What has never been told before

di Berenike
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dudley Dursley ***
Capitolo 2: *** Minerva McGranitt ***
Capitolo 3: *** Regulus Black ***
Capitolo 4: *** Teddy Lupin ***
Capitolo 5: *** Pansy Parkinson ***
Capitolo 6: *** George Weasley ***
Capitolo 7: *** Lucius Malfoy ***
Capitolo 8: *** Neville Paciock ***
Capitolo 9: *** Peter Minus ***
Capitolo 10: *** Albus Severus Potter ***
Capitolo 11: *** Petunia Evans ***
Capitolo 12: *** Albus Silente ***
Capitolo 13: *** Dolores Umbridge ***
Capitolo 14: *** Draco Malfoy ***



Capitolo 1
*** Dudley Dursley ***




Dudley Dursley

Dursley Dudley era cresciuto come un qualsiasi altro bambino inglese. Era stato forse troppo viziato, ma la sua vita aveva seguito il corso normale degli eventi: si era diplomato, aveva frequentato il college, aveva trovato un lavoro ben pagato, e finalmente, dopo lunghi anni d'attesa, aveva conosciuto la donna della sua vita.
Si erano sposati dopo pochi mesi di fidanzamento, il destino li aveva fatti incontrare, e l'amore li aveva uniti.
La sposa il giorno del matrimonio era bellissima, alta e con gli occhi innamorati color nocciola; mentre Dudley si sentiva così impacciato nel suo abito da cerimonia. Ma era allo stesso tempo così felice, che nulla avrebbe potuto rovinare la sua giornata.
Nemmeno i suoi genitori.
Ecco, i suoi genitori. Aveva iniziato ad allontanarsi da loro subito dopo essere entrato al college; solo allora aveva notato quanto fossero ipocriti, negativi, quanto poco conoscessero il mondo e ancor meno quanto fossero pronti ad aprirsi alle nuove esperienze. Esattamente come avevano fatto con Harry Potter.
Dudley non raccontò mai a sua moglie che era cresciuto con un altro ragazzo: si vergognava troppo di dover ammettere che quel povero bambino aveva passato un'infanzia terribile a causa sua e dei suoi genitori; ma ora era una persona completamente diversa.
Dudley non disse nemmeno a sua moglie che oltre al loro meraviglioso mondo, fatto di amore, una bella casa, sicurezza e gioia famigliare, ne esisteva un altro: un mondo magico.
Sapeva che gli avrebbe creduto subito, sua moglie era così piena di vita, di entusiasmo; niente poteva fermarla.
Un giorno però, la magia bussò alla sua porta, e Dudley dovette decidere se farla entrare, o per la seconda volta nella sua vita (la prima era stata proprio con suo cugino durante l'infanzia), chiudere la porta e far finta di niente.
Proprio come aveva fatto suo padre.


Dudley Dursley era seduto in divano, una dura giornata di lavoro gli pesava sulle spalle, mentre sua moglie riordinava la cucina. I due sposi si scambiavano dolci sguardi mente il loro bellissimo bambino (fortunatamente aveva preso tutta la bellezza della madre) giocava nella stanza accanto.
La Signora Dudley lasciò la cucina per andare a controllare il piccolo, detestava doversi staccare da lui. Era una madre davvero molto affettuosa, ma che sapeva quando usare un polso più rigido.
Dudley non poteva ancora credere di essere stato tanto fortunato da meritare una famiglia così meravigliosa, e pensò che forse era giunto il momento di richiamare i suoi genitori: era tanto che non rivedevano suo figlio, né il nipote, che ormai aveva quasi quattro anni.
Dudley era assorto in questi pensieri, quando sua moglie tornò in salotto, si fermò davanti a lui e lo fissò con aria assente. Il marito la prese subito per la vita stretta e la fece sedere sopra le sue gambe.
-Cosa c'è tesoro? E' successo qualcosa? - le chiese dolcemente, spostandole un ciuffo di capelli mori dal viso. Ma lei non gli rispose, era troppo spaventata, era scioccata.
Dudley pensò subito che fosse successo qualcosa al figlio, così lo chiamò in salotto, ancora tenendo tra le sue braccia calde e avvolgenti la moglie, spaventata.
-Harry? Dove sei? Vieni da papà...- Appena lo chiamò, un bambino corse verso il salotto dal padre.
Assomigliava tantissimo alla madre, ma aveva gli occhi verdi con un taglio piccolo.
Ogni volta che il padre lo guardava, gli ricordava Harry Potter. Quel bambino che aveva tanto fatto soffrire.
Ma per questo Harry le cose sarebbero andate diversamente.
Harry sembrava il bambino più felice della terra; guardò negli occhi il padre, e aprendo la bocca in un sorriso, gli disse:
-Papà vuoi vedere che faccio dei fuochi d'artificio? - Il padre lo fissò divertito. Suo figlio era proprio come la madre: così pieno d'immaginazione! Chissà da dove gli era venuta in mente l'idea dei fuochi d'artificio. Dudley guardò la moglie. Si era destata dal suo shock, e fissava il figlio come se si aspettasse qualcosa di spettacolare.
Il piccolo Harry si strofinò forte le mani e dopo qualche secondo grandi fuochi d'artificio uscirono dalle sue mani.
Veri fuochi d'artificio.
Dursley Dudley non poteva credere ai proprio occhi. Suo figlio... era... un... mago.
Un mago. Un mago. Un mago.
Il suo bambino. Un mago.
Dudley guardò la moglie, poi i suoi occhi tornarono su Harry, che fissava i suoi fuochi d'artificio con ammirazione. Poi fece un gesto inaspettato: abbracciò la moglie e il figlio con le sue braccia possenti, e disse:
-Ma è meraviglioso! - La moglie lo guardò incredula, ancora senza parole. Lei non sapeva, ma era giunto il momento di raccontarle tutto dall'inizio.
-Ora vi racconterò una storia... - Dudley iniziò lentamente a raccontare la meravigliosa storia di Harry Potter fin dalle origini, tutte le sue avventure, i suoi anni ad Hogwarts... I suoi occhi brillavano di ammirazione, mentre la sua famiglia lo ascoltava incredula. Quando ebbe finito, il figlio fu il primo a parlare:
-Papà è tutto vero? Anche io andrò ad Hogwarts? Ma Voldemort verrà a prendermi se farò il cattivo? - Dudley sorrise. Anche sua moglie sorrise un pochino, e questo lo tranquillizzò.
-Certo che è tutto vero! Quando avrai 11 anni, anche tu potrai andare a Hogwarts... Ma non devi aver paura di Voldemort: Harry l'ha ucciso. Ora non può più fare del male a nessuno. - Il piccolo Harry sembrò rincuorato.
-Tesoro – gli sussurrò infine la moglie – come fai a sapere tutte queste cose? - Dudley aveva quasi le lacrime agli occhi. Anni e anni di rimorsi e di colpe stavano tornando a galla.
Ma questa volta sarebbe stato tutto diverso.
-Perché Harry Potter – le rispose, prendendole le mani fredde e guardandola negli occhi color nocciola – è mio cugino. - Il piccolo Harry ebbe un tuffo al cuore.
-Quindi io sono un suo... lontano... nipote?? Papà posso conoscerlo, posso conoscerlo? - urlò il bambino, colmo di gioia. I suoi genitori lo guardarono, colmi di gioia.
Il loro bellissimo bambino era un mago.


Sette anni dopo, Dursley Dudley e sua moglie, carichi di libri, calderoni, una civetta, penne d'oca e quant'altro, si avviarono insieme al figlio Harry verso la stazione di King's Cross. Il piccolo Harry era cresciuto, ora un giovane affascinante, magro e molto alto. Come la madre. Aveva gli occhi di Harry Potter però, un lontano zio.
La famiglia scese dall'auto: erano tutti così elettrizzati, così entusiasti. Harry finalmente sarebbe andato a Hogwarts.
Ma Dursley Dudley non aveva aspettato quel giorno solo per veder partire suo figlio con il treno per la scuola di Magia e Stregoneria: voleva rivedere una persona. Suo cugino Harry.
Dudley camminò verso il binario nove e tre quarti: non faceva che pensare a quando, moltissimi anni prima, lui e i suoi genitori avevano accompagnato Harry Potter in quello stesso luogo:
l'avevano deriso, e l'avevano lasciato solo, ancora una volta. Dudley scacciò quel pensiero dalla mente. Quello era un giorno di gioia, non doveva pensare a cose tristi. Non quel giorno.
Sua moglie era radiosa: il vento lieve del primo settembre le scompigliò appena i capelli, mentre sussurrava al marito, sorridente più che mai:
-Come faremo a riconoscere Harry Potter, tesoro? - lui guardò prima lei, poi suo figlio.
-Nostro figlio ha i suoi stessi occhi. - Si abbracciarono. La moglie sentiva il suo rimorso, e lo amava anche per questo.
Arrivati di fronte al binario magico, il piccolo Harry si fermò per salutare i suoi genitori. Il padre gli aveva spiegato che loro non potevano accompagnarlo dall'altra parte, loro erano “babbani”, mentre lui, lui era un Mago.
Mentre la famiglia Dursley si abbracciava per gli ultimi saluti, e molti avvertimenti venivano dati al figlio undicenne, si avvicinò a loro una seconda famiglia, e poi una terza. Dudley alzò appena gli occhi e lo vide. Dopo molti, moltissimi anni, vide suo cugino.
Harry Potter non poteva credere ai suoi occhi. Dudley era lì, di fronte al binario nove e tre quarti. Sua moglie Ginny gli stringeva forte la mano, e molti dei presenti guardarono la scena incuriositi: tutti sapevano chi era quell'uomo forte di fronte a loro.
Harry osservò la scena di fronte a sé: il figlio di Dudley era un mago; che strana la vita!
Harry Potter sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Il cugino lo guardava senza parlare, sembrava che lo stesse aspettando. Poi un bambino gli corse incontro, abbracciandolo e cogliendolo di sorpresa.
-Harry Potter, Harry Potter finalmente! - Harry lo fissò incredulo. Il bambino aveva i suoi stessi occhi, gli occhi di Lili.
-Io sono un tuo, più o meno nipote, mi chiamo Harry, come te! Il mio papà mi ha raccontato tutto di te, fin da quanto ero piccolo ed ho fatto apparire il mio primo fuoco d'artificio! - disse tutto d'un fiato. I suoi occhi brillavano e andavano dal padre, a Harry, emozionati.
Harry guardò Dudley Dursley come non aveva mai fatto. Poi gli andò incontro, gli strinse la mano e lo accolse nella sua vita, come un vecchio amico.
Harry Potter aveva le lacrime agli occhi: aveva un nipote, portava il suo nome ed era il figlio di Dudley, suo cugino. Quel cugino che ora gli sorrideva felice accanto alla moglie, che piena di ammirazione, lo salutava con la mano.
Com'è strana la vita a volte.




ANGOLO DELL'AUTRICE
Ciao a tutti! Ecco a voi il primo racconto della raccolta: What has never been told before.
Non so perchè ho voluto inziare con Dudley, un personaggio che non ho mai particolarmente amato fino al settimo libro della serie...
In ogni caso spero vi piaccia: questa raccolta è molto facile da leggere, nel senso che ogni capitolo porterà il nome del personaggio che andrò a trattare, per cui potete semplicmente scegliere i vostri personaggi prederiti!
Spero che per il momento, questo primo episodio vi piaccia...
Per favore commentate e ditemi cosa ne pensate!!
Berenike




(Aggiunta postuma)
La fanfiction WHAT HAS NEVER BEEN TOLD BEFORE ha vinto i NESA 2011 dedicati al fandom HARRY POTTER nella categoria BEST FANFICTION READER'S CHOISE. Ringrazio tutti i miei lettori e coloro che mi hanno votata!



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Capitolo 2
*** Minerva McGranitt ***




Minerva McGranitt

Alla fine di ogni anno scolastico, ogni studente ed insegnante di Hogwarts ritornava a casa, dalla propria famiglia. Nella storia c'erano state poche eccezioni, a questa che ormai era diventata una regola: due di queste eccezioni era studenti, prima fra tutti Tom Riddle, e secondo Harry Potter. Ma c'era anche un'altra persona che vedeva la fine dell'anno scolastico come il ritorno ad una vita monotona e priva di senso: Minerva McGranitt.
Minerva era una delle insegnanti più brillanti di tutta Hogwarts, era temuta, era rispettata ed amata da molti. A scuola aveva un suo ruolo, era perfettamente inserita nel suo elemento e si vedeva.
Quando era a Hogwarts, la Professoressa McGranitt non sentiva il peso degli anni, né la solitudine che regnava solitamente nella sua casa.
Quell'anno però, Minerva si sarebbe sentita ancora più sola.
Minerva aveva tantissimi figli, centinaia a dir la verità, ma non trovava nessuno di loro quando tornava a casa, durante le vacanze estive. Minerva considerava infatti ogni singolo studente di Hogwarts come un suo figlio, a qualsiasi casa questo appartenesse. Aveva trascorso tutta la propria vita ad Hogwarts, ed era lì che era rinchiusa la sua anima: aveva passato più Natali a scuola, di qualunque altro professore di Hogwarts, forse perfino di Silente.
Minerva aprì piano la porta di casa sua, in quella terribile estate afosa. Già all'ingresso della sua luminosissima casa, poteva avvertire il silenzio ed il senso di solitudine che questa trasmetteva.
I raggi solari penetravano da ogni finestra, mentre ogni pianta e fiore (ce n'erano tantissimi) ne traevano energia vitale. Minerva sorrise a vedere la sua casa piena di fiori e piante: ogni anno, la sua amica e vicina di casa Pomona Sprite le faceva trovare ogni sorta di pianta in casa, nella speranza che Minerva se ne dedicasse, e si prendesse cura di loro, come dei suoi studenti ad Hogwarts.
Ma ogni anno, a fine estate, Pomona aveva la stessa delusione: per quanto si dedicasse a loro, Minerva non era portata per l'erbologia, e uccideva ogni singolo fiore o pianta che si trovasse nei dintorni. Era più facile trattare gli studenti, diceva.
Minerva McGranitt appoggiò le pesanti borse che teneva in mano. Aveva quasi tre mesi di fronte a sé, e nessun programma. Si guardò intorno: non c'erano foto sui mobili bianchi della sua casa perfetta, non aveva marito, genitori, figli; sopra la credenza c'era una sola piccola cornice che Albus Silente le aveva regalato tantissimi anni prima: il preside con gli occhiali a mezzaluna la guardava attraverso la fotografia, in cui teneva il calice alzato proprio accanto a quello della professoressa.
Minerva sorrise. Prese in mano la fotografia, ancora con la mantellina da viaggio sulle spalle e la porta aperta dietro di sé.
Albus Silente.
I suoi occhi si riempirono di lacrime nel vedere un Albus Silente così giovane, felice, spensierato.
Harry Potter era appena sopravvissuto all'anatema che uccide, in quel lontano 31 Ottobre quando quella foto venne scattata, e loro avevano festeggiato, proprio in quella casa la fine di un regime di terrore.
Ma ora Albus non c'era più. Il mese prima, Minerva l'aveva visto a terra, morto, gli occhiali a mezzaluna rotti a terra. La barba bianca aveva perso la sua lucentezza, mentre il più grande mago di tutti i tempi, lasciava questo mondo.
Ma per Minerva non era solo questo. Silente era stato il suo Maestro, le aveva insegnato ogni cosa che sapesse, le aveva insegnato il perdono e il dedicare la propria vita all'insegnamento e agli altri.
Minerva McGranitt passava ogni estate nella propria casa vicino a Londra, ma non era mai stata sola. Silente la andava a trovare di tanto in tanto, si materializzava nel suo giardino perfetto e si faceva offrire una tazza di té fumante, nonostante il caldo opprimente.
Lei non era mai stata sola. Fino a quel momento.
Minerva appoggiò la fotografia sulla credenza, si spogliò e disfò le valigie. Silente non avrebbe mai voluto che la sua vita si fermasse a causa sua, non doveva essere triste. Doveva andare avanti e continuare ciò che Albus aveva iniziato: la lotta contro il Signore Oscuro e la creazione di una scuola migliore.
Il sogno di Minerva McGranitt era sempre stato quello di diventare preside della più grande scuola di magia e stregoneria. Ma non a quel prezzo.
Minerva andò poi in cucina; la sua grande casa non le era mai stata tanto ostile. Non c'erano tracce evidenti di magia in quella casa, sembrava che non ci vivesse nessuno da molto tempo. Era perfettamente pulita, non era questo, ma era stranamente silenziosa e vuota. La professoressa di fece quel té che era solita offrire ad Albus: non le era mai piaciuto particolarmente, era il té più dolce che avesse mai assaggiato; ma era diventato un gesto talmente abitudinario, che ora non ne poteva più fare a meno. Si versò il té in una tazza presa magicamente a caso, scelta dalla bacchetta, che fece fluttuare la tazza fino alle sue mani.
Minerva rabbrividì appena.
Quella tazza. Maledetta tazza.
La guardò attentamente prima di gettarla a terra, e precipitarsi a raccoglierne i pezzi. Detestava il disordine. Buttò i pezzi bianchi e rosa nel cestino.
Maledetto, maledetto, maledetto.
Quella tazza faceva parte di un set che tantissimi Natali prima, le aveva regalato il professor Piton. Maledetto, maledetto, maledetto.
Silente creda in lui. Lei credeva in lui. E lui li aveva traditi tutti.
Minerva si arrabbiò con sé stessa: aveva promesso, nel nome di Silente, che non sarebbe più stata triste, che non avrebbe più pianto, che non avrebbe serbato rancore.
Maledetto, maledetto, maledetto.
No, quello lo avrebbe provato ancora.
Improvvisamente il campanello suonò: c'era solo una persona a cui piaceva usare quell'aggeggio babbano, invece che bussare come facevano tutti i maghi. Quella persona era Albus.
Chi altro sapeva che abitava lì? Chi altro la andava a trovare, da tutta la vita, durante l'estate?
Minerva McGranitt corse verso la porta, in uno slancio poco comune alla sua età. Si sistemò i capelli, mentre nella sua mente la speranza si faceva spazio tra la tristezza e la malinconia.
Non è morto, è venuto a trovarmi, non mi ha abbandonato....
Minerva aprì la porta, e quello che vide la sorprese più di qualunque altra cosa: di fronte a lei degli occhi azzurri, identici a quelli di Silente la fissavano. Un uomo molto simile ad Albus stava dritto al ciglio della sua porta, sembrava poco più giovane, ma la somiglianza era davvero notevole.
Ma non era Albus Silente.
Era Aberforth Silente.
Minerva trattenne il fiato, senza credere ai propri occhi.
Aberforth sembrava impacciato di fronte a lei, non sapeva cosa dire, né se muoversi. Poi improvvisamente si girò dalla parte opposta, verso la strada, dicendo tra sé e sé:
-Cosa sono venuto a fare qua... ecco... non serve a niente... -
Minerva non sapeva come comportarsi. Non era mai stata davvero in confidenza con lui.
-Aberforth aspetta! - gli disse poi, sporgendosi verso di lui. Gli toccò piano la spalla.
-Entra in casa – gli disse in un sussurro. Non sapeva perché fosse lì il fratello di Silente, ma per qualunque cosa fosse, non gli avrebbe mai chiuso la porta in faccia.
Aberforth si girò e la guardò con malinconia. Si trascinò in casa, la sua figura curva e grande appariva in netto contrasto con quella longilinea e ossuta della donna accanto a sé.
Minerva gli preparò un té caldo, lo stesso che amava bere il fratello. Chissà, magari avevano gli stessi gusti.
Aberforth bevve appena un sorso, disgustato staccò la tazzina dalle labbra. Decisamente, non avevano gli stessi gusti. Minerva si sedette di fronte a lui, ed aspettò paziente.
-Non so perché sono qui... - Il fratello minore di Albus teneva gli occhi abbassati – Albus è, vero, è è morto? - non si capiva se fosse davvero una domanda o un' affermazione.
Minerva gli sorrise appena.
-Tu, tu l'hai, l'hai visto? - le disse infine. Le sue parole uscirono come in un sussurro. Quanto doveva essere difficile per lui stare lì, a chiedere del fratello morto.
Minerva annuì paziente. -Io l'ho visto – disse infine, cercando di trattenere il tremolio della sua voce – non ha sofferto. E' morto subito. - lo consolò infine. Bisognava dire così ai familiari delle vittime, giusto?
Aberforth non sapeva più cosa dire. Dopo pochi minuti, grandi lacrime calde rigavano il suo volto, cadendo sul perfetto pavimento della McGranitt.
-Io, io non lo vedevo da tanto tempo... - disse tra un singhiozzo e l'altro.
-Non ci parlavamo da tanto, troppo tempo... - continuò. Sembrava dover trovare delle giustificazioni.
Minerva comprese perfettamente. Sapeva che le cose tra i due fratelli non andavano bene.
-Ma lui era pur sempre, pur sempre mio fratello... - Aberforth era stremato. Sembrava che il rimorso lo stesse consumando da giorni.
Minerva si alzò per prendergli un fazzoletto. Ogni parola era superflua, non poteva sapere cosa stesse provano l'uomo di fronte a lei. Forse.
-Anche io Aberforth gli volevo molto bene, e sono sicura che non ce l'avesse con te... -
Gli occhi di Aberforth si illuminarono a quelle parole.

