Una lunga storia d'amore

di roby347
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inizio di un nuovo anno ***
Capitolo 2: *** Pomeriggio di pioggia ***
Capitolo 3: *** Coincidenze ***
Capitolo 4: *** Invito ***
Capitolo 5: *** Presentazioni ***
Capitolo 6: *** Strane sensazioni ***



Capitolo 1
*** Inizio di un nuovo anno ***


“Lory, amore mio, mi vuoi sposare?” Era un bellissimo uomo degli altri tempi a parlare, forse proveniva direttamente dal settecento. Non mi sembrava vero. Stavo per rispondere, quando sentii qualcuno battermi su di una spalla. Tutto divenne più sfocato e lentamente tornai alla realtà. Non c'era nessun principe giunto per coronare i sogni di una povera ragazza romantica. Ero purtroppo stesa nel mio letto, mentre mia madre stava tentando di svegliarmi.

“Lory, su svegliati pigrona! Devi andare a scuola!” L'unica reazione fu quella di spalancare gli occhi. Scuola?! Ah si, giusto! L'ultimo anno di scuola.

“Ecco, ecco. Sono sveglia. Ora mi alzo.” Philippa sorridendo lasciò la stanza.

Con movimenti lenti uscii dal letto e prendendo i vestiti che mi ero preparata la sera prima, andai in bagno. Una veloce doccia mi fece svegliare del tutto. Ormai pronta, scesi in cucina per fare colazione, già pronta sul tavolo. Sorrisi per questo atto di dolcezza di mia madre.

“Grazie mamma.” Le scoccai un forte bacio sulla guancia e con appetito mi misi a tavola.

Da poco meno di un anno io, la mamma e Lilian, la mia bellissima sorella di appena quattro anni, ci eravamo trasferiti a Portland, conosciuta anche come città delle rose. Introversa com'ero non era stato facile integrarmi con i miei nuovi compagni di scuola. Infatti quasi nessuno mi conosceva. Ero come un'ombra. La mia timidezza mi bloccava, le parole non uscivano dalla mia bocca. Mi sarebbe piaciuto essere una di quelle ragazze che in un ambiente nuovo subito si sentivano a loro agio. All'improvviso mi sentì tirare la maglietta, volsi lo sguardo verso l'intrusa. Era la mia piccola sorellina che cercava di catturare la mia attenzione.

“Loly, Loly. Braccio, ora.” Risi per il suo tentativo disperato di farsi prendere in braccio. Io e la mia piccola pulce eravamo molte legate. La presi sulle mie gambe e l'abbracciai forte, poi le rubai la bambola che teneva tra le sue manine e iniziai a giocarci insieme a lei. Come era bello vederla ridere. Philippa improvvisamente entrò in cucina e iniziò ad urlare: “Lory! E' tardi. Ti sembra adesso il momento di mettersi a giocare con tua sorella. Prendi lo zaino e fila a scuola.”

Strizzai l'occhio in direzione di Lilian, e dopo averle dato un bacio sulla fronte la deposi a terra.

“Signor si, signora. Agli ordini.” Rubai un pezzo di pane e corsi fuori di casa.

Salii sul mio vecchio pick-up blu e misi in moto il motore che partì subito. Un altro anno scolastico stava per iniziare. L'ultimo anno scolastico. Arrivai in dieci minuti a scuola. Nonostante tutto ero una delle prime ad essere arrivate. Parcheggiai di fronte ad una serie di alberi. Aspettai qualche altro minuto in macchina e poi scesi. Per fortuna ancora non faceva freddo e il clima era asciutto.

“Già arrivata straniera?” Voltandomi sorrisi. Sapevo già a chi apparteneva quella voce. Solo una persona poteva chiamarmi in quel modo. Joey, l'esuberante Joey. Era molte settimane ormai che non ci vedevamo, dal momento che i suoi genitori l'avevano trascinata in giro per l'Europa. In lei avevo trovato un'ottima amica. “Sai già che mi devi raccontare le ultime novità del vicinato.”

Purtroppo la mia estate era stata priva di colpi di scena e la maggior parte del tempo ero stata in casa a leggere. Mi vergognavo un po' a dirle la verità. Cercai di cambiare discorso, e ci riuscii.

“Tu, piuttosto, mi devi raccontare molte cose. Sei stata in Europa!” Bastarono queste poche parole per scatenarla. Iniziò una lunga descrizione del suo viaggio. Nel frattempo il parcheggio della scuola si era riempito. Cercai tra i volti uno conosciuto.

“Strano che Kathrin non sia ancora arrivata.”

“Arriverà. Mi ha chiamata ieri sera e mi ha detto che sono cambiate molte cose.”

Corrugai le sopracciglia, non capendo bene cosa intendesse. Poi la vidi e rimasi senza parole. Kathrin, timida e innocente, stava camminando in modo spavaldo tra la folla di ragazzi. Abbronzata e vestita all'ultima moda era davvero bellissima. Poi mentre si avvicinava a noi, sul suo volto comparve un timido sorriso e fu in quel momento che rividi in lei la Kathrin che avevo imparato a conoscere. Aveva semplicemente passato una bella estate.

“Bene, bene. Che entrata trionfale. Degna dell'ultimo anno di scuola.” disse Joey con entusiasmo. “Non te ne andrai di qua fin quando non ci avrai raccontato tutto sin nei minimi particolari.”

Le guance di Kathrin si colorirono leggermente. Non era cambiata affatto, pensai. Incontrando i suoi occhi color cobalto notai che disperatamente cercavano una via di fuga. Decisi di aiutarla. Le ragazze timide si dovevano aiutare a vicenda. Ma ecco che Kathrin ci sorprese iniziando a parlare velocemente. “Mi sono fidanzata. Inizialmente non potevo crederci, ma poi ho guardato in faccia alla realtà. Ed ecco il motivo di questi cambiamenti. Tutto è capitato in spiaggia. C'era questo ragazzo carinissimo che mi lanciava delle occhiate. Tanto bello che pregai i miei genitori di rimanere ancora lì in vacanza. E poi un giorno mentre stavo prendendo un caffè al bar ha iniziato a parlare con me. Io non riuscivo ad aprir bocca.” si fermò un attimo per prendere fiato. “Capitava sempre più spesso di scontrarci per caso. Una volta mentre parlavo al telefono gli andai praticamente addosso...” Kathrin sembrava una pila, non riusciva più a fermarsi. Forse in fondo era cambiata. E molto. “Un pomeriggio, verso le sei, quando il sole stava calando, sono andata a fare jogging vicino al mare. E chi incontro? Di nuovo lui. E' stato un pomeriggio fantastico. Abbiamo parlato per ore e prima di andarsene...” si bloccò e ci osservò attentamente mentre io e Joey facemmo un piccolo passo verso di lei, curiose di sapere cosa fosse successo. “mi ha baciata.” concluse Kathrin con enfasi. Joey emise un fischio di compiacimento mentre io tenevo fisso il mio sguardo su la nuova Kat, non riuscendo a trovare le parole.

“Estate di fuoco. Immagino il vostro drammatico addio.” suppose Joey.

