~Il Teatro Dei Sogni~

di Red_Hot_Holly_Berries
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Si Alza Il Sipario ***
Capitolo 2: *** Atto Primo ***



Capitolo 1
*** Si Alza Il Sipario ***


Il Teatro Dei Sogni

Prologo: Si Alza Il Sipario

È tutto buio. Una morbida oscurità che avvolge tutto, uno scintillante silenzio che si dilata nel vuoto.
Una luce proveniente dall’alto si accende all’improvviso, rivelando un ampio palco di legno e un pesante sipario di velluto rosso.
Un fruscio accarezza l’immobilità della scena, e da dietro le cortine compare qualcuno avvolto in un mantello verde.

-Hun? Oh, spettatori!-
La figura femminile dice curiosa, con un lampo dei suoi lucidi occhi verde chiarissimo.
-Molto bene. Benvenuti nel mio Teatro Dei Sogni!-
Dice, piegandosi in una fluida reverenza ed allargando le braccia in un ampio movimento simile a quello di una ballerina, al che i tendaggi dietro di lei si aprono con un sospiro, rivelando un palcoscenico vuoto.
-Chi sono? Non sono nessuno. Sono un Dio. Sono solo un sogno.-
Dice la creatura mentre si rialza, piegando un po’ di lato il volto ed esponendo alla luce del riflettore la linea delle sottili sopracciglia, degli zigomi alti, delle labbra piegate in un mezzo sorriso.
-Sono colei che vi mostrerà uno spettacolo. Una recita, se volete, di anime che in terra hanno conosciuto il paradiso e l’inferno, rincorrendosi e desiderandosi senza pace.-
La giovane si gira di scatto, facendo vorticare nell’aria i suoi lunghi ricci rosso rame.
-Venite come me…-
Le campanelle legate alle sue caviglie tintinnano dolcemente mentre i suoi piedi nudi sfiorano le scure tavole di legno del parquet, per poi zittirsi quando la fata si ferma davanti a una porta sul fondo del palco, i due battenti chiusi.
-Dietro questa porta vi è un’anima sola, dilaniata tra passato e presente. Se i suoi saranno Sogni Infranti o Sogni Realizzati… Lo vedremo.-
Una leggera spinta, e i due battenti si aprono, rivelando una stanza dalle pareti di pietra illuminata da molte candele, il cui pavimento è però costituito da un tappeto d’erba verde.
La Narratrice ne varca la soglia, sicura di essere seguita, e si ferma vicino alla persona accucciata sul bordo di una polla di pietra incassata per terra.
-Soffre.-
Dice triste la Guida, togliendosi da dietro un affusolato orecchio a punta un rametto di agrifoglio e ponendolo tra i capelli biondi del giovane intento a scrutare le profondità dell’acqua, senza che lui sembri accorgersene.
-Guardate…-
Dice la Sidhe sporgendosi oltre la spalla del giovane ed indicando la superficie dell’acqua.