Molte ore dopo, molti fazzoletti dopo e altrettante parole di consolazione, Minerva McGranitt accompagnò il fratello di Silente alla porta. Lo salutò affettuosa, mentre il suo cuore salutava per sempre Albus Silente, che era andato a trovarla per l'ultima volta della sua vita.
A metà vialetto Aberforth si girò verso Minerva e le chiese in tono grottesco:
-Posso tornare, ecco, qualche volta? - La McGranitt lo guardò dura.
-Ma se non hai nemmeno bevuto il mio té? -
-Ci prenderò l'abitudine. -
Minerva sorrise a pensare che si sarebbe spesso trovata a bere un té che non le piaceva per niente, con un uomo a cui quel té non piace affatto, in nome di un grande uomo, che adorata quel té alla vaniglia.
Minerva chiuse la porta sollevata. Non era affatto sola.




ANGOLO DELL'AUTRICE
Ciao, ecco qui il secondo capitolo di What has never been told before.
Come avrete notato, questo capitolo è dedicato a MINERVA MCGRANITT, un personaggio che ho da sempre amato tantissimo, per non parlare dell'attrice inglese che interpreta questo ruolo: assolutamente perfetta!
Per quanto triste e malinconico, mi sono davvero divertita a scrivere questo capitolo: vi immaginate la McGranitt nella sua casa perfettamente ordinata, che dalla rabbia rompe una tazza, e si piega immediatamente per raccoglierne i pezzi per non crear disordine??
In ogni caso, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, è un pò più lungo di quanto mi ero prefissata, spero che la cosa non vi dispiaccia!
Ringrazio con tutto il cuore coloro che hanno commentato questa storia, o inserita tra le preferite/seguite/da ricordare...
Il prossimo personaggio sarà: Regulus Balck.
Ai prossimi aggiornamenti!
Berenike




(Aggiunta postuma)
La fanfiction WHAT HAS NEVER BEEN TOLD BEFORE ha vinto i NESA 2011 dedicati al fandom HARRY POTTER nella categoria BEST FANFICTION READER'S CHOISE. Ringrazio tutti i miei lettori e coloro che mi hanno votata!



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Capitolo 3
*** Regulus Black ***




Regulus Black

La famiglia Black era sempre stata una delle famiglie magiche più importanti. Da sempre il loro sangue puro aveva dettato le loro azioni, e aveva preceduto ogni loro affetto. I membri della Antichissima Casata dei Black potevano relazionarsi solo con altri sangue puro, potevano parlare solo la lingua dei sangue puro, potevano conversare solo su temi importanti, e per nessuna ragione potevano commettere sciocchezze.
Sciocchezze. Certo, dipende cosa si intente per sciocchezze.
Molti Black avevano commesso omicidi, molti erano diventati Mangiamorte, molti erano scesi a compromessi malefici per raggiungere i propri scopi.
No, le sciocchezze a cui tutti i Black si riferivano si limitavano a tutt'altro: non appartenere alla casa dei Serpeverde, sposare od innamorarsi di un Mezzosangue, trattare con rispetto tutti coloro che non fossero Purosangue.
Purosangue. Ecco la parola d'ordine per la famiglia Black.
Ad ogni generazione veniva insegnato come comportarsi, ad ognuno veniva imposto il rispetto per i superiori, e il disprezzo per i più deboli. Ad ognuno venivano imposte le virtù (ed i difetti) Serpeverde, fin da bambini tutti dovevano rispettare le regole, o ad aspettarli c'erano dure conseguenze.
Dopo generazioni di fieri Black, toccò il turno di Regulus e Sirius Black.
I due fratelli erano figli dei due più fieri Black, tanto che mai si erano visti dei genitori così attenti all'educazione dei figli.
Regulus e Sirius non potevano però essere più diversi. Regulus era tutto ciò che una famiglia Purosangue aveva sempre sognato: era un ottimo alunno, portava rispetto e timore per i più potenti, mentre disprezzava e detestava tutti coloro che non fossero come lui: affascinanti, ricchi e purosangue.
Opposto all'educazione di Regulus, alla sua perfezione, al suo ordine e a tutte le giuste virtù di un Serpeverde, era il fratello Sirius.
I due fratelli non erano mai andati d'accordo, ma probabilmente tutta la colpa era da attribuire ai genitori: osannavano Regulus da una parte, mettendo in cattiva luce Sirius dall'altra, nella speranza che il fratello minore non seguisse le sue orme.
Per quanto Regulus facesse finta di disprezzare il fratello, avrebbe dato qualsiasi cosa per essere come lui.
Qualsiasi.
Quando Sirius era entrato in Grifondoro, mentre il suo ghigno malefico seguiva quello di tutta la famiglia, il cuore scoppiava di gioia, e sperava di poter fare lo stesso anche lui...
Ma non lo fece.
Il suo cuore apparentemente di pietra non riuscì mai ad ingannare nemmeno il capello Parlante.
E così gli anni passarono, mentre lui diventava sempre più un Perfetto Serpeverde. Come non se ne vedevano da anni.
Ma in realtà nel suo cuore, ammirava quel fratello ribelle che faceva di tutto per uscire dagli schemi.
Se solo anche lui avesse avuto lo stesso coraggio. Invece era un Codardo.
Codardo, codardo, codardo. Si ripeteva ogni volta che vedeva il fratello. Ed ogni volta che questo non lo degnava di uno sguardo, il suo cuore rabbrividiva. Che persona stai diventando! Nemmeno tuo fratello ti saluta....
E' proprio vero che le apparenze ingannano.
Un giorno, seduto sulla neve vicino al lago di Hogwarts, ed ammirando le luci di albero di Natale, ricordò di un Natale passato in cui lui e Sirius erano stati (forse) vicini. Per l'unica volta.


La Signora Black cercava disperatamente di vestire il piccolo Sirius. Questo non aveva nessuna intenzione di star fermo, e saltava felice urlando: E' Natale! a tutti coloro che lo ascoltassero. Regulus era già stato vestito con il color dei Serpeverde, era così piccolo che non era stato difficile vestirlo e sistemarlo in una poltrona poco vicino.
Quel giorno, Regulus ricevette il doppio dei regali del fratello, e per quanto questo sembrò non impressionare nessuno (tanto meno Sirius che non vedeva l'ora di uscire e fare a palle di neve), lui chiese gentilmente il perché di quel gesto.
Dopo tanti anni ancora ricordava il viso duro della madre contrarsi in un sorriso finto, e pronunciare le parole che nessuno avrebbe mai dimenticato:
-Perché Sirius è un bambino davvero cattivo – disse la signora Black, guardando Regulus dritto negli occhi. Sirius era ancora lì vicino, e riuscì a sentire tutto fin dall'inizio. La Signora Black sperava che questo lo portasse ad un cambiamento.
-Cattivo? - L'innocenza di Regulus arrivava dove nessun altro poteva immaginare.
-Si – gli rispose quella voce fredda che a tutto assomigliava tranne che a una dolce voce materna – e quando sarà grande verrà cancellato dall'albero genealogico, vedrai! - Rise sonoramente.
Regulus si mise a piangere, senza realmente capire cosa fosse realmente successo.
Sirius corse in camera sua, singhiozzando. La madre sorrideva divertita.
Sirius, correndo verso la sua camera guardò il fratellino. Dove pensare a salvare sé stesso. Non aveva tempo per salvare anche lui. E sbatté la porta dietro di sé.


Regulus tornò con la mente al suo presente, ad Hogwarts. Decise che era giunta l'ora di andare da Siris e trovare il coraggio di dirgli che era suo fratello e, nonostante tutto, gli voleva ancora bene.
Non come la mamma. Per davvero.
Regulus si avviò verso la torre di Grifondoro. Quasi corse all'idea di riconciliarsi con il fratello.
Senza nemmeno accorgersene, quasi si scontrò con lui, nel corridoio subito sotto la torre.
Sirius quasi non lo degnò di uno sguardo. Come sempre.
-Sirius... - lo chiamò debolmente Regulus – Volevo parlarti... -
Sirius si fermò ma non girò lo sguardo.
-Cos'è, la mamma mi manda i saluti? - disse duramente.
-Io volevo solo dirti che... -
Regulus trova il coraggio.Si disse il giovane Serpeverde, vergognandosi della sua divisa, e guardando con ammirazione quella del fratello Sei un Codardo. Codardo. Codardo. -Un giorno, sarai fiero di me!> Gli urlò, e corse via imbarazzato ma, con la testa alta. Era la prima volta nella sua vita in cui era orgoglioso di sé.
Sirius sorrise del suo fratellino. Ma Regulus non lo vide mai.


E fu così che Regulus Black firmò la propria condanna a morte. Tradì il Signore Oscuro, e mentre questo lo uccideva personalmente, Regulus sorrise pensando che finalmente Sirius sarebbe stato orgoglioso di lui.
Guardò le proprie mani per l'ultima volta. E fu orgoglioso di vedere che erano le mani di un uomo coraggioso, e non quelle di un codardo.
Ed infine, solo una luce Verde. Per l'ultima volta.




ANGOLO DELL'AUTRICE
Eccomi qui, come avevo promesso, con una storiella su Regulus Black!
Come Severus Piton, questo è un personaggio assolutamente controverso: non si capisce bene da che parte stia fino alla fine.
Forse è per questo che, come Sev, è uno dei personaggi che preferisco!
Ovviamente non si può ritrarre Regulus senza toccare anche gli altri membri della famiglia, e sopratutto il fratello Sirius... Penso davvero che Sirius, se avesse saputo tutta la verità, sarebbe stato orgoglioso di lui.
Spero che questa storia vi sia piaciuta, please fatemi sapere cosa ne pensate con tanti commentiiiii!!! [*Sblink-sblink!*]
Ai prossimi aggiornamenti!
Berenike




(Aggiunta postuma)
La fanfiction WHAT HAS NEVER BEEN TOLD BEFORE ha vinto i NESA 2011 dedicati al fandom HARRY POTTER nella categoria BEST FANFICTION READER'S CHOISE. Ringrazio tutti i miei lettori e coloro che mi hanno votata!



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Capitolo 4
*** Teddy Lupin ***




Teddy Lupin

Teddy Lupin era un bambino vivace, giocoso, felice. Aveva passato la propria infanzia con i nonni, gli zii, i cugini e tutti coloro che più gli volevano bene. Non aveva dovuto sopportare ristrettezze economiche, aveva sempre ottenuto tutto (o quasi tutto) ciò che desiderasse, comprese dosi massicce d'affetto e di baci.
Teddy viveva con i nonni, che lo amavano più di qualsiasi altra cosa al mondo. Ogni weekend andava a trovare la sua seconda famiglia, i suoi zii e i suoi cugini “acquisiti”: lo zio Harry e la zia Ginny, gli zii Ron ed Hermione ed i loro figli.
Nessuno avrebbe mai potuto pensare che Teddy Lupin fosse un bambino infelice, né che fosse poco amato, o che si sentisse messo in disparte.


Ma questa descrizione non apparteneva affatto a Teddy Lupin. Questa era solo la sua perfetta e felicissima copertura, che gli permetteva di rassicurare gli altri e renderli felice.
Mentre lui non lo era affatto.
Le uniche serate che Teddy amava erano quelle in cui ci si sedeva intorno al fuoco e gli zii, o i nonni, raccontavano di quei tempi che apparivano così lontani, in cui anche i suoi genitori erano vissuti e a detta di tutti, lo aveano profondamente amato (nel poco tempo passato insieme).
Harry Potter, insieme agli altri zii, raccontavano le mitiche vicende dei Malandrini con passione, impressionando tutti i piccoli ascoltatori: tutti loro erano cresciuti conoscendo a memoria ogni azione di Remus Lupin, Sirius Black e James Potter. Avevano conosciuto anche, attraverso i racconti, Albus Silente, Severus Piton ed ogni persona che era morta per salvare ognuno di loro.
Salvare.
Teddy Lupin non si sentiva affatto salvo o protetto. Si sentiva solo, amareggiato, arrabbiato.
Da piccolo amava i racconti degli anni oscuri, in cui i suoi genitori erano diventati eroi.
Ora li odiava, come odiava i suoi stessi genitori.
Così egoisti. Egoisti, egoisti, egoisti.


