12 Giugno 2010

di Dk86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


CAPITOLO PRIMO


“Per chi tifo io?”. Svizzera sembrò quasi offeso dalla domanda. “Per nessuno, ovvio!”.
“Come puoi non tifare per nessuno?”, esclamò Francia scandalizzato. Per l’occasione indossava la maglia della propria squadra e sfoggiava un’enorme bandiera tricolore legata sulla schiena. “Ci sono anche i tuoi compatrioti in questo mondiale, o sbaglio?”.
“Oh. Intendevi in generale”, rispose l’altro. “Credevo nella partita di stasera”.
Francis rabbrividì. “In effetti, visto chi c’è in campo, temo che in entrambi i casi qui finirà male… E’ il caso di decidere per chi non tifare”.
“Tifate per me!”. Veneziano, spuntato dal nulla con un pallone sottobraccio, era felice e tutto sudato. “L’ultima volta i mondiali li abbiamo vinti noi!”.
“Il calcio e la cucina sono le uniche cose nelle quali siete bravi, voi italiani”, ribatté Francia con un ghigno. “E guardacaso noi francesi vi battiamo in entrambe”.
“Ma non è affatto vero! Fratellone Francia, sei un bugiardo!”.
“Ehi, voi tre!”. Germania, imperturbabile anche sotto il caldo, si era materializzato accanto al gruppetto. “Vedete di darvi una mossa! Queste sedie non si sistemeranno da sole!”.
“Ma fa caldo!”, si lamentò Italia. “E io ho giocato ai rigori con Uruguay e Paraguay fino a adesso!”.
“Avresti dovuto pensarci prima!”, ribatté l’altro in tono secco.
“E perché a Australia non dici niente?”, domandò Svizzera, indicando il diretto interessato, sdraiato all’ombra di un albero con un koala steso sulla faccia.
Germania ci mise qualche secondo a rispondere. “B-beh, perché lui ha già dato una mano a montare il proiettore, ecco perché!”, borbottò poi. “E comunque siete voi gli addetti a sistemare le sedie!”. E detto questo se ne andò con aria stizzita.
“Cameratismo?”, fece Francia, sogghignando, quando l’uomo si fu allontanato.
“Che intendi, fratellone Francia?”. Italia sembrava confuso, come suo solito.
“Beh, lui e Australia sono nello stesso girone, no?”.
“E se avesse paura della sua squadra?”, suggerì Svizzera, iniziando a sistemare le sedie.
Feliciano e Francis si guardarono in faccia e poi scoppiarono a ridere. “Si vede che non te ne intendi molto di calcio, Vash”, riuscì a balbettare Francia fra uno scoppio di ilarità e l’altro.
“Ehi, scusate…”, borbottò l’altro, alzando gli occhi. “Dai, adesso sistemiamo ‘ste dannate sedie, sennò va a finire che quello ritorna”.


“Siamo stati grandi, vero, fratello?”. “Puoi scommetterci, fratello!”. Uruguay e Paraguay, i visi abbronzati e raggianti e i vestiti sporchi di terra, si scambiarono un’energica stretta di mano.
“Davvero? A me sembra che Italia abbia parato tutti i vostri tiri”. Argentina era seduta davanti ad un tavolino laccato di bianco sotto un largo ombrellone; non aveva rinunciato ad uno dei lunghi abiti eleganti che amava indossare nonostante il caldo, e i suoi lunghi capelli color biondo scuro erano lucidi come se fossero stati appena lavati. Ogni tanto dava una pigra mescolata al cocktail posato davanti a lei.
I due fratelli misero il broncio. “Ma lui è forte!”, risposero all’unisono. “E scommetto che se fossi scesa in campo tu, sorellona, l’avresti ridotto a tapioca!”, aggiunse Paraguay, annuendo con aria convinta.
Lei scosse la testa. “Con questo caldo? Quasi mi sentivo male solo a guardare voi agitarvi lì nel campo come scimmiette…”. La donna sospirò. “E poi non posso certo giocare con questo vestito”. Finalmente si decise e bevette un breve sorso del cocktail, per poi mettersi a contemplare l’ombrellino in cima. “Perché non chiedete a qualcun altro di giocare con voi?”.
Uruguay si guardò intorno, poi disse a voce bassa. “Intendi dire… che dovremmo domandarlo a Brasile?”.
Il ragazzo riuscì a malapena a finire la frase, prima che una risata acuta e chioccia risuonasse nell’aria torrida di giugno. “E a chi altri?”, intervenne Brasile, facendosi avanti. “D’altronde, io sono la numero uno nella graduatoria della Fifa, non ve lo dimenticate!”. La lunga chioma nera e mossa ricadeva sulla sua schiena in onde morbide; come sempre sculettava in modo esagerato mentre camminava, e sul suo volto c’era un filo di trucco di troppo.
“Si parlava del diavolo…”, mormorò Argentina, alzando lo sguardo. Tenne gli occhi fissi sul volto di Brasile per qualche secondo, poi la sua fronte si corrugò. “Mi sa che ti sei dimenticato di farti un po’ di barba, lì sul mento”.
L’altro lanciò un urletto da soprano e iniziò a tastarsi freneticamente la zona incriminata. “Non è possibile, sono stata attentissima!”.
“Infatti non c’è nulla, ti stavo solo prendendo in giro”, rispose la donna in tono impassibile, continuando a rimestare il suo drink. “Ma non sarebbe male se per una volta smettessi di fare il pagliaccio e ti comportassi un po’ da uomo”.
“Sei solo invidiosa perché io sono molto più bella di te”, rispose l’altro, incrociando le braccia al petto e sollevando il naso affilato con aria superiore. Dal fondo della camicetta, però, cadde un involto di calze appallottolate che rotolò fino ai piedi di Uruguay e Paraguay. “Ehi, ‘sorellona’, ti è cascata una tetta!”, esclamò quest’ultimo, riuscendo a stento a trattenere le risate.
Poi, fra i due passò una scintilla d’intesa. “Mia!”, esclamò Uruguay, raccogliendo l’involto con un piede e iniziando a palleggiarci.
“Ehi!”, esclamò Brasile, facendosi avanti. L’altro, però, avvertendo il pericolo aveva già passato la palla improvvisata a Paraguay. “Vai, tira in porta!”, lo incitò, senza più preoccuparsi di contenere l’ilarità.
“Ridatemelo! Mi serve!”. Il travestito, con un braccio intorno al petto ora diseguale, si mise alla rincorsa dei due fratelli, che continuavano a passarsi l’imbottitura improvvisata attraverso il prato.
Argentina sospirò nuovamente, ma sul suo volto sbocciò un lieve sorriso. “Certo che ne hanno di vitalità nonostante il caldo…”.








