~ I Breathe your Moments

di Piccola Ketty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***










I’m a shoulder you can cry on
Your best friend, I’m the one you must rely on

Per te.











Ero sull’autobus, diretta verso la scuola guida.
La settimana prima avevo deciso di iscrivermi, non potevo aspettare un altro mese, altrimenti la convinzione sarebbe sfumata nel nulla.
L’autobus era pieno, come sempre, nonostante fossero già le sette di sera.
“Scusi, scende alla prossima?”, domandai con fretta ad un signore davanti a me.
“No, ma la lascio scendere signorina”, il sorriso lascivo che accompagnò la risposta, mi fece venire un brivido lungo la schiena, davvero poco piacevole.
“Grazie”, sorrisi, fingendo come meglio potevo.
Mi madre mi aveva sempre insegnato il rispetto verso le persone più anziane, anche se queste non potevano di certo definirsi persone tranquille.
Ormai non ci si poteva fidare più di niente, e di nessuno.
Quando l’autobus si fermò alla sua fermata, aprendo le porte, quasi lo dovetti spingere per farmi passare.
Ridicolo.
Finalmente fuori, ripresi a respirare a pieni polmoni.
L’odore di chiuso, di caldo e di sudore, era insopportabile, quando sull’autobus c’erano alcuni tipi di persone.
Non pretendevo che si lavassero tutti i giorni, ma che almeno non si mettessero le maniche corte, facendo sentire ogni cosa.
Rabbrividii, avvicinandomi alle strisce pedonali.
La scuola guida era proprio di fronte a me, e mostrava la sua insegna luminosa.
Quando entrai dentro, l’aria fresca mi fece tornare il sorriso, lasciando alle spalle il caldo soffocante ed umido della città.
“Ciao cara”, le segretarie – amiche di mia madre - le donne che stavano sempre dietro alla scrivania centrale, erano delle persone fantastiche, che riuscivano a tranquillizzarti anche nei momenti più difficili.
Secondo mia madre con loro potevi parlare di qualunque cosa, potevi scherzare e parlare di cose serie nello stesso momento, potevi prenderle e farti prendere in giro, senza rimanerci male. A suo dire erano fantastiche, e visto che di lei mi fidavo, sapevo che non mi sarei pentita di arrivare prima del solito.
Le avevo già conosciute la settimana prima, quando mi ero iscritta, poi ero passata per fare la visita oculistica, quindi, mi madre non si sbagliava.
“Come state?”, domandai appoggiandomi al bancone, sospirando.
“Oggi siamo distrutte, oltre tutto Marzia ha il bambino a casa con la febbre..”, Fiamma, così si faceva chiamare, visto che il suo nome per intero non le piaceva affatto, si voltò verso la collega, guardandola con aria preoccupata.
“Beh, con questi sbalzi di temperatura, vorrei vedere chi non se la prenderebbe”, cercai di sorriderle, ottenendo un piccolo sbuffo sghembo.
“Oggi è il primo giorno di lezione vero?”, mi domandò Marzia.
“Eh si..oggi è il primo di una lunga serie. Avrete la nausea della mia presenza”, sorrisi, indicandomi.
“Ma cosa dici. Fossero tutte cordiali come te, saremo anche felici di avere la scuola piena”.
Biascicai un “grazie” emozionata.
Avvistai alcune sedie libere, e mi ci fiondai subito, rilassando le gambe.
Mancava mezz’ora all’inizio della mia lezione. Era l’ultima della giornata, ma lavorando, era già tanto se potevo frequentare quella.
Arrivavo a casa ad orari improponibili, ma era il prezzo da pagare per poter prendere la patente.
Ascoltai distrattamente le ragazze parlare di bambini e di infanzia, fissando il soffitto.
Portai entrambe le braccia sull’addome, rilassando le spalle. Avevo trovato una posizione perfetta.
Ero alta, e per questo motivo mi era difficile rilassare anche le gambe.
Di solito intralciavo il passaggio della gente, che sbuffava.
Quel giorno, però, me ne fregai altamente, visto che dalla porta principale non sembrava entrare nessuno.
Chiusi gli occhi, beandomi del fresco che l’aria condizionata sprigionava nell’ambiente.
Immaginai il mare, l’acqua fresca, il sole sulla pelle abbronzata.
Gli ombrelloni nella spiaggia, i bambini che giocavano felice, i libri letti durante l’estate, tutte cose che ormai l’inverno avrebbe portato via.
Ma non ero del tutto triste, a me piaceva il freddo, e non ci stavo di certo male.
Aprii gli occhi, quando qualcuno spinse il mio piede verso sinistra.
Alzai la testa, trovandomi di fronte ad un angelo.
Stavo sognando, e stavo anche facendo la figura della bella addormentata.
Sbattei le palpebre, per far si che la mia testa potesse tornare a pensare da sveglia, ma l’immagine restava sempre lì.
L’angelo mi fissava, sorridendo sghembo.
Cosa hai da guardare?
“Kate, dovresti firmare questi fogli, vieni?”, sbattei di nuovo le palpebre, spostando la testa per poter guardare Marzia.
“Oh, certo. Arrivo”, posai le mani sulle ginocchia, alzandomi e stiracchiandomi leggermente.
Mi ritrovai così, di fronte a quel ragazzo, alto, con i capelli neri, e quegli occhi azzurri pieni di vita.
Sorrisi imbarazzata, portandomi una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
Mi spostai, per passargli affianco, sedendomi poi sulla sedia di fronte a Marzia.
Il ragazzo aggirò la scrivania, iniziando a sfogliare un’agenda.
Lo guardai, probabilmente con uno sguardo da pesce lesso.
Presi in mano la penna, restando comunque con l’attenzione rivolta verso quel ragazzo.
Lavorava lì? Quanti anni aveva?
Non lo avevo mai visto in giro prima, non avrei dimenticato il suo viso.
Firmai tutti i fogli sotto la mia mano.
“Bravissima, lui è il tuo insegnante..”, Marzia si era avvicinata, sussurrando le ultime parole.
Strabuzzai gli occhi, pensando di aver sentito male.
“Eh già..è abbastanza giovane. Insieme a mio marito, che conosce dall’età di dieci anni”, era orgogliosa, probabilmente lo riteneva un secondo figlio, “fanno le lezioni di teoria. Ha ventisette anni”, mi sorrise sorniona, indicandolo.
“Oh beh..ma non mi interessa..cioè..”, imbarazzatissima, peggiorai solo la situazione.
Lo sguardo di Marzia si riempì di tenerezza, e sorridendomi, mi fece l’occhiolino.
“Ed è single”, aggiunse poi, alzandosi dalla sedia.
La mia bocca prese la forma di una O enorme, seguendola con lo sguardo nei suoi movimenti.
Giovane, bellissimo, single, e potevo osservarlo per ben tre giorni a settimana. Perfetto, se prima credevo che prendere la patente sarebbe stato difficile, ormai ne ero certa.
 
Ormai era risaputo, la ragazza che lavorava insieme a Marzia e a Fiamma, non andava a genio a nessuno.
Nel giro di qualche minuto, dopo la mia bella figura, l’entrata della scuola guida si era riempita di gente, annullando completamente l’effetto dell’aria condizionata.
Avevo scoperto che insieme a me, c’erano altre tre ragazze giovani, che avranno avuto più o meno la mia età.
Non ero di certo una persona che faceva amicizia facilmente, infatti preferii restare nel mio cantuccio, vicino al bancone, a parlare con le ragazze.
Monica, così si chiamava la ragazza apprendista che dava una mano nella scuola.
Era una ragazza abbastanza egocentrica, che si faceva notare non solo per il suo look stravagante, ma anche per la sua parlantina.
Marzia e Fiamma non potevano sopportarla. Si erano pentite di averla presa, ma ormai la dovevano tenere per un altro anno, e portare pazienza.
Effettivamente, anche se ci avevo scambiato davvero poche parole, a pelle, era una persona che non mi era piaciuta affatto.
E soprattutto, da quello che mi avevano raccontato in quella mezzora, dopo che avevano notato il mio interesse mal celato per l’istruttore, Mirko – così si chiamava – anche Monica aveva posato gli occhi su di lui, anche se lui non l’aveva ricambiata per il momento.
Piccoli gossip che però riuscivano a farmi passare l’ora di stallo.
“Bene ragazzi, entrate pure”, passarono alcune persone, uscenti dal corso prima del nostro.
Salutai le altre, avviandomi insieme alla fila, all’interno della stanzetta dove si sarebbe tenuta la lezione.
Non era grande, e poteva ospitare al massimo una quindicina di persone, ma per il numero che eravamo quel giorno, andava più che bene.
Mi sedetti su una sedia abbastanza vicina alla cattedra, per poter seguire meglio – o per poterlo osservare meglio – dipendeva dai punti di vista.
Le sedie erano le classiche per gli studenti, con l’appoggino che si rialzava alla destra della sedia.
Misi il libro di teoria sopra di esso, picchiettando il piede sul pavimento.
Avevo già letto alcune pagine, portandomi un po’ avanti. Non volevo restare indietro, e dover studiare tutto alla fine.
Leggendo a lavoro, avrei poi ripassato con la scuola.
La porta si chiuse alle mie spalle, facendo terminare il ronzio che si era creato di sottofondo.
Sentii dei passi sicuri e tranquilli avvicinarsi, fino a quando la figura perfetta di Mirko non entrò nella mia visuale, facendomi perdere alcuni battiti.
Smisi di battere il piede per terra, prestando attenzione alle sue parole.
“Ben venuti ragazzi. Io sono il vostro insegnante”, mimò le virgolette sull’ultima parola, “e sarò con voi fino alla fine del corso”.
Un gridolino di approvazione partì da alcune ragazze posizionate davanti a me.
Sorrisi, cercando di nascondermi.
Purtroppo però, gli occhi di Mirko mi trovarono subito, portando anche lui a sorridere.
Rideva di me? Fantastico.
“Bene, direi che possiamo incominciare”, mi guardò per un altro secondo, che però mi sembrò una vita, prima di iniziare a parlare di segnaletica stradale, e di patente.


***

Rieccomi.
Alcune di voi saranno felici, altre meno, ma io lo sono e questo basta.
Ho avuto un brutto periodo, e infatti – chi mi conosce – sa quanto io abbia patito questo allontanamento dalla scrittura.
Ma, per fortuna, e grazie a chi ha creduto sempre in me, sono tornata con una nuova storia, originale (come da tempo già volevo fare) fresca, fresca.
Buona lettura ragaSSe.
Grazie a chi mi seguirà, a chi lo ha sempre fatto, e a chi non smetterà mai di farlo.




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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


I breathe your moments










2.

Seguii tutta la lezione con interesse, guardandolo negli occhi, e meravigliandomi per non essere caduta nella tentazione di fantasticare.

Era bravo, riusciva a farti capire ogni cosa, senza nemmeno doverla ripetere. Pendevo dalle sue labbra.
Quelle labbra carnose e rosse, che si muovevano sinuose.
Aveva un vizio, si passava spesso la mano tra i capelli, già scompigliati.
Era tenero, e buffo. Ma una cosa era certa, era davvero bello.
Aveva uno sguardo tenebroso, che racchiudeva chissà quale arcano segreto, e nello stesso tempo, riusciva a darti sicurezza e serenità anche soltanto con un sorriso.
Anche lui mi aveva guardata negli occhi più di una volta, costringendomi a spostare lo sguardo sul tabellone luminoso.
Quando arrivarono le nove, quasi rimasi delusa.
L’ora era passata troppo veloce, non me ne ero accorta.
“Allora ci vediamo giovedì, va bene?”, sorrise alla “classe”, facendo un cenno di saluto.
Le ragazze iniziarono ad alzarsi, lasciandogli degli sguardi davvero poco misteriosi.
“Ciao Mirko”, una ragazza uscì salutandolo con la manina alzata, proprio da bambina infantile, o da donna davvero poco seria.
Le sorrise, restando però composto.
Mi abbottonai la giacca, visto che alle nove di sera, la temperatura calava drasticamente, rispetto ai venticinque gradi del pomeriggio.
Alzai lo sguardo su di lui, ed i brividi di poche ore prima, tornarono a farsi sentire, insieme alle farfalle nello stomaco.
Era una sensazione bellissima, sarei rimasta in quella posizione per il resto della mia vita, ma dovevo andare a casa.
Gli sorrisi, prima di prendere la mia borsa e fare la gincana tra le sedie.
“Ho visto che segui con interesse”, mi fermai di colpo, spostando lo sguardo sulla sua figura.
In piedi, di nuovo di fronte a me, le farfalle presero a volare più velocemente facendomi fare fatica per formulare un pensiero coerente.
“Ehm si, ho già letto qualcosa..”, sorrisi abbassando gli occhi sulle sue scarpe.
“Posso darti del tu, no?”, si avvicinò, notai i suoi piedi avanzare verso di me.
“Certo”, ammisi portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Bene, allora ci vediamo giovedì”, avvicinò la mano ponendo il palmo verso la porta.
Voleva che gli stringessi la mano? Ne sarei stata capace?
Avvicinai anche la mia mano, stringendo la sua che me la copriva completamente.
Alzai gli occhi incontrando si suoi, di un azzurro intenso.
“Il tuo nome?”, mi domandò con voce roca.
Lo aveva chiesto anche alle altre?
“Kate”, sussurrai non riuscendo a spostare lo sguardo.
“Mirko..”, probabilmente non sembrò sciocco soltanto a me sapere di nuovo il suo nome, visto che sorrise anche lui insieme a me.
Aveva un sorriso bellissimo.
“A giovedì allora”, sorrisi di nuovo, lasciando la sua mano, ed avvicinandomi alla porta.
Mi voltai un’ultima volta, trovando il suo sorriso verso di me.
Fece un cenno positivo con la testa, avvicinandosi alla cattedra per sistemare dei fogli.
Fuori dalla stanzetta, l’aria era più fresca, e sicuramente, la mia testa poteva ragionare senza il suo profumo intorno.
Non mi era mai successa una cosa del genere, ma sicuramente, non ne ero dispiaciuta.

Dopo una giornata di lavoro, ritornare in quella scuola, era di certo un’ottima prospettiva.
Ormai non mi faceva nemmeno più fatica arrivare a casa tardi.
Era passata una settimana dal primo giorno di lezione, e ormai ero diventata una componente del gruppo tra le segretarie.
Spesso gli davo una mano con alcune scartoffie, per far si che potessero uscire nell’orario giusto di chiusura.
Quando però, arrivava Mirko, la mia attenzione si spostava su di lui, che però, non mi degnava di uno sguardo.
Da quella sera, non ci eravamo più rivolti più di un ciao ad inizio lezione, ed un arrivederci alla fine.
L’unica cosa che riusciva a tirarmi su il morale, erano gli scambi di sguardi che ci lasciavamo, pieni di significato, da parte mia.
Quando i suoi occhi si spostavano nei miei, c’eravamo solo noi.
Non posso negare, che più di una notte nei miei sogni non ero sola, e insieme a lui, non facevo di certo cose da minorenni. Il suo fisico, i suoi occhi, le sue labbra, tutto di lui gridava sesso.
Tutto, e soprattutto, ogni sua azione, anche soltanto il passarsi la mano tra i capelli, mi provocava una scossa lungo la schiena, piacevole da sentirsi, ma sicuramente terribile quando non la sentivo.
Nei sogni che facevo insieme a lui, il piacere che mi donava era imparagonabile rispetto alle poche esperienze che avevo avuto. Era fantastico.
Ritornai alla realtà, quando Marzia mi sventolò una mano davanti al viso.
“Bella addormentata, ci sei stasera?”, mi domandò sorridendo.
“Si, è solo che sono un po’ stanca..”, mi passai una mano sugli occhi, massaggiandomi poi le tempie, “ho un po’ di mal di testa”, ammisi.
Restai con loro per un altro po’, fino a quando non iniziò la lezione e, di nuovo, il mio corpo fu scosso da milioni di scintille quando per sbaglio – oppure no – la sua mano sfiorò la mia, entrando nella stanza.
Erano dei contatti davvero particolari, che probabilmente mi immaginavo solo io.
Era venerdì, quindi tutta la stanchezza della settimana, mi si riversava contro ad ogni sbadiglio.
Cercavo di stare attenta, ma ovviamente il mal di testa non me lo permise.
Persi gran parte della lezione, restando fissata sul pavimento, o sul tabellone lumino senza però vederci niente.
Avevo bisogno di una pastiglia, altrimenti non sarei arrivata a casa.
Ravattai nella borsa alla sua ricerca e quando la trovai, trionfante la ingoiai bevendo qualche sorso d’acqua.
Ormai erano quasi le nove, ma avrebbe sicuramente fatto effetto prima di quell’ora.
Quando Mirko spense il tabellone, i miei occhi non protestarono, anzi, glie ne furono grati.
Mi alzai barcollante, reggendomi ad una sedie, mentre aspettavo che il resto della classe uscisse.
Senza il benché minimo sforzo, mi lasciai ricadere sulla sedia, prendendomi la testa tra le mani.
Chiusi gli occhi, e pregai che la fitta che mi aveva colpita svanisse in fretta così come era arrivata.
“Ehi, va tutto bene”, sentii una mano delicata posarsi sulla mia spalla.
Non risposi, ero concentrata sul dolore.
“Kate?”, quella volta, però, riconobbi la sua voce, la sua morbidezza nel pronunciare il mio nome.
Alzai lentamente la testa, incontrando i suoi occhi preoccupati, “va tutto bene?”, mi chiese di nuovo, piegandosi sulle ginocchia.
“Si, si. Ho solo un po’ di mal di testa..”, ammisi vergognandomene subito.
“Hai preso qualcosa”, ammise, “non ha ancora fatto effetto?”, aveva visto il mio gesto di poco prima, aveva prestato attenzione.
Probabilmente fu solo una mia impressione, ma sapere che ancora aveva interesse per me, riuscì a farmi stare meglio per qualche secondo.
Sorrisi più a me stessa che a lui, “si di solito non impiega molto..ora esco, così puoi chiudere”, mi alzai con più grinta quella volta, prendendo la mia borsa tra le mani, e aggirandolo per uscire.
Quando la sua mano si posò sul mio braccio, facendo una lieve pressione, sussultai ed il mio cuore iniziò a battere troppo forte, e temetti che anche lui potesse sentirlo.
“Se vuoi rimanere, non ti preoccupare, io devo sbrigare alcune faccende..non ho fretta di chiudere”, osservai la sua mano ancora sul mio braccio, e me ne compiacqui.
“Scusa”, subito la allontanò, ed io mi sentii di nuovo male.
Aveva pensato che lo stessi osservando perché mi dava fastidio sentire le sue mani su di me?
Si sbagliava.
“Tranquillo”, sorrisi, “grazie, ma davvero. Ora vado, altrimenti a casa non ci arrivo più”, anche se mi dispiace davvero tanto, di non passare altro tempo insieme a te.
Aprì la bocca per parlare, richiudendola quasi subito e mordendosi il labbro, “va bene, allora buon week end”, annuì vistosamente, allontanandosi completamente da me.
“Grazie, anche a te”, lo seguii con lo sguardo, fino a quando non si trovò di spalle, ed io rimasi qualche secondo ad ammirare le sue spalle, i suoi fianchi..
Chiusi gli occhi, costringendomi ad uscire da li, altrimenti, non so cosa sarebbe successo.
“Ciao”, sussurrai passandogli accanto e raggiungendo la porta.
“Ciao”, non si voltò nemmeno, continuando a girare alcuni fogli tra le sue mani.
Mi richiusi la porta dietro alle mie spalle, sospirando.
Sarebbe stato un week end lunghissimo, ed era la prima volta che l’arrivo della settimana successiva, non mi recava alcun danno morale.

***

Secondo capitolo.
Vi ringrazio per l'appoggio.
La storia è molto sintetica, si basa principalmente sul rapporto tra i due protagonisti.
Non ci sono ambientazioni diverse, tranne qualche accenno, e nemmeno altri personaggi secondari.
Mi affido a voi ;)


Angyr88: Tesoro, sapevo che non saresti mancata. Grazie, per tutto..il tuo appoggio, il fatto che tu abbia creduto in me anche quando non riuscivo nemmeno a scrivere un "ciao" ;) Sei un'amica fantastica, ricordalo, e chi non se ne accorge è soltanto uno stupido! Ti voglio bene..

Liselotta: Domani, domani, domani, domani, domani, domani..e potrei scriverlo all'infinito.. <3  Tesoro mio, non dirlo a nessuno, ma io non ho un mega stra figo :D anzi, avrà quarant'anni..però non è da buttare muahmuah..Oh tesoro, se mi scrivi certe cose, poi  mi si appanna la vista! Che dire, questa storia è tipo uno scarabocchio per i pittori..è uscita così, e arriverà così :D ti voglio bene, e anche tu sei speciale!

Frytty: Poteva mancare la mia irresistibile e fantastica socia? Macchè..è grazie a Lei se il pezzo rosso è uscito :D ah, ma sei tu, ciao tesoro!! Vediamo, ti ho già detto che non so scrivere?? Vieni pure qui, *-* a dirmi il contrario..sisi.. *-* Ad ogni modo, grazie, GRAZIE per il tuo supporto..sei una persona bellissima e fantastica, e sono davvero fortunata..Questo un capolavoro?? O.o mi fido eh..eheh..Buon pomeriggio tesoro mio! Ti voglio bene..

