Slayer's Vampires

di Brin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Genesi ***
Capitolo 2: *** nella settimana del Sangue ***
Capitolo 3: *** lutto ***
Capitolo 4: *** le cose cambiano ***
Capitolo 5: *** legami ***
Capitolo 6: *** ultimatum ***
Capitolo 7: *** tra le braccia di un Sangre ***
Capitolo 8: *** caccia ***
Capitolo 9: *** il regno del terrore ***
Capitolo 10: *** tormento ***
Capitolo 11: *** attacco ***
Capitolo 12: *** doppia faccia ***
Capitolo 13: *** una donna per una donna ***
Capitolo 14: *** Domina ***



Capitolo 1
*** Genesi ***


 

 

I know it and I feel it

Just as well as you do, Honey

It's not our fault if death's in love with us oh oh

 

H.I.M – Death is in love with us

 

 

 

 

 

1.

Genesi

 

 

 

 

 

Vampiri: una minaccia palpabile. Reale.

La gente ha paura, e ne ha tutte le ragioni. Non è sicuro aggirarsi in città dopo il tramonto, specialmente se si è soli: non puoi sapere dove si nascondono. Non puoi vederli, non puoi sentirli. Se loro decidono che tu non puoi avvertire la loro presenza, stai pur certo che sarai morto ancor prima di poterti accorgere che qualcuno sta bevendo il tuo sangue.

Il coprifuoco è relativamente utile: i vampiri non si avvicinano alle abitazioni a meno che non sia strettamente indispensabile. Non è il loro ambiente, e un territorio ostile può nascondere trappole insidiose. Del resto non avrebbero neppure bisogno di spingersi a tanto, dal momento che le strade sono piene di incoscienti. E di prostitute, spacciatori, tassisti e netturbini, anche. E poi, ovviamente, di cacciatori.

Il giorno è il regno degli esseri umani, ma quando cala il tramonto i vampiri diventano i signori. C’è chi rischia e oltrepassa i confini del loro territorio, e solitamente è così disperato da non potersi permettere di cercare un altro lavoro. O semplicemente non può farlo, e sfida a scacchi la sorte. In palio, c’è la vita.

Poi ci sono quelli che violano le regole e mettono piede fuori di casa a tarda notte, il più delle volte per farsi belli con gli amici. Prove di coraggio, le chiamano. O di stupidità, dipende dai punti di vista.

Infine ci sono i cacciatori. Squadre di vigilanza addestrate da scuole sorte quando i vampiri sono usciti allo scoperto.

Di queste creature non si sa molto: sia la loro cultura che la loro origine sono presso che sconosciute. L’unica cosa realmente importante è la loro pericolosità, e tanto basta.

Non serve conoscere altro.

 

 

*

 

 

Quella sera faceva freddo, più del solito.

Una coltre di nubi nascondeva le stelle e la luna non era altro che un pallido fantasma, un alone sfuggente coperto dalle nuvole. Chiunque avesse alzato il naso, non avrebbe visto altro che un cielo spento. Morto, esattamente come le creature che camminavano assieme a loro; assieme ai vivi.

Era per quelle bestie che erano lì, quella sera. Una delle tante che passavano all’aperto, avvolti nelle loro giacche, con i nasi intorpiditi sprofondati nelle sciarpe. Avevano un vitale bisogno di qualcosa di caldo da bere, qualcosa di così fumante da poter riscaldare la pelle dei loro volti con il solo vapore. Avevano bisogno di un posto caldo dove poter risposare e lasciarsi prendere dal sonno senza preoccupazioni. Avevano bisogno di tante cose i cacciatori, ma il loro lavoro non gliene permetteva nessuna, ed era questa la cosa che più di tutte irritava Cora.

«Odio l’inverno» borbottò, calciando un ciottolo verso la strada. Amava lamentarsi, ma ormai i suoi compagni di squadra si erano così abituati da non farci neppure più caso.

Era una cacciatrice da diversi anni, e le notti che aveva passato a fare ronde non le avrebbe neppure potute contare. All’inizio non le era stato facile abituarsi ai ritmi massacranti della scuola: formarsi per ottenere il diploma di cacciatore voleva dire rinunciare a coltivare una vita sociale soddisfacente, allenare con costanza il fisico e la mente per essere sempre efficienti, rispettare le regole rigide imposte dal regolamento. In sintesi, essere cacciatore voleva dire impegno, disciplina e sacrificio.

Cora era riuscita ad affrontare tutto questo aggrappandosi alla sua motivazione, che le aveva permesso di stringere i denti e di continuare.

Non era stato semplice resistere alla fatica di quella vita che lei stessa si era scelta, ma quando lo stress l’assaliva e intaccava la sua tenacia, le era sufficiente ripensare a Jodie. Era un metodo infallibile per scacciare qualunque ripensamento.

E lei era del tutto sicura di ciò che voleva fare della sua vita, nonostante fosse ugualmente convinta che la lamentela fine a se stessa rientrasse in pieno nella rosa dei diritti di qualunque cacciatore.

Erano usciti al tramonto quella sera, come ogni volta che prestavano servizio. Amber, al fianco di Cora, camminava puntellando la punta della spada –l’arma più comunemente utilizzata dai cacciatori- contro l’asfalto. Come lei, era avvolta in un giaccone caldo ma non troppo lungo né eccessivamente stretto, una giusta misura che la lasciasse libera di muoversi senza costrizioni.

Come da regolamento, entrambe portavano i capelli raccolti in uno chignon, e l’unico espediente consentito per proteggere le orecchie dal freddo era un misero cappellino di lana.

L’unico che sembrava non farsi problemi ad infrangere le regole era il fratello di Cora, Ice. Più grande di lei di due anni, era sempre stato incline alle sregolatezze.

La gente tendeva a classificarlo come alternativo, e del resto non poteva certo passare per una persona qualunque: rasta, vestiti larghi e Kefiah perennemente al collo, Ice si distingueva per il numero incalcolabile di braccialetti  che indossava e per un rapporto del tutto particolare con le armi, la sua più grande passione.

Un amore viscerale che la loro madre non aveva mai visto di buon occhio, e che superava perfino quello per le ragazze. Non che a Ice non piacessero le donne, anzi… Aveva la tendenza a far sua l’ottica dell’amore universale.

Ho tanto amore da dare, ripeteva ogni volta che usciva con una ragazza diversa.

E ogni volta, Cora annuiva e lasciava che lui si comportasse come desiderava. Non approvava il suo comportamento, ma ciò che pensava lo teneva semplicemente per sé. Imposizione del principio che regolava i rapporti tra fratelli: “vivi e lascia vivere”.

Il problema di Ice, era che a ventisette anni non era ancora riuscito a innamorarsi.

E, nonostante la baldanza con cui passava di letto in letto, Cora era sicura che ne avesse un gran bisogno.

«Stasera non c’è molto movimento…» Amber sbuffò, distraendola dai suoi pensieri. Niente movimento voleva dire niente lavoro. Niente lavoro voleva dire noia.

Ed era sorprendente come si sperasse in un incontro con qualche vampiro, pur di salvare la serata.

«Scommetto che se andiamo al parchetto troviamo qualche drogato» osservò Ice.

«Lo sai che i vampiri non li guardano neanche di striscio. Piuttosto, che ne dite di andare a cercare un chiosco? Avrei voglia di un bel panino carico di wurstel e salse di tutti i tipi!» propose Cora. Lo stomaco le gorgogliava, e se dovevano impegnare il tempo in qualche modo allora potevano regalarsi tranquillamente un quarto d’ora di riposo per riempire la pancia.

Peccato che suo fratello non sembrava disposto a concederglielo: lo intuiva dall’espressione disgustata che gli leggeva in viso, palesemente canzonatoria.

«Ma se hai mangiato prima di uscire?! Fai proprio schifo!»

«Meglio fare il bis di cibo che il bis di canne, fattone…»

Ice stava per ribattere con un insulto, una prassi nelle loro schermaglie scherzose, quando Amber lo zittì all’improvviso con un cenno della mano.

Aveva chiaramente sentito qualcosa, un rumore sospetto che a Cora non piacque per niente. Continuarono a camminare, chiacchierando senza fare troppo rumore, attenti a ciò che si poteva nascondere nelle zone in cui la luce dei lampioni non arrivava.

E quando li videro, Cora sapeva già che quei sei ragazzi che si stavano avvicinando non erano umani.

I loro volti, illuminati dalla luce artificiale, erano bellissimi come solo l’immortalità sapeva renderli. Bellissimi e dannati.

Erano vampiri, e si facevano sempre più vicini.

Quello in testa al gruppo – dallo sguardo impudente e magnetico- la guardava con insistenza. Sorrideva; un sorriso ambiguo che non prometteva nulla di buono.

«Tu guarda che novità! Cacciatori in ronda dopo il tramonto…» uno degli altri vampiri si fece avanti, con le mani calate nelle tasche dei jeans. Il suo atteggiamento espansivo e confidenziale accese un campanello d’allarme nella testa di Cora.

«Non un passo di più, vampiro» gli intimò, puntandogli contro la punta della spada. «Fossi in te abbasserei quell’affare…» era l’altro vampiro, quello che aveva notato per primo. Il suo volto era serio. Pericolosamente serio.

Non c’era alcuna traccia di ironia o di sarcasmo in quelle parole taglienti.

Era un animale pronto ad attaccare.

«Che ne pensi Santiago? Se portiamo alla Domina uno di questi cacciatori, dici che vinciamo il Sabbath?» gli domandò un altro vampiro e Santiago –l’esemplare più influente del gruppo, ormai era chiaro- sogghignò. Un ghigno che venne interpretato come una dichiarazione di guerra.

«Può darsi.»

Cora non aspettò un minuto di più. Ruotò velocemente su se stessa, e la spada seguì il movimento del suo corpo con precisione. Il colpo andò immediatamente a segno, e il corpo del vampiro contro cui aveva puntato l’arma si accasciò a terra. La testa, invece, rotolò per alcuni metri.

Ma non fu che l’inizio.

 

 

*

 

 

Dalla strada provenivano versi animaleschi e bestiali, capaci di far accapponare la pelle a chiunque li sentisse. E la visione di quel groviglio di corpi che lottavano, ciascuno per la propria sopravvivenza… Uno spettacolo raccapricciante e lei, Cora, vi era dentro fino al collo.

Non era stata una buona caccia, quella.

Si era scatenato il caos dopo che aveva decapitato il primo vampiro. Quelle creature erano veloci, agili nell’evitare le lame che vorticavano fendendo l’aria e furbe abbastanza da utilizzare a loro favore l’istinto da predatore.

Li stavano sopraffacendo.

Cora si era ritrovata Santiago addosso, e dopo una lotta breve ma intensa lui era riuscito a disarmarla. Aveva sentito Ice gridare il suo nome, e l’istante successivo una fitta acuta alla spalla l’aveva costretta  a gridare.

E ora era lì, immobilizzata contro il corpo massiccio di Santiago che le premeva sulla schiena e con i suoi denti conficcati in profondità nella carne. Lo sentiva fremere contro di lei, reso folle dall’eccitazione che il gusto del sangue gli provocava.

E lei tirava, spingeva, scalciava… Qualunque cosa, pur di fuggire a quelle fauci che l’avrebbero sicuramente uccisa.

«CazzocazzoCAZZO

A mala pena si accorse del panico nella voce di Ice.

Fuggi!

Era un istinto primordiale troppo forte.

Un grido che non poteva ignorare.

Fuggi!

Non si poteva arrendere.

«LASCIA STARE MIA SORELLA, STRONZO!»

All’improvviso Santiago la spinse da parte, e Cora inciampò goffamente a terra, debole e dolorante. Solo in quel momento, non più alla mercé del vampiro, avvertì il dolore pulsante alla spalla, profondo e intenso.

Ice si era lanciato a difenderla, e stava combattendo contro il vampiro come una furia. I suoi colpi erano veloci, rabbiosi, carichi di aggressività. Troppa, perché Ice potesse combattere con sufficiente lucidità.

Amber, poco più in là, era appena riuscita a decapitare un altro vampiro, per ritrovarsi poi a combattere con gli altri due esemplari.

Cora si fece forza e si rimise in piedi, cercando di ignorare il dolore che le faceva pulsare la spalla. Quando raccolse la spada, però, una nuova ondata di dolore la trafisse e gemette di dolore e disperazione.

Doveva fare qualcosa, qualunque cosa, o non sarebbero riusciti ad uscire vivi da quella situazione che stava peggiorando di minuto in minuto.

Si lanciò all’attacco in un ultimo gesto disperato reggendo la spada con incertezza, il sangue che le inzuppava gli abiti, quando improvvisamente dalla strada sbucarono due uomini e una donna, di una bellezza così raffinata da far male al cuore.

Erano inequivocabilmente vampiri. Li vide correre veloci verso la sua direzione.

Verso Amber.

All’improvviso l’orrore l’assalì e l’immagine della sua amica, esanime sotto le fauci di cinque creature in caccia, le attraversò la mente e le raggelò il sangue.

«AMBER!»

Amber si voltò. Fu una frazione di secondo, così veloce che né lei né Cora si resero subito conto di cosa stava accadendo. Quei tre i vampiri aggredirono gli altri due, allontanandoli dalla cacciatrice: un’azione inaspettata, che lasciò Cora interdetta.

Non impiegarono molto tempo per bloccare i loro movimenti. Con un paio di mosse precise ridussero i loro avversari inermi, bloccati in una forte presa che gli rendeva impossibile qualunque movimento. Poi uno di loro – alto, dai capelli neri e gli occhi viola- si fece avanti, verso Ice e il vampiro contro cui stava ancora combattendo.

«Allora, Santiago… che vuoi fare?»

Santiago accennò un sorrisetto di circostanza, e schivò un affondo che gli sfilò a pochi centimetri dal braccio. «Non penso di essere nelle condizioni di chiacchierare con te di quello che voglio o non voglio fare, Axel…»

In quell’istante Ice fece per caricare un altro colpo di spada, ma Axel gli afferrò il polso.

«Lasciami, vampiro» sibilò furioso il ragazzo, ma lui non ne rimase affatto turbato: la sua espressione rimase impassibile, rigida.

«Direi che può bastare, cacciatore.» 

Ice non replicò. Guardò Cora, e dal suo sguardo capì che la sorella era pronta ad agire. Non sapeva cosa aspettarsi da quei vampiri, e a dirla tutta non gli era mai successo di ricevere aiuto proprio dalle stesse creature che cacciava.

Non riusciva a capire come si sarebbe evoluta la situazione, ma era maledettamente ovvio che le loro vite erano appese ad un filo.

Forse temporeggiare era la soluzione migliore.

Forse uno di loro sarebbe riuscito ad inventarsi un espediente per andarsene illesi, con la testa ben salda al collo, sani e salvi. Forse…

«Si può sapere che intenzioni avete? Siete tutti vampiri, no?» 

Santiago storse il naso, infastidito.

«Non accomunarmi con loro»

«Questo dovrei essere io a dirlo» Axel lasciò libero il polso di Ice, ma non si mosse. Gli rimase accanto, forse per controllare che non facesse mosse azzardate. «Andatevene.»

«Non è il tuo territorio, Axel…»  Santiago gli rivolse un sogghigno provocatorio.

«Non lo è, ma ci siete pericolosamente vicini…»

Cora lanciò un’occhiata ad Amber, che si strinse nelle spalle. Sembrava sempre più chiaro che tra i due gruppi di vampiri non ci fossero buoni rapporti, ma questo non migliorava certo la loro situazione.

Forse, se avessero iniziato una lotta tra vampiri, loro avrebbero avuto la possibilità di fuggire, approfittando della loro distrazione.

Improvvisamente avvertì un rumore in lontananza, un ritmo sempre più vicino. Passi. Qualcuno stava correndo nella loro direzione, qualcuno che sembrava aver fretta.

Pochi istanti dopo, spuntò sulla strada una ragazza: era giovane, ad occhio e croce dell’età di Cora. I capelli scarmigliati le arrivavano alle spalle, e i grandi occhi verdi scrutavano la scena con apprensione. Non aveva nulla della bellezza seducente dei vampiri, né la loro perfezione.

Era umana.

Cora provò una fitta al cuore.

«Va’ via» cercò di sussurrarle, ma la ragazza non si accorse di lei: le sue attenzioni erano tutte per uno dei vampiri.

«… Axel…»

«Cloe, che ci fai qui?! Ti avevo detto di non seguirmi, vattene!» le fece cenno di allontanarsi, decisamente contrariato. Santiago, invece, annusò l’aria con fare piuttosto interessato.

«Ma bene… Indovino: lei è il tuo ghoul?» domandò indicando Cloe, la ragazza appena arrivata. Axel scoprì i denti con aria minacciosa.

«Gira al largo, Santiago.»

«Altrimenti che mi fai? Sai bene che non puoi farmi del male…» il vampiro sogghignò, sempre più provocatorio.

«Lei fa parte del clan: se tocchi lei, tocchi tutti noi. Hai il coraggio di venir meno al patto?»

Santiago sorrise, ambiguo. Non rispose.

Arretrò di un paio di passi, le mani lungo i fianchi e uno sguardo calcolatore che allarmò Cora. Con un cenno del capo indicò i due compagni, ancora intrappolati nella stretta degli altri due vampiri.

«Digli di lasciarli, e ti prometto che ce ne andiamo.»

Axel guardò per qualche istante Santiago, assorto. Poi annuì.

«Lasciateli andare.»

I suoi compagni ubbidirono, e come promesso da Santiago il gruppo cominciò ad allontanarsi.

Cora non aveva capito molto: non conosceva il patto che avevano menzionato, né comprendeva il motivo della loro rivalità. Aveva colto però qualcosa di strano nell’atteggiamento del vampiro chiamato Santiago, uno sguardo calcolatore tipico di chi medita di venir meno alla parola data. E l’altro, Axel…

Guardò la ragazza umana che faceva parte della sua combriccola, sconcertata. Non riusciva a credere che potessero esistere esseri umani che stessero dalla parte di vampiri.

Ice e Amber le furono subito accanto. Il fratello le esaminò con preoccupazione il braccio ferito.

«Andiamo via da qui. Subito.»

Ma Cora non rispose. Non riusciva a distogliere lo sguardo da Axel, che se ne stava lì, a guardarla a sua volta. Uno sguardo intenso, profondo, che le procurò dei brividi freddi lungo la schiena.

«Fossi in te farei come dice il ragazzo. L’odore del sangue che esce da una ferita aperta può arrivare anche ad un chilometro di distanza, e nella settimana del Sangue girare nelle tue condizioni è più che mai sbagliato.»

Era stata la vampira a parlare.  Anche lei, come tutti quelli della sua razza, era di una bellezza abbagliante. Il suo volto aveva lineamenti delicati e aggraziati, i capelli biondi pettinati in morbidi boccoli le ricadevano sulle spalle e la facevano sembrare una bambola, gli occhi azzurri erano grandi e brillanti.

Cora rimase stordita.

Non capiva il motivo dello strano comportamento di quei tre vampiri: perché non li attaccavano? Perché erano arrivati addirittura ad aiutarli? La presenza di quella ragazza umana ghoul, l’aveva chiamata Santiago?- rendeva la situazione ancora più assurda.

«La… la notte del Sabbath?» fu tutto quello che riuscì a farfugliare nel turbine di pensieri che l’avvolgeva.

«Siete cacciatori e non conoscete la notte del Sabbath?» era stato il terzo vampiro a parlare. Alto, capelli neri e occhi dello stesso colore, si muoveva come se fosse un aristocratico. Trasudava eleganza con ogni singolo movimento.

Accanto a lui, Cora si sentì la creatura più volgare del mondo.

«Cora…» era Ice. La guardava con insistenza. Voleva andarsene, esattamente come lei.

Lei, che voleva allontanarsi da quelle creature che non comprendeva e che avevano scombussolato tutte le sue sicurezze. Lei, che desiderava mettere a tacere il fastidioso senso di disagio che la attanagliava da quando quei tre avevano preso le loro difese.

Lei, che si sentiva fuori posto in quel momento, inesperta e impreparata.

Andarsene sarebbe stato fonte di grandissimo sollievo.

Annuì.

«Torniamo a casa.»

Si allontanarono senza nessuna parola di commiato, nessun arrivederci. Si lasciarono alle spalle quei tre vampiri, nel silenzio della notte.

Nessuno di loro parlò, e forse andava bene così: Cora non era dell’umore adatto per commentare ciò che era successo. I pensieri non le davano tregua, e un peso spiacevole le chiudeva lo stomaco.

Non poteva fare a meno di riflettere, dopo gli avvenimenti appena accaduti.

Prima di allora non le era mai apparso così palese: nonostante le convinzioni su cui i cacciatori basavano la propria vita e la propria guerra, era evidente che non conoscevano affatto il nemico.

Non sapevano nulla riguardo ai vampiri.

E, cosa ancora più allarmante, non possedevano i mezzi per ipotizzare quali sarebbero state le conseguenze che la loro ostinata ignoranza avrebbe portato.

 

 

 

 

 

 

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Dunque… noticina veloce veloce.

Non so quanti di voi abbiano letto le mie storie. È da parecchio tempo che non pubblico originali lunghe, e un paio di anni fa avevo lasciata interrotta proprio su EFP una storia omonima a questa che state leggendo.

Sì, insomma, si chiamava Slayer’s Vampires.

Stessi personaggi, vicende più o meno simili.

Era una storia a cui ero parecchio affezionata, e proprio per questo ho voluto riprenderla in mano, ripensarla in maniera più matura cambiando anche avvenimenti sostanziali e ridisegnando alcuni legami tra i personaggi. In definitiva, non so quanti di voi avessero letto la precedente versione di Slayer’s, ma se sono tra i lettori che mi stanno leggendo in questo momento, beh, mi piacerebbe molto sapere la loro opinione su questa “edizione” riveduta e corretta.

E ovviamente anche i commenti dei nuovi arrivati sono bene accetti, ci mancherebbe! XD

 

A presto con il prossimo capitolo

 

 

Brin

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Capitolo 2
*** nella settimana del Sangue ***


2

 

 

 

 

2.

Nella settimana del Sangue

 

 

 

 

 

L’odore era inconfondibile.

Lo stesso, intenso profumo che aveva percepito nell’aria quando quella ragazza era sbucata fuori dalla strada.

Era raro imbattersi in esemplari come lei, se non addirittura impossibile. Mannari.

Ne erano rimasti davvero pochi in tutto il mondo, spinti sull’orlo dell’estinzione per quel loro sangue così vitale, così straordinariamente vicino a quanto ci fosse di più immacolato al mondo. Era l’essenza stessa della natura, l’essenza stessa della vita. Quella stessa vita che i vampiri come Santiago non possedevano più, e che bramavano disperatamente riavere.

La sete era la loro maledizione per un’esistenza dannata che li vedeva vagare come parassiti lungo i secoli, con il solo scopo di rubare agli altri la vita nel vano tentativo di riavere indietro la propria.

Un punto di vista che Santiago, però, non condivideva.

Quelli come lui, appartenenti al clan dei Sangre, i sanguinari, non facevano mistero di ciò che pensavano riguardo al dono oscuro: per loro era motivo di vanto, addirittura di gloriosa superbia. Lo ritenevano un privilegio, che in quanto tale conferiva loro molti diritti, primo tra tutti quello di ritenersi superiori a qualunque altro essere non fosse vampiro.

Avevano una lunga tradizione fatta di riti, caccia di gruppo, sangue. Come unico scopo, quello di lasciarsi andare alla bestia che portavano dentro.

Cedere alla bramosia, desiderare, prendere, possedere: tutto senza alcun freno. Tutto ciò che poteva soddisfarli, che fosse sangue, sesso, o qualunque altra cosa che potesse saziare quella voglia cupida che provavano… Potevano avere tutto. Bastava prenderlo.

Perché loro discendevano dalle divinità, e la tradizione del clan gli aveva insegnato che a loro era concessa ogni cosa.

Così, questo precetto veniva esaltato e portato alle estreme conseguenze durante la settimana del Sangue: sette giorni di puro piacere, in cui collezionare una vittima dopo l’altra era la glorificazione della natura bestiale dei Sangre.

Per l’ultima notte, chiamata la notte del Sabbath, era previsto che tutti i vampiri portassero un trofeo alla loro Domina, colei che reggeva le fila del clan. Dovevano portarle in dono un essere umano, l’esemplare migliore che riuscivano a trovare in una notte di caccia. Avevano sette giorni di tempo per farlo.

E Santiago, che vagava in cerca del suo trofeo, aveva trovato decisamente di meglio.

 

 

*

 

 

Cloe camminava veloce, con le mani sprofondate nelle tasche del cappotto e l’udito all’erta. Sapeva di essere seguita, se n’era accorta da un pezzo.

Purtroppo, però, non poteva fare altro che cercare di arrivare il più in fretta possibile nel maniero di proprietà di Axel.

Aveva l’orrenda sensazione che il suo inseguitore non fosse umano, il che la rendeva una facile preda per chiunque la tenesse d’occhio nell’ombra. L’unico luogo che le offriva protezione era il territorio degli Eraclea, il clan guidato da Axel.

Fai in fretta, si ripeteva, ma nonostante camminasse piuttosto velocemente, le sembrava che ogni passo la allontanasse sempre di più dalla meta.

­Aveva paura, ma non voleva lasciarsi sommergere da quell’emozione, né tanto meno darlo a vedere al suo inseguitore.

Così, quando lo vide sbucare dalle ombre a una decina di metri da lei, cercò di apparire sicura. Non abbassò lo sguardo, e mantenne la testa alta. Lo aveva già visto quella sera stessa, assieme ad Axel.

Santiago, l’aveva chiamato lui.

Non rimase affatto impressionata dalla sua avvenenza: era abituata al fascino soprannaturale di quelle creature, al punto da non rimanerne più colpita così facilmente. Ciò che la mise a disagio, invece, era lo sguardo impudente e sfrontato che gli leggeva negli occhi scuri. A quello non era affatto preparata, e capì subito che non lo sarebbe mai stata.

La guardava con insistenza, con un sorrisetto sottile e beffardo che la mise a disagio e la fece innervosire. Stava tentando di sedurla, ma lei avrebbe fatto di tutto per resistere e non cadere nella sua rete così facilmente.

Continuò a camminare, sempre più vicina a lui, quando all’improvviso se lo ritrovò accanto. Fu una frazione di secondo: quando se ne accorse, lui l’aveva già afferrata per un braccio e l’aveva fatta voltare. Era intrappolata contro il suo petto, lo sentiva solido e freddo contro la sua schiena.

«Dove scappi…» le mormorò all’orecchio, facendole battere il cuore furiosamente. Lo sentiva vicino, terribilmente vicino. Il suo respiro gelido si infrangeva contro la pelle morbida del collo di Cloe, facendola rabbrividire.

L’avrebbe potuta schiacciare con estrema facilità. Gli sarebbe bastato così poco per ucciderla… Quel pensiero la raggelò, ma non avrebbe mai, mai permesso ad uno della sua razza –un sanguinario, per giunta- di averla in pugno, spaventata e sottomessa.

«Ti consiglio di lasciarmi andare, vampiro…» sibilò con quanta più autorità poteva racimolare nel brodo informe che era la sua paura. Si dimenò, scalciò, lottò con tutte le sue forze, ma senza alcun risultato. La presa di Santiago era salda, fin troppo per la sua misera forza.

Lo immaginò sogghignare alle sue spalle, e poi… poi sentì il suo alito solleticarle l’orecchio. Le gambe le tremarono.

«Perché dovrei, mannara?»

«Perché Axel non sarà contento…»

A quelle parole Santiago la strinse ancora di più a sé, allacciandole un braccio attorno alla vita. Il suo corpo era solido e massiccio contro quello di Cloe, e le dava l’opprimente sensazione di essere invischiata in una trappola dalla quale non poteva scappare.

«Ma non ti farò alcun male, ragazzina. Almeno non io…»

Chiuse gli occhi imponendosi di rimanere lucida, di non perdere la calma. Aveva bisogno di tutta la sua prontezza se voleva sperare di uscire da quella situazione.

Certo, la vicinanza con il suo corpo –il corpo di un predatore- non facilitava le cose: era una macchina progettata per uccidere, perfetta in ogni linea, realizzata apposta come specchietto per le allodole. Una trappola che prometteva lussuria e perdizione, ma che donava soltanto l’oblio eterno.

Le scostò i capelli dal collo: una carezza leggera che le sfiorò la pelle, mandandola in fiamme. E il tuffo al cuore che Cloe provò la sconvolse, letteralmente.

«Che buon odore hai…» le mormorò all'orecchio. La sua voce, profonda e roca, era la cosa più sensuale che Cloe avesse mai sentito.

Stava cadendo nella sua trappola, stava facendo esattamente ciò che lui desiderava: stava abbassando le difese. Gli stava aprendo una breccia, ciò di cui lui aveva bisogno per vincerla.

Provò odio per se stessa.

«Fottiti» sibilò a denti stretti, e lo sentì prorompere in una risata roca.

«Non ti facevo così sboccata.»

«I vampiri come te mi ispirano, che ci vuoi fare…» si rese conto solo l’istante successivo che non era nella condizione di fare del sarcasmo.

Santiago la caricò in spalla, e nonostante lei si dimenasse e cercasse in tutti i modi di guadagnare la fuga, la presa del Sangre era terribilmente forte. Mai come in quel momento capì quanto fosse nei guai.

«Lasciami andare!»

«Non lo darei per scontato, se fossi in te…»

«LASCIAMI ANDARE!» cominciò a gridare insulti, a scalciare e a tempestargli la schiena di pugni. Era fuori di sé, la paura e la rabbia le stavano facendo perdere il controllo. Santiago sospirò, e quando la mise a terra le rivolse un sorrisetto sottile, per nulla rassicurante.

«Ci tieni a camminare sulle tue gambe, o preferisci che te le spezzi?»

Non gli rispose.

Si sarebbe aspettata una qualunque reazione rabbiosa, non certo quella fredda ironia che rasentava l’indifferenza. In un certo senso le fece ancor più paura.

«Brava, vedo che impari in fretta» sogghignò, divertito dalla paura che le leggeva negli occhi. Poi la spinse avanti, rude e sgarbato. «Ora cammina.»

«Non occorre che mi spingi» sibilò Cloe, rabbiosa e incapace di trattenersi. La paura stava cominciando a passare in secondo piano, in favore dell’irritazione che l’atteggiamento del vampiro le provocava.

«Zitta e cammina.»

«Parlo quanto mi pare e piace, ficcatelo in testa…» gli lanciò un’occhiataccia.

«Zitta. Sei cibo. Il cibo non parla, quindi comportati come tale.»

Lo guardò di sottecchi. Avrebbe voluto rispondergli e metterlo a tacere, ma non poteva ribellarsi a lui, non ora che le consentiva di camminare con le sue gambe.

Poteva sperare in un suo momento di distrazione, e tentare una fuga.

Si limitò a ribattere con una risposta sottile ed ironica.

«Fidati…»

E forse avrei fatto meglio a rimanere in silenzio.

Lui l’afferrò bruscamente per i capelli, e l’avvicinò a sé. La costrinse ad alzare il viso e a guardarlo dritto negli occhi, quegli occhi magnetici, profondi e penetranti che la guardavano come se fosse poco più che un insetto.

Cloe non poteva muovermi, la sua presa era troppo forte. Le faceva male.

Era totalmente in suo potere.

«Vedo che con te bisogna andare subito al nocciolo della questione… Bene, allora ti farò capire cosa vuol dire essere cibo.»

 

 

*

 

 

La spalla le faceva dannatamente male.

Pulsava, e Cora aveva la spiacevole sensazione che il maglione fosse zuppo di sangue. Lo sentiva appiccicarsi alla ferita ad ogni movimento e quando la pelle tirava, l’irrefrenabile desiderio di levarsi subito ogni indumento di dosso faceva capolino promettendo sollievo da quel supplizio.

Una tentazione allettante a cui era difficile resistere.

«Ti dovremmo far vedere da qualcuno…» Ice sembrava preoccupato. Cora fece spallucce, fingendosi dura e baldanzosa nonostante i canini di Santiago fossero  penetrati piuttosto in profondità.

«Figurati, è un graffio!»

Un'espressione irritata rabbuiò il volto di Ice.

«Non abbiamo idea delle conseguenze che potrebbe avere quel graffio! Perché non puoi essere un po’ più coscienziosa ogni tanto?» sbottò, lasciando Cora incredula: suo fratello non si arrabbiava mai, né le riservava grandi dimostrazioni di affetto. Eppure, le sue condizioni sembravano davvero turbarlo.

Stupefacente…

«Ragazzi, io vi lascio» Amber indicò la strada che svoltava a destra. Eravano arrivati all’incrocio e Cora non se n’era neppure resa conto. Aveva davvero bisogno di riposo…

«A domani» Ice salutò Amber con un buffetto scherzoso sulla guancia. Le fece l’occhiolino, una smorfia che doveva renderlo affascinante secondo le sue aspettative ma che a Cora faceva venire il voltastomaco.Vedere il proprio fratello in pieno flirt era uno spettacolo che le faceva venire la pelle d'oca. Un po' come vedere i propri genitori farsi le coccole e chiamarsi con vezzeggiativi affettuosi: erano pratiche sociali che per D.N.A. creavano imbarazzo ai parenti più prossimi, quali figli e fratelli. E Cora rientrava a pieno titolo nella categoria.

«Cerca di riposarti, mi raccomando» Amber le diede un bacio e dopo un ultimo cenno di saluto si allontanò. Quando svoltò l’angolo, Cora scoccò a Ice uno sguardo ammonitore.

«Potresti per favore lasciar fuori dal tuo territorio di caccia le ragazze che lavorano in squadra con te?»

«Non le stavo facendo una proposta di matrimonio, infatti…» ridacchiò lui.

Cora sospirò scocciata. Si aspettava una risposta del genere. Era decisamente tipico di suo fratello glissare in questo modo quando l'argomento riguardava la sua vita sentimentale.

Come se per lui fosse tutto un gioco.

«Tanto non sei il suo tipo…»

«Stai dicendo che non sono abbastanza attraente per lei?!» la guardò, dubbioso. Probabilmente si aspettava un sì come risposta, almeno a giudicare dalla sua espressione. Sembrava che volesse dire scegli bene le parole.

La minaccia, in tutto ciò, era implicita e decisamente ben visibile.

Cora fece spallucce. Se ne pentì quando sentì il maglione incollato alla ferita tirare la pelle.

«Se ti metti d’impegno e fossi meno scimmia, magari…»

«Se non fossi ferita ti prenderei a calci.»

Eccolo, il suo fratellino colpito sull’orgoglio. Sghignazzò.

«Tanto ti faresti male solamente tu.» 

Era da un po’ che stavano camminando, ormai non erano molto lontani da casa. E –la cosa la rendeva inquieta- aveva notato che più si avvicinavano, più la strada era affollata di persone in pigiama, vestaglia e cappotto.

I loro sguardi sembravano stupiti, preoccupati, allarmati.

Borbottavano frasi sommesse, parlottavano tra di loro quando vedevano passare i due fratelli. Un atteggiamento che Cora non comprendeva, sicuramente bizzarro. Perché queste persone non erano dentro le loro case, al sicuro nel confortevole tepore dei loro letti?

Cora lo capì con orrore subito, non appena svoltarono l’angolo.

Una folla di curiosi era riunita davanti la loro casa o, almeno, davanti a ciò che ne era rimasto: la graziosa villetta di periferia, una casa a due piani in cui Cora ed Ice avevano passato la loro infanzia, era avvolta dalle fiamme.

Le lingue di fuoco erano ovunque: guizzavano dalle finestre, corrodevano i muri, e una densa cortina di fumo nero usciva da ogni spiraglio.

Era un ammasso di legno, fiamme e mattoni.

«… Mio dio…»

Cora era impietrita. Svuotata, letteralmente.

Non riusciva a pensare a nulla, completamente risucchiata dalla catastrofe che si stava consumando davanti ai suoi occhi. Ice, ancora al suo fianco, schizzò letteralmente attraverso la folla.

Gridava, gridava come un matto. Cora non si rese conto immediatamente del perché, ma quando vide ciò che aveva attirato la sua attenzione sentì tutto il suo mondo cadere a pezzi: tre uomini in divisa stavano uscendo dalla casa in fiamme, e reggevano un corpo ricoperto di fuliggine.

Erano vigili del fuoco e quel corpo esanime abbandonato tra le loro braccia lo avrebbe riconosciuto ovunque.

Era sua madre.

