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<< Sognatore è chi trova la sua via alla luce
della luna...
punito perché vede l'alba prima degli altri.>>
Oscar Wilde
Il Croissant de Lune poteva essere considerato uno dei locali
più raffinati di Parigi, pur nella sua
semplicità. Ricercata caffetteria al mattino, elegante
ritrovo degli amanti dell'arte in tutte le sue forme alla sera.
E non solo: se era vero che l’ingresso era a portata solo dei
più facoltosi, essi tuttavia dovevano possedere modi
discreti e, soprattutto, essere amanti della buona musica. Il
Croissant, infatti, fungeva da palcoscenico alle più
talentuose promesse della musica. Non quella delle etichette
commerciali, no: tale genere era tassativamente vietato,
nonché disprezzato. Erano talenti della vera musica, capace
di suscitare emozioni grazie ad un solo strumento, capace di entrar
dentro e farti vivere qualche minuto di estasi terrena. Pianisti,
violinisti, jazzisti, … Nulla era escluso.
E io, semplice ragazza di periferia, ero riuscita a guadagnarmi un
posto come serveuse.
Chapitre 1 - Croissant de Lune
Croissant de Lune, 10.30 pm
Mi osservavo attorno, con occhi curiosi ed eccitati. Un
mese!
Era
passato un mese da quando ero stata assunta in questo magnifico locale.
Non mi sembrava vero… Io, ragazza semplice di umili origini,
il cui unico merito era di avere una media fra le più alte
del mio corso, ero stata presa in uno dei più eleganti
café della città. Grazie al cielo avevo
già lavorato in altri ristoranti e bar e ciò
aveva influito non poco sull'assunzione: del resto, avere ottimi voti,
ma non saper servire era inutile.
In ogni caso, la paga era modesta, appena al di sopra della norma, ma
avere nel proprio curriculum il nome Croissant de Lune era cosa non
indifferente.
<< Sophie, prepara un Cabernet - sauvignon per il tavolo
18.>> con un cenno affermativo, presi la bottiglia
richiesta.
Questa sera ero addetta al banco, ma era possibilissimo che mi venisse
assegnata un'altra mansione. Speravo di no, stare dietro il bancone mi
piaceva, ti dava la possibilità di guardarti intorno,
osservare facce, godersi gli spettacoli... Era rilassante.
Feci scorrere per l'ennesima volta il mio sguardo per la sala.
L'arredamento era semplice ma d'effetto: luci soffuse, sul rosso;
dipinti alle pareti, piante negli angoli. Non c'erano dei veri e propri
tavoli, ma solo tavolini di media altezza, attorniati da comode
poltrone: un tentativo di ricreare l'atmosfera intima di un salotto, in
modo che al proprio tavolo sedesse gente che si desiderava avere
vicino. La particolarità era che ogni postazione era rivolta
verso il piccolo palco, basso, che stava in fondo: pesanti tende di
velluto chiaro erano di solito legate ai lati
– tranne ora che erano state tirate in
modo da ultimare i preparativi per il concerto – mentre nel
mezzo era presente un pianoforte di elegante fattura. Anche alla
mattina, quando il Croissant si trasformava in caffetteria per la prima
colazione, le tende non venivano chiuse, in modo che risultasse chiara
a tutti la raffinatezza del locale.
Il bancone, invece, era dalla parte opposta al palco, permettendomi
così un'ottima visuale degli spettacoli. In legno, aveva
alle sue spalle un grande scaffale dello stesso materiale contenente
ogni tipo di vino, grappa o liquore possibile.
Davanti, invece, erano posti degli alti sgabelli, per coloro che
consumavano al banco.
Nella sostanza non era un locale molto grande, apposta per sottolineare
l'esclusività del luogo.
Quella sera si sentiva nell'aria l'eccitazione e l'aspettativa per lo
spettacolo. Da quanto ne sapevo, il protagonista sarebbe stato un
affermato violoncellista, ma non avevo ancora avuto la fortuna di
incrociarlo...
<< Ehi, Sophi, tutto bene? Hai lo sguardo
perso.>> una voce mi riscosse. Bernard, venticinquenne di
bell'aspetto, purtroppo apertamente omosessuale, mi fissava curioso.
Sorrisi. << Certo che va tutto bene!>>
Bennie, come lo chiamavo affettuosamente io, ben sapendo quanto odiasse
questo soprannome, era uno dei pochi garçon con cui avevo
fatto amicizia. La sua omosessualità non era un problema,
né per me né sicuramente per l'ambiente in cui
lavoravamo. In ogni caso l'adoravo perché non se la tirava,
come invece sembrava di prassi per quasi tutti gli altri inservienti,
oltre a possedere un carattere allegro e spensierato.
<< Brava principessa, così ti voglio! Sempre
sorridente.>> sì, amavo sorridere.
Perché crogiolarsi nella propria infelicità o nei
propri problemi? Non sarebbe cambiato nulla. Sorridevo
perché era bello sorridere, era bello donare un po' di
felicità.
<< A proposito…>> cominciai
mentre sistemavo dei bicchieri dall'aria molto fragile.
<< Come sta Christian?>> Christian era il
suo ragazzo, stavano insieme da più di due anni ed era la
persona più pacata che conoscessi. Assistente alla cattedra
di letteratura, trentenne, intelligente come pochi, era la controparte
perfetta di Bernard: l'uno scanzonato e spensierato, l'altro posato ma
mai pesante. Erano perfetti. Mi era capitato di uscire con loro diverse
volte e mai una volta mi ero sentita come “terza
incomoda”; era bello vederli stuzzicarsi, ridere, sfiorarsi
anche solo con lo sguardo.
Un legame di cui ero invidiosa.
Un legame che non avevo mai provato.
<< Abbiamo litigato.>> la risposta mi
stupì, così come il tono cupo assunto.
<< Cos'hai combinato?>>
<< Ehi, cosa ti fa credere che sia colpa
mia?!>> aveva assunto una nota irritata, ma il suo
sguardo sfuggiva il mio. Avevo fatto centro.
Mi limitai ad alzare le spalle. << Di solito è
colpa tua. E poi per far arrabbiare Chris ce ne vuole. Indi hai
combinato qualcosa.>> tuttavia non insistetti.
Già il solo fatto che avessero litigato mi aveva lasciata
turbata: insomma, il loro amore era uno dei più solidi che
conoscessi! Immaginavo quindi che in realtà ci stesse
più male di quanto mostrasse.
Il sospirone che fece prima di cominciare a parlare ne fu la conferma
<< È vero, è stata colpa mia. Solo
che... Ecco... Ero geloso!>> lo vidi distogliere lo
sguardo, imbarazzato. Repressi un sorriso; il mio amico si vergognava
a manifestare quelle che considerava “espressioni di
debolezze”. Gelosia, imbarazzo, smancerie... Certo, quando si
trattava del suo ragazzo, era il primo a cercare il contatto fisico, ma
se lui non era presente cercava sempre di atteggiarsi da maschio della
situazione. << È successo ieri sera.
Praticamente è rientrato tardi, senza
avvisare.>>
Effettivamente era strano… << Avrà
avuto dei buoni motivi per farlo. Di solito Chris è un tipo
abbastanza preciso, quello che fa preoccupare sei tu.>>
Si appoggiò con la schiena al bancone, guardando in basso.
Aveva un’espressione talmente abbattuta che avrei voluto
stringerlo stretto per consolarlo. Poi i capelli scuri, quella sera
senza traccia di gel, cadevano morbidi sulla fronte, rendendolo ancora
più vulnerabile ai miei occhi. Era strano vedere il suo
volto senza traccia di malizia o sorriso. Anzi, le sue labbra erano
piegate in una smorfia amara.
<< E' quello che ho pensato pure io, prima che
mi riferisse della sua uscita con alcuni suoi studenti, per festeggiare
non so quale evento né mi interessava saperlo. Quando mi ha
detto che non mi ha avvisato perché gli si era scaricato il
cellulare non ci ho più visto.>>
incurvò maggiormente le spalle, chinando ancora di
più la testa. Quando ricominciò a parlare la sua
voce era un sussurro.
<< Gli ho urlato dietro di tutto.
Cazzo, gli altri un telefono sicuramente l’avranno avuto
dietro. Per una chiamata non moriva nessuno! “Non credevo di
far così tardi, quando ho visto l’ora pensavo
fossi ormai già a letto per tentare di
avvisarti.”. Questo mi ha detto. Io come un cretino ad
aspettarlo preoccupato e lui a divertirsi. Solo che, trascinato
dall’ansia e dalla rabbia, ho detto cose che non pensavo,
insinuando chissà quale avance da parte dei suoi studenti. E
da lì la lite è degenerata sul fatto che non ho
fiducia, che lo controllo e varie. Stamattina, quando è
uscito, non mi ha neppure salutato; praticamente è da ieri
sera che non ci parliamo.>> sull’ultima frase,
la sua voce si spezzò.
Intenerita, posai la mia mano sulla sua, stretta con forza al
cornicione. Non sopportavo vederlo così, era uno dei pochi
veri amici che avevo e se si abbatteva lui, che era una roccia, si
rischiava veramente la catastrofe.
<< Vedrai, si sistemerà tutto.>>
sarebbe stato inutile aggiungere altre parole o schierarsi su chi aveva
ragione. Non l'avevo mai visto così addolorato, ma ero pure
sicura che il loro amore non sarebbe stato compromesso da una banale
lite.
<< Lo spero.>> voltò il palmo
verso l’alto, stringendo la mia mano, prima di girarsi verso
di me, con un piccolo sorriso sulle labbra: probabilmente, un tentativo
di dimenticare la sua situazione. << E dimmi principessa,
come va la tua situazione sentimentale?>> peccato avesse
scelto un argomento delicato.
Ridacchiai nervosa. << Non c’è
nessuno in vista. Sono troppo impegnata con lo studio, con il
lavoro…>>
<< E con il salvare il mondo, lo so.>>
sbuffò, recuperando parte del suo buonumore e osservandomi
spazientito. << Suvvia, ma petite, sei una bellissima
ragazza, nel fior fiore della giovinezza, intelligente. Dovresti avere
una fila di principi azzurri fuori dalla porta!>>
<< Invece non ho nessuno. E non sono
bellissima.>> mormorai, più a me stessa che a
lui.
Ed erano parole che facevano male. Sebbene mi nascondessi spesso dietro
la scusa dello studio, la verità era che avevo un gran paura
dell’amore. Non l’avevo mai sperimentato, a
ventidue anni ero ancora vergine, forse l’unica nel mio
corso. Ma non potevo farci niente, la mia era una paura forse
irrazionale ma ben radicata.
Avevo paura di soffrire, paura di affrontare il grande salto.
Sì, avevo avuto qualche appuntamento, ma non era successo
nulla di più delle classiche effusioni. Non riuscivo a
spingermi oltre, né avevo trovato qualcuno che meritasse una
tale conoscenza approfondita. Forse ero troppo
“delicata” nei gusti, forse ero solo una sciocca,
eppure non riuscivo a sciogliermi. Oltretutto il mio carattere era un
ostacolo non indifferente. Se ad una prima occhiata poteva sembrare
solare e aperto, bastava essere in presenza di sconosciuti per
chiudermi a riccio. Cioè, se si trattava di lavoro, non
avevo problema a rivolgere la parola ad estranei, a scherzare e ridere;
se si trattava di uscire in compagnia di amici o altro, mi chiudevo in
me, sorridendo di quando in quando a qualche battuta. Insomma, un
carattere idiota.
Eppure io mi sentivo estroversa, mi dava fastidio non riuscire ad
interagire con le altre persone come avrei voluto, mostrando la mia
simpatia. Ma non ci riuscivo...
<< Ehi, Sophie, tutto bene?>> sussultai
quando Bennie richiamò la mia attenzione, persa com'ero nei
miei pensieri. Pensieri contorti.
<< Sì, sì, tutto bene. Stavamo
dicendo?>> presi un altro bicchiere in mano, cominciando
a strofinarlo con un panno. A mio avviso, la pulizia di un bicchiere
era il miglio paravento per quando non si aveva voglia di far nulla.
Davi l'idea di lavorare, mentre in realtà ascoltavi le
chiacchiere delle persone al banco o osservavi lo spettacolo. Oppure
quando cercavi di ignorare un amico petulante.
<< Stavo parlando della tua vita amorosa barra sessuale.
Insomma Sophi, come fai a dire che non sei bella?! Ti sei mai vista
allo specchio?>> mi studiò, con occhio
critico. Sentii immediatamente le guance prendere fuoco: odiavo essere
al centro dell'attenzione. << Rossa naturale e riccia,
che mi fa chiedere come tu possa essere francese; occhi verdi, grandi,
che quando sono sgranati, se fossi etero, risulterebbero molto
eccitanti. Curve al punto giusto: una... mmm... terza di seno, piena;
un vitino abbastanza stretto, che si apre in un morbido
culet...>>
<< Bennie!!!>> dire che ero imbarazzata era
poco. Probabilmente il mio viso era un tutt'uno con i capelli. Mon
dieu, speravo sul serio che nessuno l'avesse sentito!
