Jukebox

di Ciribiricoccola
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Track n°1: ***
Capitolo 2: *** TRACK N°2: ***
Capitolo 3: *** TRACK N°3 ***
Capitolo 4: *** TRACK N°4 ***
Capitolo 5: *** TRACK N°5- Prima parte ***
Capitolo 6: *** TRACK N° 5- Seconda parte ***



Capitolo 1
*** Track n°1: ***


mcfly

Salve a tutti i mcflyani e non :).
Avreste mai pensato che mi sarei data alle demential? :)
Se non ve lo aspettavate, tanto meglio :)-
Vi proporrò 5 racconti sui McFly, tutti con un titolo ispirato a delle famose canzoni italiane (e includerò anche i link). Giocheremo ad ascoltare un Jukebox sottoforma di FF, insomma :). Spero che l'idea della musica italiana associata ai McFly vi piaccia!

Per ora includo solo il primo, ma presto aggiornerò :). Buona lettura!

Con affetto

Ciry

TRACK N°1: “INNO NAZIONALE”- LUCA CARBONI

O… God save McFly

 

God Save the Queen
God save our gracious Queen,
Long live our noble Queen,
God save the Queen;
Send her victorious,
Happy and glorious,
Long to reign over us,
God save the…

E lui è troppo di Manchester,
tu sei troppo di Corringham
sventoliamo troppe bandiere,
col bastone nella mano
e diventiamo troppo violenti,
e se non ci spacchiamo i denti
comunque ci promettiamo in coro
che ci romperemo il culo!


“Sì, io ti rompo il culo, hai capito, Jones, te lo rompo!!!”
“Sono io che lo romperò a te, Poynter di merda!!!”
“OMMIODDIO, MCFLY, CULO, ROMPERE, Sììììììììììììììììììììììììììììììììììì, RAGAZZE, LE NOSTRE PREGHIERE SONO STATE ASCOLTATE!!!”

Un’orda di fans ninfomani e dalla mentalità fin troppo aperta, spuntate da chissà dove in mezzo alla strada, distolse Dougie e Danny dai loro reciproci insulti, e li costrinse a correre a gambe levate verso St. James Park, dove sicuramente avrebbero avuto modo di rifugiarsi sugli alberi (cosa da farsi se scappate da un orso, NDR) o di tuffarsi nel lago (nel caso di una fuga da uno sciame di api, NDR), nel tentativo di sfuggire a tutte quelle mani vogliose (il cui unico ragionevole rimedio sarebbe svitarsi il pene e lanciarlo in mezzo alla folla, NDR).

Quella sera, i due non stavano cercando di accoppiarsi oscenamente e con veemenza, come pensavano le faine fameliche da cui stavano scappando.
Stavano litigando di brutto, prima che quelle li avessero interrotti!
E per che cosa litigavano, due “uomini” (legalmente parlando) fatti e finiti?
Per il calcio.

Danny aveva la brutta abitudine di diventare un vero pacchiano con poco self- control, se si parlava di calcio.
E Dougie non era certo il tipo da non rispondere alle provocazioni, nonostante se ne fregasse altamente del calcio, sport che detestava; ma era divertente guardare Danny che vociava come un pazzo davanti alla partita! Almeno finché non iniziava a seminare zizzania, preso dalla rabbia, ogni volta che la sua squadra mancava una rete…

Così si erano ritrovati in mezzo alla strada, all’uscita di un pub, dopo aver visto il primo tempo di “Bolton/ Essex”, e avevano iniziato una piccola discussione, degenerata in una cagnara degna di due italiani pronti alla rissa.

“Terrone!” gli aveva urlato Dougie.
“Zitto tu, che sei nato prematuro!” aveva subito ribattuto Danny, furioso.
"E questo cosa c’entra!!!” aveva strillato di rimando il bassista.
“C’entra perché… perché… perché sei nato con un mese in anticipo, sei nato piccolo e brutto e con il cervello di una gallina!!!” abbaiò il chitarrista.

Così, dopo che i nostri due litiganti avevano cercato di non fare caso alla parata stramba di galline e polli capitanata da un pulcino nero con un guscio d’uovo in testa che reclamava di chiamarsi Calimero in mezzo alla strada; dopodiché, erano giunte le fans, quindi la fuga era stata immediata.

 

Finalmente Buckingham Palace apparve davanti a loro, in lontananza.

Avrebbero potuto nascondersi e attendere che quelle indemoniate se ne andassero o si disperdessero, dopodiché avrebbero ripreso a dirsele di santa ragione, magari condendo il tutto con qualche sano pugno, da VERI uomini quali si credevano.

Appena arrivati in Saint James Park, le loro strade si divisero.

Danny si tuffò in un grande cespuglio vicino al lago, mimetizzandosi subito con l’ambiente, dal momento che il terreno fangoso lo insudiciò da capo a piedi.
Dougie ebbe la stessa idea, ma di certo non aveva notato che il suo collega si era rifugiato nello stesso luogo! Appena si ritrovò tra le frasche dell’ arbusto, inciampò sopra Danny, finendo gambe all’aria.

Il parco con la sua vegetazione fu la salvezza dei due componenti dei McFly, perché le fan, dopo una breve ricerca dei loro idoli (secondo loro, freschi freschi di cambio di sponda sessuale), se ne andarono, afflitte.
Cercarono nel giardino del palazzo, nella fontana sotto il Victoria Memorial, sotto i cappelli delle guardie reali, ma tutto fu inutile.

Entrambi i ragazzi tirarono un sospiro di sollievo, sentendo i passi dello squadrone allontanarsi, così uscirono dai loro nascondigli.

Dougie aveva solo le gambe piene di fango, mentre Danny ne era ricoperto ovunque, sembrava una grossa stecca di cioccolato fondente.
Senza badare ai reciproci aspetti disastrosi, si alzarono e ripresero a litigare, a offendersi, a tirarsi i capelli…
Sfuriata dopo sfuriata, giunsero precisamente davanti al grande palazzo reale.

E fu allora che entrambi persero qualcosa come vent’anni di vita in un secondo.

 

“ADESSO… BASTA!!!” tuonò una voce dall’oltretomba.
“Occazzo!!!” sussurrarono entrambi, guardandosi intorno confusi, ma soprattutto spaventati a morte.
I peli delle loro ginocchia se la diedero a gambe per il terrore, appena in lontananza si vide una sagoma nera camminare verso di loro, sicuramente minacciosa e assetata di sangue.

“Merda, merda, merda…” gridò Danny, cercando un altro nascondiglio insieme a Dougie per scappare a morte certa.
Ma ormai, la sagoma era a pochi passi da loro.
E quando se li ritrovò davanti, rannicchiati per terra, avvinghiati l’uno all’altro e tremanti per la paura, le sue parole furono terribili.

“Mi avete ufficialmente rotto le palle!” tuonò, puntando su se stessa la torcia elettrica che aveva in mano.
Dopo un iniziale momento di stordimento, Dougie chiese per primo: “Maestà, cosa fate sveglia a quest’ora?!”
“Di grazia, sto cercando di dormire e non ci riesco!” rispose irritatissima la Regina Elisabetta, facendo scuotere il pon pon del suo berretto da notte con i movimenti scattosi del capo.
“Maestà, ci perdoni, stavamo scappando!” intervenne Danny, piagnucolando.
“Giovanotto, si ricomponga e si dia una lavata!” lo rimproverò la Regina “Quella roba di cui è cosparso non è per niente sexy, neanche per una di bocca buona come me!”
Il chitarrista, seppur scosso da quelle parole, continuò imperterrito: “Vostra Maestà, scappavamo da una folla affamata di fans che volevano abusare di noi!”
“E stavate litigando, porca di quella vacca!” sbraitò la signora, agitandosi nella sua lunga camicia da notte color pesca “Vi ho sentiti da sopra mentre vi gridavate cose impronunciabili! Vergognatevi, razza di stronzi! Turbare le vostre coscienze e disturbare il mio sonno!!!”
“Maestà, ha cominciato lui!!!” latrò Dougie, indicando con cattiveria l’amico fangoso, che lo fulminò con lo sguardo.
“Non mi interessa chi ha cominciato!” urlò la donna “Non potete prima fare i vostri giochetti erotici nel MIO fango del MIO parco e poi litigare come due donnette scellerate perché non riuscite ad avere un orgasmo!!!”
“Salsiccina mia… che cosa sta succedendo?”

Il principe Filippo era apparso alle spalle della consorte, avvolto nella sua vestaglia reale rosso porpora con gli orsacchiotti stampati, un po’ timoroso.

“Filippo, torna a letto, sto sistemando una faccenda con questi due sudditi sodomiti e negligenti!” ordinò la Regina, voltandosi a malapena verso il marito, che provò a insistere dicendo: “Ma, mia cara, io credo che…”
“Filippo, se non vai a letto, ti ci legherò, come l’altra settimana, poi mi vestirò da guardia reale e allora vedremo se parlerai di nuovo a sproposito!” lo zittì la donna, fulminandolo con lo sguardo.

L’uomo anziano impallidì, terrorizzato, e s’incamminò in silenzio e con grande fretta verso l’entrata del palazzo.
Colpito e affondato.

 

“Maestà, noi veramente…” iniziò Dougie, con un filo di voce.
“Voi adesso vi alzerete da terra e mi ascolterete, e che cazzo!” ordinò la Regina.

I due ragazzi scattarono in piedi con la schiena dritta e il mento alto, come due soldatini.
Così, la Regina iniziò il suo terzo grado.

“Ditemi come stanno veramente le cose e per cosa stavate litigando, per cortesia…” domandò, fissandoli.
“Stavamo litigando per il calcio, poi siamo scappati da dalle fans che…” rispose Danny, vergognandosi come un ladro.
“Calcio!” lo sovrastò la sovrana, continuando “Ebbene, per quale motivo?”
Dougie, spaventato dai movimenti pericolosi del pon pon del berretto reale, rispose in fretta: “Perché ci siamo lasciati prendere dalla rabbia guardando una partita al pub, Maestà, sissignora!”
“Dove siete nati?” domandò la donna, sistemandosi i grandi occhiali da vista con fare sospettoso.
“A Bolton, mia Regina!” rispose Danny.
“A Corringham, Maestà!” lo imitò Dougie.
“Bè, non m’interessa!” sbottò la ReginaLa Gran Bretagna è un regno immenso, prospero e bello sotto tutti i suoi lati! Non vedo perché dovete essere rivali in modo così acerrimo! Porca puttana, ragazzi miei, non avete niente di meglio da fare nella vita?!”
“Ci perdoni, Maestà, ci perdoni, non lo faremo più!” la supplicò Dougie, praticamente in lacrime.
“Siamo stati degli emeriti stupidi!” aggiunse Danny, battendosi un colpo sul petto per fare mea culpa.
“Bene, bene, è sufficiente che vi siate pentiti!” li interruppe la loro sovrana, per poi farli alzare e dir loro gentilmente: “Dal momento che vi siete comportati in modo egregio e maturo, potete darvi una ripulita ed alloggiare nelle stanze del mio palazzo…”

Onorati da tale privilegio, i due ragazzi accettarono immediatamente l’invito e, una volta saliti fino alla stanza preparata per loro, si ritrovarono circondati dal lusso e da ogni comodità.

“Non vedo l’ora di farmi una doccia!” esclamò Danny, schifato dal fango che gli si stava asciugando addosso.
“E io di darmi una bella ripulita alle gambe! Guarda che schifo sono diventate le scarpe!” si lamentò Dougie, prima di aggiungere, serio: “Danny, scusa davvero per prima, tu per me non sei un terrone, ero solo arrabbiato come un idiota…”
“Figurati, Doug, anzi, sono io che mi scuso!” ribatté l’altro, dandogli una pazza amichevole sulla spalla “Tu non sei un minorato solo perché sei nato prematuro…”

I due amici si strinsero in un abbraccio fraterno, ma furono interrotti nella loro riconciliazione dall’arrivo della Regina assieme a Tom e Harry. Tutti quanti muniti di videocamere, riflettori e tutto l’occorrente per un set cinematografico.

“Bene, giovanotti, potete cominciare ad accoppiarvi come due checche alla riscossa!” annunciò la donna, facendo vibrare il pon pon del suo berretto da notte.
“COSA?!” strillarono all’unisono Danny e Dougie, scandalizzati.
“Ragazzi, avere un’etichetta discografica per conto proprio non è facile, bisogna far incrementare le entrate!” spiegò Harry, piazzando una videocamera su un treppiedi.
“Giusto, collega!” lo appoggiò Tom “Dunque, ragazzi, da bravi, datevi qualche bottarella e poi venderemo tutto a peso d’oro!”
“Ma siete diventati tutti scemi!!!” sbottò Danny, spalancando gli occhi per la rabbia e lo stupore.
“Oh, stai zitto, terroncello!!!” lo ammonì severamente la Regina “Piuttosto, prendilo in bocca al tuo amico londinese e fai la parte passiva, da inferiore, come tutti i terroni maledetti che abbiamo qui, muahahahahahah…..”

 

THE END- TRACK 1

To be continued... (Track 2)

***

CREDITS:

"Inno nazionale" di Luca Carboni e l'inno inglese "God save the Queen" sono state citate senza nessuno scopo di lucro.

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Capitolo 2
*** TRACK N°2: ***


mclfy

TRACK N°2: “TORNA A SURRIENTO”- FRANCO CORELLI

O… McCheers from Italy!

 

Vide ‘o mare quant’è belloooo…
Spira tantu sentimentooooo…
Comme tu a chi tiene menteeeee…
Ca scetato ‘o faie sunnààààà….

 

“Ma sono soltanto cinquatasei chilometri, uno sputo!” esclamò Tom.
“Eddai, c’è pure il mare!” mugolò Dougie.
“Restiamo qui, dài!!” insisté Danny.
“Gi, sii buona, se non altro per farli stare zitti!” pregò Harry a voce alta.
“Tom, io ero stata molto chiara! Salerno, non Sorrento!” esclamò Giovanna, al limite della sopportazione, rivolta al fidanzato.
“Amore, i nomi che avete dato alle vostre città non sono per niente originali, mi sono confuso!” si difese il ragazzo biondo.
“Ma tu c’eri già stato, a Salerno!!” continuò imperterrita lei, arrabbiata.
“Ma ero venuto in aereo! E poi, che ne posso sapere io! Il navigatore rotto, voi che dormivate tutti quanti in macchina, io mi sono lasciato guidare dai cartelli e ho sbagliato direzione!”
“E poi, se Dougie fa gli aeroplanini con le mappe geografiche per poi lanciarli in autostrada…” commentò Harry, rigirando il dito nella piaga.
“Ma qui non è così male, anzi!” sdrammatizzò Danny, sistemando il suo cappello di paglia sulla testa.
“Quasi quasi… farei un bagno!” osò Dougie.
“Ma quale bagno!!!” sbottò Giovanna, spaventando il bassista “Dobbiamo ripartire subito, la mia famiglia ci sarà aspettando!!”
“Ma tesoro…” si insinuò Tom, mettendole un braccio intorno alle spalle, con cautela, per poi indicarle il panorama davanti al quale tutti stavano già da una buona mezz’ora: un’altura che dava sulle spiagge sorrentine e sul mare, illuminato debolmente dal sole che calava.
“Guarda il mare quant’è bello…” le disse, sospirando con lo sguardo rivolto all’acqua cristallina.
“Ispira tanto sentimento!!!” esclamò Harry, catturato dalla bellissima vista.
“Harry, da quando sei gay? Toglimi le mani di dosso!” sbottò Danny, che era accanto a lui, sentendosi toccare una chiappa.
“Non m’importa né del mare né del sentimento!” ribadì la ragazza, contrariata “Questa non è casa mia, perciò ce ne andremo!”

In quel preciso istante, Dougie corse in macchina, tenne lo sportello aperto e si mise a cercare frettolosamente un CD da mettere nello stereo…

Dopo neanche dieci secondi, nell’aria si sparsero delle famose note di un’ancor più famosa canzone…

Do you really want to hurt meeeecanto Dougie.
“Do you really want to make me cryyyyy…” continuò Tom, indicando Danny subito dopo.
“E non me la ricordo più…” canticchiò il chitarrista, imbarazzato.
“Cosa vi aspettate da uno che è cresciuto a pane e rantoli di Springsteen? È ovvio che una canzone dei Culture Club non la sa!” li avvertì Harry.
“Perché continuate a sviare?!” intervenne Giovanna, mettendosi le mani sui fianchi, spazientita.
“E comunque faceva Precious kisses, words that buuuurn meeeeee…” cantò il batterista, ignorandola bellamente.