Ed ecco qui il primo capitolo! Dovrebbero essere quattro o cinque, più o meno tutti di questa lunghezza.
Il mio obiettivo è far apparire più nazioni possibile, quindi aspettatevi vagonate di personaggi, anche originali! A questo proposito, spero che l'aver rappresentato Brasile come un travestito non abbia offeso nessuno... Non è colpa mia se me lo sono sempre immaginato così!XD

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


CAPITOLO SECONDO


“Germania è stato davvero gentile ad ospitarci a casa sua per questa partita”. Nigeria era seduta sul bordo della piscina, il corpo scuro e formoso fasciato da un pudico costume intero grigio chiaro e l’imponente chioma di treccine che le accarezzava il collo come una criniera leonina. Non sembrava granché dispiaciuta della sconfitta della sua nazionale per mano dell’Argentina, ma sembrava decisa a godersi la vacanza in Europa.
“In effetti non pensavo che fosse così generoso”, intervenne Ghana, accomodata su una delle sedie a sdraio che costellavano la zona. La sua testa rasata era protetta da una bandana multicolore, e il suo seno ampio era trattenuto da un bikini altrettanto variopinto. “Forse si sente ancora giù per non essere riuscito a vincere il suo mondiale quattro anni fa…”. Alzò gli occhi sulla piscina e i suoi grandi occhi scuri si dilatarono. “Costa! Scendi subito da lì!”.
“Ok!”. Costa d’Avorio era riuscito ad arrampicarsi sul trampolino più alto; da lassù con un saltello elegante si buttò a bomba nella piscina, sollevando una fontana di spruzzi.
“Ehi! Non ti avevo detto ‘scendi’ in quel senso!”, esclamò la donna quando il ragazzino fu riemerso ridendo da sotto l’acqua.
“Avresti dovuto essere più specifica!”, le rispose lui mostrandole la lingua, per poi mettersi a sguazzare lì intorno.
“Ghana, rilassati!”, le disse Nigeria con un sorriso. “Tieniti l’energia per domani, quando dovrai fare il tifo per i tuoi!”. Il suo sguardo vagò oltre la donna sdraiata. “Seychelles, tutto bene?”.
La ragazza, i capelli come al solito ripartiti dagli immancabili fiocchi rossi e abbigliata con un costume da bagno azzurro, scosse la testa e fissò l’altra con sguardo vacuo. “Eh?”, mormorò. “No, no, sto benissimo…”. Agitò per qualche secondo i piedi nell’acqua, traendone riflessi argento sulla superficie. “E’ solo che sono tesissima per la partita di stasera”.
“E come mai?”, si stupì Nigeria.
Ghana si lasciò sfuggire un sorriso. “Io forse ho capito”, intervenne, annuendo con aria complice. “E’ per Inghilterra, vero? Sei nervosa perché stasera gioca la sua squadra”.
“Uh?”, ripeté Seychelles con aria stordita. “No, no, non è per quello! E’ che ho scoperto che il quarto uomo sarà un membro della mia nazione, e spero che ci faccia fare una bella figura! Noi non siamo abbastanza forti per avere una squadra di calcio che possa competere nel mondiale, ma nel nostro piccolo dobbiamo farci valere come possiamo!”.
“Oh”, fece Ghana. Sembrava delusa dalla risposta ricevuta, forse perché la nazionalità di un guardalinee non era un argomento da pettegolezzo così succoso come un possibile sviluppo nel triangolo amoroso fra Inghilterra, Francia e Seychelles.
Sul gruppetto di nazioni africane calò il silenzio. Poi Costa d’Avorio pinneggiò fino al bordo della piscina. “Ehm… Ma esattamente, che cos’è un quarto uomo?”.


“Oh, finalmente abbiamo finito!”, esclamò Svizzera, appoggiando l’ultima sedia sul prato. “Ora posso entrare a farmi una doc…”.
“Oh, no!”, esclamò Francia. “Veneziano ha messo tutte le sue sedie girate al contrario!”.
“Ma non dovevi tenerlo d’occhio tu?”.
“Presto, si sta già allontanando! Dobbiamo fermarlo, o sennò quello fra un paio di minuti nemmeno si ricorderà di averci dato una mano, con la memoria da pesce rosso che si ritrova!”.
Italia, canterellando tutto contento con il suo amato pallone sotto il braccio, si stava in effetti dirigendo di nuovo verso il prato, intenzionato a riprendere a giocare a calcio con chiunque gli capitasse a tiro; o questa era quantomeno la sua intenzione finché quello che sembrava un rombo di tuono gli risuonò accanto all’orecchio destro e il pallone si sgonfiò con un sibilo depresso. Il ragazzo si voltò confuso, per capire cosa fosse successo, e si trovò la canna di una pistola a qualche centimetro dal volto.
“E’ una Mauser M2 calibro 45”, disse Svizzera in tono fermo. “Ti assicuro che la prossima volta non colpirò la tua palla”.
Francia era nascosto dietro un albero, ai cui piedi Australia e il suo koala continuavano a dormire beati nonostante lo sparo. “N-non ti sembra di esagerare, Vash?”, disse, in tono lievemente isterico. “E poi si può sapere da dove hai tirato fuori quell’arma?”.
Italia, dal canto suo, aveva materializzato la sua cara vecchia bandiera bianca a tempo di record e la stava sventolando con impegno. “Ti prego, non farmi del maleeee! Pietààà!”, gridò fra le lacrime.
“Fila a rimettere a posto le sedie!”, intimò Svizzera. “E stavolta vedi di metterle come si deve, e non a caso!”.
Non aveva nemmeno finito la frase, che Veneziano era già schizzato verso il palco, mollando lì la bandiera bianca e il cadavere del pallone.
“Non ci posso fare niente, il caldo mi rende nervoso…”, borbottò Vash, infilandosi la pistola nella tasca dei pantaloncini.


Poco distante, Brasile continuava a inseguire i due fratelli strepitando perché gli venisse restituito il seno finto; richiesta che Uruguay e Paraguay non avevano nessuna intenzione di ottemperare.
“Forza, ‘sorellona’, facci vedere perché sei il numero uno nel calcio!”, lo sbeffeggiò Uruguay, passando all’indietro il pugno di calze al fratello maggiore.
“Non posso, senza entrambe le tette non mi sento equilibrata!”, si lamentò il travestito.
“E allora levati anche l’altra!”, intervenne Paraguay.
Argentina, sotto l’ombrellone con il suo drink ghiacciato, smise di prestar loro attenzione e sollevò la testa con aria attenta. “Questo rumore… sembrava proprio uno sparo”, mormorò. Attese in silenzio per qualche istante, cercando di captare altri suoni sospetti, poi scosse il capo. “Bah, dev’essere il caldo che fa strani scherzi… Sarà meglio che dopo vada a fare un salto in piscina”.
Ehi! Tornate qui, maledetti! …anf… Finirà che mi si rovinerà il trucco!”.
“Forza, ‘sorellona’, un po’ di allenamento ti farà solo bene!”.








