Adamante, envinyatarë.

di BigMistake
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO I: Mani benedette! ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO II: Follia. ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO III: La lunga via del Rhûn. ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO IV: Commettere errori. ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO V: Namarie mellonamin! ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO VI: Svelarsi. ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO VII: Allenamento e allontanamento. ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO VIII: Perdere la speranza. ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO IX: Ingiusta punizione. ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO X: Meleth a Glâm. ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO XI: Fuga! ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO XII: Nuin Elenath. ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO XIII: Ricordi e tempo. Viaggiando verso casa. ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO XIV: Rynd ned in Eryn Lasgalen. ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO XV: Al cospetto del Re. ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO XVI: Un dono inaspettato. ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO XVII: Deporre le armi. ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO XVIII: Loss. Un’ultima volta. ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO XIX: Signori dell’Ithilien. ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO XX: Calad nimp. ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO XXI: Destino beffardo. ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO XXII: Il passato dimentica. ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO XXIII: Ricambiare il favore. ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Adamante, envinyatarë.

PROLOGO

Un nano ed un elfo in groppa allo stesso destriero. Definire tale cosa rara sarebbe soltanto blasfemia. Eppure successe alla fine della Terza Era, quando la Quarta albeggiava altisonante sulle teste della Terra di Mezzo. L’Unico Anello era stato distrutto ed il signore Sauron che richiamava a sé il suo potere, lo aveva raggiunto nel ventre della Montagna di Fuoco assieme alla infima bestia corrosa dal suo possesso. Canterò, or dunque, di una storia che parla d’amore e regole, di ostacoli che apparvero insormontabili, di vita e morte. Un popolo antico e sconosciuto che risiedeva, forse ancora risiede, nelle più nascoste foreste a Nord del Mare di Rhûn. Vi chiedo umilmente perdono, miei ascoltatori, non vi ho detto il mio nome quale eccessiva mancanza di educazione. Io sono Sarìin il bardo qui per servivi madame e messeri. Il mio compito è quello di solleticare la vostra memoria con racconti che animano i nostri vecchi spiriti per non permettere a nessuno di voi di dimenticare. Eppure della bella Adamante non si possiede neppur un vago ricordo e la colpa ricade sulle sue origini celate dal segreto delle genti a cui apparteneva. Non vorrei annoiarvi oltre con le presentazioni, miei cari commensali di questa taverna, or dunque è meglio iniziare la mia novella onde evitare l’avvicendarsi ciondolanti delle vostre teste per il sonno. Tutto iniziò molti inverni prima di questi quando tra le foreste incantate ancora le creature magiche viveno la loro beatitudine ed i piccoli Mezzuomini avevano già dimostrato un valore più alto di quelli interi. Molti abitanti del Popolo delle Stelle peregrinarono verso Valinor, cedendo le chiavi del nostro mondo definitivamente agli uomini: Aragon, erede di Isildur figlio di Arathorn, sedeva sul trono di Gondor e possedeva il cuore della Stella del Vespro la quale scelse la vita mortale scendendo dal cielo dove gli altri astri rimanevano appesi. La Compagnia si era sciolta ed ognuno si trovò per la sua strada. Così i piccoli Perriannath erano tornati alla foglia pipa del Decumano Sud, gli uomini stavano ricostruendo un vecchio e decadente regno in uno scintillante candido marmo e i due nuovi e stravaganti compagni d’avventura intrapresero un viaggio attraverso le Foreste di Fangorn ormai aperte dal leggendario Pastore degl’Alberi. Proprio in quel viaggio conobbero, a caro prezzo, un popolo nascosto. Gwaith - Ombre venivano chiamate e si mostravano come spettri nella notte. Mai avevano agito al di fuori delle loro terre prima di allora, ma i tumulti che avevano scosso Mordor e tutti gli abitanti delle Terre dell’Est ovviamente le avevano costrette a “cacciare”, se così possiamo definire la loro una caccia, ben oltre il piccolo recinto fatto di alberi e oscurità. Come poteva la stranissima coppia anche solo pensare di cavarsela in tal senso non sapendo cosa li attendesse?

“Secondo me ci siamo persi orecchie a punta!” ripeteva Gimli il nano, figlio di Glòin,  facente parte della valorosa compagnia che aiutò il portatore dell’Unico a liberarsi del malvagio fardello.

“Mio caro amico, hai così poca fiducia nelle mie capacità e nel mio senso di orientamento?” la calma serafica e la melodiosa voce del silvano non poteva che confondere chiunque l’ascoltasse. Egli era  Legolas principe nelle  Terre Selvagge del Bosco Atro.

“Sta di fatto che il monte di quella roccia l’abbiamo visto al giro precedente!” il povero elfo, nonostante il continuo borbottare del suo poco paziente compagno, scosse semplicemente la testa privandolo della compagnia per qualche secondo. Quell’improvviso silenzio permise alle sue orecchie di ascoltare meglio la notte che stava per sopraggiungere tra gli alberi. “Cosa è stato?” la domanda venne preceduta dagli spettri minacciosi che si muovevano attorno a loro. Il cavallo iniziò ad essere nervoso, scalpitando con tremori per tutta la lunghezza del suo corpo mentre indietreggiava con la testa nervosa, scalciando contro il terreno quasi fosse carbone e scottasse a contatto con gli zoccoli.

“Sedho, Nevecrino, sedho! | Calmati, Nevecrino, calmati! | ” nulla le parole pronunciate dall’elfo nella sua amata lingua valsero, nemmeno i delicati insulti del nano. Il figlio di Rohan sentiva nelle sue vene il pericolo avvicinarsi ancor prima dei suoi cavalieri. Un’impennata e neppure l’equilibrio perfetto prevaricò sull’elfo che cadde a terra sopra al suo compagno. Stavano per rialzarsi e sfoderare le armi ma la notte non gli diede il permesso. Erano già stati immobilizzati da quegli spettri. “Abbiate almeno il coraggio di mostrarvi e combattere come veri uomini o qualunque cosa siate!” una risata si librò nell’aeree, totalmente divertita. La debolissima falce argentea non poteva illuminare tale  spettacolo, ma presto gli occhi acuti di Legolas distinsero le sinuose forme che caratterizzavano i loro aguzzini.

“Adamante!” seguirono parole incomprensibili in una lingua di cui se ne erano perse le tracce troppo tempo addietro. Dalle file una figura oscura ammantata più piccola delle altre era avanzata, portandosi di fronte all’elfo ormai completamente disarmato.

“Non toccarlo, megera o conoscerai la mia ascia!” l’impavido nano continuava ad inveire contro di loro, generando sempre più ilarità. Legolas invece se ne stava taciturno ed immobile contro coloro che lo tenevano prigioniero, mentre le bianche ed esili mani della figura avevano intrapreso a tastare le sue braccia, il suo petto e il suo ventre. La distanza, quasi pari al profilo di una foglia, gli permise di analizzare il nemico. Era una donna, non poteva distinguerne bene i tratti ben nascosti da una maschera di cuoio portata fin sopra il naso, un manto color della terra si abbatteva pesante su tutta la fisionomia ma gli occhi quelli erano ben visibili scuri e profondi come un lago, immersi nel colore caldo delle nocciole con piccole screziature dorate, carichi di sofferenza come se quel compito fosse la cosa più dura da sopportare. L’elfo rimase per un istante incantato da tale aspetto, preoccupandosi di sapere il perché cotanto dolore si celava dietro quel velo di durezza che assumeva. Adamante se ne accorse e voltando di scatto la testa parlò di nuovo con la lingua sconosciuta. I suoi occhi tornarono a quelli dell’elfo ma invece che scontrarsi con loro, presero la strada del terreno quasi scappando per rivolgersi al basso in una contemplazione muta del suolo.

“Cosa volete da noi?” chiese con toni più pacati l’elfo, indirizzando la domanda alla fanciulla che l’aveva studiato con il tatto e cercando con la gentilezza di ottenere più informazioni. Nulla venne da lei, solo una voce stridente ed acuta come unghie su di uno specchio che impartì un ordine riconosciuto solo attraverso l'efferratezza con cui era stato impartito. La piccola figura venne inghiottita dalle altre file quando, prima che potesse definitivamente tornare ai suoi ranghi, il nano riuscì a sfuggire dalla presa del suo carceriere. Cercò di raggiungere la sua ascia ma un dardo sibilò nell’aria rarefatta della notte, vibrando come le corde di un arpa al pizzico di mani esperte rendendo vana la sua ribbelione. L’elfo se ne accorse e con un gesto repentino si liberò anch’egli, ponendosi a scudo del mastro nano in modo che le sue carni diventassero la custodia della punta della freccia a quel punto conficcata sulla spalla destra. Le ginocchia caddero molli cedendo al suo peso che solitamente si rivelava leggero, divenuto con il sangue che colava assai più grave di un macigno. Il nano attonito osservò l’amico inginocchiarsi e prima che potesse raggiungerlo, venne di nuovo preso e legato in modo che non potesse più muoversi per quanto lottasse con tutte le sue forze.

“Legolas! Lasciatemi ombre della notte, lasciate che io possa combattere e mostrarvi le buone maniere da guerriero a guerriero!” gridava di continuo insieme ad una sfilza di improperi degni delle peggiori locande della Terra di Mezzo. Adamante si fece nuovamente avanti andando incontro all’elfo che gemeva nel dolore, rispose alle domande che il suo superiore le poneva sempre mascherandosi con un parlato che non posso riproporre per la sua natura desueta ormai consolidata dalle foglie del tempo. Si preoccupavano della sua salute senza dubbio.

“Ascoltatemi elfo ...” disse con un timbro di voce totalmente diverso da quello delle compagne. Ora che le parole erano pronunziate con lingue correnti appariva ai suoi occhi soave come i canti di Lórien, dolce come il profumo dei fiori in una mattina di primavera inoltrata  “… la freccia non è trapassata e se tentassi di estrarla vi arrecherei solo più danni, vi prego fidatevi di me!” le iridi cerulee si puntarono in quelle calde della ragazza che afferrò il fusto e con un gesto rapido la sospinse affondando ancor di più nel muscolo, facendo fuoriuscire la punta accompagnata da un grido dolente simile al verso di un animale ferito.

“Maledetta! Cosa gli stai facendo?” non ascoltò i rimbrotti del mastro nano, che totalmente disarmato di forza e d'armi continuava ad inveire nella sua lingua ed in quella corrente, creando non poco scompiglio sulle facce impassibili dei loro novelli custodi. Adamante continuava nel suo operato rimanendo con l’attenzione fissa sulla ferita, di tanto in tanto si lasciava sfuggire uno sguardo verso l’elfo senza mai fissarsi nei suoi occhi indagatori ormai trasfigurati dalla sofferenza. Le sue movenze si fecero ancor più secche e repentine: spezzò l’aculeo imprimendo una moderata forza al legno che lo sosteneva senza scuoterlo, oppose la sinistra mantenendo saldo il corpo contro la spalla e con uno scatto verso il suo petto fece fuoriuscire l’asta gettandola dietro di sé. L’elfo era sempre più debole, il sangue aveva iniziato a macchiare il manto boschivo rigettandosi copioso oltre le vesti ormai strappate e logore. “Callial, Te mere nuel, merei i nya passa! | Callial, sono costretta a medicarlo, dobbiamo accamparci! | ” Adamante continuava a pressare la ferita da cui il flusso rosso non terminava di sgorgare. L’altra che osservava la scena aspettando solo un suo proferire, annuì e gridò ordini su ordini affastellando parole sempre più complesse. “Vi aiuterò io stessa a camminare! Ma sarà meglio muoverci prima che Callial decida di abbandonarvi qui elfo!” mantenendo salde le sue mani sulla ferita in modo da contenere il rigolo di sangue, Adamante raccolse il braccio pendente del principe elfico allacciando a sé per poi condurlo verso una notte sempre più oscura e priva di stelle a rischiarare quel cammino obbligato da una magia ben più grande.

Ebbene signori, questo è ciò che accadde all’inizio della nostra storia.  Se la pazienza vi assisterà proverò a ricondurvi io stesso per le strade che incrociarono i due avventurieri con quelli di Adamante la guaritrice.

 

Note dell'autrice: Salve, scusate non ho resistito a scrivere del Signore degl'anelli ma sono molto timorosa di giocare con i personaggi del Maestro. Solitamente io scrivo tutta la storia prima di pubblicare, ma dato che non so se sarò all'altezza ho deciso di postare immediatamente il prologo e vedere quali sono le reazioni nel toccare un volume di tale importanza. Chino il capo e apro i miei occhi ad ogni suggerimento, critica e consiglio che mi vogliate dare, comunque cercherò di mantenere molto saldo il mio stile. Ovviamente se non dovesse in alcun modo piacere, libererò il sito da questa storia, ma spero che non sia così. Cominciamo con il dire due paroline del mio operato: è una storia cantata da un bardo, come per giustificare la terza persona, che racconta di vicende d'armi e d'amore come nel medioevo. Parla di un fatto dimenticato e di un popolo totalmente inventato da me ma che ha dei riferimenti storici ben precisi. Già qualcosa si può intuire dal prologo ma la trama è molto chiara nella mia testa ed è nata quando molti anni fa quando ho letto Il Signore degli Anelli.  E' un'esperimento e spero che siate clementi nel giudicarlo, per questo sto entrando letteralmente con la punta dei piedi in questo fandom, anche perchè non avendo già scritto tutto mi sento un pochino persa (sapete una volta che uno scrive poi può spostare e sistemare gli eventi in modo che la storia fili meglio ed abbia una trama più avvincente quindi spero di riuscire nonostante mi sia allontanata da questa metodologia ^^)!

Piccole spiegazioni tecniche:

Nevecrino non è lo stesso cavallo di Théoden, porta solo il suo nome.

"Callial, Te mere nuel, merei i nya passa!"-> questa lingua è inventata anch'essa dalla sottoscritta quindi non ci sono riferimenti ad un qualcosa di già prodotto. In generale non ci saranno molte frasi e se ci saranno avranno la traduzione accanto in modo che non vi lasci all'oscuro più del dovuto.

Che altro dirvi se non Buona Lettura! Vostra Malice!

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Capitolo 2
*** CAPITOLO I: Mani benedette! ***


CAPITOLO I: Mani benedette!

Molti cavalli più piccoli di quelli di Rohan dalla corporatura slanciata e fragile all’apparenza, brucavano nascosti oltre il sentiero che conduceva fuori da quella foresta colma di esseri ostili alle Ombre e ben più forti di loro.  Attendevano pazienti i loro padroni che, con i due sfortunati ospiti, intrapresero velocemente la via per le Terre Brune attraversando un guado dell’ Anduin, il grande fiume, con la sicurezza di chi più volte aveva percorso tale sentiero. La sterpaglia ingrigita dai colori fumosi dell’oscurità avanzava incerta nell’oblio, soccombendo al celere accampamento eretto tra due  piccoli promontori collinosi che formavano una sorta di gola strozzata. Legolas resistette quasi tutto il viaggio ma la perdita di sangue aveva già offuscato i suoi sensi ed imperlato la fronte di sudore. Il nano venne assicurato ad un palo principale di in una tenda, sorvegliata da due non eccessivamente alte guerriere. Ebbene si, miei signori, quelle erano delle guerriere e non baldi giovani come si poteva pensare. La terra brulla offriva una vista migliore ed il nano poté osservare meglio chi lo stava tenendo prigioniero. L’esiguo tempo che gli fu concesso, non gli permise tuttavia di ammirare le loro fattezze ma gli consentì comunque di distinguere le loro forme rese ancor più evidenti dalle succinte pelli che lasciavano scoperte gran parte della loro epidermide olivastra.

“Puah, donne!” un grumo di saliva cozzò contro il pavimento fatto di nuda terra del suo improvvisato giaciglio, o meglio seduta data la posizione obbligata dalle mani assicurate attorno all’albero maestro del temporaneo riparo. I suoi continui tentativi di scarcerazione furono vani e scemarono con la stanchezza che stava sopraggiungendo. “Altro che Gentil Sesso! Sono peggio delle serpi, avventarsi su due combattenti privandoli della possibilità di difendersi! Se avessi con me la mia ascia probabilmente gli impartirei una bella lezione di lealtà!” borbottava da ore ormai senza che nessuno intervenisse nel farlo tacere. Gli scocchi di lame lanciate nel vento erano rudi e forti, valenti frecce risuonavano costanti. Le guerriere non smettevano mai di combattere, ogni momento era perfetto per un buon allenamento. Le pelli che ricoprivano l’uscio si scostarono ed una figura bella ed aitante entrò nella allora dimora del nano, lasciandolo per la prima volta senza parole. Le gambe tornite e muscolose erano coperte semplicemente da stivali dalla forgia maschile fino a metà polpaccio dando bella mostra di se, allacciata alla vita una pelle era legata celando giusto le pudenda, una sottile fascia stringeva il florido seno, schiacciandolo nell’imitazione di un petto virile. Nessun monile si trovava al suo collo a differenza dei capelli in parte intrecciati a piccole piume colorate e perle che risaltavano il loro colore corvino sulla pelle bronzea rasentante la perfezione. Due occhi scuri, vividi e impenetrabili scrutavano il Portatore della Ciocca in silenzio, ripagato con uno altrettanto carico. La donna si mosse avanzando di un passo chiudendo  la bocca del nano che, impalata, si era aperta alla mercé degl’insetti.

“Chiudi la bocca nano, non vorrai che le mosche facciano il loro nido all’interno di essa!” il suo accento suonava strano ma il nano, ripreso da quell’incanto procurato dalla visione della donna, iniziò a borbottare, scatenando la risata della sua momentanea ospite, tornata eretta nella sua scarsa statura se confrontata all’elfo, enorme paragonata al popolo delle rocce. Nella sua voce riconobbe Callial, la guerriera che dava ordini su ordini alle sue sottoposte.

“Perché ci tenete prigionieri, megera?” disse con un vezzo sprezzante sputando ogni singola parola come un veleno rovente.

“Hai paura nano?” il sopracciglio nero della donna si arcuò in tono di scherno.

“Paura io?” trasalì il nano, sobbalzando inviperito da tale oltraggio “Signora, voi state parlando con Gimli, figlio di Glòin, membro della Compagnia dell’Anello, conosciuto anche come Spargi – Sangue, ho molti amici potenti non vi consiglio di trattenerci troppo a lungo! ” ogni parola era detta con un volume crescente ma la donna non parve intimorita da quella velata minaccia. Piuttosto il suo viso si contorceva nel tentativo di nascondere una risata, cosa che fece ancor di più adirare il nano, ormai completamente fuori di sé.

“E chi sono, questi potenti amici, di grazia?” chiese scimmiottando un inchino e simulando il verso di una dama di corte. Da quella posizione astrusa, il nano osservò una strana cicatrice sul seno destro, una bruciatura, anche se non si soffermò sull’analisi della forma e dell’effettiva gravità della vecchia ferita.

“Volete dei nomi? Vi accontenterò madama!” marcò quest’ultima parola, plagiando la derisione  della donna “Sicuramente conoscerete Re Elesar , unico sovrano di Gondor, Faramir, suo capitano e governatore, Eòmer, Re di Rohan, lo stesso elfo che viaggiava in mia compagnia è un personaggio di spicco: Legolas Thranduilion, principe nelle sue terre. Cara signora, mi dispiace avvertirvi che non tarderanno a cercarci, gli alberi ci sono stati testimoni e di voi non rimarrà che un misero cumulo di cenere sulle mappe!” affermò deciso concludendo così la lista di amici da invocare e che avrebbe dilungato con altri nomi.

“Di certo nomi altisonanti, mastro nano, non dubito di questo. Ma consentitemi un dubbio: come si può cancellare dalle mappe ciò che non esiste?” il nano rimase basito da tale asserzione, confrontando con ciò che fino ad allora aveva veduto. Ovviamente la lingua assolutamente sconosciuta, i loro modi di fare tutto induceva a pensare a dei fantasmi. Lo sconforto lo sorprese ma la sua scorza dura nascose assai bene la vera natura di tale apprensione. La donna era sempre più sicura di sé appariva scaltra e calcolatrice, le parole forbite discostavano dall’aspetto selvaggio. “Avete detto che il vostro amico è un principe, bene questa notizia è buona!” Il volto trasfigurò in un sorriso a metà, come se avesse la consapevolezza di un obbiettivo raggiunto  “E ditemi è anche un guerriero?” il nano si sorprese delle domande e dell’interesse scaturito verso il suo amico, temeva che le risposte, qualunque esse fossero state, non avrebbero comunque condotto a nulla di positivo.

“Perché cotanto interesse, nei confronti dell’elfo?” disse cercando di deviare il quesito. Callial non si aspettava un simile comportamento e per tanto si tolse la finta cordialità che l’aveva caratterizzata fino ad allora. Un demone apparve in quei bracieri ardenti specchio della sua anima nera, con uno scatto estrasse il suo pugnale di scorta che teneva infoderato allo stivale destro e mantenendo la lama lungo il braccio, puntò il suo filo contro la tozza gola del nano coperta dalla folta barba.

“Ti ho fatto una domanda nano, vedi di rispondere. È il vostro amico un guerriero, si o no?” la follia omicida riversava in quei tizzoni neri che si muovevano nervosi affondando nello sguardo accorato della povera creatura in sua balia. Gimli non mostrò timore o paura e la donna fu costretta a stringere una mano sul collo del nano per ottenere una risposta.

“Il più valente!” disse strozzando un respiro che mancò l’aria dai polmoni. “Anche lui ... ha fatto parte della compagnia …” le parole uscivano sempre più smorzate dalla presa ferrea che avvinghiava sempre più alacremente il povero collo del nano. Un sorriso pacifico tornò sul volto della donna che dopo qualche istante lasciò il nano tossire alla ricerca del fiato mancato. Il colorito paonazzo dell’incarnato, smorzò le sue tinte porpora non appena il sangue ebbe la via libera per defluire. Tra i singhiozzi e i colpi di tosse, riuscì però a chiedere della salute dell’amico “Ma … cof … cof … come sta?” la fatica in quelle poche parole non placò la sua sete di aria che aumentò con un picco, per poi ritornare in pochi istanti ad essere meno forte ed impetuosa.

“Adamante si sta prendendo cura di lui, mastro nano! Non temete le sue mani sono benedette, presto vi verrà a trovare ed insieme trascorrerete un po’ di tempo nelle segrete di  Agalath | Palazzo Oscuro | !” la risata profonda che colse il petto della donna risuonò nella tenda come se fosse il riverbero del vento. Gimli non riuscì a fare altro che chinare il capo sconfitto. L’ignoto aveva già preso possesso più volte il suo cuore eppure c’era sempre qualcosa di conosciuto a confortarlo. Orchi, Huruk-hai, lo stesso Signore Oscuro erano nemici di cui conoscevano potenza e forza. Ma questa legione di giovani guerriere erano veramente degli spettri che né sulle mappe, né sugl’antichi scritti avevano vita. Quale la sorte degl’eroi quando le vicende che li inondando sono caratterizzate dal nulla? Ed ora il nano era prigioniero e l’elfo agonizzava tra le mani di una strega. Legolas era steso su di un fianco, contro un giaciglio morbido. La sua ferita era stata tamponata con dei brandelli di pelle proveniente dal manto di Adamante, unica cosa a disposizione del momento per una medicazione provvisoria. La ragazza entrò di soppiatto notando che le palpebre dell’elfo erano socchiuse in un tormentato riposo reso ancor più arduo dalla sua smorfia di sofferenza.  Portava la consueta maschera di cuoio ad occultare quelle fattezze eccessivamente riconoscibili o forse per mal celare una delicata bellezza diversa da quella delle sue compagne d’armi, con la loro pelle scura ed i lineamenti esotici tipici delle sue terre. I capelli li manteneva sciolti a coprire ancora di più quello che doveva rimanere segreto ed una morbida veste di cuoio cingeva il corpo esile ma muscoloso, sindrome di un arduo allenamento, fino alle cosce prominenti. La modesta statura era inferiore persino a quella della sua gente. Sembrava molto più piccola e fragile e per questo sua madre la chiamava Chillah, che nella lingua arcaica della sua popolazione significava minuta. Le bende temporanee erano ormai inutili, imbevute di sangue secco misto a quello fresco. Si genuflesse accanto alla schiena dell’elfo e con dell’acqua tiepida pulita lavò il suo corpo, assicurandosi di levare la polvere e lo sporco che avrebbero sicuramente accusato infezione. Osservò attentamente all’interno di essa notando che un piccolo lembo di stoffa si era incrostato. Le esili dita lo estrassero e rapidamente confrontò i lembi con lo strappo subito dalla veste dell’elfo. Coincidevano e il sollievo prese posto dell’angoscia. Pulì con cura e approfonditamente la ferita che ancora gettava sangue e siero. La doveva cauterizzare ma non poteva se dormiva. Con una mano prese ad accarezzargli il volto tentando di svegliarlo. Conosceva la bellezza ultraterrena del Popolo delle Stelle, ma il suo vago ricordo apparteneva ad un era ormai lontana. Le labbra morbide e vellutate, la pelle serica, i capelli mai arruffati o scompigliati. La rappresentazione della perfezione. L’elfo mugolò e la mano della ragazza rimase ferma, indugiando sulla gota fredda. Quando quest’ultimo aprì gli occhi il primo istinto fu quello di rimanere incantato dalla figura che aveva di fronte. I lunghi capelli castani carezzavano con morbide onde quel viso perlaceo nascosto dalla maschera che aveva già visto, non c’era più il pesante manto a ripararla dai suoi occhi e lui se ne compiacque.

“Vi dovete svegliare elfo, purtroppo la ferita non si è chiusa e per cauterizzarla ho bisogno che siate cosciente, non voglio cogliervi impreparato nel sonno, sarà un  procedimento doloroso e vorrei il vostro consenso!” Legolas si contorse girandosi con la schiena contro il suo giaciglio, la mano di Adamante scivolò dal suo viso ma un piccolo verso lamentoso pervase l’ambiente. “Se non la chiudo morirete, non temete vi somministrerò un unguento che vi farà sentire meno dolore ma ho bisogno che voi stringiate i denti e rimaniate in piedi.”

“Perché v’interessa la mia sorte, non ho nemmeno il diritto di morire in pace?”

“Voi …” Adamante strozzò in gola quel tono penante che stava fuoriuscendo dalle sue labbra, l’elfo lo notò e subito si rivolse a lei che strizzava le ciglia rivolgendo il volto verso un piccolo focolaio acceso “ … servite a Callial vivo, una volta che avrà ottenuto quello che vuole sarete libero e così il vostro amico!” gli occhi di Adamante tornarono attenti su quelli grigi dell’elfo. Ne era sicuro: non aveva mai visto uno sguardo tanto limpido e profondo di quello. Lo spingeva a fidarsi oltre ogni logica di quella ragazza, in fondo stava solo cercando di salvargli la vita.

“Posso sapere cosa vuole da me?” chiese alzando il busto per permettere alla guaritrice di curarlo. Adamante per la prima volta lasciò spazio ad un lieve sorriso, mostrando appena i denti bianchi attraverso le rosee labbra. L’elfo rimase intento ad osservarla mentre con cura cominciò ad estrarre alcuni strumenti avvolti in candida seta. Erano piccole aste in metallo lucido alla cui estremità c’era un bottone dello stesso materiale. Un piccolo manico in legno nero si trovava sull’altro capo. Le mani si muovevano esperte senza degnare più di uno sguardo Legolas che stizzito dall’improvviso silenzio incalzò la domanda, mantenendo pur sempre la sua intonazione pacata “Vi ho fatto una domanda!” gli occhi della ragazza esitarono saettando tra gli strumenti tintinnanti. Li afferrò decisa posizionandoli minuziosamente contro il fuoco. Poi si rivolse all’elfo che quasi si trovò spiazzato dall’improvvisa serietà della ragazza.

“Ed io non posso rispondervi, saprete a tempo debito per cosa siete stato chiamato!” nella tenda tutto tacque, escluso lo scoppiettio scalpitante del piccolo fuoco che arroventava i bottoni di metallo delle aste. Legolas dedusse, dopo aver studiato le movenze della giovane fanciulla, che solo una persona con molta esperienza medica poteva cauterizzare un ferita come la sua con una fiamma. Una strana sensazione di freddo lo colse impreparato, proprio dove l’entrata della freccia aveva lasciato il suo segno e un rigolo vermiglio iniziò la sua lenta strada sulla pelle lattea del torace. Adamante, nonostante le nudità ostentate, non sembrava a disagio come avrebbe dovuto essere per una gentil donna. Continuava a cospargere la poltiglia viscida e scura sulla spalla, attenta a non abusare nei dosaggi.

“Mi è permesso sapere almeno con cosa mi state imbrattando?” chiese sardonico l’elfo . Gli occhi nocciola di Adamante si spostarono per un attimo su quelli grigi del bell’elfo che con poca diffidenza prese a trattare la ragazza.

“È un estratto dalle bacche di Belladonna, serve a addormentare la parte lesa, successivamente aiuterà anche la sua cicatrizzazione.” Spiegò cauta Adamante. La voce dolce, infossata nei meandri delle vibrazioni più liete, era ancor più armonica accostata all’orecchio sensibile di Legolas. “Dopo che avrò finito dovrete bere questo infuso.” Si pulì le mani con un panno per poi afferrare una piccola ampolla di vetro molto sottile incastonata in un’armatura di metallo che ritraeva un tralcio di edera rampicante. Il tappo era assicurato attraverso una catenella rilucente e su di esso una foglia ricurva con tre punte era posata. “Vi servirà per dormire!”

“Chi mi assicura che quello che mi state somministrando non sia veleno?” la calma ostentata con tale disinvoltura non distruggeva il filo tagliente delle parole appena pronunciate. Ma Adamante non tradì emozione alcuna, rimase assolutamente impassibile avvolgendosi in un aura professionale di guaritrice.

“Vi ho spiegato che nessuno vuole la vostra morte!” si spostò piegando il ginocchio per porre a favore lo stivale in cui era nascosto un pugnale bianco, assolutamente unico di manifattura. In un primo momento Legolas ebbe il terrore che volesse porre fine a quella agonia, ma poi l’affermazione della ragazza tornò a rassicurarlo con il ricordo del primo rimbrotto. Lo volevano vivo. La Belladonna cominciava impetuosa il suo effetto con un formicolio pressante che aveva preso a circolare lungo l’epidermide fino all’altezza della nuca. Un senso di stordimento assoluto ebbe la meglio, assieme all’inebriamento dei sensi che si persero totalmente. Adamante osservò lo stato di ubriachezza che l’unguento aveva creato. Avvolse la lama del pugnale con una fascia e s’accostò all’elfo che aveva preso la sua testa ciondolante.

“Tenete questo fra i denti!” Legolas tentennò con la mano prima di afferrare il morso creato attraverso quel pugnale. Adamante  prese il primo ferro. La punta piatta appariva rossa, arsa come un carbone troppo vicino al fuoco. Il calore che sprigionava era percepibile persino da lontano. Legolas osservò lo strumento arroventato mentre accoglieva il morso tra le sue labbra, trattenendo tra i denti il morbido spessore creato dalla stoffa. La guaritrice si posizionò con la mano a contrapporre con forza la spalla in modo che non potesse allontanarsi. Non gli permise nemmeno di cogitare su quello che stava per avvenire che la punta calorosa si era scontata contro lo strato niveo della pelle dell’elfo. L’urlo di dolore era attutito dal pugnale, ma si poteva udire nettamente. Con un movimento rapido prese il secondo ferro ed incise la sua pelle sul davanti. Dopo qualche secondo quando la ferita era completamente chiusa gettò anche questo a terra. In uno slancio spontaneo prese la testa dell’elfo carezzandola dolcemente mentre ancora tremante lasciò cadere il morso. Sussurrava parole inconfondibili alle orecchie puntute dell’elfo. Quella era la lingua del Popolo delle Stelle, ma era troppo sofferente per potersi sorprendere. Le braccia presero a cingere la vita della fanciulla.

“Adamante …” bisbigliò al suo orecchio come ormeggio  a quel tremendo spasmo che s’irradiava dalla spalla in tutto il corpo, sentendo il peso dei millenni accompagnarlo in quell’abbraccio. La ragazza si divincolò dall’elfo che invece tentava di trattenerla, ma la difficoltà per le problematiche fisiche si fecero ben presto sentire. Solo un gemito per quello che le stava strappando: la vicinanza di quell’esile corpo contro il suo.

“Non pronunciate mai più il mio nome ne va della mia vita!” il tono era solenne ma l’elfo non capì la ragione per tale diniego. “Non chiedete oltre, ora bevete questo!” aprì l’ampolla e riversò attraverso le labbra dell'Eldar il suo contenuto. Aiutò Legolas a stendersi dopo averlo finito di medicare con una stretta fasciatura di garze imbevute di acqua di rose, coprendolo poi con le coperte. Sistemò i suoi attrezzi pulendoli e racchiudendoli nella borsa. L’elfo l’osservava mentre il filtro soporifero stava iniziando a trascinarlo nel’antro del sonno. Prima che i sensi lo abbandonassero del tutto, la guaritrice s’avvicinò al suo giaciglio. Le sue labbra vellutate si posarono sulla fronte asciutta dell’elfo e con una carezza sussurò al suo orecchio:

Quel kaima, cund! | S - Dormi bene, principe! | ” e con quelle parole la mente di Legolas scivolò nel dormiveglia. Adamante si sentì stranamente sollevata, da tempo non percepiva quella splendida sensazione vibrarle tra le ossa. Sicuramente da quando quella notte stava per sfuggire dal triste destino che poi si era rivelato inevitabile. Una figlia di regina non può scappare.

Testar! Callial cal dende! | Mia signora, Calial ti attende! | ” pronunziò una delle guerriere, inviata nell’attesa che terminasse con il prigioniero. La maggior parte non conosceva un linguaggio diverso dal parlato arcaico. Solo a menti superiori come quelle dei gradi maggiori del femmineo esercito o alle figlie con un’eredità di sangue forte come Callial ed Adamante era permessa la conoscenza delle terre al di là del recinto. La fanciulla slegò la maschera mentre con passo svelto si appropinquava alla tenda di residenza di Callial. Appena varcò la soglia notò la donna agitarsi, percorrendo un sentiero immaginario di pochi passi. Adamante richiamò la sua attenzione con un colpo di tosse. Riconosceva in lei quel modo di fare, lo aveva vissuto nel passato più e più volte. I suoi repentini cambi d’umore avevano caratterizzato la maggior parte della sua infanzia, quanti scherzi crudeli e vendette inventate nella fervida e sadica fantasia di Callial l’aveva costretta al silenzio con una madre troppo accondiscendente con la figlia maggiore.

“Adamante! Sorella mia, portate buone notizie?” Callial si gettò sulla sorella prendendole le spalle per incitarla a parlare.

“Callial!” abbassò la testa in segno di rispetto, lei non voleva rischiare di incorrere nelle ire della volubile sorella “Il vostro Tessalon starà bene, ho chiuso le sue ferite che hanno smesso di sanguinare ma avremmo notizie certe soltanto quando riaprirà gli occhi!”

“Lo sapevo, lo sapevo! Le vostre mani sono benedette dalla Signora Artemis!” la gioia di Callial era ancor più di quello che sperava la fanciulla dalla pelle candida. “Ma perché non portate la maschera? Non vi sarete mostrata?” le mani della guerriera strinsero le spalle violentemente della sorella di sangue, non di battaglia.

“Non temere, sorella mia!” la calma che contraddistingueva Adamante la trascinava in stadi di collera sempre più avanzati. Callial aveva un punto debole che risiedeva nella sua incapacità di governare il suo animo. La sua irruenza intemperante ed incontenibile l’aveva costretta in giovane età a stroncare parecchie vite. “Non gli ho mostrato il mio aspetto!”

“Bene!” soffiò quella parola per poi riprendere a sorridere come una bambina di fronte allo scrigno della madre aperto e luccicante, pieno di monili preziosi con cui fantasticare di essere una regina. In fondo era così. “Cosa ne pensate?”

“Penso che sia perfetto, sorella! Ho esaminato le sue vesti, è di alto rango!”

“Lo so! Ho parlato con il nano! Mi ha detto che è un principe ed un guerriero!” la fanciulla sobbalzò alla notizia della visita dell’altalenante sorella al nano. Cominciò a chiedersi cosa gli avesse fatto e se fosse ancora in vita. Troppe volte il suo umore danzante l’aveva costretta a nascondere i cadaveri, soprattutto da quando la loro madre aveva intrapreso la decadente via della vecchiaia, non potendo più seguire la figlia con costanza. “Non preoccuparti, sta bene, l’ho solo minacciato!” risposte Callial con una smorfia infastidita dalla tensione palesata dalla sorella. La notte riprese il suo corso e Callial, troppo eccitata per la nuova conquista, concesse soltanto poche ore di riposo alla sorella che comunque non avrebbe sfruttato. Adamante covava qualcosa nel cuore e ben presto ne avrebbe pagato le conseguenze.

Miei signori, questa era Adamante, sorella di Calial la Spietata, le sue mani furono benedette e con esse la stessa fanciulla. Chillah la madre la chiamò ma la sorella mai volle affibbiarle tale appellativo, perché sapeva che nonostante il suo aspetto fragile davanti a sé aveva un’avversaria temibile e che poteva sottrarle il potere e sogni di una vita.

 

Note dell'autrice: Salve! Spero che questo capitolo risollevi un po' le sorti. Certo io vengo da un fandom molto più blasonato di questo, dove le visite schizzano ed in mezz'ora sei in quinta pagina,  però, a me, serve davvero sapere se vi piace questa storia e se devo cambiare qualcosa, o se fa totalmente schifo. Da un lato adoro questo strano silenzio che gira e la calma che vi risiede. Questo mi permette di essere libera di scrivere sopra ogni cosa, ma dall'altro sono molto timorosa, ripeto, per la paura di incappare in qualche errore grossolano.

spiegazioni tecniche: Adamante e Callial appartengono ad una popolazione di guerriere donne: ricorda niente? Comunque si nascondono soprattutto agli abitanti occidentali, e hanno religione, lingua e legislazioni completamente diverse da quelle fino ad allora conosciute. Ne sapremo di più, andando avanti con la storia. Le due sorelle sono molto diverse persino in aspetto: una con la pelle scura, occhi neri, capelli corvini. L'altra pelle pallida, occhi nocciola, capelli castano biondi. Dia damante scopriremo altre cose del suo aspetto che probabilmente vi faranno capire cosa si cela dietro quella maschera e perchè la sorella non vuole che si mostri a Legolas. Un'altra cosa: le parole scritte in sindarin vengono specificate da un S nella traduzione mentre la lingua di Adamante e Callial viene evidenziata dall'italico (meglio conosciuto come corsivo)

Vi auguro una buona lettura!

Sempre vostra

Malice.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO II: Follia. ***


CAPITOLO II: Follia.

L’alba era passata da ore ormai e l’elfo aveva goduto dei benefici degl’estratti del Papavero con polvere sciolta della radice di Mandragora. Le conoscenze officinali della ragazza erano assai curiose. Nemmeno i più saggi guaritori umani osavano utilizzare tali piante, velenose se eccedute, ma la fanciulla non appariva spaventata dalla potenza distruttiva della natura. Quando riaprì gli occhi, Legolas percepì immediatamente il profumo di bucato assieme all’essenza di rosa che levitava poco al di sotto il suo naso all’altezza del petto. Scostò le coperte e con stupore vide le fasce pulite cingergli la spalla. Le iridi, tornate al loro spendente colore, circumnavigarono tutt’intorno a lui notando che altre cose erano cambiate durante la sua incoscienza notturna. Il focolaio era stato spento e la conca di metallo che lo ammaestrava era scomparsa, lasciando al suo posto la casacca lavata e rammendata. La manifattura di tale riparo non era minimamente comparabile alla raffinatezza delle ricamatrici degl’Eldar, tuttavia era meglio che girare tra le guerriere a torso nudo. Tentò di sedersi per poterla afferrare dai piedi del letto ed indossare nuovamente, ma il dolore alla spalla era ancora vivido e pulsante. Ritrasse il braccio cercando di liberarlo dal peso dell’indolenzimento con piccoli movimenti circolari. Non sembrava passare nemmeno con quei gesti, rimanendo sempre presente ad ogni minimo spostamento. Mentre ancora se ne stava seduto fra le coperte dinoccolando la spalla, l’entrata della tenda si mosse. Riconobbe quasi immediatamente le parole arcaiche accompagnate da quella melodiosa voce padrona dei suoi sogni. Perché Adamante adesso regnava nei voli pindarici dell’elfo indiscussa. La fanciulla portava i capelli raccolti in una pesante e lunga treccia da cui poteva ammirare quei riflessi dorati della chioma castana e dagli occhi traspariva la notte di mancato riposo. Trascinavano gli evidenti segni della stanchezza impressa con un lieve cerchio scuro appena visibile da sotto il cuoio, ormai immancabile compagnia del suo viso. La pelle era più pallida del giorno precedente eppure non si risparmiò un delicato e solare sorriso. Era l’unica a compiere tale gesto tra le sue compagne, di solito sempre serie ed arrabbiate con i prigionieri. Invero il principe elfico non era come tutti gl’altri e meritava quindi un trattamento di riguardo, che poteva consistere semplicemente nel non sputare contro la terra su cui camminava. Il disprezzo era una delle più assidue armi di governo utilizzate: per una Gothwin vinya | S - Amazzone |, come venivano denominate da dopo la Visita dell’Astro, odiare l’altro sesso era obbligatorio e quasi inculcato dalle leggende retaggio delle proprie madri, le quali raccontavano la propria presa di posizione contro la schiavitù imposta dall'uomo che rinchiudeva le mogli in una gabbia fatta da un focolaio domestico e tanti bambini. Adamante le vedeva come fisime sbagliate, fatte di leggi ed impliciti obblighi ormai obsoleti, ma aveva smesso da tempo di ribbellarsi a tali regole, si limitava ad una sorta di apatica rassegnazione, comandata dallo sconforto della perdita di una persona cara. Legolas, seppur non aveva avuto molti contatti con le altre guerriere, aveva notato come fosse diversa la fanciulla che si era prodigata alla sua salvezza, iniziando da quella maschera che nascondeva il viso della ragazza. Perché la portava? Non aveva fatto altro nei suoi sogni che togliere quell’artefatto di pelle conciata ma l’unica immagine che vedeva era uno specchio di sé. Il dubbio che dietro di essa celasse uno sfregio di battaglia era sorto, senza provare alcun disgusto, solo una brama martellante di conoscere indiscretamente i suoi segreti. Quella fanciulla aveva distrutto la sua immagine austera di principe elfico, nei millenni in cui aveva solcato il suolo della Terra di Mezzo non aveva mai provato un simile sentimento di curiosità morbosa, tanto da porsi ogni sorta di domanda riguardo solo ed esclusivamente Adamante, sebbene la situazione richiedesse calma e sangue freddo per molti altri motivi. La ragazza aveva scosso il suo remissivo spirito passionale, lo spingeva verso lidi sconosciuti delle emozioni, lo rendeva meno etereo e più umano in un certo senso.

“Ben’alzato, noto con piacere che le mie cure vi hanno giovato!” l’elfo non replicò in alcun modo, troppo occupato nello studio delle movenze di Adamante che si sedette sul ciglio del letto, sollevando la benda dal suo petto per controllare. “Ottimo!" affermò fiera del suo operato "Stanno regredendo, sembra che la convalescenza di voi elfi sia molto più veloce! Callial sarà contenta di poter ripartire presto queste terre sono pericolose e troppo allo scoperto per noi!” l’ultima frase la pronunziò con un tono infinitesimale, con quella zavorra mesta che aveva ogni qual volta il nome della sorella tornava fra i suoi pensieri. Legolas rimase in silenzio, incerto se rivolgere i quesiti nati con l’ausilio della notte. Ricordava la sera precedente in maniera indelebile: le sue sapienti mani muoversi per salvarlo, il proprio linguaggio sulle sue labbra pronunciato con la scioltezza di un pari razza, il suo imperioso comando di non proferire mai il suo nome e quella maschera che non gli permetteva d’ammirare un importante tratto di viso. “Questa mattina, prima di venirvi a medicare, sono passata dal vostro amico per portargli le nuove sulla ferita in via di guarigione …” Adamante prese una ciotola di legno dove riversò dell’acqua e degl’oli essenziali profumati, mescolando gl'ingredienti accuratamente.

“Questa mattina avete detto?”

“Si elfo, siamo nelle prime ore del meriggio, avete dormito molto ma era necessario per evitarvi inutili sofferenze!” la guaritrice sciolse le bende lasciando il petto glabro e dalla pelle di alabastro completamente scoperto. Legolas fu preda di un inutile imbarazzo, che venne subito percepito dalla ragazza come un irrigidimento dei muscoli facciali. La mascella dell’elfo si contrasse, gli occhi ebbero un leggero sussulto, le mani afferrarono la coperta adagiata sulle sue gambe quasi strappandola. “Sono un’esperta delle arti mediche, elfo, non fatevi coinvolgere da sciocchi pudori! Non siete il primo essere maschile di cui vedo le nudità!” un’altra sensazione lo colse che sulle prime non seppe identificare con precisione. Gli appariva come un bollore divampato dal centro del suo petto fino alla mente, di solito lucida e fredda dell’elfo. Probabilmente i freni inibitori erano stati completamente ribaltati dal filtro e dall’unguento che gli erano stati somministrati durante la notte. O, perlomeno, questa era la giustificazione che si diede per quella rabbia inconsulta che era zampillata come una novella fonte al sapere di quegl’occhi scuri posati su diversi corpi che no fossero il suo, quegl’occhi che stavano assumendo sempre più la connotazione di una strana ossessione. Adamante intinse in quel salubre miscuglio una nuova garza di lino pulita, per poi strofinarla con delicatezza sull’epidermide dell’elfo. “Ha un vocabolario davvero …" si soffermò alla ricerca del termine più adatto per poi riprendere con un sorriso. "Colorito, oserei dire!” la ragazza cercò di deviare l’imbarazzo di quel momento con un argomento divertente. Ebbene quale migliore aneddoto, se non l’incontro con Gimli.

“Di chi parlate?” chiese Legolas totalmente rapito dall’indagine che aveva iniziato. Osservava con minuzia ed attenzione ogni particolare del volto cereo di Adamante cercando di trovare una prova di trasfigurazione che probabilmente la costringeva ad indossare quella maschera, l’inizio di una cicatrice, un qualcosa che gli avrebbe confermato le mille teorie indiziarie che continuava a ripetersi. Pensava che con una  vicinanza così stretta, forse, aveva una minima speranza di ottenere qualche risposta in più sul mistero di Adamante. In realtà, escluso l’unico piccolo difetto di un naso poco più pronunciato rispetto al viso magro per quel che gli era consentito di vedere, null’altro aveva scorto. Non contando la sagacia della fanciulla la quale lingua, che sapeva destreggiarsi bene nella dialettica almeno quanto le sue mani erano portatrici di sollievo, riuscì a deviare le perplessità dell’elfo e catturando l'attenzione con altri argomenti per lui di estrema importanza.

“Del vostro compagno nano!” gli angoli della bocca si alzarono non resistendo all’ effusione ilare che quel ricordo provocava, quando Adamante era entrata nella sua prigione portando con sé cibo ed acqua. Mai aveva sentito un tale uso variopinto d’ insulti, quasi era tentata di appuntare tutte le ingiurie uscite dalla folta barba per farne una guida educativa.

“Tipico del mio amico, non sa trattenersi nemmeno di fronte ad una donna!” le note sarcastiche che avevano intrappolato la conversazione, iniziarono ad allietare gli spiriti di entrambi.

“È molto simpatico, ma non lo biasimo se non prova lo stesso nei miei confronti!” il sorriso s’increspava su i visi dei due interlocutori, senza remore o paure. Se non fosse stato per la tensione della situazione ad un estraneo potevano apparire due amici di vecchia data che si raccontavano gli ultimi avvenimenti dopo anni di separazione. “Permettetemi l’ardire, mastro elfo, siete davvero uno strano duo! Singolare sicuramente! ” Il ricordo era si allegro, ma anche altrettanto malinconico. Quando Adamante, disubbidendo alla sorella, aveva rivelato al nano che Legolas era fuori pericolo il suo sguardo aveva perso ogni barriera di durezza e aveva rivelato l’animo gentile che anche un figlio della roccia poteva possedere. Adamante non sopportava vedere ulteriore sofferenza afflitta ai due, tant’è che già dalla mattina aveva deciso di aiutarli con notizie dell’uno e dell’altro, diventando messaggera. S’accostò all’orecchio dell’elfo sperando di far catturare soltanto a Legolas le parole che s’apprestava a pronunciare. “Potrò farvi da tramite, messer elfo ma dovete stare attento soprattutto in presenza di Callial a non rivelare questo segreto. Non voglio rischiare oltre quello che già sto facendo! Ora asciugatevi mentre preparo l’impacco per la vostra ferita, non ci vorrà molto!” quella ragazza rimaneva sempre più un enigma per l’elfo: perché stava cercando di aiutarli se lei stessa aveva contribuito alla loro prigionia? Perché temeva così profondamente l’altra donna? Le domande rimanevano incompiute e prive di replica. La ragazza continuava il suo laborioso operato, intenta nel pestare in un mortaio più erbe dagl’odori variegati e dalle sostanze complicate. Argilla, piccole bacche verdi e nere, foglie rosse, brandelli di corteccia tra cui anche della cannella dal caratteristico profumo. Tutto veniva abilmente rimestato, fino a creare un preparato cremoso e dall’odore tranquillamente sopportabile, seppur leggermente urticante al sensibile olfatto dell’elfo.

“Perché non posso pronunciare il vostro nome?” per la prima volta Legolas riuscì a sbloccare il tormento. Era la prima pietra di una diga, la cui pressione del fiume avrebbe permesso lo sciabordare impetuoso delle informazioni.

“Non sono affari che vi riguardano!” la risposta secca della ragazza lasciò il principe basito.

“Se non ho il permesso di fare una cosa gradirei almeno sapere il perché!” cercò di ribattere mantenendo pur sempre la quiete nei toni.  Invece, sul volto della fanciulla apparvero evidenti segni di frustrazione. Le labbra tirate in una linea dura e retta, gli occhi invasi da un’orda di fuoco, i gesti sempre più meccanici, la voce, quella che più la caratterizzava, diventò d’improvviso atona e priva di ogni inclinazione.

“Voi non avete idea delle punizioni crudeli che possono essere inflitte a chiunque azzardasse opporsi ad un Tessalon e la sua predestinata, non osate neppure immaginare con quale facilità vengono applicate siffatte sanzioni. Basta il solo sospetto di tale infamia, per essere condannate a morte e non importa di quale rango, gerarchia o fregio si è in possesso. L’unione è Sacra e va rispettata sopra ogni cosa! Ascoltate ora, perché non ripeterò la più importante regola: non vi è dato pronunciare alcun nome al di fuori della predestinata, solo Callial potrà risiedere incolume fra le vostre labbra! Per voi io sono la guaritrice e le altre solo delle serve di Artemis!” la freddezza con cui aveva terminato  si disciolse completamente, quando riprese a finire il suo compito, quando cominciò a cospargere la poltiglia medicamentosa sulla spalla. “Nessuno potrebbe avvicinarsi a voi troppo a lungo, se non fosse per la vostra ferita nemmeno io potrei! Non perpetuate nell’insistenza dei quesiti che vi siete posto, una volta ottenuto da voi quello che occorre non ricorderete nemmeno la nostra esistenza!” questo l’elfo non poteva permetterlo. Gli occhi di Adamante l’avevano ricondotto alla luce, non potevano cancellarli dalla sua memoria. Per la seconda volta la pazienza e la calma si trovarono sommersi da sentimenti negativi dimostrati appena sul corpo dell’elfo. La ragazza si rese conto di quel cambio repentino, si affrettò a terminare il suo compito e a raccogliere i suoi strumenti, con il tacito silenzio di chi non ha più nulla da dire per non incappare in un tradimento della mente. Aiutò Legolas a rivestirsi senza mai alzare lo sguardo ad incontrare quello di lui, non voleva perdersi in quell’oceano ceruleo e finire per rivelargli ogni singola omissione. Troppe orecchie erano puntate su di loro, in attesa di responso. Solo un’ultima frase risuonò dalle spalle sottili della ragazza tra le pareti fluttuanti fatte di stoffa della tenda. Legolas non poteva restare così a digiuno di quello sguardo e pregò il Destino di donarglielo per un’ultima volta prima di lasciarlo. “Dirò a Callial di partire con il favore della notte, cercate di dormire fino ad allora e di mangiare qualcosa per recuperare il più possibile le forze, Principe!” anche Adamante sentiva il bisogno di voltarsi, la necessità veniva chiamata da quelle iridi d’argento e cristalline che l’avevano stregata dal primo momento. Con una lentezza esasperante si orientò verso l’elfo che, con un gesto involontario, aveva proteso il busto in avanti quasi pronto a scattare per fermarla e prendere ciò che sentiva spettargli di diritto. “Quel esta! | S – Buon riposo! |” L’elfo non ebbe possibilità di replica che la ragazza era già scomparsa dietro l’uscio. La testa sprofondò greve sul guanciale morbido, rallentando la corsa che aveva iniziato ad intraprendere. Eccessive domande vorticavano all’interno di essa, l’enigma Adamante non voleva risolversi. Può un essere millenario che aveva assistito al mutare del mondo, diventare impaziente in poche ore? Si. Quella era l’unica risposta certa dell’elfo. Ma non solo il giovane antico si stava riscoprendo nuovo, anche una piccola e pallida guaritrice si trovava immersa nei dubbi. La maschera di Adamante era pesante più di un masso, la sciolse da dietro la nuca con un gesto rapido e la gettò tra le mani della guardia che la spiava nelle abluzioni al ferito. Per quanto le rigide regole a cui era costantemente sottoposta le andassero strette, mai si era sentita così a disagio e seccata. Non era il primo mandato che eseguiva, eppure avvertiva un nodo indigesto serrarsi nello stomaco come una valanga ripiegata sul dorso della montagna. Doveva allontanarsi dall’accampamento prima di scoppiare in un urlo liberatorio. Dopo aver spiegato le indicazioni alla combattente di guardia, imponendole di riferire a Callial della sua labile assenza e dell’imminente partenza, la ragazza chiamò il suo destriero con un fischio. Aratoamin l’aveva chiamato - il mio campione - per le sue prestazioni di velocità ben superiore a qualsiasi suo altro simile. Il suo manto era bianco e pezzato da macchie rossicce, due stelle oscure vivaci vi risiedevano come occhi, i muscoli allungati e forti per un destriero dalle dimensioni ridotte rispetto ad un suo fratello di Rohan. Un'animale troppo intelligente per non assecondare solo ed esclusivamente uno spirito simile a quello di Adamante. Avevano cercato d’imporgli la sella, di impartigli ordini con la forza e con le minacce, con il risultato d’imbizzarrirlo sempre più. Aratoamin era nato libero e libero voleva rimanere, a costo di andare incontro alla morte per mano di Callial la sua prima padrona, stanca di dover combattere contro una bestia indomabile, a suo dire. Adamante salvò la sua vita, implorando la sorella di attendere un suo tentativo. Ella entrò in punta di piedi nel cuore del cavallo, avente lo spirito guerriero e fiero. Non gl’impose imbraghi, non le occorrevano per cavalcare, ma conquistò la sua fiducia con la gentilezza e la grazia che possedeva innata. Fu la bestia a scegliere di stare con lei svincolato da ogni obbligo di sudditanza, quando un giorno le permise di salire sulla sua groppa cavalcando libero da sella e morso, perché non avevano bisogno di redini per unirsi. Semplicemente erano due anime comuni, racchiuse in un mondo che non li meritava. Come ogni volta che uno dei due sentiva il bisogno, si ritrovarono a battere le strade sconosciute a tutta velocità. La bestia volava sui suoi zoccoli, saltando gli ostacoli con maestria ed affondando leggero nel terreno sabbioso senza alzare un solo granello di polvere. Rappresentava l’eleganza e la forza, il degno compagno di Adamante. Per molto tempo intrapresero quella corsa finché la fatica cominciò a reclamare le membra della ragazza. Le Terre Brune non offrivano molti punti di ristoro, sicché si doverono accontentare di un  arbusto spoglio. La piccola Adamante finalmente si sentiva sollevata, libera di vivere a modo suo, senza maschere e timori di cadere nei tranelli delle stupide imposizione della sua corte. Socchiuse le palpebre assaporando quell’infinita sensazione di beatitudine, conquistata con la lontananza dall’accampamento. Molte volte da bambina era sfuggita dalla sorveglianza della madre e della sorella per rifugiarsi nella solitudine, dove le voci smettevano d’imporle norme su norme. L’unico momento in cui il suo cuore era lasciato a briglia sciolta, proprio come Aratoamin: poteva galoppare, correre, brucare, dormire se voleva, anche gridare quanto ingiusto era l’obbligo a cui costringevano i prigionieri. Il  torrido e soffocante clima dell’Est cominciava a lambire la pelle di Adamante, ricoprendola di brillanti goccioline d’acqua che, come il suo nome, erano degne imitazioni della sacra pietra preziosa, lacrima di Artemis. Callial aveva sempre odiato la scelta della madre di chiamare la sorella Diamante, vero significato di Adamante, ma lo preferiva a Chillah, fragile, perché di fragile in lei non vedeva nulla. Da quando era nata, si era sempre sentita minacciata da quella pallida figlia di Stelle, ma mai si era rivelata ad alcuno. Adamante avvertiva l’astio latente della sorella ad ogni segno di disprezzo. Da qualche anno aveva cominciato a sperare che le sue vessazioni si concretizzassero e che la sua crudeltà finalmente si rivelasse nella più alta delle forme, concludendosi con la separazione dello spirito della fanciulla dal corpo nel delitto che sopra a tutto voleva compiere Callial. Il riposo stava ancora favorendo le riflessioni della ragazza, quando il suo cavallo iniziò a scalpitare impennandosi sulle zampe posteriori. Il suo nitrito era forte e acuto, come di campane poste in allarme. Adamante si voltò verso di lui rimanendo seduta tra le radici aride dell’arbusto che le fungeva da poltrona.

“Mani marte, Aratoamin? | S - Cosa è successo, Aratoamin ?| ” fu l’unica cosa che riuscì a dire prima che l’estremità nodosa di un bastone da guerra cozzò contro il suo viso. Volò per alcuni metri sulla schiena, il cavallo intervenne immediatamente scalciando scalciando con insistenza l'aria contro le tre amazzoni giunte. Dopo un ordine preciso della padrona, si placò appartandosi remissivo. Adamante sapeva a cosa sarebbe andata incontro con quella sua fuga, anche se si aspettava più la solita sfuriata piuttosto che una punizione corporale. Il cavallo si scostò del tutto lasciando libera la strada a Callial, che, impietosa, afferrò la sorella per i capelli trascinandola con tutta la forza al centro del triangolo. Adamante continuava a tossire e sputare sangue proveniente dal labbro rotto e gonfio.  Non avrebbe avuto nemmeno il permesso di curarsi, come un calzolaio con la suola bucata e senza chiodi. La polvere, la terra, il livido, nulla era pari alla furia che imperversava negl’occhi della sorella. Nelle altre due riconosceva la guardia sua ombra che non aveva smesso di placcarla dalla mattina e Geldena, braccio destro nonché fida consigliera di Callial. Le loro menti erano affini ma Geldena era ancor più subdola e spaventosa. Spesso era lei ad indicare la via della perdizione alla instabile sorella, la manipolava a suo piacimento, sapendo che ovunque Callial sarebbe andata Geldena l’avrebbe seguita. Entrambe insane e crudeli, entrambe avvelenate dalla stessa brama di potere.

“Cosa pensavate di fare, Adamante? Da voi non me l’aspettavo, contravvenire ad un mio ordine diretto! La devo prendere come un insubordinazione da parte del mio stesso sangue?” sputò tutto d'un fiato la spiritata Callial, preda delle più nere tempeste che aveva mai affrontato.

“Non so di cosa tu stia parlando Callial!” Adamante rimase stesa in terra, girandosi su di un fianco per tenere sollevata la testa e non strozzarsi con lo stesso sangue che le colava dalla bocca.

“NON PRENDETEVI GIOCO DI ME!” il grido acuto di Callial arrivò fino all’accampamento. In un gesto furente si prese i capelli mentre sferrava un calcio sull’addome di Adamante. La sua follia finalmente si era mostrata la vera Callial era quella, completamente ottenebrata dalla trasbordante scia di emozioni negative di cui era vittima. Isteria, pazzia, spietatezza, ferocia e molti altri sinonimi si potevano trovare su quella donna invidiosa e vile, che approfittava della sua posizione per esprimere la dittatura basata sul terrore di ogni sbalzo che il suo umore asserviva. Adamante era il capro espiatorio in quel momento. I suoi occhi annebbiati dal velo di lacrime e dolore erano puntati sul suo fido compagno. Muoveva la testa innervosito ma era conscio di non poter intervenire, onde evitare una nuova ragione per ritorcere altre brutalità su Adamante. “Voi avete parlato al nano, come avete potuto! Perché non mancate mai di tradire la mia fiducia!” un nuovo salto nel vuoto, Callial cadde sulle ginocchia accanto alla sorella irrompendo in un pianto disperato avvinghiata al petto di Adamante. Avendo come solo testimoni le due omissive e fidate guardie, si stava completamente abbandonando al suo squilibrio. Le testimoni avrebbero taciuto qualsiasi efferratezza della loro principessa. “Perché sorella, perché non mi amate come vi amo io?” i singhiozzi della donna scuotevano anche la ragazza, che in un gesto spontaneo abbracciò Callial. Era sempre così, la conosceva ed in fondo provava pietà per lei. Il germe della pazzia era stato piantato in tenera età, quando ancora da bambine litigavano per un'inezia. Tutti conoscevano l'altalenante Callial ma nessuno aveva mai osato contraddire la predilezione della regina nei confronti della figlia maggiore, così sanguinaria e spietata da incutere terrore.

“Volevo solo rassicurare l’animo del nano, sorella mia!” la donna continuava a stringere la sorella che intanto carezzava la sua testa posando deboli e dolenti baci sulla nuca per tranquillizzarla “Non ha un carattere facile, lo volevo rendere più …” esitò nel pronunziare quella parola detta soltanto in un frangente di falsa innocenza. Rivolse un fugace sguardo ad Aratoamin che continuava a sbuffare spostando con violenza la sua testa dall’alto verso il basso e producendo versi eloquenti sul suo stato d’animo “ … malleabile, per permetterci una partenza serena!”

“Dovevi chiedermi il permesso!” la lagna con cui parlò Callial sembrava la protesta di un infante. Il tempo la stava rendendo sempre più influenzabile agl’umori.  Adamante sapeva bene usare le sue armi. Non era un’esperta combattente, in campo di battaglia sapeva a malapena difendersi, ma la sua lingua era più affilata di un coltello. Alzò il viso della sorella con due dita sotto il mento imponendo ai suoi occhi di guardarla. Callial si asciugò il viso, sporcandolo ulteriormente con la terra fra le sue mani.

“Non era mia intenzione, mancarvi di rispetto! Ho agito a fin di bene, sorella mia, potete perdonarmi?” usò tutta la dolcezza di cui era empia: i suoi occhi, ancora lucidi, imponevano al suo viso un’espressione prostrata e rammaricata. In quei casi Adamante disprezzava se stessa, mentire e ostentare tale prostrazione alla follia della sorella la rendeva un gradino al di sotto di Callial. Si sentiva sporca, eppure pensò che valeva la pena preservare ancora per qualche giorno la sua vita.  Callial si sollevò sulle ginocchia, esibendo un lauto sorriso per l’evidente asservimento  dell’indomita sorella. Quello era il suo modo di dire che l'aveva perdonata dopo le sue scuse. S’affrettò a dare ordini alle due donne che l’avevano accompagnata in quella spedizione punitiva, saltando sulla sella con la contentezza di quando otteneva ciò che più desiderava. Si miei signori, il sogno più grande di Callial era la completa sottomissione della sorella ed ogni passo che avvicinava tale scopo tornava ad essere allegra e gioviale. Per quanto le costasse ammetterlo, Adamante e le sue capacità erano importanti, per questo non l’aveva ancora eliminata. Non c’era solo il livore della sorella contro cui combattere. Geldena odiava Adamante per ciò che rappresentava: l’evidente ostacolo alla sua supremazia. Se la ragazza avesse ereditato il trono della madre, il destino della Consigliera sarebbe stato quello di pasto per i vermi, probabilmente in esilio e non sul campo di battaglia come si auspicava.

“Potete ingannare lei, ma non me Adamante! La mia testa è ancora sana, voi avete in mente qualcosa!” prima che la ragazza potesse salire in groppa al suo destriero la Consigliera l’aveva afferrata per un braccio e trascinata a sé per poterla osservare dritta negl’occhi in un gesto di sfida.

“Geldena, vi devo ricordare il rispetto che mi dovete? Non vorrete che la mia insana sorella sia costretta a punirvi per le vostre sporche mani sulla mia figura senza la giusta autorizzazione?” la stessa Adamante era libera con la donna di mostrare risentimento al contrario della sorella. Inoltre con lei, usufruiva degl’agi dovuti alla sua posizione di seconda nella linea di successione al trono.

“Non sarà sempre così!” strinse il braccio della ragazza, che la ripagò con uno sguardo ben più truce di quello della sottoposta.

“Dovete imparare dove è il vostro posto, mia cara Geldena, se volete ve lo indico io:  dietro di me!” con uno slancio Adamante si sollevò da terra posizionandosi sulla groppa di Aratoamin, il quale s’impennò, prima di correre verso l’accampamento quasi del tutto smantellato. La partenza era molto più che imminente.

Miei signori permettetemi ora una pausa, lasciate che il luppolo possa irrorare la mia gola, arsa per il troppo cantare, ma attendete, ve ne prego, perché la storia ora diventerà ancor più chiara. La bella Adamante inizierà un percorso assai difficoltoso, alimentato da una delle più grandi forze motrici esistenti in natura. Vi chiedete cosa? Ebbene, pazientate il mio ristoro ed io vi svelerò cosa in Adamante fece scattare la scintilla della ribellione.  

 

Note dell'autrice: Buona sera miei compagni d' avventura! Abbiamo scoperto quanto è folle la sorella di Adamante. Callial fa paura nella sua pazza ed insana vita. Ma guardate un po' c'è qualcuno di più spaventoso alle sue spalle: Geldena (la g si pronuncia alla tedesca, dura come ghiro per intenderci.). I cavalli delle amazzoni somigliano alla razza araba, che è molto più piccola delle altre razze per questo sono molto veloci e agili.

Rispondiamo alle recensioni:

corsara_andalusa: Grazie mille per i tuoi complimenti! Avevo proprio paura ad addentrarmi in questo mondo così ben esplorato e venerato. Quindi la tua approvazione è molto importante per te questo nuovo capitolo!

Alchimista: O Mio Dio! Per tutta la produzione di Tolkien! Grazie mille! Ci tenevo moltissimo a tenere l'IC dei protagonisti, per me il Signore degl'anelli risulta intoccabile, anche se Legolas sarà scosso come un'uragano dalla piccola Adamante. Comunque per scoprire di più bisognerà andare avanti con la storia tutta impressa nella mia malata testolina. Il fatto che tu ti stupisca delle recensioni, bhè insomma sono nuova del fandom di Tolkien e forse anche questo ha influito, visto che i lettori sono molto più oculati rispetto ad altre sezioni (te lo posso assicurare), quindi magari è più difficile ricevere recensioni, magari più in là saranno prolifiche e mature. Insomma spero di conquistare altri lettori come te. Ahi ahi, hai colpito il mio tallone d'Achille, la punteggiatura! ho sempre avuto difficoltà nel posizionarla, questo perchè scrivo di getto e spesso mi dimentico dei tastini in fondo a destra (me tapina) comunque cercherò di essere ancor più attenta nell'utilizzo di virgole punti ecc.  e presto rivedrò anche gli altri capitoli. PS: sono contenta che ti sia affezionata ad Adamante e vedo che hai già inquadrato il personaggio anche se c'è qualcosa di lei che ancora non sapete. E' importante che la protogonista attragga, sennò la storia perde di senso!^^ Continua a seguirmi e a elargire consigli, io sono qui con gli occhietti vispi e spalancati ad ogni critica costruttiva.

Vi auguro a tutti buona lettura!

Sempre vostra Malice.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO III: La lunga via del Rhûn. ***


CAPITOLO III: La lunga via del Rhûn.

I cavalli erano ammassati in una fila ordinata seguendo il triangolo delle cariche più alte. Alla testa Callial la Spietata, che con sé portava Legolas legato con le mani dietro la schiena. Geldena la Consigliera  prendeva posto alla sua destra poco più indietro come seconda combattente ed a manca, parallela a Geldena, si trovava Adamante la Guaritrice. I loro manti erano ornati da selvagge pellicce d’ermellino, i loro volti celati da cappucci sollevati sulle teste. Dietro quel diamante di vigorose guerriere, il complesso sciamare del pellegrinaggio delle Amazzoni si distorceva come le spire di un piccolo serpente, composto da un centinaio di elementi. Quella era la colonna in marcia delle Ombre, che conduceva il bottino in terre amiche cuore delle loro dimore. Un elfo ed un nano, l’uno chiamato per uno scopo, l’altro usato semplicemente come premio di una futura estorsione. Gimli si trovava molto più addietro rispetto al suo amico, spogliato della sua armatura pronta per diventare merce di scambio con gli unici a conoscenza dell’esistenza delle Amazzoni. Più fazioni dei Variag, abitanti del Khand a sud di Mordor, intrattenevano grandi e particolari commerci con le figlie della Notte mantenendo saldo il loro stato di segretezza, non per stima semplicemente per usufruirne loro stessi. Infatti a nessuno era dato sapere il perché delle periodiche migrazioni di Variag verso il Nord oltre il mare di Rhûn. Erano uomini senza scrupoli con il solo scopo di creare un esercito di guerrieri perfetti, ma di questo ci occuperemo più tardi quando altre spiegazioni saranno necessarie, miei amici. L'andatura era ancora cauta e circospetta nelle desolate terre che conducevano al Rhûn e l'elfo potè rimirare il bel viso della Guaritrice deturpato da un rigonfiamento malsano. Nulla poteva sfuggire alla vista acuta di Legolas, che sulla sua Adamante aveva visto l’ecchimosi vistosa  propagatasi dal labbro inferiore ferito e tumefatto fino al mento. La maschera che sempre portava non poteva nascondere il suo tentativo di fuggire agl’occhi vitrei e preoccupati dell’elfo quando, per un caso fortuito, aveva incrociato i suoi. La visione di quelle lesioni sul suo incarnato pallido e luminoso come una stella, provocava nell'elfo un'ira inconsulta più per la sua condizione d'impotenza nel non poter proteggere la piccola guaritrice. La bocca di Legolas stava per dischiudersi a chiedere spiegazioni, guidato dalla indescrivibile voglia di alleviare le sofferenze della gentil fanciulla ma l’arguta Adamante lo precedette invocando il nome della sorella, la quale si voltò infastidita da quella interruzione improvvisa.

“Callial, ho sentito dei tumulti tra le ultime file!” i sensi della ragazza erano i più sviluppati nelle Ombre: talvolta, con le giuste condizioni, era in grado di ascoltare anche a distanza lo spezzarsi di un osso o il cadere di una foglia. Un ulteriore motivo per cui Callial non poteva liberarsi di lei, troppo utile per tendere imboscate. La sorella conoscendo Adamante e le sue capacità si fidò ciecamente, acconsentendo all'allontanamento della sorella dalla testa del convoglio. Non aveva nessuna voglia di avere indosso gli sguardi pietosi dell’elfo, trovando  nella sua mente la prima scappatoia per potersi distanziare dal posto che il suo ruolo le imponeva; in realtà la fanciulla non aveva sentito alcunché, quella era una scusa per potersi distanziare senza che la sorella indagasse eccessivamente. Appena ottenne il permesso, sussurrò al suo fido compagno destriero di voltarsi e correre. Il modo di cavalcare della ragazza era inequivocabile: nessun legaccio era appeso alla bocca del cavallo, l'andatura spedita e dritta, impettita senza alcun sbilanciamento, nonostante le sue gambe fossero a contatto con il solo manto equestre. Non sentiva il bisogno di sostenersi con le mani, tanto che avrebbe potuto scagliare frecce senza smettere di rimanere in groppa al suo destriero e non impartiva ordini con calci sul ventre della bestia, ma con parole sussurrate nel corso dei secoli ad altri della sua specie. Appena gli zoccoli contro il terreno del trotto leggero di Aratoamin scomparvero tra la folla di cavallerizze del tratto principale, Callial si rivolse alla sua destra parlando con soddisfazione del permesso che la sorella aveva chiesto prima di agire. Nonostante l’uso dell’arcaico linguaggio, Legolas percepì ogni sfumatura di quel discorso. Cominciava ad abituarsi ai suoni ed alle inclinazioni e sebbene i significati gli rimanessero ancora completamente oscuri, afferrava il generale senso dei discorsi. Quel segno pisto che portava Adamante sulla pallida pelle era evidentemente la punizione per una qualche sua disubbidienza, probabilmente per lo stesso motivo per cui Legolas non doveva lasciar sfuggire nulla sullo scambio d’informazioni fra l’elfo e il nano con a tramite Adamante. La ragazza continuava a percorrere il verso contrario alla marcia della fila, lei voleva semplicemente continuare il viaggio inosservata mettendosi in coda, non immaginava la sua reazione ad una scena disgustosa ai suoi occhi.

Sell, nuk! | Veloce nano! |” urlava la donna in sella, mentre trainava con forza Gimli tenuto con una corda per le mani. Lo tirava come si fa con un cane disobbediente, ingaggiando una serie d’ ingiurie e villanie nei confronti di lui e la sua razza. Il nano non rispondeva cercando di tenere il passo. Purtroppo il suo fisico robusto non gli permise di resistere a lungo, inciampando per finire nel fango. Le risa e gli scherni in quella lingua incomprensibile, umiliavano sempre più il povero nano obbligandolo a limitarsi a semplici borbottii sommessi nella sua di lingua. La guerriera che teneva la corda come un guinzaglio scese da cavallo, inveendo contro di lui mentre ancora cercava di risollevarsi da terra. Lo strattonava di continuo e con violenza aggiungendo ulteriori difficoltà a quelle già evidenti. Adamante non resistette e richiamò la donna, strappandole la corda che teneva tra le mani e chiedendo una spiegazione a quel comportamento incivile. Il Portatore della Ciocca non capì nulla dello scambio crescente di battute tra le due, tranne che Adamante provava a convincere la guerriera a cedergli la sua custodia per portarlo in sella con sé, indicando ripetutamente Aratoamin con mosse concitate delle braccia. Per lei era inutile cercare di trascinarlo anche a passo d’uomo, troppo stanco per le condizioni disagevoli in cui versava e troppo inadatto per l’altezza esigua delle sue gambe. L’altra aveva risposto con una risata insolente, seguita dalle sue compagne che ora si prendevano gioco anche di Adamante. Un galoppo pesante, raggiunse il trambusto creato dalla discussione delle due amazzoni. Callial smontò da cavallo prima che s’arrestasse, raccolse al volo il bastone da guerra lanciato da Geldena. Tutto avvenne velocemente: Callial si affiancò con occhi furenti alla spalla destra della donna e con un montante ben assestato sul mento la fece indietreggiare; poi, in un movimento fluido come se fosse la più antica delle danze, si voltò su sé stessa utilizzando il piede destro come perno, solo per poter affondare l’altra estremità del bastone dietro alle ginocchia della guerriera che, subendo il colpo con un rumore sordo della sua voce, cadde genuflessa ai piedi della Guaritrice. Callial prese per i capelli la donna, tirando con forza la testa all’indietro e con i denti esposti ferini. Sibilò nel suo orecchio che se solo si fosse nuovamente azzardata ad offendere un suo superiore le avrebbe tagliato la gola, dopodiché lanciò letteralmente la sua testa contro il suolo con sprezzo. Adamante era rimasta impietrita da tale dimostrazione di violenza gratuita. Fissava con occhi sgranati la donna malmenata e completamente prostrata ai suoi piedi, cercando di scacciare il conato di disgusto che aveva provato per quella violenza di cui era stata testimone. Se era lei stessa a subire le percosse non se ne interessava, ma quando le vedeva applicare ad altri la sua pelle diventava irta e la saliva risultava difficile da deglutire. Callial si sistemò il copricapo caduto sulle spalle raggiungendo la sorella. Le prese il mento con forza e la costrinse a guardarla.

“Potete portare con voi il nano ma rimarrete tra le ultime file!” sussurrò con voce suadente, mentre gli occhi della ragazza vagarono alla guerriera che si stava risollevando aiutata da una sua compagna. Callial strattonò nuovamente le guance di Adamante fino a farle male. Un gemito di dolore le morì in gola quando le dita pigiarono con più insistenza sull’ematoma scuro sotto il labbro. “Dovete farvi rispettare, tu sei figlia di regina!” le diede una pacca sulla spalla prima di rimontare sul cavallo dove Legolas assisteva con lo stesso sguardo fatuo che aveva Adamante, la quale si riscosse dal torpore per aiutare il nano a salire su Aratoamin. Salì dietro di lui rimanendo in silenzio ancora scossa per la scena di cui era stata protagonista.

“Suppongo di essere in debito con voi, piccola strega!” Gimli chiamava Adamante con l’appellativo di strega non nel senso dispregiativo, ma per le sue capacità di guaritrice. Durante il loro incontro aveva imparato ad apprezzare le doti della fanciulla e soprattutto la sua voglia di aiutarli in quel soggiorno forzato con il suo popolo. Non era bravo con le buone maniere, però sapeva discernere bene le sue amicizie ed aveva persino imparato con il tempo ad andare al di là delle apparenze e dei pregiudizi. Non si fidava in maniera assoluta, però aveva riconosciuto in lei l’unica ancora di salvezza in quella pazzia.

“Sono io in debito con voi nano, non avrei mai dovuto lasciarvi in custodia di una come Teara, non nutre stima nemmeno per se stessa non si può pretendere che la abbia per gli altri! Così oltre a nuocere a voi, ho fatto punire anche lei!” la sensazione amara che Adamante provava l’avvertì anche Gimli che alzò gli occhi al cielo.  A furia di stare con orecchie a punta, si sentiva un po’ rammollito pensando che il senso di protezione che quella ragazza ispirava era solo l’influsso malsano dei modi di fare da galantuomo dell’elfo.

“Ah! Non dite sciocchezze!” sbottò all’improvviso più per la stizza provocata dal suo evidente tentativo di rincuorare Adamante che per la natura della conversazione. Insomma, lui era Gimli lo Spargi – Sangue, non un damerino. Però in fondo non gli costava molto essere gentile. “Quella donna vi doveva rispetto!”

“Ma quella di cui siamo stati testimoni è solo il sintomo della paura, non del rispetto!” l’andatura ondosa del cavallo ed il soffocato affondo dei passi nel terreno, diventò l’unico mormorio udibile nel lungo serpente. Il viaggio durò abbastanza da rendersi insostenibile. La mandria di genti che si muoveva era bene attenta a stare alla larga da centri abitati, si accampavano poco e velocemente ed i tratti in cui viaggiavano tendevano a farlo cercando di passare in luoghi ostili alla semplice sopravvivenza. Attraversarono le sterpaglie delle Terre Brune dove risiedevano soltanto piccoli acquitrini melmosi e radi sprazzi di erba rinsecchita. Nessuna delle Amazzoni sembrava essere comprovata da tali intemperie, alternanado le gelide notti di cammino alle roventi giornate influenzate dai venti dell’Est mietitori di ogni forma di vita. La natura di elfo di Legolas gli permetteva di non essere totalmente scosso da tali cambiamenti climatici anche se la ferita metteva a dura prova la sua resistenza. Gimli invece non faceva altro che borbottare come il coperchio di un pila ricolma di zuppa di legumi sopra il fuoco da ore. Chiedeva in continuazione ad Adamante della sosta successiva, dell’acqua, se mai sarebbero giunti a destinazione. La guaritrice trovava il nano molto divertente con i suoi continui lamenti, a differenza delle sue commilitrici che lo trovavano irritante e lo ritenevano un inutile peso. Nessuna però aveva il coraggio di andare contro Adamante dopo l’avventura di Teara. Lo scenario con lo scorrere del tempo non mutava: nessuna brezza fresca accarezzava i volti stanchi, il paesaggio non era più vivo di un cimitero e la terra battuta dagli zoccoli dei destrieri sembrava sempre più arida. Tra le Amazzoni vigeva il più ligio silenzio, si muovevano come spettri il più delle volte di notte, anche se l’urgenza di tornare nella propria dimora premeva sulle volontà delle guerriere e le costringeva a muoversi anche con il sole alto. I giorni passavano sempre uguali, finché il calore insopportabile si fece più rarefatto inumidito dalla fresca brezza salina e l’aria, seppur afosa, diventò meno soffocante. Il trotto delle Amazzoni accelerò e con esso anche la trepidazione delle guerriere e la loro avanzata si fece inarrestabile. In meno di una settimana costeggiarono il Mare di Rhûn, le soste divennero meri miraggi, mentre l’ariete composto dalla marmaglia sempre più ordinata aveva intrapreso lo scatto finale. In breve si ritrovarono  nella regione di Agasha Dag, dove le grandi foreste temperate fungevano da nascondiglio al popolo sconosciuto delle Ombre. Una moltitudine di  fusti alti e freschi, si ergevano come valorosi soldati a riparo della popolazioni delle Amazzoni. La notte aveva già lasciato il posto del giorno quando da Callial un urlo simile ad un verso di un uccello le uscì dalla gola. Dal nulla provenne la risposta con un gloglottio diverso. Quel colloquio fatti di codici e versi s’interruppe improvvisamente quando una pioggia di guerriere scese dagl’alberi. Avevano finalmente raggiunto la loro terra madre, lontana dall’universo conosciuto e dimenticata da tutta la Terra di Mezzo. Lo spettacolo che si presentò di fronte agl’occhi nostalgici di Gimli lo ricondussero a Caras Galadhon, quando la Dama Bianca lo aveva onorato di quel dono prezioso, la ciocca proveniente dalla sua aurea chioma. Solo uno sguardo attento poteva vedere le abitazioni infossate nei grandi alberi. Dei sottili ponti composti di assi e corde collegavano ogni capanna scavata nei tronchi secolari di querce e sequoie, convergendo verso il centro raccolti da un grandissimo tronco talmente nero da sembrare Barad Dûr prima della Guerra dell’Anello. I suoi maestosi rami erano totalmente spogli, a differenza degl’altri alberi che dimostravano fieri le rigogliose fronde verdeggianti. La prima a scendere da cavallo fu Callial che andò incontro ad una donna forte e vigorosa, che portava sul viso i primi segni dell’età avanzata. Il suo corpo era cinto da una veste ocra fino ai piedi, i capelli scuri accuratamente intrecciati erano adorni con piume variopinte e perle, una collana preziosa pendeva dal collo gravando sul petto. Ella era Amarah, attuale regina delle Amazzoni.

“Madre!” esclamò Callial con una strana dolcezza nella voce,  prima di baciare la mano della donna ed inchinarsi al suo cospetto. Adamante intanto avanzava fino a raggiungere il suo posto. Fu molto meno impaziente della sorella e scese da Aratoamin non provocando alcun rumore giungendo a contatto con il suolo. Camminò calma e pacata verso la regina, che intanto aveva teso la mancina a cui la ragazza riservò lo stesso trattamento che la sorella aveva avuto con la destra. Lo sguardo nero della donna su quell’incarnato olivastro era vivo e colmo di anni ed esperienza, traspirava una  saggezza interessante ma allo stesso tempo amore per le due figlie devote. Legolas in quello sguardo riconobbe alcuni aspetti di Adamante. Le invitò ad alzarsi carezzando i visi di entrambe, portandole alla sua altezza. 

“Figlie mie, ho aspettato con impazienza il vostro ritorno!” una lacrima si gonfiò sulle ciglia della donna realmente commossa dalla presenza delle due, ma non sfuggì al controllo dell’integerrima  sovrana. Dopo i primi convenevoli prese delicatamente il viso di Adamante ruotando il livido a favore della sua vista. “Cosa è successo Chillah, avete avuto uno scontro fra di voi?” Amarah non era una stupida e sapeva riconoscere le ferite dovute al bastone da lotta. Adamante sorrise a mezza bocca alla regina e fissò la sorella che aveva una strana luce di paura negl’occhi. La regina non voleva in alcun modo che si picchiassero fra di loro e quando ancora erano poco più che bambine l’aveva punita innumerevoli volte per aver alzato le mani sulla sorella minore.

“No, madre! Stavo correndo con Aratoamin, quando mi ha disarcionato spaventato da una serpe!” come se il cavallo avesse capito la menzogna della padrona, sbuffò con un nitrito muovendo nervosamente la testa. L’elfo sorrise alla reazione dell’intelligente animale e si trovò d’accordo con lui nella sua protesta. Adamante invece lo guardò di traverso, ostentando un palesato rimprovero.

 “Quel cavallo è pericoloso Chillah, devi stare più attenta!” la ragazza annuì alla madre contenta che fingesse di credere alle sue parole. La regina posò una mano sulla spalla della guaritrice per poi tornare con lo sguardo all’altra figlia “Deduco dalla maschera di tua sorella che sei riuscita a trovare ciò che cercavi, figlia mia!” Callial si aprì in un sorriso pieno e le sue palpebre iniziarono a tremare, fluttuando con insistenza. 

“Oh, madre è perfetto, sono riuscita a trovare un principe elfico!” l’eccitazione della donna era assai infantile, fiera di poter mostrare la sua bravura prese la mano della madre conducendola al destriero dove Legolas si trovava. Alzò un palmo verso il cielo indicando così l’elfo “Questo è Legolas Thranduilion, madre ha fatto parte della Compagnia dei Nove, sicuramente un valente guerriero!”

“Quindi tu sei il figlio di Thranduil, bene Legolas benvenuto nel nostro regno!” disse la regina  reclinando la testa. L’elfo non si mosse rimase fermo senza proferire parola attento a quei modi di fare così simili ad una rozza imitazione di una grande corte. “Ottimo lavoro Callial, hai ragione è perfetto!” tornò alla figlia prima di rialzare lo sguardo alla sinistra dove Gimli si trovava ancora in groppa a Aratoamin “E il nano? Perché è con voi?” chiese visibilmente incuriosita da quella strana presenza. Gimli sbuffò sonoramente irritato,  la sua pazienza era già stata messa a dura prova dal viaggio, non voleva assistere alle spiegazioni della pazza Callial.

“Madre …” intervenne Adamante con una nota spezzata nella voce “… l’elfo ed il nano viaggiavano insieme, sono legati da una fraterna amicizia per quanto assurda che sia …” Legolas aveva percepito già dall’inclinazione dei i toni il tentativo di Adamante. Per le Ombre ogni cosa inutile era da eliminare, per questo doveva giustificare la presenza di Gimli che, alla spiegazione della Guaritrice, schioccò la lingua contro il palato esprimendo tutto il suo dissenso. Sia l’elfo che la ragazza lo fulminarono contemporaneamente con gl’occhi, tanto che la scena poteva risultare comica in un certo qual modo. “ … possiamo lasciare libero l’elfo di vagare per le nostre terre. Non si allontanerà senza il nano.” Amarah abbandonò il viso al suolo ponderando i pensieri di sua figlia. Sapeva bene che la sua Chillah non si sarebbe mai esposta se non fosse stata assolutamente certa di quel che diceva, era troppo riflessiva per proferire scempiaggini.

“Se posso permettermi, mia signora …” disse Geldena smontando anche lei da cavallo. Adamante avvertì un brivido di terrore correrle lungo la spina dorsale, la vide avvicinarsi con uno strano ghigno soddisfatto. Anche Legolas sentiva una strana angoscia montargli mentre il nano muoveva gli occhi tra l’elfo e la ragazza, notando la loro ansia crescente. “… non sarebbe opportuno lasciare l’elfo completamente libero di muoversi, dovrebbe essere sotto la custodia di una di noi!” la regina si trovò in accordo con la Consigliera, che intanto le aveva baciato la mano genuflettendosi in segno di rispetto alla sua autorità.

“Penso che Callial sarà …”

“Non intendevo Callial, mia signora! Sapete che con i preparativi e gli oneri di vostra figlia non potrebbe prestare la giusta attenzione ad un nuovo compito così importante.” Geldena dedicò la coda dell’occhio alla Guaritrice in preambolo alla scelta migliore per lei. Adamante ingoiò il rospo ancor prima che venisse pronunziata la sentenza. Quella vipera sapeva riconoscere bene i segni ed aveva deciso di far cadere Adamante nella tela del ragno.

“Geldena, sai bene che la legge parla chiaro! I contatti con il Tessalon di una futura Regina devono essere assolutamente limitati allo stretto necessario.” la ragazza cercò di distruggere le sicurezze della Consigliera, che invece stava affinando le sue armi per potersi definitivamente liberare del pericolo più grande.  

“Cara Adamante, tu hai avuto già un contatto prolungato con l’elfo a causa della sua ferita non ti sarà difficile sorvegliarlo, in fondo sei una guaritrice e sei perfetta per quest’impegno!” la falsa gentilezza rappresentava la più grande esca della Consigliera. Era per questo che Callial l’aveva voluta a corte, spingendo la madre a prenderla come consigliera nonostante le sue origini plebee.

“Geldena ha ragione, non voglio che Callial si senta troppo sotto pressione! Chillah sarai tu a sorvegliare l’elfo! Se è vero che il Tessalon è stato curato da te, non sorgeranno problemi!” la regina voltò le spalle ripercorrendo i sui suoi passi per poi ritornare alle sue figlie allungando il braccio verso la maggiore. "Vieni Callial, andiamo in casa e raccontami della tua impresa e del perché il tuo Tessalon è stato ferito." Iniziò ad impartire ordini come Callial faceva di consueto. Il nano venne trascinato in una cella vera, uno spazio ostico ed angusto ubicato poco al di sotto del livello del suolo la cui unica fonte di luce era una fenditura in alto sulla parete di fondo. In un angolo si trovava una branda con una coperta polverosa mentre il pavimento era tappezzato di fogliame secco, quasi più comodo del bitorzoluto giaciglio. Gimli si convinse che era meglio quello che il dormire cavalcando, oppure rimanere legato ad un palo. Sollevò la cintura sistemandosi nel migliore dei modi e si perse nel desiderio di poter ancora assaggiare della buona foglia pipa. Differentemente all’elfo era stata riservata una delle stanze del palazzo scavato nel grande tronco scuro, dall’aspetto rurale e bucolico: il letto era morbido fatto di soffici piume, del velluto rosso e verde ricopriva le pareti e le finestre. Ogni oggetto era ricavato dal legno ed aveva un aspetto raffinato ma allo stesso tempo grezzo. Non riusciva a capacitarsi di che guaio orribile erano finiti, anche se sicuramente il povero Gimli stava peggio di lui. In quel momento, quando tutto sembrava correre, non trovava alcun punto fermo se non la piccola Adamante. L’elfo non aveva mai smesso di pensare ad entrambi, i loro due volti si fronteggiavano in una gara quasi alla pari. Non conosceva la Guaritrice così a fondo da potersi completamente affidare a lei, eppure era quello che aveva fatto dalla prima volta che l’aveva vista, quando nella foresta di Fangorn le sue mani avevano vagato sul suo corpo. Forse perché in lei leggeva quel profondo senso di disagio e agonia provocato dalla stessa condizione in cui era incappato lui stesso. Da ore si trovava seduto sul ciglio del letto, con le mani congiunte sostenendo la fronte. Non voleva rimanere così immobile ed inerme ad aspettare il mutare degl’eventi, doveva trovare un modo di trascinare via Gimli ed Adamante da quel posto. Solo la notte imminente sarebbe stata portatrice del giusto consiglio: non era prudente, ne tantomeno salubre, agire senza un piano ben congegnato. Immerso nei suoi pensieri non si accorse del vociare proveniente dall’esterno. Il suono era quello melodioso e delicato che non smetteva di tormentarlo, la voce della bella Adamante. Scostò un pesante tendaggio notando che l'apertura dava su un piccolo parapetto rivolto ad un giardino selvaggio, costeggiato da gabbie piene di uccelli appartenenti a diverse razze e colori. La Guaritrice si guardava all’interno di uno specchio artificiale d’acqua, osservando accuratamente il livido violaceo che tardava regredire. Se solo avesse potuto fare degl’impacchi di valeriana e calendula per alleviare l’indolenzimento della parte lesa sicuramente il suo colore sarebbe stato meno evidente. Invece no, doveva  portare quel segno come monito per chi avanzasse l'ardire di contraddire sua sorella, così come doveva indossare la maschera per tutto il periodo in cui l’elfo avesse albergato a palazzo. La mascella risentiva ancora dell’incontro con il bastone, poteva avvertire la sofferenza pulsare sotto il suo tocco. Nel pensiero della dolenza fisica allungò una mano sul ventre piatto. Quante preghiere gli aveva rivolto nelle notti solitarie che seguirono l’unione, quando la madre l’aveva nascosta nel tentativo di farla diventare la prima erede. Non aveva avuto più lacrime da allora e non poteva più versarne. La definitiva resa della forza di Adamante.  

“Dimmi la verità: è stata lei, Chillah?” troppo assorta nelle rimembranze non si era accorta delle carezze della regina. Le scostava una ciocca di capelli ribelle che le incorniciava il viso dietro l’orecchio, per poter osservare meglio il labbro tumefatto. Né Adamante né tantomeno Callial potevano vantare il privilegio di avere avuto una vera madre se non da pochi anni, quando l’età aveva cominciato il suo lento decorso e permetteva alla regina di essere meno occupata con la rigida vita imposta dalla corte a cui appartenevano. Amarah rimaneva comunque la sovrana di un regno molto precario, sorretto da rigidi dettami imposti dalle loro stesse ave, ogni suo aspetto poteva essere considerato una debolezza cosa che la costrinse a negare troppo spesso l’amore per il suo stesso sangue.

“Cambierebbe qualcosa?” la regina aveva visto la figlia cambiare così tanto, il suo spirito ribelle era sempre presente ma da quella notte non era più battagliero come un tempo. Nel suo cuore aveva segretamente nutrito la speranza che quella natura selvaggia la guidasse fino al suo trono. Si ripeteva ogni giorno quale grande sovrana sarebbe stata Adamante, con quella purezza e saggezza dovute alle candide origini. La discendenza però poteva essere cambiata in un solo modo, lo stesso che aveva condotto all’apatia l'amata figlia. La sovrana riempì i suoi polmoni d’aria e del suo profumo, quell’aroma prelibato di fresie che avvertiva sulla pelle della guaritrice e rievocatore del ricordo lontano dell’unica gioia della sua esistenza, quando la lacrima di Artemis era giunta a lei come figlia. Tutti pensavano che la prediletta della regina fosse Callial ed invece Adamante era il vero gioiello; la sorella instabile era semplicemente la più bisognosa. Da una gabbia si scosse un forte battito d’ali ed un versetto squillante. Entrambe si voltarono notando che il falco pellegrino aveva cominciato ad agitarsi. Era sempre stata una passione di Amarah quella di collezionare rari pennuti e li trattava con molto più affetto di quanto riservasse alle figlie. La regina si mosse verso la gabbia del falco, facendolo adagiare sul copri braccio  rigido che portava sulla destra.

“Mani uma lle merna, Goshawk? Lle anta yulna en alu?  | S – Cosa vuoi, Goshawak ? Hai bisogno di bere un po’ d’acqua?   |”

“Perché?” chiese la fanciulla non potendo più sostenere la visione della madre persa nelle cure del suo giocattolo. Tornò a guardare nello specchio d’acqua con una nuova sensazione nel petto: rabbia. Non aveva bisogno di mani legate per sentirsi in  trappola, era una vittima dei giochi di stato di una comunità affine a sé stessa.

“Cosa c’è Adamante? Cosa ti turba, figlia mia?” a quelle parole fu sopraffatta da tutto il risentimento che nutriva nei confronti di Amarah. Ora che finalmente era sola con lei poteva sputare fuori tutto quello che aleggiava nel suo cuore.

“Ve lo chiedete, mia regina?” il petto di Adamante si alzava ed abbassava affannato da tanto livore coltivato nel tempo, era dura per lei trovarsi ad affrontare una sovrana che tentava di fare da madre, non le importava la punizione a cui sarebbe andata incontro, il suo spirito ne aveva bisogno e quindi rigurgitò un fiume di parole cariche di acredine. “Voi mi avete rovinato più volte per i vostri giochi di potere, mi tenete rinchiusa qui sapendo benissimo che questo mi fa soffrire, ogni giorno sono costretta a sedare una mente malata solo per compiacere il vostro ego di madre fallita! Voi con tutte le nostre ave vi siete fregiate del titolo di liberatrici quando siete le prime carceriere!” a quei toni carichi di astio Amarah reagì. Dai suoi occhi era scomparsa ogni traccia di benevolenza, la rigida sovrana delle Ombre aveva preso il posto della madre di Adamante.

“Queste sono le leggi che devi seguire, tu come principessa più delle altre! Sarai soggetta al mio volere fintanto che sarà necessario!” per un attimo la regina fu compiaciuta dell’animo ardito della figlia, che stava rispuntando come un fiore nella gelida neve che la riscopriva da troppo ormai.

“Quanto ancora vi sentirete in diritto di scegliere la mia strada?”

“Adamante, la tua strada è stata scritta alla tua nascita, sei una di noi e come tale devi rispettare me e il popolo che t’appartiene!”

“Il popolo che m’incatena come i vostri rapaci volete dire! Liberateci da queste catene, consentitemi la libertà!” con due grandi falcate la Guaritrice raggiunse la madre mostrando i polsi incrociati e legati da catene fittizie ma reali. Amarah depositò il suo pregiato falco di nuovo in gabbia chiudendo lo sportello come risposta. La guardò negl’occhi per qualche istante ritrovando nuovamente quella fiamma bianca e distruttiva che vedeva nella figlia quando veniva travolta dalla passione. Qualsiasi cosa l’avesse fatta reagire doveva soltanto essere benedetta da Artemis.

“Ricorda che devi sorvegliare l’elfo, qualsiasi cosa accada sarà sotto la tua responsabilità e ne pagherai le conseguenze!” Adamante abbassò lo sguardo sconfitta, il peso dell’ordine rinnovato ricadde sulla sua testa e s’aggiunse alla impaccio  della maschera che le occultava la parte superiore del viso. Era in trappola e lo sarebbe stata per sempre. La regina aveva lasciato da sola l’indomita figlia, per lei la perfetta sovrana del suo regno nascosto. Invece per Adamante esisteva solo un sogno irrealizzabile, quello che l’avrebbe sciolta da ogni vincolo, libera di aprire le sue ali e volare. Legolas aveva assistito a quello scambio dal piccolo ballatoio nascosto nell’oscurità delle sue stanze. Aveva sentito bene la pronuncia perfetta della regina il suo modo di parlare come Adamante agl’animali, ma non poteva distogliere la sua vista da quell’orribile sfregio e da quella maschera che sembrava esserle stata cucita sul volto. In quel momento sentì solo il bisogno crescente di stringere la piccola figura di Adamante a sé, di rivelare la sua brama di volerla portare lontano da tutta quella violenza, voleva con tutto se stesso osservare nuovamente il lieto sorriso nascere spontaneo sulle labbra, voleva gridare il suo nome, voleva strapparle quella barriera sul suo viso. Quel turbinio di desideri erano un miscuglio esplosivo che poteva riassumersi in un sola ed unica espressione: la voleva con sé per tutta la sua eternità. Quando Adamante si voltò incontrò lo sguardo ceruleo di Legolas incuneato in quel viso perfetto. La sua vista così sviluppata le permetteva di osservarlo nonostante il suo ritrarsi nell’ombra. La costante repulsione per il suo popolo non era stata così viva fino a quando le leggi non avevano toccato lui. Tutti pensavano che la dissennata fosse Callial, ma nessuno sapeva quello che nel cuore di Adamante stava nascendo. L’assoluta follia era quella di innamorarsi del Tessalon della propria sorella, erede al trono ed unica ad averne diritto.

O miei signori, quale triste ma gioiosa novella sapendo quanto la bella Adamante sia innamorata del suo prigioniero. Come fuggire agli sguardi ed alle tentazioni della vicinanza con l’intoccabile elfo! La tremenda Geldena vedeva molto più in là del suo naso, senza dubbio! Ora una domanda penso vi sorgerà spontanea: cosa vincerà l’amore o l’odio?

 

Note dell'autrice: Bonsoir! Premetto con il dire che domani mattina lo rileggerò, ma non volevo lasciarvi senza capitolo nonostante la stanchezza quindi mi scuso per gli eventuali errori. Ebbene si sia Legolas che Adamante si sono accorti di provare qualcosa. Certo ma ci sono molte porte ancira da aprire e scoprire il perchè di tanti problemi quali leggi ci sono e cosa ha reso apatica Adamante fino all'incontro con Legolas. Abbiamo conosciuto anche l'odierna regina Amarah. Spero che il suo personaggio che deve combattere fra il pubblico e il privato vi piaccia. Ovviamente continuate a seguire che l'intreccio sarà sempre più intricato.

Angolo delle recensioni:

corsara_andalusa: non sai con che piacere leggo della tua recensione!^^  Io do molta importanza anche ai più piccoli gesti nei personaggi come espletamento degli stati d'animo. Mi piace dilungarmi sulla descrizione di una carezza piuttosto che di un paesaggio, amo molto l'introspezione in un certo senso. Sono estremamente contenta che ti piacciono le nozioni sulle piante, ovviamente non sono tutte assolutamente precise però insomma ho tentato di unire realtà e fantasia. Per quanto riguarda Callial è un personaggio difficile, schizzofrenico e spaventoso, ma estremamente fragile. Comunque avremo modo di conoscerla ulteriormente. Gimli in realtà non è quello che è messo peggio, Legolas... basta non dico altro sennò rischio di rivelare troppo. Spero a presto una bacione!

Alchimista: Ciao carissima! Allora ti premetto che io non mi offendo assolutamente sono a conoscenza dei miei limiti e le critiche costruttive sono sempre ben accette, soprattutto se correlate da una bella dose di consigli. Ma guarda un po': avevi capito che fra Adamante e Legolas c'era del tenero, poveri! peccato che non possono neanche avvicinarsi se non come carceriere e prigioniero. Geldena è molto più subdola e crudele di Callial che da un lato era giustificata dalla sua pazzia ed infatti si è visto con il suo intervento con la regina proponendo Adamante come custode di Legolas, quando aveva intravisto qualcosa che non le quadrava. Comunque sia ti ripeto che apprezzo i tuoi commenti!spero a presto un bacione!

 

Ringrazio tutti quelli che passeranno di qui!Un grandissimo bacio!

Vostra Malice

RILETTO!!!Buona giornata!^^

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Capitolo 5
*** CAPITOLO IV: Commettere errori. ***


CAPITOLO IV: Commettere errori.

Un debole raggio di sole irrompeva dai drappi che circoscrivevano la stanza, l’elfo aveva stancamente ceduto al sonno poco prima dell’alba. La mattina impertinente aveva deciso di destarlo insieme all’allodola in gabbia nel giardino. Il suo canto musicale sembrava una litania melanconica, se solo le sue ali avessero potuto librarsi oltre quella muraglia le corde vocali del pennuto avrebbero raggiunto note più alte e diverse scale armoniche avrebbero allietata dall'ancella del sole. Ed invece una mesta nenia invadeva le prime ore del giorno e il povero uccello era divenuto convivente nella segregazione della bella Adamante. Il pensiero era rimasto a lei, diventata la più abile ladra di sogni. Dal primo istante in cui l’aveva incontrata animava le notti dell’elfo, che non faceva altro che spremersi le meningi per cercare razionalmente delle risposte sulla Guaritrice, come quando la sera precedente era riuscita a scovarlo nel suo tentativo di spiarla: era certo di essere ben occultato dal buio delle sue stante e conoscendo la fallace vista umana poteva affermare con sicurezza che nessuno l’avrebbe potuto scorgere,  eppure la ragazza si era accorta della sua presenza illecita. Chissà se l’avesse trovata in un’altra situazione a quante cose avrebbe realmente risposto Adamante. Si trovò a chiedere se non fosse quell’aura di mistero avvolgente ad attirarlo così tanto della ragazza. Di sicuro la sua curiosità doveva essere placata e il posto era ostico a tale volere. Legolas sapeva che l’unico modo per poter scoprire la vera Adamante era allontanarla da quell’angolo remoto della foresta in cui risiedevano, scappare da quell’inferno in terra portandola con sé. Da quello che aveva potuto udire dal suo ballatoio era lo stesso desiderio della fanciulla, le loro volontà evidentemente coincidevano, ragionandoci l’elfo dedusse che non sarebbe stato affatto difficile convincerla a seguirlo. Peccato che non riuscisse ancora ad avere un quadro completo della evasione e di certo doveva battere tutto il territorio delle Amazzoni, imparare a conoscerlo, prima di poter anche solo progettare una fuga. Con la libertà concessa dalla strategia della Guaritrice poteva indagare e magari costruirsi una mappa dei luoghi, ma non sapeva gli esatti limiti che gli sarebbero stati imposti. Troppi se e troppi ma si ripetevano nella sua testa, mai si era sentito così confuso l’elfo. Doveva essere paziente, seppur il concetto di pazienza da quando aveva conosciuto la Guaritrice era diventato praticamente evanescente nel cuore di Legolas, soprattutto quando sapeva che ben presto avrebbe incontrato nuovamente quegl’occhi dalle tonalità autunnali e il suo profumo dolce di fresie. Non fu costretta ad attendere molto la sua mente, che immaginava la figura di Adamante immersa tra la verde vegetazione del Reame Boscoso. La giovane Guaritrice si trovava già al di là della porta d’ingresso, restia dal bussare e incontrare nuovamente Legolas dopo aver subito la scioccante rivelazione del suo animo irrequieto. Nemmeno l’acqua gelida della fonte era riuscita a scacciare via la febbricitante palpitazione del suo muscolo cardiaco, emozionato e libero di poter galoppare al solo pensiero di godere della sua compagnia. L’aspetto principale di una custode era quello di diventare ombra del proprio oggetto custodito, quindi era costretta a portarlo con sé nelle sue faccende. Il suo cuore era impazzito dalla gioia ma la ragione era preda delle più funeste visioni. Torture e sevizie impadronivano il pensiero di Adamante come preambolo di una sicura condanna, se anche ci fosse soltanto il sentore di una cosa simile.

“Oh, andiamo Adamante sei adulta! Puoi superare una giornata in sua compagnia senza essere catturata ed uccisa! Per Artemis, sei o non sei un Amazzone?” non si era nemmeno accorta di aver iniziato a parlare ad alta voce davanti alla porta di Legolas, che aveva avvertito dapprima i suoi passi poi i suoi bisbigli. Quando l’elfo aprì la porta si ritrovò la Guaritrice impalata di spalle, impegnata nei suoi deliranti dibattiti fra mente e cuore. Legolas allungò il collo verso l’esterno voltando il capo a destra e a manca, notando la desolazione prendere tutto lo spazio attorno alla ragazza che ancora continuava a chiacchierare con il nulla. “Su avanti è ora di muoversi!” si disse prima di ruotare e trovarsi di fronte l’elfo con il sopracciglio a disegnare una bella virgola arcuata sopra l’occhio, le braccia conserte sul petto ed un ghigno indisponente a deformare le labbra. Un flusso abbondante di sangue tinse di note vermiglie e porpora le gote della ragazza, a dimostrazione di un primo sintomo d’imbarazzo avvertibile nonostante l’impedimento della maschera.

“Scusate la domanda indiscreta, ma con chi stavate parlando?” chiese interessato l’elfo. In realtà più che interesse era contento di vedere colorarsi il bel viso della Guaritrice che in quel momento sentì l’anelante desiderio di essere calpestata da una mandria di orchetti inferociti.

“Io …” della sua voce non ne era rimasto molto, anzi quello che aveva appena emesso ricordava più uno squittio. Grattò la gola con un verso gracidante, con una tosse strangolata. Legolas non abbandonava la posizione che pareva peggiorare la sua vergogna “Io stavo solo pensando a voce alta!” si riprese evitando in tutti i modi lo sguardo dell’elfo che invece sembrava trovare decisamente divertente quel nuovo aspetto così solare e spensierato della ragazza. “Non perdiamo altro tempo: sono venuta ad avvertirvi di prepararvi avete qualche minuto, di più non posso tardare! Vi attenderò qui fuori!” La ragazza parlò talmente veloce che persino l’elfo fece fatica a comprenderla, soprattutto verso la fine della frase quando si era voltata per scappare da tutta la scenetta appena improntata. Legolas la bloccò prendendole la mano e obbligandola a tornare sui suoi passi.

“Prepararmi? Per cosa?” chiese gentilmente verso la ragazza. Non osava interrompere quel legame tanto pericoloso quanto piacevole e quando Adamante tentò di ritrarre delicatamente la mano, Legolas la trattenne stringendola appena. I suoi occhi si proiettarono sul quel nodo di dita desideroso che non si sciogliesse tanto presto. Quella era la prima volta che i due avevano un contatto intimo non dovuto agl’oneri di guaritrice di Adamante.

“Per seguirmi nelle mie faccende, elfo! Quindi se volete scusarmi …” nella sua voce s’avvertiva tutta la riluttanza e il sacrificio che stava compiendo chiedendogli di sciogliere le mani. Se fosse stato per la Guaritrice le sarebbe bastato quello per sopportare tutti i giorni restanti della sua esistenza “… ci sono persone che attendono i miei servigi e le mie mani!” a quell’affermazione l’elfo liberò Adamante lasciando ricadere il braccio lungo il fianco  della ragazza, che sorrise vedendo la situazione ribaltata. I due si incontrarono nuovamente dopo qualche istante, il tempo necessario di  svegliare il viso con dell’acqua pulita. Adamante condusse Legolas fino al perimetro nord dove si poteva ammirare la parte bassa della città degl’alberi, la quale si trovava parecchie miglia fuori dalla portata molto più nascosta della prima piena di guerriere a sua difesa. In essa vivevano i soggetti deboli della città: anziane, bambine, contadine. Non è un mio errore l’uso esclusivo del femminile miei signori, tra gli alberi vivevano solo ed unicamente delle donne. Quest’aspetto non  sfuggì all’elfo che alla sua domanda perplessa sull’assenza del suo genere, si sentì rispondere stizzito da altre domande.

“Perchè nel vostro regno vi sono solo elfi? Perché nelle grotte sotterranee dimorano solo nani? Questo è il nostro popolo e queste sono le sue genti!” Adamante e Legolas condivisero molto di quel giorno. La ragazza impiegò quasi l’intera mattina nel giro delle abitazioni visitando ed aiutando chi richiedeva il suo aiuto. L’elfo rimase incantato dall’affetto che ogni suddito dimostrava e dalla ferrea memoria della ragazza nel ricordare ogni nome, evitando inutili formalità come gesti plateali di sottomissione e l’uso del voi. Con loro non era la principessa, ma poteva essere semplicemente Adamante. Venne letteralmente rapito dai suoi modi eleganti e dolci nell’elargire consigli, filtri e unguenti, pronta ad alleviare non solo le sofferenze del fisico ma anche quelle del morale. Aveva sempre un sorriso caldo e rassicurante per ciascuno, persino per chi era sul letto di morte a cui somministrava ormai soltanto pozioni utili all’ intorpidimento dei sensi.  L’ultima visita era riservata ad una delle abitazioni più in alto, occupata da una donna con una bambina. La prima era stata evidentemente una guerriera, le sue braccia erano forti e robuste, le gambe ben piantate, gli occhi scuri ed intelligenti e sulla fronte si adagiava un diadema fatto da un laccio ed una pietra di giada. Portava i capelli raccolti in una crocchia disordinata e nella sua casa erano conservate molte pergamene, mappe, libri ed uno scrittoio con calamaio e penna. La bambina invece aveva degli splenditi capelli rosso fuoco. Tutte le abitanti di Taur en Gwaith | S - Foresta delle Ombre  | avevano tratti marcati ed aguzzi molto simili fra loro, pelli olivastre ed occhi di onice. Le uniche veramente dissimili erano Adamante e quella bambina dai capelli amaranto.