Harry Potter notò un cambiamento in lui. Anche se non era veramente suo nipote, gli piaceva definirlo tale per farlo sentire parte della famiglia.
Harry sapeva fin troppo bene, o almeno aveva saputo, cosa significasse non avere una famiglia.
Per questo forse fu l'unico che si accorse dell'ira crescente che si stava impossessando nell'animo del giovane Lupin, riconobbe quello stesso fuoco ardente che molti anni prima (ma forse non così tanti), aveva infuocato il suo cuore.
Un sera, in cui Teddy era rimasto silenzioso e con i pugni chiusi in una morsa assassina, Harry lo prese in disparte, quando tutti erano già a dormire, e anticipò l'argomento.
-Sai – gli disse avvicinandosi a lui lentamente – anche io sono cresciuto senza genitori... -
Teddy lo guardò amareggiato e incredulo. Non si aspettava che qualcuno lo comprendesse, che a qualcuno gli importasse di lui, che qualcuno lo vedesse.
-Anche io, come te, mi sentivo invisibile... - Teddy sgranò gli occhi. Per un attimo fu come se Harry gli stesse leggendo l'anima. Ma non poteva essere così.
-Tu non sai niente di come mi sento! - Teddy si alzò di scatto, e fece per andarsene. Harry abbassò lo sguardo. Sapeva che, prima o poi, questo momento sarebbe arrivato.
-Sei sicuro, Teddy? - Harry si protese verso di lui, e lo fermò, toccandogli dolcemente il braccio.
Le sue parole però erano dure come la pietra.
-Io penso di si invece – continuò – Penso anzi di aver vissuto un'infanzia peggiore della tua... -
Teddy continuò a guardare verso le scale, la mano di Harry ancora poggiata sulla sua spalla. Il giovane Lupin sentiva la rabbia che stava per esplodere, non riusciva più a trattenere i suoi pensieri, così cattivi, così egoisti...
Come i suoi genitori, egoisti.
-Io non conoscevo la magia, Teddy e nessuno mi ha mai parlato dei miei genitori... - Harry cercò di fargli capire che avevano fatto tutto il possibile per non fargli sentire la mancanza di Ninfadora e Remus. Ma sapeva che c'era un baratro enorme nel suo cuore.
-I tuoi genitori sono morti per salvarti, Harry! - urlò Teddy all'improvviso. Non gli importava più di nulla. Era arrabbiato, voleva solo essere lasciato in pace, da tutti loro.
-James e Lili sono morti per proteggerti, con te tra le braccia! - Harry lo guardò profondamente.
Non poteva davvero pensare a ciò che stava per dire... Cercò di calmare la situazione, e parlarò lentamente, quasi in un sussurro.
-Teddy, anche i tuoi genitori sono morti per salvarti, per farti vivere in un mondo migliore... -
Teddy lo fissò. La sua voce era appena udibile quando pronunciò il pensiero che si era instaurato nella sua mente da così tanto tempo.
-I miei genitori sono morti per fare gli eroi, sono andati incontro alla morte, consapevoli di avere un figlio a casa che sarebbe cresciuto senza di loro! Non gliene importava nulla di me – una lacrima gli rigò il viso fanciullesco – loro volevano solo la loro gloria. -
Fece una pausa, in cui Harry si limitò a guardardo. Voleva lasciarlo sfogare.
Era il solo modo, lo sapeva bene.
-C'è sempre una scelta, Harry. I tuoi genitori avevano scelto di nascondersi insieme a te, e non di andare a lottare mentre tu eri ben nascosto. Loro hanno scelto te. Nessuno invece ha scelto... me. -
Teddy Lupin non riusciva più a contenere quelle lacrime che nascondeva ormai da troppo tempo. Scoppiò a piangere tra le braccia di Harry che lo coccolavano e lo stringevano forte, come un padre.
-Loro hanno scelto di combattere, sapendo di andare a morire! Io mi sento così solo – disse tra i singhiozzi – così solo, così arrabbiato, sempre! -
Harry riconobbe quelle parole Erano le stesse che aveva pronunciato anche lui, anni prima.
-Teddy – gli disse tenendolo ancora stretto a sè- i tuoi genitori ti volevano davvero tanto tanto bene, e sono sicuro che ora vorrebbero essere qui con noi! Loro hanno fatto la scelta più difficile di tutte, sono andati a combattere per poter assicurare al loro figlio un futuro migliore! Non avevano scelta, se loro non fossero scesi in campo, ora vivremmo ancora nel terrore... -
-Ma io vivo nel terrore... - disse il piccolo Lupin. Harry lo guardò e gli sembrò di specchiarsi negli occhi del suo vecchio insegnante di Difesa contro le arti oscure.
-Lo so che è difficile Teddy, ma guardati intorno -Harry indicò il salotto che li circondava: le sedie erano ancora scomposte per la fretta di tutti i bambini di andare a dormire. Ginny avrebbe sistemato la mattina seguente – tutti qui ti amano e ti vogliono bene. I tuoi genitori sapevano che non saresti mai stato solo, sapevano che tutti ci saremmo presi cura di te... -
Teddy annuì lievemente. Pensò ai nonni, a tutti gli zii e ai cugini, che non lo avevano mai abbandonato e avevano mantenuto vivo il ricordo dei suoi genitori.
Remus e Ninfadora: morti per proteggerlo.
Teddy Lupin sorrise allo zio Harry, sentendosi un po' più leggero.




ANGOLO DELL'AUTRICE
Eccomi tornata, dopo una lunga assenza, con il quarto personaggio di questa raccolta: Teddy Lupin!
Come vedete, sto cercando di spaziare il più possibile tra la prima e la seconda generazione, tra insegnanti, studenti, figli e babbani: se no che raccolta sarebbe?
Ho cercato di immaginare un momento di rabbia nella vita di questo giovane personaggio. Per quanto felice ed amato, anche lui deve aver sentito la mancanza dei genitori, ed è per questo che ogni giorno mi domando: che motivo c'era di uccidere anche loro?
Ma temo che a questa domanda, ci sia una sola persona che può rispondere: la nostra adorata Joanne....
Spero che questo capitolo vi si piaciuto e vi abbia fatto emozionare almeno un pochino... Se così è stato, o se assolutamente avete detestato questo racconto (o qualasisi altra sensazione, positiva o negativa), per favore raccontatemela con una recensioncina!! (e ho fatto anche la rima!! Ok la smetto!)
Thanks*
Berenike





(Aggiunta postuma)
La fanfiction WHAT HAS NEVER BEEN TOLD BEFORE ha vinto i NESA 2011 dedicati al fandom HARRY POTTER nella categoria BEST FANFICTION READER'S CHOISE. Ringrazio tutti i miei lettori e coloro che mi hanno votata!



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Capitolo 5
*** Pansy Parkinson ***




Pansy Parkinson

Caro diario,
le lezioni sarebbero così noiose, così impossibili da seguire (gli insegnanti di Hogwarts sono parecchio sopravvalutati) se non fosse per Lui. Durante pozioni lo guardo aggiungere gli ingredienti con il suo solito fare sopra le righe; durante incantesimi vengo incantata io stessa dalla sua abilità nell'agitare la bacchetta e compiere incantesimi. Lui migliora sempre più, mentre il mio rendimento cala a picco: ma non mi interessa, penso solo a lui, voglio solo lui, sono solo sua.
Mentre passeggia per i corridoi, lo guardo estasiata mentre fingo di mantenere delle amicizie con le altre Serpeverdi; ma come potrei essere loro amica quando custodisco un segreto così profondo, così logorante, ma allo stesso tempo così liberatorio e salvatore?
Non so ancora se sia solo un sogno, se la mia mente si sta prendendo gioco di me in una danza perpetua in cui io finisco inesorabilmente per cadere nel baratro della pazzia, o se tutto ciò che sto vivendo sia tutto vero.
Anche se scoprissi che è tutto un sogno, continuerei a dormire, per non svegliarmi mai.
Draco è impassibile ai miei sguardi: a Pozioni scherza e parla con tutti, tranne me; a trasfigurazione si fa burla di tutti, tranne che di me. Se mi odiasse sarebbe meno doloroso, perché la sua indifferenza mi colpisce al cuore e mi ferisce a morte. Quando i nostri sguardi si incrociano per i corridoi, mentre il mio brilla d'emozione nell'incontrare il suo, i suoi occhi azzurro color ghiaccio si abbassano frettolosi, o fissano l'orizzonte dietro di me, quasi come se io non esistessi.
L'altro giorno ero nascosta dietro al tavolo tondo ad origliare le sue conversazioni. Lo vedevo appena, disteso sul divano della sala comune di Serpeverde, mentre si toccava i capelli con una mano, e con l'altra teneva un bicchiere colmo di burrobirra. Gli altri ragazzi parlavano di ragazze: di come sedurci, come ammaliarci, e tra tutte io ero la più discussa, la più desiderata.
Ma lui no, mai una volta si è scomposto, né ha espresso un suo apprezzamento.


Non so come potrei sopportare tutto questo se, una volta calato il sole, i Serpeverde e gli insegnanti sono andati a dormire e tutto tace nel nostro dormitorio, Draco non si alzasse e venisse da me, si infilasse nel mio letto e mi dimostrasse che mi desidera, molto più degli altri.


La prima notte, due mesi fa, quasi non morii dalla paura: stavo per addormentarmi quando improvvisamente sentii un corpo freddo accanto a me.
Draco.
Draco Malfoy. Nel mio letto.
Io fui invasa dalla sorpresa e dallo stupore, sopraffatta dalla felicità di avere l'amore della mia vita tra le mie braccia, finalmente.
Ma non erano le mie braccia che lui voleva.
Nel silenzio della notte lui si impossessò del mio corpo, facendomi gemere e divertendosi a farsi desiderare.
Il padrone era lui, le sue gambe forti, le sue braccia avvolgenti, il suo membro comandante.
Ma poi, presa da un'improvvisa spinta d'amore, fui io ad impossessarmi del suo corpo, e a dimostrargli tutto il mio amore.
Il mio amore.
Non penso sia a questo che lui miri. Ma penso abbia capito, che solo per amore accetto questo ricatto.
Ogni notte da allora, viene da me e si lascia cullare fino al più profondo attimo di piacere, ed io con lui, perché non c'è niente di più bello che compiacere l'uomo che si ama.


È quindi questa la mia maledizione: di giorno vengo disprezzata, sorvolata, non considerata, suscito nel suo animo la stessa indifferenza che lui provoca all'inverso nel mio cuore; ma di notte, bè di notte sono la sua amica più fidata, la sua anima gemella, la sua più vicina confidente.
Sono davvero una stupida.
Una stupida innamorata.
Se non fossi terrorizzata dal perdere tutto questo, se il mio coraggio non venisse meno ogni volta che lo guardo negli occhi, so che dovrei farmi valere ed esprimere il mio disgusto per il modo in cui lui, silenziosamente, usa il mio corpo di notte, per poi gettarlo ogni mattina giù per la torre più alta di Hogwarts.
Silenziosamente, è vero.
Ogni notte non si avverte un rumore provenire dal mio letto se non fosse per lo spostamento lieve delle lenzuola e per gli ansimi di due amanti segreti.
Nessuna parola, nessun gesto d'affetto.
Solo amore fisico. Ed io che mi illudo di usare ancora questa parola:
Amore.


Continuo a pensare che la sua sia solo paura, vergogna, timidezza.
Un giorno, di giorno, lui verrà da me.


Una sola cosa temo: la freddezza dei suoi occhi, ed insieme la sincerità che essi emanano. Di notte, tra le sue braccia, scruto nella sua anima attraverso quel passaggio meraviglioso, chiamato occhi. I suoi sono così freddi, così glaciali che, anche nell'oscurità della notte fonda, riflettono il chiarore della luna.
In quegli occhi però, vedo la stessa indifferenza che di giorno mi uccide.
Lo so, non mi ama.
Ma è troppo presto perché io me ne preoccupi.


Lo so, sono una stupida.
Una stupida Innamorata.


Pansy



ANGOLO DELL'AUTRICE
Ciao a tutti, come promesso, ecco qui un aggiornamento infrasettimanale!!! (ma non vi abituate!)
Allora, prima di tutto vorrei anteporre a qualsiasi commento il fatto che ho la febbre alta, per cui se la storia non vi è piaciuta, sappiate che incolperò questo virus maledetto che si è preso possesso del mio corpo! :-)
Per Pansy ho deciso di cambiare un pò stile: sono passata alla forma epistolare, per cui prima persona, tempo presente... E' forse il mio primo esperimento in questa struttura, per cui ve ne prego, siate clementi nel giudicare!
Spero che questa storia vi piaccia davvero; è un pò forte, ma questa raccolta si intitola: Tutto ci che non è mai stato detto prima, per cui sto cercando di far emergere, per ogni personaggio, un lato nascosto che è stato un pò lasciato in disparte dalla nostra amata Joanne! (immagino per problemi di tempo e spazio)
Please, sbizzarritevi nei commenti!! Per il momento vi auguro buona notte e ringrazio tutti coloro che hanno letto e commentato i capitoli precedenti!
Berenike





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Capitolo 6
*** George Weasley ***




George Weasley

Quel giorno di lavoro era stato infernale. Nonostante le cose fossero tornate quanto più potessero alla normalità, e gli anni stessero passando inesorabilmente, il negozio di magia dei gemelli Weasley andava ancora alla grande; anzi, forse non aveva mai smesso di fare grandi affari.
Durante tutti quegli anni non aveva chiuso nemmeno un giorno, né a Natale, né d'estate; i suoi piccoli e fedeli clienti continuavano ad arrivare sempre più numerosi.
George Weasley, il proprietario del negozio, era ormai diventato un facoltoso e rispettato uomo d'affari: quella che era iniziata come una piccola attività familiare, ora era una delle aziende più famose e ricche di tutto il mondo magico. Non esisteva al mondo mago che non conoscesse quel negozio, o che non ci fosse entrato almeno una volta.
Per quanto George fosse generoso con tutti coloro che ne avevano bisogno (aveva sperimentato anche lui cosa significasse essere povero), e per quanto ora tutti i suoi familiari vivessero facoltosamente e senza mai un problema economico, George Weasley aveva davvero ancora molto, molto denaro. Lavorava sodo notte e giorno per mantenere il nome dei gemelli Weasley alto, e mai una volta aveva perso il sorriso. Ogni sera tornava a casa dalla moglie Angelina e dai suoi figli più felice che mai anche se, ad un certo punto, la stanchezza degli anni e del lavoro iniziarono a farsi sentire.
Quella sera in particolare gli anni di lavoro si facevano sentire sulle spalle del proprio padrone; e come se fosse il destino, durante quel giorno George aveva avuto uno strano cambiamento nella propria routine quotidiana.
Aspettò che Fred e Roxenne andassero a dormire prima di parlarne alla moglie, di fronte al fuoco del camino scoppiettante.
Angelina gli spostò i capelli dalla fronte, preoccupata.
-George caro, è andato tutto bene al lavoro? - Lui annuì stanco. Poi ci ripensò e le disse quasi sottovoce, per non sprecare troppe energie:
-Oggi sono venuti dei Signori in negozio... Mi hanno fatto un'offerta. - Angelina lo guardò stupita mentre il marito teneva lo sguardo basso, sul fuoco ardente.
-Un offerta... per il negozio? - disse, cercando di mantenere la propria gioia. Ma non ci riuscì.
Sorrise appena, abbracciando il marito, inspiegabilmente triste.
-Non è quello che volevi? Poter smettere di lavorare, dopo tanto tempo, così da passare più tempo con i ragazzi? - Angelina non poteva credere che il proprio sogno si stesse per realizzare. In tutti quegli anni non aveva mai avuto George a casa durante il giorno, e sospettava che anche i ragazzi ne sentissero la mancanza quando, come in quei giorni, passavano le vacanze natalizie a casa.
-Si, io... non lo so. - George alzò lo sguardo. Grosse lacrime rigavano il suo volto che si spostava velocemente dagli occhi scuri e dolci della moglie, alle fiamme del fuoco di fronte a sé.
-George cosa c'è? - Poteva esserci una sola ragione, ma non poteva essere vero, non dopo tutti quegli anni...
-E' per... Fred? - Finalmente Angelina l'aveva detto. Aveva pronunciato quel nome che in quella casa era allo stesso tempo il più pronunciato (il primogenito portava infatti questo nome), e sofferto insieme. Nessuno, nemmeno il signor Weasley e Molly avevano sofferto tanto per la morte del figlio, quanto George per quella del suo gemello.
Era rimasto un gemello Weasley senza gemello. Era rimasto un corpo senza la sua anima.
Angelina asciugò le lacrime del marito che calde, continuavano a rigargli il volto. Poi aspettò che si sfogasse, era davvero tanto tempo che la sua sofferenza non trovava parole, ma veniva repressa all'interno del suo cuore.
-Io tutti i giorni vado al negozio per vedere Fred. Non lo faccio per soldi ormai da tanto tempo, potrei lavorare anche gratis! Io ogni giorno mi spacco la schiena e sorrido perché in ogni cosa che vedo ritrovo Fred e sorrido perché so che lui è li insieme a me. -
George fece una lunga pausa in cui ricordò il volto di Fred sorridente. Lui era sempre così maledettamente sorridente.
-Se vendo il negozio, cosa ne sarà di Fred? - George appoggiò la testa nella spalla della moglie.
Sapeva di essere un'egoista, la sua famiglia aveva bisogno di lui come lui di loro; ma una vita senza Fred era una vita senza senso.
-George – Angelina prese il suo viso tra le mani e lo guardò dritto negli occhi – ma non capisci? Fred vive attraverso la tua memoria, vive attraverso i tuoi occhi e quelli della tua famiglia; Fred vive attraverso i tuoi figli che ogni giorno ti chiedono di lui e ascoltano i racconti della sua vita... Fred non avrebbe mai voluto che lavorassi fino alla morte per lui... -
-Come fai a saperlo? - la interruppe lui, improvvisamente in collera.
-Come puoi dire cosa volesse o meno Fred? E' morto che aveva vent'anni e a quell'età non si parla certo di queste cose... -
Angelina si allontanò appena, per staccarsi da quella rabbia che non le apparteneva. George si chiuse in sé stesso, prendendosi la testa tra le mani e sussurrando: Così ingiusto, così ingiusto, così ingiusto, così ingiusto....
-George caro, hai ragione, quello che è successo a tuo fratello è stato ingiusto... -
-Lui non è venuto al nostro matrimonio, non ha visto la nascita dei nostri figli, non ha visto il successo del nostro negozio... Non ha avuto figli, non si è sposato... Così ingiusto... -
-Non ci sono parole per esprimere il tuo dolore caro lo so, ma... -
-Angelina – il marito la guardò negli occhi profondi, non poteva chiedergli questo – non venderò il negozio. Non potrei mai. Fred è lì dentro, ed ogni giorno ride e vive insieme a me... -
George tornò a fissare il fuoco mentre la moglie si allontanava ed andava a dormire. Si distese di fronte al fuoco, la mente svuotata e solo, come ogni notte, con il proprio dolore eterno.
Un dolore che non si era affievolito con il tempo, ma che era aumentato man mano che la distanza temporanea separava i due gemelli inesorabilmente.
Poi George sentì dei passi sulle scale e si affrettò a dire:
-Cara, arrivo subito... - pensando fosse Angelina che, preoccupata, si accertasse che andasse a dormire, prima o poi.
-Sono io – gli rispose una voce più infantile, quella del suo ometto.
-Fred cosa ci fai alzato? - pronunciare quel nome era sempre stato difficile, fin dal giorno della nascita del piccolo Fred II. Per fortuna non assomigliava ai gemelli, ma aveva tutte le caratteristiche della madre. Tranne che per il carattere, quello era tutto di Fred.
-Papà – gli disse il giovane studente, sedendosi dove poco prima era seduta la madre – quando il negozio andrà bene, tu lo venderai come voleva lo zio Fred? - George ebbe un momento di sorpresa. Quella conversazione cadeva proprio a proposito.
-Lo zio Fred non voleva vendere il negozio... - un'altra fitta al cuore. Chissà se sarebbero mai finite, o si sarebbero mai affievolite.
-Si invece, guarda! - Il piccolo Fred tirò fuori una cartolina, trovata chissà dove, del giorno dell'apertura del negozio di Magia. Fred gli sorrideva raggiante da quella fotografia magica, in cui lo salutava con la mano e si passava l'altra tra i capelli per sempre giovani e lunghi.
George ruotò il pezzo di carta e notò una scrittura, chiaramente quella del fratello, che diceva:
George, facciamo tantissimi soldi così quando saremo vecchi potremmo vendere questa baracca e dedicarci a vivere davvero...Fred”
Vivere davvero.
George guardò il figlio e pensò alla moglie che stava dormendo al piano di sopra.
Vivere davvero.
Sapeva cosa fare. Era arrivato il momento di vivere davvero.
Non avrebbe mai venduto il negozio, ma poteva sempre farlo gestire da degli uomini di fiducia e seguirne l'andamento da lontano.
Mentre viveva davvero.
Angelina aveva ragione, Fred avrebbe vissuto attraverso i suoi occhi, e quelli dei suoi ragazzi.
-Papà andiamo a letto, domani ti devi svegliare presto – George sorrise come non faceva da tanto tempo, tenendo stretta la cartolina del fratello.
-No, non devo. -
Ed accompagnando il figlio a dormire quella sera, sussurrò Grazie Fred al piccolo ometto disteso di fronte a lui. Ma mentre pronunciava quelle parole guardava verso il soffitto ed oltre, perché ancora una volta il gemello aveva saputo cosa dirgli.
Era giunto il momento di vivere davvero.