<< Che c'è? È vero! Ci vedo bene
sai?>> incrociò le braccia al petto, una
smorfia offesa in volto. Gli mollai in risposta una sberla sul braccio.
<< Lo sai che mi vergogno quando mi dici certe cose,
anche se dovrebbero essere complimenti.>>
<< Ehi, voi due!>> una voce ci fece
balzare, spaventati. Le regole al Croissant erano abbastanza severe e
tra queste c'era il mostrarsi sempre efficienti, anche quando al
momento non si aveva nulla da fare. Ovviamente il chiacchiere non
rientrava fra i compiti da svolgere... << C'è
bisogno di una mano nel sistemare alcuni posti.>>
<< Vengo io!>> mi fece l'occhiolino.
<< Tenermi occupato mi farà pensare meno,
spero. Tu goditi lo spettacolo stasera. Dicono che le violoncelliste
sia molto bravo e bello.>> e senza darmi il tempo di
ribattere, si era già voltato per seguire il nostro collega.
Osservai la schiena del mio amico allontanarsi. Ero grata per il suo
gesto, sapeva quanto adorassi godermi le performance dei nostri ospiti.
Ero un'amante dell'arte in generale, del resto frequentavo l'Accademia
di Belle Arti. Per questo era un grande onore lavorare a stretto
contatto, seppur marginalmente, con persone così colte ed
importanti.
Mi sentivo... come Pinocchio nel Paese dei Balocchi!
La mia attenzione fu attirata dall'abbassarsi delle luci, segno che lo
spettacolo stava iniziando. Il brusio in sala diminuì; notai
solo ora che il numero dei presenti era aumentato: ciò
significava che l'artista di stasera era effettivamente bravo. Di
solito, il Croissant ospitava le même artiste per due
settimane di fila, solo in alcune sere, prima di cambiare. Quella
sarebbe stata la prima volta per il violoncellista.
Ormai la curiosità si era fatta strada in me. Prima di tutto
non avevo mai ascoltato la musica di un violoncello; dicevano che era
un suono unico, che poteva essere accompagnato o meno da altri
strumenti. Chissà se si sarebbe fatto aiutare dal suono del
pianoforte...
Le tende, lentamente, vennero aperto, mentre i fari illuminavano uno
sgabello vuoto in mezzo al palco. Al piano non c'era nessuno, quindi
sarebbe stato eseguito un assolo.
Afferrai il primo bicchiere a portata di mano, per evitare un
rimprovero proprio in quel momento, e cominciai a pulirlo fin troppo
veemente, l'impazienza che aveva toccato vette altissime.
Tuttavia, fu il proprietario del locale ad entrare in scena. Mi diedi
della sciocca, era ovvio che che ci fosse lui sennò chi lo
presentava il misterioso musicista?
<< Miei cari ospiti, vi ringrazio per la vostra presenza
al Croissant de Lune. È per me fonte di gioia vedere il
vostro interesse per gli spettacoli da noi offerti, ovviamente solo il
meglio per voi. Anche questa sera, il Croissant avrà l'onore
di ospitare uno dei più talentuosi artisti musicali in
circolazione. Il suo strumento è il violoncello,
affascinante cordofono che viene spesso trascurato a favore di un altro
componente della sua stessa famiglia: il violino. Stasera, tuttavia,
potremo apprezzare in pieno la melodia di questa meraviglia della
musica, suonata dalle mani di un giovane e promettente artista. Signore
e signori, Renè Duvall.>>
Un discreto applauso si levò dagli ospiti, seguito da un
leggero brusio; probabilmente avevano già cominciato a
spettegolare su chi fosse questo artista, o a vantarsi di averlo
già sentito all'opera.
La cosa passò velocemente in secondo piano,
poiché lui era entrato.
E il mio cuore aveva spiccato il volo. Davanti a me, fasciato da
pantaloni neri e camicia di egual colore, c'era il più bel
principe delle tenebre che avessi mai visto...
Note: uhm... Che ci faccio io qua?! Ah, già, sto postando.
^^'
Cosa dire di questa storia? Beh, non so ancora quanto
durerà, questo primo capitolo è una prova. Ho
tentato di reprimere la voglia di postarlo, per finire prima tutto
ciò che ho all'attivo, ma non ce l'ho fatta. Uff... Vi dico
com'è nata, tanto per farvi capire con che autrice avrete a
che fare e come riesce a fare associazione tutte particolari.
All'inizio volevo creare una commedia, ambientata in un bar dove
lavorava una ragazza che ancora non aveva trovato l'amore.
Cos'è successo poi? Mentre ascoltavo la radio, nel programma
“Una botta e via” in cui si invita, chi vuole, a
rendere partecipi a chi si vorrebbe dare un “botta”
(credo non servano spiegazioni su che genere di botta XD), una ragazza
ha scritto che l'avrebbe voluta dare ad un violoncellista. Da
là, la mia mente ha fuso le informazione e ne è
nata questa storia! Lo so, sono da internare u.u
Non chiedetemi il perché il locale si chiami
così: io cercavo un qualche riferimento alla luna e nel
dizionario francese mi aveva affascinato questo nome (lo so, mi
verranno a chiudere a momenti.).
Ah, è palese anche che la storia ha perso il suo lato
commedia. Anche la storia d'amore che verrà raccontata
sarà abbastanza tormentata.
Vi dico già da ora che non so con che frequenza
aggiornerò.
Croissant de Lune: luna crescente.
Cabernet – sauvignon: vino rosso francese.
Serveuse/Garçon: termini francesi per indicare
“cameriere”.
Cello2Note:
in questa
pagine, ho inserito in fondo un mp3 player. Non partirà
automaticamente, ma vi invito a farlo partire quando il violoncellista
dirà il brano da lui eseguito. In questo modo vi
sarà più chiara la scena che verrà
descritta. In
ogni caso, non
dovesse coincidere con ciò che leggerete, vi avviso che la
prima canzone è composta da due parti, la seconda che
comincia dopo i 2.10. Spero la cosa vi faccia piacere. ^^
Edit: non so se si vedrà. In questo caso, vi lascio i link: Vivaldi - Cello Sonata in A Minor RV44 - Mov. 1-2/4 (a cui faccio riferimento nel brano) e Vivaldi - Cello Sonata in A Minor RV44 - Mov. 3-4/4 (la parte finale)
LE FANTAISIE DU VIOLONCELLE
<<
La musica non è fatta di note corrette, ma
di passione, dedizione, intenzione travolgente.>> Giovanni
Allevi
Le Prince Charmant
poteva considerasi l’uomo ideale di ogni donna: garbato,
romantico ed intelligente. Di fronte a queste qualità,
perdeva importanza il fatto che fosse privo di occhi azzurri o capelli
dorati: l’avere accanto a sé un uomo pieno di
premure ed innamorato era già il più grande
traguardo. Questa era la
realtà. Tuttavia, in ogni
donna esisteva un mondo più privato: il mondo dei desideri.
In esso non c’era nessun principe azzurro, nessuna
preoccupazione. Era un mondo fatto d’evasione, un mondo dove
le fantasie potevano divenire realtà. E spesso,
l’uomo al suo interno idealizzato aveva poco a che fare con
le qualità sopra descritte. Il vero sovrano di quel regno
era un Prince Ténébreux, capace di farti provare
emozioni fuori dall’ordinario, di sconvolgerti con una
passione di cui alla luce del sole si potrebbe aver paura. Per quanto poco io ne
sapessi dell’amore, rientravo pienamente in questa categoria:
cercavo l’amore vero, puro; sognavo l’amore
passionale e tormentato, molto più scenico. Tuttavia, non
avrei mai immaginato di potermi trovar di fronte un vero Principe delle
Tenebre.
Chapitre 2
– Le violoncelliste
Croissant
de Lune, 10.50 pm
Sentivo il cuore
battere impazzito. Mai prima d’ora un uomo mi aveva fatto
questo effetto! Eppure ero amica di Bernard e Christian, che si
difendevano piuttosto bene. Tuttavia non
possedevano nulla della distratta eleganza che emanava René
Duvall. Alto, i capelli corvini che si fermavano un po’ prima
delle spalle, ma che nulla toglievano alla virilità di quei
lineamenti. La pelle era chiara, non troppo né abbastanza da
risultare malaticcia, semplicemente candida; il mio sguardo era
catalizzato sul suo braccio, dove la manica ripiegata sopra il gomito
lasciava intravedere un sodo avambraccio e delle mani dalle lunghe dita
sottili. Dita fatte per sfiorare, toccare con gentilezza… Arrossii di botto alla
piega che i miei pensieri stavano prendendo. Poggiai il bicchiere che
stavo pulendo, o meglio, che stavo per rompere, nel tentativo di
calmare l’ondata di eccitazione che mi aveva colto. Ecco cosa comportava
l’assenza di un uomo nella propria vita: a fantasticare
troppo velocemente! Afferrai un altro
bicchiere e mi azzardai a lanciare un’occhiata al palco. Il
capo stava facendo le presentazioni di rito, ma ancora una volta, la
mia attenzione era indirizzata all’uomo al suo fianco e non
alle sue parole. Solo allora notai lo strumento che teneva in una mano:
un magnifico violoncello, in legno chiaro. Possedeva una semplice
bellezza, la stessa che aveva il suo proprietario. Osservai il volto di
quest’ultimo. Sembrava…
annoiato. Il suo sguardo vagava per la sala, ma non sembrava fermarsi
in un punto particolare; assomigliava più ad un gesto
abitudinario, ad una situazione già vissuta. Come quando si
ospitava parenti a casa, che non si vedevano da molto tempo: sorrisi
sempre presenti, domande sempre uguali, risposte pure. Non potei evitare un
fremito quando i suoi occhi si posarono su di me: erano di un nero
profondo, che mal stonava con la vacuità ora presente nel
suo sguardo. Fu un contatto breve,
ma sentito. Almeno da parte mia.
<< Mon
dieu, il est vraiment fascinant! C’est vrai, ma
petite?>>
La voce di Bennie mi
colse alla sprovvista e per la seconda volta rischiai di rompere un
bicchiere. << Cosa
diavolo ci fai qua?>> mi limitai ad ignorare la domanda:
affascinante era troppo poco per definire come quell’uomo mi
attraesse. << Ho un
momento di pausa e volevo venire a commentare con te il violoncellista.
Comunque non hai risposto alla mia domanda. Anche se ovviamente non
c’è molto da dire, te ne do atto.>>
gli rivolsi un’occhiata torva, che purtroppo non colse, visto
che era appoggiato con i gomiti sul bancone, intento a squadrare le
monsieur Duvall. <<
Bernard, devo ricordarti che sei fidanzato?>> si
sollevò dalla sua posizione, incrociando le braccia al
petto. Stavolta fui IO fulminata dal suo sguardo. Quando voleva, sapeva
assomigliare ad un bambino piccolo. << Stavo
cercando di dimenticare la mia attuale situazione sentimentale, ma
grazie di avermela ricordata.>> Mi trattenni a stento
dall’alzare gli occhi al cielo. << E pensi di
dimenticartene ammirando altri uomini? Molto maturo,
davvero.>> Si limitò
ad alzare le spalle. << Occhio non vede, cuore non
duole.>> che razza di discorsi erano? Non sopportavo
questo genere di risposte. << Beh,
quindi anche il tuo cuore non deve aver sofferto se Chris, ieri sera,
ha guardato qualcun altro nella stessa maniera.>> era
stato più forte di me. Odiavo sentire certe frasi dette
così, a cuor leggero. Se il mondo andasse avanti in questo
modo, con tale detto, si starebbe veramente meglio? Il fatto che non si
possa vedere il proprio amato nell'atto del tradimento non stava a
significare minor dolore quando lo si fosse scoperto. Né era
giusto attuarlo con l'ottica che il tradimento non sarebbe mai stato
scoperto. Era una cosa orribile ed irrispettosa. Notai subito
l'irrigidimento del corpo del mio amico, lo sguardo improvvisamente
ferito. << Hai
ragione.>> mormorò, afflitto.
Allungai il braccio,
accarezzandogli il braccio. << Perdonami, so che non
stavi sul serio prendendo in considerazione un possibile tradimento,
solo che sai quanto odio certe espressioni. E quando le sento, la mia
bocca scatta prima che il cervello si metta in moto.>> <<
Sì, ti conosco. Solo che ho veramente paura. Ultimamente non
siamo più vicini come prima: io a causa degli ultimi esami,
lui per il lavoro. Poi vuoi che non lo sappia come lo guardano
all'università?! Come può essere guardato un
giovane trentenne in mezzo a tutti quegli ormoni impazziti? Lo so io
come...>> mi scappò una risata. Mi avvicinai a
lui e mi sollevai sulle punta dei piedi, schioccandogli un bacio sulla
guancia. << Oh,
Bennie, lui ti ama. Altrimenti non ti avrebbe sopportato per tutti
questi anni. Forse era nervoso anche lui. Dagli tempo.>>
sorrise, stavolta più apertamente. <<
Guarda che potrei pensare che ci stai provando con me.>> Mi finsi shoccata.
