Science Of Silence

di Little Shinedown
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. The Meeting ***
Capitolo 3: *** 2. You are right ***
Capitolo 4: *** 3. I'm not so different ***
Capitolo 5: *** 4. Arrogance ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

Prologo

 

Ci sono momenti nella vita dove ti senti triste e isolata dal mondo senza saperne il perché. All’inizio credi che siano gli altri ad essere superficiali e meschini, nessuno ha voglia di perdere tempo con te, ascoltando i tuoi problemi e le tue insoddisfazioni. Tutti sono buoni solo nei momenti migliori, quelli dove va tutto bene. Vero? Ma quando arriva il buio ognuno torna nella propria casa e tu rimani lì, solo, a dover combattere contro una realtà che in fondo, forse, ti sei creato da solo ma da cui non riesci ad uscirne. Cerchi di scappare, di trovare un diversivo, qualunque cosa pur di non pensare a quello che stai passando, che fa male, fa male da morire. Ti lacera il cuore e non ti lascia scampo, la solitudine, è la cosa più brutta che una persona possa vivere. Stare da soli, passare tutte le tue giornate davanti ad una finestra guardando tutti quelli che non solo soli ma che hanno uno straccio di amico con cui condividere un pomeriggio. Inizi a chiederti dove hai sbagliato, con chi hai sbagliato e perché. Ma non riesci a risponderti, la solitudine non ti da risposte ma solo domande. Rachel, a 18 anni, sapeva bene cosa fosse la solitudine ci conviveva da una vita, non si poteva dire che avesse mai avuto un vero amico solo blande conoscenze legate agli ambienti che frequentava come la scuola e la palestra. Da tempo ormai aveva smesso di porsi di domande riguardanti la sua situazione, sapeva che se avesse continuato sarebbe impazzita, aveva imparato a viverci insieme, anche se ogni tanto di notte, si ritrovava a pensarci anche senza volerlo e allora due lacrime silenziose le rigavano il volto candido. Aveva cercato di instaurare un rapporto con le sue compagne di scuola ma senza successo, loro erano così diverse da lei, così superficiali e sicure di sé, non temevano di apparire sfacciate ma si preoccupavano solo di godersi al meglio la loro età. Tutto ciò non era rimproverabile per delle diciottenni ma Rachel non era così, non lo era mai stata e probabilmente non sarebbe cambiata con il tempo. A lei non interessavano i bei vestiti, le feste e l’attenzione dei ragazzi a tutto ciò preferiva la musica e la lettura: le uniche vie di fuga dalla realtà che conosceva. Non si definiva una ragazza noiosa o particolarmente alternativa, era semplicemente diversa ma la sua semplice diversità l’aveva portata all’isolamento dal resto dal mondo. Con il passare del tempo si era chiusa sempre di più in se stessa creandosi una realtà parallela dove si rifugiava tutte le volte che il mondo sembrava accanirsi contro di lei e le sue debolezze.

 

 

 

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Capitolo 2
*** 1. The Meeting ***


 

The meeting

 

Lo sguardo fisso sulla strada, gli occhi ridotti a due fessure per la rabbia che provava e un foglietto in mano. Avrebbe potuto uccidere qualcuno quel pomeriggio. Forse non era il tipo di persona che potesse davvero farlo ma la tentazione era forte, molto forte. Come era venuto in mente a sua madre di iscriverla ad un corso di pallavolo? Non era già un tipo abbastanza chiuso? Aveva bisogno di qualcosa che glielo facesse ricordare?

“Ti aiuterà a fare nuove amicizie” le aveva detto sua madre, tutta raggiante, non appena era rincasata da scuola.

Non poteva crederci; sua madre aveva deciso per lei un' altra volta, l'ennesima.

“Apprezzo il tuo gesto, mamma, ma non era richiesto” aveva ribattuto Rachel, inspirando profondamente per evitare di risponderle male. Sapeva quanto sua madre fosse sensibile al suo carattere complicato e quanto poco bastasse per mandarla in crisi. Il divorzio era stato traumatico per tutti ma sua madre era quella che ci aveva rimesso di più.

Non c'era stato verso di farle cambiare idea e per evitare una scenata di urli, singhiozzi isterici e discorsi vari sulla sua ingratitudine, Rachel aveva deciso di andare alla prima lezione di quel maledetto corso senza, però, promettere nulla alla madre.

Ora con il borsone sulla spalla e lo sguardo furente si avviava verso la palestra a passo svelto. Attraversò la strada senza guardare, scatenando l'ira degli automobilisti che, costretti a frenare improvvisamente per evitare di tirarla sotto, la riempirono di insulti e colpi di clacson ma Rachel era troppo presa dai suoi pensieri omicidi e dalla musica assordante proveniente dal suo Ipod, per accorgersi del resto del mondo, che come al solito non perdeva occasione di prendersela con lei.

