Mortal instruments, La città di ossa. - Jace Wayland

di ClaryMorgenstern
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Al Pandemonium. ***
Capitolo 2: *** Segreti e bugie. (Parte 1) ***
Capitolo 3: *** Segreti e bugie. (Parte 2) ***
Capitolo 4: *** How to save a life. ***
Capitolo 5: *** Il conclave e l'alleanza. ***
Capitolo 6: *** I dimenticati ***
Capitolo 7: *** Il portale ***
Capitolo 8: *** L'arma perfetta. ***
Capitolo 9: *** Il circolo. ***
Capitolo 10: *** La città di ossa. ***
Capitolo 11: *** Magnus Bane. ***
Capitolo 12: *** La festa dei morti. ***
Capitolo 13: *** La persistenza della memoria. ***
Capitolo 14: *** L'hotel Dumort. ***
Capitolo 15: *** Abbandonati. ***
Capitolo 16: *** Angeli Caduti. ***
Capitolo 17: *** Il fiore di mezzanotte. ***
Capitolo 18: *** La coppa Mortale. ***
Capitolo 19: *** Memories. ***
Capitolo 20: *** Nell'ospedale dei pazzi ***
Capitolo 21: *** Il racconto del cacciatore ***
Capitolo 22: *** Le rovine di Renwick. ***
Capitolo 23: *** Valentine ***
Capitolo 24: *** La pioggia di Cristalli. ***
Capitolo 25: *** Come prima. ***
Capitolo 26: *** Epilogo - Eroi di un altro contesto. ***



Capitolo 1
*** Al Pandemonium. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.

Is this the real life ?
Is this just fantasy ?
Caught in a landslide
No escape from reality
Open your eyes, look up to the skies and see

Queen; Bohemian Rhapsody

Capitolo I; Al Pandemonium

'Braccare i demoni è uno spasso!' Jace Wayland sorrise al pensiero, lui, Isabelle e Alec - i suoi fratelli adottivi - avevano inseguito quel demone orribile tutta la serata, ed adesso si stava guadagnando l'entrata al Pandemonium Club di New York a suon di chiacchiere, convincendo il buttafuori che la sua fosse un arma di gomma. Che stupidi i Mondani.
I cacciatori entrarono subito dopo di lui e Isabelle urlò per la gioia «Questo posto è una favola!» Isabelle si gettò in pista girandosi un ultima volta verso di loro. «A dopo ragazzi miei!»
Jace e Alec alzarono i loro cappucci e si appoggiarono al muro in attesa, il Demone dai capelli blu si stava guardando in giro in cerca della sua preda e Izzy iniziò la sua caccia ai Demoni personale. Si fece inseguire un po' dal demone ed entrò in una stanza con su scritto INGRESSO VIETATO. Jace e Alec si scollarono dal muro, con un sorriso a 32 denti.
«Allora, Sanvi o Sansavi?» Chiese Jace e il loro sorriso si accentuò prendendo la spada dal fodero della giacca.
 
Isabelle era un maestro nell'attrarre i demoni idioti. Idioti perché solo loro potevano scambiare Isabelle per una mondana, certo, i Marchi dell'angelo erano coperti dal vestito, ma nessuno con un po' di buonsenso avrebbe scambiato Izzy per una mondana, che nel frattempo si era appoggiata al muro con un sorriso ammiccante sul volto.
«Come ti chiami?» fece il demone mentre si avvicinava. Lei si voltò e sorrise. La poca luce che c'era nel magazzino entrava dalle alte finestre sbarrate e impolverate. Il pavimento era pieno di pile di cavi elettrici, rottami di palle stroboscopiche, latte di vernice avanzata.
«Isabelle» disse lei.
«Bel nome.» Quel coso avanzò, guardando dove metteva i piedi nel caso qualche cavo elettrico fosse ancora collegato. Tipico.«Non ti ho mai visto qui.»
«Vuoi sapere se vengo qui spesso?» gli rispose Izzy alzando una mano per coprire il sorriso, le scivolo un po' giù la manica, lasciando intravedere la runa che aveva sul polso. Lui si bloccò.
'Uhuh' pensò Jace sorridendo 'Se n'è accorto'
«Tu sei..» Cominciò, ma non riuscì a finire la frase perché Izzy gli aveva dato una manata in pieno petto facendolo finire per terra, prese la sua amata frusta e prese il demone che urlò per il dolore. Jace e Alec si misero a ridere. Izzy gli lanciò un sorriso velenoso «E' tutto vostro ragazzi.»
Ancora ridendo Jace e Alec lo presero da terra e lo buttarono sul una delle colonne di cemento, Come se non bastasse gli torsero le braccia e le legarono con un filo d'oro, mentre si dibatteva ancora, Jace Uscì da dietro la colonna e si abbassò  per guardarlo. «Allora» disse. «Ce ne sono altri con te?»
Il demone sentiva che la circolazione interrotta dal filo metallico troppo stretto gli stava rendendo insensibili i polsi. «Altri cosa?» aveva trovato la persona sbagliata con cui fare lo strafottente.
«Finiscila.» Il giovane cacciatore sollevò le braccia e le sue maniche scure scivolarono giù, mostrando le rune tracciate sui polsi, sul dorso delle mani, sui palmi. «Sai cosa sono.»
Il demone sibilò le parole come se lo strozzassero. «Uno Shadowhunter, un Cacciatore»
 «Beccato»disse  sorridendo ancora di più
 
Jace si rialzò e cominciò a camminare avanti e indietro in eccitazione per la - a breve - distruzione della creatura. «Allora?» disse. «Non mi hai ancora detto se qui ci sono altri come te.»
Quello schifo aveva ricominciato a essere strafottente. «Non so di cosa parli»
Jace fece appello alle poche volte che era stato attento alle lezioni di demonologia.
 «Di altri demoni» disegnò la parola nell'aria con le dita. «Cittadini dell'Inferno e servi di Satana, secondo la religione. Ma, secondo il Conclave, tutti i tipi di spirito, potere o principio malevolo e maligno che si trovi fuori dalla nostra dimensione originaria...»
«Basta così, Jace» lo interruppe Isabelle.
«Isabelle ha ragione» continuò Alec  «Qui a nessuno serve una lezione di semantica... e neppure di demonologia.» Uffa, per una volta che poteva fare il sapientone!
Jace sollevò la testa e sorrise. «Isabelle e Alec pensano che io parli troppo» parlò con un tono di chi parla ad un amico.«Anche tu pensi che io parli troppo?»
All'inizio non rispose, ma si arrese.«Potrei darvi delle informazioni» disse in tono implorante. «So dove si trova Valentine.»
Jace lanciò un occhiata annoiata ad Alec, che si limitò a scrollare le spalle. «Valentine è sotto terra. Questo coso ci sta prendendo in giro.»
Isabelle scrollò la sua chioma nera. «Uccidilo Jace, non ci dirà niente.»
Aveva sentito abbastanza, il sorriso sulle labbra di Jace si allargò ancora, estrasse nuovamente dalla giacca la spada angelica e il demone sussultò dalla paura. «Valentine è tornato!» protestò strattonando i cavi che gli stringevano le mani dietro la schiena. «Lo sanno tutti i Mondi Infernali... Io, lo so... e posso dirvi dove...»
Per l'angelo, stavolta Jace si era arrabbiato sul serio, gli lanciò uno sguardo al limite del velenoso. «Per l'Angelo, ogni volta che catturiamo uno di voi bastardi dite sempre di sapere dove si trova Valentine. Be', lo sappiamo anche noi dove si trova. All'Inferno. E tu...» Sollevò la lama luccicante, pronta a scagliarla giù.  «puoi raggiungerlo.»
Jace avrebbe ricordato questo momento per tutta la vita, Quando la ragazza che li stava osservando da un po' uscì da dietro una colonna di cemento e urlò «Fermi! Non potete farlo!»
 
Jace era convinto che non gli fosse mai successo, in tutta la sua carriera di cacciatore, di fare cadere accidentalmente un arma, ma quando vide quella ragazza dai capelli rossi uscire dal suo nascondiglio, la spada gli scivolò di mano cadendo a terra.
Anche Isabelle e Alec, persino il demone, guardavano tutti la nuova arrivata con stupore.
Il primo che riuscì a parlare fu Alec. «Cos'è?» chiese con gli occhi fissi su di lei.
«È una ragazza» Gli rispose mentre tentava di recuperare il suo autocontrollo. «Sicuramente ti sarà già capitato di vederne qualcuna, Alec. Tua sorella Isabelle, ad esempio.» le si avvicinò, socchiudendo gli occhi come se non riuscisse a credere fino in fondo a ciò che aveva davanti. «Una mondana» disse a nessuno in particolare. «E ci può vedere.»
«Certo che vi posso vedere» disse lei. «Non sono mica cieca.»
Jace si chinò a riprendere il coltello «Oh, sì che lo sei, solo che non lo sai.» Si raddrizzò. «È meglio che tu esca di qui, te lo dico per il tuo bene.»
«Non vado da nessuna parte» Era testarda. «Se me ne vado, voi lo ucciderete.» indicò il demone, Oh per l'angelo! Una mondana che difende un demone! Questa era davvero nuova.
«È vero» ammise, si stava rigirando il coltello tra le dita, pigramente. «E a te perché dovrebbe importare se lo uccidiamo o no?»
«Perché...» sembrava a corto di parole. «Perché non si può andare in giro a uccidere le persone.» alla fine riuscì a dire.
«Hai ragione» disse con noncuranza. «Non si può andare in giro a uccidere le persone.» Poi indicò il mostro che sembrava essere svenuto. «Ma quello che vedi non è una persona, ragazzina. Può anche avere l'aspetto di una persona, e parlare come una persona, e magari anche sanguinare come una persona. Ma è un mostro.»
«Jace» lo richiamò Isabelle  con voce secca. «Basta così.»
«Tu sei pazzo» disse la mondana mentre arretrava. «Ho chiamato la polizia. Saranno qui da un momento all'altro.»
«Sta mentendo» disse Alec, ma non ci credeva nemmeno lui. «Jace, tu...» ma non riuscì a finire la frase, Il demone che si era liberato dalle corde aveva fatto un balzo ed era atterrato su Jace,Caddero a terra e rotolarono avvinghiati. Il demone lacerò la pelle di Jace con le mani e lui urlò dal dolore. Isabelle strillò. Rotolò su un fianco e vide il ragazzo coi capelli blu seduto sul petto di Jace. Le punte dei suoi artigli affilati come rasoi luccicavano di sangue, e ne volevano ancora.
I suoi compagni  corsero da lui. Isabelle brandiva la sua frusta. Il demone cercò di colpire il volto di Jace coi suoi artigli, ma Jace fu più veloce sollevò un braccio per proteggersi, e gli artigli lo dilaniarono, facendo schizzare sangue dappertutto. Il demone tentò un nuovo attacco ma la frusta di Isabelle lo colpì alla schiena lui emise una specie di ululato e cadde su un fianco
Velocissimo Jace rotolò di lato e riprese il coltello, che conficcò dritto nel petto del demone.
Il sangue nero esplose intorno all'elsa. Jace si rialzò in piedi con una smorfia di dolore, abbassò lo sguardo sul demone che si contorceva ai suoi piedi ed estrasse la spada. Gli occhi del demone si aprirono di scattò e guardarono dritto Jace. «Così sia. Il Rinnegato vi prenderà tutti.» sibilò.
Jace fece una specie di ringhio sommesso, mentre osservava il demone morire e sparire.
Alec si precipitò da lui e gli disegnò un Iratze sul braccio con il suo stilo, sentì un sussulto di dolore, quando si voltò vide Isabelle che teneva il polso della ragazza con la frusta. «Stupida piccola mondana» disse Isabelle tra i denti. «Avresti potuto far uccidere Jace.»
«È pazzo» disse lei cercando di liberarsi il polso.  «Siete tutti pazzi. Cosa credete di essere, dei giustizieri della notte? La polizia...»
«La polizia non interviene se non c'è nessun cadavere» la interruppe Jace che stava attraversando la stanza ingombra di cavi stringendosi il braccio al petto e si avvicinò alla ragazza. Alec lo seguì con un'espressione arcigna in volto
Lei si voltò dove prima c'era il demone e sembrò aver perso le parole, setacciava la stanza in cerca di una qualunque prova che il demone fosse stato lì.
«Quando muoiono tornano alla loro dimensione originaria» le spiegò lui leggendo il suo sguardo.. «Nel caso te lo stessi chiedendo.»
«Jace» sibilò Alec al suo fianco. «Attento a quello che dici.»
«Jace» sibilò Alec. «Attento a quello che dici.»
Jace ritrasse il braccio. «Ci può vedere, Alec» disse. «Sa già fin troppo.»
«E allora, cosa vuoi che faccia di lei?» Isabelle sembrava volesse scuoiarla viva.
«Lasciala andare» disse Jace con noncuranza ignorando la dose di veleno che Izzy aveva nello sguardo.
Izzy lasciò il polso della ragazza che emise un sospiro e si massaggiò il polso.
«Forse dovremmo portarla via con noi» confessò Alec. «Scommetto che a Hodge piacerebbe farci due chiacchiere.» Ah Hodge, il buon vecchio, molto vecchio, Hodge. A lui piaceva chiacchierare con chiunque.
«Non esiste che la portiamo all'Istituto» ringhiò Isabelle. «È una mondana.»
«Ne sei sicura?» disse Jace in un sussurro, poi si rivolse alla mondana «Tu hai mai avuto a che fare con i demoni, ragazzina? Te ne sei andata in giro con gli stregoni? Hai parlato con i Figli della Notte? Hai...»
«Non chiamarmi ragazzina» lo interruppe lei, cosa che meravigliò Jace. «E non ho idea di cosa stia parlando.»
«Clary?» Un gruppo di mondani si era materializzato sulla porta senza che loro se ne accorgessero. Uno era un buttafuori che gli Shadowhunters avevano visto all'ingresso, mentre l'altro, quello che aveva parlato, sembrava un topo appena uscito da una biblioteca, con un orribile taglio di capelli castani, gli occhiali e con tanto di lentiggini. «Tutto bene?»
Il ragazzo si guardò intorno, così Jace ebbe la certezza che non erano loro ad aver sbagliato a tracciare la runa per nascondersi, no, era lei a poterli vedere. «Cosa ci fai qui da sola?» le chiese. «E cosa è successo ai tizi... i tizi con i coltelli?»
La ragazza, Clary guardò prima i mondani e poi i cacciatori, con uno sguardo perplesso. Alec le sorrise e scrollò le spalle, come a prenderla in giro.
Clary si voltò verso il suo amico «Credevo fossero entrati qui» tentò di giustificarsi. «Ma mi sa che mi sono sbagliata. Mi spiace.»
Il mondano sembrava imbarazzato e il buttafuori incazzato, Jace sorrise. «Mi spiace davvero, sì.»
Accanto a lui, Jace sentì Isabelle scoppiare a ridere.
 
 
Jace osservò quella ragazza fino a che non salì sul taxi, 'Clary, cosa sei?' Jace non riuscì a pensare ad altro, per il resto della serata, quando insieme ad Alec ed Izzy si avviò verso l'istituto, iniziò a chiedersi se quella ragazza mondana potesse essere qualcosa di più.
«Secondo voi cos'è?» chiese Isabelle con uno sguardo imbronciato.
«Non può essere una fata» disse Alec «Non è abbastanza Bella. E poi le fate non mentono, quindi se è una fata avrebbe dovuto sapere che quello era un demone.»
«Secondo me lo è» disse Jace a sorpresa.
«Cosa?» Chiese Alec di rimando.
«Abbastanza carina.» rispose Jace con noncuranza, come se fosse un dato di fatto
Alec lo guardò pieno di immensa tristezza. E con rabbia verso quella stupida mondana. «Potrebbe essere una strega.» 'azzeccata' pensò Alec.
«Non credo» concluse Isabelle. «non sembra una figlia di Lilith »
«Potrebbe essere una Nephilim» disse Jace senza voltarsi.
La voce di Alec era intrisa di Veleno «Non essere stupido, lei non può essere una Nephilim.»
Jace parlò in tono annoiato. «E sentiamo, allora che teorie hai? » sorrise a mo' di sfida. «Non è una figlia della notte, è arrossita, quindi ha battito cardiaco, non è una figlia del popolo fatato perché le fate non mentono, non è una figlia della luna perché se no la polvere d'argento sulla frusta di Isabelle le avrebbe ustionato il polso, non è un demone, perché se no il sensore l'avrebbe rilevato, e Non è una mondana, Perché può vederci. Allora signor 'So tutto io' Cos'è Clary?»
Alec non sapeva come rispondere, era sbalordito,Jace aveva ragione, ma non poteva essere una Nephilim. «Se fosse una di noi avrebbe saputo cosa siamo. Non siamo più così tanti Jace, tutti i Nephilim sono alleati del Conclave, o almeno quelli vivi.»
Jace si voltò verso Alec e sorrise «Ho l'impressione che lo scopriremo presto.»

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Capitolo 2
*** Segreti e bugie. (Parte 1) ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo II; Segreti e bugie (Parte I)


L'istituto si ergeva davanti a loro, l'immensa cattedrale con le sue finestre rotte e le porte sigillate col nastro giallo della polizia. Ma ovviamente, era un illusione. La vera facciata dell'istituto era fatta di pinnacoli svettanti della cattedrale, il bagliore spento delle finestre istoriate, la targa d'ottone fissata alla parete di pietra accanto al portone, il nome dell'Istituto inciso su di essa. Ed era casa loro.
Jace viveva in quell'istituto da quando aveva 10 anni, dopo che…
Bloccò il pensiero, non voleva ricordare, non così, non in quel momento. Dei capelli chiari apparsero nei suoi ricordi, dentro la biblioteca della tenuta ad Idris. 'Scosse la testa. Dobbiamo parlare con Hodge.'
Quando uscirono dall'ascensore Church gli corse incontro, Il gatto peloso si strofinò contro gli stivali sporchi di fango di Jace e miagolò.
Jace si abbassò ad accarezzare la testa del gatto «Dov'è Hodge?»
Il gatto si voltò verso la biblioteca «mrauuuf» si acciambellò davanti alla porta russando come un treno.
Jace, Alec ed Isabelle entrarono nell'enorme biblioteca dell'istituto, Hodge Starkweather stava dormendo sbracato sulla scrivania di legno, con un libro come cuscino, i 3 ragazzi risero nel vedere il loro tutore, quando dormiva aveva quasi un aria da ragazzino contento. Se non fosse per la cicatrice che gli deturpava il viso.
Fecero lavoro di squadra e portarono Hodge nella sua stanza, poi ognuno si diresse verso la sua stanza.
Jace chiuse la porta a chiave e si diresse verso la doccia.
Clary, questo nome lo aveva già sentito nelle lezioni sull'erboristeria di base, ma proprio non ricordava cosa diavolo fosse.
Jace uscì dalla doccia in una nuvola di vapore, optò per un pigiama qualunque e si gettò alla ricerca del volume di sull'erboristeria di base, gettò il pesante libro sul letto e aprì la pagina sull'indice.
Jace trovò ciò che stava cercando.
Clary Sage. Anche chiamata 'salvia sclarea'. La leggenda dice che mangiando i semi di quell'erba si potessero vedere le fate.
Forse c'era un collegamento. Ma Clary non aveva visto delle fate, Aveva visto gli Shadowhunters, 'I paladini dell'oscurità' qualcuno li definiva, ma Jace sapeva che erano soltanto stronzate. Gli Shadowhunters erano i figli dell'angelo costretti a salvare i mondani dai demoni e amministrare i Nascosti 'vivaci'. Insomma erano sempre quelli in mezzo.
E Jace, era un ottimo cacciatore, quello che aveva ucciso più demoni alla sua età, il più veloce, il più furbo, il più forte, ma se era davvero tutte queste cose, come mai quella sera si era quasi fatto uccidere da uno stupido demone mutaforma?
La risposta era chiara come il sole, si era fatto distrarre da lei.
Da quella mondana.
Da Clary.
Si addormentò Così, con il libro sul letto e con Clary in mente.

«Dimmi l'ultima cosa che ti aspetteresti di vedere.» Jace stava pigramente giocando con un cordone della tenda della biblioteca, erano le cinque del pomeriggio ed era appena ritornato dal giro d'ispezione.
Hodge, per tutta risposta, trasalì. «Che succede, Jace?»
«Ieri sera ho visto una mondana.»
Hodge alzò gli occhi al cielo. «Per l'angelo, che notizia.»
Jace si alzò. «E lei ha visto me.»
Ad Hodge cadde il libro dalle mani, si girò verso Jace con il viso sconvolto, ma non disse nulla.
Invece, fu Jace a parlare. «E' la stessa faccia che ho fatto io» scoppiò a ridere nel vedere la faccia di Hodge.
«Jace pensa sia una Nephilim» disse Alec dal divano, Hodge non sembrava voler dire nulla.
«potrebbe essere, no?»
Hodge sembrò tornare in se. «Non credo, Al conclave nessuno ha annunciato cacciatori rinnegati, né scomparsi.»
«Ma lei è una ragazza» rispose Jace «Magari non sa nulla del conclave. Magari un orfana.»
«Non credo, se no sarebbe in un orfanotrofio di Idris.»
«Forse sarebbe meglio andare a cercarla, e portarla qui. Così tu potrai farci due chiacchiere.» Jace usò il tono di chi la sa lunga, come per dire 'Ti prego Manda me a cercarla' ma mai in vita sua Jace avrebbe detto Ti prego, mai.
«Non so, è pur sempre una mondana.»
«Forse no.»
«Ma comunque sia è cresciuta come tale. Chi dice che non andrà in giro a raccontare tutto su di noi?»
«Mi prendo la responsabilità assoluta delle sue azioni.» Disse Jace a sorpresa di tutti.
«Non lo so, Jace.»
«Lo prendo come un si.» si diresse verso la porta con un gran sorriso sulle labbra, alzando una mano a mò di saluto. «Tornerò con Clary»
Quando richiuse la porta dietro di se, Alec e Hodge si scambiarono un occhiata sconvolta. : «Ha anche imparato il suo nome» disse Hodge.


Jace era davvero bravo in questo genere di cose, cose che nel mondo dei mondani sarebbero reati - piccole sciocchezze, come uccisioni e spionaggio - ma, per l'angelo se era bravo. Era riuscito a trovare Clary, la sua casa era nella parte ricca della città, in quello chiamato 'Il viale degli artisti.' Lei era in casa, lo sapeva. Ma non voleva entrare, non così. Cosa avrebbe detto ai genitori di dannatamente intelligente?
"Salve sono Un Nephilim e volevo sapere se per caso lo siete anche voi e vostra figlia, ma solo per una mia curiosità morbosa." Ovviamente avrebbe avuto la faccia tosta di fare una cosa del genere, ma non voleva dare troppa spiegazione a dei mondani, voleva sapere solo di lei.
Vide il Mondano che aveva visto quella sera al Pandemonium, il ragazzo che l'aveva chiamata per nome, La mente di Jace collegò la sua immagine a quella di un topo da biblioteca che passava tutto il suo tempo o a studiare o a leggere fumetti. Jace sorrise.
Comunque sia, il mondano stava entrando in casa e pochi minuti dopo eccolo di nuovo lì, con Clary, Jace uscì dal suo nascondiglio tra le rose e li seguì, facendo molta più attenzione del dovuto per non farsi sentire/vedere da lei, percorsero un breve tratto di strada e arrivarono in caffè dall'aria orribile chiamato Java Jones.
I mondani entrarono e Jace si soffermò qualche minuto fuori per controllare il sensore, dopo essersi assicurato dell'assenza di demoni (un po' triste in realtà) entrò anche lui. Sul palco un mondano dall'aria idiota stava recitando una poesia orrenda che parlava di lombi che dovevano venire e tormenti turgidi. Certo che i mondani erano proprio strani.
E alla fine la vide, Seduta in un divanetto di un orribile verde che rideva con il suo amico, aveva l'aria allegra e appagata, stava bene.
Jace provò un piccolo moto di tristezza, scosse la testa e si sedette nel divanetto dietro quello di Clary. A quanto pare non l'aveva ancora visto.
Questa era un'altra cosa da aggiungere alla lista del 'Non si fa' ma Jace si mise a origliare.
«C'è una cosa di cui ti volevo parlare.» Fece il mondano
«Le Talpe Furiose non mi sembra un buon nome per la band» disse Clary in tutta risposta.
«Non era questo, Riguarda la cosa di cui stavamo parlan-do prima. Il fatto che io non ho una ragazza.» 'Le opzioni sono due' pensò Jace sghignazzando 'Ho ha magicamente scoperto di essere gay o si è finalmente accorto di essere innamorato di lei'.
«Be', non saprei. Prova a chiedere di uscire a Jaida Jones. E' simpatica e tu le piaci.» Povera ragazza, deve avere qualche problema.
«Non voglio uscire con Jaida Jones.» Jace vagliava ancora l'ipotesi Gay. Magari avrebbe potuto presentargli il nascosto che la settimana prima lo aveva invitato a casa per 'Discutere sugli accordi'. Sorrise.
«Perché no?» chiese Clary «Non ti piacciono le ragazze intelligenti? Vuoi una con un corpo da paura, come dici tu?»
«No» Il mondano era nervoso. Cominciava a diventare più interessante. «Non voglio chiederle di usci-re perché non sarebbe giusto nei suoi confronti.»
«Perché no?» Era proprio testarda, non si rende conto che quello stupido modano se la mangia con gli occhi.
Jace distolse lo sguardo da lei, lo stava facendo anche lui, d'altro canto.
«Perché mi piace un'altra persona» rispose lui dopo una pausa. Aveva assunto un colorito strano, verdognolo. Oh per l'angelo, questi mondani!
Ahi, una ragazza. 'Chissà poi chi è.' Jace alzò gli occhi al cielo.
«Non sei gay, vero?»
«Se lo fossi mi vestirei meglio.» a quel punto Jace dovette fare una specie di verso rauco per coprire le sue risate, e fu in quel momento che lei si voltò verso di lui. Lo stava sondando con lo sguardo da capo a piede, ma fu interrotta dalla voce del mondano, che adesso stava guardano nella sua direzione con uno sguardo perplesso. «Cosa c'è?»
Ancora con l'aria divertita, Jace alzò la mano e la salutò, poi con calma si alzò e uscì dalla porta, sicuro che lei l'avrebbe seguito.

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Capitolo 3
*** Segreti e bugie. (Parte 2) ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.

 

Capitolo II; Segreti e bugie (parte II)

Jace si appoggiò al muro con la sua solita fascinosa noncuranza, e prese il sensore dalla tasca, controllando ancora una volta le presenze demoniache.

La porta si aprì, e ne uscì Clary, con un aria furiosa. Jace non si era ancora soffermato a guardarla come si deve, I lunghi capelli rossi erano in contrasto con gli occhi verde scuro, il corpo esile e le mani sottili e delicate, incastonate in poco più di un metro e 50. Jace le sorrise. «Le poesie del tuo amico sono spaventose»

L'espressione furiosa lasciò il posto ad una confusa. «Cosa?»

«Ho detto che le sue poesie sono spaventose. Sembra che s'è mangiato un vocabolario e ha iniziato a vomitare fuori le parole a caso.»

«Non me ne frega niente delle poesie di Eric.» Quando si arrabbiava assomigliava ad un gattino furioso, notò Jace. «Voglio sapere perché mi stai seguendo.»

«E chi lo dice che ti sto seguendo?»

«Bel comportamento. E stavi pure origliando. Vuoi dirmi che storia è questa o preferisci che chiami la polizia?»

«Per dire cosa?» tipico dei mondani, appena hanno un problema a correre dalla polizia, un po' come i nascosti facevano con i Nephilim. «Che ci sono dei tizi invisibili che ti danno fastidio? Fidati, ragazzina, la polizia non si metterà ad arrestare gente che non riesce nemmeno a vedere.»

«Non chiamarmi ragazzina, Mi chiamo Clary.»

«Lo so. Bel nome. Come l'erba, la clary sage, la salvia sclarea. Una volta si credeva che mangiando i semi di quell'erba si potessero vedere le fate. Lo sapevi?»

«Non ho la minima idea di cosa stai dicendo.»

«Non sai un granché, vero?» disse Jace. Nei suoi occhi dorati c'era una sorta di indolente disprezzo. «Tu sembri una mondana come tutte le altre, eppure mi vedi. È un bel rompicapo.»

«Cos'è una mondana?»

«Una mortale. Una persona del mondo degli umani. Una come te.»

«Ma anche tu sei umano.» beh, non era proprio esatto.

«Sì» disse lui. «Ma non sono come te.» 'Comunque sia, non mi importa se mi credi o no'

«Tu ti credi migliore di noi» disse Clary. «Per questo ridevi, vero?»

«Stavo ridendo perché le dichiarazioni d'amore mi divertono, soprattutto quando si tratta di amori non corrisposti» disse. «E perché il tuo amico Simon è uno dei mondani più mondani che abbia mai incontrato. E perché Hodge ha detto che puoi essere pericolosa, ma se lo sei non te ne rendi conto.» rise al ricordo.

«Io pericolosa?» Clary lo guardò come fosse ubriaco. «Ti ho visto uccidere una persona, ieri sera. Ti ho visto piantargli un coltello nelle costole e...»

«Io sarò anche un assassino, Ma so quello che sono. Tu puoi dire altrettanto?»

«Io sono un essere umano qualsiasi, proprio come hai detto tu. Chi è Hodge?»

Jace cercò di trovare un modo per scoprire se era una Nephilim o no. E pensò alle rune. Se era o è mai stata una di loro, avrebbe almeno dovuto avere la runa di base sulla mano destra.

«Il mio tutore. E non mi darei dell'essere umano qualsiasi tanto in fretta, se fossi in te.» Si chinò verso di lei, non era al massimo della gentilezza, ma lei aveva il potere di farlo davvero infuriare. «Fammi vedere la mano destra.»

«La mano destra?» ripeté Clary. Lui annuì. «Se ti faccio vedere la mano mi lascerai in pace?»

Sorrise. 'Non lo farò mai.' «Certo.»

Lei gli porse la mano destra, era piccola e delicata e fresca come la notte che li circondava. Non c'era segno della runa.

«Niente. Tu non sei mancina, vero?»

«No. Perché?»

Le lasciò la mano e scrollò le spalle. «La maggior parte degli Shadowhunters vengono marchiati sulla mano destra, o sulla sinistra, se sono mancini come me, quando sono ancora molto piccoli. È una runa permanente che dà un'abilità speciale con le armi.» alzò il palmo sinistro per fargli vedere la runa che ricordava vagamente un occhio.

Clary gli fissò la mano ma sembrava perplessa. «Non vedo niente»

«Rilassa la mente» le suggerì lui. «Aspetta che arrivi da solo. Come se fossi al mare e aspettassi che qualcuno torni in superficie.»

«Tu sei pazzo» disse Clary. Continuò a fissargli la mano "Ci riuscirà." si disse. Quando poi fece un espressione sbalordita Jace sorrise. «Un tatuaggio?»

Lui abbassò la mano. «Lo sapevo che ci saresti riuscita. No, non è un tatuaggio... è un marchio. Sono rune che vengono incise a fuoco sulla nostra pelle.»

«E ti rendono più bravo con le armi?»

«Marchi diversi hanno effetti diversi. Alcuni sono permanenti, ma gli al-tri di solito scompaiono dopo essere stati usati.»

«È per questo che oggi non hai le braccia piene di segni? Neanche se mi concentro?»

«Esatto.» Era fiero di se, era riuscito a dimostrare che lei non era una mondana. «Lo sapevo che avevi almeno la Vista.» Sollevò lo sguardo verso il cielo, il sole stava calando. «È quasi buio. È meglio che andiamo.»

«Andiamo? Avevi detto che mi avresti lasciata in pace!»

"O tu non vuoi che io lo faccia" «Mentivo Hodge ha detto che devo portarti con me all'Istituto. Ti vuole parlare.»

«E perché mi vorrebbe parlare?»

«Perché adesso conosci la verità» disse Jace. «Saranno almeno cent'anni che nessun mondano sa di noi.» Ed ancora così. Disse fra se.

«Di noi?» gli fece eco Clary. «Vuoi dire di quelli come te? Di quelli che credono nei demoni?»

«No, di quelli che li uccidono» E partì con la spiegazione dei Nephilim, dei nascosti e dei demoni. Sembrava suo padre, notò con una punta d'amarezza. , ancora non si era convinta a venire con lui, stava per prenderla di peso quando il suo cellulare squillò.

«Rispondi, se vuoi» le concesse Jace.

Prese il telefonino e lo portò all'orecchio. «Mamma?»

«È tutto a posto, mamma. Sto bene. Torno a casa subito...»

" te lo sogni" pensò Jace.

«Mamma!» urlò Clary nel telefono. «Mamma, stai bene? Chi ti ha trovata? Mamma, hai chiamato la polizia? Hai… Mamma!

Spostò il telefonino e diede un occhiata allo schermo, Diamine, ora lui si era preoccupato. «Clary, che succede?»

poi lo gettò con una violenza che sorprese Jace a terra, «Maledizione!»

«Smettila, cosa succede?»

«Dammi il tuo cellulare» gli urlò lei prendendo il sensore dalla sua tasca interna, il suo tocco lo fece rabbrividire.

«Non è un telefono. È un sensore. E tu non saresti in grado di usarlo.»

Continuava a urlare di chiamare la polizia, quando lui la prese per le spalle e la fermò, guardandola negli occhi. «Prima dimmi cosa è successo, Ti posso aiutare.»

Per tutta risposta lei gli ficcò le unghie nel viso, Jace scattò all'indietro dal dolore e lei scappò.

«Oh per l'angelo.» mormorò, poi si lanciò all'inseguimento.

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Capitolo 4
*** How to save a life. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.


Capitolo III; How to save a life.

 

Inseguire i mondani non era per niente divertente, specie in notti afose come queste. l'umidità stava appiccicando i capelli al viso del giovane mentre stava correndo a tutta velocità verso La casa di Clary.

Arrivato all'appartamento smise un poco di preoccuparsi. La casa da fuori sembrava a posto, ma non né poteva essere certo dato che Clary gli aveva preso il sensore.

Entrò nel piccolo androne del condominio e le sue speranze scemarono, la luce era fulminata, no. Era stata spaccata la lampadina.

Salì per le scale ma una parola che non poteva ignorare lo aveva fatto fermare.

Qualcuno aveva detto «Nephilim.»

Si voltò a metà del pianerottolo, sulla porta di un appartamento c'era una donna abbastanza anziana, con un accappatoio rosso parecchio brutto ed una sottospecie di turbante, stravaccata su una poltrona.

«Chi sei?» chiese Jace.

«Il mio nome è Madame Dorothea, e sono una figlia dei Lilith. Cosa ci fa qui un Nephilim?»

«Sto cercando Clary.» ammise, un po' colpevole.

«Perché?»

«Non credo siano affari suoi, signora. E comunque sia, non credo che lei sia una figlia dei Lilith.»

Madame Dorothea scoppiò a ridere. «Complimenti caro.»

«Come fa a vedermi, se non è una nascosta?»

«La vista non è solo per chi vuole nascondersi, mio caro.»

Jace stava per replicare quando un urlo squarciò la notte, riconobbe la voce e salì come un razzo al piano di sopra.

La porta era aperta ed entrava un fascio di luce gialla, silenziosamente entrò e quello che vide gli fece accapponare la pelle -cosa che non succedeva mai.-

Clary era sdraiata a pancia in giù, in una pozza di quello che sembrava il suo sangue, accanto a lei, cosparso del suo stesso orribile sangue nero c'era un demone divoratore in preda alle convulsioni si ritirò in se stesso e sparì.

Non si soffermò a guardare le condizioni dell'appartamento, ma si gettò in ginocchio per controllare se fosse viva.

Era svenuta, ma non le rimaneva molto tempo, il divoratore l'aveva avvelenata, un ora al massimo e sarebbe morta, Molto delicatamente, come fosse di carta velina la prese in braccio e la portò giù nel giardino, l'adagiò con cura a terra per nasconderla dalla polizia appena arrivata, Probabilmente chiamata dai vicini.

Il rumore della sirena la svegliò, e quando lo guardò negli occhi, Jace vedeva quanto soffrisse.

Strappò un pezzo della sua manica e l'avvolse intorno alla ferita. «Non muoverti.»

Lei disobbedì e voltò la testa di lato, ma a quanto pare si era fatta male, sorrise.

Stava cercando di mettersi a sedere, ma non ci riuscì. Jace la rimise delicatamente a terra. «Ti ho detto di non muoverti, Il Divoratore ti ha colpito alla nuca. Era mezzo morto, per cui non è stata una gran puntura, ma dobbiamo portarti all'Istituto. Stai ferma.»

«Quella cosa... il mostro... parlava.» era in preda agli spasmi, il veleno stava salendo.

E di cosa? Del tempo? «Hai già sentito parlare un demone.»

«Il demone del Pandemonium... sembrava una persona.» Ed era per questo che l'aveva seguito, voleva fare la cosa giusta.

«Era un Eidolon. Un mutante. I Divoratori sono come sono. Non proprio una bellezza, ma sono troppo stupidi per badarci.» disse un Jace saccente.

«Ha detto che mi avrebbe mangiata...» chiuse di nuovo gli occhi, la guancia bagnata delicatamente da una lacrima.

«Ma non lo ha fatto. Lo hai ucciso.» con mia grande sorpresa, aggiunse Jace tra se e se. Si mise a sedere.

«È arrivata la polizia.» la voce di Clary era diventata più roca. «Dovremmo...»

«Loro non possono fare niente. Probabilmente qualcuno ti ha sentito gridare e li ha chiamati. Dieci a uno che quelli non sono veri poliziotti. I demoni sono molto bravi a cancellare le loro tracce.»

«Mia mamma...» cominciò Clary, ma non riuscì a proseguire.

«Al momento hai nelle vene il veleno del Divoratore. Se non vieni con me morirai nel giro di un'ora.» Si alzò e le tese le mani per aiutarla a mettersi in piedi. «Ce la fai a camminare?»

«Credo di sì.» Clary si guardò intorno, si soffermò a guardare un demone travestito da poliziotta, «La sua mano...»

«Te l'ho detto che potevano essere demoni.»Distolse lo sguardo per cercare una via di fuga. «Dobbiamo andarcene da qui. Si può passare dal vicolo?»

Fece cenno di no. «È chiuso da un muro. Non si può...» cominciò a tossire e lui sentì l'odore del sangue. «Jace...» implorò.

Non aveva altra scelta, doveva fare la prova definitiva. Prese in fretta lo stilo dalla tasca e le afferrò delicatamente il polso, disegnò più in fretta che poteva la runa di invisibilità e le lasciò il polso. Alzò lo sguardo verso di lei, non si contorse dal dolore, non morì, non diventò una dimenticata. Jace sorrise, aveva ragione. «A cosa serve?» chiese lei.

«Ti nasconderà, Per il momento.» posò lo stilo nella tasca dei pantaloni, lei lo guardò confusa. «È il mio stilo»

Lei non rispose, ma non riusciva più a reggersi in piedi. Si lasciò cadere verso di lui, grazie ai suoi riflessi da cacciatore la prese al volo. Lei mormorò il suo nome con la gratitudine evidente nella voce roca.

Jace fece un sorriso gigante mentre le sussurrava all'orecchio «La considero un alleanza.» Saltò il muro, dirigendosi spedito verso l'istituto.

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Capitolo 5
*** Il conclave e l'alleanza. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.

 

Capitolo IV; Il conclave e l'alleanza.

 

La faccia di Hodge quando Jace entrò all'istituto con una sanguinante Clary in braccio era sconvolgente, era un misto tra rabbia, furia e paura.

Era comprensibile, Il sangue aveva macchiato praticamente qualunque cosa, Hodge non la smetteva più di urlare.

«Sei così testardo!» oppure «Esci a portare una mondana qui e non sei capace farla tornare integra.» o «Guarda cos'hai combinato!»

Non la smetteva più di blaterare.

«Ha ucciso un divoratore, da sola. Ecco perché è in queste condizioni.»Lo interruppe Jace per farlo smettere di blaterare.

Hodge lo guardò con un aria stupita. «Non sei stato tu a salvarla?»

«Stavamo parlando quando ha ricevuto una telefonata ed è scappata, Quando l'ho ritrovata era sdraiata a terra con il divoratore addosso.»

La posò delicatamente sul letto dell'infermeria. «Isabelle! Isabelle lo so che ci sei vieni qui!»

«Che c'è?» chiese Isabelle dalla porta, poi sembrò accorgersi di Clary sdraiata sul letto. «Cos'hai combinato?»

Lui la ignorò. «Aiutami a svestirla, devo bruciare gli abiti contaminati dal veleno.»

Senza una parola isabelle l'aiutò. «E' stata avvelenata da un divoratore, non molto però.» Lanciò un occhiata ad Hodge. «Buon lavoro.»

Jace prese i vestiti e li portò al camino che c'era nella biblioteca e li gettò senza esitazione.

«Cosa hai scoperto?» era Alec.

«Che avevo ragione.» Si voltò e uscì di gran carriera dalla biblioteca.

 

Erano passati 3 giorni, ed ancora nessuna novità, Jace continuava a chiedersi se quello stupido demone non l'avesse uccisa, o se fosse stato lui con la runa, non lo aveva ancora detto a nessuno, ma se fosse morta ce l'avrebbe avuta sulla coscienza per tutta la vita. In più si sarebbe anche tormentato per sapere se era una Nephilim o no. Non era mai andato a controllare le sue condizioni, non era andato in biblioteca né fatto alcunchè da quando era tornato all'istituto con Clary.

Quando voleva pensare si rinchiudeva sempre nella sala della musica a suonare il pianoforte. Lo rilassava.

Era stato suo padre, anni prima a insegnargli lo strumento, ricordava perfettamente le bacchettate sulle mani quando sbagliava e che quando era piccolo odiava alla follia quello strumento. Adesso invece lo faceva sentire vicino a suo padre.

Dei passi familiari lo riportarono alla realtà, alzò lo sguardo ma nell'oscurità della stanza non riuscì a distinguere la figura, forse era Alec.

«Alec?» disse. «Sei tu?»

«No, non è Alec. Sono io.» dalla porta aperta entrò un po'di luce e Jace potè distinguere l'esile figura di Clary raggiungerlo al pianoforte.

«Clary?» disse mentre si alzava in piedi. Nella voce tentò il più possibile di nascondere la felicità nell'averla vista sana e salva. «La nostra bella addormentata. Chi ti ha baciata?»

«Nessuno. Mi sono svegliata da sola.» Era impossibile scherzare con quella ragazza.

«C'era qualcuno con te?»

«Isabelle, ma è andata a chiamare qualcuno... Hodge, credo. Mi ha detto di aspettarla in camera, ma...» sembrava in imbarazzo.

Finì Jace la frase per lei. «Avrei dovuto avvisarla che tu hai l'abitudine di non fare mai quello che ti dicono.» Poi la squadrò. Aveva i capelli tutti arruffati ed i vestiti -Probabilmente quelli di Isabelle- le stavano molto grandi tanto da farla sembrare un clown. «Quelli sono vestiti di Isabelle? Addosso a te sono ridicoli.»

«Forse se tu non avessi bruciato i miei vestiti...»

«Una precauzione indispensabile.» chiuse la ribaltina lucida del pianoforte, sfiorandola delicatamente. «Vieni, ti porto da Hodge.»

 

 

Clary sembrava una bambina che vedeva per la prima volta un museo, sempre con il naso in su stupefatta da quello che vedeva, Jace la osservava sorridente, incapace di smettere di fissarla.

«Perché qui ci sono così tante stanze da letto? Credevo fosse un istituto di ricerca.» chiese con un tono molto saccente.

«Questa è l'ala residenziale. Abbiamo l'obbligo di offrire un riparo e un letto a qualsiasi Cacciatore lo chieda. Possiamo ospitare fino a duecento persone.»

«Ma la maggior parte delle stanze sono vuote.»

«La gente va e viene. Nessuno resta a lungo. Di solito ci siamo solo noi: Alec, Isabelle, Max, i loro genitori» Esitò un po'. «e io e Hodge.»

«Max...?»

«Hai conosciuto la fascinosa Isabelle, giusto? Alec è suo fratello maggiore. Max è il più giovane, ma è oltreoceano coi suoi genitori.»

«In vacanza?»

«Non proprio.» Jace esitò. «Puoi pensare a loro come a... diplomatici stranieri.»Non voleva veramente dirgli che i Lightwood erano 'quasi' stati esiliati da Idris, avrebbe cominciato a fare troppe domande. A tempo debito. «E questa sarebbe una specie di ambasciata. Al momento sono nel paese d'origine degli Shadowhunters e stanno lavorando a dei negoziati di pace molto delicati. Hanno portato Max con loro perché è troppo giovane per restare qui.» 'Con Hodge' aggiunse fra se e se.

«Come si chiama?»

«Idris.» Il tono nostalgico era evidente nella sua voce, rivide nella sua mente il paesaggio di Alicante, le verdi colline della guardia da cui si potevano vedere le torri antidemoni, così alte che sembravano bucare il cielo.

Le sue fantasie vennero interrotte dalla voce di Clary. «Mai sentito.»

«Certo che no.» L'arroganza era molto accentuata nella sua voce. «I mondani non ne sanno niente. Ci sono delle protezioni... degli incantesimi di difesa... ai suoi confini. Se tu provassi a entrare a Idris, saresti semplicemente trasportata istantaneamente da un confine all'altro. E non te ne accorgeresti neppure.»

«Quindi non è su nessuna mappa?»

«Non su quelle dei mondani. Per quello che ti può servire, puoi considerarlo un piccolo paese tra la Germania e la Francia.»

«Ma non c'è niente tra la Germania e la Francia. A parte la Svizzera.»

«Appunto, Idris è a nord della Svizzera.»

«Immagino che tu ci sia stato. A Idris, voglio dire.»

Jace esitò un po' nel rispondere, la nostalgia di Alicante si faceva sentire sempre di più. «Sono cresciuto lì.» disse con voce incolore. «È così per la maggior parte di noi. Naturalmente ci sono Shadowhunters in tutto il mondo. Dobbiamo essere dappertutto, perché i demoni agiscono dappertut-to. Ma per un Cacciatore Idris è sempre "casa".»

«Come la Mecca o Gerusalemme» disse Clary soprappensiero. «Quindi la maggior parte di voi cresce lì e poi, quando crescete...»

'E poi veniamo allontanati dalla nostra casa.' «Veniamo mandati dove c'è bisogno di noi» tagliò corto Jace. «E poi ci sono quelli come Isabelle e Alec che crescono fuori dal nostro paese per stare insieme ai propri genitori. Con tutte le risorse dell'Istituto, con l'addestramento di Hodge...» Si interruppe. «Ecco la biblioteca.»

Church miagolo accanto alla porta. «Ciao, Church» lo accarezzò come piaceva a lui.

«Aspetta» disse Clary e Jace si voltò verso di lei. «Alec e Isabelle e Max... sono gli unici Cacciatori della tua età che conosci? Gli unici con cui passi il tempo?»

«Sì.» si sentiva un po' sorpreso dalla domanda.

«Ti sentirai solo.»

Jace non sapeva cosa rispondere, qualcosa nel suo tono lo aveva sciolto come gelato al sole.

«Ho tutto quello che mi serve.» spalancò la porta la porta della biblioteca e Clary entrò senza dire una parola.

 

Dietro la scrivania - come sempre - C'era Hodge, che non aveva occhi che per Clary, che intanto era a naso allinsù contemplando la collezione di libri di Hodge. «Vedo che ti piacciono i libri» disse Hodge a Clary. «Questo non me lo avevi detto, Jace.»

Con tutto ciò che era successo, di certo non avevano parlato di libri, Jace ridacchiò. «Non abbiamo parlato molto nel corso della nostra breve frequentazione» disse. «Temo che abbiamo tralasciato di discutere delle nostre abitudini di lettura.»

Clary gli lanciò un occhiataccia, cosa che lo fece ridere più forte.

«Come ha fatto a capirlo?» chiese ad Hodge. «Che mi piacciono i libri, voglio dire.»

«Dall'espressione che avevi quando sei entrata» spiegò lui, alzandosi in piedi. «Chissà perché, ma ho pensato che non fossi io il motivo di tanta ammirazione.»

Lo sguardo di Clary si posò sul corvo sulla spalla di Hodge, Jace potè vedere un accenno di paura.

«Lui è Hugo.» Hodge accarezzò le penne del maestoso uccello. «E' un corvo, e in quanto tale sa molte cose. Io invece sono Hodge Starkweather, insegnante di storia, e in quanto tale non so quasi nulla.» Le tese la mano.

Lei la strinse con un sorriso «Clary Fray.»

«Sono onorato di fare la tua conoscenza» disse lui. «Come lo sarei di fa-re la conoscenza di chiunque sia in grado di uccidere un Divoratore a mani nude.»

Clary arrossì. «Non l'ho ucciso a mani nude, È stato il... quel coso di Jace... non ricordo come si chiama, ma...»

«Il mio sensore» intervenne Jace. «Lo ha ficcato in gola alla creatura. Le rune devono averlo soffocato. Credo che me ne serva uno nuovo» sorrise alla ragazza. 'Idea geniale' disse fra se. «Avrei dovuto dirlo prima.»

Nella vita Jace aveva imparato una lezione fondamentale dell'essere un cacciatore. Qualunque cosa può essere un arma, ma era la prima volta che un divoratore era fatto secco da un sensore. Clary era geniale.

«Ce ne sono alcuni nell'armeria» disse Hodge, poi si rivolse a Clary «Sei stata brillante. Come ti è venuto in mente di usa-re il sensore come arma?»

Disse dando voce ai suoi pensieri.

Clary aprì bocca per rispondere, ma fu interrotta dalla risata di Alec dalla poltrona. «Non posso credere che tu ti sia bevuto questa storia»

«Non capisco cosa vuoi dire, Alec.» Hodge sembrava irritato.

«Certo che non è stata lei. Guardala, è una mondana, Hodge, e per di più una ragazzina. Non esiste proprio che sia riuscita a far fuori un Divorato-re.» Alec la guardava con un ostilità tale da far paura.

«Non sono una ragazzina» disse Clary a sorpresa. «Ho sedici anni... be', li avrò domenica.»

«La stessa età di Isabelle» disse Hodge. «Isabelle ti sembra una bambina?»

«Isabelle viene da una delle più grandi dinastie di Cacciatori della storia, Questa ragazza invece viene dal New Jersey.»

E tu che ne sai? Chiese mentalmente Jace.

«Sono di Brooklyn» lo corresse non proprio in maniera gentile.

. «E con questo? Ho appe-na ucciso un demone a casa mia e tu mi vieni a rompere le scatole solo perché non sono una ragazza ricca e viziata come te e tua sorella?»

Alec ed Hodge erano sbalorditi, Jace faticava a trattenere le risate. «Cosa hai detto?» Alec sembrava pronto a saltarle addosso e prenderla a pugni.

«Sono felice che questa conversazione sia iniziata sotto i migliori auspici.» disse Jace. «La ragazza non ha torto, Alec. C'è un sacco di attività demoniaca, nei sobborghi. Dobbiamo sempre prestare molta attenzione ai demoni pendolari...»

«Non è divertente, Jace» lo interruppe Alec alzandosi furioso. «Hai intenzione di permettere che se ne stia lì a insultarmi?»

Si avrebbe voluto dire, ma si trattenne, anzi no. «Sì» rispose molto tranquillamente. «Ti farà bene... Cerca di considerarla una prova di resistenza.»

«Saremo anche parabatai» disse secco Alec «ma la tua sfrontatezza sta mettendo a dura prova la mia pazienza.» sembrava aver dimenticato le altre persone nella stanza guardava solo Jace in maniera furente.

Ah, ora si giocava la parte del Parabatai? Va bene. Allora l'avrebbe fatto davvero infuriare. «E la tua cocciutaggine sta mettendo a dura prova la mia. Quando l'ho trovata era a terra in una pozza di sangue con un demone praticamente addosso. Se non l'ha ucciso lei, chi è stato?»

«I Divoratori sono stupidi. Forse si è colpito da solo il collo con il suo stesso pungiglione... Non sarebbe la prima volta...»

«Mi stai dicendo che si è suicidato?»

«Non è giusto che lei sia qui. I mondani non sono ammessi all'Istituto, Jace, e ci sono ottime ragioni, per questo. Se qualcuno lo venisse a sapere, verremmo denunciati al Conclave. L'unica ragione per cui Hodge ti ha consentito di portarla qui è perché tu hai detto che ha ucciso quel demone.»

«Non è del tutto vero» Disse Hodge. «La Legge ci consente di offrire rifugio ai mondani in determinate circostanze. Un Divoratore ha attaccato la madre di Clary... e lei poteva benissimo essere la prossima.»

Clary rabbrividì.

«I Divoratori sono macchine da guerra» replicò Alec. «Agiscono al comando di stregoni o di potenti signori dei demoni. Che interesse potrebbe avere uno stregone o un signore dei demoni verso una qualsiasi famiglia di mondani?» poi si rivolse a lei, con lo sguardo pieno di disprezzo.

«Qualche suggerimento?»

Si limitò a dire. «Deve essere stato un errore.»

«I demoni non fanno quel genere di errori. Se hanno attaccato tua madre, deve esserci stata una ragione. Se lei fosse stata innocente...»

«In che senso innocente?» sembrava aver riacquistato la grinta.

Infatti Alec balbetto un Io molto sconnesso.

«Quello che intende dire» intervenne Hodge «è che è del tutto insolito che un demone potente, un demone che potrebbe avere ai propri ordini pa-recchi demoni inferiori, si interessi agli affari degli esseri umani. Nessun mondano può evocare un demone - non ne avrebbe il potere - ma ci sono stati dei pazzi disperati che hanno trovato una strega o uno stregone che lo facesse per loro.»

«Mia madre non conosce nessuno stregone. Non crede neanche alla magia.» però aggiunse «Madame Dorothea... vive al pia-no di sotto... lei è una strega. Forse i demoni stavano cercando lei e hanno attaccato mia mamma per sbaglio...»

Oh, dolce e ingenua Clary. Non tutti quelli che si definiscono, o sono definite Streghe lo sono per davvero. «Una strega vive al piano sotto casa tua?» chiese Hodge sconvolto.

«È una copertura... una falsa strega» disse Jace. «Ho già indagato. Uno stregone non avrebbe alcun motivo di interessarsi a lei, a meno che non abbia una passione per le sfere di cristallo tarocche.»

«E così ci ritroviamo al punto di partenza. Direi che è giunto il momento di fare rapporto al Conclave»

NO. «No!» urlò Jace, ma dagli sguardi che ricevette abbassò un po' il tono. «Non possiamo.»

«Tenere segreta la presenza di Clary qui aveva senso finché non sapevamo se si sarebbe ripresa» disse Hodge. «Ma adesso sta bene, ed è la prima mondana a varcare la porta dell'Istituto da più di un secolo. Conosci le regole sulle conoscenze dei mondani a proposito degli Shadowhunters, Jace. Il Conclave deve essere informato.»

«Assolutamente» Evidentemente felice che lei se ne andasse. «Potrei mandare un messaggio a mio padre...»

Doveva dirglielo, anche se tutti si sarebbero incazzati con lui, ma non poteva permettere che lei se ne andasse.

«Non è una mondana» Disse come in un sussurro. Tutti si voltarono verso di lui, sconvolti.

«Sì che lo sono» disse Clary.

«No, Non lo sei.» poi si rivolse ad Hodge. «La notte scorsa... c'erano dei demoni Du'sien vestiti da poliziotti. Dovevamo evitarli. Clary era troppo debole per correre e non c'era tempo per nascondersi... sarebbe morta. Così ho usato il mio stilo... e le ho messo una runa mendelin all'interno del braccio. Ho pensato...» Hodge picchiò la mano sulla pesante scrivania di legno. «Sei pazzo?» urlò «Lo sai cosa dice la Legge sul fatto di marchiare i mondani! Tu... tu più di chiunque altro dovresti saperlo!» Hodge aveva toccato un tasto nolente, ma doveva andare avanti, non poteva permettere che Denunciasse Clary al conclave.

«Ma ha funzionato» come se fosse la cosa più normale del mondo. Si voltò verso di lei. «Clary, fa vedere il braccio.»

Con una certa riluttanza Clary alzò lentamente il braccio. La leggera cicatrice lasciata dal marchio era diventata argentea. «Vedete, è quasi andato, E non le ha fatto alcun male.»

«Avresti potuto trasformarla in una Dimenticata!» Hodge non era proprio in grado di gestire la rabbia.

Alec invece, sembrava sul punto di svenire. «Non ci posso credere, Jace. Solo i Cacciatori possono ricevere i marchi dell'Alleanza... Un mondano morirebbe...»

«Ma lei non è una mondana, lo capisci o no? Il che spiega anche perché ci poteva vedere. Deve avere del sangue del Conclave.» Era davvero fiero di se, anche se poteva rischiare di essere buttato fuori dal conclave doveva farlo. Per lei.

Clary rabbrividì, Jace ebbe lo strano impulso di andare a stringerla, farle sapere che andava tutto bene. Anche se poi non era così. «Ma non è così. Non è possibile.» stava dicendo Clary.

«Deve esserlo» disse Jace voltandosi. «Se non fosse così, il marchio che ti ho fatto sul braccio...»

Hodge lo zittì in malo modo, cosa che -per quanto strano possa essere - lo fece arrossire.

«Ma ho ragione, no?E questo spiega anche quello che è successo a sua madre. Se era una Cacciatrice in esilio poteva avere dei nemici negli Inferi.»

«Mia madre non è mai stata una Cacciatrice!» sbottò clary urlando. Sembrava trattenere a stento le lacrime.

«Allora tuo padre» replico lui. «Cosa mi dici di lui?»

Jace in quel momento si accorse che nella stanza era come se ci fossero solo lui e Clary. O almeno per lui era così. Gli importava solo che lei stesse bene, e non voleva allontanarsi da lei. Voleva scoprire quel che era successo alla madre, voleva aiutarla, voleva salvarla, ma a differenza di tutte le altre ragazze che Jace aveva conosciuto in vita sua, Clary non aveva l'istinto della 'Principessa in pericolò'. Ed era questo ad aver fatto scattare Jace.

O forse era qualcos'altro? Si chiese mentre lei gli lanciava un occhiataccia. Che paura. «È morto. Quando ero piccola.»

Jace fece una smorfia. Beata lei. Non aveva mai conosciuto il padre, lui non l'aveva mai presa in braccio né tantomeno frustata con la cintura.

Non che gli mancassero le frustate, ma in compagnia di Clary, Jace riusciva a sentire un po' più di nostalgia verso suo padre.

«È possibile, Se suo padre era un Cacciatore e sua madre una mondana, be', sappiamo tutti che è contro la Legge sposare un mondano. Forse erano latitanti.» disse Alec un po' incerto.

«Mia madre me lo avrebbe detto» rispose Clary pronta, ma dallo sguardo Jace capì che non ci credeva nemmeno lei.

«Non necessariamente» le rispose Jace. «Abbiamo tutti dei segreti.»

«Luke» disse Clary. «Il nostro amico. Lui lo saprebbe.» si guardò in giro con aria colpevole. «Sono passati tre giorni... deve essere impazzito per la preoccupazione. Posso chiamarlo? C'è un telefono qui?» Si voltò verso Jace. «Per favore.»

Lui esitò un po'. E se questo Luke l'avesse portata via da lui? Si voltò verso Hodge, che scrollò le spalle e le indicò il telefono nero sulla scrivania.

Lei corse verso la scrivania e in tutta fretta compose il numero, «Luke!» disse. «Sono io, Clary.»

«Sì, Scusa se non ti ho chiamato prima. Luke, mia mamma...»

Jace la guardò per tutto il tempo, come cambiava espressione ad ogni frase. Dal sollievo alla paura, dall'angoscia alla preoccupazione. Studiava le sue espressioni per capire se poteva rimanere. In quel momento era l'unica cosa che volesse.

Ad un certo punto vide delle lacrime nei suoi occhi ed il suo cuore si strinse.

Riattaccò piano il telefono al ricevitore mentre si passò una mano tra i capelli.

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Capitolo 6
*** I dimenticati ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo V; I dimenticati

 

Jace, che era appoggiato sul bracciolo della poltrona di Alec, stava guardano Clary con nuovi occhi.

Dalla faccia che aveva fatto al telefono aveva capito che Questo Luke aveva portato buone notizie, né tantomeno avesse voglia di aiutarla.

«Mi sembra di capire che non fosse molto contento di sentirti.»

Lei alzò lo sguardo su di lui, ma non disse nulla. Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.

«Penso che farò una chiacchierata con Clary, Da solo» disse Hodge.

Alec si alzò con disinvoltura dalla poltrona. «Va bene. Pensaci tu.»

Jace, invece, non accennava nemmeno ad andarsene. Non voleva. «Non è giusto! Sono stato io a trovarla. Sono stato io a salvarle la vita!»

Hodge gli stava dicendo con gli occhi di sparire, così si rivolse a Clary «Tu preferisci che io resti qui, vero?»

Lei, per tutta risposta distolse lo sguardo. Diamine, non voleva ammetterlo e non lo avrebbe mai ammesso ad anima viva, Ma essere rifiutato in quella maniera da una ragazza faceva un male cane.

E Jace Wayland in tutta la sua vita non era mai stato rifiutato da una ragazza. Mai.

Alec al suo fianco, rise. «Non tutti ti vogliono sempre attorno, sai, Jace?» disse.

Jace lo guardò storto. «Non essere ridicolo» tornò a guardare La ragazza.«Va bene. Noi andiamo in armeria.»

Jace uscì in tutta fretta dalla biblioteca e si diresse spedito in armeria con Alec al suo fianco.«C'è sempre una prima volta Jace.» Tratteneva a stento le risate l'idiota. «Tu sei stato appena rifiutato.»

«Chiudi il becco.» non si trattenne però, scoppiò a ridere entrando in armeria.

 

«Non capisco perché non mi volesse lì.» Jace stava scegliendo una spada angelica dalla parete, ma non riusciva a concentrarsi. «Le ho salvato la vita, l'ho portata qui, le ho provato che è Una Nephilim e poi sono anche bellissimo. Diavolo, quella ragazza mi farà uscire di testa.»

Alec aprì la bocca per rispondere, ma lui fu più veloce. «E inoltre non fa mai quello che le viene detto. E' testarda e a volte un po' ingenua. Oooh e per non parlare dell'amichetto mondano che se cerchi 'Ridicolo' nel dizionario ti porta una sua foto accanto.» Si sedette di fronte ad Alec con 3 diverse spade angeliche. Nuovamente Alec fece per rispondere ma fu interrotto. «E andiamo Alec! Sei il mio Parabatai. Dì qualcosa!»

Alec non disse nulla,arrossì si limitò a sorridergli con aria un po' triste, Jace non seppe interpretare quel senso di tristezza, ma capì cosa Alec stesse tentando di dirgli. Lui però non voleva ammetterlo.

La porta si aprì silenziosamente e Clary entrò nella stanza. Era ancora preoccupata ma sembrava più tranquilla, più serena. Ma a lui non importava. No? «Dov'è Hodge?» chiese come se fosse la cosa più importante al mondo.

«Sta scrivendo ai Fratelli Silenti.» voce neutra uscì da un viso curioso, stava squadrando le spade non invocate sul tavolo con aria perplessa.

Alec rabbrividì, l'unica volta che aveva visto i fratelli silenti è stato a 11 anni, quando vennero all'istituto per Jace. Quei Nephilim mutilati e orribili lo avevano terrorizzato e non dormì per una settimana. In fondo Alec era solo un bambino. Adesso stava guardando Clary e Clary guardava ancora le spade, Jace non sapeva se stesse evitando gli sguardi dei due ragazzi o si stesse scervellando per capire cosa fossero le bacchette sul tavolo.

Si avvicinò lentamente a loro. «Cosa fate?»

«Diamo gli ultimi ritocchi a queste.» con una mano indicò le spade sul tavolo. «Sanvi, Sansavi e Semangelaf. Sono spade angeliche.»

«Non sembrano spade. Come le avete fatte? Con la magia?»

Alec assunse la sua espressione da io-detesto-l'ignoranza-dei-mondani e stava per ribattere ma lui lo fermò cercando di evitare un'altra litigata tra quei due.«La cosa buffa dei mondani è come siano ossessionati dalla magia, considerato che non sanno nemmeno cosa voglia dire, questa parola.»

«Io so cosa vuol dire» era sicura di ciò che diceva, ma non aveva idea di quanto sbagliasse.

«No, non lo sai. Credi di saperlo. La magia è una forza oscura ed elementare, non c'entra niente con bacchette luccicanti, sfere di cristallo e pesci rossi parlanti.»  Si rese conto di cominciare a sembrare stupido, ma diamine la presunzione dei mondani era allucinante.

«Io non ho mai parlato di pesci rossi parlanti.»

«Non basta prendere un'anguilla elettrica e dire che è una paperella di gomma perché diventi davvero una paperella di gomma, ti pare? E tanto peggio per chi decide di farsi il bagno con quella paperella.» Okey ora aveva la certezza di sembrare ridicolo, anche Alec lo guardò strano.

«Stai dicendo sciocchezze» disse Clary.

«Niente affatto» Disse Jace con l'espressione altezzosa che riservava ai mondani.

«Invece si.» disse Alec a sorpresa. «Senti, noi non facciamo nessuna magia, va bene?» Non la guardò neanche. «È tutto quello che ti serve sapere al riguardo.»

Clary sembrava voler litigare, ma si trattenne, si rivolse a Jace, solo a Jace stavolta.«Hodge ha detto che posso andare a casa.»

Lo shock fece quasi cadere la spada dalla mano di Jace, Per l'angelo, cosa aveva in testa Hodge? Di farla ammazzare? Neanche morto. «Cosa ha detto?»

«Per dare un'occhiata alle cose di mia madre» aggiunse lei come se non fosse neanche importante. Invece gli aveva quasi fatto venire un colpo. «Se tu vieni con me.»

Dato che Jace non le rispose, Clary continuò. «Se vuoi veramente dimostrare che mia mamma o mio papà erano Cacciatori, dovremmo cercare fra le cose di mia madre. O almeno tra quello che è rimasto.»

«Dentro la tana del coniglio» Jace sorrise all'idea che ci possano essere altri demoni dall'appartamento. Era una settimana da quando avevano ucciso il demone al Pandemonium che si faceva una scazzottata. «Ottima idea. Se partiamo subito, avremo altre tre o quattro ore di luce.»

Si alzò dalla poltrona e fece per uscire con lei, ma la voce di Alec lo fermò. «Vuoi che venga con voi?»

Jace si fermò a riflettere. No, non voleva Alec intorno, voleva parlare con Clary da solo. «No. Va bene così. Io e Clary ce la possiamo cavare

da soli.» e uscirono.

Si incamminarono verso l'ascensore, Gli chiese delle chiavi di casa, per non far scattare allarmi o cose del genere.

«Bene. Riusciremmo a entrare comunque, ma avremmo più probabilità di far scattare qualche incantesimo difensivo.» molto saccente, perfetto.

«Se lo dici tu.» si fermarono davanti la porta dell'ascensore che Jace chiamò con  il pulsante. «Jace?»

Si voltò, aveva una strana luce negli occhi, E lui si rese conto per la prima e vera volta che lei era una Nephilim. Certo già lo sapeva, ma non lo aveva ancora idealizzato. Avevano in comune lo stesso sangue dell'angelo. Cosa che rese Jace inspiegabilmente più felice. «Sì?»

«Come facevi a sapere che ho del sangue di Shadowhunters? C'era un modo per esserne sicuro?»

Ahi ahi.  Era imbarazzato. Come poteva dirgli? "non esiste un modo per esserne sicuri, ero solo convinto che tu non fossi una mondana così ho provato a ucciderti e non sei morta." sembrava assurdo ma era la verità. L'ascensore arrivò e salirono.

«Ci ho provato» ammise lui chiudendosi la porta alle spalle. «Mi sembrava la spiegazione più plausibile.» era una mezza verità. A lui sembrava l'unica spiegazione possibile.

«Ci hai provato? Dovevi esserne abbastanza sicuro, considerato che a-vresti potuto uccidermi.»

Premette il pulsante  dell'ascensore, sperando che lei lasciasse perdere, ma continuava a fissarlo attendendo una risposta. La verità l'avrebbe fatta infuriare però. Oh, al diavolo. «Ero sicuro al novanta per cento.»

Sembrò essersi calmata, difatti disse: «Capisco» lui si girò a guardarla sperando che si fosse calmata davvero, Si ritrovò la sua mano sul viso ad alta velocità, lo schiaffo gli fece male soprattutto perché non se lo aspettava. «Perché diavolo l'hai fatto?» ringhiò.

«Per l'altro dieci per cento» disse lei tranquilla come se non fosse nulla.

 

Sulla metro per Brooklyn Jace e Clary rimasero in silenzio crogiolandosi nella loro rabbia reciproca. Jace era infuriato, ma si tenne comunque vicino a Clary, non voleva permettere che le succedesse qualcosa anche se aveva una gran voglia di prenderla a calci quando la guancia cominciava a fargli male.

Lui si accorse del suo sguardo addosso, e si fissarono negli occhi per un momento interminabile. Sembravano collegati in qualche maniera indissolubile, come il tempo che passava e il sangue versato. Lei si rese conto (Dopo un po' di tempo) che anche lui la stava guardano e arrossì.

Jace alzò un sopracciglio. «Posso fare qualcosa per te?»

Clary girò lo sguardo ed indicò delle ragazzine che a giudicare da i vestiti o erano totalmente idiote o si credevano davvero molto carine, ma Jace guardava solo Clary.«Quelle ragazze laggiù ti stanno fissando.»

Pff, sai un po' tu che novità. «Ma certo» gongolò tutto contento. «Sono incredibilmente attraente.» Suo padre gli aveva insegnato che ammaliare la gente, amici e nemici, con l'aspetto fisico poteva essere utile, e con i delicati capelli biondi e gli occhi color caramella, la zigomi alti e i muscoli tonici, Jace riusciva ad ammaliare chiunque.

 «Non hai mai sentito dire che la qualità più attraente in una persona è la modestia?» parlava proprio lei, che non si accorgeva che 3 quarti dei ragazzi sulla metro la stavano mangiando con gli occhi. Jace aveva voglia di ringhiargli contro.

«Vale solo per le persone brutte» rispose Jace. «Forse un giorno gli ultimi saranno i primi, ma per ora sono i vanitosi a divertirsi di più.» con una mossa molto elegante fece l'occhiolino alle ragazze muovendo anche un po' i capelli. Questo - era ovvio -  le fece impazzire.

Clary sospirò. «Com'è che ti possono vedere?»

«Gli incantesimi sono una rottura di scatole. A volte li lasciamo perdere.»

L'umore gli era migliorato quando scesero dalla metro. Tirò fuori dalla tasca una spada e se la rigirò tra le dita, con molta non-chalanche mentre canticchiava la ninna nanna di Maryse. «Devi proprio farlo?» chiese Clary. «Mi dà fastidio.»

Per tutta risposta canticchiò più forte. Molto maturo.

Sospirò, ma poi aggiunse: «Scusami per lo schiaffo»

Smise di canticchiare sorpreso, era la prima volta che chiedeva scusa, e non era proprio un angelo da quando si era risvegliata. «Sei stata fortunata a fare una cosa del genere con me e non con Alec. Lui avrebbe reagito.» "perché io sono un vero galantuomo." aggiunse tra se.

«Direi che non aspetta altro» disse Clary tirando un calcio a una lattina vuota. «Che termine ha usato Alec per voi due? Para-qualcosa...»

«Parabatai» precisò. «È una parola che indica due guerrieri che combattono in coppia... Siamo più che fratelli. Alec non è soltanto il mio migliore amico. Mio padre e suo padre erano parabatai, da giovani. Suo padre era il mio padrino... è per questo che vivo con loro. Sono la mia famiglia adottiva.»

«Ma di cognome non ti chiami Lightwood.» Jace ebbe una fantasia di Clary che scriveva "Clary Lightwood" con molti cuoricini sul diario segreto. Tossì per nascondere le risate.«No»

Erano davanti casa di clary, lei guardava l'abitazione con una strana luce negli occhi. «Sembra tutto identico a prima» disse.

«All'esterno.» Jace infilò una mano nella tasca e ne prese il sensore, lei gli chiese cosa fosse e lui spiegò come un bravo professore.

Non mostrava presenze ostili, con grande dispiacere di Jace. «Bene» disse Clary andando verso la porta.

Jace la bloccò per un braccio. «Entro prima io»

Aprì la porta e fece entrare la ragazza.

Sembrava andare tutto apposto, né nelle scale né nel appartamento sembrava esserci nulla di sospetto. Poi clary volle controllare in camera sua.

Lei aprì la porta, ma un Dimenticato la scagliò a terra per primo.

Jace urlò il suo nome si scaraventò contro il dimenticato che era pronto a calare l'ascia su di lei.

Invocò la spada e colpì il mostro, prese Clary per un braccio e la portò fuori dall'appartamento, la porta si chiuse con un clic sonoro.

Il dimenticato ci sbatté contro, Jace urlò a clary di scendere di sotto, ma il dimenticato al secondo colpo spaccò la porta, brandì l'ascia per colpire la testa del giovane nephilim, ma lui fu più veloce e l'arma si conficcò nel muro.

Che faccia che aveva fatto! Jace scoppiò a ridere e questo fece incazzare ancora di più lo schifo. Con un gesto molto veloce gli conficcò la spada nella spalla,che per un istante si fermò. Poi si scaraventò e si buttò nelle scale portandosi anche Jace.

Caddero insieme  per le scale, una serie di rumori, di pugni e di calci. Poi nulla.

Il giovane era schiacciato sotto il corpo del gigante. Senti qualcuno accanto a lui. Aprì gli occhi e vide Clary a fissarlo con aria terrorizzata.«Jace?»

«È morto?» chiese Jace, al diavolo come stava lui, o come stava il mostro. l'importante e che Clary fosse sana e salva.

«Quasi» disse tetra.

«Diavolo.»si mosse, ma il dolore alle gambe lo fece tornare sdraiato, per l'angelo se faceva male. Fece una smorfia. «Le mie gambe...»

«Stai fermo.» Clary girò attorno alla sua testa, gli mise le mani sotto le braccia e tirò. Jace grugnì per il dolore e le sue gambe scivolarono da sotto il corpo quasi morto del nonmorto. «Come va il braccio?»

Si rimisero in piedi, lui si strinse il braccio al petto. «Rotto, Mi puoi infilare una mano in tasca?»

Lei esitò tre secondi, come se l'idea di avvicinarsi tanto a lui non le facesse paura, poi annuì. «Quale?»

«Quella interna della giacca. A destra. Prendi una spada angelica e dammela.»

Impiegò uno sforzo enorme per reprimere l'adrenalina che gli portò il suo tocco mentre prendeva la spada angelica, sentiva il suo profumo dappertutto. Sapeva di fiori, di pulito e di ragazza. Lei gli pose la bacchetta. «Grazie» disse Jace. Sfiorò lievemente la bacchetta con le dita prima di evocarla: «Sanvi!» la spada enorme si materializzò nella mano di Jace. «Non guardare» le disse. Poi la conficcò nel cuore della creatura.

Clary - che ovviamente aveva guardato - aveva il viso terrorizzato. «Ti avevo detto di non guardare»

«Credevo che sarebbe scomparso» biascicò lei. «Avevi detto che... tornavano alla loro dimensione.»