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Un ragazzino di neanche sedici anni corre zigzagando per la foresta come un cervo in fuga, ansimando pesantemente, le gote rosse per lo sforzo e gli occhi lucidi di paura.
Non sembra avere la minima idea di dove stia andando: il suo unico proposito è scappare il più lontano, la mente annebbiata dal terrore della preda.
Sente un sibilo minaccioso dietro di sé, ma pur riconoscendolo non ha il tempo di reagire: la daga gli si conficca nel polpaccio destro, facendolo cadere rovinosamente a terra con un urlo.
Veloce, afferra la lama e la estrae, stringendo i denti per non farsi scappare un altro grido, ma è inutile: grazie a quello (sporco) stratagemma, il suo inseguitore lo ha già raggiunto prima ancora che il ragazzino possa tentare di levarsi in piedi.
I due rimangono così, immobili faccia a faccia: uno a terra, gli spettinati capelli biondi sporchi di terra e polvere quanto il viso e i vestiti; l’altro in piedi con un’enorme ascia da battaglia al fianco, i corti capelli rosso sangue simili all’aureola infuocata di un demone.
L’unica cosa ad accomunarli sono un paio di profondi occhi verdi: un paio pieno di paura e rabbia; l’altro pieno di sadico piacere e determinazione.
-Dove corri, fratellino?- Domanda il rosso con tono petulante, guardandolo dall’alto al basso in virtù della sua maggior altezza, essendo di almeno quattro-cinque anni più grande.
-Fottiti, Albainn.- Dice il biondo velenoso mentre si rialza faticosamente, la daga sporca del suo stesso sangue stretta nel pugno.
-Non dovresti parlare così a chi è più grande di te, Albion.- Ogni pretesa di finta cordialità scivola via dal volto di Albainn, lasciando posto a un ghigno crudele mentre con due mani solleva l’ascia sopra la testa e sferra un potente colpo diretto al più giovane.
Questi riesce a evitare il colpo spostandosi all’ultimo secondo di lato, cercando di non pesare sulla gamba ferita, e mentre lo fa lancia un disperato contrattacco magico.
Sebbene Albion sappia che la resistenza sia fisica che magica del fratello è spaventosa, un’espressione di stupore si dipinge sul suo viso quando vede il suo attacco non avere il benché minimo effetto.
-Sorpreso? Guarda che gioiellino mi sono fatto fare dai Fae…- Dice maligno Albainn notando la sua sorpresa, sferrando un altro colpo con la sua ascia, e solo allora Albion sembra notare con angoscia le rune magiche di protezione incise nel metallo.
Riesce a schivare anche questo colpo, ma la gamba ferita lo tradisce nel momento meno opportuno facendolo barcollare, fornendo al rosso l’occasione di colpirlo in pieno con il colpo di rovescio nel ventre, catapultandolo all’indietro.
Atterra di schiena, e Albainn è subito sopra di lui, colpendolo crudelmente con il manico dell’ascia: non vi è alcuna frenesia nei suoi movimenti, che sono invece lenti e ben calcolati. Calcolati perché infliggano il maggior dolore possibile, perché Albion li veda arrivare uno alla volta e abbia la coscienza di non poter fare nulla per fermarlo.
Più volte il più giovane cerca di ricorrere alla magia, ma sempre con lo stesso fallimentare esito, e tenta inutilmente di ripararsi il viso con le mani e di rotolare via, ma il fratello è sempre lì a impedirglielo.
Colpo al costato. Crack. Qualche costola sfondata.
Colpo alla spalla destra. Crack. Clavicola fratturata.
Colpo di piatto della lama sul fianco. Crack. Anca rotta.
Colpo di taglio alla gamba destra. Crack. Tibia e perone distrutti.
Albainn si ferma, ammirando la sua opera, e si china sul fratello sanguinante, gongolante.
-Hai imparato la lezione, fratellino? Non mi metterai più i bastoni tra le ruote quando decido di prendermi le tue terre?-
