alza un polverone, c’è il rischio che le voci corrano e che la gente cominci a parlare.- mentre ribatteva Emily riempiva in fretta una valigia.

    Il ragazzo chiese incredulo:

    - Ce ne andiamo? Tutti? È questa la vostra brillante idea?

    Emily aprì un cassetto del mobile rispondendo:

    - No, non tutti. Tu e Serafine ve ne andate.

    - Cosa?!?- il ragazzo era a dir poco allibito.

    Guardò Claudia che gli diede conferma con un cenno della testa. Emily proseguì:

    - Hai ragione, non è detto che siamo in pericolo, ma finché le acque non si sono calmate preferirei che Serafine stesse lontana dalla città e dai pettegolezzi…E da possibili attacchi. Se attaccassero noi, coinvolgerebbero anche lei ed io non voglio. La situazione non è sicura qui, in questo momento. È bene che stia lontana, al sicuro. E so che tu ti prenderai cura di lei. Tornerete quando vi farò sapere nostre notizie.

    Toby tentò di dire:

    - Ma dove dovremmo andare? Io conosco solo Londra! Non avremo una casa…Niente!

    - Sarà sempre meglio che qui.- s’inserì Claudia.

    Emily chiuse la valigia con un botto, poi si avvicinò a Toby frugando nel suo borsellino:

    - Se tutto va bene le acque si calmeranno e tornerete in città il prima possibile. Tutti si saranno scordati di questa faccenda, Anthony ci eviterà e la vita andrà avanti. Se va male…Tu e Serafine sarete in salvo.

    - Non ditelo neanche per scherzo!- esclamò Toby esasperato.

    Emily gli consegnò una bella somma perché si mantenessero e raccomandò che si portassero tutto il necessario.

    - Uscirete da Londra- spiegò- e vi troverete una locanda dove potrete stare finché tutto non sarà finito. Userete nomi falsi, false identità, tutto. Troverò il modo di mettermi in contatto con voi…ma ad ogni costo, non tornate in città. Mi hai capita?

    Toby annuì con la testa, le lacrime agli occhi. Riuscì solo a dire:

    - Cosa dirò a Serafine?

    - Con lei parlerò io.- rispose Emily.

    La fecero entrare nella stanza. La ragazzina scorse lo sguardo dalla madre a Toby, poi a Claudia, e infine di nuovo a Toby, che sembrava sul punto di scoppiare a piangere.

    - Cosa è successo?- chiese spaventata.

    Emily le prese le mani e disse con dolcezza:

    - Ho bisogno che tu e Toby partiate per un po’…Da soli. Abbiamo degli affari molto importanti da sbrigare, e preferirei che per un po’ ve ne andaste da Londra.

    - Stai scherzando?!- Serafine era incredula, confusa e arrabbiata.

    La madre sospirò e disse:

    - Solo per un po’. Il tempo di…Sistemare qualcosa qua e là.

    Ma la ragazza chiese a tutti e tre:

    - Cosa mi nascondete?

    Emily la prese per le spalle:

    - Ti chiedo solo di fidarti di me. Fidati e non fare domande. Quando tornerai…Ti dirò tutto.

    Era questo che aveva deciso di fare. Non poteva tenere il segreto più a lungo. Quando sarebbe tornata, il pericolo ormai lontano, le avrebbe detto ogni cosa. Serafine, dato che voleva molto bene alla madre, annuì seria e la abbracciò.

    - Mi mancherai tanto piccola mia…- sussurrò Emily.

    - Anche tu mamma…- mormorò Serafine.

    La madre la baciò sulla fronte, poi la ragazza abbracciò Claudia. Le due donne non osarono nemmeno pensare se quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbero vista oppure no. Toby consegnò alla ragazzina la sua valigia e prese la sua, i soldi ben nascosti nella giacca. Guardò negli occhi le due donne. Quel silenzio valeva più di mille parole. Era un ringraziamento per tutti quegli anni trascorsi insieme, ma anche un modo per dar loro coraggio. Sperando che non fosse un addio.

    Emily e Claudia li videro uscire dal negozio e svoltare a sinistra, traballanti, con i bagagli. Quando sparirono dalla vista Emily si asciugò una lacrima e Claudia la abbracciò.
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    Grazie Tecla_Leben della recensione!!! Questo è l'inizio del...Come dire...Colpo di scena? Più che altro l'inizio della climax, ecco. ^_^

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    Capitolo 9
    *** Cap.9 ***


    * 

    - Ancora non ci posso credere!- stava dicendo Serafine camminando a fianco dell’amico.

    Era successo tutto troppo all’improvviso…Eppure tutto quel mormorare di sua madre, quel chiudersi nella stanza per parlare in privato…Forse avrebbe dovuto aspettarselo.

    Toby disse:

    - Ti devi solo fidare di tua madre. Sa quello che fa.

    - E anche tu sai, non è vero? Sai cosa sta succedendo, eppure non vuoi dirmelo!- esclamò Serafine arrabbiata.

    Il ragazzo sbuffò e non rispose. La ragazzina si chiuse in sé stessa procedendo un po’ più veloce. Ma come aveva fatto a pensare a lui in quel modo? Camminavano in mezzo alla folla e nessuno li notava. Non appena uscirono da Londra, Toby dette un’occhiata in giro, poi si avviò verso una strada che sembrava costeggiare un colle.

    - Come fai a sapere che stiamo andando dalla parte giusta?- chiese Serafine stizzita.

    Il ragazzo rispose, senza voltarsi:

    - Non c’è una parte giusta, dobbiamo solo allontanarci da Londra. Ci saranno sicuramente osterie da queste parti!

    Serafine, che si era fermata, si affrettò per raggiungerlo. Camminarono per un bel po’, fermandosi qualche volta per il peso dei bagagli. Erano ormai in aperta campagna, la città non si vedeva neanche da lontano. La strada si era ben presto trasformata in un viottolo sterrato costeggiato da ampi prati verdi. Davanti a loro, lontani, i monti. Ogni tanto vedevano qualche casa abbandonata, oppure abitata da contadini. Si erano fermati vicino ad un ruscello, e guardavano i loro riflessi nell’acqua. La ragazzina mormorò:

    - Avremmo potuto noleggiare una carrozza che ci portasse fuori città.

    - Troppo rischioso.- si limitò a dire Toby.

    - Rischioso? Ma cosa stiamo rischiando esattamente?!- sbottò Serafine.

    Il ragazzo si stese sull’erba cercando di mantenere un tono vago:

    - Be’…Siamo due giovani, viaggiamo da soli. Gira brutta gente, avrebbero potuto ingannarci, derubarci…O peggio.

    - Potrebbe accadere anche adesso.- sentenziò Serafine stendendosi a sua volta.

    Era così stanca che, senza accorgersene, si addormentò. Una mezz’oretta dopo si svegliò di soprassalto. Toby le aveva lanciato un po’ d’acqua di ruscello addosso e adesso rideva. Serafine gridò:

    - Tobias Ragg!

    Usava il suo nome completo solo quando era veramente arrabbiata. Cominciarono a schizzarsi a vicenda, e mentre si rincorrevano Serafine si ricordò di quella sensazione…Arrossì un po’ e si fermò. Toby sorrise e disse:

    - Giusto, sarà meglio mettersi in marcia. Non ho ancora visto un’osteria e qui sembra che la campagna non finisca mai…

    Ripresero i bagagli, ma stavolta il ragazzo si offrì di portare anche quello dell’amica. Lei si limitò a ringraziarlo timidamente, osservandolo in tralice mentre camminavano a fianco.

    Passarono le ore, era pomeriggio inoltrato, e i due erano stanchi e affamati. Avevano mangiato solo un po’ di formaggio durante la strada, preso dal bagaglio di Toby. La ragazza lo rimproverò:

    - Ti avevo detto di ridarmi la valigia, mezz’ora fa! Ti stai affaticando troppo!

    Toby poggiò a terra i bagagli e si asciugò il sudore sulla fronte con l’orlo della manica. Disse:

    - Serafine, mi dispiace dirtelo ma…Sono ore che camminiamo e l’ultima abitazione che abbiamo incontrato è già lontana…Qui c’è solo aperta campagna, e questo viottolo…Ho paura che non troveremo nessun villaggio o nessuna osteria prima che faccia buio!

    Si sedette per terra con la testa tra le mani. Serafine era molto preoccupata, ma tentò di mantenere la calma.

    - Vorrà dire che ci accamperemo da qualche parte, magari vicino a quegli alberi! Abbiamo provviste e le lenzuola che mi sono portata!- propose.

    Toby la guardò allibito, poi guardò il luogo che l’amica aveva indicato, e infine tornò a guardare lei:

    - Io non ci dormo là!

    Poche ore dopo, circondati ormai dal buio, Toby stava accendendo un fuoco borbottando indispettito, mentre Serafine sistemava sull’erba lenzuola e panni sotto un grosso noce. La ragazza disse allegra:

    - Come sei schizzinoso, non hai sempre detto di aver vissuto all’orfanotrofio? Le condizioni là dovevano essere ben peggiori di qui!

    Toby si fece serio al ricordo di quell’orribile luogo, e ribatté:

    - Hai ragione, ma non dormivamo in mezzo alla campagna, possibili prede di ladri, briganti, bestie selvatiche e malfattori!

    Il fuoco si accese e Serafine sospirò. Disse semplicemente:

    - Di qui non passa nessuno. Ed il fuoco allontanerà gli animali.

    Si sedettero accanto e mangiarono pane e formaggio. Alla fine la ragazza chiese:

    - Hai delle mele nel tuo borsone?

    - Sì- rispose l’altro- ma è meglio se ce le lasciamo per domani. Credevo che ci fossero osterie più vicine e non ho portato tantissime provviste. Mangiamo il minimo.

