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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Prologo *** Capitolo 2: *** Era il giorno piovos'e allegro, *** Capitolo 3: *** V'incontraste in questo, *** Capitolo 4: *** E v'amaste per lo sguardo; *** Capitolo 5: *** In mano una stretta promessa, e in settimana *** Capitolo 6: *** D'amante in guancia un puro bacio. *** Capitolo 7: *** Oh, Zeno, già dal nome tuo chicchessia può amarti *** Capitolo 8: *** Unico o raro. Checché il pensier ti dica, *** Capitolo 9: *** Manca la prematura promessa vostra, *** Capitolo 10: *** Luce in begl'occhi. *** Capitolo 11: *** Assurdo e perfido destino raggiunse *** Capitolo 12: *** Il calor in cui v'eravate incontrati: *** Capitolo 13: *** L'amor crebbe, e vi rese amanti al sole. *** Capitolo 14: *** Le parole l'un dell'altro creaste vostre, *** Capitolo 15: *** Era 'l perfetto vedervi in fiore. *** Capitolo 16: *** Oh, Ce', non lo senti banal e d'uso il tuo di contrario? *** Capitolo 17: *** Ancor illudi il cuor tuo già ferito? Eppur lo sai *** Capitolo 18: *** Perso non è stato ma corrisposto, il tempo amaro. *** Capitolo 19: *** Un incanto tradito foste, l'invidia della Luna *** Capitolo 20: *** L'arrossir tramonto, eravate. *** Capitolo 21: *** Difficil creder che non sia dolor *** Capitolo 22: *** Or che separati vi siete, amari. *** Capitolo 23: *** Oh, Fato crudele! *** Capitolo 24: *** Tutt'or mi chiedo cos'andò storto. Oh, gioia! *** Capitolo 25: *** Finì così, in quel d'estate termine. *** Capitolo 26: *** Le parole usate e logore non esprimevan in parte il male. *** Capitolo 27: *** In cuor di lei. ***
A
mala pena riuscii a reggermi in piedi, quando vidi le fiamme.
Credo
che sia stato proprio quello a dare inizio a tutta la storia che ora vi
racconterò. Iniziò quel 14 giugno 2010, con le fiamme che avvolgevano il muro
della casa. Poi, avide, penetrarono nella stanza più piccola di tutta
l’abitazione, quella dove mi rifugiavo quando ero triste, o arrabbiata. Quella
che conteneva la mia batteria, i miei libri, i miei progetti, i miei lavori.
Non era la mia camera da letto, ma ero io di sua proprietà. Pensate all’uso del
passato: ero.
Quella
stanza non c’è più. E non mi importa di tutto il resto, ma di quello
sgabuzzino, di quei quattro muri che negli anni passati avevano raccolto le mie
risate e le mie lacrime.
Il
fuoco se l’è mangiata, quel lontano 14 giugno, si è portato via una casa e
tutta la mia voglia di sorridere e di vivere con lei.
Quel
giorno, il sole splendeva e la temperatura era a 35° C. Il giorno dopo, grandinava. Come dire, oltre al danno, la beffa. Sì,
sembrava proprio che ci schernissero, noi cinque poveri relitti, senza tetto,
costretti a subire colloqui coi vigili del fuoco, con i carabinieri, con i
giornalisti (che puntualmente, com’è consono nel loro mestiere, hanno sfornato
articoli per i quali mi son fatta grandi risate: manco l’indirizzo di casa era
giusto, e il resto, ancora peggio).
Si
stavano burlando di noi, tutti. L’intero pianeta si burlava di noi.
Ero
stanca, ero arrabbiata col mondo. Raccontavo minimo tre volte al giorno come
andavano le cose. Mi ricordo che, dopo 5 giorni dall’accaduto, e cioè da dove
inizierà la vera e propria storia, ho visto un’amica, Arianna, che ad un certo
punto mi ha detto: “Non c’è più la tua luce”.
“Come?”
“Sei
sempre stata una ragazza dagli occhi grandi e blu, occhi sognanti. Ora li hai grigi e spenti, voglia zero, occhiaie scavate”.
Guardava
il pavimento, mentre pronunciava queste parole. Doveva avere un certo coraggio
per dirlo, perché in quel momento avrei davvero voluto tapparle la bocca per
sempre. Solo ora mi rendo conto di quanta realtà
invece c’era, in quelle parole, taglienti. E la prossima volta che la vedo,
questo me lo scrivo come promemoria, la devo ringraziare, perché non l’ho
ancora fatto. Le devo un sacco, per una miriade di motivi, che vi spiegherò se
continuerete a leggere.
Ho
recuperato quella luce di cui lei parlava proprio ieri, 5 ottobre. Ricordatevi
questa data.
E
ora, dopo avervi presentato l’antefatto, vi racconto una storia, quella reale,
quella mia, ragazza dal semplice nome quale è Francesca, e lui, ragazzo dal
nome insolito, Zeno.
{ Spazio Harry_Jo.
Questa è una storia VERA. Ho cambiato il mio nome per scaramanzia,
e l’ho trasformato in Francesca.
Dedico proprio a lei questo incipit, perché lei mi ha convinta a
scrivere, e per questo, davvero grazie di cuore. ♥
Vorrei sapere che ne pensate, se volete, i
commenti son ben accetti sempre, soprattutto le critiche costruttive!
Grazie mille per chi la leggerà!
Erica ^^
P.S. : Sì, ho avuto un incendio a casa
proprio quel giorno, ripeto, è e sarà tutto vero.
Capitolo 2 *** Era il giorno piovos'e allegro, ***
1 - Era il
giorno piovos’e allegro
19 giugno
2010.
Suonai il campanello
più e più volte prima che Arianna si decidesse ad aprirmi. Dopo qualche minuto,
mi annotai mentalmente di non dover mai contare sul fatto che la ragazza fosse
sveglia alle 8 di mattina.
“Ohi” mi salutò trattenendo
a stento uno sbadiglio, quando si decise ad uscire di casa.
“Buongiorno… Perdonami, sono dovuta arrivare per forza a quest’ora” cercai di scusarmi, notando
che era ancora in pigiama.
“Tranquilla – altro sbadiglio
– Ma non ho capito come mai non potevi proprio venire più tardi” chiese lei,
mentre mi apriva il cancello per farmi entrare in casa.
“Eh, dopo l’incendio
sono andata a vivere con mio papà e mia sorella a Barbisano,
ma visto che lui comunque deve andare a lavorare a Breda alle 8, ci porta con lui:
non si fida a lasciarci sole a casa” spiegai alla bell’e meglio.
“Ah, ma quindi vi
siete sistemati! Bene! E dov’è questo posto, Barbi…
Che?”
Entrai in casa sua e
venni subito abbracciata da Michele, il fratello più piccolo di Arianna. Mi
fece piacere, e sorrisi brevemente sentendolo urlare: “Francescuccia!”
“Ciao Michele”
salutai, e poi mi ricordai della domanda di Arianna. La raggiunsi in cucina e
la trovai che preparava il caffè: non sembrava esser cambiato nulla dall’ultima
volta.
“L’appartamento è a Barbisano, sono circa 24 km da qui. Non è che ci siamo
sistemati, abbiamo dovuto accontentarci. Era l’appartamento di papà, e ora ha
due nuovi inquilini. Non sarebbe fatto per tre persone, neanche per due in
realtà, ma… Non possiamo permetterci altro” conclusi
guardando fuori dalla finestra le nuvole in cielo. Si prospettava pioggia, di
nuovo il tempo che mi prendeva in giro: non poteva piovere cinque giorni prima?
“Francesca, mi
dispiace”. Quasi sobbalzai, persa com’ero nei miei pensieri non l’avevo sentita
arrivare alle mie spalle.
Mi girai, e Arianna mi
sorprese in un abbraccio.
Mi hanno detto che è
bellissimo quando i miei occhi vengono annebbiati da dolci gocce d’acqua,
quindi credo di aver avuto l’aspetto più bello del mondo, in quel momento. Non
stavo piangendo, non riesco a piangere, le lacrime mi rimangono sempre
incastonate nelle palpebre. Spero che non capiti a nessuno di voi questa
sensazione, è orribile. Raccapricciante, perché, anche se dicono che sono
inutili, le lacrime ti lasciano sfogare un po’ di quelle emozioni orrende che
ti mangiano lo stomaco, mentre io sono sempre e solo riuscita a riunirle sotto
gli occhi.
Tornando a noi,
sciolto l’abbraccio Arianna disse: “Dai ragazza. Oggi vieni con me alla
riunione di scout”.
“Cosa?!” chiesi,
spaventata.
“Eh, mi hanno avvisata
ieri, devo andare per decidere il percorso di route
di quest’anno…”
La guardai di
traverso.
“Dai che conosci delle
persone fantastiche! Luca, Jacopo, Zeno!”
“Chi?” domandai,
sicura di aver capito male. In quel momento non potevo immaginare quanto
avrebbe fatto la differenza quel ragazzo, quel nome.
“Zeno” ripeté lei, e
sorrise notando la mia sorpresa.
{ Spazio
Harry_Jo.
Eccomi,
aggiornamento veloce questa volta, occhei? Dopotutto
non vi avevo iniziato la storia, ma un solo prologo, quindi mi sembra il minimo
iniziare a raccontare. Anche se è difficile, trovare le parole adatte, e questo
non mi sembra un granché sinceramente. Proverò a migliorare, scusatemi!
Ringrazio
Herm735 e LallaYeah che hanno espresso il loro parere
riguardo al prologo, grazie mille dell’incoraggiamento!
Questo
capitolo lo dedico ad Arianna, che se mai capiterà per di qua a leggere questo,
noterà che le ho fregato il nome per uno dei personaggi più importanti della
storia.
Fatemi
sapere che cosa ne pensate di questo primo capitolo!
“Arianna, devo proprio
venire?
Me ne ritorno a casa tua con Michele!” sbuffai quel
pomeriggio, in macchina. Il cielo si tingeva sempre più di grigio, e
cominciavano a battere le prime gocce sul finestrino dell’auto.
“Dai, Francesca! Mica ti mangiano!” ribatté lei, con strano cipiglio.
Sospirai. Che ci facevo lì? Me ne stavo volentieri
a guardare i cartoni animati piuttosto, io. E poi gli scout mi erano sempre
stati antipatici, anche se questo evitavo di dirlo ad Arianna.
Ora mi fermo un momento, prima di raccontarvi il
giorno più strabiliante che io ricordi. Mi fermo, perché ho gli occhi umidi.
Sono felice oggi, ma è difficile riuscire a descrivere quel giorno trasmettendovi
quel che ho sentito io.
Avete mai conosciuto una persona che vi ha cambiato
la vita? Subito, dal primo istante, da quando ti ha stretto la mano per
presentarsi; avete mai sentito quel calore tra le dita e quel brivido lungo la
schiena? Vi siete mai incantati a guardare gli occhi di una persona e a pensare
che non ne esistano di più belli, che in quell’iridi
si nasconda la profondità degli abissi e l’infinito del cielo? Cominciate a
chiudere gli occhi e immaginate quel ragazzo, quello che vi fa battere il cuore
a tutto spiano, quello che ritenete perfetto persino nei suoi difetti. Proprio
lui, pensate a colui che vi fa sognare e sperare in un mondo migliore, e troverete
le mie parole banali, insufficienti a descrivere quelle sensazioni. Ma cercherò
di fare del mio meglio.
Quando arrivammo a destinazione, all’incirca dopo
venti minuti di viaggio, Arianna scese dalla macchina tutta felice e aspettò
impazientemente che anch’io smontassi, cosa che feci lentamente e controvoglia.
Mi trascinò (letteralmente) di fronte a tre ragazzi
che ci stavano osservando, e fu il primo alla mia sinistra, lui, quello che mi
sconvolse le viscere.
Arianna disse: “Lei è Francesca!”
Il ragazzo mi guardò: gli strinsi la mano e non
gliel’avrei mai voluta lasciare.
Capelli neri, occhi castani, sorriso
stupendo. Ecco com’era, ecco com’è. Alto, snello, perfetto. Mi ero incantata a
guardarlo, così. L’avevo incastonato nell’oro più prezioso.
“Chi sei?”. Oddio, la voce mi fece tremare il
cuore. Ma davvero esisteva? Il mio cuore nel frattempo aveva iniziato a correre
una maratona, e sembrava determinato a vincere a tutti i costi.
“Francesca” risposi incerta, senza togliere né la
mano né lo sguardo.
“Chi sei?” ripeté lui, ridendo.
“Così la metti in imbarazzo!” osservò Arianna, che,
anche se io non me n’ero accorta, era ancora lì
accanto a me.
“Chi sei?” chiesi io, unendomi alle sue risate.
“Zeno!” Oh.
Il primo pensiero fu: ma che nome insolito!, solo che me lo tenni per me. Dopotutto, a una tale rarità
di bellezza, corrispondeva una rarità di nome.
Quando iniziarono la riunione io mi sedetti in
disparte, in un angolino, e rimasi a guardare. Non riuscivo proprio a togliere
gli occhi di dosso a quel moro. E ogni tanto lui si girava verso di me e si
mostrava in un sorriso che mi faceva diventare cremisi.
Non ho mai creduto a quel che chiamano ‘colpo di
fulmine’, ma andò proprio così. E poi fuori era iniziata una vera e propria
tempesta, quindi probabilmente ero stata sul serio, colpita da un fulmine. E i
battiti del cuore erano il mio tuono, prorompente.
Parlammo un sacco, poi. Una volta finita la
riunione, intendo, lui venne da me e iniziammo a chiacchierare, escludendo il
resto del mondo. Arianna se n’era rimasta con gli altri, e ogni tanto ci
buttava l’occhio.
“Sei una futura scout?”
“No, decisamente no”.
“Mmh, peccato…”
“Perché? E’ bello?”
“Sì, sennò non lo farei, no? E’ un
po’ assurdo chiedere a uno scout se è bello fare scout” mi fece notare.
Ora, io sono persona che viene spenta facilmente, ma quella volta, non so da
dove mi venne fuori la risposta.
“Non posso nemmeno chiederlo a qualcuno che non lo
fa però, perché non avrebbe capacità di giudizio, ti pare?” replicai, fiera.
Lui rise. Com’era bello vederlo ridere, piegare la testa leggermente all’indietro
e i suoi occhi che si chiudevano! Avrei voluto chiedergli di continuare a
ridere per l’intera vita.
“Sei intelligente – notò. – Da dove vieni?”
“Breda di Piave, è un buco di città”.
“Sei lontana circa venti chilometri da dove abito
io allora. Vengo da Santa Lucia”.
Non precisai che la mia casa aveva subito un
incendio cinque giorni prima e che in realtà dormivo a neanche 10 km da dov’era lui.
“Io vengo sempre alla festa della birra a Breda,
magari ci vediamo lì” mi disse, prima di andarsene.
“Promesso?” chiesi in un sorriso.
“Promesso” rispose ricambiando. Mi guardò per un
istante che sembrò eterno, e poi se ne andò. Io rimasi a guardare il vuoto per
qualche minuto.
“Allora… Zeno ti ha adocchiata,
eh?” mi schernì Arianna, una volta in macchina.
“In realtà il contrario” sospirai di risposta senza
pensare.
“Cosa?!” chiese lei
sbalordita.
Così, mentre guardavo la pioggia che continuava a
battere contro il finestrino, le raccontai tutta la serie di indescrivibili
emozioni che avevo provato in quel breve pomeriggio, senza ancora essermi resa
del tutto conto di che sbandata assurda mi ero presa per quel ragazzo dal nome
insolito.
{ Spazio Harry_Jo.
Ho notato che il capitolo precedente
non ha riscosso molto successo, forse perché non succedeva un granché, ma per
me era necessario scriverlo.
Spero che questo vi piaccia di più,
visto che racconta uno dei giorni più sensazionali che io possa mai aver
vissuto.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate,
un commento è sempre gradito, vi ringrazio in anticipo se leggete la storia, e
se mi dite che cosa ne pensate.
Ogni capitolo avrà una dedica, perciò
questo è per il mioZeno, che nonostante tutto, ancora mi manca, e spero di
poterlo rivedere presto. Magari un giorno gli farò leggere questa nostra
storia.
Mi ero presa l’influenza, perciò ero a casa sotto
le coperte, che pensavo a cosa potevo fare: il mio
migliore amico, Cristian, mi aveva detto di essersi
innamorato di me, quando io avevo passato i sei mesi precedenti a cercare di
conquistarlo, invano.
Solo che, sarà perché avevo perso quella luce, sarà
che mi ero stancata del suo continuo tira e molla, non ne ero felice. Mi stava
quasi indifferente: tanto lo sapevo, gli davo due giorni, massimo
3, e sarebbe venuto da me già parlandomi di qualcun’altra, com’era suo
tipico.
Io, ho sempre amato l’amore. Sembra una cosa strana
da dire, ma è vera. Guardo film d’amore, leggo libri d’amore, ascolto e suono
canzoni d’amore. Perché sono una dannatissima romantica; quindi ho sempre
creduto che fosse il motore di tutto, l’amore.
Lo credevo anche in quel momento, tanto che ero
convinta che il motore della mia influenza fosse Zeno.
Eh, no, non me lo ero dimenticato. Ovvio, direte
voi, sennò non ne starei scrivendo, ma io non lo darei così per scontato. Come
ho già detto, non ho mai creduto molto all’amore a prima vista, quindi mi
sorprendo ancora quando mi ritrovo a pensarci, a quel giorno. Mi sorprendevo
persino allora.
Gli avevo chiesto l’amicizia su facebook,
e lui me l’aveva accettata. Da allora controllavo molto spesso il suo profilo,
anche solo per ricordarmi di quegli occhi che alla fine non avrei comunque mai
dimenticato, credo.
Vibrò il cellulare e mi distolsi dai miei pensieri:
una chiamata, Cristian. Attesi un po’, ma al terzo
squillo mi affrettai a rispondere: “Cri?”
“Cesca…” mormorò lui,
dall’altra parte del telefono.
“Non chiamarmi così, lo sai che non mi piace!” lo
rimbeccai subito d’istinto.
“Scusa Cesca”. Come non
detto, le mie parole erano più utili se buttate contro un muro.
“Dimmi, è successo
qualcosa, Cri?
Perché mi hai chiamata?” chiesi, più per educazione che per
reale interesse: dopo l’incendio, niente mi emozionava più, niente tranne… beh,
lo potete immaginare insomma.
“Devo assolutamente raccontarti! Ho conosciuto una
ragazza, si chiama Giorgia, è fantastica…”
Cos’avevo detto? Insomma, Cristian
si era già fatto passare quel grande amore per me, il che non mi sorprendeva
affatto: il lupo perde il pelo ma non il vizio, dicono. E lui era sempre stato
una prova lampante di questo. Non che non fosse un bravo ragazzo, anzi! Non so
proprio come mi facesse a sopportare, solo che aveva questo difettuccio, di
cambiare ragazza una volta alla settimana, se andava bene. Ora è migliorato,
però.
“… insomma, credo proprio di essermene innamorato!”
concluse, dopo mezz’ora.
“Che bello” esclamai senza reale entusiasmo. Non
avevo ascoltato molto della conversazione, anzi, ad un certo punto avevo
persino acceso il computer e facebook. Tanto il
racconto dopo i primi 5 minuti era diventato assai noioso, da dire persino
quante lentiggini avesse quella ragazza. Ma Cristian
era sempre stato così, e io ne ero cosciente. Cristian
non lasciava respirare.
“Carenza di
ossigeno” digitai frettolosamente come stato e schiacciai ‘condividi’. Poi,
distolsi lo sguardo dallo schermo per concentrarmi alla bell’e meglio sulla
telefonata.
“Non vedo l’ora di rivederla, sul serio, è come un
raggio di sole… Cesca? Cesca?
Cesca, mi
ascolti?”
Mi svegliai dalla trance in cui ero caduta e
blaterai vaga: “Sisì, è fantastico, davvero sono
contenta per te…”
“Non sembri convinta” osservò lui.
“Sì, lo sono. Scusa,
ma ho qualche pensiero per la testa” dissi, triste.
“Cioè?” chiese lui.
