Brividi e sentimenti

di charliotta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** presagio di morte ***
Capitolo 2: *** La promessa ***
Capitolo 3: *** il corvo sanguinario ***
Capitolo 4: *** Nel mirino del serial killer ***
Capitolo 5: *** Trappola ***
Capitolo 6: *** Angelo custode ***
Capitolo 7: *** Ricordi ***
Capitolo 8: *** Minaccia dal passato ***
Capitolo 9: *** Indietro nel tempo ***
Capitolo 10: *** Corsa contro l'inevitabile ***
Capitolo 11: *** sonno letale ***
Capitolo 12: *** Stanza numero 102 ***
Capitolo 13: *** countdown per il paradiso ***
Capitolo 14: *** Ritornando a vivere ***
Capitolo 15: *** Ti odio perchè ti amo ***
Capitolo 16: *** Ferito nel profondo dell'animo ***
Capitolo 17: *** Frammenti d'esistenza ***
Capitolo 18: *** Ira ***
Capitolo 19: *** HOLMES, MORIARTY, E LE CASCATE DI REICHENBACH ***
Capitolo 20: *** Le reali intenzioni ***



Capitolo 1
*** presagio di morte ***


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Il buio regnava silente, come in ogni notte d'altronde. Il suo aspetto agghiacciante e sinistro la spaventava come un tempo, non era cambiato nulla....ma allora non aveva alcun motivo di temerlo, di temere i mostri che si potevano nascondere sotto il letto, loro non esistevano, lo aveva detto Akemi, parecchie volte.
Questo invece era diverso, perchè lei era consapevole degli orrori che celava al suo interno, dei mostri che realmente esistevano.
Si fermò. Il vecchio magazzino. era il luogo, non era altri che uno stupido magazzino abbandonato. ma anche il suo peggior incubo.
"non essere sciocca!" pensò tra sè mentre con un cigolio spalancò la porta arrugginita.
L'interno dell'edificio non era molto diverso da come se l'era immaginato: parecchi vetri rotti, vecchie locandine, polvere e macchinari inutilizzati. Sembrava quasi che quel  posto fosse stato travolto da un ciclone e che avesse spazzato via ogni forma di vita. Un forte odore di muffa la travolse, di certo era stato abbandonato da parecchio.
"Sherry" canticchiò una voce alle sue spalle.
Fulmineamente si voltò con un'espressione terrorizzata sul volto, le sue mani tremarono facendo cadere a terra la torcia, che con un sordo suono di vetri infranti si spense, si guardò attorno accecata dall'immediata oscurità, troppo terrorizzata per restare lucida.
"corri!corri!"  pensò mentre pestava con forza i piedi sul terreno nel tentativo di allontanarsi da quella voce, non la stava seguendo...ma sentiva con certezza la sua presenza....era lei! lei!
Si fermò tastando il muro...non c'erano porte, finestre, l'unica via d'uscita era quella dalla quale era entrata, era lì che l'aspettavano, non avevano alcuna fretta. Si sedette stringendosi su se stessa....tremava...il cuore le stava battendo all'impazzata....alzò lo sguardo, nei suoi occhi vedeva il punto rosso lampeggiare velocemente, era vicina, anzì, si trovava proprio lì.
"dove sei? dove?" si tolse gli occhiali appoggiandoli sul terreno, respirò a fondo, era affannata benchè avesse camminato solo poche miglia. Il suo respiro irregolare non si placò. Diventava sempre più presente e chiaro, tanto da poterne sentire il timbro di voce....non il suo.
Si concentrò su quel respiro, era vicino, ed era terribilmente famigliare. A carponi si diresse verso esso, facendo attenzione a non provocare rumore, la stavano cercando, sarebbe bastato un attimo per tradirla.
Tastò il terreno bagnandosi la mano.... acqua? evidentemente c'era stata una perdita.
Man mano che i suoi occhi si abituarono all'oscurità  riuscì ad intravedere una sagoma, appoggiata al muro e china...non era un uomo..era...un..un bambino! lui!
"Conan!" urlò.
"ti ho trovato finalmente, forza vieni dobbiamo andarcene prima che torni Ver..."
la sua mano si inzuppò nuovamente, il liquido era ovunque, era intorno a lui....ma non poteva essere acqua....era denso e caldo....sentì il disgusto salire, si portò la mano asciutta sulla bocca.
"sanguini....stai sanguinando!" le mani le tremavano mentre tra le sue dita sentiva colare il rosso del suo sangue.
"resisti, dobbiamo raggiungere il dottor Agasa....lui"
"Ai......" sussurrò lui con un tono strozzato.
" scappa...."
Lei lo guardò con  gli occhi pieni di orrorre, gli alzò la testa prendendola con le mani "no, No! non ti lascio qui! non me ne vado senza di te!" i suoi occhi si gonfiarono di lacrime.
"no..." con mani tremanti e deboli le cinse le spalle.
".......è una trappola! vattene!" urlò infine.
In un secondo sentì alle sue spalle un rumore di metallo, con tutta la forza che aveva in corpo Conan la scagliò a terra, mezzo secondo più tardi uno sparo.
La camera cominciò a girare, sentiva i suoni svanire, il dolore della botta la inondò.
Un tonfo, poco più il là, ruppe il silenzio. Si alzò sui gomiti, cercando di mettere a fuoco la scena, non avrebbe mai voluto farlo.....un urlo strozzato e acuto le uscì dalla gola  eccheggiando in tutto il magazzino.
La sagoma  era accasciata a terra, immobile, una chiazza nera si disegnava intorno a lui rapidamente.
"No!no!" gridò lanciandosi su di lui e prendedogli la testa tra le mani "no...vi prego...non lui!vi prego,no lui!"
Il corpo inerme non dava segni di vita, il sangue colava lungo la testa fino a raggiungere il mento di lei .
"no..Shinichi..." singhiozzò, appoggiandogli la testa sull'incavo della sua spalla "era mia...quella pallottola era per me!"
strinse il corpo a se con ancora più forza...voleva sentire il suo respiro, la sua voce, il battito del suo cuore...tutto ciò che sentì fu il suo pianto.
"Shinichi,Shinichi, Shinichi" ripeteva quel nome come una cantilena senza senso, cullando stra le braccia la sagoma inerme.
Delle braccia la afferrarono violentemente da dietro, costringendola a voltarsi, un uomo dalla faccia scura le si presentò davanti.
"lasciami! lasciami!" gridò agitando le braccia in preda alla disperazione.
l'uomo cominciò a strattonarla tenendola sempre più stretta "Ai!Ai!Ai!" disse con voce grossa.
"lasciami andare!" gridò nuovamente chiudendo gli occhi e tirando calci in aria coprendosi il volto con le mani .
"Ai, ti prego, svegliati!" la voce cambiò, era più vellutata, più fragile....la voce di un bambino.....lui!
Una luce rossa le riempì gli occhi, calda e accecante, chiuse nuovamenete le palpebre infastidita.
"Ai?" disse preoccupato.
Si portò la mano sul viso mettendo a fuoco l'immagine.
Era chino su di lei, uno sguardo vagamente preoccupato e indagatore, i capelli mori erano scompigliati e ricadevano sugli occhi in modo molto disordinato, evidentemente quella mattina Ran non aveva fatto in tempo a metterglieli in ordine perchè era troppo di fretta. Gli occhi blu mare erano fissi sui suoi, senza alcuna copertura. Non poteva reggerli.
con un colpo al petto lo allontanò da lei, mettendosi seduta sul letto.
"cosa ci fai qui?" rispose seccatamente
" mi è venuto a chiamare il dottore stamattina, era preoccupato, ha detto che urlavi e chiamavi il mio nome"
sentì le guance avampare, ma finse di ignoralo.
" non stai bene? cos'hai, me lo vuoi dire?" le appoggiò una mano sulla spalla.
"Semplice....non dovrei mangiare quel sushi scadente che vendono al market qui sotto!" disse allontanandogli la mano con due dita.
"visto? per una volta ho risolto il caso prima di te!" si infilò le ciabatte dirigendosi verso la cucina, senza incrociare il suo sguardo. Sentì un sospiro alle sue spalle, aveva capito che non gli avrebbe mai detto se, e perchè urlava il suo nome....il nome di Shinichi Kudo.
"allora? non vai a scuola? sai, salti già il liceo, mi dispiacerebbe se ti bocciassero pure alle elementari." gli donò un sorriso maligno.
La guardava come se la stesse osservando da parecchio tempo, indossava una maglietta rossa con le maniche corte, i pantaloni di jeans erano troppo lunghi, risvoltati più volte, in testa portava un cappellino grigio, con la visiera rivolta di lato , sotto il piede destro teneva un pallone.
rise.
"si hai ragione, è meglio che indossi il costume di scena" disse sarcastico tirando fuori dalla tasca gli occhiali e mettendoli sul naso.
"sei pronta per il primo ciack?" aggiunse facendole un'occhiolino.


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Capitolo 2
*** La promessa ***


la promessa                                                        LA PROMESSA


Eccolo ripercorrere la stada di tutti i giorni, quella che portava al liceo Teitan. Quella che aveva percorso migliai di volte senza curarsene più di tanto, ingnaro che nel futuro non sarebbe più capitato.Ignaro degli amici che non avrebbe più rivisto, i professori, e i giorni passati con lei..... non sarebbero più stati gli stessi.
Quel viso innocente e radioso si fece largo tra i suoi ricordi potente come un tornado, ma delicato come un fiore. Quel volto fragile e ferito, ferito da lui, dalla sua assenza e talvolta dal suo ritorno.
 Ed ecco che il ricordo più tagliente, come sempre, si animò davanti ai suoi occhi:
Un dolore acuto e improvviso gli perforò il petto, ondate di gelo si manifestavano in ogni angolo della sua anima, senza lasciargli uscire un respiro nè un gemito.
"ti prego, mi serve ancora un po' di tempo" pensò tra sè "Ran mi sta aspettando, non posso ritrasformarmi in Conan proprio adesso!"
La sua mano sinistra si appoggiò al vetro nel tentativo di sollevarsi, il volto riflesso nello specchio era pallido e debole, le pupille erano dilatate. Fu allora che notò qualcuno alle sue spalle: era basso, un metro e venti al massimo, gli occhi erano coperti da degli occhiali dalla forma quadrata, la lente gli impediva di vederne l'espressione. i suoi capelli erano arruffati, bruni. Fissava in continuazione il suo orologio come in attesa di qualcuno, o di qualcosa. Fermò il cronometro guardandolo duro. Allora lo riconobbe. Quella era la sua faccia, o perlomeno, lo era stata, perchè in quel momento lui non era Conan Edogawa. Era Shinichi kudo.
"cos....Ai! che cosa vuoi? perchè sei venuta fin qui....io.." un'altra fitta lo inondò. Più potente delle altre, la decisiva.
La sua vista cominciò ad annebbiarsi, Ai si stava togliendo gli occhiali. I suoi capelli ramati tornarono a splendere non appena strappò dalla testa la parrucca bruna. Lo guardava con insistenza attendendo che riprendesse conoscenza.
Respirò a fondo nel tentativo di metterla a fuoco, le ossa gli dolevano, e sentiva gli occhi bruciare.
Si sfiorò la nuca, le sue mani erano coperte da una stoffa blu, elegante, adatta alla serata, ma ormai troppo grande per lui. Si contrasse sfilando i piedi dalle scarpe enormi.
"bentornato!" disse Ai sorridendogli
"mettiti i tuoi vestiti, veloce" aggiunse lanciandogli addosso gli abiti che indossava fino a poco prima
"quanto....quanto è durato?" sussurrò lui affannato, quasi sorpreso di udire quella voce da bambino.
"venticinque ore" rispose impassiva
"credo che sia il massimo che può raggiungere, per ora"
La bambina si alzò dirigendosi verso l'uscita della toilette senza degnarlo di uno sguardo.
"meglio che ti sbrighi, qualcuno ti sta aspettando, di là" fu la sua ultima parola prima di chiudere la porta dietro di se .
"Ran!" gridò, ripercosso da quel ricordo.

Il salone era immenso, si poteva vedere tutta la città da quell'edificio, d'altronde, era uno dei ristoranti più costosi di Tokio.
Corse attraverso i tavoli dal quale si poteva ammirare il panorama, il luogo più romantico, dove aveva avuto intenzione di rivelarle tutto, ma ormai non sarebbe più successo.
Finalmente la vide. Era appoggiata contro la lastra di vetro, con la mano destra sotto il mento, sul viso un'espressione impaziente, era ovvio che lo aspettava da parecchio. L'eleganza del suo vestito era notevole,verde acqua leggermente sbiadito. Si era pettinata con i capelli all'indietro, in modo da poter risaltare il suo viso, che quella sera brillava più della luna. Sugli occhi non c'era alcuna traccia di trucco, non ne avevano alcun bisogno in fondo, data la bellezza che li caratterizzava. Non appena lo riconobbe tornò in posizione eretta.
"Conan, cosa ci fai qui?" gli chiese donandogli un sorriso.
esitò un attimo prima di rispondere,cercando un modo di dirglielo senza ferirla. Non esisteva.
"mi manda Shinichi" disse infine cercando di essere più spontaneo possibile.
"si scusa, ma è dovuto andare via con l'ispettore Megure. Spera che tu lo perdoni. Ecco, ha lasciato la sua carta di credito con il quale potrai pagare" le porse la carta d'oro sorridendo.
Quella che vide allora non fu la ragazza che conosceva.
Rimase impietrita dinnanzi a quella carta che stringeva tra le mani, si mordeva nervosamente il labbro inferiore cercando di trattenere le lacrime che facevano sintillare i suoi occhi chiari.
"mi ha lasciato di nuovo sola...." sussurrò.
La reazione di Ran lo spezzò in due..... la sua anima era divisa ta colui che voleva proteggerla e colui che voleva a tutti i costi riverlarle ogni cosa, compreso ciò che provava per lei.
 "Shinichi mi ha detto di dirti..."
"No!basta! non voglio sentire!tanto è un bugiardo!" gridò Ran tappandosi le orecchie con le mani.
Una serie di lacrime salate iniziarono a rigarle il volto scivolando lungo il mento e cadendo sul tavolo senza alcun controllo.
"giuro che orma non ne posso più di tutte le sue scuse...." sibilò a denti tretti.
Lui non poteva far niente, nient'altro che soffrire in silenzio in attesa che il dolore si placasse da se, ma non era difficile....era insopportabile.
"Ran!ran! sono qui, sono io!" avrebbe voluto gridare queste parole in eterno, avrebbe voluto abbracciarla, asciugarle le lacrime....ma non poteva.
"Shinichi mi ha detto di dirti....che un giorno lui starà accanto a te per sempre, tornerà da te anche a costo della sua vita, per questo motivo devi aspettarlo" alzò lo sguardo guardandola dritta negli occhi.
"vuole che tu lo aspetti con fiducia Ran, lui tornerà, l'ha giurato"
"Conan?" chiese una voce alle sue spalle.
Si voltò vedendo Ayumi che lo guardava perplessa.
"che ti prende? dove stai andando, questa non è la strada per la nostra scuola" disse indicando la via del liceo Teitan.
Si voltò indietro, aveva imboccato la via del suo liceo, senza neanche accorgersene.
"scusate, ero..." i suoi occhi caddero su Ai.
Dal modo in cui lo fissava doveva essere rimasta a guardarlo per parecchio tempo, ma non era lo sguardo che conosceva, quello duro e freddo che indicava la sua colpevolezza. Per la verità sembrava che lei non si fosse neanche accorta della sua distrazione. No, Ai aveva uno sguardo preoccupato e in qualche modo spaventato, aveva bisogno del suo aiuto, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
"...sovrappensiero..." terminò distrattamente.

Da quella mattina non gli aveva più rivolto la parola, da dopo che lui l'aveva svegliata dal suo incubo e le aveva chiesto cos'è che non andasse.
Rimaneva seduta, nel posto accanto a lui, mantenendo impassiva il suo silenzio agghiacciante.
Le si avvicinò cercando di sfiorarle la spalla
"Ai, mi vuoi dire cosa.."
"Tu, Edogawa!" intervenne improvvisamente la maestra.
Non aveva seguito la lezione fin dall'inizo, percui sentirsi chiamare lo fece sobbalzare. La maestra sembrò non accorgersene.
"Allora, hai mai sentito parlare di Shakespeare?" chiese.
Fece un sospiro, per fortuna conosceva già la risposta.
"Bè, William Shakespeare è stato uno dei più importanti drammaturghi di sempre, nonchè un poeta inglese, vissuto intorno al 1564. Delle sue opere facevano parte circa 38 sesti teatrali, 154 sonetti e una serie di altri poemi. Dopo la sua morte..."
Ai gli diede un calcio sotto il banco gelandolo con lo sguardo.
Si girò nuovamente verso la maestra che lo guardava pietrificata. Capì cosa voleva dirgli l'amica.
"o almeno, credo sia così....me lo aveva detto ieri il padre di Ran, perchè dice che non dovrei essere così ingnorante in fatto di poesia....ma la maggior parte di quello che mi ha detto non l'ho capito, era una roba complicata e incomprensibile" rise, forse in modo fin troppo infantile. La maestra gli restituì il sorriso tornando alla lavagna.
"Fa bene il detective Mouri a curarsi della tua educazione, lo dovrebbero fare tutti i padri" aggiunse cominciando a scrivere un'esercizio.
"il MIO lo fa" pensò tra sè.
"Idiota" sibilò Ai.
Il suono della campanella coprì la sua risposta.
La bambina prese la cartella precipitandosi in corridoio, cercando di ignorare il fatto che lui la stesse seguendo.
"Ai, si può sapere cos'hai?" urlò cercando di tenere il suo passo.
nessuna risposta.
"Haibara!" le afferrò il braccio per farla voltare. Con uno strattone si liberò ricominciando a camminare "lasciami stare Kudo!" bisbigliò
"Shino..." disse infine fermandosi immezzo alla folla di bambini.
Ai si voltò verso di lui fulminandolo con lo sguardo, lui sapeva benissimo quanto lei detestasse essere chiamata con il suo vero nome, tantomeno in un luogo pubblico.
Con tutta risposta lui le mostrò un sorriso maligno a  venticinque denti. Questo significava che aveva vinto quel round.
Ai sospirò e incominciò a camminare lentamente, in modo che lui la potesse raggiungere.
"allora? cosa c'è?" chiese nuovamente non appena la folla cominciò a dileguarsi.
Lei alzò le spalle "Sono nervosa, tutto qui. Sono un paio di notti che non riesco a dormire."
"a causa dei tuoi sogni?"
Ai rabbrividì. Ciò significava che aveva centrato nel segno.
Per un po' si limitarono a camminare, in silenzio. Lui palleggiava distrattamente sul ginocchio mentre lei fissava in continuazione il pavimento. D'un tratto si arrestò.
"dimmi una cosa....." sussurrò Ai.
smise di camminare anche lui,fermando il pallone con il piede.
"..tu..cosa faresti...se un tuo amico, una persona che tiene veramente a te...ti chiedesse di andartene, lasciarlo in un posto che tu sai essere pericoloso...abbandonarlo."
fece una pausa respirando a fondo.
"cosa faresti se sapessi che rimanendo non provocheresti altro che la morte di entrambi......mentre se te ne andassi  lo condanneresti comunque a una fine orribile"
Per la prima volta da quella mattina, Ai sollevò lo sguardo incrociando il suo.
".....cosa?....." ripetè tremante.
Conan prese la sua mano e la strinse tra le sue, lei lo guardò con un'espressione che non seppe riconoscere. Ma lo strinse anch'ella.
"io non ti abbandonerò mai, mai Ai, hai capito?" disse senza staccare i suoi occhi dagli azzurri di lei.
"anche se sapessi che rischio la vita, che forse non potrei fare più niente, non ti lascerei sola lo stesso.Sei mia amica."
Ai sussurrò qualcosa , ma fu talmente fievole la sua voce che lui non lo udì.
"è una promessa" aggiunse infine.



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Capitolo 3
*** il corvo sanguinario ***


il corvo sanguinario                                  
                                                 

                                                                  IL CORVO SANGUINARIO


L'uomo indietreggiò portando le mani davanti al viso.
"cos....cosa vuoi da me?" chiese esitante tremando.
Lui non rispose. Stava davanti al pescatore,coperto da un mantello nero.Il revolver puntato alla sua tempia.
"io sono il corvo nero" disse sogghignando.
Un attimo dopo l'uomo fu steso a terra, due rivoli di sangue cominciarono a uscirgli dalla testa e a macchiare l'asfalto.L'uomo nero lo fece voltare a pancia in su strappandogli la camicia.
"...E tu devi riferire un messaggio..." tirò fuori dalla tasca un oggetto.
".....ad un mio caro amico." il bisturi brillò illuminato dalla luna.

"Insomma ma quanto ci metteremo ad arrivare a questo maledetto circo?" si lamentò Conan portando le mani dietro la nuca.
"Ancora poco, dovrebbe essere qui vicino" commentò Mitzuiko consultando il deplian.
Sbuffò. Niente era più demenziale e crudele di animali chiusi in gabbia costretti a fare movimenti per nulla naturali, per non parlare di quegli uomini, che credevano fosse divertente dipingersi il viso e dare forme strane alla bocca, ai cappelli e agli occhi facendo facce che dovrebbero far ridere i bambini. Rabbrividì.
"hai paura dei clown?" chiese Ai inespressiva caminandogli affianco.
Lui sbiancò "ma che diavolo dici?!?"urlò imbarazzato.
Ai non potè trattenere un risolino maligno "ne immagino il motivo.Sai, i bambini di quattro anni non dovrebbero spiare di nascosto i genitori mentre guardano i film d'orrore, possono rimanere traumatizzati" si divertì guardando il volto paonazzo dell'amico.
"chi...?" tossì Conan.
"il Dottore" commentò.
"Non si può nascondere nulla ad un'amico d'infanzia" gli fece un'occhiolino.
"Eccolo!" gridarono eccitati i bambini correndo verso il telone.
Ayumi prese Conan per il bracciò trascinandolo con sè.
"Hai vi sto che bello, Conan? sono così eccitata!Non vedo l'ora di vedere i cavalli, le tigri, i mangiatori di fuoco,i maghi,i clown..."
"che bello...." fece eco lui lasciandosi uscire una risatina isterica.
"se non avessi promesso al Dottor Agasa di tenerli d'occhio..." persò tra sè.
Si fermarono davanti al telone rosso esaminando l'entrata, non c'era alcun spettatore in attesa d'entrare, nè alcuna persona che distribuisse i biglietti d'ingresso. Mitzuiko controllò l'ora: 2:07. Era l'ora citata dal deplian.
"che sia già cominciato lo spettacolo?" disse Genta tristemente.
Ai alzò gli occhi guardando un cartello ingiallito attaccato all'ingresso.
"SI COMUNICA CHE A CAUSA DI LAVORI IN CORSO LO SPETTACOLO SARA' RINVIATO FINO A NUOVO ORDINE" lesse a voce alta.
Sui volti dei bambini si disegnò un' espressione delusa.
"che sfortuna" mugolò Ayumi.
"avrei tanto voluto vedere le tigri..." aggiunse Genta.
Mitzuiko sollevò il telone sbirciando all'interno. "ragazzi! qui è pieno di oggetti e macchinari strani, venite a vedere" urlò entusiasta.
I due bambini gli furono accanto dopo pochi secondi.
"accidenti! è incredibile! quella laggiù sembra una scatola da mago, e quelli dei cerchi di fuoco per far saltare le tigri!"
commentò Ayumi su di giri.
 "venite anche voi avanti" dissero agli amici cominciando a sparire dietro il telone.
"Ehi, aspettate!" protestò Conan. Dall'esterno si cominciarono a sentire risate e suoni di scatoloni spostati.
"bambini" bisbigliò seccato.
Ai cominciò a scendere la collinetta dirigendosi verso la strada. Si mise le mani in tasca estraendo il portamonete rosso e cominciando ad estrarre una manciata di yen.
"è meglio che vada comprare i biglietti dell'autobus" disse rivolta all'amico.
"qualcosa mi dice che questo spettacolo durerà molto meno di ciò che temevi" sorrise allontanandosi.
Sorrise anche lui, voltandosi nuovamente verso quel telone rosso e nero. Guardandolo serio, pensieroso. E sentendo una stretta allo stomaco.
"no, non è per quel motivo che temo quei personaggi del circo" pensò tra sè mordendosi nervosamente il labbro.
ed ecco che d'improvviso, il ricordo giunse:
Si svegliò bel mezzo del tardo pomeriggio, il sole stava calando. La leggera brezza autunnale gli accarezzò il viso dolcemente. Aprì gli occhi perlustrando la stanza incuriosito. Era deserta.
"mamy?" chiese esitante con voce da bambino.
nessuna risposta.
"papà?" si mise seduto sul divano controllando nelle varie stanze.
Entrò in cucina, sulla tavola c'era un piatto con sopra una pellicola trasparente, dentro degli spaghetti di soia da scaldare.
gli tremò il labbro inferiore.
"mi hanno lasciato solo!" si sedette a terra scoppiando in lacrime.
In quel periodo i suoi genitori non si trovavano mai in casa, Yusaku Kudo era sempre intento a scrivere e a pubblicare i suoi romanzi gialli, mentre Yukiko Kudo era ancora alle prese con il film che sarebbe uscito di lì a poco.
Si sfregò gli occhi con i pugnetti guardando fuori dalla finestra, il lampadario della casa della signora Layano era accesso, sorrise.
Durante i week end era la signora Layano a prendersi cura di lui, una donna di mezza età molto arzilla, lo portava sempre in posti divertenti come luna parck, giardini, piscine o circhi....lui adorava i circhi!
Aprì la porta di casa salendo sulla seggiola, dopodichè la chiuse dietro di lui attraversando il giardino trotterellando. Lei lo avrebbe certamente accolto, era sempre così premurosa e amichevole. Sperava tanto che avesse con sè i cioccolatini che gli offriva ogni volta che le faceva visita. Si leccò le labbra aggacciandosi alla maniglia della porta.
L'interno della casa era oscurato. Tutte le persiane della casa erano tirate giù in modo che non si potesse scorgere nulla dall'esterno. Forse la signora stava riposando.
"signora Layano?" chiamò timidamente.
sentì un rumore provenire dalla stanza accanto.
Si diresse verso il soggiorno sorridendo dolcemente. La stanza era oscurata, come il resto della casa, ma le persiane erano leggermente aperte, in modo che entrassero raggi di luce dal quale si poteva vedere l'intera sala. Un uomo era inginocchiato di spalle al centro del tappeto color porpora.
"E tu chi sei,signore?" chiese ingenuamente il bimbo.
La figura si voltò verso di lui guardandolo minaccioso, portava una parrucca, riccia e rossa, sul viso aveva delle sfumature bianche ed arancioni, i contorni della bocca erano all'insù contornati dal nero ed il rosso, le sopracciglia verdi. Sorrise entusista.
"Sei un clown!" gridò.
L'uomo gli si avvicinò scoprendo la figura dietro di lui. Il bambino inclinò la testa incuriosito.
"Che cosa fa la signora Layano?dorme sul pavimento?bisognerebbe metterla a letto"
Il clown gli mostrò un sorriso maligno amplificato dall trucco intorno alle sue labbra, estrasse qualcosa dalla tasca che brillò al contatto con il sole.
Lui lo guardò intimidito arretrando di un passo, i clown non sorridevano così, era strano...lo spaventava.
Emise un gemito portando le mani avanti. L'uomo gli afferrò la spalla stringendola tanto da fare in modo che si avvicinasse a lo guardasse dritto negli occhi. Erano neri come la notte.
"cosa fai?lasciami, mi fai male!" mugolò il bambino dimenandosi.
"su,non avere paura piccolino, finirà presto...."disse il clown portandogli la lama del coltello sulla gola.
"solo i vigliacchi hanno paura, mai un vero uomo"gli strinse i capelli con la mano,costringendolo ad inclinarla all'indietro. Gli uscì un gemito.
"Ahia!smettila!smettila!"urlò cercando di colpirlo con i suoi fragili pugnetti.
Qualcuno bussò.  
"scusate, c'è qualcuno? signora Layano? c'è qualcuno?"disse una voce da fuori. una voce famigliare per lui.... suo padre. Suo padre era tornato.
"Maledizione!" disse l'uomo allentando di un poco la presa, tanto da poter permettere al bambino di vedere la persona stesa a terra.
Un raggio di sole passava attraverso le tapparelle colpendo la donna in viso. Le pupille di lei erano completamente bianche,dalla bocca colava un liquido rosso, sparso anche tutt'intorno al corpo.Le unghie delle dita erano spezzate.
Non avrebbe mai creduto di riuscire ad urlare così forte, in una frazione di secondo, un grido disperato e terrorizzato uscì dalla sua gola con una violenza inaspettata, una serie di lacrime uscirono dai suoi occhi serrati nel tentativo di cacciare quell'immagine macabra.
"sta zitto!" ringhiò il clown afferrandolo con forza per la gola. Si sentì  mancare
il fiato.
"questo grido, veniva dalla casa! io lo conosco...è...è mio figlio! li dentro c'è il mio bambino!fate qualcosa!"urlò una voce femminile....la conosceva...sua madre!
"sfondiamo la porta, svelti!" disse una voce che non conosceva.
La porta iniziò a tremare.
L'uomo mollò la presa al collo del bambino che lo stava graffiando con le unghie cercando in tutti i modi di liberarsi e sfondò il vetro del soggiorno scappando lungo il retro del giardino.
Cadde a terra cominciando a tossire disperatamente quasi soffocato da quella presa di ferro.
La porta cedette con un ronbo.
"Shinichi!" urlò Yukiko prendendolo tra le braccia in lacrime.
gli uscì un gemito soffocato.
"mio dio cercate un dottore, presto!non riesce a respirare!"gridò disperatamente.
L'assassino della signora Layano non fu mai trovato. La polizia disse che si trattava di un serial killer capitato in quel quartiere per puro caso.
Due settimane più tardi si trasferirono a Tokio.
Quello fu il primo omicidio a cui Shinichi Kudo assistì.
Un urlo acuto interruppe i suoi pensieri, quello che urlava non era lui, e quello non faceva parte dei suoi ricordi,no, era presente ed era vero.
Cominciò a correre rapidamente in direzione della voce.
"Ai!Ai, che succede?" gridò raggiungendola nel vicolo.
Si copriva il volto con le mani, rannicchiata in un angolo tremante.Una serie di lacrime le uscirono dagli occhi.
"è.....è...orribile..." singhiozzò.
Conan guardò all'interno del vicolo cieco. Un uomo di circa quarant'anni era steso contro il muro, le palpebre erano spalancate, da un lato della testa un buco ricoperto di sangue rappreso. La sua maglia bianca era squarciata, e sul suo petto erano state incise delle parole.
Si avvicinò leggendo le profonde chiazze rosse nello sterno:
"PICCOLO CORVO, DIMMI PERCHE' PIANGI..."
Gli si mozzò il fiato, rimanendo immobile davanti al cadavere squarciato.
"Seven children" pensò tra sè sbiancando.
"dobbiamo chiamare la polizia!" mugolò Ai ancora con il viso tra le mani.
"no" sussurrò lui. 
"la polizia non può aiutarci questa volta" lanciò un'altro sguardo al morto.Dopo le prime note della canzone, c'era una firma: Rum, il corvo nero.
"qui c'è di mezzo l'organizzazione!"urlò battendo con rabbia il pugno in terra.





 

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Capitolo 4
*** Nel mirino del serial killer ***


nel mirino del serial killer

                                                    NEL MIRINO DEL SERIAL KILLER


"Ne sei proprio sicuro Shinichi?" chiese il dottore con aria terrorizzata.
Lui annuì.
"Si, non c'è alcun dubbio, le parole che abbiamo trovato incise sul petto di quell'uomo erano le strofe iniziali di "seven children" scrutò la cartina segnando con una "x" il luogo in cui avevano rinvenuto il cadavere.
"Vale a dire la canzone le cui note musicali formano il numero di cellulare del Capo dell'organizzazione"
Ai non aveva più parlato da quando erano tornati dal circo, era rimasta in disparte tenendosi stretta a sè, come cercando in qualche modo di superare lo shock di ciò che aveva visto.
D'un tratto aprì bocca.
"Però è strano....l'organizzazione non è solita ad esporsi così, non lascerebbe mai un cadavere in così bella mostra, per di più ridotto in quello stato".sussurrò.
Conan la guardò con uno sguardo indagatore "Conosci questo Rum?"domandò
Lei scosse la testa senza guardarlo. Lui proseguì.
"Quella non è l'unica cosa strana.....il sangue sul corpo era rappreso, ciò significa che dev'essere morto da parecchio tempo.Ma tutt'intorno al cadavere non erano presenti tracce di sangue, nè sul muro, dove dovrebbero esserci macchie dello sparo"
Ai alzò lo sguardo gonfio di pianto verso di lui "dove vuoi arrivare?"
Lui sorrise lanciando un'occhiata alla cartina, dunque nuovamente a lei "E' stato spostato".
D'improvviso sentì una fitta dolorosa al petto, quanto un colpo scagliano con una lamina di ferro. Quel ricordò ritornò. quel sogno....
"Si Ai, non c'è altra spiegazione, il corpo è stato spostato in quella via da qualcuno.Se la mia intuizione è giusta il serial killer ha intenzione di colpire di nuovo lì intorno." disse guardando la cartina della città.
Si alzò dunque di scatto "Devo andare a dare un'occhiata per assicurarmi di essermi sbagliato"Fu la sua ultima parola prima di uscire.
"Non andarci" sussurrò con il viso tra le braccia prima ancora che lui dicesse qualcosa.
Conan la guardò con aria sorpresa.
Dunque abbassò lo sguardo.
"devo andarci, posso essermi sbagliato.Devo averne la certezza" disse con voce neutra.
Fulmineamente Ai sollevò la faccia rigata dalle lacrime alzandosi dalla sedia e cadendo in ginocchio.
"No!no!no! ti prego non andarci! ti uccideranno! ti sconghiuro, non farlo!" singhiozzò disperatamente affondando le unghie nella sua camicia.
Conan rimase impietrito. Ai lo stava pregando,era disperata. Non avrebbe mai creduto di poterla rivedere in quello stato. Non avrebbe mai creduto che avrebbe potuto piangere a tal punto per un'altra persona al di fuori di lei.
"e così, quella ragazza era tua sorella....."sussurrò incapace di trattenere il dolore che lo stava inondando.
"Esatto" sibilò la scienziata dell'organizzazione.
"tu che sei così bravo....perchè non hai capito quello che stava succedendo?perchè non hai aiutato anche lei salvandola da quella brutta fine?" urlò con un tono trozzato. I suoi occhi azzurro ghiaccio erano arrossati dalle lacrime.
Lui rimase paralizzato. Senza riuscire a far uscire una sola parola.
"dimmi perchè? perchè non l'hai salvata....." la ragazza si gettò sulle ginocchia afferrandogli la camicia. La sua voce strozzata dai singhiozzi e dalle lacrime.
Non poteva dire niente. Era colpa sua. Lui aveva lasciato morire sua sorella e lui non era stato in grado di aiutarla. Era colpevole almeno quanto colui che aveva premuto il grilletto.
La guardò di nuovo, tremava, scuoteva la testa come nel tentativo di convincersi che era tutto un'assurdo incubo.
Quella era la donna che lo aveva ridotto in quello stato. Quella era la donna che per mesi aveva giudicato la più crudele e senza cuore dell'universo. Ed ora era lì, più indifesa e fragile di un cucciolo.
Come avrebbe mai potuto odiare una creatura così?
"non andare" ripetè nuovamente.
Conan chiuse gli occhi stringendola a se. Non avrebbe mai voluto farle del male di nuovo.
"mi dispiace Ai...." sussurrò. Un attimo dopo la ragazza cadde svenuta tra le sue braccia.
Il dottor Agasa prese Ai in braccio e la appoggiò delicatamente sul suo letto, dunque si girò verso di lui con uno sguardo di rimprovero.
"Hai esagerato questa volta, Shinichi" disse accigliato.
Conan si diresse verso l'uscita prendendo la carta della città e infilandosela in tasca.
"Non avevo intenzione di ferirla" disse indossando la giacca di jeans.
"Ma devo fare tutto il possibile perchè sia al sicuro...Vermounth dopo il nostro ultimo scontro aveva detto che avrebbe rinunciato a lei, ho fatto male a darle retta."ringhiò.
Il dottore lo guardò con aria preoccupata. "dici che qui è al sicuro?"
Lui scosse la testa. "non ne sono più così convinto....sarà meglio portarla altrove, il prima possibile."
Si girò a fissare l'amico.
"Dottore, ha idea di dove potreste andare, finchè non capisco qualcosa di più su questa faccenda?"chiese.
L'uomo corrugò la fronte stringendo i pugni.
"Fidati di me, non permetterò a nessuno di toccarla."

