Assassin's Creed: Revolution - Sequenza 1: Frammenti di esistenza

di Emy_n_Joz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ombra bianca ***
Capitolo 2: *** Arnielle ***
Capitolo 3: *** ...e poi ho visto la sua luce nella notte ***
Capitolo 4: *** Addestramento ***
Capitolo 5: *** Una spina nel fianco ***
Capitolo 6: *** Scoperte ***
Capitolo 7: *** Conosci il tuo nemico ***
Capitolo 8: *** Una corsa contro il tempo ***
Capitolo 9: *** Lo sporco lavoro di un Assassino ***
Capitolo 10: *** Phénix ***



Capitolo 1
*** L'ombra bianca ***


Francia, 1789

Quella notte, il rumore delle onde che s’infrangevano sulla riva era più forte del solito. L’aria era umida e profumata di salsedine, e il vento violento sollevava il mantello della figura bianca accovacciata sulla cima dell’edificio. Nel buio, si sentì respirare forte una volta.

Poi si lanciò nel vuoto.

La caduta fu breve e il rumore attutito da un cumulo di fieno. La figura rimase qualche secondo nascosta nella paglia prima di uscirne con un movimento fluido, e poi si confuse con l’urlo del vento tra i vicoli e le ombre notturne.

Mosse solo qualche passo prima di sentire il clangore di qualcosa che veniva verso di lui. Per chiunque quel suono sarebbe stato impercettibile, ma lui intuì immediatamente il soggetto in avvicinamento.

Si schiacciò al muro e, in uno scatto metallico, una lama uscì dalla sua manica. Luccicò un istante alla luce della luna, prima che la figura si ritirasse di nuovo nell’ombra. Attese nel più profondo silenzio finché i passi non diventarono udibili anche per un orecchio meno allenato del suo. L’uomo in armatura passò davanti all’imboccatura del vicolo e, quando lo ebbe superato, la figura gli fu alle spalle in un istante, gli tappò la bocca con la mano destra, lo attirò a sé e gli affondò la lama nella schiena.

Il soldato si accasciò a terra con un gemito soffocato. La figura svelse la lama dal suo corpo e dalla morsa dell’armatura, e con un identico scatto metallico la ritirò nella manica sporca di sangue.

Ricominciò ad avanzare nel buio. Le vie erano quasi totalmente deserte, escluso alcuni ladruncolo dei bassifondi, che scappavano come topi al suo passaggio, e diversi mendicanti abbandonati contro il muro, senza neanche la forza -o la volontà- di tirarsi indietro.

Le labbra della figura si storsero, al pensiero che stavano aumentando progressivamente da qualche mese a quella parte.

Decise di non pensarci, li superò e si diresse verso la parte più illuminata della città.

Adesso doveva prestare attenzione ad ogni più piccolo gesto che faceva, perché in quella cittadina lo conoscevano tutti, di fama. Anche se in realtà nessuno sapeva chi fosse veramente.

Vide un drappello di guardie muoversi nella sua direzione, e sparì in una stradina laterale. Lo sguardo gli cadde su una piccola pozzanghera ai suoi piedi.

Il suo riflesso gli fece incurvare le labbra in un sorriso divertito. Il cappuccio bianco gli copriva quasi tutto il viso, lasciando scoperta soltanto parte del naso, la bocca e il mento. Un accenno di barba da troppo tempo trascurata gli evidenziava il profilo delle labbra carnose, rendendo più maturi i tratti ancora un po’ infantili. In fondo, aveva solo ventun’ anni.

L’abbigliamento era piuttosto bizzarro: sulle spalle gli ricadeva un mantello scuro, che lasciava in parte scoperto il lungo abito bianco che indossava. Il petto era attraversato in diagonale da alcune cinghie di cuoio, la cui utilità era nascosta dal mantello. La camicia arabescata di rosso celava una robusta corazza, e attorno agli avambracci aveva dei bracciali di metallo consunti per i troppi colpi ricevuti. Intorno alla vita aveva una grossa cintura rossa, con una strana immagine incisa sulla superficie. Era una specie di triangolo dai vertici arrotondati alla base, sembrava una fiamma, oppure un cappuccio stilizzato. Non sapeva esattamente che cosa significasse, ma di una cosa era certo: era il simbolo degli Assassini.

Ma non aveva tempo da perdere: era l’ora di agire. Si guardò bene intorno, e quando fu sicuro che le guardie si erano allontanate, sbucò fuori dalla stradina e si diresse con cautela verso la sua destinazione, sempre più vicina. Svoltò un angolo, e dopo aver proseguito per alcuni passi, finalmente vide la villa. Sapeva che era molto ben sorvegliata, e non poteva permettersi errori di nessun tipo.

Per questo, aveva bisogno di osservare l’ambiente dall’alto, anche se l’aveva già fatto in precedenza.

Con un’agilità incredibile prese ad arrampicarsi su per una casa, raggiungendone con facilità il tetto. Fortunatamente la villa era abbastanza illuminata da permettergli di fare un quadro chiaro della situazione: delle guardie, almeno cinque, controllavano le varie entrate della dimora, e sicuramente anche all’interno ci sarebbero state delle norme di sicurezza.

Del resto, la persona che la morte stava per baciare non era un uomo qualsiasi. Anche l’Assassino, che era sempre molto sicuro di sé, si rendeva conto che questa volta non sarebbe stato molto facile portare a termine l’omicidio, ma in fondo gli piacevano le sfide.

Stava pensando a come infiltrarsi nella villa senza farsi scoprire, ma non perché non avesse voglia di uccidere più persone in una sola notte; a volte, la vita ci riserva delle brutte sorprese, che arrivano così dal nulla e ci sconvolgono l’esistenza.

Questo era successo anche a lui, grazie a delle persone che un tempo riteneva amiche e verso le quali adesso provava soltanto rancore e odio, tanto odio. Doveva farli fuori fino all’ultimo quei bastardi, ed era disposto a uccidere anche tutti coloro che li appoggiavano, e ancora non era neanche a metà dell’opera. Però si faceva coraggio: non si sentiva pienamente soddisfatto, ma almeno aveva la certezza che quelle persone avessero pagato per quello che gli avevano fatto, e comunque, erano pur sempre dei Templari. Quindi avrebbe potuto benissimo anche fare una strage, ma stavolta doveva evitarlo.

Scatenare l’allarme non l’avrebbe aiutato nella sua difficile impresa.

Controllando bene i movimenti delle guardie, si accorse che l’entrata sul retro era vigilata da un soldato soltanto. Decise che doveva partire da lì. Scese dal tetto, e si diresse verso il muro posteriore. Lo scalò, e si affacciò con attenzione per osservare la guardia, che stava iniziando a soccombere alla stanchezza.

Confondendosi con l’ombra del muro e senza fare il minimo rumore, scivolò dall’altra parte, e arrivò alle spalle della guardia.

Dopo un acuto suono metallico e un gemito soffocato, l’uomo si afflosciò sull’Assassino, che rapidamente lo gettò di là dalle mura, affinché le altre guardie, passando di lì più tardi, non si accorgessero di nulla.

Poi si avvicinò con cautela alla porta, ed entrò. All’interno era quasi totalmente buio, l’unica fonte di luce proveniva da una candela che era stata lasciata accesa su un tavolo un po’ lontano da lui.

Iniziò la sua ricerca: sapeva che la sua vittima era ancora sveglia, in genere si assopiva molto tardi. Era una bella vita la sua, piena di svaghi e passatempi vari, ma l’Assassino stava per porre fine a tutto questo.

Cercò di muoversi per il corridoio il più silenziosamente possibile, fino a che non ne raggiunse un altro, anch’esso illuminato. Stavolta c’erano due guardie appostate davanti ad una porta: con grande maestria, le uccise entrambe senza dargli neanche il tempo di emettere un qualsiasi suono dalla bocca.

La stessa cosa accadde ad altre sentinelle, fino a che l’Assassino non raggiunse la sua meta, ovvero la stanza dove il suo nemico si ritirava spesso a fine giornata.

Quella notte se ne stava seduto davanti ad un tavolo, indaffarato con alcuni documenti, che dovevano essere importanti. Il ragazzo, per fargli avvertire la sua presenza, fece scattare la lama celata, e Bernard Guibeaux si voltò sobbalzando notevolmente. L’Assassino vide il terrore dipingersi sul volto dell’uomo: era impossibile che non sapesse di lui, perché tutti lì conoscevano ciò che faceva, e di giorno se ne andava a sbrigare i propri affari sempre con qualcuno che lo proteggesse. Forse aveva creduto che le sue guardie sarebbero state più abili di lui, impedendogli di raggiungerlo proprio dentro casa sua.

Che illuso.

E adesso non sapeva neanche cosa dire, e sudava dalla paura. Le uniche parole che gli uscirono dalla bocca furono:

“Cosa vuoi da me? Vattene da casa mia! Lasciami in pace!”.

L’Assassino fece una smorfia divertita, e disse: “E’ così che si trattano i vecchi amici? Sono solo venuto a sistemare una vecchia questione lasciata in sospeso… “.

“Non ti servirà a niente ormai! Te lo chiedo per favore, togliti dai piedi! Ho da preoccuparmi di tante cose, non posso più tenere d’occhio anche te, Assassino. “

“Sta’ tranquillo, da questa notte non dovrai più preoccuparti di nulla .“

Fu un attimo.

Un secondo e gli fu di fronte, con la lama puntata contro il suo ventre. L’uomo s’irrigidì, e lo fissò terrorizzato. Erano così vicini, che per un attimo il Templare riuscì a guardare sotto il suo cappuccio, e a incrociare i suoi occhi scuri e intensi. Un lampo di puro stupore e comprensione gli si dipinse sul viso. Poi l’Assassino gli affondò la lama nell’inguine, e l’uomo emise un gemito. Il ragazzo mantenne lo sguardo immobile nel suo per qualche secondo, poi si chinò sul suo orecchio.

“Hai sbagliato a pensare che l’avresti passata liscia.”

Poi con uno scatto ritrasse la lama, e l’uomo si accasciò a terra con un ultimo rantolo.

In quel momento, il rumore di passi fuori dalla porta chiusa l’avvisò che dovevano essersi accorti della sua presenza.

Senza esitazione, aprì la finestra dalle ampie vetrate, salì sul davanzale e saltò.

Appena prima di rovinare a terra afferrò con le mani un cornicione sporgente, e si calò fino al suolo. Poi prese a correre rapido ed invisibile come un’ombra nel giardino della villa, lasciato stupidamente deserto dalle guardie che si erano subito precipitate all’interno.

Prima che chiunque potesse accorgersene era già tornato nei vicoli bui, completamente nascosto nel mantello, e una leggera pioggia aveva ricominciato a scendere sulla cittadina.

Il suo lavoro era terminato: poteva dirigersi alla sua piccola dimora temporanea. Era abbastanza stanco e non desiderava altro.

Svoltò per una stradina sulla destra, sempre molto attento, e improvvisamente qualcosa su un muro attirò la sua attenzione: si trattava di un manifesto che doveva essere stato affisso di recente, perché prima non ne aveva mai visti in giro. Il pezzo di carta recitava le parole ‘Soggetto Molto Pericoloso, Ricercato. Nome Sconosciuto.’ e sotto a queste si trovava il ritratto di un ragazzo giovane e dai bei lineamenti, evidenziati da un po’ di barbetta. Si riconobbe in quell’immagine, e quando vide che c’era anche una grossa taglia sulla sua testa, fece un ghigno.

‘’Chi sono? Sono Damien de Labsinthe, e sono un Assassino.’’

Divertito, riprese la sua strada, scomparendo nell’oscurità della notte.


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Note:

Salve a tutti! Finalmente questo faticato capitolo ce l'ha fatta a raggiungere il sito! Cominciamo con le presentazioni. Siamo Silvia e Elisa, e abbiamo deciso di imbarcarci in una difficilissima e impegnativa ff a quattro mani... La Rivoluzione Francese è un periodo storico molto complesso e denso di eventi, e stiamo già impazzendo a cercare le documentazioni e di far coincidere la nostra trama con i vari avvenimenti. Premettiamo che non ci riuscirà sempre e che non sarebbe possibile riuscire a fare entrare tutto, e in quel caso comunque finirebbe per diventare un libro di storia, cosa che vorremmo evitare xD Ovviamente cercheremo di conciliare tutto, ma può darsi che sbaglieremo qualche volta... In quel caso scusateci di cuore, non abbiamo uno storico ad aiutarci, come la Ubisoft xD Il primo capitolo che vi proponiamo è abbastanza corto per i nostri standard (ve ne accorgerete più in là! xD), e forse non sarà neanche molto coinvolgente, ma speriamo che vi abbia interessati almeno un pò... o almeno abbastanza per proseguire la lettura fino al secondo capitolo. Vi assicuriamo che man mano che la storia andrà avanti, sarà sempre più interessante, e la parte storica troverà un ruolo sempre maggiore. Per il momento vi salutiamo, e vi lasciamo con il piccolo trailer della nostra storia. Questo è il link -> http://www.youtube.com/watch?v=CFJY5Hl9mEk 

Buona lettura (e buona visione!)

Le vostre umili autrici.

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Capitolo 2
*** Arnielle ***


Francia, 1787

Dall’interno della stanza, la ragazza sentì il rumore di passi e di voci aumentare gradualmente. I tre uomini entrarono; lei li riconobbe subito.

Il mandante era un tipo basso, tozzo, dal colorito giallognolo e dallo sguardo sfuggente. Indossava vesti lussuose ed elaborate, che per un attimo le fecero storcere le labbra. Da bravo codardo si era portato dietro due guardie del corpo, dei veri e propri soldati in armatura che comunque, pensò la ragazza, in caso lei avesse avuto davvero cattive intenzioni, gli sarebbero stati completamente inutili.

La stanza era piuttosto squallida. Era quasi del tutto buia, e l’unica fonte di luce proveniva da una finestrella che per di più era in buona parte sprangata. Al centro c’era un lungo tavolo di legno e delle sedie.

Una di esse era occupata da qualcuno, di cui era impossibile cogliere i lineamenti, completamente nascosti dall’ombra di un ampio cappuccio nero.

Quel qualcuno era Arnielle.

La ragazza non si mosse quando i tre uomini entrarono nella stanza. Al contrario rimase seduta scompostamente, con le spalle appoggiate allo schienale della sedia e le gambe accavallate sotto il lungo mantello.

Il mandante dal viso giallo si bloccò qualche istante a guardarla, visibilmente stupito di vederla già lì. Fece per ricomporsi, ma una certa inquietudine gli rimase stampata sul volto.

“Sei qui per il contratto?” chiese con voce brusca, ma incrinata da un tremolio appena percettibile.

Arnielle alzò appena il viso, un sorriso di scherno dipinto sulle labbra rosse. “Molto imprudente, da parte vostra, domandarlo così apertamente. Se non fossi stata io, avreste potuto compromettervi.”

L’uomo aggrottò le sopracciglia in un’espressione mista tra l’indignato e il nervoso. Poi, senza dire altro, si sedette sulla sedia all’altro capo del tavolo. Le due guardie si portarono alle sue spalle, ai due lati della sedia, con le braccia incrociate e l’aria vagamente minacciosa.

Forse volevano incuterle timore. Peccato per loro che ci volesse molto, molto di più per spaventare Arnielle.

“Ebbene?” fece la ragazza con voce tranquilla e leggermente annoiata, picchiettando un paio di volte il tacco dello stivale sul pavimento. L’uomo rimase qualche altro secondo in silenzio, a disagio, così Arnielle provvide a imbeccarlo di nuovo. “Sto solo aspettando che mi diciate quello che devo fare. Sapete, chi devo far fuori.” disse con leggerezza calcolata.

L’uomo sussultò appena, e prese a tormentarsi le mani. “Si tratta di Monsieur Legorge. E’ un uomo piuttosto ricco e potente, da queste parti, sono certo che lo conoscete. Abita nella grande tenuta appena fuori città e… E si è macchiato di un reato che non può essere perdonato.” disse con un leggero scatto d’ira.

Tacque per qualche istante. Di certo si aspettava che Arnielle gli chiedesse di che cosa si trattava, ma lei se ne fregava. Conosceva le scappatelle di Legorge, quasi tutti le conoscevano. Chissà di chi era la figlia che aveva violentato stavolta.

“Lo conosco.” tagliò corto “Dunque?”

“Bhé…” balbettò l’uomo, senza guardarla “Insomma, la sua tenuta è molto sorvegliata, e so che si fa sempre scortare da una guardia del corpo. Non sarà un’impresa facile riuscire a…”

“Voi preoccupatevi del denaro. Io penserò all’omicidio.” lo interruppe duramente Arnielle, raddrizzandosi un po’ sulla sedia. “Quanto?” chiese poi passando al sodo.

Il mandante sembrò immediatamente recuperare un po’ di sicurezza. “Sono disposto a offrirvi cento livres [1] per il vostro servizio.”

La ragazza rise sarcastica. “Per quella cifra, al massimo posso tagliargli una mano.”

L’uomo digrignò i denti e strinse i pugni. “Duecento.”

Arnielle rimase qualche istante in silenzio. Poi si allungò sul tavolo con fare cospiratore, e mostrandogli un sorriso complice mormorò: “Pensavo che vostra figlia valesse di più per voi.”

Il mandante s’irrigidì e la fissò con gli occhi sbarrati. La ragazza vide distintamente il dolore e la vergogna tingergli le guance pallide di un rosso sgradevole.

“Cinquecento.” disse infine Arnielle, riappoggiandosi allo schienale della sedia “O potete scordarvi il mio aiuto.”

L’uomo si morse le labbra, lo sguardo basso, indeciso. Poi risollevò il capo, e annuì. “D’accordo.”

“Ma, seigneur!” esclamò improvvisamente una delle due guardie, attirando lo sguardo sia dell’uomo, sia di Arnielle, sia della seconda guardia nella sua direzione.

La ragazza inarcò le sopracciglia. Si era accorta fin dall’inizio che quel tale si tratteneva a stento dal parlare, ma non credeva che avrebbe osato farlo.

“Quella è solo una ragazzina! Siete davvero sicuro di potervi fidare di lei?” chiese sconvolto.

La ragazza non dette neanche tempo al suo padrone di rispondere. In un lampo non era più sulla sedia, e l’istante dopo apparve alle spalle della guardia, cingendogli il collo con il braccio e puntando un pugnale dritto alla sua gola. Il pomo d’Adamo del soldato sobbalzò e la lama disegnò un sottile taglio rosso sul suo collo.

Arnielle abbassò lo sguardo sul mandante, e il suo volto giallo sbiancò in un secondo. Fece un sorriso che somigliava più a un ghigno.

“Giudicate voi.” disse Arnielle minacciosamente.

Il volto di tutti i presenti nella stanza sbiancarono, chiaramente terrorizzati e impressionati dall’agilità della ragazza.

Il mandante si riprese  e disse: ‘’D’accordo Pierre, la prossima volta tieni i tuoi dubbi per te visto che riesci soltanto a fare danni…’’.

‘’Chiedo scusa seigneur… ma ditele di lasciarmi!’’

Senza aspettare l’ordine, la ragazza allentò la presa sull’uomo e ripose il pugnale.

‘’Allora è deciso… Cinquecento livres per il lavoro che mi avete assegnato… Duecentocinquanta prima, e il resto dopo l’omicidio. Ci vediamo qui tra una settimana esatta, d’accordo?’’, ma quella era più un’affermazione che una domanda.

‘’Sì…’’ rispose il mandante. ‘’Buona fortuna.’’ aggiunse poi.

‘’Questo è un augurio che andrebbe fatto a Monsieur Legorge, non a me…’’, e Arnielle, dopo essersi sistemata il cappuccio sulla testa, lasciò la stanza.

 

 

Una settimana dopo...

Era tardi. Saranno state almeno le undici e mezza. Dormivano tutti, nella piccola casa, così Arnielle non avrebbe dovuto inventarsi le solite scuse per Marie.

Sospirò e indossò il mantello, poi si allacciò la cintura che tintinnò per il peso dei pugnali. Afferrò un nastro, e prese ad intrecciarsi i lunghi capelli scuri. Lo sguardo le cadde per caso sulla lastra di metallo lucido che sua madre usava per specchiarsi. Sembrava decisamente più grande dei suoi diciassette anni. Il viso era piccolo, ovale e diafano, e le guance piuttosto incavate. Aveva un naso grazioso, leggermente all’insù, e labbra piene e rosse che contrastavano con il pallore della pelle quanto le sopracciglia aggrottate e l’espressione seria con i tratti infantili del viso.

Si scoprì a pensare che somigliava a sua madre.

Tranne che per gli occhi. Di quel marrone scuro e profondo così diverso dall’azzurro di Marie. Arnielle sapeva che suo padre, ovunque e chiunque fosse, aveva quegli stessi occhi.

La sua non era mai stata una vita facile: da quello che ricordava, non aveva mai conosciuto la ricchezza e la piena felicità, e ormai si era abituata a quella condizione. Non chiedeva di diventare ricca o di possedere qualcosa di più; o forse sì, nel profondo del suo cuore. Avrebbe soltanto voluto crescere con suo padre accanto, e adesso lo avrebbe voluto al suo fianco affinché non le permettesse di fare quello che stava per fare. Ma d’altra parte, era soltanto colpa sua se lei si era ridotta a quella vita. E non lei e basta.

Abbassò lo sguardo stringendo i pugni, e uscì di casa.

 

Arnielle arrivò al luogo dell’appuntamento in orario, e il mandante era già lì ad aspettarla. La stanza era esattamente come la prima volta, anche la luce era la stessa. L’uomo stava in un angolo, un involto di stoffa tra le mani, e stavolta era solo.

Le si avvicinò velocemente. ‘’Tenete.’’ disse consegnandole subito il sacchetto con le duecentocinquanta livres, come se avesse paura di cambiare idea ‘’Portatemi la sua testa.’’

L’uomo e la ragazza rimasero a guardarsi per qualche secondo. Arnielle intuiva dal tremito delle sue mani che l’uomo esitava. Si disse che forse avrebbe dovuto proporgli di rifletterci con più calma, prima di vendicarsi.

Invece gli voltò le spalle, e uscì dalla stanza.

Rubò un cavallo e arrivò velocemente alla tenuta di campagna di Legorge. La villa era circondata da campi e dalle case dei contadini che li coltivavano per suo conto.

Arnielle aveva passato l’ultima settimana ad osservarla, e adesso conosceva a memoria ogni singolo spostamento delle guardie e ogni più piccola via di fuga.

Si premurò ancora una volta che nessuno la stesse seguendo. Aveva sempre quella strana sensazione, da qualche tempo a quella parte, ma quando si voltava a guardare, la strada dietro di lei era vuota.

Lasciò il cavallo appena sotto le mura, nel caso avesse avuto bisogno di fuggire rapidamente, e poi prese a scalarle con facilità. Era sempre stata brava ad arrampicarsi, e da quando era abbastanza grande da rendersene conto, aveva sfruttato questa capacità per portare a casa qualcosa da mangiare.

Giunse sul tetto della magione senza farsi vedere dalle guardie di pattuglia nel giardino interno, e sforzò lo sguardo. Sapeva che la sua vittima dormiva tutte le notti in una stanza diversa; aveva fatto parecchi torti a un sacco di gente e giustamente temeva per la propria incolumità. La difficoltà stava dunque nel trovarlo.

Improvvisamente, le sue percezioni si allargarono, accecandola, assordandola e disorientandola. Arnielle fu costretta a chiudere gli occhi per un attimo, atterrita. Le era successo già un sacco di volte, ma non riusciva ad abituarcisi, anche perché non aveva idea di cosa fosse. Era come se d’un tratto tutti i colori e i suoni del mondo le invadessero la testa.

Respirò profondamente e il mal di testa scemò. A quel punto decise di provare a riaprire gli occhi. Quando lo fece le parve strano non essersi accorta che Legorge era così vicino a lei, proprio nella stanza con il balcone sotto i suoi piedi, sul quale avrebbe potuto calarsi senza difficoltà.

Sapeva che era disteso sul suo letto, probabilmente addormentato. Decise che era giunto il momento di agire, perciò si fece coraggio e si preparò a saltare, mettendo la mano sull'impugnatura della sua inseparabile arma.

Ma proprio quando avrebbe dovuto spiccare il salto, si sentì invece tirare indietro, una morsa incontrastabile sul suo braccio, e la sua schiena sbatté bruscamente contro qualcosa, mozzandole il respiro.

Quando si riprese, si vide davanti una figura bianca e un volto coperto quasi totalmente da un cappuccio. Lo guardò con gli occhi sbarrati per qualche secondo, incredula.

Poi l’uomo incappucciato disse: ‘’ Gli Assassini non uccidono per denaro.’’

Aveva una voce roca e profonda e un tono duro. La sua stretta era forte e Arnielle capì subito che doveva essere parecchio più grande di lei.

Ma chi diavolo era quel tizio? E perché l’aveva seguita e fermata? E soprattutto, come ci era riuscito?

E poi, gli Assassini? Non aveva pronunciato quella parola come di solito facevano le altre persone; l’aveva fatto in un tono strano, quasi solenne.

Arnielle lo guardò con sfida, anche se non riuscì a nascondere una punta di curiosità. “E per cosa uccidono, allora?” replicò con la voce ancora un po’ spezzata.

“Per ciò che è giusto.” rispose immediatamente l’uomo incappucciato.

Arnielle cercò di liberarsi, spazientita, ma senza riuscirci. “Se ti può consolare, il tizio che devo ammazzare è un maiale.” sbuffò, senza smettere di dimenarsi. Quell’uomo, comunque, era un uomo. “E poi, la giustizia è soggettiva. Chi diavolo sei tu?” aggiunse poi senza girarci troppo intorno.

“Quello che può insegnarti la retta via.” disse lui, in un tono diverso, più dolce.

La mente della ragazza venne immediatamente invasa da altri pensieri e sensazioni. Per un attimo era come se nella voce di quell’uomo avesse letto una promessa; non lo conosceva, non aveva idea di chi fosse e continuava a stringerla, ma aveva parlato di giustizia e di una retta via. Due cose che sperava, ma che non aveva mai osato cercare. E lui, adesso, gliele offriva.

Smise di dimenarsi, e lo guardò attentamente.

“Come può esserci una retta via? Si tratta comunque di uccidere.” chiese piano.

“C’è.” rispose l’uomo incappucciato “Vuoi conoscerla?” le domandò poi, lasciandola andare.

Arnielle non era più obbligata a stargli vicino. Ma quando l’uomo le voltò le spalle e sparì oltre i tetti, lei lo seguì senza pensarci due volte.

 

 

Erano già le cinque e mezza del mattino mentre camminava sulla via verso casa, stanca e ancora un po’ scossa per via degli avvenimenti che le erano rovinati addosso in quelle poche ore.

Aveva seguito l’uomo incappucciato fino ad una casa abbandonata. Era piuttosto grande, in mezzo a un bosco, e aveva un grande cortile lastricato dove si erano fermati. C’erano anche un pozzo e quella che un tempo doveva essere stata una stalla.

L’uomo era rimasto a una certa distanza da lei, e Arnielle immobile in mezzo al cortile, a osservarlo e ascoltarlo.

Indossava degli abiti strani, bianchi e rossi, e si chiamava Risha. O almeno così le aveva detto. Arnielle era quasi sicura che non esistesse nessuna parola del genere nel vocabolario francese, e anche il modo in cui l’uomo la pronunciava era bizzarro. Doveva essere una parola straniera, e anche la pelle scura dell’uomo e il suo accento sembravano suggerire che venisse da lontano. 

Le aveva detto di essere un Assassino.

Ma con un significato diverso da quello comune.

Le aveva spiegato che da tempi remoti esisteva una confraternita, che raccoglieva le persone come lui e come lei, che venivano addestrate all’arte dell’omicidio fin da bambini. Adesso la confraternita si era disgregata, e i suoi membri erano sparsi nel mondo, e costretti ad operare in segreto.

Avevano il compito di combattere contro i Templari, di agire per il bene comune. Era questa la retta via di cui le aveva parlato.

I Templari erano una società segreta formata da persone che, attraverso inganni e spargimenti di sangue, avevano guadagnato fama e ricchezze. Nessuno sapeva quando fosse nata di preciso, ma nei secoli era diventata un’immensa potenza. Adesso si diramava invisibile per terre e imperi, celandosi dietro i volti di personalità di spicco e mirando a conquistare un potere inimmaginabile.

Sia i Templari che gli Assassini ricercavano la pace nel mondo, ma in modi del tutto differenti. Per raggiungere il loro scopo, i Templari volevano obbligare le persone alla giustizia, conquistando il potere. Mentre gli Assassini credevano nella libertà e nella libera scelta.

Scopo della confraternita degli Assassini, era perciò sventare i piani dei Templari, evitare che riuscissero ad ottenere ciò che bramavano e cercavano senza posa da più di cinquecento anni.

L’uomo gliene aveva parlato con una tale forza e convinzione da infiammarla. Arnielle, fin da quando era nata, non si era mai sentita davvero parte di qualcosa. Ma adesso, nelle parole di Risha avvertiva una sorta di familiarità, come se sentisse che tutta la sua esistenza si sarebbe ricondotta a quel momento. Come se in fondo, avesse sempre saputo che apparteneva a quella forza che srotolava la sua vita attraverso i secoli, fino ad arrivare a lei.

“Ma perché dovrei crederti?” gli aveva chiesto, una volta che l’uomo aveva finito di parlare.

Lui aveva dischiuso le labbra in un sorriso bianchissimo, sotto il cappuccio. “Perché un sacco di cose sarebbero spiegabili molto più facilmente, se fosse vero.” si era limitato a rispondere “E poi…”

E su quelle parole si era sentito uno scatto metallico, e due sottili pugnali erano usciti dalle maniche dell’uomo. Arnielle aveva spalancato gli occhi e aveva sussultato, affascinata.

“Perché con queste due lame ho ucciso più Templari di quanti tu possa supporre.” Con un identico scatto metallico, le aveva ritirate dentro le maniche. “E te lo dimostrerò, insieme a tutto quello che ti ho raccontato… Se deciderai di seguire l’addestramento.”

A quel punto Arnielle si era accigliata, e non aveva potuto fare a meno di chiedere: “Perché proprio io?”

Risha, solo allora, le si era avvicinato. “Perché ti ho osservata, Arnielle. Ho visto come ti muovi, ciò che sai fare. E tu sei destinata a diventare una di noi.”

La ragazza non era neanche riuscita a chiedergli come conoscesse il suo nome, tanto era stupita.

“Seguirai il tuo destino?” aveva detto allora lui, con serietà.

Arnielle aveva abbassato lo sguardo. “Immagino che dovrò smettere di farmi pagare.”

L’uomo aveva sorriso. “Immagino di sì.”

“Non posso permettermelo.” aveva detto allora la ragazza, con una stretta al cuore “Ho una famiglia da mantenere.”

“Ti darò io i soldi che ti servono.”

Arnielle, incredula, lo aveva guardato come si guarda un salvatore. E poi, senza più esitare, aveva detto di sì.

Si riscosse e accelerò il passo, ormai in vista dei suoi campi, quelli in cui era stata bambina.

Abitava in una piccola casina di campagna, ed era lì che era nata, in mezzo alla povertà… e senza la presenza di suo padre. Le avevano raccontato che quel giorno di diciassette anni prima nella sua casa c’erano soltanto due donne che gestivano la situazione, e poi ovviamente c'era sua madre.

Arnielle sapeva che prima di metterla al mondo la vita di Marie era migliore. Ma il motivo per cui era peggiorata non era lei.

Improvvisamente, le era cambiata l’esistenza: da quando il padre di Arnielle l’aveva abbandonata che era ancora incinta di lei, Marie si era ritrovata sola, troppo giovane e inesperta per crescere una figlia senza l'aiuto di nessuno, perché oltretutto Arnielle non aveva nonni, che lei sapesse.

Nonostante glielo avesse chiesto molte volte, Marie non aveva mai avuto il coraggio di spiegarle perché suo padre le avesse abbandonate.

Arnielle odiava quell’uomo, anche se non l’aveva mai conosciuto: lo considerava spregevole, e, sostanzialmente, un grande stronzo. E questa era la considerazione che riservava un po’ a tutti gli uomini.

Sua madre, nonostante tutto, aveva deciso di portare avanti la gravidanza, perché aveva sempre amato colui che l’aveva abbandonata, e Arnielle sapeva che, in fondo, lo amava ancora.

Anche se dalla sua nascita, per portare avanti la piccola famiglia, aveva dovuto concedere le sue grazie a qualunque uomo che la guardasse con particolare interesse e potesse permettersi di soddisfarlo.

Questo però aveva portato la famiglia ad allargarsi, perché sua madre era rimasta incinta molte altre volte, senza neanche sapere di chi fossero quegli innocenti bambini. Arnielle, infatti, aveva due sorelle e tre fratelli.

Ma Marie voleva un bene dell’anima a tutti, e per mantenerli avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche se questo comportava farsi una nomina che ormai non avrebbe più potuto scollarsi di dosso.

Da un po’ di tempo a quella parte, però, provvedere alla famiglia era diventata un’impresa troppo difficile da portare avanti per lei sola.

Così Arnielle, tanto giovane, la più grande di tutti, si ritrovava ad uccidere per denaro, e lo faceva di nascosto, senza dire alla madre dove andasse o cosa facesse realmente.

Raggiunse la piccola casetta ricoperta d’edera e, cercando di fare meno rumore possibile, aprì la porta.

Varcando la soglia e vedendo i suoi fratellini stesi a dormire tutti abbracciati non poté fare a meno di concedersi un dolce sorriso e uno sguardo pieno d’affetto nei loro confronti.

“Sei tornata, finalmente!”

Arnielle trasalì, e spostò lo sguardo sulla donna seduta al piccolo tavolo. Sua madre la fissava con uno sguardo pieno d’ansia e rimprovero. La ragazza si chiese come, se era capace di sentire il sibilo di una freccia a un’enorme distanza, non riuscisse mai ad accorgersi della presenza di sua madre.

“Ti ho aspettata alzata tutta la notte. Si può sapere dove ti eri cacciata?”

“Abbassa la voce, mamma, sveglierai i bambini.” sussurrò Arnielle, cercando di addolcirla. Poi le si avvicinò, e le mise tra le mani il  sacchetto con le duecentocinquanta livres.

La donna aggrottò le sopracciglia, e dopo averlo aperto sollevò su di lei uno sguardo stupefatto. “Dove hai preso questi soldi? Arnielle, se te li procuri in modi illegali o pericolosi, io non…”

“Lascia stare, mamma. Questi soldi ci servono, punto. Adesso vado a dormire, sono molto stanca.” le disse, prima di sfiorarle la guancia con un bacio e dirigersi verso la sua piccola stanzetta.

La donna, dietro di lei, mormorò un altro debole: “Arnielle…”, ma la ragazza si chiuse la porta alle spalle, e si lasciò cadere sul letto.

Chiuse gli occhi sperando che, anche se aveva la testa piena di eventi, riuscisse a dormire almeno un paio d’ore.

 

______________________________________

[1] Sinceramente non abbiamo ben capito quali diavolo di monete venissero utilizzate in quel periodo dalla popolazione francese; in alcuni film vengono nominate queste livres, ma altre fonti parlano di Louis d'or. Ci siamo documentate ulteriormente, e alla fine abbiamo optato per le livres, visto che le abbiamo trovate più spesso rispetto ai Louis d'or.

Rieccoci qui, con il secondo capitolo. Come vi sarete sicuramente accorti, non ha niente a che fare con il precedente, prima di tutto perché siamo tornati indietro di due anni, e poi perché non c'è traccia di Damien. Come avete potuto constatare voi stessi, infatti, abbiamo introdotto due nuovi personaggi che avranno un ruolo fondamentale all'interno della storia: la giovane e ribelle Arnielle, e questo misterioso uomo che dice di chiamarsi Risha, un nome altrettanto misterioso. In più, vi abbiamo fatto un piccolo quadro di quella che è la famiglia di Arnielle, che conosceremo meglio nei capitoli successivi. Avrete notato, infatti, che stiamo evitando con tutte le nostre forze (e una certa difficoltà) di dilungarci nelle descrizioni e nella narrazione in generale. Per adesso preferiamo così, per non appesantire la partenza. Anche se per il momento, magari, la cosa potrà darvi fastidio e deludervi anche un po', vi assicuriamo che nel corso della storia capirete la motivazione della nostra scelta.

Ora però, non vi diciamo altro, se non che vi aspettiamo in numerosi al prossimo appuntamento con Assassin's Creed: Revolution, tra una settimana circa.

Ah, dimenticavamo... Il titolo della fanfic! Probabilmente avrete notato che il titolo è cambiato rispetto a quando abbiamo pubblicato il primo capitolo, questo perché siamo tutte e due stupide, e nessuna di noi si era ricordata di metterlo subito così, prese com'eravamo a pubblicare per la prima volta.

Quindi, perché questa divisione in sequenze?

Prima di tutto perché è una fanfic abbastanza lunga e impegnativa, e sicuramente sarà molto più piacevole leggerla “a pezzi” che non tutta insieme, soprattutto per il numero spropositato di capitoli che potrebbero venirci fuori, che (ne siamo quasi sicure) vi spaventerebbero altrimenti.

Altro motivo... Per organizzarci. E' stato molto più semplice far tornare la trama con i vari eventi storici (che, decisamente, non sono pochi durante la Rivoluzione francese), e questo ci ha aiutato a inserire i personaggi e le loro storie con più facilità all'interno del contesto.

Ma l'idea, comunque, non è stata proprio nostra. Infatti, chi ha giocato a ACII si ricorderà benissimo che la storia era divisa in diverse sequenze da sbloccare man mano che si procedeva nel gioco; questa cosa ci è piaciuta molto e abbiamo voluto riproporla nella nostra storia.

Adesso vi lasciamo davvero (“Finalmente!” esclamarono tutti xD), e vi auguriamo una buona lettura.

Emy n' Joz

 

…invece no, non ce ne andiamo. Come potremmo farlo senza prima ringraziare i nostri recensitori? u.ù (che emozione o______O!)

Phantom G:  Giada! (scusa, ma abbiamo la brutta abitudine di prendere subito confidenza XD) Grazie di essere la prima recensitrice! Ci siamo quasi chiamate in contemporanea quando siamo entrate su EFP e abbiamo visto quell'1 tanto agognato! Ovviamente poi la Silvi è arrivata prima... Arriva sempre prima lei. (Okay, è ufficialmente strano parlare di noi due insieme, e poi in terza persona!). Per ciò che hai fatto ti venereremo per tutte le nostre vite, e anche per essere stata una delle poche (insieme a Runa) a considerare quella povera one di Elisa! Ti ringraziamo tanto anche per tutti i complimenti che ci hai fatto (e non è vero, abbiamo letto qualcosa di tuo, e scrivi benissimo XD) e sì, Damien conosceva la vittima. Il perché però... miiiiistero! Poi, per quanto riguarda il consiglio che ci hai dato sull'utilizzare delle espressioni francesi, bhé... ci avevamo già pensato! Ma grazie lo stesso, continua a darci dei suggerimenti, cercheremo di sfruttarli il più possibile!

RunaMagus: Essere recensite da te è un onore. Appena abbiamo visto che avevi lasciato una recensione, sono quasi svenuta (questo per quanto riguarda Emy, perché Joz ha corso urlando per mezz’ora nella stanza -.-‘’) Eh, ma Emy è deboluccia… Comunque grazie. Grazie! *.* Siamo commosse! Come già abbiamo risposto al tuo commento al trailer, è esaltante essere lodate dalla propria scrittricedifanfiction-mito. Per quanto riguarda il fatto di estrarre e ritrarre la lama, lo adoriamo anche noi. Oh, se lo adoriamo! Se –come speriamo vivamente- continuerai a leggere, lo scoprirai xD

Yojimbo: …grazie mille!!! Siamo onorate del tuo bellissimo complimento. Cavolo, siamo rimaste senza fiato; che coraggio a etichettarci già come la fanfic più coinvolgente della sezione. Cercheremo di non deludere le tue aspettative, e speriamo vivamente che continuerai a recensire. Soprattutto se continui a farci tutti questi complimenti! xD Puoi anche criticare se vuoi, ovviamente. … … …Scherzavamo xD

In più, ci tenevamo particolarmente a comunicare a tutti (anche a chi si è semplicemente fermato a leggere senza recensire, e siete stati tanti o__________O) che ci avete invogliato tantissimo a proseguire con la nostra storia, e speriamo che non sarà soltanto un fenomeno passeggero (ma davvero tanto!).

Adesso ci dileguiamo (stavolta sul serio, lo giuriamo cavolo! xD). Alla prossima settimana, cari!

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Capitolo 3
*** ...e poi ho visto la sua luce nella notte ***


            Francia, 1789

4 Gennaio

Damien si trovava all’interno di quella stanza da ore ormai, non sapeva con precisione quante, ma di sicuro ci aveva trascorso tutta la mattinata. Non gli piaceva stare al chiuso, era un ragazzo attivo, e per fortuna essere un Assassino comportava passare molto tempo all’aria aperta e muoversi in continuazione.

La sua vita era piuttosto strana: non aveva una casa fissa, perché era sempre in viaggio da città a città per seguire i suoi bersagli e farli fuori. Aveva diverse conoscenze che lo appoggiavano in quello che faceva, ed erano loro che gli offrivano ospitalità e che lo aiutavano a scoprire qualcosa di più sui suoi nemici.

Quando era arrivato nel piccolo borgo dove viveva Bernard Guibeaux, ormai due settimane prima, si era subito recato dal suo carissimo amico Christophe, che gli aveva dato ottime informazioni riguardo al suo obiettivo, e poi ovviamente aveva dovuto girare per la cittadina e conoscerla un po’ meglio, per essere alla fine in grado di memorizzare anche la stradina più povera e meno frequentata.

Dopo l’omicidio di Guibeaux, era tornato nel suo rifugio e si era riposato, ma il lavoro lo aveva già richiamato il giorno seguente.

Infatti ancora non aveva portato a termine il suo compito lì: c’era un’altra persona da uccidere.

Così, adesso, si ritrovava a dover iniziare tutto daccapo, raccogliere altre informazioni, controllare la mappa della cittadina e pensare bene a quali strategie adottare in quella circostanza. Era la parte più noiosa del suo lavoro ma, come diceva sempre Keras, il suo Maestro, purtroppo anche la più importante.

E ogni volta era la stessa storia. Gli venne in mente che se fosse provenuto da una famiglia diversa, non si sarebbe mai ritrovato in quelle condizioni.

Si riscosse da quei pensieri, e tornò alle sue scartoffie.

Ignace Odilon, ovvero l’uomo che, come diceva sempre Damien, la morte stava per baciare, era un puzzolente, grasso, corrotto esattore delle tasse che, anche se non avesse dovuto, l’Assassino avrebbe ammazzato più che volentieri. Doveva essere tolto di mezzo perché c’era il pericolo che scoprisse e ostacolasse quello che faticosamente si stava costruendo in Francia da parecchi anni a quella parte.

Damien abbandonò le sue carte, e si appoggiò pesantemente allo schienale della sedia, esausto e annoiato. Fortunatamente, l’aprirsi della porta lo distolse dalla sua noia.

Nella stanza entrò un uomo sulla quarantina, non molto alto e col viso ricoperto in buona parte da una folta barba. Era vestito in modo abbastanza sobrio, anche se evidentemente non povero.

Christophe alzò lo sguardo, lo fissò con i suoi occhi chiarissimi, e gli sorrise.

‘’Sempre a studiare, eh?” fece, chiudendosi la porta alle spalle.

“Mi sarei anche rotto, a dirla tutta” replicò Damien, rispondendo al suo sorriso “Avrei proprio bisogno di svagarmi un po’. Non è che conosci qualche bella ragazza non sposata? O anche sposata, fa lo stesso.”

Si alzò in piedi e si sgranchì le gambe, mentre Christophe ridacchiava. “Ti stavi per caso riferendo a mia figlia?”

Damien assunse un’aria innocente. “No… Assolutamente no!” finse di pensarci “Ma se me la offri di tua spontanea volontà, allora, visto che sono un vecchio amico…”

“Mi dispiace, niente da fare, Monsieur De Labsinthe” rise Christophe “Non ti lascerò corrompere la virtù di mia figlia. Lei cerca un compagno serio. E sappiamo entrambi che non puoi essere tu.”

Damien allargò le braccia con fare rassegnato, e si lamentò: “E va bene… Come vuoi. Ma sappi che sei un tipo antipatico.” si avvicinò all’amico “Spero che tu abbia qualcosa per farti perdonare.”