«Ho detto che è quello che succede quando muore un demone.» con molto più dolore di quanto si aspettasse  si tolse dalle spalle la giacca, lasciando scoperta la pelle per tracciare l'Iratze . «Ma questo non era un demone.» prese lo stilo dalla tasca e disegnò la runa. Si sentì immediatamente molto meglio. Essere un Nephilim aveva enormi vantaggi, ma anche troppi svantaggi.

Notò che lei lo fissava e le sorrise. Gli spiegò come funzionavano le rune. Ma ebbe un po' difficoltà a dirle che se lei non avesse avuto sangue dell'angelo, sarebbe diventata come il dimenticato.

«Ma perché qualcuno si farebbe una cosa del genere?»

«Non sono loro a farsela. Viene fatta contro la loro volontà. Da uno

stregone, magari, o da un qualche Nascosto degenerato. I Dimenticati re-stano fedeli a colui che li ha marchiati, e sono assassini spietati. Obbedi-scono a semplici comandi. È come avere... un esercito di schiavi.» Passò sopra la testa del Dimenticato e si voltò a guardare Clary. «Io torno di so-pra.»

«Ma non c'è niente.»

«Potrebbero esserci altri Dimenticati» disse lui, anzi, sperava che ci fossero. «È meglio che tu aspetti qui.» Si avviò su per le scale ma una voce lo fermò.

«Se fossi in te, non lo farei, Ce ne sono altri, nel posto da cui è venuto questo qui.» disse la voce che la stessa voce che lo aveva fermato quella sera, sempre in quelle scale.

«Madame Dorothea?» sussurrò clary.

«Altri cosa?» disse Clary interrompendo Jace.

«Altri Dimenticati» disse con noncuranza. «Avete fatto un bel caos, eh? E di sicuro non avete neanche pensato a dare una ripulita. Tipico.» 

«Ma lei è una mondana» finalmente Jace parlò.

«Che spirito d'osservazione!» commentò Dorothea con gli occhi che luccicavano. «Il Conclave ha fatto proprio un bel lavoro, con te.»

Volle ringhiare alla mondana odiosa, come si permetteva di parlare così?. «Lei sa del Conclave?» chiese. «Lei sapeva di loro e sapeva che c'erano dei Dimenticati in questa casa e non ha avvisato il Conclave? An-che la sola esistenza di un Dimenticato è un crimine contro l'Alleanza...»

«Né il Conclave né l'Alleanza hanno mai fatto qualcosa per me» replicò Madame Dorothea che sembrò sventrare con gli occhi il giovane.

«Jace, smettila» lo rimproverò Clary. Poi si rivolse alla cicciona. «Se sa del Conclave e dei Dimenticati» disse «forse lei sa anche cosa è successo a

mia madre?» Dorothea scosse il capo. «Il consiglio che ti do» dis-se «è di dimenticare tua madre. È andata.»

Davvero, davvero molto rassicurante.

Clary sembrò svenire. Jace le prese il polso per fare una specie di goffo abbraccio per reggerla, ma era ancora in piedi. «Vuole dire che è morta?»

«No. Sono sicura che è ancora viva. Per ora.»

E allora perché lasciar perdere? Clary espresse a parole il suo pensiero. «Allora la devo trovare» disse Clary. La determinazione a trovare la madre era evidente come il sole nella voce di Clary. Jace provava pena per lei. Non aveva idea di quanto potesse essere difficile ritrovarla, ma lei sembrava convinta ad andare anche in capo al mondo, anche a farsi uccidere. Ma Jace non l'avrebbe mai permesso. «Ha capito? Devo trovarla prima che...»

Dorothea la interruppe. «Non voglio aver niente a che vedere con gli affari dei Cacciatori.»

Clary insistette. «Ma lei conosceva mia madre. Era la sua vicina...»

«Questa è un'indagine ufficiale del Conclave» la interruppe Jace. «Posso sempre tornare coi Fratelli Silenti.»

Dorothea fece una smorfia, evidentemente a disagio dai fratelli silenti. «Direi che a questo punto potreste anche entrare» concluse. «Vi dirò quello che posso.» fece per entrare, ma si bloccò all'ingresso. «Se riferirai a qualcuno che ti ho aiutato, Cacciatore, domani ti sveglierai con dei serpenti al posto dei capelli e con un paio di braccia in più.»

Jace ci rifletté su. Un paio di braccia in più gli avrebbe fatto tenere il doppio di spade, ma sarebbe sembrato un ragno. «Non sarebbero male due braccia in più» rispose. «Potrebbero tornare utili in combattimento.»

«Ma non se ti escono dal...»sorrise con malizia. «... collo.»

«Accidenti» sorrise.

«Puoi ben dirlo, Jace Wayland» disse Dorothea. Dopodiché entrò in casa.

Sentire il cognome di suo padre lo scosse, nessuno mai lo chiamava per cognome. Era il nome di suo padre Wayland. Non il suo. Era qualcosa che aveva ereditato solo dopo la sua morte. Qualcosa di indissolubile e tremendamente nostalgico.

Clary lo guardò.  «Wayland?»

«È il mio cognome.» tagliò corto Jace. «E non posso dire che mi faccia piacere che lei lo sappia.»

Clary diede un occhiata alla porta dell'appartamento. «Credo che do-vremmo comunque provare a parlare con lei. Cosa abbiamo da perdere?»

«Quando avrai passato un po' più di tempo nel nostro mondo non mi farai più domande del genere.»

 

 

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Capitolo 7
*** Il portale ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo VI; Il Portale

 

L'appartamento era proprio quello che Jace si aspettava. Una miriade di scaffali pieni di libri sulla magia, poster astrologici e quant'altro e l'odore dell'incenso che copriva qualunque altra cosa. Madame Dorothea spuntò da dietro una tenda a perline, un'altra cosa che Jace si aspettava.

«Ti interessa la chiromanzia o sei solo una ficcanaso?» chiese rivolta a Clary.

«Nessuno dei due. Lei sa davvero predire il futuro?»

Lui fece una smorfia, ma nessuno sembrava dargli retta.

«Mia madre aveva un grande talento. Poteva vedere il futuro di un uomo sulla sua mano o sulle foglie di tè sul fondo di una tazza. Mi ha insegnato qualche trucchetto.»Jace si mise a riflettere sulle streghe, da quel che lui sapeva i nascosti erano in parte demoni, quindi sterili. Quindi lei non era una strega e quindi tra un po' le avrebbe fatto il 3° grado. Sentì la voce di Dorothea rivolta a lui, ma non se ne curò.

«Cosa?»

«Un tè. Trovo che sia utile a calmare lo stomaco e concentrare la mente. Magnifica bevanda, il tè.»

«Io lo berrei, un tè»

«Va bene. Basta che non sia Earl Grey» disse arricciandosi il naso, ricordava l'ultima volta che aveva assaggiato del bergamotto, la nausea gli era durata per giorni. «Odio il bergamotto.»

La vecchia ridacchiò e sparì dietro la tenda. Il giovane sospirò e si voltò verso la libreria per analizzare i volumi contenuti in essa. Come si aspettava solo baggianate per mondani. Sentì Clary avvicinarsi. «Tu odi il bergamotto?»

Senza alzare la testa dal libro rispose alla sua domanda con un'altra domanda: «Ti crea qualche problema?»

«Probabilmente tu sei l'unico ragazzo della mia età che io abbia mai in-contrato a sapere cos'è il bergamotto, per non parlare del fatto che sta dentro l'Earl Grey.» Questo fece montare la testa a Jace come un palloncino, era talmente divertente dimostrare ai mondani quanto fossero dannatamente idioti.

«Sì, be', Io non sono come tutti gli altri. E poi» aggiunse prendendo un libro dallo scaffale «all'Istituto se-guiamo lezioni sull'erboristeria di base e sull'uso medicinale delle piante. È obbligatorio.» 'E noioso da morire' aggiunse tra sé.

«Credevo che tutte le vostre lezioni fossero roba del tipo Elementi di Sterminio o Decapitazione Comparata.»

Non la degnò di uno sguardo, cercando di ignorare l'ignoranza. «Molto divertente, Fray.» Dato che ormai lei sapeva il suo cognome tanto valeva prenderla un po' in giro sul suo,

Sentì Clary trasalire, cosa che gli fece alzare lo sguardo, sorpreso. «Non chiamarmi così.»

«Perché no? È il tuo cognome, no?»

«Perché no.» tagliò corto Clary, abbassò lo sguardo e Jace ricordò. Il mondano, quello che era sempre con lei, lui la chiamava Fray. 

«Capisco» disse. Cercò di cambiare argomento, evidentemente l'amichetto le mancava. Jace pensò ad Alec, Se lui fosse sparito probabilmente Alec l'avrebbe cercato in capo al mondo e persino all'inferno. «Questa deve essere la roba che tiene qui per impressionare i mondani creduloni» osservò con un tono disgustato. «Non c'è un libro serio che sia uno, qui.»

«Solo perché non riguarda il tipo di magia che fai tu...» iniziò lei, ma Jace la interruppe subito, non sopportando più la sfacciataggine che mostrava. «Io non faccio nessuna magia» dis-se. «Ficcatelo in testa: gli esseri umani non fanno magie. È parte di ciò che ci rende umani. Le streghe e gli stregoni possono usare la magia solo perché hanno sangue demoniaco.»

«Ma io ti ho visto usare la magia. Usi armi incantate...»

«Io uso strumenti magici» precisò Jace con la facciata sapiente che era più di Alec che sua. «E anche per fare questo devo seguire un addestramento molto rigoroso. E ho anche le rune tatuate sulla pelle per proteggermi. Se tu provassi a usare una delle spade angeliche, per esempio, probabilmente ti brucerebbe la pelle, e forse ti ucciderebbe.»

«E se avessi i tatuaggi?» chiese Clary. «Potrei usarle?»

Con quelle parole ebbe un immagine di Clary in tenuta da cacciatrice, Le rune permanenti che segnano la sua pelle, come le cicatrici sottili. Nella sua testa però Clary aveva il viso contratto dalla paura, pronta per farsi uccidere da un demone di passaggio. Represse un brivido.

«No» disse bruscamente. «I marchi sono solo una parte. Ci sono le prove, le ordalie, i livelli di addestramento... Guarda, scordatelo proprio, va bene? Sta' alla larga dalle mie spade. Anzi, non toccare nessuna delle mie armi senza il mio permesso.»

«Uffa, ecco che se ne va a monte il mio piano per venderle tutte su e-Bay» borbottò Clary.

Jace la guardò sconvolto. «Venderle dove?»

Lei fece un sorriso innocente che le illuminò il volto. «Un luogo mitico con un grande potere magico.»

Percorse con la mente un paio di luoghi mitici che conosceva, ma dalla sua espressione Capì che lei lo stava prendendo in giro. Cosa che non gli capitava spesso. Scrollò le spalle con disinvoltura, cambiando argomento. «La maggior parte dei miti è vera, almeno in parte.»

«Sto iniziando a farmene un'idea.» Jace stava per fare una delle sue osservazioni saccenti, ma fu interrotto da Dorothea.

«Il tè è servito» annunciò. Dato che non si mossero, continuò. «E non statevene lì impalati, venite nel salone dei ricevimenti.»

«In questa casa c'è un salone dei ricevimenti?» chiese Clary.

«Ma certo,Dove intratterrei gli ospiti, altrimenti?» Lui sbuffò nella sua mente. C'era talmente tanta classe! Dov'era il maggiordomo, se l'era perso? «Lascerò il cilindro al maggiordomo» disse.

Con sua grande felicità Dorothea lo fulminò con lo sguardo. «Se fossi divertente la metà di quello che credi, ragazzo mio, saresti il doppio più divertente di quello che sei.» scomparve di nuovo dietro la tenda di perline. Jace non aveva capito nulla, sarà una cosa da mondani. «Non sono del tutto sicuro di cosa intendesse dire.» disse a nessuno in particolare.

«Io invece non potrei essere più d'accordo» disse Clary. Dopodiché at-traversò di slancio la tenda di perline, prima che lui potesse rispondere.

Lui la seguì sbuffando ed entrarono in quello che era il 'salone dei ricevimenti', decisamente pacchiano.

Si sedettero nelle poltrone rosa davanti al tavolino. Jace decisamente odiava quel colore, troppo … rosa.

«Ecco il vostro tè» disse Dorothea mentre sollevava la teiera. «Latte? Zucchero?»

Jace la ignorò e andò in rassegna del vassoio dei tramezzini tentando di capirne il contenuto. Notò che Clary lo fissava attendendo una risposta ad una domanda che nessuno aveva fatto. Si arrese e né addentò uno. Un sapore rivoltante e odioso. «Cetriolo» disse.

«Io sono dell'idea che i tramezzini al cetriolo siano perfetti con il tè, non trovate?» disse Dorothea.

«Io odio i cetrioli» disse Jace mentre passava il resto del tramezzino a Clary che lo guardava chiaramente affamata. [nota: non trovate che siano carini? *_* già si dividono il cibo *_*]

«Cetrioli e bergamotto» disse Clary prendendone un altro dal vassoio. «C'è qualcos'altro che odi di cui dovrei essere a conoscenza?»

Ecco la domanda geniale che poteva portare ad una risposta geniale, ringraziò mentalmente Clary.  Gli occhi di Jace penetrarono in quelli di Dorothea da sopra la tazza da the. «I bugiardi.» disse d'un fiato.

Lei non mosse un muscolo. «Puoi darmi della bugiarda, se vuoi. È vero, non sono una strega. Ma mia madre lo era.»

'Altra bugia' pensò Jace. «Impossibile.»

«Perché sarebbe impossibile?» chiese Clary dopo aver preso un sorso di the.

Jace sospirò stanco di spiegare, dov'era Alec quando c'era da fare cosa del genere? . «Perché le streghe sono mezze umane e mezze demoni. Tutte le streghe e gli stregoni sono mezzosangue. Ed essendo mezzosan-gue, non possono avere figli. Sono sterili.»

«Come i muli, che sono incroci sterili.»

ogni tanto anche lei assumeva la facciata di chi sa tutto. Ed ogni volta Jace la spiazzava. «La tua conoscenza del mondo animale è stupefacente» ironizzò Jace. «Tutti i Nascosti sono in parte demoni, ma solo streghe e stregoni sono fi-gli di demoni. È per questo che i loro poteri sono i più forti.»

«I vampiri e i lupi mannari... sono anche loro in parte demoni? E anche le fate?»

«I vampiri e i lupi mannari sono il frutto di malattie che i demoni hanno portato dalle loro dimensioni. La maggior parte delle malattie demoniache è mortale per gli umani, ma in alcuni casi portano degli strani cambiamenti nelle persone infettate, senza ucciderle. E le fate...»

«Le fate sono angeli caduti» intervenne Dorothea guadagnandosi un'altra occhiataccia da Jace. Odiava essere interrotto. «Esiliati dal paradiso per il loro orgoglio.»

«Questo è quello che dice la leggenda» commentò. «Si dice anche che siano il frutto dell'unione di demoni e angeli, cosa che mi è sempre sembrata più probabile. Il bene e il male che si mescolano. Le fate sono belle come teoricamente dovrebbero essere gli angeli, ma in loro c'è anche molta malizia e crudeltà. E la maggior parte di loro evita la luce del giorno...»

«Perché il diavolo non ha alcun potere, se non nelle tenebre.»

Clary ignorò Dorothea. «Teoricamente? Vuoi dire che gli angeli non...»

«Basta con gli angeli. È vero che le streghe non possono avere figli. Mia madre mi adottò perché voleva che ci fosse qualcuno che, dopo la sua morte, badasse a questo posto. Io non ho bisogno di usare la magia: devo solo fare la guardia.» Disse la vecchia evidentemente nervosa.

Lui stava per chiedere a cosa, ma Clary fu più veloce.

«Già, a cosa?» La vecchia strizzò un occhio e fece per prendere un tramezzino dal vassoio, ma si accorse che era vuoto. Clary aveva mangiato tutto. Fece sorridere anche Jace. Chi l'avrebbe detto che un tale scricciolo potesse mangiare così tanto. «Fa piacere vedere una signorina che ci dà dentro col cibo. Ai miei tempi le ragazze erano creature robuste e ben piantate, non degli scheletri ambulanti come al giorno d'oggi.»

«Grazie» disse Clary, il rosso che le colorava le guance. Jace strinse forte le mani per reprimere la voglia di accarezzarle.

Dorothea si chinò sulla tazza ormai vuota di Clary, Jace capì costa stava facendo.

Clary no. «Cosa c'è? Ho rotto la tazza?»

«Sta leggendo le tue foglie di tè» le disse lui, si chinò in avanti insieme a lei per reprimere la noia che lo aveva assalito, forse sarebbe salito di nuovo su

Per farsi una scazzottata con qualche dimenticato.

«Brutte notizie?» chiese Clary data l'espressione di Dorothea.

«Né brutte né belle. È tutto confuso.» poi guardò lui. «Dammi la tua tazza» ordinò.

Come padrona di casa era un po' cadente. «Ma non ho ancora finito il...» lo interruppe prendendogli la tazza dalle mani e buttandone il contenuto, Jace sbuffò. In seguito Jace non diede molto peso alle parole di Dorothea, ma per l'angelo  se c'aveva preso.

«Nel tuo futuro vedo violenza, vedo molto sangue versato da te e da altri. Ti innamorerai della persona sbagliata. E hai un nemico.» disse.

«Uno solo? È una buona notizia.» si rilassò nuovamente sulla sedia. Dorothea cambiò di nuovo tazza e scosse la testa.

«Qui non c'è niente che io possa leggere. Le immagini sono confuse, prive di senso.» Alzò gli occhi verso Clary. «Hai un blocco mentale?»

«Un cosa?» rispose Clary perplessa.

«Una specie di incantesimo per tenere nascosto un ricordo, o per bloccare la tua Vista.»

«No. Certo che no.» disse lei in automatico, ma Jace era di nuovo attento.

«Non essere precipitosa» disse. «In effetti Clary dice che non ricorda nemmeno di avere avuto la Vista, prima di questa settimana. Forse...»

«Forse ho soltanto uno sviluppo ritardato» sbottò Clary. «E non fare quella faccia, sai cosa voglio dire!»

'Veramente no' assunse un espressione ferita. «Non stavo facendo nessuna faccia.»

«E invece sì.»

«Forse» ammise Jace prendendola in giro. «Ma questo non vuol dire che io abbia torto. C'è qualcosa che blocca i tuoi ricordi, ne sono quasi sicuro.»

«Va bene, allora proviamo qualcos'altro.» Dorothea mise giù la tazza e prese i tarocchi. Aprì le carte a ventaglio e le porse a Clary. «Fai passare la mano sopra queste carte finché non ne tocchi una che ti sembra calda o fredda o che resti attaccata alle dita. Poi prendila e fammela vedere.» lei obbedì, la sua mano si fermò sull'asso di coppe.

«L'asso di coppe» disse Dorothea. Sembrava stupita. «La carta dell'amore.»

«È una buona carta, giusto?»

«Non necessariamente. Le cose peggiori gli uomini le fanno proprio in nome dell'amore» Jace poteva giurare di aver visto Dorothea guardare verso di lui per un millisecondo, Per l'angelo, doveva moderare il suo fascino. «Però è una carta potente. Cosa significa per te?» continuò Dorothea.

«Che l'ha dipinta mia madre» disse Clary lasciando cadere la carta sul tavolo Jace la guardò, La carta sembrava quasi stampata tanto il disegno era fatto bene, fatto da una vera artista,. «È stata lei, vero?»

Dorothea annuì «Ha dipinto tutto il mazzo. Un regalo per me. Un gesto gentile, da parte sua.»

Jace scattò in piedi, improvvisamente furioso. «Questo è quello che dice lei. Quanto conosceva la madre di Clary?»

Clary si girò verso di lui. «Jace, non devi...»

La interruppe Dorothea con aria di sfida rivolta solo al giovane Nephilim «Jocelyn sapeva cos'ero io e io sapevo cos'era lei. Non ne parlavamo molto. A volte mi faceva dei favori, ad esempio dipin-germi questo mazzo di carte, e io in cambio le raccontavo qualche pettego-lezzo sul Mondo Invisibile. Mi aveva chiesto di tenere le orecchie aperte riguardo un certo nome, e io lo facevo.»

«Quale nome?» Jace era furente adesso.

«Valentine.»

Jace adesso sembrava scolpito nella pietra, ma dentro di lui nacque un po' di paura. Valentine, il rinnegato. Quando i cacciatori della sua generazione erano bambini usavano questo nome per spaventarli, diamine se funzionava. «E quando di-ce di sapere cos'era Jocelyn, cosa vuol dire? Cos'era?»

«Jocelyn era quello che era» disse Dorothea. «Ma in passato era come te, una Cacciatrice. Un membro del Conclave.»

Clary sussurrò un no, ma nessuno le diede corda. Neanche Jace. Era concentrato sulla finta strega,

Dorothea poi si voltò verso di lei, grondando pena. «È così. È venuta a vivere in questa casa proprio perché...»

«Perché questo è un Rifugio» la interruppe Jace. «È così, vero? Sua ma-dre era una Guardiana, vero? Ha creato questo spazio protetto... il posto ideale in cui rifugiarti se sei un Nascosto in fuga. È questo che fa, nasconde qui dei criminali, giusto?»

«Siete voi a chiamarli così» disse Dorothea ricominciando il battibecco. «Ti ricordi il motto dell'Alleanza?»

«Dura lex sed lex» rispose lui in automatico, come qualcosa impresso a fuoco nel suo cervello. «La Legge è dura, ma è la Legge.»

«Certe volte la Legge è troppo dura. Io so che il Conclave mi avrebbe portato via da mia madre, se avesse potuto. Vuoi che permetta loro di fare la stessa cosa a qualcun altro?»

«Quindi lei è una benefattrice.» Jace arriccio le labbra disgustato. «E magari si aspetta che io creda che i Nascosti non la paghino profumatamente per il privilegio di usare il suo Rifugio.»

Dorothea fece un enorme sorriso. «Non possiamo vivere tutti di sola bellezza, come te.»

Ahi, Jace ci aveva azzeccato, ma non si ritrasse. «Dovrei dire di lei al Conclave...»

«Non puoi!» Clary scattò in piedi. «Hai promesso.»

«Io non ho promesso niente.» sbottò arrabbiandosi anche con lei. Si avvicinò al muro e scostò bruscamente una delle tende di velluto che aveva visto entrando nascondevano una porta. «Mi vuol dire cos'è questa?» chiese.

«È una porta, Jace» si chiese se Clary non stesse cominciando a credere che lui fosse pazzo.

«Zitta» Jace era furente. «È un Portale, vero?»

«È una Porta Pentadimensionale» disse Dorothea, rimettendo il mazzo dei tarocchi sul tavolo. «Le varie dimensioni non sono fatte solo di linee rette» aggiunse in risposta allo sguardo interrogativo di Clary. «Ci sono avvallamenti e pieghe e angoli e fessure dappertutto. È un po' difficile da spiegare, se non hai mai studiato Teoria Dimensionale, ma in sostanza questa porta ti può portare ovunque tu voglia. È...»

«Un'uscita di sicurezza» disse Jace. «È per questo che tua madre ha de-ciso di vivere qui. Poteva sempre scappare all'ultimo momento.»

«Ma allora perché non...» Clary che si interruppe a metà frase. «Per me» disse. «Non voleva andarsene senza di me, quella sera. Così è rimasta.»

Jace scosse il capo, tentando di consolarla. «Non puoi prenderti la colpa...»

Lei si avvicinò a lui, no. Al portale. Con gli occhi pieni di lacrime. «Voglio vedere dove sarebbe andata» disse allungando una mano verso la porta. «Voglio vedere dove sarebbe fuggita...» aprì il portale.

«Clary no!» fece per prenderla ma fu troppo tardi.

Clary era entrata nel portale.

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Capitolo 8
*** L'arma perfetta. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo VII; L'arma perfetta.

 

 

La prima cosa che notò quando si gettò nel portale per salvare - di nuovo - Clary fu che sembrava quasi di volare. Era la prima volta che Jace usava un portale, era come entrare nel vuoto più assoluto.

La seconda cosa fu che non aveva la minima idea di dove stessero andando.

Chi poteva sapere a quale luogo stesse pensando Clary quando stupidamente si era lanciata nel portale. Nessuno poteva sapere cosa passava in quella testa rossa, nessuno.

Poi la caduta finì, e si ritrovò su un albero che si spezzò sotto il suo peso e cadde ancora, solo che questa volta cadde su Clary, fronte contro fronte, petto contro petto, erano talmente appiccicati che se Jace avesse voluto avrebbe potuto darle un bacio senza neanche muoversi.

E lui non lo voleva, no?

Fece per alzarsi ma sentì un intenso dolore allo stomaco quando lei gli piantò il gomito dentro.

Jace gemette. «Mi hai tirato una gomitata.» non accennava a muoversi da sopra la ragazza, stava così bene..

«Be', tu mi sei atterrato sopra.»

Jace si alzò sui gomiti e la guardò tranquillamente. «Be', non mi hai lasciato molta scelta, ti pare?» chiese lui. «Non dopo che hai deciso di saltare allegramente dentro un Portale come se stessi prendendo al volo la metropolitana. Sei fortunata che non ci abbia portati in una qualche dimensione demoniaca con un'atmosfera a base di cianuro.»

«Non eri obbligato a seguirmi.»

«Sì, invece» disse troppo velocemente. Clary lo guardò strano. «Sei troppo inesperta per cavartela da sola in una situazione ostile.» aggiunse.

«Che carino! Può essere che ti perdoni.»

«Perdonarmi? Per cosa?»

«Per avermi detto di stare zitta.»

Jace arrossì violentemente. «Io non ho... be', sì, l'ho fatto, però tu stavi...»

«Lascia perdere.» Clary si spostò un po', ma ancora sotto di lui,  poi si guardò intorno con aria confusa. «So dove siamo.»

Jace smise di farfugliare. «Cosa?»

«Questa è la casa di Luke.» Si mise a sedere, facendo scivolare Jace di lato. Il ragazzo si alzò con un movimento aggraziato e le porse una mano, lei la accettò e si alzò in piedi.

Erano davanti ad una casetta grigia vecchio stile, C'era un insegna che Jace lesse ad alta voce. «Garroway Books. Belli, usati, nuovi e fuori catalogo. Chiuso il sabato.»

 Il ragazzo guardò la porta buia, la maniglia chiusa da un pesante lucchetto. La posta di alcuni giorni era posata sullo zerbino, intoccata. Jace guardò Clary. «Vive in una libreria?»

«Vive nel retro del negozio.» sembrava a disagio ad essere lì «Jace, come siamo arrivati qui?»

«Grazie al Portale» disse Jace esaminando il lucchetto. «Ti porta in qualsiasi posto tu stia pensando.»

«Ma io non stavo pensando a questo posto» obiettò Clary. «Non stavo pensando a nessun posto.»

Jace scrollò le spalle annoiato. «Non può essere. Dunque, visto che siamo qui...»

«Sì?»

«Cosa vuoi fare?»

«Andarmene, direi. Luke mi ha detto di non venire qui.»

Jace la guardò di sottecchi. Evidentemente Clary non ascoltava solo lui, che bello. «E tu lo accetti e basta?» chiese sorpreso.

Clary strinse le spalle. «Ho la possibilità di scegliere?» L'argomento Luke era evidentemente triste per lei, ma voleva saperne di più. Lasciò perdere quando incontrò lo sguardo di Clary, sembrava rassegnata.

«Abbiamo sempre la possibilità di scegliere» disse Jace. «Se fossi in te, avrei parecchie curiosità su Luke, al momento. Hai le chiavi di casa?»

Clary scosse il capo. «No, ma a volte lascia aperta la porta sul retro.» Indicò un vicoletto dietro la libreria.

Jace scese le scale due gradini alla volta e atterrò accanto a lei con un lieve scricchiolio di ghiaia. «Sei sicura che non sia a casa?»

Clary guardò il marciapiede deserto. «Be', il suo furgone non c'è, il ne-gozio è chiuso e le luci sono spente... direi proprio di sì.»

«Allora fai strada.»

Il vicoletto tra le due case vicine terminava davanti a un'alta recinzione di rete metallica che circondava il giardino. Jace avrebbe potuto saltarla in 4 e 4 otto, ma ovviamente si preoccupava per lei.

«Scavalchiamo» le disse. Mise un piede in un buco della rete ed elegantemente saltò la recinzione. Atterrò su qualcosa di…vivo. Che si scostò e scappò subito via verso i cespugli,facendolo cadere sulla schiena. Jace fece un ringhio davvero poco elegante e si lanciò all'inseguimento.

Era davvero molto lento, con un balzò da leone gli saltò addosso facendolo cadere a pancia in giù. Era decisamente umano, maschio a quanto pare e   spaventato, a quanto pare dato che si teneva le mani sopra la testa. Jace fece un urletto di trionfo.  «Preso!»

Notò che Clary era riuscita a scavalcare e si stava avvicinando a loro. «Forza, fatti guardare in faccia.»

L'intruso si spostò e lo fece cadere di lato mettendosi a sedere. «Mollami subito, cretino presuntuoso» ringhiò.

Clary lo guardò stupita e sconvolta. «Simon?» disse con occhi spiritati.

Ora Jace lo riconobbe, era il mondano che assomigliava ad un topo che era con lei al Pandemonium. Un moto di astio gli crebbe nella voce, neanche lui sapeva perché non poteva sopportare quell'idiota. Forse perché era così dannatamente.. Idiota.

«Oddio. E io che speravo di avere catturato qualcuno di interessante.»

 

 

Qual'era la parola che stava cerando? Ah, si.

Geloso.

Jace era in piedi appoggiato ad un muretto vecchio ornato da foglie secche, aveva assunto una posa annoiata e si limava le unghie con lo stilo -e doveva ammetterlo, stava facendo un ottimo lavoro-, ma con tutti gli altri sensi era concentrato su Clary e Simon.

Ma perché era geloso? Perché lei gli stava amorevolmente passando una mano tra i capelli togliendogli le foglie? Figurarsi. Non voleva le manine di Clary tra i capelli, no.

«Ma cosa ci facevi nascosto nel giardino di Luke?» chiese Clary preoccupata.«È questa la parte che proprio non capisco.»

Il mondano si staccò da lei a disagio. Jace si chiese se era per lei che lo sistemava o perché lo stesse facendo davanti a lui.

«Va bene, adesso basta Fray, me li sistemo da solo, i capelli» ah! Ci aveva preso. Jace sentì un fiotto di rabbia verso il mondano.

«Voglio dire, Luke lo sapeva che eri lì?» chiese lei.

«Certo che no» disse come se fosse ovvio. «Non gliel'ho chiesto, ma sono certo che abbia delle politiche abbastanza restrittive sulla gente nascosta in giardino.» aveva una voce davvero irritante.

«Tu non sei gente, ti conosce. Ma la cosa più importante è che tu stia bene.» Ed era anche brutto! Ma lei se ne rendeva conto o era ceca?

«Che io stia bene?» si mise a ridere e lei arrossì. O cosa avrebbe dato per dargli un pugno! Anche se probabilmente gli avrebbe rotto il naso,

Anzi, senza probabilmente. «Clary, hai la più vaga idea di quello che ho passato in questi ultimi due giorni? L'ultima volta che ti ho vista stavi correndo via come una pazza dal Java Jones e poi sei... scomparsa. Non rispondevi al cellulare... poi il tuo numero di casa risultava scollegato... poi Luke mi ha detto che eri andata a stare da alcuni parenti nell'interno, quando io so perfettamente che non hai nessun parente. Pensavo di aver fatto qualcosa che ti aveva fatto incavolare...»

«Ma cosa potevi aver fatto?» Clary fece per prendergli una mano, ma lui la ritrasse senza guardarla.

«Non lo so» disse lui. «Qualcosa.»

Il cacciatore ritornò con la mente alla sera al Java Jones, quando aveva interrotto la semi-quasi dichiarazione d'amore dello stupidotto. Rise sotto i baffi.

«Tu sei il mio migliore amico» disse Clary. «Non ero arrabbiata con te.»

Lui riprese a respirare regolarmente.

«Sì, be', però evidentemente non ti sei preoccupata di chiamarmi e dirmi che ti stavi dando da fare con un fighetto biondo tinto che probabilmente hai incontrato al Pandemonium» rispose acido. «Mentre io ho passato tre giorni a chiedermi se non fossi morta.»

«Non mi stavo dando da fare con nessuno» credeva di tenerlo nascosto, ma il rossore sul suo viso era lampante.

«E io sono biondo naturale» precisò Jace. «Tanto per la cronaca.» 'Come mio padre' pensò.

«E allora cosa hai fatto in questi tre giorni?» il piccoletto gli rivolse lo sguardo più acido che Jace avesse mai ricevuto. Lui gli sorrise, non negando un po' di acidità.  «Hai veramente una prozia che si chiama Matilda e ha preso un virus africano e aveva bisogno di assistenza?»

«Luke ti ha detto veramente una cosa del genere?»

«No, ha detto solo che tu e tua mamma eravate andate a trovare una pa-rente ammalata e che probabilmente il tuo cellulare in campagna non pren-deva. Naturalmente io non gli ho creduto. Dopo che mi ha cacciato via, ho fatto il giro della casa e ho guardato dalle finestre del retro. Ho visto che preparava una borsa di stoffa verde, come se dovesse andare via per il weekend. È stato a quel punto che ho deciso di restare da queste parti e tenere gli occhi aperti.»

«Perché? Perché stava preparando una borsa?»

«La stava riempiendo di armi» disse mentre si ripuliva il sangue con ogni cosa gli capitasse a tiro. Diamine se era disgustoso. «Coltelli, un paio di pugnali, anche una spada. La cosa strana è che alcune di quelle armi erano luminose.»

Il mondano (proprio non riusciva a chiamarlo con il suo nome, era più forte di lui.) alternava lo sguardo da lui a lei in continuazione.

«E adesso mi dirai che mi sono immaginato tutto, vero?»

«No» fece Clary. «Non ti dirò niente del genere.» si girò verso di lui, e Jace capì immediatamente cosa gli stava dicendo con lo sguardo.

Era lo sguardo di una ragazza che stava per scoppiare, aveva bisogno di sfogarsi, di dire al mondano tutto quanto. E solo l'angelo sa perché, lui glielo lasciò fare.

«Ho intenzione di raccontargli la verità» gli disse Clary.

«Lo so.»

«Cercherai di fermarmi?»

Cercò di non incontrare il suo sguardo. Sapeva che dopo che gli avesse detto la verità non sarebbero più riusciti a scollarselo, ma acconsentì, ancora.

«Io sono vincolato dal giura-mento all'Alleanza» disse. «Tu no.»

Clary si voltò verso Simon e prese un respiro profondo. «Va bene» co-minciò. «Ecco quello che devi sapere.»

 

Gli raccontò tutto, proprio tutto quanto ciò che lei avesse scoperto sin dal principio. Sembrava non riuscire a fermarsi. Lui la interruppe parecchie volte con delle correzioni obbligatorie. Il sole era già tramontato quando finì i parlare.

«Allora» disse lei. «Domande?»

Alzò la mano come un bravo scolaretto. «Oh, certo. E anche parecchie.»

Clary sospirò. «Ok, spara.»

Adesso indicò lui. Odiava tutta l' indisponenza che gli riservava. Prima o poi gli avrebbe fatto del male. «Quindi lui è un... come hai detto che si chiamano quelli come lui?» molto maturo, fingeva di esserlo dimenticato. In fondo Clary lo aveva ripetuto solo 100 o 200 volte.

«È un Cacciatore»

«Un cacciatore di demoni,Uccido i demoni. Non è così complicato, no?» 'sperando che adesso te lo ricorda, idiota'

Lui lo ignorò. «È tutto vero?»

«È tutto vero.» gli fece eco lei.

«Ed esistono anche i vampi-ri? I lupi mannari, gli stregoni e tutta quella roba?»

Anche Clary aveva cominciato a scocciarsi di tutte quelle domande. «Così mi dicono.»

«E voi uccidete anche loro?» chiese Simon a Jace

Lui si stava controllando le unghie. Nessuna imperfezione, come sempre era bravissimo. Tornando al presente. «Solo quando fanno i monelli.»

Mai al mondo Jace avrebbe capito o avrebbe pensato di capire ciò che disse poi lui. : «Che figata!»

Jace guardò sbalordito Clary che guardava sbalordita Simon. «Che figata?» gli fece eco.

Lui annuì. «Ma certo! È come Dungeons and Dragons, però vero!»

Che lingua era? Mondanese? «è come cosa?» chiese con il tono di chi parla ad un bambino piccolo.

«È un gioco di ruolo» spiegò Clary.  «Un gioco dove si fa finta di essere stregoni o elfi e si ammazzano i mostri e roba del genere.»

Jace era sbalordito, i mondani si divertivano facendo in un videogioco quello che lui faceva tutti i giorni?.

Lui gli sorrise arrogante. La tipica espressione che riservava lui quando doveva spiegare le cose. Jace lo odiò.  «Non hai mai sentito parlare di Dungeons and Dragons?»

«Be', ho sentito parlare dei draghi. Ma sono quasi completamente estinti.» Ripensò alle lezioni di Demonologia. Magari si era addormentato durante quella lezione.

Sembrò deluso. «Non hai mai ucciso un drago?»

«Probabilmente non ha neanche mai incontrato un elfo femmina alta un metro e ottanta con un bikini di pelliccia» disse Clary infastidita. «Pianta-la, Simon.»

«I veri elfi sono alti una ventina di centimetri» precisò Jace. «E mordono.»

«Ma i vampiri sono fighi, vero?» insisté. «Voglio dire, le vampire sono sexy, o no?»

Immaginò il mondano con una vera vampira. L'unica cosa che avrebbe potuto renderla interessante sarebbe stata lei che gli azzanna il collo.

«Qualcuna forse sì.» disse soffocando una risata.

«Che figata!» ripeté Simon

Si stava decisamente annoiando, voleva qualcosa di divertente da fare e se fosse rimasto ancora a lungo lì lo avrebbe peso a pugni in faccia. Così scese dal muretto. «Allora, vogliamo perquisire la casa?»

Simon scattò in piedi. «Pronto! Cosa stiamo cercando?»

«Stiamo?» disse Jace. «Non ricordo di averti invitato.»

«Jace» sbottò Clary, sembrava quasi una sorella antipatica. Lui fece un piccolo sorriso.

«Stavo scherzando.» Si fece da parte per lasciarla passare. «Diamoci da fare.»

Clary armeggiò un po' con la maniglia, poi disse: «È chiusa a chiave.»

Jace decise che adesso poteva fare lo spaccone. «Con il vostro permesso, mondani» disse spostando delicatamente Clary. Sfilò lo stilo dalla tasca e delicatamente disegnò la runa d'apertura. Sentiva gli altri due parlare alle sue spalle.

«È un bel tipo, eh?» borbottò Simon. «Come fai a sopportarlo?»

«Mi ha salvato la vita.» Come motivazione sembrava funzionare, ma aveva la voce incerta.

«Come...» fu interrotto dal Click della porta, «Et voilà» disse rimettendosi lo stilo in tasca.

Entrarono nell'appartamento. Scatoloni di libri su libri su libri. A Jace venne sonno.

«L'appartamento è da questa parte.» Clary si diresse verso la porta che stava indicando.

Jace drizzò le orecchie. Qualcosa non andava, c'era troppo silenzio. «Aspetta.» la afferrò per un braccio.

Lei gli rivolse uno sguardo nervoso. «Qualcosa che non va?»

«Non lo so.» disse. Fece qualche passo avanti e capì cos'erano quelle cose che aveva visto penzolare dal tetto. Fece un fischio. «Clary, è meglio che tu venga a vedere una cosa.»

Lei guardò ma non vide nulla. «È buio...» mormorò.

Jace prese dalla tasca la stregaluce, illuminando totalmente la stanza. Ridacchiò della loro espressione. «Stregaluce» spiegò.

Simon borbottò qualcosa che suonava come "antipatico", Clary si avvicinò puntando gli occhi dove le aveva detto lui, sulle manette appese al soffitto con sangue incrostato. «Sono...»

«Ceppi» disse Simon mentre si avvicinava tra gli scatoloni. «È roba da giochetti sadomaso...»

Jace cominciava a pensare che fosse un pervertito.

«Zitto.» Clary gli lanciò un'occhiataccia. «È di Luke che stiamo parlando.»

Jace li guardò con aria seria. «Niente giochetti» disse. «Questo è sangue. E guardate qui.» indicò il soffitto che stava quasi cedendo. «Qualcuno ha provato a strappare queste cose dal muro. E ci ha dato dentro, direi.»

«Pensi che Luke stia bene?» Dall'espressione che fece, Jace non volle risponderle. «Penso che faremmo bene a cercare di scoprirlo.»

Entrarono in salotto, ma trovarono solo altri libri. «Credo non sia lontano» disse Simon dalla porta del cucinino di Luke. «La macchinetta del caffè è accesa.»

Mentre lui ripercorreva tutto il salotto trovò una borsa piena di armi che aveva descritto il mondano, si rigirò un Chackram tra le mani e Clary ricomparve. Si era cambiata e quelli erano decisamente vestiti suoi, una maglia nera e jeans stretti che distrassero Jace per un millisecondo.

Sentendo il suo sguardo addosso, rispose ad una domanda che non aveva posto. «È un chakram» disse. «Un'arma dei Sikh. Te lo fai girare intorno all'indice e poi lo lanci. Sono rari e difficili da usare. Strano che Luke ne avesse uno. Era l'arma preferita di Hodge, ai suoi tempi. O almeno così mi ha detto.»

«Luke è un collezionista. Oggetti d'arte e cose del genere» disse Clary indicando delle statuine orrende.  «Cose belle.» aggiunse.

Posò il chakram e rovistò nella borsa, Un po' di vestiti caddero e sbucò un oggetto rettangolare.

Era una foto. Raffigurava due adulti, Un uomo sui 30 anni ed una donna di circa la stessa età, poi una bambina, piccola con delle trecce rosso scuro e degli occhi sorridenti. Sorrise, non potendone fare a meno guardando il sorriso di Clary. Notò solo dopo la crepa sul vetro, su cui c'era ancora del sangue rappreso. «Credo che questa sia tua.» disse porgendole la foto.

«Certo che è mia!» urlò strappandogli la foto di mano con troppa foga.

«È rotta» osservò.

«Lo so. Sono stata io... quando l'ho tirata al Divoratore. Questo vuol dire che Luke è andato all'appartamento dopo l'attacco. Forse oggi...»

«Deve essere stato lui l'ultimo a passare dal Portale» disse Jace. «È per questo che ci ha portati qui. Tu non stavi pensando a niente, così il Portale

ci ha spedito nell'ultimo posto in cui era stato lui.» osservò.

«Dorothea avrebbe anche potuto dircelo» disse Clary furente.

«Probabilmente l'ha pagata per stare zitta. Oppure lei si fida di lui più che di noi. Il che vuol dire che lui potrebbe non essere...»

Furono interrotti dal mondano. Ancora. «Gente in arrivo.»

La foto cadde in terra, Clary sembrò non accorgersene neanche.«È Luke?» chiese.

Lui guardò verso il corridoio e annuì. «Sì. Ma non è solo... ci sono due uomini con lui.»

«Uomini?» Jace si buttò alla finestra. L'uomo che aveva visto nella fotografia, con una decina di anni in più, era lì. Con lui due uomini a giudicare dalla postura, ma il volto era coperto dal cappuccio. «Stregoni.» imprecò.

Clary lo fissò «Stregoni? Ma...» Jace la ignorò e si allontanò dalla porta.«C'è un'altra uscita? Una porta sul retro?»

«No, c'è solo la porta da cui siamo entrati.» Jace non la ascoltava più però. Stava cercando disperatamente un qualcosa dove nascondersi.

Andiamo Wayland, pensa. Si disse.

I suoi occhi si fermarono su un paravento. «Andate là dietro» disse Indicandolo. «Subito.»

I Mondani fecero come detto e i 3 si catapultarono dietro il pannello di legno. Tracciò più in fretta che poteva la runa di visualizzazione, una piccola finestrella si aprì sul pannello di legno, E pregò tutti gli angeli che conosceva che facessero silenzio.

I tre uomini apparvero nella finestrella che Jace allargò ancora un po', «Prego, date pure un'occhiata in giro» disse Luke con un sarcasmo evidente. «È gentile da parte vostra mostrare tanto interesse.»

Una risata giunse dalla porta d'ingresso ma lui non la sentì nemmeno.

Stava guardando loro, gli stregoni che erano con Luke.

Non erano stregoni.

Solo una parte del cervello di Jace registrava ciò che stavano dicendo, l'altra parte reprimeva l'istinto omicida. Non sentiva neanche ciò che Clary gli diceva.

Aveva già visto quegl'uomini, Sette anni prima. Idris, Casa sua -quella vera- Non lo dimenticherà mai.

Non si può credere che un bambino così piccolo potesse provare il dolore che ti cambia per sempre, quello che ricopre il tuo cuore di freddo granito per l'eternità, ma ovviamente il povero Wayland non né aveva colpa. Insomma, lui era solo morto. Chi poteva immaginare che avrebbe ucciso anche lui? Ossessionato dall'idea di trovare quegli uomini che quel giorno si erano presentati alla tenuta ad Idris, portatori di morte certa per suo padre che era da solo, per suo padre che si era troppo preoccupato per lui, quando non era occupato a picchiarlo, troppo preso per fare marchi più potenti. Cosa che gli è costata la vita.

Si sentiva ancora tremare in quel piccolo sottoscala, sentiva ancora il suo cuore battere veloce come le ali di un colibrì sentendo la colonna sonora della morte, lenta e spietata, gli bucava ancora le orecchie sentire le urla di suo padre, e quando proprio non riusciva a reggere più il peso della paura che bloccava il respiro ai suoi polmoni scappò dal posto sicuro e sentì il suo cuore che gli veniva strappato dal petto quando l'uomo che adesso gli stava davanti infilò con tutta la sua forza una lama nel cuore di suo padre.

Riprese conoscenza con il mondo solo quando loro uscirono dalla sua visuale, il respiro tornò normale e il sangue fluì nuovamente al suo posto.

Il freddo glaciale al cuore lo sentiva ancora.

«Clary? Stai bene?» Era Simon. Dalla voce sembrava che lei non stesse bene. In quel momento non se ne curò.

«Non va affatto bene.» sentiva la sua voce, ma non sentiva di aver parlato. Si alzò, spostò il paravento. «Almeno adesso sappiamo chi ha mandato un demone a cercare tua madre. Quegli uomini pensano che lei abbia la Coppa Mortale.»

«Ma è assolutamente ridicolo. E impossibile.» Clary era sconvolta. Jace stava ancora combattendo contro la sua anima e Simon era un mondano. Non andava assolutamente bene.

«Forse» disse Jace cercando sostegno dalla scrivania vecchia. «Intanto però dobbiamo uscire di qui prima che torni Lucian e ci consegni agli uomini di Valentine.»Rivisse la scena nella sua mente ancora una volta, stava cominciando a prenderci gusto a soffrire da solo come un idiota.  «Ammesso che lo siano veramente.» 'E se Valentine centra davvero qualcosa con la morte di mio padre, lo ucciderò io stesso con le mie mani' aggiunse fra se.

«Luke non lo farebbe mai» disse Clary. «Non lo farebbe mai. Forse è troppo vigliacco per aiutare mia madre, forse sta scappando via, ma non direbbe loro che sono ancora viva. Finora mi ha sempre protetto.»

Chiederlo non costava nulla. «Avevi mai visto quei due uomini prima?»

Scosse il capo.

«Lucian sembrava conoscerli. Sembravano amici.»

«Non direi proprio amici» disse Simon. Se pensava di diventare un esperto in 10 minuti Jace avrebbe riversato la sua ira su di lui. «Direi che stavano tenendo a freno la loro ostilità.»

«Però non l'hanno ucciso» ribatté Jace. «Quindi pensano che sappia più di quanto dice.»

«O forse non se la sentono di uccidere un altro Cacciatore.»

Jace non potè far meno di scoppiare a ridere. Rifiutarsi di uccidere un altro cacciatore? Aveva visto con i suoi stessi occhi di cosa erano capaci quei bastardi senza cuore, e molto presto lui gliel'avrebbe strappati per davvero. «Ne dubito.» disse. Non aveva senso coinvolgerla in questo, ma chissà perché, aveva così voglia di dirle tutto. Raccontarle la storia della sua vita, anche solo per parlare con lei. Per averla e sentirla vicino come nessuno nella sua vita.

«Come fai a essere così sicuro? Li conosci?»

Qualcosa nel suo cuore si spezzò di nuovo. «Se li conosco?» le fece eco. «Puoi dirlo forte. Sono gli uomini che hanno ucciso mio padre.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Il circolo. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo VIII; Il circolo

 

 

In Tutta la sua vita, Jace aveva sempre sostenuto 3 cose.

La prima è che non avrebbe mai rivelato a nessun mondano del mondo invisibile, La seconda è che Izzy fosse una pessima cuoca.

E la terza era che se avesse mai incontrato gli assassini di suo padre, li avrebbe uccisi a vista.

Neanche lui però sapeva perché non li avesse inseguiti e uccisi. Forse lo shock iniziale, forse perché sogni talmente tante volte di realizzare la tua vendetta che poi quando ti si presenta l'occasione non sai proprio cosa fare.

E poi c'era lei.

Si era avvicinata a lui, voleva toccarlo ma lui non la voleva vicino. Voleva stare solo come mai in vita sua.  «Ce ne dobbiamo andare» disse uscendo di fretta con i mondani alle spalle. «Non sappiamo quando tor-nerà tuo zio.»

Clary sembrò dire qualcosa, ma nessuno l'ascoltò.

Uscirono dalla porta e lui la chiuse con lo stilo. La luna che si ergeva alta nel cielo, la fresca notte di agosto, la mondana-cacciatrice, niente sembrava importargli.

«Qualcuno mi vuole dire dove stiamo andando?» chiese Simon.

«Alla fermata della metropolitana» rispose tranquillamente

«Mi prendi in giro?» chiese sbattendo gli occhi. «I cacciatori di demoni prendono la metro?»

«Si fa prima che in auto.» tagliò corto lui.

Simon si mise a blaterare qualcosa riguardo ad un furgone con la scritta "Caccia ai demoni" ma Jace non lo stava ascoltando.

«Simon» disse Clary. «Basta.»

La ringraziò mentalmente, ma non si scompose. Non ascoltava niente se non il battito del proprio cuore che non accennava a calmarsi. Continuava a dire "Cercali, trovali, vendicati."

Ma al momento, non poteva. Se li avesse trovati e uccisi, non sarebbero riusciti a trovare la madre di Clary.

Gli assassini potevano aspettare.

 

«Tu vivi qui? Ma è una chiesa!» Simon guardava la facciata dell'istituto, con gli occhi mondani si vedeva una chiesa diroccata, ma solo Jace e Clary la vedevano davvero.

Prese la chiave appesa al collo e aprì la porta. «È utile abitare su terreni consacrati.»

«Lo immagino, ma, senza offesa, questo posto è un cesso» 'Voglio proprio vedere com'è casa tua. Sono sicuro che non sia piena di ragazze in bikini e fumetti dappertutto. Ne sono certo.'

«È un incantesimo, Simon. Questo posto non è davvero così.» Disse Clary tentando di farlo stare zitto.

«Be', già che c'erano non potevano dargli un'aria più decente?»

Adesso basta. «Non credo che tu ti renda conto dell'onore che ti sto facendo» gli ricordò. «Sei il secondo mondano che mette piede dentro l'Istituto.»

«Probabilmente è la puzza a tenere gli altri a distanza.»

«Ignoralo» gli disse lei mentre gli dava una gomitata. «Dice sempre quello che gli passa per la testa. Niente filtri.»

«I filtri vanno bene per le sigarette e per le macchinette del caffè» borbottò Simon mentre entravano. «Due cose che non mi dispiacerebbe avere in questo momento, tra l'altro.»

Continuando a ignorarli, arrivarono all'anticamera del piano di sopra e chiamò il gatto spelacchiato che si materializzò ai suoi piedi.

«Church» salutò Jace inginocchiandosi ad accarezzare la testa grigia del gatto. «Dov'è Alec, Church? Dov'è Hodge?»

Il gatto si stiracchiò. Lui arricciò il naso. Capire quel gatto era complicato. «Sono in biblioteca?»

Il gatto si rialzò e cominciò a camminare facendogli segno di seguirlo. Si incamminarono verso la cucina.

«Non mi piacciono i gatti» disse Simon.

«Conoscendo Church»gli rispose lui «è improbabile anche che tu piaccia a lui.»

Lo ignorò ma lo sentii comunque sbuffare. «Quante persone vivono qui, esattamente?»

«È un istituto» rispose Clary. Cominciava a pensare che stesse rispondendo lei a tutto per non farlo innervosire.  «Un posto dove gli Shadowhunters posso-no stare quando si trovano in città. Un misto tra un rifugio e un laboratorio di ricerca.»

«Credevo che fosse una chiesa.»

«È dentro una chiesa.»

«Adesso sì che è tutto chiaro.»

Si zittirono entrambi, Jace li guardò con la coda dell'occhio. Lei gli aveva preso la mano tra le sue per tranquillizzarlo.

Represse una smorfia e sentì Church che miagolava accanto a lui.

«Lo so, Church. Sta antipatico anche a me.» disse al gatto che rispose con un piccolo starnuto.

«Non sei obbligato a restare con me» stava dicendo Clary. Dal tono sembrava dire "Ti prego ho un disperato bisogno di te qui"

Non gli aveva mai parlato così.

«Sì, invece» ribatté Simon ed entrarono in cucina.

Isabelle era ai fornelli, e ciò non poteva significare nulla di buono.

Ogni tipo di ingrediente disgustoso era messo a casaccio sul tavolo, in una pentola bolliva qualcosa di identificabile.

«Sto preparando la zuppa» dichiarò Isabelle indicandolo con il mestolo. «Avete fame?» Il suo sguardo lo trapassò e si fermò sul mondano. I suoi occhi si spalancarono per la rabbia. «Oddio» disse secca. «Hai portato qui un altro mondano? Hodge ti ucciderà.»

Simon si presentò, ma Isabelle non lo degnò di una risposta. «JACE WAYLAND» disse. «Giustificati!»

Jace, da vero uomo maturo, se la prese con il gatto. «Ti avevo detto di portarmi da Alec! Giuda traditore!»

Church fece le fusa.

«Non dare la colpa a Church» disse Isabelle. «Non è colpa sua se Hodge ti ucciderà.»

Dire la verità a Isabelle gli avrebbe giovato. Non era il tipo di persona che andava a spifferare tutto a Hodge. Almeno, non le cose importanti. «Non potevo fare altrimenti» le disse. «Isabelle... oggi ho visto due degli uomini che hanno ucciso mio padre.»

Il suo sguardo si concentrò su Simon e lo indicò con il mestolo. «Immagino che lui non sia uno di loro, vero?»

Jace per poco non scoppiò a ridere. Figurati. Suo padre non gli avrebbe nemmeno fatto dire "Ciao" che sarebbe già morto. «Ovviamente no» disse Jace. «Pensi che se lo fosse sarebbe ancora vivo?»

«Immagino di no» disse lasciando cadere distrattamente un pezzo di pesce sul pavimento. Church gli balzò addosso in un istante.

«Non c'è da meravigliarsi che ci abbia portati qui» disse Jace guardando il gatto che aveva più grasso che peli. «Non ci posso credere che gli stia dando dell'altro pesce. È decisamente una botte.»

«Non è una botte. E poi voi non mangiate mai niente. Ho avuto questa ricetta da un folletto acquatico al Chelsea Market, ha detto che era deliziosa...»

«Se tu sapessi cucinare, forse io mangerei»

Lei lo minacciò con il mestolo. «Cosa hai detto?»

«Ho detto che mi andrò a cercare qualcosa da mettere sotto i denti.»

«Ah, ecco.» Isabelle posò gli occhi sulla zuppa e Jace si diresse verso il frigo. Con Clary che lo seguiva.

«Non posso credere che tu riesca a pensare a mangiare» gli sibilò lei.

Lui intanto controllava i contenitori. Salsicce, uova fritte, tonno. Niente di decente. «E cosa dovrei fare, sennò?»

«Wow! È come un compagno di stanza pazzo!» osservò lei notando i piccoli divieti di Hodge sul cibo.

«Chi, Hodge? È solo che gli piace che tutto sia al proprio posto.» provò con un ultimo contenitore. «Mmm... spaghetti.»

«Non rovinarti l'appetito» gli urlò Isabelle.

«È esattamente quello che intendo fare» disse Jace chiudendo il frigorifero con un calcio

Prese una forchetta dal cassetto e si ricordò che Clary era ancora lì.

«Ne vuoi un po'?»

Lei scosse il capo.

«Per forza» disse lui prendendone una forchettata.  «Ti sei mangiata tutti quei tramezzini...»

«Non erano così tanti.» disse risoluta, guardava il mondano che parlava con Isabelle. E Jace guardava lei, sembrava turbata. «Adesso possiamo andare a cercare Hodge?» chiese,

«Sembra proprio che tu abbia una gran voglia di uscire di qui.»

«Non vuoi raccontargli quello che abbiamo visto?»

Si macchiò le dita con il sugo. Lo leccò distrattamente sotto lo sguardo di Clary. «Non ho ancora deciso. Ma se proprio vuoi andare...»

«Sì» disse secca.

«Bene.» fece per uscire con Clary al seguito.

«Dove andate?» Era Simon, aveva un espressione a metà tra l'idiota e il ritardato. Chissà se dipendeva dal fatto che stava spogliando Isabelle con gli occhi.

«A cercare Hodge» disse Clary «Gli devo raccontare quello che è successo da Luke.»

Isabelle si rivolse a lui.  «Hai intenzione di dirgli che hai visto quegli uomini, Jace? Quelli che...»

«Non lo so» le disse sinceramente. «Quindi per ora tienitelo per te.»

Isabelle scrollò le spalle. «Va bene. Hai intenzione di tornare? Vuoi un po' di zuppa?»

«No» disse svelto. Aveva mal di stomaco solo a guardare il pentolone.

«Pensi che Hodge ne voglia un po'?»

«Nessuno vuole la tua zuppa.»

«Io la voglio, la tua zuppa» disse Simon tornando a guardare lei.

Un po' del suo istinto da fratello (che non si faceva mai sentire) prese il sopravvento. «No che non la vuoi» disse Jace. «Vuoi soltanto andare a letto con Isabelle.»

Il mondano diventò rosso. «Non è vero!»

«Grazie tante» disse Izzy per nascondere una risata.

«Oh, sì che è vero» disse Jace. «Dai, chiediglielo, così lei può dirti di no e noi possiamo continuare a farci i fatti nostri mentre tu ti crogioli nell'umiliazione.» Schioccò le dita. «Muoviti, mondano, abbiamo del lavoro da fare.»

Simon guardò il pavimento, l'umore di Jace migliorò. Ma ovviamente c'era la mammina a difenderlo.: «Lascialo stare» gli ringhiò Clary. «Non c'è bisogno che tu faccia il sadico solo perché non è uno di voi.»

«Uno di noi» la corresse meccanicamente. Lei sussultò.

«Io vado a cercare Hodge... tu puoi venire o restare, fai come vuoi.» e se ne andò senza lasciarle il tempo di ribattere. 1 minuto dopo lei era di nuovo accanto a lui in corridoio.

«Carino da parte tua lasciare soli i due piccioncini.» non sapeva neanche lui  perché se la stesse prendendo con Simon-l'idiota.  Forse per farla infuriare.

«Ma perché devi sempre essere così idiota?»

«Idiota, io?» stava per mettersi a ridere.

«Quello che hai detto a Simon...»

«Stavo solo cercando di risparmiargli qualche sofferenza. Isabelle gli strapperà via il cuore e poi ci camminerà sopra con i tacchi a spillo. Fa sempre così coi ragazzi.»

«Ha fatto così anche con te?»

Jace scosse il capo. Si sentiva ferito, ma non da Izzy. Si rivolse al gatto: «Da Hodge» disse. «E questa volta che sia davvero Hodge. Se ci porti da qualche altra parte ti trasformo in una racchetta da tennis.»

Il gatto cominciò ad incamminarsi.

«Jace.» La voce di Clary trasmetteva malinconia.

Si girò a guardarla. «Cosa?»

«Scusa se sono scattata.»

Lui rise. Era la prima volta che gli chiedeva scusa. «Quale delle tante volte?»

«Anche tu però scatti con me, sai?»

«Lo so» ammise «In te c'è qualcosa di così...» non trovava le parole.

«Irritante?»

Lui rise ancora. «Spiazzante.»

Sembrò sorridere. «È sempre Isabelle a cucinare per voi?»

Jace rabbrividì- «No, grazie a Dio. Perlopiù ci sono i Lightwood, ed è Maryse, la madre di Isabelle, che cucina. È una cuoca fantastica.» Solo a pensare alla sua cucina a Jace venne di nuovo fame.

«E com'è che non ha insegnato a cucinare a Isabelle?»

«Perché» disse Jace lentamente «è solo da poco tempo che le donne pos-sono diventare Cacciatrici come gli uomini. Voglio dire, ci sono sempre state donne nel Conclave. Studiavano le rune, creavano le armi, insegna-vano le Arti Mortali. Ma pochissime erano guerriere, solo quelle che ave-vano abilità eccezionali. Dovevano lottare per essere addestrate. Maryse fa parte della prima generazione di donne del Conclave che sono state adde-strate e credo che non abbia mai insegnato a Isabelle a cucinare per timore che, se l'avesse fatto, Isabelle sarebbe stata relegata per sempre in cucina.» pensò a Clary con una tenuta da cacciatrice, intenta a farsi ammazzare da un qualunque demone di passaggio. Represse un altro brivido.

«E sarebbe successo?»

Jace sorrise. «No di certo. Isabelle è uno dei migliori Cacciatori che io abbia mai conosciuto.»

«È più brava di Alec?»

Il gatto davanti a loro si bloccò di scatto davanti ad una piccola scala a chiocciola. «Ah, è nella serra. Non c'è da stupirsi.» disse Jace.

«La serra?» chiese Clary.

Si bloccò sul primo gradino. «A Hodge piace andarsene lassù. Coltiva piante medicinali, cose che ci possono servire. La maggior parte di esse cresce solo a Idris. Credo che gli ricordino casa sua.»

«E' più bravo di Isabelle? Alec, intendo.» chiese di nuovo una Clary petulante.

Si fermò a guardarla e a riflettere. Poteva dirglielo? Era un segreto tra parabatai. Tra migliori amici. Non aveva mai svelato un segreto a nessuno, ma sentiva di potersi fidare cecamente di lei. «Più bravo?» le fece eco . «A uccidere i demoni? No, direi di no. Non ne ha mai ucciso uno.» riprese a salire.

Clary sgranò gli occhi.  «Davvero?»

«Non so perché. Forse perché si preoccupa sempre di proteggere me e Izzy.» arrivati alla fine delle scale aprii la porta. L'odore così familiare della serra gli sciolse i nervi. Era quello l'odore di Idris, di alicante, di casa sua.

«Profuma di...» iniziò clary.

«Casa» disse secco Jace come risposta automatica. «Almeno per me.»

Raggiunsero Hodge sulla panchina di pietra, aveva gli occhi aperti, ma sognanti. «Hai l'aria di uno che sta aspettando qualcosa» osservò Jace facendolo voltare.

«Ero perso nei miei pensieri.» Hodge si alzò in piedi ed il sorriso svanì dal suo viso quando guardò i due ragazzi. «Cosa è successo? Sembrate...»

«Siamo stati attaccati» tagliò corto Jace. «Un Dimenticato.»

«Dei guerrieri Dimenticati? Qui?»

«Un guerriero» disse Jace. «Ne abbiamo visto uno solo.»

«Ma Dorothea ha detto che ce n'erano degli altri» aggiunse Clary.

«Dorothea?» Hodge sollevò una mano. «Sarà meglio che mi raccontiate tutto dall'inizio.»

«Va bene.» Jace ammonì clary con lo sguardo e raccontò tutto quanto al suo tutore, ben visto dal raccontare di Pangborn e Blackwell.

«Quei due uomini che dicevano di essere emissari di Valentine lo chiamavano Lucian Graymark.» stava dicendo Jace ma qualcosa nello sguardo di Hodge lo fece fermare.

«E i loro nomi erano...»

«Pangborn» disse Jace «e Blackwell.»

Hodge sbiancò come un lenzuolo, la postura si irrigidì. Di solito succedeva quando si parlava della rivolta. «È come temevo» disse quasi tra sé. «Il Circolo sta risorgendo.»

«Il Circolo?»

Hodge scosse la testa, come in segno di resa. «Venite con me» disse. «È tempo che vi mostri una cosa.»

 

Grazie al cielo non si sentiva quasi mai irrequieto. Hodge era intento a cercare un volume nell'enorme biblioteca, Jace e Clary erano seduti sul divano rosso come bravi scolaretti.

Alla fine, si spazientì. «Hodge, se ti serve aiuto per cercare...»

«No.» Hodge emerse dalla scrivania. «L'ho trovato.»

Sfogliava il grande libro, lo sguardo assorto.

«Dove... dove... ah, eccolo!» Si schiarì la voce ed iniziò a leggere:  «Giuro incondizionata obbedienza al Circolo e ai suoi prin-cipi... Sarò pronto a rischiare la vita in qualsiasi momento perché il Circolo preservi la purezza del sangue di Idris e per il mondo mortale della cui sicurezza ci facciamo carico.»

Jace fece una smorfia. «Che cos'è?»

«Questo, vent'anni fa, era il giuramento di fedeltà del Circolo di Raziel» disse Hodge. Sembrava esausto.

«È inquietante» disse emergendo dal divano. «Ricorda un'organizzazione nazista o roba del genere.»

«Era un gruppo» disse Hodge lentamente «di Cacciatori guidati da Valentine che perseguiva l'eliminazione di tutti i Nascosti e la restaurazione di un mondo più "puro". Il loro piano era aspettare che i Nascosti arrivassero a Idris per firmare gli Accordi. Devono essere firmati ogni quindici anni affinché la loro magia conservi la propria potenza» aggiunse per Clary. «Progettarono di massacrarli tutti mentre erano disarmati e indifesi. Questo atto terribile, pensavano, avrebbe scatenato una guerra tra gli umani e i Nascosti... una guerra che avevano intenzione di vincere.»

«È la Rivolta» disse Jace quasi a sé stesso. «Lo sapevo già. L'unica cosa che non sapevo era che Valentine e i suoi seguaci avessero un nome.»

«È un nome che non viene pronunciato spesso, oggigiorno» spiegò Hodge. «La loro esistenza è ancora una fonte di imbarazzo per il Conclave. La maggior parte dei documenti che li riguardano è stata distrutta.»

«Allora come mai tu hai una copia di quel giuramento?»

Hodge si gelò. «Perché ho contribuito a scriverlo.»

Jace si sentì male. «Tu facevi parte del Circolo?»

«Sì. Molti di noi ne facevano parte.» Ora Hodge non guardava più ne lui né Clary. «Anche la madre di Clary.»

Clary balzò in piedi «Cosa?» urlò.

«Ho detto...»

«Lo so cosa hai detto! Mia madre non avrebbe mai fatto parte di una co-sa del genere. Una specie... una specie di gruppo di fanatici.» faticava a trattenere le lacrime, si vedeva.

Jace fece per dire qualcosa per calmarla, ma fu interrotto da Hodge.

«Dubito che avesse molta scelta.»

«Di cosa stai parlando? Perché non aveva molta scelta?» la voce della ragazza stava diventando velenosa.

«Perché» disse Hodge lentamente, quasi come se quelle parole lo ferissero. «era la moglie di Valentine.»

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Capitolo 10
*** La città di ossa. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo IX; La città di ossa

 

Il silenzio spaccava ai timpani. Jace e Clary potevano sentire il loro cuore battere, frenetici e veloci. Ogni suono spezzato riecheggiava nella stanza in preda alla tensione.

Il silenzio fu spezzato dalle loro voci all'unisono: «Valentine aveva una moglie? Era sposato? Pensavo...»

«È impossibile! Mia madre non avrebbe mai... lei è stata sposata solo con mio padre! Non aveva un ex marito!»

Hodge alzò le mani, dalla postura delle sue spalle Jace potè vedere la stanchezza che sembrava millenaria.«Figlioli miei...»

«Non sono la sua figliola.» Clary si voltò come una bimba capricciosa. «E non voglio sentire altro.»

«Clary» disse Hodge.

 Clary si girò piano, gli occhi pieni di lacrime. «Mia madre non avrebbe...» cominciò a dire ma le si fermò la voce.

«Tua madre lasciò il Circolo» disse Hodge. Non si capiva se era per consolarla o era un semplice dato di fatto.

«Quando capimmo quanto fossero diventate estremiste le idee di Valentine... e cosa era pronto a fare... molti di noi lasciarono il Circolo. Lucian fu il primo. Per Valentine fu un duro colpo. Erano molto vicini.» Hodge scosse il capo. «Poi fu la volta di Michael Wayland. Tuo padre, Jace.»

Jace non disse nulla.

«Vi fu anche chi gli restò fedele. Pangborn, Blackwell, i Lightwood...»

Jace si immobilizzò sul posto. Dio, forse Clary non era l'unica a dover porre delle domande scomode. «I Lightwood? Vuoi dire Robert e Maryse? E tu? Quando te ne sei andato?»

«Non l'ho fatto» disse Hodge con un filo di voce. «E nemmeno loro...

avevamo paura, troppa paura di ciò che lui avrebbe potuto fare. Dopo la Rivolta, i lealisti come Blackwell e Pangborn fuggirono. Noi restammo e cooperammo con il Conclave. Facemmo dei nomi. Li aiutammo a rintracciare quelli che erano scappati. E per questo furono clementi con noi.» non né sembrava molto contento.

E non aveva tutti i torti. Era stato rinchiuso lì, per una maledizione. Gli ci vollero un paio di minuti per rendersi conto che quella maledizione non era stata mandata da uno stregone, ma dal conclave. «Clementi?»

«Stai pensando alla maledizione che mi tiene legato a questo posto, vero?» disse. «Hai sempre dato per scontato che fosse un incantesimo lanciato per vendetta da un demone o da uno stregone. Ma non è così. La maledizione che mi tiene qui è stata lanciata dal Conclave.»

«Per il fatto che facevi parte del Circolo?» chiese Jace. Non si rendeva neanche conto che i suoi occhi erano più che spalancati.

«No, per non esserne uscito prima della Rivolta.»

«Ma i Lightwood non sono stati puniti» disse Clary. «Perché no? Avevano fatto la stessa cosa che hai fatto tu.» Cara ingenua Clary. Crede ancora che la legge sia uguale per tutti.

«Nel loro caso c'erano delle attenuanti. Erano sposati, avevano un figlio. E comunque non è che vivono in questo avamposto lontano da Idris per lo-ro scelta. Siamo stati esiliati qui tutti e tre. Tutti e quattro, dovrei dire. Alec era molto piccolo, quando abbiamo lasciato la Città di Vetro. Loro possono tornare a Idris solo per questioni ufficiali e solo per brevi periodi. Io non posso tornare. Non rivedrò mai più la Città di Vetro.» il dolore ricopriva ogni singola sillaba della sua voce.

Jace non lo riconosceva più. Forse era così che si era sentita lei a casa di Luke. «Dura lex, sed lex» disse.

«Te l'ho insegnato io. E ora usi le mie lezioni contro di me. E giustamente.»

«Perché non me l'hai detto prima?» chiese la ragazza. «Che mia madre era sposata con Valentine, voglio dire. Conoscevi il suo nome...»

«Io la conoscevo come Jocelyn Fairchild, non come Jocelyn Fray» ri-spose Hodge. «E tu hai tanto insistito a dire che non era a conoscenza del Mondo Invisibile che mi hai convinto che non potesse essere la Jocelyn che conoscevo... e forse non volevo crederlo. Nessuno potrebbe volere il ritorno di Valentine.» Scosse di nuovo il capo. «Quando questa mattina ho mandato un messaggio ai Fratelli della Città di Ossa non avevo idea di quali notizie avremmo avuto per loro» disse. «Quando il Conclave scoprirà che Valentine è tornato, che sta cercando la Coppa, scoppierà il caos. Spe-ro solo che questo non vada a discapito degli Accordi.»

 «Scommetto che Valentine ne sarebbe contento» osservò Jace. «Ma perché vuole così tanto la Coppa?»

Il volto di Hodge era grigio come un cadavere, sembrava molto più vecchio di quanto non fosse.«Non è ovvio?» disse. «Per potersi creare un esercito.»

Jace parve sbalordito. «Ma non...»

«La cena è pronta!» Era Isabelle, in piedi sulla porta delle biblioteca. Il mestolo ancora in mano. Dopo, si accorse di loro. «Scusate l'interruzione» aggiunse.

«Oddio» disse Jace abbandonando l'espressione scioccata. «L'ora del giudizio è arrivata.»

«Io... io... ho fatto una colazione molto abbondante» balbettò Hodge. «Voglio dire... un pranzo... un pranzo molto abbondante. Non ho molta fame...»

«Ho buttato via la zuppa» disse Isabelle nascondendo un sorriso. «E ho ordinato da mangiare dal ristorante cinese.»

Lo stomaco di Jace rumoreggio, si staccò dalla scrivania. «Fantastico» disse. «Sto morendo di fame.»

«Forse potrei cercare di mangiare qualcosina...» ammise Hodge rosso come un pomodoro.

«Siete due pessimi bugiardi» disse Isabelle. «Sentite, lo so che non vi piace come cucino...»

«E allora smetti di farlo» le consigliò Jace. «Hai ordinato il maiale mu shu? Lo sai che vado matto per il maiale mu shu...»

Isabelle alzò gli occhi al cielo. «Sì. È in cucina.»

«Grande.» Jace le passò accanto scompigliandole amorevolmente i capelli. Si diresse in cucina con Hodge al seguito.

Jace gettò un occhiata alle sue spalle, nessuno. «Lo sapevi, vero?»

Hodge trasalì. «cosa?»

«Non fare il santarellino con me, Hodge. Sapevi della madre di Clary da quando l'hai vista.»

Hodge sospirò, per un secondo un barlume nei suoi occhi lo rese simile al grande uccello posato sulla sua spalla.

 

 «Be', secondo me è una cosa romantica» disse Isabelle tentando di mangiare cibo cinese con la cannuccia.

«Che cosa?» Simon assomigliava all'anatra che aveva davanti: completamente cotto.

«Tutta quella faccenda della madre di Clary che era sposata con Valentine. Così adesso è tornato dal mondo dei morti ed è venuto a cercarla. Forse vuole rimettersi con lei.» La solita romantica Izzy.

«Ho qualche dubbio che voglia rimettersi con lei dopo che ha mandato un Divoratore a casa sua» disse Alec da accanto a lui. Notò distrattamente che non guardava Clary negli occhi.

«In effetti non sarebbe una grande mossa» concordò Jace. «Meglio prima i fiori, poi una lettera di scuse e soltanto dopo le orde di demoni assetati di sangue.»

«Magari glieli ha mandati, i fiori» disse Isabelle con il tono saccente.  «per quello che ne sappiamo.»

«Isabelle» Hodge era secco. «Stiamo parlando dell'uomo che ha portato su Idris una distruzione mai vista prima, che ha messo i Cacciatori contro i Nascosti e ha inondato di sangue le strade della Città di Vetro.»

«Be', i cattivi sono sempre dei gran fighi, no?»

Jace si morse le labbra per non scoppiare a ridere dell'espressione di Simon che tentava di fare il 'cattivo.' e ancora di più quando si accorse che Clary lo stava guardando.