<< Con un bruto come te? C'è di meglio in
giro.>> Ghignò,
malizioso. << Ah, sì? Come magari un bel
violoncellista tenebroso? L’ho visto, sai, come te lo
mangiavi con gli occhi, cattiva bambina.>>
inevitabilmente arrossii.
Puntai lo sguardo sul
musicista. Non mi ero accorta che si fosse seduto. Grazie al cielo non
mi ero persa l'inizio. Mi incantai sulla sua
figura, intenta a controllare le corde del violoncello che teneva fra
le gambe; i capelli gli ricadevano delicati sul volto, coprendone buona
parte. Le labbra erano serrate, sottili, che davano l'impressione di
aver conosciuto raramente cosa fosse un sorriso. E poi, di nuovo, le
mani, che andavano a saggiare la tensione delle corde, pizzicandole di
tanto in tanto.
<< Ma
cheri, ricomponiti! Hai la stessa espressione di un bambino di fronte
alla vetrina di una pasticceria. Su, contegno.>>
immaginavo che fossero vere le sue parole, ciò non
significava che doveva averla vinta lui, vero? << Hai
altro da fare che scocciare me?>> volevo sentire la sua
musica e avere Bennie vicino voleva dire ascoltare meno della
metà di quanto sarebbe stato suonato. Insomma, di certo
Bernard non era conosciuto per il suo silenzio o la sua concentrazione.
Avrebbe passato tutto il tempo ad esaltare la lucentezza dei suoi
capelli, la virilità dei suoi lineamenti, l'eleganza del suo
portamento e la muscolatura non troppo accentuata me estremamente
seducente del suo corpo. Che dopo io pensassi
le stesse cose, erano dettagli. <<
Effettivamente dovrei portare tre Bordeaux ai signori
laggiù, ... >> con la testa mi
indicò un tavolo dove c'erano una donna e tre uomini, ben
vestiti. << Credo che quello a destra sia gay. Ho sentito
qualcosa sfiorare il mio sedere e sono certo che l'aria sia ancora
incorporea come quando l'ho studiata per la prima volta a scuola.
Comunque, avrei dovuto servir loro il vino, ma non è colpa
mia se l'addetta al banco si perde in chiacchiere.>
Senza profferire
parola, mi volsi verso lo scaffale alle mie spalle, prendendo la prima
bottiglia di vino rosso e la posai sul basso ripiano davanti a me;
presi pure due bicchieri per Bordeaux e vi versai dentro il vino.
Stando attenta, li posai poi su un vassoio, che misi sul bancone
accanto al mio amico, che mi fissava a bocca aperta.
<< Sia
mai che l'addetta al banco troppo chiacchierona si dimentichi il suo
lavoro. A toi, mon ami.>> il tutto condito con il sorriso
più ingenuo e palesemente falso del mio repertorio. << Sei
perfida.>> borbottò afferrando il vassoio.
<< Ecco perché sei zitella.>>
feci finta di niente, tornando al mio bicchiere ormai pulito ma ancora leggermente opaco. Forse aveva ragione,
il mio carattere a volte acido e vendicativo mi portava ad allontanare
le persone. Ma non potevo farci niente se per difesa assumevo
atteggiamenti scostanti o diffidenti mentre ero in compagnia di altri
uomini. Il bacio improvviso
che ricevetti sulla guancia fu il terzo attento per l'oggetto fragile
che avevo in mano. << Ma è anche per questo
che ti voglio bene, mon coeur.>>
Stavolta fui io a
rimanere sconvolta e ad osservarlo dirigersi verso il tavolo a cui
doveva servire, prima che un sorriso piegasse le mie labbra. Anch'io
gli volevo bene, era quanto di più simile ad un fratello
avessi.
<<
Eseguirò Vivaldi, sonata per violoncello in A
minore.>>
Una voce bassa,
profonda, con un'erre leggermente moscia ma che non guastava, mi
portò a voltarmi verso René Duvall. Con la mano
sinistra sulle corde in alto, il manico poggiato sulla spalla, e la
destra che stringeva l'archetto, teneva gli occhi chiusi e la
testa piegata. Sembrava così... rilassato. Non
c’erano tracce di tensione sul suo volto, solo calma. E poi,
incominciò. Fu la prima nota, e
subito quelle a seguire, a spezzare l'incantesimo. O, forse, a
rafforzarlo. L’unica cosa
certa era che il mio corpo era attraversato da brividi, il mio cuore
aveva ripreso a battere velocemente. Rimasi subito conquistata, non
sapevo neppure io se dalla musica o dal vederlo suonare. Sì,
perché anche il suo modo di eseguire il brano era
affascinante. I suoi occhi, quando si aprivano, erano puntati solo sul
suo strumento. La testa si muoveva a ritmo della sonata, il braccio con
l’archetto scorreva veloce. Sembrava perso in un suo mondo,
dove esistevano solamente lui e il violoncello che teneva fra le mani.
Non esisteva la sala, non degnava di uno sguardo, neppure di sfuggita,
le persone presenti, che invece, notai, ascoltavano rapite la sua
esecuzione. Osservai che non ci
fosse nessuno vicino e chiusi anch’io gli occhi. Mi sentivo
cullata. Questo primo tempo era
lento, malinconico, eppure eseguito alla perfezione, per quanto io ne
sapessi di musica. Lasciando vagare la mente, immagini di sale da
ballo, di costumi d’epoca, mi apparvero. Un osservarsi lento,
da lontano, fra dama e cavaliere, girandosi intorno. Gioco di sguardo,
gioco di sensazioni. Come un’adolescente alla prima cotta,
non potei non immaginare che i protagonisti fossimo noi due. Del resto,
monsieur Duvall sarebbe stato perfetto con abiti antichi. Lentamente la
distanza fra noi diminuiva, fino a che pochi ormai erano i centimetri a
dividerci. Ed improvvisamente la
musica cambiò, il ritmo pure. Ora i corpi volteggiavano, si
avvicinavano e si distanziavano. Un cercare e scappare che sapeva di
sfida sensuale. Mai troppo vicini, mai troppo lontani.
Un’attrazione che mi lasciava senza fiato e che non avrei mai
creduto di poter provare. Possibile sentire queste emozioni verso uno
sconosciuto? Era innegabile, ero rimasta conquistata da
quell’uomo così intrigante. Mi immaginai poter
passare le mani sulla sua guancia, di posare la bocca sulla sua, in un
bacio veloce come la musica, che sapeva di passione sconosciuta. Riaprii gli occhi,
senza fiato, le immagini che ancora non mi volevano abbandonare
alimentate dalla melodia che ancora aleggiava nella sala. Ero
sconvolta, non credevo di poter sognare cose del genere. Senza farmi
vedere, versai del vino sul bicchiere che già da un
po’ avevo abbandonato e bevvi avidamente. Il sapore dolciastro
scese per la gola, facendomi lievemente tossire: non ero abituata agli
alcolici e io avevo bevuto d'un fiato il mio calice. In ogni caso, fece
il suo dovere. Mi risvegliò dai miei vaneggiamenti di donna
sola e facilmente eccitabile. Se avessi raccontato
questa cosa a Bennie, mi avrebbe sicuramente indirizzata ad un sexy
shop, era poco ma sicuro. Secondo lui, ogni donna aveva delle proprie
esigenze che sbagliava a trascurare, se per pudore o per mancanza di
tempo non importava. Si era autoeletto mio guru sul sesso, elencandomi
ogni vantaggio e dimenticandosi
tutti gli svantaggi. Tutto per non
ammettere che in realtà era solo un pervertito.
<< Mi
scusi signorina?>> sobbalzai nell’udire una
voce a così stretta vicinanza. Davanti a me, un cliente
dall’aria seria mi osservava con un sopracciglio arcuato. Cercai di ricompormi e
di assumere la miglior aria professionale che conoscessi. Anche se era
difficile dopo aver immaginato di aver baciato un uomo come
René Duvall. Ed era solo un bacio, neanche avessi sognato
di… Scossi la testa, impedendo ad i miei pensieri di
divagare. <<
Sì, mi dica.>> << Ecco
desidererei…>>
Fu così che
trascorsi il resto del tempo, a servire le persone che si succedevano
al bancone, cercando di tenere la mente lontano da pensieri poco
consoni. Fu tremendamente
difficile. I miei occhi non ne
volevano sapere di stare lontano dalla figura del violoncellista poco
lontano da me, che imperterrito continuava a suonare, distante da tutto
e tutti. Mi sarebbe piaciuto avvicinarmi, anche solo per esprimergli i
miei complimenti. Beh, come se fossero
importanti i pareri di una serveuse, quando c’era sicuramente
gente più colta e competente di me. E poi, un uomo come lui
sicuramente era circondato da donne molto più belle di me.
Ora, non che la bellezza fosse fondamentale nell’esprimere un
giudizio sull’esecuzione di un brano, però non
potei non pensare alla mia figura paragonata a quella di
un’elegante signora vicina a lui. Cielo, questa sera la
mia mente era più pazza del solito. In ogni caso, pensai,
avevo davanti a me due settimane per avvicinarlo…
Sì, e poi farsi ridere in faccia. Cosa mi stava
prendendo? Mi sembrava tutto così fuori luogo,
così esagerato. Un sospiro di sollievo
mi uscì dalle labbra nel notare che finalmente
l’esecuzione era terminata. Forse, finita la musica,
sarebbero finiti pure i vaneggiamenti. Osservai monsieur
Duvall distendere il braccio destro e sollevare lentamente il volto.
Notai come i suoi occhi, per un attimo, sembrarono confusi, per poi
riprendere quel freddo distacco che li contraddistingueva. Si
alzò sempre con lentezza, il violoncello stretto a
sé, quasi un bastone da cui dipendesse il suo equilibrio. O
almeno, così mi parve. Si piegò in
avanti, in un elegante inchino e subito si levarono gli applausi.
Ciò che mi
sorprese, e probabilmente sorprese pure i presenti, fu che non
aspettò le eventuali domande o le richieste di riesecuzione.
Rialzò la schiena e lasciò il palco, diretto alla
porta che portava ai camerini. La sala restò per un attimo
in silenzio, prima che un basso brusio prendesse vita. Era sfrontato, a
quanto sembrava. Probabilmente era pure dotato di un grande
egocentrismo, se era così poco interessato alle opinioni del
pubblico. Ciò non diminuì l’attrazione
che sentivo verso di lui. La fine dello
spettacolo coincise, come sempre, all’aumento delle
ordinazioni al banco. La mente lontana dalle scene vissute, cominciai a
preparare ciò che mi veniva richiesto. Era un duro lavoro,
quello dietro al bancone. Di solito, quando erano richiesti dei vini,
il più delle volte il cliente si limitava ad indicare che
tipologia di vino volesse, rosso, bianco, oppure richiedeva un liquore,
un cognac o altro. Altre volte, invece, richiedeva pure un vino di una
determinata cantina. A tutto ciò, si aggiungeva la
difficoltà di ricordarsi quale bicchiere servisse per quel
determinato tipo. Era ovvio quindi che ora la mia mente fosse
totalmente rivolta al cercare di non commettere errori. Del resto, avevo tempo
per pensare a ciò che avevo provato in questa sera nella
solitudine del mio appartamento universitario.
<<
Excuse moi, madamoiselle.>> mi voltai verso
l’ennesimo cliente, il sorriso già pronto in
volto. Sorriso che si gelò quando incrociai due pozze nere,
così inquietanti da quanto erano scure ma così
attraenti da quanto erano profonde. René Duvall mi osservava
in attesa davanti a me, seduto sullo sgabello, le braccia piegate sopra
il bancone. <<
O-oui?>> << Je
voudrais a cognac. A Remy Martin, s’il vous plaît.>>
a quanto sembra, ero destinata a rivolgergli la parola prima di quanto
pensassi.
Il che non sapevo se
fosse un bene o un male…
Note:
colpa di
un’ispirazione improvvisa, ho postato prima di quanto
pensassi. Come avrete visto, il titolo è cambiato. Ringrazio
BlueSmoke, che mi ha fatto notare il modo inappropriato con cui avevo
usato il termine “Sinfonia”. Dal
prossimo
capitolo
ci sarà il vero e proprio contatto. Ho deciso di fermarmi
prima e far in modo di mostrarlo nel prossimo, invece che dividerlo in
due parti! Ringrazio
le tre
persone che hanno aggiunto la storia alle preferite e le sei che
l’hanno messa fra le seguite. Un
ringraziamento
speciale va a chi ha commentato!
