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It's not our
fault if death's in love with us oh oh”
H.I.M – Death is in love with us
1.
Genesi
Vampiri: una minaccia palpabile. Reale.
La gente ha paura, e ne ha tutte le ragioni. Non è
sicuro aggirarsi in città dopo il tramonto, specialmente se si è soli: non puoi
sapere dove si nascondono. Non puoi vederli, non puoi sentirli. Se loro
decidono che tu non puoi avvertire la loro presenza, stai pur certo che sarai
morto ancor prima di poterti accorgere che qualcuno sta bevendo il tuo sangue.
Il coprifuoco è relativamente utile: i vampiri non
si avvicinano alle abitazioni a meno che non sia strettamente indispensabile.
Non è il loro ambiente, e un territorio ostile può nascondere trappole
insidiose. Del resto non avrebbero neppure bisogno di spingersi a tanto, dal
momento che le strade sono piene di incoscienti. E di prostitute, spacciatori,
tassisti e netturbini, anche. E poi, ovviamente, di cacciatori.
Il giorno è il regno degli esseri umani, ma quando
cala il tramonto i vampiri diventano i signori. C’è chi rischia e oltrepassa i
confini del loro territorio, e solitamente è così disperato da non potersi
permettere di cercare un altro lavoro. O semplicemente non può farlo, e sfida a
scacchi la sorte. In palio, c’è la vita.
Poi ci sono quelli che violano le regole e mettono
piede fuori di casa a tarda notte, il più delle volte per farsi belli con gli
amici. Prove di coraggio, le chiamano. O di stupidità, dipende dai punti di
vista.
Infine ci sono i cacciatori. Squadre di vigilanza
addestrate da scuole sorte quando i vampiri sono usciti allo scoperto.
Di queste creature non si sa molto: sia la loro
cultura che la loro origine sono presso che sconosciute. L’unica cosa realmente
importante è la loro pericolosità, e tanto basta.
Non serve conoscere altro.
*
Quella sera
faceva freddo, più del solito.
Una coltre di
nubi nascondeva le stelle e la luna non era altro che un pallido fantasma, un
alone sfuggente coperto dalle nuvole. Chiunque avesse alzato il naso, non
avrebbe visto altro che un cielo spento. Morto, esattamente come le creature
che camminavano assieme a loro; assieme ai vivi.
Era per quelle
bestie che erano lì, quella sera. Una delle tante che passavano all’aperto, avvolti
nelle loro giacche, con i nasi intorpiditi sprofondati nelle sciarpe. Avevano
un vitale bisogno di qualcosa di caldo da bere, qualcosa di così fumante da
poter riscaldare la pelle dei loro volti con il solo vapore. Avevano bisogno di
un posto caldo dove poter risposare e lasciarsi prendere dal sonno senza
preoccupazioni. Avevano bisogno di tante cose i cacciatori, ma il loro lavoro
non gliene permetteva nessuna, ed era questa la cosa che più di tutte irritava Cora.
«Odio l’inverno»
borbottò, calciando un ciottolo verso la strada. Amava lamentarsi, ma ormai i
suoi compagni di squadra si erano così abituati da non farci neppure più caso.
Era una
cacciatrice da diversi anni, e le notti che aveva passato a fare ronde non le
avrebbe neppure potute contare. All’inizio non le era stato facile abituarsi ai
ritmi massacranti della scuola: formarsi per ottenere il diploma di cacciatore
voleva dire rinunciare a coltivare una vita sociale soddisfacente, allenare con
costanza il fisico e la mente per essere sempre efficienti, rispettare le
regole rigide imposte dal regolamento. In sintesi, essere cacciatore voleva
dire impegno, disciplina e sacrificio.
Cora era riuscita ad
affrontare tutto questo aggrappandosi alla sua motivazione, che le aveva
permesso di stringere i denti e di continuare.
Non era stato
semplice resistere alla fatica di quella vita che lei stessa si era scelta, ma
quando lo stress l’assaliva e intaccava la sua tenacia, le era sufficiente
ripensare a Jodie. Era un metodo infallibile per scacciare qualunque
ripensamento.
E lei era del
tutto sicura di ciò che voleva fare della sua vita, nonostante fosse ugualmente
convinta che la lamentela fine a se stessa rientrasse in pieno nella rosa dei
diritti di qualunque cacciatore.
Erano usciti al
tramonto quella sera, come ogni volta che prestavano servizio. Amber, al fianco
di Cora, camminava puntellando la punta della spada –l’arma più comunemente utilizzata dai cacciatori- contro
l’asfalto. Come lei, era avvolta in un giaccone caldo ma non troppo lungo né eccessivamente
stretto, una giusta misura che la lasciasse libera di muoversi senza
costrizioni.
Come da
regolamento, entrambe portavano i capelli raccolti in uno chignon, e l’unico
espediente consentito per proteggere le orecchie dal freddo era un misero cappellino
di lana.
L’unico che
sembrava non farsi problemi ad infrangere le regole era il fratello di Cora, Ice. Più grande di lei di
due anni, era sempre stato incline alle sregolatezze.
La gente tendeva
a classificarlo come alternativo, e del resto non poteva certo passare per una
persona qualunque: rasta, vestiti larghi e Kefiah perennemente al collo, Ice si distingueva per il numero incalcolabile di
braccialettiche indossava e per un
rapporto del tutto particolare con le armi, la sua più grande passione.
Un amore
viscerale che la loro madre non aveva mai visto di buon occhio, e che superava
perfino quello per le ragazze. Non che a Ice non
piacessero le donne, anzi… Aveva la tendenza a far
sua l’ottica dell’amore universale.
Ho tanto amore da dare, ripeteva ogni
volta che usciva con una ragazza diversa.
E ogni volta, Cora annuiva e lasciava che lui si comportasse come
desiderava. Non approvava il suo comportamento, ma ciò che pensava lo teneva
semplicemente per sé. Imposizione del principio che regolava i rapporti tra
fratelli: “vivi e lascia vivere”.
Il problema di Ice, era che a ventisette anni non era ancora riuscito a
innamorarsi.
E, nonostante la
baldanza con cui passava di letto in letto, Cora era
sicura che ne avesse un gran bisogno.
«Stasera non c’è
molto movimento…» Amber sbuffò, distraendola dai suoi
pensieri. Niente movimento voleva dire niente lavoro. Niente lavoro voleva dire
noia.
Ed era
sorprendente come si sperasse in un incontro con qualche vampiro, pur di
salvare la serata.
«Scommetto che
se andiamo al parchetto troviamo qualche drogato» osservò Ice.
«Lo sai che i
vampiri non li guardano neanche di striscio. Piuttosto, che ne dite di andare a
cercare un chiosco? Avrei voglia di un bel panino carico di wurstel e salse di
tutti i tipi!» propose Cora. Lo stomaco le
gorgogliava, e se dovevano impegnare il tempo in qualche modo allora potevano
regalarsi tranquillamente un quarto d’ora di riposo per riempire la pancia.
Peccato che suo
fratello non sembrava disposto a concederglielo: lo intuiva dall’espressione
disgustata che gli leggeva in viso, palesemente canzonatoria.
«Ma se hai
mangiato prima di uscire?! Fai proprio schifo!»
«Meglio fare il
bis di cibo che il bis di canne, fattone…»
Ice stava per
ribattere con un insulto, una prassi nelle loro schermaglie scherzose, quando
Amber lo zittì all’improvviso con un cenno della mano.
Aveva
chiaramente sentito qualcosa, un rumore sospetto che a Cora
non piacque per niente. Continuarono a camminare, chiacchierando senza fare
troppo rumore, attenti a ciò che si poteva nascondere nelle zone in cui la luce
dei lampioni non arrivava.
E quando li
videro, Cora sapeva già che quei sei ragazzi che si
stavano avvicinando non erano umani.
I loro volti,
illuminati dalla luce artificiale, erano bellissimi come solo l’immortalità
sapeva renderli. Bellissimi e dannati.
Erano vampiri, e
si facevano sempre più vicini.
Quello in testa
al gruppo – dallo sguardo impudente e magnetico- la guardava con insistenza.
Sorrideva; un sorriso ambiguo che non prometteva nulla di buono.
«Tu guarda che
novità! Cacciatori in ronda dopo il tramonto…» uno
degli altri vampiri si fece avanti, con le mani calate nelle tasche dei jeans.
Il suo atteggiamento espansivo e confidenziale accese un campanello d’allarme
nella testa di Cora.
«Non un passo di
più, vampiro» gli intimò, puntandogli contro la punta della spada. «Fossi in te
abbasserei quell’affare…» era l’altro vampiro, quello
che aveva notato per primo. Il suo volto era serio. Pericolosamente serio.
Non c’era alcuna
traccia di ironia o di sarcasmo in quelle parole taglienti.
Era un animale
pronto ad attaccare.
«Che ne pensi
Santiago? Se portiamo alla Domina uno di questi cacciatori, dici che vinciamo
il Sabbath?» gli domandò un altro vampiro e Santiago –l’esemplare più influente del gruppo, ormai era chiaro-
sogghignò. Un ghigno che venne interpretato come una dichiarazione di guerra.
«Può darsi.»
Cora non aspettò un
minuto di più. Ruotò velocemente su se stessa, e la spada seguì il movimento
del suo corpo con precisione. Il colpo andò immediatamente a segno, e il corpo
del vampiro contro cui aveva puntato l’arma si accasciò a terra. La testa,
invece, rotolò per alcuni metri.
Ma non fu che
l’inizio.
*
Dalla strada
provenivano versi animaleschi e bestiali, capaci di far accapponare la pelle a
chiunque li sentisse. E la visione di quel groviglio di corpi che lottavano,
ciascuno per la propria sopravvivenza… Uno spettacolo
raccapricciante e lei, Cora, vi era dentro fino al
collo.
Non era stata
una buona caccia, quella.
Si era scatenato
il caos dopo che aveva decapitato il primo vampiro. Quelle creature erano
veloci, agili nell’evitare le lame che vorticavano fendendo l’aria e furbe
abbastanza da utilizzare a loro favore l’istinto da predatore.
Li stavano
sopraffacendo.
Cora si era
ritrovata Santiago addosso, e dopo una lotta breve ma intensa lui era riuscito
a disarmarla. Aveva sentito Ice gridare il suo nome,
e l’istante successivo una fitta acuta alla spalla l’aveva costrettaa gridare.
E ora era lì,
immobilizzata contro il corpo massiccio di Santiago che le premeva sulla
schiena e con i suoi denti conficcati in profondità nella carne. Lo sentiva
fremere contro di lei, reso folle dall’eccitazione che il gusto del sangue gli
provocava.
E lei tirava,
spingeva, scalciava… Qualunque cosa, pur di fuggire a
quelle fauci che l’avrebbero sicuramente uccisa.
«CazzocazzoCAZZO!»
A mala pena si
accorse del panico nella voce di Ice.
Fuggi!
Era un istinto
primordiale troppo forte.
Un grido che non
poteva ignorare.
Fuggi!
Non si poteva arrendere.
«LASCIA STARE
MIA SORELLA, STRONZO!»
All’improvviso
Santiago la spinse da parte, e Cora inciampò
goffamente a terra, debole e dolorante. Solo in quel momento, non più alla
mercé del vampiro, avvertì il dolore pulsante alla spalla, profondo e intenso.
Ice si era lanciato
a difenderla, e stava combattendo contro il vampiro come una furia. I suoi
colpi erano veloci, rabbiosi, carichi di aggressività. Troppa, perché Ice potesse combattere con sufficiente lucidità.
Amber, poco più
in là, era appena riuscita a decapitare un altro vampiro, per ritrovarsi poi a
combattere con gli altri due esemplari.
Cora si fece forza e
si rimise in piedi, cercando di ignorare il dolore che le faceva pulsare la
spalla. Quando raccolse la spada, però, una nuova ondata di dolore la trafisse
e gemette di dolore e disperazione.
Doveva fare
qualcosa, qualunque cosa, o non sarebbero riusciti ad uscire vivi da quella
situazione che stava peggiorando di minuto in minuto.
Si lanciò
all’attacco in un ultimo gesto disperato reggendo la spada con incertezza, il
sangue che le inzuppava gli abiti, quando improvvisamente dalla strada
sbucarono due uomini e una donna, di una bellezza così raffinata da far male al
cuore.
Erano
inequivocabilmente vampiri. Li vide correre veloci verso la sua direzione.
Verso Amber.
All’improvviso
l’orrore l’assalì e l’immagine della sua amica, esanime sotto le fauci di
cinque creature in caccia, le attraversò la mente e le raggelò il sangue.
«AMBER!»
Amber si voltò.
Fu una frazione di secondo, così veloce che né lei né Cora
si resero subito conto di cosa stava accadendo. Quei tre i vampiri aggredirono
gli altri due, allontanandoli dalla cacciatrice: un’azione inaspettata, che
lasciò Cora interdetta.
Non impiegarono
molto tempo per bloccare i loro movimenti. Con un paio di mosse precise
ridussero i loro avversari inermi, bloccati in una forte presa che gli rendeva
impossibile qualunque movimento. Poi uno di loro – alto, dai capelli neri e gli
occhi viola- si fece avanti, verso Ice e il vampiro
contro cui stava ancora combattendo.
«Allora, Santiago… che vuoi fare?»
Santiago accennò
un sorrisetto di circostanza, e schivò un affondo che gli sfilò a pochi
centimetri dal braccio. «Non penso di essere nelle condizioni di chiacchierare
con te di quello che voglio o non voglio fare, Axel…»
In quell’istante
Ice fece per caricare un altro colpo di spada, ma Axel gli afferrò il polso.
«Lasciami,
vampiro» sibilò furioso il ragazzo, ma lui non ne rimase affatto turbato: la
sua espressione rimase impassibile, rigida.
«Direi che può
bastare, cacciatore.»
Ice non replicò.
Guardò Cora, e dal suo sguardo capì che la sorella
era pronta ad agire. Non sapeva cosa aspettarsi da quei vampiri, e a dirla
tutta non gli era mai successo di ricevere aiuto proprio dalle stesse creature
che cacciava.
Non riusciva a
capire come si sarebbe evoluta la situazione, ma era maledettamente ovvio che
le loro vite erano appese ad un filo.
Forse
temporeggiare era la soluzione migliore.
Forse uno di
loro sarebbe riuscito ad inventarsi un espediente per andarsene illesi, con la
testa ben salda al collo, sani e salvi. Forse…
«Si può sapere
che intenzioni avete? Siete tutti vampiri, no?»
Santiago storse
il naso, infastidito.
«Non accomunarmi
con loro…»
«Questo dovrei
essere io a dirlo» Axel lasciò libero il polso di Ice, ma non si mosse. Gli rimase accanto, forse per
controllare che non facesse mosse azzardate. «Andatevene.»
«Non è il tuo territorio,
Axel…»Santiago gli rivolse un sogghigno provocatorio.
«Non lo è, ma ci
siete pericolosamente vicini…»
Cora lanciò
un’occhiata ad Amber, che si strinse nelle spalle. Sembrava sempre più chiaro
che tra i due gruppi di vampiri non ci fossero buoni rapporti, ma questo non
migliorava certo la loro situazione.
Forse, se
avessero iniziato una lotta tra vampiri, loro avrebbero avuto la possibilità di
fuggire, approfittando della loro distrazione.
Improvvisamente
avvertì un rumore in lontananza, un ritmo sempre più vicino. Passi. Qualcuno
stava correndo nella loro direzione, qualcuno che sembrava aver fretta.
Pochi istanti
dopo, spuntò sulla strada una ragazza: era giovane, ad occhio e croce dell’età
di Cora. I capelli scarmigliati le arrivavano alle
spalle, e i grandi occhi verdi scrutavano la scena con apprensione. Non aveva
nulla della bellezza seducente dei vampiri, né la loro perfezione.
Era umana.
Cora provò una fitta
al cuore.
«Va’ via» cercò
di sussurrarle, ma la ragazza non si accorse di lei: le sue attenzioni erano
tutte per uno dei vampiri.
«… Axel…»
«Cloe, che ci fai qui?! Ti avevo detto di non seguirmi, vattene!»
le fece cenno di allontanarsi, decisamente contrariato. Santiago, invece,
annusò l’aria con fare piuttosto interessato.
«Ma bene… Indovino: lei è il tuo ghoul?»
domandò indicando Cloe, la ragazza appena arrivata. Axel scoprì i denti con aria minacciosa.
«Gira al largo,
Santiago.»
«Altrimenti che
mi fai? Sai bene che non puoi farmi del male…» il
vampiro sogghignò, sempre più provocatorio.
«Lei fa parte
del clan: se tocchi lei, tocchi tutti noi. Hai il coraggio di venir meno al
patto?»
Santiago sorrise,
ambiguo. Non rispose.
Arretrò di un
paio di passi, le mani lungo i fianchi e uno sguardo calcolatore che allarmò Cora. Con un cenno del capo indicò i due compagni, ancora
intrappolati nella stretta degli altri due vampiri.
«Digli di
lasciarli, e ti prometto che ce ne andiamo.»
Axel guardò per
qualche istante Santiago, assorto. Poi annuì.
«Lasciateli
andare.»
I suoi compagni
ubbidirono, e come promesso da Santiago il gruppo cominciò ad allontanarsi.
Cora non aveva
capito molto: non conosceva il patto che avevano menzionato, né comprendeva il
motivo della loro rivalità. Aveva colto però qualcosa di strano
nell’atteggiamento del vampiro chiamato Santiago, uno sguardo calcolatore
tipico di chi medita di venir meno alla parola data. E l’altro, Axel…
Guardò la ragazza
umana che faceva parte della sua combriccola, sconcertata. Non riusciva a
credere che potessero esistere esseri umani che stessero dalla parte di
vampiri.
Ice e Amber le
furono subito accanto. Il fratello le esaminò con preoccupazione il braccio ferito.
«Andiamo via da
qui. Subito.»
Ma Cora non rispose. Non riusciva a distogliere lo sguardo da Axel, che se ne stava lì, a guardarla a sua volta. Uno
sguardo intenso, profondo, che le procurò dei brividi freddi lungo la schiena.
«Fossi in te
farei come dice il ragazzo. L’odore del sangue che esce da una ferita aperta
può arrivare anche ad un chilometro di distanza, e nella settimana del Sangue girare
nelle tue condizioni è più che mai sbagliato.»
Era stata la
vampira a parlare.Anche lei, come tutti
quelli della sua razza, era di una bellezza abbagliante. Il suo volto aveva
lineamenti delicati e aggraziati, i capelli biondi pettinati in morbidi boccoli
le ricadevano sulle spalle e la facevano sembrare una bambola, gli occhi
azzurri erano grandi e brillanti.
Cora rimase
stordita.
Non capiva il
motivo dello strano comportamento di quei tre vampiri: perché non li
attaccavano? Perché erano arrivati addirittura ad aiutarli? La presenza di
quella ragazza umana –ghoul,
l’aveva chiamata Santiago?- rendeva la situazione ancora più assurda.
«La… la notte del Sabbath?» fu
tutto quello che riuscì a farfugliare nel turbine di pensieri che l’avvolgeva.
«Siete
cacciatori e non conoscete la notte del Sabbath?» era
stato il terzo vampiro a parlare. Alto, capelli neri e occhi dello stesso
colore, si muoveva come se fosse un aristocratico. Trasudava eleganza con ogni
singolo movimento.
Accanto a lui, Cora si sentì la creatura più volgare del mondo.
«Cora…» era Ice. La guardava con
insistenza. Voleva andarsene, esattamente come lei.
Lei, che voleva
allontanarsi da quelle creature che non comprendeva e che avevano scombussolato
tutte le sue sicurezze. Lei, che desiderava mettere a tacere il fastidioso
senso di disagio che la attanagliava da quando quei tre avevano preso le loro
difese.
Lei, che si
sentiva fuori posto in quel momento, inesperta e impreparata.
Andarsene
sarebbe stato fonte di grandissimo sollievo.
Annuì.
«Torniamo a
casa.»
Si allontanarono
senza nessuna parola di commiato, nessun arrivederci. Si lasciarono alle spalle
quei tre vampiri, nel silenzio della notte.
Nessuno di loro
parlò, e forse andava bene così: Cora non era
dell’umore adatto per commentare ciò che era successo. I pensieri non le davano
tregua, e un peso spiacevole le chiudeva lo stomaco.
Non poteva fare
a meno di riflettere, dopo gli avvenimenti appena accaduti.
Prima di allora
non le era mai apparso così palese: nonostante le convinzioni su cui i
cacciatori basavano la propria vita e la propria guerra, era evidente che non
conoscevano affatto il nemico.
Non sapevano
nulla riguardo ai vampiri.
E, cosa ancora
più allarmante, non possedevano i mezzi per ipotizzare quali sarebbero state le
conseguenze che la loro ostinata ignoranza avrebbe portato.
Non so quanti di
voi abbiano letto le mie storie. È da parecchio tempo che non pubblico
originali lunghe, e un paio di anni fa avevo lasciata interrotta proprio su EFP
una storia omonima a questa che state leggendo.
Sì, insomma, si
chiamava Slayer’sVampires.
Stessi
personaggi, vicende più o meno simili.
Era una storia a
cui ero parecchio affezionata, e proprio per questo ho voluto riprenderla in
mano, ripensarla in maniera più matura cambiando anche avvenimenti sostanziali
e ridisegnando alcuni legami tra i personaggi. In definitiva, non so quanti di
voi avessero letto la precedente versione di Slayer’s,
ma se sono tra i lettori che mi stanno leggendo in questo momento, beh, mi
piacerebbe molto sapere la loro opinione su questa “edizione” riveduta e
corretta.
E ovviamente
anche i commenti dei nuovi arrivati sono bene accetti, ci mancherebbe! XD
Lo stesso, intenso profumo che aveva percepito
nell’aria quando quella ragazza era sbucata fuori
dalla strada.
Era raro imbattersi in esemplari come lei, se
non addirittura impossibile. Mannari.
Ne erano rimasti davvero
pochi in tutto il mondo, spinti sull’orlo dell’estinzione per quel loro sangue
così vitale, così straordinariamente vicino a quanto ci fosse di più immacolato
al mondo. Era l’essenza stessa della natura, l’essenza
stessa della vita. Quella stessa vita che i vampiri come Santiago non
possedevano più, e che bramavano disperatamente riavere.
La sete era la loro maledizione per un’esistenza
dannata che li vedeva vagare come parassiti lungo i secoli, con il solo scopo
di rubare agli altri la vita nel vano tentativo di riavere indietro la propria.
Un punto di vista che Santiago, però, non
condivideva.
Quelli come lui, appartenenti al clan dei Sangre, i
sanguinari, non facevano mistero di ciò che pensavano
riguardo al dono oscuro: per loro era motivo di vanto, addirittura di gloriosa
superbia. Lo ritenevano un privilegio, che in quanto tale conferiva loro molti
diritti, primo tra tutti quello di ritenersi superiori a qualunque altro essere
non fosse vampiro.
Avevano una lunga tradizione fatta di riti,
caccia di gruppo, sangue. Come unico scopo, quello di
lasciarsi andare alla bestia che portavano dentro.
Cedere alla bramosia, desiderare, prendere,
possedere: tutto senza alcun freno. Tutto ciò che poteva soddisfarli, che fosse
sangue, sesso, o qualunque altra cosa che potesse
saziare quella voglia cupida che provavano… Potevano avere tutto. Bastava
prenderlo.
Perché loro discendevano dalle
divinità, e la tradizione del clan gli aveva insegnato che a loro era concessa
ogni cosa.
Così, questo precetto veniva
esaltato e portato alle estreme conseguenze durante la settimana del Sangue:
sette giorni di puro piacere, in cui collezionare una vittima dopo l’altra era
la glorificazione della natura bestiale dei Sangre.
Per l’ultima notte, chiamata la notte del Sabbath, era previsto
che tutti i vampiri portassero un trofeo alla loro Domina, colei che reggeva le
fila del clan. Dovevano portarle in dono un essere umano, l’esemplare migliore
che riuscivano a trovare in una notte di caccia.
Avevano sette giorni di tempo per farlo.
E Santiago, che vagava in cerca del suo trofeo,
aveva trovato decisamente di meglio.
*
Cloe camminava veloce, con le mani sprofondate
nelle tasche del cappotto e l’udito all’erta. Sapeva di essere seguita, se
n’era accorta da un pezzo.
Purtroppo, però, non poteva fare altro che
cercare di arrivare il più in fretta possibile nel maniero di proprietà di Axel.
Aveva l’orrenda sensazione che il suo
inseguitore non fosse umano, il che la rendeva una facile preda per chiunque la
tenesse d’occhio nell’ombra. L’unico luogo che le
offriva protezione era il territorio degli Eraclea, il clan guidato da Axel.
Fai in
fretta,
si ripeteva, ma nonostante camminasse piuttosto
velocemente, le sembrava che ogni passo la allontanasse sempre di più dalla
meta.
Aveva paura, ma non voleva lasciarsi sommergere
da quell’emozione, né tanto meno darlo a vedere al
suo inseguitore.
Così, quando lo vide sbucare dalle ombre a una decina di metri da lei, cercò di apparire sicura. Non
abbassò lo sguardo, e mantenne la testa alta. Lo aveva già visto quella sera
stessa, assieme ad Axel.
Santiago, l’aveva chiamato lui.
Non rimase affatto impressionata dalla sua
avvenenza: era abituata al fascino soprannaturale di quelle creature, al punto
da non rimanerne più colpita così facilmente. Ciò che la mise a disagio,
invece, era lo sguardo impudente e sfrontato che gli leggeva negli occhi scuri.
A quello non era affatto preparata, e capì subito che
non lo sarebbe mai stata.
La guardava con insistenza, con un sorrisetto sottile e beffardo che la mise a disagio e la
fece innervosire. Stava tentando di sedurla, ma lei avrebbe
fatto di tutto per resistere e non cadere nella sua rete così
facilmente.
Continuò a camminare, sempre più vicina a lui,
quando all’improvviso se lo ritrovò accanto. Fu una frazione di secondo: quando
se ne accorse, lui l’aveva già afferrata per un
braccio e l’aveva fatta voltare. Era intrappolata contro il
suo petto, lo sentiva solido e freddo contro la sua schiena.
«Dove scappi…» le
mormorò all’orecchio, facendole battere il cuore furiosamente. Lo sentiva vicino,
terribilmente vicino. Il suo respiro gelido si infrangeva
contro la pelle morbida del collo di Cloe, facendola rabbrividire.
L’avrebbe potuta schiacciare con estrema
facilità. Gli sarebbe bastato così poco per ucciderla… Quel pensiero la
raggelò, ma non avrebbe mai, mai
permesso ad uno della sua razza –un sanguinario, per giunta- di
averla in pugno, spaventata e sottomessa.
«Ti consiglio di lasciarmi andare, vampiro…»
sibilò con quanta più autorità poteva racimolare nel brodo informe che era la
sua paura. Si dimenò, scalciò, lottò con tutte le sue forze, ma senza alcun
risultato. La presa di Santiago era salda, fin troppo per la sua misera forza.
Lo immaginò sogghignare alle sue spalle, e poi…
poi sentì il suo alito solleticarle l’orecchio. Le gambe le tremarono.
«Perché dovrei,
mannara?»
«PerchéAxel non sarà contento…»
A quelle parole Santiago la strinse ancora di
più a sé, allacciandole un braccio attorno alla vita. Il suo corpo era solido e
massiccio contro quello di Cloe, e le dava
l’opprimente sensazione di essere invischiata in una trappola dalla quale non
poteva scappare.
«Ma non ti farò alcun
male, ragazzina. Almeno non io…»
Chiuse gli occhi
imponendosi di rimanere lucida, di non perdere la calma. Aveva bisogno di
tutta la sua prontezza se voleva sperare di uscire da quella situazione.
Certo, la vicinanza con il suo corpo –il
corpo di un predatore- non facilitava le cose: era una macchina progettata per
uccidere, perfetta in ogni linea, realizzata apposta come specchietto per le
allodole. Una trappola che prometteva lussuria e perdizione, ma che donava
soltanto l’oblio eterno.
Le scostò i capelli dal collo: una carezza
leggera che le sfiorò la pelle, mandandola in fiamme. E
il tuffo al cuore che Cloe provò la sconvolse, letteralmente.
«Che buon odore hai…»
le mormorò all'orecchio. La sua voce, profonda e roca, era la cosa più sensuale
che Cloe avesse mai sentito.
Stava cadendo nella sua trappola, stava facendo esattamente ciò che lui desiderava: stava
abbassando le difese. Gli stava aprendo una breccia, ciò di cui lui aveva
bisogno per vincerla.
Provò odio per se stessa.
«Fottiti»
sibilò a denti stretti, e lo sentì prorompere in una risata roca.
«Non ti facevo così sboccata.»
«I vampiri come te mi ispirano,
che ci vuoi fare…» si rese conto solo l’istante successivo che non era nella
condizione di fare del sarcasmo.
Santiago la caricò in spalla, e nonostante lei
si dimenasse e cercasse in tutti i modi di guadagnare
la fuga, la presa del Sangre era terribilmente
forte. Mai come in quel momento capì quanto fosse nei guai.
«Lasciami andare!»
«Non lo darei per scontato, se fossi in te…»
«LASCIAMI ANDARE!» cominciò a gridare insulti, a
scalciare e a tempestargli la schiena di pugni. Era fuori di sé, la paura e la
rabbia le stavano facendo perdere il controllo.
Santiago sospirò, e quando la mise a terra le rivolse un sorrisetto
sottile, per nulla rassicurante.
«Ci tieni a camminare sulle tue gambe, o
preferisci che te le spezzi?»
Non gli rispose.
Si sarebbe aspettata una qualunque reazione
rabbiosa, non certo quella fredda ironia che rasentava l’indifferenza. In un
certo senso le fece ancor più paura.
«Brava, vedo che impari in fretta» sogghignò,
divertito dalla paura che le leggeva negli occhi. Poi la spinse avanti, rude e
sgarbato. «Ora cammina.»
«Non occorre che mi
spingi» sibilò Cloe, rabbiosa e incapace di trattenersi. La paura stava
cominciando a passare in secondo piano, in favore dell’irritazione che
l’atteggiamento del vampiro le provocava.
«Zitta e cammina.»
«Parlo quanto mi pare e
piace, ficcatelo in testa…» gli lanciò un’occhiataccia.
«Zitta. Sei cibo. Il cibo non parla, quindi comportati come tale.»
Lo guardò di sottecchi.
Avrebbe voluto rispondergli e metterlo a tacere, ma
non poteva ribellarsi a lui, non ora che le consentiva di camminare con le sue
gambe.
Poteva sperare in un suo
momento di distrazione, e tentare una fuga.
Si limitò a ribattere
con una risposta sottile ed ironica.
«Fidati…»
E forse avrei fatto meglio a rimanere in silenzio.
Lui l’afferrò
bruscamente per i capelli, e l’avvicinò a sé. La costrinse ad alzare il viso e
a guardarlo dritto negli occhi, quegli occhi
magnetici, profondi e penetranti che la guardavano come se fosse poco più che
un insetto.
Cloe non poteva muovermi, la sua presa era troppo forte. Le faceva
male.
Era totalmente in suo
potere.
«Vedo che con te bisogna
andare subito al nocciolo della questione… Bene, allora ti farò capire cosa
vuol dire essere cibo.»
*
La
spalla le faceva dannatamente male.
Pulsava,
e Cora aveva la spiacevole sensazione che il maglione fosse
zuppo di sangue. Lo sentiva appiccicarsi alla ferita ad ogni movimento e quando
la pelle tirava, l’irrefrenabile desiderio di levarsi subito ogni indumento di
dosso faceva capolino promettendo sollievo da quel supplizio.
Una
tentazione allettante a cui era difficile resistere.
«Ti
dovremmo far vedere da qualcuno…» Ice sembrava
preoccupato. Cora fece spallucce, fingendosi dura e baldanzosa nonostante i
canini di Santiago fosseropenetrati piuttosto in profondità.
«Figurati,
è un graffio!»
Un'espressione
irritata rabbuiò il volto di Ice.
«Non
abbiamo idea delle conseguenze che potrebbe avere quel graffio! Perché non puoi
essere un po’ più coscienziosa ogni tanto?» sbottò, lasciando Cora incredula: suo fratello non si arrabbiava mai, né le
riservava grandi dimostrazioni di affetto. Eppure, le
sue condizioni sembravano davvero turbarlo.
Stupefacente…
«Ragazzi,
io vi lascio» Amber indicò la strada che svoltava a
destra. Eravano arrivati all’incrocio e Cora non se
n’era neppure resa conto. Aveva davvero bisogno di
riposo…
«A
domani» Ice salutò Amber con
un buffetto scherzoso sulla guancia. Le fece l’occhiolino, una smorfia che
doveva renderlo affascinante secondo le sue aspettative
ma che a Cora faceva venire il voltastomaco.Vedereil proprio fratello in pieno flirt era uno spettacolo che le
faceva venire la pelle d'oca. Un po' come vedere i propri genitori farsi le
coccole e chiamarsi con vezzeggiativi affettuosi: erano pratiche sociali che
per D.N.A. creavano imbarazzo ai parenti più
prossimi, quali figli e fratelli. E Cora rientrava a
pieno titolo nella categoria.
«Cerca
di riposarti, mi raccomando» Amber le diede un bacio
e dopo un ultimo cenno di saluto si allontanò. Quando svoltò l’angolo, Cora scoccò
a Ice uno sguardo ammonitore.
«Potresti
per favore lasciar fuori dal tuo territorio di caccia
le ragazze che lavorano in squadra con te?»
«Non
le stavo facendo una proposta di matrimonio, infatti…» ridacchiò lui.
Cora
sospirò scocciata. Si aspettava una risposta del genere. Era decisamente
tipico di suo fratello glissare in questo modo quando l'argomento riguardava la
sua vita sentimentale.
Come
se per lui fosse tutto un gioco.
«Tanto
non sei il suo tipo…»
«Stai
dicendo che non sono abbastanza attraente per lei?!»
la guardò, dubbioso. Probabilmente si aspettava un sì come
risposta, almeno a giudicare dalla sua espressione. Sembrava che volesse
dire scegli bene le parole.
La
minaccia, in tutto ciò, era implicita e decisamente
ben visibile.
Cora
fece spallucce. Se ne pentì quando sentì il maglione
incollato alla ferita tirare la pelle.
«Se
ti metti d’impegno e fossi meno scimmia, magari…»
«Se
non fossi ferita ti prenderei a calci.»
Eccolo,
il suo fratellino colpito sull’orgoglio. Sghignazzò.
«Tanto
ti faresti male solamente tu.»
Era
da un po’ che stavano camminando, ormai non erano molto lontani da casa. E –la cosa la rendeva inquieta- aveva notato che più si
avvicinavano, più la strada era affollata di persone in pigiama, vestaglia e
cappotto.
I
loro sguardi sembravano stupiti, preoccupati, allarmati.
Borbottavano
frasi sommesse, parlottavano tra di loro quando
vedevano passare i due fratelli. Un atteggiamento che Cora
non comprendeva, sicuramente bizzarro. Perché
queste persone non erano dentro le loro case, al sicuro nel confortevole tepore
dei loro letti?
Cora
lo capì con orrore subito, non appena svoltarono l’angolo.
Una
folla di curiosi era riunita davanti la loro casa o, almeno, davanti a ciò che ne era rimasto: la graziosa villetta di periferia, una casa
a due piani in cui Cora ed Ice avevano passato la loro infanzia, era avvolta
dalle fiamme.
Le
lingue di fuoco erano ovunque: guizzavano dalle finestre, corrodevano i muri, e
una densa cortina di fumo nero usciva da ogni spiraglio.
Era
un ammasso di legno, fiamme e mattoni.
«…
Mio dio…»
Cora
era impietrita. Svuotata, letteralmente.
Non
riusciva a pensare a nulla, completamente risucchiata dalla catastrofe che si
stava consumando davanti ai suoi occhi. Ice, ancora al
suo fianco, schizzò letteralmente attraverso la folla.
Gridava, gridava come un matto. Cora non si rese conto
immediatamente del perché, ma quando vide ciò che aveva attirato la sua
attenzione sentì tutto il suo mondo cadere a pezzi:
tre uomini in divisa stavano uscendo dalla casa in fiamme, e reggevano un corpo
ricoperto di fuliggine.
Erano
vigili del fuoco e quel corpo esanime abbandonato tra le loro braccia lo avrebbe riconosciuto ovunque.
Era
sua madre.
_______________________________
Eccoci qui con il secondo
capitolo.Un po’ cruciale a dire il
vero, perché darà inizio ad una serie di eventi che…
beh, direi che non è il caso di raccontarvi di più, sennò che gusto c’è a
leggere la storia? :P
Spero di riuscire ad aggiornare entro sabato: sono in vacanza, e tra un
bagnetto al mare e l’altro c’è la possibilità che non riesca a tuffarmi anche
nella scrittura u.ù
A parte questo, mi sento in dovere di ringraziare _Mew_ che ha
messo Slayer’s tra le storie seguite *__* Il che mi
ha resa ESTREMAMENTE felice *O*
Ho poi un annuncio da fare: se andate sul forum di EFP,
nella sezione fan art -> originali troverete una cartella aperta da me, in
cui ho già inserito un paio di disegni che feci qualche anno fa riguardanti Slayer’s. Ne aggiungerò man mano altri. Mi raccomando, ditemi che ne pensate ^__*
E ovviamente, vabbè… inutile dire che se volete lasciare qualche commento farete la
felicità di questa povera autrice XD
A presto, sempre su questi schermi
«Mamma!» gridò Cora nel panico. Corse
verso i soccorritori e fu subito accanto al corpo esanime della madre non
appena lo deposero per terra.