«Ma perché Valentine vuole così tanto questa Coppa? E perché pensa che ce l'abbia la mamma di Clary?» chiese.

«Tu hai detto che la vuole per crearsi un esercito» disse Clary rivolta a Hodge. «Vuoi dire che potrebbe usare la Coppa per creare altri Cacciatori?»

«Sì.» fu l'unica cosa che rispose.

«Così Valentine, con quella Coppa, potrebbe prendere un tizio qualsiasi farlo diventare un Cacciatore?» Simon si protese in avanti. «Funzionerebbe anche con me?»

Represse di nuovo una risata.

Hodge gli rivolse una lunga occhiata. «Forse sì» disse infine. «Ma probabilmente tu sei troppo grande. La Coppa funziona con i bambini. Su un adulto non avrebbe alcun effetto, oppure lo ucciderebbe.»

Simon deglutì rumorosamente.

«Un esercito di bambini» mormorò Isabelle incredula.

«Un esercito di bambini» mormorò Isabelle con un filo di voce.

«Solo per qualche anno» disse Jace. «I bambini crescono in fretta. Non ci metterebbero molto a diventare veri e propri guerrieri.»

«Non capisco» disse Simon. «Trasformare un branco di ragazzini in guerrieri. Ho sentito cose peggiori. Non vedo tutta questa necessità di tene-re la Coppa lontana da lui.»

«Valentine userebbe senza alcun dubbio questo esercito per lanciare un attacco contro il Conclave» Hodge aveva il tono di chi sa davvero di cosa si parla. «E la ragione per cui po-chissimi umani vengono scelti per essere trasformati in Nephilim è che quasi nessuno sopravvive alla trasformazione. Ci vogliono una forza e una resistenza eccezionali. Prima di poter essere trasformati, devono passare attraverso numerose prove... Ma Valentine non perderebbe certo tempo in prove. Userebbe la Coppa su tutti i bambini e con i sopravvissuti creerebbe il suo esercito.»

Jace passò lo sguardo da Clary ad Alec. Avevano la stessa espressione: Orrore mista a preoccupazione cieca per le persone che amano.

«Come fai a sapere cosa farebbe?»

«Perché quando faceva parte del Circolo il piano era proprio questo. Diceva che era l'unico modo per costruirsi la potenza bellica necessaria per difendere il nostro mondo.»

«Ma questo è omicidio! Si sta parlando di uccidere dei bambini!» Aveva quell'espressione che dimostrava ciecamente di poter staccare la testa a Valentine.

«Diceva che avevamo reso il mondo più sicuro per gli umani per mille anni» disse Hodge. «E che era giunto il momento di ripagarci con il loro sacrificio.»

Jace arrossì debolmente. «Dei bambini?» chiese.

«Questo va contro tutto ciò che dovremmo difendere. Proteggere i deboli, salvaguardare l'u-manità...»

Hodge allontanò il proprio piatto. «Valentine era pazzo» disse. «Geniale, ma pazzo. L'unica cosa che gli importava era di uccidere i demoni e i Nascosti. Purificare il mondo. Lui avrebbe sacrificato il proprio figlio per la causa e non capiva come qualcun altro non intendesse farlo.»

«Aveva un figlio?» chiese Alec.

Hodge sbiancò e, anche solo per un secondo Jace potè giurare di aver visto Hodge che lo guardava come se la cosa lo riguardasse personalmente. «Parlavo per ipotesi» disse infine. «Quando la sua terra bruciò e la sua casa fu di-strutta, si pensò che si fosse dato fuoco insieme alla Coppa piuttosto che arrendersi al Conclave. Tra le ceneri vennero trovate le sue ossa insieme a quelle di sua moglie.»

«Ma mia madre è sopravvissuta» disse Clary. «Non è morta in quell'in-cendio.»

«E neanche Valentine, a quanto pare» disse Hodge. «Il Conclave non sa-rà contento di essere stato preso in giro. E soprattutto vorrà mettere le mani sulla Coppa. E, cosa ancor più importante, vorrà assicurarsi che non lo faccia Valentine.»

«Direi che la prima cosa da fare è trovare la madre di Clary» suggerì Jace. «Trovare lei e la Coppa prima di Valentine.»

Sembrava logico, un buon piano. Ma Hodge, come al solito, non era d’accordo. «Assolutamente no.» disse.

«E allora cosa faremo?»

«Niente» disse Hodge. «È meglio lasciare questa faccenda a Shadowhunters abili ed esperti.»

«Io sono abile» disse Jace . Ed era la verità. Lui era il migliore. «E anche esperto.»

«Lo so, Jace, ma sei ancora un bambino, o quasi.» non gli era mai sembrato tanto irragionevole, anche se lo conosceva ormai da anni.

Jace lo guardò storto. «Io non sono un bambino.» disse deciso.

«Hodge ha ragione» disse Alec. Il suo sguardo trasudava preoccupazione.

«Valentine è peri-coloso. Lo so che sei un buon Cacciatore. Probabilmente sei il migliore fra quelli della nostra età. Ma Valentine è uno dei migliori che ci siano mai stati. C'è voluta una grande battaglia per sconfiggerlo.»

«E non ci sono neanche riusciti fino in fondo» aggiunse Isabelle intenta a studiare una forcina per capelli.

«Ma noi siamo qui» protestò Jace. «Siamo qui e grazie agli Accordi non c'è nessun altro. Se non facciamo qualcosa...»

«Faremo qualcosa» concluse Hodge. «Manderò un messaggio al Conclave questa sera stessa. Possono far arrivare qui dei Nephilim già domani.  Se ne occuperanno loro. Voi avete fatto più che abbastanza.»

Jace fece per dire qualcosa. Cambiò idea. «Non mi piace.»

«Non ti deve piacere» disse Alec. «Devi solo stare zitto e non fare stupidaggini.» Avrebbe tanto voluto essere davvero suo fratello. Lo stesso sangue. Era l'unico idiota che riusciva a farlo sentire in colpa per essersi fatto quasi ammazzare.

«E mia madre?» chiese Clary ad occhi spalancati. «Non può aspettare che si presentino i rappresentanti del Conclave. È prigioniera di Valentine, lo hanno detto Pangborn e Blackwell, e lui potrebbe...»

Ucciderla, torturarla, tagliarla a pezzettini. Pensò Jace.

Simon, come al solito, disse qualcos'altro. «Farle del male Però hanno anche detto che non aveva ripreso conoscenza e che Valentine non ne era contento. Sembra che aspetti che lei si svegli.»

«Se fossi in lei non lo farei» mormorò Isabelle.

«Ma potrebbe succedere in qualsiasi momento» disse Clary.

«Credevo che il Conclave avesse il compito di proteggere le per-sone. Non dovrebbero esserci qui dei Cacciatori, adesso? Non dovrebbero essere già alla sua ricerca?»

«Sarebbe più facile» disse Alec con un sospiro «se avessimo almeno una vaga idea di dove cercare.»

A Jace gli si accese una lampadina. «Ma ce l'abbiamo» disse.

«Ah, sì?» Clary lo guardò strano.

«È qui.» Jace si chinò in avanti e con un gesto delicato posò due dita sulla fronte pallida di Clary. Al suo toccò la ragazza avvampò.

«Tutto quello che ci serve sape-re è chiuso dentro la tua testa, sotto questi bei riccioli rossi.»

Clary balbettò. «Non penso...»

«E allora cosa pensi di fare?»  chiese Simon che era scattato nella fase non-toccare-la-mia-ragazza.  «Aprirle la testa a colpi di spada?»

«Niente affatto. I Fratelli Silenti possono aiutarci a recuperare i suoi ricordi.»

«Ma tu odi i Fratelli Silenti» protestò Isabelle.

«Non li odio» replicò Jace. «Ho paura di loro. Non è la stessa cosa.»

«Sbaglio o avevi detto che sono dei bibliotecari?» disse Clary.

«E infatti lo sono.»

Simon fischiò. «Devono far pagare delle multe belle salate per le conse-gne in ritardo.»

«I Fratelli Silenti sono archivisti, ma non sono soltanto questo» disse Hodge. «Per rafforzare le loro menti, hanno scelto di prendere su di sé le rune più potenti mai create. Il potere di quelle rune è tale che, usandole...» Si interruppe e riprese fiato. «Be', distorce la loro forma fisica. Non sono guerrieri come gli altri Cacciatori. I loro poteri risiedono nella mente, non nel corpo.»

«Possono leggere il pensiero?» chiese Clary sottovoce.

«Tra le altre cose. Sono tra i cacciatori di demoni più temuti.»

«Non mi sembrano così pericolosi» disse Simon. «Io preferirei avere qualcuno che mi pasticcia dentro la testa piuttosto che uno che me la vuole tagliare via.»

«Allora sei ancora più idiota di quello che sembri» gli fece notare Jace.

«Jace ha ragione» disse Isabelle. «Non sul fatto di essere idiota» aggiunse velocemente. . «Ma i Fratelli Silenti fanno venire davvero i brividi.»

«Sono molto potenti» disse Hodge. «Camminano nelle tenebre e non parlano, ma possono aprire la mente di un uomo come tu faresti con una noce... e poi possono lasciarlo a urlare da solo al buio, se è quello che vogliono.»

Clary lo guardò come se lui fosse un fantasma.

«E tu vorresti mettermi nelle loro mani?»

«Io voglio solo aiutarti.» Ed era la cosa più vera che Jace avesse mai detto. si protese sopra il tavolo incastonando i suoi occhi con quelli di lei. «Forse non possiamo andare a cercare tua madre» disse piano, come fosse un segreto. «Forse lo fa il Conclave. Ma quello che hai nella testa appartiene a te. Qualcuno ti ha nascosto dei segreti, là dentro, segreti che tu non puoi vedere. Non vuoi sapere la verità sulla tua vita?»

«Non voglio qualcun altro nella mia mente» disse lei piagnucolante.

«Io verrò con te» disse Jace. «Resterò con te mentre lo fanno.» sembrava la cosa più naturale del mondo.

«Basta così.» Simon si alzò dal tavolo come fosse pronto a sferrargli un pugno. Se solo ci avesse provato! «Lasciala stare.»

Alec alzò pigramente lo sguardo sul mondano. Come rendendosi conto solo ora che fosse lì. «Che ci fai ancora qui, mondano?»

Simon non lo degnò di risposta. «Ti ho detto di lasciarla stare.»

Jace gli rivolse un'occhiata lenta e dolcemente velenosa. «Alec ha ragione» disse. «L'Istituto è tenuto a dare rifugio agli Shadowhunters, non ai lo ro amici mondani. Soprattutto quando hanno smesso da un pezzo di essere i benvenuti.» Forse Clary si sarebbe infuriata. Ma, per L'angelo! Clary era una cacciatrice, forse purosangue. Non poteva perdere tempo a fare la balia di quell'idiota.

Isabelle tentò di sedare la situazione prendendolo per un braccio. «Lo accompagno fuori.» Lo trascinò fuori, Clary li seguì con lo sguardo ma non disse nulla.

«Sono stanca» disse debolmente. «Voglio andare a dormire.»

Lui guardò il piatto che aveva davanti. Smangiucchiato, ma pieno. «Ma non hai praticamente mangiato...» avvicinò la mano alla sua. Lei la scansò.

«Non ho fame.» uscì lasciando la porta aperta.

Jace si gettò su una sedia. «che vada al diavolo.» annunciò come fosse la cosa più importante del mondo.

«Stanno insieme?» chiese Alec con lo sguardo sulla porta. «Sembrava piuttosto geloso.»

«Ooooh stanno insieme, solo che lei non lo sa.» sogghignò Jace. «E' cotto di lei.»

Alec lo guardò. Non disse nulla.

«che l'aiuti lui allora a trovare sua madre. » Jace guardò in cagnesco il microonde. «Sono sicura che la troverà in Dungeons and Dragons. Qualunque cosa sia. »

Prima che Alec aprisse la bocca per rispondere, Jace si alzò in piedi ed andò verso la porta borbottando.

Si fermò subito. Vide Clary abbandonata contro il muro, un aria sognante come Jace non l'aveva mai vista. Un sorriso gli nacque sulle labbra.

Si chinò accanto a lei, passandole una mano tra i capelli. Clary si mosse debolmente e sorrise.

«Sta dormendo?» chiese Hodge dalla porta della cucina.

Jace annuì. «La porto in una delle stanze, aprimi la porta.» non come la prima volta ma delicatamente la prese in braccio. I capelli rossi gli solleticavano la gola. La pose delicatamente sul letto bianco e si girò verso la porta. Hodge era andato via.

Lasciò un delicato bacio sulla fronte. «Buonanotte Clary.»

La ragazza rispose dal suo sonno con un altro sorriso.

Jace andò in camera sua con un umore decisamente.. Differente.

 

Con un grugnito poco elegante Jace si svegliò. Sogni così belli li faceva molto di rado e ovviamente, c'era sempre qualcuno che lo svegliava.

Alec gli stava tirando delicatamente i riccioli biondi. «Andiamo Wayland. vuoi alzarti o no?»

Si alzò a sedere. «Cosa diavolo vuoi Alec? Se mi interrompi mentre dormo mi verranno le rughe.» diede un occhiata alla sveglia e sgranò gli occhi. «Per amor dell'angelo Alec! Che c'è di così importante alle 5 del mattino? »

Alec alzò gli occhi al cielo. «Hodge vuole parlarti..» si voltò ed uscì in fretta. «Datti una mossa!» gli urlò da dietro la porta chiusa.

Grugnendo ancora si alzò e si vestì ancora mezzo addormentato. Sentiva ancora nelle orecchie la musica nella piazza dell'angelo. Le mani sentivano le scintille dove erano appoggiate ai fianchi di Clary.

Arrivò in biblioteca come in un sogno, che automaticamente si trasformò in un incubo appena vide il fratello Silente occupare praticamente metà della sala.

«Jace.» disse Hodge dalla scrivania evidentemente a disagio. «Ti ricordi di fratello Geremia vero?»

Jace annuì. «Come va?»

Geremia non rispose.

«Cavoli, dovresti parlare di meno, sai?»

«No. Non è lui.» disse Hodge rispondendo alla domanda che Geremia aveva posto solo nella sua testa. Poi si rivolse a lui. «Vado a chiamare Clary.»

«Vado io.» Hodge stava per replicare ma praticamente Jace era già arrivato da lei, esattamente come l'aveva lasciata con due mani sotto una guancia ed un sorriso dolcissimo. I capelli rossi sembravano fiamme.

Si sedette vicino a lei, con un tono dolce cercò di svegliarla. «Svegliati Clary. Sveglia. »

La ragazza alzò una mano e lo colpì. O almeno tentò di colpirlo dato che lui le afferrò delicatamente i polsi. Le palpebre vibrarono un po'. Poi aprì gli occhi e scattò a sedere, i polsi ancora stretti nelle sue mani. «Jace?» domandò.

 «Sì.» rispose.

«Lasciami.» disse brusca.

«Scusa.» fece scivolare via le dita. «Hai cercato di colpirmi quando ti ho chiamata.»

«Mi sa che sono un po' nervosa...» sbadigliò e si guardò intorno.

«Come sono arrivata qui? Non ricordo...»

«Ti ho trovata addormentata sul pavimento del corridoio.» disse lui sorridendo al ricordo. «Hodge mi ha aiutato a metterti a letto. Abbiamo pensato che saresti stata più comoda in una stanza degli ospiti che in infermeria.»

«Cavoli. Non mi ricordo niente.» si scompigliò i capelli. Jace le sorrise, sembrava un leoncino. «Ma che ore sono?»

 «Più o meno le cinque.»

«Del mattino?» gli lanciò un occhiataccia «Spero che tu abbia una buona ragione per avermi svegliato.»

«Perché? stavi facendo un bel sogno?»

Clary arrossì violentemente. «Non ricordo.»

Jace si alzò. «Uno dei Fratelli Silenti è qui per vederti. Hodge mi ha mandato a svegliarti. In realtà si era offerto di farlo di persona, ma visto che sono le cinque ho pensato che sarebbe stato un risveglio migliore se tu avessi avuto qualcosa di bello da guardare.»

«Ovvero te?»

«E chi sennò?

«Non ho mai detto che ero d'accordo»  disse lei. «Con questa faccenda dei Fratelli Silenti, voglio dire.»

«Vuoi trovare tua madre o no?»

Lo fissò senza dire niente.

«Devi solo incontrare Fratello Geremia. Tutto qui. Potrebbe anche piacerti. Ha un grande senso dell'umorismo, per essere uno che non dice mai niente.»

Clary si strinse la testolina rossa. «Esci. Mi devo cambiare.»

«Se proprio insisti...» disse lentamente. «Ti aspetto in corridoio.»

Sentì dei passi dietro la porta non appena la chiuse. Church si materializzò ai suoi piedi. «Ma cosa ci fai in piedi a quest'ora?» disse accarezzandolo.

Fece le fusa cominciando a girargli intorno come una trottola. Era su di giri e non era di certo per fratello Geremia. Graffiò le unghie sulla porta di Clary.

«Ah no, non pensarci nemmeno gattaccio.» disse spingendolo con un piede.

Il gatto lo fissò.

Jace sospirò. Pure il gatto gli faceva la predica. «Si. È vero. Sei contento ora?»

Riprese a girargli intorno contento. In quel momento Clary uscì. «Cos'ha il gatto?» chiese

«I Fratelli Silenti lo rendono nervoso.» mentì lui.

«A quanto pare rendono nervosi tutti.» .

Le sorrise. Church miagolò e quando si avviarono lungo il corridoio li lasciò soli. Quello stupido gatto!

Quando arrivarono in biblioteca, la porta era chiusa. Jace bussò una volta. Un momento dopo sentirono la voce di Hodge: «Avanti.»

Le luci erano state chiuse, l'unica luce proveniva dalla piccola finestrella. Jace sentì Clary irrigidirsi dietro di lui alla vista dell'archivista che era appena uscito dall'oscurità.

«Questo» disse Hodge a Clary «è Fratello Geremia della Città Silente.»

Geremia si avvicinò a Clary portando il suo odore di morte.

 «E questa, Geremia» continuò Hodge «è la ragazza di cui ti ho scritto, Clarissa Fray.»

«Ciao.» disse Clary con voce tremante.

«Avevi ragione tu, Jace» disse Hodge. «Ieri sera ho mandato una lettera al Conclave sulla Coppa, ma i ricordi di Clary sono soltanto suoi. Solo lei può decidere cosa fare di ciò che c'è dentro la sua testa.»

Ma perché tutti si scioccavano quando lui dimostrava di aver ragione?

Clary sussultò. «Sì» disse Hodge. «Ma suo padre era un mondano.»

Si sentiva escluso. Perché parlava solo nella loro testa?

Evidentemente, Geremia lo sentì. «Non ha importanza» disse Geremia. «Il sangue del Conclave è dominante.»

«Perché hai chiamato mia madre per nome?» chiese Clary guardando curiosa l'uomo incappucciato. «La conoscevi?»

«I Fratelli tengono traccia di tutti i membri del Conclave» spiegò Hodge «con grande zelo...»

«Non così tanto» disse Jace «visto che non sapevano neppure se era an-cora viva.»

«È probabile che per scomparire sia stata aiutata da uno stregone. Di solito, per i Cacciatori, non è così facile sfuggire al Conclave.» disse Geremia.

La sua voce interiore lo fece rabbrividire.

«C'è una cosa che non capisco» disse Clary. «Perché Valentine pensa che mia mamma abbia la Coppa Mortale? Se si è data tanto da fare per scomparire, come dite voi, perché se la sarebbe portata dietro?»

«Per impedire che se ne impadronisse lui» disse Hodge. «Lei sa più di chiunque altro cosa succederebbe se Valentine mettesse le mani sulla Coppa. Credo che non si sia fidata di lasciarla al Conclave. Non dopo che Valentine gliel'aveva già sottratta una volta.»

«Sarà...» Clary sospirò.

«Jocelyn ha abbandonato il marito prima della fine» disse Hodge. «Ed è probabile che abbia fatto in modo di evitare che la Coppa finisse nelle sue mani. Anche il Conclave avrebbe pensato che ce l'aveva lei, se avesse saputo che era ancora viva.»

«Mi sembra» disse Clary con un tono molto pungente «che tutti quelli che il Conclave pensa siano morti non lo sono mai per davvero. Forse dovrebbe assumere un bravo medico legale.»

«Mio padre è morto» disse Jace senza nessun tono. «E non ho bisogno che me lo dica un medico legale.»

Clary arrossì violentemente. «Scusa, non volevo...»

«Basta così» la interruppe Fratello Geremia togliendosi il cappuccio dal volto. «C'è una verità da apprendere, ora, se avrai la pazienza di ascoltarla.»

Clary rabbrividì violentemente alla vista inquietante di Fratello Geremia.

«I Fratelli della Città Silente non mentono» disse Geremia. «Se vuoi la verità da me, la avrai, ma ti chiederò di fare lo stesso con me.»

Clary lo guardò dove dovevano esserci gli occhi. «Nemmeno io sono una bugiarda.»

«La mente non può mentire.» Geremia le si avvicinò. «E io voglio i tuoi ricordi.»

Clary si fece un po'indietro quando lei le si avvicinò «Aspetta...»

«Clary.» disse Hodge. «È molto probabile che ci siano dei ricordi che hai sepolto o represso, ricordi risalen-ti a quando eri troppo giovane per averne memoria in modo consapevole. Ma Fratello Geremia li può raggiungere. Potrebbero esserci di grande aiuto.»

Clary si morse le labbra.  Jace vedeva la sua preoccupazione e si sentì soffocare dall'interno.

«Clary non deve fare niente che non voglia fare» disse svelto. «Vero?»

Clary lo guardò. «Va bene. Lo farò.» guardò Geremia che si avvicinava. «Farà male?» chiese?

Non rispose. Le mani bianche si sollevarono e toccarono il suo volto.  La ragazza chiuse gli occhi.

Jace osservava la scena attonito. La ragazza sembrava aver perso i sensi, ma si reggeva comunque in piedi da sola. Ad un certo punto si irrigidì come se non se ne accorgesse nemmeno si conficcò le unghie nei palmi. Né uscì una striscia di sangue.

«Basta così.» urlò Jace in preda alla preoccupazione. Clary spalancò gli occhi.

«Jace» lo rimproverò Hodge.

«Guarda le sue mani.» Jace indicò Clary che d'istinto chiuse a pugno le mani.

Hodge le si avvicinò. «Tutto bene?» chiese. Clary annuì debole

«C'è un blocco nella tua mente» disse Fratello Geremia. «I tuoi ricordi non possono essere raggiunti.»

«Un blocco?» chiese Jace incredulo.. «Vuoi dire che ha represso i suoi ricordi?»

«No. Voglio dire che sono stati bloccati con un incantesimo. Io non posso entrare. Dovrà venire alla Città di Ossa e comparire di fronte alla Fratellanza.»

«Un incantesimo?» chiese Clary incredula. «E chi mi avrebbe fatto un incantesimo?»

Jace guardò Hodge come una supplica. «Hodge, Clary non è costretta ad andare se...»

«Va bene.» Era Clary.«Ci andrò. Voglio sapere la verità. Voglio sapere cos'ho nella testa.»  Decisa e coraggiosa come un leone. Neanche Jace era mai voluto andare alla città silente. Era una delle poche cose che lo terrorizzava a morte. Si sentì orgoglioso di lei.

Jace annuì. «Allora verrò con te.»

 

Uscire dall'istituto fu come entrare in un forno ma Jace non sembrava soffrirne più di tanto. Clary lo guardava strano, però. «Non capisco perché non partiamo insieme a Fratello Geremia» borbottò seguita dal rumore di un camion che si faceva strada. «Cos'è, si vergogna di farsi vedere in giro con dei Cacciatori?»

Così, cominciava finalmente a considerarsi una cacciatrice. Sorrise fra se e se. «I Fratelli sono Cacciatori» precisò.

«Immagino sia andato a prendere la sua auto, vero?» chiese sarcastica.

Jace sorrise all'immagine della carrozza. «Qualcosa del genere.»

Clary scosse il capo. «Sai, mi sentirei molto meglio se Hodge fosse con noi.»

Si sentì leggermente offeso. «Non ti basto io come guardia del corpo?»

«Non è di una guardia del corpo che ho bisogno adesso, ma di qualcuno che mi aiuti a pensare.» Si portò una mano alla bocca come se si fosse ri-cordata qualcosa all'improvviso. «Oh... Simon!»

«No, sono Jace» Borbottò acido. Possibile che pensasse sempre a quello sfigato?  «Simon è quello sfigato con la faccia da furetto, i capelli orrendi e un gusto per l'abbigliamento davvero imbarazzante.»

«Piantala» gli disse secca. «Volevo chiamarlo, prima di andare a dormire, per vedere se era arrivato a casa sano e salvo.»

Scosse la testa evidentemente divertito. «Con tutto quel che sta succedendo tu ti preoccupi di Faccia da Furetto?»

«Non chiamarlo così. Non assomiglia a un furetto.»

«Forse hai ragione» disse Jace. «Mi è capitato di vedere dei furetti che non erano male. Lui sembra più un topo.»

«Non...»

«Probabilmente è a casa sdraiato in una pozzanghera di bava. Aspetta solo che Isabelle si stanchi di lui e dovrai raccogliere i suoi pezzi con il cucchiaino.» sogghignò gustandosi la scena nella sua mente.

«Ed è probabile che succeda?» chiese Clary.

Avrebbe voluto rispondergli immediatamente sì, ma voleva godersi un altro po' quell'immagine nella sua mente.

«Sì» disse infine.

«Tranquilla, probabilmente in questo momento saranno a letto insieme e lui sarà spaventato come un coniglio.» sogghignò ma si accorse che lei non lo ascoltava. La guardò.

«Cosa c'è?» gli chiese lei.

«Vorrei che la smettessi di cercare disperatamente di attirare la mia attenzione in questo modo» disse lui. «Sta diventando imbarazzante.»

«Il sarcasmo è l'ultimo rifugio di chi ha finito tutte le altre idee» rispose lei molto saccente.

«Non posso farci niente. Uso il sarcasmo per nascondere il mio dolore interiore.» disse mentre camminava su e giù.

«Il tuo dolore tra poco diventerà esteriore se non sali sul marciapiede. Stai cercando di farti investire da un taxi?»

«Non essere ridicola» disse lui. «Lo sanno tutti che è impossibile trovare un taxi a quest'ora nell'Upper East Side.»

Come volevasi dimostrare, Geremia arrivò con la sua carrozza imperiale che metteva davvero paura.

Essendo che Clary si era imbambolata davanti alla vettura, la spinse delicatamente dentro. «Entra» disse e si sedette accanto a lei. «Una carrozza personale per la Città di Ossa non è una cosa da snobbare.»

«Non la stavo snobbando. Ero solo sorpresa. Non mi aspettavo... Voglio dire... Pensavo fosse un'auto.»

«Rilassati» disse Jace chiudendo gli occhi «e goditi questo profumo di carrozza nuova.»

La ragazza concentrò la potenza del suo sguardo fuori dal finestrino, Quando Geremia usò il suo modo 'innovativo' di evitare il traffico Clary Sgranò gli occhi e cominciò a balbettare, con lo sguardo puntato su un tassista che, ovviamente, non vedeva nulla di strano. «Ho sempre pensato che i tassisti non prestassero molta attenzione al traffico, ma questo è grottesco» disse lei.

«Solo perché adesso puoi vedere al di là degli incantesimi. » disse lui.

«Riesco a farlo solo quando mi concentro» disse lei. «Ma mi fa un po' male la testa.»

«Scommetto che è per il tuo blocco mentale. Se ne occuperanno i Fratelli.»

«E poi?» lo sguardo di lei implorava per saperne di più.

«E poi tutto apparirà com'è: infinito» un sorriso amaro gli nacque sulle labbra.

«Questa l'hai copiata da William Blake.» disse lei colpendolo.

Jace le sorrise più dolce. «Non pensavo che l'avresti riconosciuta. Non hai l'aria di una che legge molta poesia.»

«Se le porte della percezione fossero ripulite, tutto apparirebbe all'uomo come realmente è: infinito» recitò lei con voce tenera. La immaginava seduta sul letto a recitare poesie per il nulla. «Questi versi li conoscono tutti, grazie ai Doors.» disse poi.

Grazie a chi?

«I Doors. Erano un gruppo rock» spiegò lei.

«Se lo dici tu.»

«Immagino tu non abbia molto tempo per ascoltare musica» disse. «Con il tuo lavoro e tutto quanto...»

Lui alzò le spalle. «Soltanto qualche lamento di dannati di tanto in tanto.» E chiaramente non scherzava

«Ieri però all'Istituto stavi suonando il piano...» osservò.

«Stavo solo strimpellando» disse Jace guardando fuori. «Mio padre ha voluto che imparassi a suonare uno strumento.» sperava che il discorso padre finisse lì. Ma ovviamente non era così.

«Doveva essere uno severo, tuo padre.»

Jace pensò a suo padre. La voce si fece più decisa. «Per niente. Mi viziava. Mi ha insegnato di tutto: uso delle armi, demonologia, scienze arcane, lingue antiche. Mi dava tutto quello che volevo. Cavalli, armi, libri, anche un falco da caccia.»

«Perché non hai detto a Hodge che conoscevi gli uomini che erano con Luke?» gli chiese lei. «E che sapevi che erano quelli che uccisero tuo padre?»

Jace si guardò le mani. Di solito mani del genere non si vedevano impugnare una spada, piuttosto un pennello. Accarezzò impercettibilmente l'anello che non lasciava mai la sua mano. Parlò con la determinazione che ormai gli scorreva nel sangue. «Perché se lo avessi fatto ora saprebbe che voglio uccidere Valentine. E non mi permetterebbe mai di provarci.»

«Vuoi dire che vuoi ucciderlo per vendicarti?»

«Per fare giustizia» la corresse Jace. «Non ho mai saputo che avesse ucciso mio padre. Ora lo so. È la mia occasione di pareggiare i conti.»

«Ma tu sapevi chi l'ha ucciso» disse invece. «Sono stati quegli uomini. Hai detto che...» non finì la frase. O la finì e lui non se ne accorse nemmeno.

La scena che spesso lo tormentava gli si parò davanti agli occhi. Sangue e urla dappertutto. Una giovinezza rubata praticamente sul nascere.

Guardò la ragazza vicino a lui. E se avesse capito quello che lo affliggeva? In fondo, si trovavano quasi sulla stessa barca.

Si decise a parlare tentando di bloccare il dolore che cresceva. «Avevo dieci anni» cominciò. «Vivevamo in una tenuta in campagna. Mio padre di-ceva sempre che era più sicuro starsene lontani dalla gente. Li sentii arrivare nel vialetto e andai a dirglielo. Lui mi disse di nascondermi e io mi nascosi. Sotto le scale. Vidi quegli uomini entrare. Con loro c'erano altri. Non uomini. Guerrieri Dimenticati. Sconfissero mio padre e gli tagliarono la gola. Il sangue schizzò sul muro alle sue spalle. Disegnò una specie di ventaglio. Ricordo che pensai proprio così.»

Clary Tacque un secondo, poi i suoi occhi scintillarono di lacrime «Mi dispiace, Jace.» disse.

«Non capisco perché i mondani si scusino sempre per cose delle quali non hanno colpa.» disse sorridente.

«Non mi sto scusando. È solo un modo per... per esserti vicina. Per dire che mi dispiace che tu sia infelice.»

«Non sono infelice» disse lui. Ed era vero. Non era infelice, soltanto nostalgico. «Solo le persone che non hanno uno scopo sono infelici. Io ce l'ho.»

«Vuoi dire uccidere demoni o vendicare la morte di tuo padre?» chiese come se fosse impazzito.

«Entrambe le cose.»

«Pensi che tuo padre vorrebbe davvero che tu uccidessi quei due? Per vendetta? Sono esseri umani, non demoni.»

«Un Cacciatore che uccide uno dei suoi fratelli è peggio di un demone e deve essere abbattuto come si fa coi demoni» Rispose pronto. Si rese conto che ormai quelle parole le aveva recitate così tante volte nella sua mente che avevano perso ogni significato. Come quando ripeti per centinaia di volte 'noce'. Poi non riesci più neanche a mangiarle, le noci.

«Ma i demoni sono tutti cattivi?» chiese lei. «Voglio dire, se non tutti i vampiri sono cattivi, e nemmeno tutti i lupi mannari, forse...»

Si voltò verso di lei, con l'ennesima espressione disperata di chi deve sempre spiegare tutto. «Non è affatto la stessa cosa. I vampiri, i lupi mannari e gli stregoni sono in parte umani. Fanno parte di questo mondo, ci sono nati. Vi appartengono. I demoni invece arrivano da altri mondi. Sono parassiti interdimensionali. Arrivano in un mondo e lo consumano. Non sanno costruire, solo distruggere... Non sanno creare, solo usare. Prosciugano un posto fino a ridurlo in cenere, e quando è morto passano a quello successivo. È la vita, quello che vogliono... non solo la tua o la mia, ma tutta la vita di questo mondo, i suoi fiumi, le sue città, i suoi oceani, tutto. E l'unica cosa che si frappone tra loro e la distruzione di tutto questo...» con un gesto indicò il mondo come lo vedevano tutti. Bellissimo e orribile allo stesso tempo. «... sono i Nephilim.» finì.

«Oh» disse Clary. Che per la prima volta sembrava a corto di parole. «Quanti mondi esistono?»

«Non lo sa nessuno. Centinaia? Milioni, forse.»

«E sono tutti... mondi morti? Consumati?»  chiese guardandolo triste.

«Non ho detto questo.» obbiettò. «Probabilmente ci sono altri mondi vivi come il nostro. Ma solo i demoni possono viaggiare tra i mondi, forse perché sono in parte incorporei, anche se nessuno sa esattamente come. Molti stregoni ci hanno provato, ma non ha mai funzionato. Niente che appartenga alla Terra può superare le barriere tra i mondi. Se potessimo farlo potremmo tentare di bloccare l'arrivo dei demoni, ma nessuno c'è mai riuscito. In effetti arrivano sempre più demoni. In passato c'erano solamente piccole invasioni e contenerle non era difficile. Ma all'incirca da quando sono nato io, i demoni che oltrepassano i confini della Terra sono sempre più numerosi. Il Conclave deve continuare a mandare Shadowhunters ovunque, e spesso non ritornano.»

«Ma se aveste la Coppa Mortale potreste crearne degli altri, giusto? Altri cacciatori di demoni?»

«Certo» Rispose. «Ma sono diversi anni ormai che non l'abbiamo più, e molti di noi muoiono giovani. Così i nostri ranghi si assottigliano sempre di più.»

«Ma voi non... ehm...» Clary balbettò mentre le sue guancie assumevano un colorito rosato. «... non vi riproducete?»

Lui scoppiò a ridere. Dio, sembrava che parlasse di qualche animale strambo. Geremia svoltò drasticamente a sinistra e la ragazza cadde di peso su di lui come per enfatizzare il concetto. La prese al volo stringendola. «Certo» disse tra le risate. «Ci piace un sacco riprodurci. È una delle nostre attività preferite.»

Clary si staccò da lui con suo ovvio dispiacere, le guance erano di un rosso acceso. «Sono contenta per voi» borbottò.

Jace guardò fuori dal finestrino ancora sorridente. Poi ripensò a quello che erano venuti a fare ed il sorriso scompari  dalle sue labbra.«Eccoci» annunciò sotto la scritta: CIMITERO MONUMENTALE DI NEW YORK CITY.

«Ma non ci sono cimiteri, a New York» disse Clary «Hanno smesso di seppellire la gente qui un secolo fa perché non c'era più spazio.»

«La Città di Ossa si trova qui da molto più tempo.»

«Non si può scegliere, vero?» Chiese Clary all'improvviso mentre l'aiutava a scendere dalla carrozza. Non sembrava molto abituata a gesti di galanteria. Bene, perché lui non era abituato a farne. «Se essere un Cacciatore, dico. Non si può rifiutare?»

«No» disse secco. Si doveva nascere Nephilim. Suo padre gli ripeteva sempre che nascosti si poteva diventare ma Nephilim si nasceva. E' il sangue a renderci ciò che siamo, dalla prima generazione fino all'ultima. Jace pensò a sé come mondano. Si immaginò con uno zaino pesante sulla spalla mentre si incamminava verso una scuola mondana ignaro dell'esistenza di un altro mondo tutto intorno a sé.  Scosse la testa. Non né sarebbe stato capace. L'unica cosa in cui eccelleva, in cui era bravo era cacciare ed uccidere i demoni. Non poteva fare nient'altro. In fondo, il suo destino era scritto nel suo sangue. «Comunque, se potessi scegliere, sceglierei questo.»

«Perché?» domandò lei.

La guardò. Doveva essere dura avere tutto quel peso addosso tutto in una volta. Si chiese se lui sarebbe stato capace di reggerlo. «Perché è la cosa che mi riesce meglio.»

Clary fece un salto giù dalla carrozza, Jace la guardò vagamente offeso. «Ti avrei aiutata io a scendere»

Lei lo guardò di sottecchi. «Non c'è problema. Non era necessario.»

Si ricordò di Fratello Geremia. Si stava dirigendo con un "Venite" verso la statua di Raziel al centro del cimitero.

Clary e Jace si incamminarono dietro la figura silenziosa di Geremia, quando lui e Jace si fermarono Clary gli rimbalzò contro strillando come una bambina.

 «Non strillare a quel modo. Sveglierai i morti.» le disse.

Fece una smorfia«Perché ci siamo fermati?»

Jace indicò Geremia che era esattamente ai piedi di Raziel.

 Clary guardava ipnotizzata la statua soffermando lo sguardo sulla rappresentazione della coppa. «Quella sarebbe la Coppa Mortale?»

Jace annuì. Indicò la scritta fatta con lo stilo ai piedi della statua. «E quello è il motto dei Nephilim... dei Cacciatori.»

«Cosa vuol dire?»

Il latino era la materia che odiava di più, ma nel mondo dei Nephilim era presente ovunque. Le sorrise. «Significa "Cacciatori: strafighi in nero dal 1234".»

Clary aprì la bocca per rispondergli, ma Geremia la interruppe. «Significa» disse «"La discesa all'Inferno è facile".»

«Carino» disse Clary con un brivido.

L'immagine della città di ossa passò davanti agli occhi del giovane cacciatore. Volle rabbrividire anche lui. «È uno scherzetto dei Fratelli, quella scritta» aggiunse. «Vedrai.»

Geremia scolpì la runa sul freddo marmo e l'angelo aprì la bocca in quell'urlo silenzioso che non metteva i brividi solo ai fratelli silenti.

Jace si ripeteva come un mantra 'Sei un cacciatore di Demoni. Di cosa hai paura?'. Prese coraggio ed entrò di filato in modo che Clary prendesse coraggio con lui. Si voltò verso di lei. Stava avendo una conversazione silenziosa con Fratello Geremia che la teneva per un polso. Sorrideva debolmente. Dio, quanto avrebbe voluto entrare nella sua testa come faceva Geremia.

Finirono di scendere e Jace prese una torcia. Clary aveva un espressione a metà tra il preoccupato ed il sto-per-darmela-a-gambe.  «Tutto bene?» le chiese.

Clary annuì debolmente. La luce della torcia giocava con i suoi capelli rossi facendoli sembrare fuoco vivo. «È così... buio» disse in un sussurro.

«Vuoi che ti tenga la mano?» chiese dolcemente. Era serio.

Clary si ritirò come una bambina che fa i capricci. «Piantala di guardarmi dall'alto in basso.»

«Be', sarebbe difficile fare il contrario. Sei un tale tappo...»

«Camminate veloci.» disse Geremia, evidentemente solo a lui.

Gettò lo sguardo alle sue spalle. «Non c'è bisogno di fare cerimonie, Fratello Geremia» disse. «Vai avanti tu. Noi ti seguiamo.»

Geremia li sorpassò e Clary rabbrividì ancora. Jace le tese una mano per confortarla, ma Clary testarda come sempre lo allontanò con uno schiaffo.

 

 

Vista così, la Città di Ossa poteva sembrare l'entrata all'inferno. Gli archi di pietra si susseguivano l'uno all'altro in maniera spettrale. Lo sguardo della ragazza si soffermò su una porta che dava sul cimitero interno. «È un mausoleo» disse Jace illuminandola. «Una tomba. Noi seppelliamo qui i nostri morti.»

Andò avanti, lasciandola sola. Pensare ai morti lo rendeva davvero nervoso.

«Vi sono molti livelli nella Città Silente» intervenne Geremia alle sue spalle. «E non tutti i morti vengono sepolti qui. Abbiamo un altro ossario a Idris, naturalmente, molto più grande di questo. Ma su questo livello ci sono i mausolei e i crematori.»

«I crematori?»

«Chi muore in battaglia viene cremato e le sue ceneri vengono usate per costruire gli archi di marmo che vedi qui. Il sangue e le ossa degli Shadowhunters sono una potente difesa contro il male. Anche da morti, i membri del Conclave servono la causa.»

Jace pensò a suo padre. Non era mai andato al suo funerale. Gli uomini che lo avevano portato dai Lightwood gli avevano detto che era troppo piccolo.

«Ora scendere-mo al secondo livello, dove si trovano gli Archivi e le Sale del Consiglio» disse contento di lasciare i morti al loro posto.

«E dove vivono i Fratelli?» chiese Clary. «Dove dormono?»

«Dormire?»

Jace scoppiò a ridere. «Dovevi proprio chiederlo, eh?»

Infine, dopo 10 minuti buoni di cammino arrivarono Al centro del padiglione dei Fratelli Silenti. Jace ebbe paura per Clary.

Clary lo guardò preoccupata e lui sbattè gli occhi confuso. Geremia doveva smetterla del giochetto delle voci.

La ragazza fece qualche passo incerto verso il centro. Espirò ed alzò lo sguardo verso i fratelli. «Va bene» disse. «E adesso?»

Jace fu fiero di lei. Stava parlando con i fratelli Silenti senza morire terrorizzata, neanche quando all'unisono si tolsero tutti i cappucci. Clary era fantastica.

«Il Consiglio ti dà il benvenuto, Clarissa Fray» Finalmente lo inclusero.

«Fermatevi» disse Clary decisa alzando le mani. Jace la guardò sconvolto. «Potete entrare nella mia testa» disse lei. «Ma solo quando sarò pronta.»

«Sei tu che hai chiesto il nostro aiuto. Non abbiamo chiesto noi il tuo.»

«Be', scommetto che però anche voi volete sapere cosa c'è nella mia mente» replicò.

Il fratello seduto al centro si portò un dito sotto il mento. «È un rompicapo interessante, in effetti» ammise. «Ma non ci sarà alcun bisogno di usare la forza, se non opporrai resistenza.»

Clary chiuse gli occhi. Sotto quella strana luce sembrava un fuoco vivo. E a Jace piaceva diamine.

«Procedete» disse.

«Dichiara il tuo nome alla Fratellanza.»

«Clarissa Fray.»

«Chi sei?»

«Sono Clary. Mia madre è Jocelyn Fray. Vivo all'807 di Berkeley Place, a Brooklyn. Ho sedici anni. Il nome di mio padre era...» E si bloccò immediatamente.

Se prima Clary gli era sembrata una fiamma viva dovette ricredersi. Era avvolta in una specie di aureola dai mille colori, si sentiva un vociare ma non si distingueva nulla ed era lei ad alimentare tutto questo.

Poi la magia si spense. Clary cadde di peso sulle stelle d'argento sul pavimento. Il sangue le avvolgeva il braccio.

Jace tentò di correre verso Clary ma Fratello Geremia lo bloccò con un gesto.

Clary si rialzò barcollando tenendosi stretta il braccio e guardando coraggiosa verso la fratellanza in una conversazione silenziosa. «Ma io non so chi è stato. Se lo sapessi, non sarei venuta qui.»

Non un sussurro, non una parola da parte dei fratelli. Odiava essere escluso dalle conversazioni.

«Magnus Bane? Ma... non è neanche un nome!» urlò Clary.

«Lo è quanto basta.» Fratello Geremia si alzò in piedi e con lui il resto della fratellanza. Uscirono tutti meno che Geremia che fece un cenno al ragazzo.

Lui corse più velocemente possibile da Clary. «Il braccio ti fa male? Fammi vedere» le disse in preda al panico.

«Ahi! È a posto. Non fare così, che è peggio» si lamentò cercando di liberarsi.

«Hai sporcato di sangue le Stelle Parlanti» disse lui «Scommetto che da qualche parte c'è una Legge contro questa cosa.»

Le osservava il braccio. Aveva un brutto taglio e presto si sarebbe infettato.

«Questa è la parte in cui tu ti strappi la maglietta e mi fasci la ferita?» chiese lei ironica.

Jace le sorrise. «Se tutto quello che volevi era che mi togliessi i vestiti, bastava chiedere.» Si infilò una mano in tasca e tirò fuori lo stilo. «Sarebbe stato molto meno doloroso.»

Tracciò l'Iratze lasciandole il braccio. «Ecco» le disse. «E la prossima volta che decidi di farti male per attirare la mia attenzione, ricordati che basta qualche parolina dolce, per fare miracoli.»  scherzò.

Clary non potè fare a meno di sorridere. «Lo terrò a mente» disse  «E grazie.»

Clary che lo ringraziava. Si voltò verso Geremia con ancora il sorriso sulle labbra. «Fratello Geremia» disse pulendosi il sangue dalle mani. «Non hai ancora detto nulla. Avrai di sicuro qualche considerazione da proporci, vero? Qualche idea su chi possa essere Magnus Bane?»

«Ho l'incarico di scortarvi fuori dalla Città Silente, nient'altro» rispose l'archivista evidentemente evasivo.

«Possiamo andarcene anche da soli» disse Jace «Sono sicuro di ricordare la strada...»

«Le meraviglie della Città Silente non sono per gli occhi dei non iniziati» scattò Geremia.  Meraviglie. pensò Jace ironico. Chi non si diverte da morire a vedere la gente morta?  Geremia Voltò loro le spalle «Da questa parte.»

Quando salirono di nuovo all'aria aperta il cielo prometteva pioggia. «Sta per piovere» disse lui.

«Prendiamo una carrozza per tornare all'Istituto?» chiese Clary.

Jace passò lo sguardo prima su Geremia, sulla carrozza e poi su Clary. Lo stomaco gli brontolo e infine sorrise. «Non ci penso proprio» disse. «Io le odio, quelle carrozze. Prendiamo un taxi.»

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Magnus Bane. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo X; Magnus Bane


Ci vollero tutta la sua calma e la sua forza di volontà per non prendere a pugni il tassista che per la 3° volta aveva sbagliato strada.

«Giri a sinistra! A sinistra! Ho detto di prende-re la Broadway, razza di imbecille!» gridò Jace battendo la mano sul divisorio.

L'autista sterzò violentemente e Clary gli finì addosso. «Perché prendiamo la Broadway?» sibilò.

«Sto morendo di fame» disse Jace. «E a casa ci sono solo gli avanzi del takeaway cinese.» Prese il telefono e compose il numero che gli era più familiare al mondo. Alec rispose dopo 5 squilli con la voce di uno che si è appena svegliato. «Jace? » balbettò.

«Alec sveglia!»

«Ma per l'amor dell'angelo che vuoi?»

«Vediamoci da Taki. Colazione. Sì, hai sentito bene. Colazione.» Chiuse la conversazione senza neanche dargli il tempo di rispondere.

Lasciò un paio di banconote al tassista idiota e spinse Clary giù dal taxi. Finalmente all'aperto si stiracchiò come Church. «Benvenuta nel migliore ristorante di New York.»

«Sembra una prigione» Quella ragazza era un asso nello smontarlo come un palloncino.

Fece dondolare l'indice mimando un 'no' «Ma in prigione potresti ordinare degli spaghetti alla fra' Diavolo da leccarsi le dita? Non credo proprio.» le sorrise.

«Non voglio gli spaghetti. Voglio sapere cos'è un Magnus Bane.»

«Non è un cosa.»le disse. «È un nome.»

«E tu sai chi è questo Magnus?»

«No» ammise . «E non so nemmeno se è un uomo o una donna. Ma...»

«Ehi!» Era Alec. Qualcuno che non lo conosceva poteva pensare che fosse appena sceso dal letto e infilato un paio di jeans. Ma Alec era sempre così. non si curava granché del suo aspetto. Jace cominciava a pensare che non gliene importasse neanche.

Non guardò neanche Clary ma si mise vicino al fratello.«Izzy sta arrivando» disse. «Si porta dietro il mondano.»

«Simon?»-Ma allora era una maledizione. «Da dove è uscito?» chiese lui.

«Si è presentato stamattina presto. Non riusciva a stare lontano da Izzy. Patetico.» Clary sembrava volerlo uccidere.

«Allora, entriamo o no? Sto morendo di fame.»

«Anch'io» disse Jace. «Non mi dispiacerebbe farmi un po' di code di topo fritte.»

«Un po' di cosa?» chiese Clary con la voce più alta di almeno un ottava.

Jace le fece un sorriso. «Tranquilla» disse. «È un ristorante normalissimo.»

Ovviamente il ristorante era pieno di ogni genere di creature, all'ingresso vennero fermati da Clancy e Paul, si scambiarono dei saluti ed entrarono.

Clary li guardò strano. «Jace» sibilò la ragazza spaventata. «Chi era quello?»

«Vuoi dire Clancy?»

Dietro il bancone vide Kaelie , un adorabile fata che lo ammiccò con lo sguardo e gli fece cenno di sedersi dove voleva. Era uscito con lei, un paio di volte. Era molto carina, ma in quel momento non gliene importava granché. «Clancy tiene fuori le persone indesiderabili» le disse mentre la dirigeva delicatamente verso un separé.

«È un demone!» urlò.

Mezzo locale si girò a fissarla. Non era una cosa carina urlare 'è un demone' in un ristorante pieno di nascosti. anche se,una bella scazzottata con uno o due bestioni non gli sarebbe dispiaciuta.

«No» fece lui sedendosi con Alec al seguito e Clary di fronte. «È un ifrit» spiegò. «Stregoni privi di magia, mezzi demoni che non possono fare incantesimi.»

«Poveri mezzosangue» disse Alec prendendo il menù. A Jace non dispiacevano i nascosti né tantomeno gli facevano piacere, ma Alec sembrava quasi non sopportarli. Forse perché non ne aveva mai conosciuto uno.

«Chi mangia pesci crudi interi?» chiese Clary con voce davvero troppo alta.

«I kelpie» rispose Alec. «I selkie. E ogni tanto anche i nixie.»

«Non ordinare i piatti delle fate» disse Jace lanciandole un occhiata «Tendono a mandare fuori di testa gli umani. Un minuto prima ti stai ingozzando di prugne fatesche e un minuto dopo ti ritrovi a correre nudo lungo Madison Avenue con delle corna di legno che ti spuntano dalla testa. Non» aggiunse velocemente coprendosi le guance arrossate con il menù. «che questo sia mai successo a me.»

Alec scoppiò a ridere. «Ti ricordi Quando ti sei buttato nudo nell' East River e ti sei quasi fatto ammazzare dal fidanzato di una ninfa d'acqua?»

Jace sorrise, ma ascoltava solo per metà. Stava riflettendo su qualcosa di completamente nuovo.

C'erano almeno una decina di ragazze in quel ristorante che si sarebbero divertite volentieri con lui.

E poi.. Se Clary si fosse ingelosita?

«E' stato ridicolo, dai! Pensi che...» di solito Alec non era così loquace. Sembrava voler dimostrare qualcosa. O… escludere qualcuno.

«Credi che prima o poi ci arriverà un po' di caffè?» disse Jace a voce alta interrompendolo.

Alec si smontò. «Io...»

«Per chi è tutta quella carne cruda?» disse Clary mostrando la pagina.

«Lupi mannari» disse Jace. «Anche se una bistecca al sangue ogni tanto non dispiace neanche a me.» con un sospiro le girò il menu dalla parte giusta.

«I piatti umani sono dietro.»

«In questo posto servono i sorbetti?!» chiese sgomentata.

«Hanno un sorbetto di albicocca e prugna con miele millefiori che è semplicemente divino» disse Isabelle comparendo accanto al separé.

Scostò un po' la ragazza e si sedette accanto a lei. «Stringiti un po'» disse con un sorriso. «Dovresti provarlo.» le disse Izzy.

Accanto a lei si sedette Simon.

Jace represse l'astio.

Clary fece un sorriso imbarazzato.

«Allora, com'è andata alla Città di Ossa?» Chiese Isabelle prendendo un menu.

«È stato fantastico» disse Jace allegro. «Un'orgia continua.»

«Avete scoperto cosa c'è nella testa di Clary?»

'Non credo che al mondo esiste qualcuno che sappia cosa ci sia sotto quella cascata di riccioli rossi.' avrebbe voluto dire. Invece disse: «Abbiamo un nome» disse Jace. «Magnus...» Fu interrotto da Alec che lo colpiva col menu. Alec non lo colpiva mai. Ma che diavolo stava cercando di fare?

«Che problemi hai?» chiese indignato.

Questo posto è pieno di Nascosti, lo sai benissimo. Dovresti cercare di tenere segreti i dettagli della nostra indagine.»

«Indagine?» Isabelle scoppiò a ridere. «Cosa siamo adesso? Detective? Forse dovremmo inventarci dei nomi in codice.»

Arrivò Kaelie a chiedere le ordinazioni sfoggiando un meraviglioso sorriso completamente rivolto a Jace.

Ah, qualunque ragazza di quella terra gli rivolgeva quel sorriso. Tutte, Tranne una. Non ci pensò e le sorrise. «Il solito»

«Anch'io» Disse Alec.

Isabelle ordinò un sorbetto alla frutta. Simon chiese un caffè, e Clary balbettò qualcosa con delle frittelle.

«È anche lei un'ifrit?» chiese Clary seguendola con lo sguardo.

«Kaelie? No. Credo sia una mezza fata» disse Jace.

«Ha gli occhi da nixie» commentò Isabelle soprappensiero.

«Non sapete esattamente cosa sia?» chiese Simon.

Jace scosse il capo. «Io rispetto la sua privacy.» Diede una gomitata ad Alec. «Ehi, fammi uscire un momento.»

Riuscì ad alzarsi ed andò da Kaelie, rendendosi conto perfettamente dello sguardo di Clary addosso. La nascosta stava parlando con il cuoco da dietro il passavivande ed appena lo vide gli sorrise. «Ed io che pensavo fossi occupato.»

Jace le mise un braccio intorno alle spalle. «Perché lo pensavi?»

Le si rannicchiò contro. «Niente. Così.»

«Ma lo sai che oggi sei più carina del solito?» Era sempre così, con le ragazze. Qualche moina, qualche tenerezza e riusciva a conquistarle tutte. Ma al mondo non c'era nessuna che volesse davvero.

Non sapeva quanto si sbagliava.

Tornò al tavolo un paio di minuti dopo sentendo di sbieco che la conversazione era incentrata sui nascosti.

«Quindi sono deboli?» stava chiedendo Clary.

«Non direi questo» disse mentre si sedeva. «Almeno non i djinn, gli ifrit e chiunque altro sia all'ascolto.» lanciò un sorriso a Kaelie appena arrivata con le ordinazioni con uno smagliante sorriso..

Jace mordicchiava distrattamente una patatina e guardava Clary mangiare i Pan cake. Aveva uno sguardo così raggiante, sembrava una bambina alla sua prima caramella.

«Te lo avevo detto che questo è il migliore ristorante di Manhattan» le disse.

Clary non lo degnò di risposta e guardò il mondano che mescolava il caffè come se la sua vita dipendesse da quello.

Alec fece un verso positivo con la bocca piena.

«Non è una cosa a senso unico» continuò Jace rivolgendosi a Clary. «A noi non piacciono sempre i Nascosti, ma nemmeno noi piacciamo sempre a loro. Qualche secolo di Accordi non può cancellare mille anni di ostilità.» 'Io, piaccio sempre a tutti' aggiunse fra se.

«Temo che lei non sappia cosa siano gli Accordi, Jace» disse Isabelle guardandola come fosse una ritardata.

Peccato che Clary fosse sveglia. «Sì, invece» replicò.

«Io no» disse Simon.

«No, ma a nessuno interessa quello che sai tu.» Disse Jace con sincerità studiando con un assurda intensità una patatina prima di addentarla. «Al momento giusto e nel posto giusto non mi dispiace la compagnia di alcuni Nascosti. Ma diciamo che non veniamo invitati alle stesse feste.»

«Aspettate un momento.» Isabelle si raddrizzò improvvisamente sulla panca. «Come hai detto che era quel nome?» chiese rivolta al fratello adottivo. «Quello nella testa di Clary?»

«Non l'ho detto» Precisò Jace. «O almeno non ho finito di dirlo. Magnus Bane.» Rivolse un sorriso canzonatorio ad Alec. «Mmm, non è che vi verrebbe in mente una rima con "rompiscatole ansioso"?»

Lo prese in giro persino il mondano per la battuta.

«Non può essere, però sono quasi sicura che...» Isabelle rovistò nella borsa e ne estrasse un foglietto blu. «Guardate questo» disse porgendolo

Alec glielo strappò di mano e scrollando le spalle lo passò a Jace. «È un invito a una festa. Da qualche parte a Brooklyn» disse. «E io odio Brooklyn.»

«Non fare lo snob» disse Jace. «Dove lo hai preso, Izzy?»

Isabelle scrollò le spalle ed assomigliò molto al fratello in quel momento. «Da quel kelpie al Pandemonium. Mi ha detto che sarebbe stata una festa pazzesca. Ne aveva una pila intera, di questi.»

«Che cos'è?» chiese Clary impaziente. «Avete intenzione di farlo vedere anche a noi o no?»

Jace mostrò l'invito alla festa anche ai mondani.

«Magnus» disse Simon. «Magnus come Magnus Bane?»

«Non credo che ci siano molti stregoni di nome Magnus, in questa zona degli Stati Uniti» gli fece notare.

Alec sbatté gli occhi. «Questo significa che dobbiamo andare a una festa?»

Jace rilesse l'invito e notò delle parole scritte in piccolo in fondo alla pagina.

Dicevano: "Non mancate alla festa del sommo Stregone di Brooklyn."

«Non dobbiamo fare un bel niente» Lo corresse. «Ma secondo quello che si dice, Magnus è il Sommo Stregone di Brooklyn.» Guardò Clary che lo guardava spaventata. «Per quanto mi riguarda sono abbastanza curioso di scoprire cosa ci faccia il nome del Sommo Stregone di Brooklyn nella tua testa. Tu no?»

 

 

Nell'attesa della festa dello stregone, Jace ed Alec sparirono completamente in armeria.

Alec impugnò la Guisarma del padre, Jace una katana e si allenarono come quando erano ragazzini, solo con le armi più piccole. Jace adorava allenarsi con Alec, primo perché vinceva sempre, secondo perché Alec non era mai stato un tipo troppo loquace, lo lasciava pensare ed il più delle volte lo aiutava anche a pensare. Certo, a volte assomigliava ad un vecchio isterico, ma Alec era fatto così.

Finito di allenarsi Alec e Jace si rifugiarono nelle loro camere concedendosi una doccia. Jace non era stanco ed aveva troppa adrenalina in circolo per andare a dormire, nonostante la festa a mezzanotte. Moriva dalla voglia di andare da Clary.

In corridoio, però fu fermato dalla voce del suo tutore. «Sarà il suo compleanno domenica.»

«Eh?» Jace si girò a guardarlo. Sembrava stanco, e l'ombra di un sorriso echeggiava nelle labbra rovinate.

«Clary.» disse Hodge avvicinandosi. «Compirà 16 anni, se non ricordo male.»

Jace gli sorrise. «Magari potremmo regalarle un divoratore. Ho sentito che le piacciono.» Hodge alzò gli occhi al cielo, sorridendo.

Jace si fermò davanti la porta della ragazza ma si fermò dal bussare. Un flash della vasca da bagno della tenuta ad Idris gli occupò lo sguardo.

Clary sarebbe stata sola al suo compleanno, la sua vecchia vita era ormai un ricordo sbiadito che non sarebbe mai più tornato.

Jace voleva darle qualcosa per quella nuova.

Bussò piano alla porta ma non ottenne risposta. Entrò in camera ma era vuota, le scarpe di Clary erano ai piedi del letto, segno che non era lontana. Il blocco da disegno era stato lasciato distrattamente aperto sul letto.

Vinto dalla curiosità Jace si fiondò sui fogli e sfogliò ogni pagina.

Rimase a guardarli incantato. Clary era fenomenale. C'erano disegni di ogni tipo, forma e colore. Molti rappresentavano l'East River, uno una donna dai capelli rossi intenta a dipingere distratta su una tela, -Sua madre- realizzò. Accanto a lei un uomo che riconobbe come Lucian. Un altro raffigurava Il mondano in una specie di sala giochi. Un altro lei e Simon abbracciati.

Jace sfogliò tutto l'album da cima a fondo e si sentii quasi offeso. Neanche una traccia di lui, uno schizzo o un disegnino distratto.

Eppure, come soggetto era decisamente meglio di Simon il topo.

La porta si aprì e Clary entrò con un ampolla fumante in mano che quando lo vide gli scivolò e si riversò sul pavimento.

«Oh, cavoli» disse mettendosi a sedere e trattenendo una risata. «Spero che non fosse niente di importante.»

«Era una pozione per dormire» stuzzicando l'ampolla con un piede. «Ed adesso è andata.»

«Se solo fosse qui Simon. Probabilmente riuscirebbe a farti addormentare dalla noia.»

La ragazza sospirò e si sedette vicino a lui prendendogli l'album di mano. «Di solito non faccio vedere a nessuno le mie cose.»

«Perché no?» chiese. «Non sei niente male come disegnatrice. A tratti sei davvero notevole.»

«Be', perché... è come un diario. Solo che io non penso per parole, penso per immagini, così è tutto fatto di disegni. Comunque è una cosa privata.» disse arrossendo. Jace si strinse la mani per reprimere la voglia di accarezzarle le guancie.

Assunse un espressione tetralmente ferita. «Un diario senza neanche un mio ritratto? Dove sono le torride fantasie romantiche? Le immagini da romanzo rosa? I...»

«Ma tutte le ragazze che incontri si innamorano di te?» chiese Clary.

E quando si parlava di amore, Jace diventava di pietra. Non è quello l'amore e probabilmente lui non avrebbe mai conosciuto quella strana sensazione di appartenere l'uno all'altra. Clary non poteva essere diversa, prima o poi se ne sarebbe stancato.

«Non è amore» disse infine. O almeno...»

«Potresti provare a non fare sempre il fascinoso» disse Clary. «Sarebbe un bel sollievo per tutti.»

Si guardò le mani incapace di sostenere il suo sguardo. Decise di cambiare argomento, l'amore lo metteva a disagio.

«Se sei davvero stanca posso metterti a letto io» disse lui con un tono dolce. «Ti racconto la storia della buonanotte.»

Clary lo guardò. «Dici sul serio?»

«Io dico sempre sul serio.»

Contro ogni sua aspettativa la ragazza posò l'album e si sdraiò accanto a lui. «Va bene.» disse.

«Chiudi gli occhi.» le sussurrò all'orecchio.

Chiuse gli occhi nel ritratto della tranquillità. Ispirava la tenerezza di un angelo che si addormenta sulle nuvole.

Decise di raccontargli l'unica storia che conosceva, per quanto male potesse fargli; i cacciatori sono fatti così, trovano la forza nel dolore.

«C'era una volta un bambino» cominciò Jace.

Clary lo interruppe. «Un bambino Cacciatore?»

Jace sorrise ironico, non credeva di essersi mai definito un bambino. «Certo.» rispose. «Quando il bambino compì sei anni suo padre gli regalò un falco da addestrare, perché i falchi sono rapaci, uccelli assassini, gli disse suo padre, i Cacciatori del cielo. Al falco quel bambino non piaceva, e al bambino non piaceva il falco. Il suo becco affilato lo rendeva nervoso e i suoi occhi acuti sembravano sempre osservarlo. Quando gli si avvicinava, il falco lo colpiva con il becco o con gli artigli. Per settimane i suoi polsi e le sue mani furono costantemente coperti di sangue. Il bambino non lo sapeva, ma suo padre aveva scelto un falco che aveva vissuto libero per più di un anno ed era quindi quasi impossibile da addomesticare. Ma il bambino ci provò, perché suo padre gli aveva detto di insegnare al falco a obbedire, e lui voleva compiacerlo.» fece una pausa, frenò le lacrime, ricominciò:

«Stava sempre con il falco, e lo teneva sveglio parlandogli e anche suo-nandogli della musica, perché gli avevano detto che un uccello stanco era più facile da addomesticare. Imparò tutto sull'equipaggiamento da falco-niere: i geti, il cappuccio, i ganci, il guinzaglio che legava il falco al suo polso. Avrebbe dovuto tenere il falco sempre incappucciato, ma decise di non farlo: provò a sedersi dove l'uccello lo poteva vedere mentre gli acca-rezzava le ali, per fare in modo che si fidasse di lui. Lo nutriva con le pro-prie mani: all'inizio il falco non mangiava, poi iniziò a mangiare tanto sel-vaggiamente che il suo becco tagliava la pelle del palmo del bambino. Ma il bambino era felice dei suoi progressi e voleva che l'uccello imparasse a conoscerlo, anche se doveva versare il proprio sangue perché questo suc-cedesse.

«Il bambino iniziò ad apprezzare la bellezza del falco, a vedere che le sue ali erano fatte per volare veloce, che era forte e agile, feroce e delicato. Quando si tuffava in picchiata, si muoveva come la luce. Quando imparò a girare in cerchio e a posarsi sul suo polso, il bambino quasi urlò per la gio-ia. A volte l'uccello gli saltava sulla spalla e gli infilava il becco in mezzo ai capelli. Il bambino sapeva che il suo falcone lo amava e quando fu certo che non era solo addomesticato, ma perfettamente addomesticato, andò da suo padre e gli mostrò ciò che aveva fatto, aspettandosi che fosse fiero di lui.

«Suo padre invece prese in mano il falco, che ora era addomesticato e fiducioso, e gli spezzò il collo. "Ti avevo detto di insegnargli a obbedire", disse suo padre gettando a terra il corpo senza vita del falco. "Tu invece gli hai insegnato ad amarti. I falchi non devono essere cuccioli affettuosi: so-no animali feroci e selvaggi, aggressivi e crudeli. Questo uccello non è sta-to addestrato, è stato rovinato."

«Più tardi, quando suo padre lo lasciò solo, il bambino pianse sul cada-vere del suo animale, finché il padre non mandò un servitore a prendere il corpo dell'uccello per seppellirlo. Il bambino non pianse mai più e non dimenticò mai ciò che aveva imparato: che amare significava distruggere e che essere amati significava essere distrutti.»

Clary si girò guardandolo negli occhi. «È una storia terribile» la voce grondava pietà per quel bambino.

Senza accorgersene si mise in posizione fetale guardandola negli occhi. «Davvero?»

«Il padre del bambino era una persona orribile. È una storia di violenza psicologica. Avrei dovuto saperlo che le storie della buonanotte dei Cacciatori non potevano che essere così. Qualsiasi cosa ti faccia fare degli incubi terrificanti...»

Ma questa è la realtà, Clary. E la realtà fa male. Avrebbe voluto dirgli, ma non voleva farla star male, Era fragile. Provava persino pena per un ragazzino di cui non sapeva neanche l'esistenza.

«A volte i marchi possono farti fare degli incubi terrificanti» le disse invece. «Se te li fanno quando sei troppo giovane. È una bella storia, se ci pensi» disse poi con poca convinzione. «Il padre del bambino sta solo cercando di renderlo più forte. Più inflessibile.»

«Ma bisogna imparare a piegarsi un po'» obiettò Clary sbadigliando. «Se non vuoi spezzarti.»

«No, se sei abbastanza forte» senza pensarci allungò una mano per accarezzarle la guancia bagnata dalla luce del sole pomeridiano. La ragazza si rilassò sotto il suo tocco e sospirò il suo nome prima di abbandonarsi al sonno.

Prima di uscire dalla stanza, Jace posò un bacio sulla stessa guancia.

 

Nonostante tutto, la storia aveva messo sonno anche a lui. Si concesse un paio d'ore a letto prima che Alec venisse a svegliarlo di tutta fretta.

Non era una ragazza, per prepararsi aveva bisogno di 10 minuti, perché diavolo Alec aveva tutta quella fretta?

Optò per una maglia nera e l'immancabile giacca di pelle. Prima di uscire passò dal cassettone e pensò a Clary. In una festa di nascosti avrebbe avuto bisogno di un arma, no?

Passò in rassegna le sue preferite. Un paio di spade ordinate per lunghezza e spessore,Chackram e pugnali di ogni forma e dimensione, poi comparve alla sua vista un fodero di pelle scura da cui usciva un elsa lavorata con una pietra rossa a forma di rosa.

Il pugnale di suo padre.

Sarebbe stato disposto a dare quel pugnale a Clary? Dargli la cosa a cui teneva di più? l'unica cosa che il padre gli aveva lasciato, a parte l'anello che teneva gelosamente al dito. Sorrise e prese il pugnale, Dio. Forse stava impazzendo.

In corridoio, insieme ad Alec trovò il mondano che si era preparato in maniera da assomigliare ai cacciatori con una maglietta nera e dei jeans strappati. Jace Rise. «Carino. Ce l'avevano anche in versione da uomo? »

Il mondano sorrise strafottente. «No, ma mi hanno detto che il tutù che hai ordinato è arrivato.»

Assunse un espressione ferita. «Mi sento ferito adesso, contento? » poi rise battendo il cinque ad Alec. In quel momento arrivò Isabelle con Clary al seguito.

Oh Per amor dell'angelo, non si poteva certo dire che sembrasse una mondana quella sera.

Jace represse l'impulso di sgranare gli occhi . Era favolosa. Un vestito nero e aderante le fasciava completamente la forme, le gambe sottili erano fasciate dalle calze a rete nere che finivano con un paio di anfibi scuri. L'unica pecca erano i capelli che erano raccolti invece di essere liberi di farla risplendere.

A quanto pare anche il cervellino del mondano si era accorto di quanto fosse bella dato che era palese che faticasse a non spalancare la bocca e sbavare. Idiota. «Cos'è quella cosa?» chiese. «Quella che hai addosso, voglio dire.» Doppio idiota.

«È un vestito, Simon» disse Clary arrossendo da Capo a piede. «Lo so che non mi vesto spesso così, però dai...»

«È corto» disse il mondano farfugliando.

Jace represse la voglia di scoppiare e a ridere e le si avvicinò. «Mi piace quel vestito» disse gustandosi la sua vista. «Anche se gli ci vorrebbe qualcosina in più.»

«Adesso sei anche un esperto di moda?» disse lei. La voce tradiva l'imbarazzo.

Le sorrise e prese il pugnale dalla giacca offrendoglielo.

La ragazza sbiancò e lo guardò negli occhi. «Non saprei nemmeno come usarlo...»

Le mise il pugnale in mano stringendole delicatamente le dita intorno all'elsa. «Imparerai.» le disse. «Ce l'hai nel sangue.»

Clary ritrasse lentamente la mano. «Va bene.»

«Potrei darti una giarrettiera in cui infilarlo» propose Isabelle. «Ne ho a tonnellate.»

«Assolutamente no!» urlò Simon guadagnandosi un occhiataccia da parte della ragazza

.«Grazie, ma non sono proprio il tipo da giarrettiera» disse lasciando scivolare il pugnale nello zainetto.

Jace notò che era arrossita, non staccava gli occhi dal suo viso. «Un'ultima cosa.» le disse. Allungò la mano e sfilò via dai capelli le mollette lasciandole ricadere i boccoli rossi morbidi sulle spalle .

«Molto meglio» disse Jace con una voce incerta come non la aveva mai sentita.

«Vogliamo andare o avete intenzione di restare qui tutta la notte?» sbottò Alec da dietro di loro. Jace si girò e si accorse che li stavano guardando tutti. Alec sembrava incazzato, Isabelle intrigata e il mondano era sbiancato totalmente.

«Certo che andiamo» disse voltando le spalle a Clary ancora rossa dall'imbarazzo.

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Capitolo 12
*** La festa dei morti. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo X1; La festa dei morti

 

Certe strade di New York sembrano urlare: Demoni saltatemi addosso.

E quella in cui Magnus Bane abitava era una di quelle.

Fabbriche e magazzini la costeggiavano, una chiesa si ergeva buia e solitaria.

Jace osservò il gruppo di ragazzi. Nephilim e un mondano che vanno insieme alla festa di un nascosto. Suo padre l'avrebbe trovato divertente.

Jace volse lo sguardo accanto a lui ma non vide Clary, la ragazza camminava lenta e si stava distanziando dal resto dei ragazzi.

«Non restare indietro» le disse rallentando per affiancarla. «Non voglio continuare a guardarmi alle spalle per essere sicuro che non ti succeda nulla.»

«E allora non farlo.»

Sentì la rabbia montare, contro la ragazza e anche contro se stesso. «L'ultima volta che ti ho lasciata sola sei stata attaccata da un demone» le ricordò.

«Be', mi dispiacerebbe davvero interrompere la tua passeggiata serale con un evento fuori luogo come la mia morte.»

Jace sbatté gli occhi esterrefatto. «C'è un confine sottile tra il sarcasmo e l'ostilità pura e semplice, e direi che tu lo hai superato. Cosa c'è?» chiese poi notando il suo sguardo triste.

Si morse delicatamente un labbro. «Questa mattina dei tizi inquietanti mi hanno scavato nel cervello. Adesso lo farà anche un altro tizio inquietante. E se non mi dovesse piacere, quello che scoprirà?»

«Cosa ti fa pensare che non ti piacerà?»

In un gesto esasperato Clary gettò all'indietro i capelli sciolti. Jace rimase un attimo di ghiaccio. «Ti odio quando rispondi a una domanda con un'altra domanda.» disse.

«No, non è vero. Mi trovi affascinante. E comunque non preferiresti co-noscere la verità?»

«No. Voglio dire, forse. Non lo so.» Sospirò. «E tu?»

«È questa la strada!»  gli urlò Isabelle da quasi un isolato più avanti. Clary guardava di sottecchi la strada come cercando invano qualcosa che le fosse familiare. Le sfiorò una spalla nuda con una mano, il calore della sua pelle era piacevole come il fuoco del caminetto quando ci si asciuga dalla neve.

«Assolutamente. Sempre» le disse in un sussurro.

Lei lo guardò senza capire. «Cosa?»

«La verità» le disse balbettante. «Io...»

«Jace!» urlò Alec davanti a loro, anche se non era poi così lontano.

Jace si voltò, staccando la mano dalla schiena di Clary. «Sì?»

«Pensi che siamo nel posto giusto?» indicando delle strane cose nere non ben identificate.«Cos'è quello?» chiese. Raggiunse il suo amico e rise.

Moto. Moto demoniache. Si, era il posto giusto.«Vampiri» disse.

«A me sembrano moto» disse Simon quando li raggiunse insieme ad Izzy che sembrava voler prendere tutti i ragazzi a pugni solo per essersi fermati a guardare delle moto. E Jace non dubitava che non lo avrebbe fatto davvero.

«E infatti lo sono, ma sono state modificate per funzionare con motori demoniaci» spiegò Jace. «Le usano i vampiri... con queste di notte possono an-darsene in giro a tutta birra. L'Alleanza non è del tutto favorevole, ma...»

«Ho sentito dire che alcune di queste moto possono volare» disse Alec affascinato come lo sarebbe stato un bambino la mattina di natale scartando un trenino. «O diventare invisibili nel giro di un secondo. O andare sottacqua...»