Christophe annuì. “Ho fatto tutto ciò che mi hai detto.” disse, tirando fuori dalla tasca della giacca un biglietto piuttosto spiegazzato “Sono entrato in contatto con quel tizio, che ritenendomi un buon mercante, mi ha chiesto di fornirgli delle merci di vitale importanza per lui, o almeno così mi ha detto.” continuò.

Damien non riuscì a trattenersi. “Chissà che cosa diavolo sta architettando quello sporco Templare…” disse con disprezzo.

“Qualsiasi cosa stia architettando, non avrà il tempo di portare a termine l’opera.” disse con convinzione Christophe “Non gliene darai l’opportunità, so che non fallirai. Comunque, ho scritto l’indirizzo del luogo dell’incontro su questo biglietto subito dopo il mio colloquio con Ignace… Oh, scusa, forse detto così sembra troppo confidenziale! Volevo dire… con il Templare in questione.” disse, alla vista dell’espressione disgustata che si era disegnata velocemente sul volto di Damien non appena aveva pronunciato il nome del suo nemico. Non gli piaceva granché sentir menzionare apertamente coloro che odiava.

Christophe riprese: “Ho sentito dire da alcuni miei colleghi che questo posto… non mi ricorderò mai come si chiama, è situato in una zona molto isolata della città, il luogo ideale per coloro che svolgono attività illecite, comunque lontana da occhi indiscreti…”

“Rue de l’Homme Mort...” recitò Damien leggendo quello che c’era scritto nel biglietto “Accidenti! Davvero allettante come nome! Deve portare molta fortuna a chi passa di lì… Sai cosa? Non mi stupisce per niente che quel luogo non sia frequentato da nessuno.”

“Già! A me quel nome mette i brividi.” affermò Christophe.

Damien, guardandolo male, disse: “Ma noi non dobbiamo preoccuparci di questo, dobbiamo organizzarci bene su come agire, e per farlo, ho bisogno di conoscere anche io alcuni elementi importanti, come l’ora dell’appuntamento, per esempio…” terminò, cercando di incalzarlo.

“Ah già, giusto!” esclamò Christophe, ridendo “Bhé, abbiamo fissato per le dieci di mercoledì sera… Ho pensato che ti sarebbero stati più che sufficienti quattro giorni per prepararti all’omicidio.” gli disse.

“Sì, hai calcolato bene…” valutò Damien “Mercoledì sera sarò lì prima delle dieci, così potrò controllare meglio la situazione e mi sentirò più sicuro… E appena arriverà chiuderemo la faccenda anche con lui.” marcò quest’ultima frase mettendoci più aggressività che poteva.

“D’accordo Damien… Io ovviamente starò qui ad aspettarti, e poi festeggeremo questa vittoria!” disse con felicità Christophe.

“Mi piace quest’idea dei festeggiamenti… Sai cosa, già che ci sei potresti invitare anche Cécile, credo che tutto diventerebbe molto più divertente, e poi visto che sono io il festeggiato credo di meritare qualc…”

Christophe non gli fece finire la frase. “Ancora?! No, Damien, NO! E’ inutile che continui con questa storia! Lascia stare mia figlia, ti prego!” Era esasperato.

“Cavoli come sei antipatico! Stavo solo scherzando… O almeno ci provavo” disse Damien divertito.

“Ovviamente.”

Christophe non sapeva più cosa dire. Prese a camminare verso la porta, e una volta raggiunta, uscì dalla stanza.

 

8 Gennaio

Damien era nascosto sotto l’imboccatura del ponte da quasi un’ora. L’acqua sporca del piccolo fiume proiettava riflessi azzurrini sul suo viso, e l’odore gli aveva fatto storcere il naso per almeno un quarto d’ora, prima che riuscisse ad abituarcisi.

Il sole era calato ormai da parecchio, e l’aria stava iniziando a raffreddarsi. Non c’era un solo lampione acceso nella via, e non passava nessuno da prima del tramonto.

Non sapeva quanto avrebbe ancora dovuto aspettare, ma continuò a concentrarsi sui rumori che risuonavano intorno a lui, e sulle sensazioni che gli comunicavano: sentiva il vento che si riversava sulla sua pelle come una lama, tanto era gelido, e l’acqua che si muoveva all’interno del suo letto, scossa dall’aria, lo rilassava.

Avvertiva chiaramente il fruscio di qualcosa lì nelle vicinanze, accanto alle sue gambe: abbassò lo sguardo e anche se non vedeva niente a causa dell’assenza di luce, riconobbe che quello era il suono prodotto dalla piuma marrone scurissimo che sbucava dall’interno di uno dei suoi stivali, mossa dal vento.

Damien era sicuro che chiunque, vedendola, avrebbe pensato che fosse soltanto un ornamento estetico, molto azzeccato visto che stava benissimo con il suo bizzarro abbigliamento. Ma in realtà quella piuma significava molto di più: glielo aveva spiegato il Maestro, ed era stato lui a volere che la portasse sempre con sé. Era un significato che soltanto un vero Assassino come lui poteva cogliere fino in fondo.

Si era talmente immerso nei rumori della notte e nei suoi pensieri, che per un istante si dimenticò di essere lì per compiere un omicidio.

Per questo, quando sentì finalmente un picchiettante rumore di passi, sussultò appena. L’incedere era pesante, e il ragazzo sentiva chiaramente un respiro affannato. Fu subito sicuro che si trattava di Ignace Odilon, il sudicio Templare che aspettava.

Continuò a rimanere nascosto ancora per un po’, in ascolto. Contò il numero di piedi che camminavano sui lastroni di pietra; soltanto due. Odilon era veramente venuto da solo.

Decise di aspettare ad uscire. Gli erano sempre piaciute le sorprese.

“Ma dove diavolo si è cacciato quel bottegaio da quattro soldi?” fece Ignace con la sua voce melliflua, in tono seccato.

Damien abbozzò un sorrisetto, e uno scatto metallico rimbombò sugli argini del fiume, mentre il ragazzo muoveva preciso il braccio sinistro.

Sentì il sussulto di Ignace appena prima di arrivargli davanti, la lama sguainata, lo stesso sorriso dipinto sulle labbra.

Ma il sorriso gli si congelò sul volto. Negli occhi di Odilon non c’era il terrore che si era aspettato.

“Buonasera, Assassino.” disse serafico il Templare, mostrandogli una dentatura giallognola “Bella nottata per gli affari, non trovi? Peccato che il tuo amico Christophe non sia potuto venire…”

Il cuore di Damien prese ad accelerare.

Merda.

“Mi rincresce davvero che tu sia venuto tutto solo… In compenso io ho portato molti amici che non aspettano altro che fare la tua conoscenz...“ Ma non riuscì a terminare la frase.

Il suo ghigno si trasformò in una smorfia, quando Damien affondò la lama nel suo largo stomaco. Sentì una violenta fitta all’altezza della milza, ma non ebbe il tempo di preoccuparsene.

Riuscì a malapena a ritrarre la lama nella manica che una ventina di soldati si riversarono dalle due estremità del ponte verso di lui.

Oh, cazzo!

Prima che potesse anche soltanto pensare di scappare, lo avevano già accerchiato, e lui si trovava a lottare contro cinque di loro in una volta. Fece scattare la lama ed estrasse la spada, e iniziò a combattere con entrambe.

All’inizio la fortuna fu dalla sua, infatti riuscì ad abbatterne almeno otto, ma ad ogni movimento il suo corpo si faceva sempre più pesante, e fu allora che si accorse di avere una larga ferita sul fianco sinistro. Perdeva molto sangue, e sentiva di essere troppo debole per poter continuare.          La vista gli si appannò fastidiosamente, e fece un errore. Bastò quello perché una guardia lo afferrasse alle spalle e lo immobilizzasse.

E nonostante gli occhi offuscati, poté distinguere un soldato con la spada sguainata venire verso di lui, pronto ad ucciderlo.

Stranamente non ebbe paura; stava soltanto aspettando il colpo finale quando, improvvisamente, il soldato si bloccò.

Dopo qualche istante si accasciò a terra, inerte. E al suo posto, si parò una figura di un bianco così intenso da essere quasi accecante, di cui però non riuscì a cogliere altro.

“E tu chi cazzo sei?” urlò nell’orecchio di Damien la guardia che lo teneva.

La figura bianca non si mosse. Si limitò a girarsi con tutto il busto verso di lui.

“Non provare a fare un passo, o lo ammazzo! Sono stato abbastanza chiaro?” continuò a gridare la guardia.

La figura bianca fece uno scatto repentino e qualcosa si diresse a tutta velocità verso Damien e il soldato. Il ragazzo sentì un gorgoglio, e venne inondato da un sangue che non era il suo.

La guardia allentò la presa su di lui, e cadde a terra. Damien, che si ritrovò di nuovo con tutto il peso sulle gambe, indebolito com’era, lo seguì velocemente. Crollò al suolo, e anche se avrebbe voluto con tutto se stesso continuare a guardare, venne avvolto dall’oscurità e dal silenzio.

Riaprì gli occhi poco dopo con la testa pesante, e un sapore amaro in bocca. Cercò di tirarsi su, e trattenne il fiato: la figura bianca si trovava a pochi passi da lui, in piedi sul parapetto del ponte, che lo fissava. Il ragazzo sentì chiaramente uno scatto familiare, e una scintilla metallica rientrò nella manica del suo misterioso salvatore.

Damien cercò di puntellarsi sui gomiti, mentre la figura bianca cominciava ad allargare le braccia.

“Aspetta…” biascicò il ragazzo, ma in quell’istante l’uomo si tuffò nel fiume.

E poi l’Assassino sentì una voce che gli era conosciuta.

“Porca puttana, Damien!”

Christophe gli si avvicinò trafelato, con una lanterna in pugno. Il ragazzo tentò di sorridergli. “Come va?”

“Ma che accidenti è successo qui?” chiese Christophe, appoggiando la lanterna a terra e accovacciandosi vicino a lui.

“Storia lunga.” mormorò Damien “Ti va se ne parliamo dopo? Vorrei evitare di morire dissanguato…”

“Certo, vieni! Ti porto a casa.” esclamò l’amico, prendendolo sottobraccio per aiutarlo ad alzarsi “E chi gliela spiega a Élodie la tappezzeria sporca di sangue?”

“Sinceramente, Christophe,” mugugnò Damien, trascinandosi con una mano sul fianco “Non me ne frega un cazzo di quello che penserà tua moglie.”

 

 

Il giorno dopo Damien aprì gli occhi con un gran cerchio alla testa, e un dolore penetrante dove i punti tiravano sulla ferita. Gemette portandosi una mano alle tempie.

“Brutta serata, quella di ieri, eh?” fece Christophe, seduto sul bordo del letto.

“Fottiti, Christophe.” borbottò Damien.

“Come ti senti?” gli chiese l’amico.

“Come se mi avessero ferito al fianco e poi mi avessero ricucito.” Sbirciò da dietro le dita per guardare Christophe. “Sei stato tu a medicarmi?”

“No… è stata Cécile” rispose l’altro con un sorrisetto.

“Cavolo! Me la sono persa! Dovevi svegliarmi!” sospirò e si tirò su a sedere “Che ore sono?”

“Quasi le due del pomeriggio.” rispose Christophe “Hai dormito parecchio.”

“Ero piuttosto stanco, sai com’è.” replicò Damien sorridendo.

“Ecco, adesso che ti sei riposato, permetti che ti riponga la domanda; che accidenti è successo ieri sera? Tutti quei corpi per terra e tu mezzo morto per strada… Qualcosa è andato storto?”

“Eccome se è andato storto: il tuo amico Ignace si era portato la scorta… Sono riuscito a farlo fuori, ma anche lui ci è andato vicino con me. Maledetto Templare.”

“Già… Ma come diavolo hai fatto a batterti contro tutte quelle guardie con una ferita del genere?” gli domandò interessato.

Damien gli sorrise. “Non ho racconti epici sulle mie imprese questa volta, mi dispiace. La verità è che qualcuno mi ha rubato il lavoro, però mi ha anche salvato la vita…”

“Che cosa vuoi dire?” fece Christophe.

“Improvvisamente, proprio quando credevo di essere fottuto, è sbucato un tizio dal nulla, che suppongo abbia ucciso tutte le guardie mentre… diciamo che mi riposavo un po’.” spiegò Damien stringendosi nelle spalle “Era vestito di bianco, e sai una cosa? Aveva la lama celata.” concluse con estrema serietà.

Christophe rimase in silenzio per qualche istante. “E questo… cosa significa? Che è… come te?”

“Sì, Christophe, era un Assassino. E uccideva come un Assassino.” rispose Damien, ricordando il modo in cui aveva ammazzato la guardia la notte prima.

“Ma sei riuscito a parlarci?” gli domandò l’amico.

“Purtroppo no… Se ne è andato prima che riuscissi a rivolgergli la parola. Ma non ho intenzione di lasciare la cosa in sospeso… Voglio scoprire di chi si tratta, e perché si trovava lì.”

“Con calma.” gli intimò Christophe, bloccando il suo tentativo di alzarsi “Devi rimanere a riposo almeno una settimana, se vuoi rimetterti a dovere…” fece una pausa, e davanti allo sguardo ostinato di Damien, aggiunse a malincuore: “E se farai il bravo, ti prometto che manderò mia figlia a controllarti e a cambiarti la medicazione.”

D’un tratto il ragazzo si ributtò immediatamente sul cuscino. “E chi si muove?”

Christophe abbozzò un sorriso, gli batté una mano sulla spalla, e lo lasciò dormire.

________________________________________________

Eccoci. Scusate se questa volta ci abbiamo messo di più ad aggiornare, ma andare a scuola e studiare è un brutto lavoraccio che a volte richiede molto tempo…

Alloooora… Riecco quel figone di Damien. In questo capitolo cominciamo a conoscerlo meglio, soprattutto dal punto di vista caratteriale. Molto probabilmente per alcuni versi la sua personalità vi ricorderà il mitico Ezio, e anche la sua descrizione fisica, che avete potuto leggere nel primo capitolo… Bhé, vi confessiamo che all’inizio di tutto, quando abbiamo deciso di far lavorare le nostre menti malate per partorire questa fan fic su Assassin’s Creed, ci siamo immaginate il personaggio maschile principale molto simile ad Ezio che, inutile dirlo, con quella sua aria da nobile e da scapestrato ci ha letteralmente rapite (ma com’è vestito da nobile?? Con quel codino… *.*) Ma a parte questo, abbiamo introdotto un altro personaggio, Christophe, che sebbene non abbia un ruolo particolarmente rilevante all’interno della storia, è comunque importante (il perché ovviamente, lo dovrete scoprire da soli u.ù), e pare proprio che al giovane Damien non dispiaccia per niente la figlia di uno dei suoi migliori amici, eh! xD

E poi c’è lui. Che spunta dal nulla e porta scompiglio. Questo misterioso personaggio incappucciato che pare essere un Assassino, senza ombra di dubbio. Ma chi cavolo è? E soprattutto, cosa vuole da Damien? E che ci faceva lì? Sarà stato un bene per il nostro giovane Assassino ritrovarselo sulla stessa strada?

Ma, come al solito, non saremmo noi a rispondere a tutto ciò u.ù

Vi siete accorti che ci piace introdurre strani uomini incappucciati alla fine di ogni capitolo? xD

Ora, scusate se ci dilunghiamo un po’ nelle note (avrete notato che quando iniziamo a scrivere noi, è finita o________O), però dobbiamo dirvi delle cose importanti.

Innanzitutto, ci siamo dimenticate di spiegarvi una cosa del primo capitolo. I più attenti di voi si ricorderanno sicuramente che verso la fine, per introdurvi il personaggio di Damien, abbiamo fatto in modo che l’Assassino leggesse un manifesto che recava il suo stesso nome. Il cognome di Damien, de Labsinthe, è una contrazione della parola francese absinthe con la preposizione de l’ davanti. Absinthe significa assenzio che, come molti di voi sapranno, è un liquore o, a vostra scelta, un veleno. E tutto ciò riconduce a... non lo sappiamo. Ci piaceva e basta, e poi suonava bene.

Poi, una precisazione sul titolo del capitolo. Confessiamo che abbiamo avuto serie difficoltà a trovarne uno adatto (infatti non vi sembrerà neanche granché), ma fortunatamente ci è venuta l’idea di ascoltare della musica per ispirarci. Mentre eravamo scoraggiate in camera di Silvia, improvvisamente la Riproduzione Casuale (o la Provvidenza) c’è venuta in aiuto. Non smetteremo mai di ringraziare gli Hopes Die Last xD.

Che altro? Ah sì (ovviamente non abbiamo ancora finito). I primi capitoli saranno piuttosto incentrati sulla presentazione dei protagonisti, come dice il titolo della sequenza. Il tema storico sarà presente, ma con meno rilevanza rispetto a quella che acquisterà tra non molto.

PS. Scusate per alcuni vocaboli non tanto carini sparsi per i capitoli, a qualcuno potrebbero anche dare noia, ma volevamo rendere ancora più reale la conversazione.

Adesso passiamo ai ringraziamenti ^.^

 

cartacciabianca: Salve. Ecco, premettiamo che ci abbiamo pensato molto che nel terzo capitolo della saga potesse esserci la Rivoluzione Francese, anche perchè abbiamo notato che i periodi storici saltano di trecento in trecento anni, quindi 1400+ 300... xD Ma abbiamo anche notato che l’ultima volta l’ambientazione si è spostata in un altro continente, e visto che Desmond è americano... Guerra d’Indipendenza Americana? xD Comunque, ci farebbe indubbiamente piacere un capitolo di Assassin’s Creed basato sul periodo che abbiamo deciso di usare nella nostra fan fic! Sarebbe divertente vedere cosa abbiamo azzeccato e cosa no della trama! Siamo contente che quelle due o tre frasette ti abbiano attratta, e speriamo che troverai un po’ di tempo per leggere, se non per recensire.

Yojimbo: Ciao fedele lettore (ti chiamiamo così perché sei stato l’unico che ha recensito sia il primo che il secondo capitolo xD)! Intanto grazie per i tuoi apprezzamenti, siamo veramente felici che ti piaccia il modo in cui scriviamo, anche perché all’inizio avevamo due modi di scrivere completamente diversi e, confrontando questi primi capitoli con gli altri che abbiamo già finito, ci siamo rese conto che solo ora stiamo cominciando ad amalgamare i nostri stili. Per quanto riguarda Risha, è bello sapere che siamo riuscite nel nostro scopo (malefico) di lasciare un pesante alone di mistero intorno alla sua figura. E ci dispiace, ma questa nebbia non verrà diradata molto presto xD. Sììììì ti sei accorto dello pseudo-occhio dell’acquila di Arnielle (o quello che è) xD A proposito, scusaci se Arnielle risulta troppo stereotipata; ce ne siamo accorte anche noi, il fatto è che quando abbiamo pensato ai nostri protagonisti erano già così, formati e con il loro carattere xD. Andando avanti nella storia abbiamo avuto modo di approfondire la loro psicologia, ma in quel momento ancora non avevamo ben chiari i loro contorni, ma è anche questo il bello di scrivere, no? I tuoi personaggi acquistano spessore man mano che la tua storia va avanti.

Enio: Oh, in medias res xD Le vecchie definizioni della letteratura! Che bello avere un debutto con un nome latino xD Grazie per i tuoi complimenti, non pensiamo davvero di scrivere così bene, ma senza dubbio ci fanno molto piacere ^.^ Ancora non abbiamo letto niente di tuo, ma provvederemo a farlo al più presto (e a ricambiare i complimenti xD) Yeeeeeee un’altra a cui piace il trailer! Queste sono soddisfazioni ^.^ Speriamo che continuerai a seguirci!

Gufo_Tave: Per noi è interessante che tu sia interessato. Okay, adesso basta con i giochi di parole stupidi xD Seriamente, per noi “interessante” è un bellissimo complimento, significa che siamo riuscite a coinvolgerti. Accettiamo i tuoi auguri e speriamo che riusciremo ad interessarti anche in futuro ^.^

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Capitolo 4
*** Addestramento ***


Francia, 1787

Febbraio

“Ahi!”

Arnielle era a terra, piegata in una posizione scomodissima, e dire così era essere eufemistici. Aveva le ginocchia strette al petto, e le mani legate sotto il sedere. In realtà, stava cercando di farsele passare dalla schiena fino a ritrovarsele di fronte, ma si era bloccata in quella posizione, e non riusciva ad andare avanti né a tornare indietro. Le spalle e la schiena le facevano vedere le stelle, e come se non bastasse, a qualche braccio di distanza, Risha rideva a crepapelle.

“Che cazzo ridi?! Non è affatto divertente! Aiutami piuttosto!” gridò la ragazza, che stava iniziando a infuriarsi sul serio.

Risha cercò di smettere di ridere, senza in realtà molto successo. “Scusami. E’ che succede ogni volta.” le si avvicinò e con un pugnale recise le corde che le legavano le mani “Ecco fatto… Però sappi che ti toccherà riprovare l’esercizio, e molti altri come questo.”

Arnielle si massaggiò i polsi e si alzò in piedi, dolorante. “Evviva.” disse in un tono molto poco entusiasta.

Risha rise di nuovo. “Lo so, l’inizio è sempre traumatico per tutti. Ci vuole molta pazienza e volontà, ma alla fine i risultati saranno a dir poco soddisfacenti, soprattutto se si è dotati come te.”

“Non mi sembra di essere così dotata.” ammise Arnielle, con una smorfia “Mi alleno da più di un mese, eppure…”

“Stai facendo i progressi più rapidi che io abbia mai visto.” concluse Risha per lei “E non ti azzardare a scoraggiarti ora. Non è da te.”

“Come se mi conoscessi da una vita…” rise Arnielle.

Ma in fondo, Risha aveva ragione.

“D’accordo, riproviamo.” disse la ragazza.

 

Aprile

Il Maestro aveva sgomberato l’aia della vecchia casa di campagna da tutte le sterpaglie, e aveva disposto una serie di grossi mucchi di fieno che delimitavano un’ampia area rettangolare. Adesso, quel cortile in disuso sembrava essersi trasformato in una vera e propria arena di combattimento.

Arnielle si trovava a qualche passo di distanza da Risha. Esattamente al centro del tratto di cortile che li separava, c’era una cassa che la ragazza fissava insistentemente, emozionata.

Risha cominciò a camminare avanti e indietro, con passo deciso.

“Bene… Adesso che hai imparato a combattere e a difenderti a mani nude, è il momento di cominciare a vedere come te la cavi con delle armi vere e proprie.” disse il Maestro.

Si voltò verso la cassa, e la raggiunse. Quando la aprì, Arnielle vide il luccicare dell’oggetto che conteneva.

Risha si chinò e estrasse una lunga spada sottile, con l’elsa elaborata e dall’aspetto piuttosto leggero.

La ragazza riconobbe immediatamente lo stiletto, e rimase piuttosto delusa.

Il Maestro la guardò profondamente, quasi come se intuisse i suoi pensieri, e disse: “Che hai? Non lo userò contro di te, stai tranquilla.” scherzò.

“Niente.” fece lei “E’ solo che io quell’arma so già usarla, non c’è bisogno che mi insegni.” aggiunse poi dopo un attimo di esitazione.

Risha si mostrò sorpreso, ma non quanto Arnielle si sarebbe aspettata. “Era un po’ che volevo chiedertelo… Com’è che hai imparato a combattere?”

La ragazza si strinse nelle spalle. “Non lo so. Mi viene facile.” si perse un attimo nei suoi pensieri, fino a raggiungere quel ricordo lontano “In effetti, la prima volta che mi è venuta voglia di provare è stata parecchi anni fa, dovevo averne otto o nove.” iniziò con un sorriso sulle labbra “Ero in città a cercare di raccogliere qualcosa da mangiare dalle bancarelle del mercato per portarlo a Thérese, che allora mi pare avesse tre anni. Improvvisamente, vidi due uomini che cominciavano a combattere; erano una guardia e un soldato, forse un mercenario. Erano bravissimi, e mentre la folla li incitava –o insultava, mi è venuto lo strano desiderio di essere al posto di uno di loro due.”

Fece una pausa. “Avevano dei movimenti così armonici; sembrava quasi una danza, non fosse stato per il rumore del metallo. Così, iniziai a imitare le loro mosse con dei bastoni, vicino a casa mia. All’inizio era solo un gioco, ma poi cominciai ad appassionarmi davvero. Allora, ogni tanto, quando scappavo dalla balia[1], invece di andarmene al mercato, mi arrampicavo sulle mura della caserma, e osservavo le guardie che si allenavano.”

Risha abbozzò un sorriso. “Eri una bambina strana.”

Arnielle rise. “Sì… Abbastanza. Comunque, se ti può consolare, mi ero presa una bella cotta per Siméon.”

“Siméon?” ripeté Risha, perplesso  “E chi è questo?”

“Uno dei cadetti. Era bravo ed era bello. A volte lo incrociavo quando usciva dalla caserma e riuscivo a farmi concedere cinque minuti di allenamento con lui. A un certo punto, però, fu trasferito, e prima di andarsene mi regalò il mio primo pugnale. Era smussato, così non molto tempo dopo, ne rubai un altro. Questo pugnale.” disse estraendo l’arma dalla cintola.

Risha mosse un passo verso di lei. “E credi che questo tuo giovane amore sia riuscito ad insegnarti come si deve?”

“Bhé, sì… Sono piuttosto brava. E di certo sono migliorata da quando avevo dieci anni.” rispose Arnielle con sicurezza.

Un sorriso di sfida si dipinse sulle labbra di Risha. “Ah si? Allora vediamo che cosa sai fare.”

Le lanciò lo stiletto, e nel contempo estrasse una lunga scimitarra. La ragazza afferrò l’arma per l’elsa, profondamente stupita e anche abbastanza atterrita. “Che cosa?! Non è leale! Come posso competere con te se usi quella spada?”

Il Maestro sorrise di nuovo. “Se davvero sai combattere come dici, allora sarai capace di battermi a prescindere dall’arma che uso, no?”

A quelle parole Arnielle strinse in pugno lo stiletto e, senza esitare un altro istante, si gettò agguerrita su di lui, che però si scansò velocemente, facendola finire con il viso a terra.

Risha scoppiò a ridere. “Com’è che finisci sempre per terra, tu? Non è questo che dovrebbe succedere quando usi uno stiletto!” la canzonò.

Arnielle arrossì spiacevolmente, ma in un attimo fu di nuovo in piedi. Visto che la tecnica dell’aggressione non aveva funzionato granché, decise di aspettare l’attacco del Maestro. Nei contrattacchi in genere andava meglio.

E infatti, con un’agilità impressionante, Risha attaccò. Arnielle riuscì a evitarlo con un balzo all’indietro, velocemente gli girò intorno e si ritrovò alle sue spalle. Ma prima che potesse provare ad attaccarlo, il Maestro si era già voltato verso di lei. Arnielle schivò di nuovo il colpo, e decise di tentare un attacco di taglio, dall’alto verso il basso. Ci mise tutta la grinta che poteva, ed era quasi sicura di riuscire nel suo intento; ma prima che potesse accorgersene, Risha aveva contrastato il suo fendente con un movimento opposto e circolare, talmente forte che non solo la spada di Arnielle volò lontano, ma lei stessa cadde a terra, col fiatone.

Prima che lo stiletto si conficcasse vibrando nel suolo, la scimitarra del Maestro era già puntata alla sua gola, direttamente sulla giugulare. La ragazza gli lanciò un’occhiataccia carica di risentimento e vergogna.

“Non pensi che forse avresti bisogno di qualche ripetizione? Mi sembri un po’ arrugginita.” la schernì Risha affettuosamente.

Poi, rinfoderò la scimitarra e le porse la mano. Arnielle dopo qualche esitazione la afferrò, e l’uomo la aiutò a tirarsi in piedi.

“Devo ammettere che sei stato molto carino a mostrarmi le tue grandi abilità nel combattimento senza neanche darmi il tempo di farti vedere di che cosa sono capace.” gli disse sarcastica.

Un sorriso si dipinse sulle labbra scure di Risha. “Ma io ho già visto tanto.”

La ragazza ricambiò il sorriso e abbassò lo sguardo, arrossendo sulle guance. Non sapeva cosa le stesse prendendo, non ricordava che le fosse mai capitato, nemmeno con Siméon.

Il Maestro le batté una mano sulla spalla.

“Dai, adesso vai a recuperare quello stiletto e mettiamoci a lavorare sul serio.”

 

Maggio

Arnielle affondò la spada un’ultima volta, e poi si deterse il sudore dalla fronte con il dorso della mano. Il caldo cominciava a farsi sentire, l’estate era ormai alle porte.

La piccola aia era inondata di sole, e le cicale facevano un baccano infernale. Erano un paio d’ore che si allenava da sola; Risha aveva detto che l’avrebbe raggiunta alla solita ora, ma ancora non era arrivato.

Improvvisamente sentì un sibilo nell’aria: si voltò rapidamente, appena in tempo perché un pugnale le passasse a meno di un pollice dal viso, tagliandole una piccola ciocca di capelli.

Un momento dopo si era conficcato nel terreno alle sue spalle. Il cuore di Arnielle batteva ancora a una velocità innaturale quando Risha saltò giù da un albero.

La ragazza imprecò: “Cazzo! Risha ma cosa diavolo ti salta in mente! Avresti potuto benissimo uccidermi! Non farlo mai più!”

Il Maestro rideva. Uscì nel sole e le si avvicinò. Arnielle si chiese come facesse a indossare quel pesante mantello nonostante il caldo.

“Cos’era quello, un nuovo tipo di saluto?” gli gridò quando le fu di fronte, agitando lo stiletto “Cos’aveva il bonjour che non andava?”

Risha smise di ridere, anche se con una certa difficoltà, e divelse in un attimo il pugnale da terra.

“No, in realtà è il tuo nuovo addestramento.”

Arnielle sgranò gli occhi. “Ah. E in che cosa consiste? Nel farmi ammazzare?”

“Sai usare un pugnale, Arnielle?” le chiese Risha, facendosi roteare in modo ipnotico la piccola arma tra le dita.

“Beh, sì…” disse la ragazza, cercando di staccarne lo sguardo “Credo di sì.” si corresse poi.

Aveva imparato che dire di saper fare una cosa non era mai completamente la verità, con Risha.

Il Maestro sorrise, come intuendo i suoi pensieri. “In un corpo a corpo sai farlo; ti ho vista.” affermò “Ma sai lanciare un coltello?”

“Non ho mai provato.” ammise Arnielle.

“E’ il momento di provare.” fece il Maestro, e le mise tra le mani il coltello che le aveva lanciato.

La ragazza sentì uno strano calore quando la pelle ruvida di Risha sfiorò la sua. Poi il Maestro saltò all’indietro fino a trovarsi a una distanza di circa sei braccia da lei. “Prova a lanciarne uno da lì e a prendermi.” le disse con tranquillità.

“Che cosa? Sei impazzito? E se ti colpisco sul serio?” chiese Arnielle, che non aveva nessuna voglia di farlo.

“Stai tranquilla, non succederà. Voglio solo vedere cosa sai fare.” rispose lui. Poi allargò le braccia, e sorrise. “Coraggio.”

La ragazza prese un respiro profondo, e si disse che non sarebbe mai riuscita a mirarlo da quella distanza, quindi tanto valeva provare. Così impugnò il coltello tra il pollice e l’indice, e fece roteare il braccio per lanciarlo. Il pugnale saettò nell’aria, e in un istante coprì la distanza che la separava da Risha. Arnielle lo guardò filare a tutta velocità verso il Maestro, chiedendosi quando avrebbe cambiato traiettoria. Poi si accorse che andava dritto verso di lui, e si sentì morire. Avrebbe voluto fermarlo. Stava per gridare quando Risha si parò con l’avambraccio e il pugnale finì tintinnando a terra.

“Woh!” esclamò il Maestro, incredulo “Menomale che non avevi mai provato! Se al posto mio ci fosse stato chiunque altro, lo avresti sicuramente ucciso.”

Anche la ragazza era sconvolta. “Io non l’ho fatto apposta. Ero certa che non ci sarei mai riuscita!”

“E invece ce l’hai fatta. Perfetto. Avremo la metà del lavoro da fare.” disse Risha, soddisfatto della ragazza.

 

Giugno

Arnielle era seduta al tavolo della piccola ma gradevole casina di Risha, e pensava.

Quel giorno, come molti altri prima, il suo Maestro l’aveva dedicato a insegnarle a leggere e scrivere. Arnielle non era completamente analfabeta, perché Marie, che sapeva leggere, le aveva insegnato le basi, ma aveva ancora delle difficoltà a distinguere le lettere in corsivo. Grazie a Risha -e ai libri stampati- non aveva più quel tipo di problema, e ormai riusciva a scrivere con una certa fluidità. Si divertiva anche a leggere, soprattutto i libri di un bravissimo scrittore di nome Voltaire, che Risha aveva in quantità.

Si disse che quello che le era capitato era davvero molto strano: una semplice notte di Febbraio stava per compiere uno dei suoi soliti omicidi, per guadagnare qualcosa per la sua famiglia, e improvvisamente tutti i suoi piani erano saltati per colpa di uno sconosciuto vestito in modo bizzarro, del quale inizialmente non si fidava, anzi, non voleva fidarsi, ma aveva subito sentito che quell’uomo era diverso da tutti gli altri.

E infatti, alla fine, aveva deciso di dare ascolto alle sue parole e di seguirlo. Da quella notte, si era recata costantemente da lui per allenarsi duramente ed imparare ad essere una vera Assassina, e col tempo era riuscita ad instaurare un ottimo rapporto con lui, l’unico uomo con cui avesse mai avuto contatti così ravvicinati.

Le vennero in mente le parole che Risha le aveva detto durante il loro primo incontro, in seguito alla domanda che lei gli aveva posto riguardo a chi fosse. “Quello che può insegnarti la retta via.”

E ce la stava mettendo tutta, stava mantenendo la parola. Si era dedicato a lei con molta attenzione e pazienza, e la ragazza stava cambiando, se lo sentiva. Aveva imparato molte cose grazie a lui, e di sicuro aveva bisogno di impararne molte altre.

Pensò che le faceva piacere sentire i complimenti del Maestro ogni volta che riusciva a fare qualcosa, e anche il fatto che lui le ricordasse in continuazione che a suo parere era destinata a diventare una grande Assassina e che fosse notevolmente dotata la facevano stare bene, anche se uccidere non le piaceva molto. Ma probabilmente a nessuno piaceva. Probabilmente, neanche a Risha.

Ma quello era il loro destino.

Ripensò a tutto ciò che aveva imparato a fare: sapeva maneggiare una spada, schivare, lanciare pugnali da una notevole distanza, muoversi con agilità, liberarsi dalle situazioni più difficili… e poi le venne in mente una cosa.

Ogni volta che aveva un problema, o che si scoraggiava, andava a confidarsi con Risha, che riusciva sempre a tirarla su di morale e che aveva sempre la risposta pronta. Ma non gli aveva mai chiesto il perché ogni tanto avesse delle strane visioni, e per di più ogni volta che doveva concentrarsi per capire dove si trovasse precisamente la sua vittima, come le era successo la stessa notte del primo incontro col Maestro. Era qualcosa che la spaventava un po’, ma allo stesso tempo le era utile, perché quelle visioni segnavano sempre la sua vittoria.

Così, decise di parlarne con Risha. Di sicuro le avrebbe detto qualcosa a riguardo.

E proprio come se lui fosse dentro la sua testa, entrò nella stanza in quell’istante, mentre lei era ancora immersa nei propri pensieri.

“Ehi Arnielle, potresti aiutarmi un secondo per favore?”

La ragazza stava fissando le grosse casse che il Maestro teneva in mano, senza in realtà vederle.

“…Arnielle? Ehi! ARNIELLE!!” urlò alla fine lui, facendola ritornare sulla Terra.

“Oh! Scusa hai detto qualcosa?” disse lei.

“No tranquilla, saranno cinque minuti che sono entrato in questa stanza e che ti chiamo, ma diciamo che non importa, va bene?” disse lui ironicamente.

“Scusami davvero, ero soprappensiero.” si giustificò lei.

“Me ne sono accorto. Chissà a cosa diavolo stavi pensando… Hai forse conosciuto qualche bel giovanotto che ti ha già offuscato la mente?” tentò lui.

Arnielle lo guardò con un’espressione divertita ma allo stesso tempo scocciata. “Macché giovanotto! Sarà molto difficile trovarne uno di cui mi possa veramente fidare e che mi rapisca anche la mente, credimi.” affermò lei decisa.

Risha appoggiò a terra le scatole. “E allora di che si tratta? Cos’è che ti turba?” le chiese.

“Bhé… C’è una cosa che vorrei chiederti, e qualunque sia la risposta, ti prego di farmela conoscere per quella che è.” disse la ragazza.

“Così mi fai preoccupare.”, e in effetti sul suo volto –o almeno, sulla parte inferiore del suo volto- si era disegnata un’espressione strana “Ti prometto che sarò sincero, ma dimmi. Coraggio.”

“Ecco…” iniziò lei “Mi hai raccontato molte cose sugli Assassini del passato, sulle loro imprese eccetera…”

Aveva deciso di prenderla alla larga. Non sapeva cosa diavolo fosse quello che le capitava. E se fosse stato qualcosa di male? Qualcosa di debilitante? E se, una volta saputolo, Risha avesse deciso di smettere di allenarla?

Ma il Maestro capì al volo. “Cosa stai cercando di dirmi, Arnielle?”

La ragazza prese un respiro profondo, e abbassò lo sguardo. “E’ che a volte mi capitano delle cose… Cose strane.”

Anche se non poteva vedergli gli occhi, la ragazza intuì che Risha aveva inarcato un sopracciglio. “Cose strane?”

“Sì…” esitò Arnielle “Ecco, è come se…”

Ci pensò. Non ne aveva mai parlato a nessuno, non aveva idea di come descriverlo.

“Succede soltanto quando mi concentro intensamente, o quando guardo fisso una cosa per molto tempo.” cominciò, e di nuovo si trovò senza parole “Insomma…” sbuffò “Ti capita mai di riuscire improvvisamente a vedere?”

Risha si fece attento. “Vedere cosa?”

Tutto.” rispose Arnielle “Anche le cose che di norma non vedresti. Comincia tutto con un gran mal di testa, e poi… e poi vedi. Senti. Sai.”

“Interessante… Molto interessante.” commentò Risha “E quando vedi, come ti senti?”

“Bene…” rispose Arnielle “Anzi, meglio. Per questo non capisco se sia una cosa buona o cattiva, e perché mi succeda.”

“Credo di sapere di che cosa stai parlando.” iniziò l’uomo, facendosi serio “E’ una dote originaria dei primi Assassini. Gli Antichi la chiamavano Occhio dell’Aquila.” disse Risha.

Arnielle rimase qualche secondo in silenzio, attonita. “Una dote? Che cosa vuol dire, che tutti gli Assassini nascevano così?”

“No… Soltanto in pochissimi la possedevano. E tra di loro, quelli che riuscivano a padroneggiarla fin dalla nascita si contano sulla punta delle dita. E di questi, ancora meno erano coloro che riuscivano a sfruttarla appieno.” spiegò il Maestro “A quanto pare sei una di questi pochissimi.” aggiunse con un grande sorriso.

Arnielle era incredula. Ma in un certo senso anche estremamente compiaciuta. Lei era una di quei pochi a possedere quella strana capacità, quell’Occhio dell’Aquila. E sapeva padroneggiarla fin dalla nascita. Anche se forse, padroneggiarla era un po’ troppo…

“Però tutti questi mal di testa non vanno bene. Devi essere tu a controllare l’Occhio dell’Aquila, non deve essere lui a controllare te.” riprese Risha “Immagina cosa potrebbe accadere se avessi una visione proprio mentre stai scappando… Non sarebbe divertente.”

Arnielle ci pensò e non poté fare a meno di dargli ragione. “D’accordo… Allora cosa posso fare?”chiese.

“Ti insegnerò io ad usarlo.” rispose Risha.

“Perché? Lo possiedi anche tu?” gli domandò con curiosità la ragazza.

“No.” rispose immediatamente lui “Adesso credo che tu debba andare. Tua madre ti starà aspettando.” tagliò corto il Maestro, alzandosi in piedi.

“Ma… Non mi avevi chiesto qualcosa all’inizio, quando sei entrato?” chiese lei, imitandolo.

“Ehm… Lascia perdere, non era niente di importante.” si affrettò a rispondere Risha, guidandola verso la porta “Ci vediamo domani, Arnielle. Riposati bene e… tieni.” aggiunse, mettendole tra le mani il solito piccolo e pesante sacchetto “Questo è per i tuoi.”

Arnielle lo strinse al petto, e sorrise. “Grazie, Risha.”

Vedendolo sulla soglia, così disponibile e quasi impacciato, la ragazza pensò che le sarebbe piaciuto abbracciarlo.

Ma Risha le fece un ultimo, breve sorriso e poi, serio come non mai, chiuse la porta.

 

La luce calda che filtrava dalle finestre chiuse scaldò il cuore di Arnielle, quando arrivò davanti alla piccola casetta di legno e mattoni dov’era nata.

Già dall’esterno si sentivano le urla e le risate dei suoi fratellini, e quasi automaticamente accelerò il passo.

Aprì la porta e, immediatamente, una voce squillante esclamò: “E’ tornata Arnielle!”

Nel secondo successivo, quattro dei cinque bambini nella stanza le si radunarono intorno alle gambe, cercando di saltarle al collo contemporaneamente.

Arnielle rise. “Ecco i miei piccoli bastardi!” fece, prendendo in braccio un minuscolo bambino che avrà avuto sui tre anni, completamente biondo e con gli occhi chiarissimi “Smettila di ciucciarti il dito, Pepinot!”

Il bambino la guardò sorridendo, e le dette ascolto… per poi rificcarsi immediatamente il pollice in bocca.

Arnielle rise di nuovo e decise di non insistere.

“Dove sei stata Arnielle? Sei andata a combattere contro i cattivi? Quanti ne hai uccisi, eh?” chiese un altro bambino, con gli stessi occhi del primo, ma stavolta i capelli erano del tutto neri.

“Se… Continua a sognare Justin.” rispose la ragazza, scompigliandogli i capelli già scarmigliati.

“E allora dove sei stata?” insistette il piccolo.

“Ma saranno affari suoi? Devi sempre farti i fatti degli altri, tu!” si intromise un ragazzino, rosso di capelli e appena più alto di Justin.

I due presero a litigare furiosamente, e in breve arrivarono ai pizzicotti. “Justin, Sebastien! Smettetela!” intimò loro Arnielle, senza però ottenere granché.

Una graziosa bambina di circa sei anni con i capelli castani e raccolti in due treccine si avvicinò ad Arnielle, e con l’aria da donna vissuta esclamò: “Ah! I soliti maschi!”

Arnielle rise per l’ennesima volta. “Hai mangiato, Margot?” le chiese, ben conoscendo la risposta.

“Come no!” rispose la bambina con entusiasmo “Ho anche finito gli avanzi di Justin!”

“Complimenti!” commentò la ragazza “Ma insomma! Volete smetterla voi due?” intimò di nuovo, rivolgendosi ai due ragazzini che continuavano a litigare. Le venne in mente però che era normale che due bambini di nove e dieci anni non facessero altro dalla mattina alla sera.

“Allora Arnielle, com’è andata oggi?” chiese la dodicenne dai capelli castano scuro, prendendo dalle braccia della sorella il piccolo Pepinot.

“Tutto bene, tesoro. E qui?” domandò lei.

Thérese si strinse nelle spalle. “Come al solito.”

“E la mamma?” aggiunse Arnielle, non vedendola nella piccola stanza.

“E’ a lavoro.” rispose Thérese ridacchiando.

“Non c’è niente di divertente sai?” le disse con affettuosa severità Arnielle, dividendo manualmente Sebastien e Justin.

“Oh… Lo so. Scusa.” si giustificò la ragazzina.

“Perdonata. Ma adesso è ora che andiate tutti a letto.” disse Arnielle.

“Non ho sonno!” protestarono praticamente tutti i bambini all’unisono, anche Sebastien e Justin che raramente andavano d’accordo.

 

Dall’esterno, Risha osservava la scena con un piccolo sorriso. Respirò profondamente, si calò il cappuccio sul viso, e poi sparì nella notte.

__________________________________

[1]. La pratica del baliatico a quel tempo era diffusa anche tra le famiglie più povere; soprattutto nella Francia industriale, quando le donne cominciarono a lavorare in fabbrica e non potevano prendersi cura dei figli tutto il giorno. Spesso i bambini venivano lasciati a balie fidate in campagna, lontano dai fumi e dall'aria poco salubre delle città. Ora, non è che Marie vada precisamente in fabbrica, ma non può neanche portarsi Arnielle a lavoro xD

Salve a tutti! Finalmente abbiamo trovato un po' di tempo per pubblicare.

