Mai bruciare i libri! Le guerriere Sailor alle prese con due universitari

di skeight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***


Chiamatemi Angel. Nella vita di un uomo ci sono occasioni che il volgo suole definire irripetibili, e in siffatte circostanze il volgo si dimostra ben poco volgare, perché è difficile trovare un termine migliore di questo per indicare il meraviglioso concorrere di coincidenze grazie al quale i sogni della nostra vita, che pensavamo irrealizzabili, diventano all’improvviso accessibili, a portata di mano, purché ci sia il coraggio e la destrezza nel coglierli.

Proprio questo mi è accaduto, alcuni mesi fa. Sono uno studente di Sociologia presso l’Università di Madrid, e per quanto il mio futuro ambito professionale sia lo sviluppo urbano dei servizi sociali, la mia passione sin dalla più tenera infanzia è stato il Giappone: anime, manga, film kaiju, j-pop, e più tardi il teatro nō e kabuki, Banana Yoshimoto, e Yukio Mishima, passando per Haruki Murakami… tutte le espressioni culturali del Sol Levante mi hanno sempre rapito l’anima, al punto che, da quando ho scoperto l’esistenza degli aerei (all’età di sette anni circa) il mio desiderio maggiore è sempre stato quello di recarmi in Giappone per una lunga permanenza.

Alas! Sembrava un pio desiderio: per quanto non povera, la mia famiglia non aveva i mezzi per pagare il viaggio in un paese tanto bello quanto caro, né, una volta diventato studente, ho trovato lavori tali da poter finanziare il mio sogno; la recente crisi economica, dopo anni di crescita gonfiata, ha fatto il resto, tarpando le ali alle mie speranze di autonomia finanziaria, condizione indispensabile per qualsivoglia viaggio di piacere. Ero ormai rassegnato a guardare il Giappone solo attraverso il filtro della tv e di internet quando un professore – che loderò sino alla morte (la sua, ovviamente) – mi venne in soccorso ventilandomi una possibilità che avevo ignorato: il progetto Overseas, per compiere un semestre di studi universitari in un paese extraeuropeo. Tra le università che partecipavano c’era anche la Waseda di Tokyo, una prestigiosa università privata. Poche erano le borse di studio disponibili, ma partivo avvantaggiato dalla conoscenza della lingua: il mio amore per il Giappone è tale, infatti, che sin dalle scuole superiori ho iniziato a studiare il giapponese, e lo parlo abbastanza bene per essere un occidentale. Insomma, sta di fatto che riuscii ad ottenere la borsa di studio, una bella somma, certo non sufficiente a mantenermi per sei mesi, ma è proprio vero che la fortuna aiuta gli audaci: lo stesso professore che mi aveva segnalato l’Overseas era già stato più volte in Giappone (da quel che ho capito ha la mia stessa passione, ed è anche per questo, oltre che perché ho passato a pieni voti la sua materia, che ha deciso di aiutarmi) e aveva conosciuto un giovane ricercatore della Waseda, a cui aveva scritto del mio arrivo. Ebbene, costui – tale Shinsuke Kobayashi – si è offerto di ospitarmi a casa sua per tutto il periodo della mia permanenza. Tolti i costi dell’alloggio, la borsa di studio era sufficiente per vivere abbastanza decentemente per sei mesi.

Potete immaginare la mia gioia di quei giorni. Sembrava che ogni cosa al mondo avesse cospirato per permettermi di realizzare il mio sogno, ed ecco che finalmente mi si aprivano le porte dell’Estremo Oriente. Quello che ignoravo era che, nel corso del mio viaggio, avrei fatto esperienze ancora più straordinarie di quelle che mi aspettavo.

 

Non avevo ancora sperimentato appieno la gentilezza di Shinsuke Kobayashi: si era offerto addirittura di venirmi a prendere all’aeroporto, e, sebbene riluttante ad abusare della sua cortesia, accettai con piacere, se non altro perché almeno il primo giorno avrei avuto bisogno di tutto l’aiuto necessario per orientarmi a Tokyo.