 

 

 

 

 

_______________________________

 

 

 

Eccoci qui con il secondo capitolo.  Un po’ cruciale a dire il vero, perché darà inizio ad una serie di eventi che… beh, direi che non è il caso di raccontarvi di più, sennò che gusto c’è a leggere la storia? :P
Spero di riuscire ad aggiornare entro sabato: sono in vacanza, e tra un bagnetto al mare e l’altro c’è la possibilità che non riesca a tuffarmi anche nella scrittura u.ù

A parte questo, mi sento in dovere di ringraziare _Mew_ che ha messo Slayer’s tra le storie seguite *__* Il che mi ha resa ESTREMAMENTE felice *O*
Ho poi un annuncio da fare: se andate sul forum di EFP, nella sezione fan art -> originali troverete una cartella aperta da me, in cui ho già inserito un paio di disegni che feci qualche anno fa riguardanti Slayer’s. Ne aggiungerò man mano altri. Mi raccomando, ditemi che ne pensate ^__*

E ovviamente, vabbè… inutile dire che se volete lasciare qualche commento farete la felicità di questa povera autrice XD
A presto, sempre su questi schermi



Brin

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Capitolo 3
*** lutto ***


                        

 

3.

Lutto

 

 

 

 

«Mamma!» gridò Cora nel panico. Corse verso i soccorritori e fu subito accanto al corpo esanime della madre non appena lo deposero per terra.

Improvvisamente non c’era più nulla: il dolore alla spalla era sparito, e lo stesso orrore che aveva provato vedendo la sua casa andare a fuoco era diventato improvvisamente una sciocchezza.

Tutto quello che importava in quel momento era che sua madre aprisse gli occhi e le sorridesse. Non desiderava nient’altro.

«Vi prego, vi prego!» era fuori di sé dall’ansia, piangeva mentre cercava di capire se sua madre fosse ancora viva. La sirena dell’ambulanza diventava sempre più vicina, ma il cuore di Cora era pesante. Un macigno.

Si sentì soffocare.

Due mani la sollevarono da terra mentre i vigili del fuoco prestarono i primi soccorsi a sua madre, ancora priva di sensi. Erano due mani grandi, calde e che promettevano un rifugio sicuro da qualunque male ci fosse al mondo, una promessa a cui Cora voleva disperatamente credere. Era Ice ad offrirgliela, e lei si rifugiò tra le sue braccia come una bambina indifesa.

Aveva bisogno che qualcuno le dicesse che sarebbe andato tutto bene, che lei non poteva morire. Anche se fosse stata una bugia, aveva bisogno di sentirlo.

Poi, finalmente, l’ambulanza.

Rimase tra le braccia di suo fratello a guardare i soccorsi affannarsi per far riprendere i sensi a sua madre. Minuti interminabili, lunghissimi, pieni di agonia.

Non avrebbe mai potuto dimenticare il viso dell’uomo che le diede quella notizia: aveva un volto anonimo, piuttosto comune, ma le sue parole segnarono per sempre la vita di Cora.

«Mi dispiace.»

Lei lo guardò frastornata. Il significato di quelle due semplici parole era inequivocabile, ma suonava vuoto e lontano. Solo fino a pochi minuti prima, la viva presenza di sua madre era stata una cosa scontata nella sua vita. Non era possibile cancellarla in un istante con due semplici parole. Non lo avrebbe potuto accettare.

«Non ci credo…» mormorò senza lasciare il caldo abbraccio di Ice, l’unica sicurezza che riusciva a scaldarle il cuore. Lui le accarezzò i capelli, e quando Cora lo sentì sussultare e stringerla a sé, capì che suo fratello stava piangendo.

Soltanto allora si rese conto di quanto era accaduto e non poté più ignorare la portata sconvolgente che questo significava.

Soltanto allora si lasciò andare alla disperazione e pianse.

 

*

 

 

Cora era seduta sul lettino dell’ambulatorio, in una anonima stanza d’ospedale. Ice non l’aveva lasciata neppure per un istante da quando i soccorsi l’avevano fatta salire nell’ambulanza: anche in quel momento era accanto a lei, e le accarezzava distrattamente i capelli.

Nessuno dei due aveva più aperto bocca da quando erano stati lasciati da soli. Non avevano ancora parlato della loro perdita, né di come fosse potuto scoppiare l’incendio. La morte inaspettata della loro madre li aveva colti impreparati, li aveva lasciati storditi e aveva tolto loro la voglia di parlare.

Così se ne stavano in silenzio, ciascuno intento a elaborare il lutto e a fare i conti con la realtà di quanto era accaduto, mentre aspettavano che Cora venisse visitata e medicata.

«Buongiorno» la porta si aprì e un medico dall’aspetto maturo –probabilmente sui cinquant’anni- entrò nell’ambulatorio reggendo sotto braccio una cartella clinica. La appoggiò sul tavolo, e senza degnare Cora di uno sguardo avviò le pratiche burocratiche necessarie.

Le domandò nome, cognome, età, allergie, e molte altre cose. Cora avrebbe voluto dirgli che aveva bisogno di un paio di punti e nient’altro, che voleva andare a casa al più presto. Poi, però, si ricordò che non aveva più né una casa né una madre, e il nodo che le chiudeva la gola da quando si era lasciata andare alla disperazione tornò a farsi pesante. Le ci volle uno sforzo non indifferente per evitare di farsi prendere di nuovo dalla tristezza.

«Vediamo un po’… che ti è successo?» le domandò il medico.

«Sono stata morsa da un vampiro» rispose Cora, la voce ridotta a un rantolo. Si schiarì la gola per sciogliere la tensione che le impastava le corde vocali. «Alla spalla.»

«Bene. Vuoi che lui resti mentre ti visito?» domandò indicando Ice, che era sempre accanto alla sorella come un cane da guardia.

«Sì, lui può restare» annuì Cora. L’idea di spogliarsi davanti a suo fratello era quanto meno bizzarra e in altre circostanze le avrebbe potuto creare imbarazzo, ma non certo in quel frangente. La sua presenza la rassicurava, la rendeva più tranquilla. Aveva bisogno di averlo accanto.

«Togliti il maglione.»

Cora fece come richiesto, anche se l’operazione le creava qualche difficoltà. Il dolore alla spalla si faceva sentire al più piccolo movimento, e se riuscì a sfilarselo fu solo grazie all’aiuto di Ice.

Il dottore cominciò ad esaminare la ferita. La strizzò, la allargò, la studiò come se cercasse qualcosa.

«È profonda, ma mi sembra pulita. Per sicurezza però la disinfettiamo e ci mettiamo un paio di punti, dopo di che dovrai stare a riposo e non sforzare la spalla.»

Le operazioni di sutura furono fastidiose, ma nel complesso sopportabili. Il dottore le applicò una garza sterile sulla ferita ricucita, e la assicurò con del cerotto in rotolo.

Si raccomandò di cambiare la medicazione ogni giorno e alla fine Cora fu lasciata libera di lasciare l’ospedale.

«Che facciamo? Chiediamo ad Amber se ci può ospitare?» Ice domandò mentre si dirigevano verso le porte di uscita.

Fuori era ancora buio. Probabilmente mancavano un paio d’ore all’alba.

Cora annuì.

«Domani tornerò a casa.»

«A casa?» Ice la guardò frastornato. Stavano scendendo un lungo viale che portava alla fermata dei taxi. L’aria era fredda, frizzante, e condensava all’istante ogni respiro. «Perché vuoi andare lì?»

«Devo controllare una cosa.»

«Che cosa devi controllare in una casa bruciata dalle fiamme?» Ice diventava sempre più sospettoso. Cora raggiunse il taxi più vicino, scivolò sul sedile posteriore e non appena Ice prese posto accanto alla sorella, la vettura partì verso la destinazione indicata.

«Allora? Mi dici cosa stai pensando di fare?»

«Non credo che l’incendio fosse casuale» gli rispose a bruciapelo, lo sguardo basso e la voce ridotta ad un flebile mormorio.

«Come… Che cosa?!»

«Non credo che l’incendio fosse casuale» ripeté di nuovo Cora guardando suo fratello negli occhi. «Non può essere stata una fuga di gas. Sai bene che la mamma lo chiudeva sempre prima di andare a dormire.»

«Stai cercando di dire che qualcuno può aver incendiato la casa?!»

«È quello che intendo scoprire.»

 

*

 

Santiago godeva di una certa fama tra i vampiri, e se era conosciuto non era certo per la sua precaria pazienza. L’irascibilità era sempre stata una parte fondamentale del suo carattere aggressivo e attaccabrighe, e l’essere diventato un vampiro –un Sangre, soprattutto- aveva acuito il lato più oscuro della sua anima.

Ma quella ragazza, Cloe, sembrava ignorare tutto questo.

L’arroganza che ostentava ogni volta che tentava di dibattersi nonostante fosse la preda della situazione non aiutava certo Santiago, che stava cercando di trattenersi perché la situazione non gli sfuggisse di mano.

Era un problema che non andava sottovalutato: doveva cercare di contenersi, o la mannara non sarebbe arrivata viva alla notte del Sabbath. Ne sarebbero seguite complicazioni spiacevoli: avrebbe dovuto spiegare a Lakeisha perché non le aveva portato il suo dono, tanto per fare un esempio.

Avrebbe dovuto pensare a qualche scusa, o ad una spiegazione convincente che non mettesse troppo in luce la sua piena responsabilità nell’incidente che aveva visto la poverina finire dissanguata.

Inutile dire che non ne aveva la minima voglia.

E, tra le altre cose, era certo che la Domina –il titolo che spettava di diritto a Lakeisha in virtù della posizione che occupava all’interno del clan- avrebbe preferito avere tra le mani il ghoul di Axel, invece che un semplice e comune cadavere.

Insomma, doveva cercare di fare la cosa che più di ogni altra gli creava non poche difficoltà: trattenersi. Per sua natura possedeva istinti violenti, di qualunque natura, che chiedevano di essere soddisfatti e che non erano mai stati soffocati.

Mai. Non in quelle condizioni, almeno.

Invece ora si trovava costretto a reprimerli, e la cosa si prospettava difficile perché si era ritrovato per le mani un trofeo succulento ma allo stesso tempo disgraziatamente irritante.

Anche in quel momento, mentre la scortava con tutta la dolcezza di cui era capace lungo il corridoio che portava all’attico in cui viveva, lei insisteva con quell’atteggiamento indisponente. Era come un cane al guinzaglio che cercava la libertà, peccato che il guinzaglio che Santiago teneva in pugno fossero i capelli di Cloe…

Il punto era che aveva raggiunto il limite. Era stanco, davvero molto stanco di sentirla gridare in continuazione, di dover lottare contro di lei e di impedirle di lasciargli graffi sul braccio per costringerlo a mollare la presa.

Era un supplizio a cui avrebbe volentieri messo fine, se solo avesse potuto farlo.

«Non ti sei ancora stancata di gridare?»

«Vaffanculo…» fu un sibilo questa volta, ma lo sentì più che bene. Sogghignò. Doveva insegnarle una lezione che per lei non sarebbe stata affatto piacevole. Doveva educarla, costringerla al silenzio, toglierle ogni desiderio di resistenza, annichilirla totalmente fino ad arrivare alla notte del Sabbath.

Oh, l’avrebbe fatto eccome. L’avrebbe piegata. Spezzata.

Entrarono nell’attico, un ambiente arredato all’insegna del lusso più sfrenato e delle atmosfere soffuse: fu in quel momento che la resistenza di Cloe si fece più serrata. Puntò i piedi, cercando di impedire al vampiro di trascinarla ovunque fosse sua intenzione condurla, e Santiago perse quel labile controllo di cui disponeva.

La sbatté contro il muro, imprecando, e lei si lasciò sfuggire un gemito di dolore che diede una soddisfazione perversa al vampiro.

Finalmente stai zitta.

«Ti piace il dolore, vero?»

Lei lo guardò con odio attraverso il dolore che le velava lo sguardo e le mozzava il fiato.

«Secondo te?»

«Fai di tutto per provocarmi… Io direi che ti piace eccome» mormorò sogghignando. La guardò negli occhi cercando di saggiare quale sarebbe stata la sua reazione. Eppure, contro ogni aspettativa di Santiago, lei abbassò lo sguardo. Sembrava imbarazzata.

Il sorrisetto sghembo di Santiago divenne un ghigno malevolo e malizioso. Forse aveva appena trovato il modo di controllare quella ragazza chiassosa e di evitare scocciature.

«Sai…» le mormorò all’orecchio con fare sensuale, appoggiando lentamente gli avambracci al muro. Quando lei si accorse che Santiago si stava facendo pericolosamente vicino, alzò gli occhi allarmata.

«… potrei anche trattarti bene, con dolcezza…» il senso nascosto in quella frase era evidente. Tuttavia non la sfiorò mai, neppure per un istante. Rimase vicino a lei, vicinissimo, ma non la toccò.

Santiago poteva però sentire il suo respiro, poteva vedere come le sue guance si imporporavano nell’imbarazzo, e il suo odore… Dio, se non fosse stata destinata a Lakeisha…

Si leccò le labbra, desideroso di lei, del suo sangue.

Chiuse gli occhi, accostò il volto al suo, e aspirò. C’era di tutto nell’aria: profumo di shampoo alla vaniglia, sangue, e l’odore della sua pelle che si confondeva con un’altra fragranza che lo fece fremere.

Era l’odore della sua eccitazione.

Il respiro del vampiro divenne affannoso, e il desiderio di avventarsi su di lei divenne insostenibile. Con un ringhio si allontanò, la afferrò per un polso e la trascinò verso le scale che portavano alle camere.

«Che stai facendo?!» la sentì gridare sempre più allarmata, e dentro di sé esultò. Faceva bene ad aver paura. Doveva provare quell’emozione, sempre, costantemente.

«Lasciami!» Cloe tentò di evadere dalla presa di Santiago quando raggiunsero la camera da letto. Sembrava sempre più spaventata.

Santiago trascinò la ragazza nel bagno comunicante, una piccola stanza piastrellata di bianco senza finestre. Fece scattare la serratura, e dopo aver riposto la chiave al sicuro nella tasca dei pantaloni lasciò libera Cloe.

La guardò con sufficienza, un sorrisetto divertito di fronte allo sguardo stravolto della mannara, che si teneva a debita distanza dal suo rapitore.

«Potresti avere la mia eterna riconoscenza, se la smettessi di fissarmi. Eterna, chiaramente, perché potrei vivere in eterno. Sennò avrei detto “la mia riconoscenza” senza aggiungere altro, ovvio, no? » gesticolò, in mano il tubo flessibile della doccia.

«Che stai blaterando?» Cloe, davanti a lui, era la viva rappresentazione della confusione. Si allontanò da Santiago dando le spalle al muro, ma l’istante successivo il vampiro girò la manopola dell’acqua fredda e la mannara si ritrovò nell’esatta traiettoria del getto d’acqua. Un getto d’acqua potente.

E gelido.

«ODDIO!»

Non c’era dove scappare, non c’era dove potersi riparare, eppure lei non stava ferma neppure un secondo. Correva in tondo, ma inevitabilmente l’acqua la seguiva, inzuppando ogni centimetro di tessuto che aveva addosso. Stava strillando senza ritegno, come una donnetta in preda ad una crisi isterica. Era rumorosa e fastidiosa.

«SEI UN CRETINO, È GELATA!»

«L’idea era quella, infatti…» sogghignò, e l’occhiata di puro odio che ricevette lo divertì immensamente. Quando richiuse l’acqua, nell’aria c’era uno strano odore, decisamente simile a quello che aveva sentito poco prima sulle scale.

Vaniglia, l’odore della sua pelle, quello del sangue che la faceva profumare e la rendeva appetibile come una caramella… Era un mix ancora troppo pericoloso, che solleticava la sua bramosia nonostante non fosse più condito dal profumo della sua eccitazione.

Doveva trovare uno stratagemma per cancellare quel profumo da lei, o probabilmente non sarebbe resistito a lungo senza sbranarla. Frugò all’interno di un mobiletto sotto al lavandino. C’era acqua da tutte le parti: sul pavimento, sulle ante, persino qualche goccia sui ripiani. Aveva allagato il bagno senza risultati, ma per lo meno era stato un modo divertente per ingannare il tempo.

«Proviamo con questo» decretò rinvenendo un vecchio flacone di profumo da uomo, una bottiglia di vetro quasi piena. Cloe, impegnata a strizzare il maglione incollato al corpo, si rese conto di ciò che il vampiro intendeva fare solo quando si ritrovò una spruzzata di profumo sugli occhi, e l’odore pungente la fece tossire ripetutamente.

Fu una tragedia.

In pochi secondi metà bottiglia era riversa sul corpo di Cloe, che aveva le lacrime agli occhi e faceva fatica a respirare.

«Tu sei uno psicopatico…» sibilò tra un colpo di tosse e l’altro. Santiago aveva visto raramente un odio così feroce negli occhi di una persona, e per un attimo intravide in lei la stessa morbosa forza che era certo di possedere.

La faccenda poteva essere più interessante del previsto.

«Ti assicuro che dietro a tutto questo c’è una logica, se ti può aiutare a trattenere le lacrime» la canzonò, e un guizzo illuminò gli occhi di Cloe.

La mannara gli rubò di mano la bottiglietta di profumo e la scaraventò a terra, dove si infranse in mille pezzi. Il suo contenuto si mischiò alle pozzanghere d’acqua, e l’odore dell’alcool in quel piccolo bagno senza finestre divenne in poco tempo fastidioso.

Il sorrisetto sottile e canzonatorio di Santiago si spense all’istante: l’espressione di sfida che le leggeva negli occhi gli stava facendo perdere la propria baldanza, così come il controllo.

Era come se gli stesse dicendo “e adesso vediamo che farai”.

Le si avvicinò lentamente senza smettere di guardarla negli occhi, con il magnetismo di un felino pronto a balzare addosso alla sua preda.

Era serio, maledettamente serio, e le avrebbe cancellato quello sguardo indisponente dalla faccia con ogni mezzo a cui poteva ricorrere, che fosse piacevole oppure sgradevole non aveva importanza.

Cloe si gettò di lato nel tentativo di allontanarsi da lui, ma Santiago la afferrò per un braccio. Non le lasciò scampo.

«Non così in fretta…» mormorò senza alcuna traccia di scherno nella voce. Il tono con cui aveva appena parlato non era divertito. Aveva il suono freddo e pericoloso di una minaccia velata.

«Altrimenti? Mi uccidi?»

Lo stava sfidando, di nuovo.

Lo guardava con quegli occhi grandi, verdi e impudenti, e se solo avesse potuto glieli avrebbe strappati e l’avrebbe costretta a descrivere in ogni più piccola sfumatura com’era il dolore che provava mentre le portava via una parte di se stessa per sempre.

Ma non poteva, perché semplicemente Cloe non gli apparteneva. Non era sua.

Non poteva soddisfare le sue voglie, non con lei. Doveva resistere. Il problema, però, era che non era affatto sicuro di esserne in grado.

In fin dei conti era pur sempre un Sangre

 

 

 

 

 

 

                        

L’angolo dell’autrice

 

Uah, quanto amo sto font! (ok, sto divagando e a voi non penso importi poi molto delle mie preferenze in fatto di font di word ò.ò)

 

Innanzi tutto… PERDONATEMIH!! Sono in immenso ritardo con l’aggiornamento, lo so, ma ho passato Agosto a casa del mio ragazzo (mare mare mare °ç°) e fino a ieri ho avuto lui qui. Non per rendervi partecipi dei miei fatti personali che non sono neppure un filo emozionanti, quanto per mettere in piedi una qualche giustificazione del perché non ho aggiornato prima.

Troppe distrazioni, ecco! u.ù

L’importante, comunque, è che ho aggiornato.

 

Nuovo capitolo con una parte vista dal punto di vista (ah ah!) di Santy. Inutile dire che mi sono divertita particolarmente a scriverla… XD Dal prossimo capitolo però ritorna Axel! E aspettatevi scintille, anche perchéééé… non dico niente! ù__ù

 

Ma veniamo a noi, miei tesori: devo dire che sono rimasta piacevolmente sorpresa, e per questo devo ringraziare hinata_in_love e _Vampire girl_ che hanno messo Slayer’s tra i preferiti, e Jennifer90 che invece l’ha messa tra le storie seguite. Graziegraziegrazie! *___*  *si inchina*

E poi… poi… LE RECENSIONIIII *ç*

 

Jennifer90: non hai idea di quanto sia contenta di ritrovare un vecchio lettore affezionato che non ha dimenticato la mia creatura! Per premiarti ti do un anticipo sulla storia, un’indiscrezione, chiamiamola così: questa versione sarà molto incentrata sul sangue e sui legami che si basano sul sangue u__ù Sarà sanguinosa, ecco ò.ò Spero che continuerai a leggere, aspetto altri tuoi pareri eh *__*

 

Asha: INFAME! °O° (me l’hai chiesto tu eh, io ti accontento ò.ò) Santy è sempre Santy anche in questo capitolo? Dimmi un po’… Anche se senza Ice vicino non gli vengono le battutacce, povero! ç__ç Gli manca la sua ADORATA spalla ç__ç

 

Come ultima cosa, vi ricordo di controllare nella sezione Gallery del forum di EFP, sezione originali: trovate la mia pagina con i disegni di Axel&Co. (che poi è praticamente Santy&Co, ma son dettagli XD). Così, se volete passare a sfogliarli… Io ne aggiungo di nuovi! ù.ù

 

Alla settimana prossima con il nuovo capitolo, sempre su questi schermi.

Brin :)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** le cose cambiano ***


 

 

 

 

 

 

Il giorno dopo dovrebbe essere il tempo delle riflessioni.
Si tirano le somme, si analizza ciò che è accaduto il giorno prima.

Non c’è spazio per lasciarsi andare alle emozioni, si deve andare avanti. Specialmente se è un cacciatore a dover elaborare il proprio dolore.

Ventiquattr’ore sono tutto ciò che viene concesso, il tempo utile per annegare nella disperazione, per farsi sommergere dallo sconforto, per sentirsi disorientati.

Confusi.

Perduti.

Dopo di che si devono lasciare le debolezze alle spalle, nessuna ferita che possa offrire al nemico un’arma da usare a suo vantaggio.

Non c’è spazio per il dolore.

 

 

 

 

 

 

4.

Le cose cambiano

 

 

 

 

 

Non c’è spazio per il dolore.

Era un precetto ridondante nella formazione dei cacciatori e nonostante il rigore con cui veniva impartito, Cora era sempre stata certa di una cosa: la teoria era facile da imparare, ma la pratica era tutt’altra cosa. L’aveva sempre sospettato, e solo con la tragica morte di sua madre aveva capito quando i suoi sospetti fossero fondati.

Non c’è spazio per il dolore. Ventiquattr’ore sono tutto quello che avete, ripetevano sempre i suoi istruttori, ma non le avevano mai spiegato come poter elaborare un lutto in così poco tempo. In fin dei conti non era così sorprendente se in quel momento si trovava per strada, fuori di sé dalla rabbia, con il cuore che stava per scoppiarle nel petto e Ice che la rincorreva con preoccupazione.

«Cora, per favore…»

«Venite fuori…VENITE FUORI!»

Aveva la mente ottenebrata dal dolore sordo per quello che era successo a sua madre, un dolore che avrebbe dovuto gestire in qualche modo, un modo che però non conosceva. Un dolore alimentato dalla rabbia suscitata da ciò che aveva rinvenuto durante le sue ricerche, dopo un’intera giornata trascorsa ad affannarsi attorno ai resti bruciati di quella che una volta era casa sua.

Era notte, la prima trascorsa senza la presenza di sua madre, senza la familiare sensazione di protezione che solo il suo letto sapeva darle. Sarebbe potuta ritornare a casa di Amber, di nuovo, come la notte precedente, ma non ne aveva nessuna voglia.

Così aveva corso lungo la strada, diretta verso il luogo dove aveva incontrato quei vampiri soltanto ventiquattr’ore prima, quando sua madre era –probabilmente- ancora viva.

«Cora, davvero, non è una buona idea…»

«Non è stata una buona idea quello che hanno fatto a nostra madre, Ice!» tremò per la rabbia, il freddo e la stanchezza che le stava consumando il cuore. La sua voce era incrinata dal pianto che tentava di trattenere per orgoglio e in quel momento, mentre tentava di non soccombere alla disperazione, si sentì immensamente fragile.

«Stai facendo una cosa molto stupida.»

Fu come ricevere una doccia gelata. Guardò suo fratello sconvolta, come se l’avesse appena tradita.

«Io sto cercando giustizia!» gridò con nuovo vigore, cercando di difendere la propria causa come se ne andasse della propria vita.

Ice si lasciò sfuggire un sospiro. Abbracciò la sorella, e tra quelle braccia Cora rimase rigida, come se fosse fatta di pietra.

«Non è questo il modo per farci giustizia. Non ne guadagneremmo niente di buono, fidati di me» mormorò contro i capelli di lei. «È pericoloso stare qui. Andiamo.»

La sospinse con delicatezza, un invito non troppo insistente, rispettoso e premuroso, ma Cora non ne volle sapere di fare la propria parte. Si allontanò bruscamente da Ice, come se la sua sola vicinanza la potesse scottare.

«Andare dove esattamente? Non abbiamo più nulla, lo sai bene» sibilò ogni parola con rabbia verso il mondo e odio verso i responsabili della tragedia che aveva sconvolto l’ordine precostituito della sua vita.

Ice sospirò accarezzandosi la base del collo, sconfitto. «Cora…»

«No Ice! Non. Dirmi. Cora. Sei libero di tornare a casa di Amber, se è questo che vuoi. Io starò qui finché qualche vampiro non mi avrà dato le risposte che cerco.» Era il ritratto dell’ira mentre sibilava ogni parola come se brandisse con gusto un pugnale affilato. «AVETE CAPITO? NON ME NE ANDRÒ!»

«È difficile non capire il concetto, visto che stai urlando da circa un quarto d’ora. E, tra le altre cose, il tuo amico ha ragione a dire che non è una bella idea.»

Cora sussultò.

L’aveva colta di sorpresa. Non l’aveva sentito avvicinarsi, e lui era riuscito ad arrivarle alle spalle senza darle alcun sospetto. Quando si voltò, si ritrovò a guardare il volto perfetto di Axel, che la guardava con curiosità.

«Voi siete quelli di ieri sera, vero?»

Ice si frappose subito tra il vampiro e Cora, come un cane da guardia che accorre a proteggere il padrone.«Io e mia sorella ce ne stavamo andando proprio in questo momento. Se vuoi scusarci…» fece per prendere il braccio di Cora, ma la ragazza si scostò. Rivolse ad Axel un’occhiata accusatoria e ostile.

«La notte scorsa è stata incendiata una casa. Qualcuno ha visto delle persone aggirarsi lì attorno quando è stato appiccato il fuoco, qualcuno con una carnagione molto pallida.»

Ciò che voleva insinuare con quelle parole era fin troppo facile da intuire. Vampiri. Creature come quella che si trovava davanti a lei, tutte uguali ai suoi occhi di cacciatrice. Stava accusando Axel, come stava accusando tutti i vampiri sparsi nel mondo, ma per lui non sembrò rappresentare un problema.

Si limitò ad ascoltarla a braccia conserte.

«E quindi? Io che posso farci?»

«Tu non ne sai niente? Sei dell’ambiente, no?»

«Mi stai accusando?» il tono di Axel divenne improvvisamente serio, ed Ice si intromise nella conversazione con baldanza, sul viso un sorriso largo e gioviale.

«E i tuoi amici? I due che erano con te ieri non ci sono?»

«Ice…» Cora gli scoccò un’occhiata raggelante che esprimeva un imperativo inequivocabile: stanne fuori. A volte sapeva essere molto convincente.

«Non sono stato io. Nessuno dei vampiri che condividono la mia ideologia è responsabile per ciò che è successo in quella casa. Se voi cacciatori cercaste di conoscere il nemico che cacciate, lo sapreste» Axel ne approfittò per riprendere la parola. Il suo atteggiamento era composto mentre si difendeva dalle accuse che gli venivano mosse, e la calma con cui le demoliva irritava Cora.

Era lei a insinuare la colpevolezza di quel vampiro, eppure Axel la faceva sentire come se la colpa per tutto quello che era accaduto fosse da imputare a lei.

Cercò di controllare il disagio che provava, per non dargli ulteriori vantaggi su cui fare leva per fronteggiarla.

«L’unica cosa che so è che i vampiri non si sono mai avvicinati alle case degli umani.»

«Le cose cambiano…» le rispose con un sorriso enigmatico.

Non era affatto giusto. Quel sorriso la stordiva e per un istante le faceva dimenticare ogni cosa: il perché si trovasse lì, l’oggetto della conversazione, perfino la presenza di suo fratello accanto a lei. L’unica cosa di cui era consapevole era lui.

Ammaliante.

Seducente.

Se in quel momento le avesse sfiorato la pelle della mano e le avesse sussurrato all’orecchio di venire via con lui, probabilmente lei lo avrebbe seguito ovunque, febbricitante.

Era una seduzione così sconvolgente e totale che quando Ice le assestò una gomitata tra le costole, Cora sussultò spaesata.

«Lo stavi fissando a bocca aperta… Dovresti vergognarti, sei imbarazzante…»

Non ebbe il coraggio di replicare, semplicemente perché era consapevole che quanto suo fratello aveva detto corrispondeva alla verità. Lo aveva guardato. Lo aveva fissato. Lo aveva spogliato con la mente, e non era stata capace di distogliere lo sguardo dai suoi occhi viola.

Lui non gliel’aveva concesso. L’aveva rapita, l’aveva soggiogata.

Si sentì ancora più arrabbiata: con lui per averla fatta cedere, e con sé stessa per avergli concesso così tanto.

Ma, dovette riconoscere con sdegno, lui era l’unico che poteva darle le risposte che cercava. Le costò uno sforzo molto grande, ma non riuscì a trovare altre soluzioni. Doveva scendere ad un compromesso.

«Che cosa sai?»

Axel si guardò attorno. Fiutò l’aria, e la sua espressione si rabbuiò all’istante.

«Seguitemi. Credetemi, è meglio se parliamo in un posto più sicuro.»

 

 

*

 

 

Il posto sicuro, così com’era inteso da Axel, si rivelò essere una grande villa in stile vittoriano, dall’aspetto cupo ma allo stesso tempo affascinante. Prometteva avventure al di fuori del tempo, dove anche la persona più annoiata si sarebbe potuta sentire così viva da avere i brividi.

La casa si trovava in cima ad una piccola collina, in una posizione privilegiata: da lì si poteva scorgere quasi tutta la città, e risultava anche un posto strategico per il controllo della zona, essendo al centro del territorio dominato da Axel.

Non c’era da stupirsi che fosse una delle case di proprietà degli Eraclea, e più si avvicinavano alla villa imponente, più i dubbi assalivano Cora.

Non era affatto sicura che quella fosse la cosa giusta da fare: seguire un vampiro fin dentro casa era inequivocabilmente stupido. Dal tronde, Axel non aveva ancora dimostrato cattive intenzioni: era sempre stato disponibile, composto, forse un po’ freddo, ma sicuramente mai aggressivo.

Però era un vampiro.

Che cosa lo rendeva diverso dalle altre creature della sua razza? Poteva essere sicura che non avrebbe fatto loro del male, una volta entrati dentro quella villa?

Guardò suo fratello che, seduto accanto a lei sul sedile posteriore dell’auto, guardava fuori dal finestrino con ostinata attenzione. Il suo silenzio prolungato era abbastanza per capire che Ice non vedeva di buon occhio quello che stavano facendo.

Non poteva biasimarlo.

«Siamo quasi arrivati» Axel guardò nello specchietto retrovisore, e quando Cora incrociò il suo sguardo avvertì di nuovo quella strana sensazione, quell’elettricità che le infiammava il sangue. Distolse lo sguardo, sforzandosi di trovare interessante il paesaggio collinoso oltre il finestrino. Era meglio ignorare quelle strane sensazioni, negarle, per impedire loro di esistere. Era l’unico modo che conosceva per difendersi.

Quando entrarono in casa, però, Cora dimenticò per un istante le sue preoccupazioni: ciò che aveva davanti agli occhi era semplicemente magnifico.

Mobili in mogano, tendaggi pregiati, tappeti persiani, vetrate immense e piene di luce. In quella casa si respiravano millenni di storia.

Axel si levò il cappotto e lo appoggiò sulla spalla del divano.

«Nonostante quello che possono dire i Sangre, anche noi siamo piuttosto legati al passato» indicò le poltrone, come un perfetto padrone di casa. «Accomodatevi.»

«Oh, sì. Grazie» balbettò Cora. Si sentiva fuori posto e in imbarazzo di fronte a quella cortesia inaspettata.

«Chi sono i SangreIce, comodamente seduto come se si trovasse a casa sua, guardò Axel con curiosità. Aveva improvvisamente cancellato tutta la propria diffidenza con una semplice domanda.

«Vampiri come noi, eppure profondamente diversi. Noi Eraclea siamo dei filantropi. Il mondo, gli esseri umani… tutto per noi è fonte di curiosità, è scoperta, è una fonte inesauribile di vita e di conoscenza. La vostra cultura ci affascina. Mi affascina» il suo sguardo profondo cadde su Cora, che lo ascoltava con meraviglia.

Non aveva mai sospettato che ci fossero vampiri che guardassero gli uomini con occhi diversi da quelli di un predatore. Era come scoprire un mondo inesplorato.

«Rispettiamo profondamente la vostra vita. Non vi cacciamo.»

«E per mangiare? Come fate? Ero sicuro che i vampiri cacciassero…» Ice, stupito quanto Cora, sembrava quanto meno aver conservato l’uso della parola, e ne riusciva a fare un pieno utilizzo.

Axel sorrise. Si sedette sul divano, appoggiando compostamente un braccio sullo schienale. Aveva movenze signorili, feline, eleganti. Sembrava che ogni suo gesto chiamasse Cora, e la costringesse a dare a quel vampiro assoluta attenzione.

«Non uccidiamo gli esseri umani, né li trattiamo come se fossero solamente cibo» continuò Axel. «Non siamo legati all’ebbrezza che ci da la caccia e anzi, cacciare non ci entusiasma particolarmente. Preferiamo utilizzare i Ghoul per sfamarci.»

Ghoul. Cora aveva già sentito quella parola in precedenza.

Le tornò in mente una ragazza dagli occhi verdi e i capelli arruffati. Una ragazza umana.

«Lei è un Ghoul?» domandò riscuotendosi dal torpore che le movenze seducenti di Axel avevano causato.

«Cloe? Sì, lei è un Ghoul

«Ma che cosa sarebbe questo CoaulIce, dalla sua poltrona, era meditabondo.

Cora gli indirizzò un’occhiata in tralice. «Ghoul, non Coaul! Scemo…»

Axel li guardò, sorridendo divertito. «Un Ghoaul è un essere vivente che accetta di stipulare un patto con un vampiro di sua spontanea volontà. Egli si impegna a sfamare il vampiro in cambio di qualche goccia di sangue dello stesso vampiro a cui ha donato il proprio. Sangue per sangue.»

«Non capisco il senso di questo patto…» Cora si accigliò.

«È conveniente. Noi non dobbiamo cacciare, e il nostro sangue permette al nostro Ghoul di vivere molto più a lungo di quanto la sua vita possa concedergli. Lo fa invecchiare molto più lentamente, lo preserva dalle malattie, cura le sue ferite. È un elisir di lunga vita.»

In quel momento la porta all’ingresso si aprì, e pochi istanti dopo fecero capolino dal corridoio due volti che Cora aveva già visto la sera precedente. Erano un uomo e una donna, i due vampiri che avevano aiutato Axel a scacciare il gruppetto di Sangre che aveva attaccato lei e suo fratello.

«Allora?» Axel scattò in piedi come una molla, improvvisamente in apprensione.

La donna –una bionda dalla bellezza di una bambola di porcellana- scosse il capo.

«Non l’abbiamo trovata. Mi spiace.»

La delusione sul bel viso di Axel era evidente. Chiunque fosse sparito, per lui doveva essere decisamente importante.

«Non mi piace. Non mi piace affatto. Se lei non torna…»

«Axel, la troveremo» era l’altro vampiro a parlare, e l’impressione che diede a Cora confermava ciò che la ragazza aveva pensato la prima volta che l’aveva visto: non c’era creatura al mondo più raffinata di lui. Persino Axel sbiadiva al suo fianco, sembrando poco più che normale.

Doveva aver ricevuto un’educazione puntigliosa e aristocratica: ogni gesto, ogni parola, ogni espressione era squisitamente misurata.

«Forse è meglio andare, che ne dici CoraIce si mise in piedi, rassettandosi la giacca.

«Non potete andarvene. Lei deve curarsi la ferita, prima» Axel indicò Cora con un cenno del capo, e lei non riuscì a trovare le parole per ribattere di fronte al suo carisma. Era un capo degno di questo nome, non c’erano dubbi: nonostante le preoccupazioni che lo affliggevano, riusciva a vedere ciò che era giusto e ciò che era sbagliato. Certo, i sensi lo avvantaggiavano, ma la sua presenza di spirito era un aiuto prezioso.

Le prese la mano e la condusse verso le scale. Poi, prima di salire al piano di sopra, si voltò verso i suoi due compagni.

«Will, Emma, il ragazzo lo lascio a voi.»