“Chillah sei tornata finalmente!” quando si alzò per accogliere la guaritrice, Legolas poté osservare l' andatura claudicante della donna ed una cicatrice percorrere la gamba dal polpaccio fino alla coscia poco coperta dagli spacchi laterali della gonna, tributo alla comodità dato che mostravano uno sfregio tanto orribile. Giunse zoppicando alla ragazza e l’accolse fra le sue braccia con un sorriso dolce e gentile. Quanta differenza riscontrò Legolas nelle genti della metà bassa, dove  Adamante veniva trattata con amore, a dispetto della parte alta in cui viveva nella circospezione e diffidenza di chiunque le passasse accanto.

“Potevi dubitarne  Raja?” Adamante sembrava estremamente felice di ritrovarsi fra le braccia della donna che preferiva utilizzare la lingua corrente. Prima ancora che potessero sciogliersi un piccolo fulmine dai capelli rossi si catapultò sulle spalle della Guaritrice che finse di barcollare, scimmiottando delle difficoltà nel reggere la bambina. “Ruin sei cresciuta così tanto! Si può spaere con che cosa ti nutre tua madre? Se continui così fra un paio d’anni sarai più alta di me!” la piccola baciò ripetutamente la guancia di Adamante, sussurrando al suo orecchio più volte quanto le fosse mancata.

“Chillah, non ci vorrà molto per essere più alta di te!” la bambina nascose la testa fra i capelli di Adamante che, allungando le braccia dietro la schiena dove penzolavano le gambe di Ruin, iniziò a farle il solletico. Delle risa sguaiate di risposta rallegrarono l’ambiente ravvivato da quei versi gioiosi.

“È così piccola pulce impertinente?” esclamò la Guaritrice mostrando per la prima volta un viso realmente sereno. Non l’aveva mai vista così raggiante e l’elfo era stregato dal gioco complice delle due. Se ne era rimasto in disparte tenendo le braccia intrecciate dietro la schiena, fisso nell’ammirazione di un messaggio finalmente positivo che gli permetteva di avere un minimo di speranza. Quando le risate scemarono e i respiri si ritrassero da quell’affanno allegro, l'attenzione di Ruin fu catturata dal viso di Adamante dove prese ad accarezzare la maschera che portava.

"Perché la indossi?” chiese candidamente ripercorrendo il profilo di cuoio dal naso alla guancia. Fu allora che Legolas mosse un passo in loro direzione entrando nel campo visivo della bambina.

“Chissà se risponda a te,piccola Ruin! Con me non ne ha voluto parlare ed anch’io sono curioso di sapere il perché di tanto mistero!” intervenne con un tono che del sarcasmo faceva padrone. Sorrise indirizzato alla bambola dai capelli di fuoco, come il nome che portava. Legolas l’aveva subito notato, Ruin, fiamma rossa l’aveva denominata Adamante.

“Ma lui è …” stava per dire qualcosa con quella voce sincera ma la madre la prese velocemente fra le sue braccia e la zittì con un dito sulla bocca a forma di cuore. Adamante rivolse uno sguardo spaesato a Raja, colta impreparata da una tale curiosità apparentemente innocente.

“Non dire cose sconvenienti Ruin, tieni la tua curiosità e le tue domande indiscrete a bada!”

“Scusate non vi ho presentato Legolas …” Adamante si voltò in sua direzione così come la bambina e la donna, che aveva sul viso uno strano miscuglio di paura e sorpresa eloquente, come se una visita inattesa fosse piombata in un momento inopportuno. Legolas chinò il capo in cenno di saluto, con un certo impaccio dovuto alla reazione preoccupata di Raja. “… È il Tessalon di Callial ed è sotto la mia custodia!”

“Avevo sentito parlare di una cosa simile, ma pensavo fossero i soliti veleni sulla tua persona,  dicerie usate per dare aria alle bocche troppo piene di polvere! Geldena ha cominciato a scoprire le sue carte quindi…” la donna strinse i suoi pungi fino a fare diventare le sue nocche esangui. Subito si riprese esponendo un sorriso di circostanza verso l’elfo e la ragazza che aveva confermato i suoi sospetti con una smorfia piena d’apprensione. “Immagino che siate affamati, il mezzodì è passato da un pezzo e conoscendo Chillah non vi sarete riposati nemmeno un istante, il suo senso del dovere  talvolta prevarica i suoi stessi bisogni!” Raja cinse con un braccio le spalle della Guaritrice, soffermandosi ad osservare quell’ematoma messo in bella mostra. Finse la sua inesistenza e fece strada all’elfo e alla ragazza. Parlarono molto ed a lungo cibandosi del formaggio e del pane unico misero pasto che poteva offrire Raja.  Poco prima di accomiatarsi la bambina mostrò ad Adamante un piccolo orto di erbe curative, voleva diventare anche lei una guaritrice per seguire le orme della fanciulla. La donna rimasta in disparte con Legolas si curò di non essere ascoltata da nessuno, guardandosi attorno circospetta a controllare l’estraneità di Adamante dalla conversazione con l’elfo.

“State molto attento, principe! Adamante ha molte più cose in gioco di voi, tutto questo la condurrà dove le nostre ave giacciono senza gli stessi onori …” Legolas staccò i suoi occhi dalla ragazza per carpire meglio le parole di Raja.

“Non comprendo ciò che volete dire …”  non nascose una profonda angoscia dopo aver udito una tale affermazione, si poteva avvertire dal tentennamento che aveva avuto nella voce.

“Ho visto come la guardate e come lei vi guarda, fra di voi c’è una scintilla che non doveva in alcuna maniera scoccare per un’Ombra! A noi non sono concesse certe libertà!” la sua serietà era spaventosa, il suo linguaggio forbito rasentava una sentenza già espressa da più voci. L’elfo non poteva credere a quella definizione di un sentimento come una libertà. Doveva quindi imbrigliare il suo cuore proprio quando l’aveva scoperto capace di simili sensazioni?  “I miei occhi non sono ciechi e come i miei molti altri sono puntati su di voi, con lo scopo di scorgere un suo passo falso.”  Raja tornò a guardare Adamante, che continuava ad elargire con trasporto consigli a Ruin su come prendersi cura del tralcio di Passiflora rampicato su di una rete composta da due rami e dello spago. Si vedeva che nutriva nei suoi confronti un profondo ed intenso attaccamento, quasi fosse la sua stessa figlia. “Dovete sapere che solo lo spirito separato dal corpo può fuggire dalle Ombre. Non giocate con il fuoco mastro elfo,  l’unica che ne rimarrebbe scottata è la nostra preziosa Guaritrice.” Dopo l’incontro con Raja ripresero la strada del ritorno, le dure parole della donna colpirono nel profondo Legolas, il quale sentiva di non poter permettere che le facessero ulteriormente del male. Per la maggior parte del tragitto aveva mantenuto il più assoluto silenzio, cogitando su quanto voleva strappare via la Guaritrice da quella realtà così assurda da essere considerata tale.

“Sembravate molto affezionata a quella donna, Raja …” lasciò trapelare la frase in sospeso, dedicando la coda dell’occhio alla fanciulla che gli camminava accanto mentre attendeva una sua qualunque reazione. Un altro piccolo tarlo dopo l’incontro con Raja e Ruin si era insinuato tra le meningi dell’elfo, la ragazza aveva riservato solo parole gentili ed informali verso la donna e la bambina, modo in cui solitamente si vede trattare un membro della propria famiglia.

“È l’unica persona cara che mi è rimasta vicina, è stata il mio paziente mentore visto le mie scarse doti nel combattimento!” la ragazza sospirò rievocando vecchi e dolorosi ricordi, abbassò lo sguardo riordinando le idee per poi tornare a guardare la strada di fronte a loro. Ascoltava in silenzio i passi scrosciare contro le foglie secche che componevano il manto boschivo. L’elfo aveva deciso d’intraprendere la conversazione con lei in modo meno diretto, in maniera da abbattere mattone per mattone quell’enorme muro eretto tra lui e la ragazza. “Ha perso l’uso della gamba a causa mia difendendomi in battaglia …” si concesse una pausa respirando a fondo, non  sapeva il perché le veniva spontaneo parlare di quell’episodio all’elfo, forse per le analogie con quello che avevano vissuto al loro incontro “Tutte le volte che visito la città bassa passo presso le sue dimore e il ricordo riemerge come sangue in una ferita mai risanata. Da poco avevo superato l’infanzia e come principessa dovevo essere iniziata all’arte della guerra. A differenza di una normale Amazzone, noi figlie di Regine siamo obbligate a combattere e guidare gli eserciti ma a me, di spade e bastoni, non era mai poi interessato un granché. Preferivo curare il mio orto ed imparare a lenire le sofferenze degl’altri con filtri ed unguenti, assai utile ma allo stesso tempo condanna di una regina che vedeva la sua eredità totalmente sprecata. Raja ricopriva il ruolo che ora è di Geldena come Consigliera: veniva chiamata la Storica per la sua conoscenza delle leggi e delle leggende, quando i tempi migliori risplendevano sul nostro popolo, la città alta e quella bassa vivevano in armonia  nonostante i continui attacchi ricevuti nella nostra foresta. C’era stata una fuga di notizie dal Khand fino a Mordor e l’Oscuro Signore venne a conoscenza dell’esistenza di un esercito di donne nate per dare battaglia. Fino ad allora nessuna creatura, maligna o benefica che fosse, si era spinta nella nostra foresta volontariamente. Poteva capitare d’imbattersi in qualche sperduto o qualche creatura selvaggia, qualche umano o elfo, niente in confronto a quegl’attacchi di piccoli reggimenti di orchetti, mandati in avanscoperta sulle nostre terre solo per individuare il punto esatto dove era eretto il nostro regno. Riuscimmo per un lungo periodo a non fare prigionieri  e a mantenere segreto il nostro nascondiglio perenne, ma ad ogni attacco ne uscivamo sempre più indebolite fintanto che fummo prese d’assalto da un massa inferocita ben più grande di quelle precedenti. Da quell’ultima battaglia il nostro esercito di guerriere ne uscì decimato mentre alcuni orchetti ripresero la via di Mordor che era sempre più impaziente di impadronirsi della nostra forza. Ero ancora una guerriera acerba, non sapevo brandire con sicurezza nemmeno la spada di legno per gli allenamenti e molte altre Ombre non avevano raggiunto la giusta maturazione. Purtroppo le orde di orchetti si facevano sempre più insistenti e forti, ogni combattente in grado d’impugnare la spada era stata inviata nel perimetro sud ovest delle nostre terre. Stavo nella legione di Raja con altre ragazze che come me avevano visto troppi pochi inverni. La battaglia fu dura e cruenta, molte caddero quel giorno, io stessa stavo per soccombere a causa di una radice traditrice che mi aveva costretta in terra. Un Warg tentò di azzannarmi ma prima che potesse raggiungermi lei ha ingaggiato una lotta senza pari, da cui ne è uscita privata dell’uso della gamba e con una tacca in più sulla cintura delle anime sconfitte. Era davvero una condottiera di gran valore, un ottimo capitano forse il migliore mai avuto. Fino a qualche inverno fa sedeva alla destra di mia madre,  poi un giorno si è esposta contro una decisione che mi riguardava solo perché ero contraria ad eseguire un ordine  ed è stata segregata nella parte bassa togliendole tutti gli onori. Lei finge con me di essere felice della sua vita da semplice madre e levatrice, ma sono certa che le piacerebbe brandire ancora le sue spade.” La Guaritrice osservava il terreno che precedeva il passo, la bocca socchiusa a raccogliere il respiro leggero del vento, emanava piccoli soffi tiepidi, una sorta di singhiozzo impercettibile, un pianto ritirato nella gola, aride lacrime invisibili che solcavano il viso ancora livido. Adamante si stava riscoprendo capace di piangere ma non poteva così davanti all’elfo. Ingoiò l’angoscia che le smuoveva il petto ed iniziò a  ripararsi con fantasie liete, immaginando di cavalcare in mezzo ad una prateria in fiore nell’odoroso maggio.

“Non volevo rinvangare tristi ricordi, mi dispiace avervi turbato.” Legolas di suo canto veniva trascinato nel vortice melanconico provato dalla ragazza, non sapeva quanto sarebbe riuscito a resistere nel non consolarla stringendola al suo petto. Un forte magnetismo regnava fra i due e lo stare lontani stava diventando sempre più arduo. La Guaritrice avrebbe tanto voluto rispondere ma come quando si accende una miccia, quella reminescenza ne aveva accese altre sempre più dolorose. Si limitò a scuotere la testa cercando di cancellare quel senso assoluto di perdizione che sentiva sulla sua persona e trascinò una mano sul grembo. Le dita all’inizio distese si contorsero a formare degl’uncini adunchi ed una lacrima uscì vittoriosa dalla tremenda battaglia che stava avvenendo all’interno della ragazza. L’elfo non resistette a quella dimostrazione di pena e incurante di essere ancora nella bretella di territorio tra le due città, accolse la bella Adamante tra le sue forti braccia. La Guaritrice tentò debolmente di divincolarsi. La sua volontà ormai aveva lasciato totalmente la via della ragione abbandonando ogni inibizione, grave errore che le sarebbe sicuramente costato la vita. Dopo qualche istante di esitazione legò le sue mani attorno i fianchi di Legolas, per poi affondare il viso nell’incavo del suo collo. L’elfo avvertiva il respiro mite della ragazza scontrarsi contro la sua pelle e le lacrime riversarsi contro la stoffa delle sue vesti. Le spalle della ragazza sussultavano ad ogni singulto provocato dal pianto quasi puerile  ed chiusi in quel mondo intrecciato dai loro corpi trascorsero interminabili minuti. Ogni barriera stava cedendo, la mente di entrambi era dimentica di obblighi, doveri e rimpianti. C’era solo il puro desiderio a governare quelle due entità complete se insieme. Le mani dell’elfo percorsero il morbido collo della fanciulla come fossero piume sul velluto, fino a raggiunger il viso della ragazza discostandola appena da sé per poterla osservare meglio quel volto deturpato dal grezzo cuoio. Quanti misteri ancora celava la bella Adamante eppure a Legolas non importava conoscere il suo aspetto, perché ormai aveva capito il suo animo nobile e limpido. I pollici traversarono le brillanti scie umide cancellandole sulla pelle della ragazza e della maschera. Gli occhi cerulei di lui si scontrarono con quelli caldi di lei immergendosi in un nuovo universo che scuoteva il suo animo. I battiti del loro cuori iniziarono a cantare una nuova e frenetica melodia quando, spinto esclusivamente dall’istinto, le labbra dell’elfo si avvicinarono pericolosamente a quelle della ragazza alla quale sembrò mancare il respiro. La piccola figura di Adamante tremava d’impazienza, di paura, di gioia. Nemmeno lei stessa riusciva a riconoscere cosa le stesse accadendo, voleva solo non svegliarsi mai da quel meraviglioso sogno che stava vivendo. Ma la realtà non tardò a bussare in quell’idillio che avevano creato i due. Un nitrito forte come un tuono risuonò nella foresta. Adamante si discostò con uno scatto da Legolas volgendo lo sguardo al vuoto nella direzione del suono che avevano udito. Anche l’elfo alzò il viso cercando di carpire da dove provenisse tale verso straziante. Un altro nitrito ribadì il tono disperato dell’animale. Nella testa di Adamante solo un nome trovava spazio.

“Aratoamin!” urlò prima di scattare verso la città alta. Le piccole gambe coprivano metri su metri con falcate rapide e veloci, lo stesso elfo faticava nello starle dietro animata solo dalla forza dell’adrenalina e dalla paura che stessero facendo del male al suo amico, perché questo era per lei il cavallo. Il percorso accidentato non l’ostacolava in maniera irreversibile, ad ogni roccia o tronco che intralciava il suo cammino la fanciulla si sollevava da terra con salti aggraziati e muti. La raffinatezza dei suoi movimenti era impressionante, così delicata e femminile anche se si stava spostando con la furia di un vero demonio che montava l'astio ad ogni grido del suo animale. Il limitato rialzo che sollevava la città alta era costellata di appigli occultati dalla stessa natura sulla parete rocciosa che segnava il perimetro di confine. Adamante piegò le ginocchia caricando un balzo che le permise di sollevarsi per più di due metri. Le mani si alternavano ai piedi che afferravano ogni genere di sporgenza o incavo serpeggiando sull’altura che permetteva l’accesso ad Agalath. Appena il ginocchio trovò il piano la ragazza sospinse tutto il suo peso in avanti diventando una freccia fendente nel vento. Attraversò in poco meno di un minuto lo spazio che intercorreva dal perimetro fino alla radura di fronte all’albero nero, dove soltanto il giorno prima Legolas aveva conosciuto la regina. Il cuore di Adamante iniziò a dolerle alla vista dello scalpitante destriero che si ribellava alle corde che lo tenevano imprigionato. Iniziò ad urlare diversi ordini nella sua lingua madre, dapprima adirati poi volti ad un’implorazione, ma nessuno sembrava ascoltarla. Geldena si palesò agl’occhi della Guaritrice con il suo solito ghigno sghembo disegnato sul volto arrogante. “Geldena, esigo spiegazioni cos’è questa messinscena?” imperò Adamante verso la donna che abbracciava con le dita l’elsa della spada portata al fianco. Callial, intanto, la seguiva silenziosa. Attraverso le collane che guarnivano il collo piantato si poteva notare un taglio grondante di fluido cremisi.

“Non è una messinscena Adamante, il tuo ronzino si è rifiutato una volta di troppo di essere imbrigliato!” osservò a lungo la ferita della sorella che storceva il naso disgustata verso il cavallo che ancora tentava di liberarsi. Geldena superò la principessa con passi sicuri. Il piccolo diadema sopra la sua fronte brillò al tocco tracotante del sole del primm meriggio, riflettendo la luce gialla del topazio incastonato nel laccio a forma di V. Ogni cosa di quella donna pareva urtare il già comprovato spirito di Adamante “La nostra signora Callial voleva fare una bella cavalcata con il cavallo più veloce delle nostre stalle, quando questa bestia rognosa ha cominciato ad imbizzarrirsi colpendo vostra sorella! Credo proprio che sia giunta l'ora di eliminare questo inutile e pericoloso peso!” al collo di Aratoamin due cappi stringevano il suo manto corroso dalle roventi corde sempre più strette. Lo sguardo di Adamante era pieno di dolore e frustrazione e in un appello accorato si rivolse alla sorella che fino ad allora non aveva proferito parola alcuna.

“Callial, perché mi state facendo questo?” la Guaritrice barcollo perdendo l’equilibrio per poi cadere sulle ginocchia, rimanendo sollevata da terra solo attraverso l’uso delle braccia contrapposte al suolo. “Vi prego! Vi scongiuro! Toglietemi tutto, anche la vita se vi fa piacere, ma non fate del male ad Aratoamin, ve ne supplico! Se mi amate come andate a professare non uccidete il mio amico, sorella mia!” Callial rimase impassibile osservando severa la sorella prostrata ai suoi piedi. Un luccichio catturò l’attenzione della donna, una piccola gemma che dal viso di Adamante aveva trovato tomba sulla nuda terra. Non poteva credere ai suoi occhi, quella era una lacrima che fendeva il velo apatico che aveva tenuto a bada la Guaritrice per anni. Troppe cose stavano cambiando in lei e Callial non prestava fede alle coincidenze. Impartì degl’ordini antichi quanto il tempo e voltò le spalle alla sorella, sparendo nell’oscurità della sua dimora. L’urlo di dolore rivolto al suo compagno era pari soltanto al nitrito del cavallo, agendo in un sincrono che costrinsero l’elfo ad attutirsi le orecchie. Tra quel trambusto una risata sadica e crudele salì sovrastando tutte le altre voci. Legolas aveva notato che una delle guardie aveva una faretra ricolma di frecce, l’elfo cercò velocemente rotando gli occhi attorno a sé e trovò un arco appoggiato in un angolo. Con uno scatto felino si appropinquò ad esso afferrandolo fra le dita esili e con un balzo si trovo alle spalle della guardia a cui rubò un dardo. L’incoccò in un lasso di tempo paragonabile ad un battito di ciglia e con una precisione chirurgica lo rilasciò in direzione della corda tirata, il cui intreccio si sfilacciò spezzandosi di netto come se una coltello invisibile l’avesse recisa. A quella vista Adamante reagì sollevandosi in piedi ed estraendo il suo pugnale ricurvo dalla lama bianca. Fulminea si scagliò contro la seconda corda, sfuggendo alle braccia di Geldena come se fosse ricoperta di sapone.

“Noro Aratoamin, noro lim! Asca Aratoamin, kela! | S – Corri  Aratoamin, corri veloce! Presto Aratoamin, scappa! |” urlò l’elfo verso il cavallo prese a correre senza voltarsi, non era purtroppo tempo di addii struggenti. Adamante rimase fissa ad osservare il punto in cui il suo fido compagno scomparve, dentro di sé una voragine sempre più estesa si stava allargando, un vuoto sconfinato ma fatto di speranza perché finalmente uno dei due era libero.  

“Guardate gente!” esclamò Geldena dalle spalle di Adamante “Guardate quella che dovrebbe essere una principessa Amazzone, guardate come ridicolizza lei stessa e il suo popolo piagnucolando per il suo ronzino pallida imitazione di uno stallone!” il simposio della donna terminò con le braccia allargate verso la folla di guerriere riunita dal clamore creato. Legolas rimase impietrito quando l’espressione di Adamante trasfigurò: un leggero tremolio prese le labbra, le ciglia sbatterono velocemente sugl’occhi iniettati d’ira, la stretta al pugnale si fece più salda quando allungò un braccio in direzione della gola di Geldena che al tocco con la punta del pugnale non si fece cogliere da nessuna esitazione. “Bene Adamante, finalmente mostrate un po’ di sana determinazione!” il sibilo della Consigliera non sfuggì alle orecchie dell’elfo che toccò leggero il polso ancora teso di Adamante fissandola nello sguardo vitreo e vacuo che mai gli aveva visto prima di allora.

“Envinyatarë, Lasto beth nîn nuitho i 'ruith! | S – Guaritrice, ascolta la mia voce trattieni la [tua] collera!  | ” le palpebre della Guaritrice eclissarono lo sguardo stanco, rinsavendo da quel momento desolante. L’impugnatura dello stiletto si fece leggera e roteando la lama la rivolse verso l’interno del braccio in segno di resa. Galdena aveva assistito alla scena soddisfatta, si mosse verso Adamante accostando la lingua forcuta al viso della ragazza. Il suo bisbiglio incomprensibile fece sussultare la Guaritrice che alzò lo sguardo verso Legolas. La Consigliera ora stava prendendo in mano il suo gioco sadico.

 Miei signori quale triste dipartita ha colto lo spirito di Adamante, fuggito per lidi lontani. Ora il suo destriero potrà godere della libertà che lei non ha mai potuto sentire sulla sua pelle questa è la magra consolazione. L’amore è sbocciato a prescindere da sciocchi giochi di velleità; ricordate queste mie parole, cari miei commensali, il fiore più bello è quello nato nell’inverno più freddo con climi avversi e scarso nutrimento. Attendete miei signori, attendete il poco riposo del vostro umile servo quel tanto che basta a far tornare la mia voce nei toni melodiosi del canto della bella Adamante.

 

Note dell'autrice: Quel undome Melloneamin! Buona sera amici miei! Bentrovati con un nuovo capitolo, povera Adamante ad essere stata partorita da una mente malata come la mia! Almeno il suo detsriero è libero e Legolas ha tentato di difenderla liberando Aratoamin, non lo so l'ho visto proprio come un principe delle favole che aiuta la sua principessa. Mi piaceva quest'aspetto nobile e coraggioso. Abbiamo conosciuto una nuova cosa di Adamante che però ha due episodi durissimi nella sua esistenza che l'hanno segnata. Ne avremmo un accenno nei prossimi capitoli. Ci tengo sempre molto al vostro parere quindi fatemi sapere.

Rispostine alle recensioni:

Thiliol: < si aggira furtiva presso la tastiera estrae un pistola e con un mira micidiale distrugge il tasto della virgola =_='''' > a prescindere dallo scherzo, grazie per l'appunto sui segni d'interpunzione, purtroppo, come già ho spiegato è un mio tallone d'Achille che sto provvedendo a migliorare sempre comunque pronta a captare consigli! Comunque in questi giorni sto revisionando la punteggiatura sperando di essere riuscita a migliorare. Ti ringrazio del complimento sulla lingua: quando ho finito di leggere Il Signore degli Anelli ero rimasta affascinata dal modo in cui Tolkien aveva creato un universo così dettagliato e con la nascita della storia nella mia testa, e da brava ragazzina quindicenne che voleva eludere lo studio in ogni maniera, mi sono detta perchè no. Certo io non assomiglio neanche lontanamente al genio di Tolkien, il mio in fin dei conti è stato un abbozzo di una lingua, sfruttando le costruzioni delle frasi in italiano e francese, con dei vocaboli creati attraverso un giochino (un giorno mi sono messa ho scritto le lettere dell'alfabeto e poi ho affibbiato ad ognuna una pronuncia diversa di mia invenzione. Riscrivendo le parole, ispirandomi a vocaboli italiani francesi e tedeschi, venivano degl'intrecci interessanti che pulivo in modo che risultassero foneticcamente interessanti). Niente a che vedere con quello che è stato creato per la Terra di Mezzo, in fondo mi sono solo divertita a giocare con i suoni e con l'impostazione soggetto+verbo+complemento. Se devo essere sincera a dieci anni di distanza molti dei miei appunti sono andati perduti mi sono rimasti solo dei fogli svolazzanti (ho disperso il mio quadernino della lingua arcaica delle Amazzoni snif! T_T) non contando che l'età che avanza e la memoria che fa cilecca. Comunque ti ringrazio, spero che la storia continui a piacerti e scusami se sbaglio le virgole (maestra delle elementari morta). Ho sempre avuto due problemi fin da bambina: nell'inserire la punteggiatura e nel ricordare le tabelline ed andavo anche bene a scuola, va a capì certi meccanismi mentali ^^. Un bacione grande grande ...

Elfa: Ed' i'ear ar' elenea! (per il cielo e per le stelle!) che bella recensione! grazie la paragono ad una bella iniezione di autostima addirittura una delle più belle storie, sono sinceramente commossa. Oddio quando ho letto che ti richiama gli scritti del Maestro bhè il mio cuore ha decisamente vacillato! Non mi aspettavo tanto!^^ Comunque lo scopo della presenza di Callial è proprio quello di turbare, quindi brava e ben entrata nella mia mente piuttosto malata!!!^^ Continua a seguirmi mi raccomando!!!

Ringrazio tutti coloro che miseguono in  silenzio e che attendono di vedermi postare!

Come dico sempre non esiste scrittore senza lettore! siete tutti moltio importanti!

Sempre vostra Malice

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Capitolo 6
*** CAPITOLO V: Namarie mellonamin! ***


CAPITOLO V: Namarie mellonamin!

Le pareti dall’odore del faggio stringevano in una morsa tiepida il suo corpo e le sue stanze sembravano chiudersi su di lei. Dalla partenza di Aratoamin non si era ripresa. Quei giorni li aveva passati nel mutismo più assoluto, il più delle volte ad evitare la città alta adducendo scuse su i suoi doveri di guaritrice. Legolas la seguiva con l’angoscia di vederla così affranta, non aveva nemmeno più accennato all’episodio poco prima della fuga del suo cavallo lasciando insoluto il rivelare dei loro scalpitanti sentimenti. Quello era il suo modo di lasciarla libera di vivere l’aura di lutto che portava con sé. Spesso vedeva i suoi piedi strusciare sul terreno troppo pesanti per sollevarsi più dello stretto necessario ed ogni giorno vedeva il fuoco della Guaritrice spegnersi, abbandonarsi allo sconforto più tetro. La sua luce stava svanendo, i suoi occhi avevano perso vivacità era come se le avessero strappato la linfa vitale. Il fiore nato durante l’inverno non aveva molte speranze di sopravvivere quando è il fiore stesso a smettere di combattere ed Adamante iniziava ad appassire decretando la vittoria delle catene, la chiusura della gabbia, l’ufficiale dichiarazione della sconfitta contro legislazioni più grandi di lei. C’era una cosa di cui l’elfo non era a conoscenza, il coincidere dell’allontanamento di Aratoamin con una notizia nefasta per la fanciulla a cui non poteva sottrarsi in alcun modo. Alla luce tenue della sera Amarah aveva annunciato alla Guaritrice l’imminente Yavieba | S - Equinozio d’autunno | e con esso la venuta dei signori Variag. Kudrem, valente guerriero dal cuore nero, aveva espresso ulteriormente la sua disponibilità per la Guaritrice per cui nutriva una certa attrazione, rinnovando un patto già avvenuto molti inverni addietro. La Regina aveva sentenziato e Adamante non poteva replicare, visto la ritorsione mossa contro il povero nano. Se non avesse rispettato gli ordini della sua Regina chi ne avrebbe pagato le conseguenze sarebbe stato Gimli e questo non poteva assolutamente permetterlo. Era stata richiamata al dovere verso il suo popolo quando ogni anno si era rifiutata di prenderci parte, di nuovo costretta ad un compito ributtante per chi aveva assaporato il sentimento principe che solo cinque anni prima l’aveva resa un fantasma evanescente.  La piccola Ombra invece conosceva ciò che provocava la fiamma dell’amore, quello vero, capace di sconquassare anni di vita remissiva ed inerte. Lo aveva visto quando per pochi mesi aveva goduto della compagnia del proprio padre, l’unica che poteva dirlo in tutta la Taur en Gwaith | S - Foresta delle Ombre  |.  Con il sopraggiungere del volto di colui che aveva sempre dominato nel suo cuore sentì il letto farsi sempre meno confortevole. Si rigirava continuamente alla ricerca del riposo, attorcigliando le caviglie alle coperte. La sua ansia crebbe quando si accorse che il vero motivo per cui era agitata risiedeva nella piacevole condanna che tormentava i suo pensieri: Legolas non aveva mai abbandonato la mente di Adamante rimanendo sempre sullo sfondo delle sue memorie. Un fardello ulteriore, il pensiero dell’elfo che le aveva rubato il sonno ormai da settimane. Se fosse stata una semplice Amazzone avrebbe preso quelle sensazioni, a loro prettamente sconosciute, come un fuoco fatuo, un moto insolito di bizzarria. Cosa avrebbe pensato di lei finiti i rituali dello  Yavieba? Non meritava le sue attenzioni, non era una pura e candida fanciulla e nella sua vita, nonostante si fosse ribellata il più delle volte, aveva commesso degl’errori che le aveva sporcato anima e corpo, aveva ceduto alle ingiuste leggi del suo popolo quando conosceva benissimo il sapore della libertà provata con il suo devoto padre pronto a mettersi contro un intero esercito pur di estirpare la sua Tirinîr | S – Lacrima Brillante soprannome del padre ad Adamante di cui il nome significa diamante, pietra creduta la Lacrima della Dea Artemis sacra alle Amazzoni | da quel mondo crudele ed ingiusto. Si voltò nuovamente finendo supina con un braccio sopra la testa ed un altro che pendeva dal letto. Doveva levarsi di dosso il senso di oppressione scaturito dalle pareti e che sentiva accanirsi da ogni singolo anfratto della sua prigione dorata. Arresasi all’insonnia sollevò il suo busto protendendo le verso il cielo, si prodigò nel districarsi dall’intreccio delle lenzuola e prese il primo mantello trovato nelle sue stanze, la borsa in cui possedeva tutto il suo mondo ed il suo pugnale. L’aria fredda e umida della notte colpì il viso libero finalmente dalla maschera come uno schiaffo, tagliando con piccoli affondi affilati la pelle della ragazza. Inspirò il profumo dell’autunno che avanzava, la tristezza che emanavano le foglie caduche ai venti del Rhun era la giusta compagnia per un animo tormentato e stanco. Pochi gli anni che visse sulla terra ma molti quelli ancora che aveva da vivere indotta ad un’altra scelta di vita invece che di morte. Le guardie del palazzo percorrevano il perimetro lentamente in circoli di direzione opposta. Adamante salì sui rami dell’albero di fronte alla sua finestra ed aspettò che l’anello di controllo fosse sul punto più esterno per potersi calare e toccare il terreno. Il passo leggero e silente aiutato dalla notte buia priva dei raggi lunari a rischiararla  risultò invisibile ad occhi ed orecchie delle guardie. Adamante non si curò della inconsueta facilità con cui aveva eluso la sorveglianza e prese a dirigersi verso la parte retrostante la Città Alta. Camminava rasente agl’alberi sfruttando le ombre proiettate sul suolo, quando d’un tratto la bella guerriera udì un sibilo proveniente dal basso alla sua destra. Di scatto e senza pensare si voltò in direzione di esso. Da una fessura tra una imponente radice e la terra da cui un tempo traeva nutrimento vide due occhi incavati nella pelle ruvida del nano. Rimasero fissi a guardarsi lui per la sorpresa di trovarla senza occultamento alcuno del viso, lei per l’impulsività del suo gesto di uscire senza adeguata copertura. Il nano boccheggiava di fronte a quell’immagine che aveva stampato nella sua mente, ogni tratto di Adamante si riconduceva in una sola via ben conosciuta. Quando la lingua di Gimli che era quasi del tutto paralizzata riprese a muoversi ne uscì un balbettio sconnesso di ‘Ma’ e ‘Tu’, si era persino dimenticato dei buoni accorgimenti di un cavaliere verso la dama che aveva mostrato tanto buono spirito verso di lui.

“Si io sono quel che vedete!” ribadì la Guaritrice ostentando una sicurezza perduta negl’istanti prima. “Ma deve rimanere un segreto confessato nella notte, mastro nano, o sarà la fine per me!” con passo lento s’avvicinò a quel taglio della terra dove gli occhi di Gimli continuavano a fissarla irretiti.

“Legolas …” riuscì ad articolare mentre Adamante s’inginocchiava per parlare con toni più bassi per evitare che la sua evasione fosse scoperta così come la sua fatidica disattenzione.

“Non lo sa, non mi è concesso mostrarmi a lui!” disse con una nota spezzata nella voce.

“Perché? Non sarebbe quest’aspetto a renderlo più attaccato a voi di quanto non sia!” la ragazza si riscosse come da un torpore durato cento anni. Osservò quel lembo invisibile trasparente che li divideva e smise di respirare. L’incarnato smunto e cereo perse di colore diventando ancor più trasparente. Geldena l’aveva capito prima ancora di Adamante stessa, Raja l’aveva avvertita e persino il nano con cui aveva avuto pochissimi contatti, escluse visite saltuarie fatte di una manciata di minuti per aggiornarlo su Legolas, aveva appreso tale verità.   “Guardate che solo un pazzo o uno stolto avrebbe difficoltà a vedere cosa vi sta succedendo! Per quanto possa essere profondo il vostro senso di giustizia nessuno si esporrebbe così con uno sconosciuto se non fosse un’anima gemella! E per tutti le orecchie a punta! Eccome se lo siete! Ne ho avuto conferma proprio ora!” rispose il nano lanciando un pugno a fendere l’aria per dar conferma alle sue strampalate teorie. Adamante cominciò a vagare con lo sguardo nel vuoto, gli arti inferiori tremarono costringendola a voltarsi e posare la schiena contro il tronco accanto all’apertura dove Gimli continuava a guardarla.

“Se lo ritenete così evidente, vuol dire che sono morta!” bisbigliò al vento mentre le gambe si distesero inerti davanti alla sua persona. Il nano, seppur non comprendendo la ragione per tale affermazione, non se la sentì di contraddire la ragazza. Aveva imparato a sue spese quanto fossero irrazionali e privi di significato i comportamenti delle Ombre. Tutto tacque se non per il rumore del respiro appesantito del Portatore della Ciocca, il quale era incerto sul da farsi. Da giorni si arrovellava il cervello nella speranza di trovare una via di fuga da quella prigione, cercando qualche falla nel sistema di sorveglianza che purtroppo non presentava la minima imperfezione. Mentre rimuginava ancora sul da farsi un borbottio imbarazzante lo colse impreparato. Adamante scostò finalmente il volto per poter osservare meglio il nano che si massaggiava lo stomaco vuoto. Il cibo che gli passavano non era mai sufficiente a saziarlo ed ovviamente non era molto di suo gradimento il rancio quotidiano concesso ai prigionieri.

“Avete fame, mastro nano?” Gimli cominciò a borbottare sconnesso per poi alzare un po’ i toni, fornendo alla ragazza un po’ di allegria.

“Cosa? Che non si dica mai che un nano non possa sopportare gli stenti! Siamo creature tenaci e resistenti! Piuttosto pensate a rifocillarvi voi che siete tutta pelle ed ossa!” cominciò ad agitare le mani quasi a cacciare degl’insetti dal viso, per poi voltarlo con un gesto sprezzante ed un’espressione buffa che strappò una risata leggera sull’orlo dell’isteria alla ragazza. Scosse la testa lasciando ricadere i capelli rilucenti sul petto, rovistando nella borsa alla ricerca di un misterioso incarto.

“Quindi se non siete affamato non vi interessa questa carne secca che mi hanno donato stamane come pegno per i miei servigi?” la voce languida ed invitante era al pari del piccolo fagotto incartato dalle foglie di fico. L’intenso olezzo di maiale e sale gremì lo stomaco del nano che reagì alla domanda con un gorgoglio più forte e pronunciato. La ragazza allungò il pacchetto davanti alla fessura continuando a fissare con la coda dell’occhio il fagottino ancora tra le sue mani e poté percepire il deglutire dell’acquolina del nano, il quale stava per cedere al quell’orgoglio di razza così simpatico.

“Ahhh!” gridò sconfitto dal gioco d’astuzia di Adamante “Non si dica nemmeno che venga sprecato del buon cibo! Avanti, passatemi quella carne secca che non gradite per voi!”

“È solo per evitare lo spreco giusto?” accennò con fare sarcastico Adamante verso il nano mentre passava l’incarto attraverso l’apertura.

“Certo, mia signora! Io potrei resistere giorni, se non settimane senza cibo e acqua! Sono un discendente di Durin, per tutte le cave di Mithril! Non sono il principino con le orecchie a punta!” accennò addentando un pezzo di carne e, mentre masticava ancora, s’accorse di aver appena preso una cantonata.“Senza offesa, mia signora!” si riprese dall’evidente inciampo linguistico in cui era incappato.

“Nessuna offesa, nano!” quello scambio di battute aveva per un po’ distratto Adamante, ma il ricordo del suo fido destriero scappato ritornò impetuoso quando i suoi occhi si posarono su di una porzione della radura visibile dalla sua posizione, scenario del fatto avvenuto soltanto i due dì antecedenti a quella notte priva di luce. Il nano s’accorse dell’improvviso cambiamento d’umore della ragazza. Si sporse, per quanto la sua statura esigua glielo permettesse, e notò una piccola goccia di rugiada scendere lenta ed inesorabile sulla gota lattea.

“Ho assistito alla scena con il vostro destriero, mi dispiace per voi!” nonstante l'evidente dimostrazione di indulgenza, sbuffò incontenibile visto quella capacità insita della ragazza di spingerlo a compassione facendolo diventare incline ai sentimentalismi.

“Almeno ora uno dei due può godere della libertà! È una consolazione, seppur magra!” accennò ad un sorriso alquanto poco convincente visto che ancora lo stomaco del nano parve rimestarsi per la tenerezza che gli stava estorcendo.

“Sentite, so che potrà sembrare stupido, probabilmente non è poi così lontano da una definizione tale, però dovreste salutarlo!  Mi spiego meglio: è come se non l’avete lasciato andare veramente, quando avete detto che uno dei due può godere della libertà non sembravate persuasa dalle vostre stesse parole …” certo sentire parlare di sentimenti un nano poteva solo donare una profonda perplessità alla  Guaritrice che era rimasta basita dal tentativo di consolazione di Gimli. “… andate in un posto che ve lo ricorda e ditegli addio! Così alleviereste almeno una parte dei vostri tormenti!”

“Non  pensavo che i nani fossero così esperti di emozioni! Devo ammettere che ribaltate molte mie convinzioni, mastro Gimli!” era la prima volta che Adamante chiamava il nano con il suo nome il quale rispose con il viso in fiamme e brontolii sommessi, a mascherare una sorta di piacevole imbarazzo. “Vi ringrazio per la vostra gentilezza e per avermi ascoltata!” fu allora che il nano perse ogni barriera, quando con voce soffusa la ragazza aveva espresso tutta la sua gratitudine.

“Non è stato un peso, mia signora!” affermò con decisione.

“Credo che seguirò il vostro prezioso suggerimento!” si rialzò lesta per poi inginocchiarsi di nuovo sulla fenditura rivolgendosi ancora a Gimli che la osservava dall’oscurità “Quel du, san’ ! | S – Buona notte, allora! |” disse poi per risollevarsi eretta.

“Quel du, san’  anche a voi, qualsiasi cosa significhi!” borbottò con la folta barba a fare da barriera visiva agl’angoli della bocca sollevati verso il soffitto soprattutto quando la ragazza rise tra le labbra, coprendo con le affusolate dita la bocca purpurea. Adamante si sentiva stranamente rinvigorita dopo la conversazione con il nano, tanto che decise di inoltrare la notte stessa il proposito fatto nell'assecondare il consiglio dell' Amico degl'elfi. Superò abilmente i diversi controlli fino ad accedere alle stalle reali. Quello era il luogo dove per la prima volta Aratoamin le aveva permesso di avvicinarsi, da quando era stato acquistato non voleva saperne in alcun modo di guardare anche solo una delle Amazzoni. Rinchiuso in poco più che un metro quadro, scalciava come un forsennato cercando di abbattere le pareti costringenti. Adamante aveva poche cose del padre che custodiva gelosamente come fossero un tesoro prezioso tra cui un diario dove aveva annotato i suoi giorni presso Taur en Gwaith. Era attraverso quest’ultimo che aveva imparato la lingua dell’elfi e la Guaritrice ogni sera lo rileggeva quasi fosse un rituale per rievocare il ricordo dell’affetto strappato dal suo petto. Da quando il cavallo era arrivato a palazzo lei, si metteva in un angolo poco fuori la staccionata che serrava l’irrequieto destriero al sicuro. La voce di Adamante risuonava in tutta stalla mentre sussurrava gli antichi canti appuntati dalla mano del suo amato padre. Un giorno, durante questa abitudinaria consuetudine, sentì il suo respiro riverberarsi sul collo diventando definitivamente inseparabili. Quel quadrato fatto di legname e fieno era desolato senza la sua piccola ma ingombrante presenza. Tolse il fermo che apriva la staccionata ed entrò in esso carezzando con la punta delle dita le mura segnate. “Quante volte hai desiderato poterti liberare di queste pareti, amico mio. Erano per te un ingiusto fardello, mai mansueto come i tuoi fratelli, mai pronto ed attento se non ne avevi voglia. Odiavi i dettami di una vita in schiavitù per questo ci siamo trovati. Ora puoi correre, Aratoamin, puoi correre quando vuoi, puoi essere libero fallo anche per me!” Adamante si soffermò a guardare la foraggiera al lato mezza vuota. Presto un altro cavallo avrebbe preso il suo posto e quel fieno sarebbe diventato il suo pasto dopo aver subito le vessazioni dei propri padroni. Le venature lignee erano incise in più parte dagli zoccoli molesti e violenti del suo amico, ne assaporava con il tatto ogni piccola increspatura, ogni singola sfumatura. I polpastrelli avvertirono una mezzaluna più profonda delle altre, un intacco appena scolpito nel legno massello della stalla. Era l’ultimo colpo di Aratoamin ed a lui rivolse il suo saluto. “Aa' lasser en lle coia orn n' omenta gurtha, Aratoamin, amin estela ta nauva anlema … | S - Che le foglie del tuo albero della Vita mai appassiscano, Aratoamin, Spero che sarà un lungo viaggio … |” calde lacrime splendenti, abbellivano il volto pallido di Adamante, ma non tristi, felici perché aveva finalmente raggiunto la consapevolezza di quanto sarebbe stato meglio lontano dalle loro terre.  Aveva ragione il nano quando affermava che si sarebbe sentita sollevata nel salutare il suo Aratoamin ormai pronto a vivere per entrambi. Le sue mani lavarono le gote dal sapore salino irrorato dall’autunno dei suoi occhi “Namarie mellonamin! | S – Addio amico mio!  | ” portò le mani alla bocca come se prendesse le proprie parole con le dita, uno spiffero mosse l’aria attorno ad esse e muto trasportò il saluto di Adamante al suo spirito. Iniziò ad intonare un canto d’addio insegnatole dal padre e nell’assoluto silenzio della stalla le parve sentire un nitrito di Aratoamin, come ricordo riaffiorato di quando la sua voce faceva compagnia all’equino nei momenti di sconforto. Uno scrocchiare di sterpaglia però non era frutto dell’immaginazione, quindi non era l’unica a non giacere nella notte e accogliere il meritato riposo. Come un predatore percepisce un pericolo i muscoli della Guaritrice s’irrigidirono, pronti a scattare per difendersi.

“Il vostro canto era superlativo, Aratoamin avrà sicuramente apprezzato …” disse una voce che non riconobbe immediatamente dato lo stato confusionale in cui versava per le troppe emozioni vissute. Dallo stivale estrasse il pugnale e lo puntò verso il poco gradito ospite che stava irrompendo nei suoi pensieri. Il braccio teso gli occhi sgranati quando le iridi cerulee dell’elfo si distinsero nell’oscurità della stalla. Entrambi rimasero immobili come un masso incagliato colpito dall’irruenza del fiume, due statue ferme a riconoscersi per la prima volta come appartenenti alla stessa cava, due cuori in tumulto, due anime vicendevoli che non aspettavano altro che trovare spazio per vivere la loro esistenza. Legolas ora poteva ammirare la vera bellezza di Adamante: la bocca rosea socchiusa ed il respiro affannato per l’evidente sorpresa, un aspetto etereo e silvano caratterizzava quell’incantevole volto dai lineamenti delicati palesati dello splendore del suo incarnato quasi rilucente, i lunghi capelli castano dorati in parte sciolti a carezzare la schiena erano intrecciati all’indietro fino alla parte posteriore della testa lasciando scoperte le orecchie la cui forma sembrava quella di una foglia allungata. Quelle erano le stesse fattezze del popolo benedetto da Ilúvatar, la stirpe dei priminati giaceva in lei come in Legolas. “La mia vista non si sta ingannando …” sussurrò l’elfo guardando ancora quei tratti raffinati illuminati dalla splendore degl’Eldar. L'elfo era sicuro di poter affermare che nei suoi secoli passati non aveva mai avuto modo di dirsi veramente disorientato come allora.

“Sarà meglio che i vostri occhi credano ad un inganno! Fingiate che sia un sogno, questo non doveva accadere!” fredda ed aspra era la replica della Guaritrice. Quando le sue palpebre non avevano chiuso la mente alla notte sapeva che qualcosa l’avrebbe guidata al disonore degl’ordini. L’elfo, di suo canto, non riusciva a spiegarsi come non aveva fatto  a capirlo prima. Troppi segni gli avrebbero dovuto indicare il segreto di Adamante, troppe le sensazioni affini a quella diversa Amazzone che tormentava l’antico pensiero di un discendente dei Sindar. Il suo parlato sciolto e fluido, l’animo gentile, la sua cavalcata sbrogliata persino il pugnale ancora puntato al suo petto, fino ad allora ritenuto da lui un semplice bottino di guerra,  era una prova delle origini di Adamante forgiato dalle mani sofisticate degl’elfi e dalla lama bianca la quale riportava un’iscrizione di nota provenienza:

Nimril aen estar goth en gothamin | S – Nimril sono chiamata nemico del mio nemico |

Un elfo del suo Reame, amico di vecchia data, possedeva quell’arma in passato: Helluin, luminoso astro argenteo della notte, scomparso durante un’esplorazione quando l’ombra dell’Oscuro Signore aveva iniziato la sua avanzata e la mente dello Stregone Bianco era stata avvelenata.

“Da dove avete preso questo pugnale? E badate che non ritirerò la mia domanda!” disse perentorio verso la ragazza che a quel punto intensificò la stretta sull’impugnatura mostrando sul volto una maschera truce ed adirata.

“Questo non vi riguarda elfo!” esclamò sprezzante.

“Mi dovete delle risposte Guaritrice, quest’arma apparteneva ad un mio amico, come ne siete venuta in possesso?” Adamante si morse furiosamente il labbro cercando con il dolore fisico di mascherare quello del cuore. La lama bianca risplendeva al tocco della flebile luce della lampada ad olio accesa in un angolo, quando ruotando il polso cercò di riprendere la forza e non mostrarsi debole.

“Io non vi devo niente, la mia posizione e la mia vita sono a rischio a causa vostra!” sibilò verso Legolas immobilizzato sotto la minaccia incombente della punta.

“No voi mi dovete molto!” esclamò Legolas cercando di controllare la sua voce. “Vi siete presa la mia lucidità …” la fanciulla mostrò un primo segno di cedimento allargando le dita sull’impugnatura dell’arma “… la mia pazienza …” l'elfo avanzò di un passo vedendo i muscoli del volto rilassarsi e i denti smettere di tagliare con insistenza la bocca arrossata “ … la mia mente …” alzò il braccio avvicinandosi di più alla ragazza e con esso allontanò il pugnale dalla sua persona. Adamante non resistette, rimase immobile fissa negl’occhi di lui con un costante martellio che batteva prepotente sul costato quasi volesse sfondarlo, soprattutto quando Legolas ad un passo da lei aveva afferrato la mano libera per posarla sul petto “ … il mio cuore! Quindi come vedete avete molto da rendermi!” il pugnale tintinnò argentino a contatto con il pavimento come lo sguardo della fanciulla che cadde al suolo. Le mani di Legolas erano impazienti e tremanti a contatto con la mascella di velluto mentre sollevava quel viso splendido e privato di ogni occultazione alla sua bellezza. Lo studiò in ogni particolare dalla curva della fronte, ai grandi e profondi occhi castani, unica cosa a renderla dissimile dalla sua razza, seguendo il profilo del naso fino ai due petali vermigli che disegnavano le labbra. “Vanimle sila tiri, Adamante! | S – La tua bellezza risplende intensamente, Adamante! |”

“Perché mi state facendo questo? Perché mi state aprendo i vostri sentimenti? Non capite che a me non è concesso, non posso amare ed essere amata, non posso dirvi che siete il mio primo pensiero al canto dell’allodola e l’ultimo al crepuscolo, non posso confessarvi quanto ogni giorno che s’avvicina al Yavieba io mi senta morire, non posso confessarmi le mie vere origini! Perché mi state inducendo a tutto questo? Perché volete sapere a tutti costi cosa si cela nel mio passato? Perché non uscite dalla mia testa e dal mio petto? Mankoi? | S – Perché? | ” la parole accorate di Adamante erano semplici sussurri ma a quella distanza apparivano come urla.

“Non riesco a spiegarlo neanche a me stesso, mia piccola Guaritrice, so solo che da quando vi ho incontrato il mondo ha cambiato il suo moto, ogni cosa che pensavo importante ha perso significato di fronte alla vostra incolumità, tutto si è fatto irrazionale e sconsiderato!” Legolas non si trattenne prese ardentemente le mani della ragazza e le strinse al suo petto possessivo, trattenendola dall’andarsene “Amin naalle Adamante! | S – Sono tuo Adamante! | ”

“Amin naasen Legolas! | S – Sono [di] loro Legolas! |” rispose abbattendosi la Guaritrice, con una vena scoraggiata a fare da padrona. L’elfo serrò la mandibola infuriato emettendo uno schiocco secco. Quella era una triste verità d’affrontare: purtroppo Adamante apparteneva ancora a quel popolo dalle assurde regole.

“Fuggiremo insieme, melamin | S – amore mio |!” passò con il dorso della mano sulle gote lievemente rosate rimanendo allibito dal bisogno di sentirla vicino di poterla afferrare liberamente e tenerla a sé senza alcun timore alcuno. La ragazza chinò la testa accogliendo quella dolce carezza ed il cuore dell'elfo schizzò vedendosi assecondato. Si appartenevano sin da quel giorno in cui la prima volta i loro occhi si erano scontrati nel buio.

“Sut? | S – Come? | ”  sarebbe stata una lotta estenuante, forse la più dura da affrontare. Da soli conto un intero popolo. Legolas chiuse le palpebre e con delicatezza posò la sua fronte su quella della fanciulla, accostando l’esile corpo di lei al suo. Da quella posizione sentì la fanciulla scossa da deboli tremiti dovuti all’emozione, un misto di paura e gioia che anche lui sentiva scorrere forte nelle sue vene. Solo ora, con Adamante tra le braccia, si poteva dire completo. 

“Troveremo una soluzione, insieme mia piccola Guaritrice!” seguì la tacita promessa di non abbandonarsi firmata dalle labbra che si abbandonarono le une alle altre dolcemente come una brezza marina in una calda giornata estiva. I loro respiri congiunti in un unico alito di vita, creavano un amore più grande del tempo e dello spazio, due anime nate per essere unite nell’eternità. Quando si distaccarono Legolas vide negl’occhi di Adamante una nuova luce, la più vivida ed intensa che avesse mai visto in nessuno della sua specie, una nuova speranza era nata, alimentata dal fatto che per quanto impervia la via l’avrebbero percorsa in compagnia l’uno dell’altra.

“Credo che sia giunta l’ora di spiegarvi il mio passato e le mie origini!” disse con un sorriso la Guaritrice.

“Non è necessario ora …” prima che potesse finire la frase un dito della ragazza si andò a posare sulla bocca dell’elfo intimandogli il silenzio.

“Invece è necessario dovete sapere, perché tutto è collegato alla vostra presenza nelle nostre terre! E poi …” esitò un momento cercando con un soffio il coraggio per continuare “ … è giusto che voi sappiate tutto prima di decidere di avermi al vostro fianco!” all’elfo sembrarono assurde quelle parole, aveva visto Adamante l’aveva conosciuta nel profondo niente poteva macchiare la sua persona. “Ti prego …” quell’uso improvviso dei toni confidenziali erano segno che anche la fanciulla si era arresa all’evidenza, abbandonandosi ai propri sentimenti. “ … torna ai tuoi alloggi ed attendi il mio arrivo! Busserò alla tua porta per tre volte, così saprai che sono io!”

“Tu dove andrai?” chiese preoccupato.

“Io devo prendere una cosa dalle mie stanze, poi sarò subito da te! Ora sarà meglio andare prima che il favore della notte smetta di assisterci!” Si mossero più silenziosi del battito d’ali di una farfalla, agili come felini giungendo al palazzo dove si dovevano dividere.

 “Cormamin niuve tenna' ta elea lle au'! | S – Il mio cuore dormirà fino a che non ti rivedrà ancora!|” un bacio  a fior di labbra, una ripromessa di quanto appena detto.

“Tenna' ento lye omenta, Legolas! | S – Fino a che non ci rivedremo di nuovo, Legolas! |"

“Tenna' san'! | S – Fino ad allora!| ” ” confermò alla Guaritrice con un tenero sorriso. Si scambiarono ancora un po’ di effusioni al riparo da sguardi ed orecchie indiscreti. Avevano atteso troppo nel dichiararsi che ora non avrebbero voluto mai più separarsi.

“Devo andare …” sospirò Adamante restia a congedarsi ma con la gioia di ricongiungersi in un momento successivo. Legolas lasciò le sue mani e si arrampicò lungo la parete nodosa del palazzo lasciando la sua amata percorrere il sentiero opposto.

Preparatevi or dunque, miei signori, a conoscere la vera storia della Guaritrice. Le barriere sono state infrante e il potere dell’amore è stato sprigionato. L’elfo è trepidante ed impaziente, Adamante è definitivamente pronta a rivelarsi contro ogni ostilità, ma quello che non sapevano è che l’Ombra rema sempre nascosta nella via avversa.

 

Note dell'autrice: Saaalve salvino! Eccoci giunto ad un momento cruciale da qui in poi basta convenevoli Legolas ed Adamante sono innamorati e combatteranno per far trionfare questo sentimento (già sono una romanticona!).  Comunque nel prossimo sapremo la storia della nostra beniamina. Sorpresi? Adamante è un mezzelfo!!! Già! Per questo callial le aveva detto di non mostrarsi insomma LEgolas era attratto da lei così figuriamoci ora che sa di essere due anime affini.  Allora c'è da precisare una cosa: gli elfi, e quindi presumo anche i mezzelfi nati da un uomo+elfo, hanno la crescita rallentata (corregetemi se dico un'inesattezza) tanto che raggiungono la piena maturità tra i 50 ed i 100 anni tant'è che anche il loro aspetto esteriore dimostra un'età inferiore a quella anagrafica (tipo dimostrano 3 anni quando ne hanno 7).  E qui iniziano i miei ragionamenti fatti per far combaciare gli avvenimenti del mio scritto:questo per me vale e non vale per i mezz'elfi ovvero avranno si uno sviluppo rallentato ma, a mio parere,  l'influenza potrebbe condizionare la crescita di tali creature. Riportandolo nella nostra storia: Adamante ha 25 anni circa (alla fine di tutto sto costruendo un annale dove spiego tutti gli avvenimenti della storia in modo che abbiate una sorta di riassunto classificato di tutto ciò che succederà) ma ne dimostra sulla ventina. In realtà se avesse vissuto con il padre dovrebbe essere poco più che un adolescente in via di sviluppo ed invece avendo sempre vissuto in un ambiente umano ed ostile si trova a crescere quasi come sua madre. Un altro aspetto importante è quello che nonostante l'immortalità gli elfi possono morire in due modi: o se feriti mortalmente o se colti da un profondo dolore. In questo secondo caso si lasciano appassire in un certo qual modo ed alla fine muoiono. In Adamante sta succedendo una sorta di cosa simile, non vivendo bene tra le Amazzoni e colta da due profondi dolori di cui ne sapremo di più nel prossimo capitolo si lascia praticamente andare rincuorata solo dalla gente che aiuta. Anche questo ha contribuito alla crescita accelerata della mia Adamante o almeno alle giustificazioni che ho posto per far combaciare il tutto. Per concludere la mia elocubrazione finale vi dico che a livello mentale invece gli elfi sono molto più precoci degli uomini: nel primo anno di vita impararo a parlare camminare e leggere. Questa info sarà utile per dopo. Spero di aver chiarificato il mio punto di vista volto solo allo studio di uno dei popoli più affascinati creati da Tolkien (oddio esiste un popolo non affascinante creato dal professore?)

Purtroppo al capitolino scorso non ci sono state recensioni quindi non ho rispostine da dare ^^ però se volete comunque commentarlo non ci sono problemi! ^_^

Ovviamente vi ringrazio sempre e comunque per la vostra pazienza e per il vostro supporto anche solo leggendo silenziosamente la mia storia! Spero che continui a piacervi!

A presto ed un bacio!

Vostra Mally!!!

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Capitolo 7
*** CAPITOLO VI: Svelarsi. ***


CAPITOLO VI: Svelarsi.

Quante cose l’amore trasforma, miei signori. Alcune volte sono cambiamenti impercettibili, altre volte sono travolgenti e perenni. Questo era il caso di Legolas che contro ogni aspettativa aveva trovato l’amore nella situazione più ostica, trasformando ogni sua concezione, compreso il mutevole stato del tempo che aveva assunto una nuova importanza per l’elfo. Tentò in tutti i modi di fermare il suo continuo passeggiare per la stanza, un momento seduto sul ciglio del letto il momento dopo in piedi a rimirare la notte ancora alta. Le morbide fiamme delle candele fluttuavano sinuose puntando le loro virgole incandescenti verso l'alto, deviando i loro movimenti ad ogni passaggio inquieto dell’elfo. Non desiderava solamente conoscere ciò che bramava da settimane, voleva essere anche sicuro che non si fossero accorti di quello che stava accadendo tra di loro. E pensare che nei quasi tremila anni di vita più di una volta si era chiesto se avrebbe mai trovato il vero amore. Adesso si trovava colpito da una calamità, un terremoto dalla potenza devastante che aveva completamente ribaltato il suo io. Sua madre glielo ripeteva di continuo: se ne sarebbe accorto dal primo momento quando un giorno nel cammino della sua esistenza si sarebbe scontrato con la fanciulla che gli avrebbe trafitto irrimediabilmente il cuore. La bella Adamante era riuscita a rapirlo e soggiogarlo, perché ora era sicuro avrebbe fatto di tutto per lei e per salvarla. L’avrebbe amata e protetta, l’avrebbe venerata come fosse la più sacra delle reliquie, l’avrebbe resa principessa delle sue terre appena le avversità fossero state superate. Vero, gl’elfi erano soliti a lunghi fidanzamenti, a conoscenze profonde e reciproche, ma con Adamante lui sentiva di dovergli donare tutto sé stesso fin da subito. Era ciò che aveva sempre cercato gentilezza, grazia, forza e magia tutto contenuto nella stessa e speciale persona. Temeva solo un possibile rifiuto per quello spirito libero che albergava nel cuore della fanciulla, anche se lui mai le avrebbe negato i suoi bisogni, piuttosto si sarebbe mutilato tutti gli arti. Ripensare ad Adamante lo rendeva stranamente felice e gli faceva provare un piacevole senso benefico, che dalla sua spalla solcata dalla bianca cicatrice si irradiava come il calore del sole fino in tutto il corpo. Mai gli era capitato una cosa anche solo simile, era come se smettesse improvvisamente di dolergli  lasciando un senso d’intorpidimento. Prese a massaggiare proprio il punto dove il brulichio s’intensificava, quando tre rintocchi di nocche sommessi sopraggiunsero dalla porta. Si precipitò verso di essa aprendola con veemenza, desideroso di incontrare quelle iridi ladre dei caldi colori della terra e dell’oro. Adamante attese di avere uno spiraglio per sgattaiolare nella stanza e chiudere silenziosamente il battente dietro le sue spalle. Tra le mani teneva una sorta di libro rilegato in cuoio morbido e tenuto chiuso da un laccio, della cui copertura originaria riservava solo alcune scaglie usurato dai continui scioglimenti.

“Iniziavo a preoccuparmi …” sussurrò l’elfo avvicinandosi al viso della fanciulla per poterlo apprezzare ed accarezzare. Le era mancata da quando si erano separati, era come una boccata d’aria dopo essere stati immersi troppo a lungo. Se si ritorna in apnea subito se ne avverte la voglia di averne ancora.

“Scusami, ti ho fatto attendere molto?” rispose con tono affievolito Adamante, indietreggiando di un passo per sfuggire alle tenerezze dell’elfo, il quale rimase di stucco vedendo quel suo modo di ritrarsi come se gli stesse negando il riemergere dalle acque.

“Averti lontano anche solo per un secondo lo considero troppo! Quindi si, ho atteso molto!” la frase era più fredda di come la conversazione era cominciata. La Guaritrice s’irrigidì stringendo il libro che teneva tra le mani fino quasi a piegarlo mentre di nuovo il labbro inferiore veniva divorato. Legolas non sapeva cosa pensare vedendo quegl’atteggiamenti così contrastanti e altalenanti di Adamante, da cocente innamorata ad algida fanciulla, sino a bambina impacciata.

“Non credo che la penserete così dopo che saprete la verità!” L’elfo era sicuro che nulla avrebbe cambiato ciò che sentiva per lei nemmeno l’inimmaginabile, troppo pura e trasparente per aver compiuto nefandezze di alcun genere. Era perplesso da tutta quella paura dimostrata nel raccontargli il passato. Adamante gli voltò le spalle e con passo lento e cadenzato si sedette sul letto. Dopo qualche respiro, picchiettò con la mano sul giaciglio accanto a lei. “Tula sinome! | S – Siediti qui! | ” bisbigliò quasi a confessare un segreto. Legolas obbedì, frusciando con il passo leggero fino al letto dove prese posto. Irrefrenabilmente prese la sua mano intrecciando le dita con quelle della ragazza, la quale in un primo momento non mostrò resistenza cercando lei stessa il contatto, ritirandosi poi quasi nell'immediato per aprire il laccio del libro posato sulle sua ginocchia. “Ti devo chiedere un favore …” Adamante sentiva l’angoscia aumentare e la secchezza delle fauci, dovuta all’agitazione, peggiorare arrivando persino a faticare nella deglutizione. I suoi occhi avevano evitato abilmente lo sguardo accigliato di Legolas che invece non aveva fatto altro che studiare ogni sua mossa. “Qualsiasi cosa dobbiate dire o chiedere vorrei che non interrompeste il mio racconto! È la prima volta che ne parlo e mi rimane decisamente difficile fare un discorso con un filo logico. Molte sono le emozioni che si avvicendano e perlopiù dolorose. Probabilmente proverete disgusto verso la mia persona alla fine di tutto, spero solo che siate così galantuomo da non inveire contro di me …”

“Non dire assurdità!” sbottò l’elfo incredibilmente esasperato da quelle parole. Non tollerava che proprio la donna che aveva appena scoperto di amare pensasse anche solo lontanamente una cosa simile. “Non farei mai …” le lunghe ed esili dita si posarono delicate sulle labbra dell’elfo.

“Non fare promesse Legolas su questo punto, per quanto tu sia un uomo d’onore ed uno spirito gentile, so che quel che ho fatto potrebbe portarvi al disprezzo nei miei confronti! Promettetemi solo che ascolterete tutto prima di rispondere …” l’elfo prese delicatamente il polso di Adamante e dopo avere baciato la mano che ricopriva le sue labbra l’adagiò fra le sue annuendo con un cenno del capo. “Devi innanzitutto sapere che io e Callial abbiamo stessa madre ma i nostri padri hanno natali opposti, questo perché Amarah ha avuto due Tessalon differenti dalle quali unioni nacquero due figlie totalmente dissimili.” La Guaritrice prese di nuovo il manoscritto iniziando a sfogliare le prime pagine con la mano libera. Per quanto si era imposta di rimanere distanziata per non incappare in una cocente delusione al suo rifiuto, non riusciva a rimanere senza quel contatto che le infondeva sicurezza e la sedeva. “Questo è il diario di mio padre tenuto durante i giorni di prigionia qui a Taur en Gwaith, risale esattamente a venticinque inverni passati quando venni alla luce. Mia madre all’epoca era una Regina potente e temuta dalla bellezza straordinaria, una valente combattente e soprattutto una donna dalle mille risorse. Il nostro mondo stava cambiando e i potenti Signori della Guerra volevano molto di più dalle Amazzoni. Da sempre abbiamo intrattenuto commerci con i Variag del Khand, terre a sud di Mordor, quando un giorno portarono al cospetto di Amarah un elfo del Reame Boscoso, tributo pagato per ingraziarsi la regina ed approfondire vecchi accordi molto importanti per entrambe le fazioni. Quest’elfo era Helluin partito dalle Terre Selvagge per scoprire cosa si stava muovendo nell’Ombra, catturato da Kuzdo, primo Tessalon di Amarah e padre di Callial.” A quelle parole Adamante si rivolse all’elfo che ebbe un fremito, forse iniziava a capire quale fosse il suo ruolo da quando era prigioniero delle Ombre. Poi abbassò lo sguardo iniziando a percorrere le prime parole scritte dalla mano di colui che aveva amato e l'aveva amata. “ << Oggi finalmente mi hanno concesso di scrivere un diario. Ho convinto Amarah a darmi una possibilità di sfogo visto la mia reclusione in queste stanze. Non sono in una vera  prigione ma sono vincolato agli spostamenti tenuti dalla Regina la quale mi ha denominato suo Tessalon senza mai spiegarmi cosa fosse realmente questo ruolo. >>” Sollevò gli occhi dal diario per posarli nuovamente sull’elfo, perso ormai nei suoi ragionamenti e nelle ulteriori domande che avevano iniziato a scorrere nella sua mente.  “Amarah in realtà aveva un debole per Helluin, non poteva dimostrarlo in pubblico ma il suo assecondare alcune richieste era indubbio. Mai si era stata magnanima nei confronti di alcuno, sempre pronta a condannare per dare a vedere di essere la degna sovrana di un popolo così duro. Helluin di suo canto non ricambiava le attenzioni di Amarah, cosa che non intralciava la legge. Noi non ci facciamo assoggettare e prendiamo ciò che riteniamo più adatto alla nostra sopravvivenza. Mio padre analizzò a fondo la nostra popolazione durante il mese in cui è stato prigioniero, lascerò alle sue parole le spiegazioni di quello che siamo, spero che ti aiuti a capire cosa si nasconde in noi:  << Queste genti sono spaventose ed affascinanti allo stesso tempo: nessun uomo appartiene a questi boschi, nessun padre, figlio o fratello. Sono una comunità di donne, nate con il solo scopo di proteggere la loro indipendenza attraverso azioni militari. Questi boschi sono battuti da orchi e creature maligne di ogni genere, eppure non riescono a sorpassare la linea di confine che delimita le loro dimore suddivise in due città: la Città Alta, quella dedicata alle guerriere e alla famiglia reale,  e la Città Bassa, nascosta dalla parte alta e protetta da essa, esistente per i compiti atti allo sviluppo della comunità. Devo ammettere che mi sono scoperto interessato a questo strano mondo, dove vige la regola del cerchio. Tutte sono destinate ad essere delle guerriere, nascono praticamente con una spada tra le mani, addestrate fin da bambine al combattimento, pur mantenendo i propri interessi esterni come l’arte medica o lo studio. I primi anni di vita una Gwath li trascorre con la propria madre nella Città Bassa, dove viene iniziata all’arte della lotta e dove viene osservata per capire il campo in cui eccelle con giochi e piccole scuole rette dalle più anziane. Appena sopraggiunge un’età in cui possono brandire la spada si trasferiscono nella Città Alta ed in un paio d’anni diventano vere e proprie macchine di distruzione: ho visto la meno valente guerriera uccidere decine di orchi superando di gran lunga il più esperto capitano di un esercito. Restano tra le combattenti fino a quando la loro bellezza raggiunge l’apice poco prima della decadenza. A quel punto, se non appartiene alla famiglia reale, prende nuovamente dimora nella Città Bassa dove si trova a sostenere la popolazione con un mestiere e a fare da madre, partorendo più di una figlia in termine di pochi anni. Fabbri, maniscalchi, contadine, non c’è una funzione non coperta all’interno di questa complessa società. L’aspetto  più straordinario risiede nell’assoluta condivisione del proprio operato. Tutte lavorano per tutte come in una grande famiglia, anche le esigenze delle abitanti della Città Alta hanno la priorità. Una volta diventata anziana l'Ombra metterà a disposizione le proprie conoscenze alla nuova generazione addestrando le piccole guerriere, chiudendo così il cerchio. La curiosità nata dallo studio di quest’organizzazione minuziosa così affascinate, cominciai a voler sapere qualcosa in più di leggi e religione. Così, con il permesso di Amarah, mi sono recato nella loro biblioteca, fatta di pergamene e una manciata di manoscritti. Purtroppo la maggior parte erano trascritti nella loro lingua quindi per me incomprensibili. Solo un testo che ho trovato era vergato in lingua corrente, un testo religioso che parlava della nascita di questo strano popolo. Non era un grande paragrafo, poche righe appena accennate. Si narrava di una donna dell’Est chiamata Arhen, data in sposa ad un Signore della Guerra del Khand molti anni precedenti a quello odierno. Quella donna era una maga e sapeva tirar di spada, forte ed indipendente si ribellava al marito che voleva sottometterla. Un giorno prese con se alcune sue servitrici che non sostenevano la supremazia dell’uomo e scappò da palazzo stabilendosi nell’ombra della foresta per sfuggire alle ricerche disperate del marito. Ci vollero mesi perché si allontanasse a sufficienza, per poi stabilirsi in una foresta poco sopra il Mare del Rhûn dove decise di costruire le case all’interno degl’alberi occultati a viste poco attente. Poco dopo la fine dell’edificazione delle prime dimore Arhen diede alla luce una bambina che benedisse con un incantesimo e la chiamò Artemis. Si disse anche al suo primo pianto le lacrime che toccarono terreno divennero diamanti. Quando Artemis divenne donna incontrò nuovamente il padre, il quale tentò di sottometterla al suo volere con il risultato di uscirne sconfitto. Per la sua dimostrazione di forza e di caparbietà venne identificata come una Dea capace di sconfiggere il loro nemico e occultare la presenza delle Amazzoni al modo emerso. Da quel giorno gli uomini del Khand stipularono un trattato di non belligeranze e di contraccambio con le donne della Taur en Gwaith. Nel testo non era specificato in cosa consisteva questo contraccambio e non ho trovato alcun indizio su cosa potesse trattare. Ho solo potuto appurare che questo accordo è valido ancora oggi quando un emissario Variag è giunto qui parlando con Amarah. >>  A tutte queste teorie ne seguono altre Legolas, che io non mi attardo a leggerti perché troppo lunghe, ma Helluin si era posto una domanda fondamentale: chi erano i padri delle bambine che vedeva? La risposta sopraggiunse qualche giorno dopo: <<  Da più di un mese mi ripetono che quando avranno da me ciò che occorre e saranno certe dei risultati mi lasceranno andare, eppure io non vedo la luce. La prigionia qui sta diventando insostenibile, ogni giorno è sempre più duro, troppo vicino all’origine del male mi sto lentamente spegnendo. Ieri notte sono stato drogato ed indotto ad una cosa che non avrei mai fatto se non soggiogato da quel malefico infuso.  >>” Adamante si fermò un momento dal leggere osservando l’elfo che rimaneva totalmente immobile accanto lei. Le dita, ancora intrecciate fra di loro, si strinsero e gli occhi di Legolas furono attirati da quelli di Adamante. Sapeva che quello che lei stava leggendo rappresentava il suo futuro più prossimo. “Dopo molti più mesi di una normale gravidanza venni alla luce io: Adamante figlia di Helluin.” Il petto della Guaritrice si sollevò in un profondo respiro, atto al continuare con forza il resto del lungo racconto. Sfogliò nuovamente le pagine, soffermandosi in una in particolare dove abbandonò un sospiro carico di dolcezza, scorrendo con le dita sulla vellutata facciata. Quella era la sua parte preferita e la leggeva sempre con una felice nostalgia nel suo animo e con un tremolio delle labbra.“ << Mai un atto di cotanta tristezza poteva portare ad una tale gioia. Non mi hanno concesso di vederla ma io nonostante tutto sono riuscito a sentire un suo vagito. Era la musica più dolce che avessi mai ascoltato, con essa il mio cuore sapeva che non avrei mai permesso a questo mondo di rovinarla. Non posso sopportare di saperla costretta alla rinunzia dei sentimenti, non posso pensarla concupita da mani sporche di omicidi e sangue, non posso pensarla reclusa. >> Helluin non sapeva però che il nostro destino era quello di essere immediatamente separati. Finito il suo compito lui era destinato a dimenticare. Il giorno dopo la mia nascita venne portato via dalla foresta e costretto a bere un filtro a base di Ailwing vinya | S – Ninfea meglio conosciuto come Fiore di Loto | che serve a far scordare il passato più prossimo e a cancellare quei mesi che aveva vissuto nelle nostre Terre. Quando lo portarono al confine con le Terre Selvagge lui finse di bere la pozione e si lasciò abbandonare. Vagò per più di un anno alla ricerca della Foresta ossessionato dal volermi portare via. Quando finalmente trovò la città mi vide: ero così diversa di aspetto e di carattere da tutte le altre bambine che era sicuro che fossi sua figlia. Studiò tutti i miei movimenti fino ad un giorno in cui si decise ad agire. Mi attirò con un bagliore provocato dalla lama bianca del suo pugnale contro il sole. Io ero una bambina curiosa e così mi avvicinai a quel cespuglio da dove proveniva la luce. Quando lo vidi seppi immediatamente chi fosse; non so perché o per quale incantesimo, ma io sapevo che era mio padre. Viaggiammo come fuggiaschi assieme per molti mesi: con lui imparai il linguaggio della natura e quello degl’elfi, divenni un’esperta di piante ed arbusti. Ma presto quel meraviglioso idillio vissuto con Helluin divenne un incubo. Una notte ci trovavamo accampati tra gli alberi quasi al confine con le Terre Selvagge, la mia tenera età e il continuo nasconderci ci aveva rallentato notevolmente. Quella stessa notte le Ombre ci scovarono, mio padre venne ucciso ed io riportata alle cure della mia integerrima madre. L’ho amato tantissimo, dalla sua morte il mio cuore ne uscì lacerato e la mia sofferenza crebbe con il passare degl’anni. Di lui mi era rimasto solo questo diario e il suo pugnale, che mi vennero consegnati da Raja prima che fossero usati come merce di scambio per i commerci con i Variag. Da allora non feci altro che rileggerlo ogni sera imparando i canti, le preghiere ed ogni riga che vi era scritta, cercando sempre di mantenere nella mia memoria viva la sua immagine.” La Guaritrice si lasciò sfuggire una lacrima che brillò nella notte sulla sua guancia, sembrava composta della stressa materia dei sogni debole spiraglio di luce racchiuso nel cristallo della sofferenza passata. Legolas ne avvertì la presenza solo dopo che si posò sul dorso della sua mano ancora intrecciata a quella di Adamante.

“Quale immenso dolore in così tenera età devi aver provato …” sospirò l’elfo accarezzando il viso della ragazza, che invece di rispondere si discostò stringendo gli occhi soffocando altre lacrime luminose. La luce di Adamante si stava sprigionando era come se la sua natura di elfo si stesse palesando a lui.

“Non ho ancora finito, Legolas …” disse in un singhiozzo “Penso che tu abbia capito a cosa sei stato chiamato, cosa è un Tessalon e cosa vogliono da te!”

“Non importa cosa loro vogliono. Helluin era stato preso alla sprovvista io non …”

“Aspetta!” l’interruppe Adamante “Non sai tutto! Solo alla primogenita è concessa la scelta del proprio Tessalon, compresa l’eventuale cattura della creatura più adatta ad assicurare una stirpe forte e duratura. Callial voleva ripeter la storia di Helluin per avere un erede simile a me, savia e saggia. Gli elfi sono diventate creature rare, il Popolo delle Stelle sta lentamente lasciando la Terra di Mezzo e ciò ci ha spinte fino a Fangorn dove ti abbiamo incontrato. Questo trattamento però è solo per lei, in quanto sorella maggiore: per le altre madri i Tessalon vengono dai Variag con cui abbiamo un … accordo … ” i gomiti si puntarono sulle ginocchia, sciogliendo le mani da quelle dell’elfo per prendere la testa che parve diventare un peso eccessivo per il sottile collo.

“Adamante … ” esclamò Legolas preoccupato da quello che assumeva l'aspetto di un malore. Il pallore luminescente della fanciulla si fece cinereo e si spense. La Guaritrice sollevò la testa cercando di ritrovare l’ossigeno mancato per qualche secondo.

“Ogni Yavieba, un manipolo di guerrieri risale fino alle nostre terre per concepire il futuro dei guerrieri …” le iridi della fanciulla s’inondarono di un velo perlaceo mentre con determinazione si puntarono in quelle dell’elfo. “Dopo nove mesi ritornano per riprendere i frutti dei loro lombi: la progenie maschile è destinata ai Variag che così si assicurano una discendenza di soldati molto forti da istruire sin dalla nascita come noi stesse facciamo!”

“Non permetterò che ti costringano a giacere con un Variag solo per la loro supremazia, io non potrei sopportarlo … ”

“È già avvenuto!" disse amaramente verso l'elfo aspettando da lui una reazione che non arrivò "È successo molto tempo fa, non ero nemmeno consapevole di cosa mi stesse accadendo. Mia madre mi aveva detto di assecondare tutto quello che il Signore della Guerra voleva, la natura avrebbe fatto il resto. Per quello che sapevo stavo solo eseguendo gli ordini, nulla di quello che accadde era cosciente. Mi accorsi di quello che ero chiamata a fare troppo tardi: fui concessa secondo le usanze a Kudrem, giovane figlio del sovrano dei Variag e da lui concepì una nuova vita.” Un silenzio assordante piombò fra di loro, uno combattendo contro il disgusto l’altra contro il più forte dolore mai provato. Tutto rimase immobile nell’attesa che uno dei due muovesse il primo passo, persino la natura fuori dalla stanza tacque. “Cinque Yavieba si sono succeduti da quando Amarah volle far decadere l’eredità al trono di Callial. L’unico modo per le nostre leggi è che la seconda in linea di successione assicuri un erede prima della diretta discendente. Per molti mesi sono stata nascosta in isolamento, lontana dalla mia casa e dalle mie genti, affinché Callial non scoprisse i piani di nostra madre e ne impedisse l’adempimento. La gravidanza durò molto, privandomi quasi di tutte le forze. Ero così debole che il più delle volte mi ritrovavo costretta a letto per la troppa spossatezza. In me intanto nasceva una nuova consapevolezza: sapevo da sempre di essere diversa da tutte le altre, loro fin da bambine vedevano la nascita di un proprio figlio come un obbligo, iniziate al senso del dovere da tenera età non soffrivano nel momento della separazione. Io invece da sola rinchiusa in quattro mura sempre distesa, iniziai ad amare quella vita che stava crescendo in me: ero terrorizzata ma assolutamente felice ed aspettavo con trepidazione la sua venuta al mondo. Diedi alla luce un maschio, non mi fu concesso nemmeno di vederlo e lo strapparono dal mio seno senza curarsi della mia sofferenza. Rimasi immobile senza mangiare ne bere per una settimana, coricata nel mio nascondiglio. Mi avevano strappato dall’amore di mio padre, mi avevano preso il figlio che avevo custodito gelosamente lottando contro la stessa morte durante il parto e non avevo molto altro per cui vivere. Ero vuota, estraniata dal resto del mondo e temevo d’impazzire. Non ricordavo più nulla, né la mia vita passata, né il mio nome. Diventai praticamente una presenza evanescente sentivo esclusivamente la voglia di sdraiarmi nel bosco e lasciarmi andare fino a diventare io stessa parte della natura. Era questo il mio intento quando un giorno sono uscita dalla mia tana trascinandomi fino a fuori. Per quattro dì e quattro notti ho vagato come un fantasma sperando che un orchetto o un Warg si cibasse delle mie carni. Ciò non avvenne, qualcosa mi guidò verso la casa che mi era stata forzatamente affibbiata. Giunsi al confine sud con la Città Bassa nella notte mentre le urla di una puerpera irrompevano tra i rami flessuosi degl’alberi. Dalla mia mente ormai vuota iniziarono a sgorgare mille ricordi, i pensieri cominciarono a scuotersi come onde tormentate di un mare in tempesta. Il grigio diventò variopinto disegno: quelle erano le grida della sofferenza altrui. Le voci iniziarono ad avere significati, ad assumere proprietari fino a che l’immagine più forte divenne anche quella più importante: il volto di Raja che dava contro mia madre opponendosi per la mia troppo giovane età ai rituale dello Yavieba, le sue spalle quando fu costretta ad abbandonare la Città Alta, le sue urla quando stava anche lei compiendo il nostro destino di madre. Stava per dare alla luce una figlia delle Ombre. Rinvenni dal mio stato d’incoscienza e mi diressi frettolosamente nel lazzaretto da dove sentivo le levatrici muoversi. C’era sangue ovunque, ne calpestai la consistenza viscosa sotto i piedi nudi, ne captai l’odore di ruggine agrodolce, ne sentii l’essenza. Il parto era difficoltoso molto più del mio e sia madre che bambina stavano rischiando la vita. Non so cosa spinse le mie mani a posarsi sulla sua fronte madida, ma lo feci percependo il dolore passarmi attraverso le dita penetrando attraverso la barriera composta dalla mia epidermide. Era come se assorbissi il male che le stava procurando la morte mentre le contrazioni rischiavano di soffocare entrambe. Io non possiedo altri ricordi ma le levatrici mi dissero che nel momento in cui le mie mani emanarono una debolissima luce Raja smise di respirare, il corpo era esanime e privo di ogni segno di vita. Ad un tratto la sua bocca annaspò e la bambina venne data alla luce. Madre e figlia erano salve ed io diventai la Guaritrice. Dopo quel giorno affidai le mie capacità allo studio delle piante e delle loro proprietà, devolvendo la mia esistenza all’altrui benessere perché solo così riuscivo a ricavarne per me. Non vi furono più degl’episodi riguardanti il potere dimostrato durante la nascita di Ruin, forse perché non ve ne è stato più bisogno o forse perché le condizioni in cui versavo non si sono più ripresentate, io di mio canto ho ripreso a vivere solo per aiutare il prossimo e per questo ero restia dal ribellarmi alle regole, come invece avevo sempre fatto per rivalsa nei confronti di quelle leggi che avevano condizionato la mia vita, inducendomi in uno stato catatonico. Almeno fino al nostro incontro a Fangorn . Da quel momento in poi la storia la conosci, Legolas …” il viso della ragazza ormai era completamente invaso dalle lacrime di fiele che sgorgavano involontarie dai begl’occhi castani. Aspettava con ansia un responso, sempre che il suo cuore avrebbe retto ad una qualsiasi risposta. L’immobilità dell’elfo era come un’implicita confessione di disgusto per Adamante. La disperazione le prese come un nodo stretto alla gola, grattava crudele alle pareti dell’esofago fino a raggiungere lo stomaco sempre più attorcigliato su sé stesso. Le iridi grigie dell’elfo rimanevano fisse a rimirare un punto nel vuoto verso l’interessante pavimento. “Capisco! Il vostro silenzio vale più di mille parole!” la fanciulla sollevò una mano quasi volesse toccare la pelle dell’elfo che ancora non trovava modo di muoversi. Tremò di fronte a tale reazione e decise di ritirare il gesto lasciando le dita ad accarezzare l’aria per poi ricadere sul suo ginocchio. Avrebbe voluto soltanto un ultimo contatto ma non poteva deturpare con la sua sporca presenza quella di un animo nobile come Legolas. “Non lascerò che vi trattino come hanno fatto con mio padre, vi aiuterò a tornare a casa ma dovremmo sbrigarci perché fra pochi giorni arriveranno i Signori Variag e con loro lo Yavieba. Ed ora con il vostro permesso tornerei alle mie stanze …” la speranza che lui comprendesse era vana per la piccola Guaritrice, la quale si sollevò stancamente dal ciglio del letto tenendo ancora il diario stretto tra le sue mani. Mosse un passo ma una presa forte e vigorosa le bloccò il braccio stringendola quasi a farle male. Il quaderno, cimelio di un padre Astro splendente del firmamento, cadde soffocando il rumore dei battiti della ragazza.

“No!” disse l’elfo con ancora lo sguardo vacuo che l’aveva accompagnato per tutto il racconto. “Devi solo darmi un attimo per assorbire la mole d’informazioni che mi hai fornito Adamante!” del mistero che l’aveva accompagnata dal primo istante in cui si erano conosciuti ad allora, Legolas non aveva fatto altro che chiedersi cosa fosse quella tristezza così profonda che le offuscava la bellezza. Ebbene, ora che tutto gli era piombato addosso come una cascata si sentiva ubriaco, la sua ragionevolezza vacillava ondeggiando da un lato all’altro della sua ampia mente. Per un essere così poco travolto dalle emozioni subire cotanto spessore di sentimenti in poche ore risultava come uno stordimento confusionario, dove il peso dei suoi troppi anni era nulla a confronto di quelli appena fiorenti della ragazza, così intensi da sembrare secoli avanti. Ed insieme a quello di lei un nuovo turbinio nacque nell’elfo. Era difficile da tollerare per una creatura non abituata ad abbandonarsi allo sciabordare di emozioni proprie ed esterne. Tutte quelle sensazioni positive e negative che si alternavano con un trotto pesante e scoordinato lo avevano praticamente travolto: aveva provato collera per quando aveva assistito all’uccisione del padre, dolore quando l’amore per un figlio le era stato strappato per irrazionali leggi, gelosia quando aveva sentito delle impure mani di quel Kudrem appropriarsi della virtù di Adamante senza che se ne potesse nemmeno rendere conto, amarezza quando si era rivelata sola senza alcun appiglio alla vita, sconforto quando la sua Adamante voleva abbandonarsi cedendo al dolore, sollievo quando aveva ripreso a vivere, gioia quando la sua presenza si era rivelata importante. “Ho bisogno di stringerti a me e lavare via il passato, mi pento solo di non essere arrivato prima per poter impedire a te di vivere tutto questo dolore!” sollevò gli occhi incontrando quelli della ragazza estremamente commossa. “Ti giuro Adamante su tutto quello che possiedo, che solo la morte potrà separarmi da te! Non mi arrenderò finché non ti saprò lontana da tutto questo!” lentamente e con la solennità di un giuramento simile a quello nuziale si eresse sovrastandola con tutta la sua altezza. Rapì le sue candide mani e contemporaneamente quel formicolio piacevole sulla sua spalla tornò a farsi sentire. “ Adamante ti prego vieni con me, non potrei abbandonarti ai dolori ed alle sofferenze di questo popolo! Ora che so cosa ti affligge ne sono convinto più di prima!” negl’occhi della Guaritrice s’accese una nuova stella, grande ed iridescente protesa alla speranza di un futuro che aveva smesso di assisterla dalla sua venuta al mondo. Afferrò fra le mani il viso dell’elfo e con un bacio suggellò di nuovo quella promessa. “Khila amin, Adamante! | S – Seguimi, Adamante!|”

“Amin khiluva lle, mala en’ colamin!  | S – Ti seguirò, amore della mia vita! | ” bisbigliò allacciando le braccia al collo e nascondendo il viso contro il  suo petto. Legolas iniziò con dolci carezze ad incastrare le dita fra i capelli della Guaritrice, mentre dentro il suo cuore un profondo senso di quiete e pace iniziò a propagarsi come una macchia d’inchiostro su di una porosa pergamena. Era confortevole sentire il corpo della Guaritrice contro il suo, come se fosse lei a provocare quello stato di beatitudine che iniziava ad aleggiare nella stanza. “Sapessi quanto ti ho aspettato … ”

“Ora non dovrai più farlo!” rispose Legolas depositando le sue labbra sulla testa della ragazza.

“Come farò ad attendere fino a domani mattina per rivederti?” chiese con un sorriso la Guaritrice.

“Esta sinome! | S – riposati qui! | ” affermò l’elfo con decisione cercando d’imporle il proprio desiderio.

“Non pensi che sia sconveniente condividere il letto?” Adamante distese le labbra in una linea retta, posando le mani sui fianchi come stizzita da tale affermazione per scostanrsi dall’elfo colto da una strana sensazione d’imbarazzo. Alla sua espressione confusa la ragazza non resistette iniziando a sogghignare sempre più apertamente finendo a ridere coprendosi la bocca per soffocare il baccano.

“Ti stai prendendo gioco di me?” chiese l’elfo accigliato.

“Un pochino!” rispose la ragazza prima di tornare seria. Si riavvicinò lentamente all’elfo adagiando i suoi palmi sul petto per poi incatenare i suoi occhi a quelli di lui. “Ti conosco a sufficienza per sapere che nessuna malizia era nascosta nella tua proposta e so anche che in una situazione diversa non avresti mai azzardato una simile richiesta. Ma l’unica nostra amica è la notte e con essa l’oscurità che avvolge il nostro amore! Resterò qui con te ad attendere il mattino. Sono stanca ed immagino che il riposo ci aiuterà a riordinare le idee e ad elaborare un piano per liberarci e liberare Gimli!” con quella nuova speranza i due eredi dei Sindar si distesero sul materasso lasciando che il ventre buio accogliesse i loro cuori ormai pronti per risuonare all’unisono in una notte di vero sonno.

Ma miei signori né la bella Adamante né Legolas conoscevano cosa li stava seguendo in quell’interminabile notte che pensavano cieca e sorda. Un cuore più nero era vigile ed attento ed involontariamente stavano facendo il suo gioco. Per chi aspettava il passo falso l'attesa era giunta al termine. Ecco servita su un piatto d’argento all’Ombra in agguato un’occasione d’oro: i due amanti distesi in un abbraccio che separava l’instabile sorella dalla sua preda. Quali le conseguenze di due anime che per paura di perdersi avevano deciso di rimanere insieme per quelle poche ore rimaste?

 

Note dell'autrice: Buonaseeeeraaaa! Allora questa è la storia di Adamante. Il comportamento delle amazzoni prende spunto da quello vero: infatti le amazzoni greche avevano un'accordo con i Gargareni che si offrivano di accoppiarsi con le amazzoni ogni primavera. Gli incontri avvenivano al buio in modo che non si potessero riconoscere fra di loro. La sorte della prole era a seconda del sesso del nascituro: i maschi venivano rispediti al mittente le femmine venivano addestrate alla guerra. Diciamo che io ho reso solo più dura e crudele questa usanza romazandola. Spero che vi piaccia come si sta volgendo il tutto. Ed ora cosa accadrà?

Un'altra curiosità Helluin è la stella Sirio, la più bianca e luminosa della volta celeste. Per questo il padre di Adamante possedeva un coltello dalla lama bianca e lucente.

Thiliol: O mio Dio!!! La tua recensione... è ... è... non ho parole. Pensare ai miei personaggi anche solo minimamente affibiabili all'universo di Tolkien è un'emozione unica. Ti giuro sono con le lacrime agl'occhi perchè come ho già spiegato avevo il terrore di pubblicare sulla Terra di Mezzo. E poi i complimenti per il sindarin, o mio dio grazie anche questo un po' mi terrorizzava. Da sempre sono appassionata da questa lingua e spesso ho studiato la costruzione delle frasi con dizionari frasari e quant'altro potesse farmi apprendere il più possibile. Alcune cose le ho ricavate attraverso il Silmarillion altre attraverso frasari, altre costruendole io stessa (le più semplici lo ammetto!) Quindi sono stracontenta che apprezzi. Anche perchè è una cosa che accomuna Adamante e Legolas. Grazie per i complimenti per Sarin e la mia Guaritrice: Sariin apprezza e la guaritrice anche!!! Riguardo al discorso delle recensioni: non che io sia un'affamata di pareri, pur ammettendo che mi fa piacere quando esprimete questi pareri così entusiastici ed amo chi invece mi dice che c'è qualcosa di sbagliato perchè lo vedo come uno sprone a migliorarsi, però in questo caso ero davvero spaventata dallo scrivere di uno dei tomi simbolo del fantasy non chè mia personalissima bibbia soprattutto per il pubblico a cui è rivolto, molto più maturo e soddisfacente. Guarda a me basta quello che mi state dando perchè anche solo vedere che viene letto da sette persone mi fa sentire già soddisfatta. Ti ringrazio ancora per tutti i tuoi complimenti veramente mi inorgogliscono e comunque w la qualità! Baci e a presto!

Con questo vi ringrazio tutti quanti per seguirmi e sostenermi anche se in silenzio!

Sempre vostra Malice! 

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Capitolo 8
*** CAPITOLO VII: Allenamento e allontanamento. ***


CAPITOLO VII: Allenamento e allontanamento.

L’oscurità aveva cominciato a cedere alle orme lucenti del mattino. Dei timidi bagliori scintillanti s’infrangevano sulle braccia scoperte della Guaritrice adagiata sorniona contro il petto di Legolas. Per tutta la notte erano rimasti in quella posizione a tenersi stretti senza più parlare, troppo era stato rivelato e non avevano intenzione di sottrarre ulteriore tempo da dedicarsi. Ogni traccia di afflizione era stata scacciata da quell’abbraccio dove le due anime avevano trovato conforto ed Adamante presto era stata travolta dal pesante onere della stanchezza. Legolas invece aveva appena chiuso occhio, dopotutto non aveva grande bisogno di dormire date le sue doti di elfo. Gli risultava poi faticoso prendere sonno visto che la sua testa era sufficientemente piena di pensieri da sembrare disturbato da un costante ronzio. Era come una brocca ricolma la cui tensione superficiale si distende curva lambendo l’orlo, in bilico nella condizione che anche una sola goccia d’acqua la potrebbe far trasbordare. Si sentiva così carico che temeva di comportarsi in maniera avventata, non poteva permettersi di sbagliare e soprattutto non voleva in alcun modo perdere Adamante ora che l’aveva trovata. Iniziò ad osservarla attirato da un quasi impercettibile movimento delle spalle, indice dei rigonfiamenti del torace al suono del suo respiro appesantito. Il suo corpo era cinto da quella leggera veste di pelle corta che lasciava scoperte le gambe piegate. Per le Amazzoni le vesti erano un semplice intralcio: non interessava essere eleganti o femminili e nemmeno protette magari indossando una cotta in metallo o un’armatura. Era sufficiente coprire le proprie pudenda, tutto il resto era un più che in battaglia privava della rapidità dei movimenti. In quel silenzio Legolas percepiva il battito del cuore della fanciulla lento e cadenzato, pulsare contro il fianco dove si trovava a contatto con l’elfo. Ogni rintocco risultava come una dolce melodia, in libagione alla vita che scorreva nelle sue vene. La sua pelle aveva assunto una nuova consistenza come se si fosse cristallizzata, in un pallore non smunto e spento ma splendente, che reagiva al tepore della luce del sole. I lunghi capelli ondosi ricoprivano il guanciale su cui erano distesi ed emanavano un piacevole profumo di fresie. Una delle sue mani era posata all’altezza del cuore di Legolas mentre l’altra divideva la guancia dalla spalla. Avrebbe passato anche tutto il resto della giornata a guardare il suo viso rilassato e disteso nel torpore, sembrava come se i sogni che governavano il suo pensiero riuscissero a prendere vita quando le piccole labbra carnose s’incresparono in un sorriso involontario. Poco più sotto il livido scuro si era trasformato in una macchia giallognola, unica pecca di quel volto d’alabastro che privato della bautta era libero di mostrarsi. Ad un tratto il cuore iniziò a tornare al suo solito ritmo e un’inspirazione affondata trovò spazio nel suo costato. La Guaritrice iniziò a smuoversi, dichiarando l’imminente risveglio.

“Mae cuivannen, Adamante!  | S – Ben svegliata, Adamante! | ” pigramente la fanciulla iniziò a sollevare il busto osservandosi attorno spaesata. Dopo uno studio attento di dove fosse, il suo sguardo si rivolse all’esterno e a quei spiragli di luce che penetravano dai tendaggi. Prese a strabuzzare gli occhi sorpresa quando l'uccello del mattino aveva cominciato il suo consueto canto.

“Oh no! Oh no!” iniziò ad urlare fiondandosi a riprendere i suoi stivali in fondo al letto come se fosse pressata da qualcosa alle spalle. Legolas continuava a seguirla, di tanto in tanto travolto dal ciclone della urgenza dimostrata ma non svelata. La ragazza cercò d’indossare i suoi calzari che sembravano essere diventati una difficoltà insormontabile per la fretta, borbottando in maniera incomprensibile. “Da quanto è già mattino?” chiese atterrita verso l’elfo che ancora incredulo la stava scrutando.

“Ha albeggiato da poco, ma non capisco il perché di tanta ansia?” la ragazza non  rispose si spostò semplicemente verso il ballatoio uscendo fuori velocemente. Legolas con altrettanta rapidità la raggiunse, fermandola dall’usare lo stesso rampicante che lui aveva utilizzato la sera precedente per evadere e seguirla. “Cosa sta succedendo?”

“Il primo allenamento dei nuovi elementi!” farfugliò in preda alla più completa isteria, ansimando come dopo una lunga corsa “Devo andare nelle mie stanze, indossare la maschera, venire a prenderti e andare agl’allenamenti dove mi staranno già aspettando!” mentre finiva la sua rassegna delle mansioni aveva già superato il parapetto ed afferrato salda i rami che le permettevano la discesa contro la ripida parete scura. Stava per calarsi quando l’elfo si accostò alla balaustra catturando delicatamente le sue labbra con quelle di lei, dal sapore primaverile di ciliege.

“Tira ten' rashwe! | S – Stai attenta! | ” la ragazza annuì semplicemente, spiazzata dal bacio improvviso che non si aspettava. Discese rapidamente quasi saltando sulle mura, mentre l’elfo continuava a seguirla con lo sguardo rimanendo fisso sul punto in cui era scomparsa. Quel lasso di tempo che passò dal momento in cui Adamante era andata via a quello in cui prese a bussare con quella maschera ancora indosso, per l’elfo fu interminabile. Adamante non si attardò eccessivamente, cosa che invece avrebbe dovuto fare perché aveva appena commesso un errore e non ne era ancora cosciente. La radura di fronte ad Agalath era gremita di una densa folla, divisa in due metà ben circoscritte dalle generazioni a cui appartenevano. Da una parte delle fanciulle che avevano da poco superato l’infanzia e dall’altra le guerriere più esperte. Al centro di un’arena immaginaria si trovava Callial, che impaziente andava percorrendo la linea fittizia che divideva le due fazioni di allieve ed insegnanti. L’esercito delle Ombre era solito presenziare al completo al primo allenamento, per testare le attitudini della loro successione. Adamante giunse trafelata dalla corsa, seguita da Legolas che teneva tranquillamente il passo non scomponendosi granché. Geldena sorrise soddisfatta quando vide Callial avvicinarsi alla sorella con uno sguardo omicida, sussurrando al suo orecchio.

“Adamante, siete in ritardo! Non accetto un tale comportamento proprio da voi!” se quella mancanza di rispetto fosse avvenuta in un’altra circostanza probabilmente la Guaritrice non se la sarebbe cavata così a buon mercato, troppe testimoni vi erano per dar sfoggio dell’ incontenibilità del suo carattere furente. Callial sapeva inoltre che la madre le stava osservando dal suo palazzo cosa che l’infastidiva alquanto. Vi erano giorni in cui l’odiava terribilmente per la minaccia costante che aleggiava sulla sua figura, altri in cui la venerava e si impegnava alla ricerca della sua approvazione. Intanto al suo orecchio una lingua più astuta stava tentando di avvelenare la mente già sufficientemente comprovata. Legolas trovò posto da un lato, appoggiato con la spalla al tronco di un giovane arbusto, da cui poteva ben assistere a tutta la potenza di tale popolo. Il brusio che fino ad allora ronzava come uno sciame d’api, terminò quando Callial prese parola indirizzandosi alle rampolle, le quali, attente e febbrili, non aspettavano altro che compiere il proprio destino. Con una voce potente e vigorosa iniziò a brandire la spada di legno che teneva fra le mani, enfatizzando le parole con gesti eclatanti. Allargava le braccia, indicava qualche ragazza nelle prime file, diventava una magnetica incantatrice alle orecchie di chi la conosceva solo di nome. Legolas non prestò molta attenzione a quello che stava avvenendo, troppo occupato a scrutare la sua Adamante immobile alle spalle della sorella. Teneva ben ferma la posizione rigida sull’attenti, le gambe leggermente divaricate con i muscoli contratti nel mantenersi il più ritta possibile, il mento sollevato fiero, i polsi incrociati dietro la schiena. In quel momento era una guerriera, eppure quella nuova sfaccettatura stonava con la figura della Guaritrice. Non era nata per combattere. Lei era nata per lenire la sofferenza. La voce di Callial diventava sempre più lontana man mano che Legolas rimaneva con lo sguardo magnetizzato su quella piccola fanciulla dai tratti gentili. Non si era nemmeno accorto dell’angolo della bocca della Consigliera sollevato e compiaciuto dell’atteggiamento inappropriato tenuto dall’elfo.

“Adamante! Geldena!” gridò Callial ridestando Legolas dai suoi pensieri. Sciolse le braccia e i piedi incrociati colto da una scossa improvvisa di terrore lungo la schiena, che lo costrinse a serrare le mascelle per evitargli di opporsi a qualsiasi cosa la stessero costringendo. Si scontrò con il viso della ragazza i cui occhi erano evidentemente sorpresi. In effetti non era lei quella adatta a dimostrare le abilità in battaglia, mai eccelsa sempre mediocre. Geldena aveva già preso il suo posto tenendo una spada di legno tra le mani, mentre Adamante era rimasta ferma, esitante, sicura che quella della sorella fosse una svista. “Adamante, cull barun!  | Adamante, sbrigati! | ” sentendo il suo nome per la seconda volta capì che tutto quello non era uno scherzo, ma una punizione, una rivalsa, un modo per umiliarla dopo che aveva osato mancarle di rispetto in pubblico. La Guaritrice mosse un primo passo incerto, spostandosi verso la catasta disordinata delle armi per gli allenamenti. Prese quella più in cima senza curarsi di peso e bilanciamento, osservandola appena per un secondo. Intanto Geldena iniziava a dare segni d’impazienza, roteava la spada in aria per scaldare polsi e braccia, pronta ad una rivincita personale contro quella misera strega. Adamante alzò per un attimo gli occhi verso Legolas prima di voltarsi e prendere posizione di fronte alla Consigliera al centro dell'arena, ponendo il piede destro poco più avanti del sinistro con i talloni in linea ma distanziati, in modo da centrare il peso e rendersi più stabile. Il busto profilato era inclinato leggermente in avanti puntando l’arma verso la sua avversaria. Prima che Geldena iniziasse a combattere, Callial si spostò alle spalle di Adamante sistemando i piedi con la punta della sua finta arma. Era iniziata l’opera di mortificazione con quel gesto sciocco e puerile a dimostrazione dell’inferiorità della ragazza. Peccato che alla nostra Adamante importasse veramente poco apparire abile nel tirar di spada. Appena la sorella indietreggiò Geldena si avventò sulla Guaritrice caricando il colpo attraverso la flessione del ginocchio destro, per poi avanzare verso Adamante con il piede sinistro, sollevando il braccio che teneva la spada prima di serrare il fendente verso la testa della ragazza che si difese ponendo la sua arma parallela al terreno. Geldena rispose immediatamente ruotando il busto, impugnò l’arma a due mani cercando con un montante di colpire la parte scoperta dalla precedente difesa. Adamante invece fu lesta ed abbassò subito la sua spada, mentre effettuava uno spostamento laterale incrociando i piedi. L’elfo era certo che di fronte ad un avversario differente la sua amata sarebbe stata in grado di difendersi ottimamente, ma con Geldena era in netto svantaggio. I suoi movimenti erano si puliti e sciolti ma non abbastanza per competere con la sua nemica, tant’è che durante il duello non riuscì a fare altro che schivare i colpi dell’altra. Il rumore secco dei due pezzi di legno che cozzavano l’uno con l’altro sembrava il ringhio soffuso d’ira gridato da Callial, che rimaneva in disparte ad ammirare la disfatta della sorella con le braccia incrociate al petto. Ad un tratto ai colpi di spada si unirono quelli del corpo a corpo, un metodo di combattimento mai visto eseguito in quella maniera. Adamante riuscì a resistere parecchio, fin quando Geldena sferrò un tondo roverso (nda colpo di spada effettuato parallelo al terreno, o meglio da fianco a fianco dell'avversario, da sinistra verso destra) che la costrinse ad indietreggiare con un piccolo salto a piedi uniti. Appena fu a terra non ebbe il tempo di bilanciarsi che la Consigliera si era già abbassata girando su sé stessa, spazzando le gambe della Guaritrice con un calcio rotante rasente al suolo. Adamante cadde all’indietro battendo la nuca contro la dura terra della radura. Aveva già posto le mani dietro la testa per rialzarsi con un colpo di reni, ma il piede di Geldena la bloccò comprimendo lo sterno per lasciarla stramazzare inerte, puntando la sua lignea arma al collo della ragazza. L’unica alla fine del combattimento a battere le mani, fu Callial che iniziò a spiegare nella loro lingua tutto quello che era effettivamente avvenuto. La Consigliera prima di discostare il piede presse con più insistenza, per il solo gusto di fare del male ad Adamante. Poi allungò una mano per aiutarla a sollevarsi da terra, ma la Guaritrice mossa dall’orgoglio disdegnò il suo gesto rialzandosi da sola.

“Non è così che ci si comporta Adamante! Dovreste imparare a perdere!” sibilò con quella lingua forcuta che non taceva mai. “Cosa penserà il vostro principino elfico di questa dimostrazione di maleducazione?” Adamante non rispose se non con uno sguardo crudele ed inferocito verso quell’arpia di donna, sempre in agguato a cercare con la provocazione di suscitare nella Guaritrice un reazione degna di essere chiamata tale. Gli allenamenti durarono ancora a lungo impiegando la maggior parte del giorno. Ci furono molti combattimenti, parole incomprensibili, scene di propedeutica alla lotta. Adamante si scontrò con altre guerriere, tutte nettamente superiori a lei e ogni volta ne uscì sconfitta. Una cosa notò l’elfo con disappunto: quelle combattenti apparentemente instancabili non insegnavano ad aver rispetto del proprio nemico, piuttosto invogliavano ad essere spietate proprio come Callial. Quando il giorno iniziò a tingere la sua luce dei toni aranciati del crepuscolo, le nuove e le esperte Amazzoni si allontanarono per raggiungere i propri alloggi. Callial invece, con una decina di guerriere, si spostarono alle stalle, dove iniziarono a sellare i cavalli per prepararsi a partire. Legolas era perplesso da quella improvvisa preparazione, non aveva assolutamente idea di cosa potesse significare.

“Stanno andando incontro ai signori Variag! S’incontreranno a metà strada per bendarli, disarmarli e condurli qui! Ci vorranno alcuni giorni di cammino, ritorneranno poco prima dello Yavieba. Era in programma, per questo oggi abbiamo iniziato alla lotta le giovani. Almeno se veniamo attaccate mentre abbiamo le forze al minimo loro possono occuparsi della Città Bassa.” l’elfo era rimasto esterrefatto dalla pronta risposta della ragazza ad una domanda che nemmeno si era premurato di porle. “Sapete: si sente il mormorio nella vostra testa quando vi arrovellate a cercare una risposta!” scherzò Adamante vedendo il viso contrito e sorpreso di Legolas alla sua risposta.

“Davvero? Allora temo di non potere avere alcun segreto con voi, Guaritrice!” l'elfo marcò quest’ultima parola infastidito dal dover utilizzare tutte quelle formalità, con la persona poi che voleva accanto ogni mattina della sua immortalità. Adamante cambiò espressione con una smorfia di disapprovazione, alzando le spalle sospirò a pieni polmoni. Come una tempesta bianca l’immagine della sua amata sopraffatta dalle sue commilitrici pervenne nella mente dell’elfo silvano che, senza rivolgerle lo sguardo ad ostentare una finta indifferenza, le chiese angustiato in un bisbiglio sicuro di poter essere udito solo da orecchie altrettanto sensibili: “Sut naa lle? Naa lle haru? | S- Come va? Ti sei ferita? | ” Tutto quell'ingiustificato accanirsi su di lei però non aveva fatto altro che alimentare la sensazione d’impotenza che sentiva ancora prepotente. Dovevano agire ed al più presto o l’elfo rischiava seriamente d’impazzire.

“Amin naa ad cuin … | S – Sono ancora viva … | ” rispose con disinvoltura la Guaritrice, anche se sentiva le sue ossa gracchiare indolenzite. Legolas spostò la sua attenzione verso la fanciulla, per cercare una rassicurazione più convincente e per cogliere un eventuale accenno di dolore o sofferenza. “Uuma dela! | S – Non preoccuparti! |” Forse perché quell’atteggiamento dava ragione a Geldena, o forse per una piccata d’amor proprio aveva girato anche lei di scatto il viso, rispondendo con una lievissima vena acida. Da sempre era stata spronata ad essere forte e a non richiedere la pietà di nessuno. Le angherie di Geldena e Callial erano all'ordine del giorno, pensava di saper resistere benissimo anche senza essere presa per una patetica incapace. Tornarono entrambi a guardare avanti in un punto non definito di quella marmaglia di guerriere che si stavano preparando. Adamante si era già pentita della risposta sgarbata data a Legolas. Stava in piedi accanto a lui, fiancheggiando la sua spalla e con la mano adagiata al fianco. Le bastò muovere impercettibilmente le dita per poter sfiorare quelle di lui; non poteva osare di più nonostante il suo desiderio fosse farsi perdonare con un abbraccio. Un’idea balenò nella sua testa quando notò che l'interesse di tutte era rivolto alle guerriere che dovevano assentarsi. “Vorrei farti un regalo Legolas, ora che le altre sono indaffarate con la partenza di Callial …” sussurrò certa di poter essere ascoltata solo dall’elfo, il quale rimase altresì sorpreso da quell’affermazione.

