Virtual Story - Level 2

di Yoshiko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Password: house ***
Capitolo 2: *** Password: car ***
Capitolo 3: *** Password: boat ***
Capitolo 4: *** Password: motorbike ***
Capitolo 5: *** Password: island ***
Capitolo 6: *** Password: cruiser ***
Capitolo 7: *** Password: beach ***
Capitolo 8: *** Password: fire ***



Capitolo 1
*** Password: house ***


Password: house


L’oceano distava una ventina di chilometri ma il vento che soffiava verso terra portava con sé le grida stridule dei gabbiani. Dal porto entravano e uscivano imbarcazioni a motore e a vela, minuscoli tocchi di colore che si muovevano al rallentatore su quell’immensa distesa piatta. Dal suo punto di osservazione, in cima alla collina del quartiere elegante che sovrastava la città, vedeva l’acqua azzurra che sfumava a largo in un blu profondo e impenetrabile. Era uscito di casa non appena il caldo di quell’afosa e umida giornata estiva aveva cominciato a ritrarsi e a lasciare il posto alla brezza più fresca e gradevole del pomeriggio. Dopo essersi chiuso la porta alle spalle, aveva saltellato giù per le tre rampe di scale esterne al palazzo, aveva varcato il cancello del giardino condominiale e aveva cominciato a correre lungo la pista ciclabile.
Il consueto e quotidiano percorso di allenamento prevedeva una corsa di circa cinque chilometri in pianura, uno sprint in salita fin sulla cima della collina e poi, dopo una pausa di quindici minuti per riprendere fiato, tutta discesa a passo svelto tra le strade e le stradine del quartiere fin giù al supermercato, dove avrebbe comprato la cena di quella sera.
Adesso era in piena pausa, sedeva sul muretto e si chiedeva che ore fossero. Forse le sei, o magari anche le sette.
Non lo sapeva con certezza perché quando si era frugato nelle tasche in cerca del telefonino, si era accorto di averlo dimenticato a casa. Saltò giù dal muretto e scelse uno dei viottoli a caso. Cambiava sempre percorso perché lo affrontava camminando quindi non era necessario che ricordasse la presenza di eventuali buche o disconnessioni del selciato. Gli piaceva osservare le case dei ricchi, ammirare l’eleganza dei muri di cinta, scorgere tra piante costose e rare, spicchi di giardini artistici, curati fin nel più piccolo dettaglio. Gli piaceva leggere i nomi sui cancelli, godere del silenzio interrotto solo a tratti dall’abbaiare di un cane disturbato dal suo passaggio. Ogni tanto qualche gatto pasciuto e dal pelo lucido e pulito faceva silenziosamente capolino da un angolo della strada e saltava con agilità sulle recinzioni, sparendo all’interno dei giardini senza fare rumore.  
Stavolta scelse il sentiero che l’avrebbe portato a costeggiare il muro di cinta della villa più grande. Era parecchio che non passava lì davanti. In realtà la recinzione era lunga e monotona nel suo grigio spento, tanto da rendere il percorso così noioso da sceglierlo solo di rado.
Il cielo era terso, color pervinca verso oriente, e la foschia umidiccia caratteristica delle grandi città si stava finalmente diradando grazie alla preannunciata frescura della sera proveniente dal mare. Il sole era ancora alto nel cielo e gli uccelli cinguettavano, indaffarati nel chiacchiericcio che intervallava la loro quotidiana ricerca di cibo fino al tramonto. La strada che percorreva seguendo il marciapiede era tranquilla. Da quelle parti non c’era mai confusione, tutti i rumori erano sempre soffusi, pure il rombo dei motori delle macchine giungeva attutito tra quelle strade ricche che assorbivano come per magia ogni suono fastidioso. Non aveva mai sentito una voce gridare, anche solo per chiamare, mai le risate di bambini provenire dall’interno dei parchi. A volte l’unico rumore che udiva per svariati minuti era il calpestio che produceva lui stesso.
Anche quel giorno era così immerso nel silenzio tranquillo del quartiere che il grido improvviso che squarciò l’aria lo fece saltare di un metro e gli entrò dritto nel cervello.
-Le ho detto di lasciarmi in pace! Non si avvicini! Non mi tocchi!-
Una mano sul cuore che batteva a velocità supersonica, si volse. Le grida provenivano dal lungo muro che aveva appena finito di costeggiare, quello della villa più grande. Tornò indietro e si accostò alla parete grigia, che lo sovrastava di circa un metro. Oltre il cemento tirato grezzo, fitte siepi di lauroceraso nascondevano alla vista tutto ciò che si trovava all’interno della recinzione.
-Mi lasci! Mi lasci!-
Erano senza ombra di dubbio delle grida femminili che si facevano sempre più insistenti e pressanti. Grida che gli sconvolsero lo stomaco per la loro urgenza e che lo indussero ad aggrapparsi alla parete grigia e issarsi con la forza delle braccia per poter lanciare un’occhiata al di là delle foglie verde scuro che impedivano la visuale. C’era una ragazza, la vedeva appena. E qualcuno la teneva.
Si volse indietro, verso la strada, verso le case vicine. Tutto continuava ad essere silenzioso, nessuno nei paraggi ad osservarlo e a chiedersi cosa stesse facendo lì, aggrappato ad un muretto, a spiare l’interno di una proprietà privata, a impicciarsi degli affari degli altri. Nessuno che avesse udito le urla disperate della giovane. L’unico rumore che giungeva alle sue orecchie dai dintorni era il fruscio del vento e lo stormire delle fronde degli alberi dei giardini. Persino gli uccelli avevano smesso di cantare. D’un tratto una porta cigolò sinistramente, procurandogli brividi sulle braccia e lungo la schiena.
-Non mi tocchi! Mi lasci stare!-
Ficcando la punta delle scarpe tra le fenditure del cemento, riuscì a tirarsi più su e a guardar meglio, oltre gli arbusti. La ragazza che gridava stava tentando di liberarsi dalla presa salda e forte di un possente uomo in nero. Le due figure si trovavano proprio sulla veranda della villa ma l’ombra proiettata dall’edificio rendeva impossibile distinguere i loro volti. Cavolo però, che accidenti di casa!
Non aveva mai visto niente di così lussuoso e allo stesso tempo pacchiano. L’edificio su due piani era di un chiassoso rosa shocking con rifiniture, colonne e bordini barocchi bianchi come la neve. Dal suo punto di osservazione la planimetria della villa era indefinibile. Dietro la facciata animata da complementi di dubbio gusto, tutto quel fucsia proseguiva ancora parecchio, continuando forse per decine di metri sul retro. Al centro del tetto terrazzato sorgeva una specie di tempietto rotondo circondato da colonne; scendendo con lo sguardo verso il basso ci si scontrava con l’alcova del secondo piano che si protendeva a semicerchio verso l’esterno e verso la doppia scalinata che scendeva a terra in un tripudio di colonnine bianche, così numerose da costituire una fatica non da poco contarle tutte. Uno spazio triangolare si apriva nel muro sotto la scalinata e sulla parete erano state tracciate strisce orizzontali e verticali ad imitare un’improponibile sequenza di mattoni rosa. Quella specie di ballatoio triangolare era separato dall’esterno da un’ampia cancellata bianca a quattro ante, ciascuna fregiata di un grande fiore di ferro battuto. Oltre di essa un piccolo ballatoio introduceva all’abitazione vera e propria attraverso una porta in legno anch’essa verniciata di bianco.
La ragazza che gridava era proprio lì, in quell’ingresso, nel tripudio di bianco e rosa che faceva male agli occhi. E a parte la conturbante e prepotente tonalità che si insinuava nel cervello in lievi stilettate, il problema più grande era rappresentato dalla siepe di lauroceraso in piena fioritura. Il profumo di quelle corolle era così intenso da stordirlo e fargli prudere il naso. Soffocò il primo starnuto contro il braccio, riuscì a mandare indietro il secondo e inghiottire il terzo. A quel punto i suoi occhi erano diventati un lago di lacrime e non riusciva più a mettere a fuoco la ragazza. Si passò un lembo della maglia sulla faccia e tornò a guardare. La giovane adesso era riversa a terra, il sole illuminava finalmente il suo volto e riuscì a riconoscerla.
Sussultò e soffocò un grido.
-Evelyn!-
Si aggrappò al muro e saltò dall’altra parte, finendo in un tripudio di foglie e i fiori. Un attacco inarrestabile di starnuti lo investì ma Evelyn continuava a gridare, impedendo all’uomo di udirlo e prendere atto della sua presenza. Costeggiò il giardino piegato in due, il naso che gli prudeva da impazzire, quell’energumeno che strattonava Evelyn con forza e lei che cercava in tutti i modi di impedirgli di trascinarla in casa, avvinghiandosi come una scimmia alla cancellata.
E quando fu ad un passo da loro vide chiaramente la lama di un coltello a serramanico emanare sinistri bagliori alla luce del sole. Allora si chinò, scalzò una pietra dal terreno, si avvicinò di soppiatto ancora per un bel tratto e prese bene la mira. Tirò indietro il braccio e lanciò.
La pietra si schiantò sulla tempia dell’uomo con uno schiocco secco. Lui per pochi istanti si bloccò, spostò gli occhi dalla ragazza al giardino senza riuscire a metterlo a fuoco, perché si rivoltò all’indietro e crollò a terra con un tonfo.
-Caspita che mira!-
-Non mi ci far pensare! Temevo di sbagliare e colpire te!- tese una mano e l’aiutò a tirarsi in piedi. Poi starnutì un paio di volte.
-L’avrai mica ammazzato?-
Tom non volle riflettere su una tale eventualità.
-Che voleva da te?-
-Ecco, veramente...-
Uno scalpiccio di passi affrettati li spinse a voltarsi all’unisono verso l’ingresso in penombra. Una sagoma si stagliò contro la porta, poi piombò a terra come un sacco di patate. La pietra che Tom aveva recuperato e scagliato per la seconda volta, rimbalzò sull’impiantito e giacque in un angolo.
Evelyn si portò le mani al viso sgomenta, poi crollò in ginocchio accanto al corpo privo di sensi.
-Che hai fatto?-
Tom si accostò, in preda a brividi di terrore.
-È Benji!-
-Certo che è Benji!-
-Non l’avevo riconosciuto! Ommioddio! Questa me la farà pagare cara! Non mi perdonerà mai!-
-Sempre che sia ancora vivo!-
-Non dirlo neppure per scherzo!- Tom si inginocchio dall’altro lato e allungò una mano. Le dita trovarono sul collo la vena pulsante di vita -Respira ancora…- il sollievo gli provocò un paio di starnuti, poi raddrizzò la schiena e si guardò intorno. L’uomo colpito in precedenza era ancora steso a terra.
Un cane abbaiò dal giardino di una delle case del vicinato, riscuotendoli dallo sgomento. Era arrivato il momento di sparire.
-Aiutami.- Tom agguantò il corpo esanime di Benji e se lo caricò sulle spalle con uno sforzo madornale. Il compagno non era decisamente un peso piuma.
-Cosa vuoi fare?-
-Filarcela e portarlo con noi.- la fissò negli occhi -O preferisci rimanere qui? Che poi qui… che posto sarebbe?-
-Dopo, Tom.-
Evelyn corse verso il cancello pedonale, mentre il ragazzo la seguiva arrancando piegato dall’insostenibile peso dell’amico svenuto. Quando lei premette il pulsante sulla colonna in laterizio, la serratura scattò con un rumoroso schiocco. Afferrò le sbarre e aprì. Non appena anche Tom lo ebbe varcato, sbuffando di fatica, lo richiuse dietro di loro.
-Jack!- gridò una voce dalla casa -Ma che diavolo…!-
Soltanto la ragazza si volse a guardare cosa stesse avvenendo dietro di loro. Tom proseguì caparbio, accelerando il più possibile l’andatura. Li avevano scoperti.
-Evelyn, muoviti!- la incitò, non sentendo più dietro di sé il rumore dei suoi passi.
L’ingresso della casa vomitò all’esterno altri uomini in nero che si ammassarono sullo stretto ballatoio, urtandosi l’uno con l’altro mentre cercavano di capire cosa stesse accadendo. Qualcuno li individuò.
-Ehi! Voi due! Fermi!-
-Tom, sono armati!- il terrore ruppe la voce di Evelyn.
-Bob! Taylor! La macchina!- sentirono gridare -La ragazza sta scappando! Bisogna riprenderla a tutti i costi!-
Tom si orientava alla perfezione tra le stradine che costellavano il declivio della collina. Conosceva ogni svolta come le sue tasche. E stavano procedendo in discesa. Ma Benji gli gravava addosso in modo insopportabile. Bastarono poche centinaia di metri e le sue gambe cominciarono a rifiutarsi di procedere. Si fermò e appoggiò la schiena del portiere contro il muro, lasciandoselo poi scivolar giù dalle spalle. Il cuore gli stava scoppiando per lo sforzo.
-È troppo pesante, ci riprenderanno!-
-Ti aiuto! Portiamolo insieme!-
Evelyn si passò un braccio esanime dietro al collo, Tom fece altrettanto e ripresero ad allontanarsi con tutta la fretta che il peso del compagno svenuto consentiva loro.
Le strade che percorrevano seguitavano ad essere silenziose e desolate. Se Tom non fosse stato sicuro del contrario avrebbe creduto di trovarsi catapultato di colpo in una città fantasma. Si introdussero in un viottolo tra i muretti di cinta dei villini, percorsero a zig-zag le stradine, sperando di far perdere le loro tracce.
Si fermarono a riprendere fiato al riparo di una siepe verde e rigogliosa che ricadeva oltre un muro, occupando con i suoi tralci verdi pieni di foglie e di fiori bianchi la maggior parte del marciapiede. Appoggiarono Benji alla parete di mattoni grezzi e lui gemette debolmente. Il sangue gli tingeva di rosso una tempia, lì dove la pietra scagliata da Tom lo aveva colpito. Un rivoletto scarlatto gli solcava la guancia, attraversandogli il viso per tutta la lunghezza e andando ad imbrattare il colletto della camicia a scacchi nerazzurra che indossava.
-Una clematide.-
Tom la guardò stravolto raccogliere delle piccole sfere arancioni.
-Una che?-
-Una clematide. La pianta.-
-Cosa stai facendo?-
-Prendo i frutti.-
-Ti sembra il momento?-
-Non so che altro fare.- ne colse altri due e poi, quando non ebbe più spazio nelle tasche, lo guardò piena di speranza -E adesso?-
-Sento il rumore di una macchina. Se passa da qui fermala.-
-Dobbiamo andare in ospedale. Forse Benji ha qualcosa di rotto e ha bisogno di cure.-
-Qualsiasi posto va bene purché riusciamo ad allontanarci da quella casa e dai suoi inquilini.-
-Tom, se quell’uomo è morto…? Cosa facciamo?-
-Non pensarci adesso. Non è il momento. Troviamo qualcuno che ci dia un passaggio e su tutto il resto ci angustieremo più tardi.-
Una macchina si stava effettivamente avvicinando. Dovevano solo sperare che tra tutti i vicoli e vicoletti imboccasse proprio quello in cui si trovavano loro. 

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Capitolo 2
*** Password: car ***