Himechan: Allora, partiamo dal presupposto che sono ONORATA di averti qui, come lettrice di questa storia. Insomma tu per me sei un mito, un esempio, le tue storie mi hanno fatto, e mi fanno sognare..il fatto che tu legga delle cose mie, mi riempie di gioia, davvero..Infatti, quando ho visto il tuo commento, alle undici di sera :D subito non ho collegato..poi mi son detta, mezza addormentata, "ma questa ragazza, io la conosco..", ho guardato le tue storie, è bastato leggere "per ardua ed astra" ed i miei occhi si sono subito illuminati tipo faro nel mare XD *-* cioè..sono davvero felice. Per quanto riguarda i tempi di aggiornamento, la storia è finita XD quasi..quindi i capitoli arriveranno regolarmente - imprevisti permettendo! E anche se mi fai aspettare, leggere poi un tuo capitolo è sempre una gioia cara..davvero..tu sei un'artista, e devi metterelo bene in testa.. Ti mando un abbraccio enorme, e grazie ancora per esserti infilata in questa storia ;) Un bacione..




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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


I breathe your moments










3.

Sano sesso Kate, sano sesso.
Le parole della mia migliore amica mi erano rimaste impresse nella mente, lasciandomi sorpresa.
Non era mai stata troppo espansiva, e di certo non mi aveva mai dato un tale consiglio, ma dopo averle raccontato cosa provavo quando mi trovavo nella stessa stanza con Mirko, non aveva esitato e se ne era uscita con quella frase.
Ci pensai per tutta la giornata, anche durante il tragitto verso la scuola guida, quel martedì.
Il week end era volato, a differenza di quello che avevo pensato.
Entrando notai subito qualcosa di diverso.
Monica era attaccata a Mirko, quasi sopra le sue gambe.
Erano seduti vicini, e sorseggiavano allegramente un caffè ridendo.
Sentii un leggero fastidio, partire dal centro del petto, e diramarsi per ogni nervo presente nel mio corpo, innervosendomi all’invero simile.
Li osservai avvicinandomi al bancone, sentendo sempre più fastidio.
Decisi di spostare la mia attenzione sui due sguardi che mi stavano osservando curiosi.
“Ciao”, le salutai, sorridendo.
Mirko si voltò subito, sentendo il mio saluto, mentre Monica impiegò più tempo. Forse era troppo impegnata ad osservargli il cavallo dei pantaloni.
Mi morsi il labbro, cercando di resistere alla tentazione di incontrare i suoi occhi e di sorridergli.
“Passato bene il week end?”, domandai sfogliando distrattamente alcuni fogli sul bancone.
“Kate”, Fiamma si avvicinò, per permettere solo a ma di sentire le sue parole, “calmati, e cerca di respirare”.
Subito non capii il motivo del suo consiglio, poi, notai che le nocche delle mie mani erano diventate bianche, a forza di stringere la borsa tra le mani.
“Ehm, si..forse”, ammisi distratta, vergognandomi.
“Ti mancano gli occhi gialli, poi il viso paonazzo è quello..gelosia”, iniziò a canticchiare una melodia sulla gelosia, davvero poco spiritosa.
La fulminai con lo sguardo, cadendo nella tentazione di fissarlo.
Mi stava guardando ancora, ed il suo sguardo era profondo, il colore degli occhi era quasi blu.
Si alzò, lasciando sorpresa Monica.
Buttò nel cestino il bicchiere, e lentamente uscì dalla scuola.
Rimasi sorpresa dal suo gesto. L’avevo forse infastidito?
Ovviamente, l’occhio astuto delle due donne dietro al bancone, che avevano assistito a tutta la scena, non perse tempo per fissarmi di nuovo.
“Cosa ci nascondete voi due?”, mi domandò Marzia seria.
“Noi..chi scusa?”.
“Tu e Mirko. Insomma, è da quando ti ha vista la prima volta che quando ci sei, ti gira attorno..”, davvero?, “e pure tu, giri intorno a lui come se fosse il tuo pianeta..”.
Strabuzzai gli occhi.
Aprii la bocca per replicare, ma non riuscii a trovare niente di sensato da dire.
Per quanto riguardava me, aveva terribilmente ragione.
Ormai non facevo che pensare a lui, a lavoro, la mattina appena mi alzavo, la sera prima di andare a dormire, e la notte lo sognavo, sempre.
Non vedevo l’ora di rivederlo, di risentire la sua voce ed i suoi occhi su di me.
Mi passai una mano tra i capelli, arrossendo.
“Esco un secondo..”, sussurrai, lasciando tutta la mai roba sulla loro scrivania.
Mi precipitai fuori, respirando a pieni polmoni.
Quel giorno aveva piovuto parecchio, e stranamente, l’umidità non era ancora scesa.
Faceva freschino, e ancora si sentiva l’odore di pioggia.
Portai le braccia davanti al corpo, unendo le mani e stiracchiandomi.
Ero stanca, avevo sonno, e sinceramente, non ero pronta a rendermi conto di una tale verità.
Non potevo, a vent’anni, essermi presa una cotta simile per un uomo di trenta. Non poteva essere vero.
Nemmeno a quindici anni mi riducevo in quello stato. Soprattutto per dei ragazzi così grandi.
“No, no..no..no..”, sbattei il piede per terra, tenendo le mani sul mio viso.
Lui trenta, io venti, dieci anni erano troppi.
Il suo tipo di donna ideale, non ero di certo io, una ragazzina confronto alle persone che era abituato a frequentare.
“Tutto ok?”, sobbalzai, allontanandomi da lui.
“Scusa, ti ho spaventata?”, corrugò le sopracciglia, facendo spuntare qualche ruga di preoccupazione sulla sua bellissima fronte.
“No, ero solo sovrappensiero”, ammisi seria. Fissai le macchine ingorgate nel traffico, tutto pur di evitare di pensare a lui.
Fece per entrare, ma si fermò a qualche centimetro dal mio viso, proprio vicino al mio orecchio.
Di nuovo, con la coda dell’occhio, lo vidi aprire la bocca per parlare, facendomi sentire il suo respiro vicino, ma subito la richiuse, scrollando la testa ed entrando.
Ripresi a respirare a pieni polmoni.
La sua presenza mi destabilizzava, non potevo continuare così.
Se gli altri si erano già accorti di quello che mi succedeva, lui l’avrebbe capito entro breve, a meno che già non l’avesse fatto.
Sbuffai, lanciando un povero sassolino.
Rientrai più nervosa di prima, fulminando Monica, che aveva ripreso a chiacchierare con lui e cercando conforto negli occhi delle due donne che ormai mi avevano presa tra di loro.
“Vieni tesoro”, Marzia mi passò un bicchiere fumante di cioccolata, ed io gliene fui grata.
“Proprio quello che ci voleva”, sorrisi, assaporando il sapore di quel liquido denso sulle mie labbra.
Ci passai la lingua sopra, chiudendo gli occhi e mugolando di piacere, “sapete da quanto tempo è che non bevo della cioccolata calda?”, bagnai di nuovo le labbra, rifacendo le stesse mosse di prima.
Quando riaprii gli occhi, Mirko stava sbattendo la porta del bagno.
Sbattei le palpebre, poiché mi ero persa qualcosa di grosso, visto il suo atteggiamento.
Le guardai curiosa, aspettando che parlassero.
“Allora Kate, forse non te ne sei accorta, ma quello che ti abbiamo detto prima, non è una bugia. E tu, se fai così..”, agitarono le mani, indicando il bicchiere e le loro labbra, “farai morire ogni uomo”, l’occhiolino non mancò, ed io scoppiai a ridere.
“Ridicolo! Io, che faccio impazzire un uomo”, risi di gusto, sentendo dolore allo stomaco, “bella questa..”.
Scrollai le spalle, andandomi a sedere su una sedia libera, ed aspettando pazientemente il turno della mia lezione.
Quella sera, non mi guardò nemmeno una volta.
Ogni volta che il suo sguardo stava per incontrare il mio, subito lo spostava di nuovo, a volte voltandosi addirittura.
Ne rimasi delusa, probabilmente, il mio comportamento non gli andava a genio.
La differenza di età si fece sentire maggiormente quella sera, facendomi sentire ancora più piccola di quanto in realtà non fossi.
Dovevo assolutamente smettere di pensare a lui.
Dovevo almeno provarci.
 
“Mi spieghi come fai, se ogni volta te lo becchi a scuola guida?”.
“Smetterò di andarci”, ammisi scrollando le spalle.
“Sei scema? E dove mi staresti portando ora, scusa?”, ero con Melanie, la mia migliore amica, ed ovviamente la stavo portando alla scuola, per farle vedere il fantomatico ragazzo/uomo per il quale avevo ormai perso la testa.
“A scuola guida, ma solo per fartelo vedere. Almeno potrai sorreggermi nei momenti disperati”, la guardai con gli occhi dolci, “se no a cosa serviresti scusa?”, alzai gli occhi, strafottente.
“Oh per altre tante cose, ma tanto non mi dai mai retta, quindi potrei pure andare in pensione”.
“Dai, su”, la spintonai, continuando a passeggiare al suo fianco.
Ci stavamo avvicinando, ed il mio stomaco aveva preso a girare su se stesso, facendo mille capriole, sempre con le farfalle dentro.
“Ti avviso, se mi piace, prenderò pure io la patente qui”.
“Ma se ce l’hai già!”.
“E allora? Lui mica lo sa..”, sorrise sorniona, meritandosi una sberla sul braccio.
“Ora, entriamo a tu farai finta di niente, ok?”, la supplicai.
Tre.
Due.
Uno.
Il dlin della porta fece voltare i presenti.
“Mai trovata la porta chiusa, oggi invece..”, sussurrai pentendomi già di quello che stavo per fare.
Melanie era la persona più fidata al mondo, più riservata e sicuramente della quale potevo fidarmi ciecamente.
Ma quando si trattava di bei ragazzi, eravamo terribili.
Insieme, eravamo pericolose.
Detti un’occhiata alla stanza, non trovandolo.
Abbassai lo sguardo dispiaciuta, salutando Marzia e Fiamma.
“Non c’è?”, mi domandò accarezzandomi la schiena.
“No..”, ammisi sospirando.
“Dai, aspetto fino a quando non entri”, sorrise, facendo sorridere anche me.
“Davvero?”.
“Certo!”.
Le presentai le due chiocce che subito la fecero entrare nell’ottica della scuola, riempiendo anche lei delle ultime novità. Grazie a Dio, evitarono di parlarle dei miei comportamenti.
Lei sapeva già tutto, ma risentire la mia esasperante fissazione, non mi avrebbe giovato.
La porta si aprì, ma ormai lo aveva fatto tante di quelle volte, che non ci giravamo nemmeno più.
Eravamo intente ad ascoltare un discorso di Fiamma su sua figlia, che nemmeno mi accorsi della persona che mi affiancò.
“Ciao”, mi salutò, sorridendomi.
Mi voltai, riconoscendo subito la voce.
Era bagnato come un pulcino, i capelli neri gli incorniciavamo il viso perfetto, e il sorriso gli arrivava da un orecchio all’altro.
Gli occhi erano accesi e luminosi, ed io non riuscii a fare a meno di sorridere di rimando.
“Ciao”, la mia voce, così calda, non l’avevo mai sentita.
“Ragazze, uso il bagno. Torno subito”, si rivolse alle segretarie, ma il brivido di piacere mi pervase comunque.
Lo osservai dirigersi verso la porta del bagno, e lo sguardo che mi lanciò, poco prima di chiudere la porta, mi fece emozionare.
“E’ lui?”, balbettò Melanie al mio fianco.
Non mi ricordavo nemmeno di essere in mezzo ad altra gente, per un minuto c’eravamo stati solo noi due, di nuovo.
“Si”, risposi fiera.
“Ed è cotta tesoro”, ammise Marzia.
“Oh ma come..è..cioè..è..”, Mel prese a battere le mani e a saltellare sul posto.
Mi fece spostare, portandomi in un angolo della stanza.
“Io non ti aiuterò in niente..chissene frega se ha dieci anni più di te? Oh cara..sei fantastica..cioè, hai una fortuna..”, saltellò di nuovo sul posto, facendomi ridere.
“Ora devo andare, ma tu, tu devi raccontarmi tutto, ok?”.
L’abbracciai, felice di poter contare sul suo sostegno, “certo”, la guardai uscire dalla scuola guida, con il sorriso a trentadue denti.
Quando tornai nel bancone, ormai c’era troppa gente, quindi non riuscimmo più a parlare di quello che era successo.
O forse avevo notato solo io, la felicità nei suoi occhi?

***

Terzo capitolo.
Siete fantastiche, non dico altro.


Angyr88: Donna, tu sei forte, e su questo non si discute, capito? Ne sei uscita bene, con la testa alta. E fregatene di quello che dicono gli altri! La vita è tua, tua soltanto..quindi decidi tu cosa farne -.- Per quanto riguarda la storia, grazie tesoro, grazie davvero. Sapere che, nonostante la mia assenza, e la mia scarsissima voglia precedente, voi siete sempre lì, in prima linea, mi riempie il cuore di gioia *.* ti voglio bene!

Liselotta: Ah tesoro, hai notato che io sbaglio SEMPRE il tuo Nick?? Mamma mia..lo lascio così eh, mi piace di più ù.ù  che schifo guarda, ti svegli a degli orari XD che mi fai un'invidia assurda ahahah! Tesoro, tu e le rosse..tu e lezioni..mi viene male a pensare che devo attendere XD ma sarà per poco vero? Poi pubblicherai?? ;) Sei curiosa?? Eh, vedrai che le cose arriveranno velocemente -.- per questo non mi piace..mi pare troppo veloce..però se piace a voi ^.^ per me va bene..ti voglio bene tesoro!

Frytty: Allora, mettiamo in chiaro una cosa! Quando dici che io sono brava, devi capire, che lo sei pure TU! E se non capirai questo, sarà inutile -.- il tuo pezzo rosso è stato di vitale importanza. Ero davvero bloccata T.T
Socia mia, quando è che ci sentiamo eh? Quando?? Sarà una vita, per me, che non ti sento ç_ç il fatto è che mi sto disintossicando dal pc, diciamo..FB è proprio andato ormai xD rimane solo per farmi gli affari degli altri..ma msn, anche quello lo apro poco, e quando lo apro tu non ci sei..quindi lo richiudo -.- se non ci sono le persone che voglio..Picciulina..spero davvero di sentirti presto..mi illumini la giornata..senza di te, è davvero nera :( ti voglio bene Scricciola.

Piaciuque: Grazie mille ^_^ mi fa davvero piacere che tu sia riuscita a commentare, nonostante il poco tempo..non ti preoccupare, anche a me succede con le storie che mi piacciono..non verro a picchiarti XD spero che andando avanti, la storia possa piacerti allo stesso modo! Un salutone!!

NeverThink: *.* mea culpa, mea grandissima culpa. Non ti ho avvisata, e ti ho già spiegato il motivo..mi spiace :( comunque, anche io vorrei una Mel,  QUI, ogni volta..Kate è fatta a modo suo, vive in un mondo a parte ;) la storia è nata per gioco, ed ora la pubblico, figurati..il fatto che piaccia è pura casualità ù.ù no, scherzo..sono davvero felice di essere tornata con la forma di prima..mi ero davvero demoralizzata in quel periodo, e tu lo sai bene..scrivere non è solo uno sfogo per me, ma una passione..ed il fatto di non riuscirlo a fare, mi faceva stare malissimo! Ovviamente, ora non sto scrivendo, ma questa volta è perchè proprio non ce ne ho testa. Ho altre cose a cui pensare, quindi non ci rimango troppo male..grazie a te ho capito che non esistono i blocchi, sono solo mentali -.- e uno, se sa scrivere, lo sa fare sempre..Ti voglio bene Mel..davvero tanto.. <3









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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


I breathe your moments











4.
 
Avevo notato, da qualche lezione, che la percentuale di ragazze era aumentata dalla prima lezione.
Infatti, non era un mistero che Mirko facesse arrivare tutte quelle “belle” donne vestite di tutto punto, ad ogni ora della giornata.
Probabilmente nemmeno erano intenzionate a prendere la patente.
Monica non gli si staccava mai di dosso, e sinceramente, mi dava più fastidio lei, delle tante oche che sorridevano alle sue affermazioni.
Quella sera diluviava, ovviamente, come faceva ogni giorno ormai.
Era iniziato ottobre, ed erano passate tre settimane dal nostro primo incontro.
Lui era sempre più bello, o ero io che ogni giorno notavo qualcosa di diverso in lui, da farmi battere il cuore.
I capelli erano ancora leggermente bagnati, ma i vestiti erano asciutti, ed i suoi occhi erano sempre accesi.
Mi guardava, non faceva finta di niente, ed io glie ne ero grata. Vivevo di quello scambio di sguardi.
Se me ne avesse privato per altre lezioni, sarei morta.
“E questo è quanto..”, disse finendo l’ultima frase.
“Siamo quasi alla fine del programma, tra poco potrete dare la teoria, se vi sentite pronti, così non dovrete più venire qui la sera”, nel dirlo, posò i suoi occhi nei miei, fissandomi profondamente.
E chi gli diceva che io avrei smesso? Piuttosto avrei fatto un sacco di quiz, ma non sarei sparita dall’oggi al domani.
“Buona serata ragazzi”, sorrise alla classe, guardandoli mentre uscivano.
Ormai ero sempre l’ultima, non era una novità, che restavo per lui.
Se se ne era accorto, era bravo a mascherare tutto.
Quella sera mi sentivo diversa, forse era la sicurezza che qualcosa anche lui poteva provare. Anche solo semplice amicizia, mi sarebbe bastata. Forse.
“La percentuale di sesso femminile, è aumentata vertiginosamente, dall’inizio delle lezioni”, sorrisi, avvicinandomi alla cattedra sulla quale lui era appoggiato.
Si prese la matita tra le labbra, corrucciandole e sorridendo subito dopo.
“E ti dispiace?”, alzò gli occhi nei miei, sorridendo sghembo e facendo schioccare la lingua.
Rimasi pietrificata davanti a quell’affermazione, ma per non farlo notare, dissi le parole sbagliate nel momento sbagliatissimo.
“Potrebbe”, sussurrai, mordendomi subito dopo la lingua. Ma ormai era troppo tardi.
Lessi stupore, curiosità nei suoi occhi, e soprattutto, il loro colore era liquido, e di un blu elettrico.
“Mmmh”, prese la matita dalle sue labbra, e la posò sulla scrivania.
Si allontanò, facendomi sentire nuda e vulnerabile.
Avevo osato troppo, e avevo rovinato tutto.
C’era anche preoccupazione nei suoi occhi, una cosa che non avrei mai voluto vedere.
Abbassai lo sguardo, colpevole e dispiaciuta.
“Scusa, insomma..parlo a vanvera io, sono una scema”, sorrisi nervosa, e sperai davvero che non fosse cambiato niente.
“Ci vediamo domani Kate”, rimase di spalle, voltandosi solo quando ormai ero già fuori.
Dispiaciuta e piena di rancore nei miei confronti, tornai a casa.
 
“Tu sei matta, voglio dire, sei pazza”, Mel mi stava insultando al telefono, e ne aveva tutte le ragioni.
“Lo so, ho rovinato tutto. L’ho turbato, e ora non mi rivolgerà nemmeno una ciao”, piagnucolai al telefono, immaginando una serata completamente evitandoci.
“Dai, ora però non farla così tragica, magari ora ha dimenticato tutto no?”.
“Lo spererei davvero, ma non mi pare che soffra di qualche malattia della memoria..”.
Stavo cercando il libro di scuola guida, mi trovavo fuori dalla porta, e non avevo il coraggio di entrare.
Magari poteva essere malato. No, subito mi pentii di averlo anche solo sperato.
Mi accorsi che qualcosa non andava.
“Mel, aspetta un secondo”, presi il telefono in mano, e ricominciai a cercare dentro la borsa.
“No, no! Cavolo!”.
“Ehi, cosa succede?”, mi domandò lei preoccupata.
“Ho lasciato le chiavi di casa in ufficio..”, sbattei la testa contro la mano, picchiettandomi la fronte.
“Dove diavolo ho la testa?!”.
“Dentro la scuola guida”, tossicchiò Mel immediatamente.
“Scema, grazie! E tu non sei nemmeno in città, che culo”, ammisi appoggiandomi al muro della scuola.
“Devi aspettare che torni tua madre?”, mi domandò apprensiva.
“Si..starò fuori per tre ore buone”, nervosa, ecco cosa ero. Stranervosa.
“Ti farò compagnia, va bene?”, la mia dolce e cara Mel.
“Eh, se non avessi la batteria scarica, ci starei delle ore al telefono con te, ma non posso!”, quella sera ogni cosa era contro di me, ogni stramaledetta cosa.
“Da quando gli ho risposto così, mi va tutto storto. È il karma, vedrai..”.
“Smettila con queste cazzate, ora entra, e smettila di essere triste ok? Che sei più bella quando sorridi”.
“Oh tesoro, grazie..ci sposeremo un giorno, te lo prometto!”, la sentii ridere.
“Non combinare casini cupido!”, si raccomandò salutandomi.
“Va bene! Ci sentiamo domani..”.
“Ciao Kate”.
“Ciao Mel”.
Ti voglio bene.
Aprii la porta, sentendo già una brutta sensazione.
 