Siamo così giunti al quarto capitolo, il secondo che riguarda la vita di Arnielle. Questo, anche se non sembra, è forse uno dei capitoli più importanti tra quelli che abbiamo scritto finora, perché è proprio adesso che vediamo la nostra protagonista femminile crescere, sotto diversi punti di vista.

Durante il suo addestramento da Assassina dovrà affrontare diverse situazioni che alla fine la faranno maturare sia dal punto di vista fisico che tecnico, e quindi migliorerà molto anche come guerriera. Per la prima volta, il suo atteggiamento è davvero quello di una diciassettenne; infatti, nel capitolo precedente, l'abbiamo vista comportarsi come una ragazzina fin troppo cresciuta, come se avesse già conosciuto tutti i lati, positivi e negativi, della vita.

Ci teniamo a scusarci se il capitolo vi annoierà un po', ma era necessario percorrere le varie fasi dell'addestramento di Arnielle (abbiamo comunque cercato di essere il più sintetiche possibile).

E poi, abbiamo conosciuto meglio la sua famigliola! Come avrete sicuramente capito, adoriamo i bambini, e non potevamo non inventarne qualcuno per la FF *.* Adesso però, passiamo ai recensitori.

SophyTheWhiteDragon: Innanzitutto ti ringraziamo tantissimo per averci messe tra i tuoi autori preferiti. Siamo molto contente che ti piaccia il personaggio di Arnielle, e il nostro modo di scrivere! Speriamo di continuare a meritarci di stare nella lista dei tuoi preferiti, e riguardo a Risha... Hai ragione; vedremo. =D

Yojimbo: Ogni volta che leggiamo le tue recensioni, rimaniamo con un sorriso idiota sulla faccia per almeno mezz’ora! Ti ringraziamo davvero di tutti i complimenti che ci fai, ogni volta ci invogli a continuare a scrivere nonostante tutto il tempo che ci ruba la scuola. A quanto pare ti sei affezionato al personaggio di Damien; menomale, non ci è uscito proprio uguale a Ezio, era ciò che volevamo evitare. Siamo contente che tu abbia colto quelle differenze. In quanto alle battutine spiritose, hai ragione: i dialoghi idioti sono la cosa che ci riesce meglio! -.-‘’ Questa, comunque, è una delle caratteristiche principali di Damien: qualunque sia la situazione continuerà a fare dell’ironia, anche di cattivo gusto!xD Questo, però, è soltanto un lato del suo carattere, quello che usa come una “facciata”, ma ce ne sono degli altri che invece riuscirà a fare emergere soltanto in delle situazioni precise. Detto questo, perdonaci per non aver mai recensito nessuna delle tue storie; abbiamo letto soltanto “La Tomba dell’Assassino” perché siamo troppo piccole e innocenti per quelle a rating rosso (che invece ci interessano tanto °-°) -.-“ Maledizione, soltanto un mese e ci metteremo in pari con i tuoi lavori. Cosa che ci preme, e non solo perché sei il nostro fedele recensitore, ma anche perché quell’unica one-shot che abbiamo potuto leggere ci è piaciuta da morire (e ti assicuriamo che non è un arruffianamento xD). Nell’attesa, continueremo a scrivere cercando di continuare a ucciderti dalla curiosità. =D

Vi diamo appuntamento al prossimo capitolo di Assassin's Creed Revolution, tra una settimana circa. Damien non vede l'ora di tornare a farvi compagnia! ^.^

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Capitolo 5
*** Una spina nel fianco ***


         Francia, 1789

15 Gennaio

Damien si era appena svegliato. Saranno state le otto del mattino.

Dall’esterno, attraverso una finestra, entravano nella stanza degli accesi spicchi di luce, che finivano dritti sul viso del ragazzo. Questo gli fece pensare che probabilmente quella sarebbe stata una bella giornata di sole, dopo tanta pioggia e freddo.

Damien poteva vedere i rami spogli di un albero che si trovava nel giardino di Christophe, proprio davanti alla sua finestra; restò in silenzio ad ascoltare i primi suoni del mattino, e si rilassava. Poteva udire chiaramente il cinguettio degli uccelli che rallegravano un pò l’aria invernale, le voci delle persone più mattiniere che già erano scese dai propri letti per andare a fare delle compere al mercato, le urla di un venditore che sicuramente si era visto derubare della merce da uno dei soliti sporchi ladruncoli…

Sussultò appena quando sentì bussare alla porta della stanza.

“Avanti.” fece.

Una ragazza molto giovane e carina varcò la soglia. Avrà avuto appena diciotto anni, era magra e aveva dei lunghi capelli castano chiaro sciolti lungo la schiena. In mano teneva varie cose; oggetti per medicare.

“Buongiorno Damien... Scusami, non volevo svegliarti.” si giustificò subito la ragazza.

L’Assassino assunse subito un’espressione di gradimento. “Non preoccuparti Cécile, ero già sveglio…” rispose “Ma non sarebbe stato un problema comunque.” aggiunse in fretta.

“In realtà, speravo che tu ti fossi già destato.” gli disse Cécile.

“E io invece speravo che tu arrivassi presto.” rispose lui con un gran sorriso “Dai, ti faccio posto, così puoi iniziare a controllarmi la ferita.” aggiunse.

“Grazie.” fece la ragazza, e si mise a sedere sulla parte del letto che Damien aveva lasciato libera spostandosi “Allora? Ti fa ancora male?” gli chiese, mentre disponeva gli oggetti per la medicazione.

“No… Adesso no, penso che il peggio sia passato. Ovviamente mi sento ancora un po’ la pelle in tirare però…” rispose lui.

“E’ normale. Questa non deve essere stata una bella settimana per te, immagino. Hai rischiato molto, sei stato ferito e portato qui da mio padre, in più hai dovuto stare a letto per sette giorni, con il taglio che ti faceva male, ed essendo un tipo molto attivo, immagino che a te queste giornate siano sembrate un’eternità.” gli disse Cécile.

“Vedo che sei molto informata su di me.” disse allegramente Damien “Bhè, bisogna sempre guardare il lato positivo delle cose… Diciamo che questa lunga vacanza mi ha dato modo di passare più tempo con te, e i tuoi.” terminò.

Cécile gli sorrise. Iniziò ad abbassargli gli abiti per scoprirgli la ferita.

Damien assunse un’espressione maliziosa e con un tono dello stesso tipo le disse: “Puoi anche scendere un po’ più giù, tesoro…”

Cécile lo guardò. Le sue guance si erano colorate di un rossastro che la rendeva ancora più graziosa. “Smettila Damien… Non tentarmi.”

Il ragazzo era chiaramente divertito.

“Bhé, la ferita ha fatto grandi progressi, sai? Non c’è più bisogno di controllarla. Credo che tu possa tornare alla tua vita movimentata già da domani.” lo informò lei.

“Oh no!” esclamò Damien “Procurami un’altra ferita, ti prego Cécile!” la implorò scherzando.

Lei rise. “Vado giù ad avvertire mio padre che stai benone. Se vuoi puoi alzarti, ma sarebbe meglio che qualcuno ti accompagni dato che è la prima volta che provi a camminare dopo la cura…”

“Vengo con te.” disse Damien.

“Ti pareva…” rispose lei, allegra.

Il pranzo quel giorno fu più bello che mai: tutta la famiglia di Christophe era felice che il loro amico Damien fosse tornato in forma come prima, e nel salone regnava l’allegria.

Non c’era granché, a dire il vero, sulla tavola, come da parecchio tempo a quella parte. Ma era uno di quei rari giorni in cui non importava a nessuno.

Durante il pranzo, il ragazzo non aveva fatto altro che pensare alla sua prossima missione, e a quello che avrebbe dovuto fare.

Così, quando tutti i piatti furono vuoti e la giovane governante di casa si alzò per sparecchiare – Christophe non era quel tipo di borghese che voleva somigliare alla nobiltà, Damien prese fiato e disse:

“Parto domani.”

Gli sguardi di tutti si concentrarono su di lui. Christophe rimase con la pipa a metà tra la bocca e lo stoppino, sua moglie Élodie e Cécile smisero di chiacchierare e Jules, l’altro figlio tredicenne della famiglia, finì di spilluzzicare l’ultima fetta di pane.

Christophe si fece serio. “Cosa vuol dire che parti domani?”

“Il prossimo sulla mia lista si trova a Séverac… Sai che non so aspettare troppo a lungo quando voglio fare qualcosa, e in più non posso permettermi di perdere dell’altro tempo; ho un limite da rispettare. E visto che mi avete detto che adesso sono guarito non ho più ragione di rimandare.”

Sul volto di Christophe si disegnò un’espressione preoccupata. “Capisco… Però hai già rischiato tanto l’ultima volta e…”

Damien l’interruppe. Aveva paura che, se avesse continuato a parlare, l’avrebbe convinto a rimandare ancora la partenza.

“Mica ti aspettavi che rimanessi qui per sempre, vero?” fece brusco “E’ il mio lavoro. E’ la mia vita, Christophe.”

 

Séverac, Francia, 1789

19 Gennaio

Damien storse le labbra e si portò una mano al fianco. Dannata ferita. Quand’è che avrebbe smesso di fargli male?

Cercò in tutti i modi di non pensarci, e proseguì per la sua strada. Era in mezzo alla gente. Non aveva paura di farsi vedere, non ancora. Non lo conoscevano, in quel paesino sperduto in mezzo alla campagna.

Lì, le conseguenze della carestia e della povertà si stavano facendo sentire con più forza che nelle cittadine più grandi. In un paese di contadini, si sopporta meno il peso delle tasse. E la cosa era evidente nell’aspetto emaciato e malmesso degli abitanti, che si trascinavano per le strade con aria mesta.

Damien pensò che, se qualcuno avesse spiegato loro come stavano i fatti, e che cosa stava nascendo in Francia in quel momento, non avrebbero esitato un secondo a usare i forconi per qualcosa di diverso che rastrellare il grano, e reagire. Ma non stava a lui decidere. I grandi capi dicevano che dovevano mantenere il segreto, e così lui avrebbe fatto. Anche se gli pesava.

D’altra parte, aveva più di un modo per tenersi impegnato.

Non riusciva a credere che i Templari avessero un affiliato anche in quel misero paese, erano ovunque. La sua futura vittima era un omuncolo di poco conto, in fondo, nel grande disegno, ma come i precedenti obiettivi di Damien, era qualcuno che avrebbe potuto, per motivi che il ragazzo non conosceva, scoprire e ostacolare il movimento che forse avrebbe finalmente potuto cambiare le cose.

Si chiamava Amedé Rogatien, e svolgeva il suo ruolo di pesce piccolo come corriere per alcune grandi famiglie aristocratiche, famiglie che invece avrebbero potuto essere piuttosto pericolose, se informate. Per i numerosi favori elargiti a tali famiglie si era guadagnato una piccola fortuna ma, evidentemente avaro o paranoico, continuava a vivere in due stanze nel paese natio, senza nessuno con cui dividere il denaro o la vita.

Entrambe le cose, Damien lo sapeva, gli sarebbero state strappate via molto presto.

In quel momento, il ragazzo si stava muovendo all’interno della cittadina per raccogliere più informazioni possibili. Tutto quello che sapeva veniva dai pettegolezzi della gente ma, anche se non sarebbe stato difficile uccidere Rogatien, preferiva assicurarsi che tutto andasse per il meglio. Infatti, non era da scartare l’idea che quelle famiglie aristocratiche, sapendo dell’inconsapevole importanza di Amedé, gli avessero affibbiato qualcuno per proteggerlo.

Damien improvvisamente si bloccò.

Attaccato al muro, a due palmi dal suo viso c’era un grosso manifesto che recitava delle scritte  d’inchiostro nero. E nel mezzo, dentro a un rettangolo, si trovava l’immagine di qualcuno, ma non era possibile capire chi fosse perché il suo volto era quasi completamente coperto da un cappuccio.

Inizialmente Damien pensò che si trattasse di lui, ma non poteva essere così; era arrivato lì soltanto la sera prima, e ancora non aveva fatto niente per meritarsi quella cattiva fama. Si chiese se gli abitanti a Séverac fossero dei veggenti, ma poi gli venne in mente quella sera di due settimane prima, sul ponte in Provence.

C’era qualcun altro come lui. Ed evidentemente, l’aveva preceduto laggiù.

Si domandò che diavolo ci facesse lì: lo stava seguendo, forse? E che cosa voleva da lui?

Damien non aveva smesso di pensare al misterioso Assassino neanche un secondo dalla notte in cui lo aveva visto. Non riusciva a smettere di chiedersi chi fosse e che cosa volesse da lui, o perché lo avesse salvato, o perché, per l’appunto, si trovasse nel posto giusto al momento giusto.

Era convinto di essere l’unico Assassino in circolazione oltre al suo Maestro, e non poteva trattarsi di lui, lo avrebbe riconosciuto… Anche se, a dire il vero, le movenze erano molto simili.

Aveva domandato a Christophe di informarsi dai grandi capi se gli avessero accostato un compagno, oppure avessero chiesto l’aiuto di un altro Assassino, ma la risposta era stata un categorico no, e Damien non ci capiva più niente.

La logica gli diceva che se non stava con loro, era un loro nemico. Ma non funzionava granché visto che gli aveva salvato la vita. O forse gli aveva salvato la vita perché lui pensasse che non fosse loro nemico, mentre in realtà…

D’accordo Damien. Basta.

Il ragazzo decise di tornare a concentrarsi sulla missione. Così, girò l’angolo e continuò a camminare.

“Dicono che sia più veloce di un colpo di moschetto! Mio marito giura di averlo visto, e dice che sembra un fantasma; è vestito tutto di bianco, e ha delle macchie rosso intenso addosso…”

Damien a quelle parole si fermò di colpo e trattenne il respiro. Si nascose dietro a un carro, e rimase ad ascoltare.

Mon Dieu! Deve davvero incutere timore! Dovremmo tenere i nostri bambini in casa più spesso!”

“Sono d’accordo. Hai sentito che ha ucciso tutte le guardie che hanno cercato di acchiapparlo? Ed erano in dieci!

“Chissà cosa ha in mente quel pazzo! Non sappiamo neanche il motivo per cui si trovi qui!”

“Ah io non lo so. L’importante è che se ne vada presto. Ho sentito anche che…”

Damien si avvicinò di più, senza farsi vedere. Non riusciva a sentire niente. C’era qualcuno che urlava ininterrottamente da almeno dieci minuti. Era veramente fasti…

“GUARDIE! GUARDIE!!”

…dioso. Oh cazzo.

A forza di perdersi nei suoi pensieri, si era perso tutto il resto. Sicuramente il fatto che lui se ne andasse in giro vestito proprio come il tizio del manifesto non era passato inosservato. Si disse che avrebbe dovuto prestare più attenzione, e magari, smettere di pensare. Keras diceva sempre che era la base per una buona riuscita della missione, ma sembrava che tutte le volte che Damien lo faceva, mandasse tutto a puttane.

Proprio come sta succedendo adesso!, pensò, accorgendosi che un gruppo di guardie si stava avvicinando pericolosamente al punto in cui si trovava lui.

A malincuore si staccò dal suo nascondiglio e corse via. Si disse che, se voleva continuare a girare per quella cittadina, avrebbe dovuto trovare un abbigliamento più sobrio.

Non si trovava per niente comodo dentro quei vestiti borghesi. Damien dette un ultimo sguardo imbarazzato ai pantaloni stretti al ginocchio e alle calze bianche infilate dentro a quelle orrende scarpette.

Ho visto donne con scarpe più virili.

L’unica cosa che non gli dispiaceva era la camicia: larga, bianca e sbottonata sul petto.

Quei vestiti non gli piacevano anche perché gli ricordavano un po’ troppo la sua vecchia vita, anche se erano passati tanti anni. Scosse la testa per scacciare quei pensieri, e continuò a muoversi tra la folla nel modo più disinvolto possibile.

Non era più abituato ad essere così scoperto e al fatto che la gente gli vedesse addirittura il viso.

E il fatto di avere il volto scoperto non gli stava facilitando il compito di passare inosservato: molte donne lo guardavano con tanta insistenza che Damien, pur non essendo il tipo, non poteva fare a meno di sentirsi in imbarazzo. Non ricordava che la gente, un tempo, lo avesse trovato piacevole alla vista, perfino bello. Si era così assuefatto a tenere il cappuccio che aveva dimenticato come ci si sentisse ad essere guardati.

Provò a non pensarci, e tornò al suo lavoro. Adesso che, paradossalmente, era meno riconoscibile rispetto a quando indossava l’abito che avrebbe dovuto renderlo irriconoscibile, avrebbe potuto rivolgersi direttamente a chi ne sapeva di più in città. Ovvero le guardie.

Si avvicinò a loro, e fu strano farlo senza estrarre la lama celata. Automaticamente strinse il pugno.

“Bonjour.” iniziò.

“Bonjour.” risposero le due guardie, quasi all’unisono.

Damien prese un respiro profondo. Si sentiva dannatamente scoperto e indifeso, ormai l’abito era diventata una protezione per lui.

“Posso chiedervi qualche informazione?” proseguì “Sono un mercante e dovrei parlare con un certo Amedé Rogatien. Lo conoscete?”

“Un mercante, eh? E come ti chiami?” si insospettì uno di loro.

“Mi chiamo Jules Lefevre.” rispose prontamente Damien.

Sapeva che usare il nome di Christophe, legato all’ambito mercantile, gli avrebbe assicurato la fiducia e la piena collaborazione di chiunque. E infatti, l’espressione dei due uomini cambiò, diventando più amichevole.

“Ah sì, fai parte di una famiglia di mercanti molto rinomata. Cos’è che vuoi sapere precisamente riguardo a quell’ometto da quattro soldi?” chiese uno di loro.

Damien si disse che da come lo avevano appellato non dovesse essere un tipo che stava simpatico alla gente.

“Bhè, non c’è qualcosa in particolare che voglia sapere, ma devo incontrarlo e, essendo appena arrivato qui a Séverac, vorrei sapere dove abita di preciso.” rispose Damien, cercando di essere il più disinvolto possibile.

“Rogatien abita quasi nella zona più isolata del paese, in una piccola… ehm ‘casina’ se può essere chiamata così…” disse con disprezzo una guardia.

Casina la chiami? Sembra più una capannina! Avrebbe anche le possibilità di cambiare aria ma, a quanto pare, quel verme schifoso preferisce morire in quel buco soppresso dal suo stesso denaro che tra poco non gli entrerà neanche più nelle tasche!” scoppiò l’altra guardia.

“Non ti agitare troppo, Gustave! E non interrompermi più per favore! Quando inizio un discorso vorrei anche riuscire a finirlo se non ti dispiace.”

Damien stava lottando contro se stesso per non ridere: il comportamento delle guardie era sempre lo stesso, in ogni città. Non avrebbe saputo misurare il loro livello di stupidità.

“Dicevo, prima che qualcuno mi interrompesse… L’abitazione di Rogatien non dista molto da qui, è da quella parte.” e col dito indicò alla sua destra.

“D’accordo… Grazie, siete stati molto gentili.” disse Damien, anche se non voleva esagerare con la gentilezza, ma aveva bisogno di più informazioni, e forse mostrandosi garbato nei loro confronti, le avrebbe ottenute “Posso ripagarvi in qualche modo?” tentò, anche se non era molto sicuro di quello che stava facendo.

Una delle guardie allungò una mano per prendere le monete che Damien stava porgendo, ma il secondo soldato gli fermò il braccio.

“No. E’ nostro compito anche dare informazioni a chi non conosce bene il posto… Comunque mi sento in dovere di informarti che c’è un cattivo viavai di gente in quella casa. Non fanno altro che uscire e entrare brutti ceffi a intervalli regolari dalla mattina alla sera. Perciò, occhio!” rispose la guardia.

Damien se lo aspettava.

Non aveva dubbi che quei brutti ceffi non frequentassero Rogatien per buona compagnia. Erano di sicuro i mercenari che i Templari avevano messo a proteggerlo. Le sue supposizioni erano fondate.

“Vi ringrazio molto. Starò attento.”

Mosse qualche passo verso la direzione indicata dalla guardia. “Fareste bene a farlo anche voi.” aggiunse poi, voltandosi con un sorrisetto.

Le guardie si guardarono l’un l’altra con espressione interrogativa, e quando tornarono con gli occhi sulla strada, Jules Lefevre non c’era più.

 

21 Gennaio

Tutto era pronto per portare a termine il lavoro. Damien si trovava davanti al piano su cui viveva Amedé Rogatien, appostato sul tetto di una casa di fronte.

Era appena arrivato, ma non aveva intenzione di aspettare a lungo. Si sentiva di nuovo a suo agio nei suoi vestiti da Assassino, e aveva tutte le informazioni che gli servivano per fare quello che doveva fare, compresi i turni degli scagnozzi di guardia.

Sapeva che, di lì a un minuto, uno di loro se ne sarebbe andato, come faceva tutte le sere, a bere, lasciando da solo il compagno, e allora avrebbe agito.

Il ragazzo aspettò per l’intero minuto, ma quando questo terminò, non accadde nulla. L’Assassino attese un altro po’, ma nessuno uscì dalla soglia. Sembrava che con il suo arrivo fosse terminato anche il viavai.

Si disse che probabilmente lo scagnozzo non aveva sete, quella sera, oppure era andato via prima.

Ma non poteva fare a meno di sentire una certa inquietudine, che non riusciva a spiegarsi. L’ignorò e decise di agire, tanto in ogni caso uccidere una o entrambe le guardie non avrebbe fatto molta differenza.

Il ragazzo si disse che la manovra dei Templari di affibbiare sorveglianti alle personalità potenzialmente utili non funzionava granché.

E questo fu il suo ultimo pensiero prima che di alzarsi e attraversare il vuoto sottostante sul filo che si tendeva dal tetto della casa su cui stava a quella di Rogatien.

La camera del prezioso corriere aveva una finestra; Damien all’inizio aveva pensato di sfruttarla. Ma, come si era detto, sarebbe stato troppo facile. Infatti la finestra non si apriva se non dall’interno, e l’unico modo per passarci sarebbe stato forzarla. Ma il rumore avrebbe certamente svegliato tutti gli inquilini dell’edificio, comprese le guardie.

Perciò il ragazzo si era rassegnato a passare dalla porta.

Quindi, con molta cautela, per non farsi sentire ma anche per non farsi del male, iniziò a scendere lungo le pareti della palazzina, fino ad arrivare a terra.

Adesso però doveva pensare a un modo per entrare dalla porta senza fare troppo rumore: sicuramente anch’essa sarebbe stata ben serrata, ma gli avrebbe procurato meno seccature. Gli venne in mente che forse la lama celata si sarebbe rivelata utile anche in quella circostanza, che non richiedeva uccisioni, almeno per il momento.

Così si diresse verso la porta, ma all’improvviso sentì qualcosa di solido sotto i suoi piedi, e non più la soffice erbetta del piccolo giardino circostante. Abbassò lo sguardo, e notò che aveva pestato una mano.

Guardò meglio, e riconobbe il corpo privo di vita di uno dei due sorveglianti, forse quello che avrebbe dovuto lasciare l’abitazione qualche minuto prima. Damien si allarmò: non riusciva a capire cosa potesse essergli successo. Con una strana sensazione, si avvicinò alla porta, e si accorse che era già aperta. Questo non fece altro che alimentare le sue preoccupazioni. La spinse, e iniziò a percorrere lo stretto corridoio che portava ad una porta sulla destra e a una rampa di scale sulla sinistra.

Rogatien si trovava al piano di sopra, quindi svoltò a sinistra, e proseguì per la scalinata.

Arrivato in cima, vide a terra un cappello sporco di polvere. Poco più in là, si trovava colui che molto probabilmente ne era il proprietario: l’altro sorvegliante. Ma anche lui, era morto.

Dette uno sguardo molto veloce alla porta che collegava il corridoio alle stanze di Rogatien, quasi senza guardarla sul serio, e si accorse che anche quella era già aperta.

Ma che cazzo sta succedendo qui?!

L’Assassino aveva un brutto presentimento.

Si catapultò all’interno della stanza, appena in tempo per riuscire a vedere un lembo di quello che sembrava un lungo mantello nero intenso che velocemente scompariva dalla finestra che si trovava sulla parete di fronte a lui, ormai aperta.

La leggera luce della luna che filtrava nella stanza attraverso di essa gli fece notare anche una piuma che volteggiava nell’aria per via della brezza che proveniva da fuori.

Rapidamente, Damien raggiunse la finestra sperando che non fosse troppo tardi per riuscire a cogliere qualcosa in più del tizio che era fuggito da lì, ma ormai non c’era ombra di niente in movimento là fuori.

Si voltò, e si diresse verso il letto di Amedé Rogatien: si accorse subito che era morto. Il suo petto era immobile, non si sollevava per respirare, e i vestiti e i lenzuoli erano ricoperti di sangue. Osservò meglio, concentrandosi su ciò che era stato usato per togliere la vita a quell’ometto: riconobbe chiaramente il segno che la lama celata lasciava sul corpo delle persone una volta affondata ed estratta da esso.

Si disse che non c’era motivo di rimanere lì dell’altro tempo. Andò verso la finestra, e si ricordò della piuma di prima: la raccolse e la sistemò bene tra la vita e la cintura. Poi si accovacciò sul davanzale della finestra, si preparò, e balzò fuori nell’ombra.

Percorse il piccolo giardinetto fino alla strada principale, poi svoltò in uno stretto vicolo laterale e si diresse verso la casetta abbandonata che gli faceva da rifugio durante quei giorni.

Una volta varcata la soglia, si calò il cappuccio, si tolse mantello e stivali e si lasciò cadere su una sedia.

Non sapeva neanche lui come si sentisse. Era un misto tra frustrazione e rabbia, era come se qualcuno gli avesse rubato il suo ruolo di Assassino, il suo lavoro, e con una facilità esagerata.

Si perse profondamente nei suoi pensieri, come succedeva spesso d’altronde.

Era da tanti anni ormai che andava in giro per le città della Francia alla ricerca di persone da uccidere o semplicemente da rintracciare per ottenere qualcosa: inizialmente si trattava soltanto di piccoli uomini che sostanzialmente avevano compiuto atti di poca importanza, come ad esempio rubare un qualcosa di valore a qualcuno, oppure importunare le povere ragazze che si aggiravano per i mercati del paese per fare le loro compere giornaliere.

Ma quegli anni erano stati un po’ come un addestramento per lui: infatti, col passare del tempo, la cosa si era fatta molto più complicata e rischiosa. Aveva dovuto abituarsi al fatto che tutto intorno a lui esistessero delle persone molto pericolose che avrebbero potuto ostacolare la sicurezza e la libertà dell’intero paese.

Proprio come stava succedendo adesso con i Templari, e lui doveva concentrarsi su queste persone per ucciderle.

Era sempre riuscito a portare a termine i suoi obiettivi, cavandosela anche nelle situazioni più difficili, era sempre stato agile e prudente, aveva sempre saputo mettere in pratica gli insegnamenti che il suo Maestro gli aveva trasmesso.

E poi era arrivato quell’Assassino sconosciuto.

Da quando aveva visto quella maledetta ombra bianca in Provence, sembrava che le cose fossero peggiorate. Sembrava che lui non fosse più capace di essere un Assassino.

No, non è colpa mia.

Non era lui che era cambiato, lui aveva fatto tutto quello che doveva fare, tutto quello che aveva sempre fatto prima di compiere un omicidio, dannazione!

Era quello sconosciuto che gli mandava all’aria tutti i piani, svolgendo l’ultima parte al posto suo. A lui toccava il ruolo che, in questo modo, diventava il  più noioso, ovvero quello di raccogliere informazioni a vuoto. Era tutto tempo perso, ore, giorni.

Ma la cosa che non riusciva davvero a capire era perché l’avesse preso di mira.

Che cosa diavolo ci faceva quella sera sul ponte in Provence? E come aveva fatto ad arrivare al momento giusto? E perché quando l’aveva chiamato, se n’era andato senza dire niente e senza neanche farsi ringraziare? E ancora, perché lo seguiva? Come faceva a sapere che lui quella notte sarebbe stato a Séverac per uccidere Amedé Rogatien? E la precisione del tempo con il quale lo aveva preceduto…

E poi si ricordò della piuma.

La prese, e tenendola stretta in fondo con due dita, iniziò a farla roteare davanti ai suoi occhi, osservandola.

Somigliava moltissimo alla sua: era lunga quasi metà braccio, di un bellissimo colore nero… Era stupenda.

Si chiese come mai anche quello sconosciuto portasse una piuma con sé. Sapeva che le aquile avevano un significato particolare per tutti gli Assassini, era stato così fin dai tempi più antichi, ma raramente le loro piume venivano indossate.

Lui credeva di essere addirittura l’unico a farlo, perché era stato Keras, il suo Maestro, a dirgli di portarla sempre con sé, anche perché lui era degno di essere un vero Assassino.

Quindi quello sconosciuto se ne andava anche in giro proprio come lui. Chissà se lo faceva perché era a conoscenza del significato o semplicemente tanto per essere alla moda.

Decise che non voleva più pensarci per quella notte, altrimenti sarebbe diventato matto.

Così si alzò, con una certa rabbia che ancora gli premeva contro il petto, e andò a dormire.

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…scusate! Scusateci davvero se questo capitolo è così noioso! Lo abbiamo scritto quando eravamo ancora all’inizio, e rileggendolo ci siamo rese conto che scrivevamo da schifo nel vero senso della parola! Per fortuna, avremo questo problema soltanto con un altro po’ di capitoli, poi noterete che la cosa si farà molto più interessante e, soprattutto, più piacevole da leggere.

Damien, Damien! Ma cosa faiiiii! Lascia stare quella povera ragazza che è Cécile! A quanto pare, ogni occasione è buona per provarci, eh? xD

Mmmmmh… Ma nel lavoro il nostro ragazzotto ha un po’ di problemi. Il mistero continua! Cosa sta succedendo? Povero Damien: si impegna tanto nel suo lavoro, e poi si vede rovinare tutto da uno sconosciuto antipatico vestito praticamente come lui. Il nostro Assassino dovrà scoprire di chi si tratta e quali sono le sue intenzioni ma, come ormai avrete capito, la prossima volta toccherà alla storia di Arnielle (lo sappiamo: forse anche questa cosa è odiosa, ma vi assicuriamo che tra un po’ i capitoli saranno lineari e non più alternati =D).

Non c’è da dire altro, a parte ringraziare i nostri recensitori ^.^

Yojimbo: Ovviamente tu non manchi mai nella lista dei nostri recensitori! Siamo contente che l’addestramento ti sia piaciuto, e la cosa ci rende ancora più soddisfatte perché ti assicuriamo che non è stato per niente facile scriverlo. Avevamo tutte le idee nella testa ma metterle per iscritto è stato un po’ problematico, anche perché dovevamo trovare un modo che riuscisse a non annoiare il lettore in una fase che comunque può non piacere a tutti, come l’addestramento. Con questo capitolo, iniziamo a conoscere un po’ meglio Risha, per quanto riguarda il carattere, almeno. Ovviamente, ci sarebbe molto da dire di lui ma… ogni cosa a suo tempo! Intanto però, ci fa piacere che tu stia iniziando a fare delle supposizioni sul personaggio, che è senz’altro uno dei nostri preferiti.  In quanto ai dialoghi epici… diciamo soltanto che potrai sbizzarrirti parecchio man mano che si va avanti (soprattutto con Damien ^.^).

Gufo_Tave: Grazie anche a te per aver recensito ^.^ Ti assicuriamo che i tuoi complimenti non sono per niente misera cosa, in quanto ci aiutano a credere sempre di più in noi stesse e a portare avanti questa storia impegnativa e piena di difficoltà (ogni tanto purtroppo ci scoraggiamo perché non sappiamo come spiegarci o come far tornare bene i fatti T.T). Tutti voi siete la nostra via di salvezza. Per quanto riguarda il personaggio di Arnielle, siamo contente che sia piaciuto anche a te. Ovviamente siamo ancora all’inizio, è probabile che col tempo ti diventerà più simpatica (o antipatica, chissà!) =D

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Capitolo 6
*** Scoperte ***


Francia, 1787

 

Risha si nascose velocemente dietro alla grossa impalcatura di legno, e attese qualche istante.

Si affacciò a guardare soltanto quando sentì i passi del suo obiettivo riprendere a strascicare sul lastricato del vicolo, e continuò a seguirlo a distanza, senza fare il minimo rumore.

Gli andò dietro per qualche altro minuto fino a che l’uomo si fermò, e Risha dovette fare altrettanto. Spiccò un salto e si aggrappò alla grondaia di un tetto, per poi issarsi su agilmente. Si accovacciò su un davanzale lontano dalla luce dei lampioni, lo sguardo fisso a terra, e attese.

Il sole era calato, e non c’era molta gente che passava per la piccola piazza. L’uomo che stava seguendo si era appoggiato alla fontana nel suo centro esatto, e si guardava intorno con aria nervosa.

Poco dopo, un altro uomo si presentò sulla scena sottostante. La croce di rubini che aveva appuntata al bavero del mantello luccicò debolmente alla luce del lampione più vicino; Risha fece un sorrisetto carico di sdegno. E di promesse.

L’altro uomo si avvicinò al nuovo arrivato continuando a guardarsi furtivamente attorno. Non vide niente neanche quando i suoi occhi passarono sul balcone appena sopra di lui. L’istante dopo, la conversazione tra Templari stava iniziando.

I due uomini sussurravano, ma non c’era sillaba che Risha, dall’alto, non riuscisse ad udire.

“Ecco il tuo denaro. Come puoi vedere, te l’ho riportato sano e salvo. Il tuo trafficante d’armi non era molto disposto a restituirci i soldi con cui avevamo pagato le sue merci, all’inizio. Ma non è stato molto difficile convincerlo, una volta ucciso.” disse il primo, consegnando un grosso sacchetto nelle mani dell’altro.

“Sì, sì, non c’è bisogno di fare tante storie. Piuttosto, sei riuscito a scoprire qualcosa riguardo a quella questione?” chiese il secondo.

“Sei impazzito? Anche se sapessi qualcosa non te ne metterei al corrente qui e adesso!” rispose il primo uomo, indignato.

“Di cosa hai paura?” fece l’altro, sprezzante.

“Sai benissimo che sono cose di cui non possiamo parlare in mezzo alla gente! Che cosa accadrebbe se qualcuno ci sentisse? Manderemmo all’aria il piano!” si agitò l’altro Templare, guardandosi ansiosamente attorno, di nuovo.

“Sta’ tranquillo, anche se ci sentissero siamo più di loro, e meglio armati. E’ una battaglia già vinta. Non corriamo alcun pericolo.” lo rassicurò il secondo uomo, sempre con la solita aria sprezzante.

“Bhè…” mormorò il primo, avvicinandosi ancora di più all’altro “Ho sentito dire che il Discendente ha preso con sé un allievo, per farlo diventare tale e quale a lui.”

A quelle parole, Risha si sentì raggelare. Il Discendente era il nome con cui veniva chiamato dai Templari. E l’allievo dunque non poteva che essere…

Arnielle.

“Il fatto però” continuò il Templare “E’ che non sappiamo chi sia. Né quanti anni abbia, o dove viva. Una cosa però è certa: se quel ragazzo completa la sua istruzione, avremo dei gravi problemi.”

“Chiunque sia, non sarà difficile trovarlo. So che il Gran Maestro gli ha sguinzagliato dietro i migliori di noi. Non farà neanche in tempo a ricevere la sua lama celata che sarà già sotto terra.”

“Lo spero. Non so come faremmo ad avere a che fare con un altro Assassino. Già il primo ci sta dando del filo da torcere, si sposta ad una velocità impressionante di regione in regione, neanche fossero in due…”

“Già…” riprese il secondo uomo “Comunque sia, dopodomani avremo di che discuterne, a Fréjus. Mi chiedo sempre perché diavolo dobbiamo incontrarci in quella catacomba lugubre sotto la cattedrale.”

“Vuoi stare zitto, idiota? Non credi di avere detto troppo?” si scaldò l’altro “Se qualcuno ci avesse…”

Ma non ebbe il tempo di dire altro.

Risha si lanciò dal davanzale, facendo scattare entrambe le lame celate e atterrò su di loro, affondandogliele nella carne.

I due uomini non emisero un gemito, mentre le poche persone che continuavano a passare corsero via urlando spaventate.

Risha le ignorò e ritrasse con violenza le lame dentro gli antibracci. Serrò i denti, furioso e fremente come non mai, e si allontanò dai due corpi mentre rabbia e inquietudine si impadronivano di lui.

Sapeva che cominciare ad addestrare quella ragazza sarebbe stato rischioso. Non solo se l’aspettava, ne era sicuro. Dopotutto, quasi tutti sapevano delle straordinarie abilità di Arnielle. Prima di trovare nell’omicidio la sua vocazione, la bambina era stata costretta a usare le sue doti per rubare. All’inizio si limitava soltanto al cibo, poi aveva imparato che era molto più facile e redditizio sfilare il denaro direttamente dalle tasche degli ignari passanti.

Risha si rivide davanti agli occhi quella mocciosetta tutta ossa che si faceva strada quasi invisibile in mezzo alla folla, sfiorando casualmente le persone che le passavano accanto, e depredandole di ogni bene che si portavano appresso.

Sapeva che sarebbe stato rischioso addestrarla.

E l’aveva fatto lo stesso. L’aveva messa in pericolo.

Strinse i pugni, e accelerò il passo. Svoltò in una stradina senza uscita, e si diresse sempre più veloce verso la solida parete.

Quando chiunque avrebbe scommesso che sarebbe andato a sbatterci contro, Risha iniziò ad arrampicarsi rapidamente sul muro, per poi ritrovarsi sul tetto di un edificio. Prese a correre su di esso fino a quando non finì, dopodichè si gettò nel vuoto e si aggrappò all’asta di un lampione che sporgeva da una parete.

Lo slancio della corsa gli dette abbastanza spinta per saltare a quello successivo, e infine su una piccola terrazza poco in alto. A quel punto indietreggiò di qualche passo, e poi ricominciò a correre verso un vaso d’argilla che pendeva dal tetto. Lo afferrò e lo usò come perno per ruotare attorno all’angolo della casa, e si ritrovò in bilico su un’asse di legno.

Riacquistò l’equilibrio, e calcolò brevemente la distanza che lo separava dagli edifici di fronte a lui. Saltò con estrema agilità e si aggrappò al telaio di una finestra. Continuò la sua scalata fino a raggiungere la cima e finalmente vide la sua destinazione. Il palazzo era leggermente più alto di quelli che gli stavano intorno, e le finestre ancora illuminate contrastavano con l’oscurità circostante.

Risha prese nuovamente la rincorsa per effettuare una breve serie di salti, finché non giunse proprio sul davanzale della finestra più alta, aperta.

La stanza era gremita di persone: c’era un numeroso gruppo che guardava e commentava ridendo due che giocavano a dadi, altri riuniti attorno a un tavolo che controllavano allegramente il bottino della giornata, mentre una piccola parte era immersa in una discussione concitata sui progetti per il giorno successivo. Nonostante l’atmosfera fosse calda e vivace, in quel momento Risha, nel vederli, non provò altro che un violento fastidio. Scivolò all’interno della stanza.

“Jacques.” chiamò con voce autoritaria e monocorde.

In un attimo il silenzio scese nella stanza. Tutti rimasero immobilizzati nella posizione in cui erano, con lo sguardo fisso su Risha.

L’Assassino li ignorò, e rivolse gli occhi verso il gruppo meno numeroso.

“Accoglienza un po’ freddina per un vecchio amico.” disse un uomo non molto alto e dall’aspetto agile, vestito con abiti sontuosi ma estremamente sudici. Aveva i capelli biondi coperti da una bandana, e un vistoso orecchino all’orecchio sinistro.

Jacques si alzò in piedi, rivolse i suoi grandi occhi azzurri verso il resto degli astanti e disse: “D’accordo ragazzi, adesso andate tutti di sotto, continuerete a divertirvi lì. E non fate troppo tardi, vi ricordo che domani ci aspetta un colpo importante.”

Tutti i ladri obbedirono, rivolgendo rispettosi e amichevoli saluti sia a lui che a Risha prima di uscire. Soltanto quando l’ultimo ebbe chiuso la porta dietro di sé, Jacques si avvicinò all’Assassino e lo strinse in un caloroso abbraccio.

“Cosa c’è che non va, vecchia canaglia?” gli chiese poi con aria preoccupata.

Risha si stupì. “Hai uno spirito d’osservazione più acuto di quanto mi ricordassi.” commentò non riuscendo a trattenere un sorriso, anche se un po’ tirato.

“Bhè, dopo che conosci da tanto tempo una persona, non ci vuole molto. E poi, quando sei preoccupato ti vengono sempre quelle rughe sulla fronte…” disse il ladro, con un sorrisetto sarcastico.

Risha si calò il cappuccio e gli lanciò un’occhiataccia. “Dovresti coprirtela tu la faccia un po’ più spesso. La gente avrebbe meno voglia di prenderti a schiaffi.”

Jacques rise. “Sono contento di vedere che in fondo sei sempre lo stesso.” sospirò, e si stravaccò sul divano più vicino, appoggiando i piedi sul tavolo.

“Allora.” fece poi “Cosa ti porta qui dopo tanto tempo? Quant’è passato? Cinque mesi, vero? Potrei prendermela per il fatto che vieni qui soltanto quando hai bisogno di me.”

Risha fece un grande sforzo di volontà per riuscire a sedersi. “Evita di prendertela, perché ho davvero bisogno di te.”

Udendo il suono preoccupato e cupo della sua voce, l’amico aggrottò le sopracciglia chiare, e si fece più serio. “Scusami. Coraggio, dimmi cos’è che ti turba.”

“Stasera, mentre ascoltavo una conversazione tra due Templari, sono venuto a sapere che quei bastardi stanno conducendo delle indagini su uno dei miei allievi. Hanno scoperto che sono tornato  in Francia, e pensano che abbia cominciato ad addestrare giovani Assassini. Non hanno del tutto torto, a dire il vero.” gli spiegò Risha, in tono grave.

Jacques tolse i piedi dal tavolo e lo guardò intensamente. “Allora è così? Hai davvero deciso di farlo? Di addestrarla?”

L’Assassino annuì. “Non ho avuto scelta. Aveva già cominciato da sola… E stava prendendo una brutta strada.”

“Capisco… E immagino che adesso tu voglia proteggerla.” disse il ladro.

“Esatto.” asserì Risha “Per questo ho bisogno del tuo aiuto. So dove si riuniscono i Templari; si ritrovano in una catacomba sotto la cattedrale di Fréjus; da tempo sospettavo che fosse in mano loro. So anche che dopodomani, si terrà una delle loro riunioni, e io ho intenzione di andare ad ascoltare tutto ciò che avranno da dirsi.”

Jacques era sinceramente ammirato. “Bel colpo! Così potrai anche raccogliere informazioni per i grandi capi.” annuì “E fino a qui non ho niente da dire. Ma io cosa c’entro in tutto questo?”

“Ci stavo giusto arrivando. Se voglio essere presente a quell’incontro, è necessario che io parta subito, questa notte stessa. Starò via per qualche giorno, quindi non potrò seguire Arnielle nel suo addestramento… E non ho neanche modo di farle sapere della mia assenza.” disse Risha.

“Bhè, di quella si accorgerà non appena non ti vedrà arrivare.” disse Jacques “Ma, sinceramente, non penso che tu mi stia chiedendo aiuto soltanto per farle sapere che non ci sarai.”

Risha storse il naso, visto che aveva detto una cosa talmente ovvia. “A volte riesci ad essere davvero perspicace, sai?”

“Si, a volte succede. Dai, dove vuoi arrivare?” gli chiese l’amico.

“Dovrai farmi un favore enorme, Jacques… Vorrei che in questi giorni tu tenessi d’occhio Arnielle per sicurezza, in ogni istante, finché non sarò tornato. Non voglio lasciarla da sola, non in questo momento; se i Templari hanno già scoperto di lei, potrebbe essere in grave pericolo. So che tu puoi proteggerla, e ti chiedo di farlo, come amico. Ci troviamo tutte le mattine alle nove e mezza alla vecchia cascina in mezzo al bosco appena fuori città, quella abbandonata. Da lì, potrai seguirla fino a casa sua. Non farti vedere, non l’apprezzerebbe.” disse con molta serietà Risha.

Jacques trattenne il respiro. L’Assassino vide tutti i suoi muscoli irrigidirsi. “Stai dicendo sul serio?” chiese, a mezza voce “Davvero vuoi che io mi occupi di lei mentre tu sarai a Fréjus?” continuò sbalordito.