La scuola che ospitava la palestra era situata in fondo ad una stradina, piuttosto nascosta e poco illuminata, costernata da lattine vuote e mozziconi di sigarette.

“Se non mi stuprano qui, non mi stupreranno da nessun altra parte” pensò, varcando il cancello.

All'interno un uomo sulla sessantina, il custode, probabilmente, la squadrò da dietro una vecchia scrivania di legno.

“Tu saresti?” le chiese con tono non proprio gentile.

“Rachel, Rachel O' Connor” rispose lei, porgendogli il foglietto di iscrizione.

L'uomo lo prese e lo esaminò come fosse l'arma di un delitto o forse, semplicemente non vedeva bene da vicino...

“Primo spogliatoio a sinistra” disse, infine, indicandogli una porta.

Rachel seguì l'indicazione dell'uomo e con la mano tremante afferrò la maniglia, pronta ad entrare. Poteva ascoltare le voci delle ragazze che si stavano cambiando e pensò a che faccia avrebbero fatto quando l'avrebbero vista. Immaginava già le loro facce sorprese e i risolini che ne avrebbero conseguito. Il maledetto tarlo dell'insicurezza la stava distruggendo. Guardò la sua mano che teneva la maniglia senza però muoversi, si volse, cercando con lo sguardo il guardiano che però le dava le spalle impegnato a scrivere chissà che cosa. Girò la testa verso destra: c'era una porta di sicurezza, avrebbe potuto scappare da lì.

Ma perché avrebbe dovuto scappare?

“Stupida! Tira fuori le palle ed entra!” si disse così tante volte fino a farsi venire le lacrime agli occhi.

Spinse con forza la maniglia verso il basso producendo un lieve scricchiolio. La porta si aprì lasciando intravedere un gruppetto di ragazze indaffarate tra magliette, cinture e reggiseni troppo spessi. Non appena sentirono la porta aprirsi si voltarono spaventate coprendosi con quello che avevano in mano.

“Scusate!” esclamò Rachel, richiudendosi, velocemente, la porta alle spalle.

Le ragazze si rilassarono in un sospiro di sollievo.

“Pensavamo fosse quel maniaco del vecchio Bob!” disse una, con una lunga chioma bionda e con un reggiseno troppo grande perché potesse riempirlo del tutto.

“Tu devi essere nuova!” esclamò un'altra che le si era materializzata intorno.

“S-si sono Rachel” si presentò la ragazza.

“Ciao Rachel” le risposero le altre in coro per poi scoppiare a ridere, dopo una ad una si presentarono.

Rachel non riuscì a ricordarsi tutti i loro nomi ma rimase piacevolmente sorpresa dal fatto che non l'avessero scannata seduta stante.

“Sbrigati Rachel!” esclamò la bionda che le si era presentata come Sammy “a Richard non piace aspettare!”

“Chi sarebbe Richard?” chiese lei, sfilandosi il maglioncino.

“É il nostro allenatore!” le rispose una guardandola con luccicanti occhi neri. Doveva essere Kat, quella.

“É simpatico, ti divertirai!” le fece eco un'altra, che ricordava si chiamasse Frances.

“Beh, simpatico è un parolone... diciamo che ha un umorismo particolare” intervenne, allora, una spilungona con degli spessi occhiali che le conferivano un' aria da grande intellettuale.

“Umorismo particolare o no, io mi scompiscio sempre quando racconta di quando giocava in federazione!” disse Frances, facendo strani gesti.

“Che ci troverai di simpatico in uno che racconta sempre le stesse cose!”

“Quanto sei noiosa Mel! Se continui così non scoperai più a vita eh!” la provocò Frances.

“Ma vaff..”

“RAGAZZE! Entro stasera se è possibile!” urlò una voce al di là della porta.

“STIAMO ARRIVANDO!” gli urlò di rimando Sammy.

“Sarà meglio!” le rispose la voce.

“Quello che hai appena sentito sbraitare è Richard!” le annunciò Mel con un sorriso. 

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Capitolo 3
*** 2. You are right ***


 

2. You are right

 

La palestra era ampia e illuminata da enormi finestroni laterali, dai quali gli ultimi raggi di Settembre filtravano indisturbati. I muri, tinteggiati di giallo conferivano all'ambiente un aspetto ancora più luminoso e piacevole. Una ad una le ragazze uscirono dallo spogliatoio, senza mai smettere di parlare e ridacchiare, dirigendosi verso un banchetto situato in un angolo.

 

“Siete in ritardo!” Esclamò un bambino, appollaiato sul banchetto.

“Taci Alex!” lo zittì Mel “dov'è Richard piuttosto?”

“É andato a prendere i palloni in magazzino, ha detto di dirvi che stasera tornerete a casa svenute!”

“Adesso mi spieghi come si fa a tornare a casa da svenuto!” brontolò Mel.

“Quanto sei noiosa!” la rimbeccò Sammy.

“Hai visto? Anche lei dice che sei noiosa!”

