Sweet Christmas

di scandros
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dedica / ritorno a casa ***
Capitolo 2: *** Incontri improvvisi ***
Capitolo 3: *** Momenti ***
Capitolo 4: *** Tentazioni e confessioni ***
Capitolo 5: *** Il dramma dell'amore ***
Capitolo 6: *** L'inizio di un amore ***



Capitolo 1
*** Dedica / ritorno a casa ***


Sweet Christmas

Sweet Christmas

 

 

Al popolo della rete, a coloro che con la penna hanno realizzato sogni tra le righe

 

 

 

Questa fanfic è nata come una one piece. Doveva essere tale ma poi ho pensato che non potevo trascurare i monologhi dei protagonisti  per realizzare un unico brano, andando così a discapito dei loro sentimenti.

 

E’ una fanfic ambientata il giorno della Vigilia di Natale, il giorno in cui ognuno di noi spera che si possa realizzare un desiderio speciale. Ed è questo l’augurio che faccio a tutti voi.

Questo è stato un anno speciale per me perché ho scoperto l’universo delle fanfic ed ho conosciuto tante persone così diverse e speciali.

 

Dedico questa fanfic a tutti voi, augurandovi che possa brillare anche per voi una stella e che nella notte più lunga dell’anno, nascano dei nuovi sentimenti sotto l’intensa luce dell’amore.

 

Buon Natale e Buon Anno a tutti voi

 

 

scandros

Sweet Christmas

Capitolo 1

Il boeing partito dall’aeroporto internazionale di Heathrow si apprestava alla fase di atterraggio sulla pista numero 10 dell’aeroporto di Narita. Guardò fuori dall’oblò mentre le assistenti di volo si accertavano che tutti i passeggeri avessero allacciato le cinture di sicurezza, riposto il tavolinetto e chiusi i portaoggetti.

Per quanto il viaggio fosse stato lungo e il fuso orario l’avesse catapultata in avanti di diverse ore, la cima innevata del monte Fuji non le fece rimpiangere di essere salita su quell’aereo. I colori del tramonto si stavano lentamente spegnendo negli azzurri della sera.

Dieci anni la separavano da quel paese, dal suo paese d’origine, quello in cui era nata, in cui aveva mosso i suoi primi passi, era divenuta prima bambina e poi adolescente, i luoghi in cui aveva stretto le prime vere amicizie, in cui si era innamorata per la prima volta.

Immersa nei suoi pensieri, non avvertì quasi per nulla la manovra di atterraggio. Il cielo prima colorato dei toni del crepuscolo, era adesso coperto da basse nubi bianche e compatte. La temperatura a terra sfiorava lo zero e sicuramente sarebbe nevicato.

- Il comandante vi augura buona permanenza a Tokyo e buon Natale. – disse la hostess al microfono mentre la gente cominciava a prepararsi per lasciare l’aeromobile. Centinaia di persone si levarono dai sedili e sorridenti e indaffarati si incappottarono e prelevarono gli effetti personali dai portaoggetti. Attese che il tunnel fosse collegato al portellone di uscita e che la maggior parte dei passeggeri avessero lasciato l’aereo defluendo in una lenta ma sorridente calca. Poi, si alzò, indossò il cappotto in cashmere con il collo e i polsi in visone, afferrò la borsa e il computer portatile e si diresse verso l’uscita. Prese il telefono cellulare dalla borsa e lo accese. Fece un profondo sospiro e chiuse gli occhi quasi a voler imprimere nella sua mente il momento del ritorno.

Con passo sicuro ma elegante, incedette verso il tunnel d’uscita e dopo aver recuperato i bagagli, si avviò verso il gate degli arrivi internazionali. Riprese il cellulare dalla tasca del cappotto sicura che entro pochi secondi avrebbe cominciato a squillare. La sua attesa fu breve.

- Sì, pronto? – rispose riconoscendo un numero di telefono di Tokyo.

- Tesoro, finalmente! ma dove sei? Ti ho cercata dappertutto. Il tuo cellulare era sempre spento. -

- Era spento perché ero in volo. L’aereo è appena atterrato a Tokyo. Ha portato due ore di ritardo per problemi di rifornimento a Heathrow. –

- Ma io pensavo arrivasse tra un’ora. –

- La mia segretaria avrà sbagliato a comunicarti l’orario di arrivo. – rispose tediata da quella conversazione. Guardò l’orologio al suo polso. Erano le cinque del pomeriggio.

- Vengo a prenderti! –

- Non ti disturbare. Prendo un taxi e ti raggiungo. –

- Non se ne parla. Ti mando a prendere da Jackson. –

- Ken, ti assicuro che non c’è bisogno che mi mandi a prendere dall’autista di tua madre! Posso benissimo prendere un taxi. –

- Non avresti dovuto aspettare un taxi o il mio autista, se la tua segretaria mi avesse comunicato l’orario esatto o se avessi preso il volo di ieri. –

- Ero abbastanza occupata per poter lasciare l’ufficio ieri. E la mia segretaria non ha colpe. Sicuramente è stato un mio errore. Le avrò comunicato male l’orario del volo. Vogliamo continuare a polemizzare sul mio ritardo oppure posso cercarmi un taxi? – chiese seccata dal comportamento alquanto infantile del fidanzato. Ken tacque. Come sempre, doveva chinarsi al suo volere. Patricia riusciva sempre a metterlo in difficoltà. La sua intelligenza, la loquacità, il suo savoir faire in tutte le occasioni, l’avevano più volte messo in imbarazzo facendolo sentire inferiore a lei. Agli occhi apparve l’immagine di una donna molto bella. Stagista presso il consolato nipponico a Londra, dopo la laurea in legge conseguita a Oxford, Patty era stata assunta presso il corpo consolare dove grazie alla sua intraprendenza era ben presto divenuta il braccio destro del console. In uno dei viaggi in cui aveva accompagnato il console, aveva conosciuto Kenneth Sullivan, rampollo della finanza inglese, di ottima famiglia di origine nipponica.

- D’accordo. Hai vinto tu. Ti aspetto alla villa dei miei genitori. Ti ricordo che alle sette e trenta inizierà il pranzo della vigilia. Ti prego di non farci attendere perché mia madre è molto fiscale per quanto concerne l’etichetta. Dato che non hai voluto alloggiare qui, ti ho prenotato una camera all’International Plaza. Ho provveduto anche all’abito e a quanto necessario per la serata. Troverai tutto in camera. –

- Hai provveduto a tutto, come sempre! – esclamò annoiata dalla sua perfezione quasi maniacale. - Cercherò di non mancare e ti prego di porgere i miei ossequi a tua madre. – concluse ironica. Sospirò esasperata dal circolo vizioso in cui era caduta. Trascinò il trolley dietro di se e attese un taxi libero.

- Prego signora. Dove la porto? – chiese l’autista sfregandosi le mani per riscaldarsi.

- International Plaza Hotel. –. Il tassista, un uomo di mezza età, guardò attentamente la sua passeggera disegnando I tratti leggeri ed eleganti della donna. Sotto il cappotto di pregiata fattura italiana, indossava un tailleur nero con i pantaloni larghi e stivali neri a punta.

- Benissimo signora. – rispose sorridente caricando il bagaglio della passeggera. Patty sedette sul sedile posteriore e attese che il tassista avviasse l’auto verso il centro della città..

Ben presto furono fuori dall’aeroporto e si imbottigliarono nel traffico dell’anulare della capitale. Centinaia di macchine si affrettavano a raggiungere le proprie case per festeggiare l’avvenimento più importante dell’anno.

Aprì la borsa e prese lo specchietto del portacipria. Vi si specchiò. Il viso era stanco e malinconico. Nulla avrebbe potuto intristirla di più se non tornare dopo dieci anni in Giappone, il giorno della vigilia di Natale.

Richiuse lo specchietto e si voltò al finestrino. Aveva percorso altre volte quella strada, di ritorno dai raduni internazionali della New Team o della rappresentativa nazionale giovanile, o quel giorno i cui lei era partita prima di lui, anticipando il trasferimento del suo amato capitano in Brasile. Erano trascorsi dieci lunghi anni da allora.

Chiuse gli occhi ripensando al momento in cui il mondo le era crollato addosso. Quel giorno in cui, a fine campionato scolastico, suo padre le aveva detto che dovevano trasferirsi a Londra. Noto ingegnere in campo navale, William Gatsby aveva avuto l’occasione di realizzare i progetti e poi dirigere i lavori di importanti cantieri navali inglesi. La Corromandel Corporation, la multinazionale presso cui lavorava, l’aveva voluto premiare con questa importante occasione, chiedendogli di portare avanti i progetti per almeno cinque anni.

Fuggì via. In quel momento, Patty comprese che quello che tanto aveva temuto, si stava avverando. La sua famiglia la stava allontanando dai suoi interessi e soprattutto da colui che oramai da qualche anno seguiva e amava nel silenzio dell’amicizia.

Trasferitisi a Londra, si erano stabiliti in pianta stabile nella capitale britannica da oramai dieci anni, vendendo anche la casa che avevano a Fujisawa e adottando completamente lo stile di vita europeo.

Patty prese il computer portatile, lo privò della custodia e lo accese usufruendo della batteria che aveva caricato prima di partire per il Giappone. Sorrise quando si materializzò l’immagine del desktop sullo schermo piatto. Lei e i ragazzi della New Team. La fotografia di gruppo scattata alla fine del campionato scolastico, qualche tempo prima della sua partenza.

Lei, la manager della squadra, la loro prima tifosa e amica. Lievemente passò il dito sul profilo del suo capitano che nella foto la guardava sorridente. Gli occhi scintillanti per la vittoria, lo sguardo emozionato, la consapevolezza di un’imminente partenza che l’avrebbe preparato al mondo professionistico. E lei, i capelli più corti, una t-shirt rossa e un paio di jeans. Un’adolescente allegra e spensierata, premurosa verso i suoi amici e soprattutto nei confronti di quel ragazzo che era rimasto sempre nel suo cuore.

- Piccola Patty. – mormorò ricordando quel tempo della sua vita trascorso piacevolmente con i ragazzi della squadra di calcio.

Maggie guardò il figlio maggiore con ammirazione. Alto, il fisico una volta mingherlino, ora tonico e scolpito da anni di allenamenti. I capelli neri e lucenti come la notte, gli occhi sempre vigili ed emozionati. Era fermo dinanzi la finestra che dava alla strada. Le luci dell’albero di natale riflesse sui vetri. Guardava verso il cancello sperando forse che qualcuno lo varcasse e facesse loro una sorpresa.

- Oliver, tesoro, tutto bene? – gli chiese andandogli vicino. Poggiò una mano sul morbido maglione di cashmere che lo avvolgeva. Guardò la donna affettuosamente e le sorrise.

- No mamma, va tutto bene, non preoccuparti. Sono solo un po’ stanco. Ho dormito un paio d’ore ed ho sulle spalle un volo continentale. –

- Mi dispiace. E’ che ti vedo così silenzioso. Insolito da parte tua. –

- Non temere mamma, ti ripeto che è solo stanchezza. – ribadì dandole una pacca sulla spalla e incedendo con passo spedito verso la scala che portava al piano di sopra.

- Forse è meglio che tu vada a riposare. Tra un po’ arriverà Adam Smith, il collega inglese di tuo padre con la moglie e la figlia Samantha. Ti ricordi di lei vero? E’ una ragazza davvero graziosa e simpatica. E’ una tua ammiratrice. Penso che sarà contenta di trovarti qui. –

- Capisco! Vado a riposare. Chiamami quando arrivano ed è pronto per la cena. – le disse schioccandole un bacio sulla guancia.

- Oliver! – esclamò arrestando la sua corsa, - Aspetti qualcuno? – gli chiese sempre più incuriosita dall’atteggiamento strano del figlio, oramai già a metà scala.

- Ehm…no, nessuno. I miei amici sono con le loro famiglie. Avrò modo di rivederli nei prossimi giorni. Non preoccuparti! – concluse salendo la scala. Dopo poco, Maggie udì la porta della sua stanza richiudersi. Rimase a fissare la scala vuota cercando forse l’ombra del figlio. Lo conosceva fin troppo bene per comprendere che qualcosa lo tormentava.

- Tutto bene cara? – chiese Michael sopraggiungendo nel soggiorno.

- Ehm…non saprei. Oliver mi sembra un po’ strano. –

- Perché? –

- Da quando è tornato non l’ho sentito per nulla parlare di calcio. Non ti ha detto nulla nel tragitto dall’aeroporto a Fujisawa? – chiese timorosa.

- Mi ha parlato brevemente del campionato spagnolo e della loro leadership a livello europeo. Di Tom e Benji che militano in Francia e Germania. Poi, assorto nei pensieri, mi è sembrato che abbia detto qualcosa tipo…”è giunto il momento di voltare pagina, forse…”

- Cosa avrà voluto dire? –

- Non saprei! Non sono certo che si tratti di problemi con il suo club. Ha da poco rinnovato il contratto per altri tre anni. Forse c’è qualcosa a livello emotivo, personale che lo affligge. –

- Non mi piace vederlo così. – disse preoccupata.

- Maggie, Holly è un uomo oramai. Non è più il ragazzino sprovveduto per il quale il calcio era tutta la vita. Oramai ha realizzato il suo sogno. Gli anni trascorsi in Brasile l’hanno reso il miglior calciatore del momento a livello internazionale. Ha portato la squadra nazionale giovanile alla vittoria e l’anno prossimo parteciperà sicuramente ai mondiali che si disputeranno tra Corea e Giappone. Probabilmente per lui è giunto il momento di pensare anche all’amore, ad una compagna….-

- Ma….non sarà innamorato? –

- Non saprei! E’ una risposta che solo lui potrebbe darci. –

- Samantha Smith rimarrà delusa se non è lei la prescelta. –

- Holly è un ragazzo troppo passionale per poter amare a distanza qualcuno e se conosco bene mio figlio, sono certo che il suo cuore non batte per la figlia di Adam. L’ha vista poche volte e non mi è sembrata tanto bella o intelligente da poter fulminare nostro figlio. –

- A volte può bastare anche uno sguardo! –

- Sì, forse è così ma temo che non sia il caso nostro. Holly può permettersi tutto quello che vuole. Oltre che ottimo calciatore è anche molto ben pagato. Avrà stuoli di fans che gli cadono i piedi. –

- E sicuramente la prescelta non è tra queste. – continuò Maggie anticipando il marito.

- Infatti. Qualcosa mi dice che è ancora molto legato a questi luoghi e ai suoi amici….-

- Ma…lei non vive più qui! Cosa ti fa pensare che Holly pensi ancora alla sua amica Patty? –

- Quando è sceso dall’aereo aveva con sé la rivista che distribuiscono sugli aeromobili. Mi è sembrato abbastanza strano che Holly leggesse qualcosa che non fosse calcio o sport. –

- Cosa vuoi dire? – domandò sempre più incuriosita.

- Mentre prendeva i bagagli, ho sbirciato rapidamente la rivista. C’era la sua fotografia sulla copertina! –

- Di Holly? –

- No…di Patty. E’ il braccio destro del console giapponese a Londra. Nella foto era ritratta mentre stringeva la mano ai delegati nipponici in visita a Londra a inizio mese. –

- E’ così la piccola Patty è diventata un personaggio importante. –

- E non è tutto. Non è più il simpatico e dolce maschiaccio che ricordiamo noi. E’ una donna molto bella ed elegante. Ho fatto quasi fatica a riconoscerla ma poi ho ravvisato in lei lo sguardo di quella ragazzina che spasimava per nostro figlio. –

- Mah, speriamo solo che non soffra per una persona oramai così lontana. – gli disse recandosi in cucina per terminare di approntare la cena. – Va a prendere David da casa dei Miller. Deve prepararsi anche lui per la cena. – concluse.

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Capitolo 2
*** Incontri improvvisi ***


Sweet Christmas

Sweet Christmas

 

Capitolo 2

 

 

 

Steso sul letto con le braccia incrociate sotto il capo, Holly rimirava il soffitto alla ricerca di una risposta. Le note jazz di Oh Holy Night interpretata da Christina Aguilera echeggiavano dolcemente nella stanza. Nel buio della sua stanza, cercava risposte ai suoi pensieri, rievoca immagini fin troppo nitide nella sua mente e nel suo cuore.

-         Sei proprio tu? Come sei cambiata! La mia piccola, dolce Anego. Il mio pulcino è diventato un bellissimo cigno. Sapevo che saresti diventata qualcuno. Tu hai sempre avuto un carattere vincente. Quanto vorrei che tu fossi qui, a trascorrere il Natale insieme a me…. proprio come facevamo una volta. Ci riunivamo per trascorrere insieme questi momenti in allegria, in maniera spensierata. Tu che litigavi bonariamente con Bruce ed io e gli altri ragazzi che cercavamo di sedare i vostri animi.

-         Quanto mi mancano quei tempi, quanto mi manchi tu! Vorrei tornare al passato per cercare di recuperare il tempo perduto, le occasioni in cui avrei potuto stare con te e invece pensavo solo ed esclusivamente al calcio. Desidererei tanto poterti vedere almeno per un attimo, ritrovare il tuo sorriso, la tua espressione quieta e rassicurante, l’amore che provavi per me e che in silenzio corrispondevo. Perché non ho mai avuto il coraggio di dirti nulla? Di quanto eri importante per me? Di quanto contasse per me la tua amicizia, il tuo affetto! Perché sono stato così stupido ed egoista da anteporre a tutto il calcio?

-         Adesso sei una donna in carriera, affermata diplomatica che ben presto ambirà a posizioni ben più importanti e prestigiose di quella attuale…sei bellissima, da mozzare il fiato. Cerco di immaginare, anche solo per un attimo, un nostro incontro, ma le distanze, due vite oramai diverse ci dividono ed io non riesco a vedere aldilà del mio palmo. Se potessi esprimere un desiderio, beh, vorrei rivedere te, avere ancora la possibilità di parlarti, di dirti quello che dieci anni fa non ho avuto il coraggio di dirti. Mi chiedo solo se mai un giorno ne avrò il coraggio! Dannazione, non riesco  a togliermi dalla testa il tuo volto e dal cuore il tuo nome. Ti vedo come…sì, come una ninfa greca che silenziosa gioca in una foresta incantata. Tu sei…la principessa del mio cuore. Hai incatenato il tuo sguardo al mio.