Jace scese dal gradino e accarezzò il telaio delicato. Chissà. Qualche volta avrebbe potuto prendersela una di quelle moto. Sembravano quasi respirare.

Accarezzò l'iscrizione latina dipinta in argento sulla fiancata. NOX INVICTUS. «Notte vittoriosa» tradusse.

Sperando di non farsi vedere infilò una mano nella giacca e versò un po' di acqua santa in un paio di serbatoi sghignazzando un po'. Alle sanguisughe non sarebbe dispiaciuto, o forse si. Tanto chi se ne importava.

«Cosa stai facendo?»

Jace nascose la fiaschetta. «Niente.» disse.

«Be', sbrigati» disse Isabelle. «Non mi sono vestita così per vederti per-dere tempo con un branco di moto.»

«Sono belle da guardare» disse Jace tornando sul marciapiede. «Lo devi ammettere.»

«Anch'io, se è per questo» disse alzando  gli occhi al cielo. Il mondano sembrava concordare. «E adesso andiamo.»

Jace guardò Clary. «Questo edificio» disse indicando il magaz-zino di mattoni rossi. «È quello giusto?»

Clary sospirò. «Penso di sì, Sembrano tutti uguali.»

«C'è solo un modo per scoprirlo» disse Isabelle salendo regalmente i gradini con gli altri al seguito. Ammassati dentro l'entrata maleodorante e umidiccia. C'era solo un nome sul campanello: BANE.

Isabelle suonò senza risposta. Lo fece di nuovo, quando fu per farlo un'altra volta Alec le fermò la mano. «Non fare la maleducata.»

Lei gli lanciò un'occhiataccia: «Alec...»

La porta si aprì.

Va bene, Jace non aveva visto poi così tanti figli dei Lilith nella sua vita, ma di certo non aveva mai visto una persona che assomigliasse all'uomo che aveva aperto la porta.

Era magro e molto alto. La zazzera di capelli neri era tirata in una corona di guglie nere da cui si intravedevano alcune ciocche colorate. La pelle era color caramello e gli occhi verdi avevano le pupille allungate. Guardandoli meglio Jace notò una somiglianza con gli  occhi di Church se non fosse stato per la mascherina di Glitter grigio fumo che li incorniciava.

Fu Izzy la prima a riprendersi. Alec sembrava aver perso tutti e 5 i sensi. «Magnus? Magnus Bane?» chiese la ragazza.

«In persona.» disse l'uomo apertamente seccato. Continuava a bloccare l'ingresso. «Figli dei Nephilim.Dunque, dunque. Non ricordo di avervi invitati.»

Isabelle tirò fuori l'invito e lo sventolò davanti al viso dello stregone. «Ho un invito. E loro..» e indicò il resto del gruppo. «..sono con me.»

Magnus le strappò l'invito di mano e lo guardò con evidente disgusto. «Dovevo essere ubriaco» disse come se non fosse una grande novità. «Vabbe'.» Spalancò la porta. «Entrate. E cercate di non uccidere nessuno dei miei ospiti.»

Jace prese lo stilo dalla tasca in un gesto quasi istintivo e si avvicinò alla porta e guardando Magnus dritto negli occhi. «Nemmeno se rovesciano un bicchiere sulle mie scarpe di pelle nuove?»

«No.» La mano di Magnus si fiondò sulla sua strappandogli lo stilo di mano. Jace lo guardò scioccato.«E quanto a questo» disse Magnus facendolo scivolare in una tasca dei jeans di Jace «tienilo nei pantaloni, Cacciatore.»

Dettò ciò sorrise ai suoi ospiti (O almeno Jace sperava che fosse così dato che sembrava aver sorriso soltanto ad Alec) e si avviò per le scale barcollanti.

«Andiamo» disse  con un gesto della mano. «Prima che qualcuno pensi che è la mia festa.»

Isabelle si fermò accanto a lui e scosse il capo. «Cerca di non farlo incavolare, per favore, se vuoi che ci aiuti.»

«So quello che faccio.» le ricordò.

«Lo spero.»

Salite le scale si ritrovarono in un appartamento che -persino per loro- aveva dell'inverosimile.

 Grossi pilastri di metallo attorno ai quali erano avvolti cavi di lampadine colorate sorreggevano un caliginoso soffitto ad arco. Le porte erano state strappate dai cardini e poggiate sopra dei bidoni dell'immondizia per farne un bancone improvvisato a un'estremità della sala. Diverse nascoste servivano da bere e la sala era intrisa di una musica che era dappertutto ed al tempo stesso sembrava non venire da nessuna parte.

Appena entrato una graziosa Ifrit gli mise al collo una collana di fiori sorridendogli.

Accanto ai suoi piedi passò una specie di topo troppo cresciuto con una lunga coda pelosa. A vederlo meglio sembrava un mini gatto.

Dopo aver lanciato dolci sorrisi a 3 o 4 nascoste si voltò alla ricerca di Clary e la vide appoggiata ad uno dei pilastri a parlare con Magnus Bane.

Jace ed Alec si fiondarono da lei e l'attenzione di Magnus si spostò su suo fratello. 'Questo qui vuole guaì' pensò Jace.

«Dove sono Simon e Isabelle?» chiese Clary.

«In pista.» Li indicò Jace. A volte Isabelle era troppo.. Esplicita quando era attratta da un ragazzo. Alec sospirò come d’accordo con lui.

«Senti» disse Jace voltandosi verso Magnus. «Noi dobbiamo assoluta-mente parlare con...»

«MAGNUS BANE!» una voce davvero sgradevole lo interruppe mentre parlava. Era un vampiro, era evidente. Le lunghe zanne acuminate erano totalmente scoperte. Il viso del vampiro -Di solito bianco come un cencio- era arrossato dall'ira. «Qualcuno mi ha messo dell'acqua santa nel serbatoio della moto. È rovi-nata. Distrutta. Tutti i tubi si sono sciolti.» ringhiò il nascosto.

«Sciolti?» mormorò Magnus. «Che cosa terribile!»

«Voglio sapere chi è stato.» ringhiò facendo un verso che doveva essere minaccioso.«Avevi giurato che questa notte qui non ci sarebbero stati uomini-lupo, Bane.»

«Non ho invitato nessun Figlio della Luna» disse Magnus esaminandosi le unghie coperte di Strass. Lo faceva spesso anche lui quando si annoiava a parlare con qualche idiota che voleva solo lamentarsi. «È colpa della vostra stupida faida. Se qualcuno di loro ha deciso di sabotare la tua moto, non era un mio ospite, quindi...» Sorrise a mo' di sfida «... non è una mia responsabilità.»

Il vampiro ruggì di rabbia e puntò un dito contro Magnus. «Stai cercando di dirmi che...»

Magnus mosse velocemente un dito verso il vampiro a cui si strozzarono le parole in gola coperta dalle mani. Provò a parlare ma ne uscì solo aria.

«Non sei più il benvenuto» disse Magnus annoiato.«E adesso vattene.» Il vampiro si voltò come se fosse mosso da una persona invisibile e se ne andò scostando la folla.

Jace fece un fischio entusiasta. «Notevole.»

«Vuoi dire quella piccola crisi d'asma?»alzò gli occhi al cielo. «Lo so. Cosa è successo davvero a quella moto?»

Alec tossì per nascondere una risata, cosa che, non capitava spesso. «Gli abbiamo mes-so dell'acqua santa nel serbatoio» disse.

«Alec!» sibilò Jace.

«Lo immaginavo» fece Magnus con un'espressione divertita. «Siete dei piccoli bastardi vendicativi, eh? Sapete che le loro moto vanno a energia demoniaca. Non credo che riuscirà più a ripararla.»

«Una sanguisuga con un bel ferro in meno» disse Jace. «Ho il cuore spezzato.»

«Ho sentito dire che alcuni di loro riescono a far volare le moto» disse Alec stranamente sorridente. Per quando Alec possa sorridere.

«È solo una vecchia favola» disse Magnus con gli occhi puntati sul ragazzo dai capelli neri. «Allora è per questo che vi siete infiltrati alla mia festa? Solo per mandare allo sfasciacarrozze la moto di qualche succhiasangue?»

«No.» disse Jace. «Dobbiamo parlarti. Preferibilmente in privato.»

Magnus alzò un sopracciglio glitterato.Clary, notò distrattamente Jace, lo guardava davvero strano. «Sono nei guai con il Conclave?» chiese lo stregone.

«No» disse Jace.

«Probabilmente no» aggiunse Alec.

Jace gli diede un calcio. Cominciava a non reggere più di essere interrotto.

«No» ripeté Jace. «Possiamo parlare sotto il sigillo dell'Alleanza. Se ci aiuti, tutto ciò che ci dirai sarà confidenziale.»

«E se non vi aiuto cosa succede?»

Jace scrollò le spalle. «Forse niente. Forse una visita dalla Città Silente.»

«Mi la-sci una bella scelta, giovane Cacciatore.»

«Non è affatto una scelta» disse Jace.

«Già» riconobbe lo stregone. «È esattamente quello che intendevo.»

La voce di Magnus trasudava di acidità. «Mi lasci una bella scelta, giovane Cacciatore.»

«Non è affatto una scelta»

«Già» disse lo stregone. «È esattamente quello che intendevo.»

 

 

La camera da letto dello stregone era assolutamente in tinta con il resto della casa. Un caos. Jace si chiedeva come cavolo facesse a vivere in quel modo. Sembrava la stanza di Isabelle.

Tutto era colorato ed assolutamente stonato con qualunque altra cosa. Il letto era giallo canarino e le finestre coperte da tende multicolore degne di un hippy davano proprio sull'East River.

«Bel posto» disse Jace spostando una tenda. «Direi che si guadagna bene a fare il Sommo Stregone di Brooklyn.»

«Abbastanza» concordò Magnus. «I fringe benefit però non sono granché. Nessuna copertura dentistica.» chiuse la porta alle sue spalle e vi si appoggiò incrociando le braccia al petto.«Allora» disse. «Cosa passa per le vostre piccole menti deviate?»

«Non si tratta di loro» intervenne Clary prima che Jace potesse dire qualunque cosa. «Sono io che ti volevo parlare.»

Magnus la squadrò da capo a piede, uno sguardo strano passò per gli occhi da gatto. «Tu non sei una di loro» disse. «Non fai parte del Conclave. Ma puoi vedere il Mondo Invisibile.»

«Mia madre era un membro del Conclave.» la voce di Clary tremò.

«Ma non me l'ha mai detto. Lo ha tenuto segreto. Non so perché.»

«Chiediglielo.»

«Non posso. È...» Si fermò per respirare. Jace voleva andare a confortarla ma non credeva che sarebbe stato molto d'aiuto. «È scomparsa.» disse infine la ragazza.

«E tuo padre?»

«È morto prima che io nascessi.»

Magnus si produsse in un sospiro irritato. «Come disse Oscar Wilde, "Perdere un genitore è una tragedia. Perderli entrambi rischia di sembrare distrazione."»

Jace sibilò per reprimere la voglia di prenderlo a pugni. Alec gli mise una mano sulla spalla.

«Non ho perso mia madre» rispose la ragazza che sembrava aver trovato il coraggio di parlare nell'ira. «Mi è stata portata via. Da Valentine.»

«Non conosco nessun Valentine» negò Magnus in palese menzogna. Nessuno nel mondo invisibile non conosceva Valentine. Specialmente un nascosto. Era una specie di uomo nero per loro.«Mi dispiace per le tue tragiche vicende personali, ma non vedo come questo possa avere a che fare con me. Se tu mi dicessi...»

«Non può dirtelo, perché non se lo ricorda» sbottò Jace.«Qualcuno le ha cancellato i ricordi. Così siamo andati alla Città Silente per vedere cosa potevano estrarre i Fratelli dalla sua testa. Hanno ottenuto due parole. Credo tu possa indovinare quali.»

Un silenzio angosciante calò nella stanza. Alla fine Magnus sorrise. «La mia firma» disse. «Quando l'ho fatto sapevo che era un'idiozia. Un atto di vanità...»

«Tu hai firmato la mia mente?» disse Clary scioccata.

Magnus sollevò una mano e tracciò delle lettere nell'aria che presero fuoco all'istante: MAGNUS BANE.

«Ero fiero del lavoro che avevo fatto su di te» disse lentamente guardando la ragazza. «Così pulito. Così perfetto. Avresti dimenticato quello che vede-vi, anche mentre lo vedevi. Nessuna immagine di pixie o folletti o bestioline dalle lunghe zampe sarebbe rimasta a turbare il tuo irreprensibile sonno mortale. Era così che voleva.»

«Di chi stai parlando?» chiese la ragazza. Anche Alec aveva capito chi era stato, Un moto di rabbia mista a dolore si fece avanti nella sua anima quando Magnus sospirò e disse: «Di tua madre»

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Capitolo 13
*** La persistenza della memoria. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo XII;La persistenza della memoria

 

«È stata mia madre a farmi questo?» eppure Clary non sembrava granché sorpresa. Neanche quando guardò i giovani cacciatori negli occhi in cerca di conforto. «Perché?» chiese con voce spezzata.

«Non lo so.» Magnus allargò le lunghe mani bianche. «Nel mio lavoro non si fanno domande. Io faccio quello per cui mi pagano.»

«Entro i limiti dell'Alleanza» disse Jace. Si rese conto che forse ricordarlo sempre a tutti cominciava a essere fastidioso.

«Entro i limiti dell'Alleanza, certo.»

«E il Conclave non è contrario a questo... a questo stupro mentale?»

Un silenzio doloroso scese nella stanza. Clary scoraggiata si lasciò cadere sul materasso di Magnus liberando una nuvola di polvere. «È successo una volta sola? C'era qualcosa di specifico che lei voleva che io dimenticassi? Sai che cos'era?»

Magnus si mise a girovagare per la stanza. «Non credo che tu capisca. La prima volta che ti vidi dovevi avere più o meno due anni. Stavo guardando fuori da questa finestra...» picchiettò leggermente sul vetro. «... e la vidi che camminava spedita giù per la strada, con in braccio una cosa avvolta in una coperta. Mi sorprese vedere che si era fermata davanti alla mia porta. Aveva un'aria così ordinaria, così giovane. Quando raggiunse la mia porta scostò la coperta. Dentro c'eri tu. Ti mise per terra e tu iniziasti ad andartene in giro, ad afferrare ogni cosa, a tirare la coda al mio gatto... eri una cosetta parecchio vivace. Quando il gatto ti graffiò urlasti come una sirena, così chiesi a tua madre se non avessi per davvero un po' di sangue di sirena. Lei non rise.» Fece una pausa. In quel momento sembrò molto più vecchio degli appena vent'anni che dimostrava, come se avesse sulle spalle il peso del mondo. «Mi disse che era una Cacciatrice. Non aveva motivo di mentire: i marchi dell'Alleanza si vedono anche quando sono sbiaditi dal tempo, sono come cicatrici argentate appena percepibili sulla pelle. I suoi si vedevano ogni volta che si muoveva. Disse che sperava che tu fossi nata con l'Occhio Interiore cieco... Ad alcuni Cacciatori bisogna insegnare a vedere il Mondo Invisibile. Ma quel pomeriggio ti aveva sorpre-sa a stuzzicare una pixie che era rimasta intrappolata in una siepe. Aveva scoperto che avevi la Vista. Così mi chiese se era possibile levartela. Accecarti.»

Magnus andò avanti anche dopo il sospiro doloroso di Clary. Moriva dalla voglia di andare a stringerla.

«Le dissi che azzoppare quella parte della tua mente ti avrebbe lasciata danneggiata, probabilmente addirittura pazza. Non pianse. Non era il gene-re di donna che si mette a frignare per un nonnulla, tua madre. Mi chiese se c'era un altro modo e io le dissi che avrei potuto farti dimenticare le parti del Mondo Invisibile che riuscivi a vedere, anche nel momento in cui le vedevi. L'unica controindicazione era che avrebbe dovuto venire da me ogni due anni per rinnovare l'incantesimo.»

«E lo fece?» chiese Clary.

Magnus annuì. «Dopo quella volta ti ho visto ogni due anni... ti ho visto crescere. Sei l'unica bambina che abbia mai guardato crescere in quel modo, sai? Quando fai il mio lavoro non è che sei proprio il benvenuto, dove ci sono bambini umani.»

«Così quando siamo entrati hai riconosciuto Clary» disse Jace.

«Certo.» fece Magnus. «Ed è stato uno shock. Ma tu cosa avresti fatto? Non mi conosceva. Non avrebbe dovuto conoscermi mai. Anche solo il fatto che si trovasse qui significava che l'incantesimo aveva iniziato a dissolversi... E infatti l'ultima visita avrebbe dovuto avvenire circa un mese fa. Quando sono tornato dalla Tanzania sono venuto a casa tua, ma Jocelyn mi ha detto che avevate litigato e tu eri scappata via. Mi disse che mi avrebbe chiamato quando tu fossi tornata da lei, ma»scrollò le spalle e guardò la ragazza dritto negli occhi. «non lo ha mai fatto.»

«Tu eri lì, quel giorno» disse Clary. La sua voce sembrava venire da un sogno. «Ti ho visto uscire dall'appartamento di Dorothea. Mi ricordo i tuoi occhi.»

Magnus sembrava apprezzare. «Sono un tipo memorabile, è vero» scosse la testa. «Ma tu non dovresti ricordartelo. Appena ti ho visto, ho eretto un incantesimo duro come un muro. Avresti dovuto sbatterci il muso contro... psichicamente parlando.»

Clary sospirò. «Se mi levi di dosso quell'incantesimo» disse «sarò in grado di ricordare tutte le cose che ho dimenticato? Tutta la mia vita? Tutta la memoria che mi hai rubato?»

«Non posso farlo.»

«Cosa?» sbottò Jace che fino a quel momento si era trattenuto. «Perché no? Il Conclave ti impone di...»

Magnus gli lanciò un occhiataccia. «Non mi piace che mi si dica cosa fare, piccolo Cacciatore...»

Represse l'istinto di staccargli la testa a morsi per averlo chiamato 'piccolo' si era già preparato come rispondere in maniera eloquente ma Alec lo precedette. Aveva voglia di tirargli un altro calcio. «Non sai come invertirlo?» chiese. «L'incantesimo, dico.»

Magnus sospirò. «Dissolvere un incantesimo è molto più difficile che crearlo» spiegò. «La complessità di questo incantesimo, la cura che ho messo nel tesserlo... Se facessi anche solo il minimo errore nel disfarlo, la mente di Clary potrebbe restare danneggiata per sempre. E poi» aggiunse «ha già iniziato a svanire. Gli effetti si dissolveranno da soli con il passare del tempo.»

«E a quel punto riavrò tutti i miei ricordi? Tutto quello che è stato portato via dalla mia testa?» chiese Clary.

«Non lo so. Potrebbero tornare tutti insieme, oppure un po' alla volta. Oppure potresti non ricordare mai quello che hai dimenticato nel corso degli anni. Ciò che mi chiese di fare tua madre è stata una cosa unica, per quanto mi riguarda. Non ho idea di cosa succederà.»

«Ma io non voglio aspettare.» Clary si strinse in un abbraccio solitario. «Per tutta la vita ho sentito che c'era qualcosa che non andava in me. Qualcosa che mancava, qualcosa di danneggiato. Adesso so...»

«Io non ti ho danneggiata.» la interruppe Magnus improvvisamente furioso.  «Ogni adolescente del cavolo di questo mondo sente quello che sentivi tu: si sente rotto, fuori posto, diverso, come un principe nato per sbaglio in una famiglia di contadini. La differenza è che nel tuo caso è vero. Tu sei diversa. Forse non migliore... ma diversa. Ed essere diversi non è una pas-seggiata. Vuoi sapere com'è quando i tuoi genitori sono delle brave perso-ne che vanno in chiesa e tu nasci con addosso il marchio del Diavolo?» Si indicò gli occhi con le dita contratte. «Quando tuo padre rabbrividisce solo a vederti e tua madre si impicca nel fienile, impazzita alla vista di suo figlio? Quando avevo dieci anni mio padre cercò di affogarmi in un torrente. Io lo colpii con tutta la forza della mia mente. Lo carbonizzai dove si tro-vava. Alla fine andai a rifugiarmi dai sacerdoti della chiesa. Mi nascosero. Dicono che la compassione è un cibo amaro, ma è sempre meglio dell'odio. Quando scoprii cos'ero in realtà, un essere solo per metà umano, mi

odiai. E qualsiasi cosa è meglio di questo.»

Jace si sentì improvvisamente a disagio dalle parole dello stregone. Tutti i pensieri si fermarono nella sua testa lasciandolo semplicemente.. Scioccato.

Un silenzio echeggiò di nuovo nella stanza. Fu Alec -sorprendendo tutti - a parlare: «Non è stata colpa tua» disse. «Non si può decidere come nascere.»

Solo per un quarto di secondo, Jace vide qualcosa nel modo in cui lo stregone guardò Alec. Qualcosa di stranamente familiare che gli fece accapponare la pelle. «L'ho superato» disse Magnus. «Credo tu abbia capito cosa volevo dire. Essere diversi non è necessariamente un bene, Clarissa. Tua madre stava cercando di proteggerti. Non fargliene una colpa.»

«Non mi importa se sono diver-sa» disse. «Voglio solo essere quello che sono.»

Magnus imprecò in una strana lingua demoniaca. Poi sembrò calmarsi. «Va bene. Ascolta. Io non posso disfare ciò che ho fatto, ma posso darti qualcos'altro. Un pezzo di ciò che sarebbe sta-to tuo se tu fossi stata cresciuta come una vera figlia dei Nephilim.» tornò alla libreria e ne estrasse un pesante volume rilegato che decisamente aveva visto giorni migliori. Nelle pagine delicate e bianche era dipinta una runa delicata in nero.

Jace spalancò gli occhi. «È una copia del Libro Grigio?»

Magnus lo ignorò continuando a sfogliare.

«Ce l'ha anche Hodge» osservò Alec. «Me l'ha fatto vedere una volta.»

«Ma non è grigio» Disse Clary puntigliosa. «È verde.»

«Se prendere le cose alla lettera fosse una malattia mortale, tu saresti morta da piccola» disse Jace spazzando via la polvere dal davanzale prima di sedercisi  sopra. Odiava la polvere. «"Grigio" è una deformazione dell'antica parola "Grimorio", che indica una conoscenza magica e nascosta. Nel Grimorio sono copiate tutte le rune che l'angelo Raziel scrisse nel Libro dell'Alleanza originale. Non ne esistono molte copie perché ognuna di esse deve essere creata in modo speciale. Alcune rune sono così potenti che brucerebbero la carta normale.»

Alec lo guardava sorpreso. «Io non sapevo tutte queste cose sul Libro.»

«Non tutti dormono durante le ore di storia.» gli fece notare.

«Io non...»

«Sì che lo fai, e sbavi anche sul banco.»

Magnus li zittì seccato. Si avvicinò a Clary e le porse l'enorme libro tenendo una pagina con un dito. Lo sguardo della ragazza trapelava tutta la sua paura. «Ora, quando aprirò il libro, voglio che tu studi bene la pagina. Guardala finché non senti qualcosa cambiare dentro la tua mente.» le disse.

«Farà male?»  chiese nervosa lei.

«La conoscenza fa sempre male» rispose lasciandola al libro.

La ragazza all'inizio lo osservava come si fa con un fumetto senza una particolare attenzione girando ogni tanto la testa. Poi qualcosa cambiò. Gli occhi si spalancarono e le pupille si dilatarono.  Sussurrava inconsciamente: "Ricorda, Tristezza. Pensiero. Protezione. Grazia" girando le pagine.

A sorpresa di tutti Magnus le strappò il libro dalle mani facendole fare un urlo di sorpresa. «Basta così» disse rimettendo il libro sul suo scaffale

«Se leggessi tutte le rune in una volta sola, ti verrebbe un gran mal di testa.»

«Ma...» cominciò la ragazza in una debole protesta.

«La maggior parte dei giovani Cacciatori impara una runa alla volta» le spiegò Jace. «Il Libro Grigio contiene rune che non conosco nemmeno io.» ammise non senza sdegno.

«Da non credere...» borbottò Magnus sottovoce.

Jace decise gentilmente di ignorarlo.

«Magnus ti ha mostrato la runa della comprensione e del ricordo. Serve ad aprire la mente per leggere e riconoscere gli altri mar-chi.»

«E può anche innescare l'attivazione di ricordi dormienti» aggiunse lo stregone.

«Ti possono tornare più velocemente di quanto accadrebbe senza la runa. È il massimo che posso fare per te.»

Clary abbassò lo sguardo. «Però continuo a non ricordare niente della Coppa Mortale.»

«È di questo che si tratta allora?» Magnus sembrava indignato. «State cercando la Coppa dell'Angelo? Senti, io sono stato in mezzo ai tuoi ricordi e non c'era niente che riguardasse gli Strumenti Mortali.»

Jace si sentì quasi meglio, più leggero.

«Strumenti Mortali?» chiese Clary guardando Jace. «Io pensavo...»

«L'Angelo diede tre oggetti ai primi Shadowhunters. Una coppa, una spada e uno specchio. La Spada la hanno i Fratelli Silenti, la Coppa e lo Specchio si trovavano a Idris, almeno finché non è arrivato Valentine.» le spiegò dolcemente.

«Nessuno sa dove si trovi lo Specchio» aggiunse  Alec come se fosse importante. «Non lo sa nessuno da secoli.»

«A noi interessa la Coppa» disse Jace. «Valentine la sta cercando.»

«E voi volete prenderla prima di lui?» chiese Magnus sollevando un sopracciglio.

«Mi sembrava avessi detto che non sapevi chi è Valentine» disse Clary. Jace le sorrise, ogni minuto sembrava assomigliarli di più.

«Ho mentito» ammise candidamente Magnus. Come se stesse ammettendo di aver rubato le caramelle ad un altro bambino. «Io non faccio parte del Popolo Fatato, sai? Non sono costretto a dire la verità. E solo un idiota si metterebbe tra Valentine e la sua vendetta.»

«È questo che pensi stia cercando? Vendetta?» chiese Jace.

«Direi di sì. Ha subito una tremenda sconfitta e non sembrava proprio... anzi, non sembra proprio... il tipo di uomo che sa perdere con eleganza.»

Gli fece notare saccente.

Alec guardò Magnus, sembrava ferito. «Tu eri presente alla Rivolta?»

Gli occhi di Magnus ressero il suo sguardo. «Sì. E ho ucciso parecchi dei vostri.»

«Parecchi membri del Circolo» lo corresse Jace. «Non dei nostri.»

«Se continuerete a rinnegare quanto c'è di brutto in ciò che fate» disse Magnus senza smettere di guardare il giovane dai capelli neri «non imparerete mai dai vostri errori.»

Alec distolse lo sguardo e arrossì giocando con il copriletto. «Non sembri sorpreso di sentire che Valentine è ancora vivo» disse.

Magnus scrollò le spalle con filosofia. «Voi sì?»

Jace non rispose. «Quindi non ci aiuterai a trovare la Coppa Mortale?» disse invece.

«Non lo farei nemmeno se potessi» disse Magnus. «E comunque si dà il caso che non posso. Non ho idea di dove si trovi e non mi interessa. Solo un idiota, come ho già detto...»

«Ma senza la Coppa non possiamo...»

«Creare altri Shadowhunters, lo so» disse Magnus come se stesse ripetendo una lezione noiosa. «Forse non tutti lo considerano un disastro come voi. Se dovessi scegliere tra il Conclave e Valentine  sceglierei il Conclave. Almeno non ha giurato di eliminare quelli come me. Ma il Conclave non ha fatto niente per meritarsi la mia lealtà assoluta. Per cui questa volta me ne starò a guardare. E ades-so, se qui abbiamo finito, vorrei tornare alla festa prima che i miei ospiti inizino a mangiarsi tra loro.»

Jace si accorse che stava aprendo e chiudendo le mani per evitare di dargli un pugno. Alec gli mise una mano sulla spalla in un gesto di conforto. Non lo avrebbe mai ammesso, ma aveva bisogno di Alec. Se non fosse stato per lui l'avrebbe preso a pugni da un pezzo. «Dici sul serio?» chiese

«Non sarebbe la prima volta.» Il sorriso dello stregone scintillava di malizia.

Jace sussurrò ad Alec uno 'sto bene' e il fratello lo lasciò. Jace andò da Clary accarezzandole dolcemente una spalla. «Stai bene?» le chiese.

«Credo di sì. Non mi sento diversa...»

Magnus rimproverò la loro lentezza con uno schiocco di dita. «Sbrigatevi, ragazzini. L'unica persona che ha il permesso di fare ciccipucci nella mia camera da letto è il vostro splendido ospite Magnus Bane.»

Ci mancò poco che Jace non arrossì.

«Fare ciccipucci?» ripeté Clary che sembrava più confusa che imbarazzata.

«Splendido?» chiese Jace perplesso. Magnus lanciò un occhiataccia ai due ragazzi e ringhiò un 'fuori' che sembrava addirittura minaccioso.

Uscirono dalla stanza e Magnus restò indietro per chiudere a chiave la porta. «Io odio le band di fate. Non fanno altro che suonare ballate strappalacrime.»

Jace scoppiò a ridere guadagnandosi un occhiataccia da parte di Alec

si guardò intorno alla ricerca della sorella. «Dov'è Isabelle?» chiese.

Un espressione anche troppo preoccupata si dipinse sul volto di Clary che con lo sguardo stava squadrando l’intera sala. «Non lo vedo. Non li vedo, volevo dire.»

 «Eccola.» disse Alec con un sospiro. «Vieni qui, Iz. E stai attenta al puka.»

«Stai attenta al puka?» ripeté Jace guardando un tizio magro con la pelle marrone e un gilet a disegno cashmere verde che stava fissando Isabelle. Non gli piaceva quel tizio, e soprattutto non gli piaceva il modo in cui era arrossito Alec. «Prima, quando gli sono passato davanti, mi ha dato un pizzicotto» disse rigido. «In una zona estremamente personale.»

 «Be', mi sa che se è interessato alle tue zone estremamente personali, probabilmente non lo è a quelle di tua sorella.»

«Non necessariamente» disse Magnus che sembrava molto preoccupato per la zona intima di Alec. «Il Piccolo Popolo non va tanto per il sottile.»

Jace gli fece una smorfia infastidito. «Sei ancora qui?»

Magnus stava per rispondere quando Izzy arrivò. Aveva le guance arrossate e l’alito che ricordava un barbone. «Jace! Alec! Vi ho cercati dappertutto»

«Dov'è Simon?» la interruppe Clary che ancora guardava per la sala.

Isabelle la guardò. «È un ratto» disse come fosse un segreto.

E ora dov’è la novità? Pensò Jace. Alec invece era calato nella parte fratellone maggiore. «Ti ha fatto qualcosa? Ti ha toccata? Se ha provato a...»

«No, Alec» disse Isabelle irritata per la sua idiozia. «Voglio dire che è un ratto. Letteralmente.»

Jace fece una smorfia disgustata. «È ubriaca»

«No… Be', forse un pochino, ma non è questo il punto. Il punto è che Simon ha bevuto uno di quei cocktail blu... io gli ho detto di non farlo, ma non ha voluto ascoltarmi... e si è trasformato in un topo.» Uh uh pensò Jace. Ora ci si diverte.

Clary non sembrava della stessa idea. «Un topo?» ripeté sgranando gli occhi.. «Non vorrai dire...»

«Voglio dire un topo» ripeté Isabelle, sembrava una di quelle bambine che ripeteva il verso degli animali. «Piccolo. Grigio. Coda lunga.»

«Al Conclave non piacerà» disse Alec in una di quelle informazioni che non interessano a nessuno. «Sono abbastanza sicuro che tra-sformare i mondani in topi sia contro la Legge.»

«Tecnicamente non è stata lei a trasformarlo in un topo» puntualizzò Jace. «Il peggio di cui possa essere accusata è negligenza.»

«Ma chi se ne frega della vostra stupida Legge!» urlò Clary afferrando Isabelle per un polso. Jace rimase scioccato qualche secondo. Chi immaginava che in un corpicino tanto piccolo ci fosse tanta furia. «Il mio migliore amico è un topo!»

«Ahi!» Isabelle cercò di liberarsi il polso. «Lasciami andare!»

«Solo dopo che mi hai detto dov'è.» ringhiò Clary, in quel momento –si rese conto Jace- sembrava più che mai una cacciatrice. «Non ci posso credere che tu lo abbia abbandonato... sarà terrorizzato...»

«Se non lo hanno calpestato» disse lui.

Se gli sguardi potessero uccidere quello che Clary gli mandò lo avrebbe fatto secco.

«Non sono stata io a lasciarlo lì... è corso sotto il bancone» protestò Isa-belle indicando la zona bar. «Mollami! Mi stai rovinando il braccialetto.»

Clary borbottò qualche imprecazione contro Isabelle e si gettò carponi vicino al bancone.

Il gruppo di ragazzi la raggiunse. «È là sotto?» chiese Jace curioso. Vedeva soltanto un indistinta macchia grigiastra.

Clary annuì. «Ssh. Lo farete scappare.» disse. Infilò la mano sotto il bancone verso la cosa grigia. «Dai, vieni fuori, Simon. Diremo a Magnus di annullare l'incantesimo. Andrà tutto bene.»

La cosa grigia squittì ed il nasino rosa di Simon il topo uscì da sotto il bancone.

Jace ripensò alla prima volta che lo aveva visto e a quanto gli fosse sembrata appropriata l’analogia con un topo. Diamine era proprio un genio.

Il topolino Simon avvicinò i baffetti tremanti alla mano di Clary che lo fece salire in braccio. «Simon! Hai capito quello che ho detto?!»

Il topo squittì come a dire “eggià.”

Clary lo strinse forte al petto. Jace fece dei pensieri davvero poco nobili sull’essere al posto del topo in quel momento. Fu rincuorato dal fatto che Clary lo trattava come fosse un criceto. «Oh, povero piccolo. Povero Simon, andrà tutto bene, te lo prometto...»

«Io non sarei tanto dispiaciuto per lui» disse Jace. «Probabilmente non è mai stato abbracciato così da una ragazza in tutta la sua vita.»

«Piantala!» gli disse zittendolo. «Chiamate Magnus» disse poi secca. «Dobbiamo ritrasformarlo.»

«Non c'è fretta.» disse Jace allungando una mano per accoccolare la bestiolina. «È carino così. Guarda che bel nasino rosa.»

Se non fosse stato per i suoi riflessi da cacciatore la bestiolina l’avrebbe morso. Jace represse la voglia di schiacciarlo. «Izzy, vai a cercare il nostro splendido ospite.» disse.

«Perché io?» protestò Isabelle.

«Perché è colpa tua se il mondano è diventato un topo, imbecille» disse tranquillo. Lanciò un occhiata a Clary che ancora coccolava il topo. «E non possiamo lasciarlo qui.»

«Saresti più che felice di lasciarlo qui, se non fosse per lei» disse Isabelle velenosa, e si diresse teatrale verso lo Stregone intento a litigare con il musicista.

Anche sapendo che era più che vero, Jace fu colpito dalle parole della sorella. Era vero, Clary lo condizionava molto più di quanto volesse ammettere, o di quanto gli dispiacesse.

«Non ci posso credere che ti abbia lasciato bere quella roba blu» disse Clary a Simon-il-topo. «Adesso avrai imparato cosa succede a fare gli stupidi.» il topo squittì una risposta.

Un secondo più tardi Magnus era di nuovo lì a guardare il topo divertito. «Rattus norvegicus» disse sorridente. «Un comune topo grigio, niente di esotico.»

«Non mi interessa che tipo di topo è» sbottò Clary. «Voglio che tu lo faccia tornare normale.»

Magnus grattò la folta chioma colorata pensieroso. «non serve.» disse.

Jace sorrise. «È quello che ho detto anch'io.»

«Non serve?» urlò Clary diventando rossa per il furore. «COME FAI A DIRE CHE NON SERVE?!»

«Perché tornerà normale da solo nel giro di poche ore» disse Magnus. «L'effetto dei cocktail è temporaneo. Non ha senso fargli un incantesimo di trasformazione: servirebbe solo a traumatizzarlo. Troppa magia è difficile da reggere per i mondani, il loro sistema non ci è abituato.»

«Non credo che il suo sistema sia abituato a essere un topo» fece notare Clary. «Tu sei uno stregone, non puoi semplicemente annullare l'incante-simo?»

Magnus ci pensò un po' sopra. «No.»

«Vuoi dire che non vuoi farlo.»

«Non gratis, cara. E tu non ti puoi permettere i miei servigi.»

«Non posso nemmeno portarmi dietro un topo in metropolitana» si la-mentò Clary. «Potrei farlo cadere, oppure mi arresterebbero per avere portato degli animali infestanti sui mezzi pubblici.» Simon squittì il suo disappunto. «Non che tu sia veramente infestante, certo.» si affrettò ad aggiungere la ragazza.

Il rumore della musica fu interrotto dalle urla di una nascosta accerchiata da altre sei o sette persone all’ ingresso.

«Vogliate scusarmi» disse Magnus e si dileguò nella folla.

«È stato proprio d'aiuto...» fece notare izzy ancora barcollante.

«Be'» disse Alec facendo voltare Clary. «potresti sempre infilartelo nello zainetto.»

Velocemente la ragazza si scrollò lo zaino dalle spalle e vi infilò il topo tremante sussurrando “Mi dispiace.”

«Lascia perdere» disse Jace. «Non capisco proprio perché voi mondani continuiate a prendervi la responsabilità di cose che non sono colpa vostra. Non sei stata tu a costringere questo idiota a bersi quel cocktail.»

«Se non fosse per me, lui non sarebbe nemmeno qui» disse piano Clary.

«Non sopravvalutarti. Lui è venuto per Isabelle.»

Clary chiuse lo zainetto con uno strattone e si alzò in piedi. «Andiamo via. Questo posto mi ha stufato.»

Il gruppo di vampiri che si era formato sulla porta era aumentato, non lasciando ai Nephilim neanche una via per uscire.

«Probabilmente si sono ubriacati e sono svenuti da qualche parte» stava dicendo Magnus parlando a proposito di qualche sanguisuga idiota. «So benissimo come voialtri tendete a trasformarvi in pipistrelli o in mucchietti di polvere quando avete ingollato qualche Bloody Mary di troppo.»

«È un cocktail di vodka e sangue» sussurrò Jace all'orecchio della ragazza.

Clary rabbrividì dolcemente. «Sì, l'avevo immagina-to, grazie.»

«Non possiamo andarcene in giro a raccogliere tutta la polvere che c'è qui intorno nella speranza che domani mattina si trasformi in Gregor» si stava lamentando una vampira che probabilmente era mora tanto quanto lo era lui. Jace ripensò vagamente alla conversazione avuta con il mondano riguardo alle vampire. Quella che si stava lamentando era abbastanza carina,grandi occhi scuri, sottile come un giunco, pericolosa. Ma, solo l'angelo sa perché, in quel momento tutta l'attenzione era focalizzata su quel folletto dai capelli rossi che coccolava lo zainetto stretto al suo petto.

«Gregor non corre alcun rischio, non passo quasi mai la scopa qua den-tro» la tranquillizzò Magnus. «Domani sarò lieto di rispedire a casa tutti i

dispersi... in un'auto con i vetri oscurati, naturalmente.»

«E le nostre moto?» chiese un altro vampiro.«Ci vorranno ore per aggiustarle.»

«Avete tempo fino all'alba» disse Magnus che stava evidentemente perdendo la pazienza. Riusciva quasi a comprenderlo. Lui stesso odiava da morire quando i nascosti venivano a lamentarsi da lui per ogni stupida sciocchezza successa nel mondo invisibile. «Vi consiglierei di iniziare a darvi da fare.»continuò Magnus «Va bene, basta così! La festa è finita! Tutti fuori!» urlò poi, facendo indietreggiare il vampiro si-vorrei-sembrare- minaccioso.

La stanza fu avvolta dal silenzio, Jace spinse delicatamente Clary verso la porta. «Andiamo.» disse.

Chiaramente, la ragazza con tutto che lui la teneva saldamente per le spalle, era andata a sbattere con una sanguisuga. «Ehi, carina» le disse scoprendo i canini. «Cos'hai nella borsa?»

Jace si piazzò davanti alla ragazza, quasi come un gesto istintivo. «Acqua santa» sibilò. «Perché, hai sete?»

«Oooh, un Cacciatore.. Che paura!» disse il vampiro sogghignante, ma Jace potè vedere la scintilla di terrore che si materializzava nei nascosti quando si parlava di Nephilim. Li temevano. E questo, pensò Jace, è un bene.  Strizzò l'occhio e tornò a confondersi nella folla.

«I vampiri sono delle tali primedonne» sospirò Magnus sulla porta.«Non so proprio perché mi ostino a dare queste feste.»

Nonostante tutto, la voce di Clary risuonò dolce. «Per il tuo gatto» disse.

Magnus si rianimò. «È vero. Il presidente Miao merita tutti i miei sfor-zi.» Guardò la ragazza e il gruppetto di Cacciatori alle sue spalle. «Ve ne andate?»

Jace annuì. «Non vorremmo abusare della tua ospitalità.» disse sperando che ne capisse l'ironia.

«Ma quale ospitalità? Vorrei poter dire che è stato un piacere, ma non è così. Non che non siate tutti dei tipi carini. E per quanto riguarda te...» strizzò un occhio  ad Alec, che perse ogni traccia di colore sul viso. Jace tentò di reprimere il senso di nausea. «... chiamami quando vuoi.» finì lo stregone.

Come sempre quando si trovava in 'situazioni spiacevoli', come le chiamava lui, Alec cominciò a balbettare e dire parole senza senso. Jace lo prese per le spalle e lo trascinò via. Per l'Angelo, quanto avrebbe voluto dargli un pugno sul naso!

Prima di scendere le scale Jace si accorse della mancanza di Clary nel gruppo. Cercò la ragazza con gli occhi e la vide a parlare con Magnus, annuendo attenta come fosse a scuola.

Clary si volto e per la prima volta Jace vide nella ragazza uno sguardo di pura paura.

La proteggerò. Si disse. Qualunque cosa accada.

 

Dopo un po', finalmente Clary li raggiunse e cominciarono a camminare verso la metro. Jace era inquieto. Si sentiva stranamente a disagio vicino a Clary che stringeva ancora lo zainetto. Non si disturbava neanche ad ascoltare le lamentele di Isabelle davanti a lui.

Domani è il suo compleanno. Pensò distrattamente. Ed è sola.

Cosa avrebbe potuto fare?

Avrebbe tanto voluto fare qualcosa di eclatante, qualcosa che Clary si sarebbe sempre ricordata, anche dopo tutto questo, qualcosa che gli avrebbe fatto ricordare lui, anche dopo tutto questo.

Ma cosa avrebbe fatto dopo aver trovato sua madre? Le avrebbe detto: "E' stato un piacere salvarti la vita." e poi l'avrebbe lasciata andare?

No, non voleva.

Voleva restarle vicino, come non aveva mai fatto con nessuno che non fosse la sua famiglia. Voleva stringerla e sussurrarle che tutto sarebbe andato bene. Ma non poteva farlo, non con lei che stringeva lo zaino come fosse un gigantesco orso di pezza.

Si voltò a guardarla e per poco non gli si fermò il cuore nel petto. Clary non c'era, Era rimasta indietro e stava rovistando spasmodicamente nello zaino. Jace le rivolse un occhiata seccata. «Cosa c'è che non va?» chiese.

Clary alzò gli occhi e Jace potè vedere di nuovo quell'espressione di terrore. Le fu subito accanto. «Clary?»

«È sparito» sussurrò lei. «Simon. Era nel mio zainetto...»

«Si è arrampicato fuori?»

«Certo che no!» urlò improvvisamente furiosa. «Cosa credi, che non veda l'ora di farsi schiacciare da una macchina, ammazzare da un gatto o...»

Jace tentò di Calmarla. «Clary...»

«Stai zitto!» strillò tentando di colpirlo con lo zaino. «Sei stato tu a di-re che non era il caso di farlo tornare normale...»

Jace gli strappò di mano l'arma e l'esamino con occhio attento. «La cerniera è stata strappata» disse. «Dall'esterno. Qualcuno ha aperto la borsa con la forza.»

Clary, confusa, scosse il capo. Le sue guancie si colorarono di un leggero rosso. «Io non...»

«Lo so.» le disse gentile. Fermò le mani che volevano stringerla. Si voltò verso Isabelle e Alec. «Alec! Isabelle! Andate avanti! Vi raggiungiamo.» urlò.

Appena i due furono spariti Jace mise delicatamente una mano sulla schiena di Clary per farla voltare verso la casa di mattoni.

La ragazza lo guardò. «Perché hai...» sussurrò

«Perché ho che cosa?»

«Perché li hai fatti andar via? Alec e Isabelle?»

Jace non rispose, erano arrivati all'edificio. E poi, onestamente non sapeva cosa rispondere. Era la prima volta che non voleva Alec con se per una cosa del genere. Jace si allontanò da lei e suonò il citofono.

«Jace» disse lei.

Jace si voltò. Clary aveva gli occhi lucidi, ed uno sguardo che era il ritratto della preoccupazione. «Cosa?» chiese brusco.

«Pensi che stia bene?»

«Simon?» Jace non trovava le parole per rispondere. Era stato preso da dei vampiri, era ovvio che non stesse bene. Ma non voleva proprio sbandierarglielo in faccia. Non rispose e suonò ancora.

Magnus rispose, la voce che rimbombava nel piccolo ingresso: «CHI OSA DISTURBARE IL MIO RIPOSO?»

«Jace Wayland. Ti ricordi? Sono del Conclave.»

«Oh, sì.» Magnus ora sembrava più sveglio. «Sei quello con gli occhi azzurri?» chiese dolce.

«Parla di Alec» suggerì Clary.

«No. I miei occhi vengono solitamente definiti dorati» disse al citofono acido. «E luminosi, tanto per la cronaca.»

«Ah, sei quell'altro.» Magnus sembrava deluso, Jace represse l'istinto di tirare un pugno e rompere l'altoparlante.

«Sarà meglio che tu salga.» continuò la voce dello stregone.

Lo stregone andò ad aprire la porta con addosso un kimono di seta con il disegno di un drago, un turbante dorato e un'espressione di fastidio appena contenuto.

«Stavo dormendo» disse  Acido.

Aveva la battuta perfetta sul turbante che indossava, ma Clary era intenzionata ad uccidere la sua ironia. «Ci dispiace disturbarti...» disse La ragazza.

All'improvviso una specie di topo peloso comparve accanto a Magnus. «Il presidente Miao?» chiese Clary.

Magnus annuì. «È tornato.»

Jace guardò con un certo disgusto il gatto. «Ma quello non è un gatto» osservò. «È grande come un criceto.»

«Sarò tanto gentile da dimenticare quello che hai appena detto» e spinse il gatto-topo verso l'appartamento.

«E io dimenticherò la tua delusione nel vedere me invece di Alec. La maggior parte delle persone tende ad avere la reazione opposta.» ringhiò Jace. L'istinto di protezione da parabatai si fece sentire desiderando di staccare la testa glitterata dello stregone.

«Me ne rendo conto perfettamente» ammise Magnus. «Ma c'è qualcosa nel tuo amico. Non è come voi.»

«È più gentile» disse Jace dolce. «E non è pronto per i tuoi giochetti. Stagli alla larga.» ringhiò poi.

Magnus lo guardò con gli occhi socchiusi con malizia. «È un ordine ufficiale del Conclave?»

«Più che altro un consiglio.»

«Non sarà per questo che siete venuti?»

«No.»

«Allora sarà meglio che mi diciate di cosa si tratta prima che debba ti-rarvelo fuori con un incantesimo della Verità.»

«Usare la magia su un membro del Conclave è proibito dall'Alleanza» disse Jace saputello.

I suoi occhi si puntarono su Clary. «Ma lei non è un membro del Conclave.»

«Non ce n'è bisogno» disse Clary mostrandogli lo zaino strappato. «È Simon. È scomparso.»

«Ah» disse Magnus con delicatezza. «Sarebbe a dire?»

«Scomparso» ripeté Jace. «Andato. Sparito. Assente. Svanito.» Era ufficiale. Odiava quello stupido stregone.

«Magari si è nascosto sotto qualcosa» suggerì Magnus. «Non deve esse-re facile abituarsi a essere un topo, soprattutto per uno già così idiota.»

«Simon non è un idiota» protestò Clary.

«È vero» concordò Jace. «È solo che sembra idiota. In effetti è discretamente intelligente.» magari una bugia la fa calmare. poi si rivolse a Magnus.«Mentre stavamo uscendo, uno dei tuoi ospiti è andato a sbattere contro Clary. Credo le abbia aperto lo zainetto e abbia preso il topo. Simon, voglio dire.»

«E...?»

«E devo scoprire chi era» disse Jace in tono fermo. «Immagino tu lo sappia. In fondo sei il Sommo Stregone di Brooklyn, no? Suppongo che a casa tua non succedano molte cose di cui tu resti all'oscuro.»

Magnus fece un largo sorriso. «Non ti sbagli.»

«Diccelo, per favore» scattò Clary. La mano di Jace si strinse attorno al suo polso sperando che chiudesse il becco.

Magnus abbassò la mano con un sospiro. «Va bene. Ho visto uno dei vampiri motociclisti della tana di Uptown che se ne andava con un topo grigio in mano. Sinceramente ho pensato che fosse uno dei loro. A volte i Figli della Notte si trasformano in topi o in pipistrelli, quando si ubriacano.»

«E tu pensi che fosse Simon?» chiese Clary più tesa.

«Tiro a indovinare, ma mi sembra probabile.»

«C'è un'altra cosa.» eccitato dall'imminente probabile  scontro. «Dov'è la tana?»

«Che cosa?»

«La tana dei vampiri. È lì che sono andati, no?»

«Immagino di sì.» sospirò Magnus.

«Ho bisogno che tu mi dica dove si trova.»

Magnus scosse il capo pieno di gel e di Glitter. «Non ho intenzione di i-nimicarmi i Figli della Notte per un mondano che non conosco neppure.»

«Aspetta» lo interruppe Clary. «Cosa possono volere da Simon? Crede-vo non avessero il permesso di fare del male agli umani...»

«Vuoi che provi a indovinare?» nonostante tutto, Magnus era gentile con Clary. Forse era involontario essere così con lei.

«Hanno pensato fosse un animale addomesticato e che sarebbe stato diver-tente uccidere la bestiolina di un Cacciatore. Voi non gli piacete molto, qualsiasi cosa dicano gli Accordi... E nell'Alleanza non si dice niente ri-guardo all'uccisione di animali.»

«Lo uccideranno?» chiese Clary con gli occhi sbarrati.

«Non necessariamente» rispose svelto. «Forse hanno pensato che fosse uno dei loro.»

«E in quel caso cosa gli succederebbe?»

«Be', al sorgere del sole riprenderà la forma umana e loro lo uccideranno comunque. Però questo potrebbe darvi qualche ora in più.»

«Allora ci devi aiutare» disse Clary allo stregone. «O Simon morirà.»

Il barlume negli occhi di Magnus fu di pura tristezza, ma Jace dubitò che Clary lo avesse visto.

«Tutti muoiono, cara» disse. «È meglio che ti ci abitui.»

Fece per chiudere la porta, ma Jace vi infilò un piede per impedirglielo.

Magnus sospirò seccato. Jace non dubitò che in quel momento non volesse trasformarlo in un rospo. Magari Clary lo avrebbe baciato per farlo tornare principe.

«Cosa c'è ancora?» chiese Magnus.

«Non ci hai detto dov'è la tana» disse Jace.

«E non ho intenzione di farlo. Vi ho detto...»

Fu Clary a interromperlo, passando davanti a Jace e trovandosi faccia a faccia con lo stregone. Quella sera sembrava sempre di più una cacciatrice, nonostante fosse una mezzosangue, il sangue di Raziel era in lei più che evidente. «Tu hai preso la mia infanzia» disse. «I miei ricordi. Non puoi fare almeno questa cosa per me?»

Magnus sbattè spasmodicamente la testa contro il muro. Avrebbe voluto farlo Jace, ma si accontentò.

«Il vecchio Hotel Dumont» disse. «Uptown.»

«So dov'è.» disse Jace.

«Quanto è lontano? Dobbiamo andarci subito. Hai un Portale?» chiese Clary rivolgendosi a Magnus.

«No.» disse Magnus. «I Portali sono abbastanza difficili da costruire e comportano notevoli rischi per i loro proprietari. Se non sono ben protetti ne possono uscire creature decisamente spiacevoli. Gli unici che conosco a New York sono quello a casa di Dorothea e uno da Ren-wick, ma sono tutti e due troppo lontani perché valga la pena andarci, sempre ammesso che i loro proprietari accettino di farveli usare, cosa che probabilmente non farebbero. Tutto chiaro? E adesso andatevene.»

Jace non si mosse. «Ancora una cosa» disse. «C'è un luogo consacrato da queste parti?»

«Ottima idea. Se avete intenzione di attaccare da soli una tana di vampi-ri, sarà meglio che prima preghiate i vostri dei.»

«Ci servono armi» tagliò corto Jace. «Oltre a quelle che abbiamo addos-so.»

«C'è una chiesa cattolica in Diamond Street. Vi va bene?»

Jace annuì e fece un passo indietro. «Andr...»

Le parole furono bloccate dal rumore della porta chiusa.

Era ufficiale, i nascosti erano odiosi.

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Capitolo 14
*** L'hotel Dumort. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo XIII; L'hotel Dumort



Nella sua vita, Jace aveva visto talmente tante creature orribili, che adesso era pressoché insensibile ai brividi di terrore.

Eppure quella chiesa, in quel momento era davvero agghiacciante, Jace sentì i peli delle braccia rizzarsi. Ricordava vagamente nei libri che leggeva ad Idris di una chiesa maledetta da uno stregone dove durante una messa fecero irruzione dei demoni, non lasciando nulla di vivo al suo interno.

Jace deglutì. Non che avesse paura dei demoni, ovvio. In fondo erano i demoni ad aver paura di lui.

Clary si avvicinò piano al cancello di ferro battuto e dopo averlo analizzato per qualche secondo si spostò di lato con uno sguardo demoralizzato. «È chiuso a chiave» disse.

Il ragazzo impugnò lo stilo. «Ci penso io.» con una mano sola tracciò velocemente una runa di apertura e voi lat.  Il lucchetto cadde a terra con un rumoroso schiocco.«Come al solito» disse. «Sono incredibilmente bravo in queste cose.»

Sentì la ragazza sbuffare dietro di lui. «Quando la parte auto celebrativa della serata sarà finita...»

«La parte auto celebrativa della serata non finisce mai.» disse con un sorriso.

«... magari potremo tornare a salvare il mio migliore amico dalla morte per dissanguamento?»

«Dissanguamento» ripeté Jace colpito. Non sembrava proprio una ragazza che passava le giornate a leggere libri. Beh, non sembrava neanche una cacciatrice, eppure. «Che parolona...»

Diventò rossa. «E tu sei un gran...»

«Ehi» la interruppe. «Non si dicono parolacce in chiesa.»

«Non siamo ancora in chiesa» puntualizzò seccata. Si incamminarono sotto l'immenso arco di pietra dell'edificio. Un eco di freddo li raggiunse e li avvolse.

«Forzare la porta di una chiesa non mi sembra il massimo della legalità.» disse Clary sottovoce.

Jace la guardò di sottecchi. Avrebbe dovuto cambiare al più presto il suo senso del giusto - sbagliato, o prima o poi avrebbe accarezzato un cucciolo di demone chiamandolo 'cicciopupuccio.' «Infatti non lo faremo» le disse.

Pose la mano solenne proprio sopra la serratura e cominciò il rito: «In nome del Conclave io chiedo di avere accesso a questo luogo sacro. In nome della Battaglia-che-non-ha-mai-fine, io chiedo di poter usare le tue armi. E in nome dell'angelo Raziel, chiedo la tua benedizione sulla mia missione contro le tenebre.»

Un fresco vento gli rispose e la porta si spalancò sotto le sue mani. Jace fece un passo indietro. «Dopo di te.»

Con passo incerto Clary entrò nella chiesa,  avendo un leggero brivido. Jace la raggiunse subito. «Le pareti di pietra tengono fuori il caldo» le disse dolce.

«Non è per quello» disse lei con uno sguardo rapito. «Sai, non ero mai stata in chiesa.»

«Sei stata all'Istituto. E al Pandemonium.» le fece notare.

«Voglio dire in una vera chiesa. Per la messa e roba del genere.»

Vorrei non esserci mai stato neanche io Pensò amareggiato. «Be', questa è la navata, dove ci sono i banchi, e dove si siede la gente durante le funzioni.»  Fecero qualche passo avanti. Le parole del ragazzo riecheggiarono nel vuoto della cattedrale.

«Questo è l'abside. E questo è l'altare, dove il prete officia il rito dell'eucarestia. Si trova sempre sul lato orientale della chiesa.»

Jace si inginocchiò d'avanti all'altare lasciando la ragazza a contemplare la struttura. Con le mani cercò una piccola sporgenza nel pavimento di marmo.

Jace sentì un respiro accelerato alle sue spalle. «Jace» sussurrò Clary. «Cosa stai facendo?»

«Cerco delle armi.» rispose tranquillo.

«Qui?» Chiese ad occhi sgranati.

«Di solito sono nascoste vicino all'altare. Per i casi di emergenza.»

«Cos'è, una specie di accordo che avete con la Chiesa cattolica?»

«Non solo. I demoni sono sulla Terra da quando ci siamo noi. Sono in tutto il mondo, in forme diverse... i daemon greci, i deva persiani, gli asma hindi, gli oni giapponesi. La maggior parte delle religioni tengono conto sia della loro esistenza sia della lotta contro di essi. Gli Shadowhunters non si schierano con nessuna religione in particolare e, in cambio, loro ci forniscono assistenza. Avrei potuto andare anche in una sinagoga ebraica, in un tempio scintoista o in...» Scorse un piccolo spiraglio argentato e scostando la polvere scoprì la runa. «ah, eccola.»

Jace sfilò lo stilo e leggermente toccò la pietra che, lamentando il disuso, si scostò con un cigolio. Dentro vi era una scatola di legno. Soddisfatto Jace la sfilò e né esamino il contenuto.

«Cosa sono queste cose?» chiese Clary.

«Boccette di acqua santa, pugnali benedetti, lame d'acciaio e d'argento» spiegò uscendo dalla scatola le varie armi.  «Filo d'acciaio per i demoni... al momento non ci serve a molto, ma fa sempre comodo averne un po' di riserva... proiettili d'argento, incantesimi di protezione, crocifissi, stelle di Davide...»

«Gesù!» disse Clary interrompendolo. E meno male che era lui quello poco rispettoso.

«No, lui non credo ci starebbe, dentro una scatola.»

«JACE!»

«Cosa?»

«Non lo so, non mi sembra giusto fare battute del genere in chiesa.»

Jace scrollò le spalle con nonchalance. «Io non sono credente.»

«No?» la voce di Clary tradiva la curiosità.

Non entrava in una chiesa dal giorno della morte di suo padre, in cui aveva implorato tra le lacrime a vuoto di farlo tornare, in qualche maniera. Il non ricevere uno straccio di risposta, uno straccio di speranza avevano annientato in lui ogni speranza che al mondo, qualcosa di buono esistesse davvero.

Jace scosse la testa ed esaminò una boccetta di acqua santa. Sarebbe stato divertente vedere qualche sanguisuga contorcersi e liquefarsi. Aveva proprio voglia di divertirsi un po'. «Pensavi fossi religioso?» le chiese rompendo il silenzio.

«Be'...» Clary esitò un po' ed anche se non poteva vederla per via dell'oscurità sapeva benissimo del rossore delle sue guancie. «Se esistono i demoni, allora deve esserci...»

«Deve esserci cosa?» Jace si infilò la boccetta in tasca promettendosi di usarla. «Ah, vuoi dire che se c'è questo...» e indicò il pavimento «... deve esserci anche questo.» Indicò il soffitto.

«Mi sembra una deduzione sensata, no?»

Jace abbassò la mano e raccolse una spada, di cui esaminò l'elsa fantasticando di infilarla in qualche ventre demoniaco.

«Ti dirò una cosa» le disse poi. «Sono dieci anni che uccido demoni. Devo averne rispediti più o meno cinquecento nella dimensione infernale da cui erano arrivati. E in tutto questo tempo - in tutto questo tempo - non ho mai visto un angelo. E non ho mai sentito nessuno che ne avesse visto uno.»

«Ma è stato un angelo a creare i Cacciatori» disse Clary. «È quello che ha detto Hodge.»

«Una bella storia, vero?»

«Io credevo che voi foste i guerrieri prescelti da Dio» disse Clary esasperata.

Jace le sorrise. Fu un sorriso amaro.

«Mio padre credeva in Dio» disse. «Io no.»

«Per niente?» Riecco la Clary testarda che lui non sapeva bene se adorava o detestava a morte.

«Mettiamola così» disse facendo scivolare un paio di pugnali nella cintura come se quell'argomento  non lo toccasse minimamente. Prima l'avrebbero chiuso e prima Jace si sarebbe sentito meglio.

E sperò con tutto se stesso che Clary non notasse il dolore celato nella sua voce

 «Mio padre credeva in un Dio giusto. Deus volt era il suo motto: "Dio lo vuole". Era il motto dei Crociati, e i Crociati andarono in battaglia e furono massacrati, proprio come mio padre. E quando l'ho visto morto in una pozza del suo sangue ho capito che non avevo smesso di credere in Dio. Avevo solo smesso di credere che gliene importasse qualcosa di noi. Dio forse esiste, Clary, o forse no, ma non credo che abbia importanza. In ogni caso ce la dobbiamo cavare da soli.»

 

Silenzio. Nient'altro che silenzio sulla metropolitana. Clary era seduta con il mento sulle ginocchia con uno sguardo intento a squadrare una macchia sul pavimento.

Jace voleva parlarle. Magari dirle che tutto sarebbe andato bene. Ma dubitava che sarebbe servito a qualcosa mentire.

Quando uscirono dalla metropolitana li avvolse altro silenzio. Se non fossero stati così fantastici Jace si sarebbe strappato i capelli.

Vagarono per un po' nelle strade solitarie di New York trovando infine il maledettissimo Hotel-vampiro quando Clary ne notò l'insegna, che altro non era che una specie di asse di legno penzolante con delle lampade al neon distrutte che magari una volta volevano dire: HOTEL DUMONT, ma qualcuno che voleva fare il simpaticone aveva dipinto una R al posto della N.

«Hotel Dumort» disse Jace quando Clary gliela indicò. «Divertente.» disse ironico.

«Du mort» disse Clary contenta. «Della morte.»

Jace annuì.

«Ma non può essere questo, l'albergo» sbottò Clary. «Le finestre sono sbarrate e la porta è murata e... oh...» si interruppe quando vide lo sguardo di Jace esasperato. «Giusto. Vampiri. Ma come fanno a entrare?»

«Volano» spiegò Jace indicando i piani più alti dell'edificio.

«Noi però non voliamo» fece notare Clary.

«No» concordò Jace un po' per prenderla in giro. «non voliamo. Facciamo una piccola effrazione.» Si avvicinò all'Hotel con Clary al seguito.

«Volare suonava più divertente» disse Clary col fiatone. Si ripromise mentalmente di rallentare un po' il passo.

«Al momento qualsiasi cosa suonerebbe più divertente.» disse anche se questo per lui era divertente.

L'eccitazione della caccia, fiutare una preda ed inseguirla. Combattere. Eccome se era divertente.

Clary era in piedi sul marciapiedi che guardava con quel suo sguardo da artista la debole luce gialla gettata dal lampione. «Stai lontana dalla luce» sibilò tirandola per una manica. «Potrebbero fare la guardia dalle finestre. E non guardare in su» Ma ovviamente Clary stava guardando su.

Esasperato, Jace la trascinò a fondersi nelle ombre scure. Da quella vicinanza Jace poteva sentire il battito frenetico del cuore della ragazza, la preoccupazione e l'avversione per quel luogo disgustoso.

Senza fare rumore si precipitarono in un vicolo pieno di ogni genere di schifezza. Clary si abbassò piano e sgranò gli occhi guardando dei lunghi e sottili bastoncini bianchi.

«Ossa» disse Jace. «Ossa di cani e gatti. Non avvicinarti troppo: guardare la spazzatura dei vampiri di solito non è un bello spettacolo.»

Clary era diventata di una specie di color verdognolo, ma comunque trovò la forza di alzarsi e dire: «Va bene Almeno sappiamo che siamo nel posto giusto»

Jace le sorrise. Era davvero in gamba.

«Oh, ci puoi scommettere che siamo nel posto giusto» disse. «Adesso dobbiamo solo capire come fare a entrare.»

Jace squadrò bene la facciata dell'hotel. «Quando questo era un albergo» disse lentamente Jace le consegne dovevano arrivare qui. Voglio dire, non potevano far passare i fornitori dalla porta principale e non ci so-no altri posti per parcheggiare un furgone. Per cui ci deve essere un modo per entrare...» 'Magari in basso…

«Scommetto che ci sono delle porte basse.» Disse Clary avvicinandosi. «Probabilmente sono sepolte sotto questa spazzatura.»

 Jace annuì meccanicamente. «È quello che stavo pensando anche io»  sussurrò. «Mi sa che ci toccherà spostare queste schifezze. Possiamo iniziare con il cassonetto.» lo indicò preferendo di gran lunga mangiare un piatto cucinato da Isabelle. E questo dice tutto.

«Preferiresti affrontare un'orda di demoni affamati, vero?» gli chiese Clary.

«Almeno non sarebbero pieni di vermi. Be'» aggiunse dopo averci pen-sato sopra «non tutti almeno. Una volta ho incontrato un demone nelle fo-gne sotto la Gran Central...»

«Lascia perdere.» lo interruppe Clary esasperata.«Non sono dell'umore giusto.»

«Dev'essere la prima volta che una ragazza mi dice una cosa del genere» gongolò Jace.

«Stammi vicino e non sarà l'ultima.»

Jace le sorrise. Accetto la sfida.

«Questo non è certo il momento giusto per le scaramucce. Abbiamo dell'immondizia da spostare.» disse e si avvicinò al cassonetto e lo prese per un lato. «Tu prendilo dall'altra parte. Lo ribaltiamo.» Il cattivo odore era letale. Se non fosse stato così macho si sarebbe portato dietro una confezione di deodorante per ambienti.

«Così faremmo troppo rumore» ribatté Clary mentre prendeva posto dall'altro lato del cassonetto. «Dovremmo spingerlo.»

Jace stava per farle notare che era lui il cacciatore esperto e che lei era la mondana, ma una voce parlò dall'oscurità.

«Siete proprio convinti di volerlo fare?»

Jace si girò di scatto con le mani pronte a prendere il pugnale nella cintura.

Non l'aveva sentito arrivare. Scioccante, ma vero.

L'unica cosa che riusciva a scorgere era il buio assoluto. «C'è qualcuno laggiù?» ringhiò.

«Dios mio. Voi non siete di questo quartiere, vero?» La voce proveniva da un ragazzo, massimo 20 anni con la pelle color caramello. Riccioli neri e occhi scuri.

Vampiro.

 Era la risposta più semplice dato che un umano alle 4 del mattino non passeggia tranquillamente vicino ad un hotel abbandonato a Brooklyn. Jace guardò attentamente il ragazzo.  Non sembrava troppo entusiasta di stare alla luce del sole, o di entrare in una chiesa, ma non ne era sicuro al cento per cento.

Quindi meglio stare al gioco.

«Direi di no» disse cauto.

«Non dovreste essere qui.» disse passandosi nervosamente una mano sul volto. «Questo posto è pericoloso.»

«Lo sappiamo» disse Clary svelta. «È solo che ci siamo un po' persi, tutto qui.»

Il ragazzo indicò il cassonetto e per un secondo Jace si sentì un idiota. «Cosa stavate facendo con quello?»

Optò per la verità. Se era una sanguisuga non avrebbe impiegato più di quindici secondi a ridurlo in cenere. «Stavamo cercando di entrare nell'hotel. Pensavamo che ci potesse essere una porta nascosta, dietro il cassonetto.»

Gli occhi del ragazzo si spalancarono. Per la paura pensò Jace. Oppure ha visto le rune.

«Puta madre... e perché dovreste fare una cosa del genere?»

Scrollò le spalle con nonchalance. «Per scherzo, sai, tanto per divertirci un po'.»

«Tu non capisci. Questo posto è infestato, è maledetto. Malocchio.» e borbottò in spagnolo altri insulti come 'questi ragazzini sono proprio idioti.'

Jace represse la voglia di dargli un pugno e sperò con tutte le sue forze che fosse un vampiro così avrebbe potuto farlo a fette. Odiava essere chiamato ragazzino.«Venite con me. Vi accompagno alla metropolitana.»

Se fosse stato un vampiro ci avrebbe fatti entrare nell'hotel, forse è una spia.

«Lo sappiamo, dov'è la metropolitana» disse Jace tranquillamente.

«Claro che lo sapete, ma se vi ci porto io, nessuno vi darà fastidio. E voi non siete in cerca di guai, vero?»

«Dipende»  avvicinò le mani alla giacca facendo in modo che la luce del lampione facesse luccicare le armi. «Quanto ti pagano per tenere la gente lontana dall'albergo?»

Il ragazzo si guardò alle spalle e tornò a guardare i ragazzi davanti a lui con un sorriso sprezzante. «Quanto mi pagherebbe chi, chico?»

«I vampiri. Quanto ti pagano? O c'è qualcos'altro? Ti hanno detto che ti faranno diventare come loro, ti hanno offerto la vita eterna, nessun dolore, niente malattie eccetera? Perché guarda che non ne vale la pena. La vita diventa una noia quando non vedi mai la luce del sole, chico» disse Jace porgendogli lo stesso sorriso sprezzante.

Il ragazzo era privo d'espressione. «Mi chiamo Raphael, non chico.»

«Però sai di cosa stiamo parlando. Tu sai dei vampiri?» chiese Clary incredula.

Raphael gettò la testa all'indietro e sputò sul pavimento. Jace fece una smorfia. «Los vampiros, sì, quegli animali succhiasangue. Ancora prima che l'hotel venisse murato giravano delle storie... risate a notte fonda, piccoli animali che scomparivano, rumori di risucchi...» Si fermò e scosse il capo disgustato. «Tutti in questo quartiere sanno che è meglio stare alla larga, ma cosa possiamo fare? Non si può chiamare la policia per dire che il tuo problema sono i vampiri.»

«Li hai mai visti?» chiese Jace. «O conosci qualcuno che li ha visti?»

La voce di Raphael era lenta e calma, come se parlare gli costasse dolore.   «C'erano dei ragazzi, una volta, un gruppo di amici. Pensavano di avere avuto una buona idea: entrare nell'albergo e uccidere i mostri. Hanno preso delle pistole e dei coltelli, tutti benedetti da un prete. Non sono mai usciti. Mia zia, qualche tempo dopo, ha trovato i loro vestiti di fronte a casa.»

«Di fronte a casa di tua zia?» chiese Jace perplesso.

«Sì. Uno dei ragazzi era mio fratello» rispose secco. «Così adesso sapete perché a volte vengo qui in piena notte, mentre torno dalla casa di mia zia, e perché vi ho detto di andarvene. Se entrate là dentro, non uscirete più.»

Uh, che paura.

«C'è un mio amico, dentro» disse Clary. «Siamo venuti a prenderlo.»

Jace le sorrise. Era così coraggiosa. Anche se non dubitava che si sarebbe fatta ammazzare.

«Ah, allora forse non riuscirò a convincervi ad andarvene.» Disse Raphael guardando Clary.

«No» disse Jace. «Ma non preoccuparti. Non ci succederà quello che è successo ai tuoi amici.» Sfilò dalla cintura una delle spade angeliche e la sollevò strafottente. Il solo pensiero della lotta imminente fece brillare la lama angelica. «Ho già ucciso un sacco di vampiri. Il loro cuore non batte, ma possono morire lo stesso.»

Raphael sussultò. "Ninòs de los ángeles" sussurrò A voce troppo bassa. Figli degli angeli.

Avanzò verso di loro e guardò Jace dritto negli occhi. «Io so cosa siete... ho sentito parlare di quelli come voi dal vecchio prete della chiesa di Santa Cecilia. Siete los Cazadores. Credevo che fosse solo una storia.»

Jace sentì Clary sussurrare qualcosa senza capire.  Era troppo impegnato a reggere lo sguardo di Raphael, Con le spalle rigide ed i pugni stretti.

«Voglio venire con voi» disse.

Jace scosse il capo e si irrigidì. «No. Assolutamente no.»

«Posso farvi vedere come entrare» propose Raphael con voce supplichevole.

Non voglio un altro mondano a cui badare. Sempre ammesso che lui lo sia. Jace però ci pensò su. Una guida sarebbe stata utile. Scosse di nuovo il capo.

«Non possiamo portarti con noi.»

«Va bene.» disse anche se non credeva andasse poi così bene. Il ragazzo si spostò di lato e scalciò via un mucchio di spazzatura impilata contro un muro con decisamente troppa forza per un essere umano. Sotto la spazzatura c'era una grata di ferro, le sbarre sottili coperte da uno strato di ruggine. Si inginocchiò, afferrò le sbarre e spostò la grata.

«Mio fratello e i suoi amici sono entrati da qui. Porta giù nelle cantine, credo.»

Jace e Clary si avvicinarono all'entrata con la puzza di spazzatura che faceva lacrimare gli occhi.

Jace guardò la finestrella, era piccola ma sarebbe scivolato senza problemi. L'unica pecca era che forse si sarebbe sporcato la giacca. «Grazie» disse Jace a Raphael. «Andrà benissimo.»

«Andate là dentro e fate per il vo-stro amico quello che io non ho potuto fare per mio fratello.» si limitò a dire Raphael.

Jace decise di non obbiettare sulla parola 'amico'.

Infilandosi la spada nella cintura si voltò verso di Clary che aveva gli occhi fissi e spalancati su un cumulo di scarafaggi. «Seguimi» le disse prima di scivolare giù.

Atterrò in una stanzetta buia, l'unica luce filtrava debole dalla finestrella. Si voltò verso di essa. «Tutto bene» urlò. «Salta giù, ti prendo io.»

Jace vide i piedi della ragazza nell'apertura poi Clary si lasciò andare e gli atterrò fra le braccia.

Fu solo un momento. Clary era stretta saldamente tra le sue braccia. Le sue gambe, nude se non per le leggere calze a rete, erano strette ai suoi fianchi. Il suo petto, contenente il cuore palpitante e veloce, era incollato al suo. Le mani, fresche nonostante tutto quel calore, erano salde alle sue spalle.

Jace volle colmare quella breve distanza che separava i loro visi, invece la lasciò andare e si voltò.

Mentre Clary si sistemava il vestito che la caduta aveva fatto alzare.

E si, se ne era accorto.«Tutto bene?» chiese.

«Sì.» rispose secca. Anche se dalla voce Jace potè sentire l'imbarazzo della ragazza.

Un colpo sordo lo fece tornare alla realtà. Si voltò e vide Raphael a cavalcioni che si raddrizzava in piedi con un mega sorriso. «Holà!» disse.

Jace sgranò gli occhi e se non avesse tenuto la stregaluce in una mano e la spada nell'altra l'avrebbe senz'altro preso a pugni. «Ti avevo detto...»

«E io ti ho sentito.» Raphael liquidò la frase di Jace con un movimento della mano, cosa che lo fece incazzare ancora di più. «Cosa pensi di fare? Non posso uscire da dove siamo entrati e non puoi lasciarmi qui da solo per farmi trovare dai morti... vero?»