“In realtà lui vive qui. Quindi niente addio, solo un arrivederci.” Vedevo la felicità scoppiare negli occhi di Kathrin, che improvvisamente mi guardò aspettando una mia reazione, lenta a presentarsi. I secondi scorrevano ed io ero ancora immobile. Poi l'abbracciai con calore. Dentro di me però c'era qualcosa di strano. Joey aveva visitato l'Europa, Kathrin era a tal punto cambiata da intraprendere una relazione con un ragazzo, accantonando in un angolo dentro di se la sua timidezza. Mentre io...Beh io ero sempre la stessa. Avevo trascorso un'estate priva di colpi di scena, priva di presenze maschili. L'unica protagonista della mia vita ero io. Non riuscivo a mostrare una gioia incondizionata per la mia amica. Non riuscivo ad essere felice per lei. Perché un angolo della mia coscienza urlava disperatamente.

Vidi Kathrin muovere la testa alla ricerca dei miei occhi color nocciola. Sembrava aver capito i miei pensieri, quindi decise di cambiare argomento. Le fui grata.

“Ora però dobbiamo andare. Siamo rimaste solo noi qui fuori.” Ed era vero.

Ci avviammo celermente verso il portone della scuola, sperando di non essere troppo in ritardo per il classico discorso d'apertura del preside Keller. La porta della palestra era ancora aperta ed i ragazzi stavano ancora prendendo posto. Mi guardai intorno. Alla ricerca di volti nuovi. In realtà non conoscevo nessuno, escluse le persone con cui avevo lezioni in comune. Comunque anche con loro non avevo mai parlato.

“Venite ecco tre posti vicini.” Joey mi scosse leggermente e quindi si incamminò. Guardai Kathrin che mi sorrise, quindi mi prese per mano e quasi mi trascinò.

“Forza dormigliona.” disse guardandomi con aria interrogativa. Stava forse per chiedermi il motivo del mio strano comportamento, ma la prevenni, alzando la voce per farmi sentire anche da Joey.

“Lo sai vero che ci dovrai far conoscere questo povero ragazzo che ha avuto il coraggio di fidanzarsi con te?” esclamai a gran voce.

“E' proprio di questo che ho paura.” disse strizzandomi un occhio.

Il preside entrò nella palestra e subito calò il silenzio tra i ragazzi. Io, Joey e Kathrin subito ci sedemmo. Il signor Keller aveva sempre avuto l'abilità di mettere un po' di agitazione tra gli studenti. Sembrò infatti scrutarci uno ad uno prima di iniziare il suo discorso, che come al solito fu lungo e noioso.

“Ragazzi e ragazze, eccoci ad affrontare un nuovo anno scolastico insieme. Do un benvenuto ai nuovi arrivati e il più grande incoraggiamento ai ragazzi che frequenteranno l'ultimo anno.”

Lentamente la mia attenzione si fece sempre più debole, fin quando mi persi tra i pensieri.

Dopo un'ora e mezza finalmente il preside giunse ad una conclusione.

“Bene ci mancava solo questo!” proruppe Kathrin indignata.

“Che succede?” le chiesi con poco entusiasmo.

“Non hai sentito? Sono cambiati i professori del nostro corso. Sembrano essere molto giovani e quindi con tanta voglia di sbranare noi poveri studenti.” affermò Joey fingendo di essere terrorizzata.

“Ma dai! Che esagerate!” cantilenai. Ci mettemmo in fila per poter uscire dalla palestra. Infatti tutti i ragazzi si stavano accalcando per poter raggiungere in fretta le classi. Mi voltai e mi accorsi che c'erano quattro ragazzi ancora seduti ai loro posti. Che pazzi, pensai dentro di me. Vogliono già esser ripresi. Tornai a guardarli e fissai il mio sguardo sul ragazzo con i capelli castano scuro quasi neri, attorno al quali tutti gli altri erano radunati. Lo sguardo era perso nella sala, le gambe fasciate da jeans scuri erano sollevate su un'altra sedia, le braccia muscolose incrociate sul petto.

“Bei ragazzi eh?” mi bisbigliò Joey all'orecchio. “Ma non ci fare il pensiero. Sono i soliti belli e dannati. Sicuramente non portano nulla di buono. Creano guai in giro e usano le ragazze. Per loro noi siamo solo delle conquiste, delle sfide. Tacche in più sulla loro cintura. Lasciali stare.” mi fissò seriamente. Evidentemente non stava scherzando.

“Ma ti pare? Li guardavo perché non li avevo mai visti. Anche se volessi, timida come sono...” lasciai la frase incompleta perché notai che proprio il ragazzo dai capelli scuri mi stava guardando. Velocemente distolsi lo sguardo, quindi non potei accorgermi del ghigno che mi rivolse.

“Non scherzare. Joey ha ragione. Dai andiamo. Ormai la porta è libera.” disse Kathrin. Entrambe mi presero per mano e mi trascinarono fuori dalla palestra. Subito mi dimenticai dei strani ragazzi e chiesi loro: “Sapete che lezione abbiamo ora?”

“Ho controllato prima. Letteratura americana.” rispose Joey. Quindi ci recammo in silenzio verso la nostra aula. Entrammo in classe e per fortuna erano rimasti i posti centrali. Né troppo vicine né troppo lontane dalla cattedra. Il professore entrò proprio in questo momento. Era abbastanza giovane, sicuramente non aveva più di trentacinque anni. Subito si presentò scrivendo il suo nome alla lavagna e senza perder tempo ci spiegò il programma che avremmo svolto durante l'anno.

L'ora trascorse abbastanza velocemente e presto suonò la prima campanella. Mi alzai dalla sedia e presi la mia borsa. Una volta fuori dalla classe Joey mi strattonò una spalla. Girandomi vidi che stava sorridendo.

“Ma che bel tipo! Hai visto quanto è bello?” esclamò sgranando gli occhi.

“Si sono d'accordo anche io. Non ci poteva andare meglio.” bisbigliò Kathrin divertita per non farsi sentire. “Ma tu non dovresti urlarlo proprio fuori dalla sua aula.”

Alzai gli occhi al cielo, invocando mentalmente aiuto per queste due anime perse.

Ecco qui la mia prima fan fiction..Spero che vi piaccia e aspettando le vostri recensioni mi metto a scrivere subito il secondo capitolo..

robbi

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Capitolo 2
*** Pomeriggio di pioggia ***


Pomeriggio di pioggia


L'ultima campanella della giornata suonò. Iniziai a preparare la borsa appoggiata sul banco.

“Allora cosa ne pensi della professoressa Johnson?” chiese Joey avvicinatasi al mio banco. Kathrin non era presente in classe, perchè non frequentava il nostro stesso corso.

“Non saprei. Ha tante idee per la testa, ma non so quanto andremo avanti visto il livello della classe.” detto questo iniziai a guardarmi intorno, sperando che nessuno mi avesse sentito.

“Ahi, pungente la nostra Lory.” disse Joey scuotendo la testa.

“Ma sentila!” risposi allegramente, dandole una pacca sulla spalla. “Proprio tu parli, che hai sempre da ridire su tutto e tutti.” Mi alzai dalla sedia e dandole un bacio sulla guancia la salutai. “Ci sentiamo dopo. Ora vado a casa.”