Password: car


-Accidenti a te Callaghan! Perché non rispondi?-
Jenny covava un diavolo per ciascun capello che il vento le scompigliava spingendosi a forza nell’abitacolo attraverso il finestrino spalancato. Nonostante le vie del quartiere residenziale dove presto sarebbe andata a vivere fossero costellate di incroci, procedeva a velocità decisamente sostenuta sfogando sull’acceleratore tutto il suo scontento. Era strasicura che alla fine Philip, stanco di sentir trillare il telefonino, oppure temendo che tanta insistenza celasse un’emergenza, avrebbe finito per rispondere. Quando cadde la linea, lo gettò stizzita all’interno della borsetta aperta sul sedile del passeggero. Continuò a gridare contro il cruscotto, un modo come un altro per esorcizzare il malumore.
-Tu e i tuoi messaggi! Non hai neanche le palle per chiamarmi!-
Diceva così perché quella mattina Philip, per metterla al corrente del suo nuovo programma del week-end che non avrebbe coinciso con quello di lei, né prevedeva la sua presenza, aveva preferito mandarle un messaggio. Il vigliacco! Non le aveva neppure dato la soddisfazione di insultarlo in diretta!
-Stavolta non ti perdono!- minacciò il volante -Se almeno rispondessi, Callaghan! Se almeno rispondessi io… potrei perdonarti al cinquanta percento. Sì, potrei farlo. Certo, poi il restante cinquanta percento te lo farei pagare il doppio!- continuò imperterrita, imboccando una stradina dietro l’altra e scalando marcia ad ogni incrocio -Non dici dove vai! Né il perché! Sparisci con “mi dispiace amore”! Dovevamo fare la prova generale! Il tuo completo è pronto da una settimana e non sei ancora andato a provarlo! Stamattina mi ha chiamata il gioielliere perché le fedi sono arrivate! Non avevamo detto che le avremmo ritirate insieme? E invece dove diavolo sei finito?!- Un’idea orribile le balenò nella mente. Philip era in piena crisi prematrimoniale? Ci stava ripensando? E se il giorno delle nozze intendesse abbandonarla sull’altare per fuggire con l’amante come accadeva sempre nei suoi peggiori incubi?
Philip aveva un’altra. Doveva averla per forza! E più ci rifletteva e più le sembrava plausibile. Un’infinità di piccoli particolari iniziarono ad incastrarsi con naturalezza tra di loro, come tanti tasselli di un puzzle. Ecco perché non gli importava delle fedi. Ecco perché così tante volte, soprattutto ultimamente, sembrava sparire nel nulla. Ecco perché il suo vestito era ancora in sartoria e non veniva ritirato. Ecco perché non rispondeva mai al cellulare quando aveva bisogno di lui, e anche quando non lo aveva. Diceva di non udire la suoneria, ma continuava a tenerla con il volume al minimo di certo per non essere disturbato quando era con l’altra tipa a divertirsi.
Serrò con forza il volante tra le dita mentre i capelli le finivano in ciocche disordinate sul viso. Se Philip la stava prendendo in giro doveva trovare il modo di scoprirlo o, almeno, costringerlo a confessare, perché il tradimento era la cosa che odiava di più e alla quale il loro rapporto, che durava da anni, non sarebbe sopravvissuto.
Philip continuava a non rispondere, ormai doveva averlo chiamato più di quindici volte, era impossibile che non sentisse neppure la vibrazione del telefonino. Se lo immaginava perfettamente, come se ce lo avesse davanti, a spasso con una sciacquetta svenevole super truccata che si aggrappava al suo braccio, unghie e ciglia finte ma perfettamente curate, una cascata di capelli tinti di biondo, una minigonna giroslip, gambe lunghe fasciate da stivali di pelle, magari viola o rossi con il tacco a spillo. Riusciva a immaginarla davvero quella ragazza, forse una liceale o giù di lì, dal profumo costosissimo e conturbante che poteva avergli regalato lui. A spasso insieme per negozi, al cinema, al ristorante, nei love hotel, mentre lei era al lavoro o all’università o a fare la spesa o a casa a pulire, lavare i suoi panni, stirare le sue camicie e preparare la cena per lui.
Come poteva Philip essere un così subdolo doppiogiochista? Eppure quante volte le era stato detto che gli uomini erano traditori per natura? Che nessuno di loro riusciva a resistere ad un’avventura sentimentale con un’altra? Che l’occasione faceva e avrebbe sempre fatto l’uomo (e non la donna, guarda caso) ladro?
La gelosia e la delusione si facevano ogni istante che passava più concrete e più reali, talmente brucianti che le riempirono gli occhi di lacrime, annebbiandole la vista. E attraverso quell’umidore la ragazza spuntata all’improvviso al centro della carreggiata fu soltanto una sagoma indistinta piena di colori. Jenny individuò l’ombra all’ultimo istante e pigiò il piede sul freno. Per non travolgerla inchiodò di colpo sull’asfalto con uno stridio infuriato di pneumatici e un odore acre di gomma bruciata. La cintura di sicurezza si tese, mentre il suo corpo veniva scagliato prima in avanti, poi violentemente indietro contro il sedile e il poggiatesta.
Sgomenta, impaurita, praticamente terrorizzata, sganciò la cintura e spalancò lo sportello mettendo un piede a terra.
-Ma sei matta?! Cosa ci fai  in mezzo alla strada?- prima l’assalì, poi la riconobbe -Evelyn?- esclamò sorpresa -E Tom!- avanzò per capire chi portasse sulle spalle -Benji?-
-Che fortuna sfacciata!- Evelyn sospirò di sollievo, poi corse su un lato della macchina e aprì lo sportello posteriore.
Tom arrancò con il pesante fardello sulla schiena. Le guance paonazze per lo sforzo, il sudore che gli colava a rivoli sulle tempie, gli occhi spalancati. Non ce la faceva più.
-Jenny...- ansimò -Dobbiamo andar via di corsa. Aiutami a mettere dentro Benji!-
Lei gli si avvicinò sospettosa.
-Cos’ha?-
-Ne parliamo dopo.- la sollecitò il ragazzo con urgenza.
Messa in allarme dalle condizioni del portiere, dalla preoccupazione di Tom e dal terrore che leggeva negli occhi di Evelyn, si sporse all’interno dell’abitacolo per aiutarli coricare il ragazzo svenuto sui sedili.
-Rimani dietro con lui.- le ordinò Tom chiudendo le portiere e sedendosi al posto di guida.
Evelyn salì davanti, sul lato del passeggero.
-Mi dite cosa sta succedendo?-
-Stiamo scappando.- riassunse Evelyn pratica.
-Da cosa?-
-Yakuza.-
-YAKUZA?- gridarono in coro Tom e Jenny.
-Ebbene sì. La mia inchiesta sulla malavita organizzata, non è stata apprezzata in quegli ambienti.-
Tom si dimenticò di partire, la notizia era sconvolgente. Sprofondò tra i sedili.
-Siamo rovinati. Siamo morti.-
Lei annuì.
-Certo Tom, se non ti dai una mossa saremo morti di sicuro nel giro di pochi minuti.-
Il giovane si riscosse, avviò il motore e partì con una rumorosissima sgommata.
-Ti prego vai piano...- mormorò Jenny con un filo di voce, il terrore che lasciava il posto alla preoccupazione di rovinare la macchina appena ritirata dal concessionario.
Abbassò gli occhi su Benji che giaceva ben incastrato tra i sedili, le gambe infilate a forza dietro quello di Evelyn e il torace disteso sui cuscini. Doveva essere una posizione davvero scomoda. Jenny prese la testa del portiere e se l’adagiò sulle ginocchia, imbrattandosi le mani di sangue. Il lato del viso che finora le era rimasto celato, era completamente tinto di scarlatto. Le prese un colpo.
-È ferito!- esclamò -Cosa gli è successo?- 
Evelyn si affacciò tra gli schienali dei due sedili anteriori.
-Ha preso una botta in testa.-
-È vivo?-
-Non lo so, Jenny. Diccelo tu.-
Lei gli appoggiò una mano sul cuore e lo sentì battere.
-È vivo.-
-Meno male. Tom l’ha quasi ucciso.-
-Grazie per la solidarietà, Evelyn.- bofonchiò lui schiacciando l’acceleratore e dando continue occhiate allo specchietto retrovisore per controllare che nessuno li seguisse.
-Con cosa l’hai colpito?-
-Gli ho lanciato una pietra. Ma non l’avevo riconosciuto.-
-Ma… perché? E poi davvero stiamo scappando? C’è un limite di velocità su queste strade e tu lo stai superando di molto!-
-Ringrazia che non ci abbiano ancora trovato, Jenny.- disse Tom lanciandole un’occhiata attraverso lo specchietto -Se ci prendono e ci fanno a pezzi!-
La ragazza si guardò indietro tesa e spaventata, ma le stradine alle loro spalle erano ancora deserte. Sprofondò il viso in una mano. Altro che matrimonio. Questa sì che era la fine. E sarebbe morta senza neppure essere riuscita a parlare con Philip.
-Dove stiamo andando?- domandò l’ansia di Evelyn.
-Non lo so. Intanto ci allontania… Maledizione! Eccoli!-
Una vettura nera come l’ebano balzò fuori da una traversa e quasi riuscì a tagliar loro la strada. Tom sterzò ed evitò per un soffio lo schianto, poi imboccò appena in tempo una via più larga slittando sull’asfalto.
-Yakuza...- balbettò Jenny terrorizzata. Tenendo la testa di Benji con una mano, si volse a guardare indietro.
Attraverso i finestrini oscurati non riusciva a vedere l’interno della vettura che li seguiva, ma distinse benissimo il viso di un uomo affacciarsi dal finestrino aperto, puntare contro di loro una pistola e cercare di prendere la mira attraverso gli occhiali da sole, nonostante le curve della strada e i sobbalzi delle ruote sull’asfalto a tratti irregolare.
-Ci vogliono sparare!- gridò allarmata -Tom!-
Il ragazzo sterzò nel momento esatto in cui esplodeva il primo colpo.
-Tutti giù!- gridò e le giovani ubbidirono all’istante.
Jenny si chinò su Benji, stringendogli la testa tra le braccia per cercare di evitargli gli scossoni, la guancia premuta sul petto di lui. Il lunotto posteriore esplose, frammenti di vetro le caddero tra i capelli, sulle braccia nude, sul torace del ragazzo che giaceva in quella posizione accartocciata sul sedile.
-È la fine...- gemette e poi -Philip mi ucciderà quando scoprirà come gli ho ridotto la macchina!-
-Tu non c’entri niente Jenny!- gridò Evelyn di rimando -Sta guidando Tom!-
-Cosa?- protestò lui che ormai sudava abbondantemente nello sforzo di tenere la strada e nello stesso tempo evitare i colpi -Vi sto salvando la vita e devo pure pagare i danni?-
Un secondo proiettile entrò indisturbato dal vetro in frantumi e con un tonfo sordo andò a conficcarsi sul tettino sopra le loro teste.
Se non fosse stato per lo sballonzolio continuo che inizava a procurargli un’insopportabile nausea, Benji avrebbe potuto dire di trovarsi in paradiso. Un’eccitante fragranza femminile gli stuzzicava le narici e qualcosa di morbidamente indefinibile premeva sul suo torace procurandogli una sensazione di indescrivibile piacere.
Un altro scossone e il naso, stimolato da un tocco impalpabile, cominciò a prudergli in modo talmente violento da farlo starnutire. Riprese all’istante conoscenza.
-Benji?- si sentì chiamare, effettivamente da una voce femminile.
Prima che riuscisse ad aprire gli occhi e a mettere a fuoco la proprietaria di un’intonazione così soave, il prurito si fece di nuovo insopportabile. Sollevò una mano e scostò i capelli che gli solleticavano il viso. Poi si agitò con più convinzione, cercando di tirarsi su,  riemergendo pian piano da una fitta e dolorosa nebbia.
-Per carità Benji, non ti agitare così.- lo avvertì Jenny ancora china su di lui.
Tom continuava a zigzagare sulla strada deserta per evitare che finissero ammazzati dalle pallottole vaganti. Avevano lasciato da alcuni minuti il centro abitato. La strada si era ampliata e intorno a loro erano cominciati i campi che circondavano la periferia della città. Più lontano e più in basso, sotto il sole del tramonto, il mare si accendeva di luccichii dorati.
L’ennesima esplosione di un colpo spinse Tom a sterzare a sinistra. La ruota sfiorò il marciapiede, Jenny e Benji vennero sbalzati addosso allo sportello. Jenny si aggrappò a Benji e puntò una mano sul sedile di Tom, il portiere sollevò un braccio oltre la testa e si tenne allo sportello.
-Che cazzo sta succedendo?-
Tentò di nuovo di muoversi, di tirarsi su. Aveva le gambe incastrate dietro il sedile di Evelyn, una posizione scomodissima in cui non riusciva più a resistere.
Jenny lo rispinse giù.
-Non ti muovere. Ci stanno sparando addosso!-
-Che cosa? Ma chi?-
Gli rispose solo il terrore che le riempiva gli occhi. Oltre alla paura Benji riusciva facilmente, tanto erano vicini, a distinguere le pagliuzze marroni delle iridi. Lo stesso profumo che aveva sognato tornò ad accarezzargli le narici. La stessa morbidezza che lo aveva dilettato mentre era incosciente, adesso gli premeva di nuovo addosso. Dunque, se la situazione era questa, perché non approfittarne?
Facendo leva sui gomiti, si tirò su con un movimento repentino e premette le proprie labbra contro quelle di lei.  Jenny sollevò il viso e si tirò indietro, il terrore nei suoi occhi lasciò per un attimo il posto allo stupore. Le sue guance si imporporarono e balbettò qualcosa di incomprensibile.
Altri colpi d’arma da fuoco risuonarono dietro di loro, la vettura si piegò da un lato e la velocità della curva la spinse di nuovo addosso al portiere. Sfiorò senza volerlo con le labbra la guancia di Benji e lui rise, anche se non c’era proprio nulla da ridere, in quel momento.
-Allora ti è piaciuto!-
-No, non...-
Le impedì di continuare. Le premette una mano sulla nuca e lei si ritrovò di nuovo spinta in avanti. Le labbra schiuse del portiere accolsero impazienti quelle di lei.
-Se Philip ti vedesse ti ammazzerebbe, Benji.-
La voce di Evelyn e l’ennesima brusca sterzata le permisero di tirarsi di nuovo indietro per sottrarsi al bacio del portiere.
-Perché?- chiese Tom, gli occhi fissi sulla strada.
-La sta baciando.-
-Bene.-
Il povero Tom era talmente occupato a cercare di salvare la vita a se stesso e ai compagni che la notizia non lo sconvolse più di tanto.
-Bene un accidenti!- Jenny si tirò su di colpo per impedire a Benji di riprovarci. Un dolore improvviso le lacerò la spalla, il sangue prese a scorrere lungo il braccio. Gridò.
-Diamine! Sei ferita! Tom!-
-Sto facendo l’impossibile, Evelyn!-
Becker strinse il volante con entrambe le mani. Il sudore gelido gli imperlava le tempie. Non riusciva a capire come sarebbero riusciti a cavarsela. La macchina che li inseguiva era sempre più vicina e la strada, che correva dritta fino al mare, li manteneva continuamente sotto tiro.
Benji, un sorrisetto soddisfatto che continuava ad aleggiargli sulla faccia, si girò faticosamente su un fianco, cercando di puntellarsi ovunque tranne che sulla ragazza ferita. Quando riuscì a mettersi in una posizione decente, lanciò un’occhiata alla vettura che li inseguiva.
-Ah! Sono loro!- disse semplicemente.
-Loro chi?-
-Stai tranquilla, Jenny. Adesso ci penso io.-
-E come?- lo fissò scettica, riuscendo persino a dimenticare il dolore alla spalla. Se la stringeva con l’altra mano e il sangue le scorreva abbondante tra le dita.
Lui non le rispose, si rivolse al compagno.
-Tom prosegui dritto.-
Si frugò sotto la camicia, Jenny intravide una cinghia di cuoio marrone cingergli la parte alta del torace sopra la maglietta nera. Poi, dalle pieghe del cotone a quadri nerazzurro, spuntò una pistola.
Con perfetto tempismo Evelyn lanciò un fischio acuto. Ormai era un bel po’ di tempo che aveva smesso di guardare avanti a sé. Tutto ciò che le interessava era alle sue spalle e per come la pensava lei, in Benji qualcosa non andava. Sembrava diverso dal solito.
-Diamine, dove l’hai presa?-
Jenny spalancò gli occhi di paura e si tirò di scatto indietro, per mettere più distanza possibile tra sé e quel pericolosissimo oggetto nero. Non aveva mai visto un’arma dal vivo e non le piaceva per niente. 
Benji se ne accorse.
-Stai tranquilla, non la punterei mai contro di te.-
Le strizzò un occhio, lei ed Evelyn si scambiarono uno sguardo stralunato mentre il portiere prendeva posizione. Appoggiò un ginocchio sul sedile, i gomiti sulla spalliera e prese la mira con entrambe le mani attraverso il vuoto lasciato dal lunotto posteriore.
Con un boato che perforò i timpani ai tre ragazzi, Benji lasciò partire due colpi. La macchina degli inseguitori  sbandò e cominciò a rallentare. La ruota anteriore della loro vettura esplose e si afflosciò rapidamente, impedendogli di proseguire.
-Wow Benji!- Evelyn batté le mani entusiasta.
Lui ripose la pistola nella fondina e si accostò a Jenny, gli occhi carichi di preoccupazione sulla sua spalla ferita che continuava a sanguinare imbrattandole i vestiti.
-Fa’ vedere.- tese una mano per prenderle il braccio ma lei si ritrasse -Che c’è?-
-Da quando hai il porto d’armi?-
Lui si grattò pensieroso la fronte, le sue dita urtarono qualcosa di appiccicoso sulla tempia e le ritrasse con una smorfia di dolore. Dopodiché si guardò i polpastrelli sporchi di sangue.
-Ma cosa diavolo…?-
-è un ricordino di Tom.- spifferò Evelyn senza remore.
-Ricambierò senz’altro.- borbottò, ma più che adirato contro il compagno che gli aveva lasciato quel ricordo in testa, sembrava occupato a cercare qualcosa frugando tra i sedili -Evelyn, non c’è nulla davanti con cui si possa tamponare la ferita di Jenny?-
L’amica rovistò nella tasca dello sportello.
-Nella mia borsa ci dovrebbero essere dei fazzoletti. Era sul sedile, prima che lo occupassi tu.-
-Tranquilla Jenny, è ancora qui.- Evelyn se la sfilò da sotto le natiche e cercò al suo interno.
-Fai vedere.- con un fazzoletto in mano Benji si accostò di nuovo alla giovane. Modestamente di ferite da armi da fuoco se ne intendeva parecchio, o forse se ne intendeva di più di ragazze, non seppe decidersi, ma in entrambi i casi potevano lasciare tutto in mano a lui e se la sarebbe cavata alla grande -Per fortuna è solo un graffio. Il proiettile ti ha soltanto sfiorata.-
-Meno male…- sospirò Tom -A Callaghan ho già squinternato la macchina, se gli rovino anche la fidanzata mi trincia come un pollo.- 
Mentre Evelyn continuava a guardare ciò che accadeva sui sedili posteriori, Benji avvicinò una mano al viso di Jenny e le accarezzò una guancia con preoccupata dolcezza.
-Ti fa male?-
Lei si tirò indietro come se il tocco del portiere l’avesse scottata.
-Sto bene.-
Evelyn, non si era sbagliata prima. Benji aveva davvero qualcosa di strano. Non pareva lui. Lo guardò meglio e continuò a riflettere che forse, quella botta in testa di prima, aveva…
-Se non ve ne siete accorti, vi avverto che ci stanno inseguendo di nuovo.-
Le parole di Tom indussero Evelyn ad accantonare il problema più piccolo rappresentato da Benji per dedicarsi a quello più grande, incarnato dagli inseguitori, spostando gli occhi sul tratto di strada che avevano appena percorso.
Una vettura li braccava davvero ma non era la stessa di prima. Sembrava più stretta e più alta, forse un fuoristrada. Era ancora lontana ma stava guadagnando rapidamente terreno. Davanti a loro iniziavano a comparire le prime colorate abitazioni del borgo marinaro che sorgeva sulla costa e d’un tratto Tom si trovò di fronte ad un bivio.
-Dove vado?-
-Infilati tra le case.- ordinò il portiere -Per loro sarà più difficile riuscire a colpirci.-
-Benji, davvero non li conosci?- domandò Evelyn -Eri con loro quando ti abbiamo trovato.-
-Assolutamente no.-
Come a ribadire il concetto, dalla vettura alle loro spalle partì una granicola di colpi che si conficcò con una serie di scoppietti sordi nella carrozzeria esterna.
Jenny gemette disperata. Forse era meglio che Philip non la richiamasse più.
Tom schiacciò l’acceleratore a tavoletta e la macchina schizzò in avanti a tutta velocità. La cittadina sembrava deserta. Zigzagando tra le abitazioni, cambiando direzione ad ogni svolta, girando a destra e a sinistra, Becker riuscì a seminare gli inseguitori. Finché la strada finì sul porto. Nessuna via d’uscita tranne la distesa di acqua salata che si apriva davanti a loro.
Tom inchiodò la macchina a pochi centimetri dal ciglio della banchina.
-E adesso che facciamo?-
-Venite!- Benji spalancò lo sportello e si catapultò fuori. Fece il giro della vettura e aiutò Jenny a smontare -Adesso un po’ di magia!-
I tre lo guardarono senza capire.
-Che vuoi fare?-
-Spariremo senza lasciar tracce.-
Jenny impallidì, il piano del portiere non le piacque e il panico le annebbiò gli occhi quando li vide tutti e tre, Benji, Tom ed Evelyn, spingere la macchina oltre il ciglio della banchina.
-No! No! Che state facendo?!- gridò disperata -La macchina di Philip! La nuovissima macchina di Philip!-
Le ruote anteriori finirono nel vuoto, il peso della vettura crollò sull’asse. Con uno sforzo immane riuscirono a superare il punto d’equilibrio e la macchina di Philip, il suo regalo di matrimonio per Philip, di cui lei non aveva ancora finito di pagare le rate, si inclinò e scivolò in mare.
-No!- Jenny corse verso l’acqua ma Benji l’afferrò al volo e la trascinò via.
-Andiamo, non c’è tempo!-
-La macchina di Philip!- continuò a dire, come se il suo cervello si fosse inceppato su quell’immensa tragedia. Non riusciva a distogliere gli occhi dal punto in cui la vettura affondava tra mille bollicine.
Il portiere la trascinò con sé lungo il pontile, correndo dietro a Tom ed Evelyn che disperavano di trovare riparo tra le barche e i motoscafi alla fonda.
Il rombo improvviso dell’accensione di un motore squarciò l’aria. Mollati gli ormeggi, uno yacht stava prendendo il largo.
-Saliamo lì!- gridò Benji.
Corsero come pazzi lungo la passerella, sospinta da Tom Evelyn saltò dentro. Poi fu la volta di Becker. Benji sollevò Jenny tra le braccia, prese la rincorsa e si gettò nel vuoto, riuscendo a ricadere all’interno dell’imbarcazione per un pelo. Rotolarono a terra in un groviglio di gambe e braccia, ma almeno si ritrovarono a bordo.
-Siamo salvi.- mormorò Evelyn con il cuore in gola.
-La macchina di Philip!- gemette Jenny un’ultima volta. Poi scoppiò a piangere.
Benji le passò un braccio in torno alle spalle e l’aiutò a tirarsi su.
-Scendiamo sotto coperta.- ordinò a voce bassa, guardandosi intorno -Più tardi si accorgeranno di noi e meglio sarà. Non possiamo rischiare che ci riportino indietro.- 

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Capitolo 3
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Quel giorno avrebbe potuto essere insieme a Jenny a godersi il sole, il mare, il vento, la vita, l’amore… e invece no. Invece si trovava con Landers, la peggior compagnia che potesse mai desiderare.
-Smettila di guardarmi in quel modo Callaghan, non ho scelto io di essere qui! Renditi meno sgradevole, porca miseria!-
Philip strinse la cima e la osservò rigirandosela tra le dita. Che piacere immenso avrebbe provato a stringergliela intorno al collo! O almeno imbavagliarlo con la randa e legarlo all’albero maestro fino all’arrivo.
Mark lo guardò, in attesa di una risposta che tardava ad arrivare. Ma poiché negli occhi del compagno lesse intenzioni omicide, si allontanò con cautela scavalcando i cuscini che aveva portato lui stesso sul ponte per spaparanzarsi più comodamente sotto il sole. Oltrepassò con rimpianto anche la sdraio di cui Philip si era appropriato appena aveva messo piede sullo yacht, la migliore, proibendogli assolutamente di usarla. Contrastando con l’equilibrio del corpo il rollio dell’imbarcazione sul mare aperto, raggiunse la piattaforma di prua e si sedette tra le gomene con le gambe penzoloni nel vuoto, i capelli scompigliati dal vento, lontano dal malumore del compagno a godersi il sole e la traversata.
Eppure Philip poteva resistere in sua compagnia, si trattava giusto di un paio di giorni. E poi lo yacht bianco e azzurro di ultima generazione che gli avevano affidato era di un lusso favoloso. Bastava guardarlo per sentirsi di nuovo bene. Era lungo ventisei metri e largo quasi otto. Il timone e gli strumenti elettronici per la navigazione erano al secondo piano di fronte a una larga poltrona su cui avrebbero potuto sedersi comodamente due persone. Al mezzanino c’era il salotto con l’angolo cottura e al piano inferiore tre camere da letto (una doppia, una singola e una matrimoniale) e due bagni, di cui uno con doccia idromassaggio. Era dotato di aria condizionata, impianto stereo, tv satellitare, antenna parabolica, microonde e serbatoio per l’acqua potabile. La prua era chiusa dai vetri oscurati ma a poppa, fuori, c’era un divano a tre posti con imbottitura a prova di salsedine e un largo tavolo per mangiare in sei. Infine, attraverso una scaletta, si poteva salire ad un ulteriore piccolo terzo piano dov’era una piattaforma per prendere il sole. Tutto su quello yacht era splendido, tranne la compagnia con cui era costretto a goderselo.
Sospirando di scontento, ripose la cima e si arrampicò sulla scaletta per sedersi al timone. Controllò i comandi e aumentò la velocità perché aveva veramente fretta di arrivare a destinazione. Si accomodò meglio sulla poltroncina perché prevedeva di starci parecchio. L’unica alternativa era quella di chiacchierare con Mark. Mentre sollevava le gambe per appoggiare i piedi sul primo gradino della scaletta e stare più comodo, il cellulare scivolò fuori dalla tasca dei pantaloni e cadde a terra.
Lo prese annoiato e lo guardò distratto, ventiquattro chiamate perse… VENTIQUATTRO CHIAMATE PERSE! Da Jenny! Gli prese un mezzo infarto. La fidanzata l’aveva cercato e lui non si era accorto di nulla. Per telefonargli tutte quelle volte doveva avere qualcosa di davvero urgente da dirgli. La richiamò all’istante ma l’unica voce femminile che gli rispose fu quella della segreteria telefonica. Allora le scrisse un messaggio che inviò in tutta fretta. Poi, non potendo fare altro, ripose il cellulare sul portaoggetti e tornò a guardare Mark steso al sole, chiedendosi di quale tonalità di nero intendesse diventare. Non era già scuro abbastanza?
Mentre gli occupanti del piano superiore si stavano godendo nel bene o nel male la traversata, tre degli invasori del piano di sotto si erano nascosti nelle cabine e pregavano di non essere scoperti. Il quarto si avventurava silenzioso come un ninja negli ambienti dello yacht per farsi un’idea del tipo di imbarcazione in cui si erano rifugiati, su chi si aggirava nei piani alti e soprattutto sulla loro meta.
-Allora?- domandò Tom, vedendo Benji rientrare e richiudersi piano la porta alle spalle.
-Qui dovremmo essere al sicuro. I loro bagagli sono nelle altre cabine.-
-Quanti sono?-
-Solo due. Noi siamo di più.-
-Che vuol dire che siamo di più?- Jenny non aveva dimenticato cosa nascondeva Benji sotto al braccio e qualsiasi allusione in quel senso la metteva in grande agitazione.
-Significa che se anche si accorgessero di noi potremmo convincerli, con le buone o con le cattive, a non riportarci indietro.-
L’espressione accigliata di Jenny non mutò. Solo un lampo di dolore le attraversò gli occhi mentre Evelyn, dopo averle ripulito la pelle intorno alla ferita, gliela fasciava con una benda riesumata dalla cassetta del pronto soccorso trovata nel bagno.
-Hai capito dove siamo diretti?- s’informò Tom osservando la distesa dell’oceano dall’oblò.
-No, non sono riuscito ad avvicinarmi al timone. Cercherò di scoprirlo non appena andranno a dormire, la rotta sarà sicuramente memorizzata sul computer di bordo. Il bagno per fortuna è a nostra disposizione, ma dovremo trovare al più presto qualcosa da mangiare, e soprattutto da bere.-
Nel silenzio che seguì le sue parole udirono qualcuno camminare proprio sopra le loro teste. Poi fermarsi, proseguire per un pezzo e infine tornare indietro.
-Io ho dei frutti della passione.- disse Evelyn frugandosi nelle tasche e tirando fuori due manciate di frutti ovuliformi arancioverdi. Li posò sul letto e ne addentò uno -Non sono ancora perfettamente maturi ma sono abbastanza commestibili.-
-Frutti della passione, eh?- le fece eco Benji fissando negli occhi Jenny con un’insistenza tale da farla agitare a disagio.
Tom si sedette sconsolato su un lato del letto ruminando uno dei frutti, le mani poggiate sul materasso all’altezza delle ginocchia. Si sfilò le scarpe e mosse i piedi sul parquet pulito e lustro. Non riusciva a spiegarsi come fosse finito lì dentro. Era uscito di casa per una corsa e si ritrovava nascosto nella cabina di uno yacht in mare aperto con la yakuza alle calcagna. La vita era strana davvero!