Ma il dolore sembra che abbia portato Albion oltre la soglia della razionalità: ridotto a meno di un animale, la sua rabbia impotente esige che almeno si porti nella tomba il suo aguzzino, e perciò ricorre alla daga che stringe ancora in mano, tentando un affondo verso il collo dell’altro.
Pur cogliendolo di sorpresa, le forze però gli mancano all’improvviso, e invece di squarciargli la gola come voleva riesce solo a infliggergli una dolorosa ma superficiale ferita sulla guancia e la spalla.
-Fottiti.- Ansima pesantemente, le labbra macchiate di sangue tirate in un ghigno da teschio, e capisce che la sua sorte è segnata quando vede gli occhi del fratello intorbidirsi fino a diventare neri.
-Hai ancora molto da imparare sul rispetto che mi devi, vedo.- Dice, e con un gesto fulmineo strappa la lama dalla mano inerte di Albion per piantarlo nel palmo della stessa, trapassandola e conficcandolo nella terra.
Un urlo raschia a fuoco la gola del biondo, ma presto si ritrova senza voce mentre calde lacrime gli imbrattano il viso e Albainn procede a massacrarlo con furia.
Un piede viene calato sul gomito, premendo finché non si sente il secco rumore dell’osso che si rompe e le estremità spezzate bucano i muscoli e la pelle; potenti calci lo colpiscono dove precedentemente aveva infierito l’ascia, altri lo raggiungono nel ventre e nello stomaco, quasi maciullandogli gli organi interni.
-Sei debole. Sei patetico, e dicono che sei mio fratello! Striscia a terra come un verme!- Un altro calcio rovescia Albion sulla pancia, il braccio inchiodato a terra orribilmente piegato sotto di lui, e di nuovo un piede cala su di lui, spezzandogli di netto la colonna vertebrale.
Un solo “crock”, e il biondo perde completamente la sensibilità dalla vita in giù, arrivando forse quasi a ringraziare il fratello per quell’opera quasi di carità nella sua mente chiaramente annebbiata dal dolore.
-Fermo, Albainn. Fermo, o ti uccido.- Una voce nuova, fremente di rabbia repressa, intima nello stesso momento in cui il rosso sente qualcosa di duro e appuntito premere contro la sua nuca.
-Sei venuto a salvare questo misero scarto della natura, Combrogih?- Il giovane identico ad Albion tende ancora di più il suo arco, facendolo scricchiolare, la freccia sempre puntata alla testa del fratello maggiore.
-Non darmi un altro motivo per farlo, non sai quanto mi piacerebbe. Lascia cadere l’ascia!- Intima, tremando dalla palese voglia a mala pena repressa di vendicare il gemello, lì e subito.
-Non puoi uccidermi davvero, lo sai.- Dice Albainn in tono quasi annoiato, ma facendo comunque come ordinatogli.
-No, però se ti trovassi un freccia nel cervello, il tuo corpo ci metterebbe delle settimane a riprendere anche il più minimo segno di vita, e farà un male cane. E ora, allontanati da qui senza girarti. Non tentare scherzi, sai bene quanto sono veloce con l’arco.-
Albainn getta uno sguardo alla figura distrutta di Albion per terra e ghigna, il suo pensiero ben chiaro: quello che voleva l’ha ottenuto, perciò fa come Combrogih gli ha detto e si allontana a grandi passi dall’erba macchiata di sangue, a tutti gli effetti sembrando di essersi dimenticato della presenza della freccia puntata contro di lui, sparendo con una risata latrante tra gli alberi.
Combrogih aspetta un attimo per assicurarsi che l’altro sia davvero andato via, poi si precipita al fianco del gemello.
Svelle il coltello dalla sua mano e lo gira delicatamente di schiena, capendo subito che l’altro soffre troppo per poterlo sentire: si infila la lama nella cintura e con tutta la cura possibile passa un braccio dietro la schiena martoriata di Albion e l’altro sotto le ginocchia rese inutili, sollevandolo senza sforzo.
Combrogih fa una smorfia amara nel sentire il fratello molle come una bambola di pezza, ma lo stringe forte contro il suo petto e si avvia a grandi passi nella direzione opposta di Albainn.