Posto anche il secondo capitolo, visto che tanto è pronto.
Sì, i capitoli sono corti apposta, per chi se lo stesse chiedendo.XD
E per quanto potrà sembrare strano, sono un ragazzo. Lo so, è difficile trovare un esponente del sesso maschile che scriva su Hetalia ma eccomi qua!XD
Ringrazio Assassin Panda, Kurohime e KuromiAkira per avere commentato! Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.^^
E nel prossimo, fra gli altri, Corea del Sud, Corea del Nord, Grecia, Liechtenstein e Nuova Zelanda!

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


CAPITOLO TERZO


“Sì! Ho vinto!”. Qualcosa doveva essersi bloccato nel cervello di Corea del Sud, visto che non faceva che ripetere le stesse due o tre frasi da qualche ora; il che lo rendeva in realtà solo di poco più irritante di quanto normalmente già non fosse. “D’altronde, siamo stati noi coreani a inventare il calcio, non potevamo essere da meno dei nostri gloriosi antenati!”.
“Uh-uh”. Grecia, sdraiato contro un albero, sopportava di buon grado la tortura. Neppure sembrava che la sconfitta della sua squadra lo avesse toccato; la sua unica priorità, forse, era quella di farsi un bel pisolino ristoratore. “Sei davvero bravo, Yong Soo…”.
“Già!”, replicò lui, con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro. “E infatti ho vinto! Urrà per la nostra nazione!”.
“Quanto sei rumoroso, stupido fratello…”. Im Hyung Soo, il cappello militare ben calcato in testa e la lunga treccia accuratamente acconciata, aveva l’aria di chi avrebbe voluto trovarsi da qualsiasi altra parte tranne che lì. “Non vedi che quel poveretto vuole dormire? E anche io, sinceramente, farei anche a meno di continuare a sentire il tuo blaterio”.
Corea del Sud, a cui come al solito le male parole entravano da un orecchio e uscivano dall’altro, mise una mano sulla spalla del gemello. “Pensaci, Hyung! La mia squadra contro la tua, sotto il sole cocente del Sudafrica! Novanta minuti di lotta all’ultimo sangue, sudore e lacrime! E alla fine, solo il migliore riuscirà a trionfare!”.
“Eh? Che sarebbe questo scenario da manwha di terza categoria, me lo spieghi? E poi in Sudafrica adesso è inverno, altro che sole cocente!”. Corea del Nord tentò di divincolarsi dalla presa del gemello, ma la mano di Yong Soo sembrava una morsa d’acciaio.
“Beh, lo so benissimo!”, esclamò Corea del Sud, ridendo in maniera palesemente fasulla. “D’altronde l’inverno l’abbiamo inventato noi coreani, eh!”.
Grecia, intanto, era riuscito nel suo intento di appisolarsi; qualche secondo dopo, come spuntato dal nulla, un bel gattone grigio giunse zampettando fiero e si acciambellò ai piedi del giovane.


Argentina aveva indossato un raffinato costume da bagno nero e aveva fermato i capelli in uno chignon alto; non si aspettava che la piscina fosse completamente libera, ma in effetti un po’ di compagnia che non fosse quella dei suoi rumorosi parenti era la benvenuta. “Buon pomeriggio”, disse con un sorriso educato verso le tre ragazze riunite a discutere a bordo vasca, per poi accomodarsi su una delle sedie a sdraio di plastica bianca.
“Oh, Argentina!”, esclamò Nigeria, come se non si aspettasse di vederla lì. Sul gruppetto cadde per qualche secondo il silenzio. “Ehm… Ve la siete cavata davvero bene, prima”, continuò poi l’africana con lo sguardo basso. “In effetti non avevamo speranza di vincere”.
L’altra sembrò perplessa. “Su, non mi sembra il caso di abbattersi”, rispose. “In fondo era solo la prima partita del girone, avete ancora la possibilità di rifarvi”. La donna tese la destra. “E poi noi ragazze dobbiamo mantenerci unite, no?”.
Nigeria strinse la mano con un gesto caloroso; sembrava molto più rilassata, ora. “Oh, giusto, Argentina, tu che in materia sei più esperta di noi… Sai spiegarci esattamente che cos’è un quarto uomo?”.
“Già!”, esclamò Seychelles, che pareva appena riemersa da un lungo trip mentale. “Ancora non sono riuscita a capirlo!”.
La sudamericana incrociò le braccia al petto. “Beh, è semplice. E’ come i guardalinee, no?”. Fissò il suo pubblico per testare l’impatto della notizia: Nigeria e Seychelles la fissavano come se si aspettassero che continuasse, mentre Ghana continuava a guardarsi intorno con aria apprensiva e in generale non pareva prestare grande attenzione. “Sono gli assistenti dell’arbitro, visto che una persona sola non riesce a tenere d’occhio tutto il campo da sola. Poi, beh… Per esempio segnala le sostituzioni o i minuti del recupero”.
“Un incarico di grande responsabilità, insomma!”, disse Nigeria, annuendo.
Seychelles iniziò a tormentarsi uno dei codini con dita nervose. “Spero che il mio compatriota se la cavi bene”, mormorò. “Anche se apparteniamo a uno stato che nessuno sa trovare sulla cartina, non dobbiamo essere da meno degli altri!”. La ragazza assunse un’aria determinata, stringendo i pugni, come se la salvezza del suo paese dipendesse dal comportamento del guardalinee quella sera.
“Ehm… ragazze?”, domandò Ghana. “Mi spiace interrompervi, ma… Non vedo più Costa e inizio a preoccuparmi. Se non lo tengo d’occhio chissà cosa può andare a combinare…”.
Argentina si alzò in piedi. “Probabilmente mi avrà visto arrivare e si sarà nascosto. Scommetto che ce l’ha ancora con me perché quattro anni fa la mia squadra ha battuto la sua nelle eliminatorie”. Guardò Ghana e le altre tre. “Volete che vi dia una mano a cercarlo?”.
Prima che una delle africane potesse rispondere, però, un grido squarciò l’aria afosa. “SORELLONAAAAAAA!”.
Argentina sollevò gli occhi al cielo. “E io che me ne ero andata per non averli ancora fra i piedi…”, mormorò, mentre Uruguay e Paraguay giungevano correndo trafelati e ancora più sporchi di prima. “Si può sapere che succede?”, domandò a voce più alta ai due. Dietro di lei Ghana – che aveva per qualche istante dimenticato Costa d’Avorio – Nigeria e Seychelles fissavano la scena con tanto d’occhi.
I due ragazzi rimasero per qualche secondo piegati dallo sforzo, le mani strette intorno alle ginocchia. Alla fine fu Paraguay a prendere la parola per i due. “Anf… Abbiamo… Abbiamo fatto piangere Brasile, mi sa”.
“Che?”, si lasciò sfuggire Argentina in un tono molto diverso dal suo usuale. “E come avete fatto?”.
“Ecco…”, intervenne Uruguay. “Continuava a inseguirci per… insomma, per riavere la ‘palla’ che gli avevamo rubato. Solo che a un certo punto è caduto dai tacchi ed è finito con la faccia in una pozza di fango. Però era fango praticamente del tutto secco, eh”, precisò, come se la cosa facesse tutta la differenza del mondo. “Comunque quando si è rialzato aveva gli occhi lucidi ed è corso via strillando come una scimmia ragno a cui hanno pestato la coda”.
Argentina sospirò, battendo a terra il piede nudo con aria irritata. “Sarà meglio che ci diamo una mossa”, disse alle tre africane. “A quanto pare i bambini da cercare sono due…”.


