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Mi persi negli occhi
fissi nei miei: verdi, profondi, avrei potuto non uscirne più.
“Che leone pazzo e
masochista”
“Puoi ripetere?”
“Come?”
Vidi un lampo di
confusione passargli negli occhi che subito dopo si illuminarono, divertiti.
“Potresti…”
Un suono lungo, acuto e
squillante mi riscosse.
Serrai le palpebre,
infastidita ed irritata.
Mossi la mano a tentoni,
alla mia sinistra, sperando di imbattermi nella sveglia al più presto.
Ci misi più del solito a
trovarla ma alla fine colpii con brutalità qualcosa di duro e soddisfatta
tentai di ricadere nel confortevole oblio da cui mi avevano malamente portata
via.
Un trillo più acuto e anche
più vicino tornò a farsi sentire.
No, così non andava bene:
perché non smetteva? Perché diavolo continuava a suonare?!
Iniziai ad imprecare a denti
stretti, riprendendo ad agitare la mano alla ricerca di quel diabolico aggeggio
che dovevo assolutamente neutralizzare: quando chiusi le dita con forza però,
non mi ritrovai a stringere la sveglia ma un qualcosa di soffice e vellutato.
Aggrottai le sopracciglia,
non riuscendo a capire: mi capitava la mattina di connettere lentamente e con
difficoltà, ma ora stavamo decisamente esagerando!
Socchiusi piano gli occhi,
osservando confusa l’angolo della gonna di tessuto bianco a pois neri nel
mio palmo. Ecco, ora ero ancora più stranita: la mia sveglia si era forse
trasformata in una gonna?
Alzai lo sguardo, scorrendo
attentamente la figura esile e slanciata della signorina ferma al mio fianco:
mi guardava dall’alto in basso con un sorriso a trentadue denti stampato
in faccia.
- Buongiorno! Volevo solo
dirle che…-
Smisi di ascoltarla,
corrugando improvvisamente la fronte non appena mi accorsi dell’oggetto
che teneva in mano e continuava ancora ad agitare sovrappensiero: una piccola
campanella dorata.
Ogni scampanellio era come
una botta in testa: fastidioso e altamente molesto.
Provai un fortissimo impulso
di afferrare di colpo la campanella per farla inghiottire alla donnina
petulante: si meritava quello e molto peggio per avermi svegliata.
Lei però sembrò non
accorgersi minimante delle mie emozioni per niente amichevoli, continuando
imperterrita e sorridente il suo monologo.
Io lasciai vagare lo
sguardo, decisa a capire almeno dove mi trovassi prima di commettere alcun
omicidio: studiai il sedile nero in cui ero sprofondata, il corridoio alla mia
sinistra, i finestrini piccoli e rotondi e la televisione di fronte a me che
mandava i titoli di coda di un film.
- …
Inghilterra…-
Una parte del mio cervello
registrò quella parola fra le troppe del discorso della signorina e, come in un
lampo di comprensione, ricordai tutto: vacanza studio, quindici giorni,
Inghilterra.
Quasi saltai sulla
poltroncina di quello che solo in quel momento avevo finalmente identificato
come aereo: Dio mio! Mi ero addormentata! Come era anche lontanamente
concepibile?!
I ricordi presero a
riaffiorare uno dopo l’altro: avevo salutato tutti, ero salita
sull’aereo… mi ero arpionata al sedile con le unghie quando alcune
turbolenze ci avevano fatto sobbalzare e un signore gentile, dal viso paffuto
ed i capelli castani, seduto alla mia destra, mi avevo offerto un po’ di
una bevanda lievemente alcolica… “per calmarmi” aveva detto,
ridacchiando… e poi avevo preso a chiacchierare: del più e del meno, di
tutto, senza prendere aria nemmeno per un istante.
E il signore gentile mi
aveva ascoltata, sorridendo, annuendo, commentando.
Non mi ero mai divertita
tanto con un perfetto sconosciuto: venti anni, un po’ di pancetta e
capelli bianchi in meno e avrei anche potuto sposarlo!
Cosa era successo poi, come
ero arrivata ad addormentarmi?
Che il mio vicino, stanco di
fare il gentile con una pazza squinternata dalla parlantina facile, si fosse
deciso a drogarmi per non dovermi più stare a sentire?
Fu in quel momento che mi
venne in mente la svolta nella nostra conversazione, quando cioè avevo
raggiunto il culmine di follia possibile: una delle hostess aveva messo un film
e quel film era Twilight… non lo avesse mai fatto.
Mi ero zittita un secondo,
avevo guardato il signore gentile con una luce maliziosa negli occhi e avevo
cominciato a parlare peggio di prima: nuovo argomento di conversazione, Robert
Pattinson.
Mi passai una mano sul viso
ricordando alcune delle mie frasi più assurde, quelle che non avrei mai voluto
attribuire a me quanto ad un alcool che purtroppo non c’era stato.
“Sa com’è non
credo che alla fine sia poi questo chissà che di eccezionale! Certo ha fatto
impazzire tutte ma ce ne sono di ragazzi più belli e poi… certo è
affascinante e ha un bel sorriso… per non parlare dell’idiozia di
alcune fan che… i film poi, mi spiego, potevano sicuramente…”
Lui non mi aveva mai
interrotta, continuando ad ascoltarmi in silenzio, ridendo ogni tanto e
sorridendo sornione. Solo alla fine del primo tempo si decise a farmi una
domanda:
“Ma ti piace? Cioè ti
faresti mordere?-
Aveva scherzato lui,
credendo di prendermi in contropiede.
Io avevo ridacchiato: non
sapeva con chi aveva a che fare, il signore gentile.
Sorridendo avevo risposto, a
voce bassa e seria:
- Mordere? No, certo che no.
Però lo violenterei con piacere-
Dopo quel momento, dopo che
lui era scoppiato a ridere di getto, con le lacrime agli occhi ed il corpo
tutto scosso dai singulti, i ricordi si facevano confusi. Era a quel punto, mi
dissi, che dovevo essere crollata.
Girai la testa, sperando di
incontrare il suo sguardo e il suo sorriso ormai familiare.
Invece mi scontrai con il
vuoto: meravigliata mi guardai attorno, accorgendomi con sorpresa sempre
maggiore di come anche tutti gli altri posti fossero completamente vuoti.
Ma cosa…?
Alzai gli occhi sulla
signorina ancora in piedi al mio fianco e con sguardo interrogativo le indicai
il sedile alla mia destra. Lei annuì, porgendomi un foglietto:
- Il signore è stato uno dei
primi a scendere: aveva fretta, mi è sembrato. Ad ogni modo mi ha detto di
salutarla da parte sua e darle questo-
Presi il biglietto con un
gesto veloce, leggendolo curiosa:
“Era da tanto che non
ridevo così di gusto per così tanto tempo. Grazie davvero per la stupenda
chiacchierata. E’ stato un immenso piacere conoscerla, Richard”
Sorrisi, contenta di aver
conosciuto una persona almeno apparentemente davvero gentile.
Poi tornai a guardare la
signorina, con aria scocciata:
- Ma perché è sceso?-
Mi resi conto troppo tardi
della cavolata appena detta: eravamo su un aereo, santo Dio, per quale motivo
si può mai scendere?!
Purtroppo mi capitava,
troppo spesso, di dire qualcosa senza che il cervello avesse dato la sua
approvazione: era la lingua, più veloce e sconsiderata, ad avere la meglio.
La hostess aprì la bocca,
come per rispondermi, ma poi cambiò idea scuotendo la testa.
Aveva smesso di sorridere,
notai con orrore.
Non sorrideva.
Strinse gli occhi,
assotigliandoli, e quando rispose lo fece con voce fredda ed incolore.
- Siamo atterrati,
signorina-
Spalancai gli occhi,
fingendomi sorpresa.
- E perché non me lo ha
detto prima?-
Lei sembrava sul punto di
mettersi ad urlare: strappò con forza il lembo della sua gonna dalla mia mano e
strinse la campanella con tanta violenza da farsi sbiancare le nocche.
- E’ quello che le sto
ripetendo da oltre dieci minuti-
Aveva calcato su ogni
parola, sillabandole quasi: ecco, ora mi avrebbe ucciso lei.
Accennai vagamente ad un
sorriso imbarazzato ma lei non sembrava intenzionata a perdonarmi.
Feci timidamente spallucce,
alzandomi con cautela e sussurrando:
- Mi scusi, davvero.
E’ solo che sono intrattabile appena sveglia. E poi non ho preso il
caffè…-
Sperai di averla rabbonita
almeno un po’: in fondo ero appena atterrata in Inghilterra e scendere
dall’aereo ancora viva per dare un’occhiata fuori mi avrebbe fatto
piacere.
La hostess prese vari
respiri, chiudendo gli occhi e poi li riaprì, sorridendo di nuovo.
- Tutto bene, mi scusi lei.
Siamo arrivati, signorina. Le andrebbe di scendere?-
La ammirai per il suo
autocontrollo davvero invidiabile: fossi stata io al suo posto, mi sarei già
buttata fuori dal finestrino dell’aereo.
Le sorrisi e camminando
piano percorsi il corridoio.
Non le diedi mai le spalle:
per qualche motivo avevo l’impressione che una pugnalata nella schiena me
la sarei meritata. Ma lei non mi colpì, non ci provò nemmeno.
Così riuscii a scendere la
scaletta indenne.
Con un sospiro mi avviai
attraverso il tunnel che mi avrebbe portata nell’aeroporto.
Ero ancora viva,
stranamente.
L’Inghilterra però,
pensai, non sarebbe stata più la stessa dopo il mio soggiorno.
*
Maggio.
Siamo a Maggio, ve ne rendete conto?
Ecco, ogni anno, io a Maggio vado in tilt:
entro in ansia, diciamo così… paura per le ultime interrogazione, per i
compiti, per i prof. che pazzi, credono di poter fare chissà che in queste
ultime povere quattro settimane.
Così mi ritrovo a scrivere sempre storie
come queste.
Io le chiamo “valvole di pressione”
Sono storie senza senso, senza impegno…
leggere, frizzanti…
Mi devono aiutare a “fuggire”,
dimenticando ed estraniandomi completamente dal resto.
Perciò vi avverto che non sarà niente di
che…
… che tenderà moooltoo
al demenziale…
… e che, bah, almeno per me sarà solo
un passatempo ^^
Ad ogni modo se vi andasse di farmi sapere
che ve ne sembra, mi fareste un gran piacere!
Mi girai, guardandomi alle
spalle, nella vana speranza che la signora non stesse parlando con me.
Ma dietro di me non
c’era nessuno.
Tornai a fissare il viso
della donna: lei mi osservava con aria interrogativa, in attesa di una mia
risposta. Avrei anche, tanto, voluto risponderle… se solo avessi capito
cos’è che voleva!
Aveva parlato per tipo due
minuti, in modo veloce e concitato, e, parte più importante: lo aveva fatto in
inglese. Naturalmente, non avrei dovuto sorprendermene: ero in Inghilterra in
fin dei conti!
C’era da dire però
che, se pure mi ero preparata psicologicamente a sentir parlare in una lingua
non mia per due settimane, non avevo tenuto conto dei dialetti.
E quello della signora,
sicuramente, era un qualche dialetto a me sconosciuto: aveva unito ed
accavallato le parole al punto da non lasciarmi modo di capirne nemmeno una.
Strinsi gli occhi,
lanciandole un’occhiata supplice.
Lei dovette capire in qualche
modo il mio disagio, perché sorrise, annuendo con aria materna: mi si avvicinò
e ripeté la sua domanda, parlando questa volta lentamente e scandendo al tempo
stesso tutte le parole.
“Sa dirmi gentilmente
che ore sono, signorina?”
Arrossii fino alla radice
dei capelli: santo Dio, non avevo capito una domanda… quella domanda!
Come si fa ad andare in
Inghilterra senza capire nemmeno quando uno ti chiede l’ora?!
Annuii rapidamente e risposi
afflitta:
- Le quattro e venti,
signora. Mi scusi per prima, ma non sono riuscita a…-
Lei non mi lasciò terminare,
scuotendo la testa e ridacchiando:
- Non si preoccupi è più che
normale! Deve solo farci l’orecchio-
Sollevai le sopracciglia,
poco confortata dalle parole della signora: farci l’orecchio,
diceva lei, come se fosse facile!
La osservai allontanarsi,
camminando rapida nell’aeroporto quasi deserto: le uniche illuminazioni
provenivano dalle fievoli lampadine, fuori era ancora buio pesto e sembrava che
l’intorpidimento e la sonnolenza della notte avesse contagiato
l’intero edificio.
L’enorme sala era
avvolta nel silenzio, anche il monotono fruscio del nastro portante i bagagli
sembrava voler far piano per non disturbare.
Mi strinsi di più nel
cappotto troppo leggero, stropicciandomi gli occhi e sbadigliando: ma che fine
aveva fatto la mia valigia? Che si fosse addormentata anche lei?
No, forse era uno scherzo
della signorina dell’aereo: sorrisi ripensandoci…
La hostess che perse il
sorriso: la vendetta.
Mi venne da ridere,
scombussolata dall’assurdità dei miei stessi pensieri ma mi trattenni.
Non ero sola in fondo:
alcuni impiegati ai loro posti e altri passeggeri insonnoliti o addormentati
sulle sedie, c’erano. Non era il caso di passare per pazza di prima
mattina.
Un urletto sorpreso mi sfuggì
di bocca quando sentii una vibrazione nella tasca del jeans e una ragazza non
troppo lontana da me, in piedi anche lei in attesa del bagaglio, mi fissò
truce.
Prendendo il cellulare
ricambiai ostile il suo sguardo: tesoro, vorresti farmi credere che tutti i
tuoi problemi ti sono causati dalla vibrazione di un cellulare?!
Scuotendo impercettibilmente
la testa aprii lo slide del cellulare, facendo per rispondere.
Non riuscii a dire niente
però, che un urlo acuto e prolungato mi procurò una momentanea sordità.
Spostai il cellulare
all’altro orecchio, non riuscendo ad evitare di sorridere.
Michela.
Solo lei riusciva ad urlare
così.
L’urlo pian piano si
affievolì, finendo poi per tramutarsi in una veloce parlantina:
- Sei arrivata, sei
arrivata! Com’è l’Inghilterra?! Dio, non riesco a credere che tu
sia in Inghilterra! Non hai idea di come ti invidio! Com’è, com’è?