Affamata mi avviai verso il parcheggio della scuola. Ragazzi e ragazze stavano uscendo lentamente dalle loro aule. Ridevano, scherzavano, chiacchieravano o semplicemente rimanevano in silenzio. Senza pensare a nulla in particolare continuai a camminare. Accanto alla mia macchina ve ne era una nera lucida. Alzai gli occhi al cielo e vidi l'addensarsi di molte nuvole scure. Meglio affrettarsi. Sicuramente avrebbe incominciato a piovere da lì a poco. Cercai nella borsa le chiavi della macchina. Strano, non c'erano nella solita tasca dove le mettevo. In quel momento ricordai di averle lasciate dentro al mio armadietto. Emettendo un sonoro sbuffo con la bocca, mi voltai e mi diressi nuovamente verso scuola. Venni travolta dall'ondata di studenti che stavano uscendo dal portone. Difficilmente riuscì ad entrare e dopo qualche spinta e gomitata raggiunsi il lungo corridoio in cui erano situati gli armadietti. Lo aprii e a terra cadde un volantino giallo. Mi chinai per prenderlo e una grossa scritta nera recitava: “Ballo degli studenti dell'ultimo anno.” Già ne parlavano? Uno si sarebbe svolto a dicembre, l'altro a fine anno. E come al solito io non ci sarei andata. Misi il foglio dietro a tutti i libri e presi le chiavi della macchina. Lo stomaco stava brontolando a gran voce. Avanzai il passo, sperando che la folla di studenti nel parcheggio fosse diminuita. Aperto il portone della scuola vidi che il sole era quasi sparito del tutto dietro ad una grande nuvola nera. Prima di raggiungere la macchina cercai nella giacca il mio lettore musicale, Fischiettando alzai gli occhi e vidi delle persone appoggiate alla mia macchina. Ci mancava solo questo. Non mi persi d'animo e avvicinandomi vidi che erano gli stessi ragazzi che questa mattina erano rimasti più a lungo in palestra. Il cosiddetto capo era l'unico che stava con la spalla appoggiata sulla macchina nera.

“Scusatemi dovrei entrare in macchina.” dissi guardando fisso il pavimento. Nessuno mi rispose, ma anzi il gruppo continuava a chiacchierare tra loro. Feci un piccolo passo avanti e alzando la mano cercai di attirare l'attenzione.

“Emh emh, scusatemi dovrei salire in macchina.” ancora nessuna reazione. Finalmente alzai lo sguardo e vidi che il “capo” mi stava fissando, proprio come quella mattina. Era alto, con bei capelli castano intenso e spalle larghe. Aveva un bel viso e la pelle del corpo era scura, come baciata dal sole. Questi, mantenendo uno sguardo duro su di me, fischiò ai suoi compagni. “Levatevi. La bimba impaurita vuole tornare a casa da papà. Non vorremmo mai spaventarla.” affermò mentre un angolo della sua bocca si sollevava per formare un ghigno. Gli altri iniziarono a ridacchiare. Un bruciore allo stomaco mi pervase. Stavolta non era la fame, ma rabbia e dolore. Mio padre era morto e sentirlo nominare da un estraneo fu come ricevere una stilettata dritta nel cuore. Non ci si poteva abituare alla morte di un parente caro, il dolore era sempre presente e giorno dopo giorno ci si abituava a conviverci. Ormai era per me una cosa normale. Mangiare, dormire e sentire l'opprimente mancanza di mio padre, che troppo presto aveva abbandonato la famiglia che amava, la famiglia da cui era amato. Un incidente automobilistico aveva distrutto la felicità di quattro persone. Dopo quel giorno vi furono periodi bui, che neanche riesco a ricordare con limpidezza, anche se dimenticare mi riusciva impossibile. Perché ormai gli occhi della mamma non brillavano più, perchè ormai la sua risata cristallina non risuonava più nelle mura di quella casa che era diventata fredda e vuota. Per questo motivo Philippa decise di andare via, trovare un posto che non potesse continuamente rievocare il suo ricordo. Ma la sua memoria vive eternamente nelle nostre lacrime.

“Cos'è, ragazzina, non rispondi?” questa volta la sua voce era più aspra e severa. Feci finta di non sentirlo e mi avvicinai alla portiera della macchina, cercando invano di aprirla. Le mani mi tremavano per il nervosismo.

“Sto parlando con te.” sentii la sua presenza alle spalle, quindi con la mano mi girò verso di lui.

“Non...mi...toccare.” cercai di scandire bene le parole mentre tentavo di trattenete le lacrime. Il suo viso era contratto dalla rabbia. Evidentemente non era abituato ad essere contraddetto. Inconsapevolmente arretrai di un passo, forse per la paura, forse per il disprezzo che provavo nei confronti di quel ragazzo.

“Vieni Hugh. Non sprecar tempo con quella lì.” Era stato uno dei suo scagnozzi a parlare. Il capo lo guardò per un attimo di sottecchi e lasciandomi si voltò verso i suoi amici.

Io di corsa entrai in macchina, senza poter più controllare le lacrime. Il ricordo di mio padre era come un macigno che mi opprimeva il petto e mi impediva di respirare. Inoltre l'ira che avevo visto negli occhi del ragazzo mi aveva impaurita. Non avevo fatto nulla per meritare una simile reazione. Misi velocemente in moto la macchina e, facendo un respiro profondo, uscii dal parcheggio. Cercai di non pensare a quello che era appena successo.

Finalmente arrivai a casa. Entrai nell'ingresso silenzioso. Philippa era a lavoro e Lilian alla scuola materna. Posai lo zaino vicino ad un tavolino di legno intarsiato e il mio sguardo si fermò sulla foto della mia famiglia al completo, quando eravamo ancora felici. Chiusi gli occhi per frenare le lacrime. Non volevo piangere, non dovevo. Facendo un lungo respiro mi incamminai verso la cucina. Adoravo questo momento della giornata, perchè potevo godermi la pace e la quiete della casa. Aprendo il frigorifero notai che era vuoto. Mi ero dimenticata che fosse lunedì. Giorno della spesa che toccava fare a me. Non troppo felice presi i soldi da un barattolo in cucina, destinati a questo tipo di evenienze. Decisi di andare a piedi, dato che il supermercato era ad un solo isolato da casa mia. Ripensai a ciò che era successo dopo scuola. Perchè il ragazzo, Hugh l'avevano chiamato, si era arrabbiato così tanto con me? Pensai che fosse uno di quei bulli che si credono i padroni del mondo.

Mentre stavo entrando nel market, il mio cellulare iniziò a vibrare. Guardai lo schermo, era la mamma.

“Pronto?”

“Ciao tesoro, com'è andato il primo giorno di scuola?” chiese Philippa.

“Come al solito.” risposi a bassa voce. Non c'era bisogno di raccontarle cosa fosse successo. 

“Ok. Senti, Lilian ha una festa di compleanno oggi pomeriggio e la devo accompagnare. Torneremo per le sette e mezza. Tu ordina la pizza per tutte. La mangeremo davanti alla televisione come ai vecchi tempi. Va bene? Ora ti devo lasciare che c'è un'emergenza. Ti voglio bene.” chiusi il telefono. La mamma, pediatra, era sempre di fretta a causa del lavoro che faceva. Cercava sempre di affrontare la vita con il sorriso e di accontentare me e Lily. Purtroppo però nessuno era lì che confortasse lei. A volte teneva lo sguardo fisso nel vuoto, altre volte usciva dal bagno con gli occhi lucidi per il pianto, ed io mi sentivo impotente perchè non sapevo come aiutarla.