“Mani? | S- Cosa? | ” chiese sempre più corroso dalla smania di sapere mentre le sue iridi cerulee avevano iniziato ad intervallarsi dalla folla alla ragazza al suo fianco. Adamante iniziò ad ispezionare lo spazio attorno a sé con prudenza, controllando quali vie fossero libere nelle immediate vicinanze.

“Vieni con me!” con la testa accennò ad un movimento per invitare Legolas a seguirla, cosa che l’elfo non tardò a fare. Si spostarono silenti attraverso i sentieri che costeggiavano gli alloggi, il loro passo felpato si confondeva con il brusio creato dal tintinnare di spade e il vociare per la corretta organizzazione. Incedevano uno accanto all’altra con Adamante leggermente più avanti ad aprire la strada sconosciuta all’elfo. Ogni tanto le loro mani si accarezzavano quasi involontariamente. Entrambi avrebbero voluto afferrare ed intrecciare le loro dita ma erano ben attenti a non cedere alle tentazioni, lasciando a piccoli tocchi sfuggevoli i contatti limitati. Camminarono per qualche minuto, finché non furono dinnanzi ad un albero poco più piccolo del palazzo in cui vivevano. Lo raggirarono fino a raggiungere una fenditura tra il terreno ed una radice, da cui sembrava provenire un ronfare pesante. La Guaritrice si chinò proprio sopra quell’apertura, per poi acclamare sommessamente al nome del nano suo amico. Legolas non riusciva a capacitarsi: lei che non poteva nemmeno fargli da tramite l’aveva condotto proprio al suo amico, rischiando il tutto per tutto. In realtà, amici miei, stavano già rischiando molto anche solo con il pensiero e l'apprensione che possono nutrire due persone innamorate.

“Mastro Gimli?” il rumore che ne seguì fu un tonfo sordo ed un urlo di spavento. Il nano sollevò la testa da terra dove era finito, la scosse energicamente per svegliarsi ed iniziò a ruotarla con furore alla ricerca di chi l’avesse destato dal bel sogno che stava facendo. Borbottò più e più volte mentre si rialzava, massaggiando le natiche intorpidite dal poco delicato capitombolo a cui la sorpresa l’aveva indotto.

“Vorrei tanto sapere, piccola strega, cosa vi ha portato ad interrompere il mio riposo! Stavo sognando la splendida luce della Dama Galadriel, quindi sarà meglio che vi sia una ragione per …” lo sproloquio del nano fu interrotto quando raggiunse l’apertura da dove poteva vedere Legolas, salvo ed in salute, sorridergli come se si fossero incontrati in una taverna. “Oh!”

“A quanto pare sei riuscita a lasciarlo senza parole, impresa compiuta fino ad ora o da un lauto banchetto o dal sonno pesante! Mi complimento con te!” disse Legolas accucciandosi accanto ad Adamante per poter parlare meglio con loro.

“Non credo che sia stato merito mio, piuttosto immagino che la vista del suo amico l’abbia irretito!” Gimli, resosi conto dello scambio di battute a suo discapito, rinvenne, riservando ai due lo sguardo più torvo che avesse nel repertorio.

“Voi due, non prendetevi gioco di me! Ve ne approfittate solo perché io sono rinchiuso qui, ma fate che riesca a liberarmi e vedremo chi si prende gioco di chi!” disse agitando il  dito con fare minaccioso.

“Bene allora, mastro Gimli preparatevi, perché presto saremo tutti e tre liberi!” sia il nano che l’elfo indirizzarono i loro occhi su Adamante che con un sorriso di soddisfazione fece ben intendere di avere in mente un piano. “Sono riuscita a convincere Raja ad aiutarci: lei conosce molto bene le prigioni.”

“Mia signora, non per contraddirvi, ma ho avuto modo di osservare la sorveglianza e non s’interrompe mai! Sempre molto intensa senza dubbio!” intervenne il nano cercando di comprendere meglio cosa stesse architettando la Guaritrice.

“In questi giorni ci saranno meno guardie e poi c’è un aspetto delle nostre terre che in molti non conoscono. Vedete prima che le Ombre abitassero qui, il sottosuolo era abitato da strane creature maligne che creavano dei cunicoli molto grandi, in cui persone di modesta statura possono passare addirittura in piedi. Raja ha scoperto nei suoi studi che alcuni di questi corridoi portano alle prigioni ed ha costruito una specie di mappa. Lei ci aspetterà con dei cavalli e le vostre armature all’uscita che si trova fuori dal perimetro nord ovest.”

“La mia armatura dite?” gli occhi del nano erano stati illuminati da un nuovo luccichio.

“Si mastro Gimli, sono riuscita a sottrarle  e a consegnarle alla mia amica. Riavrete la vostra ascia ed il vostro arco Legolas! ”La fiducia che trapelava dagl’occhi e dalle parole di Adamante riempirono lo spirito dell’elfo e del nano di speranza. Passarono altri minuti a determinare le somme del piano che era riuscita a discutere con Raja in una delle sue ultime visite. All’inizio la donna non era d’accordo con Adamante, non voleva che se ne andasse dalla Taur en Gwaith, ma poi vedendo quello che era successo con Aratoamin si era convinta ad aiutarla a fuggire da lì, sicura che se avesse ancora abitato con loro l’avrebbero persa per altre ragioni. Il rumore delle guardie che iniziavano il loro turno costrinse i tre a separarsi, ma con la ripromessa che la volta successiva in cui si sarebbero incontrati sarebbero stato da persone libere. Legolas ed Adamante cercarono di passare inosservati tra le vie raggiungendo in tempo Callial per salutarla per la partenza. C’era stato un solo sguardo da parte della sorella verso Adamante, uno sguardo colmo di significati, uno sguardo che le intimava di stare lontano dal suo Tessalon. Quando il rumore degli zoccoli ed il tremore della terra provocato dalla loro cavalcata era lontano , le guerriere si dispersero chi nei propri alloggi chi ai propri doveri. I due elfi invece si trovarono nel corridoio a forma di ‘elle’ che divideva le loro stanze, osservandosi  intensamente negl’occhi prima di congedarsi.

“Verrai dopo?” chiese l’elfo cercando di mascherare i propri toni sussurrando al suo orecchio.

“Certo dobbiamo definire meglio i dettagli!” affermò con decisione perdendosi in quel cielo meraviglioso che si rispecchiava negl’occhi dell’elfo. Legolas dopo essersi assicurato che nel corridoio non vi fosse nessuno, azzardò una carezza tanto bramata durante la giornata. Il dorso della sua mano sfiorò delicatamente la vellutata guancia della Guaritrice, al quale contatto si colorò di un tenue velo rosa che la rendeva ancor più splendente.

“Tenna' telwan, Adamante! | S – A dopo, Adamante! |” stava per intraprendere il passaggio che l’avrebbe condotto alla sua stanza quando la ragazza lo fermò mormorando:

“Tirinîr …” Legolas tornò sui suoi passi avendo appena percepito la voce della fanciulla che con gli occhi era persa nell'osservazione del pavimento. “Chiamami Tirinîr, era il nome che usava mio padre …” l’elfo sorrise prendendo il mento puntato verso il basso della ragazza con due dita, per incontrare quelle iridi castane che tanto amava.

“Sono onorato da questa tua scelta, A'maelamin. | S – amore mio |” si congedarono con un bacio fuggiasco e nascosto dal favore del buio appena accennato. La Guaritrice era letteralmente euforica, riscoprendosi a canticchiare allegramente. Da tempo non aveva una così vivida speranza nel petto, da tempo non si sentiva così amata e rispettata come quando era con Legolas. Presto avrebbe potuto vivere la sua vita, quella la cui strada era lastricata delle sue scelte, quella che non veniva vissuta dagl’altri ma di cui l’unica artefice sarebbe stata lei. Entrò nella sua camera liberandosi dei polsini, della maschera e del pugnale. Aspettò impaziente che il ventre della notte avvolgesse tutta Taur en Gwaith per iniziare a scendere dall'albero naturale scala verso l'esterno. Raggirò guardinga il palazzo, pensando che la mancanza di guardie fosse dovuta alla partenza del contingente ed infine si inerpicò sul rampicante limitrofo al balconcino. Con un balzò entrò nella stanza dell’elfo completamente buia. L'ambiente era stranamente silenzioso, sinceramente si aspettava di trovare l'elfo ad aspettarla a braccia aperte. Invece tutto era statico ed invisibile persino ad un vista sopraffina come quella della fanciulla.

“Legolas …” chiese sommessamente dal limitare del ballatoio con la camera. Avanzò di un passo. L’oscurità era talmente intensa che sembrava potesse essere tagliata con una lama, nemmeno i suoi occhi riuscivano ad abituarsi a quel buio così imperante. “Legolas, naa lle sinome? | S – Legolas, sei qui? | ” alzò appena la voce per potersi fare udire. Quella situazione iniziava a non piacerle aveva tutta l’aria di una cospirazione. Si voltò per fuggire appena i suoi occhi percepirono delle Ombre più dense di fronte a sé, ma prima che potesse raggiungere il parapetto era già stata afferrata e bloccata. Le torce si accesero con una rapidità tale da sembrare essere collegate le une con le altre, la stanza venne illuminata a giorno e le presenze che aveva percepito si rivelarono per quello che il sospetto l’aveva indotta a pensare.

“Ti facevo più furba Adamante! Così mi hai decisamente reso le cose troppo facili!”

Signori miei, posso solo immaginare le domande che vi stanno attanagliando: come il segreto è stato tradito? Quale l'errore che li ha fatti cadere nella tela del ragno? Quale ora il destino dei due innamorati quando ogni speranza è stata vanificata? Quale la sorte della bella Adamante? Mi dispiace, ma per le risposte dovrete attendere la mattina perché l’ora è tarda ed la stanchezza ha deciso di reclamare le mie membra. Lasciate or dunque, che il vostro umile servo Sariin riordini le idee per potervi narrare le prossime vicende, complicate nel loro svolgersi. Auguratemi buonanotte e che il sonno possa portare con sé la mia musa ispiratrice.

 

Note dell'autrice: Lo so, lo so lo dovrei rileggere! Vi giuro domani mattina presto lo faccio stasera sono arrivata a metà ma ho sonno quindi lo pubblico. Mi scuso in anticipo per il capitolo di passaggio e pieno di dialoghi ma mi serviva per lasciare questo velo di suspence. Me malefica! Allora allora riuscita a creare un minimo di angoscia, proprio ora che le cose sembravano volgersi al meglio ecco questa batosta madornale! Accendiamo il toto scommesse come hanno fatto a scoprirli? eh eh! C'è già tutto scritto nero su bianco! Comunque sia spero che vi sia piaciuto!

Thiliol: < si aggira nuovamente furtiva alla tastiera del computer e riaggiusta il tasto della virgola visto che è passata da un eccesso all'altro! O troppe o troppo poche =_=''' sono un disastro ' naggia >. Grazie per la correzione del verbo, è stato un errore di distrazione dovuto al fatto che è tutto scritto in terza persona mentre in quella parte una grossa mole era in prima, e sinceramente mi era sfuggito me tapinissima!!! Passando a cose più liete: non so se per te è stato così ma io per il mio Legolas ho provato da subito un amore smodato, un vero principe di quelli delle favole che vorresti ti aspettassero all'altare. Insomma uno di quelli molto sbavvvvvvv (perdona il francesismo)! Passando ai personaggi meno simpatici (povera Callial): io volevo che il discorso Callial pendesse sulle loro teste, come un'aura malefica un po' come Sauron (ovviamente non è come lui, moooolto più inquietante) cioè ti angoscia anche se non c'è fisicamente con il suo fare tal volta da pazza, altre volte più ragionevole, poi fanciullesco e via discorrendo. Lei c'è e minaccia anche se non viene menzionata, spero comunque di esserci riuscita. Per quanto riguarda le tue storie: eh eh avevo iniziato già a leggere, eh eh! Io sono più curiosa di una faina!^^ Spero a presto! Un bacione

Ringrazio sempre chi mi legge siete grandiosi!

Mally che ora va a nanna!

RILETTO! Qualche frase l'ho cambiata! Besos!

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Capitolo 9
*** CAPITOLO VIII: Perdere la speranza. ***


CAPITOLO VIII: Perdere la speranza.

“Bene, bene! La piccola Guaritrice si voleva riunire con la sua nobile razza ! Cos’è? Siamo troppo rudi per la tua delicata pelle bianca? Non indossi nemmeno la tua maschera, siamo state proprio delle bambine cattive!” il manoscritto foderato di pelle vergato dalle mani di uno degl’Eldar, cozzava contro la mano dell’arcigna Ombra che non aspettava altro nella sua misera vita. Lanciava sorrisi ammiccanti e soddisfatti, gli occhi languidi pieni di tutto il disprezzo provato verso la ragazza. Ora che le braccia della minaccia più grave per la sua scalata verso il potere erano immobilizzate, sentiva in lei scorrere l’eccitazione più pulsante. La cerchia delle fedeli a Geldena era rinchiusa nelle stanze di Legolas, tutte prese ad inneggiare la sua malvagia cupidigia con lodi false almeno quanto le bugie della stessa Consigliera. “Interessante lettura Adamante, devo ammetterlo! Certo il fatto che una delle mie guardie l’abbia trovato qui … ” a quelle parole molte risatine iniziarono ad invadere quel manipolo di serpi, tanto che Geldena fu costretta a zittirle alzando la mano verso di loro “ … mi ha insospettito! Ed eccoti qui! Ma brava contravvenire così alle nostre leggi era la cosa più stupida che potessi fare! Ovviamente più stupida per te, non per me!” la Guaritrice riservava solo sguardi furenti verso Geldena. L’odio ingiustificato della Consigliera era aspro come una pesca acerba ancora avvolta dalla sua peluria verde degl’albori primaverili, la sua sete di sangue era come acido che corrodeva i cuori più deboli ingannandoli con il solo uso della dialettica. Era stata avvelenata da sempre da quel desiderio smodato di assumere il potere. Adamante si mostrava come un felino in gabbia, agitava le braccia cercando di divincolarsi, emetteva dei ruggiti soffusi. Quando la Consigliera si pose ad un passo da lei, ella protese con uno strappo il busto in avanti solo per fare più forza a quell’inutile tentativo di sciogliersi. Era così vicina da poter sentire il respiro ostile riverberarsi caldo sulla sua pelle, leggeva nei suoi occhi il dolce sapore della vittoria appena ottenuta con il proprio disonore.

“Dov’è Legolas? Cosa gli hai fatto maledetta?” chiese inferocita Adamante soffiando fra i denti esposti ferini in una smorfia colma d’ira. Niente di più le premeva dell’incolumità del suo amato che non era presente. Geldena si dipinse sul volto un ghigno demoniaco, osservando con più attenzione la Guaritrice.

“Non posso crederci, questa non è un’infantile infatuazione! Tu …” prese il mento di Adamante strattonandolo con forza per non farla sfuggire a quei pozzi neri e vuoti, custoditi tra le ciglia. “… tu ne sei innamorata! Ti ripeto mi rendi le cose troppo facili, Adamante!” la ragazza strappò il viso dalla presa ferrea della donna, riuscendo a scansare i suoi occhi da quelli di lei troppo impegnati nello studiarla. Aveva già trovato troppe debolezze a cui aggrapparsi. “Credo che sia ora di svegliare la Regina, c’è un tradimento da punire!” le parole dette nella lingua arcaica del loro popolo erano già una sentenza: lei era colpevole.

Nelle prigioni intanto un nuovo inquilino aveva preso posto accanto a Gimli. Legolas era stato imprigionato con il suo amico nano, onde evitare che tentasse d’intervenire in difesa di Adamante. Geldena non peccava in lungimiranza, senza alcun dubbio. Il rumore delle sbarre che cigolarono per la forzatura dovuto al lungo periodo di chiusura, destò Gimli dalla sua scomoda branda. Le urla di sdegno che poi accompagnavano un tale avvenimento non promettevano nulla di buono. L’Amico degl’elfi sollevò il suo busto andando ad incontrare la lunga chioma dorata  del suo amico che solleticava le sue spalle, con le mani impegnate a tenere le sbarre e con il capo chino come in preghiera. Mai si sarebbe immaginato di entrare nella sua camera e trovarvi Geldena circondata dalle sue ancelle di morte, con in mano il diario di Helluin dimenticato da Adamante la mattina quando per la fretta era scappata via come una furia. Negligenza costata molto cara, anche se ancora non aveva bene l’idea di quanto fosse grave la situazione.

“Legolas, ma cosa è successo?” borbottò Gimli. Sulle prime non era certo di quello che vedeva, ancora confuso dall’improvviso risveglio. L’Elfo non si mosse, cercando ancora di riflettere lucidamente sugl’ultimi fatti.

“L’hanno presa!” bisbigliò dalle spalle incurvate. “Dovevo dare ascolto a Raja, molto più savia e saggia di quanto sono stato io, se non le avessi chiesto di tornare da me stanotte non sarebbe accaduto nulla!”

“Parla chiaro orecchie a punta! Cosa vuol dire che l’hanno presa?” s’infervorò il nano sobbalzando dal suo giaciglio agitando le braccia. Legolas lentamente si voltò verso Gimli, che ancora se ne stava impettito in attesa di una risposta eloquente.

“Vuol dire che sono stato uno stolto, tutto questo lasciarmi trasportare non mi ha reso abbastanza attento!” replicò l’Elfo. Le sue iridi erano spente almeno quante quelle di Adamante. “Dovevo diffidare di troppa accondiscendenza del fato, la fortuna non assiste sempre i giusti!” Con aria affranta Legolas si sedette sulla branda dove il nano giaceva poco prima, prendendo poi la testa con le mani che aveva iniziato a pendere con il carico sofferente che portava seco. “Come ho potuto farle questo? Come ho potuto permettere un tale danno nei suoi confronti? L’hanno presa ed ora il futuro si presenta buio e sconfortante, perché se ancora il suo cuore dovesse sanguinare anche il mio inizierebbe a farlo!” Gimli era altresì stordito da tutto quel farneticare per lui senza senso.

“Scusa Elfo ma non è con l’autocommiserazione che si pone fine ai guai, piuttosto sarebbe meglio pensare ad un modo per uscire ed attuare il piano della piccola strega!” cercò di prendere in mano la situazione il nano provando a far reagire l’Elfo.

“Cosa mi stai chiedendo? Di abbandonarla al suo destino? Serra le tue labbra barbute se devi dire certe scempiaggini, Gimli!” rispose stizzito.

“Sembra che l’amore ti abbia completamente fatto uscire di senno: dalla mia bocca nessun accenno all’abbandono era stato menzionato! Non potrei mai dopo che quella ragazza ha dimostrato tanta benevolenza nei nostri confrontri! Piuttosto cerco di guardare a come risolvere questo guaio invece che piangermi addosso come una principessina elfica!” s’infervorò il nano con voce cavernosa e brandendo il suo pugno al cielo. “Ti stai davvero lasciando spaventare da un branco di guerriere in gonnella dopo che ti sei scontrato con orde inferocite di orchetti ai Cancelli del Morannon? Mi deludi orecchie a punta, ti pensavo più coraggioso!” Legolas lasciò ricadere le braccia dimostrando la sua frustrazione, poi osservando il nano con sfida rispose:

“D’accordo Gimli allora cosa pensi dobbiamo fare?” gli occhi dei due si scrutarono infuriati per alcuni secondi, aspettando che l’uno o l’altro cedesse. Ad un tratto la tensione si spezzò in una fragorosa risata, che risultò molto liberatoria per entrambi.  Il nano iniziò a battere con la sua mano bitorzoluta sulla spalla esile di Legolas cercando di confortarlo per quello che poteva. I toni ilari vennero però quasi immediatamente abbandonati quando uno strano stridore di urla ed acclamazioni provenì da fuori. Dopo un fugace sguardo fra i due si catapultarono alla fenditura che dava verso l’esterno. Solo una minima porzione della radura di fronte ad Agalath si apriva alla loro vista. La piccola figura di Adamante si trovava in piedi appena distinguibile alla luce delle torce. Era stata spogliata di tutti i suoi onori: una lunga veste bianca e neutra aderiva sul suo giovane corpo segnando le morbide forme, i capelli completamente sciolti le ricadevano sul viso abbassato verso il suolo, le mani legate sul grembo. Due guardie le stavano accanto come sue brutali custodi. Non solo guerriere ma anche la parte bassa della città era riunita in quel semicerchio appena visibile alla flebile illuminazione. Le urla che si distinguevano nella notte erano come versi di animali, schiamazzi di pareri gridati contro la traditrice. Il clamore destato dalla folla pronta a condannare tacque quando la Regina si sollevò dal suo trono esterno, intagliato da un tronco cavo. Adamante non sollevava il viso anche se avrebbe voluto lei stessa affrontare la madre, ma alle traditrici non era consentito il potersi difendere.

“Chi accusa Adamante la Guaritrice?” la voce roca ed appesantita di Amarah divenne solenne come mai l’avevano percepito le sue Amazzoni. Nel suo longevo regno non era stata costretta ad affrontare un processo ed ora era a discapito della figlia. Legolas notò l'uso della lingua corrente e dalle reazioni delle genti dedusse che tutti comprendevano. Questo era un altro indice di intolleranza verso di loro e del loro genere.

“Geldena la Consigliera, Testar | Mia signora | !” rispose la donna portando il pugno destro sul petto e genuflettendosi al cospetto di Amarah.

“Chi difende Adamante la Guaritrice?” Raja avanzò dalla folla con la sua andatura incerta e come Geldena portò il pugno sul petto inchinando il capo. Amarah rimaneva impassibile, indulgente ed inespressiva. Questo almeno alle apparenze, perché dentro di lei un forte senso di colpa iniziava la corrosione di quello strato di ghiaccio che le avvolgeva l’anima ormai nera.

“Raja la Storica, Regina!” la donna non espresse il segno di appartenenza a quel governo rifiutato molti anni addietro, quando del suo favore non fece buon uso.

“Quale accusa muovete Consigliera verso la principessa?” il tono autoritario della Regina si contraddistingueva in quel chiassoso brusio, nato quando la decisione di Raja di prendere le difese della Guaritrice si era palesata alle osservatrici.

“L’accuso di alto tradimento!” Geldena intraprese un passo esternando con un ghigno tutta la sua sicurezza.

“Con quali prove accusate Adamante, Geldena?” chiese Raja avanzando anch’ella in modo da trovarsi alla stessa altezza della Consigliera mostrandosi non intimorita dalle sue parole serpentine. Sapeva benissimo di aver ben poche speranze d’indulgenza. Lo vedeva nella folla inferocita della guardia, negli sguardi spaventati e spaesati della popolazione a cui apparteneva, nel distacco che stava ostentando Amarah con disinvoltura. Adamante era finita tra le fauci del leone e di questo ne era consapevole anche Legolas che assisteva alla scena da quel taglio del terreno. I suoi occhi si spingevano ben oltre quelli del nano al suo fianco, che poteva ambire a percepire appena i corpi ammassati nella folla che gremiva lo spazio circostante la radura e le voci come un continuo mormorare forte come lo scalpitio di un cavallo. L’Elfo invece vedeva il muro incostante di capelli che separava la sua vista dal viso della sua amata, le mani che cercavano un po’ di sollievo spostando ritmicamente i polsi nelle corde costringenti, le spalle tremare. Sentiva il terrore di Adamante accrescere ogni istante e lo fece suo.

“Da subito ” disse la Consigliera alzando il braccio verso la folla “ho capito che la Guaritrice covava il desiderio di appropriarsi di qualcosa non suo.” Fu allora che gli occhi di Adamante si innalzarono su Geldena, non tollerava quel modo di apostrofare Legolas a misero oggetto  e questo le dava la minima forza di reagire. “L’unione con un Tessalon scelto è Sacra, nessuno può permettersi di ostacolarlo nemmeno il sangue reale!” detto questo Geldena si girò verso la Guaritrice, sentiva la disfatta della fanciulla avvicinarsi con l’aumento del chiacchiericcio tra i presenti alla dichiarazione appena fatta. “Adamante ha tentato di circuire il Tessalon di Callial per ribaltare la discendenza!”

“No!” gridò Adamante “Questo non è il vero! Da quella lingua forcuta non possono che uscire menzogne! Madre ascoltate vi prego io non …”

“Taci!” tuonò Geldena. Contemporaneamente una delle guardie la percosse sul ventre con l’estremità del suo bastone costringendo la ragazza ad indietreggiare con le mani sul grembo da cui un forte dolore partiva fino ad arrivare alla sua testa. Il colpo era stato inferto con una dose ben calcolata di violenza capace di farla tossire e piegare, ma evitando che cadesse in terra in preda agli spasmi. “Non sei stata interpellata traditrice!” il sibilo disdegnoso della Consigliera era stato forte e chiaro.

“Adamante …” Raja si era avvicinata anch’ella sussurrando alla ragazza, che tentava di ricomporsi e tornare in piedi. “Hai già chi ti difende, non compromettere ancor di più la tua posizione!” la fanciulla mosse la testa in un segno di assenso, sollevò poi il busto tornando alla postura originaria. “Quello che stai menzionando Geldena è solo congettura, hai delle prove tangibili e concrete delle tue perniciose insinuazioni?” l’improvviso cambio d’espressione della Consigliera raggelò Raja che sapeva quanto fosse astuta la sua avversaria nel foro. Dopo un cenno una sua guardia portò alla donna un manoscritto conosciuto alla storia. Geldena afferrò con sprezzo il tomo e lo lanciò ai piedi delle due. Raja guardò Adamante che sconsolata non sostenne gli occhi dell’amica ed abbassò il capo sconfitta.

“Questo è il diario del padre dell' infedele ed è stato trovato nelle stanze del Tessalon di Callial proprio questa mattina!” il boato di stupore fece tremare il terreno, le foglie si scossero come mosse dal vento, tutte avevano da dire un commento, un pensiero, una parola di sdegno a quella prova così lapalissiana da far impallidire persino la Regina. Se sperava che la ragazza non fosse colpevole si era sbagliata: Adamante era responsabile si, ma solo di essere innamorata. "Insospettita, una volta calata la sera, ho aspettato nella camera dell'elfo ed a conferma si è presentata la Guaritrice senza la sua maschera. Chissà se nel suo ventre non giace già il frutto di tale spergiuro!" a concludere lo spettacolo con una mossa da teatrante, l'indice della Consigliera si puntò contro Adamante che invece alzò il mento senza mostrarsi spaventata. Lei era coscente che nulla di quello che sputava con malevolenza Geldena era reale, le mezze verità che nacevano da quella voce aspra era solo il risultato del suo maligno ingegno. Legolas strinse le palpebre ed allontanò il viso dall’aria calda che penetrava da quell’unico spiraglio sul mondo esterno. Il nano non era riuscito a capire molto, con tutta quella confusione era difficile per lui discernere una voce o l’altra. Continuava a guardare verso fuori muovendo la testa da destra a sinistra, senza una vera meta precisa.

“Cosa stanno dicendo? Perché si è sollevato tale clamore?” chiese verso l’amico. L’elfo non rispose troppo preso dal rimorso lacerante che gli premeva sul petto tanto da sentire l’affanno nel respirare. “Legolas, cosa è successo? Parla!”

“La Consigliera ha appena mostrato la prova di colpevolezza di Adamante!” disse l’elfo rimanendo con il volto girato per non guardare l’esterno.

“Sinceramente non ho ancora ben capito di quale colpa si sia macchiata la piccola strega!” borbottò veramente irritato.

“Si è macchiata di una colpa che per altri una colpa non è: si è innamorata ed è stata ricambiata!” proprio mentre diceva quelle parole l’elfo altre s’innalzarono sopra l’eclatante vocio. Erano i toni fieri ed autoritari della Sovrana. Quell’improvviso intervento innescò la curiosità di Legolas che vinse sui sensi di colpa permettendogli di continuare a guardare lo scenario della sconfitta dei giusti e la vittoria dei falsi.

“Silenzio!” quello che pronunciò fu quasi un grido grave ed oscuro, un ordine impartito con tutta la sua potenza “Adamante cosa hai da dire a tua discolpa?”ad ogni parola corrispondeva un passo, l’avvicinava sempre più alla figlia la quale aveva ripreso a tremare.

“Madre io …” rispose incerta.

“In questo momento non sono tua Madre!” sentenziò con acrimonia Amarah “Ora sono la tua Regina!” a quella affermazione Adamante sollevò lo sguardo. Gli occhi iniziarono ad inumidirsi di pianto, non si aspettava un comportamento diverso da Amarah ma in fondo un ultimo baluardo di speranza nella  compassione era presente, un'ultimo baluardo distrutto dalla brutale risposta della Sovrana.

“Mia Regina, io dico che sono colpevole …” le labbra di Geldena si allargarono in un sorriso soddisfatto e pieno, il vociare riprese con gran fragore, gli strepitii di stupore si stavano praticamente sprecando nella folla. “ … ma non colpevole per quello che crede la Consigliera! Io sono colpevole di non essere adatta a tutto questo, sono colpevole di non accettare la parvenza di libertà che ci volete far credere di avere. Siamo costrette in questi alberi a vivere la nostra vita per cosa? Per non poter uscire da Taur en Gwaith  a meno che non si cerchi la morte per mano delle sentinelle? Per non conoscere sentimenti nuovi e puri come l'amicizia e l'amore? Questo per me è al pari della schiavitù che imposero gli uomini alle nostre ave. Ascoltate!” si rivolse alla folla come ultimo appiglio. “Le nostre antenate si sono rifugiate qui perché braccate da qualcuno che le voleva succubi. Ma ora quali ragioni ci vincolano alla segretezza? Non ci curiamo altro che degl’interessi della comunità e siamo assoggettate a delle leggi dure ed obsolete. Vi siete mai chieste cosa ci fosse al di fuori di questa foresta? Vi siete mai trovate a guardare il cielo e dire chi altro lo stesse osservando? Io lo faccio in continuazione e me ne devo vergognare. Amo il mio popolo più di ogni altra cosa, ho sacrificato me stessa e la mia famiglia per la devozione che nutro per le mie genti ma non mi basta. Non ci sono solo nemici al di là di questi alberi, non conosciamo nemmeno altre realtà se non quelle delle Ombre: nasciamo e moriamo qui senza aver mai dato un vero significato alle nostre esistenze se non come semplici tasselli di un mosaico bello si ma non messo in discussione. Oltre il mare c’è un mondo nuovo e sconosciuto che non vuole farci soccombere. Potremmo crescere, potremmo confrontarci con nuovi popoli, nuove creature, potremmo migliorare. L’ignoto spaventa ma solo in un modo si può rendere questa paura una forza: imparando a conoscere.”

“Oltre che traditrice sei anche una rivoltosa e …” una mano di Amarah si alzò verso la Consigliera intimandole di fare silenzio. Quando la donna ritrasse le sue parole maligne con un inchino, la Regina le congiunse sul grembo osservando dall’alto al basso la figlia.

“Adamante, la tua colpa è grave e per questo sarai punita in maniera proporzionale!” la sua voce era algida e seria, non mostrava alcuna insicurezza mentre sollevava il mento altezzosa e superiore. “La morte per te sarebbe troppo poco la tua dissobiedenza: verrai rinchiusa nelle prigioni, al settimo sorgere del sole verrai flagellata fino a svenimento. Adempirai ai tuoi doveri di Ombra per l’ultima volta, partecipando ai rituali dello Yavieba, dopo indipendentemente che la tua progenie sia utile o meno al tuo popolo, sarai donata come serva a Kudrem, figlio di Kuzdo sovrano del Khand e bandita per sempre da questo regno. Callial non dovrà subire il dolore del tradimento della sorella e quindi vieto a chiunque abbia assistito di farne parola." Geldena era incredula, quello che lei voleva era una condanna immediata di morte. Invece non sarebbe stata certa dell'eliminazione della scomoda presenza della Guaratrice fintanto non fosse salita sul cavallo del Variag.

"Mia signora ma ..." cercò d'intervenire prima che la regina potesse andarsene.

" Questa è la mia decisione, vuoi darmi contro Geldena?" chiese la Regina dura e fredda come una lastra di marmo. Alla Consigliera non restò altro che prostrarsi ed accettare quella autorevolezza dominante della Sovrana. "Con questo ho concluso!” Amarah soffocò il pianto nell’ultima frase, di fronte al sacrificio del suo diamante più prezioso. Davanti ad una tale dimostrazione d’impudenza e di disprezzo comunque non poteva mostrare misericordia alla figlia in quanto tale. Lei era una donna Amazzone, regina e sovrana della foresta. Le debolezze come l’amore e i sentimenti non dovevano appartenerle.

“Voi non siete mai stata mia Madre!” sussurrò Adamante colpita nel profondo. “Mi avreste liberato molto tempo fa se vi foste comportata da tale. Voi siete sempre stata la Regina! Bene mia Regina siete riuscita nel vostro intento, con questa azione mi avete tarpato definitivamente le ali!” una nuova fiamma imperò nello sguardo della traditrice, la fiamma della disperazione, del cordoglio, la fiamma della delusione scatenata dalla stessa Amarah che le aveva dato la condanna più dura che potesse imporle. La morte per mano di Geldena sotto indicibili torture sarebbe stata più dolce. Invece la Regina aveva preferito farla diventare una concubina di Kudrem, una serva di un uomo infliggendole il più grande disonore per una Gwath.

“Portatela via!” ordinò la Sovrana stanca di sentire l’astio della propria figlia prediletta riversarsi con parole ricolme d’avversione. Le due guardie che fiancheggiavano la Guaritrice la presero con forza, trascinandola dal centro mentre la fanciulla opponeva un’estenuante resistenza.

“Voi non siete mai stata mia Madre, sapete solo essere la regina! Voi non potete capirmi perché non siete capace d’amare!” urlava mentre la portavano via. “Non scorre sangue nelle vostre vene, il vostro cuore è muto come un sepolcro secolare ricoperto dai detriti del tempo! Voi non avete mai amato nemmeno le vostre figlie, non siete mai stata mia Madre!” Amarah invece aveva un cuore, un cuore stanco e vecchio solamente mascherato dalla pietra, da cui stava sgorgando un enorme quantità di fluido cremisi. Nel buio delle sue stanze  poteva piangere come una madre, poteva condannarsi ad una dannazione eterna. I suoi ricordi ricadevano sulla piccola figlia degl'elfi che curava con dovizia il suo orto di erbe curative, forte nelle sue scelte, caparbia nelle sue azioni. Quella stessa bambina ora le aveva riservato solo odio prima che scomparisse nell’oblio della strada per le prigioni, odio giustificato dall'erronea scelta di averla con sé. Il resto del tragitto percorso per la fanciulla divenne sempre più offuscato. Non aveva ragione per trattenersi eppure il suo corpo non rispondeva a quella afflizione che le lambiva mente e animo. Gli occhi non si bagnarono di calde e saline lacrime, le sue corde vocali non vibrarono al lamento del suo cuore straziato. La sua pelle era tornata esangue senza avere la benché minima parvenza della luce degl’Eldar. Lo splendore della Lacrima Brillante era offuscato dalla frustrazione, le era stata strappata ogni speranza. Presto la fiamma bianca di Adamante avrebbe cessato di esistere, come una candela ormai arrivata all’estremità che combatte contro l’ultima cera liquida del fondo. Non c’era più l’autunno mite e confortante, ma un inverno freddo e glaciale si apriva di fronte alla ragazza ormai giunta al limite delle sue forze, privata persino dell'aria. Vittima era ancora dell’assurdo gioco della Consigliera, vittima era ancora delle leggi a cui la voleva sottrarre il padre, vittima era ancora della stoltezza e dell’ostinazione nel non volersi migliorare. Geldena era stata anche troppo crudele quando Adamante trovò dimora nella cella di fronte a quella di Legolas e Gimli, abbastanza vicini per vedere la sua agonia e abbastanza lontani per non trarre conforto l’una dall’altro. Rimasero fermi ad osservarsi, trascinati dalle sabbie del tempo che continuavano a cadere granello per granello, scandendo il suo lento ed inesorabile scorrere. Legolas era atterrito dall’evidente resa della sua amata, non poteva lasciarsi andare quando lui stesso era pronto a smuovere il mondo intero per lei. Viveva per un suo sorriso e sarebbe morto per un solo bacio. Il nano attese che le guardie la lasciassero nella sua segregazione tornando ai loro compiti per prendere parola.

“Piccola strega, dobbiamo trovare un modo per fuggire da qui!” disse risoluto cercando di riscuotere i suoi compagni da quell’incanto che li aveva colti. Adamante non si scompose, gli occhi protesi verso quelli cerulei di Legolas che ricambiava quello sguardo.

“No, mastro Gimli, è finita!” quello che emanò era un semplice filo di voce, irriconoscibile alle orecchie dell’elfo. Presto la lampada argentea dei Valar avrebbe illuminato il viso di Adamante mentre prendeva il posto nel buio delle Aule di Mandos.

“No!” gridò Legolas afferrando le sbarre come se fossero le spalle della sua amata. “Non puoi cedere, hai giurato di seguirmi! Devi rispettare il tuo voto, devi vivere, devi farlo anche per tuo padre che non ti voleva qui, lle hammannen an Helluin! | S –  [Tu] Sei obbligata per Helluin! | ” la ragazza non risposte, come una statua non mosse alcun muscolo, impassibile come una montagna che il vento, per quanto sia forte, non smuove “Tirinîr bronia agen! | S – Tirinîr resisti per te!|”.

“Ù – chebin estel amin! | S – Non posso conservare speranza per me stessa!| ” rispose ancora imperturbabile, con la voce assente come se non appartenesse alla Guaritrice, senza inflessione alcuna che potesse caratterizzare un qualsiasi stato d’animo.

“Tirinîr bronia amin! | S – Tirinîr resisti per me! | ”A quella supplica le labbra della ragazza si schiusero in un debole respiro, come se qualcosa dentro di lei avesse quasi preso il sopravvento sull’apatia. Di questo l’elfo se ne accorse e subito intervenne per battere sul ferro ancora caldo, per allargare la breccia appena creata dalle sue parole. “Tirinîr bronia ammen! | S – Tirinîr resisti per noi! | ” Un lampo veloce e fulmineo passò attraverso quello sguardo vacuo e spento, troppo debole da essere percepito da occhio umano. Un piccolo seme era stato impiantato, anche se ora era difficile rendersene conto. Adamante era stata colpita ma non sapeva dove le parole di Legolas l’avrebbero condotta.

“Ù – geri estel! | S – Non ho speranza! |” le sue stesse parole le morirono sulle labbra con un fremito. Lo stelo del fiore d’inverno era stato spezzato, non poteva più trarre il nutrimento dallo sterile suolo solcato dalla neve, non poteva risplendere ai primi timidi raggi primaverili.  Fredde ed aride erano le sue lacrime rimaste all’interno della gola, incapaci di sgorgare e manifestare l’intenso patimento provato. Stava avvizzendo catturata e rese prigioniera. Adamante iniziò a percorrere i pochi passi che la separavano dal piccolo e scomodo giaciglio quello che l’avrebbe accompagnata fino alla sua fine.

“Amin mela lle! | S – Ti amo!| ” leggiadra era la voce dell’elfo al pari di ciò che aveva appena pronunziato, dolce era il suono di quel sentimento che sempre era palese ma mai espresso così chiaramente. “Lle bronia amin! | S – Resisti per me!| ” ripeté con più ardore serrando le mani fortemente contro le sbarre. Adamante profilò solo il volto senza voltarsi completamente. La sua anima era stata vanificata, i suoi sentimenti calpestati eccetto per quella lacrima che finalmente camminava vittoriosa sulla sua guancia. Legolas era coscente che  il massimo auspicabile era quella piccola goccia di una luce fioca ed appena percepibile, ma almeno il sapere che non fosse del tutto annullata iniziava ad annientare l’assenza di speranza. La fanciulla riprese il suo cammino quasi fosse il più lungo percorso intrapreso. Viaggiava come una barca mossa solo da una tenue corrente fino a giungere su quel triste materasso nell’angolo più buio. Si coricò taciturna con le spalle rivolte ai due spettatori silenti, stringendo le ginocchia al petto in una posizione fetale, chiusa tra le sue stesse braccia riparandosi da quel freddo fittizio ed inesistente.

“Cosa è successo? Che vi siete detti?” chiese Gimli spaesato dalla conversazione appena avvenuta. Sapeva dall’espressioni e dagli sguardi che non era stata uno stato una scambio piacevole di convenevoli.

“Sta sfiorendo come una rosa dopo una tempesta di grandine! Si sta abbandonando allo sconforto, sta morendo …” Legolas non riuscì più a sostenere le gambe, dolenti per la zavorra costrette a sostenere al di sopra delle sue forze. Posò la schiena contro la parete scivolando fino in terra, con il viso sempre rivolto alle spalle della fanciulla che immobile giaceva oltre ben due paratie di sbarre. Un canto triste, un canto d’amore sorse dalla bocca dell’elfo. Una triste litania che gli sovvenne come ricordo di tempi lontani, un addio che insieme ad Adamante avrebbe voluto cantare alle Terre del Rhûn:

Addio, mia terra, addio nordico cielo
Benedetto poiché in esso lo stelo
Spuntò, e poi lieve corse
Sotto la Luna, e sotto il Sole sorse,
Di Tirinîr la Lacrima Brillante¹,

Bella che a dirlo non basta parola.
Rovini pure il mondo tutto quanto
E sia dissolto in ogni membro, e infranto
Ricada nell'abisso atemporale:
La sua struttura sol per questo vale -
Sera, mattino, cielo, terra, mare -,
Che
Tirinîr² lo ha potuto contemplare.

In grassetto le parti cambiate 1) Di Lùthien l’Usignola 2) Lùthien

[Cit. Canto della Dipartita, Cap XIX  “Beren e Lùthien”, Silmarillion di J.R.R. Tolkien]

 

Miei signori, triste è il giorno quando un diamante smette di brillare. Il fiore d'inverno ancora rischia di appassire ma molto il cielo e le stelle assistono. L'amore che tutto smuove, potrà far sopravvire una figlia di un Astro splendente e pallido? Potrà condurla a vivere?

 

Note dell'autrice: Buon Pomeriggio mes amis! Premetto con il dire che il canto finale è di esclusiva proprietà del professore come da citazione gli ho solo cambiato due cosine per adattarla ma non è assolutamente mia, tra l'altro non ho nemmeno rispettato la rima. Quindi chiedo venia ai puristi e chiedo anche se gentilmente possono assecondare la licenza che mi sono presa. Passiamo a noi: capitolozzolo difficilozzolo! Mi scuso per la preponderante presenza di dialoghi ma ora come ora sono necessari, probabilmente in questi capitoli sarà più o meno così, visto comunque il bisogno di spiegazioni che ci sarà. Cominceremo ad unire altri tasselli ed alla fine ... bhè dovete seguire. Cosa succede praticamente: la piccola Adamante è messa di nuovo a dura prova e perde ogni speranza, povera! Nel momento in cui le stanno anche strappando quel minimo della libertà che aveva e il l'amore della sua vita si ritova ad abbandonarsi, insomma sta morendo, si sta spegnendo. Legolas questo lo sa e spera solo di riuscire a farla reagire. Finalmente le ha detto ti amo, anche se lo sapevano insomma è un'altra cosa sentirselo dire. Comunque Amarah è stata proprio crudele, non poteva dare punizione peggiore ma il suo scopo è proprio quello di non dare a vedere le proprie debolezze quindi è più dura con le figlie che con le altre. Che altro dire? spero vi sia piaciuto! Fatemi sapere!

Ringrazio sempre tutti!

Un bacione!

La vostra Malice!!! ^^

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Capitolo 10
*** CAPITOLO IX: Ingiusta punizione. ***


CAPITOLO IX: Ingiusta punizione.

L’alba del settimo giorno era giunta inesorabile. Adamante non parlava dal giorno del processo, il più delle volte scossa da brividi ingiustificati dato il caldo torrido che il Rhûn riservava ai suoi abitanti. I suoi denti battevano come il tintinnare delle gocce in uno specchio d’acqua calmo, indosso s’avvolgeva con una coperta putrida e polverosa raccattata dall’angolo della sua cella. Dalla mattina che l’avevano prelevata non avevano più ricevuto notizie fino al meriggio inoltrato quando la veste strappata sulla schiena mostrava brandelli intrisi di sangue. Fustigata fino allo sfinimento, era questo che intendeva Amarah. Due Ombre la tenevano a peso morto sotto le braccia e per i piedi, trasportandola come un sacco di patate troppo pieno. Solchi profondi come dossi di un aratro sulla terra ancora brulla del maggese percorrevano la schiena logorata dalle frustrate, i cerchi lividi sotto gli occhi segnavano il viso, le palpebre lavanda calate sotto la fronte imperlata di sudore e sudicia di terra, le labbra, di solito floridi petali dai colori dell’aurora, erano disidratate, crude come carne essiccata al sole ma esangui. Non si erano curate nemmeno di adagiarla dove le ferite non le dolevano, gettandola con non curanza nella sua cella. Al tocco della schiena contro il terreno un lamento tremulo percorse il suo costato, priva delle forze di gridare quanto invece le comandava di fare il corpo. Legolas non resisteva più costretto al limitarsi a vagabondare in quello spazio ristretto. Il tempo in attesa che la facessero ritornare lo aveva trascorso in piedi, instancabile come pronto a scattare quando fossero tornate. Aveva percepito che la punizione corporale da infliggere sarebbe stata dura, ma non pensava che il senso del flagellare fino allo svenimento potesse essere preso così letteralmente. Anche il nano era rimasto senza parole, si era solo limitato a posare una mano sulla spalla dell’elfo, il quale per poter osservare meglio Adamante, aveva posato le ginocchia in terra. Era dura per Gimli vedere tutta quell’ingiustizia applicata sulla piccola strega ed era ancora più arduo vedere il riflesso di tale ingiustizia sul suo amico. Ebbene miei signori, i nani sono rinomati per curare i propri interessi, ma mal sopportano le prepotenze altrui. Il povero Portatore della Ciocca avrebbe tanto voluto prendere a pedate il regale deretano della Sovrana per come stava distruggendo quelle povere anime. Era come se stessero facendo del male anche a lui indirettamente. Dall’angolo del corridoio che intervallava le celle spuntò fuori una figura ammantata, il cappuccio scuro calato sul volto a celarne le fattezze, tra le mani una ciotola di legno, un otre ed una borsa appese al fianco. Due guardie l’accompagnavano come di consueto a chi faceva visita ai prigionieri. Quando aprirono il cancello che dava sul povero corpo martoriato di Adamante, il nano fu accecato dall’ira. Non gl’importava d’essere preso e malmenato come avevano fatto con la Guaritrice, doveva spurgare tutto il livore provocato da quella sciocco scotto.

“Non vi è bastato, vili sanguisughe?” disse con voce grossa “Volete altro sangue da colei che si prodiga a curare le vostre ferite? Quale altro sacrificio deve compiere prima che le riconosciate la ricompensa? Siete così stolte e cieche da non riconoscere nemmeno il bene, la vostra legislazione vi obbliga ad essere spietate con le vostre stesse sorelle! Lo stare recluse vi ha tolto ogni capacità di misericordia voi siete soltanto …” il discorso del nano fu interrotto da Legolas stesso che guardandolo negli occhi negò con la testa. Aveva ben riconosciuto l’andatura claudicante  di Raja in quella figura ammantata, quel incerto zoppicare che faceva sobbalzare la metà del suo corpo ad ogni passo. Dopo essersi voltata in loro direzione per un istante tornò alla figura riversa a terra. Entrò nella cella che venne richiusa ed abbandonata dalle guardie, si tolse il mantello e lo lanciò senza un'ubicazione precisa. Si spogliò dei suoi ammennicoli per potersi inginocchiare accanto ad Adamante ed accarezzarle la fronte scostandole i capelli fatti aderire dalla fatica.

“Cosa ti hanno fatto Chillah?” le disse in un sussurro esternando tutto il suo rammarico. Legolas e Gimli assistevano alla scena senza proferire parola. I gesti di Raja erano dolci e delicati, come quelli di una madre che trova il figlio dopo una battaglia. Prese il suo braccio e se lo passò dietro le spalle. La sua ferita non le permetteva movimenti fluidi e faticò ad alzarsi con il peso gravoso della Guaritrice al collo, ma superò addirittura la sua stessa forza pur di portarla sul giaciglio per medicare le lacerazioni dolenti. Non aveva di certo le conoscenze di Adamante, ma Raja sapeva come pulire ed evitare che le ferite s’infettassero. La regina aveva concesso alla Guaritrice delle cure giustificandosi con la sua corte per l'imminente venuta dei signori Variag. In realtà era solo un modo per espiare in parte le sue mancanze. Schiacciata con il ventre contro il materasso Adamante aprì i suoi caldi occhi castani ed incontrò quelli scuri di Raja che cercava il più delicatamente possibile di sfilarle la parte superiore della veste.

“Raja …” sussurrò con le poche forze che aveva.

“Non ti sforzare, ora mi prenderò cura di te! È l’unica cosa che posso fare dopo quello che hai dato a tutto il tuo popolo! Non quello ricco d’intrighi e menzogne, quello in cui una come te può solo deperire. Quello vero, non fatto di titoli astrusi dettati dalla sciocca ignoranza! Il popolo che ti ama e continua ad amarti. quello che ti vuole lontana da qui!” rispose la Storica iniziando a versare dell’acqua e dell’essenza di rose nel recipiente di legno. Alzò gli occhi sull’elfo che imperterrito non li aveva staccati dalla Guaritrice. Lo sguardo che gli rivolse non era minaccioso ma d’intesa: gli stava chiedendo di ascoltare con molta attenzione ciò che stava per dire. Quello era un messaggio per lui. “Le tue parole hanno mosso molte acque, mia piccola ed impetuosa tempesta: avevi ragione quando dicevi che non siamo libere, per questo non vogliamo più sottostare alla finzione. Vogliamo poter uscire dalla foresta senza dover intercorrere in un processo, vogliamo poter vivere come gente comune se lo desideriamo, vogliamo poter provare lo stesso sentimento che provi tu per il principe elfico! Le nostre leggi sono antiche, troppo antiche ed è ora di cambiarle. Ciò che è del passato deve rimanere del passato. La Città Bassa non è più disposta a sottomettersi, vogliamo la libertà che richiedevano le nostre ave …” la pezza di lino tracciava il percorso della frusta sulla pallida pelle della Guaritrice che nel dolore non aveva captato il vero significato della parole della Storica. Legolas invece aveva sentito ogni frase, l’aveva percepita e resa propria. Quello di cui parlava Raja era il primo segno di una ribellione. “Adamante tu sei il presente, sei l'esempio che tutto si può sovvertire con un po' di forza di volontà! Non abbandonarti, dimostra a Ruin quanto un granello di sabbia possa gravare sull'equilibrio della bilancia. Hai così tanti amici da dover ancora assistere: tuttte noi stiamo aspettando il ritorno della tua fiamma d'argento che spesso ci hai fatto l'onore di porgerci, vogliamo rimirare di nuovo la splndente scia luminosa del tuo passaggio quando allevi le nostre sofferenze. Siamo qui con te sotto queste prigioni e posso giurare a nome di tutte che sarete le ultime vittime di questo delirante sogno d’indipendenza trasformato nella schiavitù più dolorosa!” rivolse un’ultima volta lo sguardo all’elfo che si trovò ad annuire, mentre il nano non capiva molto al pari di Adamante. Continuò nel suo operato  togliendo il sangue rappreso dai lembi di carne viva. Ad ogni passata i muscoli vibravano e piccoli gemiti uscivano dalla bocca della Guaritrice. Fasciò il suo corpo con garze di lino pulite e le cambiò la veste, sempre spogliata di ogni riconoscimento; infine l’aiutò a coricarsi di nuovo dopo averle fatto ingerire un liquido scuro proprio come quello che Adamante aveva somministrato a Legolas per la sua di ferita. Il nano schioccò la lingua contro il palato stizzito: ora le mostravano benevolenza, dopo averla annientata e ridotta ad uno spettro. Prima che Raja lasciasse la cella la fanciulla le afferrò un polso debolmente. La Storica, sorpresa di tale slancio si accostò alla ragazza che con un filo di voce iniziò a parlarle molto lentamente, nemmeno le oculate orecchie dell’elfo poterono captare quel flebile bisbiglio. Dopo quella confessione Raja depositò un tenue bacio sulla sua testa ed una carezza compassionevole sulla gota arrossata dalla stanchezza, oltrepassando infine le sbarre aperte dalle guardie che indicavano la fine del tempo a disposizione. Seguì taciturna le guerriere ma di fronte alla prigione di Legolas si voltò interrompendo la sua marcia.

“Elfo!” disse con la voce potente quasi fosse un giuramento “Adamante mi ha detto di dirti Amin mela lle! | S – Ti amo!|” Legolas che fino ad allora stava ad osservare Raja si volse alla Guaritrice. Il caldo e ritmico movimento delle spalle era segno del suo assopimento, aveva ripreso finalmente a dormire. Non si accorse che ai suoi piedi era scivolato un qualcosa, finché non li raggiunse. Con un movimento veloce lo spostò in modo che le guardie non potessero vederlo. “Namarie! | S - Addio! |, spero che il rischio che state correndo sia giustamente ricompensato! Non tutto è perduto!” Legolas preferì riservare il silenzio come risposta di accondiscendenza. Ascoltò attentamente i passi allontanarsi ed appena la gittata del suo udito fu totalmente elusa, raccattò il pacchetto cilindrico che aveva lasciato scivolare la Storica ben attenta a non farsi scoprire. Una pergamena color del grano in agosto avvolgeva un’ampolla simile a quella che aveva visto in precedenza Legolas tra le mani di Adamante. Vi era anche uno spillone appuntito, sulla cui estremità una rarissima perla d’onice vi era incastonata. Srotolò con delicatezza e cura tale da sembrare un cesellatore con il gioiello di un re e pose nelle mani del nano gli oggetti, esclusa la pergamena che recava un messaggio.

“Sono rune elfiche?” Legolas annuì tacitamente, iniziando a studiare quella soroprendente scoperta. Prese tra le mani l’ampolla che presentava una sorta di liquido trasparente dalla dubbia provenienza quasi fino all’orlo e la riconsegnò al nano.

"Non mi aspettavo che Raja conoscesse il linguaggio di Aman!" molte erano le sorprese che poteva riservare la Storica, che aveva appreso con il solo uso dell'umiltà. Helluin le aveva fornito le indicazioni per imparare, perchè come Adamante in lei vedeva un'amica. 

“Cosa dicono?” chiese ancora Gimli sempre più incuriosito da tale segreta missiva.

“Sono indicazioni!” ci fu un rumore catene probabilmente, un tintinnare di metallo contro metallo mosso dal vento abbastanza forte da far sobbalzare entrambi. Sicuri che il pericolo fosse completamente passato l’elfo riprese ad analizzare il testo. “Non è facile da leggere, mastro Gimli, la lingua utilizzata è quella dei Tempi Remoti …” l’elfo contemplò per qualche secondo il documento, poi con toni più sicuri iniziò a proferire verso il nano. “ <<  La sorpresa vi avrà colto erede delle Stelle, nessuno conosce questi caratteri vergati con Argentovero. L’oscurità e l’oblio verranno debellati quando la notte calerà sul tuo Destino. Tutto era già pronto ed ora possiamo agire. Usa il tuo sangue per cancellare ciò che la Serpe ha nutrito, l’ampolla e la spilla saranno tue amiche. Versa ciò che di più puro esiste nella coppa che il tuo destino attende ma attento a non bere nella tua. La nebbia sarà sconfitta, il Diamante tornerà a splendere fuori da questi alberi. >>”

“Cosa significa?” chiese Gimli osservando la spilla e l’ampolla che aveva tra le mani.

“Non so.” Sospirò l’elfo. “Le lettere che seguono sembrano una poesia non c’entrano con il resto e sono capovolte …” ruotò attentamente il foglio lentamente, come un rituale sacro. Si sistemò seduto ed iniziò a parlare nella sua lingua intonando le parole come un canto. Mai il nano aveva sentito melodia più sublime, il soave suono delle parole solleticava il suo rude udito. L’alto eldarin del reame beato questo era il dire dell’elfo che sotto un pallido raggio di luna si trovò uno scintillio particolare nell’inchiostro.

“Aspetta! Hai detto: vergati con Argentovero?” intervenne il nano.

“Così c’è scritto!” Gimli roteò gli occhi mostrandosi pensieroso. Poi sollevando la pergamena vide uno strano ingarbuglio di segni da cui un ulteriore barlume lattiginoso colse i suoi occhi.

“Metti il retro alla luce della luna!” al movimento della mano, una scintilla percorse quello scarabocchio senza senso in un sentiero fatto di sinuose curve e dettagli di un disegno molto più chiaro. “Ithildin! Quella donna è più astuta di una volpe, senza alcun dubbio!”

“Concordo Gimli! Concordo!” rispose Legolas allargando un ampio sorriso afferrando la spalla del suo amico. Quella che aveva tra le mani era la mappa dei cunicoli sotterranei di cui parlava Adamante, dall’accesso alle prigioni fino all’uscita dove li avrebbero attesi i cavalli.

“Quando potremmo scappare? Cosa significa tutto questo poema?” chiese impaziente il nano.

“Dal riferimento al mio Destino credo che voglia dire la notte dello Yavieba, quando ci saranno i rituali … ” quel pensiero fece riaffiorare nel nobile principe un fiotto di fiele nella gola che ingurgitò dolorosamente. Non era per lui ma per il suo piccolo fiore d’inverno deturpato dalle mani sudice di un uomo votato all’odio. Così semplice e pura da essere lui stesso un peccatore per averla sfiorata, anche solo per averle rubato un bacio.

“E quel riferimento al sangue?” Legolas afferrò gli oggetti suoi amici, da come diceva lo scritto, dalle mani del nano. Le studiò a fondo sollevandole più volte, agitando la piccola bottiglietta con quel liquido strano per determinare il suo contenuto. Passò di nuovo alla spilla. Il pensiero cadde su di una frase.

“Usa il tuo sangue per cancellare ciò che la serpe ha nutrito …” disse come confessando a sé stesso un arcano. Aprì il tappo che dondolò dalla catenella a cui era assicurato. Con un gesto rapido e secco si puntellò il dito da cui una goccia vermiglia prese a fluire macchiando il candore della nivea pelle dell’elfo. Lo sollevò sul foro che permetteva l’accesso a tale contenitore e ne riversò diverse stille che al contatto con il liquido disegnavano volute sempre più empie. Il sangue colava  come una pioggia battente, attendendo che prelevasse lo scarlatto del suo colore.

“Speriamo che tutta questa follia ci conduca in fretta alla via di ritorno!” le orbite affossate del nano svolazzarono per pochi istanti verso il corpo immobile della Guaritrice, teneramente accucciata come un cucciolo di lupo che prova a ripararsi dal freddo. Sul volto emaciato un nuovo guizzo di vita aveva preso posto: l’ombra di un sorriso, l’ombra di speranza. Legolas seguì lo sguardo del suo amico ed incontrò gli angoli della bocca piegati verso l’alto della fanciulla. “E speriamo che quello sia un bel sogno!” Gimli diede una pacca amichevole sulla spalla dell’elfo che era rimasto incantato. Quel particolare era bello come l’alba sui Monti del Bosco Atro  e dolce come l’ambrosia rubata alle laboriose api che prendevano i pollini dai suoi giardini.

“In fondo c’è una speranza!”  ebbene si, miei signori. Raja aveva sussurrato ad Adamante quanto la popolazione vera l’amasse. Erano meno soli di quel che pensasse la fanciulla, ben presto avrebbe avuto modo di saggiarlo con le sue stesse mani, con la riprova che forse non tutti i sacrifici affrontati sarebbero stati vani.  In quei giorni la Guaritrice cercò di riprendersi sollevandosi dal suo giaciglio di tanto in tanto. Dalle sue labbra deboli poche parole venivano sussurrate, più risposte sollecitate che affermazioni di un pensiero. Un giorno aveva anche cantato con Legolas, che assisteva di continuo la sua amata con la devozione che gli era permessa dalla distanza forzata. Le ferite si stavano rimarginando, ma la pelle era pur sempre cinerea come i resti di una pira ed i suoi occhi avevano  quella terribile patina grigiastra smunta e spenta. Un corno risuonò tra gli alberi di Taur en Gwaith, il corno che annunciava il ritorno delle guerriere nella loro casa, il corno che esaltava un giorno di festa.

“Cos’è questo richiamo?” chiese l’elfo non riconoscendo l’effettivo suono. Gimli iniziò a sbirciare fuori da quell’unica finestra naturale.

“C’è gran fermento!” disse a conferma delle parole dell’amico. Adamante sussultò ad ogni squillo e le sue mani presero a tremare così tanto da doversele massaggiare l’una con l’altra per far passare l’intorpidimento dovuto agli spasmi.

“Stanno tornando! Lo Yavieba è giunto!” nei loro cuori nacque e morì la fiducia in termine di un istante. Avevano capito che in termine di poche ore molto sarebbe cambiato, ma il Destino poteva volgere in due frangenti. La totale disfatta contro la fulgida vittoria. Non c’erano vie di mezzo, non esisteva una strada a metà ma solo una lunga via che fosse del ritorno o della fine delle loro esistenze. Adamante venne prelevata poco tempo dopo per incontrare l’ignara Callial e chi la stava aspettando da tempo. Era quello che aveva ordinato la Regina, nessuno avrebbe dovuto proferire con Callial del processo alla sorella e il suo successivo esilio sarebbe stato giustificato a tempo debito, quando l’esile fanciulla non fosse più a portata di spada della Spietata. Le ore passarono in fretta fino a raggiungere l’arrivo dell’esercito Variag privato delle armi. Alla testa, accanto la calcata di Callial c’erano due Signori della Guerra, senza alcun dubbio. Le loro vesti fregiate d’oro e porpora erano sfavillanti, i loro capelli scuri scendevano sulle spalle larghe e forti, i tratti esotici ad esternare le loro appartenenze alle terre a Sud di Mordor. Dietro di loro uno stuolo di giovani uomini uniformati dai medesimi abiti marciavano in una colonna ordinata. Amarah attendeva di fronte al suo palazzo senza degnare di uno sguardo la figlia. Chiunque poteva pensare che fosse per rabbia nei suoi confronti ed invece era per il tremendo senso di colpa che quell’aspetto malsano provocava in lei. Legolas la vide ricoperta nuovamente della sua carica, ormai semplicemente di facciata contro una sorella che sicuramente non le avrebbe dato salva la vita dopo ciò che era successo. I lunghi capelli erano stati puliti ed intrecciati accuratamente in una complessa acconciatura, che in parte lasciava libere le onde sinuose di quella matassa castana dorata da cui s’intravedeva la forma di foglia dei suoi padiglioni auricolari. Una soffice veste di velluto ritraeva il colore del muschio, cadendo in morbidi drappi sul corpo sempre più magro. Due auree spille sorreggevano i pizzi  sulle spalle mentre una complicata cintola le segnava la vita. Sulla fronte, come tutte le sue compagne, una perla bianca ricadeva dove gli occhi si dividevano poco sopra la base del naso.

“Amarah, l’ospitalità della tua gente è sempre degna di nota!” disse l’uomo più anziano alla testa del drappello, smontando da cavallo per poter salutare doverosamente la Sovrana. “Vi siamo sempre obbligati, mia signora!” portò una mano sul petto inchinando il capo verso Amarah che invece non si scomponeva in alcun modo. Anche l’uomo più giovane smontò da cavallo ripetendo i gesti dell’altro in segno di rispetto. “Ti ricordi mio figlio Kudrem? È da tanto che non partecipa ai rituali dello Yavieba e sono contento che anche tua figlia abbia acconsentito di parteciparvi di nuovo! Mi sono sempre rammaricato che per la sua ostinazione verso la Guaritrice non voleva più farne parte. Ma oggi siamo qui ed è giorno di festa mia signora!” il velo d’ironia che metteva nello sguardo riservato ad Adamante era fonte di rabbia per molti. La Guaritrice strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche pur di non rispondere a tono a quelle insinuazione. Avrebbe voluto dire che non era un suo consenso ad averla spinta ad accettare ma un odioso ricatto ed infine un’ingiusta punizione. In quel momento Callial fu scossa da un tremore, con un salto scese da cavallo superando persino il signore mancandogli di rispetto.

“Cosa vuol dire che Adamante parteciperà ai rituali?” chiese trafelata e con il terrore negli occhi. Se la figlia di Adamante fosse nata prima della sua sarebbe diventata lei la Regina e questo non poteva permetterselo. Kudzo notò con dispetto  a quell’atteggiamento impulsivo della donna. Se fosse successo nel suo reame sicuramente avrebbe passato il resto della sua misera vita incatenata alle pareti della prigione. Amarah le riservò uno sguardo furente e colmo d’ira per quella provocazione appena palesata al Sovrano Variag. Nemmeno la sua instabile pazzia poteva giustificare tale comportamento. Callial resasi conto abbassò il capo prostrandosi con mute scuse ed indietreggiò di qualche passo mentre Amarah riprendeva i giusti convenevoli come d’uopo.

“Kudzo sai che siamo onorate di avervi qui e per i vostri servigi!” servigi, quale orribile parola per indicare un atto che dovrebbe solo essere guidato dall’amore. Legolas avvertì un forte senso di disgusto, la bile si riversò prepotente nella sua bocca mentre il sangue iniziò ad affluire e defluire troppo velocemente per mantenersi lucido. Se si fosse trovato in mezzo a quella radura ora avrebbe decisamente minacciato quel vile che posava con desiderio malsano i suoi tremendi occhi scuri sulla candida e pura Adamante, la quale eludeva il suo sguardo fissando l’attenzione al benvenuto dei due sovrani. “Ma vieni nel mio palazzo lascia che le mie guerriere ed i tuoi soldati si ristorino. Domani sarà un giorno molto importante per tutti e abbiamo molto di cui discutere, venite trovate alloggio nostri graditi ospiti che il vostro sia il soggiorno che avevate sperato!” allargò le braccia verso i nuovi giunti affrontando così i definitivi convenevoli. Kudzo avanzò verso di lei proponendole il braccio ed Amarah non lo rifiutò, incastrando il suo con quello dell’uomo. Adamante sapeva di cosa in realtà dovevano discutere, il bel regalo che presto avrebbe fatto al figlio. Kudrem prima di seguire il padre come di convenienza, si pose di fronte alla Guaritrice. Lo sguardo smaliziato dell’ormai uomo era vivo d’interesse, la fanciulla lo percepiva forte come uno strado di lerciume steso sulla sua pelle.

“Siete sempre più bella Adamante!” lui solo poteva pronunciare quel nome,  Adamante era pur sempre figlia di Regina e lui il suo Tessalon da tempi immemori, quando molto della vita della ragazza era stata strappato. “Anche se avete un aspetto poco salubre …” azzardò un  sorriso tra quelle parole melliflue dette con lascivia in un inutile corteggiamento. Adamante invece protraeva il suo sguardo di sdegno e sufficienza. Kudrem sapeva quanto la ragazza lo disprezzasse e questo faceva accrescere il suo desiderio di possederla.

“Evita questa pantomima, Kudrem! Sai che io non voglio tutto questo!” l’uomo accostò di più la sua persona a quella della Guaritrice che non intraprese un passo per indietreggiare, non volendo mostrare paura di fronte a quello che riteneva un nemico.

“C’è qualcosa di diverso in voi, bella Adamante! Non so, avete una luce strana negl’occhi …” sollevò una mano e con il dorso cercò il contatto con la gota della Guaritrice. Non c’erano gesti sconvenienti tra glia alberi della Taur en Gwaith: la buona creanza non contava, quello che importava era solo lo svolgersi nel migliore dei modi dei rituali Sacri atti al proseguo delle proprie ereditarietà. La discendenza al di sopra di ogni cosa. Legolas che teneva le mani a cavallo della superficie che delimitava la fessura fungente da finestra, iniziò a stringerle con veemenza tanto che piccole briciole di terra caddero provocando un rumore sordo. Gimli, che cercava nuovamente di vedere qualcosa con scarsi risultati per i suoi più fallaci sensi, se ne accorse. L’elfo era molto più che teso, la gelosia aveva annebbiato il suo imperturbabile spirito, l’astio aveva preso il sopravvento. Se avesse avuto con sé l’arco e le frecce avrebbe trafitto quella mano. Le spalle sussultarono a tale impetuoso sentimento, l’ira stava diventando sempre più incalzante.

“Stai calmo mastro elfo! Godrai della tua vendetta quando saremo fuori di qui!” Gimli non sapeva bene in cosa consistessero tutte quelle cerimonie e rituali di cui aveva sentito parlare, non gli tangeva conoscere i recessi di tali celebrazioni. Ma molto aveva intuito dagli atteggiamenti dei due e dalle particolarità di quel popolo che ancora per poco li avrebbe tenuti prigionieri. Le iridi cerulee dell’elfo si volsero un solo istante verso il nano. Fu costretto ad inspirare ed espirare ad intervalli regolari e profondi per ritrovare la sua consueta calma serafica, per poi tornare con l’attenzione fissa sulla Guaritrice ed il Soldato.

 “Devo confessarvi che mi piace almeno quanto la vostra caparbia reticenza!” disse l’uomo sfiorando con le sue labbra l’orecchio della fanciulla mentre con il dorso della mano scendeva sul suo candido collo fino a raggiungere il petto dal quale si ritrasse prima di diventare troppo ardito. Adamante doveva sopportare tutto quel disgustoso rito senza poter far molto altro che dimostrare con le sue espressioni il dissenso. Quando Kudrem allontanò la faccia da quella della Guaritrice ebbe cura di sfiorare con l’angolo della bocca la pelle della ragazza. Era sua per il solo fatto che cinque anni prima gli aveva dato un figlio. L’infatuazione che aveva era per la sua diversità così genuina e candida. Le altre Amazzoni erano macchine da guerra, dall’incarnato scuro come il loro passato. Ma lei era un giglio pregiato che lui avrebbe voluto cogliere ogni notte. Non l’amava era solo l’ossessione che lei scatenava con quelle difformità che la rendevano unica, voleva la sua completa corruzione solo per poterla tenere alla mercé dei suoi capricci. “Sarà un piacere …” sottolineò quell’ultima parola con una impudica inclinazione della voce “… incontrarvi di nuovo domani notte!”

“Non posso affermare lo stesso, Kudrem!” rispose con veleno la Guaritrice. L’uomo iniziò a ridere sguaiatamente, divertito dall’ insolenza della ragazza a cui porse il braccio. Adamante lo rifiutò voltandogli le spalle ed incamminandosi verso il palazzo reale. L’elfo l’osservo finché il limitato campo visivo glielo consentì. Si sentì mancare quando scomparve definitivamente dalla sua vista, proprio ora che aveva deciso di riprendere a vivere. Però era cosciente che presto sarebbe stata l’ora di dire addio alle Amazzoni. L’ora in cui la bella Tirînir sarebbe ritornata tra le sue braccia. Raja aveva fornito a tutti una nuova speranza, era solo il loro compito renderla reale.

Ebbene signori miei, lo Yavieba sta giungendo inesorabile: tanti destini saranno incrociati! Due anime ritroveranno la strada comune? Il popolo vedrà la sua rivincita o la sua fine? I prigionieri saranno liberati? Il vostro umile servo è qui, per voi e per queste domande presto i nostri eroi intraprenderanno una dura battaglia, nulla è certo ma la speranza è tornata a splendere nelle lacrime della Dea.

 

Note dell'Autrice: Bonjour sapete che in quel di Roma martedì è festa e al lavoro mi hanno concesso il ponte! Evviva! Purtroppo non potrò scrivere visto che ho ricevuto la chiamata del mare! no non sto andando ai Porti Grigi per raggiungere Valinor, ma vado al Circeo in spiaggia a prendere il sole. Comunque volevo lasciarvi questo capitolo attendendo il mio ritorno ovvero o mercoledì o giovedì. Allora ci sono piccole spiegazioni tecniche da dare: vi sarete chieste come si può usare un metallo nell'inchiostro. Ho immaginato che come esiste la polvere di ferro perchè no potrebbe esistere anche quella di Ithildin e così l'ha mischiata all'inchiostro ed ecco il gioco che dagli scarabocchi esce la mappa. Raja poi è una storica e come tale ha dedicato la sua vita allo studio di tutta la terra di Mezzo. Con Helluin ha avuto una bellissima pagina sul popolo elfico e con lui ha appreso il linguaggio Quenya e le parole per far risplendere l'ithildin. Mi scuso con chi può trovarlo una forzatura, io sinceramente l'ho visto un'alternativa fantasy al succo di limone contro il fuoco. ^^ Era carino utilizzare questo stratagemma per fargli avere un messaggio nascosto ebbene al prossimo capitolo sapremo cosa sta organizzando la città bassa. Per quanto riguarda il sangue bhè ne sapremo di più al prossimo! Che dire spero di avervi fatto incuriosire!

Thiliol: Si io sono moooooolto crudele ma se non facessi raschiare il fondo ai personaggi non potrei farli risalire. Comunque meno male che c'è Raja e il popolo che comunque la ama e la fa reagire. Devo ammettere che io non sono stata tanto sorpresa dall'eliminazione dell'Italia, me lo aspettavo dalla prima partita. Troppo obsoleta ci sono squadre che meritavano molto più. Poi è normale la delusione c'è sempre ma da amante del buon gioco riconosco che non siamo stati all'altezza del titolo portato sul petto. Comunque spero che ti sia ripresa! Un bacione e a presto!^^

Ringrazio tutti quanti sempre e comuunque vi adoro!

Malice sempre vosta!

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Capitolo 11
*** CAPITOLO X: Meleth a Glâm. ***


CAPITOLO X: Meleth a Glâm. 

Legolas arrancava in quel corridoio lungo ed interminabile. Le guardie, sue odierne custodi, lo affiancavano con una mano sull’elsa delle loro spade pronte a trafiggerlo se si fosse ribellato. La fiala che gli aveva consegnato Raja, restava ben nascosta tra le pieghe dei ricami argentati delle sue vesti. Uno strano silenzio assordante regnava sovrano fra le stanze del Palazzo Oscuro. Ed era in quel compresso frastuono fatto di mutismo che il pensiero di una fulgida stella deturpata della sua virtù trovava spazio. Per Legolas niente era più importante che arrivare presto a lei per strapparla dalle mani del signore Variag prima che si riappropriasse disonestamente della purezza del suo fiore d’inverno. Ogni porta era segnata dal suo udito alla ricerca di un suono familiare, una prova indiziaria di dove avessero portato la sua piccola Guaritrice. Tirînir la dolce ragazza che lo aveva salvato dalla morte estraendo quella freccia, Tirînir che era pronta a sacrificarsi per lui e per Gimli, Tirînir che addosso aveva le mani di un uomo ignobile.

La vendetta sul bilico della completa perdita per una ragione ben più importante della Sorte della Terra di Mezzo. Ebbene si miei signori, per Legolas, Adamante, era talmente importante da governare assolutamente le sue azioni ed ogni suo timore era stato trasmutato in qualcosa di più elevato della semplice sopravvivenza. Tutto votato a colei che aveva deciso di irrompere nella sua anima, immobile da troppo ormai per saper resistere al richiamo che aveva scatenato. Il tesoro più prezioso custodito tra le morbide mani di una giovane mezzelfa che aveva risvegliato in lui le sensazioni umane di amore e collera. Il dolce dissanguamento provocato dalla passione imperante, che aveva deciso di travolgerlo come una tormenta trovatosi ad affondare nella neve bianca, pallida, dagli occhi dei caldi colori autunnali e dai capelli morbidi e setosi come le onde del grano in balia del vento, lo stesso vento che quella sera era intriso del sapore agro della rivolta. Lo aveva avvertito dagl’alberi con il loro percuotere le fronde in una lenta armonia che preannunciava il dissestamento delle acque, lo aveva sentito nel nitrire confusionario dei cavalli che avevano iniziato a scalpitare non appena il sole aveva ceduto le armi nascondendosi dietro la coltre notturna, quando l’opalescente albore lunare aveva preso il posto della irradiante stella del giorno.

Il rumore del chiavistello innescato dietro le sue spalle lo fece voltare. Perso nei suoi pensieri non si era ravveduto di essere giunto a destinazione. Inavvertitamente si portò una mano dove serbava l’importante fiala che avrebbe dovuto riversare nella coppa. Ripercorse mentalmente la poesia ben attento a non dimenticare alcun particolare. Le ciglia calarono sugl’occhi perdendosi in un sospiro. Ecco che l’artista doveva trovarsi di fronte ad un pubblico composto da una sola persona, importante come un’intera platea di studiosi.

“Bene Legolas Thranduilion, siamo giunti finalmente allo Yavieba, presto potrai tornare alla tua casa!” la voce di Callial aleggiò calda, tra le tende del giaciglio adornato da soffici cuscini e morbide lenzuola di seta. La donna era totalmente diversa da come l’aveva vista fino ad allora: i lunghi capelli corvini ricadevano in spirali contorte sul viso dai lineamenti marcati, le perle d’onice velate da un’espressione stranamente serena, le prorompenti forme coperte da dell’organza con orpelli d’argento. Era in piedi vicino ad una tavola dove stava mescendo da una brocca del vino di mosto.

I calici dalle manifatture identiche si differenziavano per un unico ed irrilevante dettaglio: da una un olezzo dolciastro di un filtro soporifero veniva emanato. Non l’avrebbe mai avvertito se non avesse prestato la giusta attenzione, il sapere del loro tentativo di irretirlo con  un intruglio come aveva fatto in precedenza con Helluin, l’aveva reso più accorto a quel tipo di sensazioni. “Dopotutto non sono così crudele come cercano di farmi passare, principe!” disse mentre riempiva la seconda coppa, quella destinata a lei. Sollevò una delle due con delicatezza, porgendola poi verso l’elfo, il quale ancora preservava il silenzio. Legolas accettò di prendere il calice, chinando gli occhi verso il basso come ringraziamento. “Siete così di poche parole principe? Eppure non mi era sembrato con mia sorella!” quell’affermazione sorprese e non poco l’elfo, che senza rendersene conto sgranò gli occhi palesando il suo stato d’animo. Callial voltò per un attimo il viso verso l’apertura che dava all’esterno, distratta da uno strano fragore improvviso ma, che per il suo repentino svanire, divenne subito dimenticato dalla Spietata erede al trono. “Molti mi credono una povera pazza. Quello che non sanno è che sono una povera pazza! Ma la follia è rivelatrice e questo mi ha portato a vedere ben al di là del vostro squallido tentativo di mascherare tutto quello che stavate covando.

 “Mio caro elfo …” disse quasi con un tono crudele, come se sputasse quell’ultima parola con odio. “Voi non avete idea di cosa avete portato via a questo mondo! Adamante era una risorsa, una grande futura Regina, la degna erede del trono di Amarah la Sovrana! Ma non sapete che la sfortuna più grande è stata quella di avermi come sorella! La sua vita è stata condizionata dalla mia presenza, che lei lo volesse oppure no! La mia piccola sorellina tanto amata da tutti persino da me!” le sue iridi scure si soffermarono sul viso dell’elfo che si sentì mosso dallo sdegno. L’amore professato con tale facilità verso colei che era stata rovinata da quello che Callial cercava di ottenere con la forza a suo discapito, gli sembrava assurdo e privo di ogni senso logico.

 “Come potete affermare di amarla se cercate in tutti i modi di nuocerle solo per affermarvi?” chiese con sprezzo.

 “Non è semplice amore quello di cui parlo principe …”ammise candidamente avanzando verso Legolas. La situazione stava assumendo sempre più una connotazione surreale, quella confessione arrivava fulminea e spaventosa. “ La odio profondamente e la amo come se fosse la stessa aria necessaria a farmi vivere! Lei è mia sorella e non riesco ad ucciderla assicurandomi tutto quello per cui sto lottando: il mio diritto al trono!” afferrò la coppa bevendo con grandi sorsate il suo contenuto. “Amore e Odio: due sentimenti contrastanti, ma con differenze così sottili da camminare sul filo di un rasoio talmente tagliente da graffiare la mia pelle. E la vostra a quanto pare …” posò il calice, che con un tintinnante crepitio scivolò sul tavolo fino a cadere in terra. “Riconosco i segni, voi avvertite le mie stesse sensazioni! Amore ed Odio, tutte governate da una nuova passione così estranea a voi priminati da togliere ogni certezza, da invertire le priorità …” le bastò un passò per arrivare sotto il mento di Legolas che non riuscì a sfuggire a quel gesto che lo aveva colto impreparato. Callial prese la coppa tra le mani rimanendo con gli occhi ancorati a quelli cerulei dell’elfo che invece provava a rifiutare con riluttanza ogni approccio allusivo. “ La amate ma la odiate per quello che ha provocato, per quello che è riuscita a fare con la sua troppo perfetta esistenza, con la sua impeccabile etica e senso di giustizia, con tutte quelle caratteristiche che io non ho e non avrò mai perché la mia mente è avvelenata!” sospinse il calice verso le labbra dell’elfo.

Tutto tacque. Solo i loro respiri erano sospesi in  quella distanza sempre più infinitesimale. Il freddo metallo del calice era così prossimo, che il fiato irrorato dalla bocca dell’elfo si condensava sul suo orlo. Non voleva berne il contenuto, non ora che Callial dimostrava di sortire gli effetti del filtro creato attraverso il suo sangue. Gli occhi scuri iniziarono a vagare confusi nello spazio che la circondava, la testa vorticava attraverso il senso dilatato del tempo, le mani cedettero alla morsa tremanti cercando di sorreggere il capo sfarfallante di pensieri. “Cosa mi avete fatto elfo?” arrancò fino al letto dove cercò un appiglio per sorreggersi il più possibile. L’elfo posò il calice e la fiala, che ormai vuota giaceva nella sua mano. S’accostò alla donna in evidente difficoltà quando un gran frastuono di voci ed uno sciamare di luci proveniente dall’esterno catturò la loro attenzione.

 

Le alte stelle prive della loro luce offuscate dalla lattiginosa luna, erano nascoste dal velo oscurato della notte. Attesa. Questo si ripeteva Adamante dalla sua camera, attrezzata per accogliere gli obblighi di una Gwath ingiuriata dalle calunnie della strisciante procacciatrice di potere e ricchezze. Ma a quale supremazia si era votata la Consigliera se non un’ombra di quel potere che vbramava, la stessa ombra proiettata in terra come riflesso di una diversa luce, la stessa Ombra che ora attendeva il proprio Destino fatto di rinunzie e sacrificio. Pazienza. Non le era mai mancata fino ad allora, ogni singolo momento passato instillava il dubbio e la paura, nemici giurati della costanza e della calma, necessarie alla freddezza per superare quella notte chiave di volta dell’arco celeste sopra alla propria testa. Il drappo buio imbiancato dall’algido cerchio rifulgente presto avrebbe contato un nuovo astro, bianco e pallido come una gelida mattina del primo inverno in cui ancora un timido sole poteva riflettere i suoi raggi sui giovani cristalli della novella neve. Adamante figlia di Amarah voleva sposare la vita a cui il padre voleva indirizzarla. La sua indole, il suo aspetto, la sua intrinseca saggezza, appartenevano a qualcosa di più elevato. Aspirava ad essere migliore, diversa, affine alla sua natura, non riadattata ad un mondo ancora troppo vincolato alla segretezza per esistere fuori da quegl’alberi.

La foresta era scossa da una rovente brezza dell’Est, i rami frusciavano tra di loro parlando una lingua ancor più antica di quella delle Amazzoni, trasportavano nel vento l’aria di tempesta della Città Bassa. I polmoni della Guaritrice si riempirono del temporale nato dalla sua indole liberta, uno spirito vivido e folgorante di una scia lasciata nel momento più oscuro vissuto dalla giovane mezzelfa. Il brusio della natura era l’accompagnamento all’epidemia salubre che aveva iniziato il suo lento decorso attraverso gli spiriti indipendenti delle Ombre. Togliersi dei vessilli del rigore per lasciare spazio alla libertà di pensiero e parola.

 “La mente troppo impegnata nel pensiero saggio non lascia spazio alla soddisfazione di sé stessi!” Adamante poteva distruggere barriere, scuotere come un terremoto le fondamenta radicate nel tempo, ma non poteva sfuggire al Fato che ogni volta si presentava come un esattore a riscuotere il fio. Non si voltò per conoscere la provenienza di quel proferire profondo come una pozza già prosciugata, un appena accennato specchio d’acqua in cui solo la pianta del piede poteva trovare ristoro. Il suo padrone era colui che si proclamava Destino.

“Sempre che la soddisfazione di sé stessi non consista nel pensiero saggio, a quel punto affidarsi alla propria contemplazione dell’essere non può che essere appagante!” rispose ostentando indifferenza. L’uomo non si faceva intimorire da quell’atteggiamento così scostante e intollerante. Anzi quell’aspetto così inflessibile lo aveva affascinato sin dal principio.

“Adamante …” sospirò mentre le mani vagavano sui lacci che tenevano ferma la casacca rossa come il sangue versato attraverso le sue armi. “Quanto ancora i tuoi sogni cercheranno di farsi strada nella realtà! La fantasia è una meravigliosa ancora di salvezza ma …” il fruscio della stoffa che si accasciava a terra si uniformava a quello delle tende che fluttuavano al tocco della corrente. “ … rimane pur sempre una mera chimera!” i tonfi sordi delle scarpe contro il pavimento erano il segno che stava avvicinando ad Adamante che ancora osservava l’indomita foresta. Kudrem afferrò fra le dita una ciocca osservando i segni roventi del passaggio della frusta e si attardò nell’inspirare l’inebriante aroma emanato dai capelli, gesto troppo audace ed intimo che alla Guaritrice prese alla gola con un moto di disgusto. “Adamante, cosa avete combinato di tanto grave?” chiese con un tono di falsa cortesia. La fanciulla s’irrigidì non appena senti il riverbero del troppo concitato respiro dell’uomo sulla sua pelle, che armato con più audacia scostò i lunghi capelli esponendo il collo candido. “Dovreste essere più accorta in ciò che fate!  Per esempio è imprudente esporvi così verso l’esterno: la volubile e gelosa Luna vi osserva, potrebbe esternare la sua invidia per la vostra bellezza. Siete così unica nel Rhûn Adamante, con i vostri occhi caldi e confortanti, questi serici capelli dorati e questa pelle così morbida e fragrante da ubriacarmi!” Kudrem non pago di quel appena percepibile contatto, iniziò a carezzare lascivo il solco quasi del tutto cicatrizzato che dalla spalla conduceva al centro della schiena. “Mia bella e dolce Ombra!” sussurrò con le labbra in procinto di affondare sull’estremità della clavicola poco sopra la spalla. Prima che ciò potesse avvenire la Guaritrice si voltò con uno scatto trovandosi faccia a faccia con l’uomo. Il torace scolpito dal duro allenamento era del tutto spoglio, lasciando scoperti i muscoli torniti e fiorenti del busto, segnati da cicatrici di lotte e battaglie cruentecome il suo animo. Adamante non si fece intimidire da questa nudità palesata solo per provocarle una nota d’imbarazzo, era ben attenta a non mostrarsi una facile conquista come era sempre stata. Lei questa volta voleva combattere per sé ma soprattutto per Legolas.

“Attento Kudrem, non avete detto che la fantasia è una mera chimera?” disse ssostenuta. Odiava quella vicinanza costrittiva a cui la stava sottoponendo, la soffocava togliendole il respiro. “Non  sono e non sarò mai vostra!” la fanciulla aveva intrapreso un passo indietro chiudendo i pugni lungo i fianchi, rendendo così evidenti i primi segni di frustrazione. Non sopportava il sorriso sadico e soddisfatto del Signore della Guerra e non aveva alcun intenzione di tollerarlo ulteriormente. Raggiunse il centro camera, superando la figura dell’uomo come se non esistesse, quando invece un sempre più pago Variag aveva preso a studiare le mosse della giovane Guaritrice. 

“Permettetemi di dissentire, voi siete mia e lo sarete per tutta la vostra esistenza!” sentenziò, cercando nuovamente di intercorrere quella linea divisoria ben demarcata dalla guaritrice. “Ho saputo che Amarah vuole cedervi ai Variag come pegno, certo mi domando cosa può aver spinto la Sovrana a volersi liberare della sua preziosissima figlia, eravate l’unica speranza per lei di un trono privo di corruzione della mente …” con l’ultimo passo superò il confine. Fra gli uomini di certo le razze del sud non potevano vantare altezze sovrastanti, ma la ragazza in confronto a lui pareva ridimensionarsi. Kudrem fremeva nel toccare Adamante, che immobile fissava con aria di sfida l’uomo. Azzardò a sollevare una mano arrivando a sfiorare con i polpastrelli la vellutata pelle che le ricopriva la mascella, lei non si mosse sottoscrivendo un tacito invito a continuare in quella direzione. “Devo confessarvi che avervi come mia schiava mi rende molto più impaziente di come già ero, conoscete i miei capricci e sapete bene che quando voglio una cosa non riesco ad attendere molto per afferrarla!” la Guaritrice si sentiva violata, considerata come un oggetto da prendere ed usare al piacimento del Signore Variag. Schiaffeggiò con stizza la mano di Kudrem allontanandola con tutta la violenza di cui era capace, per poi indietreggiare stabilendo nuovamente un nuovo limite fittizio. “State arrossendo Adamante!” disse con fare compiaciuto. “Ma non è vergogna, no! Questa è collera, sana e pura collera! Come siete cambiata dal nostro primo Yavieba! Voi eravate così smarrita, siete entrata nella stanza con l’aria di essere totalmente inconsapevole, dolce e tenera come un agnellino alla mercé del lupo. Anche quella volta il vostro viso si era imporporato ma per timidezza quando i vostri occhi hanno incontrato ciò che era un giovane uomo!” 

“Sono passati molti inverni da quel giorno e spesso ho curato le ferite dei vostri commilitoni nei viaggi che vi hanno condotto qui! Non provo vergogna nel guardarvi, per me siete come qualsiasi altra persona!” rispose Adamante. Sentiva il sangue ribollire tra le viscere, l’ira dominare incontrollata ogni suo pensiero.

L’istinto era quello della bestia che ognuno di noi cova, quando la sua chiamata sale fino ai complessi viluppi della mente nulla può contrastarla, nemmeno l’indole calma e posata della luce degl’Eldar. I muscoli delle membra erano contratti fino al dolore, ogni cosa della Guaritrice esprimeva la sua ostilità nei confronti dell’uomo. Si era preparata a lottare, qualunque cosa avesse voluto il signore della Guerra non l’avrebbe ottenuta se non dopo aver duellato.

 “Vedo con piacere che nutrite una certa avversione verso di me!” disse Kudrem, innalzando un angolo della bocca in un ghigno di compiacenza. 

“Non trovo quale piacere possa esserci nell’essere odiati!” rispose arcigna Adamante.

 “Non sapete che amore e odio sono due sentimenti che possono confondersi per quanto si somigliano!” la saccenza con cui si esponeva era irritante al pari dei suoi gesti. “Entrambi forti e prorompenti riescono a sconvolgere ogni propria certezza, annebbiano le capacità di raziocino e vengono guidati dalla medesima passione!” Kudrem non demorse spostando nuovamente il peso in avanti e curvandosi verso la fanciulla, la quale non accennava in alcun modo ad assecondarlo.

 “Questi sono solo vaneggiamenti!” quasi fu un grido quello della Guaritrice, un verso di un animale che avvisa il suo nemico di allontanarsi. Ma Kudrem che aveva un senso alterato del termine invito, afferrò il corpo di Adamante premendolo contro il suo e si avventò sulle labbra della ragazza con la forza. Teneva la nuca stretta nella sua mano, la vita avvolta dal suo braccio, mentre la ragazza cercava di divincolarsi muovendo esagitata le gambe e sospingendo con le braccia le nerborute spalle dell’uomo, troppo vigoroso nella sua morsa.

La pelle ispida della barba di un giorno graffiava quella del viso della Guaritrice, che desiderava sempre più ardentemente di discostarsi da Kudrem che invece l’avvolgeva sempre con più energia, fino quasi a farle mancare l’aria. Doveva agire ed in fretta, visto che il viscido Variag tentava di approfondire quel contatto forzato.

“Ah!” gridò l’uomo, rilasciando improvvisamente il corpo di Adamante e portandosi le dita sul labbro inferiore da cui un rigolo cremisi aveva intrapreso il suo percorso verso il terreno. La Guaritrice era rimasta ansante, alla ricerca dell’ossigeno perduto nella stretta, in piedi di fronte a lui tenendo i pugni chiusi e sollevati in posizione di attacco. Era pronta anche ad affrontarlo in un corpo a corpo in cui lei sicuramente ne sarebbe stata sconfitta. Intanto il Variag si osservava le dita sporche di sangue proveniente dalla sua mucosa, dove il morso della ragazza aveva lacerato le carni più deboli. Sputò quello in eccesso per paura di strozzarsi e poi guardò Adamante stupito. Piacevolmente stupito. Era un nuovo gioco per il Signore Variag, mai nessuno si era dimostrato tanto coraggioso da sfidarlo così apertamente come stava facendo quella piccola ragazza. Ma la cosa che più lo eccitava era il premio che avrebbe ottenuto alla sua favorevole vittoria. “Bene Guaritrice, questo è lo spirito che ricercavo in voi! Il vostro sapore è il migliore che abbia mai gustato e con il sangue è ancora più buono! Che la partita inizi allora, se è questo quello che volete sarò felice di accontentarvi!”. 

 

Gli sbuffi seccati dalla noia dell’attesa trovavano eco nella desolazione delle prigioni. Da quando era rimasto solo, Gimli, non aveva fatto altro che percorrere tutte le diagonali possibili della sua cella. Attendeva che qualcosa mutasse da quell’unica finestra che la natura stesa gli aveva concesso. Erano passate ore a dir poco, la notte aveva deciso di sommergere tutti con il suo manto scuro e la luna, al principio della via della decadenza, deformava con la sua lucente purezza i colori e le ombre. Non aveva assolutamente idea di come avrebbero potuto liberarlo ma di sicuro quella donna sapeva il fatto suo. Si disse altresì che forse stava davvero invecchiando, un tempo era molto più diffidente e avrebbe visto un probabile tornaconto nel gesto compassionevole di Raja. 

“Da quando sono diventato un amico degl’elfi mi sono un po’ troppo ammorbidito!” affermò serio nella conversazione che aveva intrapreso nella solitudine in cui era ripiombato. Le mani avevano iniziato a prudergli d’impazienza, doveva assolutamente ricongiungersi con la sua ascia e la sua armatura.

Dal giorno in cui aveva curato Adamante, Raja non si era più ripresentata nelle prigioni e ciò creava ancor più confusione nel nano che non riusciva ancora ad unire i tasselli utili alla sua fuga. Il suo continuo rimuginare e borbottare era diventato un costante brusio, interrotto solo dal agitarsi di voci provenienti dall’esterno. Quello era il primo vero segnale del tumulto. Il nano si precipitò alla consueta fessura sbirciando verso fuori  per comprendere al meglio ciò che stava accadendo. La folla di donne riunita dietro a Raja marciava verso la radura come una pattuglia inviata in una spedizione. Imbracciavano torce e armi, forse solo utili alla minaccia. Gimli non aveva una visione completa del numero effettivo, ma dalla sua visuale poteva contare almeno cento elementi tutte abbastanza in forze, nel fiore della loro vita. Erano in molte ma si muovevano in sincrono, le gambe poste in file parallele viste di profilo erano riunite in un’unica marcia. L’avanzata della Città Bassa si arrestò dopo che la Storica sollevò il suo pugno indicando l’ordine di fermarsi. Contemporaneamente le Gwaith tacquero.

Le guardie che si trovavano all’ingresso nascosto nella corteccia di Agalath non reagirono alquanto sorprese dalla mole di persone presentate nella radura. Amarah e Geldena ,riunite in consiglio mentre i rituali dello Yavieba dovevano compiersi, furono attratte da tale scalpore creato nel palazzo. Si vociferava che tutto era stato sovvertito, che c’era un muro di gente all'esterno del palazzo pronte a dare battaglia. Entrambe le Ombre si proiettarono sul piccolo dirimpetto della stanza del trono e quello che si palesò di fronte ai loro occhi aveva dell’incredibile. Quelle donne dovevano adempiere ai loro doveri di madri, rinchiuse nelle loro case a creare una nuova generazione di Amazzoni ed invece erano lì di fronte a lei pronte a ribellarsi alla legge, a dare battaglia alla propria sovrana.

“Cosa vuol dire questa pazzia? Cosa sta succedendo? Dovrebbero essere in compagnia dei Variag cosa significa tutto questo? ” chiese Geldena agitandosi da una parte all’altra del piccolo balcone. 

“Chillah …” il debole bisbiglio di Amarah nascondeva una sorta di soddisfazione, nella sua credenza che effettivamente la sua piccola gemma era la miccia del furore del popolo. Osservava il formicolio delle torce, quel popolo che si muoveva dopo quelle sue parole pronunciate prima di diventare carne da macello. Amata così tanto che dalle sue labbra dipendeva il futuro stesso delle Amazzoni pronte a sovvertire i propri credi inculcati dalla loro antica cultura. Gli occhi di Amarah, seppur lontani, s’incrociarono con quelli di Raja. Quanto di quella donna vedeva in Adamante, impegnata sempre nel sostituire la figura che invece lei investiva per pura fortuna. Il suo sguardo colmo di saggezza, conoscenza era l’emblema di ciò che la Sovrana doveva diventare, ma lei molto aveva perso con la severa figura di Regina che aveva costruito attorno a sé. 

“Vado riunire subito le mie guerriere! Questa inaudita rivolta verrà immediatamente soffocata Testar!” disse la Consigliera portandosi il pugno destro al petto ed inchinando il capo. Con due grandi falcate rientrò nella sala ma venne bloccata dall’improvviso diniego di Amarah.

 “No!” disse profondamente la regina continuando a scrutare gli occhi della Storica. Quel silenzio spesso aveva caratterizzato le loro conversazione, non solo una figlia aveva perduto ma anche un’amica, la quale aveva sempre eccelso come suo personale braccio destro. L’algida statua di ghiaccio che freddava gli spiriti del Rhûn, l’intransigente senso del dovere di una Regina incapace di esternare il sentimento naturale verso le proprie figlie, una Sovrana temuta ma non amata. Una Sovrana da odiare per la sua ignava esistenza  sospesa tra il suo volere e il suo agire. Una lotta interiore in cui Amarah usciva costantemente sconfitta, lasciando un’esultante Ombra ad inneggiare alla gloria di una regale stirpe vecchia ed ormai in decadenza. “Geldena il popolo vuole esprimersi è mio dovere concedergli udienza.” Ordinò verso la Consigliera che stava per ribattere con il veleno negl’occhi ma la severa imposizione dello sguardo di una Regina non poteva che far ricacciare tutto ciò che aveva da dire in quell’antro infernale della sua gola. “Porta qui Raja! E Consigliera non disarmatela, non voglio che pensi che io non mi fidi!”

Geldena aveva sempre visto la Regina come una spina nel fianco, l’unica in grado di ostacolare la sua scalata che con tanta pazienza e determinazione stava adempiendosi. Ma non poteva redimersi da un ordine della sua Regina, proprio lei che della conformità con le antiche leggi ne faceva un uso spropositato, diventando l’artefice della rovina delle stesse Amazzoni.  

La camminata malferma di Raja non distoglieva dalla sua presenza così fiera. Era armata come aveva chiesto la regina. I due foderi di cuoio custodivano le due spade sue fide compagne di battaglia, incrociandosi dietro la schiena con cinghie tenute ben salde. Indossava i suoi vecchi abiti di combattente e la cicatrice dava bella mostra di sé, come emblema del sacrificio che aveva compiuto per salvare la figlia. E cosa aveva fatto Amarah per Adamante? Nulla e quel nulla era esattamente ciò che aveva iniziato a logorare la scorza d’acciaio che la rivestiva, un tarlo che si cibava dell’intransigenza della Sovrana. La Regina aveva preso posto sul suo trono posto allo stesso livello dei suoi interlocutori. Un simbolo di parità ed eguaglianza che Artemis aveva voluto. Le sue mani avevano composto gl’intarsi del legno, ricavato dallo stesso tronco di cui erano composte pareti e pavimenti. Ogni figura era la rappresentazione delle virtù di un’Ombra: un giglio era alla sommità della schienale raffigurante la grazia, da esso partiva un nastro che avvolgeva due alberi posti ai lati come colonne e le cui radici erano le fondamenta della seduta stessa; essi erano il duplice simbolo di vita e morte, l’uno con le fronde rigogliose l’altro spoglio i cui rami si fondevano come aculei nelle foglie intagliate nel centro. La vita donata dal grembo di una madre, la morte per proteggere il proprio popolo. Collaborazione nell’intreccio dei loro tralci vi era celata, il ciclo che componeva l’esistenza di una Gwath. Al centro il Diamante, lacrima della sacralità e simbolo di fragilità e forza, ciò che più le rappresentava. Adamante. Fragilità e forza racchiuso nello stesso scrigno.

 “Raja …” sospirò la Regina sorreggendo la testa con la mano, completamente affondata nel suo trono. “Perché mi state facendo questo?” dondolava il capo da destra a sinistra, cercando di scacciare via quel senso di inadeguatezza che sentiva invaderle il corpo. Aveva fallito con il proprio popolo, con la propria figlia.

“Amarah sapete perché sono qui!” rispose la Storica mestamente. Per quanto volesse un cambiamento detestava intralciare quella che un tempo era stata un’amica. L’affetto che le legava era al di là dei doveri di corte, ma quegl’oneri erano la causa del loro allontanamento. Amarah si odiava per come era diventata, oscura e dura come la pietra e con il petto muto da troppo. Incapace di amare. “ Il popolo non è contento! Queste leggi ci stanno costringendo ad una autentica schiavitù!”

 "Voi vi fregiate di portavoce del popolo!” intervenne la Consigliera che aveva improvvisamente sentito l’acqua lambire la propria gola. Le sue capacità di osservatrice le avevano permesso di avvertire la nuova inclinazione della Regina ed aveva realmente paura. “Come vi permettete di parlare a nome di tutte?” la voce di Geldena risuonò per tutta la Sala dove presenti vi erano solo loro tre per volere di Amarah. 

“Io sono una singola voce di una moltitudine! Voi piuttosto, Consiegliera …” l’ultima parola Raja la disse con sprezzo. Per lei quel ruolo, che un tempo era stato suo, veniva ricoperto indegnamente da Geldena. “ … da quanto non fate visita alla Città Bassa? Non siete stata nemmeno presente al capezzale di vostra madre, non sentitevi indignata per un popolo che non apprezzate!”

“Tacete!” tuonò Amarah passandosi il palmo sul viso, lavando via quelle aride lacrime che premevano sulla sua gola. “Tacete entrambe, non siamo qui per rinvangare livori personali! La mia gente si sente oppressa dal mio governo e devo capire in cosa sto sbagliando!”

 “Amarah sapete benissimo in cosa state sbagliando!” rispose prontamente Raja non lasciandosi sfuggire una tale occasione di esporsi.

 “La richiesta che mi fate è assurda Storica!” il tono della Regina reggeva a malapena al peso del rifiuto appena affrontato. Sapeva cosa voleva la sua vecchia amica, ma non poteva più permetterlo ormai.

“No, non è assurda! Dimostrate al vostro popolo che è libero! Lasciate che Adamante possa vivere al di fuori della foresta, lasciate che si unisca alla sua gente! Sapete che questo non è mai stato il suo posto, iniziate con un solo piccolo gesto di compassione ed il resto si costruirà da solo!” la donna si avvicinò con quell’andatura claudicante alla Regina inchinandosi a fatica di fronte a lei. Amarah a seguiva con la coda dell’occhio, cercando di trattenersi dal provare tanto dolore nel vederla così prostrata. Non si era mai prostrata ai suoi piedi, nemmeno quando la devozione nei suoi confronti la spingeva a servirla. Ed ora era lì implorante, con lo sguardo che vedeva nella figlia quando soffriva, pronta ad umiliarsi pur di aiutare la sua gente ed Adamante. “Basta un seme per far nascere un albero, che darà altre sementi e da esse potrà crescere una immensa foresta! Dimostrate che si può cambiare che non siamo schiave del nostro stesso sistema legislativo! Dimostrate che siete pronta a dare al vostro popolo la libertà!” un applauso di scherno partì del centro della Sala, dove Geldena studiava la mossa più atta al sedare quell’aria di tempesta.

“Ma che bel discorso!” disse sprezzante allungando poi le braccia lungo i fianchi, mostrandosi molto più rilassata di quello che in realtà covava. “Peccato che tu trascuri gli accordi con i Variag, non penso che la nostra Regina voglia inimicarsi i Signori della Guerra!” quella era soddisfazione per la certezza di un dissenso nel dubbio del consenso.

“Non ci posso credere!” sbottò definitivamente Raja. “State per vendere vostra figlia a quei mercenari, sapete cosa significherà per Adamante? A cosa la condurrà? Non le avete già distrutto troppo? È necessario camminare sui suoi resti per soddisfare la sete di potere e sangue che vi ha avvelenato?”

“È stata la Guaritrice a scegliersi il suo Destino, non doveva infrangere così apertamente le nostre leggi!” Geldena iniziava a gustare il dolce sapore del trionfo, ne avvertiva l’essenza sulle sue papille gustative, il suo ego s’innalzava con i pugni stretti verso il cielo. La legge sua unica amica era un’altra volta accorsa in sua assistenza.

“Proprio voi parlate di leggi!” ma Raja non era un’inetta, sapeva bene quali sarebbero state le mosse della Consigliera. “Geldena quanto ancora le vostre bugie potranno reggere? Voi forse non contravvenite alle nostre leggi nuocendo ad un appartenente del sangue reale?” chiese con tono compiaciuto del sentiero intrapreso dalla conversazione.

“Ripeto Adamante ha scelto …”

“Io parlo di Callial, Geldena, non di Adamante!” il silenzio non concesse molto tempo alla riflessione. La Consigliera colta impreparata da tale affermazione balbettò, primo sintomo di una sicurezza vacillante. 

“Le vostre sono semplici illazioni e questo è un vero oltraggio!” la paura tornò a governare quella donna dall’apparenza lucida e scaltra. Ebbene signori miei, ella aveva trovato un qualcuno capace di rigirare la lama verso il suo corto collo.

“Attenta a quello che dite Raja, non godete più dell’immunità della corte!” intervenne Amarah, risorgendo da quel torpore provocato dal controverso dibattito tra il giusto e sbagliato, tra l’odio di una vita imposta e l’amore di una vita scelta.

 “Ditemi Geldena conoscete le proprietà del Sangue di Orco?” a quella domanda la fronte della Consigliera s’imperlò di sudore freddo. La sua bocca iniziò a tremare e le pupille a dilatarsi per il terrore provocato da tale insinuazione. Raja si sollevò da terra con fatica e con passo incerto s’avvicinò alla Consigliera. Le sue iridi scure si avvalevano invece di una nuova forza: quella della verità e della giustizia. Anche Amarah era visibilmente scossa. Cosa stava succedendo sotto i suoi occhi di cui non si era avveduta? 

“Di cosa sta parlando Raja Geldena? Perché tentennate e non riuscite a parlare per discolparvi?” disse la Regina alternando lo sguardo tra le due. 

“Amarah, dovete sapere che da tempo i Variag usano l’acqua delle Paludi Morte e ne conservano putride sacche ricolme. Affermano che con essa si possa piegare la mente di chi ne ingerisce anche poca quantità …” la frase venne sospesa, con l’intento di leggere in entrambe una reazione. Disgusto, paura, rabbia, orrore, di nuovo paura si avvicendavano sui visi della Sovrana e della Consigliera. “Con l’aggiunta di stille di Sangue di Orco, la mente viene annebbiata dalle nefandezze del suo precedente proprietario conducendo il malcapitato alla pazzia!” la Storica girò attorno alla figura di Geldena, circondandola con il suo incedere storpio  come uno squalo pronto ad azzannare la sua preda. “Se invece si aggiunge Sangue di Elfo, l’effetto si tramuta nel contrario!” 

“È interessante il vostro studio, perché non avete proferito prima tali scoperte!” la bautta della Consigliera aveva ceduto stava per crollare. Finalmente la vile serpe era stata estirpata dalla sua tana di sotterfugi e menzogne, le sue stesse bugie le si stavano torcendo contro. 

“Da quanto avvelenate il cibo di Callial, Geldena? Da quanto è la vostra voce ad uscire dalle sue labbra?” Raja si fermò ad una spanna dal viso della Consigliera. Era atterrita ma allo stesso tempo esternava il suo odio con sguardi furenti verso quelle che era da sempre stata l’unica Consigliera. Raja fu lesta nell’afferrare il ciondolo che pendeva dal collo dell’aspide, spezzando con forza il debole laccio che lo teneva ancorato sul petto.  Era molto particolare, un serpente che avvolgeva le sue spire in un groviglio complesso, con solo la testa che spuntava da un lato. “Non rispondete? Lo farò io: da quando i primi segni di squilibrio hanno tempestato questa casata, da quando la piccola Callial ha iniziato a godere della sofferenza altrui diventando la spietata donna che è ora ed il tutto per mano vostra!” la Storica studiò a fondo il ciondolo, poi premendo contemporaneamente due punti, fece scattare la testa del serpente aprendo quella che si era rivelata un’ampolla mascherata da monile. “Lo  portate sempre con voi?” passò il contenuto sul naso. Un olezzo fetido e putrido la costrinse ad allontanare il filtro con disgusto disegnato sul volto della Storica. Anche Amarah volle testare con sua mano la qualità del miscuglio rimanendo nauseata dall’odore ributtante che fuoriusciva da quel gingillo.

“Voi ... ” disse con acrimonia voltandosi verso Consigliera. “Avete tramato nell’Ombra contro la mia famiglia, avete costretto a vendere la mia bambina a dei sadici Signori della Guerra, avete avvelenato Callial, sangue del mio sangue, per poterla manipolare! Questa è l’ultimo vostro misfatto Geldena!” Raja era fiera di Amarah, finalmente era pronta per aprire gli occhi chiusi da troppo. La sua cecità era stata diradata, ora vedeva la luce del sole. “Da questo momento sarete spogliata dei vostri onori e della vostra carica. Prenderete il posto di Adamante! Sarete la schiava di un uomo e giacerete sotto di lui, assecondando i suoi desideri contro ogni nostro principio. Perderete la grazia di Artemis come avete perso la mia fiducia. Raja …” rivolse il suo sguardo scuro verso quella donna che l’aveva definitivamente liberata delle catene dell’inganno “ … come ci comporteremo con i Variag?” quella era la tipica domanda per la ricerca di un consiglio.

“Spiegheremo a Kudzo la situazione, non potrà rifiutarsi!” rispose Raja affiancando sulla destra la Sovrana, riappropriandosi del suo legittimo posto. 

“Geldena andate nelle vostre stanze ed attendete quello che sarà il vostro Destino!” la voce forte e vigorosa della Regina aveva acquisito una nuova nota colorata. Fremeva come una bambina impaziente, elargiva sorrisi alla nuova amica ritrovata. Aveva scelto di essere donna e si amava per questo. “Presto, Consigliera!” disse rivolta a Raja. “Annunciamo la liberazione della principessa!” 

“No!” tutto avvenne in pochi istanti. Amarah era stata una sconsiderata voltando le spalle alla serpe, che in un impeto di insana pazzia estrasse il suo coltello e lo lanciò verso la Regina. Raja reagì pochi secondi dopo estraendo anche lei il suo pugnale e gettandolo verso Geldena il quale, dopo aver roteato più volte in aria, si conficcò esattamente tra gli occhi della Consigliera. Nulla era valso in quanto Amarah era stata comunque colpita alla schiena. Il tiro era andato a segno, Geldena aveva pagato a caro prezzo le sue imprudenze così come Amarah. Riversava in terra adagiata su di un fianco, l’impugnatura del pugnale fuoriusciva tra le scapole e la veste color ocra era macchiata dal rosso scuro del suo stanco sangue.