“Tu saresti un tipo interessante, invece?”

“Certo, sorella noiosa!”

“Che fratello infame! Ti porto con me e tu mi ringrazi così?”

“Tu non mi porti, mi trascini!”

“Non è certo colpa mia se la mamma non sa dove lasciarti il pomeriggio!”

“Potrei stare a casa da solo”

“Sì, come l'ultima volta che per poco non siamo saltati tutti in aria perché tu dovevi fare il budino!”

“Time out!!” gridò Frances per farsi ascoltare dai due “il tempo dei fratelli incompresi è finito!”

“Fran ha ragione!Siete in ritardo!” disse una voce alle loro spalle. Le ragazze si voltarono, riconoscendo il timbro vocale profondo ma ancora venato di qualche nota adolescenziale di colui che aveva parlato.

“Ma prima di iniziare il riscaldamento, ho bisogno di parlarvi!” disse con tono solenne.

“Hai di nuovo tamponato un vecchietto mentre venivi in palestra?” chiese Sammy, scatenando i risolini delle altre.

Il ragazzo la guardò con aria di sfida “se fosse successa una cosa del genere ora sarei qui a parlare con te Samantha?”

“Volevo solo fare dell' ironia” ribatté la ragazza.

“Un' ironia non richiesta per altro. Il fatto che tu sia il capitano della squadra non ti autorizza ad avere questa confidenza con l'allenatore, che in questo caso sono io!”

“Scusa”

Richard annuì e riprese a parlare “Abbiamo un problema serio, ragazze. Ho appena ricevuto la conferma dal presidente della società: Emma e Ali hanno ufficialmente lasciato la squadra.”

Un coro di voci si alzò improvvisamente e la sorpresa che gli si era, immediatamente, dipinta sul volto lasciò spazio alla delusione e alla rassegnazione: non avrebbero mai vinto nulla senza Emma “l'ala protettrice*” ed Ali “la macchina da guerra*”.

“Cosa faremo adesso?” la domanda di Kat risuonò alle orecchie del ragazzo quasi come un rimprovero. Erano risaputi, infatti, i frequenti litigi tra le due giocatrici con e per l'allenatore. Che le due se ne sarebbero andata, prima o poi, era prevedibile ma ciò, comunque, lasciava sconvolte le compagne che si chiedevano cosa avrebbero dovuto inventarsi per affrontare l'imminente campionato.

“Non è la fine del mondo, troveremo qualche altra giocatrice, il campionato inizia tra un paio di mesi... mi inventerò qualcosa”

D'improvviso la porta dello spogliatoio si aprì, producendo un rumore sordo che rimbombò per tutta la palestra. Una ragazza magra con una folta chioma di ricci corvini, raccolti in una coda, entrò timidamente.

“Rachel!! Che fine hai fatto?” chiesero in coro.

“Ho dovuto sistemare alcune faccende burocratiche con il custode. Spero di non essere in ritardo” rispose, guardando d'istinto il ragazzo seduto, che identificò come l'allenatore, ovvero il famoso Richard di cui le era stato parlato negli spogliatoi.

“Tranquilla” la rassicurò lui “tu devi essere nuova”

“Mi chiamo Rachel”

“Ciao, io sono Richard” disse porgendole la mano.

La ragazza rispose al saluto, stringendogliela e cercando di sembrare il più disinvolta possibile.

“Hai già giocato in altre squadre?” le chiese dopo che si fu seduta tra le compagne.

“In realtà non ho la più pallida idea di cosa sia la pallavolo!”

Il ragazzo parve sorpreso e al tempo stesso divertito da quella risposta.

“Quindi per te la rete è solo uno strumento per la pesca?”

“Più o meno!”

“Perché lo hai scelto allora?”

Dopo quelle affermazioni, una domanda del genere era a dir poco prevedibile ma a Rachel, un' eventuale risposta, non era minimamente passata per l'anticamera del cervello.

“Per curiosità!” mentì spudoratamente.

Richard scoppiò a ridere, seguito a ruota dalle ragazze, frantumando quel briciolo di disinvoltura che lei aveva con fatica recimolato dentro di se.

“Sei davvero un bel tipo Rachel!” esclamò tra uno sghignazzo e l'altro “Però non prendertela!” disse, improvvisamente, notando l'espressione corrucciata della ragazza.

“Non mi sono offesa”

“Non poco, forse. Basta guardarti. Questa è la prima regola di una squadra: mai prendersi troppo sul serio. Voglio dire, è giusto restare concentrate su ciò che si fa ma bisogna anche saper ridere, o perlomeno sorridere se proprio non si vuole ridere, dei propri difetti. Crea complicità e la complicità è una parte fondamentale della pallavolo. Va bene, Rachel?”

“Sicuramente hai ragione tu”

“Toglici pure il sicuramente” disse infine “Bene ragazze, dopo questa perla potete iniziate a correre, Joan, oggi gestisci tu il riscaldamento, vedi di fare meno la sbruffona che non sei Miss Pallavolante della società!”