Così, quando il mio aereo atterrò ed uscii dall’area Arrivi, mi trovai di fronte ad un giovane alto e smilzo che sventolava un cartello con il mio nome (con due errori di scrittura nel cognome, per la cronaca). Lo raggiunsi, mi presentai, ci stringemmo la mano.

“Felice di conoscerti” disse “Spero che ti troverai bene qui in Giappone.”

“Ne sono sicuro” risposi “E non ti potrò mai ringraziare abbastanza per l’ospitalità.”

“Nessun problema, per me è un piacere. Ma” soggiunse guardando con aria preoccupata la mia valigia, una imponente Cosmolite Spinner “sicuro di dover portare tutto quel bagaglio?”

Rimasi perplesso per qualche istante: per stare sei mesi in un paese straniero, mi sembrava addirittura di essere venuto con poca roba.

“Be’, sì” risposi infine “C’è qualche problema?”

“No, no, figurati. È solo che… vabbe’ dai, ne parleremo a tempo debito. Andiamo, ora.”

Lì per lì non capii il motivo di quella riluttanza, ma mi fu chiaro poco dopo. “A tempo debito”, infatti, voleva dire una volta raggiunta l’automobile di Shinsuke nel parcheggio dell’aeroporto. Gli chiesi di aprire il cofano per metterci la valigia, e anche lì sembro recalcitrante.

“Non so se è il metodo migliore…” disse.

“E come devo portarla, tenendola dal finestrino?” obiettai, un po’ spazientito. Ospitarmi per un semestre e fare obiezioni per una valigia mi sembrava un po’ contraddittorio.

Alla fine Shinsuke si decise ad aprire il cofano. Mi avvicinai, e rimasi paralizzato, mentre il mio ospite sembrava rimpicciolirsi per la vergogna: il vano dell’auto era completamente pieno di libri di tutte le dimensioni, al punto che non c’era spazio nemmeno per metterci uno zainetto, figuriamoci la mia valigia.

“Sai com’è” disse Shinsuke, rosso d’imbarazzo “Sono un collezionista di libri, questi li ho ordinati e mi sono arrivati da poco” (da più di sei mesi, scoprii in seguito) “e non ho ancora avuto il tempo di portarli su in casa…

Io ero senza parole. Con un sospiro, mi avvicinai agli sportelli, per cercare di posizionare la valigia sui sedili posteriori, ma mi accorsi che anche quelli erano stracolmi di tomi, e libri erano anche sul sedile anteriore dove avrei dovuto sedermi io, e persino su quello dell’autista. A momenti c’erano più libri lì dentro che nella biblioteca comunale di Alcantara. Shinsuke aveva la faccia di chi voleva morire sul posto.

“Sono mortificato” disse “Mi sono reso conto del problema solo mentre arrivavo in aeroporto, ma era un po’ tardi per tornare indietro…

Riflessi veloci eh, pensai, ma non lo dissi. Mi limitai a mormorare “Sì, ma ora dove la metto la valigia?”

“Proviamo a legarla sul tettuccio” disse Shinsuke, chinandosi a frugare sotto il sedile dell’autista e tirandone fuori una corda di nylon che sembrava aver fatto la guerra di Corea.

Legammo alla bell’e meglio la valigia, e ripartimmo con qualche sbandata, a causa del peso eccessivo di noi, del bagaglio e dei libri. Mentre avanzamo a stento per le trafficatissime strade di Tokyo, pensavo che la coabitazione con Shinsuke non sarebbe stata quel che si dice una passeggiata.

 

Le settimane successive confermarono in parte le mie previsioni, ma non nel senso negativo che temevo. Shinsuke si dimostrò certamente un individuo piuttosto svampito e con il senso pratico di un filosofo di corte del Seicento, ma compensava questo difetto con una grande disponibilità e simpatia.