Era una bella giornata, il sole picchiava forte, nonostante fosse pieno autunno. Si guardò intorno.
Pareva che nessuno degli abitanti del quartiere si fosse reso conto di ciò che era accaduto il giorno prima.
Quell'uomo era stato cauto, sicuramente aveva compiuto l'omicidio durante un'ora in cui era certo di non incontrare nessuno, esluso un povero pescatore che amava svegliarsi all'alba per compiere il suo mestiere indisturbato.
Ma se il corvo nero aveva spostato il corpo significava che aveva intenzione di compiere un'altro delitto proprio lì, in quella zona.
Quindi era possibile che, durante il giorno, qualcuno lo avesse visto nei paraggi.
"scusate" disse fermando una signora che teneva per mano una bambina che dimostrava circa cinque anni .
Le sorrise angelicamente,intento a sembrare un'ingenuo bambino.
La signora si fermò ricambiando il sorriso.
"ciao piccolo, cosa c'è?" chiese la donna.
Conan si portò una mano alla testa ridendo, fingendosi imbarazzato.
"non è che per caso lei ha visto in uno di questi giorni, qui intorno un uomo....ehm...vestito di...nero?"disse esitante.
La signora abbassò lo sguardo pensierosa.
"un uomo vestito di nero, ragazzo? Bè, non saprei dirti...ne gira tanta di gente qui"disse infine.
Aveva ragione, ci saranno state centinaia di persone che si vestivano di nero, e senza una descrizione più accurata non sarebbe mai riuscito a trovare quell'uomo. Tra l'altro anche se avesse rintracciato qualcuno che aveva intravisto un tipo sospetto, non avrebbe mai avuto la certezza che fosse proprio lui, perchè non aveva mai visto nè il suo viso nè la sua corporatura.
"io ho visto un signore" disse timidamente la bambina da dietro le gambe della madre.
Conan si inghinocchiò per poterla vedere meglio. Era bionda, gli occhi color nocciola. Portava due buffi codini ai lati della testa che facevano ricadere i suoi capelli orati sulle orecchie coprendole quasi del tutto.
"sul serio, dove?" domandò cercando di non spaventarla.
Lei gli sorrise.
"Andava ad una festa in maschera, vero? si era travestito tutto di nero, e sulla faccia aveva una specie di sciarpa che gli copriva la bocca e il naso, sembrava..." esitò un attimo
"..sembrava un corvo!" aggiunse infine trionfante.
Per un'attimo sentì il fiato morire in gola. Era lui.
"però non è carnevale,adesso è un po' sciocco andare per la strada travestiti,no?" disse la bambina ridendo.
"Si, hai ragione" sorrise anche lui con aria poco convinta.
"però, credo che il signore si sia perso..."aggiunse infine.
Conan la guardò con aria interrogativa. "perso?" chiese.
Lei annuì.
"Si, l'ho visto guardarsi intorno, magari era spaventato, perchè era già tardi e non ricordava la strada di casa....è entrato in quel vicolo." disse indicando con il ditino minuto il vicolo poco più in là.
Lui seguì il suo sguardo fino all'altro lato della strada. Le accarezzò la testa.
"grazie piccola, sei stata di grande aiuto"
Ringraziò anche la signora, ma quando fece per andarsene la bambina gli tirò la camicia.
"aspetta, come ti chiami?" gli chiese.
Le mostro un sorriso smagliante.
"Conan Edogawa, detective privato"

Il vicolo era in penombra, poco illuminato. Nell'aria albeggiava un vago odore di marcio, che probabilmente proveniva dai cassonetti della spazzatura.
"cosa può aver lasciato?" si chiese cominciando a frugare tra l'immondizia.Pareva che forse l'uomo si fosse diretto lì semplicemente per buttare la spazzatura, oppure la bambina si era sbagliata.
Improvvisamente suoi occhi caddero in terra.
Dietro a tutti i cassonetti, ben nascosta in modo che non si potesse vedere, c'era una coperta verde.
La esaminò. Sembrava vecchia e malandata, non doveva essere stata usata da parecchio tempo. Sui lati e nel centro c'erano macchie rapprese di color rosso scuro.
Ebbe un sussulto e la lasciò ricadere in terra.
"sangue?!?" pensò allarmato.
Istintivamente, afferrò la coperta e la sollevò di schianto.
Ciò che vide gli chiuse lo stomaco.
Si portò la mano sulla bocca e serrò gli occhi cercando di scacciare la sensazione di vomito che lo invase.
Non ci riuscì.
Si precipitò dalla parte opposta del vicolo e inclinò violentemente la testa in avanti totalmente pervaso dalla nausea, sentì usire dalla bocca un liquido acido e denso che non fece altro che farlo sentire ancora peggio, tossì cercando disperatamente di placare la voglia di rimettere nuovamente.
Affondò la testa pulsante tra le dita respirando affannosamente e deglutendo a fatica.
"Un mostro...quell'uomo è un mostro!" urlò dentro di sè.
Sulla terra del vicolo si trovavano pezzi di carne, brandelli di ossa insanguinate e parti interne a malapena riconoscibili. Neanche con la più accurata delle autopsie si sarebbe riuscito a capire quante persone erano. Nè a che sesso appartenessero.
Le varie ossa, delle gambe, delle braccia o delle costole emanavano un vago odore di marcio.Ed erano state messe in modo da formare una parola a lettere cubitali:
"SHINICHI KUDO"
Portò le mani sul viso trattenendo le urla di orrore che avrebbe voluto far uscire.
"Quell'uomo non sta cercando Ai...sta cercando me. Tutta questa gente sta morendo a causa mia!"














 

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Capitolo 5
*** Trappola ***


trappola  


                                                                     TRAPPOLA


La leggera brezza pungente dell'alba le sfiorò la guancia facendola rabbrividire. Con una lentezza misurata riaprì gli occhi mettendosi seduta sul divano, sentiva la testa  girargli vertiginosamente e pulsare a ogni minimo movimento.
"Dove sono? cosa è successo?"pensò massaggiandosi le tempie.
Osservò tutt'intorno a se.
La camera era in penombra, da fuori si poteva scorgere ancora la luce chiara della luna. Intorno a lei c'erano vari oggetti e  mobili impolverati, quella casa doveva essere rimasta disabitata per parecchio tempo.
"Finalmente ti sei svegliata, cominciavo a preoccuparmi" disse una voce famigliare.
Ai si voltò a guardare l'uomo di mezza età steso sul divano affiancato al suo.
"Professore....dove siamo..perchè..?" sussurrò frastornata.
Lui le si avvicinò aiutandola a mettersi seduta, evidentemente l'effetto del narcotico non era ancora svanito del tutto.
"Tranquilla, sei al sicuro. Shinichi ha voluto prendere precauzioni perchè temeva per la tua incolumità"
Un brivido freddo le percorse la schiena. Balzò in piedi di scatto.
"Shinichi! Dov'è?sta bene?" chiese terrorizzata. Nella sua mente comparve nuovamente quell'immagine straziata che le provocò una fitta al petto.
Il dottore le cinse le spalle cercando di tranquillizzarla.
"non preoccuparti Ai, Shinichi sa badare a se stesso, e poi non c'è motivo di stare in pensiero. E' semplicemente andato a fare una ricognizione del quartiere e a controllare se per caso il killer avesse lasciato indizi"
La ragazza ricadde sul divano affondando la faccia nel cuscino.
"Stupido!stupido! Cocciuto di un detective! Anche se gli puntassi una pistola alla tempia non mi ascolterebbe comunque!" ringiò dentro di sè.
"Lo fa per il tuo bene Ai, lo sai" disse il dottore accarezzandole i capelli.
"E quando mai? Quello pensa a tutti tranne che a se stesso" non rispose.
Alzò lo sguardo dal guanciale improvvisamente incuriosita dalla stoffa morbida e calda che era appoggiata sulla sua pelle. Era un maglione. Il colore era verde poco acceso con vaghi accenni di rosso,un cappuccio dello stesso colore.
La copriva dal petto fino alle ginocchia, troppo grande per lei, ma troppo minuto per il dottor Agasa. Gli rivolse un sguardo perplesso.
Lui capì.
"E'...è di Shinichi. Credo l'abbia lasciata da me il giorno che....bè...lo sai.." balbettò il dottore imbarazzato.
Ai osservò meglio la manica verde che le copriva tutta la mano, si sentì avampare.
"E' suo.." nel silenzio della stanza riuscì chiaramente a sentire i battiti del suo cuore che aumentavano. Per un'attimo lo sentì presente come se fosse accanto a lei. Assaporò il piacere della stoffa morbida che le accarezzava il corpo. Immaginò come fosse abbracciarlo, sentire quel calore addosso, il suo respiro, il suo profumo inebriante si trovava ancora su quell'indumento dopo così tanto tempo....
Si immaginò come fosse stato allora, quando era tanto grande da indossare perfettamente quel maglione. Certo, lo aveva già visto da adulto, ma a quel tempo non aveva avuto occasione di osservarlo bene come avrebbe voluto.....non aveva avuto occasione di ammirarlo.
Ad un tratto si rese conto che aveva cominciato a sospirare.
"Scusi dottore, sono stanca, forse è meglio tornare a dormire..." sussurrò con leggera esitazione, ma il dottore sembrò non farci caso.
"Si, hai ragione. Buona notte Ai" disse stravaccandosi nuovamente sul divano accanto al suo.
Ai si appoggiò su un fianco con una lentezza misurata, si srinse a sè e sul suo volto si disegnò un sorriso.
"Kudo" sospirò.

"Kudo? che succede?" chiese preoccupato Heiji Hattori all'amico. Quando lo aveva chiamato aveva capito dal suo tono che c'era qualcosa che non andava.
"Ora non posso spiegartelo"sussurrò lui cupo."Ho solo bisogno che tu dica a Ran che starò da te per un po', inventati una balla qualsiasi, non m'interessa."
Heiji protestò "Ah no, eh. Se devo dire una bugia almeno devo sapere perchè" replicò.
"E' solo per il suo bene" sussurrò
Il ragazzo di Osaka rimase silente. Che stava succedendo? Perchè Shinichi non gli diceva nulla?
Osservò la cornetta del telefono provando ad immaginare l'espressione dell'amico. Non lo aveva mai sentito così nervoso e vago, doveva essere successo qualcosa di grave.
"Ok, però dammi almeno un'indizio"
"Fai quello che ti ho detto e basta!!" urlò Conan dall'altro capo in modo così furioso che persino con la sua voce fragile da bambino lo spaventò.
Rimasero in silenzio per qualche minuto.
"..per favore" disse infine con voce rotta. Non era felice di avergli urlato contro.
"Ti sei messo nei guai, Shin" sussurrò infine Heiji, non era una domanda.
Conan fece un mezzo sorriso come per convincere l'amico del contrario benchè non potesse vederlo.
"No, ma che dici? Ho solo un caso grosso tra le mani, e credo che mi ci vorrà parecchio tempo per risolverlo, e sai come fatta Ran, no? Non voglio solo farla preoccupare inutilmente....tutto qui"
"ma a chi la racconti" pensò tra sè il ragazzo dall'altro capo. Serio.
"Scusa Hattori, ora devo proprio andare, ci sentiamo. Grazie"
"Asp.." chiuse la conversazione.
Era inutile mettere immezzo pure lui, meno persone venivano coinvolte in quella faccenda e meglio era. Se si fosse tenuto alla larga da tutti coloro che conosceva forse il killer gli avrebbe risparmiati.
Quelle parole suonarono così false pure a lui.
Non avrebbe risparmiato nessuno.
Si morse con nervosismo il labbro. Eppure doveva esistere un modo per poter incastrare quel tipo.
"possibile che non abbia lasciato nessun indizio? qualcosa..."
Prese in mano la cartina guardandola con insistenza. Su di essa era tracciata un'altra "x" che indicava il secondo punto di ritrovo. Il ricordo lo fece sussultare.
Un lampo lo perforò. Osservando con attenzione la carta tracciò mentalmente una linea che congiungeva i due omicidi, dalle due parti opposte del quartiere.
Il risultato lo paralizzò per qualche secondo.
"NO!" urlò con voce roca, gettando in terra la cartina e iniziando a correre disperatamente.
"No!no,no! sono uno stupido!" pensò saltando sullo skate e partendo a tutta velocità in direzione della casa del dottore.
"Ai, resisti sto arrivando!"
La strada iniziò a sfrecciare a tutta velocità intorno a lui, benchè desiderasse ardentemente di poter andare più veloce.
Le immagini cominciarono a susseguirsi in ordine regolare davanti ai suoi occhi. Come aveva fatto a non capirlo prima? Era talmente ovvio....
Frenò di schianto non appena fu davanti alla casa con le pareti color panna. "Sono qui Ai!"
Si abbassò girando la manopola della sua scarpa sinistra e caricando il calcio al massimo.
Dopo un rombo la porta di legno cedette.
Si precipitò nella casa.
"Dottor Aga....."
Con un esplosione assordante la casa ebbe un crepitio e prese fuoco, le fiamme si dilagarono lungo tutto il perimetro dell'abitazione, senza lasciare scampo ad alcuna forma di vita.
Poco più in la' una donna con i capelli scuri a caschetto e gli occhi macchiati di matita assistette impassibile alla scena, rimanendo perfettamente immobile contro il muro. Un profondo ghigno le si disegnò in viso.
Dalla tasca estrasse un walkie-talkie e lo portò alla bocca.
"Si, sono io...il topo è caduto in trappola"

Aveva passato un giorno intero, lì in quella casa, sola ad aspettare. E lui non si era ancora fatto vivo.
"Gli è successo qualcosa dottore, me lo sento..." sussurrò Ai guardando l'uomo malinconicamente.
Agasa scosse la testa "Ti fai troppe paranoie ragazza mia, sicuramente sta bene, fidati"
Lei si voltò tornando ad ammirare il tramonto accanto alla finestra.
Forse aveva ragione. Ma allora perchè continuava a sentire quesl senso di vuoto ogni volta che pensava a lui? Perchè non riusciva a darsi pace e il ricordo perenne di quel sogno continuava a tormentarla?
Scese dal divano e infilò le scarpe aprendo la porta. Aveva bisogno di riflettere, sola.
"Ehi aspetta Ai, dove vai?" chiese il dottore seguendola e chiudendo la porta dietro di sè.
"Devo...stare un po' sola...scusi" sussurrò senza degnarlo di uno sguardo.
Scese in strada. Era un quartiere molto povero, deserto. C'erano poche case nei dintorni, e la maggior parte erano disabitate.
Il professore le appoggiò una mano sulla spalla.
"E' pericoloso stare qui fuori...." disse
Lei non gli rispose rimanendo impassibile. Perchè non riusciva a sentirlo? Cos'era quel nodo alla gola che le impediva di respirare?
"Sei scioccata, ti capisco. So come si ci può sentire. Poi, dopo aver assistito alla morte di un povero pescatore innocente" disse il professore sorridendole.
Ai si girò a guardarlo con un'espressione penetrante. Si mosse di qualche passo verso la strada.
"Veramente, dottore..." sussurrò con un velo di paura nella voce.
"....io non ho mai detto che fosse un pescatore" disse senza guardarlo.
L'uomo rimase qualche secondo a fissarla in silenzio, non sapendo che rispondere. Abbassò lo sguardo verso terra.
"Ma davvero? che strano...." sibilò.
Dunque si portò di nuovo su di lei. Il viso sformato da un sorriso anormale per quell'anziano signore.
Ai arretrò di un passo rabbrividendo.
"Che stupida" disse il dottore con una voce pungente. Non la sua.
Si portò la mano sotto il mento e con uno strappo lo sollevò.
Da sotto i capelli grigi e sfibrati uscì una cascata di cappelli lisci e di un biondo platino, i vestiti ingobranti e massicci caddero a terra scoprendo la figura slanciata e snella della donna.
"E pensare che credevo che non ti saresti accorta di un particolare così insignificante, bè, vuol dire che conoscere un detective ha i suoi pregi, non è così Sherry?" chiese sorridendo cupamente.
Ai rimase parallizzata davanti al suo peggiore incubo. La donna avanzava verso di lei, con una lentezza agghiaccinte.
Le gambe iniziarono a tremarle, era lei, lei!
"Corri!corri!"
urlò dentro di sè girandosi di scatto e cominciando a correre in direzione della strada.
Sei occhi maligni spuntarono dall'oscurità coprendole la via di fuga.
Una di loro era una donna, giovane, dimostrava circa trent'anni, i suoi capelli erano marroni a caschetto, i suoi occhi erano coperti da uno strato di matita nera leggermente sbavata.
Accanto a lei c'erano due uomini, uno di loro era alto, con capelli grigi e corti, il viso allungato.
L'altro portava un passamontagna.
Tutti e tre tenevano in mano un fucile.
"dove credi di andare, piccola?" disse sorridendo la donna. La riconobbe, si chiamava Chianty, ed era uno dei due cecchini infallibili dell'organizzazione. L'uomo con i capelli grigi doveva essere l'altro.
Ai si sentì il cuore in gola, accanto a Vermouth era arrivato anche Calvados. Non c'era alcuna via di fuga, era in trappola.
"Shinichi dove sei?" pensò tra sè sopraffatta dal terrore. Ormai non c'era nessuno che la potesse proteggere.
"Che ne avete fatto del dottor Agasa?" urlò guardando Vermouth con uno sguardo pieno di odio e di paura.
La donna rise divertita.
"Non ti preoccupare, tra poco lo rivedrai....insieme al tuo amichetto."
D'un tratto il mondo sembrò come crollarle addosso, ogni speranza, anche minima svanì per sempre. Rimase solo lui. Quel viso.
"Conan..." sussurrò in modo che nessuno dei suoi assassini la potesse udire. Sentì gli occhi gonfiarsi di lacrime disperate. Ma non avrebbe pianto, non le avrebbe mai dato questa soddisfazione.
In fondo, cos'era la vita a quel punto? Lui non esisteva più, e se per rivederlo avrebbe dovuto ricevere una pallottola nel cuore l'avrebbe giudicata la cosa più bella del mondo.
Avanzò verso Vermouth con un'aria di sfida.
"Sei coraggiosa mia cara" disse lei facendo un cenno a Calvados. Lui alzò l'arma nella sua direzione.
"Fai sembre fare il lavoro sporco agli altri, non è così? proprio come con mia sorella" sibilò. Un'ondata di odio la pervase.
Non aveva più paura, voleva solo allontanare lo sguardo di quella donna dalla sua vista.
"Spara!" urlò Vermouth all'uomo.
Ai si portò istintivamente le mani davanti al viso.
Il suono che udì un'istante più tardi non somigliò neanche lontanamente a uno sparo, fu un rumore metallico talmente rapido che a malapena lo avvertì. Subito dopo qualcuno gemette.
Aprì gli occhi. Vermouth aveva uno sguardo  pieno di sorpresa e di orrore.
Calvados era steso a terra e sopra di lui c'erano due fucili. Dal naso cominciò ad uscirgli un rivolo di sangue.
Si voltò stupita a guardare dall'altro lato della strada. L'uomo con il passamontagna in viso teneva la gamba destra ancora precariamente in equilibrio nel vuoto.
"Che diavolo hai fatto, Hokida?" urlò Chianty contro l'uomo.
Vermouth rimase immobile davanti a quella scena assurda.
"Non è possibile" balbettò con lo sguardo perso nel vuoto.
In un attimo calò un agghiacciante silenzio.
"Chi sei?" sibilò l'uomo con i capelli grigi accanto a Chianty.
"Chi diavolo sei?!?" urlò
Il ragazzo sorrise, con la mano destra afferrò il passamontagna e se lo tolse dal volto.
I chiuffi ribelli e mori danzavano sulla sua testa mossi dal vento pungente. I capelli erano leggermente arruffati e ricadevano in avanti,arrivavano quasi a coprire gli occhi color blu mare.
Accennò qualche passo verso di lei, dunque aprì bocca.
"Kudo Shinichi, detective liceale"


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Capitolo 6
*** Angelo custode ***


angelo custode

                                                                   ANGELO CUSTODE


Il vento aveva cominciato ad alzarsi, ora si sentiva chiaramente sulla pelle e sul viso. Una folata le scompigliò i meravigliosi capelli ramati, ma lei non fece il minimo movimento per cercare di dominarli. Era immobile, penetrata fin nel profondo dell'anima da ciò che vedeva davanti ai suoi occhi. Il ragazzo liceale stava davanti a lei, che si era trovata improvvisamente seduta a terra, forse per l'eccesso di adrenalina dovuta alla morte scampata per un soffio.
Dietro di lei si trovavano le persone che avrebbero dovuto essere i suoi assassini, l'espressione che aveva in viso era disegnata anche su tutti loro, ma solo in apparenza, perchè dentro di lei si stavano smuovendo un'infinità di sensazioni ed emozioni che quella gente non sarebbe mai riuscita a provare.
"...Shinichi....." sussurrò. Per la prima volta si sentì realmente una piccola bambina indifesa.
Lui la guardò, non sorrise, ma solo dall'espressione dei suoi occhi si capiva quanto fosse grato di rivederla.
Quando era allegro i suoi occhi si curvavano leggermente all'insù e sembravano brillare, le pupille diventavanodilatate e penetranti. Lei lo sapeva.Quando aveva quell'espressione sembrava quasi un bambino spensierato, e, benchè fosse riuscito a riprendere le sue vere sembianze, riusciva a vedere chiaramente Conan dentro di lui.
La voce di Vermouth ruppe la loro conversazione silenziosa.
"Come diavolo hai fatto ha salvarti?!?" urlò la donna con rabbia.
Gli altri due puntarono le armi contro di lui. Ai trasalì.
Shinichi abbassò lo sguardo e sorrise.
"Non credo potrete fare molto con quelle....sono scariche" disse agli uomini.
I cecchini si guardarono perplessi e premettero il grilletto, aveva ragione.
Il ragazzo avanzò di qualche passo verso Vermouth, che lo guardava paralizzata, senza riuscire a dir niente.
"Davvero un buon piano il tuo non c'è che dire..."cominciò il detective.
"Hai studiato tutto nei minimi particolari. Fingendoti il dottor Agasa hai fatto si che noi ci trovassimo nel posto in cui avevi deciso di mettere il cadavere con il tuo messaggio, sapevi che non ci sarebbe stato il rischio che qualcuno lo vedesse prima di noi, perchè saremmo stati lì alle 2:07 per lo spettacolo al quale ci avevi consigliato di andare, e sapendo che il circo era chiuso a causa dei lavori in corso avresti spostato il morto subito dopo, non è così?" disse guardando la donna.
Non rispose e lo guardò in cagnesco.
"eri sicura che avrei notato subito i piccoli indizi che mi avevi lasciato..."proseguì senza curarsi di lei più di tanto.
"Indizi?" chiese Ai timidamente.
Lui le rivolse uno sguardo dolce che le mozzò il fiato per qualche secondo.
"Si, prima di tutto il cartello che abbiamo trovato sul tendone era ingiallito e lo scotch con il quale era stato attaccato lo reggeva appena, perciò si trovava lì da parecchio tempo. Eppure quella mattina stessa il dottore ci aveva dato quell'opuscolo convinto che fosse aperto, inizialmente ho pensato che gli fosse stato dato da un complice dell'organizzazione, solo dopo ho realizzato che fosse stato lui a scriverlo...."
Lanciò un'occhiataccia verso la donna bionda.
"...in secondo luogo c'era poi l'ora insolita, perchè vedi, invece di esserci scritto 2:07 c'era scritto 2:007"
Ai lo guardò confusa senza riuscire a capire ciò che intendesse.
"l'ora equivale ai numeri 2 e 1007, che detti in inglese diventano Two, Hundredseven" constatò.
"accanto all'ora era presente una spece di bandiera con la punta rivolta verso il basso, è allora che ho cominciato a pensare che si trattasse di una sottosecie di codice: di ogni numero bisognava prendere la lettera iniziale, infatti la bandiera ricordava il numero uno.Così facendo si otteneva THS. E unendo i due punti degli assasigni sulla cartina c'era un solo edificio che si trovava perfettamente in asse e aveva quelle iniziali , vale a dire...."
Vermouth sorrise amaramente, sapendo che effettivamente era riuscito a segiure le sue indicazioni passo per passo.
"...il Teitan Hight School" disse infine Shinichi
Si voltò avvicinandosi lentamente ad Ai. Ancora seduta sul terreno duro della strada.
"Sapevi che se avessi scoperto ciò avrei pensato che i miei amici del liceo erano in pericolo e mi sarei precipitato lì, così tu avresti potuto rapire indisturbata Sherry e portarla qui. E una volta che avessi capito l'inganno e sarei corso a casa del dottor Agasa, uno dei tuoi uomini avrebbe fatto esplodere la bomba che avevate piazzato in mia assenza. Era un piano perfetto."
"Ma allora...." sibilò la donna.
"....mi dici come hai fatto a salvarti?"ringiò stringendo i pugni.
Shinichi si portò davanti ad Ai, come se giudicasse quella donna pericolosa per lei, pur essendo disarmata. Lei si portò dietro le sue gambe, tremante come un cucciolo appena nato.
"Perchè...il Dottor Agasa non mi ha convinto fin dal principio!"sussurrò.
"appena arrivammo al circo Ai mi disse una cosa che mi lasciò senza parole:
"hai paura dei clown?" chiese Ai inespressiva caminandogli affianco.
Lui sbiancò "ma che diavolo dici?!?"urlò imbarazzato.
Ai non potè trattenere un risolino maligno "ne immagino il motivo.Sai, i bambini di quattro anni non dovrebbero spiare di nascosto i genitori mentre guardano i film d'orrore, possono rimanere traumatizzati" si divertì guardando il volto paonazzo dell'amico.
"chi...?" tossì Conan.
"il Dottore" commentò.
"Non si può nascondere nulla ad un'amico d'infanzia" gli fece un'occhiolino.
"ciò a cui aveva fatto riferimento era una cosa accaduta prima che mi trasferissi a Tokio, i miei genitori non ne avevano fatto parola con nessuno, perchè io ero uscito da quella faccenda piuttosto scioccato, e avevano intenzione di buttarsela alle spalle per sempre. Era perciò impossibile che il dottore lo sapesse,e tantomeno ne parlasse così spontaneamente, a meno che...."lanciò nuovamente un'occhiata alla donna.
"...a meno che il "dottore" non avesse scavato nel mio passato fino a risalire all'età di quattro anni"
Vermouth si morse il labbro furiosa, per un'errore del genere, una cosa minuscola, il suo piano era fallito.
"così, una volta che mi sono trovato solo in casa ho frugato un po' tra le sue cose, e finalmente, nella cantinetta della cucina, ho trovato il vero dottore, legato e imbavagliato. Inizialmente sono rimasto sorpreso che voi non l'aveste ucciso, ma poi ho capito....era inutile versare del sangue che avrebbe potuto essere ritrovato e vi avrebbe fatto scoprire, quando eravate già decisi ad ucciderci entrambi non appena fossi rientrato".
"Ma io ti ho visto!" intervenne improvvisamente Chianty indicandolo furibonda.
"Io ti ho visto entrare e saltare in aria con quella dannata casa!!"urlò la ragazza.
Shinichi rise nuovamente.
"Ti sbagli, quello che hai visto nella penonbra della notte non era altri che un'automa fatto dal professore a cui avevamo messo addosso i miei abiti. E' bastato legarlo con i piedi allo skate, registrare ciò che avrei detto in quella situazione e farlo entrare in casa. Noi aspettavamo al sicuro, poco più in là di dove eri nascosta tu, abbiamo osservato ogni tuo movimento"
La ragazza rimase scioccata.
Shinichi si abbassò e con un movimento svelto prese Ai e la portò in grembo. Lei provò a protestare debolmente, ma le parole le morirono in bocca.
"Ehi piccola! Non lo sai che è pericoloso andare per strada da soli di notte?"le sussurrò scherzoso.
Lei non parlava. Si strinse a lui come in cerca di conforto, di protezione...il suo viso era così vicino in quel momento...
era tanto vicino da poter sentire il battito regolare del suo cuore,il respiro, il profumo ed il calore degli indumenti.Il momento che aveva aspettato così tanto ora era arrivato. Ed era perfetto.
Il suo volto era molto diverso di quando era Conan, era meno ovale, più magro.I capelli erano leggermente più lunghi, ma cadevano sugli occhi dal taglio largo e dal colore inconfondibile del mare disordinatamente come sempre. La sua pelle liscia si contrasse formando un solco sul viso, le stava sorridendo...
Non potè fare altro che ricambiare quel sorriso così dolce, non c'era nessun sospetto in esso, ne alcuna falsità. Era semplice e sincero. Quello era lui, il suo piccolo, grande detective.
Alzò leggermente il sopracciglio guardandola incuriosito.
"Quello è il mio maglione?" le chiese squandrandola.
Sentì le guance infiammarsi. Allontanò il suo sguardo da quello di lui.
"Va bene" la rassicurò "ne riparliamo in un'altro momento,ok?"
Sentiva gli occhi degli assassini alle loro spalle su di sè.
"Come hai fatto a tornare grande?" chiese con un filo di voce.
Shinichi alzò le spalle.
"Baigen, ne ho trovata una bottiglia nella dispensa di Kogoro, spero non si accorga che ne ho bevuto un po'"
Giunsero sul ciglio della strada. Un'auto piccola color giallo canarino li stava aspettando.
Sorrise gioiosa appena vide la persona al volante.
"Dottore!" esclamò felicemente.
"Shinichi, Ai, state bene?" chiese mostrando un mezzo sorriso anche lui.
Shinichi appoggiò Ai sul sedile dietro e le accarezzò il viso.
"Hai visto? Non ti ho abbandonata" Mostrò i suoi denti bianchi.
Il sole era sorto alle sue spalle, ora si trovava di fianco a lui, donando al suo volto un colore orato e rossiccio, il vento era diventato debole,gli spostò una chiocca di capelli mori facendo risplendere i suoi occhi.
Sembrava un'angelo. Lo era. Era il suo angelo custode.
"Shinichi....io.." sussurrò intrecciando la sua piccola mano con quella di lui. Quant'era grande ora.
Tentò di avvicinarsi maggiormente, avrebbe voluto sforarlo.
"Shinichi, io ti..."
Un suono assordante ruppe il silenzio.
Si sentì una fitta al cuore, era ciò che avrebbe dovuto udire qualche minuto prima.
Il sorriso svanì dal volto di Shinichi. Fu sostituito da una smorfia di dolore e succesivamente da un lamento.
Shinichi cadde all'indietro, sentì la sua stretta sciogliersi. Non appena toccò terra udì un suono di articolazioni spezzate.  Un urlo agghiacciante uscì dalla bocca del ragazzo.
"Shinichi!" gridò Ai sporgendosi per scendere dalla macchina.
Lui era a terra, si teneva la gamba destra tra le mani ansimando, da essa usciva un rivolo di sangue. La ragazza guardò più in là.
Calvados si teneva in equilibrio sui gomiti, in una mano stringeva il revolver che probabilmente nescondeva  sotto i pantaloni per le amergenze, non avevano tenuto conto di quello.
Shinichi cercò di alzarsi e con tutte le sue forze spinse la portiera dell'auto chiudendola.
"La porti via!" urlò incitando il Dottor Agasa a partire.
Il dottore rimase di sasso non sapendo che fare.
"No,no! apra, non possiamo andarcene senza di lui!" disse Ai battendo con forza i bugni sul vetro.
Il ragazzo diede un'altro colpo alla vettura.
"Portala via, andatevene!!" urlò nuovamente.
Un altrò proiettile partì frantumando il vetro della parte anteriore della macchina. Ai si precipitò con la faccia sul sedile, coprendosi con le mani terrorizzata.
"Andate via!!" gridò. Quest'ultima sembrò più una richiesta che un'ordine.
Dagli occhi del dottore uscirono poche lacrime che gli andarono a rigare il viso. Con forza premette sull'acceleratore vedendo a malincuore la macchina prendere velocità.
Ai si rimise seduta girandosi a guardare indietro.
"No!no,no,no! si fermi!!" gridò con gli occhi gonfi di pianto.
"mi dispiace" pensò l'uomo tra sè stringendo il volante con rabbia.
L'immagine si allontanava sempre di più, ormai era diventato un punto rosso nell'orizzonte,una macchia indelebile.
"Non lui, vi prego non lui!" pensò tra se Ai con le guance bagnate di acqua salata. Ma era inutile.
Lui non sarebe più venuto a svegliarla da quell'incubo.




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Capitolo 7
*** Ricordi ***


RICORDI

                                                                       RICORDI


L'auto si allontanò rapidamente, poteva ancora vedere sfocato il viso da bambina che lo guardava pieno di paura.
"Addio Ai" pensò tra sè tristemente.
Ma in fondo quello che contava e che lui l'aveva tratta in salvo, Vermouth non avrebbe più potuto farle del male.
Aveva vinto. Erano loro ad aver fallito.
L'uomo con i capelli grighi gli si avvicinò con un'espressione d'ira disegnata sul volto.
"Dannato moccioso, hai smesso di fare l'eroe" ringhiò puntandogli alla testa la pistola di Calvados, che era ancora steso a terra con il naso insanguinato.
Chiuse gli occhi aspettando il fatale colpo. Era la fine.
Improvvisamente sentì una potente fitta che gli squarciò il petto.Gemette.
 Tutte le ossa  gli dolevano, in particolare quelle fratturate della gamba. Freddo e caldo insopportabile lo invase.
"Oh no!" pensò tra sè senza fiato.
Un'altra fitta più potente della precedete lo colpì con la forza di un pugno di ferro. Gli provocò un tale dolore che benchè cercasse di trattenersi, dalla bocca gli uscì un'urlo agghiacciante.
L'uomo indietreggiò di un passo guardandolo perplesso.
Gli occhi presero a bruciargli metre sentiva le ossa  restringersi dolorosamente. Il suo tibro di voce si fece da profondo e potente a squillante e fragile. Ricadde a terra privo di forze.
L'uomo dai capelli grigi rimase a fissarlo immobile e sconcertato. Evidentemente non era a conoscenza di ciò a cui stava lavorando l'organizzazione, aveva semplicemente eseguito gli ordini. E gli ordini erano di trovare una bambina di sette anni ed ucciderla.
"Cosa diavolo sei tu?!?" disse con un velo di disgusto nella voce.
Conan  sollevò lo sguardo verso di lui, le immagini gli apparivano leggermente sfocate e i vestiti enormi sembravano quasi inchiadarlo alla strada. Riusciva a respirare a fatica. Spostò lo sguardo verso la donna bionda.
L'uomo capì.
"Vermouth, che storia è questa? Questo è ciò a cui state lavorando? l'APTX 4869?" disse guardandola scioccato.
Lei non rispose. Stava immobile a fissarlo come se si aspettasse che fosse lui a dire qualcosa, il suo sguardo era duro ma allo stesso tempo triste, dolorante. Non ne capì il motivo.
"Bisogna dirlo a Gin...." sussurrò l'uomo afferrando il cellulare.
Conan rabbrividì.
Vermouth si avvicinò al cecchino e con uno schiffo gli tolse il telefono di mano facendolo cadere sull'asfalto.
"Non ti azzardare, questa è una faccenda tra me,Rum e nessun'altro, hai capito?"ringhiò.
Sembrava che quelle persone non stessero più badando a lui. Discutevano animatamente tra di loro aggredendosi a vicenda con parole che cominciarono a girargli vertiginosamente nella testa. Ad un'tratto non le udì più.
La sua vista cominciò ad annebbiarsi, non riusciva più a mettere a fuoco la scena, il buio sempre più vicino...gli era addosso, e lo invase.
"Ai...Ran...." fu il suo ultimo pensiero prima di svenire.
L'auto si fermò davanti alla casa. Era enorme, una villa. Scese dal veicolo guardandosi attorno disorientato, era un quartiere con molte case , e da alcune di loro spuntavano diversi tipi di fiori.
Si avvicinò ad un cancello. Da fuori si poteva vedere un piccolo laghetto, sul quale galleggiavano poche orchidee.Lui adorava quel fiore così delicato.
"Ti piace questo posto Shinichi?" chiese Yukiko prendendolo da dietro. Il bambino non rispose.
Ormai aveva smesso di parlare persino con lei. Dopo quel giorno si era chiuso in se stesso fino ad isolarsi da chiunque.
Trasferirsi non era servito a nulla, non avrebbe mai dimenticato quegli occhi.
Dalla strada apparì una figura. Era snella ma bassa, la sua camminata ricordava vagamente una danza. Ondeggiava lentamente passando sotto i cigliegi. Qualche foglia rossiccia le cadde sui lisci capelli marroni.
La bambina se li scompigliò ridendo allegramente e iniziò a correre in tondo saltellando e mormorando i versi di una canzone che lui non conosceva.
Si voltò ad un tratto verso di loro guardandolo incuriosita. Gli mostrò un grande sorriso.
"Ciao!" disse con voce squillante andando verso di lui. Shinichi non disse niente e arretrò di un passo.
"Vi siete trasferiti?"chiese la bambina alla donna di fianco a lui.
Yukiko le accarezzò la testa gentilmente "si piccola, andremo a vivere in questa casa" disse indicando la grande abitazione.
Lei iniziò a saltellare battendo le mani eccitata "Che bello, che bello! Vivrete a poca distanza da casa mia!"
Abbassò dunque lo sguardo verso di lui, inclinando leggermente la testa e osservandolo con i grandi occhi chiari.
"Come ti chiami?" chiese.
Shinichi la guardò intimorito, e alzò lo sguardo verso la madre che gli dava piccoli colpi con la mano incitandolo a presentarsi.
La bambina gli si avvicinò di più, tanto da andare quasi a sfiorargli la punta del naso. Rise.
"che c'è, non sai parlare?" disse divertita.
Il bambino sentì le sue guance diventare ardenti. La sensazione di essere preso in giro lo fece arrabbiare.
"ma che dici?" urlò se pur con fragilità. Dunque si girò dall'altra parte incrociando le braccia.
Yukiko sentì la gioia invaderla, era la prima volta, dopo mesi, che il suo bambino aveva parlato con qualcuno.
La ragazzina gli mise una mano sulla spalla facendolo girare di nuovo nella sua direzione.
"E dai, non te la prendere, scherzavo" disse spostandosi con un movimento il ciuffo che le copriva l'occhio.
"Comunque io sono..."
"Ran!" urlò una voce alla fine della strada. Era un uomo con i capelli neri, alto e con una giacca marrone e dall'aria costosa addosso. Agitava in continuazione il bracciò chiamando la bambina per nome.
Accanto a lui c'era una donna, bella, alta anche lei. I suoi capelli chiari erano raccolti in una coda, sul naso portava degli occhiali che davano al suo sguardo un'aria impeccabile. Indossava una gonna stretta e lunga, dal colore sbiadito.
"Io mi chiamo Shinichi Kudo..." sussurrò timidamente guardando la ragazzina.
Lei gli strinse la mano "Ran Mouri" disse sprezzante.
"Ran, dobbiamo andare!" urlò nuovamente l'uomo.
"Arrivo subito!" lo rassicurò lei.
Si avvicinò dunque a Schinichi e rapidamente lo baciò sulla guancia. Si allontanò muovendo in continuazione la piccola mano.
"piacere di conoscerti Shinichi Kudo!" disse un'ultima volta prima di raggiungere i genitori.
Ran. Il nome di un fiore.Il suo preferito.
Il suo nome.
Ran.
Lentamente il paesaggiò cambiò, i fiori di cigliegio e il sole scomparvero nel nulla. Laciarono spazio ad un infinito color nero. Si sentiva un leggero odore di muffa e l'aria era pungente.
Cercò di mettersi seduto e sentì un forte dolore alla gamba destra.
Si guardò intorno. Ora ricordava. Gli avevano sparato e aveva una gamba rotta.
"che posto è questo?" pensò tra sè.
Addosso portava dei vestiti sgualciti e sporchi, che gli stavano leggermente grandi. Evidentemente li avevano raccattati da qualche spazzatura.
Si trovava in una piccola stanza poco illuminata, come il resto dell'edificio d'altronde. Avevano scelto un luogo abbandonato come rifugio, proprio come aveva detto Ai.
Ai! Lei era salva, no? Si. Ora che la mente cominciava a snebbiarsi lo ricordava chiaramente.
La macchina gialla che si allontanava. Lei che chiamava il suo nome piangendo.
"perchè non mi hanno ucciso?" si disse cercando di muovere qualche passo verso l'uscita. In fondo, che motivo avrebbero avuto per tenerlo in vita? Avevano perso Sherry per causa sua, e lui non era utile quanto la scienziata per loro.
 Dall'altra stanza arrivava una debole luce. Una donna bonda era appoggiata al muro e teneva in bocca una sigaretta.
"Vermouth!" rabbrividì schiacciandosi nuovamente contro il muro.
"Adesso datti una calmata,ok?" disse la donna avanzando di qualche passo verso di lui.
Aveva scoperto che era sveglio?
"Darmi una calmata?!? Devi ricordarti dei patti, donna" ringhiò qualcuno a lui invisibile.
"Devi avere ancora pazienza Rum, Sherry è riuscita a fuggire, e finche non l'avrò recuperata tu non hai permesso di fare nulla" rispose duramente.
"Dimmi dov'è...." sibilò pieno d'odio l'uomo.
Lei incrociò le braccia senza fare un piega.
Rum diede un potente pugno al tavolo di fianco a lui, dunque lo scaraventò a terra.
"Vermouth, dimmi dove tieni quel moccioso!!" urlò.