“Si dice pallavolista!” lo rimbeccarono tutte in coro.

“A lei pallavolante sta meglio!” si difese il ragazzo ghignando.

“Mi stai dando dell'obesa?” chiese Joan, fintamente arrabbiata.

“Lo sai che non potrei mai!” disse lui mettendosi una mano sul petto.

“Te l'avevo detto che era simpatico!” sussurrò Frances a Rachel tra un giro e l'altro della palestra.

“Fa così con tutte?” le chiese l'altra per tutta risposta.

Frances rimase spiazzata “Beh, se intendi dire se...”

“VI sfotte sempre tutte?” completò la frase Rachel.

“Non ci sfotte propriamente, più che altro si diverte a prenderci in giro”

“E a voi sta bene?”

“Insomma Rachel perché tutte queste domande? Ci sta bene perché sono prese in giro bonarie, non hanno altri fini se non quello di farci ridere, non lo fa certo per cattiveria!”

Rachel sembrò più tranquilla.

“Probabilmente hai ragione tu!”

“Toglici pure il probabilmente” disse l'altra facendole l'occhiolino.

 

 

 

 

* l'ala protettrice e la macchina da guerra sono due soprannomi, inventati dalla sottoscritta, per definire due ruoli della pallavolo: l'ala e il centrale. 

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Capitolo 4
*** 3. I'm not so different ***


 

 

 

I'm not so different

 

 

“Forza con quel bagher, devi tirarlo su il pallone Joan! Frances, tu cerca di coprire quel buco in centro, è la tua zona! Lucy levati subito le mani dai fianchi e stai in posizione! Kat, quante volte ti ho detto che il palleggiatore non deve mai dare la schiena alla rete, devi guardarla quella palla! Colpisci con più cattiveria, Mel, devi essere decisa! Se non tieni le braccia tese è normale che la palla ti arrivi in faccia Abigail! Non credere che non ti abbia vista Sam, i gestacci li fai al tuo gatto, ok?! Ragazze, in queste condizioni non andiamo da nessuna parte. Abbiamo un campionato da vincere e molto altro da guadagnare se solo vi impegnaste un po' di più! Cercate di concentrarvi su quello che fate!” la voce di Richard risuonò nella palestra producendo un lungo eco che rese le ragazze, già stremate dal lungo allenamento, ancora più spossate. Quella sera sembrava averne una per ognuna di loro tranne che per Rachel che seduta in un angolo della palestra , osservava gli schemi di gioco che avrebbero utilizzato durante le prime fasi di campionato. Non capiva molto, glielo si leggeva in faccia, ma faceva il possibile per assimilare quanto più poteva di quei concetti, facendo domande e ricevendo risposte dettagliate dall'allenatore. “Non è così male” pensò Rachel, osservando le sue nuove compagne correre da una parte all'altro del campo sotto i consigli e i rimproveri di Richard. Quella sera aveva, per la prima volta in vita sua, preso in mano un pallone da pallavolo e dopo un primo momento di “non so bene che farci con questo coso” ci aveva preso una certa confidenza anche se la paura di sbagliare e le amichevoli ma imminenti correzioni del ragazzo l'avevano un po' intimidita.

Rachel te la cavi bene, per essere la prima volta che tocchi un pallone, devi solo crederci un po di più” le aveva detto, dopo una serie di esercizi sul palleggio.

Doveva ammettere che, a dispetto dei suoi stereotipi sugli sport di squadra ma più precisamente sulle giocatrici di pallavolo, era stata ingiusta e piena di pregiudizi. In fondo quelle ragazze non sembravano così male, magari sarebbero potute diventare amiche e avrebbero potuto condividere un sacco di cose, avrebbero passeggiato insieme nelle vie del centro, ridendo e scherzando, commentando ogni ragazzo carino, si sarebbero sedute intorno ad un tavolino di un bar e con in mano un frappè, si sarebbero raccontate i loro segreti. Rachel, a quel punto, gli avrebbe parlato della sua passione per la chitarra e di quanto la musica fosse importante per lei e loro non l'avrebbero snobbata, come le sue compagne di scuola ma, anzi, l'avrebbero ascoltata con attenzione e magari le avrebbero chiesto di fargli sentire qualcosa, rendendola la ragazza più felice del mondo. Anche sua madre sarebbe stata orgogliosa di avere una figlia socievole che non passasse più i suoi pomeriggi strimpellando la chitarra, chiusa nella sua stanza con un'espressione perennemente malinconica sul volto. Forse erano loro la cura per la sua solitudine, forse aveva davvero trovato quello che cercava.

Rachel ma che diavolo vai a pensare! Sai che non potrai mai essere come loro! Tu sei diversa, lo hai sempre saputo!” una vocina nella sua testa le stava intimando di lasciar perdere. C'era sempre lei dietro ai suoi “no” agli inviti o al minimo accenno di cambiamento. Aveva provato a non dargli ascolto ma più cercava di ignorarla più questa diventava pressante, logorandole lentamente l'anima.