Philip si svegliò di soprassalto in piena notte con qualcosa che gli premeva sulla bocca e lo teneva bloccato sul cuscino. Cercò di liberare la testa, con l’unico risultato di far aumentare la pressione fin quasi a soffocarlo. Il suo istinto di sopravvivenza a quel punto si riscosse: si agitò come un forsennato, mandando all’aria le lenzuola per allontanare da sé ciò che lo aveva ridotto al silenzio e gli stava impedendo di respirare. Sfiorò della stoffa, e urtò forse un gomito. Lottò nel buio colpendo alla cieca, poi di colpo si immobilizzò. Qualcosa di freddo e metallico adesso gli premeva sulla tempia, un click minaccioso gli fece gelare il sangue. Un sussurro gli intimò di rimanere immobile oppure…
Ma non ci fu bisogno che la minaccia arrivasse al punto. Bastarono appena poche parole per impietrirlo. Approfittando di tanta improvvisa ragionevolezza, una seconda persona gli bloccò le caviglie legandole strette. Fu soltanto quando gli intrusi, rassicurati dalla sua immobilità, fecero scomparire la pressione alla tempia che Philip rotolò di lato in un estremo tentativo di scivolare giù dal letto e in qualche modo fuggire. Non servì a nulla. Mani svelte lo intercettarono facendolo ricadere bocconi sul materasso, e un brutale colpo alla nuca spense l’interruttore del suo cervello.
Nell’altra cabina Mark russava piano, raggomitolato nel letto. Sognava sua sorella Natalie che implorava disperatamente aiuto mentre annegava in un campo da calcio straripante di coca-cola. Il beccheggio dello yacht sulle onde si trasformavano nella sua visione onirica in spruzzi di bibita gassata che lo travolgevano mentre correva in suo aiuto. I cigolii degli attacchi del fiocco e della randa agitati da un vento sempre più insistente, erano le grida di Natalie che invocava il suo nome.
Due figure silenziose comparvero sulla soglia, stagliandosi con un’ombra unica sul materasso. Entrarono senza far rumore, depositarono il loro pesante carico sul pavimento e si avvicinarono al letto. Mark si svegliò mentre riportava Natalie al sicuro nuotando nella coca-cola fino alle panchine a bordo campo, perché qualcuno gli sfilò il cuscino e la testa gli ricadde sul materasso. Il guanciale che gli era stato tolto gli coprì la faccia mentre un peso insostenibile gli piombava sul torace impedendogli di muoversi. Lui lottò come un ossesso ma le sue imprecazioni soffocate tra le piume non intimidirono i suoi aggressori. In un attimo si ritrovò con caviglie e polsi bloccati. Il cuscino venne sollevato e sostituito rapidamente da un bavaglio, dopodiché chi lo aveva assalito lo lasciò sul letto legato come un salame, uscendo e richiudendo la porta a chiave. Il blitz nelle due cabine era durato meno di cinque minuti.
Landers emise dei mugolii convinti e si catapultò neppure troppo prudentemente giù dal letto per raggiungere la porta. Si schiantò sul parquet con la spalla e imprecò con enfasi, pure se tanta sentita convinzione andò sprecata tra le pieghe del bavaglio. Ma non si diede per vinto. No, quello mai! Strisciò verso l’entrata su e giù come un verme e quando gli fu tanto vicino da sfiorarlo, finalmente vide Philip riverso sul pavimento, legato e imbavagliato esattamente allo stesso modo. L’unica differenza era che il compagno, beato lui, riusciva a dormire nonostante tutto. Guaì una serie di parolacce che però non furono sufficienti a riscuoterlo. Affranto e anche abbastanza demotivato, si lasciò cadere sulla schiena indugiando ad osservare ciò che scorgeva oltre l’oblò. Quando era andato a dormire la luce della luna aveva tinto la stanza di una soffusa luce lattea. Adesso vedeva pochissimo dell’esterno, l’oscurità aveva inghiottito tutto. Una fitta alla spalla su cui era caduto lo spronò a tentare una posizione migliore ma le mani legate dietro la schiena, per quanto ce la stesse mettendo tutta, non gli consentivano nessuna postura comoda. Se almeno quell’imbecille di Callaghan si fosse svegliato! Per riportarlo alla realtà non poteva né prenderlo a sberle, né a calci! Non gli restava che aspettare che si destasse da solo.
In effetti non ci volle molto. Philip riprese conoscenza poco dopo nel buio più completo e con un mal di testa infernale.
“Alla buonora!” lo accolse Landers quando lo sentì agitarsi, emettendo però soltanto un lamento incomprensibile.
“Cosa cazzo sta succedendo?” domandò l’altro producendo giusto qualche verso indecifrabile.
Il bavaglio stringeva, rendendo praticamente impossibile per loro comunicare così, legati e immersi nell’oscurità. Che fare? Erano in un vero e proprio mare di guai! Philip non riusciva a credere che mentre dormivano tranquilli i pirati si fossero impossessati della nave! Avrebbe dovuto montare di guardia, era stato uno stupido ingenuo a non pensarci. Cosa lo aveva coinvolto a fare Landers? Al momento dell’accordo, l’armatore gli aveva fatto balenare l’eventualità che il viaggio non sarebbe stato sicuro al cento per cento. Lo yacht valeva milioni, la traversata era pericolosa, meglio che non la intraprendesse da solo. Per questo aveva chiamato Mark. Ma Mark non gli era servito a niente. Stava andando tutto male, accidenti! Defilandosi per l’intero week-end aveva creato le premesse per un litigio con Jenny a pochi giorni dal matrimonio, era finito con Landers su quella barca e adesso era caduto in mano ai pirati. Cos’altro sarebbe potuto succedere ancora? Peggio di così…
Peggio di così ci fu un brontolio nefasto che riecheggiò lontano, ma neppure troppo. Un tuono? Possibile? Le previsioni avevano annunciato bel tempo e alte temperature per tutta la settimana a venire ed era soltanto sabato!
Un calpestio di piedi attraversò di corsa il ponte proprio sopra le loro teste. Un lampo illuminò la distesa del mare, il bagliore sfolgorò nella stanza consentendogli di guardare Landers negli occhi.
“Sta per piovere.” disse e l’amico stavolta sembrò capire, perché annuì.
Mark fu contento che Philip si stesse finalmente scusando di averlo trattato poche ore prima come una pezza da piedi, lasciandolo ai fornelli con la scusa di dover inserire la rotta notturna nel pilota automatico. Aveva impiegato una vita a raggiungerlo nel cucinino, così tanto che per vendetta si era sbafato tre quarti di lasagna.
“Era un peccato, si stava freddando.” gli aveva spiegato e a quel punto Philip aveva dato di matto. Camminando su e giù per la piccola cucina lo aveva accusato di aver mandato a monte il suo week-end e di conseguenza di aver distrutto il suo matrimonio. Lui? Quando? Come? Neanche avesse avuto una tresca con Jenny. Mark era rimasto ad ascoltarlo in silenzio mentre si preparava un nescafè lasciandolo sfogare, perché mai, mai, contrariare gli svitati. Mentre ricordava questo episodio, la pioggia aveva cominciato a scrosciare sul ponte e lo yacht beccheggiava violento, spinto su e giù dalle onde ingrossate di un mare agitato.
Philip si tirò faticosamente in ginocchio, gli occhi fissi sull’oblò, le orecchie tese al piano di sopra. Non poteva restare lì sotto senza sapere in mano di chi erano finiti. Senza sapere se tra i pirati che li avevano assaliti c’era qualcuno di veramente capace a governare un’imbarcazione durante quella che sembrava essere una tempesta con i fiocchi. Philip non voleva colare a picco rinchiuso come un topo nella stiva. Con Jenny le cose si potevano ancora sistemare, purché ne uscisse vivo. Sgomitò con violenza Mark che, nonostante tutto, si stava riappisolando.
Quello spalancò gli occhi e ringhiò sommessamente attraverso il bavaglio. Il suo sguardo dardeggiò di collera.
“Cazzo fai, Callaghan?” gli chiese.
Philip si volse mostrandogli le mani legate. Mark non si curò del particolare e si vendicò della gomitata dandogli un poderoso spintone. L’amico rotolò a terra.
“Imbecille! Che combini?” si rimise faticosamente in ginocchio e, cercando di contrastare il rollio imbufalito dello scafo, girò intorno a Mark. Schiena contro schiena, con un lavorio infinito di pazienza e abilità, riuscì a sciogliere i nodi che legavano il compagno.
Per prima cosa Landers si tolse il bavaglio.
-Dannazione! Giuro che appena metto le mani su chi mi ha fatto questo…- e giù a liberarsi anche i piedi mentre Philip, legato ancora come un salame, lo fissava in speranzosa attesa che si ricordasse di lui.
La barca adesso oscillava così violentemente che Mark riusciva a stare in piedi per miracolo. Ma il fatto che ancora non fossero affondati significava che chi si era impadronito dello yacht, stava facendo di tutto per tenerlo a galla.
“Cazzo Landers, datti una mossa.”
-Adesso libero anche te, Philip.-
-Eh, alla buonora!- dopo essersi tolto il bavaglio, si massaggiò i polsi doloranti -Dobbiamo uscire subito di qui e riprenderci la barca.-
-Sono d’accordo con te al cento per cento.-
-Strano, di solito hai sempre qualcosa da ridire.-
Nonostante le loro comuni buone intenzioni, la porta era stata chiusa a chiave e per quanto ci provassero, non riuscirono ad aprirla.
Di sopra, l’attività ferveva.
-Ci mancava solo la tempesta!- Evelyn era sull’orlo delle lacrime. Non aveva mai sofferto il mal di mare eppure adesso violentissimi conati la scuotevano allo stesso ritmo delle ondate. Si sentiva morire.
La pioggia batteva violenta contro lo yacht a scrosci feroci che toglievano il fiato. Non c’era verso di ripararsi se non scendendo sottocoperta dove avrebbero sofferto ancora di più il rollio dell’imbarcazione. Il mare era nero e si congiungeva, all’orizzonte, con il cielo in tempesta. Le nuvole si rincorrevano, scure e gonfie d’acqua, scontrandosi in lampi che illuminavano con i loro bagliori tutta quell’oscurità.
Jenny era fradicia ma non sapeva se di pioggia o di acqua salmastra. Le onde spazzavano il ponte e avevano già portato via tutto quello che non era fissato sull’impiantito. Aggrappata con forza al basso tettino della cabina comandi, cercava di tenersi in equilibrio nonostante il beccheggiare dello yacht.
-è peggio delle montagne russe, e quelle già non le sopporto.-
Il volto di Tom, seduto al timone, risaltava di un malsano colorito verdastro alla fredda luce a neon della cabina.
Benji era sottocoperta da qualche parte e di lui si udiva a tratti il tramestio concitato. Da almeno cinque minuti buoni rovistava selvaggiamente negli scaffali, nei cassetti e negli armadi a muro cercando qualcosa che per quanto ce la mettesse tutta non riusciva proprio a trovare.
-Venite a darmi una mano!-
Jenny si staccò dal tetto appigliandosi ovunque le sue mani riuscissero a fare presa e scese sottocoperta. Raggiunse il portiere nel tinello.
-Cosa stai cercando?-
-I giubbotti di salvataggio. Da qualche parte devono pur essere e dobbiamo trovarli ad ogni costo.-
La ragazza annuì, colpita dalla perspicacia dell’amico, e si mise a frugare insieme a lui.

-Philip, mi sa che non mi sento troppo bene.-
-Se devi vomitare vai in bagno.- rispose lui gelido.
Aggrappato all’intelaiatura dell’oblò guardava ciò che riusciva a vedere dell’esterno, vale a dire poco e niente. E comunque la distesa del mare solcata da onde furiose non gli interessava, i suoi sensi erano tutti concentrati sull’agitazione che udiva provenire dal ponte. La nausea lo faceva star male ma era più grande la paura di lasciarci la pelle.
Mark in realtà non sapeva cosa farci con il bagno. Aveva digerito da un bel po’ la lasagna e anzi, se non ci fosse stata la burrasca, probabilmente avrebbe avuto di nuovo fame.
Philip si volse a guardarlo.
-Dobbiamo trovare il modo di uscire di qui.-
-E come? La porta non si apre, vuoi passare per la finestra?-
Il compagno sembrò illuminarsi.
-Philip, lascia stare.- cercò di dissuaderlo -Finiresti tra le onde e non hai neanche il giubbotto di salvataggio.-
-Bravo Mark. Stai dicendo una dopo l’altra una serie di cose sensate.- si allontanò dall’oblò e raggiunse in fretta il piccolo armadio che si apriva su un angolo della parete. Frugò nei piani bassi e tirò fuori due giubbotti di plastica arancioni. Ne allungò uno al compagno, indossò il proprio e tornò indietro ad aprire l’oblò. Un fiume di pioggia e di acqua di mare si riversò dentro inzuppandolo dalla vita in giù.
-E adesso? Vuoi farci colare a picco?-
Philip non lo ascoltò. Si issò sulle braccia, ficcò nell’oblò testa e spalle e guardò in alto per capire quanto distava la balaustra del ponte. Una nuova ondata lo investì in pieno rigettandolo dentro. Philip venne scaraventato a terra in un lago d’acqua, tossendo e sputacchiando.
Mark lo fissò spazientito.
-Lascia fare a me, buono a nulla.-
Philip lo vide raggiungere l’oblo e sporgersi fuori.
-Aspetta Mark, è troppo...-
Il ragazzo sparì risucchiato all’esterno. Callaghan balzò in piedi e corse disperatamente verso l’apertura, per cercare di recuperalo prima che le onde lo trascinassero via. Quando si affacciò vide solo l’oceano che ribolliva nero. Una mano gli sfiorò i capelli, e allora sollevò gli occhi.
Non seppe come, ma Landers era riuscito nell’impresa e ora, ben aggrappato alla ringhiera, si sporgeva verso di lui tendendogli un braccio per aiutarlo a uscire dalla cabina e issarsi sul ponte.
La tempesta imperversava senza sosta e il vento sferzava le vele. Nessuno le aveva ammainate e rischiavano di essere strappate via. Il cielo era plumbeo, gonfio di pioggia, non si intravedeva nessun barlume di schiarita. L’unica luce che illuminava l’orizzonte erano fasci di lampi che venivano risucchiati dalle onde.
Lo yacht si piegava ad ogni ventata che catturava la randa, imbarcando acqua e rischiando di colare a picco. Con un movimento brusco tornava poi sulla linea di galleggiamento, sballottando i suoi occupanti ad ogni bordata.
Fu Evelyn a vedere per prima due figure emergere dalla murata e avanzare verso di loro piegate in avanti, cercando di procedere su un ponte reso sdrucciolevole dal fiume d’acqua che lo percorreva. Si spaventò, perché in quello scenario da incubo dimenticò la presenza dei loro prigionieri al piano di sotto e non riuscì in nessun modo a spiegarsi l’apparizione di quegli sconosciuti.
Mollò le gomene a cui si era aggrappata per non finire fuori bordo, gridò e si volse per fuggire verso il timone, dove Jenny si era rincantucciata in un angolo, terrorizzata, i capelli fradici incollati al viso, gli occhi spalancati dalla paura. Non sapeva dove fosse Tom e neppure dove fosse finito Benji. In realtà non sapeva neppure se si trovassero ancora tutti a bordo o il mare li avesse trascinati via.
Evelyn corse sul pavimento scivoloso, cercando di tenersi in equilibrio nonostante il beccheggio dell’imbarcazione. Scivolò a terra, urtò malamente un ginocchio, si rialzò aggrappandosi alla balaustra, poi l’onda arrivò. La vide perfettamente, un’onda gigantesca che superava in altezza persino l’albero maestro. Lo yacht si inchinò a tanta imponenza, poi venne travolto. Il ponte fu spazzato da un’immane quantità d’acqua, Evelyn venne investita in pieno. La presa delle sue dita cedette, si sentì sollevare e trascinare via. Urtò una gamba su qualcosa di duro, un peso enorme le schiacciò i polmoni mentre la corrente la portava con sé.
Jenny vide con orrore il corpo privo di sensi dell’amica oltrepassare la murata. Attraverso la trasparenza dell’acqua che lo avvolgeva come un guscio, scorse i suoi lunghi capelli ondeggiarle intorno al viso. Fu un flash, solo un istante brevissimo. Urlò.
-Evelyn!-
Non poté fare nulla, l’ondata raggiunse anche lei. Si avvinghiò alla poltroncina del timone, saldamente inchiodata sul ponte. Quando guardò di nuovo, Evelyn non c’era più.
Un’ombra scura con un unica nota di colore arancione attraversò svelta il suo campo visivo, così rapida che non poté metterla a fuco. Ma provò un’immensa sensazione di gelo quando la vide lanciarsi oltre il parapetto e tuffarsi nei flutti. Balzò in piedi e insieme a Tom che arrivava dalla prua della nave, si fermò sulla fiancata, le dita serrate alla ringhiera.
-Era Philip quello?- gridò Jenny alla distesa ruggente dell’oceano -Era Philip? Philip? PHILIP!-
In fondo la sua era solo una domanda retorica, perché lo aveva riconosciuto perfettamente.
Neppure sposa e già vedova.