ANGOLO DELL'AUTRICE
Ecco qui un nuovo personaggio di questa serie: GEORGE WEASLEY!
Quando ho letto della morte di Fred mi sono davvero chiesta che senso avesse far morire un personaggio così incredibilmente positivo; ed ho subito pensato che in realtà facendo morire lui, moriva anche George, il suo gemello.
Perchè per quanto forte possa essere, gli rimarrà un profondo vuoto dentro, ed è questo che ho cercato di rapprensentare: George ha dovuto andare avanti, si è sposato, ha avuto due figli, ma quel senso di solitudine data dall'assenza del fratello non gliela toglierà mai nessuno. Nemmeno il negozio di magia...
Spero che questo episodio vi sia piaciuto... Alla prossima!
Berenike
ps. ringrazio di cuore tutti i lettori e commentatori dei capitoli precedenti... Spero abbiate la pazienza e la voglia di recensire anche questo capitolo e sapermi dire cosa ne pensate!




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Capitolo 7
*** Lucius Malfoy ***




Lucius Malfoy

Lucius Malfoy era stato, nella sua vita, un uomo crudele, subdolo, rabbioso, cattivo. Era stato educato secondo leggi ben precise, in cui il dolore, la tristezza e la paura non erano contemplati.
Gli era stato insegnato che piangere era da deboli, lamentarsi era da deboli.
Aveva fatto un matrimonio di convenienza con una donna che non amava, perché gli era stato insegnato che il sangue puro e la razza sono le uniche cose importanti, le uniche veramente da preservare. Senza la razza, nemmeno la famiglia, l'amore e la salute avevano più un senso.
Lucius Malfoy era stato viziato da bambino, ma mai d'affetto o di abbracci. Con la stessa determinata ostentazione e sfiducia lui educò il proprio figlio, perché era così che gli era stato insegnato.
Lucius non aveva mai conosciuto la dolcezza, la misericordia, la pietà. Nessuno aveva mai espresso questi sentimenti nei suoi confronti, così lui non li aveva mai provati per gli altri.
Lucius Malfoy non si era mai pentito dei suoi crimini: ai tempi della scuola era stato un bambino cattivo perché era così che doveva fare, aveva ucciso perché era così che doveva essere, aveva educato il proprio figlio a fare altrettanto, ad essere un Serpeverde crudele e subdolo perché non conosceva altro modo per essere padre.
Suo padre era stato così con lui, come il padre di suo padre, e così all'infinito, in una linea di paternità e di crudeltà che in quella famiglia non conosceva fine.
Lucius Malfoy non conosceva il rimorso, il dolore, la debolezza: era stato addestrato per essere un perfetto soldato, e così fu per tutta la sua vita.
Quando Narcissa l'aveva pregato in ginocchio di lasciare i Mangiamorte, perché la cosa gli stava sfuggendo di mano, non le aveva dato ascolto. Nemmeno quando Voldemort tornò e sentì come qualcosa in fondo allo stomaco che lo avvertiva di non raggiungerlo (non sapeva che si chiamava istinto) lui lo raggiunse, mettendo in pericolo la propria famiglia.
Perché è così che bisogna fare.
Non aveva mai dimostrato affetto per il figlio Draco, né lo aveva mai lodato o disprezzato: gli era stato insegnato che l'amore non contava nulla, contava solo il potere, la razza, il sangue puro.


Ma ci fu una svolta nella vita di Lucius che fece di lui un uomo migliore. Un attimo che gli cambiò la vita e la stravolse fin dalle radici.


Lucius poteva ricordare fin troppo bene quel momento.
Tutti i Mangiamorte erano seduti al suo lussuosissimo tavolo, bevevano e mangiavano le sue provviste cucinate dai suoi servi. Il Signore Oscuro a capotavola, ad occupare il suo posto, mentre lui e la sua famiglia venivano sconfinati in un angolo.
Draco tremava, il suo giovane cuore non era stato preparato a tutto questo: aveva visto Albus Silente morire sotto ai propri occhi, e da allora non era più lo stesso.
Anche Narcissa stava per cedere alla paura e allo sfinimento causato dal timore che qualcosa potesse succedere a lei o alla sua famiglia: l'unica cosa che la teneva aggrappata a questo mondo era l'amore per il figlio, illimitato, sopra ogni cosa.
Lucius ogni giorno si poneva domande diverse, mettendo ogni volta in crisi ciò che gli era stato insegnato: perché un Malfoy, un sangue puro doveva soffrire quell'umiliazione? Perché la sua casa doveva essere depravata e zozzata da quelle mani onte, perché dovevano essere tutti comandati da un lurido mezzosangue? Perché era questo che infondo era il Signore Oscuro.
Un mezzosangue. Come la Granger.
Lucius ricordava fin troppo bene quei pensieri che avevano messo in crisi tutti i suoi pensieri. Ma il suo cuore rimaneva ancora determinato, ancora fermo, risoluto nel seguire quell'uomo così potente.
Fino a quando, un giorno, questo non si prese la cosa a lui più cara, e allora Lucius sentì dentro di sé una rottura, come se qualcosa, dopo tanti anni di insegnamenti, fosse andato storto.
Lord Voldemort gli aveva preso la bacchetta, sapeva come è vero che odiava i Weasley, che non gliela avrebbe mai più ridata.
La sua bacchetta. La bacchetta che aveva comprato insieme a suo padre da Olivander tanti anni prima, quella bacchetta che per tanto tempo l'aveva accompagnato in ogni sua azione, quella bacchetta che gli era stata fedele più di sua moglie, più di suo figlio, più di chiunque altro.
Lucius Malfoy sentì una lacerazione dentro di sé e solo allora sentì che tutto quello che stava subendo era ingiusto, era un capriccio di un Signore annoiato e smaniato dal potere.
Era il capriccio di un Mezzosangue che non avrebbe dovuto avere nemmeno il coraggio di toccare un capello a un nobile di sangue come lui.
Un Malfoy.
Quella sera a cena Lucius guardò intensamente la sua famiglia: per la prima volta guardò Narcissa come un marito guarda la propria moglie, notò le sue occhiaie, il suo volto sfigurato dalla paura, i suoi capelli lisci e sentì per la prima volta il bisogno di toccarli, di consolarla e di amarla.
Per la prima volta guardò Draco come un padre guarda un figlio e si rese conto che per qualche stupida regola stava mettendo in gioco la vita dell'unica cosa positiva che avesse mai fatto nella sua vita: Draco, suo figlio. Forse però per lui c'era ancora una speranza.
Quella sera, nel buio della notte per la prima volta provò dei sentimenti: provò odio nei confronti dei suoi genitori, che gli aveva insegnato ad eseguire sempre gli ordini. Anche se questi erano immensamente sbagliati. Provò gioia nell'essersi risvegliato da sé stesso come se si fosse appena destato dopo una lunga dormita. Provò amore per quella donna che gli era stata sempre accanto, nonostante tutti i suoi sbagli e i suoi errori. Sua moglie era sempre stata lì, anche lei succube di un sistema sbagliato alle radici.
Ma, pensò, questa umiliazione sarà il motivo per cui il Signore Oscuro soccomberà. Non mi importa quali mezzi verranno usati, ma mio figlio non verrà mai più reso schiavo di un Mezzosangue, non gli sarà mai più negata la libertà di scegliere.
Quella notte Lucius chiamò a sé il figlio Draco e gli disse la cosa più dolce che i padri Malfoy dissero mai, in generazioni e generazioni, ai propri figli:
-Quando tutto questo sarà finito – disse Lucius al figlio, che lo guardava impaurito – sposa una donna che ami, non importa chi sia. Ama tuo figlio più di te stesso e non permettere mai a nessuno di portarti via la bacchetta! -
Dopo quella notte, Lucius Malfoy tornò la persona arrogante e subdola che era sempre stata: ma sperava di aver cambiato il destino di quel figlio che aveva deciso di amare, e di opporsi a quel sistema che lo aveva visto vittima fin dall'infanzia.
Così, esattamente un anno dopo aver perso la propria bacchetta, Lucius Malfoy con il figlio Draco Malfoy e la moglie Narcissa Malfoy prestarono fede al giuramento fatto quella sera: tutti e tre, in modi diversi e per niente scontati, aiutarono Harry Potter a sconfiggere il Signore Oscuro.
Forse nemmeno loro lo avevano previsto, ma ne furono sollevati.



ANGOLO DELL'AUTRICE
Ciao a tutti! Il settimo personaggio è LUCIUS MALFOY (l'avevo annunciato già un paio di capitoli fa e finalmente, eccolo qui!)
Non c'è molta azione in questo capitolo, semplicemente entriamo nell'anima strappata di questo personaggio e lo vediamo un pò più da vicino: forse non è proprio giusto pensare che questo personaggio non abbia mai conosciuto un attimo di debolezza, di dolcezza...
Spero vi sia piaciuto! Per favore sbizzarritevi con i commenti, ho bisogno di sapere cosa ne pensate!
Berenike
ps. ringrazio di cuore tutti i lettori e commentatori dei capitoli precedenti... Spero abbiate la pazienza e la voglia di recensire anche questo capitolo e sapermi dire cosa ne pensate!




(Aggiunta postuma)
La fanfiction WHAT HAS NEVER BEEN TOLD BEFORE ha vinto i NESA 2011 dedicati al fandom HARRY POTTER nella categoria BEST FANFICTION READER'S CHOISE. Ringrazio tutti i miei lettori e coloro che mi hanno votata!



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Capitolo 8
*** Neville Paciock ***




Neville Paciock


"Uccidi il serpente.
Questo gli aveva detto Harry prima di scomparire nella foresta.
Uccidi il serpente.
Neville Paciock non era mai stato un ragazzo brillante, né astuto. Non era bello, non aveva voti alti in nessuna materia ed era perennemente canzonato da tutti.
Neville Paciock non aveva avuto una vita facile: i suoi genitori erano stati torturati fino alla pazzia, ed ora Neville viveva con la nonna.
I poteri di Neville Paciock si erano rivelati tardi rispetto agli altri ragazzi, tanto che perfino le persone a lui più care e più vicine avevano dubitato delle sue doti magiche.
Ancora adesso, che frequentava il settimo ed ultimo anno ad Hogwarts, c'era qualche parente che sospettava che Neville fosse un maghinò.
E forse lo era davvero. Anche Neville lo aveva sospettato più di una volta, quando negli anni precedenti aveva osservato i suoi compagni di Grifondoro avanzare di livello magico, compiere magie sempre più straordinarie, mentre lui rimaneva sempre inevitabilmente indietro rispetto a loro.
Neville Paciock non aveva stima in sé stesso e non si era mai considerato un granché.
Semplicemente conviveva con il proprio corpo e con le proprio capacità, accettando i propri limiti senza mai cercare di superarli.
Perché come tutti gli avevano sempre ripetuto, non ce l'avrebbe mai fatta.
Perché lui era Neville Paciock. Non era scaltro e coraggioso come Harry Potter, né fedele e buono come Ronald Weasley, né possedeva il cervello di Hermione Granger.
Perfino Draco Malfoy sembrava possedere più capacità di lui: nel suo essere perfido e maligno, era qualcuno, possedeva un proprio posto nella società.
Ecco, questo mancava a Neville. Un ruolo nella vita e nella società.
Lui semplicemente c'era, ma che ci fosse o meno, forse non avrebbe cambiato la vita a nessuno.


Ma quella notte tutto cambiò nella vita di Neville.
Harry Potter gli aveva dato uno scopo che avrebbe ridestato Neville Paciock dal suo stato dormiente e avrebbe fatto di lui un uomo.
Uccidi il serpente.
Neville si ripeteva queste ultime parole di Harry nella mente in continuazione: sapeva che Harry stava combattendo per sconfiggere il Signore Oscuro, e sapeva che quell'ordine rappresentava il momento in cui anche lui avrebbe avuto uno scopo nella vita.
Uccidi il serpente.
Neville Paciock si sentì finalmente qualcuno quando si vide affidare un compito così importante: ancora non sapeva che uccide il serpente comportasse uccidere una parte di Voldemort, che senza quell'atto Voldemort non sarebbe mai potuto morire; ancora non sapeva che per quel gesto sarebbe finito nei libri di storia come uno dei più attivi e fieri combattenti del Signore Oscuro.
A Neville Paciock tutto questo non importava.


Perché quando Neville estrasse la spada di Grifondoro dal capello non era alla fama che stava pensando. Quando si sentì per la prima volta appartenente a quella casata, perché anche lui c'era, anche lui era importante, perché ora nessuno poteva paragonarlo agli altri per i suoi difetti, Neville non stava pensando alle conseguenze del suo atto.
Voleva solo sentirsi qualcuno.
Voleva solo dimostrare a sua nonna, ai suoi genitori, ai suoi insegnanti ma sopratutto a sé stesso, che lui, Neville Paciock, non aveva limiti e anche ne avesse avuti, era pronto a superarli.
Estrarre la spada di Grifondoro dal capello parlante era stato per Neville così facile e naturale che solo allora capì che l'unico ostacolo alla realizzazione dei suoi sogni era stato sé stesso: quella spada non rappresentava solo il coraggio, ma anche la forza interiore di un uomo, una forza che era stata rinchiusa per troppo tempo, ed ora spingeva per uscire.


Se solo i suoi genitori l'avessero visto estrarre la spada che poi avrebbe fatto di lui un eroe agli occhi di tutti: Neville desiderava solo i suoi genitori accanto, tutto qui.
Non voleva fama, non voleva celebrità: voleva solo affetto.
Era giunto il momento di ricambiare quell'affetto che aveva portato i genitori alla pazzia e li aveva allontanati per sempre da lui.


Così, quando Neville Paciock alzò le braccia per alzare quella spada così pesante, quando egli prese tutte le sue forze e le concentrò nel spezzare in due quell'essere viscido e maligno, quando Neville uccise Nagigi, la parte più intima di Voldemort, un pezzo della sua anima, non lo fece per gloria, non lo fece per essere riconosciuto un eroe.


Uccidi il serpente.
Lo ucciderò, Harry, Lo ucciderò. Vendicherò i miei genitori, ripagherò la nonna dei suoi sforzi per allevarmi, dimostrerò a me stesso che i limiti non esistono e dimostrerò al mondo che sono coraggioso, sono furbo, sono forte, sono Neville Paciock e niente e nessuno potrà fermarmi.