 

Giovanna stava per prenderli tutti a schiaffi, quando arrivò un omino pieno di rughe, molto abbronzato, a cavallo di un mulo che trasportava due cesti di frutta sui suoi fianchi.

“Mi scusi! Mi scusi!” lo chiamò Giovanna, in un italiano un po’ arrugginito.
“Che è, ch’è shtat’?!” le gridò di rimando il vecchietto, guardandosi attorno.
“Cos’ha detto?!” domandò la ragazza, spiazzata.
“Ci penso io! Ho il vocabolario!” intervenne Harry, raggiungendola con un piccolo dizionario in mano.
“Può ripetere, per favore?” chiese il ragazzo biondo all’uomo anziano, pronto a sfogliare le pagine.
“Che è, ch’è shtat’?” ripeté l’omino senza aver capito l’inglese stretto del batterista, fissandoli con faccia sempre più stranita.
“Grazie! Dunque…”

Dopo tanto vano sfogliare, il batterista concluse che quell’uomo non parlava l’italiano.

“Aspetta, proviamo con qualcos’altro!” intervenne Danny, avvicinandosi all’uomo e scandendo bene le parole mentre gli diceva: “MAN- CHE- STER! FOOT- BALL! GOAL!!! CHAMPIONS- LEAGUE!”
E allora l’uomo tirò fuori il portafoglio, lo aprì e mostrò al ragazzo una lunga serie di foto di Maradona e della squadra del Napoli.
“Napule, Napule, serie A!” cominciò a gridargli! E Danny, in totale disaccordo, ribatté: “Guardi che sono passati decenni da quando Maradona faceva goal, lei non capisce, lei è…”
“Dan, chiedigli indicazioni!!!” gli ordinò Giovanna, mentre tutti si stavano sbellicando dalle risate davanti a quel buffo dibattito.
“Ok, Ok, calmati!!!” si difese il ragazzo, prima di esprimersi in italiano, sfoggiando quelle poche frasi che aveva imparato a memoria grazie alla musica che passavano alla radio, in occasione della partenza per il Bel Paese.
Dove…è… l’amore?” domandò, dopo essersi concentrato a dovere.
“Mi sembra familiare… tipo una canzone di Cher, non so…” bisbigliò Tom, perplesso, ricevendo sguardi dubbiosi da tutti.
“I che ne sàcce io, guagliò!” rispose l’ometto, facendo spallucce mentre si rimetteva in tasca il portafoglio.
“Non credo lo sappia!” affermò Dougie “Danny, ma gli hai chiesto che strada prendere?”
“Ehm… sì, certo!” rispose poco convinto il chitarrista, allontanandosi.

Il vecchietto riprese a parlare…

“Ie sacce dove shta o’mare!!” annunciò con fierezza.
“Ha detto mare?” domandò Giovanna, stupita.
“Ha detto mare, sea, sì sì!!” esclamò Harry, per poi chiedere animatamente in italiano: “Dove, dove, dove?”
“Vinit’, vinit’! Appress’ammé, appriess’ammé, ya, ya!!” li incitò il vecchietto, condendo la sua esclamazione con dei gesti delle mani: li stava invitando calorosamente a seguirlo in macchina.
“No!!! Non pensateci nemmeno!” gridò Giovanna.
“Giovanna, ti supplico, ti supplico, ti supplico, in nome del Boss!” la pregò in ginocchio Danny.
“Un bagno soltanto e poi ce ne andremo!!!” aggiunse Dougie.
“Il mare è bello e ispira tanto sentimento!!!” gemette Tom, allargando le braccia come per abbracciare il magnifico panorama.
“Io ho fame di… aspetta…” disse Harry, cercando una parola nel vocabolario… “Di paranza!”
“La paranza sulla spiaggia!” trillò il bassista, estasiato.
“Ma cos’è la paranza?!” chiese Tom, grattandosi la testa.
“E’ bbuona, è bbuona ‘a paranz’!” intervenne il vecchietto con tono persuasivo.
“Ok, basta, state tutti zitti!” strillò infine Giovanna, sull’orlo di una crisi di nervi “Andremo in spiaggia, ok! Seguiamo questo maledetto mulo…”.

L’allegra carovana seguì lentamente in macchina il vecchio campano, sentendo già la frenesia della brezza italiana nelle vene.

 

Una volta arrivati in spiaggia, i ragazzi corsero a farsi il bagno, disseminando i vestiti ovunque mano a mano che si avvicinavano all’acqua.
Giovanna, rimasta seduta sul suo telo dal mare e con il broncio, si sentì picchiettare sulla spalla: era il vecchio omino rugoso.
Le mostrò una pesca e un coltello e lei non capì cosa voleva dirgli.
Lui le si sedette accanto a gambe incrociate e, iniziando a sbucciare il frutto con una grande ciotola davanti alle ginocchia, le disse: “Facimm’ a macedonia!”
“Macedonia?” fece eco la ragazza, perplessa, per poi esclamare dopo qualche secondo: “Aaahh, vuole parlare della Macedonia! Sì, Alessandro Magno, sì sì, conosco! Ero forte a storia, sa? Ora gli dico cosa so, spero di potermi spiegare bene in italiano!”

 

Come andò a finire, vi chiederete?

 

La macedonia che l’omino campano aveva progettato di preparare fu realizzata solo con la metà della frutta presa dalle ceste del somaro, perché l’altra metà se la mangiò tutta Giovanna, che intanto si era impegnata a spiegare in italiano la vita, la morte e i miracoli di Alessandro Magno, spedita come un treno, tanto che il povero vecchio, alla fine, si addormentò e finì con la faccia nella ciotola piena di frutta in pezzi.

Per quanto riguarda i McFly, fecero il loro benedetto bagno nelle acque di Sorrento e passarono un’ora e mezza a tirarsi giù i costumi, a schizzarsi, a nuotare e a comportarsi come quattro giocose educande che si bagnano i piedini nel lago.

Quando scese la sera, furono costretti a correre fuori dall’acqua a causa di intensi bruciori ai loro sederini candidi: delle meduse insidiose li avevano punti poco prima, essendo rimaste incastrate nei loro costumi, continuamente tirati su e giù dalle loro manine birichine e giocose.

 

Ma questa è un’altra storia.

 

THE END- TRACK 2

To be continued... (Track 3)

***

Note & Credits:

La città di Salerno viene citata in quanto Giovanna, che porta il cognome Falcone, ha il padre di origini salernitane.

Le canzoni "Torna a Surriento" (Franco Corelli), "Do you really want to hurt me" (Culture Club) e "Dov'è l'amore" (Cher) vengono citate senza nessuno scopo di lucro.

Chiedo umilmente venia a qualsiasi lettore del Sud Italia che leggerà questo racconto: io sono toscana, con una lontana parentela campana, di conseguenza non so assolutamente parlare o scrivere in tale dialetto, ho usato il semplice intuito! Non è mia intenzione, quindi, offendere nessun tipo di parlata meridionale, nè tantomeno chi la usa.

Ringrazio infine la ragazza che mi ha recensito il primo racconto, sperando che gradisca anche questo :).

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Capitolo 3
*** TRACK N°3 ***


mcfly

TRACK N°3: “JOE TEMERARIO”- RON

O… Piccoli McFly crescono

 

 

E se mio figlio… sapesse già parlare, mi direbbe:
"Tu, tu come stai stasera? Ti senti solo, vuoi che resti con te?"
Ma sì, parliamo un po', io dormire no, proprio no!
Dai, camminiamo insieme per questa strada vuota
e dimmi tutto di te, della tua vita, dai, comincia tu!

 

 

Child One…

 

E quindi è deciso. Nascerò presto, molto presto.
Sinceramente, gente, non ho voglia di andarmene da qui, perché, sapete, si sta davvero bene…
Non cammino, non mi affatico, mangio gratis, dormo tutto il giorno e, se voglio, faccio anche un po’ di stretching!
E soprattutto… ascolto.
Mi piace ascoltarli, questi due tipi strani che parlano e parlano di me in continuazione, a volte perfino a notte fonda.
Una di loro credo che sia la mia mamma… Credo si chiami così! Mi piace la sua voce, la sento molto bene, non urla quasi mai e mi fa vivere come un pascià, bisogna dirlo!
A volte parliamo, magari quando non dormo.
Quasi sempre quando lei guarda la televisione, ogni tanto vedo l’ombra della sua mano che accarezza il tetto di casa mia…
Mi dice: “Sarai un bellissimo bambino biondo e diventerai un magnifico ragazzo, alto e forte”…
Biondo? Non saprei, al momento non riesco a vedere di che colore sono i miei capelli! A dir la verità, ne ho davvero pochi!

Comunque, dopo la mia mamma, viene il mio papà. Che non mi dispiace come presenza, no, per niente! Mamma dice che assomiglierò a lui… Bè, non l’ho ancora visto, quindi spero sia decente! Dalla voce, sembrerebbe così!
Mio papà non parla molto con me, a dire il vero, però mi bacia spesso, il che fa ridere la mamma, e quindi anche me, perché quando lei inizia a ridere, io mi sento un po’ come in una vasca a idromassaggio!

Tutto questo tepore, ultimamente si è fatto molto sgradevole… Fa un caldo che non si sopporta! Uff! Niente aria condizionata, eh?

Anche mamma deve avere caldo, molto caldo: la sento spesso sbuffare, e poi beve tanta acqua. Di recente, credo di essere stato portato anche al cosiddetto “mare”, come ha detto papà. È praticamente un posto dove c’è tutta l’acqua che vuoi e se hai caldo, basta che ti ci metti dentro e il gioco è fatto, sei al fresco.
In effetti, quando mamma è entrata in acqua, anch’io mi sono sentito rinascere! Toh, ho fatto la battuta!

Uff, che palle… Avessi un ventilatore, lo accenderei!
Basta, ragazzi, io esco! So che non è l’ora, so che è tardi e che di notte si dovrebbe dormire, ma qui fa veramente caldo!

 

 

Cazzo, che freddo! Che cazzo di freddo! Porca vacca, chi me lo ha fatto fare!!! Queste manacce fredde, mettetevele dove dico io! Oddio, e quelle forbici cosa sono?... Non ho fatto niente per meritare tutto questo, cos’è, non potevo uscire? Non ho visto cartelli con nessun orario, lasciate stare quel coso, mi serve! Lasciate…

 
Oh.
Non fa male…
Perché non fa male?

Aaaarrgh, di nuovo, ma basta, basta con queste mani!!! Sono pulito, io, perché mi dovete lavare, perché?!
Ma chi siete, che non vi fate neanche guardare in faccia? Cos’avete da coprire?! Io pretendo di…

Ooohhh…
Ciao, mamma…

Dici a me?

Thomas…

Ma sai che non è male come nome?
Come sei calda, mamma…

 

 

 

Child Two…

 

Riesco a vedere ben poco, ma quel che scorgo mi piace!
Lucette colorate!
Vuoi vedere che mamma si è messa addosso gli addobbi di Natale?!
Ma che ne so!
Questa roba mi piace, ovunque c’è luce, tutto si muove!
Ho notato che ci sono molte persone che, pur non avendomi mai visto, già parlano di me… Non che la cosa mi dia fastidio, è che sono curioso di sapere chi mi conosce!
Due di loro si professano come mio “fratello” e  mia “sorella”.
Boh!
Però sono simpatici.

Sorella non perde mai l’occasione di origliare mentre mi faccio gli affari miei, a volte è un po’ invadente! È pur vero che non sono di molte parole, ma, diamine, non posso muovere un piede che questa arriva subito a verificare che lo stia facendo bene!
Poi c’è Fratello.
Fratello è un grande, lui sì che mi capisce! L’altro giorno mi ha fatto ascoltare la musica! Mi sono divertito un sacco, vorrei che lo facesse più spesso! Nove mesi che sono qua dentro e non ho sentito altro che chiacchiericci!

Papà è preoccupato di questi ultimi tempi: ha paura che io arrivi in ritardo e che passi il Natale in ospedale con la mamma.
Dev’essere importante da morire, questo Natale, se lo nominano sempre! È da un mese che non sento altro che questa parola!

Comunque, hanno ragione: non posso prendermela con calma, dovrei darmi una mossa.
Solo che non mi fido molto neanche a dare una sbirciatina, là fuori…
Non lo so, mi sembra tutto troppo movimentato, troppo luminoso, poi ci sono troppe lucette!
Magari mi sbaglio, però non si può mai sapere!
Sono piuttosto incerto!

Sorella non vede l’ora di vedermi… Mah… Parla come se fosse una mia spasimante…
Anche Fratello vuole vedermi quanto prima… Bè, almeno ascolterei meglio la sua musica!
Papà è ansioso e mi dispiace vederlo così, vorrei soltanto fargli capire che andrà tutto bene, che non sto affatto male…
Mamma è quella più paziente. Forse perché lei lo sa, quando arrivo. Lei lo capisce.
Non dice niente, semplicemente mi aspetta.
Quando è sola con me, mi dice che andrà tutto bene, anche se le farò un male cane… “Sono abituata, tesoro” mi dice… ma poverina! Io non voglio farle male!

O forse sì?

Ripensandoci, per farmi strada… forse dovrò farmi spazio un po’ brutalmente… anche perché altrimenti mi sarà impossibile uscire…
Oh, non voglio pensarci ora… Lo farò dopo una bella dormita…

 

[Dodici ore dopo]

 

Ho trovato il modo di uscire!
Avrei voluto essere più discreto, ma è stato inevitabile per me scatenare un casino tremendo: mamma ha chiamato papà, Fratello e Sorella e siamo andati tutti insieme in questo posto strano che non mi piace neanche un po’! Dove sono tutte le lucette che ho visto fino a ieri?!
Comunque, concentriamoci, su! Oooohhh, issaaaaaa…

 

Per la miseria, che accoglienza…
Un altro sculaccione così e giuro che gli dico qualcosa, a questo stronzo che mi tiene in mano come se fossi un trofeo!
Ah, mi hai sentito, eh? Cosa fai, scappi? Vigliacco, preferisci che me la prenda con i tuoi scagnozzi, eh?! Ma adesso gliene canto qualc…

Questa signorina è totalmente andata.
Quello si chiamava Puddy, era il mio cordone ombelicale, si può sapere perché se l’è preso lei?
Ah, sì… Aaahh, che bello… Un po’ più in giù, per favore, un po’ più in giù… sììì, che goduria…Non troppo calda l’acqua, ragazzi, per cortesia, grazie…

E adesso eccomi.
Bello e profumato.
Tu sei un po’ sudata e sconvolta, ma non fa niente. Sei bella lo stesso.
Piacere, signora mamma.
Perché mi guardi così? Sono sporco intorno alla bocca?
Sì, sì, gli occhi sono azzurri, hai indovinato.
No, aspetta, non ho capito: mi hai chiamato “il più bel regalo di Natale” o “Harry”?
Bè, direi che, per una questione di comodità… è meglio la seconda opzione!

 

 

 

Child Three…

 

Che sonno…!
Ultimamente, dormo quasi sempre. Non che qui ci sia molto da fare…
È meglio che non mi addormenti: l’ultima volta che l’ho fatto, è arrivata quella cosetta, quel… quel terremoto! Mi ha svegliato, è stata tutto il tempo a tendere l’orecchio per sentire “le cosine che le avrei detto”.
Non le ho dato soddisfazione, non ho detto un bel niente, me ne sono rimasto fermo e zitto. Se n’è andata dopo mezz’ora! Che palle!!!
E mamma dice che me la ritroverò accanto per tutta la vita! Appena posso, lo prendo da parte, quel piccolo demonio, e le dico che se dobbiamo condividere tutta una vita, ci sono un paio di cose che dovremo mettere in chiaro!
Innanzitutto, la privacy! Uff.