Aveva un dottorato di ricerca in sociologia, e contemporaneamente insegnava scienze sociali come supplente presso l’istituto superiore privato Kisshō; quei due impegni lo tenevano lontano da casa per buona parte della giornata, e questo spiegava come mai non si facesse problemi ad ospitare altre persone, tanto non le vedeva quasi mai. Tuttavia, quando ci trovavamo nel suo appartamento negli stessi orari, insorgevano delle difficoltà, soprattutto perché il suo appartamento era un monolocale che bastava a malapena per uno, e fu difficile adattarlo ad una convivenza di medio periodo. Un problema non secondario era che un buon terzo della cubatura complessiva dell’immobile era occupato dai suoi stramaledetti libri, e giuro che se mi avessero detto che un giorno sarei arrivato a preferire gli e-book al formato cartaceo avrei reagito con una risata, e invece è successo.

Il collezionismo era per Shinsuke quello che il Giappone era per me, ma lui coltivava la sua passione in maniera molto più ossessiva: ordinava libri che non sapeva dove mettere usando, per pagarli, stipendi che ancora doveva ricevere, e quando aveva tempo e soldi a sufficienza si avventurava in viaggi in Cina, Europa e Stati Uniti al solo scopo di cercare opere introvabili in Giappone. Frugando tra i suoi tomi – un’attività pericolosissima, se cadeva una pila di libri si rischiava di morire schiacciati – trovai anche testi scritti in lingue che lui, per sua stessa ammissione, non conosceva (parlava bene l’inglese e un po’ di tedesco e francese, ma per le altre era negato). Insomma, era come se quando si dedicava al collezionismo mettesse da parte la razionalità che gli era invece necessaria per i suoi lavori ufficiali. Chissà, magari è anche un modo intelligente di vivere; ma per chi viveva vicino a lui non era proprio il massimo, e non a caso era single.

 

Comunque, eravamo abbastanza affiatati come coinquilini, e l’amicizia tra noi fiorì come gli alberi di ciliegio nelle primavere nipponiche. Lui mi dava consigli su come comportarmi all’università, dove vigevano codici di comportamento ben diversi da quelli spagnoli, e io gli traducevo in giapponese le quarte di copertina dei suoi libri in castigliano.

Un giorno capitò che, causa l’assenza di un mio professore, avevo un’intera giornata libera. Quando lo dissi a Shinsuke, lui mi propose di seguirlo alla scuola privata dove insegnava.

“Ma è possibile?” chiesi.

“Di solito non fanno entrare chiunque, ma se vieni con me non ci sarà problema. Io non ti potrò accompagnare in giro perché devo insegnare, ma tu puoi benissimo fare quel che vuoi, e se qualcuno ti chiede chi sei ignoralo, ché tanto non succederà niente.”

“Non mi sembra una strategia lungimirante…

“Stai tranquillo, se non dai fastidio non ti dirà niente nessuno. Del resto quando ti ricapiterà di visitare una classica scuola come quelle descritte nei manga? Fossi in te non mi lascerei sfuggire l’occasione.”

Aveva ragione, ed accettai. Mai decisione aprì scenari più imprevedibili.

 

L’istituto Kisshō era una scuola privata molto rinomata, stando a quanto mi disse Shinsuke, e di certo le dimensioni dell’edificio e del cortile sembravano confermare quelle opinioni. Non posso negare di aver provato una certa emozione nel varcare il portone di ingresso e ritrovarmi all’improvviso tra studenti e studentesse con le classiche divise giapponesi.

Accompagnai Shinsuke sino alla porta della sua classe, dopo di che lo lascia al lavoro e iniziai a bighellonare per i corridoi, sbirciando dentro le aule. Non potevo certo andare avanti così per tutta la mattinata, così pensai di tornare verso l’ingresso e cercare i laboratori informatici, se c’erano, e mi avviai verso le scale; ma, mentre stavo per girare l’angolo di un corridoio, sentii una voce femminile in avvicinamento:

“Oh, no, sono di nuovo in ritardooooo!”

Prima che potessi realizzare quello che stava accadendo, una studentessa apparve e mi si schiantò contro, e cademmo entrambi a terra, io semischiacciato dal peso della sconosciuto e dalla massa dei suoi capelli biondi che mi era finita in faccia, ostruendomi le vie respiratorie.

La giovine si rialzò gridando “Che maleeee!” con voce lamentosa, ma per fortuna ebbe la buona creanza di accorgersi di me e di aiutarmi ad alzarmi.