-         Ho avuto dieci anni di tempo per dirti quanto ti volevo bene…e cosa ho fatto? Ho trascorso questi lunghi anni a cercare di diventare famoso, importante, perché te lo avevo promesso. Ricordi Patty? Prima che tu partissi per Londra, mi facesti promettere che sarei diventato il numero uno. I tuoi occhi grandi, profondi, pieni di lacrime per me, per quello che volevamo fosse un arrivederci e che invece è diventato un addio. Abbiamo perso ogni contatto, vivendo solo nel ricordo della nostra bella amicizia, di quel sentimento nato segretamente nell’intimo dei nostri cuori, dei nostri silenzi, di quegli sguardi imbarazzati che celavano le nostre emozioni.

-         Io che parlo così! E’ assurdo. Io non ho mai pensato a queste cose, all’amore…e invece, come ogni anno, soprattutto a Natale, penso a te intensamente. Se lo sapesse Bruce mi prenderebbe in giro all’infinito. Lui e i ragazzi mi hanno sempre parlato di te. Ti prendevano in giro perché ti struggevi per me…ed io stupido che non ho mai capito niente, niente, assolutamente niente di quanto fossero belli e importanti i tuoi sentimenti. -. Mentre la radio ritrasmetteva un altro canto natalizio questa volta intonato da Mariah Carey, Holly cedette alla stanchezza e ai pensieri, chiudendo gli occhi e rimembrando il suo dolce amore.

 

Il taxi si fermò dinanzi il parterre dell’International Plaza Hotel. Un portiere in livrea rossa e dorata si accinse ad aprire lo sportello del passeggero. Patty uscì dall’auto, attese che il tassista avesse terminato di scaricare il suo bagaglio e che il facchino lo ritirasse, pagò la tratta automobilistica ed entrò scortata dal portiere. Era già stata in quell’albergo quando dieci anni prima, di ritorno dai mondiali under 16 disputati a Parigi, la squadra nipponica era stata l’ospite d’onore di un sontuoso ricevimento. In quell’occasione, avevano indossato tutti la divisa della squadra e lei, in qualità di manager vi aveva preso parte insieme alle amiche Amy e Jenny.

Senza mostrare troppo interesse per i maestosi lampadari di cristallo che ricadevano lucenti dai soffitti, o per gli interni della hall in marmi e stucchi italiani, si diresse verso la reception per prendere la chiave della sua stanza. Erano passate le sei. Avrebbe dovuto prepararsi entro le sette. Era certa che per quell’ora, se non prima, Ken avrebbe mandato l’autista di sua madre a prenderla per condurla a villa Sullivan.

-         Buonasera. Ci dovrebbe essere una prenotazione a nome di Patricia Gatsby! – disse in tono formale ma cordiale.

-         Un attimo che controllo al terminale. – rispose la signorina digitando sulla tastiera il nominativo dell’ospite.

-         Eccola qui. Suite 1512, signora. Dovrebbe lasciarmi un documento per favore. – chiese la giovane dietro il bancone. Patty aprì la borsa prelevando il passaporto del corpo consolare. – Benissimo. Attenda un attimo che registro le sue formalità. Nel frattempo le faccio portare le valigie in camera. – aggiunse richiamando il facchino con un campanello. Comunicò all’addetto il numero della stanza e poco dopo lo vide sparire all’interno dell’ascensore.

Patty attese qualche attimo che l’addetta alla registrazione degli ospiti le restituisse il passaporto; poco dopo, imitando il facchino, sparì all’interno dell’ascensore che velocemente la condusse al quindicesimo piano. Seguendo le indicazioni lungo i corridoi, camminando spedita sulle guide in moquette rossa, Patty arrivò dinanzi la porta della sua stanza. Inserì la tessera magnetica nella serratura e la porta si aprì.

Le luci, regolate dalle fotocellule, si accesero al suo passaggio.

-         Le sue solite manie di grandezza! – esclamò guardandosi intorno e disegnando sommariamente i tratti sfarzosi e pomposi della suite che le aveva prenotato Ken. Era in un ingresso molto grande, ammobiliato con due poltrone e un divano di fattura inglese sistemati dinanzi il camino. Antistante la finestra che dava al balcone, uno scrittoio in stile inglese e una poltroncina, sedevano leggermente su un tappeto tipico orientale. Sullo scrittoio, troneggiava quasi imperioso un vaso in alabastro contenente una composizione di rose color arancio. Posò la borsa, il computer e il cappotto su una poltrona e si avvicinò allo scrittoio attratta da un bigliettino bianco sistemato vicino il vaso.

-         Benarrivata tesoro. Ken. – lesse girando quell’anonimo biglietto bianco. – Poteva far scrivere almeno qualcosa di più affettuoso…o magari scriverlo lui personalmente. – polemizzò andando verso la porta che conduceva alla stanza da letto. Quando la aprì, vide subito delle grandi scatole poste sul letto a baldacchino. – Mi domando a cosa serva tutto questo sfarzo. Mi sembra eccessivo per qualche ora. – pensò passandosi una mano tra i capelli. Sospirò e andò in bagno. Un bagno caldo l’avrebbe rilassata. Girò il rubinetto dell’acqua calda e tappò la grande vasca angolare sul cui bordo erano stati sistemati oli e bagnoschiuma al profumo dei fiori. Li versò all’interno della vasca guardando l’acqua che velocemente formava la schiuma e le bollicine mentre le essenze fiorite profumavano l’aria. Si svestì velocemente e quando fu completamente nuda, si immerse nella grande vasca, avendo cura di non bagnarsi i capelli.

-         Ma che ci faccio io qui? Dovrei essere a Londra a trascorrere il Natale con i miei genitori. Ken…a volte penso di non meritarti. Ti aspetti troppo da me, pensi che io sia la donna giusta per te, colei che amerai e che ti amerà tutta la vita. Stiamo insieme da soli quattro mesi e mi fai venire in Giappone per festeggiare il Natale con la tua famiglia, una delle più in vista di Tokyo. Hai acconsentito ad un capriccio di tua madre, come sempre. Sei succube di lei, te l’ho già detto ma tu non mi credi. Come devo fare per farti capire che…che sto bene con te ma che non voglio un legame indelebile…non ora…io non sono sicura dei miei sentimenti per te. Ti voglio bene…ma…ma non ti amo…Tu sei sempre così preciso, perfetto, quasi noioso…ed io tremendamente stupida che non riesco a dirtelo. All’inizio, quando è successo, quando mi hai dato il primo bacio, la prima notte che abbiamo trascorso insieme, ho pensato che il mio futuro stava cambiando…stavo forse dimenticando il mio grande amore…invece no..lui è tornato puntualmente nella mia mente, la sua immagine sorridente si è materializzata dinanzi ai miei occhi. Mi è impossibile accantonare in fondo al mio cuore, una parte così importante della mia vita. Anche se lui è il tuo opposto, così imperfetto, timido, pigro nei sentimenti, è la migliore persona che io abbia mai conosciuto, l’unico che è entrato nel mio cuore e che non ne uscirà mai. – pensò giocando con la morbida schiuma profumata che la avvolgeva. Non riusciva a mentire a se stessa. Kenneth Sullivan, il fidanzato perfetto che tante donne le invidiavano. Il perfetto gentleman inglese, di padre nipponico e madre discendente dall’aristocrazia inglese. Era il vice presidente delle Sullivan Company, un’importante società finanziare a cui capo c’era il padre. Dal padre aveva ereditato non solo gli occhi castani, ma anche e soprattutto il fiuto per gli affari e la dedizione completa al lavoro. Della madre, invece, Ken aveva il colore biondo dei capelli, la perfetta educazione in ogni occasione, l’amore per il bello e per la perfezione. Più giorni trascorrevano insieme, e più Patty pensava che Ken fosse la copia di sua madre. Hanna Sullivan era una donna autoritaria ed accentratrice; profondamente legata al figlio, quasi da un affetto morboso, lo chiamava anche più di dieci volte al giorno per accertarsi sull’andamento della giornata. Patty era esasperata dal suo comportamento invadente, ma Ken sembrava non farci molto caso e non sgradire affatto le premure della genitrice.

Lo squillo del telefono la riportarono alla realtà.

-         Sarà mia madre. Non la vedo da due giorni e mi sono anche dimenticata di avvertirla che sono arrivata! – esclamò uscendo dall’acqua. Si avvolse nel morbido accappatoio di spugna e corse a rispondere al cellulare che aveva lasciato nell’ingresso della suite. Quando finalmente lo afferrò, aveva smesso di suonare. Guardò il numero sul display. Lo stesso dal quale aveva chiamato Ken al suo arrivo in Giappone. Istintivamente si voltò verso un orologio a pendolo posto vicino il caminetto scoppiettante.

-         E’ tardi. Sono le sei quasi e trenta. Mi sembrava strano che non mi avesse richiamata almeno altre cinque volte! – esclamò contrariata. – Devo vestirmi. Andiamo a vedere cosa ha preso per me. -. Portando con se il cellulare, Patty tornò in camera da letto e cominciò ad aprire le scatole una dopo l’altra. In quella più grande, circondata da un grande fiocco rosso di raso puro, trovò uno splendido abito laminato nei toni cangianti dal bianco all’argenteo.

-         Una cosa devo ammetterla: Ken ha davvero gusto. – disse ammirando il lungo abito dalla profonda scollatura e dall’ampio spacco. In un altro pacco trovò lingerie e calze di seta, in un altro ancora un paio di sandali alti ed una pochette argentati, e nell’ultimo, una stola di organza argentata con le code laminate come l’abito.

Poggiò tutto sul letto estasiata dalla luce meravigliosa emessa dai lustrini del suo abito da sera. Tornò nell’ingresso e aprì la valigia. Prese un borsello capiente dove portava sempre con sé tutto il necessario per l’igiene e il make-up quotidiano e per la messa in piega. Smise l’accappatoio e passò sulla pelle calda una crema profumata. Indossò la lingerie e andò a lavarsi i denti e a truccarsi. Quando ebbe terminato, indossò l’abito, raccolse i lunghi capelli con delle forcine, lasciando che alcune ciocche le cadessero lungo il volto niveo e si passò un velo di lucidalabbra rosa. Si specchiò cercando delle note stonate nella figure che si rifletteva nel grande specchio. Era stupenda, di una bellezza altera ed eterea.

-         Chissà cosa penserebbe Holly vedendomi così! – sibilò sorridente. L’immagine elegante e raffinata di una nuova Patricia sembrava aver preso definitivamente il posto di quello semplice e scanzonato di Patty. Lo squillo del telefono la  fece trasalire. Non era il cellulare ma l’apparecchio telefonico della suite. Sollevò la cornetta e rispose.

-         Sì. –

-         Signora Gatsby. Il suo autista è giunto. –

-         Gli dica pure che sto scendendo, per favore. –

-         Benissimo, grazie. -. Calzò i sandali, prese la stola, la borsetta e il cellulare e tornò nell’ingresso. Mise il portafoglio, i documenti e il cellulare nella borsa argentata e indossò il cappotto di cashmere e visone. Era pronta per andare a cena a Villa Sullivan. Respirò profondamente e aprì la porta per richiudersela poco dopo alle spalle.

 

L’ascensore arrestò la sua corsa nella hall dell’albergo. Nel ristorante al primo piano si sarebbe tenuto un importante ricevimento. Gli ospiti dell’albergo sembrano in preda ad una strana frenesia: era Natale. Al centro della hall troneggiava un alto abete decorato con sfere di cristallo, oro e argento. Piccole luci rosse lo illuminavano su ogni ramo. Qua e là, sui tavolini, sui banconi della reception, e ovunque ci fosse posto, c’erano grandi composizioni di agrifogli e vischi come nella più antica delle tradizioni. Un gruppo di giovani intenti a discorrere sorseggiando un aperitivo all’angolo bar, la notarono in tutta la sua bellezza. Tale era il suo splendore che sembrava quasi lasciare una scia luminosa al suo incedere. Sorrise consapevole di aver fatto nascere nuove sensazioni in quei giovani. Si avvicinò alle porte automatiche e il portiere si scostò per lasciarla passare.

-         Buon Natale. – gli disse intravedendo la figura imponente e scura di Jackson vicino la limousine.

-         Oh…Buon Natale anche a lei. – rispose colto di sorpresa, togliendosi il cappello della livrea in segno di educazione.

-         Patty….Patty Gatsby! – esclamò una voce femminile prima che lei potesse entrare nella sontuosa automobile. Patty si voltò in direzione della voce e vide, di fronte a se una bellissima donna. I capelli ramati lasciati sciolti sulle spalle coperte da una mantella con i bordi di pregiata pelliccia. Sotto la mantella si intravedeva un abito rosso scarlatto lungo fino alle caviglie.

-         Amy…sei proprio tu? – chiese incredula e sorridente a quella figura familiare. Il cuore le batteva forte. Sentì il sangue fluire nelle vene. Un improvviso tuffo nel passato, in quel periodo trascorso della sua vita, un cui allegra discorreva con l’amica sui dubbi e le incertezze d’amore.

-         Deve essere uno scherzo del destino…non posso crederci…sono dieci anni che non ti vedo più…Patty sei bellissima…sembri una dea…

-         Smettila Amy, mi fai arrossire. Tu sei bellissima…ma…ti sei sposata! – aggiunse Patty intravedendo la vera al dito mentre si abbracciavano.

-         L’anno scorso. -. Patty tacque emozionata da quell’inaspettata sorpresa. – Julian…Patty…io e Julian ci siamo sposati. –

-         Sono contenta per voi. Non poteva non andare così…non a voi. – ammise tristemente rimembrando gli anni felici trascorsi insieme a Holly. Allora, tutto sembrava così facile. Lei e Holly, Amy e Julian, Philip e Jenny, Evelyn e Bruce. Anche se non stavano insieme, era come se quelle coppie fossero predestinate a stare insieme, per sempre. Amy era riuscita a serbare il suo amore per il capitano della Mambo e Julian, dal canto suo, non aveva potuto che ricambiare il grande sentimento che le aveva sempre dimostrato la sua migliore amica.

-         E tu? – le chiese Amy comprendendo che l’amica si trovava in una situazione particolare. – Vedo che sei diventata importante. – continuò alludendo alla limousine.

-         Non è mia…è un obbligo per me girare oggi in limousine. Vado ad una festa a Villa Sullivan. –

-         Sei ospite di Hanna Sullivan? – le chiese curiosa.

-         Sì. Sinceramente avrei preferito festeggiare in un altro modo. La conosci? –

-         Non per fare delazione alle spalle altrui, comunque sì. Quella specie di megera è un’amica della madre di Julian. Frequentano gli stessi salotti altolocati. Mi è capitato di vederla a casa loro. Ma tu, quando sei tornata? –

-         Un paio d’ore fa. Vivo ancora  a Londra. Lavoro al consolato nipponico a Londra e sono il braccio destro del console. Sono stanca del viaggio, e mi tocca andare ad una festa in cui mi sentirò l’unica pedina fuori posto.–

-         Mi sembra tutto così irreale…tu che sembri una top model e che vai a cena a casa di una delle famiglia più in vista di Tokyo e di Londra. Aspetta un attimo…non sarai tu la fidanzata di Kenneth Sullivan! – constatò Amy non distogliendo lo sguardo dall’amica. Patty annuì col capo.

-         Stiamo insieme da circa quattro mesi. – ammise con tono sommesso. Amy continuò a rimirare gli occhi malinconici di Patty. Si trovava in una situazione a lei poco consona. L’aveva capito subito. Patty non era fatta per le serate mondane, i salotti altolocati e le chiacchiere di donne. Lei era una stata abituata ad essere uno spirito libero e non poteva sicuramente instaurare un rapporto con Hanna Sullivan.

-         Io…beh, sono meravigliata. –

-         Conosci Ken? – le chiese cercando di riprendere il discorso.

-         Come ti ho detto, sua madre Hanna è una donna molto in vista anche qui a Tokyo. Il padre di Ken e il padre di Julian si conoscono da anni e anche se all’epoca vivevano stabilmente a Londra, quando veniva per affari qui in Giappone, portava sempre Ken con se. Voleva che conoscesse le sue radici nipponiche. – aggiunse chinando il capo.

-         Non mi sembri molto contenta della mia scelta. – disse Patty in cerca di consensi. Amy la guardò con espressione cheta e amichevole. Le sorrise amabilmente.

-         E’ che…che mi sembrava così scontato che anche dopo la tua e la sua partenza, voi…insomma…voi eravate la coppia più bella. –

-         Amy, io e Holly…non siamo mai stati insieme. –

-         Questo lo so, ma è innegabile che i sentimenti che vi accomunavano erano forti e palesi. Lui ti voleva bene nella stessa tua misura. Anche se non te lo diceva, era evidente…perché Patty? Cos’è successo? Cosa vi ha diviso? Quando pensavo a voi, speravo che un giorno tu volassi in Brasile e lo raggiungessi. Ed ero certa che lui sarebbe stato lì ad aspettarti a braccia aperte. –

-         E’ proprio questo il problema Amy. Non è mai successo nulla…io sono andata via dieci anni fa…lui è partito poco dopo di me…abbiamo perso i contatti quasi subito…

-         Signorina, dobbiamo andare! – esclamò Jackson avvicinandosi e interrompendo la piacevole conversazione.

-         Mi dispiace Amy…sarei voluta rimanere volentieri. E’ stato molto bello rivederti. I miei più sinceri auguri a te e a Julian. Spero che il nuovo anno possa essere gioioso e sereno. – le disse abbracciandola prima di entrare nella limousine.

-         Patty…

-         Amy…nessuno potrà mai prendere il suo posto nel mio cuore. – aggiunse prima di richiudere lo sportello. Jackson inserì la prima e partì.