Ah, sì, a proposito di vita… vorrei un paio d’ali. Speravo di potermele procurare qua, ma ormai sono pronto per andarmene e qui non è spuntata neanche mezza piuma.
Peccato.
Bè, le troverò di certo da qualche parte, là fuori.
Qualche giorno fa, io e mamma eravamo a guardare il sole, non so dove fossimo esattamente, però sono sicuro di aver visto delle ombre diverse da quelle che mi capita di notare di solito! Non erano attaccate alla terra. Volavano! Erano cinque o sei ombre, non saprei, andavano veloci! Però avevano le ali, lo so, lo so, lo so!
E voglio volare anch’io.
Non m’importa che ali avrò, io voglio vo- la- re!
Appena esco di qui, mi prendo un paio di ali e volo via insieme a quelle ombre che ho visto: non ci voglio stare qui.
Porterò anche la mamma con me, non importa se sarà pesante!
Mamma è l’unica che mi fa stare tranquillo in questa strana casa.
Certo, è anche troppo buona, devo dire…
Solo lei sopporta quell’indemoniata che mi perseguita!
E poi, non so…
Papà è strano. Inquieto.
Io gli voglio bene, perché mi racconta molte cose, mi parla, mi diverte, fa divertire anche la mamma… però, certe volte, o sta troppo zitto, o urla. E quando urla, io non lo sopporto, e neanche la mamma. Lo sento perché in casa mia tutto si fa più rigido quando lui inizia ad alzare la voce.
È successo troppe volte e non voglio che ricapiti.
Ecco perché voglio le ali.
Papà resterebbe giù, con i piedi sulla terra, a riflettere, a calmarsi, io farei fare un giro alla mamma e ne approfitterei per capire come si sta con le ali, su, attaccati a quella cosa strana che non ha fine e che ha un colore che mi piace…
Però… forse mi dispiacerebbe un po’ volare, perché lascerei qui non solo papà, ma anche tante persone che dicono di volermi vedere da diverso tempo…
Che palle essere combattuto!
Ma se facessi soltanto un giro con le ali e poi tornassi giù? Forse potrei fare entrambe le cose!
Devo pensarci su, devo fare un paio di calcoli, forse posso davvero farcela… Vediamo…

 

[Il giorno dopo]

 

Non mi ero addormentato, avevo chiuso gli occhi per qualche minuto, per riflettere meglio!
È tutta colpa del piccolo demonio! Mi ha di nuovo svegliato e io sono saltato sul posto per la paura!
E ora mi ritrovo con questa corda schifosa attorno al collo, maledizione, io vorrei sapere come ho fatto a…

E voi chi sareste? Chi vi ha fatto entrare? Soprattutto, chi vi da il diritto di scoperchiare la mia casa?
Non mi stavo strozzando, per chi mi avete preso? Mi stavo soltanto…

Sto volando!!! Sto volando, sto volando, non ci posso credere!!!
Mamma!!!! Mamma, sto volando, io sto volando!!!
Levatemi questa cosa dal collo, levatemela, levatemela!
Ok, grazie…
Mamma, mamma! Mamma, dove sei???!!!
Mamma?

 

[Dodici ore dopo]

 

Tu.
Smetti. Di. Fissarmi.
Lo so chi sei. Quindi, stai bene attenta!
Ah, vuoi stringermi la mano? Bene, così sentirai come te la stritolo!

Però, profumata, questa mano! Sai di… di biscotto?
Vedi come stringo forte? Dì la verità, non senti un po’ di male?
Ok, non c’è bisogno di piangere, bastava dirlo!
Certo, per essere un demonio, sei anche piuttosto piccola!
E poi, deciditi: o ridi, o piangi! Perché stai ridendo e piangendo?!

Ciao, mamma!
Mamma, non sai cosa mi è successo, io ho volato, ti giuro che ho volato, c’erano dei tizi che mi hanno aiutato a uscire e poi…
Mamma, guarda, sta succedendo di nuovo!!!! Sto volando!!!
Aggrappati a me, ti tengo io! Ecco, brava, abbracciami, adesso ce ne andiamo via di qui!
… Ok, va bene, hai vinto tu: prima si mangia. Però poi andiamo, eh?

 

 

 

Child Four…

 

 

Non so cosa siano queste cose in cima alle mie dita, ieri non c’erano, ma il fatto che siano dure mi trasmettono sicurezza, mi sembrano come delle protezioni! La prudenza non è mai troppa al mondo d’oggi, più protetti si è e meglio è! La mamma lo dice sempre!
Anche se non so chi potrebbe venire a infastidirmi qui dentro… La strada è introvabile, non ci riusciranno mai! Neanche io so come sono arrivato qui! Mi ci sono semplicemente svegliato e ho detto: “Ok, può andare”… e ora sono qui a guardare che succede.

Secondo la mamma, presto dovrebbe succedere qualcosa: lei si aspetta che io “venga al mondo”, come ha detto lei, ma io non so se sia il caso, non sarà troppo rischioso partire senza portarsi niente dietro? E poi non so niente di questo mondo, chi lo dice che mi piacerà? Ci sono troppe lacune, devo pensarci… Nel frattempo, credo che mi tratterrò ancora un po’ qui!

Ecco, innanzitutto, se proprio dovrò venire al mondo, è necessario che mi trovi qualcuno con cui stare, sì!
La mamma potrà stare con me, certo, però anche lei avrà il suo daffare, no? Bisogna che pensi a un’eventuale compagnia da cercare, non voglio stare sempre da solo!
Per esempio, potrebbe andare bene uno di quei cosi che l’altro giorno ho notato insieme alla mamma… C’era la televisione accesa e io potevo sentirla; a un certo punto, la voce ha detto: “
Le rane utilizzano una strategia comunicativa simile a quella delle emittenti radio, dato che ognuna trasmette suoni in una banda di frequenze diversa, per evitare sovrapposizioni e per riconoscersi più facilmente…”

Ecco, una rana potrebbe andare bene! Non so chi sia, ma se riesco a capirla mentre parla, tanto meglio!
Ah, e poi c’era anche un’altra cosa, non ricordo il suo nome, però ho sentito che mangia e che riesce a trattenere tutto nelle guance! Cazzarola, che genio! Devo assolutamente conoscerlo! Io non riesco a trattenere tutto quel che mangio nelle guance!!! A pensarci bene… io non mangio neanche con la bocca…
Bè, ma solo per questo motivo, un tipo così va conosciuto! Ma tu guarda che…
Oh, cacchio, è l’ora della ginnastica. Me la stavo dimenticando!

Dunque, uuuuno… dddduuuuue… E la testa la appoggio quuui, sì! Mamma, il solletico no! Adesso lo levo, il piede! Piano piano, forza… Ma cazzo, che palle doversi spostare con il poco spazio che ho! Mamma, dài, lasciami lavorare! È una cosa tanto normale distendere le mani, perché devi metterti a ridere?! Mah! Fra poco ci sono, fra poco ci sono… Uffa, saranno almeno dieci giorni che faccio questa trafila per spostarmi a Sud, dove fa più fresco, non ne posso più…

Ok, credo di esserci finalmente arrivato. Era ora! Non so perché, ma a testa in su iniziavo a starci malino…
Adesso vedo tutto sottosopra, ma almeno sto più largo!
Mamma, quelli sono i piedi! Benedetta donna, ma perché devo spiegarle sempre tutto?... Mamma, guarda, ti faccio vedere… Ecco, hai visto? Quello era un piede… Ma perché ridi di nuovo?...
Ecco, brava, ce l’ho qui la testa, sì… Ma cosa vuoi che ti dica, se devo spostarmi, devo spostarmi! Ah, ok, non ti sei arrabbiata… Meno male…

Mi sono sistemato, più o meno, sì. Ok.

Qui non ci sono molte complicazioni, tanto che, a volte, tutto mi sembra noioso… e vorrei proprio vedere cosa succede là fuori! Là, dove c’è la mamma, dove sta questo famoso “mondo” di cui sento tanto parlare… Che ne sarà di me quando sarò lì? Troverò quello che cerco? Sarò sorretto da qualcuno oppure dovrò tenermi in piedi da solo?
So benissimo che queste domande sono inutili, ma non riesco a fare a meno di… tentare di rispondere! E la mia risposta è un “BOH” grosso come una casa, perché io non so!!!
Odio non sapere!
E odio non avere nessuno che mi risponde quando faccio le domande!!!

Basta! Sei o non sei un uomo?!

… Bè, non lo sai, se lo sei o meno.

Un’altra cosa che non so.

Non ne posso più!

Io me ne vado! Vi saluto!!!

 

 
[Il giorno dopo]

 

E questo sarebbe il mondo?
Una scatola in cui starsene sdraiati tutto il giorno?

Ecco, lo sapevo.
Douglas, non dovevi farti troppe illusioni! Adesso cosa sai? Che sei un maschio e che ti chiami Douglas Lee Poynter.
Cosa me ne faccio di un nome se non posso presentarmi a nessuno?!

Salve, lei chi è?
Mi scusi, ma perché…?
E allora faccia pure, mi tolga il pannolino! È tutta roba del popolo, la mia!
Sì, sono piccolo, lo so. Ma piccoli uomini possono fare grandi cose, se lo ricordi!
Dove andiamo, scusi? Lei mi ravana nelle mutande e neanche mi risponde? Andiamo bene! Uff… io sono già stufo…

Mamma!!!
Ciao!!! Non mi aspettavo di vederti!
Sì, lo so, sono arrivato con un po’ di anticipo, ma sai che noia là dentro?
Me lo hanno già detto che sono piccolo, grazie!
Però non sono così male, ammettilo, lo vedo da come mi guardi!
Sì, ho gli occhi blu e pochi capelli, ma ti assicuro che quando sarò grande, sarò alto, bello, biondo… e nessuno ficcherà le mani nelle mie mutande senza il mio permesso!
Senti, ma tu conosci mica una certa Rana… e magari anche tizi che conservano il cibo nelle guance?

***

Se siete fans dei McFly, di certo non avrete avuto difficoltà a capire chi è chi in questo capitolo :); ho proceduto in ordine decrescente, dal più vecchio al più giovane del gruppo :) (Tom è nato il 15-7-1985, Harry è nato il 23-12-1985, Danny è nato il 12-3-1986 e Dougie è nato il 30-11-1987). Spero di non avervi deluse, anche se vi ho fatto aspettare TROPPO, lo ammetto. Vi ringrazio per essere le mie lettrici , la prossima volta sarò più puntuale!

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Capitolo 4
*** TRACK N°4 ***


mc
Dopo tanto tempo... e dopo ardua e lunga riflessione... ho concluso che quello che è stato iniziato deve essere finito!
Dunque, a dispetto dell'insuccesso di questa raccolta, e dopo aver preso atto della mia incapacità di scrivere storie assurde... ma sì, finiamo di pubblicarla, perchè è giusto così U_U! E perché, in fondo, alla fine manca poco!

Buona lettura, mcflyani e non!

Ciry



TRACK N°4: “STASERA… CHE SERA” – MATIA BAZAR

O… McGay, I love you!


Stasera... che sera!
Restare tutto il tempo con te!
Di notte l'amore, l'amore
è sempre una sorpresa per me…




Il tour dei McFly per il loro ultimo album stava procedendo alla grande: tutti erano organizzatissimi, precisi, puntuali ed impeccabili, ma non mancavano di umanità e simpatia, tanto che la band si era costruita le proprie amicizie tra i membri dello staff…

Tom e Harry avevano legato quasi da subito con i tecnici del suono e spesso si prendevano un caffè o condividevano qualche panino durante i momenti di pausa.
Danny aveva immediatamente fraternizzato con una coppia di sposi, entrambi di Manchester: lei, Sarah, si occupava degli strumenti del gruppo e si assicurava che arrivassero sani e salvi ad ogni tappa; lui, George, scaricava parte della scenografia del palco. Erano sposati da vent’anni e adoravano la birra, il calcio, oltre alle chiacchiere facili, esattamente come il chitarrista.
Dougie aveva stretto un buon legame con Carlos, l’acconciatore della band, quello nuovo, che aveva sostituito Sally, che se n’era andata in pensione dopo quasi mezzo secolo di carriera, passata tra tinte, phon, forbici e asciugamani…

Dougie doveva a Carlos un bel colore nuovo sulla sua testa: era diventato moro per la seconda volta nella sua vita e tutti gli avevano detto che stava benissimo, persino sua madre, nostalgica per eccellenza dei suoi capelli biondi.
Inoltre, il giovane hair stylist aveva dato al bassista un nuovo aspetto anche con un intelligente taglio “finto spettinato”, come lo avevano definito entrambi. Non che non avesse già avuto i capelli tagliati in quel modo, ma Carlos faceva in modo che la pettinatura non si afflosciasse mai, neanche durante le corse o i salti scalmanati che Dougie compieva mentre suonava ai concerti.



“Carlos, ci sei?” chiamò il ragazzo quel pomeriggio, bussando alla porta del camerino del parrucchiere.
Sentì rispondere un “Arrivo…” piuttosto incerto, vagamente imbarazzato, poi Carlos gli aprì la porta.
“Ti… ti disturbo?” domandò il bassista, perplesso.
“Oh, no no!” esclamò in fretta l’altro, agitando nervosamente delle fotografie tra le mani…
“Quello sono io?” domandò Dougie, indicando se stesso in varie pose sulla carta stampata.
Carlos ribatté in fretta: “Sì! Stavo… Io stavo facendo dei confronti tra le tue varie… acconciature, per vedere quale ti stava meglio!”
“Proprio di questo ti volevo parlare…” aggiunse il ragazzo, per poi continuare: “Stasera facciamo l’ultima tappa qui a Londra, mi potresti fare i capelli sparati in su? Voglio sembrare un fulminato!”
“Ma certo…” sospirò il parrucchiere, sorridendogli “Aspetta, vado a prendere il registro e fissiamo l’ora!”

Sul suo ordinato quaderno blu e fucsia, Carlos scrisse il nome di Dougie accanto alle ore 18.30, poi disse al bassista: “Alle sei e mezza io sono pronto! Prima di te c’è Danny, ma a lui devo dare solo una sforbiciata, alle punte!”
“Va bene, ci sarò!” confermò l’altro, per poi aggiungere: “Così ti porto il CD che mi avevi chiesto! Era l’ultimo dei Blink, vero?”
Il ragazzo annuì con un sorriso e disse: “Quello che contiene Always…”

Si congedarono, con la promessa da parte di Dougie di portare con sé il disco, e Carlos si rinchiuse nella propria stanza d’albergo, sistemata come un vero e proprio salone da parrucchiere per esigenze lavorative.
Dopo aver messo nello stereo l’ultimo album di Mariah Carey, sospirò, stringendo tra le mani le foto del bassista, e disse, con tono vagamente malizioso: “No, tu non puoi venire in bagno… Ci conosciamo ancora da poco… Ma tornerò presto!”

E, dopo aver riposto le immaginette sul tavolo da lavoro, andò nel bagno per spogliarsi e fare una doccia.

Con l’acqua calda che scorreva come sottofondo, il ragazzo cantò a gran voce, seguendo le note della sua cantante preferita…

Touch my body,
Put me on the floor,
Wrestle me around,
Play with me some more…




Fastidiosamente puntuale, Danny arrivò alle 17.45 davanti alla camera di Carlos e bussò con le sue grosse mani che sapevano solo suonare la chitarra, perché per il resto erano rozze e indelicate…
Carlos aprì, stampandosi sul volto un sorriso professionale e formale.
“Ciao Daniel, entra pure…” lo invitò, facendosi da parte sulla soglia.
“Ciao, Charlie!” esclamò il chitarrista, entrando con un sorriso “Ma quante volte te lo devo dire di chiamarmi Dan?”
“Sempre una volta di più… Mi dimentico le cose…” rispose il ragazzo, cercando di nascondere un certo sarcasmo, insieme alla voglia di mantenere le distanze.

Danny non si accorse dell’atteggiamento distaccato del parrucchiere e disse, sedendosi sulla sedia girevole davanti allo specchio: “Questo è Doug! Te le ha date lui queste?”

E sollevò una foto del suo collega, infilandola tra due dita.