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Capitolo 8
*** Minaccia dal passato ***


minaccia dal passato


                                                       MINACCIA DAL PASSATO


Vermouth impugnò il revolver puntandolo contrò l'uomo.
"Tu non lo tocchi!" sibilò a denti stretti.
Rum la guardò sorpreso, ma alla presenza dell'arma si tranquillizzò e indietreggiò andando a sedersi dall'altro lato del tavolo. Imprecò silenziosamente.
"Si può sapere che diavolo ti succede? Hai dimenticato il nostro accordo?"disse con voce più bassa, ma senza perdere l'ostilità in essa.
Si sedette anch'ella abbassando la pistola e portandosi la mano alla testa. Lo guardò di sottecchi.
"No...ma se ben ricordi il patto era che una volta avessi catturato Sherry tu avresti potuto agire, non prima" puntualizzò.
L'uomo si alzò nuovamente in piedi.
"Non è certo colpa mia se vi siete fatti imbrogliare come dei principianti da quel ragazzino!!"urlò.
Conan sussultò stringendosi ancor di più contro il muro della stanza.
"Io la mia parte l'ho fatta..." sussurrò amaramente.
Vermouth si morse il labbro donandogli un'occhiata raggelante. E nonostante non riuscisse bene a seguire ciò che si dicevano i due, Conan capì che quello sguardo significava che il giudizio della donna era negativo.
Rum ricambiò l'occhiataccia senza la minima esitazione.
Infine posò la pistola sul tavolo e alzò le mani, mostrandosi disarmato.
"Va bene, hai vinto tu. Non gli farò nulla finchè non ritroverete la mocciosa" disse senza molta convinzione.
"Ora mostrami dove lo tieni" sibilò.
Vermouth gli lanciò un'ultima occhiata diffidente, dunque spostò lo sguardo verso la camera dove si trovava Conan.
Il detective istintivamente richiuse gli occhi fingendosi ancora privo di sensi.
Sentì pochi passi avvicinarsi verso di lui, la luce fioca si oscurò leggermente, come se qualcuno si fosse parato davanti ad essa. trattenne il respiro.
"Non l'hai legato?" ringhiò Rum contro la donna. Suonò più come un'accusa che una domanda retorica.
Vermouth sospirò.
"Ha una gamba rotta e ha perso parecchio sangue, non credo sia nella posizione migliore per andarsene"
Lo guardò con durezza.
"Fai una mossa falsa e ti riempo di piombo!" sussurrò gelida.
L'uomo la guardò con indifferenza, dopodichè entrò nella stanza chiudendo la porta dietro di sè. La luce svanì.
Il ragazzo si sentì dun tratto come paralizzato.
"Ehi tu, svegliati" disse l'uomo dandogli un colpo alla gamba dolorante. Si morse la lingua per non gemere.
Lentamente aprì gli occhi guardando dal basso la persona che gli era davanti.
Era molto alto e muscoloso, i capelli di un colore biondo sbiadito cadevano sulla fronte regolarmente, corti davanti e leggermente più lunghi dietro, i suoi lineamenti erano duri e marcati. Il mento sporgeva di poco.
Indossava una maglia con le maniche strappate di cui non ne distingueva il colore nella penombra. Da essa fuoriscivano due grandi braccia muscolose.
"Non ti sei perso una parola di ciò che abbiamo detto, non è così?" disse ridendo amaramente.
Lui non rispose ed abbassò lo sguardo. "La mia parte l'ho fatta" aveva detto. E lui sapeva in che cosa consisteva.
Un'ondata di disgusto lo invase. Strinse i pugni furiosamente.
Rum gli si avvicinò di più ,alzando il sopracciglio.
"Che c'è? non parli? Eppure mi hanno detto che con le parole ci sai fare" sussurrò.
Conan gli rispose donandogli un'occhiata di disgusto.
"Verme" pensò tra sè.
L'uomo lo guardò in cagnesco. Fulmineamente alzò il ginocchio affondandolo con forza nel suo stomaco. Il detective gemette cadendo su un lato. Strinse le braccia sulla pancia.
Rum gli sollevò il mento costringendolo a guardarlo.
"Tu sai chi sono io?" gli chiese impassibile.
"...Tu...tu..." sussurrò Conan quasi senza fiato. Si sentì sopraffare dall'ira.
"Tu sei un mostro!!Mi hai sentito? Sei un'essere spregievole che uccide persone innocenti solo per il semplice gusto di farlo. Sei una creatura senz'anima ne onore! Non sei degno di essere chiamato "Uomo"!!" urlò roco con tutta l'energia che aveva in corpo.
Lui rimase immobile qualche secondo, quasi fosse sorpreso di averlo sentito parlare con tanta decisione.
Poi una smorfia di rabbia gli si  disegno sul volto, e con la punta del piede lo colpì furiosamente  nello stesso punto di poco prima.
Questa volta dalla bocca gli uscì un urlo soffocato. si appoggiò sul terreno gelido della camera tossendo.
Non staccò però lo sguardo da quello dell'assassino, guardandolo con aria di sfida.
Rum si allontanò di qualche passo camminando avanti e indietro per la stanza lentamente.
"Non ricordavo avessi tanto fegato..." disse quasi divertito.
Conan lo guardò perplesso non riuscendo a capire a cosa facesse riferimento. Respirò con affanno cercando di riprendere fiato.
"...peccato che non ti servirà a nulla. Nè a te nè alla tua amica" aggiunse infine.
Quell''immagine si presentò improvvisamente detro di lui. Ai.
Ricordò quando era intervenuto per salvarla. Ricordò il suo viso lacrimante e pieno di paura quando si era stretta a lui cercando protezione, quando gli aveva chiesto di non abbandonarla... tremante quanto un pulcino bagnato.
Non riuscì a trovare nient'altro di più fragile e indifeso di quella donna-bambina.
"Non la ritroverete mai..." sibilò sottovoce.
Rum si voltò verso di lui guardandolo impassibile, come se si aspettasse una risposta del genere.
"Non ce ne sarà bisogno...verrà lei da noi"
Conan gli lanciò un'occhiata, senza riuscire a comprendere le sue intenzioni.
L'uomo continuò.
"E' ovvio che quella ragazzina tiene molto a te, e anche se ti crede morto sono sicuro che tornerà nel luogo in cui ti hanno sparato per cercarti. Ho detto accuratamente ai cecchini di lasciare i tuoi abiti lì e trovartene degli altri della tua misura, perchè frugando nelle tue tasce ho trovato un paio di occhiali molto curiosi..." disse
Il ragazzo sbiancò. Erano i suoi occhiali da inseguimento.
"Dentro di essi c'è un sistema d'intercettazione, giusto? E suppongo che lei non esiterà un minuto ad usarli per ritrovarti" sogghignò.
"No, Ai non è così ingenua" pensò tra sè allarmato dalle parole dell'uomo.
Si mise sui gomiti cercando di rimettersi seduto.
"Cosa vuoi da lei?" tossì.
Rum gli si avvicinò nuovamente abbassandosi e appoggiandosi le braccia sulle ginocchia.
"Assolutamente nulla" sussurrò.
Gli occhi di Conan si fecero due fessure, lo fissò gelatamente senza il minimo indugio.
"Cosa vuoi da me?" sibilò.
L'assassino fece un mezzo sorriso.
"Ti rifaccio la domanda...."
Detto questo lo afferrò con decisione per i cappelli sollevandolo da terra e puntandogli una torcia contro gli occhi. Il bambino gli chiuse infastidito, stringendo i denti. Non avrebbe urlato. Non gli avrebbe dato questa soddisfazione.
"...tu sai chi sono?" chiese non curante della sua reazione.
"Non t'azzardare a toccarla" ringiò lui ignorando la sua domanda. Quell'essere non avrebbe messo le mani su Ai, non avrebbe mai permesso che le facesse ciò che aveva fatto a quella gente.
 Mai.
"Rispondimi!!" urlò Rum stringendo maggiormente. Non potè trattenere un gemito.
Conan non si mosse,rimase in silenzio fulminandolo, attendendo che quell'uomo gli sferrasse un'altro colpo.
"Avanti, uccidimi!"pensò. Se ora quell'uomo lo avesse fatto fuori poi Vermouth avrebbe sparato a lui. E Ai sarebbe stata salva. Non sarebbe più stato una minaccia per lei. Mai più.
Rum abbassò la torcia e allentò la presa ai suoi cappelli, facendolo ricadere a terra come un peso morto.
"Sei preoccupato per lei?" chiese cupo.
"Non devi  sai? solo i vigliacchi hanno paura, mai un vero uomo"
Quelle parole lo colpirono come una lama d'acciaio. Sentì il respiro mancargli e gambe e braccia gli si immobilizzarono.
Il viso dell'uomo cambiò, i contorni della bocca avevano un colore verde, con qualche accenno di rosso sui bordi, i cappelli ricci rossi sulla testa erano disordinati e buffi. Solo una cosa non era cambiata da quando lo aveva visto così. Gli occhi. Neri come la notte.
"..Tu..." sentì per la prima volta di stare tremando.
La bocca di Rum si curvò all'insù fino a formare un profondo ghigno. Identico ad allora.
"Sorpreso di rivedermi, Shinichi Kudo?"



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Capitolo 9
*** Indietro nel tempo ***


Indietro nel tempo

                                                                   INDIETRO NEL TEMPO


Rum gli afferrò la mandibola facendolo voltare. Gli puntava nuovamente la torcia sul viso osservandolo.
IL bambino si dimenò cercando di fuggire da quella stretta d'acciaio.
"Non può essere lui...." Pensò Conan allarmato.
L'uomo lo riappoggiò in terra con aria soddisfatta. Dunque parlò.
"Credevo che dal nostro incontro fossero passati secoli, ma a vederti si direbbe che siano passati poco più di un paio d'anni" disse con tono quasi divertito.
Il ragazzo non parlò. Davanti a lui si trovava l'uomo che per anni aveva animato i suoi incubi. Colui per il quale si era trasferito a Tokio e aveva smesso di parlare per mesi. Quel mostro.
Lo aveva ritrovato.
"Immagino la tua sorpresa di rivedermi qui" continuò Rum.
"E' stato tutt'altro che facile riuscire a rintracciarti, sei un tipo riservato" si sedette a poca distanza da lui appoggiando la testa contro il muro.
"Perchè...?" sussurrò Conan.
L'uomo sorrise, come se giudicasse la risposta ovvia.
"Inizialmente era solo una questione di principio. Non potevo lasciare testimoni in giro che avrebbero potuto riconoscermi, per di più tuo padre era un detective, e quindi gli sarebbe bastata una tua anche vaga descrizione per riuscire a scovarmi. Infatti pochi giorni dopo la mia visita, la polizia circondò il mio palazzo. Fui costretto a scappare dalla finestra e rifugiarmi per le strade.
Allora decisi di andare a casa tua per terminare ciò che avevo cominiciato. Ma tu eri sparito.
La tua famiglia sembrava come volatilizzata, ne dedussi che vi eravate trasferiti con una certa urgenza e in segreto.Non potevo sapere dove eravate andati, così decisi, benchè la cosa mi rodesse, di lasciar perdere..."
Conan si sollevò cercando di mettersi seduto.
"Ma allora perchè sei tornato a cercarmi?" sibilò.
Rum gli lanciò un'occhiata di puro odio.
"Diversi anni dopo preparai un grande colpo in un supermarket, avevamo venti ostaggi sotto tiro, con quintali di tritolo attorno pronti ad esplodere alla prima mossa falsa. Chiedevamo 200.000.000 yen.
Era fatta, la polizia stava per consegnare il sacco con i soldi, quella somma avrebbe cambiato la mia vita per sempre. Ma poi..." sussurrò guardandolo come se lo volesse trafiggere con lo sguardo.
"...poi sei arrivato tu..."ringhiò.
"..hai suggerito agli agenti una strategia di cui noi non eravamo al corrente. Hanno circondato l'edificio nascondendosi in modo che noi non li vedessimo. Tu ti sei nascosto immezzo alla gente fingendoti un'ostaggio, e mentre noi eravamo occupati a contrattare sei riuscito a disarmare l'ordigno. A quel punto lo hai preso in mano alzandoti e gridando che se ci fossimo avvicinati tu lo avresti fatto esplodere.
La polizia ci ha circondati e colpiti con i manganelli. I miei compagni sono stati arrestati,e io mi sono salvato per miracolo nascondendomi nel bagno del negozio.
Mentre ero nascosto un'agente è passato davanti alla porta  parlando con un suo compagno ha detto:
"che genio quel Kudo, non ce l'avremmo mai fatta senza di lui" quelle parole mi fecero tornare in mente ciò che era accaduto anni prima.
Eri ancora tu. Di nuovo. Eri tornato e mi avevi messo i bastoni tra le ruote un'altra volta.
Non potevo sopportarlo."Strinse con forza i pugni.
"Scoprii dove abitavi, e quella sera stessa mi diressi a casa tua con l'intenzione di regolare i conti, ma ancora una volta rimasi sorpreso...tu non c'eri, ma la casa sembrava in perfetto ordine e nessun segno di trasloco.
Feci dunque visita ad alcuni dei tuoi clienti. Non potevo permettermi di perderti di vista ancora. Ma quegli incompetenti mi dissero che non avevano tue notizie da parecchio, e non seppero darmi alcuna spiegazione"
Conan trasalì guardando l'uomo paralizzato.
"Non li avrai....." balbettò.
Rum fece un profondo ghigno.
"Erano esseri insulsi, delle inutili e miserabili pedine" disse duro.
Il ragazzo si sentì sopraffare dall'ira.Le sue parole gli rimbombarono nella testa più e più volte. Sentiva le dita tremare e digrignò i denti, non si era mai sentito così in vita sua.
"Bastardo!!" urlò lancindosi contro l'uomo con tutte le sue forze.
Rum arretrò fulmineamente, sorpreso dalla sua reazione. Conan cercò di colpirlo con le mani ma lui si scansò facendolo precipitare nel vuoto.
Con forza l'uomo sferrò un potente pugno che colpì il bambino in volto riportandolo steso a terra.
Conan ansimò tringendo le mani attorno alla testa. Le tempie gli pulsavano, il dolore della botta fece si che la stanza girasse attorno a lui per qualche secondo. Sentì un sapore metallico in bocca.
"Non hai perso la tua testardaggine,non c'è che dire..." disse l'uomo mettendosi nuovamente composto, aumentando la distanza tra lui e il detective per evitare un'ulteriore attacco.
La rabbia che il ragazzo sentiva in corpo non si era ancora placata. La testa continuava a dolergli e non riusciva quasi a muoversi. Ma non gli importava delle ferite,avrebbe trovato un modo di farla pagare a quel verme.
"Sai, quando quella donna mi disse cos'era successo mi sembrava incredibile. Una cosa sovvrannaturale. Un farmaco in grado di far regredire le persone ma mantenere comunque il cervello di un'adulto, una cosa impossibile.
Ma dopo aver seguito le tue mosse e quelle della ragazzina ho dovuto ricredermi, credevo che il mio piano fosse perfetto. E invece sei riuscito a capire l'inganno. Credo di averti sottovalutato, Shinichi"
Conan lo guardò in cagnesco.
"Non esiste un piano perfetto. c'è sempre qualcosa che intralcia la strada. Tu sei un'essere troppo ripugnante e spietato per poter ideare un piano che non possa essere intralciato" sussurrò con un velo di disgusto nella voce.
Rum lo afferrò con rabbia per il collo mozzandogli il fiato.
"Taci! sappi che l'unico motivo per cui sei ancora in vita e che non sono riusciti a catturare la tua amica, e Vermouth mi ha proibito di farti fuori prima di allora. Pare che tu l'abbia prorio ammagliata con questo visino d'angelo che ti ritrovi"
Da fuori giunse un rumore che fece zittire entrambi. Un cigolio lontano di una porta che si apriva. Sentì Vermouth alzarsi e il ticchettio delle sue scarpe andare in direzione del suono.
"Pare che il tuo tempo sia scaduto" sussurrò allora l'uomo ridendo.
"No, Ai!" Cercò di urlare, ma la stretta della mano glielo impedì.
Rum lo afferrò per un braccio trascinandolo fuori dalla stanza e portandolo nella parte più ampia del magazzino. Dove fino a poco prima si trovava Vermouth.
Prese la pistola che si trovava sul tavolo e gliela puntò alla tempia.
"Ora dobbiamo solo aspettare" sibilò.
Dal buio della stanza giunse un rumore di ventri rotti. Qualcuno iniziò a correre verso di loro.
Le sue corde vocali erano libere.
"Ai! Vatt..."
L'uomo gli premette la mano contro la bocca impedendogli di urlare.
Riuscì a fare uscire solo un debole mugolio.
"No! Devo avvertirla! Le spareranno! No,no!!" Conan iniziò a dimenarsi cercando di liberarsi dalla presa di Rum. Affondò il piede sano nello stomaco del suo aggressore,e questa volta lo colpì.
L'uomo si portò la mano sulla pancia indebolendo la pressione sulla bocca del bambino, che riuscì a liberarsi.
Conan si lanciò sulla mano di lui e con forza affondò i denti in essa facendo uso di tutta la rabbia che aveva dentro di sè. Rum urlò picchiandolo furiosamente.
"Molla, maledetto!! Molla!" ringhiò colpendolo con il manico della pisola.
Sentiva ad ogni colpo sua lucidità diminuire, la vista era annebbiata, poco chiara e confusa. Vedeva il mondo intorno a lui diventare sempre più scuro. Non mollò però la presa, mordendo la mano con tutta l'energia che gli era rimasta. Sentì un liquido caldo e denso colargli in bocca. Lo nauseò.
Non riuscì a tenere oltre e lasciò andare la mano insanguinata, l'uomo lo afferrò dalla collottola scagliandolo contro la parete, sentì la sua testa battere contro lo spigolo del tavolo rumorosamente. Si ritrovò a terra.
Il suo corpo stava anando a fuoco, sentiva il suo respiro affannato rimbombargli nella testa come un martello. I suoni si erano amplificati. Le urla e e le parole irate di Rum lo facevano impazzire, di lui ormai riusciva solo a vedere una macchia indistinta lontana. Cercò di alzarsi, ma il minimo movimento gli provocò una fitta atroce.
"Dannato moccioso! Avrei dovuto tagliarti la gola tredici anni fa!" urlò Rum puntandogli la pistola contro, pronto a premere il grilletto.
"Crepa!!" gridò.
Conan chiuse gli occhi, era la fine. Si, questa volta era arrivata davvero. Ma quel mostro non sarebbe rimasto impunito. Non appena Vermouth avesse scoperto ciò che aveva fatto gli avrebbe sparato di sicuro. Sarebbe morto.
Questo pensiero gli provocò una insana soddisfazione, se ne vergognò.
Lui non avrebbe mai sparato ad un uomo uccidendolo, e ora si trovava lì, ad augurare a una persona la peggiore delle fini, non era da lui.
Dei lievi passi gli si avvicinarono rimbombando nella sua testa. Ma non erano del suo assassino, erano leggeri e incerti.
Simili a quelli di un bambino...una bambina....Lei! In un'attimo gli furono accanto.
"Conan!" disse la bambina con voce squillante.
"Ti ho trovato finalmente, forza vieni dobbiamo andarcene prima che torni Ver..."
Si fermò di colpo.
Conan aprì gli occhi cercando di metterla a fuoco. Era in ginocchio davanti a lui, sembrava spaventata a morte. La sua mano era bagnata di un liquido rosso...il suo.
Dietro di lei, nascosto nella penobra c'era il suo aggressore. Era immobile, la pistola puntata contro Ai,sul suo viso un sorriso agghiacciante, era pronto a sparare.
"No!" pensò dentro di se.
"Sanguini....stai sanguinando!" sussurrò Ai terrorizzata, le sue mani tremavano.
"Resisti dobbiamo raggiungere il dottor Agasa...Lui"
"Ai....." riuscì a sussurrare con tono strozzato.
"...scappa"
Lei lo guardò con occhi pieni di orrore, gli prese la testa tra le mani "No!No! Non ti lascio qui! Non me ne vado senza di te!" gli occhi della bambina si riempirono di lacrime.
"Vai via!" urlò dentro di sè.
cercò di sollevarsi cingendole le spalle. Gli provocò un'ulteriore fitta.
"No...." disse senza fiato.
Rum fece scattare la canna della pistola puntandola nouvamente contro di lei. Il dito era sul grilletto.
"...è una trappola! Vattene!" gridò scagliandola con tutta la forza che aveva in corpo contro il pavimento.








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Capitolo 10
*** Corsa contro l'inevitabile ***


corsa contro l'inevitabile VORREI SCUSARMI CON TUTTI I LETTORI PER L'ENORME RITARDO NEL POSTARE QUESTO CAPITOLO.
PURTROPPO L'INIZIO DELLA SCUOLA MI HA COME BLOCCATA, PER DI PIU' IN QUESTI GIORNI NON MI SONO SENTITA MOLTO BENE E NON HO POTUTO CONTINUARE LA SCRITTURA DELLA FICTION. APPROFITTO DI QUESTA OCCASIONE PER RINGRAZIARE TUTTI COLORO CHE MI SEGUONO.
RINGRAZIO SARA85, CHE MI LASCIA SEMPRE BELLISSIMI COMMENTI SUI CAPITOLI.
RINGRAZIO NERU, E SPERO CHE LA FICTION CONTINUI A PIACERTI.
INFINE MANDO UN BACIONE A GINNYLOVE CHE MI HA FATTO SCOPRIRE QUESTO BELLISSIMO SITO.
DETTO QUESTO VI LASCIO ALLA LETTURA, COMMENTATE MI RACCOMANDO! =)


                                                          CORSA CONTRO L'INEVITABILE



Il liquido rosso e caldo colò tra le sue dita macchiandole del tutto.
"Sanguini....stai sanguinando!" disse terrorizzata. Sentì rapidamente crescere l'orrore dentro di lei. La consapevolezza di ciò che stava per accadere.
"Il magazzino....il sangue....no..non può essere" pensò allarmata. Mentre vedeva ogni minimo e agghiacciante particolare del suo incubo animarsi davanti a lei.
"Resisti dobbiamo raggiungere il dottor Agasa...Lui"
"Ai....." sussurrò lui con tono strozzato.
"...scappa"
Ogni singola parola che usciva dalla sua bocca era stata udita da lei in precedenza, ogni cosa, ogni movimento, ogni respiro. Tutto era già stato vissuto. E lei non poteva fare nulla per cambiare ciò che stava succedendo.
"No!No! Non ti lascio qui! Non me ne vado senza di te!" disse prendendogli la testa tra le mani. I suoi occhi si gonfiarono di pianto.
Conan le cinse le spalle con le mani deboli e tremanti.
"No...."
"....è una trappola!Vattene!"urlò infine.
 In un secondo sentì alle sue spalle un rumore di metallo, con tutta la forza che aveva in corpo il bambino la scagliò a terra.
La fine.
L'inevitabile era acaduto.
Alle sue spalle sentì la pallottola che rumorosamente uscì dalla canna della pistola con la violenza di una mazza di ferro, puntando dritto contro di lui. Lui. Tutto ciò che aveva, tutto ciò che le era rimasto al mondo.
Il proiettile stava per spazzare via tutta la sua vita.
"No!" Ai fulmineamente si aggrappò alla sua manica cercando di impedirgli il movimento, incapace di rimanere in equilibrio precipitò all'indietro portando l'amico con se.
La bambina potè udire il sibilo del proiettile passare sopra di lei e conficcarsi nel muro, dove poco prima si trovava la testa di Conan.
Lui ora si trovava sopra di lei, pochi centimentri distanziavano i loro occhi. Sentì il suo respiro su di se.
"Maledizione" ringiò l'uomo alle loro spalle.
Ai si alzò vedendolo nella penombra. Era alto, capelli chiari e discretamente lunghi, i pettorali pronunciati.
Fece cadere il caricatore in terra estrandone un nuovo dalla tasca e conficcandolo nella pistola.
La ragazza trasalì indietreggiando. Afferrò la mano di Conan cercando di farlo tornare in posizione eretta.
Il bambino emise un mugolio ricadendo in terra.
"Accidenti, forza!" pensò disperatamente squotendolo.
L'uomo alle sue spalle si alzò iniziando a camminare nella loro direzione con passo lento.
Ai afferrò allora il braccio dell'amico e lo portò attorno la collo, cingendogli il fianco con l'altra mano.
Non appena fu in piedi corse con la massima velocità che le concedeva lui, andando nella direzione in cui poco prima si trovava Vermouth.
Tremò al pensiero, ma tenneò il passo senza rallentare. Era un suicidio. Ma doveva tentare.
Doveva esserci un'alternativa all'inevitabile.
Un nuovo sparo le passò accanto all'orecchio smuovendole una ciocca di capelli.
"Dove credete di andare voi due?" urlò l'uomo senza smettere di camminare.
Continuando di quel passo li avrebbe raggiunti in breve.
Sentì le gambe tremarle.
"La pila...di...scatole...." tossì Conan con voce debole, senza alzare la testa.
Ai si guardò intorno. Alla sua destra c'era un pila di scatoloni altissima, affiancata a molte altre che occupavano quasi tutta quella parte del magazzino.Non si capiva cosa contenessero, sicuramente era state ragruppate dopo il fallimento di quell'azienda. Pronte per essere trasferite o buttate.
Si trovavano proprio nel punto in cui stava passando l'uomo.
Intuendo ciò che cercava di dirle il ragazzo con il piede la bambina diede una spinta al contenitore più vicino a lei. La costruzione traballò andando contro quella accanto e facendo un effetto domino. Con un rombo tutto l'ammasso di scatole crollò precipitando addosso al loro agressore.
Sul viso di Ai si disegnò un sorriso trionfale.
Fu allora che notò accanto a sè un ulteriore scatola di legno. Era molto alta e ampia, aperta da un lato. Tanto grande da contenere una persone, ma forse stringendosi ci sarebbero stati due bambini.
Dietro di lei sentiva l'ammasso di legno muoversi, quel crollo non lo avrebbe trattenuto ancora per molto.
Ai si trascinò dentro allo spazio chiuso affincandosi al detective senza lasciare la presa della sua mano. Respirò affannosamente ragomitolandosi su se stessa impaurita.
Gli lanciò un'occhiata preoccupata.
"Come stai?" sussurrò sfiorandogli la guancia.
Conan non rispose, annuì leggermente con la testa respirando a fatica.
Lei cercò di allontanarsi osservandolo meglio. Sulle braccia e le gambe c'erano una serie di lividi violacei, un lato della bocca era macchiato di sangue, come anche il fianco. Gli sollevò di poco la camicia per calcolare l'entità del danno.
Una lunga ferita rossa si prolungava dalla parte alta dello sterno fino alla pancia, il liquido denso stava ancora uscendo fuori da essa.
Sentì l'aqua salata inondarle nuovamente gli occhi nonostante tentasse di placarla.
"Santo cielo, cosa ti ha fatto...." singhiozzò.
Conan le strinse la mano cercando di calmarla. Le mostrò un debole sorriso di gratitudine.
"Dannati mocciosi!! Dove siete? Venite fuori!!" gridò allora Rum dando calci irati contro le scatole cadutegli adosso.
"Manco morti" pensò Ai.
Si strinse contro la parete cercando di rimanere immobile, le gambe ripresero a tremarle.
"Ai....devi andartene....io ti sono d'intralcio..." sussurrò il falso bambino.
Lei lo fissò sorpresa. .
"Ma sei pazzo?!? non posso lasciarti qui! Lo hai detto tu. Non bisogna mai abbandonare un'amico, e tu...tu.." disse affondando il viso nel suo petto, incapace di riuscire a calmare ancora i singhiozzi.
"Ai...ti uccideranno se resti qua...." ribadì lui.
Lei scosse la testa senza alzarla verso di lui. Non voleva incrociare il suo sguardo. Non lo avrebbe retto.
"Uccideranno te se ti lascio qui!" pianse.
Un rumore di tacchi risuonò nel magazzino facendo zittire entrambi.
"Dove diavolo sono?" ringiò Vermouth.
Rum si alzò voltandosi verso di lei.
"Mi hanno preso alla sprovvista, sono riusciti a nascondersi, da...."
La donna colpì con forza Rum in viso, facendolo indietreggiare.
"Sei un babbeo!!" urlò furiosa.
"Non sei neanche in grado di tenere sotto tiro una bambina impaurita e un ragazzino che non si regge in piedi?!?" sibilò camminando per la stanza avanti e indietro nervosamente.
"Li ritroverò" disse lui duramente
La donna lo guardò in cagnesco.
"Sarà meglio per te, a meno che non voglia fare la loro stessa fine"
Ai sobbalzò. Dietro di lei si udirono chiaramente  suoni di oggetti sbattuti duramente a terra. Le urla di rabbia di Rum erano sempre più vicine.
Stava controllando tutte le casse. Prima o poi li avrebbe scoperti.
Guardò tutt'intorno a se cercando una soluzione. Alla sua destra  si trovavano altri soprammobili. Totalmente inutili. Se solo li avesse visti uscire dal loro nascondiglio avrebbe sparato senza esitare.
Dalla parte opposta giunse una fioca luce rossastra.
L'uscita.
Era lì, a pochi metri da loro, sarebbero bastati pochi minuti per raggiungerla.
Assurdo. Erano bloccati, a un passo dalla salvezza.
La bambina lanciò un'occhiata all'amico.
"Cosa farebbe lui? Cosa farebbe?" pensò tra sè.
Sentiva il fiato di Rum sul collo che le impediva di concentrarsi, sempre più vicino, sempre più presente. In breve sarebbe stato addosso a loro.
"Se ci fosse qualcosa per..." si bloccò di scatto, sorpresa di non aver pensato prima a ciò che ora era nitido e chiaro nella sua mente.
Con entrambe le mani afferrò la sua gamba sfilando il piede dal lungo stivale marrone, dunque lo lanciò dalla parte opposta della stanza.
Come aveva sperato, ciò provocò un forte rumore, attirando l'attenzione di Rum.
"Beccati" sogghignò l'uomo dirigendosi verso di loro.
Ai vide le lunghe gambe di Rum davanti a sè, tanto vicine da poterle toccare. Lui le dava le spalle,guardando dalla parte opposta rispetto alla loro.
La bambina trattenne il respiro. Il suo battito cardiaco aumentò.
L'uomo cominciò a correre in direzione dello stivale, dunque aprì il fuoco con entusiasmo.
"Muori pulce!" urlò continuando a sparare alla ceca.
"Ora!"
Ai sgusciò fulmineamente dal suo nascondiglio trascinando Conan dietro di lei, lasciò cadere a terra l'altro stivale in modo da poter correre più agilmente, la porta semiaperta del magazzino era vicinissima.
Una pallottola colpì la maniglia facendola arretrare.
Vermouth si trovava dal lato opposto rispetto a Rum, impugnava il revolver pronta a fare fuoco nuovamente.
"Imbecille, stanno scappando!!" ringiò contro quest'ultimo che, accortosi del trucco stava per piombare su di loro.
Ai spinse la porta con una spallata aprendola. La luce calda e di color arancio dell'alba colpì i suoi occhi azzurro ghiaccio.
Da dentro guinse un rumore metallico che colpì la porta arrugginita aprendo un foro accanto a lei.
Ormai mancava poco.
A due metri da loro c'era una vettura che li attendeva: Una macchina piccola color giallo canarino.
La ragazzina si diresse verso essa fiondandosi nella porta già aperta e facendo sdraiare l'amico sul sedile dietro della vettura. Quindi chiuse la portiera dietro di sè.
"Professore..."
Una mano massiccia e grande sfondò il vetro afferrandola per i capelli. Ai presa alla sprovvista urlò cercando di liberarsi dalla presa, dando colpi con le mani alla ceca.
"Voi non andate da nessuna parte!" urlò Rum.
Ai cercò disperatamente qualcosa al quale attaccarsi, un pezzo di vetro del finestrino le era caduto addosso conficcandosi nella sua spalla. La falsa bambina strinse i denti e con un movimento secco lo strappò dalla sua carne. Gemette sentendo il sangua scenderle sulle mani.
"Prendi, assassino!" ringhiò dentro di se affondando il coccio nella mano che le teneva i capelli.
L'uomo ristrasse la mano dalla macchina con un urlo, tenendola con l'altra, ulteriormente ferita.
"Parta!Parta!!" gridò Ai al dottore incitandolo a premere sull'acceleratore.
La macchina gialla partì a tutta velocità facendo cadere a terra il malvivente.
Rum afferrò la pistola con la mano sinistra, ma i colpi finirono a vuoto.
Gli occhi di Ai si riempirono di speranza non appena vide l'uomo in lontananza diventare sempre più piccolo, finchè non svanì del tutto.
La bambina sprofondò nel sedile respirando affannosamente. Le ci volle qualche minuto per rendersi conto di ciò che era successo.
Scoppiò in una risata quasi isterica.
"Ce l'abbiamo fatta" pensò tra sè senza riuscire a credere alle sue stesse parole.
L'auto sorpassò il vicolo stretto e giunse nel mezzo di Tokio, le strade erano piene di gente assonnata che si preparava ad andare al lavoro. Qualcuno sbuffava per la noiosa rutine, altri si limitavano a sbadigliare, salendo in auto e percorrendo la stessa strada di tutti i giorni.
Sicuramente appena giunti a destinazione avrebbero incontrato altri colleghi, col quale potersi lamentare di quanto era ingiusta la loro vita. Imbecilli.
Sentì di star di nuovo per scoppiare in una fragorosa risata,nonostante fosse del tutto fuori luogo.
"Accidenti, questa volta c'è mancato poco,Kudo" disse facendo cadere lo sguardo sull'amico.
D'un tratto il suo sorriso svanì.
Il respirò le si fermò di schianto, come anche le gambe e le braccia.
Era come paralizzata.
Paralizzata a fissare inorridita la figura immobile sdraiata accanto a sè.
"S...Shinichi?"













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Capitolo 11
*** sonno letale ***


sonno letale

                                                                               SONNO LETALE




"Shinichi?" ripetè tremante appoggiando la mano sulla spalla dell'amico.
Nessuna reazione.
Il bambino si trovava sdraiato sul sedile accanto a lei, era accoccolato, come se dormisse, ma sul suo viso era disegnata una smorfia di dolore che rimaneva immutata anche nello stato di incoscienza.
"Shinichi cos'hai? Rispondimi!" disse la piccola scienziata alzando di un poco la voce.
Lui rimase immobile.
Ai gli premette due dita contro il collo, sentendo che un'improvviso gelo si stava impossessando di lei. Il battito era debole.
"Non è possibile, quando eravamo nascosti ho controllato le ferite, non erano tanto gravi da...."
Scosse la testa scacciando il pensiero.
Forse si trattava solo di febbre, si, doveva essere così. D'altronde aveva passato le ultime ore in un magazzino abbandonato, avrebbe avuto bisogno di rimettersi in forze. Questo spiegava pure la sua debolezza e le fitte alla testa che sentiva.
Fece un sospiro di sollievo appoggiandogli la mano sulla fronte per misurare la temperatura.
La sua pelle entrò in contatto con un liquido bagnato e denso, facendole sudare freddo.
La ristrasse di scatto guardando con orrore il rosso che la macchiava.
I suoi occhi si persero nel vuoto, quando un rapido flash-back le fece ripercorrere gli interminabili attimi passati poco prima.
Lei che correva per fuggire da Vermouth. Le urla di quell'uomo, che credeva fossero dirette a lei.
E infine quel tonfo. 
Quando lei e Conan si trovavano uno sopra l'altra inavvertitamente il suo sguardo era caduto sul tavolo rovesciato a terra. Uno spigolo era macchiato di sangue.
Un particolare insignificante allora, quando la loro priorità era fuggire.
Ma importantissimo in quel momento.
Afferrò le spalle all'amico strattonandolo violentemente.
"Shinichi!Svegliati!! Svegliati subito!!" gridò in preda alla disperazione.
Il dottore si girò a guardarla preoccupato.
"Ai, che succede?" chiese esitante.
La bambina si voltò verso di lui. Un espressione addolorata era comparsa sul suo viso.
"Dottore....ho capito tutto....quell'uomo gli ha..." balbettò senza mollare la maglia dell'amico privo di coscenza e senza smettere di squoterlo.
"Che è successo?!?" insistette Agasa inchiodando la macchina sul ciglio della strada.
"Gli ha fatto battere violentemente la testa contro lo spigolo del tavolo! Ne sono sicura! Conan aveva la bocca sporca di sangue, e Rum la mano ferita....evidentemente ha cercato di reagire per avvisarmi."la sua voce si stava affievolendo lentamente.
"Dottore.."singhiozzò.
"Se non riusciamo a svegliarlo morirà....ha un emorragia celebrale..."
Le parole della bambina eccheggiarono nella mente dell'uomo come all'interno di una campana, ripetendosi ancora e ancora, sempre più lontane.
Afferrò il volante e premette sull'acceleratore forse con eccessiva forza, facendo un'inversione a U e dirigendosi nuovamente verso il centro di Tokio.
"Continua a cercare di rianimarlo,vedrò di arrivare all'ospedale il prima possibile!" disse l'uomo con una durezza che non gli si addiceva. Non si era mai rivolto così a nessuno, tantomeno alla sua piccola, dolce Ai.
Strinse con rabbia il volante impedendosi di guardare nello specchietto retrovisore colui che ormai giudicava come un figlio.
"Ti prego ragazzo, tieni duro!" pensò tra sè.
Ai diede un'altro colpo al bambino inchiodandolo contro il sedile dell'auto.
"Svegliati!Svegliati!! Puoi sentirmi? Ascoltami!!"continuava ad urlare al corpo inerme davanti a lei.
Sentiva di stare ribollendo dalla rabbia, la disperazione, paura. Ancora più grande di quella che provava a stare faccia a faccia con Vermouth. Neanche paragonabile.
Il suo viso che si allontanava. Abbandonandola nella totale oscurità.
"Non Lasciarmi!!!"ringhiò scagliando un potente pugno che lo colpì dritto in viso facendolo ricadere sul sedile.
Per un secondo rimase pietrificata guardando la sua stessa mano che rimaneva immobile a mezz'aria, come se una qualche forza invisibile le impedisse di abbassare il braccio.
Ma cosa aveva fatto?
Conan aveva un'emorragia celebrale, il che significava che il minimo movimento poteva solo peggiorare la situazione.
E lei, con quel suo gesto impulsivo aveva solo aggravato le sue condizioni.
Si prese la testa tra le mani. Era una stupida.
"mmmm..." mugolò il ragazzino strizzando debolmente gli occhi.
Ai si precipitò nuovamente su di lui.
"Shinichi?Shinichi??" disse allarmata cingendogli nuovamente le spalle.
Le sue palbebre si socchiusero di un poco.
I suoi occhi blu mare incontrarono quelli di lei.
"Haibara" dissero le sue labbra senza far uscire alcun suono.
Lei si sforzò di sorridere.
"Resisti, non ti devi riaddormentare, tra poco saremo in ospedale. Andrà tutto bene, vedrai"
intrecciò le sue dita con quelle di lui, sforzandosi di credere alle sue stesse parole.
"Non...." la sua bocca si curvo in giù formando un smorfia di dolore.
Le sue parpebre si richiusero.
La scenziata gli afferrò la testa stringendola tra le dita.
"No! Non lasciarmi! Shinichi guardami!" urlò.
Lui sussurrò qualcosa di impercettibile. I suoi occhi erano semiaperti, come due fessure nel pavimento.
"Guardami, guardami!"insistette Ai avvicinandosi di più a lui.
"...Perdonami..."dissero le sue labbra un attimo prima di crollare.
La ragazza restò nuovamente con le mani a mezz'aria, tremavano senza controllo, il suo corpo tremava.
Strinse a sè il corpo cullandolo tra le sue braccia, come per cercare di consolare un bambino che si era sbucciato un ginocchio giocando.
"...resta con me...resta con me...."