“Ehm… Vash?”, domandò Francia in tono più acuto del solito. “Non ti sembra di essere stato un tantino troppo… duro, con Italia?”.
Svizzera gli lanciò un’occhiata torva. “Guarda che puoi anche uscire da dietro l’albero”, disse di rimando. “E comunque mentivo, non avevo certo intenzione di sparargli”.
“Ah, meno male!”, rispose Francis in tono più tranquillo, facendo un paio di passi verso l’altro.
“Non alla testa, quantomeno”.
“Oh”. Il giovane sembrò meditare se tornare dietro l’apparente sicurezza del tronco, ma uno scalpiccio di piedi in avvicinamento lo fece voltare.
“Fratellone!”. Liechtenstein, abbigliata con un leggero abito di cotone per proteggersi dal caldo, avanzava verso di loro con le mani dietro la schiena. Insieme a lei veniva una ragazzina bionda con i capelli tagliati a caschetto che parlava con voce concitata ed era accompagnata da una pecorella che si guardava intorno con aria un po’ assonnata.
Svizzera si irrigidì. “L-lili, tutto bene?”, domandò balbettando. “N-non hai sentito un rumore poco fa, vero? Perché ti posso assicurare che non era affatto uno sparo!”.
Liechtenstein piegò la testa da un lato. “No, non mi pare di avere sentito niente… Perché?”.
“N-no, nulla, nulla”. Si voltò poi verso l’altra ragazzina. “Tu sei Nuova Zelanda, giusto? C’è tuo fratello, lì”.
Lei seguì lo sguardo di Svizzera. “Sì, è sempre il solito”, rispose con un ghigno divertito. “Riuscirebbe ad addormentarsi ovunque…”. Poi si voltò di nuovo verso il suo interlocutore, gli occhi che risplendevano di uno scintillio inquietante. “Piuttosto… Avete visto Italia? L’abbiamo cercato dappertutto…”.
“Sì, sta sistemando le sedie nel prato. O almeno lo spero…”. E la mano gli andò istintivamente alla tasca dei calzoncini, gesto che fece rabbrividire Francia.
“Oh, bene!”, esclamò la ragazza battendo le mani. “Scusa, Lili, posso lasciarti con tuo fratello? Ci vediamo dopo!”. E con un ultimo gesto di commiato si lanciò in una corsa sfrenata incurante del caldo, la pecorella alle calcagna.
“Chissà cosa ci trova, in quello lì…”, borbottò Svizzera, guardandola allontanarsi.
“Ehm… fratellone…”. Liechtenstein si era fatta avanti con aria timida. Teneva ancora le mani dietro la schiena.
“Dimmi”, rispose lui, la fronte aggrottata.
“E-ecco…”, iniziò lei, strusciando un piede a terra. “Nuova Zelanda è stata c-così gentile da portarmi un regalo che le avevo chiesto per te, fratellone… E v-v-v-vorrei che tu lo accettassi”.
“Uh, un regalo!”. Francia, come al solito, non era in grado di farsi gli affari propri. “Voglio vedere cos’è!”.
“E-e-ecco qui”, disse la ragazzina, togliendo le mani da dietro la schiena. “So che la loro lana è la m-migliore, quindi ho pensato che sarebbe stata la cosa migliore…”.
Svizzera rimase pietrificato: sua sorella gli stava tendendo un maglione. Un maglione che sembrava pesantissimo.
“P-potresti provarlo, fratellone?”, domandò lei, il viso rosso per l’imbarazzo. “Vorrei vedere se ti sta bene…”.
Vash aprì la bocca, nel vano tentativo dire qualcosa; la gola era secchissima, e solo a guardare il maglione sentiva il sudore colargli sulla fronte e lungo la schiena. Tese una mano tremante per afferrare l’indumento, poi le sue labbra si stirarono in un sorriso di incosciente beatitudine e il ragazzo crollò sul prato, privo di sensi.








E con Svizzera svenuto per il caldo si conclude il terzo capitolo! Stavolta un poco più lungo rispetto ai precedenti... D'altronde i personaggi si stanno moltiplicando, e riuscire a stare dietro a tutti è dura!Xd
Voglio ringraziare KuromiAkira, Assassin Panda, Kurohime, Prof, Miristar e Kururu4ever per avere commentato! In effetti è vero, le mie due storie su Hetalia per ora hanno entrambe come tema lo sport... E pensare che io non sono affatto un tipo sportivo!XD
Design e nome di Nord Corea non sono opera mia ma di Lo-wah.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


CAPITOLO QUARTO


Italia era così intento a sistemare le sedie – e a lamentarsi per la perdita del suo pallone preferito – che non si accorse dell’avvicinarsi di Nuova Zelanda, almeno finché la pecorella di lei non iniziò a cercare di mangiargli il risvolto dei pantaloni.
“Raki, smettila! Non sono buoni, quelli!”, esclamò lei.
Questo, finalmente, fece uscire Veneziano dal suo torpore. Sollevò gli occhi, stretti a fessure per il caldo e per la luce del sole ancora troppo intensa. “Oh?”, mormorò, la fronte aggrottata. Per qualche secondo non riconobbe chi si trovava di fronte a lui, poi le palpebre si sollevarono in uno sguardo spaventato. “Ve!”, esclamò, facendo un passo indietro. “T-tu!”.
Nuova Zelanda, per riequilibrare la situazione, fece due passi in avanti. “Sei contento di vedermi, Italia?”. La luce spiritata era tornata a manifestarsi nei suoi occhi verdi, un luccichio sinistro che Russia, se fosse stato presente, avrebbe sicuramente riconosciuto. “Allora, hai riflettuto sulla mia proposta?”.
“Q-q-quale proposta?”, domandò lui, fingendo di non capire.
Lei ridacchiò. “Ma dai, sciocchino! Parlo del nostro matrimonio a tre! Io, tu, e tuo fratello!”.
Italia si pentì di avere abbandonato la bandiera bianca quando era fuggito; dubitava, però, che contro un nemico simile gli sarebbe servita a qualcosa. “E-eh?”, balbettò, sperando ancora di scamparla.
Nuova Zelanda gli si avvicinò, prendendo le mani tremanti del ragazzo con un gesto rapido a cui lui non riuscì a sottrarsi. “La nostra è un’unione voluta dal destino!”, esclamò. “I nostri stati sono esattamente l’uno agli antipodi dell’altro, ma hanno la stessa forma! Non può essere un caso, no? E poi tutti e due abbiamo delle Alpi, e guarda!”. La ragazza piegò il capo verso destra. “Abbiamo anche lo stesso ciuffo!”. Il viso di lei si avvicinò a quello di Italia in maniera pericolosa. “Ora dobbiamo solo trovare tuo fratello e poi potremmo ufficializzare la cosa. Sai per caso se Città del Vaticano è stato invitato? Perché se così fosse possiamo farci sposare direttamente qui, con già tutti presenti! Non sarebbe stupendo?”. La ragazza aveva sputato fuori l’intero discorso senza prendere mai un respiro né fare una pausa, mentre il luccichio dei suoi occhi era diventato così intenso da sembrare una coppia di globi da discoteca.
N-nooooooooooooooo!”. Veneziano, finalmente, trovò la forza di reagire; divincolò le mani dalla presa di Nuova Zelanda e fece ciò che sapeva fare meglio: si diede ad una disperata fuga fra le sedie.
“Su, non fare lo scontroso!”. La ragazza si lanciò all’inseguimento, per nulla turbata dalla reazione di lui, con Raki alle calcagna. “Sono sicura che saremmo una coppia… cioè, un trio bellissimo insieme!”.