Neville Paciock non era mai stato un genio, né il più popolare della scuola: ci mise sette anni a capire chi fosse, sette anni per decidersi a sbocciare come un fiore a primavera.
Ma quando lo fece, lo fece salvando la comunità magica da un mago potente e crudele.


Harry Potter è stato uno dei maghi più coraggiosi mai conosciuti.
Ronald Weasley è stato un amico buono e fedele.
Certo, Hermione Granger era una strega dotata ed intelligente.


Ma nessuno può negare che Neville Paciock non sia stato un mago alla sua altezza.
Un mago capace, intelligente, astuto.
Un mago potente che nel suo piccolo, ha fatto la differenza. "



Testo scritto da Hannah Abbott come inserto per il libro: Lotta contro il Signore Oscuro. Eroi dei nostri tempi. Capitolo terzo: Neville Paciock.

Grazie Neville,
Tua Moglie.






ANGOLO DELL'AUTRICE
Ciao! Mi scuso davvero per il ritardo di aggiornamenti, spero di essermi fatta perdonare almeno in parte!
Ecco a voi l'ottavo personaggio: NEVILLE PACIOCK. Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto: Neville è un personaggio difficile da trattare, in ogni riga avevo paura in qualche modo di offenderlo o di non rendergli giustizia.
Posso già annunciarvi che il prossimo personaggio cattivo (per chi non se ne è accordo, i capitoli pari riguardano personaggi positivi, mentre i capitoli dispari riguardano personaggi negativi della saga) sarà: PETER MINUS!
Spero continuiate a seguirmi e a recensire i prossimi capitoli (e questo naturalmente) come avete fatto con i precedenti... Ringrazio tutti i lettori di questa raccolta, e coloro che stanno votando la raccolta ANCHE SEVERUS PITON HA UN CUORE ai Nesa!
Berenike





(Aggiunta postuma)
La fanfiction WHAT HAS NEVER BEEN TOLD BEFORE ha vinto i NESA 2011 dedicati al fandom HARRY POTTER nella categoria BEST FANFICTION READER'S CHOISE. Ringrazio tutti i miei lettori e coloro che mi hanno votata!



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Capitolo 9
*** Peter Minus ***




Peter Minus

-Peter cos'è ti sei imbambolato? - James Potter lo guardava attraverso i suoi occhiali spessi. Dietro ad essi si nascondevano due grandi occhi azzurri.
-Eh? - Peter si svegliò come da un sogno. Erano nella sala comune di Grifondoro naturalmente, una sera uguale a tutte le altre. Mentre gli altri studenti si coricavano presto per essere pronti ed attivi il giorno seguente, i Malandrini rimanevano alzati fino a tardi, a burlarsi degli altri studenti ed a divertirsi.
-Eh? - Sirius Black canzonò Peter per quella reazione un po' stanca e sciocca.
Era sempre così con quei tre: essendo i più popolari della scuola, attorno a loro volevano solo persone sveglie, alla loro altezza, capaci e brillanti.
Era chiaro a tutti che Peter non era nessuna di queste cose, era lontano anni luce dai suoi amici Malandrini, ma questi, per qualche ragione che nessuno comprendeva, l'avevano accettato all'interno della loro ristrettissima cerchia.
-Sirius, guarda! - Remus tirò fuori dalla tasca una mappa, la mappa dei Malandrini. Tutti corsero a vedere quello che Lupin stava indicando, tranne Peter, e risero sonoramente quando videro un puntino muoversi all'interno della mappa.
-E' Silente! Sta andando su e giù per la stanza... Chissà cosa starà facendo! - Tutti risero immaginando il professore camminare frettolosamente per la stanza, a quell'ora di notte.
Poi Sirius si stacco dagli altri e fece un'imitazione molto verosimile del professore. La sua versione però prevedeva che quest'ultimo, invece che camminare, ballasse e imitasse una gallina per tutta la stanza.
Questa imitazione mandò gli amici in delirio, tutti iniziarono a ridere e finirono solo qualche minuto dopo, quando Sirius, stanco, si sedette in una poltrona al centro della sala.
Solo allora i tre amici notarono che Peter era rimasto in disparte.
-Dai Peter – gli disse Remus avvicinandosi a lui – aggiungiti a noi! Cos'hai questa sera? Hai una palla di pelo nello stomaco? - Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Sirius e James, dopo questa piccola provocazione, aiutati dall'ilarità della serata e da qualche burrobirra di troppo, risero senza fermarsi mai, i loro singhiozzi che echeggiavano per tutta la torre.
-Scusa Peter, scusaci... - Riuscì a dire James quando si ripresero.
-Ma era così divertente!- finì la frase Sirius.
-Una palla di pelo! - urlarono entrambi, ricominciando a ridere.
Remus, contagiato da quella felicità, si unì presto a loro e ancora una volta Peter fu lasciato in disparte.
L'attenzione però tornò presto su di lui. Una volta che gli animi si furono calmati e le risate soffocate (Sirius continuava in realtà ancora a sorridere di tanto in tanto), tutti e tre i giovani maghi guardarono quel piccoletto rannicchiato nella poltrona: Peter.
E attesero una risposta.
-Sono solo un po' stanco, facciamo sempre così tardi! - cercò di rispondere Minus, tentennando e balbettando.
I tre amici lo osservarono con attenzione. James fu il primo a parlare.
-Io non mi sento stanco, non mi sono mai divertito tanto! - alzò appena le spalle e si rivolse a Sirius, seduto affianco a lui.
-Io nemmeno. E poi se non ci divertiamo qui, ad Hogwarts, dove ci divertiamo? - disse Sirius, tornato serio.
Remus guardò Black con soddisfazione. Non poteva perdere quest'occasione, che gli era stata servita su un piatto d'argento.
-Potresti provare d'estate, con tuo fratello Regulus! -
I tre ragazzi si guardarono tra loro, cercarono di non ridere pensando che questo avrebbe ancora di più alterato il loro amico Peter. Ma non riuscirono a controllarsi.
Remus guardò Sirius, rosso in viso e pronto ad esplodere pensando a suo fratello come una persona divertente, e gli sussurrò:
-Non ridere, non ridere, non ridere! - Questo non fece che peggiorare la situazione, e tutti (meno Peter) risero, risero fino alle lacrime. I tre Grifondoro si scambiavano pacche sulle spalle, si appoggiavano l'un l'altro nella fatica di ridere così tanto, fino a che Sirius non si alzò e per la seconda volta fece un'imitazione. Questa volta era quella di suo fratello. Niente avrebbe potuto fermare quelle risa, risa giovanili, risa fresche, risa d'amicizia.


Se solo avessero saputo che tra di loro ci sarebbe stato colui che avrebbe rappresentato la loro più grande rovina. Colui che avrebbe contribuito alla morte di James e alla sua famiglia. Colui che avrebbe fatto passare a Sirius 11 anni nella prigione di Azkaban, lontano da tutti, lontano dai suoi amici, lontano dal suo figlioccio adorato, il figlio di James, Harry.
Se solo avessero previsto che quel giovane mago, così bruttino, così incapace, così poco brillante che avevano accettato come loro amico, serbava un rancore che li avrebbe uccisi tutti.
Perché mentre loro ridevano, mentre gli anni passavano su di loro in allegria e in tutti gli onori che meritavano, quel ragazzo, Peter Minus, soffocava i propri impulsi e i propri sentimenti, tutto a costo di poter essere un Malandrino, di essere famoso, popolare.
Ma nel suo cuore, un cuore duro come la pietra, la rabbia cresceva e l'odio nei confronti dei suoi amici aumentava ad ogni risata ed ad ogni scherzo.
E in quei sette anni ad Hogwarts i Malandrini risero parecchio, canzonarono tutti, non c'era studente di magia che non era stato almeno una volta vittima dei loro scherzi.
Peter Minus odiava i loro amici, invidiava ogni singola cellula che li componeva, che li rendeva così speciali, così divertenti, così amati da tutti ma allo stesso tempo anche così belli, brillanti, e bravi in qualsiasi cosa si cimentassero.
Peter Minus li guardava da lontano conquistare il cuore di ogni strega, segnare punti a Quiddich, prendere bei voti a scuola.
Lui era loro amico ma la scarsa fiducia in sé stesso lo accecava e gli nascondeva la ragione per cui anche lui era un Malandrino: ogni sera si chiedeva come aveva fatto ad entrare in quella cerchia, cosa centrasse lì e come potesse essere uguale a quei tre studenti che tanto emulava e a cui tanto voleva assomigliare.
Ma invano. Qualunque cosa facesse, lui non era mai abbastanza divertente, o brillante, o bello.
Lui non era niente.


Peter Minus aveva pensato più di una volta che il cappello parlante lo avesse assegnato alla casa sbagliata. Lui non era coraggioso, temeva tutto e tutti, e si era reso conto più volte che se non fosse stato per la protezione dei suoi preziosi amici, sarebbe stato la preda di chiunque a scuola.
Come quel Piton, che era il mirino di tutti. E dei Malandrini in particolare.
Peter lo guardava con disprezzo come guardava con disprezzo sé stesso, perché mai si era sentito così simile a qualcuno. O forse no.
Forse perfino quel Piton era meglio di lui: almeno lui era intelligente ed era amico di Lili, la Grifondoro che tanto piaceva a James.


Peter Minus, guardando James, Sirius e Remus scherzare nella sala comune, non avrebbe mai potuto immaginare di diventare un loro nemico, ma forse quei sentimenti contrastanti, quell'odio- amore che provava nei loro confronti, doveva essere interpretato come un campanello d'allarme.


-Peter a cosa pensi? - Il Signore Oscuro guardava Peter Minus con attenzione. Ci volle poco ad entrare nel suo cervello e scrutarne ogni singolo pensiero. Quella sottospecie di mago era così debole, così facile da sottomettere.
-Ah! – continuò Voldemort, distorcendo lo sguardo da lui – stai pensando ai tuoi vecchi amici... -
-No Mio Signore, ve lo giuro! - Peter si piegò sulle ginocchia e si mese in posizione di preghiera.
Voldemort odiava quell'essere forse più di Harry Potter. Odiava i maghi (se ciò Peter era davvero) senza coraggio e senza spina dorsale.
-Non giurare sul falso, Minus! - gli ordinò Voldemort, alzando la bacchetta.
Peter Minus chiuse gli occhi, sapendo già quello a cui sarebbe andando in contro.
-Crucio! - disse il Signore Oscuro in un sibilo, quasi fosse un abitudine. Cosa che infatti era.
Torturare quell'essere spregevole gli migliorava decisamente la giornata.
Peter Minus sentì l'arrivo della maledizione nell'esatto istante in cui il mago di fronte a lui la scagliò. Sentì le proprie ossa contorcersi, i muscoli contrarsi e un dolore ormai conosciuto crescere all'interno del suo corpo fino a confini illimitati.
E l'unica consolazione che trovò nella propria mente, l'unico pensiero felice, l'unico che riusciva a tenerlo in vita durante quel dolore smisurato, fu il ricordo di quelle sere lontane, tra le calde e rassicuranti mura di Hogwarts, in compagnia dei suoi vecchi amici.


Se c'era una cosa che faceva più male del dolore stesso, era la consapevolezza di aver contribuito ad uccidere, o a rovinare, le uniche persone al mondo che lo avessero mai accettato e che gli avessero mai regalato momenti felici.
Mi dispiace, James...
E chiuse gli occhi, abbandonandosi al dolore puro.




ANGOLO DELL'AUTRICE
Ciao a tutti! Ecco qui il nono personaggio (e quindi un personaggio negativo) della serie: PETER MINUS!
Descrivere questo personaggio non è stato facile, sopratutto perchè è uno dei personaggi che odio di più, per cui dagli un pò di giustizia non è stato facile.
Ho provato ad immaginare una tipica serata tra Malandrini, e la frustrazione di Peter che cresceva ad ogni risata degli amici.
Ma mi piace pensare che alla fine, anche Minus si sia pentito ed abbia capito la gravità del suo gesto: tradire i propri amici è forse peggio dell'omicidio stesso.
Alla prossima, se avete voglia di lasciare un commentino ve ne sarei davvero grata!
Berenike





(Aggiunta postuma)
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Capitolo 10
*** Albus Severus Potter ***




Albus Severus Potter

Nell'autunno del 2006, Harry Potter e Ginny Weasley festeggiarono la nascita del loro secondo figlio: Albus Severus Potter.
Appena Harry vide il bambino, non ebbe dubbi riguardo il nome da dargli: il piccolo aveva ereditato i suoi occhi verdi, gli occhi di Lili; per questo Harry chiamò suo figlio Severus.
Perché, almeno in quella vita, Severus avrebbe potuto vivere attraverso gli occhi della sua amata.
Ginny però pensò che Severus non era abbastanza: il piccolo avrebbe dovuto chiamarsi anche Albus, in nome del preside di Hogwarts che aveva rappresentato per tutti loro (Severus Piton compreso) un padre, una guida, un protettore; nella speranza che quel nome avesse protetto anche quel nuovo Potter da ogni male.
Anche se la parola male non esisteva più da molto tempo.


Con il passare degli anni, tutti iniziarono a chiamare il bambino con il soprannome di Al, più corto, più accessibile e in qualche modo meno legato al secondo nome: Severus Piton; anche a distanza di anni e nonostante Harry stesso gli avesse ridato onore e gloria raccontando la storia della sua vita, suscitava ancora terrore in tutti coloro che sentissero il suo nome.
Ma Albus Severus era tutto il contrario del professore di Pozioni: era gentile, onesto, aveva ereditato dal padre la calma e la pazienza, e dalla madre il buon carattere e la sincerità.
Ma c'era un lato di lui-c'era qualcosa che ricordava Severus.
Ogni volta che Harry ci pensava gli venivano i brividi; ma che fosse per quei capelli neri un po' lunghi, fosse per quegli occhi verdi che Severus aveva venerato per tutta la sua vita; fosse anche per quel lato del carattere di Albus Severus un po' tenebroso, solitario, ombroso, Harry non poteva fare a meno di pensare che suo figlio avesse ereditato un po' anche dal suo vecchio professore di Pozioni.


Il tempo passò, e per il secondogenito Potter era giunto il momento di andare a Hogwarts: fu una gioia immensa per Harry e Ginny, sapere che il figlio era un Grifondoro!
Tutti loro, inconsciamente, sapevano che la casa adatta a lui, proprio per quel lato del suo carattere così timido e introverso, era forse quella di Serpeverde.
Una notte, durante le vacanze di Natale di quel primo anno alla scuola di Magia e Stregoneria, in cui Al era tornato a casa dal genitori, Harry si trovò ad affrontare una questione più difficile della ricerca degli Horcrux stessi.