 

 

 

 

 

 

L’angolo dell’autrice

 

Sono molto, molto felice, sì. C’è bel tempo, io scrivo, e trovo anche il volto in carne, ossa e sguardo che mi ero sempre immaginata per Santiago °ç°

Cioè… parliamone:

 

http://img186.imageshack.us/img186/2700/benbarnesfactory05.jpg

 

 

Per chi non lo sapesse, il belloccio è Ben Barnes, il principe Caspian di Narnia 2 che all’epoca non mi aveva fatto né caldo né freddo, ma quando l’ho visto in questa foto ho pensato “è lui! È Santy! Ò.ò”.

Con tanto di faccia, sì.

Sono felice, ecco. Anche voi mi rendete tanto tanto felice, perché mi recensite e mi mettete tra i preferiti *__* Quindi, bando alle ciance e passiamo ai cincillà ( °O° ):

 

Un grazie enorme, davvero di cuore, a yuuki_4ever e a loli89 che hanno messo Slayer’s tra i preferiti, e a flavia93 e a urumi che l’hanno inserita tra le seguite. Davvero, non avete idea di quanto io sia contenta! *__*

 

Ma passiamo ai commenti:

 

Urumi: visto? Mai perdere le speranze! :D spero che continuerai a seguire Slayer’s ^^

 

Jennifer90: ma tu non sai quante volte ho letto il tuo commentooooooo!! Non hai idea, ero felicissima!! :D Davvero, sapere che Santy e Cloe ti sono mancati al punto da leggere i capitoli su di loro mi ha fatta crescere di due chili ahahah!! Mi fa davvero felice sapere che i miei due rompini sono entrati nel cuore di qualche lettore e ci sono rimasti dopo tutto questo tempo! *__* Anche se mi spiace, questo capitolo è dedicato tutto ad Axel e Cora: avevo bisogno di cominciare a spiegare un paio di cosette nuove su cui si baseranno le vicende a venire. Fammi sapere che ne pensi, mi raccomando! ;)

 

 

Ci vediamo la prossima settimana con il prossimo capitolo di Slayer’s Vampires.

 

 

Brin

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** legami ***


 

 

 

5.

Legami

 

 

 

 

Essere in quella casa era come trovarsi in un luogo lontano, immutabile, estraneo allo scorrere del tempo. Cora aveva la strana sensazione di trovarsi in bilico tra un’epoca lontana e la certezza della modernità in cui era cresciuta e in cui viveva tuttora, ma nonostante fosse razionalmente sicura di essere nel 2009, paradossalmente ogni fibra del suo corpo la riportava indietro in epoche che aveva solamente potuto immaginare.

Era una sensazione strana, stranissima. Come se tutto ciò fosse familiare.

Come se l’antichità della casa la chiamasse a sé.

Ammalia, esattamente come i vampiri che ci vivono.

«Da questa parte» Axel aprì una porta in fondo al corridoio: rivelava un bagno, uno dei tanti che probabilmente si trovavano in quella casa enorme. E, ovviamente, il bagno non era da meno in fatto di grandezza. Aveva ampi spazi, piastrelle nere, luci soffuse che contornavano la grande specchiera che sovrastava il lavandino e… dio, il lavandino! Realizzato interamente in quello che sembrava vetro, era semplice ma allo stesso tempo spettacolare. Vedere l’acqua scendere come se levitasse doveva essere divertente, ipotizzò Cora.

Le sfuggì un sorriso sognante. «È geniale!»

«Sì, beh. Non se lo devi pulire. Siediti, intanto prendo il disinfettante.»

Fece come le venne detto. Si sedette sul coperchio del water –anch’esso immancabilmente nero- e guardò Axel rovistare tra i medicinali all’interno di un piccolo armadietto.

«Tutta questa roba… Il bagno, le medicine… Voi non le usate, giusto?»

«Se ti stai chiedendo perché viviamo in una casa con tutti i comfort, beh: è colpa di Cloe

Di Axel poteva solo vedere le spalle larghe e la schiena ampia nascosta sotto la camicia, ma l’inflessione della sua voce era più che sufficiente per farle capire che qualcosa lo preoccupava. Qualcosa che aveva a che fare con questa Cloe, il Ghoul di Axel.

«La ragazza umana?»

«Mannara è più appropriato. Ah, eccolo» Axel si avvicinò con un flacone di disinfettante completamente pieno in una mano, nell’altra un sacchetto di cotone in dischetti. Sorrise appena, negli occhi un’ombra che lo rendeva vagamente distante. «Ti posso assicurare che non è scaduto. Solo, non lo usiamo molto spesso.»

«Capisco» Cora ricambiò il sorriso ma poi distolse lo sguardo. La tacita regola che consigliava di non impicciarsi nei problemi degli altri valeva più che mai in quel momento, in cui l’intimità non era assolutamente tale da consentire domande riguardanti aspetti privati della vita dell’altro.

Ma l’atmosfera era così pesante

«È Cloe la ragazza scomparsa?»

Lo chiese a bruciapelo, senza neppure pensarci. Non ebbe il coraggio di guardare Axel negli occhi.

«Non avevi una domanda urgente da farmi?» Axel aprì il flaccone, e versò qualche goccia di disinfettante sul dischetto di cotone. L’odore di alcool si disperse immediatamente nell’aria.

«Non saprei da dove cominciare…»

Era la verità. Nient’altro che questo. Avrebbe voluto sapere molte cose, tutto quello che c’era da conoscere, ogni singolo dettaglio che l’avrebbe aiutata a capire. Aveva sete di comprensione, ma non era facile scegliere con che domanda aprire le danze.

Poi, l’illuminazione.

«I Sangre. Chi sono?»

Axel si appoggiò con la schiena al lavandino, il dischetto di cotone tra le mani, imbevuto e inutilizzato. Sembrò non aver sentito la domanda di Cora, non questa volta.

«Dovresti toglierti la giacca. E la maglietta.»

Cora sentì lo stomaco fare una capriola e il calore inondarle il volto. Sapeva che non c’era nessun fine nascosto dietro quelle parole, ne era maledettamente certa, ma trovarsi da sola in una stanza assieme ad Axel, in quella casa, le faceva uno stranissimo effetto.

Non poteva restare indifferente alla tensione che quelle parole, quell’inflessione, quella pausa, quella voce bassa e morbida avevano creato.

La stava guardando, immobile come una statua, tutto di lui la chiamava. Era un invito a cui era difficile resistere.

Si sentiva come un affamato di fronte alla portata più succulenta che avesse mai visto, una portata che non poteva toccare.

Si sentiva come una preda qualunque, una delle tante. Non era giusto.

«Non c’è bisogno che mi aiuti, posso farlo da sola» mormorò sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, imbarazzata.

 Era dannatamente consapevole: di lui, della sua presenza in quel bagno che all’improvviso sembrava così stretto, della sua sensualità seducente. Erano bastate quelle semplici parole per sconvolgerla in quel modo. Come poteva pensare di farsi anche solo sfiorare da quelle mani? Sperò che lui non si fosse accorto del turbamento che le ribolliva dentro, nascosto malamente dal suo sguardo basso.

«Non ce la faresti a rifare il bendaggio da sola. Hai bisogno di aiuto.»

Di nuovo quella voce. Profonda.

Lo guardò negli occhi, e ritrovò tutto quello che aveva lasciato: seduzione, sensualità, erotismo. Non c’era parola migliore per descriverlo: Axel era erotico.

Pregò con tutto il cuore di non doversi pentire della propria scelta.

«Va bene.»

Fu quasi un sospiro, il suo. Si alzò, e lasciò scivolare la giacca a terra. Non sapeva se guardare Axel o dirigere lo sguardo altrove. Avrebbe voluto essere naturale, sentirsi naturale, ma invece risultava maledettamente impacciata.

Quando lo vide ridere – il primo sorriso vero da che poteva ricordare- si sentì derisa, presa in giro. La sua debole sicurezza crollò come sabbia al vento, lasciandola senza appoggio.

«Che c’è? Perché ridi?»

«No, è che sembri pronta per il patibolo. Rilassati, non ti mangio mica.»

Non ho certo paura di quello, infatti.

Rimase ferma ad aspettare, più impacciata che mai.

«La maglia.»

Cora rise, una risata che le sembrò decisamente nervosa. «L’avevo dimenticata.»

«Già. Vedo.»

Pure l’ironia, adesso?

Si spogliò anche della maglia, lentamente, e la lasciò cadere atterra assieme alla giacca. Rimase in reggiseno e pantaloni, ma sotto lo sguardo intenso di Axel si sentì come se fosse nuda. Adagiò i capelli contro la spalla sana, offrendo alle cure del vampiro la fasciatura ancora intatta. Non ce la faceva più.

Abbassò lo sguardo, sedendosi di nuovo.

«È tutta tua.»

Lo sentì muoversi verso il water. L’istante successivo Axel era inginocchiato davanti a lei. Avrebbe potuto scorgerlo anche solo con la coda dell’occhio, ma era intenzionata a non farlo. Una scelta che non aiutava certo a calmare il tumulto che stava sconvolgendo Cora: il silenzio era pesante, straziante, insopportabile.

E il fatto di non guardare ciò che Axel faceva, rendeva tutti gli altri sensi più efficienti: non c’era movimento che lei non avvertisse con un tuffo al cuore; il tocco delicato del vampiro le infiammava la spalla, il suo odore la stuzzicava e le suscitava brividi lungo la schiena.

Tutto questo era dannatamente eccitante e allo stesso tempo irrimediabilmente proibito.

Scordatelo Cora. Tu non stai provando niente. Sii fredda. Sii di pietra.

«Mi fai male. Faccio io» sbottò all’improvviso. Era una bugia fatta e finita, e ormai non le importava più che cosa avrebbe pensato il vampiro. Aveva bisogno di porre dei freni, a costo di risultare sgarbata.

«Come preferisci» Axel si allontanò, e per Cora fu come ritornare a respirare dopo aver trattenuto il fiato per ore. Le porse un dischetto di cotone dopo averlo imbevuto con del disinfettante.

«Pulisci bene la ferita. Si deve essere riaperta, c’è del sangue rappreso.»

«Grazie» Cora tamponò la ferita, cercando di togliere tutti i piccoli grumi di sangue che si affastellavano lungo i punti di sutura. «Non ti da fastidio l’odore del sangue?»

«Non particolarmente» Axel si strinse nelle spalle. «Se fossi un Sangre probabilmente ti avrei inchiodata al muro da un bel pezzo, ma noi Eraclea abbiamo istinti meno irruenti. Forse perché li abbiamo controllati da sempre.»

«E i Sangre? Cosa mi puoi dire su di loro?»

Axel si sedette sul bordo della vasca. «I Sangre sono l’esatto opposto di noi. La loro vita, la loro ideologia, la loro forza, tutto il loro essere si basa sulla convinzione di discendere dagli dei.»

«Come i cristiani?»

Axel scosse il capo. «Non è un fatto di religione, né di mitologia. È pura interpretazione: è il loro modo di rivedere la storia della nostra razza.»

«Non è molto chiaro…»

«Ci sono cose che è meglio non comprendere.»

Cora si guardò attorno, distratta da un problema imminente. La fasciatura. Detestava l’idea di chiedere aiuto ad Axel: avrebbe voluto dire averlo di nuovo vicino, con tutto il carico emotivo che questo comportava. Ma non poteva fare altrimenti.

Dannazione!

«Hai delle bende, per caso?»

«Sì, te le vado a prendere.»

Sparì da qualche parte nel corridoio, in chissà quale stanza, e tornò qualche istante dopo reggendo un rotolo di stoffa da fasciature.

«Questa è una cosa che non puoi fare da sola, lo sai?» le domandò con un tono che all’orecchio di Cora sembrava mellifluo, come se avesse intuito quanto la sua vicinanza la turbasse ma non avesse alcuna intenzione di darle tregua.

Uno stronzo che si finge gentile. Altro che rispetto!

«Mh.» Si sentiva a disagio. Maledettamente a disagio. Non aveva più scuse: da sola non sarebbe mai riuscita a fare un bendaggio degno di tale nome, né poteva chiamare in soccorso Ice. Rimase ferma, il braccio a mezz’aria in una muta richiesta di aiuto: fai quello che devi.

Axel srotolò la benda, e cominciò a fasciare la spalla di Cora con lentezza esasperante. Poteva sentire il suo tocco attraverso il tessuto di cotone, caldo, leggero, gentile. Era così vicino che avrebbe potuto sfiorarlo facilmente, se solo avesse allungato la mano.

Se solo…

Parla. Di’ qualcosa, qualunque cosa. Distogli la mente da lui.

«Non mi hai detto molto riguardo ai Sangre

«Scusa, mi ero distratto. Come ti dicevo, loro sono convinti di discendere dagli dei: è questa ideologia che li ha resi ciò che sono. Si sentono superiori, quasi divini, e ritengono che sia loro diritto omaggiare il loro essere. Qualunque istinto essi abbiano, qualunque voglia, qualunque desiderio provino non va frenato. Amano il sangue, amano la caccia, amano lasciarsi andare a qualunque cosa. Cercano l’eccesso in ogni circostanza si trovino. Non hanno freni. Non ne hanno mai avuti.»

«Cos’è la settimana del Sangue? L’avete nominata ieri» ora Cora era perfettamente attenta ad ogni parola. Pendeva letteralmente dalle labbra di Axel.

«Sono sette giorni dedicati al sangue. Più che caccia, potremmo dire che in questi giorni i Sangre si danno alla mattanza di esseri umani. La settima notte, chiamata notte del Sabbath, ogni vampiro deve offrire un trofeo alla guida del clan. Ti lascio immaginare di che genere di trofeo stiamo parlando…» aggiunse Axel, intrecciando un lembo di stoffa.

«Pensi che siano stati loro ad appiccare il fuoco e a uccidere mia madre?»

«Posso dire con sicurezza che non è stato un Eraclea.»

«Non riesco a capire il motivo per cui l’hanno fatto…» Cora cercò negli occhi di Axel una risposta qualunque, il più piccolo indizio che potesse aiutarla a dare un senso a quello che le era successo.

«Non sempre ci sono risposte per tutte le nostre domande» decretò il vampiro annodando le bende. «Puoi rivestirti.»

Cora non ebbe bisogno di farselo ripetere: indossare di nuovo la maglia le diede la sicurezza di un’armatura, e quel senso di insicurezza ed imbarazzo che provava al contatto della mano fredda di Axel sulla sua pelle svanì senza lasciare traccia.

«Ero certa che i vampiri non si avvicinassero alle abitazioni degli esseri umani. Arrivare addirittura ad incendiarle, poi…»

«Te l’ho detto: le cose cambiano. Farai meglio ad abituarti.»

 

 

*

 

 

«Avete davvero una bella casa» Ice, seduto sulla poltrona, si guardò attorno. I due vampiri – William ed Emma, se ricordava bene i loro nomi- erano accoccolati sul divano, abbracciati come due teneri amanti. Lo guardavano in silenzio, un silenzio che metteva Ice a disagio.

Una circostanza del tutto nuova per lui, che aveva sempre conversato con qualunque estraneo come se fosse un amico di lunga data. Sperava di riuscirci anche questa volta, ma i due non sembravano particolarmente disposti a collaborare.

«Davvero bella. Antica. Bella.»

«L’hai già detto» Emma, con la testa appoggiata alla spalla di William, studiava Ice con curiosità. «Tu sei il tipo che quando è imbarazzato parla in continuazione, vero?»

Ice si lasciò scappare una debole risata, per nulla divertita. «Certo che lavori parecchio con la fantasia, eh?»

«Per niente» rispose con un sorriso sottile.

«Emma, lascia stare il ragazzo» William la riprese, accarezzandole i boccoli biondi con dolcezza. Di qualunque natura fosse il loro legame, quei due dovevano essere molto uniti: Ice lo capì da ogni piccolo gesto rivolto all’altro, dagli sguardi che si scambiavano, dalla complicità che condividevano.

«Allora, voi… state insieme?»

«È più di questo. Io sono il suo Sire, ed Emma è la mia Puer» rispose William. Ice lo guardò, accigliato.

«Di che stai parlando?»

«Accidenti, a voi cacciatori non insegnano proprio niente!» Emma si mise a sedere, sul bel volto perfetto un’espressione meravigliata. «Sire, Puer… Il legame di sangue…» Si aspettava qualcosa da Ice, un lampo di comprensione, un cenno del capo, qualunque cosa che le confermasse che lui aveva capito.

Ma Ice era sempre più confuso.

«Il legame di sangue è alla base della relazione che intercorre tra chi vampirizza –il Sire- e chi viene vampirizzato –il Puer-» si intromise William, decisamente più indulgente. «È un legame assoluto, fisico e mentale, di completa sottomissione al Sire.»

«Non solo questo, Will» Emma fece per aggiungere dell’altro, ma il vampiro la fece tacere con un cenno della mano.

«Come dicevo è sottomissione, ma non si tratta solo di questo: solitamente il legame viene percepito come una sorta di adorazione profonda verso il Sire, anche se possono capitare casi in cui si provano dei razionali sentimenti ostili verso di lui. In ogni caso, comunque, il legame previene la possibilità che il Puer possa far del male al Sire.»

«Non ne è in grado. Fisicamente, intendo» aggiunse Emma, incapace di tacere. «Attaccare il proprio Sire è la cosa più innaturale che esista al mondo. Anche progettando di farlo, è quasi impossibile riuscirci: è come se ci fosse una forza imbattibile che ti trattiene. Capisci?»

Ice annuì, senza troppa convinzione. Stava cercando di digerire tutte queste informazioni e di dare loro un senso, operazione che risultò più complessa di quanto si fosse aspettato.

«Quindi questo legame è per sempre?»

Come il matrimonio? La sensazione che si trattasse di qualcosa di ancora più definitivo lo indusse a tenere per sé quella domanda.

«In teoria sì» rispose William. «In pratica c’è stato un unico caso in cui un vampiro è riuscito a estinguere il legame con il proprio Sire, e penso che non ne vedremo altri.»

«Caspita… Come si fa per estinguere il legame?» Ice divenne sempre più curioso.

«Bisogna bere il sangue del proprio Sire e, a meno che non venga spontaneamente offerto, equivale a fare del male alla creatura che conta di più per il Puer. Lo si attacca, letteralmente.»

«Accidenti! Chi di voi è il Sire?»

Emma indicò William, che sorrise. «Io.»

«Capisco» Ice annuì, finalmente a proprio agio. «Invece che tipo di relazione c’è tra un vampiro e un Ghoul

Emma tornò ad accoccolarsi tra le braccia del suo Sire. I boccoli le incorniciavano il viso, morbidi e lucidi, e gli occhi si accesero d’amore quando lui le circondò la vita con un braccio. Ecco l’adorazione di cui parlavano.

«È profondamente diversa da quella che c’è tra il Sire ed il suo Puer. Non è neppure considerata un legame, quanto piuttosto un accordo. Anche se devo riconoscere che è un accordo alquanto importante nella nostra comunità» spiegò William.

«Intende dire che essere scelti come Ghoul è un grande onore e segno di enorme fiducia. L’unico aspetto negativo è che il Ghoul diventa fisicamente dipendente dal sangue di vampiro –qualunque vampiro- e se non ne beve regolarmente va in astinenza. Un po’ come voi umani con la droga.»

«Quindi è per questo motivo che Axel è così preoccupato?»

Un rumore proveniente dalle scale gettò la sala in un silenzio pesante, tipico di chi viene colto in flagrante: Axel era fermo, appoggiato al corrimano, e scrutava tutti loro con attenzione. Cora, alle sue spalle, guardava il fratello con espressione di rimprovero.

Bel tempismo, complimenti Ice.

«Sospetto che Cloe sia stata rapita dai Sangre per la notte del Sabbath» Axel scese le scale: la risolutezza del suo sguardo era così vivida da non poter essere ignorata, ed Ice ebbe l’impressione che tutta quella determinazione fosse frutto di una certezza, piuttosto che di un semplice sospetto.

«I patti sono stati violati. Intendo riportarla qua.»

William si alzò, allontanando da sé Emma con gentilezza, come se fosse un piccolo gattino.

«Pensi che Lakeisha la lascerà libera?»

«Nonostante tutto sono ancora il suo Sire, Will. Ho ancora una certa influenza su di lei.»

 

 

*

 

 

Plic.

Plic.

 

Plic.

 

Quel continuo gocciolare era snervante, e non faceva che logorare la precaria pazienza di Cloe. Dopo aver provocato Santiago in tutti i modi che le venivano in mente era stata rinchiusa in bagno, senza una finestra né uno spiraglio di qualunque tipo.

Non aveva idea di quante ore fossero passate da quando era stata lasciata lì, infradiciata e con un’intera bottiglia di profumo cosparsa sui vestiti. Aveva freddo ed era stanca come mai lo era stata in vita sua, ma la paura per la sua sorte riusciva a farle dimenticare la stanchezza.

Appoggiò la testa contro il muro, seduta nell’unico angolo asciutto del bagno, e si appisolò. Stava quasi per addormentarsi, quando sentì un rumore forte e improvviso: era indubbiamente una porta, sbattuta con violenza.

E passi. Passi veloci, che diventavano sempre più vicini.

Vicini.

Vicini…

Cloe balzò in piedi, allontanandosi il più possibile dall’ingresso del bagno: pochi istanti dopo Santiago era lì, gli occhi furenti e il viso contratto in una smorfia rabbiosa.

«Adam me la pagherà» ringhiò, afferrando la ragazza per un braccio e trascinandola con foga fuori dal bagno. Cloe si dimenò con il cuore in gola, cercando disperatamente di sfuggire alla presa ferrea del vampiro.

«Vuoi stare ferma, per favore?!»

Cloe non aveva mai immaginato di vedere Santiago così fuori di sé. Non lo aveva mai visto perdere il controllo in quel modo, neppure quando lei lo aveva sfidato con le sue provocazioni. E ora, in quello stato agitato, le incuteva paura.

«Chi è Adam

«Uno stronzo che ha combinato un casino. Adesso vedi di collaborare, sono di pessimo umore.»

La trascinò verso l’ingresso dell’attico, e il panico investì Cloe quando il vampiro aprì la porta. «Fermo, fermo! Che vuoi fare?»

Santiago alzò gli occhi al cielo, lasciandosi sfuggire un’imprecazione labiale.

Quando i suoi occhi incrociarono quelli di Cloe, la mannara ebbe la sensazione che fargli perdere tempo in quel momento fosse l’ultima cosa da fare. O almeno, a giudicare dallo sguardo raggelante di Santiago, era una scelta molto pericolosa.

«Sparire. E tu con me.»

 

 

 

 

 

 

 

L’angolo dell’autrice

 

I miei pargoli stanno cominciando a fare quello che vogliono, e la cosa devo ammettere che mi spaventa un po’ XD Avevo intenzione di incentrare questo capitolo un po’ di più su Santiago e Cloe, ma si vogliono proprio far desiderare. Uff.

Invece prendono corpo i nuovi personaggi, Emma e William. Sono curiosa di sapere che ne pensate di loro. Io li trovo dolci *__*

 

Ma veniamo ai consueti e doverosi ringraziamenti: a clodio82, Fante e ryry per avere inserito Slayer’s tra i preferiti, e giuliettavr89 per averla messa tra le storie seguite: mi fa davvero felice vedere che così tante persone si stanno appassionando alla storia! *__*

 

Invece, per quanto riguarda i commenti, cominciamo con:

 

Jennifer90: sai, al di là di dire le solite cose -sono contenta che, mi fa piacere che, bla bla…- sono davvero felice che tu abbia notato una maturazione anche a livello di realismo per quanto riguarda Slayer’s: era l’obiettivo che mi ero prefissata quando ho deciso di riscriverla, volevo darle maggiore spessore. Insomma, vedere i riscontri positivi mi appaga, vuol dire che il mio scopo è stato raggiunto! E adesso le cose verranno man mano approfondite (OGNI cosa. Evviva la sensualità sottile! XD). Mi spiace solo che non sono riuscita a dare maggiore spazio a Santy e Cloe :(

 

Fante: carissimo, devo dirti che invece i commenti me li avevi lasciati eccome, e infatti mi ricordo benissimo di te! :D E siccome è sempre un’emozione ritrovare vecchi lettori affezionati, ti devo assolutamente dare il bentornato!! Ti capisco, all’inizio ero molto indecisa se proseguire con la vecchia versione o riscriverla completamente, e ho scelto quest’ultima opzione perché sentivo la necessità di renderla più credibile, pur mantenendo immutati i personaggi di base. Anche se non ti nascondo che sono ancora molto affezionata alla prima versione, quindi credo che le tue perplessità siano più che comprensibili ^__*

 

Clodio82:  amoreeeeeeeeeeeee *O* sono contentissima di sapere che ti è piaciuta così tanto la storia, davvero!! E da una parte non vedo l’ora di pubblicare l’antefatto, perché scommetto che ti appassionerà anche di più *__*

 

Anche per questo capitolo siamo giunti alla fine. Vorrei tanto dirvi che il prossimo lo troverete martedì prossimo, ma dopo domani comincio i corsi all’università e in più ho anche danza, quindi può darsi che l’aggiornamento slitti di alcuni giorni. Io però vi prometto solennemente che farò di tutto per postare appena possibile.

 

Brin

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** ultimatum ***


 

 

 

 

«Nonostante tutto sono ancora il suo Sire, Will.

Ho ancora una certa influenza su di lei.»

 

 

 

6.

Ultimatum

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel salotto era sceso un silenzio pesante dopo la dichiarazione di Axel.

Cora non aveva la benché minima idea di chi fosse questa donna dal nome strano, Lakeisha, ma a giudicare dagli sguardi che Axel e William si scambiavano –quest’ultimo le ricordava vagamente un cane da guardia in attesa di ordini dal padrone- non doveva essere una creatura incline alle trattative.

«Vengo con te» William corse verso l’ingresso. L’istante successivo ricomparve in salotto con il giaccone già infilato e abbottonato, un capo d’abbigliamento caldo e pesante che addosso a lui –e a qualunque altro vampiro, ovviamente- fungeva puramente da accessorio.

Axel fece altrettanto: indossò il cappotto e si avvolse una sciarpa di lana attorno al collo, pronto ad uscire.

«Emma, tu rimani qua. Se Cloe dovesse tornare, voglio che trovi qualcuno. Quanto a voi…» si rivolse a Cora e ad Ice. «… vi converrebbe tornare a casa.»

A Cora venne quasi da ridere per quella sfortunata scelta di parole a cui doveva rispondere. Quando parlò, però, non si aspettava di farlo con un tale sarcasmo nella voce. «Non abbiamo più una casa, e siamo a piedi. Come potremmo andarcene da qui?»

«Mezzi pubblici?» suggerì Emma, ancora seduta in divano.

«Potrebbe essere un’idea, sì» Ice cercò di invogliare Cora a dirigersi verso l’ingresso con una spinta leggera, ma la ragazza era inamovibile. «Dai, togliamo il disturbo.»

«Questa Lakeisha… È lei che controlla i Sangre?» la voce di Cora era tagliente, così come lo sguardo che rivolgeva ad Axel.

Quest’ultimo annuì. «E ci andremo io e Will. Non pensare neppure per un istante di poter venire con noi» aggiunse perentorio dopo aver infilato le chiavi della macchina nella tasca del cappotto. Cora avrebbe voluto ribattere, trattenerlo per convincerlo in qualche modo a portarla con sé, ma si trattenne quando Axel uscì.

A frenarla fu l’improvviso pensiero che, nonostante le confidenze che si erano scambiati mentre lui le medicava la ferita, ostinarsi nel volere vedere Lakeisha era quanto meno infantile: essere testardi e soffocare Axel con le suppliche non era certo il modo per ottenere quello che desiderava.

Ma, nonostante l’orgoglio le impedisse di gettarsi in ginocchio e pregare il vampiro con il cuore in mano, c’erano altri modi attraverso i quali sarebbe potuta arrivare a Lakeisha. Doveva solo imparare ad aspettare.

«Come preferisci.»

 

 

*

 

 

 

Oltre le mura del bagno in cui Cloe era stata rinchiusa fino a qualche ora prima, c’era un mondo avvolto nel buio, un mondo che dormiva sonni tranquilli mentre loro fuggivano da chissà quale pericolo.

Santiago l’aveva letteralmente trascinata in macchina, una jaguar grigia che sembrava disegnata apposta per una personalità sdegnosa come quella del vampiro. Insomma, un perfetto biglietto da visita con cui imporre la propria presenza.

Lei si era lasciata cadere sul sedile in pelle, sfinita dalla stanchezza e dalla tensione che le teneva compagnia da quando era stata rapita. Non sapere quali erano le intenzioni del suo rapitore era decisamente snervante, soprattutto in quel momento: il viso di Santiago era una maschera di rabbia, aggressività e qualcosa di molto simile alla paura.

Paura.

Qualcosa lo spaventava. Qualcosa che sfuggiva al controllo del vampiro, e che lo faceva sentire minacciato. Non era affatto un buon segno.

«Mi vuoi spiegare che sta succedendo?» chiese di nuovo, per l’ennesima volta.

«Che ti sembra che stia succedendo?» Santiago controllò lo specchietto retrovisore.

Di nuovo, nessuna risposta concreta né tanto meno esaustiva. Cloe nascose il volto con le mani soffocando un sospiro, la testa resa ovattata e resa pesante dalla tensione.

«Dio se mi irriti…»

Santiago sogghignò.

«Non si invoca il nome di Dio invano. Andrai sicuramente all’inferno.»

«Tu sei l’ultima persona sulla faccia della terra che può permettersi di nominare Dio» Cloe lo fulminò con lo sguardo. «… Santiago?»

«Mh

«Che hai fatto?»

Il vampiro lanciò di nuovo uno sguardo allo specchietto retrovisore. La luce dei lampioni si rifletteva sul suo viso cinereo, contornando il silenzio di attesa insostenibile.

«Conosco cose che non dovrei sapere riguardanti Axel» la guardò, serio. Nessuna traccia di ilarità, nessun senso nascosto in quelle parole inequivocabili e brutali. Fino a che punto fossero significative, però, era una questione che rendeva Cloe inquieta. Poi Santiago sogghignò, e la mannara riconobbe subito quella luce strana, maliziosa e divertita ,che brillava nei suoi occhi: si stava prendendo gioco di lei. Voleva metterla alla prova.

«E poi, beh, naturalmente sto rubando a Lakeisha il suo trofeo.»

«Naturalmente?!» Cloe era piuttosto perplessa.

«Vuoi uno schema? O magari un disegnino? Non è difficile sai, basta applicarsi un po’.»

Le ci volle tutto l’autocontrollo di cui disponeva per ignorare le provocazioni di Santiago ed evitare di dare una risposta sgarbata. L’unica reazione che si concesse fu un sospiro profondo e seccato.

«Il trofeo sarei io, immagino.»

«Molto arguta. Sono impressionato» il tono sarcastico con cui il vampiro ribatté all’osservazione di Cloe, ovviamente, sottendeva un significato completamente opposto. Peccato che, in quella situazione paradossale, qualunque forma di ironia risultasse inopportuna.

«Non capisco, davvero... Che senso ha tutto questo? Prima sono la tua carta vincente e poi divento il mezzo perfetto con cui fare dispetti a Lakeisha?!»

«Ti prego, non sono così banale!» Santiago sembrò urtato dalle parole di Cloe, lo suggeriva l’espressione accigliata sul suo viso. Era così convincente che per un istante la mannara si convinse di averlo fatto arrabbiare, ma dovette ricredersi non appena lo vide sogghignare, sardonico. «Prendi nota: si chiama lezione di vita

A Cloe venne da ridere: la situazione stava diventando sempre più assurda. «Che lezione di vita sarebbe? “Posso fare quello che voglio”

«Direi piuttosto: “non c’è vincolo, tradizione o clan che possa trattenermi dal fare ciò che ritengo opportuno”. Lakeisha l’ha sempre saputo, ma ultimamente se l’è scordato e siccome non vorrei mai che la guida dei Sangre si dimenticasse cose importanti, mi piace rimarcare il concetto. Ti basta come risposta?» terminò, guardando Cloe con un sorrisetto mellifluo ed inquietante. Il commento della mannara fu ironico, breve, conciso e vagamente annoiato.

«Quanto altruismo…»

«L’ho sempre detto che non sono così cattivo come pensano gli altri» Santiago scosse il capo, la voce affranta, lo sguardo mesto e triste. Si lasciò sfuggire persino un sospiro, come a voler sottolineare quanto l’etichetta di cattivo ragazzo pesasse sul suo animo nobile. Tutta scena, ovviamente. Cloe l’aveva capito fin dal primo istante: Santiago amava nascondere la sua vera natura dietro un ruolo che non gli apparteneva, ma che lui poteva impersonificare a regola d’arte attraverso l’ironia e il sarcasmo. Una tecnica vantaggiosa, soprattutto se veniva utilizzata per concupire la preda di turno.

«Dove stiamo andando?» domandò la mannara quando la macchina svoltò, immettendosi in quella che sembrava essere la via principale di un quartiere residenziale piuttosto comune, fatto di appartamenti senza alcuna pretesa. La zona le era familiare: faceva parte del territorio libero dalla giurisdizione dei vampiri, una zona di caccia contesa.

Era distratta dal panorama fuori dal finestrino, e si rese conto di non aver ricevuto risposta solamente quando sentì Santiago inveire contro la macchina che saltava e arrancava lungo l’asfalto. Lo sorprese a mollare pugni contro il volante, il cruscotto e persino il finestrino.

L’espressione sul viso di Cloe era un misto di sconcerto, aspettativa e speranza. «Che sta succedendo?»

«Succede che sto perdendo la pazienza!» Santiago ringhiò quando il motore si spense e la macchina rimase in panne in mezzo alla strada. «Fantastico! Ci mancava solo questa!»

Cloe rimase ammutolita. Si ritrovò ad ascoltare gli improperi del vampiro, a guardarlo agitarsi mentre controllava la quantità ormai nulla di benzina, e l’unico pensiero che riusciva a formulare era che, finalmente, aveva davanti l’occasione per fuggire: doveva solo afferrarla, senza perdere tempo a considerare le conseguenze qualora non fosse riuscita a scappare.

Si preparò allo scatto con il cuore in gola, la mano appoggiata alla maniglia dello sportello, i piedi pronti a divorare l’asfalto.

Doveva solo provarci.

Click.

E non successe niente. La sicura rendeva impossibile aprire la macchina dall’interno.

O mio Dio…

Chiuse gli occhi cercando di mantenere la calma, continuando a ripetersi che sicuramente ci sarebbero state altre occasioni, ma qualcosa non tornava. Qualcosa che non riuscì ad identificare con immediatezza le dava fastidio. C’era troppo, troppo silenzio. Guardò di sottecchi Santiago e quello che scorse con la coda dell’occhio la lasciò senza fiato: il vampiro la stava guardando, e aveva un’espressione a dir poco rabbiosa.

Panico.

Mi ha sentita! Ha sentito che ho tentato di aprire la portiera! ,pensò con terrore. Si aspettava una reazione violenta, un’esplosione d’ira in quello stesso istante, ma Santiago rimase in assoluto silenzio. Rimase a guardarlo scendere, paralizzata dalla paura, e continuò a seguirlo con lo sguardo anche quando lui raggiunse il lato della macchina in cui si trovava Cloe.

Rimase immobile anche quando il vampiro aprì lo sportello, facendo entrare l’aria gelida della notte.

«Scendi.» Non era una richiesta, né un invito cortese a smontare dalla macchina. Era un ordine che sapeva vagamente di minaccia.

«Preferisco stare qui» mormorò Cloe, guardando Santiago negli occhi. Lo sguardo del vampiro divenne duro, tagliente, pericoloso.

«Ho detto scendi» sibilò, afferrando la mannara per il braccio e trascinandola letteralmente fuori dalla macchina, sfoderando una forza acuita dalla rabbia e da qualcosa di più profondo e ben più pericoloso, celato sapientemente nel profondo del suo essere.

Cloe non ebbe neppure il tempo di poggiare entrambi i piedi a terra: cadde di spalle, brutalmente, senza riuscire ad attutire l’impatto con le mani. Si ritrovò in qualche modo riversa con la pancia contro la strada, la spalla che le pulsava e la pelle che le bruciava laddove aveva grattato contro l’asfalto. Dovette ricorrere a tutto l’autocontrollo di cui disponeva per impedirsi di lasciarsi andare a improperi e rimostranze che avrebbero sicuramente aggravato la situazione in cui si trovava.

Si concesse solamente uno sguardo, ben puntato su quello gelido di Santiago. Un semplice sguardo, ma che bastava ad esprimere tutto quello che si agitava dentro di lei in quel momento: rabbia, orgoglio, ostilità, odio.

«Sono annoiato. Sono anni, decenni, secoli che sono annoiato» esordì Santiago con voce atona. Cloe si rimise in piedi, guardinga. La situazione stava prendendo una piega strana, che non le piaceva per niente.

«Per tutto questo tempo non sono riuscito a trovare una distrazione degna di questo nome. Le beghe tra Axel e Lakeisha, i loro rancori… È tutto così noioso, così estraneo» la smorfia scocciata sul bel volto di Santiago accese un campanello d’allarme in Cloe: il vampiro stava intavolando un discorso, ed era evidente che lo stava facendo partendo da delle premesse decisamente lontane dal punto centrale. Un pessimo segno.