    Delusa, Serafine si stese e rimase a fissare il cielo. Toby si voltò a guardarla approfittando del buio, sebbene li illuminasse il chiarore del fuoco. Anche se gli ricordava sempre il suo antico padrone, la sua spontaneità e la sua dolcezza lo affascinavano. In più, sentendosi in dovere di proteggerla, stava nascendo in lui un affetto incredibile per la ragazzina. Niente le avrebbe fatto del male, finché c’era lui...L’aveva già promesso però, ad un’altra donna…E che cosa era successo? Da tanto ormai non pensava alla signora Lovett. Rivide il suo viso chiaro nella sua mente, le sue maniere gentili e spiritose, e la sua calma in ogni situazione…E lui non aveva mantenuto la promessa. Era morta, e Toby non l’aveva salvata. Tante volte si era chiesto se fosse stato giusto farlo. Anche lei era un’assassina, l’aveva tenuto all’oscuro di tutto. Ma anche questa volta si rispose che se l’avesse salvata e allontanata dall’influsso di quell’uomo orribile, forse sarebbe cambiata e tutto sarebbe andato bene. Si sarebbe di certo pentita di quello che aveva fatto, avrebbe pensato solo a lui, sarebbero stati una famiglia. Tutto invece era finito in quella fornace. Guardando Serafine si ripromise che stavolta avrebbe mantenuto la promessa ad ogni costo, non avrebbe perso un’altra donna. Ma nella sua mente qualcosa si distinse…Mrs. Lovett era come una madre per lui…Cos’era Serafine?

    La ragazza si era addormentata. Continuò a guardarla, a lungo.

    Sorrise un po’ confuso. Forse aveva capito.
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    Per Tecla_Leben: Scusa se non aggiorno spesso! :S  Sono contenta che la storia ti faccia stare sulle spine...Hehe vedrai!

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    Capitolo 10
    *** Cap.10 ***


    * 

    Il fuoco si era ormai spento, ma non sarebbe stato comunque utile. Il sole era già sorto, ed i due si stavano appena svegliando. Il cielo era di un rosa pallido, meraviglioso. L’aria era fredda e Serafine starnutì.

    - Nessuna belva feroce?- chiese divertita.

    Toby rispose serio:

    - No…Ma forse un ladro…La mia borsa è sparita.

    - Che cosa?!?- esclamò Serafine impaurita.

    Toby si mise a ridere e le mostrò il suo bagaglio, che aveva tenuto dietro di sé tutto il tempo. Disse solo:

    - Dovresti vedere la tua faccia!

    Serafine lo colpì al petto e si alzò imbronciata. Si avviò verso la stradina sterrata col suo bagaglio, nel quale aveva riposto i panni e le lenzuola.

    - Ehi! Dove credi di andare?!- le urlò dietro Toby.

    Lei non rispose. Ma proprio mentre era in mezzo alla stradina si votò verso la direzione dalla quale erano venuti e si parò gli occhi con la mano. Poi gridò:

    - Toby! Arriva qualcuno!

    Il ragazzo si alzò immediatamente, prese il suo bagaglio e la raggiunse. Guardò anche lui: in effetti da lontano si poteva scorgere un minuscolo puntino correre a tutta velocità. Mano a mano che si avvicinava si faceva sempre più chiaro.

    - È un carro!- esclamò Toby.

    In effetti era un piccolo carro trainato da un cavallo grigio. Alla guida stava un uomo robusto, con un cappello di paglia in testa. Il carro si fermò a pochi metri da loro. L’uomo li guardò sorpreso, come se stesse avendo un miraggio.

    - Allora non mi sbagliavo- disse- c’era qualcuno sulla strada! Perbacco, qui non passa mai nessuno, solo io! Come sono finiti due ragazzetti come voi in un posto come questo?

    Toby parlò per entrambi:

    - Scusateci, signore, stiamo cercando una locanda dove alloggiare…Abbiamo fatto un lungo viaggio e stanotte abbiamo dormito in quella radura…Sapreste dirci a quanto dista il prossimo punto di ristoro?

    L’uomo sembrava sempre più stupito, ma rispose:

    - Be’, ragazzo, la prossima locanda è a un giorno di cammino da qui!

    - Oh, no!- si lasciò sfuggire Serafine.

    L’uomo si affrettò a dire:

    - Oh, ma posso darvi un passaggio io, se volete! Sto andando proprio là, faccio tutti i giorni questo percorso. Porto le mie rape alla locanda e talvolta qualche giornale di Londra, se sono stato in città. Abito nella prima casa che trovereste tornando sui vostri passi. Questa non è una zona molto popolata, ma chi vive isolato come noi si deve dare una mano, non credete? Così faccio io su e giù per la locanda e per i contadini come me!

    Mentre parlava i due ragazzi osservarono il retro del carro, pieno zeppo di rape. Anche se era piccolo e sporco, sarebbero stati bene, seduti sul fondo. Ringraziarono l’uomo e salirono sopra, le gambe penzoloni mentre il carro ripartiva.

    - A proposito- esclamò l’uomo voltandosi appena per rivolgersi a loro ma senza perdere d’occhio la strada- mi chiamo Sam!

    Toby chiese con lo stesso tono di voce, per sovrastare lo scalpiccio del cavallo:

    - Sam, dev’essere difficile per voi fare questo tragitto quasi tutti i giorni! Stamattina per esempio sarete partito quando era ancora buio!

    - Certo ragazzo! E arriveremo a sera. Infatti quando arrivo alla locanda passo sempre la notte lì. Vi piacerà, è un posto onesto!- rispose Sam.

    Toby si voltò verso Serafine, che guardava l’orizzonte allontanarsi sempre di più. Il ragazzo aprì il borsone e tirò fuori una mela, che le passò chiedendo:

    - Facciamo una tregua?

    Serafine arrossì, perché quel frutto le ricordava la mela del gioco, e quella che il giorno precedente le era stata negata. Poi sorrise e disse:

    - Non ero arrabbiata…

    E con sguardo d’intesa si mise a mangiare.

    Sam aveva ragione, ed arrivarono alla locanda quando il sole stava tramontando. Era un edificio a dir la verità un po’ decadente, tutto di legno. Al tetto mancava qualche tegola e l’insegna appesa cigolava in modo poco invitante. Ma subito un vecchio dall’aria gentile uscì dalla porta e venne incontro a Sam salutandolo cordialmente. Si offrì di sistemare lui il cavallo e di portarlo nella stalla. Il contadino lo ringraziò, slegò il carro e radunò la merce, annunciando che aveva portato con sé due clienti.

    Tutti e tre fecero l’ingresso nel locale. Il salone principale era più lungo che largo, a destra un bancone ed una porta, a sinistra qualche tavolo ed un divanetto. In fondo si scorgevano delle scale a chiocciola anch’esse di legno che dovevano portare alle camere. Dalla porta uscì una donna che doveva avere più o meno l’età di Emily e Claudia. Portava i capelli castani raccolti sotto una cuffia e aveva le maniche rimboccate. Quando li vide esclamò:

    - Sam! Quelle sono rape? Sei stato gentile a passare…Oh, ma non sei solo!

    Stava guardando i due ragazzi. Il contadino spiegò:

    - Sì Sarah, stanno cercando una stanza, hanno bisogno di un alloggio.

    - Accidenti, qui abbiamo sempre gli stessi clienti da anni, ormai…O pochi forestieri, ma vengono tutti dalla parte opposta…Non verrete mica da Londra, vero?- chiese la donna incuriosita.

    Toby mentì:

    - No…Ci siamo capitati solo di passaggio…

    La donna sorrise e tirò fuori da sotto il bancone un foglio ed un calamaio. Prima di scrivere chiese:

    - Volete una stanza, quindi. Nome?

    Toby rimase allibito: non ci aveva pensato. Indugiò per un attimo, e Sarah si giustificò:

    - È la procedura…

    - Edmund- rispose finalmente- Edmund Finnis.

    La donna prese appunti, mentre Serafine si faceva avanti:

    - E Mary Jones.

    Sarah scrisse tutto, chiedendo anche per quante notti sarebbero rimasti. Toby aveva risposto che non ne erano ancora sicuri, ma che per quel momento avrebbero pagato sei notti. E consegnò il denaro necessario.

    In quel momento entrò il vecchio che aveva sistemato il cavallo. A Sam era stata offerta una birra.

    - Sigfried, puoi servire tu? Io mostro la stanza ai nuovi arrivati…- disse Sarah riponendo il foglio.

    Il vecchio annuì con la testa e sorrise ai due ragazzi. La donna li guidò su per le scale a chiocciola spiegando:

    - Ci sono solo altre due camere occupate. Ma sono clienti che ben conosciamo, sempre impegnati in viaggi di lavoro, pendolari, che si fermano qui spesso…Non vi arrecheranno fastidio, ve lo assicuro.

    Tirò fuori dalla tasca del grembiule una chiave e aprì l’ultima porta a destra. La camera era piccola, con un grande letto matrimoniale, un armadio e un piccolo scrittoio. Una finestra dava sulla piazzetta nella quale erano arrivati col carro.

    Mentre osservavano la stanza, la donna era rimasta ferma sulla porta con le mani sui fianchi. Toby si voltò:

    - È perfetta, grazie.

    - Se avete bisogno di qualsiasi cosa, siamo tutti al piano di sotto, cibo, bevande…- disse congedandosi Sarah.

    Chiuse la porta e restarono soli. 

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    Capitolo 11
    *** Cap.11 ***


    *

    Cenarono proprio al piano di sotto, dato che ogni pasto era compreso nel prezzo della camera. Il cibo non era ottimo, ma caldo, e i due lo divorarono con avidità. Toby non seppe resistere ad un bicchiere di gin che da anni ormai non beveva. Quanti ricordi legati a quel sapore acre ma confortevole…Ricordi amari, ma anche allegri…Serafine, che non aveva mai bevuto, lo guardava con un’aria così scandalizzata che il ragazzo rise.

    Si coricarono presto, la luce della luna che entrava dalla finestra. Avevano già dormito insieme, qualche volta, quando Serafine era più piccola. Ma era passato del tempo ed ora la ragazza si vergognava. E sapeva perché. Il sentimento in fondo allo stomaco bruciava come non mai. Sotto le coperte, ognuno era voltato da un lato e si davano le spalle. Serafine era vicina alla finestra, ma riusciva a vedere solo un pezzo di cielo nero. Provò un’immensa nostalgia per la sua casa, per sua madre…Cosa stava facendo? Il negozio era ancora aperto? Come avrebbero fatto da sole? Le mancavano sia la zia che la madre…E si mise a piangere in silenzio. Si immaginava sua madre sola, stesa sul letto della figlia, ad accarezzare le coperte e a sentirsi vuota. Se ci fosse stato suo padre, forse sarebbe stato diverso…O no? Come poteva saperlo lei? Non l’aveva mai conosciuto. E si ritrovò a pensare a lui intensamente dopo tanto tempo. Non piangeva più, ma aveva le guance bagnate, e le veniva da singhiozzare. Non riuscì a trattenersi. Toby si voltò di scatto e le toccò la spalla chiedendo piano:

    - Stai piangendo?

    - No, non fare caso a me…Stavo solo pensando…- sussurrò Serafine.