Mi sedetti subito sulle sedie libere, evitando di pensare o di avvicinarmi al bancone.
Avevo salutato con un sorriso ed un ciao sincero, ma mi ero subito richiusa in me stessa.
Chissà cosa avrebbe fatto, come si sarebbe comportato.
Nemmeno il tempo di formulare qualche possibile risposta, che entrò con la sua aria sicura e bella.
Lo osservai di nascosto, fingendo di leggere il libro di scuola guida.
“Allora, come è andata ieri sera?”, Monica, l’avrei strozzata.
“Tutto bene, grazie”, rispose lui tranquillo.
“Oh sapevo che ti avrei dato il consiglio giusto. Quando si tratta di certe cose, so sempre cosa fare”, ammise lei fiera.
Alzai piano lo sguardo, vedendo Marzia fissarmi con tristezza.
Ecco, si trattava di una donna. Cavolo. Cavolo. Cavolo.
“E ora la risentirai?”, le domandò lei curiosa, cercando di abbassare la voce, ma era impossibile per un’oca come lei.
Strinsi i bordi della mia maglia, digrignando i denti.
Era come se migliaia di spilli mi stessero perforando il petto.
Sentivo dolore, ma non potevo urlare.
Lui non rispose, ma non riuscii nemmeno a vedere cosa aveva fatto.
Sentivo le lacrime pungere gli occhi, perciò mi isolai dal resto della gente presente, e ripresi a leggere.
Quando fu l’ora di entrare, mi spostai velocemente, evitando il suo sguardo.
 
“Siamo alla fine del programma ragazzi, tra poco faremo solo quiz, quindi preparatevi e mettetevi nell’ottica di fare un ottimo esame, ok?”.
Eravamo alla fine, la fine che tanto avevo agognato, e che ora odiavo come non mai.
Non l’avrei più rivisto, e forse sarebbe stato anche meglio.
Non avevo mai alzato lo sguardo dal libro, soltanto qualche volta, quando sapevo che lui era dietro di me e che quindi non mi avrebbe di certo potuta guardare negli occhi.
Ero rimasta chiusa nel mio limbo, odiandomi.
Quando tutti si alzarono, non rimasi ad aspettare che la confusione uscisse, mi infilai in mezzo a loro, dicendo un “arrivederci” veloce ed uscendo.
Ripresi a respirare regolarmente, avvicinandomi alla fermata dell’autobus.
Ma mi ero completamene dimenticata di non avere le chiavi di casa, quindi era davvero inutile che mi dimenassi per tornare a casa, tanto non ci sarei potuta entrare comunque.
Rimasi ferma immobile ad osservare le macchine passare. Erano sempre meno.
Erano le nove passate, ed ovviamente avevo perso l’autobus.
Iniziai a sbattere il piede per terra, cominciando a canticchiare nella mia mente il motivetto di una canzone ascoltata per radio.
Incrociai le braccia al petto, ed attesi.
Dopo qualche minuto, dove l’autobus non si vedeva, prese a piovere.
“Che fortuna”, ammisi scocciata, cercando l’ombrello.
“Bene, nemmeno questo..ottimo”, sbuffai, sull’orlo di una crisi di nervi in piena regola.
Non avevo le chiavi di casa, quindi ero fuori.
Avevo fatto in tempo a mandare un messaggio a mia madre, per rassicurarla che ero fuori con degli amici – immaginari – che il cellulare si era spento, non dando segni di vita.
Ora aveva cominciato a piovere, ed io ero senza ombrello, già fradicia come un pulcino.
I goccioloni scendevano senza pietà, e a niente serviva coprirsi sotto ai balconi o dentro ai portoni, visto che pioveva con il vento.
Mi levai i capelli appiccicati al viso, cercando di asciugare gli occhi con le maniche del maglione che indossavo.
Iniziava a tirare un vento freddo, che con la pioggia faceva rabbrividire al solo contatto.
Iniziai a sbattere i denti, cercando di riscaldarmi le mani, per quanto potessi.
Non riuscivo nemmeno a vedere l’altro ciglio della strada, pioveva troppo forte.
Guardai la strada, scorgendo un autobus arrivare nella mia direzione.
Speranzosa ritornai vicino al ciglio del marciapiede per poter far segno all’autista di fermarsi, ma quando riuscii a leggere bene il numero dell’autobus, mi accorsi che non era quello che mi serviva, e che quello mi avrebbe soltanto portata dall’altra parte della città.
Se fosse stato pieno giorno, mi sarei infilata dentro un autobus qualsiasi, ed avrei aspettato l’ora di tornare a casa girando per la città. Ma a quell’ora di sera, con la gente che circolava, non era salutare per una ragazza girare da sola per le vie della città, soprattutto sugli autobus.
Sbuffai, sentendomi una completa idiota.
Io, che credevo al karma, ero riuscita a riversarmi contro tutte le cavolate che avevo fatto.
Ed inoltre, lui non mi degnava della minima attenzione.
Io, che avevo pensato che ci potesse essere un qualche interesse, mentre lui frequentava una donna della sua età, matura quanto lui, senza vincoli di età.
Illusa, stupida, illusa.
Rimasi ad aspettare sotto la pioggia, senza andarmi a nascondere dentro al portone nel quale stavo fino a pochi minuti prima, tanto era inutile.
Ero già completamente bagnata, dalla testa ai piedi.
Persino l’intimo, potevo sentirlo bagnato ed appiccicato alla pelle. Era una situazione terribile.
Iniziai a sentire troppo freddo, di quel passo mi sarei presa una bronchite.
Erano le nove e mezza ed io ero ancora li sotto ad aspettare un autobus fantasma.
Mentre osservavo la strada, alla ricerca di un bar aperto, notai con la coda dell’occhio una macchina fermarsi davanti a me.
Perfetto, ci mancavano pure i maniaci a rompere quella sera.
Feci finta di niente, indietreggiando quel tanto che bastava per evitare un contatto con l’autista.
La porta si aprì, e al suo interno, con enorme stupore trovai un Mirko sorridente.
“Sali, svelta..altrimenti ti prenderai un accidenti”.
Lo osservai, come se fosse stato un miraggio.
“Ma ti bagno tutta la macchina”, piagnucolai, già però con un piede avanti.
“Lascia stare, sali”, si spostò per farmi salire, guardandomi.
“Sei completamente bagnata”, ammise fissandomi.
“Ottima constatazione”, sbuffai, rabbrividendo.
Nella sua macchina, con lui al mio fianco, il freddo che c’era fuori era soltanto un’utopia.
Con lui tutto era diverso.
Le farfalle ricominciarono a volteggiare, facendomi provare dei brividi impossibili da contenere.
Avrei voluto urlare, voltarmi verso di lui e baciarlo, sentire il suo sapore sulle labbra.
Ma tutto questo poteva rimanere solo nella mia testa.
“Grazie, per avermi fatta salire”, mi ero appoggiata al sedile, sotto suo ordine, nonostante temessi di bagnargli tutta la tappezzeria.
“Figurati, non potevo mica lasciarti li..”, era concentrato nella guida, visto che non si vedeva niente.
“Dove abiti?”, mi domandò voltandosi appena.
Giusto, casa mia.
“Ehm..in cima alla montagna diciamo”.
“Praticamente nella strada che non si può prendere. Ho sentito alla radi o che qui in pianura è sicuramente più sicuro. Non hai un altro posto dove andare?”.
“No, anche perché ho lasciato le chiavi di casa in ufficio..”, ammisi distruggendomi le dita delle mani.
“Oh. Beh..questo è un problema..senti, non pensare male, ok? Però potresti venire da me, casa mia sta a cinque minuti da qui. Ti fai una doccia e poi appena il tempo si sistema ti riporto a casa”, disse tutto talmente tanto velocemente, che feci fatica a capire.
A casa sua, io a casa sua. Io e lui nello stesso posto al di fuori della scuola guida.
Il respiro accelerò immediatamente, e le farfalle librarono nell’aria felici.
“Se non è un disturbo per te, può andare”, biascicai, visto che la bocca si era asciugata improvvisamente.
“Ok”.
Nessuno dei due parlò più.
Forse l’imbarazzo, oppure si era già pentito di avermi fatto una tale proposta.
Evitai di pensare, e lentamente, grazie all’aria calda che usciva dal cruscotto, mi appisolai contro il sedile, sopraffatta dal suo profumo.

***

Quarto capitolo, ma non riesco a ringraziarvi tutte come dovrei.
Ho un po' - finalmente - di lavoro da svolgere.
Oggi saprò - forse - una cosa molto importante, quindi incrociate l'incrociabile ragaSSe.
Vi mando un grande bacio da una Genova odiosamente piovosa.

:**************







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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


I breathe your moments











5.
 
Il sogno che feci, per quanto potesse essere banale, mi riempì il cuore di gioia.
Era finto, irreale, eppure era come se tutto quello che sentivo, stesse succedendo davvero.
Sentivo le sua dita che delicate, accarezzavano il mio viso.
Mugolai di piacere, quando anche le sue labbra raggiunsero la mia guancia.
Era una sensazione bellissima, di calore, carica di una tale dolcezza, da farmi sciogliere.
Sentivo i suoi occhi su di me, ma io non riuscivo ad aprire i miei.
Avrei voluto osservarli, azzurri e splendenti, incorniciati da quel viso angelico.
“Mirko”, sussurrai, e avvertii il suo dito fare più pressione sulle mie labbra.
Volevo baciare quelle dita, volevo fargli capire che anche io avrei voluto abbracciarlo, ma rimasi immobile, con un sorriso stampato sul viso.
 
“Kate, Kate..”, mi sentii strattonare per un braccio.
Aprii lentamente gli occhi, sentendo tutto il peso della giornata su di me.
Se non mi fossi svegliata grazie a lui, avrei continuato a sognarlo.
Certo, però, che dal vivo, era tutta un’altra cosa.
“Siamo arrivati”, mi disse con un accenno di sorriso sulle labbra carnose.
“Si..”, avevo la bocca impastata dal sonno, e le ossa completamente doloranti.
Scese dalla macchina, e lo osservai fare il giro di essa, davanti a me.
Aprì la mia portiera, così mi feci forza e prendendo la borsa, mi sporsi verso l’uscita.
“Vieni, ti aiuto..”, la sua mano si posò sotto al mio braccio, aiutandomi ad uscire dall’auto.
Quando riuscii ad uscire, con una smorfia di dolore, inciampai sulla cintura di sicurezza, rischiando quasi di cadere per terra.
Quasi, perché lui era lì, pronto ad afferrarmi.
Mi cinse la vita con entrambe le braccia, sorreggendomi ed abbracciandomi.
Era caldo, e asciutto.
Affondai il viso nell’incavo del suo collo, sentendo una fitta al ventre, per il suo profumo che come una colata di lava, scendeva dentro di me.
“Grazie”, sussurrai emozionata.
Forse la vicinanza, forse il fatto che ancora non mi aveva lasciata andare, nonostante i miei piedi fossero in una posizione corretta, o semplicemente perché in quel momento, non c’era la pioggia, non c’erano problemi, eravamo di nuovo io e lui.
Appoggiai le mani sul suo petto, aiutandomi per allontanarmi quel tanto per poterlo guardare negli occhi.
Erano di nuovo blu, quel blu elettrico che avevo visto una volta sola, quando avevo detto la parola sbagliata.
Abbassai lo sguardo, cercando di rimettermi in piedi.
“Quella cintura fa sempre così, dovrò cambiarla, se non voglio vittime sulla coscienza”, sdrammatizzò allontanandosi.
Lo ringraziai, per avermi ridato l’aria necessaria. Se fosse stato ancora così vicino, non avrei risposto delle mie azioni.
“Andiamo”, richiuse lo sportello, avviandosi verso un portone.
Salimmo due rampe di scale, fino a trovarci davanti alla porta di casa sua che aprì velocemente, facendomi accomodare.
“Siediti pure dove vuoi, io vado a prenderti qualcosa di asciutto”.
“Si, grazie”, mi voltai verso la luce che proveniva da una lampada azzurra, come i suoi occhi.
Decisi però di rimanere in piedi, per evitare di bagnargli anche il divano.
Aveva un ingresso molto carino, giusto per due persone.
Aveva un divano con l’angolo ed una penisola, la televisione davanti alla porta di ingresso, e una lampada per la lettura, che dava proprio su una poltrona.
“Ehi, potevi sederti”, non lo sentii nemmeno arrivare.
“Figurati, ti ho già bagnato la macchina”, arricciai il naso, facendolo ridere.
“Tieni, ho preso una mia tuta che..ehm, dovrebbe starti un po’ grande, e in bagno ci sono già gli asciugamani puliti”, era sereno, non teso come l’ultima volta che avevamo parlato. Che avesse davvero dimenticato tutto?
“Grazie, davvero..non so come sdebitarmi. Mi hai davvero tolta da un bell’impiccio”, annuii sorridendo.
Mi fece segno di lasciare stare, indicandomi la porta del bagno.
“Vuoi qualcosa da mangiare? Un the, dimmi tu”, mi domandò prima di entrare.
“Un the va più che bene, grazie”, rimasi per qualche secondo sulla soglia della porta, prima di richiuderla e di appoggiarmi contro di essa.
Ero in casa sua ormai.
E mi stavo per fare la doccia nel suo bagno.
Automaticamente, sentendo l’esigenza da parte del mio corpo, di sentire su di esso qualcosa di caldo, mi spogliai, rabbrividendo per l’umidità che avevo nel corpo.
Lentamente mi sfilai l’intimo, accorgendomi con piacere che i caloriferi erano stati accesi.
Appoggiai tutto sopra di esso, infilandomi poi nel box doccia.
 
L’acqua calda sulla pelle era una sensazione bellissima.
Pensare di usare i suoi bagnoschiuma, mi emozionava di più che immaginarmi tra le sue braccia.
Ma nonostante tutto, il suo profumo non si poteva trovare da nessuna parte.
Sapeva di uomo e di ragazzo al tempo stesso, sapeva di dolce e di forte, di serio ma anche di incredibilmente timido e titubante.
Mi rimisi l’intimo ormai asciutto, e indossai la sua tuta, che profumava ancora di lui.
Affondai il viso nella maglietta, inspirando l’odore di pulito.
Quando finii di ripulire il bagno, uscii fuori, rabbrividendo per la differenza di temperatura.
“Ehi”, mi avvicinai al divano, trovandolo seduto intento a guardare un canale alla tv.
“Ehi”, si voltò verso di me, ridendo, “ti sta un po’ grande”.
“Fa lo stesso, è calda, e sicuramente asciutta”, ammisi sedendomi nel lato più lontano del divano.
Osservò la nostra distanza, sbattendo gli occhi.
“Vado a finire di preparare il the, arrivo subito”.
“Ti do una mano?”, mi ero già alzata, per seguirlo.
“No, no..tu stai pure qui. Prendi il telecomando e fai come se fossi a casa tua”, un sorriso sincero, dal quale pendevo completamente.
Annuii, guardandolo entrare in una porta accanto a quella del bagno.
Mi accomodai sul divano morbido, sentendo di nuovo il suo profumo nell’aria.
Sei a casa sua, è normale sentirlo ovunque.
Guardai la televisione in modo passivo, sul canale del telegiornale, per sapere fino a che punto il mal tempo avrebbe bloccato la città.
Non potevo restare a casa sua per tutta la notte, anche se l’idea mi creava una sorta di sensazione strana all’altezza del petto.
Sentii dei rumori provenire dalla cucina, così decisi di raggiungerlo per chiedergli se aveva bisogno di qualcosa.
Mi alzai dal divano, ancora un po’ dolorante per l’acqua presa fino a poco tempo prima.
Quando raggiunsi la porta nella quale era entrato lui prima, lo vidi appoggiato al bancone della cucina, con la schiena rivolta nella mia direzione, le mani appoggiate al mobile della cucina, e la testa piegata in avanti.
Stava male? Aveva bisogno di aiuto?
Lentamente feci un passo dentro la piccola stanza, evitando di fare rumore, per non spaventarlo.
Respirava lentamente, immobile.
“Ehi Mirko, va tutto bene?”, domandai esitante, avvicinandomi al lato opposto del bancone.
Non mi rispose, scosse semplicemente la testa.
Mi avvicinai ulteriormente, posando una mano sulla sua spalla, che vibrò al contatto.
Era così bello sentire il suo corpo sotto la mia mano, poter sentire la sua forza, attraverso le spalle larghe, e le braccia muscolose.
Non aveva un fisico da palestrato, era alto, ma nonostante fosse magro, si poteva notare benissimo la sua muscolatura.
“Che succede?”, domandai titubante.
“Niente, niente..stavo solo..riflettendo”, sussurrò chiudendo gli occhi.
No, avrei voluto dirgli, lasciami beare ancora del loro colore, della loro luminosità.
Restai in silenzio, con la mano ferma in quella posizione.
Quando ormai rassegnata, stavo per allontanarmi, lui prese la mia mano, voltandosi velocemente.
Mi ritrovai di nuovo di fronte a lui, esile e piccola, come non mi ero mai sentita.
La mia mano nelle sue, che l’accarezzavano lentamente, facendomi battere il cuore.
“Stavo riflettendo, su parecchie cose”, ripeté, come se dovesse convincere lui stesso, invece che me.
Alzò lo sguardo, incatenando i miei occhi ai suoi.
Erano di un azzurro intenso, pieno di piccole sfumature blu.
Da vicino, erano uno spettacolo unico. Si avvicinò di qualche millimetro, sempre attento a non sfiorare il mio corpo.
Portò la mia mano all’altezza del suo cuore, premendola sul suo petto.
“Lo senti?”, mi domandò con voce flebile, fissando le nostre mani.
“Si..”, sussurrai, incapace di proferire altro.
“È questo l’effetto che mi fai, ogni volta che ti vedo”, lasciò che le parole uscissero dalle sue labbra senza freno, con un’espressione rassegnata sul volto.
Non sapevo cosa dire, ero rimasta shoccata dalla sua rivelazione.
“Per favore, dì qualcosa..”, contrasse la mascella, scuotendo la testa.
“Perché?”, domanda stupida.
“Perché? Mi domandi perché?”, alzò la testa, guardandomi di nuovo.
Lasciò la mia mano, che restò nello stesso punto in cui l’aveva lasciata, per prendere il mio viso tra le mani.
“Tu, mi domandi perché, io non riesco a fare a meno di te?”, il cuore iniziò a battere furioso, facendomi persino male.
Volevo baciarlo, volevo dirgli che era da quando l’avevo visto la prima volta che io provavo quelle cose per lui.
Eppure restai in silenzio, guardandolo negli occhi.
Volevo parlare, ma era come se il mio corpo fosse immobilizzato da una qualche forza.
Lentamente, molto lentamente, si avvicinò al mio viso; potevo sentire il respiro sulle labbra, che aprii d’istinto, per poterlo sentire anche dentro di me.
Con la punta del naso, delineò i contorni del mio viso, partendo dall’orecchio, sino ad arrivare al mento, con gli occhi chiusi.
Ebbi un fremito, quando riprese lo stesso percorso, con le labbra umide.
Il respiro era diventato corto, e la mia mano strinse la sua maglia, per dargli un segno che c’ero e che lo volevo.
“Sei bellissima”, sussurrò vicino all’orecchio, baciandolo subito dopo.
Girai lentamente il viso, ancora imprigionato tra le sue mani, per sfiorare il suo naso con il mio.
Chiusi gli occhi anche io, e fu lì, che capii di essere completamente morta.
Il cuore batteva così forte da non sentirlo nemmeno più.
Sentii soltanto le sue labbra sulle mie, e le sue mani accarezzarmi le guance.
Un bacio, un semplice bacio, casto e delicato. Uno sfiorarsi leggero, che però ebbe la forza di un uragano dentro di me.
Portai le mani tra i suoi capelli, avvicinandomi al suo corpo, ormai libera da ogni forza estranea.
Le sue mani scivolarono sui miei fianchi, avvicinandomi a sé, e stringendomi.
Lentamente, delineò la forma delle mie labbra, come una tacita richiesta per poter approfondire il bacio.
Una richiesta che non doveva nemmeno fare.
Lo strinsi a me, come se temessi che da un momento all’altro potessi risvegliarmi e scoprire che era soltanto un bellissimo sogno, un altro frutto della mia mente.
Le sue mani vagarono sulla mia schiena, scoperta dalla maglia, disegnando dei piccoli cerchi che mi provocarono brividi in tutto il corpo.
Accarezzai i suoi capelli scompigliati, setosi e morbidi, e lo sentii mugolare, facendomi alzare sulle punte per potermi baciare meglio.
Senza fiato, e ormai senza più limiti, si staccò per poter respirare, passando a baciarmi il collo.
Lo strinsi più forte, appoggiando la fronte sulla sua spalla.
Scesi con le mani sino al suo petto, sentendo sotto le dita i suoi muscoli delineati, ed il suo torace alzarsi ed abbassarsi nello stesso modo in cui lo faceva il mio.
Volevo togliergli la maglia, per poterlo sentire sotto le mie dita, ma temevo di osare troppo.
Ritornò sulle mie labbra, le sue mani ovunque, le mie, ormai, sotto la sua maglia.
Potevo sentire la sua voglia di me, e ne ero certa che anche la mia si poteva capire.
Con le dita accarezzai il suo fianco, facendolo rabbrividire.
“Io..”, mugolò tra un bacio e l’altro, “Kate, io..”, mi staccai per poterlo fare parlare.
“Tu?”, domandai senza fiato, con una voce che non riconobbi.
“Io non posso”, ammise abbassando la testa.
Le sue mani non erano più sotto la mia maglietta, sulla mia schiena, erano tra i suoi capelli, poi sul suo viso, che stringeva.
Lo guardai senza parole, mordendomi il labbro.
“Cosa significa?”, chiesi, dopo aver riacquistato un po’ di lucidità.
Si appoggiò di nuovo al mobile, come prime, ed io arretrai di qualche passo, “cosa significa?”, ripetei con più voce.
“Che io non posso, non posso”, sembrava disperato, aveva ancora la maglia alzata, e vedere anche solo un lembo della sua pelle esposto, non riusciva a darmi la concentrazione necessaria per affrontare quel tipo di discorso.
“Perché?”.
“Perché, cavolo..tu, io..no!”, scosse la testa, ed io sentii le lacrime salire.
“Beh, certo. Tu, io..tu sei un uomo, io una bambina a confronto, no?”, ero arrabbiata, e le lacrime mi stavano offuscando la vista, “tu hai un’altra, e non puoi di certo permetterti una come me”, portai le mani sul petto, sentendomi vulnerabile, ma soprattutto, presa in giro.
“No! Cosa stai dicendo?”, si voltò verso di me, e dalla sua espressione, capii di essere in uno stato davvero terribile.
Cercò di avvicinarsi, ma mi allontanai immediatamente, facendogli segno di non toccarmi.
“Non hai capito. Sai quanti anni ho io, e sai anche quanti ne hai tu”, aveva la voce incrinata dalla rabbia, “e non posso rovinarti la vita. Hai un futuro”, nel quale non sei compreso, avrebbe voluto aggiungere, ma non lo fece. Io, però, glie lo lessi negli occhi.
“Mi puoi riaccompagnare a casa, per cortesia?”, sentivo le lacrime bagnarmi le guance, ma non me ne occupai, le lasciai scivolare come segno che tutto ciò che era successo era vero, non era stato frutto della mia fantasia.
Mi aveva baciata, cos’altro potevo volere? Aveva un’altra, ed era palese, altrimenti non avrebbe inventato la stupida scusa dell’età.
Annuì soltanto, provando ad avvicinarsi di nuovo.
Sgusciai via, chiudendomi nel bagno.