Esitai un momento. Dopotutto era il mio migliore
amico, a lui dicevo sempre tutto e mi fidavo come con nessun altro, quindi non
avrei dovuto aver problemi a raccontargli. Solo a distanza di qualche giorno mi
sarei resa conto di che sbaglio enorme avessi fatto, ma allora non me ne
preoccupai, allora non sembrava ci fossero problemi.
“Ho conosciuto anch’io un
ragazzo, sabato.
Si chiama Zeno, era così carino e simpatico, aveva un
sorriso che non dimenticherò mai” spiegai, con aria sognante.
“Fantastico!” esclamò lui di tutta risposta.
“Ma mi sa che non lo rivedrò mai più… E io, io
adoro quel suo sguardo, quei suoi occhi, non è giusto” aggiunsi poi, tornando
al mio tono triste.
Per qualche secondo nessuno dei due parlò, poi Cristian mi rassicurò dicendo: “Sono sicuro che lo
rivedrai, ne sono certo”.
Il computer emise uno strano suono e mi accorsi di
aver ricevuto una notifica.
“Ce’, io vado, ci si sente!” disse in fretta la
voce al telefono, prima di agganciare.
“Ciao Cri” salutai, e poi rimasi incantata a vedere
le parole che erano comparse nello schermo del computer.
Zeno
ha commentato il tuo stato.
{ Spazio Harry_Jo.
Eccomi qui. Spero che questo capitolo vi piaccia, introduce un
altro dei personaggi principali della storia, Cristian.
Sarà importante, sempre, e fino alla fine.
Questo capitolo lo dedico a Davide, ovvero il mio Cristian: senza di lui io non sarei così oggi. Gli devo un
sacco.
Ringrazio gufetta_95 per la recensione: sono contenta che ti
piaccia come scrivo. E fidati, la mia vera casa mi manca un sacco, vorrei tanto
poter tornare indietro nel tempo, e cercare di fare qualcosa per impedire tutto
questo, ma ormai è così. E sono abbastanza distrutta! Spero di sentire cosa ne
pensi di questo capitolo! XD
Capitolo 5 *** In mano una stretta promessa, e in settimana ***
4 – In mano una stretta promessa, e in settimana
4 –
In mano una stretta promessa, e in settimana
23 giugno 2010.
Zeno ha
commentato il tuo stato.
Stavo per svenire. Eccitata come non mai, guardai
cosa aveva scritto sotto al mio “Carenza d’ossigeno”.
“Potrebbe essere un problema!” sorrisi, una
risposta d’effetto e considerando poi da chi proveniva, era ancora più
strabiliante.
“Dici davvero?” risposi banalmente. Le mani, le
ginocchia, tutto tremava in me. Ero scossa dai brividi di freddo, e di certo
non per la febbre.
“Ma in realtà dicono che dopo i primi istanti di
agonia si provi una sensazione di euforia! Ma a quel punto è un po’ complicato
tornare indietro”. Come riuscire a dire che era per colpa sua che non
respiravo? Che era lui a farmi andare in agonia e poi l’istante dopo pura
euforia? Non so esattamente cosa risposi, qualcosa come “Ahah
ok, vado a recuperare l’ossigeno perduto!”
Per qualche minuto credei che fosse finita lì, che
non avrebbe più risposto, che il mio cuore, che s’era svegliato e aveva
cominciato a fare le fusa nel mio petto, poteva tornarsene nel suo amato
letargo. Ma proprio mentre si stava accasciando per dormire, si aprì
d’improvviso la chat del signor Zeno, con scritto:
“Respira!”
Risi, risi di gusto come mai avrei potuto solo
immaginare di fare, qualche giorno prima.
La chat durò per due ore abbondanti, e me la
ricordo ancora in ogni sua botta e risposta.
Tranquilli, non ho intenzione di annoiarvi, ma sappiate che era un po’ come
vivere di nuovo, come se il sole fosse rinato, come se la febbre fosse sparita,
come se la medicina fosse stata lui, in tutto e per tutto, la più efficace.
Ad un certo punto, leggendo le sue parole,
m’illuminai talmente tanto che mandai un messaggio a Cristian.
Sto chattando
con Zeno, è cioccolatomane
anche lui!
Non dovetti attendere molto per ricevere risposta.
Visto?! Siete perfetti l’uno per l’altra!
Forse furono quelle parole a fondare in me la
convinzione che saremmo stati bene, insieme. O forse fu semplicemente la
speranza del mio cervello, del mio cuore, delle mie viscere e di tutto il resto,
che sapevano di lui, da quando lo avevo incontrato. Profumavano di lui.
“Ma guarda che sono una supergirl, io!” digitai ad
un certo punto, con un sorriso a trentadue denti che neanche nelle migliori
pubblicità di dentifrici hai la possibilità di vedere.
“Supergirl? E’
Arianna che usa termini inglesi, ti ha contagiato?” mi rispose lui.
“No, lo dice sempre il mio migliore amico che sono
una supergirl!” Mi persi a pensare a quel bellissimo giorno in cui ero
diventata la super eroina di Cri. Eravamo a casa mia quella volta, nella stanza
speciale, in quella che posso vedere solo nei ricordi. Mi mancavano un sacco
quei momenti.
“Ah… E quali i superpoteri?” comparve come risposta
nello schermo.
“Principalmente so volare e leggo nel pensiero di
chi mi sta attorno!” scrissi, tanto per dire qualcosa. Beh, in effetti,
telepatica lo ero, molte volte.
“Bene, allora la prossima volta che ci vediamo mi
leggi nel pensiero! Ci potremmo vedere ogni tanto a Treviso,
se ti va”.
Sono svenuta, in quel momento. Cioè, il mio corpo
era perfettamente a posto, ma la mia testa era svenuta e il mio cuore si era
fermato.
“Certo!” digitai con una lentezza pari a quella di
una formica.
“Oro! Sabato sei libera?”
“Sì!”
E da lì ci siamo scambiati i numeri e organizzati
per quel sabato. Io nel frattempo ero agitata come non mai.
Quindi, gli interessava. Al ragazzo dal nome
insolito interessava vedere una ragazza insulsa come me.
Bingo.
{ Spazio Harry_Jo.
Continuo a torturarvi con questa storia, anche se comunque non
riscuote molto successo, ma non importa.
Ringrazio comunque chi l’ha messa tra le seguite e chi la legge.
Dedico il capitolo a Marianna, che legge ogni cosa che scrivo e si
commuove ogni volta.
Spero di avere vostre notizie a riguardo e che vi piaccia questo
capitolo!
Capitolo 6 *** D'amante in guancia un puro bacio. ***
5 – D’amante in guancia un puro bacio
5 –
D’amante in guancia un puro bacio.
26 giugno 2010.
Arrivai in stazione alle 16.04 e non c’era. Pensai
davvero di esser stata presa in giro, che mi aveva ingannata o che so io, che
si stesse facendo quattro risate a casa, mentre io ero lì, sola, a guardarmi in
giro. Me ne stavo andando, con le lacrime agli occhi mi stavo dirigendo a
prendere il biglietto per tornarmene a casa. Avrei stracciato la sua immagine
dal mio cuore, avrei cancellato le sue parole, avrei distrutto il ricordo di
quel giorno, avrei…
Mi girai, d’impulso. Era dietro di me, più perfetto
che mai, più perfetto di qualsiasi perfezione. Gli
occhi si inumidirono ancora per qualche istante, ma poi riuscii a riavere il
controllo sulle mie gambe, tanto che sorrisi e mi avvicinai.
Maglietta azzurra, braghette corte marroni, mani in
tasca, lui.
Maglietta azzurra, jeans blu corti, mani in tasca,
io.
Era un po’ come vedermi allo specchio nella mia
forma maschile, solo che lui era la bella copia, quella luminosa, quella
splendente; lui era il quadro da un milione di euro, io lo schizzo buttato nel
cestino.
“Volevo vedere se ti accorgevi che ti ero dietro”
mi disse, appena fui abbastanza vicina da sentire il suono perfetto della sua
voce.
“Gentile” mormorai, e poi risi. Averlo lì mi
rendeva felice come non mai, come nessuna persona abbia mai sperimentato sulla
propria pelle.
“Facciamo un giro?” propose, ed io annuii in
silenzio.
Fu estremamente… Bello e semplice, parlare con lui.
Camminavo e non mi accorgevo della stanchezza, i piedi lo seguivano e gli occhi
lo ammiravano, il cuore batteva nelle sue parole e la testa accondiscendeva ad
ogni suo pensiero, le mie orecchie ascoltavano i suoi discorsi e la mia bocca
si cibava dei suoi sguardi. Mi aveva presa, rivoltata e inginocchiata davanti a
lui: ero in suo potere.
“Sai, non so se la fanno più quest’anno la festa
della birra a Breda” gli dissi dopo un’oretta circa, appena seduti in una
panchina sperduta. “Mancano i fondi”.
“Cosa? Ma
proprio quest’anno che c’era un buon motivo per andarci?” sbuffò lui. “E
il buon motivo non era di certo la birra” aggiunse poi, guardandomi.
Sentii il cuore cominciare a fare le capriole
dentro di me; sembravano esser passati secoli dall’ultima volta che aveva
praticato ginnastica artistica a livello agonistico.
“E qual è il buon motivo, scusa?” chiesi, curiosa
di saper la risposta.
“C’è una tipa che conosco che mi sta simpatica che
vien da lì” rispose, vago.
“Come si chiama? Forse
la conosco” lo stuzzicai.
“Francesca” disse e distolse lo sguardo. Mi crollò
il cuore, poi si ricompose e cominciò a ballare, saltare e cantare dentro al
mio petto, tanto che ci misi un po’ per rispondere e stare al gioco.
“La conosco, sì. Mi
hanno detto che sarebbe molto dispiaciuta anche lei se non facessero la festa
della birra, il che è strano, di solito non le importa molto, anzi”.
“Oh… E per caso sai come mai le interessa tanto
quest’anno?” chiese lui, sempre evitando i miei occhi.
“C’era un tipo che le stava simpatico che le aveva
promesso che sarebbe andato a trovarla” dissi, cercando di normalizzare i
battiti del cuore, invano.
“Ah… Un tipo…” mormorò, quasi triste.
“Il suo nome mi sembra inizi per ‘Z’
e finisca per ‘eno’!” esclamai, euforica.
“Zeno!Lo
conosco, è un figo!” urlò lui, e finalmente tornò a
guardarmi, mentre io non riuscivo a smettere di ridere. Ero felice,
spensieratamente felice, e più nessun macigno mi pesava il cuore. Quando spensi
le mie risate, lui mi fissò negli occhi a lungo e poi disse: “Scherzi a parte,
il mio buon motivo per venire alla festa della birra a Breda, eri tu”.
“Ed il mio eri tu” mormorai, un po’ intimorita dal
suo sguardo perforante e con le guance che si tingevano di rosso.
Rimanemmo per secoli a guardarci così, a
sorriderci. Poi, lui si avvicinò e mise un braccio dietro le mie spalle.
Spontaneamente abbassai lo sguardo per un po’, ed un ciuffo di capelli mi
ricadde sulla guancia sinistra. Lui sfiorò con le dita la mia pelle e mi scostò
la ciocca, riponendola dietro all’orecchio. Il tocco delle sue dita, caldo e
perfetto, mi aveva resa cremisi, ma non feci davvero tempo a rendermi conto di
quel gesto, perché le sue labbra si appoggiarono alla mia guancia per qualche
secondo e poi si staccarono.
Mi ha bruciato quell’istante, ha incenerito la mia
guancia, mi ha marchiato a fuoco, mentre la terra si era fermata e il sole
aveva cominciato a girare intorno a noi. E fu alba e tramonto, fu giorno e
notte, fu sole e luna, mentre io lo guardavo negli occhi, sorpresa.
Poi, scoppiarono i fuochi d’artificio e la gente
attorno a noi cominciò a danzare, gli uccelli a cantare, i bambini a ridere; le
nostre labbra invece si esploravano pian piano, si assaporavano nella favola
che ci circondava.
Ci staccammo e ci abbracciammo, e mentre mi
appropriavo di un calore che non era il mio, le sue parole cominciarono ad
avvolgermi: “Se non l’hai ancora capito, ma credo di sì perché sei
intelligente, mi piaci”.
Dell’enorme festa che si era creata prima, niente
era rimasto, si era tutto fermato, come se qualcuno avesse schiacciato il tasto
‘stop’ per cercare di capire e di assaporare bene quelle parole, nuove.
“Visto che sei più intelligente di me, l’avrai
capito anche tu che anche per me è così” mormorai, e quel giorno, forse
precoce, anzi, di sicuro così, fu l’inizio della nostra storia. Lui aveva
imprigionato il mio cuore nel suo ed io mi ero limitata a guardarlo dietro alle
sue sbarre e a sorridere, perché ero convinta che fosse lui, la mia salvezza.
{ Spazio Harry_Jo.
Eccoci, questo è stato il giorno più
difficile da scrivere, credo. Insieme a pochi altri.
Come forse avrete notato, non ho avuto
il coraggio di dire “mi piaci” a mia volta, il mio era un semplice e banale “anche
per me”. E non sapete quanto me ne pento tuttora.
A chi lo dedico questo? Beh, sono
egoista, lo dedico a me, perché le lacrime che ho versato nella tastiera, in
queste parole, non sono mai state così pesanti.
Spero di sapere cosa ne pensate, anche
se vedo sempre che non riscuote successo per quanto riguarda le recensioni,
questa storia. Comunque non mi butto giù e continuo a scriverla, perché ne ho
bisogno, e perché comunque 12 persone la stanno seguendo, che ringrazio con
tutto il cuore.<3
Capitolo 7 *** Oh, Zeno, già dal nome tuo chicchessia può amarti ***
6 – Oh, Zeno, già dal nome tuo chicchessia può amarti
6 –
Oh, Zeno, già dal nome tuo chicchessia può amarti
27
giugno 2010.
Mi svegliai di soprassalto, alle sette di mattina,
per uno strano rumore. Imprecai silenziosamente: stavo facendo un sogno
bellissimo, su quel stupendo ragazzo, che mi stringeva a sé in una panchina di
Treviso, mi baciava e mi diceva che sarebbe rimasto così per sempre, congelato
in quel momento. Ed era tutto finito, tutto durato solo qualche ora notturna,
per colpa di… Cos’era stato quel rumore? Ah, un messaggio sul cellulare.... Pensai al modo più cruento e doloroso per uccidere Cristian, mentre lo aprivo.
“Buongiorno bella! Ti voglio
bene! Ripenso a ieri, che momenti.. :)”. Zeno.
Quindi… Era stato tutto vero? Reale? Non l’avevo
solo sognato? Quel giorno, quei momenti… C’erano stati veramente?
Presi il cuscino e lo strinsi forte, come a cercare
di trasmettergli la mia felicità. Un peluche, ecco ciò di cui avevo bisogno. Un
peluche fantastico, da poter coccolare ed amare.
“Ehi, buongiorno! Di domenica non si dorme?
Ti ho sognato, caro. :)” risposi, e cominciai a
saltellare per la casa.
Alzata dal letto preparai il caffè, canticchiando “WhereverYou Will Go”, poi andai
di sopra con la tazza blu bollente e svegliai papà.
“Ehi, dormiglione. Ti ho fatto il caffè” gli dissi,
una volta che aprì gli occhi. Mi squadrò a lungo, guardò la tazza e poi i miei
occhi; si mise a sedere e chiese, sospettoso: “Cosa
vuoi?”
Sorpresa, risposi: “Nulla! Perché?”
“Sei contenta, ti sei
svegliata presto anche se è domenica e non stai brontolando, stavi
canticchiando la tua canzone preferita e mi hai fatto il caffè. Anzi, me lo hai portato addirittura a letto, sulla tua tazza preferita” osservò, e io
scoppiai a ridere; era così bello e semplice, ridere, in quel momento.
“Sono solo felice” spiegai, lo abbracciai e me ne
tornai di sotto, in camera mia, ad ascoltare musica e a cantare.
Alle nove circa, chiamai Cristian.
“Pronto?” rispose al quarto squillo.
“Cri!” esclamai come se non lo sentissi da anni.
“Amore, è domenica… Me ne torno a letto”.
“Cri, dai!” supplicai.
“Vabbè,
ma solo perché sei tu! Mangio qualcosa… Dimmi” sospirò.
“Ieri mi son vista a Treviso con Zeno!”
“Ah e com’è andata?” chiese con un tono di voce
diverso.
“Molto bene! Gli
piaccio Cri, gli piaccio!” urlai, più felice che mai, impaziente di sentire la
voce del mio migliore amico unirsi al mio entusiasmo.
Ma i secondi cominciarono a scorrere lenti e
inesorabili, in un silenzio devastante, e la mia felicità diminuiva con loro.
“Ok, ora vado” borbottò dopo un bel pezzo.
“Eh? No, ma
cosa…?” non riuscii a dire altro, la chiamata si concluse.
Guardai il telefono per un po’, spiazzata: non mi
sarei mai aspettata questa reazione.
Poi, dopo qualche minuto che rimasi così a fissare lo schermo sbalordita, arrivò un messaggio, che rilessi
minimo dieci volte, credo, con gli occhi che cominciavano a inumidirsi.
“Scusa Ce’, non ce la faccio. Spero che siate felici insieme, non voglio mettermi in mezzo, non
sopporterei che per colpa mia ci fossero dei problemi tra voi. Scusa tesoro,
per quellache
forse è l’ultima volta, ti dico che ti voglio bene”.
Forse, fu la prima volta che piansi dopo l’incendio.
La prima e l’ultima che riuscii a far uscire quelle lacrime antipatiche. Sì, ci
tenevo un sacco a lui, alla nostra grande amicizia, che era stata oggetto di
invidia di una miriade di persone, unica. Non volevo scegliere tra quei due
ragazzi (non potevo!). Così, con grande fatica, riuscii a convincere Cristian che non sarebbe sorto nessun problema, che non sarebbe
cambiato nulla, tra voi. Sbagliai, e lo capii solo in seguito, ma non potevo
accettare l’idea di perderlo: lui era l’unico che mi era sempre stato ad
ascoltare, lui possedeva quella voce che sapeva farmi calmare.
“Buonanotte Francesca,
sogni d’oro.
Posso continuare a chiamarti Amore? Sei la mia migliore amica. Scusa per la reazione di prima sorellina, ti voglio bene”.
Sorrisi.
Mi conosceva in tutto e per tutto,
Cri. Mi chiamava “amore” da qualche mese o più ormai, esattamente come fanno le
migliori amiche oggi, era anche una presa in giro all’inizio. Ma ero sicura che
lui non se ne sarebbe mai andato da me, non mi avrebbe
mai lasciata in balia della tempesta. Ne ero certa, sicura, che mi diressi a letto tranquilla. Ma che ingenua, ero così
sciocca e stupida a pensare che fosse tutto risolto, che non esistessero
problemi! Quanto vorrei tornare indietro a quel giorno per fermarmi e
riflettere.
Ma no, non riuscivo a pensarci: la mente era troppo
affollata da chi mi aveva reso un sorriso nuovo, da chi mi faceva sentire
importante e nuova. Zeno mi faceva sentire incredibilmente nuova.
{ Spazio Harry_Jo
Ragazzi, ecco questo capitolo, dove
cominciano ad arrivare i primi problemi!
Cristian è geloso perché
crede che il rapporto con la sua migliore amica sia minacciato dall’arrivo di
un nuovo amore. Un amore corrisposto per di più!
Oh,
Davide, quanto vorrei tornare a quel giorno e fermarmi a capire che era sorto
un problema serio, non una stupidaggine. Scusami.
Dedico questo capitolo a papà, che ha
sempre creduto nell’amore del ragazzo insolito, ma che mi aveva anche avvisata
e che non ho voluto ascoltare.
Ringrazio le due recensioni che hanno
fatto davvero moltissimo piacere!!
Giulla: Grazie mille,
sei un tesoro! Sono contenta che ti sia piaciuta questa storia e che ti
arrivino le mie emozioni, mi rendi non sai quanto felice! Grazie per la
recensione e per l’incoraggiamento, spero di aver ancora il piacere di vederti
recensire i miei capitoli, se ti fa piacere! Come avrai visto son passata dalla
tua storia e conto di continuare a seguirla ;) Grazie ancora un milione, baci!
