Olive & An Arrow

di Maggie_Lullaby
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Sì, sono io.

In vista della fine di Under The Moonlight, mi sono decisa di pubblicare questa nuova long che – avverto – non dovrebbe avere più di una decina di capitoli (ma chi lo sa). È, diciamo, un intermediario tra l'addio alle sorelle Campbell e un salve alla nuova long che ho intenzione di pubblicare in Settembre, nella quale sto riversando il cuore.

Pubblicherei volentieri un nuovo capitolo di Forever&Always, ma non ho un'idea che sia una quindi spero ancora di ricevere un'illuminazione divina, chissà mai che arrivi...

Questa è una fic totalmente diversa da quelle che ho scritto fin ora: in primis è più matura, più volgare, anche, ma racconta tematiche più serie di Brothers and Sisters; non stupitevi di leggere imprecazioni, accenni al sesso, forse – non so – anche risse. Si svolge nel Bronx, quindi forse con questo ho detto tutto.

In questo primo capitolo (piuttosto corto, i prossimi saranno più lunghi), che forse è quasi un prologo, apparirà unicamente la presentazione della protagonista, Liv. Dal prossimo, invece, si conosceranno anche i Jonas che, surprise!, non sono famosi. Solo dei semplicissimi ragazzi del New Jersey. :)

Che altro dire? Spero vi piaccia! <3

Olive& An Arrow


Chapter 1}

«Dimmi, Olive...».

«Ti prego, Regis, chiamami Liv».

«Okay, Liv, quando hai capito che avresti dovuto fondare una band?».

«Beh, Regis, probabilmente quando ho capito che sarei finita come mia madre se non avessi fatto qualcosa e la musica... La musica ha fatto il resto».


«Uno scotch liscio», ordinò Liv Monroe, sedendosi sullo sgabello tremolante del locale sporco e affollato, illuminato a stento da qualche lampadina lampeggiante e piena di vecchi ubriaconi arrapati. In pratica un bar comunissimo del Bronx.

Il cameriere, un venticinquenne con il pizzetto, gli occhi acquosi e arrossati di chi ha bevuto troppo, gli lanciò un'occhiata piena di desiderio, soffermandosi sul seno prosperoso della diciottenne.

«Ma tu ce l'hai l'età per bere, bellezza?», domandò, biascicando a stento le parole.

«E tu ce l'hai l'età per scopare?!», ribatté, acida, la mora, senza scomporsi troppo, erano diciotto anni che aveva a che fare con individui simili.

Il ragazzo incassò il colpo e si voltò, afferrando un bicchiere lurido, sciacquandolo appena sotto a un rubinetto arrugginito e versandoci poi dentro una quantità esagerato di alcolico, ma Liv non commentò, andava bene. Più che bene.

Si avvicinò il bicchiere alle labbra e assaporò l'odore familiare, insieme aspro e dolce, buono e cattivo.

Fece un respiro profondo e lo bevve tutto d'un fiato, appoggiando dopo il bicchiere sul bancone polveroso e facendo cenno al cameriere di riempirlo di nuovo.

«E i soldi? Non è che ti sbronzi e poi non mi paghi, eh?», fece lui, con tono lagnoso che fece subito irritare la ragazza.

Gli lanciò venti dollari stropicciati sotto agli occhi.

«Vedi di non rompermi più i coglioni, va bene?», lo minacciò, accennando di nuovo al bicchiere vuoto e ordinando di riempirlo un'altra volta. E poi ancora. E ancora.

«Ehi, bellissima», commenta un uomo di mezza età, strascicando le parole, «ti va di fare un giro con me, eh?».

Liv si voltò, scoccandogli un'occhiataccia che avrebbe intimidito chiunque.

«Fottiti».

Si alzò e, barcollante, si trascinò fuori dal locale, legandosi i capelli corti in una coda spettinata.

Se sua madre fosse stata psicologicamente sotto controllo avrebbe dovuto chiamarla per dirle di andare a casa, che era tardi, rimproverala per l'orario e metterla in punizione; ma se Eloise Monroe fosse stata una madre degna di essere chiamata tale Olive non si sarebbe nemmeno trovata alle due e mezzo del mattino a girovagare – ubriaca – tra le stradine secondarie del Bronx.

La vita di Liv Monroe faceva schifo. Sua madre era un esaurita, la cui unica occupazione sembrava far figli; chissà poi chi era il padre... Il suo no di sicuro: Timothy era un uomo che compariva e scompariva a suo piacimento, a volte mancava di casa anche per degli anni, poi, quando tornava, passava le sue giornate a dormire sul divano lercio di casa, ubriaco fradicio, senza quasi parlare ai figli. Se erano figli suoi.

Olive aveva quattro fra fratelli e sorelle; Sean era il secondo per ordine di nascita, quindici anni suonati, un ragazzo che faceva le regole da sé, la scuola?, un ricordo lontano. Passava le sue giornate a farsi le canne con la sua banda di amici nel loro posto, il Buco, un angolo sperduto in un quartiere sconosciuto a moltissimi.

Poi c'erano Lisa e Timothy Junior, i due gemelli dodicenni, gli unici che in casa la aiutassero a pulire, a tenere tutto a posta a casa. Infine c'era la piccola Lauren, di soli due anni, e l'esserino più dolce che Liv conoscesse. Sua madre quasi non le badava, in un certo senso la vera “mamma” della situazione era proprio Olive, strano che Lauren non la chiamasse ancora così.

Di solito Liv lo reggeva bene l'alcool, quella sera invece si sentiva la testa scoppiare e, avrebbe scommesso, che avrebbe vomitato da lì a poco. Fantastico.

Si appoggiò a un muro pieno di graffiti, facendo un respiro per recuperare il fiato e cercando di far smettere di girare la città intorno a lei.

Aveva bisogno di un bicchiere d'acqua, o di un caffè, non importava.

Entrò nel primo locale che incontrò sulla sua strada, tenendosi una mano sulla fronte imperlata di sudore.

Il bar era relativamente affollato, rumoroso e asfissiante. La diciottenne sentì il respiro mancarle e si portò una mano al petto, stanca.

Si avvicinò al bancone, sgomitando per farsi strada tra ragazzi e ubriachi e qualcuno fatto di coca ed eroina, e chiese al cameriere di turno una bottiglietta d'acqua.

Il barista gliela diede quasi senza guardarla in faccia, troppo intento a guardare a sinistra, lontano, oltre la folla, verso la fonte della musica.

Cinque ragazzi vestiti di scuro suonavano concentratissimi: due la chitarra, un terzo la batteria e un quarto la pianola, mentre un ultimo, un ragazzo biondo, cantava con la bocca che quasi baciava il microfono.

Era musica rock, vecchie canzoni dei Queens riciclate, e dei Beatles, così come dei Rolling Stone.

Liv non ascoltava musica. Non era come la maggior parte dei suoi coetanei che passavano le ore ad ascoltare canzoni ormai conosciute a memoria con le cuffie nelle orecchie. A lei piaceva la musica, certo, ma non la ascoltava. Semplice.

Quei suoni, però, quelle canzoni in quel momento le fecero tremare l'anima.

Ora il gruppo estraneo cantava una canzone a lei sconosciuta, armoniosa, magica.

Scappare, era il suo titolo. E Liv voleva scappare, andare lontano, via dal Bronx, da New York, dall'East Coast. Sparire nel nulla. Odiava la sua vita, odiava il fatto che con ogni probabilità sarebbe finita come sua madre, a fare la mantenuta, quasi a fare l'elemosina, facendo un figlio dopo l'altro, senza preoccuparsi di loro, della propria vita, di nulla. Cercava una via di uscita, una scappatoia per evadere.

Rise tra sé e sé, pensando che magari fare musica l'avrebbe potuta aiutare, dandosi subito della stupida.

L'alcool giocava brutti scherzi...


Continua...

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Okay, eccomi. :)

Dunque, nello scorso capitolo avete avuto un assaggio di Liv Monroe, un personaggio completamente diverso dai miei soliti schemi. Avete potuto vedere dove abita, come affronta il mondo, la sua vita.

In questo capitolo ci spostiamo dalla realtà del Bronx (troppo Bronxerizzata da me xD) a quella della scuola. Qui potrete vedere la prima apparizione di Nick e Joe Jonas. Sarà un capitolo un po' più leggero, possiamo dire, ma spero di non deludervi, l'ho scritto con una tale ansia addosso! Ho paura di deludervi...

Ad ogni modo, grazie per i bellissimi 12 commenti *__* E, voglio dire, mi sono sentita onorata di ricevere delle recensioni da Minako_86 e Sheep. :D

Ringraziamenti?

_Kira_Perly_: mentre leggevo ero così O___o Non riesco a credere che tu riesca a vivere le storie che io scrivo... Davvero, ma è meraviglioso *__* *saltella per tutta la casa* Ecco a te, comunque, il secondo capitolo. Spero ti piaccia! :) Un bacio <3

_Crazy_Dona_: Mmh, Joe... Joe... Joe... *vaglia le possibilità* IoNonDicoNiente! E non scordiamoci che l'amore di cui si parla in questa fic è la musica, però, chissà, magari – non lo so devo ancora decidere u.ù – anche una storia d'amore ci sta... Mmh... Vedremo! Contenta che la fic ti piaccia! Aspetto un tuo aggiornamento (uno qualsiasi!)! :) Un bacio <3

Sheep: allora, premetto che le critiche le accetto più che volentieri u.u Ne ho bisogno, se voglio migliorare, e spero che tu voglia aiutarmi (a meno che questa fic non si riveli una catastrofe e ho paura che sia così -.-”). Spero di aver messo in pratica alcuni dei tuoi consigli, anche se in questo capitolo ci spostiamo in una scena un po' più... Mmh, normale? *tenta di trovare un vocabolo adatto*. Anyway, spero di non deluderti! Un bacio <3

Minako_86: come per la recensione di Sheep quando ho letto il tuo nickname credo di essere sbiancata mentre la mia faccia assumeva un'espressione simile a questa: O__o Dalla sorpresa e dalla gioia, che pensi! xD Prima di tutto grazie per i bei complimenti *arrossisce* e grazie altrettanto per le critiche, ne ho bisogno per migliorare e spero di riuscirci *convinta* Spero di non deluderti! E intanto aspetto un tuo nuovo capitolo di Gabrielle *o* Un bacio <3

noemi___lovelovelove: eccomi con questo nuovo capitolo!! *.* Grazie per le belle parole, hope you like it! :D Un bacio <3

FallInLove: ciao! Eccoti anche qui *o* *saltella felice per casa* Spero che questo nuovo capitolo ti possa piacere, allora *ansiosa* Anyway... Vado! Scusa la brevità ç.ç Un bacio <3

Marta: amoooore *ç* Okay, non ci siamo già parlate al telefono, quindi non so che aggiungere, se non... Un bicchiere di troppo? MALEFICA!! -.-” Ecco, ti faccio da mamma e so che lo odi xD Un bacio, ti amo <3

Sweetness: amooore! Da quanto non ci sentiamo?! Appena faccio la ricarica ti mando un messaggio *se lo appunta su un block notes* Non ti ho detto che l'avrei pubblicata perché ho scritto il primo capitolo la notte stessa che l'ho pubblicata, è stata una cosa alquanto istintiva u.u Spero che questo capitolo ti piaccia. Ti amo <3

Sbranina: amoree! Ahah, ti adoro anch'io <3 Appena so qualcosa ti dico con precisione quando sono a Pisa... ti rendi conto che tra 4 giorni non ci vedremo?!?! Waaaaaa!! Ya ba da ba doooo *ce l'ha con i Flinstones u.ù* Spero che questo capitolo ti piaccia, ci sentiamo presto. Un bacio, anch'io ti voglio bene <3

Melmon: me lo chiedo anch'io... Ma tanto è estate e non ho capiti *saltella saltella saltella* Oggi, dai, non fa così caldo, no? Oddio, per lo meno qui... u.u Spero che questo capitolo ti piaccia! Un bacio <3

Danger_Dreamer_93: allora spero che questo capitolo ti possa accontentare, anche se non succede nulla di particolarmente rilevante. Le cose si smuoveranno dal prossimo capitolo... Credo xD Un bacio <3


Capitolo 2}


«Allora, Liv, com'era Nick Jonas la prima volta che l'hai conosciuto?»

«Uno sfigato. Decisamente uno sfigato.»


Liv lasciò cadere la borsa stracolma di libri sul proprio banco dell'aula di scienze, in fondo alla stanza, il più nascosto di tutti. Era suo, le apparteneva dal primo giorno di scuola al primo anno, e nessuno aveva mai detto niente per reclamarlo.

Il posto accanto al suo era vuoto, ovviamente, Nicholas era uno di quei ragazzi che non arrivavano mai puntuali nella loro vita.

Se non fosse stato per l'appello Olive non avrebbe neanche saputo che si chiamava Nicholas Jonas; non si erano mai rivolti la parola in quattro anni di scuola, ma ad essere sinceri Liv non rivolgeva la parola quasi a nessuno.

