~ I Breathe your Moments di Piccola Ketty (/viewuser.php?uid=71286)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
I’m a
shoulder
you can cry on
Your best friend, I’m the one you must rely on
Per te.
Ero
sull’autobus, diretta verso la scuola guida.
La
settimana prima avevo deciso di iscrivermi, non potevo aspettare un
altro mese,
altrimenti la convinzione sarebbe sfumata nel nulla.
L’autobus
era pieno, come sempre, nonostante fossero già le sette di
sera.
“Scusi,
scende alla prossima?”, domandai con fretta ad un signore
davanti a me.
“No,
ma
la lascio scendere signorina”, il sorriso lascivo che
accompagnò la risposta,
mi fece venire un brivido lungo la schiena, davvero poco piacevole.
“Grazie”,
sorrisi, fingendo come meglio potevo.
Mi
madre
mi aveva sempre insegnato il rispetto verso le persone più
anziane, anche se
queste non potevano di certo definirsi persone tranquille.
Ormai
non
ci si poteva fidare più di niente, e di nessuno.
Quando
l’autobus si fermò alla sua fermata, aprendo le
porte, quasi lo dovetti spingere per farmi passare.
Ridicolo.
Finalmente
fuori, ripresi a respirare a pieni polmoni.
L’odore
di chiuso, di caldo e di sudore, era insopportabile, quando
sull’autobus
c’erano alcuni tipi di persone.
Non
pretendevo che si lavassero tutti i giorni, ma che almeno non si
mettessero le
maniche corte, facendo sentire ogni cosa.
Rabbrividii,
avvicinandomi alle strisce pedonali.
La
scuola
guida era proprio di fronte a me, e mostrava la sua insegna luminosa.
Quando
entrai dentro, l’aria fresca mi fece tornare il sorriso,
lasciando alle spalle
il caldo soffocante ed umido della città.
“Ciao
cara”, le segretarie – amiche di mia madre - le
donne che stavano sempre dietro
alla scrivania centrale, erano delle persone fantastiche, che
riuscivano a
tranquillizzarti anche nei momenti più difficili.
Secondo
mia madre con loro potevi parlare di qualunque cosa, potevi scherzare e
parlare
di cose serie nello stesso momento, potevi prenderle e farti prendere
in giro,
senza rimanerci male. A suo dire erano fantastiche, e visto che di lei
mi
fidavo, sapevo che non mi sarei pentita di arrivare prima del solito.
Le
avevo
già conosciute la settimana prima, quando mi ero iscritta,
poi ero passata per
fare la visita oculistica, quindi, mi madre non si sbagliava.
“Come
state?”, domandai appoggiandomi al bancone, sospirando.
“Oggi
siamo distrutte, oltre tutto Marzia ha il bambino a casa con la
febbre..”,
Fiamma, così si faceva chiamare, visto che il suo nome per
intero non le
piaceva affatto, si voltò verso la collega, guardandola con
aria preoccupata.
“Beh,
con
questi sbalzi di temperatura, vorrei vedere chi non se la
prenderebbe”, cercai
di sorriderle, ottenendo un piccolo sbuffo sghembo.
“Oggi
è
il primo giorno di lezione vero?”, mi domandò
Marzia.
“Eh
si..oggi è il primo di una lunga serie. Avrete la nausea
della mia presenza”,
sorrisi, indicandomi.
“Ma
cosa
dici. Fossero tutte cordiali come te, saremo anche felici di avere la
scuola
piena”.
Biascicai
un “grazie” emozionata.
Avvistai
alcune sedie libere, e mi ci fiondai subito, rilassando le gambe.
Mancava
mezz’ora all’inizio della mia lezione. Era
l’ultima della giornata, ma
lavorando, era già tanto se potevo frequentare quella.
Arrivavo
a casa ad orari improponibili, ma era il prezzo da pagare per poter
prendere la
patente.
Ascoltai
distrattamente le ragazze parlare di bambini e di infanzia, fissando il
soffitto.
Portai
entrambe le braccia sull’addome, rilassando le spalle. Avevo
trovato una
posizione perfetta.
Ero
alta,
e per questo motivo mi era difficile rilassare anche le gambe.
Di
solito
intralciavo il passaggio della gente, che sbuffava.
Quel
giorno, però, me ne fregai altamente, visto che dalla porta
principale non sembrava
entrare nessuno.
Chiusi
gli occhi, beandomi del fresco che l’aria condizionata
sprigionava
nell’ambiente.
Immaginai
il mare, l’acqua fresca, il sole sulla pelle abbronzata.
Gli
ombrelloni nella spiaggia, i bambini che giocavano felice, i libri
letti durante
l’estate, tutte cose che ormai l’inverno avrebbe
portato via.
Ma
non
ero del tutto triste, a me piaceva il freddo, e non ci stavo di certo
male.
Aprii
gli
occhi, quando qualcuno spinse il mio piede verso sinistra.
Alzai
la
testa, trovandomi di fronte ad un angelo.
Stavo
sognando, e stavo anche facendo la figura della bella addormentata.
Sbattei
le palpebre, per far si che la mia testa potesse tornare a pensare da
sveglia,
ma l’immagine restava sempre lì.
L’angelo
mi fissava, sorridendo sghembo.
Cosa hai da guardare?
“Kate,
dovresti firmare questi fogli, vieni?”, sbattei di nuovo le
palpebre, spostando
la testa per poter guardare Marzia.
“Oh,
certo. Arrivo”, posai le mani sulle ginocchia, alzandomi e
stiracchiandomi
leggermente.
Mi
ritrovai così, di fronte a quel ragazzo, alto, con i capelli
neri, e quegli
occhi azzurri pieni di vita.
Sorrisi
imbarazzata, portandomi una ciocca di capelli dietro
all’orecchio.
Mi
spostai, per passargli affianco, sedendomi poi sulla sedia di fronte a
Marzia.
Il
ragazzo aggirò la scrivania, iniziando a sfogliare
un’agenda.
Lo
guardai, probabilmente con uno sguardo da pesce lesso.
Presi
in
mano la penna, restando comunque con l’attenzione rivolta
verso quel ragazzo.
Lavorava
lì? Quanti anni aveva?
Non
lo
avevo mai visto in giro prima, non avrei dimenticato il suo viso.
Firmai
tutti i fogli sotto la mia mano.
“Bravissima,
lui è il tuo insegnante..”, Marzia si era
avvicinata, sussurrando le ultime
parole.
Strabuzzai
gli occhi, pensando di aver sentito male.
“Eh
già..è abbastanza giovane. Insieme a mio marito,
che conosce dall’età di dieci
anni”, era orgogliosa, probabilmente lo riteneva un secondo
figlio, “fanno le
lezioni di teoria. Ha ventisette anni”, mi sorrise sorniona,
indicandolo.
“Oh
beh..ma non mi interessa..cioè..”,
imbarazzatissima, peggiorai solo la
situazione.
Lo
sguardo di Marzia si riempì di tenerezza, e sorridendomi, mi
fece l’occhiolino.
“Ed
è
single”, aggiunse poi, alzandosi dalla sedia.
La
mia
bocca prese la forma di una O enorme, seguendola con lo sguardo nei
suoi
movimenti.
Giovane,
bellissimo, single, e potevo osservarlo per ben tre giorni a settimana.
Perfetto, se prima credevo che prendere la patente sarebbe stato
difficile,
ormai ne ero certa.
Ormai
era
risaputo, la ragazza che lavorava insieme a Marzia e a Fiamma, non
andava a
genio a nessuno.
Nel
giro
di qualche minuto, dopo la mia bella figura, l’entrata della
scuola guida si
era riempita di gente, annullando completamente l’effetto
dell’aria
condizionata.
Avevo
scoperto che insieme a me, c’erano altre tre ragazze giovani,
che avranno avuto
più o meno la mia età.
Non
ero
di certo una persona che faceva amicizia facilmente, infatti preferii
restare
nel mio cantuccio, vicino al bancone, a parlare con le ragazze.
Monica,
così si chiamava la ragazza apprendista che dava una mano
nella scuola.
Era
una
ragazza abbastanza egocentrica, che si faceva notare non solo per il
suo look
stravagante, ma anche per la sua parlantina.
Marzia
e
Fiamma non potevano sopportarla. Si erano pentite di averla presa, ma
ormai la
dovevano tenere per un altro anno, e portare pazienza.
Effettivamente,
anche se ci avevo scambiato davvero poche parole, a pelle, era una
persona che
non mi era piaciuta affatto.
E
soprattutto, da quello che mi avevano raccontato in quella mezzora,
dopo che
avevano notato il mio interesse mal celato per l’istruttore,
Mirko – così si
chiamava – anche Monica aveva posato gli occhi su di lui,
anche se lui non
l’aveva ricambiata per il momento.
Piccoli
gossip che però riuscivano a farmi passare l’ora
di stallo.
“Bene
ragazzi, entrate pure”, passarono alcune persone, uscenti dal
corso prima del
nostro.
Salutai
le altre, avviandomi insieme alla fila, all’interno della
stanzetta dove si
sarebbe tenuta la lezione.
Non
era
grande, e poteva ospitare al massimo una quindicina di persone, ma per
il
numero che eravamo quel giorno, andava più che bene.
Mi
sedetti su una sedia abbastanza vicina alla cattedra, per poter seguire
meglio
– o per poterlo osservare meglio – dipendeva dai
punti di vista.
Le
sedie
erano le classiche per gli studenti, con l’appoggino che si
rialzava alla
destra della sedia.
Misi
il
libro di teoria sopra di esso, picchiettando il piede sul pavimento.
Avevo
già
letto alcune pagine, portandomi un po’ avanti. Non volevo
restare indietro, e
dover studiare tutto alla fine.
Leggendo
a lavoro, avrei poi ripassato con la scuola.
La
porta
si chiuse alle mie spalle, facendo terminare il ronzio che si era
creato di
sottofondo.
Sentii
dei passi sicuri e tranquilli avvicinarsi, fino a quando la figura
perfetta di
Mirko non entrò nella mia visuale, facendomi perdere alcuni
battiti.
Smisi
di
battere il piede per terra, prestando attenzione alle sue parole.
“Ben
venuti ragazzi. Io sono il vostro insegnante”,
mimò le virgolette sull’ultima
parola, “e sarò con voi fino alla fine del
corso”.
Un
gridolino di approvazione partì da alcune ragazze
posizionate davanti a me.
Sorrisi,
cercando di nascondermi.
Purtroppo
però, gli occhi di Mirko mi trovarono subito, portando anche
lui a sorridere.
Rideva
di
me? Fantastico.
“Bene, direi
che possiamo incominciare”, mi guardò per un altro
secondo, che però mi sembrò
una vita, prima di iniziare a parlare di segnaletica stradale, e di
patente.
***
Rieccomi.
Alcune di voi
saranno felici, altre meno, ma io lo sono e questo basta.
Ho avuto un brutto
periodo, e infatti – chi mi conosce – sa quanto io
abbia patito questo
allontanamento dalla scrittura.
Ma, per fortuna, e
grazie a chi ha creduto sempre in me, sono tornata con una nuova
storia,
originale (come da tempo già volevo fare) fresca, fresca.
Buona lettura
ragaSSe.
Grazie a chi mi
seguirà, a chi lo ha sempre fatto, e a chi non
smetterà mai di farlo.
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
I breathe your moments
2.
Seguii
tutta la lezione con interesse, guardandolo negli occhi, e
meravigliandomi per
non essere caduta nella tentazione di fantasticare.
Era
bravo, riusciva a farti capire ogni cosa, senza nemmeno doverla
ripetere.
Pendevo dalle sue labbra.
Quelle
labbra carnose e rosse, che si muovevano sinuose.
Aveva
un
vizio, si passava spesso la mano tra i capelli, già
scompigliati.
Era
tenero, e buffo. Ma una cosa era certa, era davvero bello.
Aveva
uno
sguardo tenebroso, che racchiudeva chissà quale arcano
segreto, e nello stesso
tempo, riusciva a darti sicurezza e serenità anche soltanto
con un sorriso.
Anche
lui
mi aveva guardata negli occhi più di una volta,
costringendomi a spostare lo
sguardo sul tabellone luminoso.
Quando
arrivarono le nove, quasi rimasi delusa.
L’ora
era
passata troppo veloce, non me ne ero accorta.
“Allora
ci vediamo giovedì, va bene?”, sorrise alla
“classe”, facendo un cenno di
saluto.
Le
ragazze iniziarono ad alzarsi, lasciandogli degli sguardi davvero poco
misteriosi.
“Ciao
Mirko”, una ragazza uscì salutandolo con la manina
alzata, proprio da bambina
infantile, o da donna davvero poco seria.
Le
sorrise, restando però composto.
Mi
abbottonai la giacca, visto che alle nove di sera, la temperatura
calava
drasticamente, rispetto ai venticinque gradi del pomeriggio.
Alzai
lo
sguardo su di lui, ed i brividi di poche ore prima, tornarono a farsi
sentire,
insieme alle farfalle nello stomaco.
Era
una
sensazione bellissima, sarei rimasta in quella posizione per il resto
della mia
vita, ma dovevo andare a casa.
Gli
sorrisi, prima di prendere la mia borsa e fare la gincana tra le sedie.
“Ho
visto
che segui con interesse”, mi fermai di colpo, spostando lo
sguardo sulla sua
figura.
In
piedi,
di nuovo di fronte a me, le farfalle presero a volare più
velocemente facendomi
fare fatica per formulare un pensiero coerente.
“Ehm
si,
ho già letto qualcosa..”, sorrisi abbassando gli
occhi sulle sue scarpe.
“Posso
darti del tu, no?”, si avvicinò, notai i suoi
piedi avanzare verso di me.
“Certo”,
ammisi portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Bene,
allora ci vediamo giovedì”, avvicinò la
mano ponendo il palmo verso la porta.
Voleva
che gli stringessi la mano? Ne sarei stata capace?
Avvicinai
anche la mia mano, stringendo la sua che me la copriva completamente.
Alzai
gli
occhi incontrando si suoi, di un azzurro intenso.
“Il
tuo
nome?”, mi domandò con voce roca.
Lo
aveva
chiesto anche alle altre?
“Kate”,
sussurrai non riuscendo a spostare lo sguardo.
“Mirko..”,
probabilmente non sembrò sciocco soltanto a me sapere di
nuovo il suo nome,
visto che sorrise anche lui insieme a me.
Aveva
un
sorriso bellissimo.
“A
giovedì allora”, sorrisi di nuovo, lasciando la
sua mano, ed avvicinandomi alla
porta.
Mi
voltai
un’ultima volta, trovando il suo sorriso verso di me.
Fece
un
cenno positivo con la testa, avvicinandosi alla cattedra per sistemare
dei
fogli.
Fuori
dalla stanzetta, l’aria era più fresca, e
sicuramente, la mia testa poteva
ragionare senza il suo profumo intorno.
Non
mi
era mai successa una cosa del genere, ma sicuramente, non ne ero
dispiaciuta.
Dopo una
giornata di lavoro, ritornare in quella scuola, era di certo
un’ottima
prospettiva.
Ormai
non
mi faceva nemmeno più fatica arrivare a casa tardi.
Era
passata una settimana dal primo giorno di lezione, e ormai ero
diventata una
componente del gruppo tra le segretarie.
Spesso
gli davo una mano con alcune scartoffie, per far si che potessero
uscire
nell’orario giusto di chiusura.
Quando
però, arrivava Mirko, la mia attenzione si spostava su di
lui, che però, non mi
degnava di uno sguardo.
Da
quella
sera, non ci eravamo più rivolti più di un ciao
ad inizio lezione, ed un
arrivederci alla fine.
L’unica
cosa che riusciva a tirarmi su il morale, erano gli scambi di sguardi
che ci
lasciavamo, pieni di significato, da parte mia.
Quando
i
suoi occhi si spostavano nei miei, c’eravamo solo noi.
Non
posso
negare, che più di una notte nei miei sogni non ero sola, e
insieme a lui, non
facevo di certo cose da minorenni. Il suo fisico, i suoi occhi, le sue
labbra,
tutto di lui gridava sesso.
Tutto,
e
soprattutto, ogni sua azione, anche soltanto il passarsi la mano tra i
capelli,
mi provocava una scossa lungo la schiena, piacevole da sentirsi, ma
sicuramente
terribile quando non la sentivo.
Nei
sogni
che facevo insieme a lui, il piacere che mi donava era imparagonabile
rispetto
alle poche esperienze che avevo avuto. Era fantastico.
Ritornai
alla realtà, quando Marzia mi sventolò una mano
davanti al viso.
“Bella
addormentata, ci sei stasera?”, mi domandò
sorridendo.
“Si,
è
solo che sono un po’ stanca..”, mi passai una mano
sugli occhi, massaggiandomi
poi le tempie, “ho un po’ di mal di
testa”, ammisi.
Restai
con loro per un altro po’, fino a quando non
iniziò la lezione e, di nuovo, il
mio corpo fu scosso da milioni di scintille quando per sbaglio
– oppure no – la
sua mano sfiorò la mia, entrando nella stanza.
Erano
dei
contatti davvero particolari, che probabilmente mi immaginavo solo io.
Era
venerdì, quindi tutta la stanchezza della settimana, mi si
riversava contro ad
ogni sbadiglio.
Cercavo
di stare attenta, ma ovviamente il mal di testa non me lo permise.
Persi
gran parte della lezione, restando fissata sul pavimento, o sul
tabellone
lumino senza però vederci niente.
Avevo
bisogno di una pastiglia, altrimenti non sarei arrivata a casa.
Ravattai
nella borsa alla sua ricerca e quando la trovai, trionfante la ingoiai
bevendo
qualche sorso d’acqua.
Ormai
erano quasi le nove, ma avrebbe sicuramente fatto effetto prima di
quell’ora.
Quando
Mirko spense il tabellone, i miei occhi non protestarono, anzi, glie ne
furono
grati.
Mi
alzai
barcollante, reggendomi ad una sedie, mentre aspettavo che il resto
della
classe uscisse.
Senza
il benché
minimo sforzo, mi lasciai ricadere sulla sedia, prendendomi la testa
tra le
mani.
Chiusi
gli occhi, e pregai che la fitta che mi aveva colpita svanisse in
fretta così
come era arrivata.
“Ehi,
va
tutto bene”, sentii una mano delicata posarsi sulla mia
spalla.
Non
risposi, ero concentrata sul dolore.
“Kate?”,
quella volta, però, riconobbi la sua voce, la sua morbidezza
nel pronunciare il
mio nome.
Alzai
lentamente la testa, incontrando i suoi occhi preoccupati,
“va tutto bene?”, mi
chiese di nuovo, piegandosi sulle ginocchia.
“Si,
si.
Ho solo un po’ di mal di testa..”, ammisi
vergognandomene subito.
“Hai
preso qualcosa”, ammise, “non ha ancora fatto
effetto?”, aveva visto il mio
gesto di poco prima, aveva prestato attenzione.
Probabilmente
fu solo una mia impressione, ma sapere che ancora aveva interesse per
me,
riuscì a farmi stare meglio per qualche secondo.
Sorrisi
più a me stessa che a lui, “si di solito non
impiega molto..ora esco, così puoi
chiudere”, mi alzai con più grinta quella volta,
prendendo la mia borsa tra le
mani, e aggirandolo per uscire.
Quando
la
sua mano si posò sul mio braccio, facendo una lieve
pressione, sussultai ed il
mio cuore iniziò a battere troppo forte, e temetti che anche
lui potesse
sentirlo.
“Se
vuoi
rimanere, non ti preoccupare, io devo sbrigare alcune faccende..non ho
fretta
di chiudere”, osservai la sua mano ancora sul mio braccio, e
me ne compiacqui.
“Scusa”,
subito la allontanò, ed io mi sentii di nuovo male.
Aveva
pensato che lo stessi osservando perché mi dava fastidio
sentire le sue mani su
di me?
Si
sbagliava.
“Tranquillo”,
sorrisi, “grazie, ma davvero. Ora vado, altrimenti a casa non
ci arrivo più”, anche se
mi dispiace davvero tanto, di non
passare altro tempo insieme a te.
Aprì
la
bocca per parlare, richiudendola quasi subito e mordendosi il labbro,
“va bene,
allora buon week end”, annuì vistosamente,
allontanandosi completamente da me.
“Grazie,
anche a te”, lo seguii con lo sguardo, fino a quando non si
trovò di spalle, ed
io rimasi qualche secondo ad ammirare le sue spalle, i suoi fianchi..
Chiusi
gli occhi, costringendomi ad uscire da li, altrimenti, non so cosa
sarebbe
successo.
“Ciao”,
sussurrai passandogli accanto e raggiungendo la porta.
“Ciao”,
non si voltò nemmeno, continuando a girare alcuni fogli tra
le sue mani.
Mi
richiusi la porta dietro alle mie spalle, sospirando.
Sarebbe
stato un week end lunghissimo, ed era la prima volta che
l’arrivo della
settimana successiva, non mi recava alcun danno morale.
***
Secondo capitolo.
Vi ringrazio per l'appoggio.
La storia è molto sintetica, si basa principalmente sul
rapporto tra i due protagonisti.
Non ci sono ambientazioni diverse, tranne qualche accenno, e nemmeno
altri personaggi secondari.
Mi affido a voi ;)
Angyr88: Tesoro,
sapevo che non saresti mancata. Grazie, per tutto..il tuo appoggio, il
fatto che tu abbia creduto in me anche quando non riuscivo nemmeno a
scrivere un "ciao" ;) Sei un'amica fantastica, ricordalo, e chi non se
ne accorge è soltanto uno stupido! Ti voglio bene..
Liselotta: Domani,
domani, domani, domani, domani, domani..e potrei scriverlo
all'infinito.. <3 Tesoro mio, non dirlo a nessuno, ma
io non ho un mega stra figo :D anzi, avrà
quarant'anni..però non è da buttare muahmuah..Oh
tesoro, se mi scrivi certe cose, poi mi si appanna la vista!
Che dire, questa storia è tipo uno scarabocchio per i
pittori..è uscita così, e arriverà
così :D ti voglio bene, e anche tu sei speciale!
Frytty: Poteva
mancare la mia irresistibile e fantastica socia?
Macchè..è grazie a Lei se il pezzo rosso
è uscito :D ah, ma sei tu, ciao tesoro!! Vediamo, ti ho
già detto che non so scrivere?? Vieni pure qui, *-* a dirmi
il contrario..sisi.. *-* Ad ogni modo, grazie, GRAZIE per il tuo
supporto..sei una persona bellissima e fantastica, e sono davvero
fortunata..Questo un capolavoro?? O.o mi fido eh..eheh..Buon pomeriggio
tesoro mio! Ti voglio bene..