Spostò lo sguardo su Richard, impegnato momentaneamente con il cellulare: stava scrivendo un messaggio; anche lui sembrava una persona cordiale. Si era dimostrato attento e paziente davanti alle sue domande e anche se si era a divertito a prenderla un po' in giro all'inizio, non aveva esitato ad aiutarla ad integrarsi nella squadra. Un brava persona insomma, se non fosse per quel piercing al sopracciglio che gli conferiva un' aria un po' fattona.

Il suono acuto di un fischietto la riportò alla realtà.

“Ragazze, per oggi può bastare!”

Notò l'espressione sollevata sui volti delle ragazze, nel sentire quelle parole. Era un tipo tosto lui.

“Spero di vedervi più cariche e motivate la prossima volta!” disse, guardandole bere avidamente dalle borracce.

“Abbiamo iniziato da poco, dacci tempo!” ribatté Kat, asciugandosi la bocca.

“Ve lo darei volentieri, ragazze, ma ho appena avuto conferma dalla società che tra una settimana inizieremo una serie di partite amichevoli. Una specie di pre-campionato. La prima partita è Sabato prossimo, qui in palestra”

“Non posso crederci!” esclamò Mel “siamo solo alla fine di Ottobre, saranno un paio di mesi che ci alleniamo, non siamo pronte. In più la parte migliore se ne è andata! Come puoi pretendere di farci giocare!?”

“Non è stata un'idea mia. Conoscete chi comanda ai piani alti! Prendetevela con lui!” ribatté Richard, seccato.

“Tu conosci la nostra situazione, potevi opporti!” intervenne a quel punto Joan.

“Mi è stato comunicato adesso, per messaggio oltre tutto” disse prendendo in mano il cellulare, come per dimostrare la veridicità di ciò che diceva.

“Ragazze ma perché siete cosi pessimiste? É vero Ali ed Emma erano le due colonne portanti della nostra squadra, ma sapevamo che prima o poi se ne sarebbero andate”

“Chissà perché...” sussurrò Sam sarcastica.

Richard la fulminò con lo sguardo senza dire nulla. In fondo non aveva tutti i torti, era anche colpa sua se le due ragazze se ne erano andate. Fu percosso da un brivido, quando ripensò ai lunghi capelli neri di Ali, che tante volte aveva accarezzato e ai profondi occhi verdi di Emma che riuscivano a penetrarlo fino in fondo all'anima. Era inevitabile che succedesse un casino prima o poi. Non è mai consigliabile tenere il piede in due scarpe, Richard lo sapeva bene e capiva il risentimento delle ragazze verso di lui ma ora era troppo tardi per ripensare agli errori commessi.

“...e comunque” continuò “possiamo farcela anche senza di loro. Abbiamo solo bisogno di un po' di convinzione”

“Tu credi?” chiese Frances speranzosa.

“Io credo molto in voi, altrimenti non sarei qui anche quest'anno ad allenarvi. Conosco le vostre potenzialità e i vostri limiti, so che potete farcela!” rispose lui con un sorriso stanco.

“Ora andate, ci vediamo Giovedì” disse infine.

 

 

Non appena le ragazze si furono congedate dall'allenatore, si precipitarono nello spogliatoio per discutere dell'ultima notizia. C'era chi come Joan vedeva il pre-campionato, come una cosa positiva, chi come Mel rimaneva ferma nella sue posizioni, chi come Frances e Kat, rassicurate dall'allenatore, non vedevano l'ora di giocare, chi come Sammy, si sentiva carica di responsabilità e forse anche un po' in colpa per non riuscire ad infondere alla squadra il coraggio e la fiducia necessaria, chi come Lucy, abituata ai lussi, non aveva mai riposto grande fiducia in un ragazzo con i capelli lunghi e l'aria trasandata, chi come Abigail, non aveva mai smesso di credere e poi c'era Rachel che silenziosa si stava cambiando, assorta in ben altri pensieri. Lo spogliatoio era diventato un coro di voci che, per chi ne stava fuori ricordava una pentola di fagioli in fase di ebollizione.

Una ad una tutte le ragazze uscirono dallo spogliatoio dirigendosi vero l'uscita della palestra, salutarono Bob, il custode, che rispose con un grugnito e salutarono Richard, che appoggiato al cancello stava fumandosi una sigaretta.

Non appena vide Rachel buttò la cicca per terra, per poi pestarla.

“Credi di tornare?” chiese di soppiatto, prendendola alla sprovvista.

“Non lo so” rispose lei, cercando di simulare indifferenza.

“Non farti impressionare da quello che è successo oggi, sono una squadra unita”

“Non lo metto in dubbio ma non so se voglio continuare con questo sport. D'altronde non l'ho scelto io” disse lei, tirando un sospiro.