“No, no, no! Amarah!” urlò Raja arrancando verso il corpo della Regina che giaceva statico. Con attenzione la prese tra le sue braccia sollevandola da terra. 

“Raja! Adamante, devi liberarla! Falla scappare! Callial, devi guarirla, io non ho saputo …” la voce era debole e stentata, il filo della sua vita si stava lentamente sciogliendo. Era ora, mentre il sangue scorreva dalle sue membra estenuate sulla cicatrice bianca della coscia facendola nuovamente sanguinare, che la Regina si sentì realmente libera di piangere. Il viso livido sembrava aver acquistato anni diventando ancora più anziano, i solchi delle rughe prosciugavano l’aspetto vigoroso della donna. La sua decadenza corrispondeva con la fine delle Gwaith. 

“Non sforzatevi mia Regina, dovete tenervi in forze!” 

“No, Raja! Non sono la tua Regina, ora in punto di morte posso essere semplicemente Amarah!” il fluido aveva iniziato ilo suo deflusso verso le sacche polmonari. Due colpi di tosse riempirono la bocca del sangue che fuoriusciva dal corpo della veterana Amazzone. “Chiedo perdono alle mie ave per aver deluso il mio popolo, chiedo perdono alle mie figlie per non averle sapute proteggere, chiedo perdono a te per non aver ascoltato la tua saggezza come avevo sempre fatto con tua madre …” il petto della donna sussultò un’ultima volta, la testa cadde all’indietro abbandonandosi molle come un burattino a cui erano stati recisi i fili. Il corpo si accasciò tra le braccia di Raja, le cui lacrime bagnavano il viso della Regina. Con una lentezza esasperante chiuse le sue palpebre rimaste spalancate da quella morte violenta, pronunciando le parole di addio nella loro lingua. Pianse la morte di una donna, pianse la scomparsa di una Regina in bilico tra amore e odio, pianse l’amica perduta. Si concesse ancora pochi istanti per placare il tumulto di emozioni che le governavano l’animo, ma aveva un compito molto più importante da eseguire. Un compito che le era stato affidato dal quell’ultimo respiro. Il compito di salvare le figlie di Amarah.

 

L'aurea Regina ha lasciato il suo mondo corrotto, affidandolo alle mani sagge di una Consigliera protratta nel futuro. Ma ancora mille peripezie attendono i nostri eroi, posso anche solo immaginare miei cari commensali quanti dubbi vi stiano cogliendo: potrà Adamante sfuggire ai Variag a cui era stata promessa? Riuscirà Raja a renderle la libertà? Legolas fermerà per tempo il crudele Variag dall'appropiarsi di ciò che non è suo? Miei gai e felici commensali, non potete capire qual gioia mi coglie nel vedervi così interessati e scalpitanti nel voler sapere cosa ancora accadrà. Pazientate or dunque perchè le strade divise torneranno ad incrociarsi, il vostro Sarìin è qui solo per servirvi e anche per condividere con voi del buon vino ed un invitante pasto. 

 

Note dell'autrice: Tornata a tormentarvi con questa storia!!! Eh eh!!! Eccoci qui in procinto di fuggire!!! Il titolo significa Amore e Odio, piccola costante che ho mantenuto nei tre cambi di scena che avete notato. Le tre azioni descritte avvengono quasi in contemporanea spero che i salti da una stanza all'altra non vi abbiano confuse ma ci tenevo a farvi avere la percezione dell'azione che avveniva da più fronti in modo che poi tutte le strade si ricongiungano in una. In realtà volevo che la fuga avenisse in questo capitolo ma poi mi sono accorta che ne stava uscendo un papiro e non volevo farvi venire gli occhi piccolini a forza di leggere. Spiegazioncine tecniche: allur. Partiamo dal preconcetto che ogni veleno naturale trova l'antidoto nel suo contrario ricercandolo nella propria specie (ad esempio un veleno di origine vegetale avrà un antitodo di origine vegetale), quindi da qui il sangue di Orco (che tra l'altro derivano dalla progenie elfica) che viene curato dal sangue di Elfo. Spero che questa svolta sia stata gradita, Callial in realtà era una vittima e non un carnefice. Credo che non ci sia altro da spiegare quindi vi lascio alle domandine ^^. Comunque il capitolo l'ho riletto ma devo ammettere di averlo fatto molto sommariamente. Domani lo riguarderò nuovamente vedendo se mi è sfuggito qualcosina.

Risposte alle recensioni:

Elfa:Bonsoir madamoiselle!^^ grazie per aver inserito la mia storia tra le tue preferite (onoratissima) e grazie per la tua recensione divertentissima, ridevo da sola mentre la leggevo. Perdonami ma ti ho immaginata come un fumetto giapponese con tutti segno strani nella nuvoletta!!! ^^ comunque ti assicuro che il capitozzolo precedente non era tanto più corto degli altri! Oddio povero Kudrem che rischia di essere evirato da una lettrice infuriata [il Variag si nasconde]. Non preoccuparti per i precedenti capitoli, capisco che il periodo di esami è per tutti stressante [Mally fischietta guardando i libri impolverati del suo ultimo esame prima della laurea e li ignora deliberatamente. W gli anni sabbatici!]. Oddio magari è per tutt'altra ragione che non hai tempo, comunque sappi che ti capisco e che non devi scusarti ^^!!! Un bacione anche a te e ancora grazie.

Thiliol: Ciao carissima! [Mally prende il suo Lo Hobbit e va a cercare il riferimento] è vero mi ero assolutamente dimenticata del particolare della mappa di Eldron, grazie per avermelo detto almeno mi sono rassicurata di non aver detto una boiata stratosferica!!!^^ Per quanto riguarda l'uso del Quenya ti dico che sinceramente il problema me l'ero posto, però dovevo far attivare l'Ithildin che da quanto ho capito dovrebbe risplendere solo dopo una formula molto antica. Ragionando ho dedotto che fosse Quenya e quindi mi sono prodigata in una ricerca sulla sua storia, consultando svariate grammatiche tanto per capire meglio come si potesse collegare alla Terra di Mezzo. Ora non mi dilungo in dissertazioni inutili  ma praticamente il Quenya viene denominato dallo stesso Tolkien come una sorta di latino elfico utilizzato per cerimonie e scritti. Non è come il Sindarin ma se si proietta l'universo medievale e fantasy del professore con il nostro anche il latino non veniva utilizzato per parlare ma era una forma aulica di espressione tra gli studiosi e nobili. Poi ovviamente ci sono svariati dialetti e forme più arcaiche del linguaggio elfico del tutto scomparse sulla Terra di Mezzo, ma il Quenya è permeato e viene utilizzato.Questo comunque è frutto solo di piccoli approfondimenti e letture sottoposte a mia interpretazione ^^  se vuoi ho trovato un interessante libro virtuale a questo link:

http://issuu.com/alex9/docs/grammatica_descrittiva_della_lingua_quenya

L'introduzione è a cura di un autore che ho trovato spesso tra le grammatiche e le storie degli idiomi elfici. Immagino che possa essere gradito!!! ^^ Colgo l'occasione di ringraziarti per il tuo costante e perpetuo appoggio, anche con le critiche che non guastano mai!!! Grazie grazie mille e comunque le tue storie mi hanno un attimo fatto vacillare, permettimi di dirti che hai una superlativa capacità narrativa. Mi sento veramente onorata di averti come lettrice soprattutto per la tua assoluta competenza. Spero di riuscire a leggere tutto e a lasciarti qualche commentino prima che tu finisca!!!^^ un bacione!

RINGRAZIO  SEMPRE TUTTI I LETTORI! SENZA DI VOI NON ESISTEREMMO!

FESTEGGIAMO ANCHE IL RAGGIUNGIMENTO DELLE 100 VISITE AL PRIMO CAPITOLOZZOLO!!!

Un bacione!!!

Vostra umile serva il bardo Malice!!!^^

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Capitolo 12
*** CAPITOLO XI: Fuga! ***


CAPITOLO XI: Fuga!

“Cosa sta accadendo? Io … io mi sento confusa …” Callial teneva gli occhi semichiusi, il suo incarnato aveva perso di colore, sembrava che si sentisse mancare da un momento all’altro. Tentava di tenersi seduta ed eretta, ma con fatica sorreggeva la testa con le mani. Nell’elfo nacque la perplessità su quello che aveva appena compiuto, forse utilizzare tale stratagemma non era stato tra i più eticamente corretti. Tutto voleva fuorché avvelenare Callial. Vedendo le difficoltà della donna anche nel solo sostenersi, l’aiutò a coricarsi supina e le asciugò la fronte madida con un panno estemporaneamente creato da un lembo delle lenzuola strappandolo lui stesso.

L’animo del Principe era estremamente turbato da ciò che aveva provocato, non era capace a tollerare l’inganno che aveva macchinato e che ora stava comunque facendo soffrire Callial, la quale si assopì appena la sua nuca si adagiò sul cuscino. Il petto si abbassava e rialzava ritmicamente inspirando affaticata ed avida d’aria, i battiti cardiaci invece apparivano affievoliti quasi impercettibili e dalla bocca il fiato caldo fuoriusciva in ansimi concitati. La pelle iniziava a surriscaldarsi fino a farla tremare, come se una febbre catastrofica le stesse lentamente invadendo gli organi facendola combustionare dall’interno. Un fuoco purificatore si era acceso in Callial, una vampata capace di spurgare con l’aiuto del tempo quello che anni di menzogne avevano costruito. Intanto fuori il mormorio delle acque aveva iniziato il suo deflusso, lo scroscio udito dall’agitarsi era aumentato e cessato a più riprese. L’ampia mente dell’elfo gli permetteva di vertere l’attenzione in più direzioni: alla donna che agonizzava sul letto in preda ai tremori e alla folla di gente che stava per diventare carne da macello. Come il silenzio che precede lo scontro per preparare alla concentrazione il soldato viene interrotto dalla voce del comandante, così Raja parlò al suo popolo.

Legolas, notando che lo stato di Callial non sembrava più mutare, si portò all’apertura che s'affacciava verso l’esterno di lato rispetto alla radura. Scostò con cura uno dei tendaggi per permettersi una prospettiva migliore. Lo stuolo di luci che si snodavano di fronte al palazzo, era di proporzioni mastodontiche. Le torce coprivano tutto il suolo della radura e si distribuiva lungo i sentieri che costeggiavano le file disordinate di alberi, continuando fin dove i suoi occhi di elfo potevano protrarsi. Eppure nelle sue visite alla Città Bassa non aveva visto una tale mole di persone, a quanto pareva ben nascoste alla vista di un estraneo. Erano davvero una potenza molto più ampia di quello che si potesse immaginare, per questo gli stessi Variag esitavano nel dar loro guerra. Quello era un esercito composto da centinaia se non migliaia di donne che non necessitavano nemmeno di armatura per combattere, donne votate ad una vita scritta tra le battaglie e le cicatrici che portavano come marchi. Tutte capaci di brandire armi, tutte riunite per poter finalmente essere libere di parlare. La Guardia Alta stessa era attonita di fronte alla prima vera rivolta da parte di quella che consideravano la utile società.

Raja parlò con quella lingua troppo antica per essere qui ascoltata miei signori, ma Legolas comprese che quella era la dichiarazione di un lutto, dall'inclinazione che aveva preso e al brusio disperato della calca. Piccoli cristalli freddi si condensarono nelle vene dell’elfo, la paura prese il sopravvento tanto che perse l’equilibrio e fu costretto a sostenersi al primo appiglio utile. Temeva fortemente che la vittima potesse essere la sua Tirînir. Quando il suo nome iniziò a scriversi tra i pensieri di Legolas si dovette portare una mano al cuore. La terra sotto ai suoi piedi aveva appena tremato, ogni canale del respiro era stato occluso dall’angoscia che potesse esserle successo una qualsiasi cosa. Aveva percepito già dalla venuta dei sovrani Variag che la sua amata, questa volta, era pronta a ribellarsi al rituale e sapeva anche che ciò significava un forte rischio. Per quanto allenata al corpo a corpo, Kudrem era in grado di prevaricarla con poco. Nel cercare di costringerla a sottomettersi poteva essere arrivato ad un atto estremo. Più cercava di far cessare l’immagine del corpo privo di vita di Adamante sotto le mani infingarde di quel vile, più la carrellata scorreva veloce nelle mille possibili tragiche fini.

Callial aveva ragione. Odiava, ma non Adamante. Detestava sé stesso per aver mancato la promessa, per non riuscire ad escludere i cattivi pensieri riacquistando la calma e la nitidezza della mente e per essere rimasto paralizzato, incapace persino di muovere un muscolo nel tentativo di accertarsi che le sue supposizioni fossero esatte. Anche il discendente Sindar era stato vittima della travolgente via dell’odio e dell’ira, correlata da una sempre più importante vena di panico. Ogni cosa che lo circondava gli apparve lontana, come appartenente ad un altro luogo che non fosse quello in cui lui era, un mondo ovattato da quelle sensazioni che non aveva provato nemmeno nelle situazioni più critiche e disperate. Ogni singolo ramo spezzato dal vento preludio alla burrasca che stava avvenendo tra le file all'esterno, ogni parola pronunciata al di fuori di quella stanza, ogni respiro della donna che ingurgitava ingorda l’ossigeno era estraniato dal bozzolo. Non riusciva a distinguere nulla, nemmeno il rumore sordo di metallo contro il legno della porta. Solo quando avvertì una mano posarsi con forza sul suo braccio scuotendolo con decisione riprese coscienza di sé.

“Coraggio, orecchie a punta! Dobbiamo salvare la tua Guaritrice!” Legolas riuscì a fuoriuscire da quella nebbia che si era instaurata nella sua testa, anche grazie alla pronunzia dell’epiteto della sua amata. Quando poi riprese il controllo anche della vista poté osservare il volto barbuto di Gimli, ricoperto dalla sua armatura e con la sua ascia fra le mani.

“Gimli sei stato liberato?”chiese ancora stordito Legolas.

“Queste signore mi hanno condotto fuori le prigioni poco dopo che era iniziato tutto! Ma ora evitiamo di perderci in chiacchiere, c’è una gentil donzella che non aspetta altro che voi!” Gli occhi vagarono quel tanto che gli bastò per poter vedere alcune guerriere indaffarate nella stanza. Una di loro, dai cappelli neri macchiati dall’argento dell’età , si avvicinò ai due porgendo all'elfo tutto l’equipaggiamento di cui era stato privato.

“Questi sono vostri Principe!” disse chinando il capo in segno di rispetto. Legolas prese le sue cose mentre si ricomponeva volse uno sguardo a Callial completamente incosciente. La donna che si trovava di fronte a lui seguì la traiettoria descritta attraverso gli occhi dell'elfo, comprendendo immediatamente il suo turbamento.

“Non dovete preoccuparvi per lei, mastro elfo!” una voce conosciuta invasse la stenza sovrastando il mormorio delle donne che si stavano prendendo cura di Callial. Raja la Storica, li aveva raggiunti portando con sé un nuova ventata di speranza. “Troppo a lungo il veleno le ha circolato nel corpo, ma ora grazie al vostro sangue potrà sperare nella guarigione!”

“Veleno?” chiese visibilmente stupito l’elfo.

“La pazzia di Callial non era frutto della sua mente squilibrata ma di quella di qualcuno che non è più un problema!” disse pacata la Storica posizionandosi di fronte al nano e a Legolas. “Dormirà per molto tempo affinché spurghi l’insania!”

“Raja …” rinvenne Legolas definitivamente, prendendo poi per le spalle la donna per invitarla a parlare. “Dov’è la Guaritrice?”

“Dovevano portarla nelle sue stanze, ma da quanto ho capito le hanno trasferite in un’altra zona del palazzo! Credo che gli unici a conoscenza dell’odierna ubicazione erano Amarah, Geldena e Kudrem!” a quel nome l’elfo trasalì iniziando a tremare d’ira.

“Calma Legolas, non è in questo modo che la troveremo!” disse Gimli volgendosi poi alla Storica “Ebbene obblighiamo la cara Regina e l'Aspide dalla lingua forcuta a parlare, se vi fidate di me conosco metodi molto convincenti, mia signora!” il nano era deciso a non lasciarsi sfuggire l’occasione di menar la sua ascia. Finalmente ora che non era più costretto in quelle quattro mura aveva bisogno di sgranchirla.

“Purtroppo né l’una né l’altra camminano più sul nostro terreno …” quella notizia sorprese alquanto l’elfo che venne invaso da un’infinita tristezza nonché da uno strano senso di sollievo. Sapere che comunque per Adamante c’era ancora una possibilità lo aveva definitivamente risvegliato. “Ora sono io a reggere il governo, almeno fino a che Callial non sia in grado di riprendere il suo posto. Avremo molto da discutere e cambiare, ma non è con voi che voglio affrontare quest’argomento. La sorte della nostra Guaritrice è più importante. Kudrem non rinuncerà così facilmente, soprattutto ora che la sua ossessione può essere soddisfatta. Amarah l’aveva promessa a lui, quindi dobbiamo farla fuggire e far perdere le sue tracce ai Variag! Siete riusciti a decifrare e memorizzare la mappa dei sotterranei elfo?” Legolas annuì con una nuova determinazione dello sguardo. “Bene, una volta che avremmo liberato Adamante vi aiuterò a raggiungerli. Appena usciti troverete due cavalli che vi aspettano. Prima che possiate andare, vi fornirò le indicazioni per raggiungere il vostro regno, proncipe.”

“Ma gli altri Variag? Non era da solo quel viscido verme!” disse il nano stringendo l’impugnatura della sua arma con più forza.

“Giusta osservazione Gimli!” confermò Legolas attendendo risposta.

“Per il momento non sono una nostra preoccupazione. Quasi tutti dovevano essere impegnati nello Yavieba, quei pochi che non lo erano sono ad accompagnarli tra le braccia dei sogni. Ma molto presto finirà tutto questo e lo scontro sarà quasi inevitabile, se non ora quando si saranno riappropriati delle loro armi. La nostra ribellione è stata uno smacco intollerabile e non si risparmieranno nel venirci a cercare per trucidare tutta la nostra gente. Ma una volta via da qui non vi dovrà più importare, questa vostra avventura apparterà ad un passato molto più lontano di quello che effettivamente sarà, per il vostro bene ma soprattutto per quello della Guaritrice. Sappiate solo che le Ombre sanno difendersi e l’esercito non sarà solo nel combattere contro i soprusi. Meglio andare ora, Adamante non so quanto potrà ancora resistere e dobbiamo setacciare il palazzo molto più grande di quel che appare come le stesse Gwaith!” i due compagni si trovarono d’accordo con la donna.

Testar!” disse una guerriera che si stava occupando di Callial, sollevando il capo in direzione del trio. “La principessa sta cercando di dire qualcosa, ma è troppo debole e la sua voce è più flebile di un bisbiglio, non riusciamo a capirla …” Raja lanciò uno sguardo a Legolas. Quegl’occhi vispi ed intelligenti trovarono subito l’intesa con l’elfo. La stessa rivelazione che aveva avuto Amarah colpì anche Legolas. Raja aveva donato molto alla sua Adamante, quel barlume di sé stessa che la rendeva unica agl’occhi degl’altri. In lei vedeva l’astuzia, la rettitudine e l’altruismo della Guaritrice. La loro unione era molto più che semplice amicizia o affetto. Per Raja Adamante era una figlia. Non servirono parole inutili all’elfo, subito captò la tacita richiesta della Storica e si accostò al giaciglio di Callial, per poter affinare il suo udito sulla fioca voce della principessa. Raja e Gimli lo seguirono aspettando il responso. Rimase un interminabile minuto chinato cercando di memorizzare ogni singola parola. Gimli intanto iniziava a spazientirsi, si guardava attorno volgendo spesso e volentieri lo sguardo alla porta.

“Ma perché stiamo ascoltando questa folle, cosa ce ne viene?” sbottò alzando troppo i toni. Legolas mosse il palmo della mano verso di lui, intimandogli di tacere. Aggrottò la fronte nella concentrazione, disegnando due righe rette sulla pelle marmorea del suo viso solitamente imperturbabile. Quando poi Callial riprese nel suo sonno forzato dalla convalescenza appena al suo principio, l’elfo tornò sereno e sollevò la testa. Si fissò con Raja e prima ancora di iniziare a parlare si diresse verso la porta superando l’uscio seguito dalla Storica. Gimli, ancora spaesato dalla reazione dell’elfo, rimase per qualche secondo impalato come uno stoccafisso. Appena presa coscienza di ciò che in realtà era accaduto, si affrettò anch'egli a raggiungerli.

Legolas non correva per permettere sia a Raja che a Gimli di seguirlo, ma si vedeva che le sue gambe fremevano dall'accelerare il passo, tanto da poter sfidare persino il vento in una gara. Attraversava a grandi falcate le strade di legno che lo avrebbero condotto alla salvezza della sua Tirînir. Il palazzo era gremito di donne, guerriere e semplici popolane si avvicendavano nel dedalo di corridoi in fermento. L’aria che si respirava era quella della repressione ad un assedio, il loro continuo muoversi, il tremendo tintinnare di spade, l’organizzazione che si respirava mentre le più correvano da una parte all’altra. Questo clima però rallentava ulteriormente i tre, costretti a superare piccole truppe costituite in quelle ore.

“Cosa vi ha detto Callial?” chiese improvvisamente Raja, sovrastando il chiasso con la sua voce.

“Amarah le aveva comunicato il luogo dove avrebbero portato la sorella in quanto membro della famiglia reale. Mi ha riferito che c'è una stanza nascosta sul lato Est di Agalath, ha detto di passare attraverso le mura come spettri, sapete cosa voleva dire con tale indicazione?” chiese Legolas colto all’improvviso dal significato del termine fretta.

“Si lo so esattamente!” sorrise Raja mentre cercava di mantenere la sua andatura sostenuta. La gamba le doleva e spesso doveva trattenere la ferita pulsante per lo sforzo tra le mani, cercando con la pressione di alleviare la sofferenza. “Ci ha sentiti ed ha deciso di aiutare la propria sorella. Questo vuol significare che il filtro sta già sortendo il suo effetto, grazie mastro elfo!”

“Non ringraziatemi Raja, meglio pensare a come raggiungere la Guaritrice al più presto!” rispose l’elfo saettando con lo sguardo verso Gimli evidentemente dello stesso parere.

“Seguitemi!” allora disse la Storica, deviando la loro marcia per prendere un passaggio stretto che svoltava a destra quasi immediatamente dopo averlo impegnato. Lo percorsero in breve tempo ritrovandosi in una stanza che aveva tutta l’aria di essere un vicolo cieco. Sembrava di trovarsi racchiusi in una specie di uovo, le pareti ricurve si chiudevano sulle loro teste in una sorta di ligneo limbo. Raja, prima che uno dei suoi compagni potesse dissentire sulla scelta di percorrere quella strada avanzò fino a superare il muro di fondo. Legolas era rimasto sconvolto di come anche la sua acuta vista non aveva percepito quel gioco di prospettiva. L’apertura era di fronte ai suoi occhi, eppure non se ne era avveduto della costruzione di tale espediente per un passaggio segreto.

“Queste donne non finiranno mai di stupirmi!” esclamò Gimli riprendendo il passo. Imboccarono il passaggio che gli consentì l’accesso a delle scale sconnesse.

“Presto Elfo! In quest’ala vi è solo una stanza, quella che solitamente è dedicata allo Yavieba della Regina, la più isolata di tutto il Palazzo. Non la conosce quasi nessuno esclusi i membri reali e la Corte più fidata. Dobbiamo volare, non correre!” a quelle parole Legolas impugnò il suo arco ed afferrò una freccia per incoccarla. I gradini sembravano infiniti, sentiva la fatica dei suoi compagni accrescere il suo affanno generato esclusivamente per l’apprensione di quello che avrebbe potuto trovare. Le immagini che si affastellavano nelle sua mente erano sempre più vivide ed intense, troppo per non provocare nell’Elfo uno strato sempre più intenso di turbamento e di collera che si rimestavano nel profondo del suo animo.

Quando finalmente apparve la fine di quell’interminabile gradinata, sempre più stretta nell'assecondare gli snodi dell’albero in cui era intagliata, un rumore di vetro che s’infrangeva irruppe nel silenzio ricolmo dei soli respiri. I tre s’immobilizzarono spaesati dal fragore che aveva invaso le loro orecchie e dopo un fugace sguardo in cui lessero la stessa impressione di terrore, attraversarono gli ultimi scalini in un lasso di tempo assimilabile ad un fulmine. Legolas percorse il disimpegno così velocemente che quasi era difficile distinguerlo. Gimli lo seguì ponendosi di fronte alla porta pronto a buttarla giù al primo cenno del suo compagno, che se ne stava accanto allo stipite per irrompere nella stanza. I due si scambiarono un segno d’assenso, a cui Gimli rispose sollevando l’ascia sopra la testa e scaraventando il colpo contro il legno del battente. Non si accorsero nemmeno dell’assenza di Raja, mentre accompagnava lo sforzo con un grido liberatorio. Le schegge assottigliavano lo strato scuro della porta e bastarono quattro fendenti ben assestati per farla cedere ai vigorosi urti della solida lama del nano. Con il manico affondò definitivamente le assi, che crollando a terra diventando burro sotto i colpi della sua arma.

Entrarono con veemenza, brandendo ognuno la propria arma. Legolas vagò con l’arco teso e la freccia incoccata quel breve tempo necessario per incrociare la sua amata. Kudrem, ascoltando il rumore proveniente dal di fuori, aveva stretto il braccio alle spalle di Adamante, bloccata dall'uomo. Il viscido Variag tra le mani teneva un pezzo dello specchio che giaceva ridotto in frantumi in terra, minacciando la gola della Guaritrice. Una ferita percorreva il viso del Signore della Guerra. Erano graffi, tre solchi arrossati svettavano tra l’incarnato scuro di Kudrem, disegnando tre linne parallele dall'occhio fino quasi alla mascella ed Adamante ne era l’artefice. Il fiato corto che sussultava nel petto di entrambi rendeva partecipi i nuovi spettatori della lotta appena avvenuta ed interrotta proprio dal loro intervento. L’elfo irrigidì i muscoli e tese la corda all’apice della sua estensione. Gli occhi divennero un tutt’uno con l’aculeo affilato della freccia puntato alla fronte dell’uomo, che con un cipiglio arrogante e di sfida guardava l’elfo da sopra la testa della fanciulla.

“Lasciala andare se hai cara la vita!” ordinò Legolas discostato, riacquisendo tutta la sua freddezza perduta nelle ultime ore. Kudrem restò in silenzio, esaminando con cura il viso di Adamante la quale pareva immobilizzata alla vista dell’elfo. Nel suo sguardo erano passate mille emozioni: strati di gioia e terrore che si avvicendavano man mano che il tempo correva. Strinse la presa ed avvicinò la lama temporanea alla giugulare della Guaritrice, dalla quale fuoriuscì un piccolo lamento dovuto al dolore delle braccia del Variag troppo forti per il suo esile corpo.

“Chi siete voi, elfo …” rispose poi con disprezzo nel attribuire l’appartenenza di Legolas al Popolo delle Stelle. “… per impartirmi ordini su di una mia schiava? Questa donna mi è stata ceduta dalla sua stessa madre!”

“Non avete alcun diritto da vantare su di lei!” per un attimo gli occhi di Legolas si sciolsero dall’apparenza spietata e truce che aveva assunto, puntandosi in quelli di Adamante. Il Signore della Guerra non era per nulla intimidito dalla minaccia della freccia che poteva essere rilasciata da un momento all’altro. Gimli non proferì parola. Troppo la situazione era delicata per immettersi nella discussione.

“Dovevo immaginarlo! Tua sorella è riuscita a quanto pare a trovare il Tessalon che voleva, ma evidentemente tu sei stata favorita dalla sorte!” disse Kudrem all’improvviso, stringendo possessivo la ragazza a sé. La risposta della Guaritrice fu quella del cercare di divincolarsi, ma al sentore della punta aguzza del vetro penetrare la sua carne si paralizzò nuovamente.  “Era questa la tua fiamma Adamante quindi, l’amore per qualcuno di proibito!” aveva intrapreso quell’insensato soliloquio con il suo fiato a sfiorare l’orecchio della fanciulla. La voce melliflua si propagava in lei come acido che le corrodeva le vene mentre una lacrima, al pensiero di quanto stava accadendo, cominciò a percorrere il lento sentiero tracciato sulla gota. Kudrem se ne accorse, raccogliendone tra le labbra il gusto salino prima che raggiungesse la sua tomba nella rosea bocca. La Guaritrice strizzò gli occhi con disgusto, cercando di allontanare il viso mentre il respiro del Principe elfico si era fatto carico di iraconda tensione. Persino Gimli, che gli stava ancora taciturno accanto, ne percepì la gravosità, tanto che temeva nello sfiorarlo di farlo scattare. Mai aveva assistito ad un tale comportamento di Legolas, così duro ed accecato dall’ira da spaventare persino lui.

Rimaneva immobile con la freccia incoccata, freddo come il ghiaccio nell’attesa del definitivo passo falso del Variag solo per poterla scagliare e donare la morte a quel viscido verme che doveva tornare a strisciare sotto terra. Ma Kudrem, invece che spaventarsi, sollevò un angolo della bocca compiaciuto. Quella reazione era ciò che più bramava, un’ulteriore scusa per ingaggiare una guerra e d’investire in odio contro quel popolo, che li umiliava da tempi immemori con la sua potenza nascosta agl’estranei. Da sempre era stato sostenitore di tale impresa, il giovane uomo possedeva l’ambizione di arraffare tale esercito composto da grandi combattenti senza armatura, in grado di sterminare come una piaga i propri nemici. Ma Kudzo, suo padre, armato della semplice esperienza, non voleva tentare un’azione tanto ardita. L’impossessarsi della forza distruttrice della Amazzoni era risultata persino impossibile a Sauron, dominante Signore Oscuro di Mordor, i cui eserciti potevano vantare milioni di orchi. Ma poteva il saggio Sovrano Variag non rispondere con la vendetta, se il suo amato e legittimo figlio fosse stato assassinato in quelle terre? “Attento allora mastro elfo, quella che tengo tra le braccia è una meretrice come tutto il suo popolo! La sua carne è già stata conosciuta e il suo calore palpato proprio da colui che vi sta parlando. Posso assicurarvi che non possiede niente di più di qualsiasi altra donna di malaffare che abita nelle bettole del Khand!” la sua era una evidente dimostrazione d’invidia provocatoria. Legolas aveva appena preso qualcosa che riteneva suo, conquistando l'amore della prediletta del signore Variag, la stessa che nella notte era riuscita a ferirlo per ben due volte. Ed ecco che il cuore e lo spirito di Legolas stava cedendo alle lusinghe dei crudeli pensieri di rivalsa e rabbia, in procinto di rilasciare il dardo le cui piume scorrevano ancora fra le sue dita. Il fuoco si era accostato pericolosamente al ghiaccio e lo stava sciogliendo.

 Kudrem avvicinò nuovamente il suo viso ad Adamante, per permettersi di sussurrare a pochissima distanza. “Vedete, mia Ombra, come amore ed odio sono uniti da questo finissimo filo di seta? È giunto qui per amore e per salvarvi, ma condannerà la sua anima uccidendomi a sangue freddo e per odio nei miei confronti …” Adamante comprese in quel momento cosa stava cercando di fare realmente il Variag, facendola tremare come una foglia autunnale compromessa dal vento.

“No!” gridò la Guaritrice in un moto di disperazione. “Legolas, nuitho I’ ruith! Ù danna nan glâm, avo nao mannen ho! | S – Legolas, trattieni la tua collera! Non cedere all’odio, non essere come lui! |” La voce di Adamante risuonò come una solenne preghiera, librata attraverso i recessi dell’angoscia che le aveva costretto il petto in un nodo. Kudrem iniziò a ridere sommessamente contro la pelle della Guaritrice quando, nonostante non conoscesse la lingua degl’elfi, intese che quella della Guaritrice fosse la preghiera a fermarsi da quella pazzia.

“Coraggio Ombra!” sussurrò nuovamente, stringendo con ancor più forza contro lo sterno e provocandole un’acuta fitta al costato. La ragazza, in un gesto istintivo, portò le mani contro il braccio del Variag cercando di liberare il suo respiro per riprendere fiato. “Implora il tuo principe, chiedigli il tuo sacrificio!” Kudrem sembrava godere della sofferenza procurata dalla situazione creatasi. I suoi occhi scuri si abbandonavano in sfide sottointese con quelli cerulei di Legolas, che alla sua provocazione riuscì a tendere ancor di più la corda del suo arco, superando perfino i limiti fisici di tale operazione.

“I’wanath naitha fael ant anhen! | S – La morte sarà la giusta ricompensa! [lett. il giusto dono per lui] |” rispose l’elfo tra i denti.

“Dan naitha saew an gureg! | S – Ma sarà veleno per il tuo cuore! | ” affermò con sicurezza, come ovvia conseguenza alle sue azioni. “Penno i virel cîn … | S – Abbassa la tua arma … |  Legolas, non cedere a questo ricatto, non farti trarre in inganno dalle apparenze! Garo amin! | S – Fallo per me! |” supplicò con voce rotta e grattata dal pianto trattenuto. All’udire tale appello gli occhi di Legolas saettarono in quelli della sua Tirînir. Il farsi coinvolgere da quelle emozioni negative, aveva ottenebrato la sua mente spaziosa dimenticando così il vero motivo per cui era in quella stanza. Non per morte e violenza, ma per amore di quella ragazza capace con le sue mani di lenire il dolore non di procurarne. “Garo ammen! | S – Fallo per noi! | ” la corda dell’arco perse di tensione, divenendo molle. L’asta del corpo della freccia scivolò pigramente lungo il punto mediano.

“Che quadro delizioso che mi state offrendo! Peccato che il tuo elfo sia così debole di fronte alla tua …” nella stanza si percepì il solo rumore contratto dell’impugnatura di un arma contro la nuca di Kudrem, che improvvisamente tacque roteando le sue orbite divenute bianche per il colpo inaspettato. Si accasciò a terra come un panno, privo di sensi,  lasciando così la presa della Guaritrice che quasi crollò assieme a lui, trascinata dalla sua mole a peso morto. Rimase praticamente pietrificata quando alle sue spalle era comparsa Raja.

“Scusa per il ritardo Chillah, la ferita alla gamba non aiuta ad arrampicarsi!” disse carezzando la coscia con un sorriso sornione tra le labbra. Infatti miei signori Raja, da ottima stratega quale fosse, aveva immaginato che l’attacco su due fronti sarebbe stato vincente. Per l’urgenza non si era premurata di palesare il suo piano ai compagni e, attraverso vari passaggi appresi con lo studio di piante ed antichi progetti, si era trovata ad intraprendere una via alternativa che l’aveva condotta alla finestra dietro le spalle di Kudrem. Il resto è facile da immaginare, a partire dallo scenario che si era presentato ai suoi occhi fino alle sue conseguenti azioni. “Credo che voi, mastro nano, sarete lieto di aiutare una povera malferma nell’immobilizzare il nostro ospite!” Gimli, senza lasciarselo ripetere, iniziò a sogghignare raggiungendo la Storica che gli porse delle corde, parte integrante dell’equipaggiamento di un’Ombra.

“Con molto piacere mia Signora!” disse lasciandosi andare ad una risata soffocata. Raja invece si attardò nel carezzare la guancia della fanciulla, ancora non avveduta dell’essere realmente in salvo.

“C’è un principe che non aspetta altro che te! Non lasciartelo scappare!” entrambe si voltarono in simultanea verso Legolas, che aveva lasciato cadere le sue armi liberando così le mani, in fermento nell'accogliere la vita della propria amata. Con un’unica falcata le esili braccia della Guaritrice si allacciarono al collo dell’elfo. Anch’egli si ritrovava stordito dalla fine di quel tormento, ma non esitò un istante a stringerla a sé. Non si dissero nulla, le parole ed il tempo erano diventati miraggi illusori di quello che li circondava. Quello che contava era che fossero finalmente insieme. Quando si discostarono fu solo per incontrare i propri occhi liberi dall’angoscia.

“Sei riuscito nella tua impresa, ernil | S – principe |!” le preghiere dell’elfo erano state esaudite nel momentio in cui le sue mani avevano incontrato il velluto della sua serica pelle d’avorio, afferrandole il viso come fosse un oggetto fragile e prezioso. Depositò le sue labbra sulla fronte e sulla bocca rosata e sorridente della Guaritrice, in un timido ed incredulo bacio. Un brivido caldo percorse la schiena della fanciulla che riprese a tremare, non di rabbia, non di terrore ma di pura emozione.

“Non da solo, melamin!” rispose l’elfo sorridendo anch’egli. Adamante si abbandonò al suo petto inalando il più possibile l’inebriante profumo del suo amato, unico appiglio che aveva avuto durante tutta la sua prigionia lontana dalle sue braccia. Ora che poteva goderne liberamente per un’ignota ragione, non aveva alcuna intenzione di sciogliere presto l'intreccio delle loro anime. Incoscientemente chiusero ambedue gli occhi aggrappandosi avidamente alla presenza così ravvicinata dell’altro, assaporando quell’intenso attimo in cui potevano godere della loro intimità spirituale.

“Scusate!” interruppe Raja schiarendosi prima la voce con due flebili colpi di tosse. “Mi dispiace interrompervi, ma purtroppo dobbiamo andare. Il tempo è tiranno e ci sta inseguendo inesorabile. Presto i Variag verranno cacciati e vorranno rifarsi su colei che ha dato inizio alla loro più cruda umiliazione, te Adamante! Non voglio assolutamente che ti trovino qui!” disse rivolgendo lo sguardo alla ragazza, che malvolentireri si allontnò da Legolas.

“I Variag verranno cacciati? La Regina ha acconsentito a tutto questo?” Gimli affiancò la Storica incontrando per poco le iridi spaesate e confuse della fanciulla. Sentiva che era successo ben più di quello che credeva ci fosse, qualcosa di diverso, l’aria si era improvvisamente appesantita piombando a terra come un grave lanciato dall’alto. Osservò gli occhi neri di Raja che sostennero poco lo sguardo della Guaritrice. Un qualcosa le si era fermata nella gola come un nodo, il loro modo maldestro di celare informazioni contribuiva a procurale uno stato di ansia ben più accentuato. “Cosa mi stai nascondendo Raja? Perché non parli?” il velo lucido e trasparente della donna che le appannava la vista, divenne visibile. Adamante poteva giurare che negl’anni passati in compagnia di Raja, poche volte aveva potuto ammirare la sua commozione.

“Adamante …” sospirò “Amarah è stata pugnalata alle spalle da Geldena.” Disse quasi atonale, cercando di trattenersi il più possibile per non farle pesare ancor di più la notizia che le stava per dare. Per quanto ferrea ed inflessibile l’educazione impartita dalla Regina, per quanto gli scontri fra Adamante ed Amarah fossero stati cruenti, era sempre alla figlia che doveva annunciare la brutale morte di una madre.

“Cosa? Cosa state aspettando allora! Potrò fuggire più tardi, ora portatemi da lei ...” la voce della Guaritrice si elevò di almeno due ottave, prendendo le spalle di Raja. “ Avrà bisogno di cure!” forse quella sua reazione era un modo inconscio di ribellarsi alla cognizione già creata nella sua mente.

“No, Adamante!” rispose la Storica prendendo tra le sue mani quelle pallide della ragazza. Sfiorava con i pollici i loro dorsi, come quando poco più che una bambina le aveva annunciato che il suo destino di Ombra si sarebbe compiuto a breve. “Dove si trova ora tua madre non ha più bisogno delle tue cure!” uno squarcio avvenne in quella momentanea felicità che aveva avuto, lacerata dalla nuova che quella madre tanto temuta aveva smesso di respirare l'aria opprimente che stava caratterizzando quel luogo. Un gemito però proruppe dall’uomo ancora esanime al centro della stanza. “Presto ora, mia piccola Chillah!” intervenne tempestivamente la Storica, con una nota dolce nella voce e spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Rispettiamo l’ultimo desiderio di tua madre, vai via di qui! Vai a vivere la tua vita fuori dalla Taur en Gwaith!”

“Eri con lei?” disse non smorzando un singhiozzo che le sussultò nel petto. Raja non resistette e le prese il viso, posando fronte contro fronte per farle percepire la sua vicinanza e tutto l’appoggio possibile.

“Sì, ero con lei e Geldena ha pagato per tutto quello che vi ha fatto. I suoi ultimi desideri erano rivolti a voi due, a te e a Callial! Vi ha amato anche se non è stata capace di dimostrarvelo ed era rammaricata di non avervi protetto!”

“Callial? Cosa è successo a mia sorella?” era nella sua indole l’incapacità di provare rancore. Il livore era una sfera estranea a chi come Adamante era nata per sanare le ferite. Raja sorrise discostandosi dalla Guaritrice, per rivolgere uno sguardo verso Legolas e Gimli. Entrambi si erano fatti da parte per lasciare la giusta riservatezza del momento. “Grazie al tuo Principe riuscirà a tornare la vecchia Callial, quella che conoscevamo prima che diventasse la Spietata.” un altro gemito venne pronunciato dalla bocca del Variag, mentre le sue spalle ruotavano in una nuova posizione sintomo di un imminente risveglio.

“Scusate, non conosco i vostri progetti, ma fra i miei non vorrei inserire quello di tramortire nuovamente il detestabile principino Variag!” disse Gimli indicando l’uscita con la punta dell’ascia, per invitare alla fretta dell’abbandono di quel posto.

“Avete pienamente ragione mastro nano! Farò venire a prendere il Signore della Guerra da alcune guardie appena vi sarete allontanati! Ora andiamo, l’elfo potrà spiegarti meglio tutto quello che è successo quando sarete ad una distanza accettabile!” affermò esortata dal Portatore della ciocca.

La piccola compagnia raccattò le proprie cose e prese immediatamente la via che conduceva alle prigioni. Le Ombre non si curarono del loro passaggio, troppo occupate nell’organizzazione di quello che era più prossimo. Stavano diventando le artefici del loro Destino, proprio come Adamante ma con un percorso diverso. Attraversarono in mezzo alla radura di Agalath, tra i sentieri in cui prima il formicolio delle torce indicava un viale di fuoco. Oltrepassarono i cancelli della prigione che provocarono un brivido perfino nell’impavido nano, raggiungendo infine quello che sembrava un magazzino per le provviste. Raja prese una torcia spenta e l’accese con un’altra appesa alle pareti, per poi porgerla a Legolas l’unico in grado di condurli fuori da quel labirinto di cunicoli tutti uguali.

“Seguite la strada della mappa elfo, all’esterno troverete dei cavalli con delle provviste, vestiti e coperte! Una volta giunti fuori dirigetevi verso ovest fino ad incontrare il fiume Carnen, lo conoscete principe?” chiese a Legolas che rispose con un cenno del capo. “Seguite il suo letto verso nord fin dove si unisce con il Celduin e seguitelo alla Montagna Solitaria, sono parecchi giorni di cammino ma dovreste tranquillamente percorrerli facendo perdere le vostre tracce. Una volta giunti ad Esgaroth conoscete la strada per il Reame Boscoso.” Attirò l’attenzione dell’elfo prendendo la sua spalla ponendosi di fronte a lui. La sua altezza trascendente svettava su quella fisica dell’elfo, l’intensità con cui lo stava guardando gli fece percepire un forte senso di responsabilità caricato nelle parole che si apprestava a pronunciare. “Portatela alle terre di suo padre, fatele conoscere il vostro popolo, fatele assaporare la libertà. Mi dovete infine una promessa, mastro elfo.” Azzardò un sorriso sghembo, osservando di sfuggita la ragazza e il nano impegnati nel liberare la strada per accedere alle gallerie sotterranee. Tornò poi a fissare con serietà l’elfo, riprendenso la sua importante richiesta. “Dovete darmi la vostra parola che veglierete su di lei, che la renderete felice come non lo è mai stata tra i nostri alberi e che non l’abbandonerete mai! Non deludetela in alcun modo, non tradite la sua fiducia e non fatele mai rivivere tutto il dolore provato fino ad ora!” Legolas si batté il pugno sul petto chinando la testa come giuramento.

“Lo prometto, Raja la Storica!” disse rialzando gli occhi per incrociare quelli della Storica. “Lo prometto a voi e lo prometto a me stesso: che possa il mio spirito percorrere le Aule di Mandos per tutta l’eternità se vengo a mancare questo giuramento!” proprio mentre avevano terminato tale conversazione, Adamante e Gimli rimossero l’ultima catasta di legno ad occludere con pochi ciocchi l’apertura dei sotterranei. Si presentava come un enorme foro, poco più alto della Guaritrice da dove proveniva un vento freddo ed intriso d’umidità, tanto da far rizzare la pelle d’oca sulle spalle della fanciulla. Raja si mosse di alcuni passi avvicinandosi al nano per prendere una sua spalla.

“Ora le nostre strade qui si dividono, spero di potervi ritenere un amico sebbene il mio popolo vi ha tenuto rinchiuso durante il vostro soggiorno, Gimli figlio di Glòin!” il nano sbuffò sonoramente guardando la storica di traverso, odiava tutte quelle smancerie o almeno era quello che affermava. Il suo era più detestare l'addio che si stavano rivolgendo.

“Certo, certo!” rispose semplicemente con una finta indifferenza, ricambiando poi la pacca un po’ troppo violentemente, dato che Raja perse per un momento l’equilibrio vacillando appena. Stavano però ritardando quella che era più dolorosa tra le separazioni. Incrociarono le loro iridi perdendosi quelle onice della donna nelle castane della fanciulla, già condensate da lacrime esitanti sulle ciglia.

“Non devi piangere, Chillah!” disse interrompendo quel momentaneo silenzio e scuotendo la testa in senso di diniego. Nessuna delle due arrischiava l’avvicinamento, anche se fremevano per potersi abbracciare. Purtroppo, la consapevolezza che quell'addio potesse durare fino alla fine dei loro giorni era sempre più chiara. “Questo non è mai stato il tuo posto. Nessun Diamante risplende se sotterrato dalle foglie del manto boschivo. Vai piccola mia, sii libera di risplendere e rendici felici con la tua serenità! Vivi l'amore e la pace, non l'odio e la guerra, perchè questa è la materia di cui sei composta. E poi sono sicura di lasciarti in buone mani!” ogni barriera era stata abbattuta, ogni paura, ogni sentimento provato fu vano e reso fumo di fronte all’affetto che si sprigionava nel loro abbraccio. Sì, miei signori, Adamante si trovò immersa nella chioma fluente della sua amica che le lambiva le spalle.

“Non posso nemmeno salutare Ruin …” disse melanconica, soffocando il pianto contro la pelle della sua amica.

“Non temere, lei sa quanto le vuoi bene!” rispose Raja accarezzando la nuca della Guaritrice. Prese poi le sue braccia, allontanandola delicatamente per baciarle la fronte. Afferrò il suo mento affettuosamente, sollevandolo per accoglierla con un sorriso. “Non dimenticarti mai di noi, perché noi non ci dimenticheremo mai di te. Chissà infine cosa ci riserva il Destino, spesso ha agito a nostra insaputa. Guarda cosa ti ha permesso d’incontrare mia piccola Chillah, questo è quello che ti sei meritata!” rivolse una breve occhiata a Legolas che le osservava sempre da parte. “Vai ora, non lasciare che la fortuna decida di voltare di nuovo le spalle.  Sell, ly meret ashy! | Veloce, devi vivere [la tua] vita! | ” e detto questo la voltò dandole una lieve spinta, come una mamma lupo che spinge il suo cucciolo fuori dalla tana alla scoperta del mondo. Adamante si rivolse un’ultima volta verso quella che per lei era sempre stato un punto fermo.

Marcyo! | Grazie! |” sussurrò prima d’intraprendere la strada che l’avrebbe liberata di tutte le catene. Raja chinò leggermente la testa portandosi la mano al cuore, come a sorreggerlo. Il primo vero segno di devozione.

Merel, Testar! | Dovere, mia Signora! |” quando sollevò la testa Raja vide solo le spalle della Guaritrice inoltrarsi nel buio. Rimase in attesa che quel punto indefinito di luce sparisse attraverso la via di fuga da lei stessa congeniata, per poi tornare ad essere un'Ombra nuova in un Mondo nuovo.

 

Ed eccoci alla fuga, miei signori. Gli addii sono stati proferiti, la bella Guaritrice ha lasciato il nido per una nuova vita. Voi vi direte e così siamo giunti alla fine della nostra storia eppure se volete essa può continuare perché molto successe poi alla bella Adamante, le cui odierne antologie non possono riportare quel nome sconosciuto. I perché ed i per come non finiscono qui miei cari commensali, anche se questo può sembrare un lieto fine non è una fine, ma solo l'inizio.

Or dunque ditemi, volete che io continui a narrare o il sonno e la stanchezza non vi permettono di volerne sapere oltre?

 

Note dell'autrice: Scusate per il ritardo! Oddio ritardo, ritardo rispetto ai miei soliti tempi ma è stato un capitolo duro da scrivere!!!^^ Spero che comunque vi sia piaciuto l'avvicendarsi delle azioni. Mi scuso anche per la forte presenza di dialoghi necessari però alla riuscita del capitolo. Allora spero di essere stata in grado a rendere le emozioni, le paure, l'amore, l'odio insomma questo intricato miscuglio che ho creato. Ovviamente il fiume che viene menzionato è ripreso dalla mappa del Il Signore degli Anelli, sarebbe il Flutti per la versione italiana. Ovviamente per quanto riguarda la domanda di Sarìin è puramente retorica la mia storia continua perchè io pensavo proprio di introdurre la figura di Adamante con il futuro di Legolas. Solo che mi stavo chiedendo: devo mettere l'avviso What if? perchè in realtà ciò che succede dopo a Legolas si sa dagli Annali quindi non so se è giusto o sbagliato metterlo. Voi che dite? Io veramente sto davanti alla dicitura di What if? facendo le bolle con la bocca per l'indecisione! Attendo gentil responsi! ^^ RSVP ovviamente se non volete saperne più di me e di Adamante basta che mi fate un fischio e la smetto di ammorbarvi!!!^^ Spero tanto di no cmq!!!PS: mi sono dimenticata di specificare che il gioco del muro nascosto in prospettiva è ispirato ad una scena di Labyrinth!! Eh eh!

Comunque domani mattina riguardo il capitolo più accuratamente. Gli ho dato una letta ma la sera comunque ho sempre il cervello in pappa!!! Eh eh! 

Angolo delle recensioni:

Elfa:Eccoci al nostro consueto appuntamento ma cher! O si Leggy l'altro capitolo non ha avuto una grande parte ma ti posso assicurare che ora la storia si svilupperà tutta su di loro due quindi super Legolas all'attacco!!!! Se ti devo dire la sincera verità per quanto riguarda il capitolo finale io non saprei comunque prevedo che quella che sarà la successiva avventura dei nostri viaggiatori ci saranno credo gli stessi capitoli o forse qualcosa meno non so. Purtroppo per le mie lettrici io adoro guardare a quello che accade dopo... eh eh!!! E divento prolissa come una messa cantata!!!^^ La seconda parte sarà a mio avviso più romanticosa. Diciamo che ho concentrato tutto quel senso di amore romantico cavalleresco che mi piace tanto che nella nostra Bibbia (non credo di dire una blasfemia!!^^) un po' manca. Spero di averti fatto piacere con la notizia che non smetterò tanto presto eh eh!!^^ un bacione e al prossimo capitolo spero!

Thiliol: Evviva le virgole migliorano!!! Sai come il neurone della punteggiatura ha deciso di uscire dal letargo, anche se ora è un po' stordito dal caldo! Ogni tanto va a ninna e non mi si fila più!!! Però stiamo lavorando a migliorare il nostro rapporto e devo ammettere che l'allenamento nello scrivere mi sta aiutando molto nel sopperire a questa lacuna. ^^ Grazie per i complimenti sempre graditissimissimi e prego per il link è stato solo un piacere. Geldena non la sopportavo più nemmeno io, infatti si è visto che fine ha fatto [un attimo di delirio di onnipotenza e l'ho fatta fuori con una scena alla Xena]. Per Amarah è quella che Crhis Vogler definirebbe l'eroina tragica, triste ma saggia. Guarda in retrospettiva con rammarico e la sua morte è stata la conseguenza di tali scelte. In compenso al retrogusto amaro di ciò che ha scoperto si è ritrovata con un bagaglio più ricco concependo i propri errori e affidando ad una persona come Raja, il suo alterco emotivo, la sua redenzione. Ho un po' giocato su questo devo ammetterlo, il pg della Regina era uno dei miei preferiti anche se un ruolo abbastanza marginale rispetto agl'altri. Va bhè Amarah ci hai insegnato a tutti che sempre si possono mettere in discussione i nostri credi e principi! Ovviamente ti ringrazio sempre e comunque!!!Un bacione!!! Spero che anche tu sia contenta che la storia non si fermi alla fuga ma continui (così l'ho pensata)!!!^^ Ci tengo molto a sapere soprattutto da te, la faccenda del What if? (sai ieri ha cominciato persino a ringhiarmi, sigh!). Ti ringrazio anticipatamente, un bacione di nuovo!

RINGRAZIO SEMPRE TUTTISSIMISSIMI COLORO CHE MI SEGUONO!!! SPERO CHE CONTINUI A STUZZICARVI!!!

Un bacio grande grande!

Vostra Malice

 

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Capitolo 13
*** CAPITOLO XII: Nuin Elenath. ***


CAPITOLO XII: Nuin Elenath.

Miei cari signori, non sapete quanto il mio spirito si sia rinvigorito nel sapere che avete ancora voglia di ascoltare questo mio canto, che della bella Adamante racconta le gesta. Bene dunque riprendere la storia da dove era stata interrotta. Avevamo lasciato il nostro trio a percorrere i cunicoli sotterranei delle prigioni, scappando da quella che era stata in vero la triste cella costruita nei tronchi degl’alberi.

L’elfo li guidò quasi ad occhi chiusi, la sua memoria salda gli aveva permesso di riconoscere ogni anfratto di quelle gallerie, in cui la sua altezza si districava appena. Svoltava deciso ad ogni bivio verso la direzione giusta, avvertita anche grazie alle correnti calde sempre più presenti, diradando l’umidità del terreno di cui erano costruite le pareti. Mentre percorrevano tale tragitto Adamante prese ad osservarle, incuriosita dalla loro natura. Erano molto antiche, risalivano ai tempi in cui le Gwaith erano poco più che un gruppo assortito di schiave liberte. Qualche radice pendeva dal soffitto ed alcune modellavano tutta la struttura delle gallerie, dove i segni delle unghie che le avevano scavate non erano evidenti. Le bestie cieche che avevano abitato quei budelli sotterranei dovevano essere di dimensioni non indifferenti data la portata dei solchi. Possedevano un diametro pari al suo palmo, incidevano i lati in quell’argilla che con il passaggio dell’aria era diventata solida e friabile come il tufo. Il senso di chiusura che donavano era asfissiante, quell’odore di terra bagnata affaticava il respiro e l’incedere, costringendo entrambi gli elfi a prevaricare i loro sforzi. Per Gimli invece quello era il posto che fino ad allora si avvicinava al suo ambiente naturale, non trovava difficoltà nel destreggiarsi nel manipolo di trafori in cui si trovarono.

Una ventata rovente lambì le loro pelli quando, di fronte alla diramazione in ben tre diverse direzioni, presero la galleria centrale trovandosi così a circa quattro rangar dall’uscita (nda unità di misura Númenóreana 1 ranga = 96,5 cm). Volarono veloci verso l’esterno, silenziosi come la notte che afferra il giorno appropriandosi con mano lesta del suo trono. Due cavalli, con le caratteristiche esili e slanciate dei destrieri Amazzoni, ruminavano distratti persino dal peso di cui erano caricati. Visibili erano ai loro occhi, nonostante i manti scuri favorevoli agli spostamenti notturni, tanto che al nano scappò una risata compiaciuta dell’effettiva loro presenza. Altresì Legolas fu coinvolto dalla contentezza del suo amico e prese anch’egli a sorridere. Quella libertà tanto bramata era a portata di mano, ad un passo rapido e scattante, eppure quello che stava lasciando dietro di sé era uno strano vuoto. Stava lentamente scomparendo, un’umana non avrebbe avvertito la figura di Raja andarsene verso quella che poteva rivelarsi una Guerra per la propria Indipendenza. Ma lei che abbandonava il suo mondo umano, la percepì nitidamente in quella marcia solitaria. Era giusto quindi emigrare e lasciare al triste destino lo stesso popolo che l’aveva salvata? Oppure era giusto onorare il sacrificio a cui si stavano sottoponendo? Lei si stava liberando di cosa in fondo? Non vi erano più le leggi oppressive che l’avevano costretta alla rinuncia della presenza di Helluin e del proprio figlio, non esistevano più intrighi e malelingue della corte, non vi erano più che le macerie di un mondo che doveva ricostruirsi. La Guaritrice correva sopra di esse, dunque, mentre si appropriava di quella libertà tanto sognata, le avrebbe calpestate con indifferenza? Si trovava con un piede fuori della porta sul retro, pronta a fuggire di sottopiatto per non essere intercettata dai quegli aguzzini che avevano già tormentato le sue ave. Quello che però possedeva nel cuore non era sollievo, ma avvertiva la sensazione di essere una codarda, abbandonando le Gwaith proprio nel momento in cui avevano più bisogno di lei. Vero, aveva sopportato troppo a lungo le malignità della corte, ma non era da quello che stava scappando. Ora chi la braccava era un principe viziato che si era visto sfilare il proprio bottino da sotto il naso. Il coraggio in fin dei conti non le mancava, perché non avrebbe dovuto affrontarlo?

“Piccola strega, non perdiamo altro tempo i cavalli ci attendono!” gli occhi della Guaritrice scesero alla sua sinistra, dove Gimli aveva richiamato la sua attenzione.  Non era solo, poco dopo il viso di Legolas emerse dall’oscurità, dove l’iridescente luna aveva preso ad illuminare i suoi tratti eterei, rivelando così la preoccupazione provata all’evidente dubbio letto negl’occhi della fanciulla. Adamante attraversò il confine, superando il limite fra la vecchia e la nuova via, sgretolantosi al contatto con il premio che la Guaritrice aveva guadagnato. Si mosse con leggiadria, che mai aveva avuto se non in quell’occasione, fino ad azzerare la distanza che c’era fra lei ed il suo amato. Il tutto fu solo per poter intrecciare le proprie dita con quelle di Legolas, tentennante in un primo momento, ritirando persino il gesto, per poi invece afferrarle con più decisione.

“Dovevo solo dire addio un’ultima volta!” disse in un sussurro. Legolas sollevò l’intreccio delle mani per baciare le nocche della fanciulla, senza mai staccare lo sguardo da quello di Adamante. Da poco si trovavano in comunione e già le loro anime comunicavano senza bisogno delle vibrazioni delle corde vocali. Quella che gli stava dimostrando era comprensione, cosa che per Adamante risultava fresca nel torrido clima del Rhûn.

“Se avete finito i vostri convenevoli, preferirei andarmene! Ho vissuto troppe guerre nell’ultimo anno per preoccuparmi di una non mia!” rispose Gimli, con le tonalità baritonali e profonde come le grotte in cui soleva vivere. In quel caso lo spirito del nano era condiviso anche dai due elfi, che si affrettarono nel sistemare al meglio le imbracature dei loro cavalli. Non che ne avessero bisogno per cavalcare, ma di sicuro risultavano utili per i bagagli del viaggio che avrebbero dovuto intraprendere. Bastò un sussurro di poche parole da parte di entrambi che le due bestie iniziarono a galoppare rapide verso Nord Ovest, dove il Carnen intraprendeva il suo corso lontano dalle ingiurie e dai supplizi vissuti in quella manciata di giorni, pochi se considerati di fronte alla longevità dei tre viandanti, ma troppi in confronto all’intensità con cui li avevano vissuti.

Viaggiarono senza soste, mantenendo un ritmo serrato fino al raggiungimento del Fiume Rossacque. Avevano alternato brevi marce cadenzate a lunghi galoppi per coprire grandi distanze in breve tempo. Preferirono non parlare, se non per gli argomenti strettamente necessari all’organizzazione. La vegetazione non era fitta come nella Taur en Gwaith, composta per lo più da arbusti desertici e sterpaglie insecchite, però andava via via a verdeggiarsi in prossimità del corso d’acqua. Il clima era completamente diverso, l'aria in alcuni momenti sembrava soffocarli mentre il paesaggio desertico lasciava il posto ad uno meno arido. Attraversarono la striscia di terra che intercorreva tra il Mare del Rhûn ed il Carnen in tre giorni e tre notti, spingendosi il più al Nord possibile. Nella mattina del quarto dì raggiunsero un breve tratto di boscaglia, irrorato dalle rive del fiume. Era un posto stranamente pacifico, da poco i soprusi della marmaglia nera dell'Oscuro Signore avevano cessato di esistere in quelle terre ed ora, che molto era cambiato, anch'essa tornava a vivere.

“Legolas!” chiamò Adamante rimasta più indietro rispetto all’elfo ed al nano, che montavano lo stesso cavallo. Legolas si voltò tirando in un movimento morbido le redini verso destra, attendendo di essere affiancato dalla ragazza.“Il sole sta calando, presto sarà notte. Siamo abbastanza lontani per riposare, i cavalli sembrano stanchi …” a quell’affermazione passo la mano sul fosco manto equestre del collo. Persino l’animale che portava la strana coppia partecipò alla conversazione con uno sbruffo ed un nitrito, confermando la preoccupazione della Guaritrice.

“Non solo loro!” confermò Gimli, emettendo tutta l’aria che aveva in corpo con un profondo sospiro.

“Credo che il nostro amico confermi le tue richieste, Tirînir!” rispose l’elfo in un sorriso per poi guardarsi attorno alla ricerca di un posto dove potersi sistemare. Scelsero, di comune accordo, un piccolo spiazzo delimitato dalle radici di un maestoso albero sprofondate nel terreno. Le sue fronde riflettevano più colori, mescolando l’autunno ormai iniziato con l’estate morente, offrendo loro un temporaneo riparo. Da quella posizione riuscivano ad udire il cristallino sciabordare delle acque del Carnen, riempiendo il silenzio che ancora vigeva fra i tre, ognuno impegnato per la sistemazione della notte. Lì, dove l’influsso del Mare del Rhûn iniziava a scemare, la temperatura calava durante le ore notturne in tenebre senza luna e senza stelle. L’elfo non voleva che i suoi compagni risentissero del cambio del clima, indi si era prodigato nell’accendere un fuoco con la legna procurata dal nano mentre perlustrava i luoghi limitrofi al piccolo accampamento.

“Cosa ci aspetterà domani quindi, mastro elfo?” la ragazza ascoltava distrattamente la conversazione dei due,mentre esaminava il contenuto delle bisacce ancorate alle groppe dei cavalli, alla ricerca di qualcosa da mangiare per rimettersi in forze.

“Dobbiamo proseguire verso nord, fino alla diramazione del fiume con il Celduin, non riesco a prevedere ancora quanti giorni di cammino ci attendono, amico mio!” di tanto in tanto Adamante volgeva la coda dell’occhio al nano e all’elfo, ancora impegnata nella sua esamina delle provviste.

“Ho sentito di sfuggita che parlavate della Montagna Solitaria. La incroceremo nel nostro cammino?” chiese Gimli sedendosi accanto al fuoco di fronte a Legolas, il quale pareva affascinato dalle lingue delle fiamme che s’innalzavano verso il cielo imbrunito. Anche il nano aveva preso a fissare il fuoco, la cui luce si rispecchiava in quello sguardo vitreo e stanco infossato nel viso sgraziato del Portatore della Ciocca.

“Sì!” rispose l’elfo sospirando. “Vuoi tornare a casa, Gimli?” a quella domanda Adamante profilò il volto, per mettere a favore il suo orecchio dal fine udito nell’ascolto di quella domanda a cui si scoprì spaventata. In quel tempo si era affezionata a lui, con il suo orgoglio e la sua testardaggine degna della razza a cui apparteneva. La risposta non fu che un borbottio ed una sonora sbuffata, seguita da un silenzio interrotto soltanto dallo scoppiettio del focolare. La Guaritrice non seppe interpretare quei suoni, preferendo glissare l'argomento per riprendere ad esaminare il bagaglio fornito dalla Storica. Nella sua vita di guerriera la Guaritrice non aveva mai fatta sua una lama, non le interessava, visto che le imbracciava in così poche occasioni da definirle più uniche che rare. Intrufolando poi le dita nelle bisacce del secondo cavallo vi trovò delle coperte e gli abiti a lei destinati. In effetti era ancora agghindata ed acconciata per i rituali dello Yavieba. Inoltre l'elsa di una spada fuoriusciva da sotto la borsa, arma per la sua difesa.

I capelli intrecciati iniziarono ad infastidirla e la lunga veste di leggera organza prese a piombarle addosso come una cotta di ferro. Ma Raja le aveva fornito il piccolo abito di pelle con cui aveva conosciuto il suo Principe, gli stivali dalla forgia maschile comodi più dei piedi nudi ed il manto che serviva a nasconderla durante le imboscate ai sgraditi ospiti della Foresta delle Ombre, nel cuore della regione di Agasha Dag. Iniziò con l’estrarre i calzari, lasciandoli cadere per liberarsi le mani e prendere il manto con il suo ben più comodo abito. Liberata la borsa dell’ingombrante contenuto, notò che non era stata completamente svuotata ed altro vi risiedeva nel fondo. Tastò con cura l’oggetto, sentì la consistenza liscia della copertina di cuoio accanto al fodero ricurvo ben conosciuto alle mani della Guaritrice. Con una nuova emozione scavò con le mani all’interno della borsa, immergendo le braccia quasi interamente per prendere entrambe le cose a lei più care. Il Diario di Helluin e Nimril, il pugnale dalla lama bianca. Quasi ebbe un sussulto vedendosi ricongiunta a quegl’importanti cimeli e, nella fretta di portarseli al cuore, non vide un terzo oggetto depositarsi a terra accanto ai suoi piedi. Era la bautta che ella stessa aveva rinnegato. L’afferrò con la mancina, scorrendo con il pollice sul gretto e mordace tessuto creato solo per essere tenuta nascosta. Inutilmente. Fu pronta e rapida a rintanarla nella borsa guidata da un istinto irrefrenabile, quando il passo felpato dell’elfo calpestò le foglie rinsecchite del manto boschivo dietro le sue spalle. Non voleva aggiungere ulteriore angustia con un ricordo di un momento buio, in cui era la cupidigia e il disonore ad imperare sulla figura della ragazza. Con più calma vi mise anche il pugnale e il diario.

“Di cosa ci ha rifornito Raja?” chiese Legolas quasi intimorito dalla reticenza di Adamante nel parlare. Da quando avevano lasciato le Ombre si era chiusa in un bozzolo taciturno che lui rispettava ma che al contempo odiava, in quanto la vedeva troppo riflessiva e preoccupata. Se fossero stati i suoi i desideri da assecondare, l’avrebbe volentieri tempestata di domande per sapere cosa nella sua mente continuava a pungerle così tanto da renderla quasi muta. In realtà ciò che temeva nel più profondo era un pentimento da parte della Guaritrice.

“C’è acqua e cibo. I viveri dovrebbero bastare per una settimana al massimo due se ci conteniamo nel consumarlo: vi è carne secca, pane e formaggio stagionato.” Le sue parole scorrevano molto veloci e pratiche nell’esporre, Legolas era incerto sul suo comportamento non sapeva come reagire di fronte a quell’improvvisa freddezza della fanciulla. Lei di suo canto, non sorreggendo lo sguardo afflitto dell’elfo, prese a sciogliere le cinghie dell’imbragatura, spogliando così il cavallo del suo compito di trasportatore. “Una volta esaurite le scorte potremmo cacciare e pescare, inoltre posso raccogliere bacche e piante commestibili. Le otri sono sufficienti per altri due giorni di cammino. La scorta d’acqua non sarà un problema, visto che percorreremo il fiume …”

“Tirînir …” sospirò l’Elfo obbligandola a voltarsi e a guardarlo. “I tuoi occhi sono sempre persi nella meditazione, il tuo viso è contratto e dalle tue labbra si muovono solo per brevi conversazioni. So che quello che hai passato è duro da affrontare ed io non ho alcun diritto di spingerti a parlare, ma se c'è qualcosa che ti turba ti prego, non esitare ad appoggiarti a me. " implorò sconsolato alzando una mano a sfiorarle il viso. La ragazza cercò di rassicurarlo accondiscendendo al suo tocco, inclinando la testa ed appoggiando la guancia contro il suo palmo.

“No, non c'è nulla che mi angoscia. Ho solo bisogno di togliermi queste vesti ingombranti a favore di qualcosa di più comodo!” rispose improntando un tenero sorriso. Gli occhi dell’elfo si abbassarono, arresosi alla reticenza del volersi confessare della ragazza. Poi risollevò il capo cercando di rispondere anche lui con un timido sorriso.

“E sia!” dichiarò sconfitto. Nell’intonazione con cui lo disse e nel mutismo che lo seguì c’era un’implicita affermazione: solo quando Adamante lo avesse voluto. Lei lo lesse anche in quel sospiro arrendevole e docile espirato da Legolas, non era abituata a quell’eccessivo riguardo e quasi ne risultò stordita. L’elfo dopo aver goduto di quel contatto con la sua amata, sempre per troppo poco tempo rispetto alla sua volontà, tolse la mano ricacciandola svogliatamente lungo il fianco. “Raja aveva detto che nel bagaglio c’erano delle coperte, dove sono?” deviò il discorso, fingendosi poco interessato da quello che la ragazza aveva sospeso nel cuore. Adamante colse la digressione rasserenata, dimostrando poi la sua gratitudine con la stessa carezza che aveva subito.

 

Raggiunse la riva del fiume dove ebbe l’occasione di farsi un bagno. La cinta metallica che le stringeva in vita trovò il suo riposo a terra, tinnendo al contatto con il suolo con un rumore adamantino, poi lasciò cadere la sua veste facendo scattare le spille fissate sulle spalle. Il diadema con la pietra trasparente posta sulla sua fronte venne slegato ed aggiunto al groviglio della stoffa. Il sole era stato quasi del tutto oscurato, tingendo il cielo e l’acqua delle tinte calde del crepuscolo. Il fiume era calmo, la sua superficie appariva liscia come una lastra di uno specchio, argenteo se osservato a filo con il terreno ma riflettente i toni dell’arancio e del rosa inondanti il tramonto, se studiato sollevato dal terreno. Una striscia cupa di alberi dalle rade fronde divideva i due elementi all’orizzonte, in uno la leggerezza dell’essere nell’altro la forza e la dirompenza. Adamante si inabissò dopo aver sciolto le complicate trecce dai capelli. L’acqua le lavava la pelle con fredde sferzate di corrente, abbassando la testa fino a coprire ogni senso ogni percezione. In questo aveva vissuto fino ad allora. In un mondo occluso all’esterno, protetto dalle stesse abitanti dove nulla poteva influire. Le parole di Raja la colpirono attraverso i recessi della memoria, quello era ciò che aveva guadagnato. La somma delle reminiscenze del proprio dolore era l’unica risposta che non poteva non darsi. Troppo aveva pagato per quel profondo cambiamento a cui aveva dato inizio. La sua fuga non era il sintomo della vigliaccheria, ma quella era la ricompensa del Fato, il dono per il sacrificio compiuto da lei stessa in tutta la sua breve vita. La sua strada non era congiunta a quella delle Gwaith. Aveva subito una deviazione, la stava trasportando dove il suo stesso padre avrebbe voluto. Ora il sentiero lastricato su cui si sarebbero avvicendati i suoi passi era lo stesso percorso dal Principe elfico, che continuava a studiarla non riuscendo ad interpretare i messaggi che emanava il suo comportamento. Quando la paura e l’angoscia si sciolsero dalle membra della Guaritrice, lavate dal Carnen e trasportate lontane disperse tra i flutti, la fanciulla riemerse vestendosi poi in fretta e furia. La Guaritrice si era dilungata più del dovuto nelle sue abluzioni ed era giunto il momento di sciogliere anche i dubbi del suo amato. L’oscurità aveva già accolto il mondo nel suo ventre e la ragazza aveva preso a correre verso l’accampamento non eccessivamente lontano. Avvertiva il ronfare rumoroso del nano che copriva i rumori del bosco ad ogni passo che l’avvicinava. Se ne stava coricato accanto al fuoco, avvolto nella coperta, l'elmo depositatato accanto alla sua testa. Abbracciava l'ascia come un cuscino, impugnandola come se fosse in procinto di una battaglia. Adamante incontro dapprima i cavalli ancora svegli. Si sentì in dovere di donare loro una carezza, bisbigliando alle loro orecchie parole di ringraziamento. Da sempre aveva portato rispetto per gli animali, li vedeva al pari degl'esseri umani: la loro era pur sempre fatica, lo stesso sudore e lo stesso sangue scorreva in battaglia quando venivano feriti. Inoltre, nella sua giovanile esperienza, aveva imparato che spesso esistevano bestie di animo ben più nobile dei propri propietari.

“Sei tornata.” affermò Legolas in un sussurro, senza distaccare lo sguardo rivolto al cielo. Teneva le mani intrecciate dietro la nuca, un ginocchio sollevato accanto alla gamba distesa, sdraiato a terra sopra la coperta poco distante dal russare di Gimli, abbastanza da essere illuminato dal fuoco ma in modo che non fosse di eccessivo fastidio. Non era mai stato il suo aspetto ad incantare Adamante, eppure avendo modo di osservarlo da quella posizione privilegiata non poté evitare di notare la bellezza splendente che possedeva nella sua natura intrinseca. Anche lei era figlia di cotanto splendore, eppure si sentì ulteriormente fortunata nell’essere stata scelta da lui. Dell’essersi scelti a dir la verità. 

“Temevi che non l’avrei fatto?” disse incedendo con piccoli passi verso l’elfo, che rivolse un fugace sguardo alla ragazza, ritornando poi alla meditabonda contemplazione del cielo. La Guaritrice si accucciò accanto a lui, inclinando la testa da un lato cercando di capire cosa in realtà stesse pensando. “Potrei stendermi qui, accanto a te?”

“Istag i dambeth! | S – Conosci la risposta! | ” replicò con una nota amara nella voce. Adamante si stese congiungendo le mani al grembo, osservando anche lei il buio che si stanziava davanti ai loro occhi.

“È una notte scura …” commentò la ragazza interrompendo il silenzio. “Non c’è luna, né stelle …”

“Avo meli in doe pen elenath! | S – Non amo le notti senza stelle! | ”

“Man mêl ent?  Man mêl i fuin? | S – Chi le ama? [lett. Chi ama quelle?] Chi ama l’oscurità?| ” in sincrono voltarono gli sguardi incontrandosi l’uno con l’altro. I loro occhi parevano trapassare le loro anime più di ogni altra volta, scavando profondamente dentro i loro cuori.

“Man grogag, Tirînir? | S – Cosa ti terrorizza, Tirînir? | ” tutto era bisbigliato come un segreto. I loro occhi non smettevano di incatenarsi, si rincorrevano in quella breve distanza cercando di non smettere mai di scrutarsi, prendersi ed ancorarsi.

“Pensavi davvero che non avrei avuto remore a lasciare su due piedi Raja e quello che era l’unico mondo da me conosciuto?” rispose Adamante con la voce arrochita dal basso tono che aveva assunto. Legolas continuava ad ammirare il profilo di Adamante disegnando con lo sguardo la curva della fronte, il promontorio del naso e le morbide forme delle labbra che ondeggiavano articolando le parole nel suo conversare. Aveva passato così tanto tempo a chiedersi cosa celava dietro la sua maschera che ora averla davanti, senza avere la paura di essere nel peccato, quasi lo irretiva.“Ho desiderato spesso fuggire dalla Taur en Gwaith, ma questo non toglie che non avrei mai intrapreso con leggerezza tale gesto. Il mio cuore è forte e spesso sono stata impavida nell’affrontare le avversità, ma questo è qualcosa di mai sperimentato prima. Sono stata catapultata fuori da un bozzolo Legolas, io conosco le Ombre e poco altro. Non potevo affrontare tutto senza pormi delle domande.” sospese le sue stesse parole, tornando a guardare la volta celeste offuscata dal buio. “Ho passato tutta la mia esistenza a sentirmi inadatta ed ora ho la possibilità di trovare il mio autentico posto. Mi chiedi cosa mi terrorizza, mio signore? Ebbene sono terrorizzata dall'eventualità di fallire. Questa è un'opportunità unica, ma davanti la strada mi è oscura e sconosciuta." Come un cieco che per la prima volta vede la luce del sole, Legolas si trovò a capire realmente quello che aveva scosso la ragazza. Per quanto uno desideri buttarsi nel baratro non è detto che non lo spaventi, Adamante era pur sempre molto giovane ed inesperta e questo salto nel vuoto non poteva lasciarla del tutto indifferente.“Renich man pennen nan Gwaith? | S – Ti ricordi cosa dissi alle Ombre? | L’ignoto spaventa ma solo in un modo si può rendere questa paura una forza: imparando a conoscere. Sono convinta di questo. Io voglio esplorare il mondo, voglio calpestare tutta la terra senza limiti e confini, voglio riempire il mio cuore della sapienza che mi è stata negata. Voglio che questa nebbia sia del tutto diradata, lo voglio davvero. Il panico invero circuisce la mia anima rendendola quasi impietrita, ma ...” disse tornando con il viso rivolto a Legolas. “... ma c'è una ragione per cui non mi sto tirando indietro, sopra ogni altra. Quella ragione risiede in te, mio Principe. Restami accanto, perchè è solo grazie alla tua presenza al mio fianco che trovo la forza per affrontare la foschia creata dalle mie paure e dalle mie incertezze!” rimasero senza proferire alcuna parola per molto tempo. Fu allora che i due innamorati compreso la natura dei propri sentimenti. Le due anime si erano congiunte nelle avversità e si conobbero in quell'istante, quando non c'era la fretta e la premura di scappare.Entrambi si trovavano a riflettere su quanto li legasse, era molto più forte di quello che potessero pensare, era qualcosa di accentrante, un amore profondo nato prima che s'incontrassero. I due complementari, che necessitavano di stare insieme. Legolas, armato di questa nuova cognizione, sciolse le mani da dietro la testa allargando il braccio verso la ragazza per invitarla al suo leggittimo posto. Adamante si rannicchiò sul suo torace posando l’orecchio all’altezza del cuore. Ascoltava il ritmo regolare dei suoi battiti sincronizzati con il suo respiro ed apprese che mai si era sentita a casa come allora. Le dita dell’elfo presero ad incastrarsi tra i capelli ancora umidi, percorrendoli nella loro lunghezza. Era questo che voleva in fin dei conti, soltanto tenerla abbracciata liberamente.

“Helluin naa êl uin menel. | S – Helluin è una stella del firmamento. |” la fanciulla, sorpresa per quella sua affermazione, sollevò la testa posando il mento contro il suo petto sopra la propria mano, per permettersi di osservare meglio il viso del suo amato, che con occhi adoranti non aveva smesso di fissarla. “Non lo sapevi?” Adamante scosse il capo negando. Si ritrovò molto interessata del discorso intrapreso. “Elbereth Gilthoniel, Signora delle Stelle, così chiamata per il più grande operato mai compiuto prima d’allora nella Terra di Mezzo, attinse dalle argentee rugiade delle tinozze di Telperion, argenteo albero sorto dal canto di Yvanna, ed accese nuove stelle per accogliere il risveglio dei Priminati. Radunò anche molte di quelle più antiche tra cui Wilwarin, Telumendil e Menelmacar (ndr. Wilwarin = Cassiopea; Menelmacar = Orione  ), spadaccino del cielo che preannunciava l’Ultima Battaglia che avrà luogo alla fine dei giorni. Si vuole proprio che quando quest’ultima prese posto nell'Ilmen ed Helluin apparve con il suo fuoco azzurro nella foschia sopra il confine del mondo, i Primogeniti di Ilùvatar si destarono presso il lago Cùivienen e mentre se ne stavano ancora silenziosi sulla riva, il loro occhi incontrarono per prima cosa le stelle del cielo. Perciò gli Eldar hanno da sempre amato il lume delle stelle. (Rif. Silmarillion; Cap. III “L’avvento degl’elfi e la cattività di Melkor”).” Adamante era rimasta concentrata e vigile per tutto il racconto. Si sentiva incantata dalla splendida voce di Legolas che narrava la nascita degl’elfi e della loro storia. Ma il suo desiderio di sapere non ne era rimasto sazio, i suoi occhi risplendevano della curiosità nata in quel frangente.

"Non sapevo il vero signficato del nome di mio padre, il tuo racconto è bellissimo. Mi sembrava di poter osservare il manto celeste puntellarsi di luce." disse emozianata la ragazza dirigendo lo sguardo verso l'alto. "Quando potremo ammirare gli astri mi piacerebbe molto che tu mi indicassi qual è questa stella e anche le altre. Voglio conoscere tutto delle nostre genti!" quel senso di appartenenza stava crescendo nella Guaritrice come il germoglio in primavera.

"Un grande onore ricopre il nome di Helluin e tuo padre era sicuramente degno di potersi fregiare del prestigio di cui era investito." rispose Legolas rinfrancato dall'interesse ostentato e da quel barlume di speranza che aveva iniziato a splendere fra di loro.

“Eri suo amico? Lo conoscevi?” chiese con fermento, investendolo con le sue parole. La sua impazienza di conoscere più a fondo quel lato della sua vita si manifestò con uno scatto repentino del busto, trovandosi così seduta di fronte all’elfo che la osservava quasi divertito da quel suo modo puerile di esporsi.

“Non sempre ha risieduto tra gli Elfi Silvani, le sue origine erano altre. Ma sì, lo conoscevo e spesso ci inoltravamo tra gli alberi per cacciare assieme. ” Sollevò la mano, la quale giaceva a terra dopo che la ragazza si era allontanata, e con il dorso tracciò la linea di velluto della mascella. Un nuovo quesito era nato nella fanciulla, poteva notarlo dall’espressione corrucciata che tratteneva negl’occhi e nella fronte aggrottata in tre rughe appena accennate. In Legolas invece un sorriso sovvenne nel vedere Adamante così interessata.

“Qual è la sua storia, allora? Ti prego raccontamela. Sapere le mie origini sarebbe un ottimo punto di partenza per costruire il mio futuro!” la reazione concitata di Adamante provocò una crescente ilarità nell’elfo, il quale prese a soffocare una risata trascinando per un braccio la Guaritrice verso di sé.

“So quanto ti preme conoscere il nostro passato, melamin, ma abbiamo un lungo viaggio da affrontare. Spero solo che non sia tua intenzione continuarlo nel silenzio come abbiamo fatto fino ad ora.” Disse ancora con il riso che gli ripercuoteva il petto. “Credo che invece sia giunto il momento di riposare. Dormi.” Il tono della sua voce andava progressivamente ad abbassarsi, diventando poco più che un fioco mormorio. “Sa Lòrien tîr erin eleig. Losto nîn Lothrhîw. Losto. | S – Che Lòrien [Lòrien = Inteso come il Vala Irmo] vegli sui tuoi sogni. Dormi, mio fiore d’inverno. Dormi. | ” E detto questo l’elfo prese ad intonare una nenia dalle tonalità dolci e piacevoli, accompagnando il calar delle palpebre della fanciulla. La mente della ragazza fu invasa da un torpore quasi immediato incantata da tale melodia che s’insinuava nei suoi tormenti, nel suo animo fino a raggiungere i sensi, intorpiditi dalla stanchezza che sembrò diventare insostenibile al suono della leggiadra voce di Legolas. Il suo fu un sonno vuoto, senza sogni, di quelli che depurano lo spirito e il corpo. Una tela vergine dove il pittore può scoprire la sua opera, o lo scultore può modellarela sua statua, o il bardo, se mi è concesso tale ardire, può cantare una lieta storia come questa. Una notte nuova, buia e spaventosa. Una notte in cui lo stolto cerca la luce del fiore di Telperion, ma che delle mani sapienti possono ricoprire di stelle.

 

Note dell'autrice: Salve!!!^^ Questo dovrebbe essere una sottospecie di prologo alla seconda parte con un po' di romanticismo. Avrei voluto approfondire la storia della nascita degl'elfi o magari la cosmologia di Arda che è splendida però temevo di annoiare. Comunque spero di non aver troppo riassunto non rendendogli giustizia. Per saperne di più su Helluin bisognerà attendere carre mie. Eh eh!!!

Il titolo signofica "Sotto la schiera di stelle", in realtà non ci sono ma le crea Legolas con il racconto.

Precisazione tecnica: Irmo, per chi non lo sapesse, detto il Signore del Desiderio, è considerato inoltre il Signore dei sogni e delle visioni. Veniva chiamato Lòrien per il posto in cui risiedeva. Per questo Legolas s'ingrazia a lui per i sogni. Ci saranno altri riferimenti ai Vala (la creazione è fantastica, se non si è capito mi piace la mitologia!!!)

Ah c'è stato un' imprecisione  nel capitolo scorso: prima di arrivare al Celduin, incrociano il Carnen che poi si dirama nel Celduin. Correggerò le indicazioni di Raja.

PS: DOMANDINA: Mi stavo chiedendo (ormai da settimane visto che i mei bambini sono ancora più usurati di come li avevo prima) che io ricordi non c'è un chiaro riferimento alla madre del nostro principe elfico negli scritti del professore? Non c'è un nome esatto, ho guardato un po' di alberi genealogici e ho ripercorso Lo Hobbit (questo più sommariamente) e il Silmarillion ma non mi sembra di averla trovata. Ho anche effettuato una ricerca su internet e niente. Magari mi sto sbagliando ma qualcun sa dirmi se Tolkien ne ha mai parlato, magari in qualche racconto che io non ho letto o magari mi è sfuggito. Di solito sono abbastanza brava nel ricordarmi nomi e parentele, ma Arda è così vasta e particolareggiata che è difficile districarsi, soprattutto quando possono esserci notizie fallaci. Grazie per la collaborazione. ^^

Rispostine:

Thiliol:  Mae govannen melloamin!Non ti nascondo che non vedo l'ora anch'io di scrivere i sani pucci pucci, insomma se lo sono meritato. Grazie per l'informazione sull' AU. Dalla spiegazione che ho trovato nel regolamento pensavo che si usasse solo per il contesto. Per il What if? Ma non so a questo punto non penso che sia necessario dal momento che l'avvertimento più consono è AU. Alle brutte si fa sempre in tempo ad inserirlo. Grazie sempre per i tuoi suggerimenti! Te ne sono davvero grata! Un bacione!!! ^^

RINGRAZIO INOLTRE I MIEI LETTORI.

Sempre vostra. Malice.

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Capitolo 14
*** CAPITOLO XIII: Ricordi e tempo. Viaggiando verso casa. ***


CAPITOLO XIII: Ricordi e tempo. Viaggiando verso casa.

Dopo notti tormentate e spaventose il suo cuore apprese l’evidente pericolo scampato. Il suo gracile fiore d’inverno giaceva tra le sue braccia con il respiro appesantito ed i battiti rallentati, sopita tranquilla. Era la seconda volta che poteva osservare il suo sonno da quel punto di vista così privilegiato. La dolcezza che traspariva dalla sua espressione gli donava una serenità unica, mai provata in presenza di nessun’altro. Era così che l’avrebbe sempre voluta, con gli occhi socchiusi, il viso disteso e con una mano sul suo petto rasente a dove la freccia l’aveva colpito. Il segno che portava con sé era diventato un marchio, l’impronta del passaggio delle savie mani della Guaritrice sul suo corpo. Anche se ormai la cicatrice si confondeva tra il candore della sua pelle, un tatto sensibile avrebbe potuto percepire il solco irregolare, le piccole increspature che si modellavano sotto la sporgenza della clavicola e quel graffio circolare procurato dalla cauterizzazione della ferita. Un sospiro si alzò dalle spalle della fanciulla ed un piccolo gemito fuoriuscì dalle sue labbra appena dischiuse. Si trovò a chiedere cosa sognasse quando un brivido percorse il suo corpo dopo un algido soffio del vento.

Con il tempo anche lei avrebbe imparato a sopportare le temperature più ostiche del nord, ma in quel momento troppi aspetti umani influenzavano il suo essere. Legolas prese la coperta poco distante e la sistemò sul corpo di Adamante, che si strinse di più all’elfo. Fu proprio allora, quando il palmo della fanciulla scivolò sul ricordo del loro primo incontro, che Legolas avvertì quel senso d’intorpidimento già avuto. Un formicolio che partiva dalla vecchia ferita e invadeva, come una macchia d’inchiostro su di una porosa pergamena, le sue membra. Ma una cosa nuova avvenne a quella sensazione già conosciuta: un tepore dolce e confortante era giunto fino alla testa di Legolas, altamente benefico, come se lenisse ogni sorta di sofferenza possibile. Il suo cuore divenne leggero, la sua mente spaziò oltre i confini del tempo e sorvolò il passato, il presente ed il futuro. Annegò in una nebbia di luce fino ad essere sommerso dal buio. Il dolore, la paura, la gioia. Tutto quello che aveva provato anche prima dell’incontro con Adamante era scomparso nello smarrimento delle percezioni. Si sentiva un tutt’uno con ciò che lo circondava, una comunione così profonda da risultare inverosimile. Quello che avvertiva era lo scorrere delle acque, il bisbiglio del vento, lo scalpitio del fuoco e il frusciare delle foglie. Da sempre l’armonia della Natura aveva accompagnato il suo spirito ma in quell’istante lo fece cadere in un sonno profondo, animato dalla luce delle stelle. Non brillavano sopra le loro teste, non in quel momento, eppure in quel tiepido abbraccio trovarono il loro rifulgente calore.

 

La nuda fiamma di Anar aveva preso a splendere nel cielo da qualche ora, il suono di due risate, l’una greve e di solida roccia, l’altra acuta e cristallina, puntellavano le sue orecchie spingendolo ad aprire le palpebre. La mente era rimasta stordita dall’esperienza quasi ultraterrena provata nel sonno. Aveva come  l'impressione di essere timasto immerso nell'acqua, in balia di fredde correnti. Non sapeva che quelle erano le stesse sensazioni che la Guaritrice aveva provato poche ore prima. Si sentiva rinvigorito dal riposo, nel corpo e nella mente, più forte di come aveva ceduto le armi alla stanchezza. Si avvisò che accanto lui la Guaritrice non c’era e quella che sentiva era la sua voce impegnata in una divertente conversazione. Con ancora gli occhi chiusi si ritrovò a sorridere a quel piacevole risveglio.

“Ebbene sì,  mia signora, il nano qui presente ha battuto il principino elfico per un punto di vantaggio!” era la sua affermazione tra le risate, il suo vanto migliore. Molte volte Legolas aveva ascoltato la sua versione dei fatti e tese ancor di più il fine udito verso quel racconto, ormai impresso fra le loro memorie come su pietra. “D'altronde un’ascia sarà meno rapida di una freccia, ma è da ritenere assai più forte!” l'elfo udì l'inconfondibile suono della pietra contro il metallo: il nano stava demarcandone il filo della sua arma con premura. Amava curarsi della sua ascia, un riguardo che risultava quasi una devozione divina.

“È un grande onore immagino!” rispose con quella voce inconfondibile che possedeva delle note nuove, argentee e vivaci, totalmente armoniche con il suo stato d'animo. Ogni cosa sembrava trovare il suo posto, finalmente poteva sentirsi veramente libera anche dalle sue convinzioni. Non aveva paura sapendo che accanto a lei ci sarebbe stato Legolas.

“E voi piccola strega, avete mai contato quanti nemici sei riuscita ad abbattere in una sola lotta?” stavano mangiando qualcosa probabilmente, dato che Adamante iniziò a tossire strozzandosi. Quel rumore destò Legolas che subito, apprensivo, si sollevò dal suo giaciglio. La ragazza era di spalle mentre si copriva con il pugno la sua bocca. Cercava di ingurgitare il boccone battendo con leggeri colpi il petto.

“Oh, meno di quaranta suppongo dalla tua reazione!” disse spavaldo Gimli, che invece continuava ad incalzare la domanda nonostante le evidenti difficoltà della ragazza. Adamante smise di tossire, una volta liberatasi dal pezzo di pane incastrato nella sua gola, ma non rispose lasciando il nano libero di supporre. Non ebbe il coraggio di rivelargli l’effettivo numero e se ne stette in silenzio, negando semplicemente con un cenno del capo. “Meno di trenta?” pressò con fare provocatorio, la fanciulla non sapeva assolutamente come districarsi dall’imbarazzo. “Non preoccupaterti, capisco che il numero quarantadue possa impressionare!” il nano batté la sua rude mano sul ginocchio della ragazza per consolarla della sua deduzione di disfatta.

“Gimli ti stancherai mai di competere in battaglia anche quando sei a riposo?” intervenne allora l’elfo alzandosi definitivamente per avvicinarsi alla allegra compagnia. Sentiva sull'epidermide le emozioni della sua Tirînir, ogni cambiamento era di facile comprensione. Dopo quella notte avvertì un gancio arpionarsi al centro del suo stomaco e trascinarlo in sua direzione, come se si fossero fusi attraverso i sogni. Quando sentì la domanda di Gimli, sapeva già della voglia che aveva preso alla Guaritrice di scappare da una risposta sconveniente. 

“A te smetterà mai di bruciare la sconfitta?” rispose a tono il nano.

“E voi due smetterete mai di battibeccare?” chiese Adamante sostenuta, incrociando le braccia al petto. “Il sole è già alto miei cari compagni di viaggio, sarà ora di muoversi! Molte leghe ci separano da Erebor e per quanto l’Ombra dell’Est sia stata debellata, non è detto che non incroceremo le sue sudice creature lungo la via! Quindi credo sia il caso di imbrigliare i cavalli e partire!” detto questo la ragazza andò ai cavalli, estrenando il suo intento di eludere l'insistenza di Gimli. Legolas la seguì in silenzio raggiungendo anch'egli i due destrieri che, completamente ignari, erano intenti nei loro affari. Borbottavano con lievi nitriti mentre la Guaritrice aveva iniziato a sellare il primo. L’elfo prese ad imbardare il secondo situato al loro fianco, restando schiena contro schiena. Fingeva indifferenza, ma aveva una domanda pruriginosa da porle.

“Allora quanti?” disse in un flebile tono sapendo di poter essere udito solo dalla fanciulla.

“Telin na nedio canaphe – ar – odog ! | S – Arrivai a contarne 47! | ” si fermò un secondo senza voltarsi continuando a dare le spalle all’elfo che già aveva preso a soffocare una risata. “Dopo che Raja rimase ferita smisi di farlo.” Quello era un numero miserrimo di nemici sterminati per una Gwaith. I loro eserciti si muovevano in piccoli gruppi e spesso nascosti, l’addestramento quindi prevedeva la velocità nell’uccisione e il maggior numero per ogni singola combattente.Finito di bardare l'animale, indossò la sua spada stringendo con forza la cinghia alla vita, per poi sistemare il pugnale nel fodero dello stivale.I suoi erano movimenti rapidi e meccanici, effettuati esternamente alla sua volontà. Il pensiero delle battaglie di un tempo la rendevano rigida e severa nello sguardo, non aveva mai amato l'arte della guerra ed era stata costretta a servirla. Il periodo più oscuro per lei, denigrata per il poco destreggiarsi con la spada. Certo gli orchi erano spesso e volentieri una marmaglia confusionaria, facilmente sopraffabile dalla più scarsa delle Ombre ed Adamante non era estremamente scarsa nella lotta, ma era riluttante nell'utilizzare la spada e si trovava in difficoltà nel momento in cui era costretta. La ragazza passò in rassegna morso e sella controllando che fossero ben saldati, quando Legolas si girò di scatto, guidato dal semplice istinto. Non poteva vederla ma, come era stato per l'imbarazzo con Gimli, avvertiva l'espressione melanconica che le si era disegnata sul volto come sul suo.

“Perdonami!” Adamante non voleva che il suo Principe si caricasse di colpe inesistenti ed accennò ad un sorriso rivolgendolo all'elfo. Montò a cavallo con agilità non nascondendo un po' di vergogna per tutti quegli ossequi a lei rivolti. Le risultava così difficile pensarsi come l'oggetto di tanta premura, che non sapeva come ripagarla se non con la stessa moneta. Si soffermò nel guardare Legolas, tirato e scuro in viso tormentato dal pensiero di averla offesa. Lei scosse la testa e per un attimo i capelli sembrarono baluginare al tocco indiscreto del sole.

“Nulla vi è da perdonare, heruamin | S – Mio Signore |!” rispose risoluta. “Tutto appartiene ad un passato e nel mio è estremamente difficile non incappare in episodi spiacevoli. Ti prego, non chiedermi perdono quando mi sovviene una reminiscenza della mia vecchia vita e tutto quello che ne è conseguito. Ogni bruttura vissuta ha contribuito a rafforzarmi.” Rinfrancato dalle parole della ragazza Legolas si sentì sollevato, alzò la mano per carezzare l’esile animale che la teneva in groppa.“E poi mi ha condotto a te!”

“Sarà mio compito sostituire i tuoi brutti ricordi con esperienze più gradevoli.”

“Proposta interessante, soprattutto perché credo che sia molto più che all’altezza per coprire tale onerosità!” rispose quasi fosse la continuazione della frase dell'elfo.

“Scusate, non vorrei disturbarvi, ma se prima c’era la fretta ora non dovremmo decisamente perderci in chiacchiere!” protestò il nano con il suo burbero modo di fare. “Ah, questi elfi!” sbottò infine quando Legolas lo aiutò a salire sul suo cavallo. Tutto si chiuse con una risata e non fu l’ultima. Adamante aveva intrapreso la lenta via della guarigione, il suo spirito sembrava sanarsi mentre battevano la strada. La vera essenza della Guaritrice stava riaffiorando, il suo cuore risultava meno turbato e Legolas non fece altro che abbeverarsi di quel nettare sgorgato dalla sua spensieratezza. Finalmente poteva ammirare dei sorrisi sinceri disegnarsi sul suo volto ed ogni cosa di lei appariva sempre più splendente. Piccoli cambiamenti impercettibili, ma al contempo visibili ad occhi altamente ricettivi. Il fiore rinvigoriva, la neve da cui era nato si stava sciogliendo irrorando la nuda terra che riposava sotto il suo candido manto, nutriva ciò che stava distruggendo. Ed era questo che provocava quel crescente splendore determinato dalla sua discendenza, mutava nell’aspetto come nell’anima. L’elfo colse l’occasione per iniziare a parlarle dei primi figli di Ilùvatar, quella che sarebbe diventata la sua gente, il suo popolo. Il racconto proseguiva assieme al viaggio trovando il suo svolgimento di giorno in giorno. Adamante vide il mondo con nuovi occhi, nessuno le aveva mai spiegato cosa in realtà fosse: quell’unico anno passato in compagnia del padre era stato sufficiente a poche nozioni, di più limitate agli aspetti pratici.

“Dove siete andata, piccola strega?” chiese il nano, riferendosi al momentaneo allontanamento della ragazza. L’ennesima notte lungo le rive del Rossacque, i tre viandanti attorno al fuoco stavano mangiando le provviste che avevano iniziato a scarseggiare. La diramazione con il Celduin si avvicinava, il paesaggio aveva quasi del tutto assunto i verdi colori del Forod | S – Nord |. Evitavano di percorrere la strada di notte, durante le ore nelle quali menti corrotte da Melkor preferivano scorrazzare, mascherate dalla loro pelle scura e nel loro ambiente naturale fatto di odio, oscurità e morte. Ma quella notte non era del tutto buia: piccole stelle si affacciavano timide sopra le loro teste. Cominciavano a comparire nuovamente e la loro luce confortante indicava l’avvicinarsi della benedizione di Varda.

“Ho preso dell’acqua, mastro Gimli, ed ho trovato delle acetose. Sono commestibili, si possono per esempio utilizzare per preparare una zuppa, cosa ben più importante sono le loro buone proprietà. Una volta ingerite faranno passare i vostri acciacchi, mio caro amico!” gli era costato molto al nano ammettere con la Guaritrice di risentire di qualche disturbo. Aveva piccoli dolori lungo la schiena, soprattutto alla base, provocati dall’ondeggiare profuso dello stare in groppa. La Guaritrice, mentre parlava sommessamente, strappò le foglie minuziosamente inserendole poi in una otre. Agitò per un po’ il suo contenuto e, dopo averla chiusa, la porse al nano. “Purtroppo non ho i miei strumenti con me qui, ma una notte di riposo nell'acqua dovrebbe bastare per trasferire le sue proprietà. Ingerite da domani mattina piccoli sorsi e vedrete che già all’imbrunire avvertirete un certo benessere!”

“Mi fido ciecamente, ho visto come le tue mani esperte sanno muoversi quando si tratta di aiutare il prossimo!” affermò il nano prendendo con sé l’infuso.

“Questo rimedio l’ho provato su me stessa, nano. Mio padre me ne faceva ingerire piccole quantità dopo che, nel tentativo di seminare le Ombre,distorsi il piede in maniera innaturale …” il suo sorriso venne nascosto dal tono triste con cui proferì quella frase.

“Cosa ricordi di allora?” molto tempo la voce di Legolas aveva allietato con racconti e canzoni, solo quando vide la ragazza avvolta da un’insolita aura di serenità si era azzardato nel chiederle qualcosa di Helluin.

“Non saprei indicare un filo conduttore delle mie memorie, heruamin.” Rispose con le lacrime agl’occhi, non per il dolore del ricordo ma per la nostalgia che provava per quel periodo felice, passato in compagnia di colui che l'aveva amata. “Il più delle volte eravamo costretti a nasconderci tra gli alberi e nel bosco. Non c’è molto da dire quando si viene braccati dalla propria famiglia.” La ragazza d’un tratto, portò la sua mano allo stivale ed estrasse il pugnale. La sua luce iridescente prese a splendere al contatto con l'ancora debole fulgore delle stelle. Il suo scintillio rifletteva un colore particolare, bianco sì, ma con delle sfumature turchese. Era come se anche il freddo metallo risentisse l’avvicinarsi della propria casa. I volti stupiti si erano fermati a guardare quello strano riflesso azzurrino che illuminava la pallida pelle della Guaritrice, la quale si riprese battendo più volte le ciglia. “Non ricordo mai di averlo visto combattere, piuttosto utilizzava la lama per estirpare piccoli arbusti e radici.” La Guaritrice nello sforzo di rinvangare il passato, passò con delicate carezze i polpastrelli sull’iscrizione del pugnale. Nimril. Helluin. Suo padre. Posò poi la lama ricurva accanto al suo fianco, seduta in terra con le spalle adagiate ad un tronco caduto forse con una tempesta. “Ricordo il suo volto e i suoi capelli castano dorati, si confondevano con i miei nei suoi abbracci notturni per tenermi riparata.” per un attimo incrociò lo sguardo con quello dell'elfo. Quell'immagine rispecchiava il comportamento del suo amato, che durante la notte la teneva stretta per non farle soffrire il freddo. Tutte le sere chiedeva all’elfo se la stella, di cui il padre portava il nome, era comparsa. Scrutò quindi il cielo, sollevando il naso verso l'alto “Non c’è ancora?”

“No, purtroppo!” rispose l’elfo, sollevando anch’egli gli occhi, confermando la sua supposizione.

“La sua voce. Questo sì lo ricordo come se lo stessi vivendo tutt’ora.” disse per tornare a guardare i suoi amici. “Forse mi prenderete per pazza ma la sua voce, quella bella voce che si elevava in lodi ed insegnamenti, mi ha sempre accompagnata da quando mi strapparono da lui! La posso sentire, mi ricorda costantemente chi sono e soprattutto cosa voglio essere. Credo che se non fosse stata con me, mi sarei arresa molto tempo fa ...” e tornò allora con la mente a quel giorno.

Si trovavano da soli nella foresta, la piccola bambina dai grandi occhi castani sedeva alle pendici di un grande albero. Helluin l’osservava irrequieto, cercando di non far trapelare le sue angosce ancora ingiustificate. La foresta aveva iniziato ad agitarsi, le fronde si muovevano con un vento insolitamente freddo per l’aria Rhûn, l’acqua urlava tra le sorgenti a cui soleva appoggiarsi in quel luogo troppo spesso privo di quel fondamentale elemento per lui e la sua stirpe. Ma l'elfo, che amava profondamente quella sua piccola creatura non ancora appesantita dai pensieri e dalla memoria, voleva evitare in lei troppa apprensione. Era nata da un inganno ma non c’era menzogna nei suoi occhi. Pura e delicata, lontana da quell’universo astruso a cui erano stati costretti. Oscuro era stato il giorno e così la notte. Grandi ombre si stavano condensando a Mordor, ben presto la sua nube tossica ed infetta avrebbe coinvolto tutta la Terra di Mezzo. E non solo a Sud nel regno dell'Oscuro Signore, anche nella foresta il buio si stava smuovendo con spettri combattenti. Nulla valsero le sue abilità di guerriero quando furono assaliti: vennero sorpresi al confine fra le desertiche sterpaglie delle Terre Selvagge e i grandi alberi della Taur en Gwaith. Delle urla animalesche riempirono l’atmosfera, piccole e letali guerriere lo avevano accerchiato.

“Ricordo quella notte, impressa come fuoco sulla mia pelle. Lo attaccarono da più fronti, invisibili attraverso l’oscurità. Mi aveva nascosto alle sue spalle, aggrappata disperatamente alla sua gamba cercavo di capire cosa stesse succedendo. Con il suo arco riuscì ad abbattere forse tre guerriere che come frutti maturi caddero dagl’alberi. Dentro di me ho ancora il rumore del metallo che stride contro il fodero nel momento in cui sguainò la spada. Quello era il suono che scandì la sua fine: lo accerchiarono in molte, diventando di loro possesso quasi immediatamente. Urlavo a gran voce ed in diverse lingue di voler tornare da mio padre pur di farmi capire, ma nessuno sembrava ascoltarmi. Implorazioni che furono accolte solo dai suoi occhi che si spegnevano nel fallimento di quello che era stato il suo tentativo di salvarmi.”

“Adar! | S – Padre! | ” gridava quella voce cristallina. Dal costato squarciato dell’elfo fiotti di sangue zampillavano. Ma nulla era il dolore in confronto a quelle lacrime luminose che sgorgavano dai suoi occhi innocenti. Lì, ad un passo dalle Aule di Mandos, sentì confondersi quel puerile lamento con un pianto dolce e consolatorio, il pianto di colei che unica poteva sopportare tutta la loro sofferenza. A Lei rivolse la sua preghiera, prima che dalle labbra il suo ultimo respiro si esalasse. Lacrime dolci, lacrime amare, lacrime che potevano donare una speranza. Non era stato il caso a guidarlo fino alle Gwaith ed Adamante era nata per uno scopo. Il pianto della Signora della Tristezza ne era una conferma, la luce dei Valar vegliava sul cammino di sua figlia come aveva fatto sul suo.

“Lasto i ninnad erto cen, ortho cîn faer Tirînir … | S – Ascolta il pianto unito al tuo, solleva il tuo spirito Tirinîr … | ” fu il definitivo sospiro dell’elfo che cadde sulle ginocchia, tenendo fra le mani la ferita mortale che gli era stata inferta. “Harto ad sell nîn, Nienna lasta i cîn daeg a linna angen. Togo au i rîn! | S –Spera ancora figlia mia, Nienna ascolta il tuo dolore e canta per te. Serba sempre il mio ricordo! |”

“Questo il mio ultimo ricordo di lui, il rosso del suo sangue sul torace mescolato a quello della sua veste color del muschio, la pelle candida del viso contratta e i suoi occhi spalancati, rivolti ad un cielo privo di stelle. L’ultimo ricordo mentre mi dibattevo tra le braccia di uno spettro, l’Ombra che mi riportò da mia madre e da mia sorella …”

“Deve essere stato terribile!” s’infervorò il nano. “Avevo capito fin da subito che le Ombre erano un manipolo di pazze esaltate! Ma costringere una bambina a vedere la morte del padre … No! Questa è una brutalità!” serrò il pugno in aria esternando la sua rabbia per quel racconto, brandendolo contro una minaccia fantasma.

“Quel mondo si andrà estinguendo, mastro nano, e le sue torture sono già cessate. Non mi preoccuperei per loro, ora che Raja ha preso il comando! Mi fido della mia Storica.” affermò Adamante soffermandosi sugl’occhi plumbei dell’elfo. Era terribilmente turbato dalla narrazione così veritiera e piena di sentimento che aveva appena ascoltato.

“La morte può indicare la fine o un punto di partenza, Gimli, dovresti saperlo.” Intervenne poi, afferrando la spalla della ragazza che sedeva accanto alle sue gambe, ai piedi del tronco dove ivi si trovava. “È stato solo il suo corpo ad essere ucciso e chissà se un giorno non venga concessa l’opportunità di rincontrarvi.”

“Per ora mi accontento di conoscerlo attraverso i tuoi racconti, Legolas!” rispose carezzando il dorso della mano adagiata su di lei per conforto.

E così i giorni passarono scorrendo davanti al loro cammino, scoprendosi sempre più interessati delle reciproche storie. Da queste Adamante apprese degli Ainur e della Musica dei potenti spiriti che disegnò l’Universo con Arda come centro di esso, il tradimento di Belegurth, della sua cacofonia nell’armonia dei Valar e l’oscurantismo che regnò sotto il suo influsso. Poi ascoltò della nascita degl’elfi, dei Silmaril e del ratto che portò a sangue, lotte fraticide e distruzione. Giunsero a Sauron primo vassallo di Morghot, il maledetto da Fëanor, seguito dalla forgiatura degl’Anelli, l'inganno a Celembrimbor e di come l’ Unico venne alla luce. Legolas descrisse con cura tutta la strada che portò alla distruzione del corpo fisico di Sauron, il quale vagò però come spirito fino alla sua resurrezione. Parlò dell’Ultima Alleanza di Uomini ed Elfi e di come l'Anello comprò il cuore di Isildur, corrotto infine dal suo sconfinato potere. La cavalcata proseguiva senza eclatanti emozioni, bastavano i loro racconti a far vivere avventure e ciò che li circondava sembrava mutare all’argomento trattato. Il cielo piangeva al canto di Beren e Lùthien, la bella fanciulla elfica che per amore rinunciò alla sua immortalità, ma cantava quando la luce di Telperion e Laurelin illuminava Aman.

“Era di pura fiamma mia signora, mai una simile cosa avevo visto!” stava spiegando Gimli tenendosi alle spalle di Legolas. Da tempo ormai sedeva con l’elfo in groppa a cavalli, eppure non aveva alcuna intenzione di imparare a montare un destriero.

“Di certo, nel nostro viaggio verso Mordor, molte creature spaventose abbiamo potuto ammirare.” Sostenne l’elfo che aveva lasciato al nano l'onere di narratore.

“Ma il Flagello di Durin è stata senza dubbio la più inquietante, principino. Durante la notte mi capita di ricordare le lingue di fuoco dibattersi sulle sue carni, non erano confortanti come può essere quello che usiamo per scaldarci, era un fuoco dal fumo nero, non trovo parole per descriverlo! Se non fosse per il mio costante pensiero rivolto alla bella Dama di Lòrien, mi sveglierei urlando!” ed era così. Persino il coraggioso e fiero nano aveva subito un brivido di terrore nel ricordo di tale mostruosità, partorita dalla crudeltà più nera.

“Che io sappia, dai racconti che possono essere giunti alla Taur en Gwaith, poi siete arrivati al bosco della Dama dei Galadhrim se non sbaglio …” disse la ragazza cercando di ricordare gli avvenimenti che le cronache potevano portare tra le sue genti.

“La storia del Portatore dell’Anello è giunta fino a voi, dunque?” chiese Legolas davvero incuriosito. Non era forse un mondo isolato quello in cui viveva prima?