Ginny era ancora in cucina: doveva preparare la festa di Natale che si sarebbe tenuta lì il giorno successivo, e doveva badare alla piccola Lili, che la seguiva ovunque andasse.
Harry invece si era già diretto nella sua camera da letto, spaziosa ed accogliente, quando sentì dei piedini scalzi correre dal piano di sopra veloci e delicati.
Era Al. Ne era certo.
Harry fece per andare ad aprire la porta ma si fermò; al contrario si buttò sul letto, prese un libro a caso dal comodino della moglie e si distese; finto rilassato.
Sentì i piedini fermarsi davanti alla porta della sua camera, piedini piccoli e fragili, che aspettavano un rumore, un sussurro, qualcosa.
Harry poi sorrise quando sentì: Papà? fuori dalla propria porta. Al era così dolce, così timido, così riflessivo. Aspettò qualche secondo prima di rispondere, voleva godersi ogni attimo di quel momento così magico. Fuori Al non si era ancora mosso.
-Entra, Al! - disse Harry, abbassando il libro e guardando verso la porta. Questa si aprì dolcemente, e rivelò Albus Severus in pigiama azzurro. Stava sorridendo teneramente.
-Posso parlarti? - disse, entrando cautamente nella stanza. Harry si trattenne dal sorridere, gli fece cenno di avvicinarsi e di stendersi accanto a lui nel “lettone”.
Il figlio si avvicinò e salì sul letto con tutta la propria forza; nonostante mangiasse moltissimo, era esattamente come Harry alla sua età: magro, piccolino, debole rispetto al fratello maggiore, che aveva ereditato dai Weasley la loro forza fisica e caratteriale.
Quando Albus si stese accanto al padre, questo lo coprì con le coperte e gli fece il solletico sulla pancia. Non poteva credere che suo figlio andasse già ad Hogwarts, il suo bambino...
-Cosa c'è, Albus? - Harry cercò di guardarlo come Silente osservava lui tanti anni prima. Ricordava profondamente quello sguardo, così tenero, comprensivo, gentile.
-Va tutto bene? - continuò Harry, spezzando il silenzio dato dall'assenza di risposta.
Albus lo guardò, sull'orlo delle lacrime. Fin da piccolo si era sempre tenuto tutto dentro, fino a che, in una sera, non andava dal padre a confessare cosa lo preoccupasse, o cosa lo stesse tormentando.
La maggior parte delle volte la causa di entrambi i turbamenti era rappresentato da James Sirius Potter, il fratello maggiore di Albus, che era più vivace, forte e divertente. Una copia castana dei gemelli Weasley.
-Io, sai, a scuola mi prendono tutti in giro... - Finalmente aveva detto di cosa si trattasse. Harry lo guardò incuriosito. Poteva ben immaginare la causa del problema: i Grifondoro, coraggiosi e forti di spirito, avevano sempre dimostrato un carattere gioviale ed aperto; ber diverso dal suo e da quello del figlio.
-Per, per... - Albus non riusciva a proseguire. Harry cercò di aiutarlo.
-Non ti preoccupare Al, tu meriti di essere a Grifondoro, come me prima di te! Anche io... -
-Papà – Harry si interruppe subito a quell'appello, Albus lo guardò improvvisamente irritato, lo sguardo lucido – non è per quello! E' per... il mio nome.-
Harry lo guardò imbarazzato per qualche secondo. Per quanto ricordasse che gli undicenni si attaccassero a tutto pur di prendere in giro qualcuno (lo ricordava con fin troppa amarezza), non trovava affatto ridicolo il nome del figlio.
-Com'è possibile? - rispose quindi, sorridendo e cercando di alleggerire la conversazione – Voglio dire, ci sono nomi molto più ridicoli no? Tipo Scorpius... Chi chiamerebbe mai il figlio Scorpius?- sghignazzò tra sé e sé. Vecchie abitudini.
-Papà non è per quello! - Solo allora Harry si vergognò per quello che aveva appena fatto. Aveva appena deriso le preoccupazioni del figlio, le aveva ridicolarizzate proprio quando gli aveva aperto il suo cuore.
-Scusami. Sto zitto. - fece cenno di tapparsi la bocca, e da sotto le mani disse buffamente:
-Raccontami tutto. - Quello che ne uscì fece ridere il figlio, che si tranquillizzò un po'.
-Tutti mi prendono in giro per il fatto che mi chiamo Severus come quel professore cattivo di Serpeverde che terrorizzava tutti... -
Harry non poté non ridere. Sperava con tutto il cuore che il professore, dall'alto stesse osservando la scena. Il figlio aspettò una risposta che contrariasse quello che aveva appena detto.
Quando Harry gli rispose però, non fece che aumentare la sua preoccupazione:
-E' vero, Severus era il direttore della casa di Serpeverde. Ed era... - Harry non badò al viso speranzoso del figlio – ed era... davvero terribile. Che dico? Diabolico! E' stato il peggior professore che io abbia mai avuto; lo odiavo così tanto che mi davo malato per saltare le sue lezioni! Sai che al mio primo giorno ad Hogwarts mi ha interrogato? - Harry ripensò a quel giorno e sentì i brividi sulla schiena.
Al prima si impressionò, poi tornò ombroso e chiese, disperato:
-E perché allora mi chiamo come lui? Non mi volete bene? - Harry lo abbracciò forte.
-Ti abbiamo chiamato come lui perché in realtà Severus non era cattivo come dava a vedere: lui è l'uomo che mi ha salvato la vita, che ha dedicato tutta la sua vita a proteggermi ed a sorvegliarmi, come un padre. Lui è l'uomo più coraggioso che io conoscessi, l'uomo che è rimasto accanto al Signore Oscuro più di chiunque altro, lavorando alle sue spalle con Silente. Severus amava mia madre e per tutta la vita ha cercato di rimediare al male che aveva fatto... Fino all'estremo sacrificio. Severus è morto per me, è morto per un futuro migliore, quindi in un certo senso si è sacrificato anche per te, Al. -
Il piccolo Severus aveva le lacrime agli occhi.
-Quindi, se vado bene in pozioni, e... - singhiozzò – e sono un po' più silenzioso degli altri, non vuol dire che sono cattivo giusto? - Harry abbracciò forte Al e gli disse:
-No, tu non sei cattivo. Sei il bambino più buono che io conosca, e sono fiero di te. -


Quando Ginny entrò nella stanza, un'ora dopo, trovò Harry profondamente addormentato, ancora con la luce accesa. Accanto a lui c'era Albus, sveglio. Era così immerso in una lettura di un libro di scuola, che quasi non notò la madre.
-Cosa ci fai ancora in piedi? - lo rimproverò. Albus alzò gli occhi verdi di Lili dal libro e sorrise.
-Leggo! -
Ginny lo guardò curiosa. Non l'aveva mai visto così felice.
-Che libro è? - Albus non si nascose, né cercò di nascondere con la manina il titolo del grosso libro che teneva sulle gambe:
-Il libro di Pozioni... E' la mia materia preferita. - disse infine, continuando a sorridere.
Ginny rabbrividii, pensando che il figlio aveva ereditato più di quanto pensasse le doti e il carattere di Severus Piton.
Così, l'ultima cosa che pensò prima di addormentarsi, quella sera fu:
Ti prego Albus, sorveglia Severus e credi in lui, come hai sempre fatto.


Da quella sera Albus Severus Potter non si vergognò mai più del proprio nome, anzi lo portò sempre a testa alta, onorando quei due grandi presidi di Hogwarts.
E a chiunque osasse prenderlo in giro per questo, rispondeva:
-Severus è stato l'uomo più coraggioso del mondo. E forse anche il più intelligente - diceva fiero, mostrando la propria copia del libro di Pozioni- Tu invece chi sei? -
Ed ogni volta, non aveva mai ottenuto una risposta altrettanto convincente.


Albus, sorveglia Severus e credi in lui, come hai sempre fatto.






ANGOLO DELL'AUTRICE
Ancora una volta devo chiedervi immensamente scusa per il ritardo di aggiornamento... JAMES SEVERUS POTTER si è fatto decisamente aspettare!
Spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo, che a me piace molto! Ho cercato di immaginare Harry come un papà dolce e protettivo, che ha imparato il meglio dagli uomini che sono entrati (e ahimè anche usciti) dalla sua vita: ovviamente Albus Silente, Severus Piton ma anche i suoi genitori e Sirius Black (forse avrete notato che la scena in cui Harry conforta il figlio e gli dice che lui non è cattivo, è molto simile all'episodio del V libro in cui Sirius dice a Harry che lui è una persona buona, a cui sono capitate cose cattive!).
In ogni caso spero vi sia piaciuto, l'ho scritto davvero con il cuore!
Il fatto che la Rowling ci abbia lasciato così poche informazioni riguardo la seconda generazione non mi ha permesso di entrare troppo nel personaggio, come saprete preferisco non scivolare nell'OCC, e rimanere fedele ai libri originali!
Ringrazio tutti coloro che seguono questa serie, spero continuiate a farlo! Il prossimo e undicesimo personaggio (e quindi negativo) sarà PETUNIA EVANS!
Please, commentate questo personaggio, costa poco a voi ma significa tantissimo per me!
A presto! Berenike




(Aggiunta postuma)
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Capitolo 11
*** Petunia Evans ***





Avvicinatevi Amici Miei, Avvicinatevi! Non abbiate paura...
Venite verso di me...
Cos'è questo, mi chiedete?
Questo, naturalmente, è un pensatoio! Stiamo per immergerci nei ricordi di una Babbana: una disgustosa, irritante, malefica Babbana...
Avete presente Bellatrix? Nulla in confronto a lei...
La sua vita è stata articolata da odio, invidia, insuccesso... Se solo avesse potuto avere una bacchetta, allora perfino il Signore Oscuro avrebbe avuto qualcuno da temere...
Avvicinatevi...





Petunia Evans


Le immagini non furono subito chiare: il pensatoio voleva quasi tener nascosti quei pensieri, come per suggellarli e lasciarli disperdere nel tempo.
Ma poi, pian piano, le immagini si fecero più nitide fino a che non si riuscirono a distinguere distintamente due bambine, una poco più grande dell'altra. Erano in casa, accanto ai genitori; questi guardavano la televisione, scioccati da qualche insolita notizia... Le due bambine invece giocavano con le posate, fino a che la più piccola non si mise a piangere, improvvisamente colpita alla manina dalla sorella maggiore...
-Petunia, cosa hai fatto! - La madre si rivolse alla maggiore, che ingenuamente sorrise compiaciuta.
Poi, osservano meglio l'espressione attonita della madre, assunse un'aria più dispiaciuta.
-Io, io... non volevo! E' lei che si è mossa... -
Lili continuava ancora a piangere. La madre, preoccupata, la prese in braccio e la cullò dolcemente, rivolgendo a Petunia uno sguardo deluso...
-Sai che è ancora piccola, Petunia! Non è un giocattolo... - la rimproverò, accarezzando i capelli rossi della bellissima bambina che teneva in grembo.
La maggiore sembrò scoppiare in lacrime; invece, riuscendo a trattenersi, guardò con odio Lili e andò a sedersi accanto al padre. Questo non le rivolse la parola, al contrario continuò a guardare la televisione...


Le immagini si convertirono in fumo così velocemente che quasi si ebbe la sensazione di essere ancora li con loro, in quel piccolo salotto...
Ed infine, ecco apparire il secondo ricordo: questo apparve più nitido del precedente, nonostante tra tra il primo ed il secondo non sembrò fosse passato molto tempo.
Le due bambine erano ancora molto unite, e sembravano essere cresciute di pochi anni rispetto l'ultimo ricordo...
-Lili, non fare così, la mamma ha detto che non puoi! - La piccola Lili si oscillava violentemente sulle altalene, rischiando di farsi seriamente male.
-Tunia, non posso farmi male, guarda! - e si buttò verso il vuoto, sembrò quasi volare, per poi cadere incolume a terra.
Petunia la guardò sospettosa.
-Come fai? - chiese infine, insieme preoccupata ed invidiosa.
-E' semplicissimo, salto! Prova anche tu Tunia! - disse la bambina più piccola, il sorriso a riempirle il volto e una gioia immensa nel poter stare con quella sorella che tanto amava...
Petunia salì sulle altalene e imitando il comportamento della sorellina più piccola, si spinse con tutta la forza che aveva in corpo su, sempre più su. Poi, improvvisamente si lanciò nel vuoto, e sperimentò per la prima volta la sensazione di volare...
Ma allora anche lei poteva...
Ma poi, successiva alla speranza, al vuoto, al volo, sentì solo il dolore; e le lacrime le scesero dal volto con la stessa forza con cui lei si era buttata. Vide del sangue uscire da delle ferite sulle ginocchia, sulle manine e sulle gambe...
Sentì solo male, male, terribilmente male...
Ed era tutta colpa di quella sorella che aveva voluto che si facesse male, che l'aveva ingannata e le aveva fatto provare quel dolore assurdo...
I suoi singhiozzi echeggiarono per tutto il parco, fino ad arrivare all'orecchio poco lontano della madre, che corse preoccupata. Nell'avvicinarsi alle due bimbe vide Petunia, ricoperta di sangue, tirare i capelli alla sorellina che piangendo strillava:
-Smettila Tunia, non sono stata io... Non volevo! -
-Petunia! - urlò la madre senza controllo, nel vedere tanto astio tra le due bambine.
Si avvicinò correndo e le separò. Prima accarezzò dolcemente la testa di Lili, cercando di far tacere il dolore che la sorella le aveva procurato. Petunia, di fronte a quello spettacolo, disse:
-Mi ha fatto male! - disse, indicando le proprie ferite.
Lili guardò la madre con i suoi occhi castani, e disse:
-Io non volevo, non sono stata io... - La madre le rivolse il sorriso più sincero che Petunia avesse mai visto.
-Certo che non sei stata tu, Lili cara, non ti preoccupare. - Poi si avvicinò alla maggiore, e cambiando completamente tono disse:
-Petunia, cos'è successo? - L'altalena oscillava ancora alle loro spalle.
-Lili mi ha detto di buttarmi dall'altalena ed io, io sono, sono caduta! - disse tra i singhiozzi.
La madre la prese bruscamente per il braccio e trascinandola verso casa, le disse:
-Quante volte vi ho detto di non buttarvi dalle altalene? Sei grande ormai Petunia, devi sapere che ti fai male se fai così... -
E vedendole allontanare Lili sentì Tunia risponderle:
-Ma, ma me l'ha detto Lili! -
-Petunia – rispose la madre, trascinandola in casa – certo che te l'ha detto Lili! Lei è una bambina! Ma se ti dice di buttarti da un ponte tu lo fai? Sei tu la sorella maggiore, dovresti essere tu quella responsabile! - Lili Evans si mise a piangere, senza capire cosa fosse successo.
Perché lei era riuscita a librarsi nell'aria senza farsi male, mentre Tunia era caduta attratta al terreno dalla gravità? Non aveva alcun senso...


L'immagine cambiò di nuovo. Questa volta sembravano passati parecchi anni, Petunia era in quella che doveva essere la sua cameretta. Ovunque c'erano fiori a terra, lo stelo debole, e i petali ormai morti. Petunia, che sembrava non avere più di otto o nove anni, era china sul pavimento, circondata da petali in frantumi.
-Perché, perché? - si chiese a voce alta, singhiozzando.
Poi provò di nuovo: prese in mano per la centesima volta uno dei fiori che aveva strappato dal giardino di casa, lo fissò e, toccandolo come le aveva mostrato Lili, aspettò che succedesse qualcosa...
Ma ancora una volta, non accadde nulla...
Petunia gettò il fiore a terra e pianse, piange fino a che non ebbe più lacrime. Lili, da sempre, poteva fare cose che lei non sapeva fare; ma si rifiutava di credere che fosse come diceva quel Piton, una strega...
Se lo fosse stata, allora anche lei doveva esserlo, perché erano sorelle, perché avevano lo stesso sangue... Possibile che con lei qualcosa fosse andato storto?


Quasi fu difficile accorgersi della differenza di cambio d'immagini. In uno solo secondo dovevano essere passati alcuni anni nella vita di Petunia Evans; ma dal ricordo precedente c'erano davvero poche differenze: Petunia sedeva, sola, sempre in mezzo alla sua camera, china su qualcosa che non le lasciava pace. Nonostante fosse vestita diversamente, e sembrasse avere qualche anno in più (forse dodici, massimo tredici anni), la sua espressione era sempre la stessa: triste, delusa, arrabbiata...
Questa volta però la ormai adolescente non teneva più in mano fiori: aveva un foglio bianco, ormai bagnato dalle sue grandi lacrime, in cui stava scrivendo frettolosamente
“A chiunque sia incaricato delle ammissioni a Hogwarts,
mia sorella ha ricevuto la vostra lettera di ammissione, perché io no?
Dev'esserci stato sicuramente un errore, vedete siamo sorelle e siamo praticamente uguali!

Poche righe dopo, Petunia chiuse la lettera e la indirizzò semplicemente ad Hogwarts.
Mentre la imbucava si sentiva così stanca, così stupida, così eternamente diversa. Lili non si era mai sentita diversa, ma perché? Infondo era lei quella strana, mamma e papà non sapevano fare magie...
E poi c'era quel Piton: lui adorava Lili come le api con il miele; anche lei era carina, anzi lei era anche più grande di Lili, però lui non le aveva mai rivolto più di uno sguardo...


Tutto girò vorticosamente, i ricordi si dispersero nell'aria e questa volta si che si notò la differenza, il cambio tra un ricordo e l'altro: le due piccole sorelle erano ormai donne, e sedevano in giardino, sotto al caldo sole estivo, insieme ai loro genitori.
Lili e la madre, sedute una in fianco all'altra, si tenevano la mano e lasciavano i capelli rossi dondolare alla brezza estiva. Petunia guardò quell'affetto a lei mai manifestatole e si girò verso il padre, che non badò a lei, ma al contrario si rivolse a Lili.
-Tesoro è così bello averti a casa, finalmente! -
-Si, ci sei mancata tanto! - continuò la madre.
-Tunia, dille quanto ci è mancata! - Tunia sorrise alla sorella, e le disse sinceramente, nascondendo l'invidia che provava per quel rapporto esclusivo che aveva con la madre:
-Ci sei mancata tanto, Lili. - Questa sorrise, e le prese la mano. Poi alzò appena la schiena per guardarla meglio e le chiese dolcemente:
-Come stai, Tunia? Com'è andato il tuo anno scolastico? -
-Oh, benissimo – rispose il padre al posto di Petunia – siamo molto fieri di lei. - La sorella maggiore si sorprese di tanta fierezza nelle parole del padre. - Ha preso tutti voti altissimi quest'anno, è stata la più brava della classe! - Era vero, Petunia aveva scoperto di essere brava in qualcosa.
Poi ci fu un secondo di silenzio, ma prima che Lili potesse congratularsi con la sorella, sua madre si intromise nella conversazione:
-Petunia è stata bravissima, ma tu, tu mia piccola Lili, devi raccontarmi tutto ciò che è successo quest'anno! Che incantesimi hai imparato? Hai conosciuto qualche bel mago? -
Petunia rabbrividii.
-Mamma! - le disse sottovoce. - I vicini possono sentirti! -
-E allora? Tutti dovrebbero sapere di cosa è capace Lili! -
Questa arrossì un po', avvertendo una lieve critica verso la sorella che invece, non era in grado di eseguire magie.
-Allora – continuò Petunia, il tono decisamente cambiato, molto più freddo e distaccato – hai conosciuto qualche ben mago? - disse in tono ironico – tu e quel Piton non vi sposate più? -
-Petunia non essere invidiosa di tua sorella, non è mica colpa sua se lei pratica la magia, e tu no! - disse la madre, al posto di Lili. Questa provò a difendere Petunia, ma la sorella maggiore era già corsa in camera sua...