“Si.” rispose semplicemente l’Assassino, con convinzione.

Jacques era chiaramente preoccupato.

Risha glielo lesse in faccia, così aggiunse, grave: “Senti, so che ti sto chiedendo molto ma, ti prego, fallo. E’ davvero importante per me.”

Proprio in quel momento, la porta della stanza si aprì violentemente, e sulla soglia si presentò un ragazzo che avrà avuto meno di trent’anni, moro, magro e anche lui vestito similmente a Jacques.

Teneva un braccio alzato per sventolare nell’aria un enorme medaglione dorato di fattura aristocratica, e urlava: “Capo! Sono riuscito a rubare un…” ma si bloccò non appena vide le espressioni serie degli altri due.

“Mathias.” affermò Jacques, con voce monocorde.

“Ehm… Scusate! Me ne vado!” disse Mathias, e subito, mortificato, si richiuse la porta alle spalle.

L’Assassino e il ladro ripresero la loro conversazione come se niente fosse accaduto.

“E’ proprio per questo che sono nervoso. Se dovesse accaderle qualcosa, non me lo perdoneresti mai, e non voglio che questo succeda.” gli confessò l’amico.

Risha si alzò con un sospiro, e gli mise una mano sulla spalla. “Se lo sto chiedendo a te, c’è un motivo. So che non mi deluderai. Sei l’unica persona di cui possa fidarmi veramente, qui, Jacques.” lo rassicurò lui.

“D’accordo…” disse il ladro, che ora sembrava un po’ più deciso. Anche lui si alzò.

“Ah, dimenticavo… Quando parlerai con lei, dalle spiegazioni sulla mia assenza, dille che tornerò tra non molto e che sono occupato con i Templari, su di loro sa già tante cose, ma mi raccomando, non dirle il vero motivo per cui mi trovo sulle loro tracce. Se non ti crede dille ‘la giustizia è soggettiva’. Lei capirà.” disse Risha, e poi si diresse verso la finestra aperta.

Jacques assunse un’espressione interrogativa. “Mi pareva di aver capito che non devo avere contatti con lei.”

“Tu tieni a mente ciò che ti ho detto.” fece l’Assassino, e scomparve nell’oscurità della notte.

 

Una ragazza correva a più non posso lungo quel sentiero stretto di campagna.

Arnielle era in ritardo anche quella mattina, lo sapeva. Sua madre era stata fuori tutta la notte, e lei aveva dovuto aspettare il suo rientro a casa prima di partire per andare ad allenarsi con Risha.

In più, Pepinot le aveva fatto perdere del tempo perché la sera prima si era fatto promettere di aiutarlo a cercare una cosa che per lui era tanto importante, e che aveva perso giocando nel campo. Lei non aveva saputo dire di no.

Si trattava di una vecchia punta di freccia, o forse semplicemente una pietra appuntita di forma triangolare. Era smussata, e in fondo non era niente più che una scheggia, ma il bambino la teneva come una reliquia.

“Quando non ci sei tu, li proteggo io gli altri!” aveva esclamato con la sua vocina infantile, e Arnielle non aveva potuto fare a meno di ridere.

Marie era tornata alle dieci del mattino, e la ragazza di solito aveva appuntamento col Maestro alle nove e mezza… Peccato che non riuscisse mai a rispettare l’orario.

Prima o poi, probabilmente, si sarebbe stancato di tutto quel susseguirsi di ritardi, e si sarebbe arrabbiato.

Quando Arnielle raggiunse la vecchia cascina, un po’ stanca e sudata, si aspettava di trovare Risha già preparato per l’allenamento, in piedi in mezzo al campo con le braccia incrociate e, sicuramente, con una battuta pronta riguardo al suo ennesimo ritardo.

E invece, ancora lui non c’era.

La ragazza si disse che forse aveva avuto qualche contrattempo: sapeva che era impegnato nei suoi affari, ma non sapeva con precisione che cosa riguardassero.

Decise di aspettare un po’; di sicuro in poco tempo sarebbe arrivato. Si mise sdraiata a terra, e si rilassò. Soltanto in quel momento si accorse della bellezza di quella mattinata di Giugno.

Tutto intorno a lei richiamava l’Estate: in alto, molto in alto, le si presentava davanti un’infinita distesa di cielo azzurro, con un grande sole cocente nel mezzo. Gli uccelli cinguettavano e rendevano l’aria ancora più tranquilla e serena, e un vento leggero faceva muovere delicatamente le cime degli alberi. Arnielle si sentiva bene.

Rimase ancora un po’ a godere di tutta quella piacevole atmosfera, ma Risha non arrivava, e doveva già essere passata un’ora da quando si era distesa sull’erba.

Era strano che non si fosse presentato; il Maestro non aveva mai saltato un allenamento.

Decise comunque di tornare a casa. Sarebbe stato inutile rimanere lì, e tanto lei e Risha si sarebbero visti il giorno dopo. Sperava.

Si alzò in piedi, e fece per imboccare la strada verso casa. Ma, prima, doveva sistemare colui che la stava osservando insistentemente da più di un’ora.

 

Jacques abbassò un momento lo sguardo a terra per raccogliere il suo berretto, e quando riposò gli occhi sul punto in cui si trovava Arnielle, non la vide più.

Cavolo. L’ho già persa di vista.

Era preoccupato; quanto gli ci sarebbe voluto ora per ritrovarla? Nel frattempo, le sarebbe potuto accadere qualsiasi cosa.

Improvvisamente, si sentì afferrare da dietro: il cappello ricadde a terra, e lui venne sbattuto contro il tronco di un albero.

Davanti a lui si presentò Arnielle, un’espressione di sfida disegnata sul volto e la mano destra che stringeva forte un pugnale. La sua punta premeva leggermente sul collo di Jacques.

Il ladro imprecò tra i denti. “Risha… Quando torna lo ammazzo.”

“Chi diavolo sei tu? E perché mi stavi osservando?” gli chiese con prepotenza la ragazza.

“Ti prego, non farmi del male, sono un amico del tuo Maestro!” si giustificò lui.

Arnielle assunse un’espressione meno cattiva, ma ancora non era del tutto convinta. “Ah sì? E ti aspetti che io ti creda? Dimostramelo.”

“Si fa chiamare Risha ed è stato lui a mandarmi fin qui… Ha avuto un problema ed è dovuto partire stanotte… Ti dispiacerebbe lasciarmi andare? Quel pugnale non mi piace per niente.” disse lui.

Non c’era che dire, quella ragazza assomigliava a Risha davvero tanto. Entrambi veloci, entrambi forti… Entrambi con la lama facile.

La ragazza lo lasciò andare, con aria diffidente, e senza azzardarsi a rinfoderare il pugnale.

Jacques si massaggiò una spalla e raccolse il suo berretto. “Mi è successa la stessa cosa la prima volta che ho incontrato Risha…”

“Sto ancora aspettando delle spiegazioni.” tagliò corto Arnielle, giocherellando minacciosa con il pugnale.

Jacques si affrettò ad esaudirla. “Bhè, mi ha detto di riferirti che ha avuto delle grane con certi Templari. Perciò è dovuto partire, e non tornerà prima di domani notte.” ci pensò un attimo, e poi aggiunse “Mi ha detto di tenerti d’occhio. E che non ti sarebbe piaciuto.”

“Bhè, aveva ragione.” sbottò la ragazza “E adesso dammi un motivo per crederti, o niente frenerà la mia lama dalla tua gola. Chiunque avrebbe potuto inventarsi quello che hai detto.”

Jacques deglutì.

Gli somiglia proprio.

“Ehm… Come accidenti aveva detto?” fece nervoso, cercando di ricordare “Qualcosa tipo… la soggettività è giusta… No aspetta… il soggetto è la giustizia… Oh, accidenti alla mia fottutissima memoria!” si innervosì, grattandosi la testa.

La ragazza intanto lo fissava con le braccia incrociate, impaziente.

Jacques si batté una manata sulla fronte. “La giustizia è soggettiva! Ecco com’era! Non ho idea di cosa diavolo significhi precisamente, ma devo dire che sono d’accordo!”

Un lampo di comprensione passò immediatamente sul viso di Arnielle, che abbassò le braccia e rinfoderò il pugnale.

“D’accordo, mi fido.” disse decisa “Chiunque tu sia…”

“Jacques” la interruppe il ladro.

“Chiunque tu sia, Jacques,” proseguì lei “Adesso io me ne torno a casa, e non ti azzardare a seguirmi.” lo avvisò  prima di voltarsi e fare per andarsene.

“Aspetta!” la bloccò Jacques “Non c’è bisogno che tu te ne vada! Anche se Risha non c’è, non vuol dire che tu non possa allenarti. Io e i miei compagni possiamo darti una mano.”

“I tuoi compagni?” fece Arnielle, girandosi di nuovo verso di lui “Si può sapere chi diavolo sei?”

“Jacques… Te l’ho già detto.” le ricordò ironicamente lui “Nonché capo della Gilda dei Ladri.”

La ragazza spalancò gli occhi. “Esiste una Gilda di ladri?”

“Eh sì… E sappiamo molto di te, sai? Ci hai fatto un po’ di concorrenza fino a qualche anno fa.” le sorrise “Vuoi conoscerla?”

A quel punto anche lei dischiuse le labbra in un sorriso. “L’ho già sentita questa frase.”

 

Fréjus, Francia, 1787

Il giorno dopo...

Fréjus era una città piccola e tranquilla. Le case erano semplici ma graziose, e le stradine abbastanza strette. Nel mezzo c’era una piazza sulla quale si ergeva una grossa cattedrale.

Risha si trovava in quella piazza, nascosto dietro a un muro, in attesa dell’arrivo di qualche Templare da seguire.

Non aveva idea di dove si trovasse precisamente il luogo in cui si riunivano, o come arrivarci: la cattedrale non era piccola e di sicuro i suoi sotterranei erano ancora più estesi.

Aspettava da quasi due ore; almeno dall’alba. Non sapeva con esattezza quando avrebbe avuto inizio la riunione, sperava soltanto che non fosse già cominciata.

Improvvisamente vide due uomini incappucciati avvicinarsi furtivamente all’ingresso della cattedrale.

Il suo sesto senso lo mise subito all’erta, così li seguì senza farsi vedere.

Quando si avvicinò un po’ di più notò che erano armati, e infine, distinse la croce di rubini appuntata al bavero del mantello.

I due uomini entrarono all’interno della cattedrale, e Risha si affrettò ad andare loro dietro.

Non fece in tempo ad entrare che imprecò, e si nascose dietro a una colonna.

Ci saranno state più di cinquanta guardie, tutte appostate davanti all’altare; non voleva immaginare quante altre si trovassero nei corridoi che portavano alle catacombe.

Era troppo bello per essere vero.

Quindi si disse che avrebbe dovuto trovare un’altra via.

Si arrampicò faticosamente su per la colonna, fino ad arrivare all’altezza di una finestra aperta. Saltò, e si ritrovò all’esterno, appeso come un baccalà al telaio. Fece una smorfia, ringraziando che Jacques non fosse lì a vederlo.

Alzò lo sguardo in alto, e vide il tetto sporgere sopra la sua testa, ma troppo lontano per toccarlo. Così prese un respiro profondo, appoggiò bene i piedi sulla struttura di pietra della finestra, si dette una forte spinta, e si lasciò andare. Lo slancio dato dalle sue gambe lo fece salire; allungò il braccio destro, e appena prima di ricadere, afferrò con fermezza la porzione di tetto che sporgeva.

Poi, ormai sicuro, si aggrappò anche con l’altro braccio, fece forza con gli addominali e si tirò su.

A quel punto, si mise a camminare intorno al campanile, e lo studiò. Non trovando niente di interessante, decise di arrampicarsi ancora. C’erano due finestre abbastanza facili da scalare, per raggiungere l’alloggiamento delle campane. Sicuramente lì avrebbe trovato un’entrata.

Così, iniziò ad arrampicarsi sul muro; afferrò il davanzale della finestra più bassa, e prese a scalare la torre senza difficoltà.

Alla seconda finestra compì un nuovo salto ascensionale e si ritrovò sulla cima. Proprio in quel momento, l’orologio rintoccò le sette del mattino.

Oggi qualcuno vuole proprio farmi scoprire, pensò Risha, con un sorriso sarcastico.

Si guardò intorno, in piedi sul parapetto.

Quando il secondo rintocco risuonò nell’aria, l’Assassino era già sparito.

 

La stanza era vicina. Michel continuò a camminare, sbuffando per il caldo. Odiava dover indossare quel mantello pesante anche in estate, sudava come un maiale.  

Ma d’altra parte, chi voleva essere riconosciuto dai confratelli?

Ognuno di loro poteva tradire; venire a sgozzarti nel pieno della notte, senza che tu avessi il tempo di difenderti…

Ovviamente, più o meno tutti sapevano che facce e che nomi si celassero dietro i cappucci. Soprattutto per quanto riguardava le personalità di spicco.

Michel si ricordava bene che, l’unica volta che l’aveva visto, il Gran Maestro si era presentato col viso scoperto.

Il Templare ricordava bene l’adorazione e il timore reverenziale provato nel vedere l’uomo più importante del mondo, quasi l’emanazione di Dio in Terra. Quasi tutti, quel giorno, per rispetto e trasporto, l’avevano imitato, calandosi i cappucci.

Non Michel, però. Non era abbastanza importante da essere conosciuto, ma abbastanza da guadagnare un bel po’ di vantaggi economici dalla sua appartenenza alla loggia.

L’uomo oltrepassò l’area sorvegliata ed arrivò nell’assolato chiostro della cattedrale. Prima di attraversarlo si guardò di nuovo intorno, le sopracciglia aggrottate.

Aveva la spiacevole sensazione che qualcuno lo stesse osservando. Passò gli occhi su ogni più piccola pietra del chiostro, soffermandosi in particolare sull’ombra che il sole, ancora basso sull’est, lasciava dietro il porticato che circondava il giardino interno.

Dopo un po’, fu certo di essere solo. A quel punto, più tranquillo, si avvicinò al pozzo di pietra al centro del chiostro, e tirò una minuscola leva, praticamente invisibile, appena sotto il bordo.

Immediatamente, a poca distanza dai suoi piedi, una mattonella scorse all’interno del pavimento, rivelando una scala incredibilmente ripida che scendeva in profondità.

Dopo essersi guardato intorno un’ultima volta, la imboccò di soppiatto, strizzando gli occhi per riuscire a percepire la luce tremolante delle torce ai suoi piedi.

Poco dopo, la botola si richiuse con un pesante tonfo.

Ma non prima che qualcun altro fosse riuscito a scivolarvi dentro.

 

“Ce ne hai messo di tempo ad arrivare.” disse un Templare con aria scontrosa.

“Sì, mi sono dovuto assicurare che nessuno mi stesse seguendo.” rispose il tizio che Risha aveva seguito.

Aveva visitato altre catacombe in passato, e tutte quante gli avevano messo una certa angoscia addosso, ma quelle, ebbe modo di appurare l’Assassino, erano davvero lugubri. Dopo aver seguito il Templare per stretti cunicoli illuminati da torce, che incrementavano a dismisura la calura estiva, si erano ritrovati in un’ampissima stanza circolare.

Tutto intorno alla sala c’erano degli scranni di pietra, e nel mezzo un grosso braciere che distribuiva per il locale una luce calda e danzante. Davanti ad esso c’era un seggio più grande degli altri, e uno delle stesse dimensioni spiccava dalla parte opposta della sala. Un terzo e un quarto, infine, erano sulla linea perpendicolare a quella che univa i primi due.

Nonostante la stanza fosse circolare, pensò Risha, era evidente che tra Templari non erano affatto tutti uguali; c’era anzi una rigida gerarchia.

La disposizione degli scranni più alti, insieme al braciere, ricordava la struttura di una croce.

“Manca qualcuno?” chiese uno degli uomini incappucciati seduti intorno alla sala, rivolgendosi a tutti i presenti, mentre Risha saliva a nascondersi su una delle ampie balconate che si attorcigliavano attorno alle pareti.

L’Assassino non poté fare a meno di pensare che si era infiltrato in uno dei luoghi più segreti dei Templari.

“Mi pare di sì.” rispose un altro uomo.

“No.” s’intromise qualcun altro “Mancano Roger e Victor… Che fine hanno fatto?”

A quel punto Risha non riuscì a trattenere un ghigno.

“Forse sono in ritardo.” tentò uno dei Templari.

“Ma sono sempre stati puntuali.” contestò un altro.

In quel momento una voce possente superò tutte le altre. “Roger e Victor non verranno.”

Risha spostò lo sguardo verso l’origine del rumore. Un uomo alto e dall’aspetto ben piazzato aveva appena fatto il suo ingresso nella stanza.

Immediatamente, tutti i Templari presero a mormorare con i vicini, mentre l’uomo si dirigeva verso l’ultimo scranno più alto rimasto libero, quello di fronte a Risha.

Automaticamente, l’Assassino sprofondò ancora di più nell’ombra.

“Che cosa significa, Gonfaloniere? E’ successo loro qualcosa?” chiese qualcuno che Risha non vide, con lo sguardo ancora fisso su uno dei più importanti Templari di Francia.

Il Gonfaloniere si sedette, ed attese qualche istante, prima di dire: “I fratelli Roger e Victor sono stati ritrovati morti l'altro ieri, nella piazza di un piccolo paese della Provence.”

Risha sentì altri mormorii concitati levarsi dalla sala. Qualcuno esclamò:

“Morti? E come?”

“Sono stati uccisi.” rispose il Gonfaloniere senza ombra d’emozione “Trafitti da una lama celata.”

I mormorii ripresero più intensi. Risha strinse istintivamente i pugni attorno agli alloggiamenti delle sue lame.

Era così preso dalla rabbia che aveva dimenticato di nascondere i corpi.

“Roger doveva aggiornarci sulle sue indagini riguardo all’allievo del Discendente!” fece un Templare proprio sotto la balconata su cui stava nascosto l’Assassino, con enfasi “Adesso non possiamo sapere se le voci che abbiamo sentito siano vere o false.”

“Ti sbagli.” lo raggelò il Gonfaloniere.

Nella stanza scese il silenzio.

“Innanzi tutto, l’omicidio di Roger è stato provvidenziale” disse, mentre un freddo innaturale sembrava calare sugli astanti. Nessuno si azzardò a replicare. “Per confermare le nostre ipotesi. Se il Discendente si è preso la briga di ucciderlo, significa che considerava pericoloso ciò che aveva scoperto. Questo ci porta a concludere che, senza ombra di dubbio, l’Assassino ha davvero preso con sé un allievo.”

Tutti i Templari ripresero a bisbigliare tra di loro; probabilmente approvavano le parole del Gonfaloniere, e, suo malgrado, anche Risha dovette farlo. Aveva agito in quel modo contro quei due Templari sicuramente per quello che erano, ma soprattutto per il pericolo che rappresentavano per Arnielle, e perché quelle informazioni dovevano andare perse.

Risha si maledisse. Nonostante tutti i suoi anni d’esperienza, ancora non aveva imparato a rimanere lucido; quando si infuriava perdeva la testa e agiva d’impulso, senza pensare alle conseguenze.

E adesso aveva messo Arnielle in pericolo più di quanto non sarebbe stata se avesse lasciato  semplicemente correre.

“Silenzio, per favore.”

Il Gonfaloniere richiamò all’ordine gli altri Templari. “Come ormai sapete bene, quando voglio raggiungere un obiettivo, qualsiasi esso sia, sono disposto a tutto, ed esigo di arrivare fino in fondo, sempre. Credo che sia la stessa cosa anche per tutti voi. Ma per farlo, occorre inoltre conoscere quali siano i rischi che le azioni che compiamo comporteranno, e quanto esse siano pericolose.”

I suoi compagni tacevano, immobili, come soggiogati da un incantesimo.

“Per questo, sapendo con chi abbiamo a che fare, ho voluto essere il più discreto possibile in questa circostanza. Non sono uno stupido. Sospettavo che il Discendente si sarebbe messo sulle nostre tracce, ancora più di quanto non facesse prima, dopo essere venuto a conoscenza del fatto che stiamo indagando su un suo allievo, ovvero una cosa preziosa per lui. Perciò, non ho affidato il compito di svolgere indagini soltanto a Roger, ma anche a Blaise e Fabien.”

Risha, dall’alto, assunse un’espressione un po’ preoccupata, ma dentro di sé era abbastanza calmo, almeno per il momento.

Se lo aspettava. I Templari erano dei tipi piuttosto difficili da contrastare, e avevano quasi sempre delle riserve nell’eventualità che qualcosa nei loro piani andasse storto.

Il Gonfaloniere riprese. “Di solito siete molto precisi nello svolgere gli ordini che vi vengono assegnati. Sono sicuro che anche stavolta avrete delle novità interessanti per me.”

A quel punto fra le mura della sala circolare risuonò un’altra voce, che giungeva nuova a Risha. Non riusciva a vedere chi stesse parlando, probabilmente era uno dei tanti uomini che si trovavano sotto la balconata dove si era nascosto.

“Certamente, Gonfaloniere. Stavo soltanto aspettando il permesso di parlare. Io e Blaise abbiamo agito separatamente, abbiamo creduto che fosse meglio così, per non dare troppo nell’occhio. Abbiamo passato intere giornate aggirandoci per i vicoli di mezza Provence e…” ma venne interrotto da un’altra voce, anch’essa nuova.

“Arriva al dunque, Fabien. Non sono queste le cose che interessano al Gonfaloniere! Signore…” disse poi, rivolgendosi a lui “Abbiamo visto qualcuno di sospetto aggirarsi di notte proprio intorno alla zona dove sono stati trovati morti i nostri sfortunati compagni Roger e Victor. Si muove con estrema agilità per le strade, ma anche per i tetti delle case, e compie dei salti incredibili… Inizialmente, abbiamo pensato entrambi che fosse il Discendente; le movenze erano troppo somiglianti alle sue, ma poi concentrandoci attentamente sul misterioso individuo ci siamo resi conto che si trattava di una figura femminile.” concluse.

A Risha per poco non venne un malore. Ma com’era possibile che Arnielle si aggirasse tranquillamente per il paesino e per i tetti delle case in piena notte? E non glielo aveva mai detto.

Sciagurata. Quando torno mi sente.

Sapeva che non lo aveva fatto apposta; probabilmente aveva soltanto voluto provare le abilità da lei acquisite in quei mesi in luoghi diversi dal solito campo di addestramento. Voleva testare se sarebbe stata capace di metterle in pratica anche in mezzo alla gente.

Ma Risha doveva assolutamente sgridarla per la sua condotta inconsciamente irresponsabile: se solo avesse saputo in che guai si era cacciata…

Decise di non pensarci lì, in quel luogo lugubre infestato di Templari, anche se era difficile. Tornò a concentrarsi sul colloquio che stava continuando ininterrotto tra i suoi più acerrimi nemici, e sui brusii che quelle ultime parole avevano originato.

“Devo ammettere che non me l’aspettavo, ma non c’è da stupirsi più di tanto. Il Discendente ha avuto modo di sorprenderci già molte volte in passato.” disse il Gonfaloniere con un tono carico di un certo odio, e contemporaneamente tutti gli astanti nella sala tacquero “E’ tutto quello che siete riusciti a scoprire, per il momento?” chiese ai due uomini chiamati Blaise e Fabien.

“Si, Gonfaloniere.” rispose uno dei due “Ma siamo pronti ad effettuare altre ricerche, se lo desiderate.”

“Allora fate bene ad esserlo, perché ho dei nuovi compiti da assegnarvi. Ci siete stati davvero utili. Però non basta; adesso vi chiedo di entrare nel dettaglio, ci occorrono informazioni più precise. Altrimenti non potremo agire, e dobbiamo farlo al più presto.”

Risha dall’alto si chiedeva cosa diavolo avessero in mente quei bastardi per Arnielle anche se, sfortunatamente, già lo sospettava.

Improvvisamente, nel suo cuore sentì l’odio e la rabbia bruciare come fuoco, e gli era venuta voglia di uccidere come non gli era mai successo in tutta la sua vita.

“Adesso passiamo a discutere di altri argomenti.” disse il Gonfaloniere.

 

“Trattenere la lama dalla carne degli innocenti. Nascondersi alla vista. Mai compromettere la Confraternita. Questo è il Credo dell’Assassino.”

Risha camminava avanti e indietro a passo svelto, con le braccia dietro la schiena nell’aia della vecchia cascina.

Arnielle era seduta a terra a gambe incrociate di fronte a lui, e ascoltava con attenzione, rapita.

Risha si fermò davanti a lei, e le puntò un dito contro. “Non sei ancora un’Assassina e hai già infranto il secondo principio. Complimenti.” le disse con aria seria.

Arnielle inizialmente non capì a cosa si riferisse. Poi pensò alle sue passeggiate notturne. Spalancò gli occhi, sbigottita, e sbiancò.

Come accidenti ha fatto a scoprirlo?

Abbassò lo sguardo, sentendosi colta in fallo, e anche abbastanza in colpa. “Tecnicamente, io non sapevo che esistesse un Credo dell’Assassino, perciò non è che…”

“Non ci provare.” la interruppe Risha “Quello che hai fatto è molto grave. E non ci sono tecnicamente che possano alleviare la tua colpa!”

Arnielle si sentiva malissimo. Provò a giustificarsi. “Chiedo scusa per quello che ho fatto, ma io volevo soltanto allenarmi. Non pensavo che qualcuno stesse guardando, e comunque non è la prima volta che mi vedono andare in giro per i tetti…”

“Sì, ma adesso ti muovi come un’Assassina! E se non presti attenzione, con il tuo atteggiamento potresti infrangere anche il terzo principio. E non occorro io per dirti che sarebbe la violazione più grave!” proseguì Risha, furioso.

Era la prima volta che Arnielle lo vedeva tanto arrabbiato, e che la sgridava così. La cosa non le piacque per niente.

“Mi dispiace. Davvero. Prometto che non succederà più.” mormorò, mortificata.

Le spalle di Risha si rilassarono, e dalle sue labbra scure uscì un sospiro. “D’accordo. Prendo le tue parole sul serio.” riprese a camminare avanti e indietro di fronte a Arnielle, con più calma. “Ma fa’ attenzione. Verrà un momento in cui muoverti per i tetti in piena notte, e anche in pieno giorno, sarà inevitabile. Ma voglio che tu lo faccia con discrezione… E soprattutto, che tu mi avverta sempre di ciò che vuoi fare. Sempre.”

Arnielle annuì. “Sì, Maestro.”

Finita la predica, Risha riprese a spiegare. “Tornando a ciò che ti stavo dicendo prima, ti starai chiedendo perché ti parlo di tutto questo. La lezione di oggi non riguarda il combattimento e la pratica, ma qualcosa di molto più importante. Le cose che sto per raccontarti sono quelle che andranno a costituire la tua formazione di Assassina, ed è necessario che tu mi ascolti molto attentamente.”

Arnielle sentì che quello che stava per dirle sarebbe stato indispensabile per la persona che voleva diventare, e, fondamentalmente, per la sua vita. Perciò si concentrò sulle parole di Risha, e tagliò fuori tutto il resto.

“Come spero ricorderai bene, in uno dei nostri primi incontri ti parlai dei Templari e degli Assassini.

Ti spiegai chi sono, quali sono i loro obiettivi, e come agiscono. Ti dissi anche che queste due fazioni provenienti da un tempo ormai molto antico sono sempre state in aperto conflitto tra di loro… Ti ricordi il perché?” chiese alla ragazza.

Arnielle se lo ricordava perfettamente, quindi non ebbe grosse difficoltà a rispondere a quella domanda. “Entrambe avevano lo stesso obiettivo.” disse con semplicità “Tutte e due le fazioni volevano la pace, ma per raggiungere questo fine i Templari volevano prima conquistare il potere, e poi cambiare il mondo secondo i loro vantaggi, obbligando tutte le persone sotto il loro comando; secondo gli Assassini invece erano importanti la libertà, la libera scelta. Per questo si battevano contro di loro.” concluse Arnielle, lasciando Risha soddisfatto. Se ne accorse dal leggero sorriso che gli si disegnò sul volto.

“Esatto…” continuò lui “Ma non siamo mai entrati nel dettaglio. E’ necessario che tu sappia determinate cose, e quest’oggi ti insegnerò un po’ di storia.”

Arnielle si sistemò meglio sull’erba: circondò le gambe con le braccia e poi tornò a guardare Risha, aspettando che riprendesse a parlare.

“Ci sono stati molti Assassini in attività durante questi secoli, una buona parte di loro merita di essere ricordata, e si potrebbero raccontare molte storie a riguardo. Ma soltanto due sono riusciti a diventare un importante modello da seguire, per noi che veniamo dopo di loro. Sto parlando di due valorosi Assassini, i più grandi di tutti i tempi. Ritengo opportuno che tu venga a conoscenza delle imprese da loro portate a termine con coraggio, dedizione e capacità.”

Arnielle era presa dalle sue parole. L’argomento le interessava, e anche tanto.

Il Maestro si sedette di fronte a lei e poi prese a raccontare. “Il primo ha vissuto durante l’epoca delle Crociate, la terza per l’esattezza, un tempo molto lontano, dunque. Si chiamava Altaïr Ibn- La’ Ahad e viveva in Terra Santa, nel piccolo villaggio di Masyaf. Masyaf era la sede della confraternita degli Assassini; questi abitavano all’interno dell’imponente fortezza che si ergeva all’interno del villaggio, e a quei tempi, esisteva ancora una gerarchia fra di loro. Il sommo maestro era Al Mualim, e il suo obiettivo era quello di contrastare i piani dei Templari. A questo scopo, inviò tre dei suoi allievi più dotati al Tempio di Salomone, a Gerusalemme; i tre uomini in questione sono Altaïr, che era un Priore, ovvero apparteneva al rango più alto che un Assassino potesse raggiungere, Malik Al-Sayf e Kadar Al-Sayf, suo fratello minore, un po’ inesperto rispetto agli altri due. Era stato affidato loro l’importante compito di scoprire cosa avevano trovato i Templari sotto le rovine del Tempio, e di sottrarre l’oggetto al loro Gran Maestro, Robert de Sablé.” fece una breve pausa e poi riprese “Ma la missione non andò esattamente come il sommo maestro voleva. Altaïr infatti, ignorò i principi del Credo, forse perché essendo Priore credeva di poter scegliere da solo la via per raggiungere l’obiettivo che gli era stato posto, senza considerare quei valori che gli erano stati insegnati fin da piccolo per diventare un buon Assassino. E le conseguenze non furono per niente leggere; durante lo scontro diretto tra i tre Assassini e alcuni Templari, Altaïr venne messo subito fuori gioco, Robert de Sablé fuggì e Malik perse un braccio e il fratello, ma nonostante tutto riuscì a recuperare il misterioso oggetto e a consegnarlo ad Al Mualim.”

Arnielle aveva ascoltato la prima parte del racconto con immenso interesse, e desiderava che il Maestro continuasse a parlare. La sua curiosità stava prendendo il sopravvento: voleva assolutamente sapere che cosa diavolo fosse quel misterioso oggetto al quale Risha aveva accennato ben due volte in soli cinque minuti.

La domanda le uscì fuori dalla bocca quasi automaticamente. “Ma non si è mai saputo che cosa fosse questo misterioso oggetto in realtà?”

“Un manufatto dal valore inestimabile: lo ritrovarono dopo secoli di ricerche, nell’Arca dell’Alleanza.” rispose lentamente Risha.

Arnielle sgranò gli occhi. “E’… Stai parlando del Santo Graal?” domandò, non riuscendo a credere alle proprie orecchie.

Si sarebbe aspettata che Risha si mettesse a ridere e le dicesse che stava scherzando. Ma il volto del Maestro rimase incredibilmente e sorprendentemente serio.

“Puoi anche chiamarlo così. Ma sarebbe più corretto dire Frutto dell’Eden.” le rispose Risha con serietà.

Frutto dell’Eden?” fece Arnielle, sempre più stupita “Che nome curioso… Che cosa era precisamente questo cosiddetto Frutto dell’Eden?” chiese.

“Non che cosa era. Che cosa è.” precisò l’uomo “Esiste ancora, mia cara Arnielle. Il Frutto dell’Eden, o Mela dell’Eden, è un artefatto molto potente del quale i Templari hanno sempre cercato di avere il possesso per raggiungere i loro scopi personali. Si dice che risalga all’epoca di Adamo ed Eva, i primi due uomini a fare comparsa sulla Terra, per opera di Dio, e questo ce lo suggerisce il nome stesso, ma è soltanto un’ipotesi. E’ una sfera dorata con delle strane iscrizioni sulla sua superficie che, se attivata, emana una luce potentissima, e al suo interno racchiude un potere smisurato; è infatti in grado di controllare l’anima e la mente di chiunque lo contempli, anche se questo processo può essere più lento, per alcuni.”

Era serissimo. “Per questo, se si trova in mani sbagliate, può rappresentare un enorme pericolo per tutta l’umanità.” concluse.

Arnielle era rimasta conquistata da tutte le parole che le aveva detto il Maestro. “Un oggetto affascinante quanto pericoloso, mi pare di capire.” fece, con serietà “Comprendo la preoccupazione di quell’Al Mualim, o come si chiamava… Meno male che c’era lui; chissà cosa sarebbe successo se il Frutto dell’Eden fosse rimasto nelle mani dei Templari.” si domandò Arnielle, quasi sottovoce.

La ragazza rimase cinque secondi soprappensiero, poi guardò il Maestro, e solo in quel momento si accorse che la stava osservando. Sotto il suo cappuccio non doveva esserci un viso molto allegro; anzi sembrava che la ragazza avesse detto qualcosa di sbagliato. “Che ho detto di male?”

Risha si sistemò meglio a sedere, poi rispose: “Sono d’accordo con te quando dici che il Frutto dell’Eden racchiude in sé fascino e pericolo insieme e in ugual misura, ma non posso esserlo sulla parte che riguarda Al Mualim.” disse “Non credere che fosse una persona tanto onesta; anzi, era tutto il contrario di quello che sembrava.”

Arnielle amava le conversazioni col suo Maestro, ma stavolta non ci capiva più niente. Prima parlava del Santo Graal, poi nominava quel Frutto dell’Eden, e già queste non erano cose a cui era automatico credere.

Aveva mille domande in testa, e stava per porgliele, ma Risha dovette leggerle nel pensiero perché disse: “Comprendo la tua confusione; devo ancora raccontarti il seguito del racconto, la parte più importante, quindi fa’ attenzione.”

La ragazza si distese a terra per metà, poggiando i gomiti sul prato per tenersi su col busto e vedere Risha, poi tornò a concentrarsi su di lui, che ricominciò a parlare.

“Al Mualim aveva ottenuto il Frutto dell’Eden, ma aveva anche perso uno dei suoi uomini, Robert de Sablé era ancora in vita e, come se non bastasse, Altaïr aveva violato il Credo degli Assassini, mettendo in pericolo tutto il villaggio di Masyaf, e quindi tutta la Confraternita. Il sommo maestro era infuriato con lui, e un atto del genere meritava di essere severamente punito… Con la morte.”

Arnielle sgranò gli occhi e deglutì a fatica. Come aveva detto Risha, lei non era ancora diventata un’Assassina e si era già comportata come questo Altaïr… Sperava soltanto che quella punizione non fosse più adottata ai suoi tempi.

“Ma Al Mualim decise di punirlo in maniera diversa; lo retrocesse al grado di Novizio, ovvero il rango più basso, e gli offrì l’opportunità di recuperare tutto quello che aveva perduto svolgendo degli incarichi di vitale importanza per lui, iniziando col fermare i Templari che si stavano riversando a Masyaf per colpa del suo comportamento al Tempio, missione che ebbe successo. Poi il nostro amico dovette vedersela con degli uomini molto pericolosi, tra i quali lo stesso Robert de Sablé. Ovviamente questi erano tutti Templari, che cercavano di rimpossessarsi a tutti i costi del manufatto rubato, che serviva loro per realizzare un nuovo mondo. Altaïr non ebbe molti problemi ad ucciderli, così riuscì a recuperare il suo grado di Priore. Ma c’era ancora un pericoloso Templare in circolazione: lo stesso Al Mualim, infatti, era uno di loro.”

Arnielle rimase sconvolta. Si tirò su di scatto e disse: “Che cosa?! Anche lui era un Templare? Ma com’è possibile che Altaïr non si fosse mai accorto di nulla? E cosa accadde quando lo venne a sapere?”

Risha abbozzò un sorriso. “Al Mualim aveva tradito sia i Templari che gli Assassini e si era servito di questi ultimi per impossessarsi del Frutto dell’Eden. Lo utilizzò per soggiogare gli abitanti di Masyaf, e voleva usarlo anche contro Altaïr. Ma l’Assassino riuscì a sconfiggerlo ugualmente; a quanto pare era immune al potere del manufatto.”

“Che storia complicata...” fece Arnielle.

“Già.” rispose Risha “Comunque, Altaïr alla fine comprese la gravità di quello che aveva fatto, la punizione lo rese una persona diversa, e riacquistò il rispetto da parte di tutti gli altri Assassini, che lo vedevano un po’ come un traditore, immagino.”

“Suppongo che non abbia mai più infranto il Credo.” disse Arnielle.

“Credo proprio di no…” affermò Risha.

La ragazza si strinse nelle spalle con aria imbarazzata. “Non lo infrangerò più nemmeno io.”
Risha rise. “Lo spero!”

“E il Frutto dell’Eden rimase a lui?” tentò Arnielle.

“Sì… Era convinto che il suo potere potesse portare anche a qualcosa di buono, ma probabilmente, col tempo, anche lui conobbe la sua potenza.”

Arnielle tacque per qualche istante, pensierosa. “E il secondo Assassino? Se non sbaglio avevi detto che erano due, quelli più importanti…”

“Infatti. Il secondo nacque a Firenze, in Italia, nell’Anno del Signore 1459. Il suo nome era…” fece una pausa, nella quale alla ragazza parve che assumesse un’espressione un po’ stranita “Ezio Auditore.”

Arnielle aggrottò le sopracciglia. Trovava già strano quel nome di per sé, e sentirlo pronunciare con il bizzarro accento di Risha glielo fece suonare ancora più curioso.

“Ezio visse tra agi, svaghi e ricchezze per buona parte della sua giovinezza; suo padre Giovanni era un banchiere di successo, legato alla famiglia de’ Medici, e in particolare a Lorenzo il Magnifico –non so se ne hai sentito parlare- che in quel periodo teneva di fatto la reggenza di Firenze. Ezio non seppe dell’esistenza della Confraternita e rimase all’oscuro del fatto che suo padre fosse un Assassino fino all’età di diciassette anni, quando per un tradimento da parte di un alleato, che in seguito si sarebbe rivelato un Templare, Giovanni e i due fratelli di Ezio, Federico e Pietro, vennero arrestati e rinchiusi a Palazzo Vecchio. Ezio tentò di liberarli servendosi delle sue abilità innate e già grandemente sviluppate, che aveva ereditato dai suoi antenati Assassini. Si dice che riuscì ad avere un breve colloquio col padre, che gli rivelò l’esistenza di una stanza segreta all’interno della loro casa. Lì, Ezio trovò l’armatura di suo padre, e l’indossò per la prima volta. Ma neanche allora riuscì a salvarli. Suo padre e i suoi due fratelli vennero impiccati davanti ai suoi occhi la mattina dopo, senza che lui potesse fare niente.”

Risha rimase in silenzio per qualche secondo. Arnielle inorridì a quel pensiero, e sentì una stretta al cuore. Non poteva immaginare cos’avrebbe fatto lei se le fosse successo.

“Portò sua madre e sua sorella via da Firenze, ma non riuscì a placare la sua rabbia. Si rifugiarono dal fratello di suo padre, Mario, anche lui un Assassino. Fu proprio lo zio a rivelargli tutto ciò che Giovanni gli aveva sempre taciuto, e a trasmettergli i valori del Credo. Ma ad Ezio non importava. Tutto ciò che voleva era la vendetta, e fu sostanzialmente per questo che iniziò il suo lavoro. Uccise con violenza e soddisfazione coloro che avevano organizzato l’omicidio dei suoi, e non si fermò finché non li ebbe sterminati tutti, fino all’ultimo. Poi la vita lo portò lontano da quell’unico obiettivo, e compì numerose missioni per aiutare alleati e altri Assassini, oltre che l’intera popolazione. Si spostò da Firenze a Forlì, da San Gimignano a Venezia, e nei suoi viaggi raccolse numerosi manoscritti autografi di Altaïr. Le pagine del Codice.”

“E cosa c’era scritto in queste pagine? Era una specie di diario che Altaïr redasse durante la sua vita?” chiese Arnielle.

“Sì, possiamo dire così… Ezio fece decifrare tutte le pagine, suppongo, e gli furono veramente d’aiuto. Oltre a scoprire qualcosa di più sulla vita di Altaïr, che probabilmente aveva sentito il bisogno di sfogarsi su quelle pagine perché il potere del Frutto dell’Eden iniziava ad avere effetto anche su di lui, venne a conoscenza anche di nuove tecniche di combattimento e miglioramenti per l’arma che ha sempre caratterizzato gli Assassini.”

“La lama celata!” esclamò Arnielle “Quali sono questi miglioramenti?” chiese.

“Bhè, Altaïr si impegnò a trovare un modo per evitare l’amputazione del dito anulare per poter indossare la lama, e…” ma venne interrotto.

“Che cosa?! Gli Assassini dovevano tagliarsi l’anulare per poter usufruire della lama celata?! Che dolore…” fece Arnielle, e automaticamente si toccò il dito, come per assicurarsi che ci fosse ancora.

Risha continuò il suo discorso. “Inoltre, visto che la mutilazione non era più necessaria, Altaïr realizzò una seconda lama. Difatti…” disse Risha, facendo scattare entrambe le lame nascoste nei suoi antibracci “Il suo disegno è quello che usiamo tuttora.” spiegò, mentre esse rientravano nei loro alloggiamenti.

Arnielle rimase in silenzio per qualche secondo, ammirata. “E poi?” chiese, sempre più curiosa.

“Poi creò un ago sottilissimo da posizionare vicino alla lama. Era così fine che era impossibile sentirlo se ti trafiggeva; eppure era cavo. Altaïr era riuscito a riempirlo di una potente tossina, che prima fa delirare la vittima, e in seguito la porta alla morte.”

Per la seconda volta, Risha estrasse la lama celata di sinistra, e insieme ad essa uscì un ago che Arnielle riuscì a vedere soltanto sforzando la vista. Dalla punta, uscì un sottile fiotto di veleno.

“Infine” riprese il Maestro, riaccomodandosi sull’erba “E questo ti stupirà parecchio, Altaïr perfezionò un’arma che scattava esattamente come la lama e che riusciva a lanciare, con una piccola esplosione, proiettili a una grande distanza. Qualcosa di molto simile alle nostre moderne armi da fuoco.”

La ragazza spalancò gli occhi. “Altaïr aveva creato una pistola?”

“Esatto.” le rispose Risha con un sorriso, e con il braccio destro tirò sul sinistro una piccola leva, che fece sollevare dal bracciale qualcosa di davvero molto simile a una pistola.

Arnielle non poté fare a meno di spalancare anche la bocca. “Ma così tanto tempo fa… Come ha fatto?”

“Questa è una bella domanda.” commentò il Maestro “Dimentichi che Altaïr rimase in possesso della Mela dell’Eden per parecchio tempo… Si presume che sia dovuto al suo potere.”

“Ma… come?” chiese di nuovo Arnielle.

Risha rise. “Questo è un argomento lungo da discutere. La lezione di oggi non riguarda le potenzialità del Frutto e i suoi effetti. Ne parleremo un’altra volta. Torniamo a Ezio. Non ho ancora finito di raccontarti la sua storia.” disse.

Arnielle rimase un po’ delusa, ma annuì.

“Dunque…” riprese Risha “Devi sapere che le pagine del Codice avevano anche un’altra utilità. Sia Assassini che Templari, infatti, le cercavano da molto tempo, perché si diceva che il Codice, una volta ricomposto, avrebbe fornito la chiave di un potente segreto.”

“Quale segreto?” chiese Arnielle.

“Non lo so.” rispose semplicemente Risha, con un sorriso “E forse è meglio così.”

Arnielle non riuscì a nascondere di esserci rimasta un po’ male. “Secondo me non vuoi dirmelo.”

“Che motivo avrei di nascondertelo? Ti ho raccontato praticamente tutto; se sapessi qualcos’altro te lo direi. Adesso lasciami finire, per favore.” la pregò lui.

La ragazza sbuffò, e si rimise ad ascoltare.