Carlos, che si era voltato per prendere dal suo borsone le forbici con la mantellina nera da mettere intorno alle spalle di Danny, si rigirò di scatto, spalancò gli occhi e quasi sibilò: “Quelle foto mi servono per lavoro” prima di far scintillare le forbici sotto la luce della stanza.
“Fossi stata una ragazza, non ti avrei creduto!” ribatté l’altro, assolutamente spensierato, lasciandosi andare a una risatina gracchiante “Comunque, complimenti: finalmente Poynter ha di nuovo i capelli in uno stato decente!”
In fretta e quasi freddamente, Carlos ringraziò e sistemò dietro al collo del chitarrista il lavabo per lavargli la testa…



“Abbiamo finito… Ti ci metto un po’ di lacca, così stanno fermi…”

Carlos afferrò dal suo borsone il prodotto da usare e, con gesti esperti, iniziò a spruzzarlo sui capelli lavati e tagliati di fresco del suo giovane cliente…
Spruzzò sulle punte, per mantenere i boccoli flessibili…
Spruzzò alle radici, per evitare che l’umidità le colpisse…
Spruzzò ovunque. E tanto.
Tanto che alla fine… Danny cominciò a tossire come un ossesso sotto il suo sguardo malignamente soddisfatto.
“Scusami!!” esclamò immediatamente Carlos, sollevando il dito dall’erogatore della lacca, fingendosi mortificato “Mi si è bloccato il tasto, qui, non so come ha fatto!”
Danny rispose che andava tutto bene, che quella lacca non l’aveva mai potuta sopportare e che, in ogni caso, il risultato gli piaceva molto.
“Ah, Charlie!” lo chiamò il chitarrista, già sulla porta “Stavo per dimenticarmelo! Stasera, dopo il concerto, andiamo tutti a fare una festicciola con lo staff. Vieni anche tu?”
Carlos drizzò le orecchie e, con tono quasi estasiato, rispose: “Molto volentieri, grazie… Dove ci ritroviamo?”
“Tutti in zona dei camerini subito dopo il concerto!” rispose l’altro.
“Bene!” cinguettò quasi il parrucchiere “Verrete tutti e quattro,vero?”
“Sì, certo…” confermò il chitarrista, con ovvietà.
Carlos confermò la propria presenza e si affrettò a congedarsi da Danny.

Una volta da solo, il ragazzo si concesse un sorriso estasiato ed accese ancora una volta il suo sacrosanto stereo, lasciando uscire le note di Fantasy, altra opera della tanto beneamata Mariah Carey…


Stava giusto finendo di spazzare via le ciocche tagliate dai capelli di Danny, quando bussarono alla sua porta.
All’istante, premette un pulsante sullo stereo e fece partire i Blink 182, “Adam’s song”.
Aprì con fare sicuro e si ritrovò davanti il volto sorridente di Dougie.
“Ascolti roba anni Novanta?” gli chiese il bassista con una smorfia di finto disgusto, dopo averlo salutato. Doveva aver sentito le ultime note di Mariah…
“No, è la radio che passa solo stronzate! Ora… ho messo su un CD!” replicò subito lui, negando energicamente anche con la testa.
“Ah, te l’ho portato, tieni!” esclamò l’altro.
Gli porse l’ultimo album dei Blink 182, come aveva promesso, e aggiunse: “E’ una chicca, ascoltalo!”
“Certamente…” concordò entusiasta Carlos, nascondendo una nota d’estasi nella voce, prima di riprendersi e dirgli: “Dài, siediti che cominciamo!”


Carlos, in realtà, odiava i Blink 182.
La musica punk- rock e tutto ciò che riguardava la generazione punk erano oggetto della sua repulsione.
Lui, figlio devoto degli anni Ottanta, era cresciuto a pane e pop, quello più commerciale e colorato, decisamente più spensierato del disagio e delle volgarità che sprigionavano i punkettari, più vecchi delle boybands, per lui perfino “superati”.

Nonostante tutto… a Carlos piaceva Dougie.

Lui era così carino…
Sembrava un tipo sulle sue, ma era solo apparenza!
Gentile, alla mano, buffo, intelligente, veramente un bravo ragazzo!
E poi… suonava benissimo. Per non parlare di come cantava!

Secondo il giovane parrucchiere, era sprecato per il suo ruolo nei McFly.

Ed era sprecato anche per tutte quelle ragazzette che gli ronzavano continuamente attorno.
Odiose.


“Doug, vai anche tu a quella festa dopo il concerto?”

La domanda giunse distratta alle orecchie del bassista, ma con una punta di curiosità.
“Sì andiamo tutti” gli confermò, aggiungendo: “Vieni anche tu?”
Il parrucchiere annuì, lanciandogli un’occhiata nello specchio, poi domandò con ironia: “Cosa faremo? Balli, canti e danze sfrenate fino all’alba?”
“Secondo me, alle due crolliamo tutti!” rispose Dougie, ridacchiando.
Risciacquando la testa insaponata del bassista, Carlos affermò con un sorriso: “Sono d’accordo! Avete accumulato così tanta stanchezza, tutti quanti…! C’è bisogno di… un po’ di relax…”
“E tu? Torni a casa, dopo il tour?” domandò il ragazzo.
“Non mi manca moltissimo Salvador, ad essere sincero…” rispose vago il giovane, chiudendo il rubinetto del lavabo per poi avvolgere i capelli di Dougie in un asciugamano “Per ora voglio rimanere qui, magari qualcuno mi chiama per lavorare in un salone… Se fosse a Londra, sarebbe perfetto!”
“Mi devi lasciare delle istruzioni per farmi le acconciature che mi fai tu, allora!” scherzò l’altro, sorridendogli nello specchio.
Lui ribatté, divertito: “Posso spedirtele con un SMS, è un servizio gratuito!”.
La frase era stata lanciata con lo scopo di ottenere il numero del bassista, ma quest’ultimo si limitò a ridere, poi cominciò a dargli precise istruzioni su come avrebbe voluto i propri capelli a lavoro finito…



“Allora…” disse Carlos, accompagnando Dougie alla porta “Buona fortuna!”
Il bassista sorrise nervosamente, si toccò i capelli incerati e perfettamente dritti sulla sua testa, e ribatté: “Grazie! Mi raccomando, il CD, ascoltalo! È molto bello!”

Era palesemente teso.
Adesso sarebbe andato dagli altri per una prova finale degli strumenti dietro le quinte, il soundcheck…
E poi… l’esibizione.

Carlos l’aveva visto altre volte in quelle condizioni; in tre mesi lo aveva scrutato, mentre lui si trasformava nel giro di pochi attimi, sempre verso sera, quando l’ora del concerto si avvicinava.
Da tranquillo, spiritoso e disteso… diventava inquieto, a tratti paranoico, impaziente.
Ma non perdeva quasi mai del tutto la calma.
D’altro canto, Carlos lo trattava con quanta più cura possibile per non irritarlo ulteriormente.

“Lo faccio subito! Ormai il mio lavoro è finito qui, ho tutto il tempo che voglio! Se avete bisogno, però, basta che bussiate, lo sai!” lo rassicurò, poggiandogli amichevolmente una mano sulla spalla.
“Ok, grazie mille, amico…” ribatté Dougie, prima di abbracciarlo frettolosamente, ma con calore.

Si salutarono. Entrambi avevano il batticuore.
Dougie aveva un concerto da fare insieme a Tom, Harry e Danny.
Carlos era appena stato abbracciato da lui e stava per saltargli l’aorta dall’emozione.

Rimasto da solo, decise di ascoltare l’album che il bassista gli aveva consigliato, ma finì per selezionare subito la traccia numero 5.

Always.

Un’eccezione, per Carlos, in tutto il mondo punk.
Una canzone davvero fantastica.
La conosceva a memoria, parola per parola.
Difatti, iniziò a cantare il ritornello, la sua parte preferita, mentre stava cominciando a mettere in ordine la propria stanza…

C’mon, let me hug you,
Touch you,
Feel you
Always…
Kiss you,
Taste you,
All night,
Always…





“Diane, ti cerca Greg, ha bisogno di non so che cosa di là…”
“Oh, cazzo! E ora come faccio?... Carlos, li tieni tu gli asciugamani?”
“Certo, dai pure qua!”
“Grazie, sei un tesoro…”

Carlos guardò una delle sue colleghe, Diane, allontanarsi, e strinse a sé gli asciugamani bianchi che avrebbe dato ai ragazzi al posto suo.
In realtà, Greg non aveva affatto bisogno di lei, ma questo Diane non doveva saperlo.
L’importante era che lui fosse lì, ad aspettare la fine del concerto.
Ad aspettare Dougie.
Ormai mancava davvero poco, era trascorsa più di un’ora e mezza…

Li sentì salutare il pubblico e si sporse a malapena da dietro le quinte.

Harry stava dando le battute finali alla batteria.
Tom stava salutando al microfono.
Danny e Dougie si stavano sbracciando e sorridevano.


Finalmente, scesero dietro al palco, armati di strumenti e bottigliette d’acqua.

“Bravi, ragazzi, bravissimi” si complimentò uno dei tecnici, distribuendo pacche sulle spalle.
Tutto il gruppo ringraziò con sorrisi e risate, poi Carlos intervenne…

“Siete stati grandi!” esclamò con un largo sorriso soddisfatto, tirando un asciugamano a testa a Tom, Danny e Harry; Dougie gli dava le spalle, poiché stava scambiando due parole con il solito tecnico baffuto.
Carlos decise di contenere uno sbuffo contrariato e, dopo aver sorpreso alle spalle Dougie mettendogli l’asciugamano sulle spalle, si rivolse a lui con un allegro: “Bravo! Hai suonato veramente da Dio!”
“Carlos, ciao! Grazie, sono contento ti sia piaciuto!” esclamò il bassista, dando un buffetto alla testa del parrucchiere e congedandosi con l’altro ragazzo, per la gioia del giovane brasiliano.
“Ragazzi, i complimenti a dopo! Filate tutti in camerino! Si fa festa!!!” intervenne il loro manager, Fletch, indicando loro il corridoio per raggiungere le loro stanze e cambiarsi.

Carlos aspettò pazientemente che tutti fossero pronti, insieme al resto dello staff, e si assicurò di non essere sudato né di avere l’alito cattivo.
La serata, per lui, doveva ancora cominciare.

Un gran vociare nei corridoi fece capire a tutti che il gruppo era pronto per andare alla festa, così l’intera brigata del tour di “Radio: ACTIVE” salì sul bus che li avrebbe portati fino a un disco- pub di Londra, uno dei più cari, uno dei più esclusivi, uno dei più frequentati.
Il Rock Garden.





Come Fletch aveva promesso, i complimenti furono presentati al momento opportuno.
Chiunque li incrociasse nel locale voleva assolutamente render loro noto quanto fossero stati bravi, talentuosi come sempre, spettacolari, coinvolgenti, grandiosi.

Dougie ringraziava con discrezione e serietà, senza sbilanciarsi troppo con l’entusiasmo, e continuava a bare il suo drink, pensieroso come al solito, ma soprattutto con un leggero disagio addosso.

Era tutto magnifico, ma perché proprio quel locale?
Non era poi così rock come professava la sua insegna.
Anzi, sembrava vagamente lounge.
O forse era solo la gente che lo frequentava a dargli quest’impressione.
Se lo avessero visto correre in mutande, alticcio e con la voglia di fare del sano casino, forse sarebbe venuto un infarto a tutti quanti!
“Fighette…” pensò con una punta di disprezzo prima di alzarsi per andare a fumare una sigaretta sulla terrazza, un angolo che puntava da un po’, perché almeno da lì si poteva godere il panorama.

Arrivò sul posto con una sigaretta fregata a Harry. Aveva dimenticato le sue in macchina.
Rabbrividì per un secondo, sentendo il cambiamento climatico sugli avambracci scoperti, e si accese la sua piccola dose di veleno dopo aver frugato nelle tasche dei pantaloni per trovare il suo accendino.
D’un tratto, si sentì chiamare alle spalle, una voce familiare.
“Doug?”
Si voltò con la sigaretta tra le labbra e con un cenno della testa salutò Carlos.
“Ti diverti?” gli chiese, intuendo la risposta dall’espressione annoiata del ragazzo, che infatti rispose: “Daniel di sicuro sì, è già ubriaco! Io… bè, diciamo che mi guardo intorno… e non posso fare altro che confermare che voi inglesi non sapete fare le feste!”
Si misero a ridere entrambi grazie all’umorismo del parrucchiere brasiliano, poi Dougie domandò con un pizzico di malizia: “Ascolta, io stasera non sono in vena, ma tu… come mai ti sei tirato a lucido per venire qui e poi non ti ho visto neanche mezzo secondo con una ragazza? Ce ne sono tante qua, e sono molto carine!”
“Vuol dire che non sono in vena neanche io!” rispose prontamente l’altro, guardandolo negli occhi e aggiungendo: “Sono… con la testa da un’altra parte…”
“E lei come si chiama, chi è?” chiese nuovamente il bassista, più incuriosito ed ingenuo che mai.
Carlos gli sorrise teneramente e, cominciando a camminare verso una rampa di scale che dalla terrazza portava ad un piccolo privè al piano inferiore, disse: “E’ una persona… decisamente arrapante, prima di tutto…”
Dougie lo seguì e, allargando il proprio sorriso, esclamò: “Bene, molto bene! E poi?”
“E poi… ha i capelli scuri, gli occhi chiari…” continuò l’altro, gettando un’occhiata al piano- terra e notando con estremo piacere che era pressoché deserto a causa della festa che si stava svolgendo di sopra.
“La conosci da molto?”
“Da un po’, sì... Ma ancora non mi sono fatto avanti, anche se… ho intenzione di farlo…”

Avevano quasi finito di percorrere le scale; Dougie fumava con avidità mentre faceva domande su domande, e Carlos rispondeva facendo il vago, con le mani in tasca ed uno strano mezzo sorriso…
“Ma è inglese?”
“Sì, lo è…”
“Non hai il suo numero di telefono?”
“No… te l’ho detto, non ho ancora avuto il coraggio di farmi avanti…”
“Carlos, ma sei lentissimo!”
“Dici, eh?...”
“Dico! Dovresti iniziare a provarci! Lei ti ha fatto capire qualcosa, lo sa che le vai dietro?”
Il parrucchiere sorrise per l’ennesima volta, lievemente imbarazzato, e rispose scuotendo la testa: “No, non ne ha la minima idea… E’ un tesoro con me, ma non sa niente!”
“Ma se è così tanto un tesoro, si può sapere cosa aspetti?!” domandò esasperato l’altro, gettando a terra la sigaretta ormai ridotta ai minimi termini.
Carlos, che fino a quel momento si era limitato a temporeggiare accanto al bassista, distraendosi con un drink a malapena assaggiato, si voltò, in modo da essere faccia a faccia con il suo interlocutore, e ribatté: “Hai ragione. La teoria di Always, è quella che dovrei applicare. Vero?”
Dougie inarcò un sopracciglio, mostrandosi perplesso, e fece mente locale per ricordare il testo della canzone dei Blink 182…
“Bè…” esordì, cercando una risposta adatta “E’ materiale come teoria, però… se pensi che a lei possa piacere…”
“Oh, Dougie…” sospirò il giovane, estasiato, prima di lasciar cadere a terra con noncuranza il bicchiere con dentro il suo drink.
Il bassista stava giusto per esclamare una frase del tipo “Ma che cazzo fai?!”, però le parole gli rimasero bloccate in gola, poiché Carlos lo anticipò in qualsiasi mossa.

In un attimo, se lo ritrovò addosso: le sue mani sul suo fondoschiena, le braccia che lo stritolavano, impedendogli ogni movimento.
Soprattutto, lo stava baciando! E con quale trasporto!
Al contatto della sua bocca tiepida, Dougie non aveva certo dischiuso le labbra, anzi, stava vivamente cercando di protestare attraverso mugugni e passi all’indietro, ma sembrava impossibile staccarsi da Carlos, che gli aveva teso un vero e proprio agguato!
Era quasi riuscito a liberare un braccio, che gli sarebbe stato utile per tirare un gancio in piena faccia al parrucchiere, quando il suono di una pacchianissima frenata compiuta a pochi metri da loro lo paralizzò per lo spavento.
E poi, una musica a lui familiare rimbombò prepotentemente nelle sue orecchie e nella strada…

C’mon, let me hug you,
Touch you,
Feel you
Always…
Kiss you,
Taste you,
All night,
Always…

Spalancò gli occhi, prima tenuti ben serrati per il disgusto, e si sentì cadere le braccia!