“Scusami, non volevo…

“Tranquilla, non mi sono fatto niente” mentii; poi la osservai incuriosito.

“Come ti chiami?” chiesi.

Tsukino Usagi.”

 

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Capitolo 2
*** II ***


Appoggiato alla parete del corridoio, sospirai. Quella Usagi parlava da mezzora e non sembrava accennare a smettere. Ma non potevo lamentarmi, era stata colpa mia se mi si era attaccata come una cozza.

Quando mi aveva travolto nel corridoio della scuola, la avevo osservata con curiosità: era la prima volta che vedevo una giapponese con i capelli biondi, e lì per lì pensai che fosse una ganguro; ma quel biondo sembrava naturale, e comunque la sua pelle era chiarissima, senza la minima traccia di abbronzatura, che è invece è tipica di quella corrente estetica. Per questo, invece di limitarmi a salutarla e andar via, provai ad attaccare bottone: chi sei, quanti anni hai, cose così. Ma mentre eravamo là a parlare, lei si diede una manata sulla fronte.

“Che stupida, sono in ritardissimo e mi fermo a parlare con te! Scusami, sarà per un’altra volta, ciaoooo!” disse, e corse via.

Io rimasi interdetto per qualche istante, poi scossi la testa e ripresi il mio giro esplorativo della scuola. Ma un quarto d’ora dopo me la ritrovai di fronte, in piedi vicino all’ingresso di un’aula.

“Ehi, che ci fai lì fuori?” le chiesi.

“Oh, il ragazzo di prima, ciao! Come al solito, sono arrivata in ritardo e la professoressa per punizione mi fa passare la prima ora di lezione in piedi nel corridoio.”

Azz, mi spiace, è colpa mia che ti ho intrattenuto con le mie chiacchiere…

“Ma no, figurati, mi capita spessissimo. Ma dimmi, tu non sei giapponese, si vede dalla faccia, di dove sei? Come mai da queste parti? Che fai?”

Riprendemmo così a parlare, anche se a dire il vero non fu tanto un dialogo, ma un monologo di Usagi in cui di tanto in tanto riuscivo ad inserirmi con delle brevi risposte alle sue domande, risposte che servivano solo a dare nuovo carburante alle sue chiacchiere.

“Sei uno studente universitario! Che bello, anche il mio Moran fa l’università, ma per pagarsi gli studi lavora come commesso in un locale qui vicino, magari quando finisce scuola ti ci porto così fate conoscenza, è davvero bellissimo, io ne sono innamorata pazza, peccato che sia già fidanzato, e tu invece sei single o no? Qui in Giappone le ragazze vanno pazze per gli europei, può trovare una ragazza anche uno brutto come te. Oh accidenti scusa non ti volevo offendere, dicevo così per dire! In fondo con qualche sistematina non saresti poi male, ma scommetto che devi essere uno di quelli che studia sempre e si cura poco, un po’ come la mia amica Ami che è una secchiona e non pensa mai a divertirsi, ma guarda un po’, parli del diavolo e spuntano le corna: ciao, Ami!”

L’arrivo dell’amica di Usagi pose per fortuna fine a quella chiacchiera continua. Ma se l’aspetto fisico di Usagi mi aveva incuriosito, quello di Ami mi lasciò addirittura sconcertato: i suoi capelli erano tagliati in un impeccabile caschetto proprio adatto a quella che mi era stata descritta come una studentessa modello, tranne che per il trascurabile dettaglio del colore blu. Non sapevo più cosa pensare.

Usagi, sei di nuovo arrivata in ritardo?” disse la nuova venuta.

“Che ci vuoi fare, lo sai quanto sono sfortunata. Però oggi ho conosciuto questo simpatico ragazzo straniero, Angel. Angel, questa è Ami, la mia migliore amica e bravissima studentessa.”

“Molto piacere, mi chiamo Ami Mizuno” mi disse lei, porgendomi la mano e guardandomi con occhi sognanti “Ho sempre desiderato andare a studiare all’estero, è bello incontrare uno che ci è riuscito.”