-         Mi dispiace aver interrotto la sua conversazione, signorina! – le disse educatamente l’autista di colore.

-         Non temere Jackson. E’ stato bello rivedere una vecchia amica. – aggiunse in tono flebile. Voltò lo sguardo al finestrino vedendo la sua immagine malinconica riflessa nel vetro.

-         E’ vero…nessuno potrà mai sostituire te nel mio cuore…-

 

Julian si avvicinò alla moglie impensierito dal suo ritardo.

-         Tesoro, tutto bene? Pensavo fossi dietro di me. Non ti ho vista e sono uscito a cercarti. -. Amy continuava a guardare la strada. – Stai bene? –

-         Scusami…è che ho incontrato una vecchia amica…Patty! –

-         Quella….Patty? – le chiese rimembrando la figura femminile sempre accanto al capitano della New Team e della nazionale.

-         Sì Julian, proprio lei. Andava ad una festa a Villa Sullivan. – aggiunse stringendosi al braccio del marito. Rientrarono in albergo, attesi per il ricevimento. 

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Capitolo 3
*** Momenti ***


Sweet Christmas

Sweet Christmas

 

Capitolo 3

 

 

La limousine iniziò a costeggiare un muro di cinta molto lunga al centro del quale, si intravedeva un grande cancello spalancato. Jackson andò oltre il cancello avviandosi lungo il viale di mattoni che conduceva alla grande villa a più piani. Antistante l’imponente struttura abitativa, c’era una rotatoria che regolava la viabilità degli automezzi, con al centro una fontana illuminata di tinte variopinte. I cornicioni della villa erano stati impreziositi da piccole luci colorate che ne delineavano i contorni. Jackson fermò l’auto dinanzi un portico che immetteva nella villa. Scese dall’auto e aprì lo sportello alla sua ospite.

-         Signorina, se le serve qualcosa, io sono qui. – le disse sorprendendola. Patty lo guardò dolcemente. Hanna Sullivan chiedeva sempre all’autista di famiglia di seguirli nei loro spostamenti più lunghi. Patty aveva avuto modo di conoscerlo ad una delle serate mondane a cui l’aveva condotta Ken e alla quale avevano preso parte i suoi genitori.

-         Grazie Jackson. Buon Natale. -. L’uomo si inchinò  in maniera riverente e ricambiò il sorriso della ragazza. Un alto giovane in smoking scuro raggiunse l’auto.

-         Benarrivata tesoro. – le disse baciandole lievemente la gota.

-         Ciao Ken. –

-         Spero tu abbia avuto modo di riposarti. Siete un po’ in ritardo. Forse Jackson non è arrivato puntuale? –  le chiese salendo i gradini che li conduceva all’interno del portico e della villa.

-         Assolutamente Ken, è stata colpa mia. Ho incontrato una vecchia amica e abbiamo scambiato due chiacchiere. Spero che per te e per tua madre non ci sia nulla di male se ho tardato un po’. Comunque, no, non ho avuto modo di riposare.– rispose formalmente.

-         Patricia, ti prego! – esclamò con tono di ammonimento. Patty lo guardò e sospirò. Ken era davvero un bel ragazzo. I suoi lineamenti europei erano perfetti e lo rendevano uno dei migliori partiti alla corte d’Inghilterra. In fondo, si sforzava di darle il meglio. Avevano varcato il portico sui lati del quale erano state posizionate alte giare pregiate con composizioni di vischi e piante natalizie. Oltre il portico si aprivano le porte a vetro a cattedrale di un ampio ingresso. Patty ne disegnò le linee e gli arredamenti fortemente colpita dallo stile europeo evidentemente trapiantato da Hanna Sullivan nella loro dimora nipponica.  A destra e sinistra dell’ingresso c’erano due corridoi che evidentemente immettevano ai salotti destinati all’accoglienza degli ospiti e alle stanze di servizio. Frontale alla porta, sotto una grande scalinata in marmo e ferro battuto che conduceva ai piani superiori, un grande arco conduceva al salone delle feste. Sulle pareti c’erano riproduzioni di paesaggi inglesi dipinti da celebri artisti; pregiate porcellane e lumi francesi abbellivano le consolle inglesi e illuminavano in maniera soffusa l’ingresso. Giochi di color oro e mattone si alternavano nelle pregiate pitture murali.

-         Non mi avevi detto che si trattava di un ricevimento in pompa magna. –

-         Dovresti saperlo che a mia madre piace organizzare le cose per bene, e il Natale è un’occasione speciale. –

-         Già. Avrà impiegato dei mesi per organizzare questa festa lussuosa e per radunare tutta la gente più in vista del Giappone. – continuò ironicamente, ammirando i fasti e gli sfarzi del grande salone nel quale erano appena entrati. Grandi lampadari di cristalli pendevano dagli alti soffitti, illuminando a giorno la sala. Lungo i lati del salone correvano due navate sotto le quali erano stati apparecchiati elegantemente i tavoli per gli invitati. Lunghe tovaglie di broccato bordeaux ricadevano sontuosamente sul pavimento in marmo; sui tavoli rotondi ardevano candelieri d’argento, le cui fiamme sembravano riverberare nelle porcellane francesi e nei cristalli di Boemia. In fondo alla navata centrale, evidentemente lasciata libera per le danze, un’orchestra intonava le note dei più grandi successi di Frank Sinatra.

Molti degli ospiti erano già arrivati. Un cameriere si avvicinò alla bella diplomatica per prendere in consegna il suo cappotto. Quando Patty smise il soprabito, il suo abito dai toni argentati brillò sotto le luci calde e forti dei lampadari. Gli invitati si voltarono a guardare quella splendida creatura, compagna di Kenneth Sullivan. Ken la guardò con ammirazione. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Il suo corpo brillava come il diamante più puro e prezioso.

-         Sei straordinariamente bella. – le disse prendendola per mano. Patty sorrise al complimento. Anche se Ken le dedicava ben poco tempo perché assorbito totalmente dal suo lavoro, era certa che le voleva bene e che probabilmente quel giovane sentimento, per lui era già divenuto amore.

-         Vieni, andiamo a salutare i miei genitori. – le disse incitandola a seguirlo lungo la navata. La sua sembrò la sfilata di una sirena dal canto idilliaco. Le ciocche di capelli scuri incorniciavano il volto perfettamente truccato, delineando l’eburneo della sua pelle.

-         Buonasera. – disse a Hanna e Jim Sullivan quando li ebbero raggiunti. Hanna abbozzò un lieve sorriso di convenienza seguendo con gli occhi la linea perfetta della figura che le stava frontale. Lei, discendente della nobiltà inglese, avrebbe desiderato per il figlio un partito di sangue blu. La vita lavorativa di Patty non le piaceva particolarmente. Non vedeva di buon occhio il suo viaggiare spesso e soprattutto il suo continuo contatto con molti, forse troppi uomini, la sua dinamicità e il suo carisma quasi mascolino che poco si addicevano ad una donna. Nella fidanzata di suo figlio, lei cercava la pura lady inglese, ottima conversatrice da salotto e da pomeriggi mondani.

-         Buonasera Patricia. Temevo non arrivasse più. E’ buona tradizione nella nostra famiglia che i componenti attendano gli ospiti e non viceversa. – disse severamente e in maniera autoritaria. Jim guardò la moglie e inarcò le sopracciglia. Non approvava quel suo temperamento rigoroso e inflessibile di stampo quasi ancestrale. 

-         Le chiedo scusa ma la buona educazione mi ha portata a soffermarmi a salutare una vecchia amica incontrata per caso. Penso che anche lei la conosca. Amily Ross, la moglie di Julian Ross. – ribatté Patty con la stessa imperturbabilità a lei mostrata. Hanna socchiuse leggermente le palpebre allungando lo sguardo verso la ragazza. La riteneva un’insolente. Era questa l’idea che si era fatta di lei.

-         Guarda cara, sono arrivati i signori Kramer. – disse Jim cercando di sviare la conversazione e spezzare momentaneamente il gelo che si era creato tra le due donne. – Ken, fa tu gli onori di casa con Patricia. –

-         Certo papà, grazie. -. Jim condusse la moglie verso la coppia di ospiti.

-         Tua madre non perde occasione di farmi notare i miei difetti. Ci siamo viste poche volte, ma vedo che tanto è bastato a farmi entrare nelle sue grazie. – disse Patty ironica seguendo il fidanzato verso un salottino.

-         Avete entrambe un carattere molto forte. Mia madre è una persona molto precisa e pignola, schiava del tempo e della routine. Tu sei una ragazza dinamica pronta a saltare in prima linea senza irrigidirti di fronte ai contrattempi. Siete ai due poli opposti. –

-         Quindi, secondo le leggi fisiche dovremmo attrarci. Siamo due persone diverse, ed io, mio caro Ken, non sono sicuramente la figura perfetta alla quale tua madre anelava per il proprio figlio. –

-         Non dire sciocchezze. Non essere prevenuta. Non ti ha scelta lei, ma io! – ribadì leggermente seccato dal tono della conversazione.

-         Fino a quando non ti stancherai! – ribatté guardandolo malinconicamente.

-         Non mi sembra il caso di polemizzare o tanto meno intavolare inutili discorsi. Siamo qui per divertirci, cerchiamo di festeggiare al meglio il nostro primo Natale insieme. – le disse abbracciandola. Patty avvertì il tocco morbido delle sue labbra sul suo capo. Chiuse un attimo gli occhi per imprimere meglio nella sua mente quel gesto di dolcezza e complicità. Lo vide lì, dinanzi i suoi occhi, il giorno in cui lei era partita. Non era il volto emozionato di un campione in auge, ne quello sempre ottimista verso la vita. Un sorriso forzato, di circostanza, l’ultimo prima che lei partisse. Patty sentì il cuore batterle con insistenza e il fiato bloccarsi in gola. Nulla riusciva a scacciare in lei, il pensiero del suo primo grande amore.

-         Ciao tesoro. – esclamò una coppia avvicinandosi ai due fidanzati.

-         Mamma, papà…ma voi cosa ci fate qui? – chiese incredula. Guardò Ken sorridente.

-         E’ una mia sorpresa. Desideravo che la mia fidanzata fosse a suo agio e in famiglia in questa splendida serata. -. Patty non aveva parole. Aveva fatto arrivare i suoi genitori da Londra ed evidentemente avevano alloggiato altrove per consentire la riuscita della sorpresa.

-         Non finirai mai di stupirmi, Ken. –

-         Come stai tesoro? Non ci vediamo da qualche giorno! – le chiese la madre premurosa. Rose Gatsby, avvolta in un lungo abito nero dall’ampia scollatura, abbracciò la figlia  e la baciò dolcemente sulle gote.

-         Bene mamma. – rispose ricambiando l’abbraccio.

-         Secondo me dovresti mangiare un po’ di più. Comunque, sei la stella più luminosa. – le disse il padre con ammirazione abbracciando, a sua volta, la sua unica figlia. Patty si rifugiò nell’abbraccio paterno, ritrovando in quel gesto il calore della sua famiglia. Aveva una strana sensazione, si sentiva in trappola.

 

 

David Hutton continuava a salterellare vicino l’abete decorato implorando i genitori di poter scartare qualche regalo. Era nato due anni dopo la partenza di Holly per il Brasile e per Maggie era stato un vero e proprio toccasana. La lontananza di Holly e del marito Michael le avevano fatto lesinare la depressione. La nascita del piccolo Hutton le aveva restituito il vigore e la vita di un tempo. David le ricordava molto il piccolo Oliver. Alla sua età, Holly aveva già scelto il suo eterno compagno di giochi e il suo migliore amico. David aveva ancora le idee un po’ confuse ma in compenso era il più accanito sostenitore del fratello, oramai acclamato e celebre calciatore internazionale.

Michael sentì suonare alla porta e si accinse ad aprire ai suoi ospiti. Adam era un collega di vecchia data e sua figlia Samantha aveva espresso più volte il desiderio di rincontrare l’idolo nipponico Oliver Hutton. Maggie raggiunse il marito sorridente e lieta di ricevere la famiglia Smith. Eleanor Smith abbracciò l’amica e la baciò sulle guance. Samantha si fece strada tra i genitori e strinse la mano a Michael e Maggie.

-         Sei incantevole Eleanor, ed anche tu Samantha. Datemi i soprabiti, così vi liberate di un peso. – disse loro con la sua proverbiale cortesia. La padrona di casa si fece carico dei cappotti degli ospiti e li ripose nell’armadio del soggiorno. La loro casa era calda e accogliente e gli Smith avevano già avuto modo di assaporare il calore e la cortesia della loro compagnia. Maggie guardò Samantha e sorrise ripensando alle parole che le aveva detto il marito poco prima.

Aveva circa vent’anni e frequentava il secondo anno alla facoltà di economia di Tokyo. I capelli erano corti e neri e gli occhi scuri come le ombre della notte. Il suo sorriso era morbido e carezzevole.

-         Allora Michael, il tuo gran campione è tornato? – gli chiese Adam accarezzando il capo di David.

-         Certo. E’ in camera sua a riposare dopo il lungo viaggio. – rispose indicando loro i divani per accomodarsi.

-         Lo vado a chiamare così possiamo sederci a tavola. – disse Maggie allontanandosi verso la scala. Salì frettolosamente i gradini e si soffermò a riprendere il respiro dinanzi la porta della stanza di Holly. Le note alte che riconobbe appartenere a Desert Rose di Sting coprivano qualsiasi rumore o respiro. Bussò più di una volta ma non rispose. Preoccupata, girò la maniglia lievemente e aprì la porta. Lo vide in piedi, vicino la finestra a contemplare la neve che candida cominciava ad imbiancare quel Natale. Maggie non distolse lo sguardo dalla figura del figlio. La fievole luce dei lampioni e del corridoio gli fendeva il volto illuminandone solo un profilo. Tanto era sufficiente per delineare la malinconia nei suoi occhi. Holly era così cambiato. Il suo fisico era adulto, scolpito dagli anni di sport e cominciava a comprendere il perché di tanto successo con le ragazze. Era orgogliosa di lui, ma vederlo così mesto e inquieto la preoccupava. Se era vicino alla finestra  da qualche minuto, aveva avuto modo anche di vedere gli Smith varcare il cancello della loro casa. Si avvicinò tentoni alla libreria sulla quale c’erano i trofei, la radio e le fotografie. Pigiò il tasto per spegnere la radio e notò una fotografia seminascosta. La luce proveniente dal corridoio e quella dei lampioni illuminavano leggermente la stanza. Holly e Patty in divisa scolastica, alla fine di quell’anno che li aveva separati. Si guardavano sorridenti e inconsci di quello che il futuro aveva riservato loro. Holly aveva un’espressione serena e rimirava l’amica con dolcezza e riconoscenza verso quella creatura che l’aveva seguito amabilmente per tanto tempo.  Si avvicinò al figlio e gli mise una mano sul braccio.

-         Nevica! – sibilò non distogliendo lo sguardo dai vetri.

-         Tesoro, c’è qualcosa che ti preoccupa? – gli chiese timorosa della sua risposta. Holly si voltò verso la madre. Accarezzò leggermente il volto materno.

-         Non so perché…ma questo Natale, più degli altri, sento la mancanza della mia vita passata, quella trascorsa qui con i miei amici….

-         E con lei, vero? -. Holly si sedette sul letto e annuì alla domanda della madre. – Tesoro, gli anni passano e le persone cambiano, si dividono e intraprendono strade diverse. Non puoi rimpiangere il tuo passato negandoti un futuro più sereno. –

-         Non rimpiango nulla di quello che è stato e del presente. Ho nostalgia di quei tempi, di lei….rimpiango e rinnego i miei tanti, troppi silenzi, il non averle detto quanto era importante per me, l’aver sprecato inutilmente tanto tempo correndo dietro un pallone! –

-         Ne sei…. innamorato? – gli chiese guardandolo amabilmente ma con titubanza. Holly chinò il capo per celare l’imbarazzo sul suo volto. Non aveva mai esternato a nessuno i suoi sentimenti più profondi.

-         Che importanza ha ormai? –

-         Non è una risposta, soprattutto al tuo cuore. Non devi rispondere a me, ma a te stesso. Devi chiederti se c’è la possibilità di cambiare qualcosa, di fare in modo che nel tuo futuro ci possa ancora essere lei. –

-         E’ tardi mamma, sono passati dieci anni nei quali non ho fatto assolutamente niente per andarmela a riprendere. Nulla. Ho cercato inutilmente di dimenticarla, di pensare che un giorno ci sarebbe stata un’altra ragazza a guardarmi dagli spalti. Invece, ogni qual volta scendo in campo e mi volto verso le tribune….rivedo la sua immagine sorridente. Lei mi faceva sentire diverso…poneva fine alle mie paure, ai timori, mi spronava a dare il meglio. Sapeva che un giorno sarei partito per il Brasile. Quando mi disse che doveva trasferirsi a Londra, pensai che forse era meglio così. Non avrebbe sofferto troppo per la nostra separazione. Avremmo imboccato strade diverse, allora mi sembrò un segno del destino….-

-         Cosa le dicesti quando andasti a salutarla all’aeroporto? – gli chiese curiosa incurante dell’attesa procurata ai suoi ospiti.