«Non è detto» disse Jace, ma era troppo stanco per mettere in atto alcunché.

Raphael  lo ignorò e puntò un dito oltre Jace, verso un corridoio al buio.  «Dobbiamo andare da quella parte, verso le scale. Loro stanno ai piani più alti dell'albergo. Vedrete.» E li superò con ancora quel sorriso da demente sulla faccia.

«Sto decisamente iniziando a odiare i mondani» Ed andò verso il buio.

 

Nonostante il caldo della notte d'agosto, L'aria nell'Hotel era gelida. Quel posto trasudava morte.

Jace fece una smorfia appena entrarono nell'atrio. Tutto, completamente tutto, era ricoperto da muffa e polvere. Tutto era marcio e maleodorante.

Servirebbe una fabbrica di candeggina per questo posto. Pensò Jace con ribrezzo.

Tutto ciò che rimaneva delle scale erano mucchi di legna fracassate alle pareti, tranne una cadente dietro una lavanderia ammuffita. Quando ci salirono liberarono una nuvoletta di polvere e Clary tossì.

«Ssh» la rimproverò Raphael. «Ti sentiranno. Siamo vicini al posto dove dormono.»

Clary gli lanciò un occhiataccia. «Come fai a saperlo?» sibilò.

Jace si voltò incuriosito.

«Lo sento.» rispose svelto. «Tu no?»

Clary scosse la testa rossa e continuarono a salire.  Alla fine della scala vi era una porta in legno massiccio abbinata al resto dell'Hotel: Impolverata e malconcia. Con una spallata Jace l'aprì facendo comparire nuvole di polvere e ruggine. Represse un conato. 

Deludendo Jace, oltre la porta non c'erano vampiri. Bensì una costruzione in legno massacrata che a giudicare dal corrimano un tempo doveva essere una scala. A Jace ricordò vagamente una casa ad Idris distrutta da un incendio dove suo padre l'aveva portato una volta. Nell'entrata vi era una scala bruciata dove chissà per quale potere demoniaco le ceneri erano integre, ma appena un dito vi fosse stato poggiato sopra sarebbe crollata.

La voce di Clary lo fece tornare alla realtà. «Cos'hanno i vampiri contro le scale?»

«Niente» rispose Jace. «Solo che non hanno bisogno di usarle.»

«È un modo di mostrare che questo posto è loro.» Spiegò Raphael. Jace lo guardò di sottecchi. Per essere uno che si definisce un mondano terrorizzato dai vampiri sa decisamente troppe cose.

«Hai mai visto un vampiro, Raphael?» chiese.

Raphael lo guardò annoiato.

«So che aspetto hanno. Sono più pallidi e più magri degli esseri umani, ma molto forti. Camminano come gatti e scattano con l'agilità dei serpenti. Sono belli e terribili. Come questo albergo.»

«Tu lo trovi bello?» chiese Clary.

«Puoi vedere com'era anni fa. È come una donna anziana che in passato è stata bella, ma ormai il tempo le ha portato via la sua bellezza. Immagina questa scala com'era un tempo, con le lampade a gas accese come lucciole nel buio, e le terrazze piene di persone. Non com'è adesso, così...» gli mancarono le parole.

«Monco?» suggerì Jace.

Raphael rise. Non era una battuta, peccato.

Clary sbuffò e si voltò verso di lui. «Dove sono? I vampiri, voglio dire.»

«Di sopra, probabilmente. A loro piace stare in alto quando dormono, come ai pipistrelli. Ed è quasi giorno.»

I mondani guardarono il soffitto. Jace alzò gli occhi al cielo esasperato.

«Credo che dovremmo tornare alla scala di servizio» Disse poi Clary. «Qui mi sento troppo esposta, e poi non c'è modo di salire.»

Jace annuì. «Lo sai, vero, che quando ci arriveremo dovrai chiamare Simon e sperare che ti senta? Non c'è altro modo di trovarlo.»

Clary sbiancò. «Io...» fu interrotta da un urlo che squarciò la notte.

Jace corse immediatamente verso dove aveva sentito l'urlo ed attraversò l'arco di pietra che segnava l'ingresso della stanza.

E Raphael era lì, come se aspettasse la manna dal cielo guardava il soffitto.

E Jace si bloccò.

Dalla camicia aperta si intravedeva la gola del ragazzo.

una cicatrice argentea, quasi come il colore della luna. La forma ricordava vagamente una croce.

Jace sorrise ed estrasse il pugnale dalla cintura. Come sempre, aveva ragione.

Clary comparve sulla porta con il fiatone. «Stai bene?» Chiese.

Raphael annuì piano voltandosi verso di loro. «Mi era sembrato di vedere qualcosa che si muoveva nell'ombra. Non era niente.»

Clary tentò di consolarlo ma la voce risultò debole ed incerta. «È tutto a posto» disse.

«Abbiamo deciso di tornare alle scale di servizio» disse Jace. «Non c'è niente su questo piano.» Continuava a guardare quella cicatrice. Per l'angelo quanto era intelligente!

Raphael annuì. «Ottima idea.» ed si avviò di gran carriera verso l'uscita.

Jace sorrise. «Raphael?» lo chiamò con voce dolce.

Raphael si volto ed il pugnale di Jace volò dritto nel suo petto.

E se quel bastardo non fosse stato un vampiro  con dei super riflessi avrebbe centrato il cuore, invece si spostò di pochi centimetri facendogli mancare il cuore e cadendo a terra a gambe all'aria.

E rise. Jace ignorò Clary che sembrava più sconvolta che altro e si fiondò dal vampiro tentando di afferrare il pugnale dal suo petto ma Raphael fu più veloce e sfilò l'elsa a forma di croce ustionandosi la mano. Questa volta fu Jace a ridere. Lo afferrò stretto per la camicia e con l'altra mano puntò Sanvi alla sua giugulare.

«Hai sbagliato mira» disse Il vampiro ridendo. «Hai mancato il cuore.»

Jace strinse la presa. «Ti sei mosso all'ultimo momento» disse. «Decisamente maleducato.» ghignò.

Raphael lo guardò colmo di disprezzo, si voltò di lato e sputò il suo stesso sangue. «Quando lo hai capito?» chiese insolente.

«Ci ho pensato nel vicolo» disse Jace. «Ma immaginavo che ci avresti fatti entrare nell'albergo, prima di attaccarci. Una volta entrati non sarem-mo più stati protetti dall'Alleanza. Bella mossa. Quando non l'hai fatto ho pensato che forse mi ero sbagliato. Poi ho visto la cicatrice sulla gola.» Gli rivolse un sorriso sprezzante.

«Quando ho visto quella catenella ho pensato che era una di quelle a cui si appendono le croci. Ed era così, vero? C'era una croce appesa alla catenella, quando sei uscito per andare dalla tua famiglia. In fondo è domenica sera, e cos'è la cicatrice di una piccola bruciatura per quelli come te che guariscono così in fretta?»

Raphael scoppiò a ridere. Jace strinse di più la camicia «Tutto qui? La mia cicatrice?»

«Quando sei uscito dalla hall, i tuoi piedi non hanno lasciato tracce nella polvere. A quel punto non ho più avuto dubbi.» Fece un sorriso pieno di auto soddisfazione.

«Non è stato tuo fratello a entrare qui alla ricerca dei mostri, vero?» disse Clary. «Eri tu.» La sua voce sembrava provenire da molto lontano.

«Siete tutt'e due molto intelligenti» sogghignò Raphael che ancora sorrideva. «Ma non abbastanza. Guardate su» disse e sollevò una mano ad indicare il soffitto.

Jace non spostò lo sguardo dalla sanguisuga. «Clary. Cosa vedi?»

Anche dalla distanza dove era, Jace potè sentire la paura della ragazza. «Sono qui. Sono tutti qui, Jace.»

Jace cominciò a sudare freddo, ma non diminuì la presa e guardò in cagnesco Raphael. «Li hai chiamati tu, vero?»

«Ha importanza? Sono in troppi anche per te, Wayland.» Raphael sorrideva ancora. Jace avrebbe dato qualunque cosa per poter togliere quel sorriso da idiota dalla sua faccia. Si trattenne solo quando sentì la voce di Clary.

«Jace» gli disse. «Non ucciderlo.»

«Perché no?»

«Forse possiamo usarlo come ostaggio.»

Jace sgranò gli occhi, ma non distolse lo sguardo dalla sua preda. «Come ostaggio?»

«So quello che dico. Fallo alzare in piedi, Jace.»

Jace la guardo. Sembrava un coniglietto impaurito ma era tenace e sapeva quel che faceva. O almeno così sperava. Scrollò le spalle. «Come vuoi.»

Raphael scattò: «Non è divertente.»

«È proprio per questo che nessuno sta ridendo.»

Lo strattonò violentemente e lo fece alzare in piedi piantando la lama del pugnale tra le sue scapole. «Ti posso bucare il cuore anche passando dalla schiena. Se fossi in te non mi muoverei.»

E Jace li vide. Erano a decine, forse anche di più. Freddi e glaciali i vampiri si estendevano per tutta la sua visuale. Ingoiò il rospo e andò avanti con Raphael, ma Clary gli si piazzò davanti.

«Fermatevi lì» disse a quelli che si stavano avvicinando «o infilerà quella lama nel cuore di Raphael.»

 La folla la ignorò e continuò ad avanzare. «Fermi!» ripeté Clary.

Forse ha bisogno di una mano. Pensò Jace.

Conficcò il pugnale nel fegato di Raphael.

Certo, un essere umano a quest'ora sarebbe già morto da un pezzo. Invece la sanguisuga urlò soltanto dal dolore facendo fermare la folla.

Uno dei vampiri si fece avanti, improvvisamente pallido e torvo. «Non sta scherzando» disse. «Sono Cacciatori.»

«Questi Shadowhunters sono entrati nel nostro territorio» disse un'altra vampira. Anche se era molto bella in quel momento Jace ebbe la malsana voglia di uccidere anche lei. «Non sono più protetti dall'Alleanza. Io dico di ucciderli... loro hanno ucciso molti dei nostri.»

«Chi di voi è il Signore di questo posto?» chiese Jace improvvisamente esausto dei giochetti da vampiri. «Che si faccia avanti.»

La Vampira gli ringhiò contro. «Non usare il tuo linguaggio da Conclave con noi, Cacciatore. Entrando qui hai infranto la tua preziosa Alleanza. La Legge non ti proteggerà.»

«Basta così, Lily» la intimò quell'altro. «La nostra Signora non è qui. È a Idris.»

«Qualcuno deve avere il comando al suo posto» osservò Jace.

Scese il silenzio. Alla fine il vampiro massiccio biondo brontolò: «È Raphael che ha il comando.»

Lily sembrava volergli staccare la testa, Jace ridacchiò sottovoce. «Jacob...» sibilò.

«Vi propongo uno scambio» disse velocemente Clary. Jace si voltò verso di lei ad occhi sgranati.

«Ormai avrete capito di avere portato a casa dalla festa qualcuno di troppo, ieri sera. È il mio amico Simon.»

Jacob sollevò un sopracciglio. «Sei amica di un vampiro?»

«Non è un vampiro. E nemmeno un Cacciatore» sbuffò la ragazza. Jace potè vedere la stanchezza della ragazza e la preoccupazione per il suo amico nelle sue parole. «È solo un ragazzo qualsiasi. Un mondano.»

«Non abbiamo portato a casa nessun ragazzo umano dalla festa di Magnus. Sarebbe stata una violazione dell'Alleanza» Disse Jacob infastidito.

«Era stato trasformato in un topo. Un piccolo topo grigio» spiegò Clary. «Qualcuno potrebbe avere pensato che fosse un animale domestico o...»

«Fammi capire» disse Lily perplessa. «Ci stai proponendo di scambiare la vita di Raphael con quella di un topo?»

Clary guardò Jace con un'espressione disperata. Le rivolse lo sguardo da 'Io me ne tiro fuori' anche perché non aveva proprio idea di cosa fare.

Cosa piuttosto nuova per lui.

«Sì» disse Clary più decisa guardando di nuovo i vampiri. «È questo lo scambio che vi proponiamo.»

Ancora stringendo saldamente Raphael si avvicinò a Clary che adesso era pallida quasi come i suoi interlocutori. Perché diavolo si era lasciato trasportare in quello stupido Hotel? Perché stava sfidando una cinquantina di vampiri per salvare uno stupidissimo mondano trasformato in uno stupidissimo topo?

Clary.

Era lei.

Lo faceva sentire un perfetto idiota.

Si rese conto di essere attratto da quella ragazza, dalla sua pazzia e dalla sua tenace testardaggine.

 Forse era impazzito.

Un altro vampiro di colore e con le treccine si fece avanti tenendo in mano una cosetta grigia. «È questo il topo di cui parli?»

Clary fece un passo avanti. «Simon?» sussurrò.

Il topo squittì un 'si'.

Il vampiro strinse più forte la presa sul topo che si dibatteva tra le sue mani. «Accidenti, credevo fosse Zeke, anche se non capivo perché si com-portasse così.» scosse la testa. «Io dico che può prenderselo, amico. Mi ha già morso cinque volte.»

Clary si fece avanti tentando di prendere il topo quando Lily le si piazzò davanti sibilando.«Aspetta. Come facciamo a sapere che dopo aver preso il topo non ucciderete Raphael?» Dal tono usato Jace capì che quella vampira nascondeva più del semplice rispetto per il suo signore.

«Vi diamo la nostra parola» rispose subito Clary. Jace impallidì.

Raphael imprecava ogni dio conosciuto in spagnolo sotto la sua stretta.

«Clary. È davvero una...» Grandissima stronzata avrebbe voluto dire, ma le sue parole furono soffocate dal sibilò di Lily.

«Niente giuramento, niente scambio» disse. «Lee, non mollare il topo.»

L'omaccione di pelle scura strinse la presa sul topo che - scioccando Jace.- affondò i dentini della sua mano.

Approfittando della distrazione Clary si avvicinò a Jace con un aria furiosa. «Giura e basta! Cosa ti costa?»

«Per noi un giuramento non è come per voi mondani» le ringhiò furioso. «Un giuramento mi vincola per sempre.»

«Ah, sì? E cosa succederebbe se lo infrangessi?»

Jace sgranò gli occhi «Io non lo infrangerei mai, è questo il punto...»

«Lily ha ragione» disse l'altro vampiro. «Devi giurare. Giura che non farai del male a Raphael. Nemmeno dopo che vi avremo dato il topo.»

«Non farò male a Raphael» disse Clary svelta. «In nessun caso.»

Jace evitò saggiamente di scoppiare a ridere.

Lily le rivolse un sorriso di disprezzo. Jace capì che lei avesse capito che lei era poco più di una mondana. «Non è di te che ci preoccupiamo.» le disse, poi guardò lui.

Jace guardò Clary.

Se ne fossero usciti vivi questa gliel'avrebbe pagata.

«Va bene. Lo giuro»

«Pronuncia il giuramento» ribatté Lily. «Giura sull'Angelo. Dillo tutto.»

Jace le sorrise. «Prima tu.»

Lily scoprì i canini. «Non ci sperare, Cacciatore.»

«Noi abbiamo il vostro capo.» Ribatté Jace. La lama del pugnale affondò poco nella carne facendo scorrere un rivolo di sangue.  «E voi cos'avete? Un topo.»

Simon il topo si dimenò ancora nella stretta. Clary si irrigidì.

Lily guardò Raphael. «Signore?»

Raphael non alzò nemmeno la testa. Quando parlò la sua voce sembrava lontana, come se finalmente si fosse ricordato di essere il signore. «Un topo abbastanza importante» disse «se siete venuti fino a qui per lui. Sarai tu, Cacciatore, a giurare per primo.»

Jace strinse furiosamente il tessuto della camicia di Raphael. Tentò di entrare nel linguaggio della legge. «Il topo è un mondano» disse. «Se lo uccidete sarete soggetti alla Legge...»

 «È nel nostro territorio. Gli intrusi non sono protetti dall'Alleanza, lo sai benissimo...» Disse Lily.

«Ma lo avete portato voi qui!» intervenne Clary. «Non è un intruso.»

«Questi sono dettagli» disse Raphael sorridendole nonostante il pugnale puntato alla gola. «E poi credi che non sentiamo le voci che girano, le notizie che scorrono nel Mondo Invisibile come il sangue scorre nelle vene? Valentine è tornato. Presto non esisteranno più né gli Accordi né l'Alleanza.»

La testa di Jace si alzò di scatto, furioso. Sentì echeggiare le parole del demone quella sera al Pandemonium.

Valentine è tornato! lo sanno tutti i mondi infernali.

«Dove lo hai sentito?» ringhiò.

Raphael sorrise. «Lo sa tutto il Mondo Invisibile. Una settimana fa ha pagato uno stregone per evocare un branco di Divoratori. Ha inviato i suoi Dimenticati alla ricerca della Coppa Mortale. Quan-do la troverà non ci sarà più falsa pace tra noi, solo guerra. Nessuna Legge mi impedirà di strapparti il cuore in mezzo alla strada, Cacciatore...»

La risposta di Jace fu bloccata da ciò che accadde in seguito. Clary si gettò con forza su Lee e prese Simon che le salì veloce sulla spalla. Accadde tutto così in fretta che anche lui fatico a vederlo. Clary rimase intrappolata in una massa di vampiri e Jace cominciò a sudare freddo.

Dopo tanti anni di fatidico allenamento per le strade di New York, Jace era allenato alla situazioni complicate. E non aveva mai perso la lucidità.

Eppure, quella notte, in quell'hotel, Urlò il nome di una ragazza e lasciò un vampiro correndo a salvarla.

Intanto Clary stava tentando di lottare anche inutilmente. Scalciava, graffiava, si dibatteva.

Lottava.

Era una vera cacciatrice.

Jacob l'afferrò da dietro e scoprii i canini aguzzi. Più velocemente che potè Jace infilò una mano nella giacca afferrando la boccetta di acqua santa e la lanciò contro di loro.

L'urlo del vampiro squarciò la notte, il fumo si levò denso e maleodorante dalla sua pelle. Jace ne approfittò e lo spinse via afferrando stretta Clary che non demordeva dal dimenarsi.

«Smettila, idiota, sono io» le sibilò all'orecchio.

Clary spalancò gli occhi. Erano quasi scuri e spalancati dalla paura. Jace sentì il suo corpo rilassarsi e poi irrigidirsi un secondo dopo urlando.

E poi lo vide anche lui. Raphael si era gettato su di lui di corpo e i riflessi da cacciatore di Jace impedirono ai suoi canini aguzzi di affondare nel suo collo abbassandosi.

Jace ora stava rotolando sul pavimento con Raphael avvinghiato. Sentiva il suo fiato sul collo e quel maledetto non sembrava proprio intenzionato a scendere dalla sua giostra.

Con un urlo, qualche secondo più tardi Raphael si staccò da lui. Al braccio, insieme ad un fiume di sangue nero come la pece aveva una cosina grigia con un nasetto rosa.

Simon?

Un mondano lo aveva appena salvato?

Jace restò a guardarli a bocca aperta. «Figlio di...» non era proprio il momento di inveire sulla professione della madre di Raphael, ma si sentì meglio dopo. Prese Samahriel dalla cintura.

Con un ultimo urlo di dolore Raphael si staccò il topo dal braccio e lo lanciò dolorosamente verso il muro. Il topolino però non demorse e con un ultimo squittio tornò da Clary che lo prese immediatamente in braccio cantilenando il suo nome.

Jace la prese per un braccio. «Non c'è tempo. Tienilo bene.» le sibilò. «Muoviti.»

Jace strattonò la ragazza verso l'orda di vampiri che alla luce di Samahriel si ritirarono come se l'avesse ustionati.

«Piantatela di starvene lì impalati, idioti!» gli gridò Raphael alle loro spalle. «Prende-te gli intrusi. Uccideteli tutti... compreso il topo!»

Jace la trascinò giù per le scale cercando una via di fuga ma sia quelle per salire sia quelle per scendere erano occupate da vampiri che si avvicinavano a loro.

«Non dovremmo met-terci schiena contro schiena o qualcosa del genere?» chiese Clary a sorpresa.

«Cosa? Perché?»

«Non lo so. Nei film fanno così quando si trovano in questo tipo di... situazione.»

E Jace scoppiò a ridere. Sentì le lacrime agli occhi.  «Tu...» balbettò.  «Tu sei la più...» Bella e pazza ragazza che io abbia mai conosciuto in tutta la mia vita.

«La più cosa?» chiese Clary curiosa.

«Niente» disse Jace mentre indietreggiavano ancora. «Questa non è una situazione, va bene? Quella parola teniamola per quando le cose si metteranno veramente male.»

Clary gli sorrise. «Veramente male? Adesso non ti sembra che vadano veramente male? Cosa vuoi, che una testata nucleare...»

Lily gli saltò addosso interrompendo la frase. Jace se la sfilò di dosso piantandole un pugnale nel braccio. La vampira ricadde all'indietro urlante di dolore.

Jace vegliò le alternative. Buttarsi dalla finestra o affrontare i morti davanti la porta. Beh, magari 10 piani non sono poi così alti.

La finestra esplose in un piccolo boato proiettando e spargendo vetri d'dappertutto e delle grosse figure grigiastre si materializzarono  nel salone. Ringhianti, minacciosi, e con delle enormi masse di peli.

Licantropi.

Oh per amor dell'angelo. «Ecco» disse . «Questa sì che è una situazione.»

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Capitolo 15
*** Abbandonati. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo XIV; Abbandonati

 
Respira Wayland. Respira.
Era piuttosto difficile respirare quando si era circondati fino alla punta dei capelli.
I licantropi stavano entrando a flotta dalla finestra, mentre i vampiri erano ad occhi sgranati nell'esatto posto in cui erano prima, praticamente incapace di muoversi. Solo Raphael stentava a mantenere un po' di contegno. «Niños de la Luna» sibilò.
Figli della luna.
Jace sentì Clary irrigidirsi al suo fianco. Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime eppure tentava coraggiosamente di non lasciar trapelare nessuna emozione.
Le ricordava qualcuno. Anche se non sapeva chi.
«Credevo che si odiassero.» gli sussurrò all'orecchio. La voce era seria e neutra. «Vampiri e licantropi, intendo.»
«E infatti è così. Non vanno mai nelle tane degli altri. Mai. L'Alleanza lo vieta.»
Ma era possibile che ogni sua convinzione stesse scomparendo come neve al sole? «Deve esser
«Be', come potrebbe andare peggio di prima?»
«Può» disse Jace. «Perché stiamo per trovarci nel bel mezzo di una guerra.»
«Come osate entrare nella nostra tana?» urlò Raphael. La rabbia aveva preso il possesso del suo corpo. Le cose non sembravano andare troppo bene quella notte. «Se è la morte che volete, vi daremo la morte!»
Un lupo smise di ringhiare e si staccò dal gruppo avanzando verso Raphael. Piano piano la pelliccia animale lasciava posto a pelle umana e le zampe robuste lasciavano posto alle gambe di un uomo.
Era piuttosto alto e con i capelli scuri brizzolati, a giudicare dal tono usato doveva essere una specie di capobranco o di maschio alpha o in qualunque diavolo di maniera si dicesse. Insomma era il capo.
«Non siamo venuti per combattere» disse. Anche nella sua voce si poteva sentire l'animale dentro di lui. «Siamo venuti per la ragazza.»
Raphael sembrò puramente scioccato. Forse per quella sera ne aveva avute abbastanza di sorprese.«Per chi?»
«Per la ragazza umana.» ringhiò seccato il lupo. Puntò uno lungo dito verso di Clary che reagì con un sospiro sbigottito.
Jace si rifiutò persino di scioccarsi a questo punto. «Oh per amore del santissimo angelo Raziel in tutta la sua gloria! Non mi avevi detto di cono-scere dei licantropi.» Era decisamente stanco delle sorprese.
«Infatti non ne conosco» disse lei con voce neutra.
«Non è una buona notizia.»
«Lo hai già detto prima.»
«Mi è sembrato che valesse la pena di ripeterlo.»
«Direi di no.» e nonostante la voce seria lo strinse più forte. Sentiva la sua paura come un demone sentiva la morte.«Jace. Mi stanno guardando tutti.»
Ed era vero. Tutti gli occhi della sala, Vampiri, licantropi e topi erano puntati sulla ragazza che addirittura arrossì.
Fu Raphael a riprendere contegno. «Non puoi averla. È entrata nel nostro territorio, per cui è nostra.»
Per l'angelo quanto avrebbe voluto farlo a pezzi! Quello stupido succhiasangue era davvero una dura prova per la sua pazienza. E ora parlava di Clary come se non fosse altro che un animale entrato di straforo in un territorio non suo.
Il licantropo scoppiò a ridere. «Sono proprio contento che tu lo abbia detto» e si lanciò di corpo su Raphael. Partendo da umano e atterrando come lupo. Atterrò sul petto del vampiro e i due nascosti si unirono in una lotta più animale che umana.
E scoppiò il delirio. I vampiri si gettarono sui lupi o i lupi si gettarono sui vampiri ma questo non aveva importanza, Jace non potè non notare la faccia di Raphael che mentre lottava contro il licantropo. Era passata dal bianco pallido spettrale da vampiro ad una specie di viola cancrena.
Jace fischiò. «Raphael sta avendo proprio una serataccia, eh?»
Clary lo ignorò. «E allora? Noi cosa facciamo?»
Jace si guardò intorno. Erano bloccati anche se al momento erano troppo impegnati ad azzannarsi a vicenda. Forse avrebbero potuto farsi strada a gomitate o andare quatti quatti verso la porta.
 Uno squittio nervoso lo scosse dai suoi pensieri. «Simon!» urlò Clary. La cosetta grigia che era il mondano corse a tutto spiano verso il muro. Clary si gettò all'inseguimento ma lui le mise una mano sulla spalla.«Clary, non seguirlo. Sta scappando. È quello che fanno i topi.»
Lei lo fulminò con lo sguardo. «Non è un topo. È Simon. E ha morso Raphael per te, cretino di un ingrato.» e con uno strattone si liberò di lui e corse verso il topo.
E Jace le corse dietro. Ancora. Clary stava spostando una tenda che aveva seriamente bisogno di una pulita. «Una porta» sussurrò. «Genio di un topo!»
Jace inarcò le sopracciglia. Stupido topo. «Una porta? E si apre?»
Clary afferrò la maniglia. «È chiusa a chiave. Oppure incastrata.»
Jace si lanciò contro la porta non proprio in maniera elegante. Non si mosse. Imprecò. Un dolore acuto si espanse per tutta la spalla. «La mia spalla non sarà più la stessa. Spero proprio che vorrai farmi da infermiera finché non sarà guarita.»
Clary alzò gli occhi al cielo.«Tu pensa solo ad aprire quella porta, ti dispiace?»
 Due enormi occhi rossi comparvero dietro la ragazza. Jace sgranò gli occhi. «Clary...»
Clary si voltò di scatto ed urlò. Jace si buttò ancora contro la porta che non si mosse neanche questa volta. Jace quasi non vide la ragazza quando prese il pugnale dalla cintura, il pugnale di suo padre, e lo lanciò contro il lupo che si gettò in terra ululante di dolore. E anche se i suoi amici li stavano raggiungendo non fecero in tempo a prenderli dato che Jace si gettò per la terza volta sulla porta che finalmente si aprì con un esplosione di ogni genere di sporcizia non identificata.
«Il tre è il numero perfetto» disse gettando Clary e il topo oltre la porta.
Chiuse la porta con un sonoro tonfo e più in fretta che potè tracciò una runa kolisit, una runa di blocco.
«Ho perso il pugnale» gli confessò poi la ragazza. «Mi dispiace.»
Jace scrollò le spalle. «Succede.» infilò in tasca lo stilo e per un attimo pensò che non si sentiva come oppresso dalla perdita di qualcosa appartenente a suo padre come aveva sempre immaginato si sarebbe sentito. Era solo preoccupato per la loro, per la sua vita.
I licantropi si gettarono di peso sulla porta che per fortuna non cedette. «La runa li fermerà, ma non per molto. È meglio che ci sbrighiamo.»
Jace esaminò la sala che altro non era che una rampa di scale malconce che portava verso l'alto. Perfetto, altri metri da terra. Non avevano il tempo di lamentarsi, a breve la porta avrebbe ceduto.
«Va bene»gli disse la ragazza ancora con il naso all'insù. «Vai prima tu.»
Jace fu troppo stanco per sorriderle, anche se avrebbe voluto. «Sai quanto mi piaccia essere il primo. Ma andiamoci piano» aggiunse. «Non sono sicuro che queste scale riescano a reggere il nostro peso.»
Mentre salivano si sentivano scricchiolii e traballi. Clary emise un verso che assomigliava ad una risata isterica. «Tranquilla.» le disse prendendole la mano.
Raggiunsero il pianerottolo di quelle scale malandate e sentirono un tonfo burrascoso seguito da delle forti ringhia.
«Hanno superato la porta» disse Jace seccato. «Maledizione... pensavo avrebbe retto un po' di più.»
«È il momento di mettersi a correre?» chiese Clary.
«Direi proprio di sì» si lanciarono più velocemente possibile verso le scale. Al sesto pianerottolo finalmente gli si presentò una porta. Jace gli lanciò un calcio di sfogo ed essa senza fare troppe storie si aprì e appena i due ragazzi l'ebbero oltrepassata si richiuse con una runa.
E poi si voltò. La notte incombeva su di loro, ma aveva già il leggero colorito rosato che imponeva l'alba imminente. Erano su una terrazza.
«Dev'essere da qui che entrano ed escono» disse Jace a nessuno in particolare.
«Volano quassù ed entrano ed escono dalla porta. Non che questo ci serva granché.»
«Magari c'è una scala antincendio» propose Clary.
Quando Jace annui si avvicinarono al bordo del tetto ma non vi era traccia di una scala.
«Forse no» disse poi delusa.
Jace sentiva che i suoi occhi non lo reggevano più. Si passò i palmi sugli occhi bloccando la luce. Per l'angelo quanto avrebbe voluto farsi una bella dormita. L'unica maniera per riuscirci era uscirne vivi.
Si impose di pensare. «Pensa, Wayland, pensa...»
E poi ci arrivò. Fu come un lampo di genio in una notte limpida.«Giusto. Non posso credere di non averci pensato prima.» Disse tra se. Ringraziò mentalmente il suo parabatai  e si fiondò sul retro della porta e tolse il grosso telo dalle moto.
Moto demoniache.
Moto che possono volare.
Si voltò verso Clary che rimaneva immobile a guardarlo come una scema. «Muoviti, Clary.» le disse.
Lei lo raggiunse e sgranò gli occhi. «Delle moto?»
Jace saltò sulla più vicina e le porse una mano. «Sali.»
Clary era la solita saputella. «Ma sei scemo? Lo sai come si guida una di queste? E le chiavi? Ce le hai le chiavi?»
«Non mi servono le chiavi» le disse seccato. «Funziona a energia demoniaca. Hai intenzione di salire o vuoi prenderne una tutta per te?»
Clary salì dietro di lui sulla moto. Jace sentii il suo corpicino minuto completamente appiccicato al suo e sorrise. «Va bene» le disse. «Adesso abbracciami forte.»
Le braccine minute di Clary si strinsero sul suo addome e il suo petto a contatto con la sua schiena gli rivelava il battito del suo cuore. Frenetico come le ali di un colibrì.
Jace mise in moto. «Jace!» urlò Clary. «Cosa stai facendo?»
«Sto tirando un po' l'aria.» Donne. Cosa ne capivano di moto?
«Be', sbrigati! La porta...»
E come se non avesse aspettato altro la porta si aprì con un sonoro schianto ed i lupi uscirono nella terrazza mentre i vampiri volavano sopra di loro.
E Jace partì in folle.
Folle era proprio la parola esatta. La moto si gettò nel vuoto assoluto sotto l'hotel.
«woooooooah. È divertente!» urlò Jace insieme alle risate mentre la moto si librava in aria. Jace senti Clary stringersi di più a lui ed uccellerò la corsa verso il vuoto.
 
Clary urlava. Aveva paura e Jace lo sentiva, eppure non riusciva a smettere di ridere.
Appena si diede una calmata aprì gli occhi e posò il mento sulla sua spalla. «Mia mamma mi ha sempre detto che se fossi andata in moto con un ragazzo mi avrebbe uccisa» disse.
Jace scoppiò a ridere. «Non lo avrebbe detto se avesse conosciuto me» le rispose sicuro di se con un sorriso strafottente. «Sono un ottimo guidatore.»
«Pensavo che avessi detto che solo alcune moto dei vampiri potessero volare.» gli fece notare poi.
«E infatti è così»
«Come facevi a sapere che questa era una di quelle?»
«Non lo sapevo!» urlò felice e virò verso destra in direzione dell'istituto facendo un impennata a mezz'aria. «Dovresti guardare giù!» le urlò. «È fantastico!»
Dato che Clary non rispondeva Jace si preoccupò.«Tutto bene?» urlò.
Per risposta lo strinse più forte.
«Clary?» urlò ancora Jace. «Clary, stai bene?»
Ed invece di rispondergli parlò col topo. «Va tutto bene, Simon» diceva. «Sto bene. È stato solo il ponte...»
«Sì, è molto carino» continuò Clary guardando verso Est. «Una bella alba.»
Jace cominciò a sudare freddo. «L'alba?» virò subito verso destra  e scese in picchiata verso l'acqua del fiume.
«Cosa c'è che non va nell'alba?» chiese Clary isterica.
«Te l'ho detto! Questa moto va a energia demoniaca! E Simon...» passarono sotto un ponte umido e sporco schizzandosi tutti d'acqua. «Appena il sole sarà sorto...»
E la moto cominciò a morire. Jace diede un'altra accelerata ma fu inutile. Mancarono l'autostrada già piena di automobilisti assonnati e si diressero verso un parcheggio desolato passando per il tetto di un camion. «Tieniti forte!» le urlò Jace. «Tieniti, Clary, e non lasciare...»
 Il vento lo ammutolì e la moto emise un ultimo, piatto scoppiettio mentre sgommava a tutta velocità in un parcheggio deserto. Andò a sbattere contro una colonna di cemento e i due ragazzi vennero sballottolati da una parte all'altra.
Basta feste di nascosti. Pensò Jace supino a terra. Aveva male praticamente dappertutto e anche se era così macho non avrebbe di certo rifiutato un bagno caldo.
E poi si ricordò di Clary. Più velocemente di quanto gli era concesso si alzò e corse verso di lei. E dietro di lei c'era Simon, che amorevolmente le mise una mano sulla spalla. A Jace venne la nausea. «Clary?»
«Simon!»
Jace non riuscì neanche a distogliere lo sguardo quando la ragazza abbracciò il suo amico che anche se erano entrambi doloranti si stringevano con foga.
«Stai bene? Hai un aspetto fantastico» disse  il mondano con una voce da babbeo intontito «La cosa più bella che abbia mai visto...» O per l'amor dell'angelo ma era scemo o seriamente credeva che così lei ci sarebbe cascata?
«È perché non hai gli occhiali» gli fece notare Clary ridendo.
Il mondano si gettò di nuovo ad abbracciarla. Bleah. «Clary» disse  «Pensavo... Pensavo che tu...»
«Che non sarei tornata a prenderti? Ma certo che sì» disse lei sorridendo mentre gli accarezzava la schiena. «Certo che sì.»
E Jace si voltò disgustato dall'altra parte. Perché non voleva sentire quello che si dicevano. Perché non voleva vedere lei che lo abbracciava e lo coccolava.
E si, perché era geloso.

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Capitolo 16
*** Angeli Caduti. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo XV; Angeli Caduti

 
Se Jace non fosse stato così stanco sarebbe scoppiato a ridere nel vedere la faccia di Hodge. Era violacea e furiosa, e non la smetteva di urlare. Alle sue spalle i suoi fedeli cagnolini che con lo sguardo tenero del "Mi dispiace" li guardavano impauriti.
E ovviamente la furia del suo tutore era tutta per Jace.
A quanto pare in una notte era diventato un bugiardo irresponsabile che aveva tralasciato il piccolo particolare di dirgli che erano andati alla festa di un nascosto. E che sarà mai!
Il monologo poi è continuato sul fatto che aveva infranto la legge, che sarebbe stato cacciato dal conclave e bla bla bla.  Ad un certo punto aveva smesso di ascoltare e faceva soltanto si con la testa mentre guardava Clary.
Riprese ad ascoltare solo quando Hodge puntò su di lui il suo sguardo d'ira. «Hai messo a rischio altre persone con la tua sciocca ostinazione. E questa volta non te la caverai con una scrollata di spalle!»
«Non era mia intenzione» rispose Jace stanco di tutto quel gridare. «E anche volendo non potrei. Ho la spalla lussata.»
«Se solo pensassi che il dolore fisico fosse davvero un deterrente per te...» disse Hodge paonazzo dalla rabbia. «E invece passerai i prossimi giorni in infermeria con Alec e Isabelle che si daranno da fare attorno a te. Probabilmente ti piacerà anche.»
Beh, la convalescenza non sarebbe stata tanto tragica, infondo un po' di riposo gli avrebbe fatto bene. Ma ovviamente Hodge doveva dargli una punizione terribile.
Il letto accanto al suo era occupato dal mondano.
Quando i suoi fratelli e Clary erano usciti per darsi una ripulita ed era rimasto da solo con il mondano Jace si addormentò quasi subito, era troppo esausto pure per reggere quell'idiota. Si svegliò un paio d'ore più tardi Con Hodge che medicava Simon con degli strani filtri ed unguenti ed Isabelle che spazzava per terra, riempiva brocche e Sprimacciava cuscini. Diventava davvero una perfetta infermiera quando qualcuno di loro si ammalava, gli mancava solo il camice. Jace ricordava quando Max si era ammalato l'anno prima e Isabelle era rimasta al suo capezzale fin quando la febbre non era scesa, senza dormire o fare alcunché. Hodge andò via pochi minuti dopo bofonchiando qualcosa che Jace ignorò.
Alec invece stava dimostrando tutta la sua utilità guardando in cagnesco fuori dalla finestra.
Appena la porta si aprì solo due persone in tutta la stanza furono felici di vederci entrare Clary, Alec le rivolse vagamente una smorfia. «Ah. Sei tu.»
«Hodge ha detto che sta arrivando e spera che voi due riuscirete a resistere all'abbraccio della grande mietitrice finché non sarà qui» Disse ai due moribondi sul letto con un grande sorriso. Era davvero splendida, i capelli bagnati disegnavano un aureola rossa sulla sua testa e anche se si vedevano ancora le ferite, Jace pensò comunque che fosse splendida. «O qualcosa del genere.»
«Preferirei che si sbrigasse» disse Jace di pessimo umore. Rimanere chiuso in quella stanza senza potersi muovere e con il mondano accanto non era proprio il massimo del divertimento per lui.
«Perché? Fa male?» chiese Clary con occhi sgranati. Era preoccupata per lui?
«No. Ho una soglia del dolore piuttosto alta. Però mi annoio facilmente.» disse laconico  «Ti ricordi quando eravamo all'hotel e mi hai promesso che se fossimo sopravvissuti ti saresti vestita da infermiera e mi avresti lavato con una spugna?»
«Temo che tu abbia sentito male» disse Clary con un sorriso. «È stato Simon a promettertelo.»
Jace guardò quasi involontariamente verso Simon che gli fece un gran sorriso. «Appena sarò di nuovo in piedi, tesoruccio» gli disse.
Jace represse la nausea. «Lo sapevo che avremmo dovuto farti restare topo» disse.
Clary scoppiò a ridere e andò a sedersi sul letto del mondano. «Come stai?»
«Come se qualcuno mi avesse fatto un massaggio con una grattugia» rispose latente mentre sollevava il gran ingroppo di fasce che era il suo piede. «Mi sono rotto un osso di un piede. Era così gonfio che Isabelle ha dovuto tagliarmi la scarpa.»
«Sono felice che si sia presa cura di te.» disse Clary, ma non sembrava troppo sincera.
Il mondano si chinò piano verso di lei, come se volesse darle un bacio. Fu rincuorato dal fatto che lei si ritrasse violentemente. «Dobbiamo parlare.» disse Simon.
Clary annuì. «Vado in camera mia. Vieni a trovarmi dopo che Hodge ti avrà rimesso a posto, va bene?»
«Certo.» disse e le posò un bacio sulla guancia. Clary arrossì violentemente ed andò via barcollante. Sorprendendo tutti Alec si alzò e le corse dietro. Anche Isabelle andò via blaterando di un qualche abito nuovo e Jace rimase da solo con Simon. Che tortura. Almeno per 10 minuti stette buono e zitto ma quando ad un certo punto cominciò a lamentarsi che nella stanza c'era troppo sole che gli feriva gli occhi  l'infinita pazienza di Jace vacillò.
«Senti perché non chiudi la finestra? Così almeno non sono costretto a guardarti.»
Simon gli scoccò un occhiata velenosa. «Divertente Wayland. Magari un giorno riderò.»
Jace si voltò dall'altra parte procurandosi dolore in quasi tutto il corpo, ma non se ne curò. «Non è colpa mia se hai il senso dell'umorismo mondano. Siete noiosi.»
sfortunatamente la risposta del mondano Fu bloccata dall'arrivo di Hodge che con Garze e vari unguenti dall'odore discutibile, si avvicinò al suo letto. «Come ti senti, irresponsabile?»
Jace fece un gran sorriso. «In maniera favolosa. Stavo pensando di correre la maratona con un paio di lupi mannari, sai tanto per mantenermi leggero.»
Hodge prese la garza bianca e cominciò a srotolarla immergendola in un liquido arancione che sembrava decisamente poco attraente. «Se impiegassi le stesse energie che impieghi per l'umorismo per rimanere vivo non saresti in quel letto.»Il mondano scoppiò a ridere mentre Hodge faceva il giro del letto per avvicinarsi alla sua spalla. «E ora togli la maglietta che ti fascio la spalla»
Jace scoccò prima un occhiata a Simon e poi guardò di nuovo Hodge facendo il labbruccio. «Ma.. E se poi si innamora del mio bellissimo fisico?»
«Non mi piacciono i palestrati biondi» Disse Simon  facendo una smorfia. «Preferisco i capelli rossi.»
Jace incrociò il suo sguardo e sorrise. «Chissà perché ma l'avevo immaginato.»
«Basta.» Disse Hodge stentando a trattenere le risate. «Jace, o ti fai fasciare la spalla o rimarrai lì una settimana, senza allenarti e senza la ronda.»
Senza dire una parola ed il più velocemente gli era concesso dagli arti doloranti si sfilò la maglietta nera logora e la gettò per terra.
Hodge si avvicinò con la garza imbevuta. «Ogni tanto usi il cervello.» disse.
Jace grugnì.
«Che cosa c'è di così divertente nell'uccidere i demoni?» chiese Simon. «Non mi sembra esattamente uno spasso tentare di farsi ammazzare da quei mostri.»
«Parli così perché sei un mondano.» rispose Jace chiudendo gli occhi mentre l'unguento faceva effetto. «E' quello per cui siamo stati creati, quello per cui siamo nati. E' nel nostro sangue, nelle nostre ossa. Siamo nati per proteggervi, non vi conviene molto lamentarvi.»
«Ho l'impressione che voi Shadowhunters vi crediate di essere più di quello che siete.» Disse Simon.  «In fondo Clary è cresciuta come una mondana e non ha mai ricevuto l'addestramento eppure è riuscita a uccidere il divo..qualche cosa a casa sua, no?»
«E' proprio questo che non capisci. Uno shadowhunters può anche passare tutta la vita senza uccidere  un demone, ma rimarrà sempre ciò che è: Un figlio dell'angelo pronto per la sua missione.» sussultò di dolore quando Hodge strinse la garza ,poi andò via socchiudendo la porta. «Quello che veramente non riesci a capire è come la tua amica possa essere qualcosa di più. Clary è di più.»
«Ho sempre saputo che in Clary c'è qualcosa di speciale.» sospirò. «Almeno adesso so il perché.»
Jace spalancò gli occhi e si mise a sedere ignorando il dolore. «Tu credi che in Clary ci sia qualcosa di speciale solo perché sei innamorato di lei.» il suo sorriso scintillava come il veleno dei demoni «Sveglia, stupido mondano. Clary è una Nephilim purosangue, non è e non è mai stata una mondana e mai lo sarà.» si gettò di nuovo tra i cuscini morbidi.
«Per te è facile parlare così dato che sei un mostro privo di emozioni.» Disse Simon. Quando i mondani volevano sembrare "minacciosi"  sembravano coniglietti bianchi.  «Stai giocando con Clary, stupido pallone gonfiato insensibile. Credi davvero che non me ne sia accorto?» Il mondano gli riservò uno sguardo d'acido puro che lui resse senza sforzo. «Clary potrà essere anche un mostro a sei teste. Per me è e sempre sarà una ragazza meravigliosa. Tu prima o poi ti stancherai di lei come hai probabilmente hai fatto con milioni di altre innocenti mondane.»
«Non mi piacciono le mondane.» rispose Jace. «Sono ignoranti e troppo fissate con l'aspetto esteriore.»
«Perché tu no?» fece un sorriso ironico.
«Io sono bello per natura. Non ho bisogno di essere fissato con il mio aspetto.»
Il mondano imprecò. «Sarei stato molto più felice se fosse stato un altro cacciatore a trovarla. Tu sei un idiota.»
«Tu saresti stato felice solamente se lei non lo avesse mai scoperto, idiota di un mondano.» Se non fosse stato tanto malconcio lo avrebbe preso a pugni. «Ti dirò una cosa, idiota: Se Clary l'avesse trovata un cacciatore adulto a quest'ora sarebbe ad Idris, da sola, senza la minima possibilità di trovare sua madre. E' questo che volevi per lei? Perché possiamo sempre chiamare la guardia.» Quando il mondano si chiuse in un silenzio imbarazzato Jace gli sorrise. «Vedo che cominci a capire che questo non è un gioco.» si voltò dall'altra parte e serrò gli occhi. «Ora lasciami dormire. Sono esausto dato che ho dovuto salvare la tua pellaccia.»
Il mondano lo mandò a quel paese.
 
Nel sogno Jace si trovava ad Alicante.
La città di vetro brillava sotto il sole primaverile e non c'era una sola nuvola in cielo, come sempre ad Alicante. Come faceva quando era piccolo era seduto e a gambe incrociate sull'erba e sfiorava ad uno ad uno i piccoli fili d'erba con la punta del dita,  Quando una piccola mano affusolata si mise sulla sua.
Jace alzò lo sguardo e Clary gli sorrise. Indossava la tenuta da cacciatrice, ma i lunghi capelli rossi erano  raccolti in due lunghe trecce. La mano che non era stretta alla sua teneva una rosa rossa. Era bellissima.
«Così, questa è La città di Vetro.»Si portò la rosa sotto il naso e ne ispirò il profumo, che anche Jace poteva sentire da quella distanza.  «Potrei anche abituarmici.»
Jace le sorrise.
«C'è così pace.» continuò alzando gli occhioni verdi al cielo. «Non mi sorprende che ti manchi così tanto.»
«E' molto meglio adesso.» disse Jace. Strinse la mano nella sua e Clary gli appoggiò la testa sulla spalla. Aveva il profumo delle fragole a primavera.
Improvvisamente il sole fu oscurato e una chiazza d'ombra li inghiottì. Suo padre era comparso davanti a loro ad oscurare la luce del sole, esattamente vestito come Clary. La tenuta da Cacciatore e miriadi di armi attaccate ad ogni appiglio. Una spada angelica era nella sua mano sinistra, in cui brillava un anello di pesante argento con un motivo di stelle.
Clary si irrigidì e scattò in piedi. Posò la rosa che aveva in mano nella tasca della giacca ed estrasse una spada dalla cintura.
Jace era paralizzato, non riusciva a muoversi o a fare alcunché se non guardare la ragazza e suo padre che si scambiavano sguardi di puro odio.
«Jonathan» lo chiamò suo padre. La stessa identica voce che ricordava, la stessa voce che gli gridava contro, che lo sgridava. Jace incrociò lo sguardo con il padre e anche se sperava di leggerci l'affetto e la nostalgia che lui provava, vide solo freddo fumo grigio.
«Jace» sussurrò Clary dall'altra parte. Jace si voltò immediatamente verso la ragazza, il suo tono era dolce, come sempre d'altronde. Lo guardava con tenerezza, come quando era sdraiato sul letto dell'infermeria.
Jace si alzò in piedi. Avrebbe voluto andare verso di lei ma le sue gambe non gli risposero. Si diresse verso suo padre che senza dire una parola gli diede il pugnale che Clary aveva perso, quando alzò lo sguardo Clary era sparita.

 
Non si ricordò minimamente del sogno.
Si svegliò di soprassalto nel buio dell'infermeria. Era da solo nella stanza e dalla finestra filtrava solo il chiarore lattiginoso della luna. Improvvisamente si ricordò che giorno fosse.
Sabato. Guardò l'orologio. Ancora un paio d'ore e Clary avrebbe compiuto 16 anni. Corse in camera sua e si fece la doccia più veloce della sua vita togliendo tutto l'asfalto che gli si era appiccicato addosso e tutta la polvere incrostata nei capelli. Non li asciugò nemmeno, si vestii in fretta ed ignorando i dolori provocati da quei movimenti  andò di corsa in cucina e prese quanto più gli veniva in mente da preparare.
Suo padre non gli aveva mai insegnato a cucinare. Era totalmente negato in quelle cose. Sapeva solo uccidere.
Aveva imparato a cucinare girovagando per le cucine mentre la servitù preparava i banchetti. Non era certo bravo come Maryse, ma sapeva preparare un zuppa senza pesce e noccioline.
Prese anche una bottiglietta d'acqua ed una barretta di cioccolato. Suo padre non gli aveva mai dato da mangiare il cioccolato. Era stato Alec a farglielo provare la prima volta, dei cioccolatini con le nocciole, ricordava.
Poi, andò in armeria.
Jace aveva avuto l'idea di regalarle il pugnale di suo padre. Ma per forza di cose avrebbe dovuto cambiare idea.
Un altro pugnale? Una spada? Tutto sembrava troppo insignificante paragonato all'unico ricordo che aveva di suo padre.
Poi la vide. Era una pietra di stregaluce, non era particolarmente grande o aveva una forma particolare però Jace pensò che fosse perfetta. Avrebbe simboleggiato la luce che l'avrebbe accompagnata durante il suo cammino, l'avrebbe illuminata al buio, le avrebbe dato calore. La infilò in tasca e ne sentì il familiare peso.
Si, era perfetta.
 Uscì dall'armeria cercando di far il meno rumore possibile ma si scontrò con Alec. I suoi occhi azzurri erano più freddi del normale, e lo guardavano con uno sguardo indecifrabile, persino per lui che era suo fratello.
«Dobbiamo parlare» disse.  Anche nella freddezza della sua voce Jace potè sentire la rabbia celata in essa.
Jace annuì e gli sorrise. «Certo, ma al momento avrei da fare.» e tentò di sgattaiolare via da destra ma Alec continuò a bloccargli la strada. «Con Clary?»
Jace gli rivolse uno sguardo perplesso. «Perché?»
Alec non rispose ma se ne andò verso la sua stanza nel silenzio più tetro.
 
Più velocemente gli era concesso dagli arti doloranti si diresse verso la quinta porta del corridoio degli ospiti  e bussò alla porta riportando immediatamente le mani contenenti i sacchetti con la cena dietro la schiena.
Clary aprì subito la porta. Indossava un leggero pigiama azzurro ed era a piedi scalzi. I lividi sulle braccia erano ormai un vago ricordo sbiadito.
«Dormivi?» chiese in un sussurro.
«No.» La ragazza uscì in corridoio e richiuse la porta alle sue spalle, Jace sorrise. «Perché lo pensavi?»
Le diede uno sguardo eloquente. «Per nessun motivo in particolare.»
«Ho passato quasi tutta la giornata a letto» Disse Clary reggendo il suo sguardo. «E tu? Non sei esausto?»
Non avrebbe fatto molto la figura del cacciatore intrepido se gli avesse detto che anche lui aveva passato la giornata a dormire. Scosse il capo.
«I cacciatori di demoni sono come il servizio postale, non dormono mai. "Né neve né pioggia né caldo né tenebre possono fermare questi..."»
«Saresti in guai grossi, se le tenebre potessero fermarti» lo interruppe lei.
Jace le fece un gran sorriso, ma non disse nulla. La guardava soltanto.
«Cosa ci fai qui?» chiese lei.
«Qui nel senso di "in camera tua" o qui nel senso della grande domanda spirituale riguardo a qual è il nostro scopo in questo mondo? Se mi stai chiedendo se è tutto una grande casualità cosmica o se la vita ha un senso morale superiore, be', sono secoli che l'uomo cerca di dare una risposta a questa domanda. Voglio dire, il mero riduzionismo ontologico è chiara-mente un'argomentazione fallace, ma...» Ma perché stava blaterando così tanto? Non era il tipo di persona che si perdeva in chiacchiere inutili.
O forse era solo nervoso? Impossibile. Jace Wayland non poteva  essere nervoso a causa di una ragazza. Impossibile.
Eppure continuava a blaterare.
«Io torno a letto.» disse Clary e si girò verso la porta.
Agilmente lui si mise tra lei e la sua via di fuga. «Sono qui perché Hodge mi ha detto che era il tuo compleanno.»
Clary sospirò. «Non fino a domani.»
«Non c'è motivo per non iniziare a festeggiare subito.» le fece notare.
Lei gli scoccò un occhiata eloquente. «Stai evitando Alec e Isabelle.»
Ma come diamine faceva a saperlo? Beh, a dire il vero evitava solo Alec, ma annuì comunque.«Vogliono tutt'e due decidere cosa devo e non devo fare.»
«Per lo stesso motivo?» chiese.
«Non saprei.» Guardò su e giù per il corridoio. Si sentiva osservato anche se probabilmente era solo Church. «E anche Hodge. Tutti vogliono parlarmi. A parte te. Scommetto che tu non vuoi parlare con me.»
«No» rispose infatti Clary. «Voglio mangiare. Sto morendo di fame.»
Con un gran sorriso Jace uscì da dietro la schiena il bottino trionfante. «Ho soffiato un po' di cibo dalla cucina mentre Isabelle non guardava.»
Clary sorrise.  «Un picnic? È un po' tardi per Central Park, non ti pare? È pieno di...»
Jace mosse una mano facendola fermare. «Fate. Lo so.»
«Stavo per dire "rapinatori"» rispose invece Clary con una piccola smorfia. «Anche se non invidio un rapinatore che dovesse decidere di prendersela con te.»
«Questo è un atteggiamento saggio per il quale non posso che lodarti»o una delle tante ragioni. «Ma non stavo pensando a Central Park. Cosa ne diresti della serra?»
Clary sgranò leggermente gli occhi. «Adesso? Di sera? Non è... buio?»
Jace sorrise. Ringraziò l'angelo per le rare volte in cui stava attento a quando Hodge spiegava. «Vieni. Ti faccio vedere.»

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Capitolo 17
*** Il fiore di mezzanotte. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.

Capitolo XVI;Il fiore di mezzanotte

Quando Jace andò da Clary, Il cielo era di quel dolce color rosso scuro di cui si tingeva quando il sole era ormai un ricordo. Quando Jace e Clary arrivarono alla porta che conduceva alla serra, solo la pallida luce della luna faceva capolino dall'oscurità.
Jace sospinse delicatamente la porta d'accesso e un meraviglioso profumo inebriò i suoi sensi.
Se i suoi ricordi avessero avuto un odore, sarebbe stato decisamente quello. Era dolce e rassicurante come casa sua, Distingueva perfettamente i fiori che si trovavano solo ad Idris, I delicati fiori lillà che percorrevano il perimetro della tenuta ad Alicante, con qualche campanula che faceva capolino di tanto in tanto. Neanche una rosa, però. La prima volta che aveva visto quel fiore era stato fuori Alicante. Suo padre odiava le rose.
«Cavoli!» Clary stava girando su se stessa con gli occhi sgranati ed un leggero sorriso sulle labbra. «È bellissimo qui di sera.»
Jace le sorrise. «Ed è tutto per noi. Alec e Isabelle detestano questo posto. Hanno delle allergie.» Tutta la sera da solo con Clary. Sorrise tra sé.
La ragazza si avvicinò a dei fiori bianchi e con tonalità accese di blu elettrico. «Che fiori sono questi?»
Jace si girò dall'altra parte cercando un cespuglio particolare, lo vide in fondo al piccolo corridoio, le foglioline verdi brillante scintillavano sotto le luci al neon provenienti dalla città. Scrollò le spalle e vi si sedette accanto. «Non ne ho idea. Credi che stia attento durante le lezioni di botanica? Non ho intenzione di fare l'archivista. Non mi serve sapere quella roba.»
«Tu sai soltanto uccidere?» chiese la ragazza avvicinandosi.
Jace la guardo. Non capiva come avesse fatto a crederla una mondana all'inizio. Anche con il buffo pigiamino azzurro di flanella Il sangue dell'angelo era in lei evidente. Scese lo sguardo sulla leggera cicatrice prodotta dalla runa. Uguale alle milioni sul suo corpo, però così piccola e innocente.
Il suo primo marchio, ed era stato lui a farlo. «Infatti.» disse. Mise la mano in uno dei sacchetti ed estrasse un piccolo Sandwich avvolto in un tovagliolo e lo offrì alla ragazza. «E poi so fare dei panini al formaggio fantastici. Provane uno.»
Clary sorrise e si sedette davanti a lui, a dividerli solamente la cena improvvisata. «Niente male, come bottino» disse guardando ammirata il banchetto a mano a mano che Jace lo sfilava dai sacchetti. Bottigliette d'acqua, panini, un po' di mele - Le sue preferite - ed una barretta di cioccolato ai cereali. Jace fece un piccolo inchino.
Mentre Clary gustava il piccolo sandwich Jace prese dalla tasca della giacca un coltellino e sbucciò una delle mele. Suo padre adorava le mele. Erano una delle poche cose che mangiavano entrambi con gusto. Quando in estate c'erano le belle giornate di sole dopo gli allenamenti Jace e suo padre andavano a raccogliere le mele nel giardino e le mangiavano seduti sull'erba.
Divise il frutto come fosse una specie di piccola torta. «Be', non è una torta di compleanno» disse porgendola alla ragazza. «ma spero sia meglio di niente.»
«Quello che mi aspettavo era proprio una bella fetta di niente, quindi grazie.» Clary diede un piccolo morso alla mela ed un po' di succo gli scese tra le labbra, avrebbe voluto..
«Tutti quanti dovrebbero ricevere qualcosa per il loro compleanno.» si mise a sbucciare la seconda mela evitando di guardarla troppo. «I compleanni dovrebbero essere giorni speciali. Il mio era l'unico giorno in cui mio padre diceva che potevo fare o avere qualsiasi cosa volessi.» Armi, libri, lezioni, viaggi. Qualunque cosa avesse mai desiderato.
«Qualsiasi cosa?» Chiese Clary con una risata «E tu che qualsiasi cosa volevi?»
La guardò e sorrise. «Be', quando ho compiuto cinque anni ho voluto fare il bagno negli spaghetti.»
La ragazza sgranò gli occhi, come se fosse impossibile pensare che lui farebbe qualcosa di tanto scemo. Beh, in effetti lo era. «Ma lui non te lo ha lasciato fare, giusto?»
«No, è proprio questo il bello, me lo ha permesso. Ha detto che non era una cosa costosa, e perché non avrei dovuto farlo, se era quello che volevo? Disse alla servitù di riempire la vasca da bagno di acqua bollente e pasta, e quando si raffreddò...» scrollò le spalle, evitando di scoppiare a ridere «ci feci il bagno.»
«E come è stato?»
«Scivoloso.» e forse, il momento più bello della sua vita.
«Ci credo.» Clary prese un'altra fetta di mela pensierosa. A cosa pensava? Che fosse un idiota? «Cos'altro hai chiesto?» chiese.
«Soprattutto armi» Cercò di ricordare il baule nella sua camera pieno di armi prese in ogni parte del mondo. Pugnali, frecce, veleni. Ogni tipo esistente di spade. Un baule di morte nella camera di un bambino di appena 10 anni. «Il che certamente non ti stupirà. Libri. Leggo molto per conto mio.»
«Tipo libri di scuola?»
Scosse la testa. «No, quelli mio padre ce li aveva. Mi faceva lui da insegnante di storia occulta, demonologia, alchimia e arti marziali. La lettura era un hobby... lo facevo per divertimento.»
«Quindi non andavi a scuola?»
«No» Rispose secco. Dubitava ci fossero scuole degne di quel nome ad Idris. Solo istituti dove imparare a decapitare e ammazzare. Si chiese come dovesse essere andare in una scuola mondana, dove non dovevi imparare con che tipo di veleno i demoni tentavano di farti fuori.
«Ma i tuoi amici...» Ed ecco la domanda a cui non voleva rispondere. Amici. Persone effimere. Alec era suo fratello, era diverso.
«Non avevo amici» disse secco. «A parte mio padre. Lui era tutto ciò di cui avevo bisogno.»
Clary lo fissò. «Neanche un amico?»
La guardò anche lui. Clary sembrava il tipo di ragazza che poteva contare su vagonate di persone. Eppure quando era scomparsa solo quello stupido mondano si è preoccupato per lei. Per lei Simon era una specie di fratello, come per lui era Alec. «Quando vidi Alec» disse in un sussurro «avevo dieci anni ed è stata la prima volta che ho incontrato un altro bambino della mia età. La prima volta che ho avuto un amico.»
Jace vide la ragazza abbassare lo sguardo, le sue guancie si tinsero di un dolce rosa. Aveva già visto quello sguardo, tante volte che era impossibile contarle ormai.
«Non sentirti dispiaciuta per me» le disse. «Mi ha dato la migliore istruzione e il migliore addestramento possibili. Mi ha portato in tutto il mondo. Londra. San Pietroburgo. L'Egitto. Ci piaceva molto viaggiare.» Sospirò. Parlare così cominciava a fargli male ma non se ne curava. Era bello parlare così con lei. Anche se non sapeva perché. «Non sono stato da nessuna parte da quando è morto. Soltanto a New York.»
«Sei fortunato» Clary alzò la testa, ma quello sguardo da cerbiatto non era sparito dalle iridi verdi. «Io non sono mai uscita da questo Stato in vita mia. Mia mamma non mi ha nemmeno lasciato andare in gita scolastica a Washington, anche se adesso forse ho capito il perché»
Jace sorrise. «Aveva paura che tu sclerassi? Che iniziassi a vedere demoni dentro la Casa Bianca?»
Clary addentò la cioccolata. «Ci sono dei demoni dentro la Casa Bianca?»
«Stavo scherzando» disse Jace. Poi ci pensò su. Magari a governarli c'erano dei demoni e manco se ne nera accorto? Nah. «Almeno credo.» aggiunse con una scrollata di spalle «Sono certo che qualcuno me lo avrebbe detto.»
«Probabilmente voleva che non mi allontanassi troppo da lei. Mia mamma, voglio dire. Dopo la morte di mio padre, lei è cambiata molto.» Clary si strinse le mani e Jace pensò che in un modo strano e contorto stesse tenendo la mano a sua madre. Strana la vita. Lui non aveva mai conosciuto sua madre e Clary non aveva mai conosciuto suo padre. Si completavano, pensò con un sorriso.
«Ti ricordi di tuo padre?» le chiese.
Clary scosse la testa. «No, è morto prima che nascessi.»
«Sei fortunata. Così non ti manca.»
E anche se era una cosa orribile da dire, era la verità. In certi momenti Jace avrebbe voluto non aver mai avuto un padre. Quel senso di mancanza lo opprimeva. Era come se gli fosse stato strappato qualcosa di fondamentale, qualcosa che non sarebbe mai potuto tornare. Suo padre era stato il suo mondo, ed era andato in pezzi, distrutto, andato in rovina.
Ormai non era più un bambino, era un uomo a tutti gli effetti. Eppure avrebbe dato qualunque cosa per riavere suo padre accanto.
«È una cosa che passa?»Chiese Clary «Il fatto che ti manchi, voglio dire.»
La guardò.
No. Avrebbe voluto rispondere. Ma a cosa sarebbe servito darle quel dispiacere? Lei, con una madre chissà dove e in chissà che condizioni? A cosa sarebbe servito farla stare male, quando avrebbe fatto star male anche lui? «Stai pensando a tua madre?»
Clary scosse la testa «In realtà pensavo a Luke.»
«Non che quello sia veramente il suo nome.» Morse la mela. Era dolce, un po' acerba. Come piacevano a lui. «Ho pensato parecchio a lui. C'è qualcosa che non mi torna, nel suo comportamento...»
«È un vigliacco.» La voce di Clary era fredda come lui non l'aveva mai sentita. «Lo hai sentito. Non si metterà contro Valentine. Nemmeno per mia madre.»
Era proprio questo che non riusciva a capire, ma un rintocco lontano, da qualche parte nel cuore di New York city lo informò che era arrivata la mezzanotte.
«Mezzanotte» Disse elettrizzato.Lasciò cadere il coltello e Si rialzò in piedi, porse le mani alla ragazza. Elettricità pura. «E adesso guarda.»
La girò lentamente, verso il cespuglio che aveva vegliato sulla loro scappatella. I piccoli boccioli non si mossero e Clary si girò verso di lui per dire qualcosa ma Jace la fermò con un gesto. «Aspetta» disse in un sussurro.
Come se fosse stato un suo comando i piccoli boccioli cominciarono a vibrare. Prima leggermente poi sempre più forte, ingrandendo le sue dimensioni. Jace pensò che fosse una metafora perfetta. L'affetto che provava per Clary non faceva altro che aumentare, fino a sbocciare come quel fiore, riempiendo di magia la piccola sala della serra.
Jace guardò Clary. Notò che le labbra della ragazza, aperte in un bellissimo sorriso, assomigliavano molto ai petali del fiore.
«Oh!» Disse ammirata. «Sbocciano tutte le notti?»
«A mezzanotte» disse lui. «Buon compleanno, Clarissa Fray
Clary gli sorrise. Jace poteva leggere in quel suo sguardo tutta la gratitudine che provava. «Grazie.» sussurrò.
«Ho una cosa per te» aggiunse poi. Rovistò in tasca e le porse la pietra di stregaluce. Clary la rigirò tra le mani e Jace pensò che forse non aveva neanche capito cosa fosse.
«Uh» disse. «Sai, quando la maggior parte delle ragazze dice che vorrebbe una grossa pietra, non intende proprio, letteralmente, una grossa pietra.»
«Molto divertente, mia sarcastica amica. Non è una pietra qualsiasi. Tutti i Cacciatori hanno una pietra runica di stregaluce.» sorrise.
Clary sgranò gli occhi e strinse la stregaluce. Un piccolo barlume fece capolino attraverso le dita della ragazza.
«Ti illuminerà» disse «in tutti i luoghi oscuri di questo e di altri mondi.»
Clary la mise in tasca. «Be', grazie. È stato carino da parte tua farmi un regalo.» fece un piccolo sorriso e Jace notò che era arrossita. «Decisamente meglio di un bagno negli spaghetti.»
«Se racconti a qualcuno questa cosa degli spaghetti, forse sarò costretto a ucciderti» Cercò di assumere un aria minacciosa ma non ci riuscì molto bene con Clary che lo guardava in quel modo.
«Be', quando io avevo cinque anni volevo che mia madre mi facesse girare dentro l'asciugatrice insieme ai vestiti» gli rivelò Clary. «La differenza è che lei non me lo ha lasciato fare.»
«Probabilmente perché girare dentro un'asciugatrice può essere fatale» saccente, molto saccente. «mentre la pasta risulta raramente letale. A meno che non l'abbia cucinata Isabelle.»
Clary volse lo sguardo al fiore di mezzanotte, che aveva cominciato a perdere i petali. «Quando avevo dodici anni volevo un tatuaggio» disse. «E mia mamma non mi ha permesso di fare nemmeno quello.»
Jace ci pensò su. «La maggior parte dei Cacciatori ricevono il loro primo marchio a dodici anni. Dovevi avercelo nel sangue.»
«Forse. Anche se dubito che molti Cacciatori si facciano tatuare Donatello delle Ninja Turtles sulla spalla sinistra.»
Jace sgranò gli occhi. «Tu volevi una tartaruga sulla spalla?»
«Volevo coprire la cicatrice dell'antivaiolosa.» Delicatamente la ragazza si voltò e fece scendere la spallina del pigiama. Vi era un piccolo segno, poco più che una cicatrice.. «Visto?»
-Ha la forma di una stella- Pensò Jace. Istintivamente sfiorò la sua, sulla spalla sinistra. Così simile eppure così differente da quella della ragazza. Avrebbe voluto sfiorare quella di lei, posarle su un piccolo bacio..
Distolse lo sguardo. «Si sta facendo tardi» disse. «Dovremmo scendere.»
Jace si voltò verso la porta ma Le parole di Clary lo gelarono lì dov'era. «Tu e Isabelle siete mai... usciti insieme?»
Jace si girò a guardarla sperando di mantenere un espressione neutra. Le guancie avevano assunto quel dolcissimo color rosato dell'imbarazzo. «Isabelle?» chiese.
«Pensavo...» fece un timido passo verso di lui. «Simon era curioso di saperlo.»
«Forse dovrebbe chiederlo a Isabelle.»
«Non sono sicura che voglia farlo» inconsapevolmente si morse il labbro inferiore. «Comunque lascia stare. Non sono affari miei.»
Jace sorrise nervosamente. Era forse gelosa di Isabelle? «La risposta è no. Voglio dire, possono esserci stati dei momenti in cui l'uno o l'altra hanno considerato la cosa, ma lei per me è quasi una sorella. Sarebbe strano.»
«Vuoi dire che tu e Isabelle non avete mai...»
«Mai» disse solennemente, il sorriso non abbandonava le sue labbra.
Clary abbassò lo sguardo. «Lei mi odia»
«No, non ti odia» le disse. «È solo che la rendi nervosa perché è sempre stata l'unica ragazza in un gruppo di maschi adoranti e adesso non lo è più.»
«Ma è così bella...» Sospirò. Jace la guardò, un fascio di luce lunare filtrava dall'immensa vetrata dandole un aura angelica. Se avesse avuto un decimo del talento artistico di Clary gli sarebbe piaciuto disegnarla, così da poterla tenere con sé per sempre.
«Anche tu» Disse. Forse era la prima volta che diceva ad una ragazza di essere bella intendendolo davvero. Le ragazze si nutrono di vanità, Ma Clary era così diversa, così unica. Così speciale. Era bella per natura. «E in un modo molto diverso da lei, e lei non può fare a meno di notarlo. Ha sempre desiderato essere minuta e delicata, sai? Detesta il fatto di essere più alta della maggior parte dei ragazzi.»
Clary lo fissava ad occhi sgranati. Strano ammetterlo ma un po' lo metteva a disagio. «Probabilmente dovremmo scendere di sotto» ripetè.
«Va bene» Disse poi Clary. Si incamminarono verso la piccola porta della serra quando la ragazza si fermò improvvisamente. Jace pensò che stesse cadendo e il più velocemente possibile si gettò a prenderla. Le piccole spalle della ragazza sbatterono con le sue e Jace la strinse tra le braccia. I capelli rossi gli solleticarono la gola quando lei girò gli occhioni verdi verso di lui.
Jace non ebbe più il possesso del suo corpo. Clary socchiuse le labbra, delicatamente, come il fiore di mezzanotte che quella notte era sbocciato solo per loro. Fece per parlare, ma Jace la baciò.
E l'aveva fatto come un riflesso incondizionato, come qualcosa che si fa milioni e milioni di volte e alla fine non ce se ne rende più conto.
Solo che era un milione di volte meglio.
Qualcosa dentro di lui si sbloccò come un lucchetto, e la chiave era proprio lei. Dischiuse le labbra mentre avvolgeva il piccolo corpo di Clary con le braccia. Sembrava essere stata creata apposta per rimanere stretta a lui. Sentiva il battito del suo cuore in perfetta sintonia con il suo. Passò una mano tra quei meravigliosi riccioli color del fuoco. Sentiva le manine di Clary tra i capelli, a fargli delicatamente il solletico.
Quanto tempo era passato? Un minuto? Una vita? Non gliene importava un beneamato nulla. Qualunque cosa avesse fatto, Chiunque fosse stato, In Quel momento non aveva più importanza, e non ce l'avrebbe avuta mai più. Non se lei fosse rimasta. Con lui. Tra le sue braccia.
E maledisse ogni suo stupidissimo riflesso da cacciatore quando sentì Hugo. Quel maledettissimo uccello sbatteva le ali nervosamente dal suo trespolo. Jace potè giurare che li stava guardando come divertito.
Con grande sforzò si staccò da lei, tenendola sempre stretta. Cosa provava? Avrebbe davvero voluto saperlo. «Non farti prendere dal panico, abbiamo degli spettatori.»
Clary volse la testa verso Hugo ed un leggero tremito scosse il suo corpo. Una risata?
«Se l'uccello è qui, Hodge non può essere lontano» Le sussurrò. «Dobbiamo andare.»
«Ti spia?» sussurrò Clary. «Hodge, voglio dire.»
«No... è solo che gli piace venire quassù a pensare. Peccato... stavamo avendo una conversazione davvero brillante.» Oh per amor dell'angelo. Era diventato patetico.
Ripercorsero la strada a ritroso, ma ogni granello di polvere, ogni filamento, sembrava diverso. Erano i suoi occhi ad essere cambiati?
"Peccato" aveva veramente detto "peccato"? Ma si era rincitrullito o cosa?
Da vero galantuomo quale era Jace la accompagnò alla sua porta, ma non aveva nessunissima intenzione di lasciarla, non adesso, non quando lei gli stava donando il suo calore dal piccolo contatto delle loro mani intrecciate.
Clary si appoggiò allo stipite della porta, un dolce sorriso era dipinto sulle labbra. «Grazie per il picnic di compleanno»
Jace guardò le loro mani intrecciate e soffocò nelle sue stesse parole. «Vai a dormire?»
Che domanda scema. Dove altro poteva andare? A fare un'altra incursione in una tana di vampiri? Solo l'angelo sa il motivo ma Jace si comportava come un perfetto idiota quando c'era lei. E, forse stava impazzendo per davvero, a lui non dispiaceva. Poteva quasi pensare che gli piacesse quell'essere capito come nessun altro aveva mai fatto. Nessuno lo guardava come faceva lei, nessuno lo capiva come faceva lei. Nessuno al mondo gli avrebbe fatto provare quelle sensazioni e mai avrebbe potuto. Chissà perché ci aveva messo così tanto a capirlo.
Clary lo guardò. Gli occhi verdi erano Chiari e limpidi. Jace poteva quasi vedere l'anima di Clary, era così facile per lui arrivarci. «Tu non hai sonno?» chiese lei.
Chissà se era per la felicità che provava in quel momento, o per la sensazione, alquanto strana e nuova, che in quel momento fosse tutto al suo posto. Le sorrise. Si avvicinò a lei. «Non sono mai stato più sveglio»
E la baciò. Un tocco leggero che diventò un ardente contatto. Adorava quella ragazza, la adorava davvero. Non era come baciare le nascoste o altre Shadowhunters. Clary era una fiamma viva riempiva di calore la sua anima.
Improvvisamente, quel fuoco si spense, Come se qualcuno vi avesse scatenato una tempesta di ghiaccio. Jace sentì la porta accanto a loro aprirsi ed il mondano uscì fuori. «Ma cosa diavolo...?»
Ovviamente con le manine che si ritrovava non avrebbe mai potuto fargli male, ma quando Clary lo spinse via, Jace si sentì effettivamente dolorante, come se gli avessero strappato via qualcosa.
La ragazza si voltò verso il suo amico -Jace si ostinava a pensarla così. - Nel buio poteva ancora vedere il rossore di cui erano tinte le sue guancie. «Simon! Cosa... voglio dire... pensavo che stessi...»
«Dormendo? Infatti» la interruppe lui. Era paonazzo. E Jace capì che non era per l'imbarazzo di averli trovati. In quel momento Quel mondano voleva prenderlo sonoramente a calci e Jace sperava che ci provasse con tutta la sua forza. «Poi mi sono svegliato e tu non c'eri, così ho pensato...»
Jace guardò Clary. Aveva lo sguardo puntato negli occhi di Simon e non era uno sguardo da migliore amico. Jace sentì la rabbia e la delusione montare dentro di sé ma assunse un aria annoiata. Non sarebbe servito a nulla dare al mondano la soddisfazione della sua collera.
«Mi dispiace» disse Clary.
Jace si sentì ancora più male. Le dispiaceva di averlo baciato? Ingoiò il veleno che sentiva dentro. «In futuro, Clarissa» le disse «potrebbe essere saggio far presente che c'è già un uomo nel tuo letto, per evitare queste situazioni incresciose.» Pungente. Diretto. Ritornare il male fatto. Insegnamenti che gli aveva dato la vita.
Il mondano quasi si strozzò. «Lo hai invitato a letto?»
«Che cosa ridicola, vero?» sorrise. «Non ci saremmo stati tutti e tre.»
«Non l'ho invitato a letto» scattò Clary. «Ci stavamo solo baciando.»
Jace assunse un espressione triste senza fingere troppo. «Solo baciando?» chiese. «Come fai in fretta a liquidare il nostro amore...»
«Jace.» lo schernì Clary.
Jace la guardò. In quel momento non distingueva la differenza tra lei e il falco che aveva tanto amato. Essere separato da quel falco lo aveva soltanto reso più forte, uno Shadowhunters migliore. Non era forse la stessa cosa?
La ragazza abbassò lo sguardo e si voltò verso il suo amico, come sempre. «Simon, è tardi» disse. «Mi dispiace di averti svegliato.»
«Anche a me.» ed il mondano sparì dalle loro viste rientrando nella camera e sbattendo sonoramente la porta alle sue spalle.
Si voltò verso Clary, ancora quel sorriso finto sulle labbra. «Prego, seguilo pure. Accarezzagli la testa e digli che è ancora il tuo amichetto superspeciale. Non è quello che vorresti fare?»
«Smettila» disse Clary. «Smettila di fare così.»
Jace allargò il sorriso con aria innocente. «Così come?»
«Se sei arrabbiato, dillo e basta. Non fare come se niente ti potesse mai toccare. È come se non provassi mai nulla.»
Il sorriso scomparve dalle sue labbra.«Forse avresti dovuto pensarci prima di baciarmi.»
Clary sgranò gli occhi. «Io ho baciato te?»
Jace resse il suo sguardo. In quel momento fece una scelta che avrebbe rimpianto per tutta la vita. Le sorrise. «Non preoccuparti Non è stato troppo memorabile nemmeno per me.»
E se ne andò. Girò le spalle lasciandola sola a crogiolarsi nel suo silenzio. Appena fu abbastanza sicuro di essere fuori dalla su vista iniziò a correre. Voleva andare via, scappare da lei. Perché lei era scappata per prima, no? l'aveva respinto non appena il suo amichetto era comparso sulla porta.Per lei ho abbandonato Alec. si rese conto. L'unica persona al mondo che è sempre stata lì per me. Che idiota.