Kekkafreepunk: Oh, ma che
carina! Ahah, è vero, la prigrizia
regna! Ma è che ho paura non ci siano recensioni anche perché la storia non
attira, ma spero di no. Sono comunque contenta di sentire che ti piace e che
segui volentieri la mia storia! Se ogni tanto hai voglia fammi sapere che ne
pensi, e grazie ancora, mi scuso per il disturbo!
Grazie mille a chi la legge, a chi la
segue (ben 12 anime *-*) a chi l’ha messa nei preferiti, e anche a chi si sta
facendo solo quattro risate leggendo tutto questo ;)
Sperando sempre di aver vostre notizie,
al prossimo capitolo,
Capitolo 8 *** Unico o raro. Checché il pensier ti dica, ***
7 – Unico o raro. Checché il pensier ti dica,
2 luglio
2010.
“Ci
vediamo ancora?” gli avevo chiesto.
“Certo,
dobbiamo! Sabato prossimo sei mia, vero?” aveva detto, col suo solito sorriso
che faceva venire i brividi.
“Sabato
vado all’Heineken festival per gli Aerosmith! Se vuoi venerdì sono libera”
avevo risposto, e così c’eravamo messi d’accordo per il venerdì seguente.
Solo
che avevo iniziato il Gr.Est. quella settimana. Ero animatrice, e mi divertivo;
mi piaceva rendermi utile ai ragazzi, tenermi impegnata mi faceva bene e non
pensavo ai problemi di casa, per esempio. Infatti ogni momento libero era
occupato da quella che papà definiva col nome di “archeologia”, termine che qui
significa smaltire i resti della casa dividendo i pezzi di vetro dai cocci
delle tegole, dal legno bruciato, dalla plastica, dalla carta. Perché non lo
facevamo fare ad un’agenzia? Perché i costi erano estremamente alti e
insostenibili per noi in quel momento, non ci piovevano i soldi dall’alto, anche
se senza dubbio sarebbe stato più semplice e indolore.
“Sveglia: 6.30
Arrivo a Breda previsto per le ore 7.30
Archeologia: 8.00 – 10.00
Gr.Est.: 10.00 – 12.30
Pranzo: 12.40
Gr.Est.: 14.00 – 19.00
Archeologia: 19.00 – 20.00
Ritorno a Barbisano: 20.40
Cena e lavori domestici: dalle 21.00 in poi
Tutti a dormire: 00.00
Eccezione
il mercoledì che c’è serata Gr.Est. quindi si mangia a Breda e si torna per
mezzanotte”
Questo
c’era scritto nella bacheca in cucina nell’appartamento di papà, il programma
delle giornate. Mi stavo esaurendo. Presi la tonsillite.
Il
venerdì mattina mi svegliai piena di freddo e sfinita e papà mi costrinse a
misurarmi la febbre: 39,2. Avrei voluto rompere il termometro, mi arrabbiai
davvero un sacco. Niente Zeno, niente Heineken.
Aspettavo
da mesi di vedere gli Aerosmith, uno
dei miei gruppi preferiti. Lo desideravo più che mai, e rinunciarci per me era
inconcepibile.
“Ce’,
sarà per l’anno prossimo, dai” mi disse mio padre, nel tentativo di consolarmi,
vedendo le lacrime di rabbia che spingevano contro i miei occhi mentre guardavo
i biglietti tanto amati. Ma fu inutile, afferrai il telefono con rabbia e
digitai lentamente un messaggio.
“Ho
la febbre a 39,2 oggi non posso venire, non immagini neanche quanto mi
dispiace” e lo inviai a Zeno con la delusione e la rabbia che si facevano
sempre più largo dentro di me.
Passai
il giorno a letto, bevendo the caldo, dormicchiando, da sola. La febbre alla
sera raggiunse il livello di 39,8 e facevo fatica anche a parlare.
“Devo
andare via. Riesci a lavare tu i piatti?” mi chiese papà, dopo cena. Mia
sorella era rimasta a dormire da mia mamma.
“Sisì”
mugugnai.
“Ok,
allora io vado. E se c’è qualche problema chiama” e con queste parole se ne
andò.
Ero
ancora seduta a tavola e, prima di decidermi a sparecchiare, riempii il
bicchiere di CocaCola e cominciai a bere, quando il telefono squillò e sullo
schermo comparve un numero sconosciuto. Risposi, continuando a bere.
“Pronto?”
“Ehi,
ciao…” disse la voce dall’altra parte.
“Scusa,
con chi parlo?” domandai cercando di risultare più educata possibile e
ricominciai a bere.
“Eh,
indovina…” rise la voce, e quasi sputai la CocaCola quando mi resi conto.
“Ehi,
oddio! Sei tu?! Oddio! Ciao! Ehi, Zeno! Cioè, ciao!” balbettai, sentendomi una
perfetta idiota.
“Scusa,
stamattina ero a fare stage, per quello non ti ho risposto” mi disse, ma a me
non importava. Come la prima volta, nonostante stessi male, con lui l telefono
mi sentivo incredibilmente guarita, perfettamente in forma. Aveva quest’effetto
su di me: mi curava. Era la migliore medicina del mondo.
Passammo
mezz’ora a chiacchierare così, del più e del meno. Ridevo, mi faceva ridere, mi
prendeva e mi rendeva felice. Escludeva il mondo: non c’era nessun altro, non
c’era nient’altro.
“Ora
devo andare, ti mando un bacio!” mi disse.
“Ricambio!”
“Ma
tu l’hai ricevuto il mio bacio?”
“Sì,
e tu? Il mio?”
“No”.
“No?!”
“No. Me ne mandi un altro?”
“Ok.
Ricevuto questo?” chiesi, non capendo dove voleva arrivare.
“No!
Uffa…” rispose, sconsolato.
“Beh,
ora ti mando un camion di baci! Spero che almeno questi ti arrivino…” mi
scaldai.
“Li
ho ricevuti” disse, con un tono di voce per cui me lo sarei sposato
all’istante. Mi immaginavo già quel suo sorrisino.
“Davvero?
Era ora!”
“Sì,
ma avevo ricevuto anche il primo, solo che io ne volevo tanti!” spiegò, e mi
fece sciogliere con quelle bellissime parole.
Andammo
avanti a lungo in questo modo, finché sua madre lo rimproverò per la lunghezza
della telefonata.
“Ci
vediamo sabato prossimo?” chiese.
“Va
bene. Ciao Zeno”.
“Ciao
Ce’. Stammi bene, bella”.
“Ti
voglio bene” mormorai.
“Anch’io”
rispose.
E
riponendo il telefono, ricominciai a sentire la pesantezza della febbre. Lavai
i piatti in fretta e andai a coricarmi, prendendo subito sonno e sognando il
ragazzo dal magnifico sorriso.
{ Spazio Harry_Jo
Oh, sono commossa se ripenso a quei momenti così belli, lontani,
quelle frasi che mi diceva! Zeno, ti
voglio bene, e tu non lo capirai mai! La dedica del capitolo va a Francesco,
che si è preso i miei biglietti ed è andato a vedere gli Aerosmith da parte mia
:/
Beh, devo ammetterlo, stavo saltando di gioia quando ho letto
BEN TRE recensioni allo scorso capitolo!!
Uaaa, ragazze, siete troppo buone!
Elli__: Carissima, innanzitutto benvenuta nella mia storia.
Credo che tu mi abbia fatto diventare molto più che cremisi con la tua
recensione, mi ha colpito sentirti dire che “ti appassiono”. Non ci credo
ancora, e spero solo di non deluderti proseguendo la narrazione. Ti ringrazio
dal profondo del cuore, sono onorata dal sapere che ti piace come scrivo e che
ti trasmetto qualcosa, nonostante siano dei capitoli molto brevi e concisi. Ma
come hai detto tu, parlo di vita reale. O almeno, quello che è successo sul
serio, che son sicura di poter toccare. E alla fine, anche in questa storia,
qualcosa sembra comunque fiabesco; mi piace scrivere di tutto questo perché è
stato quasi un sogno nella realtà. Spero continuerai a seguirmi! Un grazie dal
profondo del cuore!
Harry_Jo alias Erica.
Gufetta_95: Beh, almeno qualcuno che si
sarebbe comportato come me, questo mi rincuora, allora non sono l’unica stupida
a questo mondo! ;) Ahah, scherzo, ma purtroppo di sbagli ne facciamo tutti e
considero ancora un grande errore quello che ho fatto con il mio migliore
amico, allora. E scoprirai il perché andando avanti. Grazie mille per aver
recensito, e per aver detto che questa storia fa riflettere perché è reale: è
proprio quello che cerco da fare mentre scrivo: dare uno spunto per fermarsi a
pensare! Grazie mille ancora!
Harry_Jo
alias Erica.
Giulla: Eccoti! Grazie un milione anche a te, sono contentissima
di vedere che hai intenzione di continuare a farmi sapere che ne pensi, sul
serio! Spero di riuscire sempre a coinvolgerti un po’ in questa cosa e a farti
provare almeno un centesimo delle emozioni di Zeno e Francesca. Cioè, io l’ho
adorato con tutto il cuore, e con questa ff sto solo cercando di rendergli
anche il favore che mi ha fatto lui trasportandomi oltre ogni cielo, oltre ogni
nuvola. Per quanto riguarda Cristian, eh, le sue dimostrazioni d’affetto non
sono sgradite, i suoi “amore” sono normali, mi sa che ti ci dovrai abituare,
almeno per i prossimi capitoli. Poi succederà un disastro, ma non ti anticipo
nulla che sennò non mi leggi più la storia! Al prossimo aggiornamento allora!
Harry_Jo
alias Erica.
Ok, ho scritto molto più nell’angolo
autrice che in tutto il capitolo, quindi è meglio che mi fermo qui, che
ringrazio le dodici anime che seguono questa piccola storia, le tre ragazze che
hanno avuto il coraggio di inserirla addirittura nei preferiti e tutti coloro
che la leggono.
Spero, come sempre, di aver vostre
notizie per quel che riguarda questo capitolo!
Vostra
Capitolo 9 *** Manca la prematura promessa vostra, ***
8 -
Manca la prematura promessa vostra
07 luglio 2010.
Tornai al Gr.Est. il giovedì e ripresi la mia solita
routine di "impegnata al massimo". Non riuscivo a smettere di fare
tutto, ci trovavo troppo gusto, anche se la stanchezza continuava a farsi
sentire, dopo la tonsillite. Ma non mi importava.
"Miriam!" mi salutò Luna, la mia migliore
amica. A teatro interpretavo una ragazzina di otto anni con quel nome, e lei
impersonificava il ruolo di mia madre.
"Mamma Marisa" ricambiai il saluto, mite.
"Hai da fare stasera? Ti va di restare a dormire
da me?" mi chiese.
"Mah. Devo chiedere a papà" risposi evasiva.
Alla fine mio padre acconsentì, ed io rimasi lì per la
notte. Sinceramente, non avevo molta voglia. Era bello, stare con Luna, era
strabiliante passare il tempo con lei, a parlare di favole; sì, noi le
giudicavamo, sognavamo il grande amore e il principe azzurro sul cavallo
bianco, insieme. Ma io non riuscivo più a parlare di sogni, oramai.
Tenevo i pensieri per me, le preoccupazioni, i dolori,
le gioie.
Tenevo tutto per me, anche l'amore; soprattutto
l'amore.
Sentivo una strana paura: quella di perdere. Facciamo
un rapido calcolo: i miei genitori si erano separati due mesi prima e si era
sfasciata la famiglia.
C'era stato un incendio a casa, maledetto incendio, la
causa di tutto, e quello aveva portato via i sogni di un'estate spensierata e
di uscite quotidiane.
Mio fratello di otto anni era stato investito da una
macchina, cosa che non vi avevo ancora detto, ma che era successa nello stesso
giorno in cui avevo incontrato Zeno, solo che io non ero a casa per saperlo, e
si era rotto una gamba e la clavicola sinistra, portandolo via da me. Non lo
vedevo praticamente mai.
Avevo perso me, la mia voglia di essere, di esistere.
Io che sono sempre stata una persona abituata ad analizzarmi in tutto e per
tutto, ventiquattro ore su ventiquattro, non sapevo più cosa provavo. Solo la
paura, quella mi era conosciuta.
Parlare di Zeno, perciò, era sciuparlo. Era sperperare
la sua unicità, la sua rarità. Renderla pubblica, non solo più mia. Ed io, io
ero egoista. Io lo volevo per me, solo per me.
Così, quella sera, ne parlai assai poco. Non volevo
esporre troppo i miei sentimenti: sarei diventata più vulnerabile e l'avrei
perso, ne ero certa.
"E allora, con Zeno?" mi aveva chiesto.
"E' bellissimo passare il tempo con lui, davvero.
Ancora mi sorprendo" mi ero limitata a dire.
"E Cristian come ha reagito?" mi scrutò.
"Non benissimo. All'inizio sembravano non esserci
problemi, poi si è distaccato, non mi scrive né chiama più molto. E
sinceramente, sono un po' preoccupata" ammisi.
"Lo sai che tu e Cristian siete destinati"
disse lei. E come al solito, io non risposi. Odiavo queste insinuazioni, odiavo
sentirmi dire quello che persino una parte di me pensava.
Destino. Perché devo credere che la mia vita sia stata già
decisa e programmata da qualcuno? Voglio poter essere l'artefice del mio
destino, voglio poter credere che non sono un burattino e che è colpa mia se è
andata a finire così: perché se sono io la responsabile posso prendermela con
me stessa e non col mondo. Se è colpa mia posso chieder scusa, posso cercare il
perdono, posso migliorare e imparare. Ma se accuso il Destino non ne vengo più
fuori.
"Sì, vabbè, senti, sai per caso se fanno la festa
della birra o no?" chiesi, cambiando discorso.
"Alex mi ha detto di no" rispose.
Mi sentii come se stessi salendo le scale al buio e,
convinta che ci fosse un ultimo scalino, avessi fatto un salto nel vuoto; mi
era rimasta quella sensazione di mancanza dentro. E sapere perché ci
rimasi così male?
Perché quella era stata la nostra prima promessa. E
non potevamo più mantenerla.
{ Spazio Harry_Jo
Ottavo capitolo ragazzi, che introduce
la mia migliore amica, un po' ingenua, un po' invadente. Ma comunque è una
ragazza speciale, dico sul serio.
Ad Anna Maria, la mia migliore amica, da
sempre e per sempre.
gufetta_95: Sai, io i piatti li dovevo
lavare per forza, sennò mio papà mi avrebbe fatta a fettine! Non che ne fossi
entusiasta eh ;)
Al prossimo capitolo!
Erica alias Harry_Jo
giulla: Grazie per la recensione
carissima! Ho visto che mi hai aggiunta su msn, grazie mille! ;) Spero di
beccarti online ogni tanto xD
Sono contenta che ti sia piaciuto il
capitolo, che ti piaccia sempre come scrivo e che tu capisca quanto fosse per
me importante l'Heineken festival T.T
Comunque ci vado l'anno prossimo eh,
anche con la febbre a ventordicimila! xD
Spero che tu mi faccia sapere come ti
pare questa continuazione,
Al prossimo capitolo!
Erica alias Harry_Jo
Ringrazio i dodici che la seguono, i tre
che l'hanno messa tra i preferiti, chi legge, chi no, chiunque!
“Ciao, ti va un frappé? Sto morendo di caldo” mi
salutò Zeno, vedendomi arrivare in stazione.
“Certo!” risposi, con il cuore in gola; ero
agitata, ancora una volta avevo paura di essermi sognata tutto e di svegliarmi
da un momento all’altro.
“Scommetto che lo prendi al cioccolato!” mi
sussurrò, appena entrati un gelateria.
“Cosa vi posso servire?” chiese la signora dietro
al bancone.
“Per me un frappé al cioccolato” ordinai,
provocandogli uno dei suoi sorrisi stupefacenti per cui io mi scioglievo
completamente.
“Ed uno alla menta” disse lui.
“Non abbiamo la menta, solo la mentuccia” gli fece
notare la donna.
“M… Mentuccia?” chiese, sorpreso, mentre io
trattenevo a stento una risata. “Ok, allora ehm… Va bene la mentuccia” disse, un po’ imbarazzato. Continuai per metà pomeriggio a
prenderlo in giro.
Camminavamo per le piccole vie di Treviso e
parlavamo. Nessun contatto, neanche il minimo accenno ad un feeling maggiore di
quello tra due amici, e questo mi faceva un po’ innervosire.
“Questo frappé fa schifo” dissi, gettandolo al
cestino lì vicino, dopo un po’.
“Concordo” sospirò lui, buttando anche il suo.
“Beh, cosa ti puoi aspettare dal gusto mentuccia?!” lo
schernii, ridendo di gusto.
Accadde in un secondo. Mi prese per il polso con la
mano facendomi girare verso di lui, e mi baciò.
Lì, in mezzo alla strada, in mezzo ai passanti, in
mezzo alle vite delle persone che ci guardavano e ci scansavano.
Noi risplendevamo, in ogni punto. Avevamo unito le
nostre labbra in quel contatto puro, che sapeva di cioccolata. Ero parte di un
viaggio, quello della sua bocca, quello verso il suo cuore. Mi abbandonavo a
quella sensazione, alle sue braccia che mi cingevano i fianchi e mi facevano
sentire protetta, sua.
Quando lasciai lentamente le sue labbra, solo
allora mi accorsi che il mio cuore era impazzito, pronto a lasciare la gabbia
del mio petto per raggiungere il suo.
Mi vengono i brividi a ripensarci, sento le mani
raffreddarsi mentre racconto e scrivo queste cose. Torno indietro,
affondo nei ricordi, mi perdo nel suo nome. Ancora, ancora e ancora.
Quando piantai i miei occhi nei suoi, mi sentii
quasi in paradiso, nel posto più bello del mondo, in mezzo al cielo più blu.
Gli afferrai la mano e sorrisi, orgogliosa di averlo
per me.
“Ehi” sussurrai. “Ciao!”
Ovviamente, lui rise. Era ciò che volevo: leggergli
una sorte di felicità, perché faceva fare le fusa al mio cuore. Quindi, più lui
rideva, più io mi scaldavo; più lui chiudeva gli occhi, più i miei si
illuminavano alla ricerca di quel suo sguardo; più lui si piegava leggermente
all’indietro, più io mi sentivo in piedi, fiera e quasi altera.
“Sei una pagliaccia” disse, tra le ultime risate.
“Ma come?! Avevi detto che
ero intelligente! E ora sono una pagliaccia?” mi sdegnai.
“Beh, dovevo pur adularti e
ammaliarti, no?
Ora che invece so che sei irrimediabilmente attratta da me
posso dirti tutto quello che voglio” mi spiegò nel suo dolcissimo sorriso.
Toccò a me a ridere, mentre lui mi osservava con
quei suoi occhi magnetici; si impossessava di quella visione.
“Ma allora sei ridotto proprio male se ti piace una
pagliaccia” gli feci notare.
Mi guardò per qualche secondo, poi mi rispose come
se fosse incredibilmente ovvio: “Ma una pagliaccia figa!”
Di tutta risposta, lo baciai. Sì, mi impossessai
delle sue labbra e cominciai ad affondare le mie mani tra i suoi capelli,
mentre lui faceva scorrere le sue sulla mia schiena. Ero sua, era mio.
“Pagliaccia” mi sussurrò all’orecchio, poi.
“Peluche” risposi io, sottovoce.
“Eh?!” risi, guardando i
suoi occhi spalancati. Il nostro era un gioco alle risate.
“Sei un peluche tutto da coccolare” gli spiegai,
sorridendo.
“Lo ripeto, sei una pagliaccia” sospirò, scuotendo
la testa.
“Peluche e
pagliaccia, suona bene” osservai, pensierosa.
Ancora oggi scarabocchio in ogni libro quei due
soprannomi, e sorrido a ripensarci.
Li scrivo anche ora, lentamente, su questa
tastiera. Assaporateli con me.
Peluche
e pagliaccia.
{ Spazio HarryJo
Ehi, ragazzi, capitolo 9! So che non ne
potevate più dall’attesa, so che eravate lì con le mani in mano e controllavate
ogni giorno il mio aggiornamento, quindi mi scuso per il ritardo!
Ok, non è vero, dai… Ma per quelle poche
persone a cui piace la storia, ecco il seguito!