Arthur stringe i pugni, digrignando i denti. Certe volte si chiede cosa mai lo spinga ad usare il suo pozzo magico per rivedere il suo passato, ma qualcosa dentro di lui sa che è importante. Nel vedersi combattere, vincendo o perdendo, e ridere e piangere, comprende che la vita è tutta un gioco fatto di scommesse. E per quanto sia doloroso, sa che la sconfitte possono insegnare tanto quanto le vittorie… Non che questo gli impedisca di provare un cupo compiacimento al pensiero che, meno di un millennio dopo quell’episodio, era riuscito a rendere pan per focaccia al fratello Scozia e a ridurre le sue terre al nord niente più che una provincia del regno inglese.
Arthur ringhia mentre la sua lenta e dolorosa guarigione si riflette sulla superficie dell’acqua, e si sente vagamente in colpa per essersi rivoltato contro Galles, che gli era stato accanto per tutto il tempo, assistendolo e facendogli coraggio.
Ricorda come la prima conquista del suo regno erano state proprio le terre del fratello poco più giovane, e in guerra neanche il loro legame di gemelli era riuscito a preservarli dall’odio che troppo spesso le nazioni provano l’uno verso l’altro.
Ma invece… Amore? Può la loro razza provare amore?

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-Ognuno ha dei segreti che non riesce a svelare neanche a sé stesso.-
Dice la Narratrice, guardando con occhi tristi il giovane tormentato inginocchiato accanto a lei.
-Il suo cuore è stato ferito più volte di quante possiate immaginare. Sapete? Ancora oggi soffre, silenzioso, lontano dagli altri.-
Scostando i rossi capelli di lato, la fata verde si china e depone un bacio sui capelli biondi dell’altro, e di nuovo questi non sembra accorgersene.
-Non ha la forza di ammetterlo nemmeno a sé stesso, ma anche se sa di essere stato amato, dentro di sé si chiede perché lui invece non riesca ad amare.-
La creatura leva in alto le braccia facendo ondeggiare le ampie maniche della sua veste verde, e piccole luci si materializzano intorno a lei.
-È ora che capisca che anche lui può amare.-
Senza preavviso, la Guida dà una spinta al giovane, facendolo cadere nello specchio d’acqua con un verso di sorpresa.
-E adesso allontaniamoci. Lasciamo il palco agli gli altri attori di questo spettacolo.-
Un malizioso e quasi maligno sorriso le illumina il volto, e tutto diventa nero.

Che lo spettacolo abbia inizio.






P.s. mi ero rirpomessa di mettere una nota a piè pagina alla prima stesura, ma me ne sono allegramente dimenticata, perciò lo faccio adesso. xD
Albion: antico nome dell'Inghilterra.
Albainn: antico nome della Scozia
Combrogih: antico nome del Galles.
Antichi quanto... lo scoprirete presto!
Narratrice: mi vuoi rubare il lavoro, autrice da strapazzo? *solleva sopracciglio*
Me: hei, tu! torna nella storia! Sciò! Sciò! *fa gesto come per scacciare un gatto*
Narratrice: sei tu che mi hai dato il potere di fare tutto quello che voglio, ti ricordo. e io voglio stare qui a salutare i lettori. u__u
Me: ...ah già, è vero. *medita* Beh, allora vogliamo dare qualche indizio per allettare i lettori a continuare a seguire la nostra storia? *profondo studio di marketing*
Narratrice: una possibilità di fare accenni misteriosi sulla trama? oh, spoiler, spiler, poiler! *gridolino deliziato
Me: Spoiler!? Non esagerare, fatina dei mie stivali: ho passato mesi a pensare alla trama, non puoi darla via così in due minuti! è__é
Narratrice: Bugiarda. Ti è venuta in mente due giorni fa. ù___ù
Me: ... Sorvoliamo, ok? ^^' Allora, questo indizio? *sweatdrops*
Narratrice: Hummm... *ci pensa su* d'accordo! Numero uno: Britaincest. Numero due: Britaincest. Numero tre...
Me: hey! Non fare la maniaca di incest! Spaventi i lettori! >.<
Narratrice: ... Mi hai creata tu. Quindi, la pervertita sei tu. U___u
Me: ... Punto. D'accordo gente! *sorrisone a trentadue denti* restate con noi e avrete la possibilità di vedere dell'interessantissimo Britacest! Ma non vi dirò nel letto di quale dei suoi fratelli finirà Arthur... *ghigna*
Narratrice: Ve lo dico io! è... *l'autrice le tappa immediatamente la bocca*
Me: Allora alla prossima, gente! *trascina via di peso la Narratrice* Restate con noi e nel prossimo capitolo magari vi dirò chi è in realtà la Narratrice! xD

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Capitolo 2
*** Atto Primo ***


Ben ritrovati, gente!
Avvertimento: causa necessità di copione, ho dovuto modificare un poco il capitolo precedente, quindi vi conviene andare a rileggervelo!