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Capitolo 4
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-Sei pronto?-
Holly si tolse il casco. Lo appese su un ramo del folto ligustro dietro cui avevano parcheggiato le motociclette affinché non dessero nell’occhio e si volse verso Bruce. La luna faceva capolino tra le nuvole che si inseguivano nel cielo notturno spinte da un vento superiore che loro non percepivano. Quest’alternarsi di chiarore e oscurità li avrebbe senz’altro avvantaggiati. Illuminava i dintorni quel tanto che bastava per non avanzare a casaccio e li nascondeva da qualsiasi sguardo insonne che avesse indugiato al di là dei vetri. Bastava adeguarsi al rincorrersi delle nubi e l’impresa sarebbe stata un gioco da ragazzi.
-Non tanto… Mi scappa.-
-Diamine Bruce! Adesso non è proprio il momento!-
L’altro sospirò e annuì.
Si sporsero oltre i rami del ligustro e osservarono l’edificio dal loro nascondiglio. Sorgeva su una collinetta, imponente nella sua solitudine. La strada che saliva dalla statale era tutta curve e tornanti fino al parcheggio lastricato, scandito da aiuole fiorite e circondato da altri arbusti. Era proprio lì tra quei cespugli che si erano nascosti per studiare la bella e rustica costruzione in pietra viva, circondata da un giardino curato e un orto ricco di frutti.
-Dov’è?-
-In una stanza al secondo piano.- Holly si infilò un paio di guanti neri che celarono il candore della pelle  -Dobbiamo scavalcare il muro di cinta del giardino, forzare il portone d’ingresso, salire al secondo piano e girare a destra fino all’ultima porta del corridoio, che forse è chiusa a chiave.-
-Non so se riuscirò a resistere fino alla fine.-
-Certo che ce la farai, Bruce.- e lo fissò come per dire “non cominciare a crearmi problemi”.
Harper sapeva che non era il momento, ma non era colpa sua se all’improvviso doveva andare in bagno. Forse era proprio l’ansia a stimolargli la vescica.
Holly frugò nel portaoggetti della moto, si agganciò un marsupio alla vita e s’incamminò verso la collina.
-Andiamo?-
-Non ci sono cani da guardia?-
-Non mi risulta.-
-Ma non ne sei sicuro.-
-Se ci fossero stati, lui me l’avrebbe detto.-
-A meno che non si sia dimenticato di farlo.-
-Bruce...-
-Ho capito, sto zitto.-
Avanzarono in direzione del muro di cinta guardinghi come ladri, l’unico rumore che si udiva echeggiare per la collina e nelle valli circostanti era un insistente frinire di grilli. Gli ortotteri sembravano essere in gran forma, quella notte, sebbene fossero quasi le tre e stessero cantando ormai da ore.
I due ragazzi raggiunsero il muretto e si fermarono. Holly saltò per primo, si aggrappò al bordo e si issò con la forza delle braccia. Si mise a cavalcioni, poi afferrò la mano che Bruce gli tendeva per agevolarlo nell’arrampicata. Insieme balzarono dall’altra parte e atterrarono agilmente sull’erba.
Rimasero accoccolati a terra ad aspettare che la luna venisse di nuovo nascosta dalle nubi. Il profumo del gelsomino in fiore riempiva l’aria. Quando l’oscurità calò di nuovo sull’edificio e sul terreno circostante, si tirarono in piedi e avanzarono agili e svelti.
Avevano oltrepassato il muro nel punto più distante dalla costruzione e per raggiungere l’ingresso furono costretti a inoltrarsi nell’orto, tra i filari di pomodori, affondando gli anfibi su un terreno reso molle dall’acqua dell’irrigazione. Proseguirono piegati in due finché non raggiunsero lo slanciato granturco carico di pannocchie, che consentì loro di procedere più agevolmente eretti.
La porta non era chiusa a chiave, bastò loro spingerla per poter entrare. Un sordo cigolio di legno li accompagnò mentre la luna veniva ricoperta dalle nubi, facendoli piombare in una perfetta oscurità. Holly riesumò una minuscola torcia dal marsupio e illuminò tutt’intorno a loro. Le scale erano sulla destra e l’edificio era completamente immerso nel silenzio.
I passi dei due intrusi non fecero rumore sulla striscia di moquette scura che ricopriva i gradini nella parte centrale, scivolando giù dal pianerottolo come la lingua di un serpente. Salirono rapidamente un piano, poi l’altro. Il corridoio del secondo piano percorreva l’edificio per la sua intera lunghezza e terminava in fondo con una porta finestra che si affacciava sulle scale antincendio. Sulle pareti si aprivano cinque porte per lato e se non avessero saputo fin dall’inizio quale puntare, sarebbero stati costretti a perdere parecchi inutili minuti per tentarle tutte, tra l’altro con il rischio di venire scoperti.
Avanzando nel corridoio, le suole di Bruce iniziarono a cigolare sul pavimento in un modo così fastidioso che Holly gli intimò di toglierle. Il ragazzo si fermò, le slacciò in fretta e furia e se le sfilò, per poi proseguire a piedi scalzi dietro il compagno. L’ultima porta a destra, la loro porta, era chiusa ma non a chiave.
Bruce appoggiò gli anfibi a terra perché non gli fossero d’impiccio nella fase più delicata del piano. La vescica premeva da impazzire, non ce la faceva più.
Holly abbassò la maniglia e aprì la porta. Si fermò sulla soglia, frugò silenziosissimo nel marsupio e tirò fuori un lembo di stoffa bianca. Stringendolo tra le dita di una mano, entrò e si lanciò una rapida occhiata attorno.
La luce della luna entrava dalle imposte spalancate e illuminava la stanza. Era semplice e disadorna con essenziali mobili in legno scuro. Un armadio a due ante, un tavolo con una sedia, un vaso di fiori sul comodino. Un arredamento completamente impersonale. Mentre il compagno si muoveva furtivo, Bruce rimase sulla porta a fare da palo, premendo i piedi sul pavimento, un po’ l’uno e un po’ l’altro, nell’insperato tentativo di trattenersi. Avevano finito, mancava pochissimo e sarebbero tornati all’esterno, tra le siepi di ligustro, quelle bellissime e invitanti siepi di ligustro così fitte, così accoglienti e tutto il tempo del mondo a disposizione. Però no, non era sicuro, non era sicuro per niente di riuscire a fare in senso inverso tutta la strada percorsa. Il lungo corridoio, due piani di scale, l’attraversamento dell’orto, il salto sul muretto, la discesa fino al parcheggio, al luogo dove avevano nascosto le motociclette. Alle siepi di ligustro.
Gemette piano e la sua voce riecheggiò nella cameretta. La ragazza spalancò gli occhi nel momento in cui Holly si chinava sul letto e le piazzava una mano sulla bocca. Lei scalciò via le coperte nel disperato tentativo di resistergli. Gli afferrò il polso con le mani e cercò di liberarsi dalla stretta, mugolando un grido atterrito. Il cloroformio che impregnava il fazzoletto fece effetto nel giro di pochi istanti e la ragazza giacque immobile tra le lenzuola ormai in disordine. -Bruce! Che ti salta in mente? Stavi per farci scoprire!-
-Non resisto più! Oddio non ce la faccio più!- si guardò intorno disperato, poi individuò una porticina e sperò con tutto se stesso che quello fosse il bagno privato della stanza. Si fiondò dentro, le lacrime che gli riempivano gli occhi.
Quando tornò in camera era pieno di rinnovata energia e motivazione. Holly lo aspettava seccato sulla soglia, la ragazza svenuta tra le braccia.
-Abbiamo i minuti contati.-
-Ho fatto prestissimo.-
-Potevi anche evitare di tirare lo sciacquone.-
-Perché? Penseranno che sia stata lei.-
Uscirono guardinghi nel corridoio. Stavolta fu Bruce ad andare avanti e far strada e Holly a seguirlo con il carico tra le braccia. Scesero senza intoppi fino al piano terra, varcarono l’ingresso e uscirono all’aperto. Rimasero sulla soglia ad attendere il successivo passaggio delle nuvole davanti alla luna e quando il chiarore a poco a poco si spense, attraversarono svelti l’orto e il giardino fino a raggiungere il gelsomino profumato e il muro di cinta.
Bruce saltò su per primo, poi afferrò la ragazza svenuta che il compagno gli porgeva. Per scendere fecero l’inverso. Holly balzò giù e si fece allungare quel corpo addormentato. Raggiunsero le motociclette contenti e soddisfatti.
-è filato tutto liscio, non posso crederci!-
-Nonostante la tua puntata in bagno.-
-Mi scappava, Holly...- guardò le motociclette, poi osservò la ragazza che il compagno aveva adagiato sull’erba -E adesso come facciamo?-
L’altro si grattò una guancia.
-In effetti non ci avevo pensato.-
-Rubiamo una macchina?-

La strada più rapida che portava all’isola più piccola dell’arcipelago della baia era uno stretto ponte pedonale teso sopra la laguna, fatto di corde intrecciate e pezzi di legno di recupero. L’impalcatura era così sottile ed elastica che oscillava ad ogni colpo di vento. Patty e Julian avanzavano con tutta la velocità che quel percorso sconnesso consentiva loro, le dita strette al corrimano umido di salsedine e un passo alla volta su quelle assi di legno che sembravano sul punto di sgretolarsi. Intorno a loro non si scorgeva niente, neanche l’azzurro del cielo, perché la nebbia di quel primo mattino avvolgeva ogni cosa ricoprendo le superfici di uno strato bagnato e freddo. Incombeva su di loro come una cappa che toglieva il fiato. Non riuscivano neppure a scorgere la fine del ponticello, avvolta in quel vapore umido che stentava ad alzarsi.
-Sei sicuro che l’appuntamento sia qui?-
Non era la prima volta che Patty gli poneva quella domanda e l’intervallo di tempo che separava una dall’altra si assottigliava sempre più, man mano che si addentravano in un paesaggio che non aveva nulla di accogliente. Erano arrivati con la macchina da sud e l’avevano parcheggiata in una piazzola di sosta per raggiungere a piedi il luogo dell’appuntamento, servendosi di un ponte pedonale che aveva risparmiato un lungo giro intorno alla loro meta a cui sarebbero stati costretti se fossero arrivati da nord dopo aver attraversato in macchina tre isolotti collegati da altrettanti ponti a pagamento in quasi quaranta minuti di viaggio.  
-Sì. Sicurissimo.- rispose Julian paziente. Bastava guardarsi intorno per condividere le perplessità dell’amica -Ma non proprio qui. Un po’ più avanti. Fai attenzione a dove metti i piedi.-
La nebbia inghiottiva le loro voci dissolvendole nel nulla. Il rumore della risacca sugli scogli, da qualche parte intorno a loro, faceva da eco alla brezza che accarezzava i loro volti. Ogni tanto il grido di uno sconosciuto uccello marino li faceva sobbalzare, l’ombra di un gabbiano si stagliava contro il cielo latteo. Sotto di loro l’acqua stagnava di un brutto verde scuro, canne e altre piante acquatiche creavano un groviglio impenetrabile in cui mai e poi mai Patty avrebbe infilato neppure un dito. Si ficcò una mano nella tasca per assicurarsi che il cellulare fosse al sicuro.
-Che atmosfera spettrale.-
-Con il sole è più bello.-
-Se lo dici tu.-
Finalmente arrivarono alla fine del ponte e poterono rimettere piede sulla terraferma, ricoperta di ciottoli misti a sabbia. Julian proseguì dritto sul sentiero appena tracciato nella vegetazione. Quando furono tra gli alberi la nebbia si diradò e il mondo riacquistò colore, ritrovando i marroni e i verdi della natura. C’era odore di resina e di mare, tra i pini bassi e piegati dal vento. Gli aghi secchi ricoprivano il terreno di una coltre morbida nella quale i loro piedi affondavano ad ogni passo. Attraverso i tronchi degli alberi ogni tanto si scorgeva il candore di una striscia di sabbia che si perdeva nella nebbia. Non prestavano più attenzione, ormai, al mormorio delle onde sulla risacca. Si erano abituati a quel sottofondo e adesso i loro sensi erano concentrati a captare altre presenze umane oltre alla loro. Si fermarono a riposare a ridosso di un’insenatura. Patty si appoggiò al tronco di un pino e si sfilò una scarpa per togliere la sabbia che vi era finita dentro. I suoi occhi si spostarono tutt’intorno e vagarono fino alla distesa marina che si apriva davanti a lei. Gli alberi, nella laguna, sembravano galleggiare tra le nubi basse senza un perché.
Ripresero il cammino e infine sbucarono sulla spiaggia principale, a lato della strada asfaltata proveniente dal ponte sospeso in acciaio bianco che collegava la parte nord dell’isoletta a quella che la precedeva, che a sua volta la collegava all’altra in un susseguirsi di ponti che finiva svariate decine di chilometri più lontano, sulla terraferma.
-Non c’è nessuno.-
Patty guardò l’orologio.
-Siamo un po’ in anticipo.-
Ficcandosi le mani nelle tasche della leggera gonna di jeans, avanzò verso la spiaggia e verso la riva, affondando le scarpe nella sabbia. La nebbia si stava sollevando e oltre al blu profondo del mare, cominciava a distinguersi anche l’azzurro splendente del cielo. Presto il sole sarebbe arrivato ad illuminare le isole e a dissolvere l’atmosfera lugubre di quei luoghi. Si arrampicò su una duna e, con gli occhi fissi sul piano viabile del ponte, proseguì verso il mare. Si fermò di colpo quando scorse dei corpi abbandonati sulla spiaggia. Le si gelò il sangue ed emise un’esclamazione di terrore.
-Julian!-
L’urgenza che percepì nella voce dell’amica lo spinse a raggiungerla di corsa, alzando tutt’intorno a sé spruzzi di sabbia bianca.
-Che c’è?-
Patty indicò quel mucchio di abiti smossi dalle onde.
-Naufraghi!-
Il ragazzo si precipitò giù dalla duna, dimenticando d’un tratto il motivo che li aveva portati in quel luogo. Mentre Patty continuava a tenersi distante, lui raggiunse i due corpi distesi, zuppi d’acqua e sbiancati dalla salsedine.
-Sono morti?- domandò lei da lontano.
Julian si accostò di più e li voltò.
-Sono Philip ed Evelyn!-
-Impossibile!-
-Sono davvero loro!- persino Julian stentava a credere a ciò che aveva davanti.
-Ma sono vivi?- insistette Patty, indecisa se avvicinarsi.
Ross li tastò in vari punti, poi assentì.
-Philip, svegliati!- lo afferrò per le spalle e lo scosse un po’, ma visto che lui non dava cenni di udirlo gli mollò un sonoro ceffone.
Quello spalancò gli occhi e lo fissò.
-Ross.- dopodiché si portò una mano alla guancia colpita -Mi hai picchiato?-
-Non riprendevi i sensi, pensavo fossi morto!- si giustificò leggermente in colpa perché ci era andato giù un po’ troppo pesante. Forse gli sarebbe spuntato un livido.
Philip si tirò su seduto e vide Patty che si avvicinava di corsa.
-Che ci fate qui?-
-Cosa ci fai tu qui, piuttosto! Evelyn!- la ragazza cadde in ginocchio accanto all’amica svenuta e la prese tra le braccia scuotendola su e giù -Eve! Eve svegliati! Eve, mi senti? Sono Patty! Eve!-
Philip si era completamente dimenticato di lei, ma gli bastò posarle per un istante gli occhi addosso che i ricordi cominciarono ad affiorare.
Mentre l’amica riprendeva a poco a poco conoscenza, balzò in piedi e corse nell’acqua immergendo i piedi fino alle caviglie. Fissò la distesa del mare all’orizzonte, in cerca di qualcosa che non riusciva a scorgere.
-Lo yacht! Dov’è finito lo yacht?-
-Quale yacht?-
Philip si portò le mani al viso, disperato.
-Mio dio! Sono rovinato! È affondato! Mark! No! Non voglio avere Landers sulla coscienza!-
-Datti una calmata, Callaghan! Che ti prende? Vuoi farti venire un coccolone?-
Lui avrebbe voluto seguire il consiglio dell’amico ma non era mica così facile calmarsi.
-Evelyn! Che ci facevi sullo yacht?-
-Stavamo scappando!-
-Da cosa? Tu e chi? Non eri sola, vero?-
-No.- deglutì a fatica, la gola bruciata dall’acqua di mare -Non avete dell’acqua?-
-Sì, in macchina.- annuì Patty -Abbiamo anche dei vestiti asciutti.-
-Evelyn!- Philip invocò di nuovo il suo nome. Dal tono della sua voce proveniva una certa urgenza -Chi era con te sullo yacht?-
-C’erano Tom e Benji. E anche Jenny.-
Le forze lo abbandonarono di colpo e Philip cadde in ginocchio.
-Jenny! Miodio, no!-
Neppure sposo e già vedovo.
Impiegarono un bel po’ a riscuotere dal lutto l’inconsolabile compagno. Si prodigarono intorno a lui per quasi un’ora, poi Julian ricevette la telefonata che aspettava se all’appuntamento non si fosse presentato nessuno, e si prepararono a lasciare quello sfortunato luogo. Dovettero trascinare Philip alla macchina quasi di peso. La disperazione gli aveva risucchiato ogni energia e non faceva altro che recriminare il giorno in cui era salito a bordo di un fantomatico yacht per portarlo chissà dove. Sembrava che i suoi pensieri si fossero bloccati su quell’ultimo evento e non riuscisse più andare né avanti, né indietro.
Dopo che si fu scolata quasi un litro d’acqua, Evelyn ritrovò abbastanza voce per rassicurarlo. Anche se in realtà, nonostante le parole incoraggianti con cui cercava di confortarlo, neppure lei aveva la certezza che gli amici fossero riusciti a sopravvivere alla tempesta che si era abbattuta sulla barca. Forse soltanto lei e Philip, per un colpo di fortuna, si erano salvati.

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Capitolo 5
*** Password: island ***


Password: island


Jenny era seduta sullo scafo a prua e fissava la distesa del mare senza vederla, gli occhi gonfi, arrossati e pieni di lacrime. Non riusciva a non pensare a quanto si era inutilmente arrabbiata con Philip e a come l’aveva accusato ingiustamente. Indossava ancora i vestiti bagnati della notte precedente che a poco a poco si stavano asciugando al sole. Era lì da più di un’ora e né Tom né Mark né Benji erano riusciti a convincerla a cambiarsi o a mangiare qualcosa.
I tre avevano passato tutta la mattina a rimettere in ordine lo yacht che galleggiava immobile in mezzo al mare, accarezzato da onde che avevano perso tutta la loro energia. Dopo aver valutato i danni causati dalla tempesta, erano riusciti con molta fatica a localizzare la loro posizione. Adesso erano pronti a ripartire.
Chini su una carta geografica srotolata sul tavolo da pranzo a poppa, studiavano con attenzione la costa e le isole più vicine, cercando di capire quale fosse la direzione migliore da prendere.
-La corrente potrebbe averli trascinati ovunque.- disse Mark.
-Non ovunque.- lo incalzò Benji con palese sufficienza -Ma solo nella direzione in cui li ha portati la corrente.-
-E tu saresti in grado di capire dove andava la corrente ieri?-
-Tom, puoi per favore spiegare a questo deficiente che se confrontiamo la nostra posizione di ieri con quella di oggi possiamo capire dove ci ha portati la corrente e dove possono essere stati trascinati Philip ed Evelyn?-
-Tom, puoi per favore ficcare nella zucca di questo imbecille che non è lui il capitano della nave e che quindi non deve darci ordini, ne adesso né mai?-
Tom tirò un profondo respiro.
-Benji, Mark, statemi bene a sentire. Se vogliamo collaborare per ritrovare Evelyn e Philip cambiate subito atteggiamento. Altrimenti vi lascerò a scannarvi finché la corrente non ci riporterà a riva.-
-A me non interessa ritrovare Callaghan.-
-A me sì, Price. Deve pagarmi due giorni pieni di lavoro. Questa è un’operazione di soccorso e se non vuoi partecipare puoi sbarcare alla prossima isola. E adesso cerchiamo di non perderci in chiacchiere, o Philip potrebbe accusarmi di averlo abbandonato e rifiutarsi di sborsare il dovuto.-
Benji sbuffò e impostò il timone nella direzione giusta. Poi, dopo un rapido conciliabolo, digitarono la rotta sul computer di bordo, inserirono il pilota automatico e se ne andarono ciascuno per i fatti propri.
Tom a prepararsi un’abbondante colazione, visto che la sera prima a parte i frutti della passione di Evelyn avevano finito per non cenare; Mark a prendere il sole sulla piattaforma del terzo piano e Benji a consolare Jenny. Saltò sullo scafo di prua e in men che non si dica raggiunse la ragazza.
Tom tornò sopraccoperta qualche istante dopo con un panino infinito tra le mani. Ci aveva ficcato dentro tutto quello che aveva trovato nel frigorifero e le due fette di pane riuscivano a malapena a chiudersi. Volendo scambiare due chiacchiere con qualcuno, raggiunse Mark.
-Price è più insopportabile del solito o sbaglio?- domandò quello, spaparanzato sotto il sole che già picchiava convinto, allungando una mano per afferrare una bottiglietta d’acqua appoggiata nel cono d’ombra della randa.
-Non è intrattabile, è bizzarro.-
-Non lo definirei bizzarro ma rompicoglioni.-
Si tirò su per voltarsi di schiena e lanciò un’occhiata al portiere. Qualcosa nel suo atteggiamento lo spinse a restare a guardare.
-Cosa sta facendo?-
-Qualcuno doveva pure andare a tranquillizzare Jenny.- disse Tom a bocca piena.
Il portiere le stava appiccicato e, mentre li guardava, lo vide cingerle le spalle con un braccio.
-Senza esagerare però.-
-Te l’ho detto che è bizzarro. Pare che gli sia nato un debole per Jenny.-
-In che senso?-
-Il senso non lo so. Evelyn aveva accennato qualcosa ma ieri siamo stati talmente occupati che non ho avuto modo di rifletterci. Però pare che si siano baciati.-
-Benji e Jenny?- esclamò Mark con una smorfia di disgusto -Che coppia male assortita!-
Jenny sembrò essere del suo stesso parere, perché scattò in piedi.
-Ma insomma, che ti prende?-
-In che senso?- lui finse di cadere dalle nuvole ma in realtà era cosciente di ciò che stava facendo e tra l’altro lo divertiva moltissimo -Non mi prende nulla. Sei tu che sei strana.-
-Non sono strana Benji! Sono in ansia per Philip e per Evelyn. Anzi no, sto letteralmente morendo dalla preoccupazione!-
-E a cosa serve preoccuparsi? Stiamo appunto andando a cercarli! Io invece avrei molte idee su come impiegare proficuamente il nostro tempo… Vuoi che te ne esplichi qualcuna?-
Jenny aprì la bocca per replicare ma non riuscì ad articolare neppure una parola. Frustrata dallo sguardo canzonatorio del portiere, rinunciò. Si voltò per sottrarsi alla sua non gradita compagnia e quando si rese conto che Tom e Mark avevano assistito a tutta la scena, raggiunse furibonda le scalette e scese sottocoperta.
Lo yacht procedette a forza di vele lungo la costa. Il motore era al minimo per risparmiare il carburante. L’aveva stabilito Mark dapprincipio in autonomia, mostrando solo in seguito ai compagni sulla cartina geografica che nei paraggi non c’erano porti in cui fare rifornimento. Oltretutto nessuno di loro aveva anche una vaga idea di quanto sarebbero state lunghe le ricerche, meglio andare sul sicuro. Le  motivazioni di Landers erano sembrate subito solide e le avevano approvate all’unanimità tranne Jenny. La ragazza aveva fretta di trovare tracce di Philip e procedere alla velocità di quella leggera brezza non avrebbe accelerato i tempi. Mentre Tom manteneva la rotta costeggiando il litorale e Mark, a prua, gli dava le indicazioni necessarie ad evitare gli scogli. Jenny e Benji, uno a poppa e l’altra a prua, strizzavano gli occhi verso la riva in cerca dei due compagni scomparsi.
-Niente?- gridò Tom dal timone.
-Niente! Qui non ci sono.- rispose Jenny con voce rotta. Le veniva da piangere. Lasciò il suo posto di vedetta e si accostò a Mark -Pensi che li ritroveremo?-
-Certo. Philip aveva il giubbotto di salvataggio.-
Tom allentò la cima, lasciò che la randa si gonfiasse e lo yacht prese velocità, allontanandosi dalla costa dell’isola appena scandagliata per raggiungere quella successiva.