"Oh, è magnifico!" gioì l'erede della compagnia Suzuki inchiodandosi davanti a una vetrina e costringendo la sua migliore amica a fare altrettanto.
Appoggiò le mani sul vetro come per voler toccare l'abito che si trovava al di là di esso.
Il mezzobusto reggeva un vestito color pesca, le spallucce molto larghe si curvavano in una scollatura audace circondata da qualche merletto e infine da un fiocco.
Gli occhi della ragazza brillarono.
"Devo assolutamente averlo!"sospirò.
Alle sue spalle, Ran incrociò le braccia sbuffando.
"Sonoko, è tutto il giorno che mi porti avanti e indietro per questi negozio e non fai altro che comprare vestiti, non ne posso più, ho fame!" si lamentò la brunetta.
Sonoko si voltò verso di lei con uno sguardo supplichevole.
"Ma io ho davvero bisogno di quel vestito" piagnucolò.
"E io ho davvero bisogno di una porzione di riso alla cantonese!"le fece eco Ran.
La ragazza con i capelli a caschetto la guardò alzando di un poco il sopracciglio. Poi cedette e guardò con malinconia il suo stupendo vestito allontanarsi....
Le due amiche camminarono lungo il marcapiede finchè Ran non si fermò davanti ad un ristorante italiano.
"Magiamo qui, fanno una pizza buonissima! Ci sono venuta circa un anno fa insieme a...."
"No, aspetta, lasciami indovinare..." disse Sonoko guardandola di sottecchi.
Incrociò le dita le une con le altre, chinando leggermente la testa e guardando verso l'alto con fare sognante.
"Eccolo qui, il luogo del nostro primo appuntamento. Qui, dove sotto la luna gustavamo la nostra pizza margerita tenendoci mano nella mano,guardandoci dritti negli occhi.Oh, dove sei ora, mio prode cavaliere nero? Oh dove ti nascondi mio adorato..."
La ragazza si avvicinò di più all'amica lanciandole un'occhiata maliziosa.
"....Shinichi!"
Ran sobbalzò sentendo le gote infiammate.
"Sonoko!" la rimproverò imbarazzata girandosi poi dalla parte opposta.
L'amica le girò intorno ridacchiando.
"Uh-uh com'è che siamo arrossite?" disse divertita.
L'improvviso arrivo di una vettura color giallo canarino interruppe la loro discussione, l'auto inchiodò parcheggiando maldestramente sul marcapiede.
"Ehi, ma quella è l'auto del dottor Agasa" disse Ran.
"uff, ma gli sembra il modo di parcheggiare? Se non la toglie di lì si beccherà una bella multa" sbuffò la ragazza incrociando le braccia.
Ran rimase molto sorpresa. Non era dal dottore violare il codice della strada, era sempre stato una persona molto precisa e soprattuto pignola su queste cose.
Si avvicinò al maggiolone porgendo un sorriso all'uomo che vi stava per scendere.
"Dottore, buonasera cosa ci fa..."
Non fece in tempo a finire la frase che l'anziano signore uscì sbattendo la porta dietro di lui e correndo verso di lei.
"Ran! Meno male che ti ho incontrata! Devi aiutarmi, avvisa immediatamente i dottori di quell'ospedale di venirci incontro, è urgente!" urlò l'uomo trafelato prendendola per le spalle.
La ragazza rimase immobile a guardarlo alibita dalla sua reazione.
"Ma cosa.....?" i suoi occhi caddero sull'auto nel quale si trovava una bambina con i capelli ramati, china su qualcuno invece sdraiato sul sedile. Le ci volle un'attimo per riconoscerlo.
"Conan!!" gridò gettandosi verso la macchina e allungando la mano nella sua direzione, ma qualcuno la prese per il braccio bloccandola.
"Non c'è tempo Ran, ha bisogno di un dottore, e subito! Fa come ti dico,svelta!" ordinò Agasa duramente.

La barella sfilava velocemente attraverso i vari settori dell'ospedale. Su di essa un apparente bambino con i capelli mori e arruffati rimaneva privo di coscenza collegato ad un respiratore.
Ran era attaccata ad essa, come anche il dottore ed Ai, su ognuno dei loro visi vi era un velo di preoccupazione, identico in tutti loro.
"Ci dispiace, qui non potete entrare. Rimanete in sala d'attesa, avrete notizie il prima possibile!" disse l'infermiere.
Per tutto il tempo che passarono in quella stanza nessuno parlò.
Ran guardava verso il basso, tenendo una mano con l'altra. Mordendo con nervosismo il labbro inferiore.
Non aveva aperto bocca, neanche per chiedere come avesse fatto Conan a ridursi così, non lo voleva sapere.
Tutto ciò che desiderava in quel momento era che il suo 'fratellino' guarisse, tornasse da lei, e la abbracciasse. Si, desiderava solo abbracciarlo, con tutta se stessa. Non voleva lasciarlo più. Voleva che la chiamasse con quella sua vocina squillante, la facesse ridere arrossendo all'improvviso per motivi a volte a lei ignoti, voleva che la sorprendesse facendo quei ragionamenti che una volta pensava impossibili per un bambino. Avrebbe persino voluto vederlo litigare con suo padre e ridere quando lo vedeva sbavare per le ragazze. Ridere con quella sua risata allegra ed unica al mondo.
Alzò lo sguardo dalle sue mani guardando le persone accanto a lei.
Non potè non notare lo sguardo di Ai.
Non si poteva dire stesse guardando qualcosa, aveva gli occhi spenti, persi totalmente nel vuoto. I suoi piccoli cristalli azzurro cielo erano gonfi e arrossati, doveva aver pianto molto.
Inizialmente ebbe l'istinto di gettarsi su di lei e abbracciarla, ma si ritrasse subito. Quella bambina aveva sempre reagito in maniera strana ai suoi gesti d'affetto. Per la verità, credeva che non sarebbe mai riuscita a capirla.
Era sempre stata dura e piuttosto distaccata, anche nei momenti più critici. La sua faccia semprava non provare alcun tipo di sentimento umano. Perfetta e seria come una statua greca.
Era arrivata persino a chiedersi se pungendola sarebbe uscito sangue.
Ma quella sera, la statua si era mossa, anche solo per poco, anche solo per un'istante, aveva dato vita alla bambina fragile e delicata che lei era. E questo non poteva nasconderlo.
Per un'istante i loro sguardi si incrociarono, e la scultura riprese rapidamente la sua posizione, intuendo che qualcuno l'aveva scoperta.
Ran le sorrise malinconicamente.
E anche questa volta lei reagì in maniera inaspettata.
Si voltò di colpo dalla parte opposta, chiudendo gli occhi come per non vederla, mordendosi le labbra come per voler tenere dentro qualcosa che avrebbe voluto dirle.
Il dottore entrò nella stanza.
Entrambe si alzarono di schianto, lanciando poi un'occhiata l'una all'altra. Infine Ran si diresse verso di lui.
"Dottore,mi dica, come sta?" disse la ragazza preoccupata.
L'uomo si tolse gli occhiali rimanendo un'attimo in silenzio.
"Direi che..non è in buonissime condizioni. Ha una gamba rotta e ha perso molto sangue, una ferita aperta sul torace, per cui, presumo, serviranno dei punti. Per di più è pieno di lividi, pare sia stato picchiato"
Ran si passò la mano sulla fronte sospirando. Chi poteva averlo ridotto così?
"Ma...si rimetterà, vero?" sussurrò poi con la testa china.
Il dottore parve imitare i suoi movimeti.
"Per la verità....il ragazzo aveva un'emoraggia celebrale abbastanza grave, siamo riusciti ad intervenire e per ora sembra stabile...." disse l'uomo con un filo di voce.
La ragazza lo guardò stupita.
Diceva che erano riusciti ad intervenire, che Conan era stabile, allora perchè non incrociava il suo sguardo?
"...dottore...cosa succede?" disse Ran duramente, stringendo i pugni.
Quest'ultimo finalmente la guardò.
Aveva uno sguardo neutro, che però non nascondeva un velo di dispiacere.
"Signorina.....il bambino è in coma"








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Capitolo 12
*** Stanza numero 102 ***


stanza numero 102 OK, MI SCUSO GIA' IN ANTICIPO PER L'EMOTIVITA' PRESENTE IN QUESTO CAPITOLO. PURTROPPO LA SOTTOSCRITTA SI E' LASCIATA DEL TUTTO RINCRETINIRE DALLE EMOZIONI, SCRIVENDO ACCOMPAGNATA DA "HOW TO SAVE A LIFE" E FINENDO RIGOROSAMENTE COL METTERSI A PIANGERE (SCUSATE, EFFETTO COLLATERALE DEL CICLO XD).
VORREI RINGRAZIARE TUTTI QUELLI CHE CONTINUANO A SEGUIRE LA MIA FICTION E ANCHE CHI MI HA AGGIUNTO AI PREFERITI.
COME SEMPRE RINGRAZIO SARA85 CHE PUNTUALMENTE MI LASCIA UN COMMENTINO INCITANDOMI A CONTINUARE.
RINGRAZIO _IRE_  E DEVO DIRTI CHE IL TUO COMPLIMENTO E' STATO DAVVERO,DAVVERO MOLTO GRADITO! MI HAI DATO UNA SPINTA IN PIU' PER ANDARE AVANTI!
RINGRAZIO BABEL,DEIDARAFOREVER,ILARY,LICIA TROISI,SARA85(DI NUOVO^^) CHE MI HANNO AGGIUNTO AI PREFERITI, E INFINE RINGRAZIO CHARISS E FLYINGEAGLE!
BENE, DETTO QUESTO VI LASCIO AL CAPITOLO, BUONA LETTURA!

                                                         STANZA NUMERO 102



"I fiori sono fragili e hanno vita breve. Anche se cerchiamo di proteggerli dal vento e ci costruiamo attorno delle aiuole i fiori sono destinati ad appassire al calore del sole, e se arriva un temporale un'aiuola non è una protezione sufficente per loro"


Dieci giorni. Erano passati dieci giorni da quella sera.
Tutte le mattine uno o più di loro si dirigeva verso quella camera maledetta. A volte andavano tutti insieme in gruppo, pieni di speranza, o perlomeno, era ciò che volevano farle credere.
Tutti.
Tranne lei.
Ancora una volta la porta automatica dell'ospedale si aprì, facendo entrare i suoi visitatori. Come ogni giorno nell'aria si sentiva un vago odore di plastica e solvente, persone in abiti bianchi trafficavano con cartelle e marchingegni, fermandosi talvolta a parlare con uno dei colleghi.
Ovvio, tutto ciò era perfettamente normale per loro.Erano abituati a vedere la morte arrivare e prendersi i pazienti uno ad uno, in fondo cosa significavano per loro?
Fonte di guadagno.
Niente di più.
IL dottore si allargò la cravatta deglutendo rumorosamente. Quel posto gli piaceva ancor di meno che a lei, gli ricordava che se magari non si fosse fermato a chiedere spiegazioni ad Ai, oppure fosse andato più veloce, o avesse direttamente imboccato la strada prevedendo che lui potesse essere ferito, in quel momento non si troverebbero lì.
"Dite che gli piaceranno questi fiori?" disse Ayumi tenendo tra le manine un mazzolino di viole.
"Sono sicuro di si" disse Agasa appoggiandole una mano sulla spalla e facendole un grande sorriso.
Ai si sentì sul punto di dire qualcosa di sarcastico ma poi si trattenne. Non era il caso di infierire.
In fondo lei era solo una bambina, non si rendeva certo conto della situazione.
Per un po' si limitarono a camminare in silenzio lungo il corridoio che ormai conoscevano a memoria, contando con lo sguardo i numeri delle camere che passavano affianco a loro.
97,98,99,100,101...102.
Si fermarono davanti alla porta semiaperta rimendo immobili per qualche minuto.
Lei si voltò, andandosi a sedere in sala d'attesa come faceva sempre ed estraendo dalla borsa una rivista.
Non si era accorta che un uomo l'aveva seguita, e si era seduto accanto a lei.
"Sei sicura di non voler venire a trovarlo?" le sussurrò il dottore scostandole una ciocca di capelli dorati e portandogliela dietro l'orecchio.
Ai lo guardò con sguardo neutro.
"E perchè dovrei? Lui non sa che siamo qui" rispose duramente.
L'anziano uomo si morse le labbra facendole tremare sotto i baffi. Allontanò la mano dalla bambina portandola alla testa quasi calva e massaggiandola nervosamente.
Infine si alzò senza osare aggiungere altro e si unì ai tre bambini entrando nella stanza.
La ragazzina bionda tornò con gli occhi sul giornale apparentemente imperturbabile.
Quel giorno la stampa aveva pubblicato parecchi articoli interessanti: la droga tra i giovani era aumentata nell'ultimo periodo, un ragazzo di diciannove anni era stato trovato morto per overdose.
Un altro stupido che sprecava la sua giovinezza facendo pazzie.
"E così, hai deciso di abbandonarlo" disse una voce femminile.
Ai alzò nuovamente gli occhi per incrociare quelli marrone sottobosco di lei. Il suo sguardo imperturbabile si addolcì. Non avrebbe mai potuto mantenerlo con lei, la conosceva troppo bene.
"Non è così....lui ha abbandonato me,Akemi" rispose alla sorella.
Le iridi della donna si fecero due fessure.
"Non dire assurdità Shiho!" replicò furiosamente."Lui non ti ha mai abbandonato! Era sempre lì quando avevi bisogno di lui. E lo stesso lo ha fatto con me, non è colpa sua se è successo ciò che è successo!"
Ai chiuse gli occhi portandosi le mani alle tempie. Perchè le ricordava quelle cose?
"Vattene! Tu non sei reale!" urlò dentro di sè.
Akemi si sedette sulla sedia accanto a lei e le accarezzo i capelli guardandola con tenerezza.
"Perchè fai così, sorellina? Perchè cerchi di dimenticare ciò che è stato? Perchè cerchi di dimenticare anche ciò che è ancora qui?" chiese facendo un cenno con la testa in direzione della camera.
La bambina guardò verso la porta chiusa per poi tornare con gli occhi sulla sorella.
"E come andare ad un funerale. Totalmente inutile. Perchè il morto non sa che qualcuno lo sta piangendo" sussurrò.
La ragazza bruna scossa la testa.
"Lui non è morto, Shiho" disse dolcemente.
"E' come se lo fosse!!" gridò Ai stringendo i pugni e battendoli sulle ginocchia. La rivista cadde in terra.
"Haibara-san?"
La scienziata alzò lo sguardo trovandosi davanti Mitsuhiko.
"Cos'hai, ti senti male?" chiese lanciando una rapida occhiata alla sedia vuota accanto a lei.
Lei non rispose. Si chinò a raccogliere il giornale e lo mise sottobraccio per poi raggiungere il gruppetto fermo davanti alla porta.
"Avete finito?" chiese neutrale.
Agasa annuì abbassando gli occhi,evitando di incrociare nuovamente lo sguardo penetrante della bambina-adulta.
Dunque si girò iniziando a camminare in direzione dell'uscita.
Ai stava per fare altrettanto, ma qualcosa la bloccò.
La porta ora era ben chiusa, da fuori non era possibile vedere ciò che vi fosse al suo interno. Tutto ciò che poteva vedere era il vetro opaco antisfondamento che si trovava parallelo a lei.
Le sue gambe erano in qualche modo inchiodate al pavimento, così , in quella posizione.
Tanto vicina quanto lontana.
Provò ad indietreggiare ma come risposta ebbe un fremito. Le sue mani avevano preso a tremare.
Il dottore le appoggiò le mani sulle spalle.
"Ai, vuoi restare un po' sola?" le sussurrò in modo che i bambini non potessero sentire.
Avrebbe detto di no, che stava bene ed era solo stanca, ma era la verità?
Sembrava che lentamente la sua maschera di indifferenza si stesse sgretolando, lì, davanti a tutti.
Non poteva permetterlo.
"Vi...vi raggiungo subito" sussurrò più basso del dovuto.
Agasa la guardò pieno di affetto paterno.
"Ho capito" disse andando poi incontro ai bambini.
"Bene, che ne dite ora se vi porto tutti a prendere un bel gelato?" sorrise ai piccoli mentre si incamminavano allontanandosi dal corridoio stretto.
"E...e Ai?" chiese Ayumi.
"Si è ricordata di una cosa importante, arriva tra un'attimo" rispose lanciandole un'occhiata complice.
La bambina stette a guardarli finchè non oltrepassarono la porta automatica ed uscirono in strada.
Rimanere sola non era servito. I suoi piedi erano ancora incatenati in quella posizione, tremando a ogni suo tentativo di andarsene.
"Di cosa hai paura?" chiese la voce femminile alle sue spalle.
Ai chiuse gli occhi. Tutto intorno a lei scomparve e il buio la circondò.
Non c'era niente con lei, solo il nulla  che le era sempre più adosso, per un attimo si sentì del tutto indifesa.Poi una luce le giunse accanto, era calda e confortante, ma era fieve e debole. Terribilmente debole.
"Solo di perderlo....." la sua voce tremò mentre pronunciava quelle parole.
I suoi occhi si rifiutavano di riaprirsi, avrebbero voluto rimanere così per sempre, accanto a quella luce.
"Mi manca Akemi....mi manca terribilmente" ebbe un'altro fremito. Qualcosa di caldo e bagnato le scivolò lungo la guancia.
"Lo so" sospirò la ragazza dagli occhi color del bosco.
Appoggiò la mano sulla maniglia della porta cercando dentro di sè il coraggio di avanzare. Il suo corpo obbedì.
La porta si aprì con un lento cigolio facendo uscire un raggio di sole che le illuminò il viso.
La finestra era semiaperta e faceva si che l'aria pungente albeggiasse nella stanza.
"Apri gli occhi, Shiho" disse la ragazza.
Ai strinse i pugni respirando a fondo più volte, sentiva le palpebre bruciarle.
"Non ci riesco" singhiozzò.
"Guardalo"
La luce rossa la inondò colpendo dolcemente il colore del ghiaccio delle sue iridi. Ne sentiva il calore su ogni parte di sè.
Guardò accanto a lei ma non c'era nessuno. Neppure un segno della presenza di qualcuno precedentemente.
Sorrise amara. Forse stava davvero impazzendo.
La stanza in cui si trovava era piuttosto stretta ed allungata, in alto su uno scaffale c'era una piccola televisione. Sul comodino, accanto al letto pochi fiori di un colore viola acceso dentro ad un vaso.
Fu peggio di come se l'era immaginato. Una fitta al petto la colpì improvvisamente, subito seguita da un'altra, e un'altra ancora.
Il bambino con i capelli mori era sul letto, del tutto immobile. La sua bocca era coperta da un respiratore,talvolta appannato dal suo regolare respiro. Delle flebo erano collegate dal braccio fino a raggiungere una sacca piena di un liquido trasparente.
Sembrava dormisse. Sembrava fosse assopito in un dolce sonno dopo un'impegnativa partita di calcio, ma lei sapeva che non era così.
Affondò la testa tra le dita per non scoppiare a piangere.
Per quanto cercasse di trattenersi continuava ad avanzare verso di lui. Aveva completamente perso il controllo delle sue gambe.
Perchè non riusciva a rimanere al suo posto? Eppure lo aveva già visto in condizioni critiche, ed era riuscita a rimanere perfettamente neutra. Perchè adesso era diverso? Perchè sentiva questo bisogno irrefrenabile di tocarlo, abbracciarlo, sentirlo vicino?
La sua mano si allungò in direzione di quella di lui.
Movimento del tutto innaturale. Di solito era Conan ad afferrarla e a spingerla a continuare.
Le poche volte in cui era stata lei a prenderlo per mano era sempre spaventata o triste, non lo aveva mai considerato come un gesto d'affetto.
Le loro dita si sfiorarono.
Una scossa percosse tutto il suo corpo.Sentì le guance diventare ardenti.
Passò il suo palmo su quello di lui, sollevando la mano dalla branda e stringendola tra le sue.
Era gelata.
Continuava a stringerla sperando in una reazione. Appena la lasciò essa cadde come un peso morto sul letto.
Nessun rumore. Sono il lento e assillante suono dell'elettrocardiogramma che indicava i battitti del suo cuore.
La sua maschera si frantumò.
Ora le lacrime scendevano numerose lungo le sue guance, senza che lei riuscisse a placarle. Il silenzio della camera era  rotto dai suoi singhiozzi.
"Sei uno stupido" sussurrò con voce tremante.
"Tu non mi ascolti mai, non mi ascoltavi nemmeno quando eri sveglio!" disse affondando le dita nel lenzuolo della branda.
"Mai...mai....sei solo un'incopetente...un bugiardo!" sibilò a denti stretti.
I suoi occhi erano accecati dalla rabbia.
"Mi avevi giurato che non mi avresti abbandonato......lo avevi giurato...me lo avevi giurato!!" gridò battendo i pugni sul letto e cadendo in ginocchio.
Le lacrime le rigavano il viso mentre continuava ad urlare parole irate. Il mondo parve chiudersi intorno a lei, era isolata da tutto e tutti, era rimasta sola. Di nuovo sola.
"Perche? perchè?perchè??" sussurrò tra le braccia scuotendo la testa.
Sollevò lo sguardo verso di lui. Le provocò nuovo dolore.
"Ti odio....."
Le sue labbra tremarono, bagnate dall'acqua salata che scendeva lungo le sue guance. Come avrebbe voluto che si fermassero.
"...perchè non riesco ad odiarti"
Si passò la mano sul viso e tirò su il naso. Il suo corpo aveva smesso di tremare.
Per un po' rimase in silenzio, seduta sul letto, contando il numero di battiti indicati dalla macchina.
Il sole stava tramontando, ora i colori si stavano mischiando, formando sfumature color rosa e arancio.
"Sai.....tempo fa ho letto di un uomo che è naufragato nel bel mezzo dell'oceano, la sua nave era affondata ed era circondato dagli squali..." disse ad un certo punto tenendo gli occhi fissi sulle sue mani.
"...ma per sua fortuna è arrivato un pescatore...lo ha caricato sulla sua barca e lo ha salvato..... Per questo non volevo venirti a trovare, perchè..." sentì gli occhi bruciarle più di prima.
"...perchè la mia nave era affondata...e io stavo per essere divorata dagli squali...ma poi..." chinò la testa, lascando che la frangia le coprisse il volto.
"...poi sei arrivato tu" sentì una lama affilata colpirla nel profondo.
"Ma se tu ora mi abbandoni....io andrò a fondo...." la sua voce era un sussurro imparcettibile. Ma tanto lui non l'avrebbe sentita comunque.
"Non puoi! Non puoi abbandonarmi così! Io non vivo senza di te, lo vuoi capire?Io tengo e te, stupido detective!" pianse lanciandosi su di lui e buttandogli le braccia al collo.
"Ti prego...ti prego, non lasciarmi...."singhiozzò.
Un'ondata di aria gelida venne addosso ad entrambi inondando la stanza, perchè non riusciva a sentirla?
Il mondo non esisteva più erano rimasti loro....solo loro due.
Il suono dell'elettrocardiogramma accellerò, divenne rapido e irregolare, i battiti ora si susseguivano a distanza di mezzo secondo, uno dopo l'altro.
Ai alzò la testa guardandolo perplessa, per poi tornare con gli occhi su di lui.
"Shinichi?" chiese.
Un balume di speranza si accese dentro di lei.
Il bambino continuava a tenere gli occhi chiusi, ma ora il suo corpo si agitava e si dimenava con frenesia nel letto.
La luce sul viso di Ai si tramutò.
"Shinichi che succede?" chiese titubante.
Il corpo si contrasse ancora, totalmente in preda alle convulsioni.Gocce di sudore gli scesero lungo la fronte.
Poi si bloccò di schianto ricadendo sul letto.
Il suono dell'elettrocardiogramma era del tutto piatto.
La bambina scattò in piedi afferrandolo per le spalle.
"No! Aiuto! Qualcuno mi aiuti!!"

















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Capitolo 13
*** countdown per il paradiso ***


countdown per il paradiso
EHI CIAOOOOOOOOOOO!!!

OK, VORREI SCUSARMI PER IL TERRIBILE RITARDO DEL POSTARE QUESTO CAPITOLO, MA NON SAPETE CHE HO PASSATO!!!

L'INIZIO DELLA SCUOLA E' STATO PROPRIO TREMENDO, SONO PIENA DI VERIFICHE FIN SOPRA LA TESTA E NON HO AVUTO NEANCHE UN MINUTO PER SCRIVERE IN QUESTE DUE SETTIMANE.

OGGI PER FORTUNA NON SONO ANDATA A SCUOLA E HO AVUTO UNA GIORNATA INTERA PER FINIRE IL CAPITOLO.

PER TANTO MI SCUSO(NUOVAMENTE) PER AVERVI LASCIATO CON IL FIATO SOSPESO PER TUTTO QUESTO TEMPO (SPERO NON SIATE MORTI XD) E PURTROPPO NON POSSO PROMETTERVI CHE NON RIACCADRA'.

BE' DETTO QUESTO, VI LASCIO AL CAPITOLO, A CUI HO DATO LO STESSO NOME DEL FILM 5 DI CONAN (MI SEMBRAVA IL PIU' ADATTO)

BACI8I

CHARLIOTTA

                                                       COUTDOWN PER IL PARADISO


"Spostati piccola, lasciaci passare!"
Gli infermieri entrarono uno dopo l'altro nella stanza, ammassandosi attorno al letto. Uno di loro la allontanò con una spinta.
Lei non oppose resistenza.
Troppo scioccata per riuscire a muoversi, troppo ferita per poter parlare anche solo per ribattere.
In un attimo il silenzio della stanza fu rotto dall'insopportabile brusio di quell'ammasso di persone che discutevano tra di loro, si aggredivano, parlavano uno sopra l'altro rendendo impossibile la comprensione del discorso.
Cosa stavano facendo? Perchè non lo aiutavano? Perchè continuavano a perdere tempo mentre la sua vita era attaccata ad un filo?
Erano solo degli egoisti. Stupidi, egogentrici egoisti.
"E' in arresto!" disse uno di loro spintonando gli altri e parandosi davanti alla branda.
Non lo vedeva più. Tutta quella gente le si era parata davanti impedendole la visuale.
Il suo corpo tremò.
Strise i pugni, e in quel momento si rese conto di avere qualcosa di caldo e morbido tra le dita. Il lenzuolo.
Quando i medici l'avevano spostata dal letto costringendola contro la parete non lo aveva lasciato,lo aveva trascinato via con se.E ora, che lui si trovava lì in bilico tra la vita e la morte tutto ciò che poteva fare era stringere contro il petto quel pezzo di stoffa, ancora impregnato del suo profumo.
Non poteva fare nulla di più.
Il mondo scomparve ancora una volta ai suoi occhi, ma non c'era nessuna luce a mostrarle la via. La sua luce si era spenta.
Scivolò contro il muro fino a raggiungere il pavimento, e lì si ragomitolò facendosi piccola in quell'angolo. Avrebbe voluto diventare invisibile.
"Chiamate il Dottor Heiroko, presto!" urlò l'uomo biondo chinato sulla branda.
Al suo richiamo due dei presenti si precipitarono nel corridoio, andando contro una ragazza con i capelli marroni sul punto di entrare nella camera.
Non appena fu sulla soglia la sua camminata si interruppe di colpo.
I suoi occhi chiari rimasero pietrificati per qualche secondo sulla scena che si era trovata davanti, dopodichè slittarono fino a raggiungere quelli azzurro ghiaccio di Ai.
La piccola lampada a forma di pallone che teneva tra le mani scivolò frantumandosi in mille pezzi.
Le iridi della ragazza scintillarono, senza perdere il contatto con quelle della bambina bionda.
Non era mai capitato a loro due trovare a fissarsi una con l'altra per un periodo tanto lungo, anche perchè, spesso quando Ai si accorgeva che Ran la stava guardando le lanciava un'occhiata tagliente costringendola ad abbassare lo sguardo.
Non era mai riuscita a volerle bene. Il motivo era sempre stato ignoto pure per lei, quella strana e fastidiosa sensazione che sentiva nello somaco ogni volta che le era vicina, inizialmente credeva fosse il fatto che Ran assomigliava terribilmente ad Akemi, ma con il tempo aveva capito che non era così.
Perchè ogni volta che lei gli sorrideva, parlava di lui, lo faceva arrossire con i suoi commenti fuoriluogo Ai si sentiva inondare da una serie di pensieri pungenti e ostili, stringeva i denti, sentiva il bisogno implacabile di urlare e a volte fuggiva inalzando l'ennesima barriera tra sè e le altre persone.
In quell'istante, quando i loro occhi si erano incontrati, la verità che forse era stata fin troppo scontata era venuta fuori.
I loro cuori stavano battendo all'unisono.

Voci. Un ammasso di voci che gli urlavano nella testa.
Le sentiva tanto forti che avrebbe giurato che provenissero direttamente dal suo cervello.
Smettetela. Basta.
Non riusciva a vederli, davanti a lui c'era solo il buio, orrendo e nero che gli dava i brividi. Avrebbe urlato, avrebbe voluto urlare loro di lasciarlo stare, ma la sua bocca non rispondeva ai comandi, peggio, non la sentiva.
Ogni parte di se, occhi, bocca, braccia, gambe....non c'era. Il suo corpo non esisteva.
"Non c'è battito, prendete il defibrillatore!" un'altra di quelle voci parlò.
Dove sono? Chi siete?
Nonostante non sapesse come muovere le labbra poteva sentire la sua voce chiaramente, ma al contrario sembrava che loro non la udissero, nè che riuscissero a vederlo.
Ehi, mi sentite? Sono qui!
Tentò di camminare avanti ma non avrebbe saputo dire se si stesse muovendo o fosse immobile, se fosse in piedi o sdraiato. Tutto ciò che vedeva era nero. Nero che lo circondava come se lo volesse inghiottire.
La testa cominciò a girargli vorticosamente, quelle urla, gli insulti e il suono acuto e piatto che le accompagnava gli davano la nausea. Chi era quella gente, cos'era successo?
"Carica a trecento, forza!" disse uno di loro.
Un ronzio più forte di quello precedente gli scoppiò in testa.
"Libera!" gridò.
A malapena riuscì a trattenere un urlo di dolore. Una fitta atroce gli perforò il petto facendolo ricadere in quel nero orribile, lo sentì come una scossa elettrica in tutto il suo corpo.Un fuoco che lo bruciava da dentro.
Improvvisamente dal buio apparirono una serie di immagini velocissime, una dopo l'altra gli slittarono davanti agli occhi.
Un magazzino.
Un uomo con i capelli color biondo chiaro.
Sangue.
Un lago di sangue attorno a lui che lo nauseava.
La stanza aveva preso a girargli intorno. Non riconosceva più nulla.
E poi un volto. Un volto angelico.
"Accidenti, nessuna reazione. Di nuovo!" ordinò.
"Libera!"
Il colpo feroce al suo petto si ripetè incendiandolo nuovamente.
Basta!basta!!
Gli uomini tacquero.
Le voci attorno a lui si affievolirono, lentamente stavano scomparendo una dietro l'altra. Non riusciva quasi più a capire ciò che stessero dicendo, i loro discorsi erano troppo lontani e sfumati perchè lui potesse capirli.
Udì dei passi giungere accanto a lui.
"Ora del decesso 5:34 del pomeriggio" sospirò la voce cupamente.
Qualcuno urlò.
Una voce famigliare...una donna...no....una ragazza.
"signorina, la prego deve uscire.."
"No!no,no non potete...Conan......CONAN!!!" gridò la ragazza.
Quel nome...quella voce...
Ran.
Un lampo di consapevolezza gli piombò d'improvviso.
Ora ricordava. L'organizzazione...Ai, Rum,Vermouth.
Aveva tentato di salvare la sua amica ed era stato ferito.
Haibara e il dottore lo avevano portato d'urgenza in un'ospedale.
Ma era stato inutile.
Perchè ora era morto.
Morto.
Le grida della ragazza sparirono.
Le sue braccia e le gambe erano diventate leggere come piume, galleggiavano in un'oceano che da nero era diventato chiaro e accogliente.
Non lo spaventava più, lo stava invitando verso una luce abbagliante seguita da una dolce melodia che gli liberava la mente ad ogni minuto che passava con maggiore intensità. Sentì il bisogno di affrettare il passo, raggiungerla il prima possibile.
Non ne sapeva il motivo, ma sentiva di potersi fidare ciecamente di ciò a cui andava incontro, come se in cuor suo avesse sempre conosciuto quel luogo.
Non rimembrava ciò che era successo, o chi era in passato. Non gli interessava.
Ciò che era importante era il presente.
Solo quello.
Allungò la mano come per cercare di sfiorare qualcosa di invisibile.
Ma si fermò di scatto.
Un pianto disperato e lontano lo fece ridestare.
Chi era a piangere? Pensava di esser solo.
Si voltò nella direzione dalla quale era arrivato, il buio sembrava lontanissimo.
Chi sei?
La voce sconosciuta non gli rispose.
Perchè piangi, non ce nè motivo! Disse cercando di calmarla. Non la conosceva, eppure aveva come l'impressione di averla già sentita. E sentiva il bisogno implacabile di consolarla.
Ti prego
Singhiozzò la voce.
Ti prego...non lasciarmi....
Il ragazzo rimase totalmente spiazzato da quelle parole.
Non puoi! Non puoi abbandonarmi così! Io non vivo senza di te, lo vuoi capire?Io tengo e te!
Il pianto svanì.
Era di nuovo solo. Ad un passo da quel modo che fino a poco prima credeva magnifico.
Ma non poteva lasciare andare quella persona che sembrava soffrire tanto.
Aspetta! Chi sei? Perchè dovrei abbandonarti? disse titubante.
La voce non parlò.
improvvisamente un unica ombra in quell'immensa luce gli passò davanti correndo in direzione del buio.
No!Non andartene! le urlò e senza pensarci prese a correrle dietro.
Non appena i suoi piedi superarono la linea chiara ed entrarono nell'ombra di quell'immenso tunnel sentì che la terra non si trovava più sotto essi, e prima ancora di accorgersene cominciò a precipitare nel vuoto.
La sensazione terribile della caduta lo terrorizzò.
Tendeva le braccia verso l'alto, come cercando disperatamente di attaccarsi a qualcosa, ma quel profondissimo tunnel sembrava risucchiarlo verso il basso.
Mentre, in preda alla confusione precipitava verso l'ignoto qualcosa si manifestò dentro la sua testa.
Immagini.

"cosa fai?lasciami, mi fai male!" mugolò il bambino dimenandosi.

"su,non avere paura piccolino, finirà presto...."disse il clown portandogli la lama del coltello sulla gola.

La bambina gli si avvicinò di più, tanto da andare quasi a sfiorargli la punta del naso. Rise.
"che c'è, non sai parlare?" disse divertita.
Il bambino sentì le sue guance diventare ardenti. La sensazione di essere preso in giro lo fece arrabbiare.

Un uomo interamente vestito di nero gli passo davanti senza degnarlo di uno sguardo. Srinse a se la borsa che teneva sottobraccio e si infilò nel vicolo.
"Scusami Ran, torno subito" disse il ragazzo seriamente.
La ragazza mora alzò gli occhi ancora lacrimanti dalle mani.
"Come?" chiese confusa. Ma non ebbe risposta, l'amico l'aveva già lasciata, correndo dietro a quell'uomo misterioso.

"Come ti chiami,piccolo?" chiese la ragazza avvicinandosi a lui e costringendolo ad arretrare contro la parete della libreria.
"Ecco....io.."disse senza sapere bene cosa risponderle. I suoi occhi caddero su i romanzi disposti ordinatamente alle sue spalle, ne lesse i nomi: "Conan Doyle" e "Rampo Edogawa".
"Conan Edogawa! si, mi chiamo Conan..." rispose infine

"T-tu...non sei...Ai Haibara?!?!" disse tremante.
La bambina bionda sorrise malignamente guardandolo con i suoi occhi perforanti e assassini.
"Sherry" disse mostrandogli un ghigno degno di un membro dell'organizzazione.
"Sorpreso, Shinichi Kudo?" Il bambino rimase totalmente a bocca aperta. Le gambe non lo reggevano più.

Il ragazzo di Osaka gli si mise in ginocchio affianco a lui.
"Non avrei mai pensato...che nelle sembianze di un bambino...ci potesse essere il mio carissimo amico Shinichi" commento ridendo.
Conan trattenne il fiato.
"Cosa?!? Come...no..che dici...non è vero!" belbettò allarmato portando le braccia avanti.
Il detective dalla carnagione scura gli avvicinò la mano al collo e con un gesto secco gli strappò via il papillon.
"Mi prendi per uno sprovveduto? Ho solo finto di addormentarmi, e ho guardato passo dopo passo tutti i tuoi movimenti, ingegnoso questo papillon con il quale hai imitato la mia voce...." disse guardandolo con aria furba.
Non poteva crederci.
Heiji Hattori lo aveva scoperto.

"Ti dice nulla questo nome?" disse volgendo il suo sguardo indagatore su Ai.
La bambina scosse la testa.
"lo sai che non mi intendo di liquori, non so neanche cosa sia questo Vermouth" rispose lei con tono neutro.
Conan iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza osservando con attenzione il biglietto ricevuto.
"Il Vermouth è un liquore italiano..." disse poi.
"....si può pronunciare con l'"H" o senza ma il suono non cambia, nella nostra lingua si dice in un'altro modo.."
Si fermò lanciando un'altra occhiata all'amica.
"...in giapponese si dice Belmoth"
Gli occhi di Ai si persero nel vuoto....strinse a se le coperte con le unghie iniziando a tremare.
Proprio come pensava.
Un membro dell'organizzazione.