-         Non voleva che qualcuno l’accompagnasse. Non voleva che la vedessimo piangere. Il giorno prima organizzammo una festa a sorpresa, ricordi? Ci salutò tutti lì, durante la festa. Ed io invece, il giorno dopo, andai in aeroporto. Non so perché lo feci…una forza strana mi spinse a farlo, qualcosa, nel mio cuore mi consigliò di andare. E’ sorprendente…tu frequenti per tanto tempo una persona  e alla fine ti rendi conto di sapere davvero poco di lei. Lei era la manager della squadra, la mia manager, la mia migliore amica…la mia compagna..- sussurrò alzandosi e prendendo la fotografia che li ritraeva insieme. – E’ cambiata mamma: è diventata una donna bellissima, ma i suoi occhi…sono sempre uguali, e così il suo sorriso. Vuoi sapere cosa provo? Quando parlo di lei, o semplicemente pensarla mi provoca un tumulto interno, il cuore mi batte, sento una morsa allo stomaco, mi manca il fiato, le parole mi muoiono in gola…ecco cosa provo…sì, anche se tardi, mi rendo conto di esserne perdutamente innamorato. – ammise consapevole del forte sentimento che provava per Patty. – Le dissi che non l’avrei mai dimenticata. Le diedi anche un appuntamento…ci saremmo visti la notte della vigilia di Natale qui in Giappone, dopo dieci anni. -

-         Holly! E’ molto bello quello che hai detto! Essere innamorati è una sensazione meravigliosa. Potresti andare a trovarla. –

-         E rompere un nuovo equilibrio? Perché dovrei irrompere ancora nella sua vita? –

-         Per far pace con il tuo cuore, per dare un’altra possibilità a te stesso, perché ne sei innamorato. –

-         Non  saprei…non mi sembra giusto nei suoi confronti, non dopo dieci lunghi anni di assenza dalla sua vita. –

-         Tesoro, dai al tuo cuore un’altra possibilità! Neanche il tempo può far dimenticare un grande amore e se Patty ti amava come credo, non penso ti abbia mai dimenticato. Adesso andiamo di sotto. Non facciamo attendere oltre i nostri ospiti. – gli disse abbracciandolo.

-         Grazie mamma. –

-         E’ bello averti qui, tesoro! – gli disse baciandolo dolcemente sulla gota.

 

Amy continuava a fissare le luci del grande lampadario della sala ricevimenti dell’albergo.

-         Tesoro, cos’hai? – chiese Julian afferrando la mano della moglie tra le sue.

-         Ehm…io…nulla, pensavo! –

-         A Patty? -. Amy annuì alla domanda del marito. Julian le baciò la mano. Amy si preoccupava sempre per tutti. Non aveva mai perso quell’indole particolare che l’aveva accompagnata durante l’adolescenza. – C’è qualcosa che ti ha turbata in questo incontro? – le domandò cercando di comprendere il motivo dell’inquietudine della bella moglie. Amy lo guardò con amore accennando un timido sorriso.

-         Ho sempre pensato che i loro sentimenti sarebbero stati più forti di qualsiasi distanza. Invece scopro oggi che Patty è la fidanzata di Kenneth Sullivan. –

-         Tesoro, forse il destino ha voluto così. Probabilmente Patty era stanca di attendere le eterne e proverbiali indecisioni di Holly. Poverina! Prova a comprenderla….avrà avuto bisogno di cercare gli affetti altrove. Holly ha fatto una scelta tanto tempo fa. E i risultati si sono visti. E’ uno degli attaccanti più quotati al mondo. Ha realizzato quello che era il suo sogno di bambino, rinnegando tutto il resto. Non si poteva certo pretendere che Patty rimanesse sempre lì ad aspettare il suo ritorno. Tra l’altro, ti ricordo che il destino ha voluto separarli prima che Holly partisse. –

-         Julian…Patty non ha mai dimenticato Holly! –

-         Come fai a dirlo? – le chiese scrutando attentamente il volto niveo della moglie. I suoi occhi erano sinceri, come sempre.

-         Mi ha detto che nessuno riuscirà mai a sostituire nel suo cuore l’amore che ha serbato e che ancora prova per Holly. -. Julian tacque. La mano di Amy tremava tra le sue. Era emozionata, commossa. Comprese che la moglie si sentiva incapace di fronte ad un amore irredento e tanto anelato. Gli occhi castani brillavano di commozione. Le sfiorò il volto con una carezza.

-         Cosa posso fare io, per lenire queste tue preoccupazioni e per restituire ad un’amica l’amore perduto? – le chiese con calma sapendo che quella della moglie era una richiesta d’aiuto.

-         Forse…potresti chiamare Holly e dirgli di contattarla. –

-         Beh…Holly è a Fujisawa. E’ a casa per le festività, me lo ha detto Benji ieri sera. Si vedranno domani mattina. E comunque, Amy, non so se sia giusto infrangere questi equilibri. Se Patty è fidanzata, immagino che provi dei sentimenti per Ken e ti ripeto, anche Holly potrebbe provare sentimenti diversi per un’altra persona.-

-         No…Julian tu non l’hai vista. Credimi, non è solo una sensazione. Patty non è innamorata di Ken…non quanto lo è ancora di Holly. – gli disse disperata mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Julian la guardò. Era sincera e desiderosa di combattere per la causa della sua cara amica.

-         Senti…facciamo una cosa…domattina chiamo Holly per fargli gli auguri e gliene parlo. -. Amy tacque.

-         E se fosse troppo tardi? – intervenne. Julian sospirò forse stanco di quell’argomento.

-         Amy, non lo so. Se Patty ha un fidanzato vuole dire che non hanno mantenuto i contatti o che forse era stanca di Holly. Inoltre, non vedendo Holly che ai raduni della nazionale, non ho avuto modo di approfondire con lui certi argomenti. E ‘poi, dovresti conoscerlo. In fatto di sentimenti, il nostro capitano è una persona molto timida e introversa. Sono trascorsi tre mesi dacché l’ho visto e i miei continui impegni non mi hanno sicuramente permesso di contattarlo frequentemente. Noi non sappiamo se nel cuore di Holly c’è un’altra ragazza. – ribatté Julian cercando di fare un discorso chiaro e coerente alla moglie. – Vieni, andiamo a salutare i miei genitori. – aggiunse alzandosi e invitando la moglie a fare altrettanto. Amy seguì malvolentieri il marito, speranzosa che in quella notte di Natale, un improvviso miracolo avrebbe restituito due cuori a un grande amore.

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Capitolo 4
*** Tentazioni e confessioni ***


Sweet Christmas

Sweet Christmas

 

Capitolo 4

 

 

Samantha non aveva smesso di guardare Holly. Erano seduti l’uno di fronte all’altra  e non appena poteva, posava i suoi occhi sul giovane campione del Barcellona. Maggie sorrise quando, da donna, si accorse che la ragazza aveva abbassato leggermente la scollatura, già fin troppo audace, del suo abito in taffettà rosso. Holly non sembrava per nulla interessato a quel decollété così avvenente e nonostante l’avesse notato più di una volta, aveva preferito continuare a dialogare con suo padre Michael e con Adam Smith.

Eleanor Smith si alzò e seguì Maggie in cucina per aiutarla a servire il dolce. La cena era stata gustosa e appetitosa sebbene Holly non avesse quasi toccato cibo. La sua mente continuava a vagare e nei suoi occhi era ferma l’immagine di quella rivista che le aveva restituito un’amica oramai donna.

Poco dopo, le due donne portarono in tavola uno splendido dolce preparato per l’occasione.

-         Bene, a questo punto penso che sia d’obbligo un brindisi. – disse Michael alzando il suo bicchiere. Gli altri lo imitarono nel gesto e dopo poco, i bicchieri erano tutti colmi e alti per il brindisi.

-         In questa splendida serata auguro a ciascuno di voi che i sogni si possano realizzare e che salute e felicità vi accompagni oggi e sempre. –

-         Auguri! -. L’eco del brindisi risuonò nella casa.

-         Samantha hai parlato a Oliver del tuo progetto? – le chiese la madre.

-         Veramente no, mamma. Non ne abbiamo avuto il tempo. Magari dopo cena. Adesso gustiamo il dolce. – disse in tono ammiccante leccando il cucchiaino ricoperto di cioccolato. Holly la guardò attentamente memorizzando i suoi gesti poco gentili ma molto sensuali. Nonostante Samantha non fosse il suo tipo, doveva sicuramente ammettere che era una bella ragazza dalle curve prorompenti.

 

 

Amy guardava il marito mentre sorrideva e dialogava con amici di famiglia. Era palesemente annoiata da quella festa  e pensierosa per Patty. Non riusciva a dimenticare il suo sguardo triste e le sue parole. Se Holly era rimasto quello di una volta, allora era certa che nessuno, a parte Patty, aveva ancora conquistato il suo cuore. Doveva fare qualcosa. Doveva telefonare a Holly e avvertirlo che Patty era a Tokyo. A lei non piacevano i Sullivan e conoscendo Patty, era certa che non avrebbe resistito a lungo nella famiglia in cui il carattere dominante era quello di Hanna.

Si alzò da tavola e guardò il marito. Il suo Julian. Lo amava infinitamente, dacché erano ragazzini, non aveva mai smesso di amare quel giovane che la salute aveva messo a dura prova. Dopo l’ennesimo intervento cardiaco, adesso Julian sembrava guarito e da circa tre anni conduceva una vita normale e giocava ancora a calcio. Lui parve sentirsi osservato e si voltò in direzione della moglie. Lei gli sorrise e gli sibilò che sarebbe andata alla toilette. Prese la borsa e si allontanò. Indicata dai camerieri, proseguì lungo un corridoio e la trovò quasi subito. Aprì la porta e  si accertò che fosse sola. In preda all’ansia e al timore di non riuscire nel suo intento, rovistò nella borsa alla ricerca del cellulare di Julian. Lo trovò subito e aiutandosi con la rubrica, cercò, tra le decine di numeri telefonici, quello della casa di Holly.

 

 

-         Oliver, hai una mappa di Barcellona? – chiese Samantha avvicinandosi al giovane campione. La cena era terminata e i commensali stavano gustando il caffè in salotto.

-         Certamente. In camera mia. Vado a prendertela. –

-         Vengo con te! – aggiunse lei seguendolo per la scala, senza dargli neppure il tempo di risponderle. Holly entrò in camera sua accendendo il lume sul suo comodino. Non amava le luci molto forti e quelle soffuse rendevano più intimi gli ambienti.

-         Hai una bella stanza. – gli disse guardandosi intorno e soffermando lo sguardo sulla libreria. Tra i vari trofei e le medaglie, scorse le fotografie che lo ritraevano insieme ai compagni e a Patty. Holly era intento a rovistare nel cassetto della scrivania, alla ricerca della cartina topografica della città spagnola.

-         Sai Oliver, io studio economia e mi sono iscritta ad un progetto internazionale che prevede il gemellaggio con una università europea. –

-         Molto interessante. Immagino che arriverai prima! – esclamò tediato dalla voce cantilenante della ragazza e dal continuo elogiare dei suoi genitori.

-         Sto lavorando sodo per questo progetto perché voglio vincerlo. – rispose con tono ammiccante.

-         Eccola! – esclamò il ragazzo mostrando all’amica la cartina piegata. Lei si avvicinò ancheggiando sensualmente. Holly aveva uno strano presentimento.

-         Sai! – esclamò andandogli vicino e mettendogli una mano tra i capelli. – In caso di vincita della borsa di studio relativa al progetto, ho già scelto l’università. –

-         Davvero? – le chiese non sapendo cosa dire. I loro corpi erano vicinissimi. Holly poteva sentire sul suo petto, il palpitare veloce dei suoi seni che si alzavano al solo respirare. Sembrava ammagliato dal canto di quella sirena. La mano di lei continuava a giocherellare con i capelli corvini e ad accarezzargli il lobo dell’orecchio. Con fare lesto, gli tolse la cartina dall’altra mano e gliela accarezzò prima di posare le agili dita sul suo petto.

-         Barcellona, Oliver…ho scelto la facoltà di economia di Barcellona. – gli sussurrò all’orecchio avvicinando pericolosamente il suo volto a quello del ragazzo. Holly sembrava in trappola.  Non riusciva a muoversi o soltanto a parlare. Era preda di quella fata ammaliatrice che evidentemente voleva qualcosa di più di una semplice mappa topografica.

-         Samantha…senti io…

-         Avanti Oliver…perché non iniziare il nuovo anno sotto i migliori auspici? – gli disse afferrandogli la mano e portandosela al seno. A quel contatto così intimo, Holly trasalì. Vide un lampo di malizia negli occhi scuri di lei, il sorriso scarlatto non era dolce ma ardente e sensuale. Sembrò incantarsi nel vedere quelle labbra dipinte di un rosso intenso, muoversi al dolce stormire delle parole. Il cuore gli batteva velocemente. Era dibattuto. Si trovava nella stretta morsa di una bella e audace ragazza, a pochi passi da un bacio e da carezze che avrebbero potuto scorrere velocemente su quel corpo che gli si offriva magicamente come caduto dal cielo.

-         Samantha….io…

-         Sì, Oliver! – disse lei mentre le loro bocche si avvicinavano pericolosamente. Sentiva il suo respiro, le sue braccia che lo circondavano stringendolo al suo corpo. Sobbalzò quando le mani calde di lei si insinuarono sotto il maglione di angora e presero a risalire la schiena, in una lenta rincorsa di carezze impudiche e inebrianti. Chiuse gli occhi quasi a voler imprimere quell’attimo di voluttà ed estasi, un’emozione fatta solo di passione che gli aveva annebbiato la vista e attanagliato la mente.

-         Avanti Oliver, lasciati andare…in fondo cosa c’è di male…

-         Samantha…io…-. Lei gli prese il volto tra le mani e lo avvicinò pericolosamente al suo. Oliver le afferrò i polsi dibattuto se allontanare o meno quelle labbra vogliose dalle sue o se cedere alla tentazione dell’attimo. Lo squillo del telefono parve interrompere il loro momento di eccitamento ed euforia. Per nulla sazia e avida di emozioni, Samantha lasciò che le sue agili dita scorressero lungo il torace del giovane e si insinuassero sotto il maglione, risalendo lentamente fino al petto nudo. Oliver, impreparato a quell’ulteriore gesto, sussultò alle blandizie riservategli da Samantha Smith.

-         Hollyiiiiiiiiiiiiiiiii…..al telefono! – esclamò sua madre riportandolo alla realtà. Sbatté le palpebre come per riprendersi dall’attimo di cedimento e passione. Guardò Samantha che parve contrariata da quell’interruzione. Strinse la sua morsa ai polsi della ragazza e le abbassò le braccia. Senza proferire nulla ma sollevato da quella interruzione, si allontanò da lei e andò in corridoio per rispondere al telefono. Lei lo seguì con lo sguardo, contrariata dall’improvviso impedimento.

-         Pronto! –

-         Oliver, ciao…-

-         Chi parla? – chiese non riconoscendo la voce femminile all’apparecchio.

-         Amy…Amy Ross. –

-         Amy? – domandò ancora per essere certo della sua interlocutrice. Samantha aggrottò la fronte udendo il nome di una donna.

-         Sì capitano. Ti sembrerà strano ma sono proprio io….

-         E’ bello risentirti. Come stai? Avevo deciso di fare un salto a Tokyo domani, te l’ha detto Julian? – le chiese dolcemente.

-         Sì, ma io veramente…dovevo dirti una cosa…

-         Dimmi. – le disse esortandola a rispondere.

-         Io…Holly io…

-         E’ successo qualcosa a Julian? State bene? –

-         No…ehm …sì stiamo bene…senti capitano io devo dirti una cosa: lei è in Giappone! -. Il sangue gli si gelò nelle vene. Lo sguardo si perse nel vuoto e la memoria cominciò a rievocare velocemente il suono della sua voce e il dolce sorriso. Tacque. Non riusciva ad emettere alcuno suono. Il cuore gli batteva talmente forte che temeva potesse saltargli fuori dal petto. La più piccola parola era ferma in gola in attesa che almeno un sibilo riuscisse ad esternare il suo suono.

-         Dove? – chiese all’amica raccogliendo tutte le forze che aveva in se. Sapeva che stavano parlando della stessa persona anche se Amy non l’aveva nominata.

-         E’ ad una festa a Villa Sullivan, Tokyo. -. Ancora il silenzio tra loro. Holly comprese che Amy avrebbe voluto dirgli altro, ma in cuor suo sapeva che non era quello il momento giusto per conversare.

-         Holly…devi andare…adesso, o sarà troppo tardi! – aggiunse sapendo che più tempo trascorreva e minori erano le possibilità di un loro riavvicinamento. Senza neppure rispondere all’amica, Holly riagganciò interrompendo la conversazione. Rimase immobile  a fissare il telefono. Cosa doveva fare?

Samantha era lì, sull’uscio della sua camera in attesa che lui tornasse e che si abbandonasse alle sue carezze. Patty! Era a Tokyo. Non era andata da lui, era rimasta nella capitale. Probabilmente era solo di passaggio. Perché non lo aveva chiamato per salutarlo? Possibile che dopo dieci anni, avesse realmente deciso di dimenticarlo? Si voltò verso Samantha i cui occhi languidi non avevano smesso di guardare il corpo scultoreo del calciatore nipponico.

-         La promessa! Ci rivedremo tra dieci anni, la notte di Natale! – pensò ricordando quella che era stata l’ultima frase che le aveva detto prima della sua partenza per Londra. Scosse il capo come per rinvenire da uno stato di ipnosi e corse in camera sua. Sotto lo sguardo interdetto di Samantha, aprì l’armadio e prese il giubbotto di pelle.

-         Mi dispiace Samantha…io non sono il tipo giusto per te! Buon Natale. – le disse sorridendole amichevolmente. Scese di corsa le scale e si precipitò in salotto.

-         Papà, ho bisogno della tua macchina .Dove sono le chiavi? – gli chiese in stato di agitazione.

-         Oliver, è successo qualcosa? – chiese sua madre preoccupata.

-         No! – rispose guardando la madre che gli si avvicinava. – Devo andare a Tokyo. –

-         Adesso? – domandò il padre dandogli le chiavi della macchina.

-         Sì. Mamma, devo fare quello che avrei dovuto fare dieci anni fa! – disse sorridendole. Solo qualche istante e scomparve dietro l’uscio.

Maggie si avvicinò alla finestra. Vide l’auto del marito sfrecciare lungo la strada mentre fiocchi di neve cadevano contigui imbiancando la città.

-         Spero solo che tu stia facendo la cosa giusta! – pensò accarezzando il capo di David assonnato e in attesa di poter scartare i regali.