“Poco in realtà. Le notizie ci giungevano dal Khand oppure dalle nostre spie ai confini. Il più delle volte erano falsate dal passaggio di troppe bocche e malelingue. Inoltre, essendo nel cuore del territorio nemico, avevamo ben altro a cui pensare.” Rispose amaramente. Quando la malvagità di Mordor cresceva, il vicino Mare del Rhûn ne risentiva così come i pochi abitanti contrari alla supremazia di Sauron. Le Gwaith dovevano difendere i loro bastioni di foglie e spesso erano in guerra contro gli orchi che volevano assoggettarle. “Riuscimmo a captare le informazioni più veritiere a fine della Grande Guerra dell’Anello, qualche sommo capo della storia che mi state raccontando, di certo molto più affascinante detta da chi l’ha realmente vissuta!”

“L’impresa è stata ardua, piccola strega. Molto è valso il sacrificio compiuto: grande gloria e onori ci hanno ricoperto quando Re Elessar venne incoronato, incredibili doni di cui portiamo ancora il gradevole peso …” e dicendo questo il nano batté la sua mano sul cuore, dove era solito custodire i capelli regalo di Galadriel, la luminosa Dama di Lothlòrien.

“Non dimenticare le nuove amicizie, quelle sono state la miglior conquista!” Prima che il Portatore della Ciocca potesse replicare davanti ai compagni di viaggio si aprì un mutamento nuovo. Legolas arrestò il suo cavallo con un movimento dolce, contemporaneamente anche la Guaritrice si fermò al suo fianco. Insieme presero ad osservare quel luogo, ma la ragazza non distinse cosa in realtà aveva distratto l’elfo.  Avevano attraversarono la sponda del Flutti alcuni giorni precedenti a quello, approfittando di un guado in prossimità della diramazione con il Carnen, avvicinandosi sempre più al Reame di Re Thranduil.

“Legolas, man cenich? | S – Legolas, cosa vedi?| ” chiese Adamante preoccupata, cercando ancora di uniformare la sua vista a quella del suo compagno.

“Che caso fortuito ci ha condotto qui! Osservate amici miei, questa è Men-i-Naugrim!” rispose l’elfo.

“Come è possibile? Io non vedo altro che alberi e cespugli! Come fa questa ad essere una strada, Legolas?” affermò sorpresa Adamante, guardandosi attorno con uno sguardo ampio e pieno di curiosità. Legolas si beò di quella meravigliosa curiosità, amava quell’aspetto della ragazza che ancora non aveva imparato tutto.

“Se osservi meglio tra quei cespugli, Melamin, noterai i fiori gialli Elanor spuntare!” disse compiaciuto. La fanciulla smontò da cavallo e con passo deciso si avvicinò a quel piccolo stelo che sorreggeva la corona del bel fiore. “La magia degl’elfi li hanno trasportati fin qui da Lòrien, permettendogli di sopravvivere ai climi rigidi del Nord e alle nefandezze delle creature malvagie che abitavano in questi boschi. Segnano la via per attraversare il Bosco Atro!”

“Non ho mai avuto il piacere di ammirarli se non tra le illustrazioni del diario di Helluin, come avete fatto ad accorgervene?” chiese sorpresa Adamante, ancora chinata sul fiore contemplando la sua forma nel ricordo delle linee tracciate dal padre. Le domande avvenivano naturali, spontanee dal cuore della fanciulla in un atteggiamento sempre pronto alla curiosa voglia di conoscere. In quello si poteva rispecchiare la giovane età della Peredhel, risucchiata troppo spesso dagli eventi e avvizzita per i dolori inferti alla sua memoria.

“Ancora lunga è la strada per te, molto il tuo spirito deve imparare per acquisire tutte le capacità insite nel tuo essere, mia Envinyatarë …” in tutta quella conversazione, che continuò tra parole elfiche e correnti tra quelli che erano insegnate ed allieva, il nano era rimasto meditabondo e taciturno. Sapeva che addentrandosi nel bosco avrebbe intrapreso la Via dalla parte sbagliata, Erebor era nella direzione opposta a quella che i due elfi dovevano affrontare. Rimuginò per alcuni istanti, ma quando la Guaritrice tornò sui suoi passi per rimontare a cavallo giunse il momento di parlare.

“Credo che sia ora di dividerci, amici miei!” disse con tono sconsolato, così lontano da quello tipico del nano. La ragazza si fermò con ancora un piede nella staffa. Lentamente lo tolse per voltarsi, gli occhi lucidi dal dispiacere brillarono quando anche Legolas scese dalla sua cavalcata per aiutare Gimli. “Non metterete su il broncio, piccola strega! Sapevi che sarebbe accaduto!”

“Non così all’improvviso, né così presto, mastro nano!” rispose prontamente. Gimli si lasciò sfuggire una risata osservando Adamante accucciarsi, ritrovandosi viso contro viso con il nano. Aveva questa tendenza a voler guardare in volto con chi parlava, nessuno doveva sentirsi superiore, atteggiamento frutto delle migliori teorie delle Gwaith. “Perché non condividete con noi ancora qualche giorno di viaggio, penso che …”

“No!” l’interruppe il nano, imponendo con forza ma anche con dolcezza la sua voce. “Piccola strega, già troppi dì di cammino mi hanno allontanato da Erebor. L’abbiamo avvistata per la prima volta almeno cinque giorni orsono. La mia dimora non è tra gli alberi, ma sotto la roccia. Non tentate invano di convincermi, sarebbe solo fatica sprecata!”

“Quanti addii ho dovuto affrontare a costo della mia libertà, amici vecchi ed amici nuovi dispersi per la Terra di Mezzo!” disse con rammarico Adamante, rivolgendo lo sguardo al suolo. Era stanca di staccarsi dalle persone a cui si affezionava. Ma le rudi dita del nano si posarono sotto il suo mento per sollevarlo, incontrando quelle magnifiche perle autunnali che aveva tra le ciglia.

“Questo non è un addio! Dovrò pur controllare di come ti prendi cura del principino con le orecchie a punta! Sai che da solo potrebbe perdersi!”la barba lo nascondeva, ma quello che aveva sulle labbra era l’ombra di un sorriso lo stesso che si trovava anche su Legolas. Per quell’occasione aveva abbandonato persino il suo modo burbero di porsi, non disprezzando l’affetto dimostrato dalla ragazza.

“La prendo come una promessa allora! Ci rivedremo, così potrai controllare il tuo amico!” la Guaritrice si ritrovò ad abbracciare il nano di slancio ed inaspettatamente. Gimli, preso alla sprovvista, si tinse di un bel porpora sulle gote, rispondendo con timidi buffetti sulla schiena della ragazza. Non era di certo quello che si aspettava e probabilmente non avrebbe mai ammesso il piacere provato per quel gesto, ma in fin dei conti quello era un bel modo per salutarsi. sicuramente meglio di fiumi di lacrime.

“E sia, piccola strega!” disse soddisfatto di averla convinta. “Ma che ne dite ora di lasciarmi respirare!” alla protesta scontrosa del Portatore della Ciocca, la ragazza smise di stringere indietreggiando di un passo mentre si rialzava dalla scomoda posizione. Non riusciva a trattenere il riso, tanto che fu costretta a mascherare le labbra dietro le lunghe dita.

“Vuoi portare un cavallo con te Gimli?” solo allora s’intromise Legolas, rimasto discreto ad attendere il suo turno. “Noi due potremmo tranquillamente montare lo stesso …”

“No, no, no!”si affrettò nel dire agitando le mani di fronte al viso. Fu così veloce che quasi sembravano la stessa parola. “Non sia mai che vi privi inutilmente di questi nobili destrieri! Le mie gambe, seppur corte, hanno decisamente bisogno di camminare per conto proprio!”

“Permettimi di consegnarti almeno la borsa con  una coperta e questo poco pane rimasto, mastro nano! Non è molto ma sempre meglio di nulla!” disse la fanciulla sganciando la bisaccia attaccata al proprio cavallo per donarla al suo amico. Quella proposta proprio non se la sentì di ignorarla e, dopo averli sistemati per poterli portare senza inciamparci con i piedi, si diresse verso Legolas. Sfoggiava uno splendente sorriso nonostante fosse dispiaciuto per la separazione.

“Sei sempre sicuro di non voler prima giungere nel Reame Boscoso? Mio padre sarebbe felice di donare una scorta ad un mio amico …”disse verso Gimli che scuoteva la testa ancor prima di rispondere.

“Sono sicuro, amico mio! Sai bene che sono in grado di difendermi! Basta con tutte queste preoccupazioni da madre apprensiva, sono uno dei Nove io!” i due si afferrarono i polsi reciprocamente, per rispetto allo spirito del nano non c’era nessuna smanceria superiore a pacche amichevoli. Rimasero ad osservarsi rinfrancati che quello effettivamente non sarebbe stato un distacco definitivo, bensì il punto d’inizio per ricostruire le loro vite dopo la guerra, con un bagaglio sempre più appesantito. Non erano necessari addii strappalacrime e tragedie per esprimere ormai il profondo sentimento d’amicizia che esisteva tra i due, erano legati e niente, nemmeno la distanza poteva influire sul loro rapporto.

“Namarie, mellon nîn! Aa' menealle nauva calen ar' malta ar i calad uin Valar tinna! | S – Arrivederci amico mio! Che il tuo cammino possa essere verde e dorato e che la luce dei Valar [lo] illumini! |” il nano si lasciò scappare uno sbuffo, continuava a non capire quella cantilenante lingua dai suoni aggraziati, eppure Legolas si ostinava a rivolgersi a lui così. Iniziò a borbottare stizzito nella sua lingua natia, ancorando la sua ascia alla schiena e voltandosi per prendere la via che lo avrebbe ricondotto a casa.

“Quasi dimenticavo!” non erano trascorsi che pochi passi prima che tornò indietro giusto per farsi udire al meglio. “Sai principino, anche se hai molti anni davanti a te attento ad aspettare troppo! Non vorrei che la fortuna …” marcò quest’ultima parola rivolgendo la coda dell’occhio alla ragazza. “ … decidesse di prendere il largo! Spero di ricevere buone notizie al più presto!” concluse la sua arringa con una grassa risata, riprendendo infine il suo cammino sull'Antica Via Silvana.

 

Così il nano lasciò la compagnia. Nessuna lacrima fu versata per quella che era una promessa di ritrovarsi. Ora i due elfi iniziarono ad avviarsi verso quella che era la propria casa, soli in quella via impervia che li avrebbe guidati presso il Re dalla chioma dorata e la sua Regina. Lì li attendeva una vita nuova e il loro Destino, che doveva solo affermarsi come congiunto. Ebbene miei amici, il viaggio si andrà concludendo e voi vi troverete a chiedervi cosa accadrà! Attendete or dunque che io possa ricordare bene, per potervi narrare della famiglia finalmente riunita e chissà cosa ci attende amati commensali. Non mi resta che brindare alla vostra pazienza e vedervi fremere per quello che avverrà.

 

Note dell'autrice: Eccoci qui! So che ci metto di più ma ho troppo caldo e il computer genera calore e ogni tanto mi stacco per lavorare! Che dire, capitolo di passaggio che determina la separazione tra Gimli e Legolas. L'ho immaginata esattamente così,, senza troppe smancerie, in fin dei conti stiamo parlando di due cavalieri di cui uno è un nano, anche se un pochino con la ragazza si è sciolto. L'affetto viene esternato da piccole premure come la frase di accomiato rivolta da Gimli e la proposta di Legolas di seguirli per avere una scorta. Volevo comunque mantenere uno stile sobrio e virile di questo addio, niente pianti a dirotto e niente dolore, a differenza di quello che alla fine era stato con Raja di un altro livello, perchè in quello c'era un abbandono anche di un vissuto. Spero che abbiate apprezzato, ovviamente. Il fiore Elanor, sull'Antica Via Silvana è stata una mia licenza poetica. Ho immaginato che potesse essere un modo carino di riconoscerla dopo che era stata abbandonata per tutto il tempo che il Bosco Atro aveva portato questo nome. In realtà questa pianta è presente a Lòrien e il suo significato è stella sole. Questo è un altro piccolo riferimento al fatto che a lungo le foreste erano state infestate da creature maligne, ma sempre una speranza c'è stata di liberarle in fondo.

Ho dato una letta ma domani mattina rivedrò il capitolo per definire le correzioni^^! Perdonatemi, la sera sono sempre un po' stanca! E so che mi possono sfuggire molti errori!

 

Thiliol: Sapevo che avresti apprezzato proprio grazie ai tuoi scritti ^^.  T i farà piacere sapere che uscita dal mondo dell Gwaith ora mi addentrerò di più in quello meraviglioso degl'elfi e spero che si noti lo scatto progressivo che sto facendo volgere alla storia. Mi piacerebbe farti sentire, a te come a tutti i lettori, di più la saggezza degl'elfi, il loro amore per la natura, insomma dare a Cesare quel che è di Cesare, rimanendo pur sempre sul mio modo di narrare. Spero che riesco a farvi vivere la maturazione che Adamante subirà  contatto con gli elfi allo stesso modo in cui la narrazione cambia. ^^ Comunque il passato torna sempre e ci saranno soprese amare e non. Non dico altro altrimenti rischierò di rivelarti la trama, non penso che tu voglia rovinarti la sorpresa. GhGhGh! Grazie per l'info sulla mammina di Legolas, è importante sapere se posso reinventare un personaggio che in realtà non esiste. Mi sei stata molto d'aiuto anche così!!! Quel du Mellon nin! Buona notte amica mia!

Ringrazio sempre tutti coloro che mi seguono! Spero di non deludervi!

 

Sempre la vostra pseudoscrittrice!Malice

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Capitolo 15
*** CAPITOLO XIV: Rynd ned in Eryn Lasgalen. ***


CAPITOLO XIV: Rynd ned in Eryn Lasgalen.

Altri due giorni passarono dalla separazione con il nano, gli elfi avevano attraversato per gran parte della Men-i-Naugrim costeggiando la catena collinosa degli Emyn- nu- Fuin, dove grandi abeti  ricoprivano gli alti versanti dei monti. Insieme superarono i Monti del Bosco Atro raggirandoli per dirigersi verso il Nord. Legolas si muoveva sapientemente tra le quelle che potevano sembrare strade uguali agl’occhi di un inesperto, casa invece dell’elfo. Anche la Guaritrice si trovava a proprio agio seppur quella non fosse la foresta in cui era cresciuta.

La loro armonia crebbe in quel viaggio, aiutata dalla compagnia solitaria dell’uno e dell’altra. Si trovarono ben volentieri a discorrere su qualsiasi cosa incontrassero, alcune volte preferivano addirittura cavalcare placidamente per poter osservare al meglio ciò che li circondava. Dietro ogni inezia si nascondeva  un significato o una storia, in alcune occasioni montavano lo stesso cavallo per sentirsi più vicini o quando magari la fanciulla, ancora sulla via della crescita, risentiva del sonno approfittando della rassicurante stretta dell’elfo. Le piaceva essere cullata dalle sue braccia e dal suo profumo intenso, una fragrante mescolanza dell’odore del muschio e del miele. Legolas invece traeva beneficio quando sembrava infondergli una sorta di salubre quiete mentre riposava.

Ormai ne era sicuro: quel formicolio gradevole che avvertiva dalla sua ferita ogni qual volta che le palpebre della Guaritrice si socchiudessero, era dovuto alla serenità con cui piombava nel sonno profondo negl’ultimi tempi. Non seppe il motivo e poco gli importava, il collegamento tra lei e quello stato ameno che percepiva ogni qual volta dormiva era il segno meraviglioso della sua crescente felicità. Forse peccava di superbia, ma sperava che questo progressivo allontanarsi dal mondo delle Gwaith fosse anche per merito suo. Percorsero i sentieri in pochi giorni, alternando ben poche interruzioni alla loro marcia. Raggiunsero infine uno strano fiume. La sua portata trascinava turbinose acque scure che si evolvevano in gorghi e mulinelli, le correnti profonde cozzavano contro le rocce fissate ai lati del suo letto e alle pendici delle montagne. Avevano deciso di far riposare i cavalli lungo la riva, per riprendere il cammino poco dopo. Da quando Gimli non era più con loro avevano affrettato il passo, avvalendosi della resistenza alla stanchezza ben più forte di qualsiasi altra creatura della Terra di Mezzo. D'altronde vicino alla propria meta nessuno si tirerebbe indietro dal compiere lo scatto finale, cercando di raggiungerla il prima possibile superando persino la propria forza.

 Il senso opprimente che attanagliava i loro cuori si era praticamente dissolto in una nuvola vaporosa e nella bella fanciulla molto era tornato alla lucentezza originaria. L’aspetto emaciato del suo consueto pallore era tornato ad essere un chiarore niveo, quasi trasparente per quanto risultava raggiante, i capelli parvero cresciuti raggiungendo ben oltre la metà della schiena e la loro lunghezza era segnata da ordinate, morbide onde, il loro colore variava dalle tinte calde dell’oro a quelle più scure della terra indicando le due stirpi da cui proveniva. Ma gli occhi, coloro che risentono più di tutto dell’influenza dell’anima, erano spesso attraversati da uno sfavillio abbacinante che variava la loro sfumatura traendo spunto da quelle delle foglie autunnali, accentuate da auree pagliuzze che impreziosivano sempre più il suo particolare sguardo.

“Aspetta Tirînir!” gridò Legolas vedendo la ragazza con l’otre quasi del tutto vuota tra le mani avvicinarsi al fiume. Con passi leggeri e lesti raggiunse Adamante, che lo guardava spaesata e confusa. Non sapeva il perché del suo grido concitato, quasi fosse un rimbrotto educato ad un suo errore. “Queste acque non sono adatte al nostro abbeveraggio! Fidati arweamin! | S – Mia signora! |”

“Ho fatto qualcosa di sbagliato?” chiese preoccupata. L’elfo si limitò a sorriderle prendendo lui l’otre ancora tra le mani della ragazza. In quell’azione sfiorò le dita di Adamante, la quale rimase quasi folgorata dall’intensità con cui la guardava. Poteva essere abbracciata per tutta la notte, ma ogni volta che si trovava a stretto contatto con lui le sue gote risentivano della fuliggine rosa che vi si andava a posare.

“No, melamin, non hai fatto nulla di sbagliato!” sussurrò soavemente, non riuscendo a disincantarsi da quei begl’occhi scuri che l’avevano catturato. “Quello è il Gûlduin, meglio conosciuto come il Fiume Incantato. Non è consigliabile abbeverarsi con la sua acqua, una magia governa i suoi cupi flutti costringendo ad un’insana sonnolenza chi osa berne anche soltanto un sorso, mia dolce Envinyatarë!” erano così vicini che potevano sentire entrambi i loro respiri mescolarsi e condensarsi nell’algida aria del nord, non resistette quindi l’elfo dal posare gentilmente il palmo sul collo della fanciulla per attirarla a sé. Era assai ardito da parte sua un tale tentativo ed era così raro per un elfo lasciarsi trasportare troppo dai propri sentimenti, tanto da sentire costantemente il bisogno di averla fisicamente accanto.

Con prudenza, timoroso quasi avesse la paura di spezzarla, avvicinò il viso a quello di Adamante che subiva accondiscendente e spaesata le attenzioni del suo principe. Sentì il suo corpo tremare, attraversato da un brivido nonostante fosse coperta dal suo solido mantello. Chiuse le palpebre, cercando di governare il tumulto interiore che aveva iniziato a torcerle le viscere e a farle scalpitare come un cavallo al galoppo il cuore. Erano quasi immobili, ad una distanza praticamente inesistente da cui si riusciva a percepire perfino la morbidezza reciproca delle labbra dell’altro e titubavano come se quella fosse la prima volta. Legolas osserva di sfuggita Tirînir alla ricerca del dubbio, ma l’unica cosa che riusciva a vedere erano quei petali rosei dischiusi in un sospiro carico.

“Co … come mi hai chiamata?” chiese allora la ragazza con la voce spezzata dalla situazione. L’elfo rimase interdetto da quella domanda sorta nel momento meno opportuno e si discostò giusto quel poco che gli consentiva di poterle osservare gli occhi.

“Come?”

“Cosa significa Envinyatarë …” bisbigliò aprendo lentamente le palpebre. Non riusciva però a calmare l’affanno che le provocava la così stretta vicinanza con Legolas.

“Quello che tu sei, il tuo ruolo. Guaritrice, non solo di ferite. Hai preso anche la mia anima e l’hai resa nuova …” provò ancor più cauto ad avvicinarsi, mormorando così a pochissima distanza dalla bocca della ragazza per attendere un suo consenso. “Envinyatarë òrenya, rinnovatrice del mio cuore …” non c’era più ragione d’indugiare, Legolas lasciò cadere l’otre che ancora si trovava nell’altra mano e prese quel bacio che attendeva. Sfiorò le labbra della ragazza che si abbandonò allacciando poi le braccia al suo collo. Troppe emozioni la stavano coinvolgendo, facendole vorticare la testa. Uno strano rumore alle loro spalle però interruppe l’intimità appena creatasi. Di malavoglia Legolas si distaccò da quello slancio ardente di passione che aveva avuto, per concentrarsi su quella improvvisa seccatura. Entrambi sapevano riconoscere bene tracce e suoni, abili cacciatori e dotati di sensi sopraffini. Avevano capito fin da subito che quel mormorare chiassoso poteva provenire esclusivamente da qualcosa di molesto e poco amichevole. Si scambiarono uno sguardo che non aveva bisogno di parole, Adamante sguainò la spada quasi contemporaneamente a Legolas che indossava la faretra con il suo arco. Si mossero silenziosi come felini verso la provenienza di quel gorgogliare sgradevole, accucciandosi nascosti da un arbusto per osservare quello che si era rivelato un grave contrattempo.

“Ah, Búrzukh! Sei un incapace, ci costringi a spostarci di giorno brutto idiota! Da quando sei tu a dover comandare?” urlava uno con voce gracidante. Le gambe corte e deformate erano la parte più visibile ai loro occhi, le mani scendevano una più in basso dell’altra, la pelle scura e bitorzoluta e la fisionomia grottesca delle sue fattezza non lasciavano dubbio. Un piccolo gruppo di orchi, fuggiaschi di Dol Guldur dopo che l’egemonia degl’elfi riprese quello che ormai non era più un antro oscuro e tenebroso. Vigeva evidentemente del malcontento fra di loro, sembravano in procinto di una zuffa. Un altro era in piedi di fronte a quello che borbottava e stringeva fra le sue mani una spada arrugginita e scalfita, non lesa dalla sua abilità assassina. Gli altri intorno eccitavano gli animi esagitati dei due contendenti, con improperi a favore dell’uno o dell’altro.

“Pensi di essere meglio tu Ruzmazh, che non sai nemmeno dove siamo e sai solo lamentarti!” gli insulti che ne seguirono non possono essere riprodotti in tale sede, sappiate solo che il vostro boccone miei signori, si fermerebbe nella vostra gola costringendovi a bere con gran sorsi. Proseguirono nell’animata litigata, mentre i due elfi continuavano a studiare la situazione.

“Sembrano più di una ventina, ventuno al massimo …” sussurrò Legolas ben attento a non farsi udire da tali orripilanti bestie. Proprio mentre stava affermando ciò, i due goblin iniziarono a combattere urtando le loro spade con colpi vigorosi e confusionari. Il loro modo di lottare era completamente sconclusionato e primordiale, senza esclusioni di colpi, nemmeno quelli più vili e bassi. Ad un tratto quello che si chiamava Ruzmazh riuscì a raggirare il suo attuale nemico, colpendolo poi dietro le ginocchia per farle cadere rovinosamente a terra. Con un colpo secco decapitò l’altro accrescendo l’esaltazione degl’altri, che acclamavano chiassosamente altro sangue. Eppure c’era qualcuno che non era d’accordo.

“Ma bravo Ruzmazh, ora chi ci guiderà alle Montagne Grigie? Tu che non sei capace nemmeno di trovare il naso in mezzo alla tua faccia!” ma quella replica di uno dei servi di Sauron venne azzittita con lo stesso trattamento riservato a quello che si chiamava Búrzukh. La testa saltò al contatto della lama, rotolando fino ai piedi del cespuglio dove gli elfi rimanevano a spiare quelle scialbe e crudeli creature. Altre grida compiaciute si levarono in favore dello sterminio dei due loro compagni di viaggio.

“Bene ora sono diciannove. Sono sul nostro cammino?” chiese la ragazza determinata.

“Sì, ma possiamo attendere che si allontanino …” bastò un solo istante in cui l’elfo voltò i suoi occhi distrattamente ed Adamante era già sparita. Chiamò pacatamente il suo nome ma non vi fu risposta. Una strana sensazione di ansia avvolse il cuore dell’elfo, mille domande presero padronanza dei suoi pensieri. Dov’era e cosa aveva in mente? Quanto avventata poteva essere stata in una situazione comunque critica? Guardava nervoso tutto lo spazio circostante con l’affanno di chi teme per la persona amata, poi il suo sguardo si posò su di uno strano bagliore turchese. Si trovava fra i rami più bassi di un faggio ben piantato, accucciata e coperta dall’ombra delle sue fronte, il cappuccio tirato sul viso e la cappa a coprirle l’intero corpo. La spada era stata posta nuovamente nel fodero, di cui si vedeva solo la sagoma attraverso la stoffa del mantello. Il cuore dell’elfo iniziò a martellare freneticamente contro il suo costato, la pulsazioni erano continue fin dentro la propria testa, ripercuotendosi come una mazza sulla pelle tirata di un tamburo. Mentre ancora il tripudio tra le scomposte file di orchetti imperversava, Adamante si calò alle spalle di uno di loro penzolando dal ramo con la testa rivolta al suolo. Quello era il modo di combattere delle Gwaith silenziose e letali, ti colpivano quando meno lo aspettavi anche senza aspettare che uno si voltasse per vedere faccia a faccia il proprio nemico. Nimril lacerò la gola del malcapitato ed Adamante era già scomparsa di nuovo. Fulminea si trovava ora sulla testa di un altro orco, si muoveva tra gli alberi come se fosse sulla terra ferma, forse anche più agilmente. Legolas, seppure rapito dall’angoscia, ebbe la sensazione di essere stato fortunato quella notte a Fargon. Se le Ombre avessero solo voluto ucciderlo non ci sarebbe stata occasione nemmeno di difendersi. Non ne faceva una colpa alla ragazza, allenata a quel modo spietato di combattere , ma di sicuro la vicinanza con Mordor era lapalissiana nelle sue movenze aggraziate. Al quarto orco ucciso per sua mano gli altri si accorsero di essere stati appena attaccati, tutti sfoderarono le proprie armi cominciando guardinghi ad alzare lo stato d’allerta.

“Ohi, ohi!” disse uno. “Siamo preda di qualche stregoneria elfica! Sono già remoti i bei tempi in cui potevamo scorrazzare tra ragni e altre infime bestie!” fu allora che la Guaritrice scese dagl’alberi senza dire nessuna parola, rimaneva immobile al lato del gruppo attendendo che si accorgessero della sua presenza. Il suo odore attirò il primo che lento si voltò seguito dagl’altri. Lei aspettava ferma come una statua con il cappuccio ancora calato sugl’occhi, fredda come il marmo mentre Legolas moriva vedendola in quel gruppo di orchetti da sola, le sue braccia erano completamente paralizzate dal terrore di quello che voleva compiere la propria amata.

“No, non siamo preda di una stregoneria elfica!” disse allora quello più vicino alla ragazza che ancora restava statica nella sua posizione, senza afferrare l’elsa della spada utile a difendersi in caso di attacco improvviso. “Piuttosto abbiamo una visita di una bella signorina, che onore!” scimmiottò un inchino sputando le parole con disprezzo.“Proprio nel momento più giusto avevo un certo languorino di carne fresca, morbida e saporita!” provò ad avventarsi su Adamante ma una freccia colpì la sua gamba facendolo cadere esattamente sulla punta della spada della ragazza, rapidamente sguainata contro quella bestia asservita al male più nero. Lo trapassò da parte a parte, ricoprendo tutta la lunghezza della lama con il suo sangue pisto e lasciando gli astanti in un mutismo scioccato. Ed iniziò così l’attacco contemporaneo di due orchetti ai danni della Guaritrice, il loro urlo sguaiato squarciò il silenzio mentre si scagliarono su di lei, l’uno con una mazza ferrata l’altro con una strana spada ritorta ed arrugginita. La ragazza con un passo laterale riuscì a riparare il suo fianco portando la spada parallela al suo busto, fermando un colpo tondo inferto dall’orco  ( nda: colpo di difesa: Puntata  ) per poi sparire a quello con la mazza con uno slancio all’indietro. Ingaggiarono il combattimento con modi contrapposti di lottare, basati su due fronti aversi: velocità e strategia contro potenza forza bruta. La spada e la mazza cercavano in tutti i modi di colpire la fanciulla che sembrava sfuggire come se fosse ricoperta di olio. La sua difesa era eccezionale ma i suoi attacchi spesso erano infruttuosi. Il peso troppo sbilanciato e la forza appena sufficiente a scalfire la forte corazza che li ricopriva. Chi poteva avere la meglio, allora? Legolas scagliava frecce come se fossero pioggia e si difendeva con il proprio pugnale nei combattimenti corpo a corpo puntando ai punti deboli delle armature sul collo e sotto le braccia. Ma erano in tanti e troppo disperati per due soli combattenti. La Guaritrice era riuscita ad atterrare il suo avversario con l’arma da botta ed ora si trovava ad affrontare quello più abile, cercando di evitare gli ulteriori attacchi da parte dei suoi sottoposti. Non vi era più distanza fra i due avversari, il fetido fiato dell’orco si riverberava sul pallido viso della fanciulla che cercava di opporre con tutte le sue forze quella del nemico, ormai con le lame legate ad incorniciare l’immondo viso della creatura. Fu costretta a piegare la schiena tanto la sopraffazione la stava per cogliere, quando imbroccò con il pomo sul naso del rivale, che fu costretto ad indietreggiare per il tremendo dolore arrecato (nda: imbroccata = affondo portato sopra la lama avversaria generalmente indirizzato a gola, viso o spalle. In questo caso non viene dato di punta ma con il pomo della spada). Troppo occupato a tenersi il volto ancor più tumefatto dal colpo, non si accorse della spada che lo stava trapassando tra le costole. I due elfi ad un tratto si trovarono spalle contro spalle, accerchiati da più orchi di quelli che avevano precedentemente visto. Avanzavano mentre ridevano contenti di averli in pugno, alla loro inesistente mercé.  

“Non avevi detto che erano una ventina al massimo!” chiese Adamante con un velo di cinico sarcasmo.

“Evidentemente gli altri erano nascosti!” rispose freddamente. “Se avessi avuto la pazienza di aspettare, probabilmente li avremmo visti!”

“Io … volevo solo …” e le parole le mancarono udendo con quale delusione l’elfo le si era rivolta. Sapeva che aveva perfettamente ragione, si era comportata come un’Ombra ma non era più alla Taur en Gwaith, questo avrebbe potuto significare la fine per loro circondati da un gran numero di orchi. E mentre ripensava alle parole rigide ed aspre di Legolas una freccia fece cadere a terra uno tra le prime file, trapassando il suo cranio come burro. Lo scalpitio di zoccoli divenne forte e fece tremare la terra sotto i loro piedi. Il contingente di orchi iniziò a spargersi nel tentativo di fuga ma venne sopraffatto in poco tempo dagl’elfi a cavallo che erano accorsi. Legolas strinse la mano della fanciulla alla sua, per quanto fosse in collera era contento che la faccenda si stesse volgendo al meglio. Gli orchi vennero cacciati ed uccisi, nessun disperso sopravvisse dalle urla che si poterono udire e mentre ciò avveniva un elfo si avvicinò ai due smontando velocemente da cavallo.

“Mae tollen a bâr Legolas Thranduilion! | S – Ben arrivato a casa Legolas  figlio di Thranduil!| ” disse a gran voce inchinando il capo verso il principe. Assai alto e vestito di bianco, riluceva di una luce abbagliante. Rivolse uno sguardo alla ragazza per poi osservare le mani intrecciate, non si avvisò subito dell’appartenenza di ella agl’Eldar. La confuse con un’appartenente della linea secondogenita di Ilùvatar, il suo aspetto era troppo affine agli umani ed i capelli coprivano le particolari orecchie segno indelebile della provenienza del suo sangue, confondendo il nobile elfo. Decise quindi di parlare nella lingua corrente, per non escludere dalla conversazione l’ospite a cui Legolas sembrava particolarmente legato . “Fatto un buon viaggio di ritorno?” chiese cortese non rivolgendosi comunque a salutare Adamante che, intimorita, si strinse al braccio dell’elfo. Quanti atteggiamenti contrastanti: da spavalda Ombra a timida fanciulla.

“Non proprio Haldir , andalu i ven … | S -  La via [è] molto pericolosa! |” rispose pacato Legolas che ricambiò l’inchino abbassando il capo. “Man tôg sì Edhelrim o Lòrien? Gwennin in enninath in atrrannem in edrain tîn. | S – Cosa conduce qui gli Elfi di Lòrien? Sono passati lunghi anni da quando attraversarono i loro confini. | ” chiese infine. Haldir rivolse uno sguardo interrogatorio verso Adamante osservando i suoi occhi vaghi ed ambigui, la studiava perché non comprendeva a pieno il comportamento del principe. Chi era costei così disperatamente aggrappata al braccio del principe? Perché lui si sentiva libero di parlare di fronte a quella donna? Per quanto gli anni dell’oscurità erano sulla via del tramonto, troppe ferite erano aperte ancora e la diffidenza aveva la meglio in un popolo comprovato dalla guerra.

“Molto è cambiato da quando sei partito da Caras Galadon.” spiegò con una punta di sospetto. “Ma non è questo il luogo più adatto per parlarne, heruamin. Credo che nel tuo regno non attendano altro che il tuo ritorno.” Legolas avvertiva la tensione creatasi verso la ragazza e quasi la sentì tremare di fronte a quella cautela dimostrata nel rapportarsi nei suoi confronti.

“Tirînir, questo è Haldir del Reame della Dama dei Boschi, nostro amico ed alleato!” disse cercando di rassicurarla.

“Onorato di conoscervi Tirînir!” rispose cortese verso Adamante che abbassò impercettibilmente il capo come risposta. Ancora uno sguardo indagatore ed la Guaritrice cominciò a sentire un lieve accenno di disappunto. “Mas tôl sin gwend? | S – [Da] Dove proviene questa fanciulla? | ” chiese poi rivolto all’elfo. In quel momento la timidezza si sciolse nell’orgoglio, lei era lì e non amava che le parlassero per terzi.

“Telin uin Aer o Rhûn, Haldir o Lothlòrien! | S – Giungo dal Mare di Rhûn, Haldir di Lothlòrien! | ” disse con un tono aspro, fissando duramente l’elfo e staccandosi infine da Legolas in un gesto di stizza. “Potete porle a me le domande che mi riguardano!”confermò poi. Il Guardiano di Lòrien rimase interdetto da principio per la risposta pungente che aveva appena ricevuto, sapeva però di aver meritato tale risentimento. Se in fondo il principe si fidava di lei per qual motivo anche lui non l’avrebbe dovuto fare.

“Chiedo umilmente scusa! Non era mia intenzione recarvi offesa, non sono giustificato per la mia villania, concedetemi però la vostra benevolenza. Capite arweamin, i tempi della diffidenza sono agli sgoccioli ma ciò non impedisce di essere prudenti con chi non si conosce.” La sincerità si palesò nei suoi occhi chiari, cercando di mostrare il più possibile la sua costernazione. Aveva compreso il suo errore e cercava di porvi rimedio. Adamante era sì orgogliosa e fiera, ma anche assai misericordiosa e comprensiva. Mosse la testa accennando nuovamente ad un sì, non tralasciando però una lieve durezza nei suoi occhi. Legolas la lasciò libera di affermarsi, una cosa importante aveva appreso dalla vicinanza con la ragazza: poteva sembrare fragile e facilmente scalfibile, ma in lei una forza misteriosa ed imponente giaceva, capace di farle smuovere anche una montagna. La sua lingua poteva essere più tagliente di una lama e sapeva bene come usarla. “Avete detto di provenire dal Rhûn? Non avete i tipici tratti di quei popoli.” chiese Haldir con un nuovo spirito interessato.

“Le mie origini risalgono agl’elfi del Bosco Atro a quanto sembra.” Disse a mezza bocca, con ancora un cipiglio seccato a segnarle il volto. Gli occhi di Haldir invece vagarono tra i due, alternandosi a più riprese per la scioccante rivelazione appena avuta.

“E’ una storia molto lunga, sarai al palazzo di Thranduil per ascoltarla?” chiese allora Legolas.

“No, molti dei Galadhrim partiranno per Lòrien ed io con loro. Questi boschi oramai sono liberi dall’ombra dell’Oscuro Signore. Prima vi accompagneremo sino alla tua casa Legolas, dove ti attendono coloro che più in questo regno ti amano.” Dopo aver ripreso i cavalli lasciati in riva al fiume, vennero quindi scortati dagl’elfi di Lòrien all’estremo nord, dove la residenza del Re Thranduil e la sua sposa si stendeva tra le Caverne della zona settentrionale del Bosco Atro.

Durante quelle ultime miglia Legolas provò a carpire qualche novità sul suo regno da cui era stato lontano per quasi due anni, ma le risposte di Haldir furono evasive limitandosi a dire che quello fosse compito del padre non il suo. Adamante invece sembrava sempre più disorientata, guardava ciò che la circondava esaminando la foresta attorno a sé, pur mantenendo la sua curiosità a bada indispettita per l’intollerabile diffidenza che subiva da parte degl’altri elfi. Era timorosa di non essere accettata per la contaminazione subita dalle Ombre e dai loro insegnamenti, il suo essere così differente si stava verificando anche in quel mondo che doveva appartenerle. Tornò a sentirsi estranea. Legolas aveva avvertito la preoccupazione che stava diventando padrona della ragazza e provò a calmarla con piccoli gesti di puro affetto e stima, come brevi ma intensi sguardi, o l’insistere nell’affiancarla nella marcia solo per poterle stare accanto e sussurrarle di tanto in tanto parole rasserenanti.

Dopo un giorno e mezzo con andatura media giunsero infine in un posto che della meraviglia possedeva il significato vero e proprio. Un lungo ponte attraversava le acque dove il Fiume Selva, conosciuto come Taurduin, si univano a quelle impetuose e scure del Fiume Incantato. In  fondo un portone finemente forgiato dalle sapienti mani dei fabbri elfici si apriva ad una grande caverna infossata nell’erto pendio dove grandi faggi assorbivano direttamente dal fiume il loro nutrimento (rif. per la descrizione del palazzo di Thranduil “Lo Hobbit”  Cap. IX “La botte piena, la guardia ubriaca” ). Lasciarono i propri destrieri alle cure di alcuni elfi che li attendevano fuori dei cancelli del palazzo, per entrare da soli e a piedi nei cunicoli ben areati del palazzo, dove i canti dei Priminati riecheggiavano soavemente vibrando sulle pareti.

Adamante sentiva il suo cuore aumentare i battiti assecondando l’avvicinarsi al regno degl’Elfi Silvani. Trovò a chiedersi quante volte suo padre avesse mai oltrepassato quel cancello, attraversato quei cunicoli e battuta la stessa terra. Una debole lacrima tremula prese a scenderle sulla gota e la freddezza iniziale con cui era stata accolta, ora, era del tutto vanificata. Quella era la sua casa, una casa lontana che non aveva mai avuto il piacere di condividere con colui che amava e da cui era stata amata, era quella casa che le sembrava un miraggio fino a pochi istanti prima quando l’immagine di suo padre prese posto nella sua mente. Eppure non era libera di commuoversi, presto avrebbe conosciuto il Re non poteva mostrare quella sua piccola debolezza e si affrettò ad asciugarla con il dorso della mano. Ma quell’elfo seduto su di un trono in legno in fondo alla sala dai pilastri scolpiti nella viva roccia, aveva notato il baluginare della rugiada sulla guancia della ragazza. La figura imponente di Thranduil era perfetta nella sua impostazione, come se anch’egli fosse scolpito nel legno. Sulla fronte una corona d’argento ritraeva foglie e bacche tipicamente autunnali e piccole gemme trasparenti illuminavano ancor di più il pregiato manufatto sulla sua testa. Gli occhi grigi scrutavano attentamente i due giunti ma erano più concentrati sul figlio a cui stava riservando un sorriso soddisfatto per la gloria che portava seco.  Accanto a lui, sulla sinistra in piedi, una splendida signora Elfica osservava con occhi empi di commozione la loro entrata. Era alta ed assai bella, capelli bruni ad incorniciare un volto dall’incarnato pallido non segnato dal tempo come avrebbe dovuto, tranne che nella immensa profondità dello sguardo dove una mite saggezza risiedeva stabile. Altri elfi si trovavano a circondare la sala, popolandola discretamente con dolci canti ad allietare le orecchie dei sovrani.

“Legolas, finalmente sei tornato figlio mio!” disse il Re sollevandosi dalla sua seduta per andare loro incontro. La sua sposa lo seguiva silenziosa, con un tenero sorriso a dipingerle il volto pallido.

“Il mio viaggio ha trovato la fine, Adar!” bisbigliò reclinando il capo in avanti, dimostrando tutto il rispetto che nutriva nei suoi confronti. Il Re cercava di mantenere un certo contegno, ma la sua gioia era facilmente palpabile. Durante il loro saluto nessuno dei due si curò della presenza di Adamante, ben comprensibile tale svista dopo la sorvolata paura di non poter più riabbracciare il proprio figlio.

“Presto quindi preparate un banchetto, che tutto il Reame Boscoso stanotte festeggi il ritorno del suo principe!” all’ordine impartito alzando di poco la voce, alcuni degl’elfi nella sala iniziarono a direzionarsi in più parti scomparendo nei meandri del palazzo.

“Posso dunque ricevere un abbraccio dal figlio che ho tanto atteso …” solo quando la corte si fu dileguata, la sovrana parlò esternando il suo trasporto attraverso un tremore della voce. Dura era stata per lei sapere il figlio in una guerra senza speranza, poi partito per altri luoghi senza ricevere alcuna notizia. Legolas non tardò ad avvolgerla fra le sue braccia, stringendo con un affetto quasi equivalente a quello che usava con la ragazza.

“Mi dispiace naneth | S - Madre | , non volevo farti preoccupare!” le sussurrò prima di scostarsi. L’elfo gli prese il viso tra le mani e sorrise felice, accarezzando la sua fronte e le sue guance come a far rivivere una memoria che possedeva ancora nel tatto.

“ Aphannig gureg, echanneg i amarath cîn, gennig i fael men! | S – Hai seguito il tuo cuore, hai compiuto il tuo destino, hai intrapreso la via giusta!| ” quando però pronunciò destino la sua mente tornò a quella fanciulla meravigliosa che si trovava alle sue spalle. Si voltò verso ella, attirando così l’attenzione su di lei ed allungò il braccio in sua direzione porgendole la mano. Durante tutto il distacco subito in quei pochi istanti Adamante si sentì vulnerabile, quando invece ritrovò il contatto con lui ritrovò tutto il suo coraggio. Espose un timido sorriso cercando di non fissare i due elfi incuriositi dalla ragazza, che sembrava così in confidenza con il loro figlio. Ma la sovrana parve riconoscere un qualcosa in lei, la penetrava con lo sguardo esaminando attentamente ed affondando nell’abisso dei suoi occhi nocciola.

“He Tirînir Helluiniell. | S – Lei [è] Tirînir figlia di Helluin. |” disse bloccando le sue iridi cerulee in quelle atterrite di lei. La Regina notò subito come il figlio osservava la ragazza: premura, apprensione e qualcosa di ancora più profondo c’era. Adamante accennò ad un inchino con la testa timorosa verso i due bei sovrani, che la fissavano sempre più attoniti e privati della capacità di parlare.

“La figlia di Helluin …” quel sospiro proferito era come una rivelazione appena avuta. Thranduil e Aurehen, questo il nome della Regina, si guardarono per un attimo come se avessero scoperto cosa si celasse in lei. “Oh, sarà una gioia accoglierti qui Tirînir figlia di Helluin, tuo padre era un nostro grande amico. Il tuo volto è pallido e stanco, le mie ancelle ti aiuteranno a scaldare il tuo corpo con un bagno profumato, vieni ti accompagno nelle stanze degl’ospiti!” disse allora verso di lei, cingendole le spalle con un braccio allontanandosi dalla sala principale. Adamante lasciò scivolare la mano da quella del suo amato e titubante seguì la sovrana, staccando i suoi occhi da quelli dell’elfo solo quando stava per uscire. Rimasero da soli quindi padre e figlio: i lunghi capelli dorati a cingere le loro spalle, i tratti del viso delicati affini seguivano le stesse linee caratterizzati solo da piccole differenze, come il taglio degl’occhi in Legolas più allungati e simili a quelli di Aurehen e le labbra contratte in una linea marcata e retta di Thranduil, che con severità guardava il figlio.

“Cosa significa questa storia Legolas?” chiese aspramente, chiudendo i pugni lungo i fianchi. “Non prenderti gioco del tuo Re, non può essere la figlia di Helluin è scomparso molto tempo fa, non si hanno sue notizie da troppo! Tua zia si è lasciata morire per il troppo dolore del suo abbandono! Bada bene a quello che dici perché sai di poter ferire tua madre!”

“Adar, non saltare alle conclusioni sbagliate.” Rispose serafico cercando di calmare l’animo del padre che già aveva dato segni d’intemperanza. “Non ho alcuna intenzione di ferire mia madre, ci sarà occasione di parlare di come Helluin sia giunto nell’Est ed abbia incontrato lo stesso popolo che teneva reclusa sia Tirînir che me.”

“Posso almeno sapere la natura del vostro rapporto?” la sua voce aveva preso altre inclinazioni, molto acre ed amareggiata nel proferire le richieste verso suo figlio. Vedendo la rigidezza di Thranduil anche Legolas serrò le dita e la mascella, cominciando a dare in escandescenza. Il Re non era un animo cattivo, ma aveva la spiacevole tendenza a cadere nei tranelli delle erronee convinzioni.

“Credo che sia evidente cosa ci lega, Aurehen se ne accorta!” disse iniziando a sentire l’aculeo dell’indignazione puntellargli la mente. “Sono innamorato di lei e vengo fortunatamente ricambiato!” era solenne e greve invece quando esprimeva con trasporto il sentimento per la sua Guaritrice.

“Non osare rispondere con quel tono Legolas!” sbottò indignato “Tu non sai nemmeno cos’è l’amore! Da quanto conosci quella ragazza? Da quanto? Cosa conosci di lei? No, l’amore non resiste se le sue radici non sono affondate nel tempo. Tu sei Principe di queste terre, figlio di un Re. Ho mosso quasi l’intero popolo degl’elfi per darti un regno pacifico e tu mi ripaghi portando al mio cospetto una trovatella, presunta figlia del promesso sposo della sorella di tua madre, di cui ti dichiari innamorato? Pensi che io possa permettere una simile follia?”

“E se io non volessi essere Re di queste terre, Adar? Ti sei posto almeno il problema se io volessi o meno il tuo trono? Io so quello che voglio e non potrai impedirmi di amarla, so di darti un dispiacere ma questa è la realtà. Ci appartenevamo ancor prima d'incontrarci, non saranno necessari anni di conoscenza per comprendere al meglio cosa ci unisce. Il nostro amore è nato nelle difficoltà ed è più intenso di uno nato in tempo di pace! No, Adar, non sapevo cos'era l'amore. Se ora lo conosco è solo grazie a quella fanciulla.” il Re strabuzzo gli occhi, non poteva credere alle proprie orecchie. Le battaglie, le lotte avvenute mentre il figlio era sul versante di Mordor, tutti i suoi sforzi per donargli un regno purificato dall’Oscurità e per non fargli rivivere i suoi patimenti sarebbero stati vanificati. Dopo aver attraversato la sala si buttò mollemente sul trono appena disdegnato dal figlio, con gli occhi vacui di chi ha appena ricevuto un duro colpo. “Adar, non voglio mancare di rispetto proprio a te. Desidero ancora la tua approvazione come sempre, ma io so cosa è più giusto per me.”

“Stai per dire quello che immagino?” disse sconsolato sorreggendo il suo mento fra le dita.

“Mi darai il consenso per sposare Tirînir e ripopolare l’Ithilien?” chiese convinto e speranzoso di essere compreso. Il Re sembrava confuso, gli occhi grigi e stanchi vagarono per tutta la stanza, ma non ebbero il coraggio di posarsi sul figlio che ancora attendeva trepidante risposta. “Adar?” La sua proposta risultava stridente alle orecchie di Thranduil che tanto amava il figlio e per lui aveva progetti, i quali non coincidevano affatto con quelli di Legolas. Si sentì improvvisamente sconfitto.

“Sei tornato da pochi minuti e già vuoi andare via, figlio mio?”la tristezza con cui pronunziò la domanda era dolorosa. Legolas si colpevolizò per avergli dato un tale dolore, ma sapeva che se non avesse imposto il suo volere fin da subito il padre l'avrebbe prima o poi costretto a tornare sui suoi passi. “Devo pensarci, devi darmi del tempo …” fu solo questa infine la flebile replica del Re, che malinconico si affossava sempre di più sulla seduta.

“Non volevo donarti un dispiacere, ma come te hai avuto l'opportunità di avere una tua strada anch'io voglio intraprendere la mia con accanto la persona che amo. Voglio inoltre che nel regno degli uomini risplenda ancora la magia degl'elfi finché Re Elessar governerà saggiamente. Ora ti lascio quindi a riflettere. e chiedo congedo, Adar!” Legolas comprese il suo stato d’animo e voltò le spalle. Conosceva bene il padre e sapeva che stando da solo probabilmente avrebbe ascoltato con una nuova critica i propri pensieri, riuscendo magari a scindere mente e cuore. Ad un passo dal sortire però richiamò l’attenzione del padre. “Prima che decidiate vi prego solo di provare a parlare con lei. È una di noi Adar, lo è sempre stata. Non lasciatevi fuorviare dal suo aspetto che sta mutando lontano dal Rhûn. Helluin è morto per proteggerla rispettate il suo sacrificio.”

 

Il Re rimase quindi solo, mentre il palazzo si movimentava per festeggiare il ritorno del Principe e la nuova venuta tra gli elfi silvani. Ma Thranduil, che per il figlio aveva distrutto la malignità ed il tormento, avrebbe  accettato la Guaritrice? Ed avrebbe accettato di avere nuovamente il figlio lontano? Questa è la domanda che vi lascio in sospeso miei cari commensali. Spero vi solletichi a tal punto che il vostro prezioso fondoschiena si fissi sulla sedia e vi costringa ad ascoltare il seguito.

 

Note dell'autrice: Ecco qui! Allora siamo arrivati finalmente al reame di Re Thranduil. Le descrizioni del palazzo e del regno sono tutte direttamente da Lo Hobbit come da rif. in cui il Re cattura i nani e Bilbo li salva. Non fatevi ingannare dal modo aspro con cui si rivolge a Legolas, non so perchè ma io l'ho visto sempre come un elfo molto umano a dir la verità. C'è Eldron e Galadriel così superiore, mentre lui è più terra terra. Gli piacciono le ricchezze, l'argento e òe pietre bianche e non si nasconde di questo. In più ha dovuto combattere da sempre con rospi e ragni (io sono aracnofobica ma in maniera cronica fra Shelob e tutti gli altri ho sempre avuto un nodo allo stomaco al solo immaginarli bleah! ) del bosco Atro lui si è un po' inspessito nel carattere ma in fondo lui è pur sempre un elfo e saprà come riscattarsi. Quindi avremo modo di conoscerlo meglio nel prossimo capitolo (o meglio di conoscere il Re come l'ho sempre immaginato).

 Ed ecco anche Aurehen, mamma di Legolas. Il suo nome significa occhio del giorno e ha un dono ma non posso svelarlo. hihihi!

Thiliol: Mellon nin! che splendida recensione. Purtroppo in questo vi è solo un accenno ma il prossimo sarà tutto per te con il Re in primo piano. Per la tua precisazione, in realtà il sole definito come Anar è in Quenya, Anor è Sindarin, sul Silmarillion viene definito con il termine Quenya. (almeno sul mio). Comunque grazie per la precisazione ^^! Quasi dimenticavo: sono un'estrema amante del Canon e quindi la mia storia non andrà ad intaccare la trama originale profondamente. Gli eventi più importanti saranno quelli che Tolkien ha voluto come potrai notare. ^^ quindi non temere, ho solo reso più complicata questa parte di cui non si sa moltissimo se non dalle appendici. Scusa se sono un pochino sintetica ma sono di fretta!

Ringrazio sempre tutti!

Besitos

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Capitolo 16
*** CAPITOLO XV: Al cospetto del Re. ***


CAPITOLO  XV: Al cospetto del Re. 

Il tempo passava inesorabile e di quello che era poco se ne era sommato altro. Thranduil osservava il regno dal suo palazzo con il cuore colmo di tristezza: vedeva i grandi faggi ricadere sul fiume barcollando al soffio del vento, gli elfi distribuirsi fra le loro abitazioni fatte di legna e pietra e le loro grandi opere incuneate nella natura, quasi fossero a completamento della stessa senza deturpare il magnifico aspetto spontaneo, delle gemme incastonate in un disegno più ampio del suo. Gli aveva solo donato splendore e reso un luogo accogliente per un popolo libero, aveva lottato per renderlo idilliaco ed in pace ed ora si sarebbe trovato sperperato. Suo figlio, il suo unico figlio, non voleva il trono che gli spettava, non desiderava ricevere le chiavi del regno che gli stava porgendo. I suoi occhi si protrassero ben oltre, raggiungendo il confine che si stanziava poco sotto l’orizzonte. Il crepuscol  veniva assottigliato da cumoli nebulosi come esili lame di ceramica, mentre Arien stava conducendo dall’altra parte del mondo il Caparbio e presto Tilion avrebbe raggiunto il posto che prima era stato occupato dalla fulgida luce dorata del frutto di Laurelin, donando loro quella argentea e pallida del fiore di Telperion. I suoi pensieri erano oscuri e pieni di preoccupazione, la sua fierezza ed il suo orgoglio gridavano forti nella sua mente ricordando i doveri di un principe con il suo popolo, di un figlio verso un padre. Non voleva acconsentire a quella che riteneva una follia. Perché costruire un nuovo mondo in Ithilien quando ce ne era già uno che aveva bisogno di lui? E la sua seconda richiesta poi, accresceva l’inquietudine del sovrano.

Quella ragazza, la figlia di Helluin. Sarebbe bastata quella lacrima così brillante, notata a distanza per il suo sfavillio intenso da far impallidire il cristallo a confronto, a comprovare un’eredità inconfutabile. Ma altre cose vi erano a riprova della appartenenza a quella nobile famiglia, i fulvi capelli castani ed ancor di più quelle strane striature negli occhi, caratteristica unica tra gli elfi. Era però combattuto dal concedergli la piena fiducia, un qualcosa bloccava il giudizio su quella fanciulla così particolare. Si era sentito tradito dal padre quando, nonostante l’avvicinarsi delle nozze con Dùhen, aveva deciso di partire e questo non gli permetteva di elargire il consenso a quell’unione. Non ne rimase invece sorpresa la cognata, conosceva bene il suo elfo e sapeva anche l'impossibilità di incatenarlo, caparbio e sconsiderato com’era. Aveva persino disubbidito ad un ordine diretto del suo Re, che suo in realtà non era mai stato, lasciando il Bosco Atro con un solo biglietto d’addio. Le sue notizie erano state recapitate per quattro anni a seguire con cadenze regolari, informavano di quello che stava succedendo nella parte più orientale del Rhovanion. Quando però un giorno un sogno scosse il sonno di Dùhen, il bosco si ammutolì, persino le acque dei turbinosi fiumi stanziarono come se appartenenti ad un bacino occluso. E da quel sogno, acceso durante una notte d’Estate, Dùhen non ne uscì e ne rimase intrappolata. Con il cuore in frantumi si lascio avvizzire tra le foglie del bosco, come se sapesse che Helluin l’aspettasse sotto la luce dell’argentea lanterna delle Aule di Mandos. Il Fato con un sadico ed avverso gioco aveva condotto proprio Legolas a quella fanciulla. Figlia dello sporco, vile e traditore. Spazzò via tutti gli oggetti sul suo scrittoio, sfogando la rabbia cresciuta nella sua mente. Era furioso perché la scelta che aveva di fronte l’avrebbe comunque condotto ad un allontanamento di Legolas, con o senza il suo consenso.

“Heruamin …” la voce della sua sposa fu solo un sospiro. Il Re spostò lo sguardo su di lei, pallida ed eterea osservava stupita il caos creato dall’impulso iracondo di Thranduil. L’inchiostro gocciava dallo scrittoio sulle carte riversate in terra, il rumore che provocava era assordante per le orecchie sensibili del conturbato elfo. Aurehen comprese immediatamente i tumulti del suo Re, avanzò con grazia nella stanza quasi non toccasse il terreno su cui camminava, prese il calamaio e lo sistemò in modo che non lasciasse cadere il  nero sul bianco. Rimase in silenzio, ferma davanti a lui osservandolo intensamente negl’occhi, quegli stessi occhi che prima con severità l’avevano posto di fronte ad una scelta.

“Aurehen, non mi guardare così!” cercò di distogliere lo sguardo, ma gli risultava difficile quando era capace di penetrarti e scavare in fondo.

“Quali sono i tuoi dubbi, mio Re?” chiese allora con dolcezza Aurehen.

“Già li conosci i miei dubbi!” fu la sua risposta brusca. La Sovrana sollevò una mano portandosi ad un passo da lui e fece scorrere i polpastrelli leggeri sulla fronte, scendendo poi sul profilo della gota fino a posare il palmo sotto la mascella.

“Non leggo nel pensiero …” rispose sempre più pacatamente. La sua voce era dotata di un forte potere calmante per chiunque l’ascoltasse, ma il suo Re era quello che risentiva di più di quell’armonia di suoni provenienti dalla bocca dell’elfo. Il petto si riempì d’aria, gonfiandosi come vele al vento, si svuotò un istante dopo con un sospiro carico di apprensione.

“Ma sai leggere nelle anime …”

“Hai quindi qualche domanda da pormi, Thranduil?” al quesito di Aurehen il Sovrano prese le mani della Regina tra le sue. La pace che accompagnava la sua presenza era in forte contrasto con quell più furastica e adirata dell'elfo.

“Cosa hai letto in quella ragazza?” Aurehen sorrise teneramente, sapeva che dal momento in cui l’aveva vista non aspettava altro che quella risposta.

“Non posso dirtelo, mio Re!” strinse le sue mani senza provocarle dolore ma evidenziando il suo dissenso.

“Perché?” chiese con un lampo furioso negl’occhi grigi.

“Perché se vuoi guardare in lei, dovrai avvicinarti tu stesso. Non puoi cercare scorciatoie Thranduil …” ed ancora quelle iridi cerulee lo guardavano come se cercassero qualcosa, inseguivano quei ragionamenti tormentati, li prendevano, li capovolgevano. “Na melethron! | S - È innamorato!| ” affermò più sicura. Si fidava troppo di Aurehen per non contraddirla e quel suo dire fu come una lancia nel petto. L’amore sincero confermato dalla Sovrana equivaleva alla perdita del figlio, non avrebbe mai rinunciato a perseguire i suoi scopi. Conosceva Legolas proprio perché in lui rivedeva il tenace giovane Thranduil, colui il quale non si fermava davanti alle difficoltà, anzi le surclassava e affrontava a faccia aperta persino nemici più grandi di lui. Quindi era quello che si prospettava ad essere per il proprio figlio, un nemico. Un nemico che non voleva quell’unione, un nemico che non voleva benedire le scelte del frutto dell'amore con Aurehen. Si girò di spalle tornando ad osservare l’esterno, aveva bisogno d’aria dopo il senso opprimente che aveva assunto quella situazione. Si sentiva come un topo in una stiva di una nave, intrappolato tra una cassa sganciata ed una parete. Immobilizzato attendeva la sua fine, che al primo scossone avrebbe sicuramente schiacciato tra i due legni.

“Come puoi dirlo così serenamente?” sputò con sgarbo quasi.

“Amin tirn … | S – L’ho visto … | ” quello che invece si poteva avvertire dalla voce di Aurehen era assoluta devozione, come se stesse rievocando vecchie rimembranze. “Ricordo uno sguardo simile solo quando era bambino Thranduil. Cominciavo a perdere la speranza che Legolas potesse provare un sentimento così puro e nobile.” disse con trasporto  “Invece, dopo due anni, in cui temevo anche solo di rivederlo, è qui, innamorato e felice come mai lo avevo visto. Ringrazierò sempre i Valar per questo immenso dono fatto, con la figlia di Helluin poi. Non potevamo avere auspicio migliore ...”

“Proprio tu che dovresti nutrire del risentimento per la morte di tua sorella, approvi tutto questo. Quella ragazza è stata concepita dal promesso sposo di Dùhen con chissà quale misera donna e non stai battendo ciglio. Perchè invece di appoggiarmi sei contro di me. Non hai forse paura che Legolas stia sbagliando in questa sua scelta?” chiese con un filo di voce.

“È quindi questo che temi Heruamin? Che Tirînir possa ripetere gli sbagli del padre addolorando Legolas?” rispose sempre con una calma innaturale per il Re.  Mio signore, le colpe dei padri non possono ricadere sui figli ...” un lieve segno di tristezza colmò in quella discussione Anche se la somiglianza è impressionante, lei non è Helluin mio Re.” Thranduil si sentì schiacciato dalla grande saggezza di Aurehn, il topo aveva ricevuto il sobbalzo definitivo ed era stretto tra il muro e la cassa. Ma come se non fosse stat sconfitto a sufficienza, la Regina rincarò: Io non sono contro di te, non potrei mai e lo sai bene. Ma non voglio che ti faccia accecare dall'affetto che provi per Legolas. Ti farò una concessione, Thranduil. Ho parlato con lei sire, l'ho aiutata a lavarsi, ho visto le sue cicatrici e non solo quelle fisiche che contrassegnano il suo corpo con battaglie e dolore, ma anche quelle dell'anima. Ho letto sofferenza tanta e sconfinata, molti dolori costellano la sua anima, ma sta guarendo e questo grazie a nostro figlio e al suo amore.”

“Vuoi quindi che acconsenta alle sue astruse richieste, Arweamin?” chiese sotterrando con quella domanda le armi. Aurehen s'avvicinò alle spalle del Re, che non aveva il coraggio di girarsi ed affrontare gli stessi occhi del figlio disegnati però sul volto diafano della moglie. Invece ella prese con delicatezza la sua spalla e non impresse alcuna forza, perché solo quel gesto fu in grado di farlo tornare verso di lei.

“L'unico modo per perdere tuo figlio sarà non dandogli la giusta fiducia!” Thranduil si perse nello sguardo della moglie ed in lei ricercò la stessa forza che palesava nelle sue imprese.

“Lei è così giovane, troppo per lui!” quella nuova tesi non convinceva nemmeno chi la proferiva, era solo il modo per tentare di concludere con l’ultimo appiglio a proprio favore, l'ultima spiaggia che però non riuscì a far approdare la moglie tra le sue convinzioni.

“Ha mai contato per noi il tempo, Thranduil, nei periodi di pace? Il poco o il troppo sostengono realmente l’avversità che nutri per questo matrimonio e la felicità di tuo figlio, soprattutto quando l’aspettativa diventa eterna? Esiste quindi un limite a quello che sembra illimitato? Forse, mio Re, dovresti provare a conoscere quella ragazza. C’è un qualcosa in lei molto più di quello che appare, non so come spiegarmelo perchè mai ho assistito a qualcosa di simile.” non bastavano gli occhi, anche le stesse pretese dovevano trovarsi su quelle labbra così dissimili. “Un  qualcosa di estremamente luminoso, come uno dei fulgidi astri che guidavano la sua famiglia. Non precluderti la possibilità solo perché ciò che volevi non può essere esaudito. Non è il compito di un genitore, quindi il nostro, quello di aiutare i figli?” chiese ad appore fine a quello che era diventato un soliloquio.

“Tuo figlio non vuole il mio aiuto, lo ha apertamente rifiutato. Sto tentando d’indicargli una strada meno tortuosa, più giusta …” rispose ingoiando fiele.

“Per chi più giusta, per lui o per te?” Aurehan lasciò la domanda in sopseso, non aveva bisogno di risposte perchè persino il Re si era ritrovato con le spalle al muro. Condusse lo sguardo all’esterno in basso, dove la natura selvaggia cresceva secondo la magia di quel posto. “Guarda è lì nei nostri giardini, parla con Tirinîr ascolta la sua storia e riuscirai forse a capire cosa vede in lei ... Cosa io vedo in lei …” Prima ancora di fornire il diritto di replica, la Sovrana prese il viso del Re tra le mani e l'inclinò a favore delle sue labbra, posando così un casto bacio sulla fronte. Silenziosa uscì dalla stanza, lasciando nuovamente solo Thranduil con i suoi pensieri. Aveva sempre invidiato le capacità della moglie, per lei era così semplice sapere cosa fare troppo raramente aveva sbagliato nel giudicare il prossimo, eccessivamente difficile ingannarla. Eppure con Helluin era successo, aveva errato nel giudizio di colui che poi aveva tradito il suo popolo, scappando vigliaccamente con la scusa di capire meglio cosa stava accadendo ai confini orientali. Era praticamente di fronte alla sua defezione, la figlia nata da un'unione esterna e non dalla sua promessa. Ma Aurehen aveva pienamente ragione. Che diritto aveva di far ricadere la colpa su quella giovane dall'aria smarrita.

Sembra un cerbiatto spaventato dal cacciatore ... ” disse a sé stesso osservandola mentre tirava fuori degli oggetti da una borsa, seduta su quella roccia scolpita tra i selvaggi giardini del palazzo. Non indossava più gli stracci che aveva dalla sua vecchia vita ora, che il suo corpo era coperto da una calda veste scura dai fini ricami argentati, si avvertiva più presente la sua appartenenza ai Priminati.

Il Re decise quindi di accondiscendere alle richieste della moglie e del figlio. Non avendo occasione migliore, scese lentamente i gradini che lo condussero ai giardini personali della famiglia reale. Adamante se ne stava tranquilla ed assorta, tenendo tra le mani quella che per il Re era una sorta di maschera di cuoio; non era di suo interesse capire cosa portava dalla suo passato con sé, anche se la curiosità poteva aver intaccato il suo pensiero. La lunga ombra dell'elfo si proiettò sulla sua figura, colpendola improvvisamente. D'istinto si spaventò lasciando cadere la maschera in terra per portarsi la mano al petto, reazione che confermò il pensiero di Thranduil sulla timorosa ragazza.

Non volevo spaventarti!” disse il Re inchinandosi per raccogliere il misterioso oggetto. Quando confermò che la forma attribuita in una prima osservazione era esatta, ne rimase sorpreso ma non chiese nulla porgendola elegantemente ad Adamante. La Guaritrice intanto si era alzata in segno di rispetto, con il capo basso.

Legolas mi ha detto che qui viene frequentato di rado, quindi non mi aspettavo che venisse nessuno. Mi dispiace." non osava sollevare lo sguardo. Temeva tremendamente le reazioni degl'altri in un certo senso, per ragioni meno sciocche la sorella in infanzia l'aveva punita accusandola di essere irriverente nei suoi confronti. Il Re iniziò ad avvisare un pizzico di interesse verso quella ragazza così stranamente ossequiosa nei suoi confronti.

In effetti è un piccolo angolo di pace e benessere che ci siamo concessi esclusivamente per noi. ” disse osservando tutt'intorno la magnificenza di quel luogo. La magia che governava quello splendido posto era data dalla fioritura di steli primaverili ed odorosi, tenui fiori si univano alle pareti rocciose e agli arbusti giovanili che si trovavano ad adornarlo. Piuttosto perdonami, ti ho disturbata e magari volevi restare sola.” l'espressione sorpresa della ragazza fu quasi una coltellata al petto per Thranduil. Vide in quelle iridi, che riportavano in vita la particolarità dell'elfo che lo aveva tanto offeso in passato, la fragilità di un fuscello come se con le sue stesse parole potesse spezzarla da un momento all'altro.

No sire, non mi avete disturbata affatto. Stavo solo sistemando le poche mie cose che vorrei conservare ...” disse abbassando nuovamente lo sguardo imbarazzata. Il Re sciolse le mani da dietro la schiena e prese il suo mento obbligandola a sollevarlo, rimanendo ad osservalo per interminabili istanti.

Perché non mi guardi mai negli occhi?” chiese pacato.

“Non vorrei offendervi in alcun modo.” Rispose flebilmente non ribellandosi alla stretta del mento incastrato tra il pollice e l’indice del Re.

“Che genere di offesa ci può essere nell’osservare qualcuno mentre gli si rivolge la parola, a meno che non si abbia qualcosa da nascondere.” L'espressione del viso della ragazza fino ad allora rilassatam mutò radicalmente e si fece tesa e dura. Mal sopportava quell'insinuazione e pose da parte il timore reverenziale nutrito nei confronti della figura autoritaria che aveva di fronte. Spesso la sua schiettezza l'aveva costretta a terribili punizioni, non si abbassava alla consueta omertà delle Gwaith se non dopo che le avevano strappato il figlio dal petto. Nemmeno il Re, padre del suo amato, poteva quindi permettersi di mettere in discussione la sua sincerità.

“Mi spiace deludervi Heruamin!” questa volta il suo sguardo si fissò in quello di Thranduil, con un tocco di sfrontatezza che lo stupì non poco. La stessa ragazza remissiva che non voleva guardarlo negli occhi per non offenderlo, ora invece appariva sicura e combattiva. Uno spirito particolare, capace di grande rispetto ma che ne pretendeva altrettanto. Grazia, dolcezza ma anche polso nel momento in cui era necessario. Almeno quello poteva dedurre ad una prima esanima dei suoi comportamenti. “Non sono una bugiarda ed un'ingannatrice. Se ho proprio una difficoltà è quella di mantenere a bada la mia schiettezza. Non vi guardavo negli occhi perché, dalle mie parti, se un subordinato osa fissarsi troppo a lungo in quelli di un suo superiore senza consenso esplicito, diverrebbe un reato! Questa è stata la mia educazione, non provo vergogna nel guardare nessuno.” il Re rimaneva pensieroso e titubante da un lato, ma soddisfatto dall'altro vedendo come la ragazza avesse il coraggio di affrontarlo apertamente per difendersi. Se prima le sembrava il cerbiatto, era decisamente diventata il lupo che davanti al cacciatore tirava fuori le zanne intimandogli di retrocedere.

Bene, sappi allora che qui puoi mettere da parte la tua vecchia educazione. Da queste parti ...” disse rimarcando le sue due ultime parole. “... gradiamo che gli interlocutori si guardino durante una conversazione.” Voleva sembrare severo ma una risatina increspò le sue labbra, tradendo un certo divertimento in quel dibattito. La ragazza invece appariva perplessa e forse aveva l’impressione di sentirsi in esame. Anzi era sicura che quello fosse un modo di studiarla e nemmeno tanto nascosto. Doveva sembrare davvero un mostro cattivo, per essere ripagata con cotanta diffidenza.

“Oppure sarebbe più opportuno chiedere prima di supporre sire, si eviterebbero spiacevoli complicanze.” rispose immediatamente a tono, dimostrandosi molto arguta e spinosa alla necessità. Di sicuro non le mancava il carattere e questa era una buona peculiarità.

“Non posso che darti ragione, prometto di essere più attento in quel che dico onde evitare spiacevoli complicanze.” spostò lo sguardo su quegl'oggetti posti a riposo e poi tornò alla ragazza. “Quindi , visto il modo un po' acre di chiedere di te, credo che non accetterai il mio invito ad una passeggiata.”

“Non si può conoscere una risposta se non si pone la domanda!” affermò rimanendo ritta, impettita senza mai sbavare con le buone maniere ma con una certa alterazione che cominciava ad essere un po’ troppo urtante. Forse da quella conversazione Thranduil avrebbe appreso molto di più su di lei e sulle ragioni che avevano costretto Helluin a sparire.

“Devo darti ragione anche in questo. Ti spiace farmi compagnia in una passeggiata?”

“Accetto!” disse risoluta sistemando le sue cose nella borsa per portarla con sé. “Non mi piace trascinare inutili discussioni per molto. Si rischia di far diventare un granello di sabbia un deserto.” Thranduil si trovò stranamente d'accordo con i principi della Guaritrice, in fondo sapeva farsi valere ma ancora qualcosa di lei lo allarmava. Camminarono così affiancati per qualche tempo senza parlare. Il Re, in realtà, aspettava che fosse lei la prima a dire qualcosa, in modo da poterla studiare senza farla mettere sulla difensiva come poco prima era accaduto. Ad un tratto la ragazza si bloccò osservando le piante che li circondavano.

“Strano ...” sussurrò più a sé stessa che ad altri.

“Cosa è strano?” chiese Thranduil incuriosito da quel pensiero detto ad alta voce.

“Non è tempo di rose ma ne percepisco il loro profumo …”

“Le mani di Aurehen sanno far fiorire le piante costantemente, come se si ingraziassero la sua benevolenza.” A quell'affermazione la Guaritrice si trovò ad osservare le sue di mani. Forse anche lei possedeva un qualche pregio particolare che le permetteva di guarire gli altri, come la notte in cui era venuta alla luce Ruin di cui possedeva solo un vago ricordo annebbiato. Thranduil la continuava ad osservare ma non osò chiedere cosa stesse pensando, non era in suo diritto subbentrare in maniera eccessivamente invadente nella sua mente. “Se guardi in quell’angolo capirai di cosa parlo!” le sussurrò indicando un piccolo scorcio che dava su di una nicchia scavata nella roccia. Un tralcio di rosa canina si arrampicava sulle sporgenze create dalle intemperie, come fosse inglobato in essa stessa. Teneri boccioli si alternavano a pesanti grappoli di bacche rosse vermiglie e pendevano verso il terreno gravando sui flessibili rami staccati dalla parete.

“Sono bellissime …” la Guaritrice non resistette e sfiorò appena i delicati petali di un ciuffo di rose aperte con le dita. Era così incantata che non si era accorta di dare le spalle a Thranduil, aveva solo seguito la sua voglia di sentire la sensazione di velluto sui suoi polpastrelli. In un certo modo ricordavano la pelle di Legolas, soffice e tesa quando le era capitato di sfiorarla.

“Se ti piacciono le puoi cogliere …” Adamante abbassò il braccio, abbandonando il suo sguardo a terra. Gli occhi si muovevano a scatti, alla ricerca della comprensione di dove stava cercando di condurla il sovrano.

“Perché dovrei?” quindi chiese tornando a guardare il Re voltandosi lentamente. “Per vederle appassire innaturalmente e prima del tempo come hanno cercato di fare con me, sire …” quelle parole colpirono Thranduil fortemente anche se non dava modo di dimostrarlo. “Hanno un loro posto ed è qui, a ridosso di questa roccia per compiere la loro vita come era stata scritta. Ripeto: non si può conoscere risposta se non si pone la domanda. Cosa volete sapere di preciso?” Thranduil era sempre più attratto dalla perspicacia della ragazza, senza dubbio era molto arguta e sapeva come gestire una conversazione che poteva esserle deleteria. La raggiunse sotto un ramo ricolmo di fiori bianchi, che prese fra le dita per osservarle. Quando tornò alla Guaritrice vide di nuovo quello sguardo fiero ed imponente del padre, lo stesso che possedeva nel momento in cui gli diceva di dover osservare più da vicino l’origine per risolvere i problemi del Reame Boscoso.

“Se devo essere sincero non saprei nemmeno io …” disse verso di lei, non scomponendosi in alcun modo.

“Forse invece so dove potreste trovare le risposte che cercate.” Rovistò quel poco che bastava nella borsa ed estrasse il piccolo tomo con la copertina di cuoio ed il legaccio usurato. “Questo non è stato letto da nessun altro oltre che me, vi chiedo solo di renderlo dopo averlo letto è la cosa più cara che ho. ” lo pose fra le mani del Re che non sapeva cosa pensare. Come poteva quello che all’apparenza sembrava un manoscritto, spiegare chi era quella ragazza e cosa era accaduto ad Helluin nei suoi anni di assenza? Adamante lasciò il diario in custodia di Thranduil togliendo le sue mani con una certa reticenza, ma sapeva che quella era la cosa giusta. Voleva lasciare ad Helluin la possibilità di spiegarsi, perchè, da quello che aveva capito, la sua sparizione era costata cara al Re. “Penso che vi serva del tempo, quindi chiedo congedo, mio Re …” disse inchinando la testa verso di lui. Thranduil asserì distrattamente, immergendosi immediatamente nella lettura di quel pregiato cimelio.

 

E giunse la sera. La densa oscurità che percorreva le Terre Brune pareva solo un triste ricordo a quel cielo coperto dalle mille stelle. Nell’estremo settentrione vi era Valacirca, il Falcetto dei Valar con le sue luminose sette stelle monito dei servi corrotti e speranza per i popoli liberi, la grande rimostranza della potenza della luce sulla tenebra. Poco più a sud della volta celeste si distendevano le splendide ali di Wilwarin, mentre in alto, nella parte orientale, si sollevava la nube opalescente di Remirath e Borgil dall’alone caldo e rubino. Ma scendendo con lo sguardo, proprio sulla linea dell’orizzonte vi si trovava lo Spadaccino del cielo, Telumethar, seguito da Helluin ed il suo fuoco blu e bianco, lo stesso fuoco che brillava nel padre e poi nella figlia. Legolas stanziava nelle proprie camere a rimirare il cielo, con le mani distese lungo una balaustra, quelle stesse stanze che aveva lasciato per informare Granburrone della fuga di Gollum a cui seguì il lungo viaggio che non sto qui a raccontare. Rimaneva in silenzio ad osservare lo splendente bagliore della stella che finalmente poteva ammirare. Se solo avesse avuto il consenso del padre non avrebbe aspettato oltre: sotto quella coltre luminosa, esattamente come lui ammirava ora le fatiche di Varda, le avrebbe indicato la stella splendente che tanto a lei premeva di conoscere ed avrebbe finalmente chiesto la sua mano. La risposta che più attendeva, la risposta che più lo terrorizzava sicuro dei sentimenti della Guaritrice, ma con la paura che proprio lei potesse rifiutare di avere obblighi nei suoi confronti.

“Helluin, maebenna i erthad mîn … | S – Helluin, benedici la nostra unione … | ” Non vi era padre e famiglia a cui potersi rivolgere se non nelle preghiere confessate alla notte, affidandosi soltanto a quel bagliore che di lontano osservava Arda, posto ai confini del mondo dalla grazia di Elbereth.

“Heruamin.” La voce di un servo lo riscosse dal sogno che stava facendo il Principe, nella speranza che le sue richieste venissero accolte da chi poteva assisterlo. “Darthar i tolled dîn. | S – Attendono il vostro arrivo! | ” Asserì con un cenno della testa verso chi l’aveva distolto, per seguirlo poi. Era distratto ed assente tanto che no si accorse di Aurehen mentre usciva da una delle stanze che costeggiavano i corridoi. Gli andò incontro allargando le braccia verso di lui.

“Dant le, hên nîn! | S –Ti aspettavamo figlio mio! |” disse stringendolo in una delicata morsa, dimostrando in ogni momento quanto affetto di cui era capace.

“Mi aspettavate, naneth?” chiese Legolas sciogliendosi da ella, accogliendolo poi con un ampio sorriso che esponeva una piccola parte dei denti bianchi. Dopo una carezza posata come un petalo sul pelo dell’acqua, la Regina portò il suo sguardo alle proprie spalle.

Aurehen aveva preso sotto la propria protezione la fanciulla, accogliendola benevola come una sua stessa figlia. Era sinceramente rimasta incantata dalla sua forza e dal suo spirito così combattivo, di certo utile con chi conosceva talmente bene da averne una doppia esperienza. Non solo, in lei spiccava gentilezza dei modi, quell’infinità bontà che aveva visto attraverso la sua stessa anima. In essa vi erano altresì ferite e cicatrici aspre, grondanti ancora del veleno che avevano inflitto, segni indelebili che l’avevano costretta ad andare contro la sua stessa natura, invecchiando precocemente come un’umana. Giovane sì, comunque dalla tempra forgiata come una millenaria discendente dei Laiquendi, elfica stirpe da cui il padre proveniva.

Era una visione agl’occhi dell’elfo. Nel velluto nero con ricami d’argento ed intarsi del colore dello smeraldo risaltava l’incarnato niveo del suo collo, la bellezza della sua Tirinîr rendeva fioca persino la lucentezza del diadema d’argento intrecciato tra i suoi capelli adorno di perle d’onice e foglie intarsiate d’oro. Quello che più lo colpì però erano le iridi castane sfavillanti per quanto fossero caldi ed intensi i suoi colori, sbocciati finalmente nell’infinita beltà degl’Eldar. Legolas era abbacinato dallo splendore emanato dalla fanciulla e si affrettò a raggiungerla, con l'urgenza di chi aveva bisogno di starle accanto in ogni momento. Quasi l’intero giorno era passato senza poter ammirare quella piccola figura a lui tanto cara ed ora era come se si fosse ricongiunto ad un suo arto staccato, aveva trovato quel pezzo mancante della sua esistenza.

 “Leithon vanim mannen calad ed êl, naa hammol, Tirînir! | S – Sprigioni bellezza come luce da una stella, sei abbagliante Tirinîr! | ” piegò il busto in avanti mentre pronunciava queste parole, approfondendo un inchino devoto verso il suo fiore d’inverno. Ma non era l’unico ad essere rimasto incantato: Tirinîr era impietrita, dimentica del modo in cui doveva adempiere al bisogno d’aria, con labbra socchiuse e occhi stupiti, rapiti dal suo principe. L’aveva visto sempre in vabiti da viandante, con mantello e casacca, seppur di fine fattura, comoda. Nelle sue vesti ufficiali veniva risaltata quell’eleganza raffinata, i bei lineamenti marcati da una signorile corona a fasciare la testa composta da nastri argentati, più semplice di quella della fanciulla ma con gli stessi particolari. Quando risollevando il busto i loro occhi si incontrarono, la Guaritrice si costrinse a muovere le palpebre e, riconoscendo poi le parole adulatrici dell’elfo, tinse le sue gote di un bel velo rosato che la rese ancor più incantevole alla vista di Legolas.

“Mi lusinghi, ernil …” sussurrò inclinando la testa in un leggero inchino. Aurehen era contenta di poter osservare una tale devozione da parte di entrambi ed era sempre più nitido ciò che aveva già letto in loro. Quello era amore, il più puro e dolce che avesse mai visto. Se non ci fossero stati i loro cuori impazziti, sicuramente sarebbero stati quegli sguardi languidi e trasognati a parlare per loro o il semplice sussulto che prendeva le labbra della Guaritrice ogni qual volta si rivolgesse al figlio. E quel piccolo tarlo ribelle poi che se ne stava sopito in un angolino riposando in pace per la quiete raggiunta, la rendeva praticamente perfetta per lui. L’aveva visto grazie al suo dono, ma lo sentiva grazie al suo istinto di madre.

“Non credo che il banchetto possa iniziare senza gli invitati d’onore, Legolas!” una voce familiare giunse alle loro orecchie. Il Re Thranduil li aveva raggiunti, mostrando austerità in vesti sfarzose nella sua alta imponenza. I suoi occhi grigi puntarono immediatamente a Tirinîr, mentre avanzava seguito di pari passo da alcuni servi. “Ti dispiace se accompagno io la tua Dama nella sala?” chiese poi verso il figlio, che esternò il suo consenso con un sorriso.“Sempre che lei sia d’accordo.” Adamante non sapeva che pensare. Non negò il braccio del Re ovviamente, ma fu quasi titubante nell’afferrarlo convinta sicuramente da Aurehen che invece si trovava a prendere quello di Legolas. Le due coppie camminavano in colonna con il Re e la Guaritrice in testa, non avanzavano di fretta piuttosto Thranduil sembrava quasi voler rallentare ad ogni passo.

“Credo di doverti delle scuse, Adamante!” disse continuando a guardare avanti. La ragazza era sorpresa dell’uso del suo vecchio nome, non lo sentiva più da quando aveva lasciato la Taur en Gwaith e questa era la prima volta che si scontrava apertamente con quell’appellativo. Quello però era l'indice dell'avvenuta lettura da parte del Re del diario di Helluin, quindi non chiese nulla a riguardo.

“No, non dovete …” cercò invano di intervenire ma venne interrotta da un gesto della mano del Re, la quale si posò su quella  della fanciulla, segno di sincero affetto.

“Invece devo chiedere scusa a te e a tuo padre per aver dubitato della vostra buonafede. Sono stato ingiusto ed ho elargito troppe sentenze non avendo a portata di mano nulla a conferma della mia teoria. Ho guardato alla situazione con occhi diversi grazie alla lettura del diario di Helluin e alle pagine infine scritte da te, mi hanno, come dire, illuminato. Ora il mio cuore e la mia mente hanno trovato tante risposte, quello che è successo a tuo padre, l’inganno il suo tentativo di salvarti, poi le tue di memorie che subentrano alle sue è stato doloroso per me. Ma è molto più doloroso pensare come ti avevo giudicato sapendoti sua figlia, senza conoscerti peraltro. Sono stato uno sciocco, ma avevo le mie buone ragioni. Vedendo come la Regina sia stata conquistata da te immagino che ti abbia detto già che Helluin era il promesso di sua sorella … ” la ragazza si voltò in direzione di Legolas e Aurehen, distanziavano i due di parecchio nonostante l’andatura fosse molto più che lenta.

“Mi ha accennato appena alla vita di mio padre qui.” Disse poi tornando con l’attenzione al Re.

“Ti ha parlato per caso della reazione di Dùhen a quello che sembrava il suo abbandono.” Adamante si trovò a negare con una appena percepibile no. “Ebbene si è lasciata andare nella foresta, si è accasciata al suolo ed il suo corpo è diventato un tutt'uno con il bosco.” la Guaritrice si ammutolì all’istante, abbassando lo sguardo in una contemplazione pensierosa del suolo che precedeva i suoi passi. “Come immaginavo, Aurehen è fatta così non ama leggere nel prossimo la sofferenza. Sicuramente in te avrà visto qualcosa che l’ha spinta a non parlare della morte di Dùhen. Sono stati giorni duri per il Reame Boscoso, non è mai piacevole quando uno di noi non regge al dolore. Il lutto tutt’ora brucia come fiamma viva e molto pesantemente su di me, soprattutto perché ha colpito la mia sposa. Questo mi ha spinto a giudicare tuo padre e spero molto nella tua comprensione quando ti chiedo ancora di accettare le mie scuse.” Il petto di Thranduil si alzò visibile persino dagli strati di stoffa che lo coprivano, emettendo un sospiro. “Suvvia Adamante, non era mia intenzione impensierirti. Quello che è stato ormai non possiamo mutarlo, quindi ti prego dimentica la tristezza cercando di perdonare un povero vecchio elfo, che ama troppo la sua famiglia ed esagera nel volerla proteggere.”

“Per me e finito tutto nel momento in cui avete letto e apprezzato il diario di mio padre, accantonando così i vostri pregiudizi. Quindi grazie per averci offerto una possibilità, mio Re. Sono sicura che anche Helluin ve ne è grato.” La fanciulla non osava alzare il viso, incupita da un lato per aver percepito il dolore causato dalla sua venuta al mondo, rincuorata per essersi definitivamente riconciliata con il Re.

 “Non sai quanto tu mi stia rendendo felice, iell nîn | S - figlia mia| !” l’improvviso arrestarsi di Thranduil attirò definitivamente l’attenzione della ragazza su di lui, che intanto cercava il suo sguardo con un sorriso dolce e comprensivo nei suoi confronti. In realtà la Guaritrice era molto sopresa per il gran cambiamento avuto in così poco tempo e poi quell'ultimo appellativo era risultato irreale alle sue orecchie. Ne era rimasta stordita, voleva ringranziare ancora ma il Re la precedette, accarezzando ulteriormente la sua mano ancora adagiata sul braccio vigoroso di Thranduil. “Cancella quindi ogni traccia di malinconia, mia cara. Non vorrai forse che mia moglie e mio figlio mi redarguiscano davanti a tutti gli elfi del Reame per averti intristito in un giorno di festa?” chiese con un velo ironico a caratterizzare la voce. La ragazza sorrise di risposta, lasciando così trapelare tutto lo splendore del suo viso nella serenità. “Basta indugiare, sarà meglio affrettarci a fare gli onori di quella che spero reputerai la tua casa.” Sì, miei signori, il Re le aveva appena offerto la sua casa e finalmente, la nostra beneamata Guaritrice, si ritrovò in un luogo a cui sentiva di appartenervi.

 

La sala del trono era stata resa più sfarzosa, con ghirlande di fiori e ricchi tavoli imbanditi di ogni leccornia. Il sapore prelibato del cibo veniva irrorato da pregiato vino invecchiato ed idromele solleticando le papille gustative, dolcissimi canti e una soave musica dei liuti dilettava invece l’udito. Molti elfi eleganti e bellissimi erano accorsi a festeggiare il ritorno del loro Principe, ma soprattutto la presentazione di una nuova appartenente al Reame Boscoso: Helluiniell Tirinîr Envinyatarë, quello il suo nuovo nome ad indicare l’inizio della sua vita come elfo, la figlia del nobile Helluin di cui, da quel momento in poi, era concesso ricordarne l’esistenza ritornato ormai fra le grazie dei Sovrani. Thranduil quella stessa sera accettò le richieste del figlio, a patto che rispettasse nei limiti del possibile le tradizioni del matrimonio coinvolgendo la sua famiglia nei preparativi. Solo dopo il giusto tempo sarebbe potuto partire per l’Ithilien, lasciando aperta a sua discrezione le decisioni per quella colonia. Questo avrebbe dovuto far tranquillizzare l’elfo che invece si scoprì sempre più agitato. I festeggiamenti erano ancora vivi all’interno quando Legolas aveva chiesto a Tirinîr di seguirlo nei giardini, resi ancor più belli dalla penombra creata dalla luce delle stelle. Le aveva dato appuntamento in quell’angolo, dove poche ore prima era avvenuto il confronto con Thranduil. Le rose canine sembravano ancor più candide e profumate all’umidità crescente che si condensava nella precoce rugiada, illuminando come lacrime iridescenti i petali delicati. Uno si staccò dalla corolla andando a posarsi sulle dita distese di Legolas, poste sotto l’arco creato naturale tra la roccia.

“Legolas, tholtanneg nin? | S – Legolas, mi cercavi? | ” il principe si voltò verso la melodiosa voce che teneva nel suo cuore. Ricordava bene ogni istante della sera appena passata in maniera così gioviale da non poter credere di aver vissuto tante brutture: ricordava il momento in cui timida si era quasi rannicchiata accanto a Thranduil mentre entravano nella Sala, quando era stata presentata come Tirinîr e non come Adamante la Guaritrice, nome che ormai non le sarebbe più appartenuto e teneva molto bene a mente quando la sua voce si era unita nelle arie riecheggianti ancora tra gli astanti.

“Sì Tirinîr, devo parlarti …” quella strana serietà che aveva colto l’elfo rese la Guaritrice agitata. Legolas lesse in lei quello stato dall’avvicinarsi delle fulve sopracciglia al centro della fronte. Avanzava inquieta verso di lui scrutandolo con i suoi occhi indagatori, le mani si tormentavano sul grembo contorcendo le dita nervosamente ed aveva persino preso a mordersi rabbiosamente il labbro inferiore.

“È successo qualcosa?” chiese con voce tremula. Il Principe prese le sue mani negando e lei sussultò al suo tocco dolce e delicato, reagendo quasi immediatamente nel tranquillizzarsi. Accarezzava il dorso teneramente osservando di tanto in tanto i suoi occhi ancora coperti da una coltre d’incertezza anche se il viso era più disteso.

“Sei bellissima …” quel flebile bisbiglio era stato sufficiente ad imporporare le guance della fanciulla che con un lieve imbarazzo cercò di ribattere.

“E mi hai fatto prendere tutta questa pena per un complimento già fatto?” Legolas non rispose ma decise di sfiorare il viso della Guaritrice  con una carezza. “Perché mi hai chiamato in disparte?” chiese sempre più incuriosita da quello strano comportamento. L’elfo prese aria cercando d’infondere in sé il coraggio necessario per quella domanda che lo tormentava da quando aveva deciso di chiedere la sua mano.

“Tirinîr, so che è trascorso solo un giorno ma come ti trovi qui?”

“Se devo essere sincera …” rispose sospirando come a rilasciare un peso. “… troppo vestita!” affermò poi accennando ad una risata a cui seguì l’elfo. “Perdonami ma non sono abituata a tutta questa stoffa addosso, anche se devo ammettere che con questo clima è decisamente l’abbigliamento più adatto …” lasciò che le loro lievi risate scemassero per riprendere poi il discorso da dove si era interrotta. “Disagi delle vesti esclusi, comunque posso affermare di sentirmi a casa. Strano a dirsi dopo l’accoglienza ricevuta da Haldir e dal Re, però è come se finalmente avessi trovato il mio posto. Il mio cuore è in pace e la mia mente si sente più leggera, in realtà credo che sia anche grazie a te che mi sento così.” per l’elfo quella notizia divenne una spinta ulteriore alla spaventosa domanda che doveva porle. Nemmeno sui Campi del Pelennor aveva avvertito quell’assurda paura di fallire, forse perché in quella situazione c’era in gioco molto di più che un semplice sì o no. Quella risposta avrebbe finalmente posto la parola fine alla ricerca del vero amore.

“Amin mela lle, Tirinîr! | S – Ti amo, Tirinîr! | ” e la voce dell’elfo si strozzò in gola.

“Amin mela lle, Legolas!| S – Ti amo, Legolas! | ” rispose beata la ragazza. “Ora sarà meglio rientrare o rischiamo che tuo padre richiami l'intero corpo di guardia per cercarci!” stava per trascinare il Principe verso l'entrata del Palazzo ma lui la trattenne accanto a sé.

“Aspetta …” le disse prima di portarsi alle sue spalle. Le sue labbra con un soffio caldo si posarono accanto all’orecchio della ragazza, che ebbe un brivido sentendo il fiato di miele dell’elfo lasciarle una scia sul viso. “Tirig i menel, melamin … | S – Osserva il cielo, amore mio … | ” le mani ora si adagiarono lievi sulle spalle della fanciulla che iniziò ad respirare freneticamente, troppo emozionata all’intuizione che aveva avuto su ciò che le voleva mostrare il suo amato. “Tirig na harad, am rain-en-ringorn … | S – Guarda a Sud, verso l’orizzonte [lett. limite del cerchio , derivato dal greco] …  | ”

“Mas? | S – Dove [è]? | ” le parole le morirono in gola, non sapeva che dire nella ricerca disperata di quella stella.  La voleva trovare solo per sentirlo ancora vicino, quella voce tanto amata che nei suoi sogni la sentiva costantemente, il suo monito alle azioni sciocche di una bambina troppo vicina al ruscello, la spiegazione su quell’albero e il suo canto per farla addormentare. Legolas si perse nell’osservare quegl’occhi ricolmi di umori e ricchi di luminose gocce latitanti agl’angoli pronte a scendere. Sentiva poi il suo cuore aumentare i battiti pieni del sentimento felice e nostalgico che stava provando ogni istante in crescendo, avrebbe voluto poggiare il palmo sul suo petto per assaporarne con il tatto le ripercussione feroci se solo non fosse stato sconveniente e si applicò quasi una violenza nel non farlo.

“Tirag limwain gîl, tanha lhûnrind? | S -  Vedi la stella più luminosa, quella con l’alone azzurro? | ” chiese quasi a sfiorarle il lobo. La fanciulla portò le lunghe dita a coprire la bocca, cercando invano di trattenere la commozione. Un lieve singulto la fece sussultare proprio quando una debole lacrima brillò sulla perlacea pelle del viso. “È Helluin  … ”

“Adar …” sospirò non trattenendo più il pianto, tre gocce bianche scesero cedendo al loro stesso peso. La particolare consistenza era così evidente, era come se dentro ognuna di esse si sprigionasse l’essenza della luce. Legolas si meravigliò di quello spettacolo offerto, ma ancor di più del riflesso bluastro di Helluin nelle sue iridi scure. Era una tela dipinta dal più grande maestro d’arti quella che poteva rimirare attraverso gli stessi occhi che l’avevano fatto innamorare, riproduceva, se possibile, con ancor più splendore la magnificenza della stessa stella. Fu allora che il coraggio si fece ancor più presente, era quindi giunto il momento di rivelarle il suo tormento.

“Sposami Tirinîr …”

 

Quanto ardore, miei signori, e quanta passione l’elfo ha messo nella sua dichiarazione, finalmente però ha trovato il coraggio per chiederla in sposa. Thranduil è stato convinto e la Regina ha subito avvisato lo spirito della ragazza. Adamante è diventata a tutti gli effetti Tirinîr ed ora il suo vecchio nome verrà dimenticato. Ma lei miei signori non ha ancora risposto quindi vi lascio al dubbio cari amici: qual sarà la decisione della Guaritrice? Sposerà il suo principe?

Note dell'autrice: Buonasera!!! Che ci faccio qui il sabato? niente sono uscita ieri e oggi volevo scrivere così eccomi qui. Allur abbiamo alcune precisazioni da dover fare.

D'ora in poi Adamante ha perso il suo vecchio nome, dal momento in cui il Re l'ha accettata lei si chiamerà Helluiniell Tirinîr Envinyatarë . La scelta dei tre nomi non è casuale. Come Wikipedia docet di solito un elfo aveva tre nome: quello paterno, quello materno e l'epessë, ovvero il soprannome. Helluiniell = nome paterno (figlia di Helluin) Tirinir = nome materno (una sorta di riferimento ad Adamante visto il significato della pietra preziosa per Gwaith) ed Envinyatarë = epessë.

Per le tradizioni del matrimonio lasciatemi dire che ne sapremo di più, più in là e ci saranno tantissime sorprese.

Spero di aver reso giustizia alla figura del Re e  a quella di mia esclusiva proprietà della Regina. Thranduil è un personaggio particolare e secondo me anche, permettemi il termine, un gran peperino con quel suo carattere molto sulle sue, e quindi ci vedevo bene accanto una persona molto riflessiva che aveva la capacità di leggere nei cuori, insomma il suo complementare. Il fatto che Legolas nel iSdA non si fermi alle semplici apparenze con Gimli mi ha fatto pensare ad un eventuale ereditarietà materna visto come alla fine il Re si era comportato nel Lo Hobbit con i nani. Non so spero che comunque apprezziate.^^

Ed ora non tiratemi i pomodori perchè ho interrotto la risposta di Adamante, era anche per lasciarvi un pochino con il fiato sospeso. Il momento ho cercato di dargli una parvenza di magia ed incanto, molto romantico per come l'ho immaginato. Ditemi se mi sbaglio ...^^

Elfa: Ben tornata! ^^ sono contenta che la storia sia ancora viva come si suol dire, ma chi mi conosce sa che sono capace di incasinare anche le cose più semeplici. Bhè si i genitori complicano sempre tutto, ma di solito cercano sempre di agire per il bene dei figli anche se possono sbagliare anche loro. Si sa che gli orchi non sono dei saggi discernitori dei momenti, eh eh. ^^ Comunque non credo che sarebbero arrivati a tanto Leggy e Ady per dei motivi che spiegherò con il matrimonio più in là. Come volevasi dimostrare ho incasinato pure la faccenda parentele, ponendo questo paletto strano della zia di Legolas. Sinceramente mi serviva per caratterizzare Aurehen, lei che dovrebbe avercela di più con Helluin invece non se la prende a differenza di Thranduil che invece s'infuria per averla vista soffrire. Spero di poter avere un tuo commento anche su questo ma cher! Grazie sempre di tutto!

Thiliol:  Che dirti mell nin! Sicuramente un mega GRAZIE, così per ricordarti sempre di quanto sia grata per il tuo appoggio e la tua estrema attenzione. Sono contenta che abbia apprezzato l'incontro con Haldir, in effetti l'ho scritto ispirata a quello della Compagnia a Lothlòrien (io scrivo di questa storia con libri e dizionari alla mano sembro un pazza muhahahah!). Devo ammettere che ho un debole per Haldir, non lo so mi è sempre piaciuto. Ora attendo il tuo giudizio sul tuo personaggio preferito e sulla signora che gli ho appioppata con tanta libertà!^^ Suilad mellon nin!

RINGRAZIO SEMPRE TODOS!

Vostra Malice

GRAZIE A THILIOL HO CORRETTO LA FACCENDA DEI NOMI. GRAZIE SEMPRE PER LA VOSTRA PAZIENZA!!!^^

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Capitolo 17
*** CAPITOLO XVI: Un dono inaspettato. ***


CAPITOLO XVI: Un dono inaspettato.

La casacca lunga fino alle ginocchia ricopriva il corpo esile dell’elfo. L’aspetto fanciullesco di un ragazzo adolescente, forse al suo quindicesimo autunno, era fortemente in contrasto con l’effettiva età del giovane, il quale si stava maledicendo per essersi lasciato convincere di nuovo a seguirla nelle sue escursioni fuori le mura del Regno. Si agitava sempre più affrettato a cercarla, scomparsa forse da un'ora per inseguire chissà quale farfalla o rondine. L’aveva lasciato lì, impalato come un fico pendulo dall’albero, senza aggiungere una reale spiegazione alla sua momentanea fuga. L’ultima volta che era stato trascinato nei suoi capricci bizzarri, era stato costretto a strigliare tutti i cavalli del Reame e a pulire i loro zoccoli dal fango. L’aveva perduta di nuovo, questo ennesimo incidente lo induceva a temere fortemente che il suo destino più prossimo fosse di bersaglio per gli allenamenti degli arcieri e non di semplice stalliere come il padre.  

“Dove si sarà cacciata! Giuro che non le farò mai più da guida!” si trovava a ripetersi ad ogni passo, mentre con gli occhi cercava di distinguere le ombre attraverso i fasci di luce creati tra le fronde del bosco. Erano passati ben quattro anni da quando il Bosco Atro era stato riconquistato dagl’elfi ampliando così il regno di Lòrien fino al di là dell’Anduin, rendendolo nuovamente quello un luogo di pace e prosperità per gli Eldar. Ora si potevano dire liberi di passeggiare senza armi seco e nessuno ricordava più quella grande foresta come la Taur nu Fuin. L’Ombra era stata sconfitta e sire Celebron con il Re Thranduil dividevano quella chiamata Eryn Lasgalen, Bosco di Foglieverdi, dove spiravano dolci brezze e venticelli di aria salubre, non contaminata dalla malvagità dei servi di Morgoth. I capelli neri lisci e setosi portati poco sopra le spalle del giovane vennero proprio scossi da una di queste, o almeno così pensava, perché quando si voltò invece fu praticamente sopraffatto dalla presenza di un fanciulla con le mani sui fianchi che tamburellava nervosa con le dita sottili. Ne fu così scosso che sobbalzando mise un piede in fallo e cadde con il fondoschiena a terra.

“Lo dici sempre che non vuoi più accompagnarmi, poi non sai mai dirmi di no Anrond!” stava provando in tutti i modi a mantenere un’espressione inflessibile, ma ovviamente la goffaggine insolita del ragazzo provocava una certa ilarità facendole scappare una risata celata in un sorriso. “Non ti avevo detto di rimanere a guardare i cavalli?” chiese con una finta aria di rimprovero, mentre allungava una mano per aiutarlo a sollevarsi da terra.

“Non mi avevate anche detto che ci non ci avreste impiegato molto, mia signora?” chiese allora, accettando l’assistenza della fanciulla. Ella era assai bella e perfetta con i suoi colori autunnali in quelle vesti marroni e verdi, composte da una giubba che le fasciava perfettamente le forme e dei pantaloni, abbigliamento decisamente più comodo ed appropriato per una gita nel bosco pur mantenendo un aspetto assolutamente femminile. I lunghi capelli raccolti in una pesante treccia scendevano da un lato, mentre sulla fronte un diadema d’oro e d’argento indicava il nobile lignaggio della ragazza. Quando poi un raggio sbarazzino toccava le sue ciocche castane, un vivido bagliore si rifletteva sui tipici colori della vegetazione in quella stagione.

Da tempo gli alberi avevano indorato le loro chiome e presto il rosso avrebbe sostituito l’arancio ed il marrone il rosso, rendendo ancor più caldo l’aspetto della flora. Gli animali intanto si apprestavano al sonno ristoratore del gelido freddo del nord, scandendo con i loro versi l'appropinquiarsi alle proprie tane riparate dall'inverno. “Vi immagino arrampicata su qualche roccia ad osservare un bruco, con il rischio di cadere e ferirsi il braccio come l’ultima volta!” borbottò  Anrond sollevando i chiari occhi verso il cielo. La Principessa era molto irrequieta, curiosa ed indagatrice e questo spesso, troppo spesso, la conduceva in avventure decisamente da evitare. Usciva per quelle gite nel bosco ogni qual volta ne avesse la possibilità, sparendo da palazzo anche per giornate intere. Era difficile starle dietro e solo due elfi avevano così tanta pazienza, nervi saldi e tempo da dedicarle. Non avendo mai vissuto una vera infanzia aveva dei piccoli sfizi da soddisfare essenzialmente di natura studiosa, come la ricerca di radici e foglie per nuovi unguenti. In quella bella giornata settembrina Anrond si era lasciato convincere a scortarla, sperando che almeno per una volta non si cacciasse in qualche guaio.

Il sopracciglio della ragazza si arcuò in una bella virgola sopra l’occhio destro in segno di perplessità alle parole del ragazzo, lo sguardo impaziente della Principessa si fissò sul viso imbarazzato dell'altro, che percepì il nervosismo incalzante provocato dalla sua protesta altresì dalle braccia conserte della fanciulla ed il suo continuo picchiettare del piede infrangendolo sulle foglie secche. “Non guardatemi così, sapete benissimo che se vi succede qualcosa se la prenderebbero con me, soprattutto ora! Se riportasse anche un misero graffio non solo il Re ma anche la Regina mi spedirebbe dritto tra le schiere degl’ultimi orchi all’Ered Mithrin! Comincio a pensare che proviate un certo gusto nel vedermi punire …”

“Non essere sciocco Anrond, sai che non è così. Non farei nulla per nuocerti, non volontariamente almeno. Magari sono solo un po’ avventata, ecco tutto!” Anrond era dispiaciuto di aver detto certe cose a quella fanciulla e pensare che avevano gli stessi anni, ma lei sembrava molto più grande di lui. Una giovane donna e lui un ragazzino appena in età per cavalcare. Da quando era venuta a vivere a palazzo da Thranduil, passava molto tempo nelle stalle e da lì la loro amicizia era nata. Non era una nobile spocchiosa ed altezzosa, aveva sempre una parola dolce ed i suoi modi erano gentili in ogni circostanza, anche se sapeva essere davvero strafottente. Gli dispiaceva enormemente quando la tristezza ricopriva i suoi occhi, guardarla sedersi tra le radici di un albero e chiudere le palpebre per pensare era un evento raro, soprattutto per uno spirito adamantino come il suo. Anrond trovò posto accanto a lei, osservando la luce baciare la sua pelle immacolata.

“Non siete voluta uscire per raccogliere bacche, vero mia signora?” chiese titubante, nella paura di disturbarla.

“No …” rispose con un filo di voce. “ … volevo solo rivedere un posto e stare un po’ sola. Mi dispiace averti fatto preoccupare!”

“Vi manca?” chiese allora azzardando un po’ di più su di un argomento pungente. La ragazza spinse la testa in avanti, rinforzando la posizione eretta del collo, che aveva abbandonato all'indietro.

“Succede quando si ama con tutto il cuore, possono passare minuti o anni ma la mancanza rimane sempre viva e di pari intensità … ” disse guardando di sfuggita il giovane elfo dai serici capelli neri. Il sorriso che ora si trovava sul bel viso della ragazza si distese, ma aveva una parvenza amara tra quelle due linee incurvate verso l’alto.

“Siete andata al ruscello?” la mente di Tirinîr scivolò verso quei giorni. Ultimamente ci pensava sempre, il ricordo era intenso e ben impresso nei recessi della sua memoria.

“ Sposami Tirinîr …” Legolas sulle prima non sapeva come interpretare quello sguardo: stupito, felice, spaventato. Cercava in tutti i modi di comprendere quello che passava per la testa al suo fiore d’inverno, eppure decifrare i continui mutamenti d’espressione della ragazza montavano nel suo cuore con crudeli scosse d’agitazione. Si aspettava una risposta naturale e decisa ed invece c’era solo incertezza nei suoi occhi. “Ti prego, rispondi melamin.” Cercò d’incitarla ma non poteva non lasciarsi tradire dall’inclinazione sempre più preoccupata che stava assumendo. Tirinîr non rispose, indietreggiando per scostarsi da lui quasi ne fosse spaventata. Stava per cadere su una delle tante panchine scolpite nella roccia quando Legolas accorse per non farla inciampare, ma lei rifiutò il suo aiuto barcollando prima di ritrovare da sola l’equilibrio perduto.

“Io, io …” disse senza riuscire ad articolare bene le parole. L’elfo non poteva a ragionare, tutto quello che stava vivendo sembrava irreale. Come poteva proprio colei che gli aveva chiesto di starle accanto per sempre, rifiutare la giusta conclusione al quell’amore così intenso che provavano l'uno per l'altra? Le sue mani erano rimaste a mezz’aria come ad afferrare qualcosa di sfuggente, perché inafferrabile era diventata quella bella ragazza che aveva davanti. Lei continuava ad retrocedere senza preoccuparsi di dove i suoi piedi si posassero, fissando il suo sguardo in quello attonito di Legolas. Era evidente che lo stava ferendo con quel suo improvviso terrore, non riusciva nemmeno a spiegarlo a sé stessa cosa governava i suoi passi sempre più lontani, come se fosse guidata da una mano più grande che la spingeva via. “Perdonami …” l’ultima cosa che disse prima di fuggire senza una meta. Legolas si diede dello stupido, come poteva aver pensato che finita da poco una prigionia si fosse preclusa la propria libertà in un matrimonio fatto di doveri con un Principe. L’attese per quasi tutta la notte, per ritirare la sua proposta e chiederle di perdonarlo, ma Tirinîr non tornò. Era scomparsa, non vi era traccia tra le mura del suo Regno. L’elfo altamente preoccupato mosse tutto il Reame Boscoso nelle ricerche durate per quasi l’intero giorno successivo. Sembrava come sparita nel nulla. Venne ritrovata proprio da lui, infreddolita e con le ginocchia raccolte in riva ad un ruscello poco fuori i confini. Chissà per quanto aveva vagato, svenuta e probabilmente troppo stanca per rinvenire quando le sue forti braccia la presero di peso per riportarla al caldo e al sicuro.

“È un posto che mi aiuta a fare chiarezza, da quando è partito il Re non mi parla di lui. Anche Aurehen è evasiva alle mie domande. Mi ripetono solo che sta bene e che ricevono costantemente sue notizie. A proposito sarà passato il mezzo dì?” chiese improvvisamente osservando la tipica luce soffusa del meriggio.

“Da tempo ormai, mia signora!” affermò Anrond, fiero di poter dimostrare le sue conoscenze sui movimenti del sole. Prima che iniziasse uno sproloquio sulla posizione delle ombre Tirinîr si alzò di scatto ed iniziò a correre velocemente, tanto che il giovane elfo faticò a starle dietro. “Arweamin cosa è successo? Perché scappate così?” chiese agitando la mano nel tentativo di raggiungere con grandi falcate la Guaritrice.

“Ti ricordi la punizione di cui avevi tanta paura? Corri se non vuoi ritrovarti a pulire di nuovo tutte le stalle in mia compagnia!” quasi lo gridò accelerando il passo. Con lei ogni giorno era così, vi era sempre una corsa, schiamazzi e la strigliata da parte del Re per aver mancato una sua lezione. Thranduil l’aveva realmente accolta come una figlia e, vivendo in un momento di pace, aveva deciso di essere lui stesso il precettore di Tirinîr per insegnarle molto sul mondo che le era stato precluso.