E il volo? E dove sei? E…-
Con un sospiro, grata del
fatto che almeno stesse parlando in italiano, la fermai per rispondere
gradualmente:
- Miki… che piacere
sentirti! Già mi mancavi lo sai?-
Sentii la sua risatina e un
calore familiare mi invase il petto:
- Certo che lo so, Giu!
Speravi forse nel contrario? L’Inghilterra allora? Com’è?-
Sorrisi ancora, divertita:
risposi con un accenno di ironia:
- Buia, Miki. Come ti
aspettavi che fosse alle quattro di mattina? E poi sono ancora in aeroporto,
non ho visto proprio niente!-
Sentii un suo sospiro deluso
e dopo qualche istante di silenzio scoppiai a ridere:
- Che c’è? Cosa volevi
ti dicessi?-
- Ma non lo so: qualcosa di
più! Da te lo sai che mi posso aspettare di tutto: tu e la tua boccaccia ero
sicura vi foste già cacciate nei guai-
Ridacchiai, rispondendo
sinceramente:
- Oh, ci è mancato poco: ho
rischiato prima di uccidere e poi di essere uccisa da una hostess. E lei ora ne
sono sicura, mi sta trattenendo il bagaglio-
Michela scoppiò a ridere,
mormorando frasi sconnesse che non riuscii ad afferrare. Tentai anche di dire
qualcosa ma poi intravidi il borsone nero con le coccinelle ed esultai
involontariamente.
- Che.. che c’è?-
- E’ arrivato il
bagaglio!-
Miki ridacchiò, riprendendo
aria:
- Quindi tutto bene: ora che
ti lascio poi, ti ritroverai in mezzo a tanti spocchiosi collegiali
inglesi… ce la farai, tesoro?-
Afferrai di slancio il
borsone, caricandomelo in spalla e annuii convinta:
- Naturalmente! A costo di
esprimermi a gesti, ce la farò-
Michela sbuffò, riprendendo
a parlare con tono lievemente acido:
- Giu tu parli un inglese
perfetto: non avrai niente di cui preoccuparti!-
Sospirai, ritrovandomi a
fare per l’ennesima volta lo stesso discorso:
- Miki! Ma come te lo devo
spiegare? Il mio inglese è prettamente teorico: mettimi davanti ad un test e
non ci sono problemi ma…-
- Ma che ma e ma! Quando è
venuto il madrelingua vi capivate solo voi due! Noi poveri altri italiani ce ne
stavamo lì a fingere di ascoltarvi giocando a monopoli!-
Sbuffai anche io,
cominciando ad innervosirmi:
- Questo perché il prof.
aveva la decenza di parlare un inglese lento e puro. Come la mettiamo con i
dialetti, le inflessioni, e tutto il resto eh?-
Michela prese un bel
respiro, segno che non era d’accordo ma nemmeno incline a continuare:
- Ok, allora io dico che te
la caverai benissimo. Tanto più che tuo padre…-
- Non metterlo in mezzo per
cortesia-
La immaginai in quel
momento: stesa sul divano che si passava una mano sulla fronte, esasperata.
Sorrisi, non riuscendo a
fare altro, incamminandomi nel frattempo verso l’uscita
dell’aeroporto.
- Miki?-
- Ci sono, ci sono. Stavo
solo rielencando mentalmente i motivi per cui continuo ad essere la tua
migliore amica-
- Ma perché mi vuoi troppo
bene, sono simpatica, dolce…-
- Sì, come no! Proprio tu!
Giu, devo andare ora: prometti che cercherai di tornare viva-
Alzai gli occhi al cielo,
scuotendo la testa:
- Certo che ci proverò! Se
mi uccidono gli inglesi però, non posso farci niente-
- Tu comunque cerca di non
provocarli, ok?-
Ridacchiai, aprendo la porta
a vetri e uscendo sul marciapiedi.
- Va bene, starò buona-
- Un bacio, Giu-
Chiusi lo slide, rimettendo
il telefonino in tasca.
Come avrei fatto senza la
mia Miki? Era capace di tirarmi su con meno di due parole!
Socchiusi gli occhi,
guardandomi attorno.
Osservai i taxi fermi a
bordo strada, le macchine parcheggiate, i ragazzi che in fondo alla strada
giocavano a pallone… sì, era bella l’Inghilterra.
Una folata di vento mi fece
rabbrividire, e stringendomi ancor di più nel cappotto mi beai di
quell’aria frizzantina e nuova: sapeva di indipendenza, di possibilità.
Scorsi con lo sguardo i
tassisti, chiedendomi a quale avrei dovuto rivolgermi.
Sentii una strana sensazione
mentre li osservavo: mi diedi della stupida per quello, ma era una mia fobia.
Avevo sempre avuto molte remore nei confronti dei taxi: forse da piccola avevo
visto un film in cui un tassista uccideva qualcuno, chissà… eppure ancora
l’idea di salire in auto con un perfetto sconosciuto non mi lasciava
tranquilla: in fondo avrebbe potuto fare qualunque cosa, tra cui il non
portarmi dovevo avevo richiesto.
Era lui a guidare, no?
Spinsi la mano libera in
fondo alla tasca del cappotto, dondolandomi leggermente mentre studiavo i
tassisti: uno leggeva il giornale, un altro sonnecchiava con la testa reclinata
all’indietro, un altro era ben concentrato sullo schermo di una minuscola
televisione.
Ad ispirarmi meno era quello
che sonnecchiava, così con passo incerto superai il suo taxi, dirigendomi verso
quello successivo, con il lettore silenzioso.
Ripassai mentalmente la mia
parte, modificando di volta in volta le parole e il tono:
“Mi scusi, potrebbe
portarmi al Lord Byron College, North London?”
No, neanche così andava
bene… e se avessi…
- Scusi?-
Sobbalzai, lasciando cadere
il borsone ed allontanandomi di scatto, quando una mano mi si poggiò sulla
spalla. Sentivo il cuore battere decisamente troppo forte e il respiro leggermente
affannato.
- Ma che ti passa per la
testa? Mi hai spaventata a morte!-
Guardai con aria omicida il
ragazzo in piedi a pochi metri da me.
Lui sorrideva, tenendo le
mani aperte davanti a sé come a scusarsi e proteggersi.
Lo vidi ridere sotto i baffi
e osservarmi divertito.
Assottigliai gli occhi,
scrutandolo inviperita: studiai tutta la sua figura, dai capelli corti, biondi
e sbarazzini, al corpo agile e muscoloso, fino ai vestiti informali e colorati.
Il tipico inglese, pensai
fra me e me, gli mancano solo gli occhi blu ed è perfetto.
Lui si avvicinò di qualche
passo, lentamente, piegando la testa verso il basso per riuscire a guardarmi
negli occhi dall’alto del suo metro e settanta e più.
Quando una macchina passando
ci illuminò con i fari, a stento mi trattenni dal ridere: signori e signori,
perdonatemi, ha anche gli occhi celesti!
Cosa vuoi di più dalla vita?
Ridacchiai, riprendendo in
mano il borsone e guardandolo con aria interrogativa.
Lui sorrise e porgendomi un
casco mi indicò la moto alle sue spalle:
- Posso darti un passaggio?-
Arretrai, senza capire: ma
gli inglesi erano tutti così cordiali?
Si offrono passaggi ai
perfetti sconosciuti?
- Stai scherzando forse?-
Lui scosse la testa, con
aria confusa, poi spalancò di colpo gli occhi, dandosi una manata sulla fronte
e ridacchiando in imbarazzo:
- Scusami! E’ solo che
mi hai sorpreso prima e ho dimenticato di fare le presentazioni: io sono Byron.
Tuo padre mi ha detto che saresti arrivata e mi ha chiesto di venirti a
prendere e… tu sei Giulia o ho sbagliato ragazza?-
Annuii, a disagio,
sorridendo appena: odiavo quando papà se ne usciva con cose del genere…
- Sì, Giulia, molto piacere-
Byron mi strinse la mano con
gesto amichevole e caloroso: sembrava voler dire qualcos’altro e non
riuscire a trovare il coraggio per farlo.
Sorridendo un po’ di
più gli tolsi di mano il casco, consegnandogli invece il borsone: lui
ridacchiò, guardandomi stranito, per poi indicarmi la moto poco lontana.
Mi incamminai piano,
continuando ad osservarlo:
- E tu accetti sempre senza
discutere di andare a prelevare qualcuno all’aeroporto? Anche se questo
qualcuno atterra alle quattro di mattina?-
Fece spallucce, sistemandosi
meglio il mio bagaglio in mano:
- Bè, diciamo che non avevo
niente di meglio da fare… e poi speravo di conoscere una ragazza
interessante: dalle voci che girano sei tutto fuorché prevedibile. E ora come
ora non mi sento di smentirle-
Parlando si era illuminato
sempre più in volto, come contento delle sue stesse parole.
Alternai lo sguardo fra lui
e la moto enorme che ferma ci aspettava:
- Quindi non sei rimasto
deluso?-
Rise, scuotendo la testa e
indicandomi di mettere il casco: ubbidii, continuando ad osservarlo.
- Certo che no! E come
potrei esserlo con una ragazza così bella al mio fianco?-
Arrossi a quel complimento
implicito, e fui grata in quel momento tanto al casco che mi copriva il viso
quanto a mio padre, che programmandolo o meno, aveva fatto in modo che il mio
primo incontro fosse con un più che aitante giovanotto inglese.
Sospirai piano, soddisfatta,
salendo in moto dietro Byron: gli passai il braccio intorno alla vita e
sentendo chiaramente i suoi addominali, un brivido mi percorse la schiena.
Ecco…
Quando ci si chiede:
“A che servono i genitori?”…
*
Interrogazione
di fisica… nuovo capitolo! ^^
Che dire, come
volevasi dimostrare è una storia pazza… scusatemi per questo =D
Non so cosa ne
sta uscendo né quello che ne uscirà ^^
Solo, cercherò
di divertirmi il più possibile **
Chiunque voglia
lasciare un commentino naturalmente (insulti, consigli, prediche) è molto più
che ben accetto!! **
Epril68:Sono contenta ti piaccia: spero continui così
e non ti faccia invece scappare a gambe levate ^^Per il resto… mmm non sono il tipo che
rivela nulla, mi piace moltooodi più essere sadica e far nascere
dubbi su dubbi, che questi ci debbano essere o meno! =D
Avevo preso a saltellare, spostando il peso da un
piede all’altro, fissando con aria sognante davanti a me ed al contempo
aggrappandomi con entrambe le mani all’avambraccio di Byron.
Lui finì con tutta calma di legare il casco sotto il
manubrio della moto e di inserire la sicura, quindi abbassò lo sguardo su di
me:
- Cosa, cosa, cosa?!-
Ridacchiai, divertita dal suo tono che era un misto di
sonnolenza ed esasperazione:
- Non è bellissima?-
Smisi di saltellare, poggiandomi a lui con la schiena:
era grande e grosso in fondo, poteva benissimo sorreggermi. Doveva anzi, e
senza lamentarsi!
Byron mi lasciò fare, posando il suo mento sulla mia
testa e sospirando:
- La cabina telefonica?-
Annuii impercettibilmente, ancora tutta intenta nella
contemplazione, quando lui mi pizzicò giocosamente un fianco:
- No, fammi capire: abbiamo attraversato Londra,
fiancheggiato il Big Ben, ora siamo nel parco privato del College e la cosa che
più ti ha colpito è la cabina telefonica?!-
Sorrisi, rendendomi perfettamente conto di come la
cosa potesse sembrare assurda, eppure era così: adoravo le cabine telefoniche
inglesi. Erano una mia passione, poco da dire.
Rosse, alte, snelle, eleganti, bucherellate…
assolutamente simpaticissime e stupende.
Cosa si poteva vedere di più bello?
Rimasi ancora un po’ in silenzio, cullata dalla
risata di Byron, ancora dietro di me, incurante delle occhiate curiose dei
pochi altri passanti: un paio di spazzini, un giardiniere e altre rare persone.
Nessuno di abbastanza importante da rovinare quel
momento.
- Sai che sei proprio strana?-
Gli afferrai le braccia tirandole verso di me, facendo
in modo che così mi abbracciasse da dietro.
- E’ la mia stranezza a rendermi speciale-
Lui non rispose, stringendo invece la presa attorno ai
miei fianchi.
- Secondo te come sarebbe farlo in una cabina?-
Chiesi a bassa voce, stringendo le labbra e
trattenendo la risata che ero sicuro di lì a poco mi sarebbe sfuggita.
La presa di Byron ebbe un leggero cedimento ma dopo
meno di un attimo tornò ad essere saldissima, quasi quanto la sua voce:
- Scomodo-
Spalancai gli occhi, non riuscendo a credere a quello
che avevo appena sentito: mi aveva risposto.
E non solo aveva risposto ma lo aveva fatto anche a
tono!
Mi girai, continuando a rimanere incastrata nella sua
presa: lo guardai negli occhi, sempre più sorpresa da quel ragazzotto inglese.
- Ma allora non sei timido come sembri!-
Lui sorrise, palesemente divertito:
- Certo che no! Tutto tranne che timido, tesoro. Cauto
piuttosto: capisco quando è e quando non è il caso di dare aria alla bocca-
Gli poggiai le mani sul torace, proprio sulla scritta
“London” rossa, perfetta nel contrasto del nero della felpa, e lo
spinsi all’indietro, allontanandolo da me.
- Era un allusione a me, Byron? Cosa vorresti dire:
che io non so quando stare zitta?-
Lo dissi in tono scherzoso, ma lui subito tornò serio,
rispondendo con attenzione:
- Non proprio, o meglio ancora non ne sono sicuro.
Solo temo che finché sarai qui dovrò salvarti in ben più di un’
occasione… tu che dici?-
Sorrisi, infilando le mani nelle tasche ed abbassando
lo sguardo:
- Dico che hai ragione-
Feci per avviarmi lungo il viale alberato che portava
all’entrata monumentale, ma lui mi fermò, afferrandomi non so come una
mano:
- Non ti sarai per caso offesa, vero?-
Strinsi la sua mano, tirandolo a me con uno scatto
veloce:
- Bimbo, ci vuole ben altro per offendermi-
Sorrisi ancora, vedendo i suoi occhi illuminarsi di
nuovo, tendendo così ad un celeste chiarissimo e facendogli cenno con il dito
di avvicinarsi a me mormorai:
- E tanto per la cronaca, farlo in una cabina potrà
anche essere scomodo, ma come idea è paurosamente eccitante!-
Prestai molta attenzione alla sua espressione e ebbi
la certezza che, anche se solo per un secondo, i suoi occhi si erano dilatati
tanto lo stupore.