Ci ho messo un po’ a scriverlo, tra un
blocco di scrittore non desiderato e qualche problemuccio
vario di internet. Beh, per vostra (s)fortuna ora lo potete leggere.
Dedico il capitolo a Patrizia, sperando
di farla un po’ emozionare con questa storia che ha distrutto la mia voglia di
un amore.
Francy_ : Grazie per aver recensito i primi capitoli, spero che
continuerai a seguire questa storia! Mi ha fatto ridere la coincidenza del
nome, sul serio xD
A presto spero!
Erica
alias HarryJo
Giulla: Carissimaaa! Ormai attendo le tue recensioni con ansia e
paura che mi dirai “no cara, fai proprio schifo, datti all’ippica” u,u Ma ancora non è così!! Che bello, memooolto felice! In questo capitolo spero di aver reso
bene le emozioni, anche se ho dovuto saltare una parte un po’ importante, che
racconterò più avanti.. Tu suoni qualche strumento per
caso? Lui suona il violino da sette anni e mi aveva promesso una serenata *-* E
visto che tra poco lo sentirò suonare vado in giro a chiedere a tutti se
suonano xD
A preeesto!!
Erica,
alias HarryJo
Mond: Lo sai che ho
usato il tuo nickname per una piccola brevissima one-shot mai pubblicata una volta? Tanto che appena
ho visto la tua recensione mi sono scervellata per un bel po’ prima di
ricordarmi perché mi era familiare “Mond”. Ok,
lasciando perdere questo che non c’entra nulla (ho un talento naturale per
parlare di cose che non c’entrano niente), sono davvero felicissima che ti
piaccia la storia e come scrivo! Spero
che anche questo capitolo ti piaccia, se vuoi fammi sapere!
A presto, spero
Erica,
alias HarryJo
Bene, ora vi abbandono (era ora, eh?!)
Grazie alle quattordici povere anime che
mi seguono e alle cinque masochiste che hanno inserito la storia nei preferiti.
Capitolo 11 *** Assurdo e perfido destino raggiunse ***
10 – Assurdo e perfido desino raggiunse
10 –
Assurdo e perfido desino raggiunse
09 luglio
2010.
“A
che ora hai la corriera?” mi aveva dolcemente sussurrato in un orecchio.
“Niente
corriera oggi, prendo il treno con te” gli avevo risposto.
“Come
mai?!”
“Mio
papà è dalle parti di Susegana, quindi per lui è più
comodo venire a prendermi lì. Ti dispiace?”
“No…”
aveva risposto, ma lo sentivo che c’era qualcosa che non andava. Non sembrava
molto entusiasta di fare il ritorno con me, e questo mi rendeva assai triste.
Fu
orribile. Credo fu proprio quel viaggio in treno a rovinare
tutto: mi ero seduta accanto a lui con timidezza, borbottando: “Posso?” e lui
aveva appena accennato ad un sì con la testa. Io lo guardavo mentre lui
osservava il paesaggio scorrere fuori dal finestrino, facendo crescere una
strana ansia dentro di me.
Mi
sentii sola, incredibilmente sola durante quel viaggio, cosa che non mi
succedeva più da quando lo avevo conosciuto. Se ne stava andando, lo sentivo.
Percepivo un’assenza pesante da parte sua, una presenza ingombrante da parte
mia.
Quando
il treno si fermò per una fermata, salì un bambino che avrà avuto non più di
cinque anni, e che continuava a guardarci e a camminare avanti e indietro per
il treno con i suoi genitori che gli urlavano dietro. Quando si fermò davanti a
noi, non riuscii a trattenermi dal sorridere, mentre lui mi salutava con la
mano, e Zeno finalmente si girò a guardarmi.
“Francesca”
sussurrò.
Mi
voltai verso di lui con il cuore a mille, mormorando un dubbioso “Sì?”
Non
rispose. Mi guardò solamente, e dopo qualche secondo di silenzio, mise la sua
mano destra dietro la mia nuca e fece avvicinare il mio volto al suo per
lasciarmi un bacio. Uno diverso dai soliti, più lento, più curato, più dolce, e
per un attimo quello mi distolse dalle bruttissime sensazioni che avevo
accumulato.
“Bleah” disse il bambino che era ancora davanti a noi
schifato, e raggiunse i suoi genitori urlando, come se avessimo fatto qualcosa
di estremamente osceno: “Mamma, quei due si baciano!”
“Sssh, amore, guarda che è una cosa bella” sentii sua madre
rispondere.
“No, è brutta, fa schifo. Io non bacerò mai una
ragazza, piuttosto la morte” replicò lui, in tono deciso.
Non
riuscii a resistere e cominciai a ridere, però sempre piano, incerta della
reazione che Zeno avrebbe potuto riportare: ormai non
capivo cosa stava succedendo, anche se mi era chiaro che non era niente di
buono.
Fortunatamente,
anche lui sorrise e rise di gusto, e quando tornò serio mi accarezzò lentamente
la guancia, mentre io chiusi gli occhi per abbandonarmi al tocco delle sue dita.
Poi
smise. Aprii gli occhi e lui si limitò a prendermi la mano e a distogliere lo
sguardo da me, tornandosene a guardare il finestrino, quasi del tutto dimentico
della mia presenza.
Credo
che insultai mentalmente mio padre per tutto il
tragitto: se mi avesse aspettato a Breda, se mi avesse lasciato prendere la
corriera come sempre, non avrei mai intrapreso quel viaggio sui binari che
portavano alla solitudine. Anche se non capivo che cos’avevo fatto di male;
beh, non lo so nemmeno adesso. Ogni tanto me lo chiedo, ma solo perché voglio
continuare a darmi la colpa all’infinito per come sono oggi le cose, perché non
riesco nemmeno a sopportare l’idea di prendermela con lui.
Ma
insomma, diciamocelo, era solo una stupida sensazione quella, non per forza
doveva significare l’inizio della fine!
Continuai
a ripetermi queste parole all’infinito in tutti i giorni seguenti, quando lui
smise di rispondermi ai messaggi ed io smisi quasi di scrivergli, per paura di
disturbare.
Fu
uno sbaglio, forse, creder di non essere io a capire: cominciai a ritenermi
troppo possessiva, troppo paranoica. È un mio difetto e lo è sempre stato
quello di pensare di essere io il pezzo non funzionante o difettoso in
qualunque cosa che non va.
Amen,
è andata così e io vi racconto la verità, perciò sappiate che avrei dovuto dare
ascolto a quella vocina e dimenticare il sorriso e gli occhi castani che
incatenavano il mio cuore, invece mi abbandonai alla sua catena, la lasciai
chiudersi stretta attorno a me e nella mia sbadataggine, persi anche le chiavi.
{ Spazio HarryJo.
Ahi ahiahi. Che brutta cosa, no? Odio
quelle sensazioni, e ripensarci e scriverle è stato orrendo, una dura prova per
il mio cuore.
A quel bambino,
che mi ha fatto ridere nel momento che mi pesava più nel cuore.
Ringrazio le quindici buone anime compassionevoli che seguono
questa storia e le tre che hanno avuto il coraggio di metterla nelle preferite.
Spero di sapere cosa ne pensate di questo!
Vostra,
HarryJo.
P.S.: Per chi segue anche “Ti odio perché mi ami”, credo che per un
po’ non riuscirò ad aggiornare perché non ho molto tempo per scrivere, e mentre
questa storia è quasi completamente scritta nel computer, quella la scrivo
aggiornamento dopo aggiornamento! Scusate ^^
Capitolo 12 *** Il calor in cui v'eravate incontrati: ***
11 – Il calor in cui v’eravate incontrati:
09 luglio
2010.
“Allora?
Com’è andata?” mi chiese mio padre, venendomi a prendere in stazione.
“Bene”…
non so se scrivere “mentii”. Era andata benissimo a Treviso, avevo trovato un
nuovo peluche tutto per me. E quel bacio, in mezzo al mondo!
Ma
sentivo sulla mia pelle ancora quel brivido del viaggio in treno, quell’orribile
sensazione.
Guardai
il volto di mio padre a lungo, con le parole che si affollavano nella testa, le
domande. Ma non le pronunciai: avevo paura della risposta, avevo il terrore che
mi dicesse di ascoltare la vocina che sussurrava alle mie orecchie che c’era
qualcosa che non andava, nel bel mezzo di quella favola.
Today was a fairytale, you were the prince, I used to
be a damsel in distress…
“Papi,
spegni la musica per favore” gli chiesi, o forse sarebbe meglio dire che lo
implorai.
“Ma
tu adori questa canzone!” rispose attonito.
“Spegni”
ripetei ignorando le sue parole.
Continuando
a scrutarmi, fermò il cd. Forse a voi può non sembrare così strano che avessi
chiesto di spegnere la musica, ma dovete sapere che io fin da piccola dicevo “Il
momento più bello che si può passare è un viaggio in macchina, con delle belle
note in sottofondo che l’accompagnano.
Tornata
all’appartamento, non feci altro che entrare, togliermi il cappotto e chiudermi
in bagno, urlando attraverso la porta: “Mi faccio una doccia!”
Rimasi
per un bel quarto d’ora abbondante seduta per terra in un angolino a
ripercorrere la giornata e a chiedermi che cos’era stato che aveva potuto
rendere Zeno così distante, ma alla fine mi costrinsi a credere che era stata
solo una mia sensazione, e che in realtà niente era stato diverso dal solito.
Sì,
insomma, ero brava a raccontarmi le bugie.
Presi,
mi spogliai e mi misi sotto il getto dell’acqua bollente, a pensare e a
cantare, per distrarmi.
“Sei una pagliaccia”.
“Ma come? Avevi detto che
ero intelligente! E ora sono una pagliaccia?”
“Beh dovevo pur adularti,
ora che so che sei irrimediabilmente attratta da me posso dirti tutto quello
che voglio”.
“Ma allora sei ridotto
male se ti piace una pagliaccia!”
“Ma sei una pagliaccia
figa!”
Continuai
a rivivere all’infinito quella scena, e quando uscii dalla doccia, feci tempo
solo a mettermi l’accappatoio, che il cellulare cominciò a squillare.
Cristian.
“Hey!” salutai con entusiasmo.
“Ce’,
vieni stasera qui a sagra allora?” mi domandò sbrigativo.
Mi
ero completamente dimenticata di avergli promesso che l’avrei raggiunto! E
figurarsi se mio padre mi avrebbe portata dopo esser stata tutto il pomeriggio
a Treviso con Zeno…
“Oh,
Cri, mi dispiace molto, ma non credo che mio papà sia tanto d’accordo” evitai
di spiegargli del pomeriggio fuori, avevo come una brutta sensazione che se
avessi pronunciato il nome del mio ragazzo mi avrebbe uccisa.
“Ce’,
me l’avevi promesso!” si alterò.
“Scusami,
scusami, sono una frana totale!” cercai di dirgli. “Come posso farmi perdonare?”
“Bah,
non so quanto te ne freghi a sto punto…” mi disse,
evidentemente scocciato.
“Mi
importa moltissimo di te, lo sai bene, sei il mio migliore amico, la persona
che mi è sempre stata accanto, nonché il mio fratello separato alla nascita!”
mi sdegnai.
“Vabbè… Domani sera?” chiese.
“Promesso,
davvero, ti voglio bene Cri” dissi, piano.
“A… Anch’io” rispose, prima di mettere giù il telefono.
Alla sera, inviai due messaggi con la
buonanotte, com’ero solita fare, a Cristian e a Zeno,
ma nessuno dei due si degnò di rispondermi.
Sbuffai,
e mi coricai a letto un po’ scocciata: quei maschi un giorno o l’altro mi
avrebbero fatto veramente andar fuori di testa.
{ Spazio HarryJo.
A Nicola, lui sì che sa quanto tengo alla musica
durante i viaggi in macchina.
Eeeh, ecco qui Francesca alle prese con gli incomprensibili
maschi.
Tra Zeno e Cri, chi la
farà diventare più matta?
Si accettano scommesse!
Insomma, poi sul
prossimo capitolo ci sarà una serata a sagra che segnerà l’inizio dei VERI
problemi.
Povera Ce’! (Povera me
che li ho vissuti!)
Grazie di cuore a tutti
coloro che seguono la storia, coloro che la leggono, chi la recensisce, chi l’ha
messa tra le preferite!
Spero sempre di sapere
cosa ne pensate, un grosso abbraccio!
Capitolo 13 *** L'amor crebbe, e vi rese amanti al sole. ***
11 – L’amor crebbe, e vi rese amanti al sole.
13 luglio 2010.
Cristian voleva che ci
trovassimo alla sagra del suo paese, Maserada.
Ovviamente, come sapete, acconsentii: adoravo quei posti, o meglio, adoravo le
sagre.
Il
mio migliore amico mi aspettava lì con Luna e Giulia, che chiacchieravano
allegramente, mentre poco più in là c’era Luca, che guardava contrariato la
scena.
Luca
era il migliore amico di Cristian dall’infanzia, da
ancor prima che loro potessero ricordare, ed era molto arrabbiato con Giulia in
quei giorni. Non posso dire perché, ma io lo appoggiavo pienamente, quella
ragazza poteva risultare davvero insopportabile a volte.
Quando
mi videro arrivare, quasi come si fossero messi d’accordo prima, Giulia e Luna
si dileguarono in una giostra, mentre Luca si perse a chiacchierare con
Claudia, una sua vecchia amica.
“Ciao!”
salutai Cristian abbracciandolo forte: era passato un
intero mese dall’ultima volta che l’avevo visto, e mi era mancato molto:
sentirlo per telefono non era la stessa cosa che averlo vicino tutti i giorni,
come a scuola.
“Ho
costretto gli altri a scappare via, ti dispiace?” mi disse. “È da un po’ che
non passiamo un po’ di tempo insieme tra di noi”
“Nessun
problema, mi fa piacere” gli risposi arrossendo leggermente.
Fu
una delle serate più belle della mia vita, all’inizio. Ci prendevamo in giro, ridevamo,
giocavamo con le nostre mani come fanno i bambini piccoli, perché
effettivamente noi eravamo dei bambini piccoli. I migliori amici più affiatati
che fossero mai esistiti.
“Vieni
a casa mia? I miei sono fuori con mio fratello” mi propose ad un certo punto.
“Sì”
risposi, senza pensarci. Ci trovavamo a 500 metri neanche da dove abitava lui,
ed io adoravo la sua casa: trasmetteva un sacco di calore, il calore di una
famiglia, e il profumo che vi alleggiava era inebriante per me.
“Ti
fidi?” mi chiese, sorpreso e un po’ preoccupato. Fu immediato il flashback
dentro di me.
Le
uniche volte che ero andata a casa sua, si erano concluse con…
Con dei baci, sì.
Erano
sempre stati incidenti, come li
chiamava lui, che qui significa che non erano stati previsti, ma non che non
erano stati graditi. Entrambi avevamo sempre ammesso che i baci tra di noi
erano piaciuti, ma ormai erano mesi che non ci sfioravamo le labbra, eravamo stati
chiari: niente più rischi, la nostra amicizia davanti a tutto. E poi io stavo
con Zeno, mi piaceva davvero molto, in quel modo strano ma originale…
Non avrei mai rischiato, mai.
“Certo”
gli risposi, guardandolo negli occhi, mentre un brivido mi attraversava la
schiena. Un brivido di freddo però, lì fuori si gelava.
Mi
abbracciò forte, e mi sorprese anche un po’ quel gesto. Poi, ci incamminammo.
Il
cellulare mi vibrò, e, continuando a camminare, lo aprii per leggere il
messaggio, accorgendomi che in realtà erano due.
Il
primo era un banale: Ciao bella, come
stai stasera?
Il
secondo: Buonanotte Francesca, sogni d’oro.
“Oh
cavolo, non avevo sentito il cellulare vibrare, avrà pensato che stessi
dormendo!” commentai ad alta voce, senza preoccuparmi.
“Chi?”
chiese Cristian.
“Zeno”
sussurrai, un po’ imbarazzata, e poi mi voltai.
Cristian si era fermato
dietro di me, e sul suo volto c’era un’espressione indecifrabile.
“Cri…?” tentai di dire, con voce spezzata.
“Basta”
rispose lui, fermo.
Il
vento continuava a farmi provare dei pesanti brividi di freddo, amplificati dall’atmosfera
tesa. Avevo paura, lo ammetto. Il suo volto mi trasmetteva qualcosa di
fortemente negativo.
“Sono
stanco, lo sai bene anche tu che non è giusto!” alzò la voce.
“C-c-cosa?” balbettai, incapace di proferir altro.
“Tutto
questo! Zeno, cavolo! Lui è sbagliato, stai commettendo un errore, praticamente
non lo conosci! Da quanto vi conoscevate quando vi siete messi insieme? Due
giorni?” mi sbraitò.
“U-una set-settimana”.
“Una
settimana, ecco! Ce’, non ti riconosco più! Tu sei sempre stata quella alla ricerca del vero amore e ti metti
insieme a qualcuno che a mala pena conosci? Che cosa sai di lui? EH?”
La
rabbia che trasmetteva in quelle parole mi faceva malissimo, e lui non lo
avvertiva. Le lacrime cominciarono a spingere per scendere, ma ovviamente si
trattennero tra le palpebre, brucianti.
“Cri…”
Mi
guardò negli occhi prima di parlare, e per la prima volta odiai quel verde
brillante che possedeva nelle iridi.
“Noi
siamo destinati, lo sai. Lo sanno tutti. Lo sai anche tu. È ora che scegli Ce’.
Scegli: o me o lui”.
{Spazio HarryJo.
A Luca,
grazie per avermi sostenuto poi.
Ecco qui.
Non ho parole.
Cosa credete che risponderà
Francesca?
A voi la parola.
Non so quando riuscirò
ad aggiornare di nuovo, per quello ho pubblicato presto.
Capitolo 14 *** Le parole l'un dell'altro creaste vostre, ***
13 – Le
parole l’un dell’altro creaste vostre,
13/14 luglio 2010.
CRAC.
Questo
fu il rumore del mio cuore a quelle parole. Semplicemente, C-R-A-C.
Non
posso dire che non me l’aspettavo, ma di sicuro avevo sperato fino all’ultimo
momento che non succedesse veramente, che si sarebbe tenuto per se quella
domanda.
Il
mio cervello andò in tilt, non si fece pregare molto per farlo.
Cristian o Zeno? Zeno o Cristian? Cristian o Zeno? Zeno o Cristian?
Francesca, tu non puoi scegliere.
Non puoi.
“Attendo
una risposta” disse, gelido.
Lo
guardai negli occhi a lungo, sperando che leggesse nel mio sguardo il dolore
che provavo, come aveva sempre fatto. Speravo si accorgesse di quello che mi
stava facendo, speravo si rendesse conto dell’assurdità della domanda.
“Cri,
n-non p-posso…” le mie parole si persero nel vento, giungendo
a lui come poco più di un sospiro.
Mi
afferrò per il polso, e la stretta cominciò a farmi male, mentre io, incredula
della sua forza, lo guardavo semplicemente negli occhi. Quello sguardo che
tanto avevo amato, che tanto avevo apprezzato, che tanto voleva spezzare la mia
anima.
“Non
puoi?” le sue parole, di puro ghiaccio, mi trafiggevano il petto. E cominciava
anche a fare sempre più freddo.
Don,
don, don…
Era
scattata la mezzanotte.
“So
io come fare a farti scegliere” disse, gelido.
Prima
che potessi capire che cosa volesse dire, si avvicinò al mio viso e si
impossessò delle mie labbra.
All’inizio
lo assecondai, per qualche secondo, solo perché non volevo sentirlo più
parlarmi in quel modo.
Ma
poi fu più forte di me il pensiero che portò a Zeno.
Lo
respinsi, mi divincolai dalla sua presa che si faceva sempre più forte e mi
allontanai dal suo volto, in lacrime.
Ma non
mi ritrassi da lui, anzi, cercai di abbracciarlo per spiegargli tutto, ogni
cosa.
“Cristian” mormorai.
Era
livido.
E
faceva freddo. E cominciò a piovere.
Con
un brusco movimento della mano, mi spinse via, e mi fece cadere a terra.
Sentii
un dolore tremendo al gomito, atterrando a terra contro il rialzo del
marciapiede, ma non guardai.
