1191 d.C.

di _Atlas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




 Capitolo 1

Il sole del mattino era ormai alto nel cielo e cominciava a riscaldare le affollate e polverose strade di Damasco. Già i mercanti cominciavano ad esporre le loro merci e a declamare a gran voce i loro prodotti, e le persone si affollavano intorno alle bancarelle, pronte a contrattare.
Io me ne stavo tranquillamente seduta su una panchina di fronte ad una fontana a leggere un libro, persa nei miei pensieri. I miei capelli castani e leggermente mossi come le onde del mare, che normalmente mi arrivavano poco sotto le spalle, erano raccolti in una crocchia morbida che mi aveva fatto ricadere due ciocche ondulate ai lati del viso.
Vivevo a Damasco da tutti i ventuno anni della mia vita con mia madre Bahira e mio padre Ashraf, e  mi ero ormai abituata a quella vita tra il caos cittadino e la folla pressante.
 Essendo figlia unica avevo molti vantaggi: ero pressoché adorata dai miei genitori, non dovevo dividere la mia camera e, più di ogni altra cosa, avevo potuto studiare (forse anche perché nessuno in famiglia era credente).
Ma l’essere figlia unica mi portava anche qualche svantaggio, del tipo il non allontanarmi troppo da casa, sottostare agli ordini e alle decisioni di mio padre senza controbattere, non portare nessuno in casa e mai e poi mai uscire da Damasco.
Non mi era difficile rispettare quelle scelte, a parte una. Quella di obbedire senza riserve a mio padre proprio non mi andava giù.
Con il mio carattere era pressoché impossibile abbassare la testa ed annuire senza combattere e, difatti, tutte le nostre discussioni sfociavano in un litigio che pareva senza fine.
“Sarabi!”
Alzai di scatto la testa dal libro che stavo leggendo, sentendomi chiamare, e sul mio volto si aprì un largo sorriso quando riconobbi la donna dai capelli corvini e le rughe appena accennate sul viso che mi veniva incontro come Bahira, mia madre. Mi fece cenno di andare da lei e io mi alzai dalla panchina, chiudendo il libro e andandole appresso.
Mi rivolse un caldo sorriso e i suoi occhi verdi scintillarono al sole.
“Non lo avevi già letto?” Mi disse indicando il libro, continuando a sorridere.
“Lo sai che è la mia lettura preferita...” Dissi, mettendomi il tomo sottobraccio.
Bahira mi prese a braccetto e ci incamminammo per attraversare la piazzola con la fontana, dirigendoci verso una delle strade che partiva dal posto. Guardai mia madre che mi camminava accanto. Ero più alta di lei di qualche centimetro, ma anche se non era molto alta, restava comunque una bellissima donna.
“Come mai sei venuta a riportarmi all’ordine così presto?” Chiesi scherzosamente. Lei si voltò a guardarmi e con una mano morbida mi scostò una ciocca di capelli dal viso, portandomela dietro l’orecchio, poi tornò a guardare davanti a sé.
“Oggi vengono a trovarci gli zii...”
Al suono di queste parole sbuffai indispettita. Dovevo immaginarmelo, era una giornata troppo bella per restare tale.
Mia madre si fermò davanti ad una bancarella a guardare i prodotti.
“Sai bene che nemmeno a me va giù il fatto che vengano, ma bisogna fare bella faccia a cattiva sorte, altrimenti ti prenderanno per maleducata, cosa che non sei per nulla.”