"Ai, vattene!!" urlò contro la bambina che con ostinazione correva verso di lui senza badare alle sue parole.
"Mi hai sentito? E' pericoloso! Non è il caso che tu ti esponga, scappa!!"
Qualcuno lo afferrò per il braccio.
Staccò gli occhi da Ai per vedere quelli gelidi e penetranti di quella donna davanti a lui.
Non fece in tempo a reagire che un ago minuscolo e appuntito lo colpì  al collo facendolo cadere svenuto sull'asfalto.

Non potè trattenere un sorrisetto che gli si disegnò sull labbra. era fatta.
Sul suo cellulare ora si trovavano i numeri collegati alle note di "Seven Children" e cioè al numero del boss.
Li aveva in pugno.
"Non farlo" disse la bambina dai capelli ramati appena entrata nella tenda.
"Non chiamare quel numero...quelle cifre sono maledette...sono come il vaso di pandora"
Lo guardò seriamente come per fargli capire che non scherzava.
"Non deve essere aperto per nulla al mondo"

Sembrava che la caduta non volesse più fermarsi, ormai la consapevolezza si era impadronita di lui. Sapeva chi era, cosa era successo, ma non aveva la minima idea di dove si trovasse.
La sua testa battè violentemente contro qualcosa di duro, sentì in bocca un sapore amaro e le ossa di tutto il  suo corpo gemettero.
Tutto ciò che udì fu un acuto, breve ed intenso suono.
Bip.
Bip.....bip.....bip.....
Continuava a ripetersi incessantemente come un disco rotto,con un ritmo quasi regolare.
"Non è possibile!" disse una voce.
Ora la sentiva chiaramente, come se si trovasse proprio accanto a lui. Ma non era l'unica cosa strana.
Sentiva freddo.
Sentiva le gambe intorpidite.
Dei passi giunsero alle sue orecchie, che lentamente gli furono accanto.
"E' incedibile....non può essere...il cuore...." balbattava la voce.
Una luce calda e fastidiosa gli colpì gli occhi chiusi facendoli bruciare. Li strizzò voltando la testa da un lato.
Nella stanza risuonò un' urlo di sorpresa.
"Ragazzino?" sussurrò la sagoma scura che gli era accanto.
Sbattè le palpebre più volte, riuscendo infine a metterla a fuoco.
Era un uomo di circa quarantanni. Capelli marroni, con qualche ciocca bianca e il volto leggermente rugoso.Occhi dello stesso colore.
Indossava un camice bianco e dei guanti, sulla testa portava una specie di bandana che gliela copriva palesemente.
Non appena incontrò il suo sguardo, le iridi dell'uomo si fecero due fessure. Ai lati degli occhi spuntarono nuove rughe sottili, i baffi si cuvarono verso l'alto.
Il bambino avrebbe voluto dire qualcosa, ma dalle sue labbra secche uscì solo un debole mugolio.
"mmmm...." sussurrò.
"Conan" sospirò un voce.
Delle braccia calde e accoglienti gli furono addosso coprendogli il viso. La ragazza mora lo strinse a se singhiozzando.
Ran.
Sollevò le braccia portandole intorno alle sue spalle. Sembrava fosse passata un'eternità da quando quelle spalle riusciva a stringerle in un abbraccio e a coprirle del tutto con il suo stesso corpo.
No, non ti abbandonerò, Ran.
I suoi occhi caddero sul fondo della stanza.
Ragommitolata contro il muro c'era una bambina bionda. Dimostrava circa sette anni, ma lui sapeva bene che ne aveva molti di più.
Quella ragazza che sapeva intimorire e commuovere, far arrabbiare e sorridere. Quel cucciolo fragile e impaurito.
I suoi occhi chiari e freddi erano arrossati, le labbra pallide risaltavano sulla sua pelle bianca.
Il ritratto dell'innocenza.
Si passò una mano sugli occhi e dunque si alzò, dirigendosi verso di lui e mostrandogli i denti nascosti fino a poco prima da una smorfia dolorosa.
Smorfia che ora era stata cancellata.
Tutto ciò che riconosceva ora era il sorriso più bello e dolce che Ai gli avesse mai rivolto.












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Capitolo 14
*** Ritornando a vivere ***


ritornando a vivere EHM.....SI SO COSA VOLETE DIRMI....
"SEI IN RITARDO MADORNALE!!!!!"
SISI OK LO SO...MA E' UN PERIODO TERRIBILE! SEMBRA CHE I PROFESSORI SI SIANO MESSI D'ACCORDO PER FARMI ANDARE FUORI DI TESTA! E PER DI PIU' SONO ARRIVATI I PRIMI VOTI A CASA E ...BE'....DICIAMOCELO....NON SONO PROPRIO UN BELLO SPETTACOLO!!!
I MIEI HANNO DECISO DI TOGLIERMI IL COMPUTER PER FARMI STUDIARE DI PIU', QUINDI(AIME') MI SA CHE NON SCRIVERO' PER UN PO'.....
PER FARMI PERDONARE IN QUESTO CAPITOLO SUCCEDERANNO UN BEL PO' DI COSE, E ALLA FINE HO AGGIUNTO UN'ANTICIPAZIONE DEI PROSSIMI CAPITOLI CHE SCRIVERO', GIUSTO PER FARVI CAPIRE CHE SE NON AGGIORNO NON E' CERTO PER LA MANCANZA DI ISPIRAZIONE, MA SOLO PER LA MANCANZA DI CONNESSIONE -_-'
BENE, COME SEMPRE RINGRAZIO TANTISSIMO TUTTI QUELLI CHE CONTINUANO A SEGUIRMI E A RECENSIRE!
DETTO QUESTO VI LASCIO AL CAPITOLO, MI RACCOMANDO DITEMI CHE NE PENSATE!
BACI8I
CHARLIOTTA


                                                                        RITORNANDO A VIVERE

 
L'infermiera stava trafficando con alcune cartelle, compilando fogli con la massima serietà. Dopo che ebbe concluso gli fece un sorriso smagliante.
"Pare non ci siano complicazioni, se tutto va bene potrai tornare a casa tra circa una settimana" gli disse allegra.
Conan sbuffò incrociando le braccia.
Ancora una settimana in ospedale, e poi chissà quanto altro tempo incollato ad un letto.
Insopportabile.
"Quanto ci metterà la gamba a guarire?" chiese il bambino.
La donna gli arruffò i capelli.
"Non avere fretta, piccolo. Il riposo è la cura migliore, per cui non affaticarti e rimani a letto e vedrai che guarirà in un  baleno"
Detto questo prese la porta chiudendola dietro di se.
Conan sprofondò nelle coperte alzandole fino a coprire del tutto il viso.
"Non avere fretta, è facile dirlo..." pensò tra se il detective.
Era impossibile.
Impossibile non avere fretta con quell'uomo ancora in libertà.
Quell'assassino.
La rabbia che il ragazzo aveva sentito nel magazzino si ripresentò in lui facendolo istintivamente balzare seduto sul letto.
Affondò le unghie nel lenzuolo.
"Accidenti! Metre io sono qui a non fare nulla Rum è ancora in giro per Tokio a far strage di innocenti! Non posso, non posso permettergli di causare tutto questo. E' colpa mia che è successo ciò e sarò io che...Ahi!"
Appena fece per alzarsi la gamba ingessata gemette. La guardò irritato tornando poi ad appoggiare la testa sul guanciale.
Sicuramente in quelle condizioni non sarebbe potuto essere granchè di aiuto.
"Uhm....direi che sei in forma" disse una voce.
Gli occhi blu del ragazzino caddero sulla figura appoggiata sull'uscio della porta con le mani in tasca.
Era un ragazzo alto e discretamente magro, dimostrava circa diciassette anni,indossava una camicia bianca e una felpa nera, sulla testa portava un cappellino con la visiera al contrario.
La carnagione scura e i capelli neri che lo caratterizzavano avrebbero fatto pensare che fosse straniero anzichè giapponese, eppure il bambino sapeva bene che il luogo di nascita e residenza del giovane si trovava ad Osaka, e che il colore della sua pelle gli era stato tramandato dal nonno.
"Non avevo nulla di cui preoccuparmi, vero?" gli disse abbozzando un sorriso e iniziando a camminare in sua direzione
"Era solo un caso come un altro? Non volevi che Ran si proccupasse inutilmente, eh? Baka!"(stupido n.d.a)
Così dicendo diede un colpetto in testa al bambino.
Lui lo guardò imbronciato massaggiandosi la nuca.
"Cosa ci fai a Tokio, Hattori?" chiese ignorando le sue insinuazioni.
Heiji lo osservò ridendo per poi scompigliargli i capelli, ottenendo così un'ulteriore occhiata di disappunto da parte del piccolo detective.
" E c'è da chiederlo? Ero in pensiero per il mio migliore amico e ho così deciso di fare un salto per vedere come stavi"
Rispose allegramente.
Conan alzò il sopracciglio continuando a guardarlo di sottecchi.
"No...seriamente..."
Il detective di Osaka si fece improvvisamente serio, prendendolo del tutto alla sprovvista.
Si sedette ai piedi del letto senza proferir parola per qualche minuto.
"Credi che stia scherzando per caso?" disse cupamente infine.
Il bambino non riuscì a rispondere.
"Ti rendi conto del guaio in cui ti sei cacciato?"continuò.
"Dannazione Shinichi, per poco non ci hai lasciato la pelle!Non mi hai neppure messo al corrente di ciò che facevi, non sapevo dov'eri ne come potevo aiutarti, te ne rendi conto?!?"
La sua voce si alzò gradualmente man mano che pronunciava quelle parole.
Conan abbassò lo sguardo. Non aveva mai pensato che il suo amico potesse reagire in quel modo,lo aveva lasciato senza parole.
Come pure Haibara.
L'aveva vista così scioccata al suo risveglio, eppure era da una settimana che non si era più fatta viva.
Aveva ricevuto visite dal dottore, da Ran, dai detective boys e ora anche da Hattori...ma lei no.
I suoi occhi azzurro ghiaccio continuavano a vagare nella sua mente come se non volessero più lasciarlo.
"Kudo?" disse il ragazzo distogliendolo dai suoi pensieri.
"Scusa" ripose il bambino.
"Chiedi scusa a me per esserti quasi fatto uccidere?" rispose Heiji con una nota di ironia.
"Scusa per averti fatto preoccupare" puntualizzò.
Il ragazzo con la carnagione scura gli mostrò un ghigno.
"E quando mai sarei stato preoccupato? Mi faceva solo rabbia stare qui a pararti il fondoschiena mentre tu stavi tranquillo a sonnecchiare".
Il piccolo detective gli fece una linguaccia "Antipatico!"
"Sei proprio un bambino!" rispose l'altro.
I due scoppiarono a ridere.
Era bello poter di nuovo scherzare con un volto amico.
Proprio in quell'istante il telefono del detective di Osaka squillò.
"Pronto? Ah, salve....si..si è qui..." disse facendo cadere lo sguardo sul ragazzino sdraiato sul letto.
Conan lo scrutò indagatore.
Heiji allontanò il telefono dall'orecchio porgendoglielo.
"E' per te"
"Per Shinichi o per Conan?"
Il giovane sorrise sotto i baffi.
"Entrambi"
Il bambino gli lanciò un'ultima occhiata dubbiosa, per poi afferrare il cellulare e portarlo all'orecchio.
"Pronto?" disse esitante.
"SEI DIVENTATO PAZZO?!?!?" gridò la voce dall'altro capo,tappandogli l'orecchie e costringendolo ad allontanare l'apparecchio.
Troppo famigliare quella voce per non riconoscerla...
"M-mamma?" deglutì.
" "Mamma" un corno! Ma si può sapere che stai combinando, Shinichi? Non mi informi, non mi chiami, e poi vengo a sapere da Heiji che sei stato attaccato da un killer!!"
Il bambino fulminò il ragazzo accanto a lui con un'occhiata gelida.
"....Hattori...." ringhiò.
Il detective mise le mani avanti in gesto di difesa.
"Ehi, ehi, avevi il cellulare staccato e ha chiamato me, che dovevo dirle? "Ah signora Kudo...si Shinichi sta benissimo, continua a frequestare normalmente le elementari, gioca a pallone con i suoi amici di sette anni, legge libri gialli e che altro?......ah si.... insegue spietati assassini che hanno a che fare con l'organizzazione facendo saltare in aria la casa di Agasa e facendosi sparare alle gambe...nulla di che..."" disse sarcastico.
"Hai fatto saltare in aria la casa del dottor Agasa?!?" intevenne la voce al telefono.
"...grazie..." sibilò.
Hattori era la persona più propensa a tenere i segreti...
"Non sono stato io!" rispose poi alla sua interlocutrice.
"E comunque non hai motivo di preoccuparti, so badare a me stesso..."
"...e si vede" rispose sottovoce il detective del Kansai. Venne immediatamente zittito da Conan con un'occhiataccia.
"Lo so, ma non posso fare a meno stare in pensiero per te Shin-chan, non mi fai mai avere tue notizie, viviamo lontani e non mi chiami, non ho mai la certezza che tu sia al sicuro..." mugolò Yukiko.
"Si,si va bene....ti chiamerò più spesso, ok?" rispose il bambino cercando di tagliare corto, moriva dalla voglia di strangolare il suo migliore amico.
La donna dall'altro capo sbuffò.
"Ok, riguardati mi raccomando, ora ti devo lasciare, richiamerò poi per sapere come stai..."
"Va bene, a presto mamma.."
"Ah...Shin-chan...." rispose prima che lui avesse tempo di riattaccare.
"Si?"
"....Non fare pazzie"
"Ok,ok, stai tranquilla" disse Conan visibilmente seccato.
"Mi passeresti Heiji ora?"
Il piccolo detective guardò la cornetta sorpreso per poi passarla all'amico.
Dopo una brevissima discussione Hattori chiuse la conversazione e si infilò il cellulare in tasca.
"Che cosa ti ha detto?" domandò.
Il detective di Osaka fece un piccolo ghigno.
"Di non permetterti di fare pazzie" rispose lui.
Conan fece una risatina ironica.
Madre di poca fede.


"A proposito, non ti ho ancora chiesto che scusa hai usato con Ran..." disse Conan dopo aver terminato di raccontare la vicenda.
Heiji alzò le spalle.
"Bè ho usato quella che mi sembrava più verosimile: tu e Haibara siete stati rapiti da un killer che aveva intenzione di ricattare Kogoro, ma Agasa l'ha visto e l'ha seguito cercando di salvarvi. Haibara è riuscita a fuggire, ma tu sei stato colpito a una gamba e poi successivamente alla testa, come è successo poi, lo sa solo il malvivente...."
"Accidenti che fantasia" pensò tra sè il bambino.
".....infine lui è riuscito a scappare e il dottore e la bambina ti hanno portato in ospedale. Stop, titoli di coda" concluse agitando le mani davanti a se come in presenza di uno schermo.
"Allora? Che ne pensi?" domandò poi al suo interlocutore.
"Non fa una piega" annuì lui.
"Bè, perlomeno Ran l'ha bevuta, ma forse era solo l'effetto dello shock, sai ci hai fatto davvero preoccupare, il tuo cuore si è fermato per circa cinque minuti, credevamo di averti perso"
Il piccolo detective divenne nuovamente serio. Le parole che aveva udito durante il suo stato di incoscienza gli risuonarono nella testa.
"ti prego...ti prego non lasciarmi....io non vivo senza di te lo vuoi capire? io tengo a te!"
"E' grazie a lei...." sussurrò sorridendo debolmente.
Heiji lo guardò dubbioso.
"E' grazie a Ran se sono vivo...io....ho..ho sentito la sua voce, mentre ero in coma. Mi chiamava dicendo che non potevo abbandonarla, che teneva a me e mi scongiurava di non lasciarla...è stata lei..a riportarmi indietro..." le gote del bambino si arrossarono.
Lei. Solo ed unicamente lei.
E pensare che poco tempo prima avrebbe giurato che i sentimenti che provava nei suoi confronti non fossero più quelli di una volta, che si fossero in qualche modo affievoliti.
Invece non era così, era stata lei a dargli la forza di vivere.
Il ragazzo di Osaka gli diede una pacca sulla spalla.
"Fa attenzione amico, c'è il rischio che la tua ragazza ti tradisca con te stesso!" sogghignò.
"Ma piantala!" ribattè Conan.
Proprio in quel momento la porta della stanza si aprì mostrando ai due una ragazza castana con un vassoio in mano.
"Ma guarda un po'...si parla del diavolo..." pensò tra sè Hattori.
"Disturbo?" domandò timidamente Ran.
"No no, entra pure, arrivi al momento giusto" ridacchiò il giovane tra sè osservando la faccia paonazza dell'amico.
Ran entrò nella stanza appoggiandosi sul bordo del letto e mettendo il vassoio sulle gambe di Conan.
"Visto che la mensa dell'ospedale è pessima mi sono permessa di portarti qualcosa da casa.." così dicendo sollevò il coperchio mostrando un piatto fumante di riso bianco. Con un cucciaio ne prese una manciata e dopo averci soffiato sopra la porse al bambino.
"Su avanti, dì aaaaaa"
Ora il viso di Conan era rosso peperone.
Heiji si mise una mano sulla bocca per non scoppiare a ridere.
"Ehi,ehi! Non ho due anni, riesco a mangiare da solo!" disse con imbarazzo prendendo il cucchiaio dalla mano della ragazza e ficcandoselo in bocca con troppa foga. Sentì la gola diventare ardente e dovette tossire due o tre volte per ingurgitare il boccone.
La mora scosse la testa.
"Hai visto che hai fatto? Uff...sei peggio di Shinichi...."
"A proposito di Shinichi..." si intromise il detective di Osaka alzando gli occhi al cielo per poi farli cadere sul bambino.
Conan lo saettò.
"Se vuoi sapere se so dove si trova la risposta è no, non lo so!" rispose seccatamente Ran.
"Ho provato a chiamarlo mille volte mentre Conan era malato, ma non ha mai risposto, pare sia troppo impegnato per badare alle altre persone, quel drogato di investigazioni!" ringhiò.
"D...drogato di investigazioni?!?!"  pensò tra sè il falso bambino.
"Ma no Ran, non preoccuparti..." le disse Heiji.
"...Kudo in questo periodo è stato un po' sulle nuvole, ma vedrai che ora che si è dato una svegliata  ti chiamerà sicuramente" detto questo lanciò un'occhiata complice all'amico.
"Mi devi un favore"

Il telefono squillò una o due volte, prima che la proprietaria lo prendesse tra le mani e leggesse la scitta sullo schermo. Le mani le tremarono metre avvicinava l'apparecchio e accennava un timido "pronto?"
"Ran, ciao sono io" disse Conan parlando nel papillon  dal bagno dell'ospedale.
"S...Shinichi?" sospirò la voce dall'altro capo.
Il detective non potè fare a meno di sorridere.
"Come stai?"
"M-ma dove eri finito? Non hai idea di cosa è successo, Conan ha rischiato di morire! Ho cercato di chiamarti un sacco di volte ma avevi sempre il telefono spento, avevo bisogno di te e tu non c'eri!" rispose Ran infuriata.
"Mi dispiace Ran, ma ho avuto un sacco di cose per la testa in questo ultimo periodo, non avevo proprio tempo..."
"...non hai più tempo neppure per me?" incalzò.
Conan per un attimo non seppe che risponderle.
In effetti nell'ultimo periodo non si era fatto sentire, anche prima che comparisse Rum.
Aveva ragione Ran, era stato un'egoista. Come si era potuto dimenticare della ragazza che un tempo diceva di amare?
"Che c'è, non sai più parlare?" disse la voce al telefono.
Un viso dolce da bambina si fece largo tra i ricodi del detective, ancora una volta non potè impedirsi di sorridere teneramente.
"Che c'è, non sai parlare?" disse la bambina ridendo.
"Allora? Shinichi, vuoi rispondermi?"
"Ran...."
Il tono di voce del ragazzo liceale ora era profondo e serio, solitamente lo usava durante la risoluzione di un caso, non certo per rivolgersi a lei.
Adorava quella voce, perchè la faceva sentire accanto a lui. Protetta.
"....ricordi quando ci siamo incontrati la prima volta?" proseguì lui.
"Baka, come faccio a ricordarmene? Avremmo avuto si e no quattro anni!"
"I cigliegi erano in fiore, tu danzavi canticchiando e ridendo. Ti sei avvicinata a me e mi hai preso in giro!" disse riprendendo il suo tono strafottente.
La ragazza rimase per qualche secondo impietrita dalle parole del suo interlocutore. Arrossì visibilmente.
"Bè.....sicuramente te lo sarai meritato!" rispose poi causando la risata allegra del ragazzo.
"Eri fastidiosa già da piccola"
"E tu eri un piagnucolone!"
Avrebbe voluto che quell'attimo allegro potesse durare all'infinito. Sentirla così serena, pura come un tempo, quando tutte queste cose le dava per scontate, quando non riusciva a vedere ciò che aveva.
Poi quell'attimo terminò.
"Shinichi...quando torni?"
La sua voce ora era nuovamente malinconica.
"Scusami, ma per ora non posso ritornare. Il caso in cui sono coinvolto è arrivato a un punto morto, e rimmarrò lontano finchè non l'avrò risolto."
"Tipico...." sorrise amaramente Ran.
"Ora scusami ti devo lasciare.....stammi bene, mi raccomando"
"Ok, ciao Shinichi" rispose lei un po' cupamente.
"ciao sorellina!" salutò di rimando.
Solo dopo aver riattaccato Conan si rese conto di ciò che era appena uscito dalle sue labbra.
"Sorellina" aveva detto.
Perchè?
Perchè gli erano venute fuori quelle parole?
Cominciò a ripensare a tutti gli attimi passati in compagnia di Ran come Conan e come Shinichi, e per la prima volta si accorse che il loro rapporto non era cambiato granchè da quando si era rimpicciolito.
Possibile....possibile che avesse sempre giudicato l'amica di infanzia nel modo sbagliato?
Possibile che la verità fosse quella? La giudicava come una sorellina minore?
Scosse la testa scacciando quei pensieri.
No.
Impossibile.
Solo poco tempo prima lei lo aveva salvato dalla morte sicura solo con il suono della sua voce.
L'aveva sentita e questo gli aveva fatto battere il cuore come non mai.
Lui l'amava. L'amava più di ogni altra cosa al mondo.
Ma allora perchè nella sua mente continuava a risuonare la parola "Ran-chan"? (piccola Ran  N.d.a)
Scese le scale e con il supporto delle stampelle cominciò ad avviarsi verso la stanza 102.
Ancora una settimana in quel luogo così triste e vuoto. Aveva come l'impressione che prima o poi sarebbe impazzito a rimanere la dentro. Visitato da amici per un'ora al giorno e tutto quel che rimaneva l'avrebbe passato a guardare la televisione e a dormire. Era una prigione. Il famoso Tantei-san Shinichi Kudo era finito in galera.
"Ecco come mi sono ridotto...a farmi le freddure da solo" pensò tra se mentre metteva tutto il peso sulla gamba sana per poter aprire la porta della stanza.
Non appena l'usciò si spalancò si accorse di non essere solo.
Una piccola figura scura si trovava già nella camera, di spalle con il volto fisso all'orizzonte rossastro. Tanto silenziosa da sembrare una perfetta statua greca in marmo. I capelli biondi e rossicci le sfioravano appena la pelle pallida e liscia della spalle, accarezzandole talvolta fossero mossi da un'alito di vento autunnale.
"Sei tornato....cominciavo a chiedermi che fine avessi fatto" disse la voce serissima della bambina.
Solo allora si voltò a guardarlo.
I suoi occhi azzurri come il ghiaccio lo colpirono inaspettatamente. Non erano quelli che conosceva, quelli pronti a giudicarlo ogni volta che commetteva un'errore o a sorprenderlo con la loro intensità.
Erano.....l'unico aggettivo che riuscì a trovare fu splendidi.
"H-Haibara..." 
"Bè che c'è,sorpreso di vedermi?" disse Ai alzando un sopracciglio.
"...e che credevo non saresti venuta....è una settimana che non ti fai viva..." rispose Conan con un lieve filo di imbarazzo.
"Lo so" annuì sedendosi su un lato del letto dopo che lui si fu infilato sotto le coperte.
"Come mai..."
"......Mi dispiace" lo interruppe.
"...ho creduto che standoti lontana sarebbe cambiato qualcosa,sarei stata meglio...ma la verità è che ho solo complicato tutto...."
Il bambino moro la osservò senza riuscire a capiredi che parlasse. Ai teneva la testa china, coperta dalla lunga frangetta che rendeva impossibile vederla direttamente in volto.
Sospirò e qualcosa di invisibile le scivolò lungo la guancia.
"Ai, che succede?" le disse prendendola per una spalla e costringendola a voltarsi.
Gli occhi questa volta lo penetrarono gelidi.
"Sto bene" rispose glaciale.
Conan deglutì senza azzardarsi a ribattere oltre. Si sdraiò sul letto mettendo le braccia dietro la testa e attendendo che fosse lei a rispondere.
La finta bambina rimaneva in disparte, sul bordo del letto con una gamba appoggiata sulla branda e una a terra. Indossava una maglia nera e dei pantaloncini mediamente corti.
Nella sua mente si materializzò l'immagine di lei con tra le mani una beretta. Fece un piccolo risolino isterico.
Lo sguardo di Ai gli schizzò immediato addosso.
"che c'è?"
"Niente...è che....ho avuto un de ja vù....."
La sua espressione indagatrice non variò di una virgola.
"E'...è che l'ultima volta che ci siamo trovati così...tu mi puntavi una pistola alla testa" rispose facendosi uscire un' altro piccolo risolino.
Questa volta l'espressione di Ai cambiò visibilmente.
Per un'attimo gli sembrò di averla vista arrossire, ma quando tornò con gli occhi su di lui la sua maschera di indifferenza  fu perfettamente intatta.
"Tsk! Tu sei proprio un credulone, Kudo. Potrei rifarti uno scherzo del genere centomila volte e ci cadresti comunque" sogghignò.
Il bambino dai capelli corvini le rispose con lo stesso tipo di sorriso.
"Scordatelo...ormai ti conosco, non ci sono più segreti tra noi"
"Ne sei convinto?" sussurrò.
Conan per la terza volta in quel giorno rimase del tutto spiazzato da quella reazione, l'umore dell'amica sembrava balzare e variare continuamente senza alcun controllo.
Si apriva con lui, gli confidava delle cose su se stessa, poi un'attimo dopo si richiudeva inalzando una bariera tra loro due, scherzava e tornava seria, lo cercava e lo ignorava.
Era vero.
Ai Haibara era il caso più misterioso a cui lui aveva mai lavorato.
Delle piccole dita candide come il latte toccarono le sue espandendo il loro calore in tutto il suo corpo.
Gli occhi cristallini gli si avvicinarono mentre  la posizione della bambina cambiava, inginocchiandosi con entrambe le gambe sul lenzuolo della branda. Le mani avanzarono, andando a toccargli il petto e successivamente il volto.
Le sue iridi stupende e vagamente malinconiche gli erano sempre più addosso.
"H-Haibara...che cosa..?"
Le ciglia scure si chiusero, e lentamente avvicinò il volto di Conan al suo.Paralizzato da ciò che stava succedendo, il bambino rimase immobile,del tutto spaesato. I battiti del suo cuore aumentarono a dismisura.
"H-Haibara" ripetè balbettante.
Le sue labbra morbide e calde fecero pressione su quelle di lui, cercandolo come se fosse la loro unica ragione di vita.
Le braccia di Ai si appoggiarono allora sulle sue spalle, stringendolo ancor di più a se.
La ragazza avrebbe desiderato che quel momento durasse in eterno.
Poco importava cosa sarebbe successo un'attimo dopo.
Poco importava quello che lui le avrebbe detto.
Desiderava solo vivere quel sogno ancora per un poco.
Ciò che provava non poteva essere spiegato a parole, tantomeno con lui davanti.
Ciò che provava non poteva essere raccontato, nè scritto, nè letto.
Sarebbe stata una cosa solo sua.
Per sempre.
E mentre davanti alla finestra un sole rosso fuoco spariva dietro i grattacieli, due figure stavano immobili accovacciate sul letto della camera numero 102, come se si fossero appena fuse in una cosa sola.


NEI PROSSIMI CAPITOLI:

"sono stata una stupida....come ho potuto illudermi? Lui ama lei, e lei soltanto..."

"Non vorrei che le succedesse qualcosa di brutto...."

"Bastardo!! non t'azzardare a toccarla!!"

"Ricordi l'hotel Haido City, vero?"

"Ho promesso a tua madre che non ti avrei permesso di fare pazzie, e questa è una pazzia!!"

"Tranquilla...tra poco arriverà il tuo adorato detective a farti compagnia..."

 "Resisti....ti scongiuro, resisti!"

"....Shinichi...aiutami....."

 
















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Capitolo 15
*** Ti odio perchè ti amo ***


ti odio perchè ti amo OH,OH,OH!!!!! E' ARRIVATO BABBO NATALE IN ANTICIPO!!!!!!!!!! ED ECCO CHE HA PORTATO L'ATTESO(O ALMENO SPERO) NUOVO CAPITOLO DI BRIVIDI E SENTIMENTI!!!!XDDD
DEVO DIRVI CHE E' STATA UNA FATICACCIA SCRIVERLO, E CREDEVO DI NON RIUSCIRE A TROVARE UN MODO DEGNO DI CONCLUDERLO. SPERO CHE COME E' USCITO FUORI VI PIACCIA TANTO QUANTO I PRECEDENTI. RIGRAZIO TANTO TANTO TUTTI QUELLI CHE MI SEGUONO E  SCRIVONO COMMENTI, DICO SUL SERIO RAGAZZI, MI DATE LA FORZA PER ANDARE AVANTI!
DETTO QUESTO FACCIO UN BACIONE SPECIALE ALLA MIA MAMMA ESME!!!!! CI VEDIAMO A SCUOLA CUCCIOLA!!!! BACI8I
CHARLIOTTA

                                         TI ODIO PERCHE' TI AMO


Il suo respiro caldo soffiava ancora sul suo collo, talmente vicino da poterlo sfiorare con le labbra. Nella stanza era calato il silenzio da diversi minuti,nessuno dei due osava proferir parola.
Il primo ad alzar lo sguardo fu Conan, incrociando quasi istantaneamente quello di Ai.
La bambina con i capelli ramati per la prima volta da quando si erano conosciuti preferì guardare altrove, si morse con nervosismo il labbro inferiore respirando irregolarmente, quasi con affanno....stava forse...tremando?
No, non poteva essere possibile. Ai non poteva temerlo.
Lei aveva paura degli uomini in nero.
Aveva paura di Gin.
Aveva paura di Vermouth.
Non di lui.
Non ce n'era ragione.
Lentamente lasciò scivolare le braccia dal collo di Conan, per poi allontanare il viso dal suo e rimettersi seduta sul letto.
Respirò a fondo una o due volte. Quando si era trovata a così poca distanza da lui, non si era resa conto di aver smesso di respirare.
Sentì le lenzuola muoversi sotto di lei, anche lui si era rimesso seduto.
Ancora silenzio.
Perchè non dici nulla?
Era certa di poter gestire ciò che sarebbe successo.
Si era immaginata di essere spinta lontano da lui, si era immaginata rabbia e sconcerto da parte sua, parole di stupore o di spavento.
Ma non aveva tenuto conto di quel silenzio.
Quel silenzio era ingestibile.
I suoi occhi ghiacciati volteggiavano nel vuoto, guardando il pavimento in marmo e le scarpe color rosso scarlatto. Non credeva di riuscire ancora a sollevarli più di così.
Richiuse le dita nel palmo della pallida mano, solo allora si rese conto di quanto fosse fredda, come dopo aver passato un'intera giornata invernale a lanciare palle di neve non curandosi di essere sprovvista di guanti. Respirò ancora una volta socchiudendo le palpebre.
Il silenzio non era cessato.
Se non fosse stata sicura che lui era seduto a poca distanza avrebbe giurato di essere sola.
Tutto ciò che voleva essere ora.
Ma se avesse guardato, anche solo con la coda dell'occhio, avrebbe notato che al contrario di lei, Conan la stava fissando da parecchio tempo.
Non pensava a perchè ma a come, come poteva essere possibile che Ai provasse questo per lui?
Dopo che aveva lasciato morire sua sorella, dopo che l'aveva chiamata "assassina"?
Come?
Questo si domandava il piccolo detective mentre guardava incessantemente la figura che ora era tornata sul bordo del letto, silenziosa e aggraziata come solo lei poteva essere.
Dì qualcosa
Implorò dentro di sè.
Poche volte l'aveva vista tanto triste, incapace di inalzare la sua maschera imperturbabile facendogli credere che era tutto a posto.
Vederla così era ancora peggio che non riuscire a leggerla come tutti gli altri.
Arreso lasciò cadere lo sguardo sulle lenzuola.
"Vado via..."
Conan ebbe un piccolo fremito nell'udire la sua voce, strabuzzò gli occhi non riuscendo ancora ad essere del tutto cosciente di ciò che gli accadeva attorno.
Ai si alzò dal letto, gli occhi sempre puntati al pavimento, e fece per muovere i passi verso la porta.
"No!"
Senza quasi accorgersi dei suoi stessi movimenti la afferrò per il braccio.
La bambina sgranò gli occhi stupita, guardando prima la sua mano sul suo braccio e poi successivamente il suo viso.
"Perchè no?" gli domandò seccata.
Il bambino le sorrise.
"Non voglio"
Lentamente addolcì la presa, tirandola con leggerezza verso di lui.
Del tutto inaspettatamente lei assecondò i suoi movimenti,abbandonando l'espressione cruce e lasciando spazio ad un piccolo solco di allegria sul volto.
Provò a dare un nome a ciò che provava guardandola tornare verso il letto e appoggiare una mano sui suoi capelli, a ciò che provava a fare altrettanto, accarezzandole un lato della guancia e guidandola palesemente verso le sue labbra.
Non ci riuscì.
Timore.
Malinconia.
Serenità.
Senso di colpa.
Vergogna.

Troppe cose mischiate una con l'altra.
Il naso minuto di Ai sfiorò la superficie della sua pelle, le labbra erano socchiuse, simili ad una rosa appena sbocciata, le ciglia nascosero gli occhi azzurrissimi.
Quasi non potesse fare a meno di assecondarla anch'egli chiuse gli occhi, abbandonandosi totalmente al senso del tatto.
Le labbra morbide e calde si sfiorarono appena, ora cercandosi una con l'altra.
Si udì un chigolio.
Entrambi fecero un balzo in dietro nell'udire il suono della porta che si apriva.
Nel riconoscere la figura sull'uscio Conan arrossì.
"Oh...ciao, Ai!" sorrise Ran per poi guardarli dubbiosa.
Seguendo lo sguardo della ragazza il bambino si rese conto della posizione imbarazzante in cui si trovavano lui e Ai.
Istantaneamente scivolò via dal suo abbraccio rimettendosi composto sul letto.
*"Ho...interrotto qualcosa?" azzardò Ran.
Conan deglutì.
"No....non facevamo nulla...." disse esitante, quasi totalmente paralizzato.
"Sei arrivata giusto in tempo..." aggiunse Ai scendendo rapida dal letto e lanciandogli un'occhiata a dir poco raggelante.
"...stavo andando via. Arrivederci Ran."
La ragazza mora lasciò scivolare lo sguardo tra i due e la loro rapida conversazione silenziosa senza riuscire a coglierne il significato, poi, quasi volesse sembrare materna, si abbassò all'altezza di Ai e le baciò la fronte.
"Arrivederci cara, ci vediamo presto,eh?" le disse allegramente.
La bambina bionda annuì con la testa senza guardarla, dopodichè la superò e chiuse la porta dietro di lei.
Un ultima occhiata gliela donò prima di lasciare la stanza, anche se lei non potè vederla trovandosi di spalle. Ma sicuramente non l'avrebbe apprezzata, ne avrebbe potuto coglierne il vero significato.

(*A tutti i colleghi ConanXAi, so a cosa state pensando, confesso di cominciare anch'io ad avere degli istinti omicidi nei confronti di Ran....se qualcuno ha qualche consiglio su come ammazzarla lentamente e dolorosamente sappiate che tutto è bene accetto! ^^ N.d.a.)

Quella voce dolce e leggera le occupò e allo stesso tempo le aprì la mente, lasciando che per un'attimo spazzasse via tutte le sue preoccupazioni.
"Tesoro, non posso credere che tu abbia già sedici anni, ti sei fatta grande in fretta e ben presto sarai una donna a tutti gli effetti. Scommetto che avrai una lunga fila di spasimanti, non è così, Shiho? Sono certa che tutti i ragazzini muoiano ai tuoi piedi, ne sono sicura, perchè tu sei intelligente e bellissima, la mia piccola principessina. Oh, ma che dico? Scommetto che ora sarai lì a braccia conserte e imbronciata a ripetere "Non sono piccola", e in effetti avresti proprio ragione, ma credo ti dovrai rassegnare...per me sarai sempre la mia piccola....la mia piccola bambina discola.
Ora devo lasciarti, ci sentiamo al tuo diciassettesimo compleanno, ok?
Ciao amore. Click."
L'audiocassetta si fermò.
La voce di sua madre le aveva restituito un po' della serenità che aveva perduto in quegli ultimi giorni, ma non era bastata a farle dimenticare del tutto ciò che stava provando.
Si sentiva confusa. Terribilmente.
Eppure doveva esserle chiaro. Quando lo aveva guardato negli occhi, mentre fissava Ran, lo aveva capito.
Aveva capito che nel suo cuore non c'era spazio per lei.
Eppure continuava ad essere confusa.
"Perchè no?"
"Non voglio"
Quelle due frasi continuavano a ripetersi all'infinito.
Lui amava Ran.
Perchè?
Perchè allora non voleva che lo lasciasse alla sua vita?
La stava usando?
Era possibile. Così fose si sarebbe impegnata maggiormente per procurargli un'antidoto e farlo tornare al più presto Shinichi Kudo per correre dalla sua Ran.
Scosse la testa.
No, Lui non era in grado di imbrogliare qualcuno. Come attore faceva pena.
Allora cosa?
Forse si preparava all'evenienza di non poter più tornare adulto e quindi non poter stare con Ran.
Era questo per lui?
Una ruota di scorta?
O meno?
Si prese la testa tra le mani massaggiandosi le tempie. Aveva come l'impressione che potessero esploderle da un momento all'altro.
Stava impazzendo.
Non era mai stato così complicato per lei riuscire a comprendere la mentalità umana, non che le fosse mai interessato più di tanto, ma con lui era diverso.
Già da quando avevano incontrato Pisco all'Haido City hotel aveva iniziato a stupirla, prestandole i suoi occhiali come copertura, aiutandola quando ormai a lei sembrava finita, sostenendola e riprendendola quando era necessario.
Ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo....lui era questo per lei.
Lui era un'incognita e una certezza.
Lui era irritante e confortante.
Lui era stupido e intelligente.
Lui le faceva del male e allo stesso tempo del bene.
E lei lo odiava.
E lo amava.
Troppo.