Una sua vecchia conoscenza, la Regina Elisabetta, le mani guantate e un chiodo in pelle addosso, lo stava guardando da dietro ai suoi occhiali da sole con un largo sorriso, mentre teneva con una mano il volante di una Rolls Royce nera decapottabile.
Al suo fianco, un Principe Filippo assai confuso si tappava le orecchie con aria sofferente e fissava Dougie come se stesse tentando di dirgli “So che non ci credi, ma è proprio la tua Sovrana”.

“Orbene, miei sudditi!!!” esordì la donna, alzandosi in piedi sul suo sedile e allargando le braccia, mostrando una minigonna vertiginosa accompagnata da scioccanti stivali in pelle con il tacco a spillo “Vedo che i tempi sono cambiati!!! Allora i legami interrazziali non sono solo roba da film porno!!!”
Carlos si staccò velocemente da Dougie e, dopo aver allargato le braccia come la Regina, le si rivolse con uno squillante: “Maestà! Sono brasiliano, ma Vi considero ugualmente la Sovrana della mia umile persona!!!”
“Riposo, Maracaibo, riposo!” lo tranquillizzò l’altra, facendogli cenno di calmarsi; dopodiché, guardò un confusissimo e frastornato Dougie e domandò, lasciando cadere le braccia lungo il corpo: “Tu! Piccoletto! Perché mai sei così intontito?”
Il ragazzo si animò e rispose arrabbiato: “Mi è saltato addosso!!!”
“E ti lamenti?!” protestò la Regina, sorpresa “Ce lo avessi io, un tizio così! Lo palperei tutto il giorno, invece di accontentarmi di questo povero vecchio!!!”
“Elisabetta!!!” si sentì ribattere: il Principe Filippo stava fulminando con lo sguardo la consorte, che si limitò a replicare: “Phil, taci o ti rimando a dormire nella stalla con i miei puledri in calore!”


Nel pieno svolgimento del caos davanti al locale, il resto dei McFly e buona parte dei clienti del Rock Garden uscì per capire da cosa fosse causata tutta quella confusione; Dougie fu avvistato dai colleghi in uno stato pietoso…

“Mi ha baciato! Mi è saltato addosso!!!” piagnucolò il poverino, cercando conforto tra le braccia amichevoli di Tom, che lo abbracciò e ribatté confuso: “Doug, non è che hai bevuto e…?”
“E ora è arrivata anche la Regina con..con quella macchina e mi ha detto, mi ha detto…”
E Dougie ricominciò a piagnucolare, suscitando la preoccupazione di Danny…
“TU!!!!” tuonò la Sovrana inglese d’un tratto, puntando l’indice destro verso il chitarrista, che si voltò di scatto.
“Avvicinati, mio suddito nordista, poiché la tua Regina ti ha riconosciuto…” continuò la donna, prima di scendere dall’auto.
Il ragazzo non si sognò neanche di opporre resistenza e si avvicinò, nonostante il sentimento di leggera avversione che provava verso la sua Sovrana, dopo l’episodio a Buckingham Palace…
“Tu sei il terroncello che lo ha preso nel culo da quell’adorabile ragazzo, il tuo collega, vero?” domandò la donna con aria seria davanti a tutti.
Harry e Tom cominciarono a guardarsi la punta delle scarpe, mentre Danny e Dougie cambiarono colore, diventando viola… Nel contempo, la gente iniziò a mormorare, a squadrare il chitarrista e a chiedersi chi potesse mai essere, tra i restanti tre, il “collega” che lo aveva sodomizzato!
“Sono io, Vostra Maestà” grugnì Danny, raddrizzando la schiena.
“Bè, vedo che il vostro rapporto non ha funzionato” ribatté con tono dispiaciuto la donna “Anche se devo dire che i brasiliani hanno quel qualcosa in più che li rende…”
“Daniel!!!” irruppe Carlos, facendo voltare il ragazzo verso di lui.
“Daniel, ma allora tu sei gay!!!” esclamò gioiosamente il parrucchiere, mettendosi le mani sul cuore con un sorriso da orecchio a orecchio.
Il ragazzo tentò di controbattere, di far valere le proprie ragioni, di spiegarsi, di dire che lui era un etero convinto, ma la musica sovrastò le sue proteste: la Regina aveva alzato il volume dell’autoradio, Always stava iniziando a maciullare i timpani del Principe Filippo.
“Questa è una notizia meravigliosa!!!” esclamò la donna mentre innalzava sul retro della Rolls Royce la bandiera inglese.
“Daniel, sono così felice!!!” cinguettò Carlos, abbracciando il povero chitarrista, che urlò: “Non è assolutamente vero!!!”
“Non devi nasconderlo, non devi negarlo, non devi!!!” replicò il parrucchiere, tappandogli la bocca con un sorriso raggiante.
Con l’orgoglio ferito, Dougie gridò a sua volta: “Carlos, sei una puttana!!!”
“Zitto tu, sporco etero!!!” gli strillò l’altro di rimando, tornando poi ad appiccicarsi a Danny come una cozza allo scoglio.
“E pensare che sembrava che gli stesse antipatico…” bisbigliò Harry a Tom, che fece spallucce prima di aggiungere: “E pensare che io credevo che Dan fosse etero…”
“Sì, ma tempo fa avevi anche detto che lo vedresti bene da gay…”
“Sì… e infatti, vedi come va la vita?”

Il chitarrista biondo indicò con un sorriso sereno la scena dei due novelli amanti, poco distanti da loro, e poi sospirò soddisfatto assieme al suo collega batterista, mentre Dougie ancora inveiva ferocemente contro Carlos, reclamando il suo album dei Blink 182.


§ EPILOGO §


Dopo lo stupore e il giubilo che ne era seguito davanti al nuovo amore tra Danny e Carlos, il Rock Garden si stava lentamente svuotando.

Tutti si erano complimentati con la nuova coppia; Danny era stato sedato pesantemente dalla Regina Elisabetta con i calmanti che solitamente rifilava al Principe Filippo, in modo che la smettesse di proclamarsi etero in maniera tanto agitata, neanche fosse un pazzo rinchiuso in manicomio; Carlos lo accarezzava teneramente sulla fronte, seduto sulle sue ginocchia, mentre lui lo guardava e chiedeva: “Davvero sono gay dunque? Dovrò prenderlo un’altra volta nel culo?”
Il parrucchiere annuiva, sorridendogli dolcemente, e lui tornava silenzioso per il successivo quarto d’ora, limitandosi a sbattere freneticamente gli occhi, quasi incredulo.

Dougie, Harry e Tom, invece, erano stati prelevati dalla Regina con la scusa di un passaggio fino alle loro case…
Li aveva rintracciati Fletch solo tre giorni dopo: erano in stato confusionale, laceri e contusi, e nominavano in continuazione stalle, fieno e cavalli…


***

Le canzoni "Always", "Adam's song", "Fantasy", "Touch my body" e "Stasera che sera" (rispettivamente dei Blink 182, di Mariah Carey e dei Matia Bazar) vengono citate senza alcuno scopo di lucro! Inoltre, non intendo offendere nessuno dei personaggi menzionati con il mio scritto.

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Capitolo 5
*** TRACK N°5- Prima parte ***


juke
Ciao a tutti per la penultima volta!
L'ultima "traccia" di questo jukebox è particolarmente lunga, è per questo che ho deciso di dividerla in due parti!
Tutti i pezzi che sono citati qui, come negli altri capitoli dell'intera storia, non mi appartengono e non le menziono a scopo di lucro!
Ci siamo quasi, ragazzi... ancora un capitolo e questa storia- CD sarà completa!
Buona lettura

Ciry




TRACK N°5: “ROSALINA”- FABIO CONCATO
O… McMystery…


PRIMA PARTE




Da almeno un paio di settimane, una nuova presenza si era stanziata nel vicinato dei McFly.
I ragazzi avevano già notato da due settimane i camion addetti ai trasferimenti, per non parlare dei mobili e degli scatoloni che viaggiavano avanti e indietro, trasportati da alcuni grossi operai perennemente affaticati e da una bizzarra ragazza che sembrava perennemente attiva, in movimento, mai stanca.
Tutti e quattro ipotizzarono che si trattasse della nuova vicina, e infatti così era.

Non molto alta, cicciottella, dai lunghi capelli castani, portava sempre vestiti molto colorati. Era operosa, sorrideva spesso, ma era anche discreta e silenziosa.
Finché non entrava in casa, dopo che i camion, gli operai e le fatiche di un’intera giornata l’avevano lasciata sola.




“La senti?” chiese Harry una di quelle sere, indicando la finestra a Tom, che domandò a sua volta con un sorrisetto divertito: “Cosa canta?”
“Non ne ho la minima idea…” rispose il batterista, ricambiando il sorriso prima di lasciare tornare il suo amico alla scrittura di un testo musicale.

Tom, tra i quattro, era quello che aveva la finestra della camera da letto con la visuale migliore: dava sulla finestra di fronte, quella della camera da letto della nuova vicina.

Andando al piano- terra, in soggiorno, un’altra grande finestra dava su quella della cucina della ragazza, e da lì di solito la fissavano Danny e Dougie, quando non erano occupati a giocare con i videogames davanti alla TV.

Harry si alzò dal pouf giallo di Tom e annunciò: “Sai cosa? Domani vado a chiederle un po’ di zucchero!”
Il ragazzo alzò lo sguardo e, fissandolo con perplessità, chiese: “Perché, scusa? Lo zucchero ce lo abbiamo!”
“Voglio provare a scoprire chi sia! Dài, Tom, non dire che non muori dalla curiosità anche tu!”
Tom scosse la testa, sbuffò in una risata poco convinta e rispose: “Bè, sì, m’interesserebbe saperne di più su di lei, è pur sempre la nuova vicina, ma magari lei non…”
“Non sappiamo come si chiama, da dove viene, cosa fa!” lo interruppe l’altro, enumerando i fatti con l’aiuto delle dita “Sappiamo solo che canta, tutti i giorni va chissà dove in bicicletta, saluta tutti e non parla con nessuno!”
“Ma dalle il tempo di ambientarsi!” lo sovrastò l’amico, mantenendo la calma, per poi aggiungere: “Cos’è poi tutta questa fretta di conoscerla?”
“Non lo so…” rispose Harry con un sospiro; ritornato alla finestra, sorrise vedendo la ragazza ballare nella sua stanza da letto, con la luce soffusa, ed affermò: “E’ più forte di me, non posso farci niente!”
Tom alzò un sopracciglio, fissandolo con aria dubbiosa, poi gettò un’occhiata nella sua stessa direzione e si morse il labbro inferiore nel tentativo di non ridere.



“Danny, sono finite le patatine…”
“Dougie, lo so… mio grande amico…”
“Danny, mio grandissimo amico, vai in cucina a prenderne un altro pacchetto…”
“Dougie, mio bellerrimo amico, non andrò”
“Danny?”
“Sì?”

Attese il “Vaffanculo…” con un sorrisetto divertito, mentre giocava alla XBoX…

“Guarda  là, la finestra…!”

Danny mise di colpo in pausa il videogioco che lo teneva occupato da più di mezz’ora e anticipò Dougie nel precipitarsi alla finestra del soggiorno.
L’amico lo raggiunse un secondo dopo per assistere al medesimo spettacolo. Aprirono con cautela una delle ante e Danny scostò leggermente la tendina decorativa…
Credevano che si fosse definitivamente chiusa in camera, per quella sera, e che non sarebbe più tornata in cucina fino alla mattina seguente…
E invece…
Vi era scesa in vestaglia, aveva aperto il frigo e ne aveva tirato fuori qualcosa, forse un dolce.
Ondeggiava e cantava, improvvisando una coreografia latino- americana con un sottofondo proveniente dal piano superiore, con tutta probabilità dalla sua camera da letto.

Dougie si mise a ridere e chiese, senza smettere di spiare la ragazza: “Secondo te cosa sta dicendo?”
“Non lo so! Ma credo sia roba portoghese, spagnola… o… qualcosa di simile!” rispose Danny, concentrato quanto lui su quella visione.

Lo show durò ancora pochi secondi, poi la ragazza premette con un colpo d’anca sull’interruttore della luce della stanza e sparì dietro il muro, verso le scale.

“Che palle, nooo…” mugolò il chitarrista prima di sbuffare con delusione.
“Stavo iniziando a divertirmi…” concordò l’amico bassista, che tornò davanti al televisore con aria contrariata.
“E’ troppo forte!” esclamò con un sorriso l’altro, imitandolo.




La mattina dopo, la solita storia tornò a ripetersi.

Solo Harry, il più mattiniero dei quattro, fece in tempo a vedere la misteriosa vicina fare colazione…
Canticchiava piano, con la musica che sovrastava la sua voce, e lui non riuscì a sentirla chiaramente, poteva solo scorgerla mentre apriva e chiudeva la bocca per scandire le parole, ma si divertì a lanciarle ogni tanto qualche occhiata mentre ancheggiava ai fornelli.
Fece una ricca colazione, poi distolse la propria attenzione dalla vicina per andare a lavarsi e vestirsi al piano superiore.
Una volta tornato in soggiorno, non la vide più in casa.
Una veloce occhiata al recinto di legno, sprovvisto della solita bicicletta gialla legata con un catenaccio, gli fece capire che era uscita, alle otto, come sempre.

Forse, era andata a lavorare.
Forse, era semplicemente uscita a fare la spesa.
Ma perché andare tutti i giorni a fare la spesa, soprattutto quando si vive da soli in casa?
Bè, con un trasloco in corso… la cosa non sarebbe risultata improbabile…
Magari era stato un nuovo lavoro a Watford a farla trasferire lì!
O la madre malata…
Un fidanzato lontano…

Harry si grattò lievemente il naso, sospirando.

Non era poi così importante che lui scoprisse chi era quella benedetta ragazza.
Sarebbe bastato stringerle la mano e presentarsi in una qualsiasi occasione, magari al momento di buttare via la spazzatura nel bidone in fondo alla strada.
Ma lei salutava tutti e sgusciava via peggio di un’anguilla, in bicicletta o a piedi.
Una volta l’aveva sorpresa a parlare con uno dei vicini più anziani del quartiere.
O meglio, lui aveva parlato, lei si era limitata a dirgli “Buongiorno” e “Arrivederci”; per il resto, aveva solo sorriso e aveva fatto cenni affermativi con la testa; con una conversazione così, il signor Levins, solitamente un chiacchierone accanito, non si era trattenuto più di trenta secondi e l’aveva lasciata andare.
Lui non aveva avuto modo di sentire distintamente la sua voce: era in cucina e la televisione era accesa.
Però sembrava aver detto quelle due parole con sicurezza e scioltezza.
Quasi come se l’inglese fosse il suo pane quotidiano.
Come lo erano lo spagnolo, il russo, l’italiano, il francese, il portoghese e altre lingue di cui lui non era assolutamente a conoscenza. Lui come i suoi coinquilini.
Stava proprio lì il mistero!
Da dove mai veniva quella ragazza?
Di quale gruppo etnico faceva parte?
Che origini aveva?
Insomma, chi era?
“Ma sì… Io stasera vado a chiederle lo zucchero!” bisbigliò il batterista tra sé e sé pochi attimi prima che Tom facesse capolino in soggiorno, mezzo addormentato.



La loro giornata fu rilassata, ma produttiva.

Avevano passato la tarda mattinata a terminare alcune bozze di canzoni nel loro piccolo studio, poi, dopo pranzo, erano andati a chiudersi in sala di registrazione per trasformare due o tre delle loro opere in eventuali futuri singoli.

Quando rientrarono, era già sera inoltrata e loro avevano già le pizze prese dal take away in mano, pronte da divorare in casa.

Harry notò la bicicletta gialla appoggiata al recinto che circondava il piccolo giardino della casa della vicina.
Gettò un’occhiata alla finestra della cucina, ma notò che l’unica luce accesa, per il momento, era quella del bagno.
Doveva essere tornata da poco.
“Harry, le pizze si raffreddano!” lo richiamò Dougie, impaziente ed affamato.
Entrarono in casa e mangiarono con grande appetito, come di consueto.