- Ci proveremo allora, una volta di queste,
principessa-
Toccò a me questa volta la sorpresa: come avevo fatto
a farmi un’idea tanto sbagliata di quel ragazzo? Era tutto fuorché il
bamboccio che poteva apparire!
- Ma sentitelo! Giovane, chiariamoci bene…-
Byron si portò rapido il dito alle labbra, facendomi
segno di fare silenzio.
Obbedii subito, senza nemmeno pensarci e mi stupii
della cosa: da quando davo retta al primo sconosciuto? Non ebbi tempo di
riflettere sulla cosa però, che la voce di Byron mi distrasse ancora:
- Allora, questo è l’atrio principale, ora:
preferisci vedere prima la tua camera e sistemarti o andare a fare colazione?-
Aggrottai le sopracciglia, osservando con attenzione
la sala enorme attorno a me: e quello era solo l’atrio? Ma bene…
dieci a uno che anche una cartina sempre a potata di mano o un navigatore
satellitare incorporato nello zaino, non mi avrebbero evitato di perdermi
almeno una volta.
- Non saprei. Ma perché bisbigliamo?-
Byron mi afferrò per il gomito e mi trascinò verso una
rampa di scale, sorridendo malizioso:
- Così… non volevo la ramanzina-
Assottigliai gli occhi, riuscendo però a lanciare
occhiate malevole solo alla sua schiena.
- Dì un po’, ma dov’è che nascondi le
corna?-
Byron ridacchiò, facendomi segno con la mano di
accelerare il passo.
Ubbidii ancora, non riuscendo ad evitarlo,
rimpiangendo solamente di non star minimamente cercando di memorizzare la
strada percorsa: com’era?
Tre rampe di scale, poi a destra, sinistra, tutto un
corridoio e… ecco, persa!
Ridacchiai, pregustando già il momento in cui avrei
dovuto iniziare ad elemosinare indicazioni.
- Ecco la tua camera!-
Byron si bloccò di colpo, nel bel mezzo di un
corridoio e io riuscii solamente a sbattergli contro.
Ma erano modi di fermarsi?!
Lui mi sorresse poco prima che cadessi rovinosamente
ma non per questo lo risparmiai da un’occhiata omicida più che meritata.
La porta in legno con il numero 27 ebbe però su di me
un effetto calmante:
- E’ davvero la mia?-
Byron sorrise, porgendomi le chiavi:
- Certo che sì-
Presi le chiavi con un gesto quasi possessivo,
infilandole nella serratura e girandole in fretta.
La serratura si aprì con uno scatto rassicurante e
meno di un secondo dopo ero già dentro.
Byron mi seguì, portando con sé il mio bagaglio e
lasciandolo vicino all’entrata.
Rimase in silenzio mentre mi guardavo attorno,
lasciando vagare lo sguardo per quella stanza che incredibilmente era davvero
mia: piccola, accogliente, quasi completamente in legno.
Parquet, pareti bianche, un letto ad una piazza e
mezzo, una scrivania, bagno e finestra.
Gettai le braccia al collo di Byron, prendendo di
nuovo a saltellare freneticamente:
- Non è bellissima?!-
Lui fu preso in contropiede dal mio slancio,
ritrovandosi con le spalle al muro ed il respiro spezzato, ma nonostante questo
riuscì a reggermi senza difficoltà, annuendo con me:
- Sì, bellissima, come tutte le altre centinaia in
questo edificio-
Scherzò sorridendo, ma io negai con il capo,
lasciandolo e portando invece il bagaglio sul letto:
- No, la mia è sicuramente più bella! La tua
com’è?-
Lui ridacchiò, annuendo come si fa con un bimbo
capriccioso:
- Identica a questa. La vuoi cedere?-
Lasciai perdere il borsone, che tanto già sapevo avrei
semplicemente gettato nell’armadio e mi voltai verso Byron, esultando in
un grido:
- Certo! Andiamo, dai!-
Lui uscì, facendomi cenno di seguirlo; fece finta di
incamminarsi lungo il corridoio ma poi con un movimento improvviso si fermò
fuori la porta della stanza 28: quella direttamente alla destra della mia. Io
lo osservai sorpresa, aspettandomi che le chiavi non fossero quelle giuste e
che stesse scherzando, ma le chiavi andarono e la porta si aprì.
Ecco, come al solito: c’era qualcosa di strano
in quella situazione, lo sapevo.
Byron era entrato, ma io non lo avevo seguito,
fermandomi nel corridoio.
Pochi istanti dopo anche lui era di nuovo fuori,
osservandomi confuso:
- Non vieni?-
Scossi la testa, allungando una mano verso di lui, con
il palmo aperto verso l’alto:
- Mi daresti il tuo orario delle lezioni?-
Byron rimase interdetto per qualche minuto, arrossendo
leggermente e cercando di fingersi indifferente fece spallucce.
Vedendo però che io non demordevo abbassò lo sguardo,
porgendomi un foglio protocollo.
Estrassi il mio dalla tasca della giacca e lo
confrontai con quello di Byron: identici.
Sbuffai, restituendoglielo, e tornai in camera mia,
accasciandomi sul letto.
Perché?
Perché papà organizzava cose del genere? Non poteva
starsene un po’ buono?
- Giulia?-
- Và via, Byron-
Lui non mi diede ascolto: in pochi passi mi raggiunse,
sdraiandosi sul letto al mio fianco.
- Cos’è, non vuoi più stare assieme a me?-
Misi il muso, evitando il suo sguardo:
- Non voglio passare il tempo con uno costretto da mio
padre a farmi da guida e controllore a tempo pieno, grazie lo stesso-
Sentii la sua mano poggiarsi delicata sulla mia
schiena e la sua voce, sincera e pacata, giungermi rassicurante come non avrei
mai immaginato:
- E io che credevo di aver già trovato una nuova
amica… peccato, sembravi in grado di tenermi testa, ma forse mi
sbagliavo-
Sorrisi a quel tentativo si riconciliazione quasi
patetico e mi concentrai ancora sui primi raggi di sole che filtravano radi
dalla finestra.
Non bastavano quelle parole scherzose… no, non
erano sufficienti!
Era come se fosse stato incaricato di farmi da scorta,
e che cavolo!
Mi voltai appena, incontrando i suoi occhioni azzurri
ed un sorriso candidamente disarmante…
Quel ragazzo mi ispirava fiducia, eccola la mia
rovina!
- Andiamo a fare colazione, và-
*
Mmm… ma che
cavolo stai scrivendo, vi chiederete voi…
Eh lo so,
aspettate ancora un po’, vi rispondo io! ^^
Aspettate tutte un certo
attore, no?
Bene…
arriverà arriverà xD
Solo, non so com’è
fin’ora.. cioè, datemi un’ idea di che ne pensate su!! **
Cominciai a sbattere
ritmicamente il piede, tenendo il vassoio con solo la mano sinistra e puntando
la destra sul fianco, in atteggiamento combattivo.
Lanciai un’altra
occhiata di fuoco alla coppietta davanti a me: bloccavano la fila da quasi
cinque minuti e, non fosse stato per i primi morsi della fame, non avrei
cominciato ad innervosirmi.
Ma avevo fame, punto primo.
E loro bloccavano la fila!
Se ne stavano lì,
abbracciati e spiaccicati l’uno sull’altra, uniti in un bacio che
sembrava senza fine.
Sospirai, chiudendo e
riaprendo gli occhi lentamente.
Sentii una voce dietro di me
e mi voltai, trovandomi di fronte un ragazzone enorme: probabilmente poco ci
mancava e sarebbe stato il doppio di me. Non di ciccia però.
Tutto muscoli, pensai
involontariamente affascinate.
Ma quante ore passi in
palestra, figlio mio? O sei nato proprio così?
Stavo ancora meditando su
quegli argomenti che mi incuriosivano non poco, incurante del fatto che lui
stesse parlando.
Anche volendo del resto, non
avevo capito neanche una parola.
Che fosse lui che parlava
troppo veloce, o la fame che mi inebetiva maggiormente, ad ogni modo lasciai
perdere.
Alzai gli occhi al cielo,
tornando a puntare gli occhi sulla coppietta ancora in piena immersione.
La risatina del ragazzone
dietro di me mi arrivò distintamente e mi sarei anche voltata per dirgliene
quattro, non fosse stato che il mio stomaco iniziò a brontolare sonoramente.
Con uno sbuffo risentito, mi
avvicinai ai due in posa, osservandoli truce:
- Prendete aria, per
l’amor del cielo!-
Lo avevo quasi gridato,
esasperata.
Diversi occhi, numerosi
davvero, si puntarono su di me: soprattutto quelli di tutte le persone in fila
dietro di me. Ma non mi importava minimamente.
L’unica cosa
importante in quel momento era che i due, straordinariamente, si erano staccati
un attimo, lasciandomi così modo di intrufolarmi fra di loro e afferrare al
volo la mia colazione.
Sorrisi, soddisfatta della
mia rapida fuga.
Non mi ero accorta di essere
seguita, però: me ne resi conto solo quando Byron, seduto ad un tavolo quasi
vuoto, mi guardò sconcertato.
Io ricambiai il suo sguardo
con aria interrogativa, non capendo la sua reazione.
Poi mi voltai, trovandomi
alle spalle minimo cinque ragazzoni, compreso quello in fila dietro di me.
La cosa più impressionante
tuttavia era che erano tutti della stazza di un bue.
Presi posto di fronte a
Byron, intimorita dalla mandria alle mie spalle.
Lui però sorrise, alzandosi
invece per salutarli e dal modo in cui lo fece intuii che fossero amici.
- Dove l’hai trovata,
Byron?-
Quella fu l’unica
frase che afferrai nel loro intero scambio di battute.
Come era possibile?
Lanciai una muta richiesta
di aiuto a Byron, che dopo aver fatto sedere con noi i buoi, la accolse
sorridendo candidamente:
- Dimmi, Giulia-
- Perché non vi capisco?-
Strinse gli occhi, non
comprendendo a cosa mi riferissi. Poi di colpo spalancò gli occhi:
- Oh mio Dio! Scusa, bimba.
Chiacchieravamo in Byronese!-
Diedi un morso enorme al
cornetto caldo e croccante che stringevo fra le dita, osservando con la coda
dell’occhio il movimento attorno a me e concentrandomi invece su Byron:
- Mi prendi in giro? Non ho
ancora bevuto il caffè Byron, non provocarmi-
Lui scosse la testa,
sorridente come non mai:
- No, no: è un nostro modo
di esprimerci, ti ci abituerai, Giulia. Non è difficile: solo qualche
inflessione più…-
Si interruppe di colpo,
saltando sulla sedia.
Lo vidi afferrare di slancio
il cellulare dalla tasca dei jeans e guardare il numero con impeto: sbiancò
totalmente, scattando in piedi in un attimo.
- Io… devo scappare,
scusatemi. Ragazzi, lei è Giulia. Giulia, i ragazzi sono la squadra di football
del college, trattali come si deve. Lo stesso vale per voi, non fatemi pentire
di avervela lasciata-
A mala pena finì la frase
che già si era avviato di corsa verso l’uscita, salutando con la mano.
Sbuffai, leggermente
irritata, finendo in un morso il resto del cornetto.
- Football, eh? Avrei detto
più boxe non so perché-
Sollevarono lo sguardo verso
di me in contemporanea, con espressioni piacevolmente sorprese:
- Ah, ma allora parli!-
Lanciai un’occhiata di
fuoco al ragazzone alla mia destra, cercando di ribadire silenziosamente la
minaccia già fatta a Byron. Lui sembrò capire.
Ridacchiando, alzò le mani
in segno di resa e mi porse la destra:
- Io sono Spencer, loro
invece sono Micheal, Robert, Andrew, Lucas e Jeffrey-
Nome per nome mi salutarono
tutti, cortesemente e delicatamente coma mai mi sarei aspettata.
Spencer poi continuò a
parlare, dopo avermi gentilmente offerto metà del suo caffè:
- Scusa per prima: solo ci
sembravi di qui, non credevamo fossi…-
- Italiana-
Lo dissi gaiamente,
gustandomi appieno il caffè e iniziando a connettere qualche pensiero logico
finalmente.
Lui spalancò gli occhi,
meravigliato:
- Davvero? Ma parli
benissimo, complimenti! Noi ti credevamo al massimo dei sobborghi!-
Aggiunse l’ultima
parte ridendo, rivolto agli amici.
Se era una battuta, non
l’avevo capita, pensai fra me e me.
D’altronde che mi
aspettavo, il caffè doveva ancora fare il suo effetto.
Aveva cominciato però,
tant’è che finalmente mi ero resa conto dell’assenza di Byron!
Se ne era andato!
Incredibile.
Mi aveva mollata lì, con una
mandria di buoi inglesi, scappando dove, poi?
Lanciai un’occhiata a
Spencer, aspettando che si concentrasse di nuovo su di me:
- Sai dove Byron potrebbe
essere an…-
Una voce nasale mi interruppe
a metà frase, chiamandomi per nome.
Mi girai, trovandomi a
fissare il completo elegante di un uomo sulla quarantina, in piedi alle mie
spalle. Lui sorrise arcigno, sollevando le sopracciglia e quando parlò lo fece
con aria professionale.
- Il signor Montgery la
vorrebbe nel suo ufficio-
Sorrisi anch’io, molto
falsamente, annuendo diligentemente:
- Mmm… sì, vede, ora
però proprio non posso: un mio amico non si è sentito bene e devo andare a
trovarlo. Probabilmente lo troverò…-
Spencer continuò per me, guardandomi
sempre più basito:
- In camera sua-
Io non riuscii a nascondere
un’espressione sorpresa: Byron era scappato in camera sua!?
Brutto…
- Capisce? Devo proprio
andare, mi scusi con lui però, mi raccomando!-
Feci per avviarmi verso
l’uscita quando sentii un braccio afferrare il mio: mi voltai
preoccupata, temendo fosse l’uomo dall’aria untuosa di prima,
invece era solo Spencer.
- Mi devi qualche
spiegazione, signorina. Che hai combinato per essere convocata dal rettore?-
Non risposi subito, contenta
del fatto che Spencer, consapevole o meno, mi stava accompagnando verso la
stanza di Byron e che in quel modo quindi non avrei avuto modo di perdermi.