Petunia Evans era seduta in un nuovo salotto, circondata non più dai suoi genitori, ma suo marito.
Stava leggendo una lettera che le spezzò il cuore.
Quando vide quella lettera, così simile a quella che era arrivata a Lili un milione di anni prima, quella che le diceva di essere stata ammessa a Hogwarts, per poco non svenne: la prima cosa che inconsciamente pensò fu che c'era stato un errore, e anche lei era una strega...
Poi però capii che non poteva essere niente di così irrazionale, ed aprì la busta con le mani tremanti: era da parte del Professor Silente, lo stesso che tanti anni prima le aveva risposto alla sua lettera... Così lesse, mentre piano piano, mentre le lettere scorrevano sotto ai suoi occhi svegli, moriva dentro
“Siamo spiacenti di informarla che sua sorella, Lili Evans, e suo marito James Potter sono morti a causa di una maledizione da parte di un mago malvagio. Il loro unico figlio, Harry Potter, è sopravvissuto a questa tragedia...”
Lili provò solo dolore: ricordò di tutti i momenti passati insieme, ricordò di ogni litigata, di ogni bacio, di ogni abbraccio, ricordò quante volte la mamma aveva preferito Lili a lei; e così tra scegliere di morire di dolore per quella morte prematura di una sorella tanto amata ed invidiata, e scegliere la via più facile, quella della riluttanza e dell'indifferenza, Petunia Evans, ormai Signora Dusley scelse la via più semplice, l'unica che non le avrebbe portato a galla ricordi dolorosi: scelse la via dell'invidia, dell'odio, dell'indifferenza verso quella tragica mancanza.
E da quel momento giurò che non avrebbe mai più avuto a che fare con la magia, perché quelle stupide lettere con l'inchiostro verde, erano sempre state per lei fonte di grande dolore e sofferenza.


Ma il destino aveva per lei ben altri piani.






ANGOLO DELL'AUTRICE
Ciao a tutti, HarryPottiani! Ecco a voi l'undicesimo capitolo di WHAT HAS NEVER BEEN TOLD BEFORE, dedicato a PETUNIA EVANS.
Come sapete, adoro sperimentare sempre nuove forme di scrittura (come per Pensy la forma epistolare, o per Neville tratto da un libro di magia), e così ho scelto per Petunia questa forma particolare: un viaggio attravero i suoi ricordi nel Pensatoio per andare a scoprire, o forse a capire, come la sorella dell'adorabile Lili Potter sia potuta diventare così malvagia...
Penso che Petunia Evans non sia nata cattiva, ma si sia trasformata con il tempo fino a diventare il personaggio descrittoci dalla Rowling: per quanto non riesco a capire come si possa trattare così male il proprio nipote, penso che Petunia fosse così cattiva perchè si era già scottata talmente tante volte con la magia che voleva allotanarla il più possibile da sè e dalla propria famiglia.
La magia, prima, l'aveva fatta sentire la meno amata dai genitori, la sorella "strana" e la meno desiderata da Piton, l'unico riferimento maschile in comune tra le due sorelle, poi l'aveva rifiutata, rifiutando il permesso della sua ammissione ad Hogwarts, ed infine le aveva portato via quella sorella che tanto aveva amato e che tanto aveva invidiato...

Vi sarei davvero grata se mi scriveste un commento a questo capitolo: mi piacerebbe sapere se vi ho trasmesso qualche emozione, se vi è piaciuta questa forma di scrittura e se insieme a me, siete riusciti a capire, almeno i parte, le ragioni che hanno spinto Petunia a comportarsi come sappiamo...
A presto e grazie anticipatamente a tutti coloro che leggeranno e commenteranno questo capitolo!
Berenike




(Aggiunta postuma)
La fanfiction WHAT HAS NEVER BEEN TOLD BEFORE ha vinto i NESA 2011 dedicati al fandom HARRY POTTER nella categoria BEST FANFICTION READER'S CHOISE. Ringrazio tutti i miei lettori e coloro che mi hanno votata!



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Capitolo 12
*** Albus Silente ***







Albus Percival Wulfric Brian Silente


Albus Silente poteva sentire il proprio cuore battere forte nel petto, quasi volesse uscire ed assaporare ogni attimo che gli restava. Palpitava fugace così velocemente che per un attimo pensò che gli esplodesse nel petto.
Ma non poteva arrendersi, non ora.
Guardò con i suoi lucidi occhi azzurri la profondità della caverna e quasi sperò che l'oscurità lo divorasse, che le ombre si prendessero cura di lui e lo cullassero fino alla morte eterna del suo corpo.
Ma ancora non era giunto il suo momento. Non poteva lasciare Harry solo. Non ancora.
Si girò e fissò negli occhi Harry domandandosi se quella fosse l'ultima volta che avesse la possibilità di guardarlo in piena facoltà delle sua coscienza.
Fissò poi l'acqua contenuta in quel bacino, sicuro che nonostante fosse inodore ed incolore (tipiche qualità dell'acqua), quel liquido non fosse affatto acqua.
La sua conoscenza del mondo, le sue capacità ed i suoi studi gli permisero subito di capire che il Signore Oscuro non avrebbe permesso a nessuno di uscire incolume da quel luogo.
Albus Silente era pronto a tutto: guardò per l'ultima volta Harry Potter, quasi i suoi occhi si aggrappassero a quel ragazzo come per aggrapparsi alla vita stessa; non era il momento di essere codardi, non era il momento di tirarsi indietro.
Il Preside di Hogwarts, prima di bere quella pozione, di cui ignorava gli effetti ma da cui si aspettava di tutto, pensò a Severus Piton, al suo coraggio e alla sua intelligenza. Pensò a Lili e James Potter, alla loro determinazione e al loro amore che li portò inevitabilmente alla morte.
Ma non furono loro a dargli il coraggio di bere quella pozione forse mortale: fu il ricordo di Ariana a svegliare i suoi sensi e a destare tutto il coraggio che gli fosse rimasto. Silente lo raccolse come fosse un fiore delicato, e ricordando ciò che aveva fatto – o forse ciò che non aveva fatto - bevve la pozione; i suoi ultimi pensieri furono rivolti proprio ad Ariana, e alla madre Kendra.
Finalmente posso pagare per ciò che ho fatto, spero di ritrovarmi presto con voi...
Così Albus Silente bevve, e bevve ancora, e ancora, e ancora...


Nessun mago esistente poté mai negare la grandezza di Albus Silente. Come tutti i grandi uomini c'era chi lo sosteneva e chi invece, per invidia o per rancore, lo odiava come si odiano i propri nemici.
Ma nonostante la sua grandezza, nemmeno lui ha potuto prevedere cosa Voldemort avesse preparato in serbo per lui: ancora una volta l'aveva sottovalutato, aveva commesso i suoi stessi errori; pensava di conoscerlo ed invece, Albus Silente non lo conosceva affatto.
Non se continuava a ripetere gli stessi errori, all'infinito... Prima l'anello ed ora questo...


La prima cosa che Silente vide, quando con la punta estrema della sua lingua toccò la pozione, fu il viso felice e sorridente di Ariana. In quel momento, per un millesimo di secondo, pensò di essere morto, e di essere finalmente arrivato in paradiso.
Ma poi ricordò che le persone come lui non vanno in Paradiso. Era consapevole del fatto che sarebbe marcito all'inferno, insieme a maghi come Gellert Grindelwald o Tom Riddle.
Nessuno (o quasi) sapeva cosa aveva fatto, ma come poteva negare l'accaduto anche a sé stesso?
La seconda goccia di pozione toccò la sua lingua, ed il volto felice della sua sorellina si deformò fino ad assumere una forma demoniaca. Questa cambiava aspetto ed assunse prima il volto contratto di Percival Silente, morente ad Azkaban, poi quello infuriato di Kendra Silente; infine il volto scuro e deluso di Aberforth Silente, il fratello a cui mai aveva detto quanto gli voleva bene e quanto lo amasse dal più profondo del suo cuore.
Quella visione oscena fu nulla a ciò che venne dopo: la sua mente infedele lo tradì e gli mostrò ciò che più al mondo lo feriva, ciò che più lo aveva addolorato e ancora non lo faceva riposare la notte.


Albus Silente si guardò le mani. Erano mani giovani, senza rughe, vitali e piene d'energia. Si guardò intorno, e fissò meravigliato la casa della propria infanzia sullo sfondo. Lui era in giardino, insieme a Gellert, il suo amico più brillante, e vide Aberforth avvicinarsi velocemente.
Capì subito di che ricordo si trattasse. Viveva come in un sogno, sembrava quasi di essere nel Pensatoio: poteva vedere tutto ciò che stava accadendo, ma il suo corpo non rispondeva al suo pensiero, seguiva solo ciò che il giovane Albus aveva fatto prima di lui, proprio in quel tragico momento.
Silente cercò di ribellarsi, cercò di non guardare ciò che aveva fatto, come se quel ricordo non lo avesse tormentato tutti i giorni della sua vita da quel momento in poi.
Poi però il giovane Silente, mentre Gellert e Aberforth litigavano sonoramente a colpi d'incantesimo, si girò verso Ariana: il vecchio Preside di Hogwarts non riconobbe quest'azione come propria, la riconobbe subito come uno scherzo della propria mente disturbata e influenzata dalla magia nera della pozione.
Il giovane Albus si girò verso Ariana, così bella, così felice, così tranquilla...
-Crucio! -
Il corpo di Ariana si contorse a terra, le lacrime le scendevano sul viso dolce.
-Crucio! - Urlò ancora il giovane, con tutta la cattiveria che provasse in corpo.
-Basta... - Ariana lo stava pregando, ma lui no, non provò pietà...
-Crucio! -
Il corpicino già debole della bambina si contorse per l'ultima volta, poi Silente urlò:
-Avara Kedavra! -
Albus rise nel vedere il corpo della sorellina morto, freddo sulla verde erba morbida.



Albus Silente non capì cosa stava succedendo: lui non aveva compiuto quelle azioni, le cose non erano andate così; ma provò così tanta pena nel vedere torturare la sorella da parte delle proprie mani traditrici che pianse come se l'avesse davvero torturata e poi uccisa volontariamente.
-Io non volevo, lo giuro... Non volevo! - disse ad alta voce. Le labbra del giovane Silente però non reagirono, rimasero plastificate nel suo sorriso compiaciuto.
-Non volevo, non volevo, mi dispiace... -
Ma Ariana non poteva più sentirlo.
-Basta, non voglio più... Non mi piace...-
Disse Silente in maniera infantile. Non voleva più bere, non voleva più vedere Ariana morta a causa sua; voleva solo lasciarsi andare, morire e lasciarsi andare...


Poi il corpo di Ariana si alzò in piedi, il cielo azzurro sopra le loro teste si oscurò, la casa svanì e rimasero solo loro due: Albus e Ariana uno di fronte all'altro.
La bambina aveva perso tutta la propria innocenza, i suoi occhi erano rossi come il sangue e le la sua pelle bianca come quella dei morti.
Una visione spaventosa.
Albus Silente notò di essere tornato sé stesso: vecchio, stanco, rugoso...
Quando Ariana iniziò a parlare, indicandolo con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, il cuore di Silente si spaccò in un milione di pezzi.
-Tu, tu lurido fratello, tu sia maledetto! -
-Io non ti ho mai torturato, non ti ho uccisa così, io... - cercò di giustificarsi Albus. Era in ginocchio, immerso nell'oscurità, le mani conserte come a pregare.
-Pensi che ciò che hai fatto sia stato tanto diverso? Pensi che la tortura fisica sia l'unica cosa che possa ferire? Albus Silente non sei poi così diverso da Tom Riddle... Tu mi hai abbandonata... -
-Non volevo... -
-Mi hai dimenticata... -
-Non volevo... -
-Mi hai lasciato morire lentamente, da sola... -
-Non volevo... -
-Ed infine sei stato l'artefice della mia morte... -
-Non volevo... -


-Professore, Professore mi sente? Come sta? -
La voce di Harry arrivò su di lui come una ventata d'aria fresca, lo richiamò alla realtà, cancellò ogni suo pensiero, e con esso anche la visione distorta di Ariana.
-Acqua – Silente sentì la propria gola ardere come fuoco.
Un altro effetto della pozione. Quante cose avrebbe sbagliato quella notte? Quanti altre cose non aveva previsto?
-Acqua – chiese ancora. Ma l'acqua non arrivava.
Si obbligò ad aprire gli occhi, terrorizzato di rivedere il corpo morto di Ariana a terra. Quando aprì gli occhi però si trovò davanti tutto un altro spettacolo.
Harry circondato dagli Inferi.


Ciò che avvenne dopo è storia, ma quello che Albus Silente ha provato in quegli attimi di disperazione, quello morì nella tomba con lui.


-Severus ti prego... - Albus Silente era addossato al balcone della torre di Astronomia. Di fronte a lui c'era Severus Piton con la bacchetta levata, pronto ad eseguire un ordine che lui stesso gli aveva dato quasi un anno prima.
-Severus ti prego... - disse ancora. Nel suo pensiero però continuò la frase:
Severus, ti prego, UCCIDIMI.
-Avada Kedavra! - sentì Piton urlare, e l'ultima cosa che vide fu una luce verde venirgli incontro.


La prima cosa che vide quando si destò un attimo dopo, fu il viso rilassato e bellissimo di Ariana.
Albus Silente ricambiò lo sguardo, terrorizzato. Per un attimo pensò di essere ancora nella caverna, ma poi guardandosi intorno notò che tutto era perfetto, tutto era bellissimo...
-Ti stavamo aspettando... - gli disse Ariana aiutandolo ad alzarti.
-Benvenuto in paradiso, Albus. - gli dissero Ariana e Kendra insieme, abbracciandolo.
Una lacrima scese sul volto di Albus Silente, per l'ultima volta.


Forse non era come Tom Riddle. Forse era un uomo migliore.







ANGOLO DELL'AUTRICE
Ciao a tutti! Se volete tirarmi i pomodori addosso (virtualmente si spera!), ne avete tutte le ragioni.
Posso comprendere perfettamente i motivi che potrebbero spingere qualcuno di voi ad odiare questo capitolo: Albus Silente non è presentato come il Santo di cui tutti parlano...
Ma pensateci bene: questa storia racconta ciò che non è mai stato detto, e come sappiamo Albus Silente aveva una scarsissima fiducia in sè stesso. Credeva nelle proprie capacità certo, ma non nella propria morale. Per tutta la vita aveva continuato ad incolparsi per ciò che era successo quand'era ancora un ragazzo, e ne è una prova il finale del sesto libro, qui ripreso.
Io non ho fatto altro che prendere le ultime parole di Albus Silente, dette in quella caverna, e provare ad immaginare quali possano essere stati i suoi ultimi pensieri dietro ad esse... Ovviamente la figura deformata di Ariana non è altro che la rappresentazione di ciò che Albus pensa nel profondo del proprio cuore...
Alla fine però, penso davvero che Silente sia andato in paradiso: penso che il profondo pentimento l'abbia elevato a questa condizione, differenziandolo da maghi oscuri come Voldemort o Grindelwald (anche se non sono sicura che quest'ultimo sia condannabile tanto quanto il Signore Oscuro: anche lui, alla fine, si è pentito di ciò che aveva fatto...)
Ora sono pronta a prendermi tutti i pomodori in faccia (o meglio, sullo schermo)! Per favore fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, mai come ora la vostra opinione è stata fondamentale per me e per i prossimi capitoli!
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito i capitoli precedenti, e tutti coloro che avranno la pazienza di farlo anche con questo...
Ai prossimi aggiornamenti,
Berenike




(Aggiunta postuma)
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Capitolo 13
*** Dolores Umbridge ***