“Noi non l’abbiamo visto passare, giusto, fratello?”.
“Già, ce ne saremmo accorti, fratello”. Uruguay e Paraguay si guardarono e annuirono con convinzione.
“Questo vuol dire che Costa d’Avorio non è andato nella direzione da cui provenivano loro”, osservò Argentina in tono concentrato.
“Beh, non è che questo restringa molto il campo…”, intervenne Nigeria. “Credo che la cosa migliore sia dividerci e cercarlo, no? In fondo siamo in sei, potremmo fare tre gruppetti e…”.
Fermi tutti!”.
Le sei nazioni si voltarono, e tutte – tranne Seychelles, che sembrava ancora preoccupata dalla faccenda del quarto uomo – si ritrovarono sul volto la stessa smorfia di sconforto: in piedi a qualche metro di distanza da loro, con un lungo abito dalla foggia un po’ antiquata e un paio di occhiali dalla severa montatura rettangolare poggiati sul lungo naso elegante, un frustino per cavalli che le batteva contro il fianco e il viso imbronciato incorniciato da una voluminosa chioma bruna, c’era la donna che aveva urlato loro contro. Accanto a lei c’era un giovane uomo dal fisico ben piazzato e dai capelli castani sparati verso l’alto. “Non badate a me, io non c’entro nulla”, borbottò Olanda. “Volevo solo godermi lo spettacolo…”.
La donna dall’aria arrabbiata puntò il frustino verso i sei. “Preparatevi a diventare delle colonie della mia gloriosa nazione!”, dichiarò in tono perentorio.
Argentina sospirò e scosse la testa. “Possibile che ogni volta devi tirare fuori questa storia, Portogallo? Sono passata sotto cinque tirannie, e non ho certo voglia di ripetere l’esperienza a breve”.
“Infatti!”, aggiunse Ghana in tono bellicoso. “Abbiamo tutti ottenuto l’indipendenza, e il periodo delle colonie è finito! Anche tu dovresti piantarla di vivere nel passato, sai?”.
Portogallo strinse il suo frustino in entrambi i pugni e lo piegò fin quasi a spezzarlo. “Come se voi aveste qualche diritto di dirmi cosa fare!”, replicò piccata. “Non so se ve lo ricordate, ma io sono stata uno dei più grandi imperi mai esistiti!”.
Uruguay e Paraguay scossero la testa in sincrono, e sempre insieme fecero spallucce. “Sentito, fratello? Non capisce proprio nulla”.
“Già, fratello. Gliel’abbiamo ripetuto un sacco di volte, ma lei proprio non ci arriva!”.
Silenzio!”, intimò lei. “E’ vero che ora sono solo l’ombra di ciò che ero una volta, ma voi sarete il primo passo che mi riporterà al mio passato splendore! Quindi vedete di non lamentarvi o…”.
Le parole di Portogallo vennero interrotte quando un enorme gavettone arancione si schiantò sulla sua testa, infrangendosi e inzuppandola da capo a piedi. “Yuhu! Colpita in pieno!”, strillò una vocina acuta in tono esaltato; accanto alla donna si era materializzato Costa d’Avorio, le dita levate in un gesto di vittoria.
“Costa!”, esclamò Ghana. “Si può sapere dov’eri andato a finire?”.
“A riempire quel bestione, ovviamente!”, spiegò lui con un sorriso a trentadue denti. Ma l’espressione di gioia si smorzò quando Portogallo – con un gesto rapido – lo afferrò per un braccio e lo tirò verso di sé.
“Maledetto moccioso, come ti sei permesso?”, sibilò lei.
“Ehi!”, gridò Ghana. “Togligli le mani di dosso!”.
Portogallo fulminò l’africana con lo sguardo. “Mi ha mancato di rispetto!”, disse.
“Te lo sei meritato, racchia!”, rispose Costa, mostrandole un palmo di lingua. “E mercoledì la mia squadra di sicuro non si farà battere dalla tua!”.
“R-r-racchia?”, balbettò lei. “Oh, questo è davvero troppo!”.
“A dire il vero”, una mano si appoggiò alla spalla di Portogallo. “Mi sembra che sia tu, quella che stai esagerando”.


“Potremmo uccidere tutti”.
Le tre parole vibrarono nell’aria come una sentenza di morte. Anche gli uccelli che cinguettavano allegri sulle fronde tutto intorno tacquero intimoriti per qualche secondo.
“Ehm… sorellina cara?”. La fronte di Russia era imperlata di sudore, e non era solo per il caldo. “Non credo che sia il caso… E comunque, potresti staccarti?”.
Bielorussia, però, non pareva intenzionata a mollare la presa dal braccio del fratello. “Non è giusto che la tua gloriosa formazione non abbia avuto accesso alle fasi finali del mondiale, fratello”, sentenziò severa. “Quindi, non basterebbe eliminare qualcuna delle squadre e sostituirla con la tua?”.
Russia rabbrividì di nuovo, nonostante la sciarpa che come sempre non abbandonava il suo collo. “Credo che sia troppo estremo, davvero…”.
*BOING BOING*
“Mi dispiace, fratellino…”. Ucraina, dal canto suo, era praticamente ridotta alle lacrime. “E’ colpa della mia incompetenza se non siamo riusciti a qualificarci… Sono sicura che ora mi odi per questo!”.
“Ma no, ma no”, rispose lui, minimizzando il problema con un gesto della mano. “E poi mi va benissimo così, d’altronde nemmeno Polonia o i Baltici sono riusciti a qualificarsi…”.
“Non ti paragonare a loro”, lo ammonì Bielorussia in tono cupo. “Tu sei l’unico che io accetterei di sposare sposare sposare sposare…”.
*BOING BOING*
Ucraina, che come sempre non aveva ascoltato una parola, aveva sradicato una margherita dal terreno e ora stava strappando i petali uno per uno. “Mi vuole bene… Mi odia… Mi vuole bene… Mi odia…”, intonò in tono lugubre.
“Oh, insomma, questo l’hai già fatto una volta!”, esclamò Bielorussia. “E continuavi a sbagliare!”. E iniziò a litigarsi il possesso sul fiore con la sorella maggiore.
Russia sospirò, fissando il cielo che si intravedeva fra le fronde degli alberi sovrastanti. E’ proprio vero quello che dicono: la famiglia ti segue ovunque…