 

 

Patty sembrava incantata dalle luci dei grandi lampadari. Quasi ipnotizzata da quei riverberi luminosi, non si accorse che era rimasta sola al suo tavolo.

-         Come mai una bella ragazza come te è da sola? – le chiese William Gatsby accomodandosi al tavolo della figlia. Gli altri cinque componenti, incluso Ken, danzavano o parlavano con altre persone. William prese la mano della figlia e rimirò le lunghe e agili dita. – Non hai risposto alla mia domanda! Ho la strana impressione che ti stia annoiando ma che soprattutto tu sia nervosa! –

-         Non è un’impressione papà, ma la pura verità. Vorrei poter fuggire via! –

-         Ti secca il fatto di averci qui, questa sera? – le chiese alludendo alla sorpresa che le aveva fatto Ken.

-         Affatto. Tu e la mamma siete l’unica nota positiva di questa interminabile, tediosa e quanto mai prolissa serata. Avrei preferito starmene nella nostra casa di Londra, con voi due, vicini al camino a ricordare i tempi andati. –

-         E Ken? Non sei contenta di trascorrere il Natale con lui? -. Patty non rispose alla domanda del padre. – Un’altra domanda alla quale non vuoi rispondere? -. Abbassò lo sguardo cercando le parole giuste per confidarsi con il padre.

-         Immagino che dovrei essere la ragazza più felice della terra perché ho un fidanzato ricco e famoso, bello e desiderato. E invece, no, non sono felice se è questo che vuoi sapere. Più andiamo avanti con questo rapporto e più mi sento soffocare. Io non sono tagliata per la vita mondana, per i salotti di Hanna Sullivan o semplicemente per fare la comparsa accanto al rampollo della finanza Kenneth Sullivan. Voglio bene a Ken, ma….

-         Ma è solo amicizia? – continuò lui spronando la figlia a parlare.

-         Non saprei. Quelle poche volte che riusciamo a stare insieme, il suo cellulare squilla continuamente e una volta su cinque è sua madre. Lo controlla come un’ombra. E’ sempre presente nella sua vita. Ken è privo di personalità. Dal punto di vista lavorativo, è sicuramente una persona molto preparata ed ambiziosa e per la sua giovane età ha anche notevole esperienza. E’ sicuramente la persona più giusta per assumere la dirigenza effettiva e totale della società del padre. Dal punto di vista privato, lui é….perfetto…impeccabile in tutto, ma estremamente freddo e distaccato. –

-         Vuoi dire che non è passionale? –

-         Esatto! Vive delle stesse manie di grandezza della madre. Se andiamo in un ristorante, affitta per la serata tutta la sala privata. Se riusciamo a trascorrere un paio di giorni insieme lontani dal lavoro, prenota la suite reale in un grande albergo. A me non serve tutto questo. Io non ho bisogno che mi dia dimostrazioni di ricchezza…non è quello che cerco in una persona…Io mi accontenterei di passeggiare lungo il Tamigi mano nella mano, in mezzo alla gente comune, senza sentirmi un’aristocratica o una persona importante; mi piacerebbe trascorrere un week-end in un cottage in Scozia e non nella suite del più grande hotel di Edimburgo o in un castello principesco.  Lui vuole che tutto sia sempre irreprensibile e inappuntabile. Nessun contrattempo. –

-         Ti manca, vero? – chiese William interrompendo il discorso della figlia. Lei lo guardò con l’espressione serena di chi sapeva che poteva palesare i più intimi segreti.

-         Mi sono laureata con il massimo dei voti a Oxford. Ho una splendida famiglia, una bellissima casa a Londra, un lavoro che mi piace e che mi sta conducendo verso la carriera diplomatica a cui ho sempre anelato: sì, mi mancano i tempi della mia adolescenza trascorsi in Giappone, quando mi divertivo con poco, con i ragazzi della squadra. Bastava poco per stare bene. Soffrivo quando c’era tensione in squadra e gioivo delle loro vittorie. –

-         E Holly? – le chiese improvvisamente spiazzandola. William sapeva bene quale legame l’aveva unita in passato al capitano della squadra nipponica. Si era reso conto dei suoi sentimenti, la sera prima della partenza per Londra, durante la festa che i ragazzi avevano organizzato per salutare Patty. E l’aveva veduto un’ultima volta all’aeroporto, quando, contravvenendo alla richiesta di Patty, era corso per salutarla.

-         E’ sempre nel mio cuore! – rispose col capo chino e il cuore gonfio di lacrime. Sebbene avesse mille difetti, il suo cuore e la sua umanità erano unici…a Ken manca il cuore, l’anima che ci vuole in un rapporto. Io non sono un oggetto, papà, che prendi e utilizzi quando ti serve. Ho bisogno di qualcuno che mi ami per quella che sono e non per quella che qualcun altro vorrebbe che diventassi. – aggiunse sorridendo a William. Il signor Gatsby sospirò. Aveva compreso esattamente quali fossero i sentimenti che agitavano il cuore della figlia. – Mi sento come un uccellino in una gabbia dorata. Cosa succederebbe se dovessi un giorno sposare Kenneth Sullivan? –

-         Ti troverebbe un impiego internamente alla sua azienda oppure dovresti fare la mamma a tempo pieno saltando qua e là da un salotto all’altro in compagnia di una perfida Hanna Sullivan! – disse ironico William nel tentativo di sdrammatizzare i pensieri della figlia.

-         Papà, ti prego. Non prendermi in giro. –

-         Affatto. Anche se in maniera satirica, non vuol dire che non abbia indovinato. Comunque, tesoro, prima di prendere qualsiasi decisione, ti consiglio di parlarne a Ken. Se gli vuoi bene, è giusto che tu gli conceda un’altra possibilità. –

-         Già. – ammise accondiscendendo a quanto aveva detto il padre. Anche se stava vivendo questa crisi nel suo rapporto con Ken, Patty sapeva che stare accanto a lui, entrare a far parte della famiglia Sullivan, oltre che un grande impegno da parte sua, costituiva anche un ottimo biglietto da visita per la sua carriera diplomatica. Il nome dei Sullivan le avrebbe portato indubbiamente molti vantaggi ma altrettanti obblighi. Patty fissava Ken mentre discuteva di affari con un industriale di Tokyo. Kenneth Sullivan. Bello e irreprensibile. La parte perfetta del loro rapporto. Si portò il bicchiere di cristallo alle labbra e le umettò leggermente con il vino. Doveva essere più positiva. Era la sera di Natale e chissà, forse un miracolo avrebbe potuto cambiare in meglio il suo rapporto con Ken.

 

 

 

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Capitolo 5
*** Il dramma dell'amore ***


Sweet Christmas

Sweet Christmas

 

Capitolo 5

 

 

La neve scendeva copiosa dal cielo. La tipica atmosfera natalizia si stava trasformando in una tormenta e in un vero e proprio ostacolo per Holly. Mancavano solo dieci minuti di autostrada all’ingresso sud di Tokyo. Viaggiando ad alta velocità, con il solo scopo di raggiungere la capitale in minor tempo possibile, Holly aveva pensato e ripensato a quello che era successo quella sera e quello che avrebbe potuto accadere di lì a poco.

-         Patty. Mille volte ho cercato di immaginare il nostro incontro dopo questi dieci anni. Ti ho vista sulla rivista di un magazine e la tua bellezza mi ha riempito gli occhi. Samantha. La invidio. E’ così giovane e sa esattamente cosa vuole dagli altri. Possibile che i miei sentimenti, le mie emozioni siano tanto palesi che mi abbia adescato con tanta facilità? – si chiese lasciando il passaggio autostradale e immettendosi nella tangenziale che correva lungo la periferia della città. Doveva trovare Villa Sullivan. Se avesse avuto difficoltà avrebbe chiamato Julian al cellulare. Amy sapeva sicuramente dove si trovava.

-         Sto correndo da te. Perché? Perché sto correndo da te? Per una promessa fatta dieci anni fa o perché desidero vederti? Che stupido che sono. Non riesco ad essere sincero neppure con la mia coscienza. Ho atteso con impazienza questo momento, l’attimo in cui ti avrei rivista. Sto impazzendo per te e il pensiero che possa esserci qualcuno accanto a te…no, non voglio pensarci! Maledizione è tutta colpa mia. Avrei dovuto dirglielo dieci anni fa…le avrei dovuto dire che l’avrei portata sempre nel mio cuore, che non l’avrei mai dimenticata! Non ho fatto nulla per contattarla, per farle sapevo come stavo. Ho vissuto dieci anni nel suo ricordo. Cosa mi aspetto adesso? Come reagirà nel vedermi? – si domandò ancora immettendosi nel traffico cittadino.

Vide due poliziotti fermi a un posto di blocco. Accostò la macchina e scese per chiedere loro le informazioni di cui necessitava. Il freddo era pungente. Villa Sullivan doveva essere una residenza molto importante perché alla sua prima domanda, i due poliziotti seppero subito indicargli la strada. Era già stato altre volte a Tokyo per i ritrovi della nazionale e per disputare delle partite. Conosceva quella zona. Si rimise in auto e riavviò il motore. Il cuore gli batteva così forte che poteva confondersi con il rombo del motore. Le mani gli tremavano sul volante. Sospirò cercando coraggio e forza in quell’atto di amore che stava compiendo.

 

La cantante terminò di interpretare un vecchio successo della Minnelli e Ken riportò la sua dama al tavolo.

-         Tutti ti guardano questa sera. Sei splendida! –

-         E tu sei un adulatore. Non mi piace essere al centro dell’attenzione. – rispose Patty precedendolo verso il suo tavolo.

-         Non ti sedere, Patricia. Andiamo un attimo nel in salotto. – le disse sorridendole.

-         Ne approfitto per rifarmi il trucco. – rispose prendendo la stola e la borsetta. Erano davvero la più bella coppia che si fosse vista negli ultimi tempi. Sfavillante nel suo abito laminato, Patty attraversò il salone al fianco del fidanzato per ritornare nell’ingresso da cui erano entrati all’inizio. Erano le dieci circa e mancavano un paio d’ore al Natale. Era stanca del viaggio e della serata. Desiderava poter tornare in albergo e stendersi sul letto per un sonno ristoratore.

-         Di cosa devi parlarmi Ken? –

-         Frena la curiosità. Adesso lo saprai! – le rispose aprendo la prima delle tante porte che si affacciavano lungo il corridoio a destra dell’entrata. Patty rimase allibita quando all’interno di quella stanza scorse i suoi genitori e i signori Sullivan  a chiacchierare piacevolmente sui divani in pelle, riscaldati dalle ardenti fiamme che scoppiettavano nel camino. Istintivamente volse il capo al padre il quale con espressione eloquente le fece intendere che non sapeva il motivo di quella riunione. La sua figura sembrava importante, quasi imperiosa vicino a Ken.

-         Signori Gatsby, Patricia, vi ho fatti venire qui per una ragione. Mi dispiace avervi importunato e distolti momentaneamente da questa piacevole serata. – disse facendo cenno a Patty di accomodarsi anche lei. Era un ottimo oratore e difficilmente ci si sarebbe stancati ad ascoltarlo. Il cuore di Patty batteva forte in petto. Tremava. Dentro di sé sapeva che Ken stava per dire qualcosa che la riguardava direttamente, qualcosa di cui i suoi genitori erano già a conoscenza.

-         Dunque. Ho già parlato con i miei genitori e loro concordano con questa mia scelta. Patricia, tesoro, nella cornice di questa magnifica serata ho intenzione di presentarti a tutti come la mia fidanzata ufficiale e come colei che entro il prossimo anno diverrà mia moglie. – disse secco e quieto come sempre. Quelle parole si scagliarono nel cuore di Patty come dardi infuocati. Avvertì una fitta dolorosa. Un nodo in gola le impediva di parlare. Schiuse le palpebre per cercare di riacquistare un po’ di lucidità. Guardò i suoi genitori, esterrefatti quanto lei. Il volto del signor Sullivan era impassibile; quello di Hanna parlava, la guardava, la giudicava con i suoi occhi taglienti.

-         Che hai…detto? – sibilò cercando qualche parola in fondo allo stomaco. Ken si avvicinò a lei, le tese la mano invitandola ad alzarsi. Poi si mise una mano in tasca e le porse una scatoletta in velluto verde. Incredula di quel che stava succedendo, guardò Ken con sguardo attonito. Lui aprì la scatola e le mostrò un anello in oro  bianco con un brillante di diversi carati che scintillava più del suo abito. Senza attendere un suo minimo movimento, il giovane Sullivan le prese la mano e infilò l’anello al dito anulare della mano sinistra, portandosela poi alle labbra per un bacio galante.

-         Signori Gatsby, spero voi non abbiate nulla in contrario. So bene che è stata una sorpresa per voi, ma volevo che questo mio desiderio si realizzasse proprio sotto Natale. -. Il signor Sullivan batté le mani applaudendo la scelta del figlio e il fidanzamento. A lui piaceva Patricia perché la trovava una ragazza arguta e sempre vigile, tanto intelligente quanto attraente.

-         Spero, Patricia, non vorrai deludere le nostre aspettative! – esclamò improvvisamente Hanna. Patty sembrò risvegliarsi dal suo strano torpore e guardò la futura suocera. Hanna Sullivan. Possibile che avesse acconsentito ad una simile scelta da parte del figlio? No, non era concepibile che una donna simile, che fin dal primo istante non l’aveva veduta di buon occhio e non aveva mai perso occasione per rimproverarla, accondiscendesse ad un così facile fidanzamento. Stavano insieme da qualche mese. Cosa stava succedendo? Era certa che Ken l’amasse, ma lei? Chi amava lei? L’immagine di Holly comparve dinanzi ai suoi occhi. Si sentì assalire da una profonda tristezza. Lei, la giovane signora Sullivan, la moglie di un ricco industriale. Cosa ne sarebbe stato di lei? E della sua carriera? Cosa avrebbe fatto della sua vita lavorativa?

-         E’ per questo che hai fatto venire anche i miei genitori da Londra? – gli chiese riprendendosi dall’apparente stato di trance.

-         Esatto. Desideravo che anche loro sapessero della nostra scelta! –

-         Nostra? – gli chiese guardandolo attentamente negli occhi. Ken conosceva quello sguardo arguto e diretto. Patty voleva rimproverargli qualcosa. L’avrebbe fatto in quel luogo, pubblicamente, di fronte ai rispettivi genitori, mancandogli di rispetto. Si irrigidì. Era abituato a condurre le discussioni e ad essere l’unico, a parte suo padre, ad avere voce in capitolo. La sua Patricia era diversa. Era una ragazza indipendente che sapeva cosa voleva dalla vita. Per alcuni versi, somigliava a sua madre, della quale teneva in alta considerazione i consigli. Patty si sentì avvampare. Ken non l’aveva minimamente considerata in quella scelta.

-         Tesoro, il mese scorso abbiamo parlato….

-         Avevamo bevuto un pò troppo, erano le tre del mattino e tu mi hai chiesto cosa pensavo della nostra storia e se ci sarebbe stata la possibilità di ufficializzarla! –

-         Esatto. – rispose con una certa insofferenza per il disappunto della fidanzata.

-         Esatto cosa? – inveì Patty alzando il tono della voce. Era rossa in volto. Si sentiva presa in giro, messa al muro dalla famiglia Sullivan. Ken stava cercando di metterle l’anello al dito senza averne prima parlato con lei.

-         Patricia, ti prego di moderare la voce! – intervenne Hanna Sullivan ammonendo la ragazza. Patty si voltò verso la donna con sguardo tagliente. I suoi occhi ardevano di ira. Se ne avvide e fu percorsa da un brivido. Si portò una mano tra i capelli acconciati in maniera laboriosa e perfetta.

-         Non capisco questo tuo adirarti. Non mi pare che Kenneth ti abbia fatto una proposta indecorosa! Dovresti esserne contenta anziché reagire in maniera tanto teatrale. Divenire la moglie di Kenneth Sullivan non farà che ricoprirti di prestigio. -. William Gatsby guardò quella donna la cui lingua era palesemente più veloce del suo cervello. Stava cercando di umiliare Patty con discorsi di finto prestigio.

-         Ma cosa sta dicendo? Non si tratta di una questione di prestigio ma di un argomento ben più serio: di un matrimonio. –

-         Appunto per questo non capisco perché ti stia infervorando tanto. – aggiunse Hanna incrociando le braccia al petto. Era un segno di sfida. Patty lo sapeva bene.  – Le tue preoccupazioni sono infondate  e inutili. Se hai paura di perdere il tuo lavoro al consolato, abbiamo pensato anche a quello. Una volta che sposerai Kenneth lascerai il tuo modesto impiego e se proprio vorrai lavorare, ricoprirai un ruolo nella nostra società. –

-         Questo mi sembra davvero troppo! – ribatté indignata e stizzita da quell’ultima asserzione.

-         Patricia, per favore abbassa il tono della voce. –

-         Adesso basta, Ken! Hai organizzato tutta questa farsa per rendermi ridicola? Pensavo che nutrissi dei sentimenti sinceri nei miei confronti e non che volessi minimizzarmi e deridermi al cospetto dei tuoi e dei miei genitori. Io non ti ho mai detto che entro l’anno prossimo ti avrei sposato e ammesso e concesso che in nome di un nobile sentimento come l’amore, io sia disposta a farlo, mi sembra davvero eccessivo il dover lasciare il mio attuale lavoro. Cos’altro avevi predisposto per me? Una stupenda suite nell’albergo più costoso di Tokyo, un tragitto in limousine, una festa con centinaia di invitati uno più importante dell’altro, i miei genitori prelevati da Londra per assistere a questa messinscena. Un quadretto davvero ben dipinto dove mancavo soltanto io.