Improvvisamente non c’era più nulla: il
dolore alla spalla era sparito, e lo stesso orrore che aveva provato vedendo la
sua casa andare a fuoco era diventato improvvisamente una sciocchezza.
Tutto quello che importava in quel
momento era che sua madre aprisse gli occhi e le sorridesse. Non desiderava
nient’altro.
«Vi prego, vi prego!» era fuori di sé
dall’ansia, piangeva mentre cercava di capire se sua madre fosse ancora viva.
La sirena dell’ambulanza diventava sempre più vicina, ma il cuore di Cora era
pesante. Un macigno.
Si sentì soffocare.
Due mani la sollevarono da terra mentre
i vigili del fuoco prestarono i primi soccorsi a sua madre, ancora priva di
sensi. Erano due mani grandi, calde e che promettevano un rifugio sicuro da
qualunque male ci fosse al mondo, una promessa a cui Cora voleva disperatamente
credere. Era Ice ad offrirgliela, e lei si rifugiò tra le sue braccia come una
bambina indifesa.
Aveva bisogno che qualcuno le dicesse
che sarebbe andato tutto bene, che lei non poteva morire. Anche se fosse stata
una bugia, aveva bisogno di sentirlo.
Poi, finalmente, l’ambulanza.
Rimase tra le braccia di suo fratello a
guardare i soccorsi affannarsi per far riprendere i sensi a sua madre. Minuti
interminabili, lunghissimi, pieni di agonia.
Non avrebbe mai potuto dimenticare il
viso dell’uomo che le diede quella notizia: aveva un volto anonimo, piuttosto
comune, ma le sue parole segnarono per sempre la vita di Cora.
«Mi dispiace.»
Lei lo guardò frastornata. Il significato
di quelle due semplici parole era inequivocabile, ma suonava vuoto e lontano. Solo
fino a pochi minuti prima, la viva presenza di sua madre era stata una cosa
scontata nella sua vita. Non era possibile cancellarla in un istante con due
semplici parole. Non lo avrebbe potuto accettare.
«Non ci credo…» mormorò senza lasciare
il caldo abbraccio di Ice, l’unica sicurezza che riusciva a scaldarle il cuore.
Lui le accarezzò i capelli, e quando Cora lo sentì sussultare e stringerla a
sé, capì che suo fratello stava piangendo.
Soltanto allora si rese conto di quanto
era accaduto e non poté più ignorare la portata sconvolgente che questo
significava.
Soltanto allora si lasciò andare alla
disperazione e pianse.
*
Cora era seduta sul lettino
dell’ambulatorio, in una anonima stanza d’ospedale. Ice non l’aveva lasciata
neppure per un istante da quando i soccorsi l’avevano fatta salire nell’ambulanza:
anche in quel momento era accanto a lei, e le accarezzava distrattamente i
capelli.
Nessuno dei due aveva più aperto bocca
da quando erano stati lasciati da soli. Non avevano ancora parlato della loro
perdita, né di come fosse potuto scoppiare l’incendio. La morte inaspettata
della loro madre li aveva colti impreparati, li aveva lasciati storditi e aveva
tolto loro la voglia di parlare.
Così se ne stavano in silenzio, ciascuno
intento a elaborare il lutto e a fare i conti con la realtà di quanto era
accaduto, mentre aspettavano che Cora venisse visitata e medicata.
«Buongiorno» la porta si aprì e un
medico dall’aspetto maturo –probabilmente sui cinquant’anni- entrò
nell’ambulatorio reggendo sotto braccio una cartella clinica. La appoggiò sul
tavolo, e senza degnare Cora di uno sguardo avviò le pratiche burocratiche
necessarie.
Le domandò nome, cognome, età, allergie,
e molte altre cose. Cora avrebbe voluto dirgli che aveva bisogno di un paio di
punti e nient’altro, che voleva andare a casa al più presto. Poi, però, si
ricordò che non aveva più né una casa né una madre, e il nodo che le chiudeva
la gola da quando si era lasciata andare alla disperazione tornò a farsi
pesante. Le ci volle uno sforzo non indifferente per evitare di farsi prendere
di nuovo dalla tristezza.
«Vediamo un po’… che ti è successo?» le
domandò il medico.
«Sono stata morsa da un vampiro» rispose
Cora, la voce ridotta a un rantolo. Si schiarì la gola per sciogliere la
tensione che le impastava le corde vocali. «Alla spalla.»
«Bene. Vuoi che lui resti mentre ti
visito?» domandò indicando Ice, che era sempre accanto alla sorella come un
cane da guardia.
«Sì, lui può restare» annuì Cora. L’idea
di spogliarsi davanti a suo fratello era quanto meno bizzarra e in altre
circostanze le avrebbe potuto creare imbarazzo, ma non certo in quel frangente.
La sua presenza la rassicurava, la rendeva più tranquilla. Aveva bisogno di
averlo accanto.
«Togliti il maglione.»
Cora fece come richiesto, anche se
l’operazione le creava qualche difficoltà. Il dolore alla spalla si faceva
sentire al più piccolo movimento, e se riuscì a sfilarselo fu solo grazie
all’aiuto di Ice.
Il dottore cominciò ad esaminare la
ferita. La strizzò, la allargò, la studiò come se cercasse qualcosa.
«È profonda, ma mi sembra pulita. Per
sicurezza però la disinfettiamo e ci mettiamo un paio di punti, dopo di che
dovrai stare a riposo e non sforzare la spalla.»
Le operazioni di sutura furono
fastidiose, ma nel complesso sopportabili. Il dottore le applicò una garza
sterile sulla ferita ricucita, e la assicurò con del cerotto in rotolo.
Si raccomandò di cambiare la medicazione
ogni giorno e alla fine Cora fu lasciata libera di lasciare l’ospedale.
«Che facciamo? Chiediamo ad Amber se ci
può ospitare?» Ice domandò mentre si dirigevano verso le porte di uscita.
Fuori era ancora buio. Probabilmente
mancavano un paio d’ore all’alba.
Cora annuì.
«Domani tornerò a casa.»
«A casa?» Ice la guardò frastornato.
Stavano scendendo un lungo viale che portava alla fermata dei taxi. L’aria era
fredda, frizzante, e condensava all’istante ogni respiro. «Perché vuoi andare
lì?»
«Devo controllare una cosa.»
«Che cosa devi controllare in una casa
bruciata dalle fiamme?» Ice diventava sempre più sospettoso. Cora raggiunse il
taxi più vicino, scivolò sul sedile posteriore e non appena Ice prese posto
accanto alla sorella, la vettura partì verso la destinazione indicata.
«Allora? Mi dici cosa stai pensando di
fare?»
«Non credo che l’incendio fosse casuale»
gli rispose a bruciapelo, lo sguardo basso e la voce ridotta ad un flebile
mormorio.
«Come… Che cosa?!»
«Non credo che l’incendio fosse casuale»
ripeté di nuovo Cora guardando suo fratello negli occhi. «Non può essere stata
una fuga di gas. Sai bene che la mamma lo chiudeva sempre prima di andare a
dormire.»
«Stai cercando di dire che qualcuno può
aver incendiato la casa?!»
«È quello che intendo scoprire.»
*
Santiago godeva di una certa fama tra i
vampiri, e se era conosciuto non era certo per la sua precaria pazienza.
L’irascibilità era sempre stata una parte fondamentale del suo carattere
aggressivo e attaccabrighe, e l’essere diventato un vampiro –un Sangre, soprattutto- aveva acuito il
lato più oscuro della sua anima.
Ma quella ragazza, Cloe, sembrava
ignorare tutto questo.
L’arroganza che ostentava ogni volta che
tentava di dibattersi nonostante fosse la preda della situazione non aiutava
certo Santiago, che stava cercando di trattenersi perché la situazione non gli
sfuggisse di mano.
Era un problema che non andava
sottovalutato: doveva cercare di contenersi, o la mannara non sarebbe arrivata
viva alla notte del Sabbath. Ne sarebbero seguite complicazioni spiacevoli:
avrebbe dovuto spiegare a Lakeisha perché
non le aveva portato il suo dono, tanto per fare un esempio.
Avrebbe dovuto pensare a qualche scusa,
o ad una spiegazione convincente che non mettesse troppo in luce la sua piena
responsabilità nell’incidente che aveva visto la poverina finire dissanguata.
Inutile dire che non ne aveva la minima
voglia.
E, tra le altre cose, era certo che la Domina –il titolo che spettava di
diritto a Lakeisha in virtù della posizione che occupava all’interno del clan-
avrebbe preferito avere tra le mani il ghoul di Axel, invece che un semplice e
comune cadavere.
Insomma, doveva cercare di fare la cosa
che più di ogni altra gli creava non poche difficoltà: trattenersi. Per sua
natura possedeva istinti violenti, di qualunque natura, che chiedevano di
essere soddisfatti e che non erano mai stati soffocati.
Mai. Non in quelle
condizioni, almeno.
Invece ora si trovava costretto a
reprimerli, e la cosa si prospettava difficile perché si era ritrovato per le
mani un trofeo succulento ma allo stesso tempo disgraziatamente irritante.
Anche in quel momento, mentre la
scortava con tutta la dolcezza di cui era capace lungo il corridoio che portava
all’attico in cui viveva, lei insisteva con quell’atteggiamento indisponente.
Era come un cane al guinzaglio che cercava la libertà, peccato che il
guinzaglio che Santiago teneva in pugno fossero i capelli di Cloe…
Il punto era che aveva raggiunto il
limite. Era stanco, davvero molto
stanco di sentirla gridare in continuazione, di dover lottare contro di lei e
di impedirle di lasciargli graffi sul braccio per costringerlo a mollare la
presa.
Era un supplizio a cui avrebbe
volentieri messo fine, se solo avesse potuto farlo.
«Non
ti sei ancora stancata di gridare?»
«Vaffanculo…»
fu un sibilo questa volta, ma lo sentì più che bene. Sogghignò. Doveva
insegnarle una lezione che per lei non sarebbe stata affatto piacevole. Doveva
educarla, costringerla al silenzio, toglierle ogni desiderio di resistenza,
annichilirla totalmente fino ad arrivare alla notte del Sabbath.
Oh,
l’avrebbe fatto eccome. L’avrebbe piegata. Spezzata.
Entrarono
nell’attico, un ambiente arredato all’insegna del lusso più sfrenato e delle
atmosfere soffuse: fu in quel momento che la resistenza di Cloe si fece più
serrata. Puntò i piedi, cercando di impedire al vampiro di trascinarla ovunque
fosse sua intenzione condurla, e Santiago perse quel labile controllo di cui
disponeva.
La
sbatté contro il muro, imprecando, e lei si lasciò sfuggire un gemito di dolore
che diede una soddisfazione perversa al vampiro.
Finalmente stai
zitta.
«Ti
piace il dolore, vero?»
Lei
lo guardò con odio attraverso il dolore che le velava lo sguardo e le mozzava
il fiato.
«Secondo
te?»
«Fai
di tutto per provocarmi… Io direi che ti piace eccome» mormorò sogghignando. La
guardò negli occhi cercando di saggiare quale sarebbe stata la sua reazione.
Eppure, contro ogni aspettativa di Santiago, lei abbassò lo sguardo. Sembrava imbarazzata.
Il
sorrisetto sghembo di Santiago divenne un ghigno malevolo e malizioso. Forse
aveva appena trovato il modo di controllare quella ragazza chiassosa e di
evitare scocciature.
«Sai…»
le mormorò all’orecchio con fare sensuale, appoggiando lentamente gli
avambracci al muro. Quando lei si accorse che Santiago si stava facendo
pericolosamente vicino, alzò gli occhi allarmata.
«…
potrei anche trattarti bene, con dolcezza…» il senso nascosto in quella frase
era evidente. Tuttavia non la sfiorò mai, neppure per un istante. Rimase vicino
a lei, vicinissimo, ma non la toccò.
Santiago
poteva però sentire il suo respiro, poteva vedere come le sue guance si
imporporavano nell’imbarazzo, e il suo odore… Dio, se non fosse stata destinata
a Lakeisha…
Si
leccò le labbra, desideroso di lei, del suo sangue.
Chiuse
gli occhi, accostò il volto al suo, e aspirò. C’era di tutto nell’aria: profumo
di shampoo alla vaniglia, sangue, e l’odore della sua pelle che si confondeva con
un’altra fragranza che lo fece fremere.
Era
l’odore della sua eccitazione.
Il
respiro del vampiro divenne affannoso, e il desiderio di avventarsi su di lei
divenne insostenibile. Con un ringhio si allontanò, la afferrò per un polso e
la trascinò verso le scale che portavano alle camere.
«Che
stai facendo?!» la sentì gridare sempre più allarmata, e dentro di sé esultò.
Faceva bene ad aver paura. Doveva provare quell’emozione, sempre,
costantemente.
«Lasciami!»
Cloe tentò di evadere dalla presa di Santiago quando raggiunsero la camera da
letto. Sembrava sempre più spaventata.
Santiago
trascinò la ragazza nel bagno comunicante, una piccola stanza piastrellata di
bianco senza finestre. Fece scattare la serratura, e dopo aver riposto la
chiave al sicuro nella tasca dei pantaloni lasciò libera Cloe.
La
guardò con sufficienza, un sorrisetto divertito di fronte allo sguardo
stravolto della mannara, che si teneva a debita distanza dal suo rapitore.
«Potresti avere la mia eterna
riconoscenza, se la smettessi di fissarmi. Eterna, chiaramente, perché potrei
vivere in eterno. Sennò avrei detto “la mia riconoscenza” senza aggiungere
altro, ovvio, no? » gesticolò, in mano il tubo flessibile della doccia.
«Che stai blaterando?» Cloe, davanti a
lui, era la viva rappresentazione della confusione. Si allontanò da Santiago
dando le spalle al muro, ma l’istante successivo il vampiro girò la manopola
dell’acqua fredda e la mannara si ritrovò nell’esatta traiettoria del getto
d’acqua. Un getto d’acqua potente.
E gelido.
«ODDIO!»
Non c’era dove scappare, non c’era dove
potersi riparare, eppure lei non stava ferma neppure un secondo. Correva in
tondo, ma inevitabilmente l’acqua la seguiva, inzuppando ogni centimetro di
tessuto che aveva addosso. Stava strillando senza ritegno, come una donnetta in
preda ad una crisi isterica. Era rumorosa e fastidiosa.
«SEI UN CRETINO, È GELATA!»
«L’idea era quella, infatti…» sogghignò,
e l’occhiata di puro odio che ricevette lo divertì immensamente. Quando
richiuse l’acqua, nell’aria c’era uno strano odore, decisamente simile a quello
che aveva sentito poco prima sulle scale.
Vaniglia, l’odore della sua pelle,
quello del sangue che la faceva profumare e la rendeva appetibile come una
caramella… Era un mix ancora troppo pericoloso, che solleticava la sua bramosia
nonostante non fosse più condito dal profumo della sua eccitazione.
Doveva trovare uno stratagemma per
cancellare quel profumo da lei, o probabilmente non sarebbe resistito a lungo
senza sbranarla. Frugò all’interno di un mobiletto sotto al lavandino. C’era
acqua da tutte le parti: sul pavimento, sulle ante, persino qualche goccia sui
ripiani. Aveva allagato il bagno senza risultati, ma per lo meno era stato un
modo divertente per ingannare il tempo.
«Proviamo con questo» decretò rinvenendo
un vecchio flacone di profumo da uomo, una bottiglia di vetro quasi piena.
Cloe, impegnata a strizzare il maglione incollato al corpo, si rese conto di
ciò che il vampiro intendeva fare solo quando si ritrovò una spruzzata di
profumo sugli occhi, e l’odore pungente la fece tossire ripetutamente.
Fu una tragedia.
In pochi secondi metà bottiglia era
riversa sul corpo di Cloe, che aveva le lacrime agli occhi e faceva fatica a
respirare.
«Tu sei uno psicopatico…» sibilò tra un
colpo di tosse e l’altro. Santiago aveva visto raramente un odio così feroce
negli occhi di una persona, e per un attimo intravide in lei la stessa morbosa
forza che era certo di possedere.
La faccenda poteva essere più
interessante del previsto.
«Ti assicuro che dietro a tutto questo
c’è una logica, se ti può aiutare a trattenere le lacrime» la canzonò, e un
guizzo illuminò gli occhi di Cloe.
La mannara gli rubò di mano la
bottiglietta di profumo e la scaraventò a terra, dove si infranse in mille
pezzi. Il suo contenuto si mischiò alle pozzanghere d’acqua, e l’odore
dell’alcool in quel piccolo bagno senza finestre divenne in poco tempo fastidioso.
Il sorrisetto sottile e canzonatorio di
Santiago si spense all’istante: l’espressione di sfida che le leggeva negli
occhi gli stava facendo perdere la propria baldanza, così come il controllo.
Era come se gli stesse dicendo “e adesso vediamo che farai”.
Le si avvicinò lentamente senza smettere
di guardarla negli occhi, con il magnetismo di un felino pronto a balzare
addosso alla sua preda.
Era serio, maledettamente serio, e le
avrebbe cancellato quello sguardo indisponente dalla faccia con ogni mezzo a
cui poteva ricorrere, che fosse piacevole oppure sgradevole non aveva
importanza.
Cloe si gettò di lato nel tentativo di
allontanarsi da lui, ma Santiago la afferrò per un braccio. Non le lasciò
scampo.
«Non così in fretta…» mormorò senza
alcuna traccia di scherno nella voce. Il tono con cui aveva appena parlato non
era divertito. Aveva il suono freddo e pericoloso di una minaccia velata.
«Altrimenti? Mi uccidi?»
Lo stava sfidando, di nuovo.
Lo guardava con quegli occhi grandi,
verdi e impudenti, e se solo avesse potuto glieli avrebbe strappati e l’avrebbe
costretta a descrivere in ogni più piccola sfumatura com’era il dolore che
provava mentre le portava via una parte di se stessa per sempre.
Ma non poteva, perché semplicemente Cloe
non gli apparteneva. Non era sua.
Non poteva soddisfare le sue voglie, non
con lei. Doveva resistere. Il problema, però, era che non era affatto sicuro di
esserne in grado.
In fin dei conti era pur sempre un Sangre…
L’angolo dell’autrice
Uah,
quanto amo sto font! (ok, sto divagando e a voi non penso importi poi molto
delle mie preferenze in fatto di font di word ò.ò)
Innanzi
tutto… PERDONATEMIH!! Sono in immenso ritardo con l’aggiornamento, lo so, ma ho
passato Agosto a casa del mio ragazzo (mare mare mare °ç°) e fino a ieri ho
avuto lui qui. Non per rendervi partecipi dei miei fatti personali che non sono
neppure un filo emozionanti, quanto per mettere in piedi una qualche
giustificazione del perché non ho aggiornato prima.
Troppe
distrazioni, ecco! u.ù
L’importante,
comunque, è che ho aggiornato.
Nuovo
capitolo con una parte vista dal punto di vista (ah ah!) di Santy. Inutile dire
che mi sono divertita particolarmente a scriverla… XD Dal prossimo capitolo
però ritorna Axel! E aspettatevi scintille, anche perchéééé… non dico niente!
ù__ù
Ma
veniamo a noi, miei tesori: devo dire che sono rimasta piacevolmente sorpresa,
e per questo devo ringraziare hinata_in_love
e _Vampire girl_ che hanno
messo Slayer’s tra i preferiti, e Jennifer90
che invece l’ha messa tra le storie seguite. Graziegraziegrazie! *___**si inchina*
E
poi… poi… LE RECENSIONIIII *ç*
Jennifer90: non hai idea di quanto sia contenta
di ritrovare un vecchio lettore affezionato che non ha dimenticato la mia
creatura! Per premiarti ti do un anticipo sulla storia, un’indiscrezione,
chiamiamola così: questa versione sarà molto incentrata sul sangue e sui legami
che si basano sul sangue u__ù Sarà sanguinosa, ecco ò.ò Spero che continuerai a
leggere, aspetto altri tuoi pareri eh *__*
Asha: INFAME! °O° (me l’hai chiesto
tu eh, io ti accontento ò.ò) Santy è sempre Santy anche in questo capitolo?
Dimmi un po’… Anche se senza Ice vicino non gli vengono le battutacce, povero!
ç__ç Gli manca la sua ADORATA spalla ç__ç
Come
ultima cosa, vi ricordo di controllare nella sezione Gallery del forum di EFP,
sezione originali: trovate la mia pagina con i disegni di Axel&Co. (che poi
è praticamente Santy&Co, ma son dettagli XD). Così, se volete passare a
sfogliarli… Io ne aggiungo di nuovi! ù.ù
Alla
settimana prossima con il nuovo capitolo, sempre su questi schermi.
Il
giorno dopo dovrebbe essere il tempo delle riflessioni.
Si tirano le somme, si analizza ciò che è accaduto il giorno prima.
Non
c’è spazio per lasciarsi andare alle emozioni, si deve andare avanti.
Specialmente se è un cacciatore a dover elaborare il proprio dolore.
Ventiquattr’ore
sono tutto ciò che viene concesso, il tempo utile per annegare nella
disperazione, per farsi sommergere dallo sconforto, per sentirsi disorientati.
Confusi.
Perduti.
Dopo
di che si devono lasciare le debolezze alle spalle, nessuna ferita che possa
offrire al nemico un’arma da usare a suo vantaggio.
Non
c’è spazio per il dolore.
4.
Le cose cambiano
Non c’è spazio per il dolore.
Era un precetto
ridondante nella formazione dei cacciatori e nonostante il rigore con cui
veniva impartito, Cora era sempre stata certa di una
cosa: la teoria era facile da imparare, ma la pratica era tutt’altra cosa. L’aveva
sempre sospettato, e solo con la tragica morte di sua madre aveva capito quando
i suoi sospetti fossero fondati.
Non c’è spazio per il dolore. Ventiquattr’ore
sono tutto quello che avete, ripetevano sempre i suoi istruttori, ma non le
avevano mai spiegato come poter elaborare un lutto in così poco tempo. In fin
dei conti non era così sorprendente se in quel momento si trovava per strada,
fuori di sé dalla rabbia, con il cuore che stava per scoppiarle nel petto e Ice che la rincorreva con preoccupazione.
«Cora, per favore…»
«Venite fuori…VENITE FUORI!»
Aveva la mente
ottenebrata dal dolore sordo per quello che era successo a sua madre, un dolore
che avrebbe dovuto gestire in qualche modo, un modo che però non conosceva. Un
dolore alimentato dalla rabbia suscitata da ciò che aveva rinvenuto durante le
sue ricerche, dopo un’intera giornata trascorsa ad affannarsi attorno ai resti
bruciati di quella che una volta era casa sua.
Era notte, la
prima trascorsa senza la presenza di sua madre, senza la familiare sensazione
di protezione che solo il suo letto sapeva darle. Sarebbe potuta ritornare a
casa di Amber, di nuovo, come la notte precedente, ma non ne aveva nessuna
voglia.
Così aveva corso
lungo la strada, diretta verso il luogo dove aveva incontrato quei vampiri
soltanto ventiquattr’ore prima, quando sua madre era –probabilmente- ancora viva.
«Cora, davvero, non è una buona idea…»
«Non è stata una
buona idea quello che hanno fatto a nostra madre, Ice!»
tremò per la rabbia, il freddo e la stanchezza che le stava consumando il
cuore. La sua voce era incrinata dal pianto che tentava di trattenere per
orgoglio e in quel momento, mentre tentava di non soccombere alla disperazione,
si sentì immensamente fragile.
«Stai facendo
una cosa molto stupida.»
Fu come ricevere
una doccia gelata. Guardò suo fratello sconvolta, come se l’avesse appena
tradita.
«Io sto cercando
giustizia!» gridò con nuovo vigore,
cercando di difendere la propria causa come se ne andasse della propria vita.
Ice si lasciò
sfuggire un sospiro. Abbracciò la sorella, e tra quelle braccia Cora rimase rigida, come se fosse fatta di pietra.
«Non è questo il
modo per farci giustizia. Non ne guadagneremmo niente di buono, fidati di me»
mormorò contro i capelli di lei. «È pericoloso stare qui. Andiamo.»
La sospinse con
delicatezza, un invito non troppo insistente, rispettoso e premuroso, ma Cora non ne volle sapere di fare la propria parte. Si
allontanò bruscamente da Ice, come se la sua sola
vicinanza la potesse scottare.
«Andare dove esattamente? Non abbiamo più nulla,
lo sai bene» sibilò ogni parola con rabbia verso il mondo e odio verso i
responsabili della tragedia che aveva sconvolto l’ordine precostituito della
sua vita.
Ice sospirò
accarezzandosi la base del collo, sconfitto. «Cora…»
«No Ice! Non. Dirmi. Cora. Sei libero di tornare a casa di Amber, se è questo che
vuoi. Io starò qui finché qualche vampiro non mi avrà dato le risposte che
cerco.» Era il ritratto dell’ira mentre sibilava ogni parola come se brandisse
con gusto un pugnale affilato. «AVETE CAPITO? NON ME NE ANDRÒ!»
«È difficile non
capire il concetto, visto che stai urlando da circa un quarto d’ora. E, tra le
altre cose, il tuo amico ha ragione a dire che non è una bella idea.»
Cora sussultò.
L’aveva colta di
sorpresa. Non l’aveva sentito avvicinarsi, e lui era riuscito ad arrivarle alle
spalle senza darle alcun sospetto. Quando si voltò, si ritrovò a guardare il
volto perfetto di Axel, che la guardava con
curiosità.
«Voi siete quelli
di ieri sera, vero?»
Ice si frappose
subito tra il vampiro e Cora, come un cane da guardia
che accorre a proteggere il padrone.«Io e mia sorella ce ne stavamo andando
proprio in questo momento. Se vuoi scusarci…» fece
per prendere il braccio di Cora, ma la ragazza si
scostò. Rivolse ad Axel un’occhiata accusatoria e
ostile.
«La notte scorsa
è stata incendiata una casa. Qualcuno ha visto delle persone aggirarsi lì
attorno quando è stato appiccato il fuoco, qualcuno con una carnagione molto
pallida.»
Ciò che voleva
insinuare con quelle parole era fin troppo facile da intuire. Vampiri. Creature
come quella che si trovava davanti a lei, tutte uguali ai suoi occhi di
cacciatrice. Stava accusando Axel, come stava
accusando tutti i vampiri sparsi nel mondo, ma per lui non sembrò rappresentare
un problema.
Si limitò ad
ascoltarla a braccia conserte.
«E quindi? Io
che posso farci?»
«Tu non ne sai
niente? Sei dell’ambiente, no?»
«Mi stai
accusando?» il tono di Axel divenne improvvisamente
serio, ed Ice si intromise nella conversazione con
baldanza, sul viso un sorriso largo e gioviale.
«E i tuoi amici?
I due che erano con te ieri non ci sono?»
«Ice…» Cora gli scoccò un’occhiata
raggelante che esprimeva un imperativo inequivocabile: stanne fuori. A volte sapeva essere molto convincente.
«Non sono stato
io. Nessuno dei vampiri che condividono la mia ideologia è responsabile per ciò
che è successo in quella casa. Se voi cacciatori cercaste di conoscere il nemico
che cacciate, lo sapreste» Axel ne approfittò per
riprendere la parola. Il suo atteggiamento era composto mentre si difendeva
dalle accuse che gli venivano mosse, e la calma con cui le demoliva irritava Cora.
Era lei a
insinuare la colpevolezza di quel vampiro, eppure Axel
la faceva sentire come se la colpa per tutto quello che era accaduto fosse da
imputare a lei.
Cercò di
controllare il disagio che provava, per non dargli ulteriori vantaggi su cui
fare leva per fronteggiarla.
«L’unica cosa
che so è che i vampiri non si sono mai avvicinati alle case degli umani.»
«Le cose cambiano…» le rispose con un sorriso enigmatico.
Non era affatto
giusto. Quel sorriso la stordiva e per un istante le faceva dimenticare ogni
cosa: il perché si trovasse lì, l’oggetto della conversazione, perfino la
presenza di suo fratello accanto a lei. L’unica cosa di cui era consapevole era
lui.
Ammaliante.
Seducente.
Se in quel
momento le avesse sfiorato la pelle della mano e le avesse sussurrato
all’orecchio di venire via con lui, probabilmente lei lo avrebbe seguito
ovunque, febbricitante.
Era una
seduzione così sconvolgente e totale che quando Ice
le assestò una gomitata tra le costole, Cora sussultò
spaesata.
«Lo stavi
fissando a bocca aperta… Dovresti vergognarti, sei imbarazzante…»
Non ebbe il
coraggio di replicare, semplicemente perché era consapevole che quanto suo
fratello aveva detto corrispondeva alla verità. Lo aveva guardato. Lo aveva fissato.
Lo aveva spogliato con la mente, e non era stata capace di distogliere lo
sguardo dai suoi occhi viola.
Lui non
gliel’aveva concesso. L’aveva rapita, l’aveva soggiogata.
Si sentì ancora
più arrabbiata: con lui per averla fatta cedere, e con sé stessa per avergli
concesso così tanto.
Ma, dovette
riconoscere con sdegno, lui era l’unico che poteva darle le risposte che
cercava. Le costò uno sforzo molto grande, ma non riuscì a trovare altre
soluzioni. Doveva scendere ad un compromesso.
«Che cosa sai?»
Axel si guardò
attorno. Fiutò l’aria, e la sua espressione si rabbuiò all’istante.
«Seguitemi.
Credetemi, è meglio se parliamo in un posto più sicuro.»
*
Il posto sicuro,
così com’era inteso da Axel, si rivelò essere una
grande villa in stile vittoriano, dall’aspetto cupo ma allo stesso tempo
affascinante. Prometteva avventure al di fuori del tempo, dove anche la persona
più annoiata si sarebbe potuta sentire così viva da avere i brividi.
La casa si
trovava in cima ad una piccola collina, in una posizione privilegiata: da lì si
poteva scorgere quasi tutta la città, e risultava anche un posto strategico per
il controllo della zona, essendo al centro del territorio dominato da Axel.
Non c’era da
stupirsi che fosse una delle case di proprietà degli Eraclea, e più si avvicinavano
alla villa imponente, più i dubbi assalivano Cora.
Non era affatto
sicura che quella fosse la cosa giusta da fare: seguire un vampiro fin dentro
casa era inequivocabilmente stupido. Dal tronde, Axel non aveva ancora dimostrato cattive intenzioni: era
sempre stato disponibile, composto, forse un po’ freddo, ma sicuramente mai
aggressivo.
Però era un
vampiro.
Che cosa lo
rendeva diverso dalle altre creature della sua razza? Poteva essere sicura che
non avrebbe fatto loro del male, una volta entrati dentro quella villa?
Guardò suo
fratello che, seduto accanto a lei sul sedile posteriore dell’auto, guardava
fuori dal finestrino con ostinata attenzione. Il suo silenzio prolungato era
abbastanza per capire che Ice non vedeva di buon
occhio quello che stavano facendo.
Non poteva
biasimarlo.
«Siamo quasi
arrivati» Axel guardò nello specchietto retrovisore,
e quando Cora incrociò il suo sguardo avvertì di
nuovo quella strana sensazione, quell’elettricità che le infiammava il sangue.
Distolse lo sguardo, sforzandosi di trovare interessante il paesaggio collinoso
oltre il finestrino. Era meglio ignorare quelle strane sensazioni, negarle, per
impedire loro di esistere. Era l’unico modo che conosceva per difendersi.
Quando entrarono
in casa, però, Cora dimenticò per un istante le sue
preoccupazioni: ciò che aveva davanti agli occhi era semplicemente magnifico.
Mobili in
mogano, tendaggi pregiati, tappeti persiani, vetrate immense e piene di luce.
In quella casa si respiravano millenni di storia.
Axel si levò il
cappotto e lo appoggiò sulla spalla del divano.
«Nonostante
quello che possono dire i Sangre, anche noi siamo piuttosto legati al passato» indicò
le poltrone, come un perfetto padrone di casa. «Accomodatevi.»
«Oh, sì. Grazie»
balbettò Cora. Si sentiva fuori posto e in imbarazzo
di fronte a quella cortesia inaspettata.
«Chi sono i Sangre?» Ice, comodamente seduto come se si trovasse a casa sua,
guardò Axel con curiosità. Aveva improvvisamente
cancellato tutta la propria diffidenza con una semplice domanda.
«Vampiri come
noi, eppure profondamente diversi. Noi Eraclea siamo dei filantropi. Il mondo, gli esseri umani… tutto per noi è fonte di curiosità, è scoperta, è
una fonte inesauribile di vita e di conoscenza. La vostra cultura ci affascina.
Mi affascina» il suo sguardo profondo
cadde su Cora, che lo ascoltava con meraviglia.
Non aveva mai
sospettato che ci fossero vampiri che guardassero gli uomini con occhi diversi
da quelli di un predatore. Era come scoprire un mondo inesplorato.
«Rispettiamo
profondamente la vostra vita. Non vi cacciamo.»
«E per mangiare?
Come fate? Ero sicuro che i vampiri cacciassero…» Ice, stupito quanto Cora,
sembrava quanto meno aver conservato l’uso della parola, e ne riusciva a fare
un pieno utilizzo.
Axel sorrise. Si
sedette sul divano, appoggiando compostamente un braccio sullo schienale. Aveva
movenze signorili, feline, eleganti. Sembrava che ogni suo gesto chiamasse Cora, e la costringesse a dare a quel vampiro assoluta
attenzione.
«Non uccidiamo
gli esseri umani, né li trattiamo come se fossero solamente cibo» continuò Axel. «Non siamo legati all’ebbrezza che ci da la caccia e
anzi, cacciare non ci entusiasma particolarmente. Preferiamo utilizzare i Ghoul per sfamarci.»
Ghoul. Cora aveva già sentito quella parola in precedenza.
Le tornò in
mente una ragazza dagli occhi verdi e i capelli arruffati. Una ragazza umana.
«Lei è un Ghoul?» domandò riscuotendosi dal torpore che le movenze
seducenti di Axel avevano causato.
«Cloe? Sì, lei è un Ghoul.»
«Ma che cosa
sarebbe questo Coaul?» Ice,
dalla sua poltrona, era meditabondo.
Cora gli indirizzò
un’occhiata in tralice. «Ghoul, non Coaul! Scemo…»
Axel li guardò, sorridendo
divertito. «Un Ghoaul è un essere vivente che accetta
di stipulare un patto con un vampiro di sua spontanea volontà. Egli si impegna
a sfamare il vampiro in cambio di qualche goccia di sangue dello stesso vampiro
a cui ha donato il proprio. Sangue per sangue.»
«Non capisco il
senso di questo patto…» Cora
si accigliò.
«È conveniente.
Noi non dobbiamo cacciare, e il nostro sangue permette al nostro Ghoul di vivere molto più a lungo di quanto la sua vita
possa concedergli. Lo fa invecchiare molto più lentamente, lo preserva dalle
malattie, cura le sue ferite. È un elisir di lunga vita.»
In quel momento
la porta all’ingresso si aprì, e pochi istanti dopo fecero capolino dal
corridoio due volti che Cora aveva già visto la sera
precedente. Erano un uomo e una donna, i due vampiri che avevano aiutato Axel a scacciare il gruppetto di Sangre che aveva attaccato lei e
suo fratello.
«Allora?» Axel scattò in piedi come una molla, improvvisamente in
apprensione.
La donna –una bionda dalla bellezza di una bambola di porcellana-
scosse il capo.
«Non l’abbiamo
trovata. Mi spiace.»
La delusione sul
bel viso di Axel era evidente. Chiunque fosse
sparito, per lui doveva essere decisamente importante.
«Non mi piace.
Non mi piace affatto. Se lei non torna…»
«Axel, la troveremo» era l’altro vampiro a parlare, e
l’impressione che diede a Cora confermava ciò che la
ragazza aveva pensato la prima volta che l’aveva visto: non c’era creatura al
mondo più raffinata di lui. Persino Axel sbiadiva al
suo fianco, sembrando poco più che normale.
Doveva aver
ricevuto un’educazione puntigliosa e aristocratica: ogni gesto, ogni parola,
ogni espressione era squisitamente misurata.
«Forse è meglio
andare, che ne dici Cora?» Ice
si mise in piedi, rassettandosi la giacca.
«Non potete
andarvene. Lei deve curarsi la ferita, prima» Axel
indicò Cora con un cenno del capo, e lei non riuscì a
trovare le parole per ribattere di fronte al suo carisma. Era un capo degno di
questo nome, non c’erano dubbi: nonostante le preoccupazioni che lo
affliggevano, riusciva a vedere ciò che era giusto e ciò che era sbagliato. Certo,
i sensi lo avvantaggiavano, ma la sua presenza di spirito era un aiuto prezioso.
Le prese la mano
e la condusse verso le scale. Poi, prima di salire al piano di sopra, si voltò
verso i suoi due compagni.
«Will, Emma, il
ragazzo lo lascio a voi.»
L’angolo dell’autrice
Sono
molto, molto felice, sì. C’è bel tempo, io scrivo, e trovo anche il volto in
carne, ossa e sguardo che mi ero sempre immaginata per Santiago °ç°
Per
chi non lo sapesse, il belloccio è Ben Barnes, il
principe Caspian di Narnia
2 che all’epoca non mi aveva fatto né caldo né freddo, ma quando l’ho visto in
questa foto ho pensato “è lui! È Santy! Ò.ò”.
Con
tanto di faccia, sì.
Sono
felice, ecco. Anche voi mi rendete tanto tanto
felice, perché mi recensite e mi mettete tra i preferiti *__* Quindi, bando
alle ciance e passiamo ai cincillà ( °O° ):
Un
grazie enorme, davvero di cuore, a yuuki_4ever
e a loli89 che hanno messo Slayer’s tra i preferiti, e a flavia93 e a urumi che l’hanno inserita tra le seguite. Davvero, non
avete idea di quanto io sia contenta! *__*
Ma
passiamo ai commenti:
Urumi: visto? Mai perdere le speranze!