 La Guaritrice venne così a conoscenza delle sue origini: i Laiquendi erano un popolo schivo ma pacifico, grandi amanti dell’acqua e conoscitori esperti di piante ed animali. Si stabilirono dell’Ossiriad fino alla distruzione del Beleriand , quando alcuni attraversarono i Monti Azzurri per ricongiungersi con gli Elfi Silvani. Due di questi erano Laurefindon e Anarië, coloro che diedero origine alla stirpe di Helluin. Si diceva che Anarië avesse ricevuto un dono alla sua nascita dalla Valier Estë, la Guaritrice, Signora della Pace e della Serenità e che esso veniva tramandato di generazione in generazione. Da tempo però non si era mai palesato, almeno fino a Tirinîr che aveva dimostrato di possedere in sé questa luce rinnovatrice. In molte delle descrizioni che Thranduil fornì di questo popolo la fanciulla riconobbe le caratteristiche del padre e le proprie, diventando sempre più convinta che quella dove ora risiedeva fosse la sua casa.

Avevano corso a perdifiato fino ai cavalli. Se avesse ritardato un’altra volta probabilmente avrebbe vanificato tanto lavoro per nulla. Ma questo non le impedì di richiamare l’attenzione del ragazzo su di sé. “Per sbrigarci facciamo una bella gara: chi arriva ultimo al palazzo esegue la punizione dell’altro oltre che la propria!” ma non gli diede il tempo di rispondere che era già montata a cavallo, iniziando la sua folle corsa. Era incredibile quanto aveva imparato di quel luogo in poco tempo, conosciuto ormai così bene da poterlo riprodurre sulla pergamena con una benda sugl’occhi. Ma quella notte, invece, non sapeva come tornare indietro.

“Legolas, scusami non volevo ferirti …” l’elfo le chiuse le labbra con un dito. Tirinîr era stata incosciente per alcune ore prima di svegliarsi. La paura unita alla delusione per quell’evidente rifiuto erano costati cari al Principe. Non gliene faceva una colpa, forse aveva affrettato un po’ troppo i tempi, ma il solo vederla riapriva quella ferita impedendogli di mostrarsi rilassato in presenza della ragazza.

 Il loro arrivo fu preannunciato con lo scalpitante galoppo dei cavalli. Tirinîr era in testa a mezzo miglio di distanza, per quanto abile Anrond era ancora inesperto e non poteva di certo competere con una Gwaith che barava. Giunsero davanti al grande portone, lei si voltò aspettando il giovane che la raggiungesse iniziando a schernirlo con risatine strozzate.

“Siete scorretta, questa volta non adempirò alla vostra punizione!” protestò allora Anrond riuscendo a raggiungerla a fatica ancora trafelato dallo sforzo. Si pose di fronte alla ragazza, dimostrando tutta la sua disapprovazione con un cipiglio arrabbiato a caratterizzare i bei lineamenti. I cavalli sbuffavano e nitrivano, muovendo la testa dall'alto verso il basso indicando che la corsa li aveva stancati ed il loro bisogno di riposare. Tirinîr allora scese dalla groppa del suo con un salto muto e aggraziato, che sembrava non trovare terra sotto i suoi piedi per quanto leggeri fossero i suoi movimenti. Accarezzò il muso dell’animale che si calmò al tocco della fanciulla, divertita dall’espressione buffa del suo amico.

“Anrond non te la prendere! Era solo un piccolo scherzo. Non scaricherò le mie colpe su di te, anzi questa volta ne assumerò la piena responsabilità!” disse poi rivolta al ragazzo, smontato anche lui da cavallo nel frattempo. Restarono così qualche istante, quando ad un tratto Anrond chinò il busto in avanti portando una mano al cuore. Quel suo atteggiamento stava a significare solo una cosa.

“Certo che te ne assumerai le responsabilità, è decisamente l’ultima volta che tardi mancando così di rispetto al tuo Re!” la voce di Thranduil era veramente furibonda, questa volta l’aveva attesa addirittura fuori del palazzo probabilmente snervato dalla troppa attesa. “Arnond, porta i cavalli alle stalle immediatamente!” il giovane non si attardò nel compiere i suoi doveri e, dopo aver salutato con riguardo entrambi, si allontanò in compagnia dei due equini. Tirinîr si voltò lentamente andando ad incontrare il glaciale sguardo di Thranduil, che sembrò quasi incenerirla sul posto. Eretto, stava a pochi passi da lei con le braccia legate al petto, decisamente fuori di sé. Ma c’era qualcosa di strano, una sorta di rassegnazione leggeva in lui. “Non so proprio cosa devo fare con te!” Certo la presenza della Guaritrice a palazzo aveva decisamente mosso le acque, ogni giorno il suo sorriso era sempre più raggiante come il suo umore e donava allegria in un luogo fin ad allora rigido e serioso. Aurehen risentiva molto di quel lato spensierato della fanciulla e ne gioiva. Il poter osservare così da vicino la sparizione delle cicatrici di Tirinîr, l’aiutava a sostenere il peso dell'anima ferita della ragazza. La Guaritrice ormai pensava al suo passato come un ricordo lontano, era come se un muro fitto di bruma si stesse alzando su gli episodi più difficili da rivivere, rendendole sempre più facile l'affrontare la sua memoria.

“Mi spiace sire! Cercherò di essere più puntuale in futuro!” cercò di giustificarsi, inclinando la testa in segno di soggezione.

“Questa frase è stata pronunciata talmente tante volte da te che ha perso di significato. Vai nelle tue stanze ora a riflettere seriamente sulle tue azioni ed escine solo quando sarai seriamente pentita!” disse allora il Re, con tono grave di chi conosce qualcosa di più di quello che vuol dare a vedere.

“Solo questo? Niente lavoro nelle cucine o ricami più al dito che alla stoffa?” domandò dubbiosa la ragazza.

“Ubbidisci senza protestare, altrimenti potrei cambiare idea!” a quell’ordine non seppe replicare e mortificata superò il Re entrando a Palazzo. Non si affrettò a raggiungere i propri alloggi, diventati ormai un piccolo mondo che la rappresentava. Vi era un anticamera con una grande libreria ed un focolaio molto grande, una scrivania ampia dove vi erano adagiati molti più libri che sugli scaffali. Delle tende leggere delimitavano un piccolo parapetto che dava proprio sullo spazio antistante le porte del palazzo. Un grande letto soffice e morbido era posto in un ambiente comunicante, da dove la luce filtrava attraverso una piccola finestra bifora adornata da tralci di edera scolpita nella roccia, aperta invece ai giardini reali diventati pianta stabile dei suoi studi. Nell’entrare nella stanza d’ingresso si scontrò con una figura di spalle. Stava ferma ad osservare l’esterno con le mani legate dietro l’ampia schiena, i lunghi capelli dorati ad accarezzarne il profilo. A Tirinîr le mancarono le parole di bocca, non riusciva più ad articolare nessun suono se non fosse per uno di stupore. E pensare che aveva progettato di dimostrarsi sprezzante dopo essere partito senza nemmeno salutare se non con un misero biglietto, invece adesso sentiva solo l’infinita voglia di essere stretta tra le sue braccia.

“Legolas …” bisbigliò incredula. L’elfo sorrise mostrandosi finalmente in tutto il suo splendore, i suoi occhi, le sue labbra sottili ma non troppo, la pelle bianca come la neve. Era lì dopo settimane di assenza, era tornato finalmente. Tirinîr gli corse incontro gettandosi con tutta la forza sul suo petto. Anche per il principe la lontananza era stata struggente, ora che poteva assaporare il dolce profumo di fresie che l’accompagnava si sentì appagato. Rimasero così l’uno tra le braccia dell’altra, ma Tirinîr temeva che quello fosse solo un sogno e si discostò giusto per poter guardare il cielo limpido riflesso nei suoi occhi. Legolas invece cercò la sua mancina dove uno splendido anello d’argento spiccava all’anulare, la portò poi alle labbra per poterla baciare esponendo alla luce anche la sua vera simile a quella della ragazza.

“Ti prego ascoltami, non te ne andare …” non le importava di essere in veste da camera uscendo fuori dalle coperte, il suo scopo era quello di spiegare cosa era accaduto all’elfo.

“Ho capito Tirinîr non vuoi essere incatenata nuovamente. Me ne rammarico ma lo capisco, sono stato sciocco io a chiederlo dopo così poco tempo! Non sentirti in obbligo con me, non ce ne è motivo!” fu la risposta fredda del principe ad un passo dalla porta. Dentro un fuoco intenso bruciava ardentemente, era fatto di lapilli e lava che scorreva ormai attraverso le sue vene, corrodendolo dall’interno. Amava quella fanciulla e non poteva farne a meno, ma era troppo dura per lui sentirsi dire di no apertamente.

“Mi è concesso il diritto di parlare, oppure pensi di poterlo fare al posto mio, Legolas?” il suo tono era mutato dalla supplica all'imposizione, voleva potersi spiegare. L’elfo si girò ed il suo sguardo sofferente andò a cozzare contro quello dispiaciuto della ragazza. “Siediti accanto a me, per piacere!” chiese più pacata indicando il ciglio del letto vicino alla sua figura. L’elfo obbedì come un cane fedele al padrone, ripromettendosi di non essere più precipitoso come Gimli gli aveva consigliato. Tirinîr accolse le mani dell’elfo fra le sue e con un sospiro iniziò a parlare. “Mi hai colto alla sprovvista, non pensavo che me lo avresti chiesto così presto.” Legolas non guardava altro che il pavimento di pietra, troppo spaventato da quello che stava per udire. “Non volevo dirti di no, solo dovevo pensare. Io desidero diventare tua moglie.”

“Allora perché sei scappata?” chiese quasi strozzandosi con le sue stesse parole. Una domanda che lo spaventava, una domanda che esigeva una risposta che forse non avrebbe voluto sentire.

“Perché io non so nemmeno cosa sia un matrimonio. Come posso diventare una moglie perfetta per un Principe se non so da dove si comincia?” con delicatezza prese il mento dell’elfo, dirigendolo a portata dei suoi occhi tristi. “Sono arrivata fino al ruscello dove mi hai trovata e sono rimasta lì a pensare, perché era quello di cui avevo bisogno. Perdonami ma ero troppo confusa per dirtelo in quel momento. Fin da bambina lo scorrere di un fiume mi calmava aiutandomi ad acquisire la giusta lucidità, ebbene ho trovato le mie risposte quasi subito in compagnia del suo mormorio. La mia era una paura irrazionale, cosa ci serve di più del nostro amore Legolas? Non lo conoscevo prima che entrassi nella vita eppure è nato spontaneo, non credo sarà tanto diverso essere tua moglie. Quando però volevo tornare non ho saputo riconoscere la strada e mi sono persa come una pivellina.” se prima sentiva la lava dopo le parole della sua amata avvertiva un fuoco nuovo e luminoso, non vedeva altro che un bacio passionale e travolgente ad accogliere la sua risposta come avrebbe dovuto essere fin da principio. Quando però le sue labbra si stavano per posare su quelle della fanciulla, ella lo bloccò ponendo le sue esili dita a paratia fra di loro. “Prova a richiederlo ora …”

“Tirinîr vuoi concedermi la tua mano e diventare la mia sposa?” chiese Legolas davvero sicuro ormai della risposta.

“Sì, accetto ernil nîn!”

 

“Quando sei tornato melamin?” le sue stesse parole tremavano nel constatare che quello non fosse il miraggio di un mero sogno. Passava il palmo sul suo viso a sincerarsi che fosse proprio il suo Principe, Legolas di suo canto la teneva stretta per la vita, aveva catturato il cuore sfuggevole di un’Ombra e non voleva lasciarlo andare.

“Nel mattino, ma tu eri già andata via …” non riusciva a trattenersi dal sorridere quando il volto di Tirinîr diventava così tranquillo e sereno, in questo caso euforico. “Mi sbaglio o hai fatto delirare mio padre?” non c’era rimprovero, non voleva di certo sprecare tempo a rimbrottare colei che dopo pochi giorni sarebbe stata sua per sempre.

“Sono un avversario temibile per i precettori, tuo padre si è preso una bella briga a voler diventare il mio maestro!” da quelle risposte divertenti subito cambiò espressione, una nota triste apparve sul suo volto e gli occhi si spensero della felicità provata dal suo ritorno. “Mi sei mancato, sono state settimane molto dure con i preparativi del matrimonio e senza avere notizie certe su dove eri.”

“Non potevo dirti dove sarei andato, mio fiore d’inverno, basta avere un po’ di pazienza e vedrai che capirai la ragione di tanto mistero.” Lo spirito indomito della ragazza trovava riposo solo tra le braccia dell’elfo che, trasportato dalla gioia di rivederla, prese ad accarezzarle una guancia delicatamente con il dorso della mano. Lesse nei suoi occhi mille emozioni, ma quelle più ardue d’affrontare per lui erano il dispiacere e la tristezza. Con il tempo trascorso tra gli alberi di Eryn Lasgalen Tirinîr aveva riscoperto tutte le meravigliose sensazioni di benessere e beatitudine abbandonando la melanconia al passato, sapere che a causa sua era tornata a subire una sofferenza lo turbava. “I miei sogni non ti rendevano giustizia, sei ancora più bella di quando sono partito.” Disse in un soffio appena percettibile, la ragazza non mancò nel dipingere di rosso le sue gote. Nonostante Legolas le dedicasse attenzione e devozione in ogni momento, non era ancora abituata alle sue premure ed ogni volta finiva con cadere nella timidezza.

“Mi hai sognata?” chiese incredula cercando inutilmente di deviare lo sguardo. Non poteva, in realtà era come incatenata a quegl’occhi che da tempo non vedeva.

“Tutte le notti e ti ho pensata ogni istante quando ero sveglio. Amin mela lle!” preso dal trasporto avvicinò il suo viso a quella dell’amata e con teneri e sfiorati baci unì le loro bocche, assaporando quel benvenuto che attendeva da quando era giunto al Reame Boscoso.

“Ti prego non mi lasciare più senza un motivo apparente, mio Principe!” disse Tirinîr appena si discostarono per poggiare le fronti a contatto e scambiarsi tenere carezze sul viso. La ragazza teneva gli occhi chiusi inspirando ed espirando concitatamente, come se avesse una tremenda paura che Legolas scomparisse da un momento all’altro.

“Guren go cen! | S - Il mio cuore [era] insieme a te! | Ma era necessario che partissi questa volta!” in un delicata morsa l’elfo aveva afferrato il volto della fanciulla e, mentre teneva saldo il collo, passava dolcemente i pollici sulla linea della mascella riscoprendo con il tatto la morbidezza dell’epidermide pallida di Tirinîr. “In più non vorrei che il piccolo Anrond prenda il mio posto, questa sua infatuazione per te è sempre più presente. Io di certo non posso biasimarlo …” restarono  per qualche istante in silenzio guardandosi fra di loro con complicità, poi da dei leggeri sorrisi si passò a ridere sommessamente, spezzando definitivamente la tensione creatasi.

“È un caro ragazzo, gli passerà presto!” replicò Tirinîr tra una risata e l’altra.

“Non ha molta scelta!” rispose a tono con una punta di serietà nella voce. La Guaritrice lo guardò esterrefatta: quella era gelosia, equilibrata gelosia tra due innamorati poco prima del matrimonio. Per lei fu come una delle più languide lusinghe fatte, per quanto Anrond fosse un ragazzo molto più giovane di lei, quasi un bambino in suo confronto almeno in aspetto, Legolas si sentiva in dovere di tenere la guardia alta. Aveva impiegato quasi tremila anni per trovarla, non voleva in alcun modo che rapissero quello che era il suo eterno amore, nemmeno un ragazzino poco più che trentenne.

“Ora però ho bisogno che tu acquieti la mia curiosità!” disse la fanciulla con un tono irremovibile, scostandosi per non lasciarsi distrarre da qualche gesto amorevole capace di scioglierla e farle perdere le capacità di raziocinio. “Devo sapere il perché sei partito senza dirmi nulla!” era così intenta nell’estorcere la verità da Legolas che non si accorse della presenza di qualcuno nella sua camera. L’elfo stava ben attento invece a non vagare con lo sguardo dietro le spalle della ragazza, aspettando pazientemente che la persona si presentasse da sé.

“Non sei cambiata di molto Chillah, sempre a chiederti i perché delle cose e pronta a tutto …” una voce famigliare fu come nettare per le sue orecchie, le braccia le ricaddero molli lungo i fianchi, gli occhi sbarrati e persi in tutti i suoi ragionamenti. Come poteva essere? Era questo dunque il segreto? Quanto tempo era passato da quando era convinta di non risentire più quella voce?  “Perché non mi saluti?”

“Perché temo che se mi volto scopro che è solo un illusione …” la forza in quel momento le venne a mancare, le gambe le tremarono e le labbra vibrarono per la commozione. Quel passo incerto, una camminata unica caratterizzata dal ritmo sconnesso di una gamba trascinata. Una mano prese la spalla della Guaritrice e l’invitò a girarsi. Gli occhi, già pieni di lacrime, brillarono quando incontrano quelli scuri di chi era giunta alle sue spalle.

“Raja … Ruin … Siete proprio voi?” chiese cercando di credere in ciò che vedeva. La donna che era di fronte alla Guaritrice era proprio la vecchia e saggia amica che aveva lasciato alla Foresta delle Ombre, solo con qualche filo d’argento tra i suoi capelli ricciuti e neri. La bambina invece se ne stava aggrappata al collo della madre osservando attentamente quella che somigliava alla sua Chillah, ma era così diversa da lei, più bella nei lineamenti e più alta di come la ricordava. Continuava a studiarla tentennante se concederle o meno il beneficio del dubbio, faticando nel riconoscerla.

“Ruin eri così impaziente di vederla ed ora non le dici nulla?” chiese Raja nel tentativo di sbloccarla. Durante il loro viaggio Legolas aveva spiegato alla Storica che il suo aspetto era mutato, seppur rimanendo affine a quello che loro conoscevano. Ma quella bambina non pensava di trovarsi di fronte un’estranea e tutto quel cambiamento le rimaneva di difficile comprensione. Ne era praticamente in soggezione, intimorita dalla nobil donna che la guardava speranzosa di un suo saluto. Eppure c’era quel qualcosa in lei, la dolcezza che trasmetteva con i suoi occhi era la stessa della ragazza che solo due anni prima le insegnava a coltivare il suo orticello.

La manina, ancora paffuta ed infantile, picchiettò contro la spalla della madre indicandole la sua volontà di scendere. Fece poi svolazzare la stessa, chiedendo a quella nota sconosciuta di abbassarsi al suo livello per poterla esaminare da vicino. Percorse attentamente il profilo degli zigomi, le curve del viso addolcite da un fisionomia magra ma florida, le labbra piene. Una cosa però le indicò con certezza che quella era la sua Chillah: il promontorio del naso appena più pronunciato, una imperfezione nel viso perfetto che non deturpava in alcun modo la splendida bellezza dell’elfo. L’esplorazione che veniva effettuata da quella bambina dai boccoli di fuoco avvenne nel più completo silenzio, attendendo il suo oculato responso. Non emise alcun fiato nemmeno quando con dolcezza abbracciò la Guaritrice, stringendosi forte al suo petto. Tirinîr depositò una serie di baci sulla morbida capigliatura della piccola e la tenne a sé per non lasciarla più andare. Da sopra la sua testa ringraziò il suo promesso con il labiale. Quello era il più bel dono che le potesse fare.

 

“È stato difficile come pensavi, Tirinîr?” da un po’ Legolas attendeva la sua amata varcare la soglia della biblioteca dove solevano incontrarsi la sera prima di coricarsi ognuno nelle proprie stanze. Sapeva che con Ruin e Raja a palazzo non avrebbe avuto molto tempo da passare con la sua promessa, quindi aveva atteso pazientemente che sopraggiungesse la stanchezza che la natura umana conferiva alle loro membra. Seduto con la schiena poggiata su di una comoda poltrona di velluto ed immerso in un libro, aveva udito i suoi passi avvicinarsi ancor prima di sollevare lo sguardo dalla sua lettura, ormai adagiata inerme sulle sue ginocchia. L’unica fonte di luce era il fuoco che scoppiettava allegro nel camino, la sua amata ancora non sopportava bene le temperature più fredde del Reame Boscoso.  

“La visita ai giardini l’ha stancata, l’emozione però ha avuto la meglio. È una bambina meravigliosa, ma testarda e non voleva proprio addormentarsi prima di avermi raccontato del suo orto che si è ampliato in varietà. Piuttosto mi sono attardata a parlare con Raja, ma prima di tutto: c’è un principino elfico con le orecchie a punta che deve molte spiegazioni alla fanciulla qui presente!” assaporare quei momenti con la sua Tirinîr per l’elfo era una gioia incommensurabile, aveva vissuto la sua convalescenza giorno per giorno ed il vederla così piena di vita lo faceva sentire sollevato. Aveva compiuto il miracolo che si era preposto e i pochi giorni che lo separavano dalla consacrazione della loro unione lo rendevano un fanciullo impaziente.

“Sei decisamente stata troppo a contatto con un nano di mia conoscenza, da quando mi apostrofi come un principino elfico con le orecchie a punta?” chiese divertito. Era bello scherzare con lei spesso molto adulta e matura, ma che stava recuperando il tempo perduto durante la sua gioventù.

“Da quando hai deciso di partire prima del nostro matrimonio senza dirmi il perché!” rispose la fanciulla mentre si sedeva sulla poltroncina di fronte a quella dove si trovava Legolas. “Sto ancora aspettando!” incalzò incrociando nervosamente le braccia al petto. Quell’espressione contrariata la rendeva ancora più bella, il suo storcere il naso e l’imbronciarsi delle morbide labbra sprigionavano una tenerezza unica nel suo genere.

“Credevo fosse evidente ormai il perché, melamin. Volevo farti una sorpresa e soprattutto non volevo far mancare la tua famiglia in un giorno così importante per noi. Non è stata gradita per caso?” chiese allora con un certo tono arrogante e di sfida.

“La sorpresa in sé per sé sì. I due mesi di lontananza nella piena ignoranza decisamente no!” il tono animato con cui lo disse preannunciava la sua arrabbiatura. Stizzita aveva preso ad osservare le fiamme dibattersi nel focolare, stringendo i braccioli in legno forse con un po’ troppa veemenza. Legolas si alzò da dove si trovava per genuflettersi ai piedi della sua amata, non poteva permettere in alcun modo che il suo volto fosse sfigurato dalla tristezza. Con movimenti lenti e dolci le prese le mani per accostarle alla bocca e baciarle con devozione. Avrebbe implorato il suo perdono se fosse stato necessario, ma l’accenno di un sorriso gl’indicò invece i primi cedimenti da parte di Tirinîr. “Pensavo che non saresti tornato in tempo per la data che avevamo fissato, sai quanto ci tengo che sia proprio nel solstizio d’autunno …” smise allora di baciarle le mani e prese a fissare il suo sguardo perso ancora nella contemplazione del fuoco.

“Non dovevi assolutamente pensare una cosa simile, non avrei mai potuto!” quella risposta brusca attirò gli occhi della Guaritrice verso il suo amato ancora inginocchiato davanti a lei, inalberato per quella che era un’infondata ed inaccettabile paura. “Avo gâr caun beth nîn? Avo ingag na i veleth nîn? | S – Non ha valore [la] mia parola? Non credi nel mio amore? |” l’elfo si sentiva messo in dubbio e ne era fortemente dispiaciuto. Sentirsi rivelare questo dopo aver costretto i suoi uomini, Raja e Ruin a viaggiare senza sosta per giorni interi solo per poterle riunire in occasione delle nozze, lo aveva decisamente seccato. Tirinîr aveva percepito la stretta alle sue mani aumentare senza dolergli, ma quel tanto che le permetteva di capire di averlo offeso. La sua inespressività non lasciava infine spazio ai dubbi. Quando il suo amato si scopriva arrabbiato diventava freddo e spento, non dava in escandescenza, non alzava la voce soprattutto con lei. Piuttosto la puniva con un silenzio assordante e con parole secche atte a farla ragionare.

“Scusami, sono stata una sciocca a pensarlo. Hai ragione, non dovevo dubitare di te e del nostro amore …” disse sommessa, abbassando lo sguardo sconfitta ed amareggiata per aver rovinato quel loro momento insieme con inquietudini puerili. Vedendo la costernazione della sua promessa, Legolas decise di mettere da parte il proprio orgoglio ferito dalla scarsa fiducia della ragazza e sollevato il suo mento l’invitò a guardarlo negl’occhi.

“Non ha alcuna importanza, mio fiore d’inverno. Ora siamo insieme e con te avrai anche Raja e Ruin!” seguendo il suo cuore Tirinîr si abbassò sul viso dell’elfo e gli sfiorò le labbra per ringraziarlo. “Ora dimmi, cosa vi siete raccontate con Raja? Novità dalla Taur en Gwaith?” chiese interessato con voce bassa, cambiando così discorso, nel tentativo di risollevarla dopo la piccola diatriba appena avvenuta.

“Non molte melamin.” Il suo parlare era grattato, quell’argomento riapriva le vecchie ferite in via di guarigione, ma necessario da affrontare per le stesse. Doveva assolutamente conoscere le conseguenze alla sua sortita. “Dopo la rivoluzione l’esercito è rimasto fedele, ma alcune hanno deciso di andarsene per vivere una nuova vita seguendo il mio esempio. Sembra che i Variag non stiano ancora cercando di attaccarle, ma pensa che si muoveranno prima o poi, mi ha detto che non sarà un problema propriamente immediato ma che si presenterà. Mi ha assicurato che saranno pronte, secondo il suo parere dovrebbero stringere un’alleanza con qualche città lungo la strada che i Variag conoscono e magari creare una colonia esterna utile anche ai commerci ormai chiusi con il Sud. Non nascondo che sono preoccupata, molto preoccupata. Sei riuscito a trovarle così facilmente che non tarderanno a stanarle, soprattutto se escono dal bozzolo creato nella Foresta dove sono più forti, rischiano di esporsi troppo apertamente alla vendetta di Kudzo e di Kudrem.”

“Ti ricordi cosa hai detto durante il viaggio di ritorno?” chiese all’improvviso Legolas vedendo che la ragazza aveva smesso di parlare deglutendo nervosamente.

“Che mi fido della mia Storica …” rispose elargendo un gran sospiro a rimarcare il suo evidente stato di angoscia.

“Esatto! Tirinîr non angustiarti prima che le cose accadano!” depositò allora una carezza sul suo viso cercando di rincuorarla, facendole percepire la sua vicinanza. In effetti era molto utile averlo accanto quando lo sconforto catturava la sua anima.

“Non posso fare a meno di domandarmi se sarei stata utile alla Taur en Gwaith, Callial si sta ancora riprendendo, alterna momenti di lucidità sempre più lunghi ad attimi di pazzia. Sono dispiaciuta di non poterle stare accanto, in fondo è mia sorella … Ho come l’impressione di essere stata egoista …” Legolas non si potè trattenere dal zittirla posizionandole un dito sulle labbra.

“Tu eri una vittima al suo pari, se le fossi stata accanto probabilmente non ne avreste giovato nessuna delle due. Dovevate guarire entrambe da due veleni diversi uno fisico ed un altro del cuore. È stato necessario il tuo allontanamento e poi è quello che voleva anche lei.” La fanciulla non si destò dal torpore dei suoi pensieri se non quando Legolas le porse una missiva chiusa da un sigillo in ceralacca ben noto a quella che una volta era un’Ombra. I due alberi, la morte e la vita, con al centro il diamante. “L’ho incontrata, mi ha chiesto di consegnarti questa porgendoti le sue scuse per non poter assistere alle tue nozze. Avrebbe voluto, davvero, ma le sue condizioni non le permettono di spostarsi agevolmente. Posso portarti la mia testimonianza in compenso se questo può alleggerire il peso nel tuo cuore … ” la Guaritrice afferrò con mani tremanti il rotolo, che sembrava essere avvolto su di un oggetto più pesante. Rispose poi all’amato con un cenno della testa invitandolo a continuare. “Sta meglio, è savia il più delle volte e si rende perfettamente conto dei suoi errori passati. Raja l’ha presa in custodia e sta facendo un ottimo lavoro, ma la strada da affrontare è ancora lunga e dura. Mi ha anche pregato di perdonarla … ”

“Come potrei non farlo, non era lei a parlare quando la sua mente delirava.” Lo interruppe Tirinîr singhiozzando per trattenere le lacrime. Da tanto non piangeva per tristezza ed in fondo si stava liberando l’anima con quello sfogo.

“Ora ti lascio sola e ti auguro la buonanotte. Ti amo mio piccolo fiore d’inverno …” l’elfo non aggiunse altro in quel bisbiglio, posò solo le sue labbra sulla fronte in un casto ed affettuoso bacio e si alzò allontanandosi silenzioso. Tirinîr aspettò che i singulti terminassero prima di rompere il rosso fermo, posto sul lembo della pergamena per evitare che si srotolasse. Tra le sue spire vide una fine catenella di metallo lucido scivolare ed appeso un ciondolo circolare con lo stemma della Gwaith con un diamante incastonato tra i rami dei due alberi. Lo studiò distrattamente per poi vertere con più attenzione al contenuto della lettera. Vi erano lettere scritte in maniera egregia ed altre distorte come da un tremore colto alla mano di chi le aveva vergate. Le parole erano quelle dell’antica lingua delle amazzoni che qui per voi tradurrò in linguaggio corrente:

Mia cara sorella,

Scusami se ti appello a tale nonostante tutto il dolore che ti ho inflitto. Avrei davvero voluto essere lì di persona per poter implorare il tuo perdono ma non posso purtroppo, a causa delle mie precarie condizioni. Non sai quanto io mi penta e mi dolga di quello che hai passato con la me avvelenata dal Sangue di Orco. Non hai mai meritato il male che le Gwaith hanno saputo infliggere con i propri arcaicismi.

 Sono spaventata mia dolce sorella, tanto spaventata da me stessa. Non posso fuggire da quello che la mia mente era stata indotta e spesso ho paura delle mie stesse azioni. Prima era così semplice, non avevo rimorsi e non ricordavo nemmeno se ti colpivo con il mio bastone. Ora invece tutti i miei misfatti compaiono chiari e nitidi. Prego ogni giorno Artemis affinché mi dia un po’ della tua forza per combattere le fiamme che mi si scatenano dentro, come avrei voluto averti accanto anche se non sarebbe stato giusto per te. Tu meriti di stare lontana dall’orrore che hai vissuto, ingabbiata tra questi alberi in una vita non tua. È vero, tu manchi a questa Foresta, ma questo non è e non è mai stato il tuo posto. Possiamo cambiare le leggi, possiamo allearci con chiunque, non cambieremo però quello che siamo. Macchine di distruzione. Mi ricordo ancora quando imbracciasti per la prima volta la spada e ti rifiutasti di combattere con una ragazza più debole di te. Senza cibo né acqua venni rinchiusa per due giorni nelle prigioni, nessun’altra si sarebbe fermata vedendo la supremazia fisica come un’arma di attacco, ma tu sì sapendo bene a cosa andavi incontro.

Il tuo Principe è qui oggi e mi offre l’occasione di redimermi in un certo modo, anche se poche parole sconclusionate, scritte in un momento di lucidità, non potranno sostituire mai tutto quello che hai perso. Approfitto ora per dirti che alla notizia del tuo matrimonio il mio cuore ha sussultato dalla gioia, sono molto felice che tu ti sia ricongiunta con quello che doveva essere il tuo mondo da sempre. Sono altresì contenta che Raja abbia deciso di prendere il mio posto portando Ruin con sé. Hai sempre amato quella bambina, dovevano esserci come la madre e la sorella che non hai mai avuto.

Ti sarai sicuramente chiesta cosa significhi il ciondolo che ti ho consegnato, ebbene quello è un regalo per il tuo sposo da parte di nostra madre. Riporta il simbolo della tua vecchia casata e spero ti ricordi almeno l’amore che il popolo ha sempre nutrito per te come nostra madre. In te vedeva il futuro, ci amava anche se non lo dimostrava e sicuramente sarebbe stata felice di vederti accanto al Principe. Avrebbe benedetto la vostra unione come lo sto facendo io. Perdonami se interrompo bruscamente questo fiume di pensieri, avrei ancora altro da dirti, ma ora ho bisogno di riposo.

Spero solo un giorno di poterti riosservare, anche da lontano, con un bel sorriso a rischiarare la tua giornata.

Ti ho amata. Ti amerò sempre.

Tua sorella Callial.

 

Vi lascio ora a riflettere miei amici: Callial ha capito i suoi errori ed ha compreso quelli della madre chiedendo il perdono. La misericordia è un dono divino come divino è il dono dell’amore che sia esso di un compagno, di un famigliare, di un amico.  Seppur la nostalgia possa aver preso il vostro cuore, non dovete rattristarvi. Dì di gioia e di festa seguono la tempesta provocata dalle emozioni di un’Ombra divenuta solida luce, quindi rallegratevi già da adesso e bevete alla salute di due anime che convoleranno a giuste nozze. Perché è all’amore che dobbiamo il canto di Sarìin.

  

 

Note dell'autrice: Bonjour, postino prima di andare al lavoro. Salto nel tempo: per darvi un'idea siamo a circa due anni dopo (nel capitolo c'è il riferimento temporale) la proposta di Legolas. Sarebbe bbastato un anno di fidanzamento ma la sposina voleva una data precisa e quindi si sposerà il 23 settembre. Comunque vi ricordo che alla fine della storia pubblicherò un resoconto degl'anni con gli eventi più importanti anche antecedenti alla storia e collegati con iSdA in modo da capire lo svolgersi temporale della storia. Allur riuscito  l'effetto sorpresa? Non volevo farvi prendere troppi colpi quindi sono stata tenera, devo ammettere che dalla prima stesura si capiva proprio come se si fossero lasciati e Legolas se ne fosse andato per non vederla, questa invece era più morbida. Ho tentato insomma d'insunare il dubbio e basta, senza indizi troppo palesi. Ditemi voi se ho compiuto il mio intento ... ^^.

Questo capitolo è nato con lo scopo di parlare anche delle Gwaith: Legolas era andato a prendere Raja e Ruin come rappresentanza della famiglia di Tirinir e farle una sorpresa. Le Amazzoni sono ancora nella Foresta nascoste, i Variag ovviamente non conoscono l'ubicazione esatta del loro nascondiglio (mi sono dimenticata di dirvi che a differenza dei Signori del Khand - ricordate venivano bendati per portarli nelle terre delle amazzoni - Legolas è scappato ed ha visto la strada per questo le ha trovate) e quindi non potranno attaccarle tanto facilmente. Sorvegliano molto ampliamente la zona e quindi è difficile avvicinarsi a loro. Per darvi qualche notiziola in più stringeranno delle alleanze come ha detto Raja con alcune città della costa ed avranno quindi commerci con loro. Callial si sta riprendendo ma ha delle crisi di astinenza dovute al prolungato uso del veleno per anni. Con il tempo passeranno ma per ora è ancora molto lontana la vera e propria guarigione. La sua lettera doveva sembrare leggermente sconclusionata come se fosse confusa dai suoi stessi pensieri per questo passa da una frase all'altra un po' di fretta, cercando di sbrigarsi prima che la sua mente vacilli.

Visto che parliamo di Callial passo al matrimonio: il ciondolo che regala a Legolas come regalo della madre è un usanza Noldor, compare anche nel iSdA quando Galadriel regala ad Aragorn l'Elessar compiendo le veci della madre di Arwen (lei è la nonna). Un'altra usanza è quella che i due sposi si scambino 2 anelli d'argento durante un banchetto in cui ufficializzano il loro fidanzamento (da questo i due anelli che indossano i nostri dolci piccioncini). Comunque vi consiglio questo saggio molto competente sulle usanze degl'eldar da cui io ho preso le mie info. E' praticamente un resoconto su Leggi e costumi degli Eldar tratto dall'History of Middle Heart (dovrebbe essere il decimo libro se non mi sbaglio) una raccolta a cura di Christopher Tolkien di alcuni scritti del padre postumi e mai pubblicati (in italiano non sono editi quindi ci accontentiamo della versione in inglese). Comunque in questo sito ho trovato tanti saggi interessanti quindi ve lo consiglio vivamente indicizzandovi a quello a cui mi riferisco:

http://www.eldalie.com/saggi/UsiEldar.html

So che sono una rompina con questi link però mi piace rendervi partecipi della mia ricerca per costruire la storia (e poi sbaglio come è successo con i nomi sob =_='')

Passiamo alle recensioni:

Elfa: Nuuuuuu! Ho fatto di nuovo confusione con le virgole!!! Che pizza ora che sembravamo giunti ad un compromesso!!!Maledette traditrici! Non è colpa mia sono loro che mi tradiscono spuntando come funghi dopo la pioggia!!!Scherzi a parte!!! Vado subito a ricontrollare il capitolo cercando di mettere ancora più attenzione, mi dispiace che magari rovino un buon lavoro con questo genere di errori cretini sai quando si dice che una cosa non ti si vuole infilare in testa (pensa che ho ripreso i miei vecchi libri di grammatica per aiutarmi ma niente è più forte di me, ma tanto chi l'ha dura la vince sì sì!). Detto questo: grazieeeeee! Cioè il tuo sfogo iniziale incitando la gente a commentare mi ha commossa! Comunque posso dirti con certezza che tu e Thiliol siete delle grandi recensioniste molto attente e mi piace avere a che fare con persone che ti spingono a migliorare anche in una passione come questa. Sono strafelice che la mia storia abbia comunque attirato persone "competenti" e che non sia disprezzata come temevo. In fondo sapevo di rivolgermi a quello che può essere definito un pubblico difficile e molto attento, quindi anche il silenzio può essere una buon cosa. Ti ringrazio infinitamente per il tuo appoggio. E ti prego non tirarmi i pomodori per l'inizio del capitolo. Mi piace usare un po' di molesta suspence ^^.

Thiliol: Lo sapevo! Lo sapevo che Aurehen ti sarebbe piaciuta, evviva!!!^^ Bhè comunque da amante del buon vino non potevo tralasciare il dettaglio al caso, insomma il capitolo della guardia elfa che si ubriaca è stato uno dei miei preferiti nel Lo Hobbit (ghghgh!!!). Ok ammetto che mi sono ingarbugliata con i nomi < Mally sbatte la testa al muro per non averci capito un piffero > quindi ti chiedo un aiutino come al solito: rileggendo più attentamente l'articolo di Wikipedia (che docet ma io apprendo male) sarebbe più corretto - > Helluiniell = nome paterno (in wiki riporta l'esempio Gilgor Inglorion) Tirinir = nome materno (a quel punto diverrebbe come una sorta di riferimento ad Adamante visto che significa diamante e per loro erano le lacrime brillanti quindi ci potrebbe stare) ed Envinyatarë = epessë. Così dovrebbe essere giusto in teoria. Non so, mi rimetto al tuo giudizio e cambierò le info sull'altro capitolo. Grazie per la tua assistenza non so davvero come farei senza di te (tiè beccate sta sviolinata ^^) !!! Un bacione.

RINGRAZIO SEMPRE TUTTI COME MIO SOLITO!!!

Sempre vostrissima Mally!

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Capitolo 18
*** CAPITOLO XVII: Deporre le armi. ***


CAPITOLO XVII: Deporre le armi.

  

“Che follia è questa, Anrond? Da quando non ho il permesso di entrare nelle stalle?” Quella discussione vivace si prolungava nel tempo, di certo Tirinîr non era dotata di grande pazienza soprattutto da quando ultimamente c’era la tendenza a nasconderle qualsiasi cosa. Si vedeva quasi sempre circondata da sotterfugi, intrighi e questo non le piaceva. Riaffioravano con quell'alone di mistero gli orribili ricordi di un'Ombra, come se vi fosse ancora.

“Non potete entrare, mi dispiace è un ordine a cui non posso sottrarmi!” il giovane elfo era fermo immobile, muovendosi in sincronia con i passi della fanciulla. Se lei spostava un piede a destra per superarlo, lui lo spostava a sinistra impedendole il passaggio. Sembrava un gioco effettuato di fronte ad una lastra specchiata, in cui i due riflessi non combaciavano alla perfezione se non per i movimenti a scatti. Seduta sulla balaustra vi era Ruin, che osservava incuriosita la scena ciondolando le sue gambe impaziente. Tirinîr voleva approfittare degl’impegni di Raja con Legolas e Thranduil per portare la bambina in una gita nel bosco, anche se lo scopo primario rimaneva far impazzire un po’ Anrond che si sarebbe ritrovato con ben due Ombre da guidare una più petulante dell’altra, invece secondo un ordine di chissà chi non poteva nemmeno entrare nelle stalle. 

“Vuoi avere almeno la compiacenza di dirmi chi ha impartito questo assurdo ordine?” Anrond sapeva che ormai il limite era raggiunto, tutto lo sforzo della Principessa nel mantenere la calma si stava esaurendo come la polvere che sollevava, ma non poteva permettersi in alcun modo di sottrarsi al suo dovere di non permetterle l’accesso alle stalle con ogni mezzo possibile. E doveva anche tacere quel nome, cosa che avrebbe mandato su tutte le furie quella che in fondo era una sua amica.

“Non posso!” ribatté in maniera impassibile, alzando le mani di fronte a lui come a discolparsi.

“Ah!” urlò Tirinîr esasperata e completamente furiosa, voltando le spalle al ragazzo che abbassò le braccia vedendola cedere. Mai grido di vittoria fu detto tanto presto: con uno scatto la fanciulla si gettò alla sua destra e, prima che potesse afferrarla, lei sgusciò via sulla sinistra riuscendo addirittura a porre le mani sul battente delle stalle. Impresse tutte le sue forze nell’aprirla senza sortire nessun risultato, le porte del Reame Boscoso erano chiuse con parole e segreti ancora a lei sconosciuti. Quando si avvisò di ciò percepì un tonfo sordo contro il terreno e la risata cristallina di Ruin librarsi nell’aeree. Tornò a guardare Anrond non incontrando i suoi occhi all’altezza cui era solita, bensì più in basso e coperti dal muro corvino imposto dai capelli. Egli era quasi completamente sdraiato al suolo e contrapponeva le braccia per sollevarsi con il capo chino, sempre più umiliato da quella ragazza che era troppo vivace per un giovane come lui. Non era mai stato goffo e maldestro prima d’incontrarla, anzi si poteva vantare di possedere un’eleganza unica. Anche l’albero più solido però può incrinarsi ad una violenta tempesta e Tirinîr possedeva tutte le caratteristiche di una delle più crude bufere invernali. “Oh, povero  Anrond!” esclamò dispiaciuta, se per dispiacere intendiamo il nascondere il divertimento in malo modo. Afferrò il suo braccio pulendo la giacca sulle spalle, sfilando poi un pagliericcio dai sui capelli. “Raggiungiamo un accordo: io non provo ad entrare nelle stalle se tu mi dici chi ha impartito l’ordine.”

 

Legolas sentì bisbigliare prima ancora di uscire con Raja dalla biblioteca in cui era appena avvenuta la riunione con il Re e la Storica. Era iniziata come la spiegazione di ciò che sarebbe avvenuto l'indomani, ma la curiosità di Thranduil nel conoscere quel popolo nascosto e sconosciuto affiorò quasi immediatamente. Raja si era trovata a spiegare come erano nate e i loro metodi di sopravvivenza, omettendo i particolari che avrebbero potuto compromettere il nascondiglio della sua Chillah. Infatti quando il Re aveva offerto il suo eventuale aiuto a quella che era stata la casata della futura sposa del proprio figlio, la donna aveva da subito imposto dei limiti dovuti alla sicurezza della Guaritrice e fu allora che il Re chiese il perchè di quell'epipeto suggerito persino dal figlio. Scoprì quindi del dono latente di Tirinîr, la sua capacità di alleviare le sofferenze fisiche e morali e di quello che era riuscita a fare con Raja e la figlia, comprendendo anche la visione lucente di Aurehen sulla ragazza. Da quella conversazione congiunse molti tasselli tra passato e presente, finalmente ebbe l'impressione di conoscere a sufficienza la misteriosa fanciulla figlia di Helluin. Quando i due aprirono la porta, lasciando il Re a sistemare gli ultimi preparativi della cerimonia, trovarono Ruin e Tirinîr ad aspettarli, entrambe con le braccia conserte e lo stesso amabile broncio disegnato sul viso. Quegli stessi atteggiamenti infantili provocrono una debole risata, la quale venne subito zittita da un versetto seccato della bambina.

“Ho fatto qualcosa per meritarmi questa accoglienza?” chiese Legolas.

“Io …” disse spavalda la bambina. “… volevo visitare il bosco con Chillah, ma non possiamo prendere i cavalli per colpa tua!” Raja spalancò gli occhi quando sua figlia aveva preso ad agitare il ditino verso l’alto in direzione del Principe con fare inquisitorio, rivolgendosi per altro dandogli del tu.

“Ruin che maniere sono queste? Non ci si rivolge così poco educatamente …” intervenne cercando di limitare i danni.

“No, Raja!Non avrei saputo chiederlo in modo migliore!” disse Tirinîr in difesa della bambina, guadagnandosi gli sguardi sorpresi dei presenti. “L’ho autorizzata io, voglio sapere proprio come si giustificherà per l’impedimento che mi è stato mosso oggi di entrare nelle stalle.” la sua voce era piatta, non c’era divertimento nonostante la situazione lo richiedesse. La sua determinazione si manifestava inoltre con lo sguardo truce che stava riservando a Legolas, ma era soprattutto la delusione a fare da padrona nel suo cuore. “A quanto pare io non sono più libera di poter fare una passeggiata fuori con un cavallo!”

“Non è questo …” cercò di ribattere l’elfo senza riuscirci, perché a quel punto Tirinîr strinse i pugni in un gesto furente, serrando la mascella con uno schiocco stridente. “Potete scusarci?” la sua promessa non si era mostrata così in collera con lui, c’era qualcosa di più recondito rispetto al semplice divieto d’ingresso alle stalle. Quando si rivolse gentilmente alle sue ospiti Raja rispose prendendo in braccio la bambina, ordinandole di tacere al principio della sua protesta per rimanere ad aiutare Chillah. Si sbracciò per un po’ prima di acquietarsi definitivamente, quando fu la stessa Tirinîr ad invitarla ad andare con un sorriso. Sorriso che venne cancellato appena i suoi occhi si posarono su quelli dell’elfo.

“Quale sarà il prossimo ordine? Il non potermi allontanare da te per nessuna ragione?” la battaglia era iniziata, il filo tagliente delle parole della fanciulla colpì Legolas con dolore. Lo stava apertamente accusando di costringerla a far qualcosa, mai e poi mai avrebbe anche solo  pensato una cosa simile. Nessuna catena le avrebbe più stretto le caviglie, persino dalle Aule di Mandos sarebbe tornato per garantirle il suo diritto alla libertà.

“Non so assolutamente di cosa tu stia parlando Tirinîr.” Rispose freddo, mascherando con destrezza le ferite che gli venivano inflitte dalla rabbia ingiustificata che gli stava mostrando con sprezzo.

“Da quando sei così abile nelle menzogne?” le sue richieste erano sputate fra i denti, gli occhi sfavillarono iridescenti colmando il suo sguardo iracondo di veleno. Non era solo l’imposizione ad andarle stretta, non gli aveva mai perdonato del tutto la sua sortita. Aveva mascherato bene il suo rancore riuscendo in qualche modo a soprassedere, ma nel momento in cui si era sentita imprigionata da lui riaffiorò come un cadavere putrescente ed inquinante delle acque, infine sfociando in una reazione esagerata.

“Anche se domani diverrai mia moglie non ti consento di offendermi con tali insinuazioni!” avanzò di un passo sovrastando con la sua altezza l’elfo che non cedette mai lo sguardo. Eppure anche arrabbiata, con le guance arrossate e le mani sbiancate per il troppo stringere, era infinitamente bella. In quell’istante, quando lo spirito combattente delle Ombre avanzava verso di lui, la fierezza della ragazza lo scosse e l’indomita figura di fronte a Legolas l’intrappolava per una seconda volta. E anche se si stavano rivolgendo sguardi algidi e parole ferree come lame di coltelli, dimostravano di amarsi e venivano calamitati l’uno dall’altra. Tirinîr sentiva il peso opprimente dell’elfo spingerla a cadere, con quel suo portamento regale e gli occhi glaciali ed ingrigiti dall'offesa mentre la scrutavano. L’autunno che soccombeva all’inverno.

“Io non posso offenderti, ma tu sei libero di vietarmi di uscire?” la sua protesta era diventato un soffio data la vicinanza. Si sollevò sulla punta dei piedi cercando di raggiungere infruttuosamente la sua altezza per sfidarlo.

“Non ti ho vietato d’uscire, chiunque avrebbe potuto prenderti un cavallo. Non potevi solamente entrare nelle stalle!” la sorpresa che lesse nei suoi occhi fu la risposta che cercava. Tirinîr cadde sui talloni, non centrando il baricentro fu costretta ad indietreggiare di un passo per trovare l’equilibrio. “Vedo che hai raggiunto le tue supposizioni senza approfondire. Bene l’hai voluto tu!”

Legolas afferrò con forza la sua mano e la trascinò fino alle stalle dove Anrond se ne stava a far da guardia seguendo l’ordine del suo Principe. Appena li vide si destò dalla sua posizione accennando ad un inchino. “Anrond apri le stalle!” ordinò serio l’elfo dimostrandosi all’apparenza duro, con il cuore in realtà lambito dalle fiamme. Quanto ancora doveva lottare per conquistare la sua fiducia? Il giovane elfo si pose in silenziosa obbedienza, apprestandosi a compiere il suo dovere pronunciando alcune parole alla porta per permettervi l'accesso. Come se fossero animati, i battenti scricchiolarono muovendosi verso l’interno, lasciando un cigolio ad accompagnare il rude scuotere del terreno. Legolas trascinò Tirinîr lungo tutto il corridoio costellato da nicchie dove i cavalli vi trovavano ristoro, svoltando a destra dove vi era il retro più interno. “Questo era il motivo per cui non volevo che entrassi, il tuo regalo di nozze!”

“Aratoamin!” sussurrò la Guaritrice in preda alla confusione, non sapeva se riservare la sua gratitudine a Legolas o correre a salutare il suo amico.  Si trovava lì accanto a loro con le gambe snelle, il fisico slanciato della sua razza e il suo manto chiazzato unico. Aveva emesso solo un debole nitrito protraendosi oltre la transenna per posare il muso tra le mani della sua padrona. Tirinîr era sempre più stordita e tremava nell’accarezzare il dosso dell’allungata nuca dell’equino. “Ma come … dove … ” disse sollevando lo sguardo disorientato verso Legolas.

“Volevo farti un dono per le nostre nozze e volevo che fosse qualcosa di significativo. Non so cosa ha fatto incontrare le nostre strade, ma io l’ho interpretato come un segno.” spiegò asciutto e piatto nei toni, senza l’ombra di un sorriso. Di tutti i modi in cui aveva immaginato quel momento, non era stato contemplato il litigio a precederlo. “Ci ha seguiti per tutto il tragitto, ci ha trovati e mansueto è venuto con noi senza essere costretto. È sempre stato molto intelligente evidentemente mi ha riconosciuto. Non si è imbizzarrito nemmeno quando è stato chiuso nelle stalle … ” quello che avrebbe voluto era uno baule racchiuso di emozione e gratitudine ed invece si era ritrovato a combattere con testardaggine ed orgoglio ferito.

“Oh Aratoamin, mellon nîn!”

“Avrei voluto portarti qui domani, dopo la cerimonia, ma non mi è stato possibile perché tu non hai abbastanza fiducia in me.” Tutto quello che provava in quel momento non riusciva ad arginarlo. Era una fiume di pece, nero ed acre, che s’infrangeva attraverso i flutti più oscuri, rincalzando la risacca impetuosa contro gli scogli. Non riusciva a calmarsi vedendo come ancora si sentisse sotto scacco, con lui a cercare di tenerla in giogo. 

“Non è così, Legolas!” cercò di giustificarsi, ma l’elfo si stava già dirigendo a grandi falcate verso l’uscita. Tirinîr era tentata di seguirlo, quasi intraprese la corsa sui suoi passi, ma si bloccò con le mani sollevate a mezz’aria. Il nitrito di Aratoamin attirò l’attenzione della ragazza su di sé, cercava di consolarla vedendola sorridere triste. “Man im echannen, mellon nîn? | S – Cosa [ho] fatto, amico mio? | ” il cavallo sbuffò facendo vibrare le sue labbra, emettendo versi piacevoli quando Tirinîr prese ad accarezzargli nuovamente il muso e a baciarlo come un tempo. “Sei tornato da me Aratoamin, questo mi rende felice. Spero solo di potertelo dimostrare, mellon nîn!”

 

Il rumore dell’asta della freccia incoccata contro l’impugnatura era rapido ed intenso, un ticchettio continuo seguito da un fischio e dallo schianto della punta penetrata  nel bersaglio. Il dardo sfrecciava veloce fendendo l’aria per parecchi metri prima di scontrarsi con violenza, mancando il centro di almeno una spanna. Sentire lo scorrere del sottile cilindro contro le proprie dita riparate da uno speciale guanto a forma di ‘V’, dava la sensazione che lo sfogo fosse appena iniziato. Le frecce rimanevano conficcate giusto il tempo di finire i colpi e svuotare la faretra, camminava dunque verso il bersaglio per riprenderle e ricominciare a lanciarle. Raja osservava in silenzio, seduta alle sue spalle a debita distanza. Ruin aveva tanto insistito per rimanere che aveva finito per addormentarsi fra le sue braccia, cullata dalla madre amorevole che la teneva coperta con il proprio mantello. Lo indossava quasi costantemente in quel posto così freddo rispetto al Rhûn ed ora vi aveva rinunciato con piacere per tenere al caldo la sua Fiamma Rossa, con quei capelli dalle lingue di fuoco color del rame unica eredità di quel padre che non avrebbe mai conosciuto. Forse le apparteneva anche la sfrontatezza e l’irriverenza di quel soldato che l’aveva trovata durante il rituale. Non le era mai importato sapeva essere il suo destino perché questo la madre prima di lei aveva compiuto, non vi era malizia ed impudicizia solo l’aggiudicarsi la continuazione del proprio sangue in un erede degno del proprio nome.

“Da quanto continua così?” la voce sopraggiunse da dietro, sussurrando appena per non svegliare la bambina ormai preda dei sogni più lieti esternati da un sorriso dolce, appena accennato nel profondo torpore in cui era piombata.

“Tanto che la piccolina tra le mie braccia si addormentasse, Principe!” Raja dondolava e cantilenava, stringendo al suo petto quel fagotto informe da cui spuntavano delle adorabili spirali e la pelle olivastra della manina posata sulla vesta ocra della donna. Era così pacifica e dolce quando era addormentata, proprio come la sua Tirinîr. E pensare a quante notti sotto le stelle l’aveva tenuta fra le sue braccia, cullandola come stava facendo Raja con Ruin. L’aveva protetta e amata, aveva cercato di darle il meglio andando anche contro il proprio padre. “Sta bene ora, è difficile persino riconoscerla. Vi sono grata per esservi preso cura di lei.” L’elfo sospirò andandosi ad accomodare accanto alla donna.

“Ma non è mai abbastanza.” Disse sconsolato guardando in direzione della ragazza, che non si accorse della conversazione che stava avvenendo a poca distanza troppo presa da quello sfogo che aveva assunto. I sibili delle frecce erano acuti come le grida di un animale ferito, vibravano tra le parole dei due ad ogni stoccata.

“O forse è quello che pensate voi, Principe.” Disse sistemando la bambina, che si era mossa cercando una posizione più comoda. “Avete mai provato a rincorrere il vento, mio signore? Egli traspare ai nostri occhi e veloce si porta via ciò che più gli aggrada. Nessuno lo può afferrare e chiudere in un barattolo e vano è il tentativo d’ingraziarselo con lusinghe e doni. Può giungere inaspettato come un guerriero devastatore, dissipando i raccolti e le sementi portando seco pioggia e tempesta. Oppure può donarti piacevoli sensazioni di frescura quando le torride giornate estive tolgono fiato e respiro. Mio signore, non necessitate di rincorrere il vento per averlo, vi ha scelto.”

“Perché ancora dubita di me?” quelle erano le stesse domande ripetute alla sua coscienza. Se non fosse stata per la presenza di Raja si poteva benissimo pensare che stesse parlando con sé stesso.

“Conoscendo la fanciulla in questione non penso che dubiti di voi, forse teme di fallire. Non posso biasimarla, per anni hanno minato la sua sicurezza, troppo ne è uscita vittoriosa con ancora quel briciolo di amor proprio che le è rimasto. Ma chissà se un amore diverso possa farle recuperare quello perduto?” la Storica guardò l’elfo sempre più assorto.  Un brivido di freddo la colse al calar del sole, tremando per un istante. “Sarà meglio che rientriamo, io e Ruin non siamo abituate a questo clima e domani sarà una giornata importante.” Quando la donna si alzò faticando a sorreggere entrambi i pesi, l’elfo accorse in suoi aiuto sostenendolo quel tanto che bastava a farla ergere sulle sue gambe. Raja si affrettò nel ringraziarlo e a fermarlo dall’accompagnarla nei suoi alloggi. “Avrò una gamba offesa mio signore, ma le braccia sono ancora forti e l’altra gamba ha sempre lavorato per due. Vi ringrazio comunque della vostra gentilezza, con permesso.” Disse allora prima di allontanarsi per raggiungere il palazzo.

Tirinîr non aveva ancora smesso di tirare con l’arco, tendeva la corda quasi a volerla spezzare e la rilasciava con altrettanta violenza. Non aveva mai preso il centro, solo un paio di volte era riuscita a sfiorarlo. Se con la spada sapeva difendersi con l’arco non  riusciva a rimanere sufficientemente concentrata per adoperarlo. Non era un’arma amata dalle Gwaith, nonostante fosse a distanza e permettesse di restare ben nascoste alla vista del nemico, preferivano piccole balestre, le armi bianche o da botta e pochi arcieri vi erano tra le file dell’esercito, ancor meno maestre capaci di insegnarle bene come usarlo. Legolas si accostò alla sua schiena mentre ancora teneva l’arco ben teso per scagliare l’ennesima freccia, era agitata e nervosa lo si poteva avvertire anche a distanza.

“Raja è rientrata?” chiese interrompendo quel silenzio ed alzando il capo chino a prendere la mira. Teneva chiuso un occhio acuendo l’altro verso il centro del bersaglio.

“Sì.” Rispose semplicemente l’elfo. La mano della Guaritrice rilasciò la corda rimanendo contratta e lontana dal viso, la freccia corse veloce colpendo a malapena il bersaglio. Subito prese un secondo dardo e lo lasciò scorrere troppo rapidamente lungo l’impugnatura. “Aspetta.” Le disse Legolas posando le sue mani su quelle di Tirinîr. Percepì il suo cuore bussare con prepotenza quando le labbra dell’elfo si accostarono al lobo del suo orecchio con un soffio leggero. Era dal momento in cui avevano discusso che desiderava un abbraccio e quella voce arrochita dalla posizione incurvata la faceva fremere. Certo non era proprio ciò che immaginava, ma le bastava quel contatto per farle affannare il respiro. “Alza il gomito e metti solo l’indice sopra la cocca …” mentre spiegava posizionava le sue mani con naturalezza come se quella che stesse toccando non fosse la persona a lui più cara,  ma dentro di sé sentiva il suo sangue ribollire. Era geloso di quella corda che sfiorava la sua guancia, avrebbe voluto baciarla fino a rapire i petali rosei delle sue labbra e il non sapere se sarebbe stato gradito lo rendeva triste. Amava quella ragazza in maniera irrazionale, non le avrebbe mai fatto del male eppure il suo orgoglio gli impediva di chiederle scusa e passare oltre a ciò che era accaduto. Forse perché, in cuor suo, sapeva che il torto non era completamente dalla sua parte. “Cerca di essere il più naturale possibile. Rilassa le spalle …” lasciò scorrere le dita lungo le braccia per giungere al punto indicato con carezze leggere, il corpo di Tirinîr rispondeva a quei dolci sfioramenti docilmente, con ubbidienza. Appena avvertì le mani risalire fino a posarsi nella conca tra il collo e la clavicola ebbe un brivido che la scosse impercettibilmente. Lasciò poi una scia di fuoco quando scesero lungo la schiena, era come se riuscisse ad emanare calore nonostante non vi fosse contatto fra di loro. Arrivò all’altezza del ventre ed esitò nel poggiarsi sopra per schiacciarla contro di lui imprimendo così la propria postura.

Tirinîr non disse nulla faticava anche solo a pensare, piacevolmente sopraffatta dalla situazione così intima e ravvicinata. Non era quello che si soleva dire un atteggiamento consono l’abbandonarsi ad effusioni troppo passionali anche se si era fidanzati ufficialmente. “Divarica i piedi …” a quell’ordine la ragazza spostò il tallone che andò ad incontrare la punta dello stivale dell’elfo. “Si vede meglio con due occhi, aprili entrambi. Concentrati sul bersaglio ed inspira profondamente, dovrai espirare solo quando rilasci la freccia …” lentamente l’elfo sganciò le sue mani dal corpo di Tirinîr e compì un passo all’indietro lasciandola libera di muoversi. “Vai scocca!” una ciocca di capelli della ragazza si mosse assieme alla freccia che finalmente trapassò il centro del bersaglio, lasciando la ragazza stupita. “Con un po’ di allenamento diverresti un ottimo arciere.”

“Avo theling ad daug! | S – Non voglio [essere] ancora un soldato!  |” affermò decisa, chiudendo fortemente il pugno sull’arco che ancora teneva fra le mani.

“An sen avo maetha, awartha i auth. Leitho le o Adamante.| S – Per questo non combattere, abbandona la guerra. Liberati di Adamante | ” Tirinîr non aveva il coraggio di voltarsi tanto la colpa le appesantisse lo spirito, quell’ultima frase ne era l’emblema. Un punto insignificante di un elenco di soldati. Questo era sempre stata e questo aveva sempre odiato, ma Legolas non era un suo commilitone. Egli era colui che l’indomani l’avrebbe presa in moglie e ne avrebbe fatto la sua sposa. Era giunta l’ora che l’Ombra tornasse nell’oblio da cui era stata generata.

“Im erin ad i veleth cîn? | S – Ho ancora il tuo amore? |”

“Ui! | S – Sempre! |” l’arco lungo ricadde a terra, mentre la Guaritrice si avventava al collo dell’amato con talmente tanta veemenza che l’elfo quasi perse la stabilità. Non c’era una parola migliore per esprimere quello che per lui significava quell’abbraccio, era pazienza, dolore e gioia tutto racchiuso in quel semplice gesto prodotto dallo slancio passionale di una ragazza verso chi l’aveva fatta rinascere lontana da guerra e sofferenza.

 “Avevo anch’io un regalo da farti, melamin.” Si sciolse allora da quell’abbraccio abbassandosi per estrarre il pugnale di Helluin che portava ancora nello stivale, abitudine mai persa, mai voluta abbandonare veramente. Tese le braccia mostrando la lama e l’impugnatura parallele al terreno a favore dell’elfo. Gli stava donando la sua arma, si stava liberando del suo soldato. “So che la Dama di Lòrien ti donò un pugnale, ma questo ha un significato ben più profondo di quello che può essere una buona lama.”

“Non posso accettarlo era di tuo padre, non posso separartene.” disse incredulo Legolas.

“Non ne ho più bisogno. Depongo le armi Legolas, ho terminato la mia guerra e ne esco vittoriosa. Ora questo è tuo, heruamin. Che ti sia di aiuto come lo è stato per me!” s’inchinò nell’offrirlo all’elfo ancora titubante. Nimril la fiamma bianca di Helluin, la fiamma bianca di Tirinîr. “Accettalo come pegno del mio amore.”

“Anna le glass? | S – Ti rende felice? [lett. Ti dona gioia? ] |” Tirinîr sollevò lo sguardo, annuendo alla domanda dell’elfo che impugnò l’arma esaminandola.  La lama affilata baluginò alla luce soffusa del sole morente, come ad invitarlo a prendere quel pugnale dal traverso inciso con due foglie dalla lamina ovale e liscia, descritte con minuzia nelle venature da sembrare intinte nel metallo e l’impugnatura fatta da petali allungati di un boccio. Tre niphredil vi erano scolpiti a piramide indicando la via per il cordolo e per l’intaglio dove urlava il proprio nome. “Accetto il tuo dono, mia signora. Possa esso donare la pace al tuo soldato.”

“Che riposi per sempre e giaccia sotto una coltre di polvere, sangue e terra ...” quella fu la definitiva resa di Adamante scomparsa con la nascita di Tirinîr e con un bacio a suggellare tale capitolazione. Il Vespro determinò la promessa di non impugnare mai più un'arma e l'abbandono definitivo della guerra, ora vi era un semplice mezzelfo che aveva scelto di appartenere al Popolo delle Stelle per sempre.

 

Non fu la dolce allodola a risvegliare la fanciulla quella mattina, ne la rossa aurora che tingeva con calore le timide gocce di rugiada depositate dalla notte sulle foglie del Regno. Un profumo intenso di fiori e frutta invadeva la stanza. Concentrandosi si poteva sentire il melograno e l’uva mescolare le proprie fragranze con gigli, orchidee e rose. Altri effluvi danzavano con essi ed un aroma zuccheroso spiccava, del miele di castagno forse, del lembas appena sfornato. Assieme vi era l’odore di legno di faggio essiccato bruciare e lo scalpitio delle fiamme. L’alba era appena spuntata nel dì di festa per il Reame Boscoso, ma la silenziosità e il rispetto degl’elfi non era pari al lor formicolare tra le vie, affaccendati in quelli che riguardavano gli ultimi preparativi. Appena le palpebre della ragazza si dischiusero gli occhi incontrarono la tiepida luce del primo sole, un buongiorno che le indicava la sua strada da percorrere. Scostò le coperte lasciando cadere i piedi nudi sul pavimento, li ritirò in un primo momento alla percezione del freddo lambirle le piante, ma poi li fece abituare per poter accedere all’anticamera. La leggera veste di lino che le ricopriva il corpo non le permetteva di ripararsi al meglio, troppa però era la curiosità di ciò che l’aspettava nell’altra stanza. Si soffermò alla tenda impaziente scostandone il lembo con il dorso della mano per poter sbirciare. Mai vi era stato tanto ordine nelle sue camere, i libri erano stati riposti in ordine sulle scaffalature della libreria e la scrivania era stata adibita a vano per la colazione ricoperta da una sottile tovaglia ricamata di bianco e oro. Su di essa cesti di frutta, lembas ed altre leccornie erano state poste come una composizione da ritrarre in un quadro. Al focolaio acceso vi era un bollitore contenete dell’acqua i cui vapori spandevano una dolce fragranza all'essenza di fresie. Ogni angolo era stato adornato con mazzi variopinti di fiori, vivacizzando l’ambiente solitamente più asettico. Intanto tre giovani ancelle si affaccendavano nel riempire una vasca ovale in metallo lucido, probabilmente destinata al suo bagno che pareva distenderle i muscoli tesi persino a quella distanza.

“Arweamin, mae cuivannen! | S – Mia signora, ben svegliata!| ” disse una di loro accennando ad una riverenza in direzione di Tirinîr. “Le ricamatrici saranno qui con il vostro abito fra poco.” Le bastò battere leggera le mani, quasi fossero le morbide ali di una farfalla, che le altre due si mossero verso la ragazza accerchiandola minacciose più di un nemico. Di certo non era intenzione di Tirinîr essere considerata una bambola da imbellettare e quando afferrarono i lembi della camiciola da notte per farla scorrere sul suo corpo imbarazzata le bloccò, lasciando le due a osservare la terza come a chiederle cosa dovevano fare. “C’è qualcosa che vi turba Arweamin?” chiese notando le sue gote avvampare come un tizzone in brace.

“Co – Cosa state facendo?” la voce le tremava per il freddo e per l’imbarazzo. Una delle due ancelle, appese ancora ai pizzi della maglia, ridacchiò e quella che doveva essere la governante le lanciò uno sguardo di ammonimento che spaventò persino la Principessa.

“Non vorrete fare il bagno vestita?” disse seccata per esser stata impedita nel suo lavoro, troppo zelante per tradire la tabella di marcia imposta.

“Io so lavarmi da sola!” tentò in tutte le maniere di divincolarsi dalle fanciulle elfiche, strattonando a più riprese la sua veste mantenuta ben salda tra le loro esili mani.

“Suvvia non siate sciocca, Hirie | S – Principessa |, la Regina ci ha ordinato di servirvi in tutta la vostra preparazione e non abbiamo alcuna intenzione di contrariare Aurehen. ” detto questo Tirinîr pose fine alle obiezioni e si lasciò denudare cercando di coprire le sue pudenda al meglio prima di entrare nella vasca profumata. Una volta immersa completamente sentì il suo corpo trarne gli immediati benefici. Le ancelle continuarono a curare la loro Signora, lavandole la schiena e i capelli e cospargendo il pelo dell’acqua calda dei fiori odorosi che ne caratterizzavano la fragranza. Le porsero poi della frutta da cui spiluccò qualche acino di uva e nulla più, lo stomaco in subbuglio non le permetteva di introdurvi altro. Venne fatta alzare ed avvolta in un candido panno di lino per asciugare la pelle del suo corpo.

“Permettetemi di chiedervi cosa vi fa ridere mia Signora.” Tirinîr sorrideva fissata nel vuoto da un po’, con le difese ormai a zero comportandosi come la marionetta con il suo padrone mentre le veniva fatta indossare una pregiata sottoveste di seta bianca. Pensava a Legolas probabilmente molto meno a suo agio in quell’assurda situazione. Avrebbe dovuto essere nervosa ed infastidita, eppure non sentiva ombra di disagio nel farsi vezzeggiare dalle premure che apponevano nella cura del suo aspetto. Nonostante la vanità non fosse un suo peccato, voleva possedere per quell'occasione una bellezza almeno pari al suo futuro marito. Marito. Una Gwaith non saperva cos'era un matrimonio, i doveri e gli impegni presi tra due coniugi. Che visione distorta donava la Storia di quel gioco di amore e compromessi che aveva dovuto affrontare in quel percorso appena al suo principio. Comprendere gli aspetti di reciproco rispetto era in fondo stato inculcato in quello che era una comunità, perchè allora non applicarla anche ad una società ristretta di due persone? Era questo quindi quello a cui si doveva rifare per cercare di essere la miglior moglie possibile per Legolas? Al rispetto e la comunione di anima e corpo?

 

“Chillah sembri una vera Principessa!” Ruin le era corsa incontro. L’abito verde chiaro come i germogli primaverili le scendeva morbido lungo il suo fisico sottile, rimarcando le curve di un corpo che da poco aveva lasciato le forme acerbe della prima giovinezza. Ricami d’argento e perle di fiume decoravano il corpetto d’organza e lunghi drappeggi di seta le adornavano le maniche che raggiungevano gli anelli sulle dita mediane. I capelli intrecciati con fili d’argento che pendevano da una corona posta sulla sua fronte, erano lasciati ricadere flessuosi sulla schiena. Anche Raja e Ruin erano splendenti nelle loro vesti da cerimonia, con monili importanti sulla fronte l’uno di giada e l’altro di rubino.

“È qui che ti sbagli figlia mia, lei è una Principessa. La nostra Principessa.” La Storica si avvicinò alla ragazza, cercando di scavare con lo sguardo quello della sua Chillah per vedere in lei la fulgida bellezza di spirito di cui era sempre stata dotata. Ripercorreva quella vita fatta di rinunzie e vedeva con che cosa la stava ripagando. Le prese il viso fra le mani per posarle delicate le labbra poco sopra la base del naso. “Sei bellissima, Chillah!” le sussurrò prendendola poi fra le sue braccia.

“Sono così felice di avervi con me Raja.” Il sorriso che si scambiarono le due fu complice, gli occhi lucidi, persi e felici. Ruin le aveva afferrato la mano tenendola stretta con la sua più piccola, ma dalla forza propria di un’Ombra. Bussarono alla porta ed una delle ancelle ancora in opera nelle stanze andò ad aprire. Tutte si bloccarono inchinandosi a chi aveva appena superato l’uscio. Re Thranduil con la sua consorte Aurehen erano giunti a salutare Tirinîr prima di presenziare alla cerimonia, maestosi e belli come divinità lontane, racchiudevano in loro tutto lo splendore del Popolo delle Stelle. La prima ad avvicinarsi fu la Sovrana, che prese ad accarezzarle il viso affettuosa.

“Annag men glasson, Tirinîr iell nîn! | S – Ci fai dono di una grande gioia, figlia mia! | ” la voce della Regina risuonava come la più esperta melodia fra le mani di un suonatore d’arpa. Dolce il suo sguardo posato su quella fanciulla che aveva consentito a Legolas l’ebbrezza del vero amore. Era sincera nella sua graditudine dimostrata in un lieve inchino del capo, fermamente convinta che Tirinîr fosse da sempre scritta nel loro Destino. Era giusto che quella stesse per diventare sua figlia e che non fosse sua nipote, i sentieri del Fato a loro non erano dati conoscere e di certo quello così oscuro e misterioso, nato nell'ombra di un popolo maledetto da sé stesso, aveva prodotto il più grande dono che ella potesse auspicare. La felicità del proprio figlio.

“El o aglario, hervimin! | S – Voi di un grande onore, miei Signori! | ” Thranduil rimaneva poco dietro la sua sposa in silenzio aspettando che ella finisse. Le sistemò una ciocca di capelli, come una madre amorevole può fare con una figlia, per poi baciarle fronte e guance. Avrebbe voluto dirle tante altre cose, assisterla in quegl'ultimi istanti da singola entità che si stava plasmando e congiungendo con il suo doppio, ma sapeva che c'era qualcun'altro che aveva bisogno di parlarle. Evitò quindi di lasciarsi troppo trasportare dall'emozione e si volse in direzione delle due umane, allungando una mano specialmente alla bambina. Il terzo occhio di cui era fornita Aurehen le aveva consentito di avvicinarsi a Ruin con estrema facilità, era felice poi di pote godere dello spirito puro ed essenziale di una giovanissima vita, così libera dalle angustie da rendere libera anche chi percepisce il dolore degl'altri. Sperò che presto non fosse semplicemente una bambina ospite momentanea a calcare con i suoi leggiadri piedini la terra del Reame Boscoso, ma il sangue del proprio sangue anche solo per il breve tempo in cui i due sposini avrebbero abitato con loro.

“Ruin, Raja sarà bene raggiungere gli ospiti. Vi va di accompagnarmi?” la bambina, dapprima restia a lasciare la mano della sua Chillah, si convinse afferrando quella della Regina ed, assieme alle ancelle, si accomiatarono. Raja diede un'ultima carezza a Tirinîr  prima di accodarsi al piccolo drappello creatosi, la Guaritrice seguì i loro passi con lo sguardo fino a che scomparvero da dietro la porta.

“È già giunto questo giorno, il tempo non sembra mai abbastanza quando si vede sfilare con così tanta celerità, nevvero Tirinîr?” interruppe il silenzio il Sovrano. “Sei così cresciuta ragazza mia, lo vedo nel tuo sguardo, lo vedo in quello di Aurehen e lo vedo in quello di Legolas. Ma se osservo con attenzione lo specchio nel mio c’è molto di più: c’è la fierezza di aver superato le mie stesse imposizioni, quei vincoli dettati da quella caparbietà che hai trovato in mio figlio. Sono orgoglioso di essere stato anch’io partecipe alla tua rinascita Tirinîr.” Fin quando Thranduil non si mosse per dirigersi verso la scrivania, Tirinîr non si era accorta del piccolo scrigno d’argento che teneva fra le mani. Lo adagiò mantenendo le spalle alla ragazza, che poté solo udire lo scatto della serratura aprirsi e vedere le mani del Re armeggiare con il suo contenuto. Quando sollevò il misterioso oggetto, la fanciulla vide uno splendido gioiello brillare. “Questo è Nieniquë, lacrima bianca, il primo fiore a sbucare sotto il gelido manto dell’inverno, Bucaneve lo chiamano gli uomini ed è simbolo di speranza e vita. Sarebbe un privilegio che diventi anche il simbolo della vostra unione, l’amore nato dalle avversità, un fiore primaverile spuntato dal ghiaccio invernale.” Il Re si avvicinò alla ragazza invitandola a voltarsi a favore dello specchio. Tirinîr scostò la grande massa di capelli dal collo lasciando che Thranduil vi legasse la sottile catenina. Era di un metallo molto più luminoso dell’argento quasi bianco, i petali del fiore si stendevano sul suo petto aggraziati come se vi fossero scolpiti in rilievo e un diamante , in onore del suo vecchio nome, vi era incastonato tra le fini cesellature.

“Non so come ringraziarvi, Heruamin …”  con le dita andò ad accarezzare il sottile monile, mai si sarebbe immaginata di indossare un oggetto così prezioso e di certo non se ne sarebbe separata tanto facilmente.

“Questo che sto per dirti devi prenderla come una richiesta umile da parte di un padre, non un ordine del Re.” La fanciulla, che fino ad allora aveva parlato con il riflesso di Thranduil nello specchio, si volse verso quel segreto che veniva confessato al suo orecchio. Gli occhi grigi e magnetici del Re non trasmettevano il solito aspetto altezzoso ed imponente che la sua figura istitueva, ma erano ricoperti di uno strato di dolcezza e amore infinito nei confronti di Legolas. Quanto avrebbe voluto Tirinîr che quello sguardo fosse sul viso di colui che era morto per difenderla, era dura pensare che i suoi genitori non potessero assisterla se non di lontano guardandola di sottecchi, da un posto in cui lei non vi aveva ancora accesso. A quei pensieri si aggiunse una lacrima, lenta percorse il sentiero della sua gota ciondolando poi dal mento per infrangersi contro la pietra al centro del ciondolo che, come nutrita da quel liquido, scintillò quasi in maniera accecante. Thranduil spogliato delle sue vesti regali asciugò quella scia luminosa sul candido viso della ragazza, invitandola ad alzare lo sguardo su di lui. “La riconoscenza più grande sarà quella di vedere i miei figli felici. Perdonami se mi prendo la briga di considerarti come una figlia, il tempo che abbiamo trascorso insieme non è che di pochi granelli in confronto alla vita lunga e prosperosa che abbiamo davanti. Eppure posso affermare con sicurezza che se affrontassi l’intera eternità a cercare di comprendere la tua natura, non finirei di conoscere la vera Tirinîr, la fanciulla mezzelfo forte e tagliente come un diamante e dolce come una tiepida mattina autunnale, colei che con le sue qualità e con i suoi difetti ha conquistato un cuore simile al mio, ma custodito nel petto di mio figlio. Non piangere, figlia mia, oggi è un giorno lieto e di festa.” Disse infine asciugando una seconda goccia salina,che aveva superato tremula la barriera delle fulve ciglia. “Allontaniamo le lacrime al dolore passato e viviamo con un sorriso la felicità del presente. Non indugiamo più sell nîn, lasciamo che oggi sia Nessa ad allietarci con le sue agili danze e non Nienna con il suo canto a colmare il nostro udito. Andiamo dunque, mio figlio attende la sua sposa e non sarò io a farla tardare oltre.” Detto questo porse il suo braccio alla fanciulla che, ancora commossa, lo afferrò sentendo in quella presa tutta la sicurezza trasmessa. Era giunto il momento tanto atteso e tanto temuto.

 

Tirinîr, dopo quella giornata sfiancante, si ritrovava finalmente nelle sue stanze. Il cuscino dello scrigno, quello in cui il Re aveva portato il ciondolo suo dono alla fanciulla, divenne quella sera stessa il custode dell’anello d’argento che segnava la loro promessa di matrimonio. La sua mente vagava a quello che avevano appena vissuto ripercorrendo ogni istante, per paura che i ricordi più lieti si perdessero nei meandri della sua ormai spaziosa mente. Il suo arrivo, i canti e le danze, la tavola imbandita, gli addobbi floreali. Tutto registrato come uno sfondo nulla di più, perché vi era qualcosa di più importante che aveva catturato vista, udito ed olfatto, o meglio qualcuno. Il suo Principe a cui ormai era quasi indissolubilmente legata. Bello, come mai lo aveva visto prima, l’attendeva impaziente ed emozionato sull’uscio. Non la lasciò quasi mai, né con lo sguardo prima che la cerimonia avesse inizio né fisicamente poi, forse temeva che da un momento all’altro avesse qualche ripensamento e fuggisse in sordina dalla porta secondaria.

Eppure Tirinîr non aveva nessuna intenzione di andarsene. Se c’era mai stato un desiderio che lei nutriva era proprio quello di essere ufficialmente la consorte del suo Principe, la coronazione del suo perpetuo sogno d’amore. Molti anni addietro, ancora bambina, aveva chiuso gli occhi una notte abbandonandosi all’immagine di un ragazzo che le veniva incontro. Non ne distingueva le fattezze con precisione, circondato da una luce accecante non riusciva a scorgere troppi dettagli,  ma ne vedeva la fisionomia asciutta e slanciata, con lunghi capelli fin sotto le spalle. Quel sogno si ripeteva quasi ogni mese ed era sempre stata convinta che quello fosse Helluin, il suo vegliare costantemente su di lei ricordandole che ovunque fosse l’avrebbe sempre aspettata. Da quando conobbe Legolas, il ragazzo luminoso non fece più visita ai suoi sogni.

Il cuore della fanciulla perse un battito al ritorno di quella travolgente emozione di quando Raja e Thranduil posarono le loro mani congiunte. Quante volte vi era stato quel gesto apparentemente naturale e quanti significati poteva assumere. Era amore, rabbia quando era stata trascinata fino alle stalle, rispetto ed ora promessa. Promessa di restarsi accanto anche quando si è lontani, promessa di amarsi ed onorarsi per sempre, promessa di appartenenza che si sarebbe colmata quella notte. Il tutto in una semplice stretta di mano. Un patto, un’unione. Due Fëar congiunte nei loro brucianti fardelli, che attendevano le firme dei loro Hröar, miei signori. Vennero invocate persino le Potenze Supreme di Manwë Sùlimo, chiamato dalla voce di Re Thranduil, Varda Elentàri, nome proferito invece da Aurehen, ed Eru in  persona era stato interpellato a testimonianza della loro unione. Raja e Ruin erano state onorate di presenziare a tale rito, nessun appartenente alla linea secondogenita di Ilùvatar aveva mai potuto udire tale formula ed anche volendo ripeterla non vi sarebbero riuscite.

“Man nauthag? | S – [A] cosa pensi? | ” il flusso continuo di pensieri venne interrotto dall’unico che quella notte poteva accedere alle sue stanze. Legolas si trovava alle sue spalle ed allungava il suo braccio per posare anch’egli l’anello d’argento che indossava prima della cerimonia. Ora sui loro anulari destri spiccavano delle sottili vere d’oro, simbolo del loro amoree della loro appartenenza reciproca.

“Ripensavo alla giornata appena passata …” con calma calò il coperchio dello scrigno, facendo scattare la serratura per chiuderlo e riporlo. Quando ruotò con il corpo su sé stessa, si scontrò con il torace ampio e confortevole del suo amato. Le braccia di lui andarono a cingerle i fianchi, la fanciulla voleva soltanto ascoltare il suo cuore battere all’unisono con il suo, chiuse gli occhi e adagiò la guancia sul petto di Legolas.

“Spero con gioia …” disse accennando ad un morigerata ironia.

“Così tanta da non sapere come esternarla.” Rispose allora sorridendo verso l’elfo. Rimase ipnotizzata, incatenata a quegl’occhi che ora l’osservavano con cura e timore nel fare quel passo che avrebbe consolidato la loro unione.

Quando il volto di Tirinîr si sollevò dal petto di Legolas, egli vide le sue labbra tremare e si abbandonò posandovi le sue con piccoli sfioramenti delicati. Non era il loro primo incontro, ma in quell’esplorazione audace vi stava mettendo tutta l’attenzione e la premura che aveva nei confronti della sua novella sposa. La risposta positiva della ragazza, la quale parve assecondare le attenzioni dell’elfo, lo spinse ad azzardare delle carezze lungo la schiena seguendo la spina dorsale in tutta la sua lunghezza gentilmente, stringendo il corpo della fanciulla contro di lui con una pressione crescente. Cercava di essere il più cauto possibile anche se il fuoco della passione era divampato al primo tocco di quel bacio prolungato e inebriante che li stava coinvolgendo. Quando però le sue labbra scesero verso il collo della ragazza, ella ebbe un sussulto e da quelli che dovevano essere gemiti di piacere divennero un grido sommesso di terrore. Fu come un fulmine ad attraversarle il pensiero: sentire delle mani muoversi su di sé, le aveva fatto rinvenire ricordi orribili di altre non cortesi ed attente, ma rudi che prendevano ciò che volevano con forza, obbligandola a sottomettersi ad un volere più grande di lei. Bastò quell’istante in cui la mente sostituì il volto diafano dell’elfo con quello olivastro del Variag, che la fece divincolare dalla sua presa ed arrancare all’indietro per allontanarsi, andando a sbattere contro la scrivania che le bloccò ogni via di fuga.

“No!” gridò quasi istericamente e con la voce spezzata dal fiato trafelato dalla paura. Legolas fu sorpreso dalla reazione della fanciulla, ma la comprese immediatamente quando gli occhi di lei spalancati lo fissarono incredula. In preda alla vergogna abbandonò il viso sul terreno. “Scusami … non …”

“Non devi giustificarti, melamin. Capisco. Non è necessario, abbiamo molto tempo.”  affermò sereno, non trasmettendo lo sconvolgimento interno che aveva subito con il desiderio incalzante che aveva di lei.

“No Legolas, è stata una piccola debolezza. So che mi ami e che non faresti nulla che io non desideri, ma …” rispose prontamente la ragazza accostandosi nuovamente al suo amato, lui ne approfittò per carezzarle i capelli. Passare le dita fra quelle morbide onde gli donavano un immenso piacere tattile, gli occhi di Tirinîr brillarono nel buio e Legolas poté lasciar godere anche la sua vista della presenza della Guaritrice. “Anìron i vereth dîn, Legolas … | S – Desidero [essere] la tua sposa, Legolas | ” abbassò il tono mentre le sue labbra si approcciavano a quelle dell’elfo, disorientato e allo stesso tempo talmente coinvolto da sentire per una volta il suo corpo rispondere alla propria padronanza. Non era il momento di remore e paure, doveva solo amarla e rispettarla come aveva sempre fatto. La lasciò libera di agire secondo i suoi bisogni e quando la sentì completamente abbandonata e priva di ogni barriera l’afferrò tra le sue braccia e la portò su quello che sarebbe stato il loro talamo nuziale.

 

Quella notte fu governata dalle stelle, illuminarono a giorno la stanza che accolse il loro amore e benedì quel matrimonio. Tirinîr visse l’amore in quello Yavieba e seppe finalmente il significato di rispetto di anima e corpo. L’incubo vissuto dalla bella Adamante costretta a diventare il sollazzo di un uomo per garantire la stirpe venne solcato da un fossato, accrescendo ogni notte di parecchie leghe fino a diventare solo nebbia soffiata via dal primo vento. V’invito ad un nuovo brindisi e stavolta lo dedico al rispetto, perché solo con esso siamo capaci di ricostruire intere città. Alla Vostra salute, miei cari commensali. Quando sarete dalle vostre mogli ricordatevi del rispetto dell'amore.

 

 

Note dell'autrice: Buonsalvino a todos ^^! Scusate per il capitolo lunghissimo ma era necessario. Eccoci al matrimonio ... allora che dire ho cercato di infilare un pochino di tutto in questo capitolo: divertimento, amore, tensione e perchè no anche un minimo di eccitazione (nei limiti del rispetto della visione molto ligia di Tolkien) spero solo di non aver deluso nessuno non descrivendo la prima notte di nozze fra i due piccioncini, ma ho voluto mantenere lo stile del professore in questo lasciando semplicemente alludere a quello che sarebbe accaduto.

La cerimonia delle nozze rispetta a grandi linee quella che Tolkien ci ha fornito tra Leggi e costumi degl'Eldar. L'unica incongruenza che potreste riscontrare è che nessun umano aveva mai ascoltato la formula in cui si invocano i Valar e Eru ed invece presenziano Raja e Ruin, umane vero ma sono la sua famiglia quindi viene fatta un'eccezione. In teoria la parte che recita Aurehen dovrebbe essere di Raja nelle veci di madre di Tirinir, ma cede il posto alla Regina più adatta ad invocare i Valar (scusate non me la sono sentita di darli a chi non ne conosceva nemmeno l'esistenza). Spero di non aver offeso nessuno con queste libertà che mi sono presa, ho cercato di rimanere fedele ma ai fini della storia ho dovuto cambiare qualcosina.

C'è da precisare un'altra cosina per chi non ha letto il saggio che ho consigliato: la cerimonia descritta è una cerimonia narrata da Tolkien in realtà non necessaria ai fini del matrimonio. Essa viene celebrata solo ed esclusivamente per rendere le due famiglie partecipi alle nozze a rendere pubblica l'unione (in tempo di pace in realtà viene considerato scortese non effettuarla) . L'unione effettiva avviene solo dopo l'unione carnale e da questa la battuta di  Tirinîr "Desidero essere la tua sposa." (mia riflessione sempre per rendervi partecipi della mia mente povera e malata: si pensa che l'idea di matrimonio non appartenga alla società reale, in realtà è molto più vicina di quello che possiamo pensare. Non tutti sanno che se un matrimonio - parlo di un matrimonio di chiesa - non viene consumato si può annullare -più esattamente si ottiene una dispensa dal Pontefice-  quindi è un'altra parafrasi geniale del professore. Si può dire che io lo adoro!^^)

Bhè spero solo di non avervi annoiato con questo lunghissimo capitolo ma mi serviva per mettrere un po' di nervi a fior di pelle ai due che voglio dire ci stanno nel prima, tanto amore nel durante e tanto sollievo nel dopo. Ed ora arriva una delle parti che mi scervellano dall'inizio perchè tutto sto gran bailam (non so assolutamente come si possa scrivere.) per giungere proprio lì, nella Terra della Luna. E poi vi faccio un paio di regalini:

Anticipazioncina: ci saranno vecchi amici che ricicceranno nei prossimi capitoli, una bella rimpatriata. eh eh se volete metto il toto scommesse (Faramir ed Eowyn sono quelli meno quotati i più scontati insomma l'Ithilien è casa loro ^^).

Poi ho trovato il Pugnale di Helluin cioè è lui l'ho immaginato così, ho solo aggiunto la scritta incisa in caratteri tengwar e dato il bagliore speciale che possiede. Pugnale Helluin

Quando l'ho visto sono rimasta di stucco.

Infine vi volevo far vedere il Bucaneve (non il briscottolo il fiore!!!^^''' anche se un briscottino di quelli mmm gnam! io adoro i bucaneve - pubblicità occulta ghghgh) conosciuto come Niphredil (tra l'altro lo troviamo nel iSdA a Lòrien insieme all'Elanor) o Nieniquë (Quenya). La scelta è ovvia: un fiore che nasce sbucando dalla neve, il Fiore d'inverno, perfetto ed ecco la qualità che ispira il ciondolo:

bucaneve 

Credo di aver detto tutto quindi vi ringrazio sempre di seguirmi e vi mando un bacione grandissimo!!!^^

Mally.

 

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Capitolo 19
*** CAPITOLO XVIII: Loss. Un’ultima volta. ***


CAPITOLO XVIII: Loss. Un’ultima volta.

Per un’ultima volta. Anche se con malavoglia il suo sposo le aveva concesso l'esaudire di quel desiderio, lasciandola soggiornare altro tempo da Thranduil, suo padre, non tardando però con la sua di partenza. Da quando la loro unione era stata celebrata non si erano mai separati, ma ora si trovavano agli estremi della Terra di Mezzo attendendo la fine della prima neve dell'inverno ormai apertamente dichiarato. Un’ultima volta prima di lasciare il Reame Boscoso e raggiungere Legolas nell’Ithilien. I fiocchi cristallini scendevano dal cielo plumbeo da qualche giorno, creando una spessa coperta lattiginosa su pietra e terreno. Tirinîr osservava meravigliata quello spettacolo. Amava la neve, non l’aveva mai potuta ammirare nella sua vecchia casa e viveva con la gioia di una bambina la sua venuta sin dalla prima volta che una mattina aveva imbiancato il bosco. Gli anni successivi al giorno del loro matrimonio erano passati per lo più nell'organizzazione della partenza. Molti messaggeri erano giunti da Gondor e dalla Signoria degli Emyn Arnen e molti ne erano stati inviati dal Eryn Lasgalen in quelle terre. Spesso si era ritrovata sola, triste ed anche un po' annoiata per i troppi impegni a cui era dedito il marito, ma mai come ora ne avvertiva la mancanza. Se prima lo sentiva lontano, ora che aveva tutta la Terra di Mezzo a dividerli rimpiangeva quei giorni. Lei ancora a Nord a guardare per un'ultima volta la neve cadere, lui a Sud ad attendere che smettesse per poter stringere tra le sue braccia il suo delicato fiore d'inverno.

Con Aurehen erano solite godere della propria compagnia reciproca. Non che non si trovasse bene con la Regina, ma per l'impetuosa Principessa era arduo impiegare interi pomeriggi seduta di fronte al camino o nei giardini in attività quiete e prive d'adrenalina. Una promessa l'aveva vincolata ad essere buona e remissiva, anzi la risposta di una supplica da parte di Legolas di non fare nulla di avventato e sconsiderato finchè non sarebbe partita. Quel giorno Tirinîr non stava impiegando il tempo in nulla di particolare, mentre Aurehen era dedita alla lettura si limitava a guardare l’esterno, arrampicata sul davanzale della finestra scolpita meravigliosamente con piccole colonne tortili e un tralcio di edera. Fissava distrattamente un punto non definito di quegl’avvallamenti che seguivano le forme del terreno, il suo respiro si condensava al contatto con il freddo creando piccole nuvolette tiepide ad ogni sospiro più carico. Un dilemma c’era nel profondo del suo cuore, combattuta tra la tristezza e l’impazienza. Si sentiva instabile nel non sapere quale stato d’animo vincesse fra i due: da un lato l'ammirazione che provava per quel fenomeno atmosferico a lei caro e l'affetto ormai profondo che la legava al Reame Boscoso le offrivano dei ripensamenti, ma dall'altro voleva ardentemente che il cielo trovasse pace e calasse la parola fine di quella pioggia di ghiaccio. Desiderava ancora stare stretta fra le braccia del proprio sposo, beneficiare del suo calore nel letto nelle mattine gelide che avevano iniziato già da tempo a raffreddare il clima, eppure dentro di sé sentiva la pesantezza della rinuncia a lasciare quel posto dove si era sempre sentita protetta ed amata.

“Dal cielo ha smesso di cadere la neve, quindi partirai a breve …” il sospiro della Regina catturò l’interesse della ragazza che tornò ad osservare con più attenzione fuori. Tutto sembrava sospeso, nell’aria aleggiava secco il respiro freddo del leggero vento che si era alzato e gli ultimi cristalli svolazzarono adagio fino a raggiungere il terreno. La prima neve aveva smesso di riversarsi. In sincronia con il suo termine la Regina aveva alzato lo sguardo dalla lettura di fronte al fuoco e carica d’apprensione aveva iniziato a tremare. Il suoincubo più crudo e del Re suo consorte, si stava per avverare.

“Il prima possibile, mia signora.” Quando si voltò Aurehen era ancora con i suoi occhi cerulei puntati sulla ragazza, in fondo al cuoresperava che la missione di Thranduil si compisse prima di quel nefasto giorno. “Appena saremo pronti per la partenza.”

 

E così fu. In meno di un giorno l’ultimo piccolo gruppo di elfi era pronto per la partenza. Per Aratoamin era la prima volta che la sua padrona gli imponesse la sella non tanto per cavalcare, avevano già affrontato lunghi viaggi assieme senza imbrago, ma per portare una parte dei bagagli. Nitriva di continuo sbuffando sonoramente e muovendo la sua longilinea testa, senza però mai imbizzarrirsi.

“Anrond hai preparato Aratoamin?” chiese Tirinîr avvicinandosi al proprio cavallo ormai calmatosi al tocco della padrona. La fanciulla non sembrava accusare le rigide temperature nonostante non indossasse un manto sulla sua veste, era a suo perfetto agio.

“Manca solo il morso, ma non sembra molto intenzionato a portarlo.” Anrond, il giovane stalliere, era eccitato all’idea di partire. Aveva pregato Legolas di poter seguire la piccola colonia in Ithilien, ricevendo sempre un diniego come risposta. Solo grazie all’intercessione della Guaritrice era riuscito a convincerlo, voleva restare al suo servizio in virtù del profondo affetto nato tra i due.

“Lascia perdere ho cavalcato per una vita senza redini e la sella non mi è tanto più utile che per portare qualche provvista per il viaggio. Vero, mellon nîn? ” chiese al cavallo avvicinando il volto al muso bianco e marrone. L’intelligente equino sbuffò e scrollò di nuovo la testa, lasciando una bella nuvola bianca come traccia della sua risposta. “Sei sempre sicuro di voler partire con me? L’Ithilien è lontano, il viaggio è lungo, non ti sarà possibile tornare con facilità.” Disse infine verso il giovane elfo, insicura se volere o no una risposta positiva alla propria domanda.

“Sì, Arweamin mai stato più certo di una mia scelta!” affermò risoluto, fissando i suoi chiari e limpidi occhi in quelli della ragazza. Tirinîr cercò in lui la minima traccia di dubbio, ma vi trovò solo determinazione e volontà.

“Va allora a salutare i tuoi genitori ed avvisa gli altri, siamo prossimi alla partenza.” All’ordine della Principessa s’inchinò in segno di rispetto e scattò fulmineo via ad adempiere al suo dovere.

Era giunta quindi l’ora dei saluti e delle formalità, seppur nel cuore della ragazza non vi era l’etichetta da rispettare, solo l’importanza di far sentire l’affetto provato. Dapprima fu intenta nel visitare un’ultima volta il palazzo che l’aveva accolta, i corridoi scolpiti nella pietra, la sala del Trono intagliato nel legno, le colonne alte e slanciate fino al soffitto, la grande Biblioteca scenario della sua maturazione e le sue stanze svuotate dei propri oggetti. Sugli scaffali giacevano pochi e radi libri, alcuni, non avendo più supporto, riversavano proni sul legno e chissà per quanto tempo avrebbero adottato tale posizione; la scrivania era stata spogliata di ogni suppellettile se non fosse stato per lo scrittoio, i due calamai quasi del tutto vuoti e le penne che svettavano dal cannello. Osservò tutto con cura e minuzia, voleva imprimere l’immagine di quella stanza bene nella sua memoria perché anche un luogo poteva rimembrare il dovuto attaccamento. Passò quindi alla sua stanza da letto e con essa i ricordi della sua nuova vita da sposata, moglie di un Principe. Il passaggio da male apprezzata Ombra a rispettabile nobile Signora era stato difficoltoso, ma in fondo aveva sempre saputo da chi e per cosa era nata.

Il letto era stato riassettato e su di esso vi avevano adagiato un mantello di seta leggera e calda con dei guanti della medesima pregiata stoffa dalle strane tonalità grigie, che mutavano quando per indossarla rifletteva ciò che la circondava. La spilla che chiudeva la cappa sul collo aveva le fini fattezze dei niphredil divenuti ormai simbolo di Tirinîr. Lì indossò con naturalezza quasi le fossero stati cuciti indosso, nè il manto nè i guanti difettavano in modo alcuno. Osservò la sua figura su di uno specchio ancora appeso alla parete e notò degli impercettibili disegni impressi nella trama, piccole volute rampicanti. Era così diverso indossare abiti così eleganti, niente più pelle e cuoio, solo seta ed organza ad adornarnale il corpo filiforme. Ma non erano gli abiti ad essere cambiati, essi rispecchiavano la sua radicale trasformazione interiore. Era tornata a respirare, a vivere, era tornata alla sua terra natia che stava per abbandonare. No. La sua casa sarebbe sempre stata dove si trovava il suo cuore ed il suo cuore era costudito dall'elfo che attendeva la sua venuta nella terra della Luna. Rifletteva ancora su quello che il suo corpo le diceva ed avvertì una strana pesantezza alla testa, che la costrinse a sorreggere la fronte con il palmo. Tutti quei tumulti la stavano lentamente sfiancando, eppure doveva essere abituata alle svolte ormai ordine della sua esistenza. Si decise quindi a scacciare i pensiesi turbinolenti per lasciare spazio solo alle emozioni.

“Legolas attende solo di restituirti il cuore, Tirinîr non lasciare che la paura precluda un'altra possibilità!” si ripeté sommessa, giocherellando nervosa con il suo anulare destro che ora teneva celato dal liscio guanto. Al pensiero che presto avrebbero potuto riprendere la loro vita insieme con un nuovo bagaglio di preoccupazioni, si morse il labbro inferiore nascondendo un sorriso triste. Era indiscusso, Legolas aveva bisogno del suo supporto per questa nuova avventura e si era già troppo attardata.

Fu allora, mentre distolse lo sguardo dalla sua immagine riflessa, che l'occhio le cadde all'esterno.  Aurehen si trovava nei suoi giardini, da cui rose e gigli spuntavano dai piccoli cumoli di neve sempre più pesanti. I rami pendenti di alcuni giovani arbusti tenevano a fatica il loro peso e ciondolavano gravando sul terreno con il rischio di farli cadere da un momento all’altro. Attendeva paziente la venuta della sua figlia acquisita, mentre tra le mani teneva una colomba a cui sussurrava qualcosa d’incomprensibile dalla finestra delle stanze di Tirinîr. Mai scese con tanta lentezza fino ai giardini, scenario a cui era affezionata grazie alle molteplici vicissitudini avvenute tra quegl’alberi.

“Pedo sa i Heryn o in Ithilien telitha rato! Bado si! | S -  Dì che la Signora dell’Ithilien giungerà presto! Vai ora!| ” le mani rilasciarono l’elegante pennuto, che lesto batté le sue ali e si librò verso il cielo appesantito dall’aria grigia.

“Arweamin, ci stiamo accingendo a partire …” disse la ragazza con un fil di voce attirando l’attenzione della Sovrana.

“È già ora?” chiese allora con altrettanti toni bassi. L’unica risposta che ebbe fu un cenno del capo della fanciulla. “Vedo che hai trovato il mantello, sarà un ottimo riparo dal freddo e dal caldo.” Aurehen s’avvicinò a Tirinîr sollevandole il cappuccio sulla testa.

“Grazie, mia signora! Non mi aspettavo altri doni da voi!” non sapeva come dimostrare la sua riconoscenza, ma venne bloccata dalla Regina che iniziò a scuotere leggermente la testa.

“Non dovresti ringraziare me …” era dispiaciuta per il dolore provato dal suo Re, ma per quanto potesse condividere lo stesso sentimento riconosceva ciò che era giusto per loro. Tutti prima o poi abbandonano il nido, la vita continua a prescindere da ciò che i genitori vogliono per i figli. Si rimproverava di non averla convinta a restare, identificando in lei l'unica speranza del ritorno di suo figlio nel Reame Boscoso. Aveva tentato a lungo, cercando di persuaderla in ogni modo e con ogni mezzo. Lusinghe, minacce, arrabbiature nulla aveva fatto desistere Tirinîr dal raggiungere l'Ithilien. Il lento rintocco del tempo scandiva il conto alla rovescia al suo definitivo allontanamento, al distacco di quell’ultima parte di lui che forse era la chiave per trattenerlo. Ne era addolorato ed infuriato al tempo stesso, perchè sentiva di aver fallito in un certo senso. Come poteva sua moglie non soffrire per lui e per quella ragazza che fino all'ultimo aveva sperato di poter reincontrare chi aveva sostituito egregiamente il padre?

“È stato Thranduil?” Aurehen annuì mortificata, se avesse potuto gli avrebbe dato quel minimo di coraggio che serviva per affrontare la definitiva partenza di Legolas e Tirinîr. “Non verrà a salutarmi, dunque?” Per quanto la fanciulla sentisse il bisogno di avere anche solo un cenno, una rassicurazione saggia o anche uno dei suoi rimproveri dovuti alla forte caparbietà della ragazza, non avrebbe seguito il suo cuore. Le sue preghiere sarebbero state affidate al cuore della notte, pronunciate ad Irmo. Sperava che i suoi sentimenti fossero trasportati dai suoi sogni fino al Re, che gli spiagasse il suo affetto e di come la sua presenza avesse riempito il vuoto lasciato da Helluin. 

“È testardo, non vuole però spingerti più di quanto già abbia tentato. Con questo suo negarsi vi sta lasciando liberi di decidere …”

“Concordo con la sua scelta! Spero di riuscire a ripagare la fiducia che mi state dando entrambi …” rispose con trasporto Tirinîr. Aurehen non rispose si limitò ad un bacio posato delicato sulla fronte, con i suoi liquidi resi ricolmi di malinconia e dolcezza. Per quanto anche lei non desiderasse averli lontani, non poteva impedire in alcun modo che loro non percorressero la strada che si erano scelti. “Questo non è un addio, vero Aurehen?” quella che era iniziata come un’affermazione assunse l’inclinazione di una domanda.

“Non esistono addii, mia dolce Envinyatarë. Che sia in questa terra, calcando le Terre Beate di Valinor in Aman o nelle Aule di Mandos, un giorno, avremo modo di rincontrarci. Quello che io ti porgo è un semplice saluto ed un augurio di speranza, lo stesso che il nostro Re ti vorrebbe fare, ma che il suo cuore, troppo stanco e provato dalla lunga vita, non gli permette di pronunciare.” Disse con trasporto. “Ora vai, il viaggio che ti attende è lungo e c’è chi ti attende. Namarië, sêll nîn! | S - Addio, figlia mia! |  Nai tiruvantel ar varyuvantel i Valar tielyenne nu vilya! ¹  | Quenya – Possano i Valar proteggervi nel vostro cammino sotto il cielo! | ” la ragazza non trovava il giusto saluto con cui risponderle a parole, ma strinse le mani della sovrana nelle sue. Calcò con lo sguardo ciò che realmente provava, prima di voltarsi per raggiungere il gruppo di elfi pronti a partire e a seguire lei ed il suo sposo fino nel regno degli uomini.

Aurehen attese un po’ prima di rientrare e dirigersi nel palazzo. Thranduil non avrebbe sceso le scale, non sarebbe corso incontro allo spegnimento della sua ultima speranza di riavere i loro figli seco. In quella stessa stanza dove aveva espresso i suoi dubbi su quella ragazza, ora piangeva la sua partenza ed Aurehen questa volta, invece che spegnere la sua rabbia ,avrebbe soltanto appoggiato il viso contro le spalle del proprio sposo cercando e donando il conforto necessario ad entrambi. Videro insieme allontanarsi l’ultimo appiglio che avevano avuto quel poco tempo, con un piccolo lume di gioia sapendo che la loro vita sarebbe stata prosperosa e protetta per sempre.

 

 

La fila di elfi migrava verso i giardini di Gondor, alcuni accompagnavano cavalli altri invece preferivano prodigarsi a contatto con l’erba. Di notte la lunga marcia veniva illuminata dalla loro presenza, come se i loro capelli e i loro occhi riflettessero la luce delle stelle. Le voci risuonavano tra gli alberi in canti e lodi che sembravano uniformarsi ai suoni della natura incontrastata che attraversavano. Anrond solitamente chiudeva la coda, o faceva da spola ai due estremi data la sua velocità di cavalcata ed il suo impeto giovanile. Tirinîr, di suo canto, se ne stava al centro sempre assorta nei suoi pensieri ancora vincolati al dubbio.

“Daro Aratoamin! | S – Ferma Aratoamin! | ” supplicò il suo destriero, arrestando all’istante l’andatura cadenzata che aveva dai numerosi giorni di cammino già affrontati. “Scusa mellon nîn, ho bisogno solo di un attimo …” accarezzò i suoi crini lisci ed ordinati prima di smontare ed appoggiarsi al suo collo.

“Arweamin?” una voce non pienamente matura si levò dal fondo accompagnata da un galoppo sonoro. Anrond aveva visto di lontano Tirinîr fermarsi e cercava di raggiungerla il prima possibile. Aveva prestato un giuramento al suo Principe e non l’avrebbe mancato mai e poi mai. Una delle condizioni per cui Legolas aveva accettato il giovane era che, durante il viaggio, avrebbe dovuto vegliare su di lei come fosse la sua ombra, questo lo faceva sentire responsabile di lei e per lei. “Cosa è successo?” chiese scendendo con un salto agile dalla groppa del suo cavallo per trovarsi ad un passo dalla Principessa.

“Nulla di cui preoccuparsi Anrond!” mentre si prodigava a trovare giustificazioni convincenti sentì le gambe tremare e la stanchezza piombarle come una cotta di ferro sulle spalle. Se non fosse stato per il tempestivo intervento del giovane elfo, Tirinîr, sarebbe caduta rovinosamente in terra.

“Siete pallida ed avete gli occhi cerchiati dalla stanchezza.” Disse aiutandola a ricomporsi ed offrendo il suo soccorso.

“Non riposiamo da giorni e comincio a sentire i miei limiti, ancora sono vincolata al sangue umano e quel lato di me, mio malgrado, influisce sulla mia resistenza. Ma non voglio essere di peso, né tantomeno d’intralcio. Vieni, aiutami a camminare!” rispose con fermezza, nonostante una strana vibrazione della voce. Anrond ordinò al suo cavallo di affiancare Aratoamin, che subito ubbidì iniziando a trottare verso il piccolo equino superando la coppia di elfi. Intanto la Guaritrice prese il braccio del giovane che, seppur in età fosse apparentemente un ragazzino, aveva una prestanza più vigorosa della sua. Marciarono così legati nel silenzio per un po’ prima che la fanciulla l’interruppe con una curiosità.“Sai dove siamo? Ho come l’impressione di ricordare questi luoghi.”

“Seguiamo il corso dell’Anduin dalla sponda orientale e ci apprestiamo a raggiungere le foreste dell’antica Lòrien, mia Signora.” Rispose gentilmente.

“La dolce Lothlòrien, peccato essere solo di passaggio avrei voluto attraversare il fiume e visitarla con più cura.” Disse febbrilmente, con gli occhi illuminati di una bambina che immagina l’avverarsi di una propria fantasia . “Ho sentito così tanto parlare di Caras Galadhon e della luce dei Galadhrim …”

“Mi dispiace deludervi mia Signora, ben pochi elfi sono rimasti nella Foresta d’Oro. Molti sono partiti per Amon Lanc e persino sire Celeborn ha lasciato queste terre. Ora è a Imladris dove la stirpe di Elrond Perendhel vi regna ancora. A Caras Galadon non vi sono più né canti, né luci.” A quelle informazioni il viso della ragazza si spense per la delusione, ma subito si riprese con un sorriso ad illuminarla.

“Se la magia degl’elfi non si è spenta in me, non si sarà spenta nemmeno a Lòrien che ha goduto della bianca luce di Eärendil. Certo non sarà splendente come un tempo, ma la pace vi regna sovrana e questo mi basterebbe per poter ricordare un passato non così lontano. Dicono che vi siano degl'alberi maestosi, dalla corteccia argentea e le foglie dorate in autunno. Sarei veramente curiosa di vederne uno e poter adagiare una mano sul suo tronco, per sentirvi la vita che scorre all'interno (nda. l'albero di riferimento è il mallorn) ” Anrond rimaneva silente ed attento, ascoltando le parole della fanciulla sempre più vicina alla stirpe a cui aveva deciso di legare il proprio destino, acuendo quel senso di preoccupazione per quei leggeri malori dovuti alla spossatezza.

“Se esprimerete il desiderio di visitare Lòrien e i suoi grandi alberi, sono sicuro che il Principe farebbe di tutto per esaudirlo.” Disse. “È bello poter godere anche della vostra saggezza oltre che della vostra intraprendenza, Arweamin!”