Sbuffai ancora e mi misi a guardare a mia volta le merci in bella mostra sulla bancarella di scuro legno ormai logoro. Vendeva ninnoli e piccoli gioielli, qua e là qualche utensile in legno da cucina. Vidi un bel bracciale argentato con dei decori sinuosi, ma non lo presi, sapendo bene che non l’avrei mai messo. Odiavo adornarmi di qualsiasi cosa ed era già tanto se a volte mettevo uno scialle o un foulard, più raramente un bracciale o una collanina. Gli abiti che avevo nell’armadio erano semplici e comodi, ma anche belli da vedere senza tanti ricami e colori sgargianti. Difatti in quel momento indossavo un vestito color sabbia, una fascia di stoffa blu scuro, quasi nero, a cingermi la vita e ai piedi un semplice paio di sandali di cuoio allacciati alle caviglie sottili.
“Vedi nulla che ti interessa?” Mi chiese Bahira.
Scossi la testa e riprendemmo a camminare verso casa.
Finita la via del mercato, svoltammo prima a destra, poi a sinistra e ci ritrovammo di fronte la costruzione tanto familiare, circondata dal piccolo giardino ben curato di cui mi occupavo personalmente. Bahira si staccò da me e andò ad aprire la porta, mentre io tentavo di localizzare Rabi, il gatto tigrato che si era spontaneamente stabilito in casa nostra.
Lo trovai sopra il muretto assolato, intento a lavarsi le zampe. Lo chiamai diverse volte e solo dopo essersi fatto abbondantemente desiderare si degnò di miagolare, alzarsi, stiracchiarsi e camminare verso di me con estrema calma ed esasperante lentezza. Si strofinò sulle mie gambe e si fiondò in casa non’appena la porta si aprì. Sorrisi scuotendo la testa ed entrai a mia volta.
Salii le strette scale ed andai in camera mia. Era una stanza semplice, composta da un letto ad una piazza e mezza, un armadio, un tavolino, uno scaffale colmo di libri e una finestra.
Poggiai il libro dalla copertina verde scuro sul tavolino e tornai al piano di sotto a vedere se Bahira aveva bisogno di una mano in cucina. Mi affacciai alla porta.
“Mamma, hai bis...” Non feci in tempo a finire la frase che praticamente mi ordinò di fare un passo avanti e rimanere immobile. Mi bloccai al centro della cucina ed attesi un tempo che mi parve interminabile mentre Bahira mi squadrava dalla testa ai piedi.
Alla fine mi si parò davanti e mi guardò ancora qualche secondo, poi alzò la mano e, con un gesto rapido e deciso, mi sciolse i capelli che mi ricaddero morbidamente sulle spalle.
“Ecco, adesso sei perfetta. Puoi pure rimanere vestita così, tanto sei bella comunque.” Mi sfoderò un ampio sorriso, poi si voltò e tornò a sbrigare le sue faccende, mentre io rimasi ancora qualche secondo imbambolata per la sorpresa. Quando stavo per aprire bocca, fui di nuovo preceduta.
“Coraggio, vai a farti un giro per le strade e già che ci sei comprami un po’ di pane, che è finito.”
Non provai neanche a parlare, ben conscia che sarei stata interrotta di nuovo, così mi limitai ad annuire e a dirigermi fuori. Mi chiusi la porta alle spalle, controllai il mio borsello dentro la tasca e varcai il cancello, rituffandomi nella calca del mercato.
Dopo qualche estenuante minuto nella via  principale, riuscii a farmi strada nella folla e a raggiungere la bancarella del pane. Quando però mi avvicinai a guardare meglio, notai che era rimasto ben poco e così potei comprare solo due pagnotte. Abbastanza demoralizzata mi sedetti su una panchina in disparte, aspettando che la confusione diminuisse per poter tornare a casa più agevolmente. Cercai di isolarmi mentalmente dal baccano, dalle voci della gente, così da rilassarmi un po’, anche se era dalla mattina che mi sentivo insolitamente tesa ed agitata. Lentamente ma inesorabilmente mi persi nelle mie riflessioni. Trascorsi così circa un’ora, ragionando su tutto quello che mi passava per la testa, cercando di trovare un altro significato alle cose.