Con uno sforzo infinito arrivò alla porta della sua stanza. Ma all'interno non c'era il vuoto tanto desiderato in quel momento.
Alec era seduto sul letto. Lo stesso sguardo di poco prima, carico d'odio. Si alzò e lentamente camminò verso di lui.
Jace stava per dire qualcosa di saccente, ma il pugno di Alec fermò le parole. Erano anni che non riceveva un cazzotto così forte. Cadde a terra sanguinante, forse Alec gli aveva rotto un dente. Lo guardò senza reagire, era stanco di reagire ormai.
Alec era sopra di lui, lo sguardo era ancora ardente ma c'era comunque senso di colpa quando vide il sangue. Nonostante fosse un Idiota di proporzioni epiche, Alec non voleva che si facesse male. «Ascoltami bene, perché te lo dirò una volta sola.» Disse. «Io sono il tuo migliore amico, tuo fratello, ma soprattutto sono il tuo parabatai. Stanotte ti sei quasi fatto ammazzare per essere andato con una mondana in una tana di vampiri. E per l'angelo solo il farti ammazzare ti avrebbe dato quel briciolo di buonsenso che, evidentemente, ti manca.» Riprese fiato, Jace sembrava aver perso le parole. Il che era tutto dire. «E' il tuo parabatai che chiami quando devi infrangere le leggi. Non lo lasci indietro a sperare che non ti facessero a fette.» Si abbassò e piantò i freddi occhi azzurri nei suoi. «Non mi interessa se ti sei preso una cotta per lei. Non lasciarmi più indietro, o non mi troverai più al ritorno.»
E così come era comparso se ne andò. Imprecando come non mai Jace si alzò e prese lo stilo dal cassetto.
Amare significa distruggere.. Pensò un sorriso sottile, privo d'allegria. Essere amati significa essere distrutti.

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Capitolo 18
*** La coppa Mortale. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo XVII; La coppa mortale

 
Jace era steso sul suo letto e fingeva di dormire - anche se nessuno era lì ad assistere alla sua recita - quando i colpi alla porta divennero insopportabili. Si alzò in piedi con una smorfia. Per quanto nella serra avesse dato mostra di stare bene, gli faceva ancora male tutto il corpo per i colpi della notte precedente.
Sapeva chi era ancora prima di aprire la porta. Magari Simon era riuscito a farsi trasformare di nuovo in un topo. E questa volta, per quanto riguar-dava Jace Wayland, quell'imbecille poteva anche restare un topo per sempre.
Clary stringeva in mano il suo album da disegno e i capelli rossi le sfuggivano dalle trecce. Jace si appoggiò allo stipite della porta ignorando la botta di adrenalina prodotta dalla vista di lei. Si chiese perché, e non era la prima volta. Isabelle usava la sua bellezza allo stesso modo della sua frusta, ma Clary non sapeva nemmeno di essere bella. Forse era proprio quella la ragione.
Poteva pensare a un solo motivo per cui lei si trovava lì, anche se dopo quello che le aveva detto non aveva molto senso. Le parole sono armi, glielo aveva insegnato suo padre, e in quel momento aveva voluto ferirla più di quanto avesse mai desiderato fare con qualsiasi altra ragazza. In effetti non era sicuro di aver mai voluto ferire un'altra ragazza. Di solito si limitava prima a volerle e poi a volere che lo lasciassero in pace.
«Non mi dire» disse, pronunciando le parole nel modo più fastidioso possibile. «Simon si è trasformato in un ocelot e tu vuoi che io risolva la situazione prima che Isabelle ne faccia una stola. Be', dovrai aspettare fino a domani. Sono fuori servizio.» Si indicò: indossava un pigiama blu con un buco in una manica. «Guarda. Sono in pigiama.»
Clary sembrò non averlo neppure sentito. «Jace» disse. «È importante.»
«Davvero?» disse indicando l'album da disegno. «Hai un'emergenza artistica? Ti serve un modello che posi nudo? Be', non sono dell'umore. Potresti chiedere a Hodge» aggiunse, come se gli fosse appena venuto in mente. «Mi hanno detto che farebbe qualsiasi cosa per...»
«JACE» lo interruppe Clary urlando. «STAI ZITTO UN SECONDO E ASCOLTA!»
Jace sbatté gli occhi.
Clary prese un bel respiro e lo guardò. Un bisogno poco familiare sorse dentro Jace, quello di abbracciarla e dirle che andava tutto bene. Non lo fece. In base alla sua esperienza, raramente andava tutto bene. «Jace» disse lei a voce così bassa che lui dovette chinarsi in avanti per sentirla. «Credo di sapere dove mia madre ha nascosto la Coppa Mortale. È dentro un quadro.»
(Questo pezzo era impossibile da cambiare. Miss Clare l'ha già fatto perfetto **)
 
Jace pensò seriamente che fosse impazzita. «Cosa?» Chiese per la cinquantesima volta. «Vuoi dire che è nascosta dietro un quadro? Tutti i quadri a casa tua sono stati strappati via dalle cornici.»
«Lo so.» La ragazza sporse lo sguardo oltre la sua spalla. «Senti, posso en-trare? Voglio farti vedere una cosa.»
Avrebbe voluto cacciarla in malo modo. Magari mandarla anche al diavolo. Ma ovviamente c'erano quelle assurde sensazioni inspiegabili che gli impedivano di essere acido e cattivo con quella ragazza. Maledetta lei. Pigramente, si spostò dall'entrata. «Se proprio devi.»
Clary passò e si sedette sul suo letto. Quante volte l'aveva immaginata sul suo letto? Sorridente come non mai? Adesso ogni sua fantasia sembrava inappropriata e stupida, come lui del resto. Appoggiò l'album da disegno sulle ginocchia. Delicatamente lo sfogliava cercando una pagina precisa. Gli occhi erano luccicanti e seri. Sembrava decisa, convinta che fosse la strada giusta. Sembrava proprio una cacciatrice. «Ecco» disse Clary trovando la pagina in questione. «Guarda questo.»
Jace spostò la maglietta sudicia che stava sul letto e le si sedette accanto. Clary gli stava mostrando una pagina bianca, con uno schizzo a carboncino di una tazza da caffè leggermente sbeccata. Era disegnata talmente bene che sembrava vera. Come se la pagina fosse una teca di vetro e dentro vi fosse la tazza. Ma a parte il suo talento per il disegno non c'era niente di particolare. «È una tazza.» disse.
Clary sbuffò. «Lo so che è una tazza.»
«Non vedo l'ora che tu disegni qualcosa di davvero complicato, tipo il ponte di Brooklyn o un'aragosta. Probabilmente mi manderai un telegramma musicato.»
Clary lo ignorò palesemente. «Guarda. È questo che volevo farti vedere.» Delicatamente sfiorò la pagina ed un secondo dopo, con un movimento deciso e fermo, infilò la mano nella carta. Quando la estrasse aveva tra le mani una traballante tazza da caffè.
Jace sgranò gli occhi talmente tanto da farsi male. «Sei stata tu?» Chiese.
Lei annuì.
«Quando?»
«Adesso, nella mia stanza, dopo... dopo che Simon se n'è andato.»
La guardò di sottecchi. Speriamo non torni mai più.  Si astené dal commentare. «Hai usato le rune? Quali?» chiese.
Clary scosse la testa ed accarezzò la pagina ormai bianca.  «Non lo so. Mi sono venute in mente da sole e io le ho disegnate esattamente come le vedevo.»
«Erano rune che hai visto nel Libro Grigio?»
«Non lo so.» Scosse la testa. «Non te lo so dire.»
«E nessuno ti ha mai insegnato a fare questa cosa? Tua madre, per esempio?»
«No. Te l'ho già detto, mia madre mi ha sempre ripetuto che non esisteva la magia...»
«Scommetto che te lo ha insegnato» la interruppe lui. Si alzò in piedi e camminò avanti e indietro per calmare l'eccitazione folle che lo aveva preso.  «e poi te lo ha fatto dimenticare. Magnus ha detto che i tuoi ricordi torneranno un po' alla volta.»
«Forse.» disse Clary laconica.
«Naturalmente.» disse Jace.  «Probabilmente la Legge non consente di usare le rune senza licenza. Ma adesso non importa. Pensi che tua madre abbia messo la Coppa dentro un quadro? Come hai fatto tu con la tazza?»
Clary annuì. «Ma non in uno di quelli che avevamo a casa.»
«E dove, allora? In una galleria? In un murale? Potrebbe essere ovunque...» Non ricordava di aver mai visto a New York murales o quadri raffiguranti coppe. Ma chissà. La madre di Clary non era certamente una sciocca.
«Non è esattamente un quadro» disse Clary. «È una carta.»
Silenziosamente Jace si voltò verso di lei.
«Ti ricordi quando ti ho detto che avevo riconosciuto quel mazzo di tarocchi da Madame Dorothea?»
Jace annuì.  annuì.
«Era perché l'aveva dipinto mia madre per lei. E ricordi quando ho disegnato l'Asso di Coppe? Più tardi, quando ho visto la statua dell'Angelo, la Coppa mi è sembrata familiare. Era perché l'avevo già vista, sull'Asso. Mia madre ha dipinto la Coppa Mortale nel mazzo di tarocchi di Madame Dorothea.»
Jace la stava seguendo. «Perché sapeva che sarebbe stata al sicuro con una Guardiana e così avrebbe potuto darla a Dorothea senza dirle veramen-te cosa fosse e perché doveva tenerla nascosta.»
«E, a parte il perché, non doveva neppure dirle di tenerla nascosta. Dorothea non esce mai, non la darebbe mai via...»
«E tua madre era in una posizione perfetta per tenere sott'occhio sia Dorothea sia la carta.» Jace sorrise. Finalmente capiva da chi aveva preso Clary. «Una mossa niente male.»
«Direi di no.» Clary abbassò lo sguardo.  «Vorrei non fosse stata così brava a nasconderla.»
«Cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che se l'avessero trovata, forse non avrebbero portato via mia mamma. Se tutto ciò che volevano era la Coppa...»
«L'avrebbero uccisa, Clary»Ogni premura di Jace di nasconderle il dolore della perdita di un genitore era sparita. Non aveva né tempo ne voglia di nasconderle verità sgradevoli- «Sono gli stessi uomini che hanno ucciso mio padre. L'unico motivo per cui tua madre è ancora viva è che non riescono a trovare la Coppa. Devi essere contenta che l'abbia nascosta tanto bene.»
 
Jace voleva molto bene ad Alec. D'altronde è stato il suo primo vero amico, suo fratello. Avevano qualcosa che era impossibile da spezzare, anche se Alec era incazzato con lui, Jace sapeva che presto sarebbe passata. Ma in quel momento Avrebbe dato qualunque cosa per rompergli il naso.
«Non capisco proprio cosa abbia a che fare questa cosa con noi» stava dicendo. Non aveva l'aria molto sveglia da dietro i ciuffi di capelli neri sul viso e probabilmente si sarebbe addormentato sulla scrivania se Jace non lo avrebbe ucciso se lo avesse fatto. Certo forse gettare tutto l'istituto alle 4 del mattino con l'alto parlante urlando "Datevi una mossa pigroni, dobbiamo ideare una strategia." Non era il modo migliore. Però era il più divertente.
Solo Hodge si era dato la pena di vestirsi, indossando il solito completo grigio, Alec ed Izzy erano ancora in pigiama con lo sguardo nel mondo dei sogni.
Neanche Clary aveva lo sguardo troppo sveglio, d'altronde non dormiva da 24 ore. Si costrinse a non pensare a lei.
«Pensavo che ormai la ricerca della Coppa fosse nelle mani del Conclave.» Disse Alec irritato. Jace non capì se era perché ce l'aveva ancora con lui o perché lo aveva svegliato alle 4. Dall'occhiataccia che gli riservò dedusse che era ancora incazzato con lui.
«È meglio se ce ne occupiamo noi» Disse Jace eccitato. «Io e Hodge ne abbiamo già discusso e abbiamo deciso così.»
«Bene.» disse Izzy secca. Ma era possibile che tutti ce l'avessero con lui? Forse doveva chiedere scusa, o forse no. «Io ci sto.»
«Be', io no» disse Alec  continuando a lanciargli occhiate di fuoco. «Ci sono degli agenti del Conclave in questa città in cerca della Coppa. Passiamo l'informazione a loro e lasciamo che vadano a prendersela.»
«Non è così semplice» sbottò Jace. Evitò di dargli del fifone.
«E invece sì.» urlò il fratello quasi scattando dalla sedia. «Questo non c'entra niente con noi, c'entra solo con la tua... la tua dipendenza dal pericolo.»
Jace scosse la testa. Diamine quanto era testardo e idiota. «Non capisco perché tu ti opponga tanto a questa cosa.» disse esasperato. «Senti, Dorothea... la proprietaria del Rifugio... non si fida del Conclave. Anzi, lo odia. Però si fida di noi»
«Si fida di me» lo corresse Clary. «Non so se si fida di te. Non so nemmeno se le piaci.»
Io piaccio a tutti. Avrebbe voluto dire. Però dopo averla conosciuta cominciava a dubitarne. La ignorò. «Dai, Alec, sarà divertente. E pensa alla gloria se riporteremo la Coppa Mortale a Idris! I nostri nomi non saranno mai dimenticati.»
«Non mi interessa la gloria» sbottò Alec senza smettere di guardarlo. «Mi interessa non fare niente di stupido.»
Lo stava facendo dicendo di no, ma evitò di farglielo notare.
«In questo caso però Jace ha ragione» disse Hodge sorprendendolo. «Se il Conclave dovesse andare al Rifugio sarebbe un disastro. Dorothea fuggirebbe con la Coppa e probabilmente non verrebbe mai più ritrovata. No, Jocelyn voleva che una sola persona fosse in grado di ritrovare la Coppa, e questa persona è Clary e Clary soltanto.»
«E allora che ci vada da sola» scattò Alec. Jace si irrigidì a sentirlo. E come lui anche Hodge ed Isabelle. Alec era freddo con Clary, era ovvio che non le piacesse ma dire una cosa del genere non era da lui. Era Jace lo stronzo per antonomasia, non Alec. Jace guardò Clary. Non sembrava troppo sconvolta da quell'affermazione. Anzi sembrava che se la aspettasse. E allora Jace diventò acido. «Se hai paura di qualche Dimenticato, resta a casa, mi raccomando»
Alec perse ogni traccia di colore.«Io non ho paura.»
«Bene» disse Jace prima che Alec potesse aggiungere altro. «Allora non c'è problema, giusto?» Si guardò attorno guardando uno per uno i suoi fratelli ed il suo tutore. Preoccupazione, eccitazione, rabbia, collera, tristezza e folle pazzia. Ogni sentimento passava sui loro volti lasciandoli poi con un piccolo sorriso, beh, tranne Alec. «Ci stiamo tutti?»
Alec disse qualcosa che assomigliava ad un si ed Izzy fece si con la testa. «Certo» disse. «Sembra divertente.»
«Non so se sarà divertente» disse Clary facendoli voltare tutti verso di lei. «Però ovviamente io ci sto.»
«Clary» disse Hodge svelto. «Se sei preoccupata per i pericoli che potresti correre, non devi andare per forza. Possiamo avvisare il Conclave...»
«No» Disse Clary, Decisa e forte. «Mia mamma voleva che la trovassi io. Non Valentine e nemmeno loro.» Abbassò lo sguardo verso il pavimento. «Se davvero ha passato tutta la sua vita a cercare di tenere Valentine lontano da quella cosa, questo è il meno che io possa fare.»
Hodge sorrise. «Credo che sapesse che avresti detto questo.»
«E comunque non preoccuparti» le disse Isabelle. «Andrà tutto bene. Possiamo gestire tranquillamente un paio di Dimenticati. Sono pazzi, ma non sono molto intelligenti.»
«E sono molto più facili da affrontare rispetto ai demoni» Aggiunse Jace. «Meno problematici. Ah, ci servirà un'auto»  disse poi. «Preferibilmente bella grossa.»
«Perché?» chiese Isabelle. «Non abbiamo mai avuto bisogno di un'auto finora.»
«Finora non abbiamo mai dovuto preoccuparci di trasportare un oggetto di valore inestimabile. Non voglio portarmi dietro la Coppa sulla linea L della metropolitana» disse Jace con disprezzo.
«Ci sono i taxi» disse Isabelle esasperata. «E i furgoni a noleggio.»
Jace scosse il capo. «Voglio un ambiente che possiamo controllare. Non voglio avere a che fare con tassisti o autonoleggi mondani per una faccenda così importante.»
«Tu non hai la patente e la macchina?» chiese Alec a Clary sprezzante. «Credevo che tutti i mondani le avessero.»
«Non se hanno quindici anni» rispose Clary scontrosa. «Dovrei prendere la patente l'anno prossimo, ma per ora niente.»
«Sei proprio una palla al piede.» si voltò dall'altra parte. Jace volle dargli un pugno.
«Almeno i miei amici sanno guidare» sbottò Clary. «Simon ha la patente.»
Jace si voltò immediatamente verso di lei. «Ah, davvero?»
Clary si morse le labbra. «Però non ha la macchina»
Alzò un sopracciglio. «Quindi usa quella dei suoi genitori?» Sfigato.
Clary sospirò e si lasciò cadere sullo schienale. «No. Di solito usa il furgone di Eric. Per i concerti eccetera. A volte Eric glielo presta, tipo se deve uscire con una.»
Jace sbuffò tetralmente . «Va a prendere le ragazze con un furgone? Non c'è da meravigliarsi che abbia tanto successo con le signore.» Jace immaginò Il mondano che ad un appuntamento si presentava in giacca e cravatta da funerale e furgone. Si morse un labbro per non ridere.
«È soltanto un'auto» disse Clary acida. Ma perché ci teneva così tanto a difenderlo? «Tu sei arrabbiato perché Simon ha qualcosa che tu non hai.»
«Ha molte cose che io non ho» rispose Jace. «Tipo la miopia, una postura penosa e un'incredibile mancanza di coordinazione.»
 E te.
«Lo sai» disse Clary con un sorriso. «che secondo molti psicologi l'ostilità è in realtà attrazione sessuale sublimata?»
«Ah!» Jace sorrise. «Questo potrebbe spiegare perché mi capita così spesso di incontrare delle persone che mi detestano.»
«Io non ti detesto» Disse Alec. Jace si voltò giusto in tempo per vederlo arrossire. Gli sorrise. Se non lo detestava almeno non lo avrebbe ucciso nel sonno. «È perché noi abbiamo un rapporto fraterno»
Si avvicinò alla scrivania e prese il telefono porgendolo a Clary. «Chiama.» disse secco.
«Chiama chi?» Sembrava essere nel mondo dei sogni. Le capitava spesso, Notò Jace. Gli sarebbe piaciuto sapere cosa le passava per la testa.
Sviò il pensiero. «Simon» disse . «Chiama Simon e chiedigli se ci porta in auto a casa tua.»  Avrebbe anche potuto farle fare il numero e chiamare lui, certo, ma mai nella vita si sarebbe permesso di chiedere qualcosa ad un mondano. Mai nella vita.
Clary abbassò lo sguardo sul telefono.  «Non conoscete nessun Cacciatore adulto che abbia la macchina?»
«A New York?» Sogghignò. «Senti, qualsiasi Cacciatore adulto ci farebbe consegnare la Coppa al Conclave nel momento stesso in cui dovessimo metterci sopra le mani. È questo che vuoi?»
Clary incrociò il suo sguardo per qualche secondo. Per l'angelo se voleva sapere perché  Clary non voleva chiamare quello stupido mondano! Di cosa aveva paura, che le chiudesse il telefono in faccia?
Alla fine Clary sospirò e gli strappò il telefono di mano. «Simon?» disse dopo un po'.
Jace osservò attentamente la conversazione tra Clary ed il suo amico. Nel suo sguardo c'era una grande angoscia, lo leggeva bene.
Perché? Perché si era pentita di averlo baciato e ora stava affrontando le conseguenze? Perché il mondano le aveva confessato la grande notizia che lui sapeva da un pezzo?
Jace cominciava a valutare l'idea di entrare in convento. Ci ripensò subito. In convento non poteva uccidere. Maledizione.
Clary adesso aveva un espressione più dolce, anche se ancora triste. «Grazie, Simon» disse. «Sei un...» si interruppe lasciandosi scivolare il telefono di mano con un nuovo sguardo sul viso.
 
 
Dopo la colazione più veloce della storia, Il gruppo si separò per andare a prepararsi alla battaglia.
Jace, concedendosi una pausa, si lasciò cadere per qualche minuto sulle lenzuola. Non aveva sonno, ed era troppo eccitato anche per essere stanco. Voleva solo respirare e calmarsi. Una specie di rituale prima di una battaglia.
Jace alzò le mani e le squadrò. Erano le mani di un ragazzo, certo. Ma erano anche le mani segnate da battaglie infinite. E quelle mani, da lì' a davvero poco tempo, avrebbero toccato la coppa mortale.
Proprio lui. Certo, era il migliore cacciatore della sua età, ma era questo il punto. Aveva 17 anni, non era neanche un adulto eppure avrebbe sfiorato qualcosa di cui aveva letto solo leggende.
Jace non credeva negli angeli. Non più, almeno. Suo padre ci aveva creduto, però.  Ogni volta che un Jace bambino ed innocente chiedeva al padre quando avrebbe visto un angelo, Suo padre gli sorrideva, gli scompigliava i capelli e gli diceva: Presto.
Sorrise amaro. Lui un angelo lo aveva visto. Lo aveva stretto fra le braccia. Aveva posato lelabbra, impure come quelle di un dannato, sulle sue.
Si gettò un cuscino sulla testa. Era proprio un idiota.
 
Dopo un dieci minuti buoni di doccia ed altri venti passati a decidere le armi da portare, Jace uscì dalla stanza armato di stilo.
Entrando in biblioteca si accorse praticamente subito che Clary non era ancora lì. Tanto meglio, non avrebbero dovuto fargli i  marchi. 
Izzy ed Alec si stavano facendo i marchi chiacchierando a voce così bassa che lui non potè sentirli.
Si appoggiò alla scrivania di Hodge e si tirò su le maniche. Fare i marchi con la mano sinistra fu familiare come bere un bicchiere d'acqua. Una likraz  per la mira. Una umer  per la vista. Una sigraf per la velocità. Non che Jace ne avesse bisogno, ovvio.
Sentì la porta aprirsi. Era Clary. La ignorò, o almeno ci provò.
Stava avendo problemi con l'Iratze sul braccio sinistro, quando sentì qualcuno che gli sfilava lo stilo dalle mani. «Stai facendo un casino» disse Alec. «Ci penso io.»
«Sono mancino» si giustificò Jace senza troppa enfasi. Era sollevato. Alec non lo odiava a morte. Certo, ancora gli mandava occhiate d'odio, però non lo aveva pugnalato con lo stilo.
Alzò lo sguardo verso Clary che li stava guardando curiosa. «È un Iratze di base» disse sentendo la familiare bruciatura dello stilo sulla pelle. Era un dolore familiare per un cacciatore quanto per un mondano poteva esserlo perdere un dente, o per un vampiro i morsi della fame. Jace digrignò i denti.  «Per l'Angelo, Alec...» Forse un po' troppo familiare.
«Sto cercando di fare attenzione» Disse Alec seccato. Lasciò il suo braccio facendo un passo indietro per ammirare l'operato. «Ecco.»
Lentamente gli tornò la sensibilità al braccio e alla mano. «Grazie.» Si voltò verso la ragazza che ancora lo guardava.
Clary non parlava poi tanto spesso, quasi sempre stava in silenzio con lo sguardo perso in un mondo che per Jace era inconcepibile. Per la prima volta in tutta la sua vita voleva entrare in quel mondo. Voleva vedere le cose come faceva lei, vedersi con i suoi occhi.  «Clary.» disse.
La ragazza fece scorrere lo sguardo sui cacciatori presenti. «Sembrate pronti» disse.
Alec improvvisamente arrossì e si mise a trafficare con le frecce e l'arco come fosse la cosa più importante al mondo.  Jace aveva voglia di dargli un calcio.
«Lo siamo» disse invece a Clary. «Hai ancora quel pugnale che ti ho dato?»
Clary scosse i riccioli rossi. «No. L'ho perso al Dumort, ricordi?»
«Giusto.» sorrise al ricordo. «Ci hai quasi ucciso un licantropo, con quel pugnale, vero?»
Isabelle alzò gli occhi al cielo esasperata. «Mi ero dimenticata come ti fanno perdere la testa le ragazze che ammazzano i mostri, Jace.»
«Mi piace chiunque ammazzi i mostri» Specificò. «Soprattutto me stesso.»
Jace Sentì Clary sbuffare alle sue spalle «Dovremmo scendere. Simon sarà qui da un momento all'altro.»
Non sia mai che il mondano aspetti. Pensò Jace con un acido disprezzo.
Hodge si alzò in piedi. Jace lo guardò bene. Non poteva avere più di 50 anni, forse non superava i 45, eppure in quel momento gli sembrò infinitamente vecchio, come se sulle spalle ossute da dove Hugo li guardava divertito stesse reggendo il peso del mondo. «Possa l'Angelo vegliare su di voi» Disse strascicando piano piano le parole.
Lo scoccare del mezzogiorno diede loro il via.
 
Su quel coso Jace non ci sarebbe mai salito.
Quando Clary aveva parlato di un "Furgone" Jace aveva immaginato un mini pullman della Wolkswagen ornato da colori sgargianti come quelli che usavano gli Hippies negli anni 60, con i tappetini che puzzavano di canna da far schifo. Aveva sempre voluto un furgoncino del genere.
Ma quando Simon-il-topo si era fermato davanti al portone dell'istituto con una specie di banana gigante di metallo, Jace dovette reprimere il senso di vomito. Praticamente non c'era una sola parte che non fosse ammaccata, Il giallo banana con cui era verniciata lasciava spazio solo alla ruggine che a poco a poco divorava la… si poteva definire "Vettura"?
«Quello è il furgone? Sembra una banana mezza marcia.» Esclamò non potendo trattenersi.
Per tutta risposta Il mondano tirò fuori la testa dalla banana e li guardò scocciato lavandosi tutti i capelli color fango. «Andiamo.»
Mentre si avvicinavano Jace valutò l'idea di andare a piedi. Da vicino sembrava anche peggio, ma si sarebbe rovinato i capelli a stare sotto la pioggia ghiacciata e leggermente acida di New York. Quindi fece buon viso a cattivo gioco e tentò di non vomitare sui tappetini color… vomito.
Il mondano scivolò sul retro ed aprì loro la portiera, sul loro sedile spuntavano molle dall'aria minacciosa grandi quanto un braccio di Clary. Izzy fece una smorfia.  «È sicuro sedersi?»
«Più sicuro che farsi legare al tetto» disse e Jace capì che non stava scherzando «che è l'altra possibilità che avete.» Si mostrò molto più maturo di lui quando lo salutò con un cenno della testa. Lui avrebbe voluto staccargliela. «Ehi.» disse.
«Ehi» rispose Jace di rimando. Sollevò la borsa con le armi tintinnante. «Questa dove la posso mettere?»
Simon gli indicò il cofano sul retro ed andò ad aprirlo. Tentò di ignorare le occhiate velenose che gli mandava, non facevano altro che peggiorare il suo malumore.
«Copilota!» urlò Clary attaccandosi alla portiera del passeggero. Jace alzò gli occhi al cielo.
Alec la guardò di traverso. «Cosa?»
Jace scosse la testa bionda togliendosi i ciuffi dagli occhi. «Intende dire che vuole sedersi davanti» Cominciava a decifrare il linguaggio dei mondani. La cosa gli faceva paura.
«Bell'arco» disse Simon facendo un cenno all'enorme arco di Quercia di Alec. Il cacciatore sgranò di poco gli occhi e accarezzò quasi gelosamente il legno della prima arma che il padre gli aveva regalato quasi 3 anni prima. Jace ricordava perfettamente un Alec quindicenne che con grandissimo sorriso stringeva un arco che era più alto di lui.
«Sei un esperto di tiro con l'arco?» chiese Alec. Ne dubitava, beh, lo faceva anche lui.
«Ho fatto tiro con l'arco in colonia» disse Simon. «Sei anni di fila.»
Tutti i cacciatori lo guardarono attoniti. Clary sorrise al suo amico.
E per tutta risposta lui la ignorò contemplando il cielo color fumo. «Dovremmo andare, prima che ricominci a piovere a dirotto.»
E il gruppo più strano che si sia mai visto composto da 3 Nephilim esperti, una cacciatrice senza memoria senza addestramento ed un mondano con gli occhiali a bordo di una banana marcia di metallo arrugginito, diretti a recuperare la coppa dell'angelo.
Solo Jace ne vedeva l'ironia?
«Spero di non combattere.» Disse Izzy. «Ho gli stivali nuovi.»
Alec le lanciò un occhiataccia. «Non dirai sul serio.»
Izzy gli sorrise. «Conoscerai un modo per non sporcare i miei stivali firmati vero?»
Jace alzò gli occhi al cielo e diresse la sua attenzione altrove. Ovvero a Clary.
Stava parlando con Simon, non aveva un tono molto allegro. «La faccenda dell'"ehi" che fate sempre voi maschi. Tipo quando hai vi-sto Jace e Alec, tu hai detto "ehi" e loro hanno risposto "ehi". Cosa c'è che non va nel "ehi"?» stava dicendo.
Jace si morse un labbro per non scoppiare a ridere. Certo che le ragazze erano proprio assurde.
«"Ehi" è da ragazze» la informò lui. «I veri uomini sono secchi. Laconici.» Jace si stupì che sapesse una parola complessa come "Laconici". Ci pensò su. In effetti però non è che lui parlasse poi molto. Solo con Clary si dilungava in conversazione che valesse la pena sostenere. Chissà perché ma con Clary tutto valeva la pena di essere compiuto.
«Per cui più sei uomo e meno dici?» chiese la ragazza.
Il mondano annuì. «Già.»  disse. «È per questo che quando i tipi più strafighi si incontrano nei film non dicono niente, fanno solo un cenno con la testa che vuol dire: "Io sono uno strafigo e riconosco che anche tu sei uno strafigo". Ma non dicono niente perché sono Wolverine e Magneto, e dare spiegazioni gli rovinerebbe il personaggio.»
Jace non potè più trattenersi. «Non ho la minima idea di quello che stai dicendo»
Clary volse lo sguardo verso di lui. «Bene» disse.
Jace sgranò di poco gli occhi.  Cominciava a odiare di sentirsi ferito.  E cominciava a detestare di sentirsi debole con lei.
 
Jace fu più che felice di scendere da quel trabiccolo e allontanarsi  da Clary per un po' con la scusa di controllare le presenze demoniache. Jace non era il tipo di persona che non scappava di fronte a niente. Ma Jace adesso era una persona diversa e lo sapeva bene.
Izzy era andata a controllare le frequenze sul retro, quindi Alec e Jace erano soli con gli occhi puntati sul sensore.
«Jace» disse Alec. Piazzandosi di fronte a lui. «A proposito di ieri..»
Jace scosse una mano, non aveva voglia né di scuse né di chiedere scusa. «Finiamo questa cosa, Alec.»
Vide perfettamente il lampo di dolore negli occhi del fratello. Ma scosse la testa  e sorrise freddo. «Bene.» andò da Izzy lasciandolo solo.
Jace si voltò verso il furgone. Clary era stravaccata sul furgone con Simon accanto. Jace gli invidiava quella naturalezza con cui parlava con lei. Sembrava perfettamente a suo agio come se stare con Clary fosse per lui familiare come respirare. Jace si sentiva sempre nervoso con lei, anche se non lo avrebbe mai ammesso. C'era complicità nel loro sguardo, come se le loro anime fossero cucite insieme.
Non ce la faceva a starli a guardare. Si incamminò verso di loro. «Tutto a posto» urlò attirando l'attenzione dei due mondani. Clary arrossì leggermente. «Abbiamo controllato ogni angolo della casa... niente. Attività bassa. Probabilmente solo Dimenticati, che potrebbero anche non darci fastidio se non saliamo al piano di sopra.»
«E se dovessero farlo» Izzy comparve alle sue spalle con la frusta scintillante in una mano ed un sorriso da folle. «saremo pronti a riceverli.»
Alec andò sul retro a prendere la borsa di tela pesante in cui teneva le armi. «Pronti» annunciò gettandola a terra. «Andiamo a spaccare la faccia a qualche demone!»
Jace lo guardò di traverso. Chi era quello e cosa ne aveva fatto di suo fratello? «Tutto a posto?»
«Sì.» Non lo guardava negli occhi ma tentava di aggiustare il polsino di pelle slacciato.
Jace gli si avvicinò. «Aspetta, ti aiuto io...» Ma Alec usò i riflessi da cacciatore per allontanarsi come se lui volesse gettarlo nell'acido. «Faccio da solo.» disse.
Il cacciatore lasciò cadere le mani sui fianchi, ma non disse nulla. Non aveva idea di cosa dire. A parte ripetersi che era un fottutissimo idiota. Si allacciò le armi con occhi bassi, facendo scivolare piano le spade angeliche nelle polsiere, pugnali ad ogni appiglio, un paio di Chakram  infilati nella cintura. Sentiva il peso familiare sbattere contro la sua pelle mentre camminava.
Un diciassettenne dovrebbe sentire il peso di un lettore mp3 familiare, non i pugnali.
«Questa andrà meglio.» La voce di Alec lo portò alla realtà. Stringeva in mano una picca di legno lucido da cui uscivano due lame scintillanti e affilate capaci di sventrare un demone Iblis. 
Izzy lo guardo preoccupata. «Ma l'arco...»
«So quello che faccio, Isabelle.» Rispose Alec secco
Non lascerebbe mai l'arco senza una ragione. Realizzò Jace. Lanciò uno sguardo al mondano che guardava l'arco sbavando. Sorrise al fratello senza dire una parola. Un piano di riserva, Alec?
Simon si avvicinò all'arco. «Un arco del genere deve costare parecchio.» Si allontanò di scatto guardando un punto lontano da loro, verso due mondane.  «Com'è che io vi posso vedere?» chiese. «Cosa è successo al vostro incantesimo di invisibilità?»
Jace guardò le due mondane coi passeggini. La loro massima avventura quel giorno sarebbe stato badare a dei bambini, non recuperare un oggetto di valore inestimabile lasciato in eredità da un angelo. Per un secondo, solo un secondo, Jace invidiò la loro cecità. Solo per un secondo, avrebbe voluto non vederli nemmeno lui. Era così che si sentiva Clary?
«Tu ci puoi vedere» spiegò. «perché ora conosci la verità di ciò che stai guardando.»
«Già» sospirò Simon. «Mi sa che è proprio così.»
Fece i capricci come un moccioso, ma alla fine rimase da bravo nel furgone ad aspettarli. Jace gli aveva impallato la scusa della necessità di un mezzo di trasporto pronto. Non che non fosse vero, ma non lo voleva tra i piedi.
L'odore di morte lo inebriò dal momento stesso in cui entrarono nell'androne. I suoi compagni non ne sembravano altrettanto entusiasti dato il colore di cui erano diventati.
«I demoni sono stati qui» disse gongolante di piacere. «E anche di recente.»
Clary lo guardò ansiosa. «Ma non sono più...»
«No.» Scosse il capo smontato. «Li avremmo rilevati. Ma...» indicò l'appartamento di Dorothea dove il fumo d'incenso usciva lento e denso dalla porta semichiusa.  «Lei potrebbe dover rispondere a qualche domanda se il Conclave venisse a sapere che riceve dei demoni.»
«Credo che il Conclave non sarà molto contento di tutta questa faccenda» disse Isabelle. «E magari, alla fine, lei ne uscirà meglio di noi.»
Jace alzò gli occhi al cielo. Al diavolo. Le regole esistono per essere infrante.
«Se riusciremo a mettere le mani sulla Coppa non avranno niente da ridire.» disse Alec sorprendendolo. I suoi gelidi occhi azzurri stavano esaminando le macchie di sangue rappreso nell'appartamento. Immagina Clary ferita lì. Jace ebbe un brivido. No, Alec non era fatto così. «Soprattutto se già che ci siamo massacriamo un po' di Dimenticati.»
Scosse la testa. «Sono al piano di sopra. Credo che se non entriamo nell'appartamento di Clary non ci daranno fastidio.»
Izzy sbuffò scuotendo la cascata di capelli neri. «Cosa stai aspettando?» chiese a Clary.
Per quale diavolo di motivo Clary lo guardò, spaventata? Voleva supporto? Voleva essere consolata? Voleva che la aiutasse?
Jace le sorrise cercando di essere incoraggiante.
E Clary entrò nell'appartamento inondando il piccolo pianerottolo di luce giallastra. Dorothea le si gettò subito tra le braccia come se non la vedesse da secoli. Poi ricordò che l'ultima volta che l'aveva vista Clary era sparita nel portale. «Clary!» esclamò la vecchia mezza-strega. Izzy fece una risatina alle sue spalle. «Siamo sicuri che non se la sia mangiata, la coppa?» sussurrò. Jace ed Alec ridacchiarono.
«Santo cielo»  disse la vecchia scuotendo la testa che risuonò come fosse piena di campanelle. «L'ultima volta che ti ho visto stavi scomparendo nel mio Portale. Dove sei finita?»
«Williamsburg» disse Clary riprendendo aria. Jace sentì le occhiatacce dei suoi fratelli sulla schiena. Questo particolare lo aveva omesso, forse.
Dorothea fece una risatina roca. «E poi dicono che a Brooklyn i trasporti pubblici non sono efficienti.» spalancò la porta facendogli cenno di entrare.
L'appartamento non era cambiato di una virgola, anche se gli occhi di Jace continuavano a cercare le carte. Dorothea li condusse nel salotto dove avevano preso il tè con Clary. La ragazza si sedette sulla poltroncina imitando Dorothea che era stravaccata sulla poltrona.«Immagino che non abbiate an-cora trovato tua madre» disse.
Clary scosse la testa ed un espressione triste le si dipinse sul volto. «No. Ma so chi l'ha rapita.»
Jace si appoggiò al bracciolo della poltrona di Clary mentre Dorothea scoccava occhiate velenose ad Alec ed Izzy che stavano ammirando le sue chincaglierie.
«È stato...?» chiese balbettando.
 «Valentine» disse secca Clary.«Sì.»
Dorothea sospirò. «Lo temevo. Sai cosa vuole da lei?»
«So che sono stati sposati...» cominciò Clary ma Dorothea la interruppe subito liquidando le sue parole. «Un amore sbagliato. Il peggiore.»
Jace rise.
Amore?
Dorothea lo guardò storto. «Cosa c'è di così divertente, ragazzo?»
«E tu cosa ne sai?» chiese asciugandosi le lacrime agli occhi. «Dell'amore, dico.»
Dorothea gli lanciò un occhiata che lo trapassò da parte. Forse non avrebbe dovuto farlo. «Più di quanto tu pensi» rispose tranquilla. «Non ti avevo letto le foglie del tè, Cacciatore? Ti sei già innamorato della persona sbagliata?»
No, e non accadrà mai. Solo illusioni, soltanto questo.
«Purtroppo, Signora del Rifugio, il mio unico vero amore resto io stesso.» disse.
Dorothea rise.«Almeno non ti devi preoccupare di essere respinto, Jace Wayland.»
«Non necessariamente. A volte mi dico di no, tanto per non farmi perdere interesse.» annuì tutto serio.
E Dorothea rise di nuovo di gusto. Jace pensò se non fosse stata una donna l'avrebbe presa a schiaffi volentieri.
Grazie al cielo Clary la interruppe. «Probabilmente si sta chiedendo perché siamo qui, Madame Dorothea.»
Gli occhi di Dorothea scintillarono di malizia. «Ti prego» disse «di chiamarmi con il titolo che mi spetta. Puoi chiamarmi Signora. E pensavo che foste venuti per il piacere della mia compagnia» aggiunse. «Mi sbagliavo?»
Ci mancò poco che Jace non svenisse a terra dal ridere.
«Non ho tempo per il piacere della compagnia di nessuno. Devo aiutare mia madre, e per farlo mi serve qualcosa.» Clary era seria come un infarto, nonostante tutto.
«E sarebbe?» Se lei non sa cos'è la coppa mortale io sono un divoratore.
«È una cosa chiamata Coppa Mortale» disse Clary che evidentemente non capiva che Dorothea la prendeva per i fondelli. «Valentine pensava che l'avesse mia madre. È per questo che l'ha rapita.»
Sgranò gli occhi per la finta sorpresa. «La Coppa dell'Angelo?» chiese. «La Coppa di Raziel, in cui l'Angelo mescolò il sangue degli angeli e quello dei demoni e diede questo composto da bere a un uomo e creò il primo Cacciatore?»
Jace grugnì. «Proprio lei»
«E perché diavolo dovrebbe avercela lei?» chiese Dorothea. «Proprio Jocelyn?» non diede neanche a Clary il tempo di rispondere. «Perché non era affatto Jocelyn Fray, naturalmente» disse. «Era Jocelyn Fairchild, sua moglie, che tutti credevano morta. Aveva preso la Coppa ed era fuggita, non è così?» abbassò la testa ridendo sommessamente. «Così» continuò. «adesso sapete cosa fare? Ovunque l'abbia nascosta, non sarà facile trovarla... se pure volete trovarla. Valentine potrebbe fare delle cose terribili se mettesse le mani sulla Coppa.»
«Voglio che sia ritrovata» disse Clary. «Noi vogliamo...»
Adesso basta. «Noi sappiamo dov'è» disse Jace. «Adesso si tratta solo di recuperarla.»
Dorothea sgranò gli occhi. Stavolta è sincera. «Be', e dove sarebbe?»
«Qui» rispose lui tranquillamente.
«Qui? Vuoi dire che l'avete con voi?»
«Non proprio, cara signora» fece Jace. Si stava godendo la situazione, finalmente. «Voglio dire che ce l'ha lei.»
Dorothea si fece acida all'istante. Chiuse la bocca spalancata e lo fulminò con lo sguardo. «Non è divertente» disse secca.
«Ce l'ha davvero lei» Disse Clary svelta, evidentemente voleva sedare la piccola faida tra lui e Dorothea. «Ma non...»
Ma Dorothea la interruppe alzandosi dalla poltrona e guardandola minacciosa dalla sua imponente altezza. «Vi sbagliate» disse gelida. «Sia a immaginare che io abbia la Coppa sia a osare venire qui a darmi della bugiarda.»
Sia la mano di Jace sia Quella di Alec corsero alle armi. «Oh, cavoli» sentì sussurrare al suo amico.
Clary scosse il capo. La sua tranquillità cominciava a vacillare. «Non le sto dando della bugiarda, glielo assicuro. Sto dicendo che la Coppa è qui, ma lei non lo ha mai saputo.»
Dorothea piantò i suoi gelidi occhi scuri su Clary. «Spiegati.»
«Sto dicendo che mia madre l'ha nascosta qui» disse Clary. «Anni fa. A lei non l'ha mai detto perché non voleva coinvolgerla.»
Jace le invidiò la calma. Se Dorothea fosse stata una vera strega Clary sarebbe stata incenerita là dov'era.
«Così gliel'ha data travestita da regalo» aggiunse poi Jace.
Dorothea  lo fissò con lo sguardo vacuo.
«Il mazzo dei tarocchi» disse Clary. «Le carte che ha dipinto per lei.»
E le carte erano lì. Posate ordinate sopra un involucro rivestito di seta rossa come il sangue. Chissà se Raziel aveva immaginato questo quando l'aveva donata a Jonathan Shadowhunters. Jace sentì Alec ed Isabelle avvicinarsi mentre Clary prendeva delicatamente il mazzo di carte. Le sfogliò delicatamente, una ad una. Quando trovò quella che cercava la tolse dal mazzo e la tenne stretta delicatamente tra due dita. Jace trattenne il respiro. Quell'immagine l'aveva vista milioni e milioni di volte. Raffigurata negli istituti di New York, Parigi, Londra, Berlino, Il Cairo.
Ad Idris.
La coppa Mortale. Ne era assolutamente certo.
Anche Alec tratteneva il respiro accanto a lui. Jace si rese conto che solo adesso aveva cominciato a crederci.
«Jace» disse Clary senza staccare lo sguardo dalla carta. «Dammi il tuo stilo.»
Lentamente sfilò lo stilo dalla cintura e glielo porse. Le loro dita si sfiorarono per qualche secondo trasmettendogli l'elettrica eccitazione che la ragazza provava in quel momento.
Clary pose lo stilo sulla carta e Delicatamente tracciò la runa già disegnata su di essa. Piccole aggiunte resero la runa chiara come il sole agli occhi dei cacciatori: Parlava di libertà e di liberazione.
Le manine di Clary si alzarono tremanti chiudendosi delicatamente intorno al gambo dorato della coppa. Jace notò che le dita dentro la carta tremolavano come fossero immerse nell'acqua.
E con forza Clary strappò via la coppa mortale dalla sua prigione, lasciando che le ceneri coronassero quel momento. 

 

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Capitolo 19
*** Memories. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo XVIII; Memories

 
«Cos'è quella, Padre?»  Indicò nel quadro una specie di bicchiere di metallo.
L'uomo gli si avvicinò stringendogli forte la spalla, tanto forte che gli fece male. «La nostra unica salvezza.»

 
Il silenzio nel salotto di Madame Dorothea era talmente denso che si poteva tagliare con un coltello. Non una parola, non un sospiro. Solo 5 paia di sguardi puntati sulla piccola coppa stretta tra le mani di Clary delle dimensioni di un bicchiere da cucina. Eppure anche da quella distanza Jace sentiva il potere e la forza che emanava. Come se Clary tra le mani stesse tenendo un minuscolo sole.
Jace alzò un sopracciglio. «Però, pensavo fosse più grande.»
Clary si rigirò la coppa tra le mani accigliata. «Va benissimo così»
«Oh, sì, è grande abbastanza» disse seccato. «ma in qualche modo mi aspettavo qualcosa... sai...» con le mani indicò più o meno le dimensioni di Church.
«È la Coppa Mortale, Jace, non la Tazza del Cesso Mortale» disse Izzy zittendolo. «Abbiamo finito qui? Possiamo andare?»
Dorothea aveva la testa leggermente inclinata e guardava la coppa come Church guardava i topi. Con gli occhi luccicanti di Malizia. «Ma è rotta!» esclamò. «Come è successo?»
«Rotta?» chiese Clary con voce strozzata. Tutti guardarono di nuovo la coppa. A loro sembrava a posto. Jace fissò Dorothea. Non gli piaceva quello sguardo, per niente.
«Dammela» Dorothea  alzandosi allungò le mani voraci verso la coppa. «Ti faccio vedere»
Jace era già pronto a tirar via la coppa dalle mani di Clary ma la ragazza si ritrasse da sola. Jace si mise tra Dorothea e la coppa. Tra Dorothea e Clary. La mano già pronta sulla spada angelica alla cintura.
«Senza offesa» disse con voce controllata. «ma nessuno tocca la Coppa Mortale a parte noi.»
Dorothea lo guardò per un secondo, solo un secondo. Jace riconobbe la scintilla dipuro odio nei suoi occhi. L'aveva vista così tante volte che era impossibile contarle. Appoggiò la mano sull'elsa della spada.
«Cerchiamo di non farci prendere dalla fretta» disse la mezza strega. «Valentine non sarebbe contento se dovesse accadere qualcosa alla Coppa.»
«Valentine?» disse Alec allarmato. «Ma...»
Prima che qualcuno potesse dire qualsiasi cosa Jace estrasse la spada e la puntò dritta sulla giugulare di Dorothea. I suoi occhi scintillavano d'odio. «Non so cosa stia succedendo» disse. «Ma noi ce ne andiamo.»
«Ma certo, mio piccolo Cacciatore» arretrò piano verso la parete. «Vuoi usare il Portale?»
La mano di Jace tremò leggermente. Cosa diavolo ha in mente?  Dorothea si stava avvicinando lentamente alla tenda di velluto rosso che copriva il portale.
Poi capì. Ecco perché il sensore era totalmente piatto. Ecco perché mentiva sulla coppa. Era stato questo il suo piano, sin dall'inizio. «Non lo tocchi...»
Dorothea fece una risata bassa che sembrava provenire dall'inferno. «Benissimo» disse. Si catapultò verso le tende color sangue e le strappò via scoprendo il portale. Jace vide oltre le porta aperta l'inferno in terra. Gli ricordò uno dei quadri che suo padre aveva appesi nel suo studio. In cui gli era proibito entrare, del resto. Sudò freddo. Sentì Alec trattenere il fiato. «E quello cos'è?»
Dalla porta scura una forma nera come la notte si fece avanti entrando nella stanza.
Clary
Per l'angelo, Clary!

«Tutti a terra!» gridò a squarciagola. Si gettò a terra facendo da scudo a lei con il suo corpo. Clary, sotto di lui tremava come una foglia. Sentiva il suo piccolo cuoricino battere con violenza contro la sua cassa toracica. La sentiva piccola sotto di lui, ma vedeva che tra le mani stringeva ancora salda la coppa mortale. Non vedeva niente se non il pavimento pieno di fuliggine, ma sentiva urla strazianti provenire da Dorothea,e la puzza di morte che avvolgeva ogni cosa.
Jace si girò. La cosa nera era un demone enorme, che Jace non aveva mai visto prima. I suoi occhi avevano lo stesso sguardo di Dorothea di poco prima. Odio puro.
«Mi dispiace» sussurrò a Clary. Ma lei non sembrò sentirlo. Si girò verso Alec che strisciava verso Isabelle con gli occhi puntati su di lui.  «Ma avevi detto che non c'era molta attività demoniaca... avevi detto che i livelli erano bassi!»
«Erano bassi» sibilò Jace.
«La tua idea di basso è molto diversa dalla mia, allora!» urlò Alec.
Jace si alzò piano e prese Clary con lei. Isabelle ed Alec si alzarono piano.
Il Demone nero aveva avvolto Dorothea, che urlava come una forsennata. In un misto di urla ed agonia il Demone si formò completamente.  Era più alto di tre volte Jace, non si capiva dove iniziasse e dove finisse. La testa ricordava vagamente uno scheletro senza occhi né naso, gli artigli erano così lunghi ed affilati che avrebbero potuto tagliare in due la casa.
 
Jace cadde a terra, in lacrime. Era spaventato come mai in tutta la sua vita. Si rannicchiò portandosi le ginocchia al petto, si coprì la testa con le braccia e pianse lacrime di paura. Non era pronto a tutto questo. Non era all'altezza delle aspettative di suo padre. Non era un guerriero, era solo un bambino di sei anni.
Un liquido viscido e puzzolente lo bagnò da capo a piedi, ma non aprì neanche gli occhi.
All'improvviso una mano lo alzò da terra, non cercò neanche di divincolarsi, conosceva quella presa ferrea e dolorosa. Anche fin troppo bene.
«Sei un Nephilim, Jonathan. Purificare il mondo sarà il tuo unico scopo per tutta la vita.» lo gettò a terra di malagrazia. Jace si morse la lingua ed il sangue inondò, caldo e ferroso, la sua bocca. «Questo era solo il primo demone dei milioni che incontrerai. Impugna la spada e combatti. Altrimenti non sopravvivrai a lungo.»

 
La stanza era un campo di guerra. I resti di quella che era stata Dorothea erano sparsi per tutto il salone, Jace fu quasi contento di essersi tolto di torno quella megera.
Alzò lo sguardo verso il demone e si sentì di nuovo un bambino, piccolo ed insignificante davanti ad un mostro più grande di lui.
Guardò Clary al suo fianco. Era sbiancata dalla paura, ma stringeva ancora forte la coppa. Tanto che le nocche erano bianche come il latte.
Devo proteggerla. Se le fa del male gli farò ingoiare il sole. Riprese fiato.
La creatura sibilò minacciosa e strisciò verso di loro. «Datemi la Coppa Mortale» disse. Solo la voce fece risvegliare il bambino in lacrime. «Datemela e vi lascerò vivere.»
Jace non si lasciò impaurire, non con Clary al fianco. «Che cosa sei?» La sua voce era normale e seria, il solo pensiero che lei potesse essere ferita aveva cancellato la paura.
Il demone inclinò il capo e li studiò con interesse con i suoi occhi vuoti. «Io sono Abbadon. Io sono il Demone degli Abissi. Miei sono gli spazi deserti tra i mondi. Mio è il vento e l'ululante tenebra. Io sono differente da quelle cose miagolanti che voi chiamate demoni quanto un'aquila è diversa da una mosca. Non potete sperare di sconfiggermi. Datemi la Coppa o morirete.»
Jace sentì la frusta di Isabelle schioccarsi sul pavimento di marmo, non distogliendo gli occhi dalla creatura. «È un Demone Superiore» disse terrorizzata.  «Jace, se noi...»
«E Dorothea?» Chiese Clary. facendosi strada, guardò Abbadon dritto dove ci sarebbero dovuti essere gli occhi.  «Cosa le è successo?»
Abbadon la degnò di uno sguardo.  «Lei era solo un vettore. Ha aperto il Portale e io ho preso possesso di lei. La sua morte è stata veloce.» Le fiammelle dei suoi occhi si incendiarono puntandosi sulla piccola coppa stretta tra le mani della ragazza. «La vostra non lo sarà.»
Abbadon cominciò a muoversi verso di Clary che era immobilizzata dalla paura. Jace fu più veloce del suono e le si piazzò davanti brandendo l'immensa spada splendente tra le mani. «Per l'Angelo» sibilò non potendo trattenersi. «Sapevo che i Demoni Superiori erano brutti, ma nessuno mi aveva mai parlato della puzza.»
Il demone lo guardò con odio. Tirò fuori la grande lingua nera e sibilò come un serpente velenoso. I denti erano enormi e viscidi, affilati come le spade angeliche. «Tu osi...»
Ma Jace non aveva finito. Nella vita aveva imparato a sopprimere ogni emozione con il sarcasmo. «Ma in realtà» proseguì. «non posso dare a te la colpa del tuo aspetto. La colpa è di tua madre, del troll e del barista...»
Forse prendere in giro un demone superiore non era poi una così grande idea. Il mostro senza umorismo spalancò le fauci e si gettò contro di lui per ingoiarlo intero. Jace si chiese per un istante se la sua bava gli avrebbe rovinato i capelli. Estrasse due spade dal fodero più in fretta che potè e le pianto dritte dell'addome carnoso del Demone facendolo urlare di dolore. Quell'urlo straziante sembrava provenire dall'Inferno stesso.
Jace non vide nemmeno l'enorme zamba nera di Abbadon quando se la ritrovò addosso facendolo schiantare contro il muro. IlCrack che fecero le sue ossa non fu di buon auspicio ma si mise comunque subito in piedi con il braccio che urlava dolore.
Finalmente qualcuno si decise a muoversi. Isabelle si sovrappose tra Clary ed il demone brandendo la frusta scintillante quasi quanto il suo sorriso. Con un forte schiocco la frusta lasciò un taglio dritto e profondo nel ventre di Abbadon ma il demone non sembrò neanche accorgersene. Qualcosa gli diceva che non gli aveva perdonato le battute sulla madre. Certo che i demoni erano permalosi.
Estrasse con la mano dolorante un'altra spada angelica dal fodero. «Caliel» sussurrò cauto. La lama si illuminò di colpo accecandolo alla debole oscurità della sala.
Il Demone era sempre più vicino con lo sguardo che parlava di morte. Eppure Jace sorrideva, non poteva farne a meno. La lotta per la sopravvivenza, l'adrenalina sparata a mille fino al suo cervello, il cuore che batteva come un pazzo. Era la sensazione più bella del mondo.
Quasi la più bella.
Abbadon alzò l'ingente zampa nera  i cui artigli soli erano alti quanto lui. Jace si sentì piccolo come una formica.
E' finita.  pensò per un secondo. Ma non si arrese. E nemmeno Izzy che continuava a sparpagliare il sangue di Abbadon sul pavimento con la frusta.
Un colpo lo prese in pieno al centro del petto facendolo barcollare all'indietro. Solo che non erano stati gli artigli di Abbadon.
Era Alec.
 
«Non riesci a dormire?»
La piccola stanza venne avvolta dalla luce. Jace era seduto sul letto, le ginocchia strette al petto come se potessero sostituire l'abbraccio di suo padre.
Scosse la testa senza neanche alzare lo sguardo. «A te che importa?»
Alexander si sedette sul letto accanto a lui.«Ricordi? Adesso siamo fratelli. Certo che mi importa di te.»
 Jace alzò di scatto la testa. Lui sorrideva, gli occhi azzurri avevano una strana luce che fece scattare qualcosa dentro di lui. Si gettò tra le braccia del fratello e pianse. Pianse tutta la sua tristezza. Pianse tutta la sua rabbia. Consapevole che per la prima volta nella sua vita qualcuno avrebbe asciugato le sue lacrime.

 
Jace rimase immobile lì dov'era.
Non riusciva a muovere un muscolo, non riusciva neanche a sbattere le palpebre. Poteva solo stare lì. In piedi. Con Caliel stretta in mano a fissare Alec a terra immobile. Accartocciato come una palla di carta usata. Com'era successo? Ricordava solo gli artigli di Abbadon, un lampo nero ed adesso Alec.
Solo un urlo riuscì a riportarlo alla realtà. Si voltò di scatto. Abbadon era a pochi centimetri da Clary brandendo gli artigli che poco prima avevano ferito suo fratello.
Lanciò la spada angelica che si conficcò con uno splendido urlo nella mano di Abbadon. C'era un'altra arma conficcata nel petto di Abbadon che Jace vide solo in quel momento. Era la picca di Alec, che aveva aperto un orrendo squarcio del petto nero e carnoso del demone facendo colare il sangue nero sul pavimento. 
Invocò un'altra spada e la conficcò sotto la Picca del fratello. Abbadon urlò. «Cacciatore» sibilò. «Pioverò piacere a ucciderti, a sentire scricchiolare le tue ossa come hanno fatto quelle del tuo amico...»
Fu come se quelle parole avessero fatto nascere un demone dentro di lui. Come quando aveva baciato Clary non ebbe più il possesso del suo corpo. Sapeva solo esattamente cosa fare.
Si aggrappò alla balaustra e si gettò con tutto il suo peso sul Demone che barcollò all'indietro. Con la mano sana strappò una spada angelica dal petto e la usò per arrampicarsi sulla schiena squamosa e viscida. Piantò le punte degli stivali sui fianchi per non cadere e con una rabbia cieca infilzò la schiena di Abbadon più e più volte. Il sangue gli stava facendo perdere l'equilibrio ma non gli importava. Le uniche cose che sentiva erano La voce di Izzy che chiamava il fratello e l'agonia di Abbadon.
Abbadon indietreggiò contro il muro con l'intenzione di ridurlo ad una frittella ma Jace si lanciò a terra cadendo in piedi davanti a Clary.  Sollevò la lama pronto a colpire ancora. Non aveva calcolato la velocità di un demone superiore. La mano di Abbadon gli finì addosso facendolo sbattere violentemente contro le scale.
Cominciava a non piacergli sentire le sue ossa scricchiolare. Sentì una forte pressione al collo, l'aria cominciava a venir meno e non riusciva a muoversi. Gli doleva la testa, ma forse era solo per la forte botta. Sentì Abbadon dire una delle solite minacce ma non lo capì neppure. Pensava solo ad una cosa, una soltanto. Riusciva a vederla chiaramente anche con gli occhi chiusi e la testa dolente. Chiara come se fosse davanti a lui in quel momento.
«Clary...» sussurrò. La gola gli doleva da impazzire. Dov'era finito il suo stilo? Perché era fermo a terra?
All'improvviso sentì un fracasso di vetro rotti come se una grossa palla fosse andata incontro ad una pila di bicchieri di vetro. La presa asfissiante sul suo collo sparì e Jace sentì di nuovo il sangue fluire al cervello. Si portò una mano alla gola. Percepì sulla pelle insanguinata il calore del sole e la luce ferì le sue palpebre chiuse.
Luce?
Aprì gli occhi. Il lucernario di Madame Dorothea era stato spaccato e la luce del sole inondava la stanza buia come se fosse un raggio di luce celeste.
Clary
La ragazza stava guardando sconvolta verso la porta. Il mondano era lì brandendo l'arco di Alec. Guardava Abbadon contorcersi e urlare come se non credesse davvero a quello che vedeva.
Le urla strazianti di Abbadon cessarono e le ceneri nere furono tutto ciò che rimase del demone degli Abissi.
 
Simon abbassò piano l'arco, come se si stesse svegliando da un sogno.
Jace tentò di alzarsi a sedere. Sentiva dolore in praticamente tutto il corpo. Cercava a tentoni il suo stilo quando sentì il piccolo corpicino di Clary accanto a sé, in ginocchio a pochi centimetri dal suo viso. «Jace...» sussurrò dolcemente. Per un attimo dimenticò ogni suo problema ed ogni casino. Dimenticò di essere stato quasi ucciso da un demone superiore e di essere stato salvato da un mondano. Si cullò soltanto nella dolcezza del suo respiro.
Si asciugò via il sangue dalla bocca. «Sto bene.» disse.
E poi si rese conto dei danni di Abbadon. Si sentì mancare l'aria e tossì violentemente come se i suoi polmoni volessero uscire dalla gola. Si sentì la mano bagnata e calda.
«Alec...» gemette.
«Il tuo stilo» Clary gli porse un piccolo gingillo luminescente tenuto stretto tra le sottili dita. «Prendilo e sistemati.»
Jace alzò lo sguardo sui suoi occhi.  Non credeva di aver mai visto un verde così intenso. Erano bellissimi, come lei. Avrebbe voluto alzare una mano e accarezzarle le guancie. Stringerla in un abbraccio e mormorarle che tutto sarebbe andato bene. Niente sarebbe andato bene per davvero, ma ci sperava. Era questa la più grande scoperta che aveva fatto Jace. Aveva scoperto che sperare in qualcosa di meglio, nel sentire qualcosa di più bello, di sentirsi pienamente felici, Era possibile.
E voleva dirle tutto questo, e posare una tacita promessa su quelle labbra, magari accarezzarle i capelli e farla ridere. Adorava la sua risata. Un'immagine si sovrappose nella sua testa a quella di Clary. Grandi occhi azzurri si sovrapposero a quelli verdi di lei. Ciuffi ribelli e neri gli fecero ricordare il suo posto nel mondo.
«Sto bene» disse brusco. La spostò di lato e si alzò in piedi, barcollante e con buona parte delle ossa doloranti.
Suo fratello era a terra, era sbracato in maniera innaturale con Izzy che gli teneva la testa sul grembo. Da lui non proveniva neanche il più debole sussurro. Jace si sentì il sangue diventare di ghiaccio. «Alec!» gridò.
Alec era steso a terra. Jace non credeva di averlo mai visto così pallido e cinereo. Era sporco di sangue; suo e di Abbadon. Jace si lasciò cadere sulle ginocchia incapace di fare niente se non stringergli una mano. «Alec?» sussurrò.
Il fantasma di un sorriso aleggiò sulle labbra di suo fratello. «Jace» Quasi non riconobbe la sua voce, tanto era bassa e spezzata.
Jace sorrise. «Sei uno stupido.»
«Lo so.»
«Se muori mi incazzerò sul serio.»  Strinse la presa sul polso già viscido di sangue.
Gli sembrò quasi di sentirlo ridere. «Benvenuto nel mio mondo.»
Jace mise una mano alla cintura ma lo stilo non era lì. «Clary!» urlò poi. «Portami il mio stilo.»
Clary gli corse incontro. Alec strinse il polso di Jace che gli fece male per le botte ricevute in precedenza. Guardava la ragazza con una strana luce negli occhi. Quasi come se non l'avesse mai vista prima. «L'ho...» iniziò a dire, piano e con voce roca. «L'ho ucciso?»
Jace fece una smorfia. «Tu...» balbettò.
«Sì» disse Clary. «È morto.»
Jace la guardò di sottecchi ma non disse nulla. O era mossa dalla pietà oppure era una persona migliore di quanto Jace avrebbe mai pensato.
Alec scoppiò a ridere. Anche se il petto doveva fargli male sul serio. Alzò due dita e sfiorò il viso del fratello come faceva lui quando Jace era convalescente. «No. Stai fermo» disse. «Non muoverti.»
Alec richiuse gli occhi tirando un sospiro. «Fai quello che devi» disse piano.
Jace vide la mano di Izzy porgergli uno stilo. «Tieni.»
Annuì e glielo strappò di mano e strappò la stoffa della T-shirt di Alec per tracciare la runa. Era pieno di feriti sanguinanti e lividi violacei che non avevano per niente un bell'aspetto. Jace strinse i denti e tracciò la runa che però spariva appena lo stilo si staccava dalla pelle. Riprovò più volte ma niente. Era come se lo tracciasse sull'acqua. «Maledizione!» urlò gettando lo stilo lontano.
«Cosa c'è?» Chiese Izzy. Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.
«Lo ha morso» sibilò Jace. «Ha del veleno di demone in circolo. I marchi non funzionano.» accarezzò ancora il volto del fratello, delicatamente. «Alec» disse «Riesci a sentirmi?»
Non rispose. Il petto che si alzava e si abbassava irregolare era l'unica cosa che lo mostrava vivo. Izzy abbracciò il fratello tenendolo stretto. Jace sentì i singhiozzi della ragazza come se Alec fosse già.. «Forse» sussurrò «potremmo...»
«Portarlo all'ospedale» La interruppe il mondano.  «Vi aiuto a trasportarlo fino al furgone. Sulla 7th Avenue c'è l'ospedale metodista...»
«Niente ospedali» disse Isabelle tra i singhiozzi. «Dobbiamo portarlo all'Istituto.»
«Ma...»
«In ospedale non saprebbero come curarlo» disse Jace. «È stato morso da un Demone Superiore. Nessun dottore mondano saprebbe guarire quelle ferite.»
«È già successo» disse Isabelle a nessuno in particolare
Simon annuì. «Va bene. Portiamolo al furgone.»
Il furgone era ancora lì. Jace non notò neanche lo schifo della vettura. Caricarono Alec sul sedile posteriore e accucciato sul sedile lo teneva stretto mentre Isabelle teneva la  testa sulle sue gambe. A Jace ricordò Maryse quando erano ammalati. Gli teneva la testa sul grembo mentre cantava una ninnananna. Simon aprì il motore e le portiere si chiusero con un sono schiocco.«Vai veloce, mondano» sibilò. «Corri come se avessi l'Inferno alle calcagna.»
Il mondano ubbidì.
 
Sfrecciavano veloci nelle strade di New York. Fuori dai finestrini le strade illuminate dalla luce solare correvano veloci rendendo quasi impossibile distinguere forme e colori.
Jace era ancora accucciato accanto ad Alec tenendolo stretto.  Questa volta non lo avrebbe lasciato solo per niente al mondo. Ma forse non meritava di stargli accanto. Doveva essere lui quello in fin di vita, D'altro canto il colpo degli artigli era diretto a lui. Perché Alec si era messo in mezzo? Perché ogni volta che si trovava in casini assurdi, Alec era sempre lì a salvarlo? Era possibile che potesse essere amato da qualcuno in quella maniera?
Amare vuol dire distruggere. Ed Alec era stato decisamente distrutto. Sia da Abbadon, sia dal suo stupido desiderio di essere il guerriero che suo padre voleva.
Sentiva vagamente le voci intorno a lui. «Simon... quello che hai fatto... è stato incredibile. Ti sei mosso così in fretta. Non pensavo che a un mondano potesse ve-nire in mente un'idea del genere.» Questa era Izzy.
«Vuoi dire di avere tirato al lucernario? Ci ho pensato dopo che eravate entrati. Stavo pensando al lucernario e al fatto che avevate detto che i demoni non possono stare alla luce diretta del sole. Quindi ci ho messo un po' a mettermi in azione. Ma non sentirti da meno» Questo era il mondano … Simon. «Quel lucernario se non sai che c'è non lo vedi nemmeno.»
Jace doveva la vita ad un mondano. Quel pensiero lo riempì di ..cosa? Disgusto? Debolezza? Suo padre si sarebbe fatto una bella risata nel saperlo. Eppure gli doveva la vita. «Ben fatto» disse, sorprendendo anche sé stesso.
Anche Simon sembrò sorpreso. «Allora, se non vi dispiace dirmelo... quella cosa, quel demone... da dove è arrivato?»
«Era Madame Dorothea» Rispose Clary. «Cioè, almeno in un certo senso, ecco.»
«Non è mai stata una fotomodella, ma non mi ricordavo che avesse quell'aspetto.»
«Credo fosse posseduta  Voleva che le dessi la Coppa. Poi ha aperto il Portale...» Clary tentennò.
«È stata una mossa intelligente» disse Jace sovrappensiero stringendo il polso dal fratello. «Il demone l'ha posseduta e poi ha nascosto la maggior parte della propria forma eterea poco fuori dal Portale, dove il sensore non poteva rilevarlo. Così siamo entrati aspettandoci di dover affrontare qualche Dimenticato e invece ci siamo trovati di fronte un Demone Superiore. Abbadon... uno degli Antichi. Il Signore dei Caduti.»
«Be', pare proprio che i Caduti dovranno imparare a cavarsela senza di lui» Simon girò di netto.
«Non è morto» disse Isabelle. «Credo che nessuno abbia mai ucciso un Demone Superiore. Li devi uccidere nella loro forma fisica ed eterea perché muoiano. Lo abbiamo solo fatto scappare.»
«Ah» disse Simon deluso. «E Madame Dorothea? Starà bene adesso che...»
Alec tossì sangue. Jace strinse la presa sul polso imprecando. «Perché non siamo ancora arrivati?» sibilò.
«Ci siamo. È solo che non voglio andare a sbattere contro un muro.» Quasi all'improvviso il furgone si fermò. Hodge era sull'ingresso dell'istituto con il viso che era la maschera della preoccupazione. Jace saltò giù dal furgoncino con Alec in braccio. Hodge aveva aperto la bocca per dire qualcosa ma l'espressione sul suo volto doveva averlo fermato. «Demone superiore. Veleno. Morso. Grande Idiota. ADESSO.» e detto questo si gettò in infermeria con Alec tra le braccia. Lo lasciò sul letto e gli sfilò i vestiti mentre Hodge preparava unguenti, tisane e aghi grossi quanto un suo dito. Jace accarezzò una guancia di Alec con due dita.  Neanche in quel momento riuscì a piangere. Si chiese se ci fosse davvero qualcosa di sbagliato in lui. Aveva uno sguardo così sereno anche se doveva soffrire molto.  Strinse forte la sua mano. «Ti ho detto che se muori mi incazzerò sul serio. Non dimenticarlo.»
Detto questo, uscì.
 