“Fatto sta che, per trovare quelle pagine, i Templari si scomodarono non poco. Ma il più potente di loro era Rodrigo Borgia. Forse hai sentito parlare di lui.”

Arnielle aggrottò le sopracciglia, e scosse la testa.

“Magari lo conosci con il nome di Alessandro VI” disse allora Risha.

La ragazza si ricordava quel nome. Non rammentava quando lo avesse sentito di preciso… Forse  da piccola, in uno di quegli antichi proverbi che mettevano in ridicolo gli ecclesiastici. Al momento non le ritornava alla mente, ma doveva essere certo una persona importante. Era…

“Il Papa?” chiese sbalordita.

Risha annuì. “Proprio lui. E fu Rodrigo Borgia, lo Spagnolo, come lo chiamava Ezio, ad ordinare l’uccisione della sua famiglia. Ezio lo inseguì per tutta la vita, senza mai riuscire a prenderlo finché, ormai quarantenne, lo trovò a Roma. L’unico motivo per cui Borgia era diventato Papa era, infatti, ottenere lo scettro papale, che altro non era se non il secondo Frutto dell’Eden.”

A quel punto, Arnielle era davvero sconvolta. “Eh?” fece “Un secondo Frutto dell’Eden?!”

“Proprio così.” disse Risha “Devi sapere che non esiste un unico Frutto dell’Eden. Ne esistono almeno due, e forse molti altri. Il problema è che nessuno sa dove siano. Borgia era convinto di essere colui che sarebbe riuscito ad avere accesso ad una leggendaria Cripta sotto il Vaticano. E per farlo, aveva bisogno di due Frutti dell’Eden: la Mela e il Bastone, appunto.”

Arnielle sorrise. “L’unico problema è che lui non aveva la Mela… Giusto?”

“Esatto. Infatti ce l’aveva Ezio.” rispose Risha.

“Questo non me l’avevi detto però!” protestò la ragazza.

“Te lo dico adesso. L’aveva ritrovata dopo molte difficoltà, e la portava sempre con sé. Quando anche lui venne a conoscenza dell’esistenza della Cripta, rintracciò Borgia a Roma, e lì, proprio all’interno del Vaticano, lo affrontò in un’ardua battaglia, nella quale alla fine risultò vincitore.”

“E lo uccise, immagino.” disse subito Arnielle.

“No. Ti sbagli. Ezio aveva capito che vendicarsi non gli avrebbe riportato indietro la sua famiglia. Così decise di risparmiarlo. Anche perché Borgia era diventato del tutto inoffensivo. Si era arreso quando Ezio gli aveva rivelato che in realtà non era lui il Profeta.” Risha fece una pausa “Infatti, Ezio era il Profeta.”

Arnielle, stranamente, non riuscì a capire. “Che significa essere un Profeta? Deve essere importante! Qualcosa tipo Gesù Cristo?”

Risha rise di gusto. “Non esattamente, Arnielle! Il Profeta di cui stiamo parlando era colui che avrebbe potuto avere accesso alla Cripta, e a un potere inimmaginabile. Era l’unica persona a poter controllare i Frutti dell’Eden riuniti. Infatti, Ezio riuscì ad entrare nella Cripta.”

“Wow! E cosa c’era nella Cripta?” chiese Arnielle, eccitata.

“E chi lo sa… Se anche lo raccontò, Ezio non lo mise mai per iscritto, e se l’ha fatto, i documenti non ci sono pervenuti.” disse Risha, con aria grave “Probabilmente, nessun altro oltre a lui avrebbe potuto comprendere ciò che vide là dentro.”

“Raccontami di più! Che altro fece Ezio nella sua vita?” chiese la ragazza.

Risha sorrise e si alzò in piedi. “Per adesso, questo è tutto ciò che ti serve sapere. Spero che tu abbia trovato queste storie interessanti… E soprattutto istruttive.” aggiunse in tono eloquente.

Le porse una mano per aiutarla ad alzarsi. Arnielle la prese e lui la tirò su.

“Adesso torna a casa, e rifletti su tutto ciò che ti ho detto quest’oggi.” le disse.

“Lo farò, Maestro.” gli sorrise lei.

_______________________________________________________ 

...che settimane del cavolo sono state le ultime due! Ci dispiace, ma per noi è stato praticamente impossibile aggiornare perché a scuola ci hanno davvero fatto faticare per sistemare i voti e tirare le somme, ma adesso che siamo in vacanza avremo un po’ più di tempo per dedicarci alla nostra fanfic, finalmente!

Che dire di questo capitolo? Bhé, è tornata un pò di azione (per la felicità di tutti xD) ed iniziano a succedere delle cose un po’ inaspettate, non trovate??? Mmmmmh…

Stavolta troviamo un Risha molto impegnato e, per la prima volta, lo vediamo in “azione”, è stato introdotto un nuovo personaggio (il nostro amico Jacques u.ù) e abbiamo approfondito un po’ il carattere di Arnielle.

Ora, ci immaginiamo già la scena: sicuramente, quando siete arrivati al punto in cui Risha dice ad Arnielle “E quest’oggi ti insegnerò un po’ di storia.” tutti avrete improvvisamente sentito il bisogno di suicidarvi e avete fatto per chiudere la finestra di efp, o cliccare sulla freccetta “indietro” (cosa che noi avremmo fatto senza pensarci due volte, dato che la storia è una materia abbastanza noiosa, se non si è ispirati xD), ma vi assicuriamo che abbiamo fatto tutto il possibile per rendere più piacevole e scorrevole la lettura di quella parte del capitolo. E poi, come dire… Quello è un tipo di storia molto interessante dato che riguarda Altaïr ed Ezio ;D e poi chissà, magari vi abbiamo fatto scoprire o capire cose che durante il gioco non avete afferrato bene (come è successo ad una nostra amica che ci ha ringraziate infinitamente per questo, perché non aveva capito una mazza, praticamente -.-").

Bhé, non c’è altro da dire, da parte nostra. Adesso lasciamo a voi l’onore di giudicare, anche negativamente, se volete (perché le critiche fanno anche crescere) =D

Gufo_Tave: Esatto, “capitolo di transizione” è proprio il termine adatto per descrivere il capitolo precedente, come del resto lo sono tutti quelli dove abbiamo come protagonista Damien. L’Assassino ombra spunta all’improvviso e sparisce con la stessa velocità con cui è apparso, creando intorno a sé un’aria di misteriosità, effettivamente. Chissà cosa vuole, eh? Lo scopriremo tra un po’, e di sicuro si intrometterà ancora nella vita di Damien.

Yojimbo: Eh sì, Damien è proprio esasperato e infuriato, e non saprebbe neanche lui cosa fare se si trovasse questo cavolo di Assassino tra le mani! Come sempre, ci fa piacere che il personaggio ti piaccia sempre di più, con i suoi modi di fare e di esprimersi… Soprattutto con Cécile xD Però dovrebbe imparare a pensare meno, o almeno a non farlo nei momenti più inopportuni -.-"

micho: Guarda, all’inizio non sapevamo se inserire delle parolacce o meno, perché comunque avrebbero potuto dare noia a qualcuno, poi però abbiamo deciso di farlo. Questo perché, in ogni situazione, ci immedesimiamo nel personaggio e pensiamo: “Che cosa direi io in questo momento?” xD E adesso ci stai dicendo che con questo il personaggio acquista un carattere più vero, il che ci fa piacere ovviamente =D Cercheremo comunque di non esagerare con questo linguaggio perché, se adottato spesso, annoierà di sicuro tutti e rischierebbe di diventare una fanfic un po’ volgare, quando noi invece vogliamo soltanto rendere il personaggio più “simpatico” e più vicino a noi.

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Capitolo 7
*** Conosci il tuo nemico ***


Séverac, Francia, 1789

22 Gennaio

Il giorno dopo Damien si svegliò molto tardi, e di malumore. Il cielo coperto fuori dalla piccola finestra incassata nel soffitto non aiutava molto, dal canto suo, e gli eventi della notte prima continuavano a riapparirgli davanti agli occhi.

Si alzò dal letto scomodo con un ringhio e un movimento nervoso, e si scompigliò i capelli con rabbia. Mosse qualche passo irritato nel piccolo sottotetto, e poi si fermò davanti alla sedia su cui aveva poggiato gli unici due abiti che possedeva.

La sua armatura da Assassino. La camicia e le culottes rubate il giorno prima al mercato.

Gli venne in mente che non poteva indossare nessuno dei due.

C’erano ancora i manifesti raffiguranti il tizio vestito esattamente come lui, e adesso che Rogatien era morto, le guardie a cui aveva chiesto dove abitasse avrebbero cominciato a farsi qualche domanda. D’accordo che erano stupide, ma fino a un certo punto.

Erano anni che faceva queste cose! Anni, e poi arrivava un fottutissimo sconosciuto con un cappuccio e una piuma e tutto andava a puttane!

E adesso avrebbero cominciato a cercarlo. L’avrebbero fatto in ogni caso, a dir la verità, ma a bruciargli era il fatto che l’avrebbero cercato per qualcosa che aveva fatto qualcun altro!

Il ragazzo sbuffò, considerando l’idea di uscire nudo.

Poi ricordò gli sguardi maliziosi delle donne al mercato, e decise che forse era meglio lasciar perdere.

La cosa più furba sarebbe stata scappare, ovviamente. Ma lui non aveva intenzione di muoversi da Séverac finché non avesse messo le mani su quel dannato Assassino, o almeno su qualche informazione che lo riguardasse.

Perciò si risedette sul letto, corrucciato, con una mano posata sul fianco che gli doleva.

L’unica cosa da fare, era aspettare che scendesse la notte.

 

La luna era una grossa sfera bianca, alta nel cielo stranamente sereno di quella notte, illuminato da tante piccole stelle. Damien era appeso al tetto di una casa piuttosto alta, all’erta.

Aspettava che quel maledetto arciere decidesse di avvicinarsi a lui, e quando lo fece, si tirò su quel tanto che bastava per trovarsi davanti al suo busto, estrasse la lama e prima che l’uomo avesse il tempo di stupirsi, rimanendo appeso al bordo del tetto con l’altra mano, lo trafisse dritto nel petto e lo trascinò di sotto con tutta la forza che aveva. L’uomo cadde a terra con un leggero clangore.

Adesso Damien aveva la via libera, così si arrampicò oltre il tetto. Stava ripercorrendo la strada che il suo avversario doveva aver per forza seguito per raggiungere la casa di Rogatien: sperava di trovare qualche altra traccia lasciata per caso dal misterioso Assassino. Si aggirò per le cime degli edifici per almeno mezz’ora, attento a non essere visto, senza però trovare niente.

Stava per irritarsi più di quanto non lo fosse già, quando in lontananza scorse qualcosa di un bianco che con la luce della luna appariva abbacinante: si muoveva a grande velocità sui tetti. Inizialmente Damien lo scambiò per un uccello, forse un’aquila, ma poi si rese conto che non poteva esserlo.

Infatti, concentrandosi attentamente, mise a fuoco le forme della figura, e si accorse che era quella di una persona.

E a quel punto non ci mise molto a capire di chi si trattava.

Non ci pensò due volte: iniziò a correre a più non posso verso l’Assassino, come se qualcuno gli fosse stato alle calcagna armato fino ai denti.

Ma prima che riuscisse a raggiungerlo, l’altro si accorse che lo stava seguendo, così accelerò.

Damien non poté fare a meno di notare che era veramente veloce, e aveva difficoltà a stargli dietro.

Ma non voleva arrendersi così facilmente: in genere erano gli altri a seguire lui, per acchiapparlo e porre fine a tutte le sue azioni, ma spesso anche lui si era ritrovato nel ruolo dell’inseguitore, quindi questo avrebbe dovuto essere un giochetto per lui… Soltanto un po’ più difficile.

Entrambi correvano come fossero state saette nella notte. A un certo punto, la figura davanti a lui effettuò un lungo salto per raggiungere l’edificio di fronte, per poi riprendere la sua corsa.

Damien fece altrettanto. Continuò ad andargli dietro senza rallentare neanche un po’, ma improvvisamente sentì una dolorosa fitta al fianco sinistro.

Maledetta cicatrice!

Teoricamente, sarebbe stato meglio non fare troppi sforzi per i punti tolti di fresco, ma a lui non interessava. Adesso la cosa più importante era seguire quell’Assassino. 

Sicuramente la ferita non lo aiutava per niente, ma nonostante le fitte continuò a correre.

La figura saltò su un tetto sulla destra, probabilmente sperando di far perdere le proprie tracce, ma Damien la vedeva ancora nell’oscurità della notte.

Poi, il misterioso Assassino compì un altro salto, ma riuscì ad afferrare il telaio di una finestra dall’altra parte del baratro quasi per miracolo: infatti lo fece con una mano sola, e Damien avrebbe quasi giurato che sarebbe precipitato di sotto, questione di pochissimi secondi.

E invece si tirò su, agile come sempre. Damien si era preparato al salto e non ebbe molte difficoltà ad eseguirlo.

Si ritrovarono in una zona dove probabilmente si stavano svolgendo dei lavori sugli edifici; infatti per un po’ di tempo dovettero saltare di qua e di là su delle travi di legno, e entrambi si muovevano come se stessero effettuando una danza nella notte.

Il folle inseguimento continuò per almeno altri cinque minuti, fino a quando l’ignoto Assassino si fermò sul bordo dell’alto edificio sul quale erano arrivati. Forse stava calcolando la distanza che si frapponeva tra lui e la casa che si trovava di fronte, ma evidentemente era troppo grande.

Damien sapeva che cosa faceva un Assassino in quei casi: o cambiava direzione, oppure, se la situazione lo permetteva, si gettava nel vuoto come soltanto i membri della Confraternita sapevano fare, per poi ritrovarsi in mezzo a del soffice fieno.

Sperava con tutto sé stesso che non scegliesse la seconda opzione, perché era quella che in genere metteva fine agli inseguimenti.

Se si prende dell’altro tempo riuscirò a scoprire chi si nasconde sotto quel maledetto cappuccio. 

Ma dubitava che sarebbe andata a finire così: era abbastanza vicino per cogliere i suoi movimenti, ma non lo era a sufficienza per atterrarlo o per avere qualsiasi tipo di contatto con lui.

E proprio quando stava per coprire la distanza che si interponeva tra di loro, la figura lo fece: si gettò nel vuoto, allargando le braccia ed effettuando una capriola a mezz’aria. Aveva appena eseguito un Salto della Fede.

Qualche secondo dopo Damien giunse nel punto in cui si trovava il misterioso Assassino prima di lanciarsi di sotto, e si affrettò a guardare oltre il bordo dell’edificio: ma tutto ciò che vide fu la luce di un lampione in lontananza e, accanto, quello che doveva essere un carro pieno di fieno.

Aveva quasi perso tutte le speranze, ma non aveva intenzione di lasciar perdere finché non si fosse accertato che il misterioso Assassino si fosse veramente dileguato.

Dopotutto, quella notte l’aveva dedicata praticamente tutta a lui, e quell’inseguimento gli era costato una gran fatica, considerando la ferita che non si decideva a guarire.

Così, anche lui effettuò un Salto della Fede e si ritrovò nel morbido letto di paglia. Con un agile gesto, si tirò fuori dal carro e si guardò intorno.

Del misterioso Assassino nemmeno l’ombra.

 

Damien si aggirava tranquillamente per i banchi del mercato, sicuro di non essere riconosciuto da nessuno: infatti, i nuovi vestiti che aveva preso la notte prima non avrebbero mai potuto destare sospetti né nelle guardie, né negli abitanti di Séverac.

Nonostante fosse dalla parte del popolo, non apprezzava molto gli abiti da contadino, come del resto, qualsiasi abito che non fosse la sua armatura da Assassino.

Indossava un paio di pantaloni lunghi, indumento che distingueva i popolani da nobili e borghesi che invece, non dovendo occuparsi di lavori manuali, vestivano le famose culottes. Portava poi la stessa camicia dell’altra volta, un po’ gualcita e abbottonata fino in cima, con sopra una giacca pesante e polverosa. In testa, infine, calzava un grosso cappello a tesa larga, che gli nascondeva il viso.

Damien, mentre stringeva in mano la grossa zappa che si era procurato, si chiese quanto ancora sarebbe durata quella mascherata.

Non era divertente.

Fece una smorfia, rimpiangendo per l’ennesima volta la sua armatura. Teneva soltanto la lama, a contatto con il braccio sinistro, che gli dava un po’ di sicurezza.

Ovviamente quella notte, come la volta precedente, prima di prendere ciò che gli serviva aveva lasciato, nella bottega, l’importo necessario, e anche qualcosa di più. Non gli piaceva rubare… O almeno, non gli piaceva rubare a chi aveva meno di lui.

Damien si sistemò la zappa in spalla, e si preparò ad accodarsi a una lunga processione di contadini diretta ai campi fuori città per una lunga – e con ogni probabilità inutile - giornata di lavoro. Aveva intenzione di ascoltare le loro conversazioni, fingendosi uno dei tanti manovali, per cercare di capire che cosa avesse fatto l’altro Assassino per diventare così famigerato già prima di uccidere Rogatien. E, magari, anche carpire qualche indizio su dove potesse trovarsi.

Stava per uscire dal villaggio, quando improvvisamente tutte le persone si voltarono nella stessa direzione, e anche Damien lo fece.

Un gran scalpiccio di zoccoli e il rumore delle ruote che affondavano nella fanghiglia annunciarono l’arrivo di una carrozza.

Damien strinse gli occhi e si fece strada tra la folla che si era ammassata all’ingresso del paese per riuscire a vederla.

La carrozza si fermò poco più in là, nella piazza della chiesa, e il ragazzo sentì il cocchiere lamentarsi che le strade erano troppo strette per procedere più all’interno.

Così, con un elegante esclamazione di rabbia, il passeggero intimò al conducente di aprirgli la porta.

Immediatamente, il cocchiere si gettò giù dal suo posto e finì proprio in una pozza, prima di correre allo sportello corredato di tendine. Lo aprì, e poi si sporse all’interno per recuperare qualcosa di simile a un panchetto, che sistemò sotto l’uscita.

Infine si fece da parte, e il passeggero scese in tutta la sua pomposa nobiltà.

L’amico più fidato del conte di Roussillon sfoggiava un abnorme parrucca incipriata da far concorrenza al re di Francia, e i suoi vestiti erano tanto ricchi e lussuosi che Damien sperò con tutto il suo cuore che inciampasse nei suoi leziosi scarpini verniciati e finisse dritto nella pozzanghera.

Purtroppo non accadde, e il ragazzo si ritrovò a stringere i denti e la zappa che teneva sulla spalla con più forza che poteva.

Odiava il conte e i suoi amici, come del resto tutte le persone uguali a loro. Non solo era un nobile, e tanto sarebbe bastato a disprezzarlo. Era un Templare, e quello che più indisponeva Damien, era che il suo nome non stava scritto sulla sua lista.

Stessa cosa valeva per il damerino imparruccato che aveva davanti.

Subito dopo di lui scese dalla carrozza un uomo dall’aspetto più giovane, con una parrucca più piccola e vestiti meno sontuosi. Un galoppino, figlio o nipote del conte.

Notò con dispiacere che il Templare si era portato un’abbondante scorta di guardie a cavallo, che inizialmente non aveva visto, troppo concentrato sulla carrozza in sé.

Peccato, pensò, resistendo all’impulso di estrarre la lama celata.

Fissò con disgusto il suo bastone da passeggio in ebano sul quale spiccava, tra le numerose pietre preziose, una croce di rubini.

Lasciò cadere la zappa e si fece strada tra la folla, mentre le persone si ritraevano inconsciamente al suo passaggio.

Arrivò di fronte alla carrozza, davanti allo sbarramento di guardie.

Che diavolo ci fa qui Théotime Blanchard de Roussillon?

La risposta non tardò ad arrivare.

Théotime Blanchard de Roussillon si avvicinò quello che era indubbiamente il capitano delle guardie, e gli sussurrò in un orecchio.

Sussurro che Damien udì senza difficoltà.

“Chiedi a uno di questi plebei dove abitava Rogatien.” ordinò con aria sprezzante.

Ah, ecco. L’Assassino aveva temporaneamente dimenticato le famiglie per cui Amedé lavorava come corriere. Tra di esse, la più importante era indubbiamente quella del conte di Roussillon. Probabilmente, Rogatien aveva appuntamento col conte per recapitargli qualcosa, un pacco o un messaggio.

E doveva essere qualcosa di parecchio importante se il Templare non mandava un semplice servo a ritirarlo, ma il suo più fido cortigiano, inoltre appartenente all’Ordine.

Damien sentiva che doveva impadronirsene, e il più presto possibile.

Il capitano delle guardie, nel frattempo, aveva trovato un giovane contadino disposto a condurlo alla casa di Rogatien, e Damien non indugiò un attimo.

Mentre la folla si disperdeva e alcuni dei soldati si disponevano di guardia attorno alla carrozza, lui si affrettò a raggiungere una stradina deserta e ad arrampicarsi fino al tetto. Nel tragitto si ritrovò su una terrazza, e afferrò un grosso mantello scuro appeso ai fili del bucato.

In quel momento non aveva tempo per lasciare il denaro, ma lo avrebbe restituito al proprietario non appena avesse finito quel lavoro.

Se lo infilò, e immediatamente si sentì di nuovo se stesso.

L’Assassino si accovacciò sul tetto, e guardò in basso. Il corteo, formato da una decina di guardie tutto intorno, il loro capitano, con una grossa ascia in mano, e i due nobili al centro, proprio davanti a lui, prese a muoversi con lentezza attraverso il paese, nelle strade svuotate dai cittadini soltanto per consentire loro il passaggio.

Damien prese a seguirli dall’alto, ben attento a non farsi notare. Non sarebbe stato carino, e tanto meno utile, trovarsi con dieci e passa guardie del conte alle calcagna.

Percorse il loro stesso tragitto sui tetti, passando di casa in casa e scendendo talvolta su delle terrazze più in basso per sentire i loro discorsi.

Inizialmente non li trovò granché degni d’attenzione, visto che parlavano della vita di corte e delle schermaglie tra potenti, ma poi presero a discutere di qualcosa di parecchio più interessante;

“…Questi sono proprio tempi duri.” disse Blanchard sottovoce, con la sua voce melliflua “Abbiamo subito pesanti perdite nelle nostre fila negli ultimi mesi, e le cose non possono più continuare in questo modo.”

Damien non riuscì a trattenere un ghigno.

“Maledizione, è successo tutto troppo velocemente!” continuò Blanchard “Dannati Assassini! Spuntano così dal nulla, colpiscono quando meno te lo aspetti, il più delle volte non sai neanche per quale motivo, e la cosa che mi irrita di più è che non falliscono mai!”

La rabbia di Blanchard suscitava una certa soddisfazione nell’animo dell’Assassino, che fece un altro ghigno. Poi, continuò a seguire il discorso.

“E’ solo questione di tempo, Monsieur Théotime.” rispose l’altro “Presto tutto questo finirà, ne sono certo. La situazione si rivolterà contro di loro. Noi siamo tanti, e ben organizzati; non possono davvero credere che il destino sarà sempre loro favorevole. Prima o poi, le cose cambieranno, a nostro vantaggio.”

“Per il re! Non puoi nascondere l’evidenza! Quegli Assassini sono molto furbi e ci stanno dando del filo da torcere, ogni giorno di più! Non devi commettere l’errore di sottovalutare il nemico, Maurice! Credevo che le morti dei nostri compagni ti avessero fatto riflettere su questo!” si agitò Théotime Blanchard.

L’altro rimase in silenzio per qualche secondo, e poi disse, convinto: “Io resto della mia opinione.”

Blanchard si fermò, e così fece tutto il corteo. Poi, guardò il suo compagno, e gli disse: “Anche io credo fino in fondo nel nostro obiettivo, ma non posso nascondere che sarà un’ardua impresa conseguirlo. E le perdite subite da parte nostra ne sono la chiara prova. Ti rinfresco un pò la memoria, nel caso tu ti fossi dimenticato di chi ci ha abbandonato negli ultimi mesi.”

Un attimo di pausa, e poi Blanchard riprese: “Bernard Guibeaux, nostro grandissimo amico; Ignace Odilon, l’esattore delle tasse, anche lui una conoscenza molto cara; per non parlare poi di alcuni dei nostri uomini più pericolosi, come Joseph Picard, Nicolas Meunier, e ancora Patrick Lemaire! E potrei continuare ancora! E come se non bastasse adesso è stato tolto di mezzo anche Rogatien, il fidato corriere del conte tuo padre!”

E agitato, riprese a marciare, insieme a tutti gli altri.

Dopo aver udito quelle parole, Damien si ritrovò a riflettere. Ciò che Blanchard aveva appena detto era vero; tutte quelle persone si trovavano sulla sua lista, che era ancora molto lunga, e l’Assassino si era impegnato fino in fondo per diminuire la sfilza di nomi che avrebbero potuto ostacolare i suoi piani e quelli di chissà quante altre persone, a partire dai suoi Confratelli.

Era riuscito a uccidere senza problemi Guibeaux, far fuori Odilon era stato un po’ più difficile, ma alla fine aveva portato a termine il suo lavoro, così come era successo con Joseph Picard e altri prima di loro.

Ma con altri uomini, come ad esempio Nicolas Meunier e Patrick Lemaire, la cosa era andata a finire diversamente: certo, avevano cessato di vivere, ma non per mano sua.

Infatti, dopo essersi procurato tutte le informazioni necessarie per conoscere qualcosa di più sulla sua vittima, si era recato come sempre da essa per chiudere la questione, ma l’aveva già trovata senza vita, proprio come Rogatien. Ogni volta si era chiesto come fosse possibile, e cosa fosse accaduto, ma non aveva saputo trovare delle risposte.

Gli venne in mente il misterioso Assassino: adesso sì che capiva.

Rogatien e Odilon non erano stati gli unici obiettivi comuni, bensì due dei tanti.

In Damien si accese ancora di più il desiderio di scoprire chi fosse il suo avversario, anche se, vista la situazione, non sapeva neanche se chiamarlo così oppure alleato. D’altronde, gli aveva anche salvato la vita quella notte, dopo la morte di Odilon.

Tornò a concentrarsi sulla conversazione che si svolgeva là sotto, sempre più interessante.

“Avete ragione, sono tanti, ma…” cominciò il giovane di nome Maurice.

“Ma, cosa?” lo incalzò Blanchard, con aria esasperata.

“Non possiamo essere sicuri che siano tutti morti a causa loro… degli Assassini.” concluse, abbassando la voce in maniera scaramantica sull’ultima parola.

Damien alzò gli occhi al cielo. E così, stranamente, fece Blanchard.

“Sei più ingenuo di quanto pensassi, Maurice.” disse, poggiandogli una mano guantata di bianco sull’esile spalla “Tuo padre dovrebbe istruirti un po’ di più riguardo agli usi degli Assassini.”

“Non m’importa di loro.” ribadì cocciutamente il giovane Templare “Mio padre dice che non sono degni della nostra attenzione. Siamo troppo più potenti di loro!”

“Ah, con te non c’è modo di ragionare! Testardo come tuo padre, senz’altro! Adesso basta parlare di loro. Hanno orecchie ovunque, e non basta mormorare per non essere sentiti. Limitiamoci a riprenderci quella lettera; è molto importante per il conte tuo padre.”

A quel punto, Damien si ritirò sul tetto.

Aveva sentito tutto quello che gli serviva. Sapeva cosa cercare.

Corse a più non posso verso l’appartamento di Rogatien, sicuro di arrivare prima del lento e pesante corteo di guardie. S’infilò in una finestra, nella stanza ancora in disordine dove il corriere era stato ucciso.

Il lenzuolo era ancora sporco di sangue. L’Assassino si mise a cercare frettolosamente per tutta la camera, rivoltando i mobili, sollevando il materasso, frugando nell’armadio della biancheria.

Senza trovare niente.

Esasperato ringhiò, e sferrò un calcio a uno dei cassetti che aveva sfilato. Sospirò e fece un passo avanti, determinato a indagare anche nell’altra stanza. Ma il suo piede calpestò qualcosa che era uscito dal cassetto.

L’Assassino abbassò lo sguardo, e si chinò a raccogliere uno scrigno che, a quanto pareva, si trovava nascosto in un doppio fondo. Lo aprì, e dentro vide una buona quantità di monete d’oro.

Ecco dove Rogatien teneva la sua fortuna…

Spostando il mucchio di vecchi Louis d’or [1], notò sul fondo un pezzo di carta bianco. Lo tirò fuori, e vide che era una busta chiusa da della ceralacca recante il sigillo dell’intendente di Languedoc royal.

Voilà!, pensò esultante.

La nascose nella tasca della giacca, e prese anche il grosso scrigno pieno di monete.

Queste faranno comodo ai contadini di Séverac, si disse, prima di uscire di nuovo dalla finestra.

 

Damien era seduto sul materasso di paglia, con addosso soltanto i calzoni della sua tenuta da Assassino. La fasciatura sul suo fianco era macchiata da una piccola mezzaluna di sangue, ma il ragazzo non ci faceva neanche caso.

Si rigirava tra le dita la busta, ancora chiusa dal sigillo di ceralacca, chiedendosi se fosse il caso di aprirla, oppure consegnarla intatta ai grandi capi.

Poi, non resistendo alla curiosità, strappò il sigillo e aprì la busta.

Lesse velocemente la lettera, accigliandosi di più ad ogni riga, e quando la finì rimase qualche minuto a fissare il vuoto, confuso.

Che cosa significava? Quelle parole sembravano suggerire qualcosa di terribile, ma Damien credeva che l’intendente stesse esagerando. Sperava che stesse esagerando.

Non poteva essere che…?

No. Doveva calmarsi. Niente indicava ciò che aveva pensato.

Niente tranne questa lettera.

Bhé, non stava a lui decifrare i deliri dei Templari. Il suo lavoro era ucciderli. Avrebbe portato la lettera a Christophe appena ne avesse avuto il tempo, e lui avrebbe provveduto a consegnarla a chi di dovere.

Presto, però. Qualcosa gli diceva che il giorno nominato in quella lettera era di quell’anno. E non era solo la brevità della data a farglielo pensare…

Per il momento però, la sua priorità era il prossimo nome sulla sua lista. Avrebbe di nuovo dovuto cambiare città, e aveva intenzione di partire quella sera stessa, al crepuscolo. Avrebbe preso un cavallo e si sarebbe diretto alla sua destinazione.

Non aveva rinunciato a trovare il suo avversario, no. Soltanto era convinto che si sarebbero incontrati di nuovo.

Le parole del Templare gli avevano fatto capire che avevano la stessa identica lista di obiettivi. Il perché e il come non lo sapeva, ma il fatto era indubbio.

Perciò, rimanere a cercarlo a Séverac sarebbe stato inutile. Doveva anticiparlo. Di sicuro, si sarebbe trovato faccia a faccia con lui anche in quell’occasione.

E inoltre, pensò, lanciando uno sguardo alla base del letto, ho ancora la sua piuma.

Era evidentemente ciò che il suo avversario stava cercando la notte prima, sui tetti. Una bella esca.

Damien si alzò in piedi, e si mise a guardare fuori dalla piccola fessura tra le imposte chiuse.

Non sapeva quanto ci avrebbe messo ad acciuffare quel maledetto Assassino che negli ultimi giorni gli aveva dato del filo da torcere, ma di una cosa era certo: prima o poi, sarebbe riuscito a scoprire chi diavolo si nascondeva sotto quel cappuccio.

 

 

Carissimo e fedele amico e compagno,

Il momento sta per giungere. Il 5 maggio, il nostro amato Re avrà finalmente il potere che da lungo tempo bramavamo, e che da troppo vacilla tra le sue mani.

Niente, passato quel giorno, potrà ostacolare i nostri piani, e il dominio del grande regno di Francia si estenderà molto oltre i nostri confini; l’America, cui ci siamo alleati dieci anni fa [2], non potrà rifiutare la visita del nostro Illustrissimo Sovrano sul suo territorio, e allora niente potrà più fermarci.

Gli Assassini possono continuare a falciare le vite dei nostri alleati, a tentare di incuterci il terrore e a mangiare i nostri pedoni. Non sanno che ogni loro sforzo è vano, e che tra non molto saranno annientati proprio da coloro che si adoperano tanto per aiutare.

Presto, mio caro amico, l’Ordine trionferà sul globo, e pace e giustizia saranno finalmente ripristinate.

Non ci resta che attendere.

Che il Padre della Comprensione ci guidi. In fede,

Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam

 

[1] Louis d’or: in questo caso il pagamento è avvenuto in Louis d’or perché la moneta aveva un valore effettivo.

[2] Con lo sbarco delle truppe di LaFayette in America come supporto alla Guerra d’Indipendenza.  


Dopo un mese, rieccoci con quest’altro capitolo che (occorre dirlo) si avvicina sempre di più alla grande svolta che forse qualcuno di voi ha intuito per via della citazione del 5 Maggio.

Sì, ci rendiamo conto che questo è un altro noiosissimo capitolo di passaggio, ma ci serveeee!! Perdonateci! T.T Vi promettiamo che tra poco i capitoli saranno interessanti quanto questi lo sono noiosixD (soprattutto tremiamo all’idea delle vostre reazioni per il prossimo!xD)

Ma per ora parliamo di questo. Che dire? Damien è abbastanza impegnato nel suo lavoro, sempre con la solita strana ansia che qualcuno glielo rubi (un qualcuno a caso ehxD) e soprattutto, abbiamo visto come il misterioso Assassino stia diventando una specie di ossessione per lui, tanto che è anche disposto ad aspettarlo sui tetti pur di scoprire di chi si tratti.

Ma, anche stavolta, riuscirà a farla franca. (strano!) Ci è mancato davvero poco però... Chissà, magari la prossima volta!xD

Per il momento è tutto. Vi aspettiamo numerosi al prossimo capitolo! ^^

Ah dimenticavamo... Scusate per il tipo di scrittura della lettera, ma non ci è riuscito trovarne una che fosse fedele all'originale. Infatti nel documento di word aveva un scrittura molto particolare, che ovviamente su questo sito non c'è xD quindi ci siamo dovute arrangiare. :D

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Capitolo 8
*** Una corsa contro il tempo ***


Francia, 1787

Settembre

Il Templare Fabien sfregò il fiammifero sul muro e accese il piccolo involto di carta e tabacco di provenienza spagnola, e chiamato “spagnoletta” o “sigaretta”.

Alle sue spalle, un nuovo gemito lo distolse dal primo tiro. Si voltò con aria insofferente verso il mucchio di stracci sanguinolento raggomitolato a terra. Dietro una gran quantità di lividi e escoriazioni, s’intravedeva un volto storto dalla sofferenza.

Non doveva essere molto vecchio. Poteva avere al massimo venticinque, trent’anni. I capelli scuri gli cadevano in ciocche sporche e spettinate sul viso tumefatto.

Fabien fece un cenno, e per un attimo i due energumeni con i guanti di ferro smisero di picchiarlo.

“Ne abbiamo ancora per molto?” chiese, espirando un anello di fumo.

Il giovane rimase a gemere a terra, con le mani strette attorno al busto. Doveva avere almeno tre costole rotte, e le rimanenti erano sicuramente incrinate.

Fabien continuò a guardarlo impassibile, e si riportò il lungo filtro alle labbra. “Non abbiamo tutta la notte, Mathias. E non ci piace dover ripetere le domande una seconda volta. Tanto meno una terza. O una quarta…”

Mosse un passo verso di lui, e gli poggiò un pesante stivale sul fianco. Il ragazzo trasalì, e si morse le labbra gonfie per non urlare.

“Lo sai cosa succederà, vero, Mathias? Se tu adesso non parli, noi ti uccideremo, e lasceremo il tuo cadavere a marcire in questo vicolo. Poi prenderemo uno dei tuoi amichetti ladri, e riserveremo a lui lo stesso trattamento. E se neanche lui sarà così furbo da parlare, ne prenderemo un altro, e così via. Perciò, mio caro Mathias, che ne dici di risparmiarci un po’ di fatica?”

Il ladro tacque. Così, senza scomporsi, Fabien affondò lo stivale nel bacino del malcapitato, che scricchiolò in maniera sinistra. Stavolta, il ragazzo urlò.

Fabien si chinò, fino a trovarsi col viso all’altezza del suo. Poi gli soffiò il fumo in faccia, e ripeté:

“Allora?”

Mathias alzò due occhi disperati in quelli del Templare. E Fabien seppe che aveva vinto.

 

Nei giorni che seguirono Arnielle si sentì molto più stanca del solito a fine giornata. Aveva notato che gli allenamenti con Risha erano diventati più difficili e spossanti da quando lui si era assentato per qualche giorno per recarsi chissà dove a svolgere il suo lavoro da Assassino: pretendeva sempre di più, voleva che ripetesse il solito esercizio più volte finché non lo avesse eseguito quasi alla perfezione, e se ci riusciva le chiedeva di provarlo per un altro po’ affinché le entrasse in testa la tecnica.

Lei si impegnava, come aveva fatto fin dall’inizio, e ci metteva sempre più passione e volontà: le piacevano gli addestramenti con Risha, lo guardava con ammirazione quando effettuava le mosse che poi lei avrebbe dovuto eseguire; adorava i suoi movimenti fluidi e carichi di energia, e ogni volta si diceva che era veramente molto bravo, e che un giorno avrebbe voluto diventare come lui. E per farlo doveva metterci anima e corpo, anche per quanto riguardava le storie che il Maestro ogni tanto le raccontava su Templari e Assassini.

Le ripeteva continuamente che per diventare un ottimo Assassino, non bisognava soltanto essere agili, ben addestrati, intrepidi ad avventurarsi per le altezze più elevate e saper combattere, ma era anche necessario andare a consultare la storia e rielaborarne gli episodi per migliorare sé stessi, e ovviamente, seguire il Credo.

Sapeva perfettamente che la fatica, col tempo, le avrebbe dato dei risultati e delle soddisfazioni enormi.

Un giorno, però, mentre Arnielle si allenava a lanciare i coltelli a un bersaglio in movimento –rappresentato da uno dei ladri di Jacques con uno scudo in mano- Risha la fermò.

“Basta così per oggi.” disse.

Come al solito, il suo viso era pallido e teso, e nella sua voce c’era una nota di malcelato nervosismo.

Arnielle si fermò, un po’ ansante, e rinfoderò l’ultimo coltello. Il ladro, dall’altra parte dell’aia, fece un sospiro di sollievo.

La ragazza, che lo sentì, scoppiò a ridere. “Tranquillo, Vincent!” gli disse, mentre lui posava a terra il pesante bersaglio di legno “Ti ripagherò, un giorno.”

Il ladro le sorrise, forse troppo stanco per fare una vera risata.

Nel frattempo, Risha le si era avvicinato. Lui non rideva.

“Non ci sarò, domani.” le disse, e le scompigliò i lunghi capelli neri.

Arnielle fece una smorfia, e si ritrasse. “Perché no?” gli chiese imbronciata, aspettandosi la solita giustificazione.

“Ho da fare con i Templari.” rispose lui, azzeccandola in pieno.

La ragazza sbuffò. “Morissero tutti quanti.”

“E’ quello che ci auguriamo in molti, ma purtroppo, non muoiono da soli.” replicò Risha, abbozzando un sorriso.

“Ma mancherai solo domani, vero? O starai via di più?” lo incalzò Arnielle.

“Starò via due giorni, come sempre.” rispose l’Assassino, senza ombra d’emozione.

La ragazza abbassò lo sguardo, triste e frustrata. Il Maestro dovette capirlo, perché aggiunse:
”Domani potrai allenarti con gli uomini di Jacques.” disse, mezzo rivolto a Vincent “Non ci dovrebbero essere problemi, no?”

Vincent scosse la testa. “Niente in programma per domani. Calma piatta.”

“Bene.” fece Risha “Vi ho appena vivacizzato la giornata. Arnielle…” continuò poi, rivolgendosi alla ragazza che continuava a tenergli il broncio “E’ ora che tu faccia un allenamento attivo, che rispecchi un po’ di più la realtà. Perciò, domani andrai in città, e la Gilda ti aiuterà nel tuo addestramento.”

Arnielle sgranò gli occhi. “Che cosa?! Non dovrò mica ammazzare qualche innocente, vero? Sarebbe contro…”

L’espressione di Risha la ammutolì. “Che problemi hai con il Credo, Arnielle? E’ ovvio che non dovrai uccidere nessuno. Come al solito i tuoi bersagli saranno i ladri. Il difficile sta nel non farsi vedere dalle guardie, e nell’improvvisare.”

Subito, Arnielle venne invasa dall’emozione, ma anche da una certa inquietudine. “Ma davvero vuoi che faccia tutto questo? Mi ritieni già all’altezza?”

Per la prima volta da molto tempo, Risha le regalò un sorriso sincero. “Stai diventando una brava Assassina, Arnielle. Hai imparato ad essere umile.”

La ragazza arrossì, contenta del complimento. Vincent intanto si rigirava i pollici, sentendosi un po’ il terzo incomodo.

Risha lo guardò. “Vincent… Puoi andare ad avvertire Jacques, se ti va.”

Il ladro alzò gli occhi. “Subito, Risha!” esclamò, prima di correre via agilmente tra gli alberi della foresta.

A quel punto, il Maestro tornò a guardare Arnielle. “Se non ti credessi all’altezza non ti metterei mai in un pericolo così grande. Adesso vai… Ti aspetta una dura giornata, domani.”

Arnielle, a quel punto, non poté fare a meno di aprirsi in un sorriso. “A presto, Maestro.” lo salutò, voltandogli a malincuore le spalle per prendere la strada verso casa.

“A presto!” le urlò dietro Risha, con un timbro strano.

La ragazza si voltò con aria interrogativa ma, come al solito, Risha non c’era già più.

 

Fréjus, Francia, 1787

Il giorno dopo

Risha era appostato nella solita ombra sulla balconata. Sotto di lui, la sala era già piena, e la riunione sarebbe iniziata a breve.

“Ordine.”

La voce del Gonfaloniere fece piombare la stanza nel silenzio.

“Oggi, come sapete bene, la riunione sarà breve. Discuteremo soltanto degli argomenti più incalzanti e attuali, poiché a causa degli ultimi avvenimenti abbiamo ragione di credere che tra le nostre fila ci sia un infiltrato. Tratteremo di tutto il resto nella nuova sede, che vi è stata comunicata tramite lettera.”

Cazzo. pensò Risha.

Negli ultimi tempi non si era limitato ad aggiornarsi sulle indagini riguardo ad Arnielle. Venendo a conoscenza dei piani dei Templari era riuscito a sventarne molti che sarebbero stati pericolosi, se portati a termine.

Era ovvio che a lungo andare si sarebbero insospettiti. Ma non pensava sarebbe successo così presto.

“Ci limiteremo a discutere dei progressi nella ricerca dell’allieva del Discendente. Blaise, Fabien? Mettetemi al corrente delle novità.”

Risha tirò un sospiro di sollievo. Gli era andata bene.

I due uomini si fecero avanti. Poi, uno di loro parlò:

“Siamo giunti a una conclusione, Gonfaloniere.” disse quello che, a giudicare dalla voce, era Blaise “Abbiamo scoperto di chi si tratta. E dove vive.”

Risha trattenne il respiro, mentre il suo cuore accelerava il battito.

Non è possibile…

“Si chiama Arnielle Laroche, figlia di Marie Laroche, una prostituta. Abita nella campagna di Falaise,* sul mare della Provence, in una baracca circondata da dei campi in abbandono. Ha due sorelle e tre fratelli, e nessun padre. La puttana si è data da fare.” commentò con disprezzo e lascivia il Templare.

Risha strinse i pugni, trattenendosi dal buttarsi giù dal balcone e fare qualche pazzia.

Nella stanza scese il silenzio. Sembrava che nessuno di loro fosse sorpreso da quella rivelazione.

“Perfetto.” affermò il Gonfaloniere “Non abbiamo più ragione di attendere, allora. Radunerò i miei uomini, e li spedirò a chiudere questa faccenda il più presto possibile. Tempo una settimana e ci saremo liberati di questo impiccio.” disse, e per un attimo, Risha avrebbe giurato che avesse sollevato il capo verso di lui.

Ma doveva essere stato frutto della sua immaginazione, perché quando riuscì di nuovo a reprimere la rabbia, il Gonfaloniere si era alzato in piedi, e così tutti gli altri astanti.

Allargò le braccia, e recitò, con voce perentoria: “Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam.”  

Tutti gli altri Templari ripeterono la formula, e poi il Gonfaloniere fece ricadere le braccia lungo i fianchi. “Che il Padre della Comprensione vi guidi. E ora andate in pace. Tutti quanti voi.”