:D spero che continuerai a seguire Slayer’s ^^
Jennifer90: ma tu non sai quante volte ho
letto il tuo commentooooooo!! Non hai idea, ero
felicissima!! :D Davvero, sapere che Santy e Cloe ti sono mancati al punto da leggere i capitoli su di
loro mi ha fatta crescere di due chili ahahah!! Mi fa
davvero felice sapere che i miei due rompini sono
entrati nel cuore di qualche lettore e ci sono rimasti dopo tutto questo tempo!
*__* Anche se mi spiace, questo capitolo è dedicato tutto ad Axel e Cora: avevo bisogno di
cominciare a spiegare un paio di cosette nuove su cui si baseranno le vicende a
venire. Fammi sapere che ne pensi, mi raccomando! ;)
Ci
vediamo la prossima settimana con il prossimo capitolo di Slayer’sVampires.
Essere in quella
casa era come trovarsi in un luogo lontano, immutabile, estraneo allo scorrere
del tempo. Cora aveva la strana sensazione di
trovarsi in bilico tra un’epoca lontana e la certezza della modernità in cui
era cresciuta e in cui viveva tuttora, ma nonostante fosse razionalmente sicura
di essere nel 2009, paradossalmente ogni fibra del suo corpo la riportava
indietro in epoche che aveva solamente potuto immaginare.
Era una
sensazione strana, stranissima. Come se tutto ciò fosse familiare.
Come se
l’antichità della casa la chiamasse a sé.
Ammalia, esattamente come i vampiri che ci vivono.
«Da questa parte»
Axel aprì una porta in fondo al corridoio: rivelava
un bagno, uno dei tanti che probabilmente si trovavano in quella casa enorme.
E, ovviamente, il bagno non era da meno in fatto di grandezza. Aveva ampi
spazi, piastrelle nere, luci soffuse che contornavano la grande specchiera che
sovrastava il lavandino e… dio, il lavandino! Realizzato
interamente in quello che sembrava vetro, era semplice ma allo stesso tempo
spettacolare. Vedere l’acqua scendere come se levitasse doveva essere
divertente, ipotizzò Cora.
Le sfuggì un
sorriso sognante. «È geniale!»
«Sì, beh. Non se
lo devi pulire. Siediti, intanto prendo il disinfettante.»
Fece come le
venne detto. Si sedette sul coperchio del water –anch’esso
immancabilmente nero- e guardò Axel rovistare tra i
medicinali all’interno di un piccolo armadietto.
«Tutta questa roba… Il bagno, le medicine… Voi
non le usate, giusto?»
«Se ti stai
chiedendo perché viviamo in una casa con tutti i comfort, beh: è colpa di Cloe.»
Di Axel poteva solo vedere le spalle larghe e la schiena ampia
nascosta sotto la camicia, ma l’inflessione della sua voce era più che
sufficiente per farle capire che qualcosa lo preoccupava. Qualcosa che aveva a
che fare con questa Cloe, il Ghoul
di Axel.
«La ragazza
umana?»
«Mannara è più
appropriato. Ah, eccolo» Axel si avvicinò con un
flacone di disinfettante completamente pieno in una mano, nell’altra un
sacchetto di cotone in dischetti. Sorrise appena, negli occhi un’ombra che lo
rendeva vagamente distante. «Ti posso assicurare che non è scaduto. Solo, non
lo usiamo molto spesso.»
«Capisco» Cora ricambiò il sorriso ma poi distolse lo sguardo. La
tacita regola che consigliava di non impicciarsi nei problemi degli altri
valeva più che mai in quel momento, in cui l’intimità non era assolutamente
tale da consentire domande riguardanti aspetti privati della vita dell’altro.
Ma l’atmosfera
era così pesante…
«È Cloe la ragazza scomparsa?»
Lo chiese a
bruciapelo, senza neppure pensarci. Non ebbe il coraggio di guardare Axel negli occhi.
«Non avevi una
domanda urgente da farmi?» Axel aprì il flaccone, e versò qualche goccia di disinfettante sul
dischetto di cotone. L’odore di alcool si disperse immediatamente nell’aria.
«Non saprei da
dove cominciare…»
Era la verità.
Nient’altro che questo. Avrebbe voluto sapere molte cose, tutto quello che
c’era da conoscere, ogni singolo dettaglio che l’avrebbe aiutata a capire.
Aveva sete di comprensione, ma non era facile scegliere con che domanda aprire
le danze.
Poi,
l’illuminazione.
«I Sangre. Chi
sono?»
Axel si appoggiò con
la schiena al lavandino, il dischetto di cotone tra le mani, imbevuto e
inutilizzato. Sembrò non aver sentito la domanda di Cora,
non questa volta.
«Dovresti
toglierti la giacca. E la maglietta.»
Cora sentì lo
stomaco fare una capriola e il calore inondarle il volto. Sapeva che non c’era
nessun fine nascosto dietro quelle parole, ne era maledettamente certa, ma
trovarsi da sola in una stanza assieme ad Axel, in quella casa, le faceva uno stranissimo
effetto.
Non poteva
restare indifferente alla tensione che quelle parole, quell’inflessione, quella
pausa, quella voce bassa e morbida avevano creato.
La stava
guardando, immobile come una statua, tutto di lui la chiamava. Era un invito a
cui era difficile resistere.
Si sentiva come
un affamato di fronte alla portata più succulenta che avesse mai visto, una
portata che non poteva toccare.
Si sentiva come
una preda qualunque, una delle tante. Non era giusto.
«Non c’è bisogno
che mi aiuti, posso farlo da sola» mormorò sistemandosi una ciocca di capelli
dietro l’orecchio, imbarazzata.
Era dannatamente consapevole: di lui, della
sua presenza in quel bagno che all’improvviso sembrava così stretto, della sua
sensualità seducente. Erano bastate quelle semplici parole per sconvolgerla in
quel modo. Come poteva pensare di farsi anche solo sfiorare da quelle mani?
Sperò che lui non si fosse accorto del turbamento che le ribolliva dentro,
nascosto malamente dal suo sguardo basso.
«Non ce la
faresti a rifare il bendaggio da sola. Hai bisogno di aiuto.»
Di nuovo quella
voce. Profonda.
Lo guardò negli
occhi, e ritrovò tutto quello che aveva lasciato: seduzione, sensualità,
erotismo. Non c’era parola migliore per descriverlo: Axel
era erotico.
Pregò con tutto
il cuore di non doversi pentire della propria scelta.
«Va bene.»
Fu quasi un
sospiro, il suo. Si alzò, e lasciò scivolare la giacca a terra. Non sapeva se
guardare Axel o dirigere lo sguardo altrove. Avrebbe
voluto essere naturale, sentirsi
naturale, ma invece risultava maledettamente impacciata.
Quando lo vide
ridere – il primo sorriso vero da che poteva ricordare- si sentì derisa, presa
in giro. La sua debole sicurezza crollò come sabbia al vento, lasciandola senza
appoggio.
«Che c’è? Perché
ridi?»
«No, è che
sembri pronta per il patibolo. Rilassati, non ti mangio mica.»
Non ho certo paura di quello, infatti.
Rimase ferma ad
aspettare, più impacciata che mai.
«La maglia.»
Cora rise, una
risata che le sembrò decisamente nervosa. «L’avevo dimenticata.»
«Già. Vedo.»
Pure l’ironia, adesso?
Si spogliò anche
della maglia, lentamente, e la lasciò cadere atterra assieme alla giacca.
Rimase in reggiseno e pantaloni, ma sotto lo sguardo intenso di Axel si sentì come se fosse nuda.Adagiò i capelli contro la spalla sana, offrendo alle cure del
vampiro la fasciatura ancora intatta. Non ce la faceva più.
Abbassò lo
sguardo, sedendosi di nuovo.
«È tutta tua.»
Lo sentì
muoversi verso il water. L’istante successivo Axel era
inginocchiato davanti a lei. Avrebbe potuto scorgerlo anche solo con la coda
dell’occhio, ma era intenzionata a non farlo. Una scelta che non aiutava certo
a calmare il tumulto che stava sconvolgendo Cora: il
silenzio era pesante, straziante, insopportabile.
E il fatto di
non guardare ciò che Axel faceva, rendeva tutti gli
altri sensi più efficienti: non c’era movimento che lei non avvertisse con un tuffo
al cuore; il tocco delicato del vampiro le infiammava la spalla, il suo odore
la stuzzicava e le suscitava brividi lungo la schiena.
Tutto questo era
dannatamente eccitante e allo stesso tempo irrimediabilmente proibito.
Scordatelo Cora. Tu non
stai provando niente. Sii fredda. Sii di pietra.
«Mi fai male.
Faccio io» sbottò all’improvviso. Era una bugia fatta e finita, e ormai non le
importava più che cosa avrebbe pensato il vampiro. Aveva bisogno di porre dei
freni, a costo di risultare sgarbata.
«Come
preferisci» Axel si allontanò, e per Cora fu come ritornare a respirare dopo aver trattenuto il
fiato per ore. Le porse un dischetto di cotone dopo averlo imbevuto con del
disinfettante.
«Pulisci bene la
ferita. Si deve essere riaperta, c’è del sangue rappreso.»
«Grazie» Cora tamponò la ferita, cercando di togliere tutti i
piccoli grumi di sangue che si affastellavano lungo i punti di sutura. «Non ti
da fastidio l’odore del sangue?»
«Non
particolarmente» Axel si strinse nelle spalle. «Se
fossi un Sangre
probabilmente ti avrei inchiodata al muro da un bel pezzo, ma noi Eraclea abbiamo
istinti meno irruenti. Forse perché li abbiamo controllati da sempre.»
«E i Sangre? Cosa mi
puoi dire su di loro?»
Axel si sedette sul
bordo della vasca. «I Sangre
sono l’esatto opposto di noi. La loro vita, la loro ideologia, la loro forza,
tutto il loro essere si basa sulla convinzione di discendere dagli dei.»
«Come i
cristiani?»
Axel scosse il capo.
«Non è un fatto di religione, né di mitologia. È pura interpretazione: è il
loro modo di rivedere la storia della nostra razza.»
«Non è molto chiaro…»
«Ci sono cose
che è meglio non comprendere.»
Cora si guardò
attorno, distratta da un problema imminente. La fasciatura. Detestava l’idea di
chiedere aiuto ad Axel: avrebbe voluto dire averlo di
nuovo vicino, con tutto il carico emotivo che questo comportava. Ma non poteva
fare altrimenti.
Dannazione!
«Hai delle
bende, per caso?»
«Sì, te le vado
a prendere.»
Sparì da qualche
parte nel corridoio, in chissà quale stanza, e tornò qualche istante dopo
reggendo un rotolo di stoffa da fasciature.
«Questa è una
cosa che non puoi fare da sola, lo sai?» le domandò con un tono che
all’orecchio di Cora sembrava mellifluo, come se
avesse intuito quanto la sua vicinanza la turbasse ma non avesse alcuna
intenzione di darle tregua.
Uno stronzo che si finge gentile. Altro che
rispetto!
«Mh.» Si sentiva a disagio. Maledettamente a disagio. Non
aveva più scuse: da sola non sarebbe mai riuscita a fare un bendaggio degno di
tale nome, né poteva chiamare in soccorso Ice. Rimase
ferma, il braccio a mezz’aria in una muta richiesta di aiuto: fai quello che devi.
Axel srotolò la
benda, e cominciò a fasciare la spalla di Cora con
lentezza esasperante. Poteva sentire il suo tocco attraverso il tessuto di
cotone, caldo, leggero, gentile. Era così vicino che avrebbe potuto sfiorarlo
facilmente, se solo avesse allungato la mano.
Se solo…
Parla. Di’ qualcosa, qualunque cosa. Distogli la
mente da lui.
«Non mi hai
detto molto riguardo ai Sangre.»
«Scusa, mi ero
distratto. Come ti dicevo, loro sono convinti di discendere dagli dei: è questa
ideologia che li ha resi ciò che sono. Si sentono superiori, quasi divini, e
ritengono che sia loro diritto omaggiare il loro essere. Qualunque istinto essi
abbiano, qualunque voglia, qualunque desiderio provino non va frenato. Amano il
sangue, amano la caccia, amano lasciarsi andare a qualunque cosa. Cercano
l’eccesso in ogni circostanza si trovino. Non hanno freni. Non ne hanno mai
avuti.»
«Cos’è la
settimana del Sangue? L’avete nominata ieri» ora Cora
era perfettamente attenta ad ogni parola. Pendeva letteralmente dalle labbra di
Axel.
«Sono sette
giorni dedicati al sangue. Più che caccia, potremmo dire che in questi giorni i
Sangre si
danno alla mattanza di esseri umani. La settima notte, chiamata notte del Sabbath, ogni vampiro deve offrire un trofeo alla guida del
clan. Ti lascio immaginare di che genere di trofeo stiamo parlando…»
aggiunse Axel, intrecciando un lembo di stoffa.
«Pensi che siano
stati loro ad appiccare il fuoco e a uccidere mia madre?»
«Posso dire con
sicurezza che non è stato un Eraclea.»
«Non riesco a
capire il motivo per cui l’hanno fatto…» Cora cercò negli occhi di Axel
una risposta qualunque, il più piccolo indizio che potesse aiutarla a dare un
senso a quello che le era successo.
«Non sempre ci
sono risposte per tutte le nostre domande» decretò il vampiro annodando le
bende. «Puoi rivestirti.»
Cora non ebbe
bisogno di farselo ripetere: indossare di nuovo la maglia le diede la sicurezza
di un’armatura, e quel senso di insicurezza ed imbarazzo che provava al
contatto della mano fredda di Axel sulla sua pelle
svanì senza lasciare traccia.
«Ero certa che i
vampiri non si avvicinassero alle abitazioni degli esseri umani. Arrivare
addirittura ad incendiarle, poi…»
«Te l’ho detto:
le cose cambiano. Farai meglio ad abituarti.»
*
«Avete davvero
una bella casa» Ice, seduto sulla poltrona, si guardò
attorno. I due vampiri – William ed Emma, se ricordava bene i loro nomi- erano
accoccolati sul divano, abbracciati come due teneri amanti. Lo guardavano in
silenzio, un silenzio che metteva Ice a disagio.
Una circostanza del
tutto nuova per lui, che aveva sempre conversato con qualunque estraneo come se
fosse un amico di lunga data. Sperava di riuscirci anche questa volta, ma i due
non sembravano particolarmente disposti a collaborare.
«Davvero bella.
Antica. Bella.»
«L’hai già
detto» Emma, con la testa appoggiata alla spalla di William, studiava Ice con curiosità. «Tu sei il tipo che quando è imbarazzato
parla in continuazione, vero?»
Ice si lasciò
scappare una debole risata, per nulla divertita. «Certo che lavori parecchio
con la fantasia, eh?»
«Per niente»
rispose con un sorriso sottile.
«Emma, lascia
stare il ragazzo» William la riprese, accarezzandole i boccoli biondi con
dolcezza. Di qualunque natura fosse il loro legame, quei due dovevano essere
molto uniti: Ice lo capì da ogni piccolo gesto
rivolto all’altro, dagli sguardi che si scambiavano, dalla complicità che
condividevano.
«Allora, voi… state insieme?»
«È più di
questo. Io sono il suo Sire, ed Emma è la mia Puer»
rispose William. Ice lo guardò, accigliato.
«Di che stai
parlando?»
«Accidenti, a
voi cacciatori non insegnano proprio niente!» Emma si mise a sedere, sul bel
volto perfetto un’espressione meravigliata. «Sire, Puer…
Il legame di sangue…» Si aspettava qualcosa da Ice, un lampo di comprensione, un cenno del capo, qualunque
cosa che le confermasse che lui aveva capito.
Ma Ice era sempre più confuso.
«Il legame di
sangue è alla base della relazione che intercorre tra chi vampirizza –il Sire- e chi viene vampirizzato –ilPuer-» si intromise William, decisamente più
indulgente. «È un legame assoluto, fisico e mentale, di completa sottomissione
al Sire.»
«Non solo
questo, Will» Emma fece per aggiungere dell’altro, ma il vampiro la fece tacere
con un cenno della mano.
«Come dicevo è sottomissione,
ma non si tratta solo di questo: solitamente il legame viene percepito come una
sorta di adorazione profonda verso il Sire, anche se possono capitare casi in
cui si provano dei razionali sentimenti ostili verso di lui. In ogni caso,
comunque, il legame previene la possibilità che il Puer
possa far del male al Sire.»
«Non ne è in
grado. Fisicamente, intendo» aggiunse Emma, incapace di tacere. «Attaccare il
proprio Sire è la cosa più innaturale che esista al mondo. Anche progettando di
farlo, è quasi impossibile riuscirci: è come se ci fosse una forza imbattibile
che ti trattiene. Capisci?»
Ice annuì, senza
troppa convinzione. Stava cercando di digerire tutte queste informazioni e di
dare loro un senso, operazione che risultò più complessa di quanto si fosse
aspettato.
«Quindi questo
legame è per sempre?»
Come il matrimonio? La sensazione
che si trattasse di qualcosa di ancora più definitivo lo indusse a tenere per
sé quella domanda.
«In teoria sì»
rispose William. «In pratica c’è stato un unico caso in cui un vampiro è
riuscito a estinguere il legame con il proprio Sire, e penso che non ne vedremo
altri.»
«Caspita… Come si fa per estinguere il legame?» Ice divenne sempre più curioso.
«Bisogna bere il
sangue del proprio Sire e, a meno che non venga spontaneamente offerto,
equivale a fare del male alla creatura che conta di più per il Puer. Lo si attacca, letteralmente.»
«Accidenti! Chi
di voi è il Sire?»
Emma indicò
William, che sorrise. «Io.»
«Capisco» Ice annuì, finalmente a proprio agio. «Invece che tipo di
relazione c’è tra un vampiro e un Ghoul?»
Emma tornò ad
accoccolarsi tra le braccia del suo Sire. I boccoli le incorniciavano il viso,
morbidi e lucidi, e gli occhi si accesero d’amore quando lui le circondò la
vita con un braccio. Ecco l’adorazione di cui parlavano.
«È profondamente
diversa da quella che c’è tra il Sire ed il suo Puer.
Non è neppure considerata un legame, quanto piuttosto un accordo. Anche se devo
riconoscere che è un accordo alquanto importante nella nostra comunità» spiegò
William.
«Intende dire
che essere scelti come Ghoul è un grande onore e
segno di enorme fiducia. L’unico aspetto negativo è che il Ghoul
diventa fisicamente dipendente dal sangue di vampiro –qualunque
vampiro- e se non ne beve regolarmente va in astinenza. Un po’ come voi umani
con la droga.»
«Quindi è per
questo motivo che Axel è così preoccupato?»
Un rumore
proveniente dalle scale gettò la sala in un silenzio pesante, tipico di chi
viene colto in flagrante: Axel era fermo, appoggiato
al corrimano, e scrutava tutti loro con attenzione. Cora,
alle sue spalle, guardava il fratello con espressione di rimprovero.
Bel tempismo, complimenti Ice.
«Sospetto che Cloe sia stata rapita dai Sangre per la notte del Sabbath» Axel scese le scale: la
risolutezza del suo sguardo era così vivida da non poter essere ignorata, ed Ice ebbe l’impressione che tutta quella determinazione
fosse frutto di una certezza, piuttosto che di un semplice sospetto.
«I patti sono
stati violati. Intendo riportarla qua.»
William si alzò,
allontanando da sé Emma con gentilezza, come se fosse un piccolo gattino.
«Pensi che Lakeisha la lascerà libera?»
«Nonostante
tutto sono ancora il suo Sire, Will. Ho ancora una certa influenza su di lei.»
*
Plic.
Plic.
Plic.
Quel continuo
gocciolare era snervante, e non faceva che logorare la precaria pazienza di Cloe. Dopo aver provocato Santiago in tutti i modi che le
venivano in mente era stata rinchiusa in bagno, senza una finestra né uno
spiraglio di qualunque tipo.
Non aveva idea
di quante ore fossero passate da quando era stata lasciata lì, infradiciata e
con un’intera bottiglia di profumo cosparsa sui vestiti. Aveva freddo ed era
stanca come mai lo era stata in vita sua, ma la paura per la sua sorte riusciva
a farle dimenticare la stanchezza.
Appoggiò la
testa contro il muro, seduta nell’unico angolo asciutto del bagno, e si
appisolò. Stava quasi per addormentarsi, quando sentì un rumore forte e
improvviso: era indubbiamente una porta, sbattuta con violenza.
E passi. Passi
veloci, che diventavano sempre più vicini.
Vicini.
Vicini…
Cloe balzò in piedi,
allontanandosi il più possibile dall’ingresso del bagno: pochi istanti dopo
Santiago era lì, gli occhi furenti e il viso contratto in una smorfia rabbiosa.
«Adam me la pagherà» ringhiò, afferrando la ragazza per un
braccio e trascinandola con foga fuori dal bagno. Cloe
si dimenò con il cuore in gola, cercando disperatamente di sfuggire alla presa
ferrea del vampiro.
«Vuoi stare
ferma, per favore?!»
Cloe non aveva mai
immaginato di vedere Santiago così fuori di sé. Non lo aveva mai visto perdere
il controllo in quel modo, neppure quando lei lo aveva sfidato con le sue
provocazioni. E ora, in quello stato agitato, le incuteva paura.
«Chi è Adam?»
«Uno stronzo che
ha combinato un casino. Adesso vedi di collaborare, sono di pessimo umore.»
La trascinò
verso l’ingresso dell’attico, e il panico investì Cloe
quando il vampiro aprì la porta. «Fermo, fermo! Che vuoi fare?»
Santiago alzò
gli occhi al cielo, lasciandosi sfuggire un’imprecazione labiale.
Quando i suoi
occhi incrociarono quelli di Cloe, la mannara ebbe la
sensazione che fargli perdere tempo in quel momento fosse l’ultima cosa da
fare. O almeno, a giudicare dallo sguardo raggelante di Santiago, era una
scelta molto pericolosa.
«Sparire. E tu
con me.»
L’angolo dell’autrice
I
miei pargoli stanno cominciando a fare quello che vogliono, e la cosa devo
ammettere che mi spaventa un po’ XD Avevo intenzione di incentrare questo
capitolo un po’ di più su Santiago e Cloe, ma si
vogliono proprio far desiderare. Uff.
Invece
prendono corpo i nuovi personaggi, Emma e William. Sono curiosa di sapere che
ne pensate di loro. Io li trovo dolci *__*
Ma
veniamo ai consueti e doverosi ringraziamenti: a clodio82, Fante e ryry per avere
inserito Slayer’s tra i preferiti, e giuliettavr89 per averla messa tra le
storie seguite: mi fa davvero felice vedere che così tante persone si stanno
appassionando alla storia! *__*
Invece,
per quanto riguarda i commenti, cominciamo con:
Jennifer90: sai, al di là
di dire le solite cose -sono contenta che, mi fa piacere che, blabla…- sono davvero felice che
tu abbia notato una maturazione anche a livello di realismo per quanto riguarda
Slayer’s: era l’obiettivo che mi ero prefissata
quando ho deciso di riscriverla, volevo darle maggiore spessore. Insomma,
vedere i riscontri positivi mi appaga, vuol dire che il mio scopo è stato
raggiunto! E adesso le cose verranno man mano approfondite (OGNI cosa. Evviva
la sensualità sottile! XD). Mi spiace solo che non sono riuscita a dare
maggiore spazio a Santy e Cloe
:(
Fante: carissimo,
devo dirti che invece i commenti me li avevi lasciati eccome, e infatti mi
ricordo benissimo di te! :D E siccome è sempre un’emozione ritrovare vecchi
lettori affezionati, ti devo assolutamente dare il bentornato!! Ti capisco, all’inizio
ero molto indecisa se proseguire con la vecchia versione o riscriverla
completamente, e ho scelto quest’ultima opzione perché sentivo la necessità di
renderla più credibile, pur mantenendo immutati i personaggi di base. Anche se
non ti nascondo che sono ancora molto affezionata alla prima versione, quindi
credo che le tue perplessità siano più che comprensibili ^__*
Clodio82:amoreeeeeeeeeeeee
*O* sono contentissima di sapere che ti è piaciuta così tanto la storia, davvero!!
E da una parte non vedo l’ora di pubblicare l’antefatto, perché scommetto che
ti appassionerà anche di più *__*
Anche
per questo capitolo siamo giunti alla fine. Vorrei tanto dirvi che il prossimo
lo troverete martedì prossimo, ma dopo domani comincio i corsi all’università e
in più ho anche danza, quindi può darsi che l’aggiornamento slitti di alcuni
giorni. Io però vi prometto solennemente che farò di tutto per postare appena
possibile.
Nel salotto era
sceso un silenzio pesante dopo la dichiarazione di Axel.
Cora non aveva la
benché minima idea di chi fosse questa donna dal nome strano, Lakeisha, ma a giudicare dagli sguardi che Axel e William si scambiavano –quest’ultimo
le ricordava vagamente un cane da guardia in attesa di ordini dal padrone- non
doveva essere una creatura incline alle trattative.
«Vengo con te»
William corse verso l’ingresso. L’istante successivo ricomparve in salotto con
il giaccone già infilato e abbottonato, un capo d’abbigliamento caldo e pesante
che addosso a lui –e a qualunque altro vampiro,
ovviamente- fungeva puramente da accessorio.
Axel fece altrettanto:
indossò il cappotto e si avvolse una sciarpa di lana attorno al collo, pronto
ad uscire.
«Emma, tu rimani
qua. Se Cloe dovesse tornare, voglio che trovi
qualcuno. Quanto a voi…» si rivolse a Cora e ad Ice. «… vi converrebbe
tornare a casa.»
A Cora venne quasi da ridere per quella sfortunata scelta di
parole a cui doveva rispondere. Quando parlò, però, non si aspettava di farlo
con un tale sarcasmo nella voce. «Non abbiamo più una casa, e siamo a piedi.
Come potremmo andarcene da qui?»
«Mezzi pubblici?»
suggerì Emma, ancora seduta in divano.
«Potrebbe essere
un’idea, sì» Ice cercò di invogliare Cora a dirigersi verso l’ingresso con una spinta leggera,
ma la ragazza era inamovibile. «Dai, togliamo il disturbo.»
«Questa Lakeisha… È lei che controlla i Sangre?» la voce di Cora era tagliente, così come lo sguardo che rivolgeva ad Axel.
Quest’ultimo
annuì. «E ci andremo io e Will. Non pensare neppure per un istante di poter
venire con noi» aggiunse perentorio dopo aver infilato le chiavi della macchina
nella tasca del cappotto. Cora avrebbe voluto
ribattere, trattenerlo per convincerlo in qualche modo a portarla con sé, ma si
trattenne quando Axel uscì.
A frenarla fu
l’improvviso pensiero che, nonostante le confidenze che si erano scambiati
mentre lui le medicava la ferita, ostinarsi nel volere vedere Lakeisha era quanto meno infantile: essere testardi e
soffocare Axel con le suppliche non era certo il modo
per ottenere quello che desiderava.
Ma, nonostante
l’orgoglio le impedisse di gettarsi in ginocchio e pregare il vampiro con il
cuore in mano, c’erano altri modi attraverso i quali sarebbe potuta arrivare a Lakeisha. Doveva solo imparare ad aspettare.
«Come
preferisci.»
*
Oltre le mura
del bagno in cui Cloe era stata rinchiusa fino a
qualche ora prima, c’era un mondo avvolto nel buio, un mondo che dormiva sonni
tranquilli mentre loro fuggivano da chissà quale pericolo.
Santiago l’aveva
letteralmente trascinata in macchina, una jaguar
grigia che sembrava disegnata apposta per una personalità sdegnosa come quella
del vampiro. Insomma, un perfetto biglietto da visita con cui imporre la
propria presenza.
Lei si era
lasciata cadere sul sedile in pelle, sfinita dalla stanchezza e dalla tensione
che le teneva compagnia da quando era stata rapita. Non sapere quali erano le
intenzioni del suo rapitore era decisamente snervante, soprattutto in quel
momento: il viso di Santiago era una maschera di rabbia, aggressività e
qualcosa di molto simile alla paura.
Paura.
Qualcosa lo
spaventava. Qualcosa che sfuggiva al controllo del vampiro, e che lo faceva
sentire minacciato. Non era affatto un buon segno.
«Mi vuoi
spiegare che sta succedendo?» chiese di nuovo, per l’ennesima volta.
«Che ti sembra
che stia succedendo?» Santiago controllò lo specchietto retrovisore.
Di nuovo,
nessuna risposta concreta né tanto meno esaustiva. Cloe
nascose il volto con le mani soffocando un sospiro, la testa resa ovattata e resa
pesante dalla tensione.
«Dio se mi irriti…»
Santiago
sogghignò.
«Non si invoca
il nome di Dio invano. Andrai sicuramente all’inferno.»
«Tu sei l’ultima
persona sulla faccia della terra che può permettersi di nominare Dio» Cloe lo fulminò con lo sguardo. «… Santiago?»
«Mh?»
«Che hai fatto?»
Il vampiro
lanciò di nuovo uno sguardo allo specchietto retrovisore. La luce dei lampioni
si rifletteva sul suo viso cinereo, contornando il silenzio di attesa
insostenibile.
«Conosco cose
che non dovrei sapere riguardanti Axel» la guardò,
serio. Nessuna traccia di ilarità, nessun senso nascosto in quelle parole
inequivocabili e brutali. Fino a che punto fossero significative, però, era una
questione che rendeva Cloe inquieta. Poi Santiago sogghignò,
e la mannara riconobbe subito quella luce strana, maliziosa e divertita ,che brillava
nei suoi occhi: si stava prendendo gioco di lei. Voleva metterla alla prova.
«E poi, beh,
naturalmente sto rubando a Lakeisha il suo trofeo.»
«Naturalmente?!»
Cloe era piuttosto perplessa.
«Vuoi uno
schema? O magari un disegnino? Non è difficile sai, basta applicarsi un po’.»
Le ci volle
tutto l’autocontrollo di cui disponeva per ignorare le provocazioni di Santiago
ed evitare di dare una risposta sgarbata. L’unica reazione che si concesse fu un
sospiro profondo e seccato.
«Il trofeo sarei
io, immagino.»
«Molto arguta.
Sono impressionato» il tono sarcastico con cui il vampiro ribatté
all’osservazione di Cloe, ovviamente, sottendeva un
significato completamente opposto. Peccato che, in quella situazione
paradossale, qualunque forma di ironia risultasse inopportuna.
«Non capisco,
davvero... Che senso ha tutto questo? Prima sono la tua carta vincente e poi
divento il mezzo perfetto con cui fare dispetti
a Lakeisha?!»
«Ti prego, non
sono così banale!» Santiago sembrò urtato dalle parole di Cloe,
lo suggeriva l’espressione accigliata sul suo viso. Era così convincente che
per un istante la mannara si convinse di averlo fatto arrabbiare, ma dovette
ricredersi non appena lo vide sogghignare, sardonico. «Prendi nota: si chiama lezione di vita.»
A Cloe venne da ridere: la situazione stava diventando sempre
più assurda. «Che lezione di vita sarebbe? “Posso
fare quello che voglio”?»
«Direi
piuttosto: “non c’è vincolo, tradizione o
clan che possa trattenermi dal fare ciò che ritengo opportuno”. Lakeisha l’ha sempre saputo, ma ultimamente se l’è scordato
e siccome non vorrei mai che la guida dei Sangre si dimenticasse cose
importanti, mi piace rimarcare il concetto. Ti basta come risposta?» terminò,
guardando Cloe con un sorrisetto mellifluo ed
inquietante.Il commento della
mannara fu ironico, breve, conciso e vagamente annoiato.
«Quanto altruismo…»
«L’ho sempre
detto che non sono così cattivo come pensano gli altri» Santiago scosse il
capo, la voce affranta, lo sguardo mesto e triste. Si lasciò sfuggire persino
un sospiro, come a voler sottolineare quanto l’etichetta di cattivo ragazzo
pesasse sul suo animo nobile. Tutta scena, ovviamente. Cloe
l’aveva capito fin dal primo istante: Santiago amava nascondere la sua vera
natura dietro un ruolo che non gli apparteneva, ma che lui poteva impersonificare a regola d’arte attraverso l’ironia e il
sarcasmo. Una tecnica vantaggiosa, soprattutto se veniva utilizzata per
concupire la preda di turno.
«Dove stiamo
andando?» domandò la mannara quando la macchina svoltò, immettendosi in quella
che sembrava essere la via principale di un quartiere residenziale piuttosto
comune, fatto di appartamenti senza alcuna pretesa. La zona le era familiare:
faceva parte del territorio libero dalla giurisdizione dei vampiri, una zona di
caccia contesa.
Era distratta
dal panorama fuori dal finestrino, e si rese conto di non aver ricevuto
risposta solamente quando sentì Santiago inveire contro la macchina che saltava
e arrancava lungo l’asfalto. Lo sorprese a mollare pugni contro il volante, il
cruscotto e persino il finestrino.
L’espressione
sul viso di Cloe era un misto di sconcerto,
aspettativa e speranza. «Che sta succedendo?»
«Succede che sto
perdendo la pazienza!» Santiago ringhiò quando il motore si spense e la
macchina rimase in panne in mezzo alla strada. «Fantastico! Ci mancava solo
questa!»
Cloe rimase
ammutolita. Si ritrovò ad ascoltare gli improperi del vampiro, a guardarlo agitarsi
mentre controllava la quantità ormai nulla di benzina, e l’unico pensiero che
riusciva a formulare era che, finalmente, aveva davanti l’occasione per
fuggire: doveva solo afferrarla, senza perdere tempo a considerare le
conseguenze qualora non fosse riuscita a scappare.
Si preparò allo
scatto con il cuore in gola, la mano appoggiata alla maniglia dello sportello,
i piedi pronti a divorare l’asfalto.
Doveva solo
provarci.
Click.
E non successe
niente. La sicura rendeva impossibile aprire la macchina dall’interno.
O mio Dio…
Chiuse gli occhi
cercando di mantenere la calma, continuando a ripetersi che sicuramente ci
sarebbero state altre occasioni, ma qualcosa non tornava. Qualcosa che non
riuscì ad identificare con immediatezza le dava fastidio. C’era troppo, troppo silenzio. Guardò di sottecchi
Santiago e quello che scorse con la coda dell’occhio la lasciò senza fiato: il
vampiro la stava guardando, e aveva un’espressione a dir poco rabbiosa.
Panico.
Mi ha sentita! Ha sentito che ho tentato di aprire
la portiera!
,pensò con terrore. Si aspettava una reazione violenta, un’esplosione d’ira in
quello stesso istante, ma Santiago rimase in assoluto silenzio. Rimase a
guardarlo scendere, paralizzata dalla paura, e continuò a seguirlo con lo
sguardo anche quando lui raggiunse il lato della macchina in cui si trovava Cloe.
Rimase immobile
anche quando il vampiro aprì lo sportello, facendo entrare l’aria gelida della
notte.
«Scendi.» Non
era una richiesta, né un invito cortese a smontare dalla macchina. Era un
ordine che sapeva vagamente di minaccia.
«Preferisco
stare qui» mormorò Cloe, guardando Santiago negli
occhi. Lo sguardo del vampiro divenne duro, tagliente, pericoloso.
«Ho detto scendi» sibilò, afferrando la
mannara per il braccio e trascinandola letteralmente fuori dalla macchina,
sfoderando una forza acuita dalla rabbia e da qualcosa di più profondo e ben
più pericoloso, celato sapientemente nel profondo del suo essere.
Cloe non ebbe
neppure il tempo di poggiare entrambi i piedi a terra: cadde di spalle,
brutalmente, senza riuscire ad attutire l’impatto con le mani. Si ritrovò in
qualche modo riversa con la pancia contro la strada, la spalla che le pulsava e
la pelle che le bruciava laddove aveva grattato contro l’asfalto. Dovette
ricorrere a tutto l’autocontrollo di cui disponeva per impedirsi di lasciarsi
andare a improperi e rimostranze che avrebbero sicuramente aggravato la
situazione in cui si trovava.
Si concesse
solamente uno sguardo, ben puntato su quello gelido di Santiago. Un semplice
sguardo, ma che bastava ad esprimere tutto quello che si agitava dentro di lei
in quel momento: rabbia, orgoglio, ostilità, odio.
«Sono annoiato.
Sono anni, decenni, secoli che sono annoiato» esordì Santiago con voce atona. Cloe si rimise in piedi, guardinga. La situazione stava
prendendo una piega strana, che non le piaceva per niente.
«Per tutto
questo tempo non sono riuscito a trovare una distrazione degna di questo nome.
Le beghe tra Axel e Lakeisha,
i loro rancori… È tutto così noioso, cosìestraneo…» la smorfia scocciata sul bel
volto di Santiago accese un campanello d’allarme in Cloe:
il vampiro stava intavolando un discorso, ed era evidente che lo stava facendo
partendo da delle premesse decisamente lontane dal punto centrale. Un pessimo
segno.
«L’unico breve
intermezzo interessante che ho vissuto l’ho quasi dimenticato, per cui mi
dovrai perdonare se sono di pessimo
umore!» Santiago si mise le mani tra i capelli, un gesto che esprimeva
nervosismo. Poi, quando cominciò a girarle attorno, Cloe
ebbe la sensazione di essere un piccolo topo dal destino già segnato, in balìa
di un gatto che assapora il crudele gioco che inizierà con lui da lì a pochi
istanti.
«Voglio dirti
una cosa. Sì, ti farò questa confidenza che gradirei rimanesse tra noi: trovo
che tu sia una persona lontanamente interessante.»