La diciottenne si sedette sul banco, toccandosi i capelli corti e scuri quasi come se fosse un tic nervoso. Non era bellissima, così come non passava nemmeno inosservata: i capelli mori, che non le toccavano quasi nemmeno le spalle, erano spesso raccolti in una coda disordinata; gli occhi erano anonimi, castani chiari, ma a volte con la luce del sole assumevano dei riflessi grigio-azzurri; il viso sottile, i lineamenti troppo seri, adulti.

Forse una caratteristica che la faceva spiccare in quella scuola era la sua pelle: bianca. La sua scuola era principalmente costituita da neri, anche se, naturalmente, una piccola minoranza era di bianchi, tra loro c'erano Liv e Nicholas. E il fratello di Nick, ovvio, Joseph.

Dondolò le gambe avanti e indietro, guardando il soffitto, fischiettando un motivetto di cui non ricordava il nome.

Fu solo quando la campanella suonò che si mosse e si sedette sulla propria sedia, tirando fuori i libri di testo consumati dal tempo e dalle numerose mani che li avevano maneggiati, sfogliati.

La professoressa Armstrong fece il suo ingresso, mostrando il suo copro tozzo, i capelli tinti di nero catrame raccolti in una crocchia ordinata.

«Buongiorno professoressa», dissero, in coro, gli studenti, alzandosi. Liv gracchiò appena la prima parola e si risedette con un tonfo.

La professoressa fece segno loro di sedersi e si accomodò alla cattedra, sfogliando il registro per fare l'appello, come tutti i giorni.

«Beker, Annabeth», iniziò a recitare, come se leggesse un testo sacro, il tono di voce incolore.

Proseguì così, nel silenzio inverosimile della stanza, barrando con una biro gli assenti.

«Jonas, Nicholas?», fece, alzando gli occhi per la prima volta per scrutare l'aula. Liv sapeva perché; Nick era un ragazzo che nemmeno si notava, ed era anche distratto, rispondeva raramente quando lo chiamavano all'appello, se non fosse per Olive che picchettava con una penna sul banco, richiamando la sua attenzione dagli spartiti da cui non staccava mai gli occhi.

Ma Nicholas non era ancora arrivato quel giorno.

«Jonas assente», sbuffò la donna, facendo per barrare la casella, senonché in quel momento bussarono alla porta, e sull'uscio apparve la figura del ragazzo, i ricci scompigliati e la camicia a scacchi stropicciata. Era quella del giorno prima. E di quello prima ancora.

«Grazie per averci onorato della sua presenza, Nicholas», biascicò la professoressa, cancellando con una grossa X il punto in cui l'aveva segnato assente.

Il ragazzo chinò il capo, mimando qualche parola di scuse senza farsi sentire e si insinuò tra i banchi, fino a raggiungere il posto che gli spettava.

Liv alzò gli occhi al cielo e liberò la sedia del ragazzo su cui aveva poggiato la propria borsa.

Nick rischiò di cadere per due volte, con le risa convulse dei restanti compagni di classe di sottofondo, e quando giunse accanto ad Olive era rosso di vergogna.

La ragazza scosse il capo; non sopportava quella sua aria debole, pronta a farsi prendere in giro dagli altri ragazzi, non sopportava quell'aria innocente che dominava negli occhi di cioccolata di quel ragazzo.

La professoressa era tornata fin da quando aveva finito di deridere Nicholas al suo appello, e una volta concluso si alzò, distribuendo ad ogni banco dei fogli stampati.

Un lamento collettivo si alzò dalla classe. Test a sorpresa, fantastico.

Nick prese una penna e ripose i fogli scritti a matita che teneva sempre con sé in cartella, dentro a una copertina plastificata.

Liv gli lanciò un'occhiata, riconoscendo un paio di strofe di una canzone.

La professoressa Armstrong consegnò i fogli anche a lei e a Nick, poi si diresse a grandi passi verso la cattedra.

«Avete tempo fino alla fine dell'ora», stabilì, seccamente.

Olive grugnì, e lesse la consegna del compito.


Io per il mondo oggi non ci sono

(Fotoricordo; Gemelli Diversi)


L'ora di pranzo era, senza dubbio, il momento della giornata che Olive preferiva.

Non perché, dopo cinque ora di lezione, finalmente si staccava dallo studio e si potevano passare quarantacinque minuti di pace, ma per il semplice fatto che poteva staccare. Staccare dai compagni rumorosi, dai professori puntigliosi, il picchettare delle penne, lo squillo della campanella, gli avvisi della segreteria, poteva rimanere in silenzio e da sola, lontana dagli altri.

Al contrario di quanto pensava sua madre, e come continuava a ripeterle ogni volta che si ricordava di avere una figlia, a lei studiare piaceva. Non era la prima della classe, ma era nella media, non era mai stata bocciata e faceva tutti i compiti a casa, da brava studentessa.

Era colpa sua se non poteva andare all'università? Se non aveva soldi per pagarsi nemmeno la retta del primo semestre? Era colpa sua se avevano dato la borsa di studio e studenti più in gamba di lei, soltanto perché aveva saltato un test decisivo perché sua madre era sparita e sua sorella minore stava male?

No. Non era colpa sua, in teoria. In pratica, beh, lo era sempre.

Liv lanciò un'occhiata dentro alla palestra, luogo in cui di solito si sedeva in un angolo a mangiare il proprio panino che si era preparata la mattina, e imprecò ad alta voce quando la vide occupata da un gruppo di studenti come lei dell'ultimo anno. Ci sarebbero state a breve le gare di corsa e l'allenatore faceva sudare i suoi studenti anche nelle brevi pause che avevano.

Arretrò piano, scrollando le spalle esili. Non voleva mangiare circondata dal resto della scuola, con ancora più rumore del solito, l'aveva fatto raramente negli ultimi quattro anni e non aveva intenzione di cominciare ora.

Tenendo con una mano il sacchetto di plastica nel quale c'era il suo pranzo si diresse verso l'unica stanza a cui si poteva accedere durante l'ora di pranzo: la sala di musica.

Con passi brevi e silenziosi quanto il suo respiro attraversò i corridoi deserti, avvicinandosi sempre di più al vociare continuo della mensa, doveva attraversarla per arrivare nella sua destinazione.

Testa alta, il corpo rigido, aprì le porta dell'aula, immergendosi nel rumore di piatti che cadevano, risa, urla, forchette che tintinnavano, acqua che veniva versata. In mezzo alla mensa, che spiccava fra tutti, c'era un tavolo più rumoroso degli altri.

Olive gli lanciò appena un'occhiata. Come al solito era occupato dagli stessi cinque individui: tre ragazzi neri, due con i capelli a rasta raccolti in un codino e il terzo con un orecchino brillante all'orecchio destro, e altri due erano bianchi. Il più basso aveva una muscolatura possente, da giocatore di football, mentre l'ultimo era solo bellissimo: i capelli corti e scuri, un accenno di barba sul viso giovane ma troppo adulto per trovarsi ancora in un liceo, gli occhi marroni pieni di arroganza, il corpo muscoloso ma scultoreo.

Liv lo conosceva, come tutti gli altri, lui era Joseph Adam Jonas, il fratello di Nick, quello bello.

Non si erano mai rivolti la parola, perché avrebbero dovuto? Lui era tra i ragazzi più desiderati della scuola, sempre con una bella ragazza accanto, lei, invece, era quasi anonima, solitaria.

Joe teneva un braccio attorno a una ragazza di carnagione scura, i capelli corvini che le accarezzavano la schiena, un sorriso finto e le belle curve non di certo nascoste.

Olive scosse il capo, quasi disgustata. Joseph era fra tutti il ragazzo che meno le ispirava simpatia fra i tanti nella scuola; forse per la sua aria da strafottente, quella sua arroganza di essere il più importante della scuola, forse addirittura dell'intero quartiere, tanto da allontanare quella persona che avrebbe dovuto trovarsi accanto a lui per diritto, suo fratello Nicholas.

Ma, ovviamente, Nick non era lì. Era uno sfigato, e gli sfigati non potevano stare con Joseph Jonas. Non era nemmeno a mensa, quel giorno. Liv lo cercò con lo sguardo mentre continuava a camminare, poi lasciò perdere, annoiata, che le importava di dove si trovava lui?

Uscì senza che nessuno si accorgesse di lei, come sempre, e girò a destra, svoltando in un corridoio vuoto. Entrò nell'ultima porta, in fondo, senza fare rumore.

La sala di musica era un grosso auditorium, una delle stanze più grosse della scuola. C'era un grosso palco con vari strumenti sopra, a lato, affiancato dalle quinte, che a fine anno veniva allestito come scenografia dello spettacolo di teatro finale, mentre circa un centinaio di sedili erano allestiti in quella direzione.

Era tranquilla, silenziosa, e soprattutto vuota. Non c'era un anima. Olive tirò un sospiro di sollievo e si sedette su una delle tante poltroncine, tra le ultime file, prendendo il proprio panino e una bottiglietta d'acqua.

Nella sua mente iniziò a canticchiare il motivetto di quella mattina, per non spezzare il silenzio.

Rimase così per un tempo che non seppe misurare, completamente estraniata dal mondo esterno; c'era solo lei.

Chiuse gli occhi.

Le note di una canzone sconosciuta la riportarono alla realtà, riscuotendola. Imprecò a bassa voce a lanciò un'occhiataccia verso la fonte del rumore, pronta a dirgli di andarsene, ma rimase in silenzio una volta visto il musicista.

Nick era chinato sul pianoforte, completamente beato dal suono della canzone che stava suonando.

Olive non fece un verso, non si era nemmeno accorto che lei era lì.

Suonava con una tale vivacità, con una tale finezza ed eleganza, che Liv stentò a credere che fosse lui a suonare. Sapeva che Nick scriveva canzoni, ne aveva una prova ogni giorno, eppure non sapeva che creasse anche una melodia, per di più che la suonasse lui stesso.

In quattro anni nessuno l'aveva mai visto prendere in mano uno strumento.

Ed era anche bravo.

Liv fece per dire qualcosa, ma si trattenne, e rimase ad ascoltare ancora qualche istante. Nick, tanto, neppure lo sapeva, che lei era lì.


Continua...

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Eccomi! (:

In ritardo ma ci sono, scusatemi ma non avevo ispirazione e tra la fine di Under The Moonlight da scrivere sono andata completamente nel pallone! Chiedo venia.

Ad ogni modo questo è ancora un capitolo di “transizione”, nel prossimo la storia comincia in modo vero e proprio, ma spero che vi piaccia comunque, avrete una presentazione generale della vita quotidiana di Liv e anche di Nick.

E senza rompervi ancora passo ai ringraziamenti... <3

noemi___lovelovelove: beh, non è esattamente “presto”, ma non importa, veero? XD Sono molto contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, spero sia lo stesso per questo qui (: Un bacio <3

Sbranina: amore della mia vita! *__* Le tue recensioni mi fanno morire, te l'ho detto u.u Prima o poi chiuderanno me in un manicomio e sarà tutta colpa tua! Per sdebitarti dovrai venire a trovarmi con tutti quei-pezzi-di-fighi che sappiamo noi u.u E non accetto “no”, come risposta! (: Ti voglio tanto bene <3

debby95: grazie mille per i bellissimi complimenti! *arrossisce* Davvero, te ne sono molto grata *___* Spero che ti piaccia anche questo capitolo, finalmente c'è una parte dedicata tutta a Nick (: Un bacio <3

_Kira_Perly_: tesoroo, ricorda che in questa fic l'amore non è uno degli oggetti principali, anzi!, è la musica l'amore della fic. Però, non sia mai che possa diventare improvvisamente sadica e fare come dici tu... o forse no u.ù A proposito noi dobbiamo ancora arrivare ai 100 commenti su facebook *convinta che ce la faranno* Un bacio <3

Hollie: nooo, mica tanto, sono solo due capitoli (: No, non era questa, è della Futura Long dopo Under The Moonlight (epilogo postato *sigh ç.ç*). Sono contenta che ti piaccia questo stile, anche perché ho intenzione di postare, una volta finita questa long, un'altra con temi piuttosto diversi dai miei soliti schemi *risata sadica* Prima o poi finirò per spaventarti... xD Un bacio <3

wolfgirl92: grazie mille! Nicky sfigato io, non so, ce lo vedo tantissimo *ripensa al suo corpo fatto con lo stampino* *cambia idea immediatamente* Spero che ti piaccia anche questo capitolo e che tu mi dica cosa ne pensi.. :D Un bacio <3

Danger_Dreamer_93: eh, ma guarda, avrei fatto così anch'io u_u Stupido carattere >.> Joe stronzo è in effetti una parte fondamentale della storia, ma capirai in seguito e forse anche un po' qui il rapporto che c'è tra Joe-Nick... Spero che ti piaccia questo capitolo! Un bacio <3

Melmon: sìsì, Kevin ci sarà, dovrebbe apparire o nel prossimo capitolo o fra due, dipende da quanto sarà lungo il numero 4 o.ò Kevin sarà in un certo senso diverso, ma sempre quello che noi conosciamo. Diciamo che sarà l'unico a non avere cambiamenti troppo repentini (: Un bacio <3

Marta: ci stiamo sentendo ora, indi per cui... bye bye, baby! See you! Lol <3

rosegarden: eccomi! Non sono stata molto veloce ad aggiornare, scusa! Grazie mille per il complimento *___* Spero ti piaccia questo nuovo capitolo e che tu mi faccia sapere che ne pensi. Un bacio <3


Capitolo 3}

«Cosa ci dici della tua famiglia?».