Risha non carpì il lieve tono di minaccia nella sua voce, perché era già troppo lontano, correndo a più non posso verso l’uscita.

 

Falaise, Francia, 1787

Lavorare con Jacques e gli altri ladri non era poi così male. Arnielle li trovava tutti davvero molto simpatici, e sapevano sempre metterla a suo agio.

Le ore in cui avevano lavorato insieme le erano servite anche per socializzare con loro, e scoprire qualcosa di più sulla Gilda di ladri di Falaise. 

Durante le pause le avevano detto che i componenti della Gilda erano quasi tutti abbastanza giovani, anche se, ovviamente, all’interno di essa si trovavano anche coloro che avendo ormai oltrepassato la cinquantina e non potendo più muoversi come facevano un tempo, si occupavano direttamente dell’organizzazione del colpo. C’erano poi anche quelli che avevano il compito di controllare il bottino del giorno.

Quando Arnielle era piccola, si era avvicinata molto a quel mondo perché le circostanze l’avevano costretta a rubare, ma non aveva mai sentito parlare della Gilda di Falaise.

Ricordava perfettamente che uno dei più grandi desideri che teneva segreti da bambina era quello di entrare a far parte di una qualche compagnia di ladri, perché anche se inizialmente non le era piaciuto rubare, alla fine per lei era diventato divertente farsi seguire dalle guardie che ogni volta imprecavano ad alta voce visto che riusciva sempre a passarla liscia. Un gioco.

Ma non aveva mai immaginato che, in fondo, anche quell’attività richiedesse un’organizzazione precisa.

Durante gli allenamenti aveva potuto constatare che i ladri erano molto agili e veloci, anche se, ovviamente, non al livello di Risha.

Comunque, nel caso lei facesse qualcosa di sbagliato durante l’allenamento, ognuno di loro era sempre pronto a farglielo notare: certo, erano ladri, ma la loro attività richiedeva alcune delle caratteristiche che servono anche ad un Assassino, come ad esempio l’agilità e, in ogni caso, rappresentavano un ottimo alleato per l’Ordine.

Soprattutto adesso che Risha non c’era e lei si sentiva molto insicura, aveva bisogno di persone a quel modo.

Quella mattina presto Arnielle aveva iniziato a svolgere il suo allenamento in città, come Risha aveva deciso che facesse.

Sulle prime si sentì preoccupata e poco determinata, anche se in teoria non avrebbe dovuto esserlo: infatti aveva già provato a sperimentare le sue abilità in città, ma di notte, quando era più probabile che nessuno la vedesse e lei era sicura di non correre alcun rischio, anche se forse Risha non la pensava a quel modo.

Di giorno però non era la stessa cosa: doveva stare attenta a non farsi vedere dai passanti che si trovavano di sotto, lungo le strade, soprattutto dalle guardie; doveva prestare attenzione a come effettuava i vari salti e a calcolare a modo la distanza che si frapponeva tra lei e il palazzo che doveva raggiungere.

Ma poi si era abituata a quel nuovo modo di allenarsi, e col tempo tutto si era rivelato essere più semplice.

Quel pomeriggio Arnielle si trovava per strada, in mezzo alla gente. Già che c’era avrebbe anche potuto mettere a frutto le sue abilità da borseggiatrice, ma aveva già avuto modo di farlo per anni. L’obiettivo di quel giorno era infatti quello di arrampicarsi il più in alto possibile, eseguire diversi salti, magari quelli più difficili che richiedevano un po’ più di concentrazione, e colpire col pugnale da lontano un bersaglio in movimento sui tetti, rappresentato dal solito Vincent con lo scudo in mano.

Ad Arnielle, alle sei di sera, non rimaneva altro che provare la sua resistenza nell’arrampicata, quindi arrivò in un vicolo quasi deserto e con cautela, facendo meno rumore possibile per non farsi sentire, e soprattutto vedere, iniziò a scalare uno dei palazzi più alti di quella zona. Sapeva che in cima, sul tetto, ci sarebbero stati gli amichetti di Jacques ad aspettarla.

Corse sul muro per un tratto brevissimo, giusto quel che bastava per raggiungere con le proprie mani il telaio di una finestra e afferrarlo con sicurezza. Poi rapidamente, dato che stava per passare qualcuno, fece forza con le gambe e saltò più in alto, per poi aggrapparsi alla parte inferiore di un balcone semi nascosto dall’ombra.

Arnielle rimase appesa al punto più basso del balcone, tirando su anche le gambe e tenendole a contatto con il terrazzo stesso, come se fosse stata distesa a pancia in giù su un letto, solo che era ribaltata. Stava per cedere, ma doveva resistere: il passante aveva quasi attraversato quel tratto del vicolo.

Quando fu certa che della persona là sotto non c’era più neanche l’ombra, buttò giù le gambe e continuò la sua scalata.

In pochi minuti raggiunse la cima del palazzo, dove trovò Crépin e Eric, appunto.

Appena la videro spuntare, le mostrarono sorrisi carichi di felicità. “Brava Arnielle, migliori ogni minuto che passa!” disse Crépin.

“Grazie.” fece la ragazza, ricambiando il sorriso, ma un po’ affaticata. “Adesso però mi serve la massima concentrazione. Voglio verificare se sono in grado di mettere in atto quello che ho imparato in questi mesi in un altro modo.”

I due ladri si guardarono con espressione interrogativa. “Ma l’hai già fatto. Oggi hai avuto la possibilità di allenarti in città invece che nella solita arena della cascina. Questa non è una novità per te?”

Arnielle sorrise. “Sì che lo è… Ma io intendevo qualcosa di più pericoloso.”

Crépin e Eric si allarmarono.

“Che vuoi dire precisamente?” chiese Eric.

“Bhè… Come dire, finora ho messo a frutto le mie capacità tranquillamente, e ho eseguito gli esercizi senza un limite di tempo… Ma cosa succederebbe se, invece, qualcuno mi seguisse a più non posso, magari anche fino ai tetti? E non mi riferisco a voi.” fece lei.

Crépin era decisamente spaventato. “Mon Dieu, Arnielle! Sei per caso impazzita?” esclamò, portandosi le mani ai lati della testa, disperato.

Nemmeno Eric era tranquillo. “Forse l’abbiamo fatta lavorare troppo…” disse con una strana espressione all’altro ladro  “Mi sa che non le fa bene allenarsi per così tante ore.”

Arnielle rise di gusto. “State tranquilli. Vi prometto che me la caverò, e in ogni caso, se mi dovesse succedere qualcosa, la responsabilità sarà solo mia. Ci penserò io a parlare con Risha.”

“Sai, Arnielle, se ti dovesse succedere qualcosa, dubito che poi potrai parlare con qualcuno.”

“Ho detto che potrà succedermi qualcosa, non che non riuscirò a tirarmene fuori.” replicò la ragazza con un gran sorriso.

Entrambi i ladri aprirono la bocca per ribattere, ma lei era già filata via.

In realtà non era andata molto lontano: si trovava sul tetto della casa accanto, ma evidentemente Crépin e Eric avevano già perso le sue tracce. Arnielle li vide mettersi a sedere vicini, con le gambe che penzolavano oltre il tetto.

La ragazza si tirò su il cappuccio e si voltò. Scese su un tetto un po’ più basso per poi fermarsi. Dalla cima di quel palazzo era possibile vedere con chiarezza tutto ciò che succedeva nella piazza e nelle stradine di sotto.

Voleva verificare se era in grado di controllare la sua elevata capacità di percezione. Ci aveva lavorato molto con Risha: le aveva assicurato che le avrebbe insegnato ad utilizzare l’Occhio dell’Aquila, e aveva mantenuto la promessa.

Ogni giorno, prima dell’allenamento, il Maestro la lasciava in silenzio per quasi un’ora, e in quell’arco di tempo Arnielle doveva concentrarsi e ampliare le sue percezioni, ma soprattutto, doveva imparare a controllarle.

Inizialmente l’esercizio si era rivelato più difficile del previsto, ma poi, col tempo, era riuscita ad eseguirlo senza problemi.

Ma lei voleva vedere il frutto di tutte le sue fatiche, al di fuori del solito ambiente.

Perciò, si affacciò un po’ oltre il bordo del tetto. C’era troppa gente là sotto: non avrebbe saputo distinguere le guardie dai ladruncoli che si aggiravano tra le bancarelle del mercatino, oppure i venditori dalle persone che erano semplicemente sedute su una panchina appena fuori casa.

Prese un bel respiro, e chiuse gli occhi: rimase così per qualche secondo, concentrandosi su tutto quello che accadeva intorno a lei, poi li riaprì.

Adesso riusciva a vedere tutto senza difficoltà: mise subito a fuoco un gruppo di sei guardie vicino alla fontana in mezzo alla piazza, e più in là, ne vide altre due, intente a seguire qualcuno.  Un po’ più avanti, riconobbe Fabrice, uno degli amichetti di Crépin e Eric, che correva a perdifiato tra la folla, gettando a terra degli innocenti passanti per farsi strada.

Ad Arnielle venne in mente un’idea: scese dal tetto e si diresse verso il gruppo di guardie vicino alla fontana. Proprio in quel momento, passarono di corsa Fabrice, che ebbe anche il tempo di rivolgerle un rapido saluto con la mano, e i suoi inseguitori, che fecero allarmare le guardie che interessavano ad Arnielle.

Perfetto, pensò lei, e si avvicinò a una donna girata proprio verso di loro. Quando le fu praticamente accanto, la urtò notevolmente e le rubò il sacchetto di monete che teneva stupidamente in mano.

“Ehi tu! Ferma dove sei!” urlò una guardia, mentre la donna strillava a squarciagola facendo spaventare tutta la piazza.

Arnielle lanciò ai sei uomini un’occhiata carica di sfida, prima di iniziare a scappare velocemente.

Sentì uno di loro urlare dietro di lei: “Diamine! Ma questa è la giornata degli sporchi ladruncoli di Falaise?!”.

Per un istante le sembrò di essere tornata bambina.

Spinse con forza un povero uomo capitato davanti a lei per caso, poi svoltò in una stradina sulla sinistra e prese ad arrampicarsi su per il palazzo come fosse una scimmia.

Quando le guardie arrivarono nel vicolo, lei era già a metà della sua scalata. Sentì diverse imprecazioni e sbuffi di fatica. Evidentemente alcuni dei soldati avevano deciso di seguirla anche su per il muro.

Mh! Guardie… Che stupide!

La ragazza intanto era già arrivata in cima, e continuò la sua corsa. Individuò il tetto dell’edificio sul quale aveva lasciato due preoccupati Crépin e Eric, e si diresse verso quella direzione. Le guardie, nel frattempo, erano riuscite a raggiungere i tetti, ma erano affaticate. Nonostante tutto, dovevano aver visto Arnielle in lontananza, perché urlarono: “Laggiù!”

La ragazza saltò sul palazzo dove si trovavano i suoi due amici ladri, accennando un lamento perché si era fatta un po’ male alla caviglia. Ma riprese a correre: gli uomini l’avevano quasi raggiunta.

Crépin e Eric sobbalzarono notevolmente quando sentirono l’ondata d’aria che Arnielle aveva lasciato dietro di sé, e si sentirono ancora peggio quando videro le guardie farsi sempre più vicine.

“Oh! Mon Dieu!” fecero all’unisono.

Senza pensarci due volte, si alzarono immediatamente, sempre più spaventati, e andarono dietro ad Arnielle.

La ragazza si voltò un attimo verso i suoi amici, e fece loro cenno di muoversi: aveva trovato un nascondiglio valido. Quasi si buttò giù dal tetto, afferrando quello più basso di fronte a lei e lasciandosi cadere con cautela su un terrazzo abbastanza grande e nascondersi dietro al bucato steso con cura.

Crépin e Eric la imitarono, e tutti e tre ebbero modo di osservare le guardie più in alto che cercavano disperatamente di capire che fine avessero fatto, tutti quanti, ma inutilmente.

Quando si furono allontanate, Arnielle venne fuori e tornò sul tetto, e così fecero anche i ladri.

Poi si girò a guardare le loro facce, e scoppiò a ridere. “Non posso credere che vi siate spaventati così tanto!” li canzonò.

Crépin era chiaramente offeso. “Sei una scapestrata, Arnielle! Potevi almeno avvertirci che avevi intenzione di trascinare le guardie fino a dove eravamo noi!”

Lei rise di gusto ancora una volta. “Dove sarebbe stato il divertimento, sennò?”

Eric la guardò malissimo. “Non farlo mai più.”

Lei si limitò ad alzare gli occhi al cielo. “Siete vecchi dentro.”

Diede loro le spalle e decise di trovare un punto adatto per scendere giù, fino alla strada, senza sforzare troppo la caviglia che le doleva ancora un po’.

I due ladri la salutarono e la lasciarono sola.

Si affacciò oltre il tetto, e guardò di sotto, in cerca di qualcosa di utile, ma all’improvviso si sentì una mano sulla spalla, e una forza che la tirava indietro. Era una sensazione già provata.

Per poco non le prese un infarto. Si girò di scatto e puntò il pugnale che portava sempre con sé al collo di qualcuno.

Ma lo ritrasse subito quando si rese conto che quel qualcuno era Risha.

“Scusa se ti ho spaventata, Arnielle.” le disse.

“Risha!” esclamò lei, felice di rivederlo “E’ andato tutto bene?”

“Non c’è tempo per parlare, adesso.”

Sembrava piuttosto agitato, e sul volto aveva una strana espressione.

Lei sentì una certa inquietudine. “Qualcosa non va?” chiese.

“Arnielle, ascoltami bene. Devi fare tutto quello che ti dirò di fare. Intesi?” si limitò a risponderle. Era serissimo.

Arnielle annuì, nonostante iniziasse a sentirsi davvero molto preoccupata.

“Và dalla tua famiglia, e portala qui in città. Devi arrivare fino alla piazza principale; lì ci sarà Jacques ad aspettarvi. Una volta che lo avrete raggiunto, vi porterà al sicuro alla Gilda dei ladri. Ci vedremo lì.” continuò lui.

“Ci porterà al sicuro? Risha, che significa? Cosa diavolo sta succedendo?” la ragazza stava diventando agitata quasi più di lui.

“Ti ho già detto che non c’è tempo di spiegarti. Tu fallo e basta! Subito!” le ordinò lui, e vedendo che Arnielle indugiava a partire, aggiunse “CORRI!”

A quel punto lei non poté più disobbedire, e si calò giù dal tetto.

 

Risha si affrettava verso la Gilda. Il suo cuore batteva a una velocità innaturale, e non solo per la corsa. Aveva un orribile presentimento, e non vedeva l’ora di riabbracciare Arnielle.

Per il momento non poteva fare altro che aspettarla.

Quando si erano salutati era corso alle varie colombaie della città per interrompere le comunicazioni. Aveva liberato i piccioni e aveva distrutto le gabbie, sperando che per il momento bastasse a guadagnare un po’ di tempo.

Non si era fermato nemmeno un attimo da quando era uscito dalla cattedrale di Fréjus. Era tornato a Falaise due ore prima, in pochissimo tempo, spronando il cavallo fino allo stremo, e appena arrivato era corso alla Gilda, per avvertire Jacques e chiedergli di mandare qualcuno dei suoi di guardia sulla strada verso la casa di Arnielle. Purtroppo, tutti quelli liberi erano ad allenarsi con la ragazza, e gli altri erano fuori città a prepararsi ad assaltare una carrozza. Jacques gli aveva promesso che, appena qualcuno fosse tornato, l’avrebbe mandato subito in aiuto di Arnielle.

E, dopo averla avvertita e aver finito quell’ultimo lavoro, Risha stava tornando alla Gilda per aspettare l’arrivo della ragazza.

Non gli piaceva affatto l’idea di aspettare. Ma non aveva scelta.

Entrò dalla porta, forse per la prima volta nella sua vita. Era sfinito, le gambe gli dolevano terribilmente, ma quasi non lo sentiva. Tutto ciò che provava era ansia, e paura.

Appena fu all’interno, Jacques gli corse incontro, con un aspetto nervoso almeno quanto il suo.

“Mi dispiace, ma i miei uomini non sono ancora tornati. Temo abbiano avuto qualche imprevisto.”

Risha sentì lo stomaco contrarsi. “Non importa. Il Gonfaloniere ha detto che l’avrebbe attaccata tra una settimana, andrà tutto bene.”

Jacques annuì. “Vedrai che…”

In quel momento, la porta sbatté violentemente, e sulla soglia si presentarono due figure. I due uomini impiegarono un po’ di tempo per riconoscerle.

“Capo…” ansimò Fabrice, trascinando nella stanza un corpo completamente abbandonato contro di lui.

Risha e Jacques si affrettarono subito ad andare a dargli una mano a portarlo dentro. Adagiarono il corpo scomposto e sanguinolento su un divano, poi Fabrice continuò:

“L’ho trovato in queste condizioni in un vicolo isolato, non molto lontano da qui…” disse, col respiro ancora affannato “E’ Mathias, capo.”

Sia Jacques che Risha abbassarono lo sguardo su quell’involto di stracci, il cui petto si alzava e abbassava a malapena. Mathias, il giovane ladro della compagnia di Jacques, era totalmente irriconoscibile.

“Ma cosa diavolo gli è successo?” chiese il capo dei ladri, accovacciandosi vicino al divano “Fabrice, va’ a chiamare un medico! Sbrigati!”

Il ladro esitò, guardando terrorizzato il volto pesto dell’amico disteso sui cuscini.

“Muoviti!” lo incalzò Jacques, e solo allora il giovane riuscì a muoversi, e a correre fuori.

Anche Risha si avvicinò al divano. Nel guardare Mathias ridotto in quello stato percepì che qualcosa non stava andando. Che c’era qualcosa di storto.

“Guarda qui…” mormorò Jacques, constatando velocemente le ferite del ragazzo “Vado a prendere dell’acqua…” fece, alzandosi velocemente.

“Aspetta…”

Risha si voltò, e così Jacques. Mathias era riuscito a socchiudere gli occhi, e aveva stretto con forza una mano attorno al braccio del ladro.

Jacques si affrettò a tornargli vicino. “Mathias, sta’ zitto. Ora non è il momento di parlare, devi riposarti.”

“No…” insistette Mathias, con voce flebile “Io devo… dire una cosa… E’ importante…”

A quel punto, Jacques non lo interruppe. Risha mosse un passo verso di lui, sempre più inquieto.

“I Templari… Sono stati loro…” mormorò il ragazzo, senza mollare la presa sul braccio del ladro “Loro… mi hanno preso, e… e fatto delle domande… Volevano sapere… di Arnielle… e della sua famiglia…”

Risha strinse i pugni, mentre il respiro gli si faceva affannoso. Jacques rimase immobile, pietrificato nella posizione in cui era.

“Io ho detto di no, ma… ma loro… faceva male, e io… dicevano che mi avrebbero ucciso…”

Il ragazzo scoppiò a piangere. Il petto gli si alzava in spasmi dolorosi e irregolari. “E io gliel’ho detto. Gli ho detto tutto, Risha, mi dispiace…”

L’Assassino sentì le gambe cedergli. Si mise le mani sul viso e tra i capelli, sotto il cappuccio, voltandosi verso la porta. Ma sentiva che non era finita…

“Mi hanno anche chiesto…” continuò Mathias, i singhiozzi che diventavano sempre più incontrollabili “Come tu facessi a sapere tutte quelle cose su di loro… E io…” esitò, piangendo più forte “Credo che abbiano fatto trapelare una falsa traccia… Così ha detto il Templare, ha detto che… ti avrebbero fatto credere al sicuro… che avevi tutto il tempo, ma in realtà… non è così. Non è così, Risha, loro… loro sono già qui.”

Jacques si voltò verso l’Assassino con gli occhi sbarrati, terrorizzato.

Ma Risha non ricambiò il suo sguardo per più di un millesimo di secondo. Si lanciò verso la porta, dimentico del dolore alle gambe, dimentico della stanchezza, dimentico di ogni cosa. Tranne che di Arnielle.

“Perdonami…” mormorò debolmente Mathias, in preda alle lacrime.

Ma l’Assassino non poté e non volle rendergli conto. Forse neanche lo sentì, ormai troppo lontano sulla strada verso la campagna di Falaise.

 

Arnielle non sapeva con precisione da quanto tempo stesse correndo, e non le interessava saperlo.

L’unica cosa che voleva era arrivare a casa e portare via sua madre e i suoi fratelli, come aveva detto Risha, da quel pericolo che non conosceva.

Era ormai scesa la notte, e il buio era denso e omogeneo. Per questo quando giunse sulla cima di un pendio rimase quasi accecata dalla luce forte e tremolante che vide in lontananza.

Si fermò di colpo, con una fitta al cuore. Poi, pregando che non si trattasse di ciò che pensava, riprese a correre più veloce che poteva.

Ma quando arrivò in vista dei campi in cui era cresciuta e di quella che era stata casa sua, fu come se il cuore e i polmoni le si accartocciassero.

Si fermò di nuovo, la testa che le girava, l’aria che si rifiutava di scenderle oltre la gola. Rimase pietrificata in quel punto, con gli occhi sbarrati sulla scena che non avrebbe mai più dimenticato.

Davanti a lei, casa sua era in fiamme: uomini in armatura entravano e uscivano dalla porta ancora intatta, mentre dalle macerie si levavano alte le urla disperate di alcuni bambini… I suoi fratelli.

Forse fu per pietà che le sue orecchie smisero di funzionare, impendendole di sentire altro. Sentì la testa congelarsi e andare a fuoco nello stesso momento, mentre non udiva altro che un forte ronzio.

Arnielle si sentì le gambe cedere, e cadde in ginocchio, con le mani davanti alla bocca; la scena cominciò ad appannarsi e ondeggiare, e la ragazza capì che gli occhi le si erano riempiti di lacrime.

Vomitò.

Era convinta che sarebbe morta anche lei, sul prato dove aveva giocato tante volte con Thérese, Sebastien, Justin, Margot e il suo piccolo Pepinot… E Marie, che li guardava da chissà dove, con un dolce sorriso sulle labbra…

Arnielle si accasciò al suolo, stringendo terra ed erba tra le dita, mentre i singhiozzi le si infrangevano nel petto, e qualcos’altro le saliva al cuore.

Rabbia.

Voglia di vendetta.

Fu con un ringhio che si staccò da terra, e prese a correre verso la casa in fiamme, senza sentire altro che una tremenda voglia d’uccidere.

Poi si sentì bloccare, e tirare indietro. Delle braccia forti la stringevano, qualcuno l’aveva afferrata per la vita.

Arnielle prese a scalciare, e a cercare con tutte le forze che le erano rimaste di liberarsi.

“NO! NO, LASCIAMI ANDARE!”

Continuò ad avanzare, cercando di contrastare quelle braccia tanto più forti di lei. Chi l’aveva fermata la stringeva a sé, le parlava, ma lei non sentiva niente, soltanto quel ronzio e il battito accelerato del suo cuore.

Lui la strinse più forte, e solo allora Arnielle sentì il profumo di Risha.

“Arnielle, basta, cosa pensi di fare?” le urlò il suo Maestro, mentre lei non smetteva di divincolarsi.

“LASCIAMI! LASCIAMI, VOGLIO UCCIDERLI TUTTI, FINO ALL’ULTIMO!” gridava la ragazza, in mezzo ai singhiozzi.

“No, Arnielle, la vendetta non è il motivo giusto per uccidere!” cercava di spiegarle Risha “Ricorda la storia di Ezio!”

“NON M’IMPORTA!” urlò Arnielle “NON ME NE FREGA NIENTE DI EZIO! SONO TEMPLARI! IO LI AMMAZZO, DOVREI AMMAZZARLI COMUNQUE, NO?! FACCIO LA TUA MALEDETTA GIUSTIZIA!”

Risha stavolta non rispose. Continuò semplicemente a stringerla, mentre la ragazza continuava a divincolarsi, sempre più debolmente, finché non riuscì più a tenersi in piedi, e cadde a terra. Con lei cadde anche Risha, che non la lasciò neppure allora. Arnielle si voltò verso di lui, picchiandolo, ma Risha non la lasciava, non l’avrebbe fatto.

Continuò a tenerla finché lei, esausta, non si abbandonò contro di lui, nascose il viso nell’incavo della sua spalla e scoppiò di nuovo a piangere.

Risha l’abbracciò forte, e lentamente anche lei si lasciò andare tra le sue braccia, e si strinse a lui.

Rimasero lì per quelle che parvero ore, abbracciati e immobili, mentre l’Assassino cercava di impedire ad Arnielle di vedere quello che succedeva alle sue spalle.

Degli spasmi strani gli muovevano il petto.

Soltanto molto tempo dopo, Arnielle avrebbe capito che stava piangendo.

 

Arnielle era immobile, sprofondata in una poltrona alla Gilda, con lo sguardo perso nel vuoto.

Qualcuno aveva provato a prepararle una bevanda calda col miele, ma quella era rimasta intatta sul comodino di fianco a lei.

Non pensava a niente. Avrebbe fatto troppo male.

Aveva finito tutte le sue lacrime. Soltanto dei singhiozzi aridi le scuotevano le spalle.

Teneva i pugni stretti in grembo. Improvvisamente, si accorse del sangue che le scorreva lungo il polso. Fu allora che si rese conto di stringere qualcosa nella mano destra; dischiuse le dita lentamente, e un’ultima lacrima le scivolò fino alle labbra.

Era la punta di freccia a cui era tanto affezionato il piccolo Pepinot. L’aveva persa di nuovo.

E probabilmente aspettava che lei rientrasse a casa per aiutarlo a cercarla.

Doveva averla presa senza accorgersene quando aveva poggiato le mani a terra, nel prato, poche ore prima.

Ma sono ore? Mi sembra una vita.

Risha non c’era. Arnielle ricordava che l’aveva portata, stringendola, fino alla Gilda.

L’aveva fatta sedere su quella poltrona, e le aveva promesso che sarebbe tornato presto.

Fin da quando era entrata in quella stanza, c’era un gran viavai di ladri, ma non osavano avvicinarla, e lei lo apprezzava. Non aveva voglia di parlare con nessuno, voleva soltanto che Risha tornasse.

Jacques entrò nella stanza in quel momento. Arnielle si rese conto che l’aveva guardata in modo strano prima di avvicinarsi a Vincent, e sussurrargli all’orecchio.

Questo fu l’unico motivo per cui la ragazza li guardò di sottecchi, e si mise ad ascoltare.

“Mathias… Come sta?” chiese Vincent.

“Non bene.” rispose Jacques “I Templari l’hanno ridotto veramente male. Gli ci vorrà del tempo, ammesso che si rimetta del tutto.”

“Non oso immaginare in che condizioni sarebbe se avesse indugiato ancora di più a rispondere alle loro domande...” fece l’altro, serio.

Arnielle si alzò di scatto, e i due ladri sollevarono uno sguardo terrorizzato e allarmato su di lei.

“Dov’è quel bastardo?!” urlò la ragazza con voce roca.

Nessuno di loro le rispose, così Arnielle si limitò a lanciarsi fuori dalla stanza, per cercarlo da sola. Impugnava il gioco di suo fratello come un’arma.

“Arnielle! ASPETTA!” gridò Jacques, fiondandosi dietro di lei, ma la ragazza era più veloce.

Improvvisamente due ladri uscirono da una stanza con dei panni bianchi sporchi di sangue, e Arnielle accelerò in quella direzione, certa di averlo trovato.

Ma i due ladri si pararono davanti alla porta, impedendole il passaggio.

“TOGLIETEVI DI MEZZO!” urlò Arnielle, senza accennare a fermarsi.

“Arnielle, calmati! Che senso avrebbe?” le domandò Jacques, che ormai l’aveva raggiunta.

“Quello di dargli ciò che si merita!” rispose la ragazza, ormai pericolosamente vicina alla porta.

I due ladri l’afferrarono per le braccia, ma ci volle anche la forza di Jacques per fermarla del tutto e riportarla nella stanza principale.

“Voglio due di guardia davanti alla stanza di Mathias. Ora!” sentì gridare il capo dei ladri a qualcuno alle sue spalle.

Poi, Arnielle venne fatta risedere sulla poltrona e, mentre continuava a divincolarsi, si vide avvicinare al viso un fazzoletto dall’odore sgradevole e forte.

Voltò la testa, ma riuscirono comunque ad appoggiarle il fazzoletto sul naso e sulle labbra e, dopo pochi secondi, Arnielle non vide più niente.

Quando si svegliò, ad Arnielle girava vorticosamente la testa, e ci mise un po’ di tempo a realizzare dove si trovava e che quello che era successo la notte prima non era soltanto un brutto sogno.

Si portò una mano alle tempie, e le sfuggì un singhiozzo. Quando aprì gli occhi vide Risha seduto sul bordo del suo letto.

“Ciao.” disse il suo Maestro.

“Ciao.” mormorò debolmente lei.

Rimasero a lungo a guardarsi, in silenzio. Per qualche motivo, Arnielle sentiva che Risha era l’unico che la capiva.

“Come ti senti?” chiese l’Assassino dopo un po’.

Lei esitò. “Non mi fa male niente.” rispose alla fine, non trovando nient’altro da dire.

Risha abbozzò un sorriso. “Non devi avere paura di dirmi come stai davvero.”

Negli occhi di Arnielle si accese un riflesso rapace. “Mi sento uno schifo. Tutto ciò che voglio è fargliela pagare, a tutti quanti.”

Risha sospirò. “Avrebbero ucciso anche te, lo sai?”

“Adesso no.” ribatté Arnielle ”Adesso sono io che posso uccidere loro. E niente mi fermerà.” aggiunse, sapendo che lui avrebbe trovato qualcosa per controbattere.

“No, Arnielle.” fece l’Assassino “Non fare questo errore.”

“Non è un errore. E tu dovresti aiutarmi.” replicò la ragazza, alzandosi a sedere sul letto.

Risha scosse la testa. “Non ti aiuterò a procurarti un rimorso che ti trascinerai dietro per tutta la vita.”

Arnielle non ci vide più. “Sono Templari, Risha! Sono Templari e… HANNO UCCISO LA MIA FAMIGLIA!”

Risha trasalì.

“Lo so.” disse piano l’Assassino “Ma ormai niente te la riporterà indietro.”

Questo era proprio ciò che Arnielle non voleva sentire. Scese giù dal letto, e si rinfilò la giacca di foggia maschile appesa alla testata.

“Se non vuoi aiutarmi” iniziò, cercando gli occhi di Risha, quegli occhi che non aveva ancora mai visto, sotto il suo cappuccio “Lo farò da sola.” gli promise.

Afferrò la punta di freccia di Pepinot, rimasta sul letto, e se la ficcò in tasca.

Poi uscì dalla stanza senza degnarlo di uno sguardo.


Scusate... Non abbiamo parole per descrivere questo capitolo, se non scusate. Era necessario.

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Capitolo 9
*** Lo sporco lavoro di un Assassino ***


St.Gilles, Francia, 1789
28 Gennaio

 
Borseggio. Spionaggio. Interrogatorio.
Le tre azioni che gli Assassini solevano eseguire per ottenere abbastanza informazioni da poter uccidere il loro obiettivo.
Damien non veniva meno a questa norma. Perciò, appena arrivato a St.Gilles, si era premurato di individuare i luoghi più frequentati dagli abitanti. Più di una volta si era lamentato di non essere nato nell’Antichità, quando la Confraternita aveva una sede praticamente in ogni più piccolo villaggio. Adesso, loro dovevano fare tutto da soli.
Camminava per il mercato della città, che era piuttosto grande rispetto a quelle che aveva visitato prima. Si aspettava di trovare qualcosa. Nel mercato c’era sempre qualcosa da trovare.
Infatti, mentre passava accanto a una bancarella ricolma di verdure vecchie e mezze marce, sentì il frammento di una conversazione.
“…Gaillard ha detto carote, non cavolfiori!”
Il ragazzo si bloccò, e per un attimo il tizio dietro al banco lo guardò con fare sospettoso. Così si allontanò con aria indifferente e raggiunse una panchina di legno contro una parete.
Il tempo di sedersi, e i due avevano già ricominciato a parlare.
“Ma non ho trovato altro!” si giustificò il mercante “Nel caso te ne fossi dimenticato, c’è carestia, e non posso fare miracoli!”
“Non me ne faccio niente dei tuoi cavolfiori! Non durerebbero nulla! Non si conserverebbero neanche fino a metà del viaggio!” si infervorò l’altro, buttando a terra la cassa di cavolfiori.
“Ehi! I miei cavolfiori! Guarda che me li paghi lo stesso! Andare in giro a cercare cavolfiori non è uno dei miei passatempi preferiti, sai? E nemmeno le carote per il tuo padrone!” sbottò il venditore.
“Faresti bene a cambiare idea, allora. Il mio padrone non è un uomo paziente, e se trova qualcuno che gli mette i bastoni tra le ruote, neanche troppo misericordioso. Perciò, vedi di procurarti quelle maledette carote, o qualcosa che si conservi altrettanto bene! Ci siamo capiti?” lo avvertì con freddezza l’uomo.
Il mercante trattenne il fiato, e poi buttò giù le spalle. “D’accordo… Vedrò di procurarmi delle patate. Adesso vattene. Ho da fare.”
Il servo di Gaillard, evidentemente scontento, si allontanò dalla bancarella, e Damien si alzò in piedi.
Lo sapevo che avrei trovato qualcosa,pensò con un ghigno, anche se non c’era da essere felici di ciò che aveva scoperto.
Gaillard stava per partire. Ed evidentemente per un lungo viaggio se faceva provviste, e addirittura si curava che si conservassero per diversi giorni. Damien non aveva idea di quanto si mantenessero le patate, ma supponeva per un bel po’.
La cosa che non sapeva, e che forse era la più importante, era quando sarebbe partito. Non poteva mettersi a sorvegliare casa sua finché non lo avesse visto allontanarsi in carrozza.
No… Doveva scoprire di più sia riguardo al viaggio che al momento e al luogo propizio per ucciderlo. Perciò non gli rimaneva che continuare a cercare.
Ma per farlo, aveva bisogno di indicazioni più precise.
 
Il monastero benedettino era all’interno della città, cosa piuttosto insolita in effetti. Ma meno insolita se si pensava che tutta la città era cresciuta intorno a quel monastero, e alla presunta tomba di Gilles, il santo.
Damien se ne fregava altamente.
Ma la persona che gli serviva era all’interno di quel monastero. Si arrampicò oltre le mura, faticando un po’ per via della ferita al fianco che continuava a fargli male, e dentro al chiostro senza farsi vedere, fino a raggiungere una minuscola finestra munita di sbarre.
Individuò quella allentata e la divelse con facilità, prima di infilarsi nella piccola cella.
L’uomo inginocchiato di fronte al santino smise di pregare, e si alzò in piedi di scatto, cacciando un urletto.
“Gesù, Giuseppe e Maria, Damien!” esclamò il monaco facendosi il segno della croce.
Damien spalancò gli occhi. “Beh, grazie, hai un’alta considerazione di me.” mormorò, per poi sorridere.
Il monaco gli lanciò un’occhiata di rimprovero. “Ti prego di non bestemmiare. Siamo in un luogo santo.”
Il ragazzo ridacchiò, sedendosi scompostamente sullo scomodo giaciglio contro il muro. “Tu passi troppo tempo a pregare, Mathieu.”
Mathieu fece un mormorio infastidito con le labbra. “Cosa ti porta qui, Damien? In questo luogo sacro e totalmente inadatto a te?” gli chiese sarcastico, rimanendo in piedi di fronte a lui.
“Non posso far visita ad un vecchio amico?” domandò Damien di rimando, con un sorriso irritante.
Il monaco inarcò un sopracciglio con aria scettica. “Hai interrotto le mie preghiere.”
L’Assassino sbuffò sonoramente, e si buttò per un attimo sdraiato sul letto. “D’accordo!” disse poi, rialzandosi “La farò breve. Mi serve sapere qualcosa riguardo a Gaillard. Bastien Gaillard.”
Mathieu aggrottò le sopracciglia. “E’ sulla tua lista?”
Damien rimase in silenzio qualche momento, esitante. “Secondo te?” fece poi.
Il monaco sospirò, mettendosi una mano nella chierica tagliata di fresco. “Non lo so, Damien… Non sono sicuro di essere la persona più adatta per…”
“Andiamo, Mathieu!” sbottò Damien “A chi altri potrei chiederlo? Almeno ammetti che il motivo per cui non vuoi parlare è legato alla tua fede!” si mise a sedere su un lato del letto, con i gomiti sulle ginocchia e gli indici contro le labbra “Vuoi che ti ricordi che cos’ha fatto? Bene, te lo ricorderò.”
Il monaco spostò il peso da un piede all’altro con insofferenza. Cosa che incoraggiò Damien a continuare.
“Ha ingannato il popolo. L’intera popolazione, che si è fidata di lui eleggendolo suo rappresentante. E l’ha ingannata nel modo più sordido e disgustoso; per denaro. E’ un sudicio verme corrotto, e inoltre c’è il rischio che venga a sapere di cosa stiamo organizzando, che spazzi via tutto il lavoro che abbiamo fatto. Vuoi questo, Mathieu? Preferisci condannare migliaia di vite, piuttosto che aiutarmi a togliere di mezzo un simile rifiuto della società?”
Il monaco sospirò di nuovo, senza guardarlo negli occhi.
Damien aggiunse, con tranquillità: “Non sei tu che devi ucciderlo.”
A quel punto, il giovane monaco posò lo sguardo su di lui, e raddrizzò le spalle. “D’accordo.” disse, prendendo a camminare avanti e indietro nella stanza “Cosa vuoi sapere?”
“Sono venuto a conoscenza del fatto che Gaillard ha intenzione di partire per non so dove, e non so quando. Per questo mi serve sapere il più possibile a suo riguardo, e velocemente. Se me lo faccio scappare chissà quando lo ritroverò, e dove…”
“Sì, sì, ho capito! Non sai dove e non sai quando, non sai niente! Adesso lasciami pensare!” sbottò Mathieu, senza smettere di girare nervosamente per la stanza.
Se non gli fosse stato più conveniente lasciarlo parlare, Damien gli avrebbe ricordato che l’ira è uno dei sette peccati capitali.
“Dunque…” disse il monaco dopo un po’, passandogli davanti “L’unica cosa che mi viene in mente è che potresti parlare” fece, marcando con eloquenza l’ultima parola “Con un certo René Silvère. Abita ad est rispetto a questo monastero, appena prima del mercato. E’ venuto a confessarsi da me l’altro giorno, dopo un’eternità di tempo… Forse non si era più confessato dalla comunione, in effetti.” aggiunse Mathieu con un breve sorriso “Sembrava avere una certa fretta, e sa cose che potrebbero esserti utili.”
Damien si spazientì. “Madonna…!”
Mathieu gli lanciò un’occhiataccia, e l’Assassino si affrettò a deviare la sua conclusione “Santa! Se le sai già, perché non me le dici?”
Il monaco incurvò le dita come se volesse strangolarlo. “Non è così che funziona, Damien! Non posso infrangere il segreto del confessionale, sarebbe peccato. Inoltre, sei tu l’Assassino. Sta a te ricercarti questo tipo di informazioni.”
Damien alzò gli occhi al cielo, rassegnato. Se c’era una cosa su cui Mathieu non si smuoveva, erano gli obblighi della sua fede.
“D’accordo.” si limitò a dire “C’è altro?”
“Sì.” rispose Mathieu, senza smettere di andare avanti e indietro “Ora che ci penso, mi pare di aver sentito un uomo declamare a gran voce le doti di Gaillard, intorno alla zona povera della città. E’ lì che di solito bazzicano i suoi assoldati. Sicuramente riuscirai a scoprire qualcosa.” concluse il monaco, fermandosi finalmente a sedere a terra contro il muro, con aria esausta.
Damien si alzò in piedi, e andò ad appoggiargli una mano sulla testa.
“Grazie, pelatino.” disse con un sorriso “Mi sei stato di grandissimo aiuto.”
Mathieu si ritrasse e gli lanciò uno sguardo di fuoco. “Madonna…!”
L’Assassino spalancò gli occhi, sinceramente sconvolto. “Mathieu!”
Il monaco si mise una mano sulla bocca e si fece il segno della croce una, due, tre, quattro volte, borbottando chissà che cosa. “E’ tutta colpa tua, Damien! Vattene!”
Il ragazzo si trattenne a stento dallo scoppiare a ridere, mentre il monaco lo spingeva goffamente verso la finestra.
Si appollaiò sul davanzale, mentre Mathieu tornava a inginocchiarsi di fronte al piccolo altare.
L’Assassino rimase qualche istante a guardarlo, e poi pensò che era il momento adatto per dirgli ciò che aveva evitato di dire prima.
“Ah, Mathieu…” fece, e il monaco smise di mormorare, voltandosi per metà verso di lui “Ti ricordo che l’ira è uno dei sette peccati capitali.”
Il monaco ringhiò esasperato, e afferrò la statuetta davanti alla quale stava pregando. Ridendo come un pazzo, Damien si buttò giù dal davanzale, appena in tempo per evitare l’impatto con la piccola scultura. Cadde in un mucchio di fieno, e quando riemerse vide alcune schegge della statuetta sul pavimento del chiostro.
“La mia miniatura di Saint Gilles!” urlò dall’interno la voce disperata di Mathieu.
Il ragazzo si mise una mano vicino alla bocca, ed esclamò: “Era a questo che mi riferivo!”
E poi, prima che al monaco venisse in mente di lanciargli qualcos’altro, corse via dal monastero.
Appena uscito, un lieve brivido gli corse lungo la schiena. Si voltò di scatto, esaminando la facciata dell’edificio da capo a piedi. Aveva la brutta sensazione che qualcuno lo stesse osservando.
Senza riuscire a scollarsi di dosso quell’impressione continuò per la sua strada, diretto ad est. Eppure, qualcosa gli diceva che sapeva chi lo stava spiando.
 
Damien riusciva già a sentire i rumori del mercato quando si trovò davanti alla casa di René Silvère. Si era fatto indicare il luogo esatto da uno o due passanti, e non aveva avuto molte difficoltà a trovarlo; la casa si distingueva da quelle che aveva intorno perché evidentemente più ricca.
Stava per bussare gentilmente alla porta quando qualcuno lo precedette. Un uomo snello e minuto lo sorpassò prima che raggiungesse l’uscio, e batté due volte il pugno sulla superficie di legno.
Damien si allontanò velocemente e si nascose in un angolo della strada. Da lì, senza farsi vedere, prese ad origliare.
“Era l’ora! Sei in ritardo!” esclamò il padrone di casa.
René Silvère era un tizio che a prima vista non avrebbe dato l’impressione di poter vivere in una casa come quella. Somigliava di più a un malvivente da strada, grosso, ben piazzato e trascurato com’era.
L’uomo minuto tremò visibilmente. “Scusatemi, monsieur. Ho avuto molte commissioni da sbrigare, data l’imminente partenza…”
Damien si fece più attento. Quello era evidentemente un servitore di casa Gaillard.
“Non m’interessano le tue scuse. Prendi, e va’ a consegnarlo al tuo padrone.” l’interruppe Silvère, sbattendogli sul petto una busta piuttosto grande “Togliti dai piedi, ora.”
L’altro uomo annuì parecchie volte, si sistemò il pacchetto in una sacca a spalla e si allontanò dalla porta il più velocemente possibile.
Damien snobbò Silvère con la stessa velocità con cui si era interessato a lui.
Borseggio, pensò, prendendo a seguire il servitore in mezzo alla folla.
Quando gli fu abbastanza vicino allungò con cautela il braccio disarmato verso la sua bisaccia, infilò le dita nell’apertura e immediatamente sfiorò la busta. L’afferrò saldamente, e la tirò fuori senza emettere un rumore.
Mettendosela nella sacca si allontanò a grandi passi da lui, e quando il servitore cominciò a imprecare era già appollaiato su una terrazza, con la lettera in mano.
Tra i numerosi errori di ortografia, c’era scritto:
 
 
Bastien,
I miei uomini sono pronti a partire. Dimmi quando hai finito di fare provviste ; comunque sia, non possiamo rimandare la partenza più di una settimana.
Partiamo venerdì notte, quando tutti i cittadini saranno a dormire nelle loro case. Passeremo dalla strada che corre rasente le mura verso l’uscita nord. Spero che tu abbia già corrotto le guardie perché ci lascino passare senza problemi.
Ti dico solo che se i bifolchi ci dovessero beccare, puoi dire addio tanto alla tua carica e al tuo denaro, quanto alla testa.
Vedi di farti trovare pronto un’ora dopo la mezzanotte. Con i miei soldi.