Dolores Umbridge


Appena Dolores Umbridge toccò quel medaglione, seppe che doveva diventare suo. Non sapeva cosa fosse, né a chi era appartenuto precedentemente: aveva solo sentito l'irrefrenabile bisogno di possederlo. Fu così che, ingannando Mundungus Fletcher riuscì ad impossessarsene.
Quando per la prima volta lo tenne in mano, nell'oscurità di quella penosa e sudicia via di Notturn Alley, sentì che in qualche modo lei e quel medaglione si appartenevano. Provò una strana fitta allo stomaco, succeduto dalla consapevolezza di aver ritrovato un vecchio amico perso da tempo; quasi le sembrò di aver ritrovato sé stessa.
Non parlò a nessuno di questo suo legame con il medaglione: sapeva che doveva essere un oggetto oscuro come la sua anima, e per questo non disse a nessuno che proprio quel cimelio che portava al collo così orgogliosamente, le parlava, le sussurrava cose, la adulava...
Non si accorse di questa connessione fino a che non condannò il primo mago mezzosangue a vivere nel mondo babbano, senza più un'identità né una bacchetta. Fu come sentire la voce della propria anima; con la differenza però che la donna non riusciva a controllare quei pensieri.
Solo allora capii che era il medaglione a parlarle.
In quell'occasione le aveva sussurrato:
-Brava Dolores, è proprio questo che quel sudicio mezzosangue si meritava... -
E ancora:
-Dolores, tu sei la donna più sensuale che io abbia mai incontrato. Questa tua cattiveria, questa tua perfidia... mi eccita... -
La Presidentessa della Commissione per il Censimento dei Nati Babbani non poteva credere a cosa aveva sentito: ma al posto di chiedersi come un medaglione potesse eccitarsi, senza dare ascolto al proprio buon senso che le consigliava il contrario, la donna si lasciò trasportare da quel sentimento e giorno dopo giorno lo alimentò, dando sempre di più a quell'oggetto che la venerava, la adorava, la voleva...
Non se ne allontanava nemmeno per andare a dormire: al contrario, era proprio nei momenti in cui la ragione si assopiva che il suo cuore si lasciava più andare. La Umbridge faceva sogni di perversione ed ogni giorno diventava sempre più cattiva, sempre di più, ancora di più...
Solo per sentire quella voce, solo per essere adulata come finalmente meritava.
Aveva capitolo che l'unico modo per provare tutto questo era quello di essere perfida, crudele oltre ogni limite; doveva odiare il prossimo, doveva strisciare dietro ai potenti ed eliminare i deboli.
Ma questo ancora non le bastava: voleva di più, il medaglione le diceva che poteva diventare lei la più forte, più potente perfino del Signore Oscuro. Sarebbe successo tutto naturalmente, tutti presto o tardi si sarebbero dovuti chinare al suo potere immenso, tutti l'avrebbero riconosciuta come la più dannatamente cattiva, e così finalmente anche Voldemort l'avrebbe ricompensata cedendole il suo trono...
Finalmente avrebbe potuto punire tutti coloro che lo meritavano: primo tra i quali, quell' Harry Potter. Non era ancora stato punito a sufficienza.
Dolores Umbridge era una donna malefica, che aveva inventato ogni sorta di storia per arrivare dove era: aveva inventato di provenire da una stirpe di maghi come quella dei Selwyn, per essere rispettata e desiderata da tutti; e quel cimelio non aveva fatto che aumentare le sue ragioni.
Dopo una sola settimana di quella relazione dannosa, e la donna si era già autoconvinta di appartenere alla stirpe dei Selwyn, non c'erano dubbi.
Quella S sul medaglione, quella connessione che esisteva tra loro due, come fossero due innamorati, non potevano che indicare che Dolores appartenesse davvero a quella stirpe dei maghi.
Non era stato difficile convincere la Umbridge della sua stessa bugia: il tutto era successo perché...
Semplicemente perché la ex insegnante di Difesa contro le arti Oscure di Hogwarts, non era mai appartenuta ad una famiglia.
Si era svegliata a cinque anni in mezzo a Diagon Alley, senza sapere dove fosse, chi fosse o da dove provenisse. Sapeva solo che era nuda, che aveva freddo e che nessuno l'aveva reclamata, né in quel momento, né mai.
Vagò per le vie della città magica fino a che un medico del San Mungo non la prese con sé, e la portò in ospedale. Dolores aveva freddo, era priva di un nome o di un cognome, aveva fame...
In ospedale la curarono, le diedero ciò di cui aveva bisogno. Ma ben presto, anche loro la abbandonarono.
L'unica cosa utile che seppero dire fu che la piccola non ricordava nulla perché era stata sottoposta ad un incantesimo di cancellazione della memoria...
Chissà cosa le era successo, in quei cinque anni, che era meglio farle dimenticare...
Fu allora che i medici presero la decisione peggiore che potessero prendere.
Misero delle affissioni per tutto il mondo magico con la foto della bambina, chiedendo di adottarla...
Ma uno di questi fogli, trascinato dal vento di Dicembre, uscì dal mondo magico, e si depositò a Londra, la città dei Babbani.
Una famiglia povera, con moltissimi figli, prese quel foglio. E accolse la richiesta.


Nessun mago o strega poté mai immaginare cosa questa povera bambina dovette sopportare: l'unica cosa che si sa di lei fu che alla fine, diventò la Dolores Umbridge che conosciamo ora.
Cosa accadde tra quelle mura piene di bambini ed una strega, non si seppe mai.
Solo il medaglione raccolse i ricordi della Umbridge, facendole sognare di notte quello che lei più avrebbe voluto:
-Dolores, Dolores... sono il tuo fratellino! - Un bambino sporco si avvicinò ad una Umbridge adulta, vestita completamente di rosa.
Questa sorrise al piccolo e urlò:
-Avada Kedavra! -
-Dolores, sono io, Anya, la tua sorellina! -
-Crucio! - urlò ancora la donna.
Alla fine del sogno tutta la famiglia era a terra, morta.
Al centro dell'attenzione Dolores, applaudita da un Voldemort chinato ai suoi piedi, e venerata dai suoi Mangiamorte.
Tutta la sua famiglia era a terra, morta.


Dolores Umbridge si svegliò, destata dal miagolio di uno dei suoi gatti. Girandosi nel letto, sorrise per quella visione e strinse ancora più forte il suo medaglione.








ANGOLO DELL'AUTRICE
Ciao a tutti! Ecco qui il tredicesimo personaggio di questa raccolta: DOLORES UMBRIDGE.
Mi SCUSO con tutti voi per il ritardo con cui ho aggiornato recentemente, sono sotto esami all'università e sto dando priorità allo studio!
Adrò subito al sodo: io ho SEMPRE detestato la nostra qui presente Dolores: è un personaggio davvero insopportabile, dalla sua comparsa fino alla sua morte. Qui però ho voluto rappresentare una Dolores nuova, diversa da quella della Rowling.
Temo di essere andata un pò nell'OOC, non lo so; sta a voi dirmelo. Vi riporterò qui le ragioni per cui ho deciso di scrivere questo capitolo così come l'ho scritto, nella speranza di discolparmi: partiamo dal presupposto che la Rowling non ha mai scritto nulla sulla discendenza della Umbridge (apparte appunto che si spaccia per una Selwyn, ma sappiamo tutti che non è vero!); ecco qui ho voluto farlo io. Ovviamente ho dovuto INVENTARE tutta la storia, ma non pensiate che sia un atto del tutto casuale.
Ho sempre pensato che le persone sono ciò che sono a causa (o grazie) a ciò che hanno vissuto, ma sopratutto sono conseguenza di come, dove e quando sono state cresciute. Per cui mi sono chiesta: Perchè Dolores Umbridge è così malefica?
E così, attraverso il medaglione di Salazar Serpeverde, ho cercato di ricostruire una possibile infanzia di Dolores.
Spero di avervi fatto almeno in parte comprendere le mie ragioni, per favore, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo così insolito (come sapete, di solito cerco sempre di seguire ciò che la Rowling ci ha lasciato scritto...)
Se questo capitolo vi sembrerà tanto osceno, sono anche pronta a cancellarlo; è solo un esperimento!
Sappiatemi dire cosa ne pensate!!
Ci leggiamo ai prossimi capitoli... Spero di riuscire ad aggiornare più frequentemente!!
Berenike




(Aggiunta postuma)
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Capitolo 14
*** Draco Malfoy ***







Draco Malfoy


E' notte fonda ad Hogwarts. La pioggia sbatte pesantemente sulle vetrate del castello, come fosse grandine. Tutti dormono ormai da ore, abituati a quel rumore assordante che riempie i corridoi della scuola per quasi tutta la durata dell'inverno. Qualcuno si sveglia di soprassalto ogni tanto, spaventato dai fulmini e dai tuoni. Altri continuano a dormire beatamente, cullati dal letto a baldacchino che li fa sentire a casa.
Un solo studente è sveglio, quella notte come molte altre. Si gira e rigira nel letto senza trovare una posizione comoda, senza riuscire a chiudere occhio, senza mai sentirsi a casa, senza mai trovare pace. A volte piange, altre scalcia le lenzuola come fossero dei nemici mortali, altre ancora invece rimane semplicemente lì, fermo immobile, per tutta la notte. Finge di dormire, senza farlo mai veramente.
Quello studente è Draco Malfoy. Lo stesso ragazzo che ti giorno intimidisce gli altri, di notte è intimidito dalle ombre e dai tuoni; lo stesso che ti giorno ride dei mali altrui, la notte, piange i propri. E se la crudeltà, l'aggressività e la brutalità non fossero altro che una maschera, una protezione esteriore per nascondere il proprio dolore, la propria solitudine e la propria inadeguatezza?



Draco Malfoy si alzò dal letto, cercando di non far rumore. Guardò nell'oscurità i quattro letti accanto al proprio, e non si stupì di vedere i quattro corpi dei compagni Serpeverde dolcemente assopiti e rapiti da Orfeo. Si infilò la vestaglia, si allacciò le scarpe ed uscì rapido dal dormitorio. La prima cosa che notò fu che il rumore della pioggia sembrava più assordante, nei corridoi. Nonostante fosse quasi completamente buio, sapeva orientarsi perfettamente tra gli stretti corridoi e le ripide scale della casa di Salazar Serpeverde. Quando arrivò nella sala comune, non si fermò nemmeno a guardarla; proseguì dritto, come se sapesse dove stava andando, come se avesse una meta. Ma non sapeva nemmeno lui dove stava andando. Si lasciò guidare dal proprio istinto, e dai propri piedi, che percorrevano sicuri il suolo di Hogwarts. Dopo pochi minuti si ritrovò nella Sala Grande, e ringraziò che nessuno lo avesse sorpreso a peregrinare per il castello. Perché era questo che stava facendo: stava cercando di sentirsi a casa, finalmente; stava cercando la pace dei sensi, stava cercando un motivo per cui addormentarsi e sentirsi finalmente al sicuro.
Ma niente gli ricordava un'accogliente casa, in quel castello: ogni angolo era per lui ricordo di una tortura. Accanto alla clessidre aveva maltrattato degli studenti del primo anno; nel tavolo di Serpeverde, si lodava ogni giorno e si era ammirato più volte con modesta maestria; e poi eccolo lì, il tavolo dei Grifondoro. L'unico tavolo in cui sentiva davvero del calore. L'unico tavolo che accoglieva la persona più importante di tutte: Harry Potter. Forse l'unico che poteva veramente salvarlo.
Cercò di non pensare, ed andò a cercare la pace fuori da quelle mura maledette, che non facevano che ricordargli tutte le ingiustizie, le malignità, le infamie che aveva commesso in quegli anni.
Al suo passaggio, il grande portone di Hogwarts si aprì come per magia. Draco Malfoy si fermò sotto il portico, per evitare di bagnarsi. Poi capì perché era arrivato fino a lì. Hogwarts gli stava offrendo l'occasione di riscattarsi, di gridare, di piangere, di sentirsi finalmente a casa, senza che nessuno se ne accorgesse.
Si sfilò le scarpe, la vestaglia, il pigiama... Rimase solo con i boxer neri, unico indumento a coprire la totale nudità del sedicenne. Fece un passo avanti: la pioggia sfiorò la sua pelle con delicatezza, e per un attimo sembrava quasi non stesse nemmeno piovendo. Poi invece, man mano che camminava verso il lago, sentiva la pioggia cadere più fittamente, bagnandogli il viso, i capelli, i muscoli sull'addome, le gambe, le mutande. Poteva sentire il freddo dell'erba bagnata sotto i piedi, ed ancora avvertiva la pioggia bagnata sulla propria pelle bianca. In lontananza, vide un fulmine colpire l'orizzonte. Non aveva paura. Iniziò a correre, liberandosi finalmente di ogni pensiero, cercando solo di correre, di toccare la pioggia, di ascoltare il vento, di udire i tuoni. Si fermò di colpo, ai piedi del lago del castello. Cadde a terra stremato, si stese con facilità, rabbrividendo per il contatto della schiena con l'erba fredda e bagnata.
Chiuse gli occhi. C'era solo lui in quel luogo; nessun professore, nessuno studente, non un Grifondoro, non un Serpeverde, non c'era suo padre a dirgli cosa fare, né sua madre a guardarlo con la sua tipica aria di superiorità. C'era solo lui, ed Hogwarts, la sua nuova casa.
Alzò appena il busto, e fissò l'oscurità del lago. Pensò a come fosse incredibile che fino a pochi minuti prima, si trovava sotto a quello stesso lago, a girarsi e rigirarsi nel letto senza riuscire a dormire; mentre ora, consapevole di una nuova realtà, era una persona diversa, libera, sovrana del proprio destino e della propria pace interiore. Si accorse poi di non vedere distintamente il lago, la pioggia gli stava oscurando la vista.
Ma non era pioggia.
Erano lacrime, che non si era reso conto stessero scendendo dai suoi occhi. Si alzò in piedi ed iniziò a correre di nuovo, intorno al lago. Non voleva piangere, non voleva soffrire, non voleva dover sopportare la vita. Voleva solo morire, morire in quel sonno tranquillo che tanto agognava. Non era giusto, non era corretto né onesto: tutti dormivano nel castello, tutti gli studenti, gli insegnati. Pensò ai propri genitori, a casa, nel loro sontuoso letto matrimoniale. E li odiò. Le lacrime scesero più abbondanti di prima e lui corse ancora più velocemente, come per scacciarle.
Per quanto tempo sarebbe riuscito a resistere così? Per quanto tempo ancora avrebbe dovuto tenere tutto per sè, ogni sentimento, ogni energia, ogni pensiero, ogni emozione, ogni passione? Non poteva amare, non poteva odiare, non poteva essere cortese; l'unica cosa che poteva fare, e che ormai sapeva fare, era maltrattare chiunque gli ci si avvicinasse... E sé stesso.
Era l'unica cosa che gli avessero mai insegnato.
Come prima gli erano scese le lacrime senza che se ne accorgesse, Draco Malfoy si ritrovò ad urlare insieme al vento, mentre correva seminudo intorno al lago. Le parole si perdevano nella pioggia, solo lui poteva udirle. La pioggia spezzava il suo fragore in lettere spezzate, in singhiozzi senza senso, in grida liberatorie. Urlò contro la sua famiglia, che non lo aveva mai amato e che l'aveva sempre trattato come una merce; urlò contro i suoi compagni, che si aspettavano da lui solo il peggio; urlò contro i professori, che non l'avevano mai aiutato a trovare sè stesso; ed urlò contro Harry Potter, l'unica persona che lo potesse salvare. Pregò, con le mani congiunte al petto, che il ragazzo che è sopravvissuto uccidesse quel tiranno malvagio che aveva rovinato le vite a tutti loro.
Uccidilo, Potter. Solo così io potrò essere libero. pensò, abbracciando questa nuova consapevolezza.
Infine, sentendosi finalmente esausto, si accasciò sotto un albero, e si addormentò all'istante.



-Severus, pensi sia corretto lasciarlo lì tutta la notte? - Piton alzò le spalle, con noncuranza.
Il figlio di Lucius Malfoy si era appena addormentato sotto ad un albero, vicino al lago di Hogwarts. Era in mutante ed assolutamente indifferente alla pioggia che cadeva con potenza sul suo corpo. Il professore di pozioni guardò la donna di fronte a lui; lo stava fissando con uno sguardo severo, come se la sua freddezza fosse condannabile. Il professore continuò a non dire nulla. Si girò nuovamente verso la finestra, e con un movimento silenzioso della bacchetta fece apparire un supporto di legno attorno al corpo del ragazzo, che continuò a dormire. Magicamente, apparve anche una coperta, che gli si appoggiò delicatamente sui fianchi.
-Così non ha scuse per non presentarsi a Pozioni, domani. - concluse, volgendo i passi verso la propria stanza.
Minerva McGranitt sorrise nel vedere quel gesto. Guardò ancora fuori dalla finestra. Avrebbe voluto essere lì, sotto a quel freddo albero, insieme a quel povero ragazzo. Nessuno si rendeva conto di quanto stesse soffrendo, nemmeno lei. Agitò la bacchetta, pronunciò mentalmente una formula magica, e vestì Draco Malfoy che si ritrovò così vestito, addormentato, in mezzo al giardino della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. La sua nuova casa.
Minerva McGranitt diede le spalle alla finestra, immersa nei propri pensieri. Infine, pronunciando un debole: Buona notte Draco, si ricordò che il giorno seguente non ci sarebbe stata lezione d'erbologia, l'unica per cui si passasse vicino al lago, fino al pomeriggio. Il piccolo Malfoy poteva finalmente dormire tranquillo.











ANGOLO DELL'AUTRICE
Ciao a tutti! Dopo mesi e mesi di inattività, eccomi qui! So di aver promesso di tornare ai primi di Giugno, ma non ho resistito... così ho pubblicato un pò prima! Scrivere, leggere e commentare mi manca moltissimo... Non vedo l'ora di poter tornare definitivamente!
Ma parliamo di questo capitolo: come molti di voi avranno notato, ho inserito Draco Malfoy nei personaggi positivi (per chi non lo sapesse, i personaggi con il numero di capitolo pari sono i "buoni", mentre i numeri dispari corrispondono ai "cattivi"); non so se condividiate questa scelta. Io mi rifiuto di pensare a Draco come un personaggio malvagio, alla stregua di Voldemort o di Dolores. Penso che sia semplicemente il frutto di un'educazione spagliata e delle scelte malvagie dei propri genitori. Ma infondo Draco non è cattivo: lo dimostra più volte nel corso della saga, mostrandosi un personaggio debole ma anche profondamente umano.
Spero di essermi in parte fatta perdonare per la mia lunga assenza, con questo capitolo. Draco Malfoy è uno dei miei personaggi preferiti, e davvero spero con tutto il cuore di avergli reso giustizia. La parte finale invece è tutta dedicata ai miei professori preferiti: Severus e Minerva.
Purtroppo non riuscirò ad aggiornare fino ai primi di Giugno, come avevo già annunciato (salvo ovviamente, momenti di ispirazione come questo!).
A presto quindi e aspetto i vostri commenti! (inclusi insulti per la mia lunga assenza!)
Berenike






(Aggiunta postuma)
La fanfiction WHAT HAS NEVER BEEN TOLD BEFORE ha vinto i NESA 2011 dedicati al fandom HARRY POTTER nella categoria BEST FANFICTION READER'S CHOISE. Ringrazio tutti i miei lettori e coloro che mi hanno votata!



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