-         Non condivido quello che hai detto Ken. Io non sono una bambola o uno dei tuoi impiegati a cui puoi impartire ordini e chiedere sottomissione. Sono una donna con una sua personalità, una sua dignità. Non ho preso la laurea con il massimo dei voti a Oxford per farmi dire da qualcuno, - disse guardando Hanna Sullivan, - cosa fare della mia vita lavorativa. Il lavoro al consolato mi piace e mi appaga degli sforzi che ho fatto fino ad ora e non lo trovo tanto meno indegno che lavorare nella vostra azienda. Non gradisco che qualcuno possa in qualche modo gestire la mia vita. – gli disse ad alta voce destando la preoccupazione dei signori Sullivan. Hanna era attonita. Quelle ultime parole erano dirette proprio a lei e a quanto aveva manifestato poco prima.

-         Patricia contieniti. Nessuno qui ti vuole trattare come un oggetto! – rispose Ken in maniera brusca e rigorosa. Patty lo guardò dritto negli occhi cercando un minimo di umanità e di sentimento in quello che aveva detto. Era freddo come il ghiaccio. Un profondo ed impetuoso silenzio scese nella stanza. La signora Gatsby era attonita. Aveva ascoltato Ken e poi Patty. Sebbene l’idea di un matrimonio della figlia con un simile partito non le dispiacesse, sapeva in cuor suo che Ken non era il ragazzo giusto per Patty. In quelle poche occasioni in cui aveva avuto modo di vederli insieme, non aveva mai scorso nella figlia l’entusiasmo che ricordava essere una delle sue principali doti.

Nell’eco del silenzio si udì bussare alla porta. Hanna sussultò e si diresse alla porta del salotto aprendola ben felice di allontanarsi dallo sguardo iracondo di Patty.

-         Mi perdoni signora.  C’è una visita per la signorina Patricia Gatsby. – disse intimidito dallo sguardo severo della padrona di casa.

-         Una visita per Patricia? E chi la cerca? –. Ken seguì con lo sguardo la madre tanto incuriosita quanto sorpresa.

-         Il signor Hutton, Oliver Hutton! – rispose chinando la testa. Quel nome rintronò nella stanza più acuto del silenzio che era sceso poco prima. Patty era tanto allibita quanto intimorita. Udiva solo l’incessante e incalzante battito del suo cuore. Un’ansia improvvisa le impediva di emettere qualsiasi suono. Holly. Il suo amato capitano era lì, perché? La promessa. Dieci anni prima si erano promessi che si sarebbero rivisti la notte di Natale. Cosa stava facendo? Si guardò le mani come se fossero state macchiate del sangue dei più acerrimi degli omicidi. Scrutò prima i dorsi e poi i palmi, e ancora i dorsi. L’anello con il diamante che le aveva regalato Ken brillava tra le sue dita.

-         Che diavolo sto facendo? Cosa ci faccio io in quest’incubo? Non è la vita che sognavo! Io desideravo stare con i miei amici,  con Holly. Null’altro. Non voglio tutto questo. Holly. Sei qui amore mio. Come ho fatto a dimenticarti, anche se per pochi istanti? Come ho potuto permettere al mio cuore di far entrare nella mia vita Kenneth Sullivan? Come ho potuto essere così cieca e stupida da smettere di credere al nostro amore? Potrai mai perdonarmi per quello che ho fatto? – pensò col capo ancora chino. Lo rialzò e vide Ken. I loro sguardi si erano incrociati. Era duro e inamovibile. Senza chiederle di accompagnarlo, si avvicinò alla porta e la oltrepassò. Voleva incontrarlo al posto suo. Qualcuno era andato improvvisamente a bussare alla sua porta per cercare la sua fidanzata.

-          Ken! – esclamò nel disperato tentativo di fermarlo.

-         Cosa significa tutto questo, Patricia? – le chiese imperiosa Hanna disturbata dall’improvvisa visita destinata alla fidanzata del figlio.

 

 

Ken non udì il richiamo di Patty e si portò nell’ingresso dove riconobbe subito il giovane calciatore.

-         Buonasera signor Hutton. A cosa devo la sua visita nella mia residenza? – gli chiese facendogli notare il rango sociale al quale apparteneva. Holly si guardò intorno disegnando velocemente il lusso della villa. Patty! Come mai una ragazza semplice come la sua manager si trovava in quella villa? Lui, semplice ragazzo nato in una cittadina poco distante da Tokyo, vestito in maniera sportiva e amante delle quotidianità.

-         Con chi ho il piacere di parlare? – chiese Holly fingendo di non sapere chi fosse. Ken sorrise e si lisciò il cravattino del suo smoking.

-         Kenneth Sullivan, e lei si trova in una mia proprietà. Patricia non può venire in questo momento. Se mi riferisce il messaggio, sarò ben lieto di farle da ambasciatore. –

-         Preferirei poterle parlare. –

-         Le ripeto che è impossibilitata a raggiungerla in questo momento. –

-         Posso aspettare! – rispose non contento del suo diniego.

 

Patty si guardò intorno. Doveva andare da lui. Doveva sapere a tutti i costi perché si trovava a Villa Sullivan. Sentiva gli sguardi opprimenti e gravosi dei signori Sullivan. Suo padre e sua madre erano alquanto esterrefatti da quella visita. William sperava in cuor suo che finalmente il giovane Hutton avesse trovato il coraggio per dichiararsi alla figlia, prima ovviamente che fosse stato troppo tardi per farlo.

-         Esigo una risposta Patricia. – le disse Hanna autoritaria. Il marito Jim le mise una mano sul braccio nel tentativo di calmare il suo impeto aggressivo. Patty tornò a guardarla indignata di quanto osava e dire ed era costretta a sentire.

-         Ma chi vi credete di essere? Solo perché avete qualche soldo in più, ville e castelli, pensate di potervi permettere di parlare così alla gente. Lei da me non deve esigere proprio nulla. E’ una visita improvvisa che ha sorpreso anche me. Vuole sapere chi è Oliver Hutton? Pensavo che suo figlio si fosse informato anche sulla mia vita adolescenziale e su quelli che erano i miei amici e le mie passioni quando vivevo qui in Giappone? Mi sbaglio forse? No. Forse non lo ha detto a lei, ma a giudicare da come mi guardava, Ken sa benissimo chi è Oliver Hutton. Vuole saperlo davvero, chi è Oliver Hutton? E’ il ragazzo migliore che esista a questo mondo. Una persona umile che ha fatto della semplicità e dell’amicizia una sua dote di vita. Ma voi, tutto questo non lo potete capire. E’ una persona fantastica, degna di ammirazione e per la quale chiunque nutrirebbe dei sentimenti veri. –

-         Sono sbigottita e angustiata dalle tue parole. Si direbbe quasi che preferisci lui a mio figlio. – le disse sgomenta. Patty sorrise e si avvicinò alla  porta.

-         Non solo a Ken…soprattutto a lei, signora Sullivan! – esclamò varcando la soglia trionfante. Le aveva detto quello che pensava senza remore o false cortesie. Aveva subito le sue angherie e le offese. Si era sentita messa ingiustamente al muro.

 

Camminando verso l’ingresso, Patty poté distinguere nitidamente la voce di Ken.

-         Cosa vuole da Patricia, signor Hutton? –

-         Desidero solo parlarle e non capisco perché lei me lo voglia impedire! – esclamò offeso dall’ennesimo rifiuto e in tono intransigente.

Patty guardò il suo capitano provando un’infinita emozione. Era a poca distanza da lui, nascosta sotto l’arco che conduceva all’ingresso, oscurata dalla penombra degli appliques a muro. Distingueva nitidamente il suo profilo e il fisico oramai adulto. Sebbene coperto dal maglione e dal giubbotto di pelle, Patty notò il petto scolpito dagli allenamenti, le gambe non più gracili ma tornite e muscolose coperte da un paio di jeans. Ma quello che la colpì di più furono i suoi occhi neri e infiammati di una passione che gli sgorgava direttamente dal cuore. Sembrava poter avvertire quell’energia che gli leggeva in volto, quell’animosità e quella passione che ricordava essere propri degli incontri calcistici più importanti. Holly era dinanzi a lei, a pochi passi, dopo dieci anni.

Sentì la voce morirle in gola. Le gambe le tremavano e non riusciva a muovere un solo passo per l’emozione. Si sentiva mancare l’aria. Aveva bisogno di riprendere fiato e di riordinare le idee. Mille volte aveva immaginato un loro incontro dopo quello avvenuto all’aeroporto ma mai avrebbe pensato di dover soffrire così tanto nel provare una simile trepidazione.

-         Quanto vuole? – gli chiese aspramente Ken. Patty sbarrò gli occhi. Aveva ben inteso le parole del fidanzato. Stava offrendo dei soldi a Oliver Hutton. Cosa gli avrebbe chiesto in palio?

-         Cos’ha detto? – ribatté Holly sporgendosi verso il suo interlocutore fingendo di non aver udito bene le sue ultime parole.

-         Non finga di non aver capito. Le sto offrendo dei soldi. Quanto vuole per starle lontano? – quella domanda risuonò impietosa nella mente e nel cuore di Patty. Stava cercando di comprare Holly.

-         Sta scherzando, vero? – chiese incredulo dopo aver ascoltato quelle parole.

-         Assolutamente. Le assicuro, signor Hutton che non sono abituato a scherzare, soprattutto quando si parla di affari. Quanto vuole per uscire per sempre dalla vita di Patricia? –

-         Ma come diavolo osa farmi una proposta tanto oscena! – urlò adirato e in preda alla rabbia che man mano accresceva dentro di lui. Le mani si strinsero in pugni vogliosi di colpire il bel volto di Kenneth Sullivan. Sempre più esterrefatta, Patty non distoglieva lo sguardo da Holly il cui amor proprio era stato ferito in maniera profonda e inequivocabile. Leggeva l’ira dipinta sul suo volto desiderosa quanto lui di attaccare anche in maniera fisica il padrone di casa.

-         La prego di abbassare il tono della voce. E’ una questione di affari, signor Hutton. Quanto vuole? Diecimila, ventimila, cinquantamila euro? Mi faccia lei la proposta. A me serve solo che lei dimentichi Patricia e che esca definitivamente dalla sua vita! –

-         Sei un bastardo! -. Patty si fece coraggio. Respirò a pieni polmoni e incedette lentamente verso i due giovani. Nel gelido silenzio che era calato tra Ken e Holly, si udì solo il passeggiare dei tacchi sul marmo lucidato a specchio e il lento e ironico applauso di Patty al suo fidanzato. Holly si voltò verso quella figura che procedeva pacatamente verso le loro figure. L’abito laminato si muoveva languido e sensuale sul suo corpo perfetto mentre i seni giovani e alti si muovevano al sol respiro. Un lungo e intenso sguardo per comprendere che non era più l’adolescente che aveva lasciato dieci anni prima. Era una splendida donna dal portamento elegante e dalla bellezza raffinata e incontrastata. Le iridi nocciola scintillavano sul volto splendente di un candore niveo.

-         Patricia! – esclamò Ken richiamandola. Il suo sguardo era duro ed eloquente. Aveva sperato inutilmente che fosse stata trattenuta da sua madre Hanna, ma evidentemente la bella fidanzata si era ben disimpegnata dalla signora Sullivan e aveva sicuramente ascoltato anche parte del loro discorso.

-         Signor Hutton, voleva vedere Patricia: bene, eccola. Come può vedere sta benissimo. Tesoro, visto che siamo in argomento, possiamo informare anche il tuo amico Oliver Hutton che entro il prossimo anno ci sposeremo. Vede Hutton, le ho appena regalato l’anello di fidanzamento! – gli disse afferrando la mano sinistra di Patty e mostrandogli il costosissimo solitario di cui le aveva fatto dono. Holly guardò Patty senza pronunciare alcuna parola. Con quel piccolo ma significante gesto, Ken gli aveva spezzato il cuore.

Sul viso della ragazza erano dipinti vari sentimenti. Rabbrividì a quello che Ken aveva appena detto. Gli aveva inferto il colpo di grazia. Aveva guidato l’auto del padre in una folle corsa infischiandosene della tormenta di neve e del ghiaccio presente sulle strade pur di raggiungerla e dichiararsi a lei…per mantenere una promessa fatta dieci anni prima. Patty tremava. Non sapeva cosa dire. Era l’oggetto del loro desiderio. Ken era abituato a vincere le sue battaglie e avrebbe cercato di trionfare anche in quella. Il cuore le batteva così forte che temeva potesse esplodere. Avvertiva il fluire turbinoso del sangue nelle vene.

-         Maledizione! Ma cosa pensavo di fare? Lei è  la fidanzata di questo ricco bastardo. Sta per sposarlo. Che stupido che sono stato! Mi è bastata una speranza per tornare da lei. Non riesco a staccarle gli occhi di dosso. E’ bellissima, leggiadra, avvenente. Quanto si possa desiderare in una donna. E’ la donna che vorrei al mio fianco, per sempre, la donna che amo…ma è la sua donna! – pensò Holly continuando a guardarla. Le sorrise e le andò vicino. In un gesto spontaneo e colmo d’affetto, sotto lo sguardo stupito di Ken, le diede un fugace e dolce bacio sulle labbra.

-         Addio Patty! Sii felice! – esclamò voltandosi e uscendo di corsa da Villa Sullivan. Patty era come paralizzata. Holly l’aveva baciata. Il coraggio che non aveva mai avuto durante la loro adolescenza e in quei lunghi dieci anni, l’aveva rinchiuso in un amabile e delicato gesto di tenerezza. Lo vide solcare la porta a vetri del portico e scendere le scale che conducevano al piazzale. 

-         Che stupido quell’Hutton! – disse Ken cercando di riprendere il controllo.

-         Holly! – esclamò Patty in preda all’angoscia. – Hollyiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! – urlò nel tentativo disperato di farsi sentire dal ragazzo che non aveva mai smesso di amare. 

-         Dove credi di andare? – le chiese Ken afferrandola per un braccio mentre si accingeva a raggiungerlo.

-         Ah! – esclamò portandosi alla gota infiammata dal sonoro ceffone scoccatole dalla fidanzata.

-         Come hai osato? – urlò furente scagliandosi con i pugni contro il suo petto.

-         Sei impazzita? – rispose indietreggiando di qualche passo per evitare la collera di Patty.

-         Sì. Sono stata una pazza a stare con te. Hai offerto dei soldi a Holly per starmi lontano! Quanto valgo per te? Diecimila, cinquantamila euro? E’ questo il mio prezzo? Che bastardo che sei Kenneth Sullivan. Pensavo fossi un gentiluomo e non il più infimo dei ratti di fogna. Mi fai schifo! Che ne sai tu di me e di Holly? Perché volevi che mi girasse alla larga? Hai scavato nel mio passato, vero? -. Ken la guardava iracondo per la reazione iraconda e astiosa che aveva avuto. Non udiva più la musica provenire dal salone delle feste. Il silenzio era calato gelido come un velo trasparente su tutta la villa. Su di esso, il peso degli sguardi degli ospiti, evidentemente più interessati alla lite tra i due fidanzati che alle danze.

-         La tua era solo un’infatuazione per il capitano di una squadra di calcio! –

-         Allora è vero! Hai fatto indagini sulla mia vita privata come se io fossi un cliente di cui constatare la solvibilità. Sei un essere abietto! Come ho potuto farmi solo sfiorare da un essere infimo come te? Fidanzamento? Matrimonio? E’ stata una fortuna che Holly sia venuto a cercarmi, altrimenti non avrei mai maturato una scelta alla quale pensavo già da tempo. Eccolo il simbolo del nostro legame. – urlò sfilandosi l’anello e scagliandoglielo sul petto con un gesto di stizza. Le lacrime le rigavano il volto fin troppo contratto e teso per quello a cui aveva dovuto assistere.

-         Tu non hai sentimenti, Ken! Hai una pietra al posto del cuore perché se solo mi avessi capita adesso non saremmo a questo punto. Holly è la persona più straordinaria che io conosca, il vero amico, colui di cui ci si può fidare sempre…è stato l’amore della mia vita…e sempre lo sarà….Avevi pensato a tutto, vero? Scommetto che sapevi che Holly sarebbe tornato. I tuoi investigatori avranno controllato tutte le liste dei voli o contattato giornalisti sportivi per sapere quando arrivava.

-         Volevi che il nostro fidanzamento fosse reso pubblico: per questo hai organizzato con tua madre questa festa qui a Tokyo. Una volta pubblicizzato, Holly si sarebbe messo il cuore in pace ed io ti avrei sposato. Tu e tua madre avevate già pensato a come farmi perdere il lavoro al consolato per potermi tenere il più possibile sotto controllo.

-         Solo che c’è stato questo piccolo inconveniente. Chissà come, - disse pensando ad Amy, - qualcuno deve aver detto a Holly che mi trovavo qui! E lui è corso a cercarmi, a dimostrazione dei sentimenti che provava per me dieci anni fa! – concluse annodandosi la stola sulle spalle. -. I signori Gatsby e i genitori di Ken assistevano silenti al monologo di Patty. Ken era chiuso in uno strano silenzio e subiva inerme le accuse della fidanzata.

-         Ti ho voluto bene Ken…a te, non ai tuoi soldi. Speravo che col tempo avresti potuto sciogliere un po’ del ghiaccio che ricopre il tuo cuore, ma oggi ho scoperto che sotto quel gelo si nasconde solo l’abiezione della tua anima.

-         Cos’è che ti brucia di più Ken? La sconfitta? L’umiliazione che ti ha inflitto Oliver Hutton per non aver accettato i tuoi soldi? Oppure la figura di gran bastardo che hai fatto dinanzi ai tuoi invitati? Il mio rifiuto? Mi sento indignata e umiliata, vilipesa, dileggiata.  Ma nonostante ciò, sono felice di andarmene dalla tua vita. Forse, - disse guardandolo attentamente negli occhi, - stasera ho perso la persona che amo a causa tua…ma almeno, ho ritrovato me stessa! – concluse infine voltandogli le spalle e inoltrandosi repentinamente verso l’uscita.

-         Se esci da quella porta, non potrai più tornare indietro! – la intimò freddo e distaccato.

-         Sarà un vero piacere non rivedere più un bastardo come te! -

Ignara del gelo intenso, avvolta nella stola di organza e stringendo le braccia e la borsa al petto, corse nel piazzale antistante la villa, alla disperata ricerca del suo unico, grande amore.