***

Qinto capitolo, e di nuovo, a causa di problemi vari, non posso salutarvi come meritate.
La cosa molto importante era il lavoro, che sto cercando di nuovo.
Ad ogni modo, ringrazio di cuore le stelle che mi seguono, e che anche se non commentano, so che mi leggono e che mi appoggiano in tutto quello che il mio neurone malato elabora.
Un abbraccio forte, forte.








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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


I breathe your moments


Le richieste – in ginocchio – di perdono sono in fondo al capitolo.













6.
 
Dopo aver pianto tutte le lacrime che avevo dentro, mi rivestii, con i miei abiti ormai asciutti.
Piegai la roba che mi aveva prestato, inspirando un’ultima volta il suo profumo, sapendo che sarebbe stata l’ultima volta.
Mi sciacquai il viso, conscia che tanto non sarebbe servito a niente.
Quando uscii, lo trovai appoggiato al divano, intento a fissare il pavimento.
Si voltò verso di me, con lo sguardo addolorato, ma non parlò e non mi chiese nemmeno niente; di quello glie ne fui grata.
Lo seguii fino alla macchina, indicandogli dove si trovasse casa mia.
Il tragitto, silenzioso, fu breve, o forse lo sembrò solo a me.
Prima di scendere, mi fermò prendendomi la mano, “ti chiedo scusa, per prima. Non avrei dovuto avvicinarmi a te, scusami..ti prometto che non succederà più, e se vorrai, potremo fare finta che non sia successo niente”, niente? Che non fosse successo niente?
Avrei voluto urlare, sputargli in faccia che io provavo qualcosa, e che lui era soltanto uno stupido, ma non feci niente, mi limitai soltanto ad ignorarlo, scendendo dalla macchina.
Quando entrai nel mio portone, piansi di nuovo, sentendo un dolore enorme all’altezza del petto, nel cuore.
 
“Stai scherzando vero?”, ero a casa di Melanie, sarei dovuta andare a scuola guida l’ora successiva, ma la forza e il coraggio non volevano farsi sentire.
“No, è successo..”, le avevo raccontato tutto, ed ovviamene non l’aveva presa bene.
Subito, mi ero emozionata di nuovo, nel raccontare la parte iniziale, il bacio, le carezze, mi misi però a piangere, subito dopo. Mel lo prese subito come uno sfogo di felicità, ma quando sentì il resto del racconto, raggelò, diventando scusa in volto.
“Ci devo parlare? Devo andare lì e spaccargli la faccia?”, mi chiese seria.
“No, semplicemente ha un’altra, ed io non posso intralciare il suo percorso..”.
“Tu? Ma se è stato lui a baciarti? Anche lui prova qualcosa, è palese, dai suoi comportamenti, dal suo modo di proteggerti da lontano. Cavolo, non può fare così però!”, si avvicinò, abbracciandomi.
“Io non so cosa fare. Quel bacio ha acceso qualcosa in me, e non so se riuscirò a fare finta di niente..non sono più quella di prima..”, piansi di nuovo.
“Quello lo devo davvero picchiare! Magari non è mai stato picchiato da una donna, vai a sapere..”, senza di Mel, avrei preso la cosa davvero molto peggio.
“Vuoi che ti accompagno alla scuola guida?”, sentire quel nome mi provocò un fremito, ma lo congelai immediatamente.
“Si, mi farebbe piacere..tanto dovrebbe arrivare alla fine..”.
Restammo in silenzio, io con il mio dolore, lei con le sue preoccupazioni.
Per tutto il tragitto non aprii bocca, restai ad ascoltare lei mentre mi raccontava del week end che aveva fatto con il suo ragazzo.
Ero felice, almeno per lei.
“Se salti un giorno secondo me non succede niente..”, mi disse prima di avvicinarci alla porta d’ingresso.
“No, se non vengo oggi, lui capirà che l’ho fatto per lui. Invece voglio che sappia che sto bene comunque”.
“Questa non regge..”, disse sarcastica Mel.
“O per lo meno deve capire che io sono forte, e non sarà lui a farmi cadere..”.
“Questa va meglio, ma aggiungici che hai una faccia da cadavere, e che persino un cieco sentirebbe la tua aurea negativa tesoro”.
Presi un lungo respiro ed entrai.
“Ciao tesoro”, le ragazze erano intente a sistemare dei clienti, quindi non mi rivolsero più di un fugace sguardo.
Cercai di sorridere come meglio potevo, ma non era facile fingere in quella situazione.
Di lui non c’era traccia.
“Dai su!”, mi strofinò il braccio con la mano, sorridendomi.
“Se devi andare vai pure eh, non ti preoccupare..”.
“Sicura? Rimando l’impegno eh!”.
“No, no..ce la posso fare. Quante persone soffrono per amore? Io non sono la prima!”, sorrisi sincera, per farla rilassare.
“Allora ci sentiamo stasera, e mi raccomando, rifletti bene prima di fare qualunque cosa”, mi fece l’occhiolino, sparendo dietro la porta.
Presi un lunghissimo respiro, provando a rilassarmi, poi mi avvicinai al bancone.
“Sembra una vita che non ci vediamo, invece è passato un giorno”, mi disse Fiamma, sorridendomi.
“Che faccia!”, ecco, Marzia ed il suo occhio lungo.
“Non ho dormito molto bene stanotte, la pioggia, i tuoni..”, rabbrividii, e non di certo per quello.
“Mirko per favore puoi venire un secondo?”, ora la strozzo quell’oca. Ora la strozzo.
Pensavo solo a quello, ad un modo per toglierla di mezzo.
Strinsi i denti, evitando di pesare alla sua entrata.
Ma ovviamente, il mio cervello fece l’esatto opposto. Alzai la testa nella sua direzione, sentendolo ridere.
Era con una ragazza, forse una delle tante che ocheggiava nelle sue lezioni.
Se prima sentivo solo una fitta di gelosia, ormai ero diventata gialla, come diceva Marzia.
Sapevo che mi stavano fissando, ma avevo occhi solo per lui.
Aveva una camicia nera attillata, che teneva dentro ai pantaloni di jeans chiari.
Era uno spettacolo, ovviamente, con i capelli neri sempre in disordine, e gli occhi accesi.
Mi finsi disinteressata, ritornando a guardare le ragazze.
Non mi aveva nemmeno degnata di uno sguardo.
“Ti sta fissando”, Marzia parlo sotto voce, indicandolo con la testa.
“E quindi?”, le domandai ovvia.
“E quindi? Voi ci nascondete qualcosa!”, mi disse Fiamma con sguardo indagatore.
“No, no! Figurati, cosa potrebbe essere successo?”.
“Non lo sappiamo, ma di certo c’è qualcosa Kate!”.
“No, tranquille..semplicemente, è un bell’uomo”, marcai molto sull’ultima parola, “ed è ovvio che gli occhi delle ragazze siano su di lui”, sbattei le palpebre, con fare civettuolo. Cosa che le fece sorridere.
“Allora, cosa succede qui?”, Mirko si avvicinò, appoggiandosi al bancone, vicino al mio braccio.
Un centimetro di più, e lo avrei sfiorato.
“Niente di nuovo. Kate ci parlava dei suoi numerosi clienti, che ovviamente le chiedono il numero!”, Fiamma sorrise soddisfatta, ed io non riuscii a capire niente.
“Ah, e che lavoro fa?”, sono qui, avrei voluto dirgli.
“Lavora da un avvocato, fa la segretaria, quindi immagina che persone è abituata a vedere”.
“Eh quindi noi non siamo alla tua altezza”, si voltò verso di me, fulminandomi con lo sguardo.
“No, potrebbe anche andare bene, mi accontento”, sorrisi alle ragazze, evitando il suo sguardo.
Restai in silenzio, mentre lui se ne andava, ad ascoltare le due donne parlare di famiglia.
Lo stavo allontanando, anzi, non ci eravamo mai nemmeno avvicinati.
 
Le lezioni trascorsero nel peggiore dei modi.
I suoi occhi erano due calamite, che non riuscivo mai ad evitare.
Ci guardavamo anche per minuti interi, durante i quiz, facendomi così perdere ogni concentrazione.
Quando si inumidiva le labbra, passandoci la punta della lingua, si accendeva il desiderio di lui, dentro di me, ed era poi difficile farlo spegnere.
Speravo che nessuno si accorgesse degli scambi misteriosi che ci lanciavamo, ma ovviamente, mi sbagliavo di nuovo.
Monica aveva capito qualcosa, soprattutto dal comportamento di Mirko nei miei confronti.
Infatti, molto spesso, cercava di allontanarlo, di farmi ingelosire, di sfiorargli il braccio in mia presenza.
E lui non poteva tirarsi indietro, se non allontanarla con delicatezza.
Il programma stava per terminare, e il tempo in sua compagnia stava scadendo.
Era come una clessidra, sempre meno tempo.
Ma d'altronde a lui sembrava non dare fastidio, dopo qualche lezione passata ad ossessionarmi con i suoi sguardi, con i suoi movimenti, si era staccato del tutto, non parlandomi quasi.
Avevo anche preso in considerazione il fatto di cambiare orario, ma sarebbe stata solo una stupida mossa che gli avrebbe messo su un piatto d’argento il fatto che io stessi ancora soffrendo.
Passavano i giorni, ed io lo ritenevo sempre più bello, il centro del mio universo, ed ogni ragazzo non riusciva ad eguagliarlo.
 
“Quanto manca alla fine del programma?”, mi chiese Marzia appoggiata al bancone di fronte a me.
“Penso due lezioni, ma non ne sono certa, dovresti chiedere a Mirko”, fortunatamente riuscivo a dire il suo nome.
“Dovrebbe arrivare tra poco, aveva una guida..vedremo, perché almeno iniziamo a metterci nell’ottica di prenotare gli esami”.
Rabbrividii, “di già?”, sorrisi.
“Certo! Sei venuta qui per un mese intero quasi, vorresti ripetere tutto da capo?”, ammiccò.
Certo, “ma nemmeno morta!”, alzai la testa, in segno di sfida.
“Sei vestita bene oggi”, notò Fiamma guardandomi.
“Beh ogni tanto qualche gonna posso pure permettermela”, le sorrisi, arrossendo.
“Si, si, stai proprio bene”, sentii una voce maschile dietro di me, ma subito non mi accorsi di chi fosse.
“Oh un altro principe azzurro”, sussurrò Marzia.
Mi voltai, incontrando due occhi enormi verdi che mi fissavano con dolcezza.
Sorrisi, sull’orlo delle lacrime, strafelice.
“E tu cosa ci fai qui?”, mi sporsi verso di lui, abbracciandolo.
“Tu piuttosto, io ci lavoravo!”, Luca, mio cugino, dopo secoli che non lo vedevo.
“Oh, lo sai che mi sei mancata? È da quanto eri una nana che non ti vedevo, ed ora guarda cosa sei diventata..dovrei uscire con te, per stare attento agli altri”.
“Scemo, tu invece sei sempre il solito bonaccione”, gli tirai una sberletta sulla spalla.
“Vieni qui”, mi abbracciò di nuovo, accarezzandomi la schiena.
“Come sta la zia?”, gli domandai sottovoce, per evitare che tutti sapessero i fatti nostri.
“Mirko mi dici quante lezioni mancano?”, mi voltai di scatto, interrompendo il discorso di Luca.
Era nella stanza, ed io non lo avevo sentito.
Chissà da quanto tempo era che stava lì, a fissarmi.
Il suo sguardo era di puro odio, era serio e con la mascella contratta.
I suoi occhi, blu scuro, mi scrutavano, perforandomi, per cercare di guardare Luca.
Lo fissai allo stesso modo, voltandomi verso il mio interlocutore.
“Vieni usciamo, così abbiamo più privacy”, parlai ad alta voce, prendendo la mano di mio cugino.
Una volta fuori, mi sentii più sollevata; ma una parte di me, era felice della reazione di Mirko.

***

Quante lingue conosco? Poche.
Quanti metodi di richiesta di perdono esistono? Tanti.
Quanto posso chiedervi scusa io? Tantissimo.

Davvero, scusate la lunghissima assenza, ma avevo bisogno di staccare la spina.
Ora la mia vita si è ristabilizzata, e spero che la scrittura la segua nel più breve tempo possibile.
Questi capitoli che verranno, sono già salvati sul pc, non arriveranno subito, ma non dopo mesi e mesi e mesi..e mesi. Poco, ma sicuro!
Non vi farò più scherzi simili!
Ketty is back!


Ah, per i ringraziamenti, diciamo che ci sono degli  angioletti, che hanno ben pensato di spronare ogni mio neurone.
NeverThink, Frytty ed Angyr88










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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


I breathe your moments















7.
 