“Provare non costa nulla” ribatté il ragazzo.

“É vero ma non so quanto uno sport di squadra possa mettermi a mio agio”

Richard parve sorpreso “Perché?”

“É una lunga storia...” rispose lei, cercando di tenersi, il più possibile, sul vago.

Lui le lanciò un'occhiata indagatrice e sembrò capire in quel momento ciò a cui si riferiva la ragazza.

“Beh fai come credi. Se ti va, però, vieni Sabato alla partita. Stai in tribuna,

guarda come si gioca e rifletti su quello che vuoi fare”

“Ci penserò”

“Ci conto” disse lui avvicinandosi ad un'auto rossa, posteggiata sul ciglio della strada. “Ti serve un passaggio?” chiese estraendo le chiavi da una tasca.

“Grazie, ma faccio volentieri due passi”

“A Sabato, allora”

“A Sabato” ripeté lei con un mezzo sorriso.

 

 

“Beh?” esclamo Miranda O' Connor, non appena vide sua figlia sull'uscio di casa.

“Beh che cosa?” rispose Rachel piuttosto seccata.

“Come è stata la tua prima lezione di pallavolo?”

“Niente di che: le ragazze hanno litigato e l'allenatore sembra uscito da un rave party”

Miranda sembrò dispiaciuta “Non è stato un gran che allora...”

“In effetti no”

“Ma lo sport ti piace?”

“Ho giocato poco ma non sembra male”

“Quindi ci tornerai?” chiese speranzosa la donna.

“Non lo so, forse... ma perché insisti così tanto con la pallavolo, non mi sembra che ti abbia mai appassionato lo sport!”

Miranda abbassò la testa imbarazzata “Vedi Rachel, tuo padre sostiene che la causa del tuo carattere chiuso e scontroso sia io. Voglio dimostrargli che non è così, che sono io la prima che ti spinge ad aprirti”

“Vuoi discolparti insomma”

“Beh Rachel detto così sembra quasi che...”

“No, no mamma, tu vuoi discolparti! Tu vuoi che papà pensi che tu faccia il possibile per rendermi una ragazza uguale alle altre, se poi non ci riesci, pazienza! Sono io la disadattata, tu almeno ci ha provato! Non è forse questo quello che pensi di me?”

“Rachel, tesoro, non fare così...”

“Così come, mamma? Decidi tutto tu per me: quello che devo indossare, come mi devo comportare e perfino che sport devo praticare! É assurdo!” gridò Rachel diventando rossa per la rabbia.

“Io... io vorrei solo che tu sia più simile alle altre. Vorrei solo vederti più allegra e serena” disse sua madre tra i singhiozzi.

“Di che cosa ti vergogni? Del fatto che sono remissiva e scontrosa piuttosto che un'oca giuliva? Hai paura di quello che potrebbero dire le tue amiche quando vengono a fare yoga, forse? Se è così mamma, beh mi dispiace ma non sarò mai un'oca giuliva, non ci riesco! Non sono nata per farlo!” disse ad un passo dallo scoppiare in lacrime. Fece per dirigersi verso la sua stanza, quando si girò un ultimo istante verso la madre.

“Dammi il numero di papà, gli dirò che non è colpa tua se sono diversa” 

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Capitolo 5
*** 4. Arrogance ***


 

Arrogance

 

 

Il sole stava già tramontando quando Rachel svoltò l'angolo, immettendosi nella strada che conduceva alla palestra. Si stupì quando, in lontananza, scorse la sagoma di Richard. Notò che non era solo ma vi era una ragazza bruna con lui.

Sembrava stessero litigando: lui cercava di avvicinarsi ma lei lo allontanava indignata, gesticolando e sputando insulti che Rachel, da lontano, non riuscì a capire. Lui, mortificato, cercava di giustificarsi, parlando pacatamente; Rachel percepì solo un “mi dispiace” trascinato, dopo di che vide la ragazza girare i tacchi e ripercorrere la stradina, avvicinandosi sempre di più a lei che la percorreva nel senso opposto. I loro sguardi si incrociarono nel momento in cui, inevitabilmente, si trovarono una di fronte all'altra e fu in quel momento che Rachel poté osservarla meglio. Si poteva dire che rientrasse perfettamente nello stereotipo della bella ragazza: alta, fisico asciutto e curve nei punti giusti, il tutto incorniciato da una lunga chioma corvina, liscia e setosa, che le arrivava fino alla vita. La cosa che però la colpì di più furono i suoi occhi: due pietre nere, arrossate dal pianto, incastonate in un volto pallido e contratto in una smorfia di tristezza, che in tempi migliori avrebbero potuto illuminare un' intera stanza. Cercò con la mente di identificarla ma per quanto si sforzasse non riuscì ad associare il suo viso nessuna entità conosciuta. La ragazza lanciò uno sguardo al borsone, di Rachel e di conseguenza guardò lei, intuendo il motivo della sua presenza in quel luogo. Fu un'occhiata rapida, accompagnata da un sottofondo di singhiozzi strozzati e dal suono di tacchi sull'asfalto. Non appena l'ebbe superata, si voltò a guardarla, vedendo solo la sua chioma nera, oscillare sinuosamente sotto la luce del sole calante, poi girò la testa verso Richard che con la testa bassa rientrava in palestra, accompagnato dalla sua immancabile sigaretta.