Capitolo 1: Atto Primo

Con i suoi duemila anni suonati e appena ventitré anni d’aspetto, non si poteva certo dire che Galles non si fosse conservato bene.
La semi-immortalità era un vantaggio collaterale dell’essere uno scherzo di natura, anche se, come ogni cosa a questo mondo, non mancava di portare anche il suo numero di svantaggi.
I suoi non erano certo stati duemila e passa anni di pace e tranquillità: ma la stanchezza derivante da quel carico, che nessun dio è mai stato così crudele da affibbiare ad un povero mortale, si poteva intravedere solo di tanto in tanto sotto forma di una sfumatura malinconica nei suoi profondi occhi verdi.
Il volto della personificazione del Galles, infatti, era rilassato e calmo mentre sedeva sulla felpa rossa della sua nazionale di rugby (originale, risalente alla prima fondazione della squadra), ripiegata a mo’ di cuscino per isolarlo dall’erba bagnata sotto di lui, apparendo in tutto e per tutto in pace con sé stesso e con il mondo.
Galles oziava ai bordi di uno dei pascoli recintati nella sua campagna, seduto con la schiena appoggiata allo steccato e godendosi quel sole insolitamente caldo per essere una giornata di settembre, una matita dietro l’orecchio e un blocco da disegno sulle sue gambe incrociate, i cui fogli erano ricoperti di veloci ma accurati schizzi del maestoso Shire che pascolava a pochi metri da lui.
Mentre aspettava con l’infinita pazienza dell’artista che il placido cavallo da tiro si girasse e gli permettesse di disegnare l’elegante curva del suo collo poderoso, Galles allungò una mano dietro di sé, tastando il terreno alla cieca alla ricerca delle piccole mele rosse che aveva portato per attirare l’attenzione dell’animale, colte quella stessa mattina da uno degli alberi fuori da casa sua.
Ne trovò una, ne ammirò per un attimo le serpeggianti venature bianche della buccia, e poi la addentò con decisione, beandosi della sua friabilità sotto i denti e della sua dolcezza farinosa, stando però attento a non gocciolare sui fogli.
Era capitato che chi lo avesse visto in un momento di rabbia particolarmente eclatante, gli avesse detto quanto somigliasse al suo gemello Inghilterra, ma Galles sapeva bene che chi diceva ciò non aveva mai visto il suddetto Inghilterra in preda all’odio sfrenato o alla frenesia della battaglia, come a lui invece era successo.
No, Galles non era mai giunto ai livelli negativi del gemello, o forse era meglio dire che non vi era mai stato spinto. A quelli della loro razza raramente era dato di scegliere il proprio carattere, e mentre l’Impero Inglese aveva avuto bisogno di una personificazione dotata di un carisma e di una ferocia tale da poter tener testa al mondo intero, il piccolo regno del Galles non aveva mai avuto la stessa necessità.
Ma a Galles era stato dato anche di poter vedere il gemello nei momenti di pace: rilassato, felice, capace di godere delle piccole meraviglie del mondo come un bambino.
Ecco perché a Galles piaceva pensare, anche non l’aveva mai detto neanche ad Inghilterra, che era proprio in quei momenti di serena tranquillità che loro due si assomigliavano di più.
Una somiglianza che andava oltre al semplice aspetto fisico, che già da solo bastava ad accomunarli, tanto che ormai si era quasi abituato che lo scambiasse per Inghilterra: stessa altezza, stessa corporatura dalle spalle larghe e dalla vita stretta, stesso viso dagli zigomi alti e la mascella poco pronunciata, stesse labbra sottili, stesse sopracciglia cespugliose e stessi larghi occhi verdi. L’unica differenza era data dai capelli, che pur essendo perennemente spettinati e ribelli come quelli del gemello, erano di un biondo più tendente al castano che al cenere.
Dopotutto, in fondo in fondo rimanevano pur sempre fratelli, come nazioni e come persone: anche se di tanto in tanto litigavano furiosamente come cane e gatto, non erano mai riusciti a tenersi il broncio a lungo. In un modo o nell’altro, tornavano sempre a sedersi l’uno accanto all’altro, ridendo dei loro irritanti fratelli maggiori o godendosi in un silenzio complice la reciproca compagnia.
L’improvviso movimento del cavallo, fino a quel momento immobile, lo destò dai suoi pensieri.
Il grosso Shire aveva smesso di brucare e stava puntando il muso verso destra, comunicando con la postura del collo e della groppa una certa curiosità.