-Giuro che questa non ve la perdono! Farvi corrompere al punto da arrivare a rapirmi!- Amy era fuori di sé -Chi vi ha dato il diritto di immischiarvi nelle questioni tra me e Julian?-
Né Bruce né Holly l’avevano mai vista così. In cima all’altopiano circondato da una pineta, i capelli castani agitati dal vento a svolazzarle intorno al capo come una furia, sullo sfondo del cielo azzurro e del mare blu, il leggero pigiama verde pistacchio composto da una canottiera con le bretelline e dei pantaloncini cortissimi, sembrava avere tutta l’intenzione di prenderli a schiaffi. Sembrava una pazza indemoniata.
Holly si sforzò di riflettere mentre lei continuava a sbraitare come un’ossessa, arrivando alla conclusione che non solo forse la ragazza non aveva tutti i torti, ma anche che qualsiasi tipo di risposta non avrebbe avuto altro risultato se non rinfocolare la sua collera. Così, con gesti calmi e studiati, si filò il giacchetto in cui, da quando il sole era spuntato, aveva cominciato a sudare. -Amy, senti...- tentò, ma lei lo zittì in un decimo di secondo.
-Riportatemi indietro immediatamente!-
-Amy, per favore calmati.- cercò di placarla anche Bruce che francamente s’era stancato di sentirla gridare.
-Ve l’ha detto lui di farlo, vero?-
-Amy…-
-Non ha capito che non voglio più vederlo? Non voglio più avere niente a che fare con lui!- urlò ancora pestando i piedi nudi nella sabbia fino a scavare dei piccoli solchi.
-Amy…-
-Vi siete fatti convincere dalle sue bugie. Ha incantato anche voi e ci siete cascati!-
-Amy insomma basta!- la interruppe Holly a cui tutti quelli strilli stavano cominciando a scatenare un feroce mal di testa -Tra voi c’è stato sicuramente un equivoco e la cosa migliore per chiarirlo è incontrarvi e parlarne.-
-Macché equivoco! E di parlare con lui non ci penso proprio. Riportatemi subito indietro!-
Davanti alla loro impassibilità, Amy si morse un labbro e strinse i pugni. Non volevano riportarla indietro? Ebbene si sarebbe arrangiata da sola. Mentre si guardava intorno in cerca di una via di fuga scorse una barca avvicinarsi alla costa. Dal ponte due minuscole figure si tuffarono in mare e puntarono verso la spiaggia,  avvicinandosi a nuoto. La soluzione si stava avvicinando sotto ai suoi occhi. Reagì così repentinamente da lasciare Holly e Bruce di sasso. Imboccò il declivio della collina correndo leggera a tutta la velocità che la sabbia le permetteva. Gli occupanti dell’imbarcazione avrebbero dovuto soccorrerla per forza.
-Aiuto! Aiuto!- gridò verso di loro -Sono stata rapita! Aiutatemi!-
Bruce e Holly, ancora in cima alla duna, si guardarono sgomenti.
-Porca miseria, Amy ci farà arrestare!-
Harper imboccò a perdifiato la discesa.
-Amy! Zitta per carità! Non ti far sentire!- ma lei continuava a gridare, così pensò fosse il caso di rivolgersi alle due figure grondanti che emergevano dall’acqua -Non è vero! Non abbiamo rapito nessuno! Lei è una nostra amica!-
Jenny e Mark si fermarono gocciolanti sul bagnasciuga ad osservare Amy che correva verso di loro chiedendo aiuto e Holly e Bruce rincorrerla come matti. La ragazza si fermò di colpo. Smise di gridare e fissò i due in costume, zuppi d’acqua.
-Ah, siete voi.- la sua speranza si sgonfiò come un palloncino bucato.
-Ah, sei tu.- rispose Jenny con lo stesso tono deluso -Sei stata rapita?- domandò po’ scettica, mentre Holly e Bruce arrivavano di corsa, sollevando nugoli di sabbia.
Si guardarono tutti, con un sacco di cose da dirsi. Le esperienze appena vissute erano talmente numerose e varie che Jenny riuscì facilmente a prendere la parola prima di tutti.
-Amy, Holly, Bruce.- salutò piatta -Mica avete visto Philip ed Evelyn, da qualche parte?-
L’espressione di Harper si fece tesa.
-Evelyn? Perché Evelyn?-
-È finita in mare ieri sera, durante la tempesta.-
Bruce non capì.
-Impossibile. Quando ieri mattina sono uscito Evelyn era a casa davanti al pc.-
-Ti sbagli. Era con me sullo yacht.-
-Assurdo.-
Jenny fece spallucce. Se voleva pensarla così, peggio per lui. Ora che aveva scoperto che nella ricerca del fidanzato gli amici non le sarebbero stati d’aiuto, ebbe fretta di proseguire. Si volse verso Mark.
-Loro non sanno nulla, è inutile continuare a perdere tempo qui.-
Alle sue spalle lo yacht si era avvicinato alla spiaggia e adesso galleggiava placido in acque basse. Benji si sporgeva curioso dalla murata, i gomiti appoggiati sulla ringhiera.
-Abbiamo ospiti?-
-Certo!- si autoinvitò Amy entrando in acqua con i piedi nudi.
Jenny, sul punto di tuffarsi, si volse a guardarla.
-Vuoi venire con noi?- non le dispiaceva un po’ di compagnia femminile, soprattutto adesso che si avvicinava l’ora di pranzo e i tre maschi con cui divideva la traversata avrebbero richiesto ingenti quantità di cibo per placare i morsi della fame.
-Amy, veramente noi dovremmo andare a...- tentò di intromettersi Holly e lei lo liquidò con un gesto della mano.
-Esatto Holly. Voi. Voi due. Non noi.- disse gelida -Voi avete fatto già abbastanza. Ciao ciao!- e si tuffò per raggiungere a nuoto lo yacht.
Mark osservò curioso le espressioni un po’ spaesate dei compagni. Non aveva capito un accidente di ciò che era successo e neppure cosa ci facessero in quell’isola deserta insieme ad Amy. Però gli sembrava brutto lasciarli a riva, tanto più che se avessero trovato un luogo per fare rifornimento, avrebbero potuto contribuire alla spesa  del carburante.
-C’è ancora posto sullo yacht se vi interessa.-
-Andiamo con loro, Holly. È quasi ora di pranzo e qui intorno non c’è niente.-
Hutton valutò la proposta.
-Dobbiamo tuffarci?-
-Non credo che Tom si possa avvicinare più di così o rischiamo di arenarci. Se la chiglia si graffia, Callaghan mi strozza.-
-Non abbiamo un cambio con noi.-
-Non è un problema. Una volta a bordo potete mettervi i vestiti di Philip finché i vostri non si saranno asciugati.- propose volentieri visto che gli abiti che aveva così gentilmente offerto non erano i suoi.
Pochi minuti dopo Bruce emergeva dalle onde aggrappandosi alla scaletta di metallo fissata su una fiancata dello yacht. Avanzò sul ponte gocciolante e vide Jenny uscire all’esterno dalle cabine passandosi un asciugamano sulla pelle bagnata.
-Che c’è per pranzo?-
Lei lo guardò.
-Niente.-
Lo stomaco di Bruce rispose brontolando. Tom inserì il pilota automatico e si alzò dal timone.
-Dobbiamo assolutamente inventarci qualcosa.- si guardò intorno -Servirebbe un supermercato.- -È pieno di supermercati, in mezzo all’oceano.- lo schernì Benji.
-Certo la materia prima non manca.- rifletté Holly vedendo dei pescetti saltellare più in là sulle onde.
-Non abbiamo le attrezzature.- riferì Mark appoggiato alla ringhiera, i pettorali al godersi il sole mentre la sua pelle si asciugava -Philip è stato chiaro, di non essere in vacanza, e per ribadirlo ha lasciato alla base canne da pesca, ami e tutto il resto.-
-Bravo Callaghan.- ironizzò Benji -Dobbiamo proprio ringraziarlo, se lo ritroviamo.-
Mark si sentì rimescolare, perché non era rispettoso parlare così di persone forse morte e comunque di sicuro scomparse. Jenny fu dello stesso avviso, forse ancor più amareggiata di lui delle parole del portiere.
-Sparagli, ai pesci. Magari riesci a prenderne qualcuno.-
Lui si volse di scatto a guardarla, gli occhi che lampeggiavano. Il silenzio sullo yacht fu immediato, interrotto solo dallo sciabordio delle onde lungo le fiancate. La contrarietà del portiere durò un secondo, poi il suo volto si distese in un sorriso ammirato. Fece qualche passo verso di lei.
-Hai mai pensato di mollare Callaghan?-
-Benji, ci sposiamo il mese prossimo.-
Lui sospirò.
-Ti renderai conto dell’errore che stai per commettere prima che sia troppo tardi?- domandò prendendole una mano.
-Io comunque ho sempre fame. Possiamo lasciare le proposte romantiche per dopo?-
Jenny fu perfettamente d’accordo e lo aveva ribadito già un istante prima, sfilando la mano da quella del ragazzo e facendo un passo indietro per sottrarsi al suo interesse.
-Bruce sono appena le undici, non puoi cominciare a scassare già da ora.-
-Holly, sai perfettamente che abbiamo saltato la colazione!-
-Allora adesso che si fa?- domandò Amy riemergendo dalle scalette ricoperta fin quasi alle ginocchia da una maglietta verde scuro che le stava enorme.
-Che ti sei messa addosso?- le chiese Mark sgomento.
-L’unica cosa pulita che fosse di mio gusto.-
-Se tu indossi i miei vestiti, io poi che metto?-
-Tranquillo Mark, appena ritroveremo Philip ed Evelyn ci fermeremo a questo famoso supermercato dell’oceano così Amy potrà compare qualcosa di adatto da indossare.- Holly si avvicinò alla ragazza, ancora tutto gocciolante -Dov’è che sono gli abiti puliti?-
Lei fece per parlare ma Mark la precedette.
-Te li mostro io, Holly!- e lo introdusse sotto coperta, fino alla cabina del compagno disperso.

A Philip non sarebbe piaciuto sapere che le cime della randa e del fiocco erano state utilizzate come stendino e che lo yacht era pressoché fermo a poche decine di metri dalla riva, cullato dal vento che il pigiama di Amy, gli abiti di Holly e quelli di Bruce, riuscivano a catturare. Visto che c’erano, ne avevano approfittato per fare un bucato, perché neppure Benji, Tom e Jenny avevano un cambio da poter indossare. Era quindi un curioso spettacolo, quello yacht extra lusso bardato di calzini, canottiere, camicie, pantaloni, magliette, gonne e pantaloncini che come tante bandiere colorate, sventolavano alla brezza sotto un sole che stava rapidamente asciugando ogni fibra di stoffa. Mark scosse la testa. A Philip quello spettacolo non sarebbe piaciuto per niente e quindi sperava, se proprio dovevano trovarlo, che ciò accadesse in serata, quando i loro abiti fossero stati ormai ammainati.
Seguì con gli occhi le scie schiumose lasciate da Holly e Jenny che nuotavano verso l’imbarcazione. Jenny arrivò sul ponte per prima, affaticata, perché era già la quarta isola che perlustrava. Mark si chiedeva quanto ancora avrebbe retto.
Holly arrivò subito dopo di lei.
-Allora?- domandò Mark.
-Niente.-
Fu Holly a rispondergli perché Jenny, sempre più abbattuta dello sconfortante esito delle ricerche, gocciolando scie di acqua marina lungo tutto il ponte, si abbarbicò sulla torretta e rimase a scrutare il mare in solitudine.
Benji la seguì con lo sguardo, poi aumentò la velocità per allontanarsi dall’ennesima isola su cui non avevano trovato traccia né di Philip, né di Evelyn.
Holly raggiunse il tavolo di poppa e si versò un bicchiere d’acqua. Tom era lì e russava piano riverso sul ripiano, la guancia poggiata sulla cartina geografica. Non ebbe il coraggio di svegliarlo e lo lasciò così per raggiungere Bruce.
Harper da parte sua, era talmente e profondamente preoccupato per la sorte di Evelyn che aveva rovistato nella stiva, aveva trovato un costume da bagno, si era cosparso di crema solare e, sdraiato sul ponte, aveva aperto una rivista di parole crociate trovata in cucina, con un bicchiere di succo di frutta ghiacciato posato accanto tra le gomene. Si distraeva così, per non affliggersi sulla sorte della fidanzata.
Amy era seduta a prua a pensare ai fatti propri. Si stringeva le ginocchia al petto e, in quella posizione accoccolata, quando il vento smuoveva la maglia di Mark, l’intera popolazione maschile della barca poteva osservare indisturbata l’elastico laterale delle mutandine. Finora però lo aveva notato solo Bruce.
Benji accostò lo yacht all’isola successiva, Jenny scese dal suo rifugio e si accostò alla murata, già pronta a tuffarsi tra le onde per raggiungere la riva e proseguire le ricerche. Quando il ronzio del motore diminuì e lo yacht si fermò, la giovane era ancora sola accanto alla balaustra e fissava i compagni, incerta e stupita.
-Stavolta nessuno viene con me? Bruce, non sei preoccupato per Evelyn?-
-Preoccupatissimo.- replicò il ragazzo, la penna pensierosamente ficcata tra i denti, bloccato su una definizione che gli precludeva la conclusione del cruciverba.
-Stai pure comodo Harper.- il portiere bloccò il timone e alzò -Vado io con Jenny.-
-Grazie Benji, ma ci ho ripensato. Stavolta credo che me la caverò meglio da sola!- e si tuffò lasciandolo lì.
-Se non lo hai capito, le tue attenzioni non sono gradite, Price.- gli fece presente Mark.
-Che attenzioni?- domandò Bruce senza curiosità. Voleva mostrarsi coinvolto ma in realtà non stava ascoltando un fico secco.
-Allora vai tu con lei, Landers? O pensi che sia più sicuro lasciarla a scorrazzare da sola, senza sapere chi o cosa potrebbe trovarvi?-
Mentre lontano la figurina di Jenny si avventurava solitaria sulla spiaggia, Benji, sentendosi al cento per cento dalla parte della ragione, si arrampicò agilmente sulla balaustra e si tuffò in acqua.
-In cucina ho trovato dell’insalata, delle patate e del formaggio in quantità sufficienti a sfamarci. Che ne dite se intanto preparassimo qualcosa da mangiare?- domandò Holly affacciandosi dalle scalette.
Bruce scattò in piedi.
-Finalmente una proposta sensata!-
-Ragazzi! Qualcosa non va!- esclamò Tom.
Svegliato dalle chiacchiere dei compagni, era andato a controllare il quadro comandi e gli era preso un colpo. Indicò frustrato e preoccupato il display, che lampeggiava di rosso con un’allarmante scritta WARNING in blu elettrico. Oltre ad essere una violenza cromatica per gli occhi, quella reazione del computer di bordo gli sembrò molto, molto inquietante.

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Capitolo 6
*** Password: cruiser ***