Lui però aspettava una
risposta e quando riconobbi il piano giusto mi fermai, decisa a ringraziarlo in
qualche modo:
- Non ho combinato niente:
solo papà è come sempre ansioso di salutarmi-
Lui sorrise, credendo forse
che scherzassi, poi si ricredette mentre lo lasciavo lì, avviandomi verso la
porta di Byron, e mi gridò qualcosa dietro: un qualcosa di assolutamente
incomprensibile.
Non ne afferrai il senso
neanche alla lontana e divertita riuscii solo a compatirmi di me stessa: ah,
santo Byronese, questo ci mancava!
Bussai sul legno, più volte,
insistentemente.
Era lì, poco ma sicuro: e se
non mi avesse aperto avrei scardinato la porta, ancora più sicuro!
La risposta non arrivò
subito, giungendo soffocata da un punto apparentemente lontano:
- Chi è?-
- Alì Babà-
Ridacchiai: ecco il caffè
stava facendo effetto. Non positivo, come sempre.
- Giulia! Chi vuoi che
sia?!-
Giunsero diversi rumori:
oggetti che cadevano, si rompevano… uno sbattere di porta ed infine quasi
saltai spaventata dagli occhi che improvvisamente mi fissavano attraverso un
minuscolo spiraglio:
- Byron! Ma che
cavolo…?-
Lui mi bloccò subito,
uscendo e tirandosi dietro la porta, senza però chiuderla del tutto.
Sorridendomi, con il viso
arrossato e i capelli scombinati mi guardò stranito.
Iniziai a temere di aver
interrotto qualcosa e che forse una ragazza era in camera con lui… e io li
avevo interrotti, mio Dio! Che figura! Arretrai un po’, convincendomi
sempre di più dell’idea ma poi fu proprio lui a spiazzarmi, prendendomi
in contropiede:
- Scendiamo? Manca poco alle
lezioni, ti faccio fare un giro del parco!-
Mi aveva presa a braccetto,
tentando di smuovermi e tirarmi dietro di lui.
No, qualcosa non
quadrava…
Anche sorvolando sul fatto
che mancavano quasi due ore all’inizio delle lezioni, non era minimamente
ammissibile che decidesse così di abbandonare una ragazza in camera.
Ma scherziamo, forse?!
Scossi la testa, fermando
anche lui.
- Non dovevi farmi vedere la
tua stanza?-
- Sei tu che non sei entrata
stamattina-
Sollevai le sopracciglia,
facendogli capire che dare la colpa a me non lo avrebbe portato da nessuna
parte. Tirandolo di nuovo verso la porta, feci gli occhi dolci, tentando di
convincerlo.
Lui si passò una mano dietro
la nuca, agitato:
- Non credo sia una buona
idea, Giulia… è molto disordinata: un caos che ti spaventerebbe, davvero!
Probabilmente presto si genererà vita da sola lì dentro! E’ pericoloso
e…-
Ma io non lo ascoltai,
nemmeno per un attimo: non mi interessava niente.
Poteva anche celarsi il
mostro di Loch Ness o l’Esorcista dietro quella porta, io sarei entrata.
Fosse stato anche solo per contraddire
il “Non aprite quella porta”
Mossi decisa alcuni passi,
entrando finalmente nella stanza di Byron, a mala pena intralciata da lui.
Mi guardai attorno, curiosa,
lasciando correre lo sguardo sul caos che regnava, non così drastico come mi
sarei immaginata: scatoli di pizza, lattine di birra, intimi e vestiti ovunque.
Il normale e tipico alloggio
maschile, niente di cui stupirsi.
Lanciai un’occhiata a
Byron, fermo sull’uscio, pronto ad andare via.
Non ero così di fretta,
sfortunatamente per lui.
Cominciai a studiare le foto
appese sopra la scrivania, il calendario con notizie di cinema, i libri di
vario genere e poi anche le chitarre, sopra, sotto e affianco al letto.
Tanti hobby il ragazzo, eh?
Stavo sfogliando piano le
pagine di un manuale per apprendisti cuochi, quando un rumore improvviso mi
fece sobbalzare, rischiando quasi di strappare il foglio fra le dita.
Mi voltai stranita verso la
porta chiusa da cui era arrivato: il bagno?
Byron mi si era avvicinato
di soppiatto, stringendo le mani attorno ai miei fianchi.
- Andiamo, su! Hai curiosato
abbastanza!-
Puntai i piedi,
cercando di frenare la sua spinta.
Era difficile.
Mi voltai appena, tentando
di incrociare il suo sguardo:
- Cos’è stato?-
Scosse la testa, facendo
spallucce allo stesso tempo.
I suoi occhi però lo
tradivano: era tremendamente a disagio e io volevo sapere perché.
- Byron… e dimmelo!
Che ragazza ti nascondi?-
Lo chiesi con un tono
lamentoso, quasi da bambina capricciosa.
Iniziai a fissarlo con gli
occhi umidi, e alla fine si piegò un po’ verso di me, sussurrando:
- Un gatto. Nascondo un
gatto. Non si possono tenere, lo sai?-
Forse si aspettava che mi
bastasse come risposta, o che placasse la mia curiosità.
Ah, come si sbagliava!
Spalancai gli occhi,
girandomi tutta elettrizzata:
- No! Che bello! Me lo fai
vedere? Lo devo vedere! Voglio vederlo! Com’è?-
Non mi ero frenata un attimo
dicendolo, muovendomi e saltellando, sgusciando come un’ anguilla dalle
sue mani.
Lui mi studiava stranito e
confuso, non riuscendo ancora a realizzare il mio comportamento.
Fu quella sua confusione che
mi permise di raggiungere senza problemi la porta del bagno.
La aprii, quasi con
violenza, impaziente di vedere il gatto di Byron.
Con altrettanta violenza
però, pochi attimi dopo, la richiusi.
Sentii tremare le pareti
tanta la forza con cui era sbattuta la porta.
Mi poggiai con la schiena al
legno, concentrandomi su Byron che con il respiro affannoso come il mio, mi
fissava spaventato ed intimorito.
Io cercai di regolarizzare
il battito cardiaco impazzito, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente
diverse volte.
Alla fine riaprii gli occhi,
mormorando calma:
- Byron…-
Lui arretrò di qualche
passo, finendo con la schiena contro il muro, vicino alla scrivania.
Assottigliò gli occhi, come attendendo
un qualche scoppio, pronto a reggere l’urto.
E fece bene.
- Si può sapere per quale
diavolo di motivo tieni Robert Pattinson chiuso nel tuo bagno?!-
*
Ok, raga…
devo proprio scappare: interrogazione di Latino, domani!
Però, i
ringraziamenti a chi ha commentato sono assolutamente molto piùche obbligati (non avete idea di come mi
abbiano fatta felice) perciò: graziegraziegraziegraziegraziegraziegrazie!!!!!
Il nostro attore
è arrivato ^^ e beh, che dire… se vi interessa un improbabile seguito
fatemi sapere, così mi sbrigo ^^
Il mio cervello si era
drasticamente bloccato su quel punto.
Perché poi? Non era solo un
particolare? Un che di infinitesimale e…
Ma che dico?!
C’era Robert
Pattinson nel bagno!
Spinsi ancora di più la
schiena contro la porta, come se in quel modo riuscissi a contrastare
l’effetto che aveva avuto su di me il guardarvi dietro.
Lanciai un’altra
occhiata a Byron: era più sconcertato di me, con le mani a coprirsi il viso,
era da poco crollato seduto sul suo letto. Per un istante mi fece quasi pena.
Solo per un istante però.
Ragazzo, i giochi sono
appena iniziati.
- Byron-
Lui non diede segno di aver
sentito: raccolse le gambe sotto di sé, continuando a non guardarmi.
Sospirai, cercando di
controllare gli acuti che involontariamente mi uscivano parlando.
- Senti, immagino avrai
capito che non sono il tipo di ragazza che si spaventa, offende o altro
facilmente. Devi tuttavia ammettere che questa non è una situazione esattamente
normale-
Tentai di parlare piano,
calcando su ogni parola così da fare in modo che non ne perdesse nemmeno una.
Lui annuiva di rimando, confermando ed al tempo stesso rinnegando quello che
stavo dicendo.
- Byron, ho aperto la porta
del tuo bagno credendo di trovarvi un gatto-
Lui sollevò appena la testa,
decidendosi finalmente a ricambiare il mio sguardo.
- Hai presente, no? Uno di
quegli animaletti pelosi e morbidi, che fanno le fusa, con i baffi e gli
artigli retrattili… ecco, io mi aspettavo uno di quelli: nero, bianco,
tigrato, mi era indifferente, ero pronta a tutto. Ma non a questo!-
Byron sgranò leggermente gli
occhi, facendo per negare con il capo, ma io non gliene diedi modo.
Esplosi prima che potesse
dire qualunque cosa.
- Ho trovato invece un tizio
con la camicia sbottonata, seduto ai piedi della doccia e, cosa più importante,
con la faccia di Robert Pattinson!-
Mi allontanai dalla porta,
raggiungendo in pochi passi Byron e iniziando a colpirlo con le mani sul petto:
non con forza, semplicemente con frustrazione. Lui incassò le spinte, cadendo
all’indietro e sdraiandosi sul materasso.
- Cos’è Byron, ora
vendono attori per animali domestici?! Lo hai affittato in qualità di gatto?
No, perché se è così non ne ero a conoscenza: in Italia non sono ancora
arrivati. Li producono in serie? Allora sai che ti dico, io voglio un
Pattinson, poi… un Jude Law versione cagnolino e…-
Byron si risollevò,
affermandomi i polsi e zittendo contemporaneamente il mio sfogo nervoso.
- Giulia, non è come sembra-
Sollevai le sopracciglia,
guardandolo come se fosse uscito di senno.
No, forse ero io ad essere
impazzita.
Forse il jat-lag mi aveva
scombussolata troppo.
Forse mi ero solo immaginata
di vedere quello che avevo visto…
Con quella nuova prospettiva
mi divincolai dalla presa di Byron e rapida tornai ad aprire la porta del
bagno: lui era ancora lì. Si stava alzando in quel momento, reggendosi
con una mano alla parete bianca. Quando aprii la porta si voltò verso di me,
guardandomi interrogativo e io senza neanche incontrare i suoi occhi richiusi
ancora una volta la porta.
- Non è come sembra…-
Byron mi stava tirando per
una manica della felpa, cercando di allontanarmi dal bagno e farmi invece
avvicinare all’uscita.
- E com’è Byron? No,
spiegamelo ti prego, sono curiosa lo sai-
Sentii da me il tono acido e
sarcastico con cui avevo parlato, non ero stata in grado di trattenerlo…
Lui non rispose, scuotendo
la testa e agitandosi i capelli biondi.
Piantai i piedi, facendo
rapidamente retromarcia ed accasciandomi sul suo letto.
Mi sfuggiva qualcosa.
Iniziai a pensare, cercando
di far girare più velocemente le rotelline arrugginite del mio povero
cervelletto: Byron, Pattinson, bagno.
Byron, Pattinson, bagno.
Accaldato, camicia
sbottonata, bagno.
Spaventato, nascosto…
Oddio.
Scattai in piedi, trovandomi
di fronte a Byron che mi fissava senza capire.
Aprii più volte la bocca ma
non ne uscì niente.
Al terzo tentativo
finalmente, aiutata da un mezzo sorriso di Byron, riuscii nel mio intento:
- Cristo, state insieme!-
Lo avevo detto.
Ci ero riuscita.
Era partito come in sussurro
per poi diventare quasi un grido.
Ne seguirono diverse cose:
prima un rumore sordo dal bagno, come di qualcosa che cade e subito dopo un
verso gutturale e orripilato proveniente da Byron.
- Cosa?!-
Annuii convinta dandogli un
piccolo buffo con il dorso della mano sulla spalla.
- Sì! E’ ovvio: state
insieme. Ma perché non me lo hai detto?-
Byron aveva assunto
un’espressione sconvolta, muovendo le mani per negare con fervore ma io
continuai senza farci caso:
- No, no, hai ragione: non
sono cose che si vanno a dire al primo sconosciuto, figurati a me! Però…
lo avrei potuto capire prima. Cioè non di certo che tu fossi gay, anzi devo
dirti che avevo capito tutto il contrario… né tantomeno che stessi con lui
poi! E’ come dire che al danno si aggiunge la beffa! Non solo ho
perso un aitante giovanotto inglese ma anche la possibilità di fantasticare in
santa pace sul bel vampiro e che cavolo!-
Byron sembrava avere
un’aria sempre più frustata e verso la fine quasi si tuffò verso di me
per fermarmi la bocca con due dita:
- Giulia, no! Ti prego
smettila di dire queste cose, non le pensare neanche! Non sono gay! Io non sono
gay! E non sto con lui! E… torna dentro tu!-
Se prima si stava
accalorando per convincermi, con voce sicura e persuadente, l’ultima
frase l’aveva quasi ringhiata.
Mi voltai verso il bagno: la
porta si era appena aperta e Pattinson aveva mosso un solo passo, tenendo il
dito leggermente alzato come a chiedere il permesso.
Byron lo aveva fermato
subito: un ordine secco e perentorio.
Spalancai gli occhi
incredula vedendo Pattinson rientrare in bagno con aria sconfitta, a testa
bassa e sospirando, per poi chiudersi dietro la porta di legno.
Lanciai a Byron
un’occhiata assassina prima di riprendere a spintonarlo, questa volta
verso il muro.
- Fammi capire: non state
insieme-
Cominciai ad elencare sulle
dita, con voce ironica e pretenziosa:
- Tu non sei gay. Lui è
Robert Pattinson. Lui non è gay. Lui è nel tuo bagno-
Alzate tutte e cinque le
dita, gli diedi con soddisfazione uno scappellotto dietro la testa.
- Tutto giusto fin’ora
Byron?-
Atteggiò il viso in un
espressione da cucciolo bastonato, annuendo appena.
- Ora allora mi spieghi per
quale diavolo di motivo lo tieni segregato nel tuo bagno?!-
Assottigliò gli occhi
celesti, fissandomi sicuro:
- Non lo tengo segregato-
Sollevai le sopracciglia:
- Ma se non lo fai uscire!
Glielo hai appena vietato!-
Lui fece spallucce, tentando
di difendersi:
- Non è che… è che ci
sei tu! Lo sa che non deve uscire… ci sei tu!-
Posai la mano sulla fronte,
prendendo lentamente a massaggiarmi le tempie:
- Byron, tesoro mio…
questo avrebbe senso se non lo avessi visto! Ma l’ ho visto! Che
lo nascondi a fare a questo punto?!-
Lui scosse la testa
sconfitto:
- No, no, no… tutto
questo non era minimamente contemplato! Non doveva andare così!-
Ridacchiai: una risatina
isterica e nervosa, prima di sussurrare, quasi fosse una minaccia.