Parlammo per tutto il tempo che avevamo, sino all’inizio della lezione, alla quale partecipai con qualche minuti di ritardo.
Quando entrai dentro l’aula calò il silenzio, facendomi cadere nell’imbarazzo più totale. Cercai subito una sedia vuota con lo sguardo e, chiusa la porta alle mie spalle, gli occhi di tutti i presenti rimasero sulla sottoscritta che cercò, il più velocemente possibile, di arrivare alla sedia vuota.
Mimai un “scusa” con le labbra nella direzione di Mirko che, se possibile, aveva uno sguardo assolutamente pieno di odio. Mi guardava, ma io cercai di non fissarlo per troppo tempo, non era giusto nei suoi confronti e soprattutto nei miei, dopo quello che era accaduto.
Non era mio, ed io non ero sua.
Questa era la realtà, e in qualunque modo la si voleva vedere, purtroppo eravamo troppo diversi. L’età non era il solo limite che, secondo me, si era imposto. Secondo me, lui non aveva proprio intenzione di andare a rischiare una storia con una ragazza come me. Avevo studiato una notte intera il mio comportamento, per capire che cosa potesse non andargli a genio, ma non ero riuscita a trovare nulla.
Seguii la lezione con interesse, fingendo che al suo posto ci fosse qualcun altro, e non il demone tentatore pronto a saltarmi addosso. Ero arrivata ad immaginarmi persino il mio datore di lavoro, un avvocato di ottant’anni. Ero ridotta proprio male.
Quando decretò la fine dell’ora a lui concessa, ci salutò, restando in piedi con le braccia incrociate, aspettando che tutti uscissero. Osservai le oche salutarlo con fare civettuolo, sorridendo per la loro audacia. Non potevano sapere che cosa significasse davvero baciare quelle labbra, sentire quelle mani sul proprio corpo. Rabbrividii e di nuovo, il desiderio si accese, facendomi bloccare seduta sul posto.
Aspettai che uscissero tutti, fissando la sedia di fronte alla mia. Cercai in tutti i modi di cancellare l’immagine di me e lui, in certe condizioni, ma non era affatto facile, soprattutto quando mi accorsi che eravamo rimasti solo noi due nell’aula. Il lupo e la pecorella nello stesso posto.
Alzai lo sguardo vedendolo sempre in piedi, di fronte alla stanza, che mi fissava. Gli occhi blu elettrico.
Mi alzai sicura, abbassando un po’ la gonna che nell’alzarmi era salita, ed iniziai a fare la solita gincana per uscire dal groviglio di sedie.
“Kate”, nel silenzio della stanza, mi venne un colpo nel sentirlo parlare.
“Si?”, mi voltai non curante, fissandolo la scrivania, fingendo una tranquillità che non avevo.
“Niente..”, abbassò gli occhi, osservando la mia figura, ed io non riuscii a non arrossire.
“Allora..ciao..”, mi avvicinai alla porta per poter uscire, agognando l’aria pulita, senza il suo profumo; ma lui fu più veloce di me, sorpassandomi, e chiudendo la porta a chiave, ritornando poi velocemente verso di me.
Successe tutto alla velocità della luce, senza nemmeno darmi il tempo di capire qualcosa.
Sentii soltanto le sue labbra sulle mie, umide e morbide come le ricordavo, ed io non riuscii a frenarlo, ancora reduce dal forte desiderio che avevo provato prima. Presi il suo viso tra le mani, stringendolo forte, temendo di trovarmi in un universo parallelo e di non stare vivendo davvero quella scena.
Lo sentii ansimare, sul mio collo, mentre mi sorreggeva per farmi sedere sulla scrivania. Afferrai le sue spalle, accarezzandogli i capelli, e baciandolo con più impeto. I nostri bacini si avvicinarono, e la mia gonna divenne soltanto una stupida cintura ormai inutile.
Le sue mani erano ovunque, sulla mia schiena, sul mio ventre ormai in fiamme. Tra i miei capelli, accarezzandomi il viso, sfiorandomi le guance con la punta del naso, lo potevo sentire fin dentro l’anima.
Le mie mani scesero sui bottoni della sua camicia, già slacciata completamente. Per tutta la lezione avevo immaginato una scena del genere, e vivendola mi accorsi di non avergli dato assolutamente giustizia.
Accarezzai quel petto che avevo tanto agognato per tutte quelle settimane, sfiorandone la superficie muscolosa e la debole peluria sotto all’ombelico.
“Kate, Kate..Dio, mi fai impazzire”, ansimò, salendo con le mani sul mio petto.
Cercai di nuovo le sue labbra, avvicinandolo a me, completamente. Le mie gambe gli circondavano il bacino, arpionandolo al mio corpo, per la paura di vederlo scappare di nuovo.
“Oddio..”, sussurrai, quando sentii la sua mano stringere un mio seno, “ti prego, dimmi che non sto sognando..ti prego”, mi ritrovai a pregare Dio, per darmi una conferma che quel momento non era frutto della mai fantasia, bensì, un’esplosione di passione cercata da tutti e due. Perché, se quello era il paradiso, allora non sarei più voluta scendere.
Il desiderio che avevamo, l’uno dell’altro era palpabile, ed io morivo dalla voglia di potermi sentire sua, e di poterlo sentire completamente mio.
Gli levai la camicia, restando senza respiro per qualche secondo, davanti alla visione del suo petto nudo, delle sue braccia possenti e dei suoi addominali.
Vi passai una mano sopra, accarezzando ogni centimetro di pelle. Il suo sguardo era infuocato, e sapevo di averlo puntato addosso. Mi studiava, come io stavo studiando lui. “Sei bellissimo Mirko”, sussurrai posando il palmo della mano all’altezza del suo cuore, che stava battendo impazzito.
Sbottonò anche i bottoni della mai camicia, baciandomi il collo, e scendendo fino alla spalla, appena scoperta.
“Eri geloso?”, gli domandai trovando il respiro, continuando ad accarezzargli il petto.
Sono geloso, è diverso”, le sue labbra erano ovunque, e le sue mani di nuovo sulla mia schiena, ad accarezzarmi e a stringermi contro di lui.
“Se continuo, non potrò fermarmi Kate”, il suo respiro era veloce, e con il bacino, spingeva verso il mio, in una tacita richiesta esplicita.
“Non ti fermare..”, lo pregai baciandogli il collo.
“Non qui, però..”, mugolò socchiudendo gli occhi, “non adesso..”, mi disse, facendomi scivolare completamente contro il suo petto, tenendomi tra le sue braccia.
“Mi dispiace”, sussurrò tra i miei capelli, “mi dispiace per tutto..”, mormorò accanto al mio orecchio, baciandolo subito dopo.
“Non importa..”, chiusi gli occhi, riempiendomi i polmoni del suo profumo.
“No, invece importa a me. Ho fatto il deficiente. Volevo scappare da te, ed invece ho soltanto peggiorato le cose”.
“Tu non devi scusarti. In fondo, hai fatto quello che tutti avrebbero fatto..hai una donna a cui pensare”, mi rattristii, immaginandolo tra le braccia di un’altra.
“Cosa? Ma la finisci di dire che ho un’altra donna?”, mi ammonì, accarezzandomi la guancia.
I suoi occhi erano ancora blu, ma di un blu più intenso, con sfumature azzurre.
“Lo hai detto tu, a Monica l’altro giorno”, feci una smorfia nominandola.
“Ah, ecco..credi proprio a tutto quello che dico?”, sorrise, “Secondo te, come potevo fare, per levarmela di mezzo con rispetto?”.
“Non capisco..”, sbattei le palpebre, guardandolo.
“Ce l’avevo sempre attaccata. Non riuscivo nemmeno a respirare..alla fine le ho detto che dovevo vedermi con una donna, e che avevo bisogno di un consiglio. Per questo lei mi ha fatto tutte quelle domande”, sospirò, baciandomi il mento, “e temo che avesse già capito che provavo qualcosa per te, visto che lo ha detto soltanto in tua presenza. Mi dispiace..”.
E  temo che avesse già capito che provavo qualcosa per te.
“Tu provi qualcosa per me?”, domandai incredula, fissandolo negli occhi, “tu davvero provi qualcosa per me?”, ripetei come una scema.
“Per la posizione in cui siamo, e per il modo in cui ti guardo ogni volta, direi proprio di si..”, sorrise ammiccando, “mi piaci da quando ti ho vista la prima volta Kate, e sono stato uno sciocco a pensare di poter fingere che tu non esistessi. Non ho mai creduto nei colpi di fulmine, ma mai dire mai nella vita. No?”.
Mi baciò in un modo così profondo, che se non ci fosse stata la scrivania, sarei caduta per terra.
“E non importa la mia stupida età?”, domandai titubante, conscia che avrei potuto rovinare quella bellissima intimità.
“Si che importa”, si passò una mano tra i capelli neri, scrollando la testa, “ma ho anche capito che è inutile restare fermi ed aspettare che tu te ne vada”, mi fissò negli occhi, intensamente, “perché non saprei proprio come farti andare via”.
Il tempo si fermò in quell’istante, facendomi sentire il battito del mio cuore, che era aumentato paurosamente.
“Solo che..vedi, io sono un tipo particolarmente geloso”, schioccò la lingua.
Lentamente fece scivolare un dito ad accarezzare il mio seno, coperto solo dall’intimo, facendomi rabbrividire.
“E non sopporto che altri tocchino le mie cose”, scandì lentamente le parole, e le farfalle nel mio stomaco, volarono felici.
Sorrisi, abbassando lo sguardo.
“Ma io non sono tua, almeno, non mi sembra”, sbattei gli occhi, alzando le spalle.
Mi fece scivolare contro il suo bacino, stringendomi per i fianchi.
“Mmmh, tu dici? Beh, allora, da adesso, sei ufficialmente mia”, ammise serio, sfiorandomi le labbra.
“Ho aspettato questo momento, da quella sera a casa tua..”, sentii gli occhi inumidirsi.
“Mi sentivo una merda, era come se stessi approfittando di te, capisci? Non potevo, credevo ancora di essere in tempo, per evitare qualcosa che ormai era già successa..”.
“Mi hai fatta stare male”, mugolai strofinando il naso contro il suo collo.
“Io ho trent’anni Kate, mi spieghi come potrei non farti soffrire?”.
“Quindi, ora, mi stai di nuovo dicendo che non possiamo?”, ero più confusa di prima, riusciva a farmi andare in paradiso con una semplice parola, e a riportarmi nell’inferno con un’altra, “non riesco a capire”.
“No, dico semplicemente che non dovremo, ma che purtroppo per te, io voglio..”.
“Anche io”, ammisi subito, senza esitare.
Mi abbracciò, cullandomi tra le sue forti braccia.
“Tu hai delle esigenze diverse dalle mie Kate, lo sai vero? Lo sai che non andrà tutto bene, e che soprattutto, farò degli errori..”, la sua voce dispiaciuta, non mi piaceva per niente.
“Anche io li farò, ma diamoci una possibilità..”, sussurrai tremolante.
“Non dovevi nemmeno dirlo..”.
Restammo abbracciati per un po’, sussurrandoci parole dolci ed io provai, con tutte le mie forze, a memorizzare nella mente quel bellissimo momento, stringendolo forte.
“Non mi sembra vero..sei bellissimo”, lo guardai adorante, stringendolo.
“Chi era il ragazzo di prima?”, domandò a bruciapelo, prendendo una ciocca dei miei capelli tra le dita.
Mi scappo un sorriso, che per fortuna non riuscì a vedere.
“Mio cugino”, ammisi fiera.
“Ah”, scoppiai a ridere, facendolo scostare, “tuo cugino?”, domandò con sorpresa.
“Si, esatto. Lavora in questo settore da parecchi anni ormai. Non lo vedevo da un bel po’ di tempo..”, lo guardai, trovandolo dubbioso, “eri davvero geloso di lui?”.
“Certo. Tu vieni qui, vestita in questo modo, e pretendi pure che io non sia geloso? Hai idea di quanti occhi avevi addosso oggi?”, era serio, e la cosa mi divertiva e mi lusingava allo stesso tempo.
“Suvvia, per una gonna”, socchiusi gli occhi.
Rimase a guardarmi, accarezzandomi le cosce con entrambe le mani, spezzandomi il respiro.
“Questa gonna, mi ha fatto morire per tutta la lezione. Era una distrazione continua”, schioccò di nuovo la lingua, una cosa che doveva essere dichiarata illegale, “sono rimasto fermo ed immobile nella mia postazione, dietro alla scrivania, per evitare di avvicinarmi troppo alla tua sedia. Molte volte ho rischiato di dire parole diverse da, diciamo..quelle che avrei dovuto dire”, si bagnò le labbra passandoci sopra la lingua, ed io lo osservai incantata.
“Mi dispiace”, boccheggiai, “vorrà dire che le metterò più spesso..se è questo l’effetto che fanno sugli uomini”.
“Quando sarai con me, certo..”, aumentò la stretta intorno alle mie gambe, “ma se sei da sola, non penso proprio”, scese sul mio collo, baciandolo con lentezza e lasciando tracce di lava nel suo cammino.
“Dovresti essere dichiarato illegale”, ansimai quasi, quando arrivò a sfiorare il lembo di pelle dietro all’orecchio, facendomi scivolare con la schiena sulla scrivania.
“Ti piace trasgredire alle regole? Perché altrimenti come posso vederti, se sono illegale?”, domandò con voce rauca, facendomi chiudere gli occhi per i brividi che mi stava causando.
“Si..”, riprese il suo cammino fino alla spalla, scoprendola quel tanto che bastava per farmi morire sul colpo.
Ritornò velocemente sulle mie labbra, baciandole con ardore ed abbracciandomi.
“Dovrei andare a casa..”, sussurrai, quando finalmente riuscii a ritrovare un briciolo di lucidità.
“Si”, si schiarì la voce, “hai ragione, ti accompagno..”, mi baciò la fronte, aiutandomi a scendere.
Riabbottonai i suoi bottoni, mentre lui lo faceva con i miei.
“Sei davvero bellissima”, con un dito alzò il mio mento, sino a raggiungere le mie labbra.
“Grazie..”, accarezzai la sua guancia, sistemandomi la gonna.
Uscimmo dalla scuola guida, ormai alle dieci di sera, con il sorriso stampato sulle labbra e le nostre mani intrecciate.
“Chissà cosa diranno le tue amiche, quando domani ci vedranno insieme..”, in macchina, con la musica soffusa, mi voltai verso di lui, rimanendo stupita.
“Hai intenzione di dirglielo?”, gli chiesi.
“Perché, tu no?”, nella sua voce c’era un velo di paura.
“Si..però..insomma..credevo”, sospirai, “pensavo che non volessi dire a nessuno di questa..storia?”, finii con una domanda, non sapendo nemmeno io come definire la situazione.
Sorrise, scrollando la testa. Appoggiò una mano sulla mia gamba, richiedendo la mia, che strinse subito.
“Kate, tu sei importante. Ok?”, nel guidare cercava di guardarmi, voltandosi velocemente, “se tu fossi una ragazza che vorrei solo per hobby, non sarei così. Non mi metterei in gioco in questo modo.
Quello che facciamo è sbagliato”, sussultai, “ma non mi importa. Nel momento in cui ho capito che tu eri presa quanto me, non ho più capito niente. Per me c’eri tu, e basta. Il resto del mondo poteva andare a farsi fottere. Quindi sì, ho intenzione di urlare a tutti quando sono felice dopo tanto tempo..e oltre tutto, non sono certo di riuscire a resistere, nel tenerti lontana quando invece ti ho a pochi passi..”, basita, ecco come mi aveva lasciata. Senza parole.
Abbassai la testa, sentendomi colpevole per aver anche solo pensato che lui volesse tenere tutto tacito.
Ma d’altronde, come aveva già detto, la mia maturità era diversa dalla sua.
“Domani a che ora vai a scuola guida?”, mi domandò curioso.
“Solito, un’ora prima credo..perché?”.
“Così ti raggiungo”, il suo sorriso ovvio, mi riempì il cuore di gioia.
Chiusi gli occhi, immergendomi nella musica, continuando a disegnare cerchi immaginari sul suo della sua mano, ancora appoggiata sulle mie gambe.
“Ehi, bella addormentata, siamo arrivati”, sussurrò vicino al mio orecchio.
Aprii lentamente gli occhi, trovandolo vicino alle mie labbra. Mi avvicinai giusto qualche millimetro, per poterlo baciare, “mi sono addormentata, scusa..”.
“Non ti preoccupare, sei stanca”, mi guardò amorevole, scendendo dall’auto e venendo ad aprirmi la portiera.
“Che galante”, sorrisi, guardandolo e facendo un inchino.
“Buonanotte”, sussurrò sulle mie labbra, baciandole di nuovo, “mia damigella”.
“Buonanotte anche a lei, mio prode cavaliere”, gli diedi un ultimo bacio, prima di scendere dalla macchina e di entrare nel mio portone.
Quella notte lo sognai, e non fu un incubo come ormai succedeva sempre, bensì il migliore dei sogni.
 
Il giorno dopo, quando ritornai alla scuola guida, esausta per la giornata di lavoro, non immaginavo di certo di trovarlo già dentro, a chiacchierare con Marzia.
Avevo ripensato per tutta la giornata a quello che era successo, camminando sulle nuvole, e ritrovandomi spesso a fantasticare su un futuro che avrei fatto bene a tenere lontano, per il momento.
Appena varcata la soglia, Marzia mi lanciò uno sguardo a dir poco omicida, mentre Fiamma rideva sotto i baffi, scrollando la testa.
Mi avvicinai al bancone, cercando di non distrarli. Era bello vederlo così concentrato, con le solite smorfie che faceva con le labbra, quando qualcosa non gli andava bene.
“Oh, buongiorno”, mi salutò Marzia, “felice di rivederti”, mi fulminò di nuovo con lo sguardo, mentre Mirko si accingeva verso di me, per abbracciarmi.
Forse, dal mio sguardo, capì che non era il momento.
Non che io fossi imbarazzata, o che non volessi che gli altri sapessero tutto, ma era presto, e non volevo che la sua reputazione calasse drasticamente. Già immaginavo i commenti vari di tutte le persone che godevano nel vedere soffrire gli altri, “Mirko se la fa con una ragazzina”, o peggio “Guarda, non si vergognano nemmeno un po’?”.
Abbassai lo sguardo, torturandomi le mani. Non dovevo farli certi pensieri, ma ero la campionessa di pippe mentali, come mi ripeteva sempre Melanie.
“Ehi, tutto bene?”, mi domandò, sfiorandomi la mano che stavo distruggendo.
Non mi voltai, restando con lo sguardo basso, e le mani intrecciate per l’ansia.
“Insomma..”, sussurrai, alzando gli occhi sulle due donne.
Monica ci stava osservando curiosa, con gli occhi scintillanti di chi la sa lunga. L’avrei uccisa, ma ormai sono ripetitiva.
“Allora Mirko, con quella donna poi?”.
“Uh, che palle”, lo dissi talmente a bassa voce, che mi meravigliai per il fatto che Mirko avesse sentito.
Subito mi tappai la bocca con due dita, sapendo di aver detto la solita cavolata. Lo guardai si sfuggita, temendo un suo sguardo di rimprovero che però non trovai.
Sorrise, voltandosi verso l’oca, vibrando per la risata che cercava di mantenere bassa.
“Molto bene, pensa, sono anche riuscito a conquistarla..”, ammise alzando la testa.
“Ah si? Allora i miei consigli hanno funzionato?”, domandò lei.
“No, diciamo che ho usato le mie doti nascoste..”, potei giurare che gli aveva fatto un occhiolino, avrei potuto uccidere pure lui.
“Allora presto ce la presenterai, ad uno dei nostri raduni?”, domandò Fiamma guardandomi. Se ci fosse stata una buca, mi ci sarei sotterrata dentro. Sentivo le orecchie fischiare, come minimo, erano viola.
Tutte gli reggevano il gioco, strano che l’oca astuta non si accorgesse della presa in giro.
Io appoggiai i gomiti sul bancone, fingendomi annoiata.
“E come sarebbe questa donna, che ti ha rubato il cuore”, mi voltai verso Marzia, per fulminarla.
Se si fossero messi tutti insieme, mi avrebbero sotterrata loro direttamente dalla vergogna.
Ero una persona molto timida, e riservata e tutto quel giochetto mi stava mandando in iperventilazione.
“E’ bellissima, di questo ne sono certo”, sentivo i suoi occhi penetrarmi dentro, fino nell’anima.
Smisi di respirare per qualche secondo, prima di concedermi il lusso di guardarlo.
“Bene, sono felice per te!”, disse una sorridente Monica, “spero che sia alla tua altezza, vero Fiamma? Non è bellissimo il nostro Mirko?”, probabilmente lo disse con tono scherzoso, perché anche Fiamma scoppiò a ridere, ma a me diede un fastidio enorme, tanto da guardarla con astio puro.
Ritornò a guardare le sue scartoffie sulla scrivania, reggendo il mio sguardo per poco.
“Voi siete come due figli per noi, dovreste vergognarvi..”, sussurrò Marzia, fissando prima me, poi Mirko.
Non capii immediatamente a cosa si riferisse Marzia, ma dal sorriso di Fiamma e di Mirko, immaginai di non dovermi preoccupare.
“Dovevate dirci tutto subito”, sbatté la penna sul tavolo, imbronciandosi.
“Pensavo fosse palese”, ammise lui, questa volta abbracciandomi.
Si erano parlati, ovviamente, le cose iniziavano ad essere più chiare.
Mi sentii più sicura, con il suo braccio intorno alle spalle, come se con lui, non potesse succedermi niente di male.
“Mirko vieni un attimo?”, un ragazzo lo chiamò, davanti a dei quiz.
“Arrivo..”, mi strinse più forte per un attimo, prima di allontanarsi per raggiungerlo.
Lo guardai allontanarsi, ed io ne approfittai per fare chiarezza nei miei dubbi.
“Scusate, cosa vi ha detto?”, chiesi con nonchalance.
“Il giusto”, Fiamma appoggiò una mano sul bancone, fronteggiandomi, “che avresti dovuto dirci tu”, sorrise.
“Beh, mah..”.
“Beh, mah, niente signorina!”.
“Ecco, appunto..”, abbassai lo sguardo.
“Che c’è?”, mi domandò Fiamma.
“Sono troppo piccola, voglio dire, non è una cosa normale..prima o poi si stuferà..”, lasciai uscire le mie paure più profonde che non mi permettevano di lasciarmi andare totalmente, “guardate lui, e guardate me. Non sono soltanto le carte di identità a parlare..”.
“Cosa dici? Stai scherzando? Lo vedi come ti guarda, come ti segue?”.
Le osservai dubbiosa, passando una mano sulla fronte.
“Si, ok..sono la novità, ben presto avrà bisogno di cose che io non posso dargli. Mi ha detto che la differenza di età non conta, ma secondo me, sta solo provando a convincersene pure lui”.
Mai dette parole più sagge.
Ci avevo pensato per tutto il pomeriggio, rovinandomi la giornata.
Come poteva un uomo di trent’anni, trovarsi bene con una ragazza di quasi ventuno, era ridicola la questione.
E anche se io ormai ero cotta a puntino, lui ben presto avrebbe ricercato delle qualità, che io non ero ancora pronta per dargli. Non che non volessi, ma la mia età non mi permetteva, insieme alla maturità, di dargli tutto il mio appoggio.
“Cosa mi sono perso?”, ritornò vicino a me, guardandoci.
Capì subito che qualcosa non andava, sia dal mio sguardo, che da quello delle due donne dietro al bancone.
“Niente. Devo fare una chiamata, scusatemi”, mi allontanai, uscendo dalla scuola guida.
Sentii i suoi passi dietro ai miei, e la porta aprirsi subito dopo.

***

Buongiorno a tutte voi che leggete e commentate, questa mattina è mattinata di contabilità, quindi vi lascio un grande abbraccio e scappo.
Alla prossima :**










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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


I breathe your moments




un piccolo pensierino..



8.
 