«Dico che passiamo alla prossima domanda».


Liv aprì la porta di casa con uno schianto secco, facendo il suo ingresso nel salotto del piccolo bilocale in cui viveva.

Il disordine regnava sovrano: panni sporchi e calze spaiate ovunque, da sotto il divano sino appoggiati ai lampadari, il divano con un cuscino a terra e l'altro in procinto di raggiungerlo, e poi macchie, macchie da ogni parte.

Era persino messo peggio del solito.

Un uragano con i capelli biondissimi, lunghi sino alla vita, corse in salotto, rovesciando un tavolino e cadendo rovinosamente a terra; prima ancora che Liv potesse fiatare si rialzò, venendo raggiunto di corsa da un ragazzino moro, che rideva altezzoso.

«Che cazzo sta succedendo qui?!», gridò la diciottenne, lasciando cadere a terra la borsa e correndo a separare i due ragazzini che avevano iniziato a picchiarsi.

«Tim è un idiota!», strillò Lisa, i capelli biondi che le incorniciavano il viso a forma di cuore, gli occhi marroni lucidi di un pianto che stava per scoppiare.

«E tu sei una bambina!», gridò di rimando il ragazzino, senza levare dal viso quell'espressione strafottente.

«Tu hai distrutto i miei compiti!», esclamò la bionda, mentre una lacrima solitaria le rigava una guancia. «Ci ho impiegato due ore!».

«Ciò vuol dire che ne impiegherai altrettante per rifarlo...», grugnì Timothy Junior, come se la questione non lo toccasse affatto.

Olive fece un verso esasperato e trascinò il fratello dall'altra parte della stanza, tenendolo per un braccio, mentre ordinava con uno sguardo assassino a Lisa di rimanere lì dov'era.

«Perché hai distrutto i compiti di Lisa?», chiese, con tono fermo, al fratellino.

Quello fece spallucce.

«Così...».

«Ah, così...», ripeté lei, scuotendo il capo. «Beh, sarà così che glieli rifarai da capo, ci dovrai impiegare almeno tre ore e se Lisa prenderà un voto minore di B+ metterai posto casa da solo per le prossime tre settimane, sono stata chiara?». Il suo tono era fermo, preda del suo istinto di sorella maggiore.

Il ragazzino sbuffò, con aria teatrale, poi annuì.

«Lisa», disse poi alla sorella, che si dondolava sui talloni fissando il pavimento, «per favore aiutami a mettere a posto - che diavolo avete combinato qui? - fai tu la cucina e la vostra camera. Dov'è Lauren?».

La dodicenne accennò alla camera che Liv divideva con Sean e fungeva anche da camera per gli ospiti.

Olive le accarezzò i capelli mentre si dirigeva in cucina per compiere i suoi lavori.

La stanza di Liv e Sean era divisa nettamente: la parte della diciottenne era spoglia, senza una fotografia, o un poster, c'era solamente il letto con un comodino accanto, con attaccato un adesivo dei Puffi che Lisa aveva appiccicato all'età di sei anni. Quella di Sean, al contrario, era ricoperta di poster di gruppi come gli AC/DC, i Guns'n' Roses o semplicemente grandi fogli neri con una scritta sopra, che andava da un insulto a Dio agli accenni a quanto fosse buona la droga. Stranamente quel giorno non era in disordine. Con sollievo varcò la porta e vide, sdraiata nel suo letto, placidamente addormentata, Lauren, la sua piccola sorellina, di soli due anni.

Si chinò per baciarle la fronte, accarezzandole i corti capelli castano ramati, sorridendo appena. Sorriso che compariva solamente quando vedeva lei o il resto dei suoi fratelli.

Sospirando si richiuse dolcemente la porta alle spalle e iniziò a raccattare i panni per terra e mettendoli in una sacca che aveva recuperato.

Timothy era già seduto sul tavolo della cucina, chino sui libri, mentre si mordeva il labbro inferiore per concentrarsi.

Lisa, al contrario, munita di straccio e sapone puliva i piatti sporchi accatastati nel lavandino, riponendoli poi nel loro scaffale.

«Sean?», chiese Liv, senza guardare in faccia né la ragazzina né Tim.

«Era a casa quando siamo arrivati», spiegò quest'ultimo, con un velo di irritazione. «Ha mangiato con noi e poi è uscito, non ho idea di dove sia andato».

La maggiore annuì.

«Era completamente strafatto», aggiunse la bionda. «Connetteva appena con il mondo esterno, faceva quasi paura».

Ovviamente.

Olive si scostò i capelli dal viso e proseguì nella sua attività, senza fare commenti. Aveva paura per lui, per Sean; nonostante ormai fosse nel mezzo del mondo della droga non era detto che non ne potesse uscire. Non sarebbe stato facile, certo, ma era possibile. Anche se non andavano affatto daccordo gli voleva bene, molto.

«Eloise?», chiese a un certo punto, dopo minuti di silenzio rotto solamente dall'acqua del lavello che scorreva e dai passi di Olive e Lisa.

Sempre Tim le accennò con il capo a un biglietto sulla porta d'ingresso che prima non aveva visto. Liv si avvicinò e lo lesse: erano quattro parole in croce dove la donna diceva che sarebbe tornata la sera. Tardi.

Quella sera sarebbe saltato il giro nei locale abituale, fantastico.

Nessuno di loro la chiamava “mamma”, semplicemente Eloise. Come per segnare una distanza tra loro, un muro invisibile, anche se facevano di tutto per non nominarla.

Mentre puliva e rammendava il suo pensiero corse all'ora di pranzo di quel giorno, alle mani affusolate di Nick sul pianoforte, a quella melodia meravigliosa.

Non voleva ammetterlo a se stessa, ma ne era rimasta colpita. Aveva sempre creduto che Nick fosse... uno sfigato. Semplicemente uno sfigato. Niente a che vedere con quell'aria sicura di sé che aveva quel mattino. Era un Nick nuovo, diverso. In un certo senso quasi più bello.

Per un istante, solo per un istante, le sarebbe piaciuto avere anche lei quell'aria così sicura, e non il solito broncio sempre dipinto sul suo viso. Fu questione di un secondo.

Scosse il capo e scese in strada con i sacchi del pattume in mano per buttarli nel cassonetto più vicino. Viveva in una strada relativamente tranquilla del Bronx, niente a che vedere con quelle che frequentava da sola la sera tardi. Per quel che ne sapeva nella sua via non si spacciava, non avvenivano poi così tante risse e di prostitute neanche a parlarne, forse se non fosse stato per la presenza della sua famiglia sarebbe stato un quartiere normale.

I vicini non li sopportavano, trovavano Lauren troppo piagnucolosa, Lisa e Tim troppo rumorosi, Sean troppo arrogante e Olive un'ubriacona che li svegliava la notte con le sue grida quando tornava a casa dopo una serata passata a bere.

Tutte bugie. Per quanto Lisa e Timothy Junior corressero non erano mai arrivati a un grado di rumore da poter importunare i vicini, Lauren non piangeva mai, Sean non c'era, e lei non svegliava nessuno, anche perché solitamente risaliva in camera sua dalle scale antincendio.

Liv gettò i sacchi e si passò una mano tra i capelli, stretti come sempre in una coda spettinata, guardandosi intorno con aria attenta; sperava davvero di veder comparire Sean in fondo la strada. Non lo vedeva da tre giorni.

Aspettò a lungo, senza spostare lo sguardo dallo strato di polvere e cemento, e si scosse solo quando sentì il suono penetrante di un clacson dietro di lei. Sbuffò, borbottando qualche imprecazione, e salì le scale per tornare a casa di corsa.

L'appartamento aveva ripreso un'aria quasi vivibile, Lisa ora era stesa sul divano a guardare un cartone animato, con Lauren sveglia tra le braccia, e Tim era sparito. Probabilmente era andato in camera per fare i compiti senza essere distratto dal suono del televisore.

Olive passò dietro alle sorelle, sfiorando le teste di entrambe con la punta delle dita, e si chiuse a chiave in camera sua, lasciandosi scivolare lungo la parete della stanza con un gemito di stanchezza.

Odiava tutto quello. Odiava la sua vita, la sua routine, odiava i suoi genitori, la sua scuola, e soprattutto la gente normale, solo perché la invidiava. La invidiava perché avevano tutto ciò che si poteva desiderare, e ciò che peggio non se ne accorgevano, anzi!, erano un continuo lamento, a partire dal padre che non li prestava la macchina per una sera, alla madre che non voleva toglierli il coprifuoco. Una continua rogna. Olive avrebbe potuto uccidere per regalare a lei stessa e ai suoi fratelli una vita simile, o anche vagamente paragonabile.

E avrebbe trovato il modo, si disse mentre si alzava e prendeva dal cassetto del comodino una bottiglia di vodka, aprendola con aria sicura di sé, di chi ha un progetto in mente.

Aveva un piano per dare ai suoi fratelli una vita migliore, e a darglielo erano stati gli occhi di Freddy Mercurie da un poster di suo fratello.


Inizio a raccontarti un po' di me,

se mi ascolti capirai.

(Tu sei la musica in me; PQuadro)


Nick chiuse il libro di storia e lo ripose nel cassetto della scrivania, sospirando di sollievo. Aveva studiato ore per quel maledetto test per il giorno dopo e non era riuscito a buttare giù nemmeno una strofa per quella canzone che lo tormentava da quando si era svegliato. All'ora di pranzo aveva provato a suonare la melodia, ma senza parole gli serviva a poco.

Raccattò un foglio e una penna, chinandosi per iniziare a scrivere, passandosi una mano tra i capelli e gettando un'occhiata al suo cane, Elvis, placidamente addormentato sulla schiena, la lingua di fuori. Sorrise istintivamente.

Quello era il clima che gli piaceva: puro silenzio, neanche il ronzio di un insetto a rompere quell'aura di tranquillità.

Suo padre, Paul Kevin Senior, era al lavoro e sarebbe tornato a casa la sera, tardi, naturalmente. Come sempre c'era qualche seguace della sua chiesa che aveva bisogno d'aiuto e lui l'avrebbe aiutato senza lamentarsi, senza pensare che a casa c'erano quattro figli e una moglie ad aspettarlo per cena, il cibo nei piatti del servizio buono, che ancora dovevano fare la preghiera.

Sua madre, Denise, era uscita, accompagnando Frankie, suo fratellino, al parco con un amico dopo scuola, come quasi tutti i giorni.

Kevin era in università, come sempre. Ormai, pur di passare meno tempo possibile a casa faceva il turno doppio nel bar del campus, sperando anche di guadagnare qualcosa di più del solito e poter affittare un appartamento in più presto possibile. Addirittura lui, che era la tranquillità e la pace fatta persona, non riusciva più a vivere in quella casa.

Mentre Joe... Joe era fuori, ovviamente. Forse con quella nuova ragazza con cui l'aveva scorto di sfuggita all'ora di pranzo, prima di andare in sala musica, o forse alle prove della band che aveva con il suo gruppo di amici. Loro la chiamavano musica, ma Nick non riusciva a definirla tale; la musica per lui doveva dare un significato, trasmettere un messaggio, invece le canzoni di Joe e i suoi compagni non dicevano nulla. Erano tre parole buttate su uno spartito, con gli stessi identici accordi in ogni canzone.

Denise aveva più volte rimproverato il figlio mezzano, dicendogli che non doveva passare le sue giornate a scrivere simili porcherie ma invece di studiare, di arrivare a prendere almeno il diploma. Quella era la terza volta che ripeteva l'ultimo anno di liceo e ormai si stava – finalmente – diplomando, insieme a Nicholas.

Naturalmente il diploma di Nick sarebbe passato in secondo piano: gli avrebbero detto che era stato bravo, fatto i complimenti, dato una pacca sulla spalla e poi si sarebbero dedicati a Joe, congratulandosi all'infinito per aver finalmente raggiunto quel traguardo.

Nick era sempre e comunque in secondo piano. Ormai, dopo diciotto anni, ci aveva fatto l'abitudine, comunque.

Preso dall'ispirazione cominciò a buttare giù qualche strofa, canticchiando tra sé e sé la melodia, per vedere se combaciava con le parole. Era perfetta.

La musica, in tutto quel delirio in casa sua, era l'unica cosa che lo faceva andare avanti. Sin da bambino l'aveva amata, rendendolo uno dei bambini più felici del mondo, anche se Joseph lo prendeva in giro per quella sua fissa quasi maniacale. Allora lo diceva scherzando, quasi amorevolmente.