                                                    * * * * * * *
                                                               
                                                             

                                               (Due settimane dopo)

Ayumi saltellava allegramente per la strada canticchiando una canzoncina di Mai Kuraki (La mia Mai, non potevo non inserirla^^ N.d.a)e tirandosi dietro Ai e due ragazzini.
"Avanti, sbrigatevi!" disse rivolta agli amici incitandoli ad affrettare il passo.
Sicuramente aveva aspettato ansiosamente il momento in cui Conan sarebbe ritornato a scuola con loro, e non aveva intenzione di aspettare oltre i comodi degli altri membri del gruppo.
Ai ridacchio tra se.
"E' meglio se ci affrettiamo, o ad Ayumi verrà una crisi isterica" così dicendo li superò entrambi andando ad affiancare la piccola amica.
 Non potè non notare quanto si fosse agghindata per quel giorno: Portava un fiocco rosa brillantinato, chiuso con uno sgargante fiore di loto. Il suo vestito era dello stesso colore confetto del fiocco, decorato con merletti sul bordo delle maniche e della gonna.
E sulla sua faccia...?
Si avvicinò alla bambina aguzzando lo sguardo. Sogghignò.
"Non ti sarai messa...il lucidalabbra?" le sorrise.
Ayumi deglutì, e le sue guance si tinsero di un rosso vivace.
Lasciò perdere però Ai non appena si rese conto di essere arrivata sotto l'agenzia Mouri.
"Conan-kuuuuun!" chiamò con voce squillante.
 Silenzio.
"Conan, siamo noi, scendi!" urlò Mitsuhiko al suo fianco.
Niente.
Ai lanciò un'occhiata indagatrice alla finestra. Un brivido freddo le percorse la schiena.
"dev'essere rimasto a leggere fino a tardi come suo solito, aspettate qui. Vado a svegliarlo con una secchiata d'acqua" disse impassibilmente ai detective boys cercando di sembrare naturale.
Aprì la porta dell'agenzia per poi chiuderla immediatamente dietro di lei.
Non appena scomparve alla vista dei tre bambini prese le scale di corsa, il cuore le batteva all'impazzata.
"No. Non può essere!" Pensò allarmata.
Quei pochi gradini le sembrarono infiniti, quando finalmente giunse davanti alla porta e la aprì di schianto.
Lo studio era come l'ultima volta che lo aveva visto, disordinato e con fogli volanti ovunque. Sul tavolo si trovavano una o due bottiglie vuote di birra, e accanto ad esse un Kogoro spettinato e a con un tasso alcolico molto alto nel corpo.
Nel vederla sulla soglia la squadrò come un miope che aveva perso gli occhiali.
"Salve...ragazzo....non copro nulla" disse con voce impastata d'alcol.
Ai fece un profondo sospiro di sollievo...per lo meno stava bene.
Superò il detective, il quale non le badandole tornanò a fissare intontito la tv accesa, e entrò nel corridoio che collegava la casa allo studio.
La porta di una delle stanze era semiaperta, le bastò inclinare di un poco la testa per poter vedere al suo interno.
Sgranò gli occhi.
Le persiane erano palesemente abbassate, rendendo la stanza buia a eccezione di pochi spiragli di luce, che andavano ad illuminare una piccola figura immobile sul futon. Le lenzuola lo coprivano dalla vita in giù, lasciando scorgere le braccia e la parte superiore del corpo. Indossava un pigiama verde a righe nere.
Respirò silenzioso spostando di poco la lunga ciocca di capelli mori che gli cadevano immezzo agli occhi.
"Ma guarda questo" pensò Ai facendo scivolare lo sguardo sul libro aperto che giaceva ai piedi del futon. Per un'attimo ebbe realmente la tentazione di lanciargli una secchiata di acqua gelida in faccia.
Gli appoggiò una mano sulla spalla.
"Ehi, mister "orologio svizzero", svegliati!" disse scrollandolo.
Conan emise un piccolo mugolio, corrugando la fronte e spostando la testa dal guanciale posizionata sull'avambraccio.
Riprese a respirare piano.
"Accidenti, peggio di un ghiro in letargo!" commentò la scienziatina, sempre più convinta che la cosa migliore sarebbe stata trascinarlo fino a scuola per un'orecchio così com'era.
Il bambino lasciò scivolare il capo da un lato del braccio, sollevando la stoffa verde che lo copriva.
Sulla pelle chiara si disegnava una linea rosa dritta, del diametro di quasi tutto l'avambraccio.
Ai la guardò pietrificata.
Quel taglio, quella semplice cicatrice animò dentro di lei forti ricordi.
Sentì l'impatto con l'asfalto con violenta chiarezza, scheggie di vetro e di metallo le colpirono le gambe facendogliele bruciare.
Aprì lentamente gli occhi, impaurita da ciò che avrebbe potuto vedere.
Una gigantesca fiamma rossa e indomabile stava divorando l'autobus.
E lei era lì.
Cos'era successo?
Come aveva fatto ad uscire?
"Stai bene?" domandò una voce affannata al suo fianco.
Si voltò a guardarlo spaventata, le gambe non smettevano di tremare, come anche le braccia.
Gli occhi le si inumidirono.
"Per...perchè?" sussurrò.
"Stupida, cosa volevi fare?" la rimproverò guardandola in cagnesco.
Si afferrò l'avambraccio con la mano e con un gesto secco ne estrasse un lungo coccio insanguinato.
Emise un timido mugolio.
"Il tuo braccio....io...mi dispiace....."
".....non è niente, tranquilla" la rassicurò lui sorridendo.
In lontananza si udirono le sirene della polizia.
"Haibara! Conan!" urlarono trafelati i bambini correndo in loro direzione .
Ai fece un cenno verso di loro come per tranquillizzarli.
"forse è meglio se chiedi loro di portarti all'osp..."
Si fermò di colpo. Qualcosa di denso e caldo le calò lungo la gamba.
Lo guardò sorpresa.
"Ma cosa...?"
"Zitta!" gli ordinò lui appoggiandole un dito sulla bocca.
Così dicendo si coprì la ferita con la manica del maglione.
Tutt'intorno a loro si era riempito di persone e macchine della polizia. Molti curiosi la guardavano allarmati bisbigliando cose l'uno con gli altri.
Non si sarebbe stupita se la persona che la stava cercando a quel punto fosse giunta alla conclusione di chi lei fosse in realtà.
Rabbrividì al pensiero.
"Conan, cos'è successo?"
L'agente Takagi emerse dalla folla correndo in loro direzione.
Il bambino fece cenno verso di lei trafelato.
"Questa bambina e ferita! I miei amici e il dottor Agasa devono portarla in ospedale!"
Ferita?
Stava realmente parlando di lei?
Solo quando tutti gli occhi le furono addosso notò ciò che l'amico le aveva fatto scivolare sulla pelle.
La sua gamba era macchiata di un rosso vivo.
"Rimango io per l'interrogatorio, depongo io per tutti, ok?" continuò lui rivolto a Takagi.
L'agente annuì dunque la prese in grembo.
Dopo che l'uomo si fu voltato Conan le lanciò un'occhiata di rimprovero.
"Non fuggire Ai. Non puoi scappare dal tuo destino,capito? Non provarci mai più!"
Le sue dita andarono a sfiorare la linea rosa rimarginata dell'avambraccio.
Simbolo di una ferita che al contrario non si sarebbe mai richiusa.
"mmmmmm" sussurrò Conan rotolando da un lato del letto. Ai indietreggiò, ora temendo di svegliarlo.
Sul viso del bambino si formò un solco leggero verso l'alto, le labbra si distesero in un'ampio sorriso.
"....Ran....." sospirò.
La bambina bionda sentì come se qualcosa dentro di lei si fosse appena spezzato. Le labbra presero a tremarle e gli occhi a bruciare.
Ancora quella voglia irreprimibile di mettersi ad urlare.
Si attaccò al legno del comodino con le unghie, serrò forzatamente gli occhi come per voler far scomparire tutto il mondo intorno a lei.
"non è vero....non è vero...."
Le lacrime cominciarono a rigarle la guancia chiara, ancora e ancora.
Sentiva l'urlo crescerle dentro.
Con violenza si staccò dal comodino che cadde rumorosamente in terra, si precipitò lungo il corridoio percorrendolo speditamente fino a rientrare nello studio.
Superò Kogoro senza degnarlo di uno sguardo e prese le scale.
Voleva andarsene il prima possibile.
Voleva fuggire.
Fuggire lontano.
lontano da lui.
I detective boys la stavano aspettando sul pianerottolo, appena la videro arrivare rimasero paralizzati.
"Haibara...che....?"
Mitsuhiko cercò di fermarla prendendola per il braccio, ma lei si liberò dalla sua presa con uno strattone e corse lungo il marciapiede.
"Haibara!" urlò l'amico.
L'asfalto che correva sotto i suoi piedi ora era tutto ciò che vedeva, annebbiato, perchè i suoi occhi bagnati lo mettevano a fuoco così ora.
Oramai non riconosceva più neanche la strada, le voci chiare dei bambini dapprima si erano allontanate per poi sparire.
Ma quel bisogno irrefrenabile non si era placato. Il bisogno di scappare, correre.
Corri.
Corri.
Corri.
Le gambe cominciavano a farle male, ma sentiva di non essere ancora lontana abbastanza. Forse non sarebbe mai stata lontana abbastanza.
Corri.
Corri.
Ora anche la milza iniziava a implorarle pietà provocandole forti fitte.
Il ritmo rallentò.
Sempre più piano.
Si appoggiò le mani sulle ginocchia respirando con affanno. Sentiva il sapore metallico del sangue in bocca.
Allora le gambe cedettero, si sedette sul bordo del marciapiede annaspando.
Affondò la testa tra le mani.
"Non piangere stupida....smettila di piangere!"
Il liquido caldo non si fermò.
I singhiozzi presero a risuonare sempre più numerosi, squarciandole il petto. Si strofinò gli occhi.
"Sono una sciocca...come ho potuto illudermi? Lui ama lei, e lei soltanto!"
"Perchè così triste, piccola?" domandò una voce cupa alle sue spalle.
Non fece in tempo a voltarsi che l'uomo le bloccò le mani e le premette un panno umido e dall'odore pungente contro la bocca.
Il marciapiede comiciò ad offuscarsi. Le palpre le pesavano, sempre di più.
La mano le fece appoggiare la testa in terra. aveva delle scarpe marroni.
Non riusciva a vedere altro.
Il panorama stava sfumando.
Non c'era più niente.
Buio.





















 

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Capitolo 16
*** Ferito nel profondo dell'animo ***


ferito nel profondo dell'animo ok, prima di entrare nel capitolo si pregano i lettori di depositare tutte le armi all'entrata^^.
Bene, ora che siete disarmati....scusate!!!!!! *me si mette in ginocchio*
So che avevo promesso di aggiornare prima ma sono nei guai fino al collo!! Ho un sacco di materie da recuperare e non ho mai tempo per scrivere! Per questo vi dico *Non uccidetemi * che non aggiornerò per un bel po'! Mi dispiace ma prima di tutto devo recuperare e cercare di passare l'anno e poi scrivere, giusto?
Bene, al fondo del capitolo troverete le anticipazioni dei prossimi^^.
Il capitolo che segue è stato scritto sotto la affidabile guida delle canzoni "Growing of my heart"(Grazie Mai sei il mio mito!!) e "In nome dell'amore" di cui troverete la citazione^^.
Ringrazio tutti quelli che continuano a seguirmi e a incitarmi benchè sia così lenta -_-'
Grazieeeeeeeeeeeeeee

                                                               FERITO NEL PROFONDO DELL'ANIMO


Percorse di corsa il lungo e stretto corridoio.
Questa volta sentiva di essere veramente nei guai, lanciò una veloce occhiata all'orologio.
8: 30.
Cavolo.
Accellerò il passo fino a giungere davanti alla porta già chiusa dell'aula, al suo interno si sentiva un'allegro vociare. Afferrò la maniglia e la aprì lentamente, e ciò che ottenne furono 20 paia di occhi puntati solo su di lui.
Cavolo.
Deglutì.
"Ehm...buongiorno...." disse titubante.
La maestra scosse il capo.
"Sei in ritardo Conan, direi che non è il massimo come primo giorno..." commentò.
Il bambino moro annuì con il capo e si andò a sedere al suo solito posto.
Certo, non poteva biasimarla, era in ritardo di mezzora, e questa volta non aveva nessuna valida scusa, tranne il fatto che adorasse Sherlock Holmes tanto da leggerlo fino a tarda notte.
Inoltre quella sera era successo di nuovo.
L'aveva sognata ancora.
Lei, Ran, aveva sognato ciò che aveva visto metre si trovava tra la vita e la morte, ancora.
Ma perchè?
Perchè tutte le notti?
Sognava di chiamarla, ancora e ancora, ma lei non si girava ne si fermava a parlargli.
Forse non era niente, sola una sua paranoia, eppure sentiva che c'era qualcosa che non tornava in quella vicenda. Qualcosa di necessario e fondamentale che lui aveva tralasciato.
La maestra iniziò a scrivere sulla lavagna e nella classe calò il silenzio.
Fu allora che l'attenzione di Conan fu attirata dal posto vuoto accanto a lui.
"Ehi, Dov'è Haibara?" sussurrò ad Ayumi cercando di non farsi scorgere dall'insegnante.
"Non lo sappiamo" rispose la bambina con leggero timore.
"Si è comportata in modo strano quando siamo arrivati davanti all'agenzia di Mouri, credevo ci potessi spiegare tu cosa era successo"
Il bambino moro sgranò gli occhi sorpreso.
"In che senso, "in modo strano"?"
"Yoshida! Edogawa! Basta parlare, prestate attenzione!"li riprese l'insegnante facendo calare nuovamente il silenzio nella classe.
Conan rimase qualche minuto immobile. Quella solita sgradevole sensazione di pericolo si impadronì di lui.
"Possibile....possibile che ci abbiano trovati?" pensò tra sè allarmato.
Poteva essere che Vermouth si  fosse resa conto che lui e Ai erano troppo scomodi per lei e abbia deciso di raccontare la verità al Boss.
Magari era già riusciti a risalire a loro.
Scosse il capo.
No.
Se così fosse lui non si troverebbe lì in quel momento.
Inoltre non potevano aver scoperto in così breve tempo in quale albergo si trovavano lei e il dottor Agasa.
Forse Ai si era sentita poco bene e aveva deciso di usare le sue non trascurabili doti da attrice per liberarsi dei bambini e tornare a casa.
"Possibile" ridacchiò tra se.
Prese il telefono rosso tra le mani e iniziò a digitare rapidamente sui tasti:
"Tutto bene? A scuola non ti sei fatta vedere, qualcosa non va? Ti chiamo nel pomeriggio"
Dopodichè lo ripose svelto nella tasca prima che qualcuno potesse accorgersene e riprese a seguire la "lezione" di matematica.

Il telefonino suonò una o due volte, rompendo il silenzio che si era venuto a creare nella stanza. L'uomo lo afferrò e con un gesto svelto aprì il messaggio appena comparso sul monitor.
Un ghigno profondo e gelido si dissegnò sulle sue labbra sottili.


Sbuffò osservando a braccia conserte il barattolo completamente vuoto, chiedendosi come avesse fatto a ripurirlo talmente bene da non lasciare nemmeno una briciola al suo interno. Corrugò la fronte.
E il bambino era lui?
Ecco quello che succedeva ad ospitare un soggetto come Heiji Hattori in camera propria e poi commettere il grave errore di lasciarlo lì...SOLO!
Udì dei passi giungere dal corridoio.
"Hey Kudo! Sei tornato finalmente! Sai con Ran in gita e Kogoro dai vicini a giocare a Maijong cominciavo a sentirmi un po' solo!" disse il detective di Osaka mostrandogli un sorriso a trentadue denti.
Al bambino bastò prendere con una mano sola il barattolo e voltarlo verso l'amico con sguardo severo per ottenere un totale mutamento dell'espressione in lui.
Heiji si grattò la testa imbarazzato.
"Ehm...ecco....si.....potrei mangiare i tuoi biscotti, Kudo-kun?"
"Bravo! Avresti potuto chiedermelo prima di assaltarli!"
"Ok...allora potrei usare il tuo spazzolino?"
"Che?!?!"
Il ragazzo mostrò un'altro sorriso smagliante.
"Purtroppo l'ho dimenticato!"
Di nuovo quella domanda ricorrente.
Era veramente sicuro che fosse lui il bambino lì dentro?
Con un cenno della testa diede all'amico un consenso forzato, chiudendogli la porta della camera in faccia.
Si lasciò cadere sul letto.
Ancora quella fastidiosa sensazione.
Lanciò per la centesima volta lo sguardo sul cellulare per scoprire nuovamente di non aver ricevuto chiamate.
Digitò il numero sulla tastiera e avvicinò l'apparecchio.
"Avanti, rispondi!" pensò tra se.
"Messeggio gratuito, il telefono della persona chiamata potrebbe essere spento o non raggiungibile, la invitiamo....click"
Quella era la terza volta che provava a chiamarla nel corso della giornata,e ancora non si era fatta viva. Solo dopo aver riattaccato si rese conto che forse il motivo per cui non riusciva a contattarla era che lei non lo voleva sentire.
Certo, ne avrebbe avuto tutte le ragioni, dopo quel giorno all'ospedale non l'aveva più vista per due settimane, nè aveva cercato di contattarla.
Avrebbe voluto dirle tante di quelle cose, ma nessuna di esse sembrava quella giusta. Ciò che aveva provato in quella stanza, l'imbarazzo nel vedere Ran....era tutto così confuso nella sua mente.
Più ci pensava e più si rendeva conto di aver commesso il più grande errore della sua vita.
Lui amava Ran.
Era così, era sempre stato così.
E lui l'aveva tradita, e come se non bastasse aveva pure ferito e illuso la sua migliore amica.
Aveva sbagliato tutto.
Affondò la testa nel cuscino tentando di reprimere quelle sensazioni così insolite e insopportabili.
Nella sua mente continuavano a ripresentarsi immagini chiare di quel giorno.
Gli occhi.
I capelli.
Le labbra.
NO!
Lui amava Ran.
Quello che era successo con Ai era stato solo un semplice malinteso, nulla di più.
Eppure....
Eppure era stato lui a fermarla quando stava per andarsene, ed era stato lui a pregarla di rimanere.
Era suo il desiderio di volerla abbracciare di nuovo, sentire il contatto dolce con le sue calde labbra. Il suo repiro regolare sul suo collo.
Lo sguardo ammalliante dei suoi occhi azzurri.
Scosse nuovamente il capo.
Perchè quei pensieri non gli davano pace?
Pensieri che prima di allora non lo avevano neanche sfiorato, perche lo assillavano?
Lui amava Ran.
Allora perchè continuava a ripeterselo come se temesse di dimenticarlo?
Il suono squillante del suo telefono lo fece quasi sobbalzare.
Leggendo il nome sul monitor il suo cuore ebbe un sussulto.
Calma.
Ci aveva parlato un sacco di volte senza farsi tutti quei problemi, perchè ora era diventato tutto così dannatamente difficile?
Premette il dito sul tasto verde.
"Pronto, Haibara? Finalmente, non riuscivo a contattarti!" disse il piccolo detective.
"Anche per me è un piacere risentirti, Tantei-kun" rispose una voce gelida dall'altro capo.
A Conan gli si mozzò il fiato, i muscoli del  suo corpo erano come paralizzati.
Quella voce.
No. Non poteva essere.
"Che ti succede,piccolo? Non ti sarai già dimenticato di me." Sogghignò.
"Tu....." sussurrò Conan pietrificato.
La risata sadica dell'uomo risuonò nella stanza.
"Non dirmi che credevi realmente di poterti liberare di me tanto facilmente,vero? Se non sbaglio noi due abbiamo ancora un piccolo conto in sospeso, inoltre, c'è un' altra persona qui che ci terrebbe a salutarti"
Quelle parole gli risuonarono nella testa.
La terribile consapevolezza di ciò che era appena accaduto si animò nella mente del falso bambino.
"Ai!! Che cosa le hai fatto?" urlò.
"Calmo, Sherry sta bene, in questo momento sta riposando nella mia auto. Sai ha davvero un visino dolce nelle sembianze di una bambina, le da un'aria così fragile e indifesa, non vorrei mai le accadesse qualcosa di brutto....."
Conan strinse il cellulare tra le mani, irato dalle parole di Rum.
"Bastardo!!Non t'azzardare a toccarla!!"
Un altra cupa risata giunse dall'apparecchio.
"Non credo che tu sia nella posizione migliore per dare ordini a me, Shinichi" rispose con voce gelida.
Il bambino respirò a fondo un paio di volte, doveva mantrenere la calma, quello non era certo il tipo di persona da sottovalutare. L'immagine di quei corpi, quelle persone massacrate,il sangue, prese vita dai suoi ricordi.
Non gli avrebbe permesso di fare lo stesso con Ai.
"Che cosa vuoi?" domandò.
"Ma bravo, che bambino obbediente!" sogghignò Rum.
"Ricordi l'Haido City Hotel, vero? Quello in cui Pisco ha fatto la sua misera uscita, per colpa dell'attentato andato male e della fuga di Sherry. Anche se, rivalutando la cosa, ho motivo di pensare che non siano stati gli unici responsabili, non è così?"
Conan ebbe un fremito, che l'uomo dall'altro capo non mancò di notare.
"Proprio come pensavo." commentò acido.
"Presentati stasera a mezzanotte sul tetto del vecchio edificio dell'hotel, solo. Occhio a non fare scherzi, perchè se ti vedessi seguito dalla polizia, o anche solo da quel detective dilettante del tuo amico, la cara Sherry pagherebbe un prezzo molto alto, mi sono spiegato?"
Il bambino moro digrignò i denti, furioso al solo pensiero di ciò che avrebbe potuto fare quel mostro ad Ai.
Le mani gli tremavano.
 "Si" si limitò a rispondere.
"Bene! A presto, piccolo detective"
Click.
Un urlo di rabbia uscì dalle labbra di Conan, che con tutta la forza che aveva in corpo scagliò il telefono contro il muro riducendolo in pezzi.

Lo zapping di tutte le reti di Tokio ora aveva preso un ritmo veramente deprimente, quella era la terza volta che passava in rassegna ogni canale disponibile con quella minuscola televisione, e regolarmente passavano davanti ai suoi occhi reality, documentari, corse di cavalli, concorsi, concorsi,concorsi (Un po' come me la domenica seraXDD N.d.a).
Con un'ultimo nervoso colpo indirizzò il telecomando nella traiettoria dell'apparecchio spegnendolo. Sprofondò nel divano con uno sbuffo.
E pensare che a Osaka c'erano un sacco di locali bellissimi dove lui e Kudo sarebbero potuti andare la sera a divertirsi, certo, magari ci sarebbe voluta un po' di corruzzione per convincere il proprietario a far entrare un bambino di sette anni, ma sarebbe stato certo meglio che passare tutta la domenica a girarsi i pollici davanti a un televisore micragnoso.
Si alzò annoiatamente dalla sua comoda posizione iniziando a camminare avanti e indietro per la stanza.
Gli uscì in automatico uno sbadiglio.
Improvvisamente lasciando scivolare lo sguardo verso la sua sacca da viaggio gli tornò in mente ciò che aveva portato con se da usare insieme all'amico. Eccitato si diresse verso la borsa e ne estrasse due pistole di dimensioni sproporzionate e colori sgargianti e dopo essersi diretto verso il bagno le riempì con dell'acqua gelata.
Dunque salì le scale, mentre nella sua mente si stavano già creando i diversi tipi di strategia per bagnare dalla testa ai piedi l'avversario. Si immaginò la faccia che avrebbe fatto non appena si fosse trovato davanti a lui e si fosse reso conto di non poter sfuggire alla doccia maledetta.
Ridacchiò tra se.
"Ehi Kudo, che ne dici di una bella partita "Homes contro Moriarti"?" annunciò sbarrando la porta e facendo capolino nella stanza.
Non appena lo vide la sua espressione cambiò completamente.
Aveva gli occhi puntati in direzione del muro, sguardo totalmente perso nel vuoto, era pallido in viso e teneva i pugni saldi, come per difendersi da qualcosa.
"K-Kudo...cosa...?"
"L'ha presa...." sussurrò con voce roca.
Heiji rimase per un'attimo spiazzato.
"Come?!" domandò nuovamente.
"Rum! Rum ha preso Ai!!" la sua voce si alzò gradualmente, strinse i pugni con maggiore intensità.
"Mi ha contattato con il suo cellulare, vuole che vada all' hotel Haido City per incontrarlo, se non mi presenterò o chiamerò la polizia lui la ucciderà"
Affondò la testa tra le mani.
Il detective di Osaka si sedette accanto all'amico appoggiandogli una mano sulla spalla.
"Non preoccuparti, riusciremo ad incastrarlo vedrai, dobbiamo solo..."
"Ma non capisci??" urlò Conan mettendosi in piedi.
" E' riuscito a trovarci, a rapire Ai, sa del fatto che io conosco la polizia e te. Se vedesse che c'è qualcuno con me non ci penserebbe due volte a ridurla come ha ridotto quella povera gente in passato, non capisci che lui non è come i criminali che abbiamo affrontato in passato??"
"Ok, va bene, ma ora calmati. La cosa migliore in questi momenti....."
"Lo so io qual'è la cosa migliore!!"
Detto questo il piccolo detective aprì la porta della stanza sbattendola con violenza e si precipitò lungo le scale.
"Ehi, che cosa vuoi fare?" urlò Heiji prendendo a corrergli dietro.
"Cosa ti sembra che faccia? Vado a prendere Ai!"
Ora si trovavano nell'agenzia, Conan iniziò ad aprire a furia tutti i cassetti della scrivania di Kogoro, finchè non trovò ciò che stava cercando: La sua vecchia beretta mod. M9  (Per chi non sappia com'è guardi questo link: http://it.wikipedia.org/wiki/File:M9-pistolet.jpg ) che il detective aveva usato durante il suo passato da poliziotto.
La infilò nella tasca interna della giacca, dopodichè la richiuse.
"Kudo, ma che stai facendo? Sei uscito di senno?!?" lo rimproverò il ragazzo prendendolo per le spalle e scuotendolo.
"Voglio andare all'appuntamento, gliela farò pagare una volta per tutte! Lei non centrava niente...non doveva metterla immezzo!!" ringhiò Shinichi con la voce di Conan.
"No! Ora tu devi darti una calmata! Fermati un'attimo a pensare, vedrai che troveremo una soluzione"
Il bambino cercò di liberarsi con uno strattone dalla presa dell'amico, che però non lo lasciò andare.
"Heiji è questa l'unica soluzione! Lui non si fermerà mai! Anche se adesso riuscissimo a catturarlo, anche se lo portassimo in galera, prima o poi troverebbe un modo per evadere e ricomincerebbe la sua carneficina! Io devo impedire che continui a fare del male! Vuole uccidermi? Bene! Perchè sarà l'unico modo per fermarmi!!"
Il detective di Osaka continuava a tenere salda la presa del braccio dell'amico.
Non lo aveva mai visto in quelle condizioni.
Era riuscito in ogni situazione a rimanere lucido e a pensare con logica, persino quando Ran era stata presa come ostaggio da un'assassino dopo che lui lo aveva smascherato.
Ma quel giorno...
Per la prima volta da quando l'aveva conosciuto gli occhi di Shinichi brillavano di nera ira.
Non poteva permettergli di farsi del male da solo.
"Lasciami andare!!" urlò Conan.
"No!Shinichi,ma non capisci che stai assecondando Rum con il tuo comportamento? Provocare la tua rabbia è proprio ciò che quel mostro ha in mente! Credi davvero che se ti presenterai all'appuntamento lui lascerà andare Ai? Vi ucciderà entrambi!"
"Devo tentare....." sussurrò gelido il bambino.
"Non posso permettertelo! Ho promesso a tua madre che non ti avrei permesso di fare pazzie, e questa è una pazzia!!"
"VAFFANCULO HATTORI!!"
Heiji diede un'ultimo strattone al bambino facendolo sedere sulla sedia della cucina.
"Puoi insultarmi quando ti pare ma ora resti qui!" disse guardandolo severamente.
Con gli occhi irati dell'amico puntati su di se il ragazzo liceale si diresse verso lo stanza di Kogoro, poco lontana, dove egli teneva anche il telefono fisso, lanciando talvolta occhiate in direzione della cucina per controllare che Conan si trovasse ancora al suo posto.
Compose rapidamente il numero a memoria, dunque attese qualche istante.
"Pronto, polizia di Tokio" rispose una voce dall'altro capo.
"Salve, mi passi perfavore l'ispettore Megure, è urgente!"
La porta della stanza si chiuse di botto, prendendo Heiji completamente alla sprovvita.
Si udì il suono del chiavistello che girava.
Il giovane detective si precipitò alla porta afferrando la maniglia con tutta la sua forza.
Niente.
Era bloccata.
"Kudo, apri subito questa porta!!" urlò battendo i pugni sul legno.
Si udirono dei passi allontanarsi da lui.
"No!! Shinichi ti scongiuro fermati! Non essere così impulsivo, ti farai ammazzare!"
"Scusami.....Hattori...." sussurrò una voce in lontananza.
Si udì il suono della porta principale che veniva chiusa di schianto, e poi silenzio.
"Shinichi!!"

Sentiva in bocca un vago retrogusto metallico, l'aria pungente dell' autunno la colpiva su viso provocandole brividi freddi ungo il corpo.
Aprì lentamente gli occhi cercando di mettere a fuoco la scena.
Si trovava all'aperto, seduta contro il muro di un edificio che pareva risultarle famigliare. Poi un rapido flash le fece ricordare:
Gin.
Pisco.
L'hotel Haido City.
Cercò di mettersi in posizione eretta, ma dopo un minimo movimento ricadde seduta.
Le gambe e le mani erano legate saldamente con delle funi, la sua bocca era tenuta chiusa da un panno.
Appena prese coscienza di ciò che era accaduto un attacco di panico si impadronì di lei, e non solo per quel motivo.
L'uomo che era responsabile del suo sequestro ora si trovava seduto a poca distanza da lei e la stava fissando immobile con i suoi occhi assassini.
"Finalmente ti sei svegliata, Sherry" sibilò.
Ai lo guardò paralizzata, in un misto di paura e odio.
Rum si alzò dalla sua posizione, avvicinandosi pericolosamente a lei.
Le sfiorò la guancia con la mano marmorea.
"Sai, comincio a capire il perchè Gin sia tanto attratto da te, sarà arrabbiato nel sapere che io gli ho sottratto la sua preda" le sussurrò all'orecchio.
La piccola scienziata cercò di sottrarsi dalla sua presa, ma l'uomo le afferrò la mandibola constringendola a guardarlo.
I suoi occhi erano neri come la notte.
Erano come gli occhi di un corvo.
"Ti faccio paura piccola? Non preoccuparti, vedrai, tra poco arriverà il tuo adorato detective a tenerti compagnia"
Ai fissò l'uomo terrorizzata.
Lui le mostrò un sorriso raggelante.
"Sono proprio curioso di vedere la faccia che farà quando ti ucciderò davanti a lui, scommetto che sarà talmente scioccato da non ragionare più con lucidità....sarà molto divertente farlo fuori."
La bambina puntò i piedi contro lo stomaco del suo aggressore, spingendolo lontano da se con rabbia.
Era come aveva detto Shinichi.
Quell'uomo era un mostro.
Rum si rialzò guardandola in cagnesco, e con una mossa fulminea le fu nuovamente accanto.
Tra le dita stringeva un bisturi.
La lama gelida e affilata entrò in contatto con la superficie della pelle di Ai.
Setì un brivido freddo lungo la schiena.
"Non ti conviene provocarmi ragazzina, io non sono indulgiente come certi membri dell'organizzazione" ringhiò.
La piccola scienziata deglutì, cercando di indietreggiare.
Le gambe le tremavano.
Benchè desiderasse con tutta se stessa che Shinichi non si presentasse davanti a quell'uomo, un pensiero irrepremibile e costante di paura si animò nella sua mente.
"Shinichi....aiutami...."

Guardava davanti a se senza riuscire a pensare a nulla, vedeva solo la strada, un vasto, enorme deserto d'asfalto che sembrava non finire più.
Il cuore gli pompava a mille contro il petto, sentiva di non avere tempo, gli pareva quasi di poter udire i singoli granelli di sabbia della clessidra della sua vita che si deponevano sul fondo, segnando la fine del suo viaggio.
Non poteva fermarsi.
Doveva tentare, forse non era ancora tutto perduto.
"Resisti, ti scongiuro, resisti!!"
La sua mente portava solo a lei, era lei che doveva riuscire a salvare, il resto non importava.
Il solo pensiero di ciò che avrebbe potuto farle Rum, ciò che avrebbe potuto fare a quel cucciolo indifeso, lo incitava ad affrettare ancora di più il passo.
No.
Lui non l'avrebbe toccata.
L'avrebbe ucciso se solo avesse osato torcerle un capello.
Portò la mano alla giacca per assicurarsi che la beretta si trovasse ancora al suo posto. La strinse tra le dita.
Le lancette segnavano il passare dei secondi, di minuti, e il sonoro e vicino arrivo del suo requiem.
In lontananza, alla fine della strada, si potevano iniziare a intravedere le luci sgargianti e festose dell' Haido City Hotel.

Come stai
come sto
maledettamente bene
penso a te penso a noi e non vivo piu'
forse sei abile
a nascondere il dolore
forse no non lo so
ma ti aspettero'
guardami sono qui
tra l'inferno e il paradiso
non so piu' che anno e'
cerco solo te
tutto sa di follia
ma e' solo malinconia
vedo la realta' e vorrei che fosse una bugia
in nome dell'amore l'alba brucera' le porte della tua prigione
in nome dell'amore fai la cosa giusta si la cosa giusta anche se fa male
un giorno un'ora vorrei vederti ancora
un raggio di sole in nome dell'amore

dove sei
cosa fai
hai paura di sbagliare
io non so che cos'e'
che mi lega a te
sara' un dio
che non ho
un peccato da pagare
la realta' e' che non lo so ma stai scappando via

in nome dell'amore io combattero' ti salvero' anche a costo di morire
in nome dell'amore voglio dirti che ti amo

un giorno un'ora vorrei vederti ancora
un raggio di sole in nome dell'amore
in nome dell'amore
(Paolo meneguzzi)



Nei prossimi capitoli:

"Stai bene?"

"Quanta fretta, non vuoi sapere che cosa è successo quel giorno?"

"Tu non meriti di vivere!"

"Addio, piccolo detective!"

"Ti prego...non lasciarmi...."

"Ai...perdonami..."

"SHINICHI!!!!!"