«L’unico breve intermezzo interessante che ho vissuto l’ho quasi dimenticato, per cui mi dovrai perdonare se sono di pessimo umore!» Santiago si mise le mani tra i capelli, un gesto che esprimeva nervosismo. Poi, quando cominciò a girarle attorno, Cloe ebbe la sensazione di essere un piccolo topo dal destino già segnato, in balìa di un gatto che assapora il crudele gioco che inizierà con lui da lì a pochi istanti.

«Voglio dirti una cosa. Sì, ti farò questa confidenza che gradirei rimanesse tra noi: trovo che tu sia una persona lontanamente interessante.»

«Mi sto commuovendo» mormorò Cloe con sarcasmo pungente.

«All’inizio ti ho trovata interessante perché eri una preda fuori dalla mia portata. Eri di Lakeisha, io non potevo averti» Santiago cominciò a gesticolare, come se stesse raccontando una storia ovvia, conosciuta da tutti. Continuò a girarle attorno, minaccioso. «Tu mi facevi innervosire? Io non potevo toccarti. Il profumo del tuo sangue mi tentava? Io non potevo estinguere la sente che avevo di te, capisci? Tu rompevi la mia routine, eri un diversivo stimolante. Ora le cose sono cambiate e, sia chiaro, tu rimani sempre un diversivo. Solo che ora ti ho sottratto a Lakeisha, e posso toccarti quanto mi pare. Quindi -e ora vengo al punto di questo discorso lungo e noioso- dal momento che sei così impaziente di andartene, ho deciso che ti lascio libera.»

Cloe studiò il volto di Santiago, cercando di cogliere nelle molteplici espressioni che assumeva ogni minima traccia di scherno. Doveva esserci un tranello da qualche parte, nascosto dietro la parlantina fluida e sicura del vampiro. Non poteva lasciarla andare così, in quel modo. Non se a sceglierlo era Santiago stesso.

«Mi lasci libera?»

Lui si strinse nelle spalle con indifferenza, senza più traccia dell’ira che fino a poco prima gli sfigurava il viso. Come se fosse una persona del tutto normale, affidabile. Come se non fosse un mostro travestito da essere umano.

«Certo che ti lascio libera… Se riesci a scappare, s’intende. Hai cinque minuti di vantaggio prima che io inizi l’inseguimento.»

La naturalezza con cui le rispose lasciò Cloe basita, disarmata e svuotata di ogni forza a cui potersi aggrappare. Non fu sicura di aver interpretato correttamente le parole del vampiro, ma le bastò vederlo sogghignare per rendersi conto di come stavano le cose.

Un sogghigno inquietante, occhi eccitati, canini sfoderati: il predatore era in caccia.

E lei era la sua preda.

«Non mi tratterrò questa volta. Fossi in te, comincerei a correre.»

 

 

*

 

 

 

 

 

Calma, silenzio, riposo eterno: c’era tutto questo e molto altro, lì.

I cimiteri erano un luogo di confine tra la vita e la morte, in cui il tempo sembrava fermarsi per istanti incalcolabili. Tutto lì dentro era immobile: gli affanni, le preoccupazioni, l’esistenza stessa di chi calpestava quel suolo benedetto. Era un po’ come morire dentro, per sentirsi più vicini al proprio caro estinto che giaceva in una bara a un paio di metri di profondità.

Quello che Lakeisha amava di più dei cimiteri, però, era il silenzio che vi regnava: totale e assoluto, ottimo per riflettere. Non che lei avesse bisogno di farlo, sia chiaro, ma semplicemente a volte le piaceva essere circondata dall’assenza di suoni e rumori.

Era così abituata a considerare il silenzio come una cosa scontata in frangenti come quello, che quando sentì il rumore di un motore e di ghiaia calpestata provò una profonda irritazione.

Adam, che camminava a una decina di metri di distanza da lei, fece per raggiungerla ma Lakeisha glielo impedì: le bastò un cenno della mano e il vampiro rimase fermo, lontano da lei ma con i sensi all’erta. Un perfetto cane da guardia.

Poi, il rumore del motore cessò all’improvviso.

Passi. Verso l’entrata del cimitero.

Quando vide di chi si trattava, fu come riavere la vita che le era stata strappata dalle mani. Un senso di appartenenza profondo, totale, viscerale. Era come essere a casa dopo aver passato decenni a vagabondare per il mondo, senza appartenere a nessun posto. Non riuscì ad evitare di sorridere, non quando parlava al Sire che non era mai riuscita a dimenticare.

«Axel…»

«Ciao, Lakeisha.» Lui sembrava freddo, distaccato. Non era felice di vederla? Un moto di fastidio la fece ribollire. Quando guardò chi lo accompagnava, tutto il suo interesse svanì all’istante.

«William. Sempre inseparabili, vedo. Che legame indissolubile…» commentò con acidità quando si accorse che Axel non la stava neppure guardando: il suo sguardo andava oltre, verso una persona che si trovava dietro di lei. Adam.

Sorrise melliflua, una maschera di dolcezza che celava qualcosa di ben più pericoloso.

«Adam, hai visto chi è venuto a trovarci questa sera?» chiese, una domanda puramente retorica. Poi guardò il suo Sire, lo sguardo tagliente e accusatorio. «Perché sei venuto qui, Axel

«Il mio Ghoul è sparito da ieri notte.»

Lakeisha si strinse nelle spalle. Sorrise. «Non è un problema mio se perdi i giocattoli in giro.»

«Non ho perso un giocattolo. Un membro del mio clan è scomparso, e ho il vago sospetto che sia stato rapito da un Sangre. La notte del Sabbath ti dice niente, Lakeisha

Si stava schierando contro di lei. Di nuovo. Il suo Sire, il suo compagno, il suo Tutto, stava scegliendo di nuovo gli Eraclea, e stava abbandonando lei. Lei, con cui aveva condiviso la gloria, con cui aveva dato origine alla storia della loro razza.

Le stava voltando le spalle per l’ennesima volta.

«Pensiamo sia stato Santiago. Era particolarmente interessato al Ghoul di Axel» intervenne William, ma Lakeisha lo fulminò con lo sguardo.

«Tu stanne fuori, o io m’impiccerò dei tuoi affari» sibilò, minacciosa. Poi sembrò addolcirsi, l’ennesima maschera per nascondere tutto il proprio rancore. «A proposito, come sta Emma?»

«Se ti avvicini ad Emma…» Will si avvicinò d’un passo, improvvisamente ostile, ma Axel lo trattenne. Vedere l’aggressività e la paura sul volto del giovane William, timoroso per la sorte della sua amata ma impossibilitato a prenderne le difese, fece fremere Lakeisha: tutto questo era come una droga. Ne voleva di più.

Si leccò le labbra piene, gli occhi cerulei tradirono l’eccitazione che la rendeva inquieta. Aveva sete, tanta. Voleva bere fino a ingozzarsi, e poi ancora, ancora, ancora. Non avrebbe smesso mai.

«Santiago è sempre pieno di sorprese, per questo mi piace» si voltò verso Adam, che era rimasto obbedientemente in disparte. Anche lui, come ogni altro vampiro, era davvero bellissimo: capelli ricci, ribelli, occhi nocciola, un viso dai lineamenti marcati e netti. Lakeisha amava avere attorno la bellezza, e Adam ne faceva pienamente parte. «Non sei d’accordo con me, Adam

Lui annuì, ma non fece commenti. Fu più che sufficiente: aveva capito perfettamente a che cosa lei si riferisse, Lakeisha ne era certa. E, a giudicare dall’espressione sospettosa di Axel, anche quest’ultimo doveva aver intuito il senso delle parole della vampira.

«Che cos’ha fatto Santiago?»

Era allarmato. Preoccupato. Per un misero Ghoul. Inammissibile.

«Si sta dando alla ribellione contro l’intero clan, questa volta. Ha pensato bene di farmi arrabbiare e di portare via l’unica cosa che avrebbe potuto calmare le mie ire. Una mannara, ti dice niente Axel?» rispose gustando la reazione che ogni singola parola provocava in lui. Lo vide scoprire i denti, un ringhio animalesco gli morì in gola. Sembrava essere sul punto di attaccarla, e Lakeisha non chiedeva nient’altro.

Lo avrebbe fatto disperare, l’avrebbe costretto a guardare i lati oscuri che erano nascosti sotto ad uno spesso strato di buonismo e di filantropia, e l’avrebbe indotto ad abbracciarli con gioia. Tutto, per il Sire che amava e che era ancora lì, da qualche parte dentro Axel.

«Sono stanca: di te, degli Eraclea, della vostra testardaggine nel non voler riconoscere la natura superiore e divina di noi vampiri. Ho cercato di tollerare, di accettare tutto questo, ma tu non mi aiuti. Perciò, siccome sono stanca, voglio che scegli.»

«Che cosa dovrei scegliere?» Axel era sospettoso.

Lakeisha sorrise: non un sorriso mellifluo, non c’era più dolcezza sul suo bellissimo viso. Era un sorriso calcolatore, freddo e crudele. Spietato.

«O sei con me o sei contro di me. Se scegli di stare dalla mia parte, ti permetterò di guidare i Sangre assieme a me, di nuovo. Altrimenti… Guerra.»

 

 

 

 

 

 

 

L’angolo dell’autrice

 

Chiedo umilmente perdono, sono in ritardo di più di una settimana con l’aggiornamento: tra università, studio, danza e altri impegni vari ho avuto il tempo ovviamente dimezzato. Sigh.

Però per farmi perdonare vi ho inserito un bel pezzo su Santiago e Cloe, che da quello che ho capito fin’ora sarebbero la coppia preferita *w* Ebbene, guarda un po’ sono anche la mia! XD

E per farmi perdonare ulteriormente, vi do una chicca sul prossimo capitolo: Santy sarà moooooolto Sangre, quindi preparatevi a vederlo sanguigno come non l’avete mai visto *__* (per non usare termini più crudi e sboccati ahaha!)

 

Ma veniamo ai ringraziamenti: il numero di lettori aumenta sempre di più, e proporzionalmente cresce anche la mia felicità *__* Per cui un enorme GRAZIE a : valespx78 e a kiravf per aver inserito Slayer’s tra le storie seguite, e a LadyEclipse, piccola sciamana, elisa4ever e Jennifer90 per averla messa invece tra i preferiti. Spero di non aver dimenticato nessuno, per qualche strano motivo non riesco a tenere conto delle persone nuove che aggiungono Slayer’s. Sono un impiastro! XD

 

Passiamo ai commenti:

 

trudy91: ti amo. Davvero. A parte il fatto che hai lo stesso nick del mio adorabile coniglio assassino (giuro, non sto scherzando!) ti devo assolutamente dire che… Che dire? Il tuo commento mi ha lasciata davvero senza parole. Vale tantissimo, per me. Davvero, grazie *occhi lucidi*

 

jess: eccola, un’altra sostenitrice di Santiago! :D Sono contenta che Santy piaccia anche in questa versione (che non è molto diversa da quella precedente, solo un po’ più adulta). Spero che continuerai a seguire la storia, perché il rapporto tra lui e Cloe ovviamente evolverà e attraverserà molte fasi diverse. Soprattutto dal prossimo capitolo, chissà come cambierà il loro rapporto? Io lo so, io lo so! (ahah che simpatica >.>)

 

Tenete d’occhio la mia cartella sul forum, sezione EFP Gallery, originali: inserirò un disegno di Lakeisha, e magari qualcun altro su Santiago. Oppure su Ice.

E vabbè, è superfluo che ve lo dica, ma siccome noi scrittori amatoriali viviamo per la gloria e nient’altro, COMMENTATE *O* e avrete la mia eterna gratitudine *w*

Alla prossima settimana (spero, tempo permettendo)

 

Brin

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** tra le braccia di un Sangre ***


 

 

 

 

7.

Tra le braccia di un Sangre

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non mi tratterrò questa volta. Fossi in te, comincerei a correre.

E Cloe non se lo fece ripetere. Corse lungo il viale come se il diavolo in persona la stesse inseguendo per rubarle la vita e condannare per sempre la sua anima ad un abisso inestinguibile di sofferenze.

Divorò i metri come mai avrebbe pensato di poter fare, il cuore che batteva fuori controllo e la paura che le rendeva impossibile formulare qualunque pensiero coerente. L’unica cosa a cui riuscì a pensare, mentre si allontanava dalla macchina ferma in mezzo alla strada e da Santiago, era che lui l’avrebbe uccisa.

L’avrebbe massacrata come un cane. Non c’era nessuno che potesse fermarlo, non in quel momento. Era completamente sola.

«Ma guarda come corri! Paura?» la voce di Santiago aveva un tono divertito, derisorio, e Cloe si sentì perseguitata e vagamente umiliata. Ricacciò le lacrime, cercò di controllare il tremore che le rendeva le gambe tremolanti ed incerte, ma non riuscì a trattenere l’odio e la rabbia: la sommersero con violenza, le accesero il sangue e per un attimo le fecero dimenticare la paura.

«FOTTITI, STRONZO!» gridò voltandosi indietro, ma ciò che vide la pietrificò: Santiago era sparito. La macchina era lì dove l’aveva lasciata, in mezzo alla strada, con la portiera ancora aperta. Del vampiro invece non c’era traccia.

Cloe si guardò attorno, smarrita: se n’era andato. Oppure…

L’alternativa la raggelò.

Stava per rimettersi a correre, quando qualcosa di leggero le sfiorò i capelli e le provocò brividi fastidiosi lungo tutto il corpo. Poi, un sussurro: debole, appena accennato, ma chiaro ed inequivocabile.

«Cloe…»

Si voltò all’improvviso, certa di trovare Santiago davanti a sé: contro ogni aspettativa, però, la strada risultò deserta.

Non è affatto un buon segno, pensò. Forse aveva immaginato di sentirsi chiamare, sobillata dalla paura. Se quello che aveva sentito era reale, invece, Santiago era nascosto da qualche parte nell’ombra e stava giocando con lei. Probabilmente la stava osservando, proprio mentre lei cedeva all’insicurezza e al dubbio e diventava sempre più indifesa. Fu una prospettiva che la fece tremare e le provocò uno strisciante senso di inquietudine.

Al diavolo, non rimarrò qui un altro istante!

Riprese a correre, disperata, ma fu tutto veloce. Troppo, per poter controllare quello che stava succedendo. Riuscì perfettamente a sentire la botta alla schiena, un urto così violento da mozzarle il fiato. Non riuscì però ad evitare la caduta: finì a terra, le ginocchia sbucciate e i palmi escoriati cominciarono immediatamente a bruciare. Tentò di rimettersi in piedi, ma qualcosa le impediva di alzarsi. Qualcosa, o qualcuno.

L’istinto le gridò di alzarsi e di fuggire, di lottare con tutte le proprie forze per allontanarsi e poter sopravvivere, ma qualunque movimento sembrava peggiorare la situazione. Aveva la sensazione di respirare a fatica, il che non l’aiutava certo a mantenere la calma e la lucidità necessarie per uscire incolume da quella situazione. Cominciò ad ansimare, schiacciata da chili di peso contro l’asfalto.

«Te l’avevo detto che non mi sarei trattenuto» Santiago le scostò i capelli, esponendo il collo della ragazza all’aria gelida. Poi si protese verso il suo orecchio.

Nonostante l’inseguimento brutale e umiliante, la voce del vampiro era carezzevole e seducente. «Devo pensare che non ti sei impegnata abbastanza per fuggire? Cos’è, sei già in piena sindrome di Stoccolma e ti stai innamorando del tuo rapitore?»

«Come fai a convivere con un ego così ingombrante?» sibilò Cloe. Non riusciva a trattenere il sarcasmo, era più forte di lei. Lo sentì ridere, una risata roca e cavernosa che le suscitò brividi lungo la schiena. Brividi che, purtroppo, non erano suscitati dalla paura, quanto piuttosto dalla sfacciata vicinanza di Santiago, da quel contatto troppo vicino, troppo fisico.

«Apprezzo molto le tue lusinghe.»

«Non mi piace essere scurrile, ma te lo dico di cuore: vaffanculo, tu e il tuo narcisismo del cazzo» gli sputò addosso tutto l’odio e la rabbia che provava: per lui, che stava conducendo un gioco crudele con la disinvoltura che solo i mostri potevano avere, e per se stessa, che nonostante tutto non riusciva ad impedirsi di provare quel calore al basso ventre quando sentiva la voce sensuale di Santiago così vicina all’orecchio.

Devo essere disturbata almeno quanto lui.

«Sì… Mi piace quando tiri fuori le unghie. Il tuo odore diventa ancora più forte» lo sentì mormorare contro il suo collo, così vicino alla pelle da sentirne il fiato ad ogni sillaba. Cloe provò l’insostenibile desiderio di mettersi ad urlare.

Annaspò, lottando con rinnovato vigore. Tutto, pur di allontanarsi da quella posizione che la lasciava in completa balìa del vampiro e di quelle reazioni fisiologiche che non riusciva a comprendere e di cui, probabilmente, aveva ben più paura.

Cazzo… Dai Cloe, muoviti!

Era disperata.

Sentiva le mani di Santiago accarezzarla appena, con leggerezza, senza lascivia né smania di alcun tipo. Un contatto sottile attenuato dalla stoffa dei vestiti, ma che non la lasciò affatto indifferente. Stava per gridare, sconfitta e sfinita, quando all’improvviso tutto cessò: nessuna carezza, nessun contatto, nessuna pressione, nessun peso a schiacciarla contro l’asfalto e ad impedirle i movimenti.

Santiago non c’era più.

Cloe si rimise in piedi, sconcertata: non era possibile che se ne fosse andato così, all’improvviso, in quel momento. Aveva avuto la possibilità di fare ciò che più desiderava, e l’aveva rifiutata? Trovò subito la risposta, chiara, palese e terribilmente crudele: per Santiago il gioco era appena cominciato.

Vampiro e anche psicopatico. Ottimo, non ci facciamo mancare nulla.

Ricominciò a correre senza perdere altro tempo. Mantenne lo sguardo dritto sulla strada, la mente e il corpo sintonizzati su un unico imperativo: fuggire. Forse fu per questo motivo che non si accorse della sagoma che sgusciò fuori dall’ombra, e capì di essere in trappola solamente quando Santiago le fu già addosso.

Di nuovo.

 

 

 

*

 

 

Era esaltante.

Era tutto così maledettamente, fottutamente esaltante!

La paura che Cloe provava, la sua persistenza a non volere arrendersi… Tutto questo lo stava facendo impazzire. Lo stava mandando fuori di testa.

Poteva sentire l’odio feroce che quella ragazza provava per lui, glielo diceva l’odore intenso che traspirava dalla sua pelle. L’odore del suo sangue. Un odore che lo stava tormentando da tanto, troppo tempo.

Lui, che era abituato ad ottenere subito ciò che desiderava senza preoccuparsi delle buone maniere, non aveva mai avuto l’occasione per capire che cosa volesse dire desiderare qualcosa a tal punto da esserne consumato. Non che si trovasse già in quello stato disperato, sia chiaro. Non ancora, per lo meno.

Le voglie che aveva conosciuto fin’ora erano state nient’altro che una pallida imitazione della bramosia che provava verso Cloe, una bramosia che andava al di là del mero sangue e che non riusciva a definire: era qualcosa di più profondo, assoluto e intenso, qualcosa che si spingeva ben oltre la sete.

Il carattere forte di Cloe era seducente quanto il profumo del sangue mannaro che le scorreva nelle vene: entrambi risvegliavano in Santiago una frenesia violenta, mai conosciuta prima.

Voleva piegare la volontà di Cloe, spezzarla, strappare le ali con cui lei gli opponeva resistenza e annientarla. Voleva distruggerla, ancora e ancora.

Voleva, voleva, voleva…

Non riusciva a pensare a nient’altro mentre la guardava scappare, nascosto nell’ombra. Non l’avrebbe lasciata andare, naturalmente. Non gliel’avrebbe permesso. Mai.

Si lanciò su Cloe, di nuovo, sobillato da quella voglia violenta che aveva di lei come mai gli era accaduto in secoli di vita: l’impatto fu brutale, ma questa volta non la lasciò cadere a terra. Trattenne Cloe contro di sé, intrappolandola nel proprio abbraccio.

L’istante successivo la ragazza stava già gridando e scalciando per conquistare la libertà. Peccato che Santiago non avesse la benché minima intenzione di concedergliela.

«Lasciami!» ansimò disperata. Santiago non rispose.

Si chinò verso di lei, verso il suo orecchio, e annusò l’odore intenso che la pelle emanava proprio dietro il padiglione auricolare, dove i capillari la irroravano di sangue. E perse definitivamente ogni freno.

Conficcò i canini nel collo di Cloe, si avventò su di lei con violenza senza preoccuparsi del dolore che le avrebbe provocato, gemendo famelico nel momento in cui il sangue gli bagnò le labbra: quella ragazza aveva un gusto che superava di gran lunga il profumo che emanava, un gusto che a parole non sarebbe mai riuscito a spiegare.

Era come bere direttamente dalla vita stessa, un’esperienza che tradiva ogni sua aspettativa e che lo stava gettando in uno stato di esaltazione sconvolgente.

Poi, all’improvviso, il sapore del sangue mutò: divenne ancora più intenso, più zuccherino, irresistibile. Gli bastò sentire Cloe chiamarlo per capire a che cosa fosse dovuto quel cambiamento.

«Santiago»

Fu un mormorio flebile, reso debole dalla perdita di sangue, ma il piacere in quella voce tremante era innegabile: un piacere voluttuoso, al confine sottile con il dolore. C’erano tracce di eccitazione in quel sangue. Eccitazione, piacere, dolore, paura e, Santiago ne era certo, anche attrazione.

Recuperare il controllo gli costò uno sforzo non indifferente: si allontanò da Cloe all’improvviso, trovando nascondiglio negli angoli bui della strada, e nel momento in cui la privò del sostegno del proprio abbraccio, la ragazza sembrò perdere l’equilibrio.

La vide barcollare, le gambe tremanti e deboli. Si guardava attorno disorientata, il respiro affannato. Sembrava in stato confusionale.

Santiago poteva comprenderla: il morso di un vampiro era un’esperienza estrema ed intensa, un atto in cui il piacere più puro e il dolore più intenso si incontravano, si mescolavano e lasciavano smarriti, turbati e sconvolti dal conflitto inaccettabile tra paura ed eccitazione.

Se lui non avesse fatto appello al precario autocontrollo che aveva, l’avrebbe sicuramente dissanguata e Cloe non avrebbe avuto né la forza né la volontà per opporsi. Sarebbe morta tra le sue braccia, sperimentando il più grande piacere che un essere vivente possa provare. E questo Santiago non poteva permetterlo.

Non ancora, per lo meno.

Lei voleva giocare, voleva sfidarlo con la propria insolenza: chi era lui, per non esaudire i desideri di Cloe? Li avrebbe trasformati in realtà, tutti, fino all’ultimo.

A modo suo, ovviamente.

 

 

*

 

 

Quando riuscì a reggersi in piedi senza tremare come una foglia, Cloe capì quanto fosse perverso il gioco che Santiago stava conducendo.

La pelle del collo era umida di sangue, e i rivoli che sentiva scendere verso la clavicola le facevano venire i brividi. Toccò i fori: al tatto erano due piccole ferite, probabilmente nient’altro che due taglietti. Il problema, però, era la loro profondità. Santiago non si era certo risparmiato quando l’aveva morsa e Cloe sentiva chiaramente le gocce di sangue che sgorgavano ritmicamente, in sincronia con il battito cardiaco.

Il che non faceva che aggravare la situazione: non poteva correre, altrimenti il cuore avrebbe cominciato a battere più forte e il sangue avrebbe cominciato ad uscire più velocemente, ma non poteva neppure rimanere lì.

Si sentiva davvero debole: per il sangue che le era stato tolto, e per quello che non assumeva da troppe ore. Il suo fisico abituato a ricevere regolarmente il sangue di Axel era come una macchina nuova e perfetta che si trova improvvisamente senza benzina.

Stava andando in crisi di astinenza, Santiago ne era consapevole e aveva calcolato ogni più piccola cosa. Questo era il suo gioco, lei era la sua bambola, e Cloe si stava comportando esattamente come lui aveva previsto.

Provò un intenso, accecante moto di aggressività verso di lui. Si sarebbe messa a gridare improperi rabbiosi in preda ad una crisi isterica, se solo ne avesse avuto la forza. Ma non aveva neppure quella.

Cominciò a camminare lentamente, un passo alla volta senza troppa stabilità. La mano sul collo, ormai sporca di sangue; i vestiti lerci, pregni dell’odore ferroso che tanto faceva impazzire Santiago e ogni altra creatura come lui.

Non si stupì di ritrovarsi di nuovo stretta tra le braccia del vampiro che, alle spalle di Cloe, la stava trattenendo ancora. Non ebbe la forza di opporsi neppure quando lo sentì penetrare di nuovo in lei, questa volta prendendo di mira la sua spalla.

Lo sentì fremere contro di lei mentre beveva ancora e ancora, mentre la stringeva così forte da mozzarle il respiro. Era smanioso, violento, insaziabile. C’era in lui un desiderio per il sangue –il suo sangue, quello di Cloe- che rasentava la lussuria più pura, violenta e animalesca.

Non aveva mai sentito niente del genere, mai, neppure quando a morderla era Axel. Finalmente capì, sentì che cosa voleva dire essere un Sangre.

Era eccitante.

Era ammaliante.

Era selvaggio, primitivo, sconvolgente.

E nonostante tutto –nonostante la sua parte razionale le suggerisse che tutto questo fosse profondamente sbagliato- Cloe fu certa di una cosa: non si era mai sentita così viva come in quel momento, mentre si trovava ad un passo dalla morte.

Tra le braccia di un Sangre.

 

 

 

 

 

 

 

 

L’angolo dell’autrice

 

Capitolo dedicato a tutte le fan (e i fan? Nella versione precedente c’era anche qualche maschietto, quindi metto anche voi nel mucchio u.ù) di Cloe e Santiago, forse un po’ cortino ma che rispetta la mia nuova politica, “Meglio capitoli corti ma più frequenti, che capitoli lunghi ma attesi troppo a lungo”.

Voi che dite, siete d’accordo con me? u.ù

Comunque, vi avviso: la settimana scorsa è stato il mio compleanno, il che è ovviamente un tentativo di suscitare la vostra pietà/pena/felicità e di convincervi a lasciare un commento XD Ve ne sarei riconoscente, davvero! *__*

 

Detto questo, passiamo a ringraziare SaphiraLearqueen e Rosa Blu per aver inserito Slayer’s tra le storie preferite, e Deb che invece l’ha inserita tra le seguite. Mi date sempre soddisfazioni! *__*  

 

Invece a JESS dico: eh no, come vedi Santiago non solo non risparmia proprio nulla a Cloe, ma le si impone pure! XD Io come al solito comunque aspetto speranzosa commenti, ti avviso! u.ù

 

Detto questo, spero di riuscire a postare il nuovo capitolo martedì prossimo. In ogni caso tenete sempre d’occhio Slayer’s, gli aggiornamenti potrebbero arrivare quando meno ve lo aspettate ;)

 

Brin

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** caccia ***


 

 

8.

Caccia

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra le braccia di Santiago Cloe divenne come marmellata.

Quelle mani che si contorcevano sul suo corpo, come se cercassero disperatamente qualcosa; quella stretta forte, possessiva… Sembrava che la stesse marchiando, come se fosse di esclusiva proprietà del vampiro.

E la sua lingua, poi… Lappava ogni goccia di sangue con ingordigia, indugiando sui piccoli fori lasciati dai canini. Li stuzzicava, li puliva, li stimolava aspettando dell’altro sangue e poi li nettava di nuovo. E dove la lingua scompariva, arrivava la bocca. Era un tormento, un vero tormento.

Voleva farla impazzire, voleva farla capitolare con qualunque mezzo, e lei non stava opponendo la minima resistenza. Al contrario: si abbandonò contro di lui come una marionetta senza fili, gli occhi velati dall’eccitazione e dal piacere, nel cuore un tumulto di emozioni e sensazioni sconvolgenti.

Si lasciò sfuggire un sospiro, ma preferì ignorare la sfumatura deliziata che lo caratterizzava. Non si rese neppure conto che Santiago l’aveva fatta voltare, e quando si ritrovò a guardare il vampiro negli occhi ormai era troppo tardi.

Mi sembra di essere stata drogata.

Non capiva più niente. Non capiva cosa stesse succedendo, né che cosa sarebbe potuto accadere da lì a pochi istanti. La sua razionalità era completamente anestetizzata, così come la capacità di reagire.

Si ritrovò con il cappotto abbassato sulle braccia –come e quando Santiago l’avesse slacciato rimaneva un mistero- e una gamba del vampiro infilata sfacciatamente tra le proprie.

L’istante successivo sentì un’altra, dolorosa fitta al petto: era Santiago, che aveva lacerato la maglia trapassandola con i canini. La stava mordendo. Per la terza volta.

Sul seno.

«Che stai facendo?» riuscì ad ansimare non appena ritrovò la lucidità sufficiente per realizzare che quello che stava accadendo era totalmente e irrimediabilmente sbagliato. Ma Santiago sembrava lontano, perduto oltre i confini dell’istinto.

Non le rispose, e quando il dolore si tramutò in piacere Cloe dovette fare ricorso a tutta la propria forza di volontà per rimanere presente e non farsi trascinare nella spirale della lussuria.

Peccato però che non avesse le forze necessarie per contrastare Santiago fisicamente.

Cercò disperatamente di indurre il vampiro a lasciarle il seno tirandogli i capelli –una soluzione alquanto ridicola, ma anche l’unica a cui riusciva a pensare in quel momento- ma scoprì con un misto di orrore e di perversa esultanza che riusciva a mala pena a socchiudere i pugni.

C’era una voce nella testa di Cloe. Una voce che le ripeteva di cedere, di lasciarsi andare, che non desiderava nient’altro. E Cloe, nel momento in cui affondò le mani tra i capelli di Santiago e reclinò la testa con un sospiro, cedette.

E non desiderava altro.

 

 

 

*

 

 

 

«Ti vedo davvero male…» l’osservazione di Ice voleva essere confidenziale, un tentativo di cominciare una qualunque conversazione, ma Cora non era affatto dell’umore adatto per intraprendere una chiacchierata amichevole. Soprattutto in quel momento, a notte fonda, mentre percorrevano il marciapiede di un quartiere residenziale non troppo distante dalla casa di Amber, ma che il freddo pungente faceva sembrare lontano chilometri.

Avrebbe volentieri sfogato il proprio disappunto per quella serata con battute acide e scocciate, ma aveva la sensazione che quella non fosse la direzione che suo fratello stava tentando di prendere attraverso quel timido commento.

Sbuffò, guardando il viale deserto.

«Certo, dal momento che è notte e non ci sono mezzi pubblici…»

«Non eravamo i benvenuti in quella casa, e lo sai» Ice si rabbuiò, il tono di voce improvvisamente severo. Stava mettendo in pratica il ruolo del fratello maggiore saggio e prudente, e lo stava facendo alla lettera.

Peccato che il curriculum non renda l’attore credibile…

«Almeno potevamo aspettare la mattina per andarcene, non pensi?» Cora gli sorrise, un’espressione retorica che non faceva altro che sottolineare l’irritazione che infiammava la ragazza. Si strinse nel cappotto per ripararsi dal vento freddo che si infrangeva contro di lei. «Lo sapevi che ci sono due fazioni di vampiri? Sono diverse come il giorno e la notte. Quando Axel me l’ha raccontato faticavo a crederci.»

«Scommetto che quello che mi hanno raccontato i due piccioncini supera di gran lunga quello che Axel ti ha detto» Ice la sfidò baldanzoso, le mani in tasca e l’atteggiamento da gran uomo. «Il legame di sangue è la mia carta vincente.»

Cora lo guardò, accigliata. «Che roba è?»

«Un vincolo particolare, fisico e affettivo. Adorazione, venerazione, impossibilità di far del male al proprio creatore… Una cosa del genere. Più o meno.»

«Sei sempre così preciso» rispose Cora, sarcastica. Il suo tono però non fu sufficiente per scoraggiare Ice, che continuò a stare al gioco e ad atteggiarsi.

«È una dote rara. Invidiami pure quanto vuoi.»

«Che bel modo per finire la serata…»

«Quanto entusiasmo! Stavo facendo una battuta, nel caso non si fosse capito.»

«Non parlavo con te, scemo! Guarda là» Cora gli indicò la strada. Non si rese neppure conto di essersi fermata e di aver afferrato Ice per il braccio: tutta la sua attenzione era rivolta su una sagoma non troppo lontana, in mezzo alla carreggiata. Era chinata su qualcosa, e a giudicare dai gorgoglii animaleschi che le morivano in gola, quella creatura non era umana.

Un vampiro.

Le bastò una frazione di secondo per comprenderlo, e all’improvviso le fu chiaro che quella cosa che il vampiro stringeva contro di sé era una persona. Un essere umano.

E lo stava mangiando.

Il cuore di Cora accelerò i battiti. Avrebbe voluto avere con sé la spada, stringerla nella mano, la sensazione rassicurante dell’impugnatura contro il palmo. Invece erano entrambi disarmati.

Splendido. Che tempismo!

Fece per gettarsi verso il vampiro, ma Ice la trattenne prima che Cora potesse correre in strada. Quando si voltò verso di lui, il volto del fratello era furioso.

«Non ti permetto di farti ammazzare in questo modo!» fu un sussurro, ma la fece raggelare. Era come se le avesse urlato addosso: lo sguardo severo e perentorio di Ice la fece sentire in difetto.

«È il nostro lavoro!»

«Uccidere vampiri è il nostro lavoro, non farci ammazzare da loro! Non hai una spada, non hai un’arma che possa tenere quella creatura ad una ragionevole distanza di sicurezza!» indicò la strada, esattamente dove si trovava il vampiro. «Se pensi che ti lasci andare lì, ti sbagli di grosso!» il suo viso, solitamente così sorridente e allegro, era contratto dalla rabbia e dalla disperazione. Vedere Ice in quello stato fu come ricevere una pugnalata in pieno petto.

Avrebbe voluto essere capace di ignorare il proprio dovere, di chiudere gli occhi e far finta che non stesse accadendo assolutamente nulla, perché era questo che Ice le stava chiedendo. Ma non ne era in grado. Non lei.

«Jodie è morta perché non c’era nessuno ad aiutarla. Non puoi chiedermi di rimanere a guardare.»

Fu più che sufficiente per freddare Ice. Cora preferì ignorare l’espressione ferita che gli lesse negli occhi e il senso di colpa che quella vista le provocò. Si lanciò in strada, e mentre correva verso quel vampiro continuò a ripetersi che ce l’avrebbe fatta.

Che non sarebbe stata lotta impossibile da vincere.

Ma, quando fu sufficientemente vicina da poter distinguere l’identità della creatura e della sua vittima, il suo ottimismo si sgretolò come sabbia: tra tutte le persone, Cora non si aspettava certo di vedere lei. E lui.

Cloe.

Santiago.

Insieme.

E, soprattutto, non avrebbe mai ritenuto possibile che il volto di Cloe fosse arrossato. Sconvolto. Estasiato. Come se avesse appena avuto un orgasmo.

Axel avrà una bella sorpresa.

«Che diavolo…» Ice, che nel frattempo aveva raggiunto Cora –la sua devozione nonostante tutto a volte poteva essere davvero ammirevole- , era sorpreso almeno quanto lei.

Quando si accorse della loro presenza, il vampiro lasciò andare Cloe. La mannara barcollò incerta prima di accasciarsi sulle gambe tremanti.

«Desiderate?» Santiago si ricompose, pulendo le labbra dalle gocce di sangue che gli imbrattavano la pelle. Si atteggiò a persona distinta, con naturalezza, come se non fosse appena stato beccato con le mani nel sacco. Se fingesse di non riconoscere Cora ed Ice, beh… Quello rimaneva un mistero.

«Penso che tu lo sappia piuttosto bene, no?» rispose Cora, raggiungendo Cloe con movimenti misurati e prudenti, senza voltare le spalle al vampiro.

«Ti assicuro che non sto facendo nulla di male» Santiago fu improvvisamente accanto a Cloe, e la sostenne prima che Cora potesse offrirle il proprio aiuto. Sorrise alla cacciatrice, un sorrisino mellifluo che non le piacque per niente. «E a mia moglie ci penso io.»

«Moglie un corno» quello di Cloe fu un sussurro debole, ma che a Cora non sfuggì.

«Com’è che non vedo nessuna fede, eh? Santiago

«Ricordi addirittura il mio nome! Quante ammiratrici…» il vampiro sospirò, come se la cosa gli pesasse. Poi schioccò le dita, ammiccante. «Dai, l’autografo però te lo posso fare.»

«Penso che sarebbe più utile se lasciassi qui Cloe e te ne andassi» Cora lo fulminò con lo sguardo cercando di apparire sicura, quasi minacciosa. Sapeva che Santiago non avrebbe lasciato libera la mannara così facilmente, ed era consapevole del fatto che non sarebbe certo riuscita ad intimidirlo. Ma la speranza era l’unica cosa che le restava.