Presi il carrello della spesa e iniziai ad osservare gli scaffali pensando a qualche bella ricetta da fare nei prossimi giorni. Al banco del pesce notai che c'era uno dei ragazzi al seguito di Hugh insieme ad un bambino simile a lui. Doveva essere il fratellino. All'improvviso alzò lo sguardo e incrociò il mio. Poi velocemente lo distolse, dopo aver lanciato un'occhiataccia. Continuai a guardarlo, restando ferma nel reparto frutta più del dovuto. Tornai alla realtà solamente quando sentii l'altoparlante richiamare un commesso nel reparto cinque. Io mi avviai verso le casse e dopo aver pagato uscì dal supermercato. Un soffio d'aria gelida mi colpì in pieno viso. Nell'arco di trenta minuti il clima era cambiato. Da lì a poco sicuramente avrebbe piovuto. Meglio affrettarsi. Purtroppo a metà tragitto iniziò a piovere e arrivai a casa tutta bagnata. Non proprio il mio giorno fortunato. Posai la spesa in cucina e salì le scale. Avrei fatto una bella doccia calda per riprendermi. Mi infilai nel bagno e socchiusi la porta. Ero sola quindi avrei pure potuto lasciarla aperta. Mi levai i vestiti che appoggiai sul mobile vicino al lavandino. Entrai nella doccia e lasciai che l'acqua calda defluisse sul mio corpo, eliminando tutti gli eventi della giornata, tutto il dolore. Presi il bagnoschiuma e aiutandomi con la spugna ne versai in abbondanza sul corpo, poi passai ai capelli. Ormai senza più sapone addosso, uscii dalla doccia e presi subito l'accappatoio che avevo precedentemente messo lì vicino. Con i piedi scalzi giunsi in camera mia e mi stesi sul letto sorridendo. Avevo cacciato via tutti i pensieri.

Una volta asciutta mi spalmai su tutto il corpo le creme, massaggiando con vigore. Mi infilai un vecchio tutone che usavo per casa, e dopo aver fatto una coda alta decisi di scendere in salotto. Subito chiamai per ordinare la pizza per stasera. Il ragazzo al telefono mi assicurò che per le otto sarebbe arrivata la consegna.

Fortunatamente non avevo compiti per il giorno dopo, quindi decisi di leggere un po'. Dopo aver attentamente guardato tutti gli scaffali della libreria, mi decisi e presi un libro. Andai a sedermi su di un rilievo che stava proprio sotto la finestra. Adoravo isolarmi lì soprattutto nei momenti di pioggia come ora. Infatti le infinite gocce d'acqua sbattevano sul vetro, mentre io, leggendo, mi perdevo in chissà quale epoca, in chissà quale mondo. Le ore passarono velocemente e quando sentii dei passi avvicinarsi alla porta di casa erano già le sette. Lentamente mi alzai e andai a salutare la mamma e Lilian.

Ecco qui il secondo capitolo. Approfittando della domenica ho deciso di scrivere un pò. Purtroppo a causa della scuola non potrà aggiornare più di una volta alla settimana. Come vedete in questo capitolo si sono capite più cose sulla vita di Lory, come ad esempio il motivo del suo trasferimento. Spero che la storia sia di vostro gradimento. Al prossimo capitolo

robbi

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Capitolo 3
*** Coincidenze ***


Capitolo terzo: Coincidenze


“Siamo arrivate prima.” esordì mia madre che in una mano teneva l'ombrello e nell'altra Lily.

“Loly, ti devo raccontare tante tante cose.” urlò felice la piccola agitando le mani in aria.

“Ah si?” le chiesi abbassandomi sulle ginocchia così da avvicinarmi al suo viso. Le mordicchiai il collo e l'abbracciai forte forte. Philippa mi accarezzò i capelli e si recò in cucina. Io e Lilian la seguimmo. Aprii il frigorifero e svuotai la bottiglia di aranciata. Iniziammo a parlare di quel pomeriggio, della scuola, del lavoro di mamma. Insomma un classico pomeriggio in famiglia.

“Tesoro, vado a fare un bagno veloce a Lily. I soldi per la pizza li ho lasciati all'ingresso.”

Entrambe salirono al piano superiore. Io accesi la radio e la sintonizzai sul mio canale preferito.

Stavano trasmettendo la canzone di un nuovo gruppo musicale. Il ritmo era fluido. Iniziai a muovere leggermente le gambe avanti e indietro. Più tempo passava però, più i miei movimenti diventano elastici, finché non mi lasciai andare. Mi piaceva ballare sin da quando ero bambina. Preferivo i balli lenti, che mi riportavano ad un altra epoca. Ai gesti iniziai ad accompagnare le parole.

Il suono del campanello mi riportò alla realtà. Subito abbassai il volume della musica e, aggiustandomi un po' i capelli con le mani, corsi alla porta. Quando l'aprii il cuore mancò di un colpo. Infatti davanti a me c'era uno dei ragazzi del gruppo del famoso Hugh, lo stesso ragazzo che avevo incontrato al supermercato. Aveva i capelli biondi e poco più alto di me.

“Ancora tu?” esclamò, stringendo i pugni con rabbia.

Ma cosa gli avevo fatto? Tornai indietro nei ricordi, cercando di rivangare ogni minimo dettaglio, ma niente, se non l'episodio di stamattina.

“E' questo il modo con cui consegni le pizze? Non è molto carino da parte tua.”

Lo vidi sorridere beffardo. “Non dovresti cercare in tutti i modi di attirare l'attenzione dopo l'episodio di oggi pomeriggio.”

“Cosa?” urlai, ma subito dopo abbassai il tono della voce per non farmi sentire dalla mamma. “Io volevo solo entrare nella mia macchina. Il tuo capo ha fatto il prepotente e si è comportato con arroganza e maleducazione.” dissi seccata.

“Vacci piano!” mi ammonì, facendo un passo avanti. “Non si scherza con Henry.”

“Così questo è il tuo nome. Sai una cosa? Cerchi di fare il duro ma non lo sei, neanche un po'. Ho visto come sorridevi al bambino, come lo tenevi per mano.” dissi fissandolo.

“Come osi. Non sai niente della mia vita e cerca di starmi alla larga.” stavolta era lui ad urlare, senza però cercare di contenersi.

Da lontano sentii la mamma chiedermi: “Lory, tesoro, che succede? Sono arrivate le pizze?”

“Si mamma.” risposi seccata, quindi gli misi in mano i soldi, presi le pizze e gli chiusi la porta in faccia.

Per un attimo rimasi con la schiena appoggiata al muro, emettendo un profondo respiro. Quando sentii dei passi per le scale, mi avvicinai al divano e cercai di mostrare il mio sorriso migliore.

“Lory, chi era? Ho sentito urlare.” chiese mia madre mentre stava legando i capelli a Lilian.

“Semplicemente non tornavano i conti.” Avevo detto una bugia, ma a fin di bene. Non volevo che la mamma si preoccupasse per nulla. Philippa sembrò crederci senza problemi. Prese i cartoni dalle mie mani e si andò a sedere sul divano.

“Forza ragazzuole. Si mangia.”

Tutte e tre ci accomodammo sul sofà e guardando la televisione ci godemmo un buon pezzo di pizza. Solo noi tre. Come ogni sera, solo che un senso di pace era calata tra noi

Presto andammo tutte e tre a dormire. Mi recai nella mia stanza, velocemente mi infilai nel pigiama e mi buttai sul letto soffice. Immediatamente sprofondai nel mondo dei sogni.