«Mi sto
commuovendo» mormorò Cloe con sarcasmo pungente.
«All’inizio ti
ho trovata interessante perché eri una preda fuori dalla mia portata. Eri di Lakeisha, io non potevo averti» Santiago cominciò a
gesticolare, come se stesse raccontando una storia ovvia, conosciuta da tutti. Continuò
a girarle attorno, minaccioso. «Tu mi facevi innervosire? Io non potevo
toccarti. Il profumo del tuo sangue mi tentava? Io non potevo estinguere la
sente che avevo di te, capisci? Tu rompevi la mia routine, eri un diversivo
stimolante. Ora le cose sono cambiate e, sia chiaro, tu rimani sempre un
diversivo. Solo che ora ti ho sottratto a Lakeisha, e
posso toccarti quanto mi pare. Quindi -e ora vengo al punto di questo discorso
lungo e noioso- dal momento che sei così impaziente di andartene, ho deciso che
ti lascio libera.»
Cloe studiò il volto
di Santiago, cercando di cogliere nelle molteplici espressioni che assumeva
ogni minima traccia di scherno. Doveva esserci un tranello da qualche parte,
nascosto dietro la parlantina fluida e sicura del vampiro. Non poteva lasciarla
andare così, in quel modo. Non se a sceglierlo era Santiago stesso.
«Mi lasci
libera?»
Lui si strinse
nelle spalle con indifferenza, senza più traccia dell’ira che fino a poco prima
gli sfigurava il viso. Come se fosse una persona del tutto normale, affidabile.
Come se non fosse un mostro travestito da essere umano.
«Certo che ti
lascio libera… Se riesci a scappare, s’intende. Hai cinque
minuti di vantaggio prima che io inizi l’inseguimento.»
La naturalezza
con cui le rispose lasciò Cloe basita, disarmata e
svuotata di ogni forza a cui potersi aggrappare. Non fu sicura di aver
interpretato correttamente le parole del vampiro, ma le bastò vederlo
sogghignare per rendersi conto di come stavano le cose.
Un sogghigno
inquietante, occhi eccitati, canini sfoderati: il predatore era in caccia.
E lei era la sua
preda.
«Non mi
tratterrò questa volta. Fossi in te, comincerei a correre.»
*
Calma, silenzio,
riposo eterno: c’era tutto questo e molto altro, lì.
I cimiteri erano
un luogo di confine tra la vita e la morte, in cui il tempo sembrava fermarsi
per istanti incalcolabili. Tutto lì dentro era immobile: gli affanni, le
preoccupazioni, l’esistenza stessa di chi calpestava quel suolo benedetto. Era
un po’ come morire dentro, per sentirsi più vicini al proprio caro estinto che
giaceva in una bara a un paio di metri di profondità.
Quello che Lakeisha amava di più dei cimiteri, però, era il silenzio
che vi regnava: totale e assoluto, ottimo per riflettere. Non che lei avesse
bisogno di farlo, sia chiaro, ma semplicemente a volte le piaceva essere
circondata dall’assenza di suoni e rumori.
Era così
abituata a considerare il silenzio come una cosa scontata in frangenti come
quello, che quando sentì il rumore di un motore e di ghiaia calpestata provò
una profonda irritazione.
Adam, che camminava
a una decina di metri di distanza da lei, fece per raggiungerla ma Lakeisha glielo impedì: le bastò un cenno della mano e il
vampiro rimase fermo, lontano da lei ma con i sensi all’erta. Un perfetto cane
da guardia.
Poi, il rumore
del motore cessò all’improvviso.
Passi. Verso l’entrata
del cimitero.
Quando vide di
chi si trattava, fu come riavere la vita che le era stata strappata dalle mani.
Un senso di appartenenza profondo, totale, viscerale. Era come essere a casa
dopo aver passato decenni a vagabondare per il mondo, senza appartenere a
nessun posto. Non riuscì ad evitare di sorridere, non quando parlava al Sire
che non era mai riuscita a dimenticare.
«Axel…»
«Ciao, Lakeisha.» Lui sembrava freddo, distaccato. Non era felice
di vederla? Un moto di fastidio la fece ribollire. Quando guardò chi lo
accompagnava, tutto il suo interesse svanì all’istante.
«William. Sempre
inseparabili, vedo. Che legame indissolubile…»
commentò con acidità quando si accorse che Axel non
la stava neppure guardando: il suo sguardo andava oltre, verso una persona che
si trovava dietro di lei. Adam.
Sorrise
melliflua, una maschera di dolcezza che celava qualcosa di ben più pericoloso.
«Adam, hai visto chi è venuto a trovarci questa sera?»
chiese, una domanda puramente retorica. Poi guardò il suo Sire, lo sguardo
tagliente e accusatorio. «Perché sei venuto qui, Axel?»
«Il mio Ghoul è sparito da ieri notte.»
Lakeisha si strinse
nelle spalle. Sorrise. «Non è un problema mio se perdi i giocattoli in giro.»
«Non ho perso un giocattolo. Un membro del mio
clan è scomparso, e ho il vago sospetto che sia stato rapito da un Sangre. La notte
del Sabbath ti dice niente, Lakeisha?»
Si stava
schierando contro di lei. Di nuovo. Il suo Sire, il suo compagno, il suo Tutto,
stava scegliendo di nuovo gli Eraclea, e stava abbandonando lei. Lei, con cui aveva condiviso
la gloria, con cui aveva dato origine alla storia della loro razza.
Le stava
voltando le spalle per l’ennesima volta.
«Pensiamo sia
stato Santiago. Era particolarmente interessato al Ghoul
di Axel» intervenne William, ma Lakeisha
lo fulminò con lo sguardo.
«Tu stanne
fuori, o io m’impiccerò dei tuoi affari» sibilò, minacciosa. Poi sembrò
addolcirsi, l’ennesima maschera per nascondere tutto il proprio rancore. «A
proposito, come sta Emma?»
«Se ti avvicini
ad Emma…» Will si avvicinò d’un passo, improvvisamente
ostile, ma Axel lo trattenne. Vedere l’aggressività e
la paura sul volto del giovane William, timoroso per la sorte della sua amata
ma impossibilitato a prenderne le difese, fece fremere Lakeisha:
tutto questo era come una droga. Ne voleva di più.
Si leccò le
labbra piene, gli occhi cerulei tradirono l’eccitazione che la rendeva
inquieta. Aveva sete, tanta. Voleva bere fino a ingozzarsi, e poi ancora,
ancora, ancora. Non avrebbe smesso mai.
«Santiago è
sempre pieno di sorprese, per questo mi piace» si voltò verso Adam, che era rimasto obbedientemente in disparte. Anche
lui, come ogni altro vampiro, era davvero bellissimo: capelli ricci, ribelli,
occhi nocciola, un viso dai lineamenti marcati e netti. Lakeisha
amava avere attorno la bellezza, e Adam ne faceva
pienamente parte. «Non sei d’accordo con me, Adam?»
Lui annuì, ma
non fece commenti. Fu più che sufficiente: aveva capito perfettamente a che
cosa lei si riferisse, Lakeisha ne era certa. E, a
giudicare dall’espressione sospettosa di Axel, anche
quest’ultimo doveva aver intuito il senso delle parole della vampira.
«Che cos’ha
fatto Santiago?»
Era allarmato.
Preoccupato. Per un misero Ghoul. Inammissibile.
«Si sta dando
alla ribellione contro l’intero clan, questa volta. Ha pensato bene di farmi
arrabbiare e di portare via l’unica cosa che avrebbe potuto calmare le mie ire.
Una mannara, ti dice niente Axel?» rispose gustando
la reazione che ogni singola parola provocava in lui. Lo vide scoprire i denti,
un ringhio animalesco gli morì in gola. Sembrava essere sul punto di attaccarla,
e Lakeisha non chiedeva nient’altro.
Lo avrebbe fatto
disperare, l’avrebbe costretto a guardare i lati oscuri che erano nascosti
sotto ad uno spesso strato di buonismo e di filantropia, e l’avrebbe indotto ad
abbracciarli con gioia. Tutto, per il Sire che amava e che era ancora lì, da
qualche parte dentro Axel.
«Sono stanca: di
te, degli Eraclea,
della vostra testardaggine nel non voler riconoscere la natura superiore e
divina di noi vampiri. Ho cercato di tollerare, di accettare tutto questo, ma
tu non mi aiuti. Perciò, siccome sono stanca, voglio che scegli.»
«Che cosa dovrei
scegliere?» Axel era sospettoso.
Lakeisha sorrise: non un
sorriso mellifluo, non c’era più dolcezza sul suo bellissimo viso. Era un
sorriso calcolatore, freddo e crudele. Spietato.
«O sei con me o
sei contro di me. Se scegli di stare dalla mia parte, ti permetterò di guidare
i Sangre
assieme a me, di nuovo. Altrimenti…Guerra.»
L’angolo dell’autrice
Chiedo
umilmente perdono, sono in ritardo di più di una settimana con l’aggiornamento:
tra università, studio, danza e altri impegni vari ho avuto il tempo ovviamente
dimezzato. Sigh.
Però
per farmi perdonare vi ho inserito un bel pezzo su Santiago e Cloe, che da quello che ho capito fin’ora sarebbero la
coppia preferita *w* Ebbene, guarda un po’ sono anche la mia! XD
E
per farmi perdonare ulteriormente, vi do una chicca sul prossimo capitolo: Santy sarà mooooooltoSangre, quindi preparatevi a vederlo sanguigno come non l’avete
mai visto *__* (per non usare termini più crudi e sboccati ahaha!)
Ma
veniamo ai ringraziamenti: il numero di lettori aumenta sempre di più, e proporzionalmente
cresce anche la mia felicità *__* Per cui un enorme GRAZIE a : valespx78 e a kiravf
per aver inserito Slayer’s tra le storie seguite, e a
LadyEclipse,
piccola sciamana,
elisa4ever e Jennifer90 per averla messa
invece tra i preferiti. Spero di non aver dimenticato nessuno, per qualche
strano motivo non riesco a tenere conto delle persone nuove che aggiungono Slayer’s. Sono un impiastro! XD
Passiamo
ai commenti:
trudy91: ti amo.
Davvero. A parte il fatto che hai lo stesso nick del
mio adorabile coniglio assassino (giuro, non sto scherzando!) ti devo
assolutamente dire che… Che dire? Il tuo commento mi
ha lasciata davvero senza parole. Vale tantissimo, per me. Davvero, grazie *occhilucidi*
jess: eccola, un’altra
sostenitrice di Santiago! :D Sono contenta che Santy
piaccia anche in questa versione (che non è molto diversa da quella precedente,
solo un po’ più adulta). Spero che continuerai a seguire la storia, perché il
rapporto tra lui e Cloe ovviamente evolverà e
attraverserà molte fasi diverse. Soprattutto dal prossimo capitolo, chissà come
cambierà il loro rapporto? Io lo so, io lo so! (ahah
che simpatica >.>)
Tenete
d’occhio la mia cartella sul forum, sezione EFP Gallery,
originali: inserirò un disegno di Lakeisha, e magari
qualcun altro su Santiago. Oppure su Ice.
E
vabbè, è superfluo che ve lo dica, ma siccome noi
scrittori amatoriali viviamo per la gloria e nient’altro, COMMENTATE *O* e
avrete la mia eterna gratitudine *w*
Alla
prossima settimana (spero, tempo permettendo)
Non mi tratterrò questa volta. Fossi in te,
comincerei a correre.
E Cloe non se lo fece ripetere. Corse lungo il viale come se
il diavolo in persona la stesse inseguendo per rubarle la vita e condannare per
sempre la sua anima ad un abisso inestinguibile di sofferenze.
Divorò i metri
come mai avrebbe pensato di poter fare, il cuore che batteva fuori controllo e
la paura che le rendeva impossibile formulare qualunque pensiero coerente. L’unica
cosa a cui riuscì a pensare, mentre si allontanava dalla macchina ferma in
mezzo alla strada e da Santiago, era che lui l’avrebbe uccisa.
L’avrebbe massacrata
come un cane. Non c’era nessuno che potesse fermarlo, non in quel momento. Era
completamente sola.
«Ma guarda come
corri! Paura?» la voce di Santiago aveva un tono divertito, derisorio, e Cloe si sentì perseguitata e vagamente umiliata. Ricacciò
le lacrime, cercò di controllare il tremore che le rendeva le gambe tremolanti
ed incerte, ma non riuscì a trattenere l’odio e la rabbia: la sommersero con
violenza, le accesero il sangue e per un attimo le fecero dimenticare la paura.
«FOTTITI,
STRONZO!» gridò voltandosi indietro, ma ciò che vide la pietrificò: Santiago
era sparito. La macchina era lì dove l’aveva lasciata, in mezzo alla strada,
con la portiera ancora aperta. Del vampiro invece non c’era traccia.
Cloe si guardò attorno,
smarrita: se n’era andato. Oppure…
L’alternativa la
raggelò.
Stava per
rimettersi a correre, quando qualcosa di leggero le sfiorò i capelli e le
provocò brividi fastidiosi lungo tutto il corpo. Poi, un sussurro: debole,
appena accennato, ma chiaro ed inequivocabile.
«Cloe…»
Si voltò
all’improvviso, certa di trovare Santiago davanti a sé: contro ogni
aspettativa, però, la strada risultò deserta.
Non è affatto un buon segno, pensò. Forse
aveva immaginato di sentirsi chiamare, sobillata dalla paura. Se quello che
aveva sentito era reale, invece, Santiago era nascosto da qualche parte
nell’ombra e stava giocando con lei. Probabilmente la stava osservando, proprio
mentre lei cedeva all’insicurezza e al dubbio e diventava sempre più indifesa.
Fu una prospettiva che la fece tremare e le provocò uno strisciante senso di
inquietudine.
Al diavolo, non rimarrò qui un altro istante!
Riprese a
correre, disperata, ma fu tutto veloce. Troppo, per poter controllare quello
che stava succedendo. Riuscì perfettamente a sentire la botta alla schiena, un
urto così violento da mozzarle il fiato. Non riuscì però ad evitare la caduta:
finì a terra, le ginocchia sbucciate e i palmi escoriati cominciarono
immediatamente a bruciare. Tentò di rimettersi in piedi, ma qualcosa le
impediva di alzarsi. Qualcosa, o qualcuno.
L’istinto le
gridò di alzarsi e di fuggire, di lottare con tutte le proprie forze per
allontanarsi e poter sopravvivere, ma qualunque movimento sembrava peggiorare
la situazione. Aveva la sensazione di respirare a fatica, il che non l’aiutava
certo a mantenere la calma e la lucidità necessarie per uscire incolume da
quella situazione. Cominciò ad ansimare, schiacciata da chili di peso contro
l’asfalto.
«Te l’avevo detto
che non mi sarei trattenuto» Santiago le scostò i capelli, esponendo il collo
della ragazza all’aria gelida. Poi si protese verso il suo orecchio.
Nonostante
l’inseguimento brutale e umiliante, la voce del vampiro era carezzevole e
seducente. «Devo pensare che non ti sei impegnata abbastanza per fuggire?
Cos’è, sei già in piena sindrome di Stoccolma e ti stai innamorando del tuo
rapitore?»
«Come fai a
convivere con un ego così ingombrante?» sibilò Cloe.
Non riusciva a trattenere il sarcasmo, era più forte di lei. Lo sentì ridere,
una risata roca e cavernosa che le suscitò brividi lungo la schiena. Brividi
che, purtroppo, non erano suscitati dalla paura, quanto piuttosto dalla
sfacciata vicinanza di Santiago, da quel contatto troppo vicino, troppo fisico.
«Apprezzo molto
le tue lusinghe.»
«Non mi piace
essere scurrile, ma te lo dico di cuore: vaffanculo,
tu e il tuo narcisismo del cazzo» gli sputò addosso tutto l’odio e la rabbia
che provava: per lui, che stava conducendo un gioco crudele con la disinvoltura
che solo i mostri potevano avere, e per se stessa, che nonostante tutto non
riusciva ad impedirsi di provare quel calore al basso ventre quando sentiva la
voce sensuale di Santiago così vicina all’orecchio.
Devo essere disturbata almeno quanto lui.
«Sì… Mi piace quando tiri fuori le unghie. Il tuo odore
diventa ancora più forte» lo sentì mormorare contro il suo collo, così vicino alla
pelle da sentirne il fiato ad ogni sillaba. Cloe
provò l’insostenibile desiderio di mettersi ad urlare.
Annaspò,
lottando con rinnovato vigore. Tutto, pur di allontanarsi da quella posizione
che la lasciava in completa balìa del vampiro e di quelle reazioni fisiologiche
che non riusciva a comprendere e di cui, probabilmente, aveva ben più paura.
Cazzo… Dai Cloe, muoviti!
Era disperata.
Sentiva le mani
di Santiago accarezzarla appena, con leggerezza, senza lascivia né smania di alcun
tipo. Un contatto sottile attenuato dalla stoffa dei vestiti, ma che non la
lasciò affatto indifferente. Stava per gridare, sconfitta e sfinita, quando
all’improvviso tutto cessò: nessuna carezza, nessun contatto, nessuna
pressione, nessun peso a schiacciarla contro l’asfalto e ad impedirle i
movimenti.
Santiago non
c’era più.
Cloe si rimise in
piedi, sconcertata: non era possibile che se ne fosse andato così, all’improvviso,
in quel momento. Aveva avuto la possibilità di fare ciò che più desiderava, e l’aveva rifiutata? Trovò subito la
risposta, chiara, palese e terribilmente crudele: per Santiago il gioco era
appena cominciato.
Vampiro e anche psicopatico. Ottimo, non ci facciamo
mancare nulla.
Ricominciò a
correre senza perdere altro tempo. Mantenne lo sguardo dritto sulla strada, la
mente e il corpo sintonizzati su un unico imperativo: fuggire. Forse fu per
questo motivo che non si accorse della sagoma che sgusciò fuori dall’ombra, e
capì di essere in trappola solamente quando Santiago le fu già addosso.
Di nuovo.
*
Era esaltante.
Era tutto così
maledettamente, fottutamente esaltante!
La paura che Cloe provava, la sua persistenza a non volere arrendersi… Tutto questo lo stava facendo impazzire. Lo
stava mandando fuori di testa.
Poteva sentire
l’odio feroce che quella ragazza provava per lui, glielo diceva l’odore intenso
che traspirava dalla sua pelle. L’odore del suo sangue. Un odore che lo stava
tormentando da tanto, troppo tempo.
Lui, che era
abituato ad ottenere subito ciò che desiderava senza preoccuparsi delle buone
maniere, non aveva mai avuto l’occasione per capire che cosa volesse dire
desiderare qualcosa a tal punto da esserne consumato. Non che si trovasse già
in quello stato disperato, sia chiaro. Non ancora, per lo meno.
Le voglie che
aveva conosciuto fin’ora erano state nient’altro che una pallida imitazione
della bramosia che provava verso Cloe, una bramosia
che andava al di là del mero sangue e che non riusciva a definire: era qualcosa
di più profondo, assoluto e intenso, qualcosa che si spingeva ben oltre la
sete.
Il carattere
forte di Cloe era seducente quanto il profumo del
sangue mannaro che le scorreva nelle vene: entrambi risvegliavano in Santiago
una frenesia violenta, mai conosciuta prima.
Voleva piegare
la volontà di Cloe, spezzarla, strappare le ali con
cui lei gli opponeva resistenza e annientarla. Voleva distruggerla, ancora e
ancora.
Voleva, voleva, voleva…
Non riusciva a
pensare a nient’altro mentre la guardava scappare, nascosto nell’ombra. Non
l’avrebbe lasciata andare, naturalmente. Non gliel’avrebbe permesso. Mai.
Si lanciò su Cloe, di nuovo, sobillato da quella voglia violenta che
aveva di lei come mai gli era accaduto in secoli di vita: l’impatto fu brutale,
ma questa volta non la lasciò cadere a terra. Trattenne Cloe
contro di sé, intrappolandola nel proprio abbraccio.
L’istante
successivo la ragazza stava già gridando e scalciando per conquistare la
libertà. Peccato che Santiago non avesse la benché minima intenzione di
concedergliela.
«Lasciami!»
ansimò disperata. Santiago non rispose.
Si chinò verso
di lei, verso il suo orecchio, e annusò l’odore intenso che la pelle emanava
proprio dietro il padiglione auricolare, dove i capillari la irroravano di
sangue. E perse definitivamente ogni freno.
Conficcò i
canini nel collo di Cloe, si avventò su di lei con
violenza senza preoccuparsi del dolore che le avrebbe provocato, gemendo
famelico nel momento in cui il sangue gli bagnò le labbra: quella ragazza aveva
un gusto che superava di gran lunga il profumo che emanava, un gusto che a
parole non sarebbe mai riuscito a spiegare.
Era come bere
direttamente dalla vita stessa, un’esperienza che tradiva ogni sua aspettativa
e che lo stava gettando in uno stato di esaltazione sconvolgente.
Poi,
all’improvviso, il sapore del sangue mutò: divenne ancora più intenso, più
zuccherino, irresistibile. Gli bastò sentire Cloe
chiamarlo per capire a che cosa fosse dovuto quel cambiamento.
«Santiago…»
Fu un mormorio
flebile, reso debole dalla perdita di sangue, ma il piacere in quella voce
tremante era innegabile: un piacere voluttuoso, al confine sottile con il
dolore. C’erano tracce di eccitazione in quel sangue. Eccitazione, piacere,
dolore, paura e, Santiago ne era certo, anche attrazione.
Recuperare il
controllo gli costò uno sforzo non indifferente: si allontanò da Cloe all’improvviso, trovando nascondiglio negli angoli bui
della strada, e nel momento in cui la privò del sostegno del proprio abbraccio,
la ragazza sembrò perdere l’equilibrio.
La vide barcollare,
le gambe tremanti e deboli. Si guardava attorno disorientata, il respiro
affannato. Sembrava in stato confusionale.
Santiago poteva
comprenderla: il morso di un vampiro era un’esperienza estrema ed intensa, un
atto in cui il piacere più puro e il dolore più intenso si incontravano, si
mescolavano e lasciavano smarriti, turbati e sconvolti dal conflitto
inaccettabile tra paura ed eccitazione.
Se lui non
avesse fatto appello al precario autocontrollo che aveva, l’avrebbe sicuramente
dissanguata e Cloe non avrebbe avuto né la forza né
la volontà per opporsi. Sarebbe morta tra le sue braccia, sperimentando il più
grande piacere che un essere vivente possa provare. E questo Santiago non
poteva permetterlo.
Non ancora, per
lo meno.
Lei voleva
giocare, voleva sfidarlo con la propria insolenza: chi era lui, per non
esaudire i desideri di Cloe? Li avrebbe trasformati
in realtà, tutti, fino all’ultimo.
A modo suo, ovviamente.
*
Quando riuscì a
reggersi in piedi senza tremare come una foglia, Cloe
capì quanto fosse perverso il gioco che Santiago stava conducendo.
La pelle del
collo era umida di sangue, e i rivoli che sentiva scendere verso la clavicola
le facevano venire i brividi. Toccò i fori: al tatto erano due piccole ferite,
probabilmente nient’altro che due taglietti. Il problema, però, era la loro
profondità. Santiago non si era certo risparmiato quando l’aveva morsa e Cloe sentiva chiaramente le gocce di sangue che sgorgavano
ritmicamente, in sincronia con il battito cardiaco.
Il che non
faceva che aggravare la situazione: non poteva correre, altrimenti il cuore
avrebbe cominciato a battere più forte e il sangue avrebbe cominciato ad uscire
più velocemente, ma non poteva neppure rimanere lì.
Si sentiva
davvero debole: per il sangue che le era stato tolto, e per quello che non
assumeva da troppe ore. Il suo fisico abituato a ricevere regolarmente il
sangue di Axel era come una macchina nuova e perfetta
che si trova improvvisamente senza benzina.
Stava andando in
crisi di astinenza, Santiago ne era consapevole e aveva calcolato ogni più
piccola cosa. Questo era il suo gioco, lei era la sua bambola, e Cloe si stava comportando esattamente come lui aveva
previsto.
Provò un
intenso, accecante moto di aggressività verso di lui. Si sarebbe messa a
gridare improperi rabbiosi in preda ad una crisi isterica, se solo ne avesse
avuto la forza. Ma non aveva neppure quella.
Cominciò a
camminare lentamente, un passo alla volta senza troppa stabilità. La mano sul
collo, ormai sporca di sangue; i vestiti lerci, pregni dell’odore ferroso che
tanto faceva impazzire Santiago e ogni altra creatura come lui.
Non si stupì di
ritrovarsi di nuovo stretta tra le braccia del vampiro che, alle spalle di Cloe, la stava trattenendo ancora. Non ebbe la forza di
opporsi neppure quando lo sentì penetrare di nuovo in lei, questa volta
prendendo di mira la sua spalla.
Lo sentì fremere
contro di lei mentre beveva ancora e ancora, mentre la stringeva così forte da
mozzarle il respiro. Era smanioso, violento, insaziabile. C’era in lui un
desiderio per il sangue –ilsuo sangue, quello di Cloe- che rasentava
la lussuria più pura, violenta e animalesca.
Non aveva mai
sentito niente del genere, mai, neppure quando a morderla era Axel. Finalmente capì, sentì
che cosa voleva dire essere un Sangre.
Era eccitante.
Era ammaliante.
Era selvaggio,
primitivo, sconvolgente.
E nonostante
tutto –nonostante la sua parte razionale le
suggerisse che tutto questo fosse profondamente sbagliato- Cloe
fu certa di una cosa: non si era mai sentita così viva come in quel momento, mentre
si trovava ad un passo dalla morte.
Tra le braccia
di un Sangre.
L’angolo dell’autrice
Capitolo dedicato a tutte le fan (e i
fan? Nella versione precedente c’era anche qualche maschietto, quindi metto
anche voi nel mucchio u.ù) di Cloe
e Santiago, forse un po’ cortino ma che rispetta la
mia nuova politica, “Meglio capitoli corti ma più frequenti, che capitoli
lunghi ma attesi troppo a lungo”.
Voi che dite, siete d’accordo con me? u.ù
Comunque, vi avviso: la settimana scorsa
è stato il mio compleanno, il che è ovviamente un tentativo di suscitare la
vostra pietà/pena/felicità e di convincervi a lasciare un commento XD Ve ne sarei
riconoscente, davvero! *__*
Detto questo, passiamo a ringraziare SaphiraLearqueen
e Rosa Blu per aver inserito Slayer’s tra le storie preferite, e Deb che invece l’ha inserita tra
le seguite. Mi date sempre soddisfazioni! *__*
Invece
a JESS dico: eh no, come vedi
Santiago non solo non risparmia proprio nulla a Cloe,
ma le si impone pure! XD Io come al solito comunque aspetto speranzosa
commenti, ti avviso! u.ù
Detto
questo, spero di riuscire a postare il nuovo capitolo martedì prossimo. In ogni
caso tenete sempre d’occhio Slayer’s, gli
aggiornamenti potrebbero arrivare quando meno ve lo aspettate ;)
Tra le braccia
di Santiago Cloe divenne come marmellata.
Quelle mani che
si contorcevano sul suo corpo, come se cercassero disperatamente qualcosa;
quella stretta forte, possessiva… Sembrava che la
stesse marchiando, come se fosse di esclusiva proprietà del vampiro.
E la sua lingua,
poi… Lappava ogni goccia di sangue con ingordigia,
indugiando sui piccoli fori lasciati dai canini. Li stuzzicava, li puliva, li
stimolava aspettando dell’altro sangue e poi li nettava di nuovo. E dove la
lingua scompariva, arrivava la bocca. Era un tormento, un vero tormento.
Voleva farla
impazzire, voleva farla capitolare con qualunque mezzo, e lei non stava
opponendo la minima resistenza. Al contrario: si abbandonò contro di lui come
una marionetta senza fili, gli occhi velati dall’eccitazione e dal piacere, nel
cuore un tumulto di emozioni e sensazioni sconvolgenti.
Si lasciò
sfuggire un sospiro, ma preferì ignorare la sfumatura deliziata che lo caratterizzava.
Non si rese neppure conto che Santiago l’aveva fatta voltare, e quando si
ritrovò a guardare il vampiro negli occhi ormai era troppo tardi.
Mi sembra di essere stata drogata.
Non capiva più
niente. Non capiva cosa stesse succedendo, né che cosa sarebbe potuto accadere
da lì a pochi istanti. La sua razionalità era completamente anestetizzata, così
come la capacità di reagire.
Si ritrovò con
il cappotto abbassato sulle braccia –come e quando
Santiago l’avesse slacciato rimaneva un mistero- e una gamba del vampiro
infilata sfacciatamente tra le proprie.
L’istante
successivo sentì un’altra, dolorosa fitta al petto: era Santiago, che aveva
lacerato la maglia trapassandola con i canini. La stava mordendo. Per la terza
volta.
Sul seno.
«Che stai
facendo?» riuscì ad ansimare non appena ritrovò la lucidità sufficiente per
realizzare che quello che stava accadendo era totalmente e irrimediabilmente
sbagliato. Ma Santiago sembrava lontano, perduto oltre i confini dell’istinto.
Non le rispose,
e quando il dolore si tramutò in piacere Cloe dovette
fare ricorso a tutta la propria forza di volontà per rimanere presente e non
farsi trascinare nella spirale della lussuria.
Peccato però che
non avesse le forze necessarie per contrastare Santiago fisicamente.
Cercò
disperatamente di indurre il vampiro a lasciarle il seno tirandogli i capelli –una soluzione alquanto ridicola, ma anche l’unica a cui
riusciva a pensare in quel momento- ma scoprì con un misto di orrore e di perversa
esultanza che riusciva a mala pena a socchiudere i pugni.
C’era una voce
nella testa di Cloe. Una voce che le ripeteva di
cedere, di lasciarsi andare, che non desiderava nient’altro. E Cloe, nel momento in cui affondò le mani tra i capelli di
Santiago e reclinò la testa con un sospiro, cedette.
E non desiderava
altro.
*
«Ti vedo davvero
male…» l’osservazione di Ice
voleva essere confidenziale, un tentativo di cominciare una qualunque
conversazione, ma Cora non era affatto dell’umore
adatto per intraprendere una chiacchierata amichevole. Soprattutto in quel
momento, a notte fonda, mentre percorrevano il marciapiede di un quartiere
residenziale non troppo distante dalla casa di Amber, ma che il freddo pungente
faceva sembrare lontano chilometri.
Avrebbe
volentieri sfogato il proprio disappunto per quella serata con battute acide e
scocciate, ma aveva la sensazione che quella non fosse la direzione che suo
fratello stava tentando di prendere attraverso quel timido commento.
Sbuffò,
guardando il viale deserto.
«Certo, dal
momento che è notte e non ci sono mezzi
pubblici…»
«Non eravamo i
benvenuti in quella casa, e lo sai» Ice si rabbuiò,
il tono di voce improvvisamente severo. Stava mettendo in pratica il ruolo del
fratello maggiore saggio e prudente, e lo stava facendo alla lettera.
Peccato che il curriculum non renda l’attore credibile…
«Almeno potevamo
aspettare la mattina per andarcene, non pensi?» Cora
gli sorrise, un’espressione retorica che non faceva altro che sottolineare
l’irritazione che infiammava la ragazza. Si strinse nel cappotto per ripararsi
dal vento freddo che si infrangeva contro di lei. «Lo sapevi che ci sono due
fazioni di vampiri? Sono diverse come il giorno e la notte. Quando Axel me l’ha raccontato faticavo a crederci.»
«Scommetto che
quello che mi hanno raccontato i due piccioncini supera di gran lunga quello
che Axel ti ha detto» Ice
la sfidò baldanzoso, le mani in tasca e l’atteggiamento da gran uomo. «Il
legame di sangue è la mia carta vincente.»
Cora lo guardò,
accigliata. «Che roba è?»
«Un vincolo
particolare, fisico e affettivo. Adorazione, venerazione, impossibilità di far
del male al proprio creatore… Una cosa del genere.
Più o meno.»
«Sei sempre così
preciso» rispose Cora, sarcastica. Il suo tono però
non fu sufficiente per scoraggiare Ice, che continuò
a stare al gioco e ad atteggiarsi.
«È una dote
rara. Invidiami pure quanto vuoi.»
«Che bel modo
per finire la serata…»
«Quanto
entusiasmo! Stavo facendo una battuta, nel caso non si fosse capito.»
«Non parlavo con
te, scemo! Guarda là» Cora gli indicò la strada. Non
si rese neppure conto di essersi fermata e di aver afferrato Ice per il braccio: tutta la sua attenzione era rivolta su
una sagoma non troppo lontana, in mezzo alla carreggiata. Era chinata su
qualcosa, e a giudicare dai gorgoglii animaleschi che le morivano in gola,
quella creatura non era umana.
Un vampiro.
Le bastò una
frazione di secondo per comprenderlo, e all’improvviso le fu chiaro che quella
cosa che il vampiro stringeva contro di sé era una persona. Un essere umano.
E lo stava
mangiando.
Il cuore di Cora accelerò i battiti. Avrebbe voluto avere con sé la
spada, stringerla nella mano, la sensazione rassicurante dell’impugnatura
contro il palmo. Invece erano entrambi disarmati.
Splendido. Che tempismo!
Fece per
gettarsi verso il vampiro, ma Ice la trattenne prima
che Cora potesse correre in strada. Quando si voltò
verso di lui, il volto del fratello era furioso.
«Non ti permetto
di farti ammazzare in questo modo!» fu un sussurro, ma la fece raggelare. Era
come se le avesse urlato addosso: lo sguardo severo e perentorio di Ice la fece sentire in difetto.
«È il nostro
lavoro!»
«Uccidere
vampiri è il nostro lavoro, non farci
ammazzare da loro! Non hai una spada, non hai un’arma che possa tenere quella
creatura ad una ragionevole distanza di sicurezza!» indicò la strada,
esattamente dove si trovava il vampiro. «Se pensi che ti lasci andare lì, ti
sbagli di grosso!» il suo viso, solitamente così sorridente e allegro, era
contratto dalla rabbia e dalla disperazione. Vedere Ice
in quello stato fu come ricevere una pugnalata in pieno petto.
Avrebbe voluto
essere capace di ignorare il proprio dovere, di chiudere gli occhi e far finta
che non stesse accadendo assolutamente nulla, perché era questo che Ice le stava chiedendo. Ma non ne era in grado. Non lei.
«Jodie è morta
perché non c’era nessuno ad aiutarla. Non puoi chiedermi di rimanere a guardare.»
Fu più che
sufficiente per freddare Ice. Cora
preferì ignorare l’espressione ferita che gli lesse negli occhi e il senso di
colpa che quella vista le provocò. Si lanciò in strada, e mentre correva verso
quel vampiro continuò a ripetersi che ce l’avrebbe fatta.
Che non sarebbe
stata lotta impossibile da vincere.
Ma, quando fu
sufficientemente vicina da poter distinguere l’identità della creatura e della
sua vittima, il suo ottimismo si sgretolò come sabbia: tra tutte le persone, Cora non si aspettava certo di vedere lei. E lui.
Cloe.
Santiago.
Insieme.
E, soprattutto,
non avrebbe mai ritenuto possibile che il volto di Cloe
fosse arrossato. Sconvolto. Estasiato. Come se avesse appena avuto un orgasmo.
Axel avrà una bella sorpresa.
«Che diavolo…» Ice, che nel frattempo
aveva raggiunto Cora–la
sua devozione nonostante tutto a volte poteva essere davvero ammirevole- , era
sorpreso almeno quanto lei.
Quando si
accorse della loro presenza, il vampiro lasciò andare Cloe.
La mannara barcollò incerta prima di accasciarsi sulle gambe tremanti.
«Desiderate?» Santiago
si ricompose, pulendo le labbra dalle gocce di sangue che gli imbrattavano la
pelle. Si atteggiò a persona distinta, con naturalezza, come se non fosse
appena stato beccato con le mani nel sacco. Se fingesse di non riconoscere Cora ed Ice, beh…
Quello rimaneva un mistero.
«Penso che tu lo
sappia piuttosto bene, no?» rispose Cora,
raggiungendo Cloe con movimenti misurati e prudenti,
senza voltare le spalle al vampiro.
«Ti assicuro che
non sto facendo nulla di male» Santiago fu improvvisamente accanto a Cloe, e la sostenne prima che Cora
potesse offrirle il proprio aiuto. Sorrise alla cacciatrice, un sorrisino
mellifluo che non le piacque per niente. «E a mia moglie ci penso io.»
«Moglie un corno…» quello di Cloe
fu un sussurro debole, ma che a Cora non sfuggì.
«Com’è che non
vedo nessuna fede, eh? Santiago?»
«Ricordi
addirittura il mio nome! Quante ammiratrici…» il
vampiro sospirò, come se la cosa gli pesasse. Poi schioccò le dita, ammiccante.
«Dai, l’autografo però te lo posso fare.»
«Penso che
sarebbe più utile se lasciassi qui Cloe e te ne
andassi» Cora lo fulminò con lo sguardo cercando di
apparire sicura, quasi minacciosa. Sapeva che Santiago non avrebbe lasciato
libera la mannara così facilmente, ed era consapevole del fatto che non sarebbe
certo riuscita ad intimidirlo. Ma la speranza era l’unica cosa che le restava.
«Allora porto
via te?» Santiago si fece improvvisamente serio, e quando lasciò il braccio di Cloe, Cora arretrò. Fu l’istinto
a spingerla a indietreggiare, e si sentì improvvisamente insicura.
«Vattene subito.»
Santiago
sogghignò. «Mi stai minacciando senza avere gli strumenti per potertelo
permettere. È uno sbaglio da principianti.»