    Toby si voltò verso di lei e la costrinse a fare lo stesso. Poi le asciugò le lacrime e le strinse la mano. Serafine arrossì e smise immediatamente di singhiozzare.

    - Va meglio?- chiese lui.

    Lei annuì con la testa. Qualcosa lo frenò da augurarle la buonanotte e girarsi dall’altra parte. Rimase a guardarla nel buio, a cui i suoi occhi si stavano abituando, aiutati dalla poca luce della luna. E ad un tratto Serafine chiese con tono deciso:

    - Toby, devi essere sincero con me. Ti ho sempre fatto domande, e non mi hai mai dato una vera risposta…Ma sono cresciuta adesso, e voglio sapere…Ne ho il diritto. Ma ti prego di dirmi tutta la verità, ogni minimo particolare, perché io vivrò per quello. Ti prego, dimmi com’era mio padre.

    Toby, che si aspettava una domanda ben peggiore, riguardante la loro fuga per esempio, rimase per un attimo allibito. Poi sussurrò:

    - Tutto?

    - Tutto- rispose lei- come vi siete conosciuti, cosa avete fatto. Tutto.

    Il ragazzo sospirò. Non le sarebbe piaciuto quello che stava per sentire, ma in fondo perché mentire? Raccontò sempre a voce bassa:

    - Ho passato la mia infanzia all’orfanotrofio. Ci trattavano in modo orribile, lavoravamo duramente, i pasti erano scadenti e non era raro vedere topi zampettare sul pavimento. Di notte potevano succedere cose orribili. Speravamo di essere adottati, o spediti in qualche famiglia. Un giorno dissero che c’era un’offerta per un bambino maschio della mia età. Un barbiere stava cercando un ragazzo che potesse fargli da apprendista e aiutante. Immediatamente portarono me e gli altri miei coetanei di fronte al nuovo acquirente. Dicevano che era un barbiere molto potente e rispettato in città, e che sarebbe stata una fortuna essere preso da lui. Quando lo vidi per la prima volta indossava un vestito sgargiante sotto un pesante cappotto di pelliccia, e ci squadrava tutti con aria sprezzante e indagatoria. Era altissimo, aveva i capelli scuri e un paio di baffetti. Sembrava quasi uscito da un mondo parallelo, o almeno, così pensai io. Tutti lo osservavamo speranzosi, lui, con l’aiuto di una donna dell’orfanotrofio, ci squadrava uno ad uno. Poi indicò me. "Questo fa al caso mio" disse. La donna sorrise, sicuramente felice di sbarazzarsi di una bocca da sfamare. Il barbiere dovette firmare qualche pratica, e poi mi condusse fuori con sé. Sembrava gentile con me. Così ho conosciuto Adolfo Pirelli, tuo padre. O meglio, quello era come si era presentato a me, ma era solo il suo nome d’arte. Si chiamava Davey Collins.

    Serafine sembrava molto eccitata e presa dal racconto. La descrizione combaciava con quella data dalla madre, e anche il nome d’arte. Peccato, le sarebbe piaciuto chiamarsi Pirelli. Toby proseguì:

    - Però, se devo essere sincero con te Serafine…Vedi, è questo che non ti ho mai detto. Lui sembrava gentile con me. Non lo è mai più stato, varcata quella porta. Non dico di essere capitato in un posto peggiore dell’orfanotrofio, ma… È stato terribile. Era il mio padrone, e non faceva altro che addossarmi le colpe di tutto ciò che sbagliava, mi assegnava i lavori più umili, dovevo ricordargli ogni appuntamento, essere complice dei suoi affari più disonesti (non ti dico che cos’era il meraviglioso Elisir Pirelli) e spesso mi…Mi frustava, Serafine.

    La gioia era scomparsa dal volto di Serafine. Quello era un lato di suo padre che le era del tutto oscuro. Non poteva essere vero…Suo padre aveva trattato Toby in quel modo? Come uno schiavo, l’aveva usato e torturato a suo piacimento…No, non poteva essere vero. Il ragazzo si affrettò a dire:

    - Scusa, ma avevi detto di voler sapere tutto…

    - Va’ avanti.- disse semplicemente lei.

    E lui obbedì:

    - Dopotutto ero un assistente, ed era lui a comandare. Inutile dirti che lo temevo, e facevo tutto con grande diligenza e precisione, nella paura di farlo infuriare. Ma perlomeno avevo un letto e un pasto assicurato. Vedi, io credo che lui mi trattasse così…Perché aveva avuto un’infanzia dura quasi quanto la mia. Anche lui era stato un apprendista…Me lo ripeteva sempre. Ma voleva di più, voleva riscattarsi, essere qualcuno. Io facevo parte della sua idea di supremazia. Avere un sottoposto…

    - È terribile.- commentò Serafine.

    Toby raccontò:

    - Ma io ero solo un bambino, un orfanello che lui aveva pescato tra tanti altri ragazzini…E non credo avesse mai avuto qualcosa di veramente bello nella vita, tranne la sua popolarità. Con tua madre è stato diverso. Di lei era innamorato, sul serio. Non stavo più con lui quando l’ha conosciuta, ma tua madre mi dice sempre che con lei era dolce e divertente. Ricordo che ammonito da lei mi trattò persino con benevolenza. Doveva fargli un certo effetto. Credo che l’abbia reso migliore, in questo senso. Peccato che non mi sia potuto godere la trasformazione, con me è sempre stato terribile.

    Serafine, un po’ più sollevata da queste ultime rivelazioni, chiese:

    - Credi che mi avrebbe voluto bene, allora?

    - Certo! Quando tua madre gli disse che aspettava te, era così felice…Sarebbe stato molto fiero di te.- rispose subito Toby.

    Serafine sorrise, senza però capire come mai Pirelli avesse trattato in quel modo il ragazzo e invece fosse stato così amorevole con la madre. Poi chiese:

    - Hai detto che non stavi con lui. Perché?

    - Ecco- rispose Toby- al mercato vendevamo i suoi elisir, che ovviamente non erano veri elisir. Un altro barbiere, Sweeney Todd, lo scoprì. E lo sfidò davanti a tutti per metterlo in ridicolo. Tuo padre perse, e, accecato dalla rabbia, mi costrinse ad accompagnarlo al negozio del barbiere per chiedere indietro i soldi persi. Voleva ricattarlo, questo l’ho saputo dopo da tua madre, e mentre saliva al piano di sopra, io rimasi a mangiare pasticci dalla vicina, la signora Lovett. Poco dopo tornai ad avvisare tuo padre che aveva un appuntamento, ma lui non c’era più. Sweeney diceva che se n’era andato, ma io sospettavo qualcosa. Fui messo a tacere col…Eh sì, devo ammetterlo, gin. E quando svegliai Mrs. Lovett mi propose di lavorare per lei, dato che tuo padre non era tornato a prendermi ed era già buio. In realtà era stato aggredito dal barbiere e tua madre l’aveva tratto in salvo. Col tempo mi dissero che probabilmente gli era capitato qualcosa di brutto e non sarebbe tornato. Ma io sapevo che qualcosa non quadrava, Sweeney Todd doveva essere il colpevole. Un giorno al mercato infatti avvicinò Claudia per estorcerle informazioni, e venni a sapere che era vivo. Così mi precipitai al loro negozio e vidi che stava bene. Lo avvertii che il signor Todd voleva finire l’opera irrompendo in casa loro e uccidendoli entrambi. Fu allora che mi ringraziò. Per la prima volta.

    Serafine era colpita. Tutte quelle notizie…In una sola volta! Sapeva un po’ la storia…ma non così articolata, e non da questo punto di vista. Mormorò:

    - Zia Claudia li ha traditi…

    - Se n’è pentita…Dice sempre che è stato il suo più grande errore. Non voleva fare del male a nessuno, era stata affascinata da Sweeney Todd. Non era la sola…- disse Toby pensando alla sua signora Lovett.

    Si chiese se aveva raccontato troppo. No, poteva ancora andare avanti. Doveva solo evitare di raccontare quella notte.

    - Poi è morto?- chiese con un filo di voce Serafine.

    Toby rispose:

  • - Sweeney Todd li attaccò e tuo padre difese tua madre. Fu così che morì. È stato molto coraggioso, non me lo sarei mai aspettato da lui…Come ti ho detto, tua madre l’aveva cambiato. Siamo fuggiti quella notte, e Sweeney Todd…Adesso non c’è più.
  • A Serafine non venne minimamente in mente che la sua morte fosse connessa a quella sera, e non fece altre domande. Fu lui a parlare:

  • - Il signor Todd era un uomo orribile. Uccideva i suoi clienti, e la signora Lovett li utilizzava come ripieno dei suoi pasticci…Anche se stavo bene, sapendolo avrei preferito mille volte lavorare per tuo padre, sappilo.
  • Non sapeva se era proprio vero, ma il suo cuore gli diceva che era la cosa giusta da dire. Serafine era disgustata da quest’ultimo racconto, ma l’ultima frase l’addolcì. Mormorò:

  • - Grazie Toby…Grazie di essere stato sincero.
  • La sua voce era così flebile e dolce, Toby sentì crescergli un fortissimo affetto per quella ragazza. Lei lo abbracciò all’improvviso, come per scusarsi per tutto quello che il ragazzo aveva dovuto subire in passato. Rimasero fermi così per un po’, poi Toby la scostò delicatamente e la guardò negli occhi. La baciò.

    Serafine si sentì ribollire in tutto il corpo, ma finalmente quella sensazione si stava sciogliendo. E poteva ammetterlo: era innamorata. Quando le loro labbra si allontanarono sorrisero. Toby disse piano:

  • - Se tuo padre fosse qui, mi ammazzerebbe…
  • E la baciò di nuovo.

    Si addormentarono abbracciati pochi minuti dopo, stanchi ma estremamente felici.