Mi fermai per respirare, cercando di mantenere la calma e di non piangere.
Tutto inutile, ormai era ovvio che non sarebbe potuto succedere nulla se non una bellissima notte.
Melanie non poteva avere ragione, non poteva succedere come nelle favole, purtroppo la realtà era davvero troppo diversa.
“Che succede?”, mi domandò mettendosi di fronte a me.
“C’è che sono confusa. C’è che ho paura che un giorno, tu arrivi e mi dici “ehi bella, ciao io ho trovato una donna matura che mi darà quello che cerco””.
Le lacrime scendevano silenziose, lasciandomi le labbra umide e le guancie rigate.
“No, non puoi pensarlo davvero”, si passò una mano tra i capelli, “cioè, ti ho già detto che non succederà. Non capisco perché continui ad insistere..”.
“Perché guarda, guarda me, e guarda te. A parte l’aspetto, io non ho altro da darti..sono una ragazzina”.
Scoppiai completamente, abbracciandomi la vita e sperando di sprofondare davvero in un abisso fatto di silenzio.
“Stai scherzando? Pensi che io mi stia innamorando soltanto del tuo fisico?”, la voce aspra, arrabbiata.
Rimasi spiazzata dalla parola che usò, per definire quello che provava.
Io non lo avevo mai detto ad alta voce, avevo sempre tappato il tutto con una semplice cotta. Eppure lui aveva avuto più coraggio di me. Ovviamente.
“Io non lo so. So solo che tu sei un uomo, ed io non potrò darti quello che cerchi..”.
“Tu pensi che io affretterei i tempi, solo perché sono più grande? Che non avrei pazienza, per aspettare te, invece, che voglio vicina?”, si era distaccato, guardandomi severo.
“Anche ora, vedi? Io mi comporto da ragazzina, e non l’ho mai fatto..non voglio che il mio comportamento, ti allontani..”, le lacrime presero a scendere più forti, costringendomi a coprirmi il viso per mantenere un minimo di reputazione.
“Forse sei tu, che temi che io non ti dia quello che cerchi tu, è diverso. Io sono più grande, è vero, ma ci sono coppie con molti più anni di differenza, e nove anni non sono tanti, se c’è sentimento. Quindi non venire a dare la colpa a me, perché prima di questa tua bellissima dichiarazione, ero l’uomo più felice del mondo”.
Rientrò nella scuola, lasciandomi li da sola.
Da sola, in mezzo ad una piazza deserta, con le mani davanti al viso e i singhiozzi chiari e forti. Mai stata tanto male, per un ragazzo..mai.
Ma non passò molto tempo. Uscì di nuovo, rimettendosi di fronte a me, ed abbracciandomi, nonostante le mie mani fossero davanti al mio viso.
“Mi dispiace”, dissi tra i singhiozzi.
La paura che lui potesse scappare, mi aveva fatto perdere la testa, riempiendomela di brutte immagini.
Ero davvero una ragazzina, ma non mi ero mai comportata in quel modo, nemmeno per le cotte più futili. E sicuramente, prima o poi si sarebbe stufato delle mie scenate.
“Non arriverà un’altra donna, non arriverà. Ed anche se dovesse arrivare, io non le permetterò di mettersi in mezzo a noi.
Non ti posso promettere che tutto andrà bene, ma ora come ora, io voglio stare con te. Sono io che mi devo preoccupare, non tu. Sono io che passerò per il maniaco, non tu..quindi, per favore, smettila di dire queste stupidaggini. Guardami negli occhi per favore”.
Alzai lo sguardo, incontrando il suo, ancora serio.
“Li vedi i miei occhi?”, mi domandò con un tono più calmo e morbido.
Li guardai più intensamente, perdendomi il quell’azzurro infinito. Annuii soltanto, reprimendo un singhiozzo.
“Guardali attentamente..non sono mai stati così accesi, e sei tu, che li rendi così. Sei tu che mi rendi felice. Tu, con la tua stupida convinzione di essere piccola, ed invece sei una donna bellissima e piena di carattere. Tu che continui a guardarmi con quegli occhi ingenui e non sai davvero, cosa potrei farti..tu, che invece di trovare in me, dei lati negativi, continui a darti colpe inesistenti. Voglio che tu capisca che ci sei tu qui”, prese la mia mano, appoggiandola sopra al suo petto, all’altezza del suo cuore, “e nessun’altra, ok?”.
Posò una mano sulla mia guancia, asciugandola dalle lacrime, accarezzandola con delicatezza.
“Oh Mirko”, mi buttai completamente tra le sue braccia, stringendo forte la sua maglia, e provando a strappare dalla mia mente le più terribili immagini.
Restai abbracciata a lui, finché i singhiozzi non scemarono, calmandomi e ritrovando la lucidità necessaria per capire che aveva ragione, che dovevo smetterla di farmi mille problemi, e di vivere serena la nostra storia.
Era nata da tanto poco, che non potevo permettere finisse immediatamente per dei miei capricci.
“Mi dispiace”, sussurrai, appoggiando una mano sul suo petto, “mi dispiace davvero per tutte le sciocchezze che ho detto prima. Non dubito affatto dei tuoi sentimenti, anzi..scusami, davvero”, alzai lo sguardo incontrando il suo, comprensivo e pieno di affetto.
“Non importa, ma mi devi promettere che non farai mai più certi pensieri..”, mi diede un bacio a fior di labbra, chiudendo gli occhi, “non ti fa bene, e non fa bene nemmeno noi..”.
Potevo prometterglielo? Volevo.
“Si, va bene..te lo prometto”.
“Ora entriamo, che inizia la lezione”, mi prese per mano, facendomi entrare per prima, tenendomi la porta.
Nessuno disse nulla, si limitarono a continuare il loro lavoro, mentre Mirko mi scortava fino al bagno.
“Grazie..”, sussurrai ancora scossa dalla crisi di nervi avuta poco prima.
Mi accarezzò il viso, lasciandomi entrare nel bagno, abbassando lo sguardo poco prima che chiudessi la porta. Mi sciacquai il viso, conscia che tanto avrei portato i segni di quel pianto per almeno due ore.
Avevo gli occhi arrossati, e le guancie, insieme al naso, completamente rossi.
Scrollai la testa, vergognandomi della magra figura che avevo fatto io, e che avevo fatto fare a lui. Quando ne uscii lui era già nella sua postazione, pronto per iniziare la spiegazione.
Era una delle ultime, ormai, poi ci sarebbero stati solo quiz, per chi voleva venire ugualmente.
Mi sedetti in un posto appartato, contro al muro, seguendo con attenzione.
Sapeva che non ero lì con la testa in quel momento, infatti mi lasciò nel mio cantuccio, tranquilla.
Lasciò uscire tutte le persone che erano dentro, poi si mise a sistemare i fogli, lanciandomi qualche sguardo apprensivo. Io mi preparai per uscire, avvicinandomi lentamente alla cattedra, sempre con la testa bassa.
“Va meglio?”, mi domandò con voce calda.
“Si, va meglio..ti chiedo ancora scusa, per aver dubitato di te..non avrei dovuto”, scossi la testa, stringendo la borsa contro il petto.
“Devi avere più fiducia in noi, come ne ho io..se già ora abbiamo questi problemi, figurati in futuro..”.
Futuro, lui parlava di futuro. Io rischiavo di rovinare il presente, e lui parlava già di futuro. Era perfetto, ed io lo stavo allontanando senza nemmeno rendermene conto.
“Però”, lasciò cadere le carte sul tavolo, girando la cattedra e posizionandosi davanti a me, “se tu non vuoi, se pensi che sia davvero troppo grande per te, me lo devi dire ora. Io mi farò da parte, come è giusto che sia, ok? Me lo devi dire ora però, non puoi lasciare che io mi avvicini sempre di più a te..non puoi..”, appoggiò la fronte contro la mia, cingendomi i fianchi.
“No, io..non lo so..ci devo pensare..non so più niente..”, rischiai di scoppiare di nuovo in lacrime, “non sono nelle condizioni per poter fare un discorso logico Mirko, scusami..”.
Ero confusa, lui era grande, ma io sentivo di volerlo, eppure c’era qualcosa che mi frenava, qualcosa che non mi faceva essere completamente me stessa.
Sospirò, spostandosi, e facendomi alzare il viso verso di lui.
“Prenditi tutto il tempo che vuoi”, non erano parole belle da sentirsi dire, non lo erano affatto.
Il suo viso con un’ombra di dolore, restò comunque solare, tranquillo. I suoi occhi non smisero di luccicare, nella luce della stanza, e le sue labbra, erano sempre lì, pronte per me.
“Mi dispiace”, gli dissi con le lacrime piene di dolore.
“Non ti preoccupare, io saprò cavarmela. Voglio soltanto che tu sia felice, solo questo. Fai ciò che ritieni più giusto per te stessa, non pensare a me, o a nessun’altro. Solo a te”.
Mi allontanai, per evitare di recare altro dolore a tutti e due, “ricordati che io sono qui”, mi disse soltanto, prima di varcare la soglia della porta della stanza.
Mi coprii meglio con la giacca, visto il vento, poi presi a camminare senza sapere dove andare.
 
Il giorno dopo, presi la decisione di non andare più a scuola guida, avrei studiato da sola, a casa. Poi, avrei fatto attenzione ad andare dalle ragazze, quando sapevo che Mirko non ci sarebbe stato. Non volevo vederlo, non potevo nemmeno permettermi di chiamarlo. Stupida.
Ricordavo ancora quando sotto mano, Fiamma mi aveva dato il suo numero, mai utilizzato peraltro. Alla fine, era stato lui stesso a ridarmelo, ed io facendo finta di niente, lo ringraziai anche. Sorrisi automaticamente, ricordando il suo imbarazzo nel fare un gesto così semplice.
Ritornai alla realtà, sentendomi una schifosa ragazzina. Gli avevo chiesto del tempo, senza nemmeno dirlo ad alta voce. Lui, maturo, lo aveva capito, e mi aveva lasciata andare senza costringermi a fare niente. Ancora una volta la nostra maturità, mostrava le sue differenze.
Era stato un uomo d’onore, e per questo lo ammiravo molto. Mi mancava come l’aria, pensavo a lui in ogni istante, e di certo non era un bene.
Non sapevo come stava, non sapevo se era tranquillo, oppure se come me, stava soffrendo, e questo non sapere, mi logorava l’anima.
Passavo le giornate a pensarlo, ad immaginare cosa stesse facendo, e ogni volta finivo con il piangere. Non potevo continuare in quel modo.
Erano passate due settimane, nelle quali mi ero dedicata allo studio, ed al lavoro. Uscivo con gli amici, cosa che non facevo da parecchio tempo, e soprattutto, avevo ripreso la mia vita, evitando di tornare a casa ad orari impossibili a causa della scuola guida.
Melanie era sempre presente, come lo era sempre stata, ed io, ero riuscita a ritornare anche il suo punto di riferimento. Ero stata per troppo tempo chiusa nel mio guscio, era il momento di ritirare fuori la vecchia Kate.
“Non lo hai più sentito?”, mi aveva chiesto una sera, mentre camminavamo per il centro.
“No, ma spesso penso a cosa stia facendo, a cosa sta pensando..”, fissai il vuoto, ricordando il suo sorriso, “insomma, cose del genere”.
“Perché non lo chiami?”.
“Perché non saprei cosa dirgli. È inutile che lo chiamo, se poi sono di nuovo nello stesso stato. Ora devo capire perché, mi sono tirata indietro..mi sembrava che anche io, fossi presa..”, abbassai lo sguardo colpevole.
“Ti frena l’età?”, mi domandò seria.
“No, o almeno non credo. Sono stata la prima a prendermi una cotta per lui..non penso che sia per quello..”.
“Tu hai paura dei pensieri della gente..”, ammise annuendo.
Non era una domanda.
“Non è vero..”, e sicuramente la mia risposta, le aveva dato le conferme che cercava.
“Si che è vero, perché altrimenti ora non saresti qui a parlare di lui. Saresti con lui..”.
“Lui ha bisogno di una donna, non di una bambina”.
“Ma non sono vent’anni di differenza i vostri, cavolo. Sono solo nove..”, la stavo facendo esasperare.
“Si, appunto..”.
“Tu vuoi un ragazzo più giovane? Magari i cretini della nostra età?”.
Anche il suo ragazzo era più grande, ma aveva solo quattro anni in più di lei.
“Mirko è un ragazzo, non un uomo. Si comporta come tale, non sembra un vecchio. Potrebbe pure uscire con noi, perché non dimostra affatto la sua età. È bello, anzi no..bellissimo! E tu te lo stai facendo scappare..è cotto di te. Ed inoltre, tu sei molto più matura della tua età, perciò non vedo tutti questi problemi..”.
Erano tutte cose vere, ma ancora io non riuscivo a sbloccarmi.
“Penso di aver bisogno di altro tempo..”.
“Come vuoi..vedi di fare in fretta però, che per quanto lui sia innamorato di te, non resterà in attesa per tutta la vita..”.
Mi fermai qualche secondo, per assimilare le ultime parole di Melanie. Aveva ragione, non potevo tenerlo sul filo del rasoio per tutta la vita. Aveva diritto di sapere che cosa pensassi io, e sicuramente, aveva bisogno di una verità.
   
Stavo correndo per arrivare a scuola guida. Ero uscita un’ora prima da lavoro, cercando di fare in fretta, per poter fare qualche quiz. Ormai era un mese che non lo vedevo, ed ormai, avevo perso ogni speranza.
Credevo che il tempo avrebbe risolto tutto, facendo sfumare il suo ricordo e soprattutto la sua immagine fissa nella mia mente. Ogni notte, però, sognavo i suoi occhi azzurri, le sue mani sul mio viso e le sue labbra sopra le mie. Poi, quando mi svegliavo, piangevo.
Aprii la porta, iniziando a sbottonare la giacca.
“Ehi, ciao”, c’era solo Fiamma.
“Ciao, come va?”, domandai posando la mia borsa su una sedia.
“Bene, bene..tu?”, mi fissò attentamente, aspettando una mia risposta.
“Tutto bene, grazie”, ammisi sorridendole.
Mi guardò ancora con un po’ di curiosità, poi riprese a scrivere al computer, scrollando le spalle. Sbuffai, ritrovandomi con la zip della felpa bloccata. Si moriva di caldo lì dentro, e il fatto che avessi fretta, non aiutava la mia impresa.
Mi voltai verso Fiamma, sperando di potermi fare aiutare, ma non la trovai. Rimasi con una mano a mezz’aria, e l’altra con la zip in mano, guardandola.
“Mmmh”, mugolai nervosa, “collabora, per favore. Non fare così. Apriti..”, sbuffai.
“Lascia fare a me”, quella voce, quella voce, quella voce.
La mia mente non ci impiegò nemmeno un attimo per capire a chi appartenesse.
Mille brividi mi passarono per il corpo, facendo aumentare il mio respiro, e lasciandomi con la bocca completamente asciutta.
Rimasi pietrificata, non sapendo cosa fare. Un mese senza la sua voce, ed in quel momento, era miele per me.
Se alzo la testa, lo vedo. Ed io lo volevo vedere, eccome se volevo vederlo. Era come acqua in un mese di deserto.
Lentamente alzai lo sguardo, incontrando i suoi occhi azzurri che mi fissavano ardentemente.
“Ciao”, boccheggiai in cerca d’aria, con la zip ancora in mano. Sorrisi come un’ebete.
“Vuoi una mano?”, mi domandò, indicando con lo sguardo la felpa.
“Oh..no..beh”, balbettai, indietreggiando di un passo, “penso di potercela fare”, provai a tirarla di nuovo giù, con scarsissimi risultati.
Si avvicinò, spostando le mie mani dalla zip provocandomi un brivido di piacere, e di calore. Lo fece con lentezza, come se stesse misurando non solo le mie forze, ma anche le sue.
Toccami ancora, ti prego.
La prese tra le mani, facendo pressione. Dopo qualche tentativo riuscì a sbloccarla, permettendomi di levarla. Se prima avevo caldo, ormai ero andata a fuoco. Sentivo le guance ardenti, e sicuramente ero diventata rossa come un peperone.
“Beh, ce l’avrei fatta anche io”, testarda come una bambina, sorrisi nervosa.
Mi guardò torvo, reprimendo un sorriso, con scarsi risultati.
“Come stai?”, mi domandò dopo attimi di silenzio.
Evitavo il suo sguardo come la peste. Lo sentivo bruciare contro la mia pelle, ma ero troppo codarda per potergli dire la verità. Cioè che l’amavo, che lo volevo accanto, e che per me era fondamentale saperlo vicino..“Bene, tu?”, me ne uscì solamente con due parole, reprimendo tutto il resto.
“Sono stato meglio”, colpita ed affondata, “sei qui per i quiz?”, lo ringraziai per non aver domandato altro, non ero brava a fingere.
“Si, esatto”, mi voltai un po’ verso il computer, per fargli capire che era mia intenzione mettermi subito a farli.
“Allora ti lascio stare..a presto”, lo guardai un secondo negli occhi, restando incantata dalla sua bellezza, di nuovo. Era passato un mese, ed il suo ricordo non gli dava di certo giustizia.
Aprii la bocca per replicare, ma non vi uscii nessun suono.
Maledetta me.
Mi sorrise, con il solito sorriso sghembo da infarto, per poi allontanarsi con le braccia incrociate sul petto. Fissava i monitor alla sua sinistra, annuendo. Di scatto, mi voltai verso Fiamma, che magicamente era riapparsa.
“Tu”, la fissai con cattiveria, “mi avevi detto che non ci sarebbe stato”, dissi tutto d’un fiato, sussurrandolo.
“E’ arrivato ora infatti, io non lo sapevo”, con la solita faccia di chi sa, ma non dice.
“Tsè”, corrugai le sopracciglia, “me la pagherete”, mi finsi arrabbiata, voltandomi poi per tornare al computer.
Quando passava dietro di me, potevo sentire il suo profumo, e la concentrazione veniva a mancare. Arrivavano i brividi nella schiena, come se il mio corpo sapesse, senza nemmeno doverlo guardare, che lui era lì, e la sua elettricità colpiva anche me.
Mi passai una mano sugli occhi, massaggiandoli.
“Continui a sbagliare la stessa domanda”, si era avvicinato, posando una mano sul banco dove era appoggiato lo schermo.
Il suo viso era di fianco al mio, e con la coda dell’occhio potevo osservarne il profilo. Mi sarebbe bastato avvicinarmi di qualche centimetro, per sentire la sua guancia sotto le mie labbra.
“Ah si?”, che cavolo di domande fai?
“Si”, lo sentii sorridere, per poi indicare la domanda sbagliata sul monitor.
“Ah, già..”, sospirai, cercando di mantenermi calma. È colpa tua.
Mi spiegò la risposta corretta, ma quello che capii, fu zero. La sua vicinanza, non aiutava.
Prima di alzarsi, per riprendere il giro, rimase fermo accanto al mio viso.
“Mi manchi..”, sussurrò accanto al mio orecchio, accarezzandomi la guancia con la punta del naso.
Rabbrividii, chiudendo gli occhi ed inclinando la testa verso di lui. Volevo piangere, voltarmi e dirgli che ero una scema, che lo volevo, e che mi era mancato anche lui. Ma rimasi in silenzio, come sempre, beandomi soltanto della sua carezza e dandogli di certo un messaggio sbagliato.
Si spostò del tutto, riprendendo a camminare, e lasciandomi completamente sciolta sulla sedia. Mi sentivo nuda, senza lui accanto, ed ormai restare lì dentro mi provocava soltanto dolore. Quando mi convinsi che era inutile restare lì a perdere tempo, vista la concentrazione scarsa, iniziai a prepararmi per andarmene. Non era facile, perché una parte di me, voleva restare lì per bearmi della sua presenza, un’altra parte sapeva però che mi sarei fatta del male gratuito. Vinse la seconda.
Riagganciai la giacca, sistemandomi i capelli, provando a non fare il minimo rumore. Volevo sparire, e se avessi avuto qualche potere soprannaturale, tipo il teletrasporto, lo avrei usato. Volevo davvero andare via, e smettere di esistere, volevo scavarmi di nuovo la famosa buca e sotterrar mici per sempre.
“Ci vediamo..”, salutai Fiamma con un gesto della mano, ed un piccolo sorriso forzatissimo.
Mi sorrise anche lei, parlando con un cliente. Mi voltai verso Mirko, per salutarlo. Nonostante tutto, era pure sempre il mio istruttore, o comunque lo era stato. Deficiente.
Era concentrato nel dare una spiegazione ad una donna, quindi lo lasciai stare, ed uscii dalla scuola guida. Rabbrividii per il vento che si era alzato, e coprendomi come meglio potevo, mi incamminai verso la fermata dell’autobus.
Attraversai, facendo attenzione alle macchine che passavano, appoggiandomi al portone, attendendo l’autobus.
Erano le nove e mezza ed io ero ancora li sotto ad aspettare un autobus fantasma.
Mentre osservavo la strada, alla ricerca di un bar aperto, notai con la coda dell’occhio una macchina fermarsi davanti a me.
Perfetto, ci mancavano pure i maniaci a rompere quella sera.
Feci finta di niente, indietreggiando quel tanto che bastava per evitare un contatto con l’autista.
La porta si aprì, e al suo interno, con enorme stupore trovai un Mirko sorridente.
“Sali, svelta..altrimenti ti prenderai un accidenti”.
Chiusi gli occhi, perdendomi in quel ricordo.
Erano passati quasi due mesi, dal nostro primo incontro, ed ogni volta era sempre come la prima. Sorrisi, pensando che la mia piccola parte di felicità ero riuscita ad averla, ed ero anche riuscita a ridurla in brandelli.
“Ehi Kate”, mi voltai di scatto aprendo gli occhi, ritrovandomelo davanti.
Aggrottai la fronte, domandandomi come mai fosse alla fermata, senza giacca e con il fiatone.
“Fiamma mi ha detto che eri uscita, volevo salutarti”, tutta quella corsa per salutarmi?
Alzai un sopracciglio, annuendo.
“Eri impegnato, non volevo disturbarti”, gli sorrisi, spostando poi lo sguardo per vedere se l’autobus stava magari passando.
“Potevi disturbarmi”, ammise serio e triste, “ho bisogno di sapere una cosa da te, Kate”, arrivò al dunque senza troppi preamboli. Eravamo giunti al momento della verità, ed io non ne avevo una pronta, avevo soltanto altri dubbi in testa.
“Dimmi”, lo guardai, dritto negli occhi.
“C’è, per te, una possibilità per noi?”, si avvicinò di un passo, guardandomi dolcemente.
Mi morsi il labbro inferiore, abbassando la testa.
“Non lo so”, la rialzai, più sicura di prima, “so solo che tu non mi puoi aspettare in eterno, quindi”, lo vidi avvicinarsi ancora, ed io rimasi ferma, “vai pure avanti con la tua vita, è giusto così. Io lo farò con la mia..”, dissi sottovoce, non credendomi nemmeno da sola.
Si bloccò, con una mano all’altezza della mia, facendo una smorfia.
“Allora è questo che vuoi?”.
“Si”, aprii leggermente le labbra, emettendo un piccolo lamento.
“Va bene, come preferisci”, avvicinò le labbra al mio viso, ed io, stupidamente mi preparai per un bacio; un bacio che potesse farmi tornare in me, e farmi dire davvero quello che provavo, “Sii felice Kate”, alzò il viso verso la mia fronte, depositandovi sopra un bacio delicato, che lasciò il fuoco nello stesso punto sfiorato dalle sue labbra.
Lo guardai mentre composto e svelto ritornava alla scuola guida, conscia solo in quel momento, delle conseguenze delle mie parole.

***

Sopra ho messo un'immagine che ho fatto sabato scorso, era da tanto che non photoshoppavo..quindi abbiate pietà di me :D
Che dirvi, penso, penso, penso di essere tornata a scrivere come prima, intendo dire con lo stesso desiderio e la stessa voglia..
A volte mi blocco, perchè faccio ancora fatica a riprendere il ritmo, prima stavo sempre sulla storia, sulla pagina, ora è più complesso..però ce la sto mettendo tutta, giuro!
Vi mando un bacione!