“Secondo me, non serve a niente!” sentenziò Danny, scettico.
“Lo zucchero a quest’ora?” domandò perplesso Dougie.
“Se sei così convinto… vai!” esclamò Tom, scrollando le spalle.
Harry li guardò tutti, uno dopo l’altro, sperando di trovare un po’ più d’appoggio, ma nessuno dei suoi tre amici si mosse dalla propria posizione scettica.
Decise di fregarsene e si congedò con un: “Vado” poco convinto ma volenteroso.
Aprì la porta della loro casa e si ritrovò a rabbrividire per la brezza fredda tipica delle sere d’autunno; gli bastò fare una ventina di passi per essere dall’altra parte della strada, davanti al piccolo cancello in legno che, una volta aperto, lo avrebbe fatto accedere alla proprietà della sua vicina.
Si voltò, sentendosi osservato, e scorse le tre teste dei suoi amici incollate alla finestra del soggiorno, rotonde e guardinghe come quelle di tre civette.
Lanciò loro un’occhiataccia per il disagio, poi aprì il cancello e percorse il vialetto che conduceva alla porta.

Niente campanello, non ancora.
C’era solo una maniglia di ottone pronta ad essere picchiata sul legno.
Harry sospirò, scosse la testa per scacciare i troppi pensieri e utilizzò la maniglia per bussare con discrezione.

Pochi secondi e la ragazza gli aveva già aperto.
Si guardarono per un istante, interdetti, poi lei gli sorrise cordialmente ed esclamò: “Salve!”
Il ragazzo ricambiò il sorriso con una smorfia che voleva essere un’espressione amichevole, poi ribatté: “Buonasera! Io…”
“Ha bisogno di qualcosa?” lo sovrastò lei, mantenendo intatto il suo sorriso.

Parlava un inglese perfetto.
Non una punta di dialetto, non un’ inflessione particolare.
Inglese degno della BBC.

“Sì!” le rispose lui, grattandosi la testa con fare nervoso “Io non vorrei… disturbare, ma… mi sono accorto adesso di aver finito lo zucchero e quindi mi chiedevo se… magari, non so…”

Non sapeva neanche se darle del lei o del tu.
Era piccola e rotonda, non aveva neanche una ruga, ma quella treccia tenuta alta dietro i capelli le conferiva un’aria austera.

“Arrivo subito! Un momento!”

Non fece neanche in tempo a finire la frase che lei se n’era già andata, lasciando la porta aperta.
Il batterista rimase con un palmo di naso.
Non ci aveva capito niente!
“Adesso mi presento…” pensò furtivamente, un attimo prima che la ragazza tornasse con un pacco di zucchero in mano.
“Ecco fatto!” cinguettò sorridente, porgendolo a Harry, che spalancò gli occhi ed esclamò stupito: “Ma… grazie! È anche troppo, cioè, io…”
“E’ stato un piacere!” lo interruppe lei, scuotendo la testa.
“Bè, ancora grazie!” ripeté il batterista, acquistando un po’ di sicurezza “Io son…”
“Buona serata, arrivederci!”

La porta si chiuse a pochi centimetri dal suo naso.
Harry riuscì a sentire distintamente le risate sguaiate di Danny, che aveva assistito all’intera scena con Tom e Dougie.
Qualche istante dopo, partì anche la musica dalla camera della vicina.

“Ma tu guarda che…” pensò il batterista, assolutamente spiazzato, mentre tornava a casa con un pacco di zucchero e le aspettative crollate come un castello di carte.



“Che ti ha detto?”
“Ma perché ti ha chiuso la porta in faccia?”
“Che ci facciamo con mezzo chilo di zucchero?!”
“Io non… non sono riuscito a dirle nulla!” si giustificò Harry, alzando le mani in segno di resa.
“Ma avrai sentito come parla!” lo incalzò Dougie.
“Già, di dov’è?” insistette Danny.
“Non lo so!! Non lo so!!!” sbottò l’altro, mettendosi le mani nei capelli.
“Non lo sai?!” lo riprese Tom, attonito.
“Parla la nostra lingua alla perfezione, sembra una giornalista, è come sentir parlare la Regina!” spiegò il ragazzo, seccato.
“Ma se fino all’altro ieri cantava in russo!” esclamò Dougie, esasperato.

Manco a farlo apposta, in quel breve momento di silenzio tra i quattro, una base musicale accompagnata da una cantante in erba con una gran voglia di farsi sentire echeggiò nell’aria.
Harry si precipitò alla finestra e drizzò le orecchie.
In quattro, riuscirono a captare solo due parole.

Brava, brava!


Ma poi le parole divennero veloci, incomprensibili, e le note si fecero così alte e freneticamente veloci una dietro l’altra che i ragazzi non resistettero a lungo.
Si allontanarono dalla finestra e Tom sentenziò: “Brava è una parola italiana!”
“Non era francese?” chiese Danny.
“Già, è vero! È francese!” intervenne Harry.
“No, in francese si dice Bravo e basta!” protestò il chitarrista biondo.
“Ah, non cambia?” domandò Dougie perplesso.
“Può essere sia francese che italiana, dunque!” concluse Danny.
“Oppure nessuna delle due…” gemette Harry, memore di tutte le canzoni in tutte le lingue che aveva sentito dalla ragazza.

Sbuffarono tutti e quattro, rassegnati.
Ancora non sapevano come si chiamasse, da dove veniva e cosa faceva nella vita.
Chiedere a chiunque nel vicinato sarebbe stato inutile, vista la sua estrema riservatezza.
Di certo circa quella ragazza rimaneva solo il fatto che era una poliglotta DOC.


Mentre Tom si esercitava con la chitarra e Dougie giocava a carte insieme a Harry, Danny, seduto sul divano con le braccia incrociate in atteggiamento meditabondo, annunciò dal nulla: “Domani sera vado io!”

Una corda della LesPauls di Tom si spezzò.
Harry puntò gli occhi addosso all’amico, meravigliato, e Dougie ne approfittò per esclamare “Scacco matto!”, prendendosi tutte le carte sul tavolo, senza che il batterista reagisse.





Era sabato pomeriggio.
C’era il sole, anche se faceva freddino.
La maggior parte degli abitanti del quartiere era andata fuori per il weekend.
Ma lei, ovviamente, no.

Dedicatasi alla pulizia del suo salotto con zelante precisione, la vicina di casa dei McFly trotterellava da un punto all’altro della stanza armata di Swiffer.
Come ogni giorno, cantava.
Aveva lasciato le finestre aperte per far entrare un po’ d’aria in casa, dunque i ragazzi riuscivano chiaramente a sentire cosa stesse cantando.

Kaaaaaaaaaaaaaaaaaalinka, kalinka, kalinka moya!

E avanti così per tutto il tempo, destreggiandosi in suoni impronunciabili e in note folkloristiche che sembravano essere russe, secondo il parere di Tom.
Saltava su e giù dalle sedie a tempo di musica per arrivare agli scaffali più alti dei suoi mobili, e ogni volta che finiva di spolverarne uno, puntava lo Swiffer in alto e gridava “EH!” insieme al coro, la cui voce usciva dallo stereo.


“Roba dell’Est oggi?” domandò Dougie, prima di andare a saccheggiare il frigorifero per uno spuntino.
Harry, che stava guardando la TV senza troppo interesse, rispose: “Credo di sì… Dov’è Danny?”
“Non lo so, l’ho lasciato che si stava vestendo…”

Pochi minuti dopo, Danny scese le scale e, con fare disinvolto, si spettinò i ricci leggermente intrisi di gel, suscitando un’occhiata perplessa di Tom…
“Dan… Dove vai?” gli chiese.
“Dalla vicina!” rispose l’altro, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Puzzi come una puttana…” gli fece notare Dougie, sentendo il profumo del suo dopobarba.
“Non capisci niente!” lo ammonì il chitarrista “Devo presentarmi bene, così le infonderò fiducia e lei mi dirà come si chiama, che lavoro fa, da dove viene, mi darà anche il suo numero!”
“Sì, e poi? Te la mette su un piatto d’argento?” lo canzonò Harry.
Danny bofonchiò qualcos’altro su quanto fossero ignoranti e rozzi i suoi amici, poi uscì di casa e camminò con atteggiamento sicuro verso la casa della vicina.

Una volta davanti alla porta, diede due colpetti alla celebre maniglia in ottone e attese con le mani in tasca e un sorriso socievole pronto a essere sfoderato.

La ragazza gli aprì, lo guardò vagamente sorpresa, poi chiese con un sorriso: “Sì?”
“Ehm… ciao!” le disse lui, alzando una mano in segno di saluto “Ti… disturbo?”
La ragazza scosse la testa e chiese gentilmente: “Hai bisogno di qualcosa?”
“Oh, bè, veramente io… sì!” le rispose il ragazzo, iniziando a improvvisare “Sai, sto cucinando un piatto messicano e… mi sono accorto che non è abbastanza piccante, sai com’è, il Messico, il piccante, la… roba che scotta, insomma…”
Lei annuì, continuando a sorridergli in quel modo neutrale.
“Non sei messicana, eh?” pensò Danny, preoccupandosi.
“Se vuoi, posso darti un po’ di spezie!” gli propose.
“Sarebbe grandioso, sai?” ribadì subito il ragazzo, che aggiunse: “Magari un po’ di… non saprei, peperoncino o roba simile, sicuramente te ne intendi più di me!”
La ragazza annuì con una risatina e gli disse di aspettare, sarebbe ritornata in un attimo.

Danny rimase sulla soglia della porta, pensieroso e con i piedi che tamburellavano il pavimento alternandosi…
Non era messicana, altrimenti avrebbe subito detto qualcosa del tipo “Ooohh, Messico, io sono messicana, so io come cucinare quello che hai in mente!”
Forse era spagnola?
In Spagna, che lui sapesse, c’erano le tortillas, la paella, i tori…
I tori erano commestibili?

La ragazza tornò davanti a lui con il solito sorriso e una piantina di peperoncini tra le mani.
Danny la fissò ad occhi spalancati.

“Prendine pure quanti te ne servono! Li ho piantati io!” lo incitò lei, allungandogli la pianticella.
Il chitarrista indugiò, ma poi, per non fare la figura dell’idiota, ubbidì e prese cinque o sei piccoli peperoncini rossi, affermando con finta spavalderia: “D sicuro sai come trattarli, sono belli rossi!”
“Grazie, mi piacciono molto le piante!” ribatté lei, facendo spallucce.
Dopo averla ringraziata, Danny si ritrovò a subire la stessa sorta di Harry.
La signorina, cortese ma sbrigativa, gli chiuse con galanteria la porta in faccia, e lui fu costretto ad andarsene con sei peperoncini tra le mani.


“Com’è andata, gigolò? Non molto diversamente da come è andata a me, ho visto!” lo riprese subito Harry, quando lo video rientrare in casa.
“Cosa sono quelli?” domandò Dougie, notando i peperoncini.
“Non so come si cucinano, possiamo anche ficcarceli su per il culo…” borbottò Danny, contrariato, prima di appoggiare il suo bottino sul tavolo.
“Non sei riuscito a farti dire niente da lei?” chiese Tom.
“No, niente! Solo che le piacciono le piante!” affermò l’altro, allargando le braccia con aria rassegnata.
“Te l’avevo detto che puzzavi troppo!” esclamò Dougie.
“Zitto, Poynter…” borbottò l’amico, passandosi due dita sugli occhi con fare nervoso “Sei veramente un… merda!! Ahia, brucia!!! Ahi! Cazzo, l’acqua, l’acqua!!!”

E dopo che Danny fu riuscito a conciarsi due occhi rossi come ciliegie dopo esserseli toccati con le dita che avevano tastato i peperoncini… i quattro fieri prodi continuarono a pensare a uno stratagemma per conoscere meglio al nuova vicina.
La colonna sonora dei loro pensieri fu Think di Aretha Franklin, rivista da una misteriosa vicina di casa che, di sabato sera, si dilettava a usare la propria spazzola come il microfono davanti allo specchio della sua stanza.

 


La domenica era sacra per tutti loro.
Approfittavano di quel giorno per alzarsi quando il sole era alto ed era già ora di pranzo, anziché di colazione.

Dougie, il cui stomaco aveva iniziato a lamentarsi intorno alle undici, si alzò dal letto per scendere in cucina: voleva un bel pacco di biscotti da sgranocchiare sul divano, magari avvolto da una coperta, visto che era ancora vagamente infreddolito per aver lasciato così improvvisamente il suo giaciglio.
Una volta arrivato a destinazione, si strusciò gli occhi con le mani per attivare il senso intorpidito della vista, poi si mise ad aprire e chiudere sportelli e cassetti per trovare gli agognati biscotti ripieni di cioccolato.
Le orecchie gli ricordarono l’esistenza della misteriosa vicina di casa attraverso un insieme di suoni che sembravano spagnoleggianti.
Il bassista distolse perciò lo sguardo da uno degli scaffali della stanza per puntarlo verso la finestra del soggiorno: anche lei era in cucina.
Stava preparando qualcosa da mangiare in una padella, forse.
Non riconobbe né la canzone né la lingua che stava cantando, ma non poté prendersi la briga di risolvere i propri dubbi, perché ci pensò Tom con la sua vocetta nasale a distrarlo.

Fat bottomed girls,
You make the rockin' world go round…


Il bassista iniziò a ridacchiare, riconoscendo la canzone dei Queen, e diede il buongiorno all’amico, che replica con un sorriso e un: “Non potevo non cantarla…”
“L’hai vista? Mi sa che sta cucinando…”
Tom adocchiò la finestra, aguzzò l’udito e disse, dopo qualche secondo: “Ma… sta cantando in spagnolo… Credo sia Jarabe de Palo…”
“Può darsi, non me ne intendo granché di questo genere…” commentò Dougie, che intanto continuava a cercare i biscotti.
Quasi come se avesse letto loro nel pensiero, la ragazza si allontanò per un attimo dai fornelli ed alzò il volume dello stereo che aveva impiantato in salotto; dopodiché, iniziò ad ancheggiare ed accennare passi di danza con un mestolo in mano, mentre ritornava in cucina.
Dougie scoppiò a ridere e Tom, che stava per andargli dietro a ruota, lo ammonì: “Quanto sei stronzo, non ridere!”, cercando di trattenersi.
“Non rido perché è ridicola!”si giustificò il ragazzo “Rido perché… perché è troppo divertente!”
“Cos’è divertente?”

La voce di Harry li sorprese alle spalle: si era svegliato anche lui in quel momento.

“La vicina che balla e canta roba spagnola!” gli rispose Dougie, indicandogli la finestra del salotto.
“La sentivo anche dal bagno, prima!” affermò il batterista con un sorriso.
“Perché non ci vai tu oggi, Tom?” domandò l’altro prima di cominciare a picchiettare la spalla del chitarrista con una mano.
L’altro replicò meravigliato: “Che?!”
“Harry c’è già andato, Danny pure, io devo preparare il pranzo!” lo incalzò lui.
“E poi di te le ragazze si fidano!” aggiunse Harry.
“Ma non devo mica corteggiarla!” protestò Tom.
“Eddài, Tom, ti prego, vai a vedere se almeno a te dice qualcosa!” insistette il batterista.
“Valle a chiedere un po’ di farina, che ne so!” gli consigliò Dougie.
“Non esiste proprio!” esclamò l’altro, quasi scandalizzato.




A suon di pizzicotti e calci nel sedere, l’avevano costretto ad uscire di casa.
Tom sbuffò, scettico, e batté la maniglia d’ottone sulla porta della vicina di casa, sentendosi un perfetto idiota.
Non sapeva nemmeno perché si trovava lì.
Lui non era certo il tipo da fare certe cose.
Ma, dal momento che era in ballo, doveva ballare.

Sentì la musica fermarsi, poi la ragazza andò ad aprirgli.
Fece caso al suo grembiule da cucina, colorato e decorato con tante pentole e padelle danzanti.

“Buongiorno!” gli disse, distogliendolo dalla sua figura corpulenta.
“Buongiorno a te!” si ritrovò a dire, sfoderando un sorriso amichevole “Scusa, disturbo?”
“No!” rispose lei, conciliante.
“Io… io… bè, intanto… piacere, mi chiamo Tom!” si presentò il ragazzo, allungando con sveltezza la mano destra, che la ragazza strinse con la propria, piccola, cicciottella e calda.
“Piacere mio! Rosie!” gli disse.