«Ti ha detto di
andartene. Ora» Ice
si frappose tra il vampiro e la sorella, suscitando il divertimento di
Santiago.
«Tu sei quello
che l’altra sera mi ha dato dello stronzo… Certo, mi
ricordo di te! Generalmente io non sono il tipo che sputa giudizi sugli altri,
ma dal momento che sembra che a te invece piaccia, voglio stare al tuo gioco»
Santiago parlò come se stesse conversando amabilmente con un vecchio amico.
Gesticolò, camminò, si comportò esattamente come una persona comune. Peccato
che non fosse esattamente un tipo qualunque.
«Tu sei un
animale. Niente di più, niente di meno. Un animale. E come tale, meriti di
essere trattato. Per cui…»
«Corri» Cloe intervenne, nella voce una nota d’urgenza che fece
rabbrividire Cora. Sia lei che Ice
la guardarono confusi, senza capire che cosa intendesse dire. Quanto a
Santiago, invece, sembrava scocciato. «Così mi rovini tutta l’introduzione!»
«CORRI!» Cloe guardò Ice negli occhi, e probabilmente
anche lui colse quanto fosse intenso il panico che attanagliava la mannara. O,
almeno, Cora ebbe quell’impressione quando lo vide impallidire.
Scappa Ice, più veloce che
puoi.
E, come se le
avesse letto nel pensiero, Ice cominciò a correre. Fu
tutto così veloce, così istintivo… Quando Cora vide Santiago lanciarsi all’inseguimento del fratello,
non si soffermò a riflettere: dimenticò in un istante tutti gli addestramenti
ricevuti, tutti i sermoni sull’importanza della lucidità e della prudenza. L’unica
cosa a cui riuscì a pensare era che Ice era tutto ciò
che le era rimasto della propria famiglia.
Scartò di lato e
si lanciò su Santiago appena lui si mosse, finendo a terra assieme al vampiro.
«Sei morta» Cora lo sentì inveire mentre tentava di scollarsela di
dosso e di rimettersi in piedi, e il suo cuore cominciò a battere impazzito: la
situazione stava degenerando verso esiti davvero rischiosi. Quando Santiago
riuscì a voltarsi e lei finì distesa sul fianco, Cora
non capì più nulla.
Fu consapevole
solamente del terrore accecante che provò nel momento in cui credette di aver oltrepassato il punto di non ritorno,
quando per un istante fu convinta che non sarebbe riuscita a scappare dalle
grinfie del vampiro. E, quando vide il viso di Santiago troneggiare su di lei,
il suo corpo agì senza le direttive provenienti dalla testa: l’unica cosa di
cui fu cosciente fu un grido di agonia, acuto e lacerante, e ne capì il motivo
solo dopo alcuni secondi interminabili: Santiago si trovava ancora chino su di
lei, immobile. E, Dio, le mani…
Le mani di Cora si trovavano esattamente verso il viso del vampiro, un
dito conficcato in ciascun occhio. E lui gemeva, gemeva così forte…
Cora lo guardò,
esterrefatta. Poi, la paura e la repulsione presero il sopravvento e il
pensiero martellante di allontanarsi al più presto la fece rialzare.
«Cora!» Ice tornò indietro, ma Cora gli fece cenno di non avvicinarsi ulteriormente: era
riuscita a far guadagnare loro un vantaggio, ma non aveva idea di quanto
sarebbe potuto durare. Dovevano fuggire ora, in quel preciso momento, finché
Santiago era troppo occupato dal dolore dei suoi occhi feriti per prestare loro
attenzione.
Non perse tempo.
Aiutò Cloe a rimettersi in piedi, sostenendola e
cercando di fornirle un appoggio, ma purtroppo non fu sufficiente.
Quando sentì una
mano afferrarle la caviglia, sapeva già di chi si trattasse prima ancora di
abbassare lo sguardo.
«Dove pensi di
andare?» Santiago aveva gli occhi coperti dall’altra mano, imbrattata dal suo
stesso sangue. E, a giudicare dal tono di voce, sembrava non avere più alcun
controllo su se stesso. Quando afferrò anche l’altra caviglia di Cora, scoprendo gli occhi chiusi e insanguinati, il panico
assalì la cacciatrice.
Cominciò a
scalciare con forza, mossa dall’istinto di sopravvivenza che le gridava di
fuggire e la privò di ogni barlume di lucidità.
«ICE!»
Non capì più
niente quando sentì un dolore acuto e improvviso al polpaccio. L’unica cosa di
cui fu consapevole era che Santiago l’aveva appena morsa, e che avere un
vampiro ancorato con i denti ad una qualunque parte del corpo non era mai, per
nessun motivo, una cosa positiva. Scalciò ancora più forte, ansimando, quasi
piangendo, cercando in tutti i modi di scrollarsi di dosso quella bestia
antropomorfa che sembrava volerla trascinare a terra con sé e stroncarla lì,
sull’asfalto, come un animale ferito e indifeso.
Quasi non si
accorse di Cloe, del suo vano tentativo di strappare
la cacciatrice dalle fauci di Santiago: la stava tirando per il busto, le
spalle, il torace, ma qualunque fosse l’appiglio, la mannara era troppo
indebolita dalla perdita di sangue per riuscire a vincere la forza famelica del
vampiro.
«Lascia stare
mia sorella!» Ice si lanciò nella mischia, colpendo
il viso di Santiago con un calcio potente, rabbioso e impaurito. L’urto fu
violento e inaspettato, e costrinse il vampiro a lasciare la gamba di Cora, che si portò immediatamente a distanza di sicurezza
da Santiago.
Ma, quando
guardò meglio la sagoma accucciata a terra, si accorse di quanto fosse fuori di
sé, inebriato dal sangue e sconvolto dalla rabbia: ansimava velocemente,
rumorosamente, come se facesse fatica a respirare. Nonostante non potesse
vedere i suoi occhi, Cora fu certa che avrebbe visto
un’espressione selvaggia contorcergli il viso, se Santiago non fosse stato
ferito.
Avevano appena
spinto un Sangre
oltre la soglia del proprio controllo.
L’avevano
costretto ad oltrepassarla, a perdere quel precario equilibrio che possedeva.
Avevano commesso un errore madornale.
E ne avrebbero
pagato le conseguenze.
L’angolo
dell’autrice
Come al solito
vi lascio con i miei bei finali aperti, giusto per creare un po’ di suspance e di attesa per il prossimo capitolo. Sono
diabolica °w°
Comunque… Ragazze (e
ragazzi, non si sa mai XD), ho una news fresca fresca
che voglio assolutamente condividere con voi, perché trovo che sia una cosa
fantastica. Una mia piccola soddisfazione personale che devo un po’ anche a
voi, perché voi lettrici (e lettori, come dimenticarvi?) siete la benzina per
la mia macchina, e se ho rincominciato a scrivere e a rimetter mano a Slayer’s lo devo soltanto a voi.
Quindi, è anche
merito vostro se Slayer’s ha vinto il concorso di Neverendingstoryawards come BEST CO-PROTAGONIST. E
indovinate con che co-protagonista ha vinto? Eh? *__* Lascio a voi l’inghippo
di scoprirlo (in realtà vi basterà andare sul mio profilo per scoprirlo, dove
c’è una targhetta luminosa, nera, che fa tendenza XD).
Detto questo,
passiamo a dei doverosi ringraziamenti: a Erini83
per aver messo Slayer’s tra i preferiti, e Elienne che l’ha
inserita tra le storie seguite.
Anche soltanto
vedere lettori che aggiungono la storia in queste due categorie da una grande
soddisfazione <3
Invece, per
quanto riguarda le mie adorate, affezionate e preziosissime commentatrici
(davvero, come farei senza di voi?):
Jess: grazie cara, è
sempre un piacere sentirti dire quanto Santiago sia irresistibile *__* In
realtà nei prossimi capitoli approfondirò la sua psicologia e il suo carattere,
quindi spero che risulti anche credibile oltre che irresistibile (senza nulla
togliere al fatto che sia irresistibile, eh! XD È che non so te, ma a me
intriga tantissimo che un bel personaggio sia non solo attraente, ma anche ben
strutturato. E visto che Santy mi intriga a priori,
non posso proprio trascurarlo XD)
Jennifer90: questa cosa dell’odio/amore tra Santy e Cloe come puoi vedere è
rimasta, ma rispetto alla prima versione è un po’ più complessa. Diciamo che va
oltre al mero “sei un vampiro, dunque non ti posso vedere” (che poi in realtà
sappiamo benissimo che è tutto il contrario! XD) Ti dirò, per questa nuova
versione di Santiago ho in mente delle cosette che penso vi potranno piacere :P
E col tempo le sveleremo una ad una. E grazie per gli auguri, graditissimi!
Come al solito
siamo arrivati alla fine per questo capitolo: sarà che ho poche persone a cui
rispondere nei commenti? (BASSISSIMO tentativo di suscitare la vostra pietà e
di invitarvi a spendere due minutini di tempo per commentare XD Mh, ci provo sempre ahahah!)
Tenete d’occhio Slayer’s per gli aggiornamenti, potrebbero arrivare quando
meno ve lo aspettate!
Fu tutto così
veloce che Cora non ebbe neppure il tempo di
comprendere che cosa stesse succedendo.
In una frazione
di secondo si ritrovò a terra, e l’impatto con l’asfalto le provocò una fitta
che le mozzò il fiato. Respirare le faceva male, ma ancora più insopportabile
era l’attacco serrato della bestia che la stava schiacciando: Santiago aveva
perso qualunque traccia di raziocinio, ed era diventato puro istinto.
Grugniva e
ansimava mentre cercava di afferrare e mordere qualunque parte anatomica di
Cora, spinto dalla frenesia cieca che lo comandava. Qualunque cosa valeva
l’altra: un braccio, la spalla, il collo, il viso. Era come essere sopraffatti
da un grosso cane aggressivo e rabbioso.
E Cora, nella
foga della colluttazione, aveva talmente tanta adrenalina nel sangue da
sentirsi distante, come se si trovasse da un’altra parte. Come se chi stesse
per essere sbranata da una bestia antropomorfa fosse un’altra persona.
Non comprese
quanto la situazione fosse disperata, o almeno non subito.
Non si rese
conto che quella freddezza le fu decisiva mentre, schiacciata tra l’asfalto e
il peso inamovibile di Santiago, si dimenava dimostrando una disperata volontà
di vivere.
Noncapì che fu quello ciò che le permise
di temporeggiare, di guadagnare quei pochi, preziosissimi secondi. Giusto il
tempo necessario, prima che il rombo di un motore squarciasse le sue grida e
che la macchina si fermasse proprio davanti a loro.
Poi,
all’improvviso, il mondo cominciò ad assumere un senso attorno a Cora: nel
momento in cui qualcuno –o qualcosa- le allontanò
Santiago da dosso, tutto ritornò alla normalità.
Ice, Cloe, Santiago… Erano tutti lì,
ma non erano i soli. C’era qualcun altro. Due persone. Le davano le spalle, ma
li avrebbe riconosciuti ovunque, in qualunque situazione. Era difficile non
accorgersi del magnetismo che emanavano attraverso il più piccolo gesto.
Un’eleganza sfacciata, irraggiungibile. Erano un richiamo che catturava Cora, la sconvolgeva, e a cui lei non sapeva resistere.
E, tra i due, era
lui a chiamarla e lo faceva
attraverso ogni fibra del suo corpo.
Non c’era nessun
altro capace di suscitare in Cora un simile
turbamento. Non c’era altri che lui.
«Axel.»
Non le rispose.
Cora non poteva
vedere la sua espressione, né quella di William accanto a lui. Si frapponevano
tra lei e Santiago che, chino a terra, sembrava una bestia selvatica e pronta
ad attaccare.
Quando balzò su Axel, quest’ultimo afferrò Santiago per la gola e lo
costrinse a terra, immobile. William gli fu subito accanto, e trattenne il Sangre per le
braccia.
Anche
immobilizzato, Santiago non smetteva di dimenarsi: era come un serpente stretto
nella morsa di un domatore. Cercava di liberarsi, le fauci spalancate alla ricerca
di qualcosa da mordere, da lacerare, da strappare. Da fare a pezzi.
«Perché è in
questo stato?» Ice, a debita distanza dai tre
vampiri, guardava Santiago raccapricciato.
Non si può biasimarlo. Non è uno spettacolo
piacevole,
pensò Cora.
«Ha perso ogni
controllo. L’istinto ha preso il sopravvento e la sua parte razionale non
riesce a ritornare indietro» per un istante Will sembrò affaticato e Cora ebbe l’impressione che la forza di Santiago stesse per
vincerlo.
«Dobbiamo
indebolirlo, o non ce la farò ad ipnotizzarlo» Axel
cercò lo sguardo di William. Fu sufficiente. Non c’era bisogno di spendere
altre parole: probabilmente era tutto dovuto ad una qualche particolare intesa
tra vampiri.
Una specie di
frase in codice che Cora era ben lungi dal poter
capire. Non che sperasse di entrare nella dinamica del loro gergo, a dire il
vero.
Quando William
si avventò sul braccio di Santiago e cominciò a succhiare il sangue che
fuoriusciva dalla ferita aperta dai canini, le conseguenze furono rapide ed
evidenti: il Sangre
tentò di resistere, un paio di spinte rabbiose e testarde, ma il suo fisico si
indebolì rapidamente. Divenne quieto, reso anestetizzato dalla perdita
progressiva di sangue. Stava diventando nient’altro che un fantoccio, un
contenitore vuoto e addormentato, un corpo umano senza più quella pallida
imitazione di vita che lo faceva muovere, che lo faceva mangiare, che gli
faceva provare fame. Era un vampiro senza più alcuna forza.
Fu in quel
momento che i suoi occhi, ormai completamente rigenerati, incrociarono quelli
di Axel.
E accadde.
«So che sei lì, Santiago…» la voce di Axel era
carezzevole, languida, bassa. Sembrava leggera e delicata come una carezza. «…
Lasciami entrare.»
Il Sangre, ancora
immobilizzato da William, era catturato dallo sguardo di Axel.
Rapito al punto da sembrare una statua di cera.
«Lasciami
entrare.»
Cora si rimise in
piedi, lentamente. Era certa che le gambe non l’avrebbero sorretta,
sconquassate dall’adrenalina che le vagava ancora nel corpo, ma scoprì con
stupore che non fu così. Il primo istinto fu di cercare lo sguardo di Ice, ma lui non le stava prestando attenzione: era assorto,
completamente rapito da ciò che Axel stava facendo. Lo
stava osservando a bocca aperta, e per un attimo Cora
temette che Santiago non fosse l’unico a trovarsi sotto ipnosi.
«Lasciami entrare.»
Santiago sbatté
le palpebre un paio di volte, probabilmente un riflesso condizionato
dall’ipnosi. Significava che stava cedendo?
«Non resistermi, Santiago!»
All’improvviso
il Sangre
si mise seduto, strappando entrambe le braccia dalla presa di William. Ma non
degnò quest’ultimo neppure di uno sguardo: il suo rancore violento era tutto
per Axel.
«Non provare mai
più ad usare l’ipnosi su di me, Eraclea.»
«Non sei nella
posizione di intimidire nessuno» il viso di Axel era
imperturbabile. Sembrava che la minaccia del vampiro non lo riguardasse. Non lo
preoccupava affatto.
Quando Santiago
se ne rese conto, probabilmente intuì anche quanto fosse grave la situazione in
cui si trovava. Axel lo costrinse ad alzarsi,
trascinandolo per un braccio: contro ogni previsione, non oppose alcuna
resistenza.
Si lasciò
condurre verso la macchina con la docilità di una persona rassegnata, ma il suo
sguardo ombroso diceva tutt’altro. Prima di entrare dentro l’abitacolo rivolse
quello sguardo verso Cora
e nell’istante in cui lei incrociò i suoi occhi, provò una strana, intensa
inquietudine.
C’era rancore.
C’era odio.
C’era vendetta.
Ed erano tutti
per lei.
*
Quando Emma aprì
la porta, accogliendo il loro ritorno con un sorriso speranzoso, probabilmente
era certa che sarebbero tornati tutti quanti. Riponeva troppa fiducia in
William ed Axel per poter considerare l’idea che
tornassero senza Cloe.
Non aveva però accarezzato
l’idea che potessero tornare con qualche ospite in più, a giudicare dal suo
sguardo improvvisamente accigliato, e in effetti Cora
non poteva darle torto. Lei stessa non avrebbe potuto immaginare che sarebbe ritornata
in quella casa, assieme a suo fratello. E non erano gli unici.
«E lui che ci fa
qui?» Emma indicò Santiago con un cenno della testa. Il vampiro, scortato da Axel e William, si lasciò scappare un sogghigno divertito.
Anche da
prigioniero era capace di fare del sarcasmo.
«Sono l’ospite
d’onore. Hanno insistito tanto perché venissi qui, non potevo certo rifiutare.
E poi dicono che sono scortese, pensa un po’.»
«Che ti avevo
detto, Santiago?!» Will lo strattonò in maniera rude e aggressiva, dimostrando
di possedere un aspetto ombroso che Cora non aveva
mai notato fino a quel momento. «Devi
stare in silenzio. Cosa non ti è chiaro in questo concetto?»
«Non è che non
mi sia chiaro. In realtà è una costruzione grammaticale piuttosto semplice, e
anche semanticamente devo ammettere che…»
William spintonò
con malagrazia Santiago in ingresso, prima che potesse terminare la frase. E Cora cominciò a capire.
Will non era il
tipo che riusciva a sopportare una provocazione, soprattutto quando veniva lanciata
utilizzando il sarcasmo. Santiago ne era consapevole e sfortunatamente sembrava
saper giocare piuttosto bene le proprie carte, anche in una situazione in cui
il carceriere non era lui.
«Will…» Axel lo ammonì, il suo
sguardo esprimeva un significato inconfondibile.
Stai facendo il suo gioco.
«Accompagniamo
Santiago nel suo alloggio in cantina.»
*
Erano rimasti in
tre, accomodati nelle poltrone del salotto.
Cora, Ice e Cloe.
Emma era andata
a cercare bende e medicine che potessero servire per curare le ferite di Cloe e a giudicare dal tempo che stava impiegando,
probabilmente la ricerca stava risultando più ardua del previsto. Quanto ad Axel e a William invece, erano chiusi in cantina assieme a
Santiago da minuti interminabili.
A loro non era
stato dato il permesso di seguirli. Non che Cora
provasse curiosità riguardo all’incarcerazione del Sangre, ma il non vederli tornare
la rendeva inquieta.
E, come se non
bastasse, il silenzio ostinato e imbarazzato che aleggiava nel salotto non
contribuiva certo a migliorare la situazione. Era come se vi fosse qualcosa di
non detto che vagava nell’aria come un fantasma, qualcosa che rimbalzava
dall’uno all’altro nella speranza di trovare una forma, di venire espresso.
Ma era qualcosa
di scomodo, di rovinoso. Qualcosa che nessuno aveva il coraggio di affrontare.
Cora, seduta di
fronte a Cloe, non poteva fare a meno di rivedere la
mannara stretta tra le braccia di Santiago ogni volta che alzava gli occhi e la
guardava.
Era cinerea, un
pallore che non era affatto sano. Era sporca di sangue e ferita in più punti. Tutti
segni inequivocabili di quello che era appena accaduto.
E non riusciva a
guardarla in faccia.
Così guardò Ice di sottecchi, ma anche lui non sembrava essere
particolarmente a proprio agio.
Cora sospirò. Quel
silenzio era terribilmente imbarazzante.
«C’è una bella
giornata, fuori.»
Silenzio.
«Cora…»
Era Ice.
«Sì?»
«È l’alba. Non
può esserci una bella giornata.»
Suo fratello era
sempre così collaborativo, così sensibile, così attento alle situazioni…Cora avrebbe voluto
mollargli una gomitata, un pugno, uno schiaffo. Una cosa a caso, l’importante
era il concetto. Razza di scemo!
«Non vi ho
neanche chiesto i vostri nomi» Cloe, che
probabilmente aveva colto il tentativo da parte di Cora
di rompere il ghiaccio, sembrava invece non provare alcun disagio. Sorrideva
amabilmente, come una perfetta padrona di casa che intrattiene i propri ospiti.
«Io sono Ice e lei è Cora. Mia sorella.»
«Già, una gran
fortuna» Cora si abbandonò contro lo schienale della
poltrona, le braccia conserte e un sorriso affilato stampato sul viso. Mia sorella. L’aveva specificato così
velocemente da risultare imbarazzante. Lei conosceva fin troppo bene suo
fratello: sapeva com’era fatto, quali erano i suoi punti deboli, e poteva
riconoscere facilmente un atteggiamento lusinghiero quando lo vedeva.
E, in quel
momento, poteva affermare con sicurezza che Ice si
era appena lanciato in uno spericolato corteggiamento con il bersaglio che meno
di tutti era alla sua portata. Cloe.
«Tutto questo
amore mi soffoca. Hai mai pensato di prenderti un cane?» Ice
ribatté alla frecciata della sorella, che per tutta risposta si strinse nelle
spalle con noncuranza.
«Non ne ho
bisogno, ho già te.»
Cloe, accoccolata
sul divano, li guardò sorridendo. «Vorrei davvero ringraziarvi per quello che
avete fatto. Non so dove sarei ora, se non foste intervenuti.»
Fu un’ammissione
spontanea e veritiera. Era un dato di fatto: se Cora
non si fosse lanciata in aiuto di Cloe quella notte,
probabilmente la mannara non sarebbe riuscita a fuggire. O addirittura neppure a
sopravvivere.
La osservò: il
modo in cui abbassava lo sguardo, come si sistemava una ciocca di capelli
dietro l’orecchio, come si copriva le dita con la manica del maglione… Si era sbagliata riguardo a Cloe.
Anche la mannara provava imbarazzo e lo aveva capito soltanto adesso, mentre la
guardava con attenzione.
C’era qualcosa
che voleva dire, qualcosa che la faceva vergognare.
«In realtà non
so che cosa mi sia preso» Cloe si accarezzò il collo,
esattamente dove erano visibili due piccoli fori arrossati. Nel punto esatto in
cui Santiago l’aveva morsa.
Non so che cosa mi sia preso.
Improvvisamente,
Cora capì: la mannara si stava riferendo al modo in
cui si era abbandonata tra le braccia del Sangre. All’arrendevolezza con
cui gli aveva ceduto, alla totale accettazione del suo morso, del suo
desiderio, di lui. Cloe aveva scelto di non lottare, e il piacere che ne era
derivato era stato talmente forte da farle provare vergogna verso se stessa.
Cora si sentì
scaraventata in un’aula di tribunale, a raccogliere confessioni che non
desiderava.
«Immagino non
sia stata una situazione facile» fu tutto ciò che poté ribattere. Non riuscì a
pensare niente di meglio. Era una constatazione piuttosto stupida, una frase
fatta, ma non sapeva fare altro. Era il massimo che poteva aspettarsi da se
stessa in quel momento, l’imbarazzo che provava non le consentiva di fare di
più.
Sei il Ghoul di Axel. Non dovresti dire a me queste cose.
Cloe divenne
silenziosa tutto d’un tratto. Fissò le fiamme che ardevano nel caminetto,
catturata dal loro movimento sinuoso. Le stava guardando, ma la sua mente era
altrove. Poi, quando cercò lo sguardo di Ice e Cora, i suoi occhi si fecero improvvisamente seri.
«Vi sarei grata
se non faceste una parola con Axel di ciò che avete
visto stanotte. Mi riferisco al fatto che mi sono lasciata andare tra le
braccia di Santiago.»
Le costava molta
fatica chiedere una cosa simile, per il semplice fatto che l’argomento era per
lei fonte di imbarazzo e probabilmente anche di vergogna. Tutto in lei lo
gridava, ogni più piccola ruga d’espressione testimoniava la battaglia che Cloe stava conducendo contro il proprio orgoglio.
E Cora non fu capace di calpestarla, nonostante in un angolo
del proprio cuore provasse un sentimento strano, scomodo, che ruotava attorno
ad Axel e al legame ambiguo e confuso che lo univa
alla mannara. Un legame che non capiva, un legame a cui non riusciva a dare un
nome che andasse oltre la parola Ghoul.
Cercò di
sorridere in maniera genuina, accogliente, perché nonostante tutto poteva
comprendere Cloe: Cora non
aveva conosciuto il fascino di un Sangre–ammesso che i sanguinari
ne avessero- ma sapeva bene che cosa voleva dire subire il fascino di un
vampiro. Aveva imparato che non c’era
volontà che fosse incrollabile davanti ad un vampiro, e ad insegnarglielo era
stato proprio Axel.
«Non
preoccuparti» la rassicurò, guardando Ice e cercando
il suo appoggio nel sorriso aperto del fratello. «Rimarrà tra di noi.»
*
La cella si
richiuse con un clangore secco, privando Santiago della propria libertà. In fin
dei conti, però, rimanere imprigionato nella cantina degli Eraclea non poteva essere
considerato il problema principale.
Al momento c’era
qualcosa di ben più preoccupante, una minaccia che andava arginata quanto
prima. E quella minaccia aveva un nome, due canini e un paio di occhi viola che
in quel momento lo stavano guardando con ostilità.
«Questa si
chiama tortura psicologica, Axel» Santiago lo
canzonò, avvicinandosi alle sbarre. Era più forte di lui: non ce la faceva a
stare in silenzio, sottomesso. Non era nella sua natura.
«Dammi un motivo
valido per cui non dovrei farti a pezzi e lasciarti bruciare sotto il sole di
mezzogiorno» la risposta di Axel fu un sibilo rabbioso,
una reazione che per Santiago fu dolce come il miele. Aveva stuzzicato il lato
violento dell’Eraclea,
una parte tenuta perennemente sotto controllo, addormentata. E tutto grazie al
prezioso Ghoul
di Axel.
Quell’idea rese
Santiago estatico e fu per lui un invito a giocare. Un invito che non poteva in
alcun modo rifiutare.
Axel avrebbe davvero
voluto massacrarlo: Santiago glielo leggeva in faccia e gioiva della rabbia di
cui era oggetto, ma c’era qualcosa che lo esaltava ancora di più. La cosa che
più lo mandava in fibrillazione era che, nonostante lo desiderasse, Axel non poteva permettersi di fargli del male. L’Eraclea non ne
era ancora consapevole, ma sarebbe stato dipendente dalla persona che odiava di
più.
Non c’era nulla
di più seducente della sensazione di potere che quell’idea gli conferiva. E, da
buon Sangre
qual’era, per lui non sarebbe mai stata abbastanza.
«Capisco perché
ti tieni Cloe vicino. Il suo sangue ha un sapore
molto buono.»
«Axel, direi che possiamo tornare dagli altri» William, che
fino ad allora era rimasto in disparte ad ascoltare, intervenne come un
perfetto paciere.
Bastardo ficcanaso.
Non gli avrebbe
permesso a di strappargli il giocattolo dalle mani.
«Immagino che te
la sarai anche scopata…» Santiago si appoggiò alle
sbarre con naturalezza, sulle labbra un sorriso strafottente e provocatore.
«Scommetto che è il tipo che grida.»
Fu un attimo. Axel fu così veloce da non lasciare a Santiago il tempo di
reagire: il vampiro si ritrovò con la testa sbattuta contro le sbarre e la mano
dell’Eraclea
chiusa attorno al suo collo.
Ed Axel era vicino al suo viso. Vicinissimo.
«Dammi un motivo valido. ORA!»
Santiago
sogghignò. Era arrivato il momento di fargli capire quanto avesse bisogno del
suo aiuto, e di come non avrebbe più potuto farne a meno.
«C’è qualcuno
che hai scordato, ma che ti è rimasta sempre fedele anche quando le hai voltato
le spalle. Ed è fedele al punto tale da volere indietro il suo Sire.»
«Se stai
parlando di Lakeisha, mi ha già lanciato il suo
ultimatum. Le ho detto di no.»
Santiago si
lasciò sfuggire una piccola risata, e quando Axel lo
lasciò andare si ravvivò i capelli con un gesto veloce della mano.
«Non sto
parlando di te. Sto parlando del vecchio Axel, quello
che ha plasmato la storia. Quello che ha reso noi Sangre ciò che siamo.»
Quando vide lo
sguardo di Axel svuotarsi di ogni sicurezza, Santiago
capì di aver centrato in pieno il bersaglio. Del resto, non poteva certo dargli
torto: sarebbe stata una notizia sconvolgente per chiunque. O quasi.
«Vuoi dire che ha
intenzione di far tornare Axel ciò che era un tempo?»
domandò William, visibilmente preoccupato.
Santiago annuì.
«Una lealtà ammirevole, non credete anche voi?»
«È tutto qui
quello che sai?» Axel divenne improvvisamente freddo,
distante, come se ciò che aveva appena sentito fossero un mucchio di fandonie.
Nient’altro che una facciata per nascondere la propria preoccupazione, per non
sembrare debole.
Peccato che a
condurre le danze fosse Santiago, un ballerino che possedeva in egual misura
astuzia ed esperienza. Intuì la tattica di Axel prima
ancora di vederla all’opera.
«Quello che ti
ho detto non è altro che un piccolo anticipo. Il resto lo avrai solo alle mie
condizioni» Santiago sogghignò. Era perfettamente consapevole di avere la
situazione in pugno. Aveva il coltello dalla parte del manico. «Cloe.»
«Te lo puoi
scordare» Axel fu perentorio. Rispose all’istante,
senza neppure pensarci su. Per Santiago fu abbastanza.
Finse
indifferenza, ben sapendo che bastava tirare un ultimo filo per far scattare la
trappola. Fece spallucce.
«A rimetterci
sei soltanto tu. Propongo un brindisi: al ritorno del vecchio Axel e del suo regno del terrore» e sollevò la mano come se
stringesse tra le dita un prezioso salice di cristallo. Sorrise.
Era fatta.
«… Cin cin.»
L’angolo
dell’autrice
Correggendo il
capitolo ho cominciato a chiedermi come faccia Santiago ad essere così Santiago
e a riuscire a ricattare le persone pure stando dietro le sbarre…ò.ò E in effetti non sono riuscita a darmi risposta ahahah!
Vi prego di
scusarmi per il ritardo nell’aggiornamento (quasi tre settimane) ma ho avuto un
esame e in più sono stata anche ammalata. Dunque dunque:
si cominciano ad intravedere i piani di Lakeisha
(che, per chi ha letto la versione precedente di Slayer’s,
già erano più o meno noti), ma cominciano gli interrogativi.
Che intenzioni
ha Santiago? Fin dove sarà disposto a spingersi Axel,
messo alle strette da Santiago? E soprattutto, era davvero così terribile il
vecchio Axel? (questa è una domanda inedita anche per
i vecchi lettori, ahahah! Un po’ di par condicio)
Per avere una
risposta a queste e ad altre domande, non dovete fare altro che continuare a
seguire Slayer’s! *___* E ora passiamo ai commenti:
Innanzi tutto,
vorrei come sempre ringraziare chi inserisce la storia tra le seguite e le
preferite. Dunque, un GRAZIE a Kicici, ntinavale e Jess.
Poi, passando
davvero ai commenti:
Rosa Blu: uh, una nuova commentarice!
*___* quanto sono felice di vedere i commenti di nuovi lettori, non hai idea!
(non che i commentatori affezionati mi diano noia, anzi! <3)Comunque direi che hai un buon intuito, ahahah! Chissà da cosa l’hai capito…
mah u.ù
Kicici: ecco, davvero… mi state viziando (e mi piaceeeee
XD). Sono davvero felice che la storia ti appassioni. Spero che continuerai a
seguirla e a farmi sapere che ne pensi, anche perché ho intenzione di far
succedere un bel po’ di cose :P
Jess: cara lei, che
è addirittura dipendente da Slayer’s! *___* Queste
lusinghe a me fanno un effetto pazzesco, e mi fanno ingranare il turbo nella
scrittura! XD Grazie per i complimenti, inclusi quelli relativi al concorso:
sono stati davvero graditi! :D Comunque potremmo dire che qualche aspetto della
psicologia di Santiago stiamo cominciando ad intravederlo, una briciola anche
in questo capitolo. Ma non aspettarti (e anche voi altri, non aspettatevi!)
cose assolutamente razionali, perché non ce ne saranno :P Penso che in tutta Slayer’s non ci sia un personaggio più assurdo e contorto
di Santy… e a noi piace così, vero? XD Come vedi Cora ha quasi rischiato la pelle, perché non si è fatta gli
affari propri. Chissà che abbia imparato… Io non so
nulla u.ù
Anche per questo
capitolo siamo arrivati al termine. Come al solito, cercherò di aggiornare il
più velocemente possibile. E, tanto perché non vi ringrazio mai e non penso che
sia giusto… voglio ringraziare di cuore anche chi ha
la pazienza di leggersi ogni capitolo, che non è mai propriamente corto. Grazie
davvero <3
Il tepore che la
riscaldava era piacevole. Le coperte, aggrovigliate attorno al suo corpo
sfinito dalla stanchezza, le ricordavano vagamente l’abbraccio rassicurante di
una madre: le davano la stessa sensazione di protezione, come se all’interno di
quel letto non potesse succederle niente di male.
Aveva bisogno di
crederlo, di sentirlo attraverso ogni fibra se voleva riprendersi dagli
avvenimenti delle ultime ore: era talmente stanca da non riuscire ad aprire gli
occhi, così sfinita al punto da non riuscire ad uscire da quello stato di dormi
veglia che le faceva percepire le cose a metà. Le lenzuola felpate, la trapunta
soffice, il calore che la circondava: erano elementi di cui era consapevole,
nonostante non riuscisse a ricordare che giorno fosse, da quanto tempo stesse
dormendo, né se fosse ancora notte.
Si rannicchiò in
posizione fetale, la testa ben nascosta sotto le coperte, e il materasso
cedette sotto il suo peso. Stava per lasciarsi andare un’altra volta al sonno,
quando capì che qualcosa che non andava.
Il materasso.
Non era stata lei a farlo cedere.
C’era qualcuno
lì, nel suo letto. Assieme a lei.
Quando realizzò
che quello che sentiva infrangersi sulla pelle del collo era il respiro di una
persona, il cuore cominciò a battere furiosamente.
Me lo sto immaginando. Deve essere sicuramente così, pensò cercando
di intravedere nell’oscurità se in quella stanza ci fosse qualcuno. E c’era
davvero un’ombra, i contorni di una persona chinata proprio su di lei.
Gridò, ma dalla
bocca non uscì alcun suono. Soltanto il più cupo, disperato silenzio. Poi le
sentì sul proprio corpo: due mani grandi, ruvide, che le sfioravano i capelli,
il collo, la clavicola. Erano ovunque. L’accarezzavano lentamente, quasi con
pigrizia; le sollevavano lentamente il pigiama mentre salivano su, sfiorando il
ventre, lo stomaco, e poi ancora più su, ancora e ancora...
Lo sentì
chinarsi su di lei, verso il suo orecchio. Il suo alito caldo le mandava
brividi insostenibili lungo la schiena, che la facevano tremare come una
foglia.
Cercò di
lottare, di afferrare quelle mani sfacciate che la turbavano e la facevano
sentire nuda e sporca. Voleva allontanarle, ma ogni volta inevitabilmente
quelle mani riuscivano a sgusciare inspiegabilmente dalla sua presa come se
fossero inconsistenti.
Si rannicchiò
ancor di più, le ginocchia strette contro il petto. Voleva scacciarlo, voleva escluderlo,
voleva rifiutarlo. Era un messaggio chiaro: smettila,
non desidero le tue attenzioni. Ma lui non sembrava affatto scoraggiato.
«Guardami» le
sussurrò all’orecchio, accarezzandole i capelli. La sua voce era roca,
profonda, così maschile da risultare vergognosamente sensuale. «Guardami. So
che lo vuoi.»
Vattene. Non ti voglio. Non ti vorrò mai. Avrebbe voluto
dirglielo, ma ancora una volta il suo corpo non volle collaborare: lo guardò.
Cercò il suo viso, i suoi occhi –dio, che cosa avrebbe visto nei suoi occhi?-
ma per qualche strano motivo scoprì che non riusciva a dare una forma al suo
volto. Fu una consapevolezza che la travolse e la lasciò stordita.
«Così, brava» lo
sentì mormorare mentre una mano, insolente, si infilava sotto il tessuto
morbido dei suoi slip. Fu proprio in quel momento che tutto terminò: Cloe si
ritrovò improvvisamente sdraiata nel letto, sudata, accaldata, le coperte
aggrovigliate verso terra. E completamente sola.
Quella
consapevolezza la fece sentire sollevata, ma c’era dell’altro. Qualcosa che
sporcava quel sollievo, qualcosa di più forte e decisamente disturbante. Vergogna.
Rifiuto.
Perché era stato
un sogno, e questo pensiero non poteva fare altro che rincuorarla, ma la
persona che aveva sognato era lui.
Santiago.
E questo Cloe
non poteva accettarlo.
*
Non avrebbe
saputo spiegare il perché scelse di andare lì. Da lui. In cantina.
Quando accese la
luce della camera da letto, non guardò neanche che ora fosse: nella sua mente
continuava a vedere e rivedere quel sogno, a sentire le mani di Santiago sul
suo corpo come se ciò che aveva sognato fosse stata la realtà.
Non riuscire a
rimanere indifferente era fonte di grande fastidio, e Cloe non riusciva a
trovare pace. Forse fu questo motivo a spingerla a scendere in cantina, facendo
attenzione a non fare rumore. Come una ladra.
Come una criminale.
Scese le scale
con in cuore in tumulto, e la sensazione di soffocamento che le attanagliava la
gola sembrava aumentare ad ogni passo. Si strinse nella vestaglia da camera,
dando la colpa di quei brividi al freddo che, alle prime luci dell’alba, avvolgeva
ancora la casa.