Prima che Joe iniziasse il liceo Nick, lui e Kevin erano i tre fratelli più stretti che si potevano conoscere. Si confidavano in tutto e per tutto, raccontandosi ogni cosa, da un segreto quasi inconfessabile a una paura stupida e imbarazzante. A quei tempi Joe sarebbe morto pur di aiutare Nick, ora il diciottenne non ne era più tanto sicuro.

Era successo tutto in fretta: il giorno prima Joe era quello di sempre, carismatico e divertente, e quello dopo era un ragazzo arrogante e strafottente, dall'imprecazione facile e le arie da prepotente.

Non era più il fratello che Nicholas conosceva.

E si erano allontanati, irrimediabilmente, a tal punto che il primo giorno di liceo di Nick, quando si era seduto al tavolo del fratello mezzano e i suoi amici gli chiesero se lo conosceva lui rispose che non era che “quello sfigato di suo fratello. Lasciatelo perdere, non ne vale la pena”. Quella era stata la goccia che aveva segnato il confine, costruito un muro invisibile.

Anche se vivevano insieme non parlavano se non per occasioni eccezionali. Joe di giorno non c'era mai e la sera Nick era in camera sua a scrivere.

L'anno dopo, poi, quest'ultimo se ne sarebbe andato a studiare alla Julliard e in questa maniera, probabilmente, non si sarebbero quasi più sentiti.

E forse sarebbe stato meglio così.


Continua...

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Capitolo 4.


«Qual'è la stata la persona che ha dato più fastidi nella band, inizialmente?»

«Il suo nome era Jason Matthews».

«Era?»

«Passiamo oltre».

Liv si affacciò alla sala della musica sentendo le note ormai a lei familiari della canzone di Nick che risuonavano come onde. Dolci onde del mare.

Si sedette su una delle poltroncine rosse in fondo e incrociò le braccia al petto, scostandosi i corti capelli scuri dagli occhi ridotti a fessure.

Era da tutta la settimana che lo seguiva in quella sala, nascondendosi nell'ombra per ascoltarlo e, giorno dopo giorno, la sua convinzione era cresciuta ad una velocità impressionante.

E quel pomeriggio era il pomeriggio.

Uscì dall'ombra e camminò a passi veloci lungo gli stretti corridoi di sedie dell'anfiteatro, veloce e silenziosa.

Nick non la sentì arrivare finché non salì i gradini in legno che conducevano al palco.

Si bloccò, voltandosi in fretta e facendo cadere a terra gli spartiti che teneva sul piano, chinandosi subito per raccoglierli mentre le gote gli si tingevano di rosso scuro.

Olive alzò gli occhi al cielo e si inginocchiò per aiutarlo, dando un'occhiata alle parole di un'altra canzone che non gli aveva mai sentito cantare.

«Sono delle belle canzoni», annuì Liv, restituendogli gli spartiti.

Nick la fissò, stupito che stesse parlando. Non l'aveva quasi mai sentita parlare, solo in classe durante le interrogazioni, ma anche in quei casi non si disperdeva in paroloni: dava risposte brevi. Coincise.

«Gra...grazie», rispose lui, appoggiando i fogli sul pianoforte.

Rimasero in silenzio, scrutandosi.

«Ti ho sentito suonare, negli ultimi giorni», cominciò, fissandolo con un'aria così determinata che gli fece scostare lo sguardo a terra. «Sei bravo».

Nick prese un respiro profondo. Non gli piaceva che Olive sapesse della sua passione per la musica. Non voleva che si sapesse in giro, punto.

Vedendo che non parlava Liv continuò.

«Ho bisogno di un favore». Dritta e coincisa, come in classe.

«Dimmi», disse Nicholas, con un tono così basso che quasi Olive non lo sentì.

«Devi suonare in una band».

Il riccio la guardò, scoppiando in una risata.

«Cosa?», domandò. «In una band? Perchè...?».

«Un favore, te l'ho detto», replicò Liv, calmissima.

Il ricco scosse il capo, senza sapere che dire.

«Che favore è?», domandò incuriosito.

La ragazza sbuffò e raggiunse l'orlo del palco, lasciandosi sedere per terra e facendogli cenno con una mano di imitarla.

Nick ubbidì. Lui ubbidiva sempre.

Così la ragazza iniziò a raccontare a grandi linee la sua situazione familiare, non voleva ispirare pena o altro, ma se Nick voleva sapere il motivo di quel favore aveva il diritto di conoscere la verità. Magari non tutta, però.

Raccontò della madre che non c'era mai. Il padre disse di non averlo conosciuto. Non nominò Sean. Disse solo che voleva regalare ai suoi fratelli una vita migliore.

«In che modo posso aiutarti?», chiese Nick. «Perchè suonare proprio in una band? E tu, suoni?».

«Fai troppe domande», sbuffò piccata, ma rispose ugualmente. «No, io non suono, non canto. Non sono capace. Sto cercando di mettere su questo gruppo per andare a suonare nei locali, guadagnare dei soldi per andarcene. Ho provato a cercare un lavoro ma non mi prendendo da nessuna parte, senza contare che si guadagna una miseria facendo dei lavoretti dalle mie parti».

«Quindi tu devi far soldi», disse ancora Nick.

«», sbottò. «Non pensare che io me ne starò con le mani in mano mentre tu e gli altri suonate, eh. Io sarò quella che vi troverà le serate, i locali... Una specie di manager».

Nick annuì appena.

Rifletté qualche istante, nel silenzio generale.

«A Settembre mi trasferirò in centro», chiarì. «Vado alla Juilliard».

«Non mi interessa. Tre mesi basteranno, spero», fece lei. «Ci stai?».

Nick osservò ancora una volta la sua espressione determinata. Non si sarebbe arresa molto facilmente. Forse mai.

«Va bene», annuì. «Da dove cominciamo?».


Well I've been lookin' real hard
And I'm tryin' to find a job
But it just keeps gettin' together every day
(Rock'n Me; Steve Miller Band)


«Lui è Jason Matthews», iniziò Olive, accennando con lo sguardo a un ragazzo alto, nero, muscoloso. I capelli corti e le mani piene di libri.

Nick guardò il ragazzo, inclinando appena la testa.

«Mai sentito».

«Non ti offendere, Nicholas, ma non sei esattamente un buon esempio per descrivere la vita sociale di qualcuno», chiarì la mora, piccata.

Il diciottenne non rispose e continuò a guardare Jason, completamente ignaro della loro presenza.

«Lui cosa fa?», chiese il riccio, passandosi una mano tra i capelli e spostando lo sguardo su Liv.

«Canta», disse lei, sospirando. «Canta come un Dio».

Nick osservò gli occhi pieni di nuova luce della ragazza al suo fianco.

Liv parve accorgersene perché irrigidì le spalle e ridusse le pupille a fessure.

«Gli hai parlato?», continuò il ragazzo, notando che Olive non parlava.

«Oh, sì. Abbiamo una riunione questo pomeriggio...», riprese a camminare a passi lunghi e veloci, mentre Nick quasi correva per tenere il suo passo.

«Una riunione?», fece perplesso.

«Sì, cazzo, Nicholas, una riunione, ovvero un incontro tra persone», sbottò, parlando lentamente, come se fosse un disabile.

Nick rincasò la dose e scrollò le spalle.

«Dobbiamo andare a lezione», le disse, sentendo la campanella suonare.

Liv scosse la corta chioma mora.

«No».

«No? E perché?», fece il ragazzo, confuso.

«Perché le due ragazze che ti devo mostrare ora hanno un'ora libera e altrimenti non le incroceremo mai», disse Liv, disinteressata, continuando a camminare mentre i corridoi si svuotavano pian piano.

Nick osservò prima l'aula in cui sarebbero dovuti entrare, poi sospirò e seguì Olive, scomparsa dietro a un angolo.

Camminarono fianco a fianco per qualche minuto in silenzio, ognuno preso completamente dai propri pensieri, poi Liv si fermò davanti a una porta e guardò dentro, sorridendo trionfante.

Il ragazzo guardò dentro e vide due ragazze ricce, esattamente identiche se non fosse stato che una era mora e l'altra bionda. Erano sedute su due sedie e parlottavano tra loro, ridacchiando con risate acute e cristalline.

«Amanda e Jodie Gilbert», le presentò Liv, indicando prima la bionda e poi la mora. «Sono al terzo anno, suonano il violino da quando hanno sette anni. Prima che tu me lo chieda, sì, le ho già parlato, hanno detto che ci penseranno e verranno alla riunione di questo pomeriggio. Dato che dubito altamente che faremo molte canzoni con i violini sono anche coriste. Se vuoi seguirmi, ora, prego...», lo guidò lungo il corridoio semivuoto, tirandolo per la maglietta.

Nick la seguì, come un cane segue il suo padrone, lanciandole delle occhiate curiose ogni tanto.

«Quindi quanti saremo?», domandò.

«Domanda affascinante», disse Olive, «se va tutto bene oggi cinque, ma manca un componente».

«Chi?».

«Fai troppe domande», ripeté lei. «Ne parleremo questo pomeriggio, okay? E ora sbrigati, su».

Attraversarono la scuola cercando di non farse notare dagli insegnanti appostati nei corridoi, scambiandosi poche parole.

Liv non era una persona che parlava molto, non lo era mai stata, e quel mattino meno che mai.

Nicholas la guardava di sottecchi, come se volesse capire cosa le passasse per la testa. Non ci capiva niente.

Liv si fermò davanti a un'altra aula e dalla porta in vetro gli indicò un ragazzo di colore, esile, i capelli neri lunghi sino alle spalle.

«Philip Larson, quarto anno come noi, batterista. Ha suonato una parte al musical di fine anno due anni fa. È bravo», spiegò lei, velocemente. «Ha già detto sì».

«Quindi restano in forse Amanda, Jodie e Jason», riassunse Nick, annuendo piano.

«Vedo che presti attenzione quando parlo». Gli fece il primo sorriso dopo quattro anni. «La riunione è qui nell'anfiteatro alle quattro, l'ho prenotato per quell'ora. Porta qualcosa da suonare».

«Va bene», disse il diciottenne. «Daccordo».

Liv annuì.

«Ci vediamo questo pomeriggio, allora», disse, iniziando ad allontanarsi. «Ciao».

«Aspetta...!», la rincorse con la voce Nick, ma lei non lo sentì.


A little bit longer and I'll be fine

(A little bit longer; Jonas Brothers)


Quando Nick entrò, in ritardo come al solito, l'anfiteatro sembrava deserto, se non fosse stato per il suono veloce e armonico di due violini.

Nick alzò lo sguardo verso il palco, incrociando gli occhi ridotti a fessure di Olive e quello curioso e stranito di Jason e Philip.

«È uno scherzo, vero?», sbottò il primo, inarcando un sopracciglio, squadrando Nicholas da capo a piedi.

Amanda e Jodie smisero di suonare i loro violini e lo fulminarono con un'occhiataccia.

Liv alzò gli occhi castani al cielo e guardò Jason.

«Perché mai dovrebbe?», chiese a denti stretti.

«Oh, andiamo», roteò gli occhi Jason, voltandosi verso di lei. «Nicholas Jonas?!».

«Sì, è il suo nome, qualcosa in contrario?», fece lei, distaccata.

«È uno sfigato».

«Perché tu sei tutto questo gran pezzo d'uomo», sibilò Liv. «Ora, se non hai nulla da aggiungere, per favore ragazze continuate».

Nick li raggiunse a capo chino, arrampicandosi poi sul palco e andandosi a sedere sullo sgabello del pianoforte, il suo rifugio sicuro.

Jason lo seguì con lo sguardo, disgustato, per poi spostare di nuovo la sua attenzione sulle due gemelle che avevano appena finito la loro piccola esibizione.

Si inchinarono, molto teatralmente, mentre Philip applaudiva velocemente e Liv annuiva con un piccolo sorriso che le increspava le labbra sottili.

«Perfetto, grazie», disse.

Jason non disse nulla alle due gemelle e si puntellò sui talloni, annoiato.

«Allora, che cavolo si fa?».

Amanda alzò gli occhi al cielo.

Liv lo ignorò e si rivolse verso Nick, senza sorridere.

«Philip ha già suonato», disse, con tono implacabile. «Sei in ritardo».

«Lo so», annuì il moro. «Mi spiace».

Olive non aggiunse altro e si rivolse verso Jason.

«Ci canti qualcosa, per favore?». Disse le ultime due parole quasi come se fosse uno sforzo, come se essere gentile con Matthews fosse difficile.

«Naturalmente», gongolò quello, avvicinandosi a uno stereo che aveva evidentemente portato lui e facendo suonare, al massimo volume, una canzone rock degli anni '80.

Muovendo in sincrono con il ritmo la testa Jason iniziò a cantare una canzone di Bon Jovi.

Amanda e Jodie spalancarono le bocche, stupite come raramente le era accaduto nella vita; Philip aveva gli occhi sgranati, senza riuscire a proferire parola, mentre Nick semplicemente non credeva alle proprie orecchie. Liv, in tutto questo, era alquanto soddisfatta di sé stessa.