«Allora porto via te?» Santiago si fece improvvisamente serio, e quando lasciò il braccio di Cloe, Cora arretrò. Fu l’istinto a spingerla a indietreggiare, e si sentì improvvisamente insicura.

«Vattene subito

Santiago sogghignò. «Mi stai minacciando senza avere gli strumenti per potertelo permettere. È uno sbaglio da principianti.»

«Ti ha detto di andartene. Ora» Ice si frappose tra il vampiro e la sorella, suscitando il divertimento di Santiago.

«Tu sei quello che l’altra sera mi ha dato dello stronzo… Certo, mi ricordo di te! Generalmente io non sono il tipo che sputa giudizi sugli altri, ma dal momento che sembra che a te invece piaccia, voglio stare al tuo gioco» Santiago parlò come se stesse conversando amabilmente con un vecchio amico. Gesticolò, camminò, si comportò esattamente come una persona comune. Peccato che non fosse esattamente un tipo qualunque.

«Tu sei un animale. Niente di più, niente di meno. Un animale. E come tale, meriti di essere trattato. Per cui…»

«Corri» Cloe intervenne, nella voce una nota d’urgenza che fece rabbrividire Cora. Sia lei che Ice la guardarono confusi, senza capire che cosa intendesse dire. Quanto a Santiago, invece, sembrava scocciato. «Così mi rovini tutta l’introduzione!»

«CORRI!» Cloe guardò Ice negli occhi, e probabilmente anche lui colse quanto fosse intenso il panico che attanagliava la mannara. O, almeno, Cora ebbe quell’impressione quando lo vide impallidire.

Scappa Ice, più veloce che puoi.

E, come se le avesse letto nel pensiero, Ice cominciò a correre. Fu tutto così veloce, così istintivo… Quando Cora vide Santiago lanciarsi all’inseguimento del fratello, non si soffermò a riflettere: dimenticò in un istante tutti gli addestramenti ricevuti, tutti i sermoni sull’importanza della lucidità e della prudenza. L’unica cosa a cui riuscì a pensare era che Ice era tutto ciò che le era rimasto della propria famiglia.

Scartò di lato e si lanciò su Santiago appena lui si mosse, finendo a terra assieme al vampiro.

«Sei morta» Cora lo sentì inveire mentre tentava di scollarsela di dosso e di rimettersi in piedi, e il suo cuore cominciò a battere impazzito: la situazione stava degenerando verso esiti davvero rischiosi. Quando Santiago riuscì a voltarsi e lei finì distesa sul fianco, Cora non capì più nulla.

Fu consapevole solamente del terrore accecante che provò nel momento in cui credette di aver oltrepassato il punto di non ritorno, quando per un istante fu convinta che non sarebbe riuscita a scappare dalle grinfie del vampiro. E, quando vide il viso di Santiago troneggiare su di lei, il suo corpo agì senza le direttive provenienti dalla testa: l’unica cosa di cui fu cosciente fu un grido di agonia, acuto e lacerante, e ne capì il motivo solo dopo alcuni secondi interminabili: Santiago si trovava ancora chino su di lei, immobile. E, Dio, le mani…

Le mani di Cora si trovavano esattamente verso il viso del vampiro, un dito conficcato in ciascun occhio. E lui gemeva, gemeva così forte…

Cora lo guardò, esterrefatta. Poi, la paura e la repulsione presero il sopravvento e il pensiero martellante di allontanarsi al più presto la fece rialzare.

«CoraIce tornò indietro, ma Cora gli fece cenno di non avvicinarsi ulteriormente: era riuscita a far guadagnare loro un vantaggio, ma non aveva idea di quanto sarebbe potuto durare. Dovevano fuggire ora, in quel preciso momento, finché Santiago era troppo occupato dal dolore dei suoi occhi feriti per prestare loro attenzione.

Non perse tempo. Aiutò Cloe a rimettersi in piedi, sostenendola e cercando di fornirle un appoggio, ma purtroppo non fu sufficiente.

Quando sentì una mano afferrarle la caviglia, sapeva già di chi si trattasse prima ancora di abbassare lo sguardo.

«Dove pensi di andare?» Santiago aveva gli occhi coperti dall’altra mano, imbrattata dal suo stesso sangue. E, a giudicare dal tono di voce, sembrava non avere più alcun controllo su se stesso. Quando afferrò anche l’altra caviglia di Cora, scoprendo gli occhi chiusi e insanguinati, il panico assalì la cacciatrice.

Cominciò a scalciare con forza, mossa dall’istinto di sopravvivenza che le gridava di fuggire e la privò di ogni barlume di lucidità.

«ICE!»

Non capì più niente quando sentì un dolore acuto e improvviso al polpaccio. L’unica cosa di cui fu consapevole era che Santiago l’aveva appena morsa, e che avere un vampiro ancorato con i denti ad una qualunque parte del corpo non era mai, per nessun motivo, una cosa positiva. Scalciò ancora più forte, ansimando, quasi piangendo, cercando in tutti i modi di scrollarsi di dosso quella bestia antropomorfa che sembrava volerla trascinare a terra con sé e stroncarla lì, sull’asfalto, come un animale ferito e indifeso.

Quasi non si accorse di Cloe, del suo vano tentativo di strappare la cacciatrice dalle fauci di Santiago: la stava tirando per il busto, le spalle, il torace, ma qualunque fosse l’appiglio, la mannara era troppo indebolita dalla perdita di sangue per riuscire a vincere la forza famelica del vampiro.

«Lascia stare mia sorella!» Ice si lanciò nella mischia, colpendo il viso di Santiago con un calcio potente, rabbioso e impaurito. L’urto fu violento e inaspettato, e costrinse il vampiro a lasciare la gamba di Cora, che si portò immediatamente a distanza di sicurezza da Santiago.

Ma, quando guardò meglio la sagoma accucciata a terra, si accorse di quanto fosse fuori di sé, inebriato dal sangue e sconvolto dalla rabbia: ansimava velocemente, rumorosamente, come se facesse fatica a respirare. Nonostante non potesse vedere i suoi occhi, Cora fu certa che avrebbe visto un’espressione selvaggia contorcergli il viso, se Santiago non fosse stato ferito.

Avevano appena spinto un Sangre oltre la soglia del proprio controllo.

L’avevano costretto ad oltrepassarla, a perdere quel precario equilibrio che possedeva. Avevano commesso un errore madornale.

E ne avrebbero pagato le conseguenze.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’angolo dell’autrice

 

 

Come al solito vi lascio con i miei bei finali aperti, giusto per creare un po’ di suspance e di attesa per il prossimo capitolo. Sono diabolica °w°

Comunque… Ragazze (e ragazzi, non si sa mai XD), ho una news fresca fresca che voglio assolutamente condividere con voi, perché trovo che sia una cosa fantastica. Una mia piccola soddisfazione personale che devo un po’ anche a voi, perché voi lettrici (e lettori, come dimenticarvi?) siete la benzina per la mia macchina, e se ho rincominciato a scrivere e a rimetter mano a Slayer’s lo devo soltanto a voi.

Quindi, è anche merito vostro se Slayer’s ha vinto il concorso di Neverendingstoryawards come BEST CO-PROTAGONIST. E indovinate con che co-protagonista ha vinto? Eh? *__* Lascio a voi l’inghippo di scoprirlo (in realtà vi basterà andare sul mio profilo per scoprirlo, dove c’è una targhetta luminosa, nera, che fa tendenza XD).

 

Detto questo, passiamo a dei doverosi ringraziamenti: a Erini83 per aver messo Slayer’s tra i preferiti, e Elienne che l’ha inserita tra le storie seguite.

Anche soltanto vedere lettori che aggiungono la storia in queste due categorie da una grande soddisfazione <3

 

Invece, per quanto riguarda le mie adorate, affezionate e preziosissime commentatrici (davvero, come farei senza di voi?):

 

Jess: grazie cara, è sempre un piacere sentirti dire quanto Santiago sia irresistibile *__* In realtà nei prossimi capitoli approfondirò la sua psicologia e il suo carattere, quindi spero che risulti anche credibile oltre che irresistibile (senza nulla togliere al fatto che sia irresistibile, eh! XD È che non so te, ma a me intriga tantissimo che un bel personaggio sia non solo attraente, ma anche ben strutturato. E visto che Santy mi intriga a priori, non posso proprio trascurarlo XD)

 

Jennifer90: questa cosa dell’odio/amore tra Santy e Cloe come puoi vedere è rimasta, ma rispetto alla prima versione è un po’ più complessa. Diciamo che va oltre al mero “sei un vampiro, dunque non ti posso vedere” (che poi in realtà sappiamo benissimo che è tutto il contrario! XD) Ti dirò, per questa nuova versione di Santiago ho in mente delle cosette che penso vi potranno piacere :P E col tempo le sveleremo una ad una. E grazie per gli auguri, graditissimi!

 

 

 

Come al solito siamo arrivati alla fine per questo capitolo: sarà che ho poche persone a cui rispondere nei commenti? (BASSISSIMO tentativo di suscitare la vostra pietà e di invitarvi a spendere due minutini di tempo per commentare XD Mh, ci provo sempre ahahah!)

Tenete d’occhio Slayer’s per gli aggiornamenti, potrebbero arrivare quando meno ve lo aspettate!

Stay tuned.

 

Brin

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** il regno del terrore ***


 

9.

Il regno del terrore

 

 

 

 

Fu tutto così veloce che Cora non ebbe neppure il tempo di comprendere che cosa stesse succedendo.

In una frazione di secondo si ritrovò a terra, e l’impatto con l’asfalto le provocò una fitta che le mozzò il fiato. Respirare le faceva male, ma ancora più insopportabile era l’attacco serrato della bestia che la stava schiacciando: Santiago aveva perso qualunque traccia di raziocinio, ed era diventato puro istinto.

Grugniva e ansimava mentre cercava di afferrare e mordere qualunque parte anatomica di Cora, spinto dalla frenesia cieca che lo comandava. Qualunque cosa valeva l’altra: un braccio, la spalla, il collo, il viso. Era come essere sopraffatti da un grosso cane aggressivo e rabbioso.  

E Cora, nella foga della colluttazione, aveva talmente tanta adrenalina nel sangue da sentirsi distante, come se si trovasse da un’altra parte. Come se chi stesse per essere sbranata da una bestia antropomorfa fosse un’altra persona.

Non comprese quanto la situazione fosse disperata, o almeno non subito.

Non si rese conto che quella freddezza le fu decisiva mentre, schiacciata tra l’asfalto e il peso inamovibile di Santiago, si dimenava dimostrando una disperata volontà di vivere.

Non capì che fu quello ciò che le permise di temporeggiare, di guadagnare quei pochi, preziosissimi secondi. Giusto il tempo necessario, prima che il rombo di un motore squarciasse le sue grida e che la macchina si fermasse proprio davanti a loro.

Poi, all’improvviso, il mondo cominciò ad assumere un senso attorno a Cora: nel momento in cui qualcuno –o qualcosa- le allontanò Santiago da dosso, tutto ritornò alla normalità.

Ice, Cloe, Santiago… Erano tutti lì, ma non erano i soli. C’era qualcun altro. Due persone. Le davano le spalle, ma li avrebbe riconosciuti ovunque, in qualunque situazione. Era difficile non accorgersi del magnetismo che emanavano attraverso il più piccolo gesto. Un’eleganza sfacciata, irraggiungibile. Erano un richiamo che catturava Cora, la sconvolgeva, e a cui lei non sapeva resistere.

E, tra i due, era lui a chiamarla e lo faceva attraverso ogni fibra del suo corpo.

Non c’era nessun altro capace di suscitare in Cora un simile turbamento. Non c’era altri che lui.

«Axel

Non le rispose.

Cora non poteva vedere la sua espressione, né quella di William accanto a lui. Si frapponevano tra lei e Santiago che, chino a terra, sembrava una bestia selvatica e pronta ad attaccare.

Quando balzò su Axel, quest’ultimo afferrò Santiago per la gola e lo costrinse a terra, immobile. William gli fu subito accanto, e trattenne il Sangre per le braccia.

Anche immobilizzato, Santiago non smetteva di dimenarsi: era come un serpente stretto nella morsa di un domatore. Cercava di liberarsi, le fauci spalancate alla ricerca di qualcosa da mordere, da lacerare, da strappare. Da fare a pezzi.

«Perché è in questo stato?» Ice, a debita distanza dai tre vampiri, guardava Santiago raccapricciato.

Non si può biasimarlo. Non è uno spettacolo piacevole, pensò Cora.

«Ha perso ogni controllo. L’istinto ha preso il sopravvento e la sua parte razionale non riesce a ritornare indietro» per un istante Will sembrò affaticato e Cora ebbe l’impressione che la forza di Santiago stesse per vincerlo.

«Dobbiamo indebolirlo, o non ce la farò ad ipnotizzarlo» Axel cercò lo sguardo di William. Fu sufficiente. Non c’era bisogno di spendere altre parole: probabilmente era tutto dovuto ad una qualche particolare intesa tra vampiri.

Una specie di frase in codice che Cora era ben lungi dal poter capire. Non che sperasse di entrare nella dinamica del loro gergo, a dire il vero.

Quando William si avventò sul braccio di Santiago e cominciò a succhiare il sangue che fuoriusciva dalla ferita aperta dai canini, le conseguenze furono rapide ed evidenti: il Sangre tentò di resistere, un paio di spinte rabbiose e testarde, ma il suo fisico si indebolì rapidamente. Divenne quieto, reso anestetizzato dalla perdita progressiva di sangue. Stava diventando nient’altro che un fantoccio, un contenitore vuoto e addormentato, un corpo umano senza più quella pallida imitazione di vita che lo faceva muovere, che lo faceva mangiare, che gli faceva provare fame. Era un vampiro senza più alcuna forza.

Fu in quel momento che i suoi occhi, ormai completamente rigenerati, incrociarono quelli di Axel.

E accadde.

«So che sei lì, Santiago…» la voce di Axel era carezzevole, languida, bassa. Sembrava leggera e delicata come una carezza. «… Lasciami entrare.»

Il Sangre, ancora immobilizzato da William, era catturato dallo sguardo di Axel. Rapito al punto da sembrare una statua di cera.

«Lasciami entrare.»

Cora si rimise in piedi, lentamente. Era certa che le gambe non l’avrebbero sorretta, sconquassate dall’adrenalina che le vagava ancora nel corpo, ma scoprì con stupore che non fu così. Il primo istinto fu di cercare lo sguardo di Ice, ma lui non le stava prestando attenzione: era assorto, completamente rapito da ciò che Axel stava facendo. Lo stava osservando a bocca aperta, e per un attimo Cora temette che Santiago non fosse l’unico a trovarsi sotto ipnosi.

«Lasciami entrare

Santiago sbatté le palpebre un paio di volte, probabilmente un riflesso condizionato dall’ipnosi. Significava che stava cedendo?

«Non resistermi, Santiago!»

All’improvviso il Sangre si mise seduto, strappando entrambe le braccia dalla presa di William. Ma non degnò quest’ultimo neppure di uno sguardo: il suo rancore violento era tutto per Axel.

«Non provare mai più ad usare l’ipnosi su di me, Eraclea

«Non sei nella posizione di intimidire nessuno» il viso di Axel era imperturbabile. Sembrava che la minaccia del vampiro non lo riguardasse. Non lo preoccupava affatto.

Quando Santiago se ne rese conto, probabilmente intuì anche quanto fosse grave la situazione in cui si trovava. Axel lo costrinse ad alzarsi, trascinandolo per un braccio: contro ogni previsione, non oppose alcuna resistenza.

Si lasciò condurre verso la macchina con la docilità di una persona rassegnata, ma il suo sguardo ombroso diceva tutt’altro. Prima di entrare dentro l’abitacolo rivolse quello sguardo  verso Cora e nell’istante in cui lei incrociò i suoi occhi, provò una strana, intensa inquietudine.

C’era rancore.

C’era odio.

C’era vendetta.

Ed erano tutti per lei.

 

 

*

 

Quando Emma aprì la porta, accogliendo il loro ritorno con un sorriso speranzoso, probabilmente era certa che sarebbero tornati tutti quanti. Riponeva troppa fiducia in William ed Axel per poter considerare l’idea che tornassero senza Cloe.

Non aveva però accarezzato l’idea che potessero tornare con qualche ospite in più, a giudicare dal suo sguardo improvvisamente accigliato, e in effetti Cora non poteva darle torto. Lei stessa non avrebbe potuto immaginare che sarebbe ritornata in quella casa, assieme a suo fratello. E non erano gli unici.

«E lui che ci fa qui?» Emma indicò Santiago con un cenno della testa. Il vampiro, scortato da Axel e William, si lasciò scappare un sogghigno divertito.

Anche da prigioniero era capace di fare del sarcasmo.

«Sono l’ospite d’onore. Hanno insistito tanto perché venissi qui, non potevo certo rifiutare. E poi dicono che sono scortese, pensa un po’.»

«Che ti avevo detto, Santiago?!» Will lo strattonò in maniera rude e aggressiva, dimostrando di possedere un aspetto ombroso che Cora non aveva mai notato fino a quel momento. «Devi stare in silenzio. Cosa non ti è chiaro in questo concetto?»

«Non è che non mi sia chiaro. In realtà è una costruzione grammaticale piuttosto semplice, e anche semanticamente devo ammettere che…»

William spintonò con malagrazia Santiago in ingresso, prima che potesse terminare la frase. E Cora cominciò a capire.

Will non era il tipo che riusciva a sopportare una provocazione, soprattutto quando veniva lanciata utilizzando il sarcasmo. Santiago ne era consapevole e sfortunatamente sembrava saper giocare piuttosto bene le proprie carte, anche in una situazione in cui il carceriere non era lui.

«Will…» Axel lo ammonì, il suo sguardo esprimeva un significato inconfondibile.

Stai facendo il suo gioco.

«Accompagniamo Santiago nel suo alloggio in cantina.»

 

 

*

 

Erano rimasti in tre, accomodati nelle poltrone del salotto.

Cora, Ice e Cloe.

Emma era andata a cercare bende e medicine che potessero servire per curare le ferite di Cloe e a giudicare dal tempo che stava impiegando, probabilmente la ricerca stava risultando più ardua del previsto. Quanto ad Axel e a William invece, erano chiusi in cantina assieme a Santiago da minuti interminabili.

A loro non era stato dato il permesso di seguirli. Non che Cora provasse curiosità riguardo all’incarcerazione del Sangre, ma il non vederli tornare la rendeva inquieta.

E, come se non bastasse, il silenzio ostinato e imbarazzato che aleggiava nel salotto non contribuiva certo a migliorare la situazione. Era come se vi fosse qualcosa di non detto che vagava nell’aria come un fantasma, qualcosa che rimbalzava dall’uno all’altro nella speranza di trovare una forma, di venire espresso.

Ma era qualcosa di scomodo, di rovinoso. Qualcosa che nessuno aveva il coraggio di affrontare.

Cora, seduta di fronte a Cloe, non poteva fare a meno di rivedere la mannara stretta tra le braccia di Santiago ogni volta che alzava gli occhi e la guardava.

Era cinerea, un pallore che non era affatto sano. Era sporca di sangue e ferita in più punti. Tutti segni inequivocabili di quello che era appena accaduto.

E non riusciva a guardarla in faccia.

Così guardò Ice di sottecchi, ma anche lui non sembrava essere particolarmente a proprio agio.

Cora sospirò. Quel silenzio era terribilmente imbarazzante.

«C’è una bella giornata, fuori.»

Silenzio.

«Cora…»

Era Ice.

«Sì?»

«È l’alba. Non può esserci una bella giornata

Suo fratello era sempre così collaborativo, così sensibile, così attento alle situazioni… Cora avrebbe voluto mollargli una gomitata, un pugno, uno schiaffo. Una cosa a caso, l’importante era il concetto. Razza di scemo!

«Non vi ho neanche chiesto i vostri nomi» Cloe, che probabilmente aveva colto il tentativo da parte di Cora di rompere il ghiaccio, sembrava invece non provare alcun disagio. Sorrideva amabilmente, come una perfetta padrona di casa che intrattiene i propri ospiti.

«Io sono Ice e lei è Cora. Mia sorella.»

«Già, una gran fortuna» Cora si abbandonò contro lo schienale della poltrona, le braccia conserte e un sorriso affilato stampato sul viso. Mia sorella. L’aveva specificato così velocemente da risultare imbarazzante. Lei conosceva fin troppo bene suo fratello: sapeva com’era fatto, quali erano i suoi punti deboli, e poteva riconoscere facilmente un atteggiamento lusinghiero quando lo vedeva.

E, in quel momento, poteva affermare con sicurezza che Ice si era appena lanciato in uno spericolato corteggiamento con il bersaglio che meno di tutti era alla sua portata. Cloe.

«Tutto questo amore mi soffoca. Hai mai pensato di prenderti un cane?» Ice ribatté alla frecciata della sorella, che per tutta risposta si strinse nelle spalle con noncuranza.

«Non ne ho bisogno, ho già te.»

Cloe, accoccolata sul divano, li guardò sorridendo. «Vorrei davvero ringraziarvi per quello che avete fatto. Non so dove sarei ora, se non foste intervenuti.»

Fu un’ammissione spontanea e veritiera. Era un dato di fatto: se Cora non si fosse lanciata in aiuto di Cloe quella notte, probabilmente la mannara non sarebbe riuscita a fuggire. O addirittura neppure a sopravvivere.

La osservò: il modo in cui abbassava lo sguardo, come si sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio, come si copriva le dita con la manica del maglione… Si era sbagliata riguardo a Cloe. Anche la mannara provava imbarazzo e lo aveva capito soltanto adesso, mentre la guardava con attenzione.

C’era qualcosa che voleva dire, qualcosa che la faceva vergognare.

«In realtà non so che cosa mi sia preso» Cloe si accarezzò il collo, esattamente dove erano visibili due piccoli fori arrossati. Nel punto esatto in cui Santiago l’aveva morsa.

Non so che cosa mi sia preso.

Improvvisamente, Cora capì: la mannara si stava riferendo al modo in cui si era abbandonata tra le braccia del Sangre. All’arrendevolezza con cui gli aveva ceduto, alla totale accettazione del suo morso, del suo desiderio, di lui. Cloe aveva scelto di non lottare, e il piacere che ne era derivato era stato talmente forte da farle provare vergogna verso se stessa.

Cora si sentì scaraventata in un’aula di tribunale, a raccogliere confessioni che non desiderava.

«Immagino non sia stata una situazione facile» fu tutto ciò che poté ribattere. Non riuscì a pensare niente di meglio. Era una constatazione piuttosto stupida, una frase fatta, ma non sapeva fare altro. Era il massimo che poteva aspettarsi da se stessa in quel momento, l’imbarazzo che provava non le consentiva di fare di più.

Sei il Ghoul di Axel. Non dovresti dire a me queste cose.

Cloe divenne silenziosa tutto d’un tratto. Fissò le fiamme che ardevano nel caminetto, catturata dal loro movimento sinuoso. Le stava guardando, ma la sua mente era altrove. Poi, quando cercò lo sguardo di Ice e Cora, i suoi occhi si fecero improvvisamente seri.

«Vi sarei grata se non faceste una parola con Axel di ciò che avete visto stanotte. Mi riferisco al fatto che mi sono lasciata andare tra le braccia di Santiago.»

Le costava molta fatica chiedere una cosa simile, per il semplice fatto che l’argomento era per lei fonte di imbarazzo e probabilmente anche di vergogna. Tutto in lei lo gridava, ogni più piccola ruga d’espressione testimoniava la battaglia che Cloe stava conducendo contro il proprio orgoglio.

E Cora non fu capace di calpestarla, nonostante in un angolo del proprio cuore provasse un sentimento strano, scomodo, che ruotava attorno ad Axel e al legame ambiguo e confuso che lo univa alla mannara. Un legame che non capiva, un legame a cui non riusciva a dare un nome che andasse oltre la parola Ghoul.

Cercò di sorridere in maniera genuina, accogliente, perché nonostante tutto poteva comprendere Cloe: Cora non aveva conosciuto il fascino di un Sangre –ammesso che i sanguinari ne avessero- ma sapeva bene che cosa voleva dire subire il fascino di un vampiro.  Aveva imparato che non c’era volontà che fosse incrollabile davanti ad un vampiro, e ad insegnarglielo era stato proprio Axel.

«Non preoccuparti» la rassicurò, guardando Ice e cercando il suo appoggio nel sorriso aperto del fratello. «Rimarrà tra di noi.»

 

 

*

 

 

La cella si richiuse con un clangore secco, privando Santiago della propria libertà. In fin dei conti, però, rimanere imprigionato nella cantina degli Eraclea non poteva essere considerato il problema principale.

Al momento c’era qualcosa di ben più preoccupante, una minaccia che andava arginata quanto prima. E quella minaccia aveva un nome, due canini e un paio di occhi viola che in quel momento lo stavano guardando con ostilità.

«Questa si chiama tortura psicologica, Axel» Santiago lo canzonò, avvicinandosi alle sbarre. Era più forte di lui: non ce la faceva a stare in silenzio, sottomesso. Non era nella sua natura.

«Dammi un motivo valido per cui non dovrei farti a pezzi e lasciarti bruciare sotto il sole di mezzogiorno» la risposta di Axel fu un sibilo rabbioso, una reazione che per Santiago fu dolce come il miele. Aveva stuzzicato il lato violento dell’Eraclea, una parte tenuta perennemente sotto controllo, addormentata. E tutto grazie al prezioso Ghoul di Axel.

Quell’idea rese Santiago estatico e fu per lui un invito a giocare. Un invito che non poteva in alcun modo rifiutare.

Axel avrebbe davvero voluto massacrarlo: Santiago glielo leggeva in faccia e gioiva della rabbia di cui era oggetto, ma c’era qualcosa che lo esaltava ancora di più. La cosa che più lo mandava in fibrillazione era che, nonostante lo desiderasse, Axel non poteva permettersi di fargli del male. L’Eraclea non ne era ancora consapevole, ma sarebbe stato dipendente dalla persona che odiava di più.

Non c’era nulla di più seducente della sensazione di potere che quell’idea gli conferiva. E, da buon Sangre qual’era, per lui non sarebbe mai stata abbastanza.

«Capisco perché ti tieni Cloe vicino. Il suo sangue ha un sapore molto buono.»

«Axel, direi che possiamo tornare dagli altri» William, che fino ad allora era rimasto in disparte ad ascoltare, intervenne come un perfetto paciere.

Bastardo ficcanaso.

Non gli avrebbe permesso a di strappargli il giocattolo dalle mani.

«Immagino che te la sarai anche scopata…» Santiago si appoggiò alle sbarre con naturalezza, sulle labbra un sorriso strafottente e provocatore. «Scommetto che è il tipo che grida.»

Fu un attimo. Axel fu così veloce da non lasciare a Santiago il tempo di reagire: il vampiro si ritrovò con la testa sbattuta contro le sbarre e la mano dell’Eraclea chiusa attorno al suo collo.

Ed Axel era vicino al suo viso. Vicinissimo.

«Dammi un motivo valido. ORA!»

Santiago sogghignò. Era arrivato il momento di fargli capire quanto avesse bisogno del suo aiuto, e di come non avrebbe più potuto farne a meno.

«C’è qualcuno che hai scordato, ma che ti è rimasta sempre fedele anche quando le hai voltato le spalle. Ed è fedele al punto tale da volere indietro il suo Sire.»

«Se stai parlando di Lakeisha, mi ha già lanciato il suo ultimatum. Le ho detto di no.»

Santiago si lasciò sfuggire una piccola risata, e quando Axel lo lasciò andare si ravvivò i capelli con un gesto veloce della mano.

«Non sto parlando di te. Sto parlando del vecchio Axel, quello che ha plasmato la storia. Quello che ha reso noi  Sangre ciò che siamo.»

Quando vide lo sguardo di Axel svuotarsi di ogni sicurezza, Santiago capì di aver centrato in pieno il bersaglio. Del resto, non poteva certo dargli torto: sarebbe stata una notizia sconvolgente per chiunque. O quasi.

«Vuoi dire che ha intenzione di far tornare Axel ciò che era un tempo?» domandò William, visibilmente preoccupato.

Santiago annuì. «Una lealtà ammirevole, non credete anche voi?»

«È tutto qui quello che sai?» Axel divenne improvvisamente freddo, distante, come se ciò che aveva appena sentito fossero un mucchio di fandonie. Nient’altro che una facciata per nascondere la propria preoccupazione, per non sembrare debole.

Peccato che a condurre le danze fosse Santiago, un ballerino che possedeva in egual misura astuzia ed esperienza. Intuì la tattica di Axel prima ancora di vederla all’opera.  

«Quello che ti ho detto non è altro che un piccolo anticipo. Il resto lo avrai solo alle mie condizioni» Santiago sogghignò. Era perfettamente consapevole di avere la situazione in pugno. Aveva il coltello dalla parte del manico. «Cloe

«Te lo puoi scordare» Axel fu perentorio. Rispose all’istante, senza neppure pensarci su. Per Santiago fu abbastanza.

Finse indifferenza, ben sapendo che bastava tirare un ultimo filo per far scattare la trappola. Fece spallucce.

«A rimetterci sei soltanto tu. Propongo un brindisi: al ritorno del vecchio Axel e del suo regno del terrore» e sollevò la mano come se stringesse tra le dita un prezioso salice di cristallo. Sorrise.

Era fatta.

«… Cin cin

 

 

 

 

 

 

L’angolo dell’autrice

 

 

 

Correggendo il capitolo ho cominciato a chiedermi come faccia Santiago ad essere così Santiago e a riuscire a ricattare le persone pure stando dietro le sbarre… ò.ò E in effetti non sono riuscita a darmi risposta ahahah!

Vi prego di scusarmi per il ritardo nell’aggiornamento (quasi tre settimane) ma ho avuto un esame e in più sono stata anche ammalata. Dunque dunque: si cominciano ad intravedere i piani di Lakeisha (che, per chi ha letto la versione precedente di Slayer’s, già erano più o meno noti), ma cominciano gli interrogativi.

Che intenzioni ha Santiago? Fin dove sarà disposto a spingersi Axel, messo alle strette da Santiago? E soprattutto, era davvero così terribile il vecchio Axel? (questa è una domanda inedita anche per i vecchi lettori, ahahah! Un po’ di par condicio)

Per avere una risposta a queste e ad altre domande, non dovete fare altro che continuare a seguire Slayer’s! *___* E ora passiamo ai commenti:

 

Innanzi tutto, vorrei come sempre ringraziare chi inserisce la storia tra le seguite e le preferite. Dunque, un GRAZIE a Kicici, ntinavale e Jess.

Poi, passando davvero ai commenti:

 

Rosa Blu: uh, una nuova commentarice! *___* quanto sono felice di vedere i commenti di nuovi lettori, non hai idea! (non che i commentatori affezionati mi diano noia, anzi! <3)  Comunque direi che hai un buon intuito, ahahah! Chissà da cosa l’hai capito… mah u.ù

 

Kicici: ecco, davvero… mi state viziando (e mi piaceeeee XD). Sono davvero felice che la storia ti appassioni. Spero che continuerai a seguirla e a farmi sapere che ne pensi, anche perché ho intenzione di far succedere un bel po’ di cose :P

 

Jess: cara lei, che è addirittura dipendente da Slayer’s! *___* Queste lusinghe a me fanno un effetto pazzesco, e mi fanno ingranare il turbo nella scrittura! XD Grazie per i complimenti, inclusi quelli relativi al concorso: sono stati davvero graditi! :D Comunque potremmo dire che qualche aspetto della psicologia di Santiago stiamo cominciando ad intravederlo, una briciola anche in questo capitolo. Ma non aspettarti (e anche voi altri, non aspettatevi!) cose assolutamente razionali, perché non ce ne saranno :P Penso che in tutta Slayer’s non ci sia un personaggio più assurdo e contorto di Santy… e a noi piace così, vero? XD Come vedi Cora ha quasi rischiato la pelle, perché non si è fatta gli affari propri. Chissà che abbia imparato… Io non so nulla u.ù

 

Anche per questo capitolo siamo arrivati al termine. Come al solito, cercherò di aggiornare il più velocemente possibile. E, tanto perché non vi ringrazio mai e non penso che sia giusto… voglio ringraziare di cuore anche chi ha la pazienza di leggersi ogni capitolo, che non è mai propriamente corto. Grazie davvero <3

 

Brin

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** tormento ***


 

 

 

 

.10

Tormento

 

 

 

 

 

Il tepore che la riscaldava era piacevole. Le coperte, aggrovigliate attorno al suo corpo sfinito dalla stanchezza, le ricordavano vagamente l’abbraccio rassicurante di una madre: le davano la stessa sensazione di protezione, come se all’interno di quel letto non potesse succederle niente di male.

Aveva bisogno di crederlo, di sentirlo attraverso ogni fibra se voleva riprendersi dagli avvenimenti delle ultime ore: era talmente stanca da non riuscire ad aprire gli occhi, così sfinita al punto da non riuscire ad uscire da quello stato di dormi veglia che le faceva percepire le cose a metà. Le lenzuola felpate, la trapunta soffice, il calore che la circondava: erano elementi di cui era consapevole, nonostante non riuscisse a ricordare che giorno fosse, da quanto tempo stesse dormendo, né se fosse ancora notte.

Si rannicchiò in posizione fetale, la testa ben nascosta sotto le coperte, e il materasso cedette sotto il suo peso. Stava per lasciarsi andare un’altra volta al sonno, quando capì che qualcosa che non andava.

Il materasso. Non era stata lei a farlo cedere.

C’era qualcuno lì, nel suo letto. Assieme a lei.

Quando realizzò che quello che sentiva infrangersi sulla pelle del collo era il respiro di una persona, il cuore cominciò a battere furiosamente.

Me lo sto immaginando. Deve essere sicuramente così, pensò cercando di intravedere nell’oscurità se in quella stanza ci fosse qualcuno. E c’era davvero un’ombra, i contorni di una persona chinata proprio su di lei.

Gridò, ma dalla bocca non uscì alcun suono. Soltanto il più cupo, disperato silenzio. Poi le sentì sul proprio corpo: due mani grandi, ruvide, che le sfioravano i capelli, il collo, la clavicola. Erano ovunque. L’accarezzavano lentamente, quasi con pigrizia; le sollevavano lentamente il pigiama mentre salivano su, sfiorando il ventre, lo stomaco, e poi ancora più su, ancora e ancora...

Lo sentì chinarsi su di lei, verso il suo orecchio. Il suo alito caldo le mandava brividi insostenibili lungo la schiena, che la facevano tremare come una foglia.

Cercò di lottare, di afferrare quelle mani sfacciate che la turbavano e la facevano sentire nuda e sporca. Voleva allontanarle, ma ogni volta inevitabilmente quelle mani riuscivano a sgusciare inspiegabilmente dalla sua presa come se fossero inconsistenti.

Si rannicchiò ancor di più, le ginocchia strette contro il petto. Voleva scacciarlo, voleva escluderlo, voleva rifiutarlo. Era un messaggio chiaro: smettila, non desidero le tue attenzioni. Ma lui non sembrava affatto scoraggiato.

«Guardami» le sussurrò all’orecchio, accarezzandole i capelli. La sua voce era roca, profonda, così maschile da risultare vergognosamente sensuale. «Guardami. So che lo vuoi.»

Vattene. Non ti voglio. Non ti vorrò mai. Avrebbe voluto dirglielo, ma ancora una volta il suo corpo non volle collaborare: lo guardò. Cercò il suo viso, i suoi occhi –dio, che cosa avrebbe visto nei suoi occhi?- ma per qualche strano motivo scoprì che non riusciva a dare una forma al suo volto. Fu una consapevolezza che la travolse e la lasciò stordita.

«Così, brava» lo sentì mormorare mentre una mano, insolente, si infilava sotto il tessuto morbido dei suoi slip. Fu proprio in quel momento che tutto terminò: Cloe si ritrovò improvvisamente sdraiata nel letto, sudata, accaldata, le coperte aggrovigliate verso terra. E completamente sola.

Quella consapevolezza la fece sentire sollevata, ma c’era dell’altro. Qualcosa che sporcava quel sollievo, qualcosa di più forte e decisamente disturbante. Vergogna. Rifiuto.

Perché era stato un sogno, e questo pensiero non poteva fare altro che rincuorarla, ma la persona che aveva sognato era lui. Santiago.

E questo Cloe non poteva accettarlo.

 

 

*

 

 

Non avrebbe saputo spiegare il perché scelse di andare lì. Da lui. In cantina.

Quando accese la luce della camera da letto, non guardò neanche che ora fosse: nella sua mente continuava a vedere e rivedere quel sogno, a sentire le mani di Santiago sul suo corpo come se ciò che aveva sognato fosse stata la realtà.

Non riuscire a rimanere indifferente era fonte di grande fastidio, e Cloe non riusciva a trovare pace. Forse fu questo motivo a spingerla a scendere in cantina, facendo attenzione a non fare rumore. Come una ladra.