    La notte di Emily e Claudia era stata diversa. Insonne, tormentata. Avevano dormito appena qualche ora. La mattina dopo il negozio era vuoto. Le voci che Anthony stava spargendo in giro stavano dando i loro frutti. Claudia stava ammirando con tristezza la sala deserta, i tavoli pronti e puliti ma totalmente inutili. Non avevano neanche azionato la fornace, perché già il giorno prima la clientela si era ridotta a pochissime persone. Ma quella mattina la situazione era peggiorata ulteriormente: nessuno. Dato che non avevano niente da fare, Emily decise di lasciar perdere i pasticci e concentrarsi sul bucato arretrato. Mentre andava a disfare i letti, appunto Claudia guardava la sala in attesa che arrivasse qualcuno. Sperò tanto che le cose migliorassero. Emily la chiamò dalla camera vicina, quella che per tanto tempo aveva ospitato Pirelli ferito e poi Serafine. Claudia la raggiunse: l’amica aveva bisogno di lei per piegare le lenzuola. Svolsero l’azione in silenzio, immerse in pensieri loro. Poi, mentre Emily riponeva il lenzuolo nel cestino, sentirono la campanella della porta d’ingresso suonare. Un rumore di passi che si avvicinava: dovevano essere diverse persone. Camminavano decise, ma tutto avvenne in pochi secondi. Le due donne, stupite, avevano raggiunto la sala del negozio, e videro avanzare tre uomini dal fare minaccioso, vestiti di nero, muniti di manganelli. Erano poliziotti.

  • - Che cosa…?- provò a dire Emily all’improvviso terrorizzata.
  • Ma uno degli uomini la afferrò bruscamente, e mentre lei cercava di dibattersi le serrò le braccia dietro la schiena in modo che non potesse muoversi più di tanto. Lo stesso trattamento fu riservato a Claudia, che non fece in tempo a fuggire. Le due gridavano e si dimenavano, chiedendo che cosa stesse succedendo, anche se in cuor loro temevano la risposta. Uno degli uomini, scortandole fuori, disse:

  • - Smettete di agitarvi, dovete venire con noi. Siete in arresto per l’omicidio di Sweeney Todd.
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  • Capitolo bello pieno eh? Quante emozioni tutte in una volta! Ora comincia l'azione...
  •  

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    Capitolo 12
    *** Cap.12 ***


    *

    Senza tante cerimonie, le due erano state portate all’Old Bailey, sotto lo sguardo colpito e spaventato di molti passanti. I poliziotti comunicarono la cattura, poi le due vennero trascinate nella prigione in attesa del processo. Vennero praticamente tirate per i capelli giù per le scale buie, e gettate in due celle separate, ma dalle quali si potevano vedere, separate solo da spesse sbarre. Dovevano trovarsi a molti piedi sotto terra, perché le uniche finestre erano piccole e altissime, ed erano direttamente all’altezza della strada. Gettate nelle celle, vennero chiuse a chiave e lasciate nella penombra. L’urto con il suolo le fece gemere, poi Emily si affacciò disperata alle sbarre gridando come una pazza di essere innocente. Le rispose il colpo di una porta lontana che si chiudeva. La donna emise un urlo rabbioso e si scagliò a terra. Non poteva essere successo, non davvero. Non avevano prove, come facevano a sapere? Si erano forse fidati delle voci di Anthony? Avrebbe sistemato la cosa, ne era sicura. Claudia disse dal fondo della sua cella:

    - Emily, è terribile, cosa facciamo?

    Si avvicinò alle sbarre che le separavano, ma l’altra donna era rimasta immobile inginocchiata. Nel buio non riusciva a vederla. La supplicò:

    - Emily!

    L’altra allora si mosse e si avvicinò all’amica dicendo:

    - Non possono tenerci qui. Non so come possano aver scoperto…Ma cambieranno idea!

    Le sanguinava il mento per la caduta, ed era piena di dolori, ma non vi badava molto. Claudia sussurrò, nel caso nelle celle vicine ci fossero altri detenuti:

    - Cosa vuoi dire? Non cambieranno idea, hai visto come ci hanno trattate? Quelli non hanno bisogno di prove! Ci impiccheranno! Loro sanno…

    - Hanno solo sentito delle voci!- la interruppe Emily.

    Claudia sospirò e si accovacciò sul pavimento. Cominciò a singhiozzare.

    - Andrà tutto bene…- la consolò l’altra allungando una mano oltre le sbarre.

    Ma non ne era sicura. Tutto le sembrava troppo tetro e reale per aggiustarsi. Forse era veramente la fine. Si mise a piangere anche lei, in silenzio.

    Nel buio riuscivano a distinguersi appena a vicenda, e avevano perso la cognizione del tempo. Si sentivano sporche e ferite, ed il pavimento era gelato. Tastando Emily aveva trovato della paglia, ma niente da mangiare. La cella doveva essere grande quanto spoglia. Dopo un po’ la porta si riaprì e lentamente si avvicinò qualcuno. Le donne sentirono dei movimenti dalle celle vicine, poi dalle sbarre fu gettato dentro le loro celle qualcosa. Era pane raffermo. La figura se ne andò come era venuta e calarono di nuovo le tenebre. A Emily sembrava ancora un brutto incubo. Prese in mano il pane e lo mangiò, affamata. Claudia chiese:

    - Da quanto siamo qui?

    La sua voce era flebile, e si sentiva appena. L’altra rispose:

    - Non lo so.

    Ma la luce dalle finestre in alto si stava spegnendo, stava arrivando il buio più totale. Doveva essere sera. Le due si addormentarono sul pavimento freddo, e quando si svegliarono c’era del nuovo pane con una ciotola d’acqua, e dalla finestra entrava una pallida luce rosata. Ma non si erano svegliate ben riposate, erano state infastidite da un suono acuto. Un uomo qualche cella più avanti stava gridando come un pazzo, ma non riuscivano a capire cosa dicesse. Era come una strana cantilena, accompagnata da un lamento lungo e straziante, e da offese ben comprensibili verso la polizia. L’uomo continuava sempre più forte. La porta in cima alle scale si aprì e scese qualcuno. Emily e Claudia lo sentirono superare le loro celle, mentre l’uomo rideva e gridava sempre più forte. Poi si sentirono dei colpi e delle urla di dolore. La figura passò ancora davanti alle loro celle, salì le scale e sparì dietro la porta. L’uomo adesso non cantava più.

    Le due si riaddormentarono terrorizzate e sempre più tristi. Quando si svegliarono bevvero un po’ d’acqua, non certo fresca, e si misero a bisbigliare sotto voce tra loro. Cosa sarebbe successo? Per quanto sarebbero dovute rimanere lì? Minuti o ore dopo, ormai non lo sapevano più, la porta si spalancò ancora, e due uomini scesero le scale. Aprirono le loro celle e le afferrarono per i polsi. Le due, rese deboli dal poco cibo e dalle cattive condizioni in cella, traballarono e non riuscirono ad opporre resistenza. Le stavano portando fuori, ma le donne non gioivano. Sapevano di non essere libere. Salite le scale a fatica, un poliziotto disse:

    - C’è il vostro processo.

    Superata la porta la luce le accecò per un attimo, poco abituate com’erano, ormai. Barcollanti, furono trasportate su per altre scale, fino ad una porta. I loro vestiti erano sporchi e sgualciti, ed Emily aveva del sangue cicatrizzato sul mento. Due uomini gettarono loro dell’acqua in pieno viso, forse per dare un po’ di decenza, ovviamente senza successo. Adesso avevano un’aria veramente terribile, col viso e qualche ciocca di capelli bagnati, i vestiti sporchi ed il colorito pallido. Aspettarono di fronte ad una porta, sempre sorrette dai poliziotti, poi le fecero entrare. La stanza era grande e ben illuminata. Emily e Claudia constatarono che doveva essere pomeriggio inoltrato. Un’aula molto pulita e ordinata, rispetto all’orrenda prigione. Al centro c’erano lunghi tavoli pieni di pratiche e fogli, ai quali sedevano giurati e magistrati vestiti di nero, con parrucche bianche. Persino su un lato della stanza, su palchetti di legno, sedevano dei funzionari. Le pareti erano tutte di legno, e sul fondo dell’aula, su un leggio, affiancato da due giurati, sedeva il giudice. Sotto l’enorme parrucca bianca sembrava celarsi un uomo serio e burbero, ma anche molto attento e scaltro. Non era più giovane del giudice Turpin. Non era al centro, ma leggermente più a sinistra. Alle sue spalle, sul muro, era appesa una spada, e tutta la parete dietro di lui era decorata e intagliata in modo sobrio e austero. Il giudice sovrastava i presenti, che comunque si trovavano a una certa distanza rispetto a lui. Le due imputate furono scortate fino al loro posto, uno spazio isolato da un parapetto di legno, sulla destra. I poliziotti le lasciarono lì assicurandosi che non potessero uscire. Al loro passaggio tutti si erano alzati in piedi. Le due avevano appena alzato lo sguardo. Il giudice annunciò:

    - Alla presenza delle due imputate dichiaro aperta l’udienza.

    Tutti si sedettero, tranne Emily e Claudia che, ovviamente, erano costrette a stare in piedi. L’uomo continuò:

    - Le presenti Emily Baldett e Claudia Raven sono accusate di aver ucciso il signor Sweeney Todd nel giorno dieci maggio di diciassette anni fa. In particolare Emily Baldett è accusata di suddetto omicidio, mentre la signorina Raven di complicità. L’accusa è stata riportata dal qui presente signor Hope.

    Fu allora che le due notarono Anthony, seduto proprio sotto il giudice. Accanto a lui c’era Johanna, il volto nascosto sotto la retina del cappello, ma evidentemente a disagio. Alcuni notai lessero poi il resoconto delle indagini, affermando che quella notte le due erano state viste uscire dal luogo del delitto poco prima del ritrovamento dei cadaveri, in compagnia di un certo Tobias Ragg al momento non rintracciabile, ed erano sicuramente colpevoli dell’omicidio di Sweeney Todd. Precisavano di essere a conoscenza delle losche attività dell’individuo, non punibile a causa del prematuro decesso, e riconoscevano che solo lui era vittima delle due donne, e non gli altri cadaveri, probabilmente uccisi dal barbiere stesso in precedenza. Tutto ciò era stato dedotto dalla posizione dell’uomo al momento del ritrovamento, e dall’ispezione del luogo del delitto, dove era stato trovato un tritacarne colmo di resti umani.

    Dovevano essere tornati sulle indagini interrotte anni prima, pensarono le due imputate. Sapevano che Sweeney era un assassino, ma logicamente non potevano più punirlo, ed ora che avevano scoperto il loro omicidio grazie ad Anthony, avevano finalmente trovato qualcuno da punire per mettere fine all’intera faccenda. Il giudice stava giusto dicendo:

    - Sebbene abbiate ucciso un assassino, una minaccia per l’intera città, avete commesso un atto gravissimo senza alcuna giustificazione, scendendo al suo pari. La cosa è intollerabile, come vi difendete dunque?