La voce di Jason Matthews era una fra le più belle che ognuno dei presenti nell'anfiteatro avessero mai sentito in vita loro, una voce roca ma melodiosa sia nelle note alte che in quelle basse, che la rendevano quasi ipnotica.

Una voce, quasi, migliore dello stesso Bon Jovu.

Concluse con una note acutissima, chiaramente aggiunta da lui dato che nella canzone originale non c'era, e sorrise sghembo, aspettandosi un qualche tipo di reazione.

Nessuno disse nulla; erano ancora tutti impegnati a capire come un ragazzo potesse avere una voce simili. Tutti meno che Liv, che fece un sorrisetto soddisfatto e batté le mani per pochissimi istanti.

«Bravo, Jason», commentò realmente ammirata.

Lui sbuffò.

«Solo bravo?!», ma lo sbottò così piano che Olive, piuttosto che montar su un polverone in un'occasione simile, poté benissimo far finta di non averlo sentito.

Jason le serviva, come l'aria. Il gruppo, senza di lui, non sarebbe stato quasi niente: certo Philip se la cavava, Jodie e Amanda non erano male e Nick avrebbe anche potuto fare il cantante solista ma, in fondo, non sarebbero andati lontano.

Con Jason sì, invece. Molto lontano, esattamente dove Olive voleva che arrivassero.

«Non ci resti che tu, Nicholas», disse, aprendo le braccia per poi farle ricadere sui fianchi. Il ragazzo non la sentì, ancora perso nel suo mondo. Gli erano venute in mente, all'improvviso, le parole di una canzone. Dentro di sé gli parve anche di sentirne la melodia.

«Nicholas?», ripeté Olive, scocciata.

«Sì?», domandò lui, improvvisamente, guardandola e sentendo di nuovo le parole della canzone.

«Devi suonare».

«Oh, sì».

Jason imprecò che era un idiota, questa volta supportato per piccola parta da Philip. Ancora una volta, anche se con sforzo, Liv non disse nulla.

Nick si girò verso la tastiera, ripetendosi nella testa le parole della canzone per far sì che gli rimanessero bene in testa sino alla fine di quella benedetta riunione.

Appoggiò le mani sui tasti, prese un profondo respiro, e cominciò a suonare una canzone che ormai conosceva a memoria: l'aveva scritta lui due anni prima, una sera che era a casa da sola e il diabete gli aveva dato dei problemi. E non c'era stato nessuno lì per aiutarlo.

A little bit longer, in quella sala, aveva un suono ancora migliore di dovunque altro posto avesse mai provato. Non l'aveva mai cantata lì; no, la suonava solo a casa, piano, perché a Joe dava fastidio. O forse, più probabilmente, perché Nick non voleva mostrarsi più debole di quanto già non fosse agli occhi del resto della famiglia.

Si rese conto, improvvisamente, che per la prima volta da tanti anni stava cantando per qualcuno che non fosse lui stesso e le pareti del salotto di casa sua. Per la prima volta da anni qualcuno era lì perché voleva esserci.

A scuola nessuno sapeva che avesse il diabete, non c'era stato motivo per dirlo agli insegnanti, e di amici Nick ne aveva sempre avuti pochi, e non a lungo.

Quindi, quando finì di suonare e si voltò verso gli altri, non si stupì nel vederli strani, Amanda addirittura quasi preoccupata. Liv era una fredda maschera di ghiaccio.

«L'hai scritta tu?», boccheggiò Jodie.

Nick annuì e, in pochi istanti, le braccia sottili di Amanda lo strinsero piano, per un contatto poco prolungato.

«Oh, mio Dio, Nicholas mi spiace tanto», commentò tristemente, guardandolo bene come se, d'improvviso, dovesse cadere morto da un momento all'altro. «Che cos'hai? Leucemia?».

«Oh, ma per favore!», commentò acidamente Jason, scontento che la sua brillante esibizione fosse passata in secondo piano a uno sfigato come solo Nicholas Jonas sapeva essere.

Nick rimase spiazzato dalla reazione di Amanda e rimase con le braccia lungo i fianchi, perplesso.

«Mmh, no, diabete», spiegò lentamente.

«Oh», commentò la mora, e al ragazzo parve di udire una nota di dispiacere nel tono della voce, come se avesse sprecato un abbraccio per una malattia che si poteva tenere sotto controllo. Evidentemente non fu l'unico a capirlo perché Olive fece un'espressione disgustata.

Amanda tornò da Jodie, che la fissò arrabbiata quasi quanto Liv.

«Bene, avete potuto avere un assaggio delle capacità di questo gruppo», spiegò Olive, prendendo in mano la situazione. «Jodie, Amanda, Jason, voi dovete confermare se vorrete o meno entrare a far parte in questo gruppo; ora io...».

Philip la interruppe.

«Tu che farai con precisione?».

La ragazza gli scoccò un'occhiataccia.

«Se tu solo aspettassi invece di interrompermi lo sapresti», rispose freddamente. «Come dicevo, io non suonerò né tanto meno canterò, ma mi occuperò di tutta la parte organizzativa. Voi dovete solo suonare, scrivere le canzoni, io mi devo occupare di trovarvi una sala prove, un locale disposto al vostro primo concerto e quelli per dopo, se non avete gli strumenti ve li dovrò trovare io. Avete capito?».

Aspetto che tutti annuissero prima di ricominciare.

«Bene, per quanto riguardo il denaro nessuno, e ripeto nessuno, avrà una fetta di soldi più grande degli altri di tutto quello che guadagneremo di volta in volta. Sì, sono inclusa pure io, Jason», aggiunse all'espressione scettica di Jason. «Io nemmeno. Se guadagneremo, che so, cento dollari una serata quel denaro verrà diviso per sei. Non verranno fuori cifre da capogiro, ma non si può avere tutto dalla vita».

Ancora una volta annuirono tutti, in sincrono.

«Allora... ci state?», chiese infine, incrociando segretamente le dita dietro la schiena.

Nick fu il primo a parlare.

«Io ripeto di nuovo sì», disse sorridendo appena. Liv gli regalò un'espressione decisamente più sollevata.

«Io pure», confermò Philip. «Senza dubbi».

Jodie lanciò uno sguardo alla sorella ed annuì, sorridendo raggiante. A quella vista anche Amanda annuì di corsa, preoccupata di finire per essere tagliata fuori dai progetti della gemella.

Ognuno si voltò verso Jason, che masticava una gomma da masticare con fare assolutamente disinteressato.

«L'importante è che arrivino i soldi», sbottò, e non aggiunse altro. Liv lo identificò come un 'sì'.

«Bene, ora abbiamo un problema», aggiunse, lasciandosi sedere per terra.

«E sarebbe?», chiese Jodie, sfinita.

«Ci manca un chitarrista».

«Io so suonare la chitarra», intervenne Nick, entusiasta di poter dare di nuovo una mano.

Liv inarcò un sopracciglio.

«Con questo immagino che mi stai dicendo che sai suonare sia il pianoforte che la chitarra contemporaneamente», fece piccata. Il diciottenne arrossì di vergogna.

«A scuola non c'è nessuno, vuoi dirmi, che sappia suonare la chitarra?», chiese Jason.

«Non bene quanto voglio io, e chi ne è capace non ne vuole sapere di questo progetto».

O io non lo voglio includere, aggiunse mentalmente.

Rimasero in un silenzio sospeso rotto solo dalle unghie di Amanda che picchettavano il pavimento del palco.

Nick, poi, alzò la testa, il volto illuminato da un sorriso.

«So chi può fare al caso nostro».


Continua...


Chiedo venia ç.ç

Scusatemi se ci ho messo così tanto a postare ma non riuscivo a scrivere >.<

Ho concluso ieri sera alle 2 questo capitolo, spero vi sia piaciuto almeno :D

Passo subito ai ringraziamenti... ♥

Melmon: come puoi vedere qui c'è stato un leggero cambiamento, specialmente nel rapporto Olive/Nick. Joe innesta istinti omicidi, non è una novità u.u Chissà se i Jonas sistemeranno le loro divergenze in futuro (non lo so quasi nemmeno io o.ò). Un bacio <3

Hollie: Joe è Joe, per quanto sia il mio Joe in questa fic rimarrà sempre lo stesso, quindi chissà. Spero ti sia piaciuto questo capitolo, un bacio <3

Danger_Dreamer_93: tutti contro Joe, sììììì *organizza una missione omicida* Anyway, hai proprio ragione >.< Nervi. Spero ti sia piaciuto questo capitolo, fammi sapere ;) Un bacio <3

Diletta: amoore! *ç* Non ho più messaggi, sorry! :( Joe a Ashley forse vanno a vivere insieme, sono ancora shockata, sai? E Frankie (u.u) non aiuta in questo momento xD Non sai come mi diverto xD Nicky è sempre tenero (a parte quando quasi mando a 'fanculo una fan ma dettagli u.u). Ti voglio bene anch'io <3

rosegarden: ehiii ;) Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, è un po' più lungo di quello precedente e spero ti abbia fatto piacere :D Grazie della recensione! Un bacio <3

cussolettapink: uhuh, ma pure io! *ç* Eeeh, ma l'aspetto fisico di una persona dipende anche dalla sicurezza dalla stessa, sapevi? Se una persona si vede brutta/sfigata (Nick) gli altri la vedranno come tale; quando suonava Nick invece si sentiva sicuro di sé, di conseguenza anche Liv ha potuto vedere la sua bellezza u_u Spero di essere stata chiara xD Un bacio, fammi sapere se ti è piaciuto questo capitolo <3

debby95: grazie mille *__* Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo anche se è meno... Mmh... “psicologico”. Fammi sapere! E grazie ancora! Un bacio <3

Marta: puzzola ti odio ._. Che poi ti devo chiamare, perché sono sotto shock, a te non fregherà nulla di quello che ti dirò ma non importa (indizio Joe + Ashley o.O). Necessito di parlarti. Urgentemente. Puzzi <3

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Ehm, saaalve *saluta con la manina*

Lo so, lo so, sono giusto, solo un pochino, leggermente in ritardo; vi chiedo umilmente perdono prostrandomi ai vostri piedi.

Purtroppo tra il dodicesimo capitolo di I'm Only Me When I'm With You, la scuola, gli allenamenti troppo impegnativi di pallavolo e un provino di teatro a cui tengo molto non ho avuto occasione – e ispirazione – per mettermi buona a scrivere questo capitolo, che alla fine è stato fatto in sole tre sere o.O

Sono perdonata? *sorride a trentadue denti*

Senza occupare altro del vostro tempo prezioso passo direttamente ai ringraziamenti :)

Melmon: per tutte le tue domande troverai una risposta in questo capitolo, anche se per Joe... Beh, mmh... Leggi, leggi u_ù Grazie mille per il bellissimo complimento, un bacio a presto <3

Sheep: ohoh, mi aggiungerei a te *si mette a sbavare davanti a Nick leggermente imbarazzato* Ahah, spero ti piaccia questo capitolo :D Un bacio <3

DalamarF16: ooh, grazie mille per i bellissimi complimenti *o* Grazie per l'appunto, ho corretto :D Spero ti piaccia anche questo capitolo! Un bacio <3

She Is Mari: ed io chiedo umilmente perdono per il ritardo di questo capitolo >.> Ahah, ma stai tranquilla e grazie mille per i bellissimi complimenti *__* Grazie mille anche a te per l'appunto, ho corretto :D Un bacio, e grazie ancora <3

Sbranina: amoore <3 Tesoro, non hai chance, Samantha e Nick sono altamente pucciosi *ç* Non l'avrai franca anche sotto questo punto, no! uù *convinta* T'amo, t'adoro, ti voglio bene e I loge you so much <3

jeeeeee: waaa, scusami te per il ritardo! Ahah grazie mille, spero ti piaccia questo capitolo, a me è piaciuto scriverlo O.O Un bacio <3

eirene eimi: Oh, beh, grazie mille *-* Sono felice che questa fic ti piaccia così tanto, ne sono davvero contenta, ci sto davvero mettendo l'anima. Love you too. Un bacio <3

rosegarden: scusami, sul serio, per questo atroce ritardo ç.ç Non era mia intenzione, davvero c.c Spero che ti piaccia anche questo capitolo, un bacio <3

Danger_Dreamer_93: beh, si può definire tecnicamente presto questo ritardo? O.O Mi spiace ç.ç Sono molto contenta che ti sia piaciuto lo scorso capitolo, spero sia lo stesso anche per questo, un bacio <3

Marta: puzzi <3 Ti amo <3

Minako_86: ma guarda, anch'io sono logorroica e credo che tra contorte ci si intenda xD Grazie mille per i complimenti, i consigli e anche per gli appunti, correggerò gli errori appena ho tempo ;) Ci credi se ti dico che ti ho mandato a quel paese nemmeno una volta? xD Un bacio <3

Capitolo 5.


«Qual'è la persona a cui sei più grata per l'inizio di questa band?»