René

 
Insieme al biglietto, nella busta c’era una mappa. Era una grande cartina della Francia, sulla quale qualcuno aveva tracciato dei segni ben precisi. Una freccia partiva da St.Gilles, e attraversava metà della Francia evitando praticamente tutti i centri abitati. Arrivava fino a Parigi, che era cerchiata parecchie volte, per poi riprendere verso nord-est, e fermarsi infine in un altro cerchio su un’altra città.
“Bourbourg.” lesse con difficoltà Damien, strizzando gli occhi.
Quindi Gaillard meditava di scappare, e anche molto lontano. Il perché era un’incognita, ma almeno adesso sapeva quando sarebbe partito.
Ma come mai Parigi era cerchiata con tanta insistenza? Sembrava una tappa del viaggio di Gaillard… Ma perché, se evitava con tanta cura i centri abitati, avrebbe voluto fermarsi nella capitale del regno di Francia?
Non importa. Tanto non ci arriverà mai.
Il suo viaggio avrebbe cambiato strada… verso la tomba.
Ancora, comunque, non aveva abbastanza dettagli. Quindi, senza perdere dell’altro tempo, decise di dirigersi verso la parte più povera della città.
 
Anche per chi non avesse ricevuto indicazioni precise come le sue, sarebbe stato evidente che quella parte della città era sprofondata nella miseria.
La prima cosa che Damien notò fu il gran numero di persone sdraiate a terra, o comunque abbandonate contro le pareti degli edifici, forse talmente povere fino al punto di non possedere neanche una casa.
Le abitazioni erano tante, e ammassate le une sulle altre, scalcinate e spesso senza neanche le imposte. Oltre ai mendicanti, le uniche persone che si vedevano in giro erano donne e bambini magrissimi, mentre gli uomini, si disse Damien, dovevano essere ai campi a faticare e a cercare di tirare fuori qualcosa dalla terra avara.
Fu mentre camminava, rapito da quella vista, che sentì una voce più alta delle altre:
“…E’ per questo che dovete affidarvi alla guida di Bastien Gaillard, il vostro rappresentante! Tra pochi mesi agli Stati Generali difenderà il nostro popolo davanti al Re, e lo farà con gioia e dedizione!”
Damien si avvicinò velocemente alla fonte della voce, e si ritrovò in una piazza piccola e spoglia, con un palco nel centro. Lì, un uomo declamava a gran voce:
”Presentategli le vostre personali lamentele, lui ne prenderà atto e provvederà a inserirle nei Cahiers de Doléances! Affidatevi a Bastien Gaillard! Abbiate fede in lui! Gaillard è uno di noi! A prova del suo appassionato interesse nei nostri confronti, il Generoso si sta impegnando a creare un piano di ristrutturazione e miglioramento della nostra città! Con il contributo di solo dieci livres, lo aiuterete in questa impresa, e a St.Gilles non mancherà più niente, avremo l’acqua e il cibo sia d’estate che d’inverno! Fidatevi di Gaillard, l’amico dei poveri!”.
Finito il suo discorso, l’oratore scese dal palco e, tranquillamente, imboccò una stradina, di sicuro diretto al prossimo luogo d’incontro.
Magari nel distretto ricco, dove avrebbe detto tutto il contrario.
Damien sbuffò sarcastico e lo seguì nel vicolo, attento a non farsi scoprire. Aspettò che l’uomo raggiungesse una via quasi completamente deserta, e poi, lo voltò con violenza. L’uomo lo guardò con gli occhi spalancati, ma prima che avesse tempo di dire qualsiasi cosa, si beccò il pugno di Damien dritto in faccia, e un dente, insieme a uno schizzo di sangue, gli saltò dalla bocca.
“Ma siete impazzito? Che vi ho fatto? Perché mi attaccate?” chiese l’uomo spaventato, mettendosi in ginocchio a terra.
Damien sorrise sarcastico. “A me non avete fatto niente. E’ al popolo che state nuocendo.”
Il volto dell’uomo diventò più bianco di quanto già non fosse. “Ma come potete dire una cosa del genere? Non avete sentito le mie parole?”
“Proprio perché le ho sentite” lo interruppe Damien “Ne sono convinto.”
“Cosa intendete dire con questo?” chiese l’oratore, sempre più atterrito.
L’Assassino cercò di essere il più chiaro possibile. “Sono certo che sapete che l’uomo di cui parlate tanto bene non è altro che uno sporco traditore. E voi lo aiutate nei suoi intenti. Quanto vi paga? Sentiamo.” chiese minaccioso.
L’oratore mise le mani davanti al viso. “Sono tutte fandonie quelle che dite!”
Damien iniziava a spazientirsi. “Bhé, se non avete niente da dirmi… Allora non ho bisogno di voi.” disse, facendo scattare la lama celata.
L’uomo sgranò gli occhi e arretrò verso il muro. Si guardò intorno disperato, probabilmente nella speranza che qualcuno passasse nel vicolo in quel momento.
Ma quando si rese conto che non aveva scampo, parlò: “D’accordo! Vi dirò tutto ciò che volete, ma vi prego, risparmiatemi!”
Damien si limitò a ritrarre la lama e a ghignare. “Questo lo vedremo dalla qualità delle vostre informazioni. Quindi scegliete bene le vostre parole. Credo che sia la vostra specialità.”
L’uomo deglutì, e poi iniziò: “Gaillard non è affatto un amico del popolo. Lui vuole soltanto il loro denaro e poi se ne andrà, senza mantenere le promesse che ha fatto. So che partirà presto, e…”
“Questo lo so già. Vedete di non farmi perdere tempo.” lo interruppe di nuovo l’Assassino, più minaccioso di prima.
“Va bene! So che… si fermerà a Parigi… Ha organizzato un colloquio privato con il Re. Da quello che gli ho sentito dire, ha una notizia molto importante per lui. Qualcosa che riguarda i suoi colleghi del Terzo Stato.”
Damien si fece più attento. “Continuate.”
“E tutta quella questione della ricostruzione della città…” riprese l’oratore “E’ una montatura. Ha intenzione di fuggire con i soldi che è riuscito ad estorcere al popolo grazie alle sue bugie, e credetemi… E’ un bel bottino.”
L’Assassino lo guardò un attimo, poi chiese: “C’è altro?”
“No, è tutto. Vi ho rivelato tutto quello che sapevo! E non è poco!” rispose l’oratore, agitato.
Damien rimase in silenzio per qualche secondo. Poi disse:
“Sì, è vero, mi siete stato molto d’aiuto.” e per un attimo vide il volto dell’uomo rinfrancarsi “Ma sapete… Come posso spiegarvelo… Se vi lasciassi in vita, non costituireste altro che un ostacolo per me, e per i miei piani. Perciò mi rincresce, ma…”
L’uomo prese a tremare come una foglia, e tentò di fuggire, ma prima che potesse fare più di due passi affrettati, Damien estrasse la lama celata e la conficcò nella sua schiena. Il suo corpo ricadde a terra in pochissimi secondi.
L’Assassino si affrettò ad allontanarsi da lì, e ben presto si ritrovò nel mezzo della folla.
Adesso aveva tutte le informazioni di cui aveva bisogno. Era il momento di prepararsi ad agire.
 

31 Gennaio

Damien era appostato sulle mura, ben nascosto nell’ombra, per non farsi vedere dalle guardie che in ogni caso non avrebbero visto altro che lui quella notte.
Faceva un cazzo di freddo. Damien tremava. Avrebbe preferito che piovesse. Lui sarebbe stato meno visibile, e la temperatura meno glaciale.
Aspettava l’arrivo del convoglio di Gaillard. Non si aspettava di vedere luci o di sentire un particolare rumore: quella notte, erano in incognito quanto lui.
Aveva deciso che il momento più adatto per colpirlo sarebbe stato quello della partenza; avrebbe per forza di cose avuto meno guardie intorno, e sarebbe stato più scoperto. Lo aspettava in un punto propizio, dal quale avrebbe potuto lanciarsi direttamente sulla carrozza e fare un lavoro pulito.
Sicuramente se avesse avvisato il popolo delle intenzioni di Gaillard, il suo compito sarebbe stato più facile, ma così persone innocenti avrebbero corso il rischio di essere uccise dai mercenari e, inoltre, il Corrotto avrebbe potuto approfittarne per fuggire.
Ad un tratto l’aria fu squarciata da delle urla e dal rumore di spari. Automaticamente l’Assassino, e anche tutte le guardie sulle mura, si sporsero oltre il parapetto per vedere cosa stesse succedendo.
Concentrandosi e aguzzando la vista, Damien si accorse che il rumore proveniva da un punto “propizio” che lui aveva scartato in precedenza.
Eccolo. Maledetto.
Senza pensarci due volte, si gettò di sotto, atterrò in un mucchio di foglie secche e prese a correre a più non posso verso la fonte del rumore, sicuro di trovare qualcosa di molto interessante.
 


Allora… Non vorremmo sembrare monotone, ma questo capitolo fa veramente cadere le palle. Sicuramente non soddisferà le vostre aspettative, quindi siete liberi di commentare anche negativamente se volete, ma vi avvisiamo che questo è l’ultimo “capitolo di transizione” che vede come protagonista Damien.
Il prossimo riguarderà l’ultimo di Arnielle, e poi ci immergeremo nella storia vera.
Se fino a questo punto vi siete interessati almeno un po’ alla nostra storia, vi chiediamo soltanto un altro po’ di pazienza, questi capitoli schifosi sono quasi finiti, sul serio stavolta.
Detto questo, ci scusiamo per la frequenza di aggiornamento della storia, ma non riusciamo mai a trovare un cavolo di buco per dedicarci per bene alla nostra fanfic purtroppo, tanto che stiamo anche perdendo la nostra ispirazione. Q______________Q
Per fortuna tra poco a scuola smetteranno di rompere e con l’estate avremo molto più tempo a nostra disposizione! *.*
Ciao ragazzi, buona lettura (anche se vi abbiamo già visti addormentati sulla tastiera e letteralmente delusi xD), cercheremo di aggiornare il prossimo capitolo il più presto possibile!!

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Capitolo 10
*** Phénix ***


Francia, 1787

L’uomo era a terra, con un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca. Una lunga ferita sul torace buttava quel liquido rosso e dall’odore ferroso come una fontana, e si raccoglieva in una larga pozzanghera ai suoi piedi.

Arnielle aveva imparato a conoscere quell’odore. E adesso, non riusciva più a toglierselo dalle narici.

Incombeva minacciosa sull’uomo, il pugnale sporco di sangue ancora stretto nel pugno. Il suo sguardo era glaciale, e luccicava di quella strana scintilla ferina. Si inginocchiò accanto a lui, nel sangue.

“Adesso non hai più nulla da perdere. Dimmi il suo nome.”

L’uomo non sembrava colpito da quelle parole intimidatorie. “Speravi in una confessione, puttana?” biascicò, emettendo un rantolo molto simile a una risata.

Il potente calcio non tardò molto ad arrivare sul suo viso, e anche il naso, oltre alla bocca, prese a sanguinare copiosamente.

“Pezzo di merda!” gli si avvicinò al viso, tanto da inondarglielo col suo respiro “Hai ucciso la mia famiglia. Hai fatto a pezzi la mia vita, e dovrei farti soffrire le pene dell’Inferno per quello che hai fatto. Ma io non sono come te, sai? Puoi ancora salvarti. Dimmi ciò che voglio sapere, e mi tratterrò dal finirti. Sii furbo, non commettere lo stesso errore che hanno fatto i tuoi amichetti Templari.” gli sibilò a un palmo dalle labbra e, nel frattempo, teneva il pugnale puntato alla sua gola.

L’espressione dell’uomo non mutò, rimase al contrario sofferente per via delle ferite, ma beffarda.

“Ti ho detto che non parlerò. Non mi fai paura.” disse con aria sprezzante “Rimpiango soltanto che tu non fossi lì con i tuoi, quando li abbiamo sgozzati. I tuoi fratelli non facevano altro che gridare il tuo nome, e tua madre, bhé… lei gridava e basta.” aggiunse con lascivia.

Arnielle credeva che non avrebbe potuto trattenersi ancora per molto; di lì a pochi secondi sarebbe esplosa e gli avrebbe affondato la lama nella gola. Ma non poteva farlo, doveva scoprire quel maledetto nome.

“Ti stai divertendo, non è vero?” chiese con voce vibrante di ira repressa “Bene. Chissà se tua moglie si divertirà allo stesso modo quando andrò a chiedere a lei quello che tu non hai voluto dirmi…” si limitò a ringhiare.

Il Templare spalancò per un attimo gli occhi, atterrito, e solo con difficoltà riassunse la sua maschera sprezzante. “Non ne avresti il coraggio, ragazzina.”

Arnielle ghignò. “Oh… Tu credi?” disse, premendogli la lama del pugnale sul collo.

L’uomo trasalì, e strinse i pugni. “E cosa mi assicura che poi la lascerai in pace?” chiese.

“Nessuna garanzia.” rispose semplicemente Arnielle “Ma è l’unica possibilità che hai.” aggiunse.

L’uomo rimase in silenzio, sofferente, e col respiro accelerato per qualche secondo.

Poi disse: “François-Gaston de Lévis.” [1]

L’eccitazione la invase quando l’uomo pronunciò il nome. Ma Arnielle trattenne il respiro quando realizzò quale nome aveva detto.

“Il duca di Avernes- le- Comte?” chiese con un filo di voce.

L’uomo piegò appena il capo. “E’ il gran Gonfaloniere dell’Ordine. E’ lui il mandante.” mormorò guardandola negli occhi.

Arnielle gli premette ancora di più il taglio della lama sul collo. “Non mi prendi in giro, vero? Lo sai che appena scopro che non è lui torno qui e ammazzo te e tua moglie?”

“No!” esclamò l’uomo, scuotendo forte la testa “E’ la verità… Te lo giuro. Ma tu… lasciala stare!”

La ragazza si avvicinò di nuovo al suo volto, e gli sussurrò all’orecchio: “Sta’ tranquillo… A lei non succederà niente.”

E poi, fulminea, gli affondò il pugnale nella gola. L’uomo non ebbe neanche il tempo di stupirsi. Con un gorgoglio, la sua vita si spense. Sul suo volto era rimasta un’espressione tranquilla: aveva ancora gli occhi aperti.

Arnielle lo ignorò. Si alzò in piedi, le vesti macchiate di sangue, e si allontanò in silenzio da quella zona.

Era quasi vicina alla realizzazione del suo obiettivo: il suo cuore aveva sempre maggiore sete di vendetta e più che mai, lei sentiva il bisogno di uccidere.

 

Arras, Francia, 1787

20 Novembre

Arnielle infilò il pugnale nella schiena della guardia, che si accasciò al suolo con un lamento soffocato. L’altra si girò verso la sua direzione, ma lei con uno scatto repentino disegnò un arco nell’aria con la lama, tagliandogli la gola.

Si disse che non era stato poi molto difficile abbattere le difese di François-Gaston de Lévis; le guardie intorno alla sua stanza da letto erano un numero ridicolo. Forse il gran Gonfaloniere era esageratamente pieno di sé, o un illuso. O forse, era semplicemente stupido.

Spalancò con foga e soddisfazione le porte della camera, ed entrò. Aveva ancora il pugnale stretto nella mano, sicura di trovare il bastardo che aveva mandato a uccidere la sua famiglia immerso in sogni tranquilli sotto le coperte.

Infatti, nella penombra della camera, vide distintamente la sagoma del corpo del duca che dormiva. Si avvicinò al letto, col cuore che batteva all’impazzata, e impaziente sollevò il pugnale. Con l’altro braccio scostò con violenza le coperte per vedere il volto del suo nemico mentre lo uccideva.

Ma che cazzo…?

Là sotto non c’era il duca che dormiva; al suo posto c’era un grosso cuscino.

Il cuore di Arnielle perse un colpo.

Si voltò di scatto, con una brutta sensazione, stringendo ancora di più il pugnale.

Digrignò i denti.

Davanti a lei il Gonfaloniere la squadrava da capo a piedi, con un sorriso altezzoso e trionfante dipinto sul volto ormai rovinato dalla vecchiaia.

La superava in altezza di almeno sei pollici [2], e nonostante l’età era ancora in forma; il suo corpo aveva l’aspetto forte e sicuro del combattente che era stato, la mano stringeva saldamente il pomo della spada.

“Ci piace andare in giro di notte, non è vero?” le chiese in un tono paterno che la disgustò nel profondo.

La ragazza continuò a stringere i denti, fremendo, e resistendo all’impulso di indietreggiare. Suo malgrado, quell’uomo le faceva paura, ma lei doveva ucciderlo.

“Non ti hanno insegnato a rispondere quando ti viene posta una domanda? Specialmente se da qualcuno di rango più alto del tuo?” proseguì François-Gaston de Lévis, senza battere ciglio “Ah, già… Giusto. Tua madre non aveva molto tempo da dedicarti.”

Arnielle trattenne a stento il desiderio di saltargli addosso. “Mia madre faceva quella vita per colpa di quelli come voi. Per colpa di voi sudici nobili che non fate altro che prendere alle persone quel poco che hanno per arricchire i vostri palazzi. Forse se fosse nata nelle condizioni di mia madre, anche vostra figlia avrebbe fatto lo stesso.”

Il duca rise appena. “Io ho tre figli maschi, Arnielle.”

“Allora vostra moglie.” ribatté lei, accennando un ghigno.

Il Gonfaloniere inarcò un sopracciglio, e rise di nuovo. “Devo ammettere che hai proprio un bel caratterino. Staresti bene tra le nostre fila. Avremmo bisogno di uomini con la tua tempra.”

Lei ringhiò. “Piuttosto la morte!”

Il Gonfaloniere si mostrò deluso. “Siete tutti uguali voi Assassini… Pronti a morire invano, rifiutando la strada più semplice… Il vostro lavoro è inutile. Non potete competere con il potere di colui che ci guida. Egli è l’uomo più potente di tutta la Francia, e tiene tra le mani il destino di tutti noi.” disse in tono solenne e sicuro.

Arnielle per un attimo dimenticò l’odio, e si fece attenta. “Parlate chiaro. Chi diavolo è quest’uomo?”

Il Gonfaloniere sorrise ancora una volta. “Non l’hai capito, bambina? E’ colui che salverà tutti noi. Lo chiamano in molti modi; il Desiderato, il Capeto, il Delfino… Sua Maestà.” concluse senza staccarle lo sguardo di dosso.

Arnielle trattenne il fiato, e spalancò gli occhi, incredula. “Il… Il re? Luigi XVI?” chiese con un filo di voce.

Il Templare abbassò appena il capo, abbozzando un ghigno. “Vedo che sei una ragazza sveglia. Sì, Arnielle, esatto. Il Gran Maestro dei Templari non è altri che il tuo sovrano. E, presto, anche di tutte le popolazioni della Terra.”

La ragazza rimase impietrita per qualche attimo, atterrita e sconvolta da quella rivelazione. Poi, un rumore stridente ruppe il silenzio.

“Ma è inutile che pensi a cosa farai adesso. Perché tu morirai stanotte, lo sai.” disse, con voce di velluto il Gonfaloniere, estraendo del tutto la spada.

Arnielle si riscosse, e l’adrenalina tornò a pervaderla. “Ma non prima di avervi ucciso.” rispose in un sibilo, prima di lanciarsi contro di lui col pugnale ben stretto nella mano.

Il duca velocemente si scansò, facendola finire a terra. Arnielle si voltò, e si rimise in piedi.

Il Templare attaccò, e lei estrasse la spada appena in tempo per parare. Per poco non ricadde a terra per il contraccolpo. Era forte, nonostante la sua età; gli anni non avevano scalfito né il suo vigore né la sua abilità con la spada.

Il Gonfaloniere tentò un nuovo affondo, ma la ragazza scartò e gli arrivò alle spalle. Aveva già alzato la spada per colpirlo alla schiena, quando l’uomo con un potente sgambetto la buttò a terra, facendole sfuggire l’arma dalle mani. Poi lui le puntò la sua alla gola.

“Mi aspettavo di meglio da un’allieva del Discendente.” disse con un sorriso crudele.

Arnielle era già stanca. Sentiva che l'avrebbe uccisa, e la disperazione l'avvolse. Poi, lo sguardo le cadde sul proprio petto, rimasto scoperto dal mantello per via della caduta. Lì, vide la punta di freccia di Pepinot, che aveva trasformato in un ciondolo, legandola ad un pezzo di corda attorno al suo collo. Improvvisamente fu assalita dalla rabbia, e da nuova determinazione. Con uno sguardo carico di sfida, tornò a fissare il duca. “Non avete ancora visto niente.”

Sferrò un potente calcio al braccio dell’uomo, e non appena la lama si fu spostata dalla sua gola, rotolò a terra e raggiunse la sua spada.

L’afferrò e si rialzò nello stesso momento, proprio mentre il Gonfaloniere si rimetteva in posizione di guardia.

Si guardarono un istante, aspettando che uno dei due attaccasse. Poi Arnielle agì; corse verso di lui e alzò la spada per colpirlo alla testa, ma il duca parò prontamente. Così la ragazza si abbassò, descrivendo nel frattempo un ampio arco con l’arma sopra di sé, cercando di arrivare al suo fianco.

Si bloccò con un gemito; sentì un dolore bruciante alla spalla sinistra, e qualcosa di caldo prese a scorrerle copiosamente lungo il braccio.

Cadde in ginocchio, perdendo la presa sull’elsa, e vide il fioretto del suo avversario conficcato tra l’osso del braccio e quello della spalla.

Alzò lo sguardo sul Templare, respirando affannosamente. Lui le sorrise sadico; poi le puntò un piede sul petto, e cavò la lama dalla sua spalla.

Arnielle urlò. Stava soffrendo, e non poco, e il dolore era tremendo, ma era ancora in grado di comprendere le parole del Gonfaloniere.

Le passò delicatamente la lama ancora sporca del suo sangue sul viso, scostandole i capelli e sfiorando ogni suo lineamento. “E’ davvero un peccato sprecare questo bel visino.” disse con falso rincrescimento, poggiandole infine la punta della lama sotto il mento, costringendola a guardarlo.

Lei fu percorsa da un brivido violento che non aveva niente a che fare con la ferita alla spalla; il più velocemente possibile, sfruttando quell’ultima opportunità, assestò un forte calcio al suo stinco, e mentre il Templare barcollava appena, estrasse un coltello da lancio dalla cintura e lo lanciò alla cieca verso di lui.

Si alzò in piedi, con la testa che le girava, e abbassò lo sguardo sul duca, che giaceva a terra, il pugnale conficcato superficialmente nel torace.

Stava cercando di rialzarsi, ma lei fu più veloce; gli arrivò sopra estraendo un altro pugnale, e lo trafisse al cuore, piantandoglielo nel petto fino all’elsa. Per la prima volta il Gonfaloniere urlò.

Arnielle gli si inginocchiò vicino, e lo guardò negli occhi.

“Non vi hanno mai insegnato a non sottovalutare il vostro nemico?” sibilò al suo orecchio, con rabbia “Riposa in pace, stronzo.”

Strappò con violenza il pugnale dal suo petto, esattamente come aveva fatto lui con lei, e si rialzò.

In quel momento, con l’ultimo alito di vita che gli rimaneva, il Gonfaloniere gridò: “GUARDIE!!”

Sotto di lei il pavimento sembrò tremare per il peso di centinaia di piedi che si affrettavano nella loro direzione.

Arnielle imprecò e uscì di corsa dalla stanza. Altre guardie stavano arrivando da quella direzione, ma lei non le affrontò; si arrampicò velocemente sul davanzale di una bifora che si apriva lungo il corridoio, e si gettò di sotto.

L’accolse l’impatto morbido con un letto di stoffe. Il carro si muoveva velocemente, e il conducente quasi non si accorse della ragazza che era piovuta dal cielo direttamente nel suo carico di merci, imbrattandogliele tutte di sangue.

Arnielle rimase distesa tra i tessuti, stringendosi la spalla e sentendosi terribilmente vuota.

 

Falaise, Francia, 1787

1 Dicembre

Il rumore dello sfregare della pietra contro la lama della spada rompeva quel silenzio opprimente che pesava sulla Gilda da molti giorni ormai.

Risha fissava il vuoto, ripetendo a oltranza quel movimento automatico, senza in realtà rendersi conto di quello che faceva.

Non si accorse neanche della presenza di Jacques finché lui non gli posò una mano sulla spalla.

“La consumerai quella lama se continuerai ad affilarla, amico.” disse il ladro in tono preoccupato.

L’Assassino smise ciò che stava facendo, ma non si voltò verso di lui. “Hai ragione. Ero soprappensiero.” rispose atono.

Jacques sospirò. “Ma è da più di due mesi che stai così. Prima o poi impazzirai.” gli disse, in un labile tentativo di sdrammatizzare, sedendosi di fronte a lui.

Risha gli sorrise debolmente. “Così sarai in compagnia.” disse riponendo sia la pietra che la spada.

Il ladro inarcò le sopracciglia. “Guardati. Non hai neanche più il senso dell’umorismo. Sei messo proprio male.”

L’Assassino tentò di nuovo di sorridere, ma non rispose. Jacques fece un altro sospiro, e si sporse verso di lui. “Seriamente amico, non puoi continuare così. Se n’è andata.”

“Ma potrebbe tornare.” ribatté l’Assassino.

Jacques esitò. “Anche se così fosse… non puoi sapere quando succederà. Potrebbe essere tra un mese… o tra un anno. Ci sono tante persone che contano su di te. Devi tornare a fare il tuo lavoro, o almeno cercare di accettare l’idea che lei potrebbe essere…” ma venne interrotto.

“Non dirlo, ti prego.” gli disse Risha.

“Come vuoi, non lo dirò.” replicò Jacques “Ma almeno pensa che per un motivo o per un altro lei potrebbe non varcare più quella soglia… Mi spiace, ma è così. E se un giorno tornerà, le diremo dove sei, ma nel frattempo, devi tornare ad essere quello di prima.” concluse.

Risha gli lanciò uno sguardo spento. “Jacques, lei è…”

Ma proprio in quell’istante la porta sbatté. Risha continuò a fissare il vuoto; non c’era bisogno che si preoccupasse delle questioni della Gilda.

Quando non sentì alcuna voce e posò lo sguardo su Jacques, che aveva spalancato gli occhi, il cuore gli balzò in petto, e una strana sensazione lo pervase.

Si voltò lentamente, cercando di non illudersi, e quando vide la persona sull’uscio si illuminò. Lei era sulla porta, bagnata fradicia e con i lunghi capelli neri schiacciati sul viso pallido; i suoi abiti erano sudici, e il fatto che fossero bagnati evidenziavano che erano decisamente troppo grandi per lei. Risha incrociò i suoi occhi scuri e profondi.

“Arnielle…” disse, incredulo e incredibilmente sollevato.

Si alzò in piedi, e fu allora che vide le bende macchiate di sangue sulla sua spalla.

Le si avvicinò velocemente, preoccupato, ma la ragazza non si muoveva, quindi si fermò a una certa distanza da lei. Si accorse che le sue spalle erano scosse da spasmi irregolari, e che aveva abbassato lo sguardo.

“Arnielle! Che ti succede?” le chiese agitato.

Lei alzò lentamente gli occhi su di lui, due occhi lucidi e pieni di rimorso. Lo guardò come fanno i bambini che, dopo aver combinato un guaio, cercano l’assoluzione dei genitori.

“L’ho fatto. Li ho uccisi tutti.” confessò con voce rotta, ma ferma.

Risha non disse niente. Rimase in silenzio, in attesa, sicuro che volesse dire altro.

“Ma non mi sento meglio di prima.” mormorò la ragazza, per poi voltare il viso di lato, per nascondersi al suo sguardo, come se si vergognasse.

“…E come ti senti?” si limitò allora a chiederle l’Assassino.

“Peggio.” singhiozzò lei, continuando a tenere il viso basso “E’ inutile rincorrere solo per vendetta coloro che ci hanno fatto del male. Ezio aveva ragione: ucciderli… non mi ha ridato la mia famiglia.”

In quell’istante Risha venne sommerso da una miriade di emozioni: era felice perché si era resa conto dell’errore che aveva fatto, era triste perché quella sarebbe stata una ferita che lei si sarebbe portata dietro per tutta la vita, era commosso da quella ragazza che gli trasmetteva tanta tenerezza.

Si avvicinò a lei, e l’abbracciò forte. La strinse a sé più di quanto non avesse fatto la notte che le aveva cambiato la vita, e lei si abbandonò tra le sue braccia, singhiozzando come una bambina.

Jacques approfittò di quel momento per avvicinarsi a Risha e battergli una mano sulla spalla, guardandolo con un sorriso comprensivo. Poi uscì dalla stanza, richiudendo la porta dietro di sé.

Sembrò che il tempo si fermasse, e dopo minuti che parvero un’eternità, Risha e Arnielle si staccarono da quel caloroso abbraccio.

L’Assassino le scostò i capelli bagnati dal viso. “Vieni. Andiamo a dare un’occhiata a quella ferita.”

 

L’Infermeria della Gilda, in realtà, non era proprio un’Infermeria. Era un piccolo locale, con un letto contro il muro e una cassa piena di garze, bende, qualche medicinale, ago e filo.

Arnielle era seduta sul letto dove, solo fino a qualche giorno prima, era disteso Mathias, con addosso soltanto una coperta pesante che le lasciava scoperta la spalla ferita.

Risha valutò il danno; qualcosa, avrebbe detto un fioretto, l’aveva trapassata da parte a parte.

La crosta si era già formata, ma avrebbe dovuto romperla per pulire la ferita e ricucirla a dovere. Alla fine, avrebbe dovuto immobilizzarle il braccio perché il legamento si rimarginasse bene.

“Anche io mi sono fatto una ferita così, una volta.” disse, prendendo una piccola lama dall’assortimento di attrezzi.

“Ah sì?” chiese Arnielle, un po’ preoccupata “E come?”

“E’ una lunga storia.” si limitò a risponderle Risha.

Appoggiò lievemente il bisturi sulla ferita. “Adesso sentirai un po’ male.” l’avvisò.

Arnielle annuì, e prima che potesse davvero realizzare che stava per farlo, Risha incise.

La ragazza lanciò un urlo, che soffocò quasi subito mordendosi le labbra. Il sangue riprese a uscire copiosamente dalla ferita, ma Risha vi appoggiò immediatamente sopra il panno imbevuto di disinfettante. Di nuovo, Arnielle trattenne un gemito.

“Quante storie.” la schernì con dolcezza l’Assassino.

Quando il flusso di sangue si fece regolare, cominciò a ricucire.

Arnielle serrò la mascella, e stringendo forte i pugni attorno alla coperta lo lasciò fare, tremando appena. Per fortuna, l’estensione orizzontale della ferita non era grande.

“Di qua ho finito.” le fece presente, tamponando la spalla per ripulirla dal sangue “Puoi girarti, per favore?”

Arnielle obbedì, dandogli la schiena. E fu soltanto allora che Risha disse:

“Mi sei mancata. Non sai neanche quanto.”

Arnielle si voltò a guardarlo, e lui le sorrise.

“Ho temuto per la tua vita.”

La ragazza si morse il labbro, e si girò di nuovo. “Mi dispiace. Non avevi motivo di preoccuparti.”

Risha assunse un’espressione severa. “E questa, allora?” fece, indicando la ferita sulla sua spalla.

La ragazza sorrise beffarda. “Un piccolo incidente di percorso.”

In quel momento la porta si riaprì di scatto, e Risha balzò in piedi dalla sorpresa.

 

Una figura irriconoscibile fece irruzione nella stanza appoggiandosi a una stampella, con aria agitata.

“Mi hanno detto che è qui, che è tornata! Io…” esclamò Mathias, prima di posare lo sguardo su Arnielle e ammutolire.

Improvvisamente i suoi occhi si riempirono di lacrime, e cercò di parlare, ma non gli uscirono altro che parole sconnesse.

Allora, lentamente, Arnielle si alzò dal letto, tenendosi la coperta con il braccio sano attorno al petto, e si avvicinò al ragazzo. Gli appoggiò la mano sulla spalla, e con un respiro profondo gli disse: “Mi dispiace. Non avrei dovuto reagire in quel modo. Non è stata colpa tua. Sei stato costretto a farlo.”

Mathias la guardò per qualche attimo con aria confusa e stupita, poi scoppiò in lacrime.

Arnielle rimase colpita dallo sfogo del ladro, e nonostante non lo conoscesse per nulla, sentì il dovere di fare qualcosa: lo abbracciò con affetto, cercando di rincuorarlo.

“Dai, calmati.” provò a dire, ma vedendo che quelle poche parole non stavano avendo successo, riprese: “Non devi sentirti in colpa per quello che è successo. Mi avrebbero trovata comunque, in un modo o nell’altro.”

Ed era vero. Ormai aveva capito di che pasta fossero fatti i Templari, e quando avevano un obiettivo da raggiungere, probabilmente avrebbero fatto di tutto per riuscirci.

Dopo qualche secondo Mathias sembrò calmarsi, e lentamente si allontanò dalla spalla di Arnielle, sulla quale aveva pianto, e solo allora si accorse che era ferita.

“Oh! Mi dispiace! Ti ho fatto male?” chiese arrossendo, forse perché pensava di non riuscire mai a farne una giusta.

Lei gli sorrise amichevolmente. “No, non preoccuparti. Se non altro, mi hai lavato la ferita.” disse, nel tentativo di farlo ridere.

E infatti Mathias assunse un’espressione un po’ più serena, e sul suo volto si allargò un sorriso. “Bhé, adesso torno a letto…” disse, dirigendosi verso la porta. Indugiò un attimo, poi aggiunse: “Scusami ancora, Arnielle.” e sparì oltre la soglia.

Quando la porta si fu chiusa alle sue spalle, la ragazza si voltò verso il suo Maestro, che continuava ad osservare la sua spalla con aria interrogativa. Lei gli avrebbe spiegato volentieri come si era procurata quella ferita, ma voleva cancellarsi dalla mente il ricordo di quel duca, quindi in risposta alla sua espressione, si limitò soltanto a dire: “Bhé, quello che conta è che io sia ancora viva.”

Risha la guardò con aria severa. “Sì. Ma mi sentirei più tranquillo se ti facessi ricucire una volta per tutte quella ferita.” fece un cenno del capo verso il letto e aggiunse: “Vieni qui.”

Arnielle obbedì, e quando l’Assassino toccò appena la pelle intorno alla ferita, lei emise un gemito.

Non era stata proprio una grande idea alzare il braccio per stringere Mathias.

“Ma brava.” commentò Risha, sarcastico.

Arnielle dovette ammettere che non aveva poi tutti i torti. “D’accordo. Adesso sto buona.”

Si mise di nuovo sul letto, e si sistemò addosso la coperta.

Risha, con un sospiro, le si sedette alle spalle.

Quando Arnielle lo vide riprendere quell’aggeggio col quale le aveva inciso la ferita, non poté fare a meno di bestemmiare tra sé e sé.

E mentre lei cercava di contenere i gemiti, Risha ripeté l’operazione.

Il dolore non fu affatto più sopportabile perché l’aveva già provato.

Aveva quasi finito di ricucirla, quando si ricordò delle parole dei Templari che aveva ucciso negli ultimi tempi.

Più che altro, quelle che le erano rimaste maggiormente impresse nella mente erano quelle della sua ultima vittima. A quanto pareva, non c’era modo di togliersi quel maledetto duca dai pensieri; c’era qualcosa in quello che le aveva detto che le metteva inquietudine addosso.

Aveva il bisogno di confidarsi con qualcuno, e chi meglio di Risha?

Quindi si voltò di nuovo verso il suo Maestro, e aprì bocca senza pensarci troppo. “Risha…”

“Arnielle, cerca di stare ferma.” la rimproverò lui, ma la ragazza non gli badò.

“Tu sai chi è il Gran Maestro dei Templari?” gli chiese.

Evidentemente lui non si aspettava una domanda del genere, o almeno non in quel momento, perché smise improvvisamente di ricucirla.

Arnielle capì che sul suo viso doveva essersi disegnata un’espressione ad un tratto interessata.

Prima di risponderle, però, le dette velocemente gli ultimi punti sulla schiena, con suo grande dispiacere.

“Bhé… Ho dei sospetti vari…” disse, dopo aver tagliato il filo, imbevendo un altro panno di disinfettante “Ma devo compiere delle indagini per capire chi davvero possa essere colui che guida i nostri nemici.”

Tacque per un attimo, poi aggiunse: “Ma perché me lo chiedi?”

“I Templari che ho ucciso…” cominciò lei, trasalendo appena quando Risha appoggiò lievemente il panno sulla ferita appena ricucita “Prima di morire li ho costretti a rivelarmi il nome di colui che ha ordinato loro di uccidere la mia famiglia…” le tornarono in mente le strazianti immagini di quella maledetta notte di qualche mese prima, ma riuscì a scacciarle e a tornare in fretta al presente “…E le varie informazioni mi hanno portata a…”

“François-Gaston de Lévis. Il duca di Avesnes-le-Comte, nonché Gonfaloniere dell’Ordine dei Templari. Lo so.” la interruppe Risha.

Arnielle rimase un momento sorpresa, ma poi pensò che quello era Risha. Chi meglio di lui poteva essere a conoscenza di tali particolari?

“Il duca… mi ha detto delle cose… Risha, so chi è il capo dei Templari.” gli confessò.

L’Assassino ripose rapidamente gli attrezzi, lasciando fuori soltanto un rotolo di garza con cui le fasciò la spalla e il braccio, fermandoglielo a tracolla. Arnielle sentì immediatamente un grande sollievo.

Si sistemò la coperta sulle spalle, e poi Risha con voce ferma le disse: “Allora rendimi partecipe delle tue scoperte.”

Arnielle, allora, prese fiato e iniziò a parlare. “E’ potente Risha… Molto potente. Non guida soltanto l’Ordine dei Templari… La sua autorità si estende molto oltre… Ha il pieno controllo su tutta la nazione.”

Dopo queste parole Risha si alzò e prese a misurare la piccola stanza a grandi passi, camminando avanti e indietro nervosamente. Ma l’uomo non si mostrò stupito quanto lei quando aveva capito che il più acerrimo nemico degli Assassini, e forse anche di molte altre persone, non era altri che il loro re.

“Il nostro amatissimo sovrano… Luigi XVI.” disse sarcasticamente Risha “Allora i miei sospetti erano fondati.” aggiunse quasi come se parlasse con se stesso, senza riuscire a nascondere una nota di compiacimento nella voce.

Ma Arnielle sapeva bene che Risha era preoccupato tanto quanto lei: il loro nemico più pericoloso era il capo dei Templari, e come se non bastasse questi era proprio il re. Non era una persona qualsiasi.

A inquietare Arnielle però non era soltanto il fatto che un giorno probabilmente lei stessa si sarebbe trovata ad affrontare il re in persona, insieme ad altri Assassini; nascosto dietro alle parole del duca c’era infatti un significato ben preciso e pericoloso, lei se lo sentiva. Forse era soltanto una sua impressione, forse erano stati il tono e la convinzione con cui quell’uomo le aveva detto quelle cose a fargliela pensare così, ma in ogni caso doveva parlarne con Risha.

Lui sembrò accorgersi del suo stato d’animo, perché le chiese: “C’è altro Arnielle?”

“Sì.” rispose subito lei “Il duca mi ha fatto dei discorsi che sto ancora cercando di capire. Parlava come se lui e tutti i suoi compagni avessero già vinto, l’ho letto nei suoi occhi… Diceva che esiste una strada molto più semplice di quella che vorremmo seguire noi Assassini, che quella che perseguiamo noi è inutile perché il potere del re è immenso…”

Arnielle non poteva vedere i suoi occhi sotto il cappuccio, ma era certa che la stesse guardando con intensità. “Continua...” le intimò lui, riprendendo a camminare per la stanza.

“Ha detto che grazie al suo potere salverà tutti noi… Che ha tra le mani il destino di tutti noi… e che ben presto diventerà sovrano di tutte le popolazioni della Terra.”

Si ricordava perfettamente le parole piene di orgoglio del duca, che in qualche modo l’avevano colpita. E dovevano aver impressionato anche il suo Maestro, perché lui si fermò di colpo e si rimise seduto accanto a lei, afferrandole le braccia –e la cosa non le fece granché bene. “Ha detto questo? Ne sei davvero sicura, Arnielle?”

“Sicurissima.” rispose lei, senza riuscire a nascondere una smorfia di dolore.

Risha la lasciò e abbassò la testa. Rimase a fissare il pavimento per qualche secondo, prima che la ragazza parlasse di nuovo.

“Risha, va tutto bene?” gli chiese.

Lui sembrò riscuotersi dai suoi pensieri. “Non c'è niente che non vada bene.” ma il nervosismo presente nella sua voce tradiva le sue parole.

Arnielle si preoccupò un po’. “Maestro, cosa succede? Che significa tutto questo?”

Risha tornò a guardarla. “Niente, niente Arnielle… Scusami, è solo che quello che mi hai detto non è una bella notizia.”

“Me ne rendo conto.” rispose Arnielle, sinceramente “Ma dovevo parlartene.”

Risha si limitò a mostrare un sorriso un po’  tirato. Poi, nella stanza, calò un silenzio pesante.

Arnielle decise di romperlo; sentiva di dover dire ancora qualcosa.

Così si alzò e disse: “Adesso mi rendo conto della gravità della situazione. Sai, quando mi hai raccontato tutte quelle storie sui Templari e sugli Assassini credevo di aver capito tutto quanto... Credevo di essere pronta a comportarmi anch'io come Altaïr e Ezio, pensavo di essere in grado di affrontare certe situazioni, ma la verità è che non sapevo nemmeno io a cosa andavo incontro quando mi sono messa alla ricerca dei Templari che hanno ucciso la mia famiglia... E l'ho fatto soltanto perché la voglia di vendetta ha vinto su ogni altra cosa. Tu hai cercato di farmi ragionare, ma inutilmente, e mi dispiace. Avrei dovuto darti ascolto...”

Ancora una volta si sentiva come trapassata dal suo sguardo che, anche se non era mai riuscita a vedere, era sicurissima fosse intenso e profondo, ma continuò. “Adesso ho capito davvero... Loro sono tanti, molto potenti e determinati, è vero, e il fatto che siano guidati dal re complica non poco la faccenda. Non ho idea di cosa volesse dire il duca con quelle parole, di sicuro niente di buono, e sono certa che sarà difficile vincere questa specie di guerra, ma ti prometto che farò l'impossibile per il bene di tutte le persone e della Confraternita, o almeno di quello che ne rimane... Tenendo la vendetta al di fuori di tutto questo.”

Le parole le erano uscite di bocca una dopo l'altra come un fiume in piena, ma era sicura di quello che aveva appena detto ed era determinata a realizzare tutto quanto.

Risha rimase qualche istante a guardarla, poi si alzò e le rivolse un sorriso affettuoso.

“Brava Arnielle. Sei diventata umile. Adesso sei una vera Assassina.” le disse, scompigliandole i capelli ancora umidi.

Quelle parole suscitarono in Arnielle un'emozione unica perché, nonostante fossero poche, significavano davvero molto per lei, e lo stesso, pensava, sarebbe stato per chiunque altro apprendista Assassino.

Gli sorrise felice, e proprio in quel momento sentì un bruciore e una fitta terribili all'altezza della spalla; la ferita continuava a farle male. Chissà quanto ci sarebbe voluto perché guarisse del tutto.

“Grazie Maestro.” riuscì soltanto a dire.

  

29 Dicembre

Nella Gilda Arnielle si sentiva a proprio agio. Ormai quella era diventata la sua casa, e convivere con i ladri e con la loro simpatia la aiutava a colmare quel vuoto che l'assenza della sua famiglia aveva creato in lei, e a dimenticare un po' i brutti eventi che si erano intromessi nella sua vita negli ultimi mesi.

Anche se di notte alcuni brutti ricordi tornavano a farle visita nel sonno, oppure la tormentavano per un bel po' prima che riuscisse ad addormentarsi.

Era già passato quasi un mese dal suo improvviso ritorno, e durante tutto quel tempo era stata costretta a rimanere al chiuso per rimettersi e guarire bene dalle varie ferite che si era procurata.

Sia Risha che i ladri erano stati severissimi in questo, e l'Assassino aveva addirittura minacciato Jacques di fargli del male se qualcuno le avesse permesso di uscire dalla Gilda.

Lui, invece, in quel periodo era stato molto impegnato e non si faceva vedere per quasi tutto il giorno: usciva il mattino di buon'ora, quando tutti erano ancora a dormire, a parte qualche ladruncolo di turno, e tornava soltanto la sera, appena in tempo per la cena.