Valespx78:
il
principe
è solo apparso in questo capitolo, ma nel prossimo lo
conosceremo per quello che è! Spero che il capitolo ti sia
piaciuto lo stesso. ^^ Un bacione!!!
Himechan:
ti
ringrazio
per la segnalazione dell’errore, una svista che ho subito
corretto! Sono felice che ti sia piaciuta la scena, io provo un
po’ di odio nel descrivere luoghi o ambienti, preferisco le
persone. ^^ Spero che anche questo capitolo Spero che anche questo
capitolo sia stato di tuo gradimento! Un bacione!!!
MsEllie:
sono
felice
che ti piaccia e ancora di più ti ringrazio per i
complimenti: mi fa piacere sapere che il mio modo di scrivere ti
attiri! Ho postato prima che potevo. ^^ Un bacione!!!
BlueSmoke:
il
messaggio subliminale è stato recepito e arriverà
appena possibile un nuovo capitolo. La mia ispirazione è
più ballerina del tempo. La storia di Bernard non so se la
svilupperò, ma ovviamente lui sarà un personaggio
importante nella storia! Io ci provo con il violoncellista a non farlo
troppo arrapante, ma dubito che riuscirò a farcela. Questo
è il bello di personaggi maschili barra inesistenti. Uff,
triste verità. Un bacione!!!
<< Il narcisismo dell'altro esercita una forte attrazione su colui che ha rinunciato a una parte del proprio e va in cerca di un oggetto d'amore>> Sigmund Freud
Non amare il proprio carattere,
o almeno una parte di esso, a mio avviso poteva considerarsi una cosa
naturale. Avevo il massimo rispetto di coloro che non trovavano neppure
una pecca nella loro personalità.
Ma consideravo più normale chi aveva almeno una cosa che avrebbe voluto cambiare in sé.
Io? Oh, io avrei cambiato molte cose.
Non esiste niente di peggio che essere imprigionati in un carattere che
non è il proprio, essere costretti a comportarsi con gli altri
in un modo che si giudica estraneo ma l'unico conosciuto per
rapportarsi.
La consapevolezza di non poter essere sé stessi, di non riuscire ad essere sé stessi a volte risulta opprimente.
Queste erano sempre state le mie opinioni. Purtroppo –
ahimè – si rafforzarono con l'incontro di questo alquanto
scostante violoncellista.
E mai come ora desidererei mostrare una sicurezza che non mi appartiene...
Chapitre 3 – Cognac
Croissant de Lune, 23.45 pm
Desiderava un Cognac. Un Remy Martell, per l'esattezza.
Uhm.
Si presupponeva che io dovessi prepararglielo. Soprattutto, che io fossi in grado di versarlo.
Ma in quel momento non riuscivo a staccare gli occhi dal suo volto; ora
che era vicino, potevo notare un leggero accenno di barba, che
aumentava il lato studiatamente trascurato che mostrava di sé.
I capelli mi attraevano pericolosamente: sembravano così morbidi e setosi, seta nera fatta solo per essere toccata.
E gli occhi... Mon dieu erano così neri e mi stavano fissando.
Un momento.
Oh, accidenti!
<< O-oui. Glielo preparo subito.>> distolsi velocemente lo
sguardo, voltandomi alla ricerca di una bottiglia che sapevo già
dov'era posizionata.
Ma avevo bisogno di prendere tempo.
Avevo fatto una figura misera. Farsi beccare a fissare un proprio
cliente non poteva considerarsi un comportamento professionale. No di
certo. Non potevo permettere alla mia testa di vaneggiare in quel modo,
dovevo mostrarmi ligia e composta. Dovevo tentare perlomeno.
Afferrai la bottiglia richiesta. Il cognac è un acquavite
francese che richiede di essere versata nei ballon di piccola forma:
cercai il suddetto bicchiere, tentando di mostrare un contegno che in
quel momento faticavo a mantenere. Era inammissibile un comportamento
del genere. Non solo perché mi stavo rendendo ridicola di fronte
ad un cliente, ma perché non mi era mai capitata una cosa del
genere.
Non avevo mai provato un disagio del genere.
Ma al contempo sentivo un'attrazione difficile da spiegare.
La domanda, tuttavia, era un'altra: si poteva rimanere stregati da un uomo solo osservandolo suonare?
Gli posai il bicchiere di cognac di fronte, senza una parola. E lui, senza una parola, lo prese.
Non bevve subito, si limitò ad oscillare il ballon fra le mani,
il liquido ambrato che vorticava. Ancora una volta, non potei non
notare quelle dita affusolate, curate. Imprigionavano il bicchiere in
una presa decisa e, senza fretta, lo portarono alle labbra.
Quelle labbra decisamente sensuali...
Mi ritrovai a deglutire, imbarazzata, e velocemente distolsi lo sguardo.
Ero ridicola. Ridicola!
Mi guardai intorno, alla ricerca di una fonte di distrazione. A quanto
sembrava, tutti quelli seduti al banco avevano già ordinato e
conversavano fra loro oppure osservavano il musicista di fronte a me,
che, incurante, sorseggiava la sua bevanda, perso nei suoi pensieri.
Mi limitai a compiere ciò che avevo imparato a fare alla perfezione: lucidare un bicchiere.
Potevo essere più banale?
Mi concessi una veloce occhiata nella sua direzione, sperando di non essere sorpresa.
Aveva indossato un cappotto elegante, lasciato aperto.
Gli stava perfettamente.
La custodia del violoncello era accanto a lui, appoggiata al bancone.
Inevitabilmente, mi ritornarono in mente immagini sulla sua esecuzione. E le emozioni provate.
Era veramente bravo. La musica è qualcosa di soggettivo, come
l'arte: può piacere come no. Tuttavia, non si può negare
che, per quanto un genere non piaccia o non rientri nelle proprie
conoscenze, se l'artista è bravo te lo fa apprezzare.
E così era stato per lui. Violinisti se ne erano succeduti al
Croissant, tutti di indiscutibile bravura. Così come pianisti,
sassofonisti e altri musicisti. Monsieur Duvall non era l'unico che era
riuscito a conquistarmi, no. Ma era l'unico che mi aveva fatto provare
sensazioni che non avevo mai sentito.
Un insieme di eccitazione e frenesia mai conosciute.
E le avevo provate mentre tenevo gli occhi chiusi. Perché le
melodie prodotte da uno strumento musicale possono paragonarsi al suono
della voce umana. Ascoltare una persona quando parla, senza averla
vista in volto, ti permette di fantasticare ed immaginare. Così
la musica: ogni artista ha il suo stile, unico, e ti permette di volare
con la mente a seconda della sua bravura.
Lavorare al Croissant de Lune mi aveva portato a maturare questi pensieri e niente mi aveva fatto cambiare idea.
René Duvall, tuttavia, univa al suo talento il fascino della sua
persona: misteriosa, scostante, seria. Al di sopra di tutti, come se si
trovasse per caso fra noi mortali, come se la sua musica fosse qualcosa
che ci viene concesso per bontà sua.
Non sapevo se la cosa mi irritasse maggiormente o se aumentasse la mia attrazione.
<< Ha finito di fissarmi?>> bassa, irritata, profonda.
La sua voce mi riscosse, e mi resi conto che quella che doveva essere un'occhiata veloce era stato un esame approfondito.
<< C-chiedo scusa.>> balbettai imbarazzata, distogliendo velocemente lo sguardo.
Dovevo considerarmi fortunata se non mi beccavo una denuncia per molestie.
Avrei voluto sprofondare. L'occhiata che mi aveva rivolto era stata raggelante, seppur breve.
Certo, aveva tutti motivi per essere infastidito: anche a me dava sui nervi essere fissata.
Tuttavia mai avevo provato sulla pelle la sensazione di uno “sguardo che uccide”.
Non era questo che volevo, come primo approccio. Avevo drasticamente
visto ridursi le mie possibilità di manifestargli quanto lo
apprezzassi.
Ogni mio complimento probabilmente d'ora in poi verrebbe preso come fatto da una guardona pazza.
Maledetta me e la mia testa! Colpa sua se mi ero incantata.
E colpa di Duvall se era troppo affascinante.
Ma cosa stavo pensando?
Sospirai, indispettita dal mio comportamento.
Non che fossi una persona razionale: insomma, ero un'artista, quanto di
più lontano ci fosse dalla razionalità. Eppure non ero
mai riuscita a gestire le mie emozioni egregiamente.
Non ero mai arrivata a raggiungere un mio personale equilibrio.
Per quanto riuscissi bene a trasportare le mie sensazioni nei dipinti o
riuscissi a trovare soggetti molto espressivi per le mie foto, trovando
significati anche dove non ce n'erano, altrettanto facile non mi
risultava per le mie questioni interpersonali.
In questo campo ero una frana. Davo l'impressione di essere una ragazza
o troppo fredda o infantile. Nessuna via di mezzo, nessun grigio. Pochi
avevano scalfito la corazza che mi proteggeva, tutte persone a cui io
sola avevo concesso l'accesso.
Amici.
Non che fossi una persona solitaria, mi piaceva la compagnia, ma
chiunque mi tenessi vicino conosceva solo un pezzo di me. Pochi
potevano dire di aver visto il puzzle completo. Che del resto completo
non si poteva definire: come poteva dirsi terminato un puzzle in cui il
tassello dell'amore mancava?
Mai conosciuto, neanche da lontano. Tante attrazioni, nessuna abbastanza forte da spingermi oltre.
Nessuna che mi spingesse a buttarmi.
Questo mi mancava, il coraggio di buttarmi.
Avevo paura del dolore, della sofferenza. O semplicemente avevo paura e basta.
A cosa serviva fare classificazioni?
L'unica cosa di cui ero certa era la mia natura contraddittoria, poco
chiara anche a me stessa, che mi faceva dubitare sulle mie effettive
capacità mentali. Ero un concentrato di volubilità,
solare ma anche malinconica.
Timida coi più, estroversa con chi meritava.
Un disastro.
Notai due clienti che ricercavano la mia attenzione e mi dedicai a loro
con piacere, bisognosa di interrompere quello strano flusso di
pensieri. Era da brevettare: come perdersi nelle profondità
della propria mente lucidando un bicchiere.
Forse potevo scriverci un libro.
Un sorriso mi sfuggì al pensiero, ma mi affrettai a nasconderlo
prima che potesse venir mal interpretato. I clienti del Croissant erano
di natura variegata: si poteva trovarsi davanti uno snob spocchioso o
un ricco estroverso.
Di solito, preferivo la clientela del mattino. Manager sempre di corsa, imprenditori, donne in carriera...
Le chiacchiere si diffondevano nell'aria; noie, problemi, gossip,
confessioni... Si sentiva un clima meno esclusivo rispetto alla sera.
Meno chiuso.
Ritornai al mio posto e il mio sguardo si appuntò meccanicamente
su Duvall. Era assorto nei suoi pensieri, gli occhi concentrati sul
cognac, l'altra mano a sostenersi la testa.
L'avevo ammirato. Mi era piaciuta veramente la sua performance prima e
mi dispiaceva che mi avesse presa in antipatia. Forse erano solo mie
paranoie: come può un cliente prendere in antipatia una
cameriera.
Può essergli indifferente, non antipatica. Per arrivare all'antipatia si presuppone una conoscenza, che non rientrava nel nostro caso.
In ogni caso non mi ero certo figurata di fare una così brutta
impressione al primo tentativo di rivolgergli la parola. Anzi, non si
poteva definire tentativo: era lui venuto da me!
Io mi sarei limitata di aspettare, prima di...
<< Dirgli quanto bravo era.>> mormorai, sovrappensiero.
Oh merda! Non potevo, non potevo aver... oh sì che l'avevo detto ad alta voce.
Il movimento di capo di René Duvall, che aveva sollevato lo sguardo per puntarmelo contro, mi diede la conferma.
<< Prego?>> aveva un'espressione strana: un misto di confusione ed irritazione.
Ormai il danno era fatto. Speravo solo di non essere troppo rossa...
<< Mi chiedevo se potevo permettermi di dirle quanto abbia
apprezzato il suo pezzo di prima. E di aggiungere quanto la consideri
bravo.>> grazie al cielo, non avevo balbettato nemmeno una volta.
Tuttavia non rispose subito, né distolse lo sguardo. Lo
lasciò vagare per il mio viso, inconsapevole – o incurante
– del mio disagio.
Ogni emozioni era scomparsa dal suo volto. Niente più indifferenza o irritazione.
Che avessi osato troppo? Sicuramente sì.
Non che mi aspettassi un ringraziamento per quei complimenti, non
sapevo neppure io cosa aspettarmi. La mia bocca aveva parlato
spontaneamente, senza nessun controllo da parte mia.
Stavo per allontanarmi, per sprofondare nell'imbarazzo più profondo, quando...