Password: cruiser


Benji arrivò sulla spiaggia a qualche minuto di distanza da Jenny ma seguirla fu semplicissimo, la ragazza aveva lasciato delle visibilissime tracce sulla sabbia. Si passò una mano tra i capelli e li scolò dall’acqua salmastra, poi andò dietro alle orme di Jenny e si inoltrò tra i pini.
Poche centinaia di metri più avanti la giovane vagava a caso all’interno della pineta. I suoi passi erano leggeri e tranquilli su quel terreno di sabbia misto agli aghi caduti dai rami nel corso degli anni, a formare un letto profumato e morbido da calpestare. Aver lasciato Benji sullo yacht ed essersi liberata della sua insistente presenza la faceva sentire più leggera e ottimista. Stavolta era così sicura di aver imbroccato l’isola giusta e di conseguenza di ritrovare Philip, che avanzava nella pineta quasi canticchiando.
Pian piano gli alberi si diradarono e comparve la spiaggia opposta di quell’isola grande quanto un paio di campi da calcio affiancati. Fu allora che li vide. Delle persone proprio lì sul bagnasciuga, che distingueva sempre più dettagliatamente mentre la speranza le riempiva il cuore fino a scoppiare e la sua camminata incerta diventava una piccola corsa, l’andatura accelerava insieme ai battiti del suo cuore e spingeva di colpo sulle gambe, sprofondando tra la sabbia fino alle caviglie, per raggiungere chi temeva non avrebbe mai più visto.
La sua corsa terminò direttamente nelle tra le braccia di Philip, che la prese al volo riconoscendola solo all’ultimo momento. Travolto dal suo impeto, finirono tra la sabbia, lui di schiena, lei sopra ad aggrapparsi ai suoi vestiti con tutta la disperazione che si teneva dentro ormai da ore.
-Philip, sei salvo.- riuscì appena a dire, poi scoppiò a piangere per il sollievo -Che paura ho avuto!- singhiozzò contro il suo collo mentre anche lui la stringeva a sé.
-A chi lo dici! Pensavo che fossi affondata con tutto lo yacht...- la guardò in ansia -Lo yacht non è affondato, vero?-
Lei scosse la testa, con la sgradevole impressione che Philip fosse più contento di questa notizia che di averla ritrovata.
-Jenny? Da dove arrivi?- sentì dire la voce di Evelyn. Allora si tirò su e si sedette a cavalcioni sullo stomaco del fidanzato, asciugandosi gli occhi con il dorso delle mani. Tentò un sorriso, ancora un po’ acquoso.
-Sono contenta di vedere che anche tu stai bene.-
Il ragazzo riemerse dalla sabbia, dalla fossa che l’esuberanza di Jenny aveva scavato intorno a loro facendoli sprofondare di svariati centimetri, e si mise in piedi. La fidanzata di aggrappò alla sua mano con l’intenzione di non lasciarla più e venne sommersa dalle domande, non soltanto di Philip, ma anche di Evelyn, Patty e Julian che erano con lui.
Dall’alto di una duna, Benji li guardava con un certo compiaciuto sadismo. E così avevano trovato Callaghan. Adesso ci sarebbe stato da divertirsi.
-Oh, eccoli di ritorno. Finalmente possiamo mangiare!- Bruce cominciò a saltellare avanti e indietro sul ponte, sbracciandosi verso i ragazzi che comparvero alla spicciolata sulla spiaggia. E quando si rese conto che nonostante fossero partiti in due stavano tornando in sei, improvvisamente capì -Sono di più! Non ci posso credere, li hanno trovati!-
Il resto del gruppo si accalcò addosso alla ringhiera, tutti eccetto Mark che si era seppellito in cucina per preparare finalmente qualcosa da mettere nello stomaco. Si era autoimposto di pensarci lui anche se non ne aveva mezza voglia, perché sapeva che Philip l’avrebbe gettato fuori bordo se gli amici avessero combinato inavvertitamente qualche danno, come per esempio macchiare il ripiano di pregiato e costosissimo marmo italiano, ammaccare l’acciaio inox del lavello o graffiare l’anta di un pensile.
Quella corsa verso la murata ad accogliere i dispersi fece oscillare pericolosamente lo yacht. Mark, dalla cucina, cacciò un urlo.
-Pazzi! Mi rovesciate le pentole!-
Tom, dopo essersi assicurato che Philip fosse con loro, tornò sconsolato al pannello di controllo dei comandi che non aveva smesso un attimo di lampeggiare rosso e anzi, aveva aggiunto a tutto quello scintillio anche un inquietantissimo BIP BIP.
-Fortuna che hanno trovato Philip. Forse lui riuscirà a capire che accidenti di colpo è preso a questa bagnarola.-
Quegli avvertimenti visivi e sonori avevano cominciato a suscitargli l’ansia che prima o poi qualcosa sarebbe esploso con un gran botto.
-Non chiamarla bagnarola in sua presenza. O ti lascia qui.- lo avvertì Mark spadellando tra i pensili e i fornelli -O peggio ti getta in mare tra gli squali dopo averti fatto percorrere la passerella con una scimitarra puntata tra le scapole.-
Tom rabbrividì.
-Grazie per avermi avvertito.-
-Dovere.-
Amy passò tra loro alla chetichella e sgattaiolò sotto coperta silenziosissima.
-Dove vai? È quasi pronto.- le disse Mark.
-Torno subito.- rispose sapendo di mentire. Julian stava arrivando, col cavolo che sarebbe tornata anche se stava morendo di fame. Che sfortuna! Non avrebbero potuto trovarlo dopo pranzo?
-Allora Holly, dov’è?- domandò Julian non appena mise i piedi sul ponte.
-È lì.- indicò la prua dove Amy era stata fino ad un attimo prima e si meravigliò di non vederla -Sarà scesa sottocoperta.-
Julian infilò nella stretta scaletta.
-Ciao Ross.- lo salutò Mark quando lo vide percorrere a grandi passi il corridoio.
Il ragazzo, che lo aveva superato, fece marcia indietro.
-Cosa c’è per pranzo?- domandò affamato.
-Te lo dico se mi aiuti.-
-Allora resterò con la curiosità. Sto cercando Amy, ma puoi farti aiutare da Patty, o da Jenny. C’è pure Evelyn, perché io?-
Ma bene! Le presenze femminili sullo yacht erano aumentate e non esisteva più nessuna scusa che lo tenesse legato ai fornelli. Li spense tutti e poggiò il mestolo sul lavello, si tolse il grembiule e lo appese alla maniglia del piccolo forno.
-Allora? Dov’è Amy?-
-È entrata lì.-
Landers gli indicò la porta chiusa di una cabina. Poi salì sul ponte e si guardò intorno. Philip era seduto al suo posto, al timone, con un’espressione che non era delle più rilassate. Anzi, a guardar bene sembrava quasi che stesse per venirgli un infarto. Una ruga gli solcava la fronte, i muscoli della schiena erano in tensione e le sue labbra erano serrate in una linea sottile e inespressiva. In sottofondo udiva un insistente bip bip di cui non riusciva ad identificare l’origine. Forse avevano combinato un guaio, e di quelli grossi.
-è pronto il pranzo?- gli chiese Bruce appena lo vide.
-No, se qualcuno non si offre volontario a darmi il cambio.-
Nel silenzio che scese tra i compagni si udirono alcuni colpi potenti provenire dai meandri della barca, seguiti dalle grida di Julian.
-Amy! Amy! Apri la porta!-
Philip si irrigidì tutto.
-Mark, vai a fermare quell’imbecille. Se fa danni poi ci tocca ripagare!-
Il giovane sbiancò.
-Ross!- urlò catapultandosi di nuovo sottocoperta.
-Lasciali stare, Mark.- gli gridò dietro Holly -Stanno facendo la pace.-
D’un tratto i colpi cessarono e Landers tornò sul ponte, apparentemente più tranquillo.
-Tutto a posto, Philip.-
Quello rispose serrando i denti e digitando con insistenza delle cifre sullo schermo touch. Ma ogni volta che spingeva il tasto invio, il WARNING blu elettrico si trasformava in un ancor più preoccupante ERROR verde mela. Lo stridore cromatico gli stava dando la testa e lui non sapeva più che pesci prendere.
-Philip, tutto a posto?- domandò Jenny, avvicinandosi titubante e sempre più in ansia.
-No, non c’è niente a posto.- si ficcò le mani tra i capelli e se li spettinò impotente. Poi balzò in piedi con una foga tale che la ragazza arretrò spaventata. Si volse verso gli amici e li incenerì -Chi ha cambiato questa cazzo di password? Chi ha messo le mani sul pannello di controllo? Chi ci ha ficcati nei guai? Chi pagherà i danni?-
Tom e Mark sbiancarono. Avevano smanettato entrambi al timone mentre cercavano di rimettere lo yacht sulla rotta dei dispersi, ma più di loro due, in realtà al posto di Philip si era seduto, e ci era rimasto a lungo,…
-Benji!- citarono in coro, neanche si fossero messi d’accordo, voltandosi all’unisono verso il portiere e indicando a Philip il colpevole. Ciascuno a suo modo, intendeva a tutti i costi scagionarsi: Mark terrorizzato di dover pagare i danni e Tom di essere costretto a percorrere la fatidica passerella, rendendo reale l’immagine che il compagno gli aveva suscitato nella testa giusto pochi istanti prima.
Gli occhi di Philip si spostarono accusatori sul portiere.
-Hai cambiato la password?-
Lui alzò le spalle.
-Non potevo? Ho messo io questa bagnarola- Mark e Tom si irrigidirono -sulla rotta giusta per portare in salvo te ed Evelyn e ho scelto una parola che mi rappresentasse di più.-
Philip, prendendo atto che nei suoi confronti aveva un debito di riconoscenza, si sforzò di passar sopra alla sua non richiesta intraprendenza. Avanzò verso il portiere mostrandosi più diplomatico di quanto si sentisse in realtà.
-E adesso ti dispiacerebbe condividere con me la nuova password, Benji? Così finalmente riesco a capire che problema ha questo yacht e cerco di risolverlo.-
-La password è Jenny…-
-La password era già Jenny!-
-La nuova password è Jennytiamo, tutto attaccato.-
Un piede di Philip sdrucciolò su una tavola bagnata e lui finì pesantemente a terra, più colpito da ciò che udì che dalla caduta. Si sollevò su un gomito e guardò Benji che se la rideva, poi si volse indietro a cercare Jenny. La ragazza si era portata le mani al viso per coprirsi le guance arrossate.
-Questa...- si schiarì la voce perché d’un tratto le parole gli si bloccarono in gola -Questa sarebbe una password che ti rappresenta di più?-
-Ti sei fatto male?- si preoccupò di chiedergli Evelyn visto che nessun altro dei compagni sembrava interessato a saperlo. Dopotutto, il debole di Benji nei confronti di Jenny per lei non era più una novità.
Il portiere lo guardò fisso negli occhi.
-Ero sicuro che sarebbe piaciuta anche a te.- si volse verso Mark, ricordandosi improvvisamente di una cosa -In quale cabina stanno facendo la pace Amy e Julian?-
-Quella matrimoniale.-
-Ma porca...- esclamò sgomento e corse giù.
-Non ti conviene intrometterti!- gli consigliò dietro Holly, visto che lui invece lo aveva fatto e non ci aveva guadagnato neanche mezzo ringraziamento. Esattamente com’era successo pochi istanti prima con Mark, il suo consiglio venne ignorato.
Mentre sul ponte si scatenava un finimondo di urla e Jenny scoppiava a piangere di nuovo, Benji percorse il corto corridoio in un millesimo di secondo e raggiunse Ross. Sfortuna delle sfortune, Amy si era rinchiusa proprio nella cabina in cui aveva lasciato le sue cose. Maledicendo tra sé e sé la propria imprudenza, tolse di mezzo Julian, appoggiò le mani sulla porta e accostò il viso al pannello, per essere sicuro che l’amica lo udisse.
-Amy, sono Benji. Apri.-
-No.-
-Amy, devo entrare a vestirmi.-
-No.-
-Le mie cose sono lì.-
-No.-
-Sii ragionevole, per una volta!-
-Che significa “per una volta?”-
Benji si spazientì. In quella camera c’era, oltre ai vestiti, un’altra cosa che gli apparteneva e che voleva riavere su di sé, soprattutto visto che con Callaghan la situazione poteva diventare incandescente. Certe cose era bene metterle in chiaro fin da subito.
-Amy non starò a pregarti. Se non mi apri butto giù la porta.-
-Non voglio vedere Julian.-
Il portiere si volse e guardò Ross dall’alto in basso.
-Si può sapere che accidenti le hai fatto?-
-No che non si può sapere. Sono affari privati!-
-Hai ragione. Però perché adesso non torni sul ponte? Il pranzo è pronto.-
-Non me ne frega niente del pranzo. Devo parlare con Amy!- rispose cocciuto.
Benji strinse i pugni esasperato.
-Dannati testardi...- borbottò. Poi tornò a rivolgersi alla porta -Amy, se ti prometto che non lo lascerò entrare, mi apri?-
-Davvero pensi di riuscirci?- domandò lei scettica.
-Mantengo sempre le promesse.-
-Fammici pensare…- tentennò lei.
-No Amy! All’istante!-
L’urgenza e la collera del portiere fecero il resto. La serratura scattò. Julian si catapultò verso la cabina per approfittare del momento ma Benji lo spinse indietro con tanta e potente convinzione che il ragazzo si ritrovò almeno un paio di metri più in là. Benji aprì la porta, entrò e Amy, rapidissima, bloccò di nuovo la serratura, appoggiandosi al pannello con un sospiro sollevato. Un colpo violentissimo la fece balzare indietro.
-Accidenti Amy! Aprimi!-
-Ross!- sentirono Mark ringhiare a cento decibel -Se lo rifai ti taglio le mani!-
Senza far troppo caso alla ragazza che, con le lacrime agli occhi, teneva il broncio, Benji si guardò intorno e vide con sollievo che i suoi abiti erano rimasti appoggiati su un angolo del letto esattamente come li aveva lasciati.
-Meno male...- mormorò contento, afferrando tutto il mucchio e stringendoselo addosso.
Entrò nel bagno e si rivestì. Quando tornò nella cabina, Amy sedeva a terra accoccolata accanto alla porta e faceva finta di non udire le parole ragionevoli che Julian le sussurrava attraverso il pannello. Le sue guance erano rigate dalle lacrime.
-Cosa ti ha fatto?-
-Non voglio più vederlo.-
-Allora è meglio se ti chiudi in bagno. Io sto per uscire.-
Amy seguì il suo consiglio senza starci troppo a pensare. Mentre Benji si avvicinava alla porta, lei scattò in piedi e raggiunse la toilette. E quando finalmente Julian riuscì ad entrare, restò come un ciuccio a cercare tracce della fidanzata dove lei ormai non c’era più.
Il portiere si godette divertito la sua aria spaesata, poi gli concesse un suggerimento.
-È nel bagno.-
Julian sospirò affranto e si lasciò cadere seduto sul letto.
-Amy, per favore.-
Fischiettando tranquillizzato, Benji passò davanti al cucinino dello yacht e lanciò un’occhiata dentro. Quello spazio era risicatissimo e Patty, Jenny ed Evelyn lo colmavano completamente.
-Tra quanto è pronto?-
-Cinque minuti.-
Allora aveva tempo a sufficienza. Emerse sul ponte frugandosi sotto la camicia e si avvicinò al timone.
Philip e Mark stavano litigando.
-Io gliel’avevo detto!- sbraitava Landers -Li avevo avvertiti! Ma la tua ragazza no! Lei aveva fretta di trovarti!-
-Non dare la colpa a Jenny! C’eri anche tu sullo yacht! Avresti potuto benissimo evitare che rimanessimo a secco!-
-Levati dai piedi, Landers.- Benji lo scansò, si piazzò tra lui e Philip e puntò la pistola in faccia a Callaghan -Toccala di nuovo e ti faccio saltare il cervello.-
A Tom, che era appoggiato al tettuccio che copriva il pannello dei comandi, sfuggì un urlo acuto.
-No! Fermo!-
Philip non reagì in nessun modo alla minaccia, perché quando Benji s’era intrufolato tra lui e Mark, il suo cervello stava lavorando in cerca di una soluzione alla carenza di carburante. Non reagì anche perché l’espressione di Benji era così seria che non poteva essere reale. Infine non reagì perché quella era di sicuro una pistola giocattolo. Il portiere per sdrammatizzare, forse per fargli passare l’incazzatura, lo stava prendendo per il culo.
-Toccare cosa? La password, dici? Certo che non la tocco, per me va benissimo così!- sorrise -Accidenti Benji! Sei quasi credibile!- si entusiasmò -Questa pistola sembra vera! Dove l’hai trovata? Posso vederla?-
-Non sto scherzando.- insistette quello tagliente -Tocca di nuovo Jenny e ti faccio saltare il cervello.-
Il colorito sparì dal volto di Philip e, incerto, fece un passo indietro finendo addosso al timone.
-Non capisco, Jenny è la mia ragazza…-
-Da oggi non considerarla più tale.-
-Il mese prossimo ci sposiamo e...-
Tom intervenne, con una voce resa un po’ stridula dalla tensione.
-Lo sappiamo tutti Philip, non c’è bisogno che lo ribadisci. Chiaro? Non lo ribadire, tanto lo sappiamo!- la pistola di Benji lo stava terrorizzando. Lui sapeva che non era un giocattolo, l’aveva vista usarla, e usarla bene.
-Il pranzo è pronto!-
Patty emerse dalla cucina con un sorriso che riscaldò l’umore dei giovani e un’insalatiera gigantesca colma di lattuga, mais, tonno, pomodori e carote. Passò tra loro senza accorgersi di niente, raggiunse il grande tavolo a poppa e depositò il carico proprio al centro del ripiano. Poi tornò in coperta a prendere il resto.
Sulla tavolata comparvero piatti, bicchieri, posate, tovaglioli, panini di varie forme, acqua, birra, formaggio e, finalmente, fettine panate con limone. Insomma, la fame era tanta e il pranzo abbondante. Si radunarono intorno al tavolo dimenticando di essere in mare, senza carburante, e con una pistola che minacciava di sparare, perché adesso la cosa più urgente era riempirsi lo stomaco accartocciato dai crampi di una fame che alcuni di loro si portavano dietro dalla sera prima.
-Molla la fettina, Bruce. È di Julian.-
-Scordatelo. Se aveva fame poteva venire.-
-Qualcuno di voi ha pensato a chiamarlo?-
Benji allungò una forchetta, infilzò la fatidica cotoletta e si servì del pranzo di Julian senza starci troppo a pensare.
Jenny s’irritò.
-Sei inqualificabile.-
-Jenny, amore. Ho visto Julian un istante fa.- le mise una mano sulla sua e le sorrise -Mi ha detto che del pranzo non gliene frega niente.-
Philip strabuzzò occhi e orecchie mentre Jenny sfilava di scatto le dita da sotto quelle del portiere.
-Tieni le mani a posto.- si volse verso il fidanzato -Che fai? Non gli dici niente?-
Quello aprì la bocca per parlare ma Tom fu più veloce, si catapultò verso di lui e gli piazzò una mano sulla bocca.
-No, non dice niente. Che c’è da dire?-
Philip mugugnò qualcosa di incomprensibile e cercò invano di togliersi la mano di Tom dalla faccia.
-Hai giù detto tutto tu, Jenny.- Mark annuì con convinzione -Sei stata chiarissima, per cui è inutile rovinare un’amicizia, ti pare?-
Lei li guardò incredula, poi scosse la testa e tornò a mangiare.
Benji sorrise. Non aveva mai avuto un’arma, non aveva idea di come fosse entrato in possesso di quella che aveva puntato in faccia all’amico (ovviamente scarica, ma chi se ne sarebbe accorto?) e voleva godersi l’onnipotenza che il gingillino gli procurava ancora per un po’. Tanto, era sicuro, alla fine Callaghan e Jenny sarebbero stati allo scherzo.
Ovviamente, quando Julian si trascinò solitario sul ponte spinto dai morsi della fame, non trovò più neppure un chicco di mais da mettere nello stomaco.

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Capitolo 7
*** Password: beach ***


Password: beach


Mark si avvicinò guardingo a Jenny mentre facevano il bagno nella baia in cui si erano rifugiati dopo che Philip aveva acceso la radio di bordo per ascoltare le previsioni meteo, cosa che nessuno, nonostante la brutta esperienza appena passata, si era preoccupato di fare. Avevano così appreso da Radio Nautica che un’altra tempesta stava per scatenarsi a poca distanza da dove erano loro. A quel punto il panico li aveva spinti ad alzare in tutta fretta le vele e approfittare del vento che spirava dal largo per accostarsi alla terraferma, in cerca di un rifugio che li avrebbe tenuti al riparo e al sicuro.
Lo yacht galleggiava all’ancora nelle acque calme di quell’isolotto e, se anche il maltempo in arrivo si fosse scatenato, non avrebbero corso pericoli. Il cielo si era un po’ rannuvolato e il vento soffiava più consistente, ma faceva ancora caldo e l’acqua era gradevolissima anche se mossa dalle onde che provenivano dal mare aperto.
-Jenny, sai che Benji ha una pistola?-
Philip, che galleggiava lì attorno, lanciò un’occhiataccia a Landers. Avrebbe preferito nascondere la verità alla fidanzata per non metterla in ansia. Patty ammutolì ma lei no, chiaro segnale che la notizia non rappresentava una novità.
-L’ho vista, perché?-
-L’abbiamo vista anche noi.-
-Per quanto mi riguarda, preferirei non vederla più.-
Tom annuì convinto, voltandosi a cercare il portiere. Lo trovò sulla spiaggia, molto lontano da loro. Insieme a  Bruce ed Evelyn stava radunando della legna per fare un falò con cui cuocere gli spiedini e le bistecche che avevano trovato nel congelatore. Un fuoco avrebbe, inoltre, ravvivato la loro serata.
-Bisogna togliergliela.- Holly guardò Jenny e lei intuì che sotto la sua constatazione c’era qualcos’altro che non aveva ancora palesato.
-Sono d’accordo con te, quell’aggeggio non mi piace.-
-Devi obbligarlo a liberarsene, Jenny. Tu sei l’unica a cui potrebbe dar retta ma se non ti ascolterà dovrai trovare comunque il modo di sottrargliela.-
-Ce l’ha sempre con sé, Holly. Se cerco di sfilargliela se ne accorgerà sicuramente.-  
-Seducilo.-
-No!- si intromise Philip categorico.
-Stai zitto Callaghan.- intervenne Mark -Lo facciamo soprattutto per te.-
Jenny fu d’accordo con Philip.
-Non ci penso proprio.-
-Sii ragionevole, è l’unico modo. E se non se la toglie da solo, se la toglierà se sarai tu a spogliarlo.-
Jenny arrossì.
-Scordatelo, Tom.-
-Tu l’hai visto usare quella pistola. Non è un giocattolo!-
-Lo so! Io l’ho visto meglio di te che guidavi.- si portò le mani alle labbra -Ah! La macchina!- gli occhi le si riempirono di lacrime -Oddio la macchina!-
-Jenny, questo non è proprio il momento di pensare alla macchina!- cercò di distrarla Tom.
-Cos’è successo alla macchina?-
Lei si volse a guardare il fidanzato.
-È finita in mare!-
Lui sbiancò.
-E come c’è finita in mare?-
-Ce l’hanno spinta Benji, Evelyn e Tom!-
Il ragazzo si volse furioso verso Becker.
-Che significa?-
-Philip!- Jenny gli si aggrappò al braccio -Non avevo neppure finito di pagarla!-
-Basta! Stop!- intervenne Holly -Smettiamo di pensare alle cose negative e concentriamoci su quelle positive.-
-Tipo che è finito il carburante e sta per arrivare il maltempo?-
-Hai uno strano modo di valutare gli eventi, Philip.-
-Possiamo tornare al problema più urgente?-
-Il maltempo o il carburante?-
-Far sparire la pistola di Benji.-
-Tom, ti si è incantato il disco?-
-Philip, Tom ha ragione.- lo appoggiò Mark -Io sono totalmente contro il porto d’armi.-
-Bene, Landers. Allora falla sparire tu, quella maledetta pistola!-
-Nemmeno ce l’avrà, il porto d’armi...- borbottò Jenny -Io torno a riva.- disse e nuotò pigramente verso la spiaggia finché i suoi piedi non sfiorarono la sabbia fine del fondale. Continuando a parlare i ragazzi la seguirono perché tenersi a galla con tutte quelle onde cominciava a sfiancarli.
-Motivo in più per farla sparire, non credi, Jenny?-
Lei si stancò di tanta insistenza. Si fermò e attese che la raggiungessero.
-Quindi Tom? Cosa dovrei fare secondo te?-
-Ma niente!- saltò su Philip.
Mark gli schizzò dell’acqua in faccia.
-Stai zitto una buona volta!-
-Su Jenny, non devi mica farci niente.- le sorrise Patty incoraggiante -Fingi di sedurlo e gli togli la pistola.-
Philip si sentì addolorato solo per il fatto che Jenny sembrava cominciare e a valutare seriamente la proposta. Intervenne di nuovo, mentre accanto a lui Landers sbuffava.
-Il vostro piano non sta in piedi! Ci avete pensato bene? No, vero? Fingere di sedurre Price? E poi fermarsi sul più bello? E dove nasconderà Jenny la pistola mentre gli dice “no guarda, ci ho ripensato”? Siete scemi o cosa?-
-Certo è un piano che deve essere perfezionato.- ammise Holly -Per esempio, se Benji fosse un po’ brillo, Jenny riuscirebbe a circuirlo più facilmente.-
Philip era sempre più contrario.
-Non basterebbe tutto l’alcol che è sullo yacht a farlo ubriacare.-
-Potremmo preparare un cocktail appositamente per lui mischiando tutto ciò che c’è. Una bomba che lo stenderebbe in cinque minuti.- Tom, mentre riordinava gli oggetti scagliati qua e là dalla burrasca, aveva avuto modo di fare un inventario delle provviste presenti a bordo.
-E se Benji fosse ubriaco, potrebbe non accorgersi se qualcuno di noi si nasconde in cabina e gliela sottrae mentre Jenny lo distrae.- convenne Holly.
-Non Philip.- decretò Mark -Si farebbe senz’altro scoprire prima del tempo.-
-Io potrei chiudermi nel bagno.- Patty guardò Jenny seria -Interrompervi sul più bello, prendere la pistola e scappar via.-
Lei sollevò un sopracciglio. Mentre il piano degli amici si faceva man mano più dettagliato e lei si figurava la scena in modo sempre più realistico, la voglia di parteciparvi le scivolava via di dosso e veniva dispersa in mare aperto dalle onde. Guardò Philip e riconobbe sul suo viso l’identica espressione scontenta che immaginava di avere lei stessa.
-Troppo rischioso.- intervenne Holly.
Philip fremette.
-Ah, per Patty è troppo rischioso? Se è Jenny che deve fare tutto sei d’accordo e mi dici di star zitto. Però se è Patty che deve agire allora il piano diventa troppo rischioso. Bravo!-
Holly s’impettì.
-Certo che è troppo rischioso! Benji si è invaghito di Jenny, non di Patty. E se le facesse del male per riprendersi la pistola?-
-Sai che ti dico, allora? Nel bagno mi ci nascondo io.-
-Vedi Philip? Sei convinto anche tu che il piano “seduzione” sia l’unico possibile.- gli fece notare Tom sollevato.
-No! Non sono d’accordo nel modo più assoluto!-
-Neanch’io.- concordò Jenny, poi si rivolse al fidanzato -E se questo fosse davvero l’unico modo per togliere a Benji la pistola, tu sarai l’unico che non parteciperà al piano e starai alla larga, anzi alla larghissima, dalla cabina. O Benji farà secco te prima di tutti.-
Patty annuì.
-Jenny ha ragione. Lasciate che me ne occupi io.-
-è fuori discussione.- risposero all’unisono Holly e Philip e poi si guardarono, stupiti di trovarsi per una volta d’accordo.
-Io DEVO esserci.- s’intestardì Philip -Perché VOGLIO sapere quello che succede.-
-Allora non se ne fa niente.- concluse Jenny scuotendo la testa -Di tutto ciò non voglio più ascoltare neppure una parola.- si spinse verso la riva, un po’ nuotando e un po’ camminando, finché non poté sedersi sulla sabbia, l’acqua che le arrivava alle spalle e la corrente che la cullava. Era uscito un barlume di sole e le onde luccicavano sotto i suoi raggi.
Philip la raggiunse e si sedette al suo fianco.
-Non starli ad ascoltare. Troveremo un altro modo.-
-Non voglio più parlare né di Benji né della pistola.-
-Neanch’io se è per questo.-
-Perché siete due incoscienti.- borbottò Mark fermandosi poco distante. Gli occhi di Benji erano fissi sulla coppia e scrutavano Callaghan con un velo di minaccia. E Landers se n’era accorto.