Himechan: Allora,
partiamo dal presupposto che sono ONORATA di averti qui, come lettrice
di questa storia. Insomma tu per me sei un mito, un esempio, le tue
storie mi hanno fatto, e mi fanno sognare..il fatto che tu legga delle
cose mie, mi riempie di gioia, davvero..Infatti, quando ho visto il tuo
commento, alle undici di sera :D subito non ho collegato..poi mi son
detta, mezza addormentata, "ma questa ragazza, io la conosco..", ho
guardato le tue storie, è bastato leggere "per ardua ed
astra" ed i miei occhi si sono subito illuminati tipo faro nel mare XD
*-* cioè..sono davvero felice. Per quanto riguarda i tempi
di aggiornamento, la storia è finita XD quasi..quindi i
capitoli arriveranno regolarmente - imprevisti permettendo! E anche se
mi fai aspettare, leggere poi un tuo capitolo è sempre una
gioia cara..davvero..tu sei un'artista, e devi metterelo bene in
testa.. Ti mando un abbraccio enorme, e grazie ancora per esserti
infilata in questa storia ;) Un bacione..
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
I breathe your moments
3.
Sano sesso Kate, sano sesso.
Le
parole
della mia migliore amica mi erano rimaste impresse nella mente,
lasciandomi
sorpresa.
Non
era
mai stata troppo espansiva, e di certo non mi aveva mai dato un tale
consiglio,
ma dopo averle raccontato cosa provavo quando mi trovavo nella stessa
stanza
con Mirko, non aveva esitato e se ne era uscita con quella frase.
Ci
pensai
per tutta la giornata, anche durante il tragitto verso la scuola guida,
quel
martedì.
Il
week
end era volato, a differenza di quello che avevo pensato.
Entrando
notai subito qualcosa di diverso.
Monica
era attaccata a Mirko, quasi sopra le sue gambe.
Erano
seduti vicini, e sorseggiavano allegramente un caffè ridendo.
Sentii
un
leggero fastidio, partire dal centro del petto, e diramarsi per ogni
nervo
presente nel mio corpo, innervosendomi all’invero simile.
Li
osservai avvicinandomi al bancone, sentendo sempre più
fastidio.
Decisi
di
spostare la mia attenzione sui due sguardi che mi stavano osservando
curiosi.
“Ciao”,
le salutai, sorridendo.
Mirko
si
voltò subito, sentendo il mio saluto, mentre Monica
impiegò più tempo. Forse
era troppo impegnata ad osservargli il cavallo dei pantaloni.
Mi
morsi
il labbro, cercando di resistere alla tentazione di incontrare i suoi
occhi e
di sorridergli.
“Passato
bene il week end?”, domandai sfogliando distrattamente alcuni
fogli sul
bancone.
“Kate”,
Fiamma si avvicinò, per permettere solo a ma di sentire le
sue parole,
“calmati, e cerca di respirare”.
Subito
non capii il motivo del suo consiglio, poi, notai che le nocche delle
mie mani erano
diventate bianche, a forza di stringere la borsa tra le mani.
“Ehm,
si..forse”, ammisi distratta, vergognandomi.
“Ti
mancano gli occhi gialli, poi il viso paonazzo è
quello..gelosia”, iniziò a
canticchiare una melodia sulla gelosia, davvero poco spiritosa.
La
fulminai con lo sguardo, cadendo nella tentazione di fissarlo.
Mi
stava
guardando ancora, ed il suo sguardo era profondo, il colore degli occhi
era
quasi blu.
Si
alzò,
lasciando sorpresa Monica.
Buttò
nel
cestino il bicchiere, e lentamente uscì dalla scuola.
Rimasi
sorpresa dal suo gesto. L’avevo forse infastidito?
Ovviamente,
l’occhio astuto delle due donne dietro al bancone, che
avevano assistito a
tutta la scena, non perse tempo per fissarmi di nuovo.
“Cosa
ci
nascondete voi due?”, mi domandò Marzia seria.
“Noi..chi
scusa?”.
“Tu
e
Mirko. Insomma, è da quando ti ha vista la prima volta che
quando ci sei, ti
gira attorno..”, davvero?,
“e pure tu, giri intorno a lui come se fosse il tuo
pianeta..”.
Strabuzzai
gli occhi.
Aprii
la
bocca per replicare, ma non riuscii a trovare niente di sensato da dire.
Per
quanto riguardava me, aveva terribilmente ragione.
Ormai
non
facevo che pensare a lui, a lavoro, la mattina appena mi alzavo, la
sera prima
di andare a dormire, e la notte lo sognavo, sempre.
Non
vedevo
l’ora di rivederlo, di risentire la sua voce ed i suoi occhi
su di me.
Mi
passai
una mano tra i capelli, arrossendo.
“Esco
un
secondo..”, sussurrai, lasciando tutta la mai roba sulla loro
scrivania.
Mi
precipitai fuori, respirando a pieni polmoni.
Quel
giorno aveva piovuto parecchio, e stranamente,
l’umidità non era ancora scesa.
Faceva
freschino, e ancora si sentiva l’odore di pioggia.
Portai
le
braccia davanti al corpo, unendo le mani e stiracchiandomi.
Ero
stanca, avevo sonno, e sinceramente, non ero pronta a rendermi conto di
una
tale verità.
Non
potevo, a vent’anni, essermi presa una cotta simile per un
uomo di trenta.
Non poteva essere vero.
Nemmeno
a
quindici anni mi riducevo in quello stato. Soprattutto per dei ragazzi
così
grandi.
“No,
no..no..no..”,
sbattei il piede per terra, tenendo le mani sul mio viso.
Lui
trenta, io venti, dieci anni erano troppi.
Il
suo
tipo di donna ideale, non ero di certo io, una ragazzina confronto alle
persone
che era abituato a frequentare.
“Tutto
ok?”, sobbalzai, allontanandomi da lui.
“Scusa,
ti ho spaventata?”, corrugò le sopracciglia,
facendo spuntare qualche ruga di
preoccupazione sulla sua bellissima fronte.
“No,
ero
solo sovrappensiero”, ammisi seria. Fissai le macchine
ingorgate nel traffico,
tutto pur di evitare di pensare a lui.
Fece
per
entrare, ma si fermò a qualche centimetro dal mio viso,
proprio vicino al mio
orecchio.
Di
nuovo,
con la coda dell’occhio, lo vidi aprire la bocca per parlare,
facendomi sentire
il suo respiro vicino, ma subito la richiuse, scrollando la testa ed
entrando.
Ripresi
a
respirare a pieni polmoni.
La
sua
presenza mi destabilizzava, non potevo continuare così.
Se
gli
altri si erano già accorti di quello che mi succedeva, lui
l’avrebbe capito
entro breve, a meno che già non l’avesse fatto.
Sbuffai,
lanciando un povero sassolino.
Rientrai
più nervosa di prima, fulminando Monica, che aveva ripreso a
chiacchierare con
lui e cercando conforto negli occhi delle due donne che ormai mi
avevano presa
tra di loro.
“Vieni
tesoro”, Marzia mi passò un bicchiere fumante di
cioccolata, ed io gliene fui
grata.
“Proprio
quello che ci voleva”, sorrisi, assaporando il sapore di quel
liquido denso
sulle mie labbra.
Ci
passai
la lingua sopra, chiudendo gli occhi e mugolando di piacere,
“sapete da quanto
tempo è che non bevo della cioccolata calda?”,
bagnai di nuovo le labbra,
rifacendo le stesse mosse di prima.
Quando
riaprii gli occhi, Mirko stava sbattendo la porta del bagno.
Sbattei
le palpebre, poiché mi ero persa qualcosa di grosso, visto
il suo
atteggiamento.
Le
guardai curiosa, aspettando che parlassero.
“Allora
Kate, forse non te ne sei accorta, ma quello che ti abbiamo detto
prima, non è
una bugia. E tu, se fai così..”, agitarono le
mani, indicando il bicchiere e le
loro labbra, “farai morire ogni uomo”,
l’occhiolino non mancò, ed io scoppiai a
ridere.
“Ridicolo!
Io, che faccio impazzire un uomo”, risi di gusto, sentendo
dolore allo stomaco,
“bella questa..”.
Scrollai
le spalle, andandomi a sedere su una sedia libera, ed aspettando
pazientemente
il turno della mia lezione.
Quella
sera, non mi guardò nemmeno una volta.
Ogni
volta che il suo sguardo stava per incontrare il mio, subito lo
spostava di
nuovo, a volte voltandosi addirittura.
Ne
rimasi
delusa, probabilmente, il mio comportamento non gli andava a genio.
La
differenza di età si fece sentire maggiormente quella sera,
facendomi sentire
ancora più piccola di quanto in realtà non fossi.
Dovevo
assolutamente smettere di pensare a lui.
Dovevo
almeno provarci.
“Mi
spieghi come fai, se ogni volta te lo becchi a scuola guida?”.
“Smetterò
di andarci”, ammisi scrollando le spalle.
“Sei
scema? E dove mi staresti portando ora, scusa?”, ero con
Melanie, la mia
migliore amica, ed ovviamente la stavo portando alla scuola, per farle
vedere
il fantomatico ragazzo/uomo per il quale avevo ormai perso la testa.
“A
scuola
guida, ma solo per fartelo vedere. Almeno potrai sorreggermi nei
momenti
disperati”, la guardai con gli occhi dolci, “se no
a cosa serviresti scusa?”,
alzai gli occhi, strafottente.
“Oh
per altre
tante cose, ma tanto non mi dai mai retta, quindi potrei pure andare in
pensione”.
“Dai,
su”, la spintonai, continuando a passeggiare al suo fianco.
Ci
stavamo avvicinando, ed il mio stomaco aveva preso a girare su se
stesso,
facendo mille capriole, sempre con le farfalle dentro.
“Ti
avviso, se mi piace, prenderò pure io la patente
qui”.
“Ma
se ce
l’hai già!”.
“E
allora? Lui mica lo sa..”, sorrise sorniona, meritandosi una
sberla sul
braccio.
“Ora,
entriamo a tu farai finta di niente, ok?”, la supplicai.
Tre.
Due.
Uno.
Il
dlin
della porta fece voltare i presenti.
“Mai
trovata la porta chiusa, oggi invece..”, sussurrai pentendomi
già di quello che
stavo per fare.
Melanie
era la persona più fidata al mondo, più riservata
e sicuramente della quale
potevo fidarmi ciecamente.
Ma
quando
si trattava di bei ragazzi, eravamo terribili.
Insieme,
eravamo pericolose.
Detti
un’occhiata alla stanza, non trovandolo.
Abbassai
lo sguardo dispiaciuta, salutando Marzia e Fiamma.
“Non
c’è?”, mi domandò
accarezzandomi la schiena.
“No..”,
ammisi sospirando.
“Dai,
aspetto fino a quando non entri”, sorrise, facendo sorridere
anche me.
“Davvero?”.
“Certo!”.
Le
presentai le due chiocce che subito la fecero entrare
nell’ottica della scuola,
riempiendo anche lei delle ultime novità. Grazie a Dio,
evitarono di parlarle
dei miei comportamenti.
Lei
sapeva già tutto, ma risentire la mia esasperante
fissazione, non mi avrebbe
giovato.
La
porta
si aprì, ma ormai lo aveva fatto tante di quelle volte, che
non ci giravamo
nemmeno più.
Eravamo
intente ad ascoltare un discorso di Fiamma su sua figlia, che nemmeno
mi
accorsi della persona che mi affiancò.
“Ciao”,
mi salutò, sorridendomi.
Mi
voltai, riconoscendo subito la voce.
Era
bagnato come un pulcino, i capelli neri gli incorniciavamo il viso
perfetto, e
il sorriso gli arrivava da un orecchio all’altro.
Gli
occhi
erano accesi e luminosi, ed io non riuscii a fare a meno di sorridere
di
rimando.
“Ciao”,
la mia voce, così calda, non l’avevo mai sentita.
“Ragazze,
uso il bagno. Torno subito”, si rivolse alle segretarie, ma
il brivido di
piacere mi pervase comunque.
Lo
osservai dirigersi verso la porta del bagno, e lo sguardo che mi
lanciò, poco
prima di chiudere la porta, mi fece emozionare.
“E’
lui?”, balbettò Melanie al mio fianco.
Non
mi
ricordavo nemmeno di essere in mezzo ad altra gente, per un minuto
c’eravamo
stati solo noi due, di nuovo.
“Si”,
risposi fiera.
“Ed
è
cotta tesoro”, ammise Marzia.
“Oh
ma
come..è..cioè..è..”, Mel
prese a battere le mani e a saltellare sul posto.
Mi
fece
spostare, portandomi in un angolo della stanza.
“Io
non
ti aiuterò in niente..chissene frega se ha dieci anni
più di te? Oh cara..sei
fantastica..cioè, hai una fortuna..”,
saltellò di nuovo sul posto, facendomi
ridere.
“Ora
devo
andare, ma tu, tu devi raccontarmi tutto, ok?”.
L’abbracciai,
felice di poter contare sul suo sostegno, “certo”,
la guardai uscire dalla
scuola guida, con il sorriso a trentadue denti.
Quando
tornai nel bancone, ormai c’era troppa gente, quindi non
riuscimmo più a
parlare di quello che era successo.
O forse
avevo notato solo io, la felicità nei suoi occhi?
***
Terzo capitolo.
Siete fantastiche, non dico altro.
Angyr88:
Donna, tu sei forte, e
su questo non si discute, capito? Ne sei uscita bene, con la testa
alta. E fregatene di quello che dicono gli altri! La vita è
tua, tua soltanto..quindi decidi tu cosa farne -.- Per quanto riguarda
la storia, grazie tesoro, grazie davvero. Sapere che, nonostante la mia
assenza, e la mia scarsissima voglia precedente, voi siete sempre
lì, in prima linea, mi riempie il cuore di gioia *.* ti
voglio bene!
Liselotta: Ah tesoro,
hai notato che io sbaglio SEMPRE il tuo Nick?? Mamma mia..lo lascio
così eh, mi piace di più
ù.ù che schifo guarda, ti svegli a
degli orari XD che mi fai un'invidia assurda ahahah! Tesoro, tu e le
rosse..tu e lezioni..mi viene male a pensare che devo attendere XD ma
sarà per poco vero? Poi pubblicherai?? ;) Sei curiosa?? Eh,
vedrai che le cose arriveranno velocemente -.- per questo non mi
piace..mi pare troppo veloce..però se piace a voi ^.^ per me
va bene..ti voglio bene tesoro!
Frytty: Allora,
mettiamo in chiaro una cosa! Quando dici che io sono brava, devi
capire, che lo sei pure TU! E se non capirai questo, sarà
inutile -.- il tuo pezzo rosso è stato di vitale importanza.
Ero davvero bloccata T.T
Socia mia, quando è che ci sentiamo eh? Quando??
Sarà una vita, per me, che non ti sento
ç_ç il fatto è che mi sto
disintossicando dal pc, diciamo..FB è proprio andato ormai
xD rimane solo per farmi gli affari degli altri..ma msn, anche quello
lo apro poco, e quando lo apro tu non ci sei..quindi lo richiudo -.- se
non ci sono le persone che voglio..Picciulina..spero davvero di
sentirti presto..mi illumini la giornata..senza di te, è
davvero nera :( ti voglio bene Scricciola.
Piaciuque: Grazie mille
^_^ mi fa davvero piacere che tu sia riuscita a commentare, nonostante
il poco tempo..non ti preoccupare, anche a me succede con le storie che
mi piacciono..non verro a picchiarti XD spero che andando avanti, la
storia possa piacerti allo stesso modo! Un salutone!!
NeverThink: *.* mea culpa, mea grandissima
culpa. Non ti ho avvisata, e ti ho già spiegato il
motivo..mi spiace :( comunque, anche io vorrei una Mel, QUI,
ogni volta..Kate è fatta a modo suo, vive in un mondo a
parte ;) la storia è nata per gioco, ed ora la pubblico,
figurati..il fatto che piaccia è pura casualità
ù.ù no, scherzo..sono davvero felice di essere
tornata con la forma di prima..mi ero davvero demoralizzata in quel
periodo, e tu lo sai bene..scrivere non è solo uno sfogo per
me, ma una passione..ed il fatto di non riuscirlo a fare, mi faceva
stare malissimo! Ovviamente, ora non sto scrivendo, ma questa volta
è perchè proprio non ce ne ho testa. Ho altre
cose a cui pensare, quindi non ci rimango troppo male..grazie a te ho
capito che non esistono i blocchi, sono solo mentali -.- e uno, se sa
scrivere, lo sa fare sempre..Ti voglio bene Mel..davvero tanto..
<3
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
I breathe your moments
4.
Avevo
notato, da qualche lezione, che la percentuale di ragazze era aumentata
dalla
prima lezione.
Infatti,
non era un mistero che Mirko facesse arrivare tutte quelle
“belle” donne
vestite di tutto punto, ad ogni ora della giornata.
Probabilmente
nemmeno erano intenzionate a prendere la patente.
Monica
non gli si staccava mai di dosso, e sinceramente, mi dava
più fastidio lei,
delle tante oche che sorridevano alle sue affermazioni.
Quella
sera diluviava, ovviamente, come faceva ogni giorno ormai.
Era
iniziato ottobre, ed erano passate tre settimane dal nostro primo
incontro.
Lui
era
sempre più bello, o ero io che ogni giorno notavo qualcosa
di diverso in lui,
da farmi battere il cuore.
I
capelli
erano ancora leggermente bagnati, ma i vestiti erano asciutti, ed i
suoi occhi
erano sempre accesi.
Mi
guardava, non faceva finta di niente, ed io glie ne ero grata. Vivevo
di quello
scambio di sguardi.
Se me
ne
avesse privato per altre lezioni, sarei morta.
“E
questo
è quanto..”, disse finendo l’ultima
frase.
“Siamo
quasi alla fine del programma, tra poco potrete dare la teoria, se vi
sentite
pronti, così non dovrete più venire qui la
sera”, nel dirlo, posò i suoi occhi
nei miei, fissandomi profondamente.
E chi
gli
diceva che io avrei smesso? Piuttosto avrei fatto un sacco di quiz, ma
non
sarei sparita dall’oggi al domani.
“Buona
serata ragazzi”, sorrise alla classe, guardandoli mentre
uscivano.
Ormai
ero
sempre l’ultima, non era una novità, che restavo
per lui.
Se se
ne
era accorto, era bravo a mascherare tutto.
Quella
sera mi sentivo diversa, forse era la sicurezza che qualcosa anche lui
poteva
provare. Anche solo semplice amicizia, mi sarebbe bastata. Forse.
“La
percentuale di sesso femminile, è aumentata
vertiginosamente, dall’inizio delle
lezioni”, sorrisi, avvicinandomi alla cattedra sulla quale
lui era appoggiato.
Si
prese
la matita tra le labbra, corrucciandole e sorridendo subito dopo.
“E
ti
dispiace?”, alzò gli occhi nei miei, sorridendo
sghembo e facendo schioccare la
lingua.
Rimasi
pietrificata davanti a quell’affermazione, ma per non farlo
notare, dissi le
parole sbagliate nel momento sbagliatissimo.
“Potrebbe”,
sussurrai, mordendomi subito dopo la lingua. Ma ormai era troppo tardi.
Lessi
stupore, curiosità nei suoi occhi, e soprattutto, il loro
colore era liquido, e
di un blu elettrico.
“Mmmh”,
prese la matita dalle sue labbra, e la posò sulla scrivania.
Si
allontanò, facendomi sentire nuda e vulnerabile.
Avevo
osato troppo, e avevo rovinato tutto.
C’era
anche preoccupazione nei suoi occhi, una cosa che non avrei mai voluto
vedere.
Abbassai
lo sguardo, colpevole e dispiaciuta.
“Scusa,
insomma..parlo a vanvera io, sono una scema”, sorrisi
nervosa, e sperai davvero
che non fosse cambiato niente.
“Ci
vediamo domani Kate”, rimase di spalle, voltandosi solo
quando ormai ero già
fuori.
Dispiaciuta
e piena di rancore nei miei confronti, tornai a casa.
“Tu
sei
matta, voglio dire, sei pazza”, Mel mi stava insultando al
telefono, e ne aveva
tutte le ragioni.
“Lo
so,
ho rovinato tutto. L’ho turbato, e ora non mi
rivolgerà nemmeno una ciao”,
piagnucolai al telefono, immaginando una serata completamente
evitandoci.
“Dai,
ora
però non farla così tragica, magari ora ha
dimenticato tutto no?”.
“Lo
spererei
davvero, ma non mi pare che soffra di qualche malattia della
memoria..”.
Stavo
cercando il libro di scuola guida, mi trovavo fuori dalla porta, e non
avevo il
coraggio di entrare.
Magari
poteva essere malato. No, subito mi pentii di averlo anche solo sperato.
Mi
accorsi che qualcosa non andava.
“Mel,
aspetta un secondo”, presi il telefono in mano, e ricominciai
a cercare dentro
la borsa.
“No,
no!
Cavolo!”.
“Ehi,
cosa succede?”, mi domandò lei preoccupata.
“Ho
lasciato le chiavi di casa in ufficio..”, sbattei la testa
contro la mano,
picchiettandomi la fronte.
“Dove
diavolo ho la testa?!”.
“Dentro
la scuola guida”, tossicchiò Mel immediatamente.
“Scema,
grazie! E tu non sei nemmeno in città, che culo”,
ammisi appoggiandomi al muro
della scuola.
“Devi
aspettare
che torni tua madre?”, mi domandò apprensiva.
“Si..starò
fuori per tre ore buone”, nervosa, ecco cosa ero. Stranervosa.
“Ti
farò
compagnia, va bene?”, la mia dolce e cara Mel.
“Eh,
se
non avessi la batteria scarica, ci starei delle ore al telefono con te,
ma non
posso!”, quella sera ogni cosa era contro di me, ogni
stramaledetta cosa.
“Da
quando gli ho risposto così, mi va tutto storto.
È il karma, vedrai..”.
“Smettila
con queste cazzate, ora entra, e smettila di essere triste ok? Che sei
più
bella quando sorridi”.
“Oh
tesoro, grazie..ci sposeremo un giorno, te lo prometto!”, la
sentii ridere.