Rieccoci qui con un altro capitoletto!XD
Ringrazio KuromiAkira, Haru J, Dolce Nina e Laure de Troyes per avere commentato! Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.U_U
E ora qualche precisazione assolutamente non richiesta:
- Chiedo scusa, ma Russia e le sorelle dovevo infilarceli in qualche modo. Li adoro troppo.XD
- Chiedo altresì scusa, Portogallo è venuta fuori davvero odiosa... Vi giuro, di solito non è così stronza!
- Il nome completo della pecora di Nuova Zelanda è Rakiura, e rappresenta la terza isola più grande dell'arcipelago neozelandese. Allo stesso modo il seno prosperoso di Ghana starebbe a rappresentare il lago Volta... Solo che mi sono accorto che Ghana dovrebbe essere un uomo, visto che il termine Ghana vuole dire "re guerriero"... Ma pazienza.XD
- Sono l'unico che immagina Città del Vaticano come un vecchietto vestito da papa?XD
Ok, direi che è tutto. Al prossimo capitolo!^^
Davide

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


CAPITOLO QUINTO


“AHAHAHAHAHAHAHAHAHA!”.
Nonostante il caldo, America era vivace e frizzante come suo solito. Anzi, era fin troppo vivace e frizzante.
“AHAHAHAHAHAHAHAHAHA!”.
Ecco, appunto.
“Mi spieghi che hai da ridere tanto?”. Inghilterra si tolse gli indici dalle orecchie con aria infastidita. “E soprattutto, perché devi farlo così forte?”.
“M-mi dispiace che m-mio fratello sia c-così rumoroso”, balbettò Canada, in piedi dietro ai due con l’inseparabile Kumajiro fra le braccia. Ovviamente, nessuno si era reso conto della sua presenza o sentì ciò che aveva appena detto.
Inghilterra e Austria erano accomodati nella biblioteca di Germania, che essendo orientata verso Nord si manteneva più fresca del resto della casa. E c’era anche Canada, che però come già detto nessuno si filava di striscio.
America si fermò un momento per pulirsi gli occhi dalle lacrime dovute al troppo ridere. “Non è ovvio?”, esclamò, alzando le braccia al soffitto. “Questa sera il mio popolo rifilerà una severa batosta alla tua squadra!”.
Questa volta fu Inghilterra a scoppiare a ridere. “Certo, come no? Come se quei mangia-hamburger dei tuoi compatrioti fossero bravi in qualche sport che non sia il football americano!”. Il giovane sbuffò con aria di superiorità. “Siete così patetici che avete dovuto inventarvi uno sport con il vostro nome per riuscire a primeggiare in qualcosa!”.
America, comunque, non si lasciò scoraggiare: sollevò un dito indice e lo sventolò a qualche centimetro dal naso dell’altro. “Ah! Ti ricordo che l’ultima volta che ci siamo sfidati ai Mondiali siamo stati noi a trionfare!”.
Inghilterra fece schioccare la lingua con aria irritata, le braccia conserte. “Sono passati sessant’anni da allora o sbaglio?”.
“Vero. Ma la tecnologia da allora ha fatto passi da gigante!”.
“Che cosa vorresti dire?”.
“Semplice!”. America si alzò dalla poltrona, un pugno chiuso davanti a sé con determinazione e gli occhi che brillavano. “Ho dato l’ordine di costruire una squadra di guerrieri della giustizia robotici da schierare in campo! In questo modo saremo imbattibili!”.
CHE COSA?”. Anche Inghilterra si era levato in piedi, ma lui sembrava più che altro sconvolto. “Ma non puoi fare una cosa del genere!”.
“E perché no, scusa?”.
“Beh… perché è contro il regolamento!”.
“L’ho letto da cima a fondo, e non c’è niente che vieti di schierare dei robot!”.
“P-per favore, n-non litigate!”. Canada tentò di fare da paciere, ma prima avrebbe dovuto tentare di rendersi visibile in qualche modo.
Le sopracciglia di Inghilterra iniziarono a fremere. Sembravano sul punto di esplodere. “Basta!”, esclamò alla fine, dirigendosi verso la porta.
“Ehi! Dove stai andando?”, gridò America, lanciandosi al suo inseguimento.
“Vado a domandare a Germania una copia del regolamento, ovvio! Sono sicuro che ci debba essere da qualche parte una regola che limiti il gioco agli esseri umani!”. E con queste parole abbandonò la biblioteca, seguito a ruota da America, che aveva ripreso a ridere.
“S-spero che n-non facciano qualcosa di azzardato…”, mormorò Canada, guardandoli uscire con espressione preoccupata.
Kumajiro alzò gli occhi. “Beh, di certo tu non ti sei dato molto da fare per impedirlo… Chiunque tu sia”.