    Emily tentò un’ultima volta:

    - Vostro Onore, mi dichiaro innocente! Non ho ucciso Sweeney Todd, né io, né Claudia Raven, e non avete prove per dimostrare il contrario! Chi ci avrebbe viste, stando alle vostre informazioni? Chi? Sono solo voci, vi assicuro che siamo innocenti!

    Un mormorio si diffuse per la sala, Anthony sembrava disgustato, ma cercava di contenersi. Il giudice ordinò di far entrare il testimone, ed Emily perse un colpo. Il nuovo messo corse fuori dall’aula e rientrò accompagnando un vecchio gobbo e sporco. Era proprio Joe, il mendicante che aveva parlato con Anthony. Lo fecero accomodare in un banco appena sotto il giudice, mentre un notaio leggeva:

    - Testimone Joe Adams.

    Il vecchio sorrise ascoltando dopo tanto tempo il suo nome completo. Doveva sentirsi un principe, in quel momento. Claudia ed Emily, che non avevano mai visto quell’uomo prima d’ora, credettero che fosse solo un imbroglio architettato da Anthony per rendere veridicità alle sue supposizioni. Un avvocato interrogò il vecchio riguardo a ciò che sapeva, e l’uomo ripeté per filo e per segno tutto ciò che aveva detto ad Anthony giorni prima. Sembrava molto soddisfatto mentre raccontava di come si era nascosto ed aveva sentito la conversazione tra le due donne che uscivano dal negozio della signora Lovett. Quando arrivò a raccontare precisamente che cosa si erano dette, Emily impallidì. Quell’uomo sapeva veramente, le aveva sentite. E lei aveva proprio detto di aver ucciso Sweeney Todd. Anche Claudia era terrorizzata e sorpresa al tempo stesso. Le cose si stavano mettendo male.

    - E questo è tutto- concluse il vecchio- ora che le vedo posso dirvi che sono proprio loro.

    Il giudice lo ringraziò e lo fece riaccompagnare fuori dall’aula. Poi disse in tono severo:

    - Bene signorina Baldett, ora vorrete spiegarci. Mi sembra evidente che finora avete mentito spudoratamente, siete un’assassina. Il testimone è valido, e vorremmo sapere perché avete ucciso il barbiere e cos’è l’oggetto che trasportavate con l’aiuto della signorina Raven, ormai evidentemente vostra complice. Futile dire che ogni vostro tentativo di negare non solo vi ricoprirà di ridicolo di fronte all’evidenza, ma aggraverà la vostra situazione che già mi sembra compromettente.

    Emily non parlò, ormai in preda al panico e senza speranze. Fissava il pavimento indecisa sul da farsi, quasi in lacrime. L’oggetto…Quell’oggetto era Pirelli…Non avrebbero capito.

    Le due imputate erano uno spettacolo piuttosto penoso, specie agli occhi di Anthony, che stentava a riconoscerle come le due locandiere da cui si era servito tante volte.

    Il giudice si spazientì:

    - Signorina Baldett!

    Emily alzò lo sguardo pieno di lacrime, quasi gridando:

    - Sì, l’ho ucciso! Sono stata io! E se tornassi indietro, se potessi, lo rifarei altre cento volte e di più! Sweeney Todd era un assassino, quella notte uccise il messo Bamford, il giudice Turpin e la signora Lovett stessa, l’ho visto con i miei occhi! E quella stessa notte, uccise l’uomo che amavo, tentando di eliminare anche me. Per questo l’ho ucciso, non sopportavo l’idea che potesse sopravvivere dopo avermelo portato via! E se volete saperlo, l’oggetto che io e la signorina Raven stavamo portando via era il corpo di Adolfo Pirelli, o meglio di Davey Collins, il cadavere dell’uomo che amavo a cui abbiamo dato degna sepoltura! Aver ucciso Sweeney Todd non è un delitto, ma un atto giusto e nobile verso Davey Collins che ha dato la vita per me!

    Ora piangeva. Al nome di Turpin Johanna aveva sussultato, ed Anthony guardava le due donne colpito e soddisfatto della confessione. Claudia tentò di dire:

    - Vostro Onore, Sweeney Todd era veramente un assassino…

    Il giudice la interruppe:

    - Silenzio! L’imputata ha confessato! Quello che avete fatto, signorina Baldett, per quanto possa esservi sembrato giusto e soddisfacente, è un abominio davanti a Dio e agli uomini. Siete accusata dell’omicidio di Sweeney Todd, e la signorina Raven qui presente di complicità, in quanto vi ha sostenuta nel vostro atto disumano e continua a difendervi. Colpevole quanto lei è il signor Tobias Ragg, visto anch’esso nell’atto di aiutarvi. Tuttavia non essendo ancora riusciti a trovarlo e quindi nell’impossibilità di arrestarlo, anche se è solo questione di tempo, non possiamo giustiziarlo, e il caso su di lui rimarrà aperto fino al suo ritrovamento. Quanto a voi due, siete condannate ad essere appese per il collo. L’esecuzione si terrà tra tre giorni, al tramonto, e che il Signore abbia pietà della vostra anima. La corte si aggiorna!

    E batté il fatidico martelletto. Emily e Claudia erano impallidite, improvvisamente prese da un terrore cieco. Allora sarebbe successo…No…Era impossibile! Tremavano in tutto il corpo, mentre tutti si alzavano in piedi e alcuni si congratulavano con Anthony, che però non sembrava soddisfatto, quanto pensieroso e un po’ malinconico. La verità è che non aveva condotto le indagini per mandare a morte qualcuno, voleva solo giustizia, ma in quell’aula aveva realizzato che la giustizia era una sola…E ora non poteva tornare indietro. Johanna sembrava piuttosto sconvolta. Due poliziotti si avvicinarono alle imputate per ricondurle nella cella. Emily, avendo ormai capito che non c’era più niente da fare, fu colpita all’improvviso da un lampo. Si era ricordata, e doveva dirlo. Non avrebbe cambiato niente, ma l’avrebbe fatta stare meglio. Mentre la prendevano si mise a gridare:

    - Anthony Hope!!! Sì, dico a te!

    Anthony si voltò pallido e spaventato, e con lui Johanna. Emily gridava:

    - Spero tu sia contento adesso! Hai vendicato il tuo caro amichetto Sweeney Todd, non ti senti meglio ora che queste due terribili assassine verranno mandate alla forca?!? Per merito tuo?!?

    Anthony cercò di distogliere lo sguardo imbarazzato. Il poliziotto tentò di farla tacere trascinandola via con forza, ma lei proseguì con lo stesso tono:

    - Certo non pensavi che ti avrebbe fatto fuori quando saresti tornato a prendere la tua Johanna! E sai perché?! Sai perché ero là quella maledetta notte?! Avrei potuto salvarmi, avrei potuto salvare Pirelli, invece tornai da Sweeney! Cercai di farlo ragionare, cercai di distoglierlo dai suoi piani!!! Volevo avvertirlo di quello che aveva fatto, di quello che avrebbe potuto rimediare! Ero una stupida! Volevo dirgli che la mendicante che aveva ucciso in preda alla follia era sua moglie Lucy, che credeva morta!!! Volevo dirgli che il ragazzino che aveva risparmiato poco prima nel negozio non era altri che la sua amata figlia Johanna! La preziosa bambina che non vedeva da quindici anni e voleva tanto riabbracciare, ma che non era riuscito a riconoscere quella notte, la stessa bambina che per avere ti avrebbe ucciso!

    Johanna era diventata pallidissima, gli occhi sgranati e la bocca spalancata. Era immobile, e la fissava. Emily aggiunse poco prima di essere trascinata via definitivamente:

    - Sì, Johanna, tuo padre era Benjamin Barker, che il giudice Turpin aveva esiliato! Ma era tornato sotto il nome di Sweeney Todd! Ed è colpa sua se la mia vita è finita!!!

    La sua voce si perse nel corridoio, mentre tutti i magistrati bisbigliavano sconvolti. Johanna non riusciva a credere che quell’assassino fosse suo padre, e che la donna uccisa davanti ai suoi occhi fosse sua madre. La sala cominciò a vorticare intorno a lei, poi il buio. Era svenuta tra le braccia di Anthony.

    Le due donne furono di nuovo sbattute in cella, e ripiombarono nelle tenebre. Emily scoppiò a piangere, ma in fondo era soddisfatta di aver detto a Johanna che Sweeney era suo padre. Voleva farle vedere che razza di genitore avesse, e farle capire che avevano difeso un vero impostore. Ma ora solo due pensieri l’assalivano: Serafine e la morte imminente. Aveva sempre avuto paura della morte, ma adesso che era vicina era ancora più terrorizzata. Non voleva che andasse a finire così. E Serafine…Sperò tanto che Toby l’avesse portata lontano, e che non venisse mai a sapere niente. O almeno, fino alla sua morte. Sperò tanto che non tornassero a Londra, che Toby non venisse catturato. Almeno in questo era riuscita: l’aveva salvato. Ma come avrebbe fatto la sua bambina a crescere senza di lei? Mentre ancora piangeva si avvicinò alle sbarre vicino a Claudia e mormorò:

    - È finita…Abbiamo perso.

    Anche l’amica piangeva, e disse:

    - Non voglio morire…

    Emily si asciugò le lacrime e rimase in silenzio.

    - Mi dispiace tanto Claudia. Non volevo coinvolgerti in questa storia. Tu non l’hai ucciso…Tu mi hai solo protetta…Sono io che merito la morte, non tu.- disse poi.

    Claudia ribatté:

    - Proteggere un…malvivente è comunque considerato un reato. Sono colpevole quanto te, e dunque anche io mi merito la forca.

    Dopo rimasero veramente in silenzio. Claudia rifletteva passando un dito sulle sbarre. Calò la notte, o almeno, così sembrava dalla scarsa luce che veniva dalle finestre in alto. Erano rimaste in silenzio per ore, senza neppure muoversi. Claudia cercava di non pensare all’esecuzione, ma non ci riusciva. Automaticamente le veniva in mente che stava per morire, e non aveva mai veramente spiegato all’amica quanto si sentisse in colpa…Il dolore atroce che la spezzava ogni giorno…Ma quella notte lo sentiva ribollire e venire fuori pian piano…Forse con la morte avrebbe scontato quella colpa? Morendo anche lei insieme all’amica? Non ce la fece più e ruppe il silenzio, facendo sobbalzare Emily:

    - Ti devo dire una cosa.

    L’amica si avvicinò di più alle sbarre chiedendo:

    - Cioè?