Rosie.

“Rosie?” domandò lui, stupito.
“Rosie!” confermò lei, accentuando il proprio sorriso.
“Rosie!” le fece eco lui, contento.
Lei si mise a ridacchiare con una mano davanti alla bocca, poi chiese: “Hai bisogno di qualcosa, Tom?”
Il ragazzo annuì quasi senza rendersene conto, poi rispose: “Posso chiederti… della… del… ecco, io…”

Cosa avevano chiesto gli altri?
E se avesse chiesto anche lui quello che avevano chiesto loro?

“E’ che… sono un caso patologico, mi dimentico sempre di andare a fare spese e…” farfugliò, cercando di prendere tempo “Mi chiedevo se, per caso, avessi un po’ di… per fare un… dolce… un po’ di…”
“Ti serve della farina? Dello zucchero?” gli chiese lei, ignara.

“Lo zucchero lo ha chiesto Harry!” pensò istantaneamente, prima di rispondere: “Della farina! Mezzo chilo, grazie, se puoi!”
“Certo!” ribatté lei “Torno subito!”

Mezzo chilo?
Ma dove pensava di essere, al supermercato?
Si passò una mano sulla fronte, scuotendo la testa, poi al vide tornare con un sacchetto trasparente che conteneva la quantità di farina richiesta.
“Ecco qua!” gli disse, allungandoglielo.
Lui lo prese e farfugliò dei ringraziamenti che la fecero sorridere ancora per qualche secondo.
Poi, proprio un attimo prima che Tom potesse di nuovo tenerle la mano per congedarsi, lei lo salutò frettolosamente e chiuse l’uscio.

Lo lasciò con un palmo di naso.

“Ma…” balbettò a bassa voce, interdetto.
La sua confusione fu sbaragliata dalle note di Jarabe de Palo, che riprese a cantare in casa della ragazza.
Scrollando le spalle, Tom si girò e se e tornò a casa con il suo mezzo chilo di farina.
E intanto, Rosie… Rosie la canterina… stornellava, riprendendo a sculettare con più convinzione…

Por un beso de la flaca
darììììa lo que fuera…



Harry, vedendolo tornare dalla finestra, corse ad aprirgli la porta e gli chiese: “Allora?”
“Sbaglio o si è messa a ridere?” chiese Dougie, curiosissimo.
“Chi si è messo a ridere?” domandò a voce alta Danny dalla cucina.
Tom scosse la testa, meravigliato, e rispose: “Io non capisco… è stata gentile, carina e tutto il resto… mi ha detto come si chiama e…”
“TI HA DETTO COME SI CHIAMA?!” tuonarono tutti e tre, puntandogli gli occhi addosso, compreso Danny, che accorse nel salotto in mutande.
Tom si fece piccolo piccolo e annuì.
“E come si chiama?!” chiese con insistenza Dougie, smanaccando nervosamente.
“Si chiama… Rosie!” rispose il chitarrista, rigirandosi tra le mani il sacchetto di farina.
“Rosie…” ripeté pensieroso Danny, socchiudendo gli occhi.
“Rosie…” disse anche Harry, grattandosi la testa.
“Rosie… Rosie…” fece eco il bassista, battendo un dito sul mento.
“Sì, Rosie!” confermò Tom con ovvietà.
“Ma Rosie è un nome come tanti! Voglio dire…” provò a spiegarsi il batterista, spiazzato.
“Magari è un diminutivo!” propose Danny.
“Sì, di Rosalie o Rosaline… Magari perfino Rosalinda…” azzardò il bassista.
“Magari è solo Rosie!” lo contraddisse Tom.
“Sì, ma ti ha detto di dov’è?” continuò a chiedere Harry.
Il chitarrista biondo scosse la testa e alzò le spalle.
“Merda! Siamo punto e a capo!” esclamò Danny, contrariato.
“Bè, non del tutto!” ribatté Dougie, alzando l’indice destro “Adesso sappiamo come si chiama, se non altro!”
“Non sei riuscito a capire di dove fosse?” insistette Danny.
Tom scosse la testa, desolato, e spiegò: “Aveva ragione Harry… Parla un inglese talmente perfetto che non cogli neanche l’ombra di una cadenza…”
“Ma è così anche con altre lingue!” protestò il batterista “Avete sentito come canta, no? Non sbaglia una parola!”
Tutti si strinsero nelle spalle, senza parole, e misero a parte il mezzo chilo di farina, in un piccolo scaffale della cucina, insieme ai peperoncini e allo zucchero, come in un reliquiario.



Nel primo pomeriggio, dopo aver pranzato, i ragazzi si prepararono per raggiungere lo studio televisivo in cui avrebbero tenuto un’intervista in diretta.
Rosie aveva finito da poco di lavare i piatti e in quel momento stava svuotando alcuni scatoloni al primo piano, nella sua stanza; Danny ipotizzò che fossero dei mobili; nel bel mezzo delle sue faccende, una nota canzone le faceva compagnia e la faceva cantare e ballare dei passi ben precisi di una coreografia forse bislacca, ma di sicuro eseguita con scrupolosità.

“I Take That, non ci credo!” esclamò il chitarrista dal bagno prima di scoppiare a ridere.
Dougie lo zittì con un prepotente “Sssshhh” e corse in camera di Tom, dove l’acustica era migliore.
Il suo collega biondo era già alla finestra, seminascosto dalle tendine, e guardava Rosie fare delle piroette.
“Questa è Relight my fire!” esclamò a bassa voce, sentendo la presenza di Dougie accanto a sé.
“Azzecca ogni singola lettera… O la sa a memoria, o non so che pensare…” sibilò il bassista, agitato.
Tom fece spallucce e disse: “Si chiama Rosie, le piacciono le piante, sa tutte le lingue del mondo, canta, balla… In fondo non è che non sappiamo niente di lei!”
“Domani ne sapremo di più, fidati…” gli mormorò l’altro con aria maliziosa, lasciandolo perplesso.

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Capitolo 6
*** TRACK N° 5- Seconda parte ***


rosie Eccoci arrivati, in the end.


Non c'è bisogno che mi ricordiate che dopo queste... con le storie assurde ho chiuso.
Ringrazio lettori, recensitori, ispiratori e, perchè no, anche la mia caparbietà!

Alla prossima McFiction!

Ciry

PS: Ogni singola canzone citata non mi appartiene e non viene pubblicata a scopo di lucro. Neanche i McFly mi appartengono e questa storia è frutto della mia immaginazione, esattamente come il personaggio di Rosie.

PPS: Dimenticavo! Questa è per voi, visto che finora non ho fatto altro che rintronarvi con decine di canzoni :)! Don't rain on my parade .... Ho scelto la versione di "Glee" per stare al passo coi tempi!


TRACK N°5- "ROSALINA" - Fabio Concato

Seconda parte




Era di nuovo Lunedì.


La fretta dei ragazzi nel prepararsi e nel dirigersi verso la sede della loro casa discografica per gli urgenti impegni della giornata impedì ai loro occhi curiosi di dedicarsi a Rosie; la sentirono cantare per pochi minuti mentre tutti erano al piano superiore della casa, intenti a usare il bagno o a vestirsi, e riuscirono ad afferrare qualche parola in tedesco…

“Cosa sta facendo?” urlò Harry a Tom dal corridoio.
Il chitarrista, che si stava facendo la barba in bagno, gettò un’occhiata alla finestra, poi rispose: “Canta… e gioca con un pallone… Non saprei! Però sta cantando in tedesco!”
“Tedesco?” si sentì rispondere da Danny e Dougie.
“Sì, credo sia roba anni Ottanta!” confermò l’altro.

Al momento di uscire, poco ci mancò che si incrociassero tutti sui rispettivi portoni di casa: Danny stava per uscire, seguito da Dougie e Tom, quando Harry ordinò loro di fermarsi, pietrificato di fronte alla finestra del soggiorno.

“State fermi lì, non respirate nemmeno!” gracchiò loro, allargando le braccia come un vigile in mezzo alla stanza.
Tom si voltò a guardarlo ed esclamò: “Judd, che cazzo fai!”
Andò accanto a lui e allora capì.

Rosie era uscita per andare a buttare l’immondizia in fondo alla strada; portava sulle spalle un grosso sacco nero e continuava ad intonare tra sé e sé la canzone che aveva iniziato tra le mura domestiche.

“Meno male che ce lo hai detto, Judd…” bisbigliò Danny, anche lui accorso a vedere la scena insieme a Tom e Harry.
No nu nonzi lufbalòn… Mah…” sbottò Dougie, perplesso, mentre cercava di imitare Rosie.

Si assicurarono che, dopo aver buttato la spazzatura, fosse tornata in casa, poi uscirono di corsa e salirono in macchina di Tom, sperando di non essere stati scoperti: se ne sarebbero vergognati enormemente.
“Ve lo immaginate?” domandò Tom, mentre stringeva il volante e premeva l’acceleratore “Ci vede uscire tutti e quattro dalla stessa casa e pensa Oh, ma che bei maniaci!...”
“O scrocconi…” azzardò Harry.
“Sì, che figura di merda ci faremmo…” commentò Danny, imbarazzato.
Dougie rimase in silenzio e si mise a guardare fuori dal finestrino, sorridendo.
Nessuno ebbe l’accortezza di chiedergli niente.






Tornarono a casa stanchi morti, ma affamati come se non avessero mangiato per tre giorni.
Piovevano vere e proprie secchiate di acqua e, nonostante la distanza dalla macchina alla porta di casa fosse minima, si bagnarono, e con loro anche le pizze che avevano ordinato.
In cucina, Dougie scoprì disgustato che proprio la sua pizza, la prima della pila trasportata da Harry, era stata la più colpita e, quindi, la più immangiabile.
“Che schifo! Harry, ma non potevi stare più attento?! E che cazzo!”
Il batterista, bagnato fradicio, lo fulminò con lo sguardo, ma Tom si intromise dicendo: “Calmi, stiamo calmi… Doug, ora ti faccio un po’ di pasta, ok?”
“Sì, mammina, perché non cucini per il mio fratellino Dougie?” scherzò Danny, beccandosi una cuscinata dal bassista.
“Danny, chiudi la bocca! Io mi metto ai fornelli…” disse Tom prima di mettersi all’opera.
Dopo pochi minuti, il cuoco in erba annunciò che non c’era rimasto neanche un chicco di sale nella credenza.
Dougie colse al volo l’occasione per annunciare: “Vado a chiederne un po’ a Rosie!!!”
“Doug!!!” lo riprese Tom, esasperato.
“Rosie?!” scattò Harry, sorpreso.
“Ma è in casa?” domandò Danny, andando alla finestra del salotto.

Effettivamente, non c’erano la musica o le luci accese che solitamente facevano da sfondo alle serate che i ragazzi passavano in casa.
Si riusciva a scorgere solo qualche luce soffusa al piano- terra, ma non la bicicletta appoggiata alla staccionata.

“Non credo ci sia… Non dovresti andare per niente…” consigliò Harry, rivolto a Dougie, che però non demorse.
“Io busso, se mi apre, ok, altrimenti torno indietro! Facile, no?”
“Prenditi l’ombrello!” gli disse Tom.
“E copriti!” aggiunse Danny, ridacchiando.
Dopo avergli alzato il dito medio davanti al viso, il ragazzo uscì, armato di ombrello, e attraversò la strada.

Con tutta quella pioggia, tutto quel buio e tutto quel silenzio, Dougie si sentì per un attimo impaurito e timoroso, ma davanti alla porta di Rosie fece un bel respiro e bussò con la maniglia in ottone, fradicia, come tutto lì intorno.
Per poco non gli prese un colpo quando una figurina nera con una candela in mano gli apparve davanti.
Rosie nella penombra.
“… Buona… Buonasera!” gli disse, un po’ stupita di vederlo.
Dougie esitò prima di ribattere: “Ciao! Scusami, so che è tardi e che c’è un tempaccio qui, ma volevo chiederti se hai un po’ di sale da prestarmi! Sono della casa qui di fronte!”
“Ma certo!!!” gli disse subito lei, prima di spostarsi “Entra pure, non restare sotto la pioggia!”

ENTRARE???

Dougie chiuse l’ombrello all’istante e bastò un passo per trasportarlo nell’ingresso della casa di Rosie.
Si scusò nuovamente, fingendo di essere terribilmente imbarazzato, ma lei lo rassicurò con un sorriso e dicendogli: “Non devi preoccuparti! Adesso ti prendo il sale…”
Solo quando si ritrovò fermo, in piedi, nel suo salotto in stile minimalista, Dougie si accorse che la casa era piena di candele accese che emanavano una luce calda e tremolante.
Fissando l’ombra di Rosie proiettata sul muro della cucina, adiacente al soggiorno, il ragazzo domandò: “Come mai sei al buio?”
La ragazza ridacchiò e rispose dall’altra stanza: “Poco fa è andata via la luce. Il temporale mi ha proprio tirato un brutto scherzo! Ma non importa: domani, se non ritorna da sola, chiamerò un elettricista!”

Ecco perché non si sentiva la musica…
Era rimasta senza elettricità!

Rosie gli allungò un piccolo barattolo di plastica con del sale dentro e gli disse: “Il barattolo te lo regalo volentieri!”
Il bassista, sorpreso, balbettò: “N-no, dài, non posso accettarlo, io…”
“Lo faccio volentieri, tranquillo!” lo interruppe l’altra con un sorriso dolce a cui lui non poté replicare, se non con un “Grazie” confuso ma intenerito.
“Controlla se la quantità è giusta, altrimenti te ne do di più!” lo incitò, scrupolosa.
Dougie fece per dirle di no, poiché non importava, gliene aveva dato anche troppo, ma in quel momento un odorino gli giunse alle narici…
Pesce, forse?
Pesce al cartoccio, pesce al forno o pesce fritto?
Non se ne intendeva granché.
“In Finlandia e in Giappone mangiano il pesce, no?” pensò in un istante.
“Che buon odorino!” esclamò, sperando di suscitare una risposta soddisfacente.
“Grazie!” trillò lei in risposta “Mi stavo facendo due bastoncini di pesce surgelati sulla gratella! Oggi c’era l’offerta al supermercato, non avevo voglia di cucinare, quindi…!”

Pesce surgelato.
Bastoncini di pesce, per l’esattezza.
Banale merluzzo impanato che tutto il mondo mangiava, da Capo Nord fino a Toronto, da Los Angeles a Mosca.

“Allora… buon appetito!” le augurò con un sorriso semplice, prima di indietreggiare lentamente verso la porta, dove lei si preoccupò di accompagnarlo con cortesia.
Niente in quella casa nuova e ancora piena di scatoloni da svuotare faceva pensare a niente.
Non una Matrioska su un mobile, né un vaso Ming da esporre in salotto, tantomeno una piccola Statua della Libertà che troneggiava sul televisore…
Niente, assolutamente niente di caratteristico o tipico di un determinato, unico paese!!!
Al limite della curiosità, stava per domandarle bruscamente da dove diamine provenisse, ma lei aveva già augurato la buonanotte e chiuso la porta, lasciandolo con gli occhi spalancati, l’ombrello aperto e un barattolo di sale in mano.
Un tuono, forte ed improvviso, lo fece smuovere verso casa, tra un improperio e l’altro.


“Se non ha detto neanche stavolta da dove viene, mando la CIA a spiarla!” sbottò Danny appena Dougie fu in salotto.
Il bassista sospirò rassegnato, scosse la testa ed annunciò: “Ragazzi, non ci ho capito niente!”
Un “NOOO!” unanime, accorato e lagnoso segnò la resa dei McFly e arrestò la loro indagine.
“Ma…” azzardò Tom “Era in casa al buio o sbaglio?”
“E’ rimasta senza corrente elettrica, ha detto che domani chiamerà un tecnico…” spiegò Dougie.
“Ecco perché stasera non c’è musica… Poverina…” commentò Harry, sinceramente dispiaciuto.
“Credo che prima o poi ci scoprirà…” disse Danny, scuotendo la testa.
“E anche se fosse?” chiese il bassista con fare retorico.
“Non abbiamo fatto niente di male!” commentò Tom, tranquillo.