 

 

Senza minimamente emettere alcun sibilo, in preda ai fantasmi della sua coscienza, Ken la vide sparire oltre le scale, alla ricerca di un sentimento che lui non avrebbe mai potuto e voluto darle. 

Si chinò in terra e prese il prezioso anello che Patty aveva platealmente rifiutato a coronamento della rottura di quel fidanzamento ufficiale che non aveva avuto luogo. Lo rigirò tra le dita ammirandone l’ottima fattura, la trasparenza e la caratura del diamante, con l’occhio di un esperto. Sorrise e lo infilò nella tasca dello smoking. Si voltò verso il salone delle feste sul cui uscio si era raggruppata una folta schiera di curiosi che avevano assistito all’intera discussione. Si passò una mano tra i capelli biondi.

-         Bene amici…lo spettacolo è finito, il fidanzamento anche, - disse ironico sorridendo loro, - quindi, torniamo tutti a divertirci. Musica maestro! – esclamò alzando il braccio verso l’orchestra.

 

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Capitolo 6
*** L'inizio di un amore ***


Sweet Christmas

Sweet Christmas

 

Capitolo 6 - Epilogo

 

 

Il paesaggio era candido e immacolato. Improvvisamente, era smesso di nevicare. Le nubi compatte in un colore marmoreo danzavano leggermente in cielo sospinte da una gelida brezza che lentamente stormiva tra le fronde imbiancate. Stringendosi sempre più le braccia al petto per il freddo, Patty continuava ad urlare il suo nome nel piazzale antistante il portico d’accesso alla villa. Dopo l’alterco con Ken, che aveva posto fine alla loro breve relazione, era uscita dalla villa rincorrendo il sogno d’amore della sua vita incurante del freddo che aveva avvolto la città nella magica notte di Natale.

-         Stupida, sono stata solo una stupida. Mi sono fatta soggiogare da Ken nella speranza di dimenticarti e invece tu sei corso qui per incontrarmi. Come ho potuto essere così incauta e immatura? come ho potuto dubitare solo per un attimo dei miei e dei tuoi sentimenti? – pensò correndo qua e là per il viale innevato.

-         Hollyiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! – urlò mentre le lacrime le annebbiavano la vista. La pena per aver perso ancora una volta l’amore della sua vita era tale e provante che si sentiva attanagliata da un’angoscia che man mano la stava stringendo in una morsa senza respiro.

-         Hollyiiiiiiiiiiiiiiiiiii! – gridò ancora, prima di cadere in ginocchio sulla neve tanto morbida quanto gelida. – Perché! Perchéééééééééééééééééééééééééé? – berciò mentre copiose stille di lacrime le rigavano le gote. Le avvertiva mentre brucianti solcavano la pelle intirizzita dalla bassa temperatura invernale.  

-         Signorina Patricia! Si copra o si ammalerà! – le sussurrò Jackson poggiando un plaid di lana sulle spalle coperte dal velo d’organza. Guardò la ragazza con estrema mitezza e comprensione. I suoi occhi scuri come la notte più intensa sembravano brillare sul volto bruno. Patty lo guardò con immane tristezza. Accettò il suo invito ad alzarsi e avvinse la coperta al suo corpo, cercando il calore del morbido tessuto. Jackson si chinò a raccogliere la borsa della ragazza. Lo seguì verso la limousine con la quale erano arrivati. Lui le aprì lo sportello inducendola ad entrare per trovare riparo dal freddo.

-         Jackson, è meglio di no. Se Ken…

-         Sssttt. Lei non si preoccupi, signorina. Salga e si riscaldi. Ecco, - aggiunse porgendole una tazza da thermos, - qui c’è del the bollente. – concluse porgendole il piccolo contenitore fumante. Patty ascoltò il consiglio dell’autista di colore e salì sulla bellissima automobile. Non appena si fu sistemata sul sedile posteriore, sentendo sulla pelle il calore del riscaldamento acceso, afferrò la tazza di the e se la portò alle labbra. Sentì lo sportello di Jackson richiudersi.

-         Dove desidera andare, signorina Gatsby? – le chiese guardandola dallo specchietto retrovisore. Non era abituato a fare molte domande, limitandosi ad una conversazione essenziale. Patty aveva compreso fin dall’inizio, che quell’uomo era succube dei desideri di Hanna e della famiglia Sullivan. Era una brava persona, di umile animo e sempre molto disponibile nei confronti altrui.

-         Ti ringrazio Jackson, ma penso sia meglio per tutti e due che io scenda. Concedimi solo il tempo di chiamare un taxi. –

-         Assolutamente, signorina. L’accompagnerò io! –

-         Se Hanna o Kenneth Sullivan si accorgono che sono su quest’auto, probabilmente ti licenzieranno. Sto andando via…per sempre…dalla famiglia Sullivan. – disse continuando a sorseggiare la bevanda calda. Sentì il caldo liquido riscaldarle prima la bocca e poi lentamente scendere lungo l’esofago.

-         Ne sono al corrente, signorina. Le voci corrono velocemente in questi casi. –

-         Allora, proprio perché conosci i motivi della mia fuga, consentimi di liberarti da ogni forma di complicità nei miei conforti e di farti preservare il posto di lavoro! – aggiunse Patty cercando di convincerlo a pensare a sé stesso e non a lei. Riflesso nello specchietto retrovisore vide il sorriso dell’autista. Non l’avrebbe mai fatta scendere dall’auto se non dopo averla riaccompagnata in albergo.

-         Spiacente, signorina. Non intendo lasciarla qui al freddo. Dove desidera che la porti? – le chiese avviando il motore.

-         Fujisawa! Al più presto. – rispose convinta di quello che aveva appena detto. Senza fare obiezioni o proferire qualcosa, Jackson partì alla volta della città a sud di Tokyo.

Patty non sapeva dove cercare Holly. Fujisawa era l’unico posto che le veniva in mente. Prima o poi sarebbe tornato a casa dei suoi genitori: l’avrebbe probabilmente atteso lì. Doveva parlargli, sapere perché era corso da lei dopo dieci anni. Patty doveva sapere se lui provava per lei gli stessi sentimenti, se la promessa fatta dieci anni prima era solo l’attesa che sbocciasse un grande amore tra di loro.

-         Holly! Amore mio, io non ho mai smesso di amarti. Tutto qui è circondato di neve, di un magico manto bianco che dipinge la città come in una cartolina. Tra un po’ sarà Natale. Dieci anni fa ci siamo fatti una promessa: di rivederci la notte di Natale. So di averti deluso. Non ti aspettavi di trovarmi così cambiata…soprattutto legata ad un ricco industriale come Kenneth Sullivan.

-         Probabilmente ti ricordavi di me come della timida manager che ti ha sempre amato in segreto. Ken ha offuscato la tua immagine, facendomi sentire donna e lasciando che credessi che oltre te, avrei potuto provare il sentimento dell’amore. Mi sbagliavo. Non si può dimenticare facilmente la persona che più di ogni altra si è amata: un sentimento nobile come l’amore non può essere cancellato se non da una passione infinita che equivalga o superi le sensazioni che solo una grande emozione può causare, serrando cuore e mente in un vortice di trepidazioni.

-         Cosa resta del passato? Dei nostri ricordi? Amando, sognando, crescendo, ho imparato a vederti con occhi diversi. Sei sempre stato il mio sogno irraggiungibile, la meta più ambita alla fine della quale vagheggiavo di te…Sfioro con le dita queste labbra calde che tu hai lambito. Per anni ho provato ad immaginare quale sensazione avrei potuto provare ricevendo un tuo bacio. Adesso lo so. Mi è bastato vederti, ascoltare per qualche attimo la tua voce, perdermi nei tuoi occhi scuri e brillanti per avvertire i brividi rincorrersi lungo il mio corpo. Ho serrato al mio corpo queste mani che invece avrebbero bramato di ricercarsi sul tuo volto alla scoperta delle carezze più dolci e intime, di quel giovane semplice e amabile che ricordavo…

-         Accarezzo ancora queste labbra che per un dolce, lungo attimo hanno avvertito una tua intima amorevolezza…quella che per anni ho smaniato. Sento una grande pena nel mio cuore perché mai avrei voluto farti soffrire e mai avrei voluto che tu credessi che non ti ami più. Holly, ti prego, aspettami…dammi una possibilità per spiegarti…lascia che io possa amarti come avrei già voluto fare anni addietro….-. Accompagnata dai dolci pensieri, Patty seguiva silente la strada che velocemente veniva inghiottita dalla limousine.

 

Stringeva nervosamente il volante con una forza che non gli apparteneva. La vista annebbiata dalle lacrime. Lui che piangeva per una donna, per colei che aveva sperato di ritrovare nell’amore e nel candore nel quale la ricordava. Bellissima, altera, di un fascino quasi innaturale: così gli era apparsa dopo dieci anni. L’aveva veduta sulla copertina di un magazine, ma anche i suoi pensieri più sensuali non avrebbero mai potuto dipingere un quadro così perfetto. Seducente come mai l’avrebbe immaginata, avvolta in un abito di gran classe che aveva messo in evidenza le curve perfette di un corpo oramai maturo. La sua Patty non solo si era trasformata in un cigno di ineguagliabile bellezza, ma era divenuta l’ambito trofeo di un ricco industriale qual era Kenneth Sullivan. Un pugno sembrò stringergli il cuore. Avvertì una fitta di dolore. Il pensiero che Kenneth potesse solo sfiorare quella pelle cerea e così delicata, le sue labbra rosse e vogliose, scatenarono in lui una rabbia infinita che non aveva mai provato. No, lui Oliver Hutton, pluridecorato calciatore internazionale, non aveva mai odiato nessuno, ma quella sera aveva scoperto sentimenti contrastanti come ira e rabbia. Era stata forse l’improvvisa comparsa di Patty a frenare l’istinto iracondo che l’avrebbe portato sicuramente ad una colluttazione con Ken. Che ne era stato del suo ben noto buon senso e fair play? Incurante della neve e del ghiaccio, stava spingendo al massimo l’automobile del padre, correndo verso quella cittadina in cui anni prima aveva conosciuto Patty.

Ken Sullivan. La sua immagine era fissa negli occhi esattamente come quella di Patty. Non era solo rabbia la sua, era soprattutto gelosia, un sentimento che provava verso colui che le aveva portato via la donna che amava.<

-         E’ stata tutta colpa mia, solo ed esclusivamente colpa mia. Ho atteso troppo e adesso che lui me l’ha portata via, sto male. Lui, Kenneth Sullivan, uno come gli altri, uno qualsiasi che già da tempo avrebbe potuto conquistare il suo cuore. Dannazione. Perché ho aspettato tanto? Dovevo ricordare il significato di una vecchia promessa per tornare a cercarla? Stupido, stupido, stupido. Lei è sempre stata accanto a me, nella gioia e nel dolore. Quando ne ho avuto la possibilità, non l’ho ringraziata…neanche quel giorno, all’aeroporto, ho avuto il coraggio di dirle quanto le volevo bene.

-         Cosa mi aspettavo dalla vita? Che me la restituisse su un piatto d’oro? Che mi desse un’altra opportunità dopo tutte quelle  che ho sprecato? Cosa sarebbe successo se non avessi visto quel giornale? – pensò continuando a macinare velocemente chilometri. 

-         Pezzo di idiota! Certo, sono solo un idiota. Penso a lei da più di dieci anni e non come amica. Avevo solo bisogno di essere spronato. Mi è bastato quel giornale per farmela desiderare. Hanno ragione i miei amici: non sono più un ragazzino che ha come unico scopo della sua vita quello di diventare un calciatore famoso. Sono un uomo oramai, con dei sentimenti che sto calpestando da solo. La amo da impazzire. Sono geloso di Kenneth Sullivan, vorrei spaccargli la faccia. Come ha potuto Patty innamorarsi di un bastardo del genere? Uno che voleva venderla per pochi soldi? Mi fa schifo solo pensare  a lui! Ma cosa credevo di fare? Che presentandomi dopo dieci anni, lei sarebbe corsa tra le mie braccia. Cosa devo fare adesso? – si chiese imboccando l’uscita per Fujisawa.

 

 

Era trascorsa più di un’ora dacché Jackson aveva dato gas all’auto cercando di raggiungere Fujisawa nel minor tempo possibile. Aveva intuito subito che Patty era diversa dai Sullivan e che non avrebbe potuto convivere con personalità tanto forti e contrastanti, in una famiglia in cui gli interessi contavano molto di più dei sentimenti.

Non gli importava se al suo ritorno a Tokyo i Sullivan l’avessero licenziato. Era la scusa che cercava per poter andar via anche lui da quella famiglia. Era ben pagato. Viveva nella loro dimora londinese e durante i lunghi trasferimenti in Giappone, li seguiva in maniera ligia per operare come sempre in maniera indefessa.

Aveva cinquantatre anni e un matrimonio alle spalle finito con un divorzio a soli ventisette anni. Marisa Thomasson. Così si chiamava la sua ex-moglie. L’aveva amata profondamente sin da quando erano bambini. Erano cresciuti insieme dando vita ad un sentimento sbocciato in tenera età e poi sfociato in un sacro vincolo. Poi la crisi. Quando Jackson, insieme ad altri duecentocinquanta operai fu licenziato da una fabbrica siderurgica di Liverpool, Marisa cadde nello sconforto. Era bella, di un’avvenenza tipica delle donne di colore, dalle labbra di un rosso carnoso e i seni tondi e prorompenti che avevano fatto sognare tanti uomini. Di lei ricordava soprattutto il profumo di lillà che tanto le piaceva. Dopo il licenziamento, la loro unione entrò in crisi. Marisa non si sentiva soddisfatta del loro matrimonio e preferì lasciare il marito proprio nel momento in cui ne aveva più bisogno. Due mesi dopo la loro separazione, alla fine di quell’anno, Jackson si trasferì a Londra dove entrò nell’azienda dei Sullivan prima come commesso e poi come autista personale della famiglia Sullivan. Aveva dedicato loro circa ventisei anni della sua vita. Mai, in quegli anni, avevano instaurato un rapporto confidenziale. Ma questo era tipico dei Sullivan. Ricordava ancora gli sguardi severi e superbi di Hanna Sullivan. L’aveva sempre reputato un essere inferiore perché di colore, un uomo che un tempo non troppo lontano, sarebbe stato bollato come schiavo.

Sia Jim sia Kenneth Sullivan, seppur sempre molto professionali, non avevano mai assunto con lui un comportamento tanto morigerato e austero.

Poi, all’improvviso, era arrivata lei: Patricia Gatsby. Un raggio di luce in quella famiglia nota per il suo carattere freddo. Ricordava ancora la prima volta che l’aveva vista. Aveva accompagnato Kenneth ad un ricevimento presso il consolato nipponico a Londra. L’aveva vista arrivare di corsa trafelata con il telefonino alla mano e una borsa porta documenti nell’altra. Nonostante avesse fretta, il tono dolce e professionale della sua conversazione telefonica, lo colpirono. La sua segretaria la seguiva come un’ombra con in mano un porta abito in tessuto. L’aveva rivista al termine della festa, quando Kenneth la condusse verso la limousine offrendole un passaggio. Un’altra persona. I capelli sciolti sulle spalle ed un abito rosso fuoco che le aderiva sensualmente al corpo. Ma il suo sorriso, era lo stesso. Caldo e gentile.

Guardò nello specchietto retrovisore alla ricerca della sua passeggera. Stretta nella coperta, non aveva smesso neppure un momento di rimirare fuori dal finestrino. L’aveva vista digitare qualcosa sul telefonino. Probabilmente un messaggio per tranquillizzare qualcuno: i genitori forse, che non l’avevano più vista rientrare.

Era straordinariamente bella dipinta nella sua malinconia. Gli occhi lucidi sembravano aver immortalato l’immagine di quel giovane che aveva affrontato Kenneth Sullivan per rivendicare il suo amore in un gesto disperato. Il cameriere che gli aveva riferito della discussione, non aveva risparmiato i particolari, raccontandogli del bacio e soprattutto dei languidi sguardi che Patty e Holly si erano scambiati al cospetto di un iracondo Kenneth Sullivan.

L’amore che lei nutriva per quel giovane traspariva sul suo volto. Non aveva detto altro dopo che gli aveva comunicato la destinazione. Era rimasta silente, raccolta nei suoi pensieri e in quel doloroso amore che l’avvinceva sempre più.

-         Signorina, stiamo per imboccare l’uscita per Fujisawa. Dove dobbiamo andare? – le chiese in maniera professionale ma cordiale.

-         Prendi la prima uscita. Ti indico io la strada. – gli disse con tono sommesso.

 

 

Holly fermò l’automobile dinanzi un grande cancello che immetteva ad un edificio scolastico.

-         Gli anni della mia adolescenza li ho trascorsi qui, in questa scuola, con la squadra della New Team. I miei primi successi! – esclamò guardando i campi da calcio e da baseball oltre il cancello. Lassù, a destra, dove i giardini salivano su per una collina, si ergeva ancora maestoso, il ciliegio all’ombra del quale, tante volte era andato con Patty. Non ricordava un vero e proprio dialogo avvenuto in quel luogo. Parlava sempre lui: parlava sempre di calcio, la sua più grande passione. E lei, lo ascoltava, magicamente attratta dal suono della sua voce, dal brillio riflesso nei suoi occhi neri, da quella passione tanto evidente sul volto. Come incantata, restava lì, in silenzio, a fargli compagnia. Era il loro ritrovo, il luogo in cui lei gli aveva detto che sarebbe partita per Londra.