“Per tutto il tempo che sei mancata, Risha è rimasto chiuso qui nella Gilda a deprimersi... L'hai davvero fatto preoccupare, ragazza, e non solo lui! Adesso deve recuperare tutto il lavoro perso, per questo lo vediamo di rado, e sarà così per qualche altro giorno, credo.” le aveva detto Jacques in risposta alle sue domande su dove diavolo andasse il suo Maestro tutto il giorno.

Comunque ora la ferita alla spalla era completamente guarita e non le dava più nessun dolore, come del resto tutti i graffi e i tagli che aveva sul corpo, segni di quegli scontri violenti con i Templari. Già dal sedicesimo giorno di clausura forzata aveva iniziato ad assillare i ladri affiché le dessero il permesso di uscire, perché erano ancora titubanti su questa questione e avrebbero preferito che si riguardasse ancora per qualche altro giorno, ma alla fine era riuscita ad ottenere ciò che voleva.

“E dai Vincent! Cosa vuoi che mi accada?” si era lamentata all'ennesimo rifiuto della sua disperata richiesta.

“Potrebbe succedere qualsiasi cosa, Arnielle! Potrebbero venirti delle forti fitte e potresti sentirti male proprio mentre qualche guardia ti sta seguendo, per esempio, e so che se uscirai di qui andrai a cercarti solo guai!” le aveva risposto spazientito Vincent.

Arnielle si era messa a ridere. “Certo che lo farò, ma in ogni caso me la saprò cavare.”

Vincent era rimasto a guardarla con gli occhi spalancati. “Sei proprio incorreggibile, tu!”

Lei gli si era avvicinata. Sapeva che Vincent aveva un debole per lei, e avrebbe potuto sfruttare questa cosa a suo vantaggio, anche se non le piaceva giocare sporco con lui.

“Senti Vincent... Ti prometto che non ti farò più fare il bersaglio mobile durante i miei esercizi... Ma ti prego, coprimi con Jacques!” gli aveva quasi sussurrato con fare ammiccante.

Lui era leggermente diventato più colorato in viso. “Questa è una bella proposta... Ma non sono sicuro che Jacques voglia lasciarti andare, Arnielle! Poi ci rimetto io! E ti assicuro che quando non gli si ubbidisce non è più così simpatico come invece è di solito.” disse seriamente “E se ti dovesse accadere qualcosa? No, non potrei mai perdonarmelo...” ammise quasi con un po' di vergogna “Mi dispiace, ma non posso. E Risha poi? Che scusa gli invento? Chissà cosa potrebbe farmi lui, quelle due lame che gli spuntano all'improvviso dalle maniche non mi piacciono per niente.”

Lei allora gli aveva fatto gli occhi dolci e gli aveva messo il broncio. “Ti prego, Vincent! Se dovesse dire qualcosa, ci parlerò io con Risha! Odio stare troppo tempo ferma al chiuso, ho bisogno di muovermi, non ce la faccio più! Sei uno dei miei migliori amici, non puoi farmi questo!”

Quelle parole dovevano averlo colpito, perché Vincent aveva addolcito la sua espressione che fino a qualche secondo prima era preoccupata e dispiaciuta. “D'accordo... Ma lo faccio soltanto perché sei tu.”

“Grazie Vincent! Ti voglio bene!” aveva esclamato, gettandogli le braccia al collo e dandogli un bacio sulla guancia. Lui era diventato immediatamente rosso come un pomodoro, ed era rimasto a guardarla imbambolato mentre correva verso la porta, fino a che non era scomparsa dalla sua vista.

Non appena aveva messo piede fuori, Arnielle si era sentita invasa da una sensazione di freschezza; il vento, infatti, misto all'aria fredda di Dicembre, si riversava delicatamente sulla sua pelle, dandole un senso di sollievo e di benessere, dopo ventotto giorni trascorsi al chiuso godendo soltanto della poca aria che passava attraverso le finestre della Gilda.

Stava percorrendo le vie di Falaise dopo più di tre mesi, e la sua città le era mancata. Aveva scelto di uscire in una giornata stranamente bella per essere Dicembre, e c'erano diverse persone per le strade.

Decise di fare un giro verso il mercato, dove in genere c'era più gente, ma non aveva voglia di fare confusione, come quella volta di qualche mese prima mentre si esercitava con i ladri, quando ancora non era successo il dramma.

Ed ecco che i brutti ricordi tornavano insolenti tra i suoi pensieri. Scosse la testa, cercando di scacciarli. Doveva liberare la mente, non doveva pensare a niente.

Così, si avventurò tra le bancarelle, con il semplice scopo di osservare la merce esposta dai vari mercanti, forse per la prima volta nella sua vita.

Alla quarta bancarella alzò lo sguardo e si stupì per un istante. Poco più in là, infatti, tra la gente, c'era Risha che si dirigeva verso la sua direzione.

Notò con divertimento che alcune persone si voltavano verso di lui al suo passaggio, prendendolo per uno straniero forse, dal momento che era vestito in un modo che a loro appariva sicuramente bizzarro, come era stato per lei la prima volta che l’aveva visto.

Si chiese cosa diavolo ci facesse lì in mezzo a un mercato. Fu quasi tentata dall'idea di andargli incontro per chiederglielo, quando si ricordò che in teoria era lei che non avrebbe dovuto trovarsi lì.

Cavolo! Se mi vede è finita!

Si voltò, e fece per andare a nascondersi in un cunicolo praticamente vuoto alla sua destra, ma si fermò non appena sentì una presa ferrea cingergli il braccio sano e una voce fin troppo familiare chiamarla per nome, stupita.

Lei allora fu costretta a voltarsi.

“Risha!” esclamò lei, cercando di assumere un tono di voce che sembrasse il più sorpreso possibile.

Lui le lasciò il braccio e la guardò sarcasticamente. “Non fare la furba. So che stavi cercando di nasconderti da me. Come attrice sei scadente.”

Arnielle gli rivolse un'espressione rassegnata. “Oh, accidenti!” esclamò poi quasi a se stessa, abbassando la testa.

“Che ci fai qui? Non mi pareva di aver dato a qualcuno il permesso di lasciarti uscire.” le disse severamente lui.

“Non ce la facevo più a stare là dentro. Volevo solo sgranchirmi un po' le gambe, tutto qui.” si giustificò lei. Poi le venne in mente Vincent. “Non è colpa di nessuno della Gilda, sono stata io a insistere.” aggiunse.

“Le tue ferite?” le chiese Risha con voce monocorde.

“Si sono rimarginate. Adesso sto bene.” rispose la ragazza quasi con timore.

Aveva avuto modo di sperimentare personalmente che quando Risha era arrabbiato c'era poco da fare per calmarlo, e il tono con cui le aveva rivolto quella domanda non prometteva niente di buono.

Era convinta che la sfuriata stesse per arrivare, quando la sua bocca si allargò in un sorriso. “Mi fido. L'importante è che tu stia bene.”

Lei si rilassò, e sorrise a sua volta.

“Vieni con me. Facciamo due passi.” disse Risha. Arnielle non se lo fece ripetere e prese a camminargli di fianco.

“Comunque parte dello stupore di prima era vero... Non mi aspettavo di incontrarti proprio qui. Non pensavo fossi un tipo che ama fare le compere.” gli disse con un ghigno amichevole.

“Infatti non ero qui per fare acquisti, ma per lavoro.”

“Capisco...” disse soltanto Arnielle.

Si chiedeva chi fosse lo sfortunato che aveva dovuto subire la dolorosa trafittura della sua lama, ma intorno a loro tutto era tranquillo. Se fosse morto qualcuno, sicuramente le guardie sarebbero state all'erta.

Risha sembrò interpretare i suoi pensieri, perché disse: “Conosco una donna che vive qui nei dintorni... Sapeva delle cose interessanti riguardo a un tizio di cui devo occuparmi.”

Arnielle assunse un'espressione maliziosa. “Scommetto che anche questa donna è interessante.” Non aveva idea del tipo di donna che potesse piacere a Risha, anche perché, nonostante si conoscessero da tempo ormai, non avevano mai parlato della sua vita privata. A quanto pareva non c'era nulla da sapere, o forse non voleva semplicemente parlarne. Si chiese se avesse sbagliato a stuzzicarlo, ma in fondo non c'era niente di male, stava solo scherzando.

Lui si fermò un attimo, probabilmente non si aspettava un'uscita come quella da parte sua. “Oh, bhé...” disse riprendendo a camminare “Ne ho conosciute tante di donne interessanti nella mia vita... Ma soltanto una è riuscita a prendermi il cuore per davvero, e da quella volta non sono più stato in grado di amare allo stesso modo... e non lo sarò mai più.” aveva detto con voce flebile.

Arnielle rimase un po’ amareggiata da quell’affermazione, ma dimenticò la delusione quasi subito. Infatti, si pentì immediatamente di avergli fatto tornare in mente cose che probabilmente lo facevano stare male.

“Scusami.” si limitò a dire, ma le sembrò banale.

Lui si voltò verso di lei e le sorrise. “Non preoccuparti. Piuttosto, parliamo di cose serie.”

“Tipo?” chiese la ragazza.

“Il tuo giuramento, Arnielle.” rispose semplicemente Risha.

Stavolta fu lei a fermarsi, con il cuore che aveva accelerato il battito nel suo petto.

Il giuramento era un passaggio molto importante per qualsiasi apprendista Assassino, perché poneva un muro tra la fase iniziale, che comprendeva anche il duro addestramento e l'acquisizione degli insegnamenti, e la fase della maturazione e del perfezionamento. Risha glielo aveva spiegato bene e lei si era ritrovata spesso a fantasticare su quel giorno. Ma non si sarebbe mai aspettata che per lei quel momento sarebbe arrivato così presto. Avrebbe compiuto diciotto anni il mese successivo, e ancora non era passato nemmeno un anno da quando aveva incontrato Risha.

“Davvero pensi che io sia già pronta?” gli chiese stupita.

Il Maestro abbozzò un sorriso. “Ma certo. Io sono fiero di te. Ti ricordi cosa ti dissi la sera che sei tornata qui a Falaise?”

Arnielle se lo ricordava eccome. “Mi hai detto che sono diventata umile... Che adesso sono una vera Assassina.”

Lui annuì con vigore. “Esatto. Perché lo sei interiormente. Ma questo va dimostrato, e l'unico modo per farlo è il giuramento, lo sai.”

Arnielle rimase in silenzio, e dopo qualche secondo Risha aggiunse: “Tranquilla, non devi darmi una risposta adesso. Puoi anche farlo tra un anno, due, dieci se vuoi, ma deve essere una cosa che vuoi tu, che ti viene dal profondo del cuore. Devi essere sicura di quello che fai. E' pur sempre un giuramento.”

Lei rimase qualche istante pensosa. Aveva la testa piena di pensieri: era felice per quello che le aveva detto il suo Maestro, la stava ripagando per tutta la fatica e la dedizione che aveva impiegato in tutti quei mesi; era emozionata solo al pensiero di compiere il giuramento, che probabilmente l'avrebbe cambiata; aveva un po' paura delle conseguenze che quell'atto avrebbe potuto comportare; si chiese se non fosse troppo giovane per accettare quella proposta.

La domanda le uscì di bocca quasi automaticamente: “Risha... Quanti altri Assassini che hai avuto modo di addestrare hanno compiuto il giuramento giovani quanto me?”

Non poteva vedere tutto il suo viso, ma era sicura che sotto il cappuccio ci fosse uno sguardo pieno di comprensione.

“Domanda interessante... Ma la risposta è fin troppo semplice. Uno soltanto.” rispose Risha.

Arnielle non si stupì più di tanto. Da una parte se lo aspettava. Era una bella decisione da prendere, e probabilmente soltanto a pochi era permesso compiere il giuramento alla sua età.

“Voglio che tu ci pensi bene, Arnielle. Non sentirti obbligata a farlo solo per non darmi un dispiacere. Io te l'ho proposto perché ritengo che tu sia pronta. Ma in realtà questo devi capirlo tu.” Arnielle annuì con convinzione, poi sentì qualcosa che veniva dall'alto picchiarle sul naso. Alzò gli occhi; il cielo era completamente coperto da enormi nuvole nere, e lei immersa com'era nella conversazione non si era neanche accorta che tutto intorno era diventato buio.

“Ho come l'impressione che tra poco arriverà una bufera.” disse Risha “E poi si sta facendo tardi. Sarà meglio rientrare.”

Risha prese a camminare, ma Arnielle rimase ferma al suo posto. Lui, non sentendo la sua presenza al suo fianco, si voltò dopo pochi passi e la guardò con aria interrogativa.

Lo sguardo di Arnielle, invece, era più deciso e determinato che mai.

“Risha.” disse, con voce ferma.

A quel punto, lui si girò totalmente verso di lei. “Arnielle?”

“Sono pronta.”

 

Quella sera, in cima al luogo più alto di Falaise

Aveva appena smesso di piovere. L’aria era comunque fredda e umida, e qualche gocciolina continuava ad arrivare, portata dal vento, sul viso di Arnielle, e a scenderle gelata lungo il collo.

Nonostante fosse inverno, non era ancora buio. Il crepuscolo si stava prolungando all’infinito, come se non volesse lasciare il posto alla notte.

Come se stesse aspettando di assistere al momento in cui sarebbe cresciuta e diventata ciò che era nata per essere.

La ragazza si affacciò un attimo oltre il bordo della torre; da lassù poteva gustarsi tutto il panorama della sua città.

I tetti delle case sulle quali si era sempre avventurata fin da bambina apparivano come piccoli puntini. Dal tetto di quella torre sembrava sovrastare tutta quella che era stata la sua vecchia vita.

Le prime luci cominciavano a baluginare come lucciole nelle strade e attraverso le finestre delle case.

Tutto intorno era tranquillo; per la prima volta dopo tanto tempo Arnielle si sentiva finalmente in pace.

Si voltò; il braciere emanava un forte calore che contrastava con l’aria fredda, e spargeva sul suo viso una luce tremolante, e adesso danzava anche sull’abito bianco di Risha.

La ragazza non si sorprese della sua apparizione improvvisa, e accennò un sorriso. Dall’ombra uscì fuori anche un’altra figura, altrettanto familiare.

“Jacques!” esclamò Arnielle spalancando gli occhi “Tu che ci fai qui?”

Il ladro si limitò ad abbozzare un sorrisetto e ad avvicinarsi alla fiamma. Alzò la mano sinistra; intorno all’anulare c’era una sottile cicatrice scura, che a prima vista avrebbe potuto essere scambiata per un anello.

La ragazza trattenne il fiato. “Anche tu…?” chiese chiaramente stupita.

Sia Jacques che Risha sorrisero. “Non dobbiamo parlare di me. Questa è la tua notte.” le rispose semplicemente il ladro.

Arnielle annuì, e mosse un passo avanti verso il braciere. Sentiva il suo calore sulla faccia.

Quel passo aveva cambiato totalmente l’atmosfera. 

Risha la guardava fissa. Nonostante non potesse vedere i suoi occhi, li sentiva trafiggerla.

“C’è una cosa, prima.” disse.

Arnielle lo guardò senza capire. Risha si mosse appena. Il suo tono era semplice ma grave.

“Prima di giurare c’è una cosa che devi fare. Non fa parte delle nostre tradizioni, ma tu sei giovane. Lo ritengo necessario.”

“E’ una prova?” chiese Arnielle, confusa.

“No, devi soltanto rispondere a una domanda. Accetti?”

La ragazza capì che avrebbe per forza dovuto accettare di rispondere prima di ascoltare la domanda. Perciò annuì.

“Sì.”

“Qual è stata la prima volta che hai ucciso?” chiese Risha a bruciapelo.

Jacques si voltò stupito verso di lui. “Risha…”

“Sta a lei decidere se è disposta a parlarne.”

Arnielle sussultò leggermente, ma non lo dette a vedere. Continuò a fissare il Maestro, con orgoglio.

Se la ricordava, la prima volta che era capitato. Era capitato, semplicemente. Come a qualsiasi bambina può capitare di cadere e sbucciarsi un ginocchio.

A lei era capitato di uccidere, e non aveva voglia di parlane.

Ma lo sguardo di Risha pesava, e ormai era arrivata fin lì.

Arnielle guardò prima lui, poi Jacques, come per essere sicura di quello che aveva sentito.

Ma sia il ladro che il suo Maestro continuarono a fissarla immobili, ed impassibili.

Così, sostenendo i loro sguardi, Arnielle cominciò.

“Avevo quindici anni.”

 

Ha quindici anni, e cammina su un tetto, guardando in basso. Il sole sta calando, e fa abbastanza freddo. Il mantello logoro e ormai troppo piccolo le copre a malapena le mani e la faccia.

La sua preda cammina, anche lei, nella strada di sotto. Arnielle si sofferma ad osservare i suoi abiti: è vestito di nero e oro, porta le culottes e un tricorno sopra la parrucca, oltre che una grande quantità di gioielli.

E’ insolito che persone di quel rango si trovino a Falaise. Il paesino in cui è nata, fornito soltanto di un piccolo porto di pescatori e di un mercato di assai scarsa attrattiva, è fuori dall’interesse di tali ricchi aristocratici, esclusi, s’intende, quelli che vengono periodicamente a riscuotere le tasse, a visitare il bordello e a fare qualche angheria, tanto per ricordare chi comanda. Ed è insolito che, più che altro, uomini di quel rango se ne vadano in giro senza sorveglianza.

Perciò, quel tizio tonto, che mostra senza grandi problemi la bisaccia colma di monete che gli pende dalla cintura, potrebbe essere la sua occasione.

Arnielle non può fare a meno di pensare che, dall’inizio di quel lungo mese, quando è arrivato il suo ultimo fratello, Pépin, già ribattezzato Pépinot, i soldi scarseggiano più del solito. Nella piccola cittadina ormai la conoscono tutti; quando la vedono arrivare nascondono le merci di valore e le borse di denari.

Deve assolutamente riuscire a rubare quei soldi.

Il nobile cambia strada, e Arnielle si affretta a fare un salto sul tetto vicino. Per poco non scivola; era un po’ troppo lontano. Comunque riesce a rimettersi in piedi, e a ricominciare l’inseguimento.

Il tizio in nero s’infila in un vicolo buio.

Arnielle non riesce a credere alla propria fortuna. Ignorando le lontane minacce di un raro archibugiere di guardia sul tetto, si cala su una terrazza sotto di lei, cercando di non fare rumori che possano allertare la sua preda.

Questi si ferma, con le mani sui fianchi, a guardare l’insegna della bottega chiusa di un artigiano.

Arnielle sente il cuore accelerare. Si aggrappa al cornicione di una finestra, e si cala lentamente lungo la grondaia, attenta a non lasciarsi cadere nella pozza che c’è in fondo.

Atterra qualche pollice più in là, e silenziosamente.

A quel punto, tira fuori il pugnale che ha sotto il mantello, infilato nella cintura.

Muove i primi passi verso l’uomo, ma si ferma subito dopo.

Deve stare attenta; non è la prima volta che ruba, ma quell’uomo le incute uno strano timore.

Arnielle si guarda un attimo intorno, nervosa e, quando finalmente trova coraggio, inizia la sua corsa verso la bisaccia dell’uomo.

Un’onda di paura la pervade quando l’uomo urla al cielo l’aiuto delle guardie e quando la immobilizza e la disarma.

Due uomini sbucano di corsa da un angolo e, mentre li raggiungono, sfoderano un’arma da fuoco che ad Arnielle fa paura. Sa come si usa, e sa anche cosa succede a chi non fa in tempo a evitare il proiettile.

Uno dei due uomini la afferra per un braccio e la inchioda al muro, puntandole contro il moschetto; l’altro, invece, si rivolge all’uomo che Arnielle ha cercato di derubare.

“Che cosa è successo?”

“Questa bambina ha tentato di derubarmi, molto astutamente, devo dire.” risponde l’uomo, che tiene il suo pugnale in mano, con un ghigno.

La guardia che la tiene ferma contro il muro avvicina il volto al suo, e la guarda minacciosamente. Quando le rivolge la domanda, Arnielle non sa cosa dire, le parole le rimangono bloccate in gola.

“E’ vero, piccola? Che cosa diavolo credevi di fare?” le ringhia contro.

Alla sua mancata risposta, la guardia si arrabbia molto, e alza il tono della voce, attirando un gruppo di persone.

“Non lo sai che i ladruncoli non sono bene accetti da queste parti?”

Gli occhi le si riempiono di lacrime quando sente il tocco gelido della bocca dell’arma sulla sua fronte; il cuore le batte a una velocità innaturale. Piange. Non ha mai avuto direttamente a che fare con le guardie.

“Ti conviene rispondere.”

Arnielle sente il grilletto scricchiolare sotto la pressione del dito. Guardare la mano sinistra dell’uomo le viene quasi automatico; rivuole il suo pugnale, anche se sa che non lo userà, ma solo con quello si sente più sicura. L’uomo pare accorgersene, e inizia a dondolarglielo davanti agli occhi con un ghigno, quasi per dispetto.

“Rivuoi il tuo pugnale, piccola?”

“Sì.” Finalmente riesce a parlare, anche se debolmente.

“Lasciatela.”

“Ma seigneur, lei sa cosa succede a chi...”

“Vi ho detto di lasciarla. E andatevene.”

Seigneur, potrebbe ancora farvi del male!” protesta la guardia.

“E in che modo? E’ disarmata, e non credo che una bambina come questa possegga altre armi.”

Stavolta le due guardie non rispondono, e dopo un lezioso inchino se ne vanno.

Adesso Arnielle ha più paura di prima. Non sa che intenzioni abbia quell’uomo.

“Allora, come ti chiami?”

Arnielle attende qualche istante prima di rispondere; non vuole dire il suo vero nome, potrebbe essere rischioso.

“Josette.”

“Bene Josette… Suppongo che tu provenga da una famiglia povera, ammesso che tu ne abbia una. Tu hai bisogno di soldi, e io di alcuni documenti molto importanti. Potremmo formare una bella squadra, non trovi?”

Il tono dell’uomo la innervosisce alquanto, ma Arnielle inizia a sentirsi interessata alle sue parole.

“Se accetti la mia proposta, riavrai il tuo pugnale, altrimenti decideranno le guardie del tuo destino, e loro non sono mai troppo buone con i ladruncoli.” continua l’uomo.

Arnielle tace per qualche istante, riflette. In realtà non ha molta voglia di dipendere da qualcuno, o semplicemente di avvicinarsi così tanto ad un uomo.

“Non dovrebbe essere neanche tanto difficile per te, suppongo. Ti consiglio di pensarci bene. Ti sto offrendo la possibilità di salvarti.”

Arnielle pensa alla sua vita, alla sua famiglia, che ha bisogno di aiuto per tirare avanti; non ha certezze sull’avvenire, ma sa per certo che non vuole morire.

Per la prima volta riesce a formulare una frase completa. “E quanto denaro riceverei in cambio per il mio lavoro?”

L’uomo sorride. “Il doppio di quello che volevi rubarmi, piccola, e tu stessa sai che non era poco.”

A questo punto Arnielle non ha più incertezze, e accetta la proposta senza pensarci due volte.

 

Arnielle ce l’ha fatta. Dopo un po’ di fatica e un po’ di nervosismo, è riuscita ad infiltrarsi nella casa.

Sono passate soltanto ventiquattro ore da quando ha deciso di lavorare per l’uomo al quale ha tentato di rubare, ed è già all’azione. Ha paura che qualcuno la veda, qualche guardia…

Lei è brava a rubare, ma per strada, in mezzo al caos, al mercato del paese, non così seriamente. E’ la prima volta che entra nella casa di qualcuno per derubarlo, e sta seguendo il suo istinto.

Si è portata dietro il suo pugnale, non sa bene perché, ma tutte le volte che lo tiene in mano si sente più sicura.

Inizia ad avventurarsi per i lunghi e bui corridoi dell’enorme casa, pensando a quello che deve fare.

“Appena entrata, devi seguire il corridoio principale fino a che non trovi un bivio, poi svolti a destra. La stanza è la prima. Entri nella camera da letto di monsieur Rinald, cerchi la stanza nascosta e senza farti sentire rubi il documento. Non puoi sbagliare, è l’unico. Poi scappi. E non preoccuparti della sorveglianza, ho corrotto le guardie affinché ti lascino passare indisturbata.”

Ricorda chiaramente le parole dell’uomo. Ma Arnielle non si fida molto di lui, e ha paura che qualcuno la intralci.

Arnielle svolta a destra alla fine del corridoio, e sente qualcosa. Il rumore di qualcuno che russa nelle vicinanze. Si avvicina alla prima porta che vede e sbircia attraverso la serratura. Riesce solo a vedere la luce soffusa di una candela e delle lenzuola che si alzano e si abbassano aritmicamente.

Allora l’uomo le aveva detto il vero. Quella era la stanza che le interessava, e non c’era nessuna guardia che le impedisse il passaggio.

Arnielle ora si sente più sicura: spinge con cautela la porta ed entra. Inizia a cercare la stanza nascosta, perlustra ogni centimetro, inutilmente.

Ma è proprio l’enorme quadro che ricopre praticamente tutta la parete di fronte a lei ad incuriosirla. Sente che quella è la strada giusta.

E infatti, dopo aver esaminato attentamente il dipinto, si accorge che, tra i particolari più insignificanti, ce n’è uno che somiglia molto alla serratura di una porta vera e propria.

Stupita delle sue capacità, Arnielle fruga nella piccola borsa che si è portata dietro. Non può perdere tempo a cercare la chiave, chissà dov’è… Dovrà aprire la porta in un altro modo.

Inizia a trafficare con la serratura. Dopo qualche secondo, finalmente, sente uno scatto netto. Arnielle si accorge che una parte del quadro è come sprofondata di qualche centimetro rispetto al resto della superficie e, soddisfatta, spinge quella che si è appena rivelata essere una porta.

Prima di entrare nella stanza, getta un’occhiata al letto dell’uomo. Tutto tranquillo.

Adesso deve muoversi e, soprattutto, agire molto silenziosamente: non può rischiare che monsieur Rinald si svegli. Non vuole immaginare che cosa potrebbe accadere se succedesse il contrario.

Torna a concentrarsi sulla missione. Inizia a cercare ovunque e, dopo quasi mezz’ora, non ha ancora trovato niente. Sta per mettersi a piangere: lei ha bisogno di quei soldi, non può finire così.

E poi lo vede. Proprio lì, sotto a una candela spenta che però prima non ha notato.

Ecco il documento…

Arnielle lo prende, felice.

Ma è quando si volta per andarsene che il sorriso sul volto le sparisce tutto d’un colpo, e che la paura la invade.

“Brutta ladruncola che non sei altro!”

Monsieur Rinald è davanti a lei, con un moschetto in mano.

“Dammi immediatamente quel foglio che hai tra le mani e non ti succederà niente…”

Arnielle non cede: lo nasconde velocemente dietro la schiena.

“Che stupida… E’ così che la mettiamo? Allora addio, bambina…” L’uomo le punta l’arma contro.

Arnielle ha paura, è come pietrificata, ma deve fare qualcosa per salvarsi.

Ma cosa?

E’ quando il grilletto scricchiola che Arnielle agisce: gli si getta contro, sperando di spostarlo dalla porta e quindi lasciarle un piccolo spazio per fuggire; sobbalza quando il colpo viene sparato a vuoto, e le prende il panico quando si rende conto che la sua idea non è riuscita.

Arnielle viene immobilizzata a terra, sta per piangere. Quando crede che il peggio stia per accadere, lo fa.

Non sa come, ma estrae il suo pugnale e, rapida, colpisce ripetutamente monsieur Rinald sul petto, a occhi chiusi.

Si ferma soltanto quando il corpo smette di lottare. Riapre gli occhi, che le si riempiono definitivamente di lacrime quando vede il suo pugnale sporco di sangue.

Si sente ancora peggio quando si rende conto della scena di cui è protagonista: c’è sangue ovunque, sui suoi vestiti, sul pavimento, intorno all’uomo che giace a terra senza vita…

Si guarda le mani: sono macchiate anche quelle…

Arnielle non può più stare lì: raccoglie il foglio che l’ha quasi portata alla morte ed esce dalla stanza ancora con le lacrime agli occhi.

 

Quando il giorno seguente incontra il mandante del furto, Arnielle non si è ancora ripresa.

Sa che non riuscirà a nascondere il suo stato d’animo, e sa che il suo volto è un libro aperto: ha paura che l’uomo scopra la terribile cosa che ha fatto.

Tiene stretto nelle mani il documento, e aspetta il suo arrivo fissando lo sguardo sulle gocce d’acqua che cadono da un tetto nella pozza d’acqua poco lontana da lei, senza però vederle veramente.

Stacca gli occhi da lì solo quando sente la voce dell’uomo che la saluta, e che le chiede il documento.

In cambio, lui le porge un sacchetto molto più grande di come se l’era immaginato.

Arnielle lo prende e ne controlla il contenuto. Sgrana gli occhi; dentro ci sono il doppio di livres che le erano state promesse.

L’uomo coglie la sua espressione stupita e, prima di andarsene, si limita soltanto a dirle: “Complimenti. Hai superato ogni mia aspettativa.”

Arnielle continua a guardare il sacchetto che ha tra le mani, ed è così che una consapevolezza prende forma nella sua testa, e deve accettarla, per quanto essa sia terribile.

E’ così che capisce: non è sufficiente solo rubare; uccidendo, verrà ricompensata meglio, e potrà dare un vero aiuto alla sua famiglia.

 

Arnielle concluse, senza una lacrima. Ma aveva smesso di guardare Risha, e fissava il vuoto. Aveva parlato, ininterrottamente, richiamando le immagini impresse a fuoco nella sua testa.

E soffriva, come aveva sofferto quella volta. Faceva male come allora. Bruciava, e sapeva che il dolore non sarebbe passato mai, quella non era una ferita che si rimarginava. Se la sarebbe portata dietro per sempre, l’avrebbe dovuta sopportare.

Solo che ogni volta che uccideva qualcuno, qualcos’altro si rompeva, e non si riparava più. Ogni vittima, quelle della necessità, quelle della rabbia e quelle della vendetta, rimanevano nella sua testa come la prima. Il dolore del momento dell’omicidio si affievoliva. Era diventato più facile.

Ma il dolore che si portava dentro, quello non si affievoliva. Quello cresceva.

Adesso lo sapeva. E Arnielle capì perché Risha le avesse chiesto di ricordare il suo primo omicidio.

Lo guardò, e lui la guardava.

Lo sapevano entrambi; avrebbe potuto finire lì. Arnielle avrebbe potuto scendere da quella torre, cercare di dimenticare, rinchiudere quel dolore da qualche parte nella sua testa e tirare avanti. Ricordare la sua famiglia, dimenticare il modo in cui era stata uccisa. Trovare un lavoro, uno onesto, magari in fabbrica. Trovare un uomo. Sposarsi. Avere dei bambini. Vivere, semplicemente vivere.

Ma poi?

Non sarebbe mai stata felice. O forse lo sarebbe stata, ma quella sarebbe stata una gioia sottile, superficiale. Non esiste la felicità dopo che si è ucciso.

Il dolore che provava se lo sarebbe sempre portata dentro. Quello del suo primo omicidio, e quello di tutti gli altri.

Ormai era lì, nella sua pelle, non l’avrebbe mai scacciato. Non avrebbe avuto senso aver provato tutto quel dolore, per poi farne niente. Adesso che aveva ucciso, era inutile decidere di non farlo più. Se la sua felicità non aveva più modo di esistere, esisteva una causa per cui combattere.

Risha alzò il viso e, per un brevissimo istante, Arnielle vide un bagliore sotto il suo cappuccio, dove il fuoco si rifletteva nei suoi occhi.

“Sei ancora decisa ad unirti alla Confraternita degli Assassini?”

“Adesso sì.”

Un sorriso si disegnò sul volto del Maestro, e l’atmosfera tornò quella di prima. Forse c’era un che di amaro, nel suo sorriso, ma Arnielle si sentì di nuovo allieva, di nuovo giovane.

Anche lei riuscì a sorridere e, così, Risha le fece cenno di avvicinarsi.

“Coraggio.”

La ragazza fece un respiro, e obbedì.

Appena gli fu arrivata di fronte, il suo Maestro cominciò a recitare delle parole in una strana lingua che lei non conosceva. Doveva essere la lingua dei primi Assassini.

Anche se non ne capiva il significato, le sembrava di cogliere fino in fondo l’essenza di quelle parole. La sua emozione iniziò a farsi sempre più grande.

“Queste sono le parole dei nostri antenati, il cuore del nostro Credo.” le disse Risha.

A quel punto Jacques si fece avanti, con espressione seria. La guardò intensamente. “Quando gli altri seguono ciecamente la verità, ricorda...”

“...Nulla è reale.” completò Arnielle.

 “Quando gli altri si piegano alla morale o alla legge, ricorda...”

“...Tutto è lecito.” finì la ragazza, con il cuore che le batteva forte.

“Agiamo nell'ombra per servire la luce…” disse Risha. Si mise una mano sul petto, e così fece anche Jacques. “Siamo Assassini.”

“Nulla è reale, tutto è lecito.” ripeterono i tre all’unisono.

L’aria tutto intorno a loro sembrò vibrare di quelle parole.

“D’accordo Arnielle, è il momento.” riprese Risha “Sei ancora molto giovane, ma ricorda che questo giuramento è per la vita. Sei pronta a unirti a noi?”

La ragazza rimase qualche secondo in silenzio per trovare la forza di pronunciare quelle parole. Poi, qualcosa dentro di lei sembrò darle la spinta per farlo, e le parole le uscirono di bocca quasi automaticamente, ma piene di convinzione. “Lo sono.”

A quel punto Risha sollevò dal fuoco un paio di grosse tenaglie, la cui cima era una specie di anello incandescente. Arnielle sentì per un secondo un vuoto allo stomaco. Risha le si avvicinò.

“Non preoccuparti. E’ solo un attimo.” le sussurrò dolcemente.

Arnielle chiuse gli occhi e tese la mano sinistra leggermente tremante. Sentì il calore dell’anello incandescente avvicinarsi sempre di più alle sue dita. Poi il metallo venne a contatto con la carne del suo anulare, e strinse forte i denti per il dolore.

Ma Risha aveva ragione; fu solo un attimo.

Sentì il bruciore scemare lentamente, e riaprì gli occhi. Adesso, attorno al suo anulare, c’era il marchio degli Assassini.

“Benvenuta Arnielle. Ora sei una di noi.” le disse amichevolmente Jacques, facendole un grosso sorriso.

La ragazza lo ricambiò. Poi fu Risha a parlare. “Sei stata bravissima Arnielle. Non hai neanche urlato.” le disse orgoglioso, e le sorrise.

“Già…” intervenne Jacques, con aria tranquilla “Non come qualcuno di mia conoscenza.” e sollevò gli occhi al cielo con aria innocente.

Risha si voltò di scatto e lo colpì al petto con il dorso della mano. “Che cosa dici? Sta’ zitto, idiota!” disse stizzito.

Arnielle, Jacques, e alla fine anche Risha, si misero a ridere. Poi i due uomini tornarono seri, e altrettanto dovette fare Arnielle. Si preoccupò un attimo: pensava che fosse finita, non riusciva a capire cos’altro ci fosse da fare.

“Bhé, vai prima tu, Jacques?” chiese Risha al suo amico.

“Come preferisci.” rispose allegramente il ladro.

Arnielle guardò entrambi con aria interrogativa. “Dove va Jacques?” chiese preoccupata.

Jacques le sorrise sornione, e indietreggiò lentamente fino al parapetto della torre. Poi ci salì sopra e si buttò di sotto.

Mon Dieu! JACQUES!!” urlò lei, precipitandosi verso il punto da cui era sparito.

Risha la fermò prontamente per un braccio.

“Non mi avevi detto che la chiusura del rito prevedesse il suicidio di qualcuno!” esclamò spaventata.

Risha rise appena. “Tranquilla Arnielle. Jacques sarà giù ad aspettarci.”

“Sì!” ribatté lei “Morto!”

Risha rise di nuovo. “Ma no! Ti vuoi fidare di me?”

La ragazza respirò profondamente per calmarsi. A quel punto Risha la lasciò, e disse: “Vedrai che ti piacerà. Apri bene le braccia, e ricordati di raggomitolarti mentre cadi… Così.” concluse, e seguì Jacques di sotto dalla torre.

Arnielle prese un lungo respiro; immaginava che Risha non la volesse morta in fondo a quella torre. Ma aveva ancora paura. Poi una forza che non sapeva di avere, quasi una memoria ancestrale, la condusse decisa in cima al parapetto. E infine, l’Assassina si lanciò nel vuoto.

Non sapeva cosa avrebbe trovato alla fine di quella caduta, ma il suo corpo agì per lei; allargò le braccia, compì una capriola raggomitolata su se stessa, e prima che potesse rendersene conto, era atterrata in un soffice mucchio di fieno.

Quando venne fuori, si spolverò i vestiti per liberarsi delle spighe, e si ritrovò davanti a Risha e Jacques che la guardavano soddisfatti.

“Com’è stato?” le chiese il ladro.

“Fantastico!” esclamò Arnielle, a cui ancora mancava il fiato.

“Ne ero sicuro.” rispose Jacques ridendo.

Risha fece un passo avanti. “Era il Salto della Fede.”

“Il mio primo Salto della Fede.” ripeté Arnielle eccitata.

Risha lanciò uno sguardo a Jacques. “Mh… Sì… Più o meno.”

“E adesso cosa facciamo?” chiese la ragazza sempre più emozionata.

“Adesso Arnielle, torniamo a casa. Devo darti delle cose.” rispose Risha.

 

Non appena entrò in camera sua, fu la prima cosa che vide.

Appeso alla testata del letto, di un bianco abbacinante. Il cappuccio era un tutt’uno con una lunga casacca aperta sul petto, e allacciata con alcuni semplici bottoni di metallo.

Al di sotto si scorgeva una specie di pagliaccetto broccato di rosso, ma senza alcuna gonna.

Al suo posto, unite al corpetto con delle cinghie, c’erano delle pesanti calze nere. Alle stesse cinghie erano cuciti due foderi; uno conteneva cinque coltelli da lancio, l’altro ospitava un pugnale dalla lama corta.

Sulla schiena, tenute ferme da un’altra serie di cinture, c’erano invece la guaina dello stiletto, e quella di un leggero fioretto. Sulle spalle, infine, era appuntato un lungo mantello dalla forma triangolare, con l’interno di seta rossa e l’esterno di velluto nero. 

Ai piedi dell’abito erano appoggiati due grossi stivali di cuoio marrone, con broccato rosso nei risvolti e un altro fodero per i coltelli nel destro. Ad essi, erano allacciati due solidi schinieri di metallo.

Il resto dell’armatura era appoggiata sul letto. C’erano degli elaborati spallacci da collegare all’abito attraverso alcuni lacci di pelle, una leggera corazza da mettere sotto i vestiti e, infine, due magnifici antibracci.

Il suo abito da Assassina.

Arnielle si avvicinò, rapita, al letto, e prese tra le mani l’antibraccio sinistro. Sfiorò delicatamente con le dita il simbolo degli Assassini in rilievo sulla sua superficie, e poi provò con lentezza a infilarselo. Non sapeva bene come fare, e non ci riuscì subito.

Prima che potesse riprovare, però, le sue mani vennero coperte da quelle di Risha, che guidarono piano i suoi movimenti.

Arnielle alzò lo sguardo, e sorrise. Il bracciale scattò, cingendole l’avambraccio in una morsa nuova, eppure familiare.

L’Assassina, per la prima volta in vita sua, si sentì completa.

Risha le lasciò la mano. “Muovi il polso.” ordinò.

Arnielle obbedì, e in uno scatto, la lama nascosta apparve lungo il suo pugno. La ragazza l’osservò per qualche istante, immaginò il sangue di cui si sarebbe macchiata, ma non ebbe paura. Sapeva soltanto che era la cosa giusta da fare.

Con un movimento opposto, fece rientrare la lama nel suo alloggiamento, e poi guardò Risha.  “Grazie.”

Ed era ovvio che quel grazie non si riferiva soltanto al fatto di averla aiutata a indossare la lama celata.

Risha lo capì, e sorrise. “Grazie a te.”

Rimasero per qualche istante a guardarsi in silenzio, e come non mai Arnielle desiderò poter incrociare i suoi occhi.

Poi Risha sembrò riscuotersi, e abbozzò un altro sorriso. “Bhé, cosa aspetti? Indossala.”

Arnielle lo guardò emozionata. Raccolse gli abiti e l’armatura, e corse verso la porta che conduceva alla stanza attigua. Fece un grosso sorriso a Risha, e lo guardò per un altro istante, illuminato dalla luce della luna. Poi, si chiuse la porta alle spalle.

Quando fu completamente vestita, si sentì molto soddisfatta. La stoffa aderiva perfettamente al suo corpo, come se le fosse stata cucita addosso, e l'armatura era della misura giusta per lei. Nonostante avesse tutto quel metallo addosso, non si sentiva affatto pesante.

Continuò a guardarsi orgogliosa nella lastra di bronzo lucido. Sorrise al pensiero delle difficoltà che aveva avuto per indossarla; a un certo punto aveva tentato di mettersi uno spallaccio sul ginocchio, ma alla fine aveva capito che non era quello il suo posto giusto.

E adesso aveva indosso l'ultimo abito che avrebbe mai messo. Non lo sentiva come un'armatura, come qualcosa di esterno: era parte di lei, una seconda pelle, così come le armi non erano altro che il prolungamento del suo braccio, e la lama celata una delle sue dita.

E si vedeva bella. Bella davvero, per la prima volta. Bella e misteriosa, proprio come Risha.

Finalmente, si sentiva se stessa.

Voleva condividere con il suo Maestro quell'immensa felicità che l'aveva invasa improvvisamente, così si catapultò nella sua stanza.

“Ri...!” ma Risha non c'era più.

La stanza era vuota, e la luna disegnava i suoi riflessi argentei sul pavimento e sulle pareti.

Si chiese dove diavolo si fosse cacciato così senza preavviso; all'inizio pensò che fosse semplicemente in un'altra stanza, così si avviò verso la porta.

Ma mentre stava per mettere la mano sulla maniglia, con la coda dell'occhio notò qualcosa appoggiato sulla superficie del piccolo tavolo in un angolo della stanza.

Si avvicinò, aggrottando le sopracciglia preoccupata, sperando di sbagliarsi.

Non poteva averlo fatto. Non poteva averla abbandonata, non proprio adesso, e senza neanche dirle che se ne sarebbe andato, senza neanche salutarla.

Ma quando fu abbastanza vicina un triste sorriso le si disegnò sulle labbra: sul tavolo, c'era l'ultimo regalo di Risha.

 

[1] Fu un generale francese, maresciallo di Francia. Ce lo siamo immaginato molto come Gonfaloniere dell’Ordine dei Templari.

[2] Non sappiamo con precisione quali unità di misura venissero usate al tempo, ma navigando su internet abbiamo trovato i pollici. Abbiamo messo 6 pollici perché corrispondeva a una qualche misura in centimetri, ma abbiamo trovato la corrispondenza molto tempo fa, e adesso non ci ricordiamo a quanto equivaleva .-.

 


Ciao ragazzi! Ecco a voi il decimo capitolo della nostra fanfic, e anche l’ultimo di questi noiosi capitoli di transizione. E’ passato molto tempo da quando lo abbiamo scritto, ma ricordiamo ancora troppo bene la fatica che abbiamo impiegato per farlo.

E’ uno dei nostri capitoli preferiti, uno di quelli che alla fine sono venuti fuori meglio degli altri, e ne siamo soddisfatte u.ù (anche basta con questa modestia, direte voi, e avete ragione. xD!)

Dunque… Come avrete sicuramente notato, non è per niente corto (crediamo sia uno dei più lunghi mai scritti fino ad ora) e raccoglie in sé diversi eventi.

Arnielle ce l’ha fatta a mettersi nei guaixD, e alla fine ha anche capito il suo errore, per la felicità di Risha (e anche la nostra!), però è testarda e, soprattutto, non riesce sempre a fare quello che dice il suo Maestro e, ovviamente, l’unica volta che riesce ad avere il permesso di uscire di nascosto, lo incontra al mercato. -.-‘’

La parte del giuramento è stata la più impegnativa in assoluto, il ricordo del primo omicidio compreso. Questa parte non poteva assolutamente mancare nella nostra fanfic, ci aveva colpite molto in Assassin’s Creed II, e dovevamo riproporla in tutte le maniere u.ù

Anche l’ultimissima parte era d’obbligo. Ci piace molto il cambiamento di Arnielle, che finalmente diventa una vera Assassina, con la A maiuscola.

E ora? Che succederà? E Risha…?? Booooooooooo!xD Sta a voi scoprirlo!

Non c’è altro da dire per il momento. Speriamo che il capitolo vi piaccia!

A presto lettori!



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