- Fallo uscire-
- No-
- Byron, fallo uscire-
- Ho detto di no-
Assottigliai gli occhi, guardandolo
con rabbia. Mossi qualche passo verso la porta del bagno, stringendo con una
mano la maniglia.
Byron seguì ed imitò tutti i
miei gesti, poggiando la sua mano sopra la mia:
- Giulia, non aprire questa
porta-
Sorrisi, inarcando le
sopracciglia in atteggiamento di sfida:
- Oh, sì che la apro!-
Feci per tirarla verso di
me, ma lui bloccò il mio gesto premendo in direzione opposta.
Continuammo così per un
po’: aprendola e chiudendola di volta in volta.
Alla quinta volta però
qualcosa cambiò nel movimento: io riuscii ad aprirla un po’ di più e lui
usò la mia stessa forza per richiuderla.
Niente di strano, se non
fosse che non ci fu il rumore di una porta che si chiude ma quello di una porta
che sbatte contro qualcuno.
Un gemito ci giunse alle
orecchie, mentre mi rendevo improvvisamente conto di una cosa.
Avevamo sbattuto la porta in
faccia a Pattinson.
Mollai la maniglia, così
come fece Byron e insieme la aprimmo: Robert si teneva entrambe le mani premute
sul naso, guardandoci come se fossimo due evasi dal manicomio.
La cosa più tragica era che
aveva ragione!
- Oh mio Dio, oh mio Dio, oh
mio Dio! Scusa, scusa, scusa, scusa!-
Mi fiondai verso di lui,
tenendo una mano a coprire la bocca.
Byron si avvicinò con me,
prendendo Robert sottobraccio e osservandolo con aria colpevole:
- Scusa amico, davvero non
volevo! Tutto a posto?-
Senza quasi respirare li
seguii mentre uscivano dal bagno.
Byron lo fece accomodare sul
letto, porgendogli in fretta un fazzoletto.
Pattinson se lo premette sul
naso, reclinando il viso all’indietro ed emettendo solo qualche mugolio
indefinito.
- Fa male?-
Lo avevo chiesto con un filo
di voce, tenendomi a qualche metro di distanza e riuscendo a mala pena a
guardarlo. Byron mi sorrise incoraggiante, cercando di consolarmi probabilmente.
La risposta secca e
risentita che giunse soffocata da sotto il fazzoletto però, riuscì solo a farmi
sentire peggio:
- Male? Bene no di certo!-
Sentii gli occhi inumidirsi
e arretrai di qualche passo, non sapendo cosa dire o come comportarmi.
Byron mi sorrise ancor di
più, facendomi segno con la testa che non era niente.
Lo vidi a mala pena lanciare
a Pattinson quella che poteva benissimo essere definita come un’occhiata
assassina.
Lui sembrò non accorgersene
neanche.
Solo dopo qualche minuto
scosse la testa, allontanando dal viso il fazzoletto macchiato di sangue.
- Scusa-
Sgranai gli occhi, con le
spalle al muro e scivolai piano fino a trovarmi seduta per terra.
Avevo trovato Robert
Pattinson nel bagno di un college inglese.
Avevo sbattuto la porta in
faccia a Robert Pattinson.
Avevo quasi rotto il naso a
Robert Pattinson.
Robert Pattinson mi aveva
chiesto scusa.
Okay, forse era il momento
di fare una telefonata a casa…
*
E rieccomi!
Inizio a rompere vero? ^^
Sentite, ve lo
dico con tutto il cuore: se inizia ad essere troppo demenziale, o troppo
stupido, o qualsiasi altra cosa, voi fatemelo sapere senza problemi! Ditelo mi
raccomando! =D
Cioè, che era una
storia pazza l’ho detto fin dall’inizio, ma se diventa troppo,
basta che lo diciate xD
Comunque, un
grazie speciale a tutti quelli che commentano, non so come questa volta ho
trovato anche il tempo di rispondervi **
Cris91: Davvero ti piace? ** Graaziee! Sei troppo
buona ^^ Sono stata abbastanza veloce? Eh, sì, c’è Robbino
nel bagno! Nel prossimo cap si capirà anche perché ^^
RockAngelz: Ciao! ^^ Sono contentissima che la storia ti stia piacendo ** Per
sapere perché Pattinson si trova nel bagno, temo però, che dovrai resistere
fino al prossimo capitolo ^^
_Miss_:
Ciao! ^^ Ecco, il fatto che non lo avessi sospettato è per me una cosa moooltoo gratificante: l’effetto sorpresa è uno degli
ingredienti principali di questa storia! ** Comunque, per sapere di più, spero
continuerai a seguirmi ^^
Ancella79: Ciao! Sono strafelice che ti piaccia ! Grazie
infinite per star commentando! ** Mi interessa tantissimo l’opinione di
chi legge, ti giuro è fondamentale!
Lilyian: Grazieee! Teso,
mi sembra però che dirti altro oltre quello che già ti ho detto, non serva **
Continua a dirmi che te ne pare mi raccomando!
Con me che gli
avevo sbattuto la porta del bagno in faccia!
La porta in
faccia.
Non era una cosa
da sottovalutare, mi dissi reggendomi la testa fra le mani.
No,
assolutamente no.
Santo Dio, ma
cosa stava succedendo?
Mi aspettavo sì
che succedesse qualcosa durante il mio soggiorno, ma anche nelle mie più rosee
aspettative non c’era quella di rompere il naso ad un divo del cinema!
Cominciai ad
ondeggiare piano, muovendomi avanti e indietro, continuando a tenermi le gambe
contro il petto ed il più rasente possibile al muro alle mie spalle.
Volevo sparire,
volevo assolutamente scomparire.
Perché la terra non
si apriva mai quando era il momento giusto?
- Giulia?-
Non risposi, limitandomi a
raggomitolarmi ancor di più.
- Giulia? Piccola, rispondi
dai… non è successo niente-
La voce di Byron mi
avvolgeva calda e rassicurante. Sentii la sua mano poggiarsi piano sulla mia
spalla, iniziò a muovere ritmicamente il pollice come ad accarezzarmi.
Una carezza gelida però, le
sue mani erano ancora freddissime: aveva messo la borsa del ghiaccio sul naso
del Pattinson e poi era corso da me, tentando in qualche modo di farmi
riprendere.
- Giu?-
Mugugnai, un suono lungo e
prolungato, come quello di un animale ferito.
Era così che mi sentivo.
Per quanto tentassi di dar a
vedere che ero forte, indistruttibile ed invulnerabile, non lo ero.
Per niente.
Anche le cose più piccole
erano in grado di colpirmi più di quanto io stessa avrei mai ammesso.
Sentii un rumore al mio
fianco e capii che Byron si era seduto accanto a me.
Sospirò, ridacchiando appena
e dopo qualche attimo di silenzio mormorò:
- E dai! Non fare così!
Davvero non è successo niente: che vuoi che sia…-
A quel punto non ce la feci
più a starlo a sentire indifferente: se quello era il suo piano ben venga!
Non avrebbe avuto una morte
rapida e indolore quel ragazzo.
- Niente? Niente?!-
Alzai la testa, fissando il
mio sguardo nei suoi occhi azzurri e dilatati:
- E tu questo lo chiami
niente?-
Allungai il braccio in
direzione del letto: Pattinson ci stava ancora seduto sopra, con il ghiaccio
sul naso e gli occhi fissi su di noi. Seguiva tutta la scena con un vago
sorrisetto divertito e teso.
- Gli abbiamo quasi rotto il
naso!-
Byron si passò una mano fra
i capelli, alzando così tanto quelli davanti da sembrare un cacatua.
Un bellissimo cacatua, che
iniziò a ridacchiare senza riuscire a contenersi.
- E che vuoi che sia! Sai quante
volte io ci sono andato vicino? A spaccargli il naso intendo. E non era sempre
per una porta, fidati… ormai ci si è abituato! Non è nemmeno arrabbiato,
vero Rob?-
Pattinson aveva continuato
ad osservarci e non appena si sentì tirato in causa smise di sorridere.
Si tolse il sacchetto blu
dal naso, mostrando una linea rossa lasciata dalla porta, e fece cenno di no
con la testa.
Sospirai, dando un
manrovescio sulla spalla di Byron.
- E ci credo! Quasi glielo
hai ordinato di dire di no! Così non vale!-
Byron spalancò gli occhi,
sollevando anche le sopracciglia innocentemente:
- Io glielo avrei ordinato?-
- Sì, con il tono burbero
con cui glielo hai chiesto: lo stesso che hai usato quando lo hai rispedito in
bagno, neanche fosse un cane!-
Byron scoppiò a ridere,
facendo per alzarsi e continuando a scompigliarsi i capelli:
- Mio Dio, ma come devo fare
con te?-
Mi allungò una mano che
afferrai prontamente per alzarmi, allo stesso tempo però, gli lanciai
un’occhiata in tralice, scocciata dal suo comportamento:
- Guarda che ho ragione io,
stupido cacatua!-
- Stupido cosa…?-
- Cacatua-
- Io non…-
Si era sporto per guardare
alle mie spalle la sua immagine riflessa nell’anta dell’armadio e
notando la cresta affatto indifferente aveva cominciato ad appiattirsela con
entrambe le mani.
- Visto? Cacatua-
Fu mentre lo deridevo per
l’ennesima volta che una sonora schiarita di gola ci richiamò entrambi
all’ordine. Ci voltammo verso Pattinson che, con un mezzo sorriso sulle
labbra, si era alzato in piedi e si stava avvicinando a noi:
- Scusate se mi intrometto,
ma non essendo io un cane o un qualsivoglia surrogato di gatto, ci terrei a
dire anche la mia opinione in merito. Sempre che a voi stia bene è chiaro, mi
sembrate già in difficoltà adesso e non vorrei incasinarvi ancor di più-
Aveva iniziato a parlare con
un’aria saccente ma con l’andare avanti del discorso si era perso
in un tono palesemente divertito, quasi irrisorio.
Mi concentrai su di lui: su
quella sottospecie di misto fra un gatto ed un attore che aveva osato non solo
interromperci ma anche ironizzare. Solo io avevo quel diritto, razza di divo da
strapazzo.
Strinsi gli occhi,
guardandolo male:
- Sentiamo allora, surrogato
di vampiro-
Byron al mio fianco riuscì a
stento a coprire un accenno di risa con un colpo di tosse, ma io non me ne
accorsi quasi: continuavo a studiare l’espressione stupita di Pattinson
che, dopo qualche attimo di silenzio sorpreso si decise a parlare.
- Ma niente… solo
volevo informarvi che il naso sta bene e che… comunque, non è stato
carino sbattermi la porta in faccia-
Aveva smesso di guardarci,
fissando invece la punta delle scarpe nere che indossava, agitando
inconsciamente il piede. Byron sogghignò, avvicinandosi e bisbigliandomi
all’orecchio:
- Contenta? Sei riuscita a
metterlo a disagio-
- Non è vero!-
Scattai, quasi senza
rendermene conto, aggredendolo con voce scontrosa. Lui mi indicò con la mano
l’amico, ancora intento a studiare le nervature del pavimento e io alzai
gli occhi al cielo.
Buon Dio, solo
l’attore permaloso ci mancava!
- Senti… se è per il
surrogato di vampiro, non pensare a male…-
Pattinson si era finalmente
deciso a guardarmi di nuovo.
Improvvisamente respirare
era diventato più difficile.
- Io pensare a male? No, ma
perché mai?-
Feci per ribattere ancora,
leggermente irritata da quel suo tono nuovamente dispettoso, ma non ne ebbi
modo. Prima che potessi anche solo aprire bocca, dei colpi forti alla porta mi
interruppero.
Sobbalzammo tutti, Byron in
particolar modo.
Pattinson sgranò gli occhi,
prendendo a massaggiarsi le tempie: fissò l’amico con sguardo accusatorio
e gli si rivolse in un bisbiglio.
- Byron, per la miseria! Ma
chi altro aspettavi? Hai organizzato una festa e non lo sapevo?-
Byron scosse rapido la
testa, alzando le mani in segno di resa: ci mancava solo che sollevasse anche
bandiera bianca…
- No, Rob ti giuro! Lo sai
che non sono tipo da…-
Il bussare si fece
improvvisamente più insistente e da fuori giunse una voce profonda:
- Byron, si può? Sono il
signor Montgery-
Porca miseria.
Porca, porca, sporchissima miseria
ladra!
Mi appoggiai al muro, non
sentendo più forza nelle gambe e mi voltai verso Byron, sbiancato di colpo al
suono di quelle parole.
- Byr…-
Tentai appena di chiamarlo,
come un ultimo tentativo di richiesta d’aiuto ma lui non mi ascoltava:
- Santissimi numi, ma perché
tutte a me?! Il rettore e che cazzo! Solo lui ci mancava!-
La voce proveniente da fuori
tornò a farsi sentire, il tono era sempre amichevole ma su di noi sembrava
riuscire a sortire solo l’effetto contrario:
- Byron, volevo solamente
vedere se mia figlia è con te-
Cazzo.
Porca papà ma non potevi
aspettare un altro po’?
Byron mi si avvicinò,
guardandomi con espressione spiritata, mi fece segno di stare zitta e poi
alzando la voce si rivolse a mio padre:
- Solo un attimo, rettore-
Aspettò qualche secondo, poi
tornò a parlare con me:
- Giulia! Che cosa devo
fare, ora?!-
Con l’indice mi indicò
Pattinson che fissava la finestra, come contemplando l’idea di buttarvisi
fuori:
- Se i gatti qui non si
possono tenere, figurati i surrogati di vampiro!-
Pattinson, sentendosi
chiamato si girò verso di noi con un sopracciglio alzato:
- Spero mi permettiate di
intervenire: se pure è vero che io non dovrei essere qui, con lei come la
metti? Se non ho capito male da quello che mi hai detto, è la figlia del
rettore-
Sia io che Byron annuimmo,
non capendo ancora dove volesse andare a parare. Pattinson sorrise, divertito,
e con tono di ovvietà continuò:
- Ecco, ora cosa credete che
penserà il caro rettore, trovandovi chiusi in camera, tutti scarmigliati ed
arrossati, quando invece dovreste essere che so.. a lezione?-
La verità di quelle
affermazioni mi colpì con la brutalità di un tir.