Galles seguì lo sguardo del cavallo, e ciò che vide lo spinse ad alzarsi velocemente, inchinandosi poi verso la creatura che stava correndo con leggerezza nella sua direzione, costeggiando lo steccato.
-Piacere di incontrarti, bella figlia dei Sidhe.- Disse Galles con voce pacata e cortese, rialzandosi dalla sua riverenza proprio mentre la fata dai capelli rossi si fermava davanti a lui, avendo chiaramente trovato ciò che cercava.
-Piacere mio, Cymru.- Rispose la ragazza con un lieve cenno del capo, portandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli ribelle. -E non lo dico tanto per dire, ho davvero bisogno del tuo aiuto.-
Abituato alle maniere solitamente nobili e distaccate dei Sidhe, Galles rimase un attimo sconcertato dalla schiettezza dello spirito di fronte a lui, ma si disse che doveva essere dovuto all’urgenza che le leggeva negli occhi verdi.
Ma con i Sidhe c’era sempre un limite di sicurezza che bisognava mantenere.
-Potrei fare quanto in mio potere per aiutarti, mia signora, se mi darai un nome con cui io possa chiamarti.-
Generalmente le creature fatate non nuocevano a quelli come lui, ma alcune regole andavano sempre seguite, senza eccezione: mai dare il proprio nome senza aver nulla in cambio, mai mentire, mai ritrovarsi in debito con loro, mai accettare un accordo senza aver prima precisato le regole.
La fata aveva dimostrato di conoscere già il suo nome, e così lui le aveva proposto uno scambio per il suo, di nome, in cambio della promessa di aiutarla, accuratamente formulata in modo da non essere vincolante, quanto più un suggerimento.
-Guida. Io sono la Guida.- Rispose senza giri di parole lo spirito verde vestito, e Galles accettò la risposta con un cenno del capo: per quanto difficilmente quello fosse il suo vero nome, era pur sempre un nome che lei stessa gli aveva dato, e per questo dotato di altrettanto potere.
-Cosa è successo, quindi, mia Guida?- Qualcosa non andava, Galles e lo sentiva. Non si trattava solo dell’agitazione della fata, c’era qualcosa di sbagliato…
-Si tratta di tuo fratello Inghilterra. Ha avuto un incidente con un insidioso tipo di magia, e sta rischiando grosso.-
-Cosa!?- Esclamò il giovane, scattando e immediatamente irrigidendosi come un animale pronto ad attaccare. –Cosa cazzo è successo!? Anzi, no, portami da lui!-
-Volevo chiederti proprio questo.- Assentì la Sidhe, voltandosi verso l’immenso campo di trifoglio al di là dello steccato e battendo un piede nudo per terra, facendo tintinnare con forza le campanelle legate alla sua caviglia.
Il suono metallico sembrò dilatarsi nell’aria fino a diventare una pressione fastidiosa contro i timpani, che però cessò improvvisamente quando un cerchio luminoso comparve in mezzo al suddetto campo di trifoglio.
-Vai, Cymru. Aiutalo.- E così, senza un secondo pensiero per le sue mele rosse o i suoi disegni, Galles scavalcò con un balzo felino lo steccato e saltò al centro di quello che aveva riconosciuto come essere un cerchio di trasporto intra-dimensionale usato dalle creature fatate per spostarsi tra il mondo di Faerie e la Terra.
La nazione ebbe appena il tempo di girarsi per lanciare un’ultima occhiata a quella strana Sidhe prima che il mondo cominciasse a dilatarsi e restringersi intorno a lui, ma nella frazione di secondo in cui i suoi occhi verdi incontrarono quelli altrettanto verdi di lei, Galles vi colse un’emozione a metà tra distaccata compassione compiacimento.
Un gelido terrore discese su di lui quando si rese conto di non aver rispettato le regole basilari: la preoccupazione per il fratello gli aveva impedito di chiedere precisamente dove lo stava mandando. Cosa…
Ma non ebbe il tempo di preoccuparsene più di così, in quanto in meno di tre battiti di cuore il cerchio lo aveva già portato alla sua destinazione, che si rivelò essere un androne dal pavimento di pietra grezza e le pareti ricoperte di chiaro legno di pino scurito dall’età.
Sull’onda del sollievo di riconoscere il luogo, Galles si lanciò verso l’unica porta in fondo al corridoio, aprendola con violenza e ritrovandosi nella familiare camera della divinazione di Inghilterra.
La tremula luce della moltitudine di candele ammassate sui piccoli mobiletti sparsi lungo le pareti di quella stanza senza finestre proiettava strani e illusori riflessi sulla superficie della grande e profonda polla d’acqua incassata nel pavimento, delineando con precisione inumana ma straordinaria la silhouette di una persona immersa in essa.