-         Amore mio. Come posso scordare l’emozione di quel momento? Uno di fronte all’altra. Non riuscivi a guardarmi negli occhi. Egoisticamente, pensai che la causa fosse la mia partenza per il Brasile. Mi sbagliavo. Tu non sei mai stata assolutista. Al contrario, ti sei sempre battuta per gli altri, soprattutto per me. Eri affranta, distrutta dal dolore di una separazione troppo prematura alla quale non eravamo abbastanza preparati. Mi dicesti che saresti partita. Non so dove trovai il coraggio, ma ricordo solo di averti abbracciata e stretta forte a me. Poi….le tue lacrime sul mio petto. Ho capito di amarti in quel momento…nell’attimo stesso in cui ti stavo perdendo. – pensò continuando a rimirare il ciliegio che nell’ombra della notte sembrava un albero di cristallo.

 

Provò a scuotere il lucchetto che incatenava il cancello, ma oppose resistenza. La porticina di legno lungo il muretto. Ricordò che lungo il muro di cinta c’era una porticina in legno utilizzata spesso dal guardiano e dai ragazzi, che come lui, si trattenevano all’interno della scuola oltre l’orario degli allenamenti. Corse verso la porticina, poco distante dal cancello e afferrò la maniglia. Tentò più volte ad aprire la porta, ma qualcosa, sembrava incastrare la serratura.

-         Dannazione, apriti! – urlò calciando contro l’uscio in legno. All’ennesimo calcio, finalmente si aprì.

La neve aveva coperto tutti i campi di un soffice manto bianco. Il grande ciliegio, spoglio delle sue foglie e dei suoi colorati fiori, s’ergeva maestoso sulla collina. Guardò a sinistra e fu subito attratto da un oggetto lasciato sul campo da calcio. Le reti cadevano flaccide nelle porte. Le linee di delimitazione del campo e delle aree interne non si distinguevano più. Eppure, la copiosa nevicata che c’era stata, non aveva del tutto coperto un pallone abbandonato da qualcuno sul campo. Come attirato magneticamente, si avvicinò al pallone che il freddo aveva conservato in perfette condizioni, e lo calciò contro il muro del club di calcio. Gli ritornò indietro e con uno stop preciso, lo fermò con i piedi. Il freddo era pungente ma meno intensamente del dolore che gli attanagliava il cuore.

 

 

La limousine dei Sullivan arrestò la sua corsa dinanzi il cancello di una villetta in una zona residenziale di Fujisawa. Jackson uscì dall’auto ma Patty aveva già aperto lo sportello.

-         Signorina, tenga il mio soprabito. – le disse afferrando il suo cappotto e mettendolo sulle spalle della ragazza. Lo sguardo di Patty era di infinita gratitudine verso quell’uomo estremamente gentile. Oltrepassò il cancello, e vedendo le luci accese, suonò al campanello. Un ragazzino di circa otto anni le aprì la porta. Patty lo guardò incuriosita temendo di aver sbagliato abitazione. Aveva gli stessi capelli neri di Holly e lo sguardo birichino di un bimbo vivace.

-         Chi sei? – gli chiese David guardandola con ammirazione.

-         David, tesoro, chi è? – chiese una voce familiare giungendo all’uscio. Maggie guardò la splendida ragazza di fronte a lei.

-         Non posso crederci…tu…tu sei Patty…la piccola Patty! – esclamò coprendosi la bocca con una mano. Patty le sorrise e chinò il capo in segno di assenso regalandole un dolcissimo sorriso.

-         Buonasera signora Hutton. Come sta? – le chiese educatamente.

-         Io…io bene….ma tu…Holly…cosa è successo? – domandò non vedendo il figlio. – Entra, non vorrai restare lì fuori e beccarti un accidenti! – aggiunse invitandola ad entrare in casa.

-         Io…ho un po’ di premura. Mi piacerebbe…ma….Holly è in casa? – le chiese sperando che annuisse.

-         No…io…cosa sta succedendo? Ha ricevuto una telefonata da Amy Ross e poi è andato via di corsa…dicendo che andava a Tokyo. -. Patty la fissò con gli occhi lucidi per l’emozione. Sapeva che era stata Amy ad informarlo ed era contenta che lui fosse corso a Tokyo per incontrarla, anche se per un breve istante. Era corso da lei…non solo per la promessa che si erano scambiati dieci anni prima.

-         Io…lo so, ho visto Holly solo per un attimo…poi è andato via….-

-         Spero non sia successo nulla di grave! – esclamò preoccupata stringendo a se il piccolo David.

-         No! – esclamò irruente più per convincere se stessa che Maggie. – Sono sicura che si sarà intrattenuto da Julian ed Amy! – aggiunse inventando una scusa, - Adesso devo andare. Grazie, signora Hutton e buon Natale. – concluse prima di correre verso la limousine.

-         Patty…aspetta! – esclamò prima che lei potesse entrare nella sontuosa automobile.

-         E’ corso da te…voleva vederti…ti ama, Patty! -. Patty guardò Maggie con ammirazione e commozione. L’amore che nutriva verso il figlio maggiore era degno di nota. Le sorrise compiaciuta di quelle parole mentre il cuore le batteva forte in petto.

-         Anch’io….anche io lo amo! – rispose prima di scomparire all’interno della vettura.

-         Maggie, chi era? – chiese Micheal Hutton al rientro in casa della moglie. Maggie guardò il marito e poi Samantha Smith. Dacché Holly era corso via per raggiungere Patty a Tokyo, la figlia di Eleanor e Adam Smith non aveva pronunziato alcuna parola. Si era chiusa in un mutismo accompagnato solo da un’aria indispettita.

-         Patty! –

-         Quella Patty? – gli chiese ricordando i discorsi intrattenuti con la moglie durante il pomeriggio. Lei annuì sorridente ma allo stesso tempo preoccupata. Negli occhi di Michael era viva l’immagine della manager della New Team, la compagna di sempre del figlio maggiore, colei che aveva portato scompiglio nel cuore di Holly.

-         Sì. Si stanno cercando disperatamente! – concluse abbracciando il piccolo David. 

-         Mamma, chi era quella ragazza? – chiese David incuriosito.

-         Un’amica…una cara amica di Holly! – rispose. Samantha la guardò quasi con aria di diniego e sfida. Aveva perso in partenza. Holly non si era lasciato avviluppare dalla morsa sensuale in cui lei aveva cercato di stringerlo. Era corso da quella Patty di cui parlava Maggie. Ne era sicura. Lo aveva perso ancora prima di averlo.

 

 

 

Jackson costeggiò il fiume seguendo le indicazioni di Patty. Sperando che Holly fosse a Fujisawa e non avesse raggiunto Amy e Julian a Tokyo, chiese all’autista di costeggiare il canale lungo il quale era avvenuto il loro primo incontro. Si auspicava che ripercorrendo i luoghi del loro passato, l’avrebbe trovato. Aveva nostalgia di quei luoghi e rivederli dopo dieci anni le provocò un tuffo al cuore. Avrebbe voluto ripercorrerli in una visita di piacere  e non alla disperata ricerca di un amore perduto.

Le strade innevate erano prive di traffico. Erano tutti intenti a festeggiare l’arrivo del Natale che di lì a pochi minuti sarebbe giunto, mentre lei girava in una sontuosa limousine per la città. Entro poco avrebbe udito i rintocchi del tempio che annunciavano la mezzanotte.

Chiese a Jackson di deviare verso la scuola. Una forza magnetica sembrava attirarla verso quei luoghi che l’avevano vista testimone e protagonista indiscussa della vita di Oliver Hutton.

-         Ferma la macchina! – esclamò in un evidente stato di agitazione. Jackson frenò alla richiesta della passeggera. Patty aveva veduto un’automobile ferma di fronte il cancello della scuola. Il cuore le batteva talmente forte che temeva potesse saltarle fuori dal petto. Mille pensieri affollavano la sua mente alla ricerca di un barlume di lucidità. Sentiva l’ansia accrescere e le parole morirle in gola. Brividi di freddo si alternavano a singulti d’amore. Nervosamente cercò la maniglia dello sportello. Quando l’ebbe finalmente trovata, spalancò la portiera e uscì dall’auto. Fu investita da una folata di vento che la fece rabbrividire. La temperatura era bassa ma a lei non importava. Era rossa in volto. Doveva trovarlo. Non poteva perdere quella preziosissima occasione. Doveva fargli comprendere quanto l’amava, lo sbaglio che aveva fatto con Ken…doveva fare finalmente quello che aveva sempre rimandato: confessargli i suoi sentimenti. Per lunghi anni lo aveva amato nel silenzio dell’altruismo, pensando solo ed esclusivamente alla sua felicità e alla sua carriera, a non rompere quei fragili equilibri insiti negli adolescenti. Ma adesso voleva  e doveva dichiarare a Holly il suo grande amore. Desiderava restituirgli il bacio a fior di labbra che le aveva regalato prima di andar via da Villa Sullivan. Smaniava per potersi perdere nell’intensità dei suoi occhi, in quell’abbraccio che ricordava essere caldo e rassicurante…proprio come quella volta all’ombra del grande ciliegio.

-         Holly…dove sei?…amore mio…ti prego, - pensò guardando il cielo marmoreo, - fa che sia la sua auto…fa che sia qui. -. Corse verso il cancello ma nonostante i suoi sforzi, il lucchetto era inamovibile. Riprese la sua corsa alla ricerca della porticina di legno che tante volte, rimasti oltre l’orario scolastico o degli allenamenti, aveva utilizzato proprio in sua compagnia. I piedi le dolevano per il freddo e per i tacchi alti. Non le importava delle vesciche o del gelo che la stava intirizzendo.

Il pallone continuò a schiantarsi rabbiosamente contro il muro del club, poi all’improvviso, sbatté violentemente contro la porta del club di calcio. Qualcuno aveva dimenticato di chiuderla perché all’urto con la sfera a scacchi, si era aperta. Holly riprese fiato e poi incedette lentamente verso il club nel quale era entrato tante volte. La fievole luce del cielo e dei lampioni esterni illuminavano l’interno di quel club arredato in maniera spartana. Ne delineò gli spazi e il mobilio essenziale. Tutto come allora. Un grande stanzone con un armadietto laterale, un tavolo con delle sedie, un frigorifero e una piccola cucina. In fondo alla stanza, due porte: una conduceva al magazzino e alla lavanderia, luogo nel quale le manager trascorrevano gran parte del loro tempo; l’altra invece, conduceva agli spogliatoi e alle docce. Sorrise ricordando i volti madidi di sudore dei suoi compagni; Patty, Evelyn e Susy sempre indaffarate nelle loro faccende. Patty. Era l’anima di quel club. Mai un’assenza o una defezione. Anche con il temporale o la neve, lei era sempre la prima ad arrivare. Si guardò ancora intorno in cerca della voce ironica di Bruce che canzonava Patty. Rimembrò le risa divertite dei compagni al loro continuo litigare. Andò verso gli spogliatoi, alla ricerca di quei piacevoli ricordi che sembravano poter lenire la pena del suo cuore.

 

 

Vide la porticina notando subito che era stata forzata. Si fermò un attimo respirando a pieni polmoni l’aria pulita e frizzante di quella sera. Mille e più ricordi le affiorarono nel momento in cui, oltre la porticina scorse il ciliegio imbiancato sulla collina. Non sentiva altro se non il battito del suo cuore. Le doleva. Temeva di non poter sopportare oltre quello spasimo. Desiderava togliersi le scarpe e poter correre sulla neve a piedi nudi. La brezza fredda e inebriante soffiò tra i suoi capelli fecendola rinvenire da quel bizzarro pensiero. Si guardò intorno in cerca della sua figura. Non c’era nessuno. Tutto sembrava essersi fermato a dieci anni prima, al giorno in cui era andata via. I campi, le reti afflosciate, gli edifici in perfette condizioni. Si voltò verso il grande albero. Le lacrime le salirono agli occhi. La vista era oramai annebbiata. Holly non era neanche lì. Dove poteva cercarlo ancora? Non voleva chiedere il numero del cellulare a sua madre per evitare di impensierirla.

Lentamente si avviò verso la collina, quasi cercando un po’ di conforto in quel luogo a lei tanto caro. Si avvicinò al grande ciliegio e posò la mano sulla corteccia ghiacciata. Avvertì subito il freddo sulla pelle, poi uno strano calore che parve solleticarle la cute.

-         Non c’è! Cosa ho fatto? Non ho mantenuto la promessa che ci eravamo scambiati dieci anni fa! Negli ultimi tempi ero troppo occupata a pensare a Ken…e l’ho scordato. Come ho potuto? – pensò afflitta continuando a guardarsi intorno.

-         Amore mio, dove sei? Perché ci inseguiamo inutilmente? Perché non ti ho fermato quando sei venuto alla festa? Perché non ho avuto il coraggio di dirtelo dieci anni fa? Perchéeeeeeeeeee….- urlò a pieni polmoni colpevolizzandosi per quanto era accaduto. – Dove sei? Holliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiy? – gridò disperata cadendo sulle ginocchia.

Holly fu come colto da una strana sensazione, parve udire l’urlo disperato di Patty. Tornò velocemente nella stanza all’ingresso e si avvicinò alla finestra. Guardò verso il campo, poi verso la collina. Scorse una figura vicino l’albero, chinata sulla neve, coperta forse da un mantello. Cominciò a tremare. Udiva i battiti del suo cuore, il ribollire del sangue nelle vene. Corse fuori dal club in preda all’angoscia. Poco distante dalla collina, si fermò. Guardò meglio quella figura a lui tanto familiare, adesso in lacrime in preda ad un’angoscia che non le aveva mai visto. Sembrava disperata e lui pareva poter sentire quelle lacrime che contigue le stavano inondando il volto.

-         Patty! Patty! – pensò senza avere la forza per fiatare e sibilare il suo nome. Si fermò a pochi passi da lei. Piangeva come una bambina, rannicchiata vicino l’albero, cercando forse il suo conforto. Il cappotto era caduto sulla neve e tremava come una foglia.

-         Patty! – sibilò cercando di attirare la sua attenzione. Perché era lì? Doveva essere alla festa in quella lussuosa villa di Tokyo dove l’aveva veduta nelle vesti della futura signora Sullivan. Contrariamente a quanto pensava, lei era a Fujisawa, a pochi passi da lui. Si tolse il giubbotto in pelle e glielo appoggiò delicatamente sulle spalle.

Solo in quel momento, si accorse che c’era qualcuno alle sue spalle. Sussultò. Pensò che Jackson fosse davvero una brava persona a preoccuparsi così per lei. Lentamente si voltò pensando di ritrovare il volto bruno e bonario dell’autista.

Uno di fronte all’altra, a pochi centimetri. Potevano udire l’ansimare dei loro respiri, avvertire quegli sguardi languidi che sembravano spogliarli dei pensieri e delle sensazioni più intime. Patty lentamente si portò le dita alle labbra, lambendole dolcemente come prima lui le aveva sfiorate. Non riusciva a pensare a nulla. Le sembrava di esser tornata adolescente quando bastava che Holly la guardasse per potersi emozionare e a tal punto e far morire qualsiasi frase al suo principio. Holly le porse la mano per aiutarla a rialzarsi e lei accettò l’invito.

-         Patty, sei qui, di fronte  a me. Ti guardo, ti ammiro in tutta la tua bellezza. Non riesco a distogliere lo sguardo da te, da quegli occhi così profondi, dalla tua bocca perfetta che ho avuto il coraggio di baciare in un disperato atto di amore. Piccola mia…quanto tempo abbiamo sprecato nel timore di rivelarci i nostri sentimenti…come abbiamo potuto perdere anni così preziosi della nostra vita, soffrendo disperatamente per la lontananza e per un amore mai declamato? – pensò sfiorandole il volto delicatamente con il dorso della mano.

-         Holly…cosa sta succedendo? Mi sembra di esser tornata adolescente, quando un tuo sguardo metteva a freno ogni mia parola…allora come adesso mi emoziono inverosimilmente. Sono trascorsi dieci anni, in cui ho sempre saputo di amare solo te. Ti ho cercato mille e più volte nei miei pensieri, nei ricordi innocenti e pudichi che hanno accompagnato l’inizio della nostra adolescenza. Chiudendo gli occhi, cercavo di rievocare il calore del tuo abbraccio e adesso…la delicatezza, la tenerezza di un bacio a fior di labbra che ha scatenato in me i brividi dell’amore. Nessuna ardente passione può sostituire un tuo dolce sguardo, la sensazione che un tuo tocco leggero mi può donare. – pensò rasentandogli la mano fino a che le loro dita non si incrociarono. Non c’erano parole che potevano esprimere l’intensità e la magia di quell’attimo d’amore, tanto agognato  quanto esasperato. La brezza fredda lambiva i loro volti incantanti a perdersi l’uno nell’altro.

I rintocchi del tempio annunciarono l’arrivo della mezzanotte. Era Natale. Piccoli fiocchi bianchi scendevano lentamente sul paesaggio immacolato. Holly le prese il volto tra le mani. Dolcemente, accompagnato da una sicurezza non sua, si avvicinò al viso di Patty senza distogliere lo sguardo dai suoi grandi occhi nocciola. Quando le labbra furono tanto vicine da potersi sfiorare, accennò un timido sorriso. Era lì per lui. Kenneth Sullivan era solo un vecchio ricordo. Ne era certo. Nulla e nessuno avrebbe potuto portargliela via.

-         Buon Natale, amore mio. – le sussurrò prima di chiudere gli occhi e sentire il tocco umido delle labbra di Patty sulle sue. Prima un bacio tenero, come il sigillo di un grande sentimento, poi un’ardente passione che attendeva solo di travolgerli in un turbine di emozioni.

Non sapevano a cosa andavano incontro, quale sarebbe stato il loro destino…non era importante: contavano solo loro, le loro anime, i sentimenti ardenti che attendevano solo di fiammeggiare nei loro cuori. Nella bianca notte del Natale, Patty e Holly si riscoprirono a mantenere una promessa scambiata dieci anni prima, un desiderio che avevano realizzato e che sarebbe stato solo il primo di una vita che li avrebbe accomunati nella felicità.

 

 

 

 

Anche questa storia è conclusa. Un ringraziamento a tutti coloro che hanno letto e recensito questa mia nuova fanfic ed una dedica particolare ad Alex Kami che mi segue sempre con tanto affetto. Buon Anno a tutti. Scandros

 

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