    - Vedi- Claudia spiegò con gli occhi lucidi- io…Da quella notte…Non ho fatto che pensare a quanto sono stata crudele, e codarda. Tu mi perdonasti, ma…Sento di non meritarmi il tuo perdono. Ormai questo dolore mi accompagna da sedici anni, e non sono mai riuscita a dirti niente. È colpa mia se Pirelli è morto, se hai ucciso Sweeney Todd, se ora siamo qui. Io vi ho traditi! Ho tradito le persone con cui vivevo e che amavo…Vi…Vi ho preferiti a quell’assassino. Mi sono lasciata abbindolare da lui.

    Le lacrime le stavano scendendo, ma non piangeva. Era disgustata da quello che diceva, e faticava a proseguire. Ma continuò:

    - Non sai quanto ho sofferto per quello che ho fatto, non c’è giorno che non rimpianga quella mia decisione. Ho rovinato tutto Emily, lo so. E…Dopo quella notte…Vedendo che ogni giorno tu mi sorridevi e mi eri comunque amica…Non riuscivo a sopportarlo, mi sentivo un mostro. Ho provato di tutto, ho cercato di rimediare…Ma era tardi, capisci? Non finirò mai di pagare per quello che ho fatto, mai…Mi dispiace così tanto…

    Scoppiò in lacrime, mentre Emily rimaneva in silenzio. L’amica singhiozzava:

    - Ti prego, perdonami…Devo sapere…Se veramente mi hai perdonata! Sono un mostro!

    Emily le prese la mano al di là delle sbarre dicendo dolcemente:

    - Non ho esitato un istante a perdonarti. Già da quella sera per me era tutto dimenticato. So bene che eri stata affascinata da Sweeney Todd…Non devi scontare niente, Claudia. Hai il mio più sincero perdono, sei la mia migliore amica. Le cose sono andate come sono andate. Credo che fosse destino, e non possiamo farci niente. Pirelli sarebbe morto, in un modo o nell’altro…Ho tentato di salvarlo e ho fallito, ma stavo combattendo una forza più grande di me. Se tu non ci avessi traditi, credi che veramente Sweeney non ci avrebbe mai trovati? Era solo questione di tempo. Le cose sarebbero andate nello stesso modo. Non devi più sentire il peso di quello che hai fatto, o cercare di scontarlo in tutti i modi…Tu non mi devi niente!

    Claudia disse tra le lacrime, finalmente libera:

    - Oh, grazie, grazie!

    Le strinse forte la mano e si sentì veramente perdonata. Non doveva più scontare niente, l’avrebbe ripagata solo un’ultima volta. Morendo con lei.

    Si addormentarono appoggiate alle sbarre, l’una accanto all’altra. Prima di dormire Emily si ricordò delle parole di Pirelli nel sogno: presto potremo stare insieme. Quella era l’unica consolazione pensando alla fine che come un baratro buio e terrificante si avvicinava sempre di più.
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    Capitolo tristeeeee!!! :(         T___T
    Lo so che vi state chiedendo che succederà, chissà se Toby e Serafine le salveranno...Mah, staremo a vedere!
    Grazie a Tecla_Leben che continua a recensire!!! Che ti devo dire? Toby è sempre stato poco romantico, ma Serafine lo metterà in riga! ù____ù

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    Capitolo 13
    *** Cap.13 ***


    *

    - Edmund!!! È arrivato il giornale!!!

    Era stata Sarah a gridare dal piano di sotto, e Toby si precipitò giù per le scale. Nei tre giorni che erano stati lì, Serafine e il suo compagno erano stati subito presi in simpatia dai locandieri, che ormai li chiamavano per nome e conoscevano ogni loro abitudine. Per esempio Toby, da loro conosciuto come Edmund, era molto interessato alle notizie provenienti da Londra. Quella mattina Sam era tornato da uno dei suoi viaggi, ed era stato proprio i città. Aveva portato il giornale, sul quale già tutti i clienti si erano ammassati per leggere. Quando il ragazzo arrivò al piano di sotto Sarah spiegò:

    - È appena arrivato, portato da Sam. Ti interessa?

    - Certo, grazie!- esclamò Toby.

    Si avvicinò verso il tavolo sul quale era stato disteso, ma non riusciva neppure a vederlo, nascosto com’era da tutte quelle persone. In punta di piedi cercò di sbirciare. Ad un tratto sentì dire un uomo:

    - Sentite questa, gente! Esecuzione pubblica fra tre giorni. Catturate le assassine e svelato il mistero, sembra interessante!

    - Varrebbe la pena fare una capatina a Londra solo per questo!- commentò un altro.

    Toby si allarmò. Il titolo non gli piaceva per niente…E se…

    Si fece largo tra la piccola folla e sfilò il giornale dalle mani dell’uomo, che protestò. Il ragazzo si scusò:

    - Scusate, è molto importante, potete lasciarmelo un secondo?

    Sbuffando, glielo concessero. Toby avanzò col giornale in mano fino ad una poltrona, nella quale sprofondò leggendo. E diventò di colpo pallido realizzando che era accaduto il peggio. Con le mani che gli tremavano proseguì a leggere: svelato il mistero dell’omicidio di Sweeney Todd. Colpevole la proprietaria di un negozio di pasticci noto in città, Emily Baldett. Suoi complici la signorina Claudia Raven e Tobias Ragg, che la polizia sta ancora cercando per giustiziare. Di lui non si sono ancora trovate tracce. Pare che i tre siano stati visti uscire dal negozio della signora Lovett quella fatidica notte, e durante il processo la signorina Baldett ha confessato. Possibile movente la vendetta per la morte del noto barbiere Adolfo Pirelli da parte di Sweeney Todd. Le due donne sono state condannate alla forca, e l’esecuzione si svolgerà tra tre giorni nella piazza del mercato di St. Dunstan.

    - Oh mio Dio!- esclamò una voce.

    Toby si voltò, e se già era sconvolto divenne terrorizzato. Alle sue spalle, vicinissima, era arrivata Serafine. Non sapeva da quanto era lì, però una cosa era certa: aveva letto l’articolo dal giornale che lui teneva in mano. Senza riuscire ad emettere una sillaba, Toby la guardò con gli occhi sgranati. Aveva un’aria veramente ridicola. La ragazza esclamò pallida:

    - Allora è così che stanno le cose!

    Si voltò di scatto e salì le scale, velocissima. Doveva essere furiosa, confusa e spaventata. Toby ritrovò l’uso della parola e le corse dietro, abbandonando il giornale.

    - Aspetta!- gridò.

    Entrò nella loro stanza, e la trovò girata di spalle.

    - Serafine- tentò di dire- non fare così…Io…

    La ragazza si voltò furiosa, ma aveva le lacrime agli occhi e la voce le tremava:

    - Avevi detto che saresti stato sincero con me, che mi avresti detto tutto.

    Il ragazzo disse:

    - E l’ho fatto, tutto quello che ti ho detto è vero!

    Serafine tentò di assumere un tono calmo, ma si sentiva che fremeva di rabbia:

    - C’è qualcosa che dovresti dirmi, Tobias? E per favore, stavolta voglio sapere ogni singola cosa. Voglio sapere cosa mi avete sempre nascosto.

    Toby si sedette sul letto scoraggiato. Il momento era venuto, e non come sperava lui. La ragazza stava aspettando, in piedi. Così le raccontò di come veramente era andata quella notte, la morte di suo padre, e l’omicidio…Poi le indagini di Anthony, e la partenza.

    Alla fine del racconto Serafine si era calmata, ma sembrava ancora shockata per la notizia. Singhiozzò:

    - Non può essere vero! Mia madre non è un’assassina, non ne sarebbe capace!

    - L’ha fatto, Serafine. L’ho vista mentre uccideva Sweeney Todd. E…Devo ammetterlo…Non posso che capirla. Aveva appena perso l’uomo che amava, il padre della bambina che stava per nascere. Quell’assassino aveva ucciso persone innocenti, e se ne stava lì, immobile. Emily ha dovuto farlo. Ha vendicato tuo padre.- spiegò Toby.

    Serafine piangeva, mentre diceva:

    - Non può finire così…Lei e zia Claudia…Stanno per morire! Dobbiamo impedirlo!

    - E come possiamo? Ti hanno affidata a me perché ti portassi lontano da Londra, proprio per paura che accadesse una cosa simile. Hanno detto che dobbiamo stare lontani dalla città, ad ogni costo. Vogliono proteggerci! E non dimenticare che sono ricercato, se mi vedessero finirei anch’io sulla forca, e tu chissà dove…- obiettò il ragazzo.

    Serafine disse decisa, asciugandosi gli occhi:

    - Non me ne starò con le mani in mano mentre mia madre muore. Andrò là e farò qualcosa, con o senza di te! È mia madre, non posso perderla.

    Si alzò, ma Toby la trattenne per una mano. Anche lei si sedette sul letto.

    - Seafine- disse il ragazzo piano- io ti amo. Non puoi nemmeno immaginare quanto. Non ti lascerò andare da sola. Qualunque cosa tu faccia, dovunque vada, io ti seguirò.

    Serafine lo guardò negli occhi:

    - Allora vieni con me.

    Poco dopo correvano giù per le scale, facendo voltare tutti i presenti.

    Sarah chiese:

    - Ma dove state andando? Edmund, Mary!

    Il ragazzo rispose:

    - Non c’è tempo, lasciamo tutte le nostre cose qui, dobbiamo partire immediatamente. Torneremo presto. Sam, che data porta quel giornale?

    L’uomo al quale era stata rivolta la domanda esclamò:

    - È di ieri, il tempo di arrivare qui.

    Toby mormorò tra sé e sé:

    - Questo significa che verranno giustiziate domani pomeriggio…

    Poi chiese di nuovo a Sam:

    - E quanto dista Londra da qui?

    - Lo sai benissimo ragazzo, non ricordi? Col carro quasi una giornata e mezzo!- rispose Sam confuso.

    - Troppo!- disse preoccupata Serafine.

    Toby ci pensò su, poi si rivolse a tutta la sala:

    - Dobbiamo arrivare a Londra in meno di una giornata. Come potremmo fare?

    Rispose Sigfried:

    - Be’, potreste andare a cavallo. Galoppando veloci ci impieghereste una giornata esatta. Ma senza mai far sostare la bestia… È molto difficile, Edmund!

    Serafine esclamò:

    - Ci proveremo, è l’unico modo! Cavalcheremo anche di notte se necessario!

    - C’è qualche problema?- chiese Sarah preoccupata.

    Toby mentì:

    - Niente di grave…Torneremo il prima possibile! Avete un cavallo da prestarci?