“Non
combinare casini cupido!”, si raccomandò
salutandomi.
“Va
bene!
Ci sentiamo domani..”.
“Ciao
Kate”.
“Ciao
Mel”.
Ti voglio bene.
Aprii
la
porta, sentendo già una brutta sensazione.
Mi
sedetti subito sulle sedie libere, evitando di pensare o di avvicinarmi
al
bancone.
Avevo
salutato con un sorriso ed un ciao sincero, ma mi ero subito richiusa
in me
stessa.
Chissà
cosa avrebbe fatto, come si sarebbe comportato.
Nemmeno
il tempo di formulare qualche possibile risposta, che entrò
con la sua aria
sicura e bella.
Lo
osservai di nascosto, fingendo di leggere il libro di scuola guida.
“Allora,
come è andata ieri sera?”, Monica,
l’avrei strozzata.
“Tutto
bene, grazie”, rispose lui tranquillo.
“Oh
sapevo che ti avrei dato il consiglio giusto. Quando si tratta di certe
cose,
so sempre cosa fare”, ammise lei fiera.
Alzai
piano lo sguardo, vedendo Marzia fissarmi con tristezza.
Ecco,
si
trattava di una donna. Cavolo. Cavolo.
Cavolo.
“E
ora la
risentirai?”, le domandò lei curiosa, cercando di
abbassare la voce, ma era
impossibile per un’oca come lei.
Strinsi
i
bordi della mia maglia, digrignando i denti.
Era
come
se migliaia di spilli mi stessero perforando il petto.
Sentivo
dolore, ma non potevo urlare.
Lui
non
rispose, ma non riuscii nemmeno a vedere cosa aveva fatto.
Sentivo
le lacrime pungere gli occhi, perciò mi isolai dal resto
della gente presente,
e ripresi a leggere.
Quando
fu
l’ora di entrare, mi spostai velocemente, evitando il suo
sguardo.
“Siamo
alla fine del programma ragazzi, tra poco faremo solo quiz, quindi
preparatevi
e mettetevi nell’ottica di fare un ottimo esame,
ok?”.
Eravamo
alla fine, la fine che tanto avevo agognato, e che ora odiavo come non
mai.
Non
l’avrei più rivisto, e forse sarebbe stato anche
meglio.
Non
avevo
mai alzato lo sguardo dal libro, soltanto qualche volta, quando sapevo
che lui
era dietro di me e che quindi non mi avrebbe di certo potuta guardare
negli
occhi.
Ero
rimasta chiusa nel mio limbo, odiandomi.
Quando
tutti si alzarono, non rimasi ad aspettare che la confusione uscisse,
mi
infilai in mezzo a loro, dicendo un “arrivederci”
veloce ed uscendo.
Ripresi
a
respirare regolarmente, avvicinandomi alla fermata
dell’autobus.
Ma mi
ero
completamene dimenticata di non avere le chiavi di casa, quindi era
davvero
inutile che mi dimenassi per tornare a casa, tanto non ci sarei potuta
entrare
comunque.
Rimasi
ferma immobile ad osservare le macchine passare. Erano sempre meno.
Erano
le
nove passate, ed ovviamente avevo perso l’autobus.
Iniziai
a
sbattere il piede per terra, cominciando a canticchiare nella mia mente
il
motivetto di una canzone ascoltata per radio.
Incrociai
le braccia al petto, ed attesi.
Dopo
qualche minuto, dove l’autobus non si vedeva, prese a piovere.
“Che
fortuna”, ammisi scocciata, cercando l’ombrello.
“Bene,
nemmeno questo..ottimo”, sbuffai, sull’orlo di una
crisi di nervi in piena
regola.
Non
avevo
le chiavi di casa, quindi ero fuori.
Avevo
fatto in tempo a mandare un messaggio a mia madre, per rassicurarla che
ero
fuori con degli amici – immaginari – che il
cellulare si era spento, non dando
segni di vita.
Ora
aveva
cominciato a piovere, ed io ero senza ombrello, già fradicia
come un pulcino.
I
goccioloni scendevano senza pietà, e a niente serviva
coprirsi sotto ai balconi
o dentro ai portoni, visto che pioveva con il vento.
Mi
levai
i capelli appiccicati al viso, cercando di asciugare gli occhi con le
maniche
del maglione che indossavo.
Iniziava
a tirare un vento freddo, che con la pioggia faceva rabbrividire al
solo
contatto.
Iniziai
a
sbattere i denti, cercando di riscaldarmi le mani, per quanto potessi.
Non
riuscivo nemmeno a vedere l’altro ciglio della strada,
pioveva troppo forte.
Guardai
la strada, scorgendo un autobus arrivare nella mia direzione.
Speranzosa
ritornai vicino al ciglio del marciapiede per poter far segno
all’autista di
fermarsi, ma quando riuscii a leggere bene il numero
dell’autobus, mi accorsi
che non era quello che mi serviva, e che quello mi avrebbe soltanto
portata
dall’altra parte della città.
Se
fosse
stato pieno giorno, mi sarei infilata dentro un autobus qualsiasi, ed
avrei
aspettato l’ora di tornare a casa girando per la
città. Ma a quell’ora di sera,
con la gente che circolava, non era salutare per una ragazza girare da
sola per
le vie della città, soprattutto sugli autobus.
Sbuffai,
sentendomi una completa idiota.
Io,
che
credevo al karma, ero riuscita a riversarmi contro tutte le cavolate
che avevo
fatto.
Ed
inoltre, lui non mi degnava della minima attenzione.
Io,
che
avevo pensato che ci potesse essere un qualche interesse, mentre lui
frequentava una donna della sua età, matura quanto lui,
senza vincoli di età.
Illusa,
stupida, illusa.
Rimasi
ad
aspettare sotto la pioggia, senza andarmi a nascondere dentro al
portone nel
quale stavo fino a pochi minuti prima, tanto era inutile.
Ero
già
completamente bagnata, dalla testa ai piedi.
Persino
l’intimo, potevo sentirlo bagnato ed appiccicato alla pelle.
Era una situazione
terribile.
Iniziai
a
sentire troppo freddo, di quel passo mi sarei presa una bronchite.
Erano
le
nove e mezza ed io ero ancora li sotto ad aspettare un autobus fantasma.
Mentre
osservavo la strada, alla ricerca di un bar aperto, notai con la coda
dell’occhio una macchina fermarsi davanti a me.
Perfetto,
ci mancavano pure i maniaci a rompere quella sera.
Feci
finta di niente, indietreggiando quel tanto che bastava per evitare un
contatto
con l’autista.
La
porta
si aprì, e al suo interno, con enorme stupore trovai un
Mirko sorridente.
“Sali,
svelta..altrimenti ti prenderai un accidenti”.
Lo
osservai, come se fosse stato un miraggio.
“Ma
ti
bagno tutta la macchina”, piagnucolai, già
però con un piede avanti.
“Lascia
stare, sali”, si spostò per farmi salire,
guardandomi.
“Sei
completamente bagnata”, ammise fissandomi.
“Ottima
constatazione”, sbuffai, rabbrividendo.
Nella
sua
macchina, con lui al mio fianco, il freddo che c’era fuori
era soltanto
un’utopia.
Con
lui
tutto era diverso.
Le
farfalle ricominciarono a volteggiare, facendomi provare dei brividi
impossibili da contenere.
Avrei
voluto urlare, voltarmi verso di lui e baciarlo, sentire il suo sapore
sulle
labbra.
Ma
tutto
questo poteva rimanere solo nella mia testa.
“Grazie,
per avermi fatta salire”, mi ero appoggiata al sedile, sotto
suo ordine,
nonostante temessi di bagnargli tutta la tappezzeria.
“Figurati,
non potevo mica lasciarti li..”, era concentrato nella guida,
visto che non si
vedeva niente.
“Dove
abiti?”, mi domandò voltandosi appena.
Giusto,
casa mia.
“Ehm..in
cima alla montagna diciamo”.
“Praticamente
nella strada che non si può prendere. Ho sentito alla radi o
che qui in pianura
è sicuramente più sicuro. Non hai un altro posto
dove andare?”.
“No,
anche perché ho lasciato le chiavi di casa in
ufficio..”, ammisi distruggendomi
le dita delle mani.
“Oh.
Beh..questo è un problema..senti, non pensare male, ok?
Però potresti venire da
me, casa mia sta a cinque minuti da qui. Ti fai una doccia e poi appena
il
tempo si sistema ti riporto a casa”, disse tutto talmente
tanto velocemente,
che feci fatica a capire.
A
casa
sua, io a casa sua. Io e lui nello stesso posto al di fuori della
scuola guida.
Il
respiro accelerò immediatamente, e le farfalle librarono
nell’aria felici.
“Se
non è
un disturbo per te, può andare”, biascicai, visto
che la bocca si era asciugata
improvvisamente.
“Ok”.
Nessuno
dei due parlò più.
Forse
l’imbarazzo, oppure si era già pentito di avermi
fatto una tale proposta.
Evitai di
pensare, e lentamente, grazie all’aria calda che usciva dal
cruscotto, mi
appisolai contro il sedile, sopraffatta dal suo profumo.
***
Quarto
capitolo, ma non riesco a ringraziarvi tutte come dovrei.
Ho un po' - finalmente - di lavoro da svolgere.
Oggi saprò - forse - una cosa molto importante, quindi
incrociate l'incrociabile ragaSSe.
Vi mando un grande bacio da una Genova odiosamente piovosa.
:**************
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
I breathe your moments
5.
Il
sogno
che feci, per quanto potesse essere banale, mi riempì il
cuore di gioia.
Era
finto, irreale, eppure era come se tutto quello che sentivo, stesse
succedendo
davvero.
Sentivo
le sua dita che delicate, accarezzavano il mio viso.
Mugolai
di piacere, quando anche le sue labbra raggiunsero la mia guancia.
Era
una
sensazione bellissima, di calore, carica di una tale dolcezza, da farmi
sciogliere.
Sentivo
i
suoi occhi su di me, ma io non riuscivo ad aprire i miei.
Avrei
voluto osservarli, azzurri e splendenti, incorniciati da quel viso
angelico.
“Mirko”,
sussurrai, e avvertii il suo dito fare più pressione sulle
mie labbra.
Volevo
baciare quelle dita, volevo fargli capire che anche io avrei voluto
abbracciarlo,
ma rimasi immobile, con un sorriso stampato sul viso.
“Kate,
Kate..”, mi sentii strattonare per un braccio.
Aprii
lentamente gli occhi, sentendo tutto il peso della giornata su di me.
Se
non mi
fossi svegliata grazie a lui, avrei continuato a sognarlo.
Certo,
però, che dal vivo, era tutta un’altra cosa.
“Siamo
arrivati”, mi disse con un accenno di sorriso sulle labbra
carnose.
“Si..”,
avevo la bocca impastata dal sonno, e le ossa completamente doloranti.
Scese
dalla macchina, e lo osservai fare il giro di essa, davanti a me.
Aprì
la
mia portiera, così mi feci forza e prendendo la borsa, mi
sporsi verso
l’uscita.
“Vieni,
ti aiuto..”, la sua mano si posò sotto al mio
braccio, aiutandomi ad uscire
dall’auto.
Quando
riuscii ad uscire, con una smorfia di dolore, inciampai sulla cintura
di
sicurezza, rischiando quasi di cadere per terra.
Quasi,
perché lui era lì, pronto ad afferrarmi.
Mi
cinse
la vita con entrambe le braccia, sorreggendomi ed abbracciandomi.
Era
caldo, e asciutto.
Affondai
il viso nell’incavo del suo collo, sentendo una fitta al
ventre, per il suo
profumo che come una colata di lava, scendeva dentro di me.
“Grazie”,
sussurrai emozionata.
Forse
la
vicinanza, forse il fatto che ancora non mi aveva lasciata andare,
nonostante i
miei piedi fossero in una posizione corretta, o semplicemente
perché in quel
momento, non c’era la pioggia, non c’erano
problemi, eravamo di nuovo io e lui.
Appoggiai
le mani sul suo petto, aiutandomi per allontanarmi quel tanto per
poterlo
guardare negli occhi.
Erano
di
nuovo blu, quel blu elettrico che avevo visto una volta sola, quando
avevo
detto la parola sbagliata.
Abbassai
lo sguardo, cercando di rimettermi in piedi.
“Quella
cintura fa sempre così, dovrò cambiarla, se non
voglio vittime sulla
coscienza”, sdrammatizzò allontanandosi.
Lo
ringraziai, per avermi ridato l’aria necessaria. Se fosse
stato ancora così
vicino, non avrei risposto delle mie azioni.
“Andiamo”,
richiuse lo sportello, avviandosi verso un portone.
Salimmo
due rampe di scale, fino a trovarci davanti alla porta di casa sua che
aprì
velocemente, facendomi accomodare.
“Siediti
pure dove vuoi, io vado a prenderti qualcosa di asciutto”.
“Si,
grazie”, mi voltai verso la luce che proveniva da una lampada
azzurra, come i
suoi occhi.
Decisi
però di rimanere in piedi, per evitare di bagnargli anche il
divano.
Aveva
un
ingresso molto carino, giusto per due persone.
Aveva
un
divano con l’angolo ed una penisola, la televisione davanti
alla porta di
ingresso, e una lampada per la lettura, che dava proprio su una
poltrona.
“Ehi,
potevi sederti”, non lo sentii nemmeno arrivare.
“Figurati,
ti ho già bagnato la macchina”, arricciai il naso,
facendolo ridere.
“Tieni,
ho preso una mia tuta che..ehm, dovrebbe starti un po’
grande, e in bagno ci
sono già gli asciugamani puliti”, era sereno, non
teso come l’ultima volta che
avevamo parlato. Che avesse davvero dimenticato tutto?
“Grazie,
davvero..non so come sdebitarmi. Mi hai davvero tolta da un
bell’impiccio”,
annuii sorridendo.
Mi
fece
segno di lasciare stare, indicandomi la porta del bagno.
“Vuoi
qualcosa da mangiare? Un the, dimmi tu”, mi
domandò prima di entrare.
“Un
the
va più che bene, grazie”, rimasi per qualche
secondo sulla soglia della porta,
prima di richiuderla e di appoggiarmi contro di essa.
Ero
in
casa sua ormai.
E mi
stavo per fare la doccia nel suo bagno.
Automaticamente,
sentendo l’esigenza da parte del mio corpo, di sentire su di
esso qualcosa di
caldo, mi spogliai, rabbrividendo per l’umidità
che avevo nel corpo.
Lentamente
mi sfilai l’intimo, accorgendomi con piacere che i caloriferi
erano stati
accesi.
Appoggiai
tutto sopra di esso, infilandomi poi nel box doccia.
L’acqua
calda sulla pelle era una sensazione bellissima.
Pensare
di usare i suoi bagnoschiuma, mi emozionava di più che
immaginarmi tra le sue
braccia.
Ma
nonostante tutto, il suo profumo non si poteva trovare da nessuna parte.
Sapeva
di
uomo e di ragazzo al tempo stesso, sapeva di dolce e di forte, di serio
ma
anche di incredibilmente timido e titubante.
Mi
rimisi
l’intimo ormai asciutto, e indossai la sua tuta, che
profumava ancora di lui.
Affondai
il viso nella maglietta, inspirando l’odore di pulito.
Quando
finii di ripulire il bagno, uscii fuori, rabbrividendo per la
differenza di
temperatura.
“Ehi”,
mi
avvicinai al divano, trovandolo seduto intento a guardare un canale
alla tv.
“Ehi”,
si
voltò verso di me, ridendo, “ti sta un
po’ grande”.
“Fa
lo
stesso, è calda, e sicuramente asciutta”, ammisi
sedendomi nel lato più lontano
del divano.
Osservò
la nostra distanza, sbattendo gli occhi.
“Vado
a
finire di preparare il the, arrivo subito”.
“Ti
do
una mano?”, mi ero già alzata, per seguirlo.
“No,
no..tu stai pure qui. Prendi il telecomando e fai come se fossi a casa
tua”, un
sorriso sincero, dal quale pendevo completamente.
Annuii,
guardandolo entrare in una porta accanto a quella del bagno.
Mi
accomodai sul divano morbido, sentendo di nuovo il suo profumo
nell’aria.
Sei a casa sua, è
normale sentirlo
ovunque.
Guardai
la televisione in modo passivo, sul canale del telegiornale, per sapere
fino a
che punto il mal tempo avrebbe bloccato la città.
Non
potevo restare a casa sua per tutta la notte, anche se l’idea
mi creava una
sorta di sensazione strana all’altezza del petto.
Sentii
dei rumori provenire dalla cucina, così decisi di
raggiungerlo per chiedergli
se aveva bisogno di qualcosa.
Mi
alzai
dal divano, ancora un po’ dolorante per l’acqua
presa fino a poco tempo prima.
Quando
raggiunsi la porta nella quale era entrato lui prima, lo vidi
appoggiato al
bancone della cucina, con la schiena rivolta nella mia direzione, le
mani
appoggiate al mobile della cucina, e la testa piegata in avanti.
Stava
male? Aveva bisogno di aiuto?
Lentamente
feci un passo dentro la piccola stanza, evitando di fare rumore, per
non
spaventarlo.
Respirava
lentamente, immobile.
“Ehi
Mirko,
va tutto bene?”, domandai esitante, avvicinandomi al lato
opposto del bancone.
Non
mi
rispose, scosse semplicemente la testa.
Mi
avvicinai ulteriormente, posando una mano sulla sua spalla, che
vibrò al
contatto.
Era
così
bello sentire il suo corpo sotto la mia mano, poter sentire la sua
forza,
attraverso le spalle larghe, e le braccia muscolose.
Non
aveva
un fisico da palestrato, era alto, ma nonostante fosse magro, si poteva
notare
benissimo la sua muscolatura.
“Che
succede?”, domandai titubante.
“Niente,
niente..stavo solo..riflettendo”, sussurrò
chiudendo gli occhi.
No, avrei
voluto dirgli, lasciami beare ancora del loro
colore, della
loro luminosità.
Restai
in
silenzio, con la mano ferma in quella posizione.
Quando
ormai rassegnata, stavo per allontanarmi, lui prese la mia mano,
voltandosi
velocemente.
Mi
ritrovai di nuovo di fronte a lui, esile e piccola, come non mi ero mai
sentita.
La
mia
mano nelle sue, che l’accarezzavano lentamente, facendomi
battere il cuore.
“Stavo
riflettendo, su parecchie cose”, ripeté, come se
dovesse convincere lui stesso,
invece che me.
Alzò
lo
sguardo, incatenando i miei occhi ai suoi.
Erano
di
un azzurro intenso, pieno di piccole sfumature blu.
Da
vicino, erano uno spettacolo unico. Si avvicinò di qualche
millimetro, sempre
attento a non sfiorare il mio corpo.
Portò
la
mia mano all’altezza del suo cuore, premendola sul suo petto.
“Lo
senti?”, mi domandò con voce flebile, fissando le
nostre mani.
“Si..”,
sussurrai, incapace di proferire altro.
“È
questo
l’effetto che mi fai, ogni volta che ti vedo”,
lasciò che le parole uscissero
dalle sue labbra senza freno, con un’espressione rassegnata
sul volto.
Non
sapevo cosa dire, ero rimasta shoccata dalla sua rivelazione.
“Per
favore, dì qualcosa..”, contrasse la mascella,
scuotendo la testa.
“Perché?”,
domanda stupida.
“Perché?
Mi domandi perché?”, alzò la testa,
guardandomi di nuovo.
Lasciò
la
mia mano, che restò nello stesso punto in cui
l’aveva lasciata, per prendere il
mio viso tra le mani.
“Tu,
mi
domandi perché, io non riesco a fare a meno di
te?”, il cuore iniziò a battere
furioso, facendomi persino male.
Volevo
baciarlo, volevo dirgli che era da quando l’avevo visto la
prima volta che io
provavo quelle cose per lui.
Eppure
restai in silenzio, guardandolo negli occhi.
Volevo
parlare, ma era come se il mio corpo fosse immobilizzato da una qualche
forza.
Lentamente,
molto lentamente, si avvicinò al mio viso; potevo sentire il
respiro sulle
labbra, che aprii d’istinto, per poterlo sentire anche dentro
di me.
Con
la
punta del naso, delineò i contorni del mio viso, partendo
dall’orecchio, sino
ad arrivare al mento, con gli occhi chiusi.
Ebbi
un
fremito, quando riprese lo stesso percorso, con le labbra umide.
Il
respiro era diventato corto, e la mia mano strinse la sua maglia, per
dargli un
segno che c’ero e che lo volevo.
“Sei
bellissima”, sussurrò vicino
all’orecchio, baciandolo subito dopo.
Girai
lentamente il viso, ancora imprigionato tra le sue mani, per sfiorare
il suo
naso con il mio.
Chiusi
gli occhi anche io, e fu lì, che capii di essere
completamente morta.
Il
cuore
batteva così forte da non sentirlo nemmeno più.
Sentii
soltanto le sue labbra sulle mie, e le sue mani accarezzarmi le guance.
Un
bacio,
un semplice bacio, casto e delicato. Uno sfiorarsi leggero, che
però ebbe la
forza di un uragano dentro di me.
Portai
le
mani tra i suoi capelli, avvicinandomi al suo corpo, ormai libera da
ogni forza
estranea.
Le
sue
mani scivolarono sui miei fianchi, avvicinandomi a sé, e
stringendomi.
Lentamente,
delineò la forma delle mie labbra, come una tacita richiesta
per poter
approfondire il bacio.
Una
richiesta che non doveva nemmeno fare.
Lo
strinsi a me, come se temessi che da un momento all’altro
potessi risvegliarmi
e scoprire che era soltanto un bellissimo sogno, un altro frutto della
mia
mente.
Le
sue
mani vagarono sulla mia schiena, scoperta dalla maglia, disegnando dei
piccoli
cerchi che mi provocarono brividi in tutto il corpo.
Accarezzai
i suoi capelli scompigliati, setosi e morbidi, e lo sentii mugolare,
facendomi
alzare sulle punte per potermi baciare meglio.
Senza
fiato, e ormai senza più limiti, si staccò per
poter respirare, passando a
baciarmi il collo.
Lo
strinsi più forte, appoggiando la fronte sulla sua spalla.
Scesi
con
le mani sino al suo petto, sentendo sotto le dita i suoi muscoli
delineati, ed
il suo torace alzarsi ed abbassarsi nello stesso modo in cui lo faceva
il mio.