Quando arrivò in
cantina e aprì la luce, lo vide: rinchiuso nell’unica cella di cui disponevano,
seduto a terra nonostante Axel avesse incluso come unico comfort una brandina
da campeggio; la schiena appoggiata al muro, gli occhi chiusi.
Sembrava che
Santiago dormisse.
Cloe non disse
nulla, non ancora per lo meno. Si fermò davanti alla cella, le braccia conserte
al seno e un’espressione severa sul viso. Fissò Santiago per minuti che le
sembrarono interminabili, divisa tra una forte aggressività nei suoi confronti
e qualcosa di non ben definibile, qualcosa che le impediva di mettersi a
gridare.
Che diavolo ci faccio, qui?
Fece per
voltarsi e ritornare in camera, improvvisamente consapevole del fatto che non
sapeva che cosa avrebbe potuto dirgli, quando lui la chiamò. Non sembrava
particolarmente sorpreso di vederla. Era come se si aspettasse quella visita,
come se l’avesse prevista.
Prevista… Il sospetto si insinuò repentino in
Cloe, minandone ogni sicurezza.
«Non riesci
proprio a starmi lontano, eh?» la canzonò lui, avvicinandosi alle sbarre.
Sorrideva, quell’espressione ironica e provocatoria che la mannara stava
cominciando a conoscere e a non sopportare.
Rimase distante
dalla cella, il più possibile lontana da Santiago e dal suo fascino impudente e
spregiudicato.
«Ti piacerebbe.»
«Sì, mi
piacerebbe» le rispose, appoggiandosi alle sbarre con indolenza. La squadrò da
capo a piedi, lentamente, come se volesse metterla in imbarazzo. «Come mai sei
qui?»
Cloe si torse le
mani, a disagio. Ammettere di aver sognato Santiago –un sogno erotico,
soprattutto- le costava fatica, e il suo orgoglio non le facilitava certo le
cose. Non appena si rese conto di apparire un po’ troppo nervosa, incrociò le
braccia al petto. «Sei entrato nel mio sogno. Mi hai manipolata.»
Santiago si
accigliò, confuso. «Stai dicendo che mi hai sognato?»
Cloe distolse lo
sguardo, improvvisamente a disagio. La situazione stava prendendo una piega
strana, imprevista. Non avrebbe dovuto sentirsi così in imbarazzo. Non avrebbe
dovuto avvampare, perché le parole di quel vampiro non avrebbero dovuto avere
alcun effetto su di lei.
Tutto questo non
era previsto.
«Più che un
sogno direi che è stato un incubo» ribatté, guardando Santiago negli occhi. Il
vampiro sogghignò.
«Un incubo… »
Cominciò a camminare avanti e indietro, sfiorando le sbarre con la mano. Era
sinuoso come una tigre. Sapeva essere ammaliante anche stando rinchiuso in una
cella. «… Eppure non sembrava dispiacerti, quando ti accarezzavo.»
La guardò dritta
negli occhi con insolenza, sul volto un sorrisetto che le fece perdere le
staffe: era un’ammissione velata, ma inequivocabile. Non le aveva detto
chiaramente di aver manipolato quel sogno –l’immagine di Santiago che si
infilava nel suo letto e nei suoi pensieri, turbandola e facendola sentire
sporca e sbagliata- ma era più che sufficiente per farle capire che il vampiro
non ne era poi totalmente estraneo. Anzi, capì quanto in realtà fosse
responsabile del tumulto che provava da quando si era svegliata di soprassalto,
convinta di avere Santiago nel suo letto e le sue mani sul proprio corpo.
Fu un impulso
troppo forte, alimentato dalla rabbia e dalla frustrazione: si aggrappò con
forza alle sbarre, facendole tremare. Fremette.
«Sei una bestia!»
Voleva
insultarlo, colpirlo, ferirlo. Voleva cancellare quel sorrisetto beffardo dal
suo viso, desiderava demolire quell’arroganza insopportabile che Santiago si
ostinava ad ostentare.
Ma lui non
sembrò affatto turbato dalla reazione di Cloe: la guardò con noncuranza, un
atteggiamento che rasentava quasi la noia. La stava sfidando, di nuovo.
«Devi starmi
lontano! Hai capito?»
«Altrimenti?»
Cloe non seppe
come ribattere. Era evidente che Santiago fosse consapevole della propria
posizione: sebbene si trovasse rinchiuso in una cella, prigioniero di un clan
ostile, era pur sempre un vampiro. Il che implicava una serie di conseguenze,
prima tra tutte il fatto che fosse oggettivamente più forte di lei e che avesse
una serie di mezzi per imporre il proprio volere.
Cloe avrebbe
potuto rivolgersi ad Axel, certo, ma la mannara aveva la strana sensazione che
se l’avesse tirato in ballo in quel momento, Santiago avrebbe trovato il modo
di ribattere e di uscirne comunque vincente.
Si allontanò
dalla cella, guardando il vampiro con tutto il risentimento che provava per
lui.
«Lasciami-in-pace!»
Fu un monito
strozzato dall’emozione, incerto e tremante. Cloe non aspettò la risposta di
Santiago: preferì non lasciargli alcuna possibilità di ribattere, rifiutando
lui e quella conversazione che, per i gusti della mannara, era durata fin
troppo.
Fuggì di sopra,
desiderando nient’altro che allontanarsi il più possibile dalla cantina, da
quella cella e dal tormento che sentiva nel cuore.
*
Poteva sentire
ogni cosa, se si concentrava. Ogni rumore, ogni parola. Tutto ciò che accadeva
in quella casa era sotto il suo controllo: non c’era nulla che sfuggisse
all’udito di Axel, non c’erano porte né pareti che potessero contenere i loro
segreti. Non per lui.
E quello che
sentì provenire dalla cantina non gli piacque per niente.
Aveva la
sensazione che la situazione gli stesse sfuggendo lentamente di mano: quando
aveva intimato a Santiago di stare lontano da Cloe non si era certo aspettato
che il Sangre avrebbe rispettato i
suoi desideri.
Ciò che lo
preoccupava infatti non era il vampiro, quanto piuttosto il bizzarro interesse
che Cloe stava dimostrando verso di lui. Nonostante la mannara cercasse di
nasconderlo, Axel l’aveva intuito fin dal primo momento in cui li aveva visti
assieme: da quando l’avevano catturato, Santiago e Cloe non si erano scambiati
neppure una parola, ma la tensione tra di loro era evidente. Una tensione fatta
di timore, sguardi, paura e desiderio.
Non aveva mai percepito
Cloe così tanto come in quei momenti, in cui Santiago le era così vicino da
sconvolgerla; non aveva mai sentito il suo sangue colorarsi di un profumo così
intenso. E adesso lei era addirittura scesa in cantina, dove il Sangre era tenuto prigioniero. Lo aveva
fatto senza avvisare nessuno, come se si preoccupasse della reazione che lui,
Will ed Emma avrebbero potuto avere nel caso in cui l’avessero scoperta. Era
scesa di nascosto da loro, come se si sentisse in difetto per l’influenza che
Santiago aveva su di lei.
Ma, più di ogni
altra cosa, ciò che irritava Axel era proprio il fatto di essere messo da parte
dalla persona che avrebbe dovuto e voluto proteggere.
Si mise a
sedere, inquieto: il passato lo stava tormentando, di nuovo. Ricordi che non
volevano lasciarlo in pace e che iniziavano e terminavano con un unico nome. Santiago.
Axel poteva dire
di conoscerlo bene. Aveva conosciuto la personalità complessa del vampiro in
ogni minima sfaccettatura e ciò che aveva visto oltre l’arroganza era qualcosa
di terribile, un’esistenza così tormentata da risultare annichilita dallo
stesso caos che nascondeva dentro di sé. Ogni cosa era vissuta da Santiago in
maniera assoluta, totale, distruttiva: era per questo motivo che Lakeisha lo
apprezzava così tanto, nonostante fosse sempre stato imprevedibile. E Axel, che
sapeva bene fin dove il Sangre fosse
capace di spingersi, non riusciva a smettere di ripensare a quanto l’ossessione
di Santiago l’avesse consumato, inducendolo a compiere l’unico atto contro
natura che nessun vampiro prima di lui era riuscito a fare.
E ora quella
bestia senza controllo era lì, in casa sua, e neppure l’essere prigioniero
sembrava poter frenare la sua ingordigia: se desiderava una cosa, avrebbe fatto
di tutto pur di averla.
Axel aspettò in
corridoio, accanto alla camera di Cloe: la sentì salire le scale in fretta,
come se qualcuno la stesse seguendo. Sembrava turbata. Probabilmente non si
aspettava di trovarlo lì, in attesa, perché quando lo vide appoggiato alla
porta con le braccia conserte e un’espressione grave sul volto, Cloe distolse
lo sguardo con imbarazzo.
«Hai
sentito?»
«Sì.»
Parlami. Dimmi qualcosa.
Cloe si appoggiò
al muro, esattamente accanto ad Axel. Spalla contro spalla, come due amici di
vecchia data che si scambiano confidenze. Peccato che l’atmosfera fosse
tutt’altro che confidenziale.
«Stagli lontana»
Axel avrebbe voluto essere meno diretto, meno brutale, ma non sapeva come
affrontare l’argomento in maniera più delicata. Cloe però non rispose: rimase
con lo sguardo basso, puntato verso la moquette del pavimento; le mani nascoste
dietro la schiena e un leggero rossore a imporporarle il viso.
L’approccio al
discorso non era stato dei migliori, probabilmente. Il vampiro cercò di
riformulare la questione in maniera meno brutale, schiarendosi la gola.
«Vorrei che non
ti avvicinassi più alla cantina.»
«Altrimenti?»
Cloe guardò Axel negli occhi con un vago risentimento: non era incline a
dimostrargli ubbidienza. Non in quel momento, almeno.
Fu una reazione
che lo colse del tutto impreparato e mantenere le buone maniere gli risultò
quasi impossibile. Si allontanò dalla porta, fronteggiando la mannara con
espressione accigliata.
«Altrimenti?! Cloe, qui non ci sono
alternative: non voglio che ti avvicini a Santiago!» abbaiò, lasciando Cloe
affranta e dispiaciuta.
Gli sorrise
appena, senza troppa convinzione. «Capisco che tu sia preoccupato, però…»
«Non penso che
tu possa capire. Non lo conosci» Axel la interruppe. Si ravvivò i capelli,
sospirando. Certo che non poteva comprendere: non sarebbe mai riuscita a dare
un senso alle parole che lui le rivolgeva, non prima di aver sentito come
stavano le cose. «Lo sai anche tu com’è la natura dei Sangre: sanguinaria, impulsiva.»
«Axel…»
Soltanto allora
si rese conto che Cloe lo stava guardando con le braccia conserte, come se
fosse stanca di tutti quei preamboli. Annoiata. Stava aspettando che lui
trovasse le parole più incisive che conosceva per giustificare la propria presa
di posizione.
E ad Axel non
rimase nient’altro da fare se non andare dritto al punto.
«Santiago aveva
un Sire. Naturalmente stiamo parlando di diversi secoli fa, ma quello che è
importante sottolineare è che ora non ce l’ha più, Cloe. È stato Santiago
stesso a spezzare il legame di Sangue con il suo Sire, e credimi se ti dico che
è una cosa che rasenta l’impossibile per qualunque vampiro. È per questo motivo
che non voglio saperti vicina a lui: ciò che l’ha portato ad aggredire il suo
Sire è ancora lì, dentro di lui. E sta aspettando di uscire.»
L’angolo
dell’autrice
Siamo sotto
Natale, e siccome a Natale siamo tutti più buoni ho pensato di spezzare
l’attesa per l’aggiornamento con questo capitolo. In realtà volevo aggiungere
un paio di pezzi, tanto per aggiungere un po’ di movimento, ma mi diventava
troppo lungo e soprattutto mi avrebbe portato via ancora tempo e non mi andava
di farvi aspettare oltre. Quindi l’azione ve la cuccate nel prossimo capitolo
(forse, non si sa mai come evolve la storia ahahah!)
Comunque con
l’ultimo capitolo mi avete dato un’ENORME soddisfazione *___* Perché? Ve lo
illustro subito, per punti:
˳ I preferiti/seguiti:
un grazie a Ella28 e a fefigna, che hanno aggiunto Slayer’s
tra i preferiti, e a Jazz211, ornella, Roxelle, irys89 che
invece l’hanno inserita tra le storie seguite. Mi date sempre una grande gioia
*___*
˳ Le preferenze
di autori: una categoria che non controllo tanto spesso –e mi scuso
in anticipo se vi ringrazio solo ora-. Dunque un grazie a loli89 e a vchiego che mi
hanno messo tra gli autori preferiti. Un grande onore.
˳ I commenti,
ben cinque questa volta. Vi adoro, davvero, per cui come sempre vi rispondo con
immenso piacere:
Jess: devo dire che mi fa piacere sapere che
apprezzi la follia e la passionalità di Santiago. Ma devo ammettere che sono
anche impaziente di sapere cosa penserai del vecchio Axel, perché sarà una
figura un po’ particolare (sperando di riuscire a renderlo bene!). Diciamo che
sarà un po’ Sangre, in modo diverso dagli altri però… (evviva gli spoiler
centellinati XD )
Clodio82: Santiago in effetti è un po’ il mio
orgoglio, e devo ammettere che tutti questi riscontri positivi mi stanno
lusingando non poco! XD Il “vecchio Axel” invece avrà un certo peso nella
storia, ma per questo dovremmo attendere ancora un po’ :P
Atina: addirittura nella libreria! Caspita,
che onore!! Per quanto riguarda l’essere patologici, beh, ogni tanto direi che
ci vuole. Soprattutto dopo questa indigestione di vampiri “sole, cuore, amore”.
Ella28: una nuova commentatrice!! Benvenuta!!
*___* Non hai idea di come stavo mentre leggevo il tuo commento: avevo un
sorrisone vergognoso ahahah!! Sapere che la storia ti ha emozionata al punto di
pipparti tutti i capitoli in un soffio trovo che sia davvero meraviglioso.
Davvero, grazie. Cora in effetti piace anche a me, scrivere dal suo punto di
vista ha un che di divertente! :D Però ne deduco che tu sei una fan di Axel, e
anche questo mi piace un sacco: vuol dire che nonostante tutto sono riuscita a
creare un personaggio che riesce a tenere testa a Santiago, che riscuote
abbastanza successo. Ottimo! *__* Spero che continuerai a lasciare le tue
impressioni di tanto in tanto, mi farebbe davvero piacere :D
Jennifer90: eh, in effetti del vecchio Axel non
c’era gran che traccia nella vecchia versione, ma rimedieremo in questa! Grazie
per i complimenti riguardo al concorso, sono stati davvero graditi *__*
Anche per questo
capitolo siamo arrivati alla fine, ma stavolta vi voglio lasciare con un
indiscrezione sul prossimo capitolo: orientativamente si chiamerà “Attacco”.
Indovinate un po’ perché? :P
In cielo non c’era neppure una nuvola. Non c’era
foschia, non c’era nebbia, non c’era assolutamente nulla. Era una notte
limpida, tra le più belle che Lakeisha potesse
ricordare, e lei di notti ne aveva viste davvero tante.
Ma quella… Beh, quella era
speciale.
Era la notte in cui Axel
avrebbe realizzato quanto fosse grande l’errore che aveva commesso rifiutandola
per la seconda volta.
Gli avrebbe tolto ogni cosa, a cominciare dalla pace
a cui agognava così disperatamente, finché non gli sarebbe rimasto nient’altro
che lei. E allora l’avrebbe accolto tra le sue braccia, avrebbe festeggiato il
suo ritorno, e l’avrebbe legato a sé. Questa volta per sempre.
Quella che stava per iniziare sarebbe stata una
notte di sangue e morte, e Lakeisha non poteva che
gioire all’idea che non ci fossero nubi ad oscurare il cielo: la luna e le
stelle sarebbero state testimoni della sua volontà, avrebbero assistito al
massacro, e avrebbero raccolto e custodito la promessa che la vampira aveva
fatto ad Axel, nel suo cuore.
E sarebbero state sue alleate, ora e per sempre.
11.
Attacco
Cora aveva sentito
tutto: ogni parola di quella conversazione, ogni esclamazione. Tutto.
Del resto non
poteva che essere altrimenti: il silenzio di quella casa dormiente era così
profondo da amplificare ogni più piccolo rumore e lei, rintanata nella camera
che le era stata assegnata per riposare qualche ora, non era stata capace di
rimanere indifferente a quella discussione. Colpa del silenzio e del sonno
leggero, principalmente.
Guardò Ice che, accanto a lei, dormiva ignaro di quello che stava
succedendo nel corridoio. La sua sagoma rannicchiata sotto le coperte
traspariva nella penombra, e il suo volto disteso sembrava sereno. Decise di
lasciarlo dormire ancora un po’: in fin dei conti ne aveva bisogno, soprattutto
dopo le notti intense e piene di emozioni che avevano trascorso.
Si guardò
distrattamente attorno: dalle persiane calate filtrava qualche raggio di sole.
Era mattina, o forse addirittura primo pomeriggio. Non avrebbe saputo
affermarlo con sicurezza.
Quando sentì
cessare le voci provenienti dal corridoio, improvvisamente ripiombato nel
silenzio, decise che era il momento più propizio per andare in bagno: si mise
in ascolto con attenzione, cercando di capire se Axel
e Cloe se ne fossero andati. Aveva la sensazione che
piombare nel bel mezzo di una loro discussione potesse imbarazzarli almeno
quanto potesse mettere in difficoltà lei stessa. Rimase in silenzio per un
breve momento, l’udito all’erta e pronto a cogliere il più piccolo mormorio. Ed
eccolo: il rumore di una serratura. Una porta che si chiudeva.
Esattamente
quello che stava aspettando.
Uscì in
corridoio sicura di non trovare nessuno, ma non appena mise piede fuori dalla
camera lo vide, la sua figura resa ovattata dalla penombra creata dalle
tapparelle calate.Le dava le spalle
e probabilmente non si era ancora accorto della sua presenza, ma Axel era a pochi metri da lei. E dal bagno.
Va bene, nessun problema. Facciamo finta di niente.
«Axel? Che ci fai in piedi?» domandò, dimostrando di
possedere un’insospettabile faccia tosta. Si stupì di se stessa e del tono da stupita-ma-non-troppo che aveva utilizzato: poteva
risultare addirittura credibile. «I vampiri non stanno dentro una bara durante
il giorno?»
Addirittura una battuta. Ma quante ne sai, Cora?
Axel si voltò verso
di lei. Non sembrava affatto sorpreso di vederla, come se si aspettasse di
vedere la ragazza sbucare lì, in corridoio, in quell’esatto momento.
Sorrise alla
domanda di Cora e quell’espressione calda, quasi
rasserenata, le scaldò il cuore.
«Le bare sono
scomode. Personalmente preferisco un letto comodo, meglio se a due piazze.» Non
c’era traccia di malizia in quella puntualizzazione, e forse fu proprio il suo
sorriso da canaglia gentile che lasciò Cora senza fiato.
In quel frangente la penombra si rivelò essere l’alleato migliore per la
ragazza: il rossore che le imporporò le guance era un indizio importante, che
poteva rivelare ad Axel cose che Cora
preferiva tenere per sé, e se il vampiro non se ne accorse fu solo grazie alla
quasi totale assenza di ogni tipo di luce.
«Allora, vediamo…» Cora si appoggiò al
muro esattamente di fronte ad Axel, il maglione
sgualcito e i capelli arruffati. «… Soffri di insonnia?»
Rise. Axel rise. Una risata che le provocò brividi lungo tutto il
corpo. Dio, da quando sentirlo ridere le faceva quell’effetto?
«Non dormo mai,
in effetti. Non perché non ci riesco: noi vampiri non ne abbiamo bisogno.»
«E allora che
cosa fate?»
«Tante cose. A
me piace pensare.» Di fronte all’espressione stupita di Cora,
si affrettò ad aggiungere che, in effetti, ognuno impiegava quelle ore di buio
forzato come meglio credeva: c’era chi dipingeva, chi leggeva, chi amava
studiare tutto quello che poteva avvicinarlo alla cultura umana. Conosceva
addirittura qualcuno che discorreva filosoficamente con se stesso.
«Te l’avevo
detto, ci piace la vostra cultura» concluse sorridendo e per la prima volta Cora sentì chiaramente di provare una profonda stima per
gli Eraclea.
Per loro, per il modo in cui vivevano, per il rispetto che essi stessi davano agli
esseri umani.
E si rese conto
di considerare Axel come qualcosa di più di un
vampiro: lo vide per ciò che era veramente, andando oltre i canini e la pelle
cinerea. Improvvisamente, prima di ogni altra cosa, agli occhi di CoraAxel era una persona.
«Sì, me lo
ricordo. È stata una cosa che mi ha sorpresa, in effetti» ammise abbassando lo
sguardo. Si sentì improvvisamente a disagio, in imbarazzo, e non riuscì a
spiegarsi il perché. C’era qualcosa che la rendeva inquieta, qualcosa che non
le permetteva di rimanere rilassata in presenza di Axel.
Probabilmente la
sua imperscrutabilità, la sua imprevedibilità… Non
riusciva a capire che cosa il vampiro avesse in testa. Era arrabbiato? Era
preoccupato? Era distante? Qualunque cosa pensasse non si rifletteva affatto
sul suo comportamento, che rimaneva sempre misurato, gentile, impeccabile.
Per Cora, Axel era anche un’incognita
senza fine.
«Hai fame? Vuoi
una tazza di caffè?»
Cora sorrise. In fin
dei conti, che fosse una persona che confidasse o meno i propri pensieri, Axel rimaneva pur sempre una creatura dall’animo gentile e
aveva la netta sensazione che questa sarebbe rimasta una di quelle cose
indubitabili, come l’esistenza del sole o la dolcezza del cioccolato al latte.
Non sarebbe mai
cambiato.
«Il caffè va
benissimo.»
*
Il gorgoglio
della moka precedette di pochi istanti l’odore del caffè, che impregnò l’aria
con il suo profumo aromatico e deciso. Axel non ne
aveva mai bevuto neppure un goccio, ma aveva la vaga sensazione che quella
sarebbe potuta essere la sua bevanda preferita se fosse stato un essere umano
qualunque.
Non gli
dispiaceva affatto crogiolarsi nel profumo del caffè appena fatto: gli dava una
sensazione di normalità, di umanità. E poi gli piaceva. Lo trovava un profumo
decisamente buono, molto più attraente di altri aromi.
Certo, il sangue
rimaneva imbattibile sia per sapore che per odore, ma Axel
era un vampiro di larghe vedute, privo di pregiudizi. E trovava l’odore del
caffè particolarmente piacevole.
«Ci mettete
anche lo zucchero, giusto?» domandò, porgendo a Cora
una tazza da latte piena fino all’orlo di caffè. La ragazza strabuzzò gli
occhi, guardando Axel perplessa. Fu un’espressione
buffa, che lo divertì.
«Potrebbe essere
un’idea, sì. Altrimenti l’amaro potrebbe uccidermi prima di finire il caffè, e
considerando che la strada è lunga…» commentò lei con
un’alzata di spalle, lasciando intuire il significato sottinteso di quella
frase lasciata a metà. Sorseggiò il suo caffè lentamente dopo averlo addolcito,
soffiando per far stemperare il bollore. Mantenne lo sguardo basso, ben lontano
dal vampiro che se ne stava appoggiato contro la credenza. Era come se non
riuscisse a guardarlo, o chi lo sa: forse si rifiutava di farlo.
La sua pelle
emanava un odore particolare, un profumo dolciastro che si perdeva nell’aria e
si mescolava all’aroma del caffè. Era il suo sangue che ribolliva, scaldato
dalla stessa eccitazione che costringeva Cora a
distogliere lo sguardo da Axel. Era fin troppo
consapevole della presenza del vampiro in quella stessa cucina; lo raccontava
la fragranza che Axel percepiva provenire da lei.
Era come leggere
un libro così velocemente da non capire più niente; come ricevere una miriade
di informazioni in pochi istanti confusi. L’effetto che lui aveva su quella
ragazza era sconvolgente: non perché l’avesse ammaliata –molte,
troppe donne prima di Cora si erano dimostrate
estremamente vulnerabili di fronte al suo fascino- ma per la testardaggine e le contraddizioni che intravedeva in lei,
nel suo profumo.
Lo desiderava,
ma allo stesso tempo voleva non desiderarlo. Che fosse per paura, per orgoglio
o per qualunque altro motivo, Cora era consapevole di
provare desiderio verso di lui e reprimeva questo sentimento. E tutto questo
incuriosiva Axel, lo attraeva come se fosse una
falena intenta a volare attorno alla luce artificiale di un lampione.
Lui, che amava
conoscere ogni sfaccettatura dell’animo umano, rimaneva sempre incantato di
fronte a contraddizioni conflittuali come quella in cui si trovava Cora in quel momento: era espressione di un mondo che
correva parallelo al suo, ma che non poteva raggiungere. E lo desiderava
proprio per questo.
Axel…
Era
affascinante.
«Axel…»
Sussultò, colto
alla sprovvista: era immerso nei suoi pensieri al punto tale da non accorgersi
di Cora, che lo stava guardando come se si aspettasse
qualcosa da lui. Una reazione, una parola. Qualcosa.
Soltanto in quel
momento si rese conto di essere rimasto a fissarla per qualche minuto senza
dire niente.
«Stai pensando a
Cloe?» nella voce di Cora
c’era una punta di dispiacere, decisamente simile all’invidia. Alla gelosia. Si
nascose dietro la tazza fumante e per una frazione di secondo distolse lo
sguardo, prima di guardare Axel con espressione
dubbiosa e colpevole.
Axel la studiò,
confuso dalla sua domanda. «Cloe?»
«Sì. Vi ho
sentiti prima. Naturalmente non era mia intenzione origliare, ma la sua camera
è vicino alla mia e non riuscivo a dormire» si affrettò a specificare come se
volesse discolparsi da qualche errore appena commesso.
Axel si ravvivò i
capelli più volte, lasciandosi sfuggire un sospiro leggero: dunque era per
questo motivo che Cora l’aveva raggiunto in
corridoio. Si sedette di fronte a lei, appoggiandosi al bordo del tavolo in
maniera confidenziale.
«Lei non sa di
che cosa è capace Santiago. Non lo sa, ed è attratta da lui.»
Cora sorseggiò il caffè,
stringendo la tazza calda tra le mani gelate dal freddo. «Se posso darti il mio
parere, io invece sono convinta che Cloe si sia fatta
un’idea.»
Lo guardò di
sottecchi, nascosta dietro la tazza di caffè. Fu un modo di guardarlo che mise Axel in allarme: nel suo sguardoc’erano dei sottintesi, cose non dette ma lasciate abbandonate tra
le righe del discorso. Cora voleva dirgli qualcosa,
ma probabilmente non ne aveva il coraggio.
«Che intendi
dire?»
La ragazza
appoggiò la tazza sul tavolo. «Quando io e mio fratello abbiamo trovato Cloe assieme a Santiago… come dire… lui la stava mangiando. Lei aveva sangue ovunque, e
Santiago la stringeva come se volesse spezzarle la schiena» raccontò, e Axel notò i solchi di espressione che si formarono sul viso
della cacciatrice nel momento in cui Cora si
accigliò, turbata dal suo stesso ricordo. «Non sono mai stata morsa in modo
così violento, ma ti assicuro che quando Santiago mi ha azzannato la gamba ho
sentito chiaramente la rabbia accecante che lo spingeva ad attaccarmi. Credo
che un morso di un vampiro possa far capire molte cose, anche a Cloe.»
Axel rimase in
silenzio, incapace di replicare. Aveva intuito che Santiago non fosse stato
delicato con la mannara: gli era bastato un solo sguardo per capirlo; le
condizioni in cui Cloe era ridotta quando Axel e William l’avevano trovata erano più che sufficienti
per spiegarlo. Ma sentirlo raccontare da chi aveva assistito con i propri occhi
a tutto questo era tutt’altra storia.
«Accidenti che
sguardo scuro… Sembri il padre di Cloe.»
L’osservazione
fu pungente al punto giusto: esattamente quello che ci voleva per strappare Axel dalla nube dei propri pensieri, ma non abbastanza da
urtare la sensibilità del vampiro. Il sorrisetto ironico della ragazza fu quello
che più di ogni altra cosa lo colpì: il modo in cui rideva, il modo in cui lo guardava… Erano segnali seduttivi,
utilizzati per lanciare messaggi che molto spesso avevano lo stesso
significato. Guardami. Mi piaci. Sono
disponibile.
Era così, eppure
allo stesso tempo c’era qualcosa di diverso: in ogni gesto di Cora, in ogni sguardo che gli lanciava c’era interesse,
desiderio e innocenza. Era come se stesse flirtando con lui senza rendersene
conto. Una contraddizione rara e affascinante che stuzzicava ulteriormente la
curiosità di Axel verso quella ragazza.
«In un certo senso
è come se lo fossi: ho cresciuto io Cloe» ammise
accennando un sorriso. E, proprio come si aspettava, Cora
rimase decisamente stupita da quella rivelazione.
«L’hai
cresciuta? Quindi tu e lei non siete…» gesticolò, in
evidente difficoltà. Quello che intendeva domandare era chiaro, decisamente
inequivocabile. Ma Axel si ritrovò inaspettatamente
schiavo di quella reazione imbarazzata, del diffuso rossore che colorava le
guance di Cora, dell’improvviso e intenso odore che
il suo sangue emanava. Fece finta di non capire.
«Non siamo cosa?»
«Non siete…» Cora cercò di battere il
proprio imbarazzo e di cercare le parole giuste, ma l’ombra del dubbio le
accese lo sguardo. Quando guardò Axel, i suoi occhi
lo stavano rimproverando. «Mi stai prendendo in giro, vero?»
Axel si strinse
nelle spalle con naturalezza. «Assolutamente no.»
«Mh…»
Non sembra molto convinta.
«Comunque… Tu e Cloe non siete
intimi?» Cora riuscì finalmente a chiedere. L’istante
successivo era già nascosta dietro la tazza di caffè ormai piena a metà, e
mordicchiava il bordo con insistenza.
«Che intendi per
intimi?» In realtà Axel aveva capito benissimo dove Cora volesse andare a parare. Solamente, non riusciva a
smettere di divertirsi nel vederla in difficoltà, e non perché questo gli desse
una sorta di sadico piacere. Era piuttosto un’attrazione verso ogni smorfia,
verso ogni sguardo che intravedeva in Cora.
«Intimi. Se
avete una relazione» rispose, sconfitta. Poi, non scorgendo alcuna
collaborazione da parte di Axel, riprese. «State
insieme? O è solo sesso tra trombamici? Capisci…Intimi.»
«Ah, intimi!» Axel
si finse stupito e Cora lo fulminò con lo sguardo
prima di mimare un sorriso che sfumava in una smorfia inacidita. Fu sufficiente
per convincere Axel a tornare finalmente serio.
«Te l’ho detto,
l’ho cresciuta. L’unica cosa che ho preso da lei è stato il suo sangue, perché ha
scelto lei di donarmelo.»
«Caspita…»
«Vedo che ti ho
lasciata senza parole» Axel ridacchiò. «Oggi torni
alla scuola?»
Cora annuì. Non
sembrava particolarmente entusiasta. «È dalla notte dell’incendio che non hanno
notizie mie né di Ice. Devo tornare.»
«Capisco» Axel si alzò, senza distogliere lo sguardo da Cora. I suoi capelli erano un disastro, scarmigliati e
aggrovigliati, e i suoi occhi erano cerchiati dalle occhiaie. A vederla così
probabilmente nessuno le avrebbe dato un centesimo, eppure quella ragazza di
media statura aveva un carattere da leone. E Axel non
se lo sarebbe mai dimenticato.
«Penso che se Cloe sia ancora viva, lo devo soltanto a te. Grazie.»
*
Cora era accoccolata
sul divano, il telecomando in mano e la televisione accesa.
Aveva preferito
aspettare che Ice si svegliasse, prima di lasciare la
casa di Axel e tornare a raccogliere i pezzi della
propria vita per tentare di rimetterli assieme. Così, nell’attesa, era finita
in salotto, sprofondata nel divano e cullata dalla penombra offerta dalle
tapparelle perennemente calate.
Peccato
solamente che la televisione non offrisse niente di meglio che televendite di
prodotti di dubbia qualità e telegiornali in cui si sormontavano facce anonime
e ordinarie. Non era nulla di speciale.
Fu sul punto di
cambiare l’ennesimo canale, quando lo schermo della televisione si riempì di
immagini che a Cora sembrarono familiari: erano case,
alberi, strade che lei era sicura di avere già visto.
Allarmata, alzò
il volume della televisione, che si riempì di pianti, sirene e voci allarmate.
Poi, finalmente, lesse la scritta riportata in calce.
I VAMPIRI DICHIARANO GUERRA.
STRAGE IN CITTÀ: MASSACRATI GLI ABITANTI DELL’INTERO
COMUNE.
«Come avete
detto in studio, l’attacco è avvenuto durante la notte. I vampiri hanno
sorpreso tutti nel sonno e pare che non ci sia nessun sopravvissuto. I
cacciatori sono già stati allertati» la voce dell’inviata era acuta e
spiacevole, ma in quel momento tutto passava in secondo piano di fronte
all’enorme portata di quella notizia.
Poi,
all’improvviso, il collegamento si interruppe e la linea tornò allo studio,
dove il conduttore del telegiornale era seduto al suo posto, in compagnia di
una donna che Cora non aveva mai visto e che aveva
sicuramente poco in comune con le persone che lavoravano per la redazione.
Era decisamente bella,
così tanto da far male. Una bellezza aggressiva, predatrice: pelle cinerea,
lunghi capelli neri, labbra piene, occhi chiari, glaciali e vuoti.
Cora capì
immediatamente che quella donna strizzata in un tailleur nero fosse una
vampira.
«Abbiamo qui con
noi un’ospite. Ci ha contattato gentilmente perché ha delle informazioni
sull’attacco di questa notte» il giornalista la guardò, pieno di sorrisi e
servilismo. «Quindi ora le lascio la parola, signora Lakeisha.»
Non appena sentì
il suo nome, Cora schizzò in piedi: dunque era lei, Lakeisha. L’assassina di sua madre.
Sentì la rabbia
montare dentro di lei, violenta. Chiedeva sfogo, le gridava vendetta, eppure Cora non poté far altro che rimanere lì, di fronte al
televisore, e guardare la creatura che aveva ridotto a pezzi la sua vita
parlare con assoluta tranquillità. Come se non fosse un’omicida.
«È vero, ho
delle informazioni che ritengo siano di vitale importanza» Lakeisha
guardò verso la telecamera. Non stava parlando con il giornalista: si stava rivolgendo
all’intero paese. Di più, a tutto il mondo. «So chi è il responsabile del
massacro di questa notte.»
Uno scoop in
diretta. La notizia del giorno. Il colpo di scena. Il testimone chiave.
Non seppe dire
perché, ma Cora tremò di paura. Forse fu il gelo che
lesse nello sguardo di quella creatura, o piuttosto fu l’indifferenza con cui
annunciò quello di cui era a conoscenza, ma Cora
rimase paralizzata di fronte alla televisione, completamente persa.
«È uno della mia
stessa razza. È un vampiro, esattamente come me. Ma io posso proteggervi da lui
e dal suo seguito: se mi stringerete la mano, io sarò la vostra più fidata
alleata contro il Mostro e contro i suoi seguaci.»
«Axel…» Cora comprese con terrore,
e la gravità di quello che stava succedendo la raggelò. Disorientata, fece per
correre verso la camera di Axel con l’intenzione di
trascinarlo davanti alla televisione e fargli
sapere. Ma Axel era già lì, fermo sulla porta del
salotto, le braccia lungo i fianchi e l’espressione sconvolta di chi è stato
appena pugnalato alle spalle.
«Ci può dire il
nome di questo Mostro?» il giornalista non espresse alcun giudizio su ciò che
la vampira aveva appena detto, ma avrebbe fatto qualunque cosa lei gli avesse
ordinato, almeno a giudicare dal sorriso lezioso che le riservava.
Lakeisha guardò la
telecamera.
Scacciò una
ciocca di capelli, splendida come una creatura di Dio.
Traditrice come
Giuda.
«Axel.»
L’angolo
dell’autrice
Prima di
cominciare a blaterare qualunque cosa, vorrei davvero dedicare questo capitolo
a hinata_in_love, che voleva un po’
di Axel/Cora (cara, per il
resto ci leggiamo più sotto, nello spazio commenti <3). E io accontento
sempre le mie lettrici, nei limiti del possibile! *__* (e vorrei vedere, è il
minimo!)
Capitolo
difficile da scrivere, questo. La relazione tra Axel
e Cora è un po’ complicata da delineare, soprattutto
all’inizio, perché è molto delicata. Insomma, non è carnale e passionale come
quella tra Santiago e Cloe, per intenderci, o almeno
non per ora :P
Ma, oltre a
questo, comincia anche a spiegarsi il legame che unisce Axel
a Cloe (ok, lo so, a spiegarsi non molto, ma diciamo
che si può dargli un nome XD).
E poi,
finalmente, torna Lakeisha. Quale sarà la prossima
mossa di Axel & Co?