                                                                                                                                                       














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Capitolo 17
*** Frammenti d'esistenza ***


Incubo troppo lungo INCREDIBILE....CE L'HO FATTA!!!! QUESTA VOLTA CREDEVO DAVVERO CHE NON SAREI PIU' RIUSCITA AD AGGIORNARE! TROPPE COSE UNA DOPO L'ALTRA, VERIFICHE, INTERROGAZIONI  E ...CIGLIEGINA SULLA TORTA...UN BEL BLOCCO DELLO SCRITTORE!!!!! XD
SE SONO RIUSCITA A SCRIVERE QUESTO CAPITOLO LO DEVO A TUTTI VOI CHE CONTINUATE A COMMENTARE E A INCITARMI, GRAZIE!!!!
DEVO FARE POI UN PARTICOLARE RINGRAZIAMENTO AI LETTORI DEL FORUM DI CONAN E A TUTTE LE LORO LETTERE (MINATORIE XD) CHE MI HANNO SPRONATO A PROSEGUIRE.
BE', DIREI CHE VI HO FATTO ASPETTARE ABBASTANZA XD, QUINDI VI LASCIO AL CAPITOLO, SCRITTO SULLE NOTE (COME SEMPRE) DI
"SECRET OF MY HEART" E "STILL DOLL"
BUONA LETTURA, E COMMENTATE!!!!
CHARLIOTTA

                                                                    FRAMMENTI D'ESISTENZA

Un'enorme quantità di gente era ammassata all'ingresso dell'hotel, avvolta da un chiassoso e allegro brusio.
 Si potevano notare in particolar modo attori e politici famosi e potenti, accerchiati da valanghe di giornalisti e fotografi.
La confusione che si era venuta a creare in quella cerchia di persone fu sufficente a rendere invisibile l'arrivo di una piccola figura nera, che approfittando della situazione scivolò immezzo alla folla senza la minima difficoltà, superando le guardie e giungendo nella Hall.
Due occhi color cristallo lo seguirono silenziosi ed indagatori come piccole spie, finchè egli non fu sparito totalmente alla loro vista.
Le labbra rosee si piegarono in un sorriso furtivo, con un che di amorevole.
Alla luce opaca della luna piena i capelli mossi e orati parevano quasi brillare di una luce propria.
Un sussurro, impercettibile, scivolò fuori dalla sua bocca.
 "Show me your magic, come on, Coll Guy"

I polmoni gli bruciavano in modo aggressivo e costante, martellando contro il petto, che con rapidità si inarcava avanti e indietro cercando di fargli riprendere fiato.
Appoggiò la mano contro una colonna della Hall, intento a placare quel respiro affannato.
Davanti ai suoi occhi migliaia di persone si stavano dirigendo nella sala da pranzo, dove quella sera  si sarebbe svolto un banchetto in memoria di un famoso regista.
"Lo stesso contesto pure, mi vien da ridere" pensò tra se riportando alla mente i ricordi indelebili di quella sera d'inverno.
Le urla.
Il sangue.
Le lacrime.
Tutto questo per colpa sua. Tutto questo solo a lei.
Guardandola sdraiata sul sedile posteriore dell'auto, con il volto livido e il respiro leggero e fragile, si era ripromesso che mai le avrebbe causato altri mali e guai di quel tipo.
E ora si trovava lì. Ancora.
Che stupido.
Battè il pugno contro il duro marmo della colonna stringendo i denti, cercando di placare quell'ira che si stava nuovamente impossessando di lui.
Stupido.
Avrebbe dovuto immaginare ciò che sarebbe successo.
Avrebbe dovuto stare accanto a lei.
Avrebbe dovuto proteggerla a costo della sua vita.
E invece non c'era stato.
Superò l'edificio principale giungendo all'ingresso del magazzino, l'aria fredda e invernale gli sfiorò il viso procurandogli un piccolo brivido.
Era lì.
Lo sapeva.
Percosse le scale deciso, ricordava alla perfezione la strada, quasi l'avesse percorsa più volte.
La porta che portava alla terrazza era socchiusa.
Rimase qualche secondo fermo a fissarla.
Il cuore prese a battergli rapidamente.
Paura.
Mentre correva lontano dall'agenzia l'unico sentimento che aveva provato era stato la rabbia, rabbia così aggressiva che l'aveva divorato da dentro, invaso completamente.
In quell'attimo nella sua mente si era per la prima volta manifestato l'oscuro desiderio di uccidere qualcuno.
Non sconfiggere.
Non arrestare.
Uccidere.
"Anche se adesso riuscissimo a catturarlo, anche se lo portassimo in galera, prima o poi troverebbe un modo per evadere e ricomincerebbe la sua carneficina! Io devo impedire che continui a fare del male! Vuole uccidermi? Bene! Perchè sarà l'unico modo per fermarmi!!"
Quelle erano le parole che gli erano uscite dalla bocca poco più di mezz'ora prima .
Non aveva mentito.
Se in quel momento si fosse trovato davanti Rum era sicuro del fatto che avrebbe premuto il grilletto senza la minima esitazione.
Si prese la testa tra le mani.
Ridicolo. Proprio lui.
Proprio lui che aveva sempre detto che una persona non aveva il diritto di privare un'altra della sua vita, che non sapeva cosa potesse spingere qualcuno ad uccidere, che non bisognava permettere a un'assassino di sottrarsi alla giustizia, non era forse lui che l'aveva detto?
Un rancore di quel genere, non lo aveva mai provato.
Rancore e terrore.
Nonostante cercasse di nasconderlo sapeva bene di provare una forte paura nei confronti di quell'uomo.
Ciò che era peggio, anch'egli lo sapeva.
Ma tutto questo non aveva alcuna importanza in quel momento.
Rum aveva rapito Ai.
E questo bastava a fargli dimenticare ogni timore.
Si strinse il fianco destro, assicurandosi che la beretta si trovasse ancora al suo posto.
Appoggiò la mano sulla maniglia e fece per aprirla, ma qualcosa lo bloccò.
Per un'attimo rimase immobile, osservando stranito la sua mano minuta.
"Io...questo momento..." pensò tra se.
Quella situazione...sentiva come se l'avesse già vissuta. Ma non era di quella sera.
Era un ricordo antico.
Un ricordo allegro.
"Shinichi non sbirciare!" disse la bambina bruna dandogli un colpetto sulla testa.
"Si,si ok Ran" sbuffò il ragazzino moro appoggiandosi contro il muro e iniziando a contare sottovoce.
"Uno....due......tre....quattro e dieci!" disse trionfale ridacchiando al pensiero di aver imbrogliato l'amica.
In lontananza riuscì a intravedere una piccola figura nera girare l'angolo.
Beccata.
"Ran presa!" urlò in sua direzione.
Nessuna risposta.
"Ran! Guarda che t'ho vista! Tocca a te contare!" insistette.
Silenzio.
Con una smorfia di impazienza disegnata in viso Shinichi girò l'angolo di corsa, ripercorrendo lo stesso tragitto fatto dall'amica.
davanti a lui si trovava un'edificio dalle pareti bianche, la porta d'ingresso era spalancata.
"Baka! Dove è andata a ficcarsi?" pensò scocciato.
Il palazzo era completamente vuoto, alto due piani e senza ascensore, tutte le stanze erano accuratamente chiuse a chiave.
Fatta eccezione della terrazza.
Il piccolo spinse la porta con impazienza precipitandosi fuori.
"Perchè continui a scappare? ho detto che t'ho vista!" urlò.
Si bloccò di colpo.
Davanti a lui, inginocchiata per terra, si trovava una bambina dalla pelle candida. I capelli erano di un biondo scuro, raccolti in un'elegante chignon che le lasciava cadere sulla fronte pochi ciuffi mossi.
Dal suo aspetto, aveva l'aria di essere straniera.
"Oh..scusa.." sussurrò il bambino imbarazzato.
"Who...who are you?" chiese lei con voce candida.
Shinichi stette un'attimo a pensare. Aveva vissuto per pochi anni in america e quindi riusciva a ricordare poche parole in quella lingua.
"Ehm...Wathashi...no...I am Shinichi Kudo desu" disse impacciato (
in giapponese per presentarsi si dice "Watashi wa Shinichi Kudo desu" mentre in inglese "I am Shinichi Kudo" in pratica il nostro Shin ha fatto un minestrone delle due lingueXD N.d.a)
La bambina fece un piccolo risolino.
"You don't know american, isn't it?"
"No" ammise lui scuotendo la testa imbarazzato.
"And...and you know Japan?"
(Perdonate il mio inglese da schifoXD N.d.a)
" Poco.." rispose la biondina con accento americano.
"Sono qui per poco tempo, poi torno in America"
"Ah, sei qui in vacanza?"
"No.." sussurrò lei con un filo di malinconia.
"Seguo mia sorella, mia sorella sempre viaggia....con gli uomini scuri..."
"Uomini scuri?" domandò Shinichi dubbioso.
L'americana annuì.
"Gli uomini scuri sono amici suoi, vanno in giro sempre con il mantello nero, anche quando fa caldo, non si fanno mai vedere in faccia da me, fanno paura. Fanno paura anche a lei"
La bambina si raggomitolò su se stessa con un'espressione impaurita dipinta sul volto.
Il bambino moro la fissava con insistenza, cercando in tutti i modi la cosa giusta da dire.
Era la prima volta che vedeva qualcuno della sua età tanto spaventato da qualcosa. Era abituato alla compagnia di Ran, sempre così allegra e sorridente, e a quella dei suoi genitori.
Quella paura.
Quel senso di smarrimento.
Lui l'aveva già provato.
Sapeva cosa fosse, temere gli uomini scuri.
Si inginocchiò accanto a lei e con un movimento rapido le cinse le spalle e la strinse a se.
Sentì chiaramente il battito del cuore di lei aumentare.
"W...Why?" chiese imbarazzata.
"Don't be afraid" rispose lui convinto.
"What...?"
"Non devi avere paura degli uomini scuri, se avrai paura loro vinceranno e si prenderanno tutto. Non lasciarli vincere!"
Il bambino tremò al suono delle sue stesse parole.
Si porteranno via tutto.
Si, era stato così per lui.
Quegli occhi neri avevano spazzato via parte della sua vita.
Per un'attimo quel ricordo lo paralizzò.
Il pallore del viso dell'anziana donna.
Quel ghigno malefico.
Due piccole braccia si strinsero attorno alle sue spalle, sentì il calore di lei su di se.
"Tank you" sussurrò la bambina.
Si staccarono l'uno dall'altra, e per un'interminabile attimo si fissarono l'uno negli occhi dell'altra.
Blu e azzurro.
Mare e cielo.
"Senti..tu come..."
"Shiho-chan! Let's go!" urlò una voce alle loro spalle.
La biondina fece un'ampio sorriso salutando in direzione della ragazzina mora.
"Yes, just a minute!" rispose.
"Devo andare ora" disse poi rivolta a lui alzandosi. Mise le braccia attorno al suo collo, stringendolo nuovamente in un tenero abbraccio.
"Bye, "Shinichi Kudo desu"" ridacchiò allegramente, mentre si allontanava facendo disperdere la sua voce nel vento.
Con un'espressione sbalordita fissava incessantemente la maniglia della porta.
Impossibile.
Non poteva essere che si fosse dimenticato di tutto questo.
Lui e Shiho....lui e Ai, si erano già incontrati.
Come poteva essere possibile? Quando erano andati all'Hotel per la prima volta esso non gli aveva suggerito nessun tipo di ricordo.
Eppure ora era tutto così lampante, come se fosse accaduto in quel momento.
Ora che ci pensava, una cosa simile gli era successa con Ran, dopo che aveva perso i sensi a causa dell'APTX gli era tornato in mente il loro primo incontro,  nitido e reale quanto l'altro.
Frammenti d'esistenza che non sapeva nemmeno di avere, ora si stavano ricomponendo.
Ogni cosa sembrava acquisire sempre più chiarezza .
E tutto da quando lui, aveva ripreso posto nei suoi incubi.
Per troppo tempo Shinichi aveva nascosto il suo passato agli altri, nel tentativo di eliminare dalla sua vita il ricordo di quell'uomo.
Forse così facendo aveva incosciamente nascosto pezzi di se stesso anche a lui.
Aveva cancellato una parte della sua vita a causa sua.
E ora, che Rum era tornato, ora che l'aveva contretto a guardare indietro, tutto stava tornando alla luce.
Fece un piccolo sorriso.
Quella bambina bionda era Ai.
Anche se non riusciva bene a comprenderne il motivo, quel pensiero l'aveva fatto arrossire.
Bastò qualche attimo però, a fargli ricordare il motivo per cui si trovava lì.
Il suo sguardo si fece nuovamente cupo.
Abbassò con freddezza la maniglia, uscendo sulla terrazza con decisione. Ormai non aveva più dubbi ne rimpianti. Sapeva ciò che doveva fare, doveva affrontare le sue paure, solo questo gli avrebbe permesso di liberarsi dalla gabbia che si era costruito intorno.
Non doveva avere paura.
Lui non temeva gli uomini scuri.
L'aria era fredda ma leggera, in quel punto dell' Hotel le luci illuminavano solo palesemente, lasciando la terrazza in un'angosciante penombra.
Conan sentiva che ogni muscolo del suo corpo era in tensione, fece slittare gli occhi per tutto il perimentro intorno a se in cerca di ogni minimo movimento.
L'unico suono udibile era il fruscio del vento.
Deglutì, cercando di rimanere lucido.
"Sei arrivato finalmente, ti stavamo aspettando" sibilò una voce alle sue spalle.
Il piccolo detective si girò di scatto, in direzione della voce, i suoi occhi blu si incrociarono con un paio color nero come la pece. Un brivido gli percorse la schiena.
Rum stava davanti a lui, nascosto quasi perennemente dall'oscurità della terrazza, i suoi capelli biondo paglia gli cadevano spettinati sull'alta fronte, un ghigno malefico deformava le forme del suo viso rendendole dure e agghiaccianti.
Chiunque l'avesse visto avrebbe giurato che quel corpo fosse privo di anima.
Il suo braccio destro era piegato, che teneva con forza il piccolo corpo della bambina bionda saldo a se e con una mano le teneva la bocca tappata.
Quando la vide, il bambino sentì che il sentimento provato nell'agenzia si stava nuovamente impadronendo di lui.
Digrignò i denti.
Negli occhi azzurri di Ai riusciva a vedere chiaramente il terrore e l'angoscia, ne conosceva il motivo e purtroppo non riusciva a trovarne una soluzione.
Una soluzione che escludesse la sua fine.
Staccò lo sguardo dal suo e ritornò a fissare quello folle dell'avversario.
"Se le hai fatto qualcosa...."
"Tranquillo, sono un' uomo di parola io, non fare scherzi e vedrai che non le accadrà nulla" sussurrò con calma.
Ai tentò di liberarsi dalla presa di Rum, ma senza risultati, scuoteva disperatamente la testa nell'intento di far capire a Conan i veri piani di quell'uomo, ma lui non la guardava. Fissava con insistenza colui che aveva di fronte con un' espressione che lei avrebbe giurato di non aver mai visto in lui.
"Sono qui, non ho portato nessuno, ora liberala!" disse il bambino con voce dura.
"Non così in fretta. Credi che sia uno sprovveduto? Sono al corrente dei macchinari di cui sei dotato" rispose indicando con un cenno le sue scarpe.
"Togliti  di dosso quelli oggetti, e calcali in mia direzione"
Conan si abbassò lentamente, senza staccare gli occhi da quelli dell'assassino.
Fece scivolare i piedi fuori dalle scarpe, dopodichè tolse anche la cintura e l'orologio, per poi calciali verso Rum.
L'uomo analizzò per qualche istante i dispositivi, dunque si rivolse a lui.
"Bene, sembra ci sia tutto" constatò.
"Ora liberala" ringhiò il detective.
L'uomo fece un agghiacciante sorriso.
"Certamente" sibilò.
La sua stretta attorno al corpo di Ai si allentò, dandole un piccolo colpetto sulla schiena la incitò a camminare in direzione dell'amico, mentre con la mano le puntava la pistola alla schiena.
Lei mosse qualche dubbioso passo verso Conan, il respiro debole quanto impaurito, lo fissava costantemente cercando di fargli comprendere ciò che non poteva dirgli a parole.
Lui non si mosse dalla sua posizione.
Aprì le braccia tirandola a se in un caldo abbraccio.
"Tranquilla, ora sei al sicuro" le sussurrò.
Le sue lacrime bagnarono il petto del bambino.
Quell'abbraccio.
Era l'ultimo che le era concesso, lo sapeva.
Lo sapeva e non le importava.
"Shinichi....perchè sei venuto....ti ucciderà..." singhiozzò sottovoce.
Alle sue spalle sentì un suono metallico.
"Quanto sei ingenuo Shinichi!" sogghignò Rum puntando la pistola in loro direzione.
Conan alzò gli occhi verso di lui, il colpo partì.
Rapidamente il detective si lanciò in terra, riparando il corpo di Ai con il suo.
Dalla tasca interna estrasse la beretta e la puntò verso l'avversario, che per un'attimo rimase spiazzato nel vedere l'arma nelle mani del detective.
Un attimo sacro, non poteva sprecarlo.
Il proiettile uscì con un forte rinculo dalla bocca della pistola, colpendo l'uomo di striscio sulla guancia.
La violenza dell'impatto lo sbilanciò facendolo cadere all'indietro e sbattere la testa in terra.
"Ai, corri!" urlò allora Conan alzandosi di scatto e tirandola via con se.
Tutto era accaduto davanti ai suoi occhi troppo velocemente perchè lei potesse rendersene conto, la testa le girava ancora a causa dell'impatto con il terreno e aveva totalmente perso l'orientamento.
Il bambino la trascinò di corsa fino a giungere dietro alla bocca di un camino sporgente, dunque le abbassò la testa facendole cenno di tacere.
Poco distante da loro si udì un grido di rabbia.
"Tu, Brutto....." ringhiò Rum alzandosi barcollando e tenendosi la mano premuta sulla guancia sanguinante.
"Stavolta ti ammazzo...giuro che ti ammazzo!! Nasconditi quanto ti pare, tanto siete spacciati, tu e la tua amichetta!"
Cominciò a girare per tutta la terrazza, le pupille nere erano diventate della grandezza di una biglia.
Ai si sporse dal suo nascondiglio, quel poco che serviva a vedere i movimenti dell'assassino.
Camminava avanti e indietro davanti alla porta spalancata dell' Hotel.
Un sorriso sadico era nuovamente dipinto sul suo viso pallido.
"Avanti, cosa aspetti? Vieni, sono qui ad aspettarti" sogghignò gelido guardandosi intorno.
Quella sua espressione gelò il sangue nelle vene di Ai.
"Adesso cosa facciamo, Shinichi? Dobbiamo per forza passare da li per andarcene" sussurrò all'amico allarmata.
"Non è detto" rispose lui indicando con un cenno la bocca del camino.
"Ricordi? Sei già passata da qui per scappare da Gin, puoi calarti di nuovo!"
"Ma Shinichi, se ci caliamo dal camino puoi star sicuro che lui ci seguirà, è più veloce e agile, ci raggiungerà subito"
"Non ci caliamo entrambi" sussurrò il bambino.
Ai lo guardò dubbiosa.
"Ti cali tu e chiami la polizia usando la mia voce, ecco tieni!" le disse prendendole la mano e mettendole il papillon tra le dita.
"Intanto io lo distraggo" concluse.
"NO!" rispose terrorizzata la bambina.
"Io non ti lascio qui solo con lui, se vado tu vieni con me!"
"Ai, non c'è altro modo, me la caverò" le rispose cercando di calmarla.
"Invece no! Lo sai che non te la caverai, ci dev'essere un'altro modo....."
"Non c'è" disse lui secco.
Ai abbassò la testa, cercando inutilmente di trattenere le lacrime che stavano riempendo i suoi occhi azzurri.
"Shinichi...... non farlo.." singhiozzò.
"Haibara....non ti metterò in pericolo ancora..." così dicendo le fece stringere tra le dita il papillon, coprendole con le sue leggermente più grandi.
Gliene accarezzò il dorso delicatamente.
I loro sguardi si incrociarono.
Blu e azzurro.
Mare e cielo.
"Ora devi andare" disse Conan.
Lo sguardo della bambina si piegò in un'espressione addolorata.
No.
Non doveva finire così.
"Non lui.....vi prego, non lui!"
Non poteva essere vero, proprio ora che credeva che tutto fosse finito.
"Ti prego Shinichi, ti prego.....non lasciarmi..." lo implorò.
D'improvviso l'espressione di Conan cambiò, quasi avesse appena visto un fantasma. La fissava incessantemente negli occhi come se stesse cercando di vedere oltre essi.
Il contorno delle sue iridi si curvò verso l'alto, e per un'attimo le parve di vederle brillare.
Le stavano sorridendo.
Gli occhi blu di Shinichi, non quelli di Conan, le stavano sorridendo.
Un sorriso carico di affetto.
"Ti prego...non lasciarmi.... Io non vivo senza di te, lo vuoi capire?Io tengo e te, stupido detective!"
Quella voce.
Come aveva potuto non capirlo prima?
Quel volto innocente e impaurito che piangeva, come aveva potuto non pensare a lei?
Ora finalmente riusciva a vederlo: i suoi capelli non erano corvini e lisci, no, i suoi capelli erano ramati e mossi. I suoi occhi non avevano quel colore scuro e tendente al viola che si era immaginato, erano chiari come il cielo in un giorno estivo, freddi come il ghiaccio, ma pieni di dolcissimi sentimenti.
La sua pelle non era olivastra, era tanto candida e delicata da aver quasi paura a sfiorarla.
Ecco com'era lei.
E lui, lui non l'aveva mai visto.
Che stupido.
"Shinichi?" disse Ai guardandolo interrogativa.
"Non devi preoccuparti" Sussurrò Conan.
"Cosa?"
"Sta tranquilla Ai, me la caverò, ci rivedremo. Perchè io...."
Il bambino alzò la testa verso di lei, la sua bocca si curvò in un ampio e tenero sorriso.
"...io ho una cosa importante da dirti" sussurrò infine.
Prima ancora che la bambina potesse rispondere un rifiuto, il detective le passò una mano sotto le gambe e con un'altra le cinse le spalle, dopodichè si avvicinò alla bocca del camino.
"Fidati di me, Shiho. Ti prometto che ci rivedremo"
"Aspetta, Shinichi!"
Ormai non c'era più tempo per aspettare. Con un colpetto Conan le fece scavalcare l'ingresso al camino e la fece scivolare giù per il buco scuro.
"Don't be afraid, Shiho-chan, i'm here with you!"
Pensò tra se prima di lanciare un'ultimo sguardo a quel buco silenzioso.
Strinse i pugni.
Sentiva chiaramente passi veloci che giungevano in sua direzione, ormai era inutile tentare di scappare.
Uscì dal suo nascondiglio camminando lentamente in direzione del suo incubo.
Ora erano uno di fronte all'altro.
Rum stringeva la magnum tra le dita ossute, il suo sguardo era tornato alla calma innaturale di qualche minuto prima, non si curava neanche più del sangue che continuava a colargli dalla guancia ferita, rimaneva solo con lo sguardo incollato a quello di Conan, in cerca di una quasiasi forma di terrore.
Perchè era di questo che quesl mostro si cibava, del terrore delle sue vittime.
Ma non l'avrebbe trovato.
Non più.
"Che fine ha fatto la tua graziosa amica?" chiese gelido.
"Lei non centra niente, tienila fuori! Questa cosa è tra noi due e nessun' altro!" rispose il detective a tono.
Con entrambe le mani strinse con forza la beretta e la puntò in direzione dell'avversario.
"Finiamola qui. Una volta per tutte." disse duramente.
L'uomo mostrò i denti bianchi spalancando la bocca in una fragorosa risata.
"Ma quanta fretta che hai! Ma come, non sei curioso?" sogghignò.
Conan lo guardò con un filo di timore, senza riuscire a comprendere a cosa si riferisse.
Rum lo notò.
"Non sei curioso di sapere cosa è accaduto quel giorno? Come ho ucciso quella vecchia signora....avrei voglia di raccontartelo, è la mia favola preferita"
E la sua risata perfida si disperse nel vento pungente dell'inverno.




















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Capitolo 18
*** Ira ***


Ira CIAOOOOO A TUTTI I PAZIENTISSIMI LETTORI!! SI, LO SO, SEMPRE PIU' IN RITARDO AD AGGIORNARE, NON CAMBIERO' MAI T_T
IN QUESTO PERIODO HO AVUTO PARECCHIO LAVORO DA FARE A SCUOLA E' HO TROVATO TEMPO SOLO OGGI, TERMINANDO DI SCRIVERE ESATTAMENTE ALLE 00:15 ^^
MA NOTO CON GRANDISSIMO PIACERE CHE CI SONO NUOVI LETTORI, CHE BELLO!!!! *_*
VI RINGRAZIO TUTTI TANTISSIMO PER IL VOSTRO APPOGGIO E LA VOSTRA INFINITA PAZIENZA NELLA SOTTOSCRITTA.
UN RINGRAZIAMENTO PARTICOLARE VA A AIHAIBARA96, CHE HA ESPRESSO LA SUA PREFERENZA PER LA MIA STORIA NEL CONCORSO "MIGLIORI PERSONAGGI ORIGINALI" GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!! *o* NON IMMAGINI QUANTO MI HA FATTO FELICE QUESTA COSA, PER POCO NON MI METTEVO AD URLARE ^^, DAVVERO, GRAZIEGRAZIEGRAZIE.
BENE, DETTO QUESTO, ECCO IL CAPITOLO,  IN CUI CONAN POTRA' SEMBRARE LEGGERMENTE OOC, ANCHE SE HO CERCATO DI MANTENERLO QUASI TOTALMENTE SE STESSO...
PS: QUESTO CAPITOLO PUO' CAUSARE ATTACCHI DI RABBIA E ISTINTI OMICIDI, E' PERCIO' SCONSIGLIATO A PERSONE PARTICOLARMENTE VIOLENTE xD
BUONA LETTURA, SPERO NON VI DELUDA^^


                                                                               IRA


"cosa vuoi dire?"
Tra i due era calato un silenzio inquietante, rotto solamente dal respiro affannato e nervoso di Conan.
L'innaturale calma con cui l'uomo lo guardava fisso, con i suoi occhi assassini, gli procurava dei sussulti impossibili da non notare.
In conferma di ciò un profondo ghigno si disegnò sul viso di Rum, il quale mostro ampliamente i denti irregolari.
Quella situazione lo stava divertendo.
"Non ricordi? Il giorno in cui hai avuto l'onore di incontrarmi" disse con tono pacato.
Tranquillamente iniziò a camminare intorno al bambino, con fare annoiato, lentamente, giocherellando con il revolver che teneva tra le mani.
"Io lo ricordo nitido come se fosse accaduto ieri. Sai, quella vecchia donna è stata una delle mie prime vittime, e come si dice, la prima volta non si scorda mai".
Le parole dell'uomo sibilavano nella mente del detective come un fastidioso brusio, le sentiva bruciare quanto le ferite su cui stavano gettando sale.
Strinse le nocche e respirò a fondo.
"Provocare la tua rabbia è proprio ciò che quel mostro ha in mente!"
Si, sapeva quali erano le sue intenzioni, e non gli avrebbe permesso di prenderlo alla sprovvista.
Rum lo scrutava con i suoi occhi neri, studiando qualsiasi cambiamento nella sua espressione, mentre provocava suoni metallici passandosi l'arma tra le dita.
"Quel giorno ero appena fuggito dal carcere, quei poveri idioti delle guardie non si sono nemmeno accorti del bisturi che avevo nascosto nella cella.
E' bastato avvicinare uno di loro con una semplice scusa e tagliargli la gola con la lama. Il problema era che così facendo avevo allertato le forze dell'ordine, che avevano cominciato a mettere a soqquandro la città e ad allertare i villeggianti pur di trovarmi.
Non avevo riparo ne cibo, l'unica cosa che impediva alla polizia di individuarmi era la maschera da clown che ero riuscito a rubare e che indossavo fingendomi un'artista di strada.
Ma non avrei potuto resistere a lungo all'aperto, avevo bisogno di un riparo.
Fu allora che giunsi in quel grazioso quartiere, poco popolato e distante dal centro, il luogo ideale per nascondersi.
Il principale problema restava nell'aspettare che qualcuno uscisse di casa per poterlo uccidere e impossessarsi dell'abitazione, credevo che fosse una difficoltà, ma quella donna rese tutto assurdamente semplice...." disse con tono quasi divertito.
Conan lo guardava in cagnesco, stringeva i pugni a tal punto da farsi male.
Sul suo viso da bambino era disegnata un'espressione di puro odio.
L'uomo però finse di ignorarlo e si voltò dalla parte opposta fissando un punto indefinito di spazio.
Accarezzò la superficie del suo revolver.
Avrebbe potuto ucciderlo con fin troppa facilità in quel momento.
Ma che gusto ci sarebbe stato?
"Decisi che mi sarei finto un venditore ambulante di articoli per feste di carnevale" continuò.
"Lei non sospettò di nulla, mi aprì la porta invitandomi persino ad entrare e a bere qualcosa. Mi disse che aveva intenzione di organizzare una grande festa nel suo giardino per far divertire i bambini del quartiere. "Sa, il bambino che mi abita affianco rimane spesso solo a casa, e la cosa lo rattrista, d'altronde ha solo quattro anni. Sono sicura che se ci fosse una festa con tanta gente della sua età si tirerebbe un po' su di morale." mi disse sorridendomi con quel suo viso candido e innocente. Si fidava cecamente di me.
Povera stupida."  sogghignò.
"Smettila!" pensò tra se Conan irato.
Nella mano teneva stretta la beretta con maggiore intensità rispetto a prima, provocandosi un fastidioso formicolio alle punte delle dita.
I suoi occhi erano accesi da una luce scura.
"Pochi minuti dopo il suo corpo era steso sul pavimento del salotto e aveva tinto il tappeto di un rosso scarlatto. Purtroppo le avevo tagliato la gola solo da un lato, e questo non era bastato ad ucciderla. Continuava a contorcersi dolorante, cercando inutilmente di fermare l'emorragia che le avevo aperto. Dalla bocca insieme al sangue le uscivano versi e parole senza senso.
E' stato uno spettacolo che ricordo chiaramente anche dopo tutti questi anni, ero pronto a darle il colpo di grazia, quando qualcosa mi ha fermato.
Dall'altra stanza mi sono giunti suoni di passi, seguiti da una piccola voce bianca."
Il detective abbassò la testa verso terra.
Non voleva vedere lo sguardo soddisfatto di quell'uomo mentre pronunciava quelle parole di sfida.
Non l'avrebbe saputo reggere.
E avrebbe perso quello stupido gioco che divertiva  tanto Rum.
Sentiva che i passi gli si stavano avvicinando sempre di più, la voglia di premere il grilletto in direzione dell'avversario era a dir poco incontrollabile.
Ma doveva riuscire a rimanere immobile, così da non farsi prendere di sopresa.
"Credevo che a quel punto lei si trovasse già in un posto migliore, per cui la lasciai per terra e mi diressi verso la mia prossima vittima.
Ma mi sbagliavo.
La donna mi afferrò per la maglia e con il poco fiato che le era rimasto mi disse: " Ti prego....ti scongiuro non fargli del male...è solo un bambino...non ha fatto nulla. Ti prego, ti prego....." e mentre parlava tossiva e sputava sangue. E' morta così. Sossurrando suppliche e preghiere. Scongiurandomi di non uccidere il suo piccolo Shinichi"
La sua voce fredda ora era vicinissima, poteva udirne la durezza e la cruenza sulla propria pelle.
Una sinistra risata venne sussurrata vicino al suo orecchio.
"Tu....." ringhiò Conan.
"TU, BRUTTO BASTARDO!!"
Il detective moro si voltò di scatto verso l'avversario che si trovava alle sue spalle, i profondi occhi blu accecati dall'ira.
Puntò la pistola contro Rum, ora senza la minima esitazione, il quale in contemporanea la teneva fissa su di lui.
Oramai la strategia non aveva più alcun senso.
Non era la giustizia che voleva.
Voleva solo ucciderlo.
Due colpi partirono diretti da direzioni opposte.
Conan si scagliò verso il pavimento, nel tentativo di scansarsi dalla traiettoria del proiettile.
Non fu abbastanza rapido.
Con un urlo di dolore cadde in terra, un rivolo di sangue iniziò ad uscirgli dalla gamba destra.
Alzò lo sguardo verso Rum.
Il suo proiettile aveva sfiorato la spalla dell'assassino provocandogli una ferita superficiale, la sua camicia ora si era tinta di rosso scuro.
Il bambino si alzò barcollando, la pistola ancora saldamente tra le mani.
Sentiva la gamba come arderdergli.
Ma non era quel piccolo graffio a recargli tutto quel dolore.
Quella voce.
Quelle parole.
Lo facevano sanguinare più di qualsiasi ferita.
L'uomo dai capelli albini si trovava nuovamente davanti a lui, con una mano si tastava la spalla ferita, mentre con l'altra stringeva anch'egli l'arma.
Si osservò il palmo sporco di sangue con aria sconsolata.
Scosse la testa.
"Guarda cosa mi hai fatto.Pensare che una volta eri un bambino tanto dolce"
Rideva. Rideva ancora.
Come poteva trovare divertente quel gioco anche ora che era stato ferito?
Sembrava quasi che la vista del sangue l'avesse reso ancora più famelico.
"Tu...sei pazzo" sibilò il bambino.
Rum amplificò nuovamente il suo sorriso contorto ridendo compiaciuto.
" E tu no?" gli disse fessurizzando i suoi occhi neri.
"L'ultima volta che ci siamo incontrati sono arrivato a poco dall'ucciderti, e nonostante questo ti sei presentato qui senza aiuto ne protezione da parte di nessuno, solo per poter salvare l'inutile vita di una scienziata"
Fece qualche passo avanti in sua direzione, che istintivamente fece aretrare il detective.
"Tu sei pazzo tanto quanto lo sono io"
"Io non sono come te!!" gridò Conan infuriato.
Rum alzò nuovamente il revolver in sua direzione, ora deciso a mettere fine al suo gioco.
Due colpi partirono diretti nella traiettoria della testa del detective, il quale, preso totalmente alla sprovvista da quella reazione, istintivamente corse in direzione del cumicolo in cui pochi minuti prima lui e Ai si erano rifugiati.
Uno dei due proiettili gli passò vicino all'orecchio, provocando un suono stridulo e acuto.
"Andiamo Shinichi, come prentendi di battermi continuando a fuggire?" scherzò l'uomo.
Il bambino si appoggiò contro la parete del camino, lasciandosi cadere in terra affannato.
Le gambe gli tremavano, come anche le mani.
Era giunto a un punto morto.
Cosa poteva fare?
Non era abbastanza lucido per poter mantenere il sangue freddo in presenza di quell'assassino. E lui lo sapeva bene.
Ma allo stesso tempo sentiva di avere dentro qualcosa che lo incitava ad affrontarlo.
Un sentimento che lo afferrava dritto al cuore, stringendolo in una dolorosa morsa.
Quella sensazione insopportabile che sentiva salirgli dallo stomaco ogni volta che vedeva Rum davanti a se, quel grido che avrebbe tanto voluto emmettere ma che gli era impossibile esprimere.
Un urlo silenzioso che gli annebbiava la mente.
Un suono insopportabile.
"E così....è questa...l'ira?" pensò tra se sorridendo amaro.
L'ira.
Si era sempre chiesto cosa fosse.
Ogni volta che riusciva a smascherare un'assassino vedeva nei suoi occhi quella luce sinistra e cupa che sembrava quasi un'impulso ad uccidere.
E ogni volta si chiedeva il perchè.
Perchè un uomo doveva avere una ragione per ucciderne un'altro?
Perchè doveva provare ira?
Fino ad allora lui si era illuso di non provare mai in vita sua un simile sentimento.
Dopo l'incontro con Gin, aveva addirittura creduto di esserne immune. Verso quell'assassino aveva provato terrore, rabbia, repulsione, ma mai vera e propria ira.
E adesso.
Adesso sapeva cosa fosse.
Aveva appena risposto alla sua stessa domanda.
"Ecco cos'è che spinge qualcuno ad uccidere"
Dietro alle sue spalle sentiva i passi pacati che si avvicinavano calmi e lenti a lui, il proprietario pareva non aveva nessuna fretta per quanto riguardava la sua esecuzione.
Chiuse gli occhi, cercando di focalizzare ciò che avrebbe potuto aiutarlo, ma concentrarsi in quella situazione pareva un'impresa impossibile.
Troppe cose si mescolavano l'una con l'altra nella sua mente.
"Morì così. Sussurrando suppliche e preghiere"
"Non ti permetterò di fare altre pazzie"
"Ti prego...non...lasciarmi.."
Sfumature di sentimenti di tanti tipi diverisi, ora ne era completamente invaso.
Talmente era perso nei suoi pensieri che ci mise un'attimo a rendersi conto che i passi erano cessati, e due piccoli occhi neri erano puntati su di lui, folli quanto la loro voglia di uccidere.
Rum si inginocchiò rangiungendo l'altezza del bambino, alzò la pisola verso di lui, rimanendo in quella posizione per vari secondi.
"Un ultimo desiderio, detective?" chiese infine.
Lui abbassò la testa.
"Risparmia Ai" rispose con tono cupo.
Che stupido.
Come poteva sperare che un uomo del genere mantenesse una promessa fatta a lui?
In quel suo cuore di marmo non esistevano ne pietà ne valore.
Quello che poteva sperare era solo che Heiji e gli altri fossero in grado di proteggerla.
"Perdonami Ai, se non ho mantenuto la promessa"
Rum scosse la testa, ridendo divertito.
"L'amore è una brutta malattia..." disse.
"...ti porta a fare cose stupide e insensate, come andare incontro alla morte. Non credo che Sherry sia molto diversa da te sotto questo punto, sono più che convinto che quando scoprirà ciò che è accaduto sarà lei stessa a venire da me per chiedermi di ucciderla. E allora sarebbe davvero crudele da parte mia non esaudirla, contringendola ad una vita di dolore, non pensi anche tu?" sussurrò, con quella sua voce fredda e dura, che non lasciava trasparire alcun tipo di sentimento umano.
Lo sentiva di nuovo.
Quel sentimento fastidioso e forte che lo afferrava al petto.
Quell'urlo silenzioso.
Di scattò si alzò afferrando la pistola con entrambe le mani, e senza pensarci sparò diretto contro l'uomo che gli stava di fronte.
La pallottola sfrecciò dritta, colpendo violentemente la mano dell'assassino biondo.
Il revolver scivolò dalle sue dita, rimbalzando sull'asfalto un paio di volte per poi depositarsi a pochi passi da Conan.
Il bambino lo oltrepassò incamminandosi in direzione di colui che ora stava in terra tenendosi la mano insangiunata.
Gli donò un'occhiata che sarebbe stata capace di far rabbrividire chiunque.
"Tu..." ringhiò.
"...volevi infliggere ad Ai ciò che avevi fatto a quella donna, non è così?" chiese freddo.
L'uomo si sedette in terra, per niente intimorito dalla sua espressione.
"E se anche fosse?" sussurrò con aria di sfida. Un sorriso sghembo dipinto sul viso.
Il detective sentiva sempre più chiaramente che un ringhio furioso e aggressivo era sul punto di uscirgli dal petto.
Sembrava quasi starlo bruciando da dentro.
Ira.
Impossibile da controllare. Ora aveva preso il sopravvento.
"Tu non meriti di vivere" sibilò.
Con un'insolita gioia vide le palpebre di Rum dilatarsi in un'espressione pientrificata, impaurita.
Si, ora anche lui sapeva ciò che aveva provato per tanto tempo.
Voleva che avesse il tempo di rendersene totalmente conto prima di porre fine alla faccenda, per sempre.
Era giunto il tempo per lui di chiudere quel gioco mortale che era durato fin troppo a lungo.
E questa volta, sarebbe terminato per sempre.