<< Mi sembra... Che lei l'abbia appena fatto. O mi
sbaglio?>> nel tono usato, c'era nota ironica che mal si intonava
con l'imperscrutabilità del suo volto.
Una nota ironica che mi mortificò.
Era chiaro che l'avevo appena fatto, non serviva rinfacciarmelo.
Ma non ero io il cliente.
<< Tuttavia...>> rialzai il capo, abbassato alla
constatazione, stupita che ci fosse un continuo. << Non sono
così maleducato da non ringraziare un complimento. Perciò
la ringrazio.>> ero allibita.
Non mi aspettavo che mi ringraziasse, dopo quanto mi aveva rinfacciato.
E poi cos'era quel discorso? “Non sono così maleducato da ringraziare?”
Però lo era abbastanza da umiliare una persona, prima di compiere uno sforzo come ringraziare. Mi morsi la lingua, per non ribattere. Ecco, quello era uno dei miei più grandi difetti: discutere.
Odiavo aver torto, ero puntigliosa su determinate cose e adoravo rispondere a tono, a volte dimenticando la timidezza.
Ma quello non era il caso...
Mi limitai ad un cenno del capo, cominciando a strofinare fin troppo
veemente il bicchiere. Speravo solo di non aver messo il broncio.
Eppure lo vidi.
Vidi l'angolo della sua bocca piegarsi verso l'alto, mentre si portava il cognac alle labbra. E fu come vedere un'altra faccia.
Perché era quanto di più vicino ad un sorriso ci
fosse. Non credevo ne fosse in grado. E se da un lato il mio orgoglio
protestava a quel probabile gesto di scherno, la parte affascinata da
quell'uomo così indisponente, così serio, non poté
non palpitare.
Piegare verso l'alto le labbra significa ghignare, significa essere divertito da qualcosa – o da qualcuno – e su di lui risultava molto naturale. Non un sorriso, un ghigno.
Mon dieu, stavo lodando un'azione che doveva essere tutt'altro che lodato. Patetica.
Ora più di prima.
<< Posso sedermi qua?>> non so se mi arrivò prima la
voce alle orecchie, o il profumo alle narici. Ma bastò a
interrompere quel momento.
Una signora molto elegante, probabilmente sulla quarantina passata, si avvicinò a monsieur Duvall.
Quest'ultimo, il bicchiere ancora alle labbra, non si era minimamente
scomposto né si era affrettato a finire di sorseggiare per
rispondere.
Solo dopo aver gustato quanto riteneva il giusto, si voltò verso la donna, un sopracciglio inarcato.
Ma non rispose verbalmente. Annuì.
La donna ringraziò con il capo prima di accomodarsi accanto.
<< Un Bordeaux, per cortesia.>>
Mi ripresi dal mio stato di osservazione per servirla.
Ero curiosa. Inutile ammettere il contrario.
Se voleva complimentarsi con lui, poteva rimanere in piedi! Escludevo
che si conoscessero, altrimenti non avrebbe chiesto il permesso di
sedersi. Non riuscivo a capire perché fosse là e la
curiosità si faceva insistente.
<< Volevo farle i complimenti, monsieur Duvall. La sua esecuzione
è stata brillante, molto emozionante. Forse una delle migliori
che ho avuto il piacere di ascoltare al Croissant.>>
<< La ringrazio, signorina...?>> signorina?! Dove?
La signorina scoppiò in
una risatina cinguettante. << Signora, monsieur, signora ormai.
Anche se la ringrazio per il garbo mostrato. Sarah De Gallard è
il mio nome.>> conoscevo quel cognome: monsieur De Gallard era un
noto proprietario terriero, borgognone trapiantato a Parigi, ma non
frequentava il nostro locale.
O almeno io non l'avevo mai visto.
<< La ringrazio, Madame De Gallard.>>
<< Mi chiami pure Sarah.>>
<< Sarah.>> concesse.
Mi sembrava di essere ritornata indietro di qualche secolo. Questo
scambio di battute era quanto di più banale avessi mai sentito.
E cominciavo ad intuire dove stesse andando a parare Sarah...
Servii quanto richiesto e mi misi a lustrare un altro bicchiere.
Ormai stava divenendo un'arte.
<< Ciò che mi ha inoltre stupito è la sua giovane
età. Quanti anni avrete? Ne dimostrate una trentina.>>
<< Sì, trent'anni a breve.>>
<< E siete così bravo. I miei complimenti.>> fece
una pausa, per bere dal suo calice. Lo portò alla bocca
lentamente e non persi la nota sensuale con cui lo fece. <<
Davvero delizioso. Ma tornando a noi...>> nonostante il bancone a
separarci, notai la mano che si era andata a posare sulla gamba di
Duvall; ma questi non fece nulla per spostarla né per mostrare
il suo fastidio ad un gesto tanto sfacciato.
Solo le sue labbra, per l'ennesima volta, mostrarono un cambiamento.
Si sollevarono, pigramente.
Ghignarono, ancora.
<< ... mi piacerebbe molto conoscere la sua storia. Un musicista
del suo talento deve aver frequentato i migliori conservatori e mi
piacerebbe sapere dove l'hanno portata i suoi studi. Sempre se
desidera.>>
Aspettai la risposta. Era ovvio che tale invito era pieno di sottintesi e la signorina non aveva fatto nulla per nasconderli. Era certa di una risposta affermativa. E pure io, per quello.
Ero schifata.
Una donna della sua età, sposata e che aveva tutto dalla vita,
corteggiare un uomo più giovane di molto in maniera così
spudorata.
Certo, contava sul fatto che i camerieri presenti fossero pagati per
farsi gli affari propri. Così era, ma ciò non toglieva il
ribrezzo che provavo.
Pure lui mi lasciava perplessa. Mi sembrava che avesse mostrato un
autocontrollo notevole per una situazione così inusuale; e non
parlo del tradimento, perché può darsi che lui non sappia
lo stato civile della donna, ma del ricevere una così sfrontata
avance.
Per non parlare della sua reazione. Del suo ghigno.
Chi era quell'uomo?
O meglio, com'era fatto?
Erano questi i motivi per cui non bisognava mai lasciarsi trasportare dall’immaginazione e dall’aspetto fisico.
<< Temo che stasera non potrò... soddisfare... la sua
richiesta.>> bassa, la sua voce era velluto. Gli occhi erano
concentrati sul suo bicchiere.
Poche volte l'avevo visto staccare lo sguardo dal liquido al suo
interno, come se stesse leggendo qualcosa a noi sconosciuto. <<
Sono desolato.>>
Notai il lampo di stizza che attraversò gli occhi della donna, ma si affrettò a nascondere la delusione.
<< Non si preoccupi. Sono sicura che troveremo un giorno che
possa aggradare entrambi. Non mi resta che salutarla e sperare di che
quel giorno arrivi al più presto. Buona serata.>>
Con un gesto del capo, la salutò pure lui.
Il mio sguardo era appuntato sulla figura della donna, che si allontanava.
Non potevo non pensare alla sfacciataggine avuta da entrambi, come se fossero gli unici presenti al banco.
E lei, così, così...
<< A quanto sembra, il suo è un vizio. Quello di fissare intendo.>> sobbalzai nel sentire quella voce rivolgersi a me. << Oltretutto – proseguì – lo condisce con il giudicare le persone.>>
Avvampai, colta in fallo.
Non avevo dubbi, sul fatto che lo avesse notato: più volte mi era stato rimproverato di essere come un libro aperto.
Ma la mia bocca fu più veloce della mia mente.
Ancora una volta.
<< I-io non volevo... Non... Solo che, insomma, ci ha provato
così spudoratamente. Inoltre è sposata ! Con quale
coraggio si può fare una cosa del genere?>> borbottai la
parte finale più rivolta a me stessa che a lui. Insomma, la
decenza dovrebbe essere una cosa acquisita dalla nascita per quella
classe sociale, ma evidentemente mi sbagliavo.
<< Non è affar suo cosa fanno le altre persone,
finché non la coinvolgono. Né si può permettere di
giudicare.>> la sua risposta mi gelò. Boccheggiai, in
cerca di una risposta adatta, ma non ce n'erano.
Aveva ragione.
Non dovevo permettermi di lasciarmi andare in quella maniera. Non con uno sconosciuto.
Non con un cliente!
E poi, non ero stata io stessa a rimproverargli il comportamento
maleducato che aveva tenuto nei miei confronti prima io? Nonostante
ciò, avevo agito alla stessa maniera.
Da maleducata.
Mi ero lasciata trascinare dai miei pensieri, dai miei giudizi. Avevo parlato abituata a dire sempre quello che penavo.
<< Tuttavia, la sua ingenuità è divertente.>> fu solo un basso mormorio, ma lo sentii ugualmente.
René Duvall mi fissava serio, la voce strascicata che stonava
con quanto detto. Se c'erano tracce di divertimento, io non le notavo
in lui.
Oltretutto, forse ero ingenua, ma non ne avevo di certo dato prova in
quel momento. Perfino io ero riuscita a scorgere le avance di quella
donna.
<< L'uomo è sempre alla ricerca di piacere, per combattere
la noia. È la forma in cui lo cerca, che cambia. E non
può immaginare come questa classe...>> allargò le
braccia, in un ampio segno del locale, quasi vuoto. << ... si
annoi fin troppo facilmente. La sua ingenuità, tuttavia, non
può mostrarle questo aspetto, sebbene sia ogni giorno sotto i
suoi occhi.>>
Mi indispettii. << Beh, mi fa piacere sapere che lei ha trovato
un diversivo contro la noia, per stasera. Anche se mi dispiace per
Sarah.>> non ero riuscita a trattenermi, nonostante tutti i
rimproveri che mi ero fatta fino a poco fa.
Cliente o meno, stella della serata o no, mi aveva seccato con questa risposta.
Affascinante quanto voleva, il suo menefreghismo, il suo cinismo, mi urtava.
Sembrava che stesse parlando di un argomento comune: io avevo
accennato al tradimento, lui parlava di noia e di come fosse normale combatterla come se fosse una giustificazione naturale.
Ma la sua risata... quella non era prevista.
Roca, sensuale.
Quasi innaturale, se non avessi visto la sua mano portarsi alle labbra per coprirle.
<< Oh, spero anch'io di averlo trovato un diversivo. E per Sarah, ritenterà.>>
Lo fissai, allibita, ma non ebbi tempo di rispondere.
<< Sophi!>> la voce di Bennie mi fece voltare il capo. Per
un attimo dimenticai l'uomo che mi confondeva seduto di fronte.
Il sorriso di Bennie catturò la mia attenzione. << Oh, mi
scusi.>> chinò velocemente il capo nei confronti di
Duvall, prima di proseguire rivolto a me, stavolta a tono più
basso. << Chris mi ha scritto! Ha detto che mi viene a
prendere.>> gli occhi scintillavano, felici.
E io ero felicissima per lui. << È stupendo! Hai visto? Risolverete tutto.>>
<< Solo che io dovevo accompagnarti a casa, ricordi?>> accidenti, aveva ragione.
Abitavo distante dal locale e vista l'ora in cui chiudevamo, tornare a casa da sola non era propriamente sicuro.
Per questo, di solito mi accompagnava Bernard.
<< Ma se vuoi gli scrivo di non venire, oppure se può accompagnare pure te.>>
<< No no.>> mi affrettai a interromperlo.
Aveva la possibilità di chiarire, non volevo che rimandasse
ancora. << Io tornerò a casa e tu andrai con Chris. Potrei
farmi venire a prendere da un taxi, oppure...>>
<< Potrei accompagnarla io.>>
Sia io che Bennie ci voltammo verso Duvall.
Ci fissava, a braccia conserte, quasi annoiato.
<< Prego?>> domandò il mio amico.
Non ero l'unica ad aver dubitato di averlo sentito parlare.
<< Ho detto che potrei accompagnarla io.>> scandì, lentamente.
Lo osservai, torva. << E il suo diversivo?>> non avevo dimenticato la nostra conversazione.
E non mi era passata il nervosismo provato alle sue parole.
<< Non ci sono problemi. Non credo si lamenterà.>>
D'accordo.
Avevo appena ricevuto una proposta di passaggio dall'uomo su cui avevo fantasticato da inizio serata.
Lo stesso che poi mi aveva sconcertata per certi atteggiamenti e discorsi.
Un uomo sconosciuto.
<< Le posso assicurare che può fidarsi. Domani sera devo
ripresentarmi qui, per suonare. Non ho intenzione quindi di commettere
reato e farmi rinchiudere.>> come se mi avesse letto nella mente,
il suo tono quasi seccato aveva dato risposta ai miei pensieri.
Tuttavia non riuscivo a fidarmi di lui.
Non potevo. Non lo conoscevo!
Però era un uomo conosciuto dai più e non aveva la faccia da criminale.
Forse potevo...