Quando mi riscossi dai miei pensieri la folla era notevolmente diminuita e si poteva tranquillamente camminare per le larghe strade polverose che si sarebbero nuovamente riempite di vita nel pomeriggio. Mi alzai dalla panchina un po’ indolenzita con il mio pane e mi incamminai verso casa. Ormai potevo camminare ad occhi chiusi, dopo ventuno anni che percorrevo la medesima strada. Altri venti minuti circa di cammino e sarei stata a casa, pensai, così diminuii l’andatura per gustarmi la piacevole ‘passeggiata’. Si era alzato un gradevole venticello e il sole coperto dalle bianche nubi sembrava meno violento del solito. Alcuni mercanti ancora si ostinavano, declamando a gran voce i loro prodotti, anche se ben consci che avrebbero venduto poco o nulla fino l’indomani.
Nel frattempo, alzando il naso al cielo, mi accorsi che andava rannuvolandosi sempre di più e quasi certamente più tardi avrebbe piovuto. Sospirai e continuai a camminare.
E fu in quel momento che, disattenta e persa com’ero nei miei pensieri, fui urtata violentemente e caddi malamente a terra quasi su un fianco, rovesciando a terra il pane che si disperse nella polvere.
“Ah, magnifico! Proprio quello che ci voleva!” Borbottai cercando di mettermi seduta, più dispiaciuta che arrabbiata. Alzai lo sguardo e vidi con chiarezza cosa o, per meglio dire, chi mi aveva così in malo modo urtata. Era caduto quasi al mio stesso modo e mi fissava negli occhi in un misto di stupore e sconforto. Era un ragazzo probabilmente della mia età, anche se i lineamenti morbidi e il viso liscio avrebbero potuto confondere, con i capelli bruni e gli occhi marrone scuro.
“Mi... mi dispiace molto, mi scusi!” Disse tirandosi velocemente in piedi e porgendomi una mano per aiutarmi. Era decisamente più alto di me, di parecchi centimetri. Indossava una tunica bianca con il cappuccio abbassato sulle spalle, mentre alla vita portava un cinturone di cuoio scuro, a cui erano allacciate due sacche e una spada sul lato sinistro. Gli avambracci erano coperti da protezioni dello stesso materiale della cintura e solo sul sinistro delle placche di metallo ne ricoprivano la parte superiore. Ai piedi portava un comodo paio di stivali scuri e sul petto si vedevano delle cinghie che, quando si volse leggermente, mi fecero notare sostenere una lama corta nel suo fodero.
Afferrai la sua mano, trovandola piacevolmente tiepida, e mi tirai in piedi.
Quando si fu premurosamente, a mio parere anche troppo, assicurato che mi reggevo stabilmente sulle gambe, sollevò un pugno in aria e urlò in direzione di un ragazzo più giovane dai capelli castano chiaro e due grandi occhioni azzurri che mi colpirono molto.
“Kadar! Torna qui se hai coraggio! Giuro che se ti prendo ti scanno con le mie stesse mani!”
Poteva avere si e no sedici o diciassette anni, visto il bel viso tondo e dai lineamenti molto morbidi.
Era vestito quasi allo stesso modo del ragazzo che mi aveva urtata,  se non per la tunica più corta e la maggioranza di colore grigio.
Il ragazzo ovviamente non si avvicinò, restando a debita distanza, fuori raggio d’azione.