«Nick Jonas, senza di lui non avremmo mai combinato nulla di buono»


Kevin Jonas ripulì l'ultimo bicchiere in vetro, riponendolo sul grosso mucchio che si era formato accanto a lui, e si scostò un riccio ribelle dalla fronte.

Erano le cinque del pomeriggio passate e quasi tutti gli studenti dell'università si erano ritirati nelle proprie camere, chiusi in biblioteca o tornati nelle proprie case, quindi era normale che oltre a lui nel bar universitario ci fosse soltanto Randy, una matricola che stava mettendo a posto le stoviglie ascoltando a tutto volume i Rush.

In teoria, Kevin avrebbe finito il proprio turno da tre ore, subito dopo la pausa pranzo, ma poiché non aveva la minima intenzione di restare in casa per delle ore prima di uscire con Danielle quella sera aveva fatto gli straordinari. Di nuovo.

Era da mesi che Danielle e lui pensavano di affittare un appartamento e andare a vivere insieme, d'altronde avevano raggiunto il loro terzo anno di relazione, le cose andavano benissimo, senza contare che Kevin, in casa sua, non resisteva più.

Era da quando suo fratello Joe, sette anni prima, aveva iniziato il liceo che le cose non andavano più tanto bene: tutto a un tratto Joseph si era trasformato da un ragazzino divertente e spensierato a un ragazzo arrogante, prepotente, persino con Nick che non solo era suo fratello, ma anche un migliore amico. Nessuno dei due, in passato, sarebbe riuscito a sopravvivere senza l'altro. Mai.

Infatti, in pochi mesi, Nicholas – il ragazzo più vivace che avesse mai conosciuto – si era pian piano spento, come se una parte di lui fosse morta insieme al vecchio Joseph. Da quattro anni Nick stava rinchiuso in camera sua e a casa a malapena parlava con lui, con sua madre, con suo padre, con Frankie.

La situazione era talmente degenerata a tal punto che il Reverendo Jonas tentava, come Kevin, di restare a casa il meno possibile, trattenendosi in chiesa, e Denise si dedicava assiduamente a Frankie.

Ora toccava a Kevin andarsene e vivere serenamente, dopo anni, la sua vita con la donna che amava.

Era talmente immerso nei suoi pensieri che nemmeno si accorse del rumore di due persone che percorrevano il piccolo bar, fino a fermarsi davanti al bancone dove si trovava.

«Ciao, Kevin», disse Nick, schiarendosi la gola secca, accennando a un saluto con la mano.

Il ventitreenne alzò il capo, incrociando gli occhi con quelli del fratello diciottenne e dopodiché con quelli castani di una ragazza mora, i corti capelli spettinati.

«Ehi, Nick», gli sorrise. «Che sorpresa».

Il diciottenne abbassò il capo, dondolandosi da un piede all'altro, indeciso se cominciare a parlare o meno.

«Nicholas, ti muovi per favore?!», sibilò la ragazza, trafiggendolo con un'occhiataccia dopo aver lanciato uno sguardo al grosso orologio appoggiato alla parete.

Kevin la squadrò bene, doveva avere la stessa età di suo fratello, non era bellissima, ma aveva uno strano fascino magnetico, probabilmente imprigionato nei suoi occhi castani, così anonimi eppure con una strana luce.

«Kevin», si presentò il ventitreenne, accennando a un piccolo sorriso.

Liv lo guardò qualche istante, prima di rispondere.

«Olive».

Un flashback improvviso lo colse; ma certo, Olive, la compagna di banco silenziosa da quattro anni, la ragazza a cui aveva accennato Nick tanto, forse troppo, tempo prima.

Quel ricordo lo rese ancora più incredulo a vederli insieme, per quanto ne sapeva Nick non aveva mai frequentato nessuna se non una certa Samantha al secondo anno.

«Kev...», iniziò Nick, riportando la sua attenzione su di lui, «ho bisogno di te per un aiuto. Davvero, è molto importante». Nei suoi occhi brillava, come non accadeva da tempo, una luce luminosa di speranza, di eccitazione.

«Dimmi, ti ascolto», disse il maggiore.

«Beh, tu... Tu suoni la chitarra, no?», proseguì, incerto.

«Ovvio, da sempre». La chitarra era una delle altre cose che l'aveva salvato dalle giornate in università.

«Vedi, Liv ed io, insieme ad altri ragazzi... Insomma noi...».

«Oh, cazzo, Nicholas, non ci vuole una laurea! Stiamo formando una band, ci serve un chitarrista, ci stai o meno?!». Dritta e coincisa, come ogni volta.

Nick arrossì sino alla punta delle orecchie e quasi mancò che cercasse di seppellirsi nella kefia che teneva stretta intorno al collo.

Kevin passò lo sguardo da quello serio, deciso di Olive a quello di Nick, sempre con quella luce negli occhi castani.

Era da sette anni che il ventitreenne non vedeva quella luce negli occhi del fratello. Sette anni. Ed ora Nick era convinto, finalmente interessato un progetto, a qualcosa, e Kevin non avrebbe mai permesso a sé stesso di fermare quel piccolo miracolo, non se lo sarebbe mai perdonato.

Rispose senza esitazioni, senza un'ombra di dubbio.

«Quando iniziamo?».


Tell me did you sail across the sun
Did you make it to the Milky Way to see the lights all faded
And that heaven is overrated

(Drops oj Jupiter; Train)


«Ma che schifo», sbottò Jason, imitando un'espressione disgustata, mentre Liv faceva di tutto per controllarsi e non mandarlo a quel Paese.

«Beh, proponi tu un nome migliore, allora, Matthews», sbottò piccata, incrociando le braccia al petto.

«L'ho già detto, The Street è fantastico», commentò il ragazzo, con tono strafottente, ripetendo per l'ennesima volta il nome che trovava assolutamente fantastico per la band.

«Sant'Iddio come sei originale», grugnì la mora. «Abbiamo già detto no, Jason, smettila».

«Ma perché vi pare che The Sixth sia meglio?!», sibilò lui.

«Fa schifo pure questo, che pensi?!».

«Ehi!», intervenne Philip, offeso, creatore del nome.

«Ma non sapete essere lievemente più originali? Dio mio, ci vuole originalità nella vita!», grugnì Kevin, seduto tra Nick e Amanda.

«Sante parole», cinguettò quest'ultima, sbattendo le lunghe ciglia verso di lui, facendogli levare gli occhi al cielo.

«Nick?», lo chiamò Jodie, colpendolo lievemente sulla spalla per attirare la sua attenzione.

«Sì?», domandò, sbadigliando.

«Hai qualche consiglio?», chiese Jodie, pazientemente.

«Mmh, no, no, ve l'ho già detto», biascicò.

«Molto utile», rise arrogantemente Jason.

«Cazzi tuoi mai, eh?», inveì Olive contro quest'ultimo, senza riuscire dominare i propri istinti, scostandosi i capelli dagli occhi.

Kevin, quando faceva così, non poteva fare a meno di ammirarla. Solo il fatto che avesse incluso suo fratello nel progetto la riempiva di stima da parte sua.

«90210», saltò su Amanda, eccitata per l'idea.

«Certo, vuoi aggiungere anche Beverly Hills davanti o ti accontenti?», chiese Olive.

«Io almeno ho proposto qualcosa, tu no», si lamentò la bionda.

«Piuttosto che sparare stronzate potresti startene zitta un po', come me, no?», la riprese Liv, sempre con la risposta pronta sulla punta della lingua.

Amanda non trovo di che ribattere, ma guardò la gemella sperando questa dicesse qualcosa in sua difesa. Non accadde.

«Scusatemi, a questo punto tanto vale chiamarla The Band e tanti saluti», si lamentò Philip, appoggiando la schiena alla sedia.

Erano chiusi da due ore in quel piccolo locale all'angolo della Fift Avenue per scegliere i dettagli della band, come il genere di musica da suonare e, cosa più difficile, il nome. Dopo aver votato ed essersi rifiutati di fare del rap, come proponeva Jason, avevano deciso di suonare musica pop-rock, remixando anche qualche vecchia canzone dei Beatles o dei Led Zeppelin.

«Drops of Jupiter», mormorò Nick, talmente a bassa voce che a sentirlo fu solo Jodie, che si illuminò sentendo quel nome.

«Ma è bellissimo!», esclamò felice, facendogli un gran sorriso. Nick ricambiò, impacciato.

«Cosa?», chiese Amanda. «Cosa?».

«Drops of Jupiter. C'è una canzone che si chiama così, no? Dei Train. Oh, Nick, ma sei un genio, secondo me va benissimo». Jodie era esaltata, amava quella canzone da quando aveva dodici anni.

Amanda annuì, abbastanza soddisfatta, mentre Kevin annuiva, entusiasta quanto Jodie, sentiva spesso Nick cantare quella canzone in camera prima che Joe gli gridasse di stare un po' zitto.

Olive sorrise, il nome le piaceva, le suonava bene. Ecco a voi i Drops of Jupiter!, si sentiva gridare nella testa prima di un concerto, le Gocce di Giove. Giove, il grosso pianeta fatto di gas, inconsistente. Come loro.

Sì, le piaceva.

«Sei grande Nick».

Il diciottenne le fece un gran sorriso, era il secondo complimento che gli faceva nell'arco di una giornata.

Philip approvò, complimentandosi a sua volta con il riccio, ammettendo che era di gran lunga meglio degli altri proposti.

Jason non si espresse, preferì rimanere in silenzio, osservando seccato il soffitto mentre tamburellava le dita sul tavolo.

Già che non ribattesse Liv lo considerò un buon segno.

«Se qualcuno non ha qualcosa in contrario, allora, io segno questo nome per la band», disse la moretta, scostandosi i capelli dagli occhi, guardando particolarmente Jason. Continuò a rimanere nel suo stato di mutismo.

Olive tracciò su un foglio, con la sua scrittura disordinata ma sottile, Drops of Jupiter sopra ai nomi dei componenti, affiancati dallo strumento che avrebbero suonato.

«Se qui abbiamo finito io andrei a casa mia», chiarì Jason, alzandosi con uno sbuffo.

«Vai pure, ho i vostri numeri di telefono, vi avvertirò per dirvi dove e quando dobbiamo incontrarci per le prove», spiegò Liv, mentre uno alla volta si alzavano tutti ad eccezion fatta per Nicholas, che rimase al suo posto.

«Va bene», le sorrise Jodie, mentre Amanda era già andata avanti. «Ci sentiamo presto, Liv, ciao, e grazie di tutto».

Liv fece un cenno rigido alla mora riccia che si allontanava, non era abituata ad essere trattata con così tanto calore.

«Io Nick devo andare, esco con Dani», disse Kevin, dando una pacca fraterna sulla spalla del fratello minore. «Ci vediamo 'sta sera, okay? Non torno tardi e se sei ancora sveglio vengo in camera tua, se vuoi».

«Certo, okay», disse il riccio, con un piccolo sorriso timido, stringendosi nelle spalle.

A tavola rimasero solo lui ed Olive, che lo guardava con attenzione.

Rimasero in silenzio, a spiarsi di nascosto, mentre una cameriera sulla cinquantina, il viso paffuto e quasi senza collo li guardava con un'occhiata maliziosa.

Liv tamburellò le dita sul tavolo, lanciando un'occhiata alla donna e facendole cenno di avvicinarsi.

Quella li raggiunse quasi saltellando, con passo molleggiato e prese con due dita la banconota da cinque dollari che le porgeva Liv, consegnandole il resto e tornando indietro, lanciando ogni tanto delle occhiate a quella che lei considerava una coppia.

«Nicholas, ti sono grata», sussurrò la ragazza, penetrandolo con i suoi occhi marroni.

Nick si rizzò a sedere sulla sedia, un cipiglio confuso sul viso.

«Di che?», chiese.

«Per Kevin, ci... mi hai salvato la vita presentandocelo. Ora posso davvero sentirmi sollevata. Grazie», disse seria, guardandolo fisso.

Il diciottenne arrossì.

«Beh... mmh, prego», balbettò, tingendosi di bordeaux sino alle orecchie.

Liv fece un piccolo sorrisetto e si alzò.

«Io vado, Nick, ci vediamo domani a scuola», disse.

«No, aspetta», fece lui, incespicando, rovesciando indietro la sedia nella fretta di alzarsi, attirando su di sé parecchi sguardi divertiti e quello sfinito di Olive, corse dalla cameriera, le diede due dollari e raggiunse la ragazza, che teneva le braccia incrociate e un sopracciglio inarcato.

«Ti posso accompagnare?», domandò. «A casa, beh, io... da me... Non ho nulla da fare».

Liv percepì nell'aria il nome di Joe e arricciò il naso, facendo un brusco cenno col capo.

«Tu sai dove abito io, Nicholas? Non è una bella zona», spiegò seccamente, scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi.

«Dove?».

«Bronx», disse lei. «E sta per fare buio; senza offesa, ma non voglio essere responsabile di te».

«Ho diciotto anni...», fece lui, piano. «So badare a me stesso».

Liv gli lanciò un'ultima occhiata.