<< Bene, accetterò la sua proposta.>> lo facevo
più per Bennie, che alternava lo sguardo scioccato fra noi, che
per me.
Sapevo che non avrebbe ceduto finché non avesse saputo che sarei tornata a casa in modo sicuro.
Non ero convinta, tuttavia, di aver fatto la scelta giusta
Il mio amico, troppo sorpreso, si limitò ad un sintetico << Perfetto.>> prima di andarsene.
Sapevo che prima o poi, quando avrebbe incamerato la notizia, mi avrebbe assillato.
<< La verrò a cercare io per accompagnarla all'auto.>>
Voltai la testa di scatto, il tempo di vedere la schiena di René Duvall che si allontanava.
Il bicchiere di cognac vuoto.
***
Ero normale. Una ragazza normalissima e lo specchio rimandava la mia figura.
Capitava spesso che, quando mi cambiavo togliendomi la divisa e non c'era nessuno, mi soffermassi a guardarmi.
Checché ne dicesse Bennie, ero più che normale.
Il mio corpo, coperto solo da semplice intimo, non era diverso da
quello di tante donne. Non troppo alta, mi portai le mani ai seni.
Erano una terza. Una normalissima terza.
Lasciai scivolare le mie dita fino al ventre, per poi posarle ai
fianchi. Erano un po' ampi, ma per fortuna non avevano troppa ciccia
accumulata: ero abbastanza attiva e questo mi permetteva di combattere
i ciò che introducevo con i miei abbondanti pasti.
Per un attimo, la figura di Madame De Gallard mi apparve davanti agli
occhi: sicuramente, alla mia età doveva essere stata una donna
fantastica, visto come portava i suoi anni ora.
Avvicinai una mano sullo specchio, in corrispondenza del mio volto. Accarezzai la superficie fredda.
Nonostante la mia normalità, ero sola. Perché?
<< Se hai finito, potremmo avviarci.>>
Sobbalzai, spaventata. Il cuore prese a battere furiosamente, prima per la paura, poi per la vergogna.
Quando mi girai, trovai la porta dello spogliatoio aperto.
Ma nessun paio di occhi neri a guardarmi.
Note: capitolo decisamente
lungo, ma non mi andava di spezzarlo. È da una settimana che ce
l’ho in mente, ma sono riuscita a finirlo solo oggi. Il problema era il contorno: se le scene principali le avevo fissate, mi mancava la cornice. E senza un’adeguata cornice, un quadro non si regge. Si sono toccati diversi aspetti di lui, in questo capitolo. Freddo, scostante, cinico. Con una dose di malizia malcelata. Pian piano, verrà fuori. Non voglio anticiparvi nulla,
ma se credete che dal prossimo capitolo andranno a letto insieme, mi
dispiace dirvi che non sarà così. ^^ Due paroline pure su di lei.
Forse può sembrarvi un insieme di contraddizioni: bene, è
così. Lei non si doveva permettere di giudicare la signora, per
quanto potesse non piacerle il comportamento. Ma a parlato senza
pensarci. E da cosa è nata cosa. ^^
Se ci dovessero essere errori,
sappiate che in ogni caso ricontrollerò meglio domani: a
quest’ora può essere che me ne siano sfuggiti. ^^
Ringrazio i preferiti e coloro che seguono. Ma soprattutto, coloro che commentano: grazie di cuore!
MsEllie: ora mi hai reso
curiosa u.u Perché ti piace quel nome? Ahahah, ovviamente non
sei obbligata a dirmelo (scherzo ^^). Spero che René ti sia piaciuto pure qua. Un bacione!!!
Himechan: sì, Sophie piace pure a me. Cerco di renderla più “normale” possibile, difetti compresi. Anche se a volte risulta
complicato. Tenderei a scrivere molto di più su quel che pensa,
ma dopo diventerebbe pesante e si allunga drasticamente il capitolo. Direi che qualcosa di
più si è scoperto su di lui, anche se non propriamente
delle “belle” caratteristiche. Spero ti sia piaciuto. Un bacione!!!
BlueSmoke: l’introduzione
è quella che mi fa pensare di più. Siccome non è
un diario, non posso farla parlare come se sapesse già quel che
accade. Tuttavia devo scrivere qualcosa che si adatti a quanto
scriverò. O_O Paura? Ihihih, pensa ora che darà un passaggio a Sophie… Oh oui, tanta passione!!! Un bacione!!!
Valespx78: sono felice che ti sia piaciuto. Spero che pure questo sia stato di tuo gradimento. ^^ Un bacione!!!
Lollyna: mi fa piacere sapere
che ti piace come scrivo! Anche perché questa è la prima
che scrivo con un tema, come dire, serioso (mettiamola così ^^),
più “cupa”. Ti ringrazio dei complimenti e spero che questa prima evoluzione nei caratteri non ti abbia deluso. Un bacione!!!
Vigife: rispondo qua, anche se hai commentato il primo. Sono felice che la trovi intrigate! È quello che desidero, per questa storia! Un bacione!!!
Al più presto (ho uno Yankee da scrivere ^^) Anthea
I clichè sono talmente banali che non puoi non finirne vittima. Non puoi. E sono talmente infimi e sottili
e... insulsi, che ti accorgi di esserci dentro – ad una
situazione cliché, intendo – solo... solo quando la forza
degli eventi di travolge. Perché i cliché
partono in maniera sciocca, scontata quasi, e poi si trasformano in un
qualcosa di imprevisto ed imprevedibile. Ma sempre a senso unico
– tornare indietro? Impossibile. Sono come sabbie mobili, da cui più cerchi di risalire, più ti trovi a sprofondare. Prendiamo una situazione qualsiasi: una ragazza che accetta un passaggio da uno sconosciuto. Che cosa stupida che ha fatto,
quella giovane: fin da piccoli, ai bambini viene detto che con gli
sconosciuti non si parla, non ci si allontana, bisogna prestare
attenzione. Anche nelle storie viene ribadito –
“Pinocchio” è un esempio di cosa succede a chi segue
i consigli di persone non conosciute, tanto per citarne una. Ma c’è poco da dire, ora. La ragazza ha accettato. E per amore di cronaca, diciamo che
lo sconosciuto è affascinante, misterioso, anche se un po’
scontroso e di certo non amichevole – giusto perché la
banalità non ha mai fine. Un uomo un po’ cupo, un
violoncellista abbastanza famoso nell’ambiente, ma pur sempre
sconosciuto. E scontroso ed arrogante e di certo non amichevole –
l’ultima persona, quindi, da cui si accetterebbe un passaggio. Ma
la fama di cui gode dovrebbe evitare qualsiasi risvolto spiacevole, si
dice la giovane. E probabilmente, qualcuno di
più intelligente riderebbe di lei, dicendo che pure la nonna di
Cappuccetto Rosso sembrava innocua pur avendo i dentoni aguzzi, il muso
allungato e la voce arrochita dalla fame, ma che la piccola, nella sua
ingenuità, non avrebbe potuto riconoscere il Lupo al di sotto
dei vestiti; sempre qualcuno direbbe che invece arrivare a
vent’anni passati e non saper riconoscere il Lupo cattivo
è veramente grave. E sosterrebbe che questa giovane
altro non è che una stupida, che si è offerta come
agnello sacrificale a quello che potrebbe essere un maniaco, uno
stupratore o quant’altro, magari non conosciuto perché
è abbastanza sveglio da non farsi scoprire nonostante la fama. Sì, proprio una stupida,
perché si è lasciata abbindolare come un’allocca
dalla bella presenza dell’altro e da poche, blande
rassicurazioni. Perché questo esempio rientra nella categoria dei cliché? Semplice, perché la giovane ha fatto una cosa che non doveva fare. Le persone fanno sempre cose che
non devono fare, seguono sempre strade che non devono percorrere, fanno
scelte o compiono azioni che faranno sempre, in qualche modo, loro male. O magari non faranno neppure male... solo non sono giuste – strade, azioni o scelte che siano. Non sono sensate. La gente è nata per seguire cliché, checché ne dica o voglia. Ah, e mi raccomando: quello di prima era solo un esempio. Poco importa che ogni esempio nasca dalla realtà.
Chapitre 4 - Conséquence
"Sai, molte scelte che facciamo nella nostra esistenza appaiono logiche solo guardandole dopo, a fatto ormai compiuto. Sembrano perfino far parte di un disegno dotato di senso." Raul Montanari
Volevo scappare. L’unico pensiero coerente era quello: volevo andarmene. Anzi, se fosse stato possibile,
avrei già voluto essere nel mio letto, al caldo, con un
bicchiere d’acqua sul comodino e la luce della sveglia a spezzare
il buio. Mi strinsi le braccia attorno al
corpo, mentre il fresco della sera spandeva brividi lungo il mio corpo.
La temperatura dentro al “Croissant de Lune” era sempre
abbastanza alta, giusta insomma; quando poi si usciva, tutto sembrava
più freddo. Ma non potevo negare che il disagio non giocasse una parte importante nel rendermi particolarmente sensibile e recettiva. Come poteva essere altrimenti? Non avevo fatto altro che ripensare alla sua voce, dopo che mi aveva lasciato. Tono seccato, distante. Profondo e cupo. Era virile, incisiva sì, ma non... appariscente. Sembrava parlare per pura
necessità, non perché fosse realmente interessato a
rivolgere la parola a qualcuno. E quando lo faceva, mi sembrava di
assistere ad un incontro di fioretto: toccata e parata, difesa ed
affondo. Parlava poco, ma aveva sempre le parola giuste. Di tornare a casa con una persona
del genere non se ne parlava; sentivo la tensione avvolgermi, il cielo
solo sapeva come sarebbe stato andare a zonzo con lui. Ma ormai ero là fuori. E lui era là, poco più avanti, appoggiato ad una macchina sportiva, ma elegante. Nera. Che strano. Non mi stava guardando: era
appoggiato sul cofano della macchina e di spalle rispetto a me, dalla
parte del guidatore, e sembrava assorto ad osservare il panorama di
fronte a sé. Fumava. Nell’oscurità della
notte, spezzata solo da lampioni circondati da nugoli di zanzare, ogni
tanto era possibile vedere la brace che consumava il tabacco, una
macchia rossa stagliata contro il nero. E per un attimo, desiderai avere con me la macchinetta fotografica, per immortalare quell’attimo. Non c’era nulla di speciale,
in sé. Ma c’era qualcosa di sensuale e graffiante
nell’insieme; mi immaginai di catturare il profilo di
quell’uomo nell’atto di aspirare una boccata di fumo, le
labbra di poco schiuse e le guance leggermente incavate, gli zigomi
eleganti sfiorati da alcune ciocche scomposte, con il corvino dei
capelli a contrastare con il rosato della sua pelle. E magari avrei
zoomato sulle sue mani, quelle mani dalle dita lunghe e levigate
– o forse... forse qualche callo induriva i suoi polpastrelli?
– oppure avrei potuto allargare la panoramica e catturare la posa
del suo corpo, naturale eppure rigida, posata eppure pronta a scattare.