Il respiro di Galles era sibilante, come se quel bruciante e doloroso groppo che sentiva in gola gli impedisse di respirare, mentre si precipitava ad inginocchiarsi accanto alla figura abbandonata nell’acqua, non badando allo stupefacente tappeto d’erba che ricopriva il pavimento.
Suo fratello giaceva immobile sul fondo della pozza, la testa tenuta appena sopra al pelo dell’acqua solo grazie agli sforzi congiunti di alcune piccole fatine, le cui ali da farfalla avevano perso quasi del tutto il loro bagliore a causa della fatica di continuare a batterle per impedire al giovane di annegare, e che non appena furono sostituite da Galles andarono a planare dolcemente sull’erba, esauste.
-Che cosa è successo?- Chiese Galles con voce roca mentre immergeva con circospezione le mani e le braccia nell’acqua e le passava sotto le ascelle del gemello per tirarlo fuori, cercando di non pensare in chissà quale magia si stese bagnando.
-Ha perso conoscenza quando è caduto in acqua, mentre stava divinando il suo passato. Volevamo tirarlo fuori, ma la magia ci ha impedito di toccare l’acqua. Così la Nobile Sidhe è andata a cercare aiuto.- Spiegò ansimando una fatina dalle ali rosse e blu sdraiata vicino al piede di Galles, il quale tirò ancora di più a sé il fratello privo di conoscenza e se lo strinse la petto, senza badare minimamente al fatto che si stava infradiciando i vestiti.
Eppure, nonostante sotto la sua mano Galles potesse sentire il petto di Inghilterra alzarsi e abbassarsi al ritmo del suo respiro, e lo sentisse rabbrividire per il freddo nei suoi abiti bagnati contro di lui, nonostante i suoi sensi gli dicessero che suo fratello era lì con lui, la più piccola nazione del Regno Unito sentiva che c’era qualcosa che non andava; la stessa sensazione di sbagliato che aveva provato in presenza della Sidhe lo tormentava come una premonizione.
Poiché le candele offrivano troppa poca luce perche lui potesse cercarne la fonte di con gli occhi, e poiché non si fidava ancora a portare il gemello fuori da lì, Galles lo fece sedere nel suo grembo, la schiena appoggiata contro il suo petto e la testa reclinata all’indietro sulla sua spalla, e prese a percorrere il corpo di Inghilterra con le mani, fidandosi del suo tatto come un lupo si fiderebbe del suo olfatto.
La prima cosa che notò, fu che Inghilterra sembrava pesare troppo poco, decisamente meno di quanto ricordasse. La seconda fu che, sebbene in quella posizione fosse difficile dirlo, gli sembrava anche che fosse meno alto: sicuramente meno di Galles, cosa che non avrebbe dovuto essere, essendo i due gemelli.
Con il cuore che batteva sempre più veloce e gli occhi che pizzicavano di lacrime, Galles risalì il petto di Inghilterra fino ad arrivare al viso: lì, colto da una paura indefinita, esitò, e gli passò prima le mani tra i capelli, accarezzandoli come avrebbe fatto con un gatto per calmare sé stesso.
Inaspettatamente, si ritrovò tra le dita un rametto di qualcosa che, ahia!, doveva essere un ramoscello di agrifoglio, se le foglie pungenti come spilli erano un indizio affidabile.
Galles si infilò il rametto in tasca e poi, finalmente, con la punta delle dita tracciò esitante i lineamenti del fratello che poteva a malapena vedere: la punta del mento, la linea della mascella, l’incavo sotto l’orecchio, la rotondità della guancia, gli occhi dalle palpebre abbassate e lunghe ciglia, il leggero incavo delle tempie; e poi ancora le labbra sottili, la fossetta sopra il labbro superiore, la punta del naso leggermente a patata, la dritta linea del setto, la curva dell’arcata sopraccigliare e le folte sopracciglia, la bassa attaccatura dei capelli. Era proprio come Galles ricordava, ma era sbagliato. La linea della mascella avrebbe dovuto essere diversa, così anche come le guancie e la punta del naso. Non riusciva a dire se avrebbero dovuto essere più morbidi, più incavati o più dritti, ma non erano giusti.
Cosa era successo al suo gemello? Era come se…
“Oh mia Dea… No, ti prego, no…” Galles sapeva che per i Cristiani nominare Dio invano era un peccato, e con una certa amarezza si ritrovò a pensare che fin troppo spesso invocare il nome di un qualunque Dio era davvero invano.
Il giovane fece scivolare il corpo privo di conoscenza del fratello tra le sue braccia, posò un bacio sulla sua fronte, e quindi si alzò in piedi, ma più che un principe azzurro intento a salvare la sua principessa, sembrò un burattinaio che cercasse di non rompere una preziosa bambola di vetro.