Jace si lasciò cadere per terra. Accanto a lui l'infermeria aperta lo teneva sveglio con le urla di Alec. Ma com'era successo?
La risposta gli arrivò dolorosa, ma chiara come il sole. Certe volte la verità ti si impone così forte che è impossibile non accettarla.
Voleva salvare lei. Le faceva da scudo con il suo corpo per proteggerla.
Ma che cosa gli era successo?
Si alzò in piedi e diede un pugno al muro fratturandosi le nocche. Non si era ancora fatto neanche un Iratze da quando erano tornati e non voleva. Un po' di dolore gli avrebbe fatto decisamente bene.
Hodge uscì fuori per un momento aggiornandolo sulle condizioni di Alec. Quando lo lasciò da solo strofinò forte gli occhi con le mani insanguinate ed un solo pensiero lo avvolse togliendogli il respiro.
E' Colpa mia.
Chiuse gli occhi.  Non sentiva più Alec urlare, segno che era stato sedato. L'immagine di suo padre comparì vivida dentro le sue palpebre. Suo padre che lo guardava sorridendo. Suo padre che lo picchiava. Ed il ventaglio di sangue rosso acceso. Se avesse impugnato una spada e li avesse affrontati, suo padre sarebbe ancora vivo. Oppure sarebbe morto come un guerriero. Non sarebbe diventato un diciassettenne spaventato che per una ragazza fa quasi uccidere il suo unico amico.
Un miagolare lo riportò alla realtà. Aprì gli occhi e davanti a lui Clary lo guardava come se lui fosse un bambino pronto a scoppiare in lacrime.  «Come sta?» chiese piano.
«Ha perso molto sangue. E il morso del demone gli ha messo in circolo un veleno, e dato che era un Demone Superiore, Hodge non è sicuro che gli antidoti che usa di solito funzioneranno.»
Sentì un tocco delicato sfioragli un braccio. «Jace...» sussurrò dolcemente. Jace si cullò per un secondo nella dolcezza di quella voce, ma la dura ed amara consapevolezza di non meritarla gli attanagliò lo stomaco.
Si ritrasse in fretta ignorando il dolore. «No.» disse secco.
«Non avrei mai voluto che succedesse qualcosa ad Alec. Mi dispiace.»
Lui alzò lo sguardo su di lei. Clary così dolce e premurosa si sentiva in colpa per una sua debolezza? Non poteva accettarlo. «Non è colpa tua» disse con tutta l'amarezza che provava. «È colpa mia.»
Clary spalancò gli occhi. Il mondo doveva essere meraviglioso visto da quegli occhi. «Tua? Jace, no...»
«E invece sì» disse secco. «Mea culpa. Mea maxima culpa.»
«Cosa vuol dire?»
«Mia colpa, Mia grandissima colpa. In latino.» Una ciocca di capelli le ricadde dolcemente sulla fronte. La spostò con delicatezza quasi assente. Non poteva permettersi di non vedere i suoi occhi. «Fa parte della liturgia della messa.»
«Forse non credo nel peccato» disse sovrappensiero. «Ma mi sento in colpa lo stesso. Noi Shadowhunters viviamo in base a un codice e quel codice non è flessibile. Onore, colpa, pena, sono tutte cose reali per noi, e non hanno nulla a che vedere con la religione, ma solo con chi siamo. Questo è quello che sono, Clary» disse disperatamente. Dirle quello che sentiva l'avrebbe fatto stare meglio, anche solo per un secondo. Ma aveva un bisogno disperato di sapere che lei lo capiva. Che lei poteva farlo sentire felice di nuovo.  «Sono un membro del Conclave. È nel mio sangue e nelle mie ossa. E allora dimmi, se sei così sicura che non è stata colpa mia, perché il primo pensiero che ho avuto quando ho visto Abbadon non è stato per i miei compagni ma per te?» Nascose la testa fra le mani. «Sapevo... sapevo... Alec si stava comportando in modo strano. Sapevo che c'era qualcosa che non andava. Ma riuscivo a pensare soltanto a te...» Sentì la fronte di Clary contro la sua, il suo alito dolce accarezzargli le mani e le labbra. «Se muore, sarà come se lo avessi ucciso io» continuò. «Ho lasciato morire mio padre e ora ho ucciso l'unico fratello che abbia mai avuto.»
«Non è vero» sussurrò lei.
«Sì.» Erano così vicini che Jace avrebbe potuto togliere le mani e darle un bacio. «Clary» disse mettendo nella voce tutto il panico, l'angoscia, la paura e la disperazione che lo attanagliavano. «Cosa mi sta succedendo?»
Qualcuno si schiarì la gola e che Jace conosceva lo faceva soltanto Hodge per attirare l'attenzione. Si voltarono entrambi verso il tutore. Sembrava quasi più vecchio del normale, l'abito elegante era macchiato da chiazze di ruggine.  «Ho fatto il possibile. Ora è sedato, non soffre, però...» Scosse il capo. «Devo contattare i Fratelli Silenti. Questo va al di là delle mie capacità.»
Jace si staccò da Clary con lentezza. «Quanto ci metteranno ad arrivare qui?»
«Non lo so.» Hodge si avviò verso la biblioteca quasi correndo. «Manderò subito Hugo, ma i Fratelli si spostano come e quando vogliono.»
«Ma per questo...» dovette faticare un po' per tenere il passo di Hodge. «Potrebbe morire.»
«Potrebbe, sì» rispose laconico Hodge.
La biblioteca era umida e odorava di pioggia, la quale continuava a cadere veloce sulle strade di New York. Hodge aprì una piccola lampada sul tavolo e la biblioteca fu inondata di luce. Prese carta e calamaio e si sedette sulla poltrona dietro la sua scrivania.  «È un peccato» disse . «Che non abbiate recuperato la Coppa. Credo che darebbe qualche conforto ad Alec e certamente alla sua...»
Jace assunse un espressione confusa.
 «Ma io l'ho recuperata, la Coppa» lo interruppe Clary . «Non glielo hai detto, Jace?»
Jace sbattè le palpebre. La coppa era l'ultimo dei suoi pensieri quando arrivarono.«Non c'è stato tempo... stavo portando di sopra Alec...»
Fu come se Hodge fosse stato paralizzato. Aveva smesso di scrivere, una mano era immobile sul foglio. Sembrava non respirasse nemmeno. «Avete la Coppa?»
«Sì.» disse Clary. Aprì la giacca ed estrasse la coppa dell'angelo dalla tasca interna. La potenza di quel piccolo oggetto che teneva tra le mani aveva abbagliato Jace più di quanto avesse fatto la lampada. «Eccola.» disse.
Il pennino scivolò dalle mani di Hodge finendo a terra in una chiazza di inchiostro. Hodge aveva gli occhi spalancati ed un espressione di terrore mista ad ammirazione sul volto. «Quella è la Coppa dell'Angelo?»
«Sì» cominciò Jace. «Era...»
«Adesso non importa» lo interruppe Hodge. Posò carta e pergamena sul tavolo e si avvicinò a lui stringendogli le spalle. I suoi occhi brillavano di follia.  «Jace Wayland, sai cos'hai fatto?»
Jace sbattè piano gli occhi. Non gli piaceva per niente quello sguardo. «Non capisco» disse.
L'alito di Hodge sibilò davanti a  lui. «Gli assomigli tantissimo.»
Che Hodge fosse impazzito? Non lo aveva mai sentito parlare così. Ne tantomeno guardarlo in quella maniera. «A chi?» chiese confuso.
«A tuo padre» disse. Non gli lasciò neanche il tempo di pensare a quello che aveva  detto. Sollevò lo sguardo su qualcosa alle sue spalle. Si staccò da Jace e gli diede le spalle accarezzando il legno vecchio della scrivania. «Hugin» gridò.
Ed il corvo volò in picchiata, puntando verso Clary.
 
Jace urlò il suo nome, Ma nessuno sembrava sentirlo. Hugo stava puntando i grossi ed affilati artigli su Clary. Corse verso di lei ma si trovò Hodge davanti.
Aveva in mano qualcosa che odorava di sangue.
«Mi fidavo di te» sibilò. E fu l'unica cosa che riuscì a fare, prima di sprofondare.
 
Il nulla era accecante.
Non riusciva a respirare. Ogni volta che ci provava dell'acqua inondava bollente i suoi polmoni, affogandolo nell'agonia.
Aria.
 Dove diavolo è finita l'aria?

Riusciva a vedere soltanto un volto. Chiaro come se fosse stato inciso dentro le sue palpebre.
Perché durante la più grande agonia della sua vita vedeva il viso di Clary?
Il dolore smise lentamente. Il bastardo voleva ucciderlo lentamente.
Ad un certo punto non sentì più nulla. Zero totale. Come se gli avessero scollegato il cervello dal resto del corpo.
Era davvero questa la morte? Qualcuno doveva riscrivere la Bibbia. Non vedeva neonati ciccioni suonare la Cetra né tantomeno San Pietro ai cancelli del Paradiso. Solo un caldo assurdo. Beh, per essere morto sentiva decisamente troppo caldo. Lentamente tornò anche il sordo battito del cuore, regolare e sordo.
Quindi non era morto. Cominciò a sentire il suo corpo poco alla volta, dal basso verso l'alto. E finalmente, quando ne fu in grado, aprì gli occhi.
Per prima cosa  vide il soffitto bianco, che per un attimo gli diede l'illusione di trovarsi ancora nel suo letto, nella sua camera all'istituto.  Era una stanza semplice e parca, esattamente come piaceva a lui. Oltre al letto immacolato - dove era sdraiato si rese conto.- vi era un armadio di mogano scuro ed un comodino dove era appoggiata una brocca d'acqua. Ovviamente non la bevve. Non si fidava neanche del proprio corpo in quel momento. Voleva solo andarsene e andare da Clary, vedere se stava bene, e stringerla. Magari dopo dare anche un calcio nel sedere ad Hodge.
Lasciò cadere la testa fra le mani, ma non appena non sentì la familiare sensazione di freddo sul viso le scacciò via, inorridito.
Non portava più l'anello.
 
 

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Capitolo 20
*** Nell'ospedale dei pazzi ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo XIX; Nell'ospedale dei pazzi.

 
Di certo la prima cosa di cui avrebbe dovuto accorgersi non sarebbe dovuta essere la mancanza dell'anello. Era talmente abituato al peso del metallo sul dito che quasi si sentì nudo senza. Di certo chi l'aveva lasciato su quel letto non aveva motivo di prendergli l'anello. Forse l'aveva preso Hodge.
Sentì la rabbia ribollire. Scese dal letto bianco. Ma chi era quell'idiota che lo aveva messo a letto con i vestiti strappati e sporchi di sangue e non gli aveva neanche tolto le scarpe?
Si tastò la cintura. Gli avevano sfilato via le spade e i pugnali. Nella giacca non c'erano neanche i Chakram. Strinse forte i pugni.
Uscì piano dalla stanza. Si aprì su un corridoio, pieno di finestre aperte da cui entrava la rossastra luce del crepuscolo.  Non riconosceva il paesaggio, però riconosceva di essere a New York. In nessun luogo che aveva visitato aveva mai visto dell'acqua così inquinata.
Andò in ricognizione per capire come uscire di lì. Molte porte erano chiuse. Nelle poche aperte vi erano letti e affari ospedalieri. Come c'era finito in un ospedale?
Alla fine, girovagando per i piani trovò una stanza aperta. Era colma fino allo stremo di armi di ogni genere, forma e dimensione. Era impregnata di un puzzo demoniaco, ma Jace sapeva che non era per via dei demoni. Quella stanza era impregnata di magia runica nera. Era stato imprigionato da uno stregone? Che fosse Magnus Bane? Scosse la testa. Magnus Conosceva Clary da anni, ed anche Jocelyn. Se avesse voluto consegnarle a Valentine, l'avrebbe fatto tanto tempo fa. E poi, Pensò con un sorriso. avrebbe rapito Alec, non lui.
Alec.
Il cuore di Jace si strinse in una morsa. Devo uscire di qui alla svelta.
Prese molte spade dalle pareti. Pugnali, Chakram, picche lucide e uno stilo. Prima di fare qualunque altra cosa si praticò un Iratze. Dopo che la runa fece effetto riuscì ad uscire.
Il corridoio era ancora vuoto. Cominciava ad annoiarsi. Andare su e giù per quella specie di ospedale non era affatto divertente.
Era la terza volta che faceva le scale. Si ritrovò nel corridoio in cui era quando si era svegliato. Diede un pugno alla finestra che si ruppe in un miliardo di schegge di vetro.
«Dove diavolo sono?» sibilò rifacendosi l' Iratze.
 
Cercò in giro per i piani l' uscita per quella che gli sembrò una mezz'ora. Non aveva idea di dove fosse, non aveva idea di che ore fossero se non basandosi sulla tenue luce del crepuscolo che filtrava dalle finestre, non sapeva come uscire da lì. Sapeva che suo Fratello stava morendo. Sapeva che Clary era in pericolo e che Hodge era un grandissimo bastardo. Chiuse gli occhi e si lasciò cadere contro la parete.
Lasciò che la sua esperienza e i suoi sensi facessero il resto. Non sentì spifferi ne rumori. Tutto l'ospedale sembrava inghiottito nel silenzio. In quello che credeva essere il primo piano aveva trovato le armi. Capì che con ogni probabilità c'era un incantesimo posto sulle scale - Magia nera - che non gli faceva trovare l'uscita.
Valutò l'idea di calarsi dalla finestra. Ma a parte il lenzuolo che era sul letto su cui si era svegliato non aveva nient'altro con cui calarsi. E il muro era troppo compatto per usare i pugnali.
L'Iratze gli aveva di certo giovato, ma le ferite fatte da Abbadon erano troppo profonde ed un taglio sul braccio stava cominciando ad infettarsi.
 Maledizione.
In quelle condizioni non sarebbe mai riuscito a uscire vivo da una qualsivoglia battaglia.
Si rialzò in piedi. L'unica soluzione era cercare Chi l'aveva messo lì e sperare per il meglio.
Non fece neanche 10 passi che un colpo alla nuca lo colpì facendolo cadere a terra.
Mi sono fatto fregare come uno stupido. Pensò prima di scivolare nella dolce incoscienza.
 
Una porta si aprì.
«E' vivo, tranquillizzati.»
«Se l'avessi ucciso solo l'angelo sa la fine orribile che avremmo fatto.»
«Prima di ucciderti te lo ripeterò un'ultima volta. E' vivo.»
Un sospiro.
Jace rallentò il respiro, fingendo di dormire.
«Non è ancora tornato?»
«Hai intenzione di mettergli fretta?»
Deglutì.
«Vado a controllare l'esercito. Se si sveglia, chiamami. Il nostro signore lo vuole vivo.»
La porta si chiuse di nuovo.
L'uomo si avvicinò. Jace sentiva il suo fiato sul collo. «Mi hai fatto spaventare, Moccioso. Dalla tua vita dipende la mia testa.»
Fu un attimo. Scattò in avanti spalancando gli occhi, la sua mano andò sicura verso la sua gola tenendola stretta, come aveva immaginato di fare da tanto di quel tempo, l'altra mano sulla bocca soffocando l'urlo.
Jace sentì un fiotto di orgoglio e rabbia ceca nascergli nel cuore, al centro esatto della sua anima. Finalmente aveva sotto tiro l'assassino di suo padre. Lo sbattè con forza contro il muro e sorrise nel sentire il vuoto della sua testa rimbalzare. Aveva riconosciuto quella voce slavata nell'istante in cui l'aveva sentita. Accese come un meccanismo nella sua testa facendogli dimenticare il dolore, Clary, Alec, tutti.
«Pessima idea il colpo alla testa. Non aspettarti di averla più attaccata al collo.» Sibilò tra i denti. «Conosco più di dieci modi per romperti l'osso del collo solo muovendo il polso. Non emettere un fiato.» tolse la mano. Si godette l'espressione di paura sul volto dell'assassino.
Avrebbe potuto chiedergli il perché. Perché lui, e quell'altro avevano ucciso suo padre, perché lo avessero condannato ad essere un orfano. Avrebbe potuto torturarlo. Girare piano il bisturi in ogni parte del suo corpo facendogli implorare la morte. Conosceva come fare a Paralizzarlo dalla testa in giù mantenendolo vivo.  Ma le parole che disse uscirono dalla bocca di propria volontà, senza che lui se ne rendesse conto. «Dov'è Clary?»
«Non ho idea di chi sia.» disse Blackwell.
Jace strinse la presa. «Non mentirmi, bastardo. Giovane, capelli rossi, Brutto carattere. Dov'è. La. Mia. Amica?»
L'assassino emise dei versi soffocati. «Non… Respiro...»
Jace strinse ancora la presa prima di allentarla. «L'aria è per i vivi.  Come esco di qui?»
La porta si aprì di nuovo e ne rientrò Pangborn. Impugnava una spada angelica e da dietro la sua schiena si intravedeva il legno lucido di un arco. «Lascialo.»
Jace sorrise. «Certo»
Strinse il collo dell'assassino quanto più potè e, constatando che non sentiva più dolore, neanche il sordo eco delle botte ricevute da Abbadon, lo alzò di peso, come se non pesasse nemmeno quanto una piuma, e lo gettò contro l'altro.
Il traditore di certo non si aspettava un colpo così diretto. Cadde a terra con un tonfo sonoro, la spada volteggiò in aria. Jace l'afferrò, stringendo forte l'elsa,  mentre quello scagliato prendeva grandi boccate d'aria puntò contro la giugulare.
Come avevano fatto quei due idioti ad uccidere suo padre? Persino Simon il mondano li avrebbe fatti a pezzi senza troppi problemi. «Però, credevo ci saremmo divertiti di più prima di questa parte.» Sorrise. «Mi aspettavo un po' più di resistenza, non due vecchiette che non si reggono in piedi.»
Nella colluttazione il cappuccio dei due uomini era calato. Erano più giovani di quanto Jace si aspettasse, eppure avevano già i capelli grigi e milioni di cicatrici che  si intrecciavano sulla pelle del viso. Jace sentì l'odio nascergli nel petto. Erano cacciatori, Erano Nephilim, Erano suoi compagni. Le rune che avevano bruciato la loro pelle erano le stesse che avevano bruciato la sua. Eppure erano servi di Valentine. Glielo leggeva negli occhi. Nessun uomo libero ha uno sguardo così imprigionato. Erano schiavi, assassini. Non erano altro che sporchi mercenari.
 Anche se era stata la loro spada ad uccidere suo padre, la loro morte non gli avrebbe giovato.
Valentine. Era lui la causa di tutto. Del suo dolore, di quello di Clary, perfino di quello di Hodge.
«Dov'è il vostro padrone?» disse carico d'odio. «E' andato a comprare i croccantini per i suoi segugi?»
Pangborn e Blackwell si scambiarono un occhiata che a Jace non piacque per nulla. Non fecero in tempo a rispondere, però.
Una mano gli bloccò il polso e lo storse piano senza fargli male però facendo cadere la spada. Jace avrebbe potuto ribellarsi e attaccare chi era dietro di lui ma non lo fece. Conosceva quella presa ferrea. Conosceva benissimo la fine ragnatela di cicatrici e i calli usuali di chi combatteva.
Tutti i cacciatori avevano mani così, ma quanti cacciatori portavano un anello con un motivo di stelle?
Jace si girò piano e suo padre gli sorrise. «Ne è passato di tempo, Jonathan.»
 
Nei suoi ricordi da ragazzino ricordava Un uomo alto, con spalle larghe e braccia forti. Capelli chiari da sembrare quasi argento. Mai senza la compagnia di una spada al fianco, se non in casa, nello studio. Ma la cosa che Jace ricordava di più erano gli occhi color grigio fumo.
 Freddi. Quasi glaciali, era impossibile sapere se dietro quegli occhi si celasse il calore di qualche sentimento.
Il tempo era stato clemente con lui. Negli ultimi sette anni era invecchiato solo il suo sguardo. Oppure forse Jace era morto ed era in una specie di aldilà.
Oppure aveva incominciato ad avere le allucinazioni.
Suo padre l'aveva trascinato in una specie di sala da pranzo dove erano seduti l'uno di fronte all'altro. A separarli solo il lungo tavolo, coperto da una lunga tovaglia bianca di quelle costose e ricamate. Lo stesso tipo di quelle che Jace ricordava sul tavolo da pranzo nella tenuta ad Idris.
Nessuno parlava, nessuno si muoveva. Sembrava che neanche nessuno respirasse.
Jace tornò indietro con la memoria. Era sicuro di quello che aveva visto. Quell'immagine lo aveva tormentato per tutta la vita. Il ventaglio di sangue sulla parete era stato il protagonista dei suoi incubi peggiori. Era possibile che suo padre fosse sopravvissuto? E se era vero, perché in sette anni non lo aveva mai cercato?
Jace si sentì spaesato. L'unica certezza che aveva nella vita era che non avrebbe più rivisto suo padre. Ora non sapeva più a cosa credere.
Alla fine, fu l'altro a parlare. «Non sei contento di rivedermi?»
Jace non rispose. Cosa poteva dire? Certo che sono contento di rivederti. Dove sei stato questi sette anni?   Perché hai inscenato il tuo omicidio?
Suo padre sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Per un istante Jace pensò a Clary. Anche lei faceva spesso quel gesto, quando era turbata. La nostalgia gli strinse lo stomaco. Non sapeva che dire, cosa fare. E si sentì stupido.
Il padre lo guardò dritto negli occhi. Argento nei suoi color oro. «Allora, vuoi sapere la verità?»

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Capitolo 21
*** Il racconto del cacciatore ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo XX; Il racconto del cacciatore

 
«La verità è che non ho mai voluto lasciarti. E che tutto quello che ti hanno raccontato in questi anni è una moltitudine di Bugie. Avrai anche ragione a non fidarti più di me, ma prima che tu cominci ad odiarmi, penso di doverti raccontare tutta la storia.
«Sono sempre stato un cacciatore esemplare, sin da quando ero un bambino. Mio padre si meravigliava della mia destrezza con la spada già quando avevo quattro anni.  E già da piccolo avevo tanti sogni, e tanti ideali, tante domande. Quando fui abbastanza grande mi mandarono ad Alicante a scuola. I professori mi adoravano, per loro ero un piccolo rivoluzionario che una volta cresciuto avrebbe compiuto grandi cose. E non sapevano quanto avevano ragione. Piacevo anche ai miei coetanei, per loro ero una specie di comandante e mi seguivano come segugi, per avere un briciolo del mio talento. E io li lasciavo fare, era piacevole sapere che qualcuno mi era fedele.  Penserai che sia poco modesto, però era proprio così.
Piacevo anche alle ragazze, ogni giorno trovavo nella mia camera valanghe di fiori e di cioccolata. Nelle serate mondane ricevevo milioni di inviti, ma nessuna di quelle giovani attirava il mio interesse.
Eppure, ero infelice. Nonostante la mia posizione sociale, nonostante tutto questo non riuscivo a trovare quello che cercavo. Ed i giorni andavano avanti lenti e noiosi.
Questo finchè non arrivò lei. Tua madre.
Era un anno più giovane di me. E dal momento in cui la vidi per la prima volta, illuminata dal sole  del primo mattino, capì che sarebbe stata mia.
All'inizio declinò i miei corteggiamenti, strano a dirsi ma di me non ne voleva sapere. Passava tutto il suo tempo con un ragazzo, tutti pensavano che fosse la sua metà ma io sapevo che non era vero. Quel ragazzo era quello che oggi si definirebbe un "imbranato". Non sapeva combattere né tantomeno difendersi, ed i marchi gli facevano l'effetto dell'acqua fresca. Allora feci qualcosa di cui più tardi mi pentii.
Un giorno andai in camera sua e lo presi sotto la mia ala. Sprecai molto tempo nell'insegnargli a combattere e a vincere. E alla fine divenne un guerriero e stringemmo amicizia, capii che non era così male come credevo. Divenne il mio parabatai. In battaglia eravamo precisi come due gemelli, come due fratelli. Però se credevo che quel gesto sarebbe servito per arrivare a lei dovetti ricredermi.
Avevo anche altri problemi per la testa. Durante un incursione in una tana di vampiri nei pressi di Alicante mi accorsi della nostra inferiorità numerica.
I cacciatori erano sempre meno, mentre i nascosti ed i demoni aumentavano e crescevano intorno a noi. Il conclave non aveva intenzione di fare nulla a riguardo.
"Usare la coppa mortale sarebbe come sostituirsi a Raziel" Dicevano. "Non si possono sfidare le leggi del cielo" Erano uomini piccoli e codardi che si erano attaccati alle loro posizioni sociali con le unghie e con i denti, e non  avrebbero rischiato di perderle per le fantasie bizzarre di un adolescente.
"Ma allora" rispondevo io "perché non trasformare tutti gli uomini in Cacciatori? Perché non donare a tutti la capacità di vedere il Mondo Invisibile? Perché tenere questo potere egoisticamente solo per noi?"
Di solito le mie parole suscitavano ira o paura, ma non venni mai punito. Chissà se era per la mia sincerità o per la loro debolezza.
Poi giunse una notte. Ero ad una festa, ad Alicante. Ero riuscito a strappare un ballo a tua madre, dopo tanta insistenza.
Fu una serata magnifica: La luna grande e bianca sembrava lì apposta per noi. Poi arrivò mia madre in lacrime. Mi trascinò via senza spiegazione per portarmi all' ospedale che si trovava fuori dai confini della città. Mio padre era stato ucciso.
E' successo durante una retata di licantropi. Il suo parabatai ci aveva detto di aver tentato il possibile, ma per salvarlo si era fatto ammazzare.
Fu in quel momento che il mondo si spense per me. Mi sembrava che mi avessero strappato via il cuore e messo in un barattolo. Ma andai avanti, con i marchi rossi del lutto.
Dovevo essere davvero patetico, ma tornato a scuola tua madre si rese conto di ciò che io avevo sempre saputo. Ci innamorammo e non ci separammo più.
Noi ed il circolo di Raziel - il mio gruppo -  Eravamo saldi come mai. Anche dopo la fine della scuola siamo rimasti sempre uniti.
Io e tua madre ci sposammo e andammo a vivere nella casa dei genitori di lei. Dopo qualche mese venne da me, ricordo che aveva il più bel sorriso che le avevo mai visto, mi accarezzò i capelli e mi disse che presto saremmo stati in tre. So che può sembrarti smielato detto da tuo padre ma quello fu il periodo più bello della mia vita. Il circolo di Raziel era nel suo periodo più rigoglioso, la donna che amavo era incinta di un maschio e  avevo il mio parabatai. Non credo che nella vita di un cacciatore esista felicità più grande.
Ma ogni felicità è destinata a morire, Jonathan. Confido che tu lo sappia.
Durante una retata in una tana di lupi mannari il mio parabatai fu morso, e dopo che alla luna piena scoprì di essere stato infettato scappò. Credevo che si fosse tolto la vita. Credevo che non avrebbe permesso a niente di infettare il sangue dell'angelo. Ma per quanto si può amare una persona non aspettarti mai di conoscerla fino in fondo. Tutti ti deluderanno in un modo o nell'altro.
E poi nascesti tu. E sembrava che tutto sarebbe andato bene. Il conclave aveva detto l'ennesimo no riguardo all'uso della coppa dell'angelo. La tua nascita mi ha dato la spinta finale a cambiare le cose. Volevo che il mio ragazzo vivesse in un mondo nuovo, puro.
Organizzammo la rivolta: Eravamo una macchina perfetta, ogni cosa sembrava semplice e lineare, fin troppo. Il piano era di impadronirsi del Conclave durante il rinnovo degli accordi. Grazie alle mie conoscenze riuscii ad impossessarmi della coppa dell'angelo. Tutto era programmato.
Ma come già sai quando Costruisci grandi castelli basta solo un soffio per farli crollare. Il mio soffio era il nascosto che prima era il mio fratello di sangue.
Venne il giorno della rivolta. Prima di prendere la carrozza per la piazza dell'angelo ti strinsi forte. Ricordo che fu la prima volta che ti sentii ridere.
Il console era in piedi, concedendo grandi sorrisi ai rappresentanti dei quattro ceppi di nascosti. E quando procedette alla firma, il circolo tolse la sua maschera e fu battaglia.
 Le porte furono spalancate. La sala dell'angelo fu invasa dai nascosti, di ogni etnia, razza, colore. La sala che per secoli. Millenni era stata il ritrovo dei Nephilim adesso era insudiciata da disgustosi ibridi mezzosangue che attaccarono ogni membro del circolo.
Fu in quel momento che capii quanto volubile sia l'animo umano. Ogni membro dell' ordine che avevo pensato mi sarebbe stato fedele è scappato. -Se non per fedeltà almeno per paura - I Lightwood, Starkweather, Penhallow. Andarono via.
Io continuai a lottare. Sarei morto piuttosto che abbandonare i miei ideali. Nascosti e traditori del loro sangue, incontravano la morte dalla mia spada.
E alla fine lo ebbi davanti. Aveva il pugnale che gli avevo dato il giorno della sua trasformazione. Voleva combattere con me come essere umano, non come lupo. Ma tua madre si mise in mezzo non voleva che lo uccidessi. La rabbia mi aveva accecato, ma non avrei mai fatto del male a tua madre. Lo fece un altro nascosto, un vampiro. Attaccò tua madre e il nascosto. Vedere tua madre mi ricordò che non sarebbe servito a niente morire quel giorno, ma che qualcuno mi aspettava vivo. Tu.
Tornai a casa e ti presi con me. Avevo visto Michael Wayland morire, così presi il suo corpo e inscenai la mia morte per far si che nessuno ci cercasse. Ci rifugiammo nella tenuta in campagna cambiando identità.
Ma Lucian non era stato il mio parabatai senza ragione. Dopo quasi nove anni scoprì l'inganno e ci raggiunse alla tenuta. Venne da solo, ma promise di tornare.
Allora decisi di fare ciò che ho fatto. Non potevo permettere che ti facessero del male. Tu dovevi vivere e crescere. In un modo o in un altro.
Usai i pochi che mi erano rimasti fedeli e inscenai la mia morte. Sapevo che i Lightwood si sarebbero presi cura di te perché la sicurezza per loro vale molto più dei loro ideali.  Eppure non ti ho mai lasciato. Sono qui a New York da sette anni, e adesso è il momento giusto perché mio figlio torni da suo padre.
Perché tu non sei Jace Wayland. Tu sei Jonathan Christopher Morgenstern, figlio di Valentine.

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Capitolo 22
*** Le rovine di Renwick. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo XXI; Le rovine di Renwick

 
Nella stanza regnava il silenzio quando Valentine finì di parlare. C'era voluto un po' ma Jace riprese a  respirare.
 Ma poi era davvero così che si chiamava? Jace? O era un nome che apparteneva al passato? Non riusciva a pensare con lucidità. La sua anima era spaccata in due. La felicità nel riavere suo padre e il dolore per le bugie lottavano dentro di lui distruggendolo dall'interno.
Eppure suo padre non si muoveva. Lo guardava e basta, studiandolo come se potesse alzarsi e impazzire da un momento all'altro. Lo studiava parecchio quand'era bambino. Lo guardava leggere, combattere. Jace non si sarebbe meravigliato se ad un certo punto avesse preso blocco e penna e si fosse messo a prendere appunti.
Aprì la bocca per dire qualcosa ma non venne fuori niente.  Il grande Jace che non trova qualcosa di sarcastico da dire?
Quell'assordante silenzio fu interrotto dalla porta che si apriva, ma nessuno dei due distolse lo sguardo dall'altro.
«Lord Valentine.» la voce di Pangborn. «Abbiamo un problema.»
«Risolvilo. Sto parlando con mio figlio»  Jace sentì un brivido per la schiena.Esattamente come dava ordini ai domestici. La stessa voce, la stessa autorità.
E quella fu la goccia che lo fece traboccare. Si alzò in piedi, mise le mani sul tavolo e guardò suo padre negli occhi. Ignorando Pangborn, ignorando tutti questi anni passati lontani, ignorando tutto se non il suo cuore che batteva all'impazzata. «Come posso fidarmi di te, adesso?»
Suo padre si alzò posando le mani sul tavolo. Mani coperte di cicatrici bianche. Mani che avevano conosciuto la morte, che avevano toccato la morte. Mani che indossavano l'anello che Jace aveva indossato per sette anni senza mai toglierlo. Mani che lo avevano stretto forte, e che lo avevano picchiato. Le mani che avevano ucciso il suo falco. Le mani di suo padre. «Non puoi.» disse. «Ma confido in te. E nel sangue che c'è dentro di te. So che saprai fare la scelta giusta.»
Si allontanò da lui e si avviò verso la porta dove Pangborn lo aspettava da fedele cagnolino.
E dentro di lui qualcosa si spezzò. «Padre!» Valentine si girò, Jace non riuscì a trattenere le lacrime. «Dove trovo dei vestiti puliti? Questi puzzano da far schifo.»
 
La doccia è la più grande invenzione mondana di tutti i tempi.  Pensò Jonathan in una nuvola di vapore. Si sentiva un altro ragazzo, un altro cacciatore. Ma il riflesso allo specchio era sempre quello.
Un giovane, non più di diciassette anni. Capelli biondi e mossi, indomabili come la criniera di un leone. Occhi d'ambra come la luce del tramonto. Spalle larghe e muscoli asciutti sulla pelle in cui era stata tracciata una vita di guerra, una vita da Nephilim. 
Mani affusolate, da pianista, con una striscia di pelle più chiara e delicata, che per anni aveva sostenuto l'anello dei Morgenstern.
Morgenstern.
Era così che si chiamava adesso. Dopo essere stato per una vita Jonathan Wayland adesso era Jonathan Morgenstern.  Sentiva di essersene già abituato.  Nella camera dove si era svegliato avevano lasciato una camicia bianca perfettamente stirata e dei pantaloni scuri.
E sopra c'era il suo anello.
Ancora nudo se non per la tovaglia prese il cerchietto d'argento, lo infilò al dito. Perché suo padre glielo aveva lasciato?  Sorrise e si lascio cadere sul letto.
Potrei vivere così per sempre. Pensò tra se. Si sentiva così in pace che neanche quando Blackwell entrò nella stanza senza bussare si innervosì. «Lord Valentine mi ha mandato a cambiare il bendaggio.»
Jonathan si rimise a sedere.  Tutto quello che era successo gli aveva fatto dimenticare le ferite e il dolore. L' Iratze l'aveva attutito, ma si sentiva ancora come se fosse uscito da un frullatore. Guardò Blackwell. «Faccio da solo.» disse acido. Di certo non voleva che lasciasse del veleno di Raum nelle sue bende.
Blackwell alzò gli occhi al cielo. «Lord Valentine ha insistito perché lo facessi io.»
Jace gli sorrise. «Non sia mai che il suo cagnolino non faccia quello che gli è stato chiesto.»
«Sono un suo servitore.» rispose. Il volto decrepito era livido di rabbia. «Non il suo cagnolino.»
«Woof.»
Blackwell digrignò i denti. «L'ultima volta che ti ho visto avevi dieci anni ed eri già una grandissima rottura di scatole. Non sei cambiato parecchio.»
Jace avanzò lentamente verso di lui, il sorriso stampato sulle labbra. «Sai, non mi sembravi così sicuro di te quando eri attaccato al muro.» disse. «Mi piacevi di più quando soffocavi.» diede uno sguardo alla porta. «Evidentemente hai troppa paura di mio padre per andartene. E questo ci riporta al cagnolino.»
Blackwell non disse nulla. Il ragazzo sentì la sua rabbia montare dentro di lui come popcorn dentro il microonde. Si risedette sul letto. «Allora, vai via?»
 
Pulito, bendato e felice Jonathan uscì dalla stanza. Ad aspettarlo fuori non c'era Blackwell ma suo padre. «Non dovresti maltrattare così i tuoi sottoposti.» lo ammonì. «Quello è compito mio.»
«Tenterò di tenerlo a mente.» Jace si appoggiò al muro, guardando suo padre. Le mani nelle tasche strette a pugno. «Qual è il piano, padre?»
Valentine sorrise. «Ceneremo e stasera torneremo ad Idris. Voglio tornare a casa con mio figlio.»
Jace sorrise. Sarebbe tornato a casa. Dopo anni che non vedeva più le immense colline di Alicante, il lago Lyn, la tenuta in campagna, Sarebbe tornato a casa.
Camminarono insieme fino ad una porta di legno massiccio all'ultimo piano. Evidentemente suo padre aveva fatto togliere l'incantesimo dalle scale. Non fece in tempo ad aprire la porta che un enorme fracasso di qualcosa che andava in pezzi irruppe nella stanza. Suo padre si guardò in giro, poi lo guardò dritto negli occhi con un'autorità che lo fece sentire piccolo come un neonato. «Resta qui.»
Lui annuì.
 
Jace entrò nella sala. Era in perfetto stile di Alicante: immersa nel passato.
I pannelli di legno lucido, il tavolo di legno scuro massiccio illuminato da candele e apparecchiato con un servizio di porcellana delicata. Calici d'argento e bottiglie di vino. Vassoi d'argento carichi di cibo che gli ricordò quanta fame avesse. L'unica luce filtrava dalle tende socchiuse. Fuori si sentiva un baccano assurdo.  Urla e ringhia decisamente non umane arrivavano alle sue orecchie facendolo impazzire. Voleva scendere anche lui, combattere. Sospirò.
Aprì le tende della finestra e guardò di sotto. Le urla erano di lupi. C'era un lupo più grosso in mezzo agli altri, lunga pelliccia nera attraversata da un'unica e sola striscia grigia. Gli altri lo trattavano con reverenza e tentavano sempre di salvarlo. Era il capobranco, e Jonathan seppe con assoluta certezza che si trattava di Lucian.
«Jace»
Si girò. Vide una ragazza. Sapeva chi era. Era piccola di statura e lunghi capelli rossi, scarmigliati e pieni di polvere. Aveva i vestiti sudati e sporchi di terra, aveva  un braccio bendato e sangue secco incrostato sulla testa e sul braccio. Lasciò andare la tenda lasciando che la confusione si trasformasse in stupore.
«Jace!» urlò di nuovo lei. Si gettò fra le sua braccia e lui la strinse forte, forte come quando da piccoli si ha paura del temporale e si stringe un peluche.
«Clary» sussurrò in preda allo shock. La sua nuova felicità gli aveva impedito di pensare a lei.  Eppure gli era mancata così tanto. Capì che solo in quel momento  si sentiva felice e completo. Solo in quel momento poteva essere Felice, perché stringeva forte, come se fosse l'ultima cosa che avrebbe fatto nella sua vita,  la ragazza di cui era innamorato.
Innamorato.
La parola risuonò nella sua testa. Una, dieci, mille volte, entrandogli nel cervello, nei polmoni, nel cuore, Creando un corpo nuovo di cui non era lui padrone, ma l'amore per quella ragazza e la nuova, incredibile e inaspettata felicità. Le passò una mano fra i capelli scarmigliati stringendola forte. Il suo petto era premuto stretto contro il suo.
Sentiva il suo battito dentro la cassa toracica, e fu in quel momento, in quel preciso istante che Jace ebbe la completa certezza di essersi innamorato di Clarissa Fray.
«Cosa ci fai qui?» gli chiese con la mano che vagava sui suoi capelli.
«Sono venuta a cercarti...» sussurrò contro il suo petto.
Sorrise. La sua Clary era fatta così. «Non avresti dovuto...» La allontanò facendo un passo indietro. «Mio Dio» le sfiorò il viso, i capelli guardandola con aria sognante. «Sei una pazza! Che cosa sciocca da fare...»Per me. «Ma perché non ti fermi mai a pensare?»
«Ho pensato» disse lei. «Ho pensato a te.»
Jace chiuse gli occhi per un istante.Come possono parole così insensate avere un suono così dolce? «Se ti fosse successo qualcosa...» Fece scivolare le mani sulle sue braccia fino a cingerle i polsi.
Era lì. Clary era davvero davanti a lui. Aveva rischiato di farsi male, di farsi ammazzare. Era ferita e sanguinante, eppure sorrideva perché Jace stava bene. Era preoccupata per lui e nei suoi occhi si leggeva a chiare lettere il suo sollievo. «Come hai fatto a trovarmi?» Chiese, non volendo davvero saperlo.
«Luke» rispose lei lanciando uno sguardo alla finestra. «Sono venuta con Luke. Per salvarti.»
Anche Jace guardò dalla finestra. La battaglia che si stava svolgendo sotto i loro occhi era propensa per i lupi, mentre i dimenticati di suo padre stavano venendo massacrati uno ad uno. Gli si mozzò il respiro in gola. «Quindi quelli sono... sei venuta con il branco dei lupi?»
«È il branco di Luke» Disse. «È un licantropo e...»
«Lo so» disse Jace auto-dandosi dello stupido.. «Avrei dovuto arrivarci... i ceppi nella sua cantina...» Guardò verso la porta come aspettandosi di vederlo entrare in quel momento sotto forma di cane sbavante. «Dov'è?»
«Al piano di sotto» Sussurrò Clary lentamente. «Ha ucciso Pangborn. Io sono salita a cercarti...»
«Li deve richiamare» la interruppe lui.
Clary sbattè un paio di volte le palpebre, evidentemente confusa.«Cosa?»
«Luke. Deve richiamare il suo branco C'è stato un malinteso.»
«Cioè? Ti sei rapito da solo?» L'espressione seria di Jace la fece tornare seria. «Dai, Jace.»
Clary tentò di tirarlo per un polso, invano. Era una cacciatrice, ma Jace era pur sempre il doppio di lei. La guardò attentamente, riflettendo se dirgli tutto quello che aveva scoperto e la rivelazione su suo padre. Si fidava di Clary. Le aveva raccontato cose che non aveva mai detto a nessuno, neanche a suo padre. Non si fidava di Luke, però.
Clary aveva uno strano sguardo mentre lo guardava, confusione mista a qualcosa che non riuscì ad identificare. Jace si spostò i riccioli dagli occhi, sempre stringendole il polso.
«Sono tuoi quei vestiti?» chiese lei confusa. «E poi... sei tutto bendato...» La voce si affievolì sempre di più «Sembra che Valentine si sia preso molta cura di te.»
Le sorrise dolce. «Se ti dicessi la verità, diresti che sono pazzo.»
Lei lo guardò come fosse pazzo davvero. «No, non lo farei.»
«È stato mio padre a darmi questi vestiti» le disse allora.
Lo sguardo nei suoi occhi si fece più dolce, con un velo di tristezza. «Jace» sussurrò piano. «Tuo padre è morto.»
«No.» Jace scosse la testa, sorridendo. Tutta la vagonata di emozioni che covava dentro desiderava di uscire, pronunciando solo poche e semplici parole. «Lo credevo, ma non è così. È stato tutto un errore...»
Clary spalancò gli occhi verdi, come un furetto spaventato. «È una cosa che ti ha detto Valentine? Perché lui è un bugiardo, Jace, ricorda quello che ha detto Hodge, e se ti ha detto che tuo padre è vivo, è una bugia per farti fare quello che vuole...»
«Ho visto mio padre» La interruppe godendosi la sorpresa nel suo sguardo. «Gli ho parlato... e lui mi ha dato questa...» Le mostrò la camicia pulita. «Mio padre non è morto. Valentine non lo ha ucciso. Hodge mi ha mentito. Per tutti questi anni ho creduto che fosse morto, ma non era così.» Pronunciò quelle parole tutte d'un fiato, pronunciandole per la prima volta.
La ragazza si guardò in torno, lentamente. «Be', se tuo padre è in questo posto, dove si trova? Valentine ha rapito anche lui?»
Jace la guardò negli occhi. Come avrebbe reagito, nel sapere che suo padre era Valentine? Sarebbe rimasta con lui o sarebbe scappata? Sorrise tra se e se. Dopo tutto quello che aveva fatto per venire a salvarlo, non lo avrebbe abbandonato così. «Mio padre...»
Con un cigolio sommesso la porta si aprì. La massiccia presenza di suo padre era nella stanza.
Si era cambiato dall'ultima volta che l'aveva visto: Indossava la tenuta da cacciatore. Dal grosso fodero nella cintura si vedeva chiaramente l'elsa luccicante di una spada. Tanti foderi più piccoli da cui uscivano le else dei pugnali, le sacche per i Chackram, lo stilo infilato nel polsino di pelle nera. Jace si rese conto che la somiglianza con suo padre era latente. Il modo di muoversi, il modo di parlare. Però gli occhi non erano i suoi. I suoi occhi color oro non potevano essere più diversi da quelli color ferro di Valentine.
«Allora» disse con voce secca. «Hai raccolto le tue cose? I nostri Dimenticati non possono trattenere troppo a lungo i licantropi...»  Evidentemente a quel punto si rese conto della presenza di Clary, ancora stretta fra le braccia di Jace. E il ragazzo potè giurare di aver visto un lampo di sorpresa passare negli occhi di suo padre e, anche se forse era solo la sua immaginazione, un lampo d'odio puro.
«Cosa succede qui?» chiese, rivolto a Jace.
Veloce come una lepre Clary estrasse il pugnale dal fodero, lo stesso pugnale che le aveva regalato Jace, che lei stessa aveva perso quella notte al Dumort.
Il pugnale di suo padre.
Jace le cinse il polso delicatamente. Non l'aveva mai vista con quell'espressione, come una furia antica. «No» le sussurrò.
Clary lo guardò con le pupille dilatate oltre modo dall'incredulità. «Ma Jace...»
«Clary» la interruppe Jace con voce seria. «Questo è mio padre.»

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Capitolo 23
*** Valentine ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo XXII; Valentine

 
Suo padre studiò con un velato interesse la ragazza stretta a Jace.  «Ho interrotto qualcosa, vedo» disse con gli occhi puntati su di lei. «Figliolo, ti dispiacerebbe dirmi chi è questa ragazza? Forse una figlia dei Lightwood?»
«No» Disse Jace. Adesso che suo padre li aveva nominati, si era reso conto di non aver neanche salutato i Lightwood, dopo sette anni insieme era stato pronto ad andarsene senza dire nulla a quelle persone che erano state i suoi genitori per tanto tempo. «È Clary. Clarissa Fray... è una mia amica. È...»
Lo sguardo di Valentine si accese come una folgore, un leggero sorriso comparve sulle labbra. Jace rabbrividì senza motivo. Valentine fece qualche passo avvicinandosi alla ragazza, la quale provò ad allontanarsi ma Jace la tenne stretta. Lo sguardo di suo padre si fermò sul pugnale stretto nel piccolo pugno di Clary con un ombra di latente fastidio.
«Me l'ha data Jace.» la voce della ragazza era fredda. Che fosse arrabbiata per la sua felicità? Ma no, Clary non era così.
«Ma certo» disse Valentine inespressivo. «Posso vederla?»
«No!» Urlò la ragazza indietreggiando. Teneva stretto il pugnale minacciosamente tra le dita, ed uno sguardo che pretendeva sangue.
Jace le afferrò il polso, delicatamente per non farle male, ma saldamente per non farle far male a suo padre. La ragazza voltò immediatamente la testa verso di lui «Jace» sibilò furiosa.
Jace provò un istantaneo senso di vergogna e senso di colpa, ma lo scacciò via. «Continui a non capire, Clary.» le disse deluso.  Si voltò verso il padre e come avrebbe fatto un vassallo ad un signore gli consegnò il pugnale. «Eccolo, padre.»
Con un movimento rapido e fluido Valentine Sfilò la lama dal fodero. «Questo è un kindjal, un pugnale circasso. Questo esemplare faceva parte di una coppia. Ecco, guarda la stella dei Morgenstern incisa nella lama.» Mostrò il pugnale ai due ragazzi.  «Mi stupisce che i Lightwood non l'abbiano mai notato.»
«A loro non l'ho mai fatto vedere» Confessò Jace. L'unica persona a cui l'aveva mai mostrato era stata Clary.  «Mi hanno sempre per-messo di avere le mie cose private e non mi hanno mai spiato.»
«Certo che no» disse suo padre con uno strano sorriso divertito.  Come se l'idea che i Lightwood invadessero la sua privacy fosse divertente. «Credevano che tu fossi il figlio di Michael Wayland.»
Jace infilò il pugnale nella cintura di spesso cuoio, sfiorandolo appena con affetto. «Lo credevo anch'io» sussurrò quasi a se stesso o forse al pugnale, oppure all'universo intero. 
Era stato il figlio di due persone diverse nel corso della sua vita. Come abituarsi tanto in fretta che tuo padre non è la persona che hai sempre creduto? Che hai sempre amato, che hai sempre Ammirato? Cosa può fare un diciassettenne normale se tutto quello in cui crede viene sconvolto dall'inizio alla fine?
E si accorse in quel momento che quello che lui provava adesso, La confusione, la delusione per le bugie, la paura di non essere più quello di prima, Era quello che Clary provava fin dall'inizio di questa storia assurda e irreale. Era davvero così spaventata da un futuro ormai imprevedibile?
Suo padre lo risvegliò dai suoi pensieri rivolgendosi alla ragazza ancora stretta fra le braccia di Jace.  «Forse» disse evidentemente divertito.  «sarebbe una buona idea che tu ora ti sedessi, Clary.»
Clary strinse le braccia al petto come una bimba capricciosa indossando un cipiglio testardo e, agli occhi di Jace, molto tenero.  «No.»
Valentine  sorrise e si sedette a capo tavola con la luce sempre più divertita negli occhi. «Come preferisci.»  Portò le mani dietro la nuca, aprendo leggermente la camicia lasciò intravedere le clavicole piene di cicatrici. «Clary» disse piano scandendo ogni lettera. «È un diminutivo di Clarissa? Non è il nome che avrei scelto io.»
Jace alzò un sopracciglio ma non disse nulla. Suo padre era solito dire cose enigmatiche che liquidava come cose che non possono essere capite.
Clary si irrigidì tra le sue braccia e trasse un profondo e lungo respiro, come se stesse combattendo contro l'impulso di urlare. «Non mi interessa cosa avresti scelto tu»
«Non ne dubito» Ribatté suo padre con un sorriso.
«Tu non sei il padre di Jace» disse Clary. Aveva il tono più duro e velenoso che Jace le avesse mai sentito «Stai cercando di ingannarci. Il padre di Jace era Michael Wayland. I Lightwood lo sanno. Lo sanno tutti.»
Jace non disse nulla. Quella scena, Clary e Valentine che si guardavano traboccando odio, gli ricordava qualcosa, come se l'avesse già vista e non avesse neanche allora saputo cosa fare.
«I Lightwood sono stati male informati» disse Suo padre con leggerezza, anche se non era proprio un errore così comune come voleva farlo sembrare «Tutti credevano.. credono che Jace sia figlio del loro amico Michael. E così anche il Conclave. Nemmeno i Fratelli Silenti sanno chi è in realtà. Anche se presto lo sapranno.»
Clary fece un piccolo passo indietro. «Ma l'anello dei Wayland...»
«Ah, già» Lo sguardo di suo padre si fermò sul freddo argento che brillava al dito di Jace che d'improvviso si fece davvero, davvero pesante. «L'anello. Curioso, vero, come una M guardata al contrario assomigli a una W? Naturalmente, se ti fossi data la pena di pensarci, probabilmente avresti trovato un po' strano che il simbolo della famiglia Wayland fosse una stella cadente, mentre non è affatto strano che sia il simbolo dei Morgenstern.»
Clary scosse impercettibilmente la testa e lo fissò. «Non so di cosa stai parlando.»
Valentine sorrise, evidentemente divertito.  «Dimentico sempre quanto sia insulsa l'istruzione dei mondani» disse sprezzante. «Morgenstern significa stella del mattino. Conosci i versetti Come mai sei caduto dal cielo, / astro mattutino, figlio dell'aurora? / Come mai sei atterrato, / tu che calpestavi le nazioni?»
Jace continuò a non dire nulla. Dov'era la sua caparbietà?  Il suo feroce umorismo? La sua sprezzante loquacità?
 Il corpo di Clary tremò tra le braccia di Jace. «Stai parlando di Satana.»
«O di qualsiasi grande potere perduto» Disse suo padre. «per il rifiuto di diventare servi. Come è successo nel mio caso. Non ero disposto a servire un governo corrotto. Per questo ho perso la mia famiglia, le mie terre, ho quasi perso la vita...»
«La Rivolta è stata colpa tua!»  urlò Clary, incapace di trattenersi più. «Sono morte delle persone! Cacciatori come te!»
«Clary» disse Jace ritrovando la voce.  Si chinò in avanti e per poco non fece cadere il vino. «Ascoltalo, ti dispiace? Non è come pensavi. Hodge ci ha mentito.» Non capiva perché fosse così importante ripeterglielo. Sapeva soltanto che aveva bisogno che lei credesse a suo padre. Lei doveva credere che Jace non fosse pazzo.
«Lo so» disse Clary sprezzante. «Ci ha tradito. Era una pedina di Valentine.»
«No» disse Jace. «È sempre stato lui a volere la Coppa Mortale... È stato lui a mandare i Divoratori da tua madre. Mio padre... Valentine lo ha scoperto solo in seguito ed è venuto a fermarlo... Ha portato qui tua madre per curarla, non per farle del male.» Disse ripetendo tutto quello che gli aveva detto suo padre. Aveva senso. Doveva avere senso.
«E tu credi a queste balle?» chiese Clary con disgusto. «Non è vero. Hodge lavorava per Valentine. C'erano dentro insieme. Volevano la Coppa. Ci ha ingannati, è vero, ma lui era solo un burattino.»
«Ma era lui ad avere bisogno della Coppa Mortale» disse Jace con una assurda disperazione. «per poter dissolvere la sua maledizione e fuggire, prima che mio padre dicesse al Conclave tutto quello che aveva fatto.»
«Non è vero!» si urlò Clary. Negli occhi aveva uno sguardo acceso e vivo che lo implorava di credergli.
Jace, anche se non capiva perché o come, le credeva?  «Io c'ero!» continuò. Si voltò verso Valentine. «Ero nella stanza quando sei venuto a prendere la Coppa. Hodge mi aveva nascosta... ma ero lì. Ti ho visto. Hai preso la Coppa e hai dissolto la maledizione di Hodge. Non avrebbe potuto farlo da solo. Lo ha detto lui.»
«L'ho fatto, è vero» disse Valentine senza scomporsi di un millimetro. Una facciata perfetta come se fosse un processo.  «ma solo per pietà nei suoi confronti. Mi sembrava così patetico.»
Clary fece una smorfia. «Tu non provi pietà. Tu non provi niente.»
E questo fu troppo. «Basta così, Clary!» Urlò Jace. «Non parlare così a mio padre.»
«Ma non è tuo padre!»
Lo sguardo che accompagnò quelle parole lo colpì con la violenza di uno schiaffo. Perché Clary faceva così? Perché non riusciva ad accettare che lui fosse felice? «Perché sei così decisa a non crederci?»  Chiese con disperazione.
 «Perché ti ama» disse Valentine.
Jace si girò immediatamente verso di lui. Aveva sentito male.
Vero?
«Cosa?»
Suo padre stava guardando Clary con un espressione di trionfo palese. Un Nephilim che guarda un demone morire in una pozza di sangue ha la stessa, identica espressione. «Ho paura di essermi approfittato di te» disse. «Di averti fatto il lavaggio del cervello. Ma naturalmente non è così. Se guardassi nei tuoi ricordi, Clary, lo sapresti anche tu.»
Jace si sentiva svuotato. Non sapeva.. Non credeva.. «Clary» disse con il fiato che gli era rimasto. «Io...»
«Siediti» ordinò suo padre. «Lascia che ci arrivi da sola, Jonathan.»
Jonathan si sedette. Si sentì incredibilmente stupido.
Clary lo guardò strana. «Credevo che ti chiamassi Jace» disse. «Hai mentito anche su questo?»
«No. Jace è un diminutivo.»
Sbattè le palpebre con confusione. «Un diminutivo di cosa?»
Jace restituì il suo sguardo confuso. Con tutto quello che stava accadendo perché d'improvviso il suo nome era così importante? Un nome non è importante. Non fa di te ciò che sei. O almeno così diceva Giulietta. Ma Clary non era Giulietta. E Jace non era Romeo. «Sono le mie iniziali.» disse. «J. C.»
Clary si fece di colpo molto pallida, socchiuse le labbra e spalancò gli occhioni verdi. «Jonathan» sussurrò. «Jonathan Christopher.»
Le sopracciglia di Jace scattarono in alto. «Come...?»
«J.C. Le iniziali sulla scatola. Eri tu, non mio padre, la ciocca di capelli... era tua. Sei sempre stato tu.»
Non di accorse granché di star picchiando nervosamente con le unghie sul bicchiere di vetro. Altri due minuti e si sarebbe rotto.  «Non so di cosa tu stia parlando.»
«Io sì» Entrambi si voltarono verso Valentine che si era alzato in piedi e il trionfo si leggeva a chiare lettere sul suo volto così familiare. «Jace, avevo pensato di risparmiartelo. Pensavo che la storia di una madre morta ti a-vrebbe fatto meno male della storia di una madre che ti ha abbandonato prima che compissi un anno.»
Jace stritolò il bicchiere colmo di vino con l'immensa voglia di spezzarlo come uno stuzzicadenti. «Mia mamma è viva?» sentiva il cuore battegli nelle orecchie. Non voleva, sentiva di non voler sentire le parole che sarebbero uscite dalla bocca di suo padre. Perché sapeva che dopo che suo padre avesse aperto bocca tutto il mondo sarebbe crollato e della sua vita non sarebbe rimasto altro che cenere. Cenere di una vita che sarebbe stato bello da morire vivere.
«Sì» disse suo padre. «È viva e in questo momento sta dormendo in una delle stanze del piano inferiore. Sì» ripeté interrompendo Jace che non aveva neanche parlato.  «Jocelyn Fairchild è tua madre, Jonathan. E Clary... Clary è tua sorella.»
 
 

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Capitolo 24
*** La pioggia di Cristalli. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo XXIII; La pioggia di cristalli