Volevo
togliergli la maglia, per poterlo sentire sotto le mie dita, ma temevo
di osare
troppo.
Ritornò
sulle mie labbra, le sue mani ovunque, le mie, ormai, sotto la sua
maglia.
Potevo
sentire la sua voglia di me, e ne ero certa che anche la mia si poteva
capire.
Con
le
dita accarezzai il suo fianco, facendolo rabbrividire.
“Io..”,
mugolò tra un bacio e l’altro, “Kate,
io..”, mi staccai per poterlo fare
parlare.
“Tu?”,
domandai senza fiato, con una voce che non riconobbi.
“Io
non
posso”, ammise abbassando la testa.
Le
sue
mani non erano più sotto la mia maglietta, sulla mia
schiena, erano tra i suoi
capelli, poi sul suo viso, che stringeva.
Lo
guardai
senza parole, mordendomi il labbro.
“Cosa
significa?”, chiesi, dopo aver riacquistato un po’
di lucidità.
Si
appoggiò di nuovo al mobile, come prime, ed io arretrai di
qualche passo, “cosa
significa?”, ripetei con più voce.
“Che
io
non posso, non posso”, sembrava disperato, aveva ancora la
maglia alzata, e
vedere anche solo un lembo della sua pelle esposto, non riusciva a
darmi la
concentrazione necessaria per affrontare quel tipo di discorso.
“Perché?”.
“Perché,
cavolo..tu, io..no!”, scosse la testa, ed io sentii le
lacrime salire.
“Beh,
certo. Tu, io..tu sei un uomo, io una bambina a confronto,
no?”, ero
arrabbiata, e le lacrime mi stavano offuscando la vista, “tu
hai un’altra, e
non puoi di certo permetterti una come me”, portai le mani
sul petto, sentendomi
vulnerabile, ma soprattutto, presa in giro.
“No!
Cosa
stai dicendo?”, si voltò verso di me, e dalla sua
espressione, capii di essere
in uno stato davvero terribile.
Cercò
di
avvicinarsi, ma mi allontanai immediatamente, facendogli segno di non
toccarmi.
“Non
hai
capito. Sai quanti anni ho io, e sai anche quanti ne hai tu”,
aveva la voce
incrinata dalla rabbia, “e non posso rovinarti la vita. Hai
un futuro”, nel quale non sei
compreso, avrebbe
voluto aggiungere, ma non lo fece. Io, però, glie lo lessi
negli occhi.
“Mi
puoi
riaccompagnare a casa, per cortesia?”, sentivo le lacrime
bagnarmi le guance,
ma non me ne occupai, le lasciai scivolare come segno che tutto
ciò che era
successo era vero, non era stato frutto della mia fantasia.
Mi
aveva
baciata, cos’altro potevo volere? Aveva un’altra,
ed era palese, altrimenti non
avrebbe inventato la stupida scusa dell’età.
Annuì
soltanto, provando ad avvicinarsi di nuovo.
Sgusciai
via, chiudendomi nel bagno.
***
Qinto
capitolo, e di nuovo, a causa di problemi vari, non posso salutarvi
come meritate.
La cosa molto importante era il lavoro, che sto cercando di nuovo.
Ad ogni modo, ringrazio di cuore le stelle che mi seguono, e che anche
se non commentano, so che mi leggono e che mi appoggiano in tutto
quello che il mio neurone malato elabora.
Un abbraccio forte, forte.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
I breathe your moments
Le richieste
– in ginocchio – di perdono sono in fondo al
capitolo.
6.
Dopo
aver
pianto tutte le lacrime che avevo dentro, mi rivestii, con i miei abiti
ormai
asciutti.
Piegai
la
roba che mi aveva prestato, inspirando un’ultima volta il suo
profumo, sapendo
che sarebbe stata l’ultima volta.
Mi
sciacquai il viso, conscia che tanto non sarebbe servito a niente.
Quando
uscii, lo trovai appoggiato al divano, intento a fissare il pavimento.
Si
voltò
verso di me, con lo sguardo addolorato, ma non parlò e non
mi chiese nemmeno
niente; di quello glie ne fui grata.
Lo
seguii
fino alla macchina, indicandogli dove si trovasse casa mia.
Il
tragitto, silenzioso, fu breve, o forse lo sembrò solo a me.
Prima
di
scendere, mi fermò prendendomi la mano, “ti chiedo
scusa, per prima. Non avrei
dovuto avvicinarmi a te, scusami..ti prometto che non
succederà più, e se
vorrai, potremo fare finta che non sia successo niente”, niente? Che non fosse successo niente?
Avrei
voluto urlare, sputargli in faccia che io provavo qualcosa, e che lui
era
soltanto uno stupido, ma non feci niente, mi limitai soltanto ad
ignorarlo,
scendendo dalla macchina.
Quando
entrai
nel mio portone, piansi di nuovo, sentendo un dolore enorme
all’altezza del
petto, nel cuore.
“Stai
scherzando vero?”, ero a casa di Melanie, sarei dovuta andare
a scuola guida
l’ora successiva, ma la forza e il coraggio non volevano
farsi sentire.
“No,
è
successo..”, le avevo raccontato tutto, ed ovviamene non
l’aveva presa bene.
Subito,
mi ero emozionata di nuovo, nel raccontare la parte iniziale, il bacio,
le
carezze, mi misi però a piangere, subito dopo. Mel lo prese
subito come uno
sfogo di felicità, ma quando sentì il resto del
racconto, raggelò, diventando
scusa in volto.
“Ci
devo
parlare? Devo andare lì e spaccargli la faccia?”,
mi chiese seria.
“No,
semplicemente ha un’altra, ed io non posso intralciare il suo
percorso..”.
“Tu?
Ma
se è stato lui a baciarti? Anche lui prova qualcosa,
è palese, dai suoi
comportamenti, dal suo modo di proteggerti da lontano. Cavolo, non
può fare
così però!”, si avvicinò,
abbracciandomi.
“Io
non
so cosa fare. Quel bacio ha acceso qualcosa in me, e non so se
riuscirò a fare
finta di niente..non sono più quella di prima..”,
piansi di nuovo.
“Quello
lo devo davvero picchiare! Magari non è mai stato picchiato
da una donna, vai a
sapere..”, senza di Mel, avrei preso la cosa davvero molto
peggio.
“Vuoi
che
ti accompagno alla scuola guida?”, sentire quel nome mi
provocò un fremito, ma
lo congelai immediatamente.
“Si,
mi
farebbe piacere..tanto dovrebbe arrivare alla fine..”.
Restammo
in silenzio, io con il mio dolore, lei con le sue preoccupazioni.
Per
tutto
il tragitto non aprii bocca, restai ad ascoltare lei mentre mi
raccontava del
week end che aveva fatto con il suo ragazzo.
Ero
felice, almeno per lei.
“Se
salti
un giorno secondo me non succede niente..”, mi disse prima di
avvicinarci alla
porta d’ingresso.
“No,
se
non vengo oggi, lui capirà che l’ho fatto per lui.
Invece voglio che sappia che
sto bene comunque”.
“Questa
non regge..”, disse sarcastica Mel.
“O
per lo
meno deve capire che io sono forte, e non sarà lui a farmi
cadere..”.
“Questa
va meglio, ma aggiungici che hai una faccia da cadavere, e che persino
un cieco
sentirebbe la tua aurea negativa tesoro”.
Presi
un
lungo respiro ed entrai.
“Ciao
tesoro”, le ragazze erano intente a sistemare dei clienti,
quindi non mi
rivolsero più di un fugace sguardo.
Cercai
di
sorridere come meglio potevo, ma non era facile fingere in quella
situazione.
Di
lui
non c’era traccia.
“Dai
su!”, mi strofinò il braccio con la mano,
sorridendomi.
“Se
devi
andare vai pure eh, non ti preoccupare..”.
“Sicura?
Rimando l’impegno eh!”.
“No,
no..ce
la posso fare. Quante persone soffrono per amore? Io non sono la
prima!”,
sorrisi sincera, per farla rilassare.
“Allora
ci sentiamo stasera, e mi raccomando, rifletti bene prima di fare
qualunque
cosa”, mi fece l’occhiolino, sparendo dietro la
porta.
Presi
un
lunghissimo respiro, provando a rilassarmi, poi mi avvicinai al bancone.
“Sembra
una vita che non ci vediamo, invece è passato un
giorno”, mi disse Fiamma,
sorridendomi.
“Che
faccia!”, ecco, Marzia ed
il suo
occhio lungo.
“Non
ho
dormito molto bene stanotte, la pioggia, i tuoni..”,
rabbrividii, e non di
certo per quello.
“Mirko
per favore puoi venire un secondo?”, ora
la strozzo quell’oca. Ora la strozzo.
Pensavo
solo a quello, ad un modo per toglierla di mezzo.
Strinsi
i
denti, evitando di pesare alla sua entrata.
Ma
ovviamente, il mio cervello fece l’esatto opposto. Alzai la
testa nella sua
direzione, sentendolo ridere.
Era
con
una ragazza, forse una delle tante che ocheggiava nelle sue lezioni.
Se
prima
sentivo solo una fitta di gelosia, ormai ero diventata gialla, come
diceva
Marzia.
Sapevo
che mi stavano fissando, ma avevo occhi solo per lui.
Aveva
una
camicia nera attillata, che teneva dentro ai pantaloni di jeans chiari.
Era
uno
spettacolo, ovviamente, con i capelli neri sempre in disordine, e gli
occhi
accesi.
Mi
finsi
disinteressata, ritornando a guardare le ragazze.
Non
mi
aveva nemmeno degnata di uno sguardo.
“Ti
sta
fissando”, Marzia parlo sotto voce, indicandolo con la testa.
“E
quindi?”, le domandai ovvia.
“E
quindi? Voi ci nascondete qualcosa!”, mi disse Fiamma con
sguardo indagatore.
“No,
no!
Figurati, cosa potrebbe essere successo?”.
“Non
lo
sappiamo, ma di certo c’è qualcosa
Kate!”.
“No,
tranquille..semplicemente, è un
bell’uomo”, marcai molto sull’ultima
parola,
“ed è ovvio che gli occhi delle ragazze siano su
di lui”, sbattei le palpebre,
con fare civettuolo. Cosa che le fece sorridere.
“Allora,
cosa succede qui?”, Mirko si avvicinò,
appoggiandosi al bancone, vicino al mio
braccio.
Un
centimetro di più, e lo avrei sfiorato.
“Niente
di nuovo. Kate ci parlava dei suoi numerosi clienti, che ovviamente le
chiedono
il numero!”, Fiamma sorrise soddisfatta, ed io non riuscii a
capire niente.
“Ah,
e
che lavoro fa?”, sono qui, avrei
voluto dirgli.
“Lavora
da un avvocato, fa la segretaria, quindi immagina che persone
è abituata a
vedere”.
“Eh
quindi noi non siamo alla tua altezza”, si voltò
verso di me, fulminandomi con
lo sguardo.
“No,
potrebbe anche andare bene, mi accontento”, sorrisi alle
ragazze, evitando il
suo sguardo.
Restai
in
silenzio, mentre lui se ne andava, ad ascoltare le due donne parlare di
famiglia.
Lo
stavo
allontanando, anzi, non ci eravamo mai nemmeno avvicinati.
Le
lezioni trascorsero nel peggiore dei modi.
I
suoi
occhi erano due calamite, che non riuscivo mai ad evitare.
Ci
guardavamo
anche per minuti interi, durante i quiz, facendomi così
perdere ogni
concentrazione.
Quando
si
inumidiva le labbra, passandoci la punta della lingua, si accendeva il
desiderio di lui, dentro di me, ed era poi difficile farlo spegnere.
Speravo
che nessuno si accorgesse degli scambi misteriosi che ci lanciavamo, ma
ovviamente, mi sbagliavo di nuovo.
Monica
aveva capito qualcosa, soprattutto dal comportamento di Mirko nei miei
confronti.
Infatti,
molto spesso, cercava di allontanarlo, di farmi ingelosire, di
sfiorargli il
braccio in mia presenza.
E lui
non
poteva tirarsi indietro, se non allontanarla con delicatezza.
Il
programma stava per terminare, e il tempo in sua compagnia stava
scadendo.
Era
come
una clessidra, sempre meno tempo.
Ma
d'altronde a lui sembrava non dare fastidio, dopo qualche lezione
passata ad
ossessionarmi con i suoi sguardi, con i suoi movimenti, si era staccato
del
tutto, non parlandomi quasi.
Avevo
anche preso in considerazione il fatto di cambiare orario, ma sarebbe
stata
solo una stupida mossa che gli avrebbe messo su un piatto
d’argento il fatto
che io stessi ancora soffrendo.
Passavano
i giorni, ed io lo ritenevo sempre più bello, il centro del
mio universo, ed
ogni ragazzo non riusciva ad eguagliarlo.
“Quanto
manca alla fine del programma?”, mi chiese Marzia appoggiata
al bancone di
fronte a me.
“Penso
due lezioni, ma non ne sono certa, dovresti chiedere a
Mirko”, fortunatamente
riuscivo a dire il suo nome.
“Dovrebbe
arrivare tra poco, aveva una guida..vedremo, perché almeno
iniziamo a metterci
nell’ottica di prenotare gli esami”.
Rabbrividii,
“di già?”, sorrisi.
“Certo!
Sei venuta qui per un mese intero quasi, vorresti ripetere tutto da
capo?”,
ammiccò.
Certo, “ma
nemmeno morta!”, alzai la
testa, in segno di sfida.
“Sei
vestita
bene oggi”, notò Fiamma guardandomi.
“Beh
ogni
tanto qualche gonna posso pure permettermela”, le sorrisi,
arrossendo.
“Si,
si,
stai proprio bene”, sentii una voce maschile dietro di me, ma
subito non mi
accorsi di chi fosse.
“Oh
un
altro principe azzurro”, sussurrò Marzia.
Mi
voltai, incontrando due occhi enormi verdi che mi fissavano con
dolcezza.
Sorrisi,
sull’orlo delle lacrime, strafelice.
“E
tu
cosa ci fai qui?”, mi sporsi verso di lui, abbracciandolo.
“Tu
piuttosto, io ci lavoravo!”, Luca, mio cugino, dopo secoli
che non lo vedevo.
“Oh,
lo
sai che mi sei mancata? È da quanto eri una nana che non ti
vedevo, ed ora
guarda cosa sei diventata..dovrei uscire con te, per stare attento agli
altri”.
“Scemo,
tu invece sei sempre il solito bonaccione”, gli tirai una
sberletta sulla
spalla.
“Vieni
qui”, mi abbracciò di nuovo, accarezzandomi la
schiena.
“Come
sta
la zia?”, gli domandai sottovoce, per evitare che tutti
sapessero i fatti
nostri.
“Mirko
mi
dici quante lezioni mancano?”, mi voltai di scatto,
interrompendo il discorso
di Luca.
Era
nella
stanza, ed io non lo avevo sentito.
Chissà
da
quanto tempo era che stava lì, a fissarmi.
Il
suo
sguardo era di puro odio, era serio e con la mascella contratta.
I
suoi
occhi, blu scuro, mi scrutavano, perforandomi, per cercare di guardare
Luca.
Lo
fissai
allo stesso modo, voltandomi verso il mio interlocutore.
“Vieni
usciamo, così abbiamo più privacy”,
parlai ad alta voce, prendendo la mano di
mio cugino.
Una volta
fuori, mi sentii più sollevata; ma una parte di me, era
felice della reazione
di Mirko.
***
Quante
lingue conosco? Poche.
Quanti metodi di richiesta di perdono esistono? Tanti.
Quanto posso chiedervi scusa io? Tantissimo.
Davvero, scusate la lunghissima assenza, ma avevo bisogno di staccare
la spina.
Ora la mia vita si è ristabilizzata, e spero che la
scrittura la segua nel più breve tempo possibile.
Questi capitoli che verranno, sono già salvati sul pc, non
arriveranno subito, ma non dopo mesi e mesi e mesi..e mesi. Poco, ma
sicuro!
Non vi farò più scherzi simili!
Ketty is back!
Ah, per i ringraziamenti,
diciamo che ci sono degli angioletti, che hanno ben pensato
di spronare ogni mio neurone.
NeverThink,
Frytty
ed Angyr88
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
I breathe your moments
7.
Parlammo
per tutto il tempo che avevamo, sino all’inizio della
lezione, alla quale
partecipai con qualche minuti di ritardo.
Quando
entrai dentro l’aula calò il silenzio, facendomi
cadere nell’imbarazzo più
totale. Cercai subito una sedia vuota con lo sguardo e, chiusa la porta
alle
mie spalle, gli occhi di tutti i presenti rimasero sulla sottoscritta
che
cercò, il più velocemente possibile, di arrivare
alla sedia vuota.
Mimai
un
“scusa” con le labbra nella direzione di Mirko che,
se possibile, aveva uno
sguardo assolutamente pieno di odio. Mi guardava, ma io cercai di non
fissarlo
per troppo tempo, non era giusto nei suoi confronti e soprattutto nei
miei,
dopo quello che era accaduto.
Non
era
mio, ed io non ero sua.
Questa
era la realtà, e in qualunque modo la si voleva vedere,
purtroppo eravamo
troppo diversi. L’età non era il solo limite che,
secondo me, si era imposto.
Secondo me, lui non aveva proprio intenzione di andare a rischiare una
storia
con una ragazza come me. Avevo studiato una notte intera il mio
comportamento,
per capire che cosa potesse non andargli a genio, ma non ero riuscita a
trovare
nulla.
Seguii
la
lezione con interesse, fingendo che al suo posto ci fosse qualcun
altro, e non
il demone tentatore pronto a saltarmi addosso. Ero arrivata ad
immaginarmi
persino il mio datore di lavoro, un avvocato di ottant’anni.
Ero ridotta
proprio male.
Quando
decretò la fine dell’ora a lui concessa, ci
salutò, restando in piedi con le
braccia incrociate, aspettando che tutti uscissero. Osservai le oche
salutarlo
con fare civettuolo, sorridendo per la loro audacia. Non potevano
sapere che
cosa significasse davvero baciare quelle labbra, sentire quelle mani
sul
proprio corpo. Rabbrividii e di nuovo, il desiderio si accese,
facendomi
bloccare seduta sul posto.
Aspettai
che uscissero tutti, fissando la sedia di fronte alla mia. Cercai in
tutti i
modi di cancellare l’immagine di me e lui, in certe
condizioni, ma non era
affatto facile, soprattutto quando mi accorsi che eravamo rimasti solo
noi due
nell’aula. Il lupo e la pecorella nello stesso posto.
Alzai
lo
sguardo vedendolo sempre in piedi, di fronte alla stanza, che mi
fissava. Gli
occhi blu elettrico.
Mi
alzai
sicura, abbassando un po’ la gonna che nell’alzarmi
era salita, ed iniziai a
fare la solita gincana per uscire dal groviglio di sedie.
“Kate”,
nel silenzio della stanza, mi venne un colpo nel sentirlo parlare.
“Si?”,
mi
voltai non curante, fissandolo la scrivania, fingendo una
tranquillità che non
avevo.
“Niente..”,
abbassò gli occhi, osservando la mia figura, ed io non
riuscii a non arrossire.
“Allora..ciao..”,
mi avvicinai alla porta per poter uscire, agognando l’aria
pulita, senza il suo
profumo; ma lui fu più veloce di me, sorpassandomi, e
chiudendo la porta a chiave,
ritornando poi velocemente verso di me.
Successe
tutto alla velocità della luce, senza nemmeno darmi il tempo
di capire
qualcosa.
Sentii
soltanto
le sue labbra sulle mie, umide e morbide come le ricordavo, ed io non
riuscii a
frenarlo, ancora reduce dal forte desiderio che avevo provato prima.
Presi il
suo viso tra le mani, stringendolo forte, temendo di trovarmi in un
universo
parallelo e di non stare vivendo davvero quella scena.
Lo
sentii
ansimare, sul mio collo, mentre mi sorreggeva per farmi sedere sulla
scrivania.
Afferrai le sue spalle, accarezzandogli i capelli, e baciandolo con
più impeto.
I nostri bacini si avvicinarono, e la mia gonna divenne soltanto una
stupida
cintura ormai inutile.
Le
sue
mani erano ovunque, sulla mia schiena, sul mio ventre ormai in fiamme.
Tra i
miei capelli, accarezzandomi il viso, sfiorandomi le guance con la
punta del
naso, lo potevo sentire fin dentro l’anima.
Le
mie
mani scesero sui bottoni della sua camicia, già slacciata
completamente. Per
tutta la lezione avevo immaginato una scena del genere, e vivendola mi
accorsi
di non avergli dato assolutamente giustizia.
Accarezzai
quel petto che avevo tanto agognato per tutte quelle settimane,
sfiorandone la
superficie muscolosa e la debole peluria sotto all’ombelico.
“Kate,
Kate..Dio, mi fai impazzire”, ansimò, salendo con
le mani sul mio petto.
Cercai
di
nuovo le sue labbra, avvicinandolo a me, completamente. Le mie gambe
gli
circondavano il bacino, arpionandolo al mio corpo, per la paura di
vederlo
scappare di nuovo.
“Oddio..”,
sussurrai, quando sentii la sua mano stringere un mio seno,
“ti prego, dimmi
che non sto sognando..ti prego”, mi ritrovai a pregare Dio,
per darmi una
conferma che quel momento non era frutto della mai fantasia,
bensì,
un’esplosione di passione cercata da tutti e due.
Perché, se quello era il
paradiso, allora non sarei più voluta scendere.
Il
desiderio che avevamo, l’uno dell’altro era
palpabile, ed io morivo dalla
voglia di potermi sentire sua, e di poterlo sentire completamente mio.
Gli
levai
la camicia, restando senza respiro per qualche secondo, davanti alla
visione
del suo petto nudo, delle sue braccia possenti e dei suoi addominali.
Vi
passai
una mano sopra, accarezzando ogni centimetro di pelle. Il suo sguardo
era
infuocato, e sapevo di averlo puntato addosso. Mi studiava, come io
stavo
studiando lui. “Sei bellissimo Mirko”, sussurrai
posando il palmo della mano
all’altezza del suo cuore, che stava battendo impazzito.
Sbottonò
anche i bottoni della mai camicia, baciandomi il collo, e scendendo
fino alla
spalla, appena scoperta.
“Eri
geloso?”, gli domandai trovando il respiro, continuando ad
accarezzargli il
petto.
“Sono geloso, è
diverso”, le sue labbra
erano ovunque, e le sue mani di nuovo sulla mia schiena, ad
accarezzarmi e a
stringermi contro di lui.
“Se
continuo, non potrò fermarmi Kate”, il suo respiro
era veloce, e con il bacino,
spingeva verso il mio, in una tacita richiesta esplicita.
“Non
ti
fermare..”, lo pregai baciandogli il collo.
“Non
qui,
però..”, mugolò socchiudendo gli occhi,
“non adesso..”, mi disse, facendomi
scivolare completamente contro il suo petto, tenendomi tra le sue
braccia.
“Mi
dispiace”, sussurrò tra i miei capelli,
“mi dispiace per tutto..”, mormorò
accanto
al mio orecchio, baciandolo subito dopo.
“Non
importa..”, chiusi gli occhi, riempiendomi i polmoni del suo
profumo.
“No,
invece importa a me. Ho fatto il deficiente. Volevo scappare da te, ed
invece
ho soltanto peggiorato le cose”.
“Tu
non
devi scusarti. In fondo, hai fatto quello che tutti avrebbero
fatto..hai una
donna a cui pensare”, mi rattristii, immaginandolo tra le
braccia di un’altra.
“Cosa?
Ma
la finisci di dire che ho un’altra donna?”, mi
ammonì, accarezzandomi la
guancia.
I
suoi
occhi erano ancora blu, ma di un blu più intenso, con
sfumature azzurre.
“Lo
hai
detto tu, a Monica l’altro giorno”, feci una
smorfia nominandola.
“Ah,
ecco..credi proprio a tutto quello che dico?”, sorrise,
“Secondo te, come
potevo fare, per levarmela di mezzo con rispetto?”.
“Non
capisco..”, sbattei le palpebre, guardandolo.
“Ce
l’avevo sempre attaccata. Non riuscivo nemmeno a
respirare..alla fine le ho
detto che dovevo vedermi con una donna, e che avevo bisogno di un
consiglio.
Per questo lei mi ha fatto tutte quelle domande”,
sospirò, baciandomi il mento,
“e temo che avesse già capito che provavo qualcosa
per te, visto che lo ha
detto soltanto in tua presenza. Mi dispiace..”.
E temo
che avesse già capito che provavo
qualcosa per te.
“Tu
provi
qualcosa per me?”, domandai incredula, fissandolo negli
occhi, “tu davvero
provi qualcosa per me?”, ripetei come una scema.
“Per
la
posizione in cui siamo, e per il modo in cui ti guardo ogni volta,
direi
proprio di si..”, sorrise ammiccando, “mi piaci da
quando ti ho vista la prima
volta Kate, e sono stato uno sciocco a pensare di poter fingere che tu
non
esistessi. Non ho mai creduto nei colpi di fulmine, ma mai dire mai
nella vita.
No?”.
Mi
baciò
in un modo così profondo, che se non ci fosse stata la
scrivania, sarei caduta
per terra.
“E
non
importa la mia stupida età?”, domandai titubante,
conscia che avrei potuto
rovinare quella bellissima intimità.
“Si
che
importa”, si passò una mano tra i capelli neri,
scrollando la testa, “ma ho
anche capito che è inutile restare fermi ed aspettare che tu
te ne vada”, mi
fissò negli occhi, intensamente,
“perché non saprei proprio come farti andare
via”.
Il
tempo
si fermò in quell’istante, facendomi sentire il
battito del mio cuore, che era
aumentato paurosamente.
“Solo
che..vedi, io sono un tipo particolarmente geloso”,
schioccò la lingua.
Lentamente
fece scivolare un dito ad accarezzare il mio seno, coperto solo
dall’intimo,
facendomi rabbrividire.
“E
non
sopporto che altri tocchino le mie cose”, scandì
lentamente le parole, e le
farfalle nel mio stomaco, volarono felici.
Sorrisi,
abbassando lo sguardo.
“Ma
io
non sono tua, almeno, non mi sembra”, sbattei gli occhi,
alzando le spalle.
Mi
fece
scivolare contro il suo bacino, stringendomi per i fianchi.
“Mmmh,
tu
dici? Beh, allora, da adesso, sei ufficialmente mia”, ammise
serio, sfiorandomi
le labbra.
“Ho
aspettato questo momento, da quella sera a casa tua..”,
sentii gli occhi
inumidirsi.
“Mi
sentivo una merda, era come se stessi approfittando di te, capisci? Non
potevo,
credevo ancora di essere in tempo, per evitare qualcosa che ormai era
già
successa..”.
“Mi
hai
fatta stare male”, mugolai strofinando il naso contro il suo
collo.
“Io
ho
trent’anni Kate, mi spieghi come potrei non farti
soffrire?”.
“Quindi,
ora, mi stai di nuovo dicendo che non possiamo?”, ero
più confusa di prima,
riusciva a farmi andare in paradiso con una semplice parola, e a
riportarmi
nell’inferno con un’altra, “non riesco a
capire”.
“No,
dico
semplicemente che non dovremo, ma che purtroppo per te, io
voglio..”.
“Anche
io”, ammisi subito, senza esitare.
Mi
abbracciò, cullandomi tra le sue forti braccia.
“Tu
hai
delle esigenze diverse dalle mie Kate, lo sai vero? Lo sai che non
andrà tutto
bene, e che soprattutto, farò degli errori..”, la
sua voce dispiaciuta, non mi
piaceva per niente.
“Anche
io
li farò, ma diamoci una possibilità..”,
sussurrai tremolante.
“Non
dovevi nemmeno dirlo..”.
Restammo
abbracciati per un po’, sussurrandoci parole dolci ed io
provai, con tutte le
mie forze, a memorizzare nella mente quel bellissimo momento,
stringendolo
forte.
“Non
mi
sembra vero..sei bellissimo”, lo guardai adorante,
stringendolo.
“Chi
era
il ragazzo di prima?”, domandò a bruciapelo,
prendendo una ciocca dei miei
capelli tra le dita.
Mi
scappo
un sorriso, che per fortuna non riuscì a vedere.
“Mio
cugino”, ammisi fiera.
“Ah”,
scoppiai a ridere, facendolo scostare, “tuo
cugino?”, domandò con sorpresa.
“Si,
esatto. Lavora in questo settore da parecchi anni ormai. Non lo vedevo
da un
bel po’ di tempo..”, lo guardai, trovandolo
dubbioso, “eri davvero geloso di
lui?”.
“Certo.
Tu vieni qui, vestita in questo modo, e pretendi pure che io non sia
geloso?
Hai idea di quanti occhi avevi addosso oggi?”, era serio, e
la cosa mi
divertiva e mi lusingava allo stesso tempo.
“Suvvia,
per una gonna”, socchiusi gli occhi.
Rimase
a
guardarmi, accarezzandomi le cosce con entrambe le mani, spezzandomi il
respiro.
“Questa
gonna, mi ha fatto morire per tutta la lezione. Era una distrazione
continua”,
schioccò di nuovo la lingua, una cosa che doveva essere
dichiarata illegale,
“sono rimasto fermo ed immobile nella mia postazione, dietro
alla scrivania,
per evitare di avvicinarmi troppo alla tua sedia. Molte volte ho
rischiato di
dire parole diverse da, diciamo..quelle che avrei dovuto
dire”, si bagnò le
labbra passandoci sopra la lingua, ed io lo osservai incantata.
“Mi
dispiace”,
boccheggiai, “vorrà dire che le metterò
più spesso..se è questo l’effetto che
fanno sugli uomini”.
“Quando
sarai con me, certo..”, aumentò la stretta intorno
alle mie gambe, “ma se sei
da sola, non penso proprio”, scese sul mio collo, baciandolo
con lentezza e
lasciando tracce di lava nel suo cammino.
“Dovresti
essere dichiarato illegale”, ansimai quasi, quando
arrivò a sfiorare il lembo
di pelle dietro all’orecchio, facendomi scivolare con la
schiena sulla
scrivania.
“Ti
piace
trasgredire alle regole? Perché altrimenti come posso
vederti, se sono
illegale?”, domandò con voce rauca, facendomi
chiudere gli occhi per i brividi
che mi stava causando.
“Si..”,
riprese il suo cammino fino alla spalla, scoprendola quel tanto che
bastava per
farmi morire sul colpo.
Ritornò
velocemente sulle mie labbra, baciandole con ardore ed abbracciandomi.
“Dovrei
andare a casa..”, sussurrai, quando finalmente riuscii a
ritrovare un briciolo
di lucidità.
“Si”,
si
schiarì la voce, “hai ragione, ti
accompagno..”, mi baciò la fronte, aiutandomi
a scendere.
Riabbottonai
i suoi bottoni, mentre lui lo faceva con i miei.
“Sei
davvero bellissima”, con un dito alzò il mio
mento, sino a raggiungere le mie
labbra.
“Grazie..”,
accarezzai la sua guancia, sistemandomi la gonna.
Uscimmo
dalla scuola guida, ormai alle dieci di sera, con il sorriso stampato
sulle
labbra e le nostre mani intrecciate.
“Chissà
cosa diranno le tue amiche, quando domani ci vedranno
insieme..”, in macchina,
con la musica soffusa, mi voltai verso di lui, rimanendo stupita.
“Hai
intenzione di dirglielo?”, gli chiesi.
“Perché,
tu no?”, nella sua voce c’era un velo di paura.
“Si..però..insomma..credevo”,
sospirai, “pensavo che non volessi dire a nessuno di
questa..storia?”, finii
con una domanda, non sapendo nemmeno io come definire la situazione.
Sorrise,
scrollando la testa. Appoggiò una mano sulla mia gamba,
richiedendo la mia, che
strinse subito.
“Kate,
tu
sei importante. Ok?”, nel guidare cercava di guardarmi,
voltandosi velocemente,
“se tu fossi una ragazza che vorrei solo per hobby, non sarei
così. Non mi
metterei in gioco in questo modo.
Quello
che facciamo è sbagliato”, sussultai,
“ma non mi importa. Nel momento in cui ho
capito che tu eri presa quanto me, non ho più capito niente.
Per me c’eri tu, e
basta. Il resto del mondo poteva andare a farsi fottere. Quindi
sì, ho
intenzione di urlare a tutti quando sono felice dopo tanto tempo..e
oltre
tutto, non sono certo di riuscire a resistere, nel tenerti lontana
quando
invece ti ho a pochi passi..”, basita, ecco come mi aveva
lasciata. Senza
parole.
Abbassai
la testa, sentendomi colpevole per aver anche solo pensato che lui
volesse
tenere tutto tacito.
Ma
d’altronde, come aveva già detto, la mia
maturità era diversa dalla sua.
“Domani
a
che ora vai a scuola guida?”, mi domandò curioso.
“Solito,
un’ora prima credo..perché?”.
“Così
ti
raggiungo”, il suo sorriso ovvio, mi riempì il
cuore di gioia.
Chiusi
gli occhi, immergendomi nella musica, continuando a disegnare cerchi
immaginari
sul suo della sua mano, ancora appoggiata sulle mie gambe.
“Ehi,
bella addormentata, siamo arrivati”, sussurrò
vicino al mio orecchio.
Aprii
lentamente gli occhi, trovandolo vicino alle mie labbra. Mi avvicinai
giusto
qualche millimetro, per poterlo baciare, “mi sono
addormentata, scusa..”.
“Non
ti
preoccupare, sei stanca”, mi guardò amorevole,
scendendo dall’auto e venendo ad
aprirmi la portiera.
“Che
galante”, sorrisi, guardandolo e facendo un inchino.
“Buonanotte”,
sussurrò sulle mie labbra, baciandole di nuovo,
“mia damigella”.
“Buonanotte
anche a lei, mio prode cavaliere”, gli diedi un ultimo bacio,
prima di scendere
dalla macchina e di entrare nel mio portone.
Quella
notte lo sognai, e non fu un incubo come ormai succedeva sempre,
bensì il
migliore dei sogni.
Il
giorno
dopo, quando ritornai alla scuola guida, esausta per la giornata di
lavoro, non
immaginavo di certo di trovarlo già dentro, a chiacchierare
con Marzia.
Avevo
ripensato per tutta la giornata a quello che era successo, camminando
sulle
nuvole, e ritrovandomi spesso a fantasticare su un futuro che avrei
fatto bene
a tenere lontano, per il momento.
Appena
varcata la soglia, Marzia mi lanciò uno sguardo a dir poco
omicida, mentre
Fiamma rideva sotto i baffi, scrollando la testa.
Mi
avvicinai al bancone, cercando di non distrarli. Era bello vederlo
così
concentrato, con le solite smorfie che faceva con le labbra, quando
qualcosa
non gli andava bene.
“Oh,
buongiorno”, mi salutò Marzia, “felice
di rivederti”, mi fulminò di nuovo con
lo sguardo, mentre Mirko si accingeva verso di me, per abbracciarmi.
Forse,
dal mio sguardo, capì che non era il momento.
Non
che
io fossi imbarazzata, o che non volessi che gli altri sapessero tutto,
ma era
presto, e non volevo che la sua reputazione calasse drasticamente.
Già
immaginavo i commenti vari di tutte le persone che godevano nel vedere
soffrire
gli altri, “Mirko se la fa con una ragazzina”, o
peggio “Guarda, non si
vergognano nemmeno un po’?”.
Abbassai
lo sguardo, torturandomi le mani. Non dovevo farli certi pensieri, ma
ero la
campionessa di pippe mentali, come mi ripeteva sempre Melanie.
“Ehi,
tutto bene?”, mi domandò, sfiorandomi la mano che
stavo distruggendo.
Non
mi
voltai, restando con lo sguardo basso, e le mani intrecciate per
l’ansia.
“Insomma..”,
sussurrai, alzando gli occhi sulle due donne.
Monica
ci
stava osservando curiosa, con gli occhi scintillanti di chi la sa
lunga.
L’avrei uccisa, ma ormai sono ripetitiva.
“Allora
Mirko, con quella donna poi?”.
“Uh,
che
palle”, lo dissi talmente a bassa voce, che mi meravigliai
per il fatto che Mirko
avesse sentito.
Subito
mi
tappai la bocca con due dita, sapendo di aver detto la solita cavolata.
Lo
guardai si sfuggita, temendo un suo sguardo di rimprovero che
però non trovai.
Sorrise,
voltandosi verso l’oca, vibrando per la risata che cercava di
mantenere bassa.
“Molto
bene, pensa, sono anche riuscito a conquistarla..”, ammise
alzando la testa.
“Ah
si?
Allora i miei consigli hanno funzionato?”, domandò
lei.
“No,
diciamo che ho usato le mie doti nascoste..”, potei giurare
che gli aveva fatto
un occhiolino, avrei potuto uccidere pure lui.
“Allora
presto ce la presenterai, ad uno dei nostri raduni?”,
domandò Fiamma
guardandomi. Se ci fosse stata una buca, mi ci sarei sotterrata dentro.
Sentivo
le orecchie fischiare, come minimo, erano viola.
Tutte
gli
reggevano il gioco, strano che l’oca astuta non si accorgesse
della presa in
giro.
Io
appoggiai i gomiti sul bancone, fingendomi annoiata.
“E
come
sarebbe questa donna, che ti ha rubato il cuore”, mi voltai
verso Marzia, per
fulminarla.
Se si
fossero messi tutti insieme, mi avrebbero sotterrata loro direttamente
dalla
vergogna.
Ero
una
persona molto timida, e riservata e tutto quel giochetto mi stava
mandando in
iperventilazione.
“E’
bellissima, di questo ne sono certo”, sentivo i suoi occhi
penetrarmi dentro,
fino nell’anima.
Smisi
di
respirare per qualche secondo, prima di concedermi il lusso di
guardarlo.
“Bene,
sono felice per te!”, disse una sorridente Monica,
“spero che sia alla tua
altezza, vero Fiamma? Non è bellissimo il nostro
Mirko?”, probabilmente lo
disse con tono scherzoso, perché anche Fiamma
scoppiò a ridere, ma a me diede
un fastidio enorme, tanto da guardarla con astio puro.
Ritornò
a
guardare le sue scartoffie sulla scrivania, reggendo il mio sguardo per
poco.
“Voi
siete come due figli per noi, dovreste vergognarvi..”,
sussurrò Marzia,
fissando prima me, poi Mirko.
Non
capii
immediatamente a cosa si riferisse Marzia, ma dal sorriso di Fiamma e
di Mirko,
immaginai di non dovermi preoccupare.
“Dovevate
dirci tutto subito”, sbatté la penna sul tavolo,
imbronciandosi.
“Pensavo
fosse palese”, ammise lui, questa volta abbracciandomi.
Si
erano
parlati, ovviamente, le cose iniziavano ad essere più chiare.
Mi
sentii
più sicura, con il suo braccio intorno alle spalle, come se
con lui, non
potesse succedermi niente di male.
“Mirko
vieni un attimo?”, un ragazzo lo chiamò, davanti a
dei quiz.
“Arrivo..”,
mi strinse più forte per un attimo, prima di allontanarsi
per raggiungerlo.
Lo
guardai allontanarsi, ed io ne approfittai per fare chiarezza nei miei
dubbi.
“Scusate,
cosa vi ha detto?”, chiesi con nonchalance.
“Il
giusto”, Fiamma appoggiò una mano sul bancone,
fronteggiandomi, “che avresti
dovuto dirci tu”, sorrise.
“Beh,
mah..”.
“Beh,
mah, niente signorina!”.
“Ecco,
appunto..”, abbassai lo sguardo.
“Che
c’è?”, mi domandò Fiamma.
“Sono
troppo piccola, voglio dire, non è una cosa normale..prima o
poi si stuferà..”,
lasciai uscire le mie paure più profonde che non mi
permettevano di lasciarmi
andare totalmente, “guardate lui, e guardate me. Non sono
soltanto le carte di
identità a parlare..”.
“Cosa
dici? Stai scherzando? Lo vedi come ti guarda, come ti
segue?”.
Le
osservai dubbiosa, passando una mano sulla fronte.
“Si,
ok..sono la novità, ben presto avrà bisogno di
cose che io non posso dargli. Mi
ha detto che la differenza di età non conta, ma secondo me,
sta solo provando a
convincersene pure lui”.
Mai
dette
parole più sagge.
Ci
avevo
pensato per tutto il pomeriggio, rovinandomi la giornata.
Come
poteva un uomo di trent’anni, trovarsi bene con una ragazza
di quasi ventuno,
era ridicola la questione.
E
anche
se io ormai ero cotta a puntino, lui ben presto avrebbe ricercato delle
qualità, che io non ero ancora pronta per dargli. Non che
non volessi, ma la
mia età non mi permetteva, insieme alla maturità,
di dargli tutto il mio
appoggio.
“Cosa
mi
sono perso?”, ritornò vicino a me, guardandoci.
Capì
subito che qualcosa non andava, sia dal mio sguardo, che da quello
delle due
donne dietro al bancone.
“Niente.
Devo fare una chiamata, scusatemi”, mi allontanai, uscendo
dalla scuola guida.
Sentii i
suoi passi dietro ai miei, e la porta aprirsi subito dopo.
***
Buongiorno
a tutte voi che leggete e commentate, questa mattina è
mattinata di contabilità, quindi vi lascio un grande
abbraccio e scappo.
Alla prossima :**
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
I breathe your moments
un
piccolo pensierino..
8.
Mi
fermai
per respirare, cercando di mantenere la calma e di non piangere.
Tutto
inutile, ormai era ovvio che non sarebbe potuto succedere nulla se non
una bellissima
notte.
Melanie
non poteva avere ragione, non poteva succedere come nelle favole,
purtroppo la
realtà era davvero troppo diversa.
“Che
succede?”, mi domandò mettendosi di fronte a me.
“C’è
che
sono confusa. C’è che ho paura che un giorno, tu
arrivi e mi dici “ehi bella,
ciao io ho trovato una donna matura che mi darà quello che
cerco””.
Le
lacrime scendevano silenziose, lasciandomi le labbra umide e le guancie
rigate.
“No,
non
puoi pensarlo davvero”, si passò una mano tra i
capelli, “cioè, ti ho già detto
che non succederà. Non capisco perché continui ad
insistere..”.
“Perché
guarda, guarda me, e guarda te. A parte l’aspetto, io non ho
altro da
darti..sono una ragazzina”.
Scoppiai
completamente, abbracciandomi la vita e sperando di sprofondare davvero
in un
abisso fatto di silenzio.
“Stai
scherzando? Pensi che io mi stia innamorando soltanto del tuo
fisico?”, la voce
aspra, arrabbiata.
Rimasi
spiazzata dalla parola che usò, per definire quello che
provava.
Io
non lo
avevo mai detto ad alta voce, avevo sempre tappato il tutto con una
semplice
cotta. Eppure lui aveva avuto più coraggio di me. Ovviamente.
“Io
non
lo so. So solo che tu sei un uomo, ed io non potrò darti
quello che cerchi..”.
“Tu
pensi
che io affretterei i tempi, solo perché sono più
grande? Che non avrei
pazienza, per aspettare te, invece, che voglio vicina?”, si
era distaccato,
guardandomi severo.
“Anche
ora, vedi? Io mi comporto da ragazzina, e non l’ho mai
fatto..non voglio che il
mio comportamento, ti allontani..”, le lacrime presero a
scendere più forti,
costringendomi a coprirmi il viso per mantenere un minimo di
reputazione.
“Forse
sei tu, che temi che io non ti dia quello che cerchi tu,
è diverso. Io sono più grande, è vero,
ma ci sono coppie con
molti più anni di differenza, e nove anni non sono tanti, se
c’è sentimento.
Quindi non venire a dare la colpa a me, perché prima di
questa tua bellissima
dichiarazione, ero l’uomo più felice del
mondo”.
Rientrò
nella scuola, lasciandomi li da sola.
Da
sola,
in mezzo ad una piazza deserta, con le mani davanti al viso e i
singhiozzi
chiari e forti. Mai stata tanto male, per un ragazzo..mai.
Ma
non
passò molto tempo. Uscì di nuovo, rimettendosi di
fronte a me, ed
abbracciandomi, nonostante le mie mani fossero davanti al mio viso.
“Mi
dispiace”, dissi tra i singhiozzi.
La
paura
che lui potesse scappare, mi aveva fatto perdere la testa,
riempiendomela di
brutte immagini.
Ero
davvero una ragazzina, ma non mi ero mai comportata in quel modo,
nemmeno per
le cotte più futili. E sicuramente, prima o poi si sarebbe
stufato delle mie
scenate.
“Non
arriverà un’altra donna, non arriverà.
Ed anche se dovesse arrivare, io non le
permetterò di mettersi in mezzo a noi.
Non
ti
posso promettere che tutto andrà bene, ma ora come ora, io
voglio stare con te.
Sono io che mi devo preoccupare, non tu. Sono io che passerò
per il maniaco,
non tu..quindi, per favore, smettila di dire queste stupidaggini.
Guardami
negli occhi per favore”.
Alzai
lo
sguardo, incontrando il suo, ancora serio.
“Li
vedi
i miei occhi?”, mi domandò con un tono
più calmo e morbido.
Li
guardai più intensamente, perdendomi il
quell’azzurro infinito. Annuii
soltanto, reprimendo un singhiozzo.
“Guardali
attentamente..non sono mai stati così accesi, e sei tu, che
li rendi così. Sei
tu che mi rendi felice. Tu, con la tua stupida convinzione di essere
piccola,
ed invece sei una donna bellissima e piena di carattere. Tu che
continui a
guardarmi con quegli occhi ingenui e non sai davvero, cosa potrei
farti..tu,
che invece di trovare in me, dei lati negativi, continui a darti colpe
inesistenti. Voglio che tu capisca che ci sei tu qui”, prese
la mia mano,
appoggiandola sopra al suo petto, all’altezza del suo cuore,
“e nessun’altra,
ok?”.
Posò
una
mano sulla mia guancia, asciugandola dalle lacrime, accarezzandola con
delicatezza.
“Oh
Mirko”, mi buttai completamente tra le sue braccia,
stringendo forte la sua
maglia, e provando a strappare dalla mia mente le più
terribili immagini.
Restai
abbracciata a lui, finché i singhiozzi non scemarono,
calmandomi e ritrovando
la lucidità necessaria per capire che aveva ragione, che
dovevo smetterla di
farmi mille problemi, e di vivere serena la nostra storia.
Era
nata
da tanto poco, che non potevo permettere finisse immediatamente per dei
miei
capricci.
“Mi
dispiace”, sussurrai, appoggiando una mano sul suo petto,
“mi dispiace davvero
per tutte le sciocchezze che ho detto prima. Non dubito affatto dei
tuoi
sentimenti, anzi..scusami, davvero”, alzai lo sguardo
incontrando il suo,
comprensivo e pieno di affetto.
“Non
importa, ma mi devi promettere che non farai mai più certi
pensieri..”, mi
diede un bacio a fior di labbra, chiudendo gli occhi, “non ti
fa bene, e non fa
bene nemmeno noi..”.
Potevo
prometterglielo? Volevo.
“Si,
va
bene..te lo prometto”.
“Ora
entriamo, che inizia la lezione”, mi prese per mano,
facendomi entrare per
prima, tenendomi la porta.
Nessuno
disse nulla, si limitarono a continuare il loro lavoro, mentre Mirko mi
scortava fino al bagno.
“Grazie..”,
sussurrai ancora scossa dalla crisi di nervi avuta poco prima.
Mi
accarezzò il viso, lasciandomi entrare nel bagno, abbassando
lo sguardo poco
prima che chiudessi la porta. Mi sciacquai il viso, conscia che tanto
avrei
portato i segni di quel pianto per almeno due ore.
Avevo
gli
occhi arrossati, e le guancie, insieme al naso, completamente rossi.
Scrollai
la testa, vergognandomi della magra figura che avevo fatto io, e che
avevo
fatto fare a lui. Quando ne uscii lui era già nella sua
postazione, pronto per
iniziare la spiegazione.
Era
una
delle ultime, ormai, poi ci sarebbero stati solo quiz, per chi voleva
venire
ugualmente.
Mi
sedetti in un posto appartato, contro al muro, seguendo con attenzione.
Sapeva
che non ero lì con la testa in quel momento, infatti mi
lasciò nel mio
cantuccio, tranquilla.
Lasciò
uscire tutte le persone che erano dentro, poi si mise a sistemare i
fogli,
lanciandomi qualche sguardo apprensivo. Io mi preparai per uscire,
avvicinandomi
lentamente alla cattedra, sempre con la testa bassa.
“Va
meglio?”, mi domandò con voce calda.
“Si,
va
meglio..ti chiedo ancora scusa, per aver dubitato di te..non avrei
dovuto”,
scossi la testa, stringendo la borsa contro il petto.
“Devi
avere più fiducia in noi, come ne ho io..se già
ora abbiamo questi problemi,
figurati in futuro..”.
Futuro,
lui parlava di futuro. Io rischiavo di rovinare il presente, e lui
parlava già
di futuro. Era perfetto, ed io lo stavo allontanando senza nemmeno
rendermene
conto.
“Però”,
lasciò cadere le carte sul tavolo, girando la cattedra e
posizionandosi davanti
a me, “se tu non vuoi, se pensi che sia davvero troppo grande
per te, me lo
devi dire ora. Io mi farò da parte, come è giusto
che sia, ok? Me lo devi dire
ora però, non puoi lasciare che io mi avvicini sempre di
più a te..non puoi..”,
appoggiò la fronte contro la mia, cingendomi i fianchi.
“No,
io..non lo so..ci devo pensare..non so più
niente..”, rischiai di scoppiare di
nuovo in lacrime, “non sono nelle condizioni per poter fare
un discorso logico
Mirko, scusami..”.
Ero
confusa, lui era grande, ma io sentivo di volerlo, eppure
c’era qualcosa che mi
frenava, qualcosa che non mi faceva essere completamente me stessa.
Sospirò,
spostandosi, e facendomi alzare il viso verso di lui.
“Prenditi
tutto il tempo che vuoi”, non erano parole belle da sentirsi
dire, non lo erano
affatto.
Il
suo viso
con un’ombra di dolore, restò comunque solare,
tranquillo. I suoi occhi non
smisero di luccicare, nella luce della stanza, e le sue labbra, erano
sempre
lì, pronte per me.
“Mi
dispiace”, gli dissi con le lacrime piene di dolore.
“Non
ti
preoccupare, io saprò cavarmela. Voglio soltanto che tu sia
felice, solo
questo. Fai ciò che ritieni più giusto per te
stessa, non pensare a me, o a
nessun’altro. Solo a te”.
Mi
allontanai, per evitare di recare altro dolore a tutti e due,
“ricordati che io
sono qui”, mi disse soltanto, prima di varcare la soglia
della porta della
stanza.
Mi
coprii
meglio con la giacca, visto il vento, poi presi a camminare senza
sapere dove
andare.
Il
giorno
dopo, presi la decisione di non andare più a scuola guida,
avrei studiato da sola,
a casa. Poi, avrei fatto attenzione ad andare dalle ragazze, quando
sapevo che
Mirko non ci sarebbe stato. Non volevo vederlo, non potevo nemmeno
permettermi
di chiamarlo. Stupida.
Ricordavo
ancora quando sotto mano, Fiamma mi aveva dato il suo numero, mai
utilizzato
peraltro. Alla fine, era stato lui stesso a ridarmelo, ed io facendo
finta di
niente, lo ringraziai anche. Sorrisi automaticamente, ricordando il suo
imbarazzo nel fare un gesto così semplice.
Ritornai
alla realtà, sentendomi una schifosa ragazzina. Gli avevo
chiesto del tempo,
senza nemmeno dirlo ad alta voce. Lui, maturo, lo aveva capito, e mi
aveva
lasciata andare senza costringermi a fare niente. Ancora una volta la
nostra
maturità, mostrava le sue differenze.
Era
stato
un uomo d’onore, e per questo lo ammiravo molto. Mi mancava
come l’aria,
pensavo a lui in ogni istante, e di certo non era un bene.
Non
sapevo come stava, non sapevo se era tranquillo, oppure se come me,
stava
soffrendo, e questo non sapere, mi logorava l’anima.
Passavo
le
giornate a pensarlo, ad immaginare cosa stesse facendo, e ogni volta
finivo con
il piangere. Non potevo continuare in quel modo.
Erano
passate due settimane, nelle quali mi ero dedicata allo studio, ed al
lavoro. Uscivo
con gli amici, cosa che non facevo da parecchio tempo, e soprattutto,
avevo
ripreso la mia vita, evitando di tornare a casa ad orari impossibili a
causa
della scuola guida.
Melanie
era sempre presente, come lo era sempre stata, ed io, ero riuscita a
ritornare
anche il suo punto di riferimento. Ero stata per troppo tempo chiusa
nel mio
guscio, era il momento di ritirare fuori la vecchia Kate.
“Non
lo
hai più sentito?”, mi aveva chiesto una sera,
mentre camminavamo per il centro.
“No,
ma
spesso penso a cosa stia facendo, a cosa sta pensando..”,
fissai il vuoto,
ricordando il suo sorriso, “insomma, cose del
genere”.
“Perché
non lo chiami?”.
“Perché
non saprei cosa dirgli. È inutile che lo chiamo, se poi sono
di nuovo nello
stesso stato. Ora devo capire perché, mi sono tirata
indietro..mi sembrava che
anche io, fossi presa..”, abbassai lo sguardo colpevole.
“Ti
frena
l’età?”, mi domandò seria.
“No,
o
almeno non credo. Sono stata la prima a prendermi una cotta per
lui..non penso
che sia per quello..”.
“Tu
hai
paura dei pensieri della gente..”, ammise annuendo.
Non
era
una domanda.
“Non
è
vero..”, e sicuramente la mia risposta, le aveva dato le
conferme che cercava.
“Si
che è
vero, perché altrimenti ora non saresti qui a parlare di
lui. Saresti con lui..”.
“Lui
ha
bisogno di una donna, non di una bambina”.
“Ma
non
sono vent’anni di differenza i vostri, cavolo. Sono solo
nove..”, la stavo
facendo esasperare.
“Si,
appunto..”.
“Tu
vuoi
un ragazzo più giovane? Magari i cretini della nostra
età?”.
Anche
il
suo ragazzo era più grande, ma aveva solo quattro anni in
più di lei.
“Mirko
è
un ragazzo, non un uomo. Si comporta come tale, non sembra un vecchio.
Potrebbe
pure uscire con noi, perché non dimostra affatto la sua
età. È bello, anzi
no..bellissimo! E tu te lo stai facendo scappare..è cotto di
te. Ed inoltre, tu
sei molto più matura della tua età,
perciò non vedo tutti questi problemi..”.
Erano
tutte cose vere, ma ancora io non riuscivo a sbloccarmi.
“Penso
di
aver bisogno di altro tempo..”.
“Come
vuoi..vedi di fare in fretta però, che per quanto lui sia
innamorato di te, non
resterà in attesa per tutta la vita..”.
Mi
fermai
qualche secondo, per assimilare le ultime parole di Melanie. Aveva
ragione, non
potevo tenerlo sul filo del rasoio per tutta la vita. Aveva diritto di
sapere
che cosa pensassi io, e sicuramente, aveva bisogno di una
verità.
Stavo
correndo per arrivare a scuola guida. Ero uscita un’ora prima
da lavoro,
cercando di fare in fretta, per poter fare qualche quiz. Ormai era un
mese che
non lo vedevo, ed ormai, avevo perso ogni speranza.
Credevo
che il tempo avrebbe risolto tutto, facendo sfumare il suo ricordo e
soprattutto la sua immagine fissa nella mia mente. Ogni notte,
però, sognavo i
suoi occhi azzurri, le sue mani sul mio viso e le sue labbra sopra le
mie. Poi,
quando mi svegliavo, piangevo.
Aprii
la
porta, iniziando a sbottonare la giacca.
“Ehi,
ciao”, c’era solo Fiamma.
“Ciao,
come va?”, domandai posando la mia borsa su una sedia.
“Bene,
bene..tu?”, mi fissò attentamente, aspettando una
mia risposta.
“Tutto
bene, grazie”, ammisi sorridendole.
Mi
guardò
ancora con un po’ di curiosità, poi riprese a
scrivere al computer, scrollando
le spalle. Sbuffai, ritrovandomi con la zip della felpa bloccata. Si
moriva di
caldo lì dentro, e il fatto che avessi fretta, non aiutava
la mia impresa.
Mi
voltai
verso Fiamma, sperando di potermi fare aiutare, ma non la trovai.
Rimasi con
una mano a mezz’aria, e l’altra con la zip in mano,
guardandola.
“Mmmh”,
mugolai nervosa, “collabora, per favore. Non fare
così. Apriti..”, sbuffai.
“Lascia
fare a me”, quella voce, quella
voce,
quella voce.
La
mia
mente non ci impiegò nemmeno un attimo per capire a chi
appartenesse.
Mille
brividi mi passarono per il corpo, facendo aumentare il mio respiro, e
lasciandomi con la bocca completamente asciutta.
Rimasi
pietrificata, non sapendo cosa fare. Un mese senza la sua voce, ed in
quel
momento, era miele per me.
Se alzo la testa, lo vedo. Ed io lo
volevo vedere, eccome se
volevo vederlo. Era come acqua in un mese di deserto.
Lentamente
alzai lo sguardo, incontrando i suoi occhi azzurri che mi fissavano
ardentemente.
“Ciao”,
boccheggiai in cerca d’aria, con la zip ancora in mano.
Sorrisi come un’ebete.
“Vuoi
una
mano?”, mi domandò, indicando con lo sguardo la
felpa.
“Oh..no..beh”,
balbettai, indietreggiando di un passo, “penso di potercela
fare”, provai a
tirarla di nuovo giù, con scarsissimi risultati.
Si
avvicinò, spostando le mie mani dalla zip provocandomi un
brivido di piacere, e
di calore. Lo fece con lentezza, come se stesse misurando non solo le
mie
forze, ma anche le sue.
Toccami ancora, ti prego.
La
prese
tra le mani, facendo pressione. Dopo qualche tentativo
riuscì a sbloccarla,
permettendomi di levarla. Se prima avevo caldo, ormai ero andata a
fuoco.
Sentivo le guance ardenti, e sicuramente ero diventata rossa come un
peperone.
“Beh,
ce
l’avrei fatta anche io”, testarda come una bambina,
sorrisi nervosa.
Mi
guardò
torvo, reprimendo un sorriso, con scarsi risultati.
“Come
stai?”, mi domandò dopo attimi di silenzio.
Evitavo
il suo sguardo come la peste. Lo sentivo bruciare contro la mia pelle,
ma ero
troppo codarda per potergli dire la verità. Cioè
che l’amavo, che lo volevo
accanto, e che per me era fondamentale saperlo vicino..“Bene,
tu?”, me ne uscì
solamente con due parole, reprimendo tutto il resto.
“Sono
stato meglio”, colpita ed affondata, “sei qui per i
quiz?”, lo ringraziai per
non aver domandato altro, non ero brava a fingere.
“Si,
esatto”, mi voltai un po’ verso il computer, per
fargli capire che era mia
intenzione mettermi subito a farli.
“Allora
ti lascio stare..a presto”, lo guardai un secondo negli
occhi, restando incantata
dalla sua bellezza, di nuovo. Era passato un mese, ed il suo ricordo
non gli
dava di certo giustizia.
Aprii
la
bocca per replicare, ma non vi uscii nessun suono.
Maledetta me.
Mi
sorrise, con il solito sorriso sghembo da infarto, per poi allontanarsi
con le
braccia incrociate sul petto. Fissava i monitor alla sua sinistra,
annuendo. Di
scatto, mi voltai verso Fiamma, che magicamente era riapparsa.
“Tu”,
la
fissai con cattiveria, “mi avevi detto che non ci sarebbe
stato”, dissi tutto
d’un fiato, sussurrandolo.
“E’
arrivato ora infatti, io non lo sapevo”, con la solita faccia
di chi sa, ma non
dice.
“Tsè”,
corrugai le sopracciglia, “me la pagherete”, mi
finsi arrabbiata, voltandomi
poi per tornare al computer.
Quando
passava dietro di me, potevo sentire il suo profumo, e la
concentrazione veniva
a mancare. Arrivavano i brividi nella schiena, come se il mio corpo
sapesse,
senza nemmeno doverlo guardare, che lui era lì, e la sua
elettricità colpiva
anche me.
Mi
passai
una mano sugli occhi, massaggiandoli.
“Continui
a sbagliare la stessa domanda”, si era avvicinato, posando
una mano sul banco
dove era appoggiato lo schermo.
Il
suo
viso era di fianco al mio, e con la coda dell’occhio potevo
osservarne il
profilo. Mi sarebbe bastato avvicinarmi di qualche centimetro, per
sentire la
sua guancia sotto le mie labbra.
“Ah
si?”,
che cavolo di domande fai?
“Si”,
lo
sentii sorridere, per poi indicare la domanda sbagliata sul monitor.
“Ah,
già..”, sospirai, cercando di mantenermi calma. È colpa tua.
Mi
spiegò
la risposta corretta, ma quello che capii, fu zero. La sua vicinanza,
non
aiutava.
Prima
di
alzarsi, per riprendere il giro, rimase fermo accanto al mio viso.
“Mi
manchi..”, sussurrò accanto al mio orecchio,
accarezzandomi la guancia con la
punta del naso.
Rabbrividii,
chiudendo gli occhi ed inclinando la testa verso di lui. Volevo
piangere,
voltarmi e dirgli che ero una scema, che lo volevo, e che mi era
mancato anche
lui. Ma rimasi in silenzio, come sempre, beandomi soltanto della sua
carezza e
dandogli di certo un messaggio sbagliato.
Si
spostò
del tutto, riprendendo a camminare, e lasciandomi completamente sciolta
sulla
sedia. Mi sentivo nuda, senza lui accanto, ed ormai restare
lì dentro mi
provocava soltanto dolore. Quando mi convinsi che era inutile restare
lì a
perdere tempo, vista la concentrazione scarsa, iniziai a prepararmi per
andarmene. Non era facile, perché una parte di me, voleva
restare lì per bearmi
della sua presenza, un’altra parte sapeva però che
mi sarei fatta del male
gratuito. Vinse la seconda.
Riagganciai
la giacca, sistemandomi i capelli, provando a non fare il minimo
rumore. Volevo
sparire, e se avessi avuto qualche potere soprannaturale, tipo il
teletrasporto, lo avrei usato. Volevo davvero andare via, e smettere di
esistere, volevo scavarmi di nuovo la famosa buca e sotterrar mici per
sempre.
“Ci
vediamo..”, salutai Fiamma con un gesto della mano, ed un
piccolo sorriso
forzatissimo.
Mi
sorrise anche lei, parlando con un cliente. Mi voltai verso Mirko, per
salutarlo. Nonostante tutto, era pure sempre il mio istruttore, o
comunque lo
era stato. Deficiente.
Era
concentrato nel dare una spiegazione ad una donna, quindi lo lasciai
stare, ed
uscii dalla scuola guida. Rabbrividii per il vento che si era alzato, e
coprendomi come meglio potevo, mi incamminai verso la fermata
dell’autobus.
Attraversai,
facendo attenzione alle macchine che passavano, appoggiandomi al
portone,
attendendo l’autobus.
Erano le nove e mezza ed io ero
ancora li sotto ad aspettare un autobus fantasma.
Mentre osservavo la strada, alla
ricerca di un bar aperto, notai con la coda dell’occhio una
macchina fermarsi
davanti a me.
Perfetto, ci mancavano pure i
maniaci a rompere quella sera.
Feci finta di niente,
indietreggiando
quel tanto che bastava per evitare un contatto con l’autista.
La porta si aprì, e al
suo
interno, con enorme stupore trovai un Mirko sorridente.
“Sali, svelta..altrimenti
ti
prenderai un accidenti”.
Chiusi
gli occhi, perdendomi in quel ricordo.
Erano
passati quasi due mesi, dal nostro primo incontro, ed ogni volta era
sempre
come la prima. Sorrisi, pensando che la mia piccola parte di
felicità ero
riuscita ad averla, ed ero anche riuscita a ridurla in brandelli.
“Ehi
Kate”, mi voltai di scatto aprendo gli occhi, ritrovandomelo
davanti.
Aggrottai
la fronte, domandandomi come mai fosse alla fermata, senza giacca e con
il
fiatone.
“Fiamma
mi ha detto che eri uscita, volevo salutarti”, tutta
quella corsa per salutarmi?
Alzai
un
sopracciglio, annuendo.
“Eri
impegnato, non volevo disturbarti”, gli sorrisi, spostando
poi lo sguardo per
vedere se l’autobus stava magari passando.
“Potevi
disturbarmi”, ammise serio e triste, “ho bisogno di
sapere una cosa da te,
Kate”, arrivò al dunque senza troppi preamboli.
Eravamo giunti al momento della
verità, ed io non ne avevo una pronta, avevo soltanto altri
dubbi in testa.
“Dimmi”,
lo guardai, dritto negli occhi.
“C’è,
per
te, una possibilità per noi?”, si
avvicinò di un passo, guardandomi dolcemente.
Mi
morsi
il labbro inferiore, abbassando la testa.
“Non
lo
so”, la rialzai, più sicura di prima,
“so solo che tu non mi puoi aspettare in
eterno, quindi”, lo vidi avvicinarsi ancora, ed io rimasi
ferma, “vai pure
avanti con la tua vita, è giusto così. Io lo
farò con la mia..”, dissi
sottovoce, non credendomi nemmeno da sola.
Si
bloccò, con una mano all’altezza della mia,
facendo una smorfia.
“Allora
è
questo che vuoi?”.
“Si”,
aprii leggermente le labbra, emettendo un piccolo lamento.
“Va
bene,
come preferisci”, avvicinò le labbra al mio viso,
ed io, stupidamente mi
preparai per un bacio; un bacio che potesse farmi tornare in me, e
farmi dire
davvero quello che provavo, “Sii felice Kate”,
alzò il viso verso la mia
fronte, depositandovi sopra un bacio delicato, che lasciò il
fuoco nello stesso
punto sfiorato dalle sue labbra.
Lo
guardai mentre composto e svelto ritornava alla scuola guida, conscia
solo in
quel momento, delle conseguenze delle mie parole.
***
Sopra
ho messo un'immagine che ho fatto sabato scorso, era da tanto che non
photoshoppavo..quindi abbiate pietà di me :D
Che dirvi, penso, penso, penso di essere tornata a scrivere come prima,
intendo dire con lo stesso desiderio e la stessa voglia..
A volte mi blocco, perchè faccio ancora fatica a riprendere
il ritmo, prima stavo sempre sulla storia, sulla pagina, ora
è più complesso..però ce la sto
mettendo tutta, giuro!
Vi mando un bacione!
PiccolaKetty
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
I breathe your moments
9.
“Che
cosa
hai fatto?!”, la voce di Melanie rimbombava per tutto il mio
palazzo, mentre
stavamo salendo le scale.
“Tu,
tu..io non ci credo. Hai avuto il coraggio di mandare tutto a quel
paese?”,
ripeté sillabando ogni parola.
Mi
voltai
verso di lei, prima di infilare la chiave nella serratura della porta,
“hai
ragione, ho mandato tutto a puttane, e l’ho fatto
perché non voglio che lui si
senta legato a me, inutilmente..”.
“Ah,
e
quindi gli hai anche detto delle notti che passi a piangere,
perché l’hai
sognato?”, provai a parlare, ma mi fermò con una
mano, “e anche di tutte le volte
in cui, quando lo nomini, sorridi come un’ebete? Oppure, non
so, gli hai detto
di quanto in realtà tieni a lui? Ma che sei troppo stupida,
per dirglielo?”.
Quando
si
arrabbiava, diventava una furia.
“Hai
ragione Mel, hai ragione!”, la bloccai, prima di sentire
un’altra scarica di
parole.
“Ho
ragione? Sai solo dire questo? Cioè, tu mi dici che ho
ragione, e basta?”,
aveva puntato i piedi per terra, fissandomi con le braccia incrociate.
“Scusami,
dovevo fargli pensare che ci fosse una
possibilità?”.
“Eh?!”.
La
fissai.
“C’era
eccome una possibilità, ma hai mandato tutto
all’aria per colpa della tua
impulsività. Io mi arrabbio, perché ti ho vista
soffrire per tanti ragazzi, ma
lui è diverso, con lui eri diversa..”,
abbassò lo sguardo, insieme alla voce.
Mi
avvicinai,
appoggiandole le mani sulle spalle.
“Lo
so, e
per questo te ne sono grata. Perché senza di te, ora non
riuscirei nemmeno a
camminare dal dolore. Ma non potevo tenerlo legato a me,
illudendolo..io non
sono sicura di niente in questo periodo”, scossi la testa,
“quindi è molto
meglio così, per entrambi, fidati..”.
L’abbracciai,
stringendola forte, “io non voglio che tu stia
male..”, la voce che tremava.
“Non
sto
male, giuro”, incrociai le dita in aria, “parola di
scout”.
Abbozzò
un sorriso, restando però sulla difensiva,
“dovresti però fare un po’ di
chiarezza nelle tue idee. Perché tesoro, tu pensi a lui
sempre! Quindi, se lo
allontani, farai solo il vostro male..”.
“Tutta
questa saggezza, racchiusa dentro questo corpo di donna”, le
accarezzai i capelli,
guardandola con amore.
“Mi
prometti che ci penserai?”, mi chiese poi con gli occhi dolci.
“Va
bene.
Ora, però, basta pensare a lui. Divertiamoci”.
Passammo
il pomeriggio insieme, evitando di pensare a qualunque cosa potesse
vietarci di
divertirci.
Dovevo
dare la teoria, era passato più di un mese da quando mi ero
iscritta, e il
programma era finito da due settimane ormai. Oltretutto, Marzia mi
aveva già
detto di prenotarlo, visto che non sbagliavo quasi più
nessuna domanda. Fare
l’esame significava iniziare le guide, quindi venire in
autoscuola in orari
impossibili, e quindi non beccarlo mai.
Ero
davvero stupida. Gli avevo detto che non doveva più
aspettarmi, ed io stessa
speravo che non mi avesse ascoltata. Sospirai, ed entrai nella scuola
guida,
con l’intento di prenotare l’esame e di fare
qualche simulazione.
“Ciao”,
salutai con poca enfasi.
Non
era
un bel periodo, e la lontananza da “non posso nominare il suo
nome” era
devastante. Ogni volta volevo cercarlo, sapere come stava, sapere se
come me, soffriva.
Forse,
però, dicendogli quelle cose, ero riuscita a fare almeno il
suo bene. Il mio,
non di certo.
“Come
mai
così poca vita? Si vede che non frequenti più la
nostra scuola. Prima eri più
solare”, Fiamma parlò senza guardarmi, fingendo di
interessarsi ad altro. Come
se non sapessi che intendeva parlare di lui. Era palese.
Sospirai
amareggiata. Era vero, da quando era successo il casino con Mirko ero
diversa.
Uscivo,
certo, ma non mi sentivo più solare e piena di vita. Era
come se mi si fosse
spento un interruttore dentro, e soltanto Mirko avrebbe saputo come
fare per
riattivarlo.
“Già,
ma
il lavoro, la casa, sai..non è facile”, solite
scuse che usavo ormai da un
mese.
“Sicuro
tesoro”, alzò lo sguardo, sorridendomi,
“vuoi prenotare l’esame allora?”, chiese
tranquilla.
Mi
tremavano le gambe all’idea, in fondo, era pur sempre un
esame, che costava non
poco.
Ma
era
nel mio carattere agitarmi per qualunque cosa, quindi, non ci diedi
peso.
“Si”,
mi
avvicinai al bancone, dondolando un piede sulla punta.
“Bene,
bene..guardiamo eh”.
Prese
a
sfogliare l’agendina che conteneva le date di tutti gli esami.
“Oh
guarda chi c’è!”, Marzia uscì
dal bagno sorridendomi allegramente.
Tutti felici.
“Verrai
vero alla festa del cinquantesimo anniversario della
scuola?”, domandò
interessata.
“Non
lo
so”, storsi la bocca, pensando agli impegni di quel sabato.
“Dai,
è
da tanto che organizziamo”, fece gli occhi dolci, sbattendoli.
“Mmmh,
ma..ci saranno proprio tutti”, guardai un po’
ovunque, tranne che i suoi occhi.
“Si,
tutti. Ma tu non ti preoccupare”, la guardai,
“penso davvero che lui stia
meglio ora, e vederti, magari, lo rende solo più felice.
No?”, scrollò le
spalle.
“Forse..”,
non ne ero convinta, assolutamente. Loro nemmeno sapevano cosa era
successo tra
di noi, quindi non potevano sapere quanto male facevo invece a me
stessa.
“Allora
tesoro, l’esame lo possiamo prenotare tra due settimane, va
bene per te?”,
Fiamma lasciò cadere il discorso che avevamo iniziato, e la
ringraziai
mentalmente.
“Si,
si
va benissimo”, le sorrisi, annuendole.
Quanto
mi
mancava Mirko? Tanto, troppo.
Riuscivo
a pensare soltanto a quello ormai, a lui, e basta. Sospirai, prima di
prendere
la mia borsa, ed avviarmi verso l’uscita.
Ripensare
al passato non era salutare, ma non riuscivo nemmeno a vedere un futuro
senza
di lui.
Mi
aveva
lasciato qualcosa dentro, qualcosa di forte.
Sentii
una risata per la strada, e la prima cosa a cui pensai fu lui, ma
alzando il
viso non incontrai quei fantastici occhi azzurri. Non era lui il
ragazzo a cui
apparteneva la risata.
Se
c’era
una cosa che proprio non riuscivo a farmi entrare in testa, era il
motore. Il
componente più importante della macchina, era
l’unico che non riuscivo a
comprendere. Potevo anche studiarlo a memoria, che tanto il giorno dopo
ero
punto a capo. Erano quasi dieci minuti, che leggevo la stessa riga. E
nemmeno
quella riuscivo a capire.
Avevo
deciso, alla fine, di andare alla festa con Melanie. Anche se ci fosse
stato,
non ero sola.
Mio
cugino non poteva venire, anche perché non lavorando
più lì, si era trovato un
altro lavoro che lo faceva stare fuori città per tutta la
settimana. Oltre
tutto, a breve avrei dovuto iniziare a fare qualche guida, altrimenti
non sarei
andata oltre alla teoria.
Scesi
alla fermata, davanti alla scuola guida, in attesa di Melanie. Misi
nella borsa
il libro, rinunciandoci, guardandomi intorno. La scuola era aperta, e
dentro si
potevano notare già parecchie persone. Odiavo la confusione,
ma avrei fatto uno
strappo alla regola.
Faceva
già freschino, era quasi la metà di novembre, e
di certo non si stava benissimo
fuori senza giacca.
Mel
non
era ancora arrivata, ma ero io ad essere in netto anticipo. Ero
nervosa, e
sapevo anche il perché.
Lo
avrei
rivisto, e una piccola parte di me, sapeva che ci sarebbe rimasta male,
se lo
avesse visto felice anche senza di me. Ero egoista. Gli avevo detto io,
esplicitamente di lasciarmi stare e di rifarsi una vita, eppure lo
volevo
ancora con me.
Mi
voltai
verso l’entrata, osservando le persone che stavano entrando.
C’era una donna,
che stava ridendo in maniera inumana, tanto che riuscivo a sentirla
anche dal
punto in cui mi trovavo. Al suo fianco, notai un uomo, e quando lo
riconobbi
sentii il sangue gelarsi nelle vene.
Rimasi
immobile a fissare la scena, senza riuscire a distogliere lo sguardo.
Lui
posò
una mano sulla schiena di lei, per invitarla ad entrare dentro la suola
guida. Un
gesto normale, che chiunque poteva fare, ma fatto da lui, mi
scatenò una
tempesta dentro, inumidendomi gli occhi. Sospirai, chiudendo gli occhi
e
stringendo i pugni dentro le tasche dalla giacca.
Dovevo
smetterla di comportarmi così, io lo avevo allontanato ed io
dovevo comportarmi
da persona coerente.
“Ehi”,
mi
voltai verso una Mel accaldata.
“Hai
corso?”, le domandai sorridendole.
“Si,
perché non sono riuscita a scendere a questa fermata. Troppi
energumeni
sull’autobus..”, alzò gli occhi al
cielo. Potevo capirla benissimo.
“Andiamo?”.
“Hai
fretta?”, mi domandò sorpresa.
In
effetti il mio tono non ammetteva repliche, ma era uscito da solo,
senza il mio
controllo.
“No,
no..”, alzai le spalle, iniziando a camminare.
Mi
seguì
in silenzio, attraversando la strada.
“Mamma
mia quanta gente. Ci saranno pure dei nonni”,
entrò per prima, tenendomi la
porta.
“Grazie”,
le sorrisi, guardando all’interno, facendo un cenno con il
capo alle ragazze.
“Allora
sei venuta”, dissero quasi in coro, avvicinandosi.
“Già”,
indicai la mia amica, “non è un problema,
vero?”.
“Certo
che no, è già un viso noto”, risero.
“Ottimo”,
avevo già adocchiato una sedia libera.
“Non
ci
pensare nemmeno cara”, Melanie mi prese a braccetto, parlando
tra i denti, “ora
tu farai un giretto in mezzo alla gente, non ti andrai a sedere nel
primo posto
che trovi”.
Mi
voltai
preoccupata, “da quando leggi nel pensiero?”.
“Con
te,
sempre..”, un sorriso a trentadue denti le
incorniciò le labbra.
Annuii
poco convinta, seguendola nel suo tour personale. Scoprimmo di avere
alcuni
amici lì dentro, eppure non li avevo mai visti. Ci perdemmo
in chiacchiere
relative alla scuola, al lavoro, al tempo libero, ma
tant’è che ancora non lo
avevo visto. C’era troppa gente, per poterlo scrutare tra i
visi.
“Ehi,
guarda là”, Mel mi diede una gomitata, facendomi
guardare alla mia sinistra.
Mirko
stava uscendo da una stanza con altre persone, tra cui la donna di
prima,
sorridente ed allegro.
Era
bellissimo. Dovevo avere dei cuoricini al posto degli occhi,
perché Mel si fece
una bella risata.
“Smettila
di fissarlo così, sei davvero terribile”, bevve un
sorso di bibita dal suo
bicchiere, fissandomi, “prima fai tutto quello che hai fatto,
poi ti comporti
così. Sii coerente Kate!”, mi voltai verso di lei.
“Vai
da
lui e digli che hai sbagliato no? Che le chiacchiere della gente ti
hanno resa
insicura”, strabuzzai gli occhi, “è
così, fidati. Tu avevi paura che la
gente..anzi, hai, paura che loro ti possano giudicare. Non temi che
parlino di
lui, ma di te..”.
“Quindi
se vuoi essere felice, smettila di pensare al giudizio degli
altri”.
Rimasi
impietrita, con la bocca spalancata. Abbassai lo sguardo, sentendo le
parole di
Mel pesarmi come macigni.
Che
avesse ragione? Ero tanto immatura da non aver capito che il problema
veniva
direttamente da me, e non dall’esterno? Se davvero era
così, ero stata una
stupida.
Non
solo
avevo perso la mia occasione, ma lo avevo messo su un piatto
d’argento a quella
donna che ancora sorrideva con lui. Se permesso, era anche peggio di
Monica.
“Vado
a
prendere da bere, vuoi qualcosa?”, mi voltai verso di lei,
con aria triste.
“No,
no..tranquilla”, mi sorrise, accarezzandomi una spalla,
“stai serena..”.
Una
parola. Facile a dirsi.
Mi
feci
spazio tra la gente, chiedendo continuamente permesso. Quando raggiunsi
il
tavolo, mi versai un po’ di coca cola, sentendo la gola
secca. Lo stomaco stava
facendo di testa sua da quando lo avevo rivisto.
Le
farfalle erano tornate in vita, e svolazzavano di qua e di la
liberamente.
“Kate?”,
mi voltai, rischiando di rimanere strozzata con il sorso di coca cola
che stavo
ingoiando.
Dì il suo nome, avanti,
dillo.
“M..Mirko,
ciao”, boccheggiai, cercando di non morire soffocata.
“Scusa,
non volevo spaventarti”, sempre con il sorriso sulle labbra.
“No,
tranquillo. Stavo bevendo..”, cercai di sorridere, ballando
da un piede
all’altro, “hai solo rischiato di farmi
soffocare”, tossii un po’, cercando di
schiarire la voce.
“Scusa”,
sorrise sghembo, ed io mi sciolsi completamente, “uh
già che ti vedo”, si,
infatti non sono qui per te, no, “voglio
presentarti una mia cara amica”.
Spalancai
gli occhi, sentendo il sangue fluire velocemente nelle guance.
“Doria,
vieni qui per favore?”, alzò una mano, indicandoci.
“Ehm,
ma
tranquillo, io sono con un’amica. Anzi..l’ho
lasciata sola..”, guardai nella
direzione nella quale doveva, teoricamente, trovarsi Mel.
“Due
secondi, giuro..”, mi guardò intensamente negli
occhi, ed io, come potevo dire
di no?
Annuii
soltanto, restando in attesa incrociando le braccia al petto.
“Allora,
stai bene?”, mi domandò serio.
“Si,
si..tu?”, iniziai a giocare con il bicchiere, mordendone i
contorni.
“Certo”,
tossicchiò, “Si..”.
Lo
guardai torva, evitando di approfondire.
Stupida, che domande fai?
“Dimmi
tutto caro”, la donna che avevo visto prima si
avvicinò a Mirko,
abbracciandolo.
Se
avessi
avuto il dono di sparare fulmini, a quest’ora la mano di Doria non c’era più.
Sorrisi
nel modo più falso possibile ed immaginabile.
“Ti
voglio presentare una ragazza che ha frequentato il mio
corso”, una ragazza, una semplice
ragazza.
Un
pugno
nello stomaco mi avrebbe fatto meno male.
“Kate,
lei è Doria, una mia ex collega, Doria, lei è
Kate”, ci sorrise, guardandoci
alternativamente.
“Piacere”,
mi porse la mano, che strinsi per educazione, continuando a sorridere.
Ma
dentro piangevo.
Mi
stavo
struggendo di dolore, ma cercai di non darlo a vedere.
“Sai
Doria, è una ragazza molto intelligente, ci credi che
è riuscita a seguire i
miei corsi senza nemmeno addormentarsi?”, risero entrambi, ma
io non ci trovai
niente di divertente.
“Allora
sei stata fortunata..sai, ai tempi, il caro e vecchio Mirko, non era
così
bravo”, strinse l’abbraccio, ed il pugno
ritornò più violento, “le ragazze
arrivavano soltanto per vederlo..non per seguire la sua
lezione”.
Stava
forse dicendo che io andavo a scuola guida solo per vedere Mirko? Che
poi fosse
vero, erano dettagli.
“Non
è
vero”, si finse offeso, ed io iniziai a sentirmi davvero di
troppo.
“Oh,
si..e meno male, che ai tempi ancora le colleghe non ti avevano
inquadrato..”.
La
guardai stupefatta. Al posto della bocca si posizionò una O
enorme, ed iniziai
a sbattere gli occhi, sempre cercando di non farmi notare.
“Già,
meno male..”, lo vidi imbarazzarsi, e passarsi una mano tra i
capelli.
“Poi,
sono arrivata io, a rovinare i sogni delle ragazzine in piena tempesta
ormonale..”,
si voltò verso di me, guardandomi in modo ambiguo,
“peccato che tu abbia scelto
la persona sbagliata..”.
“Doria,
dai..”, abbassò lo sguardo, “direi che
è ora di andare”, era nervoso, e glie lo
potevo leggere in ogni ruga apparsa sul suo viso perfetto.
Guardami, ti prego. E fammi capire
che c’è ancora speranza per me.
“Sai
Kate,
a guardarti bene..”, alzai il viso su di lei e sulla sua
elegante persona.
“Doria”,
la ammonì lui, senza nemmeno farla finire.
“No,
dai..non è strano? Tu”, indicandomi,
“assomigli molto alla sua ex da giovane.
Una storia durata anni..povero Mirko. La storia è finita da
poco, ed è durata
davvero tanti tempo..”, si voltò verso di lui,
passandogli una mano sulla
spalla.
Rimasi
con il bicchiere tra le labbra, incapace di parlare.
“Doria,
direi che abbiamo detto anche troppo..”, mi
guardò, ma lo vidi soltanto di
sfuggita, perché ormai avevo già abbassato lo
sguardo.
“Vado
un
secondo dagli altri Mirko, vieni con me?”.
“Arrivo,
devo dire a Kate due date dell’esame”.
“Ok,
non
farmi aspettare”, avevo un sacco di insulti per lei, davvero
tanti.
All’improvviso
però, i rumori dentro la stanza, cessarono di esistere.
C’era solo silenzio.
Le
orecchie fischiavano, e le parole di quella donna continuavano a
rimbombare
nella mia mente, lasciandomi sconvolta. Potevo sentire la vena sulla
tempia
pulsare al ritmo del mio cuore, che correva all’impazzata.
“Kate”,
sentii la mano di Mirko posarsi sul mio braccio.
Sbattei
le palpebre, controllandomi.
“Si?”,
alzai la testa, guardandolo.
“Stai
bene? Doria parla sempre troppo, è un suo brutto vizio, non
volevo che ti
turbasse..tu e..”.
“Non
voglio sapere niente Mirko, e tanto meno devi darmi delle spiegazioni.
Vado da
Melanie, scusa”, evitai di guardarlo allontanandomi.
Scappare,
questo era diventato il mio hobby preferito. Stavo scappando di nuovo,
e
sinceramente quella volta non avevo nemmeno dei rimpianti.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
I breathe your moments
10.
“No,
no
Kate”, si avvicinò con due semplici passi,
fiancheggiandomi.
Mi
prese
per il braccio, facendomi voltare delicatamente, “guardami
per favore”, feci
come mi aveva chiesto, voltandomi.
“Dimmi”,
incrociai le braccia al petto.
“Cosa
succede? Perché stai reagendo in questo modo?”, perché ti amo.
“Non
sto
reagendo in nessun modo. Solo non mi è parso il caso di
restare lì!”.
Abbassò
la testa per poter raggiungere i miei occhi, fissandoli,
“sicura?”.
Tentennai,
incantata da quel colore chiaro.
“Certo”,
gli sorrisi, tentata di accarezzargli il viso.
“Me
lo
diresti se non fosse così, vero?”, si
avvicinò piano, di qualche millimetro.
Boccheggiai
in cerca d’aria, avevo bisogno di baciarlo, di sentire le sue
braccia
stringermi forte.
Deglutii,
provando a frenare la mano che, ormai, da sola aveva preso a salire
sulla sua
guancia.
“Certamente”,
con un dito delineai il contorno del suo zigomo, mordendomi il labbro.
Chiuse
gli occhi, piegando la testa verso la mia mano e stringendo i denti.
Accarezzai
la barba incolta, socchiudendo gli occhi, e sperando che quel momento
non
terminasse mai. Senza pensare al resto delle persone nella stanza, mi
prese la
mano e avvicinandosi mi cinse con le sue braccia, stringendomi contro
il suo
petto. Sentii le sue labbra tra i miei capelli, ed il suo respiro
solleticarmi
il collo.
“Mi
manchi, e giuro che darei tutto pur di riaverti – anche se
non ti ho mai avuta
– e sentirti vicina mi rende felice. Però, Kate,
mi fai male..”, sussurrò
accarezzandomi la schiena.
Rabbrividii,
avvicinandomi di più.
“Mi
dispiace, non volevo..”, lo strinsi più forte,
drogandomi del suo profumo, che
non sentivo da troppo, troppo tempo, “ma non riesco a fare a
meno di te”,
sussurrai a voce così bassa, da non sentirmi nemmeno io
stessa.
Sospirò
lentamente, staccandosi piano, piano.
“Direi
che per il momento, sarà meglio che io vada..”, si
guardò intorno, e notai con
stupore che il posto in cui eravamo, era troppo nascosto,
perché avessero
potuto vederci.
Eppure,
io non mi ero minimamente preoccupata degli altri. Lo avevo
abbracciato, senza
farci caso, lasciandomi andare. Mi portai una mano sulle labbra,
fissando il
pavimento.
“Ehi,
va
tutto bene?”, mi chiese lui preoccupato.
Alzai
lo
sguardo su di lui, meravigliandomi per aver capito solo in quel momento
tutto
quanto.
Mel
aveva
ragione, aveva ragione sin dall’inizio. Ero io che mi
preoccupavo degli altri.
“Si,
certo..vai pure”, mi voltai, portandomi una mano tra i
capelli.
Dovevo
trovare Mel. E dovevo farle anche una statua.
Aspettai
che si immergesse nella confusione, poi uscii anche io allo scoperto,
ed iniziai
a cercarla.
Quando
la
trovai, stava parlando con una donna.
“Mel,
scusa?”, mi avvicinai, arpionandola già per un
braccio.
“Ehi,
dove eri finita? Sei andata a comprare da bere?”,
domandò sarcastica.
La
fulminai con lo sguardo, e subito capì che qualcosa non
andava. Salutò la
donna, per poi seguirmi sino all’uscita.
“Che
freddo..”, ammise rabbrividendo.
“Avevi
ragione”, appoggiai le mani sulle sue spalle,
“avevi sempre avuto ragione!”.
La
guardai sorridendo.
“Non
capisco”.
“Avevi
ragione, io mi facevo dei problemi inutili per Mirko e il resto della
gente..”.
“Ah”.
“Come
ah?”.
“No,
che
di solito non me lo dici mai”, bugiarda, mi stava prendendo
in giro, visto che
glie lo ripetevo ogni giorno per ogni cosa.
“Ora
cosa
farai, dopo che hai capito di essere scema”, mi sorrise.
“Devo
parlarne con lui..”, abbassai lo sguardo, ricordandomi di
aver tralasciato quel
piccolo dettaglio.
“Perché
quella faccia?”, mi domandò curiosa.
“Eh,
devo
parlarci, non è facile..insomma, devo praticamente dirgli
che mi vergognavo di
lui”, mi grattai la testa, confusa.
“No,
non
metterla su questo piano..per me, devi semplicemente lasciare che le
cose
vadano per il loro verso. Alla fine, andrà tutto bene. Tu
vai lì, ci parli, e
le parole arriveranno da sole..”, l’abbracciai,
senza nemmeno aspettare che
finisse di parlare.
“Dobbiamo
rientrare però, se no, primo mi iberno, e secondo,
c’è la torta..”.
Mi
scostai, scoprendo di avere le lacrime sulle guance.
“Cosa
fai? Piangi? Dai, che poi penseranno che ti ho picchiata”.
Risi,
finalmente serena e con una speranza in più ad illuminarmi
la giornata. Mi
asciugai le lacrime, rientrando subito dopo Melanie, mano nella mano.
“Vieni,
stanno già iniziando a stappare lo spumante”, mi
disse ad alta voce, per
sovrastare gli auguri e gli applausi.
Mi
passò
un bicchiere per poter fare il brindisi, e subito mi guardai intorno,
per
cercare l’unica persona con la quale volevo brindare. La
trovai quasi subito e
non dovetti aspettare nemmeno molto, prima di ricevere la sua
attenzione. Sembrava
quasi che anche lui mi stesse cercando.
Alzai
il
bicchiere, nella sua direzione, e la stessa cosa fece lui, guardandoci
negli
occhi.
“Auguri”,
gridammo tutti in coro.
Auguri a noi Mirko.
Passato
il momento dei festeggiamenti, la gente iniziò a tornare a
casa. La scuola
guida si stava svuotando, riacquisendo il suo stato naturale.
C’erano bicchieri
ovunque, e anche se non c’era tanto casino, bisognava
ripulire tutto.
“Io
devo
andare a casa”, Mel si avvicinò, mentre tenevo il
sacco e ci buttavo dentro
bicchieri e piattini.
“Oh,
certo..”, sospesi quello che stavo facendo,
“tranquilla, io do una mano qui”.
“Sicura?”.
“Certo!
Non ti preoccupare..”.
L’abbracciai,
ringraziandola per avermi accompagnata e per essersi subita le mie
dichiarazioni.
La
guardai uscire, mentre riprendevo il sacco in mano.
“Vai
a
casa anche tu. Non stare a pulire Kate”, Fiamma si
avvicinò con la scopa.
“Figurati,
tanto a casa non ho nessuno che mi aspetta. Mia madre
lavora..”, le sorrisi.
“Ti
sei
divertita?”, domandò aiutandomi.
“Si,
si..è stata proprio una bella festa”, ed ero
sincera.
“Gli
altri sono dentro, a chiacchierare di chissà che
cosa”, disse sovrappensiero,
“e noi donne a pulire”.
Risi,
capendola perfettamente.
“Intanto
Doria non pulisce”, mi uscì talmente tanto
spontaneo, che non riuscì nemmeno a
tapparmi la bocca.
La
risata
di Fiamma però arrivò velocemente, facendo
sorridere anche me. Calò il
silenzio, e continuammo a sistemare la stanza con Marzia che nel
frattempo dava
lo straccio dove Fiamma passava.
Sospirai,
portandomi una ciocca di capelli, sfuggita alla treccia, dietro
l’orecchio.
Erano
troppo lisci e troppo sottili, ecco il loro difetto, quindi non
riuscivo a
farli stare in nessun modo.
“Sta
ricominciando a piovere”, sentii dire.
Mi
voltai
e notai con dispiacere che in effetti stava piovendo.
Ovviamente senza ombrello.
Sbuffai,
sperando che passasse prima che uscissi.
“Finito”,
ammisi soddisfatta, dopo che ogni cosa era tornata al suo posto.
“Grazie
mille”, stiracchiai le braccia, sorridendo.
“Ora
aspetterò che smetta di piovere, mica mi butterete fuori
tanto”, le guardai,
“vero?”.
“Tranquilla,
mezz’ora e poi andiamo via. Magari smette..”.
Annuii,
sedendomi e riscaldandomi le mani.
“Eccoli
finalmente”, Fiamma si rivolse alle persone uscite dalla
stanza in quel
momento, “grazie per averci dato una mano”.
“Dovevamo
parlare di lavoro”, il marito di Marzia le si
avvicinò, sfiorandole il braccio.
“Certo,
solo perché te la fai con il capo, non mi
appoggi”, scoppiammo a ridere.
Lasciai
i
loro discorsi lontani, e con la coda dell’occhio continuai a
guardare la porta,
per vederlo uscire. Prima di lui, sbucò Doria, un nome che
non avrei scordato
tanto facilmente. Aveva le mani incrociate davanti al petto, ed una
smorfia
annoiata sul viso. I capelli neri le ricadevano sulla fronte,
muovendosi ad ogni
passo.
Abbassai
lo sguardo, fissando il pavimento. Non volevo passare per la guardona
di turno.
“E
tu
cosa ci fai ancora qui”, mi chiese
“gentilmente” la collega di Mirko.
“Uhm,
aspetto che smetta di piovere”, indicai la porta
d’uscita, “poi vado”, le sorrisi,
sbattendo gli occhi.
“Oh
piove..”, fece una smorfia poco felice, e si
allontanò.
Ti si rovina la piega?
Sospirai,
stropicciandomi gli occhi con le dita, stanca.
Quando
riaprii gli occhi, notai Mirko parlare con una persona che mi dava le
spalle,
con gli occhi puntati su di me; gli sorrisi, arrossendo.
“Vuoi
mica un passaggio?”, mi voltai verso Marzia, con la giacca in
mano.
“No,
no..piuttosto, dato che uscite, se aveste un ombrello mi fareste
davvero un
regalo”, mi alzai.
“Certamente,
guarda là dentro”, indicò un bidone
pieno di ombrelli, vicino alla porta.
“Andiamo
Mirko?”, prestai attenzione a quelle parole, rabbrividendo.
“Si,
si..ragazzi, ci vediamo in settimana”, la sua voce,
così dolce e roca.
Sorrisi
come un’ebete, prendendo li primo ombrello che mi
capitò sotto mano.
“Ciao
a
tutti. È stato un piacere rincontrarvi”, drizzai
la schiena, “a presto”.
Mi
voltai
appena in tempo per osservare Mirko posare una mano sulla schiena di
quella
donna. Tutti li salutarono, mentre io li osservai raggiungere la porta
accanto
alla quale mi trovavo io.
“E’
stato
un piacere conoscerti Kate”, mi sorrise, porgendomi di nuovo
la mano.
Non per me.
Le
sorrisi, annuendo e stringendo la sua mano educatamente.
Aprì la porta,
lasciandomi per qualche attimo sotto il controllo dello sguardo di
Mirko.
“Ciao”,
sarà stato anche stupido da parte mia, ma allargai il
sorriso, sentendo il
cuore riempirsi di calore.
“Ciao”,
con una voce abbastanza stridula, da farmi quasi paura, tossicchiai per
non
dare a vedere l’emozione che avevo provato.
“Ci
vediamo..?”, mi osservò, infilando le mani nelle
tasche del giubbotto.
“Si”,
tornerò a scuola guida, per te, “anche
perché il motore inizia a darmi qualche problema”,
ammisi ridendo.
“Sarò
felice di spiegartelo”, un brivido mi percorse la schiena,
facendomi sospirare.
“Grazie..”,
mi voltai verso la porta, indicandogliela, “non ti conviene
fare aspettare una
donna”, scoppiò a ridere anche lui.
“Beh,
però sono disposto ad aspettarne una per molto
tempo”, ammise, “buona serata
Kate”.
Rimasi
immobile, con il cuore che batteva all’impazzata, ed un
sorriso degno di oscar
ad osservare la porta chiudersi.
“Allora
cosa fai Kate?”, ritornai alla realtà, sentendo
Fiamma parlarmi.
“Vado
a
casa”, dissi velocemente, allacciandomi la giacca,
“grazie per tutto..buona
giornata”, le salutai frettolosamente, senza nemmeno sentire
i loro saluti.
Fuori,
con l’ombrello aperto, e la giacca alzata sino al collo,
sorrisi per tutto il
tragitto, sino alla fermata.
Beh, però sono disposto
ad
aspettarne una per molto tempo.
Non dovrai aspettare molto, Mirko.
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
I breathe your moments
11.
Ci
sono
delle cose che ad un certo punto vanno fatte e basta. Senza pensarci,
senza
rimuginarci troppo, perché altrimenti diventeranno soltanto
dei rimpianti.
Ci
sono
poi, delle persone, che bisogna tenere sempre strette.
Ci
sono i
familiari, a cui non bisogna chiedere niente, loro ci saranno sempre, a
prescindere da tutto.
Ci
sono
gli amici, che vanno trattati come oro, perché ci staranno
sempre vicini, nella
gioia e nel dolore, come citano le parole del prete.
Poi,
alla
fine, ci sono loro, gli angeli. I ragazzi, quelli che ti dicono
“ti amo” ma che
nel frattempo pensano a tutt’altro.
Quelli
che pensano soltanto ad una cosa, e quelli che invece ti dicono la
verità, ma
tu sei troppo cieca per capirlo, e te li lasci sfuggire.
Quello
era successo a me.
Ed
infatti, stavo proprio andando a rimediare il danno che avevo causato
con la
mia impulsività e testardaggine. Ero sull’autobus,
e non era quello che mi
avrebbe portato a casa mia.
C’ero
stata una volta sola, in quel posto, e sperai davvero, con tutto il
cuore, di
non aver sbagliato strada. Pioveva a dirotto, l’ombrello si
era ovviamente
rotto, e faceva un freddo cane. Se non avessi avuto un buon pretesto
per
andarci, non mi sarei mai avventurata.
Sospirai,
spostandomi per far passare una vecchietta che doveva scendere.
Mancavano
pochissime fermate, poi teoricamente, avrei dovuto suonare al suo
campanello ed
aspettare che lui mi venisse ad aprire.
Sicuramente
avrei dovuto dire qualcosa tipo “ciao Mirko”,
oppure “ehi Mirko”, qualunque
cosa, ma non una scena muta come invece – haimè
– sapevo che avrei fatto.
Volevo
parlargli, spiegargli che ero una bambina infantile che si era
preoccupata del
parere degli altri, e non aveva seguito il suo cuore, facendolo
soffrire.
Ero
alla
fermata, e mentre stava arrivando il mio autobus, un’idea
malsana mi era
passata per la testa, facendomi restare ferma, senza salirci sopra.
Avevo così
aspettato l’autobus dopo, che mi avrebbe portato vicino a
casa sua. Certo, non
avevo preso in considerazione l’idea di trovarlo in casa con
quella donna, e
non ci avrei fatto di certo una bella figura, ma non mi interessava
più niente.
Ero andata lì per lui, non per lei.
Lui
doveva sapere cosa provavo, poi, avrebbe reagito a modo suo, ma almeno
io ero
stata sincera, gli avrei aperto il mio cuore. Prenotai la fermata,
sentendo le
gambe molli.
Non cedete, no. Restate con me,
sorreggetemi.
Tutto andrà bene. Tutto
andrà
bene.
Tremavo,
e non per il freddo.
Scesi
dall’autobus, raggiungendo subito un portone, rannicchiandomi
sotto di esso. Provai
a riaprire l’ombrello, fallendo miseramente. Ormai la fortuna
non mi seguiva da
un po’ di tempo. Guardai la strada, intravedendo il portone
della casa di
Mirko. Avrei dovuto correre, bagnandomi come un pulcino, ma
l’avrei raggiunto
in poco tempo. Cosa sarebbero state due gocce, in confronto a
ciò che mi
aspettava lì dentro?
Il
gioco
valeva la candela, quindi, con un po’ di coraggio presi a
correre, sentendo
l’acqua entrare nel colletto della giacca, bagnandomi
completamente. I capelli
erano zuppi, nonostante tenessi l’ombrello malmesso sopra la
testa per
ripararmi un po’.
Dovetti
aspettare una macchina per attraversare, ma alla fine riuscii ad
arrivare al
portone tanto agognato, con il fiatone ed il cuore che batteva come un
tamburo
impazzito.
Ecco, ora non riesci a suonare il
campanello.
“Non
fare
la scema, suvvia Kate. Sei venuta fino a qui, prendendo più
acqua che dentro ad
una doccia, ed ora non riesci a suonare quel campanello? Scherzi
vero?”, mi
guardai intorno, sperando di non avere nessuno che potesse sentire i
miei
schizzi mentali.
Sospirai
quattro o cinque volte, sentendo poi la serratura del portone aprirsi.
Mi
spostai velocemente, uscendo allo scoperto e prendendo di nuovo un
sacco di
acqua. Probabilmente era stata l’adrenalina a farmi scattare
in quel modo,
perché era impossibile che fosse lui. Scossi la testa,
spostandomi dal muro nel
quale mi ero appoggiata tipo geco.
“Grazie
per il the”, quella voce, l’avrei riconosciuta tra
mille. Lasciva e piena di
significato poco casto. Doria.
Digrignai
i denti, iniziando a temere il peggio.
“Figurati,
sicura che non vuoi che ti accompagno?”, Mirko,
oddio, no. No. No. No.
Pregai
in
tutte le lingue, affinché il motivo per cui lei si trovava
li, fosse diverso da
tutte le immagini che mi passavano per la mente. Ma non riuscivo a
pensare ad
altro se non a loro due in posizioni assurde.
“No,
non
ti preoccupare. Grazie per avermi fatta venire da te piuttosto, speravo
che la
tempesta si calmasse, ma se non mi muovo subito resterei da te sino a
domani
mattina”, lasciò cadere la frase, ed una morsa la
petto mi costrinse a posarci
una mano sopra a massaggiarlo.
Chiunque
avrebbe capito che quella frase era una tacita richiesta di restare da
lui per
tutta la notte, donna..della quale preferii evitare di trovare
aggettivi.
“Buona
serata”, potevo solo sentire, non potevo vedere i loro gesti,
e quella cosa mi
causava non poca nausea.
“E’
stato
un piacere..rivederti Mirko. È stato come tornare ai vecchi
tempi, tu non sei
cambiato per niente. Sei rimasto il bellissimo ed affascinante
istruttore di
scuola guida”, la voce di lei si era addolcita, diventando
quasi un sussurro.
“Meriti
la felicità”, riprese lei, sempre con tono dolce.
“Doria..”.
“Mirko,
sai benissimo che quella felicità, io potrei dartela ogni
giorno, lo sai. Per
me non è cambiato niente”, sentii il cuore
tremare, “se non fosse arrivata lei,
a rovinare tutto, ora io e te avremo un futuro”, non potevo
giurarlo, ma lei
sembrava piangesse. Provai a drizzare meglio le orecchie, per quanto
potessi
permettermelo.
“Ti
prego
Doria”, la voce di lui era disperata, piena di tristezza.
“No,
no
ti prego Doria. Ti prego io Mirko. Guarda in faccia la
realtà. Non può darti
niente, non può ridarti quello che ti dava lei”,
strinsi i denti, per non
urlare, “lei ti ha lasciato Mirko, e tu devi rifarti una
vita. Ma non sarà lei
a ridarti quella felicità..quanto pensi che durereste,
eh?”, dura, feroce, ed
invidiosa.
“Doria
per favore, smettila”.
“Come
preferisci Mirko. Sappi, però, che un giorno ti renderai
conto che la scelta
che stai facendo, non è quella giusta. Aspettare per cosa
fare poi? Perdere
anche lei? Perché è questo che
succederà Mirko. Lei non ti conosce, non può
darti quello che potrei darti io”, piangeva, ormai si sentiva.
“Doria,
penso sia davvero ora che tu vada. Altrimenti non riusciresti ad
arrivare a
casa..”, la voce di Mirko era invece strana, diversa.
“Sei
anche il solito gentiluomo. Spero davvero che arrivino tempi felici
anche per
te”, silenzio assoluto, “a presto Mirko”.
“A
presto
Doria”, silenzio di nuovo, poi la porta del portone sbattuta,
e più niente.
Insieme
alla pioggia, non mi ero nemmeno accorta di piangere. Avevo il viso
completamente bagnato, ma i singhiozzi li sentivo perfettamente. Mi
portai una
mano sul petto, per poterlo tenere insieme, visto che ormai il cuore si
era
sgretolato. Chiusi gli occhi, e mi lasciai scivolare contro al muro,
ero andata
lì per chiedergli scusa, ma ormai era troppo tardi.
La
gelosia mi aveva fatto perdere ogni forza, ogni desiderio di suonare e
di parlargli.
Dovevo tornare a casa e dimenticare tutto, lasciarmi tutto alle spalle.
Mi
alzai,
appoggiandomi contro al muro per sorreggermi. Ero debole, stanca e
provata
emotivamente, volevo soltanto tornare a casa, senza pensare ad altro.
Inutile
spazzare via le lacrime, la pioggia non riusciva nemmeno a farmi
respirare. Avevo
freddo, e probabilmente il giorno dopo mi sarei presa una bella
bronchite, dopo
quel bellissimo pomeriggio.
Ritornai
alla fermata, aspettando l’autobus in uno stato di apatia
totale.
Fissavo
il marciapiede, con la mente vuota, sgombra da qualunque pensiero.
Non può darti niente,
non può
ridarti quello che ti dava lei.
Perché?
Perché a me?
Perché non vuoi capire
che io sono
piena d’amore, che potrei renderti felice.
Non mollare Mirko, non fare il mio
errore.
Ripresi
a
piangere, più forte di prima. Mi abbracciai il ventre
piatto, singhiozzando.
Non
poteva andare sempre tutto storto, non poteva.
Guardai
il portone di casa sua, ancora una volta. Ero andata lì con
l’intento di
parlarci, non di scappare di nuovo. Tutta quella strada, tutto quel
dolore per
niente? No, non doveva andare così.
Raddrizzai
il busto, stringendo i pugni e ritornando dall’altro lato
della strada.
Qualunque
cosa fosse successa, dovevo parlarci, dirgli in faccia quello che
provavo e
andarmene da li.
Presi
un
respiro profondo, suonando il campanello.
Chiusi
gli occhi, rendendomi conto che la frittata era fatta, e che non mi ero
nemmeno
preparata un discorso.
La scena muta no.
Quando
la
serratura del portone fece il rumore di prima, rabbrividii, sentendo lo
stomaco
contorcersi.
Sbucò
il
suo volto, dapprima curioso, poi sorpreso e alla fine preoccupato.
“Kate?
Che..tu, cosa ci fai qui?”, mi domandò allarmato,
osservandomi.
Dovevo
fare proprio pena, bagnata dalla testa ai piedi, e con gli occhi rossi.
“Ciao”,
boccheggiai, guardando altrove.
“Va
tutto
bene? Ti senti bene?”.
Si stupido.
“Si,
volevo solo parlarti”, dissi tutto insieme, per evitare che
facesse domande.
“Entra,
vieni dentro che altrimenti ti becchi qualcosa..”, con la
voce tesa ed
allarmata, si spostò per farmi entrare, ma mi rifiutai.
“Devo
parlarti, ci vorrà proprio poco, davvero”, mi
mossi sul posto, tremando.
“Ma
stai
tremando, entra dentro K..”.
“Non
sto
tremando per il freddo”, lo interruppi mordendomi la lingua.
“E
allora
perché?”, domandò con un filo di voce.
“Perché
devo parlarti di una cosa importante, che non riesco più a
tenermi dentro..”,
sentii le lacrime risalire, e provai in tutti i modi a fermarle, senza
riuscirci. Si allarmò di colpo, avvicinandosi, ma lo fermai
con entrambe le
mani, scuotendo la testa.
“Io
ti
amo Mirko, ti amo e l’ho sempre saputo, sempre..non
è mai passato un giorno
senza che io lo sapessi”, ingoiai il magone, fissandolo negli
occhi azzurri,
stupiti e lucidi, “solo che sono stata una cretina, non ho
dato voce ai miei
pensieri e mi sono nascosta dietro alle mie paura. E per questo ti
chiedo
scusa..”.
“Io
non
so cosa tu possa provare per me, ma ti chiedo solo di credermi e di
capire il
mio errore, perdonandomi..avevo paura della gente, di quello che
potevano
pensare..ma io non ce la faccio più a stare senza di te, mi
sento vuota,
inutile”, gesticolavo e tremavo, “e sono anche una
stupida. Sono venuta sino a
qui..ed ho sentito Doria, tu, lei..lei non pensa che io..insomma
Mirko”,
scoppiai a piangere, coprendomi il viso con le mani. Un tuono
segnò la fine del
mio discorso, facendo vibrare ogni cosa sotto il suo controllo.
In un
attimo mi fu di fronte, bagnandosi anche lui. Prese le mie mani davanti
al mio
viso, e le spostò delicatamente, portandole sulle sue guance
calde e morbide.
“Scema,
ti amo anch’io”, prese il mio viso tra le mani,
stringendolo, “ti amo da
sempre, e ti ho aspettata. Nonostante tutti i consigli negativi che
dici tu, io
ti ho aspettata..ed ho fatto bene, perché ora che ti ho di
fronte, riesco a
vedere la
Kate
che amo, e che vorrei al mio fianco”, avvicinò le
sue labbra alle mie e mi
baciò con impeto e trasporto.
In quel
momento, mentre le sue labbra baciavano le mie, e le sue mani cercavano
il mio
viso, mi sentii completa, felice.
Grazie,
grazie mille per le recensioni. <3
Piccola
Ketty
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