“Non illudetevi non sono poi così saggia. La mia è solo una pallida imitazione di una sapienza di cui ho potuto cibarmi. In fondo rimango sempre la solita sconsiderata con cui correvi nel bosco pochi giorni orsono.” Quando si massaggiò la tempia con le dita inspirando a fatica, Anrond si bloccò trattenendo la ragazza dal procedere. Lo sguardo basso ed assente sorprese non di poco Tirinîr, incosciente di ciò che turbava l’elfo. “Cosa ti prende, Anrond? Perché sei così triste?” a quell’appello gli occhi grigi del giovane fissarono intensamente quelli della fanciulla. Lei si trovò a detestare quel modo per cercare di abbattere le barriere che si poneva quando non voleva dimostrarsi fragile. Aveva sì abbandonato le armi, ma non le armature. Ella poteva vantare di essere forte e di aver viaggiato a lungo, il doversi sentire una zavorra non era contemplato.

“Vi osservo da tempo mia Signora, non è la prima volta che vi sentite mancare da quando siamo partiti …” disse contrito.

“Non capisco la tua angustia Anrond, sono solo un po’ stanca!” si affrettò a dire forse con un po’ troppo fervore della voce.

“Vi conosco abbastanza per affermare che in voi la fatica non ha mai pesato in questa maniera.” repiclò stringendo con più forza a sé il braccio, evitando una eventuale fuga.

“Evita questa tua pedanteria e non peccare d’arroganza.” Rispose piccata Tirinîr. “Se è vero che mi conosci sai anche che il non dormire per interi giorni mi costa molto più sforzo di quello che necessita un elfo in piena salute.”

“Quindi ammettete di non esserlo!” esclamò con un ghigno soddisfatto.

“Anrond non mettere troppo alla prova la mia pazienza, potrei rispedirti al Reame Boscoso in un men che non si dica!” il suo sguardo era eloquente, non stava scherzando ed avrebbe attuato sicuramente la sua minaccia. Almeno, con quel veloce scambio di battute, le guance le avevano ripreso colore, gli occhi sembravano più vispi seppur incolleriti dall’insistenza del giovane stalliere. Ripresero a camminare e di nuovo il silenzio venne interrotto dopo poco.

“Vedremo cosa ne penserà vostro m…” bastò quel principio per far arrestare Tirinîr con uno strattone.

“Tu non dirai niente a nessuno, se sarà necessario prendilo come un ordine da parte della tua Signora Anrond!” disse perentoria e senza ammissione di repliche. “Ci sono molte cose a cui pensare, ancora non tutto è pronto e siamo costretti ad alloggiare presso il palazzo di Sire Faramir negli Emyn Arnen. Non ho alcuna intenzione di appesantire la mente del mio sposo con preoccupazioni inutili, soprattutto se la mia indisposizione è facilmente risolvibile con un bel bagno caldo ed un letto comodo su cui assopirmi per più di una manciata di minuti. E poi vi ricordo che io sono stata una Guaritrice a lungo tempo oltre che un soldato, so come comportarmi con un po’ di debilitazione!”

“Siete più testarda di un mulo! Diverrete la Signora dell’Ithilien, non la martire!” sbuffò allora il giovane elfo, estenuato dalla caparbietà della ragazza. “Ora capisco perchè Re Thranduil girava per tutto il palazzo, borbottando di quanto foste impossibile ...” Tentò di riprendere il suo monologo, quando notò una strana espressione nel volto di Tirinîr. “Arweamin, vi sentite ancora male?” chiese inquieto ed ella gl’impose il silenzio posando la mano libera sulla sua bocca. Era come se stesse cercando di ascoltare meglio qualcosa, ma oltre ai canti degl’elfi e della natura non udiva null’altro. Tolse la mano cercando ancora di decifrare ciò che aveva udito, le era risultato strano ciò che aveva ascoltato eppur il suo udito non l’aveva mai ingannata.

“Siamo così vicini al fiume, Anrond?” sembrava davvero perplessa ed impensierita.

“Non comprendo la vostra domanda, mia Signora.”

“Non hai sentito?” chiese dubbiosa.

“Cosa, Arweamin? Io non ho sentito nulla di strano!” di nuovo quei versi attirarono la sua attenzione, adesso più chiari e distinti. Ma erano fugaci come l’aria. Non stanziavano per più di qualche secondo per poi scomparire fuggiaschi, erano innaturali più lontani che vicini, abbastanza però per essere percepiti chiaramente.

“Non sapevo che i gabbiani dimorassero anche lungo il fiume ...” la sorpresa che colse Anrond risultò spaventosa ed al tempo stesso misteriosa. Il giovane elfo subito s’impose di lasciar trasparire poco o nulla, si sarebbe consultato con qualcuno di sicuramente più in grado di valutare la situazione.

“Se vi sentite meglio è il caso di riprendere la cavalcata … ” l'eccentrica reazione del giovane non fece altro che far nascere il sospetto in Tirinîr, era così grave che avesse udito il canto dei gabbiani? Cosa poteva significare quel debole verso appena accennato? Perché Anrond era stato così evasivo? Eppure non riusciva ad esternare queste sue perplessità, totalmente spiazzata dall’improvvisa freddezza del giovane. Non aveva mai assunto tale comportamento, solo una cosa vagamente simile quando aveva da nasconderle qualcosa di molto importante. “Aratoamin! Faroth! Tolo sì! | S – Venite qui! | ” i due cavalli risposero alla chiamata fermandosi a pochi passi da loro. Erano avanzati per tornare indietro all’occorrenza con i loro leggeri e cauti trotti. Insieme potevano sembrare padre e figlio per le differenti stazze e la medesima fierezza, se non vi fossero i loro manti così diversi: l’uno chiazzato e l’altro bruno e scuro. Anrond montò su Faroth e, senza nemmeno congedarsi, incitò il cavallo tornando in fondo alla fila. Tirinîr era rimasta attonita a guardare il punto ove lo stalliere era scomparso, forse vi sarebbe rimasta fino a notte inoltrata se il muso del suo amico animale non si fosse poggiato sulla sua spalla.

“Chi dice che le donne siano complicate, non ha mai avuto a che fare con Anrond! Lui ribalta tutti i luoghi comuni!” Aratoamin rispose con un nitrito sbuffato solleticando la pelle della Guaritrice sulla spalla. Quel piccolo gioco riuscì a distrarla e a strapparle un piccolo sorriso. “Che dici: è il caso di riprendere la cavalcata?” non aveva bisogno di risposta con Aratoamin, da subito si erano sentiti parte di un tutto e ogni volta che Tirinîr montava sul suo destriero le ritornava quel forte senso di libertà che avvertiva sulla sua groppa. A grandi passi andarono incontro agl'ultimi giorni di cammino, quelli che avrebbero sancito il ricongiungimento con quello che era sempre stato il suo Destino.

  

“Attendete la vostra Dama, mio Signore Legolas?” non passava giorno da quando la colomba aveva portato la notizia agli Emyn Arnen ,che Legolas non perdesse almeno un po’ del suo tempo a scrutare l’orizzonte da sopra il Cammino di Ronda.

Spesso le ore erano riempite dalla ricostruzione che stava attuando, l’Ithilien era rimasto terribilmente comprovato dall’opprimente presenza dell’Oscuro Signore con le sue infime creature. La magia dei priminati stava già sortendo i suoi effetti e molto era giunto a completamento: le colline scoscese si erano riempite di erica e ginestre in fiore, gli alti pini avevano rimpinguato i loro rami con aghi così come gli arbusti avevano irrobustito le loro fronde con foglie. I fiumi e i torrenti non erano più macchiati dai torbidi lamenti della morte e del sangue purulento degl’orchi, l’erba si era tinta nuovamente di uno smeraldino colore vivace ed allegro. In un piccolo gruppo di alberi nella zona più a sud, vicina agli uomini ma totalmente indipendente da essi, si era iniziata la costruzione delle abitazioni degl’elfi che vi avrebbero dimorato. Le sottili colonne e le leggere murature erano state elaborate per essere inglobate nella vegetazione senza deturparne la bellezza. Restava solo da rifinire l'abitazione dei Signori e non avrebbero più approfittato della cortese ospitalità del Sovraintendente e della Bianca Dama dell’Ithilien.

“Come ogni giorno, mia Signora! Vorrei poterla avvistare appena arriva e spero che non mi sorprenda, come sempre aggiungerei, quando sono impegnato in altre faccende.” Il vento soffiava con gelide correnti, l’inverno ormai era giunto anche nel sud, nonostante non fosse spinoso come nel Reame Boscoso. I lunghi capelli del colore del grano in agosto della donna assecondavano i soffi dispettosi, andando ad infrangere le morbide onde sul suo viso e costringendola più volte a scostarli per il fastidio che arrecavano. La veste non sarebbe stata da meno se il pesante manto di lana non l’avesse protetta. All’elfo, invece, il freddo sembrava non tangerlo.

“Siete impaziente di riabbracciarla? Eppure avrei giurato che voi elfi non foste inclini a tali dimostrazioni spassionate delle vostre emozioni!” vi era un certo tono di scherno.

“La mia Tirinîr è stata capace di sovvertire molte credenze, mia Signora! Anch’io, prima d’incontrarla, non mi credevo capace di tale trasporto. Lei è giunta come una tempesta bianca nel cielo sereno, meravigliosa e sorprendente.” Si stava perdendo nei ricordi quando quella notte nella Foresta di Fangorn era stato catturato insieme a Gimli. Éowyn sembrava molto interessata, guardava con un sguardo trasognato l’elfo mentre sul suo volto si disegnavano tutte le sensazioni evocate. “Perdonatemi, non vorrei annoiarvi più del dovuto!”

“Non c’è noia nell’amore, devo ammettere che mi avete resa impaziente di conoscerla. Ha l'aria di essere davvero speciale, per favore raccontatemi di lei!” disse la donna.

“Non credo che esistano parole atte a descrivere la sua complicata personalità. Diciamo che determinata e avventata forse sono quelle che più la delineano, ma invero è solo una parte di lei. Forse l’aspetto che più mi colpisce tutt'ora è la verginità del suo sguardo, sembrano gli occhi sorpresi di un bambino che scopre il mondo per la prima volta.” Sorrise al pensiero di tutte le volte che vedeva i suoi occhi liquefarsi di fronte ad un nuovo fiore a lei sconosciuto, o quando le aveva mostrato la tana di una volpe con i suoi cuccioli durante una delle loro gite nel bosco. “Ed è forte, battagliera, il vero fuoco di un guerriero giace in lei nonostante abbia abbandonato le armi …”

“Era una combattente, mio Signore?” interruppe. Éowyn con impeto.

“Suo malgrado, sì!” forse troppa amarezza mise in quelle parole poco condite, che la donna si scoprì preoccupata.

“Cosa intendete suo malgrado?” chiese.

“È  una storia molto lunga e triste, mia Signora. Non spetta a me raccontarla.” Affermò con un sorriso l’elfo, cercando di ovviare all’evidente delusione della Dama che aveva distolto lo sguardo puntandolo all’orizzonte. “Sapete voi me la ricordate molto, il vostro carattere è affine.”

“Voi dite?” distratto Legolas prese ad osservare la Bianca Dama che aveva accanto. Longilinea la sua figura e biondi capelli che si muovevano al tocco del vento, viso disteso ma che nascondeva forza e determinazione. Éowyn incarnava molto dello spirito della vecchia Adamante, per questo Legolas durante il suo soggiorno aveva ricercato spesso la compagnia della donna. “Sembra che il vento si stia alzando, l’odo fischiare in lontananza!” disse ad un tratto. Legolas alzò quindi lo sguardo ed acuì l’udito. Non era il fischio del vento. Un canto melodioso accompagnava una marcia ancora lontana, tanto da poter esser percepita dai suoi occhi e non da quelli della Dama al suo fianco.

“Non è il vento, mia Signora!” esclamò cercando di trattenere l’eccitazione e la felicità per quel che aveva appena visto. “Finalmente sono arrivati! Finalmente avrò con me il mio fiore d’inverno!”

 

 

La via prosegue miei signori, il viaggio non termina nei Giardini di Gondor. Sarìin ha solo bisogno di ristoro. Che il vostro bardo possa dar sollievo alla sua gola secca per il troppo cantare, del buon vino quindi chiedo all’oste mentre  a voi, miei cari amici, vorrei che mi dedicaste il vostro pazientare. Vi è qualcuno da incontrare e vecchie reminiscenze da evocare. Acquietate dunque la vostra curiosità, che possa il convivio esservi d’aiuto.

 ¹ Nai tiruvantel ar varyuvantel i Valar tielyenne nu vilya! - Frase presa da il film "Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell'Anello" Extended version. Viene pronunciata da Elrond di Granburrone quando la Compagnia lascia Imladris.

Note dell'autrice: Bonjour, alour capitolino di passaggio. Mi scuso per la grande presenza di dialoghi, alla fine necessari. La nostra amica parte per l'Ithilien qualche mese dopo da quando è partito Legolas. Perchè vi chiederete. Allora volevo mettere dei piccoli riferimenti a me medesima: io adoro la neve ma essendo di Roma l'ho potuta ammirare pochissimo (in realtà una volta che sono andata in montagna e ques'anno che ha fatto una lieve spruzzata imbiancando appena). Ho immaginato che dove viveva prima Tiry non aveva avuto molte occasioni di ammirare la neve e così esprime il desiderio di poterla rivedere solo una volta. Al termine della prima nevicata sarebbe partita per l'Ithilien e avrebbe raggiunto Leggy con l'ultimo gruppo di elfi.

Quelli che sente Tirinir diciamo a Lorien sono gabbiani, si trovano vicino all'Anduin e lei li sente di sfuggita come se fosse un suggerimento. Non sa cosa significa questa cosa per questo non comprende e chiede ad Anrond spiegazioni. Spero che non vi dispiaccia questo riferimento, ma era importante.

Una cosa importante di cui vi avviso è che voglio un confronto con Eowyn. Le loro personalità sono molto vicine ma mentre una ha combattuto per imbracciare le armi l'altra ha lottato per deporle. E' una di quelle cose che è nata con la nascita del personaggio di Adamante. Spero di avervi un po' incuriosito.

Ci saranno più capitoli del previsto per vostra agonia, alla fine mi sono molto dilungata in alcuni aspetti che non avevo calcolato e quindi mi sono ritrovata con una seconda parte più ampia. Spero non vi dispiaccia. Mi piace far crescere i miei personaggi e se tralasciassi anche solo il minimo aspetto temo che perderebbero di fascino.

Volevo infine festeggiare con voi le oltre 200 visite alla mia storia. Grazie di cuore è molto importante.

Rispondine alle recensioni:

Thiliol: Lasciati dire che Je t'adore aussi! E poi: Ahahah! Me sadica e crudele!!! Quando ho letto la tua recensione di due capitoli fa, ho fatto una risata satanica. E' bello riuscire nei propri scopi ed era proprio quello di far intendere che si erano lasciati. Muhahahaha! Me crudelerrima! Conta poi che nella prima stesura era ancora più esagerato, ringrazia il mio attacco di rabbonite che mi ha fatto ammorbidire il tutto ^^ .  Sono mooooooooolto contenta che i miei sforzi di approfondimento vengano apprezzati e soprattutto mi piace poter dialogare con qualcuno della mia passione senza dover spiegare ogni cosa o senza essere presa per pazza (successo quando mi hanno trovano sul letto con la cartina del iSdA spiegata a leggere il libro dopo circa sei ore che avevo iniziato a farlo). Alla fine vorrei anche con questa finestra invitare chi legge di Arda ad immergersi in questo mondo che più conosci e più ti sorprende. Solo così credo si possa davvero apprezzare il genio di Tolkien che ha dato alla sua fantasia una realtà storica con riferimenti precisi ed in alcuni casi addiritura documenti. Per quanto riguarda la scena d'ammmore(scusa  se uso un tuo neologismo ma mi è piasuto troppo ) , in virtù del rispetto che ho per il lavoro del maestro ho deciso di lasciarla così. Se non fosse per il significato che poi va ad attribuire all'unione carnale probabilmente l'avrei creata ancora più allusoria. Temevo molto di venire linciata per questa mia scelta in realtà, lieta di essere ancora in vita fiùùùù. E bhè per quanto riguarda la cerimonia non potevo evitare le tradizioni, non sia mai. Sarebbe stato scortese no? ^^ Suilad mellon nin!

Elfa: Cara grazie per avermi messo in evidenza l'orrore ortografico, sinceramente mi era davvero sfuggito. Che brutta figura =_='''! Ora l'ho corretto!! Il mio scopo sarà quello di riuscire ad ottenere una recensione da te senza la modalità maestrina on!^^ Mia personalissima battaglia, niente più rimproveri su punteggiatura e arrabbiature su distrazioni all'ultimo capitolo. Scherzi a parte passiamoa cose più serie: io penso che un po' tutte invidiamo la mia Tiry con la quint'essenza del principe azzurro come marito o sbaglio? Ghghgh! Si può sbavare da sole sull'idea di un uomo, anzi di un elfo come Leggy? Non lo so ma io lo faccio come un'adolescente scema. Per fortuna che riesco ancora ad avere una fantasia e i miei neuroni non sono del tutti fusi sennò non saprei come rifuggire la realtà!!!^^ Mi piace la definizione sweety che hai dato al capitolo rende bene l'idea, era questo che volevo dare. Meno male che le descrizioni sono realistiche non è facile per me, che sono una grafica pubblicitaria, rendere realmente visibile a parole un'immagine. Temo sempre che non si capisca quello che intendo o cosa ho immaginato. Ed infine per quanto riguarda la scena d'ammmore, non potevo fare altrimenti. Come ho detto a Thiliol sarebbe stonata una descrizione accurata con l'opera del maestro e, nonostante abbia una certa delicatezza nella descrizione di scene di sesso (ne ho scritte un paio senz amai descrivere l'atto in sè per sè, parlando solo delle sensazioni e piccoli gesti), ho optato per il modo classicistco di vedere di Tolkien. Della serie: Non sono cattiva è che mi disegnano così!!!^^

Ringrazio sempre tutti i miei lettori!!!

Vostra prossima alle ferie Mally.

AVVISO: Nei primi di Agosto dovrei partire e fra una vacanza e l'altra il mese se ne andrà. Cercherò di pubblicare il più possibile e non lascerò assolutamente la storia incompleta. Solo vi avviso fin da subito che avrà un'interruzione a cui provvederò ad avvisarvi con il capitolo che precederà la mia partenza ancora non definitiva (di sicuro dal 10 al 25, sono i giorni precedenti in forse). grazie per la pazienza!!!^^ besitos!!!

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Capitolo 20
*** CAPITOLO XIX: Signori dell’Ithilien. ***


CAPITOLO XIX: Signori dell’Ithilien.

Se fosse stato possibile avrebbe invocato una delle Aquile di Manwë per volare e raggiungere la sua Tirinîr nel minor tempo, ma fu costretto ad adattarsi al primo destriero che incontrò, senza curarsi del suo padrone né tantomeno di essere accusato di furto. Potevano rinchiuderlo perfino in una delle celle rimaste in piedi di  Barad-dûr se era il prezzo per abbracciare nuovamente il suo Fiore d’inverno.

Intanto Tirinîr e la colonna ordinata di elfi procedeva a passo d’uomo, intonando un canto consacrato ad Elbereth e alle stelle intessute dalle sue mani (nda. Rif – “Il Signore degli Anelli” – La Compagnia dell’Anello – Libro I Capitolo III  “In tre si è in compagnia” – Inno elfico a Elbereth Gilthoniel 1 ). La Guaritrice non si univa al coro, la testa le pareva scoppiare per quanto doleva pulsando con insistenza sulle tempie e gli occhi, arrossati e gonfi, necessitavano di ristoro. Aveva persino perso il conto dall’ultima volta che aveva chiesto ad Anrond di cavalcare con lei per permetterle di dormire almeno un po’, quel minimo consentito in groppa ad un cavallo. Si sentiva sempre più stanca eppure non chiese mai di fermarsi, il dimostrarsi la più debole non le sembrava opportuno. Se l’orgoglio fosse stato acqua lei ne avrebbe traboccato.

“Mia Signora Tirinîr!” esclamò Anrond affiancando il destriero della fanciulla. “Le colline degli Emyn Arnen sono distinte e delineate! La loro forma è netta! Sarete felice di sapere che dopo tanto migrare siamo quasi giunti a destinazione!” la sua allegria era coinvolgente, tanto che la ragazza si trovò a sorridere come ultimamente esitava a fare.

“Diolithar aen Valar! | S – Che siano ringraziati i Valar! | ” sospirò sollevata. “Gli ultimi passi sono sempre i più interminabili! Andiamo Anrond, percorri con me l’ultima distanza!” propose riprendendo vita a quell’annuncio. Camminarono ancora per qualche tempo affiancati senza parlarsi lieti, quando apparve un destriero che alzava polvere all'orizzonte. La galoppata perfino non celava l'impazienza di raggiungerli del suo cavaliere.

“Arweamin, ma quello non è …”

“Legolas!” rispose prima d’incitare Aratoamin e lanciarlo al galoppo. “Noro lim, mellon nîn! Noro i gwaew manen! | S – Corri velocemente, amico mio! Corri come il vento! | ” ripeteva sussurrando all’orecchio del suo amico. Ogni cosa di quel viaggio la stanchezza, il sonno perduto, la fame e le strane sensazioni avvertite, sparirono come un soffio sulla fiamma di una candela. Non le importava più nulla in quel momento, quando i suoi occhi avevano avvistato Legolas correrle incontro aveva ripreso a respirare. Si liberò della sua posizione e del suo rango, ritornò ad essere la ragazza semplice ed innamorata che aveva realizzato il suo sogno d’amore, un sogno che le stava correndo incontro con altrettanta premura e fretta.

Nessuno dei due diede il tempo al cavallo di fermarsi, entrambi travolti dall’irresistibile spinta del desiderio proseguirono l’avanzata con grandi falcate. Quando l’abbraccio li congiunse fu come assistere all’onda che s’infrange contro il pendio della scogliera, con impeto e con forza. Senza smuovere il muro di roccia la spuma risale e colora la pietra grigia, si volta e si smuove, ma esita su di essa scivolando solo in un secondo momento. Legolas aveva afferrato la vita della ragazza per stringerla possessivo contro di sé. Non esitò nemmeno un attimo a prendere il sapore di miele che custodiva tra quei dolci petali rosei, tenendo la sua nuca deciso s’appropriò di ciò che era suo di diritto. La passione l’aveva accecato ed insordito, tanto che non si accorse del silenzio che aveva colto tutta la colonna di elfi ammutoliti dall’episodio. In quel momento poteva anche presentarsi Morghot in persona e lui non vi avrebbe badato, tanta era la gaiezza che aveva catturato il suo cuore. Sorrideva fra le labbra non discostando mai le sue, mentre il sale delle lacrime di gioia versate dalla fanciulla si mescolava con l’ambrosia della sua bocca. Lo scalpitio di un cavallo ed un colpo di tosse fecero riemergere entrambi da quel vortice che li avevano coinvolti.

“Credo che non stiamo dando il buon esempio, melamin!” bisbigliò la fanciulla con il respiro affannato.

“Credo che ora che ti ho qui tutto ha assunto un’importanza relativa, sono felice …” rispose Legolas sfiorando nuovamente le sue labbra a firma di ciò che aveva detto. Non gli interessava in alcun modo se stesse dando spettacolo, con la sua smania di riavere seco la propria moglie aveva semplicemente seguito l’istinto e, anche se il suo ruolo gli imponeva un certo contegno, aveva preso in piena coscienza la decisione di abbandonare per una volta le buone maniere e lasciarsi trasportare dalle emozioni.

“Miei signori, non vorrei disturbarvi, ma attendiamo soltanto voi …” Anrond era sceso da cavallo e se ne stava con il busto inclinato in avanti ed una mano sul cuore. Tirinîr non era abituata a vedere quei formalismi eccessivi da parte sua nei suoi confronti. Fino a quel momento non si era resa pienamente conto del ruolo che avrebbe assunto fra gli elfi dell’Ithilien. Apparteneva alla discendenza di una Regina Amazzone, una nobile tra gli elfi silvani del Reame Boscoso ed altrettanto fra i resti dei Laiquendi, ma mai nella sua vita poteva dirsi una Signora responsabile della propria gente. Deglutì a vuoto poi, alzando gli occhi, vide altri abbassarli deferenti ed ossequiosi verso una fanciulla molto più giovane di loro. Persino Anrond possedeva un’età superiore alla sua e per la prima volta sentì la giovinezza gravarle sulla coscienza. Vero, il suo fardello era appesantito dal dolore e dalla sofferenza, tuttavia ciò mostrava semplicemente un aspetto più maturo non l’animo. Si sentiva insignificante e impreparata a ciò che sembrava attenderla.

A quel pensiero la paura iniziò ad impadronirsi del suo cuore, ogni timore riaffiorò con facilità e si scoprì indebolita ancor di più, tanto che le gambe cedettero facendole perdere l’equilibrio. Se non fosse stato per la morsa inspessita delle braccia dell’elfo probabilmente sarebbe caduta in terra. Anche Anrond, accortosi dell’accaduto, si avvicinò per offrire il suo aiuto. Fra Legolas ed il giovane elfi vi fu una fugace intesa, che si eclissò nel momento in cui lo sguardo vacuo della fanciulla ammonì lo stalliere. Le sue labbra mimarono debolmente un ‘no’ e Anrond serrò la mascella furente. Voleva proteggere Legolas, ma cosa avrebbe protetto lei?

“Tirinîr, cosa succede?” chiese apprensivo l’elfo.

“Nulla melamin, troppe emozioni unite alla spossatezza mi hanno provata. Non ho la stessa resistenza degl’elfi, ma non ho voluto pesare e sono giorni lunghi ed interminabili di cammino che mi hanno condotta a te! L’importante è essere qui, esattamente dove mi trovo ora …” rizzò quindi le ginocchia e sorrise prendendo fra le sue mani il viso di Legolas cercando di rassicurarlo.

“Anrond!” disse allora rivolto al giovane, che severo e con rabbia guardava quella messinscena improntata. Le doti drammatiche della fanciulla non erano evidentemente apprezzate dal suo amico. Non sollevò nemmeno lo sguardo quando Legolas lo interpellò, continuava a fissare con i suoi algidi occhi grigi la ragazza che, per nulla intimidita, lo fronteggiava minacciandolo con sguardi altrettanto irati. Era una lotta alla resistenza. “Anrond, perché non l’hai convinta a chiedere una sosta?” alle sue parole rivolse quindi l’attenzione al Principe che studiava attentamente quello strano scambio silenzioso appena avvenuto. Non era uno sprovveduto ed aveva capito che vi era motivo di una forte tensione tra i due.

“Conoscete la sua caparbietà. Voleva dimostrare più a sé stessa che ad altri di non essere debole, uscendone distrutta.” Replicò con una punta di acredine e con i denti stretti, dimostrando la durezza che gli scaturiva quella situazione.

“O forse non volevo attardare la moltitudine per un semplice caso di stanchezza!” rispose prontamente la fanciulla. Tra i due aveva iniziato a scorrere acrimonia. Legolas conosceva bene la sua sposa, sapeva che quell’atteggiamento non avrebbe ottenuto capo con Tirinîr.

“Anrond, sarà meglio che porti Aratoamin e Faroth con te. Io e Tirinîr cavalcheremo lo stesso cavallo fino ai vicini Emyn Arnen.” La sua voce era inflessibile, un ordine dato con astuzia verso quel ragazzo troppo impulsivo. Talvolta non è arguto buttarsi in campo aperto contro un nemico con una potenza maggiore, meglio attenderlo al di là della gola tra due montagne in piccole dosi in modo da sfoltire le sue guarnigioni.

Quel breve tratto di strada che li separava dalla dimora del Principe Faramir ed Èowyn Dama di Rohan e dell’Ithilien, la fanciulla lo passò tenendo fisso l’orecchio poggiato sul petto di Legolas, il quale cavalcava adagio seguendo il passo d’uomo della piccola porzione del suo popolo. Il volto della ragazza appariva finalmente in pace: nascosta sotto il collo del suo amato teneva gli occhi socchiusi ad assaporare ogni altro senso e la bocca che accoglieva l’illibato fiore del fresco respiro del vento, nella più completa beatitudine. Solo quel momento sarebbe bastato per ripagarla delle fatiche del viaggio, dalle arrabbiature con il suo amico e dai suoi lunatici ed incomprensibili comportamenti. Era contento del rapporto tra i due elfi, la giovane età di Anrond consentiva a Tirinîr di vivere ciò che aveva perduto con spensieratezza, arroganza ed un pizzico di sfrontatezza che donava quell’aspetto gioioso ed infantile al suo carattere. Lo stalliere invece sembrava veramente affezionato alla propria Signora e la sua sincerità di cuore lo rendeva il perfetto ‘compagno di giochi’ di una bambina forse un po’ troppo cresciuta. Questa sua apprensione resa evidente insospettiva Legolas, rendendolo in un certo qual modo partecipe del pensiero del giovane. Era palese che quell’episodio non era stato singolo, ma non poteva accusarla apertamente di trascurarsi. La sua reazione sarebbe stata quella di chiudersi a riccio e negare persino l’evidenza. Rassegnato affondò le sue labbra tra i setosi capelli della ragazza, disinteressandosi se veniva visto o meno in quel gesto sconveniente.

 

Le grida di alcuni uomini si levarono incitando all’apertura dei cancelli. In pietra le pareti e le case, costruita a ridosso delle colline degli Emyn Arnen, ergendosi come un gioiello di fine fattura incastonato in quello che veniva considerato il giardino di Gondor. La piccola città nascondeva fra le bianche mura vessilli luminosi di egual colore,  indicando ovunque l’appartenenza alla Casa di Hùrin. Ad essi altri stendardi che immortalavano su di un fondo nero l’Albero Bianco con le sette stelle, simbolo del Regno degli uomini e dell’asservimento che gli prestava. La gente che camminava per le strade mormorava dell’ultimo gruppo di elfi e di come ogni principato degli uomini avrebbe beneficiato a pieno della loro magia. I bambini guardavano con ammirazione la marcia degl’Eldar, come se le favole raccontate la sera dai genitori stessero prendendo vita. Uomini ed elfi uniti sotto lo stesso cielo, avrebbero camminato affiancati come un tempo. In guerra ed in pace stavano onorando la loro alleanza, l’amicizia dei figli di Ilùvatar avrebbe lasciato rischiarare i giorni oscuri sempre più lontani, in una terra che fino a poco prima era sotto l’influenza crudele della malvagità del vassallo di Belgûr, Oscuro Signore della sterile terra oltre gli Ephel Dùath.

Il viaggio era stato lungo e stancante, ma quelle ultime leghe passarono così velocemente che Tirinîr non se ne rese conto. Ad attenderli fuori dalle mura del piccolo castello vi erano i signori dell’Ithilien. Gli occhi grigi e saggi di sire Faramir scrutavano di lontano la minuta figura rannicchiata contro il petto dell’elfo suo amico, Èowyn lo affiancava con un dolce sorriso sul viso e tanta impazienza che raggiungessero quel luogo. I racconti di Legolas l’avevano incuriosita, il sapere che una donna battagliera e dallo spirito affine al suo sarebbe giunta l’attraeva alquanto. Legolas fu il primo a smontare e aiutò la sua amata prendendola per la vita, piccola premura non necessaria ma che non si sarebbe mai risparmiato.

“Finalmente siete giunta nella nostre terre, Tirinîr! Legolas ha così tanto parlato di voi che mi sembra di conoscervi da sempre, permettetemi di dirvi che le sue descrizioni non vi rendevano giustizia!” esclamò Faramir andandole incontro e provocandole un noto rossore. “Che siate benvenuta!” disse inclinando il capo in avanti. La ragazza rispose all’inchino intraprendendo un accurato studio dell’uomo che aveva di fronte. Era la prima volta che vedeva un appartenente alla linea secondogenita diverso dall'idea degli umani che aveva: incarnato chiaro, i capelli corvini ricadevano ordinati sulle spalle e dagl’occhi emergeva saggezza, ma anche un profondo velo di tristezza che ne caratterizzava lo sguardo.

“Grazie, mio signore. Deduco che voi siate il Principe Faramir, vi ringrazio per la vostra ospitalità!” rispose gentilmente.

“Non vi sbagliate, io sono Faramir Principe delle verdi contrade dell’Ithilien e Sovraintendente a Gondor e questa è la mia sposa Èowyn .” Disse mostrando il palmo alla Signora di Rohan che afferrò avanzando di un passo.

“Finalmente c’incontriamo, ero impaziente di conoscervi Tirinîr Envinyatarë. Se non altro non dovrò affidarmi all’immaginazione in futuro! Vi prego di considerare questa come se fosse la vostra casa, anche oltre la semplice ospitalità in attesa che la vostra dimora sia pronta ad accogliervi.” Affermò con emozione.

“Non so proprio come sdebitarmi Arweamin …”

“Non avete nulla di cui sdebitarvi. Credo che sire Faramir convenga con me che sia l’unico modo che conosciamo per dimostrarvi la nostra gratitudine. Se pace e splendore torneranno nei giardini di Gondor sarà solo grazie alla vostra presenza.” Èowyn prese le mani alla fanciulla e le strinse con delicatezza. Forse non si aspettava di sentirle così fredde perché le guardò tra le sue quasi preoccupata. “Mia Signora siete gelata, immagino che il lungo viaggio vi abbia stancata e noi siamo qui a perdere tempo e riposo con parole che possono esser dette in un altro momento.”

“Avete ragione, mia cara. È meglio che vi riposiate perché voglio i Signori dell’Ithilien alla mia  tavola stasera, accetterete il mio invito?” chiese Faramir ad entrambi gli elfi.

“Certo amico mio, non potrei mai rifiutare. Devo solo indicare la restante strada alla mia gente.” Disse Legolas, per poi rivolgersi alla sua amata che si era irrigidita al pensiero di separarsi dall’elfo. “Non temere, tornerò presto!” Tirinîr rispose solo con un cenno.

Finite le presentazioni ed i saluti,  fu condotta assieme ai suoi bagagli personali nelle stanze a lei adibite. Fece un bagno e dormì fino a sera assecondando il suo impellente bisogno di riposo fino a cena, quando era attesa dal suo sposo e dai suoi ospiti. In effetti il ristoro le aveva giovato notevolmente: le guance le avevano preso un colore salubre e gli occhi erano tornati vivaci. Venne guidata fino alla sala da pranzo allestita per l’occasione con un’eleganza sontuosa. I colori si avvicendavano dal rosso e l’oro, accesi e forti. Vigorosi come l’aspetto degli uomini. Diverso dagl’elfi, diverso dalle amazzoni. Le decorazioni esprimevano la potenza e la forza di quel popolo conosciuto solo attraverso i racconti filtrati dai Signori del Khand.

Parlarono di molte avventure degl’uni e degl’altri: il sogno che portò Boromir a Granburrone dopo la vittoria in Osgiliath e la sua successiva caduta sotto l’Ombra di Mordor, il dolore di un fratello che sulle rive dell’Anduin si trovò al cospetto di un guerriero dormiente in una barca grigia, la morte di uno zio padre nei campi del Pelennor dove Èowyn diede prova del coraggio e della forza di una valorosa scudiera di Rohan. Fu allora, al sentire delle prodezze della donna in battaglia, che lo sguardo di Tirinîr si rabbuiò. Tutto quello che la circondava divenne un’eco lontana, la sua mente era impegnata a ricucire la ferita riaperta dopo tanta fatica. Si rivide nelle sue guerre con le mani coperte dal sangue vermiglio delle sue compagne misto con quello putrido di orchi e nefande bestie. Non vi erano urla se non d’incitamento alla lotta, potevano trapassarle frecce, lance o spade ma dalla loro bocca mai un gemito di dolore doveva uscire. La morte in battaglia o per  parto erano le uniche veramente onorevoli per una Gwaith.

“Legolas mi ha detto che anche voi siete stata una guerriera …” disse interpellandola all’improvviso Èowyn, il suo sguardo assente e vitreo si sollevò dal piatto in cui si era perso per posarsi sul pallido viso della donna.

“Sì.” Quell’unica sillaba quasi la ingoiò vergognandosene. Il suo chiudersi di fronte ad un tale argomento con un guscio fatto dalle spalle incurvate non fece desistere Èowyn, che prese ad incalzare con insistenza avida di racconti di fama e gloria.

“Non è raro che fanciulle elfiche combattano in guerra: ho sentito dire che la Dama dei Galadhrim partecipò alla purificazione di Dol Guldur scendendo sul campo di battaglia e brandendo la spada.” Intervenne Faramir, interessato anche lui al passato di Tirinîr.

“Non è stata una mia scelta, Heruamin.” Rispose asciutta.

“Cosa intendete se mi è concesso sapere? Vi hanno obbligata a scendere in battaglia?” chiese allora Èowyn con più enfasi di quanta ne avesse voluta mettere in quella domanda. La fanciulla si voltò verso la sua interlocutrice. Mentre i suoi occhi brillavano quelli di Tirinîr mostravano il dolore e la sofferenza di chi non avrebbe voluto parlare. Ben nota era la determinazione della Bianca Dama dell’Ithilien, ma nello strazio di quello sguardo spento si ritrasse demordendo dalla sua ingorda smania di leggendarie ed epiche storie. “Mi dispiace non volevo essere indiscreta!” disse con rammarico.

“No, mia signora. Capisco la vostra curiosità, una donna costretta a combattere non per scelta propria non è cosa solita. Sono solo stanca del viaggio e parlare di ciò che la mia gente mi ha indotta a macchiarmi mi richiede ulteriore energia che in questo mo …”

“Non appartenete al Reame Boscoso quindi?” chiese di nuovo Faramir.

“Da parte di padre sì.” Ogni parola era sempre più bassa, difficile dire che fossero i ricordi a farle vorticare la testa o se i benefici effetti del riposo fossero di nuovo terminati, ma ebbe il bisogno di sorregger la fronte con una mano. “Scusatemi, potrà sembrarvi scortese, ma credo che non abbia del tutto recuperato le forze. Posso chiedervi congedo?” Legolas, vedendo le sue difficoltà, si alzò dalla sua seduta e le andò incontro per aiutarla ad alzarsi e a raggiungere le sue stanze una volta ottenuto il consenso da parte dei loro ospiti.

 

La mattina giunse inesorabile susseguendo alla notte. L’aria fresca e dolce dell’aurora penetrò attraverso la finestra solleticando il viso della fanciulla immersa nei giardini di Lòrien. Tirinîr senti le sue ossa ed i muscoli indolenziti, come se avesse intrapreso una lunga corsa. Vero, non aveva riposato molto dopo che avevano varcato la soglia delle proprie stanze, il bisogno che avevano l’uno dell’altra l’aveva spinta a superare persino la spossatezza. La luce del giorno baluginava sul braccio molle di Legolas che le cingeva la vita. Fu proprio il suo rigirarsi nel letto che la destò definitivamente, quando l’elfo si distese supino esponendo il torace nudo che splendeva al tocco indiscreto del sole. Un piccolo ciuffo dorato rischiava d’infastidire quella pacifica espressione di pura beatitudine, posandosi sul bel volto dell’elfo attraversandolo da una parte all’altra. Con cura lo scostò, ben attenta a non disturbare il sonno sereno del suo sposo. Le dita però non scesero dal viso e con delicatezza percorse i suoi lineamenti, ricordando meticolosamente ogni curva al tatto. Indugiò sulle labbra, percependo il respiro profondo che caratterizzava il ritmo del suo petto e il leggero schiudersi quando il profumo di lei invase i suoi sensi. Un lieve lamento indistinto provenì da esse, un gemito di piacere per le carezze ricevute.

“Dimmi che non sto sognando, che sei tu qui accanto a me …” chiese non aprendo le palpebre per non interrompere  led gradevoli sensazioni che gli venivano infuse da quei tocchi leggeri. Tirinîr sorrise e, come se potesse vederla, rispose anche lui. Pacatamente scalò il suo corpo per far incontrare le proprie labbra con piccoli baci sfiorati. Non pago l’elfo prese la nuca della ragazza ed approfondì il contatto. Sua moglie era con lui e la notte appena passata non era un sogno. Vera e reale, come la presenza nel suo letto. “Quando si dice il buongiorno si vede dal mattino, immagino s’intenda questo …”

“Immagino anch’io …” mugolò la fanciulla tempestando di piccoli baci languidi il mento e la mascella dell’elfo, che alla provocazione rispose ribaltando le posizioni e carezzando la gota della ragazza con il dorso della mano.  “La nostra dimora in Ithilien, mi suona così strano! Sembrava tutto irreale solo cinque anni orsono, ora siamo qui alla corte di sire Faramir e la sua signora attendendo che tutto sia pronto.” Da un tono trasognato ricco di speranza, passò ad uno più mesto ed ansioso, rivelando il suo stato d’animo altalenante.  “Temo di non essere all’altezza di tale compito forse è questo che mi fa sentire le gambe molli, non è la prima volta che la paura mi gioca scherzi meschini.” Quello che emise fu quasi un pigolio timoroso.

“La mia dolce Tirinîr, devi smettere di sottovalutarti.”  Affermò con sicurezza riprendendo a baciarla con insistenza il viso e le labbra. “Almeno questa volta non stai scappando …”

“Dovete stare attento a ciò che dite, Principe …” disse con il respiro affannato e con la mente annebbiata. “Potresti insinuare qualche idea malsana in me, anzi ora prendo Aratoamin e correrò senza meta per giorni …”

“Non credo che posso permettere alla mia sposa di fuggire con il suo destriero lontano da me!”

“Pensi sia possibile?” con una mossa delle gambe ribaltò nuovamente le posizioni immobilizzando l’elfo, il quale non oppose resistenza. Ma lo sforzo fatto in quella operazione la costrinse ad abbandonarsi di peso lungo il suo fianco.

“Cosa ti succede Tirinîr? Sei improvvisamente impallidita e la tua pelle è fredda …””   il suo sguardo si fece preoccupato, improvvisamente la visione della sua amata debole e stanca, con le gambe che cedevano alla debolezza, ritornò ridondante. Il comportamento apprensivo di Anrond, lo rendeva ancora più angustiato sulle tensioni di Tirinîr.

“Nulla, cerca di non impensierirti melamin …”

 “Anche Anrond è preoccupato …”

“È solo arrabbiato perché non confermo le sue teorie catastrofiche!” rispose piccata per l’argomento decisamente pungente e fastidioso. “Ha una incredibile fissazione perché crede che io mi nasconda per chissà qual motivo, non è vero riconosco di sentirmi indebolita, però cosa devo fare se non riposare?”

“Questa volta l’hai fatto davvero infuriare, penso che se continui a frequentarlo lo troveremo canuto prima del tempo!” un ghigno derisorio si disegnò sulle labbra dell’elfo. “Di solito sei tu a sfinirlo, mi sembra un buon compromesso quello di ripagarti con la stessa moneta!” la ragazza sollevò il capo per guardare in viso l’elfo, gli occhi lucidi e stanchi. Legolas vide quella strana espressione e ne rimase stupito. Sembrava ben oltre lo stremo, in un certo modo addolorata e triste.

“Possiamo evitare di parlare di Anrond? I suoi cambi di luna stanno esaurendo le forze già decisamente fiaccate.” Disse con voce stridula. “Si stava facendo prendere da una crisi isterica solo perché mi sembrava di aver udito gabbiani lungo il fiume, non sapevo che la legge puniva chi è capace di distinguere i versi degli uccelli!” quell’informazione scossa l’elfo che sussultò con un brivido lungo la schiena. Sforzò le sue labbra ad alzarsi in un sorriso, ma si vedeva che era falsamente elargito. “Per favore Legolas, non sprecare tempo a parlare dei miei litigi con lui! Sono qui, siamo qui! Ed abbiamo tanto a cui pensare …”

“Li ha avvertiti anche Anrond, mia Signora?” chiese titubante, quasi temesse a porre quella domanda.

“No, sembra che fosse solo un inganno delle mie orecchie. Potrei sapere perché cotanto  interesse? Cosa mi nascondete? Prima Anrond che mi schiva da quel giorno neanche avessi compiuto la più orribile delle nefandezze, poi tu che trasali alla mia dichiarazione di aver udito i gabbiani lungo il fiume. C’è qualcosa che non mi è dato sapere? Oppure c’è una legge tra gli elfi che non conosco sull’impossibilità di conoscere i versi degli uccelli?” chiese con un cenno sarcastico.

“Non devi preoccuparti, melamin … ” rispose Legolas “Saprai tutto a tempo debito, ora pensa solo a riprenderti dalle fatiche del viaggio, presto dovremmo trasferirci a sud di questa splendida contrada.” Cercò di deviare l’argomento. Era suo desiderio acquisire tempo per poterle spiegare ogni cosa, riflettere sulle parole giuste da usare.

 

Aratoamin sembrava impaziente dentro la sua stalla. Dopo così tanti giorni di cammino ritrovarsi dentro quattro mura rimaneva stretto. Sbuffava spazientito ad ogni stalliere che gli passava vicino. Su di una cosa gli umani erano totalmente diversi dagl’elfi: la loro armonia con la natura era sempre precaria ed una bestia intelligente come Aratoamin lo sentiva.

“Anìrach telig go anim, mellon nîn? | S – Desideri venire assieme a me, amico mio? | ” chiese dolcemente baciando il muso chiazzato di marrone del cavallo, che nitrì come risposta. Era strano però quella mattina, insistendo con il sospingere il muso contro la sua padrona come a cercare più contatto con ella. “Non ti ci mettere anche tu, so cosa stai cercando di dirmi. Non so cosa mi stia accadendo, ma non penso sia nulla di grave. Che sia parte del mio spirito lasciato nei luoghi dove mio padre ha dimorato o che sia semplice stanchezza, non voglio far impensierire Legolas con vaghi sospetti …”

“Sospetti?” una voce familiare chiara e limpida intervenne alle sue spalle. “Scusatemi Tirinîr non avrei dovuto ascoltare, mi trovavo qui per caso e non ne ho potuto fare a meno.”

“Non scusatevi mia Signora, comprendo alla perfezione.” Rispose sommessa. Èowyn s’avvicinò con un sorriso, era a suo agio nella stalla. Ricordava bene come i Variag disprezzassero i Rohirrim, con i loro grandi e potenti cavalli. Invida guidava la lingua forcuta dei Signori del Sud, perché da sempre non li avevano superati troppo occupati a fare guerra tra loro per non eccellere in qualche arte. Erano stati i Variag a far conoscere i cavalli alle Gwaith, piccoli destrieri con spalle e sottili zampe agili diversissimi da quelli delle terre del Mark.

“Che particolare bestia, i suoi occhi esprimono intelligenza, come se capisse ciò che stiamo dicendo. Sa come mettere soggezione nonostante abbia un aspetto fragile, come si chiama?” domandò curiosa. Èowyn era sempre più affascinata da quella fanciulla. Aveva qualcosa nello sguardo, una profonda melanconia, un ricordo che la spingeva a voler sapere cosa l’avesse guidata ad abbandonare le armi. Come poteva dire Legolas che si assomigliavano quando i loro desideri erano così distanti?

“Aratoamin - il mio campione - dalle mie parti era il cavallo più veloce, ma anche il più indomito. Non accetta la sella di buon grado ed ero l’unica in grado di cavalcarlo sbrigliato.”

“Mi ricordi uno dei più grandi dei Mearas, Aratoamin. Anche se l’aspetto di questo animale può trarre in inganno, vedo in lui lo spirito di Ombromanto. Era il Signore di tutti i cavalli, maestoso e con il manto color dell’argento vivo, peccato che non l’abbiate mai visto …” disse accarezzando il cavallo per rispondere alla sua richiesta di attenzioni.

“Non vi è più la possibilità?” chiese interessata.

“Pare che abbia seguito il Bianco Cavaliere ad Ovest, oltre il mare.” Rispose per poi tornare con lo sguardo verso la fanciulla. “Avete detto dalle vostre parti?”

“Sì …” e come la sera precedente era dura pronunciare quella sillaba, strozzava il solo emettere quel sì.

“È evidente dal vostro aspetto che siete di stirpe elfica, ma è la seconda volta che vi sento parlare di un posto sconosciuto da dove provenite e deviate in ogni modo domande più specifiche. Qual è il motivo del dolore che provocate al pensiero delle vostre origini? Perché vi hanno costretto ad essere un soldato contro la vostra volontà?” chiese scossa dalla sua stessa domanda.

“Volete che rinvanghi vecchi dolori, mia signora.” Come se sentisse lo stato d’animo della padrona il cavallo emise un verso contrariato, alzando con uno scatto il muso. Tirinîr lo acquietò con dolcezza sussurrando parole incomprensibili alla Bianca Dama che le stava facendo compagnia, per poi donarle di nuovo l’attenzione che richiedeva. “Avete mai temuto qualcosa che sembrava incombere sul vostro destino?”

“Sì, Tirinîr.” Disse Èowyn. “Tutti indicavano il mio destino come quello di una balia asciutta, morire nel mio dovere di donna con compito la casa, bruciare con essa quando ogni occasione di fama e gloria fosse stata già razziata da chi poteva far crescere la barba.” A quel pensiero gli occhi di Èowyn fiammeggiarono, empi di rabbia e livore covati ancora per quel pensiero di reclusione. “Ho temuto a lungo la gabbia, abituarmi ad essa fino alla vecchiaia. Ho temuto di non poter onorare la casata a cui appartengo, una casata di guerrieri e non di deboli braccia congiunte in preghiera.”

“E se la gabbia invece fosse la guerra, mia signora? E se la prigione in cui si è costretti è dettata da leggi arcaiche, il cui opporsi avrebbe costato la gioia di possedere l’amore di un padre o di un figlio? Quando la gloria ti rincorre risucchiando energie e forze utili a svegliarsi la mattina, senza sapere se l’indomani vi fosse la stessa fortuna. Vedete esistono luoghi in cui ad una donna non era concesso la possibilità di badare al proprio focolare domestico: ho vissuto in un luogo dove la morte in guerra e l’atavismo erano gli unici oneri da rispettare.” Avanzò di un passo trovandosi sotto lo sguardo assorto della donna “Voi temevate la vecchiaia e l’abitudine, io la bramavo. Non ero nata per tenere la spada in mano, non volevo combattere e per questo ho vissuto nell’umiliazione finché non sono fuggita da quel mondo, in cui le madri erano costrette a vedere le figlie morire in una guerra senza fine per proteggere il segreto della loro esistenza. Non si poteva piangere, non si poteva gioire, non si poteva amare. Vivere nell’Ombra di sé stesse, nel terrore di essere sottomesse dagli uomini e poi ritrovarsi sopraffatte dalle demarcazioni imposte dalle nostre ave …”

“Mie Signore!” un messo interruppe quello scambio, ma non fu immediata la loro attenzione troppo prese a fissarsi l’una negl’occhi dell’altra. “Miei signore, notizie da Gondor!” la prima a cedere fu la donna che volse i suoi occhi al ragazzo che le porgeva a capo chino una missiva, la cui ceralacca era impressa con l’Albero Bianco e le Sette Stelle.

“Dove sono Sire Faramir e il Principe Legolas?” chiese gentilmente.

“Sono partiti verso il Sud del Principato, per controllare la ricostruzione che sta avvenendo nelle terre degl’elfi.” Rispose mantenendosi sempre proteso in avanti.

“Grazie, puoi andare!” Èowyn aprì il messaggio, srotolando lentamente la pergamena. Lesse con attenzione la missiva, lasciando scorrere i suoi occhi di ghiaccio sulle righe rincorrendo le parole vergate di nero.

“Notizie da Gondor?” chiese trepidante Tirinîr.

“Re Elessar vuole radunare tutti i Principati di Gondor e Rohan, sembra vi sarà bisogno dell’appoggio di tutto il regno degli abitanti di queste terre. È indirizzato anche a voi e al vostro sposo … ”

 

Miei cari commensali, or dunque perché il Re degli Uomini chiama a sé gli abitanti delle Terre Libere di Gondor e Rohan? Cosa servirà il loro appoggio? E Tirinîr cosa cova nel suo corpo indebolito dal viaggio? Questi dubbi vi ho insinuato ed io stesso vi porrò rimedo, ma ora attendete miei diletti. La stanchezza soggiunge anche sulle labbra canterine di questo vostro servo, ormai rinsecchite dal troppo stornellare  questa storia che tanto vi appassiona. Oste passami quindi quel buon vino e donami la stanza che mi promettesti. Voglia essa accogliere il mio riposo e che la musa sorvoli i miei sogni per permettermi l’ispirazione per raccontare ancora di Tirinîr e del suo sposo. Buonanotte, miei amici!

 

Note dell'autrice: Buongiorno!!! Allora questo è l'ultimo prima delle vacanze. Scusate per il ritardo, ma ho un casino in casa tanto che scappo al mare prima di andare in vacanza e partire. Ci rivedremo a Settembre suppongo o gli ultimi giorni in Agosto. Mi scuso se ci sono errori, ho riletto sommariamente ma ho poco tempo. Vi assicuro che rileggerò meglio quando ho un attimo. Diciamo che ho avuto una batosta a livello di pseudo scrittrice quindi ho avuto in concorso un piccolo blocco dovuto a dei giudizi che hanno un attimo destabilizzata. Ora però è passato quindi dopo il riposino estivo tornerò ancora più felice di prima di scrivere. 

Vi lascio con un capitozzolo di passaggio dove del confronto con Eowyn c'è in piccolo accenno. Non preoccupatevi per la durezza che dimostranbo queste due dame di ferro, avrenno modo di parlare più apertamente. Eowyn è uno dei personaggi preferiti, forte che non si arrende quindi avevo bisogno di farla apparire in dose massiccia.

Sinceramente avevo voglia di coccole e da questo sono nate tutte le smancerie annesse e connesse nella scena con Leggy, forse un po' troppo esplicita.

Vi lascio anche un regalino per l'attesa: in questo link(l'immagine è molto grande per questo non l'inserisco) trovate una splendida illustrazione che rende bene l'idea di come immagino l'Ithilien.

http://img-fan.theonering.net/rolozo/images/nasmith/TN-First_Sight_of_Ithilien.jpg

Fatemi sapere che ne pensate!^^

 

Rispostine^^

Thiliol: Bhè mellon nin! Il parallelo è solo all'inizio per come voglio che s'intreccino i personaggi Di Eowyn e Tirinir!!!eh eh, ora metto bene in fila le mie idee e vedrai sono sicura che ti piacerà. Per quanto riguarda i malori della mia bambina bhè si saprà poi quando reincontreremo ... ah lascio tutto in sospeso. E con questo ti lascio con un Buone vacanze che rinnovo!!!Un bacione!!!

Ringrazio tutti i miei lettori siete la mia forza e soprattutto:

BUONE VACANZE 

DALLA VOSTRA MALLY!!!

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Capitolo 21
*** CAPITOLO XX: Calad nimp. ***


CAPITOLO XX: Calad nimp.

Pochi giorni passarono tra l’arrivo di Tirinîr in Ithilien e la partenza per Gondor. Pochi giorni per permettere alle due coppie reggenti e la loro corte di prepararsi all’ennesimo viaggio, che fortunatamente prevedeva una durata assai breve. Le mura che delimitavano la protezione di Gondor lungo il confine dei campi del Pelennor erano state abbattute e ricostruite in punti diversi; dopo che il Flagello di Isildur e Sauron l’Ingannatore vennero distrutti, non vi era più bisogno di proteggere la Capitale dagl’attacchi provenienti dall’Ithilien e da Osgiliath, quindi l'intereo assetto strategico venne cambiato. Le due corti umana e elfica attraversarono una strada rialzata che li condusse ad una porta custodita tra torri merlate, una parte delle mura di Osgiliath che non subì alcuna variazione, dove li attendeva il fratello di Èowyn, Èomer sovrano delle terre del Mark e Signore dei Cavalli che, con la sua consorte, era stato convocato come rappresentanza di Rohan al cospetto del Re.

Tirinîr durante il viaggio rimase in disparte, per lo più ascoltando quello che veniva detto partecipando poco alle conversazioni. La notte stessa in cui il messaggero era giunto in Ithilien, ripartendo immediatamente per gli altri principati, un sogno aveva iniziato ad agitare il suo pensiero già tormentato da quell’improvvisa chiamata da parte del Re. Non era la sola ad essere angustiata. Molti interrogativi vorticavano nelle teste in parte preoccupate per quel gran raduno di re e sovrani: cosa stava spingendo Aragorn a richiedere con urgenza la presenza di tutti i principati e degli alleati di sempre? Se fosse stata una lieta novella la richiesta sarebbe stata accompagnata da una motivazione, eppure nessuno sembrava avere notizie più certe di altri.

Mentre attraversavano la città di Osgiliath Faramir si perse in racconti di gesta eroiche e di uomini che combatterono per proteggere il baluardo che rappresentava. Parlò di Boromir con affetto e nostalgia di quel giorno in cui si ritrovarono a festeggiare l’arresto dell’avanzata nemica con cuori colmi di speranza. Tirinîr era affascinata da questi uomini del Sud appartenenti ad una stirpe così nobile e pura, diversa dall’idea che aveva di coloro che conobbe nella sua vita alla Taur en Gwaith. Nel loro animo vi era posto per la pietà, la tristezza e l’amore.  Ammirava il coraggioso Sovraintendente e la sua saggezza, ammaliata da tutte le storie che aveva avuto occasione di ascoltare sempre più con attenzione. Ma con Èowyn, la Bianca Dama dell’Ithilien, era un rapporto completamente diverso a causa del loro piccolo scontro che aveva sortito degli effetti raggelanti.

Raramente si rivolgevano l’una all’altra e, ogni volta, si poteva respirare tra le due una sorta di brivido. Quello che provavano non era rabbia miei signori, anche se entrambe questo pensavano, né tantomeno odio. Loro avvertivano quello che si potrebbe paragonare alla paura, perché questo risvegliava la presenza reciproca. L’una con il desiderio di eterna pace, l’altra con la brama di gloria non del tutto sopita. In realtà Èowyn  avrebbe voluto approfondire il discorso con Tirinîr, ma ella era riuscita ad evitarla. Non vi era astio o voglia di erigere muri sfuggendole e negandosi, anche se poteva essere interpretato come tale. Era troppo presto per affrontare il passato quando, dalle ferite ancora aperte, il sangue non aveva cessato del tutto di sgorgare. Le rimaneva solo di attendere del tempo per poter lei stessa fare fronte a quello che l’aveva marchiata come fuoco sulla pelle. Quello di cui Tirinîr non si era ancora avveduta era di come il Fato solitamente non aveva riguardo sulla prontezza della sua vittima.

Di ciò se ne sarebbe accorta molto più tardi dato che, oltre ad evitare il confronto con Èowyn, doveva cercare di tenere a bada l’ossessiva apprensione di Legolas e di Anrond. Lo scudiero del Reame Boscoso era stato irremovibile, intestardendosi a seguirli anche in quella occasione. Poco importava che stesse meglio, al minimo accenno di malessere  i due accorrevano come se i corni di guerra riecheggiassero prima di una battaglia. Eppure Tirinîr non avvertì più i malori avuti durante il viaggio tra il Reame Boscoso e Regno degli uomini, almeno non nella stessa intensità.

“Qualcosa vi impensierisce Arweamin?” Anrond non si staccava dalla sua Signora, divenuto praticamente la sua ombra; ombra di un Ombra, un particolare gioco del Destino più beffardo della consuetudine. Tirinîr vagò sospirando con lo sguardo alla ricerca di Legolas. Era  con Faramir  e discorreva di chissà quale perplessità. Poco più addietro Éowyn si trovava in compagnia di Lothìriel, sua cognata, una docile donzella di poche parole e dalla bellezza imbarazzante. La pelle candida incorniciava tratti aguzzi ma femminili, labbra vellutate e occhi scuri inspessiti da folte ciglia. Erano abbastanza lontani e presi per non udire un’eventuale conversazione con il suo amico a cui voleva confidare ciò che nel profondo l’aveva turbata.

“Non so Anrond, da quando siamo partiti ho una strana sensazione …” disse in un sussurro. “È dal giorno in cui il Re ci ha mandato a chiamare che una persona mi viene a trovare in sogno …” lo sguardo di Anrond si fece più fitto cercando di ghermire ogni minima sfumatura di quella volontaria confidenza.

Man Arweamin? | Chi mia Signora? |”

“Non conosco il suo nome o il suo aspetto, ma ogni notte la trovo riflessa sul fondo di uno stagno, non capisco cosa voglia dirmi e né riesco a capire se la riconosco nel mio passato. Io cerco di distinguere i suoi lineamenti e le sue parole, ma quando provo ad avvicinarmi all’acqua mi trascina con sé e il sogno termina svegliandomi con la sensazione di stare per annegare … ” tremò, come se un freddo innaturale le percorresse il corpo. Per sconfiggerlo sollevò il cappuccio del suo manto di seta sulla testa.

Lo stalliere stava per ribattere, ma venne interrotto dallo scalpitio del cavallo di Re Èomer, affiancato ormai ai due. Rimirava Aratoamin intrigato dalla sua stazza. Non era sfuggito ai suoi occhi di esperto la somiglianza con la cavalleria Variag con cui aveva avuto a che fare durante la Guerra dell’Anello, ma poteva giurare che le sue dimensioni fossero addirittura più minute. Quella particolare razza di cavallo lo incuriosiva: al garrese era almeno di una spanna inferiore al suo, la lunghezza era più compatta ed anch’essa inferiore a qualsiasi atro equino, i suoi zoccoli erano più piccoli, gli appiombi sembravano però praticamente perfetti e ogni suo arto ben proporzionato. Sguardo vispo ed intelligente, in confronto al purosangue che montava poteva sembrare il suo puledro. 

 “Bella bestia!” esclamò d’un tratto verso il mezzelfo che placidamente cavalcava poco distante. “Ma quelle zampe sembrano piuttosto malferme!”

“Voi dite sire Èomer?” chiese Tirinîr, forse alla ricerca di un piccolo brivido privatole da qualche tempo.

“Le trovo un po’ troppo sottili e il suo aspetto sembra quasi gracile. Sicura che sia un cavallo?” la provocò apertamente con strafottenza. Tirinîr, che in alcuni momenti risentiva del fuoco orgoglioso che custodiva nel cuore, gli rivolse uno sguardo che valeva più di mille parole.

 “Non vedo cos’altro potrebbe essere …” rispose con stizza mentre il suo destriero sbuffava innervosito come se avesse percepito tale  affronto. “Non vi facevo persona che si lasciasse abbindolare dalle apparenze. Eppure avete assistito con i vostri occhi a come due piccoli Hobbit hanno salvato tutta la Terra di Mezzo …” tra i vari compagni che componevano il corteo iniziarono a muoversi bisbigli vedendo la concitazione degl’animi salire.

“Sicuramente mia Signora Tirinîr, ma non credo che in una corsa in velocità possano le loro gambe precedermi … ” affermò sicuro e con sufficienza.

“Quindi pensate che Aratoamin non possa battere il vostro …”

“Zoccofuoco, il suo nome è Zoccofuoco!” disse con orgoglio carezzando il manto bruno sui muscoli febbricitanti del collo.

“Che ne dite di una sfida, sire Éomer?” sul volto del mezzelfo si disegnò un sorriso a mezza bocca. Sapeva di essere stata sottovalutata e il suo amor proprio le imponeva di dare una lezione di umiltà al Signore dei Cavalli. Aratoamin aveva leggerezza ed eleganza dalla sua, forte e veloce come l’impalpabile vento. “Vedete quel dosso in lontananza …” di fronte a loro si stanziava, a circa una lega di distanza, una lieve altura che nascondeva il sole ormai verso il tramonto. La strada che portava a quella piccola collinetta era caratterizzata da due ammassi rocciosi ai lati. Creavano una piccola gola strozzata in un punto poco prima di un avvallamento sul terreno, ricoperto in parte da una rada sterpaglia verde e gialla. Aratoamin iniziò a muovere gli zoccoli battendoli sul terreno, come un cucciolo che provoca l’adulto per invitarlo a giocare. “Vediamo chi riesce ad arrivare per primo alla sua cima, se Aratoamin vince dovrete rimangiarvi tutto quello che avete detto …”

“Se invece saremo noi a vincere, mia cara Signora dell’Ithilien, dovrete ammettere che il vostro ronzino …” a quell’epiteto il cavallo sbuffò con un nitrito a rimarcare il suo dissenso. “Non è molto più interessante di un puledro!” non serviva una scommessa puerile ad accender gli animi, già concitati per l’evasione che quella gara stava fornendo, ma di certo dava un sapore più speziato alla competizione.

“Arweamin, siete sicura di voler …” provò a dire Anrond zittito da uno sguardo scocciato della fanciulla.

“E sia, Éomer figlio di Éomund, accetto!”disse allungando una mano verso il Re del Mark che strinse con uno strano sorriso disegnato sulle labbra.

“Se volete, mia Signora vi lascio del vantaggio …” disse l’uomo mentre si sistemavano sulla stessa linea. Éomer strinse fra le mani le redini e posizionò i talloni pronti a spronare Zoccofuoco a tutta velocità. Era totalmente sicuro di sé.

“No grazie, non gradisco favoritismi.” Rispose prontamente. Tirinîr si levò accuratamente un guanto, sfilando dito per dito con lentezza. In realtà stava studiando ogni via ed ogni possibilità affinché l’ambiente fosse a lei utile.

“Bene, allora se siete pronta sarà meglio cominciare …” affermò osservando la sua avversaria che ghignava con fare sospetto. Il Re del Mark però si soffermò su inutili crucci, il suo spirito competitivo era stato stuzzicato ed ora non si sarebbe di certo tirato indietro. Era un Signore dei Cavalli, come poteva essere sconfitto da una minuta Principessa Elfica?

“Quando il mio guanto toccherà terra?” chiese mostrandolo all’uomo.

“Quando il vostro guanto toccherà terra.” Il mezzelfo non se lo lasciò ripetere che con un gesto repentino sollevò in aria il leggero pezzetto di stoffa che in balia del vento ondeggiava con calma irreale fino a toccare il suolo. Èomer partì senza accorgersi che invece Tirinîr parlava al suo destriero, sussurrando con dolcezza al suo orecchio parole nella leggiadra lingua degl’Eldar.

“Si, Aratoamin! Thia o nad naa maed! | Ora [lett. Adesso] Aratoamin! Mostra di cosa sei capace! | ” disse con un tono leggermente più alto, ancorandosi fermamente al collo del cavallo che dopo un’impennata, scalciando e nitrendo (la quale attirò l’attenzione di tutti), partì con una velocità incredibile raggiungendo  in breve il galoppo possente e pesante di Zoccofuoco. La leggerezza del suo corpo e l’esile figura del destriero permetteva di fendere attriti prodotti dall’aria come un coltello caldo contro il burro. Le falcate dell’altro invece coprivano una zona più ampia e questo li portava a un pari livello. Ad ogni due passi di Aratoamin ne corrispondeva uno di Zoccofuoco. Una corsa che veniva seguita da tutto il piccolo corteo di uomini ed elfi. Quando il vociare ed il brusio divenne più insistente anche gli altri reggenti furono attratti dal clamore creato dalla competizione. L’unica cosa che distinse in lontananza Legolas era il mantello che volava alle spalle della sua consorte.

“Per tutti i Valar, cosa stanno facendo quei due?” la domanda retorica di Faramir richiamò anche le  due dame alle loro spalle. Éowyn vide suo fratello che sfrecciava accanto alla figura più composta del mezzelfo, in un testa a testa tra velocità e potenza. In fondo, come Aratoamin veniva sottovalutato, anche Tirinîr ed il suo aspetto da fragile nobildonna elfica veniva frainteso. Per quanto ripudiasse quel suo lato sarebbe per sempre stata una guerriera nel profondo ed Éowyn si trovò a patteggiare inspiegabilmente per lei.

“Credo che stiano gareggiando, mio sire!” disse sorridente. Di contrario invece, Legolas, non appariva divertito dalla situazione. Si spostò solo con il suo cavallo fino ad Anrond ancora impietrito a guardare la sua Signora determinata a vincere l'inconsueta gara fra un Re ed una Principessa.

“Anrond, perché hai permesso questa follia?” chiese ancor prima di raggiungerlo.

“Mio signore!” risposte mestamente destato dall’elfo che, nonostante non tradisse alcuna espressione con i suoi lineamenti perfetti del viso, era più teso di una corda di lira. Era terribilmente arrabbiato non per la gara in sé, ma per lo stato ancora confuso in cui vedeva la sua sposa. La spossatezza l’aveva indebolita e comprovare così la sua salute appena ristabilita sembrava una vera pazzia. Era questo il motivo per cui Anrond era venuto con loro, per frenarla in una delle sue sciocchezze ed invece ci sarebbero voluti chiodi e cinghie. “Me lo sto chiedendo anch’io …”

“Almeno sta vincendo?” comparve Éowyn alle loro spalle, sempre più curiosa di quella divertente competizione.

“Sono alla pari Arweamin, Aratoamin è molto veloce ma Zoccofuoco è decisamente più forte. È difficile dire chi fra i due avrà la meglio.” Anrond riprese a guardare verso i contendenti che stavano raggiungendo la gola fra le due rocce l’uno affianco all’altro, sapendo che in quella posizione entrambi non ci sarebbero passati. Stava diventando una prova di coraggio, a chi per ultimo avrebbe ceduto. Éomer, soddisfatto, guardava di sottecchi Tirinîr che sembrava totalmente impassibile dello sforzo per l’irruente cavalcata. Se non fosse stata per la posizione prostrata del suo busto, si sarebbe detto che stesse facendo una passeggiata nella radura. Ed invece era lanciata a tutta velocità contro una grande roccia, era costretta ad arretrare perché il Re del Mark aveva conquistato il centro della gola. Ma Tirinîr non accennava a demordere e continuava imperterrita ad avanzare. Poi, a pochi passi dal masso, sussurrò qualcosa al suo destriero che, con un agile balzo s’arrampicò sulle increspature in pietra come uno stambecco, lasciando Legolas respirare nuovamente. Riusciva a destreggiarsi bene Aratoamin sulla nuda roccia,  costretto a viaggiare in luoghi impervi per non farsi scoprire da Arda. Già le Ombre. Un passato che non cessava mai di tornare nei ricordi.

Éomer non cedette, nonostante l’avesse sorpreso alquanto e, dopo un piccolo rallentamento, riprese a correre come un forsennato. Incitava il suo destriero in continuazione, lo spronava con redini e talloni, ma ormai Tirinîr l’aveva preceduto scendendo dalla roccia proprio davanti alla sua traiettoria. Per quanto provasse la strada gli era preclusa e la piccola altura talmente vicina che poteva già decretarsi sconfitto. Infatti, subito superato il terreno roccioso, il dolce pendio della collinetta si presentò sotto gli zoccoli di Aratoamin e poco dopo la cima venne raggiunta da entrambi.

Aratoamin aveva vinto, ma Tirinîr non esultò sentendosi estremamente fiaccata dalla corsa. Scese semplicemente da cavallo e lo elogiò con il fiato debole. Baciò il muso dell’animale e si volse ad Ovest, dove Arien stava conducendo Anar dall’altra parte del mondo. La sua fiamma era tagliata dalla pietra scura che tentava di nascondere prima ancora la sua calda luce. Ma i suoi potenti raggi fendevano ancora il cielo, indorando la vallata e la sua immensa distesa d’erba. Un bianco accecante rifletteva i colori del crepuscolo al suo nascere e, mastodontica ed imponente, Minas Tirith rivolgeva lo sguardo a Tirinîr. I sette livelli si districavano con giochi di luci ed ombre e in cima, dove l’ultimo cerchio chiudeva le sue strade, la Torre di Ecthelion si ergeva in tutta la sua magnificenza. Le parole le morirono in gola confusa e stupefatta da tanta bellezza.

“È la prima volta che vedete Minas Tirith?” chiese il Re del Mark interrompendo il silenzio. Tirinîr si volse a lui, domandandogli con lo sguardo come avesse potuto capirlo. “Fa quest’effetto, mia Signora!” il loro visi erano inondati dalla luce carezzevole del sole morente mentre osservavano la città di lontano. Come colpita da un fulmine la testa di Tirinîr prese a girare e sentì lo stomaco contorcersi simile alla sensazione del dopo di uno sforzo fisico eccessivo. Con la destra si sorresse la fronte madida di sudore che, freddo, aveva iniziato ad imperlarle la pelle. Espirò l’aria con un fiacco rantolo catturando lo sguardo preoccupato di Éomer. “Mia Signora Tirinîr cosa avete?” domanda che non ebbe risposta. Le gambe le cedettero così come le palpebre. Crollò come dei massi sul fianco di una montagna instabile, ma l’uomo di Rohan fu lesto e la recuperò prima che potesse toccare terreno.

Di nuovo quello stagno salmastro. Attorno ad esso tenera erbetta svettava verso i raggi densi di Anor, piccoli papaveri rossi ed alcune primule tingevano il campo che circumnavigava la riva della piccola pozza d’acqua. I rami degl’alberi attorno donavano un’ombra ristoratrice sul tappeto smeraldino. I colori erano troppo vivaci per essere reali, ma al contempo venivano avvolti da un’aura plumbea e fitta. Una voce, una voce di cui non si capiva la pronunzia, sommersa ed ovattata. Tirinîr s’avvicinò alla riva, come ripeteva da giorni ormai, trovando sulla superficie il suo riflesso macchiato da chi giaceva sul fondo. Aveva paura? Sì. Sapeva che quello apparso in sogno era un avviso non comprensibile, ma c’era qualcuno che voleva dirle di stare in guardia. Questa volta quindi osò di più: allungò una mano sul pelo dell’acqua così come il suo riflesso di cui sfiorò le dita. Non poteva essere quindi la semplice immagine di sé stessa, perché quello che stava toccando era reale e si muoveva con lei sfiorandole i polpastrelli.

“Chillah …” s’udì un qualcosa di finalmente comprensibile.

“Chi sei?” aspirò la fanciulla sempre più contrita, alla ricerca di chi o cosa la stesse perseguitando ogni qual volta il sogno le riappariva. Attese, continuando con le dita a giocare con il suo riflesso.

“Chillah …” ripeté la voce senza nessuna nuova inclinazione.

“Non riesco a capire …” a quel punto il riflesso afferrò la sua mano e, per quanto il mezzelfo tentasse di scioglierla, riuscì a trascinarla sul fondo.

Quel sogno era tornato, ma non aveva la forza di svegliarsi trafelata. Secondo quello cui si ricordava doveva essere svenuta dopo la gara, ma non vi era l’odore buono di fieno misto ad erba medica che percepiva sulla pelle del Signore dei Cavalli, eppure sapeva che l’aveva afferrata prima che l’oblio prendesse il sopravvento. La sua mente forse non stava più diventando affidabile. Percepiva bensì un profumo di lavanda e cenere rimestati ad una fragranza più fresca quasi di menta piperita, ma non come quest’ultima. Rilassava in un certo qual modo, donava un senso di pace forse grazie anche al soffice guanciale che non doveva trovarsi sotto la sua testa. Era stato tutto un sogno insieme allo stagno dunque? Il messo da Gondor, il viaggio, la corsa, il tramonto su Minas Tirith. Ma il senso di malessere, la stanchezza c’era ancora. Quello di sicuro non era un inganno della sua testa: la morsa instancabile che le premeva sullo sterno affaticandole il respiro era ancora presente. Tirinîr si voltò supina cercando di respirare meglio. Mentre il petto le si gonfiava irregolarmente qualcuno le passò un panno umido sulla fronte. Quell’effluvio fresco e dolce l’investì stabilizzando ogni dolore ed acciacco, come un benefico infuso dalle proprietà ristoratrici.

“Legolas …” mugugnò aprendo lentamente gli occhi, ma quel che vide non fu ciò che si aspettava. Fredde mura ingrigite dalle ombre ricoprivano la sua testa con alti soffitti e solo una piccola finestra dava luce alla camera. Con uno scatto la fanciulla si alzò sui gomiti, roteando il viso con gli occhi sbarrati come quelli di un animale ferito e spaventato che si risveglia in un luogo che non conosce.

“Non sono vostro marito …” quella voce bassa e greve, ma calma come le acque del lago, non la riconobbe. Ciò che però vide fu un uomo bello, fiero e dallo sguardo penetrante che l’invitava con un tocco cortese e lieve a posare nuovamente le spalle sulle fresche e morbide lenzuola. “Avo eriodh Arweamin! | Non alzatevi Mia Signora! |”

Manke naa amin? | Dove mi trovo? [lett. dove sono?] |” Nonostante quel l’uomo le infondeva fiducia non aveva la situazione sotto il pieno controllo e questo aumentava la sua ansia. Era come se si sentisse in trappola, con le spalle al muro. La fanciulla non accennò a stendersi, anzi si issò seduta puntando i suoi occhi castani in quelli del signore seduto accanto al suo giaciglio.

“Siete nelle Case di Guarigione di Minas Tirith, Mia Signora Tirinîr …” rispose pacatamente. “Avete avuto un malore durante il viaggio e vi hanno portata qui mentre ancora non avevate recuperato i sensi!”

“Dove si trova Legolas?” chiese titubante e sempre più spaesata. Quello era solo il primo quesito della moltitudine che le stavano arrovellando il cervello.

“È rimasto con voi a lungo, l’ho mandato a riposare anche se è stato arduo convincerlo … ” disse l’uomo con un sorriso sincero. “Se desiderate lo mando a chiamare.”

“No, non è necessario. Non voglio aggiungere altri affanni, è così apprensivo per questi miei strani malori …”faticava ancora a parlare, tanto che la sua voce appariva arrochita dalla spossatezza.

“Non sapevo che gli Eldar fossero soggetti a malattie, Arweamin, pensavo il contrario.” Rispose l’uomo mentre deponeva il panno umido dentro una tinozza, da dove Tirinîr riconobbe provenire il profumo benefico che l’aveva ridestata.

“Probabilmente, anche se io ho scelto, la mia parte umana deve ancora abbandonarmi …”disse perplessa e sovrappensiero, troppo incuriosita dalle movenze dell’uomo. Era abile nell’utilizzare ciotole e attrezzi del mestiere da Guaritore, ma il suo abbigliamento e il suo parlare erano troppo nobile perché fosse un semplice servo. “Sa di menta e basilico, è dolce ma piacevolmente freddo come una piccante mattina di primavera. Ne respiro il profumo e lo sento in tutto il corpo, lasciando riemergere i ricordi che ho del mio orto. Cos’è quest’effluvio così rigenerante?  ” chiese di getto, non frenando la curiosità da studiosa che le era sorta. L’uomo, che ora le dava le spalle occupato nel sistemare ciò che non era più necessario, voltò appena il suo viso per incontrare l’espressione interessata della fanciulla. Sembrava completamente ristabilita.

“Questa è Athelas, Mia Signora …” rispose semplicemente come se fosse ovvio. “Molti la conoscono come Foglia di Re.”Ora che era in piedi poteva studiare meglio il suo interlocutore vedeva i suoi abiti semplici, una casacca scura dalla stoffa pregiata, e le sue mani che riportavano solo vecchie cicatrici. Non erano consunte dal lavoro, questo l’induceva a pesare sempre più ad una provenienza aristocratica.

Athelas dite?” gli occhi di Tirinîr si persero cercando di ricordare dove avesse già udito questo nome e se fra i suoi appunti di Guaritrice vi fosse qualche accenno, ma la confusione che regnava nella sua mente non le giovava. “Non credo di conoscerla …”

“Il vostro sposo ha detto che siete stata una Guaritrice, non l’avete mai utilizzata o vista?” L’uomo si girò e con calma serafica si sedette di nuovo accanto a Tirinîr. Sembrava gradire la compagnia cosciente della fanciulla Peredhel ed era totalmente rapito dalla conversazione.

“Le mie conoscenze da Guaritrice non sono, come dire … ” spiegò realizzando di non dover temere chi aveva di fronte. “… ortodosse. Per lo più conoscenze da autodidatta, niente a che vedere come quello che mi hanno raccontato delle Case di Guarigione di Minas Tirith.” Probabilmente erano i suoi toni o il suo sguardo rassicurante, ma si sentiva pienamente a sua agio in sua presenza. La tranquillità che trasmetteva in quei modi cortesi poi la rasserenavano e l’invitavano a rilassarsi, mentre ancora l’essenza vivace dell’Athelas continuava ad infondersi assieme ai suoi effetti curativi. La fanciulla si trovò a chiudere gli occhi e ad inspirare a pieni polmoni, posando poi la schiena contro la spalliera del letto. Era molto più che benefica, meglio definirla salubre, rinvigoriva ogni muscolo in una manciata di istanti e le donava la forza di alzarsi. “Se l’avessi conosciuta prima sarebbe sicuramente stata nel mio officinale. Chissà quante altre erbe o medicamenti vi sono tra queste mura. Vi confesso che la prima cosa che avrei voluto fare giunta a Minas Tirith era visitare le Case di Guarigione. Guarda caso il Destino ha concordato con me, anche se non è esattamente come pensavo.”

“Da quel che vedo state molto meglio, sarei onorato di accompagnarvi in visita come desideravate …”

“Ora?” chiese la fanciulla con un guizzo allegro negl’occhi.

“Sì, ora!”

 

Tirinîr rimaneva sorretta al braccio del suo accompagnatore, osservando tutti i lavoranti delle Case con gli occhi curiosi di una bambina. Vi era l’esperto di erbe che discorreva con uno dei Guaritori sulle forniture del mese, alcuni fanciulli apprendisti che correvano da una parte all’altra delle Case portando ciotole, messaggi, garze. Tutti occupati nel loro impiego, tutti che al loro passaggio si fermavano per inchinarsi e salutare prostrandosi di fronte all’uomo che stava con Tirinîr. Camminavano tranquilli tra i corridoi e nel giardino, ricco di piante e alberi che crescevano rigogliosi sulla pietra bianca. La fanciulla si chiedeva il perché un nobil uomo come lui fosse così avvezzo a muoversi tra malati e sofferenza. Quando le era capitato di curare ferite a Variag o Gwaith nessuno fra gli aristocratici osava sporcarsi le mani. 

“Sire!Sire!” Un ragazzo gridò alle loro spalle mentre stavano camminando nel lungo viale alberato, dove i malati convalescenti in via di guarigione passeggiavano in armonia con la natura. Tutti indossavano vesti bianche ed uguali, come Tirinîr. Era l’abito che veniva fornito agli abitanti delle Case di Guarigione. “Re Elessar! Il Custode chiede di voi!” gridò ancora quel ragazzo tra un affanno e l’altro della sua corsa.

“Re Elessar?” chiese Tirinîr staccandosi dal suo braccio e guardando nei suoi occhi con sospetto. L’uomo asserì con il capo, mascherando la sua costernazione a quella piccola omissione. “Perché non me lo avete detto subito?” Prima che Aragorn potesse rispondere giunse il ragazzo con il fiato corto e l’urgenza impellente sulle gambe.

“Sire, la vecchia Ioreth sembra stia peggiorando!” disse velocemente senza fornire le giuste pause per il respiro trafelato dalla corsa.

“Come ti chiami ragazzo?” chiese verso di lui il Re dei Popoli liberi della Terra di Mezzo.

“Ithilion, eccellenza, figlio di Ithilbor.”Affermò fiero, ergendosi dalle ginocchia su cui era chinato ed ampliando il petto con un pizzico di vanità del suo fisico appena allo sboccio. Era giovane, ma si approcciava all’entrare nel mondo degli adulti e già lavorava.

“Bene Ithilion figlio di Ithilbor, conducici dal Custode!” quel plurale pronunciato confuse il ragazzo che guardò perplesso dapprima il Re e poi la fanciulla mezzelfo che l’accompagnava. Non si era accorto della compagnia del Re ne sapeva chi fosse, nemmeno perché la stesse portando con sé nelle stanze dove la vecchia Ioreth si stava spegnendo, ma la bellezza che caratterizzava la stirpe da cui Tirinîr proveniva fece sì che il ragazzo rimase senza parole, imbambolato, come colpito da un fulmine. La fanciulla non si lasciò distrarre e rimase fissa con lo sguardo sul Re che, invece, aveva evitato di rispondere. In lei si era insinuato un dubbio e si sentiva stranamente frustrata, anche se la reazione che quella omissione aveva scatenato risultava esagerata. “Ithilion?”

“Sì – sì, certo Mio Signore, come comandate Mio Signore!” e dopo un inchino il ragazzo indicò ad Aragorn e Tirinîr di seguirli incitandoli alla fretta.

Percorsero quasi tutte le Case, destreggiandosi tra malati e guaritori, attraversando ogni andito fino a giungere davanti ad un arco poco più alto di un uomo medio. Dalla sua volta pendeva una tenda di velluto, coprendo l’accesso ad una stanza. Fuori di essa un signore piuttosto in carne, con i segni del tempo sul viso e gli anni a sbianchirgli la capigliatura ormai quasi del tutto canuta, camminava su di un asse fittizia percorrendo nervosamente sempre gli stessi passi. Quando si accorse del Re alzò le mani in aria agitandole come a ringraziare il cielo, per poi andargli incontro prima che giungesse.

“Oh sire, mi spiace avervi disturbato ma ho saputo che eravate tornato a farci visita proprio quando la vecchia Ioreth ha avuto un peggioramento!” disse prostrandosi e prendendo la mano del Re tra le sue in segno di rispetto.

“Vi prego alzatevi e ditemi cosa è successo.” Disse con dolcezza aiutando l’uomo a sollevarsi.

“Vedete stamane ha iniziato a respirare a fatica, chiedeva di voi.” Il Custode prese a scuotere il capo sconsolato. Era veramente afflitto per la sorte di Ioreth. In fondo, l’anziana donna, aveva percorso una vita intera, malandata e con gli acciacchi che aveva poteva contare il tempo rimastole sulla punta delle dita. “Ahimè temo delirasse, ha detto di voler vedere il vostro viso per l’ultima volta come se potesse ancora farlo!”

Appena oltrepassarono il drappo, Ioreth girò la testa palesando gli occhi spalancati e vuoti, ricoperti da un velo biancastro che le occultava totalmente la vista. La cecità l’aveva colta un giorno improvviso quando, già ormai costretta a letto e con la vecchiaia che inesorabilmente si nutriva della sua vita, le forme ed i colori iniziarono a nascondersi. Da allora chiedeva a chiunque la venisse a trovare di descriverle il giardino ed i suoi fiori, oppure l’Albero Bianco ancora giovane arbusto con i suoi teneri germogli. Gli altri erano diventati i suoi occhi.

“Mio Re siete voi?” disse con voce tremula e stanca. Aragorn non proferì alcuna parola lasciando l’anziana persa in un monologo. Prese solo una sedia e si accomodò accanto al giaciglio della donna per poterle tenere la mano. Anche Tirinîr  rimase silenziosa in disparte, osservando la donna che giaceva tra le lenzuola bianche. Avvertiva l’odore dell’athelas forte e ormai inutile se non come palliativo. “Sire, che bello avervi qui sento che il mio tempo sta giungendo al termine! Volevo potervi salutare e poter rivedere il vostro viso, voglio ricordarlo per sempre.” Disse toccando con le ossute e scarnite dita la guancia di Aragorn ormai prono per permetterle tale gesto senza eccessivo sforzo. Poi d’un tratto, mentre ancora contemplava con il tatto il suo Re, Ioreth si bloccò roteando infruttuosamente gli occhi nella stanza. “Mio Signore cos’è quella strana luce che vedo? Vi è qualcuno con voi?” chiese stupendo entrambi.

“Sì, Ioreth. Lei è Tirinîr, appartiene agl’Elfi dell’Ithilien.” Aragorn non sembrava turbato, né scosso, piuttosto sereno e la sua quiete ne infondeva altrettanta.

“Oh un elfo …” sospirò puntando lo sguardo vacuo verso la fanciulla. Sembrava davvero vederla e scavato tra le sue rughe nacque un sorriso.  “Venite cara, sedetevi qui accanto a me! Voglio osservavi più da vicino!” ed indicò un posto sul ciglio del letto. Tirinîr, dopo un cenno di assenso da parte di Aragorn, avanzò lenta nella stanza accomodandosi proprio dove l’anziana donna le aveva indicato. “Ora capisco perché vi chiamano il Popolo delle Stelle. I Valar mi hanno resa cieca, rendendomi capace di vedere solo ciò che è degno di essere visto …”

“Cosa vedete?” chiese allora Tirinîr. Dentro di sé il suo animo di Guaritrice stava emergendo: aveva percepito la sofferenza ed il dolore per la malattia della donna, ne stava assorbendo ogni particella e la stava vivendo lei stessa. Sentiva il cuore indebolito, la stanchezza e vedeva appannato. Ioreth sorrise udendo la voce carezzevole della fanciulla che l’allietava anche solo pronunziando quella richiesta leggera. Lasciò le mani del Re e prese quelle del mezzelfo, sicura, quasi davvero potesse vedere le sue mosse.

“Vedo la vostra luce. Siete bella, sembrate una stella proprio come la nostra Regina …” due colpi di tosse forte e grassa interruppero la donna che fu costretta a coprirsi la bocca con il pugno. Quando il petto di Ioreth smise di scuotersi, la donna tornò a sorridere beata in direzione della ragazza. La Guaritrice allora, senza sapere perché, passò una mano sulla fronte della donna. Da quel contatto gentile una debolissima luce, che solo una vista acuta e molto attenta poteva percepire, si diffuse sul corpo dell’anziana, che prese a respirare più vigorosa. Le sue condizioni non erano migliorate, ma almeno il dolore sembrava affievolirsi accompagnandola in una morte più dolce di quella che la vecchiaia le stava preannunciando. Il dono di Estë non rappresentava soltanto la cura o la salvezza, ma il sollievo ed era quello di cui si avvalse in quel momento la Guaritrice essendo tuttavia incosciente di ciò che possedeva fra le mani.

Nella mente di Ioreth comparvero colori e splendidi paesaggi, Minas Tirith con dei bambini che giocavano felici fra le sue vie. Poi le Case di Guarigione, quel luogo che l’aveva accolta e a cui aveva dedicato tutta la sua esistenza. Ed infine il viso del suo Re, esaudendo così il suo desiderio.

Sa Valar Tirir erin lle, Ioreth o Minas Tirith! | Che i Valar veglino su di te, Ioreth di Minas Tirith! |” sussurrò al suo orecchio. “Egleriathon angen! | Pregherò per te! |” disse infine donandole un bacio sulla fronte, rialzandosi poi per poterla osservare. Ioreth aveva gli occhi lucidi, intrisi di un pianto arido. Commossa l’anziana donna singhiozzò e senza voce ringraziò la fanciulla per quel dono appena avuto.

“Ora vi lasciamo riposare, venite con me Tirinîr …” disse Aragorn apparendo alle spalle della fanciulla. Si accorse di lui solo quando le sue mani si posarono su di esse e, dopo aver rivolto un ultimo sguardo all’anziana donna che entrava nei giardini di Lorien, si alzò. Uscirono dalla stanza, ma tutto quello che avvenne la scosse a tal punto che si sorresse a fatica e per pochi passi. 

“H – ho bisogno di sedermi …” disse a stento. Aragorn galantemente la fece accomodare su di una sporgenza in marmo addossata alla parete. “Grazie …”

“Volete dell’acqua?” chiese chinandosi di fronte alla fanciulla per guardarla negl’occhi.  

“Perché non mi avete detto di essere Re Elessar?” chiese senza troppi giri di parola inutili tra un respiro e l’altro.

“Voi non me l’avete chiesto.” Rispose semplicemente nascondendo una risata, cosa che non fu necessaria perché nonostante l’affaticamento anche Tirinîr prese a ridere. “Sarà meglio che torniate anche voi a riposare, Arweamin. Nelle vostre condizioni il riposo è necessario …”

“Nelle mie condizioni?” chiese perplessa, ma fra i due il più sorpreso fu Aragorn. Come non poteva essersene accorta?

“Mia Signora, voi custodite una vita nel vostro ventre …”

 

Miei cari commensali, ben trovati! Scommetto il mio rancio che voi vi starete chiedendo come dopo già aver avuto un’altra esperienza simile Tirinîr non si fosse accorta di ciò che le stava accadendo. Ebbene come poteva quando era solo una bambina troppo cresciuta essere cosciente di ciò che le stesse accadendo e soprattutto possederne un ricordo nitido? Ed ecco che proprio il Re le svela cosa covava il suo corpo e cosa celava la sua stanchezza. Con questo vi lascio miei amici, spero che abbiate la pazienza di attendere per sapere tutti gli altri perché che vi sarete posti. Buonanotte miei amici, il vostro Sarìin è tornato solo per allietarvi ancora. 

 

Note dell'autrice: Quel re, mae govannen Melloneamin!!! Sono tornata al galoppo, più o meno, anche se diciamo che il mio rientro sorridente è stato un po' rovinato. Va buon si torna a scrivere e tutto passa, come dico sempre io. Daltronde è una cosa che ho imparato in un periodo orribile della mia vita ed ora mi ritrovo qui con voi che comunque mi rendete felice anche solo aumentando il numerino delle visite, toccando di struscio le mie fanfiction. Quindi un GRAZIE è più che doveroso a coloro che leggono questa e altre storie. Detto ciò passiamo al capitolo. Che ne dite di questo ritorno di Aragorn? Sono sicura che vi starete chiedendo: ma un Re perchè dovrebbe perdere tempo nelle Case di Guarigione? Non so io ho visto Aragorn come un Re speciale, generoso e altruista (vedi con Faramir, Eowyn e Merry dopo la Battaglia del Pelennor invece di andare a riposare li ha curati). Vi pare che se la moglie del suo migliore amico stesse male, lui sarebbe rimasto in disparte?Sono certa di no e per questo ho voluto che prima di Elessar fosse Envinyatar ad incontrare Envinyatarë. Comunque sono aperta a critiche perchè capisco che questa mia scelta possa avervi fatto storcere il naso, comunque è solo il mio modo di vedere. A breve tra l'altro si saprà perchè ha convocato tutti i popoli di Gondor e Rohan. A proposito la gara con Eomer è vagamente (molto vagamente) ispisrata ad una scena del film "Il tredicesimo guerriero" quello con Banderas Arabo e il suo cavallo piccolo ma velocissimo e agile. Mi è sempre piaciuta, del genere nella botte piccola c'è il vino buono (Thranduil è d'accordo!!!^^).

Nel prossimo capitolo comunque rivedremo un vecchio amico: SI APRE IL TOTOSCOMMESSE!!!

E poi non potevo non metterci la vecchia Ioreth malata. Spero vivamente che la scena con lei non sia esagerata, che Tirinir non sia apparsa un guru zen. In realtà lei non ha un potere o un abracadabra. E' solo capace di alleviare il dolore e nemmeno sa come funziona. Ioreth la vede come luce e questo non ne fa un Dio ma solo un elfo quasi del tutto.Avrebbe visto una luce pure se al pposto suo ci fosse stato Anrond o Legolas (tant'è che dice che è come la Regina, anche se lei è diventata umana mantiene alcuni aspetti della sua stirpe elfica. Scusate la frase ingarbugliata!!!^^)

Ah! Quasi dimenticavo! Qualche nota fa (ovvero Capitolo 19. CAPITOLO XVIII: Loss. Un'ultima volta.) Avevo scritto nelle note che era passato un anno tra la partenza di Legolas e quella di Tirinir. Ebbene ho sbagliato a leggere gli annali (quelli che sto costruendo per pubblicare a fine storia; un anno passa dal primo gruppo di elfi che parte per la ricostruzione, Legolas, per assecondare sua moglie, attende con lei fino all'ultimo quando non può più rimandare. Però questo sta sugli annali e nella mia testa quindi non potevate saperlo ghghgh!!! ^^) e ho corretto (il giorno dopo, ma ho scordato di avvertire) dicendo che parte qualche mese dopo. In realtà dovrebbero essere passati circa tre mesi quando la gravidanza non si può ancora capire dalle forme più pronunciate ma si avvisano i primi sintomi. Per una donna normale al terzo mese c'è la prima pancetta e il feto più o meno formato, ma per un elfo il processo dovrebbe essere più lungo visto che la gestazione dura circa un anno.

Per darvi comunque delle coordinate temporali, siamo a circa 8 anni dalla fine della Guerra dell'Anello, ma, ripeto, ci saranno gli annali (già scritti perchè mi aiutano a mantenere una scaletta della storia come l'avevo immaginata ormai 10 anni fa)

E con questo dovrei aver terminato i miei sproloqui: 

Thiliol: Grazie mille per il tuo appoggio! Bhè io non ho pretese, non voglio fare la scrittrice e non pretendo di diventarlo. Mi limito semplicemente a mettere nero su bianco una fervida fantasia e non ho mai pensato di esserne capace. Con questo però non significa che non m'impegno quindi magari sentirmi dire che una storia è noiosa, bhè mi ha fatto male. Non parlo di questa che, ha uno stile particolare e ispirato comunque ad un tipo di scrittura più aulica e complessa (sempre senza pretese), ma di un'altra che ora non sto qui a dire. Comunque non importa si dice che i gusti sono gusti e io non sono un cuoco di mensa, preferisco definirmi la signora della tavola calda con i sapori regionali, non uno chef di un ristorante francese ma sempre apprezzabile per i miei manicaretti comunque prodotti con cuore e passione. Va buon basta piangersi addosso, quel che è fatto è fatto. ^^ Scusa se da un lato ti ho utilizzato un momento come valvola ma il tuo commento mi ha diciamo rallegrata. ^^ Spero vivamente che questo Ritorno del Re (Oddio ma che ho scritto O.O) ti sia gradito! Un bacione e ben trovata mellon nin!

Rigrazio e saluto sempre tutti i miei lettori e se avete un minutino fatemi sapere che ne pensate!!!^^

Vostra Mally

Della serie A VOLTE RITORNANO!!!MUAHAHAHAH!

PS: Piccolo cambio di stile - Le frasi in elfico Sindarin sono scritte in italico o meglio conosciuto come corsivo, in modo da renderle più chiare  ed accanto hanno la traduzione.

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Capitolo 22
*** CAPITOLO XXI: Destino beffardo. ***


CAPITOLO XXI: Destino beffardo.

Erano passate ore ormai da quando Aragorn l’aveva lasciata sola nei Giardini delle Case di Guarigione, tornando ai suoi doveri reali. Dopo che gli innumerevoli interrogativi su come se ne fosse accorto si esaurirono, le aveva promesso solennemente di tenere per sé il segreto della sua gravidanza cosa che, di certo, sarebbe avvenuto anche senza le morbose raccomandazioni fatte dal mezzelfo.

Non era sola nel giardino, altri momentanei abitanti delle Case e persone che vi lavoravano la stavano osservando. La sua presenza in quel posto scaturiva molta curiosità in loro. Infatti tutti si trovavano a sbirciare la longilinea figura seduta al bordo di una fontana scolpita sulla parete, con i lunghissimi capelli sciolti in morbide onde quasi a sfiorare il pelo dell’acqua increspata dal suo stesso moto e luminosa come tutti gli appartenenti alla sua stirpe. Nessuno però si arrischiava ad avvicinarsi più del dovuto, non per paura come si può pensare, piuttosto per rispetto di una creatura che in maniera evidente desiderava rimanere con i propri pensieri. Ciò non tolse che la sua bellezza elfica sortiva l’effetto incantatore per chi di rado ne poteva ammirare lo splendore, per di più considerando che secondo credenza gli Eldar non erano soggetti a malattia. Ma quello di cui soffriva Tirinîr non era un morbo o una ferita.

Veniva costantemente travolta dal vortice dei conflitti interiori dovuti alle emozioni contrastanti provate. L’euforia e il panico, convivevano nel suo cuore in maniera non del tutto pacifica. L’una e l’altra cercavano di prevalere, in una lotta alquanto dolorosa per il suo umore. Il gran terrore provato si trovava alla base, come uno sfondo stonato, sensazione inconsulta, istinto di autoconservazione. Una paura incontrollabile di perdere di nuovo qualcosa di così prezioso dopo averla custodita, l’angoscia grave di affrontare invano tutti i patimenti dovuti al suo stato. Se con i suoi ricordi ripercorreva ancora il passato, la sofferenza fisica e spirituale si ripresentava come viva: per la madre era un progressivo dare e spesso l’energie le sarebbero mancate, i malori quindi erano solo un dolce preambolo a quello che sarebbe stato successivamente. Nausee, dolori, stanchezza, febbri incontrollate nell’ultimo periodo. Quel grande dono avrebbe richiesto molta forza, le energie sarebbero state consunte fino allo sfinimento, proprio come quando non era riuscita a proteggere ciò che le era stato dato di più prezioso.

Il primo vagito, come aveva fatto a dimenticarsene Tirinîr non seppe rispondersi, un lamento ascoltato di sfuggita e di nascosto. Ricordava ancora quel pianto nella notte e la nutrice che, accertatasi del sesso del bambino, non le diede il tempo nemmeno di allungare una mano per poterlo solo sfiorare. “Un giorno sarà un condottiero, il suo sangue è nobile, i suoi natali i migliori. Anche se non saprà mai chi sono i genitori avvertirà il suo destino, non temete Principessa …” questo le disse la nutrice vedendo la tristezza spezzare la vita della giovanissima bambina adulta a cui le avevano strappato persino l’innocenza. Era lontana, un sogno appannato di ciò che accadde, l’unica sua àncora di salvezza strappata brutalmente dal proprio petto. Non ci sarebbero state le sue braccia a confortarlo durante gli incubi, non ci sarebbe stato il suo seno a cullarlo. Suo figlio era un uomo e pertanto apparteneva al padre, o meglio, al suo popolo. Quello non era un bambino, era un soldato bastardo, nato da un patto e dall’unione di due guerrieri nobili. In realtà un piano fallito, un gioco politico non andato a buon fine ecco cos’era. Vittima ancor più che sua madre, divenuta colpevole quando non era riuscita a proteggerlo perché troppo debole.

Molto però era cambiato da allora. Nella sua mente vi erano ancora le sue preghiere dopo il parto, le uniche parole prima di non provare più nulla se non apatia, prima di sentirsi vuota senza alcuno scopo. L’amore, emblema della propria salvezza, aveva seminato i suoi frutti ed ora, quel corpo un tempo solo oggetto allo sfruttamento della sua capacità di procreazione, era diventato qualcosa di più. Uno scrigno di un piccolo tesoro immenso, ma non di quelli intagliati nel semplice legno grezzo, bensì un cofanetto di pari valore del tesoro stesso. E non era sola, non doveva rimanere nascosta per sotterfugi di corte e rappresaglie famigliari. Sul petto nacque un piccolo sussulto di gioia, sfociato poi in una fila luminosa di stelle calata sulla gota purpurea. Si sentiva incaricata di un compito ben maggiore di quello assegnatole quando, ancora, non sapeva nemmeno quello che le stava accadendo.

Gerig nin, gerig men … | Sei mio, sei nostro … [lett. Appartieni a me, appartieni a noi … ] | ” Confessò sottovoce al suo ventre, ora che le sembrava più rotondo e florido. Emozionata e incerta posò una mano su di esso aderendo perfettamente alla piccola curva poco più che accennata.  Era lì chissà da quanto tempo ad attendere di essere vista, di essere percepita ed invece c’era voluto l’occhio di un esterno per vedere il suo fisico cambiato. “Gweston nin sa pen cronithag … | Giuro a me stessa che nessuno ti farà del male … | ” disse ancora con toni sottili come fili di seta per non essere udita da altri, o almeno, da altri che non avevano sensi sviluppati più del normale.

“Con chi parlate, Arweamin?” la voce di Anrond la riportò a collegare ogni tassello del presente: il dove, il come e il perché. Almeno una parte del perché. Aragorn non si era pronunciato in merito al motivo della adunanza che aveva richiesto e Tirinîr era stata distratta da tutte le nuove scoperte appena fatte.

“Erano solo pensieri a voce alta, Anrond.” Disse pacata rivolgendo un sorriso rilassato al giovane. Il suo arrivo aveva provocato bisbigli più accentuati dei precedenti, la gente sembrava confondersi quando qualcosa destabilizzava la quotidianità. Certo, la presenza dei due elfi era diventata un diversivo piacevole alle monotone giornate da degente degli sfortunati che si trovavano fra quelle mura. Anrond però, forse per i suoi scarsi contatti con gli uomini o forse per il suo carattere generalmente più schivo, si sentiva in soggezione e decisamente a disagio con i loro occhi puntati addosso. Tirava ripetutamente le maniche della sua casacca, come a volersi coprire ancor di più fino a schermarsi in maniera totale da quegli sguardi esaminatori. Per Tirinîr, invece, abituata da sempre a ricevere curiosità nei suoi confronti, non badava a quel che nella gente provocava. Era sempre stata sul filo di due mondi e, la sua doppia sfaccettatura, non poteva che incutere ogni genere di sentimento, dalla paura all’interesse più eccessivo.  “Sei venuto a trovarmi?” chiese per cercare di distrarlo dal suo imbarazzo.

“Sono venuto solo a prendervi, sire Elessar ha informato il Principe del vostro risveglio e mi ha ordinato di accompagnarvi a Palazzo.” Rispose distrattamente, con ancora lo sguardo che vagava dalla fanciulla all’ambiente che lo circondava. Non si accorse nemmeno dell’espressione  corrucciata della Guaritrice, forse delusa che non fosse venuto Legolas stesso a prenderla.

“Perché non è venuto lui?” quindi chiese senza esitazioni, ma con un accento deformante la frase a caratterizzarne l’inclinazione. Era dispiaciuta, profondamente dispiaciuta.

“In realtà, Arweamin, si stava precipitando qui appena saputo che vi eravate ristabilita, ma Re Elessar ha chiesto di conferire con tutti i re e i principi che sono giunti. Mi ha inoltre ordinato, o meglio intimato, di tenervi sotto stretta sorveglianza. Non vuole che vi stanchiate in alcun modo, visto che stasera dovrete partecipare ad un banchetto molto importante.” Disse allora cercando posto accanto al mezzelfo. “Comunque come vi sentite? I Guaritori hanno scoperto per qual motivi avete questi malori?” la maschera facciale della ragazza mutò completamente e si trasformo in un sorriso irradiante.

“Sì, Anrond, so cosa mi fa stare male …” Lo sguardo grigio del giovane stalliere si posò perplesso sul viso di Tirinîr che, sempre più rilassata e calma, socchiuse gli occhi lasciandosi inondare dai raggi del sole che risplendeva sopra le loro teste. La frase sembrava sospesa nell’aria, ma la fanciulla non sembrava voler continuare a parlare.

“Ebbene …” incalzò allora il giovane elfo.

“Ebbene non posso parlartene, almeno per ora!” rispose tornando a guardare il suo amico.

“Cosa?” disse con impeto quasi sgarbato. “Non è giusto, perché non potete parlarmene?” Tirinîr si sorprese del tono usato dall’elfo, alterato ma al contempo misurato. Sembrava detto fra i denti, come a contenere il vero livello di frustrazione che sentiva infrangersi con forza contro la sua mente. Non le rivolgeva lo sguardo, serrava solo i pugni e la mascella in un gesto furente. Respirava concitato, faticando a mantenere il controllo.

“Anrond, guardami.” Rispose dolcemente prendendo il viso del giovane tra le mani. L’elfo esitò prima di volgere nuovamente i suoi algidi occhi su quelli ardenti e confortevoli della fanciulla. Non ne aveva mai potuto rimirare così da vicino le caratteristiche singolare come il colore non uniforme che ne tingeva l’iride. Un filo quasi nero ne accerchiava una sfumatura color delle nocciole e piccole screziature dorate riscaldavano ancor di più il tono. “Pensi che ti escluderei così dalla mia vita?” Era troppo per il suo animo ancora acerbo, l’affetto provato nei confronti di Tirinîr era quasi pari a quello che avrebbe provato per una sorella. Potevano chiamarla infatuazione, amore o semplicemente amicizia, ma era veramente attaccato a quella fanciulla così diversa da chiunque avesse mai incontrato e non riusciva a soffrire che venisse escluso in quella maniera dopo che si era preso così tanta pena. “Anrond, devi fidarti di me. Saprai tutto, ma prima devo parlare con Legolas …” l’elfo sospirò ritrovando la calma perduta, soprattutto grazie al sorriso amorevole che Tirinîr gli stava dedicando.

“Comprendo.” Affermò arrendevole e, dopo un lieve bacio sulla fronte, la fanciulla lasciò scivolare le mani dal suo viso.

“Allora, non mi dovevi accompagnare fino alla Cittadella?” chiese mentre si sollevava in piedi, interrompendo così definitivamente la discussione.

“Certo, mia Signora.” Disse alzandosi per porgerle il braccio ed incamminarsi successivamente verso l’esterno.

Anrond la condusse fuori dall’arcata che collegava le Case al sesto livello, mentre Tirinîr osservava con attenzione l’architettura altisonante di cui erano fregiate le mura. Ovunque vi erano palazzi e cortili suntuosi, le porte e le arcate riportavano il nome degli uomini e delle famiglie che erano tornate ad abitare in quella parte della città. Di lì passarono l’ingresso alla Cittadella interamente scavato nella roccia rivolto verso oriente e, superatolo, seguirono il lungo pendio illuminato dalla debole luce delle lanterne sempre accese a rischiarare il buio della nuda pietra. Camminarono per molto parlando di come Aratoamin avesse fatto impazzire gli stallieri di corte al sesto livello, quando ad un tratto si bloccarono, accecati dalla luce del giorno che ferì i loro occhi abituati oramai al buio.

Li ripararono, giusto il tempo di ambientarsi al ritrovato chiarore, ma per Tirinîr invece fu solo per poter rimanere abbagliata da altro. Alte colonne slanciate venivano cinte da spesse mura, lustre come una lama appena lucidata. In esse vi era scavato un grande arco alla cui chiave di volta vi avevano scolpito quello che fu un Re incoronato, scheggiato però in più punti dalla guerra che aveva tentato di raderlo al suolo. Il Re invece c’era ancora, resistente e duraturo, era tornato al suo trono ed aveva sconfitto l’ombra che da Est aspettava solo di sfruttare la debolezza degli uomini senza più nulla a guidarli.

“Bello, vero Mia Signora?” Tirinîr, distratta dalla meraviglia di ciò che vedeva, ascoltò di sfuggita la retorica domanda del giovane elfo, affascinata e rapita dall’imponenza e dalla grandezza di quell’opera. Non si era assolutamente accorta del movimento ai piedi del grande portale. Abbassò quindi il suo di sguardo, guidata dal movimento poco al di sotto del suo naso puntato in alto. Il mezzelfo acuì la sua vista in loro direzione, cercando di identificare meglio le piccole figure che di lontano non riusciva a distinguere al meglio quel formicolare brulicante. Mescolati agli uomini vi erano altri esseri dall’aspetto antropomorfo, ma più basso e robusto di un normale secondogenito di Ilùvatar, inconfondibile di stazza e conformazione.

Dornhorth? | Nani? | ” chiese la fanciulla osservando più attentamente le piccole figure totalmente indaffarate.  “E sembrano piuttosto oberati di lavoro …”

“Sì, Arweamin, ricostruiscono i cancelli distrutti dalla Guerra dell’Anello. Dovreste vedere il Grande Cancello, quello demolito dal Grond: ora ricaccia l’oscurità meglio di una fonte di luce, Mia Signora. Non c’è che dire: i nani saranno anche ostinati ed ingordi di ricchezze, ma è meglio affidare a loro i metalli perché di essi ne faranno prestigio. ” Confermò Anrond.

Tirinîr si sforzò ulteriormente, cercando con più solerzia una fisionomia conosciuta. Ebbene, quella ricerca non fu vana, miei Signori. Tra tutti un nano alzava la sua gretta e famigliare voce, impartendo ordini demarcati con un’autorità che cercava d’imporre sempre in ogni inclinazione. Gimli, infatti, dirigeva i lavori mentre gli altri, uomini o nani che fossero, rispondevano con solerzia ai suoi ordini. Ergevano con grande maestria dei colossali battenti, intarsiati delle più raffinate cesellature raffiguranti lo stemma di Gondor e di tutti i popoli liberi. ‘Proteggere ciò che si ama’ la frase incisa in lingua corrente, in quella dei nani e in quella più cortese degl’elfi.

“Non posso crederci, i Valar si stanno prendendo sicuramente gioco di me ingannando la mia vista!” Tirinîr allora si mosse silenziosa come un gatto protetto dall’oscurità notturna, fermandosi alle spalle del sempre più occupato nano ed indicando ad Anrond di tacere ponendo un esile dito sulle labbra. Il Portatore della Ciocca rigirava fra le sue mani una pergamena giallastra, su cui era impresso ad inchiostro nero un disegno dettagliato dell’opera finita.