 
Cenere. Era tutto ciò che era rimasto. Tutto morto, sfiorito. Divorato dalle fiamme. Ha lasciato solo la cenere.
Sente un suono in quel momento. Era sordo ed umido. Il cuore che batte.
Piano piano ritorna anche la vista. Era nella sala da pranzo delle Rovine di Renwick. Le luci provenivano dalle candele bianche sul tavolo.  Suo padre era lì. Clary era lì.
E poi arrivò il dolore. Era sordo e bruciante e, anche se non era un dolore vero, minacciava di spezzargli il respiro. Lo sentiva al centro del petto. Bruciante come se gli avessero versato dell'acido. La testa gli scoppiava. Girava così velocemente. Vedeva tutto sfocato come se d'improvviso la nebbia fosse entrata nella stanza. Sentiva la mano che teneva il bicchiere fargli male. La ritrasse con violenza. Il bicchiere si rovesciò facendo cadere il vino. Cadde rosso sulla tavola, espandendosi come una macchia di sangue fresco. La mano era fredda e sbiancata. Vide suo padre aprire la bocca per dire qualcosa, ma le parole non arrivarono al suo cervello.
«Non è vero» Chissà con chi stesse parlando. Forse con suo padre, o con l'universo, o forse con quel Dio che continuava a prendersi gioco di lui.  «C'è stato un errore. Non può essere vero.»
Gli occhi di suo padre erano fissi nei suoi. «Pensavo che sarebbe stato un motivo per festeggiare» Eppure, neanche lui sembrava felice. «Ieri eri un orfano, Jonathan. E ora hai una padre, una madre e una sorella che non avevi mai saputo di avere...»
Sorella.
Quella parola si incise a fuoco sulla sua pelle, come fosse una runa. La runa più dolorosa e orribile che avesse mai toccato un Nephilim. Sorella, sorella, sorella, sorella.  Stesso sangue, stessi geni, stessi genitori. Sorella.
Aveva sempre voluto una sorella.
«Non è possibile» ripeté senza pensarci. «Clary non è mia sorella. Se lo fosse...»
«Cosa succederebbe?» chiese Valentine evidentemente allettato.
Silenzio.
Sono innamorato di lei.
Sentì un conato di vomito salire su per la gola. Una presa calda gli strinse la mano. «Jace...» La voce di Clary. La voce di sua sorella.
«No.» urlò togliendo la mano da quelle di lei e affondandole nel vino. Non avrebbe mai lavato lo schifo che sentiva addosso. Nulla avrebbe potuto. «Dimmi che non è vero» disse con disperazione. Perché era disperato, come mai in tutta la sua vita.
Clary abbassò gli occhi.  «Non posso.»
E Jace si sentì morire. Ascoltare quelle parole da Clary le fecero diventare immediatamente reali e vivide. Il dolore nel suo petto si estinse, la testa non girava più. Non sentiva niente. Solo le parole di suo padre ripetute all'infinito come da un registratore rotto: Clary è tua sorella.
Valentine sorrise trionfante. «Così ora ammetti che ho detto la verità?»
«No» disse Clary «Tu stai raccontando delle menzogne con solo qualche brandello di verità, ecco tutto.»
«Sto iniziando a stancarmi» disse Valentine, anche se la sua voce sembrava contenta, quasi allegra. A Jace venne un altro conato. «Se vuoi ascoltare la verità, Clarissa, questa è la verità. Tu hai sentito raccontare la Rivolta da Hodge, per cui pensi che io sia malvagio. È così?»
Nessuno disse nulla. Jace tacque. Se avesse aperto la bocca avrebbe vomitato. Così Valentine proseguì. «In realtà è molto semplice. La storia che ti ha raccontato era vera in alcune parti e non in altre... "menzogne con solo qualche brandello di verità", come hai detto tu. Il fatto è che Michael Wayland non è mai stato il padre di Jace. Wayland fu ucciso du-rante la Rivolta. Io assunsi il suo nome e il suo posto quando fuggii da Idris con mio figlio. Fu abbastanza facile: Wayland non aveva veri rapporti con nessuno, e i suoi amici più intimi, i Lightwood, erano in esilio. Anche lui era in disgrazia per la parte che aveva avuto nella Rivolta, così io mi presi la sua vita e vissi abbastanza tranquillamente con Jace nella tenuta dei Wayland. Leggevo i miei libri, crescevo mio figlio, passavo il tempo.»
Fece una pausa. Jace vedeva di nuovo tutto bianco. Sentirlo parlare del passato così tranquillamente gli faceva venire la nausea. Jace voleva essere senza passato, cancellarlo via con una gomma. Non voleva più essere il Jace Wayland che era stato finora. E decisamente non lo era più.
«Dopo dieci anni, ricevetti una lettera. Il mittente diceva che conosceva la mia vera identità e che se non fossi stato disposto a fare alcune cose l'a-vrebbe rivelata. Io non sapevo chi avesse scritto quella lettera, ma non aveva importanza. Non ero disposto a dare al suo autore quello che chiedeva. E poi sapevo che la mia sicurezza era compromessa e sarebbe rimasta tale, a meno che costui non mi credesse morto, immune alle sue minacce. Misi in scena la mia morte per la seconda volta con l'aiuto di Blackwell e Pangborn, e per il bene di Jace feci in modo che lui venisse mandato qui, sotto la protezione dei Lightwood.»
L' ho già sentita questa storia.
 «Così per tutti questi anni hai lasciato che Jace pensasse che eri morto? Che cosa meschina!» La voce di Clary era carica di odio.
Sollevò le mani a coprirsi il volto. C'era troppa luce e la sua testa non smetteva di girare. «No» disse. «No, Clary.»
«Jonathan doveva credere che io fossi morto. Doveva credere di essere fi-glio di Michael Wayland, o i Lightwood non l'avrebbero protetto come hanno fatto. Era con Michael che avevano un debito, non con me. È per Michael che gli hanno voluto bene, non per me.»
«Forse gliene hanno voluto per lui» disse Clary acida.
«Un'ammirevole interpretazione sentimentale» commentò Valentine acido a sua volta. «per quanto improbabile. Tu non conosci i Lightwood come li conoscevo io.»Jace trasalì sulla sedia. Gli bruciavano gli occhi per la disperazione.  «Ma alla fine ha poca importanza. I Lightwood dovevano essere una protezione per Jace, non una famiglia sostitutiva. Lui ha una famiglia. E ha un padre. Io.»
Famiglia. Che termine strano. Finora la sua unica vera famiglia erano stati i Lightwood. Suo padre era suo padre. Mentre Robert e Maryse erano stati dei genitori, Alec il migliore dei fratelli, Izzy la più rompiscatole delle sorelle.
Adesso era questa la sua famiglia. Si tolse le mani dal viso e si schiarì la gola.
«Mia madre...»
«Fuggì dopo la Rivolta» disse Valentine. «Io ero caduto in disgrazia, il Conclave mi avrebbe dato la caccia se avesse pensato che ero ancora vivo. Lei non sopportava di essere associata a me e scappò.» Sembrava ancora triste, eppure non si vedeva sul suo viso. «Io all'epoca non sapevo che fosse incinta. Di Clary.» Sorrise. Chissà a cosa pensava. «Ma il sangue non è acqua. Il fato ci ha riuniti tutti qui. La nostra famiglia, ancora in-sieme. Possiamo usare il Portale» disse guardando Jace. «Andare a Idris. Tornare alla nostra tenuta...»
Jace Rabbrividì. Un fato crudele, aggiungerei.
«Staremo insieme» disse Valentine. «Come dovrebbe essere.»
Jace dovette lottare contro se stesso per non ridere. Avere una famiglia vera era quello che aveva sempre voluto, eppure gli sembrava dannatamente ridicolo così. Come potevano stare tutti insieme ed essere felici? Jocelyn..Sua madre era in coma. Valentine e Clary si odiavano, ne era certo. E Jace…
Jace Non riusciva immaginare una famiglia in cui Clary era soltanto una sorella.  Voleva costruire una vita con lei, voleva arrivare a centodieci anni e morire tra le sue braccia, felice come il primo giorno. Non voleva essere soltanto un fratello.
«Io non vado da nessuna parte con te, e nemmeno mia madre.» Disse Clary furente
«Ha ragione lui, Clary» disse più a se stesso che a lei. Piegò le mani: le punte delle dita erano macchiate di rosso. «È l'unico posto in cui possiamo andare. Lì risolveremo tutto.»
«Non puoi parlare seriamente...»
Un grande boato li avvertì che la battaglia non era ancora finita. Dalla finestra arrivavano deboli e sommessi i guati dei lupi e le ringhia dei Dimenticati.  L'istinto reagì al posto del corpo di Jace. Si alzò di scatto ed impugnò una spada angelica. «Padre, hanno...»
«Hanno sfondato le porte.» Si alzò anche Valentine. Sembrava aspettare qualcosa in particolare. La porta alle loro spalle si spalancò ed un Lucian in forma umana coperto di sangue comparve sulla soglia.
Jace lo studiò con attenzione. Il suo viso aveva qualcosa di lupesco, il naso sembrava addirittura umido. Per il resto Jace non avrebbe mai capito che era un Licantropo.  Aveva alcune delle caratteristiche che i Nephilim si portavano dalla notte dei tempi. I tratti quasi aristocratici, la muscolatura forte non deteriorata dal tempo, decisamente eccessiva per un libraio. Tante cicatrici, piccole e bianche curate da uno stilo. Ma una era più rossa ed evidente, sulla spalla destra, e ricordava vagamente un morso.
«Clary» disse Lucian. La ragazza si alzò in piedi e gli corse incontro abbracciandolo forte Come avrebbe fatto una bambina che corre incontro a suo padre.
Quella vista gli strinse il cuore. Lucian la stringeva come un padre, anche se non lo era davvero. Le accarezzava la nuca con affetto, la stringeva. Quand'è stata l'ultima volta che suo padre lo aveva abbracciato? E anche che fosse, non lo aveva mai abbracciato così.
Jace si mise dietro suo padre. Infine, Lucian la scostò con delicatezza. «Sono coperto di sangue» disse Lucian. «Non preoccuparti... non è mio.»
«E allora di chi è?» chiese Valentine che aveva osservato la scena con uno sguardo di intensa curiosità negli occhi.
Lucian strinse la spalla di Clary con fare protettivo. Quasi inconsciamente Jace sfiorò la sua. «Di Pangborn» Rispose Lucian.
Valentine si passò una mano sul volto. Non sembrava troppo seccato di aver perso un collaboratore. «Capisco. Lo hai sgozzato con i denti?»
«A dire la verità» disse Lucian sorridendo. «l'ho ucciso con questo.» e Mostrò a Valentine un pugnale circasso simile a quello che aveva tramandato a lui. Ma al posto delle pietre rosse, c'erano delle piccole gemme azzurre. «Me lo desti diciassette anni fa e mi dicesti di usarlo per togliermi la vita»
Jace mise per istinto una mano sul suo di pugnale. «E io fui sul punto di farlo.» finì Lucian.
«Ti aspetti che lo neghi?» Jace quasi rabbrividì. Era dolore quello nella voce di suo padre? «Ho cercato di salvarti da te stesso, Lucian. Ho fatto un grave errore. Se solo avessi avuto la forza di ucciderti, avresti potuto morire da uomo.»
«Come te?»  Quello nella voce di Luke non era dolore, era odio. Puro e arcaico. Quel tipo di odio che nasce quando L'affetto viene tradito. «Un uomo che incatena la moglie priva di conoscenza a un letto nella speranza di estorcerle delle informazioni con la tortura quando si sarà svegliata? È questo il tuo coraggio?»
Jace guardava suo padre. Stava lottando internamente per non afferrare una spada e tranciare di netto la testa a Lucian. E poi il suo viso si rilassò e tornò freddo come prima.  «Non l'ho torturata» disse. «Ed è incatenata per la sua stessa sicurezza.»
«Da cosa?» Lucian si avvicinò a Valentine a grandi passi.  «L'unica cosa che la mette in pericolo sei tu. L'unica cosa che l'abbia mai messa in pericolo. Ha passato la sua vita a fuggire da te.»
«Io la amavo» disse Valentine e Jace sentì che era vero. La sua voce aveva la stessa disperazione della sua. Non si ha quella disperazione se non si è stati davvero innamorati.  «Non le avrei mai fatto del male. Sei stato tu a metterla contro di me.»
Lucian rise di gusto. «Non aveva bisogno di me per mettersi contro di te. Ha imparato da sola a odiarti.»
«Questa è una menzogna!» Ringhiò Valentine ed estrasse una spada nera dalla lama piatta, aveva un motivo di stelle argentee sulla lama. Jace trasalì. Quella spada era appartenuta al padre di Valentine. Non l'aveva mai sguainata, mai. Ed adesso la puntava al petto di quello che era stato il suo migliore amico.
Jace si avvicinò a Valentine. «Padre...»
«Jonathan, stai zitto!» Urlò Valentine.
Lentamente, il volto di Lucian fu pervaso dallo shock.  «Jonathan?» sussurrò fissandolo.
Jace fece una smorfia. Odiava quel nome. Lo odiava con tutto se stesso. Lui non era Jonathan. Era Jace.  Jace.  «Non chiamarmi così» ringhiò contro il lupo.  «Se mi chiami così ti uccido.»
Gli occhi di Lucian divennero lucidi. Perché lo guardava così? Aveva lo sguardo di chi ha appena ritrovato un figlio. E lo odiava. «Tua madre sarebbe fiera di te» disse piano.
Jace sentì il sangue ribbollirgli per la rabbia. Come si azzardava a nominare sua madre?  La donna che lo aveva abbandonato appena nato? «Io non ho una madre» sputò Jace. «La donna che mi ha partorito mi ha abbandonato prima che imparassi a ricordare il suo volto. Non ero niente per lei e lei non è niente per me.»
«Non è stata tua madre ad abbandonarti» disse Lucian con una calma che lo fece infuriare ancora di più. Guardò suo padre.
«Credevo che neppure uno come te potesse abbassarsi a usare come esca la tua carne e il tuo sangue. Ma immagino di essermi sbagliato.»
«Basta così.» Disse Valentine con gelida furia-  «Lascia mia figlia o ti ucciderò immediatamente.»
«Io non sono tua figlia» Clary guardò Valentine con lo sguardo carico di disgusto.
Lucian scostò Clary non troppo delicatamente. «Esci di qui. Mettiti al sicuro.» le disse. Aveva negli occhi uno strano calore, quasi di un affetto troppo grande per poterlo sopportare. Era naturale amare quella ragazza.
Clary lo guardò con uno sguardo di fuoco. «Io non ti lascio!» disse più seria di quanto Jace l'avesse mai sentita.
«Clary, non sto scherzando. Esci di qui!» Lucian sollevò il pugnale, gemello di quello che Jace portava alla cintura. «Questa non è la tua battaglia.»
Clary si allontanò barcollante verso la porta. Dalla finestra si potevano ancora sentire i ruggiti dei lupi e dei dimenticati. Sgranando gli occhi Jace corse a bloccarle l'uscita e Clary quasi sbattè contro di lui.  «Sei impazzita?»le  sibilò carico di una paura che non era da lui.  «Hanno sfondato la porta d'ingresso. Questo posto è pieno di Dimenticati.»
Lei tentò di spingerlo via, inutilmente. «Lasciami andare.» disse con fermezza.
Neanche morto. Le afferrò il polso più delicatamente e con fermezza possibile. «Perché possano farti a pezzi? Non ci penso neppure.»
Il rumore dello scontro fra Lucian e Valentine li fece rinsavire. Il cacciatore e il licantropo si lanciavano sguardi di puro odio mentre con affondi e colpi andati a segno oppure no decidevano chi dei due sarebbe sopravvissuto per raccontarlo.
«Oh, mio Dio» sussurrò Clary preoccupata. «Si uccideranno.»
Jace non riusciva a distogliere lo sguardo dalla scena. «Tu non capisci» disse. «È così che si fa...» non riuscì a finire la frase. Lucian era riuscito a superare la guardia di suo padre colpendolo alla spalla. La camicia bianca di Valentine divenne rosso cremisi.
Valentine gettò indietro la testa e cominciò a ridere. Jace, da parte sua, sussultò impercettibilmente. Lo sconvolgeva ancora la somiglianza con suo padre. Questi piccoli gesti che avevano in comune, come gettare indietro i capelli in quel modo, lo lasciavano sempre senza fiato.
«Bel colpo» disse Valentine. «Non credevo ne fossi ancora capace, Lucian.»
Lucian non abbassò la guardia, ma sorrise da dietro la lama ormai rossa. «Me l'hai insegnata tu, questa mossa.» 
«Ma è successo anni fa»disse Valentine con voce melliflua.  «e da allora non hai avuto molto bisogno di usare un'arma, giusto? Avevi artigli e zanne a disposizione.»
Il licantropo sorrise. «Li userò per strapparti il cuore.»
Suo padre scosse lentamente la testa. «Lo hai già fatto anni fa. Quando mi hai tradito e abbandonato. » e per la prima volta sembrò davvero triste. In fondo Lucian era stato il suo parabatai, e quello non è un legame da cui ci si separa facilmente. Jace pensò ad Alec, chiuso nell' infermeria dell'istituto a combattere contro la morte. Gli mancò il respiro. Se avesse perso il suo parabatai sarebbe stata un ecatombe.
Lucian provò un altro affondo che Valentine evitò. «Sei stato tu a mettere mia moglie contro la sua stessa gente. L'hai cercata quando era più debole. Io ero lontano, e lei ha pensato che tu la amassi. È stata una stupida.»
Jace si irrigidì. Stavano parlando di sua madre. Le lacrime lottarono per uscire ma lui le ricacciò dentro. Smettila. Si ordinò. L'unica madre che hai conosciuto è Maryse. E lei non era neanche la tua vera madre.
Clary si voltò verso di lui. «È di tua madre che Valentine sta parlando» gli disse secca.
«Mi ha abbandonato» le rispose acido. «Bella madre.»
«Pensava che fossi morto. E sai come faccio a saperlo? Perché teneva una scatola in camera sua. Sopra c'erano le tue iniziali, J.C.»
Jace ebbe una momentanea visione di sua madre seduta in una stanza da sola con lo sguardo triste. Eppure non riusciva a compatirla. «Dunque aveva una scatola. Un sacco di persone hanno delle scatole. Ci tengono dentro le cose. Mi dicono che va molto di moda.»
«Dentro c'era una ciocca dei tuoi capelli. Capelli di bambino. E una fo-tografia, forse due. Le tirava fuori una volta all'anno e piangeva. Piangeva a dirotto, come se avesse il cuore spezzato...»
Jace strinse il pugno contro il fianco della ragazza. «Smettila» sibilò.
«Di fare cosa? Di dirti la verità? Pensava che fossi morto... Non ti avrebbe mai lasciato se avesse saputo che eri vivo. Tu pensavi che tuo padre fosse morto...»
«Io l'ho visto morire!» Urlò con tutta la disperazione che aveva in corpo, nell'anima e nella voce. « Non l'ho solo... sentito dire, come lei!»
«Ha trovato le tue ossa carbonizzate» disse sottovoce Clary. «Tra le rovine di casa sua. Insieme a quelle di suo padre e sua madre.»
Dopo qualche secondo Jace la guardò. Non aveva motivo per mentirgli così, e dal suo sguardo si leggeva la sincerità. Come aveva potuto vivere in quelle bugie per tutti quegli anni? Anni in cui aveva voluto una madre che si prendesse cura di lui, che lo difendesse. Valentine gli aveva raccontato bugie su bugie. Sentì la fiducia che riponeva in suo padre  rompersi all'interno di sé.
«È ridicolo» disse infine sempre guardando la ragazza.  «Io non sono morto. Non potevano esserci delle ossa.»
«C'erano.»
«E allora era un incantesimo.» sibilò.
«Chiedi a tuo padre cosa è successo ai suoi suoceri» disse Clary. Alzò una mano come per accarezzarlo «Chiedigli se era un incantesimo anche quel-lo...»
Perché continuava a dirgli quelle cose? Era Troppo. Decisamente troppo. «Stai zitta!» urlò in preda alla disperazione voltandosi verso di lei. Già una volta gli aveva detto di stare zitta e allora l'aveva dovuta inseguire in un portale. Ma sembravano passati secoli da allora.
Un urlo di dolore lo fece voltare verso Valentine e Lucian. Suo padre era riuscito a colpirlo sotto la clavicola e ora sul petto del lupo c'era una grande chiazza rosso cremisi, i suoi occhi erano spalancati e il colorito terreo. Ridendo sommessamente Valentine tirò fuori l'arma dal petto di Lucian e lo colpì di nuovo. Il gemello del pugnale di Jace cadde a terra e Valentine gli diede un calcio facendolo sparire alla vista.
E Jace capì all'istante ciò che stava per accadere. L'avrebbe fatto anche lui, d'altronde. «Clary...» sussurrò nel vano tentativo di fermarla.
Ma lei era già sparita. Si gettò addosso a Lucian abbracciandolo con affetto e disperazione proprio mentre la lama di Valentine faceva la sua discesa mirando al cuore del licantropo.
E a quello di Clary.
Un nuovo istinto si mosse per Jace. Sfilò dalla cintura il pugnale dall'elsa rossa e senza neanche pensarci su lo scagliò verso la mano di Valentine. La spada dall'elsa ornata di Stelle e il pugnale volarono via, mentre la mano di Valentine si bagnava di rosso.
Era ancora con il braccio alzato quando capì di essere stato lui a colpire suo padre. E inorridì al pensiero di non aver esitato un istante nel farlo. «Padre, io...» disse implorante.
Sul volto di Valentine passò un istante di cieca ira, ma quando parlò la sua voce era piuttosto calma. «Ottimo lancio, Jace.»
 Jace guardò la mano sanguinante. «La tua mano... io volevo solo...»
«Non avrei fatto del male a tua sorella» rispose come fosse ovvio.
Ma Jace non gli credeva. E pensò che forse era la prima volta che non credeva a qualcosa detto da suo padre.
Valentine si chinò a raccogliere la sua spada ed il pugnale ormai macchiato di sangue che infilò alla cintura. «Avrei fermato il colpo. Comunque il tuo attaccamento alla famiglia è encomiabile.»
Jace si sentì disgustato.
«Mi servono delle bende» disse Clary facendolo tornare alla realtà. «Dei tovaglioli, qualsiasi cosa... Jace, il tuo stilo...»
Jace si avvicinò con la mano già sul risvolto della cintura che conteneva lo stilo ma suo padre lo fermò. «Fermo, Jonathan» disse con voce autoritaria. Si rivolse a Clary. «Clarissa» disse.  «quest'uomo è un nemico della nostra famiglia, un nemico del Conclave. Noi siamo Shadowhunters, e questo vuol dire che a volte dob-biamo uccidere. Certamente questo lo capisci.»
«Cacciatori di demoni» disse Clary. «Uccisori di demoni. Non assassini. È diverso.»
«Lui è un demone, Clarissa» replicò Valentine  con la stessa voce dolce.  «Un demone con un volto da uomo. Io so quanto possono essere ingannevoli questi mostri. Ricordi? Io stesso l'ho risparmiato una volta.»
«Mostri?» rise Clary. «Luke non è un mostro» disse con la voce divertita. «E nemmeno un assassino. Tu sì.»
«Clary!» urlò Jace ma lei lo ignorò e, nel complesso era una cosa ridicola in quel momento, lui si sentì leggermente offeso. La ragazza stava fissando i freddi occhi grigi di Valentine. «Tu hai ucciso i genitori di tua moglie, non in battaglia ma a sangue freddo» disse. «E scommetto che hai ucciso anche Michael Wayland e suo figlio e hai gettato i loro corpi insieme a quelli dei miei nonni, in modo che mia madre pensasse che tu e Jace eravate morti. Hai messo il tuo ciondolo al collo di Michael Wayland prima di bruciarlo, in modo che tutti pensas-sero che quelle ossa erano le tue. Dopo tutto il tuo parlare della purezza del sangue del Conclave, non hai pensato per un attimo al loro sangue e alla loro innocenza quando li hai uccisi, vero? Massacrare vecchi e bambini a sangue freddo, questo è mostruoso.»
Un altro istante d'ira percosse i lineamenti di suo padre «Basta così!» disse infuriato come lui non lo aveva mai visto, riprendendo la spada nera e puntandola dritta verso Clary. «Jonathan! Porta via tua sorella o per l'Angelo giuro che la ucciderò insieme al mostro che sta proteggendo!»
Ed eccolo di nuovo a dover scegliere da che parte stare. Se dalla parte di suo padre, armato e addestrato, o dalla parte di Clary, disarmata e in pericolo.  Gli sembrava una scelta già fatta, e già una volta aveva fatto la scelta sbagliata. «Certo, padre» si rassegnò infine.
Si avvicinò alla ragazza afferrandola per un braccio rimettendola in piedi e la allontanò dal licantropo. «Jace» sussurrò Clary sgomenta.
«No» disse Jace secco. Non sopportava più la voce della ragazza. Non ce la faceva. «Non parlarmi.» 
«Ma...»
«Ho detto di non parlare.» Le strinse il braccio senza tanti complimenti.  Tentò di portarla fuori ma era decisamente ostinata a rimanere lì e Jace di certo non voleva farle male.«Lascialo stare!» urlò Clary tentando inutilmente di liberarsi dalla sua stretta. Ma se Jace l'avesse lasciata andare, non era sicuro che suo padre si sarebbe fermato.
«Smettila» le sussurrò all'orecchio.  «Stai solo rendendo le cose più difficili. È meglio che non guardi.»
«Non guardare» Conficcò la lama nella schiena del dimenticato. Una grossa macchia rossa si espanse sotto i suoi piedi. Clary inorridì.
«Ti avevo detto di non guardare»
Era passata un' eternità.
«Come fai tu?» chiese Clary fredda. «Chiudere gli occhi e far finta che qualcosa non stia succedendo non serve a niente, Jace, dovresti saperlo bene...»
«Clary, basta.» la supplicò Jace. Perché lo tormentava così?
Valentine rise di gusto. «Se solo mi fosse venuto in mente di portare con me una spada d'argento, avrei potuto finirti come si fa con quelli della tua specie, Lucian.»
Lucian ringhiò un insulto.  Clary provò a divincolarsi ma scivolò. Jace la prese al volo e la riportò in piedi. Teneva le braccia strette intorno a lei, sulla sua schiena, sui suoi capelli. Come l'aveva già tenuta una volta. Avrebbe voluto stringerla così per sempre, non muoversi mai più.
«Almeno lasciami alzare» disse Lucian. «Concedimi di morire in piedi.»
Valentine scrollò le spalle dall'alto del suo piedistallo.  «Puoi morire sulla schiena o in ginocchio» disse. «Solo un uomo merita di morire in piedi, e tu non sei un uomo.»
«NO!» urlò Clary mentre Lucian si metteva lentamente in ginocchio.
«Perché devi rendere le cose così difficili?» le disse ma sembrava di parlare ad un muro. «Ti ho detto di non guardare.»
Clary ansimava.  «E tu perché devi mentire a te stesso?»
«Non sto mentendo!» urlò ancora. Strinse la presa anche se non si era mossa. «Voglio solo quel poco che c'è di buono nella mia vita.  mio padre. la mia famiglia. non posso perdere tutto un'altra volta!» Ignorò Lucian e Valentine, ignorò la battaglia che ancora ardeva nel cortile delle Rovine di Renwick. Si stava spezzando di nuovo, quel piccolo bozzolo di felicità che aveva provato era già distrutto. «Tu hai già una famiglia» disse Clary guardandolo negli occhi. «La tua famiglia sono le persone che ti vogliono bene. Come i Lightwood... Alec, Isabelle...»  La sua voce si fece più flebile. «La mia famiglia è Luke, e tu stai per farmi assistere alla sua morte come tu hai assistito a quella di tuo padre quando avevi dieci anni? È que-sto che vuoi, Jace? È questo il tipo di uomo che vuoi essere? Come...»
Si interruppe all'improvviso. E Jace finì al posto suo. Forse perché aveva ragione, forse perché pronunciare quelle parole le avrebbe finalmente rese vere. «Come mio padre»
E all'improvviso seppe ciò che doveva fare.
Spinse Clary da una parte e mentre Valentine stava per conficcare la lama nel petto di Luke, Jace lo tirò via. La lama si conficcò con un suono sordo sul pavimento di legno.  Ora stava davanti a suo padre. Lo guardava come non aveva mai fatto. Come il Diciassettenne abbandonato, non come il bambino di sei anni che voleva a tutti i costi fare contento suo padre. «Penso che dovresti andartene» disse secco.
Valentine guardò Jace incredulo, come se all'improvviso un cagnolino gli avesse detto di togliersi dai piedi. «Cosa hai detto?»
Allungò una mano sull'elsa nella spada conficcata nel pavimento accarezzandola leggermente. Aveva sempre voluto impugnare quella spada. «Penso che tu mi abbia sentito, Padre.»
Valentine digrignò i denti. «Jonathan Morgenstern...»
Jace staccò veloce la lama dal pavimento e la puntò verso la carotide di Valentine, lì dove il sangue scorreva veloce dalla rabbia. Chissà come doveva sentirsi, minacciato dalla lama che fino a qualche minuto prima teneva stretta. «Non è quello il mio nome» disse Jace, calmo. «Io mi chiamo Jace Wayland.»
Gli occhi di Valentine lo scrutavano ancora. Conosceva suo padre abbastanza per dire che era consapevole della spada alla gola, ma non se ne preoccupava.
«Wayland?» rise. «In te non scorre il sangue dei Wayland! Michael Wayland non è nessuno per te...»
«E neanche tu» Rispose con tranquillità. Ed era vero. La lama si spostò leggermente verso sinistra. «Allontanati da Luke.» ordinò.
Valentine scosse la testa sorridendo. «Mai. Non prenderò ordini da un ragazzino.»
Jace spinse la lama che arrivò a toccare la gola di Valentine. Riusciva a sentire il battito attraverso la lunga spada.  «Sono un ragazzino molto ben addestrato» disse. «Mi hai insegnato tu stesso la sottile arte di uccidere. Devo muovere solo due dita per tagliarti la gola, lo sai, vero?» sorrise. «Immagino di sì.»
Gli occhi di suo padre avevano una sfumatura di vittoria. Come se fosse lui a tenere Jace attaccato al muro con la spada alla gola. «Sei abbastanza abile» disse.  «Ma non riusciresti a uccidermi. Sei sempre stato un debole.»
«Forse lui non ci riuscirebbe.» Era Luke. Si era rialzato in piedi tenendosi il braccio che aveva smesso di sanguinare. «Ma io sì. E non sono del tutto sicuro che lui potrebbe fermarmi.»
Lo sguardo di Valentine passò da Luke a Jace. «Hai sentito il mostro minacciarmi, Jonathan» disse Valentine, la voce e lo sguardo carichi di disprezzo. «E tu ti schieri con questo animale?»
«Non ha torto» disse Jace con tranquillità. «Non sono sicuro che potrei fermarlo se volesse farti del male. I licantropi guariscono così in fretta.»
Il viso di Valentine si contrasse in una smorfia. «Così sei come tua madre, preferisci questa creatura, questo demone bastardo, al tuo sangue, alla tua famiglia?»
Jace tremò leggermente, la presa sulla mano era meno salda. Prese un gran respiro e controllò il tremito.  «Tu mi hai lasciato quando avevo dieci anni» disse con una voce misurata. «Mi hai fatto cre-dere che tu fossi morto e mi hai mandato a vivere con degli estranei. Non mi hai mai detto che avevo una madre e una sorella.» Tutto il veleno che sentiva dentro, tutto il dolore lo riverso in quelle parole sperando che lo facessero soffrire come aveva sofferto lui in tutti quegli anni. Ma suo padre era freddo, come sempre.   «Mi hai lasciato solo.»
«L'ho fatto per te... perché fossi al sicuro...» provò a dire Valentine. Clary lo interruppe- «Se ti fosse importato qualcosa di Jace, se ti fosse importato della tua famiglia, non avresti ucciso i suoi nonni. Tu hai assassinato degli innocenti...»
«Innocenti? In guerra non esistono innocenti! Si e-rano schierati con Jocelyn, contro di me! Avrebbero lasciato che lei mi portasse via mio figlio!» Urlò Valentine. Jace non lo aveva mai visto perdere il controllo così.
Sentì Luke sospirare. «Sapevi che ti avrebbe lasciato» disse. «Lo sapevi ancora prima della Rivolta?»
«Ma certo che lo sapevo!» urlò Valentine. Ogni facciata era crollata. «Ho fatto quello che do-vevo per proteggere ciò che era mio e alla fine ho dato loro più di quanto meritassero... la pira funebre riservata solo ai più grandi guerrieri del Conclave!»
«Li hai bruciati» sussurrò Clary inorridita.
«Sì» urlò Valentine. «Li ho bruciati.»
Jace emise un suono strozzato. Un'altra parte della sua famiglia che non avrebbe mai conosciuto. «I miei nonni...»
«Non li hai mai conosciuti» disse Valentine. «Non simulare un dolore che non provi.»
La punta della spada ora tremava con più forza. Sentì una mano salda sulla spalla, non era di Clary. «Calmati» Disse Luke.
Jace prese grandi respiri per calmare il battito accelerato del cuore.  Non smetteva di guardare suo padre. Voleva ucciderlo. Voleva farlo davvero.
«Jace.» Era Clary.  «abbiamo bisogno della Coppa. Oppure sai che cosa ne farà.»
Jace si morse le labbra. Clary aveva ragione. Come sempre. «La Coppa, padre. Dov'è?»
«A Idris» disse suo padre con fermezza. «Dove non la troverete mai.»
«Dimmi...» cominciò ma Luke lo interruppe. «Dammi la spada, Jonathan.»
Con tutto quello che stava succedendo, una cosa così semplice lo sconvolse.  «Cosa?»
Clary si avvicinò. «Dai la spada a Luke. Dagliela, Jace.»
Jace scosse la testa. Se Valentine doveva morire, voleva che fosse per mano sua. «Non posso.»
«Sì, puoi» La voce della ragazza era dolce, come quella notte nella serra. «Ti prego.»
Il battito di Jace era accelerato, ma annuì piano. Luke mise una mano sulla sua che teneva la spada. «Adesso puoi lasciarla, Jonathan» Jace si irrigidì nel sentire il suo nome.  «Jace.» si corresse dopo qualche istante.
Con lentezza, Jace si staccò dalla spada e si allontanò da suo padre, tenendo sempre gli occhi dissi su di lui.
«Avrei un suggerimento» disse Valentine con inaspettata calma.
«Fammi indovinare» rise Luke. «È "non uccidetemi", giusto?»
 Valentine rise di Gusto. «Non mi abbasserei certamente a pregarti.»
«Bene» disse Luke, accarezzando il collo di Valentine con la spada. «Non ti ucciderò, a meno che tu non mi costringa, Valentine. Non voglio ucciderti davanti a tuo fi-glio. Quello che voglio è la Coppa.»
I ruggiti dei lupi si erano fatti più forti. Clary si girò verso Luke ma lui la rassicurò.
«La Coppa è a Idris, ve l'ho già detto» disse Valentine.
Le spalle di Luke erano tese come le corde di violino, ma la voce era calma. «Se è a Idris, hai usato il Portale per arrivarci. Andremo insieme a riprenderla.»
Alzò la voce per farsi sentire sopra il casino che veniva dal corridoio. «Clary resta con tuo fratello. Dopo che saremo andati via, usate il Portale per andare in un posto sicuro.»
«Non ti lascio qui» disse Jace secco.
«E invece sì.» disse Luke e Jace si sentì per un secondo intontito. «Valentine, il Portale. Subito.»
Valentine allargò le braccia, come in segno di resa. «Come desideri.»
Fece un passo indietro e in quel preciso istante la porta esplose. Tutti si girarono verso l'ingresso, anche Luke con la spada ancora in mano.
Sulla porta era comparso un lupo, dalla pelliccia chiazzata di ferite e sangue. Jace impugnò Sansavi imprecando sottovoce.
Clary gli prese il polso con delicatezza. «No... è un amico.»
Jace la guardò sconvolto. Era un lupo, non un amico. Abbassò comunque l'arma.
«Alaric...» sussurrò Luke. Ti avevo detto di rimanere giù con gli altri. Sibilò nella lingua dei lupi. Jace ne fu colpito. Di solito i capibranco usano quelle lingua per dare ordini.
Il lupo si acquattò sul pavimento in segno di resa. Jace seguì il suo sguardo e capì che non stava guardando Luke, ne si stava arrendendo alle volontà del suo capobranco.
Si stava preparando a saltare.
«Luke!» urlò Jace, ma era troppo tardi. Valentine aveva sfilato il pugnale dall'elsa rossa dalla cintura e lo aveva lanciato contro La schiena di Luke.
E avrebbe di certo colpito il bersaglio se un enorme palla di pelo grigia non si fosse frapposta tra la lama d'argento e Luke.
Alaric cadde a terra. Dalla sua pelliccia color cenere sgorgava tanto sangue, che si riversò sul pavimento come un lago rosso. Il lupo sfiorò piano con le zampe il pugnale conficcato nel suo petto con le ultime forze.
Valentine scoppiò a ridere. «Ed è così che ripaghi la lealtà assoluta che hai comprato tanto a buon mercato, Lucian» disse arretrando piano. «Lasciandoli morire per te. »
Valentine continuava ad arretrare. Jace non capì perché. Luke era disarmato, ormai. Aveva lasciato cadere la spada quando si era chinato sul corpo del suo sottoposto. Dove voleva andare?
Dietro la schiena di suo padre, Jace vide brillare qualcosa alla pallida luce delle candele. Qualcosa di liscio e riflettente. Uno specchio.
Bastardo!  Jace imprecò dentro di se. «Resta qui, hai capito? Resta qui!» sussurrò a Clary. E si mise a correre contro suo padre, Sansavi stretta nella sua mano sinistra.
«Non ci pensare nemmeno.» sibilò a Valentine, era voltato verso il portale, lo guardava come un ancora di salvezza.
Alle sue parole si voltò verso Jace, con un sorriso trionfante.
Clary arrivò dietro di lui, ansante. Jace la vide attraverso lo specchio.  «Clary. Ti avevo detto di aspettare.»
«È come sua madre» disse Valentine tastando qualcosa con la mano dietro di se. «Non le piace obbedire.»
Jace tremava ancora, ma la presa sulla spada era salda. «Andrò con lui a Idris, Clary, e riporterò indietro la Coppa.»
Clary sgranò piano gli occhi verdi. «No, non puoi...»
«Hai un'idea migliore?»
«E Luke...»
 «Lucian» disse Valentine, evidentemente contento del nuovo piano.  «sta badando al suo commilitone caduto. Per quanto riguarda la Coppa, e Idris, non sono lontane. Oltre lo specchio, per così dire.»
Jace fece una smorfia. «Lo specchio è il Portale?»
Le labbra di suo padre si mossero nell'imitazione di un sorriso. Si spostò dallo specchio. Ora la superficie non rifletteva più l'immagine di Jace e Clary stanchi e sporchi, ma di Una valle assolata, e di una tenuta in pietra calda sotto il sole. Il cielo era dell'azzurro privo dell'inquinamento, Si sentivano le api ronzare e il canto sommesso degli uccellini che popolavano il luogo dove Jace era cresciuto.
Suo padre disse qualcosa, ma Jace non lo ascoltava. Era tornato con la mente a dieci anni prima. A quando un bambino dai riccioli dorati giocava con suo padre sull'erba verde e fresca che sapeva di primavera. A quando raccoglievano le mele dagli alberi, a quando facevano il bagno nel fiume. Jace sentì la sua bocca aprirsi i un sorriso.
«Puoi ancora tornare a casa» disse suo padre.
Casa.
No, quella non era più casa sua.
Non lo era da un bel po'.
E chissà perché, se ne accorse solo in quell'istante.
«Quella non è casa mia. Adesso è questa la mia casa.»
Il volto di Valentine si deformò dalla rabbia. Come quando disobbediva ai suoi ordini, come quando sbagliava a suonare, come quando gli aveva portato il falco addestrato.«Molto bene» disse Valentine. Mise un piede dentro il portale. Il piede di Valentine toccava l'erba verde di Idris. «Ah» disse. «Casa.»
Jace si avvicinò al portale fermandosi davanti alla cornice dorata, dove appoggiò la mano. Gli sarebbe bastato un passo, un piccolo movimento, e sarebbe tornato ad Idris.
E la voce di Clary lo riportò alla realtà. Non era più il bambino che era cresciuto lì. Era passato tanto tempo da allora. «No, Jace» disse Clary. «Non seguirlo.»
«Ma la Coppa...» Non riusciva più a controllare il tremito alla mano.  «Ci serve.»
«Lascia che la prenda il Conclave! Jace, ti prego.» urlò Clary dietro di lui. « Se attraversi quel Portale potresti non tornare più indietro. Valentine ti ucciderà. Tu non vuoi crederci, ma lo farà.»
«Tua sorella ha ragione.» Valentine era ad Idris. Parlavano attraverso due mondi completamente diversi.  «Credi davvero di poter vincere questa battaglia? Anche se tu hai una spada angelica e io sono disarmato? Non sono solo più forte di te, ma credo anche che tu non abbia il fegato per uccidermi. E dovrai uccidermi, Jonathan, prima che io ti dia la Coppa.»
Jace strinse la presa sulla lama. «Io posso...»
«No, non puoi.» Allungò le mani attraverso lo specchio, strinse il polso di Jace e lo tirò verso di se. La lama era a contatto con la sua carne. Ma non pensava a questo. Le sue mani erano a Idris. «Infilami dentro quella lama. Dieci centimetri, o anche di più...» strattonò ancora e la spada scintillante strappò il tessuto della sua camicia.
Una macchia rosso cremisi si espanse sul petto di Valentine. Era sangue. Ed era stata la sua lama a versarlo.
Jace inorridì. Si liberò della stretta di suo padre e barcollò indietro. Lontano dal portale, lontano da Idris.
«Come pensavo» sogghignò Valentine. «Troppo debole.» E tirò un pugno in direzione della sua mascella. Jace rimase un attimo confuso. Suo padre non era tipo da lotta a mani nude, preferiva le lame.
Solo dopo capì che non era diretto a lui quel colpo, ma alla superficie scintillante del portale.  A contatto con le nocche del Nephilim il vetro andò in mille pezzi producendo il rumore che avrebbe fatto un elefante in una cristalleria. Jace vide la tenuta di Idris sparire sotto il suo sguardo, e l'ultima cosa che vide fu la pioggia di cristalli distrutti cadergli intorno come una pioggia scintillante.
 
Solo quando la pioggia di Cristalli finì Jace ritrovò la forza di pensare.
Era finita. Valentine era scappato con la coppa mortale. Non era stato in grado di fermare il cattivo. Si sentì tremendamente giovane e vulnerabile, come se d'improvviso fosse tornato ad avere dieci anni.
E le ginocchia non lo ressero più. Si lasciò cadere, guardando i pezzi di un luminoso argento che fino a qualche momento prima gli avevano offerto di tornare ad Idris.
Jace vide un pezzo più grande di vetro frastagliato. Aveva catturato l'immagine di un cielo azzurro. Si intravedeva l'ombra delle foglie, sentiva quasi il caldo del sole sulla pelle. Lo rigirava tra le mani con lentezza, era tutto quello che poteva vedere di quella che era stata la sua casa per tanto tempo. Un pezzo di cielo, l'ombra delle foglie.
Sentì un rumore di vetri calpestati dietro di lui. «No.» Sussurrò Clary al suo fianco, mettendogli un braccio intorno alle spalle.  «Non c'era nient'altro che tu potessi fare.»
«Sì, c'era.» Guardava i pezzi di vetro davanti a lui, Come se potessero riunirsi e mostrargli ancora una volta quell'immagine, solo una volta. «Avrei potuto ucciderlo.» le mostrò la piccola scheggia di portale che teneva in mano.  «Guarda» disse.
Clary guardò la scheggia. Aveva gli occhi verdi spalancati e lucidi. Tristezza, o pietà verso di lui?  «Jace...»
«State bene?» era Luke. Ma Jace non si voltò ne disse alcunché
«Abbastanza». Rispose Clary senza alzarsi. «Alaric...?»
«È morto» tagliò corto Luke. La sua voce non era quella di un capobranco che perde un sottoposto. Era di una persona che perde un amico.
 «Mio padre è scappato» disse Jace. Non a Luke, non a Clary. Non a sé stesso. Ricapitolava come quando era bambino. «Con la Coppa. Gliela abbiamo praticamente consegnata noi. Abbiamo perso.»
Capì subito che era la mano di Luke a spazzolargli via dai capelli i pezzetti di vetro. Non per gli artigli da lupo, ma perché avrebbe riconosciuto il tocco di Clary in mezzo a mille altri.«Non abbiamo perso» disse Luke.
La ragazza di inginocchiò accanto a lui. Gli strinse una mano tra le sue e Jace lo trovò rincuorante, Ma non come ti rincuora una sorella. Di certo. «Va tutto bene» gli sussurrò piano. «Abbiamo ritrovato la mamma, abbiamo ritrovato te... abbiamo tutto ciò che conta. Non abbiamo perso. Non abbiamo affatto perso.»
Jace chiuse gli occhi.  «Aveva ragione lui. È per questo che non sono riuscito ad attraversare il Portale. Non potevo farlo. Non potevo ucciderlo.»
«Solo se tu l'avessi fatto» disse Clary «avremmo perso.»
«Clary.» sussurrò. E gli parve così vicina accanto a lui, poteva allungare una mano e sfiorarla. Ma sempre così lontana, chilometri e chilometri distante. La ragazza gli prese il pezzo di vetro tagliente dalle mani, lasciandola cadere in mezzo a tanti, piccoli altri pezzi di Idris.« Senti, Jace. » lo rimproverò con dolcezza. «Non lo sai che non bisogna giocare con i vetri rotti?»
Soffocò la risata che sentiva salire. Lei lo aveva salvato. In ogni modo in cui una persona può essere salvata. Lo aveva reso ciò che era adesso, lo aveva reso felice, per qualche strano motivo. Le gettò le braccia al collo, la strinse forte a sé e ripeté ancora il suo nome. Una, dieci, cento volte. All'infinito se possibile, come se quella lenta e dolce litania potesse salvarlo dal dolore per la perdita del primo vero amore della sua vita.
 
 
 

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Capitolo 25
*** Come prima. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo XXIV; Come Prima

 
Possibile che fosse tutto uguale a prima? Ogni piccolo frammento dell'istituto, di casa sua, era uguale a prima. E allora com'è che si sentiva come se vi stesse entrando per la prima volta? Sentirsi veramente a casa era più difficile di quello che sembrava.
Era rientrato all'istituto solo. Clary era andata via con Lucian dalle rovine di Renwick. E lui era rimasto solo, con più di venti chilometri a distanziarlo dalla vecchia cattedrale. Decise di non prendere la metro, forse farsi una lunga, lunga passeggiata sotto il caldo cocente di una New York in piena estate gli avrebbe alleggerito il peso che portava sulle spalle.
Passo dopo passo aveva ripercorso tutta la sua vita.
Quando era piccolo, Quando giocava con Valentine.
L'armadio del sottoscala, il ventaglio di sangue.
L'arrivo a New York, I Lightwood.
Il demone del Pandemonium Club. Clary.
Jace sospirò. Calciò una lattina di birra vuota che brillò alla luce del sole per poi cadere con tonfo metallico sulla strada solitaria. Ora che finalmente tutti i pezzi del puzzle di quel gran casino erano al loro posto, riusciva a vedere quelle piccole sfumatura, quei piccoli momenti di buio che non si era mai spiegato.
 E che in realtà non aveva mai voluto sapere! Era più facile crogiolarsi in una comoda bugia, piuttosto che lottare con le unghie e con i denti per sopravvivere ad un orrenda verità.
Non ho mai visto una foto di mio padre. Valentine le aveva distrutte tutte.
Forse Maryse lo sapeva, anche se inconsciamente. Forse lei aveva sempre saputo che non assomigliava per niente al suo amico Wayland.
Gettò un occhiata all'East River. Brillava di una sporcizia non ben definita che gorgogliava dal fondale.  Clary gli somiglia. Si ritrovò a pensare. Forse non era così evidente per tutti, men che meno per loro. Ma per Jace, che aveva passato ore della sua vita a contemplare il viso di Clary e che aveva riportato alla memoria il viso del padre così tante volte, non era così difficile vedere quei piccoli dettagli trasmessi da padre in figlia.
Quando si mettono un idea in testa, non c'è niente al mondo che possa fargli cambiare idea. E poi c'era quel luccichio negli occhi che avevano entrambi quando avevano un idea. Forse non era poi così tanto, ma era sufficiente. Almeno per Jace.
Come aveva fatto a non accorgersene prima? La risposta era davvero semplice. Quando stava con Clary, quando parlava con lei, quando rideva con lei, non pensava mai a suo padre. Quando era con lei, esisteva solo lei.  Forse è questo l'amore. Abbandonarsi totalmente alla felicità che ti procura quella persona. Non sapeva dare una definizione a quella parola. Aveva provato una elettrica attrazione per la piccola e minuta mondana che per la prima volta nella sua vita era riuscita a fargli cadere di mano un arma per la sorpresa dalla prima volta in cui aveva posato lo sguardo su di lei. Non si era mai sprecato a darle un nome. Era come una fissazione, pensare a lei giorno e notte, ma più intenso. Qualcosa di più profondo di un pura e semplice curiosità.
«Clary è mia sorella.» sussurrò. Era la prima volta che lo diceva. E solo ora che le aveva dette, quelle parole gli sembrarono reali. Troppo reali per poterle sopportare. Sorella.
E allora perché non lo sentiva reale?  Perché non sentiva Clary come sua sorella? Perché sentiva che non era reale? Anche se era assurdamente vero, non era reale.
Era stata una coincidenza? Incontrare Clary al Pandemonium Club quella sera, e non smettere più di pensare a lei? Era stato tutto uno schema del destino per fargli ritrovare suo padre e sua sorella?
Jace scosse la testa. Lui non ci credeva nel destino. I Nephilim scrivono da soli la propria storia. Non era stato il destino a fargli venire l'ossessione per quella ragazza. Ogni Nephilim sulla terra avrebbe denunciato la cosa, poi se ne sarebbe dimenticato.
Jace no. E, questo lo sapeva con assoluta e limpida certezza, non se ne sarebbe mai pentito.
 
Era tardo pomeriggio quando arrivò all'istituto. Le porte erano chiuse e aleggiava il silenzio. Jace vide la carrozza nera dei fratelli Silenti parcheggiata con attenzione nel vasto cortile. Forse fratello Geremia stava ancora con Alec. Salì le scale ed estrasse dalla cintura l'unico pugnale che gli era rimasto, dato che aveva perso definitivamente quello dei Morgenstern. Praticò un piccolo taglio poco profondo sulla mano destra e con delicatezza la posò sulla massiccia porta di legno. Quella si aprì con uno scatto, facendo entrare un fascio di luce argentea dall'interno. Appena mise un piede all'interno dell'istituto Un groviglio di capelli neri poco più bassa di lui gli si gettò incontro, gettandogli le braccia al collo.  «Ci hai fatto preoccupare da morire, Brutto idiota!» disse Izzy staccandosi piano da lui. Aveva gli occhi neri arrossati, e la guance ancora bagnate dalle lacrime versate. Per il resto sembrava ancora la vecchia Izzy, sua sorella. «Ora mi racconterai tutto, Jace. E Spero che tu abbia una valida ragione per essere sparito per giorni con Hodge, Clary e la coppa mortale mentre Alec..» Le tremò la voce per un secondo. «..Stava per morire.»
Jace le prese il volto tra le mani. «Ti spiegherò tutto, Izzy. Ma prima voglio vedere Alec.»
 
In un primo momento Jace pensò che Alec se ne fosse andato e che la stanza fosse vuota.  Le lenzuola del letto erano disfatte e gettate di lato con foga. Che lo odiasse tanto da non volerlo vedere mai più?
Poi si rese conto di una figura scura accanto alla finestra aperta da cui entrava la luce sanguinante del tramonto. Era decisamente Alec. Avrebbe riconosciuto ovunque le spalle larghe ed il fisico asciutto del giovane, forse perché quelle spalle erano state tanto tempo a contatto con le sue in battaglia, per proteggerlo come lo proteggeva lui. Era in piedi, stranamente saldo sulle proprie gambe, teneva un braccio alzato e stringeva la tenda con flebile forza. Lasciate  ad impolverarsi accanto al muro c'erano un paio di stampelle, che l'orgoglio del giovane Nephilim probabilmente non le avrebbe mai sfiorate. Per il resto, la stanza di Alec era uguale a come Jace e il ragazzo l'avevano decorata molti anni prima. Le pareti erano rimaste bianche perlacee, non come quelle di izzy che assomigliavano ad un cielo di notte pieno di fuochi d'artificio dorati,  ma a differenza di quelle della sua stanza Alec vi aveva appeso miriadi di foto. Della sua famiglia, di Idris, di Isabelle, e a ridosso della parete di fronte al letto, ce n'era una che raffigurava Jace e Alec mentre si allenavano insieme per la prima volta, quando Jace aveva tredici anni e Alec Quattordici. Una enorme libreria di mogano scuro occupava quasi tutta una parete, quasi interamente piena di libri su come torturare, decapitare, e parlare con i demoni. Da qualche parte c'era un dizionario di lingue già morte da secoli, mentre sui ripiani alti libri dalle copertine nere come la pece e risvolti in bronzo brillante che Alec aveva acquistato parecchio tempo prima in un mercatino di nascosti, attratto dall'aspetto, ma che non aveva mai avuto il coraggio di aprire per paura che ne spuntasse fuori un demone a sei teste. Jace aveva più volte tentato di aprirli, e più volte era finita in un duello tra i due giovani.
Naturalmente Alec si era accorto di non essere più da solo nel suo piccolo rifugio, ma i suoi sensi da Nephilim non sembravano al massimo della loro normale finezza, perché quando parlò disse: «Padre? Sei tu?»
Jace non rispose. Si avvicinò all'amico e si accostò alla finestra. Guardando il viso di Alec vide il tramonto dare colore alle sue guancie, ancora pallide e perlacee, che ancora recavano il fantasma del dolore. Si chiese se il viso del suo parabatai sarebbe mai tornato quello di prima, non prima di Abbadon o prima della cura, ma prima che quella sera andassero al Pandemonium, prima di Clary.
«Non sei mio padre.» concluse Alec. Il suo tono non era come l'aveva immaginato, aspro e duro. Era quasi il tono normale alla Alec: Secco, un po' saccente a dir la verità.
«No.» ribadì Jace. Non trovava nessuna battuta da dire in quel momento, nessuna ilarità. «Robert è qui?» chiese invece.
Alec staccò la mano dalla tenda facendo un passo indietro. Si allontanava dalla luce o da lui? «Dovrebbe tornare a giorni. Massimo una settimana.»
«Bene.»
Silenzio. Quand'erano diventati così loquaci i due ragazzi?
«Come stai?» chiese allora Jace, stanco del silenzio.
Ma forse il silenzio sarebbe stato di meglio di quello che venne dopo.
Alec sgranò gli occhi azzurri e strinse le mani a pugno, tanto forte che le nocche sbiancarono. «E' tutto quello che hai da dire? "Come stai?"» sibilò il cacciatore mentre la furia si impossessava di lui.
«Avrei dovuto chiederti come va?»
Alec si avvicinò di un passo, decisamente minaccioso anche se ancora evidentemente malato. «Sei il più grande stronzo che sia mai esistito sulla faccia di questo e di tutti gli altri mondi!» sputò il ragazzo. «Solo l'Angelo sa perché ho deciso di diventare amico di un cretino come te! Sei arrogante, presuntuoso, egoista e soprattutto non te ne frega niente di quelle persone che ti sono sempre state vicine, quando non avevi nessuno!» riprese fiato con calma, e Jace lo lasciò finire. «Hai la minima idea di quanto Izzy si sia mangiata le mani in questo tempo?  Con me in fin di vita e te e la mondana scomparsi?» Jace sussultò nel sentire Alec rivolgersi a Clary con quella durezza. «Poi rispunti qui, di punto in bianco e tutto quello che sai dire, dire a me! Il tuo Parabatai, l'unico fratello che tu abbia mai avuto, è "Come stai?"»
«Io..» cominciò a dire Jace.
«No tu niente!» urlò Alec con molte più energie di quanto in realtà ne avesse. «Tu devi essere grato all' Angelo che io sia ancora in convalescenza, se no ti avrei già preso a calci nel culo fino a spedirti in un'altra dimensione!»
Alec prese profondi respiri e chiuse gli occhi serrandoli bene. Jace prese quel gesto come la fine della sfuriata, quindi cominciò a parlare. «Hai ragione.» disse soltanto.
Alec sgranò gli occhi. «Certo che ho ragione! Sei un coglione Jace Wayland! Un emerito e grandissimo coglione! Sei… Sei… »   Il viso di solito bianco di Alec era diventato color sangue.
Il pugno sul naso arrivò subito dopo. Per l'angelo se faceva male!  Era piuttosto seccante continuare ad essere picchiato da Alec. In parte perché sapeva di meritarselo, e in parte perché Se poi Jace l'avesse picchiato a sua volta gli sarebbe venuto il senso di colpa. Diavolo!
 L'impatto lo sbilanciò e cadde sulla libreria di mogano, portandosi giù alcuni volumi scuri. Uno in particolare gli cadde sull'addome strappando a Jace un mugolio di dolore.
Meno male che è appena uscito dalla convalescenza, se no sarei volato dalla finestra. Pensò appena il dolore alla testa gli permise di formulare un pensiero coerente.
Il peso del libro aperto sull'addome sparì, e Jace aprì gli occhi vedendo Alec in ginocchio accanto a lui, studiare con uno strano sguardo negli occhi il libro che gli era caduto addosso. Jace gettò uno sguardo sulla copertina e riconobbe il codice dei cacciatori, con la rilegatura scura ed i caratteri dorati. Ci volle un attimo perché si rendesse conto che Alec stava leggendo il codice dopo avergli dato un pugno sul naso. Se Alexander Lightwood si era fatto distrarre da un libro, doveva decisamente essere qualcosa di davvero interessante, constatando la repulsione del ragazzo verso lo studio. Si mise a sedere con le gambe incrociate e posò lo sguardo sulla pagina del codice.
La pagina a sinistra portava solo un'immagine . Rappresentava due uomini adulti mentre si stringevano la mano sinistra e impugnavano una spada angelica con la destra. Il primo a sinistra era sulla trentina. I capelli dovevano essere molto scuri data l'immagine in bianco e nero. Era alto e muscoloso, come ogni cacciatore, e la cosa strana e che aveva solo qualche marchio. Quasi tutta la pelle era libera dal segno dello stilo. Esattamente come l'uomo alla sua destra, che però aveva capelli più chiari e corti, il fisico asciutto e lineare ed era meno alto del compagno.
 
I due primi Parabatai della storia dei Nephilim: Jonathan Shadowhunters e James Herondale, nella promessa di difendersi da qualunque cosa, da qualunque demone, da qualunque angelo.  Recitava la didascalia.
 
Jace alzò lo sguardo su Alec che fissava rapito la pagina. Lentamente spostò lo sguardo sul fratello a terra e perse tutto il rossore della furia, tutta la rabbia era sparita. Rimaneva soltanto un ragazzo che guardava il suo migliore amico.
«mi dispiace di averti colpito.» sussurrò.
«E' stato un bel colpo.» ammise Jace.
Alec si rialzò in piedi, offrendo una mano al fratello. Jace l'accettò sollevato.
«Penso ancora che tu sia un idiota, però.» e quindi, Abbracciò il suo parabatai.
 
«...»
«Pronto?»
«Clary?»
«Si, chi Parla?»
«Sono Jace.»
La ragazza perse un respiro, dall'altro capo del telefono.
«Che succede?»
Jace si morse piano il labbro inferiore ed immaginò la ragazza, dall'altro capo del telefono fare lo stesso.
«Volevo solo informarti di quello che è accaduto qui mentre noi..» piccola pausa, quasi impercettibile. Mentre La mente del giovane Nephilim ripercorreva tutta la permanenza alle Rovine di Renwick. «eravamo via.»
l'orecchio fine di Jace sentì un rumore di sottofondo provenire dall'altro capo del telefono. Un suono acuto, che si ripeteva ogni pochi secondi, ed il suono di un respiro lento e regolare, ma molto debole.
Clary sospirò dal suo capo del telefono. «Ti prego, dimmi che non è morto nessuno.»
Jace fece un sorriso amaro che lei non potè vedere. «Sono tutti vivi, credo. Non ho controllato i mostri in cantina.»
Un verso soffocato. Rideva? «Allora che è successo?»
«Alec sta bene. Merito del sommo stregone di Brooklyn. Isabelle sta bene, anche se piuttosto spossata. Robert e Maryse stanno per tornare, e con loro Max. Questione di un paio di giorni. »
Jace tacque all'istante, incerto su cosa dire.
Clary lo anticipò. «Cos'altro, Jace?» dannazione.
«Gli ho detto la verità.»
Clary aspettò un secondo, quindi disse: «Hai fatto bene, credo»
«credo anche io.»
«...»
«Clary..»
«Si?»
«Niente. Ci vediamo.»
«Ci vediamo.»
Jace chiuse la chiamata, quindi gettò il telefono contro la parete. Spaccandolo a metà.
 
«Sto bene, Izzy. Davvero. Ho solo bisogno di allontanarmi dall'attacco da primadonna di Alec.» e detto ciò Jace uscì dall'infermeria, con Alec che ancora borbottava con Isabelle su quando si sarebbe potuto alzare di nuovo. La ragazza, esattamente come Jace, non sopportava più le lamentele del ragazzo e a Jace quasi venne da ridere all'idea che potesse soffocarlo con un cuscino.
Salì le piccole scale a chiocciola che portavano alla serra. L'aria del mattino solleticava i suoi sensi. Era bellissimo poter tornare lì dopo essere stato ore chiuso nell'infermeria a Raccontare ogni particolare ad Alec e Izzy. Gli occhi azzurri di Alec avevano brillato di una strana luce quando aveva detto loro del segreto di Valentine. Jace sapeva benissimo che Alec sapeva di quello che c'era tra Jace e Clary. Molto da prima che lo sapesse Jace. Sperò con tutte le sue forze che quello sguardo fosse compassione verso di lui. Anche se c'era quell'idea, quel piccolo spiraglio che gli faceva pensare..
Scosse la testa sotto i caldi raggi del sole. Si era seduto al centro della serra, su una panca di marmo bianco. Gli alberi quasi coprivano quella panca alla vista. Era perfetta per il suo stato d'animo.
Si lasciò cadere sul marmo riscaldato dalla luce del sole passandosi una mano tra i capelli. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che era salito lassù?
Quella notte con Clary. Gli ricordò una vocina fastidiosa nella sua testa. Sospirò, mentre il ricordo si faceva spazio nella sua mente confusa. Quella notte, però, era nitida nei suoi ricordi, come se non fosse passato che qualche minuto.
Qualcosa nella giacca gli premeva contro il petto, infastidendolo. Si tolse l'indumento lasciandolo cadere accanto a sé nella panca. Dalle volte di tessuto si intravedeva un minuscolo frammento di cielo azzurro, un lembo di prato verde.
Jace prese il pezzo di vetro dalla tasca interna, rigirandoselo tra le mani. Suo padre era troppo intelligente da mostrarsi nel portale, questo lo sapeva. Ma una piccola parte di lui ci sperava. Non voleva rivivere l'esperienza di essere alla mercé di Valentine, assolutamente. Ma un figlio, per quanto in collera e deluso dal proprio genitore, Ha sempre voglia di rivivere i momenti felici in sua compagnia. Valentine non era stato il padre peggiore del mondo per lui.
 Ed era questo che non riusciva a sopportare.
Fu riscosso dai suoi pensieri sentendo il frusciare delle foglie davanti a lui. Apparve una ragazza. Bella, senza dubbio. Capelli rossi e lunghi stretti in due lunghe trecce che davano al suo viso un aspetto da bambina felice. Occhi grandi, luminosi e verdi, che brillavano sotto la luce del sole. Non molto alta, a dir la verità. Chiunque la vedesse penserebbe che fosse una mondana. Portava dei Jeans scoloriti ed una maglia colorata. Non c'erano marchi scuri a rovinarle la pelle candida e lattea. Non c'erano ferite o cicatrici a rovinare la morbidezza che, Jace lo sapeva, aveva la sua pelle. Non aveva ossa rotte ne lividi, Né mani sporche di sangue.
Era pura, semplicemente troppo pura per quel mondo sporco.
E Jace, Jace faceva parte di quel mondo sporco, solo per il semplice fatto di guardare così sua sorella.
«Clary.» sussurrò sorpreso. Nascose il pezzo del portale dentro le mani. Un gesto alquanto stupido dato che lei lo aveva visto sicuramente. «Cosa ci fai qui?» chiese piano.
«Sono venuta a trovarti» rispose lei, avvicinandosi di qualche passo.  «Volevo vedere come stavi.»
«Bene.» Rispose meccanicamente. Erano giorni che gli chiedevano come stava.  -Bene-  aveva sempre risposto. Non sapeva come sentirsi, se doveva essere sincero. Deluso? Arrabbiato? Triste? E' normale non sapere come ci si sente?
«Cos'hai in mano?» Ah, lo aveva visto.
Aprì le mani, schiudendo il piccolo pezzo di Idris che teneva stretto a sé. «Un pezzo del Portale.»
Clary si sedette vicino a lui, sulla panca di pietra. Era così vicina che riusciva a sentire il suo profumo. Vaniglia, forse. Con un tocco di fragole. «Ci si vede qualcosa?» chiese.
Mosse il piccolo pezzo di vetro, così che la luce solare vi si riflettesse sopra, mandando bagliori colorati su tutta la serra.  «Pezzi di cielo. Alberi. Un sentiero... Continuo a girarlo per cercare di vedere la casa. Mio padre...»
«Nostro padre» lo corresse lei.  Jace non disse nulla. «Perché vorresti vederlo?»
Questa, era proprio una bella domanda. «Ho pensato che magari sarei riuscito a vedere cosa stava facendo con la Coppa Mortale» anche se come risposta non soddisfava nemmeno lui.  Di Certo se Valentine Morgenstern stava macchinando qualcosa, non l'avrebbe fatto dove sapeva di essere osservato. «Dove si trovava.»
«Jace... non è più una nostra responsabilità. Non è un nostro problema. Adesso finalmente il Conclave sa cos'è successo, i Lightwood stanno tornando a casa di corsa. Lascia che se ne occupino loro.»
Jace la guardò, e si rese conto che, anche se tutto lasciava credere che fosse così, non si assomigliavano affatto come dovevano Fratello e sorella. Certo, Clary doveva essere decisamente più simile a Jocelyn, ma in quel viso che aveva osservato tanto, non vedeva nulla, niente che ricordasse il suo. O forse era il suo cervello che glielo impediva. «Quando ho guardato attraverso il Portale e ho visto Idris, ho saputo esat-tamente cosa stava cercando di fare Valentine. Ho capito che voleva vede-re se avrei ceduto. E non ha avuto importanza... desideravo tornare a casa più di quanto avrei potuto immaginare.» ammise, piano d'amarezza. Non era da lui fare certe confessioni.
Clary scosse la testa. I riccioli rossi le ricaddero intorno al viso come molle cremisi. Cosa non avrebbe dato per spostarle via i capelli dai delicati occhi verdi, sfiorandole la pelle magari.
«Non capisco cosa ci sia di così eccezionale, a Idris. È solo un posto. Dal modo in cui ne parlate tu e Hodge...» fece una piccola pausa nervosa. «Dal modo in cui lui ne parlava, volevo dire.»
Strinse di nuovo il pezzetto di Idris stretto in mano, convulsamente. Una piccola goccia rossa scivolò dalla mano. «Lì sono stato felice.» Rispose con semplicità. Era vero. Non si era mai sentito così felice a New York come si era sentito ad Idris. Era l'unico posto al mondo che avesse mai considerato casa prima di allora. «È stato l'unico posto in cui sia mai stato veramente felice.»
La ragazza strappò un rametto dall'albero di fronte a loro, pensierosa.
Lo faccio anche io. Si ritrovò a pensare Jace. E' assurdo, siamo davvero fratelli.
«Hai avuto pena di Hodge. È per questo che non hai raccontato ad Alec e Isabelle quello che ha fatto veramente.» disse Clary.
Jace scrollò le spalle, risvegliandosi dai suoi pensieri.
«Alla fine lo scopriranno, lo sai, vero?» chiese la ragazza guardandolo di sbieco.
Jace abbassò gli occhi nei suoi. «Lo so. Ma non sarò stato io a dirglielo.»
Non gli piaceva mentire ad Alec e Izzy, ma con tutto quello che era successo, non voleva essere proprio lui a dargli quell'ennesima batosta.
«Jace...» disse Clary guardando il piccolo stagno di fronte a loro.
«Come potevi essere felice lì? So cosa pensavi, ma Valentine è stato un padre terribile. Ha ucciso il tuo falco, ti ha mentito e so che ti picchiava... non pro-vare nemmeno a fingere che non lo facesse.»
Jace sorrise amaro. «Solo un giovedì sì e uno no.»
La vide fremere. Sperò che fosse per la foga del discorso. «E allora...»
«È stato l'unico periodo in cui io mi sia sentito sicuro di chi fossi. Di quale fosse il mio posto. Sembra stupido, ma...» Sospirò. Perché le diceva tutto questo?  Perché so che mi capirà. Non mi giudicherà sbagliato o inopportuno, o debole. Mi capirà, lo so. «Io uccido i de-moni perché è la cosa che mi riesce meglio ed è quello che mi è stato inse-gnato, ma non è quello che sono. E in parte mi riesce bene perché dopo la morte di mio padre io sono stato... libero. Nessuna conseguenza. Nessuno da rimpiangere. Nessuno che contasse nella mia vita per il fatto che aveva contribuito a donarmela. Adesso non mi sento più così.»
Clary guardò il rametto ormai privo di foglie prima di gettarlo lontano.  «Perché no?»
«Per te» disse lui. «Se non fosse stato per te, avrei seguito mio padre attraverso il Portale. Se non fosse per te, andrei da lui anche adesso.»
Si sentiva strano dopo averglielo detto, eppure non se ne pentiva. Era come averle confessato il suo più profondo e intimo segreto, una sua debolezza.
Lo sguardo di Clary era basso. Non riusciva a guardarlo. Jace pensò che neanche lui aveva molta voglia di guardarsi.  «Credevo di farti sentire spaesato.» disse.
«È passato tanto tempo» rispose sospirando. «Ero spaesato all'idea di sentirmi come se appartenessi a qualsiasi posto. Ma tu mi fai sentire come se ci fosse un posto per me.»le sorrise piano
Finalmente, Clary alzò lo sguardo guardandolo negli occhi. Erano belli gli occhi di lei. Verdi, grandi, le davano quasi un espressione di perenne sorpresa. Jace pensò che avrebbe potuto guardare quegli occhi per tutta la vita. «Voglio che tu venga con me.»
Jace pensò ai suoni che aveva sentito al telefono, quando l'aveva chiamata. Era all'ospedale, da sua madre. L'aveva capito solo dopo, ma questo non gli aveva impedito di pensarci. Avrebbe riconosciuto sua madre, in quella donna? Avrebbe riconosciuto l'affetto che si dovrebbe provare per la propria mamma? Non credeva di riuscirci.  «Dove?» chiese comunque.
«Speravo che volessi venire con me all'ospedale.»
«Lo sapevo.» disse piano.
«Clary, quella donna...»
«È tua madre, Jace.» disse Clary con dolcezza, interrompendolo.
«Lo so» disse lui. «Ma per me è un'estranea. Ho sempre avuto un solo genitore, e se n'è andato. Peggio che se fosse morto.»
«Lo so. E so che non serve a niente dirti quanto è fantastica mia mam-ma, e che persona affascinante, pazzesca e magnifica è, e quanto saresti fortunato a conoscerla. Non lo sto dicendo per te, lo dico per me. Penso che se sentisse la tua voce...»
«Se sentisse la mia voce...?»
«Potrebbe svegliarsi.» lo guardò dritto negli occhi.
E Jace capì. Voleva che ci fosse anche lui per avere conforto. Clary avrebbe tentato qualunque cosa per riavere sua madre. La invidiò terribilmente in quel momento. E decise che lui avrebbe fatto qualunque cosa per renderla felice. Le sorrise, un sorriso vero, stavolta. «Ricattatrice. Va bene. Verrò con te.» Si alzò in piedi. «Non serve che mi parli bene di tua madre» aggiunse poi. «Le so già tutte, le cose belle che la riguardano.»
Clary lo guardò con sorpresa. «Davvero?»
Scrollò le spalle con noncuranza. «Ha cresciuto te, no?» sollevò lo sguardo al cielo. Il sole stava sparendo su New York city lasciando spazio alla notte, e a ciò che le appartiene. E a Jace venne un idea.  «Il sole è quasi tramontato.»
Clary si alzò in piedi. «Andiamo all'ospedale. Il taxi lo pago io. Luke mi ha dato un po' di soldi.»
«Non sarà necessario.» Le tese una mano. «Vieni. Ho una cosa da farti vedere.»
 
«Ma dove l'hai presa?» Clary si portò le mani sulle labbra, per coprire l'espressione di sorpresa nel vedere la nuovissima, fiammante e -Verde?- moto demoniaca di Jace.
Si okay, infrangeva circa una quindicina di leggi dell'alleanza possederne una ma al diavolo! Jace aveva sempre voluto una moto.
«Magnus si stava lamentando che qualcuno l'ha lasciata davanti a casa sua, dopo l'ultima festa» disse Jace con falsa innocenza. «E io l'ho convinto a darla a me.»
«E sei volato fino a quassù?»
«Uh uh. Sto diventando abbastanza bravo.» Salì sulla moto. Si stava da Dio là sopra. Le fece cenno di salire dietro di lui.  «Vieni, ti faccio vedere.»
«Be', almeno questa volta sai già che funziona» Ma dai! Solo perché l'aveva fatta salire su una moto demoniaca senza sapere se volasse o no ed essere caduto da trenta metri d'altezza. Che sarà mai!
La sentì salire in sella dietro di lui e stringere le minute braccine al suo petto. «Se precipitiamo nel parcheggio di un supermercato ti uccido, lo sai, vero?»
«Non essere ridicola» disse Jace. «Non ci sono supermercati nell'Upper East Side.» Rise, ma il suono venne offuscato dal rombo della moto che voleva volare.
Poi volarono. E come la prima volta, il vento gli frustava addosso. Salivano sopra la cattedrale, salivano sopra i tetti dei palazzi e dei grattacieli vicini. E si rese conto che questa città fosse più affollata e affascinante di quanto avesse mai immaginato. D'altronde era casa sua. Central Park era un piccolo rettangolo verde smeraldo, dove le corti delle fate si incontrano nelle notti di mezza estate, c'erano le luci dei locali e dei bar di Downtown, Con vampiri sbronzi di sangue caldo e vodka fredda. c'erano i vicoli di Chinatown, Con i licantropi schiavi della luna che si rifletteva sul loro manto, e gli stregoni, Strafatti di magia.
Jace si volto verso Clary. Aveva gli occhi aperti, e guardava New York sotto di loro, come si guarda una vecchia amica.
«A cosa stai pensando?» le urlò.
Lei strinse la presa sul suo petto. Era piacevole sentirla così vicina. «A quanto è tutto diverso laggiù, adesso che posso vedere.»
«Laggiù è tutto esattamente come prima» rispose virando verso l'East River. «Sei tu che sei diversa.» virò verso il basso, vicino all'acqua.
«Jace!» sentì gridare la ragazza.
 «Tranquilla.» urlò Jace. Si stava divertendo da morire. Era come sentirsi di nuovo libero. «So quello che faccio. Non ti farò annegare.»
«Vuoi mettere alla prova quel che diceva Alec sul fatto che alcune di queste moto possono andare sott'acqua?» chiese Clary con la bocca vicina al suo orecchio.
«No.» rispose. «Credo che sia solo una storia.»
«Jace» lo rimproverò Clary con dolcezza. «Tutte le storie sono vere.»
E Jace rise. Una risata che contagiò anche la ragazza. Virando verso il ponte di Brooklyn, verso l'ospedale sui cui letti giaceva sua madre, verso la famiglia che tentava di ricostruire.
Verso la vita, che finalmente riusciva a comprendere.


Note dell'autore:
Salve a tutti ** Prima di tutto vorrei ringraziarvi per essere arrivati fino qui, è stato fantastico scrivere questa storia, entrare nella testa bionda di Jace e tentare di capire quello che c'è dentro, E vorrei ringraziarvi tutti, uno a uno, per avermi incoraggiata ad arrivare alla fine. Ma mi dispiace dirvi che questo capitolo non chiude questa storia, in quanto sto scrivendo un capitolo 26, con il quale alla fine si chiuderà, non vi dirò che succederà, lo scopriremo dopo la pubblicità! (?) okey basta la smetto xD Grazie ancora a tutti voi, non sapete quanto mi sia piaciuto scrivere con i personaggi di Miss Clare (Io la sposerò quella donna♥). E pensare che all'inizio pensavo non l'avrebbe letta nessuno, e adesso con tanta gente che mi scrive che adora la mia storia credo di essermi montata la testa ** Grazie, Grazie, Grazie!
Un saluto a tutti, al prossimo - e ultimo - Capitolo.
ClaryMorgenstern.

 

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Capitolo 26
*** Epilogo - Eroi di un altro contesto. ***


The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo XXV;Epilogo - Eroi di un altro contesto

 
Jace non ricordava quand'era l'ultima volta che aveva visto qualcosa di così bianco nella sua vita. Si trovavano in un enorme ospedale nella periferia di Brooklyn chiamato Beth Israel. probabilmente l'arredatore si era ispirato al paradiso e alla pace eterna quando l'aveva decorato essendo che gli bruciavano gli occhi per tutto quel bianco brillante. Per non parlare poi del fatto che si sentiva schiacciato dall' ingente quantità di mondani che lo osservavano. Alcuni incuriositi, altri semplicemente  con disprezzo. Sarà per i marchi. Pensò Jace razionalmente, essendo che probabilmente non avevano mai visto tatuaggi come i suoi. Ma più che altro lo pensò perché nella sua vita nessuno  lo aveva guardato con disprezzo.
Insomma, Jace era bellissimo.
Ma più di tutto ad inquietarlo era che non poteva fare un passo senza vedere mondani malati, sanguinanti, pallidi e malaticci, con bende, acciacchi e quei camicioni orrendi che lui non avrebbe indossato neanche da morto.
Non che fosse la prima volta che vedeva gente malata, questo no. Ma quando un Nephilim si ammalava con malattie da mondani - Febbre, varicella, ossa rotte o quant'altro - Bastava una passata di stilo e poteva combattere di nuovo.
I mondani erano tutt'altra storia. La loro guarigione era lenta perché avevano tutto il tempo del mondo per guarire. Il loro corpo non era fatto per andare in battaglia, per combattere. Il fatto che lo facessero comunque era solo una prova di quanto fossero stupidi.
Clary gli diede una gomitata leggera facendolo rinvenire dai suoi pensieri. Lo aveva condotto di fronte ad una donna grassoccia seduta dietro un bancone -anche quello di un bianco accecante - che rivolse al ragazzo un occhiata di traverso. «Relazione di parentela con il paziente?» chiese a Clary.
«Sono la figlia.» rispose la ragazza spazientita, battendo distratta le dita sul bancone. Jace ne dedusse che non era la prima volta che le facevano quel questionario.
La donna grassoccia scrisse qualcosa su un foglio di carta, poi lo girò e porse una penna a Clary. Lei firmò -con una grafia minuta e tondeggiante, come quella di una bambina - e le restituì il modulo.
La donna riprese il foglio e lo lesse. «Bene signorina Morgenstern» scoccò un occhiata sospettosa alla ragazza. Ovvio che non avesse mai sentito un cognome del genere. «Lei può andare, ma il suo fidanzato dovrà rimanere in sala d'aspetto.»
Jace quasi si strozzò.  Mio dio.
Clary, dal canto suo, era arrossita fino alla punta dei capelli. «Non è il mio fidanzato.» mormorò.
Jace perse un battito. Era vero, era assolutamente vero. Loro non stavano insieme, erano fratelli. Solo fratelli.
Perché faceva così male allora?
Il viso del ragazzo, però, era una maschera di ferro. Fece un sorriso sottile, totalmente privo d'allegria. «Sono suo fratello.»
La mondana grassoccia scoccò un occhiata a Jace, poi alla ragazza al suo fianco e poi sorrise. Jace provò l'impulso di darle un calcio. «oooh va bene.» disse ancora sorridente. «Ultima porta in fondo al corridoio» disse indicandola.
Jace fu contento di allontanarsi da lei ed avviarsi verso il corridoio bianco.  Clary al suo fianco era silenziosa come un topolino.
Adesso intorno a loro aleggiava il silenzio. Come faceva una sola parola a creare così tanto imbarazzo?
Clary si stava mordendo il labbro inferiore pensierosa. Jace si guardava gli scarponi lucidi. Intorno a loro non c'erano i malati, ma aleggiava il fantasma di quel bacio rubato, fuori dal tempo, alla serra.
Sembrava passata un eternità. Eppure, se chiudeva gli occhi, poteva ancora sentire il sapore di lei sulle labbra, le piccole e minute mani tra i capelli, il calore della sua pelle sulle mani.
Era assurdo pensare che adesso era così vicina a camminare accanto a lui, eppure lontana anni luce. Era assurdo non poterla sfiorare, non poterla stringere senza sentirsi orribile. Non era così che doveva essere.
Sentì un tocco leggero sfiorargli un braccio e quando si voltò vide Clary guardarlo con dolcezza, quasi fosse preoccupata di vederlo cadere a pezzi da un momento all'altro. «Jace» disse piano. «Sta tranquillo, va tutto bene.»
Jace forzò un sorriso, senza dire nulla. Si erano fermati davanti ad una porta bianca. L'unica finestrella della stanza era coperta da una piccola tenda azzurra a fiorellini, in tinta con gli orribili camicioni. Jace non aspettò neanche che Clary gli dicesse qualcosa. Prese il coraggio a due mani, come se dietro quella porta lo aspettasse un intera schiera di mondi infernali, e oltrepassò la porta.
Riconobbe il rumore sordo del macchinario che aveva sentito al telefono appena entrato. La stanza non era poi così grande. Aveva le classiche tonalità azzurre e bianche. Come mobili c' era solo un comodino accanto al letto ed una poltrona per i visitatori dei pazienti sulla quale sedeva Luke.
«Ancora nessuna novità?» chiese Clary.
Luke si alzò dalla sedia e andò verso di lei passandosi una mano sul volto. «Nessuna. »
 Jace vide molti più capelli bianchi di quanti ricordasse ed una ruga di preoccupazione a corrugargli la fronte. Era di nuovo vestito come un mondano e non aveva distolto lo sguardo, neanche per un istante, dal letto.
Perché su quel letto giaceva Jocelyn Morgenstern.
Doveva ammettere che capiva perché suo padre si fosse innamorato di quella donna. Anche con i lunghi capelli rossi -Così simili a quelli della figlia da spedirgli una fitta al cuore- scarmigliati sul cuscino, anche con l'orrendo camicione, anche con ormai più di trent'anni e mille orrendi ricordi sulle spalle, Jocelyn era una donna splendida.
 Non belle per definizione. Ma una di quelle bellezze che si trovano nei piccoli dettagli, intessuti nel proprio essere.
Esattamente come Clary.
Non c'era assolutamente dubbio che quella sul letto fosse la madre della ragazza accanto a lui. Clary era Jocelyn con vent'anni di meno e meno cicatrici. In più, sulla pelle lattea della madre spiccavano scuri simboli neri. Tutto in quella donna urlava un passato da  cacciatrice, anche se non c'era nessuno ad ascoltare.
Volle fare un passo verso il letto ma il comando non arrivò al cervello. Si sentiva fermo, immobile. E lo era davvero. Se ogni cosa nella donna stesa sul letto dichiarava la sua palese parentela con Clary, non c'era nulla - assolutamente niente - che gli diceva che fosse sua madre. La vedeva, ma non la vedeva davvero. Non poteva essere sua madre. Era sbagliata.
I minuti passavano lenti, e Jace era ancora lì. Imbambolato come un idiota mondano qualunque a cercare con una sorda ed acuta disperazione qualcosa che lo facesse sentire legato a quella donna.
Qualcosa, s'intende, che non fosse Clary.
Perché, Jace lo sentiva, Lei era l'unica cosa che lo legasse a quella donna. Jace aveva sempre immaginato di avere i tratti e gli occhi di sua madre, ma non era così.
«Oh ma andiamo dì qualcosa!»
Si girò.
Clary era arrossita di colpo, non per imbarazzo, decisamente no. Ma per rabbia. Lo guardava con gli occhi lampeggianti d' ira «Dì qualcosa!» urlò. «Non startene lì come un fesso!»
Sentì la prima emozione da quando era arrivato all'ospedale. La rabbia.
Strinse i denti e serrò i pugni. Affrontò la ragazza a testa alta -cosa non difficile, vedendo quanto fosse bassa. «E cosa dovrei dire, sentiamo?» sibilò in risposta. «Ciao mamma, è bello conoscerti dopo diciassette anni. Ti trovo bene!»
Clary fece il giro del letto e gli si parò davanti. A Jace venne in mente la prima volta che l'aveva vista arrabbiata, di fronte al Java Jones. Allora gli aveva ricordato Church quando si infuriava. Ora sembrava di più una piccola pantera. «Non fare il sarcastico. Non è stata colpa sua.»
«E nemmeno mia, direi.» urlò Jace. «Lei non è mia madre, Clarissa.»
«E invece lo è. Quindi se fossi in te mi ci farei l'abitudine.»
Jace serrò la mascella. «Valentine è tuo padre. Ci hai già fatto l'abitudine all'idea?»
Clary indietreggiò di un passo. Lo guardava come se l'avesse appena colpita. «Non è la stessa cosa. Lo sai.» disse abbassando la voce.
«Solo perché mio padre è un pazzo omicida?» chiese sarcastico. «Lei mi ha abbandonato, non è molto diverso.»
«Oh che vuoi che sia aver scatenato una guerra!» Clary urlò di nuovo.
«Lo sai, Clarissa. Sei molto simile a lui in questo momento.» E se ne andò. Girò su se stesso e puntò dritto verso la porta. Senza sentire quello che aveva da dire lei, senza sentire quello che aveva da dire Luke. Se ne andò e basta. Come un codardo che scappa dalla battaglia. Ed in effetti era così che si sentiva.
Uscito dall'ospedale, si ritrovò da solo. La luna era alta nel cielo e sembrava farsi beffa di lui dal suo piedistallo in alto. Aveva voglia di spaccare tutto, di prendere a calci qualcosa. Di fare capire al mondo che tutto doveva essere a pezzi, Perché lui era a pezzi.
Aveva voglia di  essere un cacciatore.
E solo in quel momento si rese conto che non era mai stato un cacciatore, da quando aveva incontrato Clary. No, il suo dovere era stato sopraffatto da una mondana con la passione per il disegno. Non era più stato un cacciatore da quando la sua missione era cambiata: Prima era tenere il mondo al sicuro dai demoni. Dopo era tenere al sicuro lei.
Ma il sangue angelico che scorreva nelle sue vene non era svanito. Doveva lottare, doveva combattere, sentire il sangue nero e vischioso  tra le mani.
Quasi in risposta alle sue preghiere, arrivò un messaggio al suo telefono nuovo.
 
Emergenza demoni a Chinatown. Io e Alec siamo quasi lì.
                                                                                                         Izzy.

Chiuse il telefono.
 
Mi senti solo ora, eh?
 
Le storie con un finale tragico iniziano sempre con una fuga. C'è qualcosa di desolante e di davvero patetico nel scappare da una battaglia. Gli eroi affrontano i loro demoni a testa alta. Non impazziscono, sanno cosa devono fare. Gli eroi non scappano.
Ma Jace Wayland non era un eroe. Non lo era mai stato.
Aveva seriamente creduto che suo padre fosse un eroe. Un cacciatore esemplare, un genitore quasi decente che si era sacrificato per la vita del figlio undicenne.
Ma in fondo, siamo tutti eroi di un' altro contesto.
Ma come Jace scoprì in seguito, molte delle cose in cui credeva cecamente erano una bugia.
Ma non era per questo che stava scappando, che era scappato dalla stanza dell'ospedale. Da Lucian e da Jocelyn Morgenstern, E Da Clary. Era scappato per un semplice motivo.
Era scappato dalla camera bianca perché era terrorizzato. Era terrorizzato da tutti queste sensazioni che erano nuove e spaventose, terrorizzato dal sentirsi così vicino ad una persona che avrebbe potuto abbandonarlo da un momento all'altro.
Ma soprattutto, la più grande paura della sua vita era l'amore che provava per sua sorella *
Ammetterlo a voce alta gli provocava delle fitte dolorose all'altezza del cuore. Ma era vero, da questo non poteva scappare. Anche se solo l'angelo sapeva quanto lo avrebbe voluto.
Chinatown puzzava di sangue, urina e morte.  Entrò a passo svelto, chiudendo i pensieri in una piccola scatola in fondo al suo cervello.
Si era fatto distrarre una volta di troppo.
Sfilò il sensore dalla cintura e dai sordi bip provenienti dall' apparecchio trovò Isabelle ed Alec  a confrontarsi con quattro demoni Reshaim*.
Anche se apparentemente illesi, Alec e Izzy non se la stavano vedendo granché con i mostri. Izzy era spalle al muro di mattoni logori e sudici che teneva stretta con la frusta le gambe e il pungiglione di un demone mentre con l'altra mano impugnava una spada angelica pronta a difendersi dagli altri. Alec invece era saltato sopra una grossa pila di scatoloni da cui scappavano topi, impugnava il nuovo arco di legno scuro e scagliava le frecce sui demoni. Nascosti dietro gli scatoloni su cui stava Alec c'era un mondano decisamente orientale, tremante di paura che tentava di mimetizzarsi con il muro dietro di lui. Ai suoi piedi, tre cadaveri. Un uomo anziano dai lunghi capelli grigi, anche lui orientale. Un bambino piccolo con gli occhi a mandorla ma dai tratti americani. E nascosta accanto all'uomo tremante, il cadavere di una donna sui quarant'anni.
Con i capelli rossi.
Erano una famiglia
. Una famiglia che era stata sterminata, distrutta in modo orribile.
Senza più aspettare oltre, Jace impugnò la prima spada dell'arsenale, Invocò Lauviah e sfruttando l'effetto sorpresa troncò di netto la testa al demone più vicino a lui. Si scostò di fretta per evitare che l'acido sangue nerastro lo inondasse da capo a piede rovinando così i suoi vestiti.
Alec e izzy alzarono contemporaneamente lo sguardo su di lui facendogli un gran sorriso.
Fu un solo momento, il demone tenuto stretto da izzy si liberò dalla stretta puntando minaccioso la coda verso di Jace che nel frattempo si stava occupando di un altro demone. Si accorse del grosso pungiglione soltanto quando gli cadde accanto staccato di netto dal resto del corpo. Si voltò per vedere il limpido sorriso di Izzy scomparire dietro di lui.
Tornò ai propri demoni.
Che vadano tutti all'inferno.
Letteralmente.

E finalmente, come se non avesse aspettato altro, arrivò la rabbia.
Impugnò di nuovo la spada angelica, più stretta nel palmo della sua mano sinistra. Il demone di fronte a lui digrignò i denti Neri scintillanti di sangue pronto ad attaccare.
 
Attaccare. Era questo che aveva fatto, lo aveva attaccato. Lasciato senza fiato per tutti quei dolcissimi e splendidi colpi alla sua anima.
 
Provò più volte ad attaccarlo con il pungiglione. I Reshaim erano letali, ma di certo non geniali. Con un salto aggraziato Jace atterrò sulla grossa cosa bloccandola a terra con il piede sinistro, mentre con il destro sferrava un calcio sul fianco scoperto.
 
Aveva scoperto un mondo diverso. Dove non aveva bisogno di sterminare per essere felice, dove non aveva bisogno di un demone ucciso per sentirsi importante.
 
Il Reshaim aveva sbattuto le enormi ali spingendo Jace verso il centro del vicolo.
 
Era un vicolo cieco. Non poteva più scappare ormai.
 
Jace sfilò tre coltelli da lancio. Il primo si conficcò in una escrescenza vischiosa vicino al collo. Il secondo al centro dell'ala sinistra. Il terzo sul fianco. Il demone urlò di dolore.
 
Era doloroso, ma doveva scegliere. Restare o scappare.
 
Si avvicinò piano alla creatura, sfilò Caliel dalla cintura. Osservò per un secondo lo scintillio della lama prima di piantarla del ventre del Reshaim, mandandolo all'inferno.
 
Sarebbe andato all'inferno.
E sarebbe tornato a testa alta.
Infondo, amare non significava distruggere?

 
  1. Piccola citazione di Valentine: "La più grande paura della vita di Jonathan è l'amore che prova per sua sorella."
  2. I demoni Reshaim secondo la leggenda dovrebbero essere mezzi draghi e mezzi scorpioni, servi più fedeli di Satana ebla bla bla.Quindi immaginatevi uno scorpione con grosse ali nervose e rossastre u.u
 
 
 
Ta dàààààà e ora è finita davvero! Quasi mi dispiace, non volevo che finisse :3  Un ultimo ed infinito ringraziamento a tutti quanti. Alla pubblicazione di questo ultimo capitolo ho quindici anni, circa trentasette fan fedeli (vi adoro da impazzire, credetemi **) e una miriade di idee per la prossima storia (Ah lo so che non mi sopportate più! Conviveteci u.u) e direi che non potrei essere più felice di così.
Grazie, Grazie, Grazie. Non avete idea di quanto io sia grata a tutto questo.
Ovviamente vi ringrazio già nelle recensioni uno ad uno, ma qui a questo davvero ultimo capitolo voglio fare dei ringraziamenti un po' diversi.
 
A mia sorella Chiara, che non credeva che sarei arrivata fino in fondo. Mi hai spinta a finirla sul serio capra.
 
Ad Arianna. Anche se sicuramente non lo leggerà, voglio ringraziarla perché lei ispira la mia penna come nessun'altro al mondo.
 
E, per ultimo ma non per importanza, voglio dedicare l'intera storia a Teresa. Mi hai spinto a fare uscire i miei libri dal cassetto, mi spingi tutt'ora a dare il massimo, perché so che ti piace vedermi scrivere, anche se la maggior parte delle volte dico solo stronzate. La storia è dedicata a te perché nessuno al mondo mi fa sentire così importante come fai tu. Ti amo da impazzire, e dico davvero.
 
Fine.

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