Da quanto avevo potuto capire, l’urto era probabilmente stato causato, forse indirettamente, da questo Kadar.
Il tale che mi aveva urtata si volse nuovamente verso di me e mi rivolse un debole sorriso, a cui risposero le mie guance, che si colorarono di un rosa più pastoso. Indugiò un momento sui miei occhi nocciola, a mandorla come quelli di un lupo, e poi si apprestò a parlare.
“Mi spiace molto per quello che è successo a causa di quello sciagurato di mio fratello...”
Lanciò un’occhiata rabbiosa al ragazzo, che arretrò di un passo. Poi tornò a guardarmi.
“Io sono Malik, Malik al-Sayf, e quel razza di derelitto è mio fratello Kadar.” Mi sorrise ancora.
Io mi affrettai a rispondere, pregando di non balbettare.
“Io mi chiamo Sarabi, Sarabi el-Kazir e... riguardo a quello che è successo, state tranquillo, non importa. Ora...” Mi guardai intorno, alla ricerca del mio pane. Non potei evitare al mio viso di assumere un’espressione alquanto allibita e dispiaciuta nel notare una pagnotta schiacciata e una piena di polvere. Le braccia mi ricaddero mollemente lungo i fianchi e dissi, più rivolta a me stessa: “Oh, no... E adesso come faccio..?” Malik mi guardò più dispiaciuto di prima.
“Non so proprio come scusarmi... Se posso fare qualcosa...”
Mi affrettai a rispondere, certamente non volevo turbarlo.
“No, no, non è nulla! Non si preoccupi...” Ma forse la mia espressione rimase invariata, perché continuò a guardarmi mortificato.
“Quanto vi è costato quel pane?” Mi chiese.
Io scossi la testa e risposi senza pensarci troppo. “Non veniva molto, appena tre monete...”
Non ebbi il tempo di fermarlo quando armeggiò in una delle sacche appese alla cintura e mi allungò quattro monete. Io scostai velocemente quel gesto, scuotendo la testa con forza.
“No, non posso accettare... Non è stata colpa vostra, non è giusto. Sono io che me lo sono fatta scivolare di mano...”
Lui mi guardò determinato. “Ma sono io che vi ho urtata.” E detto questo mi afferrò la mano e mi premette le monete sul palmo. Mi maledissi per essere arrossita di nuovo e guardai le quattro monete. “Ma il pane era costato solo tre monete, non vedo perché...”
“Una per il disturbo” Si affrettò a rispondermi con un sorriso.
Solo allora notai che per le strade non era rimasto quasi nessuno e, alzando il naso al cielo, ne capii immediatamente il motivo. Ormai era coperto da grigi nuvoloni carichi di pioggia e la luce del sole era completamente oscurata.
Malik alzò il viso a sua volta per osservare il cielo. “Mi sa che tra un po’...”
Non fece in tempo a finire la frase che un fortissimo tuono squassò il cielo e io per lo spavento gli finii quasi addosso. Subito dopo la luce si oscurò ancora di più e cominciò a piovere.
Incredibilmente Malik trovò anche il tempo di congedarsi amabilmente.
“Sarabi,” Accennò appena un inchino. “è stato un piacere se non un onore, nonostante le spiacevoli circostanze, fare la vostra conoscenza.”
Le mie guance protestarono violentemente, ma mi affrettai comunque a rispondere cercando di darmi un contegno. “Il piacere è tutto mio, Malik.” Poi, dopo un attimo di esitazione, aggiunsi: “Grazie.”
Lui mi sorrise. “Non c’è grazie per un dovere. Spero di poter avere il privilegio di rincontrarvi in circostanze... più normali. Arrivederci!”
Sorrisi a mia volta. “A presto!” E, quasi a malincuore, corsi verso casa, inzuppandomi di pioggia.
 