 “Magnifica fattura, ma forse un po’ troppo sottile per ‘proteggere’a mio parere …” Evidentemente non si era avveduto di chi era stata a pronunziare quelle parole di scherno, perché Tirinîr lo vide bloccarsi come se un dardo gli si fosse conficcato sulla base del collo. La malcapitata pergamena venne stracciata all’altezza dell’impugnatura ed un piccolo strappo sulla destra si aprì sotto la sua ferrea morsa.

“Signora!” esclamò stizzito. “Si vede che non conoscete l’argomento che state affrontando!” Affermò con più sicurezza, lasciando poi cadere l’ormai straccio ed agitando le mani in aria come per mostrare meglio quello che aveva davanti. “Questi cancelli sono fatti in acciaio e mithril, metallo più leggero di una foglia secca, ma capace di respingere un’intera orda di orchetti per resistenza! Quindi vi prego, abbiate la compiacenza di lasciare giudizi a chi ha il carattere forgiato dalle montagne e dal lavoro!” concluse insistendo a rimanere ancora voltato di spalle. La Principessa allora non demorse, decidendo di provocarlo ancor di più nell’orgoglio. Sapeva che il miglior modo per destare un nano occupato a rendere una sua opera magnifica sopra ogni limite, era solleticare il suo amor proprio nel profondo.

Mithril …” pronunciò pensierosa massaggiandosi il mento. “Ma non erano gli elfi a saperlo lavorare nel migliore dei modi?” a quel punto c’era solo d’aspettare il vulcano eruttare, cosa che non tardò. Gimli strinse i pugni lungo i fianchi, le larghe e forti spalle iniziarono a tremare scosse dall’ira sempre più incalzante.

“Voi è meglio che ve ne andiate a disturbare qualcu … Oh …”  ma la sua espressione mutò completamente quando i suoi occhi scuri ed incavati incontrarono quelli plumbei del giovane elfo ad accompagnare colei che aveva osato disturbarlo. “T – tu?” balbettò sconcertato dalla sorpresa, il suo sguardo infossato vide una piccola figura con il viso incorniciato dalla seta della sua cappa, una raffinata veste colore della notte ed ornata di ricami le fasciava il corpo esile, una corona sottile di fili dorati ed argentati le cingeva il capo. Il Portatore della Ciocca non la riconobbe in un primo momento, rimase qualche secondo ad assottigliare lo sguardo alla ricerca di quella fisionomia famigliare fra le sue rimembranze. “Per tutte le montagne!” esclamò ad un tratto come folgorato da una rivelazione.

“Non vi chiedo un abbraccio, so che sarebbe eccessivo , ma posso salutarti vecchio amico mio? O preferite che vi lasci ad occuparvi del vostro lavoro a tempo pieno?” chiese la fanciulla.

“Piccola strega, sei molto cambiata …” era difficile lasciare quel nano con poche parole, il mezzelfo ricordava bene il suo vocabolario sempre molto variopinto. Invece rimaneva di fronte alla ragazza, con occhi sbarrati che venivano più volte sfregati dal guanto per capire se non si stesse sbagliando.

“Vi conoscete, mia Signora?” chiese Anrond all’orecchio di Tirinîr, la quale rispose con solo un piccolo accenno.

“Permettimi di presentarti Gimli figlio di Gloin, impavido nano che fu uno dei Nove Viandanti, amico degl’elfi soprattutto mio e del tuo Principe.” Disse la fanciulla indicando con il palmo aperto e verso l’alto il Portatore della Ciocca che chinò la testa come saluto e rispetto. “Gimli, lui è  Anrond, mio fido stalliere non che mio grande amico.”

“Quindi siete voi il nano con cui il Principe strinse amicizia durante la Guerra dell’Anello!” esclamò sorpreso il giovane elfo. “Lasciatemi dire che è un onore conoscervi. Io personalmente ho sempre creduto che questa rivalità fra nani ed elfi potesse essere messa da parte …” Anrond stava iniziando uno dei suoi sproloqui logorroici sulle teorie per cui non vi doveva essere inimicizia fra i popoli liberi della Terra di Mezzo, quando il nano schioccò la lingua sul palato scuotendo la testa seccato, zittendolo all’istante.

“Sì, sì molto interessante!” Disse liquidando con sufficienza il ragazzo. Tirinîr, che aveva assistito alla scena senza intromettersi, si morse il labbro guardando altrove per non ridere sfacciatamente davanti al suo giovane accompagnatore.  “Ma se voi siete qui, anche il principino elfico con le orecchie a punta è a Gondor.” Chiese il nano con la speranza negl’occhi di incontrare nuovamente molti dei vecchi amici. “Strano che non l’abbia ancora incontrato …”

“Tutti i principati di Gondor e Rohan sono stati mandati a chiamare, noi ora siamo a capo di un insediamento in Ithilien come vi avevo annunciato nell’ultima lettera. Anzi perché qualche volta non vieni da noi, ti accoglieremo con tutti gli onori …” ma si bloccò dal continuare la frase vedendo il nano che, pensieroso, abbassò lo sguardo. Era strano vederlo così silenzioso e assorto, soprattutto dopo che con un tonfo tuonante uno dei suoi operai aveva combinato apparentemente un guaio. Il nano non sollevò il viso, non rimproverò chi aveva distrutto chissà cosa. Era immobile ed impassibile di fronte ad una Tirinîr sempre più preoccupata.  “Gimli, dimmi forse sai cosa sta accadendo?” chiese la fanciulla con premura. Lo sguardo del nano vagò per un attimo prima di tornare a fissare gli occhi del mezzelfo.

“Oh ...” sospirò carico per sentirsi in grado di parlare. “Siediti da qualche parte e parliamone in privato, perché, se ho imparato a conoscerti, so che non ti piacerà affatto!”

 

Anrond la inseguì mentre, con passo ferino, attraversava la Piazza della Fontana ai piedi della Torre Bianca. Il grande bastione se ne stava impettito e fiero, incurante dei secoli che l’avevano preceduto e delle battaglie a cui aveva assistito. Mirava Minas Tirith come un padre guarda il figlio e con le sue braccia fatte di pietra lo teneva stretto a sé. Tirinîr sorvolò il piccolo albero, che già aveva raddoppiato la sua altezza ed ora raggiungeva poco meno di dieci piedi. I suoi rami erano belli e candidi, robusti in pianta e sottili all’estremità. Su di essi molti fiori vi trovavano posto, nonostante l’inverno fosse nel pieno della sua rigida sterilità. Ma quello era un discendente di Nimloth il bello e non poteva essere altrimenti.

Proprio nel vedere che uno di quei fiori stava perdendo i suoi candidi petali e tra di essi una piccola rotondità si era fatta spazio, Tirinîr si fermò dalla sua corsa e voltò lo sguardo. Dalla piazza il panorama offriva la vista di tutta la città e dei campi antistanti, fino a raggiungere all’orizzonte alcune delle antiche mura. Non fu di certo la bellezza devastante della vista offerta dall’altezza dell’Alta Corte a spiazzare il mezzelfo, bensì un vessillo che s’avviluppava al vento, sventolando presuntuoso al suo tocco, ed un vasto accampamento di cui ne segnava le origini.

“Mia Signora, siete uscita di senno?” disse Anrond una volta raggiunta la fanciulla, stremato non tanto dalla fatica piuttosto dalla tensione. “Non dovete affaticarvi in alcun modo! Se non collaborerete sono autorizzato a legarvi, non costringetemi a farlo!” mostrò il dito minaccioso, redarguendo la ragazza che invece continuava a fissare quel punto all’orizzonte con la paura negl’occhi. “Sappiate che non ho nessuna intenzione di finire in punizione a causa vostra anche qui! Intesi?” solo dopo aver sfogato tutta la sua frustrazione Anrond s’accorse che non era stato ascoltato assolutamente e che lo sguardo vacuo di Tirinîr era rivolto a quelle tende piantate lontano. “Mia Signora, vi sentite bene?” chiese allarmato prendendole le spalle per scuoterla leggermente. Tirinîr però continuava a non rispondere.  “Mia Signora?” Cercò di nuovo di scuoterla, ma a quel punto la fanciulla voltò i suoi occhi. Il giovane elfo vide in lei un nuovo sguardo, diverso. Non era dolce e caldo come sempre aveva visto, ma freddo ed imperscrutabile. Vuoto come il fondo di un otre dopo un lungo viaggio.

“Sai dove ha luogo la riunione di Re Elessar?” chiese a bruciapelo, senza alcuna inclinazione nella voce che tradisse un preciso stato d’animo.

“Nella Sala del Trono, ma mia Signora cosa è successo? Perché vi state comportando così?”

“Conducimi alla Sala del Trono!” disse con voce bassa e greve, una voce che mai aveva il giovane fra quelle rosee labbra. “Quello che ti sto dando è un ordine Anrond, non ribattere! ” Tirinîr vedendo l’espressione attonita dell’elfo, gli voltò le spalle impaziente e prese a camminare come se calcasse un pavimento composto da carboni ardenti. Anrond, dopo un primo momento di smarrimento, la fermò tirandola per un braccio e per una volta a Tirinîr apparve l’adulto non il ragazzo. I suoi occhi saettavano nei suoi, inchiodando i piedi con la saggezza e la severità con cui la stava guardando dalla sommità della sua altezza.

“Mia Signora, non credo che possiate entrare nel Sala del Trono ora!” affermò sicuro sussurrando adirato.

“Anrond, ho bisogno di parlare immediatamente con mio marito. Ed ora lasciami!” rispose irritata strattonando il braccio per sciogliere la presa dello stalliere, che invece si fece più forte frenandola da una delle sue solite fuga senza spiegazioni. “Ti prego Anrond, mi stai facendo male!” implorò vedendo che l'elfo non accennava a demordere.

“No, questa volta no mia Signora!” disse il giovane elfo. “Se volete il mio aiuto, dovrete spiegarmi cosa accade!”

 

Essere semplicemente sconvolto non era abbastanza esplicativo per esprimere ciò che provava il giovane elfo. Si era mostrato comprensivo, delicato nell’affrontare le lacrime amare versate da quella che aveva sempre considerato una sua amica. Ma in quel momento come poteva vederla se non con occhi diversi? Cos’era in realtà? Non la conosceva così a fondo come pensava, eppure non riusciva a detestarla per avergli nascosto tutto quello che era invece riuscito ad estorcerle in quel momento. L’aveva condotta nelle sue stanze, con la promessa che avrebbe chiamato il Principe per raggiungerla il prima possibile. Corse per tutto il lungo corridoio pavimentato, leggero ed agile come solo un elfo poteva essere, rallentando a pochi passi dalla lucidissima porta di metallo ai cui lati due silenziose guardie vigilavano che nessuno osasse disturbare l’importante raduno. Anrond si schiarì la voce e sistemò la sua casacca, non era il caso di apparire trasandato ai grandi sovrani del regno unito degli uomini. Sollevò il suo petto e raccolse tutto il coraggio che aveva per intraprendere quei dieci passi che lo separavano dall’uscio. Le guardie , fino ad allora immobili statue dai manti neri e dagl’elmi stretti sulle guance, seguirono con la testa l’incedere dell’elfo e quando fu troppo vicino gli sbarrarono la strada incrociando le lance. Il rumore metallico delle due armi a contatto, poteva risultare stridente e fastidioso alle sue orecchie sensibili. 

“Reco un importante messaggio per il Principe Legolas, vi chiedo di lasciarmi passare per recapitarlo.” Disse con calma cercando di mascherare il proprio turbamento.

“Non abbiamo l’autorizzazione a lasciar passare nessuno.” Rispose la guardia di destra. Anrond scattò con la testa in sua direzione. Non sapeva che fare, si trovava di fronte ad un bivio etico visto che il primo pensiero fu quello di mentire. Ma in fondo quanta verità c’era nella menzogna che si apprestava a dire?

“Sua moglie, ha ancor avuto un forte malore.” Affermò sollevando la testa impudente. “Ha chiesto di lui e non credo che sarà contento di sapere che non è stato avvertito.”

“Ti ripeto, ragazzino …” disse con sprezzo il soldato, d'altronde quello che aveva di fronte era solo un fanciullo ai suoi occhi. “Re Elessar ha ordinato che nessuno può disturbare, quindi togliti di torno se non vuoi finire in qualche cella per aver importunato una Guardia della Cittadella.” Anrond non cedette, si rivolse austero a quell’uomo e pungente come un ago si rivoltò contro di lui.

“Pensate che a Re Elessar possa far piacere sapere che, mentre la moglie di un suo più caro amico ed alleato giaceva incosciente su di un letto, il Principe non era stato chiamato?” per la prima volta vide il dubbio insinuarsi nello sguardo sicuro della Guardia, vacillò un attimo prima di riuscire a riprendere la sfida che stava avvenendo a suon di sguardi.

“Dorlas …” intervenne allora l’altra Guardia, meno certa dell’altra. “Credo che sia meglio lasciarlo passare, il Re vorrebbe così!” Dorlas esitò ancora, giocando con gli occhi dall’uno all’altro. Anrond, invece, non lasciò mai la sua posizione e continuava a fissarlo imperterrito e dopo l’ultimo fugace e stizzito sguardo, Dorlas, scansò la sua lancia.

“Fai in fretta ragazzino!” disse contrito, lasciando trasparire tutto il suo dissenso. Anrond annuì con il capo e salutò l’altra guardia prima di bussare alla porta, la quale si aprì senza che apparentemente nessuno vi fosse a guidarla. Il giovane stalliere si trovò in un immenso salone diviso in tre navate illuminate da ampie finestre. Alte colonne nere dai capitelli scolpiti sostenevano volte a crociera adornate da arabeschi e ricoperte di foglia d’oro. Davanti a sé si ergeva, sopra ad una pedana dagli innumerevoli gradini, un trono coperto da un meraviglioso baldacchino in marmo bianco. Sembrava essere entrati in un luogo sacro, divino, in cui l’aura possente di re e sovraintendenti del passato gravava opprimendo chi non era abituato alla sua suntuosità.

“Anrond!” esclamò Legolas altamente sorpreso. Questo fece tornare l’attenzione del giovane al suo compito, cosa che gli permise di osservare i presenti. Vi erano almeno dieci uomini, ma tra tutti riconobbe Éomer ai piedi della scalinata che sedeva disordinato sul quarto gradino. Teneva una mano sul ginocchio e l’altra pendente dalla gamba, accanto a lui, in piedi, un altro uomo si trovava. L’aspetto fiero e vissuto di un uomo i cui capelli erano solcati da alcune sferze d’argento. Al collo una spilla chiudeva la casacca azzurra come il mare in una giornata estiva e riportava un cigno in argento. Egli era sicuramente Imrahil, Principe di Dol Amroth. Poco più vicino seduto su di un trono d’ebano, scuro in viso e visibilmente preoccupato, vi era Faramir affiancato da quello che sicuramente doveva essere Re Elessar. Fra tutti gli uomini era quello dallo sguardo più penetrante e, nonostante l’avesse osservato per qualche attimo fuggevole, Anrond sentì il suo fardello di Sovrano. “Anrond, parla in fretta! Dimmi cosa è successo a Tirinîr per farti correre qui contravvenendo ad ordini precisi!”

“Dovete raggiungerla, non sta bene …” disse semplicemente evitando di cadere in particolari che avrebbero compromesso la sua bugia. Il Principe si guardò attorno perplesso, sentiva che non fosse ciò che si definirebbe piena verità, piuttosto era meglio definirla distorta. Di certo tutti non avevano colto l’incertezza di entrambi gli elfi, presi a studiarsi in modo da lasciar cadere in fallo o l’uno o l’altro. 

“Cos’ha?” chiese allora cercando più certezze. Per quanto questa situazione non lo convinceva, non se la sentì di giocare con quella che più di una volta era stata una salute instabile.

“Ha chiesto di voi! Anzi, ha bisogno di voi!” eluse la domanda del suo Signore magistralmente, colpendolo proprio nel suo punto più debole. Quelle parole non toccarono soltanto il Principe, bensì anche tutti gli altri che presero a parlottare tra loro. Dal piccolo gruppo si distaccò però il Re, che, dopo aver riflettuto poco più di una manciata di secondi, prese la spalla dell’amico in un gesto di conforto.

“Va da lei!” disse al suo orecchio. Legolas si voltò guardando Aragorn negl’occhi rasserenanti, esprimendo il dubbio di lasciare a metà un importante discorso. “Non servirai qui se rimani con l’angoscia nel cuore …” e a quelle parole toccò il suo petto, proprio all’altezza del muscolo che irrorava di vita il suo corpo ed emozioni la sua anima.

Legolas annuì e si lasciò guidare dal giovane stalliere fuori, raggiungendo la sua camera poco dopo. Durante il tragitto aveva provato a chiedere cosa fosse accaduto e perché tanta urgenza da non poter aspettare. Anrond non rispose mai direttamente, fornendo solo criptiche ed evasive repliche a quelle sempre più esagitate domande. Un battente ligneo segnava l’accesso alle loro stanze, fu proprio il Principe ad aprire con furore ed affanno trovandosi davanti uno scenario che non s’attendeva.

Pensava di trovarla coricata sul morbido letto, stesa in preda ad uno dei suoi attacchi di spossatezza. Invece la fanciulla era in piedi e guardava l’esterno verso l’Orizzonte, dove un accampamento con i vessilli alzati si stanziava. Appena udì il rumore della porta si girò verso Legolas, che attonito la studiava, non comprendendo il perché l’avesse fatto chiamare con tanta impazienza. Quello che vide però fu il viso straziato e livido dal pianto dell’amata, con le mani congiunte al petto.

Tirinîr, Mani marte? | Tirinîr, cosa è successo?|” il mezzelfo non rispose sulle prime, rimase impietrita cercando di trattenere le lacrime in un silenzio irreale interrotto solo da Anrond che accostò la porta, lasciando loro la giusta intimità. Quando lo scatto della maniglia determinò la sua  definitiva chiusura, la fanciulla si precipitò tra le braccia dell’elfo che, tremendamente colto alla sprovvista, non rispose immediatamente all’abbraccio. “Tirinîr, mi stai facendo preoccupare!”

“Mi riconosceranno …” rispose con voce tremante. Legolas s’irrigidì immediatamente comprendendo che anche lei aveva saputo in qualche modo il perché della loro presenza a Gondor.

“Sai che non permetterò a nessuno di farti del male!” rispose freddo ed asciutto. Era determinato, questa volta non avrebbero potuto toccarla in alcun modo. Lei era un Eldar a tutti gli effetti, sua moglie, nessuno avrebbe potuto avanzare diritti sulla sua persona.

“No, Legolas!” Tirinîr sollevò il viso umido dal petto del suo amato, che prese ad asciugare le sue guance con i pollici. “Sono crudeli, Aragorn non può stringere alleanze fittizie con loro, sapranno come raggirare gli accordi. E poi mi prenderanno, vorranno il mio sacrificio, mi porteranno via tutto quello che con tanta fatica ho conquistato! Io li ho sfidati, ho spezzato il loro patto. Vorranno me e vorranno il mio sangue.” le frasi venivano pronunziate velocemente, senza fiato, sconclusionate in preda al panico. Tirinîr scuoteva la testa nervosa, negava perché non riusciva a convincersi che tutto sarebbe andato bene. “Devi avvertirlo, fare in modo che capisca, devi fare qualcosa! No, no, no! Non ora, non ora!”

“Stai calma, melamin.” Disse allora l’elfo, intrecciando le dita tra i capelli dorati che le incorniciavano il viso tumefatto dalle lacrime. “Ci sono io con te, non sappiamo cosa vogliano da Gondor e perché abbiano chiesto udienza con il Re. Ai Variag, poi, appartengono molte casate spesso coinvolte in lotte fratricide. Non è certo che vi siano coloro che strinsero il patto con le Gwaith. Vieni …” l’elfo prese le mani della sua amata e l’invitò a sedersi su di un triclino per poterle parlare. “Guardami …” disse notando che teneva lo sguardo puntato alle mani tormentate. “Melamin,tirag nin! | Amore mio, guardami! [lett. guarda a me] |” le prese il mento e poté finalmente ammirare il suo sguardo inondato da quelle particolari lacrime luminose. “Il giorno in cui ci scambiammo queste vere ho fatto una muta promessa …” prese quindi la sua mano destra e la portò alle sue labbra che lasciarono un delicato bacio sulla sottile fede d’oro. “… non ho intenzione di mancare proprio ora!” sussurrò dolce.

“Cosa promisi?” chiese tranquillizzata dal suo tocco.

“Non sarai più sola, mia Envinyatarë, sarò sempre al tuo fianco e nessuno potrà nuocerti in alcun modo.” Rispose con trasporto baciando la fronte dell’amata e abbracciandola tenendola stretta contro il suo petto. Passarono così minuti interminabili, in cui la fanciulla si sentì veramente al sicuro. Non era più Adamante la Guaritrice, non poteva ritorcersi contro il suo passato. Però ancora vi erano troppe domande che si affastellavano nella sua mente: perché i Variag volevano incontrare Elessar? Cosa aveva spinto un popolo orgoglioso e fiero a chiedere udienza ai propri acerrimi nemici? Chi li guidava, ora che anni erano passati? Di una cosa sola era certa, che qualunque cosa fosse accaduta lei non avrebbe rinunciato alla sua seconda possibilità, non avrebbe permesso a nessuno di portarle via quel figlio che ora sentiva desiderare sopra ogni altra cosa.

“No, non dovrai proteggere me …” disse improvvisamente Tirinîr. Legolas, esterrefatto da quella dichiarazione, scostò delicatamente il suo corpo per poterla guardare negl’occhi. Non riusciva nemmeno ad articolare un modo per replicare a quella assurdità, detta con un sorriso, per quanto era sbalordito. “… noi, insieme …” La fanciulla prese allora la mano dell’elfo per posarla sul suo ventre, proprio dove la prima curva aveva iniziato il suo sentiero verso il basso. “ … dobbiamo proteggere lui …” era giusto che sapesse cosa c’era in ballo, molto più di quello che potesse pensare. Eppure quella rivelazione non sembrava essere pienamente compresa. Legolas vagava dalla mano posata sul grembo della sua amata a i suoi occhi scuri ed intensi, sorridenti per quello che si stava rivelando la più grande gioia che potesse provare. Una felicità destabilizzante, di quelle che paralizzano ogni tuo arto ed ogni tua facoltà di raziocinio per poi tornare come un mare in tempesta, rimestando le numerose emozioni vissute.

“Stai cercando di dire quello che penso, melamin?” chiese ancora stordito dalla notizia.

“Sì!” rispose con una nuova luce negli occhi, che presto si rabbuiò al pensiero che presto forse sarebbero stati minacciati da un nuovo vecchio nemico. “Ed è per questo che sono molto più che spaventata, non voglio che prendano di nuovo mio figlio, darei un braccio piuttosto che me lo strappino di nuovo!” la sua voce uscì come una supplica, smorzata da un tremito di panico e terrore. L’elfo soppesò le parole della sua amata, vedeva in lei quella paura cieca e sorda che provava nel dover rivivere il dolore di una nuova separazione. Proprio per la natura di quello sgomento sapeva che nessun conforto di circostanza l’avrebbe resa più certa del futuro. L’unica cosa sicura era nei loro sentimenti reciproci, nel loro amore che aveva superato barriere molto più alte e impervie. Fu con quella nuova consapevolezza che l’elfo si abbandonò in un bacio lungo ed appassionato come mai prima d’ora, esprimendo in esso tutto il suo amore forte ed intenso. Attese poi in silenzio che la fanciulla tra le sue braccia prendesse sonno e si abbandonasse al riposo più oscuro, rinnovando la promessa di proteggere lei, e adesso anche loro figlio, da qualsiasi pericolo.

 

Ma cosa vorranno i Variag questo ancora non ci è dato sapere. Quello che posso dirvi amici miei è che presto si conosceranno tutti i risvolti che tanto attanagliano le vostre curiose teste. Sappiate solo che ci sono delle volte che il passato insoluto torna sempre a chiedere il fio. Buonanotte, amici miei, che Irmo vegli su voi!

 

 

Note dell'autrice: Buonaseeeeera!!! Bentrovati a tutti i miei amici!!! Allora tempo di ritorni: Complimenti a Thiliol che ha indovinato il ritorno annunciato. Allora cosa dire oggi sul capitolo, poveri personaggi che sono capitati con me e con la mia povera mente da malata pazza. Bhè ovviamente ho cercato d'intrecciare il Canon con la mia storia e quindi Gimli l'ho fatto tornare per i famosi cancelli distrutti. Ebbene sì! Per esigenze di trama gli ho fatto ricostruire pure il settimo cancello, in realtà non sono certa che fosse stato distrutto o meno (il Grond mi pare è stato usato solo con il Grande Cancello). 

Ah per chi se lo chiedesse, Gimli sapeva dei Variag (altro grande rientro) in quanto Aragorn ne aveva parlato con lui in precedenza visto che lo sapeva occupato con la ricostruzione. Comunque ne sapremo di più nel prossimo capitolo. Eh eh, non faccio previsioni azzardate ma credo che stiamo avvicinando sempre più inesorabilimente alla fine. 

Rispostine alle recensioni (ben 3 ragazzuole evviva!!!):

Thiliol:  Bhè mia cara dovevo festeggiare le 300 visite alla mia storia con un lieto evento!!!Peccato che poi ci sia sempre la solita batosta ... eh eh. In effetti ad ispirarmi la scena alle Case di Guarigione è stata proprio la frase "mani di re sono mani di guaritore" l'ho amata ed è rimasta nella mia testa. Devo dire che anch’io penso sinceramente che Éomer avrebbe vinto se non avesse sottovalutato il proprio avversario. Anch’io adoro i Rohirrim e i loro destrieri, amo la loro cultura da morire (anche se l’ho approfondita molto meno rispetto a quella degl’elfi). A presto mellon nin!

Elfa: Bentrovata! Don’t worry! Questo mese io l’ho proprio abbandonato il pc!!!Vacanze a go go! Sono comunque contenta di ritrovarti ^^! In effetti le bricioline di pane le avevo lasciate per far capire la gravidanza in arrivo, ebbene fagottino in arrivo ^^! Il Re di Bosco Atro diventerà nonno!!! scherzi a parte era una delle cose che un po’ mi dispiaceva nel Signore degli Anelli, Legolas alla fine non ha nemmeno un erede. Era un peccato. Per Gimli è diverso, i nani hanno così poche femmine che si sposano raramente, ma per gli elfi dovrebbe essere una tappa fondamentale. Va buon ce l’ho messa io la toppa ^^! Ioreth è stata una scelta diciamo quasi stilistica. Amo ripescare personaggi minori, sono “volti noti” che il lettore dice –Ma tu guarda chi c’è! – che danno la giusta libertà di poterci giocare (cosa che faccio anche con i miei). E poi volevo un malato vecchio e stanco, chi meglio della già allora anziana Ioreth? Dovevo dire qualcosa in più sul dono di Tirinîr, come questo non sia una magia con salvataggio dalla morte. Spero comunque di aver centrato il mio intento. Nu, nu, Gandalf è partito da tempo ormai. Va con Frodo e Bilbo nell’Ovest quindi nun è lui. E’ il mio nano preferito, Gimli!!!^^ Ed insieme a lui ci saranno anche i vecchi nemici di un tempo. Muhahahah!!!Un bacione

L chan: Oh mammina saurissima! Quando ho letto la tua recensione sono rimasta con la bocca spalancata a guardare incredula lo schermo per circa 20 minuti (ogni tanto la vado a rileggere per vedere se mi sono sbagliata). Certe recensioni dovrebbero essere illegali, fanno rischiare il collasso. Quindi innanzitutto Grazie!!!^^Quando ho preso il coraggio di scrivere questa storia non avevo nessuna pretesa, tuttora non ne ho, ed il tuo dirmi che potrei essere inserita nell’opera di Tolkien il mio debole cuoricino ha fatto i fuochi d’artificio. La mia attenzione per i dettagli (felicissima che i miei lettori lo notino) nasce proprio dal grande rispetto che ho per il Professore e per la sua opera. Io ho letto molto su Arda, il mondo che ha creato è ricco e dettagliato tanto che per me è esistito veramente. Sono onorata che questo mio rispetto si veda e salti agl’occhi, anche se non definisco la mia storia una capolavoro (grazie grazie grazie e ancora grazie) ci tengo che sia tutto più o meno conforme a ciò che conosciamo. L’impegno sì è vero ce ne è tanto, ma posso dire che è ben ripagato. Sai sembro una pazza: quando scrivo sto sul tavolo del salone con “Il Signore degli Anelli”, “Il Silmarillion”, “Lo Hobbit”, due dizionari di Italiano, uno di Sinonimi e Contrari, una grammatica, un Block notes per le traduzioni, penne e matite all’occorrenza, sul computer tengo aperti tutti i dizionari Sindarin e Quenya, le grammatiche e le coniugazioni dei verbi Sindarin (questo ora, prima avevo anche i miei appunti sulla lingua delle amazzoni =_=’’’). Oddio io in vita mia non ho mai cavalcato (anche se devo ammettere che mi sarebbe tanto piaciuto) ma in compenso avevo un’infarinatura di struttura equina che mi ha permesso di cercare nei posti giusti come descrivere un cavallo (amo da morire i cavalli arabi che ci posso fare?^^). In realtà per ogni cosa che scrivo cerco di documentarmi, come per esempio nei duelli di spada (i combattimenti poi soprattutto, spesso si incappa in cose poco verosimili ed io da vecchia giocatrice di Gdr on line non riesco a descrivere una scena senza logica) o nel tiro con l’arco. Sono cose che hanno una tecnica e quindi arricchiscono il racconto, ovviamente sempre nei limiti altrimenti potrei annoiare. Comunque sia, ringraziarti ancora è insufficiente per questa meraviglia (rigiro il complimento) di recensione, sono davvero onorata di avere lettrici così attente, scrupolose e severe. A presto! ^^

 

Per finire ringrazio sempre tutti coloro che leggono!

Un bacione, la vostra pseudoscrittrice pazza Mally

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Capitolo 23
*** CAPITOLO XXII: Il passato dimentica. ***


CAPITOLO XXII: Il passato dimentica.

Mentre il nero oblio di una notte senza luna governava incontrastato sulla città, il mezzelfo, aveva avuto di nuovo quell’incubo: lo stagno e la persona che dietro il suo specchio l’attirava sul fondo. Oscuro di significato e nefasto come il più terribile degli auspici. Legolas, coricato al suo fianco, si era svegliato con lei che scalciava come a volersi liberare da quella opprimente forza invisibile, rivelandole il suo dubbio sul farla presenziare l’indomani. La fanciulla era restia nel ritirarsi dai suoi doveri già al primo ostacolo, quindi aveva cercato di rassicurarlo in ogni modo finendo di riaddormentarsi in un dormiveglia poco più che accennato. Quando il sonno sopraggiunse assieme al canto dell’allodola venne svegliata dal rumoreggiare di alcune ancelle. Il loro compito era quello di aiutarla ed assisterla nei preparativi per presentarsi nella sala del Trono, cosa che su di sé pesava come una cotta di maglia in ferro.

“Ho finito, mia Signora!” disse una giovane ragazza dietro le sue spalle che aveva preso a spazzolarle i capelli. Era rimasta tutto il tempo a lasciarsi curare da quelle fanciulle, in fondo era il loro dovere ed il loro lavoro, non avrebbe impedito che lo compissero. Aveva imparato ormai ad assuefarsi a quei piccoli agi dovuti ad una buona posizione, cosa che invece nel suo precedente mondo sembrava inverosimile. In effetti anche le Gwaith erano asservite, ma a qualcosa di più che una semplice regina. Quello che facevano era un tutto per tutte, le loro mansioni erano suddivise secondo capacità, quindi ognuna agiva per il bene dell’altra. Così, la figlia della Regina, poteva curare le malattie del popolo e della Città Alta senza distinzioni o priorità di rango. Non era poi una teoria così sbagliata, condivisibile sotto certi punti di vista, ma con un buco che non era prevista: è nella fallace natura umana quello di sopraffare l’altro. Animi come Geldena vi sarebbero sempre stati, avvelenando così addirittura il concetto di uguaglianza nato con il popolo ed in virtù del popolo.

“Grazie, potete andare!” rispose alla giovane che dopo un inchino raccolse l’ordine e lo portò via con sé, seguita dalle altre. Tirinîr osservò la sua immagine riflessa in un grande specchio, la conteneva in tutta la sua altezza e ne delineava ogni piccola sfaccettatura. Era cresciuta in statura, anche se sempre le sue spalle piccole e il fisico asciutto ne manteneva l’aspetto minuto, gli occhi erano leggermente più chiari, i tratti sottili e affinati dalla sua scelta, la pelle candida e non logorata dalla fatica se non per una lievissima ombra che ne cerchiava il contorno inferiore. Di profilo poi, lisciando con la mano la seta scura della veste, notava il rigonfiamento del suo grembo. Da quando aveva saputo di ciò che custodiva aveva come recuperato le forze, si sentiva rinvigorita più per la tensione avvertita che per altre arcane ragioni. Quale madre in natura non supera ogni barriera per il proprio figlio?

 Della sera precedente ricordava ogni dettaglio: la Sala dei banchetti accoglieva i numerosi invitati con un grande tavolo a ferro di cavallo, ospitando sulle sue braccia i diversi principi. Si poteva dire che ogni popolo di Gondor e Rohan aveva risposto all’appello di sire Elessar. Notando le loro diversità Tirinîr riscoprì la vastità del mondo degli uomini, ciò le diede modo di capire quanto avesse vissuto in una realtà troppo piccola e troppo protetta dagli sguardi fieri che ora la osservavano per quello che era diventata.

Ognuno veniva annunciato sotto il proprio vessillo, si potevano distinguere le varie regioni che coprivano una vasta area attorno a Minas Tirith e una moltitudine di culture: il Lossarnach con le sue genti dalle pelli olivastre e dalle stature non molto pronunciate, semplici e bucolici con le loro vesti di pelle nera conciata seppur raffinatamente erano i signori di Anfalas, totalmente differenti dagli eleganti capi in un bel verde che avvolgevano chi governava sulle colline di Pinnath Gelin. Molti altri si avvicendarono in quell’immensa sala, illuminata a giorno da torce e fuochi. Il posto destinato all’Ithilien era, come sulla mappa, vicino al Re e alla Regina. Alla sinistra di Aragorn infatti sedevano Faramir ed Éowyn, con accanto Legolas e Tirinîr a cui seguivano Gimli con la sua gente. Alla destra invece il Re dei Rohirrim se ne stava con Lothirièl e i primi due Marescialli del Mark. Di fianco Dol Amroth ed il principe Imhrail rimaneva pensieroso conferendo in bisbigli con un altro della sua corte. La cena avvenne nello spirito gioviale di una grande famiglia, questo anche grazie alle vecchie e le nuove amicizie conquistate, ma il banchetto serviva solo ad informare il resto delle persone convocate a quella riunione.

Era ormai giunta l’ora di affrontare il suo personale patibolo. Percorreva infatti i corridoi con un aura scura ad avvolgerne la figura, adombrata dalla sensazione che lo scotto da pagare per il Re la riguardasse sempre troppo da vicino. Era sola. Suo marito l’aveva preceduta per poter parlare con Aragorn e spiegare lo strano comportamento della moglie e la reazione esasperata della sera precedente.

“Hanno invocato il nostro aiuto e vi ho voluto qui perché ogni popolo che condivide con me i tumulti del Khand e dell’Harad possa prendere parola.” così aveva esordito il Re dopo l’annuncio che il mezzelfo attendeva con l’angoscia nel cuore, così continuava a tornarle alla mente la voce del Re che esponeva l’accordo richiesto. Quando le aveva sentite la prima volta, Tirinîr, non si trattenne e con furore prese la parola alzandosi dalla sua seduta zittita dallo stesso principe Faramir che le chiese gentilmente come potesse conoscere così bene quel popolo che definiva “Vile e doppiogiochista, con un solo linguaggio atto alla guerra”. Ma ella non poteva dire il perché fosse così coinvolta e soprattutto contraria a quell’alleanza: come spiegare quell’astio e quella paura nei loro confronti se non raccontando un passato di cui Tirinîr stessa cercava di liberarsi? Un passato che tra l’altro la stava attendendo nella sala del Trono, dove i Variag avrebbero avuto la loro possibilità di parlare.

Non era riuscita a convincere il Re, né i principi giunti da lontano. Tutti erano disposti a stringere un alleanza con i Variag pur di debellare le ultime guerre e le ribellioni da parte del Khand e dell’Harad. I Variag erano la cavalleria dei Sudroni, rappresentavano uno dei contingenti più forti in guerra anche se di ppochi elementi, nel momento in cui sarebbe venuta meno, agl’Haradrim, non sarebbe rimasto che arrendersi ed accettare un trattato con Gondor. Nessuna disapprovazione in questo se si fosse limitato ad uno scambio equo, ma era quello il punto a cui Tirinîr non riusciva a venirne a capo. Cosa poteva chiedere uno dei Signori Variag al Re? Immersa nella ristagna delle proprie elucubrazioni, la fanciulla non si accorse di esserti imbattuta in una piacevole scena. Appena voltato l’angolo si ritirò dietro di esso, celandosi alla vista di quella Dama già incontrata il più delle volte. I lunghi capelli color della notte le scendevano sulle spalle, splendenti come la prima stella del tramonto. Regale e nobile anche stando prona sulle ginocchia, di fronte ad una bambina dagl’occhi grigi che la fissava contrariata. Accanto a loro una donna corpulenta e florida dagl’abiti semplici teneva in braccio un’altra bambina, molto più piccola di quella in piedi. I loro visini erano belli e dai tratti dolci, nonostante avessero una lieve carezza di tristezza. In loro poteva rivedere l’eredità degl’elfi e dell’umana regalità.

“Non voglio stare ancora in camera, naneth!” disse allora la piccola emettendo un tenero sbuffo.

“Oh, Gilraen!” rispose dolcemente la nobile signora. La piccola teneva le braccia distese lungo i fianchi, con l’aria di chi da troppo covava un disagio e esprimesse tutta la frustrazione di quella reclusione a fin di bene. “Cosa ti ho sempre detto? Non è forse la pazienza una delle più grandi virtù?” a quell’affermazione sul viso del mezzelfo si dipinse un sorriso. Quante volte Anrond o Legolas l’avevano rimproverata per la sua impetuosa e poco paziente indole. La bambina sospirò sconfitta e la Regina le baciò il capo, donandole una delicata carezza sulla guancia rosata. Poi, sollevatasi dalla posizione così poco consona per una donna del suo lignaggio, fece la stessa cosa con la bambina più piccola raggomitolata tra le braccia della balia. “Ora, Gilraen e Aranel, andate con Colinde. Il precettore vi attende. Amin mela lle! | Vi amo! |” istintivamente Tirinîr adagiò una mano sul suo grembo. Come un goloso osserva il cuoco preparare un dolce, così pregustava quegl’attimi famigliari in cui sarebbe stata lei a rivolgersi a lui. Nella sua testa non faceva altro che ripetere quanto amasse già la minuscola vita che teneva in sé, impaziente forse di conoscerla.

“Mia Signora, non mi aspettavo di trovarvi qui!” esclamò all’improvviso una voce conosciuta. “Penso che alla Sala stiano attendendo noi!” Èowyn l’aveva intravista con le spalle poggiate sul muro, l’osservava incuriosita dal modo in cui si teneva in piedi, il tenero sorriso a incresparle le labbra e la serenità a rilassarle i muscoli, totalmente diversa dalla donna che solo la sera prima aveva espresso il suo dissenso con rabbia e disperazione. La Dama l’aveva sentita, forse era l’unica che se ne fosse veramente accorta di quella sua fobia quasi isterica.

“Mia Signora Éowyn, è un piacere incontrarvi nuovamente!” rispose cordialmente. “Credo proprio che stiano attendendo noi, mi fareste compagnia?” chiese allora alla Dama, la quale rispose con un cenno di assenso.

“Sarei onorata di entrare con voi!” le due donne si affiancarono e superarono l’angolo. Quel piccolo intramezzo aveva concesso alla Regina e le sue figlie di accomiatarsi, lasciando così il corridoio, dapprima animato, ora deserto. Camminarono per un po’ senza rivolgere alcuna parola, erano proprio quelli i momenti in cui la discussione nella stalla riaffioravano. Loro, così simili e così diverse, combattive e combattute, donna e uomo in un solo corpo chi per scelta chi per dovere. “Posso permettermi una domanda indiscreta?” chiese ad un tratto Éowyn, dando finalmente voce alla sua curiosità. Tirinîr rispose flebilmente, spaventata dal quesito che sapeva riguardare ciò che era successo durante la sera precedente. “Perché vi opponete a questo trattato?”

“I – io …” le parole tentennarono in gola, con l’ansia di dover affrontare questo discorso così apertamente. Come poter rispondere? Con la verità? Con la menzogna? No, avrebbe arretrato di anni, distrutto tutto per cui aveva lottato, deluso sé stessa. “Conosco molto bene i Variag mia Signora, so che non sono affidabili: il prezzo per il loro aiuto sarà alto e volto solo verso i loro interessi di potere. Mancheranno a qualsiasi accordo appena questo non sarà più fruttuoso.” Disse di getto, cercando di non calcare con le parole lo stato di evidente agitazione che la stava cogliendo.

“Quindi nella vostra vita, quando siete stata un soldato, immagino che vi siate imbattuta in loro …” rifletté la perspicace donna. Tirinîr non si sorprese di come nulla le sfuggisse, era arguta almeno quanto lei e ormai aveva capito il gioco a cui stavano giocando. Era una costante richiesta d’informazioni da parte della Bianca Dama ed un rifuggirle altrettanto abilmente da parte del mezzelfo. “Hanno tradito la fiducia del vostro esercito, o qualcosa di simile?”

“Non proprio …” rispose criptica lasciando in sospeso quelle semplici parole. “Diciamo che so cosa vuol dire avere un accordo con loro e quanto sia vincolante …” ma Éowyn si arrestò afferrando il braccio della fanciulla per incontrare i suoi occhi, pallidi e fiammeggianti. Vedeva all’orizzonte un pericolo e forse una nuova occasione di gloria, ma questo non era possibile da riconoscere a pelle.

“Credo che dovreste avvertire Re Elassar di ciò che sapete, in fondo se già vi siete trovata ad avere a che fare con questi misteriosi Signori della Guerra è giusto informarlo di ciò a cui andremo incontro!” disse in un sussurro come se anche le pareti avessero orecchie tese ad ascoltare. “L’essere impreparati non è una buona cosa, soprattutto quando si cammina sull’orlo di un precipizio. Non pensate sia meglio fornire una rupe al nostro Re?” Tirinîr scosse la testa incredula, abbassando lo sguardo in preda alle immagini che scorrevano nella marmaglia dei suoi ricordi. L’ultima notte da Ombra, passata nella paura di tornare ad essere un gioco per un principe annoiato e finita alla scoperta della libertà.

“Non è facile come pensate, mia Signora Éowyn. C’è troppo a cui pensare e poco tempo!” rispose ingoiando amaramente le proprie parole. “Voglio capire prima di creare un allarme che magari si possa rivelare fallace …”

Giunsero in breve nella Sala senza più affrontare il discorso. I più importanti esponenti dei principati si trovavano distribuiti a lati degli scalini più bassi che conducevano al trono su cui vi era Elessar con accanto Arwen, adagiata elegantemente su di una seduta posticcia in tutta la sua totale e disarmante bellezza di stirpe elfica. Faramir invece rimaneva impettito sul piccolo trono scuro in fondo alla gradinata, rimanendo in un posto privilegiato rispetto agli altri principati per il suo posto di Sovraintendente. Le navate laterali della Sala del trono erano gremite di gente, il corridoio centrale invece era libero nessuno vi sostava. Tra la piccola folla di gente delle varie corti, vi erano le Signore delle Regioni, comprese Éowyn, Lothìriel e Tirinîr che s’aggirava con angustia fra le persone presenti. Nessuno si curava degl’altri, troppo curiosi ed impazienti per potersi interessare di chi vi era affianco, eppure la fanciulla mezzelfo avvertiva su di sé i loro sguardi, come se una lettera scarlatta fosse impressa con il fuoco sulla sua fronte indicando “io so”.

Anrond essendo semplicemente parte del suo seguito era rilegato in fondo alla sala e schioccò con lei solo un fugace sguardo per rassicurarla. Gli pesava enormemente non poter avvicinarsi, ma già aveva sfidato a sufficienza la pazienza del suo Signore intervenendo ad una riunione riservata ed importante. Legolas invece stava in silenzio alla destra di sire Faramir, scambiando qualche parola giusto per educazione con gli altri. L’espressione contrita rifletteva bene i pensieri che stava facendo l’elfo, anche se sperava che tutte le sue più nefaste aspettative non venissero assolutamente rispettate. Persino Gimli, di solito spavaldo ed orgoglioso, non sembrava sentirsi al più completo agio e si lisciava ripetutamente la barba, scacciando così almeno in parte l’atmosfera resa tesa dalla difficoltosa trattativa che avrebbe avuto luogo il prima possibile.

Il Gran Ciambellano irruppe nella Sala con un chiassoso clangore di porte e seguito da alcuni giovani che sembravano essere al suo servizio. Egli era un uomo alto e dall’aria di chi sapeva molto, vestito di nero con l’insegna della sua sudditanza a Gondor, con l’albero bianco e le sette stelle ricamate sul corpetto. Era giunto il momento tanto atteso da tutti, i misteri nati da quella stramba richiesta d’aiuto e la foschia che aleggiava attorno a quella nuova situazione sarebbero stati diradati. Sembrava che ogni suono fosse stato rinchiuso da una bolla, tutto tacque escluso lo sfrigolio dei paggi che si muovevano sapientemente per accogliere gli ospiti. La porta della Sala spalancata per facilitare il compito di attraversala da parte del corteo dei Signori della Guerra, forniva solo un’ombra scura come se fosse l’interno di una gola di roccia bianca, da cui non si conoscevano quali terribili creature ne sarebbero uscite. In quel irreale mutismo vi era però il battito accelerato di un cuore stanco ed affaticato. Il cuore di Tirinîr, che schizzò all’improvviso come spaventata. Si ritirò con un passo all’indietro scomparendo alle spalle della folla, nessuno se ne accorse di quello che stava vivendo, di quanto incontrollabile fosse il suo terrore.

“Kudrem … ” seguirono altre specifiche, come di quale satrapia fosse il sovrano o da chi fosse seguito, mogli e figli, ma ogni cosa si era fermata a quel maledetto nome. Una stilettata diritta a quel cuore impazzito, ne aveva cessato ogni battito. Una stilettata dalle sei lettere chiuse in un nome che aveva la valenza di tutti i linguaggi, un nome che la conosceva con un altro nome che poteva essere riconosciuto sulla sua pelle. E c’era solo quell’uomo, che camminava eretto come una picca alta verso il cielo, bardato di rosso e con stendardi dai colori scuri come l’animo di chi li portava. Il vessillo, gli occhi appannati e il respiro soffocato le stringevano il petto sullo sterno. Era colui che l’aveva deturpata dell’innocenza, aveva depredato il suo ventre e il suo cuore.

D’un tratto non fu più la paura a governarla, ma la rabbia, l’odio. Non sapeva di poter provare così forti sentimenti verso qualcuno, né sapeva l’intensità con cui li stava vivendo. Lui era lì, protetto ed infingardo, s’insinuava come una serpe nella sua nuova vita facendo riemergere un passato oscuro di cui era finalmente riuscita a liberarsi con non poca fatica. Il suo carnefice si muoveva libero, non guardava ai suoi misfatti con disgusto, non gli pesavano le vite che aveva rovinato. Le confessioni che in quella notte le aveva fatto, quando pensava che quella ragazzina dormisse, invece giaceva tra le lacrime di un inconsapevole ignoranza in ciò che era costretta dal suo destino, oppure non l’ascoltasse, inneggiavano alla sua efferatezza nell’uccidere uomini inermi e avversari politici del padre. Un fiero mercenario che elargiva una giustizia sommaria. Al tempo non portava quella barba ad incorniciare le labbra carnose e i capelli erano solitamente lasciati liberi piuttosto che legati ordinatamente con una treccia fin sotto le scapole. Il fisico, ormai maturo, appariva più forte e crudele di quanto ricordasse.

Non aveva notato di essere studiato al dettaglio da quell’uomo che aveva rinnovato i suoi sentimenti negativi. Kudrem lo guardava come se vedesse in lui qualcosa di famigliare e lo stentasse a riconoscere. Cercava di focalizzare il suo sguardo sulla figura slanciata dell’elfo, sicuro di conoscerlo in un certo modo. Il Principe si sorprese di quel suo modo di esaminarlo, gli anni non avevano in alcun modo intaccato il suo aspetto e tutta quella titubanza pareva ingiustificata. Forse, le Gwaith, avevano cercato di proteggere la loro Principessa più di quanto si aspettasse.

“Sire Elessar!” disse ad un tratto il Variag, riscosso dai suoi pensieri all’improvviso come se si fosse ricordato dove fosse ed il perché. “Vi ringrazio di avermi ricevuto. Vedo come immaginavo che avete riunito tutti i popoli delle vostre terre e oltre …” con un cenno del mento indicò il nano e l’elfo. Evidentemente sapeva ben poco delle amicizie strette durante gli anni più oscuri, forse un termine poco agevole per un Signore della Guerra.

“Non potevo fare altrimenti. Tutti speriamo che si volga finalmente alla fine di ogni conflitto, compreso quello con i Sudroni e con i Variag.” rispose il Re chinando la testa. “Desideriamo ardentemente la pace e credo che la migliore via sia la parola …”

“Bene, desiderate la pace.” Il solito tono sfrontato, con il ghigno sghembo di chi ama le sfide. Era mutato nell’aspetto, ma Tirinîr riconobbe il solito borioso ragazzino viziato. “Avevo cominciato a dubitarne visto le guardi che circondano il mio accampamento.” Pensava sicuramente che con la provocazione appena mossa di urtare la sensibilità del Re, renderlo nervoso quel tanto da farlo sentire a disagio di fronte ai suoi ospiti. Ma Aragorn, forte del suo completo autocontrollo, non mosse un ciglio. Piuttosto fu Gimli a sbuffare infastidito da quell’atteggiamento. Non lo sopportava allora ed adesso meno che mai. Avrebbe tanto voluto sputargli in faccia il rancore che covava da quel giorno, magari rinvangando la pessima figura che fece di fronte ai suoi occhi quando cadde inerme a terra tramortito.

“Non dovete temere, le guardie vi servono nel caso vi sia bisogno per la vostra protezione e per il mio regno. Che io sappia vi sono alcune fazioni ribelle fra gli Esterlings e gli Haradrim che non vogliono questo nostro colloquio.” Ribatté con una calma irreale, mentre tra i Variag si alzavano proteste e borbottii increduli. Nessuno però s’arrischiava a denunciare il loro sospetto. “Ora ditemi Kudrem, Signore del Khand, di cosa volevate parlarmi?”

“Re Elessar …” il sibilo con cui pronunciò il nome del suo nemico, perché era di quello che si trattava ancora, era sprezzante tanto quasi la sua espressione. “Come, avete detto voi, sono qui per un patto di non belligeranza.”

“A quale prezzo?” Era nata come una flebile ma irriverente domanda, risultando infine come un’aperta provocazione. Chiunque avesse mosso tale affronto era sicuramente qualcuno che sapeva come funzionavano i trattati per i Variag. La pace di solito veniva pagata con il sangue o con dolore. Tutti rimasero attoniti da quella richiesta, era stato espressamente vietato ogni intervento non preventivato e questo lungi dall’esserlo. Quella voce acuta e tremula, fece sì che l’attenzione vertisse su una delle due navate. Chiunque coprisse quella voce si scostò rivelando la proprietaria, che fissa, teneva la mano sul suo cuore. Con più coraggio, alzò il tono e quasi con un grido più sfrontato disse: “A quale prezzo?” il brusio si fece alto anche fra gli uomini di Elessar, perfino il Re si alzò colto alla sprovvista così come il Sovraintendente che aveva riconosciuto chi stava parlando. Legolas, di suo canto, era terrorizzato da come si stesse esponendo sua moglie senza un vero motivo. Ma la fanciulla sapeva che forse l’unico momento che avrebbe avuto per capire e per far capire quanto pericoloso fosse aprire trattati con loro, era quello. Kudrem aveva aggrottato le sopracciglia soppesando la minuta ragazza che aveva avanzato tale richiesta, sembrava conoscerla molto bene, ma il suo viso non s’annoverava facilmente fra i suoi ricordi. Mosse un passo incerto, spostando la testa da destra a sinistra come se cercasse da altri punti di vista un elemento nuovo, aggiungendoalo a quella strana sensazione di già visto.

“Chi siete voi?” chiese con voce roca, la sua spavalderia era stata annientata dal dubbio e dalla confusione che quel elfo provocava. La fanciulla si ritrasse come pentitasi di ciò che aveva detto, il fatto che non la riconoscesse l’aveva fatta rinsavire, pensando che forse la sua buona stella era stata magnanima questa volta.

“Kudrem!” intervenne allora Éowyn, notando la difficoltà della fanciulla e parandosi di fronte ad essa. L’uomo si riprese ed osservò quell’algida donna di ghiaccio dagl’occhi vividi di puro ardore.  “La domanda che la Signora dell’Ithilien ti ha posto è giusta. Ci sarà un prezzo?”

“La Signora dell’Ithilien?” sembrava titubante, la sua fronte descrisse più pesantemente il suo dubbio. “Ebbene Signora dell’Ithilien effettivamente c’è un prezzo da pagare, ma mi sembra che uno scambio equo sia più che giusto.” Disse allora rivolgendosi di nuovo al Re con una teatrale piroetta su sé stesso.

“Quali sono dunque le vostre richieste?” prese allora parola Aragorn,  vedendo che anche Legolas stava iniziando a dare segni di spazientirsi. Gimli gli si affiancò percependo la pelle dei suoi pugni stretti perdere colore, fino a diventare quasi del tutto esangui. Da quando l’elfo aveva conosciuto e sposato quella ragazza, era toccato a lui a frenare gli impulsi di quello che in realtà fra i due doveva essere il più pacato.

“Dovrete aiutarmi sire a concludere una annoverata questione che tempo immemore imperversa.” Uno strano ghigno prese vita tra le labbra, alzando il baffo scuro ben sopra il suo solito limite. “Dovete sapere che nelle foreste a nord del mare del Rhûn esiste una popolazione nascosta agl’occhi di Arda da anni e anni. Essa è popolata da donne guerriere, che lo stesso Sauron voleva tra le sue schiere perché fin da bambine vengono allenate ed abituate alla guerra. Sono letali e pericolose, si muovono in piccoli gruppi capaci di sterminare eserciti. Nascono solo con uno scopo proteggere il loro segreto a costo di distruggere ogni segno del loro passaggio. Vengono chiamate Ombre, Gwaith e sono terribili come dei fantasmi della notte …” le descrisse come se fossero Variag, instillava paura nei cuori dei presenti. Ai loro occhi apparvero terribili e letali, chiunque vi si fosse avvicinato e avesse anche solo intravisto una Gwaith sarebbe stato trucidato. No, questo non era vero e Tirinîr non lo sopportava. Il più del male lo facevano solo a sé stesse, c’erano anche principi giusti tra quelle leggi arcaiche. Nessuno in quella Sala era disposta a difenderle, nessuno sapeva la verità che veniva manipolata.

“E voi come le conoscete se sono un popolo nascosto?” chiese quindi sire Faramir, con un’arguta osservazione.

“Vedete, Sovraintendente, gli unici a conoscere la loro esistenza era il mio popolo.” Rispose con sufficienza, come se quel quesito fosse solo una buca in una strada battuta. “Avevamo degli accordi … commerciali.” Ed eccola la nausea ed il disgusto che sempre aveva provocato in lei, scambi commerciali quando di vite stava parlando. “Una volta l’anno, durante l'equinozio d'autunno, giungevamo a sud Mare del Rhûn e venivamo prelevati, disarmati e bendati per essere condotti nella Taur en Gwaith, le loro abitazioni sono scavate negl’alberi e si distribuiscono in altezza possono diventare addirittura invisibili. Sono streghe malvagie, incantatrici, maledette e sono state loro ad uccidere mio padre!” un accusa troppo precisa e detta con troppo effetto per essere reale. Almeno questo cercava di pensare la fanciulla mezzelfo, incredula di fronte le parole di quell’uomo. “Sire, sto chiedendo aiuto a Gondor per sterminare questa piaga una volta per tutte. Ho bisogno di aiuto per stanarle e distruggere quest’esercito, voglio vedere ogni singola testa sulla picca.” L’ira funesta con cui diceva queste parole sembrava incontrollabile, nemmeno la mascella serrata ed il pugno che brandiva esangue riusciva ad arginare tutto l’odio provato. Tirinîr si sentì mancare: tra quelle persone di cui chiedeva lo sterminio vi erano anche Raja, Ruin e sua sorella Callial. Come se non potesse fare altro, agguantò il braccio di Éowyn che le stava accanto e vi si aggrappò con la forza della disperazione. La donna aveva capito che c’era molto di più, non le chiese il perché di quel suo comportamento, anzi cercò di sorreggerla per non farla capitolare in quel momento.

“A me sembra così strano, questo odio verso un intero popolo. Se come dite voi vostro padre è stato ucciso da queste Ombre, vorreste prima di tutto la testa del suo assassino. Quindi mi chiedo se non ci sia altro …” disse Éomer con una semplice sincerità del tutto disarmante. Kudrem prese a studiarlo osservando le effigi che portava ricamate sulle vesti, un cavallo bianco sulla stoffa verde.

“Voi dovreste essere il Re del Mark, Éomer figlio di Éomund.” L’uomo rispose con un inchino della testa quasi ad accogliere il tono strafottente con cui aveva pronunciato il suo nome. “Ebbene, mio Signore, come avete intuito non si ferma solo all’uccisione di mio padre. Quando ancora intrattenevamo i commerci, durante una delle notti in cui soggiornavamo presso di loro per poi l’indomani ripartire e tornare dalle nostre mogli, queste donne infingarde ci hanno tradito. Io con i miei soldati e mio padre, siamo stati drogati e derubati. Solo un uomo è stato mantenuto cosciente, per raccontare ciò che era accaduto. Queste megere sanno usare erbe e pozioni in grado di farti dimenticare il passato e manipolare il presente. Pensavano che somministrandocelo e facendoci raccontare da uno scudiero di primo pelo giovane ed inesperto che avevano chiuso i trattati con noi, ci saremmo dimenticati dello smacco. Non fu così. Da quel giorno non ci siamo dati pace, volevamo riconquistare ciò di cui ci avevano depredato e, mentre cercavamo di sedare le lotte interne, ci siamo lanciati alla ricerca di queste donne. In una di queste spedizioni mio padre si è imbattuto in un drappello di Gwaith, aiutate dall’oscurità hanno ucciso ogni singolo uomo! Noi volevamo solo ciò che era nostro, non meritavamo di essere uccisi e trucidati!” Il brusio s’accresceva ad ogni parola, raggiungendo il culmine a quella affermazione. Tirinîr non riusciva a guardare la melma che ricopriva quel cuore di pietra.

“Kudrem, capisco il tuo rancore e mi unisco al tuo lutto.” Rispose il Re alzandosi dal suo trono per scendere alcuni gradini. Quando la sua pacata voce aveva risuonato tra le alte mura, tutti si erano ammutoliti. “Tuttavia non riesco ancora capire cosa stai chiedendo a Gondor.” Finì così, con un piede sul gradino più alto con le braccia strette al petto e con gli occhi persi a riflettere su ciò che l’uomo aveva appena detto.

“Chiedo giustizia, mio Re!” gridò quasi l’uomo dal volto ottenebrato dal rancore.

“Ma la giustizia non può essere equivalente ad una vendetta. Gondor e tutti i Regni dei popoli liberi non pagano sangue con sangue, Kudrem.” Disse Aragorn facendosi ancora più avanti e gesticolando appena come a dimostrare la veridicità delle sue parole. “Qui anche il più spietato degli assassini ha diritto ad un processo, ne converrete che non possiamo condannare addirittura un intero popolo!”

“Ma se volete il nostro aiuto contro le restanti fazioni ribelli, mio Sire …” e quel ‘sire’ gli uscì tra i denti come una serpe velenosa, perché quello era. “Dovrete darmi qualcosa in cambio. Quello che vi chiedo è solo che ogni singola Gwaith che mi aiuterete a catturare sia affidata alla giustizia del Khand. Mi sembra uno scambio equo!”

“Conosco la giustizia del Khand!” intervenne quindi Imrahil. “Voi condannate e basta, date solo la pena e questa non è giustizia! Non me la sento di condannare un popolo solo avendo ascoltato una delle due parti …”

“Concordo con il principe di Dol Amroth!” disse Faramir sollevandosi per guardare verso il Re. A loro ne seguirono altri e in breve vi fu un chiacchiericcio brulicante. Gli unici che in silenzio si osservavano erano i due elfi. Tra di loro c’erano sguardi inequivocabili, intrisi di preoccupazione e voglia di fare qualcosa.

“Volete quindi ascoltare anche una di loro, bene e sia …” era solo un sussurro, quando nessuno poteva ascoltarlo o almeno chi non possedeva un udito sottile come una lama. La fanciulla mezzelfo aveva sentito benissimo il suo ordine detto in una lingua di cui ricordava ben poco e  mentre si spostò in avanti protraendo il busto per osservare meglio il suo nemico, perché così lo vedeva, una luce frenò il suo sguardo. Un raggio di sole penetrato dalle alte finestre s’infrangeva su di una figura poco più piccola al suo fianco. Un ragazzo, di quindici anni nel viso alcuni di più nella fisionomia asciutta e scolpita gli era accanto. Ne vedeva appena il profilo e non fu necessario altro. Lo sentiva dentro, non aveva bisogno di molte conferme non c’era altro a cui pensare. Vuota. Come un vaso appena riversato del suo contenuto, giaceva inerme tra la folla che era scomparsa. L’infimo gioco del Fato aveva tirato i suoi dadi e l’aveva reso ancor più intrecciato.

Non era la sola ad averlo riconosciuto, vi era anche colui che la conosceva talmente bene da riconoscerne i tratti su di un viso diverso. Quel ragazzo aveva la pelle più chiara dei suoi compatrioti, occhi scuri e immersi in una profondità liquida che aveva notato in una sola persona, capelli castani dorati dalle soffici onde in cui tutte le notti affondava le mani. Legolas rimase ad osservare il frutto di quella che era stata una convivenza forzata dagl’eventi e dalle regole e quel che vide fu solo un fanciullo, completamente ignaro di chi ci fosse dietro la sua nascita. L’avevano nominato figlio di primo letto, ovvero defunta moglie del Sovrano. Assurde bugie dette solo per giustificare la sua presenza accanto al padre. In effetti i bastardi generati con le Gwaith, non ricoprivano mai ruoli di spicco a livello politico. La loro carriera era puramente militare, strateghi onorati solo di poter morire sul campo e godersi la vita fino ad allora, sperperando la loro paga di soldato. Ciò a cui erano destinati rimaneva relegato alla caserma e all’esercito, conducevano le loro vite solo ed esclusivamente per combattere e la massima aspirazione erano rivolte a diventare ufficiale nulla di più. Figli di Re o Principi non potevano rivendicare alcuna pretesa, spesso nemmeno sapevano i nomi dei loro padri al pari delle madri. Invece lui era di fronte a tutto il regno degli uomini liberi, presentato come figlio di Kudrem e reso noto come tale alla corte del Re di Gondor e di Anor.

 

Miei signori! Quale triste destino può accadere ad una madre quando il figlio diventa suo nemico. Cosa accadrà ora che il dado è tratto? La storia si avvicina alla sua fine, la nostra beniamina deve concludere e capitolare con il suo passato. Ora non ci resta solo che attendere di finire i nostri boccali, bevete amici miei come beve il vostro servo: per i prossimi avvenimenti ci servono almeno altre due pinte di questo succo di luppolo. Io attenderò paziente prima di ricominciare, affinché l’oste riesca a soddisfarvi tutti.

 

Note dell'autrice: Siamo alle battute finali!!! E già in due o tre capitoli + epilogo troverò la parola fine per questa avventura. Piasuta la sorpresa? Ebbene sì il figlio c'è, e ci sono tante domandine a cui rispondere. Vi dico solo che in questi ultimi capitoli si spiegheranno da soli (almeno spero). Comunque sia ho voglia di mettere un po' di sana azione. Mi scuso per la super scena corale, ma la volevo proprio così ampia e piena di persone. Deve essere davanti a tutti, senza scampo.

Ah Kudrem non si ricorda di Adamante/Tirinir perchè quella notte gli hanno somministrato l'estratto di fiore di loto. Sa solo che le Gwaith hanno giocato loro un brutto tiro e umiliati. Brucia la sconfitta!!!

Thiliol: Ciao cava!!! Bhè sì il figlio ci doveva essere, era una questione irrisolta e lei è incinta del fratellino o sorellina. Ma c'è anche il nostro Variag crudele e oltretutto non è più frenato dal padre. Ora vedremo cosa accadrà e che ruolo giocheranno ogni personaggio (ovviamente chi più e chi meno). Spero che continui ad appassionarti, volevo anche un po' di politica. Besitos!!!

Ringrazio sempre tutti!

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Capitolo 24
*** CAPITOLO XXIII: Ricambiare il favore. ***


CAPITOLO XXIII: Ricambiare il favore.

Quello strano atteggiamento e l’allontanamento del ragazzo, provocarono un certo turbamento fra gli uomini presenti. Ognuno commentava sottovoce, aggiungendo al coro il proprio contributo. Di sicuro tutto questo istillava una curiosità morbosa, il voler sapere cos’altro aveva in serbo per loro il Sovrano del Khand che attendeva trionfante. In quell’attesa delle urla di donna si levarono dal fondo della sala, attirando così tutti gli occhi su di lei. Non era una donna, bensì una ragazzina dalle esili braccia e dalla pelle olivastra, una spruzzata di efelidi le tingevano le guance e delle spirali di fuoco le ricadevano sulle spalle. Un altro tonfo del cuore, un’altra persona che lei non si sarebbe aspettata. Questo era troppo, non poteva essere la bambina che era nata poco dopo suo figlio e che ora la teneva come sua prigioniera, con le mani legate contro la schiena e strattonandola per la sua reticenza a collaborare. Imprecava e inveiva contro i suoi carcerieri, in una lingua che solo Tirinîr in quella Sala poteva comprendere.

“No …” gemette il mezzelfo vedendo come la stavano trasportando. L’agnello sacrificale era proprio Ruin, l’avevano presa avevano trovato lei e chissà chi altro. Era diventata una giovanissima piccola donna, indossava una di quelle vesti di pelle conciata  che pochi anni prima appartenevano anche alla Guaritrice e possedeva la forza di una vera Gwath sui suoi muscoli affusolati, ma che non era abbastanza per contrastare chi la teneva come un gallo che non si arrende al suo destino nelle cucine. Stava quasi per andare da lei, voleva assisterla, ma Éowyn la braccò prendendole i polsi. Quando i loro occhi s’incontrarono, la Bianca Dama negò con un cenno della testa appena percettibile. La prese quindi per le spalle e la condusse dietro a tutte le altre persone, riparandola da sguardi indiscreti che avessero notato l’ambiguo comportamento della fanciulla. Non conosceva tutti i dettagli, ma dalle analogie dei suoi racconti aveva capito che lei aveva un legame estremamente profondo con quel popolo di guerriere.

“Volevate vedere di cosa stavo parlando? Ecco, miei signori, questa è una Gwath!” esclamò Kudrem con un gesto plateale del braccio, quando venne scaraventata ai suoi piedi, gettata come un sacco di patate troppo pesante. Ruin scivolò e barcollò a terra, i capelli le finirono sul viso. Non riusciva nessuno a vedere nulla se non altro che una ragazza, presa con la forza e sbattuta al cospetto del Re senza nemmeno un briciolo di rispetto, esibita come un trofeo di guerra. E forse doveva anche ringraziare i Valar che si trovasse in quel posto, perché l’ordine di ucciderle a vista era cambiato poco prima che venisse catturata. Serviva a Kudrem per dimostrare cosa fossero quelle maledette meretrici, ergo doveva sopravvivere almeno fino a quando la sua presenza fosse stata necessaria, poi poteva diventare cibo per vermi. Il vociare confuso tacque improvvisamente, il gelo di quell’apparizione e dell’affermazione del Variag avevano eclissato ogni commento sensato.

“Cosa volete farci intendere?” esclamò indignato Éomer, la cui pazienza sembrava aver prevaricato il limite di sopportazione. “Che questa ragazzina sia una crudele assassina? Kudrem, penso proprio che la vostra sete di potere vi abbia fatto perdere il senno!”

“Voi dite? Questa ragazzina come l’avete chiamata voi …” il Variag si avvicinò alla gradinata mettendo un piede sul primo gradino come se volesse in qualche modo trovare un modo di sovrastare l’uomo con cui si era acceso quel dibattito, poi puntò un dito inquisitorio contro la ragazza che furastica lo guardava con occhi di fuoco al pari del suo nome. “ … ha ucciso a sangue freddo ben cinque uomini colpendoli alle spalle! E questa è solo una spina del rovo, vi sono guerriere letali ed esperte, capaci di efferatezze che ho visto compiere solo hai seguaci più crudeli di Mordor …” il modo in cui raccontava con enfasi esagerata, i lugubri respiri che scandivano le pause tra una parola e l’altra, servivano solo a rendere spaventosa la sua versione. Poi si rivolse di nuovo a Ruin, famelico e carico d’odio puro, volgendosi a quella ragazzina che da sotto le sue ciocche disordinate gli lanciava sguardi pieni di disprezzo. Non si sarebbe arresa, non avrebbe implorato pietà. Il Signore della Guerra non riusciva a tollerare quella sfrontatezza, ricordava vagamente solo un altro paio di occhi che lo guardavano con cotanto spregio, occhi che non avevano volto, e ciò faceva accrescere in lui ancor più collera. Si avvicinò con calma, non mostrava la sua vera natura, raggirandola fino finirle alle spalle per poi afferrarle i capelli per farle sollevare la testa.“Non sottostanno a nessuna legge, religione o qualsiasi altra cosa che l’umana ragione può suggerire e …”

“Ora basta!” disse ad un tratto Aragorn, fino ad allora rimasto attonito. La voce che Tirinîr aveva potuto udire quando si trovava nelle Case di Guarigione, ora aveva un altro tono. Era greve, imponente, calda ma allo stesso tempo ferma come una montagna che il vento non può scalfire. Aveva su di sé il retaggio dei Re passati. “Come me penso che tutti hanno capito cosa voi state raccontando Kudrem, non c’è ... bisogno di tutto questo ... ” sollevò quindi una mano invitando in linea d’aria a evitare inutile violenza.“Lasciatela, vi prego! Non è necessario!” concluse quasi con dolore. Kudrem lasciò i capelli della ragazzina, che iniziò a gridare come un’aquila evidenti insulti contro il Variag, il quale ghignava soddisfatto della reazione inviperita di Ruin.

“Bene, Re Elessar, cosa decidete quindi? Mi aiuterete a scovare queste ripugnanti donne e a concedermi la giusta vendetta?” chiese Kudrem cercando di concludere freneticamente la questione. Aragorn tornò al suo trono incrociando gli occhi della sua sposa. La Stella del Vespro aveva visto epoche passarle davanti, aveva vissuto millenni in lei c’era la saggezza imperturbabile degl’elfi, aveva visto la Guerra, eppure, vedendo quell’uomo avventarsi su Ruin, era rimasta sconvolta e basita. Accarezzò il dorso della mano tesa sul bracciolo del trono con la punta delle dita, senza farsi vedere in quella ricerca di risposte che lui stesso doveva dare.

“Mi serve altro tempo …” sussurrò verso Arwen per un consiglio ai suoi leciti dubbi. Il suo regno era rifiorito solo grazie alla sua guida buona e basata sulla giustizia. Quello in fondo chiedeva il Signore della Guerra, giustizia. Ma si poteva parlare di Giustizia quando non aveva nemmeno una completa visione di una situazione? Si sentiva di giudicare un popolo e classificarlo come nemico con la sola parola del suo nemico? Per un'offerta sicuramente allettante, ma che comunque sarebbe costata delle vite. Se però avesse deciso di non appoggiare i Variag, le lotte si sarebbero inasprite e questo non lo voleva. La Regina confermò con un morbido cenno, tornando poi a guardare quella ragazza che era stata sollevata da terra. Cercava di non darlo a vedere, ma sui suoi lineamenti finemente inaspriti si poteva osservare tutto il disgusto della Regina degli Uomini. “Kudrem, ho bisogno di tempo per valutare. Vorrei anche poter parlare con le vostre prigioniere ed avere molti più elementi per dirvi se le vostre condizioni sono accettabili …”

“Tempo, mio Signore?” chiese quasi istericamente. “Il tempo è un lusso, sire, le ribellioni imperversano e le Gwaith continueranno ad uccidere, cos’altro vi occorre?  Che vi porti le teste dei miei soldati? E volete persino avere la parola di chi marchia le loro promesse con il sangue? A quanto sembra, Re, la pace di cui tanto beatamente vi riempite la bocca non vi sta così a cuore!”

“Non avete sentito cosa ha detto Re Elessar?” e per la prima volta fu Gimli a prendere apertamente parola. Il nano si pose parallelo all’uomo, osservandolo dall’alto degli scalini con un cipiglio orgoglioso e stizzito. “Avete avanzato le vostre richieste, non sono decisioni che si possono prendere troppo frettolosamente. Per tutte le montagne! State parlando di decidere sulla vita di persone, non di pedine su di una scacchiera! O forse, per i Signori della Guerra Variag, questo non ha nessuna importanza?” chiese esasperato. Era da quando l’uomo aveva iniziato a parlare che voleva esporre l’intero arsenale d’improperi che aveva a disposizione, ma si accontentò di zittirlo per una buona volta. Kudrem si limitò a guardarlo con disdegno, emettendo un verso  simile ad un ringhio animalesco.

“Sette giorni, Re Elessar. All’alba dell’ottavo i Variag partiranno per tornare nel Khand.” disse con tutta l’acredine che poteva dimostrare. “Che  ci siano testimoni ogni persona qui, noi avremo la nostra vendetta da nemici o da amici di Gondor. Sta a voi la scelta!” e mentre diceva queste parole tutti cercavano di parlare, ognuno sovrastando l’altro con impeto. Esprimevano ognuno le proprie opinioni disparate dalle molteplici menti da cui erano partorite, rendendo gli animi più o meno concitati. Aragorn osservava ciò che avrebbe voluto evitare: il caos e la diffidenza avevano scosso gli animi dei presenti. Kudrem, invece, pareva soddisfatto da quello che era riuscito a provocare, guardava a come aveva ulteriormente alimentato i fuochi già accesi. Sogghignava sardonico con quelle sue labbra, incorniciate da della barbetta ispida ed irsuta ricalcando le linee spigolose del mento, ma non godeva a pieno di quella vista perché qualcosa attraeva il suo sguardo più del dovuto.

La fanciulla elfica resasi inconsapevolmente complice di quella confusione, se ne stava in quell’angolo immobile, pallida come se avesse visto un fantasma. Quel volto, a quel volto erano bastati così pochi secondi per entrargli dentro e dare vita ad una nuova ossessione. Perché non sembrava essere nuovo alla sua vista? Perché sentiva in un certo qual modo quella sensazione di appartenenza? Perché sembrava bramarla? Sentiva l’eco di una promessa, qualcosa di lontano, la voce di suo padre che gli spiegava qualcosa.  Eppure il sole non sconfiggeva la bruma che aleggiava intorno ad essa, i suoi ricordi non parvero rischiararsi. Quando mosse un passo in sua direzione una mano affusolata gli si parò davanti, imponendo una lieve pressione sul petto per bloccarlo, determinata ma senza essere rude o violenta. Un placido avvertimento che costrinse l’uomo a voltarsi lentamente, riservando uno sguardo truce verso quell’elfo che lo ricambiava con uno altrettanto carico di rancore.

“State attento a quello che fate, elfo!” ruggì sprezzante tra i denti.

“Anche voi, Variag!” sibilò il Principe minaccioso. Di nuovo il fuoco ed il ghiaccio si fronteggiavano sempre più pericolosamente vicini, in procinto di prevaricare l’uno sull’altro. Non si spostavano, Kudrem non arretrava e Legolas non toglieva la mano: in quel gioco di supremazia erano incapaci di arrendersi continuando a lanciarsi sguardi di ammonimento e collera. Ad un tratto però l’attenzione dell’uomo venne catturata da quel ragazzo che, avvicinatosi con cautela, li aveva interrotti. L’elfo scostò la mano osservandolo meglio, togliendo ogni dubbio alla supposizione se fosse o no il figlio di Tirinîr. Persino la sua voce aveva quelle tonalità dolci poco più basse, con quell’inclinazione melodiosa tipica di chi ha lontane origini elfiche.

“Padre …” disse, e quella parola fu come unghie sullo specchio. Ricordava a Legolas le colpe di quell’uomo, le sue mani sulla donna che amava e quello che le aveva fatto. Se solo avesse potuto avrebbe preso le sue dita e staccate una ad una, lasciandolo agonizzare in un fiume di sangue. “ … dobbiamo andare!” con uno scatto secco il Variag arretrò, lanciando il lembo del mantello indietro per impedirgli di farlo inciampare. In tutta questa operazione non aveva mai staccato gli occhi da quelli di Legolas, almeno finché non si trovò più alla sua portata. Legolas era rimasto impettito, aspettando che quell'infido tornasse a sfidarlo e fu smosso solo dalla voce del suo amico nano che lo riportava alla realtà indicando sua moglie.

Tirinîr lo stava guardando preoccupata, tenendo il suo ventre cercando di ripararlo. Disperazione, questo poteva leggere in lei.

Stolto ed egoista. Si ripeteva mentre le andava incontro, per abbracciarla. Avrebbe avuto tempo per pensare alla sua rivalsa, prima c'erano loro.

 

Il manto oscuro della notte era calato sulla capitale di Gondor, con ancora una zavorra sulle spalle del suo Sovrano. Per due giorni il Re si riuniva con i suoi Principi ed i suoi consiglieri, c’era una difficile decisione da prendere. Ogni possibilità sembrava trovare soluzione con una battaglia, cosa che Aragorn voleva evitare. Gli inutili spargimenti di sangue non erano contemplati nella sua idea di pace e questo vicolo cieco in cui si trovava lo poneva in una posizione di svantaggio. I più ritenevano Kudrem un evidente pazzo vendicatore ed assetato di sangue, che mascherava con buoni propositi un genocidio, gli altri, soprattutto gli appartenenti ai principati di confine, ritenevano che sarebbe stato meglio aiutarlo e cercarsi di liberare delle lotte che ancora imperversavano al Sud.

“Ma …” sospirò il nano, boccheggiando alla sua pipa e accomodandosi accanto all’elfo. Legolas aveva smesso da tempo di partecipare, non voleva neppure trovarsi lì in quel momento. Se ne stava seduto con la testa china, contemplando ogni oggetto che non fosse il grande tavolo allestito per accoglierli. Si era lasciato convincere da Tirinîr e da Éowyn di non trascurare i suoi doveri, eppure non riusciva a togliersi dalla mente lo sguardo sconvolto e triste di sua moglie, la ferita lacerava di nuovo le sue carni e lui non era con lei per cercare di sanarla. “Sono sempre più convinto che ci sia molto di più di quello che vuol farci intendere il buon Variag …” meditò sarcasticamente il nano assaporando un’altra boccata della buon erba pipa offerta dal Re dalle sue scorte inviate dal Decumano Sud da vecchi amici comuni. Intanto Éomer aveva preso ad alzare la voce un po’ più concitatamente, il caparbio Re del Mark era piuttosto restio a concedere il beneficio del dubbio al Signore del Khand.

“Cosa intendi amico mio?” chiese ad un tratto l’elfo interessato dalle teorie del nano. Il Portatore della Ciocca si volse con calma controllando che gli occhi dei presenti fossero puntati per lo più alla discussione in atto, quindi riprese a parlare avvicinandosi di più a Legolas.

“Che tutto questo accanirsi improvviso contro le care Gwaith sembra più una mossa politica che altro, un distogliere l’attenzione da qualcosa. Chissà se …” disse sempre più pensieroso il nano, non accennando a continuare.

“Chissà se?”chiese allora l’elfo, cercando di scorgere tutte le sfaccettature ad una teoria che lo apparve interessare. Gimli stava per rispondere, ma si rimangiò ciò che stava pensando. Non voleva buttare altra carne al fuoco, visto che il suo amico già ribolliva di rabbia e rancore. Aggiungere sospetti, seppur fondati, lo avrebbe soltanto sguinzagliato il suo lato iracondo.

“Nulla, solo congetture di un vecchio nano che comincia ad essere anziano e stanco per correre dappresso ad un principino con le orecchie a punta scalmanato e procacciatore di guai!” Legolas rimase interdetto da quell’affermazione, prima di scoppiare in una leggera e cristallina risata. Tuttavia ciò lo fece tornare a pensare a quanto stava accadendo di nuovo. Sentiva i suoi muscoli fremere, temeva di non riuscire a controllarsi, una reazione avventata e tutto il precario equilibrio creato sarebbe miseramente crollato come un castello con fondamenta di sabbia. Il nano si accorse del cambio repentino di umore dell’amico, fingendo diffidenza prese a pulire la sua pipa. Non riuscì a resistere a lungo con quella sua maschera da imperturbabile erede di Durin e con una rude pacca sulla spalla sospirò. “Suvvia torniamo a fare i nostri doveri mastro elfo, uniamoci alla mischia e speriamo che qualcuno di più in alto ci illumini sul da farsi!”

 Ma mentre in una delle Sale del Palazzo si cercavano le vie traverse a quello che poteva rivelarsi esclusivamente uno scontro, nel buio delle cucine dedite dei domestici vi era uno strano movimento. Quella che sembrava una serva stava sistemando i capelli ad una sua pari, la quale intanto si fasciava una mano sana. Il tutto avveniva in un religioso silenzio per non svegliare il cuoco di turno che era addetto alla guardia per quella notte. Peccato che si fosse addormentato fra i sacchi di patate del magazzino, dopo una bevuta generosa di buon vino offerta da quelle due cameriere, o quel che fossero. Il vecchio era conosciuto per non badare a chi gli dimostrava magnanimità e a prendere tutto ciò che gli capitava fra le mani.

“Perché mi state aiutando?” chiese ad un tratto quella che si stava fasciando.

“Non sopporto le ingiustizie …” rispose meccanicamente l’altra. La zittì poi con un dito sulle labbra, quando voltandosi verso la sua interlocutrice iniziò a lamentarsi su tutto quello che poteva rischiare. Non le importava, ciò a cui aveva assistito poche mattine precedenti era sufficiente per farla reagire. Ammirò poi i capelli raccolti della sua compagna, sistemandoli al meglio sulle orecchie. “Così dovrebbe andare. Per fortuna che il sanguinaccio è ancora fresco, altrimenti non avrei saputo dove prendere del sangue e vi avrei dovuta ferire sul serio …” disse estraendo dalla tasca del proprio grembiule un budello contenente un liquido viscoso e rosso scuro, preso proprio dalla cantina in cui giaceva il cuoco ormai dal volto paonazzo per il solerte bere. La ragazza guardò quel sacchetto, tastandolo un poco incerta se quella fosse la strada giusta.

“Pensate davvero che funzionerà?”

“Vedrete che,una volta superate le guardie reali, per gli altri livelli non vi sarà ostacolo. Conosco questo posto molto bene, vi ho soggiornato per un po’ e ho capito bene i suoi meccanismi. In più avere ascoltato i racconti di sire Faramir sulle sue sortite notturne mi avranno insegnato qualcosa, non credete?” annuì ancora dubbiosa, ma cercando in qualche modo di farsi forza. “Quindi, mia cara servetta, ora stringete quel budello e dipingete sul volto un’espressione dolorante che si va in scena!” al suo ordine la fanciulla stritolò il debole brandello di carne, che alla prima pressione cedette riversando il suo contenuto sulle fasce di lino e sul pavimento in più di un rigolo di sangue pisto. La giovane più alta prese quindi le spalle di quella che inscenava la ferita e a grandi passi cercò di condurla verso l’esterno. Superarono le lunghe scalette fino a raggiungere il retro del palazzo, raggirandolo fino a giungere la Piazza della Fontana dove solo il suo gorgoglio irrompeva nell’oblio.

Le guardie, ritte ed imperiose nella loro divisa scura e con i loro elmi argentei, videro di lontano una macchia indistinta che gli veniva incontro. Pian piano che essa si avvicinava se ne delineavano i contorni e quella che da prima sembrava una vecchia ombra ricurva su sé stessa, si rivelarono due fanciullette. L’una sorreggeva l’altra, che sembrava tener tra le mani qualcosa di liquido, che gocciava di continuo e copiosamente. Solo quando la debole luce delle lanterne alle loro spalle riuscì ad illuminarle videro che era la mano della ragazza a sgorgare un fiume di sangue, anche il suo viso era provato, cereo ed appariva stanco. Nonostante tutto non si mossero ed attesero che giungessero ad un passo da loro per intimar di fermarsi.

“Vi prego lasciateci passare! Devo portarla alle Case di Guarigione …” disse la ragazza cercando di convincere le guardie.

“Cosa ha fatto?” chiese allora uno dei due soldati.

“Lavora nelle cucine, si è tagliata per preparare la cena. Ho provato a medicarla, ma il sangue non cessa di cadere ed ormai ha superato le bende.” Rispose cercando di mantener un’inclinazione quasi disperata nella voce.

“Posso vedere?” anche la guardia sembrava preoccupata notando l’esagerato volume di liquido continuare a gocciare. Allungò quindi il palmo guantato dal cuoio, invitando la ragazza a porgere il suo per poter meglio osservare. Lei non si ritrasse e sicura posò la sua piccola mano in quella nerboruta dell’uomo. Lui, con delicatezza, provò a spostarla in favore della scarsa illuminazione, ma appena si mosse la fanciulla gemette rendendolo partecipe del dolore. Con occhi spalancati ed increduli osservò la ragazza a cui tremavano le labbra e respirava a fatica, convincendosi della buona fede di quella ferita. “Va bene passate, ma state attente!”

“Grazie, vi siamo debitrici!” esclamò quindi la ragazza bionda, superando velocemente le guardie prima che cambiassero idea e richiudessero la porta per il passaggio pedonale davanti ai loro occhi. Furono leste poi a percorrere il lungo pendio che conduceva all’ingresso che permetteva l’accesso alla Cittadella non sorvegliato. Si affacciarono quindi al sesto livello, notando le strade praticamente deserte. Minas Tirith dormiva e lontano era il momento in cui la vita avrebbe ripreso la sua frenetica attività. Rapide e silenziose giunsero fino alle Stalle Reali, sgattaiolando all’interno con facilità. Lì ormai al sicuro da altri sguardi iniziarono a spogliarsi. Si tolsero gli abiti da fanciulle per rivelare giacche e pantaloni dalla forgia tipicamente maschile nascosti sotto le loro gonne da semplici serve.

“Come avete convinto la vostra giovane guardia del corpo a lasciarvi uscire in piena notte da sola?” chiese Éowyn con un sorriso, più per spezzare la tensione che per altro. Non era la prima volta che si mascherava da uomo, per quanto la situazione fosse pericolosa trovava una certa ilarità in quel che faceva. Era tornata la Dama di Ferro che aveva combattuto come il più valoroso fra i guerrieri. Ora capiva perché il Principe elfico la paragonava alla sua sposa. Era scaltra e sapeva come farsi valere. Durante la notte Éowyn l’aveva scoperta mentre usciva furtiva dalle proprie stanze: da principio voleva fermarla, farla desistere da ogni avventata decisione avesse preso; poi ascoltando le sue parole, sentendo quello spirito affine che tanto era stato decantato e mai realmente scoperto come allora, aveva preso le sue parti e si era seduta con lei per elaborare un piano per uscire da Minas Tirith senza allarmare nessuno.

“Spero solo che quando si risveglierà non ce l’abbia tanto con me …” scuoteva il capo mesta, non nascondendo il rammarico che le provocava quella confessione appena sussurrata.“Non potevo permettergli di intralciarmi e conoscendolo non me lo avrebbe mai permesso, è una pazzia ma non posso sottrarmi …” la Bianca Dama si fermò meditabonda dal sellare il cavallo che si apprestavano a prendere.

“So cosa sentite, vi capisco …” disse voltandosi per osservare Tirinîr che si sollevava il cappuccio sulla testa per nascondere le sue fini fattezze. La donna si avvicinò a lei, sicura, prendendo le spalle del mezzelfo.“Andiamo allora garzone, prima che l’alba ci tolga il favore della notte e che i cambio della guardia fornisca occhi freschi!” affermò attendendo il semplice assenso della fanciulla. Un nitrito però le bloccò. Due occhi cangianti nel buio, come quelli di un gatto a cui la luce fa baluginare le iridi, le inchiodarono sul pavimento. Tirinîr non aveva messo in conto il suo amico fidato che risiedeva nelle stalle del sesto livello e che la fissava come se lo stesse tradendo. Aratoamin, seppur veloce, avrebbe troppo attirato l’attenzione per questo non potevano portarlo con loro.

Mellon nîn!” si portò al suo fido e piccolo destriero sotto lo sguardo contrariato di Éowyn.

“Mia Signora …” provò a dirle imponendole la giusta fretta per l’azzardata mossa che si stavano apprestando a fare.

“Solo un momento!” le impose invece l’altra, voltandosi giusto il tempo di replicare per poi tornare ad accarezzare il muso di Aratoamin con fare materno. Il loro rapporto era così profondo, simile a quello che poteva esserci tra fratelli e la Signora di Rohan sapeva quanto poteva essere forte ciò che lega il cavallo al suo cavaliere. “Non posso portarti con me, Aratoamin, comprendimi.” L’intelligente animale borbottò muovendo nervosamente la testa, per poi strofinarsi contro il viso del mezzelfo come se avesse capito ogni singola parola. Tirinîr sorrise dolcemente prima di accostarsi al suo orecchio per sussurrargli la sua gratitudine. Dopo un ultimo sguardo e sfiorando ancora il pelo sulla gobba del muso tornò alla sua compagna d’avventura, per montare il cavallo dietro di lei stringendole il fianco. Éowyn incitò l’animale a partire, lasciando il buio ed il silenzio a fare compagnia a tutti gli abitanti delle stalle.

 

Superare la sorveglianza non era stato un grande problema, nemmeno il farsi passare per giovani garzoni costretti a lavorare fino a sera inoltrata. In quei giorni la vita a Minas Tirith si prolungava oltre il tramonto per i semplici lavoranti che dovevano badare alle faccende domestiche e qualsiasi altra mansione, sicuramente poi il permesso del sovraintendette con il sigillo Reale che Éowyn mostrava a chiunque le sbarrasse la strada aiutava alquanto. Il loro aspetto inoltre non faceva presagire a niente di pericoloso, solo due fanciulli che si erano attardati dal rientro e che ora si apprestavano a tornare nella loro casa. Dall’assedio di Gondor molti erano tornati ad abitare il Pelennor e a coltivare i suoi campi, tinti ormai d’oro e verde, di sovente capitava qualcuno che doveva passare per i cancelli per ritornare e il coprifuoco aveva cessato di esistere.

Per raggiungere il loro obbiettivo ci vollero quasi due ore: l’accampamento dei Variag non era al confine come pensavano, i loro calcoli erano divenuti vani quando, per solo un gioco di prospettive, scoprirono che la vista dalla Torre non rendeva chiare le giuste distanze. Erano pericolosamente più vicini a Minas  Tirith, oltre i vecchi confini ma entro i nuovi, dove distese di colture e filari di frutteti si estendevano rigogliosi. Tra le viti disposte in linee parallele alla perfezione ormai sulla via del riposo stagionale, il cavallo se ne stava tranquillo ruminando sul posto qualche tenera erbetta sfuggita alla decadenza dell’autunno. Intanto le due donne si erano appostate al limite contrario, sdraiate in terra ad osservare i Variag nella quiete della notte. Tirinîr non aveva dimenticato il modo per nascondersi, mimetizzarsi diventando parte delle ombre notturne e trascinava con sé Éowyn, che si preoccupava di guardarle le spalle. Due guardie si trovavano accanto a quella che sembrava una vera cella ambulante, le prigioni di Guerra le chiamavano. Gli abiti scuri e gli elmi in metallo che puntavano in alto come una fiamma di una candela, facevano pensare a carcerati importanti. All’interno della cella c’erano cinque fanciulle tutte della stessa inconfondibile provenienza: sembravano stanche e ferite, una di loro giaceva sulle ginocchia di un’altra tremante con dei segni sulla schiena e sul viso tumefatto. Ruin invece posava le spalle alle sbarre, giocando nervosamente dalle mani. La Guaritrice ricordava quel gesto di quando era ancora una bambina, il suo modo personale per aiutarsi a pensare e per sfogare la frustrazione che la stava cogliendo. Si massaggiava continuamente ed insistentemente le dita dell’una e dell’altra mano, mordendosi il labbro inferiore con ferocia, quasi a ferirsi con i denti. I suoi occhi puntavano ad un punto neutro del pavimento dove cercava di raccogliere i suoi pensieri. Un vicolo cieco, era un maledetto vicolo cieco.

I Variag non l’avevano torturata, ma l’avevano costretta a vedere la sua compagna percossa con una violenza inaudita. Lei aveva in tutti i modi cercato di non dare a vedere segni di debolezza, non aveva ceduto alle loro richieste mostrando indiferenza alle brutalità a cui l'avevano assoggettata, senza rivelare in alcun modo come rintracciare le altre ormai disperse in tutti gli angoli della Terra di Mezzo, ma appena i suoi aguzzini si stancarono di giocare con loro e l’avevano cacciate aveva rigettato quel niente che le spettava come razione di cibo. Ogni volta che provava anche solo a riflettere su come uscirne le ritornava alla mente il sangue, le frustrate, i colpi inferti, le bruciature. Maledetti: sapevano benissimo che un’Ombra non avrebbe parlato se torturata lei stessa, ma solo con la sofferenza altrui. Colpivano il loro spirito di popolo. E minacciavano di continuo di passare ad altre torture se solo avesse provato a difendersi a Gondor, avrebbero ucciso le altre se lei avesse anche solo osato proferire parola in lingua corrente ad Elessar. Ma la morte non sarebbe stata né dolce né tantomeno onorevole, come ci si auspicava. Ogni genere di supplizio era previsto per loro e lei avrebbe solo potuto assistere inerme allo scempio delle vite che aveva di fronte. Quelle donne che le avevano giurato fedeltà, quel piccolo manipolo che era riuscito a scoprire molte verità e che erano state elette per difendere ancora il loro segreto finché i Signori del Khand non avessero ceduto le armi, si sacrificavano assieme a lei per proteggere le loro madri e sorelle.

Non avevano più via di scampo a causa sua. La colpa ricadeva sulla sua nuca pesante, si sentiva in debito con loro e quanto avrebbe voluto che non fosse lei alla loro guida, che ci fosse qualcuna di più saggia e con più esperienza. Una come Adamante per esempio. Lei avrebbe saputo come comportarsi, la diplomazia era il suo punto di forza. Avrebbe trovato un appiglio, una scappatoia. Ma c'era solo lei e le sue compagne con un addestramento inferiore al suo. Era pur sempre la figlia della Storica, della Consigliera in carica, a lei spettava di guidare. Troppe responsabilità per una così giovane ragazza, nemmeno aveva le forme di una vera donna e già si trovava a dover guidare un esercito. Avevano forse sopravvalutato le sue capacità?

Ruin sentì solo un tonfo, come di un una pietra lanciata contro la corteccia di un albero, ed alzando lo sguardo vide le due guardie accasciarsi l’una dopo l’altra. I suoi occhi vagarono sulle compagne, spaesate ed incredule che a loro volta osservavano il buio dei campi per capire cosa stesse accadendo. La ragazza si voltò quindi, afferrando le sbarre che fino a poco prima le fornivano un sostegno per la sua schiena stanca ed aspettando che anche la sua vista si abituasse all’oscurità resa ancor più tetra dalla luce proveniente dall’accampamento poco distante.

“Voltati!” fu l’intimazione roca che provenì da essa. Una voce familiare, femminile appena accennata. Ubbidì, senza replicare sul momento, tornando a sedersi nella stessa posizione precedente. Ad un tratto sentì un respiro riverberarsi sulla pelle della spalla e un profumo intenso e floreale, che cozzava con l’odore stantio della cella. Anch’esso non era nuovo, ma non ricordava dove avesse potuto sentirlo.

“Chi siete? Vi … Vi conosco?” sussurrò in una disperata richiesta di chiarezza.

“Non è ora dei ricongiungimenti Ruin figlia di Raja …” rispose la voce alle sue spalle. Non le servì altro, non le interessava. Chiunque fosse aveva appena tramortito due guardie Variag con tecniche che conosceva da sempre. Era dalla loro parte, o almeno lo sperava ardentemente. “Dove sono?”

“Chi?” chiese con una finta indifferenza.

“Sai benissimo chi!” rispose con sicurezza. Come faceva quella voce a sapere?

“Ci hanno seguito a distanza fin dalla nostra cattura, ma non hanno potuto superare i confini.”replicò vaga. Un respiro più profondo le solleticò il collo, sembrava rassegnato ed aveva l’impressione che chiunque fosse dietro di sé, stesse riflettendo ed avesse distolto lo sguardo. Provò quindi a voltarsi lentamente, ma mentre stava per intravedere quella figura ella riprese a parlare.

“Ascoltami bene Ruin …” disse “… una volta uscite da qua dirigetevi verso le colline. Attenzione, su quel versante vi sono i campi a riposo e a nascondervi non vi sarà altro che il buio. Prendete le armi delle due guardie e se possibile non fatevi catturare di nuovo.” Una mano chiusa in un pugno si allungò al suo fianco facendola sobbalzare al contatto con quella tiepida e perlacea pelle. Lasciò silenziosa un oggetto sul pagliericcio che si posò con un rumore metallico contro il legno, ma prima che sfilasse nuovamente tra le sbarre la ragazza la trattenne con un gesto fulmineo. Non prestò nemmeno attenzione a ciò che aveva abbandonato accanto a sé, piuttosto era intenta a capire chi le stesse aiutando, voleva essere certa che non fosse una macchinosa trappola dei Variag per complicare la loro posizione già altamente compromessa agl’occhi del Re. Eppure, tra i borbottii sempre più confusi delle sue compagne, riuscì ad udire indistintamente ‘le chiavi’ o ‘potremo scappare’. La sua attenzione quindi venne riportata a quell’oggetto abbandonato proprio da quella mano che ancora teneva stretta nella sua: chiavi, le chiavi della cella.

“Mia Signora …” disse una voce diversa, sempre femminile ma dai toni più duri, colti dalla frenesia e da un lieve tocco di sana paura. “Dobbiamo andare, temo che se indulgiamo oltre rischieremmo molto più di quello che già stiamo facendo.” Ruin però la teneva stretta e non sembrava pronta a abbandonarla.

“Lasciami libera piccola Ruin, torna al tuo orto …” ed ecco l’indizio che attendeva, quello che le stava svelando il mistero della voce così familiare da sembrarle quella della madre. Ancora ricordava quando, quella stessa voce, le indicava come intrecciare le corde dei tralicci per la passiflora o le cure che doveva riservare alla belladonna. Non aveva più potuto alimentare quel piccolo passatempo e i suoi studi da Guaritrice, perché lei stessa aveva scelto una vita raminga per proteggere le persone che amava, tra cui anche colei che ora si stava esponendo uscendo dalla tana che le avevano costruito per nasconderla.

“Chillah, sei proprio tu?” chiese con una nuova emozione, ingenua e alimentata dalla nostalgia della sua innocenza ormai così lontana da non ricordarne, se non con vaghe immagini come la sua visita agl’elfi o come l'ultima che ritraeva la sua Adamante sullo sfondo divenuta un mero pensiero sfumato nella nebbia della vita vissuta sfuggendo alla vita stessa. Una bambina, sembrava esserlo tornata nel momento che aveva capito.

“Chillah non esiste più, come non esiste più Adamante, Ruin …” rispose quella voce rinnegando ciò che invece il suo cuore le dettava sempre più prepotentemente.

“Anche le Gwaith non esistono, eppure ci vogliono cancellare dalle mappe di Arda senza mai esservi state indicate.” Rispose più prontamente la ragazza non accennando a lasciare il polso del mezzelfo. “Adamante esiste, è solo nascosta, ora si sta mostrando per quello che sarà sempre: una di noi, ma una di noi finalmente libera dai nostri dogmi!” Non resistette più e si voltò senza lasciare la presa. Dopo qualche istante di titubanza, contemplando la fanciulla che ricordava essere la trasformazione della sua Chillah, incastrò le sue braccia tra le sbarre per avvolgerle attorno al collo di quella che un tempo era la sua vera ed autentica sorella. L’aveva amata e continuava ad amarla come tale.

 Un gorgoglio di voci però iniziò ad espandersi tra le tende del Khand, la fuga delle Gwaith stava per essere scoperta e solo questo fece cedere dall’abbraccio distaccato dalla paratia di gelide sbarre. Non avevano neppure avuto il tempo di assaporare a vicenda il loro affetto, il nemico le osservava famelico pronto ad azzannarle. Allentò quindi la morsa per potersi voltare a favore del progressivo borbottio. No, non era tempo di ricongiungimenti strappalacrime. 

“Devi andare, noi ce la caveremo! Salvati amica mia, salvati mia Regina!” E con uno scatto lanciò le chiavi alla guerriera più vicina alle sbarre che si affrettò a cercare quella giusta per far scattare la serratura. Un ultimo sguardo e le dita intrecciate per un’ultima volta. Non c’era bisogno di altre parole, l’affetto che provavano l’una per l’altra era racchiuso fra piccoli gesti di devozione, una forma privata ed inconscia di comunicazione che la Bianca Dama non avrebbe mai voluto interrompere se non fosse stato estremamente necessario. Si sentiva un’estranea in quel quadro ed allo stesso tempo parte integrante. Lo spirito combattivo, lo stesso che aveva visto in Tirinîr lo trovava riflesso in loro, donne forti ed indipendenti che si ribellavano alla loro condizione di fragili fanciulle. Vedeva esclusivamente questo, non spietate assassine sanguinarie. Osservava le due e sul bel volto della spietata guerriera vide scivolare una lacrima fatta della stessa composizione delle sue, simbolo che il sangue che scorre in battaglia sia sempre lo stesso che esso fosse di una misteriosa guerriera o di un cavaliere di Rohan o di un Variag. Aveva scelto da che parte stare e, come aveva sempre saputo, era dalla parte giusta. Nessuno avrebbe approvato questo aiuto che stavano dando, soprattutto per le ripercussioni politiche che il loro comportamento avrebbe comportato e per il rischio di essere tacciate per traditrici.

Con riluttanza prese le spalle di quella che adesso poteva considerare un’amica e l’invitò con forza ad allontanarsi. L’ultima cosa che sentirono fu il cigolio della porta e il rumore della lotta come dardi infuocati che fischiavano nel vento. Presero a correre verso in direzione del loro destriero senza voltarsi. Le gambe si muovevano con foga toccando il terreno come se fosse coperto da braci, le falcate lunghe e determinate, veloci e scattanti ricolme di adrenalina e speranza. A lungo i loro respiri concitati dall’affanno erano stati il ritmo musicale ad accompagnare quella danza in lunghezza, note di una melodia dettata dal corpo.

Ma il corpo spesso si trova ad essere risucchiato dalla stessa vita, soprattutto se ve ne è uno solo a sorreggerne due. I primi cedimenti li avvertì quando il mezzelfo fu costretta a diminuire l’andatura, rimanendo indietro e coprendo la scia lasciata dalla traiettoria della donna. Il soffio cadenzato dalla corsa presto divenne affanno, sentendosi improvvisamente privata della maggior parte delle forze. Impietoso, come il senso di nausea che le stava attanagliando la gola, il crollo la colpì facendola accasciare sulle ginocchia. ‘Non ora piccolo mio, lasciami ancora un po’ di forze’ si trovò a pensare, sperando che quella sua preghiera fosse ascoltata anche dal frutto che stava maturando nel suo ventre.

“Presto Tirinîr! Stanno arrivando!” Éowyn era tornata indietro. Quando si accorse che il mezzelfo si trovava in difficoltà l’aveva già superata di parecchio. Si era trovata quindi a vagare con lo sguardo alle sue spalle ed oltre alla figura accasciata di Tirinîr, vide dei puntini luminosi muoversi verso di loro. Torce. Nella fretta della fuga non avevano avvertito di avere alle calcagna i Variag con il loro carico di rancore. “Se non ce la fate vi potrete reggere sulle mie spalle!” No. Tirinîr non lo poteva permettere, non sarebbe stata la zavorra che avrebbe fatto affondare entrambe. Scosse il capo negando, riuscendo solo di sospirare per intraprendere il suo dissenso che la donna l’aveva ripresa interrompendola dal dire anche una misera parola. “Non dire sciocchezze, non ti lascerei mai qui, in balia di quei bruti!” La donna si dimenticò persino dell’etichetta e delle formalità che ormai erano state abbattute. Non aveva senso darsi voi quando avevano fatto evadere delle prigioniere di un esercito nemico.

“No! Va Éowyn!Io non ce la faccio! Sono stanca e debole, finiremo entrambe nelle loro mani … ” rispose tra un respiro e l’altro. “Non preoccuparti, non mi accadrà nulla. Sono la moglie di un principe e alleato di Re Elessar. Torna a Palazzo e racconta cosa sta accadendo. Dì a Legolas che lo amo e che non avrei voluto che finisse così, spero mi possa perdonare ma non ... potevo ... starmene con le mani in mano. Lui sa il perchè!” per la prima volta la caparbietà della fiera dama di Rohan non ebbe la meglio sulla ragionevolezza della timida mezzelfo, la quale a fatica con le mani sosteneva il suo busto sopra le ginocchia. Un solo bacio sulla sua fronte con la promessa di tornarla a riprendere fu il rapido congedo fra le due. Tutto ruotava troppo in fretta e troppo rapidamente per essere fermato ed era questa la consapevolezza di entrambe per potersi lasciare andare ai vezzi della stima che era nata in quella notte.  

Il mezzelfo attese. Attese lo svolgersi degli eventi, attese il ritorno delle sue parole, attese il compiersi del suo Destino. Sentiva lo scalpiccio di stivali pesanti infrangersi contro il terreno, tremava di paura, di rabbia contro gli eventi, fremeva di impazienza perché  se qualcuno si stava divertendo con i fili del Fato era meglio che si sbrigasse. Pregò i Valar di proteggere Éowyn e Ruin, pregò suo padre Helluin e sua madre Amarah di starle accanto ed assisterla, pregò suo figlio di aiutarla a proteggerlo mentre vide di lontano il drappo dardeggiante di uomini pronti a sottomettere un’Ombra e che si sarebbero trovati di fronte ad un elfo. E proprio nel momento in cui le forze la stavano abbandonando, accasciata su di un fianco in preda alla debolezza vide lo stivale di un uomo che si stava accovacciando su di lei. La studiava scrutandola a fondo scostando i capelli dal viso. Purtroppo il mezzelfo non poteva ricambiare quell’attenta esamina, la sua vista ormai era quasi del tutto offuscata. Sentiva solo una morbida carezza sul suo volto e l’ultima cosa che avvertì fu una stretta piacevole prima di essere sollevata da terra.

“Ne avete trovata una, mio Signore Raion?”

 

Miei amici! Il mezzelfo perse i sensi con quella frase nella mente e si trovò a pensare, prima che la fitta foschia l’avvolgesse, che Raion fosse un bel nome. Chi fosse non sapeva, nemmeno le interessava, ma quello che avvertì fu solo la strana sensazione di essere al sicuro e protetta, strana soprattutto perché ora si sarebbe trovata nel covo delle serpi. La lotta tra Adamante e Tirinîr era appena agli esordi: il passato, il presente ed il futuro a confronto come i vertici di una figura regolare che perdeva i suoi contorni definiti a favore di altri più sfaccettati e fluidi. Miei signori, la nostra avventura finalmente sta per concludersi ma per ascoltare se il finale dia lieto vi chiedo ancora di attendere, vi prego pazientate che il vostro umile servo Sarìin possa rischiararsi la voce con i fermenti del luppolo e con del buon Vecchio Tobia nella pipa, vedrete che saprò ricompensare la vostra bontà d’animo come ho fatto fin ora.

Note dell'autrice: Ehm!!!^^ Scusate il ritardo!!! Allora a mia discolpa posso dire che c'è stato il mio compleanno di mezzo ed ho avuto meno tempo per scrivere!!! Ghgh!!! Mi dispiace avervi fatto attendere ma ecco qui! Inoltre mi trovo un attimo in difficoltà con questi capitoli perchè ne ho cambiato la connotazione circa tre volte: prima gli atti finali si dovevano svolgere in un certo modo che però non mi convincevano, poi in un altro... bhè spero che non lo troverete banale, ma volevo che Eowyn aiutasse la nostra tirinir nel farle fuggire visto che lei è combattiva e guerriera proprio come lo spirito amazzone. Le due Signore dell'Ithilien all'attacco!!! Temo solo che possa risultare un po' forzato e magari troppo teatrale, non so a me piace ... mi rimetto alla vostra sentenza!!! ^^

Comunque se avete dei dubbi, qualche domanda sono sempre disposta a rispondere o eventualmente a corregere qualcosa che non quadra.

A conti fatti il prossimo capitolo dovrebbe essere l'ultimo o il penultimo prima dell'epilogo. Ci si avvicina alla fine di questa meravigliosa avventura con cui io ho sognato ed è forse per questo che sento il peso e la difficoltà a districarmi fra le mie idee. Temo di finire nel vortice delle banalità e che la mia fantasia non riesca a soddisfare le vostre aspettative. Non voglio deludervi e poi ci tengo troppo a questa storia per farla scadere. Dopo questo piagnisteo passiamo a rispondere quindi:

Angolino della posta:

Thiliol: Mellon nin! Grazie per l'applauso, anche a me è partito quando hanno risposto in quella maniera, sai com'è i personaggi del maestro vivono di vita propria io mi limito a fantasticare su di loro e a dargli voce cercando il più possibile di farli rientrare. Certo se ci fosse stato Gandalf altro che bastonate, l'avrebbe trasformato in qualche strana creatura attaccato ad uno dei suoi fuochi e sparato nel cielo (Adoro Olorin è il mio mito!). Uh è vero lo sbaglio sempre Dol Amroth, lo pronuncio sbagliato nella mia testa e mi viene naturale sbagliarlo scrivendo eh eh!!! ^^ comunque grazie ho subito corretto!!!Buonanotte egregia compagna di avventura!!!

Elfa: Ma ciao!!! Eh eh!!!Già già, al nostro santo Legolas gli girano un po' in questo capitolo ancora di più!!! Ma ha perfettamente ragione, gli ho creato un antagonista veramente ma veramente odioso!!! Sono proprio cattiva, muahahahah!!! Bhè il figlio di Adamante avrà modo di sbucare, già qui lo intravediamo ... va buò non dico altro ... Besitos!!!

Elviraj: Uh che billo!!!^^ Mae govannen nuova amica!!! Sono contenta che ti sia affezionata alla mia mezzelfo, piccina la mia Tirinir!!! Avevi scritto bene il nome cara, comunque va bene anche Adamante o Chillah o Guaritrice (miii quanti nomi, new Gandalf in action).  Spero che continui ad appasionarti anche se stiamo arrivando alla fine. Se ti va mi farà piacere sapere cosa ne pensi ancora!!!Un bacione e buonottina!!!

Ringrazio tutti quelli che mi leggono, mi seguono e mi preferiscono!!!

Vi Adoro la Vostra Mally pseudo scrittrice pazza.

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