“Cristian” e di nuovo lacrime. Lui sapeva anche farmi
piangere.
Mi
guardò sprezzante, ma sono sicura di aver visto una guancia che gli rigava quel
suo bellissimo volto.
“Ho
capito, scegli lui” rispose tagliente, per poi voltarsi e andarsene.
Lo
guardai a lungo mentre camminava lontano da me, e per un attimo mi passò per la
mente di raggiungerlo, di costringerlo a parlare. Ogni passo che faceva mi
stava distruggendo lentamente.
Dovevo
andare lì, prenderlo, fermarlo, sbattergli in faccia tutto il bene che gli
volevo, tutti i ricordi che ci avevano coinvolti, ogni cosa!
Ma
non ne avevo la forza.
Quanto
me ne pentii, non potete neanche immaginarlo.
Guardai
il gomito e vidi il sangue.
Quella
sarebbe stata la cicatrice della nostra amicizia, un taglio netto, deciso,
dolorante.
Tremante
mi rialzai, sotto gli occhi di Luca, che aveva assistito impotente la scelta da
lontano.
“Francesca”
mormorò titubante.
“Oh
Luca!” sospirai. “Perché? Perché ha dovuto farlo?!”
“Lo
conosci anche tu, forse meglio di me per certi versi” si limitò a rispondere.
Poi,
mi offrì una cioccolata calda in un bar lì vicino, lontano dagli occhi
indiscreti delle persone che erano a quella sagra e avevano assistito alla
scenata di Cristian.
Ero
china sulla mia tazza, bevevo piano piano, mi
incantavo a guardare le pareti, e sentivo gli occhi stanchi.
Luca
non fiatò. Era sempre stato bravo in questo.
Pagò
la cioccolata e mi accompagnò dove mio padre mi aspettava, abbracciandomi.
“Mi
dispiace” disse.
“Convincilo,
ti prego” lo implorai. “Convincilo a tornare”.
E con
queste ultime parole, sfiorai la ferita del gomito e trattenni a stento un
gemito.
Eh
sì, faceva male.
{ Spazio HarryJo.
Ad Alessandro, quella cioccolata era buonissima.
Ho visto il più gran
numero di recensioni per il capitolo precedente, e un po’ me l’aspettavo.
Certo che, sei su sei
che portano per Zeno, non è che vi siete presi una cotta per il mio ragazzo dal nome insolito?! xD
Scherzo!
Beh, odiate Cristian, su! Tanto so già che lo farete.
Come alla fine ho
fatto io, anche se… Devo già dirvi, farà di peggio!
Questo, ribadisco, è solo l’inizio per quanto riguarda lui!
Ah, e nel prossimo
capitolo ci sposteremo ancora una volta su Zeno, e su un’altra fantomatica
uscita, che sarà molto diversa dalle altre.
Spero come sempre di
sapere cosa ne pensate di questa storia!
E soprattutto, cosa
pensate di quello che è successo in questo capitolo? Francesca è stata troppo
debole? Luca, gentile? E Cristian?
Capitolo 15 *** Era 'l perfetto vedervi in fiore. ***
14 – Era ‘l perfetto vedervi in fiore.
24 luglio 2010.
Erano
passati giorni e giorni da quando Cristian se n’era
andato.
Aveva
spento il telefono. Gli inviai qualche messaggio all’inizio, avvolta da una
flebile speranza di valer ancora qualcosa. Ma quando provai a chiamarlo e
sentii la segreteria mi arresi.
O,
per meglio di dire, mi arresi a cercare una sua risposta telefonica.
Io
sapevo già come e cosa fare. Ero la sua migliore amica, no? Sapevo ogni cosa di
lui.
Compreso
il fatto che sabato 24 luglio sarebbe andato a Treviso per comprare un
accordatore per il suo flauto traverso.
Ma
sabato 24 luglio avevo già accettato di trovarmi a Treviso con Zeno, quindi non
potevo fare nulla. Non potevo piombarmi al negozio di musica e dirgli “Ehi, Cristian!” con quel ragazzo a cui lui avrebbe volentieri
staccato la testa.
Quindi,
ci rinunciai.
Mi
dissi che avrei trovato un’altra occasione per vedere Cri, e mi diressi
entusiasta all’appuntamento con Zeno.
Ci trovavamo sempre in stazione delle
corriere, sempre alla stessa ora, alle quattro.
Ma
alle 16.17 ancora non si era presentato.
Ero
nervosa: non mi piace per nulla aspettare la gente, tantomeno se è una persona
a cui tengo. Quindi per me era quasi inconcepibile dover attendere il ragazzo
dal nome insolito così a lungo.
Mi
arrivò un messaggio, che lessi incredula almeno una ventina di volte.
“Francesca, scusami. Non posso venire.”
La
cosa che mi colpì subito fu il fatto che mi chiamò per nome: non lo faceva mai
da quando avevamo trovato quei bellissimi soprannomi da affibbiarci.
Ma
poi mi crollò addosso l’altra verità.
“Qualche problema peluche?” gli scrissi
lentamente, e non attesi molto per la risposta.
“Nessun problema, Francesca. Ci vediamo
domenica prossima, ok? Ciao”.
L’ho
già detto che non mi chiamava mai
per nome?
E
quella freddezza? E i brividi?
E
le lacrime che spingevano ma non scendevano?
Cos’era
tutto questo? Ah sì, la delusione.
Avevo
bisogno di vederlo, dopo quella discussione con Cristian.
Ed
ero rimasta lì invece, come un baccalà, in mezzo a una miriade di persone che
camminavano avanti e indietro per la stazione, a guardare uno stupido
messaggio. O, per meglio dire, mi ero incantata a guardare il nome del
mittente, il nome che mi mancava tanto.
Scacciai
quei pensieri dalla mente e controllai gli orari della corriera per tornare a
casa: mancava ancora un’ora abbondante per quella successiva. Sbuffai.
Poi,
un lampo mi attraversò, e mi diressi senza pensare a quel negozio di musica: se
avevo un po’ di fortuna quella giornata non sarebbe stata spesa inutilmente.
Credo
che corsi anche durante il tragitto, perché arrivai in meno di cinque minuti.
E Cristian era lì fuori che ascoltava musica, con gli occhi
chiusi, appena uscito dal negozio, con un sacchettino in mano.
Il
mio petto fece le fusa, e prima che potessi anche solo pensarlo, mi catapultai
sulle sue braccia, e lo strinsi.
Credo
che ci mise un po’ a capire chi fossi perché rimase per qualche secondo
paralizzato, ma poi ricambiò l’abbraccio e cominciò ad accarezzarmi i capelli
con una mano lasciando cadere il sacchetto a terra.
“Cristian, che tu ci creda o no io ti voglio bene, e senza
di te non voglio vivere” dissi, ferma, decisa.
“Ti
ho fatto male?”
Se
ne uscì con quella domanda, che mi immobilizzò.
Lentamente,
gli feci vedere il livido sul gomito, che ancora non si era cicatrizzato bene.
Vidi
i suoi occhi inumidirsi, prima di posare un dolce bacio sulla ferita.
“Non
volevo” disse semplicemente. “Non so cosa mi è preso”
Lo
guardai negli occhi per un po’ e poi lo riabbracciai. Rivolevo con me il mio
fratellone.
“Cos’hai
comprato?” gli chiesi, titubante.
Credo
che capì, non avevo la forza per discutere su ciò che era successo.
“L’accordatore
e il diapason. Vuoi che ti offro qualcosa da bere?” mi domandò, con cautela.
Annuii,
semplicemente.
Camminammo
per un po’, ma senza parlare molto. Era tutto così strano, io avevo paura di
dire qualcosa di sbagliato, lui altrettanto.
Ma,
prima di raggiungere il bar appena al di fuori delle Mura di Treviso (il posto
preferito di tutti per passare il tempo), vidi qualcosa che non mi fece molto
piacere.
Un
ragazzo.
Che
usciva da un negozio.
Una
ragazza.
Che
rideva accanto a lui.
Un
ragazzo con i capelli neri, alto, magro.
La
ragazza, bionda.
“Zeno”
sussurrai ad alta voce, e quel nome mi trafisse in più punti il petto.
“No,
per favore, non tirare fuori lui. Non parliamone” disse Cristian,
che era accanto a me, seppur io lo sentissi lontano anni luce.
Feci
di no con la testa e mi limitai a indicare i due ragazzi che si erano presi per
mano.
E
le lacrime spingevano. E le lacrime non scendevano.
Cristian
fu più veloce di me a reagire, mi prese per un braccio e mi trascinò davanti a
loro.
Non
guardai direttamente Zeno negli occhi,
ma mi limitai a fissare la sua mano che stringeva quella della ragazza.
“Sono
Cristian, il migliore amico di Francesca” si presentò
il mio eroe, ma io ero quasi morta, perché non dissi nulla. Alzai lo sguardo, e
incontrai quegli occhi castani che mi pugnalarono.
La
ragazza, che evidentemente non stava capendo nulla, mi tese la mano e disse “Sei
un’amica di Zeno? Io sono Elisabetta, la sua ragazza”.
Fu
come un fulmine.
Le
presi la mano titubante. Incontrai nuovamente gli occhi di Zeno e, in un impeto
d’orgoglio mi presentai, con fin troppa decisione.
“Piacere
di conoscerti. Io sono Francesca. Pure io la ragazza di Zeno”.
{ Spazio HarryJo.
A Elisabetta, ho dato il tuo nome a un personaggio
orribile, ma ti volevo ricordare. Sappi che sei stata la migliore nel trovarmi
fuori le torture più cruente da utilizzare per Zeno.
Ta-da!
Allora, cos’abbiamo qui?
Cristian 1 – Zeno 1.
Sorpresi, vero?
Credo di averci messo
secoli a scrivere questo capitolo.
E’ anche un po’ più
lungo degli altri, ma tagliarlo sarebbe stato orribile per me: una volta
iniziato, volevo solo portarlo a termine al più presto.
Allora, mie care anime
che seguite questa storia, vi ho sorpreso abbastanza? Io credo di esser rimasta
shoccata quel giorno, e voi?
Parteggiate ancora per
Zeno?
Grazie mille per chi
legge, per chi mette questa storia tra le preferite o le seguite o le
ricordate.
Un grazie davvero
particolare a chi recensisce, ma anche a chi legge la storia in silenzio.
Se volete farmi sapere
di che morte volete far morire Zeno, potete benissimo scriverlo in una
recensione, a me fa solo piacere!
Capitolo 16 *** Oh, Ce', non lo senti banal e d'uso il tuo di contrario? ***
15 – Oh,
Ce’, non lo senti banal e d’uso il tuo di contrario?
24 luglio 2010.
Elisabetta
pensava stessi scherzando all’inizio, perché rise, ma avvertendo l’atmosfera
tesa capì anche lei che c’era qualcosa che non andava.
“Zeno,
vuoi spiegare alle tue dame il tuo doppiogioco?” Cristian
non aveva peli sulla lingua.
“Qui
c’è un malinteso” rispose lui allarmato. Mi voltai a guardarlo, furiosa.
“Su,
spiega. Non vedo l’ora che me lo spieghi” risposi.
Probabilmente
in condizioni normali sarei scappata via a gambe levate cercando di piangere e
sfogare tristezza e rabbia su lacrime che non sarebbero comunque mai scese, ma
quella non era una situazione normale, quello era un incubo.
Zeno
si avvicinò a me e disse: “Io non sto insieme ad Elisabetta. E’ un’amica”.
“Cosa?!”
sbraitò la ragazza che ancora gli teneva la mano. “E’ da maggio che usciamo
insieme!”
“Ah,
allora sarei io l’amante…” sospirai.
“No! –
urlò Zeno – Io esco con Elisabetta da maggio, ma perché è la mia migliore
amica!”
“Prego?”
chiese Cristian.
Stava
diventando molto confusa la situazione, e cominciava a girarmi terribilmente la
testa.
“Ho bisogno
di zuccheri, vado a bere e mangiare qualcosa” dissi confusa, ed entrai dentro
al bar ordinando una brioche e un succo alla pesca, seguita dagli altri tre.
“Stai
bene?” chiese Cristian.
“Non
proprio, dovrei evitare di stare troppo tempo sotto il sole per un mese, ancora
gli effetti della tonsillite sai…”
“E
quest’essere qui non migliora” rispose lui indicando il mio…
di Elisabetta… boh, il ragazzo di qualcuno.
Zeno,
probabilmente stanco di esser trattato in quel modo, chiese alla ragazza che
gli stava vicino: “Ti ho mai chiesto di essere la mia ragazza?”
Lei
fece segno di no con la testa.
“Ti
ho mai baciata?”
Altro
no.
“Ti
ho mai dato motivo di credere che stavamo insieme?”
“Non
so” si decise a parlare lei. “Ci teniamo per mano, ci chiamiamo quasi ogni
giorno”.
Il
mio cuore se era andato a farsi fottere, e il mio cervello con lui.
“Maschi”
commentai, e finii di bere il mio succo. “Ehi tesoro, se non stai con lei,
perché mi hai dato buca?” gli chiesi curiosa, ma fu Elisabetta a rispondermi.
“Gli
avevo chiesto se poteva raggiungermi perché mio fratello più piccolo è appena
andato in ospedale per appendicite e volevo distrarmi con una persona a cui
volevo bene”.
“Misunderstanding ciò” commentai.
Cristian mi prese per un
fianco ed io per poco sussultai, ma poi vedendo la gelosia negli occhi di Zeno,
mi rilassai nella sua stretta.
“Scusate,
ci potete lasciare un momento da soli?” chiese Zeno, cercando di risultare più
pacato possibile. Mi irrigidii all’istante, ma feci segno di andare a Cristian. Elisabetta aveva le lacrime agli occhi, e per un
secondo provai pena per lei, ma vedendo che il mio migliore amico voleva cercare
di dirle qualcosa per consolarla (probabilmente insulti vari sul ragazzo che si
era avvicinato a me), ritornai a pensare a me stessa.
“Ce’
non ti avrei mai tradita, fidati. Ho bisogno di sapere cosa pensi”.
“Che
sono un’idiota” risposi secca.
“Come?”
“A
credere di poterti piacere. Non sono niente di che” perché ero così debole davanti
a lui?
“Tu
mi piaci davvero!” si scaldò.
“Non
abbastanza” mormorai.
“Dammi
un’altra occasione per dimostrarti quanto tengo a te” mi disse, deciso.
Lo
guardai negli occhi a lungo, e purtroppo sapeva bene come incantarmi lui.
Incantarmi?
No, ho sbagliato.
Incatenarmi.
“Ok”
risposi. Ingenua, ingenua, ingenua!
Ero
un’ingenua.
E Cristian me lo continuò a ripetere per tutto il tempo nei
giorni successivi, ma ero pure sorda.
{ Spazio HarryJo,
A Ilaria, mi dispiace che Zeno abbia scelto me.
Ehilà, popolo di EFP!
Da uno a diecimila,
quanto vorreste venire dentro la storia e tirare un paio di schiaffi a
Francesca per svegliarla? xD
Capitolo 17 *** Ancor illudi il cuor tuo già ferito? Eppur lo sai ***
16 - Ancor illudi il cuor tuo già ferito? Eppur lo sai
1 agosto 2010.
Era passato un bel po' di tempo dall'ultima volta, da quando Elisabetta aveva fatto la sua entrata in scena e mi aveva mandato in pappa il cervello e il cuore.
Più che altro, per la prima volta prima d'ora, cominciavo a chiedermi se io e Zeno fossimo fatti per stare insieme. D'improvviso, tutti i momenti passati insieme cominciavano ad essere lontani e distanti. Che m'importava del suo sorriso? Era davvero così essenziale guardare quegli occhi e sentire la sua risata se non sapevo nemmeno dell'esistenza di una migliore amica?
Quante cose non sapevo di lui? Una marea, poco ma sicuro. Era stato troppo poco il tempo che avevo avuto per conoscerlo.
Ma non volevo perderlo, questo mai.
Non avevo dimenticato quanta spensieratezza mi dava stare con lui. Ero sola, con dei genitori separati, con una casa incendiata, e stare con lui mi rendeva semplicemente me stessa per pochi istanti. Mi faceva diventare una persona.
Quindi ero disposta a ricominciare. A ricominciare con lui, ma non perché volessi dare un'altra possibilità a noi, nè tanto meno a lui. Volevo avere io un'altra possibilità per essere felice.
"Eccoti, sempre in ritardo!" sorrisi vedendolo arrivare. Aveva deciso che ci saremmo rivisti nel suo paese e mi sembrava un grande passo avanti, era disposto a farmi vedere un pezzo del suo mondo.
"Scusa piccola" rispose abbracciandomi. Aveva un profumo davvero inebriante. Per un momento mi dissi che mi aveva semplicemente drogato più che incantato, ma poi scoppiai a ridere.
Mi portò ad un castello lì vicino. Io amo i castelli, lui lo sapeva, lo sa.
Camminammo per circa mezz'ora, tenendoci per mano, mentre lui mi prendeva in giro perché camminare in salita mi stancava fin troppo. Insomma, non sono proprio la migliore persona da portare a camminare in giro, non lo nego di certo.
"Allora, come va col violino?". Avevo già detto che suonava il violino? Beh, era anche molto bravo. 7 anni di scuola e si accingeva ad entrare al conservatorio dopo il quinto anno di liceo.
"Tutto bene. Mi hanno proposto di suonare ad un concerto il 5 dicembre, verresti?"
"Certo!" risposi, non pensando a quanto mancava in realtà a quella data.
Quando ci fermammo davanti al castello mi misi a guardare il panorama che era davvero bellissimo. Rimasi incantata per parecchi minuti credo, perché non sentii Zeno che mi prese in un abbraccio da dietro finché non mi sussurrò: "Di sera è anche più bello".
Beh, non avevo dubbi.
Rimasimo così, abbracciati, senza dire nulla, per un'ora, e non sto scherzando. Era fin troppo bello rimanere fermi. E io non pensavo. Con lui non c'era il bisogno di pensare, volevo solo godermi la sua stretta. Mi faceva sentire protetta, voluta.
E mi faceva sentire una ragazza felice, nonostante tutto.
Passammo una giornata stupenda, come poche. E me ne sorpresi.
Quel ragazzo dal nome insolito mi stava facendo scombussolare.
"Non ci vedremo per un po' mi sa" mi disse ad un certo punto. Mi girai terrorizzata.
"Perché?" cercai di risultare impassibile, ma non ci riuscii.
"Ho due campi scout. Parto il 7 e torno il 13 e poi riparto il 14 e torno il 21".
"Come mai due?" chiesi sorpresa.
"Perché il primo è con la mia squadriglia, il secondo è il campo lupetti, ed io sono l'aiuto capo al campo lupetti".
Non so niente di scout e allora ne sapevo ancora meno quindi per me aveva parlato arabo, ma annuii.
"Allora dobbiamo cercare di sfruttare tutto il tempo possibile" dissi.
"Certo" rispose, e si avvicinò per baciarmi, ma lo allontanai.
"No, non così. Zeno, ti voglio conoscere" gli spiegai decisa.
E cominciai a fargli un sacco di domande, ci raccontammo aneddoti su aneddoti, ogni tanto scappò anche qualche bacio, ma credo che fu quello il vero inizio della nostra relazione.
Io in ogni sua parola mi incantavo e tutto mi sorprendeva.
Cominciavo a volgergli qualcosa di più di un semplice bene.
{ Spazio HarryJo.
A Chiara, dici che nessuno è capace di amare come faccio io. Ho subito pensato a te.
Ehilà, un po' in ritardo, ma intanto... Buon Natale e buone feste!!
Scusate ma c'era il mio compleanno il 20 e da allora tra una cosa e l'altra non ho visto molto il computer!
Cosa ne pensate? Qui è un ritorno alla spensieratezza iniziale. E' speciale.
Fatemi sapere cosa ne pensate se potete, ci tengo molto in particolare a questo capitolo.
Grazie alle 10 persone che l'hanno inserita tra le preferite, le 3 che la ricordano e le 28 che la seguono.
Capitolo 18 *** Perso non è stato ma corrisposto, il tempo amaro. ***
17. Perso non è stato ma corrisposto, il tempo amaro.
7 agosto 2010.
"Ciao Francesca!" urlò Cristian e mi abbracciò.