Portogallo si voltò verso la persona che aveva osato fermarla dall’amministrare la giusta punizione a Costa d’Avorio, brandendo il frustino con aria minacciosa… Ma si bloccò, gli occhi stretti a due fessure. “Tu!”, sibilò, a metà fra il sorpreso e l’arrabbiato.
Dietro di lei era apparso un giovane uomo dai lunghi capelli neri, fermati in una coda di cavallo da un nastro verde e giallo, un fisico alto e sottile e un viso da lasciare a bocca aperta: il taglio dei suoi occhi era elegante e leggermente a mandorla, e sembrava naturalmente sottolineato da una leggera riga di bistro, la pelle color canna da zucchero era liscissima e la linea morbida del suo viso racchiudeva un lungo naso affilato e una bocca dalle labbra sensuali. “Già, io!”, esclamò lui in tono allegro. “Davvero, zietta, dovresti darti una calmata”.
La donna sollevò l’arma con mano tremante, le labbra che si contorcevano nel vano tentativo di dire qualcosa… Poi le sue spalle crollarono, e per la prima volta da quando era arrivata apparve sconfitta. “Te l’ho detto mille volte”, borbottò con gli occhi bassi. “Piantala di chiamarmi così. Mi fai sentire vecchia”. Poi, senza dire parola, si allontanò; ma apparentemente cambiò idea dopo una decina di passi, perché si voltò di nuovo. Sembrava essersi ricomposta, e anzi sfoggiava un’espressione più determinata che mai. “Sai? Credo che sia un segno del destino che siamo nello stesso girone”, affermò, puntando il frustino verso di lui come una bacchetta magica improvvisata. “E sappi una cosa: non mi lascerò intimorire o mettere in piedi in testa da te, chiaro? Il mio popolo riuscirà a battere il tuo, e ancora una volta questo ribadirà la mia supremazia su di te”.
L’uomo sorrise. “Non vedo l’ora di assistere alla sfida!”, rispose.
Lei ricambiò l’espressione, poi si voltò e si allontanò, sparendo all’ombra degli alberi che circondavano la piscina.
Prima che qualcun altro potesse parlare, Paraguay e Uruguay si lanciarono sul misterioso nuovo arrivato, guardandolo con aria adorante. “Wow, sorell… cioè, fratellone! Sei riuscito a tenerle testa!”. “Già, fratellone, sei stato un figo! Non è da tutti mettere sotto quella strega!”.
“F-fratellone?”, ripeté Nigeria facendo tanto d’occhi e voltandosi verso Argentina. “Vuoi dirmi che quello è…”.
Argentina, però, di solito così calma e compassata, sembrava un’altra persona; tanto per cominciare era arrossita, e aveva gli occhi lucidi. Fece un paio di passi esitanti verso il nuovo arrivato, poi si bloccò e deglutì, come aspettando una mossa da parte sua. Lui si divincolò dalla stretta dei due fratelli e le si avvicinò, posandole una mano sulla testa. “Su, su”, le disse in tono incoraggiante. “Quasi non ti riconosco, quando fai così”.
Lei strinse le labbra sottili. “Sai”, disse, poi si interruppe ed emise un profondo respiro liquido che sembrava quello di qualcuno che sta cercando con tutte le sue forze di non scoppiare a piangere. “Ogni tanto mi fa piacere, vederti così”.
Brasile tese due dita e le accarezzò una guancia. “Anche a me piace quando ti sciogli e non ti comporti da regina delle nevi”, le rispose con un ghigno che mise in mostra i suoi denti bianchissimi.
Lei gli tirò un pugno su una spalla, ma il suo viso si era un po’ rilassato. “Sei sempre il solito”, disse.
Brasile le fece una linguaccia. “Forza, dai, riaccompagnami in camera”, disse. “Sai che non mi sento a mio agio senza i tacchi”.
Argentina sospirò. “E va bene…”, borbottò, sconfitta, per poi incamminarsi al suo fianco, tallonata da Paraguay e Uruguay che continuavano a berciare eccitati.
Le quattro nazioni africane – o meglio, le tre donne. Costa d’Avorio sembrava più che altro moderatamente annoiato – guardarono la coppia allontanarsi con aria sognante; poi, quando furono scomparsi nella villa, tornarono ad accomodarsi sul bordo della piscina a commentare le scene a cui avevano appena assistito.
Olanda, dal canto suo, sembrò riscuotersi e si guardò intorno con la fronte aggrottata. “E così il divertimento è già finito…”, borbottò. “Oh, chissene, andrò a farmi una canna”.









E così eccoci al nuovo capitolo!
Spero che Brasile “senza trucco” risulti simpatico lo stesso! Temo di avere fatto Argentina troppo moe, ma vabbé, li trovo molto carini insieme. E’ una strana coppia.XD
E sì, la presenza di Olanda era tutta in funzione alla battuta finale di questo capitolo. Alla fine gli vogliamo bene (?) proprio perché è un drogato e un vizioso, no?XD
Bene, nel prossimo capitolo dovrebbe apparire anche Sudafrica, che dovrebbe essere l’ultimo OC che manca all’appello (in realtà avrei pronti anche Cile e Slovenia ma non so se li userò… Magari me li tengo buoni per qualche altra storia!XD). Ci avviciniamo alle fasi finali, mancano al massimo due capitoli!
Ringrazio KuromiAkira, Dolce Nina e Kurohime per avere commentato. Spero che seguirete questa insulsa storiella fino alla fine!^^
Davide

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


CAPITOLO SESTO


“La ringrazio per essere stato così disponibile, signor Ludwig”. Sud Africa, seduta sulla poltrona più comoda presente nello studio di Germania, era abbigliata in un elegante abito tipico della sua terra, i voluminosi capelli neri a formare una nuvola intorno alla sua testa. “Ospitare tutte queste persone per il Mondiale non dev’essere facile”.
Il padrone di casa fece del suo meglio per mantenersi diplomatico. In effetti, iniziava davvero a pensare che aver invitato certa gente fosse una pessima idea. “In fondo è tradizione che chi abbia ospitato i Mondiali nella precedente edizione poi metta a disposizione la sua dimora per quelli successivi”, l’uomo esibì un sorriso che sperò fosse il più convincente possibile. “Vorrà dire che fra quattro anni saremo suoi graditi ospiti”.
La donna annuì con grazia. “Anche se la mia dimora non è nulla in confronto alla sua. Ma vedrò comunque di trovare posto per tutti quanti”. I tratti del suo volto si contorsero per un attimo in una smorfia di disgusto, poi aggiunse a voce bassissima. “Tranne che ovviamente per quell’imbecille di un drogato, lui a casa mia non ci metterà mai più piede…”.
“Eh… Sud Africa, tutto bene?”, mormorò Germania, impietrito dall’improvviso cambio di atteggiamento. “Sta per caso parlando di Olanda?”.
Lei sobbalzò. “C-che cosa? N-no, no, si figuri, stavo pensando ad alta voce…”. Un’altra espressione orripilata. “Ecco, quel cretino mi ha fatto fare un’altra figuraccia, lui e le sue puttanelle e i suoi cavolo di mulini a vento, so io dove glieli infilerei quei mulini a vento…”.
Ok, sta
chiaramente parlando di Olanda…, pensò Germania, scrollando le spalle. Meglio cambiare discorso, un incidente diplomatico era proprio l’ultima cosa che avrebbe voluto affrontare. “E, uhm, mi dica… Chi pensa che vincerà la partita di questa sera?”.
Sud Africa aprì la bocca per rispondere, ma le sue parole vennero inghiottite dallo spalancarsi violento dalla porta e dall’irruzione di America e Inghilterra. “Senti, diglielo tu!”, esclamò quest’ultimo. Le sue sopracciglia non erano mai state tanto aggrottate. “Diglielo che non si possono mandare dei robot in campo!”.
Qualche secondo di silenzio. “…che?”, fu tutto ciò che Germania riuscì a dire. “AHAHAHAHAHAH!”. America, ovviamente. “Hai visto? Nemmeno lui sa rispondere! Questo vuol dire che ho ragione io!”.
“Ma neanche per sogno! Allora vuol dire che io farò un rituale di magia nera per propiziarmi la vittoria!”, contrattaccò Inghilterra, per poi voltarsi verso l’ospite. “Senti, non è che hai una stanza che non usi, vero? E poi mi servirebbero un paio di chili di sale, dodici candele nere, e un gallo. Nero anche quello, possibilmente. E non è che hai un coltello cerimoniale in giro per casa che ti avanza?”.