Mi svegliai a causa del sole che era penetrato attraverso le fessure della serranda. Mi girai dall'altra parte e misi la testa sotto il cuscino. Avevo trascorso la notte insonne per il vento risuonante che circondava la casa. Finalmente trovai le forze per alzarmi, e guardai lo schermo della sveglia. 06.35. Era ancora presto, ma preferii alzarmi. La casa era ancora buia. Silenziosamente andai in bagno e iniziai a sciacquare via dal viso la notte che avevo passato in bianco. Inutilmente, avevo un colore del viso malsano, stanco. Guardando nello specchio vidi soltanto un pallido riflesso di me stessa. Era come se non riuscissi a vivere pienamente la mia vita.

Tornai in camera e dalla finestra vidi solo un'intensa nebbia. Cercai di passare il tempo rassettando la mia camera, cercando insomma di mettere un po' di ordine. Finalmente sentii la porta della mamma aprirsi e decisi di scendere al piano inferiore.

La colazione con la mamma e Lilian fu piacevole. Mangiammo e chiacchierammo in allegria.

“Ti dispiace Lory portare tu oggi Lilian a scuola? Ho degli impegni urgenti stamattina e non posso fare tardi.” mi chiese Philippa.

“Certamente mamma.” guardai Lilian e le strizzai l'occhio.

“A scuola con Loly, evviva!” urlò, indirizzandomi un sorriso ricco di gioia. Più volte mi ero chiesta in quegli anni come sarebbe stata la mia vita, e quella della mamma, senza la piccola peste che in questo momento stava correndo da una parte all'altra della cucina, sprizzando contentezza da tutti i pori. Con la sua ingenuità era riuscita ad allontanare a poco a poco la tristezza che si era abbattuta sulla casa. In fondo lei era molto piccola e non poteva conoscere il dolore immenso provato per la perdita di papà. Mi restavano molti ricordi di lui. Spesso era solito portarmi sulle spalle, ricordo che passavo le mie manine tra i suoi capelli neri. Mi sarei assicurata che Lilian venisse un domani a sapere quale splendido papà avesse avuto, anche se solo per poco tempo.

Tornai alla realtà. Presi per mano la piccola e insieme ci recammo nella stanza della mamma dove vi erano i suoi vestiti. Impiegammo dieci minuti abbondanti per completare l'opera, infatti Lilian si dimenava sopra il letto, pensando che stessimo giocando. Messa la giacca, ci avventurammo nella mattina ancora buia. L'aiutai a salire in macchina e le allacciai la cintura. Salita anche io sul veicolo, accesi la radio e misi in moto la macchina. La scuola di Lilian era molto vicina. L'accompagnai fino alla sua classe mano per la mano. Quando vide i suoi compagni, mi diede un veloce bacio e corse verso di loro.

Mentre tornavo alla mio pick-up sentivo lo scricchiolio della ghiaia sotto i miei piedi. Oggi avevo indossato tuta nera e polo. Non ero proprio conosciuta come guru della moda. Volevo infatti passare inosservata. Il parcheggio della scuola per fortuna non era ancora affollato. Le prime ore per fortuna volarono via e presto fu l'ora del pranzo. Io, Kathrin e Joey ci ritrovammo sedute ad un tavolo della mensa a parlare dei fatti della giornata

“Dopo scuola ci saranno le selezioni delle cheerleader.” disse Joey, col tono di chi volesse partecipare.

“Oh no!” esclamai. “Un altro anno costrette a dover subire della bionde smorfiose che credono di essere le regine del mondo.” dissi sbuffando sonoramente.

“E dai, non dire così. Che ti importa? D'altronde il campionato di football sta per ricominciare. E sai quanto sia importante questo sport per l'intera cittadina.” Io alzai le sopracciglia, facendo capire quanto per me non fosse importante il football.

Kathrin nel frattempo mi diedi una gomitata sul braccio e con un movimento rapido del viso mi indicò un gruppo di ragazzi qualche tavolo più in là. Li riconobbi subito. Hugh e la sua band. Parlavano intensamente tra loro, gettando di tanto in tanto un occhiata verso di me.

“Perché stanno guardando verso di te? E' successo qualcosa?” chiese con un tono della voce basso.

Prima di rispondere, osservai ancora per un attimo Hugh. Nella sua solita posa indolente, stava sorridendo ad un ragazzo seduto di fronte a lui. Possedeva un fascino perverso, in grado di ammaliare tutte le ragazze. La sua lista delle conquiste era molto lunga. Era solito illudere le povere malcapitate che si imbattevano in lui e poi spezzare loro i cuori. Era scapigliato e indossava dei jeans neri e una maglietta bianca che aderiva ai muscoli del suo torace. Certamente non si poteva negare la sua bellezza.

Ecco qui il terzo capitolo..Spero sinceramente che la storia vi piaccia..Sono ben accette le critiche, puchè siano costruttive..Sto veramente mettendo il cuore in questa storia..alla prossima 

robbi

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Capitolo 4
*** Invito ***


Capitolo quarto: Invito


Continuai a fissarlo, ma d'un tratto Hugh volse il suo sguardo verso di me. Le palpebre si socchiusero e tutto il suo corpo si irrigidì. Inizia a strofinarmi l'orecchio, segno che il nervosismo aveva preso la meglio. Quel ragazzo aveva l'abilità di rendermi nervosa. Presi un bel respiro e mi rivolsi alle mie amiche.

“Ragazze vado. Ci vediamo alla fine delle lezioni.” Attraversai la lunga mensa celermente, fissando il mio sguardo sul pavimento. Giunta al mio armadietto, cercai con difficoltà di aprirlo. Dopo un po' ci riuscii e mentre ero presa nel leggere l'orario del giorno seguente, la band del moro mi circondò.

Il ragazzo della sera prima mi afferrò una spalla e bruscamente mi fece girare, spingendomi con violenza addosso al muro. Un ragazzo biondo si avvicinò e puntandomi un dito contro urlò: “Ragazzina, non ti pensare di poterla fare franca. Qualcuno deve insegnarti le buone maniere.”

Io sgranai gli occhi. “Voi siete pazzi. Pazzi! Vi siete bevuti il cervello?!Non ho fatto nulla. Lasciatemi in pace.”

A questo punto le vene del collo del biondo sembrarono scoppiare. Mi prese per le spalle e iniziò a percuotermi con forza. La stretta diveniva sempre più vigorosa e lentamente non capii più nulla. Il mondo sembrò scivolare via, lontano. Ogni cosa divenne sfocata e caddi nel mondo dell'incoscienza. Una voce lontana, forse quella di Hugh, disse: “Sta fingendo. Lasciamola qui.”

Non so quanto tempo passai in quello stato di incoscienza. Quando aprii gli occhi, mi ritrovai tra le braccia di qualcuno, ma mi sentivo ancora debole, quindi li richiusi lasciandomi andare. In seguito ripresi conoscenza e mi ritrovai stesa in una camera dalle mura pittate di bianco.

“Finalmente ti sei svegliata!” La voce sembrava provenire da molto lontano, allora cercai il fautore di quelle parole. Voltai la testa e mi accorsi con sorpresa che accanto a me era seduto Henry.

“Che ci fai qui?” riuscii a dire con voce debole.

“Forse volevo dimostrarti che avevi ragione, che non sono il duro che tutti pensano. O forse mi facevi semplicemente pena, lì stesa per terra nel corridoio freddo della scuola.” Il tono della sua voce era distaccato, freddo ma negli occhi vi era una scintilla di preoccupazione.

Accennai un sorriso. Ero convinta che Henry fosse un bravo ragazzo, aveva solo bisogno che gli venisse ricordato. Improvvisamente sentii un suo braccio sotto le mie spalle. Henry stava cercando di aiutarmi a stare più comoda su quel duro letto. Per un secondo lo guardai in viso e lui subito si allontanò, come scottato. Rimasi stupita dalla sua gentilezza e anche dall'insicurezza che dimostrava.