Come una criminale.

Scese le scale con in cuore in tumulto, e la sensazione di soffocamento che le attanagliava la gola sembrava aumentare ad ogni passo. Si strinse nella vestaglia da camera, dando la colpa di quei brividi al freddo che, alle prime luci dell’alba, avvolgeva ancora la casa.

Quando arrivò in cantina e aprì la luce, lo vide: rinchiuso nell’unica cella di cui disponevano, seduto a terra nonostante Axel avesse incluso come unico comfort una brandina da campeggio; la schiena appoggiata al muro, gli occhi chiusi.

Sembrava che Santiago dormisse.

Cloe non disse nulla, non ancora per lo meno. Si fermò davanti alla cella, le braccia conserte al seno e un’espressione severa sul viso. Fissò Santiago per minuti che le sembrarono interminabili, divisa tra una forte aggressività nei suoi confronti e qualcosa di non ben definibile, qualcosa che le impediva di mettersi a gridare.

Che diavolo ci faccio, qui?

Fece per voltarsi e ritornare in camera, improvvisamente consapevole del fatto che non sapeva che cosa avrebbe potuto dirgli, quando lui la chiamò. Non sembrava particolarmente sorpreso di vederla. Era come se si aspettasse quella visita, come se l’avesse prevista.

Prevista… Il sospetto si insinuò repentino in Cloe, minandone ogni sicurezza.

«Non riesci proprio a starmi lontano, eh?» la canzonò lui, avvicinandosi alle sbarre. Sorrideva, quell’espressione ironica e provocatoria che la mannara stava cominciando a conoscere e a non sopportare.

Rimase distante dalla cella, il più possibile lontana da Santiago e dal suo fascino impudente e spregiudicato.

«Ti piacerebbe.»

«Sì, mi piacerebbe» le rispose, appoggiandosi alle sbarre con indolenza. La squadrò da capo a piedi, lentamente, come se volesse metterla in imbarazzo. «Come mai sei qui?»

Cloe si torse le mani, a disagio. Ammettere di aver sognato Santiago –un sogno erotico, soprattutto- le costava fatica, e il suo orgoglio non le facilitava certo le cose. Non appena si rese conto di apparire un po’ troppo nervosa, incrociò le braccia al petto. «Sei entrato nel mio sogno. Mi hai manipolata.»

Santiago si accigliò, confuso. «Stai dicendo che mi hai sognato

Cloe distolse lo sguardo, improvvisamente a disagio. La situazione stava prendendo una piega strana, imprevista. Non avrebbe dovuto sentirsi così in imbarazzo. Non avrebbe dovuto avvampare, perché le parole di quel vampiro non avrebbero dovuto avere alcun effetto su di lei.

Tutto questo non era previsto.

«Più che un sogno direi che è stato un incubo» ribatté, guardando Santiago negli occhi. Il vampiro sogghignò.

«Un incubo… » Cominciò a camminare avanti e indietro, sfiorando le sbarre con la mano. Era sinuoso come una tigre. Sapeva essere ammaliante anche stando rinchiuso in una cella. «… Eppure non sembrava dispiacerti, quando ti accarezzavo.»

La guardò dritta negli occhi con insolenza, sul volto un sorrisetto che le fece perdere le staffe: era un’ammissione velata, ma inequivocabile. Non le aveva detto chiaramente di aver manipolato quel sogno –l’immagine di Santiago che si infilava nel suo letto e nei suoi pensieri, turbandola e facendola sentire sporca e sbagliata- ma era più che sufficiente per farle capire che il vampiro non ne era poi totalmente estraneo. Anzi, capì quanto in realtà fosse responsabile del tumulto che provava da quando si era svegliata di soprassalto, convinta di avere Santiago nel suo letto e le sue mani sul proprio corpo.

Fu un impulso troppo forte, alimentato dalla rabbia e dalla frustrazione: si aggrappò con forza alle sbarre, facendole tremare. Fremette.

«Sei una bestia

Voleva insultarlo, colpirlo, ferirlo. Voleva cancellare quel sorrisetto beffardo dal suo viso, desiderava demolire quell’arroganza insopportabile che Santiago si ostinava ad ostentare.

Ma lui non sembrò affatto turbato dalla reazione di Cloe: la guardò con noncuranza, un atteggiamento che rasentava quasi la noia. La stava sfidando, di nuovo.

«Devi starmi lontano! Hai capito?»

«Altrimenti?»

Cloe non seppe come ribattere. Era evidente che Santiago fosse consapevole della propria posizione: sebbene si trovasse rinchiuso in una cella, prigioniero di un clan ostile, era pur sempre un vampiro. Il che implicava una serie di conseguenze, prima tra tutte il fatto che fosse oggettivamente più forte di lei e che avesse una serie di mezzi per imporre il proprio volere.

Cloe avrebbe potuto rivolgersi ad Axel, certo, ma la mannara aveva la strana sensazione che se l’avesse tirato in ballo in quel momento, Santiago avrebbe trovato il modo di ribattere e di uscirne comunque vincente.

Si allontanò dalla cella, guardando il vampiro con tutto il risentimento che provava per lui.

«Lasciami-in-pace!»

Fu un monito strozzato dall’emozione, incerto e tremante. Cloe non aspettò la risposta di Santiago: preferì non lasciargli alcuna possibilità di ribattere, rifiutando lui e quella conversazione che, per i gusti della mannara, era durata fin troppo.

Fuggì di sopra, desiderando nient’altro che allontanarsi il più possibile dalla cantina, da quella cella e dal tormento che sentiva nel cuore.

 

 

*

 

 

Poteva sentire ogni cosa, se si concentrava. Ogni rumore, ogni parola. Tutto ciò che accadeva in quella casa era sotto il suo controllo: non c’era nulla che sfuggisse all’udito di Axel, non c’erano porte né pareti che potessero contenere i loro segreti. Non per lui.

E quello che sentì provenire dalla cantina non gli piacque per niente.

Aveva la sensazione che la situazione gli stesse sfuggendo lentamente di mano: quando aveva intimato a Santiago di stare lontano da Cloe non si era certo aspettato che il Sangre avrebbe rispettato i suoi desideri.

Ciò che lo preoccupava infatti non era il vampiro, quanto piuttosto il bizzarro interesse che Cloe stava dimostrando verso di lui. Nonostante la mannara cercasse di nasconderlo, Axel l’aveva intuito fin dal primo momento in cui li aveva visti assieme: da quando l’avevano catturato, Santiago e Cloe non si erano scambiati neppure una parola, ma la tensione tra di loro era evidente. Una tensione fatta di timore, sguardi, paura e desiderio.

Non aveva mai percepito Cloe così tanto come in quei momenti, in cui Santiago le era così vicino da sconvolgerla; non aveva mai sentito il suo sangue colorarsi di un profumo così intenso. E adesso lei era addirittura scesa in cantina, dove il Sangre era tenuto prigioniero. Lo aveva fatto senza avvisare nessuno, come se si preoccupasse della reazione che lui, Will ed Emma avrebbero potuto avere nel caso in cui l’avessero scoperta. Era scesa di nascosto da loro, come se si sentisse in difetto per l’influenza che Santiago aveva su di lei.

Ma, più di ogni altra cosa, ciò che irritava Axel era proprio il fatto di essere messo da parte dalla persona che avrebbe dovuto e voluto proteggere.

Si mise a sedere, inquieto: il passato lo stava tormentando, di nuovo. Ricordi che non volevano lasciarlo in pace e che iniziavano e terminavano con un unico nome. Santiago.

Axel poteva dire di conoscerlo bene. Aveva conosciuto la personalità complessa del vampiro in ogni minima sfaccettatura e ciò che aveva visto oltre l’arroganza era qualcosa di terribile, un’esistenza così tormentata da risultare annichilita dallo stesso caos che nascondeva dentro di sé. Ogni cosa era vissuta da Santiago in maniera assoluta, totale, distruttiva: era per questo motivo che Lakeisha lo apprezzava così tanto, nonostante fosse sempre stato imprevedibile. E Axel, che sapeva bene fin dove il Sangre fosse capace di spingersi, non riusciva a smettere di ripensare a quanto l’ossessione di Santiago l’avesse consumato, inducendolo a compiere l’unico atto contro natura che nessun vampiro prima di lui era riuscito a fare.

E ora quella bestia senza controllo era lì, in casa sua, e neppure l’essere prigioniero sembrava poter frenare la sua ingordigia: se desiderava una cosa, avrebbe fatto di tutto pur di averla.

Axel aspettò in corridoio, accanto alla camera di Cloe: la sentì salire le scale in fretta, come se qualcuno la stesse seguendo. Sembrava turbata. Probabilmente non si aspettava di trovarlo lì, in attesa, perché quando lo vide appoggiato alla porta con le braccia conserte e un’espressione grave sul volto, Cloe distolse lo sguardo con imbarazzo.

«Hai sentito?»            

«Sì.»

Parlami. Dimmi qualcosa.

Cloe si appoggiò al muro, esattamente accanto ad Axel. Spalla contro spalla, come due amici di vecchia data che si scambiano confidenze. Peccato che l’atmosfera fosse tutt’altro che confidenziale.

«Stagli lontana» Axel avrebbe voluto essere meno diretto, meno brutale, ma non sapeva come affrontare l’argomento in maniera più delicata. Cloe però non rispose: rimase con lo sguardo basso, puntato verso la moquette del pavimento; le mani nascoste dietro la schiena e un leggero rossore a imporporarle il viso.

L’approccio al discorso non era stato dei migliori, probabilmente. Il vampiro cercò di riformulare la questione in maniera meno brutale, schiarendosi la gola.

«Vorrei che non ti avvicinassi più alla cantina.»

«Altrimenti?» Cloe guardò Axel negli occhi con un vago risentimento: non era incline a dimostrargli ubbidienza. Non in quel momento, almeno.

Fu una reazione che lo colse del tutto impreparato e mantenere le buone maniere gli risultò quasi impossibile. Si allontanò dalla porta, fronteggiando la mannara con espressione accigliata.

«Altrimenti?! Cloe, qui non ci sono alternative: non voglio che ti avvicini a Santiago!» abbaiò, lasciando Cloe affranta e dispiaciuta.

Gli sorrise appena, senza troppa convinzione. «Capisco che tu sia preoccupato, però…»

«Non penso che tu possa capire. Non lo conosci» Axel la interruppe. Si ravvivò i capelli, sospirando. Certo che non poteva comprendere: non sarebbe mai riuscita a dare un senso alle parole che lui le rivolgeva, non prima di aver sentito come stavano le cose. «Lo sai anche tu com’è la natura dei Sangre: sanguinaria, impulsiva.»

«Axel…»

Soltanto allora si rese conto che Cloe lo stava guardando con le braccia conserte, come se fosse stanca di tutti quei preamboli. Annoiata. Stava aspettando che lui trovasse le parole più incisive che conosceva per giustificare la propria presa di posizione.

E ad Axel non rimase nient’altro da fare se non andare dritto al punto.

«Santiago aveva un Sire. Naturalmente stiamo parlando di diversi secoli fa, ma quello che è importante sottolineare è che ora non ce l’ha più, Cloe. È stato Santiago stesso a spezzare il legame di Sangue con il suo Sire, e credimi se ti dico che è una cosa che rasenta l’impossibile per qualunque vampiro. È per questo motivo che non voglio saperti vicina a lui: ciò che l’ha portato ad aggredire il suo Sire è ancora lì, dentro di lui. E sta aspettando di uscire.»

 

 

 

 

 

 

L’angolo dell’autrice

 

Siamo sotto Natale, e siccome a Natale siamo tutti più buoni ho pensato di spezzare l’attesa per l’aggiornamento con questo capitolo. In realtà volevo aggiungere un paio di pezzi, tanto per aggiungere un po’ di movimento, ma mi diventava troppo lungo e soprattutto mi avrebbe portato via ancora tempo e non mi andava di farvi aspettare oltre. Quindi l’azione ve la cuccate nel prossimo capitolo (forse, non si sa mai come evolve la storia ahahah!)

Comunque con l’ultimo capitolo mi avete dato un’ENORME soddisfazione *___* Perché? Ve lo illustro subito, per punti:

 

˳ I preferiti/seguiti: un grazie a Ella28 e a fefigna, che hanno aggiunto Slayer’s tra i preferiti, e a Jazz211, ornella, Roxelle, irys89 che invece l’hanno inserita tra le storie seguite. Mi date sempre una grande gioia *___*

 

˳ Le preferenze di autori: una categoria che non controllo tanto spesso –e mi scuso in anticipo se vi ringrazio solo ora-. Dunque un grazie a loli89 e a vchiego che mi hanno messo tra gli autori preferiti. Un grande onore.

 

˳ I commenti, ben cinque questa volta. Vi adoro, davvero, per cui come sempre vi rispondo con immenso piacere:

 

Jess: devo dire che mi fa piacere sapere che apprezzi la follia e la passionalità di Santiago. Ma devo ammettere che sono anche impaziente di sapere cosa penserai del vecchio Axel, perché sarà una figura un po’ particolare (sperando di riuscire a renderlo bene!). Diciamo che sarà un po’ Sangre, in modo diverso dagli altri però… (evviva gli spoiler centellinati XD )

 

Clodio82: Santiago in effetti è un po’ il mio orgoglio, e devo ammettere che tutti questi riscontri positivi mi stanno lusingando non poco! XD Il “vecchio Axel” invece avrà un certo peso nella storia, ma per questo dovremmo attendere ancora un po’ :P

 

Atina: addirittura nella libreria! Caspita, che onore!! Per quanto riguarda l’essere patologici, beh, ogni tanto direi che ci vuole. Soprattutto dopo questa indigestione di vampiri “sole, cuore, amore”.

 

Ella28: una nuova commentatrice!! Benvenuta!! *___* Non hai idea di come stavo mentre leggevo il tuo commento: avevo un sorrisone vergognoso ahahah!! Sapere che la storia ti ha emozionata al punto di pipparti tutti i capitoli in un soffio trovo che sia davvero meraviglioso. Davvero, grazie. Cora in effetti piace anche a me, scrivere dal suo punto di vista ha un che di divertente! :D Però ne deduco che tu sei una fan di Axel, e anche questo mi piace un sacco: vuol dire che nonostante tutto sono riuscita a creare un personaggio che riesce a tenere testa a Santiago, che riscuote abbastanza successo. Ottimo! *__* Spero che continuerai a lasciare le tue impressioni di tanto in tanto, mi farebbe davvero piacere :D

 

Jennifer90: eh, in effetti del vecchio Axel non c’era gran che traccia nella vecchia versione, ma rimedieremo in questa! Grazie per i complimenti riguardo al concorso, sono stati davvero graditi *__*

 

Anche per questo capitolo siamo arrivati alla fine, ma stavolta vi voglio lasciare con un indiscrezione sul prossimo capitolo: orientativamente si chiamerà “Attacco”. Indovinate un po’ perché? :P

 

Brin

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** attacco ***


 

 

 

 

In cielo non c’era neppure una nuvola. Non c’era foschia, non c’era nebbia, non c’era assolutamente nulla. Era una notte limpida, tra le più belle che Lakeisha potesse ricordare, e lei di notti ne aveva viste davvero tante.

Ma quella… Beh, quella era speciale.

Era la notte in cui Axel avrebbe realizzato quanto fosse grande l’errore che aveva commesso rifiutandola per la seconda volta.

Gli avrebbe tolto ogni cosa, a cominciare dalla pace a cui agognava così disperatamente, finché non gli sarebbe rimasto nient’altro che lei. E allora l’avrebbe accolto tra le sue braccia, avrebbe festeggiato il suo ritorno, e l’avrebbe legato a sé. Questa volta per sempre.

Quella che stava per iniziare sarebbe stata una notte di sangue e morte, e Lakeisha non poteva che gioire all’idea che non ci fossero nubi ad oscurare il cielo: la luna e le stelle sarebbero state testimoni della sua volontà, avrebbero assistito al massacro, e avrebbero raccolto e custodito la promessa che la vampira aveva fatto ad Axel, nel suo cuore.

E sarebbero state sue alleate, ora e per sempre.

 

 

 

 

11.

Attacco

 

 

 

 

Cora aveva sentito tutto: ogni parola di quella conversazione, ogni esclamazione. Tutto.

Del resto non poteva che essere altrimenti: il silenzio di quella casa dormiente era così profondo da amplificare ogni più piccolo rumore e lei, rintanata nella camera che le era stata assegnata per riposare qualche ora, non era stata capace di rimanere indifferente a quella discussione. Colpa del silenzio e del sonno leggero, principalmente.

Guardò Ice che, accanto a lei, dormiva ignaro di quello che stava succedendo nel corridoio. La sua sagoma rannicchiata sotto le coperte traspariva nella penombra, e il suo volto disteso sembrava sereno. Decise di lasciarlo dormire ancora un po’: in fin dei conti ne aveva bisogno, soprattutto dopo le notti intense e piene di emozioni che avevano trascorso.

Si guardò distrattamente attorno: dalle persiane calate filtrava qualche raggio di sole. Era mattina, o forse addirittura primo pomeriggio. Non avrebbe saputo affermarlo con sicurezza.

Quando sentì cessare le voci provenienti dal corridoio, improvvisamente ripiombato nel silenzio, decise che era il momento più propizio per andare in bagno: si mise in ascolto con attenzione, cercando di capire se Axel e Cloe se ne fossero andati. Aveva la sensazione che piombare nel bel mezzo di una loro discussione potesse imbarazzarli almeno quanto potesse mettere in difficoltà lei stessa. Rimase in silenzio per un breve momento, l’udito all’erta e pronto a cogliere il più piccolo mormorio. Ed eccolo: il rumore di una serratura. Una porta che si chiudeva.

Esattamente quello che stava aspettando.

Uscì in corridoio sicura di non trovare nessuno, ma non appena mise piede fuori dalla camera lo vide, la sua figura resa ovattata dalla penombra creata dalle tapparelle calate. Le dava le spalle e probabilmente non si era ancora accorto della sua presenza, ma Axel era a pochi metri da lei. E dal bagno.

Va bene, nessun problema. Facciamo finta di niente.

«Axel? Che ci fai in piedi?» domandò, dimostrando di possedere un’insospettabile faccia tosta. Si stupì di se stessa e del tono da stupita-ma-non-troppo che aveva utilizzato: poteva risultare addirittura credibile. «I vampiri non stanno dentro una bara durante il giorno?»

Addirittura una battuta. Ma quante ne sai, Cora?

Axel si voltò verso di lei. Non sembrava affatto sorpreso di vederla, come se si aspettasse di vedere la ragazza sbucare lì, in corridoio, in quell’esatto momento.

Sorrise alla domanda di Cora e quell’espressione calda, quasi rasserenata, le scaldò il cuore.

«Le bare sono scomode. Personalmente preferisco un letto comodo, meglio se a due piazze.» Non c’era traccia di malizia in quella puntualizzazione, e forse fu proprio il suo sorriso da canaglia gentile che lasciò Cora senza fiato. In quel frangente la penombra si rivelò essere l’alleato migliore per la ragazza: il rossore che le imporporò le guance era un indizio importante, che poteva rivelare ad Axel cose che Cora preferiva tenere per sé, e se il vampiro non se ne accorse fu solo grazie alla quasi totale assenza di ogni tipo di luce.

«Allora, vediamo…» Cora si appoggiò al muro esattamente di fronte ad Axel, il maglione sgualcito e i capelli arruffati. «… Soffri di insonnia?»

Rise. Axel rise. Una risata che le provocò brividi lungo tutto il corpo. Dio, da quando sentirlo ridere le faceva quell’effetto?

«Non dormo mai, in effetti. Non perché non ci riesco: noi vampiri non ne abbiamo bisogno.»

«E allora che cosa fate?»

«Tante cose. A me piace pensare.» Di fronte all’espressione stupita di Cora, si affrettò ad aggiungere che, in effetti, ognuno impiegava quelle ore di buio forzato come meglio credeva: c’era chi dipingeva, chi leggeva, chi amava studiare tutto quello che poteva avvicinarlo alla cultura umana. Conosceva addirittura qualcuno che discorreva filosoficamente con se stesso.

«Te l’avevo detto, ci piace la vostra cultura» concluse sorridendo e per la prima volta Cora sentì chiaramente di provare una profonda stima per gli Eraclea. Per loro, per il modo in cui vivevano, per il rispetto che essi stessi davano agli esseri umani.

E si rese conto di considerare Axel come qualcosa di più di un vampiro: lo vide per ciò che era veramente, andando oltre i canini e la pelle cinerea. Improvvisamente, prima di ogni altra cosa, agli occhi di Cora Axel era una persona.

«Sì, me lo ricordo. È stata una cosa che mi ha sorpresa, in effetti» ammise abbassando lo sguardo. Si sentì improvvisamente a disagio, in imbarazzo, e non riuscì a spiegarsi il perché. C’era qualcosa che la rendeva inquieta, qualcosa che non le permetteva di rimanere rilassata in presenza di Axel.

Probabilmente la sua imperscrutabilità, la sua imprevedibilità… Non riusciva a capire che cosa il vampiro avesse in testa. Era arrabbiato? Era preoccupato? Era distante? Qualunque cosa pensasse non si rifletteva affatto sul suo comportamento, che rimaneva sempre misurato, gentile, impeccabile.

Per Cora, Axel era anche un’incognita senza fine.

«Hai fame? Vuoi una tazza di caffè?»

Cora sorrise. In fin dei conti, che fosse una persona che confidasse o meno i propri pensieri, Axel rimaneva pur sempre una creatura dall’animo gentile e aveva la netta sensazione che questa sarebbe rimasta una di quelle cose indubitabili, come l’esistenza del sole o la dolcezza del cioccolato al latte.

Non sarebbe mai cambiato.

«Il caffè va benissimo.»

 

 

*

 

 

Il gorgoglio della moka precedette di pochi istanti l’odore del caffè, che impregnò l’aria con il suo profumo aromatico e deciso. Axel non ne aveva mai bevuto neppure un goccio, ma aveva la vaga sensazione che quella sarebbe potuta essere la sua bevanda preferita se fosse stato un essere umano qualunque.

Non gli dispiaceva affatto crogiolarsi nel profumo del caffè appena fatto: gli dava una sensazione di normalità, di umanità. E poi gli piaceva. Lo trovava un profumo decisamente buono, molto più attraente di altri aromi.

Certo, il sangue rimaneva imbattibile sia per sapore che per odore, ma Axel era un vampiro di larghe vedute, privo di pregiudizi. E trovava l’odore del caffè particolarmente piacevole.

«Ci mettete anche lo zucchero, giusto?» domandò, porgendo a Cora una tazza da latte piena fino all’orlo di caffè. La ragazza strabuzzò gli occhi, guardando Axel perplessa. Fu un’espressione buffa, che lo divertì.

«Potrebbe essere un’idea, sì. Altrimenti l’amaro potrebbe uccidermi prima di finire il caffè, e considerando che la strada è lunga…» commentò lei con un’alzata di spalle, lasciando intuire il significato sottinteso di quella frase lasciata a metà. Sorseggiò il suo caffè lentamente dopo averlo addolcito, soffiando per far stemperare il bollore. Mantenne lo sguardo basso, ben lontano dal vampiro che se ne stava appoggiato contro la credenza. Era come se non riuscisse a guardarlo, o chi lo sa: forse si rifiutava di farlo.

La sua pelle emanava un odore particolare, un profumo dolciastro che si perdeva nell’aria e si mescolava all’aroma del caffè. Era il suo sangue che ribolliva, scaldato dalla stessa eccitazione che costringeva Cora a distogliere lo sguardo da Axel. Era fin troppo consapevole della presenza del vampiro in quella stessa cucina; lo raccontava la fragranza che Axel percepiva provenire da lei.

Era come leggere un libro così velocemente da non capire più niente; come ricevere una miriade di informazioni in pochi istanti confusi. L’effetto che lui aveva su quella ragazza era sconvolgente: non perché l’avesse ammaliata –molte, troppe donne prima di Cora si erano dimostrate estremamente vulnerabili di fronte al suo fascino- ma per la testardaggine  e le contraddizioni che intravedeva in lei, nel suo profumo.

Lo desiderava, ma allo stesso tempo voleva non desiderarlo. Che fosse per paura, per orgoglio o per qualunque altro motivo, Cora era consapevole di provare desiderio verso di lui e reprimeva questo sentimento. E tutto questo incuriosiva Axel, lo attraeva come se fosse una falena intenta a volare attorno alla luce artificiale di un lampione.

Lui, che amava conoscere ogni sfaccettatura dell’animo umano, rimaneva sempre incantato di fronte a contraddizioni conflittuali come quella in cui si trovava Cora in quel momento: era espressione di un mondo che correva parallelo al suo, ma che non poteva raggiungere. E lo desiderava proprio per questo.

Axel…

Era affascinante.

«Axel…»

Sussultò, colto alla sprovvista: era immerso nei suoi pensieri al punto tale da non accorgersi di Cora, che lo stava guardando come se si aspettasse qualcosa da lui. Una reazione, una parola. Qualcosa.

Soltanto in quel momento si rese conto di essere rimasto a fissarla per qualche minuto senza dire niente.

«Stai pensando a Cloe?» nella voce di Cora c’era una punta di dispiacere, decisamente simile all’invidia. Alla gelosia. Si nascose dietro la tazza fumante e per una frazione di secondo distolse lo sguardo, prima di guardare Axel con espressione dubbiosa e colpevole.

Axel la studiò, confuso dalla sua domanda. «Cloe

«Sì. Vi ho sentiti prima. Naturalmente non era mia intenzione origliare, ma la sua camera è vicino alla mia e non riuscivo a dormire» si affrettò a specificare come se volesse discolparsi da qualche errore appena commesso.

Axel si ravvivò i capelli più volte, lasciandosi sfuggire un sospiro leggero: dunque era per questo motivo che Cora l’aveva raggiunto in corridoio. Si sedette di fronte a lei, appoggiandosi al bordo del tavolo in maniera confidenziale.

«Lei non sa di che cosa è capace Santiago. Non lo sa, ed è attratta da lui.»

Cora sorseggiò il caffè, stringendo la tazza calda tra le mani gelate dal freddo. «Se posso darti il mio parere, io invece sono convinta che Cloe si sia fatta un’idea.»

Lo guardò di sottecchi, nascosta dietro la tazza di caffè. Fu un modo di guardarlo che mise Axel in allarme: nel suo sguardo c’erano dei sottintesi, cose non dette ma lasciate abbandonate tra le righe del discorso. Cora voleva dirgli qualcosa, ma probabilmente non ne aveva il coraggio.

«Che intendi dire?»

La ragazza appoggiò la tazza sul tavolo. «Quando io e mio fratello abbiamo trovato Cloe assieme a Santiago… come dire… lui la stava mangiando. Lei aveva sangue ovunque, e Santiago la stringeva come se volesse spezzarle la schiena» raccontò, e Axel notò i solchi di espressione che si formarono sul viso della cacciatrice nel momento in cui Cora si accigliò, turbata dal suo stesso ricordo. «Non sono mai stata morsa in modo così violento, ma ti assicuro che quando Santiago mi ha azzannato la gamba ho sentito chiaramente la rabbia accecante che lo spingeva ad attaccarmi. Credo che un morso di un vampiro possa far capire molte cose, anche a Cloe

Axel rimase in silenzio, incapace di replicare. Aveva intuito che Santiago non fosse stato delicato con la mannara: gli era bastato un solo sguardo per capirlo; le condizioni in cui Cloe era ridotta quando Axel e William l’avevano trovata erano più che sufficienti per spiegarlo. Ma sentirlo raccontare da chi aveva assistito con i propri occhi a tutto questo era tutt’altra storia.

«Accidenti che sguardo scuro… Sembri il padre di Cloe

L’osservazione fu pungente al punto giusto: esattamente quello che ci voleva per strappare Axel dalla nube dei propri pensieri, ma non abbastanza da urtare la sensibilità del vampiro. Il sorrisetto ironico della ragazza fu quello che più di ogni altra cosa lo colpì: il modo in cui rideva, il modo in cui lo guardava… Erano segnali seduttivi, utilizzati per lanciare messaggi che molto spesso avevano lo stesso significato. Guardami. Mi piaci. Sono disponibile.

Era così, eppure allo stesso tempo c’era qualcosa di diverso: in ogni gesto di Cora, in ogni sguardo che gli lanciava c’era interesse, desiderio e innocenza. Era come se stesse flirtando con lui senza rendersene conto. Una contraddizione rara e affascinante che stuzzicava ulteriormente la curiosità di Axel verso quella ragazza.

«In un certo senso è come se lo fossi: ho cresciuto io Cloe» ammise accennando un sorriso. E, proprio come si aspettava, Cora rimase decisamente stupita da quella rivelazione.

«L’hai cresciuta? Quindi tu e lei non siete…» gesticolò, in evidente difficoltà. Quello che intendeva domandare era chiaro, decisamente inequivocabile. Ma Axel si ritrovò inaspettatamente schiavo di quella reazione imbarazzata, del diffuso rossore che colorava le guance di Cora, dell’improvviso e intenso odore che il suo sangue emanava. Fece finta di non capire.

«Non siamo cosa

«Non siete…» Cora cercò di battere il proprio imbarazzo e di cercare le parole giuste, ma l’ombra del dubbio le accese lo sguardo. Quando guardò Axel, i suoi occhi lo stavano rimproverando. «Mi stai prendendo in giro, vero?»

Axel si strinse nelle spalle con naturalezza. «Assolutamente no.»

«Mh…»

Non sembra molto convinta.

«Comunque… Tu e Cloe non siete intimi?» Cora riuscì finalmente a chiedere. L’istante successivo era già nascosta dietro la tazza di caffè ormai piena a metà, e mordicchiava il bordo con insistenza.

«Che intendi per intimi?» In realtà Axel aveva capito benissimo dove Cora volesse andare a parare. Solamente, non riusciva a smettere di divertirsi nel vederla in difficoltà, e non perché questo gli desse una sorta di sadico piacere. Era piuttosto un’attrazione verso ogni smorfia, verso ogni sguardo che intravedeva in Cora.

«Intimi. Se avete una relazione» rispose, sconfitta. Poi, non scorgendo alcuna collaborazione da parte di Axel, riprese. «State insieme? O è solo sesso tra trombamici? Capisci… Intimi

«Ah, intimiAxel si finse stupito e Cora lo fulminò con lo sguardo prima di mimare un sorriso che sfumava in una smorfia inacidita. Fu sufficiente per convincere Axel a tornare finalmente serio.

«Te l’ho detto, l’ho cresciuta. L’unica cosa che ho preso da lei è stato il suo sangue, perché ha scelto lei di donarmelo.»

«Caspita…»

«Vedo che ti ho lasciata senza parole» Axel ridacchiò. «Oggi torni alla scuola?»

Cora annuì. Non sembrava particolarmente entusiasta. «È dalla notte dell’incendio che non hanno notizie mie né di Ice. Devo tornare.»

«Capisco» Axel si alzò, senza distogliere lo sguardo da Cora. I suoi capelli erano un disastro, scarmigliati e aggrovigliati, e i suoi occhi erano cerchiati dalle occhiaie. A vederla così probabilmente nessuno le avrebbe dato un centesimo, eppure quella ragazza di media statura aveva un carattere da leone. E Axel non se lo sarebbe mai dimenticato.

«Penso che se Cloe sia ancora viva, lo devo soltanto a te. Grazie.»

 

 

*

 

 

Cora era accoccolata sul divano, il telecomando in mano e la televisione accesa.

Aveva preferito aspettare che Ice si svegliasse, prima di lasciare la casa di Axel e tornare a raccogliere i pezzi della propria vita per tentare di rimetterli assieme. Così, nell’attesa, era finita in salotto, sprofondata nel divano e cullata dalla penombra offerta dalle tapparelle perennemente calate.

Peccato solamente che la televisione non offrisse niente di meglio che televendite di prodotti di dubbia qualità e telegiornali in cui si sormontavano facce anonime e ordinarie. Non era nulla di speciale.

Fu sul punto di cambiare l’ennesimo canale, quando lo schermo della televisione si riempì di immagini che a Cora sembrarono familiari: erano case, alberi, strade che lei era sicura di avere già visto.

Allarmata, alzò il volume della televisione, che si riempì di pianti, sirene e voci allarmate. Poi, finalmente, lesse la scritta riportata in calce.

I VAMPIRI DICHIARANO GUERRA.

STRAGE IN CITTÀ: MASSACRATI GLI ABITANTI DELL’INTERO COMUNE.

«Come avete detto in studio, l’attacco è avvenuto durante la notte. I vampiri hanno sorpreso tutti nel sonno e pare che non ci sia nessun sopravvissuto. I cacciatori sono già stati allertati» la voce dell’inviata era acuta e spiacevole, ma in quel momento tutto passava in secondo piano di fronte all’enorme portata di quella notizia.

Poi, all’improvviso, il collegamento si interruppe e la linea tornò allo studio, dove il conduttore del telegiornale era seduto al suo posto, in compagnia di una donna che Cora non aveva mai visto e che aveva sicuramente poco in comune con le persone che lavoravano per la redazione.

Era decisamente bella, così tanto da far male. Una bellezza aggressiva, predatrice: pelle cinerea, lunghi capelli neri, labbra piene, occhi chiari, glaciali e vuoti.

Cora capì immediatamente che quella donna strizzata in un tailleur nero fosse una vampira.

«Abbiamo qui con noi un’ospite. Ci ha contattato gentilmente perché ha delle informazioni sull’attacco di questa notte» il giornalista la guardò, pieno di sorrisi e servilismo. «Quindi ora le lascio la parola, signora Lakeisha

Non appena sentì il suo nome, Cora schizzò in piedi: dunque era lei, Lakeisha. L’assassina di sua madre.

Sentì la rabbia montare dentro di lei, violenta. Chiedeva sfogo, le gridava vendetta, eppure Cora non poté far altro che rimanere lì, di fronte al televisore, e guardare la creatura che aveva ridotto a pezzi la sua vita parlare con assoluta tranquillità. Come se non fosse un’omicida.

«È vero, ho delle informazioni che ritengo siano di vitale importanza» Lakeisha guardò verso la telecamera. Non stava parlando con il giornalista: si stava rivolgendo all’intero paese. Di più, a tutto il mondo. «So chi è il responsabile del massacro di questa notte.»

Uno scoop in diretta. La notizia del giorno. Il colpo di scena. Il testimone chiave.

Non seppe dire perché, ma Cora tremò di paura. Forse fu il gelo che lesse nello sguardo di quella creatura, o piuttosto fu l’indifferenza con cui annunciò quello di cui era a conoscenza, ma Cora rimase paralizzata di fronte alla televisione, completamente persa.

«È uno della mia stessa razza. È un vampiro, esattamente come me. Ma io posso proteggervi da lui e dal suo seguito: se mi stringerete la mano, io sarò la vostra più fidata alleata contro il Mostro e contro i suoi seguaci.»

«Axel…» Cora comprese con terrore, e la gravità di quello che stava succedendo la raggelò. Disorientata, fece per correre verso la camera di Axel con l’intenzione di trascinarlo davanti alla televisione e fargli sapere. Ma Axel era già lì, fermo sulla porta del salotto, le braccia lungo i fianchi e l’espressione sconvolta di chi è stato appena pugnalato alle spalle.

«Ci può dire il nome di questo Mostro?» il giornalista non espresse alcun giudizio su ciò che la vampira aveva appena detto, ma avrebbe fatto qualunque cosa lei gli avesse ordinato, almeno a giudicare dal sorriso lezioso che le riservava.

Lakeisha guardò la telecamera.

Scacciò una ciocca di capelli, splendida come una creatura di Dio.

Traditrice come Giuda.

«Axel

 

 

 

 

 

 

 

L’angolo dell’autrice

 

 

 

Prima di cominciare a blaterare qualunque cosa, vorrei davvero dedicare questo capitolo a hinata_in_love, che voleva un po’ di Axel/Cora (cara, per il resto ci leggiamo più sotto, nello spazio commenti <3). E io accontento sempre le mie lettrici, nei limiti del possibile! *__* (e vorrei vedere, è il minimo!)

Capitolo difficile da scrivere, questo. La relazione tra Axel e Cora è un po’ complicata da delineare, soprattutto all’inizio, perché è molto delicata. Insomma, non è carnale e passionale come quella tra Santiago e Cloe, per intenderci, o almeno non per ora :P

Ma, oltre a questo, comincia anche a spiegarsi il legame che unisce Axel a Cloe (ok, lo so, a spiegarsi non molto, ma diciamo che si può dargli un nome XD).

E poi, finalmente, torna Lakeisha. Quale sarà la prossima mossa di Axel & Co?