-Amy, ti prego! Ti scongiuro, ti supplico!-
Seduto a terra davanti alla porta del bagno, schiacciato tra il letto e la parete, Julian si rese conto che le sue implorazioni stavano cominciando a ripetersi e che la sua voce usciva intrisa di una sfumatura di noia. Stava scomodo, aveva una fame del diavolo e si era stancato di far ragionare la ragazza. Non sapeva più da quanto tempo fosse lì in quell’impossibile posizione, su quell’improbabile barca per di più in mezzo all’oceano, ma sicuramente da molto perché si sentiva incriccato e i muscoli della schiena gli dolevano.
Da quando era tornato in cabina a stomaco vuoto, dopo aver preso atto che per lui i compagni non avevano lasciato neppure una briciola (per Amy sì, invece! i bastardi!) non aveva più udito la voce della ragazza. E la sensazione che ormai aveva da un tempo indefinibile, era quella di supplicare una porta di legno marrone. Ne stava uscendo pazzo, non ne poteva più.
-Per favore vieni fuori!- cercò di metterci tutta l’enfasi che gli rimaneva, ma la frase venne troncata a metà da uno sbadiglio -Amy, ti giuro che non ho fatto nulla! Stai sbagliando, non è come pensi!-
Trascorsero svariati secondi, ma dal bagno non provenne alcun rumore.
-Amy! Sai benissimo che ti amo!-
Un minuto.
-Non potrei mai fare una cosa simile!-
Due minuti e neanche un cenno che gli confermasse che la ragazza lo stesse ascoltando.
-Amy, per favore!-
Niente.
-Esci così ne parliamo!-
Dall’oblò aperto per far circolare aria fresca in una cabina che con il passare del tempo era diventata un forno, udiva le voci degli amici che sguazzavano in acqua. Le loro grida divertite erano un sottofondo canzonatorio alla sua situazione e, se da una parte lo innervosivano, dall’altra lo cullavano insieme al dondolio dello yacht, facendolo sbadigliare a ripetizione. Si alzò per chiudere la finestra e si sedette sul letto, rinunciando ad occupare di nuovo quello spazio angusto davanti la porta.
-Amy, ti supplico… Esci.-
Non aveva più la forza di continuare così, non sapeva cosa altro dire né cosa fare per convincerla della sua innocenza.
Si appisolò senza accorgersene e quando riaprì gli occhi la luce nella cabina era cambiata. Il chiarore bianco del giorno si era trasformato in un bagliore giallo arancio. Si alzò e si affacciò all’oblò. Il sole era basso all’orizzonte, doveva aver dormito per ore. Spostò gli occhi sulla porta del bagno e la trovò spalancata. Amy non c’era.
Doveva averne approfittato per tagliare la corda. Il suo stomaco brontolò e mentre percorreva il corridoio si affacciò in cucina in cerca di qualcosa con cui calmare i morsi della fame. I piatti che Jenny aveva tenuto da parte per Amy erano vuoti. La ragazza se l’era presa comoda, dandosi il tempo persino di mangiare il proprio pranzo. Julian si avvicinò al frigorifero e lo aprì. Trovò dei pomodori. Ne afferrò un paio, se li ficcò in tasca e ne agguantò altri due. Prendendone a morsi uno salì sul ponte.
Sullo yacht non c’era nessuno, il casino proveniva tutto dalla spiaggia dove i compagni avevano acceso un gran falò. Il cielo a occidente era un tripudio di nuvole tinte di rosso, arancio e oro, a oriente invece si ammassavano minacciose, scure e portatrici di brutto tempo. Da qualche parte oltre l’isola si stava scatenando un temporale, il mare al largo era agitato da enormi cavalloni. La baia teneva al sicuro lo yacht e lì il ribollire delle onde arrivava solo in parte, facendo danzare l’imbarcazione come se fosse in movimento e non all’ancora.
Mandando giù il secondo pomodoro Julian guardò di nuovo la spiaggia. Per raggiungere gli amici non gli restava che gettarsi in acqua. Ma non gli andava di fare un altro bagno. E poi, una volta a riva, i suoi vestiti sarebbero stati di nuovo bagnati. Non poteva trascorrere tutta la serata così, o mezzo nudo in attesa che gli abiti si asciugassero. Si sarebbe buscato un malanno. Finì l’ultimo pomodoro, tornò sottocoperta e trovò una busta di plastica. Poi, appoggiandosi al parapetto, si spogliò e infilò i propri abiti nel sacchetto. Infine si tuffò, dall’acqua si sporse sul ponte, recuperò il fagotto e nuotò verso riva, tenendo con una mano i vestiti sulla testa, all’asciutto.
-Bentornato tra noi, Ross!- lo accolse Benji con un sogghigno ironico.
Julian non gli rispose. Tirò fuori dalla busta l’asciugamano che si era premurato di infilarci e se lo passò sulla pelle bagnata. Poi piano piano si rivestì.
-È uno spogliarello al contrario?- gli domandò Bruce con il suo solito umorismo da quattro soldi.
Julian ignorò anche lui. Quando ebbe indossato i vestiti, si guardò intorno e cercò Amy.  
La ragazza non era molto distante, sedeva sulla sabbia e osservava con le amiche le conchiglie che avevano appena finito di raccogliere per passare il tempo mentre i compagni ravvivavano il fuoco e preparavano la brace. Non appena i loro sguardi si incrociarono, lei saltò in piedi e prese a correre sul bagnasciuga, cercando un posto dove nascondersi in modo che Julian non tornasse ad affliggerla con le sue stupide scuse e le sue menzogne.
-Sembra la scena di un film.- commentò Evelyn guardandoli allontanarsi -Due innamorati che si rincorrono su una spiaggia tropicale alle luci del tramonto, poi lei cade a terra, lui la raggiunge, la prende tra le braccia e si baciano. Sullo sfondo le onde scintillanti e il sole che si tuffa nelle immensità oceaniche.-
Mentre parlava estasiata, accadeva esattamente ciò che Evelyn stava scrivendo su quel suo copione immaginario. Amy inciampò e cadde, Julian le arrivò addosso. Non si baciarono. Amy cominciò a gridare, a riempirlo di calci, a tirargli addosso intere manciate di sabbia.
-Così è molto più interessante dei tuoi film strappalacrime.- si sganasciò Bruce.
-Alla fine si stancheranno.-
-Speriamo.-
Mezzo accecato dalla sabbia, Julian rimase in ginocchio a sputacchiare una miriade di granelli e Amy, che nella direzione che aveva preso non scorgeva nessun rifugio, fece marcia indietro e corse tra i compagni mentre lui cercava più volte di afferrarla senza riuscirci. Almeno, che ci fossero dei testimoni!
Raggiunsero il falò più o meno insieme, lacrime che scorrevano sulle guance della giovane, altre abbondanti che rigavano quelle del ragazzo, gli occhi arrossati, irritati dalla sabbia che Amy gli aveva gettato in faccia senza remore o pentimento.
-Per favore, dammi retta! Non è come pensi, ti stai sbagliando!- fissò la fidanzata, o era la sua ex?, con un’espressione supplicante che lei non riuscì a tollerare.
-Stammi lontano!- gridò con voce rotta.
Benji li guardò, continuando a smuovere scintille con un bastoncino tra la legna che bruciava.
-Per farla incazzare così, come minimo devi averla tradita, Ross.-
-Non mettertici anche tu! Io non ho tradito proprio nessuno!-
-Ecco, mi pareva. E con chi? Con una delle tue fan? Con due? Tre?-
-’fanculo Price!-
Bruce spalancò gli occhi.
-Diavolo! Quante?-
-Basta!-
Stavolta non fu lui a gridare ma Amy, che si era coperta le orecchie con le mani per non dover udire né le menzogne di Julian né le insinuazioni dei compagni, del tutto fuori luogo in quel momento.
Jenny le si avvicinò e le tolse le mani dal viso.
-Amy, Julian ti ha tradita?-
Lei scoppiò a piangere e si fiondò tra le braccia dell’amica, singhiozzando disperata.
-Julian! Come hai potuto?- Patty lo trafisse con uno sguardo che avrebbe potuto arderlo sul posto, se lui non fosse stato più che convinto di essere innocente.
-Ma io non l’ho mai fatto! Amy, per favore, parliamone!-
La ragazza si staccò da Jenny e alzò su di lui uno sguardo stravolto.
-Non ho niente da dirti, traditore!-
Quell’accusa lo colpì in petto con una forza tale che Ross sussultò e fece un passo indietro.
-Ti sbagli!-
-Tu mi hai tradita Julian!-
-Va bene, Amy.- intervenne Benji cominciando a stancarsi di quel noioso teatrino -Julian ti ha tradita ma…-
-Ma non l’ho fatto!-
Il portiere lo ignorò, come del resto fece anche Amy.
-Ma sono cose che succedono! Le persone si tradiscono, anche quelle che si amano. È una cosa che può accadere, anzi che accade spessissimo. Il mondo è bello perché è vario, le situazioni cambiano, le persone ci ripensano, i matrimoni saltano all’ultimo momento…- si prese del tempo per guardare Philip sogghignante, poi sorrise a Jenny -Ma non bisogna farne una tragedia! Julian ti ha tradita? Fallo anche tu! Oppure perdonalo, oppure ancora lascialo! Dove sta scritto che dovete stare per forza insieme...- e stavolta mentre parlava guardò prima Jenny e poi Philip in successione -Dove sta scritto che lui è il ragazzo giusto per te?- i suoi occhi si spostarono di nuovo su Jenny. Poi, dopo tanto vagare, si fissarono finalmente su Amy -La tua anima gemella potrebbe essere Callaghan e neppure lo sai e continui a perdere i tuoi anni migliori dietro a Julian che, tra l’altro, ti tradisce. Non ti senti stupida?-
Amy ammutolì, le parole di Benji le incasinarono la mente. L’unica certezza, vale a dire che Julian l’aveva tradita, si stava dissolvendo in un milione di altre incertezze. Era normale che le coppie si tradissero così spesso come voleva darle a intendere lui? Era normale che i matrimoni saltassero all’ultimo momento? Era normale perdonare Julian dopo il tradimento? Era normale credere, anzi essere convinta, che la sua anima gemella fosse Julian e nessun altro? Cadde seduta sulla sabbia, spinta giù dall’enorme peso dei dubbi che in mezzo minuto Benji le aveva gettato addosso senza andarci per niente leggero. Guardò Philip, che stentava ancora a riprendersi, anche lui, dalle frecciate non troppo sottintese che il portiere gli aveva gettato addosso a raffica e incrociò per un attimo il suo sguardo. La sua anima gemella poteva davvero essere lui e non Julian?