 




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Capitolo 19
*** HOLMES, MORIARTY, E LE CASCATE DI REICHENBACH ***


Holmes, Moriaty....  EVVIVA!!! ANCHE QUESTO CAPITOLO E' ANDATO...UFF...CHE FATICA, HO FINITO ESATTAMENTE ALLE..*GUARDA L'ORA* 23:24 DI NOTTE^^
SPERIAMO CHE NE VALGA LA PENA, E DI NON AVER SCRITTO UNA SCHIFEZZA xD
COME SEMPRE RINGRAZIO TUTTI VOI PER IL VOSTRO CALORE E IL VOSTRO SOSTEGNO, SIETE TROPPO BUONI!!!
E VEDO CHE UN'ALTRA HA VOTATO LA MIA FIC PER  "MIGLIORI PERSONAGGI ORIGINALI" GRAZIEEEEE!!!! SONO COMMOSSA T^T
BE' VI LASCIO AL CAPITOLO ORA, BUONA LETTURA!!
CHARLIOTTA


                                                    HOLMES, MORIARTY, E LE CASCATE DI REICHENBACH



"Tu non meriti di vivere" sibilò il bambino a denti stretti.
Una smorfia di puro odio era disegnata sulle sue labbra, tanto dura che pareva essere indelebile da cancellare.
L'uomo arretrò, trovandosi con le spalle contro la fine della balconata. Dietro di lui si poteva vedere un'immenso vuoto, abbracciato dal nero della notte.
Si voltò dunque a guardare in direzione del detective, in cerca di una qualsiasi via di fuga.
Doveva esserci un modo per poter scampare alla morte, o perlomeno ricevere la sua vendetta anche rinunciandovi.
In quale maniera poteva vincere quella partita?
Gli ci volle un'attimo, quando i loro due sguardi si incrociarono, per riuscire a scorgerla.
La sua vittoria si trovava proprio davanti a lui, riflessa negli occhi blu e profondi del giovane.
Non potè trattenere una risata folle e vittoriosa che gli uscì dalla bocca con un suono stridulo.
Conan lo osservò con sguardo interrogativo.
"Che ci trovi da ridere?" domandò irato.
"Non ne hai il coraggio" rispose Rum sghignazzando divertito. Dunque si alzò e si mise nuovamente in posizione eretta.
Fece pochi passi, quanti ne bastavano per ritrovarsi nella posizione in cui si trovava poco prima di perdere l'arma.
"Andiamo Shinichi, te lo si legge in faccia che non hai mai ucciso nessuno" disse il malvivente con la sua solita tranquillità inquietante.
Non poteva soffrire quel suo modo di fare, così calmo e pacato di fronte a situazioni di quel genere; sembrava quasi lo facesse apposta per farlo andare fuori di testa.
"Non sei in grado di spararmi" concluse mostrandogli un sorriso sghembo.
"Davvero? Sei disposto a fare una prova?" sibilò il bambino.
Rum si mosse nuovamente deciso in direzione di Conan, arrivando quasi a raggiungerlo.
Il detective strinse la pistola con entrambe le mani.
"Ci sto. Fammi vedere" rispose infine.
Il ragazzo sentiva che l'urlo silenzioso che gli riempiva la mente si stava facendo sempre più insopportabile, se solo avesse premuto il grilletto sicuramente sarebbe cessato.
Eppure.
Come si sarebbe sentito dopo?
Aveva visto con i suoi occhi centinaia di persone che avevano ucciso per ira o vendetta; volti colpevoli, addolorati, o ancora peggio soddisfatti e folli.
Sarebbe diventato così anche lui?
Un assassino?
"Allora, cosa aspetti?" gli disse Rum interrompendo per un attimo il suo flusso di pensieri.
Il detective digrignò i denti.
No.
Non doveva essere per forza così.
Quello che aveva davanti non era un essere umano. Avrebbe continuato ad uccidere se non lo avesse fermato.
Non aveva pietà per nessuno.
Avrebbe eliminato tutti.
Heiji, Ran, Kogoro, il dottor Agasa, i detective boys.....Ai.
Avrebbe ucciso Ai prima degli altri.
"Avanti, che ti prende? Sparami!" urlò l'uomo aprendo le braccia.
Rum era più che cosciente che continuando di quel passo l'avrebbe trasformato in un assassino.
Ecco qual'era il suo piano.
Se non poteva ucciderlo, allora avrebbe distrutto tutto ciò che lui era.
In entrambi i casi, avrebbe vinto lui.
Ma nonostante riuscisse a rendersene conto, la rabbia che aveva accumulato era e rimaneva comunque impossibile da trattenere.
Voleva ucciderlo anche a costo di finire in prigione, non gli importava.
Cancellare quell'aria soddisfatta dal viso di Rum era tutto ciò che voleva in quel momento.
L'uomo assunse una posizione pacata e tranquilla, osservando assillantemente i movimenti del detective di sottecchi.
"Lo sapevo che non ne sei capace. Guarda, ti tremano le mani" disse con divertimento.
Fino a quel momento non se n'era reso conto, ma aveva cominciato a sudare freddo.
Sentiva che le gambe non lo stavano più reggendo, parevano sul punto di cedere da un momento all'altro.
Perchè sentiva questo forte senso di oppressione?
Benchè la sua mente volesse più di ogni altra cosa premere il grilletto, il suo corpo gli impediva di farlo.
Si morse il labbro inferiore con nervosismo, cercando di riprendere lucidità.
"Proprio come pensavo. Sei un codardo" sogghignò l'albino.
La rabbia non era un motivo valido per uccidere qualcuno, non era forse quello che aveva sempre pensato?
Il fatto di essere stato coinvolto emotivamente gli aveva fatto dimenticare tutti i suoi ideali.
Era un detective....o un assassino?
"No" sussurrò Conan freddo, abbassando l'arma lentamente.
"Io non sono come te"
Le sue iridi color mare brillavano ancora di una rabbia violenta e oscura, ma a differenza di prima sapeva qual'era la cosa giusta da fare.
Lui era un detective.
Il suo compito era assegnare i malviventi alla giustizia.
"Se ora ti uccidessi, non sarei molto diverso da te. La cosa mi fa ribrezzo solo a pensarlo. Preferirei morire, piuttosto che diventare un assassino" ringhiò il bambino con disgusto.
"Non ti permetterò di sottrarti alle tue colpe facendoti gustiziare da me, sarebbe troppo facile. Haibara è andata a chiamare la polizia, tra breve saranno qui. Con accusa di sequestro, tentato omicidio, senza contare l'uccisione di innocenti cittadini, ti daranno come minimo l'ergastolo".
Il sorriso folle di Rum si spense lentamente, lasciando spazio a un' espressione misto paura e furia.
Sarebbe finito in prigione.
Chiuso in una cella, per il resto della sua vita.
Strinse le nocche con rabbia.
"Per colpa tua...sono stato costretto a fuggire per anni.....tu.....tu...Non mi mandarai in gattabuia!!" urlò.
Di scatto l'uomo si getto contro di lui, cogliendolo totalmente impreparato.
Conan alzò l'arma verso Rum e premette il grilletto.
La pallottola superò l'avversario, finendo nel vuoto.
"Merda"
Il tempo necessario per riuscire a prendere la mira e l'aggressore gli era quasi addosso.
Un pugno duro quanto la pietra lo colpì in pieno volto.
Il bambino cadde in terra, facendo cadere l'arma dalle sue mani e lasciandola scivolare lontano da lui.
Sentì una superficie fredda e affilata appoggiarsi sul suo collo.
Rabbridivì, alzando lo sguardo verso l'alto.
L'assassino era inginocchiato accanto a lui. Gli occhi neri come la pece si erano fatti due fessure, la bocca era contorta in una smorfia di rabbia.
Nella mano stringeva il coltello che in quel momento stava facendo pressione sulla gola di Conan.
"Sfortunatamente per te, io non ho i tuoi stessi ideali" sibilò pungente.
"La mia filosofia è che quando si ha un insetto tra i piedi l'unico modo per liberarsene è...schiacciarlo!!"
Il detective chiuse forzatamente gli occhi.
Era la fine.
Questa volta non sarebbe riuscito a cavarsela, non aveva più alcuna via di uscita.
Ironico, come il destino gli avesse fatto scoprire tutte quelle cose sul suo passato, proprio quando era a un passo dalla morte.
Per un'attimo vide nella sua mente quel volto da bambina che gli sorrideva sinceramente, guardandolo con quegli occhi dolci. Gli venne quasi da sorridere.
Peccato non essere potuto stare con lei un po' più a lungo.
Avrebbe voluto poter passare con lei più tempo.
Alle sue orecchie giunse un secco suono di metallo, seguito da un urlo di dolore.
La pressione sul suo collo diminuì, fino a sparire.
Riaprì le palpebre sopreso.
Era ancora vivo?
Davanti a lui vide una figura alta, magra e slanciata. Le braccia ambrate e muscolose reggevano saldamente un tubo di ferro, il suo respiro era affannato e irregolare.
Il bambino seguì quello sguardo duro e feroce fino a scorgere il corpo del suo aggressore accanto a lui, privo di coscienza.
Tornò dunque sbigottito con gli occhi sul ragazzo in piedi davanti a lui.
"He....Heiji.." sussurrò a mezza voce.
"Idiota!" ringhiò il detective di Osaka.
"Sarebbe questo il tuo piano per salvare Ai e arrestare Rum? Ma bravo, proprio un bel piano!"
"Ma...ma tu come...?" balbettò Conan confuso.
"Credi che basti una porta dell'altro secolo e divorata dai tarli per fermarmi?" commentò il giovane.
"Hai...sfondato..?"
All'affermazione dell'amico il liceale abbassò di un poco lo sguardo, portandosi la mano alla spalla destra e massaggiandosela.
"Aveva forse scelta?" sibilò.
Il detective di Tokio lo imitò, abbassando anch'egli la visuale fin che non si trovò a fissare il terreno.
Entrambi rimasero in silenzio.
Come poteva parlargli in un momento simile?
Ce l'aveva con lui, su questo non c'era dubbio. Nonostante ciò era arrivato fin lì per aiutarlo.
Era un vero amico.
"Hattori...io.."
"Tu sei un'idiota!!"gli urlò contro lo studente sbattendo il pezzo di ferro in terra con rabbia.
"Cosa avevi intenzione di fare? Farti ammazzare??" continuò a raffica.
"Io..."
"No, ora parlo io!" lo zittì.
"Credo di avere tutto il diritto per essere arrabbiato a morte con te. Io ti ho sempre aiutato, con le indagini, con l'organizzazione e la faccenda della doppia identità. Certo, a volte posso pure aver sbagliato, ma lo hai fatto anche tu e in quelle situazioni io ti ho sempre sostenuto, perchè è così che fanno gli amici, si aiutano a vicenda nei momenti di bisogno.
E tu come mi ripaghi? Urlandomi contro come un'ossesso e chiudendomi in uno sgabuzzino??" ringhiò Heiji.
"Mi dispiace" sussurrò Conan a testa bassa.
"Non avevo alcuna intenzione di dirti quelle cose, tantomeno rinchiuderti. In quel momento non ero in me. So bene di essermi comportato da stupido incosciente, e di averti deluso.
Per cui ti chiedo scusa, hai tutti i motivi per avercela con me"
Il detective di Osaka lo guardò serio, tenendo le braccia incrociate. Storse un poco la bocca.
"Perdonami, Heiji" ripetè il bambino.
Lo sguardo del giovane si rilassò di un poco, cercando di non fare intendere il suo stato d'animo all'amico. La sua maschera non riuscì a durare più di pochi secondi.
Mostrò all'interlocutore un timido sorriso.
"Và al diavolo, piccola calamita di disgrazie!" gli disse scherzoso, arruffandogli i capelli mori.
"Uff! E dai, falla finita" sbuffò il bambino scacciandolo con le mani.
Il liceale scoppiò a ridere.
"Per vendicarmi preparati ad essere trattato come un neonato per il resto della tua vita, oltre a spiegare a Mouri il motivo per cui la porta del suo sgabuzzino è sfondata"
Conan mostrò all'amico un broncio infantile.
Finalmente aveva davanti a lui un volto fidato, era una bella sensazione. Era quasi convinto di essere rimasto solo.
"Come facevi a sapere che ero qui?" domandò mentre Heiji si era voltato a controllare che Rum fosse ancora privo di coscienza.
"Dopo essere riuscito ad aprire lo stanzino ho ricevuto una chiamata anonima dal telefono fisso. La voce non ho saputo riconoscerla, era contraffatta. Ha solo detto "Haido city hotel" e poi ha riattaccato. Così mi sono precipitato qui, e mentre salivo le scale per perlustrare l'edificio ho incrociato la ragazzina che era con te. Aveva un'espressione davvero sconvolta, così le ho detto di mostrarmi dov'eri e infine sono arrivato quassù".
Conan ebbe un sussulto.
"Haibara? E' qui?" disse trafelato guardandosi intorno.
Il detective giunse con gli occhi sull'ingresso della balconata. Davanti alla porta spalancata era presente una piccola figura immobile.
Per un'attimo non seppe bene come comportarsi, rimase com'era, immobile e pietrificato a fissare quegli occhi color ghiaccio, fissi sui suoi.
Sembravano così tristi, spaventati. Come avrebbe voluto poterli rendere di nuovo gioiosi e splendenti come la prima volta che li aveva visti.
Le mostrò un dolce sorriso, nel tentativo di riuscire a vederlo risplendere anche sul suo viso pallido.
Gli sembrò che il suo cuore si fermasse quando lei lo ricambiò mostrando i suoi denti bianchi.
Entrambi cominciarono a muovere passi l'uno verso l'altra, dapprima lenti e dubbiosi, poi veloci e decisi.
Il bambino sentì le braccia minute e fragili di lei stringersi attorno alle sue spalle con forza.
Fece altrettanto anche lui, abbracciandola dalla vita.
Si lasciò sfuggire un sospiro.
"Ai...."sussurrò.
"Sei un'idiota!" rispose la bambina con tono infuriato.
Conan emise una risatina.
"Ti ci metti anche tu adesso?" commentò.
"Come puoi pensare che io possa salvarmi se tu ti fai uccidere?" continuò la scienziatina stringendolo con maggiore intensità.
"Io ho bisogno di te per riuscire a vivere, non l'hai ancora capito? Dopo tutto questo tempo..."
Fece una pausa prendendo un'attimo fiato. Sentiva il cuore batterle a mille.
"Io ti amo, idiota" sussurrò con le lacrime agli occhi.
Quanto poteva fare male quel sentimento?
Forse non esisteva un limite a quello che poteva provare, forse il suo petto non avrebbe mai smesso di bruciare così intensamente.
Ma ad ogni modo, non poteva più tenerlo dentro.
"I-io..." balbettò il detective.
"Non ho bisogno di spiegazioni, ok? So bene che tu sei legato a Ran e mi va bene. Prima credevo di non essere in grado di sopportarlo, ma ora....ora sono sicura di riuscirci" continuò la bambina bionda.
"A me basta...che tu non sparisca più, perchè quello davvero non potrei reggerlo. Quindi perfavore....non lasciarmi più sola"
La sua vista si era appannata, calde lacrime avevano preso a scenderle lungo le guance, inninterrottamente.
Appoggiò la testa sulla spalla di lui, senza riuscire a dire più nulla.
Sentì delle dita toccarle i capelli, per poi accarezzarli lentamente con delicatezza. Poteva sentire l'immenità di calore di quel gesto.
Arrossì.
Avrebbe voluto rimanere chiusa in quell'abbraccio confortante per sempre.
"Perdonami, Shiho, sono stato uno stupido" le disse il giovane.
"Tu sei la persona....."
"Attenti!!" urlò la voce di Heiji alle loro spalle.
Ai alzò la testa dalla sua posizione voltadosi a guardare in direzione del ragazzo.
Il detective di Osaka teneva con entrambe le mani le spalle del malvivente che fino ad un'attimo prima si trovava a terra svenuto.
I suoi occhi colmi di odio la fissavano con infinita violenza, mentre con le braccia si dimenava per liberarsi dalla presa del liceale.
Gli bastò uno strattone secco per poter sbattere in terra Heiji.
Mostro alla bambina un sorriso sadico.
"Siete morti" sogghignò correndo in loro direzione con tra le mani un pugnale.
L'abbraccio attorno ai fianchi di lei si sciolse. Prima ancora che riuscisse a rendersene conto Conan la afferrò per le spalle spintonandola lontano da lui.
La scienziata perse l'equilibrio e cadde in terra, sbattendo la testa.
Emise un gemito, toccandosi il punto colpito, dolorante.
A poca distanza da lei si potevano udire suoni confusi, che non era in grado di decifrare.
Tentò di alzarsi sui gomiti, aveva la vista offuscata. Tutto ciò che riusciva a vedere erano due sagome, confuse e sfocate che continuavano a muoversi, sempre più lontano da lei.
Sbattè le palpebre più volte, cercando di mettere a fuoco la scena.
Rum stava puntando il pugnale contro Conan, il quale si trovava vicino al bordo del tetto, con alle spalle la fine della balconata.
Il malvivente lo afferrò per la camicia, avvicinandogli il coltello.
Il detective rimase impassibile.
Perchè non reagiva?
Che intenzione aveva, si capiva nella sua espressione che aveva un piano, eppure lei non riusciva a coglierlo.
Un rapido, istantaneo scambio di occhiate le fu sufficiente per capire.
Trattenne il fiato.
Non poteva essere.
Gli occhi di Conan, no, quelli di Shinichi, si curvarono verso l'alto, brillando.
Il bambino le sorrise con malinconia.
"No!!" urlò Ai alzandosi di scatto e correndo in loro direzione.
Il giovane afferrò l'assassino per la maglia con entrambe le mani. Si lasciò cadere all'indietro, sbilanciando l'uomo, il quale in un misto di paura e sorpresa tentò di attaccarsi a qualunque cosa potesse capitargli a tiro, inutilmente.
Il detective cadde nel vuoto, portandosi dietro il suo aggressore.
I piedi dell'uomo si staccarono dal terreno, la figura rapidamente precipitò, sparendo nel nero della notte.
E poi...il silenzio.
Ai ricadde sulle ginocchia, fissando insistentemente il luogo dove fino a pochi secondi prima si trovavano i due.
La sua mente era svuotata da ogni tipo di pensiero, non riusciva più a formularli.
I suoi muscoli sembravano come intorpiditi, non aveva neanche la forza di piangere o reagire, come se qualcuno le avesse strappato via l'anima.
Non c'era più.
Due minuti prima la teneva stretta tra le braccia, e ora...ora non c'era più.
Fu un urlo, acuto e disperato alle sue spalle a riportarla nella vita reale, facendole prendere coscienza di ciò che era appena accaduto.
"SHINICHI!!"gridò la voce di Heiji.

"Se potessi distruggerti una volta per tutte e farla finita con te, sappi che accetterei volentieri la mote per il bene di tutta la comunità"
Sherlock Holmes a Moriarty- Arthur Conan Doyle.


EHM...SI....SO COSA STA PASSANDO PER LA VOSTRA TESTOLINA IN QUESTO MOMENTO E, NO! NON E' CONSENTITO UCCIDERE L'AUTRICE! FERMI!!
 * CHARLIOTTA SE LA SCAPPA DALLA PORTA DI SERVIZIO*




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Capitolo 20
*** Le reali intenzioni ***


le reali intenzioni SAAAAALVE GENTE!!! No, non avete le visioni, sono proprio tornata xDDD credete che non avrei più aggiornato, vero? Ebbene, vi sbagliavate!! Non posso abbandonare una mia storia, o perlomeno non quando mancano solo DUE capitoli alla fine! Si, esatto, questo che ho appena postato è il penultimo, vedrò di farvi avere l'ultimo appena posso.
Un ringraziamento speciale a coloro che mi hanno spronata a continuare inviandomi i loro commenti e le loro lettere, e anche a tutti gli altri che hanno avuto la pazienza di aspettare!!!
Vi voglio beneeeee <3
spero che il capitolo non vi deluda, e che vi faccia odiare un po' (ma anche no xD) meno il mio Rum. ^_^
Charliotta



                                                                            LE REALI INTENZIONI


Aprì lentamente gli occhi, sentiva le palpebre pesantissime e le ossa di ogni singola parte del suo corpo doloranti.
Si lasciò sfuggire un mugolio di dolore.
Che diavolo era accaduto?
La vista era annebbiata e confusa, vedeva sopra la sua testa una massa verde scura e nebulosa.
Dove si trovava?
L'ultima cosa che ricordava era che qualcuno lo aveva colpito da dietro e poi.....
Sgranò gli occhi. Ora ricordava.
Stava per ucciderlo, stava per ottenere la sua vendetta, quando quel quel dannato moccioso lo aveva tirato giù con sè dalla balconata.
Ma certo, ecco cos'era successo.
Quel povero illuso aveva creduto che in quel modo l'avrebbe tolto di torno. Invece lui era lì, vivo.
Sorrise malignamente.
La massa verde che aveva visto altri non era che un albero sul quale era precipitato salvandosi da un mortale impatto con il terreno.
Questa volta scoppiò a ridere.
A quanto pareva il destino era dalla sua parte.
Tentò di mettersi seduto, ma un dolore lancinante alla gamba lo bloccò.
Guardò innorridito il suo ginocchio destro. L'osso rotto della gamba aveva lacerato la pelle, facendo sporgere fuori l'arto ricoperto di sangue.
"Maledetto" sibilò l'uomo a denti stretti tenendosi la gamba con entrambe le mani. il sangue colava lento, lasciando spazio allo spettacolo agghiacciante dell'osso bianco che spuntava fuori dalla carne.
Quel dolore non faceva altro che alimentare la sua rabbia, che andava via via aumentando.
"Ti ammazzo...ti ammazzo..." continuava a ripetere con una folle luce negli occhi.
Se solo lo avesse trovato, quel moccioso.
Anche il bambino era precipitato giù dall'edificio, proprio come lui doveva aver avuto un violento contatto con il terreno duro di quel giardino.
Ma c'era un particolare, cioè che Rum era atterrato sopra un grande abete, il quale gli aveva attutito la caduta.
Sul suo voltò si disegnò un sorriso maligno, seguito da una grande risata.
Non poteva essersela cavata, lui aveva avuto la fortuna di cadere proprio su quella pianta, ma se così non fosse stato si sarebbe di sicuro rotto l'osso del collo.
Non poteva essere sopravvissuto.
Era morto.
Era finalmente morto.
Quelle parole risuonarono nella mente contorta di Rum come una dolce melodia, il suono sereno e inebriante della vendetta.
"Sei morto" disse ad alta voce, sorridendo nuovamente. La frattura esposta alla gamba ormai non la sentiva più, semplicemente non gli importava.
"Che ne dici, Shinichi Kudo? Chi è più furbo ora?" sogghignò forte, muovendo il pugno verso il cielo quasi volesse far giungere la sua voce fino alle stelle.
E intanto rideva.
Preso com'era dal suo successo non si rese nemmeno conto che una donna vestita completamente di nero, con i pantaloni aderenti e i tacchi a spillo era giunta al suo fianco.
"Rum, tutto a posto?" disse lei calma.
L'albino colto alla sprovvista sobbalzò alzando lo sguardo in direzione della voce. Una volta riconosciuta la figura la sua espressione mutò nuovamente in uno sguardo sadico.
"Vermouth...sei arrivata alla fine" rispose placido.
La donna lo guardò con un'aria amorevole sul volto. Si chinò su di lui e scostandosi i lunghi capelli d'oro dal viso appoggiò le sue labbra su quelle di lui.
"Perdonami se ci ho messo tanto, dovevo assicurarmi che tutto procedesse come avevo previsto" gli sussurrò dolcemente in un'orecchio.
Rum si scostò un poco, guardandola dritta negli occhi assassini. Ghignò vittorioso.
"Non hai ragione di preoccuparti, tutto si è svolto secondo i miei piani"
Non appena terminò di dire quelle parole un gemito leggero e debole giunse a poca distanza da lui.
Sbarrò gli occhi mettendosi sui gomiti per poter vedere meglio, preso improvvisamente da un terribile sospetto.
Nella penombra,vicino a dove era caduto lui si poteva scorgere una figura minuta sdraiata con ancora alcune foglie che le cadevano addosso. Aveva i capelli scuri, posati in modo disordinato occhi chiusi, un'espressione sofferente era dipinta sul viso pieno di tagli e graffi.
L'uomo sentì un'ondata di odio impossessarsi di lui. Affondò le unghie nella terra.
Vermouth rimaneva inginocchiata accanto al biondo senza muoversi, osservando inespressiva la scena, per poi far slittare lo sguardo dal bambino al malvivente.
"Anche questo faceva parte del tuo piano?" domandò calma, ai lati della bocca gli si abbozzò un piccolo sorriso.
Rum la gelò con un'occhiata tagliente.
"Quel piccolo bastardo...è sopravvissuto...." ringhiò a denti stretti fissando la figura del giovane detective con un'espressione carica di furia omicida.
Con foga iniziò a frugarsi nelle tasche alla disperata ricerca della pistola, pur cosciente del fatto di averla persa sul balcone durante il duello.
Sbattè un pugno a terra gridando.
Accidenti, non era possibile.
Proprio ora che credeva finalmente di esserselo tolto di torno quel moccioso era tornato.
"Vermouth, hai una pistola con te?" disse afferrando la donna per un braccio, fissandola folle, minacciosamente.
La bionda lo guardò calma, per nulla intimorita da quella reazione. Infilò la mano magra all'interno della sua giacca, per poi estrarre un'arma nera come la pece e lucida.
L'assassina la impugnò con sicurezza facendo l'occhiolino al suo interlocutore.
"Certamente" rispose amorevolmente.
L'albino ricambiò il sorriso tendendo la mano tremante per l'eccitazione verso di lei.
"Presto, dammela!" sibilò.
Vermouth lo guardò per un lungo minuto, per poi fissare la beretta che aveva tra le dita da tutte le angolazioni, come a volerne scoprire i significati nascosti, poi spostò gli occhi chiari nuovamente sull'altro, osservandolo sensualmente.
Con lentezza misurata appoggiò la bocca della pistola sulla nuca di Rum.
Al malvivente gli si gelò il sangue nelle vene.
"V-Vermouth....ma cosa...?" balbettò allarmato.
Lei lo guardò dolcemente, sfiorandogli la guancia con la punta dell'indice.
"Spiacente Rum, ma le nostre strade si separano qui. Non mi servi più ora" spiegò con la solita tranquillità, come se stessero parlando di una cosa di poco conto.
"Peccato, speravo proprio che potessi essermi utile per uccidere Sherry, ma visto e dimostrato che non esegui i miei ordini  non posso permettermi che tu rimanga in circolazione" aggiunse con una falsa espressione dispiaciuta sul viso.
L'uomo la fissò sbarrando gli occhi, terrorizzato.
"M-ma avevamo un'accordo....a te Sherry e a me la mia vendetta su Shinichi Kudo...erano questi i patti!" protestò tremante.
La bionda fece un sospiro.
"E' vero, ma mi vedo costretta a rimangiarmi la parola. Non posso permettere che tu uccida il mio silver bullet" spiegò.
"Silver bullet? Ma che stai......" si fermò a metà frase, preso da un'improvvisa ondata di consapevolezza.
Davanti ai suoi occhi passarono tutti gli avvenimenti da quando era giunto a Tokio, il suo incontro con quella donna, le sue richieste, le sue reazioni. Ora era tutto perfettamente alla luce del sole.
"Tu stai dalla sua parte...lo sei stata fin dall'inizio" sibilò scrutandola rabbioso.
L'assassina sorrise.
"Ora capisco. Ecco il perchè di quello strano accordo, ecco perchè non volevi che lo uccidessi finchè non avessi avuto anche la bambina. Sapevi che se mi fossi messo alla ricerca di Kudo anche Sherry sarebbe stata vicina, così avresti potuto ucciderla per poi eliminare anche me e fare in modo che il detective non fosse toccato"
Mentre diceva queste parole capì chiaramente di essere stato usato.
Sentì una fitta sgradevole allo stomaco.
Era stato manovrato come un burattino.
"Se solo Gin lo sapesse...." ringhiò furente.
Vermouth gli rivolse un'espressione degna di un demone.
" E dimmi, da chi dovrebbe venire a saperlo?" ghignò.
Rum chiuse gli occhi.
Non riusciva più a muovere un muscolo, le punte delle dita gli erano diventate fredde e la fronte aveva cominciato a impregnarsi di sudore. Le gambe gli tremavano.
Quindi era quella la sensazione che si provava quando si stava per moriere.
Gliene avevano parlato, ma percepirla sulla propria pelle era tutt'altra cosa.
Riusciva a sentire il suono del vento, l'odore di bagnato e dell'asfalto, il lento cigolare di un'altalena. E poi il suono più forte e vicino.
Il suo cuore.
Il suo cuore batteva forte, quasi all'impazzata, non lo aveva mai percepito così chiaramente come in quel momento.
Con il passare del tempo, si era convinto che avesse cessato di funzionare.
Sulle sue labbra si disegnò un sorriso, ma non era come quelli che faceva solitamente..
Era sereno, limpido quasi quanto quello di un bambino.
Credeva che il suo cuore si fosse spento da tanto tempo ormai, invece ora era lì, che gli urlava di ascoltarlo. Ascoltarlo un'ultima volta prima che cessasse definitivamente di battere.
Non sapeva da quanto stesse così, gli pareva che il tempo si fosse fermato attorno a lui.
Proprio ora che non gli restava più tempo vedeva la sua vita da una dalla quale non l'aveva mai vista.
Aveva fatto tante cose nel corso del suo viaggio, quasi tutte l'avevano reso il mostro che tutti odiavano.
Non l'aveva certo scelto lui, di essere un mostro.
C'era forse qualcuno che si era fermato per chiedersi perchè lui era così? No. Perchè lui era il cattivo e loro erano i buoni.
Perchè lui un cuore non lo possedeva.
Se era realmente così, allora perchè ora pulsava così forte?
Perchè aveva questo ardente desiderio di mettersi a piangere?
Forse era la paura di morire. Si, doveva essere per forza così.
Non poteva essere possibile che lui provasse tristezza o malinconia nei confronti di qualcuno.
Perchè lui era un mostro, e i mostri non possiedono un'anima.
Non l'avevano mai avuta.
Eppure, sentiva qualcosa dentro se stesso, un'immenso calore che gli riempiva tutto il corpo.
"Papà!" urlò la bambina mentre usciva dall'edificio insieme ad altri bambini delle elementari.
L'uomo la prese al volo mostrandole un dolce sorriso e stringendola con amore a se.
"Tesoro mio, come è andata scuola?" domandò guardandola nei grandi occhi verdi.
Lei entusiasta prese tra le mani la cartella aprendola ed estraendo un foglio tutto spiegazzato.
Ritraeva due faccie allegre, una piccola e una grande. Mano nella mano con accanto una casa rossa.
"Ti piace? Siamo noi" spiegò porgendo al padre il foglio.
Lui lo prese mettendoselo in tasca per poi posare la bambina a terra e prendere per la mano.
"E' bellissimo, ora andiamo a casa e lo appendiamo sul frigo insieme gli altri, ok?" le disse allegro.
Attraversarono la strada superando vari negozi e piazze per poi infilarsi in un piccolo quartiere isolato e con poche case, leggermente sinistro.
Purtroppo con la paga che l'uomo prendeva era tutto ciò che potevano mermettersi, ma non se ne davano peso.
In fondo loro non avevano bisogno di nulla di più.
Prese le chiavi dalla borsa per infilarle nella serratura, quando qualcosa lo bloccò all'improvviso.
Sentì qualcosa di freddo e duro appoggiarsi sulla sua nuca, una voce sinistra gli giunse alle orecchie.
"Girati. Lentamente e senza fare scherzi."
Istintivamente l'albino strinse maggiormente la presa intorno alla mano minuta della bambina, mentre lentamente si girava.
Un'uomo muscoloso, con il volto coperto da un passamontagna e una pistola in mano incrociò il suo sguardo.
"Dammi tutto ciò che hai, svelto!" urlò volgendo la mano verso di lui.
"O-ok, non ti agitare" rispose l'altro allarmato, cominciando a frugarsi nelle tasche in cerca del portafoglio.
Lasciò la mano della bambina.
"Cattivo! Cosa ti ha fatto il mio papà? Perchè fai così?" pianse forte la piccola passandosi i pugnetti sugli occhi.
"Stai zitta, mocciosa!" urlò l'uomo.
La rossa, colta dalla rabbia, si avventò sul ladro iniziando a tirarlo per i polsi come a volergli far cadere la pistola.
"Noi non ti abbiamo fatto niente! Perchè vuoi farci del male?" singhiozzò.
"No! Ferma!" urlò il padre avventandosi sul ladro.
Si udì uno sparo.
In un'attimo il malvivente fuggì lontano, abbandonando l'albino contra le braccia una figura accasciata, in un lago di sangue.
Il biondo la scosse, la strinse a se piangendo e pregandola di aprire gli occhi.
Tutto inutile, quel visino pallido come quello di una bambola di porcellana non diede segni di vita.
Le guance della piccola erano ancora bagnate di acqua salata.
L'uomo urlò forte, più e più volte, chiedendo aiuto.
Non arrivò nessuno, era solo.
Alla fine, quel ladro si era veramente preso tutto ciò che aveva.
Si era portato via la sua anima.
E nessuno lo aveva fermato.
Un singhiozzo quasi impercettibile spezzò il suo petto.
Se nessuno aveva il diritto di privare un'altro della vita, allora perchè per lei era stato diverso?
Non era forse giusto che un'uomo distrutto e con nulla da perdere cercasse di colmare il vuoto che aveva dentro?
Di sfogare la sua ira su coloro che erano rimasti a guardare, senza fare nulla?
Ovviamente no, se ne rendeva conto anche lui ora.
"Noi non ti abbiamo fatto niente! Perchè vuoi farci del male?"
Quelle parole dette con tanta purezza e ingenuità gli risuonavano nella mente in continuazione.
Già, perchè?
Per cosa aveva ucciso e odiato per tutto questo tempo?
Non seppe darsi una risposta.
Ridicolo, che si rendesse conto ora di quanto fosse inutile e assurda la sua vendetta.
Ma forse era proprio così la morte.
Forse non esisteva paradiso e inferno, ma solo un luogo dove tutti riconoscevano e si pentivano dei propri peccati.
Udì un suono fortissimo, che in un'attimo spazzò via quel flusso di pensieri.
E poi il nulla.
In quell'attimo fu cosciente del fatto che di lì a poco l'avrebbe rivista.
il suo sole, il suo angelo.
Finalmente.


Guardò impassibile l'uomo accasciarsi a terra e una grande macchia di colore scarlatto macchiare la terra attorno a lui.
Raccolse il bussolo da terra, infilandoselo in tasca. Non poteva permettere che qualcuno potesse ricollegare in alcun modo l'organizzazione a quell'assassinio.
"Riposa in pace, Teru Osawa" pensò guardando il cadavere immobile sull'erba.
Si voltò senza alcun rimorso, ormai aveva imparato a prendere con indifferenza la morte di qualsiasi persona.
C'era solo un'individuo che le interessava mantenere in vita in quel momento.
Camminò in direzione del bambino svenuto che si trovava davanti a lei e lo prese tra le braccia.
"Tutto bene, cool guy. Sei al sicuro ora" sussurrò sorridendo dolcemente stringendolo a se in un'abbraccio protettivo, quasi materno.
Appoggiò il detective all'interno della sua auto, al lato del passeggero, per poi salire a sua volta e partire a tutta velocità.
Le strade erano deserte, la notte la proteggeva dagli sguardi sospetti come un'enorme manto nero.
Il silenzio che la circondava venne momentanemente spezzato da un paio di auto della polizia che le sfrecciarono veloci accanto superandola il minimo sospetto.
Sul suo viso angelico comparve un sorriso trionfale.
Ormai era inutile che quella gente arivasse dove lei era appena stata, non era presente nessun malvivente da arrestare. Non più.
Si girò verso il passeggero addormentato accanto a lei.
Benchè fosse malridotto e pieno di ferite aveva un'aria serena e tranquill, come se si fosse tolto un'enorme peso dal cuore. Ad un certo punto, forse solo un'attimo, le era parso di vederlo abbozzare un sorriso. Sperava sinceramente che fosse perso in dolci sogni , dopo tutto quello che aveva passato non meritava nulla di meno.
"Good night and sweet dreams, baby" sussurrò passandogli delicatamente una mano sulla guancia.
Il telefono della donna squillò improvvisamente staccandola dai suoi pensieri.
Lo estrasse dalla tasca guardando inespressiva il nome comparso sullo schermo, per poi avvicinarlo all'orecchio.
"Dove sei,Vermouth?" domandò glaciale l'interlocutore.
"Gin. stavo proprio per chiamarti. Ho fatto fuori Rum" rispose la donna, senza giri di parole.
Dall'altro capo giunse un suono come di dita che scricchiolavano.
"Non mi sembra di aver acconsentito una cosa del genere" ringhiò il biondo irritato.
Vermouth non si scompose minimamente.
"Non so se tu ne fossi al corrente, ma era un pazzo psicopatico che non avrebbe portato che alla nostra scoperta da parte dell'FBI, è questo che volevi?" lo punzecchiò la donna.
Gin sbuffò.
"Non dico che non fosse fuori di testa, ma prima di compiere un'esecuzione dovevi come minimo aspettare la conferma da parte del capo" sbottò.
"Non avevo alcuna intenzione di farmi ammazzare da lui come è successo a Chianti e a Korn" ribattè lei.
Ricordava quella sera molto chiaramente.
Guardò Conan con preoccupazione, andando a sfiorargli la piccola mano.
Quella sera aveva risciato di andare tutto a rotoli.
Aveva rischiato di perderlo.
Nonostante avesse calcolato tutto nei minimi dettagli lui era riuscito per l'ennesima volta a stupirla e a prenderla in contropiede.
Fece un sorriso amaro.
Ormai avrebbe dovuto saperlo, che non poteva battere in astuzia quel ragazzino con gli occhiali.
Si era illusa di potergli togliere Sherry dalle dita senza far capitare nulla a lui , e ora era lì, coperto di ferite e vivo per miracolo.
Quando lo aveva incontrato al porto, al loro primo incontro ufficiale, aveva letto nei suoi occhi la tenacia e il coraggio che erano ancora parte di lui con sempre più forza.
"Ti ho sottovalutato un'altra volta, cool guy. Ho fatto male." pensò accarezzandogli i capelli.
"E io che credevo che avrebbe funzionato. Avevo calcolato tutto, compreso che tu scoprissi che ero il dottor Agasa. Per questo avevo raccontato a Sherry quell'episodio della tua infanzia, apposta perchè lei lo dicesse a te e tu giungessi alla conclusione che il dottore non poteva avere quell'informazione. In questo modo nono solo avrei avuto tra le mani la traditrice, ma tu saresti stato salvo scappando dall'esplosione.
Non avevo però tenuto conto di un particolare.
Sherry, anzi, Shiho.
La ami, vero cool guy?
Per questo sei riuscito a rintracciarci, per questo le hai ordinato di scappare quando sei stato ferito ed è per questo che eri disposto a morire piuttosto che lasciare che la uccidessi.
Solo ora ho capito che non riuscirò mai a strappartela dalle braccia, ci ho provato e per poco non ti ho perso.
Sono stata costretta a fare fuori due dei miei stessi uomini per impedire che parlassero di te al capo.
Prima d'ora non mi ero mai preoccupata tanto di qualcuno al di fuori di me. Che cosa mi stai facendo, piccolo detective?"
"Vermouth?"
La voce profonda e fredda di Gin la staccò da quei pensieri riportandola alla realtà.
"Rum parlava sempre di un certo Shinichi Kudo. Ho fatto delle ricerche ed è risultato che sarebbe un detective morto a causa dell' APTX4869. Bizzarro, vero?"
La donna bionda ebbe un piccolo sussulto.
"Te l'ho detto che quell'uomo era pazzo.." disse simulando una risata, troppo finta e tirata per imbrogliare un' uomo come Gin.
"Dici? O forse vuoi farlo sembrare più pazzo di quanto non sia realmente?" sibilò l'assassino, gelido.
Vermouth fece un'espressione divertita, come a cercare di convincere l'interlocutore, anche se lui non poteva vederla.
"Hai detto tu stesso che Shinichi Kudo è morto. Stai insinuando che sia resuscitato o per caso dubiti dell'efficenza delle tue esecuzioni?" domandò maliziosamente.
L'uomo digrignò i denti ribollendo dalla rabbia.
"Sta attenta a giocare così con il fuoco, rischi di scottarti seriamente" sussurrò glaciale.
La donna fece l'indifferente, aveva imparato a prendere alla leggera le sue minacce, sapeva meglio di lui che finchè stava vicina al capo non poteva essere toccata da nessuno.
In conferma di questo si sentì uno sbuffo dall'altra parte dell'apparecchio, il quale la fece sorridere vittoriosa.
"Mi auguro che tu non mi stia nascondendo qualcosa, Vermouth" disse infine Gin.
Lei si girò, guardando nuovamente il suo compagno di viaggio.
Si portò l'indice sulle labbra.
"My dear, a secret makes a women women" sospirò sensualmente, prima di agganciare la chiamata.
Non posò però il telefono, componendo immediatamente un'altro numero.
Era tempo di far tornare tutto alla normalità, vale a dire rimettere a posto tutti i tasselli del puzzle.
E ne restava solo uno da piazzare.
Il più importante.
Si avvicinò il telefono alle labbra, coprendosi la bocca con un fazzoletto.
"Pronto? Non chiedere chi sono ne cosa voglio, ti interessi solo sapere che Shinichi Kudo è vivo."





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