PiccolaKetty










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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


I breathe your moments








9.
 
“Che cosa hai fatto?!”, la voce di Melanie rimbombava per tutto il mio palazzo, mentre stavamo salendo le scale.
“Tu, tu..io non ci credo. Hai avuto il coraggio di mandare tutto a quel paese?”, ripeté sillabando ogni parola.
Mi voltai verso di lei, prima di infilare la chiave nella serratura della porta, “hai ragione, ho mandato tutto a puttane, e l’ho fatto perché non voglio che lui si senta legato a me, inutilmente..”.
“Ah, e quindi gli hai anche detto delle notti che passi a piangere, perché l’hai sognato?”, provai a parlare, ma mi fermò con una mano, “e anche di tutte le volte in cui, quando lo nomini, sorridi come un’ebete? Oppure, non so, gli hai detto di quanto in realtà tieni a lui? Ma che sei troppo stupida, per dirglielo?”.
Quando si arrabbiava, diventava una furia.
“Hai ragione Mel, hai ragione!”, la bloccai, prima di sentire un’altra scarica di parole.
“Ho ragione? Sai solo dire questo? Cioè, tu mi dici che ho ragione, e basta?”, aveva puntato i piedi per terra, fissandomi con le braccia incrociate.
“Scusami, dovevo fargli pensare che ci fosse una possibilità?”.
“Eh?!”.
La fissai.
“C’era eccome una possibilità, ma hai mandato tutto all’aria per colpa della tua impulsività. Io mi arrabbio, perché ti ho vista soffrire per tanti ragazzi, ma lui è diverso, con lui eri diversa..”, abbassò lo sguardo, insieme alla voce.
Mi avvicinai, appoggiandole le mani sulle spalle.
“Lo so, e per questo te ne sono grata. Perché senza di te, ora non riuscirei nemmeno a camminare dal dolore. Ma non potevo tenerlo legato a me, illudendolo..io non sono sicura di niente in questo periodo”, scossi la testa, “quindi è molto meglio così, per entrambi, fidati..”.
L’abbracciai, stringendola forte, “io non voglio che tu stia male..”, la voce che tremava.
“Non sto male, giuro”, incrociai le dita in aria, “parola di scout”.
Abbozzò un sorriso, restando però sulla difensiva, “dovresti però fare un po’ di chiarezza nelle tue idee. Perché tesoro, tu pensi a lui sempre! Quindi, se lo allontani, farai solo il vostro male..”.
“Tutta questa saggezza, racchiusa dentro questo corpo di donna”, le accarezzai i capelli, guardandola con amore.
“Mi prometti che ci penserai?”, mi chiese poi con gli occhi dolci.
“Va bene. Ora, però, basta pensare a lui. Divertiamoci”.
Passammo il pomeriggio insieme, evitando di pensare a qualunque cosa potesse vietarci di divertirci.
 
Dovevo dare la teoria, era passato più di un mese da quando mi ero iscritta, e il programma era finito da due settimane ormai. Oltretutto, Marzia mi aveva già detto di prenotarlo, visto che non sbagliavo quasi più nessuna domanda. Fare l’esame significava iniziare le guide, quindi venire in autoscuola in orari impossibili, e quindi non beccarlo mai.
Ero davvero stupida. Gli avevo detto che non doveva più aspettarmi, ed io stessa speravo che non mi avesse ascoltata. Sospirai, ed entrai nella scuola guida, con l’intento di prenotare l’esame e di fare qualche simulazione.
“Ciao”, salutai con poca enfasi.
Non era un bel periodo, e la lontananza da “non posso nominare il suo nome” era devastante. Ogni volta volevo cercarlo, sapere come stava, sapere se come me, soffriva.
Forse, però, dicendogli quelle cose, ero riuscita a fare almeno il suo bene. Il mio, non di certo.
“Come mai così poca vita? Si vede che non frequenti più la nostra scuola. Prima eri più solare”, Fiamma parlò senza guardarmi, fingendo di interessarsi ad altro. Come se non sapessi che intendeva parlare di lui. Era palese.
Sospirai amareggiata. Era vero, da quando era successo il casino con Mirko ero diversa.
Uscivo, certo, ma non mi sentivo più solare e piena di vita. Era come se mi si fosse spento un interruttore dentro, e soltanto Mirko avrebbe saputo come fare per riattivarlo.
“Già, ma il lavoro, la casa, sai..non è facile”, solite scuse che usavo ormai da un mese.
“Sicuro tesoro”, alzò lo sguardo, sorridendomi, “vuoi prenotare l’esame allora?”, chiese tranquilla.
Mi tremavano le gambe all’idea, in fondo, era pur sempre un esame, che costava non poco.
Ma era nel mio carattere agitarmi per qualunque cosa, quindi, non ci diedi peso.
“Si”, mi avvicinai al bancone, dondolando un piede sulla punta.
“Bene, bene..guardiamo eh”.
Prese a sfogliare l’agendina che conteneva le date di tutti gli esami.
“Oh guarda chi c’è!”, Marzia uscì dal bagno sorridendomi allegramente.
Tutti felici.
“Verrai vero alla festa del cinquantesimo anniversario della scuola?”, domandò interessata.
“Non lo so”, storsi la bocca, pensando agli impegni di quel sabato.
“Dai, è da tanto che organizziamo”, fece gli occhi dolci, sbattendoli.
“Mmmh, ma..ci saranno proprio tutti”, guardai un po’ ovunque, tranne che i suoi occhi.
“Si, tutti. Ma tu non ti preoccupare”, la guardai, “penso davvero che lui stia meglio ora, e vederti, magari, lo rende solo più felice. No?”, scrollò le spalle.
“Forse..”, non ne ero convinta, assolutamente. Loro nemmeno sapevano cosa era successo tra di noi, quindi non potevano sapere quanto male facevo invece a me stessa.
“Allora tesoro, l’esame lo possiamo prenotare tra due settimane, va bene per te?”, Fiamma lasciò cadere il discorso che avevamo iniziato, e la ringraziai mentalmente.
“Si, si va benissimo”, le sorrisi, annuendole.
Quanto mi mancava Mirko? Tanto, troppo.
Riuscivo a pensare soltanto a quello ormai, a lui, e basta. Sospirai, prima di prendere la mia borsa, ed avviarmi verso l’uscita.
Ripensare al passato non era salutare, ma non riuscivo nemmeno a vedere un futuro senza di lui.
Mi aveva lasciato qualcosa dentro, qualcosa di forte.
Sentii una risata per la strada, e la prima cosa a cui pensai fu lui, ma alzando il viso non incontrai quei fantastici occhi azzurri. Non era lui il ragazzo a cui apparteneva la risata.
 
Se c’era una cosa che proprio non riuscivo a farmi entrare in testa, era il motore. Il componente più importante della macchina, era l’unico che non riuscivo a comprendere. Potevo anche studiarlo a memoria, che tanto il giorno dopo ero punto a capo. Erano quasi dieci minuti, che leggevo la stessa riga. E nemmeno quella riuscivo a capire.
Avevo deciso, alla fine, di andare alla festa con Melanie. Anche se ci fosse stato, non ero sola.
Mio cugino non poteva venire, anche perché non lavorando più lì, si era trovato un altro lavoro che lo faceva stare fuori città per tutta la settimana. Oltre tutto, a breve avrei dovuto iniziare a fare qualche guida, altrimenti non sarei andata oltre alla teoria.
Scesi alla fermata, davanti alla scuola guida, in attesa di Melanie. Misi nella borsa il libro, rinunciandoci, guardandomi intorno. La scuola era aperta, e dentro si potevano notare già parecchie persone. Odiavo la confusione, ma avrei fatto uno strappo alla regola.
Faceva già freschino, era quasi la metà di novembre, e di certo non si stava benissimo fuori senza giacca.
Mel non era ancora arrivata, ma ero io ad essere in netto anticipo. Ero nervosa, e sapevo anche il perché.
Lo avrei rivisto, e una piccola parte di me, sapeva che ci sarebbe rimasta male, se lo avesse visto felice anche senza di me. Ero egoista. Gli avevo detto io, esplicitamente di lasciarmi stare e di rifarsi una vita, eppure lo volevo ancora con me.
Mi voltai verso l’entrata, osservando le persone che stavano entrando. C’era una donna, che stava ridendo in maniera inumana, tanto che riuscivo a sentirla anche dal punto in cui mi trovavo. Al suo fianco, notai un uomo, e quando lo riconobbi sentii il sangue gelarsi nelle vene.
Rimasi immobile a fissare la scena, senza riuscire a distogliere lo sguardo.
Lui posò una mano sulla schiena di lei, per invitarla ad entrare dentro la suola guida. Un gesto normale, che chiunque poteva fare, ma fatto da lui, mi scatenò una tempesta dentro, inumidendomi gli occhi. Sospirai, chiudendo gli occhi e stringendo i pugni dentro le tasche dalla giacca.
Dovevo smetterla di comportarmi così, io lo avevo allontanato ed io dovevo comportarmi da persona coerente.
“Ehi”, mi voltai verso una Mel accaldata.
“Hai corso?”, le domandai sorridendole.
“Si, perché non sono riuscita a scendere a questa fermata. Troppi energumeni sull’autobus..”, alzò gli occhi al cielo. Potevo capirla benissimo.
“Andiamo?”.
“Hai fretta?”, mi domandò sorpresa.
In effetti il mio tono non ammetteva repliche, ma era uscito da solo, senza il mio controllo.
“No, no..”, alzai le spalle, iniziando a camminare.
Mi seguì in silenzio, attraversando la strada.
“Mamma mia quanta gente. Ci saranno pure dei nonni”, entrò per prima, tenendomi la porta.
“Grazie”, le sorrisi, guardando all’interno, facendo un cenno con il capo alle ragazze.
“Allora sei venuta”, dissero quasi in coro, avvicinandosi.
“Già”, indicai la mia amica, “non è un problema, vero?”.
“Certo che no, è già un viso noto”, risero.
“Ottimo”, avevo già adocchiato una sedia libera.
“Non ci pensare nemmeno cara”, Melanie mi prese a braccetto, parlando tra i denti, “ora tu farai un giretto in mezzo alla gente, non ti andrai a sedere nel primo posto che trovi”.
Mi voltai preoccupata, “da quando leggi nel pensiero?”.
“Con te, sempre..”, un sorriso a trentadue denti le incorniciò le labbra.
Annuii poco convinta, seguendola nel suo tour personale. Scoprimmo di avere alcuni amici lì dentro, eppure non li avevo mai visti. Ci perdemmo in chiacchiere relative alla scuola, al lavoro, al tempo libero, ma tant’è che ancora non lo avevo visto. C’era troppa gente, per poterlo scrutare tra i visi.
“Ehi, guarda là”, Mel mi diede una gomitata, facendomi guardare alla mia sinistra.
Mirko stava uscendo da una stanza con altre persone, tra cui la donna di prima, sorridente ed allegro.
Era bellissimo. Dovevo avere dei cuoricini al posto degli occhi, perché Mel si fece una bella risata.
“Smettila di fissarlo così, sei davvero terribile”, bevve un sorso di bibita dal suo bicchiere, fissandomi, “prima fai tutto quello che hai fatto, poi ti comporti così. Sii coerente Kate!”, mi voltai verso di lei.
“Vai da lui e digli che hai sbagliato no? Che le chiacchiere della gente ti hanno resa insicura”, strabuzzai gli occhi, “è così, fidati. Tu avevi paura che la gente..anzi, hai, paura che loro ti possano giudicare. Non temi che parlino di lui, ma di te..”.
“Quindi se vuoi essere felice, smettila di pensare al giudizio degli altri”.
Rimasi impietrita, con la bocca spalancata. Abbassai lo sguardo, sentendo le parole di Mel pesarmi come macigni.
Che avesse ragione? Ero tanto immatura da non aver capito che il problema veniva direttamente da me, e non dall’esterno? Se davvero era così, ero stata una stupida.
Non solo avevo perso la mia occasione, ma lo avevo messo su un piatto d’argento a quella donna che ancora sorrideva con lui. Se permesso, era anche peggio di Monica.
“Vado a prendere da bere, vuoi qualcosa?”, mi voltai verso di lei, con aria triste.
“No, no..tranquilla”, mi sorrise, accarezzandomi una spalla, “stai serena..”.
Una parola. Facile a dirsi.
Mi feci spazio tra la gente, chiedendo continuamente permesso. Quando raggiunsi il tavolo, mi versai un po’ di coca cola, sentendo la gola secca. Lo stomaco stava facendo di testa sua da quando lo avevo rivisto.
Le farfalle erano tornate in vita, e svolazzavano di qua e di la liberamente.
“Kate?”, mi voltai, rischiando di rimanere strozzata con il sorso di coca cola che stavo ingoiando.
Dì il suo nome, avanti, dillo.
“M..Mirko, ciao”, boccheggiai, cercando di non morire soffocata.
“Scusa, non volevo spaventarti”, sempre con il sorriso sulle labbra.
“No, tranquillo. Stavo bevendo..”, cercai di sorridere, ballando da un piede all’altro, “hai solo rischiato di farmi soffocare”, tossii un po’, cercando di schiarire la voce.
“Scusa”, sorrise sghembo, ed io mi sciolsi completamente, “uh già che ti vedo”, si, infatti non sono qui per te, no, “voglio presentarti una mia cara amica”.
Spalancai gli occhi, sentendo il sangue fluire velocemente nelle guance.
“Doria, vieni qui per favore?”, alzò una mano, indicandoci.
“Ehm, ma tranquillo, io sono con un’amica. Anzi..l’ho lasciata sola..”, guardai nella direzione nella quale doveva, teoricamente, trovarsi Mel.
“Due secondi, giuro..”, mi guardò intensamente negli occhi, ed io, come potevo dire di no?
Annuii soltanto, restando in attesa incrociando le braccia al petto.
“Allora, stai bene?”, mi domandò serio.
“Si, si..tu?”, iniziai a giocare con il bicchiere, mordendone i contorni.
“Certo”, tossicchiò, “Si..”.
Lo guardai torva, evitando di approfondire.
Stupida, che domande fai?
“Dimmi tutto caro”, la donna che avevo visto prima si avvicinò a Mirko, abbracciandolo.
Se avessi avuto il dono di sparare fulmini, a quest’ora la mano di Doria non c’era più.
Sorrisi nel modo più falso possibile ed immaginabile.
“Ti voglio presentare una ragazza che ha frequentato il mio corso”, una ragazza, una semplice ragazza.
Un pugno nello stomaco mi avrebbe fatto meno male.
“Kate, lei è Doria, una mia ex collega, Doria, lei è Kate”, ci sorrise, guardandoci alternativamente.
“Piacere”, mi porse la mano, che strinsi per educazione, continuando a sorridere. Ma dentro piangevo.
Mi stavo struggendo di dolore, ma cercai di non darlo a vedere.
“Sai Doria, è una ragazza molto intelligente, ci credi che è riuscita a seguire i miei corsi senza nemmeno addormentarsi?”, risero entrambi, ma io non ci trovai niente di divertente.
“Allora sei stata fortunata..sai, ai tempi, il caro e vecchio Mirko, non era così bravo”, strinse l’abbraccio, ed il pugno ritornò più violento, “le ragazze arrivavano soltanto per vederlo..non per seguire la sua lezione”.
Stava forse dicendo che io andavo a scuola guida solo per vedere Mirko? Che poi fosse vero, erano dettagli.
“Non è vero”, si finse offeso, ed io iniziai a sentirmi davvero di troppo.
“Oh, si..e meno male, che ai tempi ancora le colleghe non ti avevano inquadrato..”.
La guardai stupefatta. Al posto della bocca si posizionò una O enorme, ed iniziai a sbattere gli occhi, sempre cercando di non farmi notare.
“Già, meno male..”, lo vidi imbarazzarsi, e passarsi una mano tra i capelli.
“Poi, sono arrivata io, a rovinare i sogni delle ragazzine in piena tempesta ormonale..”, si voltò verso di me, guardandomi in modo ambiguo, “peccato che tu abbia scelto la persona sbagliata..”.
“Doria, dai..”, abbassò lo sguardo, “direi che è ora di andare”, era nervoso, e glie lo potevo leggere in ogni ruga apparsa sul suo viso perfetto.
Guardami, ti prego. E fammi capire che c’è ancora speranza per me.
“Sai Kate, a guardarti bene..”, alzai il viso su di lei e sulla sua elegante persona.
“Doria”, la ammonì lui, senza nemmeno farla finire.
“No, dai..non è strano? Tu”, indicandomi, “assomigli molto alla sua ex da giovane. Una storia durata anni..povero Mirko. La storia è finita da poco, ed è durata davvero tanti tempo..”, si voltò verso di lui, passandogli una mano sulla spalla.
Rimasi con il bicchiere tra le labbra, incapace di parlare.
“Doria, direi che abbiamo detto anche troppo..”, mi guardò, ma lo vidi soltanto di sfuggita, perché ormai avevo già abbassato lo sguardo.
“Vado un secondo dagli altri Mirko, vieni con me?”.
“Arrivo, devo dire a Kate due date dell’esame”.
“Ok, non farmi aspettare”, avevo un sacco di insulti per lei, davvero tanti.
All’improvviso però, i rumori dentro la stanza, cessarono di esistere. C’era solo silenzio.
Le orecchie fischiavano, e le parole di quella donna continuavano a rimbombare nella mia mente, lasciandomi sconvolta. Potevo sentire la vena sulla tempia pulsare al ritmo del mio cuore, che correva all’impazzata.
“Kate”, sentii la mano di Mirko posarsi sul mio braccio.
Sbattei le palpebre, controllandomi.
“Si?”, alzai la testa, guardandolo.
“Stai bene? Doria parla sempre troppo, è un suo brutto vizio, non volevo che ti turbasse..tu e..”.
“Non voglio sapere niente Mirko, e tanto meno devi darmi delle spiegazioni. Vado da Melanie, scusa”, evitai di guardarlo allontanandomi.
Scappare, questo era diventato il mio hobby preferito. Stavo scappando di nuovo, e sinceramente quella volta non avevo nemmeno dei rimpianti.








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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


I breathe your moments








10.
 
“No, no Kate”, si avvicinò con due semplici passi, fiancheggiandomi.
Mi prese per il braccio, facendomi voltare delicatamente, “guardami per favore”, feci come mi aveva chiesto, voltandomi.
“Dimmi”, incrociai le braccia al petto.
“Cosa succede? Perché stai reagendo in questo modo?”, perché ti amo.
“Non sto reagendo in nessun modo. Solo non mi è parso il caso di restare lì!”.
Abbassò la testa per poter raggiungere i miei occhi, fissandoli, “sicura?”.
Tentennai, incantata da quel colore chiaro.
“Certo”, gli sorrisi, tentata di accarezzargli il viso.
“Me lo diresti se non fosse così, vero?”, si avvicinò piano, di qualche millimetro.
Boccheggiai in cerca d’aria, avevo bisogno di baciarlo, di sentire le sue braccia stringermi forte.
Deglutii, provando a frenare la mano che, ormai, da sola aveva preso a salire sulla sua guancia.
“Certamente”, con un dito delineai il contorno del suo zigomo, mordendomi il labbro.
Chiuse gli occhi, piegando la testa verso la mia mano e stringendo i denti. Accarezzai la barba incolta, socchiudendo gli occhi, e sperando che quel momento non terminasse mai. Senza pensare al resto delle persone nella stanza, mi prese la mano e avvicinandosi mi cinse con le sue braccia, stringendomi contro il suo petto. Sentii le sue labbra tra i miei capelli, ed il suo respiro solleticarmi il collo.
“Mi manchi, e giuro che darei tutto pur di riaverti – anche se non ti ho mai avuta – e sentirti vicina mi rende felice. Però, Kate, mi fai male..”, sussurrò accarezzandomi la schiena.
Rabbrividii, avvicinandomi di più.
“Mi dispiace, non volevo..”, lo strinsi più forte, drogandomi del suo profumo, che non sentivo da troppo, troppo tempo, “ma non riesco a fare a meno di te”, sussurrai a voce così bassa, da non sentirmi nemmeno io stessa.
Sospirò lentamente, staccandosi piano, piano.
“Direi che per il momento, sarà meglio che io vada..”, si guardò intorno, e notai con stupore che il posto in cui eravamo, era troppo nascosto, perché avessero potuto vederci.
Eppure, io non mi ero minimamente preoccupata degli altri. Lo avevo abbracciato, senza farci caso, lasciandomi andare. Mi portai una mano sulle labbra, fissando il pavimento.
“Ehi, va tutto bene?”, mi chiese lui preoccupato.
Alzai lo sguardo su di lui, meravigliandomi per aver capito solo in quel momento tutto quanto.
Mel aveva ragione, aveva ragione sin dall’inizio. Ero io che mi preoccupavo degli altri.
“Si, certo..vai pure”, mi voltai, portandomi una mano tra i capelli.
Dovevo trovare Mel. E dovevo farle anche una statua.
Aspettai che si immergesse nella confusione, poi uscii anche io allo scoperto, ed iniziai a cercarla.
Quando la trovai, stava parlando con una donna.
“Mel, scusa?”, mi avvicinai, arpionandola già per un braccio.
“Ehi, dove eri finita? Sei andata a comprare da bere?”, domandò sarcastica.
La fulminai con lo sguardo, e subito capì che qualcosa non andava. Salutò la donna, per poi seguirmi sino all’uscita.
“Che freddo..”, ammise rabbrividendo.
“Avevi ragione”, appoggiai le mani sulle sue spalle, “avevi sempre avuto ragione!”.
La guardai sorridendo.
“Non capisco”.
“Avevi ragione, io mi facevo dei problemi inutili per Mirko e il resto della gente..”.
“Ah”.
“Come ah?”.
“No, che di solito non me lo dici mai”, bugiarda, mi stava prendendo in giro, visto che glie lo ripetevo ogni giorno per ogni cosa.
“Ora cosa farai, dopo che hai capito di essere scema”, mi sorrise.
“Devo parlarne con lui..”, abbassai lo sguardo, ricordandomi di aver tralasciato quel piccolo dettaglio.
“Perché quella faccia?”, mi domandò curiosa.
“Eh, devo parlarci, non è facile..insomma, devo praticamente dirgli che mi vergognavo di lui”, mi grattai la testa, confusa.
“No, non metterla su questo piano..per me, devi semplicemente lasciare che le cose vadano per il loro verso. Alla fine, andrà tutto bene. Tu vai lì, ci parli, e le parole arriveranno da sole..”, l’abbracciai, senza nemmeno aspettare che finisse di parlare.
“Dobbiamo rientrare però, se no, primo mi iberno, e secondo, c’è la torta..”.
Mi scostai, scoprendo di avere le lacrime sulle guance.
“Cosa fai? Piangi? Dai, che poi penseranno che ti ho picchiata”.
Risi, finalmente serena e con una speranza in più ad illuminarmi la giornata. Mi asciugai le lacrime, rientrando subito dopo Melanie, mano nella mano.
“Vieni, stanno già iniziando a stappare lo spumante”, mi disse ad alta voce, per sovrastare gli auguri e gli applausi.
Mi passò un bicchiere per poter fare il brindisi, e subito mi guardai intorno, per cercare l’unica persona con la quale volevo brindare. La trovai quasi subito e non dovetti aspettare nemmeno molto, prima di ricevere la sua attenzione. Sembrava quasi che anche lui mi stesse cercando.
Alzai il bicchiere, nella sua direzione, e la stessa cosa fece lui, guardandoci negli occhi.
“Auguri”, gridammo tutti in coro.
Auguri a noi Mirko.
 