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Capitolo 8
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Il fuoco scoppiettava nel letto circolare di pietre che i ragazzi avevano adagiato sulla sabbia con solerzia e precisione. Le scintille si levavano in aria come se la volta celeste le chiamasse a sé per unirle alle stelle, in quell’angolo di cielo sereno che era rimasto a incoronare il loro falò, assediato dalle nuvole temporalesche che a occidente filavano via spinte dal vento. L’aria era fresca ma gradevole. Il mormorio della risacca lì, vicino agli scogli, dove andavano a infrangersi le onde infuriate del mare aperto, faceva da sottofondo alle loro parole, alle risate, agli scoppi di ilarità, ai rimbrotti, alle battute, alle grida a volte divertite, a volte seccate.
Una quantità industriale di bevande di tutti i tipi, alcoliche e non, avevano trovato posto sul bagnasciuga dove venivano accarezzate dalle onde che le mantenevano ad una temperatura gradevole. La carne e gli spiedini, ben distesi su una griglia portata giù dallo yacht, veniva prelevata a turno man mano che cuoceva.
Philip non sapeva se era per colpa dell’alcol che Jenny aveva ingerito o perché alla fine lei aveva accettato di piegarsi alla volontà dei compagni, ma già da un po’ la ragazza aveva cominciato ad assecondare Benji in maniera scandalosa. Mark non avrebbe dovuto dirle che prima di pranzo Price lo aveva minacciato con la pistola di ammazzarlo se non si fosse tenuto lontano da lei. Era di sicuro che fosse quello il motivo che aveva spinto Jenny, prima tentennante, a dare spago al portiere. In ogni caso, tutti quei sorrisi e quelle moine gli stavano facendo bruciare lo stomaco.
Mark, che si era accorto del suo umore (del resto come poteva ignorarlo? ce lo aveva davanti!) ad un certo punto l’aveva fatto alzare e l’aveva costretto a seguirlo. Avevano girato insieme intorno al falò finché non si erano lasciati alle spalle Jenny e Benji, lo aveva spinto bruscamente sulla sabbia, gli aveva messo in mano un forchettone e gli aveva intimato di occuparsi della carne.
-Devi soltanto fare attenzione che non si bruci, Philip. Hai capito? Non devi pensare a nient’altro. Solo alla carne. Pensa alla carne. Non deve bruciare.- lo ripeté come un mantra, finché fu sicuro che qualcuna delle sue parole fosse entrata nella zucca del compagno.
Philip aveva capito e ci stava provando. Tentava di pensare al fuoco, alla carne, agli spiedini per quanto poteva, almeno finché la risata di Jenny non gli arrivava alle orecchie, sospinta dalla brezza che spirava dal mare.
E quando Mark si allontanò per recuperare il sacco nero in cui gettare i contenitori vuoti delle bevande, lui si trascinò sulla sabbia circumnavigando il falò finché non riuscì di nuovo a scorgere la coppia. Sedevano vicini, di fronte all’oceano, e lui avrebbe dato via il suo prezioso yacht solo per sapere di cosa stessero parlando.
Mark tornò trascinandosi dietro la busta e lo ritrovò con gli occhi fissi su di loro, praticamente ipnotizzato e regredito allo stato iniziale da cui lui, neppure cinque minuti prima, lo aveva riscosso.
-Gli spiedini si stanno bruciando, Philip. Ti avevo detto di pensare soltanto alla carne! Perché non mi dai mai retta? Che diavolo!-
Si lasciò cadere seduto, le gambe incrociate davanti a sé, esattamente di fronte al compagno, sulla direzione precisa del suo sguardo, coprendogli la visuale. Lui sembrò riscuotersi e lo guardò, intuendo vagamente che forse gli aveva rivolto la parola.
-Come?-
-Gli spiedini, imbecille!- gli strappò il forchettone di mano -Si stanno bruciando, non vedi?- afferrò un vassoio e vi ficcò quelli più anneriti -Devi fare attenzione, accidenti a te! Se carbonizzi la carne non è che possiamo andare ad ordinare delle pizze da qualche parte. Lo capisci, no?-
-Sì...- mormorò soprappensiero, spostandosi giusto un po’ e trovando una posizione migliore per sbirciare alle spalle di Mark.
Scorse Jenny che rideva. Aveva le guance arrossate, segno che aveva bevuto parte della miscela alcolica che Tom aveva preparato per Benji ma che aveva dovuto portare anche a lei in modo che il portiere non si insospettisse. Philip aveva assistito alla preparazione dei due bicchieri e, con uno scatto da prestigiatore, mentre Tom lo riempiva gli aveva sfilato quello di Jenny, evitando così buona parte della percentuale alcolica. Dopodiché si era curato di raggiungere la stessa quantità del cocktail di Benji, innaffiandolo con una buona dose d’acqua. Però, nonostante l’accorgimento, a lei l’alcol stava facendo effetto e al portiere no. Come accidenti poteva essere possibile? Non è che Patty aveva fatto confusione e scambiato i bicchieri? Avrebbe voluto chiederglielo, ma era già la quinta o sesta volta che lo faceva e l’ultima l’amica lo aveva quasi mandato a quel paese. Poi gli aveva intimato di non porle più quella domanda a meno che non la ritenesse un’idiota, perché lei non aveva confuso i bicchieri, perché quando le si assegnava un compito lo svolgeva sempre, sempre per bene fino alla fine. Quindi, aveva concluso, che Philip andasse ad infastidire con la sua ansia qualcun altro.
In realtà però Philip non sapeva più chi ammorbare. Aveva esaurito persino le riserve. Mark lo aveva già mandato a quel paese un paio di volte e probabilmente al prossimo giro sarebbe passato dalle parole ai fatti, Julian era sufficientemente afflitto di suo e non avrebbe provato per lui la minima comprensione, Evelyn e Bruce se ne stavano per conto loro e infastidire Holly era come tornare da Patty. Lei non glielo avrebbe perdonato di sicuro. Tom era in giro da qualche parte e infine Amy, già da qualche ora, lo guardava con un’intensità tale da metterlo a disagio. Da lei, forse, era meglio tenersi lontano.
E allora non poteva fare a meno di tornare a guardare Jenny e Benji che chiacchieravano e gli veniva voglia di intervenire. Prendere la sua futura moglie e portarla lontana da lui, perché lei con Price non aveva niente a che vedere. Ma poi sul torace del portiere, sotto la camicia, ogni tanto scorgeva un rigonfiamento che lo faceva rabbrividire e lo teneva prudentemente lontano da loro.
-Philip, per cortesia…- lo chiamò Evelyn -Visto che non stai facendo niente, andresti a prendere due birre?-
-Perché tu cosa stai facendo che non ci puoi andare?-
-Alza il culo, Callaghan!- lo spintonò Mark costringendolo a farlo -Essere gentili con una ragazza non ha mai ucciso nessuno.-
-Perché non ci vai tu, allora?-
-Io non sono gentile con nessuno. Muoviti!-
Philip si alzò sbuffando, arrivò fin sul bagnasciuga, entrò con i piedi in acqua e cercò di individuare, in quella massa di bottiglie e lattine al latitante chiarore del falò che fin laggiù arrivava appena, le due birre che gli servivano. Visto che c’era ne prese una anche per sé. Passando accanto a Evelyn e Bruce allungò loro le bevande e trangugiò buona parte della propria mentre superava Benji e Jenny, fingendo di non vederli.
Quando tornò accanto al fuoco, Amy lo raggiunse e si accoccolò al suo fianco.
-C’è uno spiedino pronto?-
-Hai fame?-
-Non proprio ma devo pur far qualcosa mentre ti osservo.-
Philip non fu sicuro di aver ben compreso il senso della sua risposta.
-Mi osservi?-
-Certo, per capire se sei davvero tu la mia anima gemella.-
Philip, che aveva ripreso a sorseggiare la birra, ne sputò un fiotto spruzzando le braci. Lo sfrigolio accompagnò quei secondi di sconcerto che seguirono.
-Amy, non puoi davvero prendere in considerazione un’idiozia simile!-
-Perché no? Come puoi essere sicuro che la tua anima gemella sia Jenny e non io? Guarda quanto va d’accordo con Benji!- li indicò e lui si sforzò di non seguire quel dito tentatore.
-Lo so semplicemente perché amo Jenny e non te. E anche tu dovresti sapere se ami o meno Julian, al di là che ti abbia tradito o meno.-
-L’ha fatto, ne sono certa.-
-No che non l’ho fatto!- dichiarò ancora una volta Ross, tristemente sprofondato nella sabbia. Avrebbe voluto scavarsi una fossa e lasciarsi morire di stenti. Non soltanto Amy lo accusava di qualcosa che non aveva assolutamente fatto, ma i compagni sembravano credere più a lei che a lui e lo stavano ignorando alla grande, mettendolo praticamente al bando. Non gli avevano lasciato nulla per pranzo ed era sicuro che, se avessero potuto impedirgli di avvicinarsi al fuoco, lo avrebbero messo a digiuno anche per la cena. Quell’ostracismo doveva finire, porca miseria!
Holly e Patty, che erano spariti da qualche parte nel folto della vegetazione a fare chissà cosa, tornarono tenendosi per mano e si avvicinarono al fuoco.
-Come va la carne?-
Philip tolse dalla brace alcuni spiedini ormai cotti e li mise su un piatto. Dopodiché li porse a Patty. Con quel carico prezioso lei andò a sedersi di fronte a Jenny e Benji che alla fine erano stati lasciati soli da tutti, perché tutti volevano, Philip compreso purtroppo, che quella pistola sparisse in fretta. Holly la seguì e mentre Callaghan tornava ad osservare le fiamme per evitare di vedere tutto il resto, sentì il proprio cuore inondarsi di un moto di eterna gratitudine nei confronti dei due amici.
-Callaghan, anche Jenny e io abbiamo fame!- la voce brusca del portiere lo fece sobbalzare -Portaci qualcosa.-
L’occhiata con cui Philip rispose a quella richiesta mise in allarme Jenny, che appoggiò una mano sulla spalla di Benji e fece per mettersi in piedi.
-Vado io.-
-Resta qui.- la bloccò lui, continuando a fissare Philip provocatorio.
In quel duello all’ultimo sguardo che venne dopo il tentativo della ragazza di sedare gli animi, fu difficile capire chi l’avrebbe spuntata. E di chiunque si fosse trattato, forse non se la sarebbe cavata in modo indolore.
Amy risolse il problema, perché non voleva che Benji facesse fuori la sua forse-probabile-anima-gemella. Allora scelse altri spiedini dalla griglia e li portò al portiere che continuava a reclamarli in modo sempre più scortese e insistente.
Passandogli accanto, evitò accuratamente Julian. Così accuratamente che lui decise di interrompere il suo quasi-mutismo offeso e di piazzarsi accanto al fuoco, nella stessa fossetta che le natiche della fidanzata, o era la sua ex?, avevano scavato nella sabbia.
-Tienimi Landers, o faccio un omicidio.-
-Vai pure Philip, tanto ti ammazzerà prima lui.-
-Maledetto stronzo! Lo sta facendo apposta.-
-A fare cosa?-
-A infastidire Jenny!-
-Forse non ci vedi bene, Philip. Non la sta infastidendo, si stanno divertendo.-
-Julian, non immischiarti.-
-Altrimenti che fai? Ammazzi anche me?-
-Che palle che siete, io non...-
-Julian, quello era il mio posto.- Amy comparve accanto a loro illuminata dal fuoco. Nei suoi occhi brillavano le fiamme.
-C’è tanto posto qui intorno.- le rispose acido -Puoi sederti da un’altra parte.-
-Traditore e anche maleducato!- sibilò lei a testa alta, circumnavigando il falò e andando a sedersi al lato libero di Philip -Benji ha proprio ragione. Julian non è la mia anima gemella!-
-Benji è un cretino.-
-Benji non ha ragione per niente.-
Risposero quasi all’unisono Philip e Julian.
-Sono totalmente d’accordo con voi. E tu Amy, sei ridotta proprio male se arrivi a pensare che le cazzate che spara Price abbiano un minimo fondamento di verità.- si ringalluzzì Mark che quando poteva dare addosso al portiere approfittava sempre.
La voce di Benji provenne lontana, ma provenne.
-Faccio finta di non aver sentito.-
Si volsero. L’amico era in piedi sul bagnasciuga e li guardava di traverso. Si arrotolò le maniche della camicia fino a lasciare scoperti gli avambracci, poi si chinò a rovistare tra le bevande rinfrescate dalle onde.
-Se non hai sentito, allora te lo ripeto.- Philip si mise in piedi -Sei un cretino.-
Il portiere si tirò su lentamente, interrompendo le ricerche. I suoi occhi, già ombreggiati dall’oscurità della notte, parvero farsi ancora più neri.  
-E perché sarei un cretino, Callaghan?-
-Philip, si stanno bruciando gli spiedini.- disse Mark e poi subito, un secondo dopo, lo ripeté a voce più alta -PHILIP! SI STANNO BRUCIANDO GLI SPIEDINI!- saltò in piedi e acchiappò il ragazzo per un braccio, tirandolo giù verso la griglia -Cosa ti ho detto prima? Che dovevi controllare la carne! E dovevi farlo senza pensare a niente! Non ce ne frega nulla di sapere perché Price è un cretino perché anche se ce lo dici, il risultato non cambia. Ma se la carne si brucia, quella sì che è una tragedia. Lo capisci, PEZZO D’IDIOTA?- gli affibbiò un poderoso scappellotto sulla nuca, gli ficcò in mano il forchettone e un piatto e lo obbligò a fare l’unica cosa sensata che pretendevano da lui.
-Scommetti che ti lascio qui?- lo minacciò Philip mentre Landers lo pungolava suggerendogli di volta in volta quale spiedino togliere dal fuoco, quale girare, quale lasciar rosolare ancora un po’, magari su un altro lato.
Jenny, che era stata pronta ad intervenire se l’avesse reputato necessario, tornò a sedersi e guardò Patty, che insieme a Holly aveva assistito al battibecco spiluccando la carne. Si scambiarono un’occhiata mentre Benji si sedeva accanto a lei e le porgeva una lattina di coca-cola. La prese e lo ringraziò. Poi, tornando a guardare l’amica, con un impercettibile cenno del capo indicò il boschetto oltre le dune e si alzò in piedi.
Patty annuì, finì lo spiedino e la imitò.
-Torniamo subito.-
Percorsero una parte di spiaggia, poi si inoltrarono tra gli alberi. Mentre la fidanzava si allontanava, Holly raggiunse il falò.
-Come va?- domandò ai fuochisti.
-Una favola!- rispose Mark, dando una pacca a Julian e un’altra a Philip -Vero? Diteglielo anche voi!-
I due mugugnarono in coro qualcosa di incomprensibile.
-Come pensi di sfilargli la pistola?- domandò Patty seguendo Jenny tra le sterpaglie in cerca di un angolino tranquillo e appartato.
-Non lo so, veramente non ci ho pensato. Credo che aspetterò che si presenti l’occasione.-
-L’occasione non si presenterà da sola. Devi darle una spintarella.-
-Sotto gli occhi di Philip? Scherzi? Non sta aspettando altro per saltargli al collo.-
-Chi, Benji?-
Jenny fece spallucce ma nel buio Patty non se ne accorse.
-Tutti e due, forse.- fissò gli occhi sul fuoco che si scorgeva tra la vegetazione, quel bagliore distante che riusciva a penetrare nella notte e tra gli alberi, consentendo loro di muoversi anche nell’oscurità.
-Secondo me è meglio non tirarla tanto per le lunghe.-
-Ti pare facile?-
-Assolutamente no.-
-Hai qualche suggerimento?-
-Sì, ma nessuno è attuabile finché Philip orbita nei dintorni.-
-Santa verità.- Jenny sospirò e si massaggiò le tempie con le dita -Non ho voglia di tornare subito lì. Ti va di arrivare agli scogli?-
Camminarono l’una accanto all’altra sul bagnasciuga, lasciando che le onde accarezzassero i loro piedi nudi. Quando raggiunsero le rocce, Patty tirò fuori il cellulare e lo puntò verso il basso, per poter avanzare in sicurezza tra gli scogli bagnati, scuri e scivolosi. Si fermarono solo quando furono davanti al mare aperto, all’oceano spazzato dalle correnti provenienti dal largo.
Onde rabbiose e irrequiete si schiantavano con fragore contro gli scogli e gli spruzzi salivano alti nel cielo stellato. Dietro di loro tanta agitazione si placava quando la corrente si incanalava nelle calme acque della baia, dove lo yacht galleggiava all’ancora sonnacchioso e gli amici continuavano ad alimentare il falò con la legna radunata nel pomeriggio.
-Laggiù sta piovendo.- disse Patty, notando un lampo serpeggiare nell’orizzonte nero verso ovest.
-Philip ha fatto bene a portare lo yacht al sicuro. Abbiamo già affrontato una tempesta e non è stato piacevole.- Jenny si sedette sulla roccia, incurante degli spruzzi che a tratti le raggiungevano bagnandole la pelle e i vestiti.
L’amica si accomodò accanto a lei e sospirò.
-Mi dispiace per Amy. Hai visto con quanta rabbia si è scagliata contro Julian?-
-Dev’essere terribile venir traditi. Pensa che fino a ieri ero convinta che Philip uscisse con un’altra e che mi avrebbe mollata sull’altare. E invece era sparito su questa barca… Chissà poi a far che…-
-E adesso il rischio di essere mollato lo sta correndo lui.-
-Non lo mollerei mai.-
-Lo so. Però Benji pare convinto del contrario.-
-Può convincersi di quello che vuole, non decide lui della nostra vita.-
-Forse una volta che gli avrai tolto la pistola, potremmo provare a farlo ragionare. Hai notato come ti guardava?-
-Figurati. Vedo ondeggiare tutto già da un po’, come potrei notarlo?-
-Jenny! Che diavolo state facendo?-
Si volsero indietro, verso chi le chiamava.
Benji era sulla spiaggia e avanzava nell’acqua. Le aveva seguite e quasi raggiunte. Jenny si alzò mentre lui saltava con agilità sugli scogli.
-Stiamo parlando di cose private!- gli gridò.
-E c’era bisogno di venire fin qui per farlo?- si fermò dov’era arrivato, le mani sui fianchi, in attesa che le ragazze  tornassero indietro.
Patty si alzò.
-È finita la pacchia. Fortuna che al bagno ci siamo già andate.-
-Non abbiamo avuto neppure il tempo di escogitare un piano.-
Jenny si tirò su stizzita mentre Patty la precedeva, accendendo il cellulare per far luce intorno a loro. La seguì saltellando prima su uno scoglio, poi su un altro, cercando di penetrare con lo sguardo l’oscurità e di scegliere più o meno gli stessi massi su cui Patty metteva i piedi. Alle spalle di Benji altre due figure percorrevano il bagnasciuga dirette verso di loro. Erano ancora lontane, ombre scure che si stagliavano contro il chiarore della sabbia, ma Jenny fu quasi sicura che si trattasse Philip e Holly. E in fondo, chi altri? Inciampò su uno scoglio, agitò le braccia in aria per mantenersi in equilibrio e puntò il sasso che era più vicino. Quando la pianta del piede si posò sulla roccia, percepì sulla pelle qualcosa di morbido e scivoloso come una buccia di banana. Cavolo! Era  finita proprio sulle alghe! pensò un istante prima di gridare e di cadere in acqua. Piombò con un tonfo nell’oceano, in quell’immensità scura e agitata del mare aperto. Schizzi e spruzzi alti inzupparono la maglietta di Patty e arrivarono fino a Benji. La giovane venne inghiottita all’istante dall’acqua smossa dalla corrente della tempesta ad ovest che continuava ad illuminare a sprazzi il cielo.
-Jenny!- gridò Patty raggiungendo il limite degli scogli, il braccio teso in avanti, il cellulare puntato in quella ribollente oscurità in cerca dell’amica. Benji le fu accanto in un secondo.
-Cazzo!- la cercò tra la schiuma. Era lì, da qualche parte ma non la vedeva. Maledizione, doveva esserci, ma dove?
Un vortice gelido afferrò Jenny e la trascinò verso il fondo. Poi d’un tratto la mollò e la ragazza, libera di nuotare, riuscì a tornare in superficie. Un’onda le arrivò da dietro, vigorosa e potente, e la sbatté con violenza addosso agli scogli. Urtò una spalla contro la roccia, restando senza fiato. Riemerse in un’acqua che ribolliva tutt’intorno a lei. Cercò di aggrapparsi ai sassi ma non fece in tempo a trovare un appiglio che il riflusso dell’oceano la strattonò indietro per trascinarla verso il mare aperto.
Alla fioca luce del cellulare di Patty, Benji finalmente la vide.
-È lì! Tieni accesa la luce!- le ordinò e si tuffò.
Jenny lottò con tutte le sue forze per contrastare la corrente che la tirava a largo e le onde che la strascinavano a fondo. Scorgeva sempre più lontana la luce azzurrina del display del cellulare di Patty ma sapeva che doveva nuotare in quella direzione, perché solo lì avrebbe trovato la salvezza. Un gorgo l’avvolse facendole fare una piroetta, lei riuscì a sganciarsi e a riemergere e nuotò disperata verso le rocce, mentre le onde le finivano in faccia, spingendole giù nella gola grandi quantità d’acqua salata che gliela facevano bruciare. Udiva qualcuno chiamarla, una voce flebile come un’eco lontana che assomigliava a quella di Philip, ma il frastuono delle onde le riempiva le orecchie e non era sicura che si trattasse di lui. Un’ondata la travolse, riemerse, prese aria e lottò contro la corrente, poi venne di nuovo spinta sott’acqua dal riflusso del mare. Emerse ancora e aprì la bocca per chiedere aiuto. Bevve una tale quantità d’acqua da toglierle il fiato e, stremata, cominciò ad affondare.
Poi qualcuno l’afferrò per la vita e la trascinò di nuovo a galla. Jenny poté tornare a respirare, inalando tutta l’aria che riuscì a mandare nei polmoni, aggrappandosi con la forza della disperazione a quelle braccia possenti che la tenevano, spinta da un istinto di sopravvivenza che tirò sott’acqua il suo salvatore.
Benji afferrò le mani di Jenny che lo spingevano a fondo senza volerlo. Si scostò da lei, agitò le gambe e si diede un poderoso slancio per tornare in superficie. Le dita che stringeva gli sfuggirono, mentre la giovane veniva risucchiata di nuovo dalla corrente.
-Benji!- gli gridò Patty quando lo vide tornare da solo in superficie.
Lui si guardò intorno.
-Dov’è? Dov’è finita?- gridò.
-Dietro di te!-
Il portiere si tuffò di nuovo in un’oscurità così nera da rendergli impossibile trovarla. Fu la disperazione di Jenny a corrergli in aiuto. Le finì addosso mentre la giovane cercava di tornare disperatamente verso gli scogli, ormai al limite delle forze. Benji le sfiorò per puro caso una mano, riuscì ad afferrarle un polso e a tirarla a sé.
Jenny udì di nuovo la voce di Philip, non aveva più dubbi che si trattasse del fidanzato. Ma le arrivava lontana e questo significava che non era lui che stava cercando di salvarla. Doveva trattarsi certamente di Benji. Le era vicinissimo quando era caduta in acqua. E allora forse, nonostante la situazione, doveva approfittarne.
Mentre affondavano insieme, trascinati in profondità dalla corrente, il portiere sentì le braccia di Jenny cingergli il torace, colpirgli la schiena, strattonarlo, scivolare via e tornare di nuovo ad aggrapparsi spasmodicamente a lui. Non riusciva a tenerla ferma, non riusciva ad afferrarla da nessuna parte. Se soltanto avesse smesso di agitarsi così, rischiando di far affogare entrambi…
Riemerse trascinando a galla anche lei, vide la luce del cellulare di Patty sugli scogli, scorse il suo volto e quello di Philip inginocchiato sulle rocce, che si sporgeva verso di loro invocando disperato il nome di Jenny, Holly che gli  stringeva con forza le spalle per impedirgli di gettarsi tra le onde e peggiorare le cose. Capì che sarebbe stato impossibile uscire dall’acqua nello stesso punto in cui lui e Jenny vi erano entrati, perché se soltanto avessero osato avvicinarsi ai compagni, le onde e la corrente li avrebbero sbattuti e sfracellati sugli scogli. Doveva raggiungere la spiaggia.
Quando Philip non riuscì più a scorgerli, il suo grido divenne un gemito strozzato.
-Oddio! Sono affondati! Sono affogati! Jenny!- si tirò su e strappò il cellulare dalle mani di Patty, agitandolo tutt’intorno a sé in cerca dei dispersi -Jenny! Jenny! JENNY!-
Si spencolò tra le rocce, rischiò di finire in acqua e riuscì a non farlo per un soffio. Saltò da un sasso all’altro per esaminare i dintorni, dovunque riuscisse ad arrivare il suo sguardo. Poi gli sembrò di scorgere un movimento lontano, verso terra. Puntò il cellulare in quella direzione ma non servì a nulla. Quella fievole luce venne inghiottita dall’oscurità della notte.
Però anche Holly era riuscito a individuarli.
-Stanno tornando a riva!-
Philip ficcò il telefonino nelle mani dell’amica e completamente alla cieca, rischiando di rompersi un piede o addirittura l’osso del collo, agile come uno stambecco ripercorse tutto il tragitto al contrario saltando da una roccia all’altra. Riuscì a guadagnare la spiaggia più o meno nel momento in cui Price riemergeva dall’acqua e, con Jenny tra le braccia, si dirigeva esausto verso il falò.
-Avete fatto il bagno?- li accolse Evelyn mordicchiando tranquilla uno spiedino.
Dall’altro lato del fuoco Amy e Julian stavano continuando a litigare esattamente come Holly e Philip li avevano lasciati qualche minuto prima. Da quella parte dell’isola nessuno si era accorto della brutta avventura accorsa ai compagni.
Benji depositò Jenny a terra e si lasciò cadere disteso accanto a lei, i gomiti puntellati sulla sabbia, il volto chino in avanti. Dai corti capelli zuppi venivano giù rivoli d’acqua, che scivolavano ai lati del collo accarezzandogli la vena pulsante, e gocciavano sugli avambracci muscolosi e risplendenti di bagnato alla luce evanescente del falò. La camicia grondante d’acqua gli si era incollata sulla schiena, mostrando i muscoli ancora in tensione per lo sforzo. Riprendeva fiato, le sue spalle si alzavano e abbassavano al ritmo concitato del respiro e quegli ansiti si ripercuotevano sul suo corpo atletico, facendolo fremere tutto.
Jenny, sdraiata sulla schiena, tossì un paio di volte e lui si girò a guardarla. La vide tirare due o tre respiri profondi mentre le sue dita affondavano nella sabbia quasi in cerca di un appiglio.
-Per poco non ci fai annegare.-
-Mi dispiace.- rispose lei senza neppure aprire gli occhi -Sono scivolata.-
-Non importa. Ti perdono.-
Philip arrivò di corsa e si gettò in ginocchio accanto alla fidanzata. La prese tra le braccia e la strinse contro di sé. I loro cuori battevano all’unisono, ancora a mille per la paura. Con una mano la sostenne, con l’altra le accarezzò una spalla, il collo, la guancia, la testa, per assicurarsi che fosse ancora tutt’intera. Poi appoggiò la bocca sui suoi capelli, il sapore del sale gli intrise le labbra. Chiuse gli occhi, beandosi del contatto con il suo corpo. Voleva dirle qualcosa, ma non riusciva a parlare. Voleva rassicurarla perché la sentiva ancora tremare, ma il groppo che gli stringeva il cuore era tale da bloccargli la voce.
-Callaghan.-
Sentì Benji chiamarlo, aprì gli occhi e lo guardò.
Tom, arrivato in quel momento dopo ore di sparizione, emise il suo urlo.
-Philip! Sei impazzito? Che diavolo stai facendo?-
-Jenny!- gridò anche Patty, dato che l’espressione cupa del portiere non le piacque per niente.
Ma lei spostò gli occhi sull’amica e le sorrise, perché mentre era in acqua era riuscita a sfilar via la pistola di Benji, lasciandola affondare nelle profondità dell’oceano. Philip non correva più nessun rischio, anche se forse il portiere non se n’era ancora reso conto.
Infatti Benji si frugò addosso, ficcando le mani tra le pieghe della camicia, rovistando tra quella stoffa bagnata che gli si incollava sulla pelle, gelida, ad ogni movimento. Nei suoi occhi contrariati brillò un barlume di incertezza. Si accorse che Jenny lo fissava con un sorrisetto saputo e capì di essere stato fregato. Spostò lo sguardo da lei a Callaghan, rimediando dal compagno un’occhiata di sfida.
-Fanculo Price.- gli disse infatti. Poi baciò Jenny e la rivincita di Philip fu completa.

Nella stanza immersa nel silenzio, si levò improvvisa la voce del portiere.
-Potevi almeno ringraziarmi.- Benji si sfilò gli occhiali stereografici e li posò su uno dei braccioli della poltroncina.
Philip, che gli sedeva accanto, lo guardò torvo.
-E per cosa? Per aver infastidito Jenny?-
-Era uno scherzo.-
-Potevi scherzare con Amy, visto che Julian l’ha tradita.-
-Io scherzo con chi mi pare, Callaghan.-
Ross dietro di loro tossicchiò.
-Se non ve ne siete accorti eravamo in una realtà virtuale. Io non ho tradito proprio nessuno.- e quasi a ribadirlo anche con lei, tante volte fosse necessario, si volse verso la fidanzata. Amy lo guardava scettica, sembrava quasi non credergli.
-Philip, Benji, se volete che andiamo a mangiare qualcosa insieme piantatela all’istante.- Holly oltrepassò l’uscita del laboratorio tenendo Patty per mano.
Bruce gli saltellò dietro entusiasta.
-Ho ancora in bocca il sapore degli spiedini. Che ne dite di una bisteccheria?-
-Possibilmente economica.- borbottò Mark -A prezzo di costo.-    

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