Eravamo andati al cinema a guardare Toy Story 3.
Ogni tanto uscivamo insieme, una volta almeno, prima di Zeno.
Era bellissimo parlare con lui. Mi piaceva proprio riversare su di lui ogni pensiero, tutto ciò che avevo per la testa. Ed era davvero tanto.
Il film fu bellissimo, sul serio.
Solo che ad un certo punto, cioè, alla fine, ero in lacrime. Avete mai visto Toy Story? No? Beh, a me sono serviti i fazzoletti, sul serio.
Comunque Cristian appena mi vide in lacrime all'inizio rise.
Poi mi prese una mano e la strinse sorridendomi.
Ed io arrossii.
Avevo capito che stava cercando di conquistarmi in qualche modo, anche perché stava decisamente troppo vicino a me. Se mi giravo a guardarlo rischiavo di trovarmi veramente immersa tra le sue labbra. Mi trattenni più di una volta dal girarmi.
Poi andammo insieme fuori a cena, come era nostro solito fare.
Insomma, niente di nuovo.
Se non per il fatto che quel giorno Zeno mi chiamò, mentre ero in pizzeria. Mi telefonò con "Numero Privato", quindi quando aprii la chiamata si ripetè di nuovo la scenetta della prima volta.
"Pronto?"
"Ehi!"
"Ehm, scusa, con chi parlo?"
"Non sei proprio capace di riconoscere le persone dalla voce, vero?"
Cristian si accorse che ero arrossita, tanto che gli sillabai "Zeno" con le labbra, e lui sbuffò.
"Sei tu che sei irriconoscibile, e poi perché mi chiami con nuomero privato?" risposi ridendo.
"Così. Volevo farti una sorpresa. Sono arrivato sano e salvo" disse sempliecemente lui.
Parlammo per qualche minuto, finché non vidi la pazienza di Cristian esaurirsi da come si torturava lentamente le mani.
"Beh, allora ti lascio, divertiti" lo salutai con un po' di tristezza nella voce.
"Tranquilla pagliaccia, ti manderò un sacco di messaggi ogni giorno, così saremo più vicini" mi rassicurò.
"Promesso?"
"Promesso. Ciao Ce', buona serata".
"Anche a te" sospirai prima di mettere giù la telefonata.
Cristian era rimasto a fissarmi per tutto il tempo.
"Ancora?" sbuffò a voce alta.
"Cristian, dai" risposi svogliata. L'ultima cosa che volevo era litigare ancora con lui. E poi la giornata era stata bellissima, perché rovinarla così?
"Ogni tanto mi sento una briciola - confessò. - Mi sento una briciola per te, mi guardi a mala pena da quando stai con Zeno. Pensavo mi amassi davvero".
Io non sapevo cosa dire. Una parte di me voleva tirargli una sberla e dirgli che doveva svegliarsi prima, l'altra avrebbe voluto davvero solo baciarlo.
"Ed io pensavo di non essere abbastanza per te" sottolineai quella parola. L'ultima volta che avevo avuto il coraggio di dichiararmi a lui, risalente a febbraio, lui mi aveva detto che cercava di più.
"Ma tu mi ami e ancora non vuoi capirlo. Vedrai come finirà con Zeno" disse semplicemente. Tornò a mangiarsi la pizza e a stare zitto, mentre io lo guardavo a bocca aperta.
"Beh, mi ha appena promesso che mi scriverà tutti i giorni!" mi scaldai.
"Se ti fidi. Scommettiamo un bacio che non succederà? E se succede rinuncio definitivamente a conquistarti e vi lascio in pace" mi sfidò guardandomi negli occhi.
"Accetto" dissi fiera.
E persi. Intoppai alla grande. Zeno non mi scrisse mai, nemmeno una volta, nemmeno per sbaglio. Neanche quando tornò.
{ Spazio HarryJo.
A Claudia, le tue parole furono "Beh, avrai anche perso la scommessa, ma non mentire, non ti è dispiaciuto così tanto".
Ma buon pomeriggio ragazzi!!
Come state?
Io approfitto del penultimo giorno del 2010 di aggiornare, mi piace sempre di più raccontarvi cos'è successo, perché piano piano chiarisco anche io ogni tassello della storia e poi perché comincio anche ad accettare quest'estate così strana.
Ringrazio di cuore i 26 che seguono, i 10 che l'hanno inserita tra le preferite (me commossa *_*) e le 4 persone che la ricordano.
Nonché il mio grazie speciale a chi recensisce.
Un bacio, e tantissimi auguri per un bellissimo 2011, che dev'essere meglio -almeno per me- di quello passato!
Capitolo 19 *** Un incanto tradito foste, l'invidia della Luna ***
16 - Un incanto tradito foste, invidia di Luna
21 luglio 2010.
No, non mi scrisse mai, l'avete capito bene. Tornò a casa il 13 e se ne ritornò via il 14. Io praticamente non venni mai a sapere per esempio che c'era stato un terremoto mentre era via, non l'avrei mai saputo almeno, se non fosse stato per Arianna, che era al campo con lui. Non ci rimasi malissimo. Cioè, sì in realtà, ero lì con il cellulare venticinque ore su ventiquattro, che speravo di leggere anche solo una "buonanotte" semplice magari, anche per sapere che non era morto. Un segno, un qualcosa. Niente. O meglio, il segno c'era, ma non quello che volevo. E visto che quel tipo di segno non mi piaceva, continuavo ad ignorarlo. Il 21 luglio, quando Zeno tornò, lui non si fece sentire, ed io vidi Cristian. Non mi uccidete, non avevo intenzione di vederlo proprio quel giorno se non avessi perso la scommessa. Insomma, sono ed ero una ragazza di parola. "Ce'!" mi salutò. Sentivo già quasi dal tono della voce che mi stava schernendo. Era divertito. Ero furiosa. "Cristian" borbottai, parecchio rossa in viso. "Ho vinto, vero?" mi guardò con gioia. "Sì" risposi sconfitta. Non so perché non mentii, avrei potuto benissimo farlo, dopotutto lui non avrebbe saputo niente. Ma ero ingenua. Molto. "Mi dispiace..." Lo guardai negli occhi, incredula. Era serio, gli spiaceva davvero. "Vabbè" alzai le spalle, cercando di nascondere la delusione - e un po' anche il dolore - che mi aveva attraversato in quei giorni, sola. Lo baciai, sì, se ve lo state chiedendo. Se fu solo per la scommessa non lo sapevo. Insomma, era pur sempre il mio migliore amico, perché avrei voluto baciare un ragazzo che per me era come un fratello? Ora sì, ora vi so dire il perché. Lo potrei già dire adesso cosa stava succedendo, cos'era successo fin da subito, cosa stavo nascondendo a me stessa... Ma che gusto ci sarebbe poi a raccontare questa storia? Ero confusa, e quel bacio mi mandò se possibile ancora di più nel bel mezzo della nebbia totale. "Ora hai ricevuto quello che volevi" gli sibilai all'orecchio quando ci staccammo. Ero davvero arrabbiata, non sapevo perché, ma mi aveva assai innervosito doverlo baciare. "No, ho solo ricevuto quello che mi spettava" mi disse di rimando. Non mi trattenni e gli tirai uno schiaffo. "Sei. Solo. Un. Arrogante. Cristian. " Detto questo, presi e cominciai ad andarmene, serrando i pugni, ma poi lui mi cinse in vita da dietro, e l'unica cosa che fui capace di fare fu abbracciarlo e cominciare a singhiozzare, senza che vere lacrime mi bagnassero il volto. "Perché fa così?" "Perché... Non lo so, mi dispiace. Però è stupido, non si sta rendendo conto di cosa sta perdendo" mi rispose accarezzandomi dolcemente la schiena. Lo guardai negli occhi. "Cosa si sta perdendo, Cri?" riuscii a chiedergli. "Io... Tu mi hai cambiato la vita... Sei... Sei speciale" mi rispose con un fil di voce, abbassando gli occhi. "Non è vero" dissi sicura. "E perché?" "Perché non mi guardi negli occhi". Piantò il suo sguardo sul mio e subito mi pentii di averlo chiesto. "Se continuo a guardarti ti bacio" mi disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Prima di peggiorare le cose appoggiai il mio volto vicino al suo petto e rimasi abbracciata a lui così per un po'. Mi sentivo protetta. Il cellulare vibrò.
Cesca. Cosa fai giovedì? Vieni ad un concerto con me?
"Zeno, vero? Cavolo che tempismo". "Zitto Cristian".
Nessun impegno. Ok, no problem, fammi sapere orario e luogo.
"E tu continui puntualmente a cascarci" commentò il mio migliore amico mentre digitavo sui tastini del telefono. Guardandolo negli occhi, capii che aveva ragione.
{ Spazio HarryJo. A Giulia, grazie per avermi fatto sapere TU del concerto, dopo che lui non si è degnato di rispondermi. Buon giorno mondo! Ecco il mio primo aggiornamento del 2011, sperando vi piaccia e che non vi abbia deluso! Più racconto questa storia più mi sembra incredibile tutto ciò ch'è successo, eppure non voglio raccontarvi nulla di meno di quel che è accaduto, ammettendo anche le mie debolezze e le mie colpe: il bacio avrei potuto risparmiarmelo, e invece... Grazie mille alle 29 persone che seguono la storia, le 11 che l'hanno inserita tra le preferite, le 4 che la ricordano ed infine quelle buone anime che recensiscono e che vanno sempre in crisi perché non sanno più per chi portare tra Cristian e Zeno. xD Spero di aver vostre notizie! Un bacio, buon 2011! E buona Epifania in anticipo xD Bacii, vostra Erica :)
Stavo
già decidendo cosa vestire quella sera, quando mi arrivò un messaggio.
Cesca, scusami, questa sera
al concerto non credo che riuscirò ad esserci, ti va se ci vediamo direttamente
domenica?
Ancora?
Un’altra volta? Ma perché quando io dovevo vedere Zeno per una cosa o per l’altra
andava tutto storto?
Ok. Nessun problema.
Domenica: quando e dove?
E
nemmeno si azzardava a rispondere a delle domande importanti, quello stupido del
mio ragazzo. Insomma, dopo due mesi che stavamo insieme, mi era concesso
detestare il fatto che mi desse buca così con un messaggio dell’ultimo minuto,
no?
Vero,
stavamo insieme da due mesi. E lui nemmeno si era azzardato a rispondere al mio
messaggio di auguri, o meglio, la sua risposta era stata un “ti voglio bene”.
Sì. Anch’io ti voglio bene. Ma potevi dire qualcos’altro.
Pretendevo
troppo. Pretendevo assolutamente troppo. Me lo continuavo a ripetere giorno e
notte che lui era un ragazzo di quasi diciotto anni, che aveva una vita
impegnata, che non dovevo assillarlo.
Quindi,
alla fine, era nuovamente colpa mia. Ovvio.
In
ogni caso, quando dissi a mio padre che Zeno non sarebbe andato al concerto,
lui mi disse che noi ci saremo andati lo stesso, perché aveva promesso a
Nicole, la sua nuova amica, che
saremmo andati.
Ora,
io a Nicole voglio un mondo di bene, ha due figli che adoro e che hanno anche
circa la mia età, è una donna fantastica e mi ha persino regalato una felpa
bellissima dipinta a mano con Harry Potter, che ha fatto lei personalmente, ma
la prospettiva di passare la serata sola con loro due mi faceva terribilmente
sentire a disagio. Quando, improvvisamente, arrivò un sms insperato.
Ce’, stasera hai da fare? Per
caso verresti ad un concerto con me? Ci sono tutti quelli di scout, ma ho
assolutamente bisogno di parlare con un’amica di una questione importante e ho
pensato a te.
Arianna.
Arianna
mi aveva appena salvato la vita. Le risposi che io sarei già andata comunque a
quel concerto e che quindi ci saremmo viste là.
Perfetto.
Almeno la serata non era stata buttata!
Dopo
essermi vestita alla bell’e meglio (ovvero, dopo aver preso dall’armadio una
maglietta a caso e un paio di jeans), io, mio padre e Nicole andammo a Ponte
della Priula, dove si sarebbe tenuto il concerto del (per me sconosciuto)
Alessandro Mannarino. Se qualcuno tra di voi lo conosce significa che è un
grande amante di cantautori italiani, e scommetto che uno dei vostri idoli è
Guccini. Per me non è così, sfortunatamente.
Scoprii
presto che metà della gente che c’era non aveva mai sentito una sua canzone e
che erano lì più che altro per la compagnia e per il significato simbolico del
concerto, fatto per ricordare le vittime degli incidenti stradali.
Quando
arrivò cominciai a raccontare ad Arianna del comportamento sempre più distante
di Zeno, e lei mi raccontò del suo piccolo problemuccio – che poi tanto piccolo
non era. Passò così la prima mezz’oretta.
Poi,
ad un certo punto, di fianco a me passò un ragazzo con una maglietta rossa, ma
non ci feci molto caso.
Il
mio cervello ci mise un bel po’ ad ingranare il fatto che quella maglietta non
mi era nuova, e quando mi ricordai dove l’avevo già vista, Arianna aveva già
aperto bocca.
“Zeno!”
Mi
voltai di scatto e lo vidi fermarsi davanti a me. Sorridendo.
Eh
no, non puoi sorridermi in quel modo e pretendere che non ti salti addosso dopo
25 giorni passati senza vederti! Fatto sta che lo abbracciai senza dire nulla e
rimasi così per secoli. O forse solo per qualche minuto.
“Ma
tu non dovevi non venire?” gli chiese subito Arianna sfidandolo con lo sguardo.
“Ho
detto che forse non venivo. Ma sono
qua. E poi non potevo lasciare Francesca in compagnia si questa brutta gente
qua”.
Non
dissi nulla. Non mi importava chiedergli spiegazioni, non m’importava la vocina
nella testa che continuava a ripetermi di chiedergli perché cavolo non mi aveva
avvisata che sarebbe venuto, no, non m’importava.
C’era.
C’era, ed era quello l’importante. Mi strinse la mano e mi lasciò un lieve
bacio sulle labbra.
Poi
mi disse: “Ti faccio conoscere i miei amici, ti va?”
Il
mio cuore non aveva mai battuto così forte in vita mia, ed ero davvero, davvero,
davvero felice di rivederlo.
Mi
era mancato. Moltissimo.
Poi
avrei voluto ucciderlo in realtà perché mi portò davanti a una decina di ragazzi
e ragazze più grandi di me, cominciò a presentarmeli nome per nome e poi se ne
andò a chiacchierare con un altro ragazzo poco più in là, tanto che io rimasi
da sola per una decina di minuti con delle persone che non sapevo neanche chi
fossero.
“Sei
la sorella di Zeno?” mi chiese una ragazza bionda, che mi pare di ricordare si
chiamasse Irene.
“No
no, per carità!” dissi. Ma non riuscii ad aggiungere altro, non riuscii a dire
che ero la sua ragazza, perché non sapevo se lui avrebbe voluto che lo dicessi.
Insomma, ero parecchio confusa.
Comunque
alla mia risposta tutti risero, e io speravo di aver fatto un’impressione
perlomeno mediocre, e quando poi tornò Zeno ne ebbi la conferma.
“Ehi,
sei talmente odioso come ragazzo che persino tua sorella si vergogna a dire che
è imparentata con te!” lo schernì Irene.
No,
aspetta, cos…? Ma che cavolo aveva capito?! Certo, bionda e carina, ma il
cervello dove lo aveva?
Zeno
guardò la mia faccia e si mise a ridere. Credo che l’espressione del mio volto
stesse dicendo qualcosa come “ti giuro, io non le ho mai detto niente di
simile, è lei che ha bevuto un po’ troppo o ha il cervello in letargo”.
Mi
strinse con un braccio il fianco e poi rispose con sei parole. Sei parole che
mi fecero veramente sciogliere nella sua stretta.
“Veramente
lei è la mia ragazza”.
Mi
guardò radioso ed io rimasi lì con il cuore che batteva furiosamente per uscire
dal mio petto e concatenarsi con il suo.
Un
coro di “Oooh, Zeno!” avvolse quell’informazione, seguito da alcuni “Te la sei
scelta bene!”, “Ma che carini che siete!”, “E’ davvero bella e simpatica!”.
Non
sentii più nulla dopo.
Mi
baciò lì davanti a tutti, e per me quello aveva un preciso significato.
Lo
strinsi forte a me, pensando solo ad una cosa.
A me ci teneva. Punto e
stop.
E,
io non lo sapevo, ma stavo per innamorarmi sul serio, della persona
sbagliata.
{ Spazio HarryJo.
A Nicole, grazie
di tutti i consigli che mi hai dato. E grazie di render felice papà.
Mondo di EFP, come vi butta?
A me così così. E’ un periodo un po’ nero, ma resisto.
Nero in tutti i sensi: stiamo lavorando nella casa. Che bello
schifo, abbiamo tutti i muri completamente NERI. E quindi dobbiamo grattar via
quel nero (che non so neanche esattamente che cosa sia… il residuo del fumo penso)
da ogni stanza. Pensate solo che qui nelle vacanze di Natale mi sono sempre
svegliata alle 6.30 per lavorare 8 ore. Per fortuna ora mancano solo due
stanze. Poi arrivano i pittori e si arrangiano loro. Spero che anche questo
incubo finisca presto.
In ogni caso, parlando di robe più allegre, ecco qui questo
capitolo, che mi son quasi commossa a scrivere. Quando ripenso a quella serata
mi vengono i brividi di freddo quasi e sorrido come un’ebete.
In un film (2046)
dicono che i ricordi sono sempre bagnati
dalle lacrime. Beh, ci credo.
Insomma, vi lascio ora, perché credo di starvi annoiando un po’.
UNA DOMANDA, IMPORTANTE:
Ho scritto – non so perché – una shot su me e Davide (che saremmo i
Francesca e Cristian di questa storia) che
racconta una cosa successa recentemente. Pensavo subito di pubblicarla all’inizio,
ma rivela spoiler sulla fine di questa storia. Quindi volevo chiedervi se vi
farebbe piacere leggerla subito, oppure se non vi interessa proprio, oppure se
preferireste aspettare la fine di questa storia. Fatemi sapere ;)
In ogni caso, ora vi saluto, ringraziando chi legge, le ventinove
persone che seguono questa storia (un numero enorme per me, non so per voi), le
dodici che l’hanno addirittura inserita tra i preferiti (che onore!) e le
quattro che la ricordano.
Nonché un ringraziamento speciale a chi recensisce.
Buon ritorno a scuola per chi ci è appena tornato!
Capitolo 21 *** Difficil creder che non sia dolor ***
20 – Difficil creder che non sia dolor
20 –
Difficil creder che non sia dolor
26 agosto 2010.
Un ragazzo biondo, poco più
piccolo di me, mi era venuto vicino, mentre ero sola ad aspettare che Zeno andasse a prendersi una birra.
“Allora tu sei la famosa
Francesca! Piacere,
sono Jacopo!” mi aveva detto porgendomi la mano.
“Ciao! Piacere mio” gli avevo risposto
educatamente.
“Sai, un sabato sera stavo
sentendo Zeno su msn, e mi
io gli ho scritto ‘che mi racconti?’ e lui ‘che oggi ho trovato la morosa!’ e
mi ha raccontato un po’ di te, era tipo verso fine giugno…” mi aveva detto.
“Ah sì? E cosa ti ha detto?” Il mio tono non
risultava affatto disinteressato, anzi.
“Che eri una bellissima
ragazza e che si sentiva in Paradiso, che leggi molto, che sei simpatica…
Insomma, ti ha elogiato per bene, e non aveva tutti i torti!”
Non feci tempo ad arrossire
che si avvicinò a me un altro ragazzo. Ci pensò Jacopo a presentarci.
“Lui è Matteo!”
“Ciao” gli tesi la mano e
mi sentii subito a disagio. Mi guardava in un modo alquanto strano.
“Sai che assomigli
terribilmente alla mia ragazza?” mi disse subito perforandomi gli occhi e
avvicinandosi pericolosamente al mio volto. “Ma i tuoi occhi sono più belli…”
Sentii subito una mano
poggiarsi sulla mia spalla. Zeno era tornato da me. Per fortuna.
“Lei è la mia ragazza”
disse a denti stretti verso Matteo, che provvide subito ad allontanarsi.