    Fu dato loro un magnifico stallone che apparteneva ad uno dei clienti abituali. Quello fece mille raccomandazioni, poi Toby prese con sé del denaro e ringraziò i presenti. Montò in sella e caricò Serafine dietro di sé. Li videro sparire oltre la curva.

    Dovevano farcela, dovevano arrivare prima del tramonto del giorno dopo. Toby non aveva mai cavalcato, ma reggendosi alla criniera della bestia, che di natura era molto docile, se la cavava abbastanza bene. Serafine si teneva stretta a lui, col cuore che le batteva a mille. In realtà non sapeva cosa avrebbe fatto una volta arrivata a Londra. Ma la paura per la morte della madre la spingeva ad andare avanti. Cavalcarono tutto il giorno, tutto il pomeriggio, senza mai fermarsi. Quando calava la sera Toby le gridò da davanti:

    - Sento che il cavallo si sta stancando! Dovremmo fermarci per un po’! Solo per farlo riposare, o non riuscirà a portarci fino alla fine! Siamo vicini ad un ruscello dove potrebbe bere!

    - No- gridò Serafine di rimando- che tenga duro ancora un po’! Si tratta di mia madre, una questione di vita o di morte! Dobbiamo dare il massimo, continuiamo!

    Toby scosse la testa preoccupato, ma spronò lo stallone a proseguire al galoppo. Quando la stradina ormai era buia e nemmeno il ragazzo riusciva più a distinguere niente, il cavallo cominciò a rallentare. Toby esclamò:

    - Serafine, non possiamo più insistere! L’animale è stanco, sta per cedere se non ci fermiamo. In più è notte fonda, rischiamo di perderci!

    La ragazza disse:

    - E va bene, va bene!

    Fermarono il cavallo e lo legarono ad un albero della radura, vicino ad un corso d’acqua. Mentre la bestia si rifocillava, i due si sedettero sull’erba. Anche Toby temeva per la sorte delle due donne e voleva arrivare in tempo, ma trovava quella corsa folle e inutile, se non si fossero fermati almeno una volta. Non ce l’avrebbero fatta senza far riposare il cavallo. Serafine sembrava ansiosa e innervosita. Cercò di rassicurarla:

    - Ce la faremo comunque…Se ci riposiamo per un po’, saremo ugualmente in tempo, fidati.

    - Per quanto potremmo riposare?- chiese la ragazza improvvisamente allettata da un po’ di sonno.

    Toby rispose:

    - Un’oretta sarà più che sufficiente.

    Però Serafine ripensò alla madre e cambiò idea:

    - No, tu dormi pure se vuoi. Io non riuscirei a chiudere occhio. Ti sveglierò tra un’ora, tanto mi riposerò anche rimanendo sveglia.

    Il ragazzo la baciò e si stese, voltato dalla parte opposta. Si addormentò immediatamente. Serafine guardò le stelle e pregò suo padre di salvare Claudia e sua madre in ogni modo. Ma mentre fissava quei minuscoli punti bianchi le si chiusero gli occhi…

    Quando li riaprì era sempre buio, ma all’orizzonte stava sorgendo il sole. Oh no. Non poteva essere successo. La stanchezza l’aveva vinta. Si era addormentata!

    Svegliò Toby in preda al panico:

    - Oh mio Dio, Toby, è tardi! Mi sono addormentata, quanto tempo sarà passato?

    Il ragazzo balzò subito in piedi. Rispose, dopo aver osservato il cielo:

    - Suppongo quattro o cinque ore. Parecchio.

    - Ce la faremo?!- chiese Serafine angosciata.

    Non osava dire che non avrebbero dovuto fermarsi, perché anche lei riconosceva che senza quella sosta il cavallo sarebbe stramazzato pochi metri più avanti. Ma si era addormentata! Toby slegò il cavallo, salì sopra e caricò la ragazza dietro di sé. Rispose:

    - Cavalcheremo il più velocemente possibile, dovremmo farcela!

    Spronò l’animale che si mise a correre a tutta velocità.

    Poche ore prima che il sole stesse per tramontare, Emily e Claudia sentirono la porta in cima alle scale aprirsi, poi un rumore di passi. Ma rimasero immobili, nel buio delle loro celle, senza sapere più cosa fare. Piangere? Urlare? Tentare di scappare? Le avevano provate tutte, tutte le lacrime erano svanite, erano inermi, stanche. Si erano rassegnate. Non si mossero neppure quando sentirono le porte delle loro celle aprirsi, non opposero resistenza alle mani che le prendevano e le tiravano in piedi con la forza. Solo Claudia emise una specie di singhiozzo quando la toccarono. Per il resto sembravano veramente assenti. Camminarono su per le scale, sorrette dai due uomini incaricati di prelevarle e portarle al patibolo. Poco prima un prete era venuto a confessarle un’ultima volta, ma erano rimaste in silenzio, troppo angosciate e disilluse per emettere un suono. Dopo le scale, rividero la luce, alla quale già non erano più abituate, e socchiusero gli occhi, ma nient’altro. Stavolta non tentarono nemmeno di gettare acqua sui loro visi, le presero così com’erano, spettinate, sporche e pallide. I due uomini legarono i loro polsi con una stretta corda in modo che non potessero usare le mani. Uscirono dall’Old Bailey, scesero la gradinata e furono messe su un carro. Era come un’enorme carrozza trainata da cavalli, solo che non era coperta, e tutti potevano vederle. La gente si ammassò intorno interessata. Quando anche i due uomini salirono, il mezzo si mise in moto. Le due donne erano sedute dallo stesso lato, ma non potevano muoversi per via delle mani legate, e perché avrebbero fermato ogni loro tentativo di fuga. Guardavano la folla sfilare accanto a loro, per le strade, con uno sguardo vacuo e malinconico. Poi Emily allungò debolmente le mani legate verso quelle di Claudia, e gliele strinse. L'amica sorrise guardandola.

    Il cavallo stava rallentando, ormai sfinito, Toby e Serafine non sentivano la fame, che in realtà li stava divorando, per l’agitazione.

    - Vai stupida bestia, vai!!!- gridò Serafine spaventata da quel rallentare improvviso, ora che erano così vicini.

    Cercava di battere i piedi sul posteriore del povero animale, e a Toby venne in mente Pirelli, quando lo frustava. Gli fece paura la somiglianza del tono di voce di Serafine con quello del suo padrone, e anche la stessa rabbia. Ma non poteva che capirla, era quasi il tramonto, e anche lui aveva una gran paura. Così piantò i talloni nei fianchi del cavallo e lo spronò ancora di più. Ancora una mezz’oretta e sarebbero arrivati.

    Il carro rallentò entrando nella piazza del mercato. Era diversa dal giorno in cui Emily e Claudia erano arrivate, il carro di Pirelli non c’era più. Emily ripensò a quando l’aveva visto sul palco, a quando aveva assistito alla sua gara…Memorie lontane. Al posto dei banchetti adesso c’era una pedana di legno piuttosto alta, alla quale si accedeva per mezzo di alcuni gradini. Era la forca, i cappi pendevano in modo sinistro, già pronti. Accanto ad una leva stava in piedi il boia. Intorno una folla di gente eccitata e impaurita, ma rigorosamente in silenzio.

    Appena il carro si fermò, i due uomini presero le donne per le spalle e le fecero scendere. La folla si allargò per farle passare. Nonostante si sentissero mille sguardi addosso, Emily e Claudia non sollevarono i loro.

    Le fecero salire sulla pedana, e un brivido percorse le loro schiene. Emily pensava a Serafine, e desiderò con tutto il cuore che non le accadesse mai niente. Un uomo spiegò una pergamena e lesse ad alta voce:

    - Emily Baldett, accusata dell’omicidio di Sweeney Todd, e Claudia Raven, sua complice! Condannate ad essere appese per il collo!

    Gli uomini fecero avanzare ognuna davanti ad un cappio, e sistemarono la corda intorno ai loro colli. Le due erano serie, ma tremendamente impaurite, mentre le gambe tremavano. Mentre l’uomo continuava a leggere sulla pergamena, Emily e Claudia si guardarono. Il loro sguardo triste ma ancora complice significava più di mille parole. Era un addio, ma anche una promessa di ritrovarsi libere al più presto, insieme, e un modo di infondere coraggio. In quello sguardo ripensavano a tutto quello che avevano passato, i dolori e le gioie che avevano provato insieme. Era l’ultima volta che si guardavano.

    -…E che il Signore abbia pietà di voi.- stava dicendo l’uomo.

    Arrotolò nuovamente la pergamena. Emily e Claudia tornarono a guardare dritto di fronte a loro. L’uomo fece un cenno al boia dicendo:

    - Bene, procediamo.

    Il boia avanzò verso la leva e la impugnò con entrambe le mani. Emily chiuse gli occhi. La leva scattò, le botole si aprirono. Fu un colpo secco.

    La folla emise un grido misto fra orrore ed eccitazione. Alcuni non guardarono, altri sì. Rimasero lì per un po’, poi lentamente se ne andarono tutti.

    Ma non prima di essersi voltati un’ultima volta ad osservare quei due corpi penzolanti.
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    Capitolo triste per questo nuovo anno... :( 
    Eccoci arrivati al culmine della climax.

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    Capitolo 14
    *** Cap.14 ***


    *

     

    Piazza di St. Dunstan, piazza di St. Dunstan, piazza di St. Dunstan!

    Questo pensavano freneticamente le menti dei due ragazzi mentre, entrati in città, correvano verso il centro. Il sole era quasi tramontato del tutto, Serafine sperò con tutto il cuore di essere in tempo…Per fare qualsiasi cosa. Toby sapeva che era pericoloso per lui entrare in città, perché avrebbero potuto riconoscerlo da un momento all’altro, ma cercava di non dare nell’occhio e di stare lontano dalle pattuglie dei poliziotti. In questo modo non avrebbe corso alcun pericolo.