“E quindi, com’è finita?”, domandò Francia, che non avrebbe saputo tenere a freno la propria curiosità nemmeno se ne fosse andato del destino della propria nazione.
Inghilterra e America fissarono mogi il terreno. “E’ finita che ci ha detto di no”, rispose Arthur. “Niente robot e niente malefici. Neanche uno piccolo piccolo, me ne ha lasciato fare”.
“E’ giusto così. Ognuno deve contare sulle proprie forze, no? Sennò sarebbe come imbrogliare”, intervenne Spagna, che insieme agli altri tre si stava dirigendo verso il prato costellato di sedie. Tutte le nazioni stavano prendendo posto, in attesa dell’inizio della partita ormai prossimo.
“Lo dici perché non è la tua squadra, quella in campo stasera”, rispose America in un tono piagnucoloso che era l’esatto opposto a quello che gli era tipico. “Se dovessimo perdere, come potrò continuare ad essere un eroe credibile?”.
“Guarda, credo che la cosa non importi davvero a nessuno…”, mormorò Francia, non era ben chiaro se per tentare di consolarlo o per infliggere un’altra pugnalata. Lui e Spagna stavano per seguire gli altri due in prima fila, quando qualcosa tirò i loro pantaloni; i due si voltarono sorpresi.
“Dove state andando, Papà Uno e Papà Due?”, domandò con voce acuta una bambina dai capelli castano chiaro ripartiti in due lunghi codini. “Avevate detto che vi sareste seduti vicino a me!”.
“Oh, Andorra!”, esclamò Spagna. “Ehi, perché io sarei Papà Due?”.
Francia si concesse una risata plateale. “Perché ovviamente io sono quello a cui lei vuole più bene. Non è vero, piccola Andorra?”.
Lei contrasse le labbra in una smorfia. “A dire il vero non faccio preferenze”, rispose. “Ma devo pur distinguervi in qualche modo!”.
“Beh, potresti chiamare lui ‘Mamma’”, suggerì Spagna con un sorriso a trentasei denti.
Francia smise di manifestare la sua ilarità. “Ti rendi conto di cosa stai implicando?”.
“In che senso, scusa?”.
“Beh, se tu sei il papà e io la mamma…”.
Sul volto di Spagna si dipinse l’orrore. “Ok, Andorra, dimentica tutto quello che ho detto”, si affrettò a dire, mentre il viso gli si arrossava peggio dei suoi adorati pomodori. “Papà Uno e Papà Due vanno benissimo, d’accordo?”.
“D’accordo”, rispose Andorra, con l’aria di chi non si era mai posta il problema. “Ora però andiamo a sederci? Io voglio stare in mezzo!”.
“Va bene, va bene”, disse Francia, con un sorriso condiscendente. “Dove vuoi metterti?”.
“Ovunque tranne che vicino a Portogallo”, intervenne però Spagna. “Già la devo sopportare nella vita di tutti i giorni…”.


“Ti senti un po’ meglio, fratellone?”, domandò Liechtenstein preoccupata. “Sì, sì…”, borbottò lui. Al posto del suo consueto basco, sulla testa aveva una borsa per il ghiaccio, adagiata come una medusa bitorzoluta. “E’ solo che fa davvero troppo caldo. Non preoccuparti, Lili-chan”. Il ragazzo si sforzò di sorridere.
“Ma se dovesse servirti qualsiasi cosa, fratellone, io sono qui per te!”, rispose lei solerte.
Un leggero rumore di sedia trascinata, e Australia si sedette accanto a Svizzera. Il suo koala gli stava appollaiato su una spalla, intento a masticare un cespo di foglie di eucalipto. “Uhm… Ehilà!”, esclamò. Sembrava essersi svegliato da poco, a giudicare dall’impronta lasciata dall’erba sulla sua guancia. “Sapete per caso dov’è mia sorella?”.
“Dovrebbe passare più o meno…”.
WAAAAAAAAAH! Mi arrendo, mi arrendo! Ma smettila di inseguirmi!”.
“No, finché non sarò riuscita a prenderti! Così poi potremo sposarci!”.
“NOOOOOOOOOOOOO!
”.
“…ora. Certo che ne ha di energie, eh?”.
“Perché tu non dici mai che vuoi sposarmi, fratellone?”, disse una voce facilmente riconoscibile un paio di file più indietro.
“Ehm… Di questo ne abbiamo già parlato. E metti via quel coltello, per favore”.


“Manca un minuto!”, esclamò Sud Africa. Ora che i suoi pensieri erano stati distolti da Olanda – che, stando a sua sorella, era steso su una sedia a sdraio vicino alla piscina e ridacchiava da solo – sembrava tornata alla normalità. “Chissà chi vincerà?”.
“Io, ovviamente!”. Inghilterra e America avevano risposto all’unisono, e all’unisono si fulminarono con lo sguardo. “Come ti permetti di contraddirmi?”. Ancora nello stesso momento. “E come ti permetti di imitare quello che dico?”. Di nuovo insieme.
ORA PIANTATELA, VOI DUE!”, scattò Germania. Troppo tardi, però: il breve alterco dei due aveva scaldato gli animi di tutte le altre nazioni: Francia stava insultando Inghilterra, Canada come al solito stava tentando senza alcun successo di separare i contendenti, Costa D’Avorio si era avvicinato di soppiatto e aveva tirato un calcio negli stinchi ad America, Portogallo stava dissertando su come certe cose non sarebbero mai successe se lei fosse stata al comando, Italia e Nuova Zelanda continuavano a inseguirsi urlando, Grecia russava come un trombone e Seychelles tremava così tanto dall’emozione che si ribaltò insieme alla sedia.
Ludwig si batté una mano sulla faccia, rimettendosi a sedere. Sarà un lungo, lungo Mondiale…, pensò, mentre sullo schermo i giocatori tiravano il calcio d’inizio.









Ciao a tutti!
Chiedo scusa se ci ho messo tutto questo tempo per l'ultimo capitolo, ma mi era passata l'ispirazione... Fortunatamente oggi è tornata, e ho potuto concludere (con estremo ritardo, i Mondiali sono belli che finiti!) questa storiella.
Ringrazio KuromiAkira, Dolce Nina, Kurohime e Prof per avere commentato lo scorso capitolo! Spero che anche questo vi sia piaciuto.

Questa storia è finita, ma non le mie fanfiction su Hetalia! Ho già parecchie idee a riguardo, e una riguarda Andorra, la bimba apparsa in quest'ultimo capitolo. Ci tengo a chiarirlo: le mie storie su Hetalia avvengono/avverrano tutte nello stesso universo narrativo, a meno che non sia espressamente segnalato il contrario; quindi insomma, i personaggi originali apparsi in questa fanfiction potrebbero (e alcuni lo faranno di sicuro, se l'ispirazione continua ad assistermi) spuntare fuori in altre storie!
Bene, credo di avere detto tutto! Spero che, nel caso scriva dell'altro su Hetalia, continuerete a seguirmi!
A presto,
Davide

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