“Ah. E’ bellissima. E ha un buon profumo” gli
rispose ammiccando ai miei capelli.
Sentii la stretta sulla
spalla farsi più forte.
“Lo so”.
E questo è tutto ciò che
serve ricordare di quella serata. Per il resto, conobbi un sacco di gente,
anche persone con cui mi frequento ancora oggi, e il cantante non era male.
Zeno rimase con me tutto il tempo. Ed io ero completamente persa da lui.
Dannazione!
29 agosto 2010.
Era
domenica, e continuavo a rigirare sulla mano il cellulare, sovrappensiero.
Dopo quel concerto, come ormai era da copione, Zeno non aveva
più risposto ai miei messaggi.
Mai.
Nemmeno
la sera stessa, quando lo ringraziai per il concerto e per come mi aveva
trattata.
Che
cosa dovevo fare, non lo sapevo neppure io. Eppure il ricordo del discorso con
Jacopo mi confortava, mi teneva stretta a lui.
Quella
sera ci saremo rivisti. Finalmente, finalmente soli. E di nuovo a Susegana.
Così,
mi preparai alla bell’e meglio e mi diressi con il cuore che batteva come non
mai.
Per
me vedere Zeno era sempre una scoperta. Non sapevo
cosa aspettarmi, non sapevo a cosa stavo andando incontro, eppure mi sentivo
contenta. Contenta come non lo ero stata da tempo, da sempre.
Quella
sera camminammo mano nella mano un sacco, fino a raggiungere un prato lì
vicino e a distenderci vicini.
Parlammo
della musica che ascoltavamo, dei libri che adoravamo, dei luoghi che volevamo
visitare.
Lui
mi raccontò anche dei suoi campi scout, e scoprii così che il cellulare l’aveva
usato eccome mentre era via. Se lo lasciò sfuggire, ed io cercai di reprimere
la smorfia di delusione. Credo anche di esserci riuscita, perché non accennò
nulla al fatto che noi due non c’eravamo mai sentiti.
Comunque,
era sera tardi. E c’erano le stelle che coprivano il manto blu sopra la nostra
testa.
Uno
spettacolo bellissimo, e per me, che sono una dannatissima romantica, era ancora più bello.
“Ti
voglio bene” mi sussurrò, mentre arrossivo leggermente sentendo il suo respiro
battere contro il mio volto. Ed era così vicino…
“Anche
io ti voglio bene” risposi.
Successe
tutto in un lampo: alzai gli occhi al cielo e vidi una stella cadente. No, non
una qualsiasi, la mia prima stella
cadente!
“Zeno, guarda!” gliela indicai eccitata e poi chiusi gli
occhi esprimendo un forte desiderio.
Vorrei, vorrei… Vorrei
passare il mio compleanno in compagnia di…
Credo fu in quel momento che mi balenò in testa Cristian, ma fu solo un piccolo
lampo. Dentro di me avevo finito la frase con …Zeno. E quello era il mio desiderio.
Quando
aprii gli occhi mi voltai verso Zeno e vidi che mi
stava osservando divertito.
“Che c’è?”
“Sei
buffa” rispose, accarezzandomi il volto.
“E’ la mia prima stella cadente, posso essere elettrizzata?” Solo dicendolo ad
alta voce mi resi conto di quanto risuonava patetico.
“E
cos’hai desiderato?” chiese.
“Non
posso dirlo” mi limitai a zittirlo.
“Io non ho desiderato nulla. Tutto quello che voglio è qui”.
Furono
quelle le sue ultime parole.
Furono
quelle che mi spinsero a lasciarmi andare.
Furono
quelle le parole che mi disse quando iniziò a baciarmi.
Venni
soffocata dal suo peso poco dopo, senza quasi neanche rendermene conto.
Mi
teneva sotto di lui, contro l’erba umida, e non mi lasciava respirare.
Quando realizzai del tutto che era sopra di me, quando sentii che mi
desiderava, quando capii di non voler niente di tutto quel che stava accadendo
(specialmente considerando il fatto che eravamo all’aperto, in un posto dove
avrebbe potuto passare chiunque) con un astuto gesto mi scostai, sorridendo
sempre, ma con il cuore che batteva a mille.
Lui non sembrava esserci rimasto male, ma io non riuscivo a darmi pace dopo
quel che era successo.
Non
parlai quasi più per tutta la sera, troppo sovrappensiero.
{ Spazio HarryJo.
A Jacopo, grazie
di avermi fatto capire che comunque all’inizio Zeno mi voleva
davvero bene.
Ragazzi, forse il finale avrei dovuto descriverlo un po’ meglio, ma
non avevo voglia, e il ricordo di quella sera mi…
Uccide. Cioè, per me non era stato per nulla semplice. Nulla.
Voglio ringraziare coloro che mi fanno sempre i complimenti con le
recensioni, e anche chi solo segue la serie in silenzio.
E anche per le 31 persone che la seguono, le 12 che l’hanno messa
tra i preferiti e le 4 tra le ricordate, un grazie dal
profondo del cuore.
Spero di sapere che ne pensate di questa schifez…
Ehm… Capitolo!
Alla prossima, un bacio
Erica.
P.S. La one shot
di cui vi parlavo ho deciso che la pubblicherò a storia finita. Ormai manca
poco ^^
Capitolo 22 *** Or che separati vi siete, amari. ***
21 – Or che separati vi siete, amari
21
– Or che separati vi siete, amari.
30 agosto 2010.
“Papà,
ti posso fare una domanda?” Le parole mi sfuggirono di bocca prima che potessi
anche solo pensare se fosse il caso oppure no.
“Dimmi”
mi rispose, mentre mandava un ultimo messaggio a Nicole.
Rimasi
in silenzio per un bel pezzo, cercando le parole giuste.
Avevo
bisogno di sapere in anticipo una cosa, non volevo esser presa alla sprovvista,
volevo… Volevo esser rassicurata.
“Se una persona ha una sensazione riguardo ad una cosa… Bisogna
ascoltare quella sensazione? Cioè… Non può essere che sia
sbagliata?” Non riuscii a spiegarmi meglio, le parole mi morirono in gola così.
Mio
padre mi guardò negli occhi a lungo, più di quanto dovesse, finché non riuscii
più ad affrontare i suoi occhi ed abbassai il volto, arrossendo e sentendo gli
occhi inumidirsi. Ci misi solo qualche secondo per far sparire l’acqua che
prepotente batteva contro le palpebre, e mi obbligai a cercare gli occhi di mio
padre.
“Cesca,
le sensazioni sono giuste il 99% delle volte. Se avessi ascoltato la vocina che
mi continuava a dire di diffidare di tua madre…”
“Probabilmente
ora non saremmo vittime di un incendio e vivremmo felici e contenti, sì, lo so”
conclusi rapida io prima che cominciasse a parlarmi
dei suoi rimpianti.
Quindi,
come avevo pensato, Zeno mi stava usando? Era questo
che voleva dirmi mio padre?
No,
non era affatto giusto, cavolo, non poteva essere così! Lui… Lui mi voleva bene…
Lui
diceva di volermi bene, pensai poi.
“Vado
a letto” dissi.
“Sono
le nove!” guardò l’orario sdegnato.
“Sì
lo so, ma domani esco con Cristian a sagra a Breda,
ricordi? Vorrei essere sveglia, ho un po’ di sonno arretrato”
mi inventai sul momento.
“Ah
sì, giusto… Ma perché vedi Cri?”
“Lo
devo salutare, dopodomani parte e va in Toscana per il corso di musica che deve
fare con la sua insegnante per entrare al conservatorio” risposi, gelida. Ero
sempre stata gelosa dell’adorazione speciale che Cristian riservava alla sua
insegnante, e sapere che avrebbero passato una settimana insieme nello stesso
appartamento mi faceva davvero arrabbiare.
“Ok ok, buonanotte” mi disse
dandomi un bacino sulla fronte.
“Notte”
mormorai, triste.
“Andrà
tutto bene” cercò di rassicurarmi, ma non capii cosa volesse dire.
Sarebbe
andato tutto bene con la casa?
Sarebbe
andato tutto bene con Zeno?
Sarebbe
andato tutto bene con Cristian?
Alzai
le spalle, e mi diressi in camera. Una volta lì, chiamai il mio migliore amico.
“Ciao
Ce’!” mi salutò fin troppo entusiasta.
“Ehi”.
“Mamma
mia, che entusiasmo. Successo qualcosa?”
“Zeno è un idiota” sintetizzai con efficacia.
“Non
ti dirò te l’avevo detto, ma sappi
che l’ho pensato. Andrà tutto bene”.
Sorrisi.
“Ci vediamo domani sera allora?” chiesi.
“Beh,
ecco… Vedi… Il punto è che…”
“Non
puoi venire?!” esclamai ad un tono di voce altissimo.
“Ma
sì che posso, scema! Ti manco così
tanto?” mi stuzzicò.
“Troppo”
mi limitai a dire.
“Un bacino cara, ti devo salutare perché mio padre mi guarda
male. Ciao bellissima” e con queste parole si chiuse la
telefonata.
Ero
tornata un attimo a sorridere, grazie alle sue parole. Il suo tono di voce, il
fatto che scherzava, e sentirmi dire che Zeno era un idiota
probabilmente lo aveva anche un po’ rincuorato e reso più allegro.
Guardando
il cellulare, vidi che nel frattempo era arrivato un messaggio, e lo aprii
curiosa di vedere chi fosse e perché.
Oh,
Zeno aveva rivisto il mio numero in rubrica,
finalmente!
Ehi, ciao. So che domani
c’è sagra a Breda. Vengo con un amico, ci vediamo lì piccola, voglio passare
tutta la serata con te. Ti voglio bene :)
Io…
Cristian… Zeno… Insieme?!
Cristian
l’avrebbe fatto a pezzi!
“E
adesso che cavolo faccio?!?” mugugnai prima di
soffocare il volto nel cuscino.
{ Spazio HarryJo.
A Valentina,
quella serata è stata memorabile, non la dimenticherò mai!
Carissimi ragazzi di EFP, eccomi qui con un nuovo capitolo.
Non so come mi sia venuto, in realtà credo di aver passato gli
ultimi giorni a dirmi che non volevo più scrivere nulla di questa storia e che
avrei stracciato ogni cosa nel cestino. Forse perché si avvicina la disastrosa
fine. O forse solo perché mi girava così.
Fatto sta che ieri sera ho ricevuto una chiamata di Zeno e così mi son convinta di scrivere questo capitolo.
Siete curiosi di sapere cosa mi ha detto? Beh, non pensate chissà che, voleva
solo sapere qual era l’autobus che portava alla mia scuola perché doveva
assistere ad una conferenza oggi da me. Ed io sono a casa ammalata, muahahahxD
Meglio così, fidatevi, l’ultima volta che l’ho visto in stazione è
andata a finire che gli ho tirato tanti di quei calci sugli stinchi che non
potete immaginare (sì, ne sono orgogliosa :D)
Vi lascio ora, spero che vi piaccia questo capitolo.
Devo proprio dirlo, all’inizio nessuno recensiva, e la seguivano in
pochi, ma ora sono davvero soddisfatta nel vedere che le recensioni sono
aumentate, i seguiti sono arrivati a 32, i preferiti a 16 e quelli che hanno
inserito la storia nelle ricordate sono ben 5.
Se arrivo ai 100 commenti nel corso della storia festeggio! ;) (e dopo questa affermazione nessuno recensisse mai più…)
Deglutii. Deglutii sonoramente quando arrivai in terribile ritardo e lo vidi lì.
Era vestito con una camicia nera, i ricci biondi gli ricadevano distrattamente su un occhio - gli stessi ricci che io amavo accarezzare - e la visione era sublime.
"Scusa l'ora, ma non chiamarmi Cesca" lo rimbeccai cercando di normalizzare il tono della mia voce.
"Scusa, Cesca" mi rispose, come sempre, dandomi un bacio sulla guancia.
"Ma sempre la stessa scena, voi?".
Luna era a dir poco stizzita nel vedere che ancora si portava avanti questa discussione sul mio soprannome.
"Finché questo deficiente non capisce che non mi deve chiamare così!" risposi tirando una gomitata al ragazzo che avevo di fianco, il quale mi cinse la vita sussurrando: "Dai, Cesca". Il suo respiro batteva contro la mia guancia, caldo.
Ed arrossii, sentendomi così bene tra le sue braccia.
"Cristian" sospirai.
"Francesca, dobbiamo parlare".
Così, secco, se ne venne fuori. Da un abbraccio in cui mi stavo abbandonando, quella frase così fredda.
Alzai le spalle, e facendo un cenno a Luna, ci spostammo.
La gente confluiva nelle strade, ed io mi ero quasi completamente dimenticata che anche un altro ragazzo serebbe venuto lì per me, quella sera.
"Tu non mi ami?" fu questa la sua domanda una volta lontano da orecchie indiscrete. Semplice, diretta, solo un sì o un no dovevo rispondere.
Ma cosa gli dicevo?
Non sapevo nemmeno io cosa provavo, e quel suo continuo mettermi sotto pressione mi creava ancor più confusione. Ma non potevo mentire a me stessa; Cristian non mi era mai stato indifferente, nemmeno per un secondo.
"Io..."
Eppure, stavo con Zeno. Mi ero lasciata andare ad un sentimento improvviso per lui, perché sembrava essere così reale e perfetto, e mi aveva conquistata con uno sguardo. Non avevo subito tira e molla da parte sua, nessun litigio, solo qualche malinteso. Perché stavo con Zeno se amavo Cristian?
"Credo che..."
In quel momento non avrei mai saputo rispondere. Subito dopo l'incendio era stato Zeno a rendermi felice, per la prima volta. Cristian era arrivato dopo, anche se c'era sempre stato.
"Penso..."
Diglielo, Francesca, digli tutto, digli quanto lo ami.
Maledetta coscienza!
"No, non rispondere, è meglio che tu non risponda" m'interruppe prima che potessi tirar fuori qualcosa di sensato dalla mia bocca.
Sorpresa, vidi il suo sguardo fisso nel mio, e ad un tratto tutto il resto del mondo scomparve.
"Voglio che tu sia felice, e tu hai Zeno, con lui sei contenta, quindi non permetterei mai che vi lasciaste" disse sostenendo lo sguardo.
"Potrei essere felice anche con te, forse di più" mormorai di getto, senza nemmeno pensarci, ed arrossii violentemente. Quindi, era quello che volevo?
Volevo lui?
In quel momento i genitori di Cristian tempestivamente lo chiamarono, dicendogli che doveva andar via con loro per non so quale motivo. Rimasi a rimurginare un po' mentre lo vedevo al cellulare, e cominciai a torturare un braccialetto che portavo al polso.
Il nostro braccialetto dell'amicizia.
"Francesca, ascoltami, non ho molto tempo" mi disse chiudendo la telefonata. "Io non so se ti amo. Cioè, sì, secondo me ti amo, ma ho paura, le cose a quest'età non durano, e tu sei troppo importante per essere di passaggio. Anche se mi amassi, non ti chiederei di stare con me, né lo vorrei, non oggi, non adesso. Se un giorno tra di noi cambierà in meglio, sarà solo quando sarò sicuro di amarti, di sposarti, di volerti per sempre al mio fianco".
Ero sconvolta. Mi zittì con quelle bellissime parole, un po' sofferte, ma comunque bellissime.
"E poi, ti immagini i nostri figli? Sarebbero bellissimi, come lo sei tu. Con i tuoi stupendi occhi azzurri e i miei ricci che tu ami tanto".
Se ne andò con quelle parole, lasciandomi lì, interdetta, ma non prima di aver sfiorato le sue labbra con le mie per un secondo.
Passai il resto della sagra a ripensarci, a sfiorarmi col dito la bocca, a ripetermi le sue dolci parole, e aspettando che arrivasse il mio ragazzo, perché volevo capirci qualcosa.
Ma Zeno quella sera non si fece vedere e nemmeno avvisò che non ci sarebbe stato.
{ Spazio HarryJo.
Mi scuso per il ritardo!
Come state? Ve la passate bene?
Devo ringraziare ognuno di voi, che legge, segue, recensisce, ride, piange :)
Per me è davvero importante.
Fatemi sapere che pensate del comportamento di questi due tipi!
Io ora devo assolutamente scappare, ma aggiorno presto, promesso!
23 –
Tutt’or mi chiedo cos’andò storto. Oh, gioia!
1 settembre
2010.
“Auguri
papà!”
Mi
svegliai di buon’ora quel giorno. In effetti non è che
avessi dormito poi molto, troppi pensieri per la testa, ma volevo passare la
giornata in compagnia di mio padre. Lo volevo eccome, era il suo compleanno!
Il
mio caro vecchio babbo. Senza di lui non sarei stata capace probabilmente di
superare tutto quanto in quel modo, di andare avanti nonostante la separazione,
nonostante il peso che era gravato su di noi.
Credo
quindi fosse normale che l’unica cosa a cui pensavo fosse quella di trascorrere
la giornata con lui, e festeggiare, e ridere, e scherzare.
Solo,
non avevo previsto che lui non lo volesse quanto me.
“Francesca,
esco con Nicoletta oggi, tu resta a casa a studiare, ok?”
Furono
queste le sue parole.
Ok,
dovevo studiare. Avevo due esamucci da fare, latino e scienze da recuperare, il 3 e il
4 settembre.
Per
carità, non volevo mica evitare i libri! Solo, volevo stare con lui.
E ci rimasi molto male.
Solo
poi capii che non l’aveva fatto apposta, e che lui e Nicoletta erano in crisi,
quindi per loro era un’occasione per salvare tutto.
Ma
in quel momento, l’unica cosa che fui capace di fare fu aprire facebook
Aprire
facebook e condividere furiosa le parole che avrebbero rovinato tutto.
Tu pensi di passare con una
persona una giornata, te la immagini, ci speri, e poi? Poi lei rovina tutti i
tuoi piani. Illusa.
Insomma,
avete capito, vero?
Poteva
essere ambigua la frase.
E
lo fu.
Io
lo scrissi senza pensare, chiusi tutto e me ne fregai altamente di quello che
la gente poteva supporre significasse.
Credo
sia da allora che non scrivo più nulla su facebook senza pensarci almeno una
quindicina di volte.
Mio
padre andò a Padova con Nicoletta, mentre io rimasi a ripassare le regole del cum narrativo in latino e i tremendi nomi che costituivano
le lunghe e complesse fasi della glicolisi.
Mangiai
contro voglia una pizza quella sera, e mi coricai quasi subito a letto ad
ascoltare musica.
Mentre
vagavo con la mente su cosa avrei fatto una volta che mi avessero bocciata (non
contavo infatti di superare gli esami, non mi sentivo
affatto pronta) mi arrivò un messaggio da Zeno.
Quand’è che ci troviamo
noi? Che dobbiamo parlare.
Quando
lo lessi rimasi di stucco, e non riuscii a collegare subito le cose. “Mi vuole
mollare” avevo sospirato ad alta voce con gli occhi che cominciavano lentamente
ad inumidirsi, mentre rispondevo.
Ehi, sabato va bene? Prima
ho gli esami… Ma c’è qualche problema?
Non
dovetti attendere tanto per la risposta, anzi, proprio qualche secondo di
numero. Non era mai stato così veloce a mandare messaggi, da quel che potevo
ricordare, ed il mio cuore non era mai stato così in ansia, nemmeno durante le
peggiori interrogazioni di latino.
Qualche problema?! Beh, credo proprio che qualche problema ci deve essere a
giudicare da quello che scrivi su facebook. Sabato, tre, puntuale,
in piazza a Susegana.
Ok, stava dando di matto quel ragazzo? Aprii facebook all’istante,
e la prima cosa che comparve dal mio profilo fu proprio quello stato.
Insomma, era ambiguo, l’avevo già detto, no?
Dopotutto
la sera prima non si era presentato alla sagra, e quindi avrei potuto riferirmi
benissimo a lui.
Deglutii
sonoramente e gli scrissi un messaggio enorme che spiegava tutto il malinteso,
proponendogli anche di chiamarlo, ma rifiutò.
Rispose
semplicemente: Ci vediamo sabato,
Francesca.