 

Ma passiamo a voi, che mi fate sempre felice. Sì, anche a voi che inserite Slayer’s tra le storie seguite e a cui va il mio GRAZIE: CriCri88, Sybille, Ukyu93 e Luc. Siete il mio impareggiabile pubblico e siete davvero meravigliosi (sì, anche chi legge e basta. Tutti meravigliosi! <3)

 

Anche se lo scettro delle più belle (o più belli, anche se i maschietti ogni tanto spariscono) va a loro: le mie commentatrici! *__*

 

Atina: se quello è il primo pensiero che hai alla fine del capitolo, direi che l’effetto è ottimo! :D In compenso però questo capitolo è abbastanza lunghetto: 7 pagine di word. Non male direi. Spero che ti sia piaciuto e che sia risultato scorrevole come il precedente.

 

hinata_in_love: vedi? Tu chiedi e io ti do XD Comunque hai ragione, Cora è la protagonista. Però devo ammettere che mi piace anche esplorare i punti di vista di altri personaggi, in modo che anche voi lettori possiate conoscerli tutti più a fondo ;) Comunque mi ha fatto davvero piacere che tu abbia espresso il tuo parere, la trovo una cosa positiva: avere i lettori che hanno coppie preferite (o personaggi preferiti) che non coincidono, penso sia indice di un discreto lavoro da parte mia XD

 

jess: vedo che sei un’intenditrice… Brava, brava! XD (in realtà ti do ragione, penso che non resisterei neanche io se mi trovassi davanti uno come Santiago ahah :P)

 

Deb: carissima, ma che piacere rileggerti! *___* Guarda, visto che è Natale e siamo tutti più buoni, in via del tutto eccezionale ti regalo Santiago. In bocca al lupo, ne avrai bisogno XD Ti ringrazio per avermi avvisata dell’errore: mi era completamente sfuggito. Penso sia sul capitolo precedente, mo ricontrollo e correggo. E fidati, è meglio se non ricordi com’era strutturata la versione precedente, potrebbe prenderti un colpo XD

 

Anche per questa volta abbiamo finito. Vi auguro buon Natale e felice anno nuovo, visto che dubito di riuscire ad aggiornare prima. Dipende da quanta libertà mi lasceranno il ragazzo e lo studio.

E se voi voleste farmi trovare un regalo sotto l’albero, io sarei più che felice di ricevere qualche commento *___* (ahah, ci provo sempre XD)

 

Brin

 

 

 

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Capitolo 12
*** doppia faccia ***


 

 

12.

Doppia faccia

 

 

 

Erano stati convocati subito, senza perdere tempo: Axel era teso al punto tale da non preoccuparsi di andare adagio, e quando aveva fatto irruzione in camera di William ed Emma era stato così rumoroso da costringere Ice e Cloe a uscire in corridoio, il primo ancora stordito dal sonno.

«È già ora di andare?» aveva chiesto il ragazzo reprimendo a stento uno sbadiglio, e Cora lo aveva costretto a scendere di sotto ficcandogli tra le mani il caffè che lei non era riuscita a terminare, ormai raffreddato.

«Quasi. C’è una cosa importante di cui dobbiamo discutere» gli accennò, conducendolo giù per le scale. Prima di scendere assieme a lui cercò lo sguardo di Axel, ma il vampiro non la stava guardando: era impegnato a dare le prime spiegazioni ai suoi compagni, e il nome di Lakeisha ricorreva spesso all’interno del suo discorso.

Le dava la schiena. La postura ricurva delle spalle suggeriva che fosse davvero preoccupato e il suo atteggiamento agitato tradiva un certo nervosismo. In pochi minuti aveva perso ogni compostezza, e il vestito di leader calmo e misurato che Cora gli aveva visto indossare in ogni occasione era stato gettato da qualche parte, lasciando Axel completamente esposto alle proprie debolezze.

Quello di Lakeisha era stato un colpo basso, una pugnalata che il vampiro non immaginava di ricevere. Le sue aspettative erano state travolte nella maniera più subdola, e in quel momento –mentre informava William, Emma e Cloe di quello che era appena stato trasmesso in televisione- probabilmente stava cercando di capire come tutto questo fosse stato possibile.

Cora sentì il bisogno di appoggiargli una mano sul braccio, di rassicurarlo senza aggiungere alcuna parola. Sarebbe bastato un semplice gesto per fargli capire che lei era lì con lui, che l’avrebbe aiutato esattamente come aveva aiutato Cloe quella notte. Avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per alleviare le preoccupazioni che gravavano sulle spalle di Axel -non riusciva neppure a comprendere da dove arrivasse tutta quella determinazione- ma lì, in cima alle scale, mentre guardava la schiena ricurva del vampiro lo sentì più distante che mai. Era come se quella conversazione in cucina non fosse mai avvenuta.

Per un attimo le era sembrato di percepire qualcosa, una certa vicinanza tra lei ed Axel suggellata da quel grazie che le era sembrato davvero sincero. Era certa che ci fosse un legame di fiducia tra di loro, qualcosa di assolutamente autentico e reale, ma il vampiro che aveva davanti agli occhi in quel momento le sembrò un perfetto estraneo. Si sentì ignorata, tradita e dimenticata.

Seguì Ice giù dalle scale, ma prima di arrivare al piano terra il cellulare nella tasca dei pantaloni cominciò a suonare con insistenza. Lesse il nome che lampeggiava sul display un paio di volte, mentre cercava di elaborare una qualche spiegazione che potesse giustificare la misteriosa scomparsa che aveva visto come protagonisti lei e suo fratello.

«Pensi di rispondere?» Ice, appoggiato al corrimano, la guardava scettico.

«Mh… sì» bofonchiò distratta. Quando premette il tasto verde, si preparò ad una sequela di domande, intervallate da qualche esclamazione colorita. «Pronto?»

«Si può sapere dove diavolo siete spariti tu ed Ice?» Era Amber, ovviamente. La sua voce squillante arrivava vagamente innervosita dall’altro capo del telefono.

Cora guardò Ice cercando nei suoi occhi dei suggerimenti, ma lui fece spallucce e scappò in salotto. Era sempre così prodigo di aiuti, il fratellino…

Optò per una risposta vaga, non troppo ricca di particolari ma che potesse arginare l’emergenza che c’era nella voce di Amber. Un contentino, insomma.

«Siamo stati trattenuti. Imprevisti, diciamo. Ti spiegherò meglio appena ci vediamo.»

«Mh» Amber non sembrava particolarmente convinta, ma qualcosa nel suo tono di voce suggerì a Cora che avesse accettato quella spiegazione approssimativa e che stesse per passare all’argomento successivo. «Piuttosto, il signor Owen ti ha chiamato?»

Fu una domanda che accese un campanello d’allarme in Cora. La risposta fu del tutto naturale. «No. Perché?»

«Ho finito di parlare con lui qualche minuto fa. Tutti i cacciatori sono convocati nell’aula magna della scuola per assistere ad una conferenza straordinaria.»

L’allarme si tramutò velocemente in gelo, una sensazione spiacevole e insidiosa che avvolse il cuore di Cora all’istante: l’aula magna veniva utilizzata solamente in una serie di occasioni speciali, e ciò che era appena stato trasmesso alla televisione probabilmente rientrava a pieno titolo nella lista.

E straordinaria era un aggettivo che, nell’Ordine dei Cacciatori, non aveva mai valenza positiva.

Non mi piace per niente.

Quando sentì dei passi alle sue spalle, si voltò: era Axel, e dietro di lui non mancava nessuno. Cloe, Will, Emma; erano tutti lì. La stavano guardando, preoccupati.

Probabilmente la sua espressione non doveva essere un gran che: sicuramente lo sgomento che provava si rifletteva sul suo viso, rendendola a parere suo grottesca.

E allora ecco spiegato quell’espressione smarrita negli occhi di Axel, quello sguardo che aspettava una parola da lei, una qualunque.

«Cora, ci sei?» gracchiò Amber attraverso il telefono, la sua voce resa metallica e artificiale.

«Sì.» Non era vero. Non era affatto presente. In realtà non poteva far altro che guardare Axel negli occhi, mentre continuava a chiedersi come avrebbe potuto dargli quel colpo di grazia.

Come poteva comunicargli che aveva l’intero ordine dei Cacciatori contro, quando tutto ciò che desiderava era alleggerire le sue paure?

 

 

*

 

 

Non avevano idea di che cosa avrebbero trovato, una volta arrivati alla scuola. Cora poteva solamente fare delle supposizioni, e nonostante fosse una persona fondamentalmente ottimista non riusciva ad immaginare nulla di positivo. Era certa che il motivo di quella convocazione avesse a che fare con l’attacco dei Sangre e la dichiarazione che Lakeisha aveva rilasciato alle telecamere. Quando aveva riferito l’oggetto della telefonata di Amber, anche Axel si era trovato concorde con lei.

Axel… Quando Cora ed Ice si erano preparati per uscire, diretti alla scuola, il vampiro l’aveva presa da parte e le aveva detto che sarebbero rimasti in contatto.

«Stai attenta» le aveva detto prima di lasciarla andare, e Cora aveva pensato che non l’aveva mai visto così serio prima di allora. Anche in quel momento, mentre sfrecciavano in direzione del centro città con la macchina che Axel gli aveva prestato, continuava a rivedere il suo sguardo sincero e preoccupato.

In fin dei conti, si trovò a pensare guardando fuori dal finestrino, lei e il vampiro non erano poi così distanti come aveva immaginato.

Fu un pensiero che la fece sentire lusingata, e non riuscì a nascondere un piccolo sorriso felice.

Quando arrivarono a destinazione –un edificio relativamente recente, alto ed imponente che sembrava contenere uffici più che aule, palestre e attrezzi ginnici- il sole aveva già cominciato a tramontare: varcarono le porte a vetri della scuola immersi in una luce aranciata e soffusa, mentre il cielo assumeva gradazioni rosate. Il crepuscolo.

Essere stati convocati a quell’ora non era un caso, Cora ne era sicura.

«Scommettiamo? Lakeisha» mormorò rivolta ad Ice, che stava già salendo le scale.

Il ragazzo scosse la testa. «Mi dispiace ma ti è andata male: è fin troppo ovvio che l’argomento di stasera sarà lei. Se vuoi i miei soldi, dovrai impegnarti su qualche scommessa più rischiosa.»

«Il solito taccagno» lo canzonò Cora, correndo su per le scale e guadagnando una discreta distanza dal fratello. Stavano scherzando come al solito, ma questa volta nelle loro battute non c’era troppa convinzione. Scherzavano entrambi, ma senza alcuna voglia di ridere.

L’aula magna si trovava al primo piano, in fondo al corridoio principale. Oltrepassarono la portineria ed una serie di aule tutte uguali, come facevano ogni volta che mettevano piede in quell’edificio. In un giorno qualunque ci sarebbe stato qualcuno allo sportello di accoglienza; probabilmente un paio di aule sarebbero state occupate da qualche gruppo intento a fare lezione sui precetti teorici che ogni cacciatore doveva applicare alla perfezione. Quella sera, invece, erano tutti assiepati davanti all’ingresso dell’aula magna: una piccola folla si accalcava sulla porta, cercando di spiare quello che avveniva all’interno. Il brusio era insostenibile, e prometteva mal di testa feroci a quanti fossero rimasti ad aspettare l’inizio della conferenza.

«Vieni» Ice le prese il polso e la condusse in mezzo alla folla, facendosi strada a suon di spinte e forza bruta. In circostanze come quella, avere un fratello alto e ben piantato che facesse da bulldozer poteva rivelarsi davvero utile: se fosse stata da sola, probabilmente non sarebbe riuscita ad andare oltre l’ingresso.

Invece grazie alla faccia tosta di Ice –ogni gomitata che piazzava nelle costole di chi non lo faceva passare era accompagnata da sorrisi e scuse, che ovviamente non erano affatto sentite- riuscirono a conquistarsi un posto centrale in fondo all’aula.

Non appena si fermarono, Cora si guardò attorno: cercò Amber tra la folla, ma fu un’azione che si rivelò più difficile del previsto. C’era troppa gente in quell’aula, gli uni ammassati agli altri come bestiame. Dovette rinunciare.

Poi, all’improvviso, il brusio calò e Ice indicò il piccolo palco che era stato allestito all’altro capo della sala, dove un uomo in giacca e cravatta aveva appena fatto il suo ingresso. «Iniziano.»

Non c’era bisogno di guardare verso il palco per sapere chi fosse quell’uomo. Anche Cora, come tutte le persone assiepate nell’aula magna, sapeva perfettamente che il signor Nicholas Owen era un tipo rigido, preciso, di pochi sorrisi. Una persona seria, che non rideva mai. Ma, prima di ogni altra cosa, sotto l’abito perfettamente stirato e il fisico allenato c’era un cacciatore che era responsabile dell’intera struttura e delle vite che all’interno di quella scuola venivano forgiate.

Nicholas Owen, oltre ad essere il preside di quella scuola, era anche uno dei più alti funzionari dell’Ordine dei Cacciatori, l’ente che regolava ogni più piccolo aspetto della vita di chiunque decidesse di dedicare la propria vita ad uccidere vampiri.

Quando Owen si sedette e picchiettò contro il microfono, un rumore metallico si diffuse per la sala e il brusio cessò definitivamente. Erano tutti in attesa.

Lui guardò la folla che si era stretta nell’aula, uno sguardo di falco che metteva in soggezione Cora ogni volta che incrociava gli occhi di quell’uomo e che anche in quell’occasione non erano da meno.

«Come immagino avrete sentito dalla televisione, questa notte c’è stato un attacco violento, sanguinario, che ci ha colpito con brutale crudeltà. Un attacco immotivato, fortemente condannabile» parlò al microfono con voce ferma, autoritaria, come se stesse tenendo un discorso alla nazione. «È in tragedie come questa che possiamo trovare degli alleati preziosi, anche nei luoghi più bui e privi di speranza.»

Sembra il Papa, pensò Cora con un moto di fastidio. Aveva la sensazione di sapere dove intendesse andare a parare con quel discorso, e ogni parola che aggiungeva non faceva altro che irritarla ancora di più. Strinse il braccio di Ice mentre continuò ad ascoltare quel discorso pieno di belle parole e detestabili luoghi comuni.

«Pur nel dolore, oggi è un giorno che ricorderemo: il Mostro e i suoi adepti ci hanno attaccati alla gola nel modo più vigliacco, ma è con grande gioia che vi dico che in questa battaglia non siamo soli. Ci è stata tesa una mano uguale e diversa da quella del Mostro, una mano di vampiro che non è fatta per colpire, ma per aiutare.»

La folla proruppe in un applauso fragoroso, felice. Quelle parole avevano rinfrancato gli animi di tutte quelle persone almeno tanto quanto avevano affondato l’ultima debole speranza a cui Cora si era aggrappata.

«Aiutare? Aiutare?! Non ci posso credere, che imbecille!» esclamò, coperta dal fragore dell’applauso. Ice, accanto a lei, la guardò rassegnato.

«È stato raggirato anche lui, esattamente come tutti gli altri.»

Cora non rispose. Non c’era nulla con cui poter ribattere, di fronte ad una verità del genere. Si sentì terribilmente impotente.

Owen aspettò che gli applausi cessassero e solo quando ottenne silenzio riprese a parlare. Guardò verso la porta d’ingresso in linea con il palco, da cui spuntava una sagoma femminile che Cora non riusciva a distinguere perfettamente. «Vi presento colei che ci ha offerto la sua mano, per suggellare una solida alleanza: Lakeisha

Lakeisha.

Almeno metà delle persone stipate nell’aula magna conoscevano quella creatura: l’avevano vista in televisione, e avevano creduto alle sue parole. Ai loro occhi era una specie di messia che vendeva speranza a buon mercato. Erano stati abbindolati dalle sue parole al punto da applaudirla con sguardo ammirato, come se lei fosse la loro salvatrice. Avevano impiegato anni a plasmare la loro mente dubitando di qualunque vampiro incontrassero per strada, eppure erano bastate una manciata di parole rassicuranti  e un capro espiatorio offerto in sacrificio al momento opportuno per distruggere in pochi istanti un lavoro durato anni.

Cora guardò Lakeisha prendere posto accanto al signor Owen, così bella da ferire l’anima, così elegante in quella gonna a tubino che evidenziava le curve sinuose del suo corpo. Non riuscì ad applaudire. In mezzo al fragore provocato dagli stessi cacciatori che fino a pochi giorni prima avrebbe chiamato compagni, lei rimaneva immobile: le braccia abbandonate lungo i fianchi, lo sguardo fisso sul volto della vampira, la rabbia che le infuriava in petto. Si sentì estranea a tutta quella partecipazione, a quel benvenuto accalorato.

«Sono impazziti» commentò, stringendo ancora il braccio di Ice che osservava la scena a braccia conserte.

Non appena Lakeisha si sedette e gli applausi cessarono, Owen rincominciò a parlare.

«Lakeisha ha accettato di essere qui con noi per raccontarci tutto ciò che non sappiamo riguardo al nemico, come primo passo di questa nuova alleanza. È un passo importante, e mi auguro che siate orgogliosi di essere qui, questa sera» concluse severo, guardando la platea che gli stava davanti come se si aspettasse da un momento all’altro qualche rimostranza. Poi, non vedendo alcuna mano alzata, si voltò verso Lakeisha con la stessa aria pomposa con cui si rivolgeva ai suoi allievi. «Quindi, mia cara, che cosa ci puoi dire riguardo a questo Axel

«Siamo già a mia cara?!» Ice storse la bocca, e Cora non poteva che dargli ragione. Per Lakeisha, invece, non sembrò rappresentare un problema: il suo sguardo indifferente era distante, e guardava la folla di persone che pendeva letteralmente dalle sue labbra.

«Axel è un vampiro molto antico, che ha visto i secoli avvicendarsi ed è stato testimone di ben più di un millennio della vostra storia» cominciò, perfettamente composta sulla sedia. Non c’era neppure un brusio nella sala, nessun rumore: erano tutti rapiti dal racconto riguardo al loro Mostro, gli occhi fissi sul viso bellissimo e cinereo della vampira. «È spietato, dominato dagli istinti, una creatura crudele che non controlla la propria natura. Gli Eraclea, il clan di cui è a capo, è lo specchio del suo modo di vivere.»

Cora rimase impietrita ad ascoltare le menzogne che Lakeisha stava spacciando per verità, rivelazioni che la folla avrebbe sicuramente dato per certe. Lo sgomento le aveva annebbiato il cervello e per un istante ebbe l’impressione di trovarsi di fronte ad un film, ad una sequenza di immagini su cui lei non aveva nessun potere.

Si sentì schiacciata da quello che stava succedendo davanti ai suoi occhi.

«Parlaci di questi Eraclea, per favore» Owen imbeccò la vampira come un perfetto padrone di casa. Non che ce ne fosse bisogno, ma quell’uomo doveva svolgere il suo ruolo alla perfezione.

«I vampiri che fanno parte degli Eraclea sono sanguinari, educati fin dal principio a non reprimere la loro natura e a lasciarla libera di esprimersi: per loro è lecito sfogare qualunque voglia, ogni istinto. Non hanno freni di nessun genere.»

Non hanno freni di nessun genere. Fu una frase che Cora non riuscì a levarsi dalla mente. Era come sognare un incubo e non riuscire a svegliarsi.

Odiava Lakeisha, la detestava con tutta l’anima. Era consapevole che fosse una creatura senza scrupoli, l’aveva vissuto sulla propria pelle nel momento in cui sua madre era stata uccisa. Solo, non avrebbe mai immaginato che potesse possedere altrettanta malizia. Non aveva capito fino a che punto potesse arrivare la sua meschinità, almeno non prima di vederla su quel palco: era bella e dava speranze alla folla. Era estremamente facile credere ad una bugia infiocchettata se non c’era un’alternativa più appetibile, e Lakeisha questo doveva saperlo bene.

Per il pubblico rappresentava una possibilità attraente, facile, servita su un piatto d’argento. Non c’era da stupirsi che la gente pendesse dalle sue labbra.

Tutti, tranne Cora.

Non riuscì più a digerire quelle parole false, piene di malizia ed ipocrisia, e lasciò l’aula magna proprio nel momento in cui Lakeisha cominciò a raccontare come gli Eraclea festeggiassero la settimana del Sangue.

Si allontanò, diretta verso il piano terra: l’aria viziata che aveva respirato stando in mezzo alla folla le aveva fatto girare la testa, e una boccata d’ossigeno l’avrebbe fatta sentire sicuramente meglio. Dovette fermarsi quando sentì Ice correrle dietro mentre chiamava il suo nome.

«Dove stai andando?» le chiese non appena la raggiunse. Sembrava preoccupato.

«A prendere un po’ d’aria. Ho bisogno di schiarirmi le idee, dopo tutte le fandonie che ho sentito questa sera» decretò Cora scendendo le scale. Ice non si arrese, e le fu subito dietro.

«Non posso credere che si siano lasciati abbindolare così facilmente» sentenziò rabbiosa e l’aria frizzante della sera le accarezzò il viso non appena uscì dalla scuola. Fu una sensazione piacevole, rinfrancante, esattamente quello di cui aveva bisogno. Respirò a fondo, appoggiandosi alla portiera della macchina –erano stati fortunati a trovare un parcheggio a pochi metri dall’ingresso- e suo fratello fece altrettanto.

Rimasero per alcuni istanti così, l’uno accanto all’altra, senza bisogno di nient’altro se non della compagnia silenziosa e confortevole che l’altro poteva offrire.

Poi, Cora decise che era arrivato il momento di esporre il suo piano.

«Parlerò con il signor Owen non appena sarà finita la conferenza.»

«Cosa?!» Ice la guardò con occhi sgranati. Non sembrava particolarmente entusiasta.

«Sì, parlerò con Owen. Gli spiegherò come stanno realmente le cose, gli dirò che Lakeisha sta raggirando lui e tutto il paese.»

Ice sospirò, incrociando le braccia al petto. Era decisamente scettico. «Non mi sembra una grande idea, Cora

«Lo so che non è un piano geniale, e so anche che senza avere delle prove potrei non essere creduta, ma hai visto che cos’è successo là dentro!» esclamò, indicando la porta d’ingresso della scuola. Aveva una certa urgenza, una sorta di angoscia che rimaneva aggrovigliata ad ogni parola. Poi, quando parlò di nuovo, la sua voce uscì incerta, tremante.

«Hai visto com’erano ammirati, come pendevano dalle labbra di quella vampira? L’hai visto, vero?»

«L’ho visto, e non sto dicendo che dobbiamo rimanere in disparte a guardare. Quello che voglio dire è che  non stai pensando Cora» Ice rimarcò quella penultima parola, piazzandosi di fronte a sua sorella e cercando il suo sguardo. «Ragiona. Lakeisha è in contatto con l’Ordine dei Cacciatori e probabilmente questa non sarà l’ultima volta che la vedremo a scuola. Se ho ragione, questo vuol dire che la sua influenza diventerà sempre più forte e potrà manovrare Owen e i cacciatori come fossero marionette.»

«Non ti sembra una buona ragione per intervenire?»

Ice scosse la testa. «Penso che la cosa migliore sia spiare quali saranno le prossime mosse di Lakeisha e riferirle ad Axel. Finché rimaniamo nell’ombra possiamo essere i suoi occhi. Se però vai da Owen, ti schieri apertamente contro Lakeisha

Cora rimase in silenzio, lo sguardo fisso su suo fratello. Sapeva che Ice aveva ragione, ne era dannatamente consapevole. Ancora una volta era lui quello che pensava prima di agire, quello abbastanza razionale da riuscire a riflettere in una situazione di grande tensione. Lei, invece, passava subito all’azione.

Anche in quel momento, nonostante fosse evidente che la strategia di Ice fosse più prudente e conveniente, Cora non riusciva ad aspettare. L’idea di guardare Lakeisha fare proselitismo nella sua crociata contro Axel era insopportabile.

Quella creatura aveva le aveva portato via sua madre, le aveva stravolto la vita, ma Cora era determinata a non lasciarle prendere anche Axel. E, per qualche motivo, questo non riusciva a spiegarlo a suo fratello.

«Fai come credi, Ice

 

 

*

 

 

Presidenza
Signor Nicholas Owen

 

Così recitava la targa apposta sulla porta dell’ufficio del preside, e Cora era rimasta a studiarne la forma così a lungo che avrebbe saputo riproporla in ogni più piccolo ghirigoro. La verità era che si stava annoiando a morte: non aveva nulla da fare, il che sembrava rallentare lo scorrere del tempo il tempo. Aspettare che Owen arrivasse, dunque, era una tortura.

Quando lo vide comparire in corridoio, però, scoprì di non essere preparata a parlare con lui di Lakeisha. Forse fu a causa del suo sguardo distante che le ricordava quello gelido della vampira, ma c’era qualcosa che agitò Cora.

Andrà bene. Ti crederà, si ripeté nonostante lei stessa cominciasse a non esserne troppo convinta.

Quando il preside si avvicinò –in mano stringeva un paio di chiavi piccole e argentate- la guardò senza troppo interesse, come se Cora fosse una seccante incombenza.

«Posso aiutarti?» le domandò senza neppure guardarla mentre infilava la chiave nella toppa. Clik.

Cora guardò la porta aprirsi, la stanza buia che aspettava oltre l’uscio, e le sembrò di trovarsi di fronte alla tana del diavolo. Si sforzò di ricordare tutte le bugie che Lakeisha aveva detto riguardo ad Axel e agli Eraclea, si costrinse a rimanere lì e a fronteggiare le conseguenze che la scelta di rivolgersi ad Owen aveva comportato.

«Dovrei parlarle. Si tratta di Lakeisha

Non appena nominò la vampira, Cora ebbe la sensazione che qualcosa in Owen non andasse. Era un’espressione indefinibile. Una sfumatura così sottile da non poter essere colta, ma che nell’insieme del viso rendeva quell’uomo decisamente inquietante.

Owen si fece da parte, indicandole la stanza buia. La tana del diavolo.

Non poteva più tirarsi indietro.

«Prego.»

 

 

 

 

L’angolo dell’autrice

 

 

 

Azione ragazzi, azione! *si gasa perché sta per diventare cattivissima con i suoi bimbi*

Mi scuso per il ritardo, ma come avevo previsto il periodo natalizio mi ha lasciato poco tempo per scrivere (ragazzo + esami all’orizzonte= accoppiata mortale per la scrittura). Ma alla fine dai, il nuovo capitolo è arrivato e questo è quello che conta! :D

 

Anche questa volta vorrei ringraziare un paio di persone: sasamy e dancy184 per aver messo Slayer’s nelle storie preferite e Vale_Tvb, che invece l’ha inserita tra le seguite.

Per quanto riguarda i commenti invece:

 

Jennifer90: sono davvero felice che ti sia piaciuto come ho caratterizzato la relazione che Axel e Cora hanno fin’ora. E ti devo confessare che piacciono anche a me, sicuramente molto di più rispetto ai vecchi Axel e Cora (che rivedendoli con occhio critico forse erano un po’ forzati). Invece Santy e Cloe mi piacciono uguali, ahahahah!

 

jess: Axel in effetti è abbastanza nei guai, ma in realtà non sembra l’unico eheh :P

 

clodio82: commenti come questi mi lusingano davvero. Non mi resta che dire grazie.

 

Deb: beh, diciamo che all’epoca ero una giovincella che non leggeva molto :P Però in compenso devo ammettere che Santiago se ne usciva con certe battute che mi fanno ridere ancora adesso quando mi capita di rileggere i vecchi capitoli XD Comunque come vedi l’intenzione di Cora è proprio quella di testimoniare. Con quali risultati, però, non si sa :P (in realtà volevo aggiungere il pezzo della testimonianza di Cora, ma poi il capitolo diventava davvero lungo ò.ò)

 

Per quanto riguarda il prossimo capitolo, non assicuro aggiornamenti regolari e frequenti perché purtroppo ho tre esami che incombono e sono tutti molto inquietanti. Però voi non perdete le speranze, che non vi lascio orfani di Slayer’s.

 

Brin.

 

 

 

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Capitolo 13
*** una donna per una donna ***


 

13.

Una donna per una donna

 

 

 

 

«Allora, di che si tratta?» Nicholas Owen, seduto alla sua scrivania, sfogliava un plico di documenti che sembravano interessarlo decisamente più di Cora. Non la degnava neppure di uno sguardo, come se doverla ascoltare fosse per lui un fatto del tutto meccanico.

Cafone.

«Sono qui per parlarle di Lakeisha

Non appena sentì quel nome, Owen distolse l’attenzione dai fogli che aveva in mano e finalmente puntò lo sguardo su Cora. Sembrava sorpreso.

«Lakeisha, hai detto?»

«Signor Owen, quella creatura sta ingannando lei, l’intera scuola e tutte le persone che l’hanno vista in televisione. Tutto quello che ha detto…»

«Ti rendi conto della gravità della tua accusa?» Owen la interruppe, freddo. Il suo sguardo imperscrutabile la mise in soggezione, e Cora ebbe l’impressione che non sarebbe stato affatto semplice convincere quell’uomo della bontà delle sue parole.

«Me ne rendo conto signore, ma capisco anche quanto sia grave ciò che sta facendo quella creatura» replicò Cora con urgenza, il tono fermo e sicuro. «Quello che ha detto in televisione, quello che ha raccontato in aula magna… Tutto ciò che è uscito dalla sua bocca è una bugia.»

«Per quale motivo ci avrebbe raccontato una menzogna, allora?» Owen appoggiò il mento sul dorso delle mani intrecciate. La guardava con leggerezza, come se la bugiarda in tutta quella situazione fosse proprio Cora.

Dio, ti prego, devi credermi!

La sensazione di aver perso quella partita fin dai primi istanti di gioco la colpì alle spalle, minando la sua incrollabile sicurezza: non c’era nulla nello sguardo di quell’uomo che le suggerisse comprensione. Probabilmente non la stava neppure ascoltando con serietà, come se non fosse affatto interessato alle accuse che lei stava sostenendo. Era come se l’avesse etichettata come bugiarda nel momento in cui aveva cominciato a parlare, per partito preso.

Lo riconobbe all’istante nel momento in cui lo sentì insinuarsi in lei, infido: panico. Subdolo, pericoloso.

Non cedere, Cora!

«Perché vuole mettere l’intero paese contro Axel! Vuole scatenare una guerra!» esclamò, incontrando dall’altra parte nient’altro che composta freddezza. Si impose di continuare, di sostenere la propria causa con determinazione. Parlò con lucidità, nonostante si sentisse sempre più disperata. «Lakeisha è un lupo travestito da agnello. Se l’Ordine si dichiarerà ostile ad Axel e agli Eraclea, perderemo l’unico alleato valido e saremo carne da macello, signore.»

Owen accennò una vaga espressione sorpresa. Non una piega della bocca, non una risata. «Carne da macello?»

Cora fece per replicare, ma un rumore alla porta glielo impedì: due colpi leggeri, attutiti. Qualcuno aveva appena bussato.

«Sì?» Nicholas tornò a sfogliare i documenti che aveva tra le mani, ma li lasciò immediatamente da parte non appena Lakeisha entrò nell’ufficio.

Bella da far male, decisamente più affascinante di quanto non apparisse attraverso l’immagine artificiosa della telecamera; elegante, raffinata, resa superiore per mano di Dio. Cora rimase freddata, paralizzata dal panico improvviso, resa pallida dalla paura.

Ottimo tempismo, non c’è che dire.

«Stavamo parlando proprio di te, Lakeisha. La signorina sostiene che il tuo sia un complotto. Un inganno ai danni di Axel, degli Eraclea e del genere umano» concluse Owen guardando Cora negli occhi, cercando in lei un cenno di conferma che l’avrebbe inevitabilmente messa con le spalle al muro. Fu più che sufficiente per farla sprofondare nel terrore. Non riuscì a pensare a nulla, impotente. Tradita. Sola.

«Un complotto…» Lakeisha si lasciò sfuggire una risata leggera, quasi divertita. Studiava Cora come avesse davanti a sé un ostacolo da rimuovere, neppure troppo impegnativo. Un insetto semplice da schiacciare. Un animale facilmente addomesticabile. «Un’accusa come questa non mi stupisce affatto e sono certa che non sarà l’ultima. È evidente che Axel sta cercando di raggirare la situazione a suo favore, mandando questa complice

Il cuore di Cora cominciò a battere in maniera irregolare, sincopata. La situazione le stava sfuggendo di mano, verso una drammatica direzione che lei non poteva né desiderava prevedere. La soffocante sensazione di essere in trappola la fece sentire perduta come mai lo era stata prima.

«Non sono la complice di nessuno! Axel è una brava persona, non è il mostro che state dipingendo!» cominciò ad agitarsi sul serio. Nel momento in cui il signor Owen si alzò, scrutandola impassibile, Cora seppe che per lei non c’era più speranza. Ma continuò, perseverando nella propria disperata convinzione. «Per favore, deve credermi. Non può fidarsi di Lakeisha, non può!»

«Per quel che mi riguarda, ho visto abbastanza» dichiarò Owen, rassettandosi la giacca come un uomo d’affari. «In quanto cacciatrice dovrebbe essere l’Ordine ad occuparsi del caso, ma posso chiudere un occhio e lasciare la ragazza al tuo giudizio, Lakeisha
La vampira sorrise accomodante, melliflua. Furba. Era evidente che a comandare tra i due fosse lei, ma far credere a Nicholas di possedere il comando faceva parte del gioco. Peccato che lui non se ne rendesse conto.

«Lo apprezzerei molto.»



                                                                    *


La portarono via come una condannata senza futuro, ammanettata e circondata da un manipolo di uomini, probabilmente vampiri. La scortarono alla macchina, tra il brusio incredulo della folla che si era radunata lungo la strada non appena la notizia del suo arresto si era diffusa per tutta la scuola. C’erano mormorii increduli, borbottii di condanna; un abisso di moralità a separarla dalle persone che fino a pochi minuti prima erano stati suoi compagni.

Guardava smarrita quei volti, uno per uno, ma in ogni sguardo leggeva sempre la stessa cosa: biasimo, colpevolezza, vergogna. Era diventata improvvisamente lo zimbello dell’intero Ordine; qualcosa di cui vergognarsi, qualcosa da relegare in un angolo della memoria a marcire. Improvvisamente era diventata una traditrice, una donna venduta, un nemico.

Poi, in mezzo a quei volti ostili che continuavano ad accusarla, lo vide: il viso familiare di Ice, suo fratello. Era sconvolto, letteralmente perduto - come un bambino che ha smarrito la strada di casa- e non poteva fare altro che rimanere intrappolato tra la folla a guardarla sparire. A vederla salire in una mercedes nera, sequestrata dalle stesse persone di cui si era ingenuamente fidata.

Cora non distolse mai lo sguardo da quello di suo fratello. Anche quando le spinsero la testa dentro l’abitacolo, anche quando chiusero la portiera; continuò a guardare Ice cercando di non farsi vedere sconfitta, di non lasciar trasparire la disperazione feroce che la dilaniava. Voleva che pensasse che non aveva paura, che era forte, che sapeva che non l’avrebbe lasciata nelle mani dei Sangre.

Ma, nonostante tutto, in cuor suo ne era certa: non avrebbe mai più rivisto suo fratello.


*


Ice si precipitò a casa di Axel sfidando il traffico, la velocità, persino la sorte. Aveva il cuore in gola, e un nodo fastidioso gli premeva sullo stomaco. Stava fisicamente male, e provava la paura sorda e logorante di essere smarrito. Di non essere abbastanza tempestivo. Di perdere tutto ciò che d’importante gli rimaneva.
Cora…
Anche quando arrivò davanti alla porta d’ingresso, picchiando contro il legno senza alcuna riserva, quel peso che lo logorava e lo faceva affondare nella disperazione era ancora lì, radicato nel suo cuore.

«Aprite!»

«Arrivo, arrivo…» la voce di Emma, dall’altra parte della porta, sembrava quasi scocciata. Quando aprì la porta, però, la sua espressione irritata –sicuramente era pronta a rimbeccare Ice con qualche battuta riguardo alla sua insistenza- si sciolse come neve al sole di fronte allo sguardo stravolto del ragazzo.

«Che è successo?»

«Cristo, è un casino… Cora…» balbettò lui senza coerenza. Improvvisamente scoprì che organizzare i pensieri gli risultava difficile: l’ansia anestetizzava la sua mente, rendendola fallace.

«Entra» Emma lo prese per un braccio, delicata ma volitiva. Aveva sicuramente intuito che c’era qualcosa che non andava, qualcosa che rendeva Ice estremamente agitato. Sembrava quasi preoccupata: un’espressione che la rendeva decisamente umana. «Che cos’è successo?»

«Lakeisha… Cora ha voluto fare di testa sua» Ice scosse la testa, perduto. Cominciò a camminare a vuoto, le mani ora sulla testa, ora sugli occhi. Avrebbe dovuto mantenere la calma e il controllo che l’Ordine predicava con tanta assiduità, avrebbe dovuto essere lucido abbastanza per prendere una decisione su come agire… Eppure non riusciva a far nulla, se non sentirsi immensamente perduto. «Le avevo detto di non fare di testa sua… Glielo avevo detto!»

Se non fosse stato così concentrato sul pensiero martellante di Cora, probabilmente si sarebbe accorto del mutamento nello sguardo di Emma: avrebbe visto il cambiamento nei suoi occhi; quella preoccupazione diventare allarmismo.