“E se Hugh venisse a sapere che mi stai aiutando?” gli chiesi per prenderlo in giro, ma lui prese la cosa diversamente. Spalancò per un attimo gli occhi, poi dandomi le spalle, uscì dalla camera con lunghe falcate. Per un attimo rimasi a fissare a bocca aperta la porta che si era richiusa alle sue spalle. Che strani i ragazzi. Henry aveva mostrato un momento di cedimento, poi era ritornato alla realtà, una dura realtà, e se ne era andato.

“Fanciulla come ti senti?” Presa dai miei pensieri non avevo sentito l'infermiera entrare.

“Meglio, grazie.”

“Ti consiglio di tornare a casa per oggi. Potresti farti aiutare dal quel ragazzo che ti ha portato fin qui. E' stato molto carino da parte sua portarti in braccio sin qui. Sembrava sinceramente preoccupato. A proposito dove è andato?”

Mi aveva presa tra le sue braccia per portarmi in infermeria? Con l'aiuto della signora mi alzai dal letto e prima di andare via aspettai che mi scrivesse una giustificazione che mi permetteva di saltare le ore successive. Fuori dalla scuola trovai Hugh, appoggiato alla ringhiera e di fronte a lui Henry.

Stavano discutendo ad alta voce. Molto probabilmente il moro lo stava rimproverando per avermi aiutato, per aver mostrato un po' di pietà nei confronti di un altro essere umano. Io proseguii per la mia strada, facendo finta di non vederli proprio. Arrivai a casa e mi buttai sul divano. Proprio mentre stavo per chiudere gli occhi, squillò il telefono di casa. Un lungo sbuffo uscii dalla mia bocca. Con lentezza andai verso quell'aggeggio infernale. Era in quei momenti che maledicevo la tecnologia. Alzai la cornetta e dall'altra parte sentii la voce di Kathrin.

“Mia cara, stasera dovrai dar sfoggio di te. Tu e Joey verrete a cena da me per conoscere Alex, il mio ragazzo. Allora non sei felice?” mi chiese con l'entusiasmo di una bambina che va per la prima volta alle giostre. Volevo dirle che mi aveva appena costretta ad alzarmi da un comodissimo divano, volevo dirle che aveva avuto il tempismo perfetto di chiamarmi nel momento in cui i miei occhi si erano chiusi, volevo dirle.. Ma la sua gioia, il calore della sua voce mi impedì di essere brusca con la mia amica, che in fondo non poteva sapere che mi ero appena addormentata. Quindi le risposi con slancio che non vedevo l'ora di conoscere il ragazzo della mia amica.

“Allora a stasera. Scusa ti devo lasciare ma vorrei fare un pisolino prima di mettermi ai fornelli.” Io sbarrai gli occhi con la cornetta ancora in mano. Non potevo crederci. Lei era di fretta perchè lei voleva fare un pisolino. Risi da sola come una sciocca e tornai sul divano. Nessuno stavolta mi avrebbe disturbato.


Quando mi svegliai fuori era già buio. Sentii delle voci in cucina, mamma e Lilian erano tornate. Io guardai l'orologio che indossavo al polso. Sei e mezza. Una parola si incise nella mia mente: tardi. Velocemente chiesi a mamma il permesso di poter andare a cena da Kathrin. La mamma annuii, esortandomi però a non far troppo tardi. “Domani hai scuola.” con queste parole concluse il suo discorso e si voltò verso Lily.

Scusate, questa volta il capitolo non è lunghissimo, anzi..ma non ho avuto molto tempo per scrivere, a causa della scuola, e non volevo tardare la pubblicazione..quindi ecco qui questo mini-capitolo..ho molte cose in mente per questa storia..quindi continuate a seguirmi!!

robbi

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Capitolo 5
*** Presentazioni ***


Capitolo cinque: Presentazioni


L'automobile scivolava sull'asfalto perdendosi nell'oscurità della notte. Per allontanare la solitudine accesi la radio. Musica classica. Perfetto, forse poteva rilassarmi. La melodia si insinuò lentamente nei miei pensieri lontani. Il vuoto che era stato portato dagli avvenimenti della giornata si stava dissolvendo. Iniziai a pensare alla cena di questa sera e al ragazzo che tanto Kathrin aveva esaltato.

Arrivai davanti alla casa della mia amica e vidi che vi erano altre macchine. Mancavo solo io.

Bussai alla porta e una faccia sorridente mi aprii. “Eccola la ritardataria. Ti stavamo aspettando.” Poi si avvicinò al mio orecchio e sussurrò: “Sono davvero felice che tu sia venuta.”

Mi accompagnò fino al grande salone ben arredato. I genitori di Kathrin erano entrambi avvocati e potevano permettersi di vivere nel lusso. Pesanti tende damascate scendevano dall'alto soffitto per coprire le porte-finestre. I pavimenti erano coperti da lussuosi tappeti blu e panna. In un angolo vi era un divano a forma di elle, di fronte al quale c'era una televisione al plasma. Kathrin mi accompagnò fino al tavolo rotondo dall'altra parte della sala dove gli altri ci stavano aspettando. Un ragazzo biondo ci venne incontro. Era bello, ma che dico bellissimo. Si muoveva sinuosamente, con eleganza. Indossava dei pantaloni bianchi ed una camicia nera. Arrivato vicino a noi si fermò e mi tese la mano. “Piacere, sono Alex. Tu devi essere Lory. Kathrin mi ha parlato davvero tanto di te.” Un sorriso si stava articolando sulla sua bocca. Per qualche istante lo guardai, poi allungai il braccio per prendergli la mano. “Indovinato. Sono Kathrin e posso dire con tranquillità che anche a me Kathrin ha parlato molto di te.” gli strizzai l'occhio e poi volsi l'attenzione alle altre persone presenti nella stanza. Velocemente salutai Joey e dietro di lei vidi un ragazzo di spalle. Lo guardai un po' più a lungo cercando di capire chi fosse. Poi all'improvviso si volse e rimasi meravigliata. I miei occhi stavano mettendo lentamente a fuoco il volto conosciuto. Era Henry. Mi chiesi perché si trovasse qui in mezzo a noi ragazze. Chi l'aveva invitato? E cosa più importante, perché?

“Ciao Lory. Sembra che tu abbia visto un fantasma.” disse con un tono un po' amaro. “Non ti preoccupare, sono qui in quanto amico intimo di Alex.”

Ah bene. Se Alex frequentava quelle persone non doveva essere poi così santo come Kathrin lo descriveva. Una voce si intromise tra i miei pensieri. “Infatti io ed Henry ci conosciamo da anni ed ogni tanto ci incontriamo per bere una birra insieme.”

Ben presto la cena fu pronta e aiutai Kat a portare il cibo in tavola. Prese le ultime bevande dalla cucina mi accorsi che era rimasto solo un posto libero a tavola. Tra Joey e Henry. Non sapevo perché, ma la cosa mi innervosiva abbastanza. Lentamente presi posto e guardandomi intorno vidi giovani ragazzi che si stavano divertendo insieme. Anch'io mi lasciai andare e iniziai a parlare. Ci fu un momento in cui incrociai lo sguardo di Henry. Lui tossicchiò ed iniziò a giocherellare con la tovaglia.