Passato il momento dei festeggiamenti, la gente iniziò a tornare a casa. La scuola guida si stava svuotando, riacquisendo il suo stato naturale. C’erano bicchieri ovunque, e anche se non c’era tanto casino, bisognava ripulire tutto.
“Io devo andare a casa”, Mel si avvicinò, mentre tenevo il sacco e ci buttavo dentro bicchieri e piattini.
“Oh, certo..”, sospesi quello che stavo facendo, “tranquilla, io do una mano qui”.
“Sicura?”.
“Certo! Non ti preoccupare..”.
L’abbracciai, ringraziandola per avermi accompagnata e per essersi subita le mie dichiarazioni.
La guardai uscire, mentre riprendevo il sacco in mano.
“Vai a casa anche tu. Non stare a pulire Kate”, Fiamma si avvicinò con la scopa.
“Figurati, tanto a casa non ho nessuno che mi aspetta. Mia madre lavora..”, le sorrisi.
“Ti sei divertita?”, domandò aiutandomi.
“Si, si..è stata proprio una bella festa”, ed ero sincera.
“Gli altri sono dentro, a chiacchierare di chissà che cosa”, disse sovrappensiero, “e noi donne a pulire”.
Risi, capendola perfettamente.
“Intanto Doria non pulisce”, mi uscì talmente tanto spontaneo, che non riuscì nemmeno a tapparmi la bocca.
La risata di Fiamma però arrivò velocemente, facendo sorridere anche me. Calò il silenzio, e continuammo a sistemare la stanza con Marzia che nel frattempo dava lo straccio dove Fiamma passava.
Sospirai, portandomi una ciocca di capelli, sfuggita alla treccia, dietro l’orecchio.
Erano troppo lisci e troppo sottili, ecco il loro difetto, quindi non riuscivo a farli stare in nessun modo.
“Sta ricominciando a piovere”, sentii dire.
Mi voltai e notai con dispiacere che in effetti stava piovendo.
Ovviamente senza ombrello.
Sbuffai, sperando che passasse prima che uscissi.
“Finito”, ammisi soddisfatta, dopo che ogni cosa era tornata al suo posto.
“Grazie mille”, stiracchiai le braccia, sorridendo.
“Ora aspetterò che smetta di piovere, mica mi butterete fuori tanto”, le guardai, “vero?”.
“Tranquilla, mezz’ora e poi andiamo via. Magari smette..”.
Annuii, sedendomi e riscaldandomi le mani.
“Eccoli finalmente”, Fiamma si rivolse alle persone uscite dalla stanza in quel momento, “grazie per averci dato una mano”.
“Dovevamo parlare di lavoro”, il marito di Marzia le si avvicinò, sfiorandole il braccio.
“Certo, solo perché te la fai con il capo, non mi appoggi”, scoppiammo a ridere.
Lasciai i loro discorsi lontani, e con la coda dell’occhio continuai a guardare la porta, per vederlo uscire. Prima di lui, sbucò Doria, un nome che non avrei scordato tanto facilmente. Aveva le mani incrociate davanti al petto, ed una smorfia annoiata sul viso. I capelli neri le ricadevano sulla fronte, muovendosi ad ogni passo.
Abbassai lo sguardo, fissando il pavimento. Non volevo passare per la guardona di turno.
“E tu cosa ci fai ancora qui”, mi chiese “gentilmente” la collega di Mirko.
“Uhm, aspetto che smetta di piovere”, indicai la porta d’uscita, “poi vado”, le sorrisi, sbattendo gli occhi.
“Oh piove..”, fece una smorfia poco felice, e si allontanò.
Ti si rovina la piega?
Sospirai, stropicciandomi gli occhi con le dita, stanca.
Quando riaprii gli occhi, notai Mirko parlare con una persona che mi dava le spalle, con gli occhi puntati su di me; gli sorrisi, arrossendo.
“Vuoi mica un passaggio?”, mi voltai verso Marzia, con la giacca in mano.
“No, no..piuttosto, dato che uscite, se aveste un ombrello mi fareste davvero un regalo”, mi alzai.
“Certamente, guarda là dentro”, indicò un bidone pieno di ombrelli, vicino alla porta.
“Andiamo Mirko?”, prestai attenzione a quelle parole, rabbrividendo.
“Si, si..ragazzi, ci vediamo in settimana”, la sua voce, così dolce e roca.
Sorrisi come un’ebete, prendendo li primo ombrello che mi capitò sotto mano.
“Ciao a tutti. È stato un piacere rincontrarvi”, drizzai la schiena, “a presto”.
Mi voltai appena in tempo per osservare Mirko posare una mano sulla schiena di quella donna. Tutti li salutarono, mentre io li osservai raggiungere la porta accanto alla quale mi trovavo io.
“E’ stato un piacere conoscerti Kate”, mi sorrise, porgendomi di nuovo la mano.
Non per me.
Le sorrisi, annuendo e stringendo la sua mano educatamente. Aprì la porta, lasciandomi per qualche attimo sotto il controllo dello sguardo di Mirko.
“Ciao”, sarà stato anche stupido da parte mia, ma allargai il sorriso, sentendo il cuore riempirsi di calore.
“Ciao”, con una voce abbastanza stridula, da farmi quasi paura, tossicchiai per non dare a vedere l’emozione che avevo provato.
“Ci vediamo..?”, mi osservò, infilando le mani nelle tasche del giubbotto.
“Si”, tornerò a scuola guida, per te, “anche perché il motore inizia a darmi qualche problema”, ammisi ridendo.
“Sarò felice di spiegartelo”, un brivido mi percorse la schiena, facendomi sospirare.
“Grazie..”, mi voltai verso la porta, indicandogliela, “non ti conviene fare aspettare una donna”, scoppiò a ridere anche lui.
“Beh, però sono disposto ad aspettarne una per molto tempo”, ammise, “buona serata Kate”.
Rimasi immobile, con il cuore che batteva all’impazzata, ed un sorriso degno di oscar ad osservare la porta chiudersi.
“Allora cosa fai Kate?”, ritornai alla realtà, sentendo Fiamma parlarmi.
“Vado a casa”, dissi velocemente, allacciandomi la giacca, “grazie per tutto..buona giornata”, le salutai frettolosamente, senza nemmeno sentire i loro saluti.
Fuori, con l’ombrello aperto, e la giacca alzata sino al collo, sorrisi per tutto il tragitto, sino alla fermata.
Beh, però sono disposto ad aspettarne una per molto tempo.
Non dovrai aspettare molto, Mirko.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


I breathe your moments








11.
 
Ci sono delle cose che ad un certo punto vanno fatte e basta. Senza pensarci, senza rimuginarci troppo, perché altrimenti diventeranno soltanto dei rimpianti.
Ci sono poi, delle persone, che bisogna tenere sempre strette.
Ci sono i familiari, a cui non bisogna chiedere niente, loro ci saranno sempre, a prescindere da tutto.
Ci sono gli amici, che vanno trattati come oro, perché ci staranno sempre vicini, nella gioia e nel dolore, come citano le parole del prete.
Poi, alla fine, ci sono loro, gli angeli. I ragazzi, quelli che ti dicono “ti amo” ma che nel frattempo pensano a tutt’altro.
Quelli che pensano soltanto ad una cosa, e quelli che invece ti dicono la verità, ma tu sei troppo cieca per capirlo, e te li lasci sfuggire.
Quello era successo a me.
Ed infatti, stavo proprio andando a rimediare il danno che avevo causato con la mia impulsività e testardaggine. Ero sull’autobus, e non era quello che mi avrebbe portato a casa mia.
C’ero stata una volta sola, in quel posto, e sperai davvero, con tutto il cuore, di non aver sbagliato strada. Pioveva a dirotto, l’ombrello si era ovviamente rotto, e faceva un freddo cane. Se non avessi avuto un buon pretesto per andarci, non mi sarei mai avventurata.
Sospirai, spostandomi per far passare una vecchietta che doveva scendere. Mancavano pochissime fermate, poi teoricamente, avrei dovuto suonare al suo campanello ed aspettare che lui mi venisse ad aprire.
Sicuramente avrei dovuto dire qualcosa tipo “ciao Mirko”, oppure “ehi Mirko”, qualunque cosa, ma non una scena muta come invece – haimè – sapevo che avrei fatto.
Volevo parlargli, spiegargli che ero una bambina infantile che si era preoccupata del parere degli altri, e non aveva seguito il suo cuore, facendolo soffrire.
Ero alla fermata, e mentre stava arrivando il mio autobus, un’idea malsana mi era passata per la testa, facendomi restare ferma, senza salirci sopra. Avevo così aspettato l’autobus dopo, che mi avrebbe portato vicino a casa sua. Certo, non avevo preso in considerazione l’idea di trovarlo in casa con quella donna, e non ci avrei fatto di certo una bella figura, ma non mi interessava più niente. Ero andata lì per lui, non per lei.
Lui doveva sapere cosa provavo, poi, avrebbe reagito a modo suo, ma almeno io ero stata sincera, gli avrei aperto il mio cuore. Prenotai la fermata, sentendo le gambe molli.
Non cedete, no. Restate con me, sorreggetemi.
Tutto andrà bene. Tutto andrà bene.
Tremavo, e non per il freddo.
Scesi dall’autobus, raggiungendo subito un portone, rannicchiandomi sotto di esso. Provai a riaprire l’ombrello, fallendo miseramente. Ormai la fortuna non mi seguiva da un po’ di tempo. Guardai la strada, intravedendo il portone della casa di Mirko. Avrei dovuto correre, bagnandomi come un pulcino, ma l’avrei raggiunto in poco tempo. Cosa sarebbero state due gocce, in confronto a ciò che mi aspettava lì dentro?
Il gioco valeva la candela, quindi, con un po’ di coraggio presi a correre, sentendo l’acqua entrare nel colletto della giacca, bagnandomi completamente. I capelli erano zuppi, nonostante tenessi l’ombrello malmesso sopra la testa per ripararmi un po’.
Dovetti aspettare una macchina per attraversare, ma alla fine riuscii ad arrivare al portone tanto agognato, con il fiatone ed il cuore che batteva come un tamburo impazzito.
Ecco, ora non riesci a suonare il campanello.
“Non fare la scema, suvvia Kate. Sei venuta fino a qui, prendendo più acqua che dentro ad una doccia, ed ora non riesci a suonare quel campanello? Scherzi vero?”, mi guardai intorno, sperando di non avere nessuno che potesse sentire i miei schizzi mentali.
Sospirai quattro o cinque volte, sentendo poi la serratura del portone aprirsi. Mi spostai velocemente, uscendo allo scoperto e prendendo di nuovo un sacco di acqua. Probabilmente era stata l’adrenalina a farmi scattare in quel modo, perché era impossibile che fosse lui. Scossi la testa, spostandomi dal muro nel quale mi ero appoggiata tipo geco.
“Grazie per il the”, quella voce, l’avrei riconosciuta tra mille. Lasciva e piena di significato poco casto. Doria.
Digrignai i denti, iniziando a temere il peggio.
“Figurati, sicura che non vuoi che ti accompagno?”, Mirko, oddio, no. No. No. No.
Pregai in tutte le lingue, affinché il motivo per cui lei si trovava li, fosse diverso da tutte le immagini che mi passavano per la mente. Ma non riuscivo a pensare ad altro se non a loro due in posizioni assurde.
“No, non ti preoccupare. Grazie per avermi fatta venire da te piuttosto, speravo che la tempesta si calmasse, ma se non mi muovo subito resterei da te sino a domani mattina”, lasciò cadere la frase, ed una morsa la petto mi costrinse a posarci una mano sopra a massaggiarlo.
Chiunque avrebbe capito che quella frase era una tacita richiesta di restare da lui per tutta la notte, donna..della quale preferii evitare di trovare aggettivi.
“Buona serata”, potevo solo sentire, non potevo vedere i loro gesti, e quella cosa mi causava non poca nausea.
“E’ stato un piacere..rivederti Mirko. È stato come tornare ai vecchi tempi, tu non sei cambiato per niente. Sei rimasto il bellissimo ed affascinante istruttore di scuola guida”, la voce di lei si era addolcita, diventando quasi un sussurro.
“Meriti la felicità”, riprese lei, sempre con tono dolce.
“Doria..”.
“Mirko, sai benissimo che quella felicità, io potrei dartela ogni giorno, lo sai. Per me non è cambiato niente”, sentii il cuore tremare, “se non fosse arrivata lei, a rovinare tutto, ora io e te avremo un futuro”, non potevo giurarlo, ma lei sembrava piangesse. Provai a drizzare meglio le orecchie, per quanto potessi permettermelo.
“Ti prego Doria”, la voce di lui era disperata, piena di tristezza.
“No, no ti prego Doria. Ti prego io Mirko. Guarda in faccia la realtà. Non può darti niente, non può ridarti quello che ti dava lei”, strinsi i denti, per non urlare, “lei ti ha lasciato Mirko, e tu devi rifarti una vita. Ma non sarà lei a ridarti quella felicità..quanto pensi che durereste, eh?”, dura, feroce, ed invidiosa.
“Doria per favore, smettila”.
“Come preferisci Mirko. Sappi, però, che un giorno ti renderai conto che la scelta che stai facendo, non è quella giusta. Aspettare per cosa fare poi? Perdere anche lei? Perché è questo che succederà Mirko. Lei non ti conosce, non può darti quello che potrei darti io”, piangeva, ormai si sentiva.
“Doria, penso sia davvero ora che tu vada. Altrimenti non riusciresti ad arrivare a casa..”, la voce di Mirko era invece strana, diversa.
“Sei anche il solito gentiluomo. Spero davvero che arrivino tempi felici anche per te”, silenzio assoluto, “a presto Mirko”.
“A presto Doria”, silenzio di nuovo, poi la porta del portone sbattuta, e più niente.
Insieme alla pioggia, non mi ero nemmeno accorta di piangere. Avevo il viso completamente bagnato, ma i singhiozzi li sentivo perfettamente. Mi portai una mano sul petto, per poterlo tenere insieme, visto che ormai il cuore si era sgretolato. Chiusi gli occhi, e mi lasciai scivolare contro al muro, ero andata lì per chiedergli scusa, ma ormai era troppo tardi.
La gelosia mi aveva fatto perdere ogni forza, ogni desiderio di suonare e di parlargli. Dovevo tornare a casa e dimenticare tutto, lasciarmi tutto alle spalle.
Mi alzai, appoggiandomi contro al muro per sorreggermi. Ero debole, stanca e provata emotivamente, volevo soltanto tornare a casa, senza pensare ad altro.
Inutile spazzare via le lacrime, la pioggia non riusciva nemmeno a farmi respirare. Avevo freddo, e probabilmente il giorno dopo mi sarei presa una bella bronchite, dopo quel bellissimo pomeriggio.
Ritornai alla fermata, aspettando l’autobus in uno stato di apatia totale.
Fissavo il marciapiede, con la mente vuota, sgombra da qualunque pensiero.
Non può darti niente, non può ridarti quello che ti dava lei.
Perché? Perché a me?
Perché non vuoi capire che io sono piena d’amore, che potrei renderti felice.
Non mollare Mirko, non fare il mio errore.
Ripresi a piangere, più forte di prima. Mi abbracciai il ventre piatto, singhiozzando.
Non poteva andare sempre tutto storto, non poteva.
Guardai il portone di casa sua, ancora una volta. Ero andata lì con l’intento di parlarci, non di scappare di nuovo. Tutta quella strada, tutto quel dolore per niente? No, non doveva andare così.
Raddrizzai il busto, stringendo i pugni e ritornando dall’altro lato della strada.
Qualunque cosa fosse successa, dovevo parlarci, dirgli in faccia quello che provavo e andarmene da li.
Presi un respiro profondo, suonando il campanello.
Chiusi gli occhi, rendendomi conto che la frittata era fatta, e che non mi ero nemmeno preparata un discorso.
La scena muta no.
Quando la serratura del portone fece il rumore di prima, rabbrividii, sentendo lo stomaco contorcersi.
Sbucò il suo volto, dapprima curioso, poi sorpreso e alla fine preoccupato.
“Kate? Che..tu, cosa ci fai qui?”, mi domandò allarmato, osservandomi.
Dovevo fare proprio pena, bagnata dalla testa ai piedi, e con gli occhi rossi.
“Ciao”, boccheggiai, guardando altrove.
“Va tutto bene? Ti senti bene?”.
Si stupido.
“Si, volevo solo parlarti”, dissi tutto insieme, per evitare che facesse domande.
“Entra, vieni dentro che altrimenti ti becchi qualcosa..”, con la voce tesa ed allarmata, si spostò per farmi entrare, ma mi rifiutai.
“Devo parlarti, ci vorrà proprio poco, davvero”, mi mossi sul posto, tremando.
“Ma stai tremando, entra dentro K..”.
“Non sto tremando per il freddo”, lo interruppi mordendomi la lingua.
“E allora perché?”, domandò con un filo di voce.
“Perché devo parlarti di una cosa importante, che non riesco più a tenermi dentro..”, sentii le lacrime risalire, e provai in tutti i modi a fermarle, senza riuscirci. Si allarmò di colpo, avvicinandosi, ma lo fermai con entrambe le mani, scuotendo la testa.
“Io ti amo Mirko, ti amo e l’ho sempre saputo, sempre..non è mai passato un giorno senza che io lo sapessi”, ingoiai il magone, fissandolo negli occhi azzurri, stupiti e lucidi, “solo che sono stata una cretina, non ho dato voce ai miei pensieri e mi sono nascosta dietro alle mie paura. E per questo ti chiedo scusa..”.
“Io non so cosa tu possa provare per me, ma ti chiedo solo di credermi e di capire il mio errore, perdonandomi..avevo paura della gente, di quello che potevano pensare..ma io non ce la faccio più a stare senza di te, mi sento vuota, inutile”, gesticolavo e tremavo, “e sono anche una stupida. Sono venuta sino a qui..ed ho sentito Doria, tu, lei..lei non pensa che io..insomma Mirko”, scoppiai a piangere, coprendomi il viso con le mani. Un tuono segnò la fine del mio discorso, facendo vibrare ogni cosa sotto il suo controllo.
In un attimo mi fu di fronte, bagnandosi anche lui. Prese le mie mani davanti al mio viso, e le spostò delicatamente, portandole sulle sue guance calde e morbide.
“Scema, ti amo anch’io”, prese il mio viso tra le mani, stringendolo, “ti amo da sempre, e ti ho aspettata. Nonostante tutti i consigli negativi che dici tu, io ti ho aspettata..ed ho fatto bene, perché ora che ti ho di fronte, riesco a vedere la Kate che amo, e che vorrei al mio fianco”, avvicinò le sue labbra alle mie e mi baciò con impeto e trasporto.
In quel momento, mentre le sue labbra baciavano le mie, e le sue mani cercavano il mio viso, mi sentii completa, felice.





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Piccola Ketty

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