Se ne stettero in silenzio per qualche istante, guardandosi e cercando convinzione, ognuno negli occhi dell’altro…
Però sapevano benissimo che continuare a non conoscere Rosie era qualcosa che li deludeva e che li aveva lasciati insoddisfatti.
Uscire allo scoperto e rivelare i loro stratagemmi nei suoi confronti? No, troppo imbarazzante, chissà che cosa avrebbe pensato quella poverina…
Avrebbero dovuto lasciar perdere, al massimo aspettare che Rosie parlasse ad almeno uno di loro di sua spontanea volontà.
Ma sarebbe mai successo?







3 sere più tardi…




“Aspettate qualcuno?” domandò Tom, posando la sua chitarra.
Tutti dissero di no con la testa e assunsero un’aria perplessa dopo aver sentito suonare il campanello.
“Ma chi ci viene a cercare il giovedì sera?” borbottò il chitarrista mentre andava ad aprire la porta.

Si ritrovò a stringere il pomello di quel povero uscio con tutta la forza che aveva per la tensione.

Vedendolo ammutolito, Rosie gli disse con gentilezza: “Buonasera, Tom!”
Danny, distratto alla grande da una partita di calcio in TV, si limitò ad alzare un sopracciglio, vedendo il suo amico fermo e zitto sulla soglia della porta, ma non disse niente.
“Ro- Rosie!” trillò invece il suo amico, cercando invano di mascherare un certo nervosismo.
A sentire quel nome, gli altri tre scattarono in piedi; Dougie staccò brutalmente il cavo della televisione dalla spina elettrica e Harry diede uno schiaffo in testa a Danny per aver lasciato la ciotola vuota delle patatine sul divano.
“Disturbo? Stavi… andando a letto?” chiese la ragazza, vagamente confusa.
“Letto? No, macché!” rispose subito Tom “Entra pure!!”
“Come sarebbe a dire Entra pure?!” sillabò Dougie sottovoce nell’orecchio di Harry, che non poté fare altro che ricambiare con un’occhiata tipica di chi era nel panico.

Sotto la luce chiara del loro disordinato salotto, ebbero modo di rivederla.

Piccola, tonda, mora, con una lunga treccia, gli occhi sorridenti e leggermente a mandorla, scuri, la pelle chiara e un grazioso vestito che la copriva fino alle ginocchia, a fiori.
Portava delle ballerine nere e le gambe erano avvolte da un paio di spessi collant rossi.
Sorrideva a tutti loro, mostrando un make up leggero e le guance naturalmente rosse.
Aveva un pacchetto bianco tra le mani e lo teneva con cura.

“Scusatemi…” disse, con un sorriso imbarazzato “Sono la nuova vicina, mi dispiace presentarmi soltanto adesso… Per sdebitarmi, ho pensato che un dolce vi avrebbe fatto piacere!”
Allungò il pacco verso i ragazzi.
Tom, dietro di lei, si portò una mano alla bocca e guardò i suoi tre amici con due occhi gonfi di tenerezza.
Harry replicò per primo: “Grazie! Perché… perché non ti accomodi? Noi siamo… siamo contenti che…”
“Che sei venuta a trovarci!” farfugliò Danny, prendendole il pacco dalle mani.
“Grazie!” esclamò Rosie, contenta “Io comunque mi chiamo Rosie!”
“Io sono Dougie, lui è Danny, poi c’è Harry e dietro di te c’è Tom! Ragazzi, perché non andiamo a tagliare questo dolce insieme, così ce lo mangiamo, eh?” domandò Dougie, che aveva una fretta del diavolo.
Tra scuse varie e alcuni “Torniamo subito”, i ragazzi si chiusero in cucina.

“Tom, perché cazzo l’hai fatta entrare!” sibilò Dougie.
“Che dovevo fare, lasciarla lì?!” si giustificò il chitarrista, contrariato.
“Apriamo questo dolce, dài…” suggerì Harry.
“Che carina però!” disse Danny con un sorriso “Ci ha portato un regalo e si è presentata, sembra che non si ricordi di noi!”

Harry aprì la scatola di cartone per estrarre il dolce e quel che videro non piacque a nessuno di loro.

“Gesù…” bisbigliò Danny, disgustato.
“Magari è buono…” provò a dire Tom.
“O magari no…” continuò Dougie.
“Quant’è… brutto…” disse Harry sottovoce.

Effettivamente, non avevano tutti i torti: quella torta, o meglio, quel grosso cubo ricoperto esageratamente di cioccolata, aveva un aspetto poco appetibile.
Aveva un sacco di strati di diversi colori, in alcune parti era floscio e appiccicoso… e la glassa blu che Rosie aveva usato per scrivere qualcosa sulla superficie si era completamente rovinata, lasciando spazio solo a una specie di poltiglia azzurrina.

“Cosa facciamo?” domandò Tom, cominciando a grattarsi la testa.
“Più che altro, vorrei sapere che dolce è!” se ne uscì fuori Dougie.
“Dev’essere roba dell’Est, ipercalorica…” suggerì Harry.
“Ma li fanno anche in Italia, se non sbaglio! Gi mi aveva parlato di qualcosa di simile…” azzardò Tom.
“E se fosse americano? Laggiù fanno tutte queste cose esorbitanti…” disse Dougie.
“E’ torta al cioccolato con un ripieno di vaniglia, panna e fragola” si sentirono dire.
Il sangue nelle loro vene si gelò.
Si voltarono e videro Rosie, arrabbiatissima.

“Ero venuta a vedere se avevate bisogno di una mano… però vedo che non volete neanche occuparvene, del mio dolce” ribadì loro, fulminandoli con lo sguardo.
“Rosie, noi… è che…” balbettò Harry.
“Noi non vogliamo dire che è cattivo!” si affrettò a spiegare Tom, andandole incontro “Non ci sogneremmo mai di offendere la tua cultura culinaria, davvero!!”
Rosie lo guardò con aria interrogativa e chiese: “Prego?”
“Lui vuole dire che non importa di dove sei, a noi il tuo dolce piace di sicuro, è che non ne abbiamo mai visto uno così dalle nostre parti!” ribatté Dougie, sperando di calmarla.
“Ma… ma io… io sono inglese!” fu la risposta di Rosie.
In mezzo al muto stupore generale, Danny fu l’unico a reagire verbalmente, con un sonoro “EH?!” scioccato.
La ragazza ribadì, quasi seccata: “Sono inglese! Sono nata a Londra!”
“A Londra?!” starnazzò Harry.
“A Londra!!” ribatté l’altra, esasperata.

Tutti si misero le mani nei capelli, sconvolti.

Rosie, che parlava un inglese accademico, esattamente come l’italiano, lo spagnolo, il francese, il russo…
Era londinese??

“Ma tu…” domandò Tom in un bisbiglio “Tu… noi ti sentivamo cantare in così tante lingue che… e poi, sì, insomma, tu sei… non sembri proprio ingl…”
“Sono figlia di due diplomatici e studio linguistica all’università!!!” lo sovrastò lei, sconvolta “Mio padre è inglese, mia madre è filippina!!”
Dougie spalancò gli occhi ed esclamò: “Hai preso da tua madre!”

Era vero: i capelli lisci e neri, per non parlare degli occhi lievemente a mandorla e della bocca carnosa, a forma di cuore, confondevano la gente e facevano di Rosie un’orientale, ma lei puntualizzò: “Il colore della pelle è quello di mio padre, e io ho come lingua madre l’inglese! È solo che ho sempre viaggiato con i miei, non sono mai stata ferma nella solita città per più di un mese, sin da piccola! Ecco perché mi avete sentito… cantare… in tutte quelle lingue… Un momento… Voi mi spiavate!!!”
Aveva spalancato gli occhi, scandalizzata, e aveva puntato il dito contro di loro.
“Voi venivate da me per cosa?!” gracchiò la ragazza, più arrabbiata che mai.
“Non volevamo fare niente di male!” protestò Danny “Non sapevamo di dove fossi, non parlavi con nessuno, e noi non riuscivamo a capirci niente! Tutti i giorni cantavi e ballavi, non riuscivamo a non guardarti, lo capisci?”
“E questo cosa significa?” ribatté lei, sull’orlo delle lacrime.
“Eravamo convinti che tu fossi straniera!” cercò di spiegarle Harry “Pensavamo che attraverso degli espedienti avremmo capito qualcosa di più su di te, ma niente, tu non dicevi nulla, non sapevamo cosa dire!”
“Potevate chiedermelo!!!” sbottò l’altra, allargando le braccia per poi lasciarle ricadere lungo i fianchi.

Fu allora che i ragazzi non seppero cosa rispondere.
Dopo qualche secondo di silenzio, fu Rosie a parlare.

“Mi avete spiata mentre ero in casa… Chissà cosa avrete pensato di me… E per una volta che avrei voluto stringere un’amicizia, per una volta che mi trasferisco per restare… ve ne venite fuori con dei pregiudizi ridicoli! Io ero una vostra fan! Ho fatto di tutto per non disturbarvi!!! Vi vedevo arrivare a casa mia, uno dopo l’altro, ma non ho mai detto niente, vi ho sempre dato quel che mi avete chiesto!!! Mi fa piacere avervi fatto fare due risate con i miei exploit!!! Mi piace cantare e ballare, non posso farci niente!!! ”
Una lacrima le scese lungo una guancia, così Tom si affrettò a dire: “Aspetta, Rosie, c’è stato un equivoco, noi…”
“Non voglio più sentire scuse! Basta!!!” urlò lei, correndo verso la porta e uscendo.

Dougie la vide tornare a casa, chiudersi dentro e chiudere tutte le finestre.
“Abbiamo fatto un bel casino… Ci siamo giocate una fan…” commentò, desolato.


Tom si buttò sul divano, triste; Harry gli disse: “La sua reazione è stata esagerata, secondo me…”
“Judd, come ti sentiresti se venissi a scoprire di essere guardato tutti i giorni da degli sconosciuti, i componenti del tuo gruppo preferito, che usano dei mezzucci per conoscerti? È normale che, come minimo, adesso ci consideri dei poco di buono…”
Danny, che era andato in cucina, tornò con una fetta di torta di Rosie, la assaggiò e disse mestamente: “E’ anche buona… Siamo stati degli stupidi…”
“Non ne abbiamo azzeccata neanche una, ragazzi… Non abbiamo mai preso in considerazione il fatto che, di qualunque parte del mondo potesse essere stata, era una persona simpatica e disponibile…” disse Dougie, mettendo il broncio.
“Non dire troppe parole tutte insieme, Doug… Ti fa male…” sdrammatizzò Harry, abbozzando un sorriso che nessuno ricambiò.

Si guardarono e si vergognarono.
Si erano comportati come dei bambini.
E il fatto di essere neomaggiorenni non li giustificava.
Non giustificava i loro mezzi per soddisfare la loro curiosità.
Avrebbero davvero potuto chiedere semplicemente “Di dove sei?” a quella ragazza, così, senza problemi.
Ma l’avevano inquadrata come la “vicina misteriosa”, quella che non parlava con nessuno, il fenomeno da baraccone che metteva su degli show in ogni stanza della sua casa.
E si erano prefissati un obiettivo stupido.

“Perché… non…” borbottò Danny, con la bocca piena di torta “Non le cantiamo una canzone?”
“Sì, una serenata…” commentò sarcastico Harry.
“Non sarebbe male…” azzardò Dougie.
“Sì, però quale?” domandò Tom.
“Una canzone nostra!” propose il bassista, recuperando un po’ d’entusiasmo.
Tom si alzò dal divano, camminò per qualche istante in cerchio, meditabondo, poi si affrettò a salire le scale.
“Tom?” lo chiamò Harry, perplesso.
Neanche dopo dieci secondi era già tornato con un foglio in mano, uno spartito.
“Questa!” annunciò, brandendo il pezzo di carta; Danny glielo prese dalle mani ed esclamò: “E’ vero!!! Si addice!!”
“Quale?” chiese Dougie, impaziente.
Get over you” gli rispose il chitarrista, entusiasta.
“E’ perfetta! Però come facciamo a convincerla ad ascoltarci?” domandò il bassista.
“Io avrei un’idea… Però dobbiamo collaborare, stasera andiamo a letto tardi… Harry dov’è?” chiese Tom, guardandosi intorno.
Il batterista uscì dalla cucina con un pezzo di torta in bocca e mugolò: “Ci sto, arrivo…”







Rosie indossò il suo impermeabile rosso, uscì di casa e andò a prendere la sua bici gialla nel vecchio garage in cui l’aveva lasciata durante l’ultimo acquazzone.
Mentre ripuliva con un fazzoletto il sellino leggermente umido, gettò un’occhiata alla casa di fronte, quella dei McFly.
Sospirò e tornò al suo daffare.
Non avrebbe mai sospettato che la sua band preferita fosse composta da quattro bambinetti senza cervello.
Ipocriti e discriminatori.
Si disse di usare il loro CD come sottobicchiere e montò in sella.
Stava per immettersi nella strada, deserta alle otto di mattina, quando si sentì chiamare…

“Rosie!! Rosie, quassù!!!”
Alzò lo sguardo e vide Tom appoggiato alla finestra della propria casa, al primo piano.
Alla finestra di fianco, Harry la stava salutando.
Li fulminò entrambi con lo sguardo e rimase ferma dov’era per ascoltare cosa avevano da dirle.
“Rosie, scusaci!” continuò il ragazzo, serio “Siamo stati degli idioti, ne abbiamo parlato e abbiamo deciso di scusarci! Hai due minuti per ascoltarci?”
“Dipende che cosa avete da dire!” gli urlò di rimando la ragazza, incrociando le braccia sul petto.
“Va bene! Grazie!” le disse Tom, prima che Harry gridasse verso il basso: “Ragazzi!!! Le tende!!!”
Rosie spostò lo sguardo al piano terra della casa e vide altre due finestre; scorse Dougie e Danny che stavano aprendo le tende, come l’amico aveva ordinato, e assunse un’espressione perplessa.
Spalancò gli occhi per lo stupore quando vide che sia il chitarrista che il bassista avevano i loro strumenti, non seppe cosa pensare…

She was looking kinda sad and lonely…
And I was thinking to myself if only
She'd give me a smile but,
It's not gonna happen that way…


Le sfuggì un gridolino quando sentì quelle parole cantata da Tom.
Si mise le mani davanti alla bocca e ammutolì, guardando i McFly suonare per lei, alle finestre della loro casa…

So I took it upon myself to ask her,
Would you like company and maybe after
We could talk a while but,
I just don't know what to say…


Abbassò gli occhi, scoprendo che stavolta era stato Dougie a cantare, e arrossì prima di sorridere apertamente…

Coz you've got all the things that I want
And I just cant explain so…
Help me, babe, I gotta get over you!


Scese dalla bicicletta, la appoggiò sul cavalletto e applaudì I ragazzi, con il cuore che le batteva a mille.
“Adoro questa canzone!” gridò saltellando.
“La continui tu?” le propose Danny con un sorriso.

Rosie si arrestò, per un attimo non seppe cosa dire né cosa fare.
Si schiarì la voce, si sventolò una mano davanti al viso per scacciare l’imbarazzo sulle sue guance rosse e fece segno a Tom di attaccare con la chitarra.

Now and then they look in my direction,
hoping for a sign of my affection,
But I’m in denial and,
I’ve got some worries today!

Con la coda dell’occhio, vide Harry sorriderle mentre suonava…
Senza neanche rendersene conto, si ritrovò a ballettare quei due o tre passi di salsa che conosceva…

But I think if they'd give me a chance,
I'll pleasantly surprise but,
Help me, boys, I gotta get over you!

Non riuscirono a continuare oltre, perché scoppiarono tutti a ridere.

Rosie non aveva mai ricevuto una serenata in vita sua, tantomeno in quel modo e da quegli ammiratori.
E i McFly non avevano mai eseguito una canzone dalle finestre della loro casa, duettando con una cantante/ ballerina in erba.



È scontato dire che, dopo quelle scuse così sentite, Rosie li perdonò, diventò loro amica e, soprattutto, rivelò loro dove si dirigeva tutte le mattine in bicicletta.

Da nessuna parte.
Semplicemente, faceva il giro del paese più volte, nella speranza di dimagrire.
Il fatto che amasse cucinare e ancora di più mangiare non lo aveva considerato, ma questa è un’altra storia…



FINE

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