Ripensò alla partita di Sabato: si era divertita molto e dagli spalti, aveva fatto il tifo ma nonostante tutto non riusciva ancora a capire come facessero le sue compagne a mantenere i nervi saldi sotto gli occhi di tutta quella gente, sotto i loro sguardi e le loro urla. Lei sarebbe probabilmente già morta dopo il primo errore e le conseguenti grida di scherno dal pubblico. Non sarebbe sopravvissuta alle loro occhiatine complici e alle battute prive di buon gusto che aveva sentito fare da un paio di ragazzini, qualche posto più in là. Era dannatamente fragile e insicura, non c'era nulla da fare. Pregò davvero che la pallavolo le giovasse in questo senso.

Prima di varcare il cancello, lanciò un pensierino a sua madre, pensò a quanto, in fondo, le volesse bene e da quanto tempo non parlassero. Dopo quella sera i loro dialoghi si erano bruscamente interrotti, anche se ogni tanto la notte, Rachel la sentiva piangere e solo Dio sapeva quanto si sentisse in colpa ma l'incrollabile orgoglio di una e la morbosa timidezza dell'altra avevano accuratamente fatto sì che nessuna delle due facesse un passo verso una forma di riappacificazione.

“Hey Rachel!” la voce squillante di Frances la obbligò a voltarsi. Vide la ragazza che le stava correndo incontro avvolta in uno sciarpone candido che le copriva gran parte della faccia.

“Ciao Fran!” esclamò guardandola “sotto tutta quella lana non ti avevo quasi riconosciuta!” disse quando furono abbastanza vicine.

Quell'affermazione suscitò l'ilarità dell'altra che scoppiò a ridere.

“Lo so, lo so però non sai quanto tiene caldo” disse, facendo roteare i vivaci occhi chiari.

“Oh, lo immagino! Dai sbrighiamoci, Richard è già entrato!”

“Sì ho incrociato Ali prima!” disse lei, rabbuiandosi improvvisamente.

“Chi è Ali?” chiese Rachel, che cominciava capire qualcosa.

“Alison Gallagher, il miglior centrale che la storia della nostra squadra abbia mai visto! E anche il più capriccioso of course! Ex fiamma del coach. Una bella ragazza, per noi era Pocahontas!”

Forse non così ex” pensò.

“Prima l'ho incrociata ed era distrutta, deve aver litigato con Richard”

Già

 

Lo spogliatoio era vuoto quando le due vi entrarono, segno che erano le prime e che avrebbero potuto concedersi qualche minuto prima di iniziare cambiarsi.

“Rachel, ma tu sei fidanzata?” chiese Frances, sfilandosi lo sciarpone.

Quella domanda colse la ragazza abbastanza di sorpresa poiché cambiò almeno otto colorazioni diverse prima di riuscire a rispondere.

“No... non credo che l'amore abbia mai avuto bisogno di me però scommetto che tu sei felicemente fidanzata!” disse cercando di dissimulare la sua amarezza.

L'altra tirò un sospiro “In realtà ci siamo lasciati da poco...”

Rachel rimase basita “Mi dispiace... non volevo ferirti!”

“Stai tranquilla, sono io che ho avanzato il discorso e poi sto iniziando a dimenticarlo. Nothing lasts forever” disse con un sorriso.

“Frances, mi dici una cosa?”

“Che cosa?”

“Come fai a sorridere, a sorridere sempre voglio dire? Come fai a non far mai trasparire la tua tristezza?”

L'altra la guardò teneramente “Vedi Rachi, io ero chiusa, chiusa proprio come un bozzolo, hai presente? Disse, unendo le mani per rendere meglio l'idea.

Rachel annuì interessata.

“Non sorridevo mai e avevo paura di tutto, poi ho capito che ciò che ti cade dal cielo, non sempre vuole romperti la testa ed ho imparato ad accettare le cose come vengono. La vita non è semplice ma chi è il mondo per farmi stare male? Per rendermi triste? Io sono Frances Bilson e ho il diritto e il dovere di essere felice! Quindi sorrido alla faccia del mondo!”

A Rachel scappò un sorrisetto. “Anche tu sei bella quando sorridi, fallo più spesso e senza timore, è l'unica cosa che nessuno potrà mai toglierti, neanche il ragazzo più stronzo o sfida più faticosa!”

“Grazie Fran!” disse, gettandole le braccia al collo “grazie di esistere”

Era la prima volta che abbracciava qualcuno di sua spontanea volontà. La paura di essere rifiutata l'aveva sempre bloccata davanti a qualsiasi manifestazione d'affetto, stampandole sul volto un' espressione perennemente dura e per certi versi snob.