Invece non vide nulla.

«WILL, AXEL!» la vampira chiamò i nomi dei due Eraclea senza distogliere lo sguardo da Ice. «Perché tua sorella non è con te?»

Il ragazzo fece per rispondere, ma dei rumori sempre più vicini lo fermarono. Passi.

Neppure vedere William e Axel fare capolino in entrata riuscì a sciogliere il nodo che chiudeva la gola di Ice, né poté dargli un po’ di sollievo. Cercò di respirare in maniera regolare e controllata, ma scoprì che l’aria sembrava non bastargli mai.

«Ha cercato di raccontare ad Owen come stanno davvero le cose, ma suppongo che non le abbia creduto» rispose con voce strozzata. Poi guardò Axel, lo sguardo puntato sul suo, come se lo stesse accusando. «Lakeisha l’ha portata via. Dovete aiutarla.»

 

                   

*

 

 

Annoiato a morte, prigioniero del nulla più completo: ecco in che situazione si trovava Santiago. Privato di qualunque mezzo con cui ingannare il tempo, l’unica cosa che gli rimaneva era ascoltare: la casa, ogni singolo rumore che le fondamenta gli riportavano, ogni brusìo, ogni mormorio… Era in ascolto anche quando l’umano –Ice lo chiamavano- piombò in casa blaterando di ciò che Lakeisha aveva fatto a Cora.

Dovete aiutarla, lo sentì dire e a Santiago venne da ridere.

«Questi umani…»

Non c’era limite alla stupidità di quelle creature, ne era profondamente convinto. Chiunque, a patto che fosse dotato di un po’ di intuito, avrebbe capito che riferire la verità nel frangente in cui si trovava Cora non avrebbe portato a nulla di buono. Eppure lei aveva agito lo stesso, finendo per trovarsi prigioniera della stessa creatura contro cui aveva alzato il dito.

Se non è stupidità questa…

Poi, all’improvviso, silenzio. Nessuna voce, nessun bisbiglio. Era quasi certo che fossero usciti di casa, quando sentì dei passi proprio sopra la sua testa. E ancora, ancora, ancora… Qualcuno stava scendendo le scale per raggiungere lo scantinato.

Esattamente dove si trovava lui.

Si alzò in piedi, e l’istante successivo la lampadina appesa al soffitto diffuse una luce fioca: Axel era a pochi metri dalla sua cella, e sembrava davvero contrariato.

«Finalmente un po’ di compagnia…» sbuffò Santiago, adagiandosi alle sbarre con indolenza. C’era qualcosa in Axel che stuzzicava il suo sarcasmo. Qualcosa che lo fomentava e gli rendeva impossibile tacere, soprattutto dopo tutte quelle ore trascorse a fissare il muro della cella senza poter fare altro.

Si guardò attorno con fare critico. Poi sospirò, scuotendo la testa. Commediante, come sempre. «Migliorerei un po’ i comfort, se fossi in te.»

«Non sono qua per farti dare aria alla bocca, Santiago» Axel fremette, le mani tremanti e gli occhi furenti: dettagli che catturarono tutta l’attenzione del vampiro prigioniero.

«Tutti i tuoi compagni sono in casa, sani e salvi. Dovresti essere il ritratto della serenità…» Santiago scrutò Axel con attenzione, cercando nei suoi occhi violacei qualche indizio che potesse dargli qualche suggerimento. Ed eccola, nascosta dietro l’ostilità che accendeva lo sguardo dell’Eraclea: preoccupazione.

«… Cos’è, il rapimento della ragazza ti disturba così tanto?» domandò accennando un sorrisetto sottile, sicuro di aver colto appieno ciò che Axel provava. La smorfia irritata che deformò il viso del vampiro fu la prova di ciò che per Santiago era rimasto fino a quel momento solamente un sospetto.

«Perché Lakeisha sta facendo tutto questo?» la voce di Axel era ridotta ad un sibilo controllato, testimone dello sforzo che l’Eraclea stava facendo per mantenere la calma. Santiago fece spallucce con sufficienza, come se la risposta fosse una cosa ovvia.

«Te l’ho detto, lei è fedele al suo Sire.»

«Il suo Sire non esiste più» la replica sicura di Axel era un’affermazione che non ammetteva obiezioni.

«Lei non la pensa allo stesso modo…» Santiago sogghignò, enigmatico. Le sue parole avevano raggiunto Axel, muovendo qualche corda in lui: glielo diceva il suo sguardo, che negava eppure chiedeva di conoscere più. Come se non volesse credere alle parole di Santiago, ma nonostante tutto ne fosse inevitabilmente colpito.

«Cosa intendi dire? Perché sta aizzando l’umanità contro gli Eraclea

«Sta cercando di mandarti un messaggio» Santiago sospirò, allontanandosi dalle sbarre. A volte Axel poteva essere davvero ottuso…

«Vuole farti capire che per te c’è solo lei. Sterminerà il tuo clan e tutti i vampiri che mantengono il mondo sotto una campana di vetro, proprio come fai tu. E quando sarai rimasto solo come un cane, ti costringerà a rinunciare al tuo Io fasullo e a tornare accanto a lei.»

«E come intenderebbe farlo?»

«Ti sto dando un po’ troppe informazioni senza ricevere nulla in cambio…»

«Santiago» Axel sibilò; nel suo sguardo era leggibile un’ammonizione tagliente che profumava di minaccia. Santiago, però, non ne rimase affatto impressionato: rimase fermo nelle proprie convinzioni, lo sguardo serio di chi non cambierà idea.

«Sai quali sono le mie condizioni, Axel

«Non sono disposto a darti Cloe

«Una donna per una donna. Se mi dai Cloe, ti porterò da Lakeisha e potrai riprenderti l’umana» Santiago si concesse un momento per bearsi del dilemma che leggeva nello sguardo di Axel. Quella prospettiva lo metteva in difficoltà, era evidente. Sorrise, ormai sicuro di essere vicino alla vittoria. «Pensavo che la volessi…»

La risposta di Axel fu tagliente, e cancellò in un istante l’ambivalenza che rendeva indeciso il suo sguardo. «Non posso fidarmi di te.»

«In realtà non c’è nulla che ti impedisca di farlo. Il problema è che non vuoi fidarti di me» ribatté Santiago con naturalezza, ormai certo di avere la situazione in pungo. Un incentivo: ecco ciò di cui Axel aveva bisogno.

Il vampiro non aveva altra scelta se non accettare le condizioni di Santiago perché, per un bizzarro caso del destino, non aveva altre possibilità. Non poteva rifiutare l’aiuto che lui poteva offrirgli: Santiago conosceva cose di cui Axel non poteva fare a meno. Cose che riguardavano Lakeisha e le sue intenzioni. Cose che Axel non avrebbe ottenuto in nessun altro modo che non fosse il Sangre. Aveva solamente bisogno di capirlo attraverso un incentivo, un piccolo dono che Santiago era disposto a concedergli.

Tutto, pur di uscire da quella situazione di apatia che lo stava uccidendo.

«Non puoi permetterti di essere indeciso. Non c’è solo la vita della ragazza in gioco: Lakeisha è sempre più vicina ai rituali di Sumadra» Santiago osservò Axel con curiosità, sulle labbra un sorrisetto mellifluo che divenne un ghigno quando l’Eraclea s’irrigidì. «Sai a che cosa mi riferisco, vero?»

«Perché dovrei crederti?» il volto di Axel era una maschera contratta dalla rabbia, dall’ansia e dall’impotenza.

«Perché non hai alternative: sai perfettamente che, se Lakeisha entrerà in possesso di quei rituali, per te non ci sarà scampo.»

«E tu ovviamente sai dove si trovano?»

«Ho le mie fonti…» Santiago sorrise, un’espressione sottile che, confondendosi con le ombre sulle pareti, faceva sembrare il volto del vampiro una maschera grottesca. «Mi riferisco ad Adam, ovviamente. A proposito di Adam, anche lui sembra non averti mai dimenticato, proprio come Lakeisha. Ma, diamine, è così rancoroso»

«Che Adam voglia uccidermi non è certo una novità. Dimmi dove si trovano i rituali e facciamola finita» la voce di Axel era ferma, dura, irremovibile. Peccato che Santiago fosse certo che ci fosse qualche crepa nel muro della sua risolutezza, qualche punto debole su cui far leva per spezzare l’intero complesso.

Ed era proprio lì, sotto i suoi occhi. Sotto le sue mani, che avevano ordito l’intera trama della trappola: sarebbe bastato tirare un semplice filo per far capitolare Axel, proprio come aveva previsto.

«Non sei coerente. Mi chiedi informazioni nonostante tu abbia appena dichiarato che non puoi fidarti di me…» Santiago scosse la testa, voltando le spalle alle sbarre. Non poteva vedere il vampiro, ma poteva sentire il silenzio assordante dei suoi pensieri, poteva immaginare il suo sguardo indeciso, rabbioso, impotente. Aveva capito di non avere altra scelta, Santiago ne era certo.

«Lo sai, no? Le mie condizioni…»

Silenzio, di nuovo. Poi…

«Che cosa vuoi in cambio?»

Era fatta. Santiago sorrise, vittorioso.

«Voglio che Cloe diventi il mio Ghoul

 

 

L’angolo dell’autrice

 

 

Lo so, sono imperdonabile. Sono trascorsi due mesi dall’ultimo aggiornamento, e me ne dispiaccio davvero. Penso di dovervi delle spiegazioni, ve lo meritate vista l’assiduità con cui continuate a leggere la mia storia. L’unica cosa che posso dire è che ho avuto un brutale calo d’ispirazione che mi ha spinta verso altri fandom.

Se avete qualcosa da dire –qualunque cosa, commenti, complimenti, osservazioni, critiche- vi prego di scrivermele perché si sa, una recensione –anche se breve- è la migliore medicina contro la mancanza d’ispirazione.

Dal canto mio vi rinnovo la promessa di non abbandonare questa storia, a costo di farmi violenza e di costringermi a produrre anche contro voglia.

 

Dunque, come sempre un grazie a chi ha inserito Slayer’s tra i preferiti:

 

sharry

letizia_ama_rob

Grifondor

attenomis

Avanit92

 

E grazie anche a chi l’ha inserita tra le storie seguite:

 

Rosa Blu

Grifondor

SaphiraLearqueen

fefigna

clodio82

 

E veniamo alla mia parte preferita, i commenti:

 

Atina: grazie ancora, spero che continuerai a seguirmi e a farmi sapere le tue impressioni!

 

Avanit92: una lettrice di Obsession, ma che gioia! *__* E devo ammettere che il tuo commento è stato provvidenziale per carburare con il capitolo, sai? :D Spero che continuerai a seguirmi!

 

Prima di lasciarvi, una piccola comunicazione di servizio: ho creato un blog che penso potrebbe interessarvi, dedicato alle mie storie. Potrete trovarci piccole curiosità sui personaggi, forse addirittura qualche piccolo spoiler di tanto in tanto. Pensavo addirittura di pubblicare sul suddetto blog qualche piccolo stralcio divertente della versione di Slayer’s precedente a questa. Ma, soprattutto, troverete notizie sullo stato dei capitoli in fase di scrittura. Insomma, un mezzo per comunicare più velocemente con voi, che ne dite? :D

Il link è:

http://questioniscrittevoli.splinder.com

Spero di vedervi anche lì, di tanto in tanto.

Ci leggiamo nel prossimo capitolo!

 

Brin

 

 

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Capitolo 14
*** Domina ***


14.

Domina

 

 

 

 

Silenzio: ecco come aveva reagito Cloe non appena Axel le aveva raccontato cos’era accaduto a Cora e quali condizioni Santiago avesse avanzato in cambio del suo aiuto. Era rimasta muta, appoggiata al tavolo della cucina, le braccia conserte e lo sguardo basso. Come sempre, quando rifletteva su decisioni che riteneva importanti.

«Non sei costretta a farlo» le aveva detto Axel, placido e sereno, come se fosse convinto di poter aiutare Cora anche senza l’aiuto del Sangre. Come se fosse certo che Cloe non avrebbe accettato le condizioni poste da Santiago.

«Lei mi ha aiutato quando ne ho avuto bisogno» aveva ribattuto guardando Axel negli occhi; lo sguardo fermo e sincero, la mente che correva alla notte in cui l’Eraclea l’aveva raccolta dall’asfalto insanguinata, debole ma ancora viva.

Lui non aveva ribattuto. Si era limitato a voltarle le spalle, tornando a dedicarsi al caffè che stava preparando.

«Come vuoi.»

Axel non aveva aggiunto altro e si era chiuso in un silenzio ostinato che nascondeva preoccupazioni profonde. Cloe, del resto, non poteva biasimarlo. Conosceva Axel; l’aveva seguito per decenni, aveva imparato ad apprezzare l’accortezza e il riguardo con cui trattava le persone che gli erano care. Che lui considerava una famiglia.

Per Axel, metterli in pericolo non era una possibilità calcolabile, in qualunque circostanza.

«Sei almeno consapevole di quello che ti aspetta?»

Ancora di spalle, la voce posata mentre mescolava il caffè. Eppure, Cloe ne era certa, il suo sguardo doveva essere tutt’altro che sereno: probabilmente Axel era corrucciato, le sopracciglia aggrottate e un’espressione contrariata che poteva permettersi solamente quando non c’era nessuno ad osservarlo. Quando le porse la tazza fumante, però, il volto del vampiro era sereno.

«Sì, lo so. Diventare il ghoul di qualcun altro non è una passeggiata» ammise lei, sorseggiando il caffè.

«È doloroso, Cloe…» Axel cercò il suo sguardo, come a voler confermare le proprie parole con un’occhiata efficace. «… Molto doloroso. »

E lei sorrise. Un sorriso aperto, sincero, riconoscente. Se Axel avesse saputo quali fossero le reali preoccupazioni di Cloe, probabilmente non sarebbe rimasto così composto e controllato.

Perché, più del dolore di un corpo che andava in pezzi nonostante la vita non lo abbandonasse, ciò che lei temeva era l’idea di legarsi alla creatura che più di ogni altra rappresentava per lei tormento e dannazione, turbamento e proibizione. Santiago -il nemico della sua famiglia, del suo clan- sarebbe diventato il suo padrone, il suo sostentamento e, più di ogni altra cosa, la sua dipendenza. Non avrebbe più potuto fare a meno di lui: sarebbe stato fisicamente insostenibile vivere più di un giorno senza il sangue di quel vampiro. Nonostante tutto, però, la sola idea di legarsi in modo così totalizzante a quella creatura la rendeva ansiosa, provocando in lei un senso di eccitazione scomodo e sbagliato.

Un’aspettativa perversa che le rubò il fiato.

Dovresti vergognarti, Cloe.

Avrebbe dovuto, certo, ma le parole non erano sufficienti a fomentare il senso di colpa. Sostenne lo sguardo di Axel, il cuore che batteva senza più alcun controllo.

«Credimi, lo so.»

 

 

*

 

 

Le bendarono gli occhi non appena salì in macchina.

Poteva distinguere contorni sfuocati e confusi attraverso il tessuto nero che le impediva di guardare, ma non era abbastanza per capire che cosa stesse succedendo: ogni cosa scivolava lontano dai suoi sensi, sfuggente come acqua. Non poter vedere fomentava la sua paura, ma Cora cercò di resistere: se avesse ceduto, il terrore l’avrebbe travolta e lei sarebbe rimasta in completa balia dei Sangre che occupavano l’abitacolo della vettura. Non che avesse la possibilità di difendersi, certo, ma la lucidità era l’unica cosa che le era rimasta. L’ultima cosa che desiderava era perdere anche quell’ultimo appiglio.

Sentiva il rumore del motore, le gomme che sobbalzavano ad ogni dosso, voci che parlavano una lingua antica che lei non conosceva. Latino, probabilmente.

Non volevano farle capire nulla. Cercavano di lasciarla sola con sé stessa, con le proprie paure, senza lasciarle neppure un indizio per poter intuire che cosa stesse succedendo. Le avevano negato qualunque contatto con il mondo, sia che fosse la strada che scorreva oltre il finestrino dell’automobile, sia che si trattasse del contenuto della loro conversazione. Il messaggio era chiaro: lei era una preda e come tale non aveva diritto a nulla.

Quando la fecero scendere dalla macchina dopo un tragitto non ben definito, tutto quello che Cora sentì furono due paia di mani che le afferrarono le braccia.

«Forza, cammina» una voce maschile alle sue spalle –probabilmente il vampiro che la stava scortando- la spinse a muoversi.

Certo, come no.

La benda non le era stata tolta, e spostarsi risultava più difficile del previsto: si sentiva goffa, terribilmente impedita nei movimenti. Improvvisamente, privata della vista, Cora ebbe la sensazione che tutto il mondo che lei conosceva le fosse stato strappato di mano.

Il vampiro l’aiutò a spostarsi in rigoroso silenzio; non fece alcun commento, neppure quando Cora urtò qualcosa con la gamba, probabilmente lo spigolo di qualche mobile. Sentiva dei rumori particolari attorno a sé, appartenenti alla quotidianità di un luogo grande, frequentato, ampio: un diffuso chiacchiericcio, il ticchettare di tacchi, rumore di bicchieri… Persino la musica di una pubblicità.

Dove mi hanno portata?

Il vampiro alle sue spalle la costrinse a fermarsi, ma nonostante Cora cercasse di cogliere qualunque dettaglio attraverso la trama della benda ogni sforzo risultò inutile: tutto quello che riusciva a vedere non era altro che buio.

Quando ripresero a muoversi, però, la mano della ragazza sfiorò una superficie fredda e irregolare, che si piegava ad angolo e proseguiva descrivendo i contorni di qualche piccola stanzetta. Poi il terreno cominciò a salire con un sobbalzo sgraziato, e Cora si ritrovò a dondolare incerta e sorpresa, la stretta del suo accompagnatore sempre salda sul suo braccio.

È un ascensore. Sono in un palazzo.

Un suono simile ad una campanella, un altro sobbalzo: l’ascensore si fermò e le porte si aprirono, silenziose.

«Andiamo» il vampiro la costrinse a proseguire, conducendola chissà dove. Poi lo scatto di una serratura, il rumore di perni che ruotano, un cigolio leggero: la spinse all’interno della stanza e, dopo aver richiuso a chiave, le sfilò la benda. E Cora finalmente riuscì a vedere chi le stava di fronte.

Si trattava di un vampiro dall’aspetto giovane, decisamente bello: una bellezza greca, dai lineamenti marcati e netti, sfrontata e ammaliante. I capelli, ricci e ribelli, davano ulteriore personalità all’aspetto e gli occhi nocciola la studiavano senza troppa partecipazione.

Come ogni altro vampiro era attraente, una creatura nata per giocare con la propria preda e toglierle la possibilità di desiderare qualunque altra cosa non fosse lui stesso. L’incarnazione della seduzione più perversa; una bellezza tentatrice che prometteva ogni tipo di piacere, ma che dava solamente morte.

«Dove sono?» Cora si guardò attorno rapidamente, uno sguardo fugace a quella che sembrava una camera d’albergo piccola ma lussuosa prima di cercare lo sguardo della creatura che le stava di fronte. Non sembrava particolarmente propenso a farle del male: nei suoi occhi non c’era traccia della follia che illuminava lo sguardo di Lakeisha né dell’esaltazione perversa che rendeva Santiago un tipo decisamente poco affidabile. Tuttavia rimaneva pur sempre un vampiro. Di più, un Sangre.

Era abbastanza per non potersi permettere distrazioni.

«Che posto è questo?»

«Sei nell’alveare e ci rimarrai finché la Domina non deciderà altrimenti.»

«La DominaCora si accigliò sovrappensiero, la mente troppo impegnata a sondare la camera per potersi permettere qualunque tipo di ragionamento non riguardasse la fuga. Poi, senza preavviso, un lampo di gelida comprensione la freddò all’istante, costringendola a cercare la verità nello sguardo indecifrabile di quel vampiro. «Lakeisha

«A pochi è concesso chiamarla con il suo nome» lui annuì, le mani dietro la schiena, composto e misurato; l’espressione limpida, l’atteggiamento disponibile, quasi aperto. Era come se stesse conversando con una persona qualunque, in una situazione del tutto ordinaria. «A proposito, un consiglio: non abusare del suo nome. Lakeisha non è affatto paziente.»

Di buon auspicio, non c’è che dire.

Quel vampiro di cui non conosceva il nome, quel Sangre che sembrava essere del tutto fuori posto in quel covo di bestie… La guardava senza battere ciglio, lo sguardo fermo di chi ha appena detto la verità. E bastò per farle capire che non stava affatto scherzando.

Cora fu sul punto di annuire, quando lo sentì: il rumore inconfondibile di una serratura che si apriva, seguito dal cigolio metallico e lamentevole dei cardini.

Non ebbe bisogno di voltarsi. Fu sufficiente sentire quella presenza ingombrante e pericolosa sulla pelle, per capire: Lakeisha era appena entrata in quella prigione lussuosa e accessoriata, e si trovava proprio dietro di lei. Alle spalle di Cora.

«Grazie per aver tenuto compagnia alla nostra ospite, Adam» un ringraziamento sottile che celava ben altri intenti, un ordine mal camuffato che stonava con la grazia e la gentilezza di cui si coloriva la voce della vampira.

Cora non poté fare altro che seguire con lo sguardo quella creatura –Adam, il suo nome- allontanarsi; gli occhi colmi di un orrore disperato, nella mente quelle parole ricorrenti. Straziate.

Non lasciarmi qui.

«Dunque sei la nuova puttanella di Axel…» la voce di Lakeisha aveva improvvisamente perso ogni traccia di dolcezza, qualunque sfumatura cortese: le sue parole trasudavano acidità, disprezzo e, più di ogni altra cosa, gelosia. Un sentimento forte, neppure troppo nascosto; un’emozione che provocò in Cora brividi spiacevoli lungo la schiena, sotto la pelle. Nell’anima.

Avrebbe desiderato ribattere a tono, indignata, ma l’avvertimento celato nelle parole di Adam era più forte di qualunque provocazione. Quando si voltò verso Lakeisha centellinando ogni movimento, rimase inchiodata dall’intensità del suo sguardo bruciante.

«Come?»

«Cosa sai di Axel?» la vampira la guardò con supponenza, l’ombra di un sorriso meschino a curvarle le labbra. «L’hai definito una brava persona, ma in realtà quello che vedi è soltanto la superficie di ciò che Axel è realmente» le parole di Lakeisha erano provocazioni mirate a far traballare la sicurezza di Cora, insidiose e ambigue come il dubbio più subdolo. Nient’altro che veleno. Nient’altro che corruzione.

«Non ti credo. Ho visto ciò che fa Axel, il modo in cui agisce, come si comporta… Non è una bestia» ribatté lei, lo sguardo fermo su quello della Sangre: si trattava di una guerra psicologica fatta di insinuazioni e scelte, uno scontro di silenzi violenti capaci di ferire più delle parole: perché era in questi momenti – gli attimi in cui la camera si svuotava di ogni suono- che si consumava la battaglia più cruenta, quella contro se stessi. Contro le proprie convinzioni.

Non devi cedere, Cora. Fidati di Axel e delle tue sensazioni.

Continuò a ripeterselo ancora e ancora mentre sosteneva lo sguardo ambiguo di Lakeisha e lì, con il peso schiacciante di quel dubbio infido a pesarle sullo stomaco, per un lungo istante fu sicura di riuscire a vincere. Per quel singolo, infinito momento ne fu convinta, così dannatamente certa…

Eppure la risata della vampira - così bassa, così divertita, così crudele - calpestò ugualmente le convinzioni di Cora in un attimo, come fossero spazzatura. E la rabbia, la frustrazione, l’indignazione, la disperazione… Un vortice di emozioni fuori controllo, l’orgoglio che premeva per difendersi: trattenersi fu impossibile.

«Lui. Non. È. Una. Bestia» un mormorio sibilato, l’irritazione ad accenderle lo sguardo, la mascella contratta: Cora capì di essersi tradita nel momento esatto in cui parlò, ormai sicuramente troppo tardi per porvi rimedio. Non poté fare altro che rimanere immobile, impotente mentre diventava oggetto dell’ilarità allusiva e irritante di Lakeisha.

«Ti piace Axel…»

Una constatazione che sfumava nei contorni indefiniti di una domanda. Un’osservazione che le raggelò il sangue per le implicazioni che poteva nascondere. Per le conseguenze che avrebbe comportato.

Cora fece per rispondere che si sbagliava, che non era interessata ad Axel in quel modo –Dio, il solo pensiero di provocare le ire di Lakeisha in quella camera, senza nessun altro ad aiutarla, la faceva rabbrividire- ma la vampira la precedette. Cominciò a squadrare la cacciatrice come se volesse sporcarla, come se quel semplice sguardo potesse bastare a spezzarla per sempre.

Come se fosse la più facile delle prede.

«Mi dispiace essere io a darti questa notizia, ma l’Axel di cui ti sei innamorata in realtà non esiste» c’era una strana gioia nella voce morbida di Lakeisha, un piacere perverso fomentato dalla gelosia che ribolliva nel suo cuore marcio, in attesa di straripare. «È una personalità fittizia, un tappa buchi.»

Poi, un sorriso. Un significato ambiguo. Crudele.

Atroce.

«Il tuo Axel non è reale

E fu gelo nel sangue, nel cuore, nell’anima. Cora rimase immobile, le labbra socchiuse in un’espressione confusa mentre un’ombra buia e senza nome le divorava il cuore. Tutto quello che sentì fu inquietudine; una paura irrazionale e primordiale, un terrore che non comprendeva e che non sapeva controllare.

«Che cosa vuoi dire?» la voce uscì incerta, specchio dell’insicurezza che le parole di Lakeisha avevano fomentato in lei. La vampira, però, non le rispose.

Si limitò a sorridere, enigmatica. Deliziosamente ambigua.

Sangre.

«Farò di meglio che spiegartelo: te lo mostrerò.» C’erano mille significati nascosti in quelle parole sfuggenti, possibilità che suonavano come una minaccia senza volto né forma. E lì, costretta ad affrontare un pericolo ignoto e informe, Cora si sentì letteralmente perduta.

Disperata e sola, costretta a lottare contro l’atteggiamento supponente e provocatorio di Lakeisha in una situazione che non aveva mai affrontato prima, fece l’unica cosa su cui poteva contare: affidarsi all’istinto. Liberare la collera, l’impotenza e la frustrazione in un ringhio rabbioso. «Non toccare Axel!»

«Altrimenti?» Lakeisha sembrò divertita da quell’inaspettata spavalderia, una reazione che probabilmente non era abituata a vedere. «Non sei nella posizione ideale per avanzare pretese, cacciatrice.»

«Hai ingannato tutti: il signor Owen, l’Ordine, la popolazione… Però non hai ingannato me» la voce di Cora, resa tremante da quell’emozione rabbiosa che le chiudeva la gola e le infiammava lo stomaco; gli occhi inchiodati su quelli della vampira… La ragazza era sull’orlo di una guerra pericolosa che doveva necessariamente vincere. «Ti costringerò a gettare la maschera di fronte a tutto il mondo e a rivelarti per l’essere bugiardo e manipolatore che sei, Lakeisha. È una promessa.»

«Come hai fatto con Nicholas Owen?» una domanda semplice, uno sguardo decisamente pungente, una provocazione fin troppo esplicita: la vampira aveva risposto a Cora usando la sua stessa moneta, sbattendole in faccia la provocazione con cui la ragazza aveva provato a ferirla. «Non sei abbastanza furba per riuscirci, cacciatrice.»

Una stoccata cattiva che colava veleno, gli occhi della vampira che trasudavano sdegno e, oltre quella patina pungente, un piacere perverso che sfumava nel sadismo. Probabilmente stava godendo nell’aver costretto Cora al silenzio, la cacciatrice riusciva a leggerlo dalla soddisfazione irritante dipinta nel suo sguardo.  Averla messa al muro togliendole ogni possibilità di ribattere doveva aver glorificato Lakeisha almeno un po’, nutrendo il suo ego orfano di Axel nell’unico modo che poteva appagarla: umiliando la sua rivale.

Quando la vampira le voltò le spalle, poi, quei pensieri divennero provocazioni insostenibili che resero l’orgoglio di Cora una bomba pronta a esplodere.

Non le avrebbe permesso di andarsene così, a testa alta, vittoriosa.

Non quando c’era ancora una cosa da chiarire, una questione che le bruciava l’anima in ogni istante da quando quella storia era cominciata.

«Aspetta.» Una parola fremente di rabbia, una furia sorda e bruciante che sibilava oltre la soglia del suo fragile controllo: bastò a fermare Lakeisha davanti all’uscita, la mano sul pomello della porta.

«Perché i tuoi vampiri hanno ucciso mia madre?»

«Tua madre?» Lakeisha si voltò, l’espressione quasi smarrita, sicuramente stupita. Sembrava non comprendere a che cosa si riferisse la cacciatrice.

«Mia madre. Abitava nella casa a cui voi Sangre avete dato fuoco durante il Sabbath» ogni parola fu una pugnalata di rancore in grado di rinnovare ferite che non erano ancora riuscite a rimarginarsi; un dolore che Cora cercò di nascondere con ogni mezzo, gelosa persino di un tale sentimento.

Rimase in silenzio, lo sguardo fisso negli occhi di Lakeisha, impudente. Decisa a non offrirle alcuna scappatoia. Nessuna possibilità di menzogna.

«Quella donna… » l’espressione della vampira divenne improvvisamente consapevole.

«Era innocente.»

«Non conoscevi poi così bene tua madre, vero?» lo sguardo di Lakeisha si fece di nuovo insinuante, specchio di una dolcezza melensa e velenosa perfetta per concupire i poveri sprovveduti che incrociavano la sua strada. «Essere innocenti significa essere estranei a qualunque faccenda. Non aver nulla a che fare con noi. A questo punto lascia che ti dica una cosa, cacciatrice: tua madre non era affatto innocente.»

«Che vorresti dire?» il fiato trattenuto, il cuore reso gonfio da quell’angoscia improvvisa e struggente: per Cora non c’era modo di combattere quella bestia. Il dubbio si era già impossessato di lei.

«Tua madre lavorava per la Chiesa.»

«Tu menti» la voce di Cora era ridotta ad un sibilo tagliente, un rifiuto testardo e disperato di quella rivelazione che, all’improvviso, sembrava minacciare le convinzioni che sostenevano i resti traballanti della sua vita. «Mia madre era un’infermiera.»

«Era una copertura» Lakeisha le rivolse un sorriso laconico, l’espressione irritante e ambigua di chi conosce ogni oscuro segreto dell’universo. «Era in possesso di documenti che la Chiesa le aveva affidato. Documenti che non avrebbe dovuto avere.»

«Non ti credo. Mia madre non mi avrebbe mai nascosto una cosa così importante.»

C’era ostilità nella voce tremula di Cora, crepe attraverso cui filtrava un’insicurezza serpentina che non poteva più essere tenuta sotto controllo. Per quanto tentasse di opporsi alle parole ambigue della vampira e aggrapparsi all’appiglio delle proprie convinzioni, infatti, sfuggire alla verità era impossibile: Lakeisha rappresentava un muro invalicabile fatto di freddezza e ambiguità. Di manipolazione. Rimanere impassibile di fronte alle sue parole corrosive era impossibile.

«Se te l’ha nascosto probabilmente è perché le è stato imposto» un suggerimento insinuante, affatto disinteressato. Un’imbeccata che fu come vento per il fuoco che alimentava la rabbia di Cora.

Imposto da chi?

«È per questo che l’avete uccisa? Che avete dato fuoco alla mia casa? Per dei documenti

«Non siamo stati noi a ucciderla, cacciatrice. Ha fatto tutto da sola.»

«Cosa vuoi dire?»

Un sorriso. E quel silenzio pieno di significati tremendi e crudeli, capace di farla rabbrividire…

«Che è stata lei ad appiccare l’incendio.»

Fu come ricevere una pugnalata in pieno cuore. Una rivelazione troppo crudele per poter essere creduta; significati agghiaccianti che Cora si rifiutò di prendere in considerazione, troppo spaventata da quello che avrebbero potuto scatenare nella sua anima per avere il coraggio di affrontarli.

Eppure… Eppure c’era qualcosa nel modo in cui Lakeisha le sfiorò il viso, quella consapevolezza tremenda e rivoltante… E il modo in cui studiò la sua espressione sgomenta, l’ombra seria che si nascondeva dietro lo sguardo ambiguo e divertito…

«Non toccarmi» Cora scacciò la mano della vampira, minacciosa; la voce avvelenata, il cuore che minacciava di frantumarsi da un istante all’altro sotto il peso delle insinuazioni crudeli di quella creatura. Una reazione dettata da quell’emozione straripante, senza controllo. Una reazione che suscitò il sorriso sottile e irritante di Lakeisha.

«Non ti toccherò, no. Ma tu starai qua finché Axel non verrà a reclamare la tua libertà. E allora…»

Una frase sospesa.

Una frase che non aveva bisogno di essere completata, per poter essere compresa.

Perché ciò che nascondeva, era esattamente quello che Cora aveva letto nello sguardo insinuante e senza moralità di quel Sangre.

Ed erano guai.

 

 

L’angolo dell’autrice

 

Ci risiamo. Vi devo di nuovo un sacco di scuse, dopo quest’altra lunga e imperdonabile attesa. Che dire? Purtroppo quando l’ispirazione cala (e per calo intendo dire che non riesci nemmeno ad aprire la cartella dove conservi i file della storia) è l’inizio di guai imprevedibili, tanto per stare in tema.

Ad ogni modo sono pronta a chinare il capo e ad accogliere tutti i giustissimi e meritatissimi insulti che vorrete lanciarmi.

Posso assicurarvi comunque che mai mi è passato per la testa di sospendere a tempo indeterminato Slayer’s: potete starne certi, questa sarà una cosa che non accadrà né ora né in futuro.

 

Berenike: tesorooooo non sai che gioia sapere che Slayer’s ti sia piaciuta!! Grazie davvero per le tue bellissime parole, ne sono onorata!!

 

SweetJuly: grazie davvero per le tue parole, sia per Circus che per Slayer’s, che spero sia stata all’altezza delle tue aspettative! :D

 

jess: lo so, vi illudo con un aggiornamento e poi vi faccio aspettare mesi! :( Comunque hai ragione, sì, si scatenerà l’inferno. E lascia che ti dica una cosa: quello che succederà ora è nulla a confronto con quello che accadrà più avanti (e per il quale spero davvero che non mi uccidiate ò__ò) Per scoprire cosa faranno Cloe e Santy dovrai aspettare il prossimo capitolo, che arriverà molto presto visto che mi sta prendendo un sacco *__*

 

KeLsey: sono contentissima che Slayer’s ti sia piaciuta! *__* e spero che mi perdonerai per il mega ritardo >__<

 

Avanit: Lakeisha è un personaggio cruciale, cambierà mooolte carte in tavola, non soltanto quelle che Cora e Owen si sono spartiti :P La tua osservazione è assolutamente puntuale e mi piace. Lakeisha però ha fatto leva sulla paura della gente: ha mostrato la distruttività dei vampiri, ha fatto sentire l’umanità minacciata più di quanto già non fosse e in questo modo ha aperto una ferita che ha prontamente pensato a richiudere dandogli il capro espiatorio di cui avevano bisogno. Ha sfruttato l’ignoranza dell’Ordine e si è offerta come alleato nel momento del bisogno prima che lo facesse Axel. E in un momento di difficoltà è più facile credere a chi ti offre aiuto, piuttosto che dubitare della sua bontà, o almeno è così che io la penso attraverso i suoi occhi :D

So che stai aspettando Santiago, perché già me l’avevi detto su face book, ma anche tu dovrai aspettare il prossimo capitolo. Però posso assicurarti che l’attesa sarà ben ripagata! *__*

 

valespx78: chissà perché Cloe/Santiago è una coppia che piace a molti... :P E io non posso che esserne contenta!! *__*

 

Ringrazio ancora una volta tutte le persone che hanno aggiunto Slayer’s alle storie seguite, ai preferiti e alle ricordate. Portate pazienza se stavolta non vi ringrazio uno per uno come faccio sempre, ma non ho appuntato i vostri nomi e vi ho perso per strada :(

Ringrazio invece la bravissima Nunzia per la splendida copertina che ha fatto per Slayer’s: mi ha fatto andare letteralmente in visibilio! *__* (i due a destra sono Cora e Axel, mentre nella coppia a sinistra abbiamo Cloe e Santiago).

 

Piccolo avviso: se volete potete trovarmi sul MIO PROFILO FACEBOOK (sentitevi pure liberi di aggiungermi, basta che mi diciate il vostro nick di efp!) oppure sul GRUPPO FACEBOOK dedicato ai miei racconti (dove potrete trovare spoiler su Slayer’s, curiosità e altre cosette). Se volete venire a dare un’occhiata, iscrivervi, blaterare assieme a me oppure insultarmi per tutto il tempo che vi ho costretto ad aspettare, ne sarei molto felice!

 

Ci leggiamo presto,

 

Brin

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