«Lo spero per te».


You are not alone
I am here with you
Though we're far apart

(You're not alone; Michael Jackson)


Per arrivare solo nel Bronx ci misero mezz'ora, considerando le metropolitane piene a causa dell'ora di rientro dal lavoro e altri quindici minuti con i pullman per arrivare nella zona dove abitava Liv.

Quando scesero dall'ennesimo bus erano quasi le otto e il sole era calato. In cielo non brillavano né stelle né c'era la luna, sarebbe stata una nottata nuvolosa; Nick non si sarebbe stupito se il giorno dopo avesse piovuto.

Le strade erano stranamente semi vuote e l'unica presenza che accompagnava i due adolescenti era qualche cane randagio.

«È sempre così....», iniziò il riccio, alla ricerca dell'aggettivo adatto.

«Inquietante?», lo aiutò Olive, con tono sbrigativo.

Nick annuì imbarazzato.

«Oggi mi pare una serata buona», sospirò lei, «di solito è peggio. Fidati».

Il ragazzo si fermò un secondo, guardandosi intorno con un'improvvisa ansia in corpo, e quando riprese a camminare il cuore gli batteva forte, il doppio di prima.

«Non dirmi che hai paura?», scoppiò Liv, guardandolo a bocca aperta a metà tra il divertito e lo scandalizzato.

«Io? No». Scosse il capo con forza. «Assolutamente no».

Gli occhi di Liv si fecero più grandi, illuminati dal divertimento.

«Sei un tipo strano, Jonas», proferì. Non lo disse come gli altri che l'avevano inseguito con quella frase per tutto il liceo, ridendo di gusto vedendolo sottomesso, ma con un tono pacato, di una persona che sta semplicemente costatando la realtà.

Nick le fu grato.

Camminarono in silenzio qualche minuto, l'uno accanto all'altra, i gomiti che quasi si sfioravano.

«Ehi, bellezza!», gridò qualcuno alle loro spalle, facendo improvvisamente irrigidire Nicholas. Lui e Liv si voltarono insieme, Nick con espressione spaventata e lei fredda e calcolatrice. Dietro di loro c'era un gruppetto di circa sei ragazzi, ormai oltre la soglia dei venti, la voce biascicata di chi ha già bevuto troppo, nonostante l'ora.

«Bellezza!», ripeté lo stesso ragazzo, al centro, reggendosi appena sulle proprie gambe. Aveva un fisico scultoreo, i capelli corti quasi rasati a zero. «Vuoi fare un giro con noi, bella donna? Lascia stare il ragazzo e vieni con noi!», intimò.

Nick non possedeva coraggio, o almeno credeva. Non aveva mai ribattuto a un ordine o risposto male, ma come quel ragazzo iniziò ad importunare Olive sentì dentro di sé montare una rabbia nuova, sempre più crescente.

Fece per aprire la bocca, ma Liv lo strattonò.

«Andiamo, Nick, lascia stare». Nei suoi occhi non c'era traccia di paura, si era trovato forse troppe volte in una situazione simile.

Il riccio lanciò un'altra occhiata al gruppo dietro di loro e la seguì. Liv lo prese a braccetto, come se fossero una coppia, ma più probabilmente perché non voleva che a causa di qualche strano impulso tornasse indietro per dire quattro parole a quel branco di ubriaconi.

«Bellissima, dai, non fare la preziosa, cos'ha quel ragazzetto più di noi, eh? Vieni qui, ti faccio vedere io che cosa possiede un vero uomo!».

Nicholas non si sarebbe stupito se, girandosi, l'avesse visto esporre la sua eccitazione, come un'esibizionista.

Liv lo strattonò più forte, aumentando il passo.

«Tu sali a casa mia e ti fai venire a prendere da un taxi», gli mormorò in un orecchio, sibilando irritata. «Mancano ancora dieci minuti».

Nick sentì un tuffo al cuore: dieci minuti sembravano troppi.

«Ehi, ragazza, avanti, vieni a bere qualcosa con noi. Sul serio, vieni. Cos'ha quel Jonas più di me, eh? Cosa?!», gridò un'altra voce, più possente.

Sentendosi nominare il diciottenne non poté fare a meno di voltarsi, mentre Liv bestemmiava.

Gli ci volle qualche istante per riconoscere l'ultimo ragazzo che aveva parlato, dopodiché divenne semplice dare un nome anche alla maggior parte degli altri.

Ed eccezione del primo e di un altro, più esile, tutti gli altri erano gli amici inseparabili di Joe, coloro che non andavano mai da nessuna parte senza di lui.

«Eh, Jonas, alla fine te la spassi con le belle donne, eh? EH?!», esclamò Kyle Woodrow, il secondo ad aver parlato, tra l'arrabbiato e lo strafottente.

«Vai avanti e non rispondere», gli intimò Olive, sentendolo più rigido al suo fianco. «Sta' zitto, Nicholas, per l'amor di Dio».

Il riccio annuì e si rimise a camminare, aumentando ancor di più il passo.

Anche i ragazzi dietro di loro, però, li imitarono, e prima che Nick o Liv potesse fare qualcosa James, un ragazzo con l'orecchino, afferrò la ragazza per le spalle, strappandola alla presa di Nicholas, facendola gridare d'indignazione.

Il viso di James era talmente vicino a quello di Olive che la ragazza poteva sentire il suo alito puzzare di alcool e sigarette. Scostò il capo verso Nick, che stava fronteggiando Kyle e Lucas, un altro della compagnia di Joe.

«Lasciatela andare», ordinò, con tono fermo. «Subito!».

«Allora non sei balbuziente, vero Jonas? Hai sempre b-b-balbettato con noi». Lucas scoppiò in una pesante finta risata.

Se non ci fosse stata di mezzo Olive probabilmente Nick sarebbe scappato, ma lei era lì e lo fissava con quei suoi occhi castani, quasi supplicandolo. Probabilmente fu solo un'impressione di Nick, Liv non supplicava.

James strinse ancora di più la presa al braccio di Liv, facendole scappare un gemito.

Nick non ci vide più dalla rabbia.

«Ho detto di lasciarla andare!», urlò, tentando di spingerli da parte. Un pugno, non seppe di chi, se di Lucas o Kyle, gli si piantò sul naso; il mondo si mise improvvisamente a macchie per qualche istante mentre Nicholas indietreggiava e si portava una mano al naso, ritraendola grondante di sangue.

«Maledetti figli di puttana», grugnì Olive, senza riuscire a staccare gli occhi da Nicholas.

«Che linguaggio colorito», biascicò James. «Sai, sei molto sexy quando ti arrabbi...».

Olive gli diede un calcio a un piede a approfittò del momento per sfuggire dalla presa del ragazzo e per avvicinarsi a Nick, ancora disorientato.

«Piccola bastarda», la maledì James. «Aspetta solo che...», fece per tirare su un braccio, la mano destra aperta, pronto a tirargli uno schiaffo, quando si udì un'altra voce.

«Ho preso altra birra!», gridò Joe Jonas, comparendo nel mezzo della rissa con un sorrisetto e due casse piene di bottiglie tra le mani.

Gli ci volle un istante per riconoscere il fratello minore, sanguinante, piegato in due, e ancor meno a vedere che ad avere una mano schizzata di sangue era Lucas.

«Che cazzo è successo?!», sibilò, appoggiando a terra con uno scatto le bottiglie di birra.

«Joe, Nicholas qui... Mi ha provocato... Io...», iniziò a balbettare Lucas, indietreggiando all'occhiata penetrante e assassina di Joseph.

«Ora non fai più tanto lo strafottente, eh?», lo riprese Liv, preda di un odio cieco.

Joe guardò il fratello, che aveva finalmente lo sguardo e lo vedeva come se fosse solo un'apparizione e nulla di reale.

«Andate», ordinò il ventunenne, indicando i suoi amici.

«Joe...».

«ORA!», gridò con tutta la voce che aveva, facendo scattare sull'attenti James, e allontanare tutti quanti, ad eccezione di Kyle che si fermò a recuperare la birra a terra prima di raggiungere gli altri.

Joe aspettò di vederli girare l'angolo prima di voltarsi verso il fratello, che si era retto solo in quel momento sulla schiena, il naso che continuava a sanguinare copiosamente.

«Sei un idiota, Nicholas», sibilò Joe, avvicinandosi verso di lui e lanciandogli con disprezzo un pacchetto di fazzoletti che teneva nella borsa. «Che cazzo ci fai qui, eh?».

«Stava accompagnando a casa me», rispose al posto di Nick Liv, con voce punta dall'acidità.

Joe inarcò un sopracciglio, squadrandola.

«E tu sei?».

«Olive», fece la mora, seccamente.

«Beh, Olive, portati a casa anche questo qui e chiamagli un taxi, non credo che la gente sarà molto contenta se si metterà a spargere sangue per tutta la metropolitana», le disse, spostando lo sguardo dalla diciottenne al fratello e viceversa.

Nick fu scosso da un brivido di dolore, ma non era per il naso che, ci avrebbe giurato, era probabilmente rotto, ma piuttosto per le parole di Joe. Anche in una situazione simile lui rimaneva lo sfigato della famiglia.

«Tutto qui? “Chiamagli un taxi”?! È tuo fratello!», esclamò la ragazza.

«In che modo dovrebbe importarmi?».

Liv fece un passo avanti e gli sputò in faccia, sotto lo sguardo strabiliato di Nicholas.

«Mi fai schifo», sibilò lei, prima di tornare dal minore.

Joe si asciugò il viso, disgustato, prima di lanciarle un'occhiata piena di disprezzo.

«Piccola stronza...».

«Oh-oh, che paura», lo scimmiottò Liv.

Il ventunenne fu preso dall'istinto di prendere a calci qualcosa, o qualcuno, ma si trattenne e si limitò ad imprecare ad alta voce.

«Andiamo, Nicholas», disse il suo nome come se fosse una parolaccia. «Ti porto a casa».

Nick fece un sorriso, raggiungendolo ma rimanendo comunque due passi dietro di lui.

«Ci bediamo dobani, allora», biascicò, rivolto alla ragazza.

Olive fece un segno con la mano, come se stesse scacciando una mosca fastidiosa.

«Fatti mettere a posto quel naso, piuttosto», disse.

Nick le sorrise ancora e seguì Joe, che si era già incamminato verso un parcheggio.

Liv li seguì con lo sguardo; pochi minuti dopo notò una macchina nera, non ne riconobbe la marca, lasciare lo spiazzo in cemento. Probabilmente la loro.

Liv sospirò, iniziando ad incamminarsi ma piuttosto che tirare dritto, verso casa, girò a sinistra, in direzione di un bar.

Aveva bisogno di una vodka.


Continua...

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


Oltre a voler portarmi avanti più che posso con questa fic vorrei dedicarmi un po' ad Olive& An Arrow, che continuerò a postare senza pause e, anzi, a breve dovrei pubblicare il prossimo capitolo” questo lo scrissi nell'undicesimo capitolo di I'm Only Me When I'm With You... un mese fa. Sono imperdonabile, un caso disperato, un muflone. Ecco, sì, io sono un muflone. Ora, insultatemi pure.

Oltre tutto, questo capitolo che giunge dopo due mesi e dico due mesi (e mezzo -.-) di ritardo non è nemmeno lungo o particolarmente interessante... o bello... o curioso. Si approfondisce semplicemente il carattere di Joe e una piccola scenetta tra Liv e Nick, e Nicholas e Jodie. Un capitolo tranquillo.

Wow.

Grazie per aver commentato in dieci lo scorso capitolo! *ç* Non me lo merito, ora vi risponderò tramite posta privata. Grazie mille per il supporto!

So che è scorretto chiedervi una cosa simile dopo così tanto ritardo (*si colpisce da sola alla Dobby*) ma vi vorrei cortesemente chiedere, per favore, di passare nell'ultimo capitolo di I'm Only Me When I'm With You e magari lasciare un commentino, anche piccolissimo, una sola parola, una lettera, un punto, qualcosa. A quella storia sono seriamente molto affezionata e anche dando il meglio vedo che i risultati non sono dei migliori. Ditemi anche se fa schifo così posso migliorare... Il link è il seguente → http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=612176

Grazie dell'attenzione. Finalmente ecco il capitolo.

Chapter 6}

 

«Liv, cosa ci puoi dire su Joe Jonas?»

«Qualcosa più di ciò che già sapete? Beh, vi dico chiaro e tondo che era la persona più stronza che si possa mai incontrare. Dico sul serio. Era un bastardo».

Nicholas continuò a tamponarsi il naso grondante di sangue per tutto il tragitto sino a casa, lanciando delle occhiata ad intermittenza a Joe, il volto duro e sprezzante, gli occhi pieni di rabbia inchiodati sulla strada, le mani che stringevano il volante talmente forte da far diventare le nocche bianche.

Scostò lo sguardo e guardò fuori il paesaggio cittadino, così sconosciuto ed eppure così familiare. New York era tutta uguale, per come la pensava. Non era altro che un ripetersi di bar, negozi, edifici in cemento troppo alti, fast-food e kebab.