Ma passiamo a
voi, che mi fate sempre felice. Sì, anche a voi che inserite Slayer’s tra le storie seguite e a cui va il mio GRAZIE: CriCri88, Sybille, Ukyu93 e Luc. Siete il
mio impareggiabile pubblico e siete davvero meravigliosi (sì, anche chi legge e
basta. Tutti meravigliosi! <3)
Anche se lo scettro
delle più belle (o più belli, anche se i maschietti ogni tanto spariscono) va a
loro: le mie commentatrici! *__*
Atina: se quello è il
primo pensiero che hai alla fine del capitolo, direi che l’effetto è ottimo! :D
In compenso però questo capitolo è abbastanza lunghetto: 7 pagine di word. Non
male direi. Spero che ti sia piaciuto e che sia risultato scorrevole come il
precedente.
hinata_in_love: vedi? Tu chiedi e io ti do XD
Comunque hai ragione, Cora è la protagonista. Però
devo ammettere che mi piace anche esplorare i punti di vista di altri
personaggi, in modo che anche voi lettori possiate conoscerli tutti più a fondo
;) Comunque mi ha fatto davvero piacere che tu abbia espresso il tuo parere, la
trovo una cosa positiva: avere i lettori che hanno coppie preferite (o
personaggi preferiti) che non coincidono, penso sia indice di un discreto
lavoro da parte mia XD
jess: vedo che sei
un’intenditrice… Brava, brava! XD (in realtà ti do
ragione, penso che non resisterei neanche io se mi trovassi davanti uno come
Santiago ahah :P)
Deb: carissima, ma
che piacere rileggerti! *___* Guarda, visto che è Natale e siamo tutti più
buoni, in via del tutto eccezionale ti regalo Santiago. In bocca al lupo, ne
avrai bisogno XD Ti ringrazio per avermi avvisata dell’errore: mi era
completamente sfuggito. Penso sia sul capitolo precedente, mo ricontrollo e
correggo. E fidati, è meglio se non ricordi com’era strutturata la versione
precedente, potrebbe prenderti un colpo XD
Anche per questa
volta abbiamo finito. Vi auguro buon Natale e felice anno nuovo, visto che
dubito di riuscire ad aggiornare prima. Dipende da quanta libertà mi lasceranno
il ragazzo e lo studio.
E se voi voleste
farmi trovare un regalo sotto l’albero, io sarei più che felice di ricevere
qualche commento *___* (ahah, ci provo sempre XD)
Erano stati
convocati subito, senza perdere tempo: Axel era teso
al punto tale da non preoccuparsi di andare adagio, e quando aveva fatto
irruzione in camera di William ed Emma era stato così rumoroso da costringere Ice e Cloe a uscire in corridoio,
il primo ancora stordito dal sonno.
«È già ora di
andare?» aveva chiesto il ragazzo reprimendo a stento uno sbadiglio, e Cora lo aveva costretto a scendere di sotto ficcandogli tra
le mani il caffè che lei non era riuscita a terminare, ormai raffreddato.
«Quasi. C’è una
cosa importante di cui dobbiamo discutere» gli accennò, conducendolo giù per le
scale. Prima di scendere assieme a lui cercò lo sguardo di Axel,
ma il vampiro non la stava guardando: era impegnato a dare le prime spiegazioni
ai suoi compagni, e il nome di Lakeisha ricorreva
spesso all’interno del suo discorso.
Le dava la
schiena. La postura ricurva delle spalle suggeriva che fosse davvero
preoccupato e il suo atteggiamento agitato tradiva un certo nervosismo. In
pochi minuti aveva perso ogni compostezza, e il vestito di leader calmo e misurato
che Cora gli aveva visto indossare in ogni occasione
era stato gettato da qualche parte, lasciando Axel
completamente esposto alle proprie debolezze.
Quello di Lakeisha era stato un colpo basso, una pugnalata che il
vampiro non immaginava di ricevere. Le sue aspettative erano state travolte
nella maniera più subdola, e in quel momento –mentre
informava William, Emma e Cloe di quello che era
appena stato trasmesso in televisione- probabilmente stava cercando di capire
come tutto questo fosse stato possibile.
Cora sentì il
bisogno di appoggiargli una mano sul braccio, di rassicurarlo senza aggiungere
alcuna parola. Sarebbe bastato un semplice gesto per fargli capire che lei era
lì con lui, che l’avrebbe aiutato esattamente come aveva aiutato Cloe quella notte. Avrebbe fatto tutto ciò che era in suo
potere per alleviare le preoccupazioni che gravavano sulle spalle di Axel -non riusciva neppure a comprendere da dove arrivasse
tutta quella determinazione- ma lì, in cima alle scale, mentre guardava la
schiena ricurva del vampiro lo sentì più distante che mai. Era come se quella
conversazione in cucina non fosse mai avvenuta.
Per un attimo le
era sembrato di percepire qualcosa, una certa vicinanza tra lei ed Axel suggellata da quel grazie
che le era sembrato davvero sincero. Era certa che ci fosse un legame di
fiducia tra di loro, qualcosa di assolutamente autentico e reale, ma il vampiro
che aveva davanti agli occhi in quel momento le sembrò un perfetto estraneo. Si
sentì ignorata, tradita e dimenticata.
Seguì Ice giù dalle scale, ma prima di arrivare al piano terra il
cellulare nella tasca dei pantaloni cominciò a suonare con insistenza. Lesse il
nome che lampeggiava sul display un paio di volte, mentre cercava di elaborare
una qualche spiegazione che potesse giustificare la misteriosa scomparsa che
aveva visto come protagonisti lei e suo fratello.
«Pensi di
rispondere?» Ice, appoggiato al corrimano, la
guardava scettico.
«Mh… sì» bofonchiò distratta. Quando premette il tasto
verde, si preparò ad una sequela di domande, intervallate da qualche
esclamazione colorita. «Pronto?»
«Si può sapere
dove diavolo siete spariti tu ed Ice?» Era Amber,
ovviamente. La sua voce squillante arrivava vagamente innervosita dall’altro
capo del telefono.
Cora guardò Ice cercando nei suoi occhi dei suggerimenti, ma lui fece
spallucce e scappò in salotto. Era sempre così prodigo di aiuti, il fratellino…
Optò per una
risposta vaga, non troppo ricca di particolari ma che potesse arginare
l’emergenza che c’era nella voce di Amber. Un contentino, insomma.
«Siamo stati
trattenuti. Imprevisti, diciamo. Ti spiegherò meglio appena ci vediamo.»
«Mh» Amber non sembrava particolarmente convinta, ma
qualcosa nel suo tono di voce suggerì a Cora che
avesse accettato quella spiegazione approssimativa e che stesse per passare
all’argomento successivo. «Piuttosto, il signor Owen ti ha chiamato?»
Fu una domanda
che accese un campanello d’allarme in Cora. La
risposta fu del tutto naturale. «No. Perché?»
«Ho finito di
parlare con lui qualche minuto fa. Tutti i cacciatori sono convocati nell’aula
magna della scuola per assistere ad una conferenza straordinaria.»
L’allarme si
tramutò velocemente in gelo, una sensazione spiacevole e insidiosa che avvolse
il cuore di Cora all’istante: l’aula magna veniva
utilizzata solamente in una serie di occasioni speciali, e ciò che era appena
stato trasmesso alla televisione probabilmente rientrava a pieno titolo nella
lista.
E straordinaria era un aggettivo che,
nell’Ordine dei Cacciatori, non aveva mai valenza positiva.
Non mi piace per niente.
Quando sentì dei
passi alle sue spalle, si voltò: era Axel, e dietro
di lui non mancava nessuno. Cloe, Will, Emma; erano
tutti lì. La stavano guardando, preoccupati.
Probabilmente la
sua espressione non doveva essere un gran che: sicuramente lo sgomento che
provava si rifletteva sul suo viso, rendendola a parere suo grottesca.
E allora ecco
spiegato quell’espressione smarrita negli occhi di Axel,
quello sguardo che aspettava una parola da lei, una qualunque.
«Cora, ci sei?» gracchiò Amber attraverso il telefono, la
sua voce resa metallica e artificiale.
«Sì.» Non era
vero. Non era affatto presente. In realtà non poteva far altro che guardare Axel negli occhi, mentre continuava a chiedersi come
avrebbe potuto dargli quel colpo di grazia.
Come poteva
comunicargli che aveva l’intero ordine dei Cacciatori contro, quando tutto ciò
che desiderava era alleggerire le sue paure?
*
Non avevano idea
di che cosa avrebbero trovato, una volta arrivati alla scuola. Cora poteva solamente fare delle supposizioni, e nonostante
fosse una persona fondamentalmente ottimista non riusciva ad immaginare nulla
di positivo. Era certa che il motivo di quella convocazione avesse a che fare
con l’attacco dei Sangre
e la dichiarazione che Lakeisha aveva rilasciato alle
telecamere. Quando aveva riferito l’oggetto della telefonata di Amber, anche Axel si era trovato concorde con lei.
Axel… Quando Cora ed Ice si erano preparati
per uscire, diretti alla scuola, il vampiro l’aveva presa da parte e le aveva
detto che sarebbero rimasti in contatto.
«Stai attenta»
le aveva detto prima di lasciarla andare, e Cora
aveva pensato che non l’aveva mai visto così serio prima di allora. Anche in quel
momento, mentre sfrecciavano in direzione del centro città con la macchina che Axel gli aveva prestato, continuava a rivedere il suo
sguardo sincero e preoccupato.
In fin dei
conti, si trovò a pensare guardando fuori dal finestrino, lei e il vampiro non
erano poi così distanti come aveva immaginato.
Fu un pensiero
che la fece sentire lusingata, e non riuscì a nascondere un piccolo sorriso
felice.
Quando
arrivarono a destinazione –un edificio relativamente
recente, alto ed imponente che sembrava contenere uffici più che aule, palestre
e attrezzi ginnici- il sole aveva già cominciato a tramontare: varcarono le
porte a vetri della scuola immersi in una luce aranciata e soffusa, mentre il
cielo assumeva gradazioni rosate. Il crepuscolo.
Essere stati
convocati a quell’ora non era un caso, Cora ne era
sicura.
«Scommettiamo? Lakeisha» mormorò rivolta ad Ice,
che stava già salendo le scale.
Il ragazzo
scosse la testa. «Mi dispiace ma ti è andata male: è fin troppo ovvio che
l’argomento di stasera sarà lei. Se vuoi i miei soldi, dovrai impegnarti su
qualche scommessa più rischiosa.»
«Il solito taccagno»
lo canzonò Cora, correndo su per le scale e
guadagnando una discreta distanza dal fratello. Stavano scherzando come al
solito, ma questa volta nelle loro battute non c’era troppa convinzione.
Scherzavano entrambi, ma senza alcuna voglia di ridere.
L’aula magna si
trovava al primo piano, in fondo al corridoio principale. Oltrepassarono la
portineria ed una serie di aule tutte uguali, come facevano ogni volta che
mettevano piede in quell’edificio. In un giorno qualunque ci sarebbe stato
qualcuno allo sportello di accoglienza; probabilmente un paio di aule sarebbero
state occupate da qualche gruppo intento a fare lezione sui precetti teorici
che ogni cacciatore doveva applicare alla perfezione. Quella sera, invece,
erano tutti assiepati davanti all’ingresso dell’aula magna: una piccola folla
si accalcava sulla porta, cercando di spiare quello che avveniva all’interno.
Il brusio era insostenibile, e prometteva mal di testa feroci a quanti fossero
rimasti ad aspettare l’inizio della conferenza.
«Vieni» Ice le prese il polso e la condusse in mezzo alla folla,
facendosi strada a suon di spinte e forza bruta. In circostanze come quella,
avere un fratello alto e ben piantato che facesse da bulldozer poteva rivelarsi
davvero utile: se fosse stata da sola, probabilmente non sarebbe riuscita ad
andare oltre l’ingresso.
Invece grazie
alla faccia tosta di Ice–ogni
gomitata che piazzava nelle costole di chi non lo faceva passare era
accompagnata da sorrisi e scuse, che ovviamente non erano affatto sentite-
riuscirono a conquistarsi un posto centrale in fondo all’aula.
Non appena si
fermarono, Cora si guardò attorno: cercò Amber tra la
folla, ma fu un’azione che si rivelò più difficile del previsto. C’era troppa
gente in quell’aula, gli uni ammassati agli altri come bestiame. Dovette
rinunciare.
Poi,
all’improvviso, il brusio calò e Ice indicò il
piccolo palco che era stato allestito all’altro capo della sala, dove un uomo
in giacca e cravatta aveva appena fatto il suo ingresso. «Iniziano.»
Non c’era
bisogno di guardare verso il palco per sapere chi fosse quell’uomo. Anche Cora, come tutte le persone assiepate nell’aula magna,
sapeva perfettamente che il signor Nicholas Owen era un tipo rigido, preciso,
di pochi sorrisi. Una persona seria, che non rideva mai. Ma, prima di ogni
altra cosa, sotto l’abito perfettamente stirato e il fisico allenato c’era un
cacciatore che era responsabile dell’intera struttura e delle vite che
all’interno di quella scuola venivano forgiate.
Nicholas Owen,
oltre ad essere il preside di quella scuola, era anche uno dei più alti
funzionari dell’Ordine dei Cacciatori, l’ente che regolava ogni più piccolo
aspetto della vita di chiunque decidesse di dedicare la propria vita ad
uccidere vampiri.
Quando Owen si
sedette e picchiettò contro il microfono, un rumore metallico si diffuse per la
sala e il brusio cessò definitivamente. Erano tutti in attesa.
Lui guardò la
folla che si era stretta nell’aula, uno sguardo di falco che metteva in
soggezione Cora ogni volta che incrociava gli occhi
di quell’uomo e che anche in quell’occasione non erano da meno.
«Come immagino
avrete sentito dalla televisione, questa notte c’è stato un attacco violento,
sanguinario, che ci ha colpito con brutale crudeltà. Un attacco immotivato,
fortemente condannabile» parlò al microfono con voce ferma, autoritaria, come
se stesse tenendo un discorso alla nazione. «È in tragedie come questa che
possiamo trovare degli alleati preziosi, anche nei luoghi più bui e privi di
speranza.»
Sembra il Papa, pensò Cora
con un moto di fastidio. Aveva la sensazione di sapere dove intendesse andare a
parare con quel discorso, e ogni parola che aggiungeva non faceva altro che
irritarla ancora di più. Strinse il braccio di Ice
mentre continuò ad ascoltare quel discorso pieno di belle parole e detestabili
luoghi comuni.
«Pur nel dolore,
oggi è un giorno che ricorderemo: il Mostro e i suoi adepti ci hanno attaccati
alla gola nel modo più vigliacco, ma è con grande gioia che vi dico che in
questa battaglia non siamo soli. Ci è stata tesa una mano uguale e diversa da
quella del Mostro, una mano di vampiro che non è fatta per colpire, ma per
aiutare.»
La folla
proruppe in un applauso fragoroso, felice. Quelle parole avevano rinfrancato
gli animi di tutte quelle persone almeno tanto quanto avevano affondato l’ultima
debole speranza a cui Cora si era aggrappata.
«Aiutare? Aiutare?! Non ci posso credere, che
imbecille!» esclamò, coperta dal fragore dell’applauso. Ice,
accanto a lei, la guardò rassegnato.
«È stato
raggirato anche lui, esattamente come tutti gli altri.»
Cora non rispose.
Non c’era nulla con cui poter ribattere, di fronte ad una verità del genere. Si
sentì terribilmente impotente.
Owen aspettò che
gli applausi cessassero e solo quando ottenne silenzio riprese a parlare.
Guardò verso la porta d’ingresso in linea con il palco, da cui spuntava una
sagoma femminile che Cora non riusciva a distinguere
perfettamente. «Vi presento colei che ci ha offerto la sua mano, per suggellare
una solida alleanza: Lakeisha.»
Lakeisha.
Almeno metà
delle persone stipate nell’aula magna conoscevano quella creatura: l’avevano
vista in televisione, e avevano creduto alle sue parole. Ai loro occhi era una
specie di messia che vendeva speranza a buon mercato. Erano stati abbindolati
dalle sue parole al punto da applaudirla con sguardo ammirato, come se lei
fosse la loro salvatrice. Avevano impiegato anni a plasmare la loro mente
dubitando di qualunque vampiro incontrassero per strada, eppure erano bastate
una manciata di parole rassicuranti e un
capro espiatorio offerto in sacrificio al momento opportuno per distruggere in
pochi istanti un lavoro durato anni.
Cora guardò Lakeisha prendere posto accanto al signor Owen, così bella
da ferire l’anima, così elegante in quella gonna a tubino che evidenziava le curve
sinuose del suo corpo. Non riuscì ad applaudire. In mezzo al fragore provocato
dagli stessi cacciatori che fino a pochi giorni prima avrebbe chiamato
compagni, lei rimaneva immobile: le braccia abbandonate lungo i fianchi, lo
sguardo fisso sul volto della vampira, la rabbia che le infuriava in petto. Si
sentì estranea a tutta quella partecipazione, a quel benvenuto accalorato.
«Sono impazziti»
commentò, stringendo ancora il braccio di Ice che
osservava la scena a braccia conserte.
Non appena Lakeisha si sedette e gli applausi cessarono, Owen
rincominciò a parlare.
«Lakeisha ha accettato di essere qui con noi per raccontarci
tutto ciò che non sappiamo riguardo al nemico, come primo passo di questa nuova
alleanza. È un passo importante, e mi auguro che siate orgogliosi di essere
qui, questa sera» concluse severo, guardando la platea che gli stava davanti
come se si aspettasse da un momento all’altro qualche rimostranza. Poi, non
vedendo alcuna mano alzata, si voltò verso Lakeisha
con la stessa aria pomposa con cui si rivolgeva ai suoi allievi. «Quindi, mia
cara, che cosa ci puoi dire riguardo a questo Axel?»
«Siamo già a mia cara?!» Ice
storse la bocca, e Cora non poteva che dargli ragione.
Per Lakeisha, invece, non sembrò rappresentare un
problema: il suo sguardo indifferente era distante, e guardava la folla di
persone che pendeva letteralmente dalle sue labbra.
«Axel è un vampiro molto antico, che ha visto i secoli
avvicendarsi ed è stato testimone di ben più di un millennio della vostra
storia» cominciò, perfettamente composta sulla sedia. Non c’era neppure un
brusio nella sala, nessun rumore: erano tutti rapiti dal racconto riguardo al
loro Mostro, gli occhi fissi sul viso bellissimo e cinereo della vampira. «È spietato,
dominato dagli istinti, una creatura crudele che non controlla la propria
natura. Gli Eraclea,
il clan di cui è a capo, è lo specchio del suo modo di vivere.»
Cora rimase
impietrita ad ascoltare le menzogne che Lakeisha
stava spacciando per verità, rivelazioni che la folla avrebbe sicuramente dato
per certe. Lo sgomento le aveva annebbiato il cervello e per un istante ebbe
l’impressione di trovarsi di fronte ad un film, ad una sequenza di immagini su
cui lei non aveva nessun potere.
Si sentì schiacciata
da quello che stava succedendo davanti ai suoi occhi.
«Parlaci di
questi Eraclea,
per favore» Owen imbeccò la vampira come un perfetto padrone di casa. Non che
ce ne fosse bisogno, ma quell’uomo doveva svolgere il suo ruolo alla
perfezione.
«I vampiri che
fanno parte degli Eraclea
sono sanguinari, educati fin dal principio a non reprimere la loro natura e a
lasciarla libera di esprimersi: per loro è lecito sfogare qualunque voglia,
ogni istinto. Non hanno freni di nessun genere.»
Non hanno freni di nessun genere. Fu una frase
che Cora non riuscì a levarsi dalla mente. Era come
sognare un incubo e non riuscire a svegliarsi.
Odiava Lakeisha, la detestava con tutta l’anima. Era consapevole
che fosse una creatura senza scrupoli, l’aveva vissuto sulla propria pelle nel
momento in cui sua madre era stata uccisa. Solo, non avrebbe mai immaginato che
potesse possedere altrettanta malizia. Non aveva capito fino a che punto
potesse arrivare la sua meschinità, almeno non prima di vederla su quel palco:
era bella e dava speranze alla folla. Era estremamente facile credere ad una
bugia infiocchettata se non c’era un’alternativa più appetibile, e Lakeisha questo doveva saperlo bene.
Per il pubblico
rappresentava una possibilità attraente, facile, servita su un piatto
d’argento. Non c’era da stupirsi che la gente pendesse dalle sue labbra.
Tutti, tranne Cora.
Non riuscì più a
digerire quelle parole false, piene di malizia ed ipocrisia, e lasciò l’aula
magna proprio nel momento in cui Lakeisha cominciò a
raccontare come gli Eraclea
festeggiassero la settimana del Sangue.
Si allontanò,
diretta verso il piano terra: l’aria viziata che aveva respirato stando in
mezzo alla folla le aveva fatto girare la testa, e una boccata d’ossigeno
l’avrebbe fatta sentire sicuramente meglio. Dovette fermarsi quando sentì Ice correrle dietro mentre chiamava il suo nome.
«Dove stai
andando?» le chiese non appena la raggiunse. Sembrava preoccupato.
«A prendere un
po’ d’aria. Ho bisogno di schiarirmi le idee, dopo tutte le fandonie che ho
sentito questa sera» decretò Cora scendendo le scale.
Ice non si arrese, e le fu subito dietro.
«Non posso
credere che si siano lasciati abbindolare così facilmente» sentenziò rabbiosa e
l’aria frizzante della sera le accarezzò il viso non appena uscì dalla scuola.
Fu una sensazione piacevole, rinfrancante, esattamente quello di cui aveva
bisogno. Respirò a fondo, appoggiandosi alla portiera della macchina –erano stati fortunati a trovare un parcheggio a pochi
metri dall’ingresso- e suo fratello fece altrettanto.
Rimasero per
alcuni istanti così, l’uno accanto all’altra, senza bisogno di nient’altro se
non della compagnia silenziosa e confortevole che l’altro poteva offrire.
Poi, Cora decise che era arrivato il momento di esporre il suo
piano.
«Parlerò con il
signor Owen non appena sarà finita la conferenza.»
«Cosa?!» Ice la guardò con occhi sgranati. Non sembrava
particolarmente entusiasta.
«Sì, parlerò con
Owen. Gli spiegherò come stanno realmente le cose, gli dirò che Lakeisha sta raggirando lui e tutto il paese.»
Ice sospirò,
incrociando le braccia al petto. Era decisamente scettico. «Non mi sembra una
grande idea, Cora.»
«Lo so che non è
un piano geniale, e so anche che senza avere delle prove potrei non essere
creduta, ma hai visto che cos’è successo là dentro!» esclamò, indicando la
porta d’ingresso della scuola. Aveva una certa urgenza, una sorta di angoscia
che rimaneva aggrovigliata ad ogni parola. Poi, quando parlò di nuovo, la sua
voce uscì incerta, tremante.
«Hai visto
com’erano ammirati, come pendevano dalle labbra di quella vampira? L’hai visto,
vero?»
«L’ho visto, e
non sto dicendo che dobbiamo rimanere in disparte a guardare. Quello che voglio
dire è chenon stai pensandoCora» Ice
rimarcò quella penultima parola, piazzandosi di fronte a sua sorella e cercando
il suo sguardo. «Ragiona. Lakeisha è in contatto con
l’Ordine dei Cacciatori e probabilmente questa non sarà l’ultima volta che la
vedremo a scuola. Se ho ragione, questo vuol dire che la sua influenza
diventerà sempre più forte e potrà manovrare Owen e i cacciatori come fossero
marionette.»
«Non ti sembra
una buona ragione per intervenire?»
Ice scosse la
testa. «Penso che la cosa migliore sia spiare quali saranno le prossime mosse di
Lakeisha e riferirle ad Axel.
Finché rimaniamo nell’ombra possiamo essere i suoi occhi. Se però vai da Owen,
ti schieri apertamente contro Lakeisha.»
Cora rimase in
silenzio, lo sguardo fisso su suo fratello. Sapeva che Ice
aveva ragione, ne era dannatamente consapevole. Ancora una volta era lui quello
che pensava prima di agire, quello abbastanza razionale da riuscire a
riflettere in una situazione di grande tensione. Lei, invece, passava subito
all’azione.
Anche in quel
momento, nonostante fosse evidente che la strategia di Ice
fosse più prudente e conveniente, Cora non riusciva
ad aspettare. L’idea di guardare Lakeisha fare
proselitismo nella sua crociata contro Axel era
insopportabile.
Quella creatura
aveva le aveva portato via sua madre, le aveva stravolto la vita, ma Cora era determinata a non lasciarle prendere anche Axel. E, per qualche motivo, questo non riusciva a
spiegarlo a suo fratello.
«Fai come credi,
Ice.»
*
Presidenza
Signor Nicholas Owen
Così recitava la
targa apposta sulla porta dell’ufficio del preside, e Cora
era rimasta a studiarne la forma così a lungo che avrebbe saputo riproporla in
ogni più piccolo ghirigoro. La verità era che si stava annoiando a morte: non
aveva nulla da fare, il che sembrava rallentare lo scorrere del tempo il tempo.
Aspettare che Owen arrivasse, dunque, era una tortura.
Quando lo vide
comparire in corridoio, però, scoprì di non essere preparata a parlare con lui
di Lakeisha. Forse fu a causa del suo sguardo
distante che le ricordava quello gelido della vampira, ma c’era qualcosa che
agitò Cora.
Andrà bene. Ti crederà, si ripeté
nonostante lei stessa cominciasse a non esserne troppo convinta.
Quando il
preside si avvicinò –in mano stringeva un paio di
chiavi piccole e argentate- la guardò senza troppo interesse, come se Cora fosse una seccante incombenza.
«Posso
aiutarti?» le domandò senza neppure guardarla mentre infilava la chiave nella
toppa. Clik.
Cora guardò la porta
aprirsi, la stanza buia che aspettava oltre l’uscio, e le sembrò di trovarsi di
fronte alla tana del diavolo. Si sforzò di ricordare tutte le bugie che Lakeisha aveva detto riguardo ad Axel
e agli Eraclea,
si costrinse a rimanere lì e a fronteggiare le conseguenze che la scelta di
rivolgersi ad Owen aveva comportato.
«Dovrei
parlarle. Si tratta di Lakeisha.»
Non appena
nominò la vampira, Cora ebbe la sensazione che
qualcosa in Owen non andasse. Era un’espressione indefinibile. Una sfumatura
così sottile da non poter essere colta, ma che nell’insieme del viso rendeva
quell’uomo decisamente inquietante.
Owen si fece da
parte, indicandole la stanza buia. La tana del diavolo.
Non poteva più tirarsi
indietro.
«Prego.»
L’angolo
dell’autrice
Azione ragazzi,
azione! *si gasa perché sta per diventare
cattivissima con i suoi bimbi*
Mi scuso per il ritardo,
ma come avevo previsto il periodo natalizio mi ha lasciato poco tempo per
scrivere (ragazzo + esami all’orizzonte= accoppiata
mortale per la scrittura). Ma alla fine dai, il nuovo capitolo è arrivato e
questo è quello che conta! :D
Anche questa volta
vorrei ringraziare un paio di persone: sasamy e dancy184
per aver messo Slayer’s nelle storie preferite e Vale_Tvb, che
invece l’ha inserita tra le seguite.
Per quanto
riguarda i commenti invece:
Jennifer90: sono davvero felice che ti sia
piaciuto come ho caratterizzato la relazione che Axel
e Cora hanno fin’ora. E ti devo confessare che
piacciono anche a me, sicuramente molto di più rispetto ai vecchi Axel e Cora (che rivedendoli con
occhio critico forse erano un po’ forzati). Invece Santy
e Cloe mi piacciono uguali, ahahahah!
jess: Axel in effetti è abbastanza nei guai, ma in realtà non
sembra l’unico eheh :P
clodio82: commenti come questi mi lusingano
davvero. Non mi resta che dire grazie.
Deb: beh, diciamo
che all’epoca ero una giovincella che non leggeva molto :P Però in compenso
devo ammettere che Santiago se ne usciva con certe battute che mi fanno ridere
ancora adesso quando mi capita di rileggere i vecchi capitoli XD Comunque come
vedi l’intenzione di Cora è proprio quella di
testimoniare. Con quali risultati, però, non si sa :P (in realtà volevo
aggiungere il pezzo della testimonianza di Cora, ma
poi il capitolo diventava davvero lungo ò.ò)
Per quanto
riguarda il prossimo capitolo, non assicuro aggiornamenti regolari e frequenti
perché purtroppo ho tre esami che incombono e sono tutti molto inquietanti.
Però voi non perdete le speranze, che non vi lascio orfani di Slayer’s.
«Allora, di che si tratta?» Nicholas Owen,
seduto alla sua scrivania, sfogliava un plico di documenti che sembravano
interessarlo decisamente più di Cora. Non la degnava
neppure di uno sguardo, come se doverla ascoltare fosse per lui un fatto del
tutto meccanico.
Cafone.
«Sono qui per parlarle di Lakeisha.»
Non appena sentì quel nome, Owen distolse
l’attenzione dai fogli che aveva in mano e finalmente puntò lo sguardo su Cora. Sembrava sorpreso.
«Lakeisha, hai detto?»
«Signor Owen, quella creatura sta ingannando
lei, l’intera scuola e tutte le persone che l’hanno vista in televisione. Tutto
quello che ha detto…»
«Ti rendi conto della gravità della tua accusa?»
Owen la interruppe, freddo. Il suo sguardo imperscrutabile la mise in
soggezione, e Cora ebbe l’impressione che non sarebbe
stato affatto semplice convincere quell’uomo della bontà delle sue parole.
«Me ne rendo conto signore, ma capisco anche
quanto sia grave ciò che sta facendo quella creatura» replicò Cora con urgenza, il tono fermo e sicuro. «Quello che ha
detto in televisione, quello che ha raccontato in aula magna…
Tutto ciò che è uscito dalla sua bocca è una bugia.»
«Per quale motivo ci avrebbe raccontato una
menzogna, allora?» Owen appoggiò il mento sul dorso delle mani intrecciate. La
guardava con leggerezza, come se la bugiarda in tutta quella situazione fosse
proprio Cora.
Dio, ti
prego, devi credermi!
La sensazione di aver perso quella partita fin
dai primi istanti di gioco la colpì alle spalle, minando la sua incrollabile
sicurezza: non c’era nulla nello sguardo di quell’uomo che le suggerisse
comprensione. Probabilmente non la stava neppure ascoltando con serietà, come
se non fosse affatto interessato alle accuse che lei stava sostenendo. Era come
se l’avesse etichettata come bugiarda nel momento in cui aveva cominciato a
parlare, per partito preso.
Lo riconobbe all’istante nel momento in cui lo
sentì insinuarsi in lei, infido: panico. Subdolo, pericoloso.
Non
cedere, Cora!
«Perché vuole mettere l’intero paese contro Axel! Vuole scatenare una guerra!» esclamò, incontrando
dall’altra parte nient’altro che composta freddezza. Si impose di continuare,
di sostenere la propria causa con determinazione. Parlò con lucidità,
nonostante si sentisse sempre più disperata. «Lakeisha
è un lupo travestito da agnello. Se l’Ordine si dichiarerà ostile ad Axel e agli Eraclea, perderemo l’unico alleato valido e saremo carne da
macello, signore.»
Owen accennò una vaga espressione sorpresa. Non
una piega della bocca, non una risata. «Carne
da macello?»
Cora fece per replicare, ma un
rumore alla porta glielo impedì: due colpi leggeri, attutiti. Qualcuno aveva
appena bussato.
«Sì?» Nicholas tornò a sfogliare i documenti
che aveva tra le mani, ma li lasciò immediatamente da parte non appena Lakeisha entrò nell’ufficio.
Bella da far male, decisamente più affascinante
di quanto non apparisse attraverso l’immagine artificiosa della telecamera;
elegante, raffinata, resa superiore
per mano di Dio. Cora rimase freddata, paralizzata
dal panico improvviso, resa pallida dalla paura.
Ottimo
tempismo, non c’è che dire.
«Stavamo parlando proprio di te, Lakeisha. La signorina sostiene che il tuo sia un
complotto. Un inganno ai danni di Axel, degli Eraclea e del
genere umano» concluse Owen guardando Cora negli
occhi, cercando in lei un cenno di conferma che l’avrebbe inevitabilmente messa
con le spalle al muro. Fu più che sufficiente per farla sprofondare nel
terrore. Non riuscì a pensare a nulla, impotente. Tradita. Sola.
«Un complotto…» Lakeisha si lasciò sfuggire una risata leggera, quasi
divertita. Studiava Cora come avesse davanti a sé un
ostacolo da rimuovere, neppure troppo impegnativo. Un insetto semplice da
schiacciare. Un animale facilmente addomesticabile. «Un’accusa come questa non
mi stupisce affatto e sono certa che non sarà l’ultima. È evidente che Axel sta cercando di raggirare la situazione a suo favore,
mandando questa complice.»
Il cuore di Cora
cominciò a battere in maniera irregolare, sincopata. La situazione le stava
sfuggendo di mano, verso una drammatica direzione che lei non poteva né
desiderava prevedere. La soffocante sensazione di essere in trappola la fece
sentire perduta come mai lo era stata prima.
«Non sono la complice di nessuno! Axel è una brava persona, non è il mostro che state
dipingendo!» cominciò ad agitarsi sul serio. Nel momento in cui il signor Owen
si alzò, scrutandola impassibile, Cora seppe che per
lei non c’era più speranza. Ma continuò, perseverando nella propria disperata
convinzione. «Per favore, deve credermi. Non può fidarsi di Lakeisha,
non può!»
«Per quel che mi riguarda, ho visto abbastanza»
dichiarò Owen, rassettandosi la giacca come un uomo d’affari. «In quanto
cacciatrice dovrebbe essere l’Ordine ad occuparsi del caso, ma posso chiudere
un occhio e lasciare la ragazza al tuo giudizio, Lakeisha.»
La vampira sorrise accomodante, melliflua. Furba. Era evidente che a comandare
tra i due fosse lei, ma far credere a Nicholas di possedere il comando faceva
parte del gioco. Peccato che lui non se ne rendesse conto.
«Lo apprezzerei molto.»
*
La portarono via come una condannata senza futuro, ammanettata e circondata da
un manipolo di uomini, probabilmente vampiri. La scortarono alla macchina, tra
il brusio incredulo della folla che si era radunata lungo la strada non appena
la notizia del suo arresto si era diffusa per tutta la scuola. C’erano mormorii
increduli, borbottii di condanna; un abisso di moralità a separarla dalle
persone che fino a pochi minuti prima erano stati suoi compagni.
Guardava smarrita quei volti, uno per uno, ma
in ogni sguardo leggeva sempre la stessa cosa: biasimo, colpevolezza, vergogna.
Era diventata improvvisamente lo zimbello dell’intero Ordine; qualcosa di cui
vergognarsi, qualcosa da relegare in un angolo della memoria a marcire.
Improvvisamente era diventata una traditrice, una donna venduta, un nemico.
Poi, in mezzo a quei volti ostili che
continuavano ad accusarla, lo vide: il viso familiare di Ice,
suo fratello. Era sconvolto, letteralmente perduto - come un bambino che ha
smarrito la strada di casa- e non poteva fare altro che rimanere intrappolato
tra la folla a guardarla sparire. A vederla salire in una mercedes
nera, sequestrata dalle stesse persone di cui si era ingenuamente fidata.
Cora non distolse mai lo sguardo
da quello di suo fratello. Anche quando le spinsero la testa dentro
l’abitacolo, anche quando chiusero la portiera; continuò a guardare Ice cercando di non farsi vedere sconfitta, di non lasciar
trasparire la disperazione feroce che la dilaniava. Voleva che pensasse che non
aveva paura, che era forte, che sapeva che non l’avrebbe lasciata nelle mani
dei Sangre.
Ma, nonostante tutto, in cuor suo ne era certa:
non avrebbe mai più rivisto suo fratello.
*
Ice si precipitò a casa di Axel sfidando il traffico, la velocità, persino la sorte.
Aveva il cuore in gola, e un nodo fastidioso gli premeva sullo stomaco. Stava
fisicamente male, e provava la paura sorda e logorante di essere smarrito. Di
non essere abbastanza tempestivo. Di perdere tutto ciò che d’importante gli
rimaneva. Cora… Anche quando arrivò davanti alla porta d’ingresso, picchiando contro il
legno senza alcuna riserva, quel peso che lo logorava e lo faceva affondare
nella disperazione era ancora lì, radicato nel suo cuore.
«Aprite!»
«Arrivo, arrivo…» la
voce di Emma, dall’altra parte della porta, sembrava quasi scocciata. Quando
aprì la porta, però, la sua espressione irritata –sicuramente era pronta a rimbeccare
Ice con qualche battuta riguardo alla sua insistenza-
si sciolse come neve al sole di fronte allo sguardo stravolto del ragazzo.
«Che è successo?»
«Cristo, è un casino…Cora…» balbettò lui senza coerenza. Improvvisamente
scoprì che organizzare i pensieri gli risultava difficile: l’ansia
anestetizzava la sua mente, rendendola fallace.
«Entra» Emma lo prese per un braccio, delicata
ma volitiva. Aveva sicuramente intuito che c’era qualcosa che non andava,
qualcosa che rendeva Ice estremamente agitato.
Sembrava quasi preoccupata: un’espressione che la rendeva decisamente umana.
«Che cos’è successo?»
«Lakeisha…Cora ha voluto fare di testa sua» Ice
scosse la testa, perduto. Cominciò a camminare a vuoto, le mani ora sulla
testa, ora sugli occhi. Avrebbe dovuto mantenere la calma e il controllo che
l’Ordine predicava con tanta assiduità, avrebbe dovuto essere lucido abbastanza
per prendere una decisione su come agire… Eppure non
riusciva a far nulla, se non sentirsi immensamente perduto. «Le avevo detto di
non fare di testa sua… Glielo avevo detto!»
Se non fosse stato così concentrato sul
pensiero martellante di Cora, probabilmente si
sarebbe accorto del mutamento nello sguardo di Emma: avrebbe visto il
cambiamento nei suoi occhi; quella preoccupazione diventare allarmismo.