Elegante, ma pericolosa. Distratta bellezza o curata attenzione dei particolari? Mi ritrovai a trattenere bruscamente il fiato, riscoprendomi ad ammirare i suoi lineamenti. Cercai di ritrovare un minimo
contegno e di sbloccare il mio corpo, bloccato a metà sul
marciapiede; per quella sera avevo collezionato abbastanza figuracce,
farmi beccare a fissarlo per l’ennesima volta non sarebbe stata
di certo piacevole. Non per me, almeno. Abbassai lo sguardo, osservando la punta delle mie scarpe da ginnastica: volevo andarmene, maledizione. Sentivo un peso opprimente, il respiro era agitato. Io ero agitata! E mi sentii avvampare di vergogna,
ricordando di quando prima aveva rimproverato la mia lentezza. Che mi
avesse visto nuda? Che avesse parlato da fuori, accanto alla porta? Che
fosse... che fosse entrato dentro, vedendomi contemplare il mio corpo
come una stupida – come se ci fosse qualcosa da
“contemplare” nel mio corpo. Mi sfuggì una smorfia, a quel pensiero. Ero una banale e comunissima ragazza. Una ragazzina, paragonata a lui. Okay, basta Sophie, basta pensare. O tentare di pensare. Affondai i pugni nel bomber
sportivo che indossavo – lui così elegante ed io... io con
addosso un paio di jeans smunti, un bomber viola e le scarpe nere,
usate. I capelli raccolti alla bene meglio. Non osavo immaginare il volto! Battere in ritirata, Sophi! Battere in ritirata. No, un momento! È stato lui a proporsi, non ho nulla di cui vergognarmi. Sì, come no. Okay, dovevo smetterla: più stavo là a litigare con me stessa, più c’avrei messo ad arrivare a casa. Se ci arrivavo, al mio appartamento. Scacciando dalla mente quelle
stupidaggini, avanzai verso Duvall, osservando a destra e sinistra
prima di attraversare la strada. Ed una volta arrivatagli vicino, mi
accorsi che la mia mente non gli aveva reso giustizia
nell’immaginarlo: la pelle ispida era lievemente ispida, il
profilo della mandibola era contratto, le labbra poi erano corrucciate
in una smorfia... Quando si voltò verso di me,
portando la sigaretta quasi terminata alle labbra, il senso di fuga fu
affiancato da una vertigine che rese le mie gambe gelatina: mi ero
dimenticata degli occhi, di quei due pozzi profondi e scuri, ora
socchiusi mentre espirava fuori il fumo, misera cortina che non copriva
l’intensità di quello sguardo. Non disse nulla, limitandosi a
gettare il mozzicone ai suoi piedi; il respiro tornò solo quando
René abbassò lo sguardo in basso, per guardare la sua
scarpa – la sua elegantissima e lucidissima scarpa nera –
appiattire il filtro, mentre una mano andava a frugare nella tasca del
cappotto che indossava. Volevo parlare, davvero. Dirgli che potevo tornarmene a casa
da sola, che avevo preso lezioni di autodifesa e che sapevo il fatto
mio, che non serviva che si disturbasse a farmi da tassista. Non ci riuscii; immobile, davanti
al muso di quella macchina pronta a bruciare l’asfalto, lo
guardai far scattare l’antifurto – le luci dell’auto
che lampeggiano. E quando l’aprirsi della
portiera mi riscosse, facendomi credere di essere pronta a dire una
misera frase di circostanza, la sua voce mise a tacere ogni mia
possibilità – e volontà – di parola. « Sei lenta». La portiera si chiuse. Brutto stronzo. Se non avessi avuto il carattere che possedevo, probabilmente avrei fatto una scenata. Avrei alzato il mento, l’avrei mandato a quel paese ed avrei girato i tacchi. Sicuramente una persona normale l’avrebbe fatto. Io no, non feci nulla di tutto ciò, troppo... allibita, sì allibita da quell’arrogante personaggio. Salii in macchina a capo chino
– checché ne dicessi, non era propriamente sicuro girare
per le strade parigine da sola, corso di autodifesa o meno –
inghiottendo ogni replica a quel commento poco cortese. Lo feci velocemente, onde evitare che trovasse un altro pretesto per dirmi che ero lenta. Vaffanculo. Lasciai vagare lo sguardo fuori dal
finestrino, ascoltando il motore dell’auto mettersi in moto: non
disturbava, era un ronzare morbido, per nulla fastidioso. E sempre guardando la strada, gli dissi il quartiere in cui stavo, sperando che lo conoscesse. Ma a quanto sembrava aveva un navigatore con sé – tanto meglio. Non mi rispose, né mi diede segno di avermi ascoltato. A volte è proprio vero che la fama ed i soldi non fanno la simpatia... Decisa a godermi il passaggio, mi rilassai contro il sedile della macchina, sospirando dalla stanchezza. La musica – mi sembrava fosse jazz – non era molto alta, rilassava. Era stata una giornata pesante
oggi, non vedevo l’ora di essere a casa; grazie al cielo era
venerdì, domani niente università. Certo, avevo il turno
dalle dieci di mattina a mezzogiorno e mezzo, ma non era un problema. E
poi la sera, per tutto il week end. Sospirai, lasciando scorrere le immagine della città cercando di arginare i pensieri, di lasciarli da parte. Però quel silenzio mi stava sinceramente stancando. Sì, insomma, mi pesava. Non ero propriamente una
chiacchierona, però mi infastidivano i momenti morti;
soprattutto, mi infastidiva essere consapevole della presenza di
un’altra persona e non poter però parlare. Era qualcosa di incoerente, a ben
pensarci, perché quando ero io a non voler parlare, mi limitavo
a mugugnare risposte tanto per accontentare i terzi; però se mi
ritrovavo in presenza di qualcuno, sconosciuto o meno che fosse,
sentivo il bisogno di parlare. Di parlare per stemprare il disagio del
silenzio, del passare del tempo insieme senza dire una parola. Eppure era una che amava la quiete, ma solo quando ero sola. Ed ora certamente non lo ero. Probabilmente, non ero neppure desiderata. Potevo capirlo: insomma, prima
aveva avuto la possibilità di avere quella splendida donna con
sé, di concludere la serata in bellezza... ed era stato
costretto a portare a casa me. Mi rendevo conto da sola che fosse uno scambio beffardo e sicuramente non equivalente. L’aveva voluto lui però! Che soffrisse della sindrome del buon samaritano? ... Arrischiai un’occhiata
veloce, trovandolo intento a guidare con la sinistra sul volante,
l’altra mano sul cambio. E poi la destra su, insieme
all’altra... Feci una smorfia, riportando lo sguardo sul finestrino: no, non mi sembrava proprio il tipo. L’ipotesi che potesse far qualcosa di... non corretto non la escludevo. Sentii la macchina decelerare, in
prossimità di un semaforo. All’angolo dell’incrocio,
un piccolo alimentari rimaneva aperto nonostante l’ora tarda, ma
non c’era nessuno all’interno. Anche i marciapiedi erano vuoti, poche erano le auto in giro. « Ti dispiace se fumo?» La voce di Duvall mi colse di sorpresa. Intenta a guardare fuori, ormai
rassegnata al silenzio, la sua domanda mi portò a voltare il
capo di scatto verso di lui; mi fissava, la sigaretta già fra le
labbra, il finestrino già abbassato. Beh, perlomeno me l’ha chiesto. Una domanda di cortesia, me ne rendevo conto da sola. Mi limitai quindi a negare con il
capo, osservandolo mentre faceva scattare l’accendino, la fiamma
che illuminò di poco l’abitacolo. Ogni tanto fumavo anch’io, non mi dava fastidio l’odore quindi. Capitava raramente, certo: di
solito quando ero particolarmente sotto tensione, poco prima del ciclo
e quando il nervosismo era a livelli massimi. Ma cercavo di limitarmi quando
potevo, non ero una di quelle fumatrici incallite, né giudicavo
chi fumava: ad ognuno i propri vizi. Mi faceva strano, però, vederlo fumare. Cioè, era un gesto che si
sposava a pennello con la sua figura, sembrava essere nato per avere la
sigaretta fra le dita. Mi rendevo conto di stare esagerando, che era la
scenografa in me a parlare. Ma ero anche più che consapevole che
esistevano al mondo persone dotate di carisma e fascino, anche nel
compiere i gesti più banali o quotidiani. Vedere come intrappolava la
sigaretta fra le labbra, mentre la mano scattava sul cambio; vedere
come poi quella stessa mano era finita sul volante, mentre la sinistra
prendeva la bionda per permettere alla bocca di espirare il fumo,
inclinando il volto verso il finestrino... Cercai di deglutire, riportando lo sguardo fuori. La calma era qualcosa che non mi
apparteneva, in quel momento. Nonostante la musica strumentale e
rilassante, non riuscivo a concentrarmi solo su di essa. Mi sentivo a disagio. Mi sentivo di troppo. Non mi sentivo padrona di me. Ed erano emozioni stupide, queste. Stupide perché gli stavo permettendo di intimidirmi, pur non facendo nulla. Sbuffai, affondando le mani nella
tasca del giubbetto. La verità era che mi attraeva René,
mi attraeva quella figura dai contorni ancora sfocati; non un colpo di
fulmine, no. Semplicemente affascinava. E gli occhi non erano stati creati per nulla, purtroppo.
« Non ti credevo in grado di rimanere in silenzio per più di dieci minuti». Mi voltai di scatto verso di lui,
fin troppo sorpresa da quel tentativo di conversazione; era concentrato
sulla strada, una mano a reggere quello che si sarebbe presto
trasformato in un mozzicone di sigaretta. « Credevo ti dessero fastidio le chiacchiere», risposi con una smorfia, abbassando lo sguardo sul cambio. Non avevo certo dimenticato come mi aveva trattata prima al Café, a cosa aveva insinuato. Alzò le spalle noncurante, le dita che tamburellavano a tempo con la canzone sul volante. Una nuvola di fumo espirata. « Solitamente sì, mi danno fastidio». « Ed allora perché hai parlato?» Inarcò un sopracciglio, scrutandomi brevemente, quasi non fossi degna della sua attenzione. Che snob. Che snob affascinate. « Ho constatato, è ben diverso». Certo, come no. Sbuffai, incrociando le braccia, fissandolo malamente. « Nessuna avrebbe mai lasciato senza risposta una frase del genere». « La mia non era una domanda, non necessitava quindi di risposta». « Vuoi che ne
discutiamo, su ciò che è implicito e ciò che
è esplicito?», ironizzai, alzando gli occhi al cielo. Ma alla mia di domanda, invece, non ci fu risposta. Lo osservai sconcertata, attendendo
una replica, ma quello che vidi sul suo volto catalizzò
completamente la mia attenzione, facendomi dimenticare il precedente
scambio di battute. René sorrideva. Non apertamente, non completamente,
ma sorrideva; la piega della bocca, la piccola fossetta accanto
all’angolo delle labbra, il leggero sbuffo. Un ghigno, forse.
Più probabile. Certamente, fin troppo piacevole da fissare. Piegò il braccio, aprendo lo
scompartimento adibito a posacenere e lì vi schiacciò il
mozzicone; lentamente, senza fretta, lo premette, un ultimo filo grigio
che si sperdeva nell’aria, prima le dita richiudessero il tutto. E quando lui parlò, il mio
sguardo era ancora posato là dove le sue dita avevano sostato, a
ripercorrere il pigro inarcarsi delle falangi – le stesse che
avevano impugnato l’archetto, strette e tenaci. Forti. « Siamo quasi
arrivati», mormorò, le labbra ancora tirate in quello
strano sorriso sibillino, il tono di voce sfumato, quasi le sue parole
volessero terminare e lasciare in sospeso un discorso intimo e
pericoloso. Solo allora… solo allora mi accorsi del mio sbaglio. Solo allora mi accorsi che non avevo assolutamente prestato attenzione alla strada. Solo allora mi accorsi che non eravamo nel mio quartiere.
***
Con occhi sbarrati, fissavo il
succedersi di case dall’aspetto elegante e di classe, sicuramente
differenti dall’aria sobria e popolana del mio quartiere. Mi irrigidii completamente contro
il sedile, serrando le mani sul rivestimento di pelle, in preda
all’agitazione più totale. Mi ero rilassata, mi ero fidata,
ed ecco, eccomi qua nella tana del lupo; troppo concentrata su di lui,
sulla sua persona e sulla sua figura, mi ero dimenticata del dettaglio
più importante: Duvall era uno sconosciuto. Uno sconosciuto che mi stava portando, con tutta probabilità, a casa sua. « Non è
divertente», sussurrai, più a me stessa che a lui. Mi
voltai lentamente verso Duvall, che guidava tranquillo e rilassato.
« Non è divertente, monsieur. Aveva promesso di riportarmi
a casa», mormorai, cercando di mostrarmi il meno intimorita
possibile. Per quello aveva cominciato a
distrarmi; prima la richiesta di fumare, poi il tentativo di
conversazione… voleva distrarmi, distrarmi dalla strada e dal
suo obiettivo. Improvvisamente, mi tornò
alla mente la risposta che mi aveva dato al locale: forse avrebbe
trovato un diversivo, forse… Mio Dio, ero io il diversivo alla sua serata. « Senta, se non desidera portarmi a casa mia, può benissimo lasciarmi qua. Tornerò… tornerò da sola». Mi fissò brevemente, il
sorriso irritante – sì, ora era assolutamente irritante
– di nuovo sulle labbra. « Siamo tornati a lei?» La sua ironia mi urtava; il suo tono, in quel momento, mi urtava. « Non so che idea si sia
fatto di me», mormorai, vibrante di indignazione, paura e rabbia.