    Quando arrivarono nella piazza del mercato di St. Dunstan la trovarono quasi deserta. Serafine tirò un sospiro si sollievo: allora ce l’avevano fatta! Quando però vide il patibolo con i due cappi vuoti le tremarono le gambe. Anche se non c’erano corpi, era una visione orribile. Nonostante questo, disse:

  • - Ci siamo riusciti. Ma non c’è nessuno?
  • Toby non si sentiva affatto tranquillo. Rispose piano:

  • - Io non ne sarei così sicuro…
  • Un uomo stava attraversando la piazza trasportando un carretto pieno di verdura. Il ragazzo lo fermò chiedendogli:

  • - Scusatemi, potete dirmi se ci sarà un’esecuzione?
  • Stava indicando il patibolo. L’uomo rispose:

  • - No figliolo, non lo sapete? L’esecuzione c’è già stata! È finita giusto un quarto d’ora fa, hanno subito portato via i corpi…Non li hanno lasciati esposti, stavolta. Il patibolo è rimasto per un’altra esecuzione che si terrà domani.
  • Toby perse un colpo, e tentando di nascondere la voce che gli tremava, chiese:

  • - E…Chi erano i giustiziati?
  • - Due donne- rispose l’uomo lasciando il carretto per un attimo- due assassine, pare. Una vecchia storia. Ve l’ho detto, un quarto d’ora e potevate vederle appese laggiù.
  • Serafine aveva gli occhi umidi e una mano di fronte alla bocca, stentava a nascondere il suo dolore. Disse con voce flebile, quasi impercettibile:

  • - Dove le porteranno?
  • L’uomo rispose:

  • - Le getteranno nella fossa comune credo, come tutti i giustiziati. Ora scusatemi, ma devo andare.
  • E riprese la sua strada. Serafine cadde in ginocchio e cominciò a piangere. Non ce l’aveva fatta, sua madre era morta. Anche Toby piangeva, ma in silenzio. Il ragazzo cercò di far alzare Serafine, ma invano. La ragazza gridava, e piangeva dal dolore.

  • - Non può essere! No!- singhiozzava.
  • Alla fine fu lei a gettarsi tra le braccia di Toby. Come era sempre successo. Lui la consolava, quando da bambina le succedeva qualcosa di brutto. Niente era cambiato. Il ragazzo la strinse forte e tutti e due rimasero fermi in mezzo alla piazza, a singhiozzare. Toby sarebbe stato per sempre grato ad Emily e Claudia, che avevano dato la vita anche per lui, allontanandolo da Londra e di conseguenza salvandolo da morte certa.

    Quando Serafine ebbe consumato tutte le sue lacrime cominciava a farsi buio. La ragazza singhiozzava ancora, il corpo scosso da fremiti. Disse:

  • - Dobbiamo trovare i loro corpi.
  • - È impossibile, purtroppo. Non ci faranno mai avvicinare alla fossa comune, loro sono…Sono considerate criminali, non possiamo seppellirle. E poi se andassimo a reclamare i corpi mi riconoscerebbero e mi ucciderebbero, Serafine.- rispose Toby.
  • La ragazza lo abbracciò ancora, dicendo:

  • - Se fossero partite con noi…Ora…
  • - Non potevano sapere che sarebbe andata a finire così…
  • - Non le ho neanche viste un’ultima volta.
  • - Forse è proprio questo che volevano, che tu non le vedessi all’esecuzione. Ti hanno risparmiato quell’orribile spettacolo.
  • - Oh Dio, Toby…
  • - E comunque tua madre ti ha sempre voluto bene, Serafine. L’ultima volta che l’hai vista lei sapeva che forse sarebbe stata l’ultima. E ti ha dimostrato quanto ti voleva bene.
  • - Era un addio, e io non lo sapevo…
  • - Ti ha lasciata sapendo che te la saresti cavata.
  • - Sì, lei si fidava di te.
  • - E di te. Ti voleva un gran bene, come Claudia del resto.
  • - Non posso credere che non ci siano più.
  • - Lo so…Il mondo è orrendo e crudele, Serafine. Ti porta via le persone che ami, ti sconvolge la vita e ti illude. Ma non puoi mai sapere se alla fine lo scopo sia negativo o positivo…A volte dalle ceneri rinascono nuove speranze. È quello che spero per te.
  • Insieme si allontanarono, sempre abbracciati. Le lacrime avevano offuscato a Serafine la vista, intorno a lei tutto sembrava sfocato, il buio e gli improvvisi bagliori…Toby giudicò pericoloso tornare a casa loro, che probabilmente era sorvegliata. Avrebbero passato la notte in una locanda in città, aveva i soldi per pagare. Trovarono un posto molto affollato, ma dove era rimasta una stanza libera. Dopo aver pagato, Toby notò sul bancone una lanterna spenta e all’improvviso gli venne un’idea. Senza che nessuno se ne accorgesse la prese e disse a Serafine:

  • - So che non portai mai visitare il luogo in cui è stata portata tua madre, ma forse c’è un posto che dovresti vedere…Vieni con me.
  • Serafine, che ormai si era asciugata le lacrime, lo seguì, senza capire il perché di quell’improvvisa idea.

    Fuori era buio pesto, ma ogni tanto i lampioni illuminavano la strada. Normalmente Toby non avrebbe percorso quella strada di notte, ma questa volta era particolare.

    Teneva la lanterna nascosta sotto la giacca, e Serafine camminava al suo fianco. Ad un certo punto costeggiarono un muro piuttosto alto, al di là del quale non si riusciva a vedere niente. In quel pezzo di strada non c’erano lampioni a illuminare, regnava l’oscurità. Il muro si interruppe e trovarono un enorme cancello arrugginito, solo socchiuso. Toby dette un’occhiata in giro, dato che quel luogo era abbastanza vicino alla loro vecchia casa, tirò fuori dalla tasca un fiammifero e accese la lanterna. Serafine chiese:

  • - Che cosa vuoi fare?
  • Toby le fece cenno di tacere e spinse il cancello, che cigolò. All’interno c’era un vecchio parco abbandonato, dove ormai crescevano le erbacce, e Serafine riusciva a vedere nel raggio di luce della lanterna qualche vecchio albero.

    Avanzarono, sempre di più, mentre il ragazzo sembrava cercare di ricordare qualcosa. Poi sussurrò:

  • - Siamo arrivati.
  • Fecero qualche passo e la luce illuminò il tronco di un vecchio albero curvo. Sotto l’albero si vedeva un cumulo di terra marrone, sulla quale erano appoggiati dei fiori ancora abbastanza freschi. Qualcuno doveva averli messi di recente. Toby spiegò:

  • - Serafine, qui sotto è sepolto tuo padre.
  • La ragazza rimase in silenzio, contemplando il tumulo, e sentendosi assalire da una forte emozione. Non poteva dire che fosse gioia, ma se non fosse stata sconvolta dal lutto, di certo l’avrebbe chiamata così. Finalmente era vicina a suo padre, sulla tomba che quasi credeva non esistesse più. Il ragazzo proseguì:

  • - La notte in cui morì, tua madre volle assolutamente seppellirlo. E lo portammo in questo parco abbandonato, dove ormai non viene quasi nessuno. È qui sotto, scavai la fossa proprio io, insieme a Claudia. Non è una bella tomba, non ha lapide, né monumento, ma tua madre ha preferito così. Aveva paura che se lo avessero ritrovato tra i cadaveri di quella sera l’avrebbero gettato nella fossa. Così ha preferito una semplice tomba, ma che fosse più…Come dire, intima, dove lei potesse venirlo a trovare in pace quando avesse voluto. Veniva spesso qui, tutte le settimane. Avrebbe tanto voluto portarti con sé, ma aveva paura che tu le facessi troppe domande sul perché fosse lì e che tu venissi a sapere tutto. Credo che sarebbe felice di sapere che alla fine ci sei venuta. Voleva che tu ti sentissi vicina a tuo padre, siete le cose che più ha amato.
  • Serafine si inginocchiò e accarezzò il cumulo. Suo padre era lì sotto, per la prima volta era veramente vicina…Come avrebbe voluto sua madre…

    Poi vide i fiori. Sua madre doveva averli portati prima di venire arrestata. Doveva amarlo veramente tanto. Restarono là per un po’, poi, quando la luce della lanterna si andava affievolendo, decisero di tornare alla locanda. Serafine sapeva benissimo che non sarebbe più tornata in quel posto, che la mattina dopo avrebbero lasciato Londra se non per sempre almeno per molto tempo, finché Toby non fosse stato fuori pericolo, perciò cercò di lasciarlo impresso nella sua mente. Era un luogo quasi magico, la faceva sentire in pace. Si ripromise che un giorno sarebbe tornata, e sarebbe stata lei a portare i fiori. Per suo padre e per sua madre.

    Mentre tornavano alla locanda Toby le cinse le spalle con un braccio, e lei gli sorrise. Era ancora triste e spaventata, ma sapeva di non essere sola. Toby sarebbe stata la sua famiglia d’ora in avanti. Si sarebbero presi cura l’uno dell’altra e si sarebbero amati per sempre.

    Quella notte, abbracciata a lui, Serafine fece un sogno. Si trovava in un prato verde, all’apparenza infinito. Ad un tratto lontano davanti a lei vide Claudia che passeggiava allegra. Cercò di raggiungerla ma le sue gambe non si mossero, dalla gola non le uscì un suono. Dietro alla donna venivano Emily e Pirelli. A Serafine cominciò a battere forte il cuore, e le venne da piangere. Vedeva chiaramente suo padre passeggiare accanto a sua madre, e tenerla a braccetto guardandola negli occhi come se non volesse perderla mai. Lei gli sorrideva, e chiacchieravano. Poi tutti e tre si voltarono verso Serafine, e la salutarono con la mano, agitando le braccia e gridando per farsi sentire. Le stavano dicendo addio, sua madre le mandava un bacio e Pirelli le diceva di volerle bene. Serafine finalmente riuscì a parlare, agitò la mano e disse loro addio. Mi mancherete. I tre sorrisero, Claudia le fece l’occhiolino e Pirelli ed Emily si guardarono come per complimentarsi l’un l’altra della figlia che avevano messo al mondo. Poi proseguirono, e ridendo e scherzando sparirono all’orizzonte. Serafine agitò la mano finché non li vide più. Rimase a fissare sorridendo il punto in cui erano spariti. E in quel momento seppe con certezza che stavano bene, che i suoi genitori si erano finalmente ritrovati per amarsi in eterno, e che le avevano lasciato una vita meravigliosa da vivere appieno con l’uomo che amava.

     

    Fine

     

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    Finalmente finita! Sì, lo so che è passato un anno dall'ultimo capitolo, ma pur avendolo pronto esitavo a caricarlo. Spero che questa fic non vi abbia delusi per la morte di Emily e Claudia (sappiate però che avevo in mente almeno due finali alternativi, dove la loro non era una vera morte ma un ritorno alla loro vera dimensione, opzione che ho poi escluso perché poco d'effetto). Ringrazio tutti coloro che hanno recensito, a presto! ;)

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