“La mia presenza ti reca così enorme fastidio?” sussurrai sarcasticamente.

“Non è così. Ma...” rispose quasi intimidito.

“La verità è che sei succube di Hugh. Perché sei costretto a fare quello che lui desidera?”

“Non capisci. Non conosci il mio passato, quindi, mocciosa, è meglio che ti fai gli affari tuoi.” il tono di voce di Henry stava diventando sempre più alto e vidi già qualche sguardo puntato su di noi. Decisi di farla finita. Non volevo rovinare la serata, per cosa poi? Provare a salvare l'insalvabile. Che si facesse rovinare la vita. La serata continuò tra battute e risate. Il ragazzo di Kathrin sembrava perfetto. Era gentile con la mia amica, teneva un braccio dietro la sua schiena, come se volesse dire a tutti che era sua, come se volesse proteggerla dal mondo intero. La cena finì e aiutai Kat a sparecchiare mentre gli altri continuavano a parlare. Eravamo sole in cucina quando mi disse: “Allora che ne pensi?”

“Beh sai, non saprei...” vidi in quei pochi attimi il viso della mia amica farsi più serio. “E' assolutamente perfetto.” decretai guardandola seriamente negli occhi. Dopo un lungo sospiro mi abbracciò e disse: “Ne sono contenta. E' importante per me il vostro giudizio.”

Nel frattempo entrò in cucina il soggetto dei nostri discorsi. “Ehi ragazze. Devo essere geloso?”

Decisi di lasciarli un po' soli e quindi mi volsi verso la porta. Prima di lasciare la stanza mi voltai per un solo istante. Kathrin era avvolta dalle braccia muscolose di Alex e si guardavano con occhi innamorati. Sorrisi, dentro di me un po' gelosa, perché io non avevo mai provato nulla di simile. Perché ero sempre l'essere invisibile in ogni occasione. Perché la mia anima romantica soffriva per la mancanza di qualcuno che si prendesse cura di me, che mi amasse.

La piacevole serata giunse al termine. Salita in macchina cercai di metterla in moto. Inutilmente. Il motore non dava alcun segno di vita. E ora come torno a casa, pensai dentro di me. Sentii qualcuno battere al vetro del mio finestrino e poi la portiera si aprii. “Dai scendi. Ti porto a casa. Non hai visto il fumo che è uscito dal motore. Credo che lo dovrai cambiare.” l'espressione del ragazzo era impassibile, gli occhi puntati a terra.

Iniziai a seguirlo. Certo che era strano! Salita in macchina mi allacciai la cintura e non dissi una parola, fortunatamente sapeva dove abitavo. La notte scura nascondeva ogni cosa. Ai miei occhi tutto scorreva velocemente. I minuti passavano ed ancora non avevamo raggiunto casa mia. Cercai di capire dove stavamo andando. In fondo la distanza tra casa mia e quella di Kathrin era minima.

“Scusa ma dove stai andando?” chiesi un po' preoccupata.

“Non sono il tuo autista personale. Devo fare un giro e poi ti accompagno a casa.”

Preferii non rispondere e non dargli importanza. Continuai a fissare la strada davanti a me, quando intravidi una grande villa a due piani che diventava sempre più grande mano a mano che ci avvicinavamo.

La macchina iniziò a rallentare e Henry scese senza dire una parola. Pazza. Pazza perché mi ero fidata di un tizio come lui. Dopo dieci minuti vidi delle ombre avvicinarsi alla macchina ed il mio cuore cominciò a battere più forte. La portiera anteriore della macchina si aprì e sentii una voce dire: “Guido io.” Ma quella era la voce di... Hugh! Salì nell'automobile nera e mi guardò inizialmente sorpreso, poi irritato.

“E tu cosa ci fai qui?” il suo tono di voce era leggermente adirato.

“La sua macchina si è fermata e mi ha fatto pena.” a parlare era stato Henry.

“Adesso sulla mia macchina fai salire le ragazzine viziate. La prossima volta lasciala per strada.”

Misi la lingua fra i denti, cercando di non mostrare le mie emozioni. Non volevo cedere davanti a lui, che sembrava essere senza cuore.

Nell'abitacolo calò il silenzio. Io guardavo fuori dal finestrino, e dentro di me desideravo essere altrove, ovunque ma non lì, non con lui, che mi osservava con sguardo truce.

Passò un'ora prima che la macchina si fermasse nuovamente. “Grazie per la macchina, Hugh. A domani.”

“A domani.” rispose il moro mentre Henry stava scendendo dall'auto.

Io spalancai gli occhi. Perché ero rimasta da sola con lui? Il mio respiro divenne più veloce. Lui si voltò per un attimo verso di me. “Non ti preoccupare. Non ti voglio mica molestare. Ti porto io a casa, questa è la mia macchina. Quindi smetti di agitarti come una ragazzina stupida.”

Con quelle parole la mia paura si tramutò in rabbia. “Basta. Smettila con questo atteggiamento da duro. Non ne posso più.” esclamai senza emozioni, neutra. Per un secondo lo guardai di sottecchi e lo vidi concentrato nella guida.

“Ma che stronzo che sono. Devo stare attento con le parole, altrimenti la bimba si mette a piangere.”cinguettò.

“Davvero non ti capisco. Cosa ha suscitato in te questo odio nei miei confronti?”

“Semplicemente non ti sopporto. La tua sola presenza mi dà fastidio.”

Scoppiai in una risata sguaiata. “Sei ridicolo.” Scoprii che soddisfazione provassi a farlo arrabbiare. Vidi i suoi occhi lampeggiare d' ira, poi improvvisamente accostò la macchina e scese. Ben presto fu dalla mia parte e, strattonandomi per un braccio, mi buttò fuori dall'automobile nera lucida.

“Ragazzina impertinente. Hai sbagliato a metterti contro di me. Devi capire che mi devi portare rispetto.” il suo volto era molto vicino al mio, tanto che potevo quasi leggere nei suoi occhi le sue emozioni. Si avvicinò ancor di più a me. Non ottenne reazioni da parte mia e questo lo scalfì un po'.

Con rabbia gli poggiai le mani sul petto, nel tentativo di allontanarlo.

“Ma che ti ho fatto? Perché ti comporti così?” urlai quasi istericamente.

Non osare toccarmi.” mi ordinò, allontanando da sé le mie mani bruscamente.

“Tu allora non perseguitarmi!”

“Non hai capito che sei diventata la mia nuova vittima, il mio nuovo divertimento. Sarà una gioia condurti alla follia, alla disperazione.” disse con voce calma, tranquilla, pericolosa.

“Tutto questo tuo odio è immotivato. La verità è che sei una persona sola che sente il bisogno di capeggiare su tutto e tutti. Solo in questo modo credi di essere importante.” Vidi il suo furore scomparire dal suo volto, come se le parole da me pronunciate avessero toccato qualche intima parte di lui. Una risata uscì dalla sua gola. Rise e iniziò a stringere forte le sue mani intorno alle mie braccia. Il dolore diventava sempre più forte, finché fui costretta ad urlare.

“Lasciami andare. Mi fai male Hugh!” Solo dopo qualche minuto lui sciolse la presa.

“Cos'è ti faccio schifo? Preferiresti essere toccata da Henry, vero? Si è formata la nuova coppietta felice, sono contento per voi.” sputò fuori queste parole con rabbia. “Ma non durerà a lungo. Di questo puoi esserne certa.”

Sono veramente contenta di vedere che a qualcuno stia seguendo questa storia..Anche se nell'ombra..Vorrei ringraziare "anime xx" per le sue recensioni (Comunque sono una ragazza! XDXD) e coloro che l'hanno messa tra i preferiti o tra le storie seguite..Grazie davvero!! Spero che questo capitolo vi piaccia..Alla prossima e fatemi sapere il vostro parere

robby

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Capitolo 6
*** Strane sensazioni ***


 

Capitolo sei: Strane sensazioni


Di scatto mi voltai e cercai di risalire in macchina, ma Hugh mi afferrò una spalla e mi ritrovai di nuovo a guardarlo in faccia. La sua espressione era fredda, non c'era più quel calore che avevo percepito prima. Con forza mi spinse all'indietro ed io andai a sbattere con la schiena contro la macchina. Vidi il suo corpo avanzare verso il mio. “Ti allontani solo quando lo dico io.” Per qualche istante i nostri sguardi si incontrarono, i miei occhi si persero in due frammenti di oceano. Il vento soffiava intorno a noi e scompose i suoi capelli. Mi assalii il desiderio di passare le mani nella sua folta chioma. Le braccia di Hugh formarono attorno a me una gabbia, costringendomi a rimanere immobile per evitare il contatto. Entrambe le sue mani erano appoggiate sulla macchina, mentre le mie stavano tremando. Lentamente il suo viso si stava avvicinando al mio. Cercai di deglutire ma non ci riuscii, cercai di trovare le forze per allontanarmi, ma non riuscii a muovere un muscolo. La verità, che sembrava essere nascosta nelle profondità del mio cuore, era che desideravo con tutta me stessa rimanere lì, vicino a lui. Il mio respiro divenne ansante quando le sue labbra si accostarono al mio orecchio. In un attimo l'incantesimo venne rotto. “Ma come? Pensavi davvero che ti avrei baciato?” Lentamente allontanò il suo viso e mi guardò con un dannatissimo sorriso sardonico. Un sospiro uscii di getto dalle mie labbra.

“Non è così.” dissi a bassa voce, quasi per non farmi sentire.

“Ah no?” il suo sguardo era apatico e neutro. Contrasse le labbra e mostrò la sua titubanza. Pose una mano sotto il mio mento mi alzò il viso per incontrare i miei occhi. “Non mentire a te stessa.” sussurrò, lasciando trapelare un'emozione che non fosse il solito odio. Chiusi per un attimo gli occhi. Non riuscivo a capire perché all'improvviso sentivo le ginocchia tremare.

“Ti prego... portami a casa.” Non riuscii a dire altro. Hugh si scansò di me di scatto e salì in macchina. Dopo aver fatto un lungo respiro di liberazione, buttando fuori tutte le difficoltà aprii la portiera e mi accoccolai sul sedile caldo. Il motore della macchina rombò ed iniziammo a muoverci nel silenzio della notte. L'atmosfera apparentemente tranquilla mi diede la possibilità di rilassarmi e di pensare a quel che era successo. Presto i miei occhi si chiusero e caddi in un dolce dormiveglia, non potendo così vedere lo sguardo carico di passione che Hugh mi lanciò. Dopo minuti che a me parvero lunghi un'eternità una voce si insinuò dentro di me, portandomi alla realtà.

“Ragazzina sveglia, sei arrivata.” Il tono era tornato ad essere freddo e scostante. Con gli occhi semichiusi mi stiracchiai e sbadigliai dolcemente. Nello sguardo di Hugh lampeggiò qualcosa che somigliava alla tenerezza. “Sbrigati, non voglio sprecare tutta la serata appresso a te.” disse senza quel suo classico tono arrabbiato. Sembrava quasi che stesse scherzando. Probabile che il sonno mi stesse facendo degli strani scherzi.

“Beh buonanotte.” senza ricevere risposta scesi dalla macchina, sbattendo dietro di me la portiera.

“Buonanotte” Era stato lui a pronunciarlo. Ma questa singola parola, pronunciata con dolcezza, rimase intrappolata all'interno dell'auto.

Ricordo poco quel che successe dopo. Mi ritrovai a letto, ben presto la stanchezza prevalse e mi addormentai sorridendo.


Quella notte sognai di essere tra delle forti braccia. Un corpo maschile era steso sul mio e una bocca alitava nella mia. Ben presto mi persi in degli occhi blu mare. Le sue mani scorrevano lentamente sul mio corpo, mentre le sue labbra posandosi sulla mia pelle creavano una scia infuocata. Tutto divenne più sfocato ed un raggio di sole riuscì a penetrare le pesanti tende. Mi svegliai con una dolce sensazione che stava diventando sempre più forte dentro di me.
Purtroppo questa mattina fui costretta ad andare a scuola a piedi. Passo dopo passo finalmente arrivai e vidi che il parcheggio era già pieno. Decisi che l'indomani mi sarei svegliata prima.
Le prime ore di matematica erano scorse lentamente. La lezione si era svolta in religioso silenzio, tutti i miei compagni erano molti attenti. Tutti tranne me. Seduta vicina alla finestra, guardavo il panorama di fuori. Mi capitò di guardare in direzione del banco di Hugh, intento a scrivere sul suo quaderno, poi il mio sguardo si posò su Henry, che a sua volta mi stava guardando. Abbozzai un saluto con la mano. Lui abbassò il capo ed iniziò successivamente a parlare con il suo compagno di banco. Finalmente la campanella suonò ed io velocemente mi alzai dalla sedia, recuperando i fogli sparsi sul banco. Con i miei gesti frenetici feci cadere a terra la mia penna. Stavo per abbassarmi, quando un'ombra fu più veloce di me nel recuperarla. Henry lentamente si alzò, guardandomi negli occhi. “Fai più attenzione la prossima volta.”

“Grazie.” dissi timorosa alle spalle del ragazzo. Henry infatti già si era voltato per uscire dall'aula.

Dopo altre estenuanti lezioni arrivò finalmente l'ora del pranzo. Dopo aver riempito il mio vassoio, cercai con lo sguardo Kat e Joey. Le trovai sedute ad un tavolo non molto distante.

“Ciao ragazze.” enunciai con gioia. Ero felice di vederle.

“Ciao Lory. Stavamo aspettando proprio te.” disse Joey con uno strano sguardo.

“Perché mai?”

“Non lo sai? Prima del pranzo Henry e Hugh hanno litigato pesantemente nel cortile della scuola.” affermò Kathrin con sguardo complice. Istintivamente alzai un sopracciglio, incredula per la notizia.

“E sembrerebbe che Henry sia in infermeria con un labbro spaccato.” Quasi urlò Joey tutto d'un fiato. Le mie amiche sembravano che stessero facendo una gara per chi mi riferisse più notizie. Senza pensarci tanto mi alzai, puntando le braccia sul tavolo della mensa.

“Ma dove vai?” Era stata Kat a parlare.

“Torno subito” Con lunghe falcate mi recai in infermeria.

Volevo ringraziare a tutti coloro che stanno seguendo la storia..un grazie particolare ad "anime xx" che recensisce la mia storia, ma porgo i miei ringraziamente anche a tutti coloro che la leggono rimanendo più nell'ombra..Devo dire che capitolo dopo capitolo mi sento sempre più ispirata..Già immagino il finale, che per adesso posso confermare che è ancora lontano..Purtroppo non ho potuto riguardare con attenzione il capitolo, quindi spero che non ci siano errori..Alla prossima

robbi

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