Sarebbe rimasta sempre così, lo sapeva. Anonima per i newyorchesi e terribilmente affascinante per i turisti.

Per lui sarebbe rimasta per sempre la città che aveva coronato la sua adolescenza da dimenticare.

«Glazie», mormorò improvvisamente, voltandosi lentamente verso il fratello, senza sorridere.

Vide la stretta di Joe farsi ancora più forte mentre aspettava invano che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa.

Proprio quando stava abbandonando ogni speranza e si stava di nuovo per chiudere in se sé stesso lo sentì parlare.

«Sei solo un idiota», ringhiò Joseph, senza fissarlo. «Mi spieghi che cazzo ci facevi la sera nel Bronx, eh? Stupido

Nick incassò il colpo senza ribattere, stringendosi nelle spalle.

«Io... Stavo accombagnando un'amica». Si poteva chiamare Olive amica? Liv non aveva amici, Liv era sola, non voleva sentirsi amata, parte di un gruppo, lei sarebbe rimasta per sempre sola con sé stessa.

«Chi, quella? Credevo fosse solamente una puttana», continuò Joe, sibilando. «Lasciala perdere e sta' lontano dal Bronx, specialmente la notte, mi hai capito bene?».

Nick non rispose e continuò a guardarlo, confuso.

«Pecché?».

«Porca miseria, Nicholas, quel pugno non ti è servito a niente, eh?! Il Bronx non è un posto per poppanti, devi stargli lontano, potresti farti male sul serio la prossima volta».

«No, io bolevo solo sapele...», balbettò Nick, abbassando lo sguardo.

«Cosa?».

«Pecché ti intelessa che io ci bada o meno».

Joseph inchiodò improvvisamente, accostando al lato della strada mentre un'intera fila di macchine dietro di loro imprecava contro di lui mentre gli sfilavano accanto.

«Come hai detto?», domandò.

«Pecché ti intelessa che io vada o meno nel Blonx... Insomma, noi, tu... Non...».

«Smettila di balbettare», lo aggredì Joe, e Nick si zittì all'improvviso. «Perché mi interessa? Vuoi sapere perché? Beh, prima di tutto non mi interessa, l'unica cosa che voglio evitare è di doverti venire a recuperare in ospedale, o per strada, o Dio solo sa dove! Non mi interessa niente di te, Nicholas, men che meno che tu ti faccia male o meno. Ma sinceramente se morissi l'atmosfera casalinga non sarebbe più la stessa e...», si zittì, scuotendo il capo.

«E?».

«Senti, a te non ti deve interessare un cazzo di quello che voglio io, fai come ti dico e basta», ringhiò, premendo l'acceleratore e partendo di nuovo, ricevendo una lunghissima serie di suonate di clacson dietro di sé.

Nick si passò una mano tra i ricci, continuando a tamponarsi il naso che non accennava a smettere di sanguinare. Pregò con tutto sé stesso che non fosse rotto. Non ora che faceva parte di una band e doveva anche cantare; la voce nasale era l'ultima cosa che gli serviva al momento.

Joe non parlò per i dieci minuti seguenti, troppo impegnato a far passare la rabbia.

«A questo punto credo sarebbe meglio se ti portassi al pronto soccorso», sbuffò scocciato, tirando fuori dalla tasca esterna della propria giacca il cellulare. «Scrivo a mamma e papà che stiamo andando lì».

«No, non ce n'è bisobgno», ribatté debolmente Nicholas, tentando di suonare convincente.

«Tu fai come ti dico io», ringhiò Joe. «Finirai per morire dissanguato in quest'auto».

«Non cledo sia necessario».

«Tu non credi necessarie un sacco di cose. Tra queste rientra avere una vita», mormorò Joe talmente a bassa voce che Nick non lo sentì.

«Hai detto qualcosa?», domandò il diciottenne, vedendolo muovere le labbra.

«Bestemmiavo», mentì velocemente Joe. Vide con l'angolo di un occhio Nick annuire piano. Non era vero. Se c'era una cosa che Joseph non aveva mai fatto era bestemmiare, tra i tanti peccati che aveva commesso – tra infrangere il voto di rimanere casto sino al matrimonio, le bugie, le droghe che aveva assunto, tutte le sbornie che si era preso – quello non rientrava nella categoria. Era cambiato, questo era innegabile, ma era comunque cresciuto in una famiglia dedita alla chiesa, con i genitori che avevano insegnato a tutti i loro figli ad avere rispetto di Dio.

Joe in Dio non ci credeva più. Quando era un ragazzino sì, era perfettamente convinto della sua esistenza, ma dopo aver visto interi quartieri gremiti di poveri, mezzi morti di fame, dopo aver visto la crudeltà di alcune persone non credeva che esistesse. Se ci fosse stato non sarebbero esistite le guerre nel mondo, o la crudeltà, o la fame.

God is Death, era una delle canzoni che aveva scritto lui per la sua band, ma alla fine mai proposta. Più ci pensava, mentre la scriveva, e più si rendeva conto che non era una canzone hard-rock, ma più da ritmi leggeri. E, tra l'altro, ridendo si era detto che conteneva troppe parole per una canzone della sua band.

Dio era morto. Dio non esisteva. Il mondo si era costruito, e viveva, solo a causa – o grazie? - delle scelte che si fanno.

Il mondo faceva schifo.

Scrisse il messaggio, velocemente, a sua madre, dicendo che Nick era inciampato e cadendo aveva sbattuto il naso contro un marciapiede e che voleva portarlo al pronto soccorso per un controllo, poi lanciò il cellulare sul sedile posteriore e deviò strada, infilandosi in una scorciatoia per arrivare prima in ospedale.

Nick si sentiva come quando gli avevano diagnosticato il diabete e lo stavano portando in ospedale, in macchina con lui c'era sua madre, Kevin e Joe. Quello era stato l'ultimo giorno per molti anni in cui il ventunenne aveva dimostrato che per lui Nicholas era importante: si era seduto accanto a lui e l'aveva abbracciato per qualche secondo, troppo pochi, e gli aveva mormorato nell'orecchio un “ti voglio bene” che forse si era lasciato scappare per errore.

Dopo, non gli aveva parlato per due settimane.

«Joe?», domandò piano, mentre il fratello maggiore entrava nel parcheggio del pronto soccorso e accostava.

«Sì?», domandò scocciato l'altro, la portiera già aperta, un vento leggero che gli scompigliava i capelli.

Ti voglio bene, avrebbe voluto dire. Con tutto sé stesso, ma aveva paura. Nick Jonas viveva nella paura.

«Niente», mormorò, facendo alzare gli occhi al cielo al maggiore e chiudere la portiera sbattendola troppo forte.


Questa ragazza occhi cielo,
questa ragazza ha un'idea,
e partorire tra le stelle,
un giorno quando sarà
libera e fiera di sé.

{Ragazza occhi cielo; Loredana Errore}


Olive chiuse l'anta del proprio armadietto e vi si appoggiò con le spalle, passandosi una mano sul viso con aria stanca. Era tornata a casa troppo tardi la sera prima e i postumi da sbornia continuavano a farsi sentire.

Scosse il capo e si mise in cammino verso l'aula di letteratura mentre intorno a lei sfilavano i vari studenti troppo intenti a pensare alle loro vite per badare a lei. A Liv andava bene così.

La classe era semivuota e i pochi che c'erano erano appoggiati alle finestre con una sigaretta tra le labbra che ispiravano il fumo e poi espiravano guardando il cortile scolastico, un piccolo quadrato di terra con un albero e due cespugli.

Si sedette al suo posto, all'ultima fila centrale, la schiena abbandonata sullo schienale scomodo, i gomiti poggiati sul banco e la testa tra le mani. Si ripromise che non avrebbe bevuto per almeno le prossime tre settimane. Una promessa che, lo sapeva, non avrebbe mantenuto.

Il trillo della campanella le fece pulsare le tempie, aggredendola intensamente, facendola mugugnare di dolore. Troppa tequila, si disse, la prossima volta meglio una birra. O due.

Pian piano l'onda di studenti entrò nella classe e con loro anche la professoressa Armstrong.

Olive non si alzò e non le diede il buongiorno come il resto della classe e rimase seduta, un solo occhio aperto che teneva d'occhio la porta nella speranza di vedere Nicholas e guardare come stava.

Era sicura che non fosse nulla di grave, ma, si diceva, se si fosse infortunato da impedirgli di cantare sarebbe stato un problema in quel momento, non con la band che stava per avere i suoi inizi.

Girovagando la notte precedente, quando era ancora quasi del tutto sobria, era passata davanti a un magazzino con un cartello attaccato sulla porta principale la scritta “Affittasi”; sotto un numero di telefono. La zona era abbastanza appartata, il locale dall'esterno abbastanza grande e adatto a quello che cercavano, ciò che la preoccupava era il prezzo dell'affitto. Era sicura che con soli sette componenti un affitto di un intero locale non si sarebbe potuto pagare poco.

Ci avrebbe pensato una volta chiamato il proprietario.

Nick entrò nel momento stesso in cui formulò quel pensiero; Liv lo guardò con aria indagatrice: aveva un occhio leggermente livido e sul naso un cerotto nasale.

Il ragazzo la salutò incerto e lei ricambiò rigida, alzando la testa e notando che tutta la classe, compresa al professoressa, li stava guardando.

«Volete scattarci una fotografia o vi sta bene così?», chiese irritata, lanciando uno sguardo gelido all'espressione di pura incredulità di una ragazza seduta di fronte a loro.

Questa si voltò, facendole il verso, facendo ridacchiare qualche compagno qua e là per la classe.

La Armstrong segnò il nome di Nicholas come presente ed inizio a spiegare la teoria shakespeariana, richiamando a sé l'attenzione – anche se falsa – dei suoi studenti.

«Come stai?», domandò Liv a Nick mentre questi si chinava a prendere il proprio libro di letteratura, il tono a metà tra il rigido e il preoccupato.

«Bene, grazie», rispose lui, la voce assolutamente normale. «Non è niente».

«Speriamo sia come dici», ringhiò Olive. «Non dovevi assolutamente accompagnarmi.»

«Ma... ti saresti trovata sola», balbettò lui, perplesso di fronte a questo improvviso cambiamento di umore.

«Sono in parte responsabile di ciò che ti accaduto». Non lo disse come se si sentisse in colpa, ma era una semplice constatazione.

«Olive... io ho diciotto anni, sono il solo ad essere responsabile delle mie azioni».

Liv lo fissò un istante: aveva un ricciolo ribelle che gli era calato lungo la fronte, il volto che traspariva sicurezza. Per qualche istante Liv si sentì in pace, tranquilla con sé stessa.

«Beh, non dovrà accadere mai più», sbottò, prima di aprire il proprio quaderno con gesto secco e iniziare a prendere appunti.

Nick la fissò un secondo, un piccolo sorriso che gli incrinava le labbra, poi la imitò.


Se solo avessi le parole,
te lo direi
anche se mi farebbe male
se io sapessi cosa dire
io lo farei

{Una canzone d'amore; 883}


Jodie si arrampicò sul palco dell'auditorium scolastico, ascoltando Nick che suonava, il capo chino sulla tastiera e gli occhi chiusi. Erano note incerte, evidentemente era la prima volta che provava a suonarle.

Rimase in silenzio a guardarlo, scostandosi un riccio moro dagli occhi castani quando questi le scivolò lungo il viso. Non voleva disturbarlo. Solo quando Nicholas smise di suonare si avvicinò, piano.

«Ciao, Nick», disse, con un sorriso, facendolo trasalire per la sorpresa.

«Jodie, ciao», disse, voltandosi a guardarla negli occhi.

Solo allora la riccia notò il lieve livido sotto l'occhio destro e un cerotto nasale.

«Cosa ti sei fatto?», domandò preoccupata, accennando all'occhio con l'indice.

«Oh... niente, io... un... Liv... Niente», balbettò, muovendo concitatamente le mani.

«Uhm, molto chiaro, sì», ridacchiò la sedicenne, mostrando un gran sorriso.

«Non è stato niente», le assicurò allora lui.

«Beh, sono contenta... Ti fa male?».

«No», rispose prontamente lui. Solo quando ci penso, aggiunse mentalmente.

«Bene».

«Sì».

Rimasero in un silenzio sospeso, guardandosi di tanto in tanto, imbarazzati.

«Avevi bisogno di qualcosa?», domandò il ragazzo, a un certo punto.

«Volevo solo salutarti», ripiegò Jodie.

«Capito».

Rimasero ancora in silenzio.

«È una nuova canzone?», chiese la ragazza. «Quella che stavi suonando prima».

«Oh, sì, solo qualche arrangiamento, niente di che...», disse Nick, tamburellando le dita sui tasti neri e bianchi del pianoforte.

Jodie prese uno sgabello lì vicino e si sedette accanto a Nicholas.

«Posso ascoltarla?», chiese dolcemente.

Il diciottenne la guardò negli occhi, poi annuì, calando le mani agili sulla tastiera.


Continua...

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