Verso di lui, verso me stessa e la mia stupidità. «
… ma io non sono… io non sono una delle solite donne che
lei frequenta o che si lasciano irretire da un po’ di fascino. Io
-». « Ed io, signorina, ti
ho già detto che non amo le persone che giudicano senza avere
cognizione di causa». La macchina si spense, e mi accorsi solo in
quell’istante che avevamo parcheggiato; ma fu una considerazione
veloce, persa nel momento in cui il suo viso si voltò verso il
mio, ora a sua volta irritato e di nuovo distante, arrogante. «
Al locale, ho promesso che non ti avrei fatto nulla, dovrebbe
bastarti». « Scusa tanto, sai, se
non mi fido della parola di chi non conosco», ribattei,
già dimentica del mio tentativo di mantenere le distanze. « Ed allora la prossima
volta non accettare il passaggio da uno sconosciuto. O accetti tutte le
conseguenze delle tue scelte, o non scegli». Boccheggiai, colpita dalle sue parole e dalla loro verità. Lo fissai senza dire nulla, il suo
profilo illuminato dalla luce dei lampioni, la mascella contratta ed
una mano ancora poggiata attorno al volante. « Avevi anche promesso di portarmi a casa, allora», risposi cautamente. Le sue labbra si tesero verso l’alto, insieme ad un sopracciglio. « Ed a casa
ti ho portato. La mia. La tua è troppo distante ed io sono
stanco, sinceramente. E lo sono ancora, stanco; quindi decidi in fretta
cosa fare: io alla mia abitazione ti ho portato, vedi te se rimanere
rinchiusa dentro la macchina, scendere ed andare dove vuoi, o seguirmi
e passare la notte sotto un tetto». E per “decidere in
fretta”, intendeva proprio alla lettera; come finì di
parlare, mi diede le spalle per scendere dall’auto. Era chiaro
che, se non mi fossi mossa per scendere a mia volta, non avrebbe
esitato a chiudermi dentro. Indignata ed ancora arrabbiata, mi
affrettai ad uscire, fissandolo trucemente mentre faceva il giro della
vettura diretto verso un portone di ferro, elegantemente intarsiato. « Ehi!», sbottai andandogli dietro, afferrandolo per un braccio. « Silenzio, è un
quartiere per bene, questo, non abituato agli schiamazzi
notturni», sibilò, aprendo il portone e scostandosi per
farmi passare. Cielo, quanto era arrogante. Quanto era… « Stronzo», lo insultai, godendo della sua espressione per un attimo perplessa. Potevo non essere una persona da
scenate plateali, potevo essere una ragazza che preferiva starsene per
le sue, ma c’era un limite a tutto. A tutto. E per quanto mi ritenessi
beneducata, il più delle volte, in quel momento non ero in
disposizione d’animo per mantenere un certo savoirfaire alle sue
provocazioni. Mi fermai dopo qualche passo, di fronte ad un ascensore, la guardiola alla mia sinistra vuota. I passi di Duvall, delle sue scarpe nere lucide e costose, risuonarono per l’ambiente mentre si avvicinava. « Conosci le parolacce,
eh?», mi schernì, nello stesso istante in cui le porte
dell’ascensore si aprirono. Ma stavolta, non gli avrei lasciato avere l’ultima parola. « Quando voglio, sì», risposi, alzando il mento. Poco importava se sembravo una bambina in vena di ripicche. Volevo la mia soddisfazione, in questa serata così strana e diversa. Ed in quel momento, la mia soddisfazione me l’ero presa. Di questo, dovevo solo ringraziare Bennie ed il suo turpiloquio.
***
L’appartamento di
Duvall si trovava all’ultimo piano; tuttavia, una volta
all’interno, non prestai molta attenzione all’ambiente: un
po’ per non fare la figura della persona invadente, un po’
perché ero abbastanza stanca, lo fissai, in attesa che mi
indicasse dove dormire. Mi aveva voluto portare da lui? Bene, che mi sistemasse ora. « Seguimi», mi disse, quando glielo domandai. Accendendo un’altra luce, ci
lasciammo alle spalle l’ampio spazio della cucina e del
soggiorno, per dirigerci verso il corridoio, occultato da una porta
scorrevole in vetro satinato. Superammo alcune porte, prima che
ne aprisse una; si rivelò essere una stanza con due letti
singoli, arredata in maniera sobria e distaccata. Sicuramente la camera
per gli ospiti. « Le lenzuola sono
pulite, così come la camera», mormorò, prima di
entrare ed aprire una porta sulla sinistra. « Qua
c’è il bagno, se hai bisogno. Mentre qui»,
aprì un cassetto dell’armadio in legno scuro. « ci
sono alcune mie maglie che puoi utilizzare come pigiama, se
desideri». Si raddrizzò, avvicinandosi,
le braccia incrociate; ora che la luce artificiale illuminava il suo
volto, potevo chiaramente notare le linee marcate delle occhiaie,
così come l’ombra di barba che gli scuriva le guance. Non ero l’unica di stanca, a quanto sembrava. « Spero che la sistemazione la soddisfi, principessa». Ma nonostante la stanchezza, evidentemente quel suo lato irritante non andava a riposo. Annuii, scostandomi dalla porta per lasciargli lo spazio per uscire. Ero già pronta a congedarlo
ed augurargli una buona – non troppo – notte, quando di
nuovo la sua voce interruppe i miei propositi. « Ah, di solito sono
abbastanza mattiniero. Ma se dovessi svegliarti prima, non
c’è bisogno che mi aspetti se desideri andartene. Quando
scendi al portone, vai a sinistra e dopo qualche metro troverai il
sottopassaggio per il metrò. Anche se il mio consiglio è
quello di chiamare un taxi». Si strinse nelle spalle. «
Credo sia tutto. Buona notte, Sophie», sussurrò, chiudendo
la porta senza darmi il tempo di rispondere. Un attimo prima era qua. L’attimo dopo non c’era più. Mi chiesi se, sbattendo gli occhi,
lo avrei trovato di nuovo di fronte a me, con lo sguardo cupo e la
piega irrisoria delle sue labbra. Ma sentii chiaramente al di là della porta un’altra chiudersi, i passi soffocati dalle pareti. No, se n’era andato. Così com’era venuto – irruentemente, pur nella pacatezza dei suoi modi – era sparito. Sbuffai, cominciando a spogliarmi
dal giubbotto e tirandomi via le scarpe, lasciandole disordinatamente
sul pavimento. Ero troppo stanca per ragionare, troppo stanca per
fermarmi a riflettere. Avevo fatto più di uno sbaglio, stanotte. Ero stata incoerente più di una volta, stanotte. Ora avrei dormito un po’, cancellando ogni pensiero fino al mattino. Solo per un attimo, prima di pormi
sotto le coperte con addosso una sua maglietta – che non sapeva
assolutamente da lui, ma di lavanderia e pulito – il mio sguardo
si fissò sulla serratura, dove la chiave sostava invitante. Un attimo, solo un attimo. O accetti tutte le conseguenze delle tue scelte, o non scegli. Spensi la luce, rintanandomi sotto le coperte. Avevo fatto una scelta? Benissimo, l’avrei rispettata. Avrei avuto tutto il tempo per pentirmene in seguito…
***
Note: chi non muore si rivede, vero? Chissà se qualcuno si ricorda ancora di questa storia. ^^ Beh, per chi qualcosina si ricorda, potrà constatare che il rating si è abbassato; arancione, invece che rosso. Al momento, non
vedo nel futuro scene da rating superiore, ma SE ve ne fossero,
ovviamente vi avvertirei per tempo, indicando dove poter continuare a
leggere la storia.
Mi dispiace
aver fatto aspettare così tanto tempo, e non è neppure
detto – sicuramente, non lo è – che dopo questo
capitolo vi troverete uno nuovo giusto fra una settimana. Ho titubato
un po’ se pubblicarlo o no – è stato cominciato
già diverso tempo fa, questo – perché non volevo
darvi speranze per poi illudervi, però neanche volendo riesco ad
avere un capitolo da pubblicare ed un altro in caldo, così da
non far attendere. Per cui, eccovi qua questo… questo obbrobrio. Mi piace solo
la prima parte, a dir la verità, ma vabbè. Del resto
è colpa mia; maturo io, cambio io, e cambia pure un po’ la
storia – ed i suoi personaggi. Qualcuno
potrebbe essere rimasto deluso dalla mancanza di
“intimità” o ammiccamenti nel finale; la
verità è che loro due si sono appena conosciuti e
già il fatto che lei sia a casa sua è tanto.
Per quanto
riguarda Duvall, come avrete visto dall’immagine Orlando Bloom
dovrebbe essere il modello di riferimento per immaginarlo, anche se
niente vieta che abbiate altri gusti u.u Lui diciamo
che, nella mia mente, è l’uomo che più si avvicina
a René; anche per Sophie ho trovato delle immagini che mi
soddisfano, che vedrete nel prossimo capitolo ;)
Non saprei neppure io cosa dire, di più -.- Non è tanto, non è molto, è un piccolo passo, che spero possa esservi piaciuto.
Risposta alle recensioni (anche se è passato un po’ di tempo -.-“)
la_Vespa: ti ringrazio per i complimenti. ^^ Spero che, nonostante il tempo, il capitolo sia degno dei precedenti! Un bacione!!!
MsEllie: e così conosci un René, eh? ^^ Spero non sia come questo qua, che a volte – molte volte – è solo da prendere a sberle. Mi dispiace di non averla continuata presto, ma... eccomi qua! Sperando ti sia piaciuto, un bacione!!!
Himechan: sì, i caratteri dei personaggi sono accennati ed in continua evoluzione. ^^ Nulla di troppo diverso, ma più passa il tempo, più cambia un po’ anche il mio stile ed i miei pensieri. E tratteggiare
questi due non è certo semplice: cadere nel banale con uno come
René non è difficile, e finché non vado a fondo,
finché non lo scopro, questi cenni risultano complessi
perché al minimo passo falso rischio di cadere in
contraddizione. Mentre Sophie... Sophie prende parte di me, parte delle
mie incoerenze e parte del mio carattere. Un po’ come tutti i
personaggi che portano un po’ dell’autore in sé. ^^ Per ora c’è distacco, c’è diffidenza, ma pian piano arriveranno al loro punto di incontro! E per lo stile impeccabile... ne ho di strada da fare, ma ti ringrazio per la fiducia! Un bacione e grazie!!!
BlueSmoke: credo che quella frase possa essere presa da tante altre ragazze – e, perché no, anche ragazzi. La verità è che mai riusciremo a mostrarci per quel che siamo veramente. Sophie pian piano esce fuori, anche con le sue incoerenze ed i suoi sbagli. Ed il fatto che
è una grande osservatrice si è visto in questo capitolo
– anche se a volte mi è sembrato di esagerare xD Non so se il tuo periodo sia passato, ma di uomini del genere è bello leggerne, non incontrarli ;) O, se proprio bisogna incontrali, che almeno siano imbavagliati e legati! Ti ringrazio dei complimenti, un bacione!!!
BAMBOLOTTA: Tu hai dovuto pazientare un po’ meno, un’abbondante anteprima l’hai avuta xD Musa mi sa che
rimarrà incompleta per un altro po’ ed Ossessione è
una delle storie – oddio, storia è un po’ troppo
– che più mi è piaciuta scrivere! Spero che il finale non ti abbia delusa! Un bacione!!!
mividam:
carissima! Innanzitutto, ti ringrazio per i commenti; quando a suo
tempo li lessi, mi diedero molto a cui pensare. Non ho ancora uno stile
definito e posso dire che, probabilmente, i momenti di stacco sono
semplicemente miei tentativi di staccare da attimi che mi vedrebbero o
senza via d’uscita, o che mi porterebbero a scrivere più
di quanto necessiti il momento. Le righe iniziali sono quelle che più sento mie, in cui più si può notare quanto ci sia di me. Per ora, i
tempi anche fra di loro sono lenti, forse perché la trama
non è ancora definita, forse perché io ancora non sono
capace di gestirli al meglio, ma spero pian piano di riuscire
migliorarmi. ^^ Ultima cosa: il
mio tempo libero si è drasticamente ridotto, ma ho visto che hai
postato una nuova storia, che spero di riuscire a leggerla, visto che
mi è molto piaciuta anche l’altra scritta sui vampiri nel
tuo sito! Sperando che questo capitolo ti sia piaciuto, ti mando un bacione!!!
Cip93: grazie mille, troppo gentile! Non ti biasimo se hai paura di lui, scostante com’è :| Però, come dice Sophie, purtroppo gli occhi ci sono e da parte sua c’è il bell’aspetto. Mix pericoloso -.- Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Un bacione!!!
Bellatrix_Indomita: è da un bel pezzo che non ci sentiamo! Spero tu stia bene. ^^ Ti ringrazio per i complimenti, gentilissima come sempre! Sophie ha parte di me, ma posso notare che anche voi lettrici vi trovate in lei e non può che farmi piacere! Mentre lui... lui è una causa persa, che respinge ed attrae insieme. Meglio legato ed imbavagliato, mi sa u.u E spero che il lui che è stato coinvolto in queste situazioni simili non fosse stato indisponente come Duvall :| Un bacione e di nuovo grazie!!!
lollyna: non hai nulla da farti perdonare, anzi, sono io che devo cospargermi il capo di cenere -.- È ancora
presto per dire cosa accadrà tra i due, ma sicuramente
troveranno un punto di incontro per i loro caratteri non troppo simili.
^^ Sono felice che Sophie ti piaccia, e spero che il capitolo non abbia deluso le aspettative! Un bacione e grazie!!!
Fullmoon_Darkangel: eh già, purtroppo hanno altri gusti. ^^ Spero ti sia piaciuto, un bacione!!!
aurelia94: eccomi qua. ^^
Grazie anche a chi segue questa storia, in tutte le forme che Efp concede. ^^
Un bacione,
Anthea