Passai
i giorni seguenti a maledirmi in tutti i modi possibili ed immaginabili, feci
gli esami con il pensiero di Zeno che continuava a
farsi vivo prepotentemente dentro di me e lui mi scrisse entrambi i giorni per
sapere com’era andata, ma appena finivo di raccontare
non rispondeva più.
Arrivò
sabato.
E
quando scesi davanti alla biblioteca di Susegana,
avevo le lacrime agli occhi.
C’era
un cartello davanti a me, e Zeno doveva ancora arrivare.
Lo lessi e rilessi all’infinito.
“Si
prega di fare silenzio”.
Ma
come può fare silenzio un cuore che sta per essere spezzato?
{ Spazio HarryJo
A Penny, perché
sono super felice di averti conosciuta proprio in quei giorni. <3
Ehilà, scusate scusatescusate il ritardo.
Allora, so che siete tutti grandi fan di Cristian, e so di non avervelo
nominato.
È semplice il motivo: lui in quei giorni era in Toscana per un
corso di musica per entrare al conservatorio, ed io non l’ho quasi mai sentito.
Ed ero molto preoccupata per Zeno, anche se
forse non l’avreste mai detto.
Sapete, oggi ho incontrato appunto Zeno in
stazione… Volete sapere cos’è successo?
Beh, aspetterete, ci sarebbero troppi spoiler sul finale.
Mi avete chiesto quanti capitoli mancano.
Due, tre, massimo quattro – ma non credo.
Bene, grazie mille a tutti.
Sono arrivata a 106 recensioni con lo scorso capitolo e il mio cuore alla
centesima scoppiava di gioia!
A presto ragazzi <3
Vi voglio bene, grazie per seguirmi e per non esservi ancora
stufati.
Capitolo 25 *** Finì così, in quel d'estate termine. ***
24 – Finì così, in quel d’estate termine
24 –
Finì così, in quel d’estate termine.
4
settembre 2010.
Sapete quando deve accadere una cosa che non vi
piace per niente e allora fate di tutto pur di rimandarla? Ogni scusa è buona,
basta che non capiti in quel momento.
Io feci proprio così.
Sapevo, o meglio, temevo di sapere quello che
voleva dirmi Zeno quel giorno, e non volevo.
In quel momento credo di averlo amato. Solo in quel
giorno, quando continuavo a parlargli di cose che non c’entravano niente.
Quando era arrivato mi aveva abbracciato
leggermente, e c’eravamo seduti su una panchina davanti alla biblioteca, senza
prenderci per mano, senza nulla.
Era evidente che sarebbe finita solo da quello: le
altre volte c’era un abbraccio, un bacio lunghissimo, ci sfioravamo le mani, le
stringevamo, sorridevamo guardandoci negli occhi e ce ne andavamo in giro a
camminare.
Quel giorno, niente di tutto ciò ci fu.
Ed io parlai per quarantacinque minuti abbondanti
dei miei esami di riparazione.
La cosa più triste è che, davvero, non erano stati
interessanti, e non c’era nulla da raccontare.
Io invece gli dissi anche quante volte ero andata
in bagno aspettando il mio turno per l’interrogazione di latino.
Tre volte.
Lui mi ascoltava mite.
Parlava a mala pena.
E quando terminai il mio racconto, sapevo che non c’erano
più scappatoie, mi zittii all’improvviso.
E lo lasciai parlare.
“Francesca, per quanto riguarda quello che hai
scritto su facebook…”.
Lo interruppi subito.
“No, senti, sul serio, ti ho spiegato, quella frase
era rivolta a mio padre. Non a te, perché… Un po’ mi aspettavo già che tu non
saresti venuto” gli dissi arrossendo e abbracciando con gli occhi il pavimento.
“Non è questo il punto”.
Le cinque parole più brutte del mondo, credo.
Rabbrividii, ma non aprii bocca.
Volevo che finisse.
Che si muovesse a parlare, così potevo andarmene.
Volevo piangere. Ma io non so piangere.
“Da quanto tempo stiamo insieme? Due mesi?”
“Settanta giorni esatti oggi” dissi, e mi tradii
con quelle parole, infatti lui mi guardò stupito.
“Ho tenuto il conto” dissi con un mezzo sorriso,
prima di venir inondata dalle lacrime, che si incastrarono tra le palpebre, ma non
scesero.
“Io non provo per te ciò che dovrei provare per una
ragazza dopo esserci stata insieme per due mesi” disse fissando il pavimento.
Gli dispiaceva. Sentivo che gli dispiaceva.
“Cosa ne pensi? Per te… Come sono le cose?” mi
chiese e l’avrei ucciso per quella domanda.
“Per me è un po’ diverso, sennò non sarei qui, ti
pare?” gli domandai con voce spezzata.
“Non ti ho mai amato, se è questo che vuoi sapere.
Mai, se non ora, in questo preciso istante”.
Certe parole facevo meglio a tenerle per me.
Ma quello era il mio unico momento disponibile.
O allora, o mai più. Per quello le dissi, per
quello scelsi di zittirlo per un po’.
“Ascolta, Francesca, da quanto ci conoscevamo
quando ci siamo messi insieme? Cinque giorni?” mi disse dopo minuti, ore,
giorni… O forse solo qualche secondo.
“Sette” risposi flebilmente.
Io stessa ero flebile, non solo le mie parole.
“Ecco, appunto, mi dispiace, ma ci siamo messi
insieme troppo presto. Praticamente non ci conoscevamo”.
Erano così vere le sue parole.
Non avevo da ribattere.
“Francesca… Non è che non mi piaci, anzi, mi piaci
molto, ma…”.
“Ma non mi ami” conclusi al posto suo.
Ferma, decisa, senza piangere.
Ecco com’ero.
Eppure mi faceva male.
“Eri la mia prima ragazza, non mi era mai
interessata nessuna prima di te” mi disse.
Ma allora si divertiva a farmi male!
A quella sua affermazione avrei tanto voluto
rispondere qualcosa come “Ma se sono la tua prima ragazza, come fai a sapere
che dovresti provare qualcosa di più per me, visto che non hai termini di
paragone?” ma non aprii bocca.
“Tu il quinto” mi limitai a dire.
Silenzio.
O forse era gay.
Dovetti trattenermi a forza dal ridere quando mi
passò per la mente quel pensiero.
Assurdo come quando sei in un momento così doloroso
cerchi sempre e solo di scappare con qualche risata, come se fosse tutto uno
scherzo.
“Devo solo ringraziarti” gli ho detto, e lui mi ha
subito interrotto dicendo: “No, ti prego”.
Temeva fosse uno di quei cliché del tipo grazie perché insieme a te ho trascorso dei
bei momenti.
Ma io non volevo dire quello, quindi continuai.
“Grazie perché dopo l’incendio sei stato tu che mi
hai fatto sorridere. Grazie perché la mia estate sarebbe stata solo di puro
lavoro e sofferenza senza di te. Grazie perché mi hai anche ridato un po’ di
fiducia in me stessa. Anche se non ci crederai, ti ho voluto bene, tanto”.
Scoppiai a piangere con quelle parole.
E non perché mi stava lasciando, ma perché avevo
bisogno di esprimere tutta quella sofferenza che mi portavo dentro dall’incendio.
Perché non potete immaginare quanto faccia male non
avere una casa.
Mi accarezzò i capelli.
Mi lasciò parlare e raccontargli quello che nessuno
aveva ascoltato.
I miei sentimenti, le mie sofferenze, i problemi
familiari dovuti alla separazione.
L’incendio.
Mi disse di non piangere. O meglio, disse
esattamente: “Non piangere ora, eh! Come dicono i BandaBardò in una loro
canzone: sempre allegri bisogna stare che
il nostro piangere fa male al re, fa male al ricco e al cardinale, diventan
tristi se noi piangiam.”.
Mi chiese un ultimo bacio.
Glielo diedi.
Mi disse che avrebbe voluto rivedermi, acconsentii
scettica.
E se ne andò via.
Io rimasi una mezz’oretta da sola, prima di
chiamare mio padre.
Poi dissi addio a quel posto, perché che non ci
sarei più tornata già lo sapevo.
{ Spazio HarryJo.
A
Noi. Quel Noi che poco è durato. Ma di male ne ha fatto tanto, a me.
Carissimi.
Come potevate immaginare Zeno ha
lasciato Francesca.
Non sono sicura di averlo fatto capire:
Zeno ha detto a Francesca che voleva rivederla e riuscire con lei come amica,
nonostante tutto.
Ma come si intuisce dall’ultima frase,
non sono più usciti insieme.
Francesca glielo ha anche proposto, lui
ha acconsentito, ma poi non si è presentato.
Ma questo ve lo spiego finita la storia.
Sì, perché comunque qui non è finita.
Cristian è ancora in giro.
E Francesca non sa ancora bene quanto
male sta.
Lo si capirà dal prossimo capitolo.
Scusatemi la lunghezza, ma ci tenevo a
scrivere meglio che potevo questo fatto.
Capitolo 26 *** Le parole usate e logore non esprimevan in parte il male. ***
25
25.
Le parole usate e logore non esprimevan in parte il male.
04
settembre 2010.
“Ti ha lasciata?”
“Parti”.
Fu la prima parola che dissi, l’unica durante il
viaggio di ritorno a casa per essere precisi.
Non sapevo come mi sentivo.
O meglio, non mi sentivo affatto. Non mi sentivo
più io, volevo solo star tranquilla, pensare, capire.
Non riuscivo ancora a connettere bene, anzi, non
riuscivo a connettere affatto tutto quello che era successo.
Mi aveva lasciata. Ok. Nessun problema. Tanto, che
me ne importava? Rispondeva sì e no a un messaggio su cinque. Mi dava buca. C’era
e non c’era.
Che differenza faceva allora stare insieme o no? Il
fatto che non lo potevo baciare?
Beh, non sarei mica morta per questo!
E allora perché le lacrime continuavano ad ornare
gli occhi?
“Vado a farmi la doccia” dissi appena entrata in
appartamento.
E così feci: mi buttai sotto il getto d’acqua calda
bollente, e restai un quarto d’ora buono così.
Due parole continuavano a risuonare prepotenti
nella mia testa.
Due semplici parole, che non sembravano poi così
malvagie.
Sto bene. Sto
bene. Sto bene.
Quando uscii dalla doccia, e mi guardai allo
specchio, me lo dissi anche ad alta voce.
“Sto bene”.
Fu allora che scoppiai a piangere, silenziosamente.
Le lacrime si erano – finalmente – decise a
scendere, e a liberarmi almeno un po’.
Mi sedetti contro il termosifone attendendo di calmarmi,
quando il telefono cominciò a vibrare.
Cristian.
“Pr-Pronto?” dissi cercando di parer normale.
“Francesca, ciao. Scusami se non mi sono fatto più
sentire, ma sono sempre impegnato”.
Sospirai forte, per cercare di calmarmi, invano.
“Mi ha lasciata” dissi d’un tratto.
“Come?” chiese Cristian.
“Mi ha lasciata” ripetei, e dentro di me si sentiva
l’eco di quelle tre parole.
Mi ha
lasciata.
“Mi dispiace, ma te l’avevo detto che non sarebbe
durata” rispose.
“Tr-tranquillo”.
“Ce’, appena torno ti racconto come sono qui le
cose, sul serio, è fantastico. Suoniamo tutto il giorno, Cecilia ed Alessandro
sono davvero bravi. E poi ho conosciuto un sacco di persone! Soprattutto c’è
una ragazza, si chiama Sara, è bellissima, non faccio altro che pensare a lei…”
Com’è che era iniziato tutto?
Ah sì, con Cristian che mi telefonava e mi diceva
che gli piaceva una creta Giorgia.
E com’è che tutto è finito?
Con Cristian che mi chiamava e mi diceva che gli
piaceva una certa Sara.
Me ne parlò un bel po’ al telefono, ma non lo
ascoltavo, captavo qua e in là qualche parola, non parlavo.
Pensavo solo che rivolevo Zeno.
E le lacrime non smisero di fermarsi, mai.
Poi un pensiero mi passò per la testa: Cristian
aveva detto di amarmi durante tutto quel tempo.
Ed ora gli era passata così, di nuovo, con una
ragazza che aveva conosciuto cinque giorni prima.
A lui importava di me solo quando non ero più
libera.
Quando sapeva che non ero di proprietà di nessuno,
mi lasciava andare.
Se invece cominciavo a provare qualcosa per un
altro ragazzo, eccolo lì che rivendicava il suo diritto.
Gli sbattei il telefono in faccia: se era così
poteva benissimo tornarsene dalla sua Sara.
Mi chiusi in camera e non uscii per due giorni.
Cristian mi chiamò… Non risposi… Mi mandò messaggi…
A cui non risposi…
Il giorno dopo cominciò a tornare tutto come prima.
L’estate era finita, avevo superato gli esami, sarebbe ricominciata scuola,
avevo di nuovo un migliore amico e non un ragazzo innamorato di me.
E a me in quei giorni mancava solo una persona, che
non pensavo mi sarebbe potuta mancare così tanto.
La cercai a lungo. Cercai anche di contattarlo,
vederlo nei modi più impensati, di incontrarlo “per caso” (mai perse tante
corriere come quei primi giorni di scuola), passavano gli autobus e vi leggevo
il suo nome, nei treni, nelle strade, persino in un libro che lessi e rilessi
all’infinito.
Eh sì, mi mancava.
E la cosa più assurda è che non credo di averlo mai
avuto.
Zeno.
{ Spazio HarryJo.
A Martina, ti ho
sempre detto che Zeno è il ragazzo più intelligente del mondo. Almeno lui ha
avuto il coraggio di lasciarmi. E non mi ha presa in giro.
Lo so, lo so.
Cristian è un cretino.
Zeno è un cretino.
Francesca è una cretina.
La storia è assolutamente una scenetta di Beautiful.
Eppure andò proprio così.
Un appunto: alla fine parlo di leggere il suo nome negli autobus,
nei treni, nelle vie e in un libro. Sì, perché qui da me esiste un paese
chiamato “San Zeno” e ci passa l’autobus n°7. Il libro è, ovviamente, “La
coscienza di Zeno”.
Ora, questo è l’ultimo capitolo.
La prossima settimana pubblico sempre qui un capitolo extra che
spiega come sono le cose ora.
Poi se vi interessa c’è sempre quella shot su me e Davide (Francesca
e Cristian).
E poi… Beh, poi è finita.
Per ora, grazie mille per avermi seguito.
Ma vi ringrazierò meglio nell’extra.
Se volete farmi sapere che cosa avete pensato di tutta la storia,
lasciate pure una recensione, a me fa piacere.
Per domande/chiarimenti sono sempre qui.
Francesca abita ancora a Barbisano, ma lavora quasi ogni momento libero
sulla sua casa
Extra:
In cuor di lei.
Da allora fino
ad oggi.
Francesca
abita ancora a Barbisano, ma lavora quasi ogni momento libero sulla sua casa. È
soddisfatta di ciò che gli procura la fatica.
Francesca
è andata a fare un’udienza col giudice il 10 novembre, e, come da lei
richiesto, è stata affidata interamente al padre.
Francesca
e sua madre si parlano a mala pena. Ma a Francesca va bene così, le ha fatto
troppo male.
Francesca
è single. Felicemente? Non lo sa.
Francesca
non era mai stata lasciata prima.
Francesca
dieci giorni dopo esser stata lasciata è andata a trovare Zeno
a scuola, e lui l’ha salutata dicendo: “Sei venuta a rompere i
coglioni?”
Ma
Francesca ha un orgoglio e ha risposto: “Perché, ce li hai?”
Francesca
ha baciato Cristian ancora due volte.
Una
ai primi di ottobre (che lui ha definito incidente),
una il 20 dicembre.
Francesca
ha compiuto sedici anni il 20 dicembre.
E
non ha passato il compleanno con Zeno, come desiderato, ma con Cristian,
appunto.
Francesca
ha sempre saputo di essere innamorata di Cristian, ma l’orgoglio le impediva –
le impedisce tuttora – di ammetterlo fino in fondo.
Francesca
ha sofferto tantissimo.
Francesca
dice a tutti che Zeno è il ragazzo migliore che lei abbia mai conosciuto.
Perché le ha fatto ricordare cos’era la felicità nel momento più buio che
l’aveva mai attraversata.
Francesca
non ha paura del fuoco, ma del dolore che esso le ha procurato.
Francesca
quando chiude gli occhi sogna ancora quei momenti.
Francesca
quando è triste ascolta “Sempre allegri” dei BandaBardò e si convince sempre di
più che Zeno ascolta della musica orribile.
Francesca
e l’amore non si vedono da un po’. Hanno fatto un test e hanno scoperto di
essere allergici l’uno all’altra. Pazienza.
Francesca
ha fatto colpo su diversi ragazzi, ma Cristian le ha
sempre impedito di conoscerli meglio con le sue scenate di gelosia.
Cristian ha una ragazza.
Zeno?
Non si sa.
Francesca
e Zeno si sentono spesso, e quando si vedono si salutano con due baci sulla
guancia e un abbraccio. A lei batte ancora forte il cuore quando succede, ma
sono più che altro i ricordi che lo fanno battere, più che delle vere emozioni.
Francesca
sta migliorando a scuola. O almeno, ci sta provando.
Francesca
in piena notte si sveglia. Ha sempre sofferto d’insonnia, ed ora quando si
sveglia pensa che rivorrebbe la sua casa.
Francesca
ha ancora tanti sogni nel cassetto. L’amore è uno di quelli, ma per ora porta
ancora il nome sofferto di Cristian. Non si perdonerà mai di essersene
innamorata.
Francesca
diventerà a breve una scrittrice, seppur piccola, nella sua regione. A
settembre pubblica un libro.
Francesca
sta ancora cercando di imparare a piangere.
Francesca
vorrebbe tanto svuotarsi. Non lo fa mai. È convinta di essere un peso. Forse lo
è veramente.
Francesca
un giorno, il 5 ottobre, pensando a Zeno, ha aperto un
documento word e ha digitato le seguenti parole: “Oggi mi sono detta che la vita ha sostanzialmente tre tempi verbali: il
passato, il presente ed il futuro. E a te appartiene solo il primo. Così ho
raccolto tutti i miei cocci, che sanno ancora di te, e li ho ricomposti”.
Ha poi iniziato a scrivere la loro storia, pubblicandola su EFP.
Come
titoli dei suoi capitoli, Francesca ha usato una poesia che aveva scritto per lui.
Non le piaceva, ma era comunque importante per lei.
Francesca
ha raccolto e ricomposto sul serio tutti i suoi cocci, come aveva scritto. Ma
ogni tanto, la colla si stacca.
Francesca
sorride. Anche quando le brucia. Le hanno insegnato così.
Francesca
ama ancora.
Forse.
Francesca sono io.
{ Spazio HarryJo (sarà moooolto lungo questo spazio, visto che è l’ultimo per
questa fic me lo concedo u.u)
Non era così che doveva venire.
Quando mi
sono messa a scrivere l’extra l’idea era completamente diversa.
Ma poi non so
per quale motivo, l’ho cancellata e il capitolo è venuto fuori così.
Mi dispiace
se vi ho deluso.
Questa storia
è giunta al suo termine ç_ç
Forse a tanti
non sarà piaciuta, soprattutto nel finale, speravano in un happy ending, ma io vi racconto come stanno le cose, non come
vorrei fossero andate.
Sono
innamorata del mio migliore amico.
Sono innamorata
di te, Davide.
Lo sono
sempre stata, eppure, sono convinta che stare con Zeno sia
una delle cose migliori che mi fossero mai capitate.
Mi ha
permesso di capire che valevo, qualcosa.
Valgo,
qualcosa (credo).
Bene, ed ora,
un addio strappalacrime ci sta.
Innanzitutto,
parto col dire che non mi sarei mai aspettata tale successo.
Alla fine
troverete un elenco enorme (almeno, per me è enorme) di persone che mi hanno
seguita, recensita, ricordata, preferita.
Grazie mille
ad ognuno di voi.
Poi.
Se vi interessa
ancora seguirmi – visto che mi volete bene (ahahah
che battuta) -, ho iniziato una nuova long. Lo so, sono una palla al piede, ma
stavolta non è autobiografica. O almeno, non direttamente: tratterà alcuni temi
che qui sono stati un po’ tralasciati. Ma non vi anticipo altro.