Emh, grazie” dissi io; e poi, con una certa esitazione “Toglimi una curiosità: per caso sei una idol?”

Credo che nemmeno una glaciazione improvvisa avrebbe portato lo stesso gelo che cadde su noi tre dopo quella domanda.

“Io, una idol?” disse infine Ami “Stai scherzando?”

“No, no, scusa, è solo che… visti i tuoi capelli…

Ami e Usagi si guardarono perplesse.

“Cosa c’è che non va nei miei capelli?”

A quanto pareva, portava i capelli azzurri come una cosa normalissima, senza riferimenti a mode o altro.

“Niente, niente, ho detto una scemenza, lasciamo perdere.”

 

Quello strano dialogo terminò all’inizio della seconda ora di lezione: Ami tornò alla sua classe, ed Usagi fu riammessa in aula.

Io ripresi il mio giro dell’istituto; da un punto di vista prettamente turistico ormai non c’era più molto da vedere, in fondo era una scuola, ma provai ad esercitare lo sguardo sociologico per cogliere l’organizzazione spaziale e le differenze con il sistema spagnolo, e così facendo riuscii a rimandare la noia per ancora un’oretta. Dopo di ché, mi recai nel giardino ad aspettare l’ora di pranzo, in cui mi sarei ritrovato con Shinsuke.

Era una bella giornata di sole, calda ma allietata da una brezza leggera. Io mi sedetti su una panchina, stiracchiandomi e immaginando quel giardino pieno di alberi di ciliegio in fiore, con i petali che cadevano lenti come una pioggia colorata su amanti occupati in lieti pic-nic. Perso in quelle fantasie, cedetti al sonno.

Quando mi risvegliai, mi accorsi che c’era una ragazza di fronte a me che mi osservava con occhi languidi. Preso alla sprovvista, cercai di darmi un contegno, ma lei sembrò ignorare i miei gesti imbarazzati. Rispetto a Usagi e Ami era più canonica: aveva lunghi capelli castani raccolti in una coda di cavallo; ma era notevolmente più alta della media giapponese, e in più notai che aveva una divisa scolastica diversa da quella delle altre studentesse. Ma il tratto più particolare, e che più mi metteva a disagio, era che continuava a fissarmi.

“Ciao” dissi, così tanto per rompere il ghiaccio. Lei non rispose subito, ma con voce incantata mormorò:

“Assomigli moltissimo al mio ex ragazzo.”

Ma una normale no, eh? pensai, esasperato. Stavo per risponderle che al suo ex ragazzo assomigliava il becco di suo padre – frase quanto mai complessa da tradurre in giapponese, credetemi – ma prima che potessi riaprire bocca un grido mi gelò.

“Ciao Makoto! Hai conosciuto anche tu il nostro amico?”

Era Usagi, con Ami al seguito, che correva verso di noi. Mi appoggiai allo schienale della panchina, rassegnato.

Risultò che le tre ragazze erano grandi amiche. Makoto, ancora con lo sguardo perso su di me, mi offrì il suo pranzo, e fu il momento migliore della giornata, perché aveva dei manicaretti deliziosi.

“Davvero buono” dissi, mangiando a quattro palmenti.

“Grazie” rispose Makoto, in estasi “Sai, ho preparato tutto io.”

“Ma va’? Sei un’ottima cuoca.”

“Ho un po’ di esperienza. Sai, mi piaceva moltissimo cucinare per il mio ex ragazzo…

Ancora questo benedetto ex. Non dissi nulla, limitandomi a sperare che Shinsuke arrivasse presto, in modo da potermi separare da quelle rompiballe.

Non vi dico il mio sollievo, quando lo vidi camminare lungo uno dei viali alberati del giardino verso di noi; già mi stavo preparando ad alzarmi e a salutare le ragazze quando Shinsuke, ormai a pochi passi da noi, alzò una mano in segno di saluto e gridò: “Ehilà, Angel! Vedo che ti sei appartato con tre studentesse, vecchio porco!”, il tutto accompagnato da una risata.

Caddi a terra, esasperato.

 

 

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