No…
Stavo ancora elaborando, con
il sorrisetto sadico di Pattinson impresso nella mente, quando mi sentii
afferrare per la spalla: mi girai appena, incontrando gli occhi di Byron.
- Cosa…?-
Lui non rispose, limitandosi
a spingermi verso il bagno.
Non opposi resistenza,
ancora incapace di intendere e volere.
Byron mi fece entrare nel bagno,
facendomi segno di rimanere lì e girandosi poi verso Pattinson.
- Rob, entra!-
L’altro sgranò gli
occhi, guardandolo come fosse pazzo:
- Cosa? Starai scherzando!
Io in quel bagno non ci torno!-
Byron in pochi passi lo
raggiunse, guardandolo come se volesse incenerirlo:
- Robert Thomas…-
Pattinson!
Continuai io, ormai
sconfortata e totalmente senza il controllo delle mie facoltà mentali.
- No Byron, non puoi
costringermi. In quel posto c’era a mala pena spazio per me, ora non mi
ci puoi rinchiudere con la ragazzina pure! No!-
Ma erano tutte lamentele
inutili: Byron con uno sbuffo scocciato gli afferrò un orecchio fra due dita,
tirandoselo dietro. Spalancai gli occhi, non riuscendo quasi a credere alla
scena.
Avrei dovuto registrare
tutto: sai su you tube che successo?
Mi feci leggermente più
indietro quando un Robert recalcitrante venne sospinto nel bagno.
La porta venne poi chiusa di
scatto, lasciandoci ansimanti ed affannati, a meno di dieci centimetri di
distanza, immersi nella penombra e nell’odore di dopobarba.
Sollevai lo sguardo,
incontrando un paio di occhi azzurri.
- Ciao-
Eravamo tanto vicini che
sentivo chiaramente il suo fiato sulla mia guancia.
Cercai di arretrare un
po’, ma riuscii solo a trovarmi spalle al muro.
Lui sorrise, continuando a
fissarmi e azzerando quel poco di distanza fra noi: bisbigliando, piegò il viso
verso di me.
- Non ci siamo nemmeno
presentati. Io sono Robert, piacere di conoscerti-
*
Ed ecco il
nuovo capitolo ^^
Spero vi
piaccia e non raggiunga invece livelli demenziali vicini al ridicolo =P
Non sapete
quanto i vostri commenti mi rendano felice *__*
Ogni volta che
li leggo mi vengono gli occhi a cuoricino **
Non smettete
mai mi raccomando! Ci tengo a sapere che ve ne pare! ^^
Risposte alle recensioni:
_Miss_: ciao! ^^ Mi ringrazi per aver inventato
questa storia? ** Oh mio Dio, tesoro, ma sono io a ringraziare te per i
commenti! ^^ Come farei senza il tuo appoggio? Grazie, grazie, grazie! Per le
risate che ti fai, poi.. non posso che esserne molto più che felice! L’intento
a dirla tutta è proprio quello =)
Cris91: Sii! Sono strafelice di riuscire a farti
ridere! Speriamo di riuscirci sempre ^^ Per quanto riguarda Robbino
poi, mi spiace ma dovrete aspettare ancora per sapere che ci fa nel bagno del
bel ragazzotto inglese Byron **
ChiaraBella:Chiaraaaaa!!
** Non hai idea di quanto mi manchi!! Non mi va di risponderti qui, mi sembra
impersonale ç___ç Io con la mia coscienza ci voglio parlare come si deve! ^^ Lo
sai che forse forse msn è risorto? Dico forse però!
C’è il 50 per cento di possibilità che ci possiamo risentire a breve *__*
Speriamo, gemellina!! ^^
Lilyian: Mio Dio, addirittura le lacrime non me le
aspettavo! Mi fanno piacere però! Per il fermarmi, nooo..
non credo! ^^
Ancella79: Grazieee!! Ci sei sempre è vero! Non smettere
mai, mi raccomando, anche in ritardo mi va bene ma non smettere! ^^ Per il
bacio, ricambio ampiamente!
Non furono tanto le parole
che aveva pronunciato, no: quelle erano banali.
Il modo più semplice e
normale per presentarsi.
E infatti non era stato
quello a sconvolgermi.
A farmi impazzire il cuore,
che seriamente temevo potesse uscire dal petto e schizzargli in faccia a breve,
fu il modo in cui lo disse…
Il tono di voce, roco e
provocatorio.
Gli occhi azzurri, divertiti
e sinceri, fissi nei miei.
Il fiato, caldo e morbido,
sul mio collo.
Furono quelle le cose che
rischiarono di farmi morire lì, in quel bagno.
Schiusi le labbra, tentando
di articolare qualcosa di sensato, ma era difficile e la cosa mi stupì: da
quando in qua, io, non sapevo cosa dire?
Riuscii purtroppo ad attribuire
l’anomalia unicamente a quella paurosa vicinanza, così per quanto
inutile, cercai ancora di allontanarmi.
Con le spalle al muro però,
era alquanto improbabile che ci riuscissi.
Prendendo un bel respiro
perciò, mi decisi: allungai le braccia, poggiando le mani sul petto di Robert e
cercando di non pensare a niente, lo allontanai.
Una voce acuta, proveniente
da qualche angolo remoto della mia mente, iniziò a farsi sentire.
Erano urla quelle della
vocina: grida di biasimo miste ad imprecazioni.
Tutto perché contro ogni
logica stavo allontanando da me quello che, per quanto difficile da ammettere,
era davvero un figo da paura.
Sorrisi appena, pensando a
quello: un figo da paura… ecco, ora sembravo una tredicenne arrapata
pronta a farmi mordere! Ma che diavolo mi faceva quel surrogato di vampiro?!
No, no, no!
Assottigliai lo sguardo,
continuando a tenere le mani ben ferme sul suo torace.
Torace assolutamente
perfetto e… no, santo Dio, no!
- Giulia, piacere mio -
Avrei dovuto sentirmi compiaciuta:
in fondo ero riuscita a dire qualcosa e ci ero riuscita anche con un tono
abbastanza serio, per la miseria! Cosa per niente facile da farsi rinchiusa in
un bagno con i suoi occhi blu tutt’altro che rassicuranti fissi
nei tuoi!
- Giulia, lo sai che è un
bellissimo nome? -
Sì, sì, sì!
Dio, sì, fammi tua adesso!
Spalancai appena gli occhi,
non riuscendo neanche lontanamente a metabolizzare quel complimento: ma era
serio? L’aveva detto davvero?
Sì, l’aveva detto!
Signore, aiutami tu…
Non posso stuprarlo capisci?
Non sarebbe carino…
c’è mio padre dietro questa porta… e poi in bagno sarebbe alquanto
scomodo, capisci ? Non sarebbe carino…
- Tu! Tu, tu… tu sei
solo un attoruncolo che per caso ha fatto fortuna. Come ti permetti di dire
cose del genere? Chi ti credi di essere? -
Ancora una volta, a
dimostrare quanto la mia lingua ed il mio cervello siano totalmente
scoordinati, le parole uscirono dalla mia bocca senza alcuna autorizzazione.
Tutto, tranne affrontare le
conseguenze di quello che avevo appena detto.
Osservai con costruita aria
sprezzante il viso di Robert: passò dall’ammiccante alla sorpresa più
totale. Tutto si aspettava tranne che gli rispondessi in quel modo.
Non si era mai sentito
rivolgere a quel modo la parola, probabilmente.
Sorrisi, osservandolo con
aria di sfida.
C’è una prima volta
per tutto, tesoro mio.
- Giulia… hai un bel
caratterino, sai? -
Prendendomi in contropiede,
sorrise anche lui.
Un sorriso che mi fece
sicuramente perdere ben più di un anno di vita.
Avrebbero dovuto dichiararlo
illegale, quel sorriso.
- Chi mi credo di essere, mi
chiedi, eh? Ma ti dirò: non lo so, veramente. Quella che mi aspettavo di avere
davanti era una vacanza, riposante, rilassante… Poi, invece, meno di tre
giorni dopo il mio arrivo, arrivi anche tu -
Smisi di sorridere, non
capendo dove volesse andare a parare.
Lui si avvicinò di nuovo,
passandosi ancora una volta la mano fra i capelli.
Mi guardò con un espressione
che era un misto di irritazione e divertimento.
- Arrivi tu… E prima
Byron si alza alle tre del mattino, per venire a prendere te
all’aeroporto. Poi, inizi a monopolizzarlo, occupandogli tutto il tempo.
Alla fine, dulcis in fundo, irrompi in camera -
Arrossii, non volendo eppure
lo feci.
Perché in fondo era vero:
non aveva detto una sola bugia.
Non credevo di star facendo
niente di male, però.
A chi salterebbe mai in
mente che uno ti tiene fuori di camera sua perché ci nasconde un attore?!
- Mi hai costretto a
starmene nascosto qui, e come se non bastasse, ora mi costringi a starci anche
con te. Cioè, non è carino lo sai? –
La vergogna, rapidamente, si
trasformò in rabbia.
Mi aveva appena offesa, quel
pezzo di cretino! Se ne era almeno accorto?
Con gli occhi pronti ad
incenerirlo lo sospinsi ancora all’indietro, facendo in modo che fosse
lui a trovarsi spalle al muro.
Iniziai a pungolarlo con un
dito, picchiettando con l’indice sulla sua spalla.
Odiavo chi si comportava in
quel modo.
Non l’avrebbe passata
liscia.
- Vorresti dire che è tutta
colpa mia?! -
Lui fece per annuire,
serrando le labbra in un sorriso tirato.
- Ma come ti permetti?! Non
ero io a nascondermi! Come potevo saperlo, poi? Avresti avuto qualcosa di cui
incolparmi se, che so, avessi preso ad urlare come una pazza, correndo da tutte
le parti e dicendo a tutti dov’eri! Invece no, ho solo… -
Mi interruppe, divertito:
- Certo: non hai gridato e
non mi hai smascherato. Mi hai solo sbattuto una porta sul naso -
Strinsi gli occhi, sempre
più nervosa:
- Non te l’ho sbattuta
apposta, e non sono stata solo io! -
Robert fece spallucce, come
a far intendere che non era quello l’importante.
- Non hai niente di cui
rimproverarmi, surrogato di… -
- Non chiamarmi più così,
per favore: mi mette i brividi, non so perché. E comunque, ad essere sinceri, è
per colpa di tuo padre se ora ci ritroviamo qui –
Fui io a fare spallucce
questa volta. Non era colpa mia, punto.
- Sai che, Giugiu? -
Lo interruppi, inarcando
divertita le sopracciglia:
- Come mi hai chiamata? -
- Giugiu, non ti piace?
–
Non mi diede modo di
rispondere in alcun modo, continuando a parlare indifferente:
- Dicevo: non ho ancora
avuto modo di farmi la doccia. Non è una vergogna? -
Fissai gli occhi in quei due
vortici azzurri, non capendo il suo intento.
Fu lui, poco dopo, a
chiarirmi tutto.
- Me la faccio ora, se non
ti dispiace. Non è un problema, vero? -
Allibita, continuai a
fissarlo.
Scherzava.
Non c’erano altre
spiegazioni. Poteva solo essere uno scherzo.
- Non dirai sul serio -
Non avevo neanche finito di
parlare che lui si era già tolto la felpa con un movimento fluido.
Tornò a guardarmi, inarcando
un sopracciglio.
Sorrise ancora, alterando
definitamene il mio circolo cardiaco.
Cercai di non abbassare lo
sguardo, tentando di ignorare il fatto che fosse seminudo.
Non indossava più la felpa e
allora?
Dov’era il problema?
Non avrebbe continuato, ne
ero certa.
Sorrisi, come a fargli
capire che avevo scoperto il suo bluff.
Lui però, sorrise con me.
E prima che potessi
realizzare qualunque cosa, si stava sfilando i pantaloni.
*
Benissimo, ce
l’ho fatta alla fine! ^^
Vi spiego: sono
in una sottospecie di pseudo vacanza…
Qui però non
esiste Internet =D
Perciò, ve lo
dico con estrema afflizione, non so con che frequenza riuscirò ad aggiornare.
Dipende da quando
riuscirò a connettermi, anche solo per pochi minuti ^^
Spero, con tutto
il cuore, che questi possibili ritardi non vi facciano passare la voglia di
leggere!
Lui non rispose, continuando
semplicemente a spogliarsi.
In poco meno di dieci minuti
era rimasto con indosso solo i boxer.
Non era mia intenzione,
assolutamente non volevo, eppure tutta la mia attenzione era per quei boxer:
non erano niente di eccezionale, blu, intonati stavo pensando agli occhi che si
trovavano decisamente più in alto. Perché allora io fissavo le sue mutande?
Non è carino fissare le
mutande di qualcuno, mi ripetevo, soprattutto se questo qualcuno le tiene
ancora indosso. Non riuscivo a farne a meno, tuttavia.
Forse, mi ripetevo, è così
perché sono l’ultimo indumento che indossa.
Sì, doveva essere così: il
cretino si era spogliato, rimanendo in boxer. Io quindi gli fissavo i boxer per
evitare di perdermi con lo sguardo su parti decisamente più in vista come il
suo petto.
Era una spiegazione
ragionevole?
No, mi risposi, no che non
lo è! Tu gli stai fissando le mutande, santo Dio!
Ma è colpa sua, sua, sua!
E’ lui, pezzo di
deficiente, surrogato di vampiro che non è altro ad essersi spogliato quando
non doveva! Mica io mi sono spogliata?! No! Lui!
La colpa è sua, tutta,
tutta, sua!
Questo mi stavo ripetendo, a
mo’ di litania per bambini.
Avevo anche cominciato a
canticchiare quasi, sottovoce: sua, sua, solo tutta sua…
- Giugiu? Vuoi per caso
togliermeli tu? -
Sollevai di scatto gli
occhi, incontrando i suoi palesemente divertiti.
Cosa aveva detto?
Se volevo finire di
spogliarlo io?
Sentii il mio piccolo
neurone rimanere basito: non riusciva più nemmeno a respirare. Poi di colpo
prese un respiro lungo e potente e senza che me lo aspettassi cominciò a
gridare nella mia testa come un forsennato appena uscito dal manicomio e
ritrovatosi ad Euro Disney.
Cercai inutilmente di
zittirlo mentre con tutta la voce che aveva mi gridava di farlo.
Lo aveva chiesto lui in
fondo no?
Non bastava quello a
giustificare uno stupro?
Era stato lui, Robert
Pattinson, a chiedere a me, Giulia Montgery, di sfilargli gli slip.
E io lo avrei fatto, santo
Cielo!
Fu un caso se con la coda
dell’occhio notai la mia espressione assatanata riflessa nello specchio.
Dio, sembravo un cieco che
avesse appena rivisto la luce… ma ero messa così male?
Con disapprovazione mi dissi
di no, che non ero certo a quel livello.
Non gli sarei saltata
addosso, non di lì a tre secondi almeno.
Per miracolo ritornai
casualmente in possesso di quel po’ di facoltà mentali che mi vantavo di
avere: riconobbi subito un fondo di divertimento feroce negli occhi azzurri che
mi fissavano, così come il suo sorrisetto furbo non lasciava spazio
all’immaginazione.
Si prendeva gioco di me il
vampiretto?
Benissimo, avrebbe trovato
pane per i suoi denti.
- E se mi unissi a te,
invece? -
Con estrema goduria notai il
sorrisetto scomparire lentamente, mentre a difficoltà recepiva ciò che avevo
appena detto.
Sì, Robert, l’ho
proprio detto.
Aprì la bocca, dischiudendo
appena le labbra ma io, più veloce, mi avvicinai.
- Posso fare la doccia con
te? -
Era stato solo un sussurro
il mio, a mala pena udibile.
- O ti dispiace, forse? -
Era sbiancato.
Con mia somma goduria era
sbiancato.
Volevi giocare o no,
Pattinson?
Lui si allontanò di un
passo, allontanando le dita dalla molla dei suoi boxer.
Mi guardava in silenzio:
sembrava soppesare le mie parole, credendoci a stento.
Mi trattenevo a mala pena
dal ridergli in faccia, euforica per aver vinto quella partita: aveva voluto
bluffare con me. Benissimo, non aveva capito con chi aveva a che fare.
Sentii chiaramente
l’ombra di un sorriso cominciare a farsi strada sul mio viso.
Non ne ebbe il tempo, però.
Fu presto spazzato via.
Come se fosse passato un
vento gelido.
Un vento che era la voce di
Rob.
- Certo che non mi dispiace
-
Si era avvicinato di nuovo,
senza che me ne rendessi minimamente conto.
Era a meno di dieci
centimetri da me: il viso piegato verso il mio, gli occhi bloccati nei miei.
E, per tutti i santi, non mi
sembrava stesse scherzando.
Provai l’impulso
irrefrenabile di togliermi in un sol gesto la maglietta, buttandogli subito
dopo le braccia al collo per prendere e baciarlo.
Così.
Sull’onda del momento.
Eravamo entrambi
consenzienti, no?
Avvicinò ancor di più il
viso, arrivando quasi a sfiorarmi con il mento: notai quella rada barbetta,
incolta, che riuscì a farmi aumentare il battito cardiaco già impazzito.
Il profumo di una colonia
non ben identificata mi investì in pieno, facendomi mancare l’aria.
Dio, ma come diavolo ci
riusciva?
Era lui o semplicemente i
miei ormoni impazziti?
Forse era tutta colpa del
neurone… solo soletto poveretto non vedeva l’ora di cogliere
l’occasione.
Stava già impazzendo per
Byron, ma ora che si era trovato davanti quel figo di un vampiro… come
dargli torto, poverino? Era in crisi di astinenza da quasi tre mesi!
- Rettore, le assicuro che è
in bagno. Non si sentiva bene, poverina. Forse l’aereo -
La voce di Byron mi colpì in
pieno, con la violenza di un manrovescio assestato con convinzione.
Robert si allontanò di
scatto e io mi voltai verso la porta, sentendo che vi si era appena appoggiato.
Byron prese a battere i
pugni sul legno, cercando probabilmente di farsi ascoltare da me.
Forse si era già ripetuto
diverse volte, eppure per me era la prima volta che lo sentivo.
Dove ero stata prima?
In un mondo in cui il sole
erano le labbra di Rob, forse.
- Giulia! Esci, dai! Tuo
padre vuole salutarti! -
Sentii l’urgenza nella
voce di Byron e mi decisi a fare qualcosa: afferrai Robert per la spalla e lo
spinsi nel vano doccia. Lui mi guardò, inarcando un sopracciglio con
sufficienza.
Quando in risposta poggiai
un dito sulle labbra, facendogli segno di stare in silenzio, sorrise.
Con aria di sfida aprì
l’acqua della doccia, lasciandola scorrere divertito: mi bloccai per
qualche attimo, fissando con invidia le goccioline che lente percorrevano il
suo viso, scendendo poi lungo il collo, fino al torace.
Riuscii, non so come, a
smettere di fissarlo.
Con passo sicuro mi diressi
alla porta: all’ultimo momento feci un passo indietro, sorridendo a Rob.
Lui non capì il perché del
mio sorriso e mi guardò incerto.
Sempre sorridendo, tirai lo
scarico del water.
Mentre aprivo la porta
sentii chiaramente il grido soffocato proveniente dal vano doccia.
Se lo era meritato, brutto
fedifrago!
Sollevai lo sguardo,
chiudendomi la porta alle spalle ed incontrai subito quello di papà: meno di un
secondo dopo mi ritrovai stretta fra le sue braccia.
- Giu! Non hai idea di come
sono felice di vederti! Com’è andato il viaggio? E’ stato
l’aereo a farti stare male? Hai una brutta cera, in effetti… non
preoccuparti ci penserà Byron a rimetterti in sesto, non è vero? -
Mi lasciò appena
appena, giusto quel tanto per farmi respirare.
Con la coda
dell’occhio intravidi Byron adagiato sul letto: aveva un’aria
esausta e mi osservava con un pizzico di incredulità. Nonostante tutto, sorrise
subito, rispondendo prontamente:
- Naturalmente, rettore! Non
si deve preoccupare: l’ha affidata in buone mani! -
Papà annuì, dandomi un bacio
sulla fronte e guardando l’orologio d’oro che teneva al polso.
Sorridendo gli indicai con
il capo la porta:
- Puoi anche andare, ora.
Non sparisco di certo. Ci rivediamo entro domani, sai? -
Lui si passò una mano fra i
capelli brizzolati, guardandomi divertito:
- Certo che ci rivediamo,
non hai di che dubitarne. Ora però devo scappare. Fate i bravi, mi raccomando.
E la prossima volta che ti chiamo, cerca di venire, Giulia -
Annuii, osservandolo mentre
spariva nel corridoio.
Quando risposi, lo feci più
che altro a me stessa:
- Ci proverò -
Mi girai, eliminando
rapidamente la punta di risentimento che mi era nata nello sguardo.
Byron si era alzato,
piantandosi i pugni sui fianchi con aria bellicosa.
Quando parlò lo fece con
voce vibrante: si espresse al plurale, sicuro che a sentirlo non sarei stata
solamente io.
- Si può sapere cosa diavolo
combinavate?! -
*
Salve ! ^^
Tanto per cominciare, buon luglio a tutti! E
con questo è inteso anche buone vacanza, buon bagno, buon sole e tutti gli
annessi e connessi!
Mi sembra, sempre che non sbaglio (colpa
del sole) di avervi già parlato del mio confinamento in un paesino sperduto…
Ora come ora, sono ancora lì!
Non andate in ansia per me =D è oltremodo
divertente ritrovarsi a socializzare con quelli del luogo, stando qui però c’è
un lato oscuro della medaglia…
Niente Internet.
Niente connessione sta a significare niente
efp e quindi niente aggiornamenti.
E’ orrendo quello che vi sto facendo
lo so, proprio per questo avendo a disposizione solo pochi minuti mi sono
premurata di aggiornarvi almeno di un capitolo tutte le storie.
Per chi ne segue più di una, spero di aver
fatto bene, di non aver deluso nessuno.
E per chi ne segue solo una in particolare,
bè non so che dire: io di più non posso fare in questo momento… perché
non fate un azzardo allora e finito il capitolo non ne provate qualcun'altra di
storia? C’è la ben remota possibilità che vi vada a genio ^^
Lasciandovi, posso solo assicurarvi che
appena ho un minuto libero lo passo scrivendo.
Mi passai una mano dietro la testa, pensando a quella
domanda.
Bene, da dove cominciare ?
Sorrisi appena, sperando di
riuscire in qualche modo ad intaccare l’espressione furiosa di Byron.
Non ci riuscii. Neanche un
po’.
Il sorriso mi morì sulle
labbra e quando la porta del bagno si aprì lentamente, lasciando intravedere la
figura di un Robert in boxer, fradicio e titubante, non feci altro che puntare
il dito.
Lo puntai su di lui.
- E’ stata colpa sua!
-
- Cosa ? Mia ? Ma scherziamo
? –
- Lui ha cominciato a
spogliarsi! –
- E lei voleva unirsi a me!
–
- Ma ha cominciato lui!
–
- E lei ha tirato lo
sciacquone! –
- Ma lui aveva aperto
l’acqua! –
Byron aveva seguito i nostri
scambi di battute incredulo, spostando lo sguardo dall’uno
all’altro di volta in volta. Alla fine era crollato di nuovo sul letto,
scuotendo la testa.
Con un fischio portentoso ci
zittì entrambi.
- No. Fatemi capire. Con
calma. Fermatemi se sbaglio -
Annuii, fissando lo sguardo
su di lui.
Era stata un’ardua
impresa smettere di guardare Robert. Era, in quel momento più che mai, una
cosiddetta caramella per gli occhi: con tutte quelle goccioline che lo
percorrevano in lungo e in largo, i boxer aderenti come una seconda pelle e lo
sguardo nervoso ed irritato.
Benché molto probabilmente
era con me che ce l’aveva, non me ne importava.
In quel momento avrei voluto
solo essere il suo accappatoio.
Solo a quello riuscivo a
pensare.
- Vi ho rinchiusi assieme in
bagno e a voi, naturalmente, la prima cosa che vi viene in mente di fare è una
doccia assieme ?! Ma cosa diamine vi dice il cervello ? -
Sorrisi appena, scrollando
le spalle.
Lanciai un’occhiata a
Robert, come per chiedergli il permesso di parlare: lui annuì abbassando lo
sguardo ed agitando piano un piede.
- Byron… non te la
prendere dai. Non è andata proprio così: cioè, lui se la voleva fare. Ha preso
sì a spogliarsi, ma bluffava te lo assicuro -
Robert accennò ad un
mormorio di approvazione. Quando parlò lo fece con voce bassa:
- Sì, e non appena lei lo ha
capito, giustamente, mi ha chiesto se poteva unirsi a me -
C’era un fondo
considerevole di sarcasmo nella sua voce: fu quello a spingermi a continuare,
interrompendolo, con un pizzico non indifferente di malizia.
- E’ stato più o meno
a quel punto che tu, molto garbatamente, hai cominciato a tempestare la porta
con pugni disperati. Per avvalorare la tesi del malore poi, ho tirato lo
sciacquone… -
- Ma che bugiarda! Lo ha
fatto solo perché io mi ero messo sotto il getto dell’acqua. E’ un
demonio, Byron. Mi è quasi venuto un infarto tanto l’acqua era gelida! Un
demonio, te lo dico io –
Con sorpresa vidi le labbra
di Byron tendere leggermente verso l’alto.
Era un sorriso ?
Sbuffò, prendendo subito
dopo un respiro profondo:
- Lo so che è un demonio,
Rob. L’ho capito molto prima di te. Cosa ci vuoi fare ? -
Feci per ribattere ma
un’ombra oscurò il sorriso del biondino che riprese a parlare:
- Non ce l’avevo con
voi per quello che avete fatto in bagno, ragazzi. Potevate anche esservi uniti
in modo molto religioso nei pressi del lavandino per quanto mi riguarda. Il
fatto è che mentre voi vi divertivate in modo molto casto, io me ne stavo qui
con il rettore che non aveva idea di dove fosse la figlia. E la figlia, tu Giulia
se per caso lo avessi dimenticato, l’aveva metaforicamente affidata alla
mia supervisione. Che gli dovevo dire, ma non si preoccupi è nelle sicure mani
di un attore sull’onda del successo ? Roba da matti! -
Prese di nuovo un bel
respiro, prima di continuare il discorso, più stanco di prima:
- Stavo per mettermi a
gridare dopo aver ripetuto per l’ennesima volta che eri in bagno. Cioè se
eri in bagno saresti dovuta uscire, no ? E invece tu nemmeno mi sentivi…
che razza di situazione -
Sorrisi, tuffandomi fra le
sue braccia e scoccandogli un bacetto sulla guancia.
Byron ridacchiò, puntò gli
occhi nei miei e capii che mi aveva già perdonato dentro di sé.
Doveva dolo ammetterlo.
- Scusa, Byron. Scusa,
scusa, scusa! Davvero, non volevo. Pensa che ora è tutto a posto, no? Sorridi
dai. Sei ancora arrabbiato o mi hai perdonato? -
Byron si passò una mano fra
i capelli, fingendo un broncio che aveva perso di credulità.
Gli regalai un altro bacio,
più dolce del primo e sentii le sue difese cadere.
- Perdonata -
Gli scompigliai i capelli
con una mano e sospirai.
Grazie al cielo.
- Ma che brava, complimenti.
Ti fai infinocchiare così, Byron? Ha talento la ragazza, ma ti credevo più
forte. Hai ceduto troppo alla svelta, amico -
Mi voltai, in contemporanea
di Byron, verso Robert: se ne stava appoggiato al muro, mentre si frizionava i
capelli con un asciugamani, e sorrideva.
Guardava l’amico e
scuoteva la testa.
Byron non fu da meno, però.
Con gentilezza mi scostò,
avvicinandosi a Robert e strappandogli l’asciugamani di mano.
Prese a farla roteare per
aria, sotto lo sguardo divertito dell’amico:
- Io avrei ceduto troppo
alla svelta, Rob? Ma senti chi parla! E tu? Che fine ha fatto il timido
ragazzotto inglese che conoscevo, quello che non la guardava nemmeno negli
occhi una ragazza?! Da quando in qua tu prendi l’iniziativa? -
- Che iniziativa? –
- Che iniziativa? Quella di
spogliarti per fare la doccia! –
Robert scrollò le spalle,
come a dire che era una cosa da niente. Byron a quel punto smise di far roteare
l’asciugamani e, come fosse una frusta, l’abbatté sulla spalla
dell’altro.
- Ahio! Brutto figlio
di… -
Robert aveva afferrato il
pezzo di stoffa al volo, reimpossessandone.
Io li guardavo con tanto
d’occhi.
Era uno spettacolo
mozzafiato.
Il sogno di ogni donna,
probabilmente.
Con rammarico, tanto mio
quanto del neurone, sentii la mia voce che di propria iniziativa, senza alcuna
mia approvazione, fermava il loro bonario litigio.
Si bloccarono entrambi, con
un filo di fiatone, guardandomi senza capire.
C’era aspettativa e
curiosità in quello sguardo.
Decisi di non farli
attendere troppo.
- Una cosa ancora non me
l’avete spiegata in tutta questa storia -
Incrociai le braccia al
petto e presi posto sul letto.
Ci avevo
messo il soggetto, il complemento e perfino il verbo.
Non era
di dubbia interpretazione, non era in arabo, non era a trabocchetto.
Era una domanda.
Semplice, coincisa ed ovvia. Dovevano aspettarsela. Ma niente.
Sembrava
avessi chiesto loro il sacro Graal.
Erano
passati quasi dieci minuti, in cui il silenzio e la tensione si sarebbero
potuti tagliare con un coltello.
Avevo
gironzolato per la stanza, frugato nell’armadio di Byron, curiosato nel
suo zaino.
Mi ero
pettinata i capelli e lavata i denti con il suo spazzolino rosso.
Nel
mentre, loro non si erano mossi. Iniziavo a dubitare del fatto che
respirassero.
Mi
accasciai sul letto, sfinita, guardandoli con nervosismo.
- Stiamo
giocando alle belle statuine? – chiesi, sarcastica ed inviperita.
Loro non
reagirono, completamente indifferenti.
Senza
volere il mio sguardo si posò ancora una volta sul corpo
dell’attoruncolo. Non c’erano più goccioline d’acqua. Si
erano stancate persino loro di aspettare.
Indugiai
per un po’ sugli addominali appena scolpiti e quando gli occhi stavano
per scendere sotto la linea dei boxer mi risvegliai.
Così non
andava. No, no, no! Ma cosa diavolo… ?
In un
eccesso di rabbia afferrai il primo libro che mi capitò sotto mano e lo lanciai
in direzione di Byron. Lo colpii sulla spalla. Lui istintivamente portò
l’altra mano sulla zona lesa.
-
Porca… mi hai fatto male, Giulia! – biascicò, girandosi verso di
me.
Io
scattai su, fulminandolo con lo sguardo.
- Ti ho
fatto male? Oh, perdonami, non intendevo mica! E’ un piacere
incommensurato stare qui a guardarvi mentre entrate in letargo. –
sbottai, sfogandomi con lui che non aveva colpe.
- Non
intendevo… -
- Cosa non
intendevi? Farmi sospettare che forse non vi va di rispondermi? –
Byron
sospirò, scuotendo Robert che nel frattempo sembrava essersi appisolato.
- Non è
facile, capisci? E’ complicato da spiegare – balbettò, guardando
l’altro per avere aiuto.
- Ma poi
che te ne importa? – se ne uscì Robert, roteando gli occhi.
Feci per
dire qualcosa ma lui mi interruppe, lasciandosi scivolare lungo il muro fino a
sedersi sul tappeto, le braccia conserte e gli occhi fissi nei miei.
- No, ti
prego. Non sputare altro vetriolo, non ce n’è bisogno -
Si voltò
verso Byron, lo sguardo da cucciolo bastonato.
- Glielo
spieghi tu? – chiese, rassegnato.
-
Sicuro? –
- Certo.
Così poi c’è la possibilità che finalmente ce ne liberiamo –
mormorò, speranzoso.
Byron
sorrise, conscio del fatto che non avrei preso la porta tanto alla svelta.
- Non
sono un pacco postale, vampiruncolo – soffiai fra i denti.
- Me ne
sono accorto, purtroppo – ribattè lui, guardandomi di sbieco.
Byron
tossicchiò, divertito.
-
Tregua, ragazzi – ci rabbonì, andando a sedersi alla scrivania.
Guardai
Robert con aria di sfida e lui fece spallucce, reclinando la testa
all’indietro.
-
Allora? – chiesi, tornando a prestare attenzione a Byron.
Lui
sospirò.
-
Allora, niente. Lo ospito per una quindicina di giorni, prima che debba tornare
a lavoro -
Sorrisi,
sadica.
- E
credi che mi accontenti di questa spiegazione? -
-
Cos’ha che non va? E’ la verità. Rob ha qualche giorno libero e sta
da me –
- Non
basta –
Byron mi
guardava con espressione angelica, stava anche per allargare le mani quando
ripresi:
- Non è
povero, Byron. E nemmeno scemo, posso supporre -
-
Grazie, non dovevi – si intromise Robert, sarcastico. Lo ignorai.
- Perché
qui? Perché in un college, quando può permettersi di meglio? Perché in un
college dove non ha nemmeno una camera… senza letto, costretto a
nascondersi nella stanza di un presunto amico, da cui può uscire solo di notte,
vestito neanche dovesse rapinare una banca?! –
Robert
ridacchiava, guardando Byron con pietà.
- Primo:
non sono presunto. Siamo amici da sempre, Giulia. E quest’informazione
dovrebbe bastarti. E’ qui perché voleva stare con me -
Scossi
la testa, sorridendo.
- No,
non regge – risposi.
Lui
sgranò gli occhi, aspettando che continuassi.
- A
parte il fatto che da come l’hai messa potrei anche tornare a sospettare
la relazione omosessuale, ma poi, non spiega ancora perché si nasconde da te.
Ha i soldi per, che dico affittare, per comprare una qualunque casa di questa
città. Non sarebbe stato più comodo? -
Lo guardai
soddisfatta, mentre apriva la bocca per poi richiuderla, senza che niente vi
uscisse.
La voce
che alla fine sentii, apparteneva a Robert.
-
Smettetela di parlare di me come se non ci fossi, santo Dio! E stringete, per
cortesia. Byron, diglielo, tanto che può succedere? Si farà due risate ma
almeno io poi potrò tornare a letto. Sto morendo di sonno, che diamine… -
Byron
sospirò, scuotendo la testa.
- Se la
metti così, diglielo tu -
- No,
tocca a te –
- No
–
- Sì
–
- No,
devi farlo tu –
- Ti
dico di no –
Chiusi
gli occhi, prendendo un bel respiro.
- Ora mi
metto a urlare – minacciai, il tono pacato.
Loro si
zittirono, continuando il battibecco fra di loro solo con gli occhi.
Alla
fine vinse Byron, lasciando la parola a Robert.
- E va
bene, ma sarò veloce. Come fosse un cerotto – borbottò, guardandomi
appena.
Prese un
bel respiro e continuò:
- Mi
nascondo perché Nicole non mi trovi – sfiatò, quasi soddisfatto.
Io
aggrottai le sopracciglia, guardandolo truce.
- Eh,
vada anche per la sintesi, ma così è troppo! Chi è Nicole, adesso? -
- Una
che mi vuole violentare – piagnucolò, affranto.
Sgranai
gli occhi, indecisa se scoppiare a ridere o meno.
- Ti
vuole… violentare? – chiesi, tentennando.
- Sì,
che tu ci creda o no! E l’unico modo per non farmi trovare era venire qui
– si accalorò lui – ho dovuto chiedere asilo politico a Byron,
tanto ero nei guai –
Presi
diversi respiri, reprimendo la ridarella.
- Fammi
capire, bene. C’è una ragazza, non ben identificata… -
- Altro
che non identificata – mi interruppe lui – E’ qualcosa come
una lontana cugina di Kristen, me l’ha presentata lei –
- Va
bene. E questa lontana cugina è più che intenzionata a sverginarti, se ho
capito bene? –
Lui
annuì, senza un briciolo di sarcasmo.
- Non
riuscivo più a liberarmene. E nessuno mi credeva -
- Tranne
io – si intromise Byron, ridacchiando.
Si voltò
verso di me, gli occhi che brillavano.
- Ero al
telefono con lui una sera e a un certo punto sento una voce che fa “ Robby… Roob … Robertuccio…”
ti giuro, mi sembrava la bambola assassina! Robert inizia a spergiurare a
destra e a manca mentre questa gli si avvolge attorno, cominciando a ricoprirlo
di baci -
Se anche
avesse voluto continuare, l’eccesso di risa convulse glielo impedì
drasticamente.
- Tu
scherzi… per me era peggio di un film horror – mugugnò Robert, gli
occhi chiusi.
Pian
piano però aprì gli occhi, fissando sconsolato Byron. Vedendo che non accennava
a smettere di ridere sospirò, scuotendo la testa.
- Spero
ti strozzi – mormorò, facendosi scappare un sorriso.
Byron si
interruppe un attimo, il corpo ancora scosso dai singulti, per poi riprendere a
ridere più forte di prima. Robert alzò gli occhi al cielo, cercando inutilmente
di trattenersi dall’imitarlo.
Fu un
attimo e anche lui cedette alle risa.
Io li
guardai, sconquassati e piegati in due dal troppo ridere.
Che
avessi finalmente trovato qualcuno più pazzo di me?
Sorrisi,
piegando le gambe contro il petto. Mi sentivo bene, in pace, come non mi
capitava da tanto.
Ed era
merito loro.
Dei loro
visi, delle loro risate. Con la loro amicizia e le loro folli storie.
Iniziai
a chiedermi per quanto ancora sarebbero riusciti a ridere senza prendere fiato,
quando si interruppero di colpo, le espressioni preoccupate.
Mi
guardai attorno, cercando di capire cosa fosse successo, e lo sentii.
Un
trillo acuto e prolungato.
Aveva un
che di familiare ma non riuscivo ad identificarlo.
Allarme
antincendio? Alla si salvi chi può?
- Cazzo!
Cazzo! Ma che cazzo di ore sono?! -
Mi girai
di scatto verso Byron che era saltato in piedi, l’espressione stralunata.
E capii.
La
campanella.
Porca…
-
E’ dannatamente tardi! Ma che cazzo! E sono sempre in ritardo! –
strillò, afferrando di slancio la borsa a tracolla e la giacca.
-
Giulia! Muoviti, dobbiamo assolutamente andare! – trillò, avvicinandosi già
alla porta.
Io
guardai lui, libri alla mano e poi Robert, che già pregustava l’idea di
tornare a letto.
Devo
dire che la scelta non era difficile.
- Non
vengo, Byron – mormorai, stiracchiandomi ed abbracciando il cuscino.
- Cosa?!
–
Lo
avevano gridato in contemporanea.
Spaventati
entrambi dalle mie parole, neanche avessi annunciato di voler dar fuoco
all’istituto.
- Ho
detto che non vengo – ripetei, paziente.
- Ma non
puoi! – sbottò, Byron, quasi nello stesso momento in cui Robert
esclamava:
- Non se
ne parla neanche! –
Sospirai,
sbattendo le ciglia verso di loro.
- Una
volta tanto approfitterò del fatto di essere la figlia del rettore per saltare
le lezioni -
Mi
fissarono, sconcertati.
- Lo
puoi fare? – mi chiese il biondo, tentennando.
- Certo.
Basta che non lo venga a sapere papà – risposi, divertita.
Byron
scosse la testa, non sapendo più che dire.
Robert
mugugnò, coprendosi la faccia con le mani.
- Io non
so più che fare con te! -
- Non
devi fare niente, Byron. Va tranquillo a lezione, ci vediamo dopo –
- Non
posso! Non posso lasciarti qui! – sibilò, l’espressione truce.
Annuii,
indicandogli la porta.
- Sì che
puoi. E ricordati che sei in ritardo – cantilenai, indolente.
Vidi un
lampo di paura passare nei suoi occhi, poi uno di sollievo mentre prendeva a
sorridere.
- Okay,
- mormorò, aprendo la porta.
-
L’affido a te, Robert! – trillò, uscendo in un lampo e chiudendosi
la porta alle spalle.
Osservai
come niente fosse Robert che si alzava di scatto, cercando di bloccarlo.
- Cosa?!
Non puoi, Byr… -
Si
interruppe, accorgendosi di star parlando con una porta chiusa.
Lentamente,
quasi al rallentatore, si girò verso di me.
Incontrai
la sua espressione affranta e terrorizzata, e risposi al tutto con un sorriso a
trentadue denti:
- Mi
porti a fare un giro in città? -
*
Scusate se vi ho fatto
aspettare, ma iniziavo ad avere dubbi su questa storia ^^
Mi dicevo, la continuo,
non la continuo… alla “mi ama, non m’ama” =D
Poi ho riletto le
recensioni allo scorso capitolo e mi sono ricreduta, dovevo continuarla! *_*
Come farei senza di
voi??
Grazie di cuore a
tutte, a chi legge, e soprattutto, a chi commenta!
Grazie davvero!
Alla prossima,
Sara
Risposte alle recensioni
uley:
ciao! Ma
lo sai che le tue recensioni mi fanno morire? ^^ Sono bellissime, davvero! Se
vuoi, cercherò di farlo arrivare anche in camera tua il surrogato di vampiro,
una volta di queste ;-E per le
supposizioni… aspetta ancora un po’ e vedrai! xD
Saruxxa:
Ma lo
volete tutte in camera, questa sottospecie di vampiro, eh? ^^ Mi fa piacere ti
divertano quando litigano, lo faranno ancora molto non temere :DCercherò di non farli mai arrivare a usare le
mani, però ^^
CinziaBella1987:
Ciao! Mio
Dio, quanti complimenti! Mi hai fatto diventare rossissima, lo sai? Sei
assolutamente troppo buona! ^^ Non ti biasimo certo per l’insana
adorazione per il vampiruncolo e per Byron (da quel punto di vista, ahimè, sto
messa peggio di te xD)… non puoi però dirmi che scrivo corretto! E ancor
meno che ti metto in crisi! Ogni volta che rileggo qualcosa di mio, mi vien
voglia di cancellare tutto! Mi hai incuriosita però, appena posso faccio un
salto a vedere cosa scrivi **Grazie
ancora, Cinzia, di tutto!
_Miss_:
Va meglio
come vi ho lasciati questa volta? ^^ Spero ti sia piaciuto il capitolo, in caso
contrario, non esitare a dirlo! **
Cris87_loves_Rob:
Ce
l’ho fatta alla fine! E non vi ho fatto penare, visto? ^^ Sono sempre
loro, più pazzi, folli e fuori di testa che mai… continuano a farti
sorridere o non lo sopporti già più? =D