 
El-Kazir, Sarabi el-Kazir... quel nome sarebbe rimasto impresso a fuoco nella sua mente.
Rimase imbambolato sotto la pioggia qualche secondo a guardarla correre via, poi si voltò svelto verso Kadar. Cominciò ad avvicinarsi a lui a passi misurati e gli cinse le spalle con un braccio, riprendendo a camminare apparentemente tranquillo e pacato. Ma in realtà quel braccio attorno alle spalle di suo fratello era tutt’altro che un gesto affettuoso. Era semplicemente un modo più gentile di strozzare qualcuno. Kadar, leggermente teso per la situazione, tentò di alleggerire l’atmosfera ma, come suo solito, finì con il peggiorare ulteriormente la situazione.
“Hei, Malik... dì un po’, hai trovato moglie?” Disse con un leggero sorriso ad increspargli le labbra morbide da ragazzino. Malik strinse ulteriormente la presa del suo braccio, facendo quasi mancare il respiro al fratello.
“Sai, fratellino, credo che ora come ora dovresti stare zitto. Lo dico per la tua incolumità...”
Kadar sigillò la bocca e non parlò fin quando non giunsero alla locanda dove avevano affittato le stanze per la notte.




 L'angolo di Ama:

- Beh, che dire? Finalmente mi sono decisa a pubblicare questo racconto! ^-^ Ci rimuginavo sopra da un bel po', ma alla fine (dopo mesi e mesi) mi sono decisa.
Ora come ora non ho molto da dire su questo "capitoletto", a parte sperare mestamente che l'inizio sia di vostro gradimento.
Prima di tutto, vi devo mettere in guardia su un paio di cosette (no, non fuggite, tranquilli, datemi un'attimo per spiegare! XD)

1. I primi aggiornamenti saranno piuttosto rapidi e abbastanza lunghetti dato che ho già pronte 19 pagine, ma dopo non aspettatevi che i capitoli siano lunghissimi e frequenti
2. Tante cose che sono sul videogioco, qui saranno marginali o degli eventi potrebbero non succedere mai! (perciò aspettatevi di tutto [io non è che stia seguendo la Storia, perciò ptrebbero esserci scaramucce o piccole battaglie mai accadute])
3. Dato che sono un'autrice insicura che cambia spesso idea, qualche rara volta potrei ri-uppare un capitolo per cambiare anche solo una frase (XD perdonne moi)

Ok, detto questo (probabilmente c'è dell'altro, ma al momento non mi viene in mente nulla), commentate (non insultate e non siate volgari, vi prego, altrmenti vi segnalo! [e vi meno]), perdonate qualche errore di sintassi o grammaticale e voletevi tutti bene! ^-^

Aggirnerò non'appena qualche buona anima si sarà interessata a questa mera storia e avrà inserito qualche commento.
Bacioni <3 Ama

Post Scriptum: Hei, direttamente da uno di quei geni di DeviantART, un'immagine che ritrae una ragazza praticamente identica alla nostra protagonista!

http://ezio4.deviantart.com/favourites/#/d2lsggm

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


Arrivai a casa a dir poco grondante. Avevo cercato di tornare il più velocemente possibile, ma inevitabilmente mi ero inzuppata fin dai primi metri. Spalancai la porta ed entrai con il morale completamente a terra. Trovai Bahira in soggiorno, intenta a spazzare il pavimento con una scopa di paglia. Quando mi sentì chiudere la porta alzò la testa e mi guardò un po’ perplessa.
“Come mai sei stata via così tanto?” Mi chiese. Poi mi osservò meglio e aggiunse: “E il pane?”
Io sbuffai, mentre ancora all’ingresso mi slacciavo i sandali.
“E’ lunga da spiegare, mamma... Ti racconterò un’altra volta...”
Riposi con ordine le calzature a lato della porta. Bahira mi guardò ancora per un po’ con una strana espressione, tra il perplesso e l’arrabbiato.
“Mmh... Si, d’accordo... Ah, Sarabi, gli zii vengono la settimana prossima perché i tuoi cugini stanno male.” Poi riabbassò la testa e riprese a pulire per terra.
“Mamma, io vado a farmi un bagno e a cambiarmi.”
Bahira annuì distrattamente, continuando il suo meticoloso lavoro. La ringraziai mille volte per non aver indagato oltre sul misterioso episodio delle pagnotte. Mi apprestai a salire le scale cigolanti, ma prima rivolsi un’ultima domanda alla donna: “Sai quando papà torna da Gerusalemme?”
Lei interruppe il suo lavoro e sbuffò: “Se ‘non ci saranno contrattempi’ tra circa una settimana. Ah, Sarabi, io domattina vado a far visita ad Amal, che è rientrata ieri da Aleppo. Tornerò alla sera.” Poi, scherzosamente, aggiunse: “Resisterai senza di me un’intera giornata, vero?”
Annuii sorridendo e salii al piano superiