Il mago della rosa nera

di NekoShadi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Fenis, il castello dei maghi ***
Capitolo 3: *** La sparizione di Albar ***
Capitolo 4: *** I maghi sono tornati? ***
Capitolo 5: *** Simboli e coincidenze ***
Capitolo 6: *** La nascita di un nuovo mago ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

Magia. Che termine così misterioso e intrigante. Come definirlo? Sul dizionario troviamo scritto che quest'arte perversa è “una tecnica che si prefigge lo scopo di influenzare eventi e di dominare con la volontà i fenomeni fisici e l'essere umano”. Dominare, controllare, è veramente solamente questo il suo scopo? Ma allora perché essa porta alla meraviglia, sentimento dalla quale addirittura a volte nasce? La magia è sempre stata considerata l'interpretazione a ciò che non è scientificamente spiegabile, che banalizzazione. E se invece esistesse sul serio? Se quelle leggende note sin dall'antichità e che si diffondono tuttora non sono solamente frutto della fantasia?

Perché interpretarla sempre sotto i suoi aspetti negativi? Perché non crederci? Adorata dagli antichi. Condannata dai medievali. Derisa dai moderni. La magia è sempre stata sentita come qualcosa di sovrumano, senza spiegazione, senza un'origine. Eppure aveva i suoi scopi: la magia bianca si dedicava alla preparazione di erbe curative e di tutto ciò che è benefico; la magia nera a maledizioni e a culti lontani dal bene comune. Nel Medioevo è stata fatta di tutta l'erba un fascio, condannati innocenti al rogo per stregoneria, inventate superstizioni inutili che tutt'ora si conservano, burlata e derisa ora alla raffinata tecnica si associano solamente i ciarlatani che pretendono di vedere il futuro in cambio di denaro. Eppure chi non ci crede alla fine finisce per esserne vittima.

Sparizioni misteriosi, simboli senza spiegazioni, linguaggi in codice e apparizioni sinistre capitano prima o poi nella vita di tutti. Si dovrebbe porre la domanda “allora perché credi che la magia non esiste?” quando affermano di essere stati salvati da un miracolo, oppure quando sono terrorizzati dalla vista di un qualcosa di strano nel cielo. Se ci si ostina a non credere, la magia prima o poi si vendica di questa cocciutaggine, e finisce per rendere suo schiavo l'ignavo. Si deve fare attenzione a giudicare, non bisogna lasciarsi trasportare da ciò che pensano gli altri, ma formulare solamente la propria opinione, per evitare di finire nella peggiore situazione.

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Capitolo 2
*** Fenis, il castello dei maghi ***


[Revisionato :3]  

Il pullman procedeva a moderata velocità lungo una delle diramazioni dell'autostrada chiamata “Moon Street” spostandosi lentamente sulla destra, verso la corsia dell'uscita, dopo aver oltrepassato il cartello “Valle di Fenis, uscita 4” segno inespugnabile che la tanto agognata e trasognata meta non era poi così lontano, e che prima o poi anche quella classe di ventuno alunni avrebbe potuto ammirare le stravaganti ricchezze del leggendario castello medievale di Fenis, luogo tanto citato nelle dicerie popolari per il suo stretto legame con la magia e per il suo misterioso fascino.

-Calma ragazzi, non gridate, ormai manca poco, siamo quasi arrivati. Cominciate a mettervi il giubbotto e a prendere i vostri bagagli, presto dovremo scendere. Mi raccomando, non voglio vedere dei pazzi scalmanati che corrono senza ordine! So quanto abbiate aspettato questo giorno, ma pretendo un minimo di decoro.

Decoro? Come poteva la signora Smith, esigente professoressa di chimica, pretendere che la visita ad un posto simile non facesse salire l'adrenalina alle stelle? Insomma, ne avevano parlato e ne parlavano giornali, la televisione, ed erano addirittura stati scritti enormi romanzi sull'aura enigmatica che avvolgeva quella reliquia medievale, e lei, tranquilla e pacata in un modo quasi inquietante, parlava di decoro? Gli studenti lo sapevano, dietro quei piccoli occhialini dorati che la rendevano così all'antica e seria, anche negli occhi della donna baluginava una luce vivace e curiosa di mettere piede sul freddo marmo del plurisecolare pavimento dell'enorme salone da ballo del castello.

Sin da quando nella classe erano cominciate a diffondersi le voci di un possibile “viaggio di istruzione”, come amavano chiamarlo tutti gli insegnanti, della durata di più giorni, gli alunni della 2F dell'high school “Isaac Newton” di Davidson Town non stavano più nella pelle dal voler conoscere la meta più gettonata, e nel momento in cui avevano appreso che avrebbero visitato le meravigliose distese verdi di Albion e quel castello che sul testo di arte figurava come appartenente “allo stesso periodo in cui si stavano affermando le lingue romanze e che richiamava un collegamento con la monumentalità dell'architettura dell'antica Roma”, il Romanico, anche se per certi aspetti, dalle fotografie si avvicinava anche al periodo successivo, quello “dell'esagerazione e della voluta tendenza all'alto, al cielo, per protendersi con tutti sé stessi a Dio”, il Gotico.

A sentirne la descrizione sembrava di parlare sì di un luogo di inestimabile valore, cosa che era, ma anche irraggiungibile, intoccabile, quasi appartenente ad un altro mondo, eppure sapere di esserci ormai così vicino elettrizzava tutti quei giovani che ormai erano intrepidi di scendere dall'autobus per entrare finalmente nei meandri più segreti del castello.

La frenesia aveva contagiato persino l'autista, che con dispiacere ci rivelò di volersi fermare con noi, ma di non poterlo fare perché doveva tornare immediatamente al capolinea.

Eppure, nonostante l'enorme magnificenza di quella gita emozionante e di quei tre giorni di fuoco che stavano per cominciare, Albar e Dan se ne stavano rannicchiati sui due sedili più nascosti dell'autobus a giocare con la Play Station Portable a Fifa2011.

All'improvviso il mezzo si fermò in un largo piazzale pavimentato di pietre: erano arrivati.

-Forza ragazzi! Adesso scendiamo, con ordine mi raccomando!

-Ma no! Siamo già arrivati?- chiese il primo imbronciato che non poteva più completare la partita che aveva cominciato ormai da un'ora e che stava vincendo brillantemente come al solito.

-A quanto pare! Dai continuiamo dopo!- esclamò il secondo con un'espressione di lieve contentezza, come se si stesse costringendo a mostrare un po' di impazienza di vedere quell'immenso edificio.

Albar Dugton e Dan Steward erano due diciassettenni vivaci e pieni di vita, nati nella stessa città, lo stesso giorno e a poche ore di differenza; si poteva quasi affermare che fossero gemelli, anche se in realtà il loro aspetto fisico era molto diverso, praticamente l'opposto.

Il primo infatti era alto e snello, con gli occhi scuri, neri come le tenebre notturne, e i capelli che si intonavano con essi, con un color castano scuro che con il riflesso della luce solare si schiariva leggermente, dando un effetto quasi pittoresco alla sua esile figura.

Il secondo, invece, era il sosia perfetto del principe azzurro: alto nella media, magro, con la carnagione chiara che sul viso incorniciava i suoi meravigliosi occhi azzurri, che talvolta venivano coperti dai ciuffi ribelli dei suoi capelli biondi.

Ad attenderli davanti al grande cancello di ferro c'era una giovane donna, che appena li vide scendere dal mezzo, si diresse premurosa verso di loro, sorridendo vivacemente e presentandosi come la guida esperta che li avrebbe guidati all'interno del castello di Fenis, Lara Thomson, mentre la professoressa contava gli studenti che si avviavano verso l'inizio di un entusiasmante viaggio primaverile.

Appena varcarono il ponte levatoio, furono travolti da una leggera brezza e da un dolce profumo di fiori. Si trovavano nei curatissimi giardini privati che circondavano l'edificio principale. C'erano alberi da frutto con piccoli germogli appena nati, fiori colorati che erano sbocciati con l'avvento della flebile luce del mattino e delle fontane architettoniche che spruzzavano acqua creando, a contatto con i raggi del sole, delle sfuggenti aure di arcobaleno che mostravano ancora più vigorosamente quella bellezza.

-Allora, dove cominciare.. vedo che siete rimasti tutti completamente estasiati dalla bellezza dei giardini e dall'estrema cura con la quale vengono accuditi; direi che ne vale la pena visto il risultato splendido che ne deriva, non trovate? Guardatevi un po' in giro, perché poi entreremo nel castello, che sarà un po' meno colorato, ma altrettanto sfarzoso e interessante!- esclamò Lara osservando con cura ogni nostro movimento, per assicurarsi che non sfiorassimo nulla di quella sontuosa meraviglia.

-Quale famiglia poteva avere una ricchezza tale da mantenere un posto del genere?!- chiese una ragazza del gruppo, che era una delle più coinvolte nell'osservazione minuziosa di ogni particolare.

-Se volete seguirmi verso l'esterno del castello, darò risposta ad ogni vostra domanda.

In un battibaleno tutti si rimisero in cammino, e dopo un breve tratto sui grigi sassi del sentiero che conduceva all'ampia entrata si trovarono a pochi metri dallo storico maniero. Guardare il suo punto più alto da così vicino di certo faceva venire il torcicollo, la sua imponenza era quasi indescrivibile per coloro che non l'avevano mai visto, ma la guida, che era, nonostante tutto, sorpresa come la prima volta in cui aveva potuto ammirarlo, riuscì ad esaminare ogni più minimo dettaglio.

-Eccoci qui; questo è il famoso Fenis, che avrete sicuramente studiato in storia dell'arte. Secondo fonti attendibili, esso sarebbe stato di appartenenza di una famiglia di presunti maghi, chiamata Magis, che aveva ereditato il suo possedimento in seguito alla schiacciante vittoria contro gli infedeli che aveva portato all'istituzione degli stati d'Outremer, sopravvissuti sino al 1303, nella prima crociata, per merito di Ser Yavria, che pare abbia combattuto con particolare forza il giorno del trionfo. Come potete notare l'edificio, anche se aveva solamente la funzione di abitazione, è costruito interamente in mattoni e pietre, molto resistenti in caso di attacchi nemici, in più le torri sono coronati da merli a coda di rondine, dietro ai quali si nascondevano i soldati incaricati di proteggere il castello. La pianta è sostanzialmente rettangolare, anche se, messo a confronto con altre costruzioni del tempo, è come se gli mancasse un'ala del castello, e in effetti internamente conta solamente dodici stanze, contro le usuali venti, ma probabilmente fu solo un artificio architettonico.

Dopo una breve descrizione della parte esteriore della fortezza, la guida condusse i ragazzi all'interno di essa, per mostrare il lusso sfrenato degli interni e i grandi ritratti dei più importanti discendenti dei Magis che avevano abitato in quel luogo prima della caccia alla stregoneria del medioevo che aveva sequestrato il castello facendolo diventare proprietà papale.

La prima enorme sala, quella da ballo e dei ricevimenti, era di forma rettangolare con quattro possenti pilastri sugli spigoli che sorreggevano l'ampio soffitto a cassettoni; il pavimento di essa era in marmo pregiato e formava un curioso disegno, forse un simbolo degli arcani, di cinque cerchi concentrici, di cui il più grande circoscriveva due pentagoni disposti in modo contrario che a loro volta contenevano una stella a dieci punte. Le pareti erano ornate con preziosi arazzi di gusto orientaleggiante alternati a finestroni sormontati da arconi decorati e coperti da grandi drappi di tende setose. Al centro del soffitto pendeva un particolare lampadario di cristallo probabilmente aggiunto nel diciottesimo secolo, per volere del proprietario, con l'intento di esaltare il pregio di quello splendido spazio.

In seguito la scolaresca passò nella “sala dei ritratti”, così soprannominata a causa dell'enorme numero di raffigurazioni che vi erano appese al muro. Tutti i quadri avevano la stessa dimensione, tranne due che erano leggermente più grandi e disposti al centro della parete frontale, rappresentanti un uomo, vestito con un armatura a maglie e con una croce rossa sul petto, e una donna, che all'apparenza sembrava veramente orribile, coperta solo da un leggero tessuto bianco.

Albar e Dan, che finora avevano seguito passivamente la visita guidata, fingendo di interessarsi, si destarono concentrandosi nell'osservazione del primo dei due dipinti, quello del cavaliere.

-Albar caro, non vorrei dire eh, ma caspita quello ti assomiglia proprio!

-Ma vuoi scherzare? Ti sembro così vecchio?!- i due amici si guardarono e poi si unirono in una sonora risata che interruppe la spiegazione appassionata della guida che lanciò loro un'occhiataccia.

-Ho visto che siete attratti da quel quadro; ne avrei parlato tra poco, ma poichè che siete così curiosi lo farò adesso e poi passerò a Farhejya. Dunque quello è Ser Yavria, il cavaliere crociato che vi ho citato prima. Come potete notare, il segno distintivo dei seguaci di Carlo Magno è proprio la croce rossa sul petto.

-Scusi, e la donna vicino a lui?

-Lei è Lady Farhejya, l'ultima moglie di Ser Yavria; sicuramente da quel ritratto penserete che sia brutta, ma in realtà è stata per secoli tramandata la leggenda della sua bellezza, sostenendo che discendesse dalla luna!

Quei quadri erano belli, ma altrettanto noiosi, così quando Lara si accorse del progressivo aumento di disattenzione, decise di condurre gli studenti nella sala da pranzo, dove c'erano anche degli spuntini che potevano assaggiare, fatti apposta per intrattenere i visitatori.

Lungo il corridoio però Dan e Albar si distrassero nuovamente, questa volta attirati dalla frivola oscurità di una porta nera circondata dalle ragnatele, e recante un cartello che sembrava illeggibile.

Dopo aver controllato che né la guida, né la professoressa li stessero osservando, decisero di avvicinarsi un po' di più per sapere cosa c'era scritto su quell'insegna polverosa.

A differenza delle altre porte del castello, sembrava che non avesse mai subito alcuna sorta di ristrutturazione; era fatta di legno, probabilmente mogano, dipinto con il color della pece e rovinata in alcuni punti dai segni del tempo.

I suoi spigoli erano abbelliti con dei motivi fatti probabilmente in oro che la rendevano preziosissima, e la maniglia, dello stesso materiale delle decorazioni, era coperta da due dita di polvere, come se fosse intoccabile e fragilissima.

Dopo aver soffiato sopra il cartello finalmente si poteva leggere l'inquietante avviso che vi era scritto: “Divieto assoluto di entrare; pericolo di morte”; quest'ultimo era posizionato sopra un'antica pergamena, riccamente ornata, con un incisione latina scritta con lettere a stile di miniature, probabilmente ne era la traduzione.

Cosa può attirare di più due adolescenti annoiati durante una gita che sembrava interminabile se non il gusto di provare il proibito, di infrangere le regole? I due si scambiarono uno sguardo d'intesa, quasi come se si fossero letti nel pensiero e Dan afferrò con sicurezza la maniglia e in pochi secondi, quella pergamena era solamente un avvertimento inutile.

Erano assolutamente ansiosi di scoprire cosa mai si nascondesse dietro quella porta e appena riuscirono a dare un'occhiata all'interno ne rimasero letteralmente delusi. Si aspettavano un ricco arsenale di armi da guerra di ogni tipo, magari mappe recanti il percorso per il rinvenimento di un tesoro segreto e invece si trovavano in una banale camera da letto.

Erano di fronte all'ingresso a una stanza molto grande. Al centro c'era un letto coperto di lenzuola bianchissime, sormontato da un lussuoso baldacchino di velluto rosso e con le finiture di filo d'oro, che cadeva verso il pavimento con dei drappi eleganti. Ai lati dell'uscio due candelabri di bronzo perfettamente lucidi e sulla parete sinistra si apriva una grande finestra, coperta da meravigliose tende di seta a balze.

Sul parquet era steso un tappeto bellissimo, degli stessi colori del baldacchino, e con motivi molto particolari che si chiudevano a cerchio, al cui interno c'era il disegno di un bellissimo uccello, quasi leggendario, forse una fenice.

Lungo la parete su cui poggiava il letto, poi c'erano appesi due quadri con cornici molto preziose con due ritratti simili a quelli che si trovavano nell'altra sala.

Infine sul lato opposto alla finestra c'era una scrivania fatta in legno di ciliegio, su cui c'era un calamaio vuoto e una penna blu e argentata.

-Pericolo di morte? Ma è una banale stanza da letto!- iniziò Dan.

-Lo penso anche io! Ma chi vogliono prendere in giro? Mah.

-E io che mi aspettavo chissà che cosa!

Per quanto idiota fosse quel divieto a loro avviso, c'era sicuramente qualcosa che non quadrava tra l'esterno e quella camera. Tutto fuori era sì curato, ma non così minuziosamente, e perché la porta era impolverata come se non fosse sfiorata da secoli nella parte che si affacciava sul corridoio e invece dall'altra sembrava nuova?

I due provarono a cercare di gustarsi quella bravata dando uno sguardo ancora in giro per cercare qualcosa di interessante, e il loro desiderio venne esaudito. Fu Albar a notare una strana colonnina di vetro che si trovava tra la scrivania e il letto. Era sfaccettata e con la luce della finestra rifletteva l'arcobaleno. Su di essa c'era un cuscino rosso di seta con frange dorate, coperto da un misterioso stendardo a forma di scudo con al centro un'aquila reale, su cui appoggiava una freschissima rosa.

Niente di strano, poteva trattarsi della stanza di un fanatico di rose che le riteneva talmente importanti da metterne addirittura una in quel modo, già, poteva essere solo eccentricità, se quella rosa non fosse stata nera.

Erano spettatori di un'assurda maledizione o quella era solo una burla?

Il fiore sembrava appena colto e donava alla stanza un sinuoso profumo di leggerezza e sicuramente se la si annusava da vicino avrebbe mandato chiunque in estasi.

-Dai, una rosa nera, interessante ed estremamente pericolosa, Dan! Fuggi, se ti segue puoi morire!

-Oh Dio mio! Aiuto!

I due cominciarono a ridere a crepapelle dopo l'improvvisato siparietto, ma ben presto si costrinsero a smettere, visto che in quel luogo era come se si stesse creando una distorsione spazio-temporale.

-Ehi che sta succedendo?- chiese allarmato Albar.

All'improvviso essi furono assaliti da un grande terrore che li fece lentamente indietreggiare, e Dan, completamente preso dal panico di quella strana magia, fu il primo che velocemente corse fuori dalla stanza; l'altro però fu come se non riuscisse più a muoversi come se una forza invisibile lo stesse trattenendo tra le sue velenose e mortali spire. Egli cominciò a ricredersi: forse quell'avviso aveva ragione.

Voleva fuggire, voleva seguire Dan, voleva tornare dagli altri e prendersi la sgridata della signora Smith per essersi allontanato dal gruppo senza avvertimento e poi voleva salire sul pullman, andare all'albergo e terminare la giornata nel divertimento, ma il suo cervello non rispondeva agli stimoli e lo induceva solamente a fissare quel fiore dalla rara bellezza.

Sentiva le sue braccia e le sue gambe pesanti, i suoi occhi avevano perso il loro spirito, ed erano diventati blu come i gelidi mari d'Antartide e tutti i pensieri che aveva in testa piano piano, lasciarono posto all'immagine della rosa che era come se lo attirasse verso di sé.

Così con una lentezza spaventosa, passo dopo passo si trovò davanti alla colonnina di vetro che aveva cominciato a risuonare nelle sue orecchie con un fastidioso tintinnio e poi tese il suo braccio verso quella che era diventata la fonte primaria dei suoi desideri. Voleva toccarla, voleva o forse era come indotto a farlo, sta di fatto che con la punta dell'indice destro della mano sfiorò uno dei petali di quel fiore nero.

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Capitolo 3
*** La sparizione di Albar ***


Dan, che nel frattempo aveva raggiunto il gruppo, si accorse che l'amico non era con lui e decise di tornare indietro a chiamarlo. Questa volta però la prof si accorse che si stava allontanando e lo richiamò; allora il ragazzo fu costretto a dire alla prof della loro bravata. In quel momento la guida assunse un'espressione seria:
“Ascoltami.. hai per caso toccato la rosa nera?”
“No..”
“E il tuo amico?
“Non lo so.. da quando sono scappato l'ho perso di vista..” le sue parole furono troncate da un singhiozzo che annunciava le sue lacrime. La guida e la prof allora corsero verso la stanza proibita e quando aprirono la porta non videro nessuno e sembrava che nulla fosse stato toccato. Poi si avvicinarono al cuscino rosso della rosa e notano l'assenza del fiore e al suo posto invece c'era una strana lastra di pietra fluorescente con un'incisione scritta in latino: “... is umbra in luce erit memoriaeque suae et vitae Mages, antiquos avos, referet” (... egli sarà l'ombra nella luce e riporterà alla sua memoria e alla vita gli antenati antichi, i Magis). Mancava un pezzo dell'iscrizione, la prima parte, che dava senso a tutto. La guida rimase per un attimo immobile ma subito tutti rimasero allibiti rendendosi conto di una cosa: Albar era sparito. La polizia era ormai giunta sul posto, ma dopo aver fatto evacuare i turisti e dopo un'attenta ispezione nel castello, portarono al gruppo scolastico di Albar la brutta notizia: del ragazzo non c'era minima traccia nel castello. La professoressa allora cominciò a temere per la sua incolumità, dato il fatto che la responsabilità della scolaresca era sua e ben presto si trovò in mezzo a ragazzi confusi che si domandavano perché e dove fosse finito Albar. C'era chi tentava di telefonargli, ma il telefono era sinistramente muto; altri, presi dal panico, gridavano il suo nome e la risposta che ricevettero fu solo un unico e terribile eco. L'unico che rimaneva immobile e con lo sguardo fisso era Dan: egli si sentiva in colpa per aver lasciato solo l'amico in un luogo così strano, così oscuro; e la rosa nera?? cosa significava?? a cosa serviva?? La sua mente era invasa da mille domande che scorrevano di qua e di là confusamente, ma lui vedeva soltanto la curiosa e sinistra immagine di quella rosa. Successivamente una voce attirò la sua attenzione: i poliziotti stavano prendendo i dati di tutti i ragazzi per eventuali successivi interrogatori. Poi Dan salì sul pullman che li avrebbe riportati a casa: si sedette in un angolo da solo assorto dalle sue domande, fece un respiro profondo e guardò pigramente fuori dal finestrino. Il suo cuore cominciò a battere forte: vide Albar al centro di un prato verde del giardino del castello: aveva lo sguardo come di ghiaccio e lo fissava con occhi malvagi. Le parole a Dan si soffocarono in gola e non riuscì a dire nulla, diede solo uno sguardo veloce ai compagni e riguardò ancora fuori dal finestrino ma Albar non c'era più.

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Capitolo 4
*** I maghi sono tornati? ***


 

3. I maghi sono tornati?

Il giorno dopo i quotidiani e i telegiornali non facevano altro che parlare del ragazzo scomparso: “Ragazzo scompare nel castello Magis” oppure “La magia è tornata? La procura indaga sulla scomparsa di Albar Dugton” oppure ancora “Il caso shock. Sparito alunno nel castello”.

La sua foto ormai era ovunque. A scuola i ragazzi delle altre classi si radunavano intorno alla 2A, la classe di Albar; erano curiosi e terrorizzati dal fatto che un quindicenne si sia perso in un immenso castello medievale per di più appartenuto a una famiglia di maghi.

Tra di loro si formavano le ipotesi più strampalate e quelle più orribili: alcuni dicevano che Albar poteva essere diventato invisibile, oppure che sia stato catapultato in un altro mondo, altri invece pensavano che fosse stato mangiato dai topi o caduto in mano a un mostro antico.

La 2A invece era certa solo della sua sparizione: le ragazze piangevano e i ragazzi quel giorno erano davvero troppo calmi.

E in quella classe cupa e ingrigita da quel fatto c'era Dan, con gli occhi spenti come se fosse in uno stato di trans, nella cui mente erano fisse l'immagine della rosa e degli occhi di ghiaccio di Albar.

A quel punto entrò la prof di matematica che vista la situazione in cui erano gli alunni decise di non dire loro, per ora, che la prof di Italiano, che li aveva accompagnati in gita, era stata arrestata per irresponsabilità della scolaresca, con l'aggravante della sparizione di un ragazzo.

La disperazione più evidente era quella che aveva colpito la famiglia Dugton.

La madre di Albar non faceva altro che tormentarsi di non aver curato il figlio e di non essere stata una buona madre per lui; da quando era sparito non aveva smesso di piangere e di disperarsi.

Il padre ormai non mangiava da tre giorni ed era sempre attaccato o al telefono o alla porta nell'attesa che Albar ritornasse.

La sorella si era chiusa nella solitudine più totale e nonostante litigasse spesso con il fratello in fondo gli voleva bene.

Dal giorno della sparizione amici e parenti della famiglia facevano la coda per cercare di consolare la madre, il padre e la ragazza, ed entrava spesso nella camera di Albar per cercare un suo ricordo, qualcosa di ancora vivo.

Il telegiornale continuava a parlare di lui e trasmissioni televisive attivavano linee telefoniche da chiamare in caso di riconoscimento o vista del ragazzo che però non suonavano mai.

La sparizione di Albar era una cosa assurda: come possono due quindicenni entrare in una stanza pericolosa senza essere avvistati e fermati? E come può riuscire a fuggire solo uno senza accorgersi dell'assenza dell'altro?

Ormai c'era una sola possibilità: le telecamere di sorveglianza; già, le telecamere, era giorni che la polizia stava analizzando i filmati che esse avevano ripreso.

Ve n'erano tre che inquadravano la porta nera.

E da tutti i filmati risultava la stessa cosa: due ragazzi entrano nella stanza, poi uno esce di corsa e qui.. qui il filmato si interrompe, contemporaneamente nei tre filmini, come se fossero stati sabotati o tagliati.

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Capitolo 5
*** Simboli e coincidenze ***


4. Simboli e coincidenze

Era passata quasi una settimana dalla sparizione di Albar, a scuola nei giorni precedenti il suo banco era ricoperto di dediche del tipo: “Ti aspettiamo. Ci manchi tanto” oppure “Ricordati che ti vogliamo bene, torna da noi”.. alle bidelle era stato ordinato di non pulire il banco, che trasmetteva un piccolo ricordo di lui.

Quel giorno Dan fu il primo ad entrare in classe, sempre con il suo sguardo fisso e la tristezza che gli traspariva da tutti i gesti e dalle poche parole che diceva.

Era solo, poiché era ancora molto presto, ma si sentiva meglio così.

Ad un tratto il cuore gli cominciò a martellare, gli occhi gli si spalancarono: dal banco di Albar erano sparite tutte le dediche e al loro posto era disegnato uno strano simbolo: un cerchio con all'interno una stella a dieci punte.

Appena arrivò un compagno egli riferì con un misto di rabbia e disperazione ciò che aveva visto.

Ma non appena i due ragazzi si avvicinarono al posto di Albar, Dan si sentì ridicolo e sbigottito; il simbolo era sparito ed erano ricomparse le dediche.

Chris, il compagno, chiese a Dan se stesse bene, ma quest'ultimo affermò di aver veramente visto quel simbolo, ma Chris non gli diede più retta pensando che fosse accecato dalla mancanza di Albar.

Dan però era convinto, sapeva di aver visto quel simbolo, e sapeva che era sparito nello stesso modo in cui era apparso; dentro la sua mente si affollavano mille idee, ma ora più che mai trasaliva dal terrore.

Nello stesso giorno in 2A ci fu una novità, una nuova compagna.

La prof la presentò alla classe cercando di trasmettere un po' di vigore a quei ragazzi che sembravano dei vecchi stracci.

Si chiamava Freia, Freia Faisan. Era una ragazza molto carina, magra e alta, con gli occhi e i capelli castani.

Ella fu sistemata nel banco vicino a Dan e non appena quest'ultimo la guardò negli occhi, si sentì morire. Freia aveva gli stessi occhi di ghiaccio che aveva Albar quando l'aveva visto l'ultima volta.

Come colpo finale Dan vide una cosa che lo impressionò e lo terrorizzò altamente: la ragazza aveva al collo un ciondolo che rappresentava lo stesso simbolo che aveva visto poco prima sul banco dell'amico.

Il mistero si infittiva sempre di più: Albar che scompare, la sua ricomparsa per qualche secondo segnata da quegli occhi di ghiaccio, i filmati delle telecamere che si interrompono allo stesso punto, il simbolo sul banco di Albar, Freia con gli stessi occhi del ragazzo e il ciondolo con la stella a dieci punte.

Dan tentava di riordinare tutte queste confuse informazioni nella sua mente, si sentiva confuso e in preda ad un non so che di affascinante e strano.

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Capitolo 6
*** La nascita di un nuovo mago ***


Il castello dei Magis dopo la sparizione di Albar era stato chiuso al pubblico perché ritenuto pericoloso; dalla piantina che c'era appesa alla sua entrata risultavano esserci 27 stanze. In realtà le stanze del castello erano molte di più. Un comune mortale non le poteva vedere, non erano rilevabili con i raggi-x o con qualsiasi altro mezzo, anche con quello più innovativo e tecnologico.

Esse infatti erano le stanze dove ancora il potere dei Magis viveva, ed erano protette con una speciale barriera magica.

Dopo la sua scomparsa, la rosa aveva condotto proprio lì Albar, il quale dormiva ininterrottamente da 5 giorni ormai.

Un discendente dei Magis, Ryan, lo aveva accudito e seguito con molto impegno.

Albar, ormai, non era più un comune ragazzo quindicenne, non era più lo scolaro troppo vivace e pasticcione, non era più il figlio primogenito di una comunissima famiglia; ebbene sì, ora era diventato un vero e proprio mago, o meglio, il mago della rosa nera.

Dopo quel lungo periodo di sonno, il ragazzo finalmente aprì gli occhi: si sentiva strano, aveva una nuova forza dentro di sé, qualcosa di indescrivibile.

Appena vide Ryan domando: “Chi sei?.. Non capisco: dove sono?” Ryan con un occhiata veloce rispose: “Finalmente ti sei svegliato. Io sono Ryan Magis. Ti trovi nel castello scozzese, ricordi?”

Albar era confuso, gli sembrava di aver dormito mille anni, i suoi ricordi erano vaghi e distorti, poi piano piano capì: rammendò la gita al castello dei maghi, la bravata con Dan, la rosa nera.

Si alzò di scatto in piedi e chiese dove fossero i suoi compagni, la prof e la guida.

Ryan lo invitò a calmarsi: il ragazzo infatti era caduto in preda al panico, si guardava intorno gridava il nome dei compagni senza ricevere alcuna risposta, si sentiva come in trappola.

Poi quasi senza nemmeno accorgersene tese una mano verso la porta gridando: “aperi!!” e la porta come se fosse colpita da una folata di vento improvviso si aprì.

Ryan, che aveva visto la scena, guardò il ragazzo intento a capire cosa fosse successo.

Albar, che non riusciva più a muoversi, si inginocchiò a terra per il terrore e si guardò la mano con uno sguardo interrogativo.

Ryan allora gli si avvicinò e gli si sedette di fianco; per la prima volta Albar lo osservò completamente: era un ragazzo sui diciassette anni con i capelli corvino e gli occhi cobalto. Indossava uno strano vestito, un abito da mago, come quello degli illusionisti dei circhi, nero con due code sul retro che gli arrivavano circa a metà coscia, a differenza che quello era indossato da una persona che la praticava realmente la magia.

Con un filo di voce Albar, che si era leggermente tranquillizzato alla presenza di qualcuno poco più grande di lui disse: “Che significa tutto questo? Cosa mi è successo?”

Ryan si preparò a raccontargli una lunga storia, quella dei Magis: “Vedi..- cominciò- I Magis erano un'antica famiglia di maghi che abitava in questo castello, poi fu cacciata, perché si pensava che fosse maligna, ma in realtà la loro magia non si spostò mai da questo castello e lo fece rifugiandosi in queste stanze che sono protette da un'imponente barriera; da allora questa dinastia è sempre vissuta, ma per scegliere i suoi successori si serviva e si serve tuttora della sorte; per ogni generazione ci sono dei prescelti che nel giorno stabilito ricevono il potere che gli è stato riservato. Vedi Albar, tu sei uno di quei prescelti, proprio come me, il tuo destino è quello di rappresentare la famiglia Magis”.

Con un po' di sorpresa Albar chiese:

“Ma quindi io, io sono..”

Ryan: “Esatto, è proprio così Albar, tu sei un mago e d'ora in avanti sarai Albar Magis”

“E i miei amici? Saranno preoccupati per me.. ora devo tornare da loro”

“No Albar, non puoi!!”

“Perché?? Mi mancano e poi voglio stare con loro!”

Ryan con un senso di tristezza, poiché aveva anche lui lo stesso destino del giovane mago esclamò: “Albar, tu sei un mago, e come tale la tua anima è immortale, ma se torni con i tuoi amici, ben presto finiresti per rivelare, anche involontariamente, il tuo segreto!”

Albar replicò: “Quindi, anche se sanno che sono un mago?? Non farebbe differenza!!”

“E invece si!!”

“Per quale motivo?”

“Moriresti...”.

In quel momento la voce di Ryan si affievolì, e si capiva chiaramente che il ragazzo stava trattenendo le lacrime.

Albar allora non proferì più parola e si dispiacque di aver fatto soffrire il nuovo amico.

Dan, piano piano cominciava a riparlare ai compagni e la classe si stava risollevando dall'accaduto.

Freia aveva già avuto modo di dimostrare la sua bravura risultando la più brava della classe già in tre verifiche.

I prof e gli altri alunni rimanevano sempre sorpresi da quella ragazza che non sorrideva mai.

I suoi morbidi capelli neri le davano un fascino incredibile, ma era che evidente i suoi occhi nascondessero un terribile segreto.

Nell'intervallo spesso stava da sola e sembrava assorta nei suoi pensieri; ma Dan aveva notato, a differenza degli altri, che la ragazza teneva d'occhio un giovane primino solare e sorridente.

Quel ragazzino Dan lo aveva conosciuto durante un'assemblea generale il primo giorno di scuola, si chiamava Jan: era un quattordicenne molto simpatico; aveva i capelli castani e due bellissimi occhi nocciola, si mostrava una piccola peste, come del resto i ragazzi della sua età.

Sembrava che lo controllasse, però non gli si avvicinava mai, Dan non capiva il motivo di questo accanimento ed era incuriosito dallo strano comportamento della ragazza.

I giornali ormai non riportavano più la notizia della sparizione di Albar e i poliziotti erano sul punto di archiviare il caso in attesa di trovare indizi utili.

Quel giorno Dan tornò a casa più stanco del solito, ma appena entrò in camera sua vide qualcosa di nero sul pavimento. Inizialmente pensò ad una macchia non pulita ma appena si chinò a guardare si sentì morire: quella non era una macchia, bensì un petalo della rosa nera.

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