Invece non vide nulla.
«WILL, AXEL!» la vampira chiamò i nomi dei due Eraclea senza
distogliere lo sguardo da Ice. «Perché tua sorella
non è con te?»
Il ragazzo fece per rispondere, ma dei rumori
sempre più vicini lo fermarono. Passi.
Neppure vedere William e Axel
fare capolino in entrata riuscì a sciogliere il nodo che chiudeva la gola di Ice, né poté dargli un po’ di sollievo. Cercò di respirare
in maniera regolare e controllata, ma scoprì che l’aria sembrava non bastargli
mai.
«Ha cercato di raccontare ad Owen come stanno
davvero le cose, ma suppongo che non le abbia creduto» rispose con voce
strozzata. Poi guardò Axel, lo sguardo puntato sul
suo, come se lo stesse accusando. «Lakeisha l’ha
portata via. Dovete aiutarla.»
*
Annoiato a morte, prigioniero del nulla più
completo: ecco in che situazione si trovava Santiago. Privato di qualunque
mezzo con cui ingannare il tempo, l’unica cosa che gli rimaneva era ascoltare:
la casa, ogni singolo rumore che le fondamenta gli riportavano, ogni brusìo,
ogni mormorio… Era in ascolto anche quando l’umano –Ice lo chiamavano- piombò in casa blaterando di ciò che Lakeisha aveva fatto a Cora.
Dovete
aiutarla, lo
sentì dire e a Santiago venne da ridere.
«Questi umani…»
Non c’era limite alla stupidità di quelle
creature, ne era profondamente convinto. Chiunque, a patto che fosse dotato di
un po’ di intuito, avrebbe capito che riferire la verità nel frangente in cui
si trovava Cora non avrebbe portato a nulla di buono.
Eppure lei aveva agito lo stesso, finendo per trovarsi prigioniera della stessa
creatura contro cui aveva alzato il dito.
Se non è
stupidità questa…
Poi, all’improvviso, silenzio. Nessuna voce,
nessun bisbiglio. Era quasi certo che fossero usciti di casa, quando sentì dei
passi proprio sopra la sua testa. E ancora, ancora, ancora…
Qualcuno stava scendendo le scale per raggiungere lo scantinato.
Esattamente dove si trovava lui.
Si alzò in piedi, e l’istante successivo la
lampadina appesa al soffitto diffuse una luce fioca: Axel
era a pochi metri dalla sua cella, e sembrava davvero contrariato.
«Finalmente un po’ di compagnia…»
sbuffò Santiago, adagiandosi alle sbarre con indolenza. C’era qualcosa in Axel che stuzzicava il suo sarcasmo. Qualcosa che lo
fomentava e gli rendeva impossibile tacere, soprattutto dopo tutte quelle ore
trascorse a fissare il muro della cella senza poter fare altro.
Si guardò attorno con fare critico. Poi
sospirò, scuotendo la testa. Commediante, come sempre. «Migliorerei un po’ i
comfort, se fossi in te.»
«Non sono qua per farti dare aria alla bocca,
Santiago» Axel fremette, le mani tremanti e gli occhi
furenti: dettagli che catturarono tutta l’attenzione del vampiro prigioniero.
«Tutti i tuoi compagni sono in casa, sani e
salvi. Dovresti essere il ritratto della serenità…»
Santiago scrutò Axel con attenzione, cercando nei
suoi occhi violacei qualche indizio che potesse dargli qualche suggerimento. Ed
eccola, nascosta dietro l’ostilità che accendeva lo sguardo dell’Eraclea:
preoccupazione.
«… Cos’è, il rapimento della ragazza ti
disturba così tanto?» domandò accennando un sorrisetto sottile, sicuro di aver
colto appieno ciò che Axel provava. La smorfia
irritata che deformò il viso del vampiro fu la prova di ciò che per Santiago
era rimasto fino a quel momento solamente un sospetto.
«Perché Lakeisha sta
facendo tutto questo?» la voce di Axel era ridotta ad
un sibilo controllato, testimone dello sforzo che l’Eraclea stava facendo per
mantenere la calma. Santiago fece spallucce con sufficienza, come se la
risposta fosse una cosa ovvia.
«Te l’ho detto, lei è fedele al suo Sire.»
«Il suo Sire non esiste più» la replica sicura
di Axel era un’affermazione che non ammetteva obiezioni.
«Lei non la pensa allo stesso modo…» Santiago sogghignò, enigmatico. Le sue parole
avevano raggiunto Axel, muovendo qualche corda in
lui: glielo diceva il suo sguardo, che negava eppure chiedeva di conoscere più.
Come se non volesse credere alle parole di Santiago, ma nonostante tutto ne fosse
inevitabilmente colpito.
«Cosa intendi dire? Perché sta aizzando
l’umanità contro gli Eraclea?»
«Sta cercando di mandarti un messaggio»
Santiago sospirò, allontanandosi dalle sbarre. A volte Axel
poteva essere davvero ottuso…
«Vuole farti capire che per te c’è solo lei.
Sterminerà il tuo clan e tutti i vampiri che mantengono il mondo sotto una
campana di vetro, proprio come fai tu. E quando sarai rimasto solo come un
cane, ti costringerà a rinunciare al tuo Io fasullo e a tornare accanto a lei.»
«E come intenderebbe farlo?»
«Ti sto dando un po’ troppe informazioni senza
ricevere nulla in cambio…»
«Santiago…» Axel sibilò; nel suo
sguardo era leggibile un’ammonizione tagliente che profumava di minaccia.
Santiago, però, non ne rimase affatto impressionato: rimase fermo nelle proprie
convinzioni, lo sguardo serio di chi non cambierà idea.
«Sai quali sono le mie condizioni, Axel.»
«Non sono disposto a darti Cloe.»
«Una donna per una donna. Se mi dai Cloe, ti porterò da Lakeisha e
potrai riprenderti l’umana» Santiago si concesse un momento per bearsi del
dilemma che leggeva nello sguardo di Axel. Quella
prospettiva lo metteva in difficoltà, era evidente. Sorrise, ormai sicuro di
essere vicino alla vittoria. «Pensavo che la volessi…»
La risposta di Axel
fu tagliente, e cancellò in un istante l’ambivalenza che rendeva indeciso il
suo sguardo. «Non posso fidarmi di te.»
«In realtà non c’è nulla che ti impedisca di
farlo. Il problema è che non vuoi
fidarti di me» ribatté Santiago con naturalezza, ormai certo di avere la
situazione in pungo. Un incentivo: ecco ciò di cui Axel
aveva bisogno.
Il vampiro non aveva altra scelta se non
accettare le condizioni di Santiago perché, per un bizzarro caso del destino,
non aveva altre possibilità. Non poteva rifiutare l’aiuto che lui poteva offrirgli:
Santiago conosceva cose di cui Axel non poteva fare a
meno. Cose che riguardavano Lakeisha e le sue
intenzioni. Cose che Axel non avrebbe ottenuto in
nessun altro modo che non fosse il Sangre. Aveva solamente bisogno di capirlo attraverso un
incentivo, un piccolo dono che Santiago era disposto a concedergli.
Tutto, pur di uscire da quella situazione di
apatia che lo stava uccidendo.
«Non puoi permetterti di essere indeciso. Non
c’è solo la vita della ragazza in gioco: Lakeisha è
sempre più vicina ai rituali di Sumadra» Santiago
osservò Axel con curiosità, sulle labbra un
sorrisetto mellifluo che divenne un ghigno quando l’Eraclea s’irrigidì. «Sai a che
cosa mi riferisco, vero?»
«Perché dovrei crederti?» il volto di Axel era una maschera contratta dalla rabbia, dall’ansia e
dall’impotenza.
«Perché non hai alternative: sai perfettamente
che, se Lakeisha entrerà in possesso di quei rituali,
per te non ci sarà scampo.»
«E tu ovviamente sai dove si trovano?»
«Ho le mie fonti…»
Santiago sorrise, un’espressione sottile che, confondendosi con le ombre sulle
pareti, faceva sembrare il volto del vampiro una maschera grottesca. «Mi
riferisco ad Adam, ovviamente. A proposito di Adam, anche lui sembra non averti mai dimenticato, proprio
come Lakeisha. Ma, diamine, è così rancoroso…»
«Che Adam voglia
uccidermi non è certo una novità. Dimmi dove si trovano i rituali e facciamola
finita» la voce di Axel era ferma, dura,
irremovibile. Peccato che Santiago fosse certo che ci fosse qualche crepa nel
muro della sua risolutezza, qualche punto debole su cui far leva per spezzare
l’intero complesso.
Ed era proprio lì, sotto i suoi occhi. Sotto le
sue mani, che avevano ordito l’intera trama della trappola: sarebbe bastato
tirare un semplice filo per far capitolare Axel, proprio
come aveva previsto.
«Non sei coerente. Mi chiedi informazioni
nonostante tu abbia appena dichiarato che non puoi fidarti di me…» Santiago scosse la testa, voltando le spalle alle
sbarre. Non poteva vedere il vampiro, ma poteva sentire il silenzio assordante
dei suoi pensieri, poteva immaginare il suo sguardo indeciso, rabbioso,
impotente. Aveva capito di non avere altra scelta, Santiago ne era certo.
«Lo sai, no? Le mie condizioni…»
Silenzio, di nuovo. Poi…
«Che cosa vuoi in cambio?»
Era fatta. Santiago sorrise, vittorioso.
«Voglio che Cloe
diventi il mio Ghoul.»
L’angolo
dell’autrice
Lo so, sono imperdonabile. Sono trascorsi due
mesi dall’ultimo aggiornamento, e me ne dispiaccio davvero. Penso di dovervi
delle spiegazioni, ve lo meritate vista l’assiduità con cui continuate a
leggere la mia storia. L’unica cosa che posso dire è che ho avuto un brutale
calo d’ispirazione che mi ha spinta verso altri fandom.
Se avete qualcosa da dire –qualunque cosa,
commenti, complimenti, osservazioni, critiche- vi prego di scrivermele perché
si sa, una recensione –anche se breve- è la migliore medicina contro la
mancanza d’ispirazione.
Dal canto mio vi rinnovo la promessa di non
abbandonare questa storia, a costo di farmi violenza e di costringermi a
produrre anche contro voglia.
Dunque, come sempre un grazie a chi ha inserito
Slayer’s tra i preferiti:
sharry
letizia_ama_rob
Grifondor
attenomis
Avanit92
E grazie anche a chi l’ha inserita tra le
storie seguite:
Rosa Blu
Grifondor
SaphiraLearqueen
fefigna
clodio82
E veniamo alla mia parte preferita, i commenti:
Atina: grazie ancora, spero che continuerai a seguirmi e a farmi sapere
le tue impressioni!
Avanit92: una lettrice di Obsession, ma che gioia! *__* E devo ammettere che il tuo
commento è stato provvidenziale per carburare con il capitolo, sai? :D Spero
che continuerai a seguirmi!
Prima di lasciarvi, una piccola comunicazione
di servizio: ho creato un blog che penso potrebbe interessarvi, dedicato alle
mie storie. Potrete trovarci piccole curiosità sui personaggi, forse
addirittura qualche piccolo spoiler di tanto in tanto. Pensavo addirittura di
pubblicare sul suddetto blog qualche piccolo stralcio divertente della versione
di Slayer’s precedente a questa. Ma, soprattutto,
troverete notizie sullo stato dei capitoli in fase di scrittura. Insomma, un
mezzo per comunicare più velocemente con voi, che ne dite? :D
Silenzio: ecco come aveva reagito Cloe non appena Axel le aveva
raccontato cos’era accaduto a Cora e quali condizioni
Santiago avesse avanzato in cambio del suo aiuto. Era rimasta muta, appoggiata
al tavolo della cucina, le braccia conserte e lo sguardo basso. Come sempre,
quando rifletteva su decisioni che riteneva importanti.
«Non sei costretta a farlo» le aveva
detto Axel, placido e sereno, come se fosse convinto di
poter aiutare Cora anche senza l’aiuto del Sangre. Come se
fosse certo che Cloe non avrebbe accettato le
condizioni poste da Santiago.
«Lei mi ha aiutato quando ne ho avuto
bisogno» aveva ribattuto guardando Axel negli occhi;
lo sguardo fermo e sincero, la mente che correva alla notte in cui l’Eraclea l’aveva
raccolta dall’asfalto insanguinata, debole ma ancora viva.
Lui non aveva ribattuto. Si era limitato
a voltarle le spalle, tornando a dedicarsi al caffè che stava preparando.
«Come vuoi.»
Axel non aveva
aggiunto altro e si era chiuso in un silenzio ostinato che nascondeva preoccupazioni
profonde. Cloe, del resto, non poteva biasimarlo.
Conosceva Axel; l’aveva seguito per decenni, aveva
imparato ad apprezzare l’accortezza e il riguardo con cui trattava le persone
che gli erano care. Che lui considerava una famiglia.
Per Axel,
metterli in pericolo non era una possibilità calcolabile, in qualunque
circostanza.
«Sei almeno consapevole di quello che ti
aspetta?»
Ancora di spalle, la voce posata mentre
mescolava il caffè. Eppure, Cloe ne era certa, il suo
sguardo doveva essere tutt’altro che sereno: probabilmente Axel
era corrucciato, le sopracciglia aggrottate e un’espressione contrariata che
poteva permettersi solamente quando non c’era nessuno ad osservarlo. Quando le
porse la tazza fumante, però, il volto del vampiro era sereno.
«Sì, lo so. Diventare il ghoul di qualcun altro non è una passeggiata» ammise lei,
sorseggiando il caffè.
«È doloroso, Cloe…»
Axel cercò il suo sguardo, come a voler confermare le
proprie parole con un’occhiata efficace. «… Molto doloroso. »
E lei sorrise. Un sorriso aperto,
sincero, riconoscente. Se Axel avesse saputo quali
fossero le reali preoccupazioni di Cloe,
probabilmente non sarebbe rimasto così composto e controllato.
Perché, più del dolore di un corpo che
andava in pezzi nonostante la vita non lo abbandonasse, ciò che lei temeva era
l’idea di legarsi alla creatura che più di ogni altra rappresentava per lei
tormento e dannazione, turbamento e proibizione. Santiago -il nemico della sua
famiglia, del suo clan- sarebbe diventato il suo padrone, il suo sostentamento
e, più di ogni altra cosa, la sua dipendenza. Non avrebbe più potuto fare a
meno di lui: sarebbe stato fisicamente insostenibile vivere più di un giorno senza
il sangue di quel vampiro. Nonostante tutto, però, la sola idea di legarsi in modo
così totalizzante a quella creatura la rendeva ansiosa, provocando in lei un
senso di eccitazione scomodo e sbagliato.
Un’aspettativa perversa che le rubò il
fiato.
Dovresti
vergognarti, Cloe.
Avrebbe dovuto, certo, ma le parole non
erano sufficienti a fomentare il senso di colpa. Sostenne lo sguardo di Axel, il cuore che batteva senza più alcun controllo.
«Credimi, lo so.»
*
Le bendarono gli occhi non appena salì
in macchina.
Poteva distinguere contorni sfuocati e
confusi attraverso il tessuto nero che le impediva di guardare, ma non era
abbastanza per capire che cosa stesse succedendo: ogni cosa scivolava lontano
dai suoi sensi, sfuggente come acqua. Non poter vedere fomentava la sua paura,
ma Cora cercò di resistere: se avesse ceduto, il
terrore l’avrebbe travolta e lei sarebbe rimasta in completa balia dei Sangre che
occupavano l’abitacolo della vettura. Non che avesse la possibilità di
difendersi, certo, ma la lucidità era l’unica cosa che le era rimasta. L’ultima
cosa che desiderava era perdere anche quell’ultimo appiglio.
Sentiva il rumore del motore, le gomme
che sobbalzavano ad ogni dosso, voci che parlavano una lingua antica che lei
non conosceva. Latino, probabilmente.
Non volevano farle capire nulla.
Cercavano di lasciarla sola con sé stessa, con le proprie paure, senza
lasciarle neppure un indizio per poter intuire che cosa stesse succedendo. Le
avevano negato qualunque contatto con il mondo, sia che fosse la strada che
scorreva oltre il finestrino dell’automobile, sia che si trattasse del
contenuto della loro conversazione. Il messaggio era chiaro: lei era una preda
e come tale non aveva diritto a nulla.
Quando la fecero scendere dalla macchina
dopo un tragitto non ben definito, tutto quello che Cora
sentì furono due paia di mani che le afferrarono le braccia.
«Forza, cammina» una voce maschile alle
sue spalle –probabilmente il vampiro che la stava scortando- la spinse a
muoversi.
Certo,
come no.
La benda non le era stata tolta, e
spostarsi risultava più difficile del previsto: si sentiva goffa, terribilmente
impedita nei movimenti. Improvvisamente, privata della vista, Cora ebbe la sensazione che tutto il mondo che lei
conosceva le fosse stato strappato di mano.
Il vampiro l’aiutò a spostarsi in
rigoroso silenzio; non fece alcun commento, neppure quando Cora
urtò qualcosa con la gamba, probabilmente lo spigolo di qualche mobile. Sentiva
dei rumori particolari attorno a sé, appartenenti alla quotidianità di un luogo
grande, frequentato, ampio: un diffuso chiacchiericcio, il ticchettare di tacchi,
rumore di bicchieri… Persino la musica di una
pubblicità.
Dove
mi hanno portata?
Il vampiro alle sue spalle la costrinse
a fermarsi, ma nonostante Cora cercasse di cogliere
qualunque dettaglio attraverso la trama della benda ogni sforzo risultò inutile:
tutto quello che riusciva a vedere non era altro che buio.
Quando ripresero a muoversi, però, la
mano della ragazza sfiorò una superficie fredda e irregolare, che si piegava ad
angolo e proseguiva descrivendo i contorni di qualche piccola stanzetta. Poi il
terreno cominciò a salire con un sobbalzo sgraziato, e Cora
si ritrovò a dondolare incerta e sorpresa, la stretta del suo accompagnatore
sempre salda sul suo braccio.
È
un ascensore. Sono in un palazzo.
Un suono simile ad una campanella, un
altro sobbalzo: l’ascensore si fermò e le porte si aprirono, silenziose.
«Andiamo» il vampiro la costrinse a
proseguire, conducendola chissà dove. Poi lo scatto di una serratura, il rumore
di perni che ruotano, un cigolio leggero: la spinse all’interno della stanza e,
dopo aver richiuso a chiave, le sfilò la benda. E Cora
finalmente riuscì a vedere chi le stava di fronte.
Si trattava di un vampiro dall’aspetto
giovane, decisamente bello: una bellezza greca, dai lineamenti marcati e netti,
sfrontata e ammaliante. I capelli, ricci e ribelli, davano ulteriore
personalità all’aspetto e gli occhi nocciola la studiavano senza troppa
partecipazione.
Come ogni altro vampiro era attraente,
una creatura nata per giocare con la propria preda e toglierle la possibilità
di desiderare qualunque altra cosa non fosse lui stesso. L’incarnazione della
seduzione più perversa; una bellezza tentatrice che prometteva ogni tipo di
piacere, ma che dava solamente morte.
«Dove sono?» Cora
si guardò attorno rapidamente, uno sguardo fugace a quella che sembrava una
camera d’albergo piccola ma lussuosa prima di cercare lo sguardo della creatura
che le stava di fronte. Non sembrava particolarmente propenso a farle del male:
nei suoi occhi non c’era traccia della follia che illuminava lo sguardo di Lakeisha né dell’esaltazione perversa che rendeva Santiago
un tipo decisamente poco affidabile. Tuttavia rimaneva pur sempre un vampiro.
Di più, un Sangre.
Era abbastanza per non potersi
permettere distrazioni.
«Che posto è questo?»
«Sei nell’alveare e ci rimarrai finché
la Domina non deciderà altrimenti.»
«La Domina?»
Cora si accigliò sovrappensiero, la mente troppo
impegnata a sondare la camera per potersi permettere qualunque tipo di
ragionamento non riguardasse la fuga. Poi, senza preavviso, un lampo di gelida
comprensione la freddò all’istante, costringendola a cercare la verità nello
sguardo indecifrabile di quel vampiro. «Lakeisha?»
«A pochi è concesso chiamarla con il suo
nome» lui annuì, le mani dietro la schiena, composto e misurato; l’espressione
limpida, l’atteggiamento disponibile, quasi aperto. Era come se stesse
conversando con una persona qualunque, in una situazione del tutto ordinaria. «A
proposito, un consiglio: non abusare del suo nome. Lakeisha
non è affatto paziente.»
Di
buon auspicio, non c’è che dire.
Quel vampiro di cui non conosceva il
nome, quel Sangre
che sembrava essere del tutto fuori posto in quel covo di bestie…
La guardava senza battere ciglio, lo sguardo fermo di chi ha appena detto la
verità. E bastò per farle capire che non stava affatto scherzando.
Cora fu sul punto di
annuire, quando lo sentì: il rumore inconfondibile di una serratura che si
apriva, seguito dal cigolio metallico e lamentevole dei cardini.
Non ebbe bisogno di voltarsi. Fu
sufficiente sentire quella presenza ingombrante e pericolosa sulla pelle, per
capire: Lakeisha era appena entrata in quella
prigione lussuosa e accessoriata, e si trovava proprio dietro di lei. Alle
spalle di Cora.
«Grazie per aver tenuto compagnia alla
nostra ospite, Adam»
un ringraziamento sottile che celava ben altri intenti, un ordine mal camuffato
che stonava con la grazia e la gentilezza di cui si coloriva la voce della
vampira.
Cora non poté fare
altro che seguire con lo sguardo quella creatura –Adam,
il suo nome- allontanarsi; gli occhi colmi di un orrore disperato, nella mente
quelle parole ricorrenti. Straziate.
Non
lasciarmi qui.
«Dunque sei la nuova puttanella di Axel…» la voce di Lakeisha aveva
improvvisamente perso ogni traccia di dolcezza, qualunque sfumatura cortese: le
sue parole trasudavano acidità, disprezzo e, più di ogni altra cosa, gelosia.
Un sentimento forte, neppure troppo nascosto; un’emozione che provocò in Cora brividi spiacevoli lungo la schiena, sotto la pelle.
Nell’anima.
Avrebbe desiderato ribattere a tono, indignata,
ma l’avvertimento celato nelle parole di Adam era più
forte di qualunque provocazione. Quando si voltò verso Lakeisha
centellinando ogni movimento, rimase inchiodata dall’intensità del suo sguardo
bruciante.
«Come?»
«Cosa sai di Axel?»
la vampira la guardò con supponenza, l’ombra di un sorriso meschino a curvarle
le labbra. «L’hai definito una brava
persona, ma in realtà quello che vedi è soltanto la superficie di ciò che Axel è realmente» le parole di Lakeisha
erano provocazioni mirate a far traballare la sicurezza di Cora,
insidiose e ambigue come il dubbio più subdolo. Nient’altro che veleno.
Nient’altro che corruzione.
«Non ti credo. Ho visto ciò che fa Axel, il modo in cui agisce, come si comporta…
Non è una bestia» ribatté lei, lo sguardo fermo su quello della Sangre: si
trattava di una guerra psicologica fatta di insinuazioni e scelte, uno scontro
di silenzi violenti capaci di ferire più delle parole: perché era in questi
momenti – gli attimi in cui la camera si svuotava di ogni suono- che si
consumava la battaglia più cruenta, quella contro se stessi. Contro le proprie
convinzioni.
Non
devi cedere, Cora. Fidati di Axel
e delle tue sensazioni.
Continuò a ripeterselo ancora e ancora
mentre sosteneva lo sguardo ambiguo di Lakeisha e lì,
con il peso schiacciante di quel dubbio infido a pesarle sullo stomaco, per un
lungo istante fu sicura di riuscire a vincere. Per quel singolo, infinito
momento ne fu convinta, così dannatamente certa…
Eppure la risata della vampira - così
bassa, così divertita, così crudele - calpestò ugualmente le convinzioni di Cora in un attimo, come fossero spazzatura. E la rabbia, la
frustrazione, l’indignazione, la disperazione… Un
vortice di emozioni fuori controllo, l’orgoglio che premeva per difendersi:
trattenersi fu impossibile.
«Lui.
Non. È. Una. Bestia» un mormorio sibilato, l’irritazione ad accenderle lo
sguardo, la mascella contratta: Cora capì di essersi
tradita nel momento esatto in cui parlò, ormai sicuramente troppo tardi per porvi
rimedio. Non poté fare altro che rimanere immobile, impotente mentre diventava
oggetto dell’ilarità allusiva e irritante di Lakeisha.
«Ti piace Axel…»
Una constatazione che sfumava nei
contorni indefiniti di una domanda. Un’osservazione che le raggelò il sangue
per le implicazioni che poteva nascondere. Per le conseguenze che avrebbe comportato.
Cora fece per
rispondere che si sbagliava, che non era interessata ad Axel
in quel modo –Dio, il solo pensiero
di provocare le ire di Lakeisha in quella camera,
senza nessun altro ad aiutarla, la faceva rabbrividire- ma la vampira la
precedette. Cominciò a squadrare la cacciatrice come se volesse sporcarla, come
se quel semplice sguardo potesse bastare a spezzarla per sempre.
Come se fosse la più facile delle prede.
«Mi dispiace essere io a darti questa
notizia, ma l’Axel di cui ti sei innamorata in realtà
non esiste» c’era una strana gioia nella voce morbida di Lakeisha,
un piacere perverso fomentato dalla gelosia che ribolliva nel suo cuore marcio,
in attesa di straripare. «È una personalità fittizia, un tappa buchi.»
Poi, un sorriso. Un significato ambiguo.
Crudele.
Atroce.
«Il tuo Axel non
è reale.»
E fu gelo nel sangue, nel cuore,
nell’anima. Cora rimase immobile, le labbra socchiuse
in un’espressione confusa mentre un’ombra buia e senza nome le divorava il
cuore. Tutto quello che sentì fu inquietudine; una paura irrazionale e
primordiale, un terrore che non comprendeva e che non sapeva controllare.
«Che cosa vuoi dire?» la voce uscì
incerta, specchio dell’insicurezza che le parole di Lakeisha
avevano fomentato in lei. La vampira, però, non le rispose.
Si limitò a sorridere, enigmatica.
Deliziosamente ambigua.
Sangre.
«Farò di meglio che spiegartelo: te lo
mostrerò.» C’erano mille significati nascosti in quelle parole sfuggenti,
possibilità che suonavano come una minaccia senza volto né forma. E lì,
costretta ad affrontare un pericolo ignoto e informe, Cora
si sentì letteralmente perduta.
Disperata e sola, costretta a lottare
contro l’atteggiamento supponente e provocatorio di Lakeisha
in una situazione che non aveva mai affrontato prima, fece l’unica cosa su cui
poteva contare: affidarsi all’istinto. Liberare la collera, l’impotenza e la
frustrazione in un ringhio rabbioso. «Non
toccare Axel!»
«Altrimenti?» Lakeisha
sembrò divertita da quell’inaspettata spavalderia, una reazione che
probabilmente non era abituata a vedere. «Non sei nella posizione ideale per
avanzare pretese, cacciatrice.»
«Hai ingannato tutti: il signor Owen,
l’Ordine, la popolazione… Però non hai ingannato me»
la voce di Cora, resa tremante da quell’emozione
rabbiosa che le chiudeva la gola e le infiammava lo stomaco; gli occhi inchiodati
su quelli della vampira… La ragazza era sull’orlo di
una guerra pericolosa che doveva necessariamente vincere. «Ti costringerò a
gettare la maschera di fronte a tutto il mondo e a rivelarti per l’essere
bugiardo e manipolatore che sei, Lakeisha. È una
promessa.»
«Come hai fatto con Nicholas Owen?» una
domanda semplice, uno sguardo decisamente pungente, una provocazione fin troppo
esplicita: la vampira aveva risposto a Cora usando la
sua stessa moneta, sbattendole in faccia la provocazione con cui la ragazza
aveva provato a ferirla. «Non sei abbastanza furba per riuscirci, cacciatrice.»
Una stoccata cattiva che colava veleno,
gli occhi della vampira che trasudavano sdegno e, oltre quella patina pungente,
un piacere perverso che sfumava nel sadismo. Probabilmente stava godendo
nell’aver costretto Cora al silenzio, la cacciatrice
riusciva a leggerlo dalla soddisfazione irritante dipinta nel suo sguardo.Averla messa al muro togliendole ogni
possibilità di ribattere doveva aver glorificato Lakeisha
almeno un po’, nutrendo il suo ego orfano di Axel
nell’unico modo che poteva appagarla: umiliando la sua rivale.
Quando la vampira le voltò le spalle, poi,
quei pensieri divennero provocazioni insostenibili che resero l’orgoglio di Cora una bomba pronta a esplodere.
Non le avrebbe permesso di andarsene
così, a testa alta, vittoriosa.
Non quando c’era ancora una cosa da
chiarire, una questione che le bruciava l’anima in ogni istante da quando
quella storia era cominciata.
«Aspetta.»
Una parola fremente di rabbia, una furia sorda e bruciante che sibilava oltre
la soglia del suo fragile controllo: bastò a fermare Lakeisha
davanti all’uscita, la mano sul pomello della porta.
«Perché i tuoi vampiri hanno ucciso mia
madre?»
«Tua madre?» Lakeisha
si voltò, l’espressione quasi smarrita, sicuramente stupita. Sembrava non
comprendere a che cosa si riferisse la cacciatrice.
«Mia madre. Abitava nella casa a cui voi
Sangre
avete dato fuoco durante il Sabbath» ogni parola fu
una pugnalata di rancore in grado di rinnovare ferite che non erano ancora
riuscite a rimarginarsi; un dolore che Cora cercò di
nascondere con ogni mezzo, gelosa persino di un tale sentimento.
Rimase in silenzio, lo sguardo fisso
negli occhi di Lakeisha, impudente. Decisa a non
offrirle alcuna scappatoia. Nessuna possibilità di menzogna.
«Quelladonna… » l’espressione della vampira divenne
improvvisamente consapevole.
«Era innocente.»
«Non conoscevi poi così bene tua madre,
vero?» lo sguardo di Lakeisha si fece di nuovo
insinuante, specchio di una dolcezza melensa e velenosa perfetta per concupire
i poveri sprovveduti che incrociavano la sua strada. «Essere innocenti
significa essere estranei a qualunque faccenda. Non aver nulla a che fare con
noi. A questo punto lascia che ti dica una cosa, cacciatrice: tua madre non era
affatto innocente.»
«Che vorresti dire?» il fiato
trattenuto, il cuore reso gonfio da quell’angoscia improvvisa e struggente: per
Cora non c’era modo di combattere quella bestia. Il
dubbio si era già impossessato di lei.
«Tua madre lavorava per la Chiesa.»
«Tu menti» la voce di Cora era ridotta ad un sibilo tagliente, un rifiuto
testardo e disperato di quella rivelazione che, all’improvviso, sembrava
minacciare le convinzioni che sostenevano i resti traballanti della sua vita. «Mia
madre era un’infermiera.»
«Era una copertura» Lakeisha
le rivolse un sorriso laconico, l’espressione irritante e ambigua di chi
conosce ogni oscuro segreto dell’universo. «Era in possesso di documenti che la
Chiesa le aveva affidato. Documenti che non
avrebbe dovuto avere.»
«Non ti credo. Mia madre non mi avrebbe
mai nascosto una cosa così importante.»
C’era ostilità nella voce tremula di Cora, crepe attraverso cui filtrava un’insicurezza
serpentina che non poteva più essere tenuta sotto controllo. Per quanto
tentasse di opporsi alle parole ambigue della vampira e aggrapparsi
all’appiglio delle proprie convinzioni, infatti, sfuggire alla verità era
impossibile: Lakeisha rappresentava un muro
invalicabile fatto di freddezza e ambiguità. Di manipolazione. Rimanere
impassibile di fronte alle sue parole corrosive era impossibile.
«Se te l’ha nascosto probabilmente è
perché le è stato imposto» un suggerimento insinuante, affatto disinteressato. Un’imbeccata
che fu come vento per il fuoco che alimentava la rabbia di Cora.
Imposto
da chi?
«È per questo che l’avete uccisa? Che
avete dato fuoco alla mia casa? Per dei documenti?»
«Non siamo stati noi a ucciderla,
cacciatrice. Ha fatto tutto da sola.»
«Cosa vuoi dire?»
Un sorriso. E quel silenzio pieno di
significati tremendi e crudeli, capace di farla rabbrividire…
«Che è stata lei ad appiccare
l’incendio.»
Fu come ricevere una pugnalata in pieno
cuore. Una rivelazione troppo crudele per poter essere creduta; significati
agghiaccianti che Cora si rifiutò di prendere in
considerazione, troppo spaventata da quello che avrebbero potuto scatenare
nella sua anima per avere il coraggio di affrontarli.
Eppure… Eppure c’era
qualcosa nel modo in cui Lakeisha le sfiorò il viso, quella
consapevolezza tremenda e rivoltante… E il modo in
cui studiò la sua espressione sgomenta, l’ombra seria che si nascondeva dietro lo
sguardo ambiguo e divertito…
«Non
toccarmi» Cora scacciò la mano della vampira, minacciosa;
la voce avvelenata, il cuore che minacciava di frantumarsi da un istante
all’altro sotto il peso delle insinuazioni crudeli di quella creatura. Una
reazione dettata da quell’emozione straripante, senza controllo. Una reazione
che suscitò il sorriso sottile e irritante di Lakeisha.
«Non ti toccherò, no. Ma tu starai qua
finché Axel non verrà a reclamare la tua libertà. E allora…»
Una frase sospesa.
Una frase che non aveva bisogno di
essere completata, per poter essere compresa.
Perché ciò che nascondeva, era
esattamente quello che Cora aveva letto nello sguardo
insinuante e senza moralità di quel Sangre.
Ed erano guai.
L’angolo
dell’autrice
Ci risiamo. Vi devo di nuovo un sacco di
scuse, dopo quest’altra lunga e imperdonabile attesa. Che dire? Purtroppo
quando l’ispirazione cala (e per calo intendo dire che non riesci nemmeno ad
aprire la cartella dove conservi i file della storia) è l’inizio di guai
imprevedibili, tanto per stare in tema.
Ad ogni modo sono pronta a chinare il
capo e ad accogliere tutti i giustissimi e meritatissimi insulti che vorrete
lanciarmi.
Posso assicurarvi comunque che mai mi è passato per la testa di
sospendere a tempo indeterminato Slayer’s: potete
starne certi, questa sarà una cosa che non accadrà né ora né in futuro.
Berenike: tesorooooo
non sai che gioia sapere che Slayer’s ti sia
piaciuta!! Grazie davvero per le tue bellissime parole, ne sono onorata!!
SweetJuly: grazie davvero per le tue
parole, sia per Circus che per Slayer’s, che spero
sia stata all’altezza delle tue aspettative! :D
jess: lo so, vi illudo con un aggiornamento
e poi vi faccio aspettare mesi! :( Comunque hai ragione, sì, si scatenerà
l’inferno. E lascia che ti dica una cosa: quello che succederà ora è nulla a
confronto con quello che accadrà più avanti (e per il quale spero davvero che
non mi uccidiate ò__ò) Per scoprire cosa faranno Cloe
e Santy dovrai aspettare il prossimo capitolo, che
arriverà molto presto visto che mi sta prendendo un sacco *__*
KeLsey: sono contentissima che Slayer’s ti sia piaciuta! *__* e spero che mi perdonerai
per il mega ritardo >__<
Avanit: Lakeisha è
un personaggio cruciale, cambierà mooolte carte in
tavola, non soltanto quelle che Cora e Owen si sono
spartiti :P La tua osservazione è assolutamente puntuale e mi piace. Lakeisha però ha fatto leva sulla paura della gente: ha
mostrato la distruttività dei vampiri, ha fatto sentire l’umanità minacciata
più di quanto già non fosse e in questo modo ha aperto una ferita che ha
prontamente pensato a richiudere dandogli il capro espiatorio di cui avevano
bisogno. Ha sfruttato l’ignoranza dell’Ordine e si è offerta come alleato nel
momento del bisogno prima che lo facesse Axel. E in
un momento di difficoltà è più facile credere a chi ti offre aiuto, piuttosto
che dubitare della sua bontà, o almeno è così che io la penso attraverso i suoi
occhi :D
So che stai aspettando Santiago, perché
già me l’avevi detto su face book, ma anche tu dovrai aspettare il prossimo
capitolo. Però posso assicurarti che l’attesa sarà ben ripagata! *__*
valespx78: chissà perché Cloe/Santiago è una coppia che piace a molti... :P E io non
posso che esserne contenta!! *__*
Ringrazio ancora una volta tutte le
persone che hanno aggiunto Slayer’s alle storie
seguite, ai preferiti e alle ricordate. Portate pazienza se stavolta non vi
ringrazio uno per uno come faccio sempre, ma non ho appuntato i vostri nomi e
vi ho perso per strada :(
Ringrazio invece la bravissima Nunzia per la splendida copertina che
ha fatto per Slayer’s: mi ha fatto andare letteralmente
in visibilio! *__* (i due a destra sono Cora e Axel, mentre nella coppia a sinistra abbiamo Cloe e Santiago).
Piccolo avviso: se volete potete
trovarmi sul MIO PROFILO FACEBOOK (sentitevi pure liberi di aggiungermi, basta
che mi diciate il vostro nick di efp!)
oppure sul GRUPPO FACEBOOK dedicato ai miei racconti (dove potrete trovare
spoiler su Slayer’s, curiosità e altre cosette). Se
volete venire a dare un’occhiata, iscrivervi, blaterare assieme a me oppure
insultarmi per tutto il tempo che vi ho costretto ad aspettare, ne sarei molto
felice!