“Di nulla, piccola Rachi”

 

“Che state facendo?” trillò Sammy davanti al tenero quadretto che le si era appena presentato davanti.

“Le amiche!” rispose Fran.

Le amiche!” pensò Rachel e un brivido di gioia la percosse.

 

“Diamoci una mossa! Il coach è già dentro!” le ammonì Mel “abbiamo un sacco di cose di cui discutere”

“Mel non iniziare! Non mi sembra che Sabato sia andata così male” la beccò Sammy.

“Un 3:0 egregio per noi!” le fece eco Kat.

“E' vero, ma siamo in poche e non abbiamo riserve”

“Pensi che Richard non ci abbia già pensato?” chiese Joan.

“Sì e spero abbia anche trovato una soluzione” rispose l'altra uscendo dallo spogliatoio.

 

Quando tutte si ritrovarono in palestra, Richard era già seduto sul banchetto ad aspettarle. I capelli scuri, tirati indietro da una fascetta dello stesso colore, lasciavano scoperto buona parte del viso, che appariva decisamente teso. Sembrava non vedesse l'ora di iniziare.

“Prima di tutto” iniziò, puntando un dito verso Rachel “hai preso una decisione?”

Rachel fu sorpresa dal dito puntato e dal tono che lo accompagnava ma cercò di non farsi impressionare.

“Ho deciso che continuerò ad allenarmi!” disse solennemente, scatenando gridolini di gioia da parte delle compagne, che iniziarono a battere le mani.

“Bene, stiamo crescendo” sospirò lui, rivoltò alle compagne, che prontamente annuirono.

Rachel ebbe, però, la sensazione che quel “stiamo crescendo” non fosse tanto riferito alle sue compagne quanto a lei.

“Oggi cercherò di insegnarti i fondamentali della pallavolo e poi vedremo per cosa sei più portata. Per quanto riguarda voi ragazze, beh, sono contento per Sabato. Come avrete potuto notare non servono eccezionali doti fisiche ma solo un po' di testa e tanto cuore. Abbiamo le basi per costruire una squadra anche solo in otto!” continuò, guardando ognuna di loro e scandendo ogni parola “Potete iniziare a riscaldarvi, ora”

 

Iniziarono tutte a correre in gruppo, fecero stretching ed infine presero i palloni pronte per riscaldare le braccia.

“Rachel, tu stai con me. Voi altre, voglio vedervi tutte in coppia. Oggi solo tecnica” ordinò il coach e la sua voce rimbombò per tutta la palestra.

 

Le due ore passarono in fretta, tra un esercizio e l'altro, tanto che Rachel non si accorse del trascorrere del tempo fino a quando Richard non le propose un “ultimo esercizio” sulla difesa in caso di attacco.

“Joan puoi venire un secondo?” gridò per sovrastare il rumore dei palloni che sbattevano per terra.

La ragazza si avvicinò e Richard le chiese di mostrare a Rachel la posizione di difesa dopodiché attaccò un pallone su di lei, convinto che lo avrebbe difeso ma l'attacco era troppo corto e Joan troppo lontana per riuscire a prenderlo in tempo. Cadde in avanti con le braccia ancora tese e quando le piegò era già a terra.

“Dai Joan, riproviamo” disse lui noncurante, ma la ragazza non accennava ad alzarsi. Rachel ribolliva di rabbia: non poteva sopportare l'arroganza, di nessun genere. Le altre nel frattempo, abituate a cadere, continuavano imperterrite ad esercitarsi.

“Avanti Joan, non ti sei fatta niente!” ripeté lui spazientito.

“Forse se non si alza, qualcosa si è fatta!” esclamò Rachel, andandole incontro, sorpresa lei stessa della sua sfacciataggine. Richard la guardò stupito.

“Non sta a te giudicare se qualcuno si è fatto male o no!” la ammonì.

“E non è neanche giusto che i tuoi problemi personali infieriscano sul tuo lavoro!”

A quelle parole Richard sbiancò e dietro di lui tutte le altre ragazze. Rachel non poteva credere a ciò che aveva appena avuto il coraggio di dire. Si portò una mano alla bocca, spaventata da lei stessa e dovette fare appello a tutte le sue forze per non scoppiare a piangere. Lui intanto continuava a guardarla e a un primo momento di imbarazzo fece spazio la rabbia che gli colorò il viso di un rosso acceso. Lei non riusciva a sfuggire da quegli occhi lucidi d'ira che la stavano fissando.

“Sei pregata di uscire” riusci solo a dire.

“Come?” chiese lei incredula.

“Vattene!”

Rachel rimase immobilizzata, lanciò un'occhiata spaventata a Frances che era più sconvolta di lei e dopo aver riacquisito la coscienza di se, scappò negli spogliatoi in lacrime. 

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