Autrice: ooook, gente! arieccoci! Devo dire che sono stupita dalla velocità con cui ho aggiornato...
Narratrice: Non sei l'unica, fidati. u__u
Autrice: tò, eccoti qua, guastafeste! Mi stavo giusto chiedendo se ci avresti onorato con la tua regale presenza...
Narratrice: devo dire che sì, ho deciso di graziarti con i miei sagaci commenti. U___u *nonchalance*
Autrice: ... giuro che neanche io so se lo fa apposta o le viene naturale. o.O In ogni caso! Recensioni, eh? bene, bene!
Narratrice: posso rispondere io a soke86?
Autrice: *magnanima* certo, cara. basta che non fai troppi spoiler. U___U
Narratrice: Guastafeste.*sottovoce* Dicevo, cara: la principale ragione per cui Inghilterra e Galles sono gemelli, è lo stesso per cui l'autrice qui presenta ama le storie con Feliciano e Romano... Sì, pensa pure male: probabilmente non raggiungeresti neppure la metà della voragine della sua perversione...
Autrice: Dannata! giuro che ti taglio fuori dalla stoira! Non le credere, in realtà è un tributo a una mia cara amica. e ti ringrazio molto per il complimento sul fantasy: io ci proverò SEMPRE!
Narratrice: bon, prossima: Aerith1992. Io sono un pò la regista di questa storia, o se vuoi la burattinaia. Mi sembrava solo adatto fare la mia prima apparizione su un palcoscenico.
Autrice: c'è una bella espressione inglese che ti ritrae perfettamente: attention whore. U__U
Narratrice: è___é *odio profondo* comincio a non sopportarti più, lo sai? *medita vendetta*
Autrice: fai pure, io possiedo questo computer, indi per cui ho IO il potere u.u. next commentatrice: Nihal the revenge: Uno dei principali motivi per cui ho scritto questa fic è infatti presentare l'intero regno Unito, cosa di cui il fandom qui si EFP manca clamorosamente. Ecco perchè le descrizioni dei fratelli di Inghilterra saranno così lunghe: li voglio inquadrare bene!
Narratrice: risposta a s_theinsanequeen. di nuovo, è per questo che io sono qui. Sono abbastanza sicura che la prof di italiano abbia dato un nome a questo procedimento narrativo, ma o l’Autrice non c’era, o se c’era dormiva. Volevamo provare qualcosa di nuovo, e siamo in effetti orgogliose di dire che siamo le prime ad aver inserito una sorta di regista/burattinaio che guidi il lettore nella storia, come la guida di un museo che porti in giro i turisti, facendo loro notare questo e quel particolare, che altrimenti rimarrebbero nascosti.
Autrice: per una volta sono d’accordo con lei. Ti ringrazio incredibilmente per quel 9! (se solo la mia prof d’italiano fosse d’accordo con te!) Hai davvero fatto la mia giornata. Poi, Imouto Chan: vedo che la batosta che ha preso Inghilterra ha fatto scalpore. Ti assicuro che è stata abbastanza dura da scrivere, mi faceva pena! Ma sfortunatamente era indispensabile per il proseguimento della storia…
Narratrice: Vero. Povero piccolo! >.< *lato materno si sveglia* Mi viene tanta voglia di coccolarlo! Cucciolo! *fa versetti fuffosi*
Autrice: o_O stai bene? Non è da te… *Narratrice le lancia un’occhiataccia* Ok, ok, come non detto… ^^’ Piuttosto, hai notato che quasi tutti hanno fatto l’associazione tra te e Irlanda?
Narratrice: Vero. Non te l’aspettavi, vero, quando mi hai creata, neh?
Autrice: No. Ma in effetti, a pensarci, è logico: vestita di verde, capelli rossi, occhi verdi… Potresti passare per la sorella di Irlanda. Dai, glielo diciamo a ‘sti poveri lettori chi sei in realtà?
Narratrice: …. No. Aspettiamo ancora un po’, hun? *sorriso malefico*
Autrice: … Ti piace far soffrire i lettori, eh?
Narratrice: sì.
Autrice: Va bene… ^^’ Allora vi consolo io, gente! Sebbene la Narratrice qui presente non sia Irlanda, vi rifarete dalla delusione scoprendo che Irlanda è un gran per pezzo di figliuolo! xD Alla prossima!

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