I'm not Perfect

di _V a l e_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CONSAPEVOLE E VUOTA ***
Capitolo 2: *** SOPRAVVIVENZA ***
Capitolo 3: *** ADDIO ***
Capitolo 4: *** ILLUSO ***
Capitolo 5: *** CHARLIE ***
Capitolo 6: *** NOTIZIA ***
Capitolo 7: *** MASOCHISTA ***
Capitolo 8: *** MATRIMONIO ***
Capitolo 9: *** CHIARIMENTI ***
Capitolo 10: *** CORSA SCATENATA ***
Capitolo 11: *** NUOVA VITA (cinque mesi dopo) ***
Capitolo 12: *** QUANDO TI RENDI CONTO CHE LA VITA E' UN BENE PREZIOSO ***
Capitolo 13: *** CONFUSIONE ***
Capitolo 14: *** SENSAZIONI ***
Capitolo 15: *** LA FESTA (parte I) ***
Capitolo 16: *** LA FESTA (parte II) ***
Capitolo 17: *** LA FESTA (parte III) ***
Capitolo 18: *** DEVI SAPERE (parte I) ***
Capitolo 19: *** DEVI SAPERE (parte II) ***
Capitolo 20: *** LA VERITA' ***
Capitolo 21: *** A VOLTE LE LEGGENDE SONO SOLO LEGGENDE ***
Capitolo 22: *** TI ABITUI A TANTE COSE DANDOLE PER SCONTATE ***
Capitolo 23: *** FARE I CONTI CON SE STESSI ***
Capitolo 24: *** CALORE IRRESISTIBILE(parte I) ***
Capitolo 25: *** CALORE IRRESISTIBILE (parte II) ***
Capitolo 26: *** INGENUI ***
Capitolo 27: *** UN PO' DI LEGGEREZZA ***
Capitolo 28: *** SMARRITI ***
Capitolo 29: *** DAYNIGHT (parte I) ***
Capitolo 30: *** DAYNIGHT (parte II) ***
Capitolo 31: *** LIBERO ***
Capitolo 32: *** UN BARLUME DI SPERANZA ***
Capitolo 33: *** VIGILIA ***
Capitolo 34: *** UN'UNICA COSA ***
Capitolo 35: *** EPILOGO- LA NOSTRA VITA ***



Capitolo 1
*** CONSAPEVOLE E VUOTA ***


 

Salve a tutte! Questa è la mia prima fanfiction e non so cosa ne verrà fuori ma vi garantisco che ci metterò tutto il mio impegno e tutta la mia passione! Parto dal presupposto che ADORO la coppia Jacob/Bella e ho deciso di scrivere questa storia per poter dare una possibilità al loro amore, farlo crescere attimo dopo attimo e far capire a Bella che è Jacob il ragazzo giusto per lei!
Ok mi sto dilungando troppo! Vi lascio il primo capitolo! Buona lettura e mi raccomando RECENSITE!!

-La mia storia inizia dalla fine del capitolo 26 di Eclipse, quando Bella dice addio a Jacob.

 

 

CAPITOLO 1:
Consapevole e vuota



 


Non sentivo più nulla.
Il dolore era talmente forte che mi squarciava il petto e distruggeva il mio cuore ormai ridotto a un cumulo di cenere. Avevo lasciato la mia anima su quel letto e non l'avrei più pretesa. Era nel posto giusto, tra le sue braccia, inebriata dal suo immenso calore, protetta dal suo amore.
Arrivai in camera mia e sfinita mi lasciai andare sul pavimento. Le lacrime incessanti cadevano sul mio viso e non c'era modo di fermarle. Neanche la vicinanza del mio ragazzo alleviava il forte senso di vuoto che mi imprigionava e che mi impediva di respirare. Avevo detto addio al mio migliore amico, all'unica persona che mi era stata accanto quando non ero altro che un cadavere, distrutta per la perdita del mio vampiro. Avevo rinunciato alla persona che mi capiva anche con un solo sguardo, un solo gesto, perchè lui non aveva bisogno di poteri soprannaturali per leggermi dentro.
Avevo sputtanato un sentimento puro, vero, vivo per inseguire qualcosa di irreale, di ossessivo, una droga. Avevo rinnegato il mio Sole, la mia aria, la mia linfa vitale per avvicinarmi al mondo dei vampiri, al mondo della mia unica ragione di vita,Edward.
Ed era la scelta giusta, sapevo che lo era.
Ma allora perchè non riuscivo a fermare quelle maledette lacrime? Perchè non riuscivo a levarmi dalla testa il suo sorriso? Perchè agoniavo un altro paio di braccia, più forti e più calde?
Perchè?
Perchè sentivo ancora sulle mia labbra il suo sapore? Perchè?
Edward continuava a fissarmi e a tenermi stretta fra le sue braccia fredde e marmoree ma nonostante questo non riuscivo a fermare i miei singhiozzi, le mie convulsioni, le mie urla. Sapevo di ferirlo come non mai, ma dovevo cacciare tutto fuori, dovevo eliminare dal mio cervello il suo viso, cancellare dal mio cuore l'amore che provavo per lui. Perchè quel muscolo che batteva all'impazzata doveva appartenere solo ad Edward.
Era lui la mia scelta. Non poteva essere altrimenti. 

Non so per quanto tempo rimasi in quello stato, non sapevo più niente. L'unica cosa di cui riuscii a rendermi conto fu che adesso non mi trovavo più sul pavimento, ma distesa sul mio letto caldo avvolta nelle coperte.
Edward era ancora accanto a me e non aveva ancora pronunciato una parola, stava immobile, fermo ad aspettare che mi calmassi.
Adesso i respiri si facevano più naturali e più normali, dai miei occhi non uscivano più lacrime. Il mio corpo si era prosciugato.
"Scu-sami.. non suc-cederà più t-e lo prom-etto.."
Edward mi guardò accigliato.
"Bella, amore mio, siamo in camera tua da un giorno intero e non hai fatto altro che piangere e disperarti. Com' è possibile che hai fatto la scelta giusta se stai così male? Tesoro io voglio che tu ci rifletta.. non essere così avventata."
Ma non riusciva proprio a capire che senza di lui non potevo vivere? Cercai di ricompormi, feci due respiri profondi per calmare i singhiozzi e gli risposi.
"Io non posso vivere senza di te. Edward, io mi trasformerò e io e te vivremo felici, insieme. Per l'eternità."
Cercai di essere il più decisa e tranquilla possibile perchè non avrei più permesso che Edward assistesse ad un'altra performance del genere. Lui non disse nulla, avvicinò il suo viso al mio e mi sfiorò delicato le labbra. A quel contatto però un immagine mi si parò d'avanti agli occhi: altre labbra avevano preso il posto di quelle del mio vampiro, più carnose, più passionali, più calde.
Staccai bruscamente quel contatto.
"Edward forse è meglio se per stasera mi lasci sola."
Deviai lo sguardo ma Edward capì e decise di assecondarmi.
"Tranquilla amore mio. Fa sogni d'oro. Ci vediamo domani."
Si alzò dal letto e mi stampo un leggerissimo bacio sulla fronte per poi scomparire nel bel mezzo della notte. I miei occhi stavano ricominciando a pizzicare e non potei non provare repulsione verso me stessa. Ma cosa diavolo stavo combinando? Possibile che distruggevo tutto quello che toccavo? Come potevo fare del male a quelle due creature meravigliose che mi avevano donato amore? Come potevo comportarmi da egoista?
E come per distruggermi nuovamente il cuore, ecco che le sue parole di qualche ora prima, riecheggiarono nella mia testa impertinenti.

"Io sono perfetto per te, Bella. Non avremmo dovuto sforzarci, mai...sarebbe stato immediato, facile come respirare"

"Ma io sarei stato una scelta più sana. Non una droga: io sarei stato l'aria, il sole"

Quelle parole mi martellavano il cervello a intervalli regolari e a quel punto non potei fermare le lacrime che iniziarono a scendere copiose sul viso. Com'era possibile che ancora non fossi riuscita a liberarmi di lui?
Perchè sapevo che quelle lacrime appartenevano solo a lui.
"Basta! Vattene! Vattena dal mio cuore, dalla mia testa!Io amo Edward, è lui che ho scelto! Ti prego permettimi di dimenticarti!".
Lo urlai con quanto fiato avevo in corpo e lasciai andare la mia testa sul cuscino continuando a piangere e a torturare la coperta che mi avvolgeva. Ma nonostante questo non riuscii a calmarmi minimamente. Charlie non era in casa e quindi decisi di urlare ancora e ancora fino a sentire la gola bruciare e pizzicare per il forte sforzo a cui l'avevo sottoposta.

Niente.

Il dolore era ancora li. Mi muovevo come una forsennata sul letto per cercare di calmare i miei spasmi e le mie convulsioni,quando stanca e sfinita,finalmente, mi addormentai.


 

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Capitolo 2
*** SOPRAVVIVENZA ***


CAPITOLO 2:
Sopravvivenza

 
                                                                                                       
Era passato un mese da quella notte.
Dopo la mia visita Jacob aveva lasciato la riserva e nessuno aveva avuto più sue notizie da allora, compresa la sottoscritta. 
Io sopravvivevo. 
Charlie evitava accuratamente di pronunciare il suo nome in mia presenza e fortunatamente non aveva fatto più domande da quando gli spiegai che la nostra amicizia era finita e che non sarebbe tornato niente come prima. Lui lo aveva accettato e anche se non era del tutto convinto, non mi torturò più ed io glien'ero grata. 
In quei giorni però una cosa più urgente era alle porte: Iil mio matrimonio.
Alice si stava occupando di tutto proprio come le avevo promesso. Era pazza di gioia e io le sorridevo per pura cortesia. Quel matrimonio doveva essere semplicemente un compromesso per la mia trasformazione, quindi del tutto una formalità. Ma ad Alice non interessava e così decise di fare tutto in grande. "Vedrai, sarà tutto perfetto!"
Aveva già prenotato i fiori, il catering, la chiesa, il mio abito da sposa. Tutto.
Edward in quelle settimane era più felice del solito ed io non potevo che esserne soddisfatta, mi ero ripromessa di non fargli più del male e stavo riuscendo nel mio intento. Quella sera, dopo un ultimo giro per negozi con Alice, per decidere il colore dell'abito delle damigelle, tornai a casa sfinita.
"Alla buon' ora".
Charlie era come sempre seduto sul divano a guardare la solita partita nella solita tv.
"Lo so papà scusami, ma conosci Alice, non riesce a stare ferma neanche un attimo, quella ragazza è un vulcano!".
Era vero, sprizzava vitalità e gioia da tutti i pori. 
"Si lo so ed è per questo che le vuoi bene!" Gli sorrisi 
"Vado a preparare la cena." 
"Certo, ma ricordati che domani ti sposi, non stancarti troppo, eh." 
Lo disse con svogliatezza e quasi con un briciolo di fastidio. Ormai ero abituata alle frecciatine di Charlie e quindi non ci badai. Sapevo che era assolutamente contrario al mio matrimonio ma ormai ero irremovibile, io avrei sposato Edward e niente mi avrebbe fatto cambiare idea...o almeno, speravo fosse così. Perchè sapevo bene che l'unica persona capace di farmi vacillare in questa decisione se n'era andata, fuggita chissà dove più di un mese fa, lontano dal suo branco, lontano da me. Cercai di non pensarci, chiusi gli occhi e prendendo un bel respiro, poggiai le buste in salotto e mi diressi in cucina per preparare qualcosa di commestibile. 
Optai per delle bistecche e un' insalata tanto per evitare carboidrati e iniziai a sistemarle nei piatti.
Domani sarebbe stato il grande giorno e subito dopo... 

 
"Diventerai una schifosa succhiasangue fra poche settimane?"
 
Sgranai gli occhi e il piatto che tenevo fra le mani cadde a terra rompendosi in mille pezzettini.
"Bella tutto bene?".
Il rumore del piatto rotto si propagò fino al salotto dove Charlie mi aspettava per cenare.
" S-i papà... Si è solo rotto un piatto" Dissi cercando di essere il più disinvolta possibile. 
Come potevo andare avanti così? Stavo impazzendo, raccolsi i resti del piatto da terra e con studiata disinvoltura consumai la cena con Charlie per poi dirigermi velocemente verso la mia stanza. Chiusi con forza la porta alle mie spalle e lasciai che il mio corpo ormai distrutto vi si poggiasse sopra per sorreggersi. 
Era sempre così. 
Ogni volta che pensavo ad Edward, al nostro imminente matrimonio, alla mia trasformazione o semplicemente quando respiravo, la sua voce, le sue parole echeggiavano nella mia testa e distruggevano ripetutamente il mio cuore, come se non fosse gia abbastanza a pezzi.
lui...mi mancava, mi mancava terribilmente.
Mi mancava la sua stretta calda e soffocante su di me...
ma mancava la sua risata genuina e contagiosa...
mi mancavano le sue battute pungenti che mi facevano arrossire...
mi mancava la sua voglia di vivere...
mi mancava la sua sfacciataggine...
mi mancava la sua mano che sfiorava il mio viso...
mi mancavano...le sue labbra sulle mie...
Mi sarei presa a schiaffi per quello che avevo appena pensato.
No. Non potevo. Non dovevo.
Domani sarei diventata Bella Cullen, si Cullen, maledizione.  Rimasi ancorata alla mia porta per qualche minuto, quando sentii la voce di Charlie che mi urlava dalla cucina.
"Bella, vado da Sue, ha bisogno di una mano in casa quindi non mi aspettare. Buonanotte tesoro". 
Gli urlai un "Ok" e respirando a fondo, mi diressi verso il mio abito da sposa che stava sul letto.
Lo raccolsi e lo indossai. 
Mi calzava a pennello. 
Dovevo ammettere che Alice aveva davvero buon gusto anche se non era proprio il mio genere di vestito, troppo pomposo, troppo ornato,troppo ricamato. 
Mi guardai allo specchio e cercai di immaginare come sarebbe stata la mia vita dopo la trasformazione, a come sarebbe stata la mia vita senza Charlie, senza Renè, senza i miei amici...senza di lui. Una fitta di dolore mi trapassò il petto e squarciò il mio cuore per la millesima volta.
No, non volevo pensarci, scrollai violentemente la testa per liberarmi da quel pensiero e continuai a guardarmi allo specchio. Dovevo pensare ad altro, al mio angelo, al mio vampiro.
Ebbene sì, sposavo Edward finalmente. Sarei entrata a far parte della sua famiglia, della sua esistenza per sempre, avremmo vissuto insieme per l'eternità e sarei stata felice, lui mi avrebbe resa la donna più felice della terra. Eppure c'era quella parte di me, l'esatta metà di me stessa che urlava di fermarmi, di tornare indietro e di correre fra le braccia del mio sole personale, il rimedio migliore contro le mie nuvole, il rimedio all'eclissi, alla mia eclissi. 

"Contro le nuvole posso farcela ma non posso cavarmela contro un' eclissi."

No, no, no, no basta!
Chiusi immediatamente gli occhi e cercai di scacciare via quelle parole dalla mia testa ma inutilmente. Lui era presenta... lui c'era. E ci sarebbe stato sempre. Per sempre. Mi tolsi subito l'abito da sposa attenta a non strapparlo e lo rimisi dentro la scatola. 
Respira Bella respira, andrà tutto bene.
Ero davvero sfinita, così indossai il mio pigiama in pile pronta per andare a letto e provare, per una volta, ad addormentarmi anche se sapevo che non avrei comunque preso sonno. Ma prima che potessi infilarmi dentro le coperte, ecco che una voce mi spiazzò completamente. Portai istintivamente le mani al petto per cercare di contenere i batti impazziti del mio cuore.   
"Ciao Bells". 

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Capitolo 3
*** ADDIO ***


CAPITOLO 3:
Addio



"Jacob" Fu un sussurro il mio e mi fece male, faceva terribilmente male.
Ma adesso, averlo lì, nella mia camera mi provocava una gioia indescrivibile.
Avrei voluto raggiungerlo, superare quei pochi metri che ci separavano per tuffarmi nel suo petto nudo e caldo ma ero come paralizzata. Non riuscivo a muovere neanche un muscolo. Sentivo il suo sguardo insistente sui miei occhi, li cercava, li scrutava e il mio cuore sembrava impazzito.

"Non potevo andare via così, senza prima vederti. Un'ultima volta".
Il suono della sua voce calda e roca mi fece sussultare.
"Un'ultima volta?" boccheggiai confusa.
Che voleva dire con quella frase? Se ne sarebbe andato? Non riuscii a darmi una risposta che lo vidi avvicinarsi a me sempre di più.
No ti prego, non avvicinarti.
"Non hai ancora detto niente, non ci vediamo da un mese ed è questa l'accoglienza che merito?"
Ed eccolo il suo splendido sorriso, che al solo vederlo mi riportò indietro nel tempo, a quando tutto era più facile, quando non c'erano di mezzo ne' mostri ne' magia ma soltanto noi due, semplicemente Jacob e Bella.
"Mi sei mancato Jake". 
Lo dissi di getto, senza pensare alle conseguenze, anche perchè mi ero completamente persa in quei pozzi neri e lui come risposta, mi prese tra le sue braccia e con forza mi strinse a se.
Era esattamente come lo ricordavo. Caldo. Amorevole. Mi dava un senso di protezione indescrivibile.
Dio, quanto mi era mancato.
Chiusi gli occhi per inebriarmi ancora del suo splendido calore ma già sentivo le lacrime pronte per uscire fuori e quando mi allontanai dalla sua stretta, quel tanto che bastava per guardarlo in viso, mi accorsi di avergli bagnato il petto con le mie lacrime.
"S-cusa..io.."
Che stupida.
"Non fa niente".
Con una mano infuocata stava asciugando le mie lacrime.
Quel tocco. Quel calore. Quella dolcezza.
Isabella Swan smettila immediatamente.
Mi allontanai bruscamente dal suo corpo febbricitante e rivolsi lo sguardo alla finestra.
"Sarà meglio che te ne vada Jacob."
Sapevo che lo avrei ferito dicendo questo ma io dovevo allontanarmi da lui, dovevo farlo.
"Ti prego Bells."
Il suo fu un sussurro ma riuscii comunque a percepire tutto il suo dolore. Era lì, in piedi, di fronte a me con le braccia stese lungo i fianchi e le mani strette a pugno mentre guardava il pavimento.
No, no ti prego non fare così.
Non sopportavo il suo dolore. Mi penetrava la pelle e si espandeva in tutto il corpo. La sua sofferenza sarebbe sempre stata anche la mia.
"Sei l'unica che voglio Bella e io non mi arrendo. Tu non sposerai quel succhiasangue".
Pronunciò queste parole con disgusto, rabbia, determinazione e piantò nuovamente quei pozzi neri su di me.
"Jake...per favore ne abbiamo già parlato... io ho deciso e lo sposerò."
Rivolsi gli occhi verso la finestra per l'ennesima volta, non riuscivo a sostenere il suo sguardo. Mi ci volle tutto il mio autocontrollo e tutta la mia forza per dire quello che avevo appena sputato in faccia al mio migliore amico, ma lui sembrava non essere convinto delle mie parole, così si avvicinò sempre di più al mio corpo e con una mano portò il mio viso verso di lui per guardarmi fisso negli occhi. Un brivido mi percorse la schiena.
"Guardami Bells, guardami negli occhi e dimmi che non mi ami! Dimmi che ogni volta che ti tocco non senti il tuo cuore che batte all'impazzata proprio come il mio! Dimmi che quando ti ho baciata non hai provato nulla! Dimmi che vuoi che me ne vada per sempre dalla tua vita! Dillo, se è vero".
Nella sua voce c'era convinzione, c'era la consapevolezza di chi sa che non riceverà risposte negative a quelle sue domande. Ma qualcosa dentro di me mi fece scuotere e mi allontanai bruscamente dalla sua stretta.
Urlai.
"Come puoi minimamente pensare che non ti vorrei nella mia vita? Tu sei il mio migliore amico dannazione! Sei stato via un mese e io mi sono sentita morire, tu non hai la minima idea di quello che ho passato durante la tua assenza! Perciò smettila di sparare cazzate!".
Jacob sembrava scosso dalle mie parole ma non si mosse di un millimetro. Io cominciavo a tremare e con le mie esili braccia stringevo il mio corpo con fare protettivo. Aspettavo una sua risposta che non tardò ad arrivare.
"Scusami".
Era sinceramente dispiaciuto ma non bastava.
Le sue scuse non bastavano e la mia rabbia stava prendendo il sopravvento.
"Cosa vuoi che me ne faccia delle tue stupide scuse? Te ne sei andato dopo che mi avevi promesso che non mi avresti mai abbandonata, mi hai sempre detto che tu non eri lui, che non mi avresti mai fatto del male! Ma lo hai fatto, lo hai fatto quando te ne se andato!_ le lacrime stavano solcando il mio viso e non riuscivo a frenarle così come non riuscivo a bloccare la mia rabbia che mi travolse_ e io non pos...".
Ma Jacob non mi lasciò finire che con un passo felino si scagliò contro di me spingendomi contro al muro e mi sbloccò con le braccia per non farmi scappare. Adesso urlava e tremava anche lui.
"Non paragonarmi mai più a quel parassita Bella! Ma cosa credi? Che per me è stato facile? Che sia stato bello ricevere l'invito al tuo matrimonio quando finalmente avevi capito che mi amavi? Secondo te è stato facile starti lontana per un mese intero e non poterti più stringere tra le mie braccia? Io ti amo maledizione.TI AMO. E Lo sai benissimo che non ti ho mai abbandonata, neanche quando avrei dovuto farlo per via della mia trasformazione! Ma perchè non lo capisci? Voglio stare con te, voglio avere una vita con te, voglio fare l'amore con te fino a star male e avere dei bambini da te! Lo vuoi capire o no che mi sono allontanato perchè stavo morendo dentro? Che sto morendo ogni singolo istante di questa mia dannata vita perchè so che hai scelto la morte anziché continuare a vivere,a vivere con me?".
Mi urlava queste parole in faccia e neanche per un secondo ebbi paura di lui ma le mie lacrime non smettevano di scivolare lungo il mio viso, le sue parole mi avevano toccato il cuore. Ero paralizzata dai suoi occhi neri come la pece che sembravano mandare scintille infuocate, ma che allo stesso tempo erano pieni di amore, amore per me. Ma era anche arrabbiato, furioso, furibondo. Con una mano adesso sfiorava la mia guancia destra.
"Bella". La sua voce roca e sensuale mi fece sussultare per la millesima volta,non urlava più, le sue parole erano diventati sussurri.
"Di qualcosa, ti prego".
Poggiò la sua testa sulla mia spalla. Era distrutto, sfinito. Io invece non riuscivo a muovermi. Quella vicinanza era davvero troppa per il mio povero cuore, che adesso batteva all'impazzata e non ne voleva sapere di smettere.
Ma non dissi niente.
Restammo fermi in quella posizione per un tempo che sembrava infinito. Ma quando non ottenne risposta, Jacob, con estrema lentezza, allontanò la sua fronte dalla mia spalla, e senza guardami allontanò anche il suo corpo dal mio per poi rivolgersi verso la finestra senza dire una parola. Dovevo fare qualcosa ma sembravo come paralizzata. Il mio cuore stava provando troppe emozioni tutte insieme e mi sentivo soffocare. Sapevo che se non l'avessi fermato non l'avrei rivisto mai più. E non potevo permetterlo. Lo chiamai più volte ma dalle mia labbra uscirono solo dei sussurri impercettibili, sapevo che li avrebbe sentiti comunque ma ciò non bastò a fermarlo. Ma quando arrivò davanti alla finestra, pronto a buttarsi giù, urlai il suo nome con quanto fiato avevo in corpo e finalmente si fermò ma mi dava ancora le spalle.
"Cosa vuoi ancora?".
Il suo tono di voce mi sconvolse, era freddo, glaciale.
"No-n te ne an-dare ti-ti prego" riuscì a dire solo quello mentre i singhiozzi e le lacrime si facevano sempre più insistenti.
Ti prego Jake, dimmi qualcosa, qualsiasi cosa. 
Ma lui non rispondeva. Lo avevo ferito, per la millesima volta lo avevo distrutto. A quel punto mi avvicinai a lui con passo lento e poggiai le mie mani sulle sua enorme schiena e sentii un brivido che percorse il suo splendido corpo.
"Perchè? Perchè dovrei rimanere? Non puoi essere così egoista, non puoi avere tutto."
Quelle parole mi colpirono come un pugnale in pieno petto. Tolsi le mie mani dalla sua schiena e le portai sul mio petto.
"Hai ragione, sono un egoista. Dovrei lasciarti andare ma non... io non ci riesco."
Continuavo a sussurrare ma lui non si voltava. Era immobile, con le braccia lungo i fianchi con fare rassegnato. Il mio sole si stava spegnendo e la causa ero proprio io. Gli facevo del male, con ogni mio tocco, con ogni mia parola, io, gli facevo del male.
"Devo andare. Stammi bene."
No. No. No. 
Non doveva andare via. 

"Jacob ho bisogno di te, perchè non lo capisci?" Si voltò di scatto e vidi che dal suo volto scese una piccola lacrima che scacciò subito via in modo brusco e continuò a penetrarmi con il suo sguardo duro e arrabbiato.
"Smettila Bella" Sussultai
"Ma Jake..."
"No, Basta!" Si avvicinò pericolosamente a me e con le mani mi strinse le spalle.
Era furioso.
"Ma a che gioco pensi di giocare? Io non sono una marionetta che puoi manipolare a tuo piacimento! Se mi vuoi nella tua vita non sarà mai più come prima, non posso essere tuo amico, non più Bella! Io non sono perfetto come il tuo succhiasangue! Commetto errori, mi incazzo, ti faccio arrabbiare, ma io posso donarti la vita! Non posso darti una macchina costosa, al massimo posso ripararla, non posso regalarti vestiti costosissimi, non posso prometterti una vita eterna ma posso regalarti una vita mortale piena di cose inaspettate e fantastiche, non posso regalarti un anello di diamanti ma posso donarti un piccolo lupo di legno fatto a mano e darti tutto me stesso! Sono solo io, Jacob. Ma non è abbastanza, non è mai stato abbastanza per te".
La sua rabbia si propagò per tutta la mia stanza e dentro il mio cuore ed io come una stupida continuavo a piangere senza ritegno colpita da quelle splendide parole, e persa nell'oceano nero dei suoi meravigliosi occhi, dissi qualcosa che mi sconvolse.
"E invece mi basta...".
Lo dissi così, di getto, senza aver comandato direttamente al mio cervello di mandare l'impulso alla mia bocca e parlare. No. Ma era stato il mio cuore, la mia anima ormai nella sue mani, a dettare quelle parole e non ebbi neanche il tempo di pensare alle conseguenze, che Jacob mi strinse le braccia e con forza poggiò la mia schiena sul muro. Mi baciò duro, violento, possessivo e io stavo andando a fuoco. Lo volevo, lo desideravo più di ogni altra cosa al mondo.
Con le mie mani toccavo frenetica i suoi capelli e ancora le sue spalle possenti e assurdamente protettive. Mi sentii rinascere. Il suo corpo bollente mi dava alla testa e tutto dentro di me urlava il suo nome. La sua lingua giocava avidamente con la mia e con le mani torturava il mio corpo ormai saturo di lui, aveva voglia di lui e che lo amava come mai avrei immaginato. Jacob mise una mano sulla mia guancia e staccandosi dalle mie labbra mi guardò negli occhi. Quello sguardo. Pieno di amore e di sorpresa per le parole che avevo detto pochi istanti prima.

Ero sua, mi sentivo sua.
E come se mi leggesse nel pensiero, sussurrò con voce roca e sensuale un "Sei mia" a fior di labbra che mandò in tilt il mio cervello. Questa volta però le sue labbra si muovevano con una lentezza e una dolcezza disarmante. Mi sfiorava prima il labbro inferiore, poi quello superiore provocando in me piccoli gemiti di piacere, poi le sue labbra lasciarono scie infuocate sul mio collo e a quel punto non ce la feci più e prendendogli il viso tra le mani lo avvicinai al mio e lo baciai con forza mentre le sue labbra schiusero le mie e le nostre lingue ricominciarono a danzare con una passione e una dolcezza senza eguali. Continuammo a lungo, senza mai prendere fiato, ma non ne avevo bisogno: era lui la mia aria, il mio ossigeno.
Avrei continuato a baciarlo per sempre.
Ma ecco che la mia razionalità stava prendendo il sopravvento sul mio cuore e mi sentii ancora più in colpa. Che cosa stavo facendo? Perchè non lo fermavo? Finalmente era tornato ma non potevo lasciarmi andare così! Io amavo Edward e l'indomani l'avrei sposato dannazione!
"Jake, ti prego fermati".
E lui senza dire una parola allontanò le sue labbra dal mio collo fissandomi intensamente con sguardo confuso. Entrambi avevamo il respiro affannato, ma cercai di ricompormi.
"N-on possiamo.. domani mi sposo."
Lui sussultò ma non disse niente. La sue mani lasciarono i miei fianchi e a quel distacco mi sentì nuovamente vuota.
"Già".
Lo avevo distrutto per la millesima volta.
Ti prego Jake perdonami.
Lui continuava a guardarmi ma era come se la sua mente fosse da tutt'altra parte. Vedevo nei suoi occhi dolore, rabbia, malinconia... rassegnazione. E mi sentii morire. Cercai di ricacciare via le lacrime che premevano di uscire dai miei occhi stanchi, che chiedevano un po' di pace, un po' di felicità, ma vedere Jacob con quello sguardo ormai sconfitto e rassegnato mi fece odiare ancora di più me stessa. La sua voce roca e spenta mi ridestò dai miei tormentati pensieri.
"Ho fatto di tutto ma non è servito a niente. Addio Bella."
Mi diede un rapidissimo bacio sulla fronte e senza darmi il tempo di fermarlo, scappò via.
Via da me. Via dalla mia vita. Via. Per sempre.






Che ve ne pare? Come sempre aspetto commenti!! xD
*Risposte alle vostre recensioni:


Smiley__: Questa sarà una sfida per me! Cercherò di parti cambiare idea, anche se è bello avere opinioni diverse e gusti diversi! Mi fa piacere che la mia fanfiction ti piaccia e spero che continuerai a seguirla! Baci

tamina_e_dastan: Grazie a te che continui a seguirmi e grazie ancora per i complimenti!!! xD

Un bacione a tutte!
 

 

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Capitolo 4
*** ILLUSO ***


CAPITOLO 4: 
Illuso

 

L'avevo lasciata andare. 
E questa volta per sempre.
Per la seconda volta in un mese percepii quell'orrenda sensazione di vuoto totale e avvolgente che opprimeva il mio cuore e lo divorava in un vortice senza fine.
Ero scappato da quella casa, da lei, dalle sue parole, fuggivo dalla mia unica ragione di vita che domani sarebbe diventata la signora Cullen e mi avrebbe lasciato per sempre, avrebbe abbandonato la vita per diventare una schifosa succhiasangue e vivere per l'eternità con il suo "perfettissimo" Cullen.
Correvo, correvo come un pazzo lontano da quella città, da quella vita che avevo cercato disperatamente di eliminare, da quelle leggende che mi avevano rovinato l'esistenza, fuggivo da quel dolore immenso che non ne voleva sapere di lasciarmi andare.

Ma che diavolo mi era venuto in mente? Perchè ero andato da lei? Cosa mi aspettavo? Che avrebbe cambiato idea, così di punto in bianco, a un giorno dalle sue nozze?
Illuso.
Ecco cos'ero, un povero illuso. Ma il desiderio di rivederla era talmente forte che non riuscii più a trattenermi, era come una calamita per me.

Continuavo a correre e distruggevo tutto ciò che intralciava il mio cammino, alberi,rocce e li abbattevo, li annientavo, così come avrei voluto fare con quel fetido succhiasangue!
Lo odiavo, lo detestavo, lo disprezzavo,avrei voluto spaccare in mille pezzi quella sua faccia da culo e allontanarlo per sempre da lei, avrei voluto smascherarlo e dimostrare che non era così perfetto come dava a vedere, che era un disgustoso manipolatore e aveva incantando lei...

...lei che era la mia vita.
...lei, che era diventata un pensiero fisso per me. Mi ammaliava, mi incantava, mi ubriacava, mi stregava, mi estasiava. Ma che soprattutto era capace di distruggermi con una sola parola, con un solo gesto perchè io era nulla davanti a lei.
Diceva che ero il suo "Sole personale" ? Be' non più. Il sole si sta spegnendo, sta tramontando a poco a poco e credo proprio che non ci saranno più nuove albe per lui. E' stanco di lottare, di prendere batoste, è stanco di non essere mai preso in considerazione, di non ricevere mai alcun ringraziamento per quello che fa, per il modo in cui si dia per scontato che lui debba svolgere il suo compito e basta. Stanco. Stanco della vita bastarda che il destino gli aveva inflitto senza pietà, stanco di non ricevere mai gioie ma solo dolori.

"Jacob torna indietro, non farlo di nuovo"

Era Embry.



"No. Non ci riesco, fa troppo male." 

Continuavo a correre, correre senza una meta ben precisa.



"Amico per favore abbiamo bisogno di te"

"Non mi interessa! Lasciami in pace!". 

Volevo stare da solo. Era così difficile da capire?Non volevo nessuno tra i piedi, volevo poter sfogare tutta la mia rabbia in santa pace.

"Jake per favore torna indietro." Anche Quil si era trasformato.

"Tornerò, ma non adesso. LASCIATEMI SOLO!" Urlai col pensiero e finalmente parvero aver capito il concetto e mi ritrovai nuovamente solo con la mia bella dose di dolore e sofferenza.

Arrestai la mia corsa quando arrivai in una spiaggia e li presi le mie sembianze umane, ero di nuovo Jacob.

Guardai il cielo ora pieno di stelle che illuminavano la sabbia intorno a me e non potei non pensare a lei.
Bella così piccola e indifesa tra le mia braccia, così famelica delle mie labbra,del mio corpo.
Bella che presto avrebbe detto addio alla vita.

Cazzo Jacob perchè ti sei arreso così? Tu la ami, la ami infinitamente e sai che anche lei è innamorata di te.. ma non bastava.
Lo sapevo bene.
Steso sulla spiaggia cercai di fermare le lacrime che stavano spingendo per uscire fuori,ormai avevo il magone, ma non dovevo permettere che succedesse, non dovevo mostrarmi debole. Ma niente da fare, perchè quando l'immagine di lei mi si parò davanti agli occhi per la millesima volta, cominciai a urlare a squarcia gola e a liberare finalmente le lacrime in un pianto che di liberatorio aveva ben poco.





*Angolo ValeBlack:
Volevo ringraziare tutte le "lettrici silenziose" che sono sempre di più ma non vi nascondo che mi piacerebbe ricevere delle recensioni! Non voglio obbligare nessuno, ma sapete quanto sia importante per noi che scriviamo le fanfiction ricevere degli apprezzamenti o dei dissensi. Sarebbe bello sapere cosa ne pensate della mia storia e potermi confrontare con voi... se non verrò saguita più da nessuno mi vedrò costretta a interrompere la mia storia. Comunque vi mando un bacio e spero di trovare qualche recenzione, e se così non dovesse essere, capirò.

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Capitolo 5
*** CHARLIE ***


CAPITOLO 5:
Charlie


 

Piansi, piansi a dirotto per tutta la notte. Ma non potevo andare avanti in questo modo dovevo fare qualcosa, dovevo reagire.
"Sapevi che prima o poi avresti dovuto dirgli addio per sempre quindi piantala di piangere." 
Sapevo che era tutto vero ma proprio non riuscivo a darmi tregua. Rivederlo era stato come ricevere un pugno in pieno petto e la consapevolezza di amarlo ancora si faceva sempre più vivida e presente dentro di me.
"Addio Bella"
Ma quelle parole mi martellavano il cervello, non mi lasciavano in pace. Distesa sul mio letto,osservai il tetto sopra la mia testa e per cercare di rilassarmi e calmare i singhiozzi enalai dei respiri profondi, ma inutilmente. Allora cercai di chiudere gli occhi ma il risultato fu molto peggio: rividi il nostro bacio, i nostri corpi incollati l'uno all'altra e stavo bene, in paradiso, eppure lo avevo respinto per la millesima volta perchè io amavo Edward molto più di quanto amassi lui... o almeno così ho sempre creduto che fosse.
Avevo una tale confusione in testa...non ci stavo capendo un bel niente... ma una cosa la sapevo, ed era chiara come il sole:dovevo trovarlo, dovevo parlargli, non potevo lasciare le cose in sospeso, non potevo sposarmi se provavo questo senso di vuoto incolmabile, non potevo rinnegare ancora quel sentimento che mi stava avvolgendo senza chiedere il permesso e mi inebriava, mi riempiva e che ogni singolo istante stava crescendo dentro di me.
Ormai ero più che consapevole che quella "piccola parte" del mio cuore che apparteneva a Jacob, stava diventando sempre più grande ed era inarrestabile, cresceva a dismisura giorno dopo giorno.
Ma perchè proprio adesso? Perchè solo a poche ore dal mio matrimonio?Perchè non prima?
"Perchè sei stata tu ad impedirlo" Sgranai gli occhi, la mia coscienza aveva parlato al posto mio e aveva maledettamente ragione. Cominciai a tremare. Mi avvolsi ancora di più con la coperta e ne strinsi un lembo con le mani sempre più forte, fino a farmi male.
Avevo ragione. Lui era l'unico capace di far vacillare le mie convinzioni... e mannaggia a lui c'era riuscito alla grande. Sentii a poco a poco la stanchezza prendere il sopravvento e stanca, stanca anche di respirare, finalmente mi addormentai. Ma la notte sembrò sparire in un battito di ciglia, perchè era già mattino. La testa mi stava scoppiando e le guancie erano ancora umide per via delle lacrime che non mi avevano abbandonata durante la notte, guardai sfinita la sveglia sul comodino: le 08.13.
Bene, mancavano solo tre ore al matrimonio...
...Tre ore?
Saltai giù dal letto e mi avviai in bagno chiudendomi rapidamente la porta alle spalle. Ero in pessime condizioni! Le occhiaie erano ben evidenti sotto i miei occhi stanchi, i capelli ancora più arruffati del solito ma notai che le mia labbra erano più rosse e più piene. Mi portai una mano in volto e toccandole un brivido mi percorse la schiena: Erano calde,sapevano ancora di lui. Scossi violentemente la testa e cercai di non pensarci, non dovevo assolutamente pensarci. Provai a concentrarmi ancora sulla mia immagine riflessa e notai che le mie guancie avevano preso un colore rosato, toccai anche quelle e sentii calore, e questo succedeva ogni volte che lui mi era accanto, ogni volta che mi toccava..
"Bella vieni in cucina per favore".
Era Charlie e la sua voce mi riscosse violentemente dai miei pensieri. Non dovevo farmi vedere in quello stato pietoso, così mi sciacquai la faccia e feci dei piccoli sorrisi alla mia immagine riflessa sullo specchio, ma ciò che ne venne fuori erano delle smorfie e nient'altro.
Scesi in cucina e notai che qualcosa non andava: la tavola era apparecchiata e imbandita di brioche, caffè e latte.
"Papà, ma che..."
"Questa sarà l'ultima volta che faremo colazione insieme, così ho voluto prepararti qualcosa io per una volta!".
Era imbarazzato e la sua voce era roca, triste, malinconica e questo inevitabilmente mi fece commuovere.
"Oh papà!".
E mi gettai tra le sue braccia come una bambina desiderosa di conforto e protezione. Charlie mi teneva stretta ed io con la faccia poggiata sulla sua spalla, cominciai a singhiozzare. Quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei visto mio padre, sarebbe stata l'ultima volta che avrei potuto fare colazione con lui, l'ultima volta che avrei potuto stare tra le sue braccia. Dopo il matrimonio avrei dovuto dire addio a lui, a Reneè e questo, non sapevo se sarei riuscita a sopportarlo. Lo strinsi ancora più forte e con la mia stretta aumentò anche il mio pianto.
"Bella, tesoro che ti prende?"
Adesso mi stringeva le spalle e mi obbligava a guardarlo negli occhi.
"Ni-niente papà...st-st-sto bene".
Ma ovviamente non ci cascò.
"Bella non dire sciocchezze...tu hai qualcosa."
Era davvero preoccupato per me ma io non gli rispondevo, mi limitavo a fissare il pavimento e portai una mano davanti alla bocca per calmare i singhiozzi.
"So-sono solo f-felice papà"
Mentii spudoratamente.
E dal modo in cui lo dissi non potevo certo pensare che Charlie ci avrebbe creduto e infatti.
"Tesoro tu non sei felice. C'è qualcosa che ti turba e a dir la verità è da più di un mese che ti vedo in questo stato, da quando..."
Ma non disse altro. Io alzai di scatto il viso verso di lui e non so cosa vide esattamente riflesso nei miei occhi, ma so solo che dopo pochi istanti che mi studiò attentamente, mi abbracciò di nuovo e questa volta era come se volesse "trattenermi", come se volesse suggerirmi qualcosa...
"Non farlo, te ne pentiresti Bells".
Spalancai gli occhi, confusa. Mi aveva detto tante volte che non approvava il mio matrimonio, ma mai in questo modo, sembrava quasi una supplica. Mi stava dicendo di rinunciare al mio matrimonio perchè me ne sarei pentita, perchè avrei rovinato la mia vita. E se avesse avuto ragione? E se sposarmi e diventare una...vampira sarebbe stato uno sbaglio madornale? Io non risposi e mi lasciai cullare dalle braccia di mio padre, perchè in quel momento, era l'unica cosa di cui avevo realmente bisogno.



*Angolo ValeBlack:
 Volevo ringraziare chi ha aggiunto la mia storia tra le preferite e tra le seguite! Ma soprattutto un grazie particolare va alle ragazze che hanno recensito e che mi seguono sempre! Grazie mille a tutte!! xD xD 

 

 

 

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Capitolo 6
*** NOTIZIA ***


CAPITOLO 6:
Notizia

 

Due ore e quindici minuti, due ore e quindici minuti, due ore e quindici minuti.
Non riuscivo a pensare ad altro.
Mancavano solo due ore e quindiic minuti al mio matrimonio

Charlie non era in casa, dopo aver fatto colazione disse che sarebbe andato a fare una passeggiata prima che arrivasse Alice a prendermi, ed inutile dirlo, glien'ero grata, per la miliardesima volta fui grata a Charlie per avermi lasciata sola, perchè altrimenti non sarei mai riuscita a convincerlo che stavo davvero bene...perchè sapevo che non stavo affatto bene.

Ero rimasta da sola.

Seduta sul divano a gambe incrociate e con ancora addosso il mio pigiama in pile, guardai fisso la tv spenta davanti a me, ma dopo qualche minuto che fissavo il nulla, improvvisamente sentii il battito del mio cuore accelerare vertiginosamente. Che mi stava succedendo? 
Provai a chiudere gli occhi e mi concentrai sui battiti violenti del cuore e lo ascoltai, mentre una piccola supplica usci dalle mie labbra.
"Ti prego, ti scongiuro, dammi un segno, dimmi che sto facendo la cosa giusta, dimmi che non è un errore sposare Edward, dimmi che mio padre ha torto... per favore dimmi che diventare una vampira sia davvero la scelta migliore per me... se è così allora rallenta il tuo battito, torna regolare.."
Ma niente da fare, sentivo un senso di oppressione, una sensazione strana, mai provata prima. 

"No Bella tu stai facendo la scelta giusta, adesso ti alzi, ti fai una bella doccia e dopo Alice ti porterà a casa sua dove ti truccherà, ti sistemerà e dove finalmente ti congiungerai con Edward, perchè è giusto così, è così che deve andare. Dimenticati di Jacob una volta per tutte."

La Bella di Edward si stava facendo sentire a gran voce e non potei fare altro che ascoltarla. 

Basta ripensamenti, basta pensare ai contro, adesso dovevo pensare solo ed esclusivamente ai pro e avevano solo un nome, Edward: Avrei passato tutta la mia esistenza accanto alla persona che amavo, avrei vissuto assieme alla mia nuova famiglia e sarebbe stato magnifico e niente e nessuno mi avrebbe fatta ricadere in quel vortice di insicurezza e rimpianti.
Nessuno. 

Mi catapultai in bagno e dopo quindici minuti ero già pronta, adesso mancava solo Alice! Speravo solo che arrivasse il prima possibile, non era salutare per me rimanere da sola in quella casa per troppo tempo...troppo tempo per pensare e non andava bene, non andava bene per niente.
"Bella! Scendi è tardi!".
La sua voce melodiosa mi fece ridestare da tutti i miei tormentati pensieri e dopo aver preso la scatola che conteneva il vestito da sposa, scesi in salotto e la raggiunsi.

"Si eccomi".
Notai subito che Alice stava cercando di evitare il più possibile il mio sguardo e mi domandai il motivo, che avesse visso qualcosa? L'arrivo dei Volturi?

"Bella...prima di andare, io dovrei dirti una cosa molto importante".
La sua voce era terribilmente seria.
Ecco lo sapevo... stavano arrivando.

"C-certo dimmi pure".
Incapace di reggermi ancora in piedi, mi abbandonai sul divano e lo stesso fece anche lei. Rimanemmo in silenzio per alcuni minuti quando finalmente Alice si decise a parlare.
"Bella, ieri sera c'è stato un "problema".. o meglio, è da circa un mese che questo "problema" persiste."
Mi prese le mani tra le sue ed ebbi un brivido.
Cosa era successo?
"Per favore Alice parla"
La vampira puntò i suoi fari color ambra sui miei e respirando a fondo disse: "Bella, è da più di un mese che ho delle visioni molto sfocate sul tuo futuro".
Sgranai gli occhi per la sorpresa. Che voleva dire che aveva delle visioni sfocate? Adesso mi stava confondendo ancora di più le idee, ero paralizzata e questo mi obbligò a restare ferma ed immobile ad ascoltarla.
"Ma poi ieri sera sei scomparsa del tutto".
Il mio cuore perse un battito e improvvisamente cominciò a galoppare impazzito.
"A-alice che cosa stai cercando di dirmi?".
Lei non smetteva un attimo di guardarmi.
"Questo puoi saperlo solo tu Bella. Te lo dico in una sola parola: Licantropo"
Balzai in piedi e presa da un impulso irrefrenabile, iniziai a urlarle contro.
"Ma che cosa stai dicendo? Io AMO tuo fratello! E' chiaro? E io oggi lo sposerò, non mi importa delle tue stupide visioni, io non lascerò che questo mi allontani da lui, non lo permetterò!".
Alice si alzò in piedi e senza dire una parola con un dito mi tolse dalla faccia le lacrime che stavano scendendo copiose lungo il mio viso. Possibile che non sapessi fare altro che piangere?
"Bella, tesoro tu lo sai che io ti voglio bene, ma non puoi sottovalutare quello che ho visto..ne vale della tua vita". 

"Edward lo sa?"
La mia voce era spenta, vuota.

"No, non gli ho detto niente ma..".
Non la lasciai finire.
"Ma niente. Lui non lo deve sapere, e poi Alice, io sono sicura, voglio sposare Edward...invece con lui..." Ed ecco che puntuale come sempre, il suo viso mi si parò davanti agli occhi, presi un bel respiro e continuai "...con lui è finita per sempre, ci siamo detti addio, era giusto così".
Non sapevo neanche io da dove uscissero quelle parole e mi meravigliai del fatto che non titubai neanche per un istante.

"Come vuoi Bella".
Rimasi a fissare il divano per alcuni secondi, adesso si che mi sentivo terribilmente vuota.

"Bella sei qui?".
Mio padre rientrò in casa e mi venne incontro.
"Si papà, Alice è appena arrivata".
Charlie continuava a guardarmi, non mi staccava gli occhi di dosso,probabilmente non gli piacque la mia espressione.

"Charlie adesso io e Bella dovremmo andare altrimenti non riuscirò mai a truccarla e vestirla in tempo!"
Alice prese la scatola che conteneva il mio vestito e cominciò a dirigersi fuori.

"Certo...io vi raggiungo tra poco".
Dal modo in cui lo disse si capiva benissimo che non ne era tanto convinto e sicuramente in lui erano rimasti i residui della conversazione di qualche ora prima. Mi avvicinai a lui e per la seconda volta in quella mattinata, mi gettai tra le sue braccia, lui inizialmente sembrò sorpreso da quel gesto ma poi si riprese subito e ricambiò il mio abbraccio.
"Ti voglio bene papà" sussurrai
"Anche io tesoro".
Respirai a fondo e dopo qualche secondo mi staccai da lui e mi avviai fuori dove ad attendermi c'era Alice già seduta all'interno della Volvo grigia, dentro quella macchina così familiare che adesso stava per condurmi verso il mio nuovo futuro, verso un punto, che sapevo bene, sarebbe stato di non ritorno.


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Capitolo 7
*** MASOCHISTA ***


CAPITOLO 7:
Masochista


E nonostante tutto rieccomi qui, davanti casa sua.

Ero tornato, ero ritornato da lei. Come sempre.

Eccola, stupenda come sempre mentre esce di casa con quella camminata buffa e scoordinata che mi ha fatto sempre ridere, con quell'espressione accigliata che ho sempre amato, mentre si dirigeva verso quella schifosa succhiasangue. Avrei voluto correre da lei e fermarla..avrei voluto... ma tanto era tutto inutile.

La osservai meglio e dalle sue guancie intravidi una piccola lacrima che le stava incorniciando quel suo splendido viso di pesca. Spalancai gli occhi e cominciai a tremare come non mai. Tremavo di rabbia, e lottavo contro me stesso per non andare da lei, per non stringerla tra le mie braccia e cullarla..perchè io l'avrei sempre protetta.
Lei non vuole la tua protezione o il tuo amore... lei vuole quell'assassino.
Mi si spaccò il cuore in mille pezzi.
Era vero, era tutto orrendamente e schifosamente vero. Quel pensiero formulato dal mio inconscio era una sacrosanta verità, ma il solo fatto di averla pensata bastò per fare calmare i miei tremori e a riportarmi al mio posto, al posto che sempre mi era spettato:L'eterno secondo. Il predente, quello che non riuscirà mai ad ottenere l'amore della ragazza che ama. Quello che soffre e che deve mettersi da parte.

Quanto masochista può essere una persona quando ama profondamente?

Strinsi i pugni fino a farmi male ma non ci badai, mi mordicchiai il labbro inferiore per cercare di non esplodere, volevo vederla almeno un'ultima volta e non volevo rovinarmi quella splendida visione appannandola con le mie lacrime. E così feci, giusto in tempo per vedere che Bella aveva appena rallentato il passo fino a fermarsi definitivamente mentre guardava verso la mia direzione. Da dietro quell'enorme quercia non avrebbe mai potuto vedermi, eppure si era fermata, era proprio li, davanti a me e fissava un punto indefinito nel bosco. Da quella distanza percepii il battito del suo cuore sempre più veloce, pareva impazzito, proprio come lo era il mio. Chiusi gli occhi per un attimo e mi feci cullare dal battito dei nostri cuori che danzavano insieme, come se si cercassero, come se si pretendessero. Ah, come avrei voluto che lo percepisse anche lei! Come avrei voluto poterle dare di più (perchè io le avrei dato molto di più di quella sanguisuga), come avrei voluto che quel cuore continuasse a battere! E non mi importava per chi battesse, per me, per il succhiassangue o anche per quell'idiota di Mike Newton, o per qualche altro ragazzo che avrebbe incontrato, non mi importava un bel niente... Lei doveva vivere e io le sarei stato accanto anche solo come amico,tutto pur di sentire ancora quella dolce melodia che proveniva dal suo petto.

Riaprii gli occhi ma lei non c'era più. Sentii solo il rumore delle ruote dell'auto che sfrecciavano lungo la strada, verso quella casa, verso quel Cullen, verso quell'essere abominevole che le avrebbe tolto la vita per sempre.

Rimasi dietro quell'albero per non so quanto tempo, un minuto? Un'ora? Un'eternità? Che valore aveva il tempo adesso che la mia unica ragione di vita avrebbe smesso di respirare, di vivere? A testa bassa e con ancora il magone mi allontanai da quella casa e mi diressi spedito verso La Push.

Adesso che ero trasformato speravo solo che nessuno mi rompesse le scatole, anche se ero tornato questo non voleva dire che ero pronto per farmi trovare dal branco e farmi consolare, l'ultima cosa che volevo era essere compatito, ben che meno da loro.

Ritornai Jacob prima di entrare a casa mia. Era vuota. Mio padre sarà andato da Sue. Bene, non ero ancora pronto per farmi vedere da lui in quello stato pietoso. Lentamente mi diressi in bagno e con svogliatezza mi infilai dentro lo doccia, avevo bisogno di una bella rinfrescata.

Sfinito poggiai la fronte sulle piastrelle umide del muro e lo stesso feci con le mani, cercavo un appiglio, qualcosa su cui poggiarmi per non sprofondare. Dovevo resistere. Basta piangere, questo non sei tu Jacob, riprenditi! Ma davvero non sapevo proprio come fare. Quella ragazza mi aveva distrutto. Ogni suo gesto, ogni suo tocco, ogni sua sillaba mi annientavano.

"E invece mi basta..." 


Quelle parole appena sussurrate dalle sue labbra furono come uno schiaffo in pieno viso per me, come un pugnale che aveva appena squartato il mio povero cuore. Di nuovo.

Perchè le aveva dette? Perchè non mi aveva respinto quando l'ho baciata? Perchè? Perchè lo aveva fatto se sapeva che per la seconda volta mi avrebbe spezzato il cuore? Domande inutili visto che non avrebbero mai avuto una risposta.
Strinsi le mani e con un ringhio che mi usci dal petto sferrai un pugno violento contro il muro che tremò, rompendo in mille pezzi tutte le piastrelle bianche del bagno. Ormai avevo perso il controllo: tremavo, urlavo, mi stavo dannando l'anima e niente e nessuno avrebbe potuto salvarmi. Mi piegai su me stesso scivolando lentamente lungo la parete mentre l'acqua, ormai ghiacciata, scorreva violenta per tutto il mio martoriato corpo. Ma nonostante fossi del tutto sconfitto e ormai distrutto, una nuova e forte consapevolezza si fece vivida dentro di me: Nonostante tutto DOVEVO continuare a vivere normalmente, anche senza di lei. Lo dovevo a Billy, al mio branco, ma soprattutto lo dovevo a me stesso e anche se faceva male,maledettamente male, dovevo dimenticarla e questa volta sarebbe stato per sempre.

Si, era giusto così.

Uscii dalla doccia e dopo essermi asciugato per bene, presi solo dei pantaloncini e mi diressi verso il branco, verso la mia famiglia che sarebbe stata sicuramente felice di rivedermi. Correvo verso casa di Emily consapevole del fatto che adesso, ero un nuovo Jacob.

 

***
 

Avevo sentito qualcosa, come se qualcuno mi stesse osservando e come in risposta a questa mia sensazione, ecco che il mio cuore, puntuale come sempre, iniziò a galoppare all'impazzata. C'era qualcuno li, in mezzo alla foresta, qualcuno che conoscevo bene, qualcuno che...avrei dovuto dimenticare e questa volta per sempre. Dal mio viso scesero delle piccole lacrime silenziose e ognuna di esse era dedicata a lui. Perchè sapevo, sentivo, che li, nel bosco c'era proprio Jacob. Alice mi fece cenno con il capo e mi fece intendere che si era già fatto tardi, così distolsi lo sguardo dalla boscaglia e mi diressi verso l'auto. Sapevo che lui avrebbe visto le mie lacrime, che avrebbe sentito il battito impazzito del mio cuore e sapevo anche che ciò che stavo provando io lo stava provando anche lui e quella convinzione mi faceva sempre più male, perchè io non ero altro che l'artefice di tutte le sue sofferenze, dei suoi dolori, ero la colpevole del suo sguardo spento, della sua espressione seria e arrabbiata, non c'era più traccia del Jacob solare e pieno di vita che avevo conosciuto qualche tempo prima. No, perchè io lo avevo annientato senza pietà.

Ma adesso basta non dovevo pensarci e soprattutto non dovevo vederlo mai più se volevo che quella parte del mio cuore, (che lo sapevo bene, apparteneva inesorabilmente a lui), scomparisse spegnendosi del tutto. Lo dovevo fare per Edward e per l'altra metà di me stessa che era sua e che aveva vinto sull'altra. Adesso toccava a me mettere la parola fine.

Addio Jake.

Scacciai via le lacrime con un braccio ed entrai in macchina, pronta per la mia nuova vita.



*Angolo ValeBlack:

MemiRockMi fa piacere che la mia storia di piaccia e spero con tutto il cuore che continuerai a seguirmi e a recensire! Per quanto riguarda il matrimonio non anticipo niente!!! xD Spero comunque che questo capitolo ti sia piaciuto!

_EleKtra_smile_ : Grazie mille per i tuoi complimenti! Per il matrimonio non dico nulla...seguimi e lo scoprirai!! xD Sinceramente anche io spero di scrivere al più presto un altro bacio tra loro due...o forse no....bhoooo!!!! xD xD Grazie ancora e spero che continuerai a seguirmi!

 
Jakefan: Certo che mi fa piacere riceve le tue recensioni e tranquilla, io non mi offendo quando ricevo dei consigli, anche perchè sono consapevole del fatto che non sono una scrittrice ma ti assicuro che cerco di fare sempre del mio meglio!! xD Ti volevo ringraziare perchè continui a seguirmi e spero che questo capitolo possa piacerti! Un bacione!

Volevo ringraziare anche tutte le lettrici silenziose e tutte coloro che hanno aggiunto la mia storia tra le preferite, le seguite e quelle da ricordare! Grazie di cuore! <3

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Capitolo 8
*** MATRIMONIO ***



CAPITOLO 8:
Matrimonio
 

Arrivate davanti casa Cullen, Alice parcheggiò l’auto sul vialetto. Durante il tragitto non disse nulla, stava ferma, impassibile, mentre osservava la strada davanti a noi. Ne una parola, ne un accenno di sorriso, niente di niente. Non era da Alice comportarsi in quel modo lei era sempre allegra e spensierata ma in quel momento pareva come spenta. Non riuscivo proprio a sopportare quel fastidiosissimo silenzio, anche perché cominciai a sentirmi maledettamente in colpa.
“A-alice scusami”.
Alice si voltò di scatto verso di me, era la prima volta che mi guardava in faccia da quando avevamo messo piede fuori da casa mia. Io non riuscivo neanche a guardarla negli occhi, non dopo quello che mi aveva detto.
“E di cosa ti stai scusando Bella?"
Non riuscii a sostenere il suo sguardo.
“Per averti urlato contro…n-non volevo.”
Ero patetica.
“Bella tu non devi scusarti di niente. Anzi sono io a dovermi scusare”.
Due dita fredde alzarono il mio mento e mi obbligò a guardarla in faccia.
“Bella io volevo semplicemente che tu sapessi ciò che avevo visto… volevo che fossi completamente sicura della tua scelta tutto qui non volevo farti innervosire proprio il giorno del tuo matrimonio!”
Adesso sorrideva, era splendida quando rideva e non potei non rispondere a mia volta ma ero più che sicura che ciò che ne venne fuori era più vicino ad una smorfia che ad una risata.
“Coraggio, si sta facendo tardi!”.
Detto questo scese agilmente dall’auto portando con se il mio abito da sposa.

“Bella muoviti!”.
Adesso si che la riconoscevo, non avrei mai più voluto vedere quell’espressione addolorata sul suo viso bellissimo, scesi dall’auto anch’io e affiancandola ci dirigemmo in camera sua. 


Ormai mancava solo un'ora al matrimonio e dovevamo sbrigarci. Alice mi fece accomodare su di una poltrona.
“Adesso vedi di stare ferma, o non riuscirò mai a sistemarti per bene, vedrai che appena avrò finito sarai perfetta!”
Sussultai. Perfetta… vampira… addio alla vita… il mio cuore cominciò a galoppare all’impazzata. 
No, non dovevo ricaderci, no non più. Presi dei respiri profondi e chiudendo gli occhi pensai ad Edward, mi calmai all’istante e rimasi immobile aspettando che Alice finisse il suo “capolavoro”.

“Ecco, sei bellissima!”
Era contenta, saltellava per tutta la stanza pazza di gioia. 
“Adesso vado ti lascio un po’ da sola, vado a cambiarmi anch’io! A dopo!”.
Le dissi un semplice "ok" prima di vederla volatilizzarsi oltre la porta. 

Con molta cautela mi alzai dalla poltrona e decisi di specchiarmi. Avevo una gran paura di non piacermi e magari di fare anche una pessima figura davanti a tutti gli invitati, magari inciampando sui miei stessi piedi, visto e considerato che indossavo delle trappole mortali al posto delle scarpe! Ma arrivata davanti lo specchio rimasi a bocca aperta: l'abito bianco scendeva morbido fino ai piedi ornati da scarpe dello stesso colore, i miei capelli non erano più quell' ammasso disordinato e informe di sempre, ma erano raccolti in uno chignon e delle ciocche ondulate scendevano disordinate sul viso e sul collo. Fortunatamente Alice non esagerò col trucco, solo lo stretto indispensabile: Rossetto color pesca, ombretto del medesimo colore e un tocco di matita nera sugli occhi. Non ero abituata a vedermi così, questa non ero io. Aveva ragione Alice, ero troppo..perfetta. 
"Oh bambina mia sei stupenda!"
Sgranai gli occhi per la sorpresa.
"Mamma!".
Mi girai di scatto e le corsi incontro
"Tesoro mio sei splendida!".
L'abbracciai forte quasi a volerla stritolare.
"Hey piccola mia non vado da nessuna parte sta tranquilla!".
Quelle parole furono come lame in pieno petto.
Tu no, ma io non ti rivedrò mai più.
Non le avrei mai potuto dire quelle parole perciò dissi semplicemente
"Lo so, ma non ti vedo da tanto e.. mi sei mancata".
Gli occhi si stavano inumidendo e quel senso di angoscia si stava impossessando nuovamente di me.
Devi resistere, devi resistere, non farlo davanti a lei. 
Ma niente da fare, cominciai a piangere a dirotto finché le gambe non mi cedettero e caddi rumorosamente con le ginocchia a terra.
"Bells, Bells che c'è? Che ti succede?".
Mia madre cercava di liberare il mio viso ricoperto dalle mie mani ma senza riuscirci, stavo singhiozzando a per di fiato e dei piccoli spasmi si impossessarono del mio corpo, le mie difese stavano cedendo, le sentivo mentre si stavano sbriciolando davanti ai miei occhi. Non riuscivo neanche a capire quello che mia madre stava dicendo, o meglio mi stava urlando, visto che ero come in trans. E a quel punto lo vidi, lo percepivo dentro ogni singola cellula del mio corpo, sentivo ogni sua parola, ogni suo gesto, e tanti flash back mi si pararono davanti come diaposite di un film. Il film della mia vita passata...con Lui...



“Magari non servirà a niente, ma volevo dirti che io ci sarò sempre. Non ti deluderò: ti prometto che potrai sempre contare su di me. Caspita, questo si che è sdolcinato.Ma tu lo sai, vero? Che mai e poi mai ti farei del male?”
 
“Dico sul serio Bella. Non sono...non sono più degno di essere tuo amico, o qualsiasi cosa vorresti che fossi. Non sono più ciò che ero. Non sono la persona giusta per te”
 
"Ho una cosa da dirti. La sai già...ma credo di dovertela dire in modo chiaro e tondo. Tanto per non lasciare spazio a fraintendimenti. Bella, sono innamorato di te. Bella, ti amo. E voglio che tu scelga me invece che lui.”
 
“Finché il tuo cuore batterà, Bella, sarò qui... e combatterò. Non dimenticare le alternative che hai.”
 
“Ami un po’ anche me, non allo stesso modo, lo so. Ma non è detto che sia lui la tua vita. Non più. Forse lo era prima, ma poi se n'è andato. E ora deve fare i conti con la conseguenza di quella scelta : me.”
 
“Ti odio, Jacob Black”
“Mi piace. L'odio è un emozione forte, passionale!”
 
“Pensavo che tu fossi quella che perdona, e io quello che si sente in colpa!”
 
“Sono sempre lo stesso. Anche quando non... mi comporto bene come dovrei. Sotto, sotto sono sempre io.”
 
“Vuoi baciarmi Jacob?”
“Stai Bluffando”
“Baciami, Jacob. Baciami e ritorna”
 
“No. Io sono perfetto per te, Bella. Non avremmo dovuto sforzarci, mai...sarebbe stato immediato, facile come respirare. Mi avresti naturalmente trovato nel cammino della tua vita. Se il mondo fosse come dovrebbe, se non ci fossero nè mostri nè magia…”
 
“Ti voglio bene Jacob”
“Io ti amo!"
 
Quelle immagini si susseguivano ripetutamente nella mia testa e nel mio cervello e ogni sillaba risvegliava in me quell'amore che avevo cercato inutilmente di cacciare via, riportando a galla quel periodo così terribile ma allo stesso tempo così importante della mia vita: il giorno in cui la nostra amicizia aveva preso il volo fino a diventare qualcosa di estremamente profondo e forte. In tutto questo tempo avevo cercato di allontanare quel ragazzo che tanto aveva fatto per me, il mio migliore amico che nei momenti più bui era riuscito a riportarmi alla vita, che mi aveva salvata, sempre. E che adesso voleva solo una cosa in cambio: il mio amore. Solo questo, non chiedeva altro ed io stupida come sempre lo avevo rifiutato senza pietà più e più volte.
Adesso ero stanca, basta mentire ancora.
Io lo amavo.
Lo amavo immensamente.
Aveva ragione, l'aveva sempre avuta. E come a voler sottolineare i miei pensieri,  ecco che il mio cuore cominciò a martellare violento contro il mio petto e mi diceva,mi urlava, che voleva continuare a battere, che voleva continuare a vivere e voleva farlo insieme a Lui. 
"BELLA!" Sentii solo un ultimo urlo di mia madre prima di accasciarmi a terra e sprofondare nel nulla. 
 


****

 

Mancava poco più di mezz'ora al suo matrimonio e a quel punto l'avrei eliminata per sempre dal mio cuore e dalla mia anima. Fra pochi minuti sarebbe appartenuta per sempre a quel parassita e io...io sarei scomparso dalla sua vita come le avevo detto. 
Mi ero ripromesso di non pensarci, ma non era per niente facile. Non ero mai stato bravo a mantenere le promesse, soprattutto quelle fatte a me stesso perchè nonostante tutto, ero li, seduto sul nostro tronco a pensare a lei. Non dovevo, eppure non potevo fare altrimenti.
"Jacob sei qui, ti ho cercato dappertutto."
Non risposi, continuai a fissare l'oceano davanti a me.
"Stai pensando a lei non è così?".
Respirai a fondo e stancamente gli risposi.
"Come sempre".
Sam poggiò una mano sulla mia spalla.
"Passerà Jacob. Il tempo ti aiuterà a rimarginare tutte le ferite, te l'assicuro"
Del tempo.. si forse aveva ragione, avrei avuto bisogno solo di tempo e poi l'avrei scordata per sempre.
"Sam, io devo andare via."
Il mio amico mi guardò confuso.
"Non posso stare ancora qui.. con lei ch...non ci riesco."
Scossi violentemente la testa e cercai di fermare i tremori che si stavano impossessando del mio corpo, strinsi forte i pugni sulle ginocchia. 
"Va bene Jake. Se è questo che vuoi allora non posso che appoggiarti. Non ci sono sanguisughe in giro quindi prenditi tutto il tempo che ti serve, noi saremo sempre qui ad aspettarti".
Alzai lo sguardo e lo osservai bene in viso: vidi tristezza e amarezza nel suo sguardo, perchè lui mi capiva, era l'unico in grado di capire ciò che stavo provando in quel momento.
"Grazie Sam".
Non uscì più una sillaba dalle nostre labbra. Rimanemmo li, entrambi fermi a fissare l'oceano che si stagliava immenso davanti a noi e ad osservare il nulla. Eravamo solo due ragazzi ai quali il destino aveva strappato dalle mani le uniche donne che avrebbero mai amato davvero, perchè sapevo che nonostante Sam avesse avuto l'imprinting con Emily, l'amore che lui provava per Leah era stato autentico, vero, reale, e lui soffriva, soffriva immensamente, perchè il suo amore era stato stroncato dalla magia, da una fottutissima magia dalla quale non poteva scappare o sottrarsi, distruggendo così il cuore alla donna che amava. 
Dicono che l'imprinting ti avvolge completamente e ti inebria dell'amore verso quella donna scelta per te dal "destino" non lasciando spazio per nient'altro....Bene... Speravo che succedesse anche a me e che succedesse il più presto possibile, perchè se no, lo sapevo bene, non avrei mai potuto dimenticare Bella...  lei era parte di me, era radicata in me, aveva messo le radici nel mio cuore e solo quella magia avrebbe potuto levarla da li, annientarla. Istintivamente portai una mano all'altezza del mio petto poggiandola li, dove i battiti del cuore avevano origine. E formulai un pensiero che mi trafisse il cuore ma sapevo che era la scelta giusta:
Ti dimenticherò Bella è una promessa.


 

 


*Angolo ValeBlack:

_EleKtra_smile_ : Che bello, hai commentato!*__* Bè Bella è ancora moooolto indecisa, ma in questo capitolo finalmente capirà chi è che ama davvero..ma non sarà per niente facile per lei!!! Spero che continuerai a commentare! ;) Bacioni e grazie per il tuo appoggio per me significa tanto! Grazie, grazie, grazie!!

MemiRock: Ma graaaazieee per i tuoi complimenti!! *__* *me felice! Nel capitolo precedendo ho voluto puntare prioprio sui sentimenti di Jacob e sul suo dolore(non puoi capire quanto sia stato difficile per me dover scrivere quel capitolo!) Odio veder soffrire il mio cucciolotto!) Ma in questo capitolo si capiranno molte cosa e Bella finalmente riesce a far esplodere quest'amore per Jacob!Spero che continuerai a commentare!! Se scriverò altre storie? Non lo so, prima finirò questa e se avrò un altro bel po di ispirazione scriverò senza dubbio! ;) Grazie per l'appoggio che mi stai dando! Un bacio enorme! PS. ho lasciato dei miei commenti sulle tue fanfiction!! ;)

Kiaretta 2496: 
Oh ma quanto sei dooolceeee!!! *__* Grazie Kiaretta! Non sai quanto mi faccia felice vedere che ci sono nuove lettrici che perdono del tempo per leggere la mia storia! Grazie infinitamente! Tu ti senti uno schifo? Ma smettila! E poi è normale che alcune fanficiton si somiglino, non c'è niente di male e poi è solo l'inizio per il resto le nostre ff sono completamente diverse!!! xD xD Grazie ancora per tutti i complimenti che mi hai fatto, sei troppo buona! Spero vivamente che continuerai a seguirmi! Baciiii! *__*

Grazie ancora a tutti, davvero grazie!!! Spero di non deludervi! Al prossimo capitolo! xD Kiss
  

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Capitolo 9
*** CHIARIMENTI ***


CAPITOLO 9:
Chiarimenti

 

Cos'era quel brivido? Il mio corpo sentiva freddo, un freddo pungente, fastidioso. Qualcosa di ghiacciato mi sfiorava le guancie delicatamente.

"Bella, Bella svegliati"

Sentivo solo una voce cristallina, limpida, ma velata di preoccupazione per me. Ma non vedevo niente. C'era solo buio, c'erano solo ombre.

"Bella apri gli occhi"

No, non volevo aprire gli occhi, non volevo essere catapultata nella vita reale, non volevo prendere decisioni radicali che avrebbero cambiato per sempre tutta la mia vita, volevo rimanere li, nell'ombra, prigioniera del mio inconscio. Volevo rimanere li. Ma Quella voce così insistente non me lo permise "Bella, amore mio, svegliati" Spalancai gli occhi e trovai Edward seduto di fianco a me bello e perfetto come sempre mentre mi fissava festoso.
"Oh tesoro mi hai fatto preoccupare lo sai?".
Non riuscivo a capire dove mi trovavo, sentivo del morbido sotto il mio corpo, questo significava che mi trovavo su un letto. Feci scorrere il mio sguardo attorno a me e mi resi conto di essere in camera di Edward.
"C-che è successo?"
Ero disorientata, confusa. Come c'ero finita li? E il matrimonio? Oh merda.
"Sei svenuta e quando ho sentito tua madre gridare mi sono fiondato in camera di Alice e ti ho portata qui"

Adesso ricordavo tutto: avevo perso i sensi, mi sentivo come svuotata e quella sensazione di angoscia si era impadronita di me, proprio mentre stavo abbracciando mia madre, proprio quando quella consapevolezza di doverla abbandonare per sempre si era fatta potente e vivida dentro di me per la centesima volta in quella giornata diventata infernale.

Scacciai i miei pensieri e sentii i suoi occhi color miele che mi guardavano intensamente, quasi volessero leggermi dentro. Poi improvvisamente, un sorriso amaro usci fuori dalle sue labbra di marmo.
"Lo so, so tutto".
Sussultai.
Facendomi forza con le braccia mi portai a sedere sul letto.

"Di che cosa stai parlando Edward?"
Sussurrai.
Non riuscivo neanche a guardarlo negli occhi.
Codarda.
"La visione di Alice, del tuo futuro. So tutto".
La sua voce era ferma, impassibile ma nel suo sguardo leggevo dolore, amarezza. Un grande senso di colpa mi pervase e non riuscii a frenare le lacrime che timide stavano scendendo lungo il mio viso facendo sbavare il trucco. Perchè? Perchè la mia vita doveva essere così maledettamente complicata? Sentivo l'indice di Edward che asciugava le mie lacrime con studiata lentezza mentre il suo viso perfetto si avvicinava sempre di più al mio.
"Amore mio, ti ho sempre detto che qualunque fosse stata la tua scelta io non ti avrei mai ostacolata, e così farò. Non voglio obbligarti a sposarmi se non vuoi"
Cominciai a lacrimare sempre di più.
"E-edward io ti amo".
Riuscii a dire solo quello, ormai i singhiozzi avevano preso il sopravvento e non potei più trattenermi. Portai le mani davanti al viso, non volevo che lui mi vedesse in quello stato, non volevo spezzargli il cuore ormai spento da più di un secolo. Ero un mostro.
“Lo so ma a quanto pare non abbastanza".
Nonostante il suo mezzo sorriso capii che tutto questo gli stava procurando un dolore immenso… i suoi occhi parlavano al posto suo.

"So-ono un mostro!".
Edward mi prese tra le sue braccia e cominciò a cullarmi dolcemente, ma io mi scansai quasi subito.
"No! Come fai a trattarmi così dopo quello che hai scoperto? Perchè non mi urli contro? Perchè non ti arrabbi?".
Adesso stavo urlando e le lacrime arrestarono subito il loro corso. Non sapevo neanche io cosa mi stava succedendo, i miei sbalzi d'umore si facevano sempre più frequenti ed era impossibile fermarli. "Perchè cerchi di consolarmi quando dovresti solo odiarmi con tutto te steso?"

"Perchè io ti amerò sempre Bella. Non mi importa se hai scelto un altro, io voglio solo il meglio per te".
Era maledettamente sincero e mentre parlava con una mano accarezzava la mia guancia destra, asciugando il mio viso ancora umido.
"Non so neanche io cosa voglio" 
"Si che lo sai. Tu vuoi lui.".
Il mio cuore perse un battito.
Era la verità, ma sentirselo dire ad alta voce mi procurò un brivido lungo la schiena non indifferente.
"E a me va bene così Bella credimi. Non mi vedrai più, non ti intralcerò e questa volta manterrò la mia promessa, te lo prometto".
Stava rinunciando a me perchè mi amava, perchè voleva vedermi felice. Ma cos'ho fatto per meritarmi un uomo straordinario come Edward?Cosa? E come lo ripagavo? Abbandonandolo...proprio come lui aveva fatto con me un anno prima. Scossi la testa e mi concentrai sul suo viso "Edward io...credimi non avrei mai voluto ferirti.. ma adesso che so chi è che voglio davvero non posso ignorarlo...io" Ma non mi lasciò finire, poggiò l'indice sulle mie labbra per zittirmi.
"Shh, lo so non devi spiegarmi niente. Sii felice Bella non chiedo altro. Ti amerò per sempre".
Si chinò sul mio viso e le sue labbra fredde e perfette presero il posto del suo dito lasciandomi un leggero e dolce bacio, per poi scomparire nel nulla in un battito di ciglia.

Rimasi ferma nel letto per non so quanti minuti a fissare il vuoto. Avevo davvero detto addio ad Edward? Lui se n'era andato per sempre, aveva promesso che non si sarebbe più fatto vedere...e se la voragine fosse ritornata? Se la consapevolezza di non vederlo più mi avrebbe catapultata nuovamente dentro quel baratro di dolore? Istintivamente portai una mano al petto e aspettai qualche istante.

Nulla.

Ero perfettamente intatta.

Con un sospiro di sollievo e ancora un po' indolenzita scesi dal letto e guardai subito l'orologio sul comodino: le 12.32 Ormai il momento in cui sarei diventata la Signora Cullen era svanito proprio come Edward, così, come uno schiocco di dita. Rabbrividii. Non volevo più pensarci.

Mi portai davanti allo specchio(per la terza volta in quella giornata) e vidi qualcosa che non mi sarei mai aspettata: i miei occhi erano si segnati da sbavature di colore nero e delle macchie di mascara segnavano le mie guancie, ma nonostante questo percepivo una luce diversa nel mio sguardo, ero come rinata! Un leggero sorriso comparve sulle mie labbra fino ad allargarsi sempre di più e facendo scoprire i miei denti bianchi. Da quanto tempo non ridevo così? Mi sentivo libera, finalmente! Avevo amato Edward, follemente, ma il mio amore per lui era ossessivo, possessivo, malato. Ho vissuto per un anno intero in questo incanto, in questa fantasia, ma adesso era tempo di crescere e di vivere nella realtà.. e nella MIA realtà c'era un ragazzo meraviglioso che aspettava solo me. Risi ancora e ancora di gusto, con le mani cercai alla bene e meglio di levare tutto quel trucco dalla mia faccia e mi diressi verso il salotto. Dovevo affrontare i miei genitori e dare la bella notizia a Charlie!

"Oh tesoro mio stai bene!",
Reneè mi venne incontro e mi stritolò tra le sue braccia, io ridacchiai.
"Si mamma sto bene, non preoccuparti!"
Con la coda dell'occhio intravidi mio padre che mi fissava da lontano senza dire una parola. Mia madre mi prese per le spalle e mi guardò con una strana espressione in viso.
"Tesoro ma cos'è successo con Edward? Avete litigato per caso?".
Sorrisi.
"No, mamma! Ci siamo lasciati, era giusto così".
Mia madre spalancò gli occhi per la sorpresa.
"Ma come, perchè?" 

"Perchè il mio cuore appartiene ad un'altra persona".
Dirlo ad alta voce mi procurò una gioia immensa.
"Devo andare".
Scappai dalla sua stretta sotto gli occhi sbalorditi di tutti gli invitati ma non badai a loro, non mi importava di quello che pensavano. Mi diressi spedita verso l’uscita ma prima lanciai un’altra occhiata a mio padre. Lui mi guardava felice, estasiato ma soprattutto estremamente sollevato! Gli corsi incontro e lo abbracciai con forza.
"Oh Bella, bambina mia sono così felice!"
Non avevo mai sentito mio padre con quel tono di voce, aveva sempre mantenuto una certa impassibilità, ma in quel momento non riuscii a trattenersi e cominciò a ridere di gusto e io insieme a lui. Mi alzai in punta di piedi e gli sussurrai all'orecchio.
"Avevi ragione papà".
Mi prese per le spalle sorpreso e dandomi un bacio in guancia mi sussurrò un semplice.
"Ti voglio bene Bells" prima di lasciarmi andare verso il ragazzo che amavo, verso la mia vita e questa volta sapevo di aver fatto la scelta giusta.

 



*Angolo KiryBlack:

Un grazie speciale a
 MemiRock e ad _EleKtra_smile_ per il loro sostegno e per i loro complimenti! Grazie di cuore ragazze!! *___*
Ovviamente ringrazio anche tutte le lettrici silenziose! Siete sempre di più e mi fa un immenso piacere! 
Baci e al prossimo capitolo!!! Smack

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Capitolo 10
*** CORSA SCATENATA ***


CAPITOLO 10:

CORSA SCATENATA

 

 

Arrivata a casa, tolsi dai piedi quelle trappole mortali e mi catapultai in bagno per levare il trucco, ormai sbavato, dalla mia faccia. “Forza,forza” dicevo a me stessa mentre gettavo a terra il mio abito da sposa e mi catapultavo dentro la doccia.

Dovevo sbrigarmi, dovevo andare da lui adesso,subito! Dovevo chiedergli perdono per averlo fatto aspettare per così tanto tempo, dovevo dirgli che aveva ragione, che l'aveva sempre avuta e che lo amavo più della mia stessa vita! Ma quanto ero stata stupida? Come ho fatto a non capirlo prima? O meglio...lo sapevo, l'avevo sempre saputo ma non volevo ammetterlo a me stessa, testarda e cocciuta com‘ero.

Ero come "ipnotizzata" da Edward e questo mi ha sempre impedito di far esplodere il mio amore per Jacob e portarlo alla luce del sole. Ma quell’amore era sempre stato li, in un angolo, voglioso di uscir fuori e di inebriarmi con tutto il suo splendore.

Ma adesso era tutto diverso e finalmente potevo gridare a tutto il mondo quanto lo amavo. Dopo essermi insaponata e sciacquata per bene, mi diressi in camera mia e indossai velocemente un paio di jeans e una maglietta viola a maniche corte, non riuscivo più ad aspettare, stavo per impazzire!

Uscii di casa sbattendo la porta e, correndo mi sorpresi di come il mio equilibrio non mi avesse ancora abbandonata, così ne approfittai e volai letteralmente dentro il mio pick up mettendolo in moto. Premetti più del solito l’acceleratore e partii spedita verso La Push.

Durante il tragitto non potevo non pensare a Lui, alle sue forti braccia pronte a sorreggermi e a coccolarmi, alle sue labbra così invitanti e sensuali, al suo corpo caldo e possente che mi mandava completamente in tilt il cervello, al suo sorriso caldo e fantastico che mi dava vita, perché lui era vita.

Tutto, amavo tutto di lui.

Mi ritrovai a sorridere come un’ ebete, dentro il mio veicolo un po' goffo, mentre il mio cuore faceva le capriole nel mio petto.
"Sto arrivando amore mio".
La strada che percorrevo si faceva via via sempre più familiare fin quando non intravidi da lontano la casa rossa dei Black. Sorrisi ancora e rallentando posteggiai sul vialetto. Scesi di corsa dalla macchina e mi diressi spedita dinanzi alla grande porta di legno: iniziai a bussare energicamente.

"Bella che ci fai qui?"
La voce di Billy era dura, fredda e io sapevo bene il motivo di quell'atteggiamento. Avrai una bella sorpresa Billy!

"Sono qui per Jacob".
Cercai di non sbuffargli in faccia ma era davvero difficile perché in quel momento avrei solo voluto urlare a squarcia gola tutta la mia felicità.
"Non c'è. Se n'è andato e non ha alcuna intenzione di tornare".

Sussultai. Un dolore lancinante si scagliò contro il mio petto impedendomi di respirare.
No, non può essere…
Rimasi immobile mentre cercavo di rispondere a Billy ma ciò che ne uscì fuori erano solo dei sussurri incomprensibili.

Ero caduta nel buio, nel buio più totale…

L’unica cosa che udì fu il rumore violento di una porta che sbatteva.

Ero immobile, la bocca spalancata, gli occhi increduli e avrei potuto giurare di non aver sentito più il mio cuore battere.
No non poteva essere vero… non dopo che, che avevo scelto finalmente lui…non dopo che avevo capito… E adesso se n'era andato, non potevo crederci... Mi aveva lasciata… Aveva deciso di dimenticarmi per sempre…

No no no no no no. DANNAZIONE!

Usci da quello stato di trans e mi precipitai sul pick up mettendo in moto. Non sapevo neanche io dove stessi andando ma inconsciamente sapevo che la mia meta era First Beach, forse stupidamente pensavo di poterlo trovare li. Già… da stupidi… perché ero sicura che non lo avrei mai trovato li ad aspettarmi come un tempo, pronto ad accogliermi tra le sue braccia e sussurrandomi che sarebbe andato tutto bene… no, non ci sarebbe stato questa volta, aveva deciso di andarsene per “proteggersi“, per proteggersi da me, che, perfida e cattiva più che mai, lo aveva ferito ripetute volte. 

Avevo sbagliato tutto, TUTTO.

Singhiozzavo senza ritegno e con le mani che tremavano mi era difficile anche guidare. La mia vista cominciò ad appannarsi sempre di più fin quando il SUO sguardo, spento e ferito, mi si parò prepotente davanti agli occhi. Un urlo di dolore mi usci dalla gola e premetti il freno in tempo, perché proprio dinanzi a me un dirupo si prostrava in tutta la sua maestosità.
Il cuore galoppava, la fronte sudata, le mani saldamente attaccate al volante tremanti e sudate… ero terrorizzata. Rimasi a fissare quel dirupo con occhi sgranati e spaventati mentre boccheggiavo.

Stavo per uccidermi.

Ma me ne importava davvero qualcosa se la mia vita fosse finita? No… non mi importava un bel niente. Dentro il mio corpo c’era spazio per un solo sentimento: Odio, odio puro.
Si, io odiavo me stessa. Mi odiavo a morte perchè era solo colpa mia se lui se n‘era andato abbandonando tutti...per la seconda volta … solo ed esclusivamente colpa mia. Respirando a fatica misi nuovamente in moto e mi diressi verso la spiaggia, la nostra spiaggia.

Quell’oceano, quella sabbia … tutto sapeva di Lui.

Scesi dal pick up tremando e, distrutta di dolore, mi diressi verso il nostro tronco, quel tronco che aveva visto nascere la nostra amicizia e poi il nostro amore, quell’amore che io avevo sempre rifiutato calpestandolo e scacciandolo via come la peste.

Camminai ancora per qualche metro ma non riuscii ad arrivare in tempo perché non sentii più le mie gambe che, stanche, crollarono a metà strada cadendo con le ginocchia sulla sabbia.
Piansi, piansi a dirotto per dei minuti interminabili ma il dolore era tutto li e non ne voleva sapere di andare via. 

“PERCHE’, PERCHE’ TE NE SEI ANDATO? “ lo urlai con quanto fiato avevo in corpo, con tutta la rabbia che si impossessò di me senza ritegno.
L'avevo fatto scappare, e adesso lui era convinto che ormai fossi diventata la moglie di Edward, era convinto che non lo amassi abbastanza. Ma non era così, doveva sapere che era Lui il ragazzo che amavo davvero, che era Lui la mia scelta. Ma come avrei potuto dirglielo? Ormai ero arrivata troppo tardi, avrei dovuto fare più in fretta, avrei dovuto... ma cosa sarebbe cambiato? Ero così sicura che mi avrebbe perdonata? Ero così sicura che se fossi arrivata in tempo lui avrebbe messo da parte il suo orgoglio e mi avrebbe amata incondizionatamente? Le mie mani stringevano energicamente la sabbia tre le dita, come se volessi distruggerla, ma quei granelli di sabbia sfuggivano al mio controllo senza che potessi farci niente. Strinsi ancora di più i pugni fino a farmi un male cane ma non ci badai, ormai non mi importava di niente.

Stupida, stupida egoista.

Continuai a piangere come una disperata fin quando una mano calda mi strinse la spalla e un calore che conoscevo bene penetrò sul mio corpo infreddolito. Alzai il viso di scatto con un barlume di speranza negli occhi: forse era tornato, forse aveva sentito la mia disperazione e aveva deciso di tornare da me… ma appena riconobbi la persona a cui apparteneva quella mano il mio cuore di distrusse per la millesima volta: era Sam,semplicemente Sam.
"L'ha fatto per il suo bene"
La sua voce era fredda, distaccata.

Respirai a fondo. Con un braccio asciugai le mie lacrime e stancamente mi alzai da terra con il viso rivolto verso l'oceano, dove il sole stava scomparendo per lasciare spazio alle tenebre. 
"Non mi ha dato il tempo...i-io...i-io ho scelto Lui"
La mia voce era rotta, spezzata dai singhiozzi. Non vidi l'espressione di Sam ma il suo silenzio valeva più di mille parole.
"Sono arrivata troppo tardi".
Ero come stralunata, non capivo più niente, niente aveva più importanza ormai.
"Bella, ma perchè solo adesso? Cioè tu mi stai dicendo che dopo avergli spezzato il cuore mille e mille volte adesso decidi di scegliere lui? Ma ti senti quando parli? Sei davvero incredibile! Che ti aspettavi? Che rimasse qui mentre tu diventavi una schifosa parassita?"
Era furioso e non potevo dargli torto.
"Lo so...e mi odio per questo Sam credimi".
Ormai la mia voce era impassibile, vuota, piatta. Ma lui parve calmarsi non appena mi guardò negli occhi. Respirò a fondo e cominciò a parlare.
"Lui ha deciso di non trasformarsi per un po'...non posso dirgli niente Bella. Non so come rintracciarlo non.."
Alzai una mano per bloccare quel fiume in piena, non riuscivo davvero a sopportare altro e puntando i miei occhi sui suoi dissi semplicemente: "E' giusto così. Devo accettarlo."
Quella consapevolezza infilzò ancora di più il mio cuore che ormai non provava più nulla, si era sgretolato e questa volta non ci sarebbe stato nessuno a raccoglierne i pezzi, nessuno. 

“Bella stai tremando” 
“Non mi importa” 
“Non dire sciocchezze. Vieni ti porto a casa”
E senza aspettare una mia risposta, mi prese in braccio poggiandomi sul posto del passeggero del mio pick up.
Non obbiettai, non avevo neanche la forza di stare in piedi, figuriamoci di guidare.


Durante il tragitto Sam rimase in silenzio senza dire una parola, fissava semplicemente la strada dinanzi a se, il suo viso era contratto, pensieroso. Avrei voluto chiedergli se sapeva dove se ne fosse andato, se stava bene, se... qualunque cosa, ma decisi che era meglio non infierire, probabilmente mi odiava anche lui. 
Portai le mie ginocchia al petto e le circondai con le braccia. Ero davvero distrutta, stanca, stanca di soffrire, stanca di piangere, stanca di me stessa. Poggia la testa sulle ginocchia e chiusi gli occhi.
“Come hai fatto a trovarmi?”
Lo dissi così, senza una ragione ben precisa.

“Ti ho sentita urlare.”
Certo è chiaro, probabilmente mi aveva sentita tutta La Push.
Ma lui era ancora diffidente e tremendamente arrabbiato.

“Non ti dovevi disturbare, sarei tornata a casa da sola”
Le mie parole erano sussurri. 

“Non ti avrei mai lasciata guidare in queste condizioni” 
Un tuffo al cuore. 
“T-ti ringrazio Sam”
Lui non rispose e continuammo il tragitto in assoluto silenzio.

Sentivo solo il dondolare della macchina e il rumore del vento che si schiantava sul vetro del veicolo..per il resto, silenzio totale, e forse era meglio così, avevo ringraziato Sam e adesso l’unica cosa che volevo era andare a casa e rifugiarmi in camera mia… nient’altro.
Ero talmente assorta nei miei pensieri che non mi accorsi che Sam aveva appena parcheggiato.

“Bene, meglio che vada”
Gracchia un semplice “Ok” guardandolo stancamente.

Sam spinse la maniglia della portiera per uscire e scomparire, probabilmente per sempre, dalla mia vista ma prima di farlo, mi guardò fisso negli occhi.
“Lui ti ama“
Sussultai.
Sentivo le lacrime che spingevano per uscire dai miei occhi ma glielo impedii, sospirai a lungo e cercai di concentrarmi sulle parole di Sam “Non hai idea di quanto grande sia il suo amore per te… ma Bella, adesso devi fartene una ragione, se n’è andato e non credo che tornerà, o almeno non lo farà subito.”
Quell’ultima frase mi fece ben sperare, ma sapevo che avrei dovuto aspettare a lungo prima di rivederlo

“Lo so Sam. So che è tutta colpa mia… ma lo aspetterò.” Accennò un timido sorriso che non avrebbe incantato nessuno e se ne andò via.
Rimasi accucciata tra le mie gambe per dei minuti interminabili. Chiusi gli occhi e inevitabilmente la mia mente vagava e lo cercava, lo trovava, avrebbe trovato sempre il suo viso, il suo splendido sorriso, i suoi occhi neri talmente profondi da farmi sciogliere, il suo corpo capace di farmi rinascere …
Sbarrai gli occhi.
“Ti aspetterò Jake, è una promessa”.
E scacciai via dal mio viso una piccola lacrima sfuggita al mio controllo.

Dovevo farlo, non mi importava quanto tempo sarebbe passato, era lui che amavo e prima o poi sarei riuscita a dimostrarglielo.




* Angolo ValeBlack:
Lo so, lo so, ci sono andata giù pesante, ma Bella non poteva avere tutto e subito senza patire un po... infatti non avrà per niente vita facile!!! Ma non temete, quello che posso dirvi con certezza è che Jacob tornerà molto presto!! *___*

Volevo ringraziare per la millesima volta 
MemiRock, Kiaretta2496 e _EleKtra_smile_ per il loro sostegno e per i loro complimenti... GRAZIE DI CUORE! non mi stancherò mai di ripeterlo!!! *______* Spero che il capitolo vi piaccia!!! Un bacione!


 

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Capitolo 11
*** NUOVA VITA (cinque mesi dopo) ***


CAPITOLO 11:
Nova vita (cinque mesi dopo)


“Jacob ti ho cercato dappertutto!”
Col suo dolce sorriso e con la sua camminata aggraziata si avvicinò a me in tutto il suo splendore.
Mi alzai da terra e le andai incontro abbracciandola 

“Avevo bisogno di una pausa!”
“Mi hai fatto preoccupare … tua sorella mi ha detto che non riusciva a rintracciarti così ho deciso di venirti a cercare!”
Con una mano mi accarezzò leggera la guancia destra senza staccare quegli occhi di lapislazzuli dai miei, era visibilmente preoccupata, così per scacciare tutti i suoi timori avvicinai il mio viso al suo baciandola dolcemente.

“Emma non devi preoccuparti per me, sono grande e grosso!”
Provai a scherzare ma lei sembrava ancora intimorita.

“Smettila di fare il cretino! Sei scomparso da questa mattina … si può sapere perché vieni sempre qui?”
Lo disse con un po’ di stizza indicando la spiaggia. 

“Perché venire qui mi rilassa! Adesso finisci di fare la bambina e baciami!”le sussurrai roco, e lei, senza farselo ripetere due volte, si avventò sulle mie labbra divorandole letteralmente. Mi piaceva quando era così passionale, quando dimostrava sempre e comunque il suo amore per me. Non aveva paura di vivere le emozioni e lasciarsi andare, ed era anche per questo che era riuscita a conquistarmi. 
Le accarezzai sensuale la schiena fino alle fossette di venere, sapevo che l’avrebbe fatta sciogliere, infatti si staccò dalle mie labbra sussurrando.
“Jake...ti prego”
Il suo viso abbronzato divenne di un rosso acceso e la sua espressione tremendamente imbarazzata. Non riuscì a trattenermi e le scoppiai a ridere in faccia come un bambino.
“Smettila di ridere, non è divertente!”
Si staccò bruscamente da me e con una mano mi diede un leggero colpo sul petto mentre io continuavo a ridere spensierato.
“Jake basta!” 

“Non è colpa mia se ogni volta che ti tocco diventi un pomodoro!” Continuai a ridere di gusto.
“Ah si? Ti faccio vedere io!”
Indispettita, prese una sua scarpa e iniziò a picchiarmi energicamente. Cominciai a correre lontano da lei mentre non smettevo un attimo di ridere. 

“Tanto ti prendo!”
Sembravamo proprio due bambini. 
Ridevo, ridevo di gusto e quando mi fermai di botto,l’acchiappai per i fianchi e la gettai a mare con tutti i vestiti e io feci lo stesso 
“Jacob sei un cretino!”
Era così bella quando rideva. 

I suoi capelli neri erano tutti scompigliati e bagnati ma nonostante questo era di una bellezza sconvolgente. 
L’afferrai per un fianco e cominciai a baciarla.
“Ti amo Jake”
“Anche io ti amo”

****

Arrivai a casa di Rachel e mi gettai sul divano, braccia lungo la spalliera, testa poggiata all’indietro, ero davvero sfinito.
“Era ora che arrivassi! Emma era preoccupata per te e anche io”. 

Mia sorella fece il suo ingresso dalla cucina mentre mi veniva incontro.
“Sono stato in giro”
Chiusi per un istante gli occhi.
Avevo passato delle ore bellissime con Emma, stare con lei mi faceva bene, mi rendeva felice… ma quando stavo da solo, senza di lei, sentivo come un macigno nel petto, come se non riuscissi a respirare bene, come se mancasse ancora qualcosa per sentirmi definitivamente completo… ma non doveva succedere, non era così che doveva andare.
C’era qualcosa di sbagliato in me, questo era più che certo.

Nonostante avessi gli occhi chiusi potevo percepire lo sguardo insistente di mia sorella, forse si stava domandando perché fossi mancato per tutto il giorno e perché avessi rifiutato tutte le sue chiamate….

Se lo sapessi sorellina, credimi, te lo direi.

“Sei andato alla spiaggia, non è così?”
Riaprii velocemente gli occhi e le lanciai un’occhiataccia
“E anche se fosse?”
Il suo tono accusatorio non mi piacque per niente.

“Jake io non ti giudico, ma devi smetterla di farti del male, de…”
Non la lasciai finire che infuriato più che mai iniziai ad urlarle contro.

“Ma che cosa ne sai tu della mia vita? E poi questi non sono affari tuoi, non sono affari di nessuno”.
Mi alzai in piedi e cominciai a tremare vistosamente.

“Sei mio fratello e mi preoccupo per te. Adesso lei sarà già…”
“Non dirlo” Mi usci dalle labbra come una supplica, non volevo sentirlo, non volevo che l’immagine di lei fredda e marmorea mi si paresse dinanzi agli occhi. Scossi violentemente il capo e cercai di calmare i tremori.
“Scusa Jake” 
L’avevo trattata malissimo, lo sapevo. Ma quando il discorso tornava a lei diventavo intrattabile.
“No, scusa tu sorellina. Mi dispiace”
Ero mortificato, non avrei mai dovuto reagire in quel modo. Rachel si alzò dal divano e mi abbracciò stretto.

“Non farla soffrire, lei ti ama”
L’afferrai per le braccia e la guardai incredulo,

“E’ il mio imprinting, non posso non amarla! Adesso per me esiste solo lei”.
Già, era il mio imprinting. Ero finalmente riuscito a trovarlo, a trovare la ragazza giusta per me, una ragazza che mi amava incondizionatamente e che mi avrebbe reso l’uomo più felice della terra e io avrei fatto lo stesso con lei.

“Ne sei così sicuro? E’ una magia Jacob, non può sempre funzionare, possono esserci delle eccezioni e...”
“Rachel per favore, non dire assurdità! Questa magia funziona, DEVE funzionare”.
Lo dissi a denti stretti fissandola intensamente negli occhi. Doveva funzionare… altrimenti ci sarei rimasto secco.

“Già, lo spero per te fratellino”.
Mi guardava con occhi compassionevoli e io odiavo quando lo faceva, odiavo essere compatito. 
“Io sono felice con Emma. Dico sul serio” 
“Lo so, lo so! Quando sei venuto qui sembravi uno zombi ma quando l’hai incontrata ho visto una luce diversa nei tuoi occhi, eri come rinato! Quella ragazza è un tocca sana per te!”
Sorrise per smorzare la tensione e gliene fui grato.

“Allora alla fine è riuscita a trovarti?” Ridacchiava divertita.
“Si, era davvero preoccupata per me, ma sono riuscito a risollevarle il morale, come sempre!”
Sghignazzavo e Rachel mi diede una pacca leggera sul braccio.

“Sei impossibile!” Sorrise. 
“Lo so, ma che ci posso fare? Sono irresistibile!”
Le feci l’occhiolino e la sorpassai.

“Ah Jacob ha chiamato papà, vuole sapere quando avevi intenzione di tornare a La Push.”
Bloccai la mia camminata e dandole ancora le spalle le risposi impassibile
“Lo chiamerò al più presto”

“D‘accordo, notte fratellino” 
Non le risposi nemmeno, mi catapultai nella mia stanza chiudendomi la porta alle spalle.
Poggiai la schiena su di essa e respirai a fondo.

Forks, tornare a Forks.

Avrei rivisto i miei amici, il mio branco che mi mancava terribilmente, avrei sicuramente riacquistato la mia forma di lupo, avrei rivisto mio padre… Dovevo tornare, dovevo… l’imprinting doveva essere presentato a tutta la tribù e anche se la cosa non mi faceva fare i salti di gioiadovevo farlo.

Abbandonai la porta e sfinito, mi lasciai andare sul letto a pancia in su. Non avevo per niente sonno, così continuai a fissare il soffitto bianco sopra la mia testa per non so quanto tempo, perdendomi nei meandri dei miei pensieri …

…proprio come cinque mesi fa.

Da quando ero venuto a vivere in California da mia sorella, ogni notte era sempre la stessa storia: mi mettevo a letto, mi scuotevo a destra e a sinistra come un pazzo per poi non riuscire mai ad addormentarmi.
E questo perché? Perché pensavo a lei, pensavo solo ed esclusivamente a lei. Come può una persona addormentarsi se ogni volta che prova a chiudere gli occhi vede il viso della donna che ama presentarsi prepotentemente davanti a se? Come può continuare a vivere?
Difatti, il primo mese era stato un vero inferno per me.. avevo deciso di non trasformarmi e di non avere contatti col branco finché non mi fossi sentito pronto per avere delle notizie o qualsiasi altra cosa riguardasse lei. La pensavo continuamente ma la mia immaginazione mi giocava dei brutti scherzi: il suo viso era diventato marmoreo prendendo il posto delle sue guancie di pesca, il suo corpo era freddo e duro come la pietra perdendo definitivamente il suo calore e la sua umanità.  Ma la cosa che mi sconvolgeva di più erano i suoi occhi: occhi rossi, occhi famelici, occhi che non desideravano altro che sangue. Quel cioccolato che amavo tanto, ormai, non esisteva più… proprio come Lei.

Cercavo in tutti i modi di scacciare quelle immagini dalla mia testa.. ma ovviamente senza risultati.
Così un giorno, mentre passeggiavo, mi imbattei in una spiaggia, e ne rimasi affascinato perché era molto simile a First Beach, ma molto più affollata. Così mi dirigevo li tutti i giorni al tramonto per poter stare da solo con i miei tormentati pensieri e con il mio dolore. E solo li, in quella spiaggia, il ricordo di lei era come doveva essere, come avrei dovuto sempre ricordarla: guancie rosa, un corpo caldo e ancora umano, i suoi occhi color del cioccolato.
Semplicemente la ragazza che avevo amato.
Semplicemente Bella.

Soffrivo come un cane, perché sapevo di averla persa per sempre, sapevo che ormai non avrei mai più potuto stringerla fra le mie braccia, non avrei mai più potuto darle il mio calore ogni volta che tremava, non ci sarebbero state più corse in moto, niente litigate, niente chiacchierate sul nostro tronco… niente di niente.

Lei aveva ottenuto ciò che voleva. E io avevo perso tutto.

Ero distrutto dal dolore, ma Emma mi aveva fatto rinascere. Quando la incontrai la mia vita cambiò radicalmente e niente fu come prima. Ci guardammo negli occhi e fu come se un fulmine mi avesse colpito in pieno petto, facendo attivare un meccanismo al contrario: vivevo per lei, sarei stato tutto per lei.

Il mio imprinting.

Non pensavo più a Bella come prima, ormai il mio cervello e il mio cuore appartenevano ad Emma, ma nonostante questo, ogni giorno, alle diciannove in punto, io stavo lì, seduto sulla sabbia, a guardare il millesimo tramonto, per la millesima volta.

Il perché lo facessi? Forse per puro e semplice masochismo.

Mia sorella aveva ragione, dovevo smettere di volere a tutti i costi ricordarla da umana se adesso era una…

No! Non riuscivo proprio a sopportarlo.

Mi alzai bruscamente dal letto e cominciai a camminare freneticamente avanti e indietro per la stanza, senza un motivo ben preciso. Mi fermai un attimo per togliermi la maglietta a maniche corte, che indossavo solo per non dare nell’occhio, rimanendo a petto nudo.

Sudavo, sudavo come un matto.

Ma che diavolo mi stava succedendo?
Stavo cominciando a diventare sempre più agitato e tremendamente isterico. Dovevo andare da Emma, e il mio corpo mi stava lanciando degli avvertimenti, dei segnali ben precisi ai quali non avrei mai potuto oppormi : la stai trascurando Jacob, devi pensare solo ed 
esclusivamente a lei, al tuo imprinting.

Va da lei, ne hai bisogno.

Non aspettai oltre.
Con un salto felino, mi piombai giù dalla finestra per correre da lei, dalla mia ancora di salvezza, dalla donna che il destino mi aveva donato, da colei che non avrei mai abbandonato.
Perché era giusto così.




*Angolo KiryBlack:
Spero non mi ucciderete.. altrimenti non potrete mai sapere come sandrà a finire!!!! xD Ho deciso per questo colpo di scena perchè anche il nostro Jake si merita qualcuno che lo ami davvero e che non si spaveti dei propri sentimenti.. così è nata Emma! Spero che non odierete questo personaggio, perchè a me sta molto simpatica!!
Per Bella, ovviamente, non sarà per niente facile! E Jake? Come si comporterà quando scoprirà che Bella è ancora umana?
Per scoprirlo non vi resta che continuare a seguire la mia storia!!!!! xD xD xD   ;-)

Detto questo, rispondo alle vostre recensioni!! xD


Jakefan: Che bello hai commentato!! *me felice! Bhe come puoi vedere non sarà per niente facile per la nostra Bella... c'è di mezzo un imprinting!! Cucciola ti ringrazio per tutti i complimenti che mi fai e perchè continui a seguirmi.. per me significa molto!! Grazie ancora *___*

Kiaretta 2496: Eh lo so.. il capitolo precedente era molt triste, ma il mio intento era poprio questo! Come vedi Jacob è vivo e vegeto... ma con il suo imprinting... Chissà come andrà a finire!!!! Mi fa piacere che continui a seguirmi, davvero! Ti abbraccio e, spero, al prossimo capitolo!! *__*

MemiRock: Tranquilla Jacob tornerà molto presto!!! E a quanto pare il nostro lupacchiotto abbia davvero dimenticato Bella per via dell'imprinting.. ma si sa, la vita è imprevedibile!!!xD xD  Grazie mille per i tuoi complimenti cucciola !! *__* Un bacio immenso!

Sarettapallina: Che bello, una nuova lettrice!!!*____* Non sai quanto mi faccia piacere che la mia fanfiction ti piaccia!!! E spero che questo capitolo sia stato di tuo gradimento!!! Allora... spero di trovare altri tuoi commenti!!! xD  Baci!! 

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Capitolo 12
*** QUANDO TI RENDI CONTO CHE LA VITA E' UN BENE PREZIOSO ***


CAPITOLO 12:
Quando ti rendi conto che la vita è un bene prezioso



“E per oggi è tutto, alla settimana prossima” 
Finalmente, non ce la facevo più ad ascoltarlo. Raccolsi tutte le mie cose e mi diressi spedita verso l’uscita di quella dannata aula.
“Bella, Bella dove scappi?”.
Angela mi bloccò per un polso e mi obbligò a girarmi

“Hey ma non mi sentivi mentre ti chiamavo?”
“Scusami ma oggi non ci sto con la testa”
“Si lo vedo!” Rideva di gusto, probabilmente aveva visto qualcosa di buffo nel mio sguardo
“Dai smettila di prendermi in giro!” Le sorrisi. 
“Ok, ok! Ti avevo fermata per chiederti se volevi venire da me oggi pomeriggio, così magari studiamo un po’ e dopo, chessò, ci vediamo un bel film! Ci stai?”
Non mi andava particolarmente di stare in compagnia, ma non avrei mai detto di no ad Angela. Seguivamo gli stessi corsi all’università e lei era stata sempre gentile e disponibile con me in questi mesi d’inferno: mi aveva aiutata a vivere con più serenità e ogni tanto passavo i pomeriggi da lei per studiare insieme o semplicemente per chiacchierare un po’. 
Era diventata la mia migliore amica, la mia confidente e io le dovevo molto. 
“Certo! Stessa ora?”
“Contaci! A più tardi!”.
Mi schioccò un bacio sulla guancia e andò via.

Ma, come accadeva ogni volta che rimanevo da sola, ecco che il mio sorriso scomparve così come era arrivato. 
Sbuffai, raccolsi la mia tracolla e mi diressi verso il pick up, barcollante e tremendamente scocciata.


“Papà sono a casa” 
Entrai e feci ciò che ripetevo ormai da 5 mesi a questa parte: gettavo la mia tracolla per terra, andavo in bagno, mi lavavo le mani, scendevo in cucina e preparavo il pranzo. 
Andavo avanti per inerzia.
“Papà??” Niente, forse Charlie era ancora al lavoro. 
Andai verso il frigorifero per prendere delle uova, avevo deciso che avrei cucinato una bella frittata, erano secoli che non ne mangiavo una.
Mi avvicinai sempre di più quando, un post-it giallo catturò la mia attenzione:

Bella, sono a pescare
quindi non aspettarmi.
Ti voglio bene, Papà.

Staccai il biglietto dal frigo e lo gettai in malo modo nella spazzatura. Non so perché lo feci. Forse volevo semplicemente sfogare il mio disappunto con quell’insignificante gesto. Perché sapevo con chi era, sapevo che stava passando la giornata con il padre del ragazzo che amavo e sapevo anche che l’uomo in questione non mi considerava nemmeno, mi odiava, mi detestava.. Quei suoi occhi neri, dannatamente simili a quelli di Jacob, mi guardavano con rancore, astio, risentimento e mi rendevano inquieta facendomi sentire ogni giorno più colpevole. Se questo fosse possibile.

Scossi violentemente la testa, non volevo pensarci.

Sentivo un buco nello stomaco.. ma era più che certa che quella sensazione era ben lontana dalla fame… era angoscia, pura e totale angoscia. 
Rinunciai alle uova e a qualunque altra cosa di commestibile, dirigendomi verso il salotto.
Arrivata davanti al divano mi lasciai cadere… ero sfinita.
Percepivo ancora quel senso di apprensione partire dallo stomaco, salire lungo il petto e perforare il mio cuore. 
Portai una mano all’altezza dei battiti cardiaci aspettando che si calmassero, che tornassero regolari e istintivamente chiusi gli occhi e mi lasciai cullare da quella dolce melodia.
E pensare che qualche mese prima volevo a tutti i costi rinunciare alla mia umanità! Quanto era stata stupida e sciocca ad aver solo pensato una cosa del genere. 
Non mi apprezzavo abbastanza, non riuscivo a vedere la bellezza della vita umana, avevo così paura di invecchiare che l’opzione dell’immortalità era come una calamita: mi attirava, mi affascinava e non riuscivo a staccarmene, non volevo staccarmene.
Ma c’era qualcuno che avrebbe ucciso pur di vedermi ancora umana, qualcuno che avrebbe donato la vita stessa per sentire il mio cuore battere ancora. 
Certe volte crediamo che la vita sia soltanto una condanna, una punizione senza fine… ma non è così. La vita è una benedizione, è un regalo che ci è stato donato e non dovremmo mai e dico mai sottovalutarla, perché farlo sarebbe un grosso errore. 
Io l’ho fatto, ho sottovalutato la mia vita e avevo allontanato l’unico ragazzo capace di donarmi ciò che mi mancava: la voglia di vivere.
Insieme a lui tornavo bambina, ero spensierata, non pensavo a niente.
Ero solo me stessa. 

Abbandonavo la razionalità per fare spazio all’impulsività, alla parte “pazza” che c’era in me e mi sentivo viva,come non lo era mai stata in diciotto anni.
Sorrisi beata al ricordo di quelle splendide giornate passate in sua compagnia, di quelle giornate trascorse sulla spiaggia per delle ore, a chiacchierare beatamente, a ridere di gusto senza un motivo ben preciso; ma anche fatte di litigate, battibecchi che trovavano sempre un rimedio in quella Sua splendida risata, nel Suo abbraccio stritolante, ma soprattutto nelle Sue buffe ed impacciate scuse ogni volta che mi faceva arrabbiare.
Il mio migliore amico, il ragazzo che mi capiva con una sola occhiata, con un solo sguardo… il ragazzo che amavo.
Per lui ero un libro aperto, riusciva a percepire ogni mio singolo stato d’animo, ogni mio minimo cambiamento d’umore. 
Non gli sfuggiva niente. Davanti ai suoi occhi mi sentivo nuda, trasparente. Mi sentivo rinascere. 
Ma l’avevo capito troppo tardi…troppo tardi.
Quelle splendide sensazioni svanirono lentamente lasciando il posto all’inquietudine, che lentamente, stava cominciando a divorarmi come un vortice pronto a risucchiarmi senza pietà, senza darmi modo di scappare, di fuggire, sbattendomi in faccia tutto il tempo che era passato senza averlo al mio fianco, senza poterlo toccare, abbracciare,baciare.
Cinque mesi. 
Erano passati cinque mesi dall’ultima volta che l’avevo visto, cinque mesi da quando mi ero resa conto di amarlo, cinque mesi… 
Dio, quanto mi mancava.
Ma nonostante questo io avrei mantenuto la mia promessa.
Io lo avrei aspettato, avrei atteso anche tutta la vita se era necessario.

Gli avrei dato tutto il tempo di cui aveva bisogno. 
Eppure, era via da tanto, troppo tempo. 
E se avesse incontrato un’altra? E se avesse trovato l’amore della sua vita? E se…mi avesse dimenticata?
NO.
I miei occhi cominciarono ad inumidirsi di fronte a quelle possibili, nonché probabili “opzioni”. Non potevo, non volevo pensare a lui nelle braccia di un’altra ragazza, non volevo che amasse un’altra che non fossi io… non l’avrei sopportato. 
Non sarei mai riuscita a mandare giù una cosa del genere perché sapevo bene che quelle “opzioni” mi avrebbero uccisa, dilaniata, squartata in mille pezzi. 
Egoista fino al midollo? 
Si.

Driin, Driin, Driin 
Il suono del telefono mi fece ridestare violentemente dai miei pensieri e balzai in piedi stralunata. 
Con una mano scacciai le lacrime e prima di rispondere mi schiarii per bene la voce 
“Pronto?”
“Bella, sono io Seth”.
Sussultai per la sorpresa

“Seth?? Sei davvero tu?”
“Certo e chi altri se no!!”.
Rideva, mi stava prendendo in giro, ma stranamente sentire la sua voce mi diede un senso di sollievo non indifferente. 

Ma quella chiamata suonò come un campanello d’allarme nella mia testa e il mio cuore cominciò a battere veloce.
“Hai notizie di..” Ma non riuscii a finire la frase, perché sentivo già pizzicare gli occhi e la gola bruciare. Ma Seth mi capì al volo.
“No... Mi dispiace Bella”.
Lo sapevo, sapevo che mi avrebbe risposto così. Cercai di respirare ma non era per niente facile.

“E-e allora perché mi hai chiamata?”
“Perché volevo sapere come stavi” La sua voce adesso era diventata estremamente gentile, quasi triste. 
“Come sto?“.
Poggiai la schiena al muro e chiusi gli occhi, avevo il magone.
“Sopravvivo”.
Fu un sussurro, ma sapevo che mi avrebbe sentita ugualmente. 

Rimanemmo in silenzio per alcuni minuti, entrambi persi nei proprio pensieri, ma la voce calda di Seth, fu la prima a rompere quel silenzio insostenibile.
“Ti andrebbe di venire alla riserva una sera di queste? Organizziamo delle feste ogni tanto e mi farebbe piacere se ci fossi anche tu” Spalancai gli occhi sorpresa.
“Sei sicuro che sia una buona idea?”
Ritornare a La Push avrebbe significato rivivere tutto da capo… rivivere il mio dolore…no, non potevo farcela.

“Certo che si! E poi ti sto invitando, non puoi rifiutare!”
Rideva e io mi persi in quella risata roca e profonda terribilmente simile alla Sua. Il mio cuore perse un battito e quel magone che avevo in gola non ne voleva sapere di andare via, dovevo terminare quella conversazione, all’istante, o sarei scoppiata.

“O-ok Seth, ci penserò e ti farò sapere”
“Promesso?”
“Promesso” 
“Ci conto Bella, a presto allora!” E riattaccò.
Rimasi incollata al muro per dei minuti interminabili…

“Perché volevo sapere come stavi”

Come stavo? Male. Maledettamente male.
Come avrei potuto dire a Seth che da quando Lui se n’era andato, la mia vita era diventata un vero e proprio inferno? Come avrei potuto dirgli che senza di Lui mi sentivo morire? Che non riuscivo a respirare? 
Come?
Scivolai lungo la parete e delle lacrime isteriche accompagnarono la mia discesa sino al pavimento. Mi accucciai su me stessa e poggiai la testa sul muro alle mie spalle. Annaspavo, il mio respiro si faceva sempre più irregolare.
Come potevo dirgli che tornare a La Push mi avrebbe distrutta per la miliardesima volta?
Semplicemente perché non potevo,non avevo il diritto di sentirmi così, non potevo provare tutto questo dolore, perché ero stata io ad allontanarlo, io, era colpa mia
Per tutti quei mesi ero riuscita a sopportare bene il dolore, o almeno davanti a mio padre o ad Angela non davo mai spettacolo di me… ma adesso, con quella chiamata, il muro che avevo creato dentro di me con tanta insistenza e fatica, si era sbriciolato dinanzi ai miei occhi, così, in un soffio di vento.
Non potevo andare li, non potevo rivederli. Sarebbe stato il colpo di grazia per il mio povero cuore. 
Con fatica mi alzai da terra e con passo lento mi trascinai in camera mia..avevo bisogno del mio rifugio, del mio posto sicuro. 
Mi arrampicai sul letto mentre dei singhiozzi uscivano dalle mie labbra e martellavano sul mio petto fino a farmi male. Afferrai il telefonino con mani tremanti e decisi di mandare un messaggio ad Angela. Non potevo andare a casa sua in quelle condizioni.
Premetti invio e aspettai che il messaggio si inviasse: “Angela mi dispiace ma non posso venire a casa tua, ho un gran mal di testa. A presto, Bella.”
Gettai il telefono sul comodino e immersi la testa sul cuscino inzuppandolo di lacrime.

 


***

Correvo, correvo come un pazzo verso il molo, il luogo del nostro primo incontro, sapevo di trovarla li. Il mio cuore pulsava frenetico e ogni battito scandiva il suo nome, percepiva il suo corpo, sentiva la sua anima, e mi suggeriva ogni suo movimento, mi sussurrava ogni suo gesto, avrei sempre saputo dove cercarla… lei mi apparteneva.
Rallentai il passo non appena percepii il battito regolare del suo cuore. 
La vidi e il mio corpo si rilassò subito. 
Adesso si che potevo respirare. Mi avvicinai con lentezza mentre la fissavo estasiato: La luna faceva da luce naturale per il suo splendido e slanciato corpo. La sua pelle liscia e abbronzata sembrava più chiara, quasi luminosa, il nero dei suoi capelli giocava con la luce della luna formando dei riflessi blu scuro, il suo splendido viso era segnato da stupore, sgomento per quel magnifico paesaggio che le si prostrava dinanzi agli occhi: acqua, acqua scura e tenebrosa illuminata solo dalla luce splendente della luna piena, che quella sera si mostrava in tutta la sua maestosità.
Ma per me non c’era niente di più bello di Emma, niente avrebbe potuto eguagliarla,niente… e nessuno.

Le arrivai alle spalle e senza far rumore le avvolsi la vita con le braccia. Lei sussultò, ma fu un attimo, perché non appena poggiai il viso sulla sua spalla, si lasciò cullare da me con tranquillità.
“Come hai fatto a trovarmi?”.
Sussurrò alla luna.

“Anche se volessi non riusciresti mai a sfuggirmi, ormai mi appartieni”.
Sussurrai piano. 

Feci scorrere le mie labbra sul suo collo lentamente, facendola gemere. 
“Jake”.
Il suo cuore stava per esplodere e ad ogni mio tocco sentivo i suoi battiti aumentare sempre di più. 

Portò indietro il collo fino a toccare il mio torace e cominciai a mordicchiarle il lobo percorrendo nuovamente la linea del collo fino alla spalla destra. Sentivo le sue emozioni, le sue sensazioni, il suo desiderio di me, tutto, tutto di lei mi apparteneva.
Delicatamente la feci voltare verso di me senza far allontanare i nostri corpi. Le presi il volto con una mano e la guardai negli occhi. 
“Ti amo”.
Dovevo dirle quelle parole, ne avevo dannatamente bisogno. Ogni fibra del mio corpo urlava quelle parole, le incideva sul mio “nuovo” cuore e non c’era verso di farlo smettere. Era una sensazione stupenda, ma essere ricambiati di quello stesso amore era qualcosa di indescrivibile.

Emma continuava a fissarmi estasiata, i suoi occhi turchesi catturarono i miei e con studiata lentezza mi sfiorò delicata le labbra.
“Anche io ti amo”.
Sorrisi beato. La sollevai da terra e abbracciandola stretta iniziai a farla volteggiare senza sosta.

“Ah! Jake mettimi giù!” Ridevamo spensierati proprio come due bambini alle prese con un nuovo gioco, e ne eravamo inebriati, totalmente. 
Mi fermai di colpo e la poggia delicatamente a terra. 
“Sai, sarebbe ora di andare a La Push!” Ridevo, era come se l’angoscia di alcuni minuti prima fosse sparita in un attimo e il desiderio di presentare il mio imprinting alla mia famiglia si faceva sempre più potente e mi rendeva orgoglioso. 
“Davvero? Oh Jake non sai quanto questo mi renda felice!” E lo era davvero, riuscivo a percepirlo vividamente. Con uno slancio mi gettò le braccia al collo baciandomi energicamente. Avvolsi il suo corpo con le mie forti braccia e sollevandola da terra ricambiai il suo bacio con altrettante passione.

Adesso era tutto perfetto, la mia vita era perfetta.

 





*Angolo ValeBlack:
Prima di scrivere qualunque cosa volevo semplicemente mettere in chiaro una cosa: Ho sempre ODIATO L'IMPRINTING, ma per la mia storia era fondamentale, Bella deve capire ancora parecchie cose, si deve rendere conto di cosa ha perso, deve soffrire un po anche lei!Dopo questo sfogo torno alla fanfiction!


Faitytale: Che bello una nuova lettrice!!! Non posso anticiparti niente, ma sappi che io amo Jacob e il lieto fine!! Spero che continuerai a seguirmi!*___*

Kiaretta 2496Emma è una ragazza fantastica, è vero! :D Per quanto riguarda "la durata" del personaggio.... bhe... non posso dirti nulla! Sorry! xD Mi fa piacere che la storia ti stia piacendo così tanto! *Me molto felice!!! *___* Un bacione e spero, al prossimo capitolo! Grazie mille per il tuo appoggio!!

Sarettapallina: E già, effettivamente questo è un po' più che un piccolo colpo di scena! Ma era indispensabile per la mia storia! Ovviamente Jacob è molto innamorato di Emma e sicuramente per Bella le cose si faranno sempe più difficili... spero che questo capitolo ti piaccia!! Un bacio

MemiRock: Esatto! Bella non avrà vita facile e se vorrà davvero Jake dovrà combattere fino alla fine, anche perchè il nostro lupacchiotto è molto felice con Emma! Memi spero che questo capitolo ti piaccia e volevo ringrazarti per il tuo sostegno e per i tuoi commenti! Grazie ancora! *__*

_EleKtra_smile_ : Non credo che riuscirai a schiarirti  le idee con questo capitolo, ma ti posso assicurare che con il prossimo riuscirai a dedurre qualcosa di più concreto! xD Alla prossima!! xD xD

Jakefan: Ebbe si lo ammetto, ho scelto una strada difficoltosa, ma in qualche modo ne uscirò fuori!! xD Il mio scopo è quello di rendere la vita di Bella un inferno perchè deve capire che ha perso un ragazzo speciale! Posso garantirti che Emma non scomparirà molto presto!! xD Per quanto riguarda le correzioni stilistiche che mi hai fatto non so dirti se hai ragione o torto ma ti ringrazio ugualmente per i tuoi consigli! Ne farò tesoro in futuro! Ti ringrazio per i tuoi commenti e per l'appoggio che mi dai! *___*


GRAZIE ANCORA A TUTTE!

Piccola anticipazione: Nel prossimo capitolo Jacob vedrà delle cose che lo sconvolgeranno particolarmente!!! Che cosa vedrà il nostro lupacchiotto??!xD Fate lavorare i vostri cervellini!!! xD xD Baci e a presto!! 

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Capitolo 13
*** CONFUSIONE ***


CAPITOLO 13: 
CONFUSIONE

 

La luna era ancora alta in cielo e lo scrosciare delle onde facevano da anestetico per i miei sensi. 
Mi piaceva la sensazione di pace e di tranquillità che il mare riusciva a darmi, era sempre stato così fin da quando ero bambino. Quando avevo un problema o semplicemente quando non volevo nessuno tra i piedi, andavo sulla spiaggia e respiravo a pieni polmoni tutta l’aria che potevo e, anche se non ne conoscessi il motivo, ogni volta che lo facevo mi sentivo subito meglio, come rinato.

Camminavo a passo lento, mentre con una mano toccavo distrattamente la ringhiera ghiacciata dinanzi a me.
Sospirai. 

Quei mesi erano stati particolarmente duri per me, ma fortunatamente ero riuscito a venirne fuori. 
Non pensavo sarebbe stato così facile, non pensavo di riuscire a dimenticarla semplicemente incrociando lo sguardo di un’altra donna, eppure era successo.
Mi sentivo sollevato ma allo stesso tempo ero come incatenato, non potevo più scegliere che cosa fare della mia vita, come se il mio obiettivo primario fosse semplicemente vivere per il mio imprinting; non potevo scegliere chi amare, perché ormai esisteva solo Emma. C’era solo lei, vedevo solo lei e nonostante fosse solo una “magia”, quel sentimento che provavo nei suoi confronti era completamente autentico, lo sentivo sulla mia pelle e potevo toccarlo con mano.

Ma, c’era una minuscola parte di me, una piccola ed insignificante parte del mio essere che non voleva, che si opponeva fermamente all’imprinting, quella parte di me che aveva scelto già da tempo chi amare e lo avrebbe fatto per sempre. Eppure la sentivo, la percepivo, era terribilmente fastidiosa, come una piccola scheggia conficcata sul petto, come una ferita non ancora rimarginata. Era parte di me e sapevo che avrei dovuto conviverci fino alla fine. Dicevano che l’imprinting era qualcosa che ti travolgeva completamente, qualcosa dalla quale non puoi scappare, alla quale non puoi sottrarti.

Eppure “quella minuscola parte di me” era rimasta immune a questo mondo sovrannaturale, non si arrendeva, avrebbe continuato a lottare, sempre.
Ma sapevo anche che non avrebbe vinto. Ormai quel minuscolo frammento del mio cuore avrebbe dovuto arrendersi all’evidenza. 
L’imprinting era impossibile da abbattere. Le leggende insegnano. 
E a me andava bene così.
Chiusi gli occhi cercando di scacciare quei pensieri fastidiosi e, proprio come quando ero bambino, allargai le narici e risucchiai tutta l’aria che mi era possibile riempiendo i miei polmoni. 
Era una sensazione bellissima. Riuscivo a percepire distintamente il sapore di salsedine sulle labbra e sulla mia pelle nuda. 
Strinsi le mani sulla ringhiera e osservai intensamente l’oceano. 
Quell’oceano che sapeva di passato, di casa, di lupo…
Lupo.
Da quanto tempo era che non mi trasformavo? Quanto tempo era passato dall’ultima volta che mi ero sentito libero di essere me stesso? 
Mi mancava quella parte di me, mi mancava sentirmi tutt’uno con la natura, con gli alberi, con le onde del mare e soprattutto mi mancava il mio branco, la mia famiglia. 
Si, sarei tornato a Forks a breve, non potevo più aspettare. Lasciai la ringhiera e mi incamminai verso una piccola insenatura ben nascosta che avevo trovato durante i miei giorni di “perlustrazione” della città. Era un piccolo paradiso.
Tolsi i pantaloncini e i boxer accartocciandoli in un angolo.

Rimasi immobile a fissare la grande scogliera e dopo alcuni secondi di estrema concentrazione, scoppiai.

Finalmente ero a quattro zampe.

Feci un piccolo ululato, e cominciai a correre. Sentire i miei muscoli che lavoravano in perfetta sincronia era qualcosa di indescrivibile, i miei arti erano quasi indolenziti, ma non ci badai perché quella sensazione durò pochi secondi per poi scomparire del tutto.
“Jacob, sei tu?” 
Quella voce sorpresa e speranzosa l’avrei riconosciuta d’ovunque: era Embry. Ero convinto che a quell’ora non avrei trovato nessuno, ma a quanto pare mi sbagliavo di grosso.

“Si, sono io amico!” 
“Fratello! Ma che fine hai fatto? Dove sei?“
Sapevo che avrei dovuto raccontare tutto al mio branco, dato che l’unico a sapere il motivo della mia “fuga” era solo Sam, ma lo avrei fatto non appena fossi tornato alla riserva.
“Sono in California, da mia sorella Rachel. Avevo bisogno di… una pausa” Se così si poteva definire. 
Te ne sei andato per lei… non è così?”.
 
Sussultai e non potei non rispondere sinceramente. Era pur sempre il mio migliore amico.

Si Embry…solo per lei.”
 
Un’improvvisa malinconia cominciò a invadermi prepotente. Portai il muso verso la luna respirando a fondo.

No, smettila Jacob, riprenditi immediatamente. Scossi violentemente il testone e cercai di cambiare argomento.
Ma dimmi del branco, siete stati persi senza di me, non è vero?!” 
Non crederti indispensabile Jacob!”.
 
Ridemmo insieme e l’angoscia di qualche istante prima scomparve definitivamente, e
 dirgli tutto mi venne assolutamente spontaneo. 
“Penso che ci rivedremo presto!Devo presentarvi una persona” 
“E chi è? Dai Jake dimmelo, non tenermi sulle spine!” 
Era sempre il solito. Ridacchiai 

Ho trovato il mio imprinting! Ma per favore non dire niente al branco voglio che sia una sorpresa!” 

Silenzio, silenzio assordante.

“D-davvero? Wow Jake… è…è fantastico.”
Non so perché ma non riuscii a credergli.
La sua voce era sorpresa, come era giusto che fosse, ma sapevo che nascondeva qualcos’altro, lo conoscevo come le mie tasche, così come lui conosceva me.

“Eppure non sembra. Che succede? Ma lui non rispondeva. 
“Embry, dimmi cosa è successo” Stavo cominciando ad innervosirmi. Perché diavolo non “parlava”?
Jake … come reagiresti se dovessi rivedere Bella?” 
Rimasi impietrito. Era una domanda che mi ero sempre posto, ma alla quale non ero mai riuscito a trovare una risposta convincente.
Come avrei reagito? Beh sapevo che dopo la trasformazione se ne sarebbero andati da Forks, perciò ero più che convinto che non sarei mai e poi mai riuscito a rivederla. Eppure quella domanda mi spiazzò completamente. Ma io adesso avevo il mio imprinting e lei era una… vampira sposata col suo Cullen, cosa voleva che me ne importasse di Lei? 
“Jake, io...devi sapere una cosa. Ma ho paura di come reagirai non appena te la dirò”
Era dispiaciuto, quasi triste.
Stavo impazzendo, perché non si decideva a parlare? Che cosa doveva dirmi di così terribile da preoccuparsi di una mia possibile reazione? 
“Embry. Parla.”
 
Digrignai i denti. Ma lui non disse una parola, riuscii semplicemente a vedere delle immagini provenire dai suoi ricordi, immagini confuse, sbiadite di Bella, di lei che disperata urlava il mio nome. Di lei che…piangeva? 

Ma non capivo, non riuscivo a capire che cosa volesse dirmi Embry. Lei mi pensava ancora? Lei piangeva?

Ma che diavolo stava succedendo?

Il suono fastidioso del mio cellulare mi fece sussultare.
“Devo andare” 
“Jake, asp…”
Ma non gli diedi il tempo di finire la frase perché ritornai Jacob all’istante. Non volevo vedere… non potevo sopportare altro.

Che cosa significavano tutte quelle immagini? Cha cazzo stava succedendo?

Il telefono continuava a squillare senza sosta ma ero come in trans, non riuscivo a muovermi. Tremavo, tremavo e basta.
Avevo solo quell’immagine, quell’unica immagine che mi martellava il cervello senza sosta:Bella che piangeva disperata, per me… nella nostra spiaggia.
No. 
Bella non è umana. Non è possibile. Non può essere vero. 
Mi rivestii in fretta e dando un occhiata veloce al cielo notai che era già mattino. Rachel si preoccuperà non vedendomi. 
Ma in quel momento me ne importava ben poco.
Uscii da quell’insenatura e cominciai a camminare spedito facendomi largo tra la folla. Sentivo tanti occhi puntati addosso, probabilmente pensavano che fossi matto ad andare in giro a petto nudo in pieno inverno, un pazzo appena uscito dal manicomio, ma non mi importava un bel niente, passavo tra la gente ed era come se fossi solo, come se stessi camminando in un deserto, come se fossi l‘unico abitante di un’isola sperduta... 
Ero tremendamente confuso, non ci capivo più niente. 
Dovevo tornare, dovevo tornare a Forks, dovevo vedere con i miei occhi se lei 
era ancora umana, se era ancora viva. 
Aumentai il passo, sempre di più, sempre di più, fin quando non mi ritrovai a correre come un pazzo lontano da tutti, lontano da tutta quella gente che improvvisamente avevo cominciato a “vedere”, a sentire.
Continuavo a correre incredulo, scioccato, sconvolto, e tremavo, tremavo come un folle. Correvo e non mi accorsi neanche della pioggia che prepotente picchiava contro il mio corpo lasciando lame invisibili sulla mia pelle. Ma non le sentivo neanche.
Arrivai alla spiaggia col cuore in gola, gli occhi sgranati, il respiro irregolare.
E se tutto quello che avevo visto nei pensieri di Embry fosse vero? Ma non sapevo neanche cosa avessi visto con esattezza, ero talmente sconvolto che probabilmente mi ero immaginato tutto. 
Ma il suo urlo straziato, era così vero, così reale. Non potevo averlo semplicemente immaginato. 
Strinsi forte i pugni fino a sentire le nocche delle mie mani spezzarsi, ma non mi importava, sarei guarito in fretta.

Dovevo partire, subito. 

Avevo pensato di aspettare, ma non potevo, non dopo quello che avevo appena visto… non potevo ignorarlo, perché era contro ogni logica, contro ogni mia aspettativa, contro ogni mio sogno passato. Lei non poteva aver rinunciato al suo Cullen, al suo Edward.

Era impossibile.

 

***
 

Mi svegliai indolenzita e con gli occhi ancora inumiditi. Avevo fatto un incubo terribile, ma non riuscivo a ricordarne le dinamiche e questo mi infastidiva parecchio. Sbuffando alzai lentamente la testa dal cuscino e mi misi seduta sul letto.
La testa cominciava a farmi un male tremendo.
Portai le mani sulle tempie e provai a massaggiarle un po’ per cercare di bloccare quel pulsare insistente, ma senza risultati. Con la coda dell’occhio vidi una piccola luce celeste provenire dal comodino e guardando meglio capii che proveniva dal display del mio cellulare:due nuovi messaggi.

“Mi dispiace per il tuo mal di testa, vorrà dire che sarà per la prossima volta. Non preoccuparti e cerca di rimetterti al più presto! Ci vediamo lunedì a lezione. Baci Angela.”

Mi scappò un sorriso. Ero davvero fortunata ad avere un’amica come lei. Le risposi dicendole che adesso mi sentivo meglio e che l’avrei chiamata al più presto. Stavo per posare il telefono, ma ricordai che i messaggi erano due.

Bella sono Seth, scusa per ieri, non volevo rattristirti… ma sappi che il mio invito è ancora valido! Domani sera faremo una festa, se vuoi venire sarai la ben venuta. Chiamami e fammi sapere!”

Sussultai.

Di nuovo quella proposta.

Era stato dolce da parte sua mandarmi quel messaggio ed invitarmi a quella festa, ma non sapevo se sarei riuscita ad andarci. Ma lo avrei chiamato, almeno questo glielo dovevo.
Mi asciugai il viso inumidito e uscii dalla stanza ancora sovrappensiero.
Sarebbe stato un bene per me andare a quella festa? Da quello che potevo dedurre, tutti li mi odiavano, eccetto Seth. E non potevo non essere d’accordo con loro. Ma, forse tornare li mi avrebbe fatto bene, avrei potuto avere un contatto con Jake, in senso figurato, ovviamente. Avrei potuto sentire in qualche modo la sua presenza. Probabilmente ero un’autolesionista, ma adesso, a mente lucida, potevo dire che forse era proprio di questo che avevo bisogno. 
“Buongiorno!” 
“Papà!”.
Urlai con voce stridula, portando una mano al petto. Ero talmente assorta nei miei pensieri che il solo sentire la sua voce mi fece spaventare a morte.

“Tesoro scusa se ti ho spaventata”.
Charlie era seduto sulla poltrona del salotto intento a leggere il giornale.

“No, figurati! Non ti avevo visto”.
Mi diressi in cucina con ancora il cuore in gola e cominciai a preparare la colazione per entrambi. Dovevo smetterla di farmi travolgere dai pensieri mentre andavo in giro per casa con Charlie nei paraggi, o avrei rischiato un infarto.

“Bella stavo pensando a una cosa da un po’ di giorni”.
Smisi di bere il mio caffèlatte e lo osservai interrogativa.

“Che cosa?”.
“Mi prenderò due settimane di ferie, ho bisogno di staccare un po’ la spina e magari di partire. Tu che ne pensi?”.
Era come dispiaciuto, come se non volesse lasciarmi da sola, ma lo tranquillizzai subito.

“Papà certo che puoi farlo! Non preoccuparti per me, io starò bene” Volevo che si rilassasse, che non pensasse a nulla e che si godesse le sue vacanza in santa pace.
Mi alzai dalla sedia e gli andai incontro abbracciandolo. 
“Ti meriti di rilassarti un po’ papà…e grazie, grazie di tutto”.
Glielo sussurrai all’orecchio e lui senza aspettare oltre mi abbracciò stretta a se.

Dirgli grazie mi venne spontaneo. Volevo ringraziarlo per tutte le volte che mi era stato vicino, per tutte le volte che cercava di fare la cosa giusta solo per strapparmi un sorriso. Volevo ringraziarlo per aver capito molto prima di me che Edward non era il ragazzo giusto, e che non era lui che amavo davvero. Perchè Charlie sapeva che quello giusto era Jacob… l’aveva sempre saputo. Ma sapeva anche che ero molto testarda, per cui si limitava ad adorarlo e a parlare bene di lui ogni qualvolta veniva nominato, lanciandomi occhiate molto eloquenti. Mi aveva rassicurata tante di quelle volte da perderne il conto, senza mai chiedere spiegazioni. E non si era mai lamentato. 
E ringraziarlo perché nonostante ne avessi combinate di tutti i colori, lui continuava a volermi bene incondizionatamente, molto più di quanto desse a vedere. 
Gli dovevo molto e in quegli anni passati a vivere con lui avevo imparato, se possibile, a volergli bene ogni giorno di più.
“Non devi ringraziarmi”.
Era quasi commosso, ma ovviamente l’ispettore della polizia di Forks non poteva permettersi di piangere o dimostrarsi sensibile, così si asciugò in fretta una lacrima sfuggita al suo controllo e ricomponendosi mi sorrise.

“Bene, vado a lavoro. A stasera”.
Mi diede un leggero bacio in fronte e se ne andò.

“A stasera papà”. Lo guardai varcare la porta d’ingresso ridacchiando.


 

Ero seduta sul pavimento del salotto intenta a fissare il telefono, ero talmente concentrata che avrei potuto incenerirlo.Incrociai le gambe e con i gomiti feci pressione su di esse per poggiare il mio viso sulle mani. 
Ci avevo pensato a lungo e forse non era una cattiva idea andare a quella festa.. Mi avrebbe fatto bene passare una serata con i miei “amici” Quileutes e se volevo almeno provare a vivere una vita quanto più normale possibile, avrei dovuto accettare la proposta di Seth.

Si. Avrei fatto così.

Balzai in piedi e composi il suo numero.
“Pronto?”
“Seth sono io, Bella”
“Bella! Sai che non ci speravo?! Hai ricevuto il mio messaggio vero?”
“Certo che l’ho ricevuto… e infatti, ti avevo chiamato per sapere se l’invito era ancora valido..” Mi sentivo tremendamente imbarazzata.
“Ma certo che l’invito è ancora valido, che domande! Allora ti aspetto domani per le 8 alla spiaggia, va bene?” Percepivo la sua felicità e la sua risate era talmente dolce e coinvolgente che non potei non ridere anch‘io.
“Ok, allora a domani!” 
“A domani Bella” E chiusi la conversazione con ancora il sorriso stampato sulle labbra.
Mi sentii stranamente leggera, quasi…rilassata. Feci un piccolo saltello e mi diressi in camera mia, per lunedì avevo un esame molto difficile perciò mi sarebbe toccato un pomeriggio intero sui libri, ma non mi pesava affatto, mi sentivo meglio e lo dovevo solo a Seth.

 

Grazie di cuore a tutte le mie lettrici e soprattutto un grazie per il sostegno che mi date ogni giorno con le vostre splendide parole! Un saluto va anche alla mia nuova lettriceMarpy sperando con tutto il cuore che continuerai a seguirmi! 

Spero che questo capitolo non vi abbia deluse! Cerco sempre di fare il mio meglio e tutto questo per voi!!
GRAZIE ANCORA 
VI ADORO!!  
*____*
 

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Capitolo 14
*** SENSAZIONI ***


CAPITOLO 14:
Sensazioni 

 
Quella mattina mi svegliai con una strana sensazione addosso. 
Mi sentivo irrequieta, ansiosa, tesa e non ne capivo il motivo. 
Era come se un macigno mi stesse schiacciando il petto e mi impedisse di respirare. 
Percepivo qualcosa di strano… qualcosa che non riuscivo a spiegare, qualcosa che mi rendeva isterica.
Con una mano asciugai il sudore dalla fronte e mi portai a sedere sul letto. Forse quel nervosismo era dovuto al fatto che quella stessa sera sarei tornata alla riserva, avrei rivisto Sam, Embry, Seth, Quil, Emily…insomma tutti. 
Tutti tranne lui.
Si, era sicuramente quello il motivo.
Avevo il cuore in gola e continuavo a sudare, sudare senza sosta, mi liberai del piumone e lo stesso feci col pigiama, rimanendo in biancheria intima. 
Come potevo sudare se eravamo in pieno inverno? Natale si stava avvicinando, la neve sarebbe arrivata a giorni… e io che facevo? Sudavo!
C’era qualcosa di strano in me, questo era certo!
Mi alzai bruscamente dal letto e mi catapultai in bagno, avevo bisogno di un bella doccia e soprattutto di calmare i bollenti spiriti.
 
Entrai nel box doccia e rimasi li dentro per un’ora abbondante, fissando le mattonelle turchesi che decoravano il muro davanti a me.
L’acqua era tiepida, avevo bisogno di rinfrescarmi un po’ e quella temperatura era perfetta. Mi sorpresi di me stessa, ero sempre stata una ragazza molto freddolosa ma quella mattina era diverso, mi sentivo diversa. 
Era come se andassi a fuoco, come se la mia pelle stesse bruciando,ma sapevo per certo che non era febbre. 
L’acqua continuava a scorrere lenta sul mio corpo stemperando la mia temperatura, era una sensazione molto piacevole. Poggiai la fronte sul muro e chiusi gli occhi godendomi il momento. 
Respirai a fondo.
Non provavo quel tipo di calore da tempo, da troppo tempo. Mi sembrava di sentire freddo da mesi ormai, ma quella mattina…non lo so, forse ero completamente pazza, ma era come se sentissi la sua presenza… sapevo che era del tutto folle, ma forse il desiderio di averlo accanto a me, di abbracciarlo, era talmente forte che mi faceva immaginare tutto, anche il calore che emanava il suo corpo mastodontico.
Mi manchi da morire. pensai, ma forse lo dissi senza neanche accorgermene. Avevo bisogno di lui e ogni giorno che passava me ne rendevo conto sempre di più. Eppure avevo passato minuti, ore, giorni accanto a lui quando Edward mi aveva lasciata, senza riuscire a capire quello che effettivamente provavo. Ero talmente occupata a distruggermi di dolore per il mio (ex)vampiro, che il mio cuore e la mia testa non avevano spazio per nient’altro. Avevo avuto tanto di quel tempo da passare con lui, tra le sue braccia calde e forti e sentire il suo calore, il suo amore così potente da illuminare qualunque cosa ci stesse intorno. E adesso, non potevo fare altro che rimpiangere quei giorni, uno per uno.   
Tirai su col naso e fermai le lacrime che cercavano con prepotenza di uscire fuori. Ma non lo permisi, non dovevo piangere, non potevo crollare di nuovo. Staccai la fronte dal muro e cercai di ricompormi. 
Cominciai a sentire piccoli brividi lungo la schiena e dovetti ricordarmi che io non era un licantropo e che la mia temperatura corporea era forse più bassa della media, perciò con un movimento brusco della mano spostai la manovella sull’acqua calda.
 
Lo sapevo. 
 
Sapevo che quella sensazione di puro calore che avevo sulla pelle non poteva durare a lungo. Sparita così, senza lasciare traccia di se…proprio come Lui.
Sbuffai e cominciai ad insaponarmi per bene, Angela mi aspettava a Port Angeles, mi aveva mandato un messaggio dicendomi che aveva bisogno di compagnia per fare un po’ di shopping. All’inizio ero un po’scettica, visto e considerato che odiavo fare shopping, ma poi pensai che non avevo granché da mettermi per la festa di quella sera, quindi decisi di accettare. 
E poi rimanere a casa da sola non era affatto una buona idea.
Continuai ad insaponarmi più energicamente, dovevo sbrigarmi o non sarei mai arrivata in tempo.

 
***

“Jake! Jake!”
Niente, non l’ascoltavo nemmeno. Mi muovevo come un pazzo per tutta la stanza buttando sul letto tutto quello che rimaneva dei miei vestiti. 
“Jacob ma che cosa stai facendo? Vuoi fermarti?”
Rachel cercava di bloccarmi le mani, le spalle ma io con movimenti repentini riuscivo a sviare i suoi tocchi, non volevo farle male.
“Jacob dannazione guardami negli occhi e spiegami cosa sta succedendo”.
Urlò talmente forte che dovetti fermare i movimenti frenetici del mio corpo. Rimasi inerme, immobile  davanti al letto a fissare il mio zaino mal ridotto.
“Che cosa è successo?”.
Una sua mano toccava delicatamente la mia spalla. Era davvero preoccupata per me, ma io continuavo a non rispondere.
“Jake, se non mi dici che cosa ti succede non posso aiutarti. E’ successo qualcosa ad Emma?”
Scossi meccanicamente la testa in senso di diniego.
“E allora non riesco proprio a capire…a meno che”.
Quella frase mi riscosse e la fissai negli occhi. Non sapevo neanche io che espressione avessi in quel momento, ma dalla faccia sconvolta di mia sorella, capì che non era niente di buono.
Si portò una mano alla bocca, sbalordita.
“No, non ci posso credere”.
Faceva anche fatica a parlare, dovette sedersi sul mio letto per non crollare sul pavimento. 
Io rimasi impassibile, ancora in piedi.
“No, non può essere”.
“Non lo so. Non ne sono sicuro.”
Rimasi allibito dalla mia stessa voce, era irriconoscibile. Dissi solo quello e cominciai a sistemare i miei vestiti dentro lo zaino con gesti meccanici.
“Jake…sembri sconvolto”.
Strinsi forte i pugni. Come voleva che mi sentissi? Sconvolto era un eufemismo.
“Certo che sono sconvolto. Tu come la prenderesti se dopo cinque mesi di inferno, scoprissi che la persona che hai amato con tutta l’anima e che ti ha ridotto il cuore in mille pezzi, fregandosene di te per inseguire l‘immortalità e sposare un vampiro, si scopra improvvisamente viva e umana?” 
Silenzio.
Io continuavo a fissarla con occhi sgranati, increduli. 
“La ami?”
“No.”
“Jake…”
Spostai lo sguardo verso la finestra incrociando le braccia.
“Ti ho detto la verità. Io amo Emma e nessun’altra. Ma devi capire che Bella è stata l’amore della mia vita ed è normale che io voglia scoprire se quelle immagini che ho visto nella mente di Embry siano vere oppure…oppure se le ho semplicemente immaginate.”
Era tutto vero, nelle mie parole non c’era l’ombra di una bugia, io dovevo scoprire la verità, dovevo farlo… non potevo vivere nel dubbio ancora per molto.  
“Allora vai… va a Forks, scopri la verità. E poi vai avanti con la tua vita”.
 Sciolsi le braccia e voltandomi verso di lei le sorrisi.
“Lo farò”.
“Cosa devo dire ad Emma?”.
 “Niente. Ci ho già pensato io, non preoccuparti. Mi raggiungerà fra due giorni”.
Non mi piaceva mentire, ben che meno alla donna che amavo. Ma proprio perché l’amavo non potevo permettere che sapesse il motivo di quel viaggio anticipato. Emma non doveva essere messa al corrente di tutto questo. Bella era il mio passato e tale doveva rimanere. 
“D’accordo. Se questa è la tua decisione non posso che appoggiarti fratellino.”  
Misi le ultime cose nello zaino e abbracciai mia sorella talmente forte da stritolarla quasi. 
“Grazie Rachel, di tutto.” Affondai il viso tra i suoi capelli chiudendo gli occhi.
“Abbi cura di te fratellino. Ti voglio bene” Mi diede un piccolo bacio in guancia e mi lasciò andare. 

 
***
 
“Finalmente!” 
“Lo so Angela scusami, ma il mio pick up non ne voleva sapere di mettersi in moto”.
E alla fine ero arrivata comunque in ritardo. Non mi smentivo mai. 
“Dovresti portarlo da un meccanico!” Sussultai, ma cercai con tutta me stessa di non darlo a vedere. L’unico meccanico da cui avrei voluto portare il mio pick up era sparito, fuggito via, lontano da me.
Scossi il capo cambiando subito argomento.
“C-certo… dai sbrighiamoci o qui chiudono i negozi”.
Non che me ne importasse qualcosa, ma di certo ero riuscita a sviare il discorso dal mio pick up.
Aprii leggermente le labbra in quello che doveva essere un sorriso, ma ne venne fuori una pessima smorfia. 
Angela però sembrò cascarci, perché mi acchiappò subito un braccio e cominciò a trascinarmi per il marciapiede urlando.
“Su sbrighiamoci, lo shopping aspetta!” Era del tutto fuori di testa! 
 
Passammo tutta la mattinata girando per vetrine e negozi senza fermarci un attimo.  Angela comprava qualunque tipo di vestito, maglietta, jeans le piacesse, non aveva freni, e trascinava anche me nelle sue follie obbligandomi a provare vestititi e minigonne decisamente non nel mio genere.
Ma stranamente mi divertii un sacco.
“Bella, sei magnifica, questo vestito ti sta divinamente” 
Effettivamente non potevo darle torto, mi stava davvero bene ed era anche l’unico a non essere assurdamente corto e orrendamente scollato. Era molto semplice: di colore blu scuro, aderente quanto bastava e lungo fino alle ginocchia. Le bretelle erano molto sottili e il decolté lasciava intravedere la linea del seno. Niente di eccessivo.
Sì, questo poteva andare bene.
“D’accordo allora lo compro!” Angela esplose letteralmente di gioia
“Finalmente! Almeno questo sono riuscita a fartelo comprare!”
Strinse le mie mani tra le sue e, non riuscendo a capire come,mi ritrovai a saltellare insieme a lei davanti al camerino mentre un mucchio di persone ci fissava divertita.
“Ok, ok sarà meglio che andiamo o mio padre mi ucciderà” le sorrisi e questa volta ero più che certa che ne venne fuori un vero sorriso e non la solita smorfia.
“Va bene!”
Pagai il vestito e dopo aver salutato la mia amica mi diressi verso il mio pick up: direzione casa.
 
Poggiai le buste nel salotto e andai spedita in cucina. 
Era già molto tardi e Charlie sarebbe arrivato a momenti. Quindi preparai velocemente il pranzo e dopo averlo sistemato nei piatti, presi le buste e mi catapultai in camera mia gettandomi sul letto. 
Ero sfinita. 
Non pensavo che fare shopping stancasse così tanto. 
Ma nonostante la stanchezza potevo dire con assoluta sincerità che mi ero divertita da matti, e questo grazie ad Angela. Stare con lei non poteva che farmi bene.
Mi scappò un sorriso. 
Girai di poco la testa e osservai la busta che avevo poggiato sulla sedia della mia scrivania. 
Li dentro c’era il vestito che avrei dovuto mettere quella sera alla festa… quella festa che avevo cercato di evitare in tutti i modi possibili, ma sapevo che andarci era la scelta giusta, dovevo affrontare le mie paure e soprattutto volevo rivedere la riserva, avevo bisogno di rivedere quel posto che per mesi era stata la mia seconda casa, il mio rifugio, il luogo dove dimenticavo tutti i miei problemi. 
“Bella sono a casa” Sussultai leggermente, ma quando capii che la voce era di mio padre accennai subito un sorriso urlando un“Scendo subito papà”. 
Mi avvicinai alla scrivania e tolsi il vestito dalla busta poggiandolo sul letto. Non volevo che si sgualcisse. 
Scesi in cucina e raggiunsi mio padre. 
 
“Bella volevo dirti che il volo è prenotato, partirò domani mattina per le Isole Fiji” 
“Wow papà ottima scelta”
“Sei sicura che posso lasciarti da sola, vero?” Era ancora preoccupato per me. Padri, tutti uguali!
“Papà sono grande e vaccinata ormai e fidati, posso rimanere a casa da sola per due settimana senza che mi succeda nulla! Rilassati e cerca di goderti la tua meritata vacanza!” Finalmente dal suo viso vidi spuntare un sorriso
“D’accordo, lo farò” e continuò a consumare il suo pranzo.
Ricominciai a mangiare anche io, ma non appena osservai l’orologio appeso al muro, entrai nel panico. Mancavano esattamente 5 ore alla festa… 5 ore. Chiusi gli occhi e respirai a fondo. Potevo farcela.
 



*Angolo ValeBlack:
Scusate il ritardo ma la scuola mi sta assorbendo completamente e non riesco ad essere puntuale come un tempo!!! Ma giuro che cercherò in tutti i modi di ritagliarmi degli spazi per poter scrivere! PS. questo capitolo non mi convince molto...l'ho letto e riletto un centinaio di volte ma proprio non vuole piacermi... ma più lo leggo e peggio è quindi ho deciso di postarlo ugualmente,potrei considerarlo uno di quei capitolo di passaggio dove non succede niente di particolare. Ma dal prossimo ne succederanno delle belle!
Comunque spero che questo capitolo possa piacervi più di quanto piaccia a me.

Detto questo passiamo ai ringraziamenti:
Come sempre non posso non ringraziare 
Jakefan per i suoi consigli e per il suo appoggio! Grazie infinitamente! PS. Spero che i miei commenti alla tua fanfiction ti arrivino perchè ho avuto dei problemi col pc!!

Un grande abbraccio a 
sarettapallina, MemiRock, _EleKtra_smile_ Grazie ragazze siete FANTASTICHE! Spero di non deludervi!

Vedo che c'è anche una nuova lettrice 
Nessie86! Grazie mille per i tuoi complimenti! Purtroppo non posso dirti granchè riguardante l'imprinting mi dispiace, l'unica cosa che posso dire e che io ODIO totalmente questa magia, ma era necessaria per la mia storia! Detto questo spero che continuerai a seguirmi e a commentare!! 

Un grosso ringraziamento va a 
marpy! Cucciola grazie infinitamente per le tue parole e perchè spendi quei pochi minuti del tuo tempo per commentare i miei capitoli! Grazie ancora.. spero di non deluderti! 

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Capitolo 15
*** LA FESTA (parte I) ***


CAPITOLO 15:
La festa (parte 1)

 
“Papà vado, sono già in ritardo”.
Scesi in fretta le scale e presi il cappotto nero dall’appendiabiti.
“D’accordo, mi raccomando guida con prud…” ma le parole gli morirono in bocca.
Mi voltai e lo vidi che mi fissava con occhi spalancati e le labbra semi aperte. Era scioccato, totalmente.
“Tesoro, sei…sei bellissima!” Certo, mio padre non era abituato a vedere sua figlia indossare un abito, tanto meno elegante. Ma non era niente di speciale, ero sempre me stessa, tranne per i capelli che adesso non erano più quell’ammasso informe di sempre ma cadevano lisci lungo la mia schiena. Avevo aggiunto anche un po’ di matita nera sugli occhi e del lucidalabbra color pesca… ma per il resto ero sempre io. 
“Papà non è niente… è solo un vestito!”
Ero decisamente in imbarazzo, non mi piaceva essere al centro dell’attenzione ed essere inondata di complimenti da chicchessia, anche se la persona in questione era mio padre. 
“Lo so, lo so… è che devo rendermi conto che ormai non sei più una bambina. Adesso sei diventata una donna, una splendida donna. Sai, fin da quando eri una bambina hai sempre avuto uno sguardo diverso dagli altri, era furbo, da adulta e credo che tua madre abbia ragione a dirti che in realtà sei sempre stata una ragazza matura e responsabile.” Mi sorrise dolcemente poggiando le mani sulle mie spalle. “Bella voglio che tu sappia che ti voglio bene e che io ci sarò sempre per te, sei l’unica persona importante della mia vita e ti prometto che farò di tutto per renderti felice e per non farti mancare nulla.” 
Rimasi di sasso. 
Charlie non era mai stato bravo con le parole, era sempre stato impacciato quando si trattava di esprimere i propri sentimenti, ma in quel momento aveva finalmente deciso di aprire il suo cuore.
“Oh papà”.
Mi buttai tra le sue braccia stringendolo forte a me. 
Mi aveva detto delle parole stupende ed io? Stavo zitta senza dire nulla. Ero un vero disastro.
“Mi mancherai in queste due settimane, lo sai vero?!” Scoppiò a ridere di gusto mentre mi fissava divertito.
“Certo, come no! Avrai un peso in meno! ” Lo strinsi ancora più forte.
“Papà tu non sei mai stato un peso per me” Lo rimproverai sorridendo.
“Adesso vai tesoro o farai tardi!” Accennai un si con la testa e indossai il cappotto.
“Fa buon viaggio papà e mi raccomando,chiamami quando arrivi!” 
“Lo farò! Divertiti tesoro, ci vediamo fra due settimane!”.
Gli schioccai un bacio in guancia e uscii di casa.
 
Mi sarebbe mancato davvero tanto in quelle settimane di assenza, ma non glielo avrei mai detto perché,conoscendolo,avrebbe annullato la vacanza seduta stante. 
Asciugai una lacrima sfuggita al mio controllo e sorridendo mi infilai dentro il mio pick up. Speravo solo che quella sera decidesse di collaborare e di non lasciarmi a piedi. 
Con quella piccola speranza,misi in moto e partii spedita verso La Push.
 
Dopo una quindicina di minuti riconobbi il sentiero che mi avrebbe condotta a First Beach. Ero ansiosa, le mani stavano cominciando a sudare e il cuore batteva all'impazzata. Ero tremendamente agitata, questo non potevo negarlo. Continuai a guidare fin quando intravidi da lontano delle sfumature di arancione e rosso che illuminavano il cielo. Non capivo cosa potesse essere ma appena mi avvicinai ancora di più capii che quelle “sfumature” non erano altro che due falò immensi disposti al centro esatto della spiaggia. 
Era davvero uno spettacolo magnifico.
Scesi dalla macchina togliendomi le scarpe e mi incamminai vero la folla.
 
La spiaggia era quasi irriconoscibile, avevano davvero pensato a tutto: ogni dieci metri circa erano disposti a cerchio degli enormi cuscini colorati dove dei ragazzi chiacchieravano animatamente sorseggiando birra e cocktail vari; un po’ più avanti, attorno ad un piccolo falò, tre ragazzi con la chitarra suonavano e cantavano probabilmente canzoni quileute, la melodia era molto orecchiabile e anche se non capivo un acca di quiete riuscivo a percepire la delicatezza di ogni singola parola che pronunciavano.
Continuai a camminare alla ricerca di Seth,ma niente, non lo vedevo da nessuna parte. Vagai ancora per alcuni minuti facendomi largo tra la folla quando una mano forte e bollente mi afferrò il polso. 
“Bella sei venuta!”
Non mi diede neanche il tempo di rispondere che con un movimento repentino mi voltò di scattò e mi abbracciò stretta a se.
“Già, eccomi qui!”.
Sorrisi e allontanandomi leggermente da lui lo osservai meglio. Era ancora più alto e se possibile ancora più muscoloso di come lo ricordavo. Indossava una felpa grigia attillata  e dei bermuda neri. Stava molto bene. I piedi erano nudi proprio come i miei e di tutti gli altri invitati
“Wow Bella, sei bellissima stasera”.
Mi guardò con aria divertita e meravigliata al tempo stesso.
“Grazie Seth, anche tu non sei male!”
Fece un piccolo giro su se stesso allargando le braccia.
“Lo so, che posso farci,sono uno schianto!” il modo buffo in cui lo disse mi fece ridacchiare. 
“Andiamo, raggiungiamo gli altri” 
“D’accordo” 
Mi prese la mano e mi trascinò esattamente fra i due grandi falò dove riuscii ad intravedere Sam ed Emily che chiacchieravano beatamente.
Erano molto eleganti anche loro. Sam indossava un paio di jeans scuro ed una camicia marrone leggermente sbottonata, Emily invece un semplicissimo vestito di seta bianca fino al ginocchio che metteva in risalto la sua splendida carnagione. 
Sussultai. Il magone che avevo in gola stava cominciando ad ingrandirsi sempre di più. Chiusi impercettibilmente gli occhi e respirando a fondo mi avvicinai a loro.
“Ragazzi guardate chi vi ho portato!” La coppia si voltò verso di noi. 
“Bella!”
Emily mi venne incontro abbracciandomi con entusiasmo.
“Sono felice di rivederti!”.
Spalancai gli occhi incredula. 
Come era possibile? Lei non mi odiava? Con impaccio alzai le braccia e la strinsi a mia volta. Forse nonostante tutto non avevo perso la sua stima ma per riconquistare la sua amicizia avrei dovuto lavorarci per bene. Con quella piccola speranza nel cuore, portai lo sguardo oltre la schiena di Emily dove trovai Sam che mi inchiodò con occhi impassibili, autoritari, quasi cattivi. 
Rabbrividii. 
Lui si che mi odiava. 
Abbassai lo sguardo sconfitta e delicatamente mi allontanai da Emily 
“Grazie, anche io sono felice di rivedervi”
Ed era vero, durante quei mesi avevo sentito parecchio la loro mancanza, mi era mancato il loro entusiasmo, il loro essere branco e famiglia al tempo stesso, insomma, tutto. Stare con loro mi faceva sentire bene, felice.
Persa tra i miei pensieri non mi accorsi che Sam si stava avvicinando sempre di più.
Io fissavo i suoi movimenti perplessa. Che volesse urlarmi contro? Che sciocchezza, non lo farebbe mai, o almeno non davanti a tutta quella gente. Ma sapevo che le urla non bastavano di certo, per come mi ero comportata mi sarei meritata di peggio. Molto peggio. 
Basta pensarci.
Quando Sam fu abbastanza vicino, fece qualcosa che non mi sarei mai aspettata: alzò un braccio e tese la mano sinistra verso di me“Bentornata Bella“. 
Rimasi immobile, completamene sbalordita. 
Ero convinta che non mi volesse tra i piedi, che dopo lo sguardo crudele che mi lanciò pochi istanti prima volesse dirmi che non ero la benvenuta nel loro territorio,che mi odiava, che mi detestava. Ma quel suo “bentornata” mi faceva ben sperare.
Il mio sguardo incredulo scese verso la sua mano che aspettava una mia stretta, un ringraziamento per le sue parole, così,dopo qualche secondo di smarrimento, alzai il braccio e strinsi la sua mano infuocata. 
“Grazie Sam” Lo guardai con riconoscenza accennando un timido sorriso e lui rispose al mio gesto con un piccolo cenno del capo. 
 
“Sam ma dove sono gli altri?” Alla domanda improvvisa di Seth, Sam abbandonò la sua espressione seria e con una sonora risata disse
“Sono andati laggiù a scatenarsi!” E indicò un gruppo di ragazzi a qualche metro di distanza da noi. 
Guardai meglio e li vidi. Alti com’erano li avrei riconosciuti ovunque.
Quil, Jared, Embry e Paul ballavano con energia e non smettevano un attimo di ridere insieme ad altri ragazzi. Erano fantastici, anche da quella distanza si riusciva a percepire tutto il loro calore, la loro vivacità e la loro voglia di vivere. Sorrisi di gusto e finalmente mi lasciai andare non appena Seth mi prese per mano e mi trascinò verso di loro “Andiamo Bella!” Tolsi il cappotto poggiandolo su uno degli enormi cuscini e mi lasciai trascinare verso la pista da ballo fatta in legno. 
“Guarda chi c’è! Bella!” Quil, Jared mi osservavano increduli. 
“Salve ragazzi” Li salutai con un cenno della mano. 
“Wow, sei un incanto!”  
“Grazie Quil!” Gli sorrisi imbarazzata e lo osservai per bene: Non era cambiato per niente, muscoloso come sempre e con soltanto dei jeans addosso.
“Lo so a cosa stai pensando: Quil ma dove è finita la tua maglietta?Ebbene si ho caldo. Quindi l’ho messa via, mi era di impaccio!”
“Non dargli retta Bella, vuole solamente farsi notare dalle ragazze!”
Quil colpì la schiena di Jared talmente forte da farlo tossire rumorosamente.
“Sta zitto guastafeste!” Erano davvero uno spasso.
“Bella, lascia stare questi due cretini! Balliamo!” Seth mi prese per mano e stringendomi a se cominciò a farmi volteggiare senza sosta
“Seth mi gira la testa!” Ridevo, ridevo come una pazza e dopo neanche qualche secondo, Quil e Jared si unirono a noi cominciando a ballare con delle espressioni e dei movimenti buffissimi provocandomi una risata ancora più isterica.
Mi stavo divertendo, finalmente dopo 5 mesi potevo dire che Isabella Swan stava ricominciando a ridere.
 
Ma quando voltai la testa verso il tavolo delle bibite, smisi immediatamente di ballare. 
Due ragazzi mastodontici dalla pelle bronzea mi stavano fissando  con prepotenza: Paul ed Embry. 
Sussultai. 
Nei loro occhi c’era disprezzo, rabbia, odio puro nei miei confronti, verso colei che aveva causato la fuga del loro migliore amico, del vero capo Alpha. 
Io li guardavo con occhi colpevoli, immobile.
Mi sentivo un verme, un’intrusa che non aveva alcun diritto di stare li, che non aveva il diritto di divertirsi, di ridere, di vivere. 
Ed era così, io non meritavo niente, niente.
Cominciai a sentire gli occhi pizzicare e la gola stringersi sempre di più. Mi voltai di scatto verso Seth e fermai il suo volteggiare per ottenere la sua attenzione.
“S-seth, ho bisogno di una pausa, vado un attimo a sedermi” 
“D’accordo Bella, vuoi che ti accompagni?”
“No,grazie. Tu continua a divertirti”
“Sei sicura?”
“Si, non preoccuparti” Mi spostai da lui e cercai di scendere dalla pista, ma non era per niente facile: c’era troppa gente, troppa confusione e il fatto che i miei occhi si stessero inumidendo non aiutava di certo. Spinsi con forza tutte le persone che mi erano di intralcio per potermi procurare un varco e scappare lontano da tutti.
 
Dovevo andare via, lontano da tutti. 
Non potevo permettere che loro mi vedessero piangere per qualcosa che io, soltanto io, avevo causato. 
Ancora infastidita da tutta quella confusione, presi il maglioncino bianco dalla mia borsa e mi diressi il più vicino possibile alla battigia, lontano dagli sguardi accusatori di Paul ed Embry. 
 
Mentre mi allontanavo, la musica, le risate e le urla dei ragazzi andavano a scemare sempre di più fino a diventare un fastidiosissimo sottofondo di sussurri.  
Non ci badai e continuai a camminare.
Mi fermai a pochi centimetri dall’oceano e osservai il cielo.
Rimasi estasiata, totalmente incantata: la luna quella sera era un cerchio perfetto, talmente grande e maestosa da illuminare tutto ciò che avevo intorno. Le nuvole avevano deciso di abbandonare il cielo per lasciare il palcoscenico alla vera protagonista di quello spettacolo magnifico che era la natura. 
Incrociai le braccia e cinsi il mio corpo carezzandolo delicatamente per proteggermi dal freddo, che nonostante il maglioncino cominciava a farsi sentire penetrando la stoffa dei miei vestiti. 
Chiusi gli occhi e lasciai che la brezza marina accarezzasse lievemente il mio viso. 
 
Chissà dove sarai in questo momento, chissà se senti la mia mancanza, se mi ami ancora…vorrei averti qui, adesso, e poterti dire tutto quello che il mio cuore urla a gran voce da quando te ne sei andato. Vorrei poterti abbracciare e dirti che sono stata una stupida a lasciarti andare senza muovere un muscolo.Vorrei dirti che l’unica cosa veramente importante è averti al mio fianco e poterti abbracciare come un tempo, sentire il tuo calore, il tuo cuore che stuzzicava il mio in una danza conosciuta solo alle nostre anime. Vorrei…vorrei…
 
Ma non riuscii a pensare ad altro perché delle piccole lacrime cominciano a scendere prepotenti lungo le mie guancie bagnando totalmente il mio viso.
Trovarmi li, nella nostra spiaggia, senza di lui, era una coltellata in pieno petto e mi faceva sentire vuota, sola,spenta. Avevo bisogno del mio sole, della mia ancora, del mio porto sicuro, del mio migliore amico, per riuscire a vivere di nuovo. 
Volevo vivere insieme a lui, solo con lui.
Cominciai a singhiozzare senza ritegno portandomi le mani sul volto.
Sapevo che sarei scoppiata prima o poi, e sapevo anche che sarebbe successo li, in quel luogo ormai saturo di lui, pieno di ricordi, di gesti, di parole, di abbracci, di carezze. Pieno di noi.
Caddi con le ginocchia sulla sabbia, rassegnata e in lacrime.
 
 
 
***

 
Correvo, correvo come un pazzo. Il tempo scorreva veloce scandendo il ritmo della mia corsa e dei miei muscoli che si muovevano in sincronia perfetta. Correvo, correvo come un fulmine scansando alberi, rocce, cespugli, che di sicuro non bastavano per fermare la mia corsa scatenata.
Aumentai l’andatura non appena percepii l’odore della mia riserva, della mia gente, della mia terra. Stavo per arrivare, ero vicino, molto vicino.
Dovevo arrivare il prima possibile, dovevo sapere, dovevo vedere, dovevo…
 
Tu-tum, tu-tum, tu-tum. 
 
Un rumore… il battito di un cuore... 
 
Tu-tum, tu-tum, tu-tum.
 
Ma che diavolo…
Fermai di botto la mia folle corsa piantando con forza le zampe anteriori sul terreno. 
Drizzai le orecchie per sentire meglio: no,non potevo sbagliarmi, era il battito cardiaco di un cuore. Ma non un cuore qualsiasi… era un cuore che chiedeva aiuto, un cuore che non la smetteva di lamentarsi, che piangeva, che gemeva senza ritegno.
E come in risposta a quel battito impazzito ecco che anche il mio cuore cominciò a farsi sentire potente e violento come una sorta di botta e risposta. 
Mi ritrovai in ginocchio, con le braccia stese lungo il corpo, la testa inclinata di lato e lo sguardo incredulo puntato sul terreno:senza averlo ordinato al mio corpo, ero tornato umano. 
Sentivo ancora quel cuore, quel battito accelerare sempre di più e insieme a lui anche il mio. 
Portai le mani a sorreggermi la testa per evitare che scoppiasse: quel martellare incessante pulsava dentro le mie orecchie, nel mio cervello e mi impediva di pensare ad altro se non a lei.
Ma non poteva essere il Suo… no no non può essere… probabilmente sarà il cuore di qualcun altro, di una qualsiasi altra persona che si trovava da quelle parti, forse…
Ma chi volevo prendere in giro? 
Sapevo a chi apparteneva... Lo sapevo perché lo percepivo… era chiaro come il sole. 
Con estrema lentezza mi alzai in piedi cercando di ricompormi.
Dovevo sbrigarmi, dovevo…dovevo raggiungerla.
Infilai i miei bermuda di jeans, ormai lacerati, e comincia a correre, a correre come non avevo mai osato fare da umano: verso Lei, verso la donna che aveva distrutto la mia anima e il mio cuore, verso il mio passato.  
Perché sapevo che era lei, ormai non avevo più dubbi. 
Ma fino a quando non l’avessi vista con i miei occhi, non avrei creduto a niente, neanche al mio super udito. 
 
 
 
* Angolo ValeBlack:
Ci siamo... l'incontro tanto atteso fra Bella e Jacob sta per arrivare! Ma dovrete aspettare la seconda parte del capitolo per poterlo leggere!!!! 
Lo so, vi sto facendo aspettare parecchio ma mi piace la suspance!!!xD Non odiatemi!!! 
Sono felice che vi sia piaciuto il mio precedente capitolo "di passaggio", e spero che anche questo possa piacervi!!!

RINGRAZIAMENTI:
Vi ringrazio TUTTE, infinitamente!Siete la mia ispirazione, siete quel qualcosa che mi da la spinta per poter continuare questa storia, perchè senza di voi non avrei motivo di andare avanti e scrivere un capitolo giorno dopo giorno! Quindi GRAZIE Jakefan, MemiRock, EleKtra_smile_, Marpy e sarettapallina, Grazie di cuore!!!!!
Al prossimo capitolo! *_____* un  bacio a tutte!!! 

Grazie anche a tutte le lettrici silenziose!!! 

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Capitolo 16
*** LA FESTA (parte II) ***


Eccomi!! Adesso penso che l'agonia debba finire, perciò pubblico la seconda parte del capitolo! Ho cercato di immedesimarmi il più possibile in Jacob e di descrivere nel migliore dei modi i suoi stati d'animo, i suoi sentimenti, insomma tutto! Non so dirvi con esattezza se sia venuto esattamente come l'avevo immaginato, ma posso garantirvi che ce l'ho messa tutta... è uno dei capitoli più importanti della mia storia perciò ci tengo particolarmente, anche se la ff è ancora all'inizio e ce ne saranno di capitoli importanti! va bene, sto divagando, vi lascio alla lettura! Spero che vi piaccia!!


La festa (parte II)


 
 
Continuai a correre senza sosta, mentre i miei piedi ormai nudi calpestavano terra bagnata, arbusti, probabilmente anche delle schegge perché ad ogni falcata sentivo dei leggeri pizzichi sotto ai piedi, ma non me ne fregava un accidente mi davano una ragione in più per correre ancora più veloce di prima. La mia pelle nuda andava a scontrarsi contro cortecce di albero, foglie taglienti, rocce affilate. Ma non sentivo niente, né dolore, né fastidio, perchè la mia mente, il mio corpo, avevano spazio solo per contenere il martellare incessante di quel cuore, di quel dannato cuore che non ne voleva sapere di lasciarmi in pace.  
 
Arrivai a First Beach senza neanche accorgermene.
Ero sfinito, respiravo a fatica, sentivo la gola secca e asciutta mentre la mia gabbia toracica si alzava e si abbassava con movimenti bruschi e irregolari. I miei polmoni parevano impazziti. 
 
Quel cuore era vicino, tremendamente vicino. 
 
Portai lo sguardo dinanzi a me e rimasi letteralmente pietrificato. Lo zaino che avevo in spalla scivolò lentamente lungo il mio braccio per poi cadere accanto ai miei piedi senza fare alcun rumore. 
Rimasi li, immobile come una statua, a fissare quella ragazza, quella giovane donna che adesso giaceva a terra con le ginocchia sulla sabbia mentre piangeva disperata. 
 
Piangeva…lei stava…piangendo. 
 
Il mio cuore perse un battito.
Continuai a fissarla per dei minuti interminabili, non riuscivo a muovere neanche un muscolo. Avrei voluto correre da lei, consolarla, toccarla… ma niente, ero come paralizzato.
Dopo tutti quei mesi, dopo tutta la sofferenza che mi aveva inflitto, dopo tutte le notti passate a disperarmi per lei immaginandola fredda e immortale, adesso scopro che in realtà lei non aveva mai rinunciato alla sua umanità, che era rimasta ciò che era, ciò che avrebbe dovuto essere: semplicemente un essere umano. 
I miei occhi erano sempre più increduli, li sentivo quasi pizzicare ma non avrei mai permesso ad una singola lacrima di uscire fuori, nè tanto meno avrei permesso che lei mi vedesse piangere. Ne avevo abbastanza di soffrire, di essere l’eterno secondo, il perdente della situazione. Non l’avrei permesso perché adesso avevo una vita meravigliosa che aspettava solo di essere vissuta insieme alla donna che amavo, insieme al mio imprinting. 
Ma nonostante quella convinzione, io sentivo, percepivo ancora quella dannata “scheggia“, quella piccola, minuscola parte del mio cuore che si stava prendendo la sua rivincita e stava esultando, stava gioendo come mai prima d’ora per la persona che un tempo avevo amato con tutta l’anima, con tutto me stesso, ottenendo nient’altro che porte in faccia.
Strinsi forte i pugni fino a farmi un male cane ma non ci badai, non me ne fregava niente. 
Ormai quello era il mio passato e tale sarebbe rimasto.
“J-jake” 
Aprii gli occhi all’istante. Fu un semplicissimo e banalissimo sussurro ma per il mio cuore fu il colpo di grazia.
Adesso la vedevo, potevo vederla con i mie occhi.
Lei mi guardava incredula, esterrefatta, mentre delle piccole lacrime continuavano a scendere lungo il suo viso di pesca. 
Ma sapevo per certo che non erano lacrime di dolore, no, erano lacrime di gioia. 
La sentii ridere e piangere al tempo stesso mentre il suo cuore, quel cuore che mi aveva perseguitato durante tutto il mio tragitto, cominciò a batteva veloce come le ali di un colibrì.  
Io seguivo ogni suo movimento, ogni suo gesto, ogni suo respiro. 
Era bella da togliere il fiato. 
E più si avvicinava a me, più sentivo un male fisico, un dolore che mi lacerava il petto, come se mille lame appuntite si stessero divertendo a torturare il mio cuore. 
I suoi occhi erano fissi nei miei, li cercava, li pretendeva e li avrebbe sempre trovati, non avrei mai potuto negarglielo.
Non smettevamo di guardarci neanche per un secondo, come se le nostre vite dipendessero solo da questo, dai nostri sguardi e da nient’altro.
Avevo ancora gli occhi sgranati, i muscoli delle braccia contratti, le mani strette a pugno e le labbra serrate, non riuscivo a fare il ben che minimo movimento. 
Lei mi divorava con lo sguardo, con quegli occhi di cioccolato che quella sera brillavano come due stelle e non somigliavano affatto a quelli rossi e famelici che avevo immaginato durante quei mesi di assenza…no…erano i suoi occhi, quelli che un tempo avevo amato con tutto me stesso.
“Jacob!”
Un urlo di gioia uscì dalle sue labbra mentre mi correva incontro inciampando su ogni passo che faceva.
Era così piccola, così indifesa, così magnificamente umana.
Con un piccolo salto si lanciò sul mio torace stringendomi il collo con le sue esili braccia. 
“Sei qui” Sussurrò.
Il suo naso sfregava delicatamente contro la mia clavicola per poi poggiare il mento sulla mia spalla.
La sentì sorridere.
 
Dio che sensazione magnifica. 
 
Averla di nuovo tra le mie braccia,sentire il contatto con la sua pelle fresca, percepire il suo odore di fragola mi fece tornare indietro nel tempo, quando la vita era più facile, quando non c’erano magie di mezzo, quando tutto era semplicemente normale. 
 
Il mio cuore martellava impazzito in sincronia perfetta col suo.
 
Lentamente alzai le braccia per poterle cingere la vita e stringerla, se possibile, ancora di più a me. Volevo sentirla, avevo bisogno di prolungare quel momento il più a lungo possibile. 
Non riuscivo a dire neanche una parola, ero troppo sbalordito per spiccicare una sola sillaba, così poggiai semplicemente il mento sulla sua spalla beandomi del suo dolce profumo. 
Ma era sbagliato, terribilmente sbagliato.
“Mi sei mancato da morire.”
Sentivo il suo fiato sul collo, la sua voce sensuale infrangersi sulla mia pelle bollente. 
Le sue mani si spostarono sulle mie spalle mentre con i pollici accarezzava dolcemente le giunture del mio collo.
Sussultai.
Spostai il mio viso dalla sua spalla quanto bastava per poterla guardare negli occhi. 
Ma quello che vidi mi sconvolse totalmente. I suoi occhi emanavano una luce diversa, mai vista prima. Non mi aveva mai guardato in quel modo, quello sguardo lo aveva sempre e solo riservato al suo succhiasangue.
“Mi sei mancata anche tu” Lo dissi così, di impulso. 
La mia voce era più roca e profonda del solito. Ero come incantato da lei, dai suoi occhi, dal suo modo di guardarmi che avrebbe fatto sciogliere chiunque.
Con gli occhi ancora incollati ai suoi cominciai ad accarezzarle la guancia destra con delicatezza, come se fosse l’oggetto più prezioso, la perla più rara, il gioiello più luminoso. A quel contatto la sentii sospirare. 
Ma che stavo facendo? Dovevo smettila immediatamente finchè ero in tempo.
Ma non ce la facevo, avevo perso del tutto le mie capacità di intendere e di volere, non capivo più niente, non sapevo chi fossi, da dove venissi. In quel momento non ricordavo neanche il mio nome.
“C-come è possibile?” Non sapevo neanche se quello che avevo detto aveva un senso o meno, ma dal suo sorriso capii che aveva intuito cosa le stessi chiedendo, cosa volessi sapere.
“Perché avevi ragione tu, l’hai sempre avuta”.
Mi sorrise. La sua voce era spezzata dal pianto, ma nonostante questo riuscii a percepire il suo imbarazzo.
Aggrottai le sopracciglia. In cosa avevo ragione?
“Bella, non capisco”.  
Nonostante il buio potevo intravedere un leggero rossore spuntare sulle sue guancie. Lei abbassò di colpo il capo fissando il mio petto. Non aveva il coraggio di guardarmi negli occhi.
“T-ti ricordi quando, quando mi ripetevi fino allo sfinimento che eri tu quello che amavo davvero e che scegliendoti avrei fatto la scelta più giusta?”
Accennai un sì con la testa. Certo che lo ricordavo, ricordavo tutto. 
“Beh..avevi ragione”. 
Cosa? Che cosa? 
Con entrambe le mani le afferrai le spalle allontanandola da me.
Lei mi guardò incredula, non si aspettava di certo quel gesto da parte mia.
“Che cosa stai cercando di dirmi?” Stavo cominciando a perdere la pazienza. 
Ma lei non parlava, continuava a fissare con insistenza i suoi piedi.
Con un dito le alzai dolcemente il mento per costringerla a guardarmi negli occhi.
“Bella” La incoraggiai con un piccolo cenno del capo. Ma niente, non apriva bocca. I suoi occhi diventarono ancora più lucidi di prima. 
“Bella, per favore…”
Perché non parlava maledizione? Avevo bisogno di sapere, di capire. 
Seguii il suo sguardo abbassando il viso verso il suo. Era sempre la stessa, non era cambiata per niente. Quando nascondeva qualcosa, o semplicemente quando mi voleva tenere sulle spine, non mi guardava mai negli occhi, come se avesse paura che con un solo sguardo riuscissi a leggerle dentro e a capire perfettamente cosa le passasse per la testa. E forse non aveva tutti i torti. Ma quella sera non potevo tollerare questi giochetti, non dopo tre anni ininterrotti di pura agonia. 
“Io avevo scelto te, ho scelto te.”
Lo disse così, di getto, cogliendomi totalmente di sorpresa. 
Fu un attimo, ma sentii come se il mondo mi fosse crollato addosso, come se un immenso macigno mi avesse schiacciato senza pietà impedendomi di respirare. 
Cominciai a vedere nero, buio totale. 
“Cosa?”.
Sentivo la rabbia aumentare sempre di più e insieme ad essa il dolore all’addome che si faceva sempre più insistente. Cominciai a tremare.
“Jake ma che ti prende?”.
Era spaventata…ero io a spaventarla. 
I suoi occhi non smettevano un attimo di guardami increduli, esterrefatti, delusi. 
Tolsi subito le mani dalle sue spalle.
“Che mi prende? E hai anche il coraggio di chiedermelo? Secondo te come dovrei reagire a una notizia del genere? Ma perché solo adesso, perché non prima?”
Urlavo, urlavo come un folle.
Stavo di certo vivendo un incubo, non poteva essere la realtà.
“Davvero pensi che l’abbia capito solo adesso?"
Stava urlando anche lei.
“Io lo so dal giorno delle mie nozze, da quando sono scappata dal mio matrimonio per venirti a cercare e dirti che finalmente avevo scelto te, che volevo stare con te. Ma quando sono andata a casa tua, tuo padre mi ha detto che eri andato via e che probabilmente non saresti più tornato! Hai una vaga idea di come mi sono sentita quando l’ho scoperto? No, non ce l’hai! So di aver fatto degli errori, so di essere una stupida, di essere testarda, di averti fatto soffrire, ma questo è ciò che sento e tu non puoi farci niente” 
No…non è possibile.
Lei era venuta alla riserva… era venuta per dirmi che ero io la sua scelta… 
“Ormai è tardi”.
Lo dissi più a me stesso che a lei, ma penso che avesse sentito ugualmente perché mi guardò con sguardo confuso e interrogativo.
“Che vuoi dire?” Era terrorizzata, non l’avevo mai vista con quell’espressione sul volto. Era come se temesse qualcosa, come se avesse paura di ciò che stessi per dirle. 
Ma non mi importava.
Avevo una voglia matta di farle del male, di causarle dolore, di farle sentire almeno una piccola percentuale della sofferenza che lei aveva causato a me in tutti quegli anni. 
Non mi riconoscevo più, non ero mai stato un ragazzo del genere, ma in quel momento era più forte di me, non riuscivo proprio a non provare piacere per il dolore che le leggevo negli occhi. 
Stavo per risponderle a tono ma qualcuno decise di disturbarci.
“Bella, Bella dove sei?”
La voce di Seth tuonava prepotente nelle mie orecchie e rimbombava nel mio cervello facendo aumentare la mia collera. 
Perché la stava cercando? Era uscita con lui? 
Ma che ti importa idiota? E’ la sua vita e può uscire con chi le pare. Idiota era un vero eufemismo. Sorrisi di me stesso, un sorriso amaro, un sorriso da pazzo.
Bella rimase immobile, aspettava una mia risposta, una risposta che non avrebbe ottenuto, almeno non quella sera. 
“Va da lui, non farlo aspettare”. Ero velenoso, perfido, orribile. 
Lei girò la testa lentamente verso la voce di Seth che continuava a ripetere il suo nome, ma poi piantò i suoi occhi di cioccolata nei miei. 
“Non andartene.. No-noi dobbiamo parlare” Stava per afferrarmi il braccio destro ma con un movimento brusco deviai la sua mano. 
Non volevo che mi toccasse, non l’avrei sopportato.
“Vai adesso” Ero arrabbiato, furioso e se fossi rimasto ancora il mio corpo sarebbe esploso all’istante.
“Non ti riconosco più, questo non sei tu” Piangeva senza sosta mentre i suoi occhi mi fissavano delusi e amareggiati.
Ecco, l’hai fatta piangere, sei contento adesso?
Si, ne ero estremamente soddisfatto. 
“No Bella, finalmente sono me stesso” La guardai per l’ultima volta e iniziai a correre il più lontano possibile da lei e dai miei dannati sentimenti.
 
Tremavo, tremavo come un folle, ma non mi trasformai. 
Poggiai i palmi delle mie mani sulla corteccia ruvida di un albero e lasciai che la mia fronte si adagiasse su di esso. 
Come aveva potuto dirmi quelle cose solo adesso? Perché non aveva fatto questa scelta prima di accettare la proposta di matrimonio di quel parassita? Perché? Perché non mi ha scelto quando tutto era normale?
Lei è sempre stata cieca, non voleva vedere, non voleva accettare quello che il suo cuore le urlava a squarcia gola da anni ormai… e io lo sapevo bene, l’avevo sempre saputo.La sua anima non aveva segreti per me, la conoscevo più di quanto conoscessi me stesso. 
 
“Io avevo scelto te, ho scelto te."
 
Non riuscivo ancora crederci… lei aveva scelto me, aveva deciso di stare con me… e io? Io ero fuggito via, scappando da lei e dal dolore che mi aveva causato. 
Ma se avessi aspettato un solo giorno, una sola ora, un solo minuto, forse adesso io e lei…
NO, BASTA! 
Strinsi le dita tra i miei capelli e in un impeto d’ira spezzai a metà l’albero di fronte me con un gancio sinistro.
Avevo una voglia pazza di piangere, di urlare fino a distruggere le corde vocali, ma non lo feci, rinchiusi tutto in una scatola e la conservai nel cassetto della mia anima. 
Perché tutti quei sentimenti non erano normali, non avrei mai dovuto provarli. Se lei era davvero il passato e nient’altro allora perché diavolo mi sentivo così? Perché? 
Era come se fossi spezzato in due: da una parte c’era l’imprinting, la magia più potente della nostra tribù che non lasciava scampo e che tracciava il tuo destino senza possibilità di scelta e dall’altra c’era quella “scheggia“, quella piccola parte del mio cuore, del mio essere, che si faceva sentire sempre più forte, sempre più potente, quella parte che continuava ad amare il passato e non avrebbe smesso di farlo.
Ma che cazzo c’era di sbagliato in me?
Alzai gli occhi al cielo disperato. 
Avevo bisogno di risposte, di certezze… avevo bisogno di Emma.
Perché quando stavo con Bella tornavo ad essere il ragazzino impulsivo e incosciente di sempre, imprinting o non imprinting. Lo stesso Jacob che si lasciava trasportare dalle emozioni senza mai pensare alle conseguenze. 
Ed era esattamente ciò che era successo con Bella pochi minuti prima:
mi ero arrabbiato con lei, l’avevo trattata malissimo e per cosa?
Per qualcosa che entrambi avevamo causato, per qualcosa che ci avrebbe distrutti a vicenda.
Quello non ero io. 
Non avevo la minima intenzione di farla soffrire, non avrei mai potuto sopportarlo, eppure l‘avevo fatto, ero la causa delle sue lacrime, del suo cuore ferito che si ribellava alle mie parole martellando all‘impazzata, la causa del suo dolore… tutto, percepivo tutto di lei, anche le più piccole sfumature.
Ma non potevo farne a meno, era più forte di me. 
 
Ti dirò tutto, ti racconterò di Emma, dell’imprinting e dopo metterò finalmente la parola fine alla nostra “storia, te lo prometto. Perché sono determinato ad essere felice, felice con Emma e ricominciare la mia vita da zero…ma senza di te. 
L’hai voluto tu Bella… e adesso dovrai fare i conti con le conseguenze delle tue stupide scelte. 




*Angolo ValeBlack:

MemiRock: Tadaaaan ho postato!!! Spero vivamente che possa piacerti questo capitolo! *__*Grazie grazie grazie, di tutto!!!*__*
Jakefan: Ciaaaao! Spero di non averti delusa con questo capitolo e come vedi Jacob non è caduto ai suoi piedi come una pera cotta, Bella ne avrà di gatte da pelare!!! Sono contenta di averti fatto riprovare determinate sensazioni ed emozioni. Penso che questo sia la cosa più importante, trasmettere qualcosa ai propri lettori! 
E' vero, da quando mi hai fatto notare alcuni errori, cerco di stare molto più attenta! Grazie per i tuoi complimenti e soprattutto perchè continui a seguirmi!Un bacione!!*__*

Katia24: Tesoro mioooo, anche tu qui?? Certo che ti perdono!xD E come vedi ci tengo alla tua vita e infatti ho postato!!xD Un bacio cucciolotta!
sarettapallina: Grazie grazie mille per le tue bellissime parole, non so che dire, davvero! Adoro questa coppia e scrivendo questa storia ho voluto in un certo senso ribellarmi a Braking Dawn, non mi è mai andato giù quel libro, anzi, lo odio proprio! Spero che questo capitolo di piaccia! Un bacio*___*
_EleKtra_smile_:  Saaalve! Finalmente ho postato! Devo dire che non vedevo l'ora di pubblicarlo! Spero di aver messo fine alla tua agonia e soprattutto che questo capitolo possa piacerti! Grazie per tutto, davvero! Un bacione!
marpy:Ahahah, lo so, lo so, ma che ci posso fare? Adoro la suspance!! Si è vero, il Pov Jacob dello scorso capitolo ero corto e "veloce" ma era esattamente la sensazione che volevo trasmettere, questa sua ansia di voler arrivare il prima possibile, perchè vuole vedere con i suoi occhi se Bella è ancora viva o no! 
Hai ragione, ci sono tante lupette del JBE in giro! xD xD xD Meglio no??!!! *__* Un bacio cucciola!! 

Kiaretta 2496: Ma ciaaao! sai che mi sei mancata?? xD Sono contenta che ti siano piaciuti anche gli scorsi capitoli e non ti preoccupare se non sei riuscita a postarli tutti, io non mi offendo, anche perchè li fuori c'è una vita da vivere e internet avvolte può anche fare i capricci, succede!!Spero che il capitolo ti piaccia!! xD Baciii

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Capitolo 17
*** LA FESTA (parte III) ***



La festa( parte III)


 
Con lo sguardo seguivo inerme il movimento fulmineo del suo corpo che si allontanava da me, che correva lontano dalla sua fonte di sofferenza, da colei che l'aveva ferito a morte. 
Continuavo a guardare un punto indefinito oltre le tenebre, oltre quella fitta oscurità dentro la quale era sparito, divorato dal buio. Non sapevo neanche io come fossi riuscita a sollevare la mia mano, ma quel gesto era l’unica cosa che potesse permettermi di fermarlo, di costringerlo a non andare via e impedirgli di scappare, afferrargli un lembo di pelle per tenerlo con me. Ma lui con un gesto brusco del corpo era riuscito ad evitare quel contatto, era riuscito a ferirmi più di quanto non lo fossi già. Non voleva che lo toccassi, non voleva neanche avermi accanto. 
Il mio braccio rimase sospeso per aria nella vana speranza di rivederlo tornare e poterlo abbracciare ancora, tenerlo stretto a me e poter sentire nuovamente il suo calore.
Ma aspettai inutilmente, perché sapevo per certo che non sarebbe tornato, almeno non quella sera.
Ma il mio cuore continuava imperterrito a battere impazzito. Non riuscivo ancora a crederci, pensavo fosse un sogno dal quale mi sarei svegliata con un enorme groppo in gola, ma i miei sentimenti misti di gioia e dolore erano talmente forti che era impossibile anche solo pensare che stessi semplicemente sognando.
 
Rivederlo fu un totale colpo al cuore per me.
 
Non c’erano parole per poter spiegare, per poter descrivere il turbine di sensazioni che provai nell’istante in cui i nostri occhi si incrociarono per la prima volta dopo tanto, troppo tempo.
Mi fissava incredulo, confuso, sbalordito, dentro il suo sguardo potevo leggere tutta la sofferenza che gli avevo causato, tutto il dolore che avevo fatto nascere dentro di lui senza alcuna pietà.
Ma per quanto non avessi il ben che minimo diritto di appropriarmi in quel modo dei suoi occhi, non riuscivo a smettere di fissarlo, di osservarlo, e il modo in cui lo facevo era vergognoso, ma non potevo impedirmelo.
Mi tremavano le ginocchia, non riuscivo neanche a reggermi in piedi. 
Non mi aveva mai fatto quell’effetto prima di allora. Eppure era sempre Jacob, era sempre il mio sole, era sempre lui. Avevo passato l’ultimo anno della mia vita a negare i sentimenti che provavo nei suoi confronti, a negarmi la gioia di poter vivere una vita tranquilla e normale al suo fianco. 
Stupida ragazzina in preda a delle illusioni fiabesche senza senso.
Mi sarei presa a schiaffi per non essermi accorta prima di quanto avessi bisogno di lui, di quanto avessi bisogno della sua presenza per poter andare avanti, perché lo amavo da impazzire e più mi guardava in quel modo, più il sentimento cresceva a dismisura. 
 
Rimasi imbambolata ad osservarlo senza dire una parola:
più bello di un tramonto d’estate, più spettacolare di un cielo stellato, più stupefacente di qualsiasi altro essere esistente su questo pianeta… non esistevano aggettivi per descriverlo in maniera appropriata. 
 
Era di una bellezza devastante.
 
I capelli corti e ribelli, la fronte contratta per lo stupore, gli occhi increduli,le labbra carnose leggermente socchiuse, le sue possenti braccia stese lungo il corpo erano tese come corde di violino, il suo petto nudo e bronzeo, i suoi bermuda di jeans strappati, le sue gambe lunghe erano un fascio di nervi e muscoli.
Non mi ero mai resa conto di quanto potesse essere perfetto nella sua imperfezione da essere umano. Sì, umano, perché nonostante si trasformasse in un lupo rossiccio, io lo consideravo umano al cento per cento, un ragazzo che era capace di farmi vivere, di rendermi una persona migliore.
Ed io? Io volevo fuggire da quel paradiso, da quella promessa di felicità che sapevo mi avrebbe regalato ma che stupidamente volevo scacciare via per poter fuggire a gambe levate inseguendo qualcosa di nocivo, una droga che mi avrebbe condotta solo alla morte.
Continuavo a guardarlo estasiata e più lo facevo più mi rendevo conto di quanto fosse perfetto, perfetto per me. 
Ero convinta che la perfezione avesse un solo nome, ma mi sbagliavo di grosso. Evidente sintomo di una ragazza che non voleva vivere nel mondo reale, che non voleva vedere quello che aveva attorno, che non riusciva ad apprezzare ciò che la vita le aveva donato. Perché Jacob era un dono, un dono che non mi meritavo.
E lo sapevo bene, ma nonostante ne fossi convinta non potei bloccare l’istinto di saltargli addosso e di abbracciarlo con tutta la forza che avevo in corpo, perchè ne avevo bisogno, avevo bisogno di sentirlo mio almeno per un istante.
Sentivo il suo calore penetrare il mio corpo infreddolito bloccando i miei tremori, percepivo il suo fiato caldo sulla mia spalla provocandomi brividi di piacere lungo la schiena. 
Le sue mani bollenti sui miei fianchi mi mandarono completamente a fuoco. 
Ero paralizzata, sconvolta, il cuore stava galoppando impazzito, il mio cervello era in delirio, il mio corpo era saturo di lui. 
Non capivo più niente. 
Dentro il mio essere non c’era spazio per nient’altro se non per lui.
E poi sentire finalmente la sua voce rauca e incredibilmente sensuale rischiò di mandarmi al manicomio.

“C-com’è possibile?” 

Capii all’istante cosa mi stesse chiedendo, voleva sapere perché fossi ancora umana, perché non mi fossi trasformata in una di loro
Lo guardavo ancora estasiata mentre una sua mano bollente accarezzava dolcemente la mia guancia destra facendomi impazzire. 
Ero felice fino all’inverosimile, mi sentivo libera di esprimere i miei sentimenti, di dirgli finalmente quello che provavo per lui, ma quando lo feci, nei suoi occhi scomparve tutta la dolcezza di qualche istante prima, trasformandosi in odio, odio puro. Le sue pupille nere come il petrolio si dilatarono improvvisamente e dalle sue labbra uscì fuori un ringhio di pura rabbia. 
Mi spaventai a morte, quello non era lui, non poteva essere lui.
Tremava, urlava, mi diceva… che era troppo tardi.
Sentivo le lacrime premere per uscire e non potei non lasciarle andare… ero impotente mentre lo fissavo senza dire una parola, mentre lo vedevo andare via, di nuovo.
Sentivo ancora la voce di Seth che chiamava a squarcia gola il mio nome ma non ero in grado di muovere neanche un muscolo, ero come ipnotizzata, le mie gambe non ne volevano sapere di muoversi da li e i miei occhi umidi non osavano distogliere lo sguardo da quel punto indefinito in cui lui era stato risucchiato.

“Bella, eccoti finalmente”.
Sentivo i suoi passi dietro di me
“Bella ma che ti prende? Ti prego rispondimi, Bella?”
Mi scuoteva le spalle, mi urlava contro, ma niente, non riuscivo a svegliarmi da quello stato di trans in cui era precipitata. 
Sentivo freddo, il mio corpo tremava, pretendeva il contatto con il suo corpo, desiderava inebriarsi nuovamente del suo profumo di muschio e legno, il mio viso bagnato continuava ad inondarsi di lacrime, di lacrime amare, di lacrime di dolore, di odio verso me stessa, verso quelle parole che mi aveva detto pochi istanti prima
 
“Ormai è tardi”
 
Che cosa voleva dire con quella frase?
Perché se n’era andato senza darmi una spiegazione?
Perché mi aveva urlato contro in quel modo?
Perché un attimo prima mi stringe a se e l’attimo dopo mi respinge via come se fossi qualcosa di ripugnante?
Perché “ormai è tardi“?
Scossi la testa per cercare di prendere il controllo di me stessa e di uscire da quel baratro di dolore in cui ero affigata. Abbassai il braccio lungo il fianco e asciugandomi il viso con il dorso della mano risposi a Seth.
“S-sto bene, non preoccuparti”.
Singhiozzavo ancora ma dovevo ricompormi, non volevo che assistesse ad una scena così pietosa.
“Bella mi hai spaventato a morte lo sai? Avevi lo sguardo spento, non riuscivo a farti prendere conoscenza eri come in trans… si può sapere che diavolo ti è successo?”
Dal tono stridulo della sua voce capii che l’avevo fatto preoccupare veramente. 
“Scusami, non volevo farti stare in pensiero” la mia voce era impassibile.
“Vieni ti accompagno a casa, non sei in grado di guidare in queste condizioni”
Senza dire un parole mi feci trascinare da Seth verso il mio pick up, dopo tutto aveva ragione, non potevo guidare il quello stato.
 
Durante tutto il tragitto rimanemmo in religioso silenzio, lui probabilmente non voleva infierire pronunciando una qualunque frase senza senso solo per tranquillizzarmi. Era un ragazzino ma era anche molto sveglio. Gliene fui grata perché se solo avesse detto qualsiasi cosa, avrei ricominciato a piangere come una stupida.
Mi rannicchiai contro il sedile del passeggero poggiando la testa sul finestrino appannato. Ero stanca, sfinita, tutte quelle emozioni insieme mi avevano distrutta del tutto.
 
Il rumore stridulo della franata del mio pick up, mi fece riscuotere dai miei tormentati pensieri.
Eravamo di fronte casa mia.
“Grazie Seth, di tutto”
“Bella, vuoi dirmi che cosa ti è successo?”.
Non riuscivo a guardarlo negli occhi,il magone che avevo in gola cominciò a farsi sentire sempre più forte.
Con un una mano mi alzò dolcemente il mento bloccandomi con lo sguardo.
“Voglio solo aiutarti… permettimi di farlo”.
Non sapevo se dirglielo o meno ma tanto l’avrebbe scoperto ugualmente. Presi un bel respiro e gli risposi.
“Jacob _ pronunciare il suo nome fu ancora più doloroso di quello che pensavo_ è tornato”
Vidi stupore e gioia nello sguardo di Seth.
“Dici sul serio?”.
Accennai un sì col capo.
“Ora capisco”. 
Conoscevo quel tono di voce, era compassionevole, e io non volevo essere compatita, avevo un assoluto bisogno di rifugiarmi nella mia stanza e di piangere fino allo sfinimento senza che nessuno mi consolasse o che mi compatisse. 
Mi allontanai dalla stretta di Seth.
“Forse è meglio che vada. Grazie ancora.” 
“Bella, forse dovreste parlare”.
Mi voltai di scatto e lo guardai sorpresa.
“E secondo te non ci ho provato? Ma lui non vuole parlarmi, non vuole vedermi, cosa dovrei fare?"  
“Lo sai com’è Jacob, quando si ci mette è più testardo di un mulo, proprio come te, in questo siete molto simili”  
“Si ma ciò non cambia il fatto che mi odia…”
Si mi odiava, glielo leggevo in faccia e non potevo certo dargli torto. 
“Lui non potrebbe mai odiarti Bella, posso garantirtelo”
Scossi la testa violentemente. No, i suoi occhi parlavano chiaro.
“Seth davvero, non ho voglia di parlarne.”
Scesi dall’auto e sbattei la portiera con forza.
“D’accordo”.
Avevo ferito anche lui, mannaggia a me.
Seth mi imitò e uscì anche lui dalla macchina.
“Scusa Seth ma davvero non ce la faccio.”
Mi avvicinai a lui e gli diedi un piccolo bacio in guancia.
“Grazie per l’invito comunque…mi sono divertita”
Accennai un leggerissimo sorriso, ma ne uscì fuori una pessima smorfia.
“No scusa tu, non mi dovevo intromettere. Ma sappi che se dovessi avere bisogno di qualcuno con cui parlare io ci sarò sempre per te Bella.”
Sussultai visibilmente. 
Mi sembrava di rivivere un déjà vu, avevo già vissuto quella scena, solo che al suo posto c’era un altro ragazzo, c’era quel ragazzo: avevamo appena trascorso una serata disastrosa al cinema, il film era orribile e la compagnia di Mike Newton non mi faceva certo impazzire. Ma quella sera, Jacob mi aveva fatto una promessa, una promessa che avrei portato dentro di me fino alla fine dei miei giorni:
“Magari non servirà a niente, ma volevo dirti che io ci sarò sempre. Non ti deluderò: ti prometto che potrai sempre contare su di me.”
Ed era vero, mi era sempre rimasto accanto nonostante tutto, nonostante le mie follie e le mie indecisioni… ma adesso avevo passato il limite, e lui non mi avrebbe più perdonata. Ne ero consapevole. 
Ritornai alla realtà e vidi Seth che mi stava osservando con aria preoccupata. 
Io stavo per esplodere, non potevo stare li ancora per molto.
“D-devo andare Seth” La mia voce tremava come non mai.
“D’accordo, notte Bella”
Ma non feci in tempo ad allontanarmi da lui che sentii le lacrime scendere copiose lungo il mio viso. 
Senza dire una parola girai i tacchi e mi catapultai dentro casa chiudendomi la porta alle spalle.
                                                       
§§§
 
Non ero riuscita a chiudere occhio per tutta la notte, mi giravo e rigiravo nel letto senza riuscire a prendere sonno. Più cercavo di chiudere gli occhi, più la sua espressione arrabbiata e furiosa mi si parava davanti, non riuscivo a pensare a nient’altro. 
E poi quella frase: “Ormai è tardi” non riuscivo a darmi pace, pensavo e ripensavo a quelle parole e più lo facevo più la paura invadeva il mio corpo, il mio cuore, la mia anima. 
Forse non mi amava più…forse era riuscito a dimenticarmi… forse aveva…aveva trovato un’altra. 
A quel pensiero mi sentii morire, totalmente. Il mio cuore perse un battito e il mio respiro cominciò a farsi irregolare. 
E se fosse stato quello il motivo di quella sua frase? E se adesso “apparteneva” ad un’altra ragazza? 
No, non potevo, non volevo pensarci, no. Scossi violentemente la testa e mi rannicchiai ancora di più contro il mio piumone, respirando a fondo. 
Aveva anche cominciato a piovere da una ventina di minuti e questo non aiutava di certo a far migliorare il mio umore, anzi lo peggiorava di gran lunga. 
Tirai su col naso e accesi la piccola lampada del mio comodino inondando la stanza di un colore d’orato.
Erano le 05.00 del mattino.
Mi portai a sedere sul letto e osservai la finestra di fronte a me perdendomi in quelle goccioline d’acqua che scendevano prepotenti lungo il vetro.
Ero talmente occupata ad osservare la pioggia che non mi accorsi di alcuni rumori provenienti dal salotto.
Doveva essere Charlie. 
Scesi dal letto e lo raggiunsi.
“Papà” Charlie si voltò sorpreso verso di me.
“Bella! Come mai sveglia a quest’ora?” Mio padre era con la valigia in mano pronto per andare via.
“Non avevo molto sonno- mentii- Vuoi che ti accompagni all’aeroporto?” La mia voce era piatta e impassibile.
“No tesoro, non preoccuparti, ci sta già pensando un mio collega”
“D’accordo, allora fa buon viaggio e chiamami quando arrivi” 
“Certo piccola”Ci abbracciammo per alcuni secondi e poi lo lasciai andare. 
 
Poggiai le mani sullo stipite della porta ancora aperta, mentre il freddo invernale invadeva il mio corpo, ma non mi spostai di un millimetro. Rimasi immobile a fissare la pioggia che violenta si infrangeva nel terreno, sulle macchine, sugli alberi, non lasciava scampo a nessuno. 
Il cielo, nonostante fosse già mattino, era nero come la pece, ricoperto da delle nuvole grigiastre… già, grigio, proprio come il colore della mia anima e del mio umore.
Delle leggerissime gocce d’acqua bagnarono il mio viso e a quel punto decisi di chiudere la porta ed entrare in casa. 
 
Non potevo stare ancora li e non fare niente. Dovevo vederlo, dovevo parlargli, stavo per impazzire. Ma non avevo la più pallida idea di dove andarlo a cercare, non sapevo nemmeno se fosse tornato a casa sua o se… o se era andato via, di nuovo.
Camminavo avanti e indietro per il salotto sempre più indecisa e impaziente. Poi mi balenò un idea improvvisa. Afferrai il cellulare e composi il numero di Seth.
“Pronto?” La sua voce era parecchio assonnata. Mi sentii subito in colpa.
“Seth, sono io Bella”Gracchiai.
“Bella? Come mai mi chiami a quest’ora? E’ successo qualcosa?” 
“No sta tranquillo, mi dispiace di averti svegliato.. Ma Seth… io ho bisogno di sapere…”
Per favore Seth non farmelo dire, ti prego. Capiscimi, cerca di capire cosa sto cercando di chiederti.
“E' a casa sua, puoi raggiungerlo se vuoi.”
Un sospiro di sollievo uscì dalle mie labbra.
“Grazie Seth, davvero!” Questo ragazzo mi sbalordiva ogni giorno di più.
“Non devi ringraziarmi! Adesso va da lui e chiarisci la situazione una volta per tutte” 
Lo ringraziai per altre mille volte e poi riattaccai.
Sarei andata da lui, gli avrei parlato, non potevo lasciare le cose in sospeso.. Io dovevo sapere.

 

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Capitolo 18
*** DEVI SAPERE (parte I) ***


CAPITOLO 16:
Devi sapere

 
Fuori continuava a piovere con un’intensità mai vista prima. La strada era diventata impraticabile, non si riusciva a vedere ad un palmo dal naso e sapevo bene che non avrei mai e poi mai dovuto avventurarmi alla guida con quel tempo. Ma la mia determinazione era più forte della ragione, perché niente avrebbe potuto impedirmi di fare quello che avevo in mente di fare, niente e nessuno, neanche il diluvio universale che si stava infrangendo sul parabrezza del mio povero pick up. 
Spinsi ancora di più il pedale dell’acceleratore sforzando più del dovuto il mio Chevy e sfrecciai verso la riserva, verso La Push.
Continuavo a correre sempre più veloce, sempre più impaziente verso quei pochi chilometri che mi separavano da quella casetta rossa che mi aveva accolta nei momenti più difficili della mia miserabile vita, verso il ragazzo che speravo di poter finalmente amare liberamente, senza più paure, senza più “scelte” da fare, senza più magie di mezzo.
Dovevo sbrigarmi, ogni secondo che passava era sempre più prezioso, non potevo permettermi di sprecarne neanche uno. Dovevo recuperare tutti quei mesi di inferno trascorsi lontano da lui nella più completa e totale agonia, dovevo riprendermi quei momenti, dovevo fare in modo di poterli rivivere daccapo ma questa volta con una sola variante: avere lui al mio fianco. Perché se lo desiderava ancora, io gli sarei stata accanto per sempre…per tutta la durata della nostra vita. 
 
I tergicristalli scacciavano via quelle gocce insistenti e violente che si infrangevano nel vetro della macchina permettendomi di vedere quel minimo indispensabile per non uscire fuori strada, ma quando la mia vista appannata riuscii ad intravedere quella casa rossa ormai sbiadita dagli anni, il mio cuore iniziò a martellare all’impazzata. 
Era arrivato il momento.
Improvvisamente tutta la determinazione che si era impossessata del mio essere stava cominciando a svanire sovrastata da una paura lancinante che schiacciava il mio petto impedendomi di respirare. Strinsi ancora più forte le mani sul volante e cercai di calmare il battito impazzito del mio cuore inalando dei respiri profondi e continui. 
Potevo farcela, dovevo farcela. 
Ero nervosa, irrequieta, agitata… e se mi avesse cacciata via a calci? E se non appena mi avesse vista mi avesse urlato contro? E se…e se non voleva più vedermi? Scrollai la testa per scacciare quei pensieri e mi concentrai sulla casa dinanzi a me. 
Coraggio Bella, stai calma, andrà tutto bene.Cresci una buona volta
Chiusi per bene la cerniera del mio giubbotto e scesi dall’auto. 
Il cielo era ancora ricoperto da nuvole grigiastre, talmente fitte da sembrare quasi notte e non le 06.00 del mattino. 
La pioggia intanto non voleva proprio saperne di smettere, e adesso si infrangeva violenta contro il mio corpo bagnandomi completamente. Socchiusi istintivamente gli occhi e accompagnai la portiera dell’auto con entrambe le mani chiudendola per bene. 
Stavo davvero facendo la cosa giusta? E se ci fosse stato Billy? E se Seth si sbagliava e lui se ne era andato via…di nuovo? 
Ma non ebbi neanche il tempo di trovare delle risposte sensate alle mie domande perché sentii un rumore stridulo provenire da dietro le mie spalle.
 
Respira Bella. 
 
Con il cuore in gola mi voltai lentamente verso quel “rumore” e ciò che vidi mi paralizzò completamente: Jacob.
Era di una bellezza devastante. Il suo corpo era ricoperto solo da un paio di pantaloncini neri al ginocchio, mettendo in bella mostra il suo corpo perfetto e bronzeo. 
Nonostante la pioggia battente che mi inumidiva gli occhi, riuscii a distinguere perfettamente l’espressione del suo viso: mi guardava esterrefatto, confuso, sconvolto… arrabbiato.  
Conoscevo bene quello sguardo, sapevo bene cosa significava: stava per esplodere, stava cercando di bloccare l’animale che c’era in lui con uno sforzo sovrumano. 
Con una mano stringeva la maniglia della porta con forza, potevo intravedere i suoi muscoli tesi del braccio e del suo petto nudo nello sforzo di controllarsi e cercare di rimanere umano. 
Io ero impotente, assolutamente incapace di muovere un qualsiasi arto del mio corpo perche sentire il suo sguardo addosso mi provocava delle sensazioni indescrivibili, ma sapevo anche che quello non era il mio sguardo, non era lo sguardo che mi regalava ogni singolo giorno, quello che sapeva di amore, di dolcezza, di passione… no, quello era lo sguardo di chi è stato ferito a morte e che non vuole più patire le pene dell’inferno. 
Ma nonostante questo, io continuavo a guardarlo imperterrita, era come una calamita per me e per quanto volessi muovermi, corrergli incontro e urlargli a squarcia gola tutti i miei sentimenti, non riuscivo a muovere neanche un muscolo. 
Lui non smetteva un attimo di fissarmi, era come se stessimo provando le stesse sensazioni, totalmente in balia dei nostri sentimenti senza riuscire ad esprimerli.
Il suo silenzio mi sorprese perché mi sarei aspettata una sfuriata, ero convinta che mi avrebbe cacciata via a calci e che mi avrebbe detto delle parole ancora più crudeli della notte scorsa obbligandomi a fuggire il più in fretta possibile da lui e da quella tempesta che stava sfuriando prepotente sul mio corpo e sul mio cuore impazzito…ma niente. Niente di niente. 
Avrei voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma non appena aprii bocca ciò che ne uscì fuori furono dei sussurri incomprensibili e senza senso. 

Bella sei venuta qui per un motivo ben preciso. 

Ero stanca di essere la solita ragazzina codarda e spaventata dai suoi stessi sentimenti, era arrivato il momento di vivere. 
Misi un piede d'avanti all’altro e cominciai a camminare lentamente verso di lui, verso il mio sole, senza mai lasciare i suoi occhi. 
Ma ovviamente la fortuna non era dalla mia parte perché non appena feci il secondo passo in avanti, sentii i miei piedi attorcigliarsi e l’equilibrio abbandonarmi: caddi a terra esattamente al centro di un’immensa pozzanghera bagnandomi completamente.
Maledizione! Ma perché proprio adesso? 
Sconfitta e rassegnata, accasciai la testa tra le mie braccia che reggevano il mio corpo infreddolito e fradicio. 
Mi sentivo una stupida, un’idiota che non faceva altro che combinare disastri e rendersi ridicola davanti al mondo intero. 
Stupida goffaggine. 
Non sapevo neanche come successe ma sentii improvvisamente gli occhi bruciare e delle fastidiosissime lacrime scendere copiose lungo il mio viso, accompagnate dalla pioggia battente che si infrangeva ancora più violenta sul mio corpo.
Ci mancava solo che piangessi, ma non riuscivo proprio a fermarmi, era più forte di me. 
Mi morsi il labbro e strizzai gli occhi. 
Chissà cosa penserà Jacob, probabilmente che sono sempre la stessa ragazzina incapace e scoordinata di sempre. 
Imbarazzata di me stessa, alzai per un attimo gli occhi arrossati e lucidi, giusto in tempo per rendermi conto che Jacob non si trovava più davanti la porta di casa sua, ma esattamente accanto a me: lo vidi chinarsi sul mio corpo e con estrema delicatezza mi afferrò per i fianchi e mi sollevò da terra con un gesto rapido stringendomi tra le sue braccia incredibilmente calde e forti.
 
Spalancai gli occhi incredula.
Quel semplice contatto con la sua pelle bollente, fece esplodere di vita e di calore tutte le cellule del mio corpo, e insieme a loro la mia anima, il mio cuore che adesso martellava impazzito come le ali di un colibrì.
Perché nonostante tutto era sempre li, pronto a proteggermi.
Istintivamente poggiai il palmo della mia mano sul suo petto infuocato, esattamente li, dove i battiti avevano origine, proprio dove il suo cuore cominciò a battere frenetico in sincrono col mio, come una sorta di botta e risposta. 
Non riuscivo a spiegarmi il motivo di quel gesto ma ricordai che una volta, tanto tempo prima, era stato lui stesso a farlo, quando voleva dimostrarmi in tutti i modi che lui era vivo,reale e che nonostante la sua natura da lupo dentro di lui batteva un cuore umano.
Aveva dannatamente ragione.
Chiusi gli occhi per assaporare quel momento stupendo, ma a quel semplice tocco lo sentii irrigidirsi e così tolsi immediatamente la mia mano da li, rassegnata.
 
Arrivati dentro casa, Jacob mi adagiò delicatamente sul divano del piccolo salotto spostandosi da me con un balzo felino.
Era incredibilmente teso e l’espressione dura e contratta del suo viso non accennava a scomparire. Non mi guardava nemmeno, si limitava ad osservare il pavimento stringendo i pugni lungo i fianchi. 
Avrei voluto abbracciarlo, stringermi a lui come pochi istanti prima, ma avevo una gran paura della sua possibile reazione. 
Perché Jacob Black mi inibiva, come non mi era mai successo con nessun altro in tutta la mia vita.
Asciugai subito i miei occhi umidi e notai che ogni minuscola parte del suo corpo era fradicia, completamente bagnata. Esattamente come me. 
I capelli schiacciati sulla fronte, i pantaloncini del tutto zuppi aderivano perfettamente alle sue gambe lunghe e slanciate e nel corpo una miriade di goccioline percorrevano il suo viso, le sue labbra carnose, il suo collo muscoloso, la linea perfetta dei suoi pettorali, dei suoi addominali scolpiti e del suo ventre perfetto.
Dio se era bello.
Arrossii immediatamente, non ero abituata a fissarlo in quel modo e per così tanto tempo e Jacob se ne accorse perchè mi lanciò subito un’occhiataccia. L’avevo infastidito a morte. 
Imbarazzata più che mai abbassai subito lo sguardo.
“Ti porto dei vestiti asciutti” la sua voce era piatta, spenta, niente a che vedere con quella dolce, calda e roca che l’aveva sempre contraddistinto.
“Grazie” fu un sussurro ma ero più che certa che l’avesse sentito.
Si voltò di colpo e scomparve oltre il piccolo corridoio.
 
Sospirai leggermente e mi rannicchiai sul divano poggiando la testa sulla spalliera. Ero impossibile, e pensare che avevo visto il suo corpo nudo e bagnato talmente tante di quelle volte che ormai non ci facevo più tanto caso, ma adesso le cose erano cambiate, radicalmente. Adesso che sapevo di amarlo era tutta un’altra storia.
 
“Tieni, dovrebbero essere della tua taglia.”
Mi voltai di colpo e lo vidi esattamente di fronte a me mentre mi porgeva una felpa grigia e un paio di pantaloni neri di una tuta.
Notai che si era cambiato anche lui e adesso indossava dei bermuda di jeans, i capelli neri e lisci erano ancora bagnati e arruffati ma il suo corpo era completamente asciutto.
Era lì, davanti a me ma era come se per lui non esistessi nemmeno. 
Abbassai la testa sconfitta e gli risposi con un altro “Grazie” sussurrato al vento e raccolsi i vestiti che aveva poggiato accanto a me. 
“Puoi andare in bagno, così potrai cambiarti” 
Perché non mi guardi? Perché mi eviti in questo modo?
“Jacob…io..”
“Sbrigati, o ti ammalerai”.
Era irrequieto, voleva che mi cambiassi il più in fretta possibile perché così poteva liberarsi di me. Non voleva neanche sentirmi parlare.
Ferita più che mai, mi alzai mollemente dal divano rifugiandomi in bagno.
 
Mi cambiai in fretta, gettai i miei vestiti sporchi di fango sul pavimento e infilai la tuta che mi aveva dato Jacob. 
Presi un asciugamano e mi tamponai i capelli per bene provando ad asciugarli alla bene e meglio ma rimasero comunque umidi.
Ero davvero nervosa, perché saperlo li, proprio al di là di quella porta, mi provocava sensazioni fortissime, impossibili da contenere. Ma dovevo parlargli adesso, e anche se era arrabbiato, amareggiato, deluso, non mi sarei fatta intimorire, non più. 
Respirai a fondo più e più volte e raccogliendo tutto il mio coraggio, spinsi la maniglia della porta uscendo da quel piccolo rifugio. 
 
Lo trovai in piedi, di fronte la finestra del salotto, esattamente dove l’avevo lasciato pochi minuti prima.  
In quel momento avrei voluto sapere cosa stesse pensando, cosa gli passasse per la testa, perché il suo silenzio e la sua indifferenza erano davvero insopportabili. 
Lentamente mi avvicinai a lui e sussurrai il suo nome.
“Jake”
Si irrigidì, ma continuava a darmi le spalle. 
“Jake per favore, guardami” 
“Perché sei venuta?” Il tono accusatore e severo della sua voce mi fece sussultare.
“Perché…ieri sera te ne sei andato senza darmi la possibilità di spiegarti.” dovevo dirglielo, doveva conoscere la verità una volta per tutte.
Ma niente. Mi dava ancora le spalle. Mi avvicinai a lui e lo strattonai per il braccio.
“Jacob per favore” Ma lui mi allontanò brusco e finalmente si voltò verso di me.
“Sono io a chiederti un favore: Smettila! Non voglio ascoltarti!” me lo urlò praticamente in faccia.
“Ma perché sei così testardo?” Adesso urlavo anche io.
“Perché ogni parola che esce dalla tua bocca è come una pugnalata allo stomaco. Sono stanco di sentirti parlare,di sentire sempre e solo parole senza senso uscire dalla tua bocca. Non ci hanno mai portato da nessuna parte. E tu lo sai bene.”
“Sei uno stupido cocciuto! Perché non vuoi capire?” 
Adesso eravamo davvero al limite e la rabbia stava prendendo il sopravvento.
“Perchè non mi interessa! Vuoi capirlo o no?” Ma questa volta me lo urlò con sofferenza, con pura e totale tristezza puntandomi i suoi occhi d'onice addosso.
Rimasi immobile, pietrificata dalle sue parole. Sentivo gli occhi inumidirsi e la gola pizzicare. 
Lui non mi voleva più, non mi amava, non provava più niente per me. E quelle parole ne erano la prova lampante.
Non potevo sopportare altro. 
Tirai su col naso e senza guardalo raccolsi i miei vestiti e mi incamminai spedita verso l’uscita. 
Ma la sua mano infuocata mi bloccò il braccio prima ancora che potessi afferrare la maniglia e mi fece voltare verso di lui con forza. 
“No, aspetta” Era quasi una supplica. 
Non ci capivo più niente, un minuto prima mi urla contro e il minuto dopo mi prega di rimanere? 
“Per favore Jacob, se devi farmi male allora fallo adesso e poi lasciami andare" Ero stanca, ferita e quel suo comportamento mi faceva confondere ancora di più. 
Con la mano libera, Jacob scacciò via una lacrima scappata al mio controllo, immobilizzandomi con lo sguardo. 
 
Eccolo il mio sguardo. Finalmente riuscivo a riconoscerlo.
 
I suoi occhi erano talmente intensi e profondi da mandare il mio cuore completamente in tilt. 

No, non guardarmi così, non farlo se poi dovrai uccidermi.

“Non posso”.
Lo sussurrò appena mentre poggiava la sua fronte sulla mia. Sentivo il suo fiato caldo infrangersi sul mio viso e il suo odore selvaggio solleticarmi le narici.
Dio, che sensazione magnifica. 
Avevo un bisogno irrefrenabile di baciarlo, di dirgli che lo amavo, ma quel suo gesto mi paralizzò completamente. Lui riaprì gli occhi suoi miei e, allontanandosi appena dal mio viso, cominciò ad accarezzarmi la guancia con maggior delicatezza, mentre l’altro braccio mi strinse ancora di più a lui facendo aderire perfettamente i nostri corpi.
“Non ci riesco”.
Non sapevo a cosa si stesse riferendo, ma qualcosa lo preoccupava, lo tormentava, riuscivo a percepirlo dalla sua voce sofferente e combattuta.
Ma in quel momento non riuscivo proprio a pensare, ero totalmente in balia del suo sguardo magnetico da togliendomi definitivamente il respiro spegnendo tutte le mie capacità di raziocinio.  
Così, spinta da una forza irrefrenabile, feci aderire nuovamente il palmo della mia mano sul suo petto, esattamente all’altezza del cuore. 
Lui sussultò leggermente, ma stavolta non mi respinse.
“Il tuo cuore sembra esplodere”. Sussurrai appena, la voce spezzata dalla forte emozione che provavo in quel momento.
“Anche il tuo” e per la prima volta un piccolo sorriso spuntò tra le sue labbra carnose e sensuali. 
Lo vidi avvicinarsi sempre di più al mio viso facendo esplodere il mio cuore che non ne voleva sapere di rallentare.
Chiusi gli occhi istintivamente mentre sentivo il suo naso sfiorare il mio con una dolcezza senza eguali. 
Ma purtroppo, il rumore stridulo del campanello interruppe quel magico momento facendoci sobbalzare entrambi. 
Riaprii gli occhi completamente stralunata e terribilmente infastidita da quella brusca interruzione. Alzai lo sguardo ma ciò che vidi mi sorprese parecchio: Jacob era teso come una corda di un violino, i suoi occhi erano spaventati, terrorizzati, la mascella era contratta e lo sentii irrigidirsi sempre di più tra le mie braccia. 
Corrucciai la fronte confusa. Che diamine gli prendeva adesso?
Eravamo ancora avvinghiati l’uno all’altra, ma non appena il campanello suonò per la seconda volta, Jake poggiò le mani sulle mie spalle e mi allontanò dal suo corpo senza neanche degnarmi di uno sguardo, dirigendosi verso la porta.
“Jake!” Era la voce di una…ragazza? Sì, era una ragazza, non potevo sbagliarmi.
Rimasi per un attimo immobile,esattamente dietro la porta, ma poi decisi di avvicinarmi e capire chi fosse quella ragazza che ci aveva interrotti.
Ma non appena ruotai il corpo verso quella dannata porta, sentii un dolore lancinante al petto: quella ragazza stava baciando il mio Jacob.

 

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Capitolo 19
*** DEVI SAPERE (parte II) ***


Devi sapere (parte II)
 

 
Che rumore fa il cuore quando si spezza in mille piccoli pezzettini? Che cosa si prova quando una lama infuocata ti squarcia lo stomaco lasciandoti inerme e senza vita? Cosa si prova quando un macigno ti schiaccia il petto impedendoti di respirare? 
Tante domande alle quali non potrei dare una risposta sensata, ma sapevo soltanto che il dolore che provavo in quell’istante era cento volte più forte di qualsiasi catastrofe, di qualsiasi malattia, di qualsiasi ferita mortale esistente in questa maledetta vita. 
Era qualcosa che avevo provocato con le mie stesse mani, autodistruggendomi. 
 
Continuavo a guardare con occhi spenti e impassibili la scena che mi si presentava davanti colta da un impulso di totale ed estremo masochismo. Perché me lo meritavo, perché era giusto che io vedessi quell’immagine, che vedessi la passione e l’amore con cui lei gli avvolgeva il collo, che vedessi il modo in cui lo baciava, ed era ancora più giusto che io vedessi il mio Jacob rispondere al bacio con altrettanta passione stringendola a se, come se avesse paura che da un momento all’altro potesse fuggire via. 
Si dice che ognuno è l’artefice del proprio destino… ed era vero, perché tutto questo era solo colpa mia, colpa della mia cocciutaggine, del mio essere testarda fino all’inverosimile e colpa di avere capito troppo tardi cosa, o meglio chi volevo davvero.  
E allora perché stavo ancora li? Perché non fuggivo via a gambe levate lontano da tutto? Perché se ormai era finita?  
Tutto finito… troppo tardi.
Troppo tardi.
Ecco cosa voleva dirmi Jacob.
Era lei, quella ragazza che stava baciando, il troppo tardi.
Non riuscivo a versare neanche una lacrime, ero impeccabile e impassibile all’apparenza, ma con la distruzione e la disperazione nel cuore. 
Non provavo più nulla. Assolutamente nulla.
Ero un corpo vuoto, un involucro svuotato.
“Scusa se sono piombata qui senza chiamarti ma il telefono mi ha praticamente abbandonata e… oh che maleducata, non ti avevo proprio vista scusami! Ciao io sono Emma!” 
Quella voce felice ed euforica mi inquinava l‘udito, mi infastidiva i timpani. Era davvero insopportabile perché era una voce magnifica.
Lei era magnifica, bella da togliere il fiato. I capelli neri e lucidi le cadevano sulle spalle inumiditi dalla pioggia, i suoi occhi erano due grandi pozzi turchesi che adesso mi guardavano felici e curiosi, il viso tondo e abbronzato, le labbra piene e rosee. 
Niente a che vedere con la sottoscritta: un essere insignificante, un’inetta, anonima. 
Con lentezza feci scorrere lo sguardo verso la sua mano amichevole che si stendeva verso di me, probabilmente si aspettava una stretta di mano e che magari le dicessi il mio nome. Ma potevo essere così dannatamente ipocrita e fare un gesto del genere? Dato che l’unica cosa che avrei voluto fare in quel momento era schiaffeggiare quella mano per allontanarla da me il più possibile e urlarle contro qualsiasi tipo di insulto esistente sulla faccia della terra. Ma sapevo anche che non l’avrei mai fatto… per quanto potessi soffrire, lei non c’entrava niente,assolutamente niente. 
Ritornai sul suo viso e tenendo le braccia ben salde lungo i fianchi le dissi semplicemente: “Io sono Bella”. 
Lei mi guardò per un attimo confusa, quasi non capisse il motivo della mia freddezza, ma la sua espressione tornò subito allegra e spensierata come pochi istanti prima.
“E’ un piacere conoscerti Bella. Sei un’amica di Jacob?”
Lo disse mentre si avvinghiava al suo braccio possente e bronzeo. 
Un’amica, una semplice amica, ecco cos’ero diventata ormai. 
Spostai lo sguardo per una frazione di secondo verso Jacob e per un attimo i nostri sguardi si incontrarono. Fu un istante, ma bastò per perdermi completamente dentro la confusione e l’irrequietezza che emanavano i suoi occhi neri, adesso chiusi in piccole fessure.
Aggrottò la fronte e distolse immediatamente lo sguardo da me tornando a guardare la “sua” ragazza con un piccolo sorriso stampato sulle labbra.
Perché le stai sorridendo? Perché lo fai se dentro di te c’è tutto, fuorché gioia? Perché vuoi distruggermi così?
Con lo sguardo ancora fisso su di lui, risposi a quella domanda
“Si, sono una sua vecchia amica… solo un’amica.” dirlo ad alta voce fu peggio di quanto potessi immaginare.
A quelle parole però vidi Jacob irrigidire la mascella e la mano sinistra stringersi a pugno lungo il suo fianco. Riuscivo ad intravedere le nocche sbiancare e i muscoli del braccio sempre più tesi a causa della forza sovrumana con la quale intensificava la stretta delle sue dita, mentre con l’altra mano continuava a stringere la schiena di quella ragazza.
Adesso ero io quella di troppo.
“Vado, vi lascio soli”.
Con un gesto repentino raccolsi tutta la mia roba e superando entrambi mi catapultai fuori da quella casa.  
 
Non mi importava un accidente se adesso la pioggia inzuppava nuovamente il mio copro, non mi importava se prima di arrivare al mio pick up potessi inciampare più volte tra i miei piedi scoordinati, avevo semplicemente un gran bisogno di uscire da li, di allontanarmi il più in fretta possibile da quella riserva, dal destino che io stessa avevo tracciato. 
Guidavo nervosamente verso casa con un grosso groppo in gola, stavo per crollare, lo sentivo.
La pioggia si faceva sempre più intensa e la vista sempre più precaria. Sentivo le lacrime scendere prepotenti lungo il mio viso e dei singhiozzi invadermi tutto il corpo, ma anziché rallentare aumentai sempre di più l’andatura del mio pick up superando la soglia di velocità consentita dalla mia auto.
Stavo rischiando seriamente la vita ma non mi importava un accidente. Sollevai pozzanghere d’acqua, venivo sballottata a destra e a sinistra per le troppe buche presenti sul terreno bagnato e mal ridotto, tremavo per il dolore insopportabile proveniente dal mio cuore ormai ridotto ad un cumulo di cenere. 
Continuai a guidare imperterrita mentre delle immagini di loro due, incollati e stretti, attraversavano prepotenti la mia testa e pulsavano dentro il mio cervello ad intervalli regolari, ma quando rividi quel bacio passionale e possessivo che si erano scambiati pochi minuti prima, non riuscii a resistere oltre e premetti ancora di più il pedale sull’acceleratore perdendo definitivamente il controllo del pick up. 
Le ruote della macchina scivolavano violente contro il terreno, slittando a destra e a sinistra senza sosta. Ero terrorizzata e per un attimo non riuscii nemmeno a muovere le mani per afferrare il volante e riprendere il controllo dell’auto. 
Ma quando intravidi un enorme albero esattamente di fronte a me, il mio istinto di sopravvivenza si fece sentire e in un attimo acchiappai lo sterzo e diedi una sterzata violenta verso destra premendo subito il pedale del freno.
Rimasi ancorata al volante con le mani tremanti e incredibilmente sudate, sentivo il cuore galoppare all‘impazzata, il respiro sempre più irregolare mentre con occhi sgranati continuavo a fissare quell’enorme quercia davanti a me, esattamente ad un pelo dal muso del mio pick up,ringraziando il cielo di essere ancora viva.
Tutto quel terrore mi fece esplodere definitivamente e mi lasciai andare sul sedile. Cominciai a piangere senza ritegno, mi contorcevo, mi dimenavo come una pazza, sbattevo le mani sui finestrini, sui sedili. Urlavo, urlavo come un'ossessa fino a sentire bruciare la gola.
Urla squarciate dal rumore malvagio e violento di un tuono che si propagò nel cielo grigio proprio sopra la mia testa.
E nonostante questo l’unica cosa che riuscivo a pensare, a vedere, era il suo volto, il suo tocco caldo, i suoi occhi neri e possessivi sui miei, la sua dolcezza… ma dovevo dimenticarlo, ormai era passato il momento in cui avrebbe potuto essere mio. Dovevo accettarlo e andare avanti per la mia strada. Sapevo che sarebbe stato difficile ma dovevo almeno provarci. 
Avevo un gran bisogno di un po’ di serenità, di ridere di nuovo e di vivere la mia vita il più normale possibile. Avevo bisogno di qualcuno che mi proteggesse e che mi amasse senza paure né riserve… e sapevo anche che l’unico capace di farlo era appena fuggito via dalle mie mani come un soffio di vento. 
Adesso il mio sole apparteneva ad un’altra e se lo amavo davvero, dovevo semplicemente lasciarlo andare. 
Mi ricomposi e asciugai le ultime lacrime che adesso scendevano lente e silenziose sul mio viso.
Misi in moto e lentamente mi allontanai da quella riserva, pronta ad affrontare la mia vita con la consapevolezza che lui, non ne avrebbe più fatto parte.  
 
 
***

 
Continuavo a stringere a pugno la mia mano sinistra quasi volessi sfogare tutta la mia frustrazione con quel gesto banale e senza senso. Strinsi forte le dita, talmente tanto da sentire un dolore atroce alle nocche che si stavano spezzando una ad una con una lentezza straziante. 
Era un piccolo scricchiolio, un suono silenzioso che solo il mio udito da lupo poteva sentire, lo stesso scricchiolio che stava facendo il mio cuore proprio in quell‘istante. 
Qualcosa dentro di me si stava spezzando con una lentezza disarmante e insopportabile. E più questo scricchiolio aumentava di intensità più riuscivo a sentire quella dannata scheggia allargarsi a piccoli passi dentro il mio essere, pronta ad urlare vendetta. 
“Hey Jake qualcosa non va?”
Il suono della sua voce preoccupata mi ridestò dai miei tormentati pensieri. 
“Tranquilla va tutto bene”.
Le regalai un piccolo sorriso baciandole le labbra.
“Sembri stravolto.”
Con una mano mi accarezzava leggera la guancia.
“Ho dormito poco stanotte” 
“Allora vado, ti lascio dormire. Volevo venire più tardi ma non ce l’ho fatta ad aspettare, avevo bisogno di vederti.”
E con un sorriso malizioso si avvinghiò nuovamente alle mie labbra mordicchiandole appena. Con la mano sana strinsi il suo corpo al mio con urgenza, avevo un bisogno fisico di sentirla vicino a me il più possibile, specie in quel momento.  
“Dove alloggerai?”
“In un bad and breakfast a pochi isolati da qui” 
“Non permetterò che tu stia in una bettola qualsiasi. Al più presto ti trasferirai qui da me, non ammetto repliche” 
“Non obietterò” le afferrai il mento e le diedi un lungo bacio a fior di labbra prima di accompagnarla alla macchina. 

 
Sfinito mi lasciai andare sulla porta e pensare fu inevitabile.
Stava succedendo davvero, stavo per baciare Bella dannazione. 
Il mio corpo si opponeva con tutte la sue forze ma il mio cuore mi suggeriva che era la cosa giusta da fare, quel cuore o meglio quella scheggia maledetta che non ne voleva sapere di collaborare. Perchè nonostante avessi una voglia irrefrenabile, quasi folle di farla soffrire, di farle del male, di parlarle del mio imprinting, non ero riuscito neanche per pochi secondi ad essere freddo con lei a portare a termine la mia “missione” di vendetta.
Chiusi per un attimo gli occhi respirando a fondo.
Ero stanco di sentirmi spezzare in due, stanco di dover per forza combattere contro me stesso, volevo semplicemente stare con Emma e poter vivere tranquillamente con lei… perché io l’amavo. Come potevo non farlo? Lei mi aveva fatto rivivere, mi aveva fatto capire che la vita non era così terribile e ingiusta come credevo, ma tutt’altro. 
Riaprii gli occhi e per un attimo mi ritrovai a fissare il divano del mio salotto dove potevo benissimo intravedere delle piccole chiazze bagnate distinguendo perfettamente la sua impronta, il suo corpo che si stringeva alla spalliera per proteggersi dal freddo, la sua mano che toccava il cuscino per farsi leva a sollevarsi da lì mettendosi in piedi, esattamente di fronte a me pronta a spiegarmi le sue ragioni.
No. Basta.
Scossi il capo stringendo la testa fra le mani. Stavo impazzendo, non avevo la ben che minima idea di cosa mi stesse succedendo. 
Ero sempre più confuso, sempre più dannatamente isterico.
 
Quella notte non avevo chiuso occhio, ero agitato, nervoso, arrabbiato ce l’avevo col mondo intero. Ero furioso con lei, con il mio branco,con mio padre perfino, perché non mi aveva mai accennato niente, nelle sue telefonate non mi aveva mai detto la verità,aveva sempre mentito e a detta di lui l’aveva fatto solo per proteggermi. 
Cazzate.
Io non volevo essere protetto, volevo semplicemente sapere la verità. Sarei tornato prima, avrei fatto qualsiasi cosa pur di ritornare da lei e renderla felice, avrei …non sapevo neanche io cosa avrei fatto di preciso ma a questo punto l’unica cosa che mi veniva da pensare era che forse non eravamo fatti per stare insieme. Imprinting o non imprinting. 
 
Sei uno stupido cocciuto! Perché non vuoi capire?”
 
Aveva maledettamente ragione. Non volevo sapere, non volevo sentire neanche una parola uscire dalle sue labbra, perché avevo una paura tremenda di quello che avrebbe potuto dirmi, ero terrorizzato da me stesso, da come avrei potuto reagire ad una sua semplice parola. Perché sapevo che voleva spiegarmi le motivazioni della sua scelta, spiegarmi perché era rimasta umana… perché aveva scelto me.
Ma non potevo ascoltare.
Non potevo…non volevo. 
Dentro di me si stava combattendo una guerra senza fine tra la parte di me che era inebriata e avvolta dall’imprinting e quella scheggia, quella piccola parte del mio cuore immune alla magia, quella parte che racchiudeva ancora una minuscola briciola di me stesso, del Jacob impulsivo, del Jacob testardo e caparbio, del Jacob che sa cosa vuole e che va a prendersela senza chiedere il permesso.
E non sapevo ancora quale delle due avrebbe vinto, ma di una cosa ero più che sicuro: sapevo quale delle due avrei fatto vincere, ci avrei messo anima e corpo perché potesse prevalere sull’altra.
E quella parte era senza dubbio quella satura dell’imprinting.
 
Lentamente mi allontanai dalla porta, ma dopo qualche passo mi accorsi che stavo pestando qualcosa, qualcosa di morbido.
Mi chinai per raccoglierlo e il mio cuore partì in quarta non appena riconobbi quel pezzo di stoffa: era la maglietta di Bella. 
Senza capirne il motivo la raccolsi e la strinsi tra le mani, era ancora umida e sapeva di lei. 
 
“Il tuo cuore sembra impazzito”

E ancora una volta aveva ragione. Perchè il mio cuore rispondeva al suo con una facilità incredibile, si lasciava andare definitivamente e più lo faceva più era difficile resisterle. Esattamente come era successo in questo preciso istante.
Ma dannazione. Perché riusciva sempre a fregarmi? Perché? Perché nonostante l’imprinting provavo tutto questo per lei?
Perché? 
Perché la mia vita era così complicata? Non potevo essere un licantropo come tutti gli altri? Perché dovevo essere sempre così difettoso? 
Dannata scheggia. 
In un modo o nell’altro riusciva sempre a farmi vacillare, a farmi dubitare dei miei sentimenti verso Emma, a farmi dubitare perfino di me stesso. 
Mi impediva di dimenticare, di andare avanti per la mia strada, di vivere la mia vita insieme ad Emma perché continuava imperterrita a mostrarmi il suo viso, il suo odore, le sue labbra, il suo corpo piccolo e fragile… tutto, tutto ciò che riguardava lei… e nessun’altra.
Continuai a stringere quella maglietta con il cuore galoppante e gli occhi persi nel vuoto. 




Ps. Volevo ringraziare tutte le ragazze che hanno commentato il mio precedente capitolo e soprattutto scusarmi con voi per non avervi risposto, ma credetemi, non ne ho avuto proprio il tempo!!! Spero di poterlo fare a poco a poco!!! Grazie ancora a TUTTE!! Vi adoro!!! *____*

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Capitolo 20
*** LA VERITA' ***


CAPITOLO 17:
La verità
 
Arrivai a casa sfinita e senza forze.
Chiusi la porta alle mie spalle e lentamente mi trascinai fino al salotto lasciando cadere a terra i miei vestiti ancora umidi e sporchi di fango, rimanendo così, ferma e immobile esattamente al centro della stanza. 
Non sapendo neanche il motivo feci vagare il mio sguardo sulla casa ormai fredda e vuota: avrei dovuto pulire per terra, spolverare e magari anche cucinare qualcosa per non morire di fame, ma ero davvero distrutta,  non riuscivo neanche a reggermi in piedi figuriamoci a mettermi ai fornelli.
L’unica cosa che avrei dovuto fare era andare a dormire e cercare di dimenticare il più in fretta possibile quella giornata maledetta.
Avrei anche dovuto studiare per l’esame di letteratura francese che si sarebbe tenuto esattamente fra quattro giorni, ma non ne avevo né la forza né tanto meno la voglia.
Rimasi ancora lì, preda dei miei pensieri, quando mi resi conto che avevo ancora addosso i vestiti che mi aveva dato Jacob. 
Un forte senso di nausea e di ribrezzo si impossessarono del mio corpo e comincia a sentire un fastidio tremendo provenire proprio da quei vestiti. Stavo soffocando, annaspavo, dovevo liberarmene all’istante, perché ogni secondo che passava diventavano sempre più stretti e maledettamente dolorosi. Così con rabbia cominciai a sfilarmi prima i pantaloni e poi la felpa gettandoli violentemente sul pavimento rimanendo in biancheria intima.
 
E puntuale come sempre il freddo si impossessò del mio corpo...ma non ci badai.
Era come se non lo percepissi davvero, come se non lo sentissi direttamente sulla mia pelle, come se fossi ormai un involucro vuoto, svuotato da secoli. Ma in realtà di che mi stupivo? 
Ormai non sentivo assolutamente nulla. 
Ero caduta in un precipizio avvolto dall’oscurità, saturo di puro dolore, rinchiudendomi in una corazza blindata il cui accesso era riservato solo ed esclusivamente a me stessa. 
Come un automa mi diressi in bagno e togliendomi gli ultimi indumenti di dosso mi infilai sotto la doccia aprendo il rubinetto dell’acqua calda.
Quel getto bollente mi risvegliò da quello stato di trans in cui ero precipitata senza possibilità di ritorno. 
Poggiai la fronte sulle piastrelle della doccia mentre sentivo l’acqua scivolare violenta sulla mia schiena, sui miei seni, sulle mie cosce levando via i tremori che fino a pochi minuti prima si erano impossessati di me e del mio essere, quell’acqua che col suo calore si portava via gli ultimi residui della mia patetica vita, i miei pensieri egoistici sul mio Sole, eliminando definitivamente quelle minuscole se non nulle, possibilità che avevo di riconquistarlo, di poterlo finalmente avere accanto.
Perché la mia paura più grande si era avverata lasciandomi con l’amaro in bocca e col cuore in mille pezzi.
 
Uscii dalla doccia e indossai velocemente il mio pigiama in pile asciugandomi per bene i capelli e per un istante osservai la mia immagine riflessa sullo specchio di fronte a me: era agghiacciante, sovrumana, spaventosa…le occhiaie erano marcate sotto gli occhi, le labbra turgide e bianche, il viso pallido e giallastro….ero davvero un mostro, in tutti i sensi.
Mi allontanai velocemente da quell’oggetto inutile e fastidioso e mi distesi sul letto aggrappandomi al cuscino.
Facevo davvero fatica a tenere gli occhi aperti ma ciò non mi impedì di far volare la mia mente e i miei pensieri, rimuginando sulla mia vita pietosa. 
Ne avevo davvero combinate di cotte e di crude, avevo fatto soffrire tutte le persone che amavo e che mi amavano a loro volta senza battere ciglio, rifugiandomi dietro il mio vittimismo che avrebbe fatto arrabbiare perfino un santo.
Li avevo feriti tutti, il mio egoismo non aveva lasciato scampo per nessuno…nessuno…e per nessuno intendevo lui. Lui che più di tutti avevo ferito e ucciso con i miei comportamenti assurdi e le mie pugnalate alle spalle. Lui che nonostante tutto era sempre pronto a difendermi e a combattere per me con le unghie e con i denti… ma ormai era tutto diverso.
Delle lacrime di dolore scesero copiose lungo il mio viso ormai stanco e amareggiato. Ma erano lacrime di odio, di odio puro verso me stessa, perché non avrei mai potuto perdonarmi per il dolore che gli avevo inflitto…mai. 
 
E adesso ne stavo pagando le meritate conseguenze.
 
Mi piegai su me stessa stringendo le braccia attorno alle gambe e morsi il cuscino per attutire i singulti che mi stavano deturpando il petto senza alcuna pietà, e ogni singhiozzo era un ammonimento, un rimprovero verso me stessa pronto a punirmi per tutto il male che avevo causato.
Continuai così per dei minuti interminabili, fin quando, stravolta e ormai senza forze, mi addormentai.
 
***

Mi svegliai di soprassalto col cuore in gola e con un dolore lancinante provenire dal mio cuore ormai a brandelli. 
 
Anche dormire era diventato impossibile.
 
Mi portai a sedere sul letto poggiando la schiena sul cuscino e  stancamente lasciai andare la testa sul muro alle mie spalle. 
Strinsi le mie braccia attorno al petto per non disperdermi. Non avevo la minima di idea di cosa avessi sognato, ma qualunque cosa fosse mi spaventò a morte. Odiavo non ricordare i miei sogni, era qualcosa che mi faceva imbestialire.
Respirai a fondo per cercare di calmarmi e magari di riprendere il controllo di me stessa.
 
Ormai fuori era buio pesto e la pioggia aveva smesso di cadere dal cielo.
 
Accesi la piccola lampada sul mio comodino che illuminò la stanza di un colore dorato, e osservai la sveglia. 
Erano le sei del pomeriggio…avevo dormito parecchio, eppure continuavo a sentirmi tremendamente stanca.
Con un sospiro di rassegnazione mi riportai a sedere sul letto, ma quando alzai lo sguardo, il mio cuore perse un battito.
In piedi, esattamente di fronte a me, c’era Jacob. 
“J-jake?” 
Era li, immobile, vicino alla finestra che avevo dimenticato di chiudere quella mattina, e per un attimo dimenticai tutta la disperazione, tutto il dolore che avevo provato fino a qualche secondo prima. 
 
Era capace di farmi dimenticare tutto, perfino il mio nome.
 
“Avevi dimenticato questa”
La sua voce era una pallida imitazione di quella roca e profonda che avevo sempre amato, ma questo non mi impedì di sussultare non appena pronunciò quelle parole.
Lo vidi allungare un braccio verso di me dove riuscii ad intravedere una maglietta blu stretta nella sua mano…la mia maglietta blu. 
Scesi lentamente dal letto e con passi lenti e accurati mi avvicinai a lui. 
Dio quanto era bello. 
Con gli occhi seguiva tutti i miei movimenti senza smettere di guardarmi neanche per un attimo e io facevo lo stesso con lui…era impossibile non guardarlo, mi avrebbero dovuto cavare gli occhi per impedirmi di bearmi del suo splendido viso. 
Così senza neanche rendermene conto mi trovai esattamente di fronte al mio Sole, ma a quella vicinanza cominciai a sentire il mio cuore battere ad una velocità incredibile.
 
Stavo ricominciando a respirare, a vivere…lui mi dava vita…lui era la vita.
 
“Grazie, non dovevi disturbarti”
Lo sussurrai appena, ma sapevo che mi avrebbe sentita.
“Figurati”.
Mi tese la maglietta e con molto impaccio la afferrai con una mano sfiorando le sue dita calde e ruvide. 
E quel misero contatto bastò per farmi esplodere il cuore.
Ero convinta che avrebbe scostato la mano, che sarebbe volato fuori dalla finestra e invece fece qualcosa che mi stupì: lasciò cadere la mia maglietta per terra e in un attimo mi afferrò le mani tra le sue.
Sussultai visibilmente sgranando gli occhi.
Sollevai il viso verso di lui e mi ritrovai completamente immersa in quei pozzi neri che aveva al posto degli occhi. Stava per dirmi qualcosa, lo vidi muovere le labbra e increspare la fronte, ma poi, dopo qualche secondo, abbassò la testa e ruppe il contatto delle nostre mani.
“Adesso devo andare”
Si voltò di scatto pronto a buttarsi giù dalla finestra
“Aspetta, non te ne andare ti prego”.
Rimasi immobile a fissarlo con il terrore negli occhi. Non volevo che mi abbandonasse, non di nuovo.
Lui rimase di spalle, combattuto se darmi ascolto e rimanere, oppure fuggire da me il più lontano possibile.Ma grazie al cielo rimase esattamente dov’era.
Avrei voluto corrergli incontro e abbracciarlo, e forse in un altro momento lo avrei anche fatto, ma non adesso… adesso era tutto diverso.
Osservai la sua schiena possente mentre sussurrai 
“E’ davvero bellissima”.
Avrei dovuto specificare, dirgli che stavo parlando di lei, ma quando stavo per pronunciare il suo nome, un dolore lancinante mi colpì in pieno petto. 
Faceva troppo male.
Ma sapevo che aveva capito esattamente di chi stessi parlando…nonostante tutto, speravo che continuasse ad essere l’unica persona capace di leggermi dentro.
Mi stavo distruggendo a passi lenti e dolorosi, ma dovevo sapere se quella ragazza era solo un passatempo oppure se…se ne era davvero innamorato… o peggio ancora.
Scossi violentemente il capo. Non volevo minimamente pensarci.
Lui si irrigidì di colpo ma mi rispose ugualmente
“Si lo so”.
Chiusi gli occhi per cercare di non esplodere.
“La ami?”
Chiederglielo fece terribilmente male, ma il suo silenzio cominciava a logorarmi.
“Jacob ti prego rispondimi”.
Era una supplica vera e propria la mia, dovevo sapere, l’attesa mi stava uccidendo.
Ma niente, continuava a darmi le spalle.
Mi avvicinai a lui e gli sfiorai il braccio.
Tremava.
“Per favore ho bisogno di sapere” sentivo la voce spezzarsi e gli occhi inumidirsi sempre di più. 
Ero patetica lo sapevo bene, ma non mi importava.
Lentamente lo vidi muoversi e voltarsi verso di me. 
I suoi occhi erano indecifrabili mentre diceva quelle parole che mi avrebbero uccisa…e questa volta per sempre.
“E’ il mio imprinting” 
 
Imprinting? 
 
Quella parola pulsava prepotente nel mio cervello come un martello impazzito pronto a darmi la mazzata finale.
Barcollai all’indietro sbattendo sul bordo della mia scrivania. 
“C-cosa?”
Avevo capito male… dovevo aver capito male. Lui non mi aveva detto quella frase, no, non poteva essere vero.
Ma lui non si mosse di un millimetro mentre mi fissava impotente.
Sentivo le lacrime scendere copiose lungo il mio viso e il respiro farsi sempre più affannoso e irregolare. 
Mi morsi il labbro inferiore talmente forte da sentirlo sanguinare.
L’avevo perso e questa volta per sempre.
“Non piangere” Adesso era lui quello che tremava e che mi supplicava.
Ma non riuscivo proprio a smettere ero come un fiume in piena, il dolore era troppo forte per poterlo fermare, ero come un rubinetto rotto destinato a gocciolare per sempre. 
Questa era la mia punizione.
Lo vidi avanzare verso di me e mi cinse il volto con le mani ardenti
“Perché lo fai? Perché non riesci ad essere felice per me? Lasciami andare Bella”
Sgranai gli occhi per la sorpresa e la confusione che mi procurarono le sue parole. Sapevo che aveva ragione, sapevo che avrei dovuto lasciarlo andare e infatti era esattamente quello il mio intento, ma adesso, con lui che mi guardava in quel modo, come potevo promettergli una cosa del genere?
“Non ci riesco” lo sussurrai piano, mi vergognavo di me stessa, non avevo alcun diritto di dirlo eppure lo feci.
Mi aspettavo un battuta acida delle sue pronta ad affondare ancora di più il coltello nella piaga, e invece, fece qualcosa che mi sconvolse del tutto per la seconda volta: si avvicinò a me e con disperazione incollò la sua fronte alla mia.
“Perché?Perchè?Smettila di essere così egoista Bella!”. 
Lo sapevo bene ed era per questo motivo che dovevo essere sincera con lui fino alla fine. Ero stanca di nascondere i miei sentimenti, non volevo avere rimpianti, mai più
“Perché io…” 
“No.”
Mi bloccò poggiando l’indice infuocato della sua mano destra sulle mie labbra.
“Non dirlo…ti prego” lo disse a bassa voce supplicandomi. 
“Perché?” lo sfidai con gli occhi per cercare una risposta che purtroppo non arrivò mai. 
Era arrabbiato, lo sentivo, ma quella sera gli avrei detto tutto, doveva conoscere i miei sentimenti prima di dirmi addio. Perché sapevo che dopo stasera non l’avrei più rivisto…
Si voltò pronto ad andarsene. 
“Jacob”
Lo urlai con quanto fiato avevo in corpo. Lui si fermò ma rimase di spalle poggiando le mani sul davanzale della finestra.
Respirai a fondo e col cuore ormai ridotto ad un cumulo di cenere, finalmente, dissi ciò che avrei dovuto dire da parecchio tempo.
“Io ti amo”
 
§§§ 

 
Mi voltai di scatto verso di lei completamente spiazzato. 
Le avevo chiesto di non dirlo, di non pronunciare quelle due parole…l’avevo fermata quando stava per dirle, le avevo impedito di pronunciarle perché avevo paura di me stesso, di come avrei potuto reagire ascoltandole.
Rimasi impietrito, completamente in balia delle mie emozioni e di ciò che era riuscita a farmi provare con quelle semplici parole. Pensavo fosse impossibile, ma sentii il mio cuore battere forte, con un’intensità mai provata prima,o meglio, sì, l’avevo già provata quel giorno, sulla montagna, quando stupenda e indifesa più che mai, mi aveva chiesto di baciarla. 
Sentirla mia per pochi istanti, sentire le sue labbra contro le mie, sentire che mi voleva, che in quel momento aveva scelto me era qualcosa di indescrivibile,perché potevo percepire secondo dopo secondo che il suo amore nei miei confronti stava riemergendo dagli abissi più profondi, facendole capire cosa avrebbe perso non scegliendomi, cosa avrebbe perso se non mi avesse voluto al suo fianco.
E per una ragione incomprensibile mi ritrovai a provare quelle stesse sensazioni, quello stesso battito del cuore..quegli stessi sentimenti.
E improvvisamente sentii qualcosa spezzarsi.
Quello “scricchiolio” che percepii quella mattina, si stava facendo sentire sempre di più,sempre di più.
Stavo riacquistando me stesso.
“Sei tu Jake, fin dall’inizio, sei sempre stato tu.”
A quelle parole il mio cuore partì in quarta.
“Quando stavo con Edward non riuscivo a lasciarti andare, non volevo che tu mi lasciassi, avevo paura di un tuo abbandono. All’inizio non ne capivo il senso,o meglio, non volevo capirlo perché avevo capito di amarti ma non riuscivo ad ammetterlo a me stessa. Poi, quando ti ho chiesto di baciarmi su quella montagna, non era semplicemente per la paura di perderti, ma l’ho fatto perché volevo farlo, perché in quel momento volevo che fossi mio.” Si fermò un attimo per riprendere fiato, continuando a guardarmi fisso negli occhi. Non avevo mai visto Bella così risoluta, eppure in quel momento sembrava determinata a dirmi tutta la verità, tutte quelle parole che non era mai riuscita a dirmi. 
Io ero come immobilizzato, non riuscivo a muovere un solo muscolo, un solo arto, mi aveva totalmente sconvolto. Quella scheggia, quella parte del mio essere stava esultando come non mai, era felice fino a star male. E in quel momento la desiderava come non mai.
“Ti amo Jake e lo so che adesso è troppo tardi ma è ciò che sento“ 
 
Si era troppo tardi, dannazione.
 
Era così bella, così magnificamente imperfetta, ma per me aveva sempre rappresentato ciò che di più perfetto e meraviglioso potesse esistere al mondo.
Sentivo il mio corpo ribellarsi, la parte “magica” di me mi stava urlando che non avrei mai dovuto provare tutto questo per lei, che avrei dovuto scappare da quella casa all'istante, ma poi c’era quella scheggia, che non voleva che mi fermassi, che voleva che continuassi ad avanzare verso di lei per cercare un contatto,per poterla sentire mia ancora una volta.
“Jake?” Era confusa, potevo vederlo dal suo sguardo, dai suoi occhi inumiditi dalle lacrime e dalla piccola ruga che si era formata esattamente al centro della sua fronte. Mi fermai a qualche centimetro dal suo viso, rapito da quelle parole e soprattutto dal battito sempre più veloce del suo cuore che richiamava il mio in una danza riservata solo a loro. 
“Ho aspettato una vita intera di sentirti dire queste parole…una vita intera…”
Lo sussurrai piano, ancora incredulo.
“Lo so…”
“Ma adesso è troppo tardi Bella.” 
Certo che era troppo tardi, ormai la magia era stata innescata e niente al mondo avrebbe potuto liberarmi,anche perché non lo volevo, sentivo di non volerlo, sentivo di amare Emma e di volere una vita con lei. E poi come potevo essere sicuro di quello che Bella mi stava dicendo? Come potevo sapere se quello che mi aveva detto era davvero ciò che provava o era semplicemente dettata dalla paura di perdermi di nuovo? 
“Lo so…so che è tardi…ma non posso più mentirti, non ci riesco a lasciarti andare…non di nuovo. Ho sbagliato una volta Jake, non ho intenzione di rifare lo stesso errore”
Chiusi gli occhi istintivamente, non potevo sopportare altro.
Dovevo andarmene da quella casa, dovevo scappare il più lontano possibile da lei e dalla parte di me stesso che avrebbe voluto farla sua in quel preciso istante, ma non riuscivo a muovere un muscolo…ormai la scheggia aveva preso il sopravvento e quello che stava agendo ero proprio io, ero me stesso. 
Ma non potevo, ero troppo confuso, troppo sconvolto per poter rimanere qualche secondo di più in quella stanza.
Così, spezzai quel contatto tra i nostri corpi e mi allontanai velocemente da lei.
“Devo andare”. 
Stavo per voltarmi verso la finestra ma le sue parole me lo impedirono, come del resto erano sempre riusciti a fare.
“Non lasciarmi…” lo sussurrò appena, la voce spezzata dal pianto e gli occhi sempre più arrossati per via delle lacrime che scivolavano prepotenti sul suo viso di pesca.
Ma quel sussurro bastò per mandarmi completamente in tilt il cervello, ormai le mie capacità mentali erano nulle…non potevo più niente con lei accanto. 
La vidi avanzare verso di me con passo lento e cauto, forse aveva paura che potessi fuggire da un momento all’altro, ed era esattamente quello che stavo per fare, ma quando mi raggiunse, poggiò il palmo della sua mano sul mio petto, esattamente dove il mio cuore martellava impazzito. La vidi sgranare gli occhi per la sorpresa ma si riprese subito e cominciò fissarmi con un’intensità incredibile, mentre poggiava anche l’altra mano sul mio petto bollente. 
 
E a quel punto persi completamente il lume della ragione.
 
Mossi, senza capire cosa stessi facendo davvero, una mano, per afferrarle saldamente la schiena e incollarla al mio corpo, mentre con l’altra affondai sulla sua nuca avvicinandomi con assoluta lentezza al suo viso.
La vidi chiudere gli occhi e così cominciai a sfiorarle prima il labbro superiore, poi quello inferiore in una lenta e deliziosa tortura per entrambi. Non avevo idea di quello che stavo facendo ma il mio cuore mi diceva che era la cosa giusta da fare.
Con un respiro pesante le catturai le labbra in un bacio dolce, quasi timido, che per me fu peggio di una pugnalata in pieno stomaco. 
Un’improvvisa ondata di fuoco mi pervase l’essere, mi sentii  bruciare, come se qualcosa dentro di me stesse per esplodere, e non era l’animale che dormiva dentro di me, no, era qualcos’altro, qualcosa che si stava lentamente staccando dal mio corpo abbandonando la mia anima. 
Emisi un leggero ringhio tra le sue labbra che adesso si erano dischiuse pronte ad assaporare la mia lingua che giocava frenetica con la sua.
Mi strinsi di più a lei per cercare di alleviare il dolore che via via si faceva sempre più pungente, sempre più lancinante, ma più la stringevo a me, più la baciavo, più la toccavo e più quel dolore invece di diminuire aumentava di intensità.
 
Ma non avrei rinunciato a quel momento per niente al mondo.
 
Poter baciare nuovamente le sue labbra, sentirla mia,poterla stringere in quel modo, sentire quanto mi voleva, mi fece dimenticare il dolore che provavo. Per un attimo tornai il Jacob di cinque mesi fa.
Le afferrai saldamente i fianchi e con un movimento fulmineo la poggiai al muro mentre le nostre labbra non smettevano un attimo di cercarsi, di pretendersi.
Sentivo le sue mani stringermi le spalle e i capelli con disperazione, mentre le sue lacrime bagnarono anche il mio viso lasciando delle piccole scie salate e fredde sulla mia guancia.
Io ero come impazzito, tutto dentro di me urlava dolore, fuoco, sofferenza, strazio, tormento, ma continuavo imperterrito ad impossessarmi delle sue labbra e del suo corpo come mai avevo osato fare.
 
La sentivo: era mia, voleva essere mia.
 
Feci scendere le mie mani sulle sue cosce e le portai a cavalcioni su di me stringendola ancora di più al mio corpo.
Le baciai il collo e la sentii gemere di piacere mentre stringeva sempre di più le gambe attorno alla mia vita
“Ti amo Jake”. 
E quello fu per me il colpo di grazia, perché il dolore divenne improvvisamente insostenibile.  
 
La lasciai andare e in un attimo cominciai ad urlare.
 
Urlai portandomi le mani sulla testa stringendo forte le dita tra i capelli. Mi sentivo come se stessi andando a fuoco, come se il mio corpo fosse avvolto dalle fiamme e stessi bruciando con una velocità impressionante. Scomparve tutto, quella stanza, quei mobili, Bella…tutto, le tenebre avevano inghiottito tutto, perfino me stesso.
Continuavo a stringere la mia testa fin quando un fischio insopportabile mi invase i timpani e caddi a terra contorcendomi dal forte dolore. 
Poi però vidi qualcosa, erano delle immagini, immagini sbiadite di Emma, della nostra vita futura, dei nostri bambini, della nostra casa, delle sue labbra, del suo corpo, e più il bruciore aumentava più le immagini si facevano vivide e prepotenti nella mia testa. 
Stavo tradendo il mio imprinting, il mio destino, la mia unica ragione di vita. Che diavolo mi era saltato in mente? Perché? Perché ero riuscito a cedere nella sua trappola? Perché era così facile farmi trasportare da quella dannata parte di me che la amava con tutta l’anima? 
Poi, proprio come era spuntato, il dolore sparì di colpo, lasciandomi senza respiro e col cuore galoppante.
 
Sollevai lo sguardo e vidi Bella in ginocchio di fronte a me mentre cercava di capire cosa mi fosse successo. Vedevo terrore, panico nei suoi occhi di cioccolata che adesso erano gonfi e pieni di lacrime…per me
Dovevo dirle addio, adesso, ora che il bruciore era scomparso, dovevo allontanarmi da lei e non vederla mai più. 
Non potevo più permettermi di essere debole, di lasciarmi vincere da qualcosa che era morta e sepolta già da tempo ormai.
“Jake, stai bene? Parlami di qualcosa?” mi prese il viso tra le mani e piantò i suoi occhi nei miei.
“Si,sto bene” Ero freddo, crudele. Dovevo esserlo.
Afferrai i suoi polsi e allontanai le sue mani dal mio viso alzandomi da terra.
Ero senza forze, sfinito, ma riuscii comunque a rimanere in piedi.
“Ma non puoi andartene in queste condizioni…resta ti prego.”
Si sollevò da terra anche lei e mi si avvicinò alzando le braccia. Sapevo cosa voleva fare, voleva riprendersi il mio cuore, ma questa volta non gliel’avrei permesso, no, questa volta l’avrei fermata. Mi scostai da lei.
“Ti ho detto che sto bene. E non dobbiamo parlare di niente, perché non è successo niente
Rimase li, con gli occhi lucidi e lo sguardo perso nel vuoto con le braccia ancora protese verso di me. L’avevo ferita a morte. 
Non potevo resistere, non potevo abbandonarla e lasciarla in quello stato…ma dovevo farlo, dovevo dirle addio una volta per tutte.
Mi avvicinai a lei e presi le sue mani tra le mie guardandola fisso negli occhi.
 
Mi stavo uccidendo con le mie stesse mani ma dovevo farlo.
 
Con una mano le accarezzai la guancia perdendomi nel suo sguardo confuso e spaesato. 
Poi però fu lei a parlare per prima.
“Niente?” 
“Oh Bella smettila, smettila di fare così, sono fidanzato, ho il mio imprinting e quello che è successo fra noi…beh dimenticalo.”
Non avevo il coraggio di guardarla negli occhi, per me era davvero il limite. Ma era vero, quella era la pura verità.
“Come faccio a dimenticarlo? Io…non posso, non voglio dimenticare.” mi allontanai da lei all’istante. Non potevo più stare li, dovevo andare via. Ma lei non me lo permise perché con una mano acchiappò il mio braccio nella vana speranza di farmi voltare verso di lei. 
“Aspetta”
Potevo benissimo togliere quella mano da li con il semplice movimento di un dito e scappare via, ma.. quella parte di me, quella scheggia me lo impedì, perché la desiderava come non mai e soffriva, soffriva come un cane perché non poteva averla…mai più.
“Stai andando da lei…vero?” Non potevo rispondere, non riuscivo a dire niente, per me era insopportabile vederla li, piccola e indifesa, mentre piangeva per me. 
Era davvero troppo, stavo per esplodere, lo sentivo.
Le afferrai i fianchi e con delicatezza sfiorai le sue labbra per l’ultima volta.
“Addio Bella” 
E fuggì via, non riuscii neanche a vedere la sua espressione perché volai come un fulmine fuori dalla finestra. Scappai il più lontano possibile da lei senza fermarmi un attimo, correvo, correvo come un folle verso un posto dove poter sfogare tutta la mia rabbia, dove poter finalmente esternare tutta la mia frustrazione… ma soprattutto dovevo andare da Emma, dovevo andare dal mio imprinting, adesso ne avevo davvero bisogno.
 Mi trasformai a mezz’aria e continuai a correre, a correre con la consapevolezza che dentro di me qualcosa si era spezzato, una parte del mio essere era distrutta dal dolore perché era perdutamente innamorata di lei, della ragazza che avrei voluto avere con tutta l’anima, con tutto il cuore, se solo lei avesse fatto questa scelta tempo prima… avevo un grosso groppo in gola che non riuscii a mandare giù, era sempre li, fastidioso più che mai.
Sentii gli occhi inumidirsi e qualcosa di salato bagnare i peli del mio faccione, le ciglia erano imperlare di lacrime e la mia vista diventava sempre più precaria. Fino a quando dovetti bloccare la mia corsa perché il dolore al petto era diventato sempre più forte e il groppo in gola sempre più potente impedendomi di respirare. Affondai le zampe sul terreno e portando in dietro la testa ululai, ululai come non avevo mai fatto, ululai fino a sentire la gola bruciare e le corde vocali spezzarsi.
 

 

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Capitolo 21
*** A VOLTE LE LEGGENDE SONO SOLO LEGGENDE ***


Ed eccomi finalmente!! Come promesso ho postato il capitolo sostituendolo con "L'avviso" di qualche giorno fa. Mi scuso ancora per il mio ritardo, ma adesso spero di ricominciare a postare con più frequenza.
Ne approfitto per augurare a tutti voi un sereno e felice Natale! Alla prossima! Un bacio immenso! *___*
Kiry<3

CAPITOLO 18: 
A volte le leggende sono solo leggende
 


Fin da quando ero bambino mio padre mi ripeteva sempre che nella vita niente si da mai per scontato e che molte volte ciò che crediamo impossibile può trasformarsi inevitabilmente in qualcosa di reale, di vero, di incredibilmente possibile. E mai come in quel momento potevo affermare con assoluta certezza che aveva perfettamente ragione. 
 
“Sei tornato”
“A quanto pare” il mio tono di voce sfiorava l‘arroganza ma non ci badai. L’ultima cosa a cui pensavo era se ferire o no mio padre.   
Non l’avevo ancora perdonato per il suo silenzio, per le sue continue bugie. Ero arrabbiato, ferito, deluso, distrutto, non c’erano parole per descrivere ciò che sentivo in quel preciso momento.
“C’è qualcosa che non va Jake?” sentii le ruote della sua sedia a rotelle stridere sul pavimento per avvicinarsi a me. 
“Sto magnificamente” e anche l’aggettivo bugiardo si aggiungeva alla lista delle mie pessime qualità. 
“Non mentirmi” facevo vagare il mio sguardo per tutto il salotto, sul piccolo comò in legno, sui quadri appesi al muro, sul vaso poggiato sopra il tavolo, tutto, guardavo tutto, tranne i suoi occhi. 
“Jacob?”_Con una mano mi strattonò il braccio_ “Parlami” 
“Cosa vuoi sentirti dire papà? Che sto bene? Che ho tutto sotto controllo?” 
No, non c’era niente che andasse per il verso giusto, niente.
“Dimmi cosa ti tormenta” 
Sorrisi sarcastico
“Cosa mi tormenta? Tutto! La mia vita mi è sfuggita di mano prima che riuscissi ad accorgermene! E tu…tu…se solo…” Ma la rabbia era troppo forte, la disperazione era troppo avvolgente. Non riuscii a finire la frase perchè faceva male, terribilmente male. 
Mi allontanai da lui con un balzo. Stavo per perdere il controllo di me stesso, lo sentivo.
“Io cosa? ” 
Davvero non ci arrivava? Davvero voleva farmelo dire? Ma a quel punto scoppiai.
“Se solo mi avessi detto che non si era trasformata, che non aveva sposato quel succhiasangue, se solo mi avessi detto subito che lei era venuta qui a cercarmi adesso non mi sentirei così maledettamente vuoto! Io amo Emma dannazione!” E con un gesto brusco della mano feci cadere in terra il vaso in ceramica che si trovava sul tavolo del salotto rompendolo in mille pezzettini. Sentivo i miei occhi andare a fuoco, tutto andava a fuoco, ma questa volta era la mia rabbia, la mia frustrazione a mandarmi fuori di testa. 
Non sapevo neanche perché avessi reagito in quel modo, anche perché sapevo per certo che in realtà la persona con cui ce l’avevo a morte non era certo lui, ma forse arrabbiarmi con mio padre era la via più facile. 

Lui non disse nulla, rimase li ad osservarmi e la cosa mi innervosiva sempre di più.
Mi portai le mani alla testa stringendo forte le dita tra i capelli.
“Vuoi sapere perché non l’ho fatto Jacob?” Rimasi di spalle, non potevo sostenere il suo sguardo.
“Perché volevo che trovassi qualcun’altra, un’altra ragazza capace di farti battere il cuore fino a scoppiare. Volevo che la dimenticassi una volta per tutte per poter finalmente rivedere il tuo sorriso, la felicità nei tuoi occhi, la tua solarità, tutte cose che lei ti aveva portato via.” Le sue parole furono come un pungo in pieno stomaco per me, e non potei che dargli ragione perchè lei si era portata via una parte di me, mi aveva tolto l’anima, l’aveva calpestata senza alcun ritegno e poi l’aveva gettata via come spazzatura “Volevo che tu trovassi la felicità Jake e quando mi avevi chiamato dicendomi che avevi trovato il tuo imprinting per me è stato un sollievo, la tua voce era diversa, tu era diverso e non ho voluto dirtelo, non ho voluto farlo perché altrimenti sapevo cosa sarebbe successo” Mi voltai di scatto verso di lui fissandolo incredulo.
“Cosa? Cosa sapevi?” Adesso doveva dirmi tutto, doveva dirmi che cosa sapeva perchè io stavo impazzendo.
“Vieni, siediti sul divano” non volevo sedermi, non potevo stare seduto in un momento come quello.
“Jacob per favore, siediti” la sua voce era calma, fino troppo. Avevo la testa che mi scoppiava, ma la curiosità mi stava divorando e poi ero più che certo che lui era l’unico che potesse darmi delle risposte. Così dovetti obbedire e mi accomodai sul divano. 
Mio padre mi fissava senza dire una parola, mi fissava e basta. Non sapevo cosa avesse letto nei mie occhi ma, dopo qualche istante, dalla sua bocca apparve un piccolo sorriso, un sorriso di comprensione, di rassegnazione. Sospirò a fondo e mi prese una mano.
“Non è colpa tua” Sgranai gli occhi? Ma di che diavolo stava parlando? Cosa non era colpa mia? “L’imprinting, non è colpa tua” ero sempre più confuso, che c’entrava tutto questo con il fatto di non avermi detto la verità su di lei? 
“Papà non capisco” corrugai la fronte guardandolo sempre più confuso.
“Sei stato a casa di Bella, non è così?”
“Come hai fatto a…” Ma non mi diede il tempo di finire la frase perché mi interruppe immediatamente piantando i suoi occhi nei miei. 
“Perché ti conosco e poi perché i tuoi occhi non possono nascondermi niente figliolo. Ho percepito il tuo dolore, la tua disperazione. Sei diventato furioso, eri fuori controllo” Come diavolo aveva fatto a capire tutto con un semplice sguardo? Sentii gli occhi inumidirsi e una piccola lacrime scendere lungo il viso prima che potessi accorgermene.
“Cosa mi sta succedendo?” lo sussurrai appena abbandonando la mia testa tra le mani. 
“Jake, tu sai bene che l’imprinting è una magia molto potente che dura da secoli dalla quale non è possibile sottrarsi.” Si lo sapevo bene, sapevo cos’era, ma non era questo che aspettavo di sentirmi dire. “Ma l’amore, l’amore vero, quello non lo neutralizzi così facilmente”
Sollevai il viso sgranando gli occhi.
“C-cosa?” Che diavolo stava cercando di dirmi? 
“Quest’imprinting è avvenuto perché tu volevi che avvenisse. Eri talmente sconvolto che la tua determinazione era più forte di qualsiasi altra cosa e questo ha innescato la magia” Continuai a guardarlo negli occhi sempre più confuso e incredulo adesso più che mai pendevo dalle sue labbra. Prese un respiro profondo e continuò a parlare “Jake, il tuo amore per Bella è reale, è umano. Tu l’hai scelta quando il lupo non era ancora entrato dentro di te, il tuo cuore ha scelto di amarla tempo fa, e quando si ama così profondamente, come tu ami Bella, la magia non può vincerti. L’amore è più forte di qualsiasi altra cosa al mondo figliolo. Un amore così avvolgente è praticamente impossibile da distruggere, l’hai semplicemente accantonato.”
No, non poteva essere vero. 
Spalancai gli occhi incapace di pronunciare una sola sillaba. 
“Quello che sto cercando di dirti è che puoi scegliere Jacob. Puoi decidere se spezzare la magia oppure rinforzarla. Spetta solo a te figliolo. ” 
Ero convinto che mi stesse predendo in giro perché quello che mi aveva detto era assurdo, non aveva il ben che minimo senso e più lo fissavo negli occhi più però mi rendevo conto che era terribilmente serio. Avrei voluto dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma l’unico suono che uscì dalla mia bocca fu un sussurro incomprensibile.
La scelta era mia. Solo mia. 
E io cosa volevo davvero? Percorrere la strada tracciata dal mio imprinting oppure scegliere lei, la ragazza che IO avevo scelto di amare già tanti anni fa, la ragazza che aveva rubato il mio essere, che aveva stregato il mio cuore… la ragazza che qualche ora fa aveva ammesso di amarmi.
A quel pensiero sussultai visibilmente sentendo il mio cuore battere all’impazzata. 
“Ho bisogno d’aria” 
Mi alzai dal divano come un automa e mi diressi verso la porta d’ingresso. 
“Fa la scelta migliore per te figliolo, ascolta il tuo cuore” Ascoltare il mio cuore… era proprio quello il problema.
Afferrai la maniglia e uscii da quella casa senza neanche degnarlo di uno sguardo, nulla. Non volevo vedere la sua espressione triste e accigliata per colpa mia, l’avevo deluso sia come Protettore che come figlio, ero merce difettosa, inutile, come poteva una magia così potente non avere alcun effetto su di me? Perché non era riuscita a scatenare il suo potere sulla mia anima? Perché? 
Era davvero assurdo.
Cominciai a correre senza una meta ben precise, avevo semplicemente bisogno di sentire l’aria fresca investire violenta il mio petto nudo e il mio viso scompigliandomi i capelli. Il vento pizzicava il mio essere e lo ripuliva, lo rinfrescava da tutto quel fuoco che si era impossessato del mio corpo e della mia anima impedendomi di respirare. 
Non mi trasformai, volevo che quella sensazione di “purificazione” avvenisse quando ero ancora umano, avevo bisogno di sentire me stesso, di percepire ogni mia singola emozione e sensazione. Continuai a correre facendomi largo fra alberi, cespugli, pozzanghere con la mente annebbiata e il cuore sempre più frenetico. 
Le parole di mio padre continuavano a martellarmi il cervello senza darmi un attimo di tregua: dovevo scegliere, dovevo ascoltare il mio cuore e forse inconsciamente lo feci, perché non appena riuscii ad ottenere un briciolo di lucidità mi resi conto di trovarmi esattamente sotto la sua finestra. 
E come attirato da una forza irresistibile, alzai la testa puntando i miei occhi su quelle lastre di vetro adesso chiuse, appannate semplicemente dal calore delsuo dolce fiato.  
La sentivo. 
Era ancora sveglia.
Potevo sentire i singhiozzi provenire dal suo petto e il respiro irregolare, potevo percepire ogni singola lacrima che solcava il suo viso di pesca, potevo avvertire ogni piccolo singulto giungere dalla sua bocca di rosa…chiusi gli occhi istintivamente quando, allungando le orecchie, potei distinguere in mezzo alle lacrime e ai singhiozzi,il martellare frenetico del suo cuore. Mi sorpresi di come al solo sentire quel pulsare impazzito, il mio di cuore, cominciò a rispondere al suo in maniera quasi naturale, come se fosse la cosa più normale del mondo. Quei battiti erano come una dolce melodia per il mio udito, per il mio essere. Per quel cuore avevo fatto pazzie, avevo combattuto ogni giorno mettendo anima e corpo solo per tenerlo in vita, solo per poterlo sentir battere ancora…e adesso tutte le mie fatiche erano state premiate. 
Avrei voluto correre da lei, stringerla tra le mie braccia e dirle che sarebbe andato tutto per il meglio, ma non potevo, non volevo farlo. Mi ribellai categoricamente a quella parte di me che stava cedendo inesorabilmente ai miei sentimenti folli e incomprensibili. 
Ero ancora terribilmente confuso, e stare li, sotto la sua finestra, col suo dolce odore di fragola che mi solleticava le narici, mi mandava completamente fuori i testa. 
I miei piedi si scollarono a fatica dal pavimento, le mie gambe non ne volevano sapere di andare via da li, ma non avevo altra scelta, dovevo farlo. 
Mi voltai furioso e iniziai a correre, a correre come un pazzo, ma questa volta sapevo esattamente dove stessi andando.
*******
Sbattevo il pugno sulla superficie ruvida della porta bianca che mi si parava davanti con insistenza. Sapevo che era tardi e che probabilmente l’avrei svegliata, ma in quel momento avevo bisogno di lei, dovevo vederla subito, avevo bisogno del mio ossigeno, della mia aria per poter continuare a respirare. 
“Jake?” I suoi occhi assonnati mi guardavano confusi, ma con quel velo di felicità che riusciva sempre a contagiarmi. 
Non riuscivo a dire niente, rimanevo immobile a fissarla e più la guardavo più mi rendevo conto che forse era la scelta giusta, che forse aveva ragione mio padre e che con lei ero diverso, che l’imprinting mi aveva regalato quel briciolo di felicità che Bella non era mai riuscita a darmi svuotandomi da qualunque tipo di sentimento. Così, senza pensarci troppo, le afferrai la nuca e la baciai violento, animalesco, ma in quel momento era l’unica cosa che volevo fare. 
Lei dopo un attimo di smarrimento, cominciò a rispondere al bacio con altrettanta passione avvinghiandosi al mio collo ed io, senza interrompere il bacio, la spinsi all’interno della camera chiudendo la porta alle mie spalle.
“J-jake, Jake aspetta che ti prende?” Si allontanò dalle mie labbra mentre sorrideva estasiata.
“Niente, non posso baciare la mia ragazza?”e ripresi possesso delle sue labbra, ma questa volta con più gentilezza.
“Certo che puoi, ma sei strano..sicuro di stare bene?”corrucciò la fronte visibilmente preoccupata, fissandomi dolcemente negli occhi.
“Sto benissimo non preoccuparti” e così dicendo misi fine alle parole cominciando a baciarla con sempre più ardore. 
La presi tra le braccia e con delicatezza la feci stendere sul letto.
Non sapevo neanche io cosa stessi facendo, ero come impazzito, ma nonostante questo non avevo la minima intenzione di fermarmi. Con dolcezza le sfilai la maglietta del pigiama mentre le sue mani cominciarono a vagare fameliche sul mio petto e sui miei capelli senza un attimo di tregua. Percepivo il desiderio crescere dentro di me come la marea in una notte di luna piena. La desideravo, desideravo che annebbiasse i miei sensi e che mi facesse ricredere su tutto quello che avevo provato, su tutto quello che avevo sentito fino a pochi istanti prima. Volevo che quella dannata magia si rafforzasse e che tutto quello che mio padre mi aveva rivelato diventasse semplicemente polvere, cenere, il nulla.  
La sentii fremere tra le mie braccia e con dolcezza le accarezzai le guancia fissandola per qualche secondo negli occhi. 
Ma quando lo feci, capii all’istante che quelli non erano i suoi occhi, non erano gli occhi che avrei dovuto vedere perché al posto di quei meravigliosi lapislazzuli, c’erano occhi caldi, occhi castani, occhi color cioccolato, occhi che mi avevano stregato l’anima e l’essere.
Il mio cuore perse un battito.
 
Perché sei ancora li? Perché continui imperterrita a invadere il mio cuore, il mio cervello, i mie sensi? Perché non puoi lasciarmi in pace? 
 
Provai a chiudere gli occhi, cercai in tutti i modi di eliminare l’immagine di lei, che prepotente,continuava ad impossessarsi del mio essere, ma niente, non riuscivo a muovere neanche un muscolo. Rimasi li, immobile mentre continuavo a fissare quegli occhi castani con intensità crescente. Sapevo che quella maledetta scheggia si stava ribellando con tutte le sue forze, mi stava mandando segnali che io continuavo imperterrito ad ignorare fregandomene dei sentimenti dell’altra parte di me stesso che in quel momento desiderava un’altra ragazza, un altro corpo, altre labbra, altri occhi.  
 
Quegli occhi, quelle labbra, quel corpo.
 
Dio solo sa quanto li avevo desiderati in passato struggendomi l’anima come un dannato pur di averli tutti per me, pur di sentire che finalmente appartenevano esclusivamente a me e a nessun altro. 
Ma adesso basta, non potevo soccombere davanti al suo ricordo, dovevo reagire dannazione. 
E così, spinto da una forza sovrumana, scossi violentemente il capo riuscendo a scacciare finalmente il suo viso dal mio cervello. 
“Jake, tutto bene?” In tutto quel casino, in tutto quel turbine di sentimenti, mi ero dimenticato della cosa più importante: Emma era ancora li, schiacciata dal mio corpo mastodontico, mentre mi fissava confusa e frastornata. 
Sorrisi lievemente e con dolcezza sfiorai con la punta del naso il dorso del suo.  
“Si, adesso andrà tutto per il meglio, te lo prometto.” lo sussurrai appena fissandola intensamente negli occhi e finalmente riuscii a vedere gli occhi giusti, quegli occhi che mi avevano fatto innamorare, gli occhi che mi regalavano costantemente libertà e spensieratezza. Ormai ero determinato a far alimentare la magia e niente mi avrebbe fermato, niente sarebbe riuscito a farmi cambiare idea. Amavo Emma, e più la baciavo, più la accarezzavo, più questa consapevolezza si impossessava del mio essere, mettendo a tacere quella dannata scheggia.  
Così, guidato solo dai miei sensi, cominciai a sfilarle i pantaloni del pigiama che lentamente feci scorrere lungo le sue gambe sottili e incredibilmente lisce. Le mie labbra ricominciarono a correvano avide sul suo corpo ormai nudo strappandole gemiti incontrollabili di piacere. Volevo sentirla, volevo legarmi a lei in modo indissolubile. 
Con una mano le afferrai gentilmente il ginocchio portandolo a circondare il mio fianco, ma un istante prima di unirmi a lei, due parole riecheggiarono nella mia testa estraniando tutto il resto, due semplici parole capaci di farmi scoppiare il cuore:
“Ti amo Jake”
Spalancai gli occhi giusto in tempo per sentire una piccola goccia d’ acqua salata solcare il mio viso. 
Ormai era troppo tardi.
 
Perché è vero, ti ho scelta quando per la prima volta ho posato gli occhi su di te; ti ho scelta quando giocavamo insieme costruendo torte di fango; ti ho scelta quando non sapevo neanche cosa significasse il verbo scegliere; ti ho scelta quando piccola e indifesa, spuntasti davanti casa mia con due rottami a due ruote; ti ho scelta quando per la prima volta vidi sul tuo viso un piccolo sorriso, il risultato di tutti i miei sforzi; ti ho scelta prima che il lupo si impossessasse del mio essere; ti ho scelta ogni giorno, sempre, da sempre, anche quando il tuo amore non era corrisposto, anche quando la tua scelta era indirizzata all’altro ed io tornavo ad essere l‘eterno secondo; ti ho scelta quando hai spezzato il mio cuore ripetute volte; ti ho scelta quando le nostre labbra si sono unite per la prima volta.
Ti ho scelta quando tu non mi hai scelto. 
Ma adesso no, adesso è tutto diverso.
Ti ho aspettata, ho aspettato anni con la speranza che finalmente ti accorgessi di me, ho aspettato in vano tanto, troppo tempo, ma adesso basta.
So che il mio cuore ti appartiene e so anche che dovrò convivere con la parte di me che continua ad amarti profondamente, ma non mi importa, perché ormai la scelta è stata presa e niente mi farà tornare indietro. 
Ma dopo tutto, so per certo che nonostante questo,l’esatta metà di me stesso ti sceglierà sempre, per sempre.

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Capitolo 22
*** TI ABITUI A TANTE COSE DANDOLE PER SCONTATE ***


CAPITOLO 19:
Ti abitui a tante cose dandole per scontate 
 
 
Continuavo imperterrita ad osservare l’orologio appeso al muro della mia camera senza riuscire a muovere un singolo muscolo del mio, ormai, vuoto e martoriato corpo.
Osservavo con occhi spenti e gonfi lo spostamento lento e stancante della lancetta dei minuti accompagnata da un insopportabile ticchettio che scandiva lo scorrere lento e doloroso del tempo. 
Quel ticchettio che non faceva altro che portarmi alla mente con insistenza e invadenza delle ore passate senza di lui, dei minuti che correvano veloci ricordandomi della sua assenza infilzandomi come lame infuocate sulla pelle. 
 
Erano passate quattro ore e diciassette minuti da quando se n’era andato lasciandomi in lacrime e senza forze abbandonata sul pavimento della mia stanza, senza battere ciglio.
 
Se n’era andato dopo avermi baciata, dopo avermi confessato di aver avuto l’imprinting con quella. Mi aveva lasciata da sola con la mia disperazione che a poco a poco stava scartavetrando il mio cuore riducendolo ad un cumulo di cenere. 
Mi aveva baciata con un ardore mai visto prima, mi aveva stretta tra le sue braccia come non aveva mai fatto, mi aveva illusa esattamente come avevo fatto io con lui quel giorno sulla montagna, mi aveva guardata come solo lui sapeva fare con quei pozzi neri e incredibilmente belli facendomi dimenticare di tutto il resto, mi aveva toccata mandandomi letteralmente a fuoco. E poi… poi era semplicemente andato via, scomparendo nel nulla.
Era scappato da me per andare da lei. Sapevo che lo aveva fatto, lo sentivo, lo percepivo. 
Dopotutto era sempre la sua ragazza. 
Si certo, ma che stupida! 
La sua ragazza? Magari fosse stata solo questo.
Magari la mia vita fosse stata meno crudele. Ma no, lei non poteva essere una semplice ragazza, no, lei doveva essere il suo imprinting. 
Non avevo sofferto già abbastanza? Non avevo già pagato le mie colpe perdendolo per sempre? Era necessario che la vita mi desse definitivamente il colpo di grazia?
Sapevo bene di aver commesso un errore dietro l’altro da quando avevo messo piede nella città più piovosa d’America, ma dannazione, non potevo continuare a soffrire per il resto della mia misera esistenza, non potevo continuare a pagare, a pagare e a pagare all’infinito.  
Avevo perso il mio migliore amico, il ragazzo che riusciva a leggermi dentro, il ragazzo che avrei voluto avere al mio fianco per sempre, e insieme a lui, avevo perso inevitabilmente anche una parte di me stessa. 
Potevo sopportare altro?
Ma perché quando avevo deciso di vivere la mia vita da essere umano, ci si metteva di mezzo la magia e decideva di rovinare tutto? Perché non potevo avere anche io il mio “e vissero felici e contenti“? 
Finalmente ero riuscita ad aprirgli il mio cuore, ero riuscita ad esprimergli tutti i miei sentimenti, gli avevo detto di amarlo con la consapevolezza che non sarebbe bastato, perché sapevo che avrei dovuto fare molto di più per riuscire ad ottenere il suo perdono, sapevo che avrei dovuto lavorarci giorno dopo giorno, attimo dopo attimo… ma non dopo tutto questo, non dopo aver saputo dell’imprinting. Perché se prima lo consideravo difficile, quasi impossibile,adesso era diventato praticamente utopistico. Non esisteva alcun modo per poterlo allontanare dal suo imprinting, non c’era alcuna soluzione possibile, un noi non ci sarebbe mai stato e adesso era chiaro come un raggio di sole.  
E quella consapevolezza cominciava ad insinuarsi dentro di me come un coltello nelle viscere, come un pugno in pieno petto, come un calcio in testa, mandandomi alla deriva. 
 
Avrei voluto averlo solo per me, avrei voluto che il mondo fosse davvero quel posto normale e umano che fingeva di essere, senza mostri né magie. 
Ma come potevo solo pensare di allontanarlo dal suo imprinting? Con quale coraggio potevo chiedergli di non seguire il proprio destino e trovare un modo per stare con me? Come avrei potuto separarlo dalla donna che gli era stata destinata?
Ma la risposta era semplice: non potevo fare assolutamente niente per impedire che tutto questo avvenisse, perché se lo amavo davvero, allora dovevo lasciarlo andare, dovevo dargli la possibilità di vivere una vita serena e felice, di vivere un amore pulito, un amore senza complicazioni, di vivere un qualcosa che io non ero mai riuscita a donargli. 
Dovevo levarmelo dalla testa, dovevo scacciarlo via dal mio cuore anche a calci se necessario. Dovevo farlo perché altrimenti mi sarei fatta solo del male e non potevo permetterlo. 
 
Era l’alba.
 
Dalla finestra potevo intravedere piccoli squarci di luce azzurro all’orizzonte, il cielo limpido e sereno senza l’ombra di una nuvola pronta ad oscurare quel piccolo paradiso.  Ma conoscendo bene questa cittadina, non mi sarei meravigliata se da qui a qualche minuto fossero spuntate nuovamente folte coltri di nuvole grigiastre a coprire il cielo sopra la mia testa. No, non mi sarei proprio meravigliata, perché a certe cose ci si abitua. 
Ti ci abitui anche inconsciamente e questo ti porta inevitabilmente a non prestare troppa attenzione a ciò che ti circonda: ci si abitua al brutto tempo, alla goffaggine che ti ha accompagnata per tutta la vita, ci si abitua allo smog, allo stancante e fastidiosissimo rumore della sveglia la mattina presto prima di andare a scuola, ci si abitua alla routine di tutti i giorni, alla pioggia, al freddo, anche ai mostri mitologici che magicamente diventano reali risucchiandoti in quel mondo che avevi sempre creduto esistesse solo nelle favole o nelle storie dell’orrore. 
Ci si abitua a tutto, anche alle cose più dolorose…specialmente alle cose dolorose che dilaniano il tuo essere e ti impediscono di sopravvivere.
Ci si abitua a sentire il rumore del proprio cuore mentre si frantuma in mille pezzi con minuziosa lentezza e assordante silenzio, ci si abitua alla sofferenza, alla disperazione del proprio essere per degli errori che irrimediabilmente sei stata proprio tu a commettere. 
A certe cose ci fai l’abitudine perché ormai fanno parte di te, di quello che sei, ci convivi e non puoi fare altro che accettarle e subirle. 
Ed era proprio così per me, ero abituata a tutto questo, ne ero assuefatta ormai.
Sapevo che avevo semplicemente bisogno di tempo e forse sarei riuscita a sopravvivere. 
 
Del tempo, e forse avrei potuto dimenticare. 
 
Erano le undici e sette del mattino e la lancetta dei secondi continuava il suo percorso rotatorio scandendo il tempo che passava isolandomi dal mondo.
Erano passate nove ore e ventiquattro minuti da quando se n’era andato, scomparendo per sempre dalla mia vita.
 
 
Il bussare insistente alla porta mi ridestò dai miei tormentati pensieri provocandomi un gran mal di testa. Ma chi poteva essere a quest’ora di domenica mattina? Non aspettavo visite.
Scesi in salotto senza neanche curarmi del mio aspetto. Probabilmente ero un mostro, ma in quel momento mi importava ben poco. Mi trascinai vicino la porta d’ingresso e prima di aprirla, con un movimento brusco della mano, scacciai via l’ennesima lacrima dal mio viso umido e affranto.
Respirai a fondo e debolmente afferrai la maniglia fredda della porta.
“Seth?”.
Corrucciai la fronte per la sorpresa. Che ci faceva lui qui?
“Bella…ma che ti è successo?”
Mi guardava stranito, confuso e anche sbalordito. Allora avevo ragione, ero proprio un mostro. 
Rimasi a fissarlo senza dire una parola per qualche secondo, ma poi prima che riuscissi ad accorgermene, percepii un calore fantastico provenire dalla mia mano per poi espandersi in tutto il corpo risvegliando le cellule intorpidite della mia pelle. La sua mano era saldamente stretta alla mia, come a volermi dire “sono qui, non ti lascio sola”.
Quel semplice tocco però fu anche troppo per me. Così cercando di essere meno sgarbata possibile, sciolsi l’intreccio delle nostre mani fissando il pavimento. Sapevo di averlo ferito con quel mio gesto, ma in un modo o nell’altro riusciva sempre a ricordarmi Jake, ogni suo piccolo movimento, ogni suo gesto, ogni suo sguardo, erano come una pugnalata in pieno petto per me.
Continuava a guardarmi negli occhi cercando di capire cosa mi fosse successo, capire perché avessi gli occhi arrossati e gonfi come due mongolfiere.
“Non è successo niente”.
Non riuscivo neanche a parlare, la gola pizzicava e la voce era praticamente ridotta a zero dopo le urla e il pianto disperato che mi avevano accompagnata per tutta la notte. Ma glielo leggevo negli occhi che non aveva creduto a niente di ciò che gli avevo detto.
“Si, certo, come no! Bella, parlami, dimmi che cosa ti è successo”
No, non essere così gentile, non farlo.
“Bella, sei sconvolta e hai un aspetto orribile è ovvio che sia successo qualcosa”.
Chiusi gli occhi per qualche istante sbuffando. Non volevo parlare con nessuno, avevo semplicemente bisogno di rimanere da sola. 
“Ti ripeto che sto bene. Quindi per favore Seth, va a casa”
Ma lui non voleva proprio saperne di andare via.
“No. Sono tuo amico e voglio sapere che diavolo ti è successo.” 
Era davvero testardo. Ma dovevo ammettere che averlo li, mi dava un senso di protezione indescrivibile. 
Gli feci cenno con la testa e lo feci accomodare.
Un piccolo brivido di freddo percorse il mio corpo e Seth se ne accorse.
“Bella stai congelando, vieni qui”
Davvero? Non mi ero neanche accorta che stessi tremando. E infatti non obbiettai quando con una mano mi tirò a se stringendomi tra le sue braccia forti e incredibilmente bollenti.
Rimasi ferma e impassibile per alcuni secondi con gli occhi sgranati per la sorpresa e per le sensazioni indescrivibili che stavo provando in quel preciso istante. 
Erano sensazioni che conoscevo anche troppo bene.
Perché quel gesto, quel semplicissimo e banalissimo gesto era qualcosa che faceva solo lui, qualcosa che l’aveva sempre distinto da chiunque altro. 
Quante volte l’aveva fatto? Quante volte mi aveva abbracciata in quel modo? Quante volte mi aveva riscaldata con il suo corpo mastodontico e sorprendentemente febbricitante? Quante volte avevo rifiutato quel semplice contatto con la paura di scoprire che magari i miei sentimenti per lui andavano oltre la banale amicizia?
Tante, troppe volte. 
Sentivo le mie difese crollare e i miei occhi, ormai stanchi, pizzicare e arrossarsi sotto le palpebre adesso chiuse. Stavo davvero perdendo il controllo, e non riuscendo più a trattenermi, affondai il viso nel petto nudo di Seth piangendo senza freni. Avevo bisogno di parlare con qualcuno e Seth era forse l’unica persona con la quale avrei potuto affrontare un discorso del genere. 
“Bella sta tranquilla, ci sono io adesso”
E con assoluta dolcezza mi strinse ancora di più al suo corpo accarezzandomi la testa con una mano.
Stare tra le sue braccia era davvero qualcosa di straordinario. Mi sentivo protetta e al sicuro. Cose che solo una persona era sempre riuscita a farmi provare. 
Piansi per dei minuti interminabili perdendo la cognizione del tempo,ma Seth continuava imperterrito a stringermi a se e a sussurrarmi parole di conforto. 
Smisi di singhiozzare e lentamente mi calmai lasciandomi cullare da quel dolce calore e da quella stretta rassicurante.
“Che ne dici Bella, ti va di raccontarmi cos’è successo?”
Si, forse era arrivato il momento di dirgli tutto. 
Mi staccai un attimo da lui per guardarlo negli occhi. Provai ad aprire la bocca e parlare, ma ciò che ne venne fuori furono delle parole sconnesse e senza senso, così rinunciai e accennai un semplicissimo si con la testa.
“Vieni, sediamoci”.
Mi prese per mano e ci sedemmo sul divano del salotto uno di fronte all’altro.
“Coraggio Bella, ti ascolto”
Puntò i suoi fari neri nei miei con decisione e con un pizzico di fastidio. Non gli faceva certo piacere vedermi in quello stato.
“Non è per niente facile per me.”
Non sapevo neanche da che parte cominciare.
“Si tratta di Jake, non è così?”
Sentir pronunciare il suo nome ad alta voce fu davvero il colpo di grazia. Continuai a fissare Seth con la speranza che se mi fossi concentrata su qualcosa probabilmente avrei potuto frenare le lacrime, che puntuali come sempre, stavano spingendo per uscire fuori per l‘ennesima volta. 
Chiusi gli occhi e inalai dei respiri profondi. 
Ma come diavolo aveva fatto a carpire così in fretta? Ero davvero un libro aperto come diceva sempre mia madre?Ma chi era quel ragazzino? 
“Sì.”
Riuscii a dire solo quello nella vana speranza di riuscire a recuperare almeno un po’ di forza necessaria per riaprire gli occhi e continuare a respirare.
“L’ho perso per sempre” La mia voce era neutra, svuotata da qualsiasi tipo di sentimento.
“No, Bella non dire così lui ti ama pazzamente. Tu lo sai, io lo so e posso garantirti che non ho mai visto nessuno amare così intensamente come lui ama te e cred…” no, non volevo sentire altro.
Feci un cenno brusco con la mano e lo obbligai a guardarmi negli occhi. Speravo di riuscire a comunicargli con lo sguardo ciò che invece avrei dovuto dire a parole. Speravo che riuscisse a capirmi proprio come aveva fatto qualche minuto prima per evitarmi la sofferenza di dovergli dire che in realtà non era me che amava…o almeno non più. Ma l’unica cosa che vidi nei suoi occhi fu semplicemente confusione e smarrimento. Così, rassegnata, aprii le labbra e in un sussurro riuscii a dirgli tutto.
“Ha avuto l’imprinting” a quelle parole lo vidi irrigidirsi.
Mi guardava con la bocca semi aperta per lo stupore, incapace di pronunciare una sola sillaba. 
Ma quando riuscii a riprendersi da quell’attimo di shock, mi prese tra le braccia e sussurrò al mio orecchio“Bella m-mi mi dispiace tanto” Mi strinse a se giusto in tempo, perchè le lacrime che avevo cercato in tutti i modi di frenare, erano sfuggite al mio controllo e adesso scendevano copiose lungo il mio viso e sul petto di Seth. 
Piansi tra le sue braccia, e più piangevo, più mi rendevo conto che finalmente stavo riuscendo in qualche modo a liberarmi da quel macigno nel petto che mi opprimeva impedendomi di respirare, perché quelle lacrime stavano scacciando via tutto il mio tormento donandomi, per la prima volta dopo tanto tempo, un po’ di pace. 
E l’unica parola che uscì dalla mia bocca per esprimere ciò sentivo fu semplicemente un “Grazie”che valeva più di mille parole, almeno per me.
 

Ti abitui a tante cose, dandole per scontate…esattamente come io avevo fatto con te.
Ti ho sempre dato per scontato, eri qualcosa a cui ero abituata, mi eri sempre accanto e non riuscivo a capire quanto fossi fortunata ad averti li, solo per me. 
Ho sempre dato per scontato il fatto che tu mi saresti stato accanto nonostante tutte le mie follie e il mio egoismo senza chiedere nulla in cambio. 
E lo hai fatto. 
Sei sempre stato li, pronto a proteggermi, mettendo a rischio la tua vita miriadi di volte. Ti sei sacrificato per me in ogni modo possibile. Hai lottato per impedirmi di diventare fredda e immortale. Hai lottato con le unghie e con i denti per continuare a sentire il mio cuore battere. 
Ma a te non importava, lo avresti fatto mille volte pur di vedermi ancora umana e con ancora un cuore battente.Perché sapevo che l’unica cosa che chiedevi era solo stare con me, avermi al tuo fianco e permetterti di amarmi come solo tu eri in grado di fare.
Ma adesso farò io qualcosa per te. 
Ti lascio andare. Prometto che farò in modo che i miei pensieri non ti disturbino più; farò di tutto pur di non pensarti, pur di non farti sentire quanto sia profondo e vero il mio amore per te. 
Voglio donarti la libertà, non ti pretenderò più, non sarò più la bambina capricciosa che conoscevi un tempo, non sarò più la ragazza egoista che aveva bisogno di te e al tempo stesso ti respingeva brutalmente per paura di scoprire che in realtà ti amava più di quanto fosse lecito.
Non sarà facile.
Sarà dura, dovrò lottare giorno dopo giorno, ma almeno questo te lo devo.


 

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Capitolo 23
*** FARE I CONTI CON SE STESSI ***


Chiedo umilmente perdono per il mio imperdonabile ritardo, ma con la scuola e gli esami che si avvicinano, non posso dedicarmi alla storia come vorrei. Ma vi prometto che anche se non riuscirò a postare sempre con regolarità, non abbandonerò MAI la mia fanfiction.
Dovete avere semplicemente un po' di pazienza con la sottoscritta!!! Detto questo vi lascio alla lettura e spero che possiate apprezzare il capitolo! Un bacione immenso!

CAPITOLO 20: 
Fare i conti con se stessi

 
“Hey ragazzo lupo stai bene?”
Emma mi osservava già da qualche minuto, cercando di capire cosa mi passasse per la testa.
“Si, non preoccuparti” le regalai un piccolo sorriso, per poi ricominciare a camminare in religioso silenzio. 
“Jake, è da quando siamo usciti da casa tua che hai quell’espressione da cane bastonato. Vedrai, andrà tutto bene!”.
Accarezzò con dolcezza il mio braccio con una mano e mi regalò uno di quei sorrisi che tanto amavo.
Con lei era tutto più facile, più semplice.
Aumentai la stretta delle nostre mani intrecciate e ricambiai il sorriso ricominciando a camminare.
 
Ero nervoso, certo, non potevo nasconderlo.
 
Non vedevo il mio branco da troppo tempo ormai e ne sentivo la mancanza. 
Avrei dovuto farmi vivo molto prima, ma qualcosa mi impediva di farlo, come se avessi paura che quella parte del mio essere potesse ritornare a galla più prepotente che mai, che potessi in un certo senso tornare il ragazzo incosciente e caparbio di un tempo, il ragazzo innamorato della ragazza sbagliata che non si arrendeva mai incassando rifiuti su rifiuti. Il ragazzo testardo e cocciuto che ascoltava solo il cuore, mandando a quel paese la razionalità.
E non volevo che dopo tutti i miei sforzi, quel Jake potesse rimpossessarsi di me.
Con loro avevo vissuto il periodo più bello e più doloroso della mia vita. Con loro ero diventato un lupo, ero diventato un Protettore,ero diventato un uomo. 
Con loro avevo capito il vero significato della parola amicizia. 
Avevamo condiviso tutto senza vergogna né imbarazzo. 
I miei pensieri, le mie sensazioni, le mie emozioni, tutto quello che ero, che sono stato, che sono, era in questa riserva, in mezzo a loro. 
Quella mattina decisi di andare a casa di Emily e di portare con me anche Emma. 
Volevo che la vedessero, volevo che finalmente, tutti loro, potessero conoscere la mia donna. 
Sapevo che li avrei trovati tutti li, probabilmente intenti a divorare qualche muffin o qualunque prelibatezza preparata da Emily. 
Sorrisi al solo pensiero. 
E infatti,  non appena percorremmo gli ultimi metri che ci separavano dalla casa, vidi Embry e Paul proprio sull’uscio della porta.
“Devi sempre averla vinta tu! Quel pezzo di torta spettava a me!”
“Embry, piantala o ti sbrano!”
Erano sempre i soliti.
“Vedo con piacere che non siete cambiati per niente!” Al suono della mia voce e della mia risata divertita, i miei due amici voltarono il viso verso di noi con sguardi increduli, ma al tempo stesso felici di rivedermi.
“Jake!” mi vennero incontro inondandomi di pacche sulle spalle e di abbracci fraterni. Inutile negarlo, ero davvero felice di averli ritrovati.
“Sei stato via troppo a lungo amico! E poi ci è mancata la tua brutta faccia!”
“Grazie Paul anche tu mi sei mancato!” 
Ridevamo come tre deficienti, proprio come ai vecchi tempi. Aveva ragione Emma, era inutile agitarsi, con loro non dovevo preoccuparmi di nulla.
“Hey Jake, ma non ci presenti questa bella ragazza?”
Che idiota, mi ero fatto prendere dall’euforia del momento e avevo dimentico la cosa più importante. 
Emma era li accanto a me con le braccia incrociate al petto e una espressione divertita sul volto.
“Si scusate ragazzi, questa è Emma _ le avvolsi le spalle con un braccio e la guardai dolcemente negli occhi_ Il mio imprinting.”
“E’ un vero piacere conoscervi ragazzi!” 
Embry non era affatto sorpreso, lui sapeva del mio imprinting, ma Paul, al contrario, mi fissava incredulo, facendo scorrere gli occhi prima su di me poi su Emma. 
“Wow, è…è fantastico Jacob, sono davvero contento per voi!” E in un attimo prese Emma tra le braccia per accoglierla nel migliore dei modi.
“Hey giù le mani dalla mia ragazza!”
“Non fare il lupo geloso!“ Gli lancia un’occhiataccia, ma era tutto fuorché cattiva. 
Embry era ancora silenzioso, non aveva detto una parola.
“Paul perché non porti Emma dentro? Io vi raggiungo fra un attimo”
“Certo amico!” 
“Ah Paul? Se la tocchi di nuovo, questa è la volta buona che ti uccido” ci guardammo in cagnesco per qualche secondo, per poi scoppiare a ridere come due bambini.
“Vorrei proprio vedere!” 
Gli sorrisi e poi mi rivolsi al mio migliore amico. 
“Embry è tutto ok?” 
“Si Jake” Stavo per aggiungere qualcosa ma me lo impedì. “E così, finalmente ho avuto il piacere di conoscerla. E’ davvero bella” Era pensieroso, quasi malinconico.
“Si è vero” rimanemmo in silenzio per qualche secondo, ma dal modo in cui mi guardava potevo intuire chiaramente che aveva qualcosa da chiedermi,  perché mi scrutava attentamente, quasi volesse provare a leggermi nel pensiero per evitare di pronunciare un qualcosa che forse non avrei gradito.
Ma poi, quel qualcosa gli uscì prepotente dalla sua bocca, spiazzandomi del tutto. 
“Sei felice?” Mi fissava attentamente, cercando una risposta che non sapevo dargli, una risposta che non conoscevo neanche io. Lo guardai incapace di staccare la lingua dal palato. Avrei voluto urlare di si, che ero felice, ma come facevo a dirlo se neanche io ne ero pienamente convinto? 
Ma fortunatamente le urla di gioia del resto del branco, mi tolsero il fastidio di rispondere a quella dannata domanda. Embry si allontanò prontamente da me per non essere travolto dall’eccessiva dimostrazione di affetto degli altri ragazzi, ma prima di farlo, mi diede una piccola pacca sulla spalla sussurrandomi un “Bentornato a casa fratello”.
 
Quil fu il primo a venirmi incontro abbracciandomi e dicendomi che se fossi scappato di nuovo me l’avrebbe fatta pagare cara. Ma poteva stare più che tranquillo perchè non sarei scappato mai più in quel modo, non li avrei lasciati. Erano la mia famiglia, rappresentavano tutto ciò che di più bello e di fantastico poteva capitarmi nella vita. 
Ormai non avevo più nulla da cui scappare.
Nella confusione e nell’euforia generale intravidi Sam che con un cenno del capo e un sorriso stampato sulle labbra, mi fece capire che anche lui era contento di rivedermi.  
 
Era bello essere tornati a casa. 
 
Emma venne accolta a braccia aperte da tutti senza alcun problema e lei pareva assolutamente a suo agio in mezzo ad un branco di lupi scalmanati. La resero subito partecipe dei loro discorsi, facendola sentire a casa, come una di famiglia. 
E per me non poteva andare meglio di così.
Passammo una serata tranquilla tra risate e piccole schermaglie tra Paul, Jared e Quil che non facevano altro che stuzzicarsi a vicenda per conquistare l’ultimo piatto di pasta o di carne. 
Era come se non me ne fossi mai andato, come se quei mesi passati lontano da loro non fossero mai esistiti. Eravamo un branco, una famiglia, erano le persone più importanti della mia vita. 
Notai però che mancava qualcuno all’appello. Il moccioso non era ancora arrivato. Stavo per domandarlo a Leah, ma non ne ebbi il tempo perché proprio in quell’istante, Seth varcò la porta d’ingresso.  
“Seth, era ora che arrivassi! Qui hanno spazzolato tutto!” e Jared indicò divertito Paul, colpevole di aver praticamente prosciugato tutto ciò che di commestibile c’era in tavola. 
Seth  sorrise, ma qualcosa nel suo sguardo non mi convinse per niente, era assente, come se avesse la testa da tutt’altra parte.
Si avvicinò al tavolo ma non si era ancora accorto di me, stavo per salutarlo, ma qualcosa mi impedì di muovere le labbra. 
“Si, scusate il ritardo ma ho avuto da fare e ho perso la cognizione del tempo”
“Seth, guarda chi è tornato?” Quil mi indicò con un cenno della mano sorridendo, ma quando Seth incontrò il mio sguardo, si irrigidì di colpo. 
“Jacob, finalmente tra noi”. 
La sua voce era particolarmente tesa, quasi arrabbiata. Strano, lui era sempre stato un ragazzo solare e allegro, soprattutto con me. 
“Ciao Seth”  accennai un sorriso al quale lui però non rispose, voltando immediatamente il capo. 
Seth sapeva già del mio ritorno, aveva sentito i miei pensieri quando ero in forma di lupo. Ma gli avevo chiesto di non farne parola con nessuno, e lui aveva mantenuto la promessa. E di questo glien’ero davvero grato.
Seth si accomodò vicino a Jared stando ben attento a non incontrare il mio sguardo.
“Ok!Adesso sarà meglio sparecchiare o Paul finirà per ingoiarsi anche i piatti!”
“Emily ti aiuto a sparecchiare” 
“Grazie Emma, sei gentile!” 
Emma si alzò dalla sedia e prima di andare in cucina, si chinò verso di me e dolcemente mi sfiorò le labbra con un leggerissimo bacio.
“Torno tra poco” Le accarezzai la guancia delicatamente accennandole un si con la testa.
 
E così mi ritrovai da solo, seduto sulla poltrona, insieme ai miei fratelli.
Li osservai a lungo e non potei non notare che erano rimasti sempre gli stessi, non erano cambiati di una virgola.  
Ragazzini all’apparenza, ma uomini veri e responsabili nell‘anima. 
Sorrisi malinconico, ma con la consapevolezza che nonostante tutto ero fiero di ciò che ero diventato. 
Ormai faceva parte di me, del mio essere Jacob in tutto e per tutto.
“Hey Jake vieni qui, abbiamo bisogno del tuo aiuto per sbranare quest‘idiota!” 
Scoppiai a ridere di gusto mentre osservavo Embry , Paul e Jared rincorrere Quil che provava in tutti i modi di scappare dalle loro grinfie, ma inutilmente.
Erano troppo spassosi!
Stavo per raggiungerli, ma quando voltai lo sguardo alla mia sinistra, notai Seth da solo in veranda. E senza pensarci troppo, mi alzai dalla poltrona e lo raggiunsi.  
 
“Grazie per aver mantenuto la parola Seth” 
“Non devi ringraziarmi” Beh mi sbagliavo, lui si che era cambiato. Era un’altra persona, non era più il ragazzino immaturo che avevo lasciato mesi fa. Adesso era diventato un uomo. 
Ma ciò che mi sconvolse, fu il modo in cui mi rispose, perché potevo leggere nella sua voce un velo di ansia e di puro fastidio. 
“Quindi sei tornato, e per di più insieme al tuo imprinting! Ma che meraviglia”era odiosamente ironico, e con un movimento fulmineo della testa, puntò i suoi occhi nei miei guardandomi sprezzante. 
“Seth se c’è qualcosa che devi dirmi, dilla e basta” Lo sfidai con lo sguardo, cercando di capire perché d’improvviso mi fosse così ostile.
“Non devo dirti niente. Congratulazioni per il tuo imprinting” Mi lanciava occhiate velenose, come se mi odiasse. 
“Che cos‘è che ti da così fastidio Seth? Il fatto che sia tornato o che abbia avuto l‘imprinting?Perché davvero non riesco proprio a capirti” Che diavolo gli era preso a quel moccioso? 
Adesso eravamo uno di fronte all’altro.
“Non penso che vorresti saperlo”
“Questo spetta a me deciderlo”
“Lascia perdere Jacob, torna dentro e goditi la tua vita. Non pensavo che fossi un codardo” 
“Ma di che diavolo stai parlando?” Adesso cominciavo ad innervosirmi sul serio. 
Gli afferrai un braccio per impedirgli di tornare dentro.
“Lasciami”
“No, non ti lascio fino a quando non mi avrei detto perché cazzo ce l’hai con me!” corrugò la fronte e con un gesto stizzito del braccio, si liberò della mia mano.
“Ti sei arreso. Hai mandato a puttane il tuo unico vero amore, hai gettato al vento l’unica cosa bella della tua vita distruggendola completamente!” 
Fu un attimo, ma quelle parole riuscirono a mandarmi nel panico più totale.
Non sentivo più le gambe, il cuore cominciò a battere furioso dentro il mio petto.  
Il respiro si fece sempre più affannoso e per un attimo potei percepire una leggera, ma al tempo stesso travolgente fitta al cuore.
“Come fai a…”
“Come faccio a saperlo? Sono stato a casa sua fino a qualche ora fa”.
Ce la stava mettendo tutta per ferirmi e ci stava riuscendo alla grande. 
Ma poi una domanda stupida e insensata uscì dalle mie labbra, facendomene pentire all’istante.
“Come sta?” mi morsi la lingua sentendo il sapore del sangue scorrermi lungo la gola.
Seth divenne furioso. 
“Vuoi davvero sapere come sta? E’ a pezzi! Come vuoi che stia Jake? Lei ti ama, è ovvio che stia soffrendo”
E a quelle parole la mia mente si svuotò totalmente mandandomi a rassegna immagini di Bella che piange disperata, di Bella che urla il mio nome, di Bella che si lascia abbracciare da Seth. Immagini di lui che la aiuta, che la consola. Cose che avevo sempre fatto io e solo io da quando, per la prima volta, quella maledetta sanguisuga del suo ex ragazzo, l’aveva lasciata, abbandonandola nel bosco.
E adesso, tutta la sua sofferenza si stava ripetendo come un dannato deja vu.
Ma questa volta ero io lo stronzo che l’aveva abbandonata. Ero io la causa del suo dolore.
 
Io era esattamente come quella feccia. 
 
Avevo promesso che non l’avrei mai fatta soffrire, le avevo giurato che non le avrei mai fatto del male, che io ero diverso, che qualsiasi cosa fosse successa io l’avrei sempre protetta e sarei stato sempre al suo fianco. 
E adesso, cosa mi distingueva  da quel vampiro?
Cosa mi rendeva diverso da quel parassita freddo e immortale? 
 
Assolutamente nulla.
 
Non sapevo esattamente come successe, ma ad un certo punto persi del tutto il controllo delle mie gambe che iniziarono a muoversi e a dirigersi verso la foresta a passo spedito. 
“Jacob dove stai andando?”
“Non sono cose che ti riguardano Seth”
“Non osare andare da lei, non te lo permetterò!”
E con un balzo mi si parò davanti deciso a non farmi passare. 
“Togliti di mezzo!”
La mia voce era rabbiosa, sentivo la collera crescere dentro di me travolgendomi con prepotenza. 
Tremavo.
“No! Non voglio che lei soffra ancora.” Era risoluto, testardo e non voleva proprio spostarsi da li.
“Lasciami passare, non costringermi ad usare la forza”.
In quel momento non riuscivo a rispondere delle mie azioni ed era meglio per lui se si fosse levato di mezzo.
Provai a scansarlo ma più ostinato che mai ritornò alla posizione di prima.
“Dimmi perché vuoi andare da lei? Dammi una buona ragione per permetterti di raggiungerla.” 
La mia testa stava andava a fuoco, avevo il cervello in fiamme. 
La sua presenza mi stava infastidendo. 
“Non sto andando da lei” Lo dissi cercando di mantenere ancora un briciolo di lucidità e di raziocinio frenando le mie urla sul nascere.
Stavo per arrivare al limite. 
“Non mentirmi Jacob”
Lui puntava i suoi occhi nei miei alla ricerca di qualcosa che mi facesse vacillare, ma non gliel’avrei data vinta. Non lasciavo i suoi occhi neanche per un minuto. Non volevo che percepisse tutto il mio disagio davanti a quelle semplicissime e banalissime domande alle quali avrei dovuto trovare subito delle risposte. Avrei dovuto rispondergli che si sbagliava, che non stavo andando da lei. Ma non riuscivo ad attivare il cervello. 
L’unica cosa che riuscivo a vedere era il suo volto, le sue lacrime, lei che lo abbracciava, lui che ricambiava il suo abbraccio consolandola,lui che la teneva stretta accarezzando il suo dolce e fragile corpo. 
La gelosia mi stava divorando come un uragano che spazzava via tutta la mia razionalità lasciandomi in balia delle mie emozioni più bestiali. 
“Allora? Non hai niente da dire?” 
“Emma, mi starà aspettando”e così senza dire altro, mi voltai e iniziai a dirigermi verso casa. 
Se fossi rimasto, probabilmente sarebbe finita male. 
E non per me.
“Ma certo scappa, scappa pure. In realtà lo vuoi sapere cosa penso? Penso che sei ancora follemente innamorato di lei e che faresti di tutto pur di fuggire da questo maledetto imprinting e di tornare dalla ragazza che hai sempre amato, dalla ragazza che non hai mai dimenticato.”
“Smettila” Bloccai le mia camminata ma rimasi comunque di spalle. 
“Perché nonostante l’imprinting, tu sei ancora innamorato di lei. Posso sentirlo, ti conosco Jacob e so che è così."
“Sta zitto” Sentivo la rabbia scorrermi nelle vene inondando tutto il mio corpo. 
Strinsi forte le mani a pugno lungo i fianchi. Stavo per esplodere. 
“Stavi correndo da lei poco fa non è così? Stavi andando da lei perché non puoi farne a meno!”
“Ho detto basta” Lo urlai a gran voce e perdendo completamente il controllo di me stesso, lo colpì violento al volto con un gancio destro facendogli perdere l‘equilibrio. 
Ero furioso. Non doveva dire quelle parole, non doveva dirmi quelle cose, gli avevo detto di smetterla, di stare zitto. 
Seth si toccava il volto sanguinante senza smettere un attimo di fissarmi con occhi increduli e arrabbiati, senza dire una parola.
“Jacob, smettila subito!” Sam spuntò dal nulla piantandosi di fronte a me.
“S-sam i-io…” non sapevo cosa dire, ero come paralizzato, mentre guardavo inerme e terrorizzato la mano che aveva appena colpito il viso di un mio fratello. 
“Vieni con me.” E senza dire una parola mi afferrò per un braccio e mi trascinò con se.
 
“Jacob si può sapere che diavolo ti è preso?” 
Continuavo a tremare senza sosta stritolando le mie mani nello stupido tentativo di frenare la mia collera. 
“Jacob, parlami” Sam cercò di scuotermi da quello stato di shock nel quale ero precipitato senza neanche rendermene conto. Mi sentivo un mostro, un verme. 
Ero disgustato da me stesso.
“Ho sentito tutto, ho sentito il modo in cui Seth ti ha provocato.” Lo guardai negli occhi più addolorato che mai.
“N-non so che cosa mi sia successo” La mia voce era poco più di un sussurro, ero sconvolto e soprattutto esterrefatto dalla mia reazione. 
Non avrei mai dovuto colpirlo, mai.
“M-mi dispiace”.
Mi lasciai andare sulla sabbia poggiando stancamente le braccia sulle mie ginocchia. 
“Ne vuoi parlare?” 
“Non saprei cosa dire” 
Silenzio. 
Silenzio assordante.
“Stavi andando da lei. Vero?” 
Chiusi gli occhi istintivamente. 
Di nuovo quella domanda. 
Non potevo rispondere. Avevo una fottutissima paura di dover ammettere a me stesso che in realtà Seth aveva ragione, di ammettere che con quelle semplici costatazioni che aveva fatto, era riuscito a mandare a quel paese tutti i miei inutili sforzi di tenerla lontana dal mio cuore e della mia testa.
Aveva ragione, aveva dannatamente ragione. Su tutto.
Se non mi avesse fermato, se non avesse insistito, io sarei andato da lei all’istante. 
Lei era parte di me. 
Il suo dolore, il mio dolore.  
Abbassai la testa, sconfitto, sussurrando al vento.
“Sì”.
 

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Capitolo 24
*** CALORE IRRESISTIBILE(parte I) ***


CAPITOLO 21:
Calore irresistibile(parte I) 

 
 
“Bella, dai andiamo!”
Angela mi trascinava per i corridoi dell’università con urgenza, doveva trovare a tutti i costi il libro di psicologia infantile che le serviva per poter sostenere l’esame che si sarebbe tenuto almeno due mesi dopo. Ma non mi stupii per niente visto e considerato che con lei la prudenza non era mai troppa. 
“Si, arrivo, ma non tirare così forte, stavi per staccarmi il braccio!”.
Era gracilina, proprio come me, ma la forza non le mancava di certo.
“Si scusami, ma lo sai che per me questo esame è troppo importante e se voglio superare il primo anno senza problemi allora devo studiare già da adesso e poi non…”.
Bloccai in tempo quel fiume in piena finendo la frase al posto suo.
“E non vuoi perdere del tempo prezioso rimanendo a poltrire. Si lo so, me lo ripeti tutti i santi giorni!”
Ridacchiai mentre osservavo la sua faccia sconvolta e indispettita.
“Ah bene, adesso ti prendi anche gioco di me. Fantastico!” Scrollò le spalle allargando le braccia con fare rassegnato.
“Ma no! Coraggio andiamo a prendere questo libro!” Le afferrai questa volta io il braccio e la trascinai dentro la biblioteca. 
Quel posto era davvero enorme. E in un certo senso adoravo stare li dentro. Mi piaceva la sensazione di benessere e si serenità che riusciva a trasmettermi. Mi faceva sentire in un altro mondo, quasi normale. 
“Bella, allora io vado a cercare il libro. Vieni con me oppure…”
“No, tu vai, io ne approfitto per dare un’occhiata al reparto Letteratura”
“D’accordo! Allora a dopo”  
“A dopo!” Sorrisi di gusto quando tutta contenta e saltellante se ne andò al piano superiore. 
Girai i tacchi e iniziai a percorrere i piccoli corridoi situati tra uno scaffale e l’altro della biblioteca. 
Avevo sempre avuto un debole per i libri fin da quando ero bambina. Mi piaceva osservare quelle figure colorate che mi aiutavano a capire la trama delle mie fiabe preferite, mi estasiava l’odore inebriante della carta nuova di zecca ogni qualvolta che sfogliavo le pagine o semplicemente quando immergevo completamente il naso per sentirne meglio il profumo. 
Leggere era sempre stato un rifugio contro tutti  i miei pensieri, contro tutte le mie angosce, le mie paure che riuscivano a sparire soltanto quando mi tuffavo totalmente nei racconti dei miei autori preferiti come Emilie Bronte, Jane Austen o Shakespeare. 
Vivevo la vita di altri personaggi, mi immedesimavo nelle loro storie d’amore tormentate ed estremamente complicate, perché le invidiavo, perché consideravo la mia vita senza senso e terribilmente noiosa rispetto a quelle meravigliose e fiabesche storie d’amore.
Questo ovviamente prima di mettere piede a Forks. 
Non potevo certo immaginare che la mia prima e vera storia d’amore sarebbe stata con un vampiro. 
Vampiro…
Sussultai non appena il volto di Edward mi si parò prepotente dinanzi agli occhi.
Non lo vedevo da tantissimo tempo ormai. Non avevo saputo più niente di lui né tanto meno della sua famiglia. Era semplicemente scomparso.
Era davvero assurdo che io non lo avessi pensato durante tutti quei mesi, eppure lui era stato il mio primo amore, per lui ero stata anche disposta a tradire la mia natura da essere umano per poter diventare bellissima ed immortale vivendo per sempre al suo fianco. Per lui stavo per abbandonare tutto e lo avrei fatto senza esitare perché lo amavo incondizionatamente. 
Edward era diventato il mio tutto. 
Lo era diventato fin dal primo momento che lo vidi, fin dalla prima volta che ammise di amarmi, fin dalla prima volta che le sua labbra marmoree e fredde come il ghiaccio baciarono le mie. Ma poi,dopo il suo abbandono, percepivo sempre, dentro di me, una strana sensazione di disagio e di fastidio quando mi trovavo da sola con lui, o quando semplicemente mi toccava…forse non ero riuscita del tutto a perdonargli il fatto che mi avesse lasciata riducendomi quasi in fin di vita. Anzi, potevo benissimo levare il forse. 
E poi quel giorno…il giorno in cui avevo deciso di dirgli addio, il giorno del nostro matrimonio, il giorno che avrebbe cambiato per sempre la mia intera esistenza. 
Una lacrima solcò la mia guancia al ricordo del suo viso magnifico e velato di dolore mentre mi lasciava andare, perché lui, acuto e sensibile come sempre, aveva capito che in realtà il mio cuore apparteneva ad un’altra persona. 
Lo avevo ferito, lo avevo distrutto come del resto facevo con tutte le persone che amavo.
Con un gesto della mano scacciai via quella lacrima indesiderata, sbagliata, assolutamente inutile e fuori luogo dal mio viso. Era inutile perché ormai per me sarebbe rimasto solo un bellissimo ricordo e niente di più. 
E adesso, dopo mesi passati a riflettere e a scervellarmi, ero finalmente arrivata alla conclusione che la vita fantastica e fiabesca non faceva per me. E soprattutto che non bisogna rifugiarsi nella fantasia per poter vivere una vita magnifica e piena di cose inaspettate. 
Preferivo di gran lunga la mia vita da essere umano, da persona normale e di vivere solo delle piccole cose, di quelle che ti fanno alzare la mattina con un enorme sorriso stampato sulle labbra senza un motivo ben preciso, di quelle che ti fanno stare bene e che ti fanno sentire viva, nel vero senso del termine. 
Preferivo la mia vita magari un po’ più monotona del solito, ma con quella consapevolezza di volerla spendere nel modo più intenso possibile solo con le persone che amavo davvero.
Sorrisi per la prima volta fiera di me stessa e di ciò che la mia mente contorta aveva finalmente elaborato e capito. Basta continuare a rivangare un passato che non sarebbe neanche dovuto esistere.
Respirai a fondo e mi allontanai da quel reparto il più in fretta possibile. 
“Oh dio scusa!”.
Senza neanche rendermene conto, andai a sbattere violentemente contro un ragazzo.
“Non ti avevo proprio visto, mi dispiace tanto!”
Mannaggia a me e alla mia spaventosa goffaggine.
“Non preoccuparti! Sto bene!” 
Prontamente mi accasciai a terra e lo aiutai a raccogliere quelli che mi parvero centinaia di volantini colorati adesso sparsi per tutto il pavimento. Ovviamente per colpa mia.
Ne afferrai uno, ma quando riuscii a leggerne il contenuto il sorriso di pochi istanti prima scomparve, sciogliendosi come neve al sole: 

Festa al Daynight giorno 23 dicembre alle ore 20.30 La Push: NON MANCATE! Ci sarà da divertirsi!

La Push... 

Continuai a tenere in mano quel volantino senza muovermi di un millimetro, ero pietrificata. Stava per succedere. Dannazione, dannazione.
“Hey c’è qualcosa che non va?” il ragazzo contro il quale avevo sbattuto, mi strattonò per un braccio ridestandomi da quello stato catatonico nel quale ero appena ricaduta.
“Eh? Si, si tutto bene. Ero solo sovrappensiero.” 
Grazie, ragazzo sconosciuto.
Alzai lentamente il viso nella sua direzione e mi accorsi di non averlo mai visto prima o almeno non avevo particolarmente notato nessuno dei ragazzi presenti al college, quindi era più che normale il fatto che io non lo conoscessi. 
Era abbastanza alto, sembrava un tipo piuttosto atletico. I capelli erano lisci e lunghi fino alla nuca di un color cioccolato. Mentre i suoi occhi erano di un verde intenso.   
Avvampai quando mi sorrise malizioso, probabilmente si era accorto che lo stavo squadrando.
“Mi hai fatto prendere un colpo sai?Eri come in trans! Comunque sia, puoi tenerlo” ed indicò il volantino che tenevo ancora tra la mani. “Stiamo organizzando una festa per la fine dei corsi e per dare il benvenuto alle vacanze di Natale.” Mi sorrideva gentilmente mentre si adagiava contro il muro posto alla sua destra.
“Ok, grazie” Ancora scossa,piegai il foglio a metà e lo infilai dentro la tasca del giubbotto.
“Tutto qui?” Mi fissò sconvolto e divertito al tempo stesso.
“Che vuoi dire?”Lo guardai confusa corrucciando le sopracciglia.
“Non mi dici neanche il tuo nome?” 
“E perché dovrei farlo?” Incrociai le braccia in attesa di una risposta che mi illuminasse.
“Perché parliamo da circa cinque minuti abbondanti, per cui, sarebbe buona educazione che ci presentassimo!”_ mi porse la sua mano, sfoderando un sorriso impertinente e accattivante insieme_”Io sono Tyler!”
Sbuffai e con poco entusiasmo gli tesi la mano che lui prontamente afferrò stringendola saldamente tra la sua.
“Isabella, ma Bella è più che sufficiente!”  
“E’ stato un piacere conoscerti…Bella è più che sufficiente!” e prima di mollare la presa mi fissò con sguardo malizioso aggiungendo “Spero di vederti a quella festa. Considerati una mia ospite!” Mi strizzò l’occhio e se ne andò lasciandomi li, con gli occhi sgranati completamente di sasso.
Che tipo strano. 
“Hey Bella, ti ho cercata dappertutto!Ho trovato il libro”Era sollevata e alquanto su di giri mentre mi sventolava davanti al viso il suo prezioso libro.
“Si, scusa Angela ma ho avuto un piccolo contrattempo” E le mostrai il volantino. 
Angela me lo strappò praticamente dalle mani,e quando ne lesse il contenuto, mi guardò tutta felice e pimpante dicendo“Oh fantastico! Andiamoci allora!”  
Rimasi a fissarla senza dire una parola. Non avevo neanche preso in considerazione l’idea di andare a quella festa, eppure non dissi nulla, semplicemente la osservai mentre si dirigeva a passo spedito verso l’uscita della biblioteca borbottando qualcosa di incomprensibile. 
Dopo un attimo di smarrimento, feci un piccola corsetta e la raggiunsi.
Quel luogo non faceva bene né a me né tanto meno alla mia sanità mentale. 


§§§


“Papà?” Entrai in casa e con un gesto del braccio feci cadere a terra il mio zaino stracolmo di libri. 
“Papà? Sei a casa?” Percorsi tutto il salotto chiamandolo a gran voce, ma lui non c’era. 
Strano, doveva già essere a casa a quest’ora.
Stavo per chiamarlo,ma il telefono cominciò a squillare prima ancora che potessi digitare il suo numero.
“Pronto?”
“Bella, sono papà”
“Tempismo perfetto, stavo per chiamarti” Feci incastrare la cornetta tra l’orecchio e la spalla e con  una mano abbassai la zip del giubbotto. 
“Ti ho chiamata per dirti che sono a pesca e non tornerò prima di stasera, perciò non aspettarmi sveglia”
Era a pesca…certo.
“Ok, non preoccuparti. Allora divertiti.”
“Sta attenta” 
“Si, si,sta tranquillo” Sbuffai rumorosamente e con un gesto stizzito della mano lanciai il telefono sul divano.   
Quell’uomo era davvero incredibile, era tornato da neanche tre giorni e la prima cosa che riusciva a pensare era andare a pesca. 
Sentivo la rabbia crescere dentro di me come un fiume in piena, senza capirne il motivo.
Stavo per varcare la soglia della cucina quando mi bloccai all’istante. 
Ma che diavolo stavo pensando? Perché mi arrabbiavo per una cosa assolutamente inutile e senza senso? 
Beh semplice, perché ormai in quel periodo stavo diventando praticamente intrattabile, sfioravo anche la follia avvolte, perché pur di non far volare la mia mente oltre mete inviolabili e assolutamente inaccessibili, mi innervosivo per tutto, anche per le cose più impensabili, anche per una semplicissima battuta di pesca. 
Patetica. Davvero,davvero patetica.  
E pensare che ero stranamente di buon umore quel giorno. 
Quanto ero idiota. 
Come potevo essere così fragile? Come potevo farmi scalfire così facilmente? 
Scossi il capo stizzita e con la mano libera accesi la piccola radiolina azzurra posta sul ripiano della cucina. 
Erano secoli che non ascoltavo un po’ di musica, e quale momento migliore se non proprio quello?
Non conoscevo il nome di quella stazione radio ma le canzoni che mandavano erano molto belle, così, senza pensarci troppo, cominciai a dondolarmi lentamente facendomi travolgere dalla musica cercando di dimenticare per un attimo tutti i miei stupidi e malsani pensieri.  
 
Passai il pomeriggio così, nell’ozio più assoluto.
 
Non avevo voglia di nulla, volevo semplicemente rimanere li, seduta per terra, nella mia stanza e continuare quel delizioso e rilassante passatempo che mi aveva accompagnata durante tutto il pranzo.   
Aprii le ante della finestra e afferrando il plaid arancione dal mio letto, mi ci avvolsi. 
 
Ero estasiata da quello che vedevo.
 
Il sole era alto in cielo e ammirarlo li, mentre imponente e caldo riusciva a dare vita ad ogni cosa, me compresa, mi rendeva piena di gioia e di speranza.
Sospirai mentre percepivo una venticello leggero solleticarmi il viso entrare in contrasto con il calore delicato e timido del sole. 
Era una sensazione magnifica.
Neanche un accenno di nuvole grigie minacciavano la perfezione di quel cielo azzurro e incontaminato. 
Era tutto perfetto e almeno per quel pomeriggio volevo dedicarmi a quello spettacolo meraviglioso che la natura mi stava regalando non volendomene perdere neanche un attimo, neanche un istante dedicandomi magari a qualcosa di assolutamente superfluo come pulire il pavimento o spolverare i mobili di casa. 
No, non avrei rinunciato a questo per niente al mondo.
Mi sistemai per bene sul pavimento e in quella posizione assolutamente comoda e confortante, con quella dolce musica di sottofondo, feci ciò che avevo cercato disperatamente di non fare durante tutto il santissimo giorno: Pensarlo
Ero riuscita a non pensarci per settimane e speravo di dimenticarlo il più in fretta possibile cercando di limitare i danni e magari tentare di salvare il salvabile del mio povero cuore ormai distrutto.  
Ma mi sbagliavo di grosso.
Eppure io avevo promesso, avevo giurato di lasciarlo andare una volta per tutte, avevo giurato di non pensarci più… ma mi resi conto che era praticamente impossibile. 
Come potevo non pensarlo se ogni cosa che facevo, che vedevo, che sentivo mi ricordava lui lui soltanto? Come potevo non pensarlo se l’unica cosa che potevo considerare più simile a lui mi stava riscaldando in quel preciso momento con il suo vitale calore?
Come potevo impedire alla mia mente di ricordarlo se ogni volta che quei raggi mi carezzavano il viso era come se fosse lui a farlo? 
Scossi il capo distrutta e senza speranze. 
Cercai di darmi un contegno e riprendere il controllo delle mie emozioni ma ormai era troppo tardi: dai miei occhi fuoriuscirono delle piccole e timide lacrime d’acqua salata che cominciarono a solcare con decisione il mio viso adesso intorpidito dal freddo.
Perché per quanto il sole potesse essere caldo e cocente, non era minimamente paragonabile al calore ardente e intenso che riusciva ad emanare lui con un suo semplice sorriso, con un suo accogliente abbraccio. 
Lui era incredibile, e ancora più incredibile era il modo in cui lo sentivo mio nonostante tutto, nonostante l’imprinting, nonostante tutta la sofferenza che stavo provando in quel periodo orrendo. 
Ormai era parte di me e niente avrebbe potuto cambiare questa verità assoluta.
Cominciai a tremare vistosamente quando una folata di vento freddo e fastidioso si schiantò violento contro tutto il mio corpo. 
Il sole era tramontato prima ancora che riuscissi ad accorgermene lasciando il posto alla notte diventata ormai padrona del cielo e, inesorabilmente, anche del mio cuore. 
Così rassegnata, chiusi nuovamente gli occhi, e contro ogni logica mi addormentai avvolta da tremori e spasmi insopportabili.
 
Forse dormire sul pavimento non era stata poi una grande idea. 
 
Mi sentivo indolenzita e dannatamente debole. Non riuscivo a muovermi e dentro di me potevo sentire benissimo piccoli brividi di freddo percorrere avidamente tutto il mio corpo facendomi sentire accaldata e senza forze. 
Ma nonostante questo non riuscivo ad aprire gli occhi. 
Poi, quando provai a muovermi, non percepii più il pavimento freddo e duro sotto di me, ma qualcosa di assolutamente morbido e comodo. Sembrava il mio letto.
Ma come diavolo c’ero arrivata li? 
E poi…cos’era quel caldo improvviso? Cos’era quella sensazione di benessere assoluto?
Quel calore irresistibile mi avvolgeva il viso, mi sfiorava gli occhi, gli zigomi, le guancie, le labbra con una lentezza quasi disarmante, lasciando piccole scie di fuoco al suo passaggio. 
Era un tocco delicato come la seta, dolce come il miele.  
Avevo dolori dappertutto, ma nonostante questo non potevo ignorare quel calore incredibile che mi avvolgeva mente e corpo. 
Non volevo svegliarmi, non volevo aprire gli occhi e catapultarmi bruscamente nella realtà, non volevo che quel calore così intenso mi abbandonasse. 
Non volevo privarmene, non così in fretta. 
Ma cosa poteva essere? Da quello che ricordavo il sole era tramontato già da un pezzo ormai…
Ma mi importava davvero sapere cosa fosse quel qualcosa che mi faceva stare dannatamente bene? No, assolutamente no.
Ma poi, a malincuore socchiusi gli occhi e mi resi conto che non stavo sognando, e che mi trovavo davvero sdraiata sul mio letto. 
Eppure non dovevo essere ancora del tutto sveglia perché continuavo a sentire quel tepore incredibile solleticare le cellule della mia pelle ormai del tutto impazzite.
Strizzai un po’ di più gli occhi sollevando debolmente il viso e quando riuscii a capire, o meglio a vedere, cos’era quel calore pazzesco che mi accarezzava il viso, rimasi impietrita con il cuore pronto a scoppiarmi dal petto.

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Capitolo 25
*** CALORE IRRESISTIBILE (parte II) ***


CAPITOLO 21:
Calore irresistibile (parteII)

 
 
Era li, sdraiato accanto a me stando ben attento a non toccarmi troppo. Aveva un’espressione seria, pensierosa, mentre accarezzava piano i miei capelli con la sua mano calda e incredibilmente delicata. Mi guardava estasiato, come se fossi la cosa più preziosa dell’universo, la cosa più bella che potesse esistere al mondo.
Non mi guardava così da mesi…da secoli.
“Jacob?” lo sussurrai piano, incredula e con il cuore in gola.
Stavo sognando, non poteva essere vero.
Senza sapere perché provai ad alzarmi dal letto ma quando feci leva con le mani avvertì un forte giramento di testa e persi per un attimo l’equilibrio, ma Jacob mi afferrò prontamente fra le sue braccia. 
“Non muoverti, hai la febbre molto alta”
La sua voce era imperiosa, quasi paterna mentre mi adagiava lentamente sul letto.
Era li, con me. Non riuscivo a crederci. 
Poggiai controvoglia la testa sul cuscino stringendomi più che potevo alla coperta. 
Effettivamente non stavo bene per niente, avrei avuto si e no trentotto di febbre ma in quel momento mi importava ben poco. Mi sentivo sfinita, le ossa doloranti e la testa pronta ad esplodere, ma non potevo addormentarmi proprio in quel momento, non lo avrei permesso.
Continuavo a guardarla incredula, ma la notte e la poca luce della mia stanza non mi permettevano di vederlo come desideravo. Provai a girarmi e ad accendere la luce del mio comodino, ma Jacob mi anticipò anche stavolta: si sporse su di me e spinse il pulsante della piccola abatjour illuminando la stanza di un leggero colore dorato. 
Il colore della sua pelle.  
Stava per mettersi seduto e allontanarsi ancora di più dal mio corpo ma non glielo permisi.
“Per favore”.
Una piccola e debole supplica mi uscii dalle labbra mentre gli afferrai il braccio muscoloso e bronzeo con entrambe le mani.
“Non andare via”.
Sapevo che non ne avevo il diritto, ma non volevo che se ne andasse, non adesso, non dopo settimane che non lo vedevo.
Ma probabilmente quel contatto era anche troppo per lui, perché dopo qualche secondo si liberò dalla mia stretta ma con delicatezza, per non farmi male.
“Tieni, prendi questa pillola, ti farà abbassare la febbre”.
Me ne porse una bianca e tonda e, senza fare storie, mi misi a sedere e prontamente la ingoiai bevendo un sorso d’acqua dal bicchiere che lasciavo sempre sul comodino prima di andare a dormire. 
“Grazie”. 
Da quando mi ero svegliata non mi aveva ancora guardata negli occhi, non mi aveva ancora dato la possibilità di specchiarmi in quei meravigliosi pozzi neri dove un tempo riuscivo a vedere me stessa, dove riuscivo a trovare la parte più sana e più spensierata del mio essere.
Non rispose, rimase seduto, questa volta dandomi le spalle. Poi, poggiò i gomiti sulle ginocchia e lasciò andare la testa tra le sue mani stringendo i suoi capelli corti e neri tra le dita. Sembrava davvero sfinito.
Quanto avrei voluto abbracciarlo…quanto avrei voluto viverlo. 
Ma non potevo farlo, lui aveva il suo imprinting adesso.
Un forte senso di nausea mi investì lo stomaco a quel pensiero terribilmente doloroso, ma purtroppo reale. 
Abbandonai rassegnata la testa sulla spalliera del letto chiudendo per un attimo gli occhi.
Il silenzio e la tensione che aleggiavano in quella stanza stavano diventando davvero insostenibili.
“Perché sei venuto?” Sospirai affranta.
In realtà non mi importava un accidente del motivo, l’unica cosa che contava davvero era che si trovava li, con me.
“Ero di ronda e…” potevo percepire l’evidente disagio nella sua voce mentre provava a mettere insieme due parole di senso compiuto, ma dopo qualche secondo parve riprendersi e continuò. “e …ho percepito che non stavi bene così sono venuto a controllare, tutto qui” Finì la frase con urgenza, quasi avesse il timore di dimenticare le parole da dirmi, come se le avesse scritte da qualche parte e poi le avesse imparate a memoria. 
Perché Jake? Non è mai stato così tra noi.
“Capisco…” Non potevo non nascondere la delusione della mia voce alle sue parole. Forse perché da lui ricevevo risposte ben diverse. Se veniva a farmi visita era solo ed esclusivamente perché voleva vedermi. 
Riaprii gli occhi ma lui non aveva cambiato posizione, era sempre li, seduto sul bordo del letto intento a darmi le spalle. Era più che comprensibile visto e considerato che non provava più nulla per me, se non una profonda indifferenza e forse ancora un briciolo di affetto in nome della vecchia amicizia che ci aveva uniti per tanto tempo.
“Scusami” Lo sussurrò talmente piano che feci fatica anche a sentirlo, ma bastò per fare impazzire il mio cuore. Rimasi immobile, mentre con entrambe le mani stringevo con forza il bordo della coperta che mi avvolgeva. 
Di cosa si stava scusando? Ero io quella che doveva scusarsi per tutte le stupidaggini che avevo fatto. 
Io e non lui.
“Non capisco”
“Lascia perdere” Sospirò spazientito e finalmente rivolse il suo viso verso di me. 
Ma quello che vidi mi paralizzò: i suoi occhi erano spenti, svuotati, quella luce e quella vitalità che avevano sempre emanato erano scomparse, lasciando il posto al tormento e al dolore. 
Purtroppo conoscevo bene quell’espressione. 
Era la stessa che aveva quella notte…quella notte, quando dopo la battaglia contro i  neonati, decise di lasciarmi andare perché mi amava troppo per continuare a dividermi a metà. Quella notte, quando abbandonai la mia anima accanto a lui, in quel letto, senza più pretenderla.
Stupido. E io ancora più idiota di lui.
Se solo mi avesse guardata negli occhi, come solo lui era in grado di fare, avrebbe capito da subito che in realtà ciò che volevo davvero era vivere una vita normale e umana al suo fianco e non certo quello di diventare un essere freddo e immortale. 
Ed io avevo fatto tutto ciò che era in mio potere per ferirlo con i miei comportamenti da bambina stupida ed egoista.
Gli occhi cominciarono a bruciare e la tristezza, la malinconia, i rimpianti tornarono ad avvolgermi totalmente. Ma poi, percepii un leggero pizzicore alla gola, una voglia matta di dire qualcosa che non avrei dovuto dire perché andava contro la mia promessa, contro tutto ciò che avevo giurato di non fare e di non provare, avrei voluto mordermi la lingua per quello che stavo per dire, ma non potevo stare zitta. Non con lui che mi guardava in quel modo pazzesco.
“Jake… mi manchi” Una piccola e delicata verità che per troppo tempo avevo messo a tacere, che per troppo tempo non ero riuscita a dire a voce alta. I miei sentimenti per lui stavano ritornando a galla più prepotenti che mai riempiendomi il cuore. 
“Non serve a niente.”
Scosse la testa a destra e a sinistra distogliendo lo sguardo dal mio, terribilmente infastidito.
“Perché dic…” ma non mi lasciò finire la frase, perché si voltò completamente verso di me e mi immobilizzò con i suoi occhi neri colmi di rabbia e rancore.
“Io avevo rinunciato a te. Lo capisci?”.
Sussultai nel sentire il tono sferzante della sua voce rimbombare prepotente per tutta la stanza.
Mi inibiva, per la seconda volta nella mia vita provai un senso di totale annullamento davanti a lui e l’unica cosa che riuscivo a vedere, a sentire, era il suo sguardo incredibilmente intenso su di me e nient’altro.
“Sono partito perché era l’unica cosa che potessi fare per lasciarti andare e abbandonarti alla vita che tu avevi scelto di vivere”.
Lo vedevo avvicinarsi sempre di più a me con il risultato che adesso ci trovavamo esattamente a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro. Il mio cuore non poteva sopportare altro, stava letteralmente impazzendo e scalciava dentro il mio petto come se volesse scappare e non sentire quelle parole. Ma dovevo ascoltarlo, dovevo sapere cosa aveva da dirmi anche se questo mi avrebbe recato altro dolore. 
Ero in apnea, aspettando che mi desse il colpo di grazia.
“Sapevo che era l’unico modo per poterti dimenticare e per poter ricominciare a vivere. E ci sono riuscito Bella. Ho incontrato Emma ed è stato come se la vita mi avesse dato una chance per poter essere felice” Mi stava aprendo il suo cuore, come del resto aveva sempre fatto, con la sua voce roca e spezzata da dei sentimenti contrastanti percepibili dal modo in cui corrucciava la fronte, dai suoi occhi scuri chiusi in piccole fessure, dalla sua mascella contratta e dalla sua espressione dannatamente seria. 
Poi, di colpo, mi venne in mente quella sera, quel bacio pieno di rabbia e di passione che mi aveva dato in camera mia dopo avermi confessato del suo imprinting. 
Non sapevo cosa provare, non riuscivo neanche a pensare talmente era intenso e potente il bisogno e l’amore che provavo per lui. Ma poi, quell’attimo di pura gioia venne distrutto dalle sue parole: < Non dobbiamo parlare di niente, perché non è successo niente
Niente. 
Per lui dovevo semplicemente dimenticare e considerarlo un attimo di debolezza e niente di più. 
Niente.  
Riprese a parlare e la sua voce riuscii a ridestarmi da quel pensiero traboccante di dolore e di insopportabile rassegnazione.
“Poi, dopo tanto tempo, riesco a vederti nei pensieri di Embry e allora capisco che tutto quello che avevo costruito con tanta fatica si era sciolto come neve al sole, sparito in un soffio di vento.” 
Non riuscivo più a respirare. 
Che cosa vuoi dirmi Jacob?Cosa? Sto per impazzire.
Poggiò le sue mani sul materasso e strinse con forza un lembo di lenzuola tra le dita fissandomi ancora più intensamente.
“Perché in realtà io non ti ho mai dimenticata e mi odio, ti odio per questo”.
Lo disse tra i denti soffocando l’ira e la rabbia che si impadronirono del suo corpo facendo tremare il letto e inevitabilmente anche me stessa. Ma non me ne importava un accidente, ero come imbambolata mentre continuavo a fissarlo assolutamente incredula e stupita. Lui non mi aveva dimenticata? Nonostante l’imprinting provava ancora qualcosa per me? Provai a muovere le labbra e a socchiuderle, ma quello che ne uscii fuori fu…niente, assolutamente niente. Non riuscivo a dire nulla era come se avessi perso l’uso della parola, come se mi avessero mozzato la lingua.
Ma Jacob non si fermò, anzi, continuò imperterrito con il suo monologo senza smettere un attimo di guardarmi negli occhi, truce e sofferente.
“Lo sai perché? Lo vuoi sapere perché non riesco a dimenticarti nonostante il mio dannato imprinting?”
Adesso era davvero fuori controllo e il letto cominciò a tremare ancora più forte. 
Sentivo il cuore in gola e le lacrime che lottavano per uscire dai miei occhi. Tirai su col naso ma non ebbi né la forza né tanto meno il coraggio di rispondere alla sua domanda.  
E lui si spazientì.
Serrai gli occhi e aspettai che mi urlasse di nuovo contro, invece nulla. Nell’aria si percepiva solo il rumore del mio respiro affannato e irregolare e il rumore del vento, che irrequieto, si infrangeva sulla finestra. Il letto smise di tremare in un istante e insieme a lui anche il mio corpo. Continuai a tenere gli occhi chiusi, ma quando sentii due mani ruvide e incredibilmente calde afferrare il mio viso, spalancai gli occhi ancora spaventata e diffidente. Jacob chiuse gli occhi, come per concentrarsi e non perdere di nuovo il controllo. Ma poi li riaprii e quello che riuscii a vedere furono i miei occhi, quelli che tanto amavo e che tanto avevo agognato in tutto quel tempo lontana da lui. Era il suo sguardo finalmente, quello dolce e incredibilmente intenso che ti fa sciogliere il cuore e tremare le ginocchia.
“Perché ti ho amata da sempre, dalla prima volta che ho posato gli occhi su di te. L’imprinting non può nulla con me, non quando si ama così profondamente.” Con i pollici accarezzò lento e delicato il mio viso. Respirò a fondo e aggiunse sussurrando “Non quando si ama come io amo te”. 
Continuavo a rimanere ferma e immobile mentre piccole lacrime cominciarono a scendere prepotenti dai miei occhi increduli, bagnando le sue mani che continuavano a stringere il mio viso con una dolce pressione.
Per un istante sentii battere il mio cuore come non faceva da tempo.
Troppo intensa e assolutamente indescrivibile la gioia che stavo provando in quel momento di pura confusione e di totale incredulità.   
Con lentezza, sollevai le braccia e riuscii ad afferrargli i polsi aggrappandomi a lui, come avevo sempre fatto. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo. Stavo per andare in iperventilazione. 
“Tu…tu mi ami ancora?” Quelle parole uscirono dalle mie labbra in un leggero sussurro. Non era altro che una piccola e vana speranza che il mio cuore continuava imperterrito a pretendere e ad esigere. Ma solo da lui.
Riaprii gli occhi nei suoi in attesa di una sua risposta, ma ciò che ottenni fu semplicemente un sospiro pesante che si infranse leggero sul mio viso. 
Poi, però le sue mani abbandonarono il mio viso e si divincolarono dalla mia stretta.
“Adesso è troppo tardi Bella, troppo tardi, Se solo tu lo avessi capito prima, se solo…”_ fermò le sue parole mordendosi con forza il labbro inferiore guardando il muro alle mie spalle_“Bella, io amo il mio imprinting e per una volta nella mia vita voglio fare le cose per bene. Non voglio che l’unica possibilità che ho di essere felice se ne vada a puttane solo perché in un attimo di pura follia io ho fatto prevalere quella dannata parte di me che continua ad amarti.” Adesso era sicuro e deciso delle sue parole. Mi stava dicendo che anche se mi amava ancora, non avrebbe permesso all’imprinting di scomparire perché lui, nonostante tutto, amava Emma.
Sentii come se una lama a doppio taglio mi stesse squarciando il petto con accurata lentezza, facendomi patire le pene dell’inferno. 
“E allora perché sei venuto qui? Non ti bastava avermi già spezzato il cuore una volta? Volevi affondare ancora di più il coltello nella piaga? Perché sei qui se ami un‘altra?” Ero arrabbiata, ferita, distrutta. Cominciai ad urlargli contro mandando al diavolo tutti quei sentimenti di pura gioia che avevano solamente solleticato il mio essere e sbeffeggiando la mia influenza che sentivo a poco a poco svanire insieme alla felicità che avevo semplicemente sfiorato per qualche secondo.
Perché sapevo che era troppo bello, troppo perfetto per essere vero.
Ma Jacob mi rispose con altrettanta veemenza stringendomi con forza le spalle con entrambe le mani.
“Sei sempre la solita! Non ce la fai proprio a capire, a capire me." disse colpendosi il petto con una mano fulminandomi con gli occhi.
“Cosa stai dicendo?” 
“Sono qui perché non riesco a starti lontana, ok? Non riesco a non vegliare su di te tutte le santissime notti per accettarmi che il tuo cuore continui a battere. Perché sono talmente stupido e masochista che non riesco a non pensarti ogni dannato istante in cui non sono con Emma e perché sono maledettamente geloso di tutto ciò che ti circonda, di tutti quelli che si azzardano anche solo a guardarti quando impacciata cammini tra la gente.”_ si fermò per riprendere fiato liberandomi le spalle dalla sua presa_“Perché dopo tutto quello che mi hai fatto, dopo tutta la sofferenza che mi hai causato, questo” _ afferrò entrambe le mie mani e la poggiò contro il suo petto, dove potevo sentire il suo cuore battere impazzito, esattamente come il mio_“batterà sempre e solo per te.”
Le labbra cominciarono a tremarmi in modo convulso e le lacrime non volevano proprio smettere di scorrere lungo le mie guancie.  
Le sue parole. 
Da quanto tempo era che aspettavo che mi dicesse quelle cose? Da quanto tempo non mi diceva che mi amava? E poi quella verità assoluta che mi tormentava l’anima da mesi ormai…tutto quello che aveva detto era assolutamente vero… era tutta colpa mia, se non fossi stata così dannatamente testarda a quest’ora lui non si sarebbe innamorato di un’altra e forse adesso…
“M-mi dispiace, è solo c-colpa mia!” lo urlai con quanto fiato avevo in corpo liberando tutto il mio dolore. Mi gettai su di lui aggrappandomi alle sue spalle larghe e forti solo per poter sentire di nuovo le sue braccia strette attorno al mio corpo e quel calore irresistibile percorrere le mie vene. 
Ma lui non si mosse di un millimetro. 
Era fermo, completamente impassibile.
“Ti prego perdonami!” urlai contro il suo collo mentre il mio corpo veniva percorso da spasmi incredibili facendomi tremare. 
E questo sembrò riscuoterlo perché in un attimo mi trascinò su di se abbracciandomi forte, possessivo, quasi temesse che potessi scomparire da un momento all’altro. 
Ma dove altro sarei potuta andare? Quali altra braccia avrei potuto desiderare? 
“Oh, Bella” Lo sussurrò con quella voce roca e bellissima cullandomi dolcemente tra le sue braccia calde e forti. 
E in quel momento, anche se distrutta, anche se ferita, mi sentii rinascere.
“Non piangere ti prego. Scusami, non avrei dovuto aggredirti a quel modo, perdonami” lo disse con voce addolorata, afflitta, mentre con le mani mi carezzava dolcemente la testa, la schiena lasciando piccoli e tenere baci bollenti sulla mia fronte, sulle tempie e sulle mie lacrime che continuavano ad imperlarmi il viso e gli occhi. Rimanemmo in quella posizione per non so quanto, ma era come se il tempo si fosse fermato e avesse perso di importanza.
Passarono minuti, ore, quando finalmente mi calmai. 
Sfinita, poggiai il mio viso contro il suo petto beandomi dei suoi battiti cardiaci in religioso silenzio. 
Mi mancava tutto di lui, anche questo. 
Il suo calore mi faceva stare incredibilmente bene, la sua sola presenza bastava per farmi sentire ancora intera. E per un attimo, mi sembrò di tornare indietro nel tempo.
Sollevai il viso e lo trovai intento a fissarmi con un’espressione addolcita e stranamente divertita.
“Ti rendi conto che mi hai praticamente fatto la doccia con le tue lacrime?” Mi sorrise triste, piagando leggermente gli angoli della bocca all‘insù. Sbuffai una risata davanti a quel dolce, quanto tenero tentativo di sdrammatizzare una situazione così dannatamente complicata. 
Perché lui era fatto così. Doveva farti sorridere anche nei momenti meno opportuni. Era davvero incredibile. 
“Sei fortunato, l’hai fatta anche gratis” Lo gracchiai contro il suo petto soffocando una risata debole e malinconica. Si perché anche se mi aveva confessato quelle cose splendide sapevo che la nostra situazione non sarebbe cambiata di una virgola: lui sarebbe rimasto con Emma,con il suo imprinting, con la ragazza che amava e io…beh io…dovevo cercare di sopravvivere.
Poi senza aggiungere altro, Jacob mi prese in braccio e si adagiò sul letto senza mai interrompere il contatto dei nostri corpi. Eravamo emotivamente troppo provati per dire altre parole o semplicemente per restare lontani. O almeno non in quel momento. 
Mi accoccolai nel suo petto più che potevo beandomi del suo dolce profumo di muschio e terra bagnata. Finalmente potevo respirare.
“Anche tu mi sei mancata” lo sussurrò al mio orecchio stringendomi ancora più forte al suo corpo accarezzarmi dolcemente la schiena e i capelli. 
Chiusi gli occhi beandomi per l’ultima volta di quel ragazzo meraviglioso che avrei continuato ad amare nonostante tutto.  

 

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Capitolo 26
*** INGENUI ***


Parto subito dal presupposto che questo capitolo NON mi piace. L'ho letto e riletto mille volte ma poprio non riesce a piacermi. E' un capitolo di passaggio e anche indispensabile per capire alcune cose. Ok, non vi annoio più con i miei piagnistei e lascio giudicare a voi. 

CAPITOLO 22:
Ingenui
 

"Non chiederti perché la gente diventa pazza. 
Chiediti perché non lo diventa.
Davanti a tutto quello che possiamo perdere in un giorno,
in un istante... è meglio chiedersi che cos'è che ti fa restare intero."
 

 
Sapevo a cosa sarei andata incontro nel momento in cui avessi deciso di aprire gli occhi e di allontanarmi dalle braccia di Morfeo. Sapevo già cosa avrei trovato al mio risveglio. Lo sapeva il mio inconscio e lo sapeva anche il mio cuore che adesso esigeva, pretendeva qualcuno che non era più dove avrebbe dovuto essere. Eppure, non potevo evitarlo. 
 
Con dolce e tenera ingenuità allungai istintivamente un braccio e, molto lentamente, tastai il letto con una mano, nella speranza di trovarlo al mio fianco.  
Ma accanto a me c’era il nulla. 
Il cuore cominciò a battere violento dentro il mio petto mentre un’amara verità si faceva largo nella mia mente: ero sola. Aprii le palpebre e infatti,l’unica cosa che vidi furono delle lenzuola disfatte e ancora tiepide. Una dolce quanto dolorosa impronta di un corpo caldo. 
E nient’altro. 
Le sfiorai piano, delicata con i polpastrelli e poi ne strinsi forte un lembo tra le dita. Percepivo ancora il suo profumo selvaggio solleticarmi le narici e il suo calore incredibile continuare a scorrermi nelle vene. Era come se fosse ancora li, con me. Sentii gli occhi pizzicare e prima ancora che me ne rendessi conto, piccole e calde lacrime cominciarono a rigarmi il viso. Aumentai la stretta delle dita su quel pezzo di lenzuolo e piansi, piansi in silenzio mentre ciò che restava di lui in quel letto, svaniva al mio primo sospiro, al primo soffio di vento. 
Se n’era andato. Era andato via davvero. Non mi aveva svegliata, non aveva neanche aspettato per dirmi addio. Ma forse, forse in questo modo sarebbe stato un po’ meno doloroso.
Dovevo crederci. 
Osservai l’orologio sul comodino, le lancette segnavano le 06.10 del mattino. Avevo dormito poco, pochissimo, ma nonostante questo i miei occhi erano più svegli che mai. Stavo per distogliere lo sguardo, quando il leggero vibrare del telefonino attirò subito la mia attenzione.  
Sobbalzai e un pensiero folle, quanto assolutamente impossibile, mi trapassò il cervello: e se fosse lui?
Allungai il braccio e con urgenza afferrai tra le mani quell’aggeggio elettronico. Nel display il nome del mittente del messaggio:Angela. 
Stupida e ingenua. 
Sorrisi amaramente mentre continuavo a fissare il nome della mia migliore amica lampeggiare al centro del piccolo schermo. Cosa diavolo mi era passato per la testa? Cosa mi aspettavo?Che magari mi avesse mandato un messaggio come se niente fosse augurandomi una buona giornata? Che fossimo tornati quelli di un tempo solo perché mi aveva consolata e protetta per tutta la notte? Eppure, inconsciamente pensavo, speravo che fosse davvero così. Respirai a fondo e con un gesto stizzito della mano, scacciai via quelle lacrime ingombranti dal mio viso e spinsi il tasto
“Apri“ del telefonino: “Tesoro sono all’università e qui non si parla d’altro che di quella festa! Dovremmo andarci assolutamente! Mandami una risposta al più presto! Baci Angie” 
Qualcosa dentro di me si mosse e in un attimo mi venne in mente quello strano ragazzo che avevo accidentalmente urtato in biblioteca e il volantino che avevo raccolto da terra. Rimasi impalata per qualche secondo ad osservare quelle piccole lettere bianche soffermandomi proprio sulla parola “festa”. 
Forse era ciò di cui avevo bisogno. Forse uscire, incontrare gente nuova mi avrebbe fatto stare bene e magari mi avrebbe aiutata a sgombrare una volta per tutta la mia mente.
Si, era la scelta giusta, dovevo dare una svolta radicale alla mia vita. E avrei cominciato da quella festa. 
Dovevo farlo per mio padre, per Angela, ma soprattutto per me stessa. 
Si dice che il tempo guarisca tutte le nostre ferite e io volevo essere guarita. 
Era arrivato il momento di rialzarsi, di andare avanti e l’avrei fatto a testa bassa con tutti i miei sbagli alle spalle.
Mi sarei buttata a capofitto nello studio e sì, anche nelle feste se era necessario. 
Cosa ci avrei rimesso dopotutto? Niente, perché avevo già perso tutto, allontanando la persona più importante della mia vita. Del resto mi importava ben poco.
Digitai dei tasti alla rinfusa e inviai il messaggio di risposta alla mia migliore amica: “Hai ragione, dovremmo andarci assolutamente! Ci divertiremo!” 
 

§§§
 

"Comunicare è la prima cosa che impariamo davvero nella vita.
La cosa buffa è che più noi cresciamo,
impariamo le parole e cominciamo a parlare e più diventa difficile sapere cosa dire,
o peggio ottenere quello che davvero vogliamo.
E alla fine della giornata ci sono delle cose delle quali non si può fare a meno di parlare. 
Certe cose semplicemente non vogliamo sentirle,
e altre le diciamo perché non possiamo più tenerle dentro.
Per certe cose non servono parole, certe cose si fanno e basta.
Alcune cose si dicono perché non si ha altra scelta.
E alcune cose le lasciamo dentro noi stessi.
E non accade molto spesso ma di tanto in tanto alcune cose semplicemente parlano da sole."
 
 

Com‘è che si dice? “Non voltarti indietro a rimpiangere il passato, perché tanto non esiste più”? Non sapevo neanche dove l’avessi sentita nè dove l’avessi letta, ma sapevo solo che fosse una di quelle frasi ad effetto pensata da qualche filosofo o scrittore da strapazzo che ti restano impressi nella memoria maciullandoti il cervello tormentandoti per anni. 
Ma chi ha anche solo potuto pensare ad una cazzata del genere, doveva essere completamente fuori di testa. Perché il passato c’è, il passato aleggia intorno a noi come una zanzara fastidiosa. Il passato esiste, eccome. Il passato torna prepotente nella tua vita rovinando tutto quello che hai costruito con tanta fatica e tanto coraggio, mandando a fanculo tutto i tuoi buoni propositi di vivere una vita, non dico felice, ma quantomeno accettabile.
E’ così che succede.
Pensi di averlo lasciato alle spalle, di averlo finalmente eclissato, ma poi, rivedi qualcuno, una persona che ha toccato la tua anima tempo prima e allora ti accorgi di non averla mai dimenticata e, se possibile,di amarla più della prima volta. E allora ti ritrovi seduto sulla spiaggia, con la testa stretta tra le mani a rimpiangere quel passato che avevi cercato con tutte le tue forze di scacciare via. Ingenuamente.
 
Non sarei mai dovuto andare da leiMai.
Eppure, l’istinto aveva prevalso sulla ragione ancora una dannata volta.
Non potevo più impedirmi di vederla. Non ce l’avrei fatta. Erano settimane che mi privavo della sua vista, del suo odore, del suo corpo, del suo cuore. Erano settimane che la visione di lei, in lacrime, mi annebbiava il cervello. Erano settimane che non riuscivo a concentrarmi sulle ronde perché il mio pensiero voleva costantemente a lei. E non potevo evitarlo, avrei voluto, ma era diventato impossibile. Dovevo scavalcare quella finestra, dovevo proteggerla dal freddo pungente che investiva violento il suo fragile corpo. Dovevo accarezzarla. Dovevo abbracciarla. E lei
doveva sapere tutto quello che mi stava accadendo. Era un bisogno fisico, vitale, qualcosa che mi pizzicava la gola, la lingua spingendomi ad essere spudoratamente sincero pur sapendo che non avrei mai dovuto farlo. Il passato non esiste più. Stronzate. Cazzate. 
Chi scrive queste “perle di saggezza”  del cavolo dovrebbe essere preso a calci in culo. Violentemente.
“Sai, dovresti stare più attento ai tuoi pensieri se non vuoi che nessuno ti trovi”  
Abbozzai un sorriso amaro mentre continuavo ad osservare l’alba che timida, si faceva spazio tra le tenebre per dar vita ad un nuovo giorno. Un nuovo giorno col cuore diviso a metà e con la consapevolezza di essere ancora avvolto dalla profonda e totale confusione.
“Me ne ricorderò” 
“Ho pensato che avessi bisogno di compagnia e ti ho raggiunto.” Con lentezza voltai il viso verso il mio migliore amico lanciandogli un’occhiata veloce per poi ritornare ad osservare l’oceano.
“Quindi sai tutto” sbuffai affranto. Lo avevo capito dal modo in cui mi guardava: il suo sguardo era compassionevole, caritatevole. Odiavo essere guardato in quel modo. Ma forse aveva ragione lui. Avevo davvero bisogno di un amico.
“Si, lo so” Embry si avvicinò cauto “E’ un bel casino.”
“Come lo è tutta la mia vita.”incalzai sospirando al vento.
Il mio amico rimase in silenzio. Provò a muovere le labbra per controbattere a quello che avevo appena detto, ma sapeva anche lui che non c’era niente di falso in quell’ affermazione deprimente, quanto assolutamente veritiera. 
Infatti, serrò nuovamente le labbra e continuò a fissare un punto indefinito oltre l’orizzonte.
Lo fissai contrariato.
“Scusami non volevo farti deprimere” 
“Non saranno certo le tue fesserie a farmi deprime Jacob!” Lo fulminai con lo sguardo,infastidito.  Ma la risata spensierata del mio amico, mandò in frantumi la mia maschera arrabbiata facendomi inevitabilmente travolgere da quel piccolo momento di delirio.  
Avevo dimenticato cosa si provasse nel sentire la propria risata. Era una sensazione piacevole, vitale.
Poi però, le risa scemarono e con loro anche la mia breve spensieratezza. 
Ero diventato una specie di piagnone che non riusciva più a ridere come un tempo, che non riusciva a divertirsi come un normale ragazzo di diciassette anni. Uno che non riusciva neanche a farsi sottomettere da una magia millenaria perché difettoso, perché, secondo il proprio padre, aveva il cuore già occupato da un‘altra ragazza. 
Ridicolo. 
“Vuoi parlarne?”  
Sospirai, stravolto. 
“Cosa cambierebbe?”  
“Niente, ma forse ti farebbe bene sfogarti” 
No, invece non sarebbe servito. 
“Grazie Embry, ma non c’è niente di cui parlare.” 
“Io invece credo proprio di si”
Lo guardai confuso sollevando un sopracciglio.
“Che vuoi dire?” 
Lui indugiava, portando lo sguardo oltre l’orizzonte, come se stesse riflettendo sulle parole giuste da dire. “Sei mio amico da tutta la vita Jacob e ti conosco, più di quanto vorrei, e quando ti ho visto per la prima volta con Emma ho trovato qualcosa di diverso nei tuoi occhi. Non erano più pieni di vita e innamorati come un tempo. Non la guardi con la stessa intensità con cui guardavi Bella e allora ho capito subito che c’era qualcosa che non andava e che forse l’imprinting non stava funzionando come avrebbe dovuto. E quando hai fatto a pugni con Seth, non ho avuto più dubbi a riguardo.” Trattenni il respiro senza interromperlo perché tutto quello che stava dicendo era vero, era tutto assurdamente vero.
La ami ancora?”
Mi irrigidì distogliendo lo sguardo dal suo. 
La ami ancora?
Non lo sapevo. Non riuscivo a capirlo. Ma dopo tutto quello che era successo in quelle settimane, e soprattutto quella notte, potevo affermare con certezza che non provavo più nulla per lei? Potevo essere così ipocrita? No, non potevo, ma non risposi comunque. 
Sapevo solo che c’era un tempo in cui lei rappresentava tutto per me. Un tempo in cui credevo di essere nato solo per renderla felice, per proteggerla anche a costo della mia stessa vita. 
Per lei ero disposto a tutto. Nient’altro aveva importanza. Solo lei.
Almeno un tempo era così. 
Chiusi gli occhi, facendomi cullare dal dolce rumore delle onde che si infrangevano lente e delicate sulla battigia trascinandosi dietro milioni di pietruzze grigie e nere che abitavano la spiaggia della mia infanzia.   
“Jake” _Embry sospirò dandomi una piccola pacca sulla spalla _ “Non riesci ancora a perdonarla, vero?” 
Scossi la testa e con un piccolo movimento delle labbra sussurrai “No, non ci riesco”
Silenzio. 
Ancora silenzio.
“Voglio solo che tu sia felice fratello.” Sollevai il viso e lo fissai con decisione
“Io sono felice con Emma e la amo, devi credermi ma…non lo so, a volte mi sento così… arrabbiato… arrabbiato con lei, con me stesso.”
“ Perché?” Corrucciò la fronte, confuso dalle mie parole.
E a quel punto perché fermarmi? Perché non essere sincero una volta per tutte? Lui sapeva, e ormai era inutile continuare a fingere. Non ci pensai due volte e sputai in faccia al mio migliore amico tutto quello che mi stava maciullando il cervello da settimane intere.
“Perché le ho permesso di rovinarmi nuovamente la vita Embry! Le ho praticamente spalancato la porta del mio cuore con tanto di tappeto rosso sul pavimento accogliendola a braccia aperte! Io ho una dignità, un orgoglio e non posso calpestarlo per la millesima volta solo perché lei ha detto di amarmi. Questo non significa niente, soprattutto detto da lei. E non voglio più soffrire come prima, non posso permetterlo” Sbuffai sfinito scacciando via l’aria dai miei polmoni. Finalmente ero riuscito a sfogarmi con qualcuno che non fosse me stesso, finalmente, ero riuscito ad esprimere i miei sentimenti ad alta voce. Mi sentivo un po’ più leggero e per la prima volta, dopo tanto tempo, non ero più da solo col mio dolore. Avevo ritrovato i miei amici e non c’era cosa più preziosa al mondo. 
Embry si alzò da terra e mi raggiunse. Non mi ero neanche accorto che per la foga e l’agitazione, ero balzato in piedi. 
“Fa solo la cosa giusta per te Jacob."
“Non so neanche io cosa sia la cosa giusta”
“Si invece! Lo sai benissimo, devi solo accettarlo” 
Lo guardai meravigliato. Lo conoscevo da una vita e non era certo da lui fare discorsi così filosofici.
“Non guardarmi così! Non è colpa mia se il mio migliore amico si è rimbecillito del tutto! Devo pur aiutarlo no?” 
Sorrise di gusto colpendomi lo stomaco con un pugno scherzoso. Risi anche io colpendolo a mia volta provocando così una piccola rissa degna di due bambini di cinque anni. Continuammo ad azzuffarci in quel modo a lungo ridendo come matti e lacrimando per le forti risa.
Dopo tanto tempo, ritornai ad avere diciassette anni. 
“Grazie Embry” Lo sussurrai piano, con voce colma di gratitudine. 
“Non devi ringraziarmi! Comunque adesso è meglio che vada. Sono di ronda con Quil e se non mi presento questa è la volta buona che Sam mi uccide!” 
Sam… sgranai gli occhi, agitato.
“Per favore, non dire niente al branco, soprattutto a Sam…” Non volevo che sapesse la verità sul mio imprinting, perché ero pià che certo che nel momento in cui lo avesse scoperto, si sarebbe sentito morire. Per lui…per Leah. E non volevo che questo accadesse.
“Sta’ tranquillo, non dirò niente e prometto di non pensarci!” Si colpì la tempia con un dito e si voltò, pronto ad andarsene.
“Grazie ancora, per tutto!” 
“Quando vuoi!” E scomparve oltre gli alberi.
 
 

* i primi pezzi scritti in grassetto appartengono al telefilm Grey’s anatomy.

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Capitolo 27
*** UN PO' DI LEGGEREZZA ***


CAPITOLO 23:
Un po' di leggerezza
 


Dannazione sono di nuovo in ritardo. 
Correvo come un fulmine mentre mi facevo largo tra la folla non avendo neanche il tempo di stupirmi della mia inusuale velocità e del mio ritrovato equilibrio. Alcune volte, anzi, rarissime volte, riuscivo senza sapere come, a fare pace con la forza di gravità. Rallentai qualche istante e osservai il mio orologio da polso: erano le 08.00. 
Quindici minuti. 
Quindici minuti e finalmente avrei dato il mio ultimo esame di fine corso. 
Quindici minuti. 
Senza pensarci due volte ricominciai a correre spedita verso l’ingresso dell’università pregando che il mio ritrovato quanto precario equilibrio non mi abbandonasse proprio in quel momento.
Ma ovviamente la mia buona sorte non poteva durare ancora per molto, perché nel momento in cui stavo già pregustando la mia personale vittoria contro la gravità, girai l’angolo e andai a sbattere contro qualcuno finendo con la schiena spiaccicata sul pavimento. 
Perfetto, ci mancava solo questa. 
“Hey!Ti sei fatta male?”.
Una voce maschile e parecchio divertita prese il posto di tutti quei mormorii ovattati che continuavano a ronzarmi intorno. 
Cominciai a massaggiare il mio fianco sinistro con la speranza di riuscire a fare scomparire il dolore. Avevo davvero preso una bella botta.
“No, grazie niente di grave”
“Dovremmo smetterla di incontrarci in questo modo, non credi?”
Alzai gli occhi e lo riconobbi all’istante.  Era lo stesso ragazzo che avevo urtato una settimana prima in biblioteca. 
Fantastico, davvero fantastico. 
Sentii le guancie colorarsi di un bel rosso accesso ed evitai accuratamente di guardarlo in faccia. 
Lui in risposta al mio imbarazzo cominciò a sghignazzare porgendomi una mano che afferrai prontamente alzandomi in piedi ma ancora parecchio dolorante.
“Grazie…” dissi sempre più mortificata. Non ricordavo neanche il suo nome. 
“Tyler” 
“Tyler, giusto” 
“Sei davvero un pericolo pubblico, sai?!”
Rideva di me come un matto mentre con una mano teneva ancorata alla sua spalle destra la sua tracolla nera.  
Quella sua risata spensierata però era tutt’altro che fastidiosa e questo mi innervosì ancora di più perché non solo non lo conoscevo nemmeno, ma si permetteva anche a prendersi gioco di me come un vero e proprio cafone.
Lo fulminai con lo sguardo mentre, indispettita, cominciai a raccogliere i miei libri sparsi per tutto il pavimento. 
“Dai, aspetta ti do una mano” 
“Non mi serve l’aiuto di nessuno” incalzai tagliente. 
“Non ti sarai mica offesa? Pensavo che ormai fossimo diventati amici!”.
Lo stava facendo ancora. Stava ridendo di me. Era davvero insopportabile.
“Senti, primo: non so neanche chi tu sia. Secondo: non mi offendo per così poco soprattutto se la presa in giro viene da un tipo come te. E terzo: noi non siamo amici!”
Mi guardò per un attimo sorpreso per poi sbuffarmi a ridere in faccia.
“Sei davvero buffa quando ti arrabbi”.
Ah bene, adesso non riuscivo a farmi rispettare neanche da arrabbiata.
“Starei volentieri a parlare con te, ma ho un esame importante tra meno di 10 minuti quindi ti saluto” 
Girai i tacchi pronta ad andare via, quando una mano mi afferrò per un braccio. 
Era ancora lui.
“Ok, ok scusami, non volevo farti arrabbiare!”.
Mi voltai verso di lui e potei constatare dal suo sguardo che era sincero. Mi sorrideva pentito mentre stringeva la presa della mano sulla stoffa della mia maglietta.
Alzai gli occhi al cielo sbuffando. 
“Ok, scuse accettate! Ma adesso devo proprio andare”
Un po’ titubante, tolse la mano dal mio braccio e prima di lasciarmi andare del tutto disse ammiccando: “Ti aspetto alla festa di domani sera, Isabella”
“Bella! E comunque, come fai ad essere sicuro che ci sarò?”  Ed incrociai le braccia indispettita fissandolo con sguardo tagliente. Ma in realtà, dovevo ammettere, che mi stavo divertendo parecchio a stuzzicarlo.
“Beh perché ti avevo già invitata ed è maleducazione rifiutare l’invito ad un giorno dalla festa, per cui  non hai scuse!” I suoi occhi verdi mi fissavano divertiti e speranzosi al tempo stesso. 
Quel ragazzo era davvero incredibile. 
Sollevai un sopracciglio divertita “Se riuscirò a sopravvivere a questo esame è anche probabile che farò un salto, ma non ti garantisco nulla!”.
Lui smise di ridere e si avvicinò ancora di più al mio viso sussurrando divertito: “Allora vorrà dire che farò il tifo per te”.
Lo sfidai con lo sguardo ma, con mia enorme sorpresa, mi persi per qualche istante nei suoi occhi verdi incapace di spiccicare una sola sillaba. Ne ero sorpresa perché non mi era mai successo prima. Non avevo mai guardato un altro ragazzo per così tanto tempo e soprattutto non avevo mai sentito il bisogno o la voglia di perdermi nello sguardo di qualcuno che non fosse…che non fosselui. Ci guardammo per degli istanti interminabili, ma poi, fortunatamente, le risate scroscianti di un gruppo di ragazzi attorno a noi, mi fece riprendere il controllo di me stessa. 
E ricordai il vero motivo della mia presenza all’università.
L’esame!
“A-adesso devo proprio andare”.
Balbettai mentre mi liberavo dalla sua stretta e, senza degnarlo di uno sguardo, mi voltai e questa volta per andarmene sul serio. 
“Ci vediamo domani sera Bella!”
E nonostante la confusione e il chiacchiericcio frenetico degli altri studenti che camminavano per i corridoi, il suo urlo arrivò limpido alle mie orecchie e mi sorpresi nel percepire le mie labbra allargarsi in un timido sorriso mentre cercavo di arrivare indenne nell’aula di psicologia ancora un po’ confusa e frastornata.
 
***
 
“Davvero?”  
“Si! E come se non bastasse, arrivo all’università e mi ritrovo stesa sul pavimento!”.
 Dopo l’esame di psicologia, passato con il massimo dei voti, ero corsa via come un fulmine a casa di Angela impaziente di vederla e di raccontarle tutto quello che mi era successo in quella mattinata infernale ma al tempo stesso incredibilmente fortunata. 
E adesso ci trovavamo lì, distese sul suo letto a pancia sotto e gambe al vento mentre ridevamo a crepapelle. Le parlai di tutto, senza tralasciare neanche un particolare. 
Ormai parlare e confidarsi con lei era diventata la cosa più normale e semplice del mondo. 
“Sei davvero unica Bella Swan! E di grazia, come ci sei finita sul pavimento?”.
Ormai rideva come una matta e non c’era verso di fermarla. 
Ormai più parlavo e più mi rendevo conto che ero diventata una specie di barzellettiere da quattro soldi. Ma non mi lamentavo, sempre meglio far ridere che far deprimere! 
“Un ragazzo mi è praticamente venuto addosso! Era lo stesso di quella mattina, in biblioteca, ti ricordi?”
Si portò una mano sul mento con un espressione pensierosa. 
“Tyler Russell, il playmaker della squadra di football? Certo che me lo ricordo!” 
E mi lanciò un’ occhiata che lasciava intendere molte cose. 
“Esatto, lui. E non fare quella faccia, so’ cosa significa e non è quello che pensi”.
Certo che lo sapevo, era la tipica espressione di chi sta già traendo conclusione affrettate.
“E anche se fosse? Che male ci sarebbe? E poi non puoi negare che sia davvero un gran bel ragazzo!” 
“Infatti non lo nego, ma…”  E li mi bloccai, incapace di continuare. 
Intrecciai le gambe e portai le testa all’indietro adagiandola sul muro alle mie spalle. Angela sollevò un sopracciglio senza capire perché avessi cambiato espressione ed umore così all’improvviso. 
Mi ero spenta di nuovo, dannazione.
“Ma non è quello che vuoi, giusto?”
Lo disse talmente a bassa voce che feci anche fatica a sentirla, ma bastò per farmi sussultare. Voltai lo sguardo verso qualcosa su cui concentrarmi e decisi che quel peluche bianco a forma di gatto che stava sdraiato sulla mensola andava più che bene. Non volevo che cogliesse dai miei occhi qualcosa che le facesse capire tutto il mio dolore. Angela aspettò qualche istante per poi avvicinarsi a me con cautela afferrando le mie mani tra le sue. 
“Scusami Bella, ho parlato a sproposito” Era davvero dispiaciuta, ma non ce l’avevo affatto con lei. 
“Ma no figurati, tu non c’entri niente”
“Sicura che non ne vuoi parlare?”
“Si,davvero… non è niente”
La fissai negli occhi accennando un timido sorriso che non avrebbe incantato nessuno.
“Bella, non mentirmi. Se non ne vuoi parlare va bene, ma ti prego, non dirmi che non è niente.”
Increspai le sopracciglia sorpresa dall’improvviso cambiamento di tono della sua voce. Era quasi materna, imperiosa. Angela era sempre stata una ragazza giudiziosa e molto più matura della sua età, ma non mi aveva mai parlato in quel modo, non aveva mai tirato fuori l’argomento in tutti questi mesi. Ma aveva ragione. Non le avevo mai raccontato il motivo della perenne depressione che mi aveva accompagnata durante quei mesi infiniti e soffocanti. Eppure, non riuscivo ad esprimere i miei sentimenti, non ero mai stata brava con le parole e con Angela avevo accuratamente evitato di farmi sfuggire il motivo. Sapevo che era qualcosa che dovevo affrontare da sola, senza l’aiuto di nessuno. 
“C’è qualcosa che ti tormenta da tantissimo tempo ormai e non ti ho mai chiesto nulla perché non volevo essere invadente. E continuerò a non intromettermi, ma sappi che se avrai bisogno di parlare, di sfogarti, io ci sarò sempre per te, per qualunque cosa Bella”.
Stringeva saldamente le mie mani tra le sue come a voler rafforzare le sue parole con quel piccolissimo gesto. Tirai su col naso e cercai di non perdere il controllo delle mie emozioni.
“Grazie Angela, ma credimi io sto bene, adesso sto molto meglio”
“Lo so, lo so, sicuramente rispetto a qualche mese fa sei molto diversa, ma ci sono momenti in cui… ti eclissi e posso vedere dai tuoi occhi che c’è ancora qualcosa che ti fa soffrire Bella. E io non voglio! Perciò adesso fammi un bel sorriso e vedrai, qualunque cosa ti tormenta, la supereremo insieme… iniziando proprio dalla festa di domani sera!”  
Sbuffai una risata guardandola con riconoscenza.
“Grazie”.
Fu un sussurro, ma la mia amica mi sentii benissimo, perché non appena terminai di pronunciare quella parola, mi ritrovai stretta tra le sue braccia.
“Non devi ringraziarmi, le amiche servono a questo”.
La strinsi forte a me in cerca di un piccolo conforto che non tardò ad arrivare. Ero davvero fortunata ad avere un’amica fantastica come lei e avevo promesso a me stessa che niente al mondo mi avrebbe mai allontanata da Angie, perché era diventata inevitabilmente una della persone più importanti della mia vita.  
“D’accordo! Adesso basta o mi commuovo anche io! Coraggio, domani c’è una festa e dobbiamo trovarci dei vestiti decenti!”
Si staccò da me e mi regalò uno dei suoi sorrisi confortevoli che io ricambia senza alcun tipo di sforzo.
“Ci sto! Ma come al solito non ho niente da mettermi”. 
Sentenziai, ma nella mia voce percepivo allegria, spensieratezza, due sensazioni che non mi appartenevano più da tanto tempo.
“E secondo te io cosa ci sto a fare? Ho già il vestito perfetto per l’occasione!”
Scese dal letto con un balzo e tutta contenta si precipitò verso il suo armadio. Afferrò un vestito nero e me lo mostrò soddisfatta. 
Spalancai bocca a occhi nel medesimo istante.
“Ma sei impazzita? Non lo metterò mai”
“E invece si che te lo metti!”
Me lo lanciò addosso per poi puntarmi un dito contro e aggiungere con tono minaccioso: “Non si accettano scuse, intesi? Vai a provarlo, muoviti!” 
“Dittatrice!” Sbuffai afferrando il vestito e con svogliatezza mi spogliai per poterlo indossare.
Certo non potevo negare che era particolarmente bello, ma anche terribilmente corto e scollato.
La stoffa nera aderiva perfettamente al mio corpo mettendo in risalto le mie forme scendendo sinuoso fino a metà coscia. Le bretelle non erano presenti, ma al loro posto una fascia stretta a intreccio, copriva il mio decolté, accentuandone leggermente la scollatura.
“Bella ti sta’ divinamente!”
Angela mi guardava totalmente rapita con un’espressione sbalordita e sconcertata sul volto. Certo, lei non era per niente abituata a vedermi vestita in quel modo, e lo stesso era anche per me. 
Mi guardai allo specchio e rimasi completamente a bocca aperta. Non potevo darle torto, perché il vestito mi stava davvero bene. 
“Ok, ma ciò non toglie che non lo metterò mai” sentenziai sconvolta. 
Ma Angela non mi ascoltava neanche, perché era troppo impegnata a cercare qualcosa dentro la sua scarpiera. Iniziò a tirare fuori scarpe di ogni genere gettando per terra le scatole che le contenevano. Sembrava una furia mentre continuava a rovistare dentro quel grande affare bianco. Ma poi, finalmente, parve soddisfatta da quello che trovò, perché si sollevò da terra urlando un “Trovate!” a gran voce. 
“E con queste sarai perfetta” poggiò vicino ai miei piedi un paio di sandali neri con un tacco vertiginoso.
La osservavo sconcertata mentre provavo ad immaginarmi con quei trampoli addosso. Avrei fatto la figura della stupida. Io non ero per niente aggraziata e la mia femminilità era pari a zero, per cui camminare con quei cosi ai piedi era fuori discussione. E glielo dissi, con la voce più sconvolta e indisponente che riuscissi a fare, finendo il mio sfogo con un “Cadrò a terra mille volte!” ma che, purtroppo, non fece smuovere Angela dalle sue convinzioni. 
Certe volte era più cocciuta di un mulo.
“E inutile, tanto non mi convinci! E poi basta solo un po’ di pratica, fidati di me! Vedrai che domani sera non ci saranno problemi, sarà tutto perfetto!” E cogliendo dal mio viso un’espressione di totale sconfitta, cominciò a saltellare e a battere le mani tutta contenta proprio come una bambina di cinque anni. 
Ecco, erano proprio questi momenti che erano sempre mancati nella mia vita e adesso, il fatto di averli finalmente trovati, mi ricordavano, ogni giorno di più, che la vita umana era qualcosa di meravigliosamente unico e insostituibile.
“Va bene mi hai convinta!”
E così, passammo il resto del pomeriggio a fare quello che aveva suggerito Angela: indossai le scarpe, che mi fecero acquistare dodici centimetri abbondanti, e feci delle prove camminando per la stanza. Sembravo uno di quei giullari sui trampoli da circo che facevano ridere i bambini, solo che loro erano cento volte più aggraziati di me. Ma dopo qualche caduta rovinosa sul pavimento e dei piccoli tentennamenti per mancanza di equilibrio, riuscii a rimanere in piedi. 
In fondo, Angela aveva ragione, non era poi così terribile camminare sui tacchi alti, era solo questione di abitudine.
 
Angela prese una busta spaziosa e infilò dentro il vestito e le scarpe, ma anche uno shampoo con balsamo e profumi di tutti i tipi, dicendo che probabilmente mi sarebbero serviti.
Mi congedò con un “Ti vengo a prendere alle 8.00! A domani” e dopo averla salutata, mi misi alla guida del mio pick up direzione casa Swan. 
Ormai fuori era buio pesto e mio padre era sicuramente rientrato da lavoro.
Guidavo già da dieci minuti abbondanti, ma il tragitto non fu affatto noioso perché iniziai ad ascoltare il Cd che mi aveva regalato Angela e dovevo ammettere che conteneva delle canzoni molto belle e orecchiabili. Non ne conoscevo le parole, ma con le dite tamburellavo sul volante seguendone il ritmo, a volte veloce e incalzante, altre volte lento e delicato. 
Dopo pochi minuti, arrivai finalmente a destinazione e con una sola manovra parcheggiai nel vialetto di fianco all’ingresso.
Raccolsi la busta e scesi dall’auto dirigendomi a passo spedito verso la porta di casa. 
Sbuffai una risata quando scorsi distintamente le voci urlanti e stridule dei telecronisti di una delle tante partite di football che mio padre seguiva ogni sera seduto sulla poltrona del nostro salotto. Afferrai le chiavi dalla borsa e, un attimo prima di infilarle nella toppa, sentii Charlie urlare qualcosa di incomprensibile, almeno per me, a qualche giocatore che sicuramente lo aveva fatto parecchio innervosire. Stavo per girare la chiave ed entrare in casa con ancora il sorriso stampato sul viso, quando, un tonfo sordo, attirò la mia attenzione.
Lasciai le chiavi appese nella serratura e col cuore in gola mi voltai verso il bosco. 
Era buio pesto e non riuscivo a vedere niente, a parte qualche albero e cespuglio che accerchiavano la casa. Mi avvicinai alla ringhiera per cercare di scorgere qualcosa, ma come previsto, non vidi assolutamente nulla. Ma nonostante questo, il mio cuore continuava a battere violento pronto a scoppiarmi dal petto. Forse perchè, dentro di me, in qualche modo, speravo che quel rumore fosse provocato da qualcosa…da qualcuno.
Lasciai cadere la busta a terra e, con le mani tremanti,strinsi forte le fredde e dure sbarre della ringhiera, aggrappandomi con tutte le mie forse a quella speranza dolorosa quanto vitale. 
Continuavo a fissare un punto indefinito oltre il nulla, con gli occhi sbarrati e lucidi, allungando ancora di più le orecchie per poter sentire meglio. Ma era del tutto inutile, perché attorno a me, il silenzio, ricominciò a regnare sovrano.
“Che stupida”.
Scossi la testa ancora un po’ frastornata, e con la manica del maglione mi liberai il viso da quelle piccole e fastidiose lacrime sfuggite al mio controllo. 
Raccolsi la busta e, con uno scatto deciso della serratura, entrai in casa sbattendo la porta alle mie spalle.

 

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Capitolo 28
*** SMARRITI ***


CAPITOLO 24:
Smarriti
 


“Arriva un momento in cui la vita sembra sfuggirti di mano.
E’ un momento di disperazione in cui devi decidere che direzione prendere: combatterai per chi ami?
Saranno gli altri a dirti cosa devi fare?
Sarai perseguitato per la tua scelta o imboccherai una nuova strada?
Sceglierai di andare avanti stringendo i denti o semplicemente, sopravviverai?”
 


 
Correvo veloce, trascinato dal vento e da quella brezza marina che mi aveva accompagnato da tutta la vita. Correvo, stendendo e flettendo le zampe in una perfetta armonia di movimenti rapidi e scattanti. Correvo, correvo, correvo,  mentre gli alberi graffiavano il mio corpo come lame roventi e affilate portandosi via pezzi di pelo e di carne. E più aumentavo la velocità, più il dolore acuiva a dismisura. Ma quei tagli, quelle ferite profonde sul mio corpo, non erano altro che dolci carezze in confronto al terribile senso di colpa che mi dilaniava l’anima. 
Correvo senza meta, senza pensare, senza nulla. Correvo, libero di perdermi totalmente nelle mie emozioni, libero di sentirmi un bastardo, uno stronzo, di sentirmi di nuovo il ragazzino di un tempo. Correvo, come facevo ormai tutte le notti. 
E come tutte le notti, osservavo quella luna, con le zampe piantate sulle rocce e la testa all’indietro in segno di venerazione verso quella magnifica sfera bianca che mi incantava. E come ogni notte, le dedicavo sempre il solito saluto, sempre il solito ululato intriso di dolore e di sofferenza, e di stanchezza, e di colpevolezza. Gli occhi stanchi, deboli, lucidi che non smettevano un attimo di ricordare, di vedere oltre l’orizzonte e oltre il nulla, solo un viso, solo un’espressione, solo una lacrima. E allora correvo di nuovo, senza fermarmi mai, senza badare a tutta la debolezza e la spossatezza che il mio corpo mi urlava, pregandomi di fermarmi. 
Non dormivo più: la notte era solo per lei, solo per prendermi cura di lei. La notte era la mia unica occasione per poterle stare accanto. 
Non dormivo più e non vivevo più. 
Odiavo me stesso e il modo in cui lei mi faceva sentire: il modo in cui mi faceva ritornare il ragazzo impulsivo e testardo che ero sempre stato, il modo in cui sentivo il mio cuore da lupo battere frenetico al solo sentire il suo dolce profumo. 
Perché era da questo che stavo fuggendo: da tutto quello che desideravo disperatamente ma che non volevo, non potevo, non dovevo avere.
Perchè come tutte le notti, mi trovavo lì, a vegliare su di lei e sulla sua sicurezza. Come tutte le notti, rimanevo accucciato dietro casa sua, all’erta. Come ogni notte, mi perdevo nel suo dolce e tenero respiro che invadeva il mio cervello e faceva impazzire i miei sensi. Aspettavo che tornasse a casa, che si sdraiasse nel suo letto e solo allora andavo via, via da lì, dal mio nascondiglio di ogni notte. 
Ma quella volta, avevo davvero rischiato di farmi scoprire da lei. 
Lei che piangeva silenziosa, le labbra socchiuse, la fronte corrucciata alla ricerca di qualcosa, le orecchie dritte e allungate perché aveva sentito il rumore della mia zampata sul terreno, aveva percepito il mio movimento brusco e animalesco. Guardava la boscaglia e aveva trovato i miei occhi da lupo. Ma anche se non mi vedeva, io la vedevo; e il suo sguardo su di me, quelle lacrime, quei leggeri singhiozzi che facevano vibrare le sue dolci labbra, erano peggio di un pugno al basso ventre, peggio di qualsiasi catastrofe che avrebbe potuto abbattersi su di me. 
Lei aveva capito, ma non riusciva a vedermi. 
Era la stessa sensazione che avevo provato miliardi di volte, tempo fa, quando ero solo il suo migliore amico pronto a consolarla e a salvarla anche a costo della mia stessa vita. 
Io le davo tutto e lei non mi vedeva. 
La sentii darsi della stupida e poi la vidi entrare in casa sbattendo la porta d’ingresso. Rimasi lì, fermo, immobile. Sarei dovuto andare via immediatamente, ma dovevo aspettare ancora un po’.   
E come ogni notte, dopo averla sentita distendersi sul suo letto, ancora in lacrime, mi voltai oltre la vegetazione e cominciai a correre. 
Scappavo via da lei, da quell’incantesimo che mi attirava a lei senza che potessi farci nulla, perché era forte, era potente, era avvolgente e più passava il tempo, più questa attrazione aumentava a dismisura.  

“Jake non puoi andare avanti in questo modo”

Era sempre la stessa storia. Erano sempre le stesse identiche parole che non smettevano un attimo di tormentarmi. Gli avevo detto mille volte che volevo stare da solo, che non avevo bisogno di nessuno. Ma era come parlare ad un muro. 
E così gli rispondevo con le stesse identiche parole che ripetevo ormai da settimane.

“Pensi che non lo sappia?”

Pensi che non lo sappia che in quella casa rossa, nella mia casa rossa, si trova la mia donna, il mio destino? Pensi che non lo sappia che lei ha capito tutto? Che la sto perdendo con il mio atteggiamento da idiota? Pensi che non sappia che in realtà le sto facendo solo del male? 
E ricominciavo a correre,a correre, e non ero più a quattro zampe. 
Continuavo a correre, ma la due gambe che adesso mi sorreggevano non erano più scattanti, non erano più veloci e potenti, no, erano sfinite, esauste,stravolte. 
E come tutte le notti, dopo lo sfogo, dopo l’odio, tornavo alla mia realtà, dalla donna che nonostante tutto, amavo. Anche se forzatamente, anche se colpevole. 
Mi trascinavo verso la porta di casa senza un briciolo di forza. I muscoli delle braccia, delle gambe, del torace, che si muovevano ad ogni mio gesto, erano doloranti e malconci, sentivo anche le mie ossa, sicuramente rotte,scricchiolare come leggeri ciottoli che sfregavano tra di loro trasportati dalla marea. Sollevai le braccia e con un movimento secco mi stirai per bene mettendo le ossa al proprio posto. Fortunatamente le ferite erano già guarite sostituite adesso da delle piccole cicatrici che sarebbero scomparse nel giro di qualche secondo. 
Che gran cosa essere lupi.   
Indossai i miei jeans stracciati ed entrai in casa, attento a non fare alcun rumore. 
La prima cosa che le mie orecchie percepirono fu il russare leggero di mio padre e il respiro dolce e rilassato di Emma. Bene, dormivano entrambi.
Mi diressi verso la cucina nel buio più totale e presi dal frigo una bottiglia d’acqua che svuotai in pochi sorsi, mentre alcune goccioline sgorgavano dalla mia bocca per poi scivolare lente e delicate lungo il mio collo. Chiusi lo sportello e gettai nel cestino della spazzatura la bottiglia di plastica ormai vuota. 
Nonostante il mio essere lupo, ero ancora dannatamente stanco, così mi lasciai andare su una sedia gettando le braccia sul tavolo, sfinito. 
I miei occhi però furono subito catturati da un pezzo di carta dove risaltava una scritta di un verde fosforescente.
Quel volantino. 
Sbuffai affranto e lo raccolsi con entrambe le mani leggendone il contenuto:

Festa al Daynight giorno 23 dicembre alle ore 20.30 La Push: 
NON MANCATE. Ci sarà da divertirsi!
 
Ricordavo bene quel giorno: una mattina, Emma era tornata a casa tutta contenta con questo volantino in mano dicendo che, tutti a La Push, non parlavano d’altro che di questa festa universitaria.  
Sapevo che aveva voglia di andarci, glielo leggevo negli occhi, ed io non avrei mai, mai potuto dirle di no. E nel momento in cui le avevo detto che l’avrei accompagnata molto volentieri a quella festa, avevo visto nel suo sguardo una luce particolare: era felice. Io la rendevo felice, e questa consapevolezza mi lacerava dentro facendomi sentire sempre peggio.
Sapevo anche che andando li, l’avrei incontrata, perché era la sua università che stava organizzando l’evento, e anche se ero più che sicuro che non sarei rimasto del tutto indifferente nel momento in cui l’avessi vista, ero comunque abbastanza fiducioso. Perché con Emma al mio fianco, avrei avuto la forza necessaria per non disperdermi. Con lei mi sentivo integro, intatto. 
Rimasi a contemplare quel volantino per un tempo infinito, quando percepii la presenza di qualcuno che si stava avvicinando. Mi alzai dalla sedia e mi diressi spedito verso la porta d’ingresso. E quello che vidi mi stupì.
“Sam?”
Lo osservai confuso con la mano ancorata alla maniglia.
“Vieni con me” Non disse altro e con un gesto del capo mi invitò a seguirlo. 
C’era qualcosa di strano nel tono grave della sua voce e nell’espressione dura e contratta del suo viso. 
Mi passai una mano tra i capelli corti inspirando profondamente. 
Sapevo perché era lì. Sapevo che prima o poi sarebbe successo. 
Mi chiusi la porta alle spalle e lo seguii, senza dire una parola.
 
Ci trovammo sulla spiaggia deserta, dove solo il rumore delle onde che si infrangevano sulla battigia interrompeva quella dolce quiete che ci avvolgeva.
Sam mi dava ancora le spalle, mentre fissava a braccia conserte un punto indefinito oltre l’orizzonte. L’oceano era una tavola perfetta, e la luna aveva lasciato il posto alle prima luci dell’alba che davano una tonalità di azzurro, giallo e viola a quella magnifica distesa d’acqua.
Rimasi dietro di lui ancora in silenzio. Sapevo che aveva qualcosa di importante da dirmi per cui gli diedi tutto il tempo di cui aveva bisogno. Misi le mani in tasca e aspettai.
“So tutto Jacob”
Chiusi gli occhi per qualche istante e respirai a fondo. Li riaprii quasi subito e le uniche parole che uscirono dalla mia bocca furono: “Mi dispiace Sam” 
Non sapevo cos’altro dire. Non esistevano le parole giuste per potergli spiegare che quella era l’unica cosa che non avrei mai voluto che accadesse. Eppure era successa, a me. E non a lui.
“Sai Jacob, io ho provato con tutte le mie forze a combattere il mio imprinting nel momento in cui mi ha colpito, e ovviamente non ci sono riuscito.” La sua voce era perfettamente intatta, nessun segno di debolezza o di tristezza. Era freddo, impassibile, duro, ma solo all’apparenza.
“Mi è stata portata via l’unica donna che io abbia mai amato in tutta la mia vita e non ho potuto fare niente per impedirlo” Sciolse le braccia e le portò lungo i fianchi. Le sue mani si stringevano con forza e disperazione e da quell’unico gesto, capii che stava cercando con tutte le sue forze di non esplodere “Ho detestato me stesso per anni, e ancora oggi, non c’è un solo istante in cui io non provi odio verso di me, verso le nostre leggende, verso…verso ciò che siamo diventati.” Ma la sua voce si spezzò nel pronunciare l’ultima parola. Si, perchè lui odiava il suo essere lupo e odiava ancora di più le nostre leggende che non avevano fatto altro che ferire Leah, la donna che lui aveva scelto d’amare e di avere al suo fianco per il resta della sua vita.
“Ti sto dicendo queste cose solo perché voglio farti capire qualcosa che a quanto pare tu non vuoi comprendere”
Corrucciai la fronte osservando la sua schiena nuda non riuscendo a capire a che cosa si stesse riferendo. Socchiusi le labbra, pronto per dire qualcosa, ma lui bloccò le mie parole sul nascere perché si voltò di scatto puntandomi i suoi occhi neri addosso.
“Non so come sia potuto succedere, ma a quanto pare l’imprinting con te non funziona come dovrebbe, per cui tu hai una possibilità di scelta, Jacob. Puoi scegliere di stare con la donna che tu hai scelto di amare. Hai la possibilità di stare con la donna che ti ha rubato il cuore prima ancora che lo facesse la magia” Parlava come un padre, come un uomo maturo che ha subito le pene dell’inferno, come un vero Alpha degno di questo nome. “So' che vuoi farlo, so' che in realtà tu vuoi tonare da lei. E allora fallo. Fallo, tu che puoi.” 
Lo guardai incapace di dire qualsiasi cosa. Ero sconvolto. Sam non aveva mai parlato a nessuno in quel modo. Ero completamente paralizzato dalle sue parole e da quello che riuscirono a scatenare dentro di me. Sentii una nuova consapevolezza farsi largo nel mio cuore, nella mia anima, nel mio essere. Continuavo a fissare Sam e riuscii a specchiarmi nel profondo oceano di dolore che erano i suoi occhi. 
“Non ti permetterò di rovinare la tua vita Jacob. Fa' qualcosa, qualsiasi cosa, ma non permettere che la tua cocciutaggine ti impedisca di scegliere col cuore.” 
Continuavo a rimanere immobile mentre vedevo Sam muoversi e avvicinarsi a me. Non disse nulla, mi sorrise debolmente e con la mano destra afferrò la mia spalla e la strinse piano. 
Rimanemmo così per un po’: io completamente immobile e con lo sguardo fisso davanti a me e lui, che guardava un punto oltre le mie spalle. In perfetto silenzio.
 
***
 
Mi svegliai con una strana sensazione addosso che non mi aveva abbandonata durante tutta la notte. 
Non sapevo spiegarlo con esattezza, ma era come se potessi sentire, percepire dentro di me qualcuno che urlava, che si disperava, che si tormentava. Ma non ero io. 
E a causa di questa sensazione non ero riuscita a chiudere occhio: mi giravo e rigiravo nel letto senza ottenere nessun risultato. Giravo il cuscino, mi avvolgevo nelle coperte, poi le levavo, poi le rimettevo, cambiavo lato, cambiavo posizione, ma niente, quella sensazione era sempre lì, come un albero, aveva messo le sue radici dentro di me.
Decisi di non pensarci oltre e di godermi quella mattinata senza strani pensieri o particolari emozioni. Volevo rilassarmi e niente di più.  
Dopo aver dato il mio ultimo esame mi sentivo molto più leggera e spensierata, e niente mi avrebbe impedito di continuare a sentirmi in quel modo, neanche quello strano sogno o fastidiosa sensazione. 
Scesi in cucina e trovai un post-it giallo attaccato al frigorifero, mi avvicinai e ne lessi il contenuto:“Sono già in centrale e ci starò per tutta la notte. Mi raccomando, divertiti stasera e torna ad un orario decente. Ti voglio bene, papà.”
Sorrisi davanti a quella richiesta da genitore superapprensivo e preparai la colazione. 
Avrei dovuto fare parecchie cose come ad esempio spolverare i mobili, passare l’aspirapolvere e lavare per terra, ma francamente, avrei preferito fare qualcosa di più divertente. 
Così, ormai rassegnata dai miei compiti da cenerentola, addentai la mia fetta biscottata e accesi la piccola radiolina blu posta sul ripiano della cucina. 
Ormai era diventato una specie di rituale: accendevo la radio e passavo tutto il mio tempo libero ad ascoltare la musica che mi accompagnava durante le mie faccende domestiche e non solo. Era rilassante e per di più non mi faceva sentire sola. 
Stavo per addentare un’altra fetta biscottata, quando suonarono alla porta. 
Chi poteva essere? Non aspettavo nessuno. 
“Seth! Che ci fai qui?” Era più alto dall’ultima volta che lo avevo visto, ma questa volta indossava una maglietta blu che faceva risaltare perfettamente la sua muscolatura. Mi sorrideva, di quel sorriso che tanto mi piaceva e che mi scaldava il cuore.
“Beh mi andava di vederti! E poi ti avevo promesso che prima o poi sarei passato no?” 
Mi sorrideva divertito mentre mi stringeva in un abbraccio da orso.
“Vieni, entra! Stavo facendo colazione”
“Ottimo, vorrà dire che ti farà compagnia!”  
Lo trascinai dentro, o per meglio dire, si lasciò trascinare in casa, e chiusi la porta con ancora il sorriso stampato sulle labbra.
Passammo il tempo a chiacchierare del più e del meno ridendo come bambini. Mi raccontò della scuola, di sua sorella Leah che lo faceva diventare matto, delle ronde a tempo pieno e delle piccole litigate fra i componenti del branco.
“Ma dai!”
“Davvero! E poi Paul si è arrabbiato e ha dato un morso Quil, è stato esilarante!” 
Ridemmo talmente tanto che cominciai a sentire dei leggeri dolori agli addominali, ma questo non mi impedii di continuare a ridere a crepapelle fino a lacrimare. 
Non potevo negare che quando ero in sua compagnia stavo bene, mi sentivo bene. Forse era una specie di dono che i ragazzi Quileute possedevano: facevano stare bene chiunque gli fosse accanto o con un abbraccio o con un semplice sorriso. Erano speciali, in tutti i sensi. 
Smisi di ridere e dovetti scuotere leggermente la testa per impedire alla mia mente di addentrarsi e perdersi in quei ricordi, ancora dolorosi, di una vita passata.
Forse Seth si accorse del mio improvviso cambiamento di espressione perché si fece subito serio. Come se volesse dirmi qualcosa ma non ne aveva il coraggio.
“Scusa Bella, non so che cosa io abbia fatto per fartelo ricordare, ma ti chiedo scusa ugualmente”
Rimasi scioccata nel sentire quelle parole. Ero diventata davvero così patetica?
“No Seth, tu non hai fatto niente di male, non devi scusarti” E gli passai una mano sulla sua spalla per confortarlo, ma lui non aveva ancora abbandonato quella sua espressione da cane bastonato.
“Ma perché si comporta così?” Lo disse all’improvviso, con voce infastidita e arrabbiata, ma capii all’istante che non si stava riferendo a me.
“Seth, non capisco. Di cosa stai parlando?” Lo guardai perplessa cercando di capire a chi o a cosa si stesse riferendo.
“Niente, lascia perdere” e subito distolse lo sguardo dal mio.
“Seth, so che stai mentendo, dimmi la verità” Non avevo intenzione di lasciarlo andare senza prima aver saputo cos’era che lo infastidiva così tanto.
“Mi riferisco a Jacob. Ho avuto una discussione con lui la scorsa settimana” 
Ero sbalordita “C-cosa?” Non potevo credere alle mie orecchie.
“Gli ho semplicemente detto la verità, quello che pensavo e se l’è presa fin troppo.” Stringeva i pugno sul tavolo e la sua espressione divenne quasi addolorata, triste.
Continuavo a guardarlo sempre più scossa e stupita. Ma di che cosa stava parlando? Qual’era quella “verità” di cui accennava prima Seth e che aveva fatto arrabbiare così tanto Jacob?
“Forse sbaglio a dirtelo, ma per come la vedo io Jacob ti ama ancora nonostante l’imprinting e se tu lo ami davvero allora non devi perdere la speranza. Lui tornerà da te.” Mi puntava i suoi occhi addosso con una determinazione che non gli aveva mai visto prima. Il mio cuore stava per esplodermi dal petto e mi abbandonai sullo schienale della sedia completamente sconvolta. Era impossibile, l’imprinting era una magia troppo potente e poi lui era stato chiaro: si sarebbe impegnato ancora di più per poterlo rinforzare e per poter vivere la sua vita con il suo "destino".
No, Seth si sbagliava di grosso.
“Ti sbagli” sussurrai, mentre fissavo con occhi sgranati e lucidi uno dei tanti ghirigori che abbellivano la tovaglia da tavola. 
Non rispose, si limitò a sospirare guardando oltre la finestra alle mie spalle.
Rimanemmo in silenzio per un tempo infinito, con la voce dello speaker della radio in sottofondo che annunciava la prossima canzone.




Ps. La citazione iniziale scritta in grassetto appartiene al telefilm One Tree Hill.

 

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Capitolo 29
*** DAYNIGHT (parte I) ***


CAPITOLO 25:
DayNight (parte I)
 

“Lui tornerà da te”

“Lui tornerà da te”

“Lui tornerà da te”


Quelle parole continuavano a martellarmi il cervello ad intervalli regolari e non c‘era modo per poterle frenare. Avrei tanto voluto premere il tasto “stop” e impedire a quella dolorosa cantilena di tormentarmi anima e corpo. Ma non avevo la forza necessaria per oppormi a tutto questo, non riuscivo a pensare ad altro. Nella mia testa c’era solo spazio per le parole di Seth. Lettere messe insieme a caso per formare una frase senza senso, dolorosa e asfissiante. L’ultima cosa che mi serviva e di cui avevo bisogno in quel momento era che qualcuno mi illudesse facendomi credere cose che non erano. Sapevo che Seth voleva solo vedermi felice, ma avrei preferito di gran lunga che non parlasse e che si tenesse quelle cose per se e non che me le sbattesse in faccia come una secchiata d’acqua gelida in pieno inverno. 
L’unica persona alla quale avrei potuto credere era una sola e con me era stata piuttosto chiara, per cui non avevo nessunissima intenzione di vivere ancora nell’incertezza e di farmi abbindolare da una frase qualsiasi, anche se detta con tutte le buone intenzioni del mondo, anche se pronunciata dalla persona che più mi era stata accanto in quel periodo di vero inferno. 
Mi lasciai cadere sul letto con ancora l’accappatoio addosso e con i capelli umidi che si spargevano disordinati sul copriletto bagnandolo leggermente. 
Stanca e infastidita portai un braccio a coprirmi gli occhi e rimasi in quella posizione per un tempo infinito. 
 

Mi sentivo spaesata, come se avessi perso la bussala della mia vita e adesso non sapessi in che direzione andare. Non riuscivo a riappropriarmi di ciò che mi era stato strappato via con violenza solo qualche ora prima. Non riuscivo a ritrovare da nessuna parte quella spensieratezza e quella tranquillità che ero arrivata ad ottenere con tanta fatica e tanta, tanta buona volontà. Tutto distrutto da quelle parole che continuavano imperterrite a scorrermi nella mente come un rubinetto rotto, quello stesso “rubinetto” che avevo cercato di aggiustare con tutte le mie forze, ma che adesso si era liberato da quel nastro sbrindellato, con il quale avevo cercato di rimettere insieme i pezzi della mia vita, per ricominciare a gocciolare con insistenza. 
Sentivo gli occhi pizzicare e un enorme nodo in gola bloccarmi il respiro. E non potevo,non dovevo permettere che la debolezza e i ricordi prendessero il sopravvento. No, non lo avrei permesso. Così come non avrei permesso a quel dannato “rubinetto” di spaccarsi definitivamente e di farmi ricadere in quell‘abisso di dolore e pentimento che mi avevano accompagnata per mesi interi. 
Cercai di respirare a fondo uno, due, tre volte e mi portai a sedere sul letto toccando con i piedi nudi le fredde mattonelle del pavimento. Strinsi le braccia attorno al corpo e provai a concentrarmi sugli ultimi avvenimenti di quella settimana cercando di aggrapparmi a quei piccoli momenti di spensieratezza che mi avevano fatta sentire intera, come non mi succedeva da tempo. Mi concentrai e ottenni il risultato sperato: quell’enorme macigno che sentivo all’altezza dello stomaco, stava cominciando a sgretolarsi a piccoli pezzi facendomi sentire un po’ più leggera. 
 

Osservai la sveglia sopra il mio comodino: segnava le 18:12 del pomeriggio. Angela sarebbe arrivata fra meno di due ore e io dovevo ancora asciugarmi i capelli, vestirmi e la parte più difficile di tutte:truccarmi. 
Con entrambe le mani asciugai i miei zigomi umidi e accesi la radiolina che avevo poggiato sul comò in legno. 
Dovevo rimanere calma e soprattutto dovevo tenere la mente occupata.
 
***
 
Passai una buona mezz’ora a sistemare quella massa informe che avevo al posto dei capelli e il risultato che ottenni sfiorava un non so' che di miracoloso: adesso dei morbidi boccoli scendevano delicati sulla schiena e sulle spalle in modo ordinato e quasi perfetto. Raccolsi le prime due ciocche e le intrecciai per bene per poi attaccarle con un piccolo fermaglio dietro la nuca. 
Indossai il vestito e poi infilai quelle trappole mortali ai piedi acquistando quei dodici centimetri in più che non guastavano mai. 
Mi allontanai leggermente dallo specchio per potermi osservare meglio.
Non ero certo abituata a vedermi vestita con qualsiasi altra cosa che non fossero jeans e maglietta, e anche se mi costava ammetterlo, visto e considerato che la mia autostima era pari a zero, mi piacevo. E mi piaceva ancora di più quel bisogno improvviso di volermi sempre vedere vestita bene e curata. Avevo sempre diciannove anni, per la miseria. 
Avvicinai il viso allo specchio e mi accorsi che anche il trucco non era male. Certo, all’inizio stavo praticamente dando di matto prima di scegliere il trucco più adatto a me, tant’è che stavo quasi per rinunciare, ma alla fine ne venne fuori un trucco semplice e delicato, e ne rimasi soddisfatta: una linea nera abbelliva leggera i miei occhi risaltando il colore cioccolato delle mie iridi; sulle guance aggiunsi un leggerissimo strato di fard, ma giusto quel poco che bastava per dare una tonalità quasi normale alla mia pelle bianchissima; ed infine spalmai sulla bocca un lucidalabbra chiaro alla pesca.
Non era un granché, lo sapevo bene, ma era il minimo che avrei potuto fare e sopportare.
 

Angela suonò alla porta di casa mia alle 20.00 in punto. Era incredibile quanto questa ragazza fosse puntuale.
Scesi le scale con non poche difficoltà e andai ad aprire. 
“Bella, sei stupenda!” Rimase a fissarmi con un’espressione inebetita sulla faccia, che mi imbarazzò non poco.
“Grazie e smettila di guardarmi così!”
“Ma è la verità tesoro”  
“Anche tu sei bellissima stasera Angie!” Ed era vero. Indossava un cappottino nero che metteva in risalto le sue gambe lunghe e snelle fasciate da delle calze color carne. Dal bordo del cappotto potevo intravedere l’orlo del suo vestitino di pizzo bianco che mi aveva mostrato il pomeriggio prima a casa sua. I capelli li aveva legati e raccolti in una coda alta e per una sera aveva deciso di lasciare gli occhiali sul suo comodino e di indossare le lenti a contatto. Stava davvero bene.
“Coraggio sbrigati o faremo tardi!” La sua allegria e la sua spensieratezza fortunatamente mi investirono in un istante e cominciai a ridere di gusto mentre infilavo il cappotto nero e attorcigliavo sul mio collo la sciarpa marrone. La seguii in macchina e in un attimo mise in moto.
“Allora confessa, quanto tempo hai impiegato per acconciarti i capelli in quel modo stupendo?”
“Più di due ore, ma ne è valsa la pena! E poi è tutto merito di quello strano prodotto per capelli che mi hai infilato in quella busta!” 
Ridevamo come matte e non c’era modo di fermarci. Eravamo avvolte da un’euforia incredibile che mi faceva sentire libera, spensierata, viva. 
La debolezza che avevo affrontato nella mia stanza era diventato un lontano e fastidioso ricordo. 
Continuammo a parlare del più e del meno quando finalmente arrivammo alla riserva. 
Davanti a noi, una grande insegna rossa e luminosa metteva in bella mostra il nome del locale: DayNight.
 

Il parcheggio era strapieno e attorno a noi sostavano centinaia di ragazzi e ragazze che si accingevano ad entrare. Io ed Angela ci incamminammo seguendo quella fila chilometrica che fortunatamente era abbastanza scorrevole. Non avrei potuto sopportare una lunga attesa per di più in piedi e con quei trampoli al posto delle scarpe. 
 

Arrivate all’entrata, due ragazzi in giacca e cravatta, raccolsero i cappotti degli invitati, compresi i nostri, e li sistemarono dentro un appendiabiti molto grande per poi congedarci con un “Buona serata! Divertitevi!”.
Erano davvero molto accoglienti, questo era più che sicuro. 
 

Non appena misi piede lì dentro, rimasi del tutto sbalordita: la struttura era gigantesca e nuovissima, era stata ristrutturata qualche mese prima ma vollero mantenere quel tocco di antico e di misterioso che aveva da sempre caratterizzato la riserva: le pareti erano in pietra e in ogni piccola infossatura si potevano scorgere delle candele che davano alla sala una luce soffusa e accogliente. Voltai il capo e notai un bancone lunghissimo che percorreva tutta la fiancata sinistra del locale pieno di bibite e cibo di ogni genere. Continuavo a girarmi intorno per non perdermi neanche un particolare, del tutto esterrefatta: sparsi per tutta la sala si trovavano dei divanetti di tutti i tipi e di tutte le dimensioni con in mezzo dei piccoli tavolini anche questi in legno. Al centro esatto, una specie di arena rettangolare, scavata sul pavimento, faceva la sua bella mostra in tutta la sua grandezza e capii essere la pista da ballo. Nel bordo esatto si trovava l’attrezzatissima console del DJ che proprio in quel momento mandava musica leggera e molto orecchiabile.
Voltai ancora il viso e alla mia destra notai una porta scorrevole a specchio che percorreva tutta quell’ala del locale dove si poteva scorgere un’enorme terrazza abbellita da dei tavolini e sedie in ceramica. 
Era davvero bellissimo. Certo, non ero mai entrata in un locale o in una discoteca prima d’ora, ma quello che vedevo era più che sufficiente. 
Angela rimase al mio fianco per tutto il tempo sorridendo estasiata.
“Wow, non avevo mai visto niente del genere!E’ fantastico!”
“Sono d’accordo!” 
“Vado a prendere qualcosa da bere, non ti muovere!” 
“Ok, ti aspetto qui“. Rimasi vicino ad uno di quei deliziosi divanetti e poggiai la schiena al muro sospirando. Il primo passo era fatto.  
 

“Devo dedurre che l’esame è andato più che bene!” Voltai il viso confusa, perché con tutta quella confusione non capivo se quella voce maschile si stesse riferendo a me o meno, ma quando voltai il viso trovai Tyler che mi fissava divertito con un enorme sorriso stampato sulle labbra. 
Risposi al sorriso alzando un sopracciglio “Beh sì, a quanto pare!” 
Lo osservai per qualche secondo e notai che ovviamente anche lui si era vestito elegante per l’occasione: indossava una camicia nera fuori dai pantaloni color beige e delle scarpe nere. 
Stava davvero bene.  Cercai di distogliere subito lo sguardo anche perché non avevo alcuna intenzione di farmi riprendere da lui con qualche battuta pungente e fuori luogo. 
Meglio non rischiare. 
“Sono davvero felice di vederti!” Ed era sincero, lo capii dal tono dolce e caloroso della sua voce.
Poi però, ad un tratto, afferrò la mia mano e se la portò sulle labbra sfiorandola appena. 
Rimasi di sasso davanti ad un simile gesto di galanteria.
“Sei davvero bellissima stasera” 
Sorrisi imbarazzata e allontanai la mano dalla sua stretta cercando di essere più delicata possibile. Non volevo offenderlo in alcun modo.
“Grazie” Indubbiamente si accorse del mio imbarazzo e sorrise compiaciuto.
“Vieni, voglio farti conoscere alcuni dei ragazzi che hanno organizzato la serata” 
“Veramente…devo aspettare la mia amica, è andata a prendere qualcosa da bere” Mi voltai alla ricerca disperata del viso famigliare della mia migliore amica, e quando la trovai, sospirai sollevata. Era poggiata al bancone delle bibite sorridente e allegra mentre chiacchierava con un ragazzo biondo e magro. Mi rivolse uno sguardo di intesa e tornò ad occuparsi del suo nuovo “amico”. 
“Beh credo che sia già occupata! Avanti, vieni!” 
“Beh ecco…”
“Coraggio Bella, non mordo mica!” Lo fulminai con lo sguardo e tornai ad osservare Angela che continuava a rideva e a divertirsi con quel tizio. Sbuffai affranta e decisi di accettare.
“D’accordo”
“Andiamo!”
E mi trascinò con se con un sorriso impertinente stampato sulle labbra.
 

“Ma Simon sei completamente fuori di testa,amico?!”
“Si lo so, ma come facevo a non provarci?” 
“Ma non l’avevi capito che era già impegnata?”  
“No, altrimenti mi sarei evitato quel bel pugno in faccia. Non credi!?”
Mi limitai ad ascoltare quella conversazione senza particolare entusiasmo sorseggiando il mio succo di frutta all’arancia. 
Gli amici di Tyler erano molto loquaci ed io mi sentivo piuttosto a disagio visto e considerato che la mia parlantina era praticamente ridotta a nulla. E qualche volta, l’unica cosa che mi potevo concedere, erano dei sorrisi di circostanza ogni volta che facevano una battuta, secondo loro  divertente, o quando mi tiravano in ballo facendomi arrossire come un pomodoro.
Tyler era sempre accanto a me, non mi mollava neanche per un secondo e molte volte lo beccavo mentre mi fissava di sottecchi dedicandomi un sorriso complice e dolce che io ricambiavo senza alcuno sforzo. Anche lui sembrava parecchio annoiato.
Quella conversazione andò avanti per una ventina di minuti circa, quando sentii Tyler sussurrarmi qualcosa all’orecchio: “Vieni, con me”  
Non me lo feci ripetere due volte e accennai un sì con la testa. 
  

“Scusali, ma quando iniziano a parlare non la smettono più”
“Non preoccuparti, sono simpatici” Mi lanciò un’occhiataccia che lasciava intendere molte cose e inevitabilmente scoppiai a ridere davanti a quell’espressione buffa e sconcertata. 
“Hey, non c’è niente da ridere!”
“Scusa! Ma sei troppo buffo!” E la mia risata anziché diminuire si fece sempre più rumorosa e a quel punto anche lui si lasciò andare ridendo a crepapelle. Risi di gusto e mentre ridevo lo osservai ancora, cogliendo dei particolari del suo viso che non avevo ancora notato: i suoi occhi verdi come brillanti si chiudevano in piccole fessure mentre mi fissava divertito e la sua bocca, adesso contratta per le forti risa, metteva in risalto una piccola fossetta vicino all’angolo delle labbra. Aveva davvero un bel sorriso, forse uno dei più belli che avessi mai visto.
Ed era anche un bel ragazzo, questo non potevo più negarlo ormai.
Continuammo a fissarci mentre le nostre risate scemavano insieme a quella strana euforia che ci aveva travolto. Per la seconda volta mi sentii a disagio davanti a quegli occhi che riuscivano a catturarmi inconsapevolmente. Era una bella sensazione. 
Quel momento particolare fu interrotto dalla voce calda e divertita del DJ: “E adesso, un bel lento per allietare la serata a tutte le coppiette presenti in sala!” 
Partì la musica e tantissimi ragazzi cominciarono ad avviarsi verso la pista da ballo.  
“So che non siamo una coppia, ma… ti va di ballare?” Voltai subito lo sguardo verso di lui terrorizzata.
“No! I-io non ne sono capace”
“Sciocchezze, tutti sanno ballare e poi ci sarei io a guidarti!” 
La cosa non mi allettava per niente, ma il suo sguardo dolce e speranzoso mi convinse ad accettare.
“D’accordo”
“Non te ne pentirai!”
“Sarai tu a pentirtene, fidati”  
Ma non mi ascoltò nemmeno, e con ancora il sorriso stampato sulle labbra, mi afferrò dolcemente la mano e mi trascinò con se sulla pista da ballo. 
Attorno a noi altri ragazzi cominciarono a ballare facendosi cullare da quella dolce melodia che cominciò a diffondersi per tutta la sala. 
Tyler si avvicinò a me portandosi la mia mano sulla spalla e strinse l’altra con la sua tenendole sospese. Con la mano libera affondò sulla schiena stringendomi forte a se. 
Ero fortemente imbarazzata e avevo una paura folle di combinare qualche disastro dei miei. Conoscendomi gli avrei sicuramente pestato entrambi i piedi oppure avrei rotto un tocco mentre tentava di farmi volteggiare. Rabbrividii al solo pensiero, ma cercai di non pensarci più di tanto o avrei rischiato di farmi esplodere il cervello.
“Stai tranquilla, lasciati andare” mi sussurrò dolcemente all’orecchio facendomi arrossire più di quanto non lo fossi già. Ma gli diedi ascolto. Poggiai il viso sulla sua spalla e mi lasciai andare facendomi trasportare dal suo dolce e lento movimento ondulatorio.
Mi sentivo bene, libera, quasi leggera.  Sorrisi inconsciamente contro la sua spalla e chiusi gli occhi beandomi di quella vicinanza e della stretta delle sue braccia forti sul mio corpo. 
“Vedi com’è facile?” 
Sì, aveva ragione da vendere. Era molto più semplice di quanto potessi immaginare.
Riaprii gli occhi e trovai alla nostra destra Angela abbracciata a quel ragazzo biondo con il quale l’avevo vista parlare circa un’ora prima. Ci lanciammo un’occhiata complice e mi fece cenno di andare con lei in bagno alla fine della canzone. Accennai un sì divertito con la testa e tornai ad occuparmi del mio cavaliere. 
 

“E’ un mio ex compagno delle scuole medie, si chiama Dan! Incontrarlo dopo parecchi anni, ti dirò, è stato molto strano!”
“Strano perché?”
“Beh perché è diventato davvero un gran bel ragazzo!” E scoppiammo a ridere mentre alcune ragazze ci fissavo sconcertate, ma non ci badammo.
“Sono davvero contenta per te Angie!” 
“E tu invece, che mi dici? Come sta andando la serata?” Si poggiò sul bordo del lavandino mentre mi osservava divertita con le braccia incrociate al petto.
“Sta andando davvero bene! Lo credevo impossibile e invece….”
“E invece grazie a Tyler stai passando una magnifica serata!” 
Arrossii di colpo e tutto ad un tratto le mie scarpe risultarono particolarmente interessanti.
“Beh… sì…credo di sì…” balbettai, incerta di quello che avevo appena detto.
Angela scoppiò a ridere e mi afferrò il viso per permettermi di guardarla negli occhi
“Bella, ascoltami, non c’è niente di male se ti stai finalmente divertendo! E se Tyler riesce a farti quest’effetto non devi vergognartene, anzi.” Mi sorrideva dolce e capii che aveva ragione e che dovevo smetterla di farmi tutte queste paranoie solo perché non ero abituata a vivere. 
In risposta alle sue parole l’abbracciai stretta e le sussurrai un “Grazie” che valeva, almeno per me, più di mille parole.
“Ok! Adesso sarà meglio andare dai nostri baldi danzatori!” Sorrisi divertita e accettai di buon grado il suo aiuto per ritoccare il trucco.
 

Uscimmo dal bagno a braccetto con ancora il sorriso stampato sulle labbra, anche se, a dirla tutta, i miei piedi cominciarono ad urlare pietà e facevo fatica a reggermi in piedi, ma decisi di stringere i denti e di lamentarmi il meno possibile. 
Percorremmo il piccolo corridoio che ci avrebbe ricondotte tra la folla e raggiungemmo Tyler e Dan.  
“Siete tornate finalmente! Ce ne avete messo di tempo!”
“Dan che cosa ti aspettavi? Sono donne, ricordi?” 
Lanciai un’occhiataccia a Tyler e lui in risposta sollevò spalle e sopracciglia come per dire “beh è la verità, non prendertela”.
“Davvero molto divertente!” Angela lasciò il mio bracciò e si precipitò da Dan colpendolo con un leggero pugno sullo stomaco. Il ragazzo scoppiò a ridere e l' afferrò per i fianchi facendola volteggiare. “Dan, mettimi giù!” ma lui non l’ascoltava neanche e continuò a torturarla ancora per un po’ mentre continuavano a ridere entrambi come bambini. 
Risi di gusto davanti a quella scenetta comica, ma dopo qualche secondo notai che Tyler cominciò a fissarmi in modo strano, era quasi incantato da qualcosa e arrossii come un pomodoro bello maturo. 
“Ti ho già detto che sei splendida stasera?” mi sussurrò dolce e prima che me ne rendessi conto, mi afferrò per i fianchi e mi strinse forte a se. 
Spalancai gli occhi davanti a quel gesto inaspettato e mi sentii terribilmente in imbarazzo, ma quella sensazione mi aveva accompagnata praticamente per tutta la serata, per cui non ci badai.  Mi tornarono in mente le parole di Angela e questo mi diede la spinta per lasciarmi andare: se lui mi faceva stare bene perché negarlo e farmi tutti questi problemi? 
Lo abbracciai a mia volta e sorrisi, finalmente libera.
“Sì, credo di avertelo già sentito dire”
“Non mi stancherei mai di ripetertelo.” 
Poggiai il mento sulla sua spalla e sospirai.
 

I miei occhi continuavano a vagare per tutta la sala e improvvisamente, qualcuno attirò la mia attenzione: Tra la folla, un ragazzo molto alto e moro, spiccava fra tutti stuzzicando la mia curiosità. 
Provai a metterlo a fuoco, ma ciò che riuscii a vedere fu solamente le sua schiena enorme fasciata alla perfezione da una camicia bianca che metteva in risalto la carnagione scura delle sue braccia scoperte per metà dalle maniche che aveva arrotolato fino ai gomiti. 
Tutti lo ammiravano, lo osservavano circospetti e la mia voglia di scoprire chi fosse aumentò a dismisura. 
 

Il mio cuore cominciò a farsi sentire, sempre più veloce, sempre più violento ma non fui l’unica ad accorgermene. Perché, quando finalmente capii chi fosse, quel ragazzo si voltò nella mia direzione e qualcosa dentro di me si ruppe definitivamente. 

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Capitolo 30
*** DAYNIGHT (parte II) ***


Capitolo 25:
DayNight (parte II)
 

“Più dolce sarebbe la morte se il mio ultimo sguardo
 avesse come orizzonte il tuo volto.
E se così fosse, mille volte vorrei nascere 
per mille volte ancor morire.” 
(William Shakespeare- Amleto)

 
Affogavo nel dolore, quel dolore così forte da farti mancare il respiro. Affogavo, incapace di riemergere da quella tempesta burrascosa che aveva ormai avvolto il mio corpo, spaccando in mille pezzi gli argini della mia vita. 
 
“Bella? Bella? Che ti prende?” 
 
Voci ovattate e piene di angoscia ronzavano dentro le mie orecchie come zanzare fastidiose, ma l’unica cosa che vedevo,che sentivo,che percepivo in quel momento, erano solo i suoi occhi.
Aveva visto tutto.
I suoi occhi erano colpi di pistola sulla pelle.
 
Annegavo, dentro quelle iridi di fuoco che continuavano a fissarmi addolorati, arrabbiati, sprezzanti. Occhi che catturavano i miei con insistenza, con una forza e un’attrazione tali da mozzarmi il fiato. 
Boccheggiavo, ormai alla deriva. 
 
“Bella? Bella mi senti?” 
 
Certo che ti sento, ma non voglio ascoltare. Voglio solo che lui continui a punirmi col suo sguardo, voglio annegare dentro quel mare di fuoco e nient’altro. 
 
Attorno a me, il nulla. Tranne quegli occhi.  
 
Poi, due mani unite, le dita intrecciate. 
Lui e Lei. 
Lui, il mio migliore amico, il ragazzo che amavo e lei, il suo imprinting, il suo destino, la donna che amava. E Lei, che adesso lo portava via, rompendo in mille pezzi la catena che teneva uniti i nostri occhi. 
Lei, che adesso lo baciava con passione travolgente rivendicando le sue labbra con amore e desiderio, spezzandomi il cuore.
Mi agitavo, mi muovevo freneticamente nella speranza di rimanere a galla e di non lasciarmi scalfire da ciò che ero stata costretta a vedere. 
Ma fu inutile. 
E come un piccolo ciottolo, sprofondai nelle tenebre del mio dolore.
 
“S-si sta tranquillo” soffiai senza voce, al ragazzo che continuava a stringermi tra le braccia ignaro di tutto.
“Mi hai fatto prendere un colpo sai? Ti chiamavo ma era come se fossi assente, ti senti bene?”
 
Continua a fingere Bella, puoi farcela. Menti. 
 
“Sto benissimo, non preoccuparti.” E per rafforzare quella mia bugia, accennai un sorriso che non avrebbe ingannato nessuno.
Tyler mi guardava ancora preoccupato e per niente convinto.
“Davvero, sto bene. Ero solo… sovrappensiero, sì, mi capita spesso. Niente di allarmante”
“Ok, faccio finta di crederti. Senti, adesso devo allontanarmi un attimo, i ragazzi hanno bisogno di me, ma torno subito. Aspettami qui”
Accennai un debole sì con la testa e prima di andare mi schioccò un piccolo bacio sulla guancia. Poi un’altra voce, questa volta di donna, una voce familiare, amichevole.
“Bella, tutto bene tesoro?” Angela si avvicinò a me, e con dolcezza, mi accarezzò il braccio.
 
Scappa Bella, stai per esplodere. 
Scappa!
 
“I-io… ho bisogno d’aria. Scusami.” non le diedi neanche il tempo di rispondere che già cominciavo a farmi largo tra la folla spintonando chiunque mi trovassi davanti. 
Barcollavo verso la terrazza come un automa, senza forze, distrutta, svuotata da qualsiasi cosa. 
Annaspavo, respiravo a rantoli e la voglia di urlare, di piangere come una matta mi inondava come un vortice di fuoco diventato indomabile. 
 
Mi avvicinai sfinita nel punto più isolato della grande terrazza ed afferrai la ringhiera con disperazione.
Respirai a fondo una, due, tre volte. Ma non bastava, sentivo che non bastava ancora. 
L’aria fredda pungeva il mio corpo come piccole lame appuntite facendomi rabbrividire, ma ciò che sentivo non era altro che sollievo per il mio corpo ormai in fiamme. 
Tremavo e non per il freddo. Tremavo, fissando con occhi sgranati quella luna stupenda e maestosa che tentava di vincere quella leggera coltre di nuvole grigie che spingeva per oscurarla. 
 
Strinsi forte il labbro inferiore fra i denti impedendo alla rabbia e alle urla di uscire fuori. Sentivo il sapore del sangue sulla lingua e sul palato darmi la nausea, ma se quello era l’unico modo per non esplodere, avrei continuato a torturarle fino alla fine.
Poi, dei passi. 
Passi insistenti, veloci, affannati. Qualcuno mi stava cercando e con una certa urgenza. 
E per un attimo eterno, il mio cervello formulò quel pensiero, proiettò quell’immagine davanti ai miei occhi e per un istante infinito non sentii più i miei battiti cardiaci. 
“Bella, finalmente! Ti ho cercata dappertutto!”
 
Sciocca, davvero pensavi che fosse lui? 
 
Un sorriso amaro uscì dalle mie labbra, provando una gran pena per me stessa e per il mio inutile tentativo di non far volare a lui il mio pensiero.  
   
Respira, Bella. Respira.
 
Con un gesto rapido della mano mi asciugai il viso e mi voltai.
“Beh, mi hai trovata” 
“Sembri sconvolta! E’ successo qualcosa?”
Non aspettò neanche una mia risposta che si precipitò verso di me stringendomi a se prima ancora che potessi accorgermene.
Rimasi pietrificata, le braccia lungo ai fianchi, gli occhi inespressivi e l’unica cosa che riuscivo a pensare era che in realtà non erano quelle le braccia che desideravo attorno al mio corpo, non era lui il ragazzo che volevo lì al mio fianco, non era quella la sensazione di protezione e calore che volevo mi avvolgessero cuore e anima. 
Eppure, Tyler riusciva a distrarmi, a farmi sentire bella, desiderabile, quasi normale. 
Lo allontanai piano, con le mani piantate sul suo petto, per guardarlo in viso. 
Desideravo che mi facesse dimenticare che lui era lì, che stava respirando la mia stessa aria, che stava camminando nel mio stesso suolo, volevo che mi facesse dimenticare anche il mio nome. 
Lo guardai per un istante infinito e immaginai occhi diversi, occhi neri e non verdi, labbra carnose e non sottili, la pelle color dell’oro e non bianca e pallida come la mia. 
Era sempre lì, anche se mi sforzavo di non pensarci, lui era sempre lì.
 
Non sapevo per quanto tempo rimasi a fissarlo, ma Tyler mi sorrise dolce e con una mano raccolse una lacrima sfuggita dai miei occhi, per poi tornare a guardarmi con adorazione. 
Non volevo che soffrisse, non volevo illuderlo, era davvero l’ultima cosa che avrei voluto fare, ma non potevo tirarmi indietro, non volevo farlo. 
In quel momento il mio egoismo era arrivato davvero al limite. 
Il suo viso non era altro che a pochi centimetri dal mio. Si avvicinava piano, con cautela, ma io ero completamente impassibile a tutto questo. Era come se il mio cervello avesse smesso di funzionare impedendomi di ragionare e di muovere un qualsiasi muscolo del mio corpo. 
Ma sapevo che non lo avrei respinto se avesse provato a baciarmi. Non ne avevo la forza perché ero troppo codarda per attentare alla condizione, ormai precaria, del mio cuore. 
 
Ma quando le sue labbra sfiorarono le mie, provai disgusto verso me stessa e per quello che stavo per fare. 
Spalancai gli occhi e con entrambe le mani lo allontanai dal mio viso. 
“Tyler, mi…mi dispiace, non posso.” sentivo le lacrime scendere copiose e prepotenti lungo le mie guancie consapevole di avergli fatto del male. 
“Ma Bella, qual è il problema? Siamo stati bene, e tu mi piaci, mi piaci davvero” le sue mani afferrarono con dolcezza il mio viso e mi guardò con una determinata dolcezza.
“Lo so benissimo, ma io…non posso, non voglio, mi dispiace tanto!” Con uno strattone riuscii a liberarmi dalla sua stretta. Feci qualche passo barcollando, ma non riuscii ad andare lontano perché Tyler mi bloccò per un polso e mi obbligò a voltarmi verso di lui.
“Bella, aspetta!”
“Tyler, mi fai male, lasciami!” 
“Ascoltami…”
“No! Lasciami!”
“Hai sentito quello che ti ha detto? Lasciala!”
 
Una voce, quella voce. La sua voce.
 
Gioia, dolore, amore, rabbia, euforia. 
Provavo tutto e provavo niente al tempo stesso. 
Eppure, lui era proprio lì, a pochi passi da noi, non lo stavo immaginando. 
“E tu chi saresti?” 
“Uno che ti ridurrà in mille pezzettini se non la lasci andare immediatamente” la sua voce roca era fredda ed incredibilmente calma. Ma i suoi occhi…quelli non potevano nascondere nulla. Erano minacciosi, furenti, colmi di rabbia. Conoscevo bene quello sguardo, era lo stesso che aveva addosso tanto tempo prima, quando Edward era riapparso nella mia vita dopo avermi abbandonata. Era lo stesso sguardo che riservava solo a lui quando semplicemente mi toccava, quando mi baciava o quando mi era accanto. Si nascondeva dietro ad una maschera di strafottenza e di durezza che non gli apparteneva e, rivederlo con quell’espressione sul viso, fu peggio di una pugnalata allo stomaco.
“Sei sordo per caso? Ti ho detto di levarle le mani di dosso!” 
Ma Tyler non mollava la presa e strinse ancora più forte provocandomi un leggero gemito. Pregai che nessuno dei due se ne accorgesse, ma ovviamente Jacob riuscii a sentirmi. Un lampo di rabbia attraversò il suo sguardo e, in un attimo, si fiondò su Tyler e lo colpì al volto facendolo cadere rovinosamente a terra. 
“NO!”
Mi portai una mano alla bocca per tappare le mie urla isteriche. Non riuscivo a credere a ciò che stava succedendo.
Vidi Tyler rialzarsi e barcollare leggermente, ma si mise subito in piedi continuando a sfidare Jacob con lo sguardo. 
“E’ tutto qui quello che sai fare?” sputò velenoso.
“Tyler smettila, per favore!” Sapevo che Jacob non aveva usato neanche un briciolo della sua forza per colpirlo, altrimenti avrebbe potuto ucciderlo con una semplice carezza, se solo avesse voluto. 
Terrorizzata voltai lo sguardo verso Jacob che cominciò a ridacchiare, divertito.
“Senti, se ci tieni al tuo bel faccino ti suggerisco di andartene all’istante, o la prossima volta non sarò così generoso.” Vedevo le sue mani tremare vistosamente, ma riusciva a controllarsi meglio di quanto potessi immaginare. Sapevo che non avrebbe mai perso il controllo, lo conoscevo bene, ma questo non bastò a tranquillizzarmi. 
Mi interposi subito fra di loro e allargai le braccia.
“Adesso basta! Smettetela!”
I miei occhi correvano veloci e spaventati prima su Jacob poi su Tyler ma nessuno dei due era intenzionato a lasciare gli occhi dell’altro. 
“Tyler, per favore va dentro, ti raggiungo fra poco!”
“Ma Bella, non posso lasciarti da sola con lui!”
“Invece sì, per favore vai!” lo guardai implorante e lui ricambiò il mio sguardo senza capire, ma alla fine decise di assecondarmi.
“D’accordo, ma dovrai spiegarmi un bel po’ di cose.” Accennai un debole sì con la testa, perché aveva ragione, almeno questo glielo dovevo. E prima di andarsene lanciò un’occhiata minacciosa alle mie spalle.

***
La terrazza era ormai deserta. 
Solo le parole di una canzone lenta e dolce spezzava l’aria interrompendo quel silenzio imbarazzante.  
 
Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi, non avevo la forza sufficiente per affrontarlo senza rischiare di esplodere come un fuoco d’artificio. 
Con che diritto aveva agito in quel modo? Perché continuava ad illudermi facendomi perdere la ragione? Con che diritto era arrivato lì ad interrompere la mia misera parentesi di tranquillità?
Lo odiavo, sì, lo odiavo a morte.
Provavo così tanta rabbia e così tanto dolore verso di lui che non potevo e non volevo lasciarmi trasportare dalla felicità indescrivibile che mi aveva travolto nell’istante in cui lui aveva messo piede in quel locale. Non avrei mai potuto, né voluto lasciarmi andare alla gioia folle e disperata che aveva invaso il mio essere quando, pochi istanti prima, aveva lottato per me come non faceva da tempo. 
“Così è questo il suo nome.” Ma la sua voce ostile, fredda ed incomprensibilmente arrabbiata facilitò quella mia determinazione.
Adesso, la sola cosa che sentivo dentro di me, era tanta, tanta collera, e nient’altro. 
“Non è come pensi. E comunque questi non sono affari tuoi, Jacob!” 
“Invece credo che sia esattamente come penso!”
Sgranai gli occhi interdetta. 
Strinsi le mani a pugno e mi voltai come una furia verso di lui urlandogli contro.
“E anche se fosse a te cosa importa? Perché sei venuto qui? Tornatene dalla tua perfettissima ragazza e lasciami in pace!” la mia voce era stridula, arrabbiata e sentii il sangue arrivarmi al cervello. Stavo davvero perdendo il lume della ragione.
Lui mi guardava con disprezzo, le mani tremanti, lo sguardo di fuoco, ma non disse una parola.
Si voltò e fece per andarsene ma non glielo avrei permesso. Non in quel momento.
Feci qualche passo nella sua direzione ed urlai con quanto fiato avevo in corpo puntando i piedi sul terreno.  
“La vuoi sapere una cosa? Sì, è vero! Hai ragione, è esattamente come pensi tu! Lui mi piace, ok?!”_ calde lacrime sgorgavano dai miei occhi infuriati, ma non mi fermai, ormai ero diventata un uragano pronto a distruggere qualsiasi cosa, compreso lui._ “Era questo che volevi sentirti dire? Bene, l’ho detto!Così finalmente non avrai più interferenze da parte mia e potrai continuare a vivere la tua vita in santa pace con il tuo preziosissimo “destino”! Adesso sei soddisfatto?”
Respiravo come se avessi appena partecipato ad una corsa a ostacoli e lo guardavo con un astio e una disperazione che non mi appartenevano.
Lui rimase immobile. 
Il suo silenzio, la sua maschera dura e impenetrabile, mi facevano imbestialire.  
“E parlami maledizione!” preferivo di gran lunga le sue urla alla sua indifferenza.
 
Ma quella mia frase dovette scuoterlo, perché finalmente ottenni la mia risposta.   
In pochi secondi, mi ritrovai bloccata contro la ringhiera e il suo volto furioso a pochi centimetri dal mio. 
“Tu non capisci niente, NIENTE! Ma di che mi stupisco infondo? Tu non hai colpa, l’idiota sono io che continuo ad illudermi che un giorno tu saresti potuta cambiare, che finalmente avresti capito ME! E invece è sempre la stessa storia! Sarò sempre il secondo per te, SEMPRE!Secondo al tuo vampiro, secondo anche ad un semplice sconosciuto! Sei solo una BUGIARDA!”
“Non sai quello che dici! Io non ti ho mai mentito, tutto quello che ti detto er…”urlai, ma non mi lasciò finire, perché mi interruppe urlando ancora più forte di me.
“Balle!Sono tutte stronzate! Vuoi che te lo dimostri?”
Rimasi in silenzio con lo sguardo incollato al suo. 
Mi stava distruggendo. Ogni sua parola mi annientava lentamente.
“Dimmelo, Bella.”
Trasalii. 
“Dillo!”
Sapevo cosa mi stava chiedendo, sapevo benissimo cosa voleva che dicessi. 
Ma ero paralizzata. Ero sconvolta dalle sue parole, dalla sua richiesta inaspettata e dal modo in cui l’aveva pronunciata. Ma ciò che mi mandava fuori di testa era il suo modo devastante di guardarmi, perché lui mi fissava e vedeva me. E mi sentii a disagio. Ero nuda davanti ai suoi occhi, lo ero sempre stata e lui sapeva perfettamente ciò che provavo, lui mi conosceva meglio di chiunque altro, più di quanto io conoscessi me stessa. 
Ma non gli bastava, no, voleva sentirselo dire.
Continuammo a guardaci per un tempo infinito. L’uno perso nello sguardo dell’altro. L’uno il riflesso dell’altro. 
Avrei tanto voluto baciarlo, avrei voluto che capisse una volta per tutte che aveva torto, che adesso era tutto diverso e che io ero davvero cambiata. Ma che senso avrebbe avuto? 
Nessuno. Nessun senso, perché ormai lui apparteneva ad un’altra.  
Piangevo, in silenzio, incapace di fare altro. 
Poi, d’un tratto, sentii le sue mani ardenti allentare la presa sulle mie braccia, fino a staccarle del tutto. 
Serrò la mascella e strinse i pugni lungo i fianchi. 
“Lo sapevo.” Scosse la testa lentamente e capii che stava per andarsene di nuovo. 

No, no, no, no!

“No!” 
Gli afferrai la mano, consapevole che la mia misera forza non avrebbe mai potuto fermare un colosso come lui, eppure, contro ogni mia aspettativa, rimase immobile ancora tremante.
Arrossii di colpo per quel contatto improvviso e per niente calcolato. Abbassai la testa e parlai con lo sguardo fisso sul pavimento. La mano ancora stretta alla sua.
“Non andare via, ti prego. Ho bisogno di te, Jake. Io… ti amo, lo sai, l’hai sempre saputo…ti amo!” Singhiozzai le ultime parole e, portandomi le mani al viso, scoppiai a piangere senza ritegno. 
In quelle lacrime c’era tutto, c’erano rabbia, dolore, stanchezza, disperazione, c’erano gioia, euforia, c’era amore, amore folle e c’era odio, odio intenso. 
Tutto questo solo per una persona, solo per lui. 
Mi aveva costretta ad ammettere i miei sentimenti con una facilità e una semplicità che mi sfiancò. Era sempre riuscito a mettermi alle strette, ad obbligarmi a fare chiarezza nei miei sentimenti in tempi brevi e rapidi. E lo detestavo. Odiavo il modo in cui mi faceva sentire e odiavo ancora di più il mio amore per lui, perché se prima era la cosa più facile e semplice del mondo, adesso era diventato doloroso e distruttivo. 
Piansi ancora più forte al pensiero che quelle mie parole, ancora una volta, non sarebbero servite a niente.
“Dannazione,vieni qui!” Sentii la voce di Jacob imprecare con una dolce rabbia e subito mi tirò per il polso stringendomi forte contro il suo petto bollente. 
E bastò questo per farmi sentire giusta, intera, per farmi sentire finalmente Bella. 
Perché erano quelle le braccia che desideravo sul mio corpo, era lui il ragazzo che volevo accanto a me, era quella la sensazione di protezione e calore che volevo provare e sentire per il resto della mia vita.
Lo strinsi a me con tutta la forza che possedevo perché non volevo lasciarlo andare, non volevo che mi abbandonasse, non adesso che sembrava tutto così dannatamente perfetto.
Jake si allontanò da me quel tanto che bastava per potermi guardare negli occhi senza mai interrompere il contatto dei nostri corpi. 
Avvolse il mio viso tra le mani e mi sussurrò con voce tremante “Per favore, dimmelo ancora.”
Lo guardai decisa e questa volta tentai di dirlo col tono giusto, volevo che vi leggesse tutta la mia sincerità. 
“Ti amo Jake!Ti amo” Jacob chiuse gli occhi per qualche istante, per poi riaprirli intensi e lucidi, sui miei.
Avrei voluto dirgli mille e mille cose, ma il mio cervello aveva smesso di funzionare già da tempo. 
Alzai il braccio e con le dita sfiorai leggera le sue labbra calde e sensuali. A quel semplice contatto Jacob trasalì, incredulo, respirando a fondo. Poi chiuse gli occhi e, con una dolcezza disarmante, baciò leggero le mie dita tremanti.  
Sussultai. 
Il mio cuore stava impazzendo di gioia.   
 
“Jacob? Jacob?”
 
Una voce femminile perforò i miei timpani come unghie sulla lavagna. Una voce che conoscevo bene e che era arrivata alle mie orecchie giusto in tempo per riportarmi con i piedi per terra.
 
Lui non è più tuo, Bella.
 
Tolsi immediatamente le dita dalle sue labbra e abbassai lo sguardo.
 
“Jacob? Jacob,sei qui?” 
 
“Devo andare. Ho ancora una faccenda da risolvere” accennai un sì con la testa incapace di guardarlo negli occhi. Avevo paura di leggervi tutto l’amore che provava per lei e non l’avrei sopportato.
Ma Jacob mi sorprese, perché mi afferrò il viso con le mani e mi obbligò a guardarlo negli occhi.
“Per favore Bells, non farmi pentire di ciò che sto per fare.” lo sussurrò piano accarezzandomi le guancie con i suoi pollici infuocati. 
Lo fissai confusa, senza capire di cosa stesse parlando o a cosa si stesse riferendo, ma decisi che forse era meglio non saperlo. 
Mi guardò ancora per un attimo, ma poi si voltò veloce e scomparve.






Chiedo umilmente PERDONO per non aver risposto alle vostre splendide recensioni, ma davvero non ne ho proprio avuto il tempo!! =( 
Ma ne approfitto per ringraziare tutte voi per l'appoggio che mi date e perchè mi seguite sempre regalandomi gioie indescrivibili quando lasciate due parole per commentare i miei capitoli!!
GRAZIE, GRAZIE DI CUORE! E spero che questo capitolo possa piacervi! 
VI ADORO TUTTE!!
Con affetto Vale! <3

 

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Capitolo 31
*** LIBERO ***


Capitolo 26:
Libero
 

“Non mi pento dei momenti in cui ho sofferto; 
porto su di me le cicatrici come se fossero medaglie,
 so che la libertà ha un prezzo alto, alto quanto quello della schiavitù. 
L'unica differenza è che si paga con piacere, e con un sorriso... 
anche quando quel sorriso è bagnato dalle lacrime.” 
Paulo Coelho - Lo Zahir
 
 
 
“Emma, ti prego…ascoltami”
“Non voglio più ascoltarti, ho già capito, Jacob. Adesso per favore vattene via!”
La osservava impotente, senza riuscire a dire nulla. Sapeva che le parole sarebbero state superflue, sapeva che non avrebbe mai potuto alleviare il suo dolore. Così come sapeva di amarla, ma che non era sufficiente. 
La stava abbandonando, le aveva detto addio senza riuscire a spiegarle il vero motivo. 
“L’imprinting non è indistruttibile come speravo“ queste le uniche parole che era riuscito a pronunciare senza però avere il coraggio di guardarla negli occhi.
Le sue lacrime lo tormentavano e soffriva come un dannato nel dover assistere al suo dolore. Un dolore che lui conosceva bene, il dolore che l’aveva accompagnato per anni, un dolore che era ormai penetrato nella sua pelle e che adesso,stava tormentando la ragazza dagli occhi blu più belli che avesse mai visto. Occhi che avevano innescato la magia facendolo innamorare, ma non con quella giusta intensità, non con quel giusto battito del cuore ogni volta che i loro occhi si incontravano.
Lui la guardava,vergognandosi anche di respirare.  
Avrebbe voluto uccidere il ladro del suo sorriso, della sua allegria, della gioia e della solarità che l’aveva sempre contraddistinta; avrebbe voluto sbranare il mostro che aveva causato quel pianto isterico e doloroso. Ma in verità sapeva bene che era lui, lui e solo lui l’artefice di tutta quella sofferenza. E si odiava per questo, tremava di rabbia verso se stesso,verso la vita beffarda e verso la sua incapacità di non riuscire a non amare la ragazza sbagliata. 
Lui la guardava con la consapevolezza di stare spezzando il cuore all’unica ragazza che lo avrebbe davvero reso felice, all’unica ragazza che gli avrebbe potuto donare quell’amore certo e sicuro che da sempre aveva cercato, voluto, agognato.
Ma lui sapeva che non era nato per avere tutto questo. Non era nato per avere delle sicurezze, delle certezza, una felicità duratura e indistruttibile; non era nato per avere tutto ciò che l’imprinting gli avrebbe donato senza chiedergli nulla in cambio. 
Con quella sua scelta stava distruggendo tutte le sue illusioni.
“Mi dispiace” era l’unica cosa che era riuscito a pronunciare prima di chiudersi la porta alle spalle e andare via. 
Non avrebbe mai voluto farle del male, ma sapeva anche che sarebbe stato inevitabile. 
 
Volse lo sguardo verso quel bed and breakfast, immobile. 
Sentiva ancora la sua forza gravitazionale ruotare attorno a lei, ma quella catena, lo sentiva, stava allentando la presa. Dei leggeri ruggiti gli uscirono dal petto quando percepì quei fili di metallo staccarsi uno per volta, con una lentezza sfiancante e dolorosa. 
Cominciò a boccheggiare forte stringendo la sua mano attorno alla gola.   
Una smorfia di dolore apparve sul suo volto imperlato di sudore come lo era ormai tutto il suo corpo.
E poi fuoco, fuoco bruciante avvolse il suo essere e lo straziava, lo costringeva a terra senza possibilità di fuga. Si contorceva come un pazzo cercando qualcosa su cui aggrapparsi, ma le sue mani afferrarono solo vento, aria umida che sfuggiva dalla strette delle sue dita. 
Doveva andare via da lì, doveva fuggire all’istante prima che qualcuno si accorgesse di lui. Con un incredibile colpo di reni si sollevò da terra e non era più lui, il lupo prese il sopravvento e cominciò a correre spedito verso la foresta.  
Ma il dolore era diventato insopportabile. 
Le zampe che pestavano a forza il terreno si trasformarono di nuovo in piedi umani e affaticati. 
Cadde rovinosamente a terra quando sentì le catene allentarsi con maggiore brutalità. 
Urlò, portando le mani a stringere con forza alcune ciocche dei suoi capelli, strappandoli quasi dalla radice. Urlò come un pazzo fino a sentire le corde vocali andare in pezzi e la gola logorarsi.  
La magia sferrò il suo colpo definitivo e a quel punto tutto dentro di lui cominciò a bruciare in un ultima e potente fiammata di straziante sofferenza. 
 
Poi il nulla. Il vuoto.  
Rimase disteso su quel letto di foglie per dei minuti interminabili. Il corpo completamente nudo e fradicio di sudore, il fiato corto e spezzato, gli occhi stralunati e umidi, la gola secca e pungente. 
Ma poi, inspiegabilmente, un leggero e timido sorriso apparve sulle sue labbra quando, davanti a lui, il volto della ragazza che amava si fece largo tra le tenebre del suo subconscio. 
Sapeva cosa significava, sapeva che cos’era appena successo. 
E inevitabilmente, scie d’acqua salata cominciarono a bagnare le sue guancia non appena formulò quel pensiero: 
L’imprinting era scomparso. 
Era libero.
 
***
 
Osservavo il finestrino senza distogliere lo sguardo dal paesaggio in movimento e l’unica cosa che riuscivo a pensare era lui
“Non farmi pentire di ciò che sto per fare” Era questa l’ultima frase che aveva pronunciato prima di scomparire nel nulla. E la cosa che mi faceva più imbestialire era che, non solo mi aveva confusa nuovamente le idee, ma con quella frase era riuscito a far vacillare tutte le mie convinzioni. 
Che si stesse riferendo all’imprinting? Che volesse parlare con la sua ragazza e con un semplice discorso…sconfiggerlo? Ma sapevo che era praticamente impossibile. Jacob mi aveva sempre ribadito che l’imprinting era la magia più antica e potente della sua tribù e che quando si viene colpiti non c’è via di scampo, non puoi evitarla, non puoi opporti. 
Ma se questo invece fosse possibile? Se lui avesse trovato un modo per annientarla?
“Bella ma mi stai ascoltando?”
E se fosse possibile?
“Ehm, s-scusa Angela ero solo sovrappensiero… stavi dicendo?”
“Ti stavo dicendo che mi dispiace che la serata non sia andata come speravi.”
“No, invece mi sono divertita.” E non stavo mentendo perché mi ero divertita davvero, questo fino alla sua comparsa con conseguente rissa sul balcone. 
Ricordai subito Tyler e un grande senso di colpa mi colpì allo stomaco: quando Jacob aveva lasciato il locale, io ero praticamente corsa da Angela pregandola di accompagnarmi a casa, cercando in tutti i modi possibili di evitare Tyler e le sue domande. Ma sapevo che prima o poi avrei dovuto dargli qualche spiegazione. 
“Beh almeno una cosa positiva in tutta la serata c’è stata” le ruote della macchina frenarono dolcemente e riconobbi subito il vialetto di casa mia. 
“E cioè?” storsi il naso. 
“Ti ho vista ridere”. Alzai subito gli occhi e la guardai inebetita.
Angela mi fissò con un dolcissimo sorriso sulle labbra e stringendomi una mano continuò a parlare. “Spero che tu possa ritrovare al più presto quella luce che riusciva a far brillare i tuoi occhi, Bella. Voglio che tu sia di nuovo felice.” 
Lei si che era davvero un dono dal cielo. 
L’abbracciai stretta e per poco non scoppiai a piangere.
“Grazie Angie! Grazie perché sei mia amica, perché mi sei vicina… grazie, io davvero non potrei chiedere di più”. Ed era vero, mi sentivo la ragazza più fortunata della terra ad avere un’amica speciale come lei. 
“Ok, adesso basta o allagheremo tutto!” 
“D’accordo, d’accordo!” Mi asciugai gli occhi e sorrisi insieme a lei.
“Ma dimmi di te, che pensi di fare con Dan?” 
“Non lo so, devo ancora capire se mi piace! E non guardarmi così!”
“Sei impossibile!”
Scoppiammo a ridere insieme e dopo averla ringraziata altre mille volte, scesi dall’auto con la promessa che ci saremmo sentite il giorno dopo. 
 
Entrai in casa e mi abbandonai stravolta sulla porta d’ingresso. 
Forse aveva ragione Angela, per una sera non avevo pensato a niente ed ero riuscita a divertirmi come non mi succedeva da tempo, e realizzai che era una sensazione che non volevo più abbandonare. Decisi di chiamare Tyler l’indomani e magari di incontrarlo per potergli parlare e spiegargli tutto, anche se non sapevo esattamente come giustificare quel pugno in faccia, ma qualcosa avrei inventato. 
Adesso però il mio problema era principalmente un altro: come potevo rifarmi una vita, magari vedere un altro ragazzo, se lui era ancora dentro di me? 
Sbuffai, portandomi una mano fra i capelli e iniziai a levarmi sciarpa e cappotto gettandoli sull’appendiabiti. 
Tolsi quei trampoli dai piedi e un respiro di sollievo e di pura gioia mi usci dal petto nel momento in cui riacquistavo il mio scarso metro e sessanta e toccavo le fredde mattonelle del pavimento. 
“Oh grazie al cielo!”
Poggiai le scarpe all’ingresso e andai in camera mia barcollando. 
Ero davvero distrutta, stanca morta e non avevo alcuna intenzione di lavarmi o di sprecare inutili energie per spogliarmi e mettere il pigiama. 
Salii le scale e quando aprii la porta della mia camera da letto, per poco non mi venne un infarto.
C’era qualcuno seduto sul mio letto.  
Mi lasciai andare sulla parete trattenendo il respiro. Nonostante il buio della stanza, lo riconobbi all’istante. 
Con cautela mi staccai dal muro e cominciai ad avvicinarmi. Con le mani tremanti andai ad accendere la piccola abatjour del comodino inondando la camera di una leggera luce dorata. 
A quel punto, Jacob alzò lo sguardo verso di me e quando realizzai che era davvero lui e non il frutto della mia immaginazione, rimasi completamente esterrefatta da ciò che mi ritrovai di fronte: il suo viso era stravolto macchiato di terra bagnata, gli occhi lucidi e infossati, i capelli spettinati e umidi, il torace, le braccia e le mani erano pieni di ferite e piccoli graffi. 
“Oh mio dio che ti è successo?” Mi precipitai davanti a lui e istintivamente gli afferrai il viso tra le mani. 
Gli occhi mi si inumidirono e cominciai a tremare. 
“Jacob rispondimi, si può sapere come hai fatto a ridurti in questo stato?” Quasi urlai quelle parole davanti a quel suo sguardo spento e indecifrabile. Ero davvero troppo agitata per cercare di mantenere la calma.
Lui mi fissava senza dire una parola, completamente immobile.
Poi, inaspettatamente alzò un braccio e con dolcezza posò le sue dite bollenti sulle mie labbra accarezzandole appena, come se avesse paura di toccarmi. Mi ritrovai a sospirai forte alitando sui suoi polpastrelli inebriandomi di quel dolce e tenero contatto che durò giusto il tempo di un battito di ciglia.  
“Ho fatto una cosa di cui mi pentirò, ne sono certo” sussurrò, ma la sua voce era strapazzata, come se avesse pianto per delle ore intere.
“D-di che cosa stai parlando?” Balbettai,incerta.
“Davvero non lo hai ancora capito?” il suo sguardo accusatore e distrutto mi fece rabbrividire. Ma il tono stanco, debole e frustrato della sua voce riuscì a farmi sentire colpevole di qualcosa, incomprensibilmente cattiva e meschina.
“No…io…non”. Abbassai lo sguardo svelta e allontanai subito le mie mani dal suo viso.
Stavo per allontanarmi maggiormente da lui quando sentii due mani bollenti e forti afferrarmi per i fianchi impedendomi di fare anche un solo passo.
Alzai il viso e lo trovai che continuava a fissarmi con uno sguardo indecifrabile negli occhi. 
Mi avvicinò ancora di più a lui schiacciando completamente il mio corpo contro il suo. Avvampai per quel contatto improvviso e mi lasciai sfuggire un piccolo sospiro che si infranse sul suo viso, adesso, ad una sola spanna dal mio. Anche da seduto riusciva comunque a sovrastarmi. 
Una sua mano affondò nei miei capelli e, prima che potessi accorgermene, mi baciò lento il labbro inferiore, poi quello superiore senza mai interrompere il contatto dei i nostri occhi. Rimasi paralizzata da quel suo gesto improvviso che scatenò dentro di me una valanga di emozioni diverse e confuse. Sentii calore, un tepore meraviglioso nascermi dal petto, una sensazione di piena e totale completezza, un’emozione sconosciuta, che non provavo da tantissimo tempo. Un’emozione forte e potente che avvolse il mio essere, la mia anima e il mio cuore fino a farlo battere come non faceva da tempo immemore. 
Era qualcosa come…sì, forse era davvero felicità. 
“Com’è possibile?” soffiai incredula sulle sue labbra.
“Finalmente hai capito” sussurrò dolce lasciandomi un altro piccolo bacio a fior di labbra.
I miei occhi bruciavano e mi si mozzò il respiro.
“Mi stai dicendo che…che hai…” 
“Sì, l’imprinting è scomparso”. 
“C-come hai…c-come sei…” quella sera la mia capacità di mettere insieme due parole di senso compiuto era pari a zero. Ma lui come sempre, riuscii a capirmi.
“Non è importante” Solo questo, non disse altro. 
La gioia infinita che provavo in quel momento era davvero troppa, mi avvolgeva totalmente e per un attimo folle, il mio cervello si scollegò dal corpo e le mie labbra trovarono le sue. 
Lo baciai con urgenza affondando le mani tra i suoi capelli per avvicinare maggiormente il suo viso al mio. Mi appropriai delle sue labbra in modo indecente e senza freni ma, la sua impassibilità davanti alla mia pazzia, riattivò il mio cervello come se fosse stato appena colpito da un fulmine. 
Aveva sconfitto l’imprinting, questo era un dato di fatto, ma non ero sicura che l’avesse fatto per stare con me. 
Mi allontanai immediatamente da lui, mortificata. 
“Perdonami” E questa volta riuscii a sfuggire con facilità dalla morsa delle sue mani che erano rimaste inermi sui miei fianchi. 
“Non succederà più scusami” sussurrai a disagio e terribilmente in imbarazzo.
Non avevo nessun diritto di saltargli addosso in quel modo. Che stupida.
Mi strinsi fra le braccia osservando il pavimento e desiderando con tutta me stessa che una voragine si aprisse esattamente sotto i miei piedi e che mi risucchiasse in quel preciso istante. Tutto pur di non incontrare il suo sguardo.
Ma le mie speranze furono vane, perché dopo pochi secondi, sentii una mano bollente afferrare la mia e le nostre dita intrecciarsi saldamente. Alzai gli occhi e lo trovai all’in piedi esattamente di fronte a me. Mi persi inevitabilmente dentro quelle iridi ardenti e mi lasciai guidare a suo piacimento come un giocattolo nelle sue mani. Mi girò lentamente e mi ritrovai con le spalle rivolte verso il letto, nella stessa posizione dove si trovava lui qualche istante prima. 
Lo guardai confusa ed elettrizzata al tempo stesso.
Lui si avvicinò con gentilezza a me e, portandomi una mano dietro la schiena, mi fece scivolare lentamente sul letto poggiando la mano libera sul materasso. 
I nostri occhi non smettevano un attimo di cercarsi, di intrecciarsi e il mio cuore batteva talmente forte che ebbi paura che potesse esplodermi dal petto da un momento all’altro. 
Poi, solo con una piccola spinta del braccio, mi spinse un po' più su, facendomi poggiare la testa sul cuscino. 
Mi ritrovai il suo corpo bollente addosso che mi sovrastava completamente. 
“J-jake…” 
Avrei voluto dirgli qualcosa, qualsiasi cosa ma non avevo né la forza, né tantomeno la voglia di rovinare quel momento magico e del tutto inaspettato. 
Ero completamente soggiogata da lui, da ogni suo tocco, dal suo sguardo magnetico e disarmante, dalle sue labbra così perfette e calde che distavano solo pochi millimetri dalle mie. 
Con la mano tremante gli accarezzai la guancia ancora sporca di fango e seguii il profilo del suo viso facendolo sussultare. 
Mi guardava e non diceva nulla. 
Continuava a divorarmi con lo sguardo mentre tutto il mio corpo andava in fiamme. 
Era diventato quasi insopportabile il desiderio che avevo di lui, di sentirlo mio, di sentirgli dire quello che avrei tanto voluto che dicesse, qualcosa che mi era stata negata da tanto, troppo tempo e che, lo sapevo bene, non avevo alcun diritto di pretendere. 
Vidi il suo viso avvicinarsi sempre di più al mio e nella mia testa, ormai completamente vuota, non c’era nient’altro se non il desiderio disperato e folle di colmare quella distanza diventata quasi dolorosa.
Poi, le sue labbra toccarono le mie con una lentezza e una dolcezza senza eguali. Le sfiorò appena e un brivido profondo e intenso mi percorse la spina dorsale facendomi gemere debolmente. Sentivo il suo fiato caldo infrangersi morbido sul mio viso e la sua mano che accarezzava lentamente i miei capelli.  
“Bells, ho bisogno di sapere che i tuoi sentimenti per me sono reali, perché credimi,questa volta non riuscirei a sopravvivere se decidessi di spezzarmi di nuovo il cuore”.
Sussurrò quelle parole senza mai distogliere lo sguardo dal mio. Mi stava quasi supplicando di dargli delle certezze, delle conferme. Non avevo mai visto il mio Jacob così fragile e quasi, sì, quasi spaventato. Nei suoi occhi leggevo terrore, ma anche insicurezza e quella paura di soffrire di nuovo a causa della sottoscritta.
E capii che non potevo più sopportarlo.
Gli afferrai il viso tra le mani tremanti e lo guardai affondo, volevo che leggesse nei miei occhi tutta la mia sincerità, desideravo che non avesse più alcun dubbio.
“Sì che sono reali, lo sono sempre stati Jake! E mi dispiace, mi dispiace così tanto di averti fatto soffrire…”_mi mancò per un attimo il respiro e pronunciai le ultime frasi in maniera confusa e sconnessa._ “S-so che dovrò volerti e meritarti giorno dopo giorno…e forse tu non mi hai ancora perdonata…ma va bene così, non pretendo niente da te… ma io t-ti amo Jacob, ti amo ed è reale.” 
Avrei dovuto e voluto dire di più, ma era impensabile vista la situazione in cui mi trovavo. Per la millesima volta lui aveva lottato per me facendo l’impossibile pur di starmi accanto. Aveva sconfitto l’imprinting, maledizione! Aveva rinunciato ad una vita perfetta solo per riavermi con se ed io che cosa avrei potuto fare o dire per fargli capire quanto lo amavo e quanto avevo apprezzato il suo gesto folle e masochistico? Nulla, perché non c’erano parole o azioni che avrebbero potuto anche solo paragonarsi al gesto meraviglioso e sconvolgente che aveva fatto. Chissà quanto aveva sofferto, quanto dolore aveva provato per liberarsi dalla magia…ma i graffi su tutto il suo corpo, gli occhi spenti e inespressivi, il suo viso sfinito e scavato dal dolore, bastarono per farmi capire che aveva sofferto più di quanto fosse lecito e umanamente sopportabile.
Tutto questo solo per me.
Ma sapevo di non meritarlo, sapevo che aveva fatto una pazzia a rinunciare così al suo destino, ma egoista com’ero, sapevo anche che non l’avrei mai lasciato andare via. Lo amavo e avevo bisogno di lui. 
Jacob rimase in silenzio ad ascoltare i miei vaneggiamenti senza battere ciglio, ma dopo pochi minuti, una strana smorfia si formò nel suo viso e capii che stava per dire qualcosa che mi avrebbe ferita e che sapevo bene di meritarmi.
“Forse su una cosa hai ragione, non sono ancora pronto a perdonarti”. 
Abbassai lo sguardo giusto in tempo, perché sentii gli occhi bruciare e delle piccole e stupide lacrime bagnarmi le guancie. 
Con i denti afferrai con forza il labbro inferiore facendolo sanguinare cercando di mantenere la calma, perché sapevo che, se non avessi sfogato la mia frustrazione da qualche parte, sarei potuta esplodere da un momento all’altro. E non volevo farlo davanti a lui, sarebbe stato crudele. 
Jacob afferrò il mio mento, bloccando il movimento impazzito dei miei denti, e con dolcezza mi obbligò ad alzare lo sguardo verso di lui. Vidi i suoi occhi soffermarsi prima sulle mie guancie, che accarezzò leggero liberandole dalle lacrime, e poi bloccarsi sulle mie labbra ancora macchiate di sangue. Le guardava, le scrutava con attenzione e con una lentezza disarmante, le catturò tra le sue leccando sensuale il punto dove avevo morso forte. 
Trasalii, completamente eccitata.
Dio solo sa quanto avrei voluto afferrargli il volto e approfondire quel bacio, ma non potevo, non adesso, e quella verità assoluta mi stava facendo impazzire. 
Lasciò subito la mia bocca e dopo qualche istante mi sussurrò.
“Ho solo bisogno di tempo”. 
Gli accarezzai il viso avvolta da una valanga di emozioni forti e indescrivibili.
“Tutto il tempo che vuoi, Jake. Io non vado da nessuna parte”.
E mai parole più vere mi uscirono dalla bocca, perché l’avrei aspettato senza chiedere nulla, avrei aspettato in silenzio ogni sua decisione senza battere ciglio. Avrei fatto di tutto per lui. Tutto ciò che era necessario.
 
Senza pronunciare altro Jacob mi afferrò per i fianchi e mi abbracciò stretta al suo corpo cogliendomi di sorpresa. Mi lasciai sfuggire un piccolo sospiro e mi aggrappai alla sua schiena con tutta la forza che possedevo. Non volevo lasciarlo andare, mai più.  
Sorrisi tra le lacrime accarezzandogli i capelli umidi alla base del collo. Sorrisi, consapevole che questa volta avrei dovuto fare tutto ciò che era in mio potere per farlo stare bene e per riconquistare la sua fiducia e soprattutto il suo amore. 
Poi, senza mai interrompere il contatto fra i nostri corpi, Jacob rotolò supino al mio fianco e mi trascinò con se. Io lo seguii senza dire niente e poggiai il viso sul suo petto circondandogli il torace con il braccio. 
Ero in paradiso, sommersa dal calore del suo corpo e dal battito regolare del suo cuore. 
Eppure avevo paura. 
Paura di svegliarmi e di non ritrovarlo più al mio fianco come era già successo qualche settimana prima, e mi resi conto che non lo avrei sopportato.
Rabbrividii a quel pensiero e mi strinsi maggiormente a lui affondando il viso nell’incavo del suo collo. Respirai forte il suo odore di muschio e terra bagnata. Odore di lupo, di natura selvaggia, odore di lui e di ciò che era diventato.  
Provai a tranquillizzarmi, ma purtroppo era più forte di me, non riuscivo a non pensarci.
Jacob percepì immediatamente la mia agitazione e mi chiese preoccupato:“Bella, tutto bene?” 
“Sì, sto bene è solo che…ecco…_sospirai forte e cercai di trovare la forza necessaria per pronunciare quelle parole cariche di egoismo._….ho paura di chiudere gli occhi.”
“Perché?” la sua voce era un sussurro, e anche se non riuscivo a vederlo in viso potevo benissimo immaginare la sua espressione confusa e anche perplessa.
“Perché ho paura che nel momento in cui li riaprirò, tu non ci sarai più”. 
La mia voce tremava smascherando tutta la mia preoccupazione. 
Jacob sbuffò tra i miei capelli e mi lasciò un piccolo bacio sulla fronte.
“Non scomparirò, Bella.”   
E mi strinse a se ancora più forte avvolgendomi completamente con le sue braccia calde e accoglienti.  
Rimanemmo in quella posizione per delle ore senza dire una parola, e cullata dal suo calore, riuscii ad addormentarmi.

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Capitolo 32
*** UN BARLUME DI SPERANZA ***


Capitolo 27:
Un barlume di speranza



 
“Jake”
“Sono qui Bella.” 
Non potevo nemmeno descrivere il sollievo che provai nel momento in cui alzai lo sguardo e lo trovai seduto sul bordo del mio letto. Era rimasto, per me. E questo era più di quanto meritassi.
Balbettai un buongiorno imbarazzato e mi portai a sedere anche io sul letto poggiando i piedi nudi sul pavimento. 
Rabbrividii a quel contatto gelido.
“Buongiorno, Bells”. 
Lo osservai meglio e con grande gioia notai che i graffi e le ferite sul suo corpo erano completamente scomparse.
“Dormito bene?”
“Sì, benissimo” 
Sorrisi sincera e gli sfiorai il braccio con la mano.
“Come stai Jake?” 
Se le ferite fisiche erano scomparse, volatilizzandosi in una notte, sapevo che dentro di lui, nel profondo del suo essere, quella ferita non si era ancora rimarginata. La luce e la vitalità dei suoi occhi erano ormai un lontano ricordo.
“Sto bene”  
Si alzò dal letto e mi guardò con un’espressione indecifrabile sul viso.
“Dovresti metterti un pigiama” 
Stava cambiando argomento e non potevo certo biasimarlo. Non insistetti oltre e afferrai un pigiama dal cassetto del comodino. 
Infondo aveva ragione, dovevo cambiarmi prima che Charlie arrivasse a casa e mi vedesse con ancora addosso il vestito della sera prima. 
“Per favore, aspettami qui”. Non volevo che approfittasse della mia assenza per scappare via, non così.
Jacob mi lanciò un’occhiata ancora un po’ titubante ma alla fine sbuffò un “D’accordo”.
 
Andai in bagno e mi cambiai velocemente, o almeno ci provai. Mi sentivo più impacciata e goffa del solito, tant’è che avevo infilato al contrario la maglietta del pigiama per ben due volte. Ero nervosa, non potevo negarlo, perché se da un lato avevo la certezza che avesse sconfitto l’imprinting per stare con me, dall’altra parte sapevo che se avessi anche solo fatto una mossa sbagliata, lo avrei perso di nuovo e questa consapevolezza mi terrorizzava.  
Dopo aver messo il pigiama-questa volta dal verso giusto- riuscii a sciacquarmi la faccia e a levare via il trucco sia dagli occhi che dalle guance. 
Eppure, nonostante il mio nervosismo, quella ragazza uguale a me, che mi stava fissando, aveva qualcosa di diverso in viso, qualcosa di luminoso, qualcosa che non vedevo ormai da tantissimo tempo: era la luce, quella luce che aveva abbandonato i miei occhi tornando a splendere piena di gioia e di speranza. Per lui, per noi. 
 
Tornai in camera e trovai Jacob nella stessa posizione di prima. 
Lo osservai bene e capii all’istante che doveva essere nervoso almeno quanto me: i suoi occhi seri e spenti non mentivano, così come il suo corpo teso e le sue mani strette a pugno come se stesse per stritolarsi le dita.  
Mi strinsi tra le braccia e sussurrai imbarazzata “Grazie per essere rimasto”.
Lui mi guardò con attenzione, come se mi stesse studiando e proprio quando stava per muovere le labbra-sicuramente pronte per dire qualcosa- il rumore di una macchina attirò la sua attenzione.
“E’ arrivato Charlie, sarà meglio che vada”.
M lasciai sfuggire un sospiro rassegnato.
“Sì, certo”.
Aprì la finestra pronto per balzare fuori, e già mi mancava.
“Jake, aspetta!” 
“Che c’è Bella?” 
Resta con me, stringimi, baciami, dimentica tutto il male che ti ho fatto e permettimi di amarti come meriti. 
“N-no, niente…” Balbettai, abbassando lo sguardo. 
 
“Bella, sono a casa”.
 
Sospirai terribilmente infastidita nell’udire la voce di mio padre. Ma doveva rientrare per forza così presto? 
Istintivamente voltai la testa e trovai la porta della mia camera completamente spalancata. Di colpo mi precipitai alla porta e la chiusi velocemente a chiave: ci mancava solo che a Charlie venisse la brillante idea di entrare in camera mia, trovandomi da sola con Jacob, che tra l’altro indossava solo un paio di pantaloncini stracciati.
Rabbrividii al solo pensiero. 
Ma Jacob non sembrava particolarmente turbato dalla presenza di Charlie, perché lo sentii ridacchiare divertito alle mie spalle.  
“Si può sapere perché ridi adesso?” lo rimproverai a bassa voce voltandomi verso di lui.
“Perché quando ti imbarazzi sei davvero buffa!” 
“Io non sono buffa e per la cronaca non sono in imbarazzo, chiaro?” Incrociai le braccia al petto fulminandolo con lo sguardo. 
“Sì che lo sei. Non pensavo di farti ancora quest’effetto, Isabella Swan!” 
Mi stava anche provocando, splendido!
E in risposta alla sua frase pungente, non potei fare altro che arrossire abbassando lo sguardo. Era palese che mi rendesse nervosa, lo aveva sempre fatto e lui lo sapeva bene.  
Si avvicinò a me, cauto, mantenendo i nostri corpi ad una distanza minima, stando ben attento a non sfiorarmi nemmeno. 
“No, che non lo sono. E poi non…non è vero che tu…”.  Balbettai, le guance in fiamme, le mani sudate. Dannazione, possibile che dovesse sempre avere ragione su tutto?
Sbuffai, affranta.
“Bugiarda!”. 
Era sempre il solito impertinente, non era cambiato di una virgola. Quel suo sentirsi così sicuro di se in ogni momento mi aveva da sempre mandato in bestia. Eppure, nel momento in cui le sue labbra stupende si aprirono in un sorriso a dir poco adorabile, non potei fare altro che sorridergli a mia volta mettendo da parte quella voglia matta che avevo di rispondergli per le rime.
“Bene, sarà meglio che vada”. 
Non volevo che se ne andasse, non adesso che sembrava tutto così perfetto.
Gli afferrai la mano e lo feci voltare nuovamente verso di me. 
Senza neanche pensare a quello che stavo facendo, mi sollevai sulle punte dei piedi e gli baciai la spalla nuda, il punto più alto che riuscivo a raggiungere. Avrei voluto osare di più, ma sapevo che per adesso, quel piccolo e insignificante gesto era l’unica cosa che potevo permettermi. 
“Lo sai, lo hai sempre saputo”. sussurrai contro il suo petto bollente.
Sollevai il viso imbarazzata e lo trovai che mi fissava completamente incantato abbandonando immediatamente la sua espressione divertita. 
“Eppure non è mai stato abbastanza”. 
Lo era, solo che avevo troppa paura di ammetterlo a me stessa
 
“Bella, sei sveglia?” 
 
I suoi occhi scuri e profondi non smettevano di guardare i miei, lucidi e tremanti, neanche per un istante. 
“Ti conviene rispondere” sussurrò infastidito. 
Gli diedi ascolto.
“Sì, arrivo subito papà” Urlai, senza smettere un attimo di perdermi nel suo sguardo duro e malinconico.  
Jacob davanti al mio silenzio sbuffò rassegnato e abbassò il viso accostando delicatamente le sue labbra bollenti sulla mia guancia, lasciandovi un piccolo bacio. 
Bastò quel semplice contatto per fare impazzire il mio cuore. 
“Ma io non ho mai smesso di sperare, Bells”. Sussurrò, contro la mia pelle. 
La mia capacità di mettere insieme due parole di senso compiuto sembrava ormai estinta. Mi stava dicendo delle verità innegabili eppure non riuscivo a rispondergli. Così feci l’unica cosa che in quel momento, forse, valeva più di mille parole. 
Agii.  
In un attimo gli afferrai la nuca con la mano e lo baciai, dolce e allo stesso tempo timorosa di un suo possibile rifiuto. Lo baciai e tutto perse d’importanza, tutto tranne il ragazzo meraviglioso che avevo tra le mani.  
Con un gesto possessivo del braccio, Jacob mi afferrò la schiena e mi strinse forte al suo corpo, mentre una sua mano affondava prepotente nei miei capelli. Mi sollevai in punta di piedi e portai le braccia attorno al suo collo mentre lui catturava e mordicchiava piano le mie labbra, leccandone dolcemente il contorno e lambendone l’interno. Era lento, cauto, come se si volesse frenare e non volesse spingersi oltre.  
Trasalii quando le nostre lingue si toccarono lente, desiderose di appartenersi, eppure ancora troppo timorose l’una dell’altra. 
Ero accaldata, completamente soggiogata da lui, dal suo corpo, dalle sue mani grandi e bollenti ancorate saldamente alla mia schiena.
Ma quando cercai di approfondire quel bacio, sempre più vogliosa di lui, Jacob mugugnò qualcosa tra le mia labbra e si allontanò brusco liberandosi dalla mia stretta.
“No, Bella”. 
“S-scusami…sono stata una sciocca”. 
Avrei voluto sprofondare in quel preciso istante tanto mi sentivo in imbarazzo.
Eppure, la sua voce calda e roca mi scaldò il cuore facendomi dimenticare per un attimo la mia follia.
“Non devi scusarti”.  
Con i pollici sfiorava dolce i dorsi delle mie mani e mi fissò a lungo, accarezzandomi col suo sguardo profondo e attento.
“Dovresti scendere da tuo padre, sta parlando da solo da cinque minuti abbondanti”.  
Sbuffai. Non volevo allontanarmi da lui.
“A presto piccola”.
Mi lanciò un’ultima occhiata e si gettò fuori dalla finestra scomparendo nella pioggia.  

 
* * *

 
Come ci si sente quando ci si rende conto che forse stai per raggiungere la più appagata e completa felicità? Quella sensazione di pura e totale serenità che ti fa vedere la vita da una prospettiva completamente diversa?
Non lo sapevo ancora, eppure ero convinta che sarei riuscita a dare una risposta a quelle domande il più presto possibile. 
Ma adesso, l’unica cosa che sapevo con certezza era che la strada che dovevo percorrere era tutta in salita, ma ero comunque fiduciosa. Dovevo esserlo o non avrei mai potuto ottenere ciò che volevo. 
 
Passai la mattinata tra le nuvole, pensando e ripensando a tutto e a niente cercando di capire cosa avrei potuto e non potuto fare, ma alla fine la risposta era sempre la stessa: aspettare e rimboccarmi le maniche.
Mio padre passava il suo tempo a guardarmi senza spiccicare una parola, forse per timore di interrompere i miei pensieri che vorticavano veloci nel mio cervello. Eppure mi sorpresi più volte a ridere senza un motivo ben preciso e per qualunque sciocchezza, come ad esempio sorridere mentre lavavo un piatto o semplicemente quando versavo l’acqua nel bicchiere. Charlie sembrava apprezzare questo mio improvviso cambiamento d’umore e quando capì che il mio momentaneo e passeggero stato di trans non era per depressione ma bensì per felicità, ne approfittò per comunicarmi della vigilia di Natale che avremmo trascorso a casa Clearwater, anziché nel salotto di casa nostra. E questo voleva dire che avrei passato il Natale con tutto il branco, con Billy e ovviamente con lui. 
“Spero che non ti dispiaccia!”
“No, affatto!”   
Mi sentivo talmente carica e piena di energie che, dopo aver preparato un pranzetto con i fiocchi, pulii casa da cima a fondo in meno di due ore! 
Fare tante cose insieme, comunque, riusciva sempre a distrarmi, e quella mattina ne approfittai più del solito visto che l’unica cosa che volevo realmente era catapultarmi seduta stante a La Push e stringerlo tra le mie braccia. Ma avevo deciso che non lo avrei assillato per nessun motivo. Per cui era meglio se rimanevo a debita distanza sia dalla riserva che dal telefono. 
Così, dopo le varie faccende domestiche, decisi di fare un salto a casa di Angela visto e considerato che le avevo promesso che ci saremmo viste prima della vigilia. 
 
Più o meno alle cinque del pomeriggio, mi trovai sotto l’uscio della porta di camera sua, con lei che mi fissava con una strana espressione sul viso.
“Angela tutto bene?”
“Ok, che ti è successo?”domandò insospettita.
“Non so di cosa parli!” 
“Bella sei strana, sembri quasi raggiante! Avanti, sputa il rospo!” 
Forse era arrivato il momento di dirle tutto. E poi avevo un gran bisogno di parlarne con qualcuno.
“Ti ricordi di Jacob Black?”
Angela mi guardò perplessa, ma poi un lampo le attraversò gli occhi e capii che aveva capito. 
“Certo! Oh dio che stupida, ma come diavolo ho fatto a non arrivarci prima?”
Risi davanti alla sua espressione stralunata.
“Che vuoi dire?”
“Voglio dire, tu… la discussione che abbiamo fatto prima del diploma, il matrimonio andato a monte con Edward…tutto torna adesso!” 
“Angela sembri impazzita!” non riuscivo a smettere di ridere.
“Lo ami, non è vero? Lo ami ed è per questo che non ti sei sposata!”
Sussultai e poi arrossii di colpo. I miei sentimenti erano sempre stati miei e basta, e quella fu la prima volta in assoluto che sentii pronunciare ad alta voce quella verità assoluta. 
“Direi che hai centrato il punto”.
D’improvviso mi trascinò per una manica e mi portò a sedere con lei sul letto. 
“Avanti che stai aspettando? Voglio sapere tutto!”. 
Era completamente euforica per cui decisi finalmente di accontentarla.
Iniziai dal principio, raccontandole di quanto fosse diventato importante per me Jacob durante l’abbandono di Edward, della mia confusione sui miei sentimenti verso di lui, del ritorno di Edward e della mia preferenza nei suoi confronti.
“Beh effettivamente non ho mai capito come hai potuto perdonarlo dopo tutto quello che ti ha fatto”. Aveva ragione da vendere, eppure, ancora adesso non riuscivo a darmi una risposta sensata per giustificare quel mio atteggiamento. 
Mi diedi mentalmente della stupida e continuai a raccontare.  
Le parlai del bacio che c’era stato tra me e Jacob nonostante stessi ancora con Edward e del fatto che inevitabilmente dovetti ammettere a me stessa che in realtà ero anche innamorata di lui. Le parlai della mia indecisione, delle due metà di me stessa che tiravano esattamente in due direzioni opposte, di ciò che mi aveva fatto cambiare idea il giorno del matrimonio, della mia corsa folle e disperata per parlare con Jacob e della sua partenza improvvisa. 
A quel ricordo sentii pizzicare gli occhi.
“Oh tesoro, mi dispiace”. Mi prese la mano e la strinse forte tra le sue infondendomi tutta la sua comprensione. 
La mia voce si spezzò nel momento in cui le raccontai di quando Jacob era tornato in città insieme ad un’altra ragazza-ovviamente tralasciando il fatto che fosse il suo imprinting- e della mia dolorosa decisione di lasciarlo andare. 
“Bella, tesoro non ne avevo idea”.
Le raccontai della sua rabbia e del pugno che aveva dato a Tyler nel momento in cui ci aveva visti troppo vicini e della notte precedente, quando lo trovai in camera mia. 
E infine, le parlai di quella mattina e del bacio meraviglioso che c’eravamo scambiati. 
“Tesoro ma è ovvio che ti ama, devi solo dargli tempo, dopotutto gliene hai fatte passare di cotte e di crude”.
“Lo so, Angie e non sai quanto mi odi per questo. Ho solo paura di fare qualcosa di sbagliato e di perderlo di nuovo”
“Non succederà, Bella. Devi solo fargli capire che adesso sei pronta per lui”. 
Fargli capire che adesso ero pronta per lui.
Come se fosse facile, come se non mi scervellassi abbastanza in ogni momento della giornata. E la conclusione a quella affermazione era sempre la stessa: non sapevo come fare, ma ci avrei provato in tutti i modi.
 
Dentro il mio adorato pick up i miei pensieri erano sempre indirizzati a lui, tutto di me era proiettato verso di lui. E la consapevolezza che fossi una sciocca si rafforzò dentro di me. 
Ero stata così cieca durante il periodo in cui mi era sempre stato accanto chiedendo solo un briciolo di quell’affetto che lui mi riservava, e adesso? Adesso ero io quella che desiderava anche solo un suo abbraccio pur di averlo vicino. Lui era parte di me, lo era già da tempo, da quando pensavo che ciò che mi teneva legata a lui era solo una profonda e sincera amicizia. E nient’altro.
Non potevo aspettare ancora. Dovevo vederlo.
Sterzai bruscamente e cambiai direzione, decisa a seguire il mio cuore una buona volta. 
 
Ma poi, bastò una semplice macchina parcheggiata nel vialetto davanti casa sua, una ragazza con delle valigie in mano che si dirigeva nel portabagagli aperto e infine lui, che la seguiva urlando il suo nome, per far crollare tutte le mie speranze come un castello di sabbia.
“Emma, aspetta!”
Vidi lui e lei insieme, legati da una corda invisibile che io, la mia presenza, i miei sentimenti egoistici, avevamo spezzato senza alcuna pietà.  
I miei occhi sgranati registrarono ogni loro mossa, ogni singolo gesto senza perdersi neanche il più piccolo respiro. 
Vedevo lui che provava ad avvicinarsi e lei che non glielo permetteva. Vedevo lei che gli urlava di lasciarla andare e lui che non smetteva di scusarsi impedendole di andare via. E poi, lui che l’abbracciava stretta facendo cadere quelle valigie in un tonfo che fece tremare il mio cuore. 
Stinsi forte la corteccia dell’albero che avevo accanto e piansi in silenzio, insieme a lei.
Stava soffrendo, abbandonata dall’uomo che gli era stato destinato a causa mia. 
La sua sofferenza mi toccava e mi bruciava come acido sulla pelle. Percepivo il suo dolore mentre si staccava da lui e diceva addio all’uomo che entrambe amavamo. 
Trasalii, quando negli occhi di Jacob scorsi lo stesso dolore, la stessa sofferenza, mentre la lasciava andare senza più opporre resistenza. 
E per la seconda volta mi sentii di troppo.
Scappai via, bloccando i miei singhiozzi isterici dentro la gola per non farmi sentire, non volevo che mi vedesse e che si sentisse obbligato a seguirmi. No, lui doveva capire quello che voleva davvero e se avesse scelto di nuovo lei, nonostante avesse spezzato l’imprinting, avrei dovuto accettarlo senza dire una parola.
Arrivai a First Beach e i miei piedi affossarono sulla sabbia facendomi inciampare ad ogni passo che facevo. Il vento cominciò a soffiare più forte scompigliandomi i capelli e scacciando via le lacrime dalle mie guancie prosciugandole del tutto. 
Tremavo. 
Sollevai la cerniera del giubbotto fin sopra al mento e mi strinsi tra le braccia per cercare di scaldarmi, ma inutilmente. 
Il sole stava per tramontare e quel suo scorrere lento tra gli abissi della notte donava al cielo colori a tinte vivaci di tutte le tonalità del viola e del rosso. 
Era davvero uno spettacolo magnifico. 
 
“E’ finita.”
La sua voce arrabbiata e rotta arrivò potente alle mie orecchie facendomi trasalire. Non mi voltai, ero troppo codarda per farlo.  
“E’ venuta qui e mi ha detto addio. Le ho detto addio”.
Dovevo sentirmi felice, al settimo cielo per la seconda volta in un giorno, e invece mi sentivo un mostro. Io avevo ciò che volevo, ma a che prezzo?
“Perché l’hai fatto? Perché hai rinunciato a lei se era la donna perfetta per te? E’ lei che ti è stata destinata, non io…non io”.  sussurrai al vento sperando, inutilmente, che non riuscisse a sentirmi.
Mi afferrò per un braccio e mi fece voltare verso di lui obbligandomi a guardarlo negli occhi. Mi fissava con quello sguardo così dolce e meraviglioso che solo lui riusciva ad avere.
Ma quella visione stupenda fu rovinata dalle lacrime che cominciarono a sgorgare prepotenti dai miei occhi.
“Questo non mi ha mai impedito di scegliere te,Bells. Lo sai, lo hai sempre saputo.”
“Lo so e mi spaventa da morire.” 
“Perché?” Ovvio che non capiva, e come avrebbe potuto?
“Perché sei qui con me e io…io ho paura di tutto, Jacob! Ho paura di guardarti, di toccarti, ho paura che tu ti renda conto del grosso errore che hai commesso nell’aver lasciato andare Emma e che tu possa scomparire di nuovo. Io non ce la faccio, non posso, non voglio perderti!”.
Mi abbracciò stretta e piansi più forte, aggrappandomi alla sua maglietta con disperazione.  
Ero un vero disastro, non avrei mai dovuto urlargli addosso tutte le mie preoccupazioni eppure non riuscii a contenermi, non più. 
Mi sentivo vulnerabile, inadeguata e innamorata come non mai. E la cosa mi terrorizzava da morire.
Jacob mi afferrò il viso con le mani e i singhiozzi si placarono immediatamente. 
“Guardami Bella. Io non vado da nessuna parte è chiaro?”
Scossi la testa dall’alto in basso con lentezza continuando a perdermi nel suo sguardo determinato e intenso.
“Ho sconfitto l’imprinting perché mi è praticamente impossibile starti lontana, non lo hai ancora capito? Ho cercato in tutti i modi di dimenticarti, di lasciarti andare ma non ce l’ho fatta.”
I suoi pollici spazzarono via le lacrime dalle mie guancie. 
“Ti amo Bella, ti amo in un modo incredibile e spaventa anche me. Mi spaventa perché io ti ho già persa tante volte e so cosa si prova quando la persona che ami di più al mondo ti lascia spezzandoti il cuore. E non voglio che succeda ancora, non posso permettermelo”
Subito gli afferrai il viso con entrambe le mani e lo baciai sulle labbra. 
“Non succederà, Jake. Te lo prometto!”. 
Mi sorrise, di quel sorriso ampio e solare che tanto amavo e che tanto mi mancava. 
Affondò le sue mani tra i miei capelli e, prima che riuscissi a dire altro, ricominciò a baciarmi divorandomi completamente. Lui baciava, leccava, mordeva le mie labbra, il mio mento, il mio collo fino allo sfinimento, facendomi impazzire. Continuammo così a lungo senza smettere mai, perdendo la cognizione del tempo. Interrompere il contatto fra di noi era praticamente impossibile.
Per la seconda volta nella mia vita fu come se io e Jacob Black fossimo diventati una persona sola.
La sua gioia, la mia gioia. 

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Capitolo 33
*** VIGILIA ***


Capitolo 28:
Vigilia
 
 


Le mie mani frugavano dentro le tasche del giubbotto giocando distrattamente con le chiavi di casa in un palese, quanto goffo, tentativo di perdere tempo e di ritardare, anche se solo di pochi secondi, la nostra separazione. 
“Allora… te ne vai”.
Rendere quella frase una semplice constatazione fu impossibile, perché non riuscii proprio a nascondere la delusione della mia voce nel pronunciare quelle quattro parole sconnesse. E Jacob mi conosceva fin troppo bene per non accorgersene. Lo sentii ridacchiare mentre con due dita mi afferrava per il mento e mi costringeva ad alzare lo sguardo verso il suo bellissimo viso.
“Devo”. 
Mi corresse, mentre la sua bocca si posava leggera sulla mia in un tenero bacio a fior di labbra. 
Chiusi d’istinto gli occhi e mi lasciai andare a quel dolce contatto sentendo un brivido lungo la schiena. 
Mi sentivo estremamente esausta ma felice e soddisfatta come mai nella mia vita. Avevamo passato delle ore splendide sulla spiaggia a baciarci e a coccolarci come due assetati che trovano la loro oasi dopo un lungo e tortuoso pellegrinare.  
Avevo conquistato finalmente il mio equilibrio, mi ero ricongiunta con la mia metà, il mio pezzo mancante e tutte le paure, tutte le delusioni, i dubbi, i rancori che si celavano dentro di noi scomparvero del tutto. 
Adesso non rimaneva altro che noi e la nostra storia tutta da scoprire e da scrivere. 
Eppure avevo paura di sbagliare ancora, paura di catapultarmi in una relazione completamente diversa da quella a cui ero abituata, una relazione che, ne ero certa,  mi avrebbe sconvolto corpo e anima facendomi immergere completamente in un rapporto da esseri umani, da persone vere che si desiderano e che non possono fare a meno l’una dell’altra. 
Ed era questo ciò che più mi terrorizzava e mi eccitava al tempo stesso: il poter stare insieme ad una persona e potermi spingere oltre, senza limiti, senza la paura che il mio compagno potesse perdere il controllo da un momento all’altro. 
Riaprii gli occhi e lo ritrovai lì, immobile, che mi fissava con lo sguardo più intenso del pianeta. 
Mi rivolse un sorrisetto furbo dei suoi allontanandosi dal mio corpo quel tanto che bastava per poterlo ammirare in tutta la sua bellezza. La luce fioca dei lampioni gli illuminava il viso e le braccia scoperte donando alla sua pelle una tonalità ancora più dorata e magnifica. 
“Adesso devo proprio andare Bells.” 
Sbuffai infastidita da quel deludente epilogo e con un colpo deciso afferrai quelle dannate chiavi dalla tasca e le tirai fuori stringendole saldamente nella mano. 
“Bene. Buonanotte.”
Dio, quanto ero teatrale! Ma non riuscivo proprio a frenarmi, adoravo litigare con lui. 
Gli lanciai un’occhiataccia e gli diedi le spalle infilando decisa le chiavi nella toppa. 
Stavo per dare uno scatto deciso quando una mano calda e forte afferrò la mia e in un attimo mi ritrovai con le spalle contro la porta e le sue mani che stringevano i miei polsi ai lati del mio viso. 
“Non così in fretta” Sussurrò sensuale contro la mia pelle e prima che potessi replicare, le sue labbra trovarono le mie in un bacio che di dolce aveva ben poco, un bacio che non aveva niente a che vedere con quello semplice e meraviglioso che ci eravamo scambiati qualche minuto prima. No, questo era prepotente, voglioso, quasi rude, e più lo era più mi piaceva. Jacob lasciò la presa dai miei polsi e mi strinse forte al suo corpo mentre le mie mani, come impazzite, affondavano tra i suoi capelli attirandolo sempre più vicino a me. Il desiderio folle di sentire le sue labbra premere sulle mie, di percepire il suo corpo caldo contro il mio, le sue mani dappertutto sul mio corpo, era qualcosa che non potevo controllare anche volendo e mi spiazzava ogni volta. 
Mi sentivo rinata, appagata, finalmente completa. 
Le nostre labbra si allontanarono insieme, ancora pulsanti di desiderio. 
La sua voce roca e calda arriverò al mio orecchio in un piccolo sussurro.
“Adesso va' prima che mi rimangi tutto e ti rapisca.” 
Ridemmo insieme, di gusto e lo strinsi forte a me immergendo il viso sul suo petto bollente.   
Non volevo lasciarlo, ed era inutile dire che sarei scappata con lui anche adesso, ma aveva ragione, io dovevo entrare in casa e allontanarmi da lui il più in fretta possibile o avrei perso del tutto la sanità mentale. 
“Va bene,vorrà dire che farò a meno di te per stasera!” 
“Sicura che riuscirai a sopravvivere? ” Ridacchiò divertito stringendo ancora di più il mio corpo contro il suo. 
“Sicurissima! E il mio mondo non gira tutto intorno a te Jacob Black!” 
Mentii spudoratamente. E lui lo sapeva.
In un attimo la sua espressione divertita venne sostituita da uno sguardo dolce e attento.
Non mi sarei mai abituata a quello sguardo disarmante che riusciva a leggermi e a capirmi come nessuno era mai riuscito a fare in tutta la mia vita.
Si chinò sulle mie labbra e, dolce come non mai, pronunciò: “Ti amo Bells”
Sorrisi felice fino all‘inverosimile avvertendo un leggero tepore provenire da dentro il mio petto. 
Adesso era tutto perfetto e io non dovevo più aver paura dei miei stessi sentimenti.
Non più.
Mai più.
“Ti amo anche io Jake” e le nostre bocche tornarono a pretendersi con un’intensità tale da togliermi il fiato. 
Il mio cuore, la mia anima, il mio corpo, tutto, tutto di me ormai gli apparteneva. 
 

***

 
Charlie stava davvero attentando alla mia pazienza già alquanto limitata. Era da circa un’ora che bussava alla mia porta con insistenza, ribadendo che voleva evitare il traffico e che voleva arrivare a casa di Sue il più in fretta possibile per poterla aiutare con i preparativi della serata.
“E poi lo sai che odio arrivare tardi”
Lo sapevo bene, ma questo non giustificava il fatto che dovesse torturarmi in quel modo visto che mancavano ancora due ore prima della cena ed io ero ancora più nervosa di lui, maledizione.
Non riuscivo a decidermi su niente, né sui vestiti da indossare né tanto meno se mettere o no un semplicissimo profumo.
Ero davvero ridicola. 
Sentivo come se un grosso macigno mi stesse schiacciando il petto e mi impedisse di respirare regolarmente, per non parlare del mio povero cuore che non aveva smesso un attimo di battere come un tamburo impazzito, tant’è che credetti davvero di star per avere un infarto. Ma in realtà sapevo bene che si trattava solo di una profonda agitazione che non mi aveva abbandonata neanche per un istante da quando avevo aperto gli occhi quella mattina… se solo fossi riuscita a dormire. 
Avevo trascorso la notte praticamente insonne, temevo di chiudere gli occhi e di perdere quella sensazione magnifica di pienezza e completezza che, ero sicura, non avevo mai provato prima di allora. Mi giravo e rigiravo nel letto ridendo e piangendo allo stesso tempo come una stupida, arrossendo violentemente ogni volta che immaginavo e sentivo le sue labbra calde e morbide premere contro le mie, le sue braccia forti attorno al mio corpo e i suoi occhi che penetravano i miei togliendomi il respiro. 
Mi sentivo forte, invincibile, come se potessi affrontare e sconfiggere qualsiasi cosa perché avevo finalmente tutto ciò di cui avevo bisogno e che desideravo.  
Eppure quel pomeriggio il mio stato d’animo era un tantino diverso: mi sentivo imbarazzata, agitata, nervosa, mi tremavano le mani e il mio cervello sembrava essersi preso una bella vacanza.
Quella sera l’avrei rivisto e non riuscivo a pensare a nient’altro che non fosse lui, che non fossimo noi, insieme. 
“Bella, ti aspetto di sotto”.
Finalmente. 
“D’accordo, dammi altri dieci minuti e sono pronta”.
Balzai giù dal letto e mi gettai dentro l’armadio alla ricerca di qualcosa di decente da mettere. Le uniche cose che trovai e che potessero essere considerate carine furono un maglioncino bianco con lo scollo a V e dei jeans grigio scuro. Li indossai svelta e con entrambe le mani ravvivai i capelli che adesso scendevano sinuosi lungo la schiena e le spalle. Infilai un paio di ballerina e mi precipitai di sotto.
“Eccomi, possiamo andare”
Rimasi piacevolmente sorpresa da ciò che vidi: mio padre non si era mai vestito così bene prima d’ora. Indossava un completo nero e una camicia bianca sotto la giacca e per una volta aveva anche fatto la barba. 
“Papà stai benissimo!”
Le sue guancie si arrossarono di colpo e senza guardarmi afferrò il cappotto e borbottò un: “Sbrighiamoci o faremo tardi”.
“Agli ordini capo Swan!”
 
 
Il tragitto fu silenzioso come sempre, e magari in un’altra occasione avrei pure tentato di fare conversazione, ma la mia lingua era come paralizzata. Il nervosismo ricominciò a farsi sentire e aumentò spudoratamente nel momento in cui arrivammo a destinazione. Tutta La Push era addobbata e illuminata di luci e festoni natalizie, e mi meravigliai di come quel posto riuscisse ad essere magico anche in quel momento particolare dell’anno. Non che mi importasse di per se il senso del Natale, ma in questo giorno tutto sembrava acquistare un non so che di fantastico e di incantato. 
Specialmente La Push.
Charlie parcheggiò la macchina davanti casa Clearwater e li mi bloccai.
“Bella, tutto bene?”
“Sì, benissimo” 
Tremavo ed ero più che sicura che non fosse per il freddo.
“Coraggio andiamo”
Papà aprì lo sportello e mi aiutò a scendere dall’auto tenendomi sotto braccio. 
Imbranata e scoordinata com’ero sarei finita sicuramente per terra. 
“Charlie, Bella! Benvenuti e Buon Natale!” 
“Buon Natale!” rispondemmo quasi in sincronia.
Sue ci accolse con un gran sorriso e un mega abbraccio che riservò prima a me e poi a mio padre. 
Erano passati quasi due anni dalla morte di Harry, eppure Sue non aveva mai smesso di essere sempre positiva e sorridente, proprio come in quel momento. Era una gran donna e la sua forza, la sue tenacia nell’andare avanti a testa alta mi avevano portato a stimarla ogni giorno di più. E per mio padre era la stessa identica cosa. Charlie voleva un gran bene al suo migliore amico e, forse per riconoscenza o semplicemente perché ne sentiva il bisogno, ogni volta che aveva un minuto libero o quando usciva da lavoro, faceva sempre visita a Sue solo per assicurarsi che stesse bene o solo per aiutarla con dei lavoretti domestici. La loro amicizia era diventata sempre più forte e profonda in questi anni e lo si capiva dal modo in cui mio padre la guardava e dal modo in cui lei gli sorrideva. 
Forse ero diventata fin troppo romantica, ma quei gesti che si scambiarono mi fecero intuire che, forse, mio padre provava qualcosa di più di una semplice amicizia nei confronti di quella donna meravigliosa.
“Accomodatevi! Stavamo aspettando solo voi!”
Solo noi? Erano già tutti li?
Effettivamente il gran baccano che proveniva dal soggiorno era una risposta più che esauriente.
L’agitazione tornò a farsi sentire e lo sfarfallio allo stomaco divenne insopportabile. Tant’è che saltai praticamente per aria quando sentii chiamare il mio nome seguito da una specie di urlo Quileute.  
“Bella, finalmente sei arrivata!” Seth spuntò dal nulla e in un attimo mi prese tra le braccia stringendomi forte a se.
“Seth, n-on r-espiro!” Boccheggiai mentre lui continuava a stritolarmi.
Scoppiammo a ridere insieme quando,fortunatamente, mi poggiò nuovamente a terra.
“Salve Charlie!” 
“Ciao Seth!”
“Ti dispiace se ti porto via tua figlia?” 
“Certo che no, fa pure figliolo!” 
“Vieni Bella!” 
Seth mi afferrò per il braccio e in un attimo mi trascinò in soggiorno dove trovai tutto il branco ad aspettarmi.
“Guardate chi c’è, Bella Swan!”
“Salve ragazzi!” 
“Bella, Buon Natale!”
Emily mi raggiunse e mi abbracciò stretta a se sorridendo. Ricambiai l’abbraccio e la strinsi a mia volta.
“Emlily, sono davvero felice di vederti! Buon Natale!”
Salutai tutti, dal primo all’ultimo e stranamente anche Leah Clearwater ricambiò il mio saluto e gli auguri. 
L’aria natalizia faceva bene a tutti, tranne alla sottoscritta!
 
“Bella” 
“Billy! Buon Natale”. 
Il migliore amico di mio padre spinse la carrozzina con entrambe le braccia e si avvicinò a me facendomi cenno di abbassarmi. Con enorme impaccio ed imbarazzo mi chinai verso di lui e rimasi del tutto scioccata quando le sue braccia mi avvolsero abbracciandomi con forza. 
Billy non aveva mai avuto questi slanci di affetto nei miei confronti, soprattutto negli ultimi dieci mesi, eppure mi sentii bene, tra le sue braccia era come se fossi tornata a casa.
“Spero che vada tutto bene Bella, lo spero davvero” fu solo un sussurro il suo, ma che mi arrivò dritto al cuore. 
Sapevo bene a cosa si stesse riferendo. Lui sapeva tutto, sapeva dell’imprinting e sapeva di noi.
Ma lui dov’è? 
Alzai lo sguardo oltre la sua spalla e fu in quel momento che lo vidi. Era lì, di fronte a me, con le spalle poggiate al muro e con addosso dei semplici jeans scuri e una camicia nera. 
Era bellissimo, e ogni giorno che passava lo diventava sempre di più. 
I suoi occhi scivolarono nei miei ed io mi immersi completamente in quelle iridi ardenti capaci di farmi tremare il cuore fino a scoppiare. 
Continuammo a fissarci mentre rispondevo a Billy nell’unico modo possibile, con le uniche parole che in quel momento mi invadevano anima e corpo.  
“Io lo amo, Billy. E ce la metterò tutta, te lo prometto”. 
 
 
“Avanti Paul smettila di fare l’idiota e dammi quel piatto di pasta!”
“Ma neanche se piangi in turco!”
“Paul, Embry, smettetela tutti e due o stasera rimarrete a digiuno!”
Scoppiai a ridere insieme al resto della tavolata davanti a quella divertente schermaglia fra quei due poveri lupi affamati. Era da tutta la sera che non facevano altro che litigare per tutto ciò che di commestibile si riuscisse a trovare su quel tavolo provocando l’ilarità di tutti noi. 
Cercai per tutta la durata della cena di concentrarmi almeno su quello. 
Perché lui era seduto di fronte a me e mi fissava, semplicemente. 
Non mi aveva ancora toccata, mai.
Non mi aveva baciata, neanche una volta.  
Si limitava a sorridermi, a scrutarmi, anticipava le mie mosse quando, ad esempio, avevo bisogno di un po’ d’acqua che lui, puntualmente, mi versava nel bicchiere sfiorando di tanto in tanto la mia mano con la sua. E poi, ma solo per un attimo, allontanava il suo sguardo dal mio e dispensava sorrisi a destra e a manca scherzando con i suoi fratelli e scambiando qualche parola con Charlie che era seduto al mio fianco. 
Era più che scontato che avesse sentito la mia conversazione con suo padre, per cui: che si stesse divertendo a farmi impazzire?
Sì. Decisamente sì.
E dovevo ammettere che ci stava riuscendo alla grande. 
“Allora Bella, come stai?”
“Bene, adesso che le lezioni sono finite ho molto tempo per me stessa.”
“Sai, sei mancata a tutti e sono davvero felice di averti ritrovata. Devi venire più spesso!” 
Mi lanciò un sorrisetto eloquente che mi fece arrossire. 
“Anche voi mi siete mancati, non sai quanto. E mi dispiace di non averti fatto visita in questi mesi ma sai… beh…io…”
“Lo so Bella, ma va tutto bene, non preoccuparti!” mi abbracciò stretta e mi sussurrò all’orecchio “Meglio tardi che mai!” Sorrise ed io la strinsi a me più forte che potevo. 
“Grazie Emily” 
 
Mancavano meno di dieci minuti alla mezzanotte e lui continuava a stare a distanza di sicurezza.  
Scherzava con Quil, Paul ed Embry e mi lanciava di tanto in tanto qualche occhiata. Ma niente di più. 
Adesso stata davvero esagerando! 
Mi alzai di scatto dalla sedia, cogliendo Emily di sorpresa. 
“Bella, tutto bene?” 
“Sì, non preoccuparti. Torno subito”.
“Va pure, ti aspetto qui!”
Attraversai il corridoio e andai spedita verso quello che ricordavo essere il bagno, ma prima che potessi toccare la maniglia, due mani bollenti mi afferrarono per la vita e mi trascinarono velocemente dentro una stanza buia.
“Ma che…Jake?”  
“Sssh”
Chiuse subito la porta alla mie spalle e in un attimo mi ritrovai schiacciata fra il muro e il suo corpo bollente e le sue labbra incollate alle mie. Cominciò a baciarmi, a toccarmi con smania crescente, facendomi sussultare. 
Sorrisi estasiata davanti a quella sua voracità e in un attimo mi avvinghiai alla sua schiena, alle sue spalle larghe, toccandole con frenesia.
Era da tutta la sera che non aspettavo altro. 
Le sue labbra scesero a lambire il mio collo leccandolo con ingordigia e d’istinto portai la testa all’in dietro per concedergli maggior porzione di pelle. Un piccolo e profondo gemito mi uscì dalle labbra quando la sua mano tracciò una scia bollente dal mio fianco fino alla coscia afferrandola saldamente e portandola sul suo fianco con forza. 
In preda al delirio, gli gettai le braccia al collo affondando le mani tra i suoi capelli e lo baciai ancora, affamata, mordendogli le labbra e il collo senza sosta.    
Ma quel momento di pura follia finì esattamente com’era iniziato. 
All’improvviso e troppo in fretta.  
“Perché ci hai messo tanto?”.
“Perché aspettavo il momento giusto per rapirti!”.
Sussurravamo entrambi, la risata spezzata, il respiro irregolare, i cuori impazziti.
Lasciò andare la presa sulla mia coscia e con delicatezza poggiò la sua fronte sulla mia. 
E poi un coro, il conto alla rovescia e il rumore di uno spumante stappato. 
La mezzanotte.
“Buon Natale amore mio”
Gli diedi un bacio leggero sulle labbra e poggiai il mio viso contro il suo petto dove potei sentire il suo cuore battere veloce, in sincrono col mio. 
“Buon Natale Jake.”
Rimanemmo abbracciati per dei minuti interminabili ascoltando il battito dei nostri cuori e gli schiamazzi provenienti dal salotto che facevano da sotto fondo alla nostra piccola quiete. 
“Jake forse dovremmo tornare o si chiederanno che fine abbiamo fatto”.
“Di questo non devi preoccuparti e poi non crederai mica che ti lascerò andare così facilmente!”
“Che intenzioni hai?” 
“Ti fidi di me?” 
Certo che mi fido.
Annuii contro il suo petto e lui mi diede un leggero bacio sulla tempia.
“Andiamo!”.

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Capitolo 34
*** UN'UNICA COSA ***


Capitolo 29:
Un'unica cosa.
 
 
I legami che ci vincolano a volte sono impossibili da spiegare, 
ci uniscono anche quando sembra che i legami si debbano spezzare. 
Certi legami sfidano le distanze, il tempo e la logica.
 Perché ci sono legami che sono semplicemente destinati a essere.
 
 
“Jake ma…”
“Ssh” 
Mi trascinava dolcemente lungo il vialetto senza dire una parola tenendomi saldamente per mano, e ogni volta che provavo a dire qualcosa, lui mi zittiva con quel “Ssh” per poi ripiombare nel silenzio assoluto. 
E più lui rimaneva in silenzio più la mia agitazione aumentava a dismisura. Non avevo la ben che minima idea di dove stessimo andando e magari qualche tempo prima questo mi avrebbe fatta ridere insieme a lui, ma adesso no, adesso la situazione era ben diversa. 
Abbassai lo sguardo e mi sorpresi ad osservare più del dovuto le nostre mani unite che oscillavano avanti e indietro. 
Non era certo una novità per noi camminare mano nella mano, lo avevamo sempre fatto, ma quella sera c’era qualcosa di diverso nell’aria. Qualcosa che mi faceva sentire irrequieta e ansiosa al tempo stesso. 
Risollevai subito lo sguardo ed incontrai il suo bel profilo. Aveva la fronte leggermente aggrottata, lo sguardo serio in un’espressione assorta, concentrata, eppure, in un modo o nell‘altro, sapevo che anche lui stava percependo le mie stesse sensazioni. 
Un lampo gli attraversò gli occhi e si fermò di colpo. 
“Siamo arrivati”.
Seguì il punto esatto indicato dalla sua mano e rimasi piacevolmente stupita di ciò che mi trovai davanti. 
“Il tuo garage?”
“Diciamo che volevo un posto tranquillo per poter stare da solo con te, e questo è l’unico che mi sia venuto in mente!”
Sciolse il nodo delle nostre dita e si posizionò esattamente di fronte a me.
“Adesso però ho bisogno che tu chiuda gli occhi”.
“E perché mai dovrei chiudere gli occhi?”.
“Hai detto che ti fidavi, per cui smettila di fare domande Swan!”.
Era inutile discutere con Jacob, alla fine l’aveva sempre vinta lui. 
Chiusi gli occhi e attesi.
Sentì il rumore della serratura che scattava e le due ante enormi aprirsi con un scricchiolio. 
Due mani enormi afferrarono le mie spalle da dietro e mi fecero avanzare nel buio più totale.  
“Non sbirciare!”.
Sorrisi.
“Non sbircio”.
Mi sentivo ridicola e anche parecchio impacciata visto e considerato che non riuscivo a stare in piedi neanche sotto la luce del sole, ma con lui sarei andata anche in capo al mondo, con gli occhi bendati e col rischio di cadere ogni due per tre, se me l’avesse chiesto.  
Avanzammo ancora, e quando si fermò avvicinò le sue labbra al mio orecchio.
“Apri gli occhi”.
Rimasi completamente a bocca aperta: gli attrezzi, le moto, la sua auto, era tutto sparito. 
Al loro posto una coperta rossa enorme era stesa sul pavimento in legno e attorno ad essa, e un po’ ovunque, erano sparsi centinai di candele che donavano alla stanza una luce dorata e intensa. 
“Jake ma è magnifico!”
Mi avvolse da dietro e poggiò dolcemente le sue labbra sul mio collo.
“Sono contento che ti piaccia”
“Ma hai fatto tutto da solo?”
“No, non tutto, Embry mi ha dato una mano”.
Si allontanò da me e accese la piccola radiolina che si trovava sopra il mobile dove solitamente teneva tutti i suoi attrezzi. 
Una canzone dolce e lenta si propagò dentro le quattro mura e la mia agitazione tornò a farsi sentire.
Era un atmosfera surreale e familiare al tempo stesso. Era lo stesso posto che mi aveva accolta quando ero ridotta poco più che un essere umano, che mi aveva protetta quando ne avevo più bisogno con quell’odore di casa e di legno bagnato che avevano da sempre stuzzicato il mio olfatto. 
Eppure, c’era qualcosa di diverso.
“Ti va di ballare?”. 
“Sono una frana a ballare e lo sai anche tu”.
“Eppure non sembrava che avessi problemi quando hai ballato con quel tizio al locale”.
Arrossii violentemente.  
“Touchée”. 
Ridacchiò divertito davanti al mio imbarazzo.  
“Scusa! Farò il bravo, te lo prometto!”.
“Ne dubito”.
“Così mi offendi! Abbi un po’ di fiducia!”. 
Allungò il braccio e stese la sua manona verso di me. 
“Adesso, per favore, balleresti con me?”
Sorrideva, e quando Jacob Black sorrideva in quel modo incredibile era praticamente impossibile resistergli. 
Roteai gli occhi e sbuffai tentando di nascondere il più possibile tutta l’agitazione che scorreva nel mio corpo come sangue nelle vene. 
“Se proprio devo”.
Un po’ titubante poggiai la mano sulla sua e una scossa elettrica trapassò la mia spina dorsale facendomi fremere. Jacob mi avvicinò al suo corpo con lentezza abbandonando immediatamente la sua espressione divertita. Mi guardava fisso negli occhi ed io mi persi per la millesima volta dentro quei pozzi profondi e neri. 
Non c’erano parole per descrivere il modo in cui lui mi guardava. 
Riusciva a sconvolgermi totalmente ed era qualcosa che mi imbarazzava e mi eccitava al tempo stesso perché nessuno era mai stato capace di guardarmi in quel modo. 
Ancora immersa nel suo sguardo mi accorsi troppo tardi che Jacob aveva incollato il mio corpo al suo, quasi a fondersi l’uno con l’altro. Si chinò dolcemente verso il mio viso e cominciò a baciarmi lento, cauto stringendomi ancora di più contro il suo petto. Le mie labbra si trovarono a rispondere al suo bacio con una facilità incredibile, si muovevano con le sue senza fretta, senza strani scatti o voracità improvvisa, ma solo con una dolcezza infinita. 
Poggiai le mie mani sul suo petto mentre le sue braccia avvolgevano la mia schiena in una dolce morsa. Sentii il battito impazzito del suo cuore attraverso i miei palmi, in perfetta sincronia col mio. 
Mi staccai dalle sue labbra e poggiai anche la mia testa contro il suo petto lasciandomi guidare dal suo dondolare e da quella meravigliosa canzone che continuava ad espandersi per tutta la stanza. 
 
“Voglio farti vedere qualcosa”.
“Che cosa?”
Infilò una mano dentro la tasca dei suoi jeans senza mai interrompere il contatto tra i nostri corpi e tirò fuori una pietra bianca e lucida di una strana forma, molto simile ad una foglia. 
Lo guardai perplessa. 
“Una pietra?” 
“Già. Forse non te lo ricordi nemmeno, ma quando eravamo bambini mi dicevi sempre che io ero il tuo cavaliere e che ogni volta che ti sentivi in pericolo o avevi paura pensavi a me e subito riuscivi a tranquillizzarti. Ed è per questo che il giorno prima di partire per la Florida con tua madre, mi hai regalato questa pietra, perché ti sentivi in debito con me. Volevi che ti aspettassi e che mi ricordassi di te anche quando saresti stata lontana”.
La afferrai e la rigirai tra le dita osservandola per bene.  
“La conservo da allora Bells”.  
Era impossibile spiegare quello che provai in quel preciso momento. Tutta la mia vita, la nostra vita passata, mi travolse come un uragano e vidi ciò che eravamo stati: io e lui insieme, la me bambina che raccoglieva dalla spiaggia l’unica pietra bianca in mezzo a tutte quelle nere e scure che abitavano First Beach. Vidi quella stessa bambina cha piangeva mentre donava la pietra al piccolo Jacob con la promessa che si sarebbero rivisti molto presto.
Ma da quel giorno erano passati ben nove anni.  
“Non posso credere di averlo dimenticato” sussurrai ancora sotto shock. 
Le sue dite sfiorarono il mio viso asciugando le mie guancie bagnate di lacrime.
“Non importa, hai avuto altre cose a cui pensare in questi ultimi tre anni”.
“Invece si che importa, Jake! Sono una vera stupida!”. 
Mi baciò le labbra con una dolcezza incredibile non prestando attenzione alle mie parole sconnesse. 
“Bella, ti ho aspettata per così tanto tempo che non mi importa di nient’altro, credimi”. 
“Ma…”
“Ssh, smettila!”.
Mi accarezzava dolce il viso e ci fissammo a lungo, senza dire una parola. Nei suoi occhi riscoprii quel bambino, quello stesso bambino che quel giorno di pioggia mi aveva promesso che mi avrebbe aspettata per sempre. 
Ma come diavolo ho fatto ad essere così idiota?  
“Scusami”.
“Adesso sei qui, il resto non conta”. 
Le sue labbra tornarono ad appropriarsi delle mie ed io mi lasciai travolgere dalla sua irruenza improvvisa mentre affondavo le dita tra i suoi capelli stringendoli con forza. 
I nostri respiri si fecero più affannosi e spezzati e ormai facevamo tutto tranne che ballare. 
Poi fu un attimo: le sue mani mi afferrarono le cosce e mi portarono a cavalcioni su di se poggiandomi su un ripiano in legno. 
“Bella io…” 
Il suo respiro caldo e irregolare si infranse sul mio viso e i suoi occhi non mollarono i miei neanche per un attimo. 
Tremavo di desiderio. Avevo bisogno di lui come l’aria che respiravo. 
Svelta posai due dita sulle sue labbra.
“Ssh, non dire niente” la mia voce era poco più di un sussurro.
Tolsi le dita dalla sua bocca e le portai fino al suo petto dove, incerta, cominciai ad armeggiare con i bottoni della sua camicia. Con entrambe le mani accarezzai le sue spalle larghe e feci scivolare quell’inutile pezzo di stoffa sul pavimento. 
Il mio amore sospirò forte e mi baciò piano il collo accarezzando le mie cosce con brama crescente. 
Non capivo più nulla, il desiderio che avevo di lui era talmente forte da farmi dimenticare perfino il mio nome. 
Le sue mani sparirono sotto il mio maglioncino e dolcemente lo sfilarono via. 
Non c’era imbarazzo, non c’era nulla, solo desiderio e voglia di lui. Nient’altro. 
Gli afferrai le mani e le baciai con dolcezza. Lui mi fissava estasiato, come se fossi l’essere più prezioso sulla faccia della terra, con quegli occhi scuri e profondi che riuscivano a comunicare al posto delle parole. 
Sapevo cosa mi stavano chiedendo. 
Certo che sono sicura amore mio.
Gli afferrai il viso e lo baciai a lungo, avvicinandolo ancora di più al mio corpo. 
Lo volevo, lo desideravo con tutta me stessa.
 
Tutto attorno a me cambiò forma e consistenza. Il mio divenne un mondo parallelo, nuovo, magico, un posto destinato solo per gli spiriti affini. Un luogo solo per noi due.  
Mi trovai in un’altra galassia quando Jacob mi afferrò per i fianchi e il suo sguardo si fece più intenso, più sicuro, determinato a farmi finalmente sua. Mi feci guidare a suo piacimento stringendo saldamente le cosce attorno al suo bacino e le braccia sulle sue spalle larghe e forti. Mi baciava, mi consumava le labbra come un affamato che si nutre finalmente della sua pietanza preferita. Ed io lo baciavo con la stessa urgenza, senza inibizioni, ma solo con puro e intenso desiderio.
Lentamente, si inginocchiò sul pavimento e, con una mano premuta sulla mia schiena, mi lasciò scivolare sulla coperta con dolcezza. Sentivo le sue mani fremere sulla mia pelle nuda, il suo respiro spezzato infrangersi contro il mio viso e i suoi occhi profondi che continuavano a parlarmi. 
Lo bacio e tutto il resto scompare. 
Io baciavo Jacob e tutto dentro di me scoppiava come una bomba ad orologeria. Lo baciavo e le mie mani cercavano vogliose il suo petto, si incastravano tra le linee perfette dei suoi addominali e si perdevano sul bottone dei suoi jeans che lui fece cadere sul pavimento senza difficoltà. 
Mi leccava il collo, le spalle nude senza fermarsi mai, mentre le sue mani si liberavano del mio reggiseno e dei miei jeans con una mossa fluida e repentina. 
Fremevo a contatto con il suo corpo bollente, tremavano le mani del mio uomo quando si impossessarono del mio corpo nudo e voglioso. Sussultai quando anche gli ultimi indumenti che indossavamo finirono sul pavimento. 
Poggiò la sua fronte contro la mia e respirò a fondo.
“Ti amo piccola, ti amo da impazzire”.
Lo baciai e in quel momento mi resi davvero conto di quanto infinito e sconfinato fosse l’amore che provavo per lui. Era avvolgente, talmente intenso che faceva male al cuore. 
“Ti amo anche io Jake”.
Riprese a baciarmi e intrecciò le nostre mani poggiandole ai lati del mio viso. 
E poi tutto divenne rosso, fuoco bollente nel momento in cui penetrò la mia carne facendomi gemere. 
Ma non sentii dolore, non sentii nulla, solo fiamme ardenti che avvolgevano la mia anima donandomi una pura e completa sensazione di benessere. 
Tremava il mio corpo, fremeva la mia anima, vibrava il mio cuore di un desiderio nuovo e travolgente.  
Il mio amore sospirò forte e strizzò gli occhi come a volersi controllare, come a voler tenere a freno il lupo che era dentro di lui. Le braccia erano tese ai lati del mio viso e tremava. Gli accarezzai la guancia, la schiena con dolcezza e gli baciai le labbra per trasmettergli tutto l’amore possibile. 
Fu un attimo e sentii i suoi muscoli rilassarsi sotto le mie mani. Le sue labbra afferrarono le mie e cominciò a baciarmi con impazienza ed io mi lasciai andare avvolgendo le gambe attorno ai suoi fianchi per sentirlo più vicino.  
Mi aggrappai alle sue spalle e affondai le unghie sulla sua pelle nel momento in cui lo sentii spingere più forte. 
Eravamo un’unica cosa, le due parti della stessa mela che si incastrano alla perfezione, eravamo le due metà di una stessa anima che per troppo tempo erano state costrette a vivere separate. 
Ma adesso sapevo di essere sua. Mi sentivo sua e non c’era sensazione più bella al mondo. 
Ero piena di lui, del suo calore, della sua dolcezza, ma anche della sua irruenza, del suo essere lupo che non lo abbandonava mai, neanche in quel momento così magnifico. 
La sua mano stringeva le mie natiche e la mia coscia spingendo più a fondo, mentre l’altra teneva stretta la mia nuca.
Potevo percepire i nostri cuori che battevano all’unisono, mentre le nostre labbra si cercavano senza sosta e le sue mani erano ovunque sul mio corpo. 
Era la danza infinita di due corpi uniti e incastrati alla perfezioni che non riuscivano a smettere di pretendersi e di amarsi. 
E mi sentii viva, come non lo ero mai stata.   
 
Rimanemmo abbracciati a lungo, mentre mi accarezzava i capelli e mi baciava la fronte in religioso silenzio. 
Sarei potuta rimanere lì, tra le sue braccia, per sempre e non avrei avuto bisogno più di nulla. Era lui il mio tutto.
Distrattamente poggiai il palmo della mia mano sul suo petto e mi beai del battito lento e regolare del suo cuore. 
“E’ tuo”.
Alzai gli occhi verso il suo viso meraviglioso e lo guardai interrogativa.
“Che cosa?”
“Il mio cuore. E’ tuo. Lo so che non è molto ma…”.
“Jake ma che stai dicendo? Tu…”
“No, aspetta fammi finire.”
Mi fissò dritto negli occhi mentre intrecciava le dite delle nostre mani.
“Io non ho nulla da offrirti Bella, non ho molti soldi e non posso permettermi regali di lusso, ma una cosa posso dartela… io posso darti tutto me stesso. Se mi vorrai ti starò accanto per tutta la vita.”
Sentii gli occhi pizzicare e le lacrime che spingevano per uscire fuori. Dovetti respirare a fondo per non farmi vincere dal pianto. 
“Se ti voglio? Jake io ti amo, certo che ti vo...”
Ma non mi lasciò finire che mi zittì con un bacio infuocato mentre rideva contro le mie labbra. 
“Direi che sei stata convincente!”
“Idiota!”
Ridemmo come due bambini e ricominciammo a baciarci mentre lui, dolce come non mai, asciugava il mio viso dalle lacrime.   
Eravamo semplicemente noi due. Solo Jacob e Bella. 



Mi scuso con voi per non aver risposto alle vostre stupende recensioni, ma con gli esami in avvicinamente mi è impossibile fare qualsiasi cosa! Ma voglio cogliere l'occasione per ringraziare tutte voi delle belle parole che mi avete regalato e perchè siete sempre lì, pronte a sostenermi. Grazie di cuore a tutte e spero che il capitolo possa piacervi! Io ci ho provato =) 
 

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Capitolo 35
*** EPILOGO- LA NOSTRA VITA ***


Epilogo:
La nostra vita

 

Il sole batteva sulle tapparelle semi chiuse lasciando la stanza in una leggera penombra. La mia scrivania era stata liberata dai pesanti e ingombranti libri universitari per far spazio a trucchi e cosmetici di qualsiasi tipo, ad una spazzola con setole nere e abbastanza larghe -scelta apposta per districare i miei capelli informi e crespi- e dei fermagli dalle svariate forme e colori. Sul letto, sopra la mia trapunta viola -che non avevo mai cambiato in questi anni- giaceva un bouquet di rose arancioni uniti insieme da un nastro bianco perla. E a completare il quadro c’ero io: Isabella Marie Swan, ventitre anni fra meno di un mese, posizionata esattamente al centro della camera intenta ad osservare la sua immagine riflessa allo specchio.
In realtà quella scena non mi era per niente nuova, perché non molto tempo prima,- tre anni e sette  mesi per la precisione- in un’altra camera, più elegante e meno adolescenziale, aspettavo ansiosa la marcia nuziale con il cuore ancora spezzato in due.
Ero una Bella completamente diversa all’epoca, una ragazza che adesso non riuscirei nemmeno a riconoscere se dovessi incontrarla per strada. Delle mie stesse fattezze fisiche, certo. Ma incompleta e spaventata dalla vita stessa.
Mentre adesso, mi fissavo allo specchio, e riuscivo a vedere la vera me stessa.
Una Bella nuova, migliore, vidi la persona che avevo sperato di diventare per tutto questo tempo.
Da quell’ultimo giorno a casa Cullen tutti i pezzi della mia vita erano stati messi al proprio posto.
Quel vestito pomposo e sfarzoso che ricordavo di aver indossato, era stato rimpiazzato da uno semplice in seta bianca che mi stringeva delicatamente il busto fino alla vita, per poi scendere morbido e sinuoso fino alle ginocchia. I miei capelli, non erano più raccolti in uno chignon degno di un film d’epoca che mi tirava i capelli fino a farmi venire il mal di testa, ma erano lasciati sciolti, mossi e ordinati dietro la schiena e fin sotto il seno. Il mio futuro marito non era un vampiro centenario dalla bellezza surreale e dai modi affabili ed estremamente perfetti. Ma un licantropo ventunenne, testardo, istintivo e bello come il sole d’estate.  Divertente, passionale, semplice come l’anello che portavo al dito che lui aveva creato apposta per me: fili di rame intrecciati tra loro a formare una piccola fascetta che lui si era ripromesso di rimpiazzare quando si sarebbe potuto permettere un anello vero. La mia risposta era stata un bacio all’acqua salata e un “E’ perfetto!” che non ammetteva repliche. 
Sentii gli occhi pizzicare a quel ricordo e un sorriso si fece largo tra le mie labbra quando mi resi conto che non potevo permettermi di rovinare il trucco che Angela Webber, la mia migliore amica, aveva ultimato alcuni minuti prima. Perciò tirai su col naso e con la nocca dell’indice asciugai la piccola lacrima dalla mia guancia. Fortunatamente il trucco leggero degli occhi e il lucidalabbra alla pesca erano ancora al proprio posto. Sorrisi ancora, immaginando la smorfia di terrore che avrebbe sicuramente fatto Angela alla sola vista di quella lacrima che, a detta sua, avrebbe rovinato il suo capolavoro.
“Bella tesoro, è quasi ora, tuo padre ti aspetta di sotto!”
Angela fece il suo ingresso con il solito sorriso smagliante e l’espressione di chi è al settimo cielo. Mi spiava dalla porta semi chiusa dove riuscii ad intravedere ugualmente il suo splendido pancione coperto da un vestito lungo fino alle caviglie color sabbia.
“Scendo subito”.
Mi guardò per un attimo con attenzione e poi sospirò.
“Sei bellissima, te l’ho già detto vero? E a Jacob verrà un colpo quando ti vedrà!”
Forse ero diventata davvero patetica, ma nel sentire pronunciare il suo nome mi tremarono le ginocchia.
“Allora io ti aspetto in macchina, d’accordo?”
“Va bene. Ah, Angela?”
“Sì?”
“Grazie. Di tutto”.
 Mi regalò un sorriso smagliante dicendo: “No, grazie a te” e se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.
Sapevo che con quel “grazie” non si stava riferendo solo al matrimonio o al fatto che avessi scelto lei come unica damigella. Dietro a quel grazie si celava ben altro. Da quando Seth Clearwater aveva avuto l’imprinting con lei, Angela era stata inevitabilmente catapultata nel mondo dei licantropi e non solo. Era la mia confidente già da tempo, ma da quel momento mi ero sentita libera di parlarle di tutto, di quel mondo incantato che mi aveva travolta ancor prima di lei.
All’inizio aveva storto il naso, tipico atteggiamento di chi non ha mai creduto alla magia e che ha sempre pensato che i vampiro e i licantropi fossero personaggi letterari o semplicemente dei mostri inventati per spaventare i bambini. Ma quando si è innamorata di Seth tutto questo scetticismo è passato immediatamente in secondo piano.
Quei due ormai stavano insieme da due anni e in quel bellissimo pancione c’era il loro bambino.
Con l’ennesimo sorriso della giornata che andava da parte a parte, raccolsi il bouquet e raggiunsi mio padre al piano di sotto.
Charlie mi aspettava all’ingresso. Non era cambiato di una virgola in questi tre anni, a parte qualche ciuffo grigio sparso qua e la e qualche ruga al centro della fronte. Accanto a lui c’era Sue Clearwater, la madre di Seth, sua compagna da quasi un anno.
La vidi ridere di gusto davanti alla goffaggine innata di mio padre che non era riuscito neanche a fare un nodo decente alla sua cravatta nera.
“Sei proprio un ragazzino Charlie Swan!”
Mio padre arrossì talmente tanto che ebbi paura che potesse scoppiare da un momento all’altro! Ma poi si riprese subito e le regalò uno dei suoi sorrisi più rari e belli che avevo visto due volte in tutta la mia vita. Il che era un vero e proprio miracolo.
Era tutto così surreale e normale insieme da irradiare una pace e una tranquillità che poche volte ero riuscita a percepire.
Ma anche questa scena era completamente diversa da quella che avevo già vissuto e che ricordavo.
“Bella, sei splendida!”
Sue si accorse di me e mi venne incontro aiutandomi a scendere gli ultimi gradini, mentre Charlie rimase completamente immobile a fissarmi con gli occhi sospettosamente lucidi.
“Papà, di qualcosa” bisbigliai imbarazzata.
Ma lui non disse niente, si avvicinò a me e mi abbracciò cogliendomi di sorpresa.
 
Nel salotto di casa Swan regnava un silenzio imbarazzante rendendomi, se possibile, ancora più nervosa.  Jacob invece era più che a sua agio mentre teneva la mia mano stretta saldamente alla sua ridendo di sottecchi dell’espressione inebetita e scioccata di Charlie. 
“V-vi sposate? Cioè, vi sposate davvero?” 
“Sì Charlie, puoi giurarci!”. 
Sulle labbra di mio padre prese forma un sorriso smagliante che mi fece strabuzzare gli occhi dallo shock. 
“Oh mio dio! Devo chiamare subito Billy, bisogna festeggiare!”
Jacob scoppiò a ridere e Charlie si avvicinò a noi coinvolgendoci in un mega abbraccio, mentre io mi feci scappare un sospiro di sollievo.
Alla fine Jake aveva ragione, come sempre! 

Mi lasciai andare all’abbraccio e scoppiai a ridere anche io insieme ai due uomini più importanti della mia vita.
 
“Ti voglio bene. Sei bellissima tesoro mio”.
“Ti voglio bene anche io papà”.
“Coraggio, andiamo prima che la sposa cambi idea!”.
Sue mi fece l’occhiolino e raggiunse la macchina parcheggiata all’ingresso del vialetto.   
Ma si sbagliava, questa volta non ci sarebbero stati ripensamenti da parte mia, sapevo perfettamente cosa volevo e cosa desideravo.


***


Dal finestrino del passeggero un susseguirsi di immagini sbiadite correvano veloci davanti ai miei occhi. Sentivo chiaramente le ginocchia tremare e il mio stomaco fare i capricci nel momento in cui riconobbi la strada, eppure, non ci fu un solo istante in cui io abbia anche solo desiderato di scendere da questa macchina per poter fuggire lontano.
Non ero mai stato un tipo da matrimonio, io. Quando sentivo anche solo la parola mi venivano i brividi per il disgusto. Avevo sempre pensato che se due persone volevano appartenersi allora non avevano certo bisogno di tutte queste cerimonie per farlo.
Ma con lui era diverso. Era tutto diverso.
Il sole del tramonto colpì il mio viso e percorsi il tappeto di fiori che conduceva al piccolo arco issato esattamente accanto al nostro tronco .
Una cerimonia semplice, sobria, raccolta. Proprio come lui. Come me. Come noi.
Alzai lo sguardo e finalmente i miei occhi incontrarono i suoi. Persi, innamorati, ancora increduli.
Come quel pomeriggio di tre mesi prima…   
 
La pioggia torrenziale ci colse di sorpresa e senza pensarci due volte mi alzai dalla coperta e afferrai la sua mano per scappare via da lì e metterci al riparo. O almeno era quello che avevo intenzione di fare, perché Jacob si mise, sì, in piedi, ma non si mosse di un centimetro.
“Aspetta! Perché tanta fretta?”
“Jake se non te ne fossi accorto siamo bagnati fradici e sta diluviando!” dovetti alzare il tono della mia voce per sovrastare il rumore assordante della pioggia che sbatteva violenta contro l’oceano davanti a noi.
“Bella rilassati o ti verrà una crisi isterica!”
“Sei tu a farmi diventare isterica!” lo guardai in cagnesco completamente bagnata e con i nervi tesi.
Era una giornata intera che Jacob non faceva altro che stuzzicarmi con la sue frecciatine e battutine sapendo bene quanto la cosa mi innervosisse. Ero diventata il suo passatempo preferito. Per cui avevo tenuto il broncio per tutto il pomeriggio e lui mi aveva portata sulla spiaggia per fare un picnic convinto che la mia “isteria da studentessa pre laurea” –come la chiamava lui- sarebbe scomparsa almeno per qualche minuto. 
Be’, esperimento miseramente fallito, visto e considerato che anche la pioggia ci si metteva a far peggiorare il mio umore.   
Avevo appena raccolto la mia borsa e fatto qualche passo quando lui mi raggiunse e mi acchiappò il braccio sorridendo sguaiatamente.
“Andiamo Bella! Lo sai che mi piace farti arrabbiare!”
“Ma non mi dire!”
Ringhiai, mentre Jacob continuava ad avere quel sorrisetto da impertinente stampato sulla faccia. 
Era bagnato fradicio anche lui ma sembrava non farci assolutamente caso, era più che a suo agio in quel modo. Molto più di quando non lo fossi io, questo era certo.
“Dato che io non sono una creatura mitologica come te, se continuo a stare sotto il diluvio mi verrà sicuramente una polmonite! Perciò, ti saluto!”. Stizzita, liberai subito il braccio dalla sua presa - o meglio, per essere precisi, me lo lasciò fare- e me ne andai. 
Ma non feci neanche due metri che la sua voce, inaspettatamente seria e roca, mi arrivò alle orecchie e poi dritta al cuore.
“Sposami Isabella Swan!”
Mi voltai all’istante sicura di aver capito male.
“C-che cosa hai detto?” balbettai sgranando gli occhi. 
“Sposami!” 
Lo fissai senza parole e col cuore in gola. Non mi sarei mai aspettata una proposta del genere. Non adesso, non in mezzo al diluvio! Ma non sarebbe Jacob Black se non riuscisse a sorprendermi in qualsiasi momento.
Le sue mani  calde mi afferrarono il viso e mi regalò il sorriso più bello del mondo.
“Lo so che non credi in queste cose e so che ti terrorizza anche solo sentire la parola matrimonio. Ma io voglio legarmi a te in tutti i modi possibili, voglio litigare con te mille volte proprio come oggi. Voglio solo te, Bells, nient’altro!” sorrideva pieno di amore mentre mi accarezzava dolce i capelli ormai zuppi.
Era tutto così pazzesco e folle che non riuscivo neanche ad articolare una parola. 
“Be’? Non hai niente da dire?” lo disse con la solita spavalderia ma, nella sua voce divertita, colsi ugualmente quel pizzico di nervosismo che adesso si rifletteva nei suoi occhi scuri e profondi.  
Gli accarezzai il viso e un sorriso mi spuntò dalle labbra prima ancora che me ne rendessi conto. Aveva ragione, il matrimonio mi spaventava a morte, ma io volevo le sue stesse cose. Lo volevo nella mia vita, sempre. Lacrime di gioia mi rigarono il volto bagnando le sue dita insieme alla pioggia. 
“Bella, non piangere. Se non vuoi io non ti obbligo, lo sai che non…”
“Sta’ zitto!” dissi tappandogli la bocca con un dito mentre lo guardavo con occhi sognanti e ancora increduli. Ci misi pochi secondi per scambiare quel dito con le mie labbra e altrettanti per afferrargli la nuca e divorargli la bocca con una voracità che non mi apparteneva.
Jacob non si fece pregare perché rispose con gioia selvaggia al bacio stringendomi saldamente a se. 

Il calore avvolse il mio corpo e smisi di sentire la pioggia, il freddo, il mare in tempesta. Per la millesima volta vedevo solo Jacob, sentivo solo Jacob,provavo solo Jacob. 
Quando si staccò dalla mie labbra per lasciarmi respirare, mi fece volteggiare urlando uno strano verso Quileutes ed io in risposta scoppiai a ridere. Eppure non volevo ancora dargliela vinta.
“Frena frena, non ti ho detto di sì!”
“Dillo adesso!” sorrideva sfacciatamente, sicuro della mia risposta positiva. 
“No!”
“Invece sì!”
“No, no e ancora no!” gli feci la linguaccia e cominciai a correre consapevole che non avevo alcuna speranza di batterlo. Infatti mi acchiappò quasi subito e mi sollevò da terra per guardarmi dritto negli occhi. Smettemmo di ridere all’istante e mi persi dentro quelle pietre d’onice che mi fissavano piene d’amore e di speranza. Mi mancò il respiro per un attimo e il mio cuore prese il volo, insieme al suo. 
Poggiai le labbra sulle sue e bisbigliai un semplicissimo “Sì” che lo fece esplodere di gioia.   
Mi baciò ancora e ancora senza smettere mai. Ci baciammo fino a perdere il fiato e il controllo. Facemmo l’amore sotto la pioggia con la promessa che ci saremmo appartenuti per tutta la nostra vita. 
 
Il mio uomo mi aspettava all’altare con addosso una camicia bianca e un paio di pantaloni neri. Era splendido, di una bellezza così umana e meravigliosa da far tremare il cuore. Lo guardavo rapita e lui, con la sua bocca socchiusa e gli occhi che brillavano, mi fissava come se mi vedesse per la prima volta. E in un attimo tutto il nervosismo di qualche istante prima scomparve, lasciando dentro di me una sensazione di pura e completa felicità per la vita che mi aspettava sotto quell’arco di foglie e fiori.
Nel momento in cui lo affiancai e le nostre dita si intrecciarono saldamente, le parole del parroco quileutes si dispersero nell’aria, e ci ritrovammo marito e moglie prima ancora che potessi accorgermene.
 
Ero sposata, sposata davvero.
 
Ero diventata moglie dell’uomo che mi aveva salvata, amata e protetta in tutti questi anni senza mai chiedere nulla in cambio, se non il mio amore. Moglie dell’uomo che aveva sconfitto l’imprinting solo per stare insieme a me nonostante tutte le sofferenze che gli avevo inflitto senza il minimo ritegno. Ero moglie dell’uomo che aveva rinunciato per sempre al lupo dentro di lui per poter invecchiare al mio fianco.
Ero diventata madre di due splendidi gemelli, un maschio e una femmina, identici al padre ma con i miei stessi occhi nocciola.
Moglie e compagna dell’uomo che continua a stuzzicarmi e a prendermi in giro solo per farmi arrabbiare. L’uomo che ancora adesso, anche dopo trentacinque anni di matrimonio, con la sua risata aperta e solare, riesce a scaldare il mio cuore da cinquantottenne. Un uomo che è capace di farmi ancora tremare le ginocchia quando mi guarda in quel modo disarmante, con i suoi occhi neri e profondi adesso più maturi.
Bella e Jacob che ancora oggi fanno l’amore con la stessa passione e lo stesso amore della loro prima volta.
Perché era vero, Jacob aveva sempre avuto ragione: tra noi è stato davvero facile come respirare fino alla fine dei nostri giorni.     






Eccomi qui finalmente a postarvi l'ultimo capitolo della mia fanfiction! Avrei tanto voluto farlo prima, ma con gli esami e tutto il resto non ne ho proprio avuto il tempo =(
In realtà c'è anche un'altra ragione sotto e cioè che non volevo mettere la parola fine a questa storia che è stata la mia primissima esperienza da scrittrice di fanfiction! Lo so, posso sembrare patetica, ma credetemi, non è stato per niente facile!
Con questa storia ho voluto dare a Jacob e a Bella un finale degno di loro e del loro amore. Perchè per quanto se ne dica loro si appartengono, si amano e non esistono "Edward Cullen" o "Ibridi dai capelli ricci" che possano farmi cambiare idea! 
Spero che questa mia piccola "what if" vi abbia appassionato come ha appassionato me!
Detto questo volevo ringraziare TUTTE voi, dalla prima all'ultima, per aver recensito la mia storia riempendomi di gioia.
Ma soprattuto vorrei ringraziare EFP perchè mi ha permesso di conoscere persone meravigliose come Jakefan e Roberta87 che oltre ad essere delle scrittrici di grande talento, sono prima di tutto delle persone meravigliose e delle amiche splendide! Vi voglio bene ragazze <3 
Alla prossima, se vorrete ancora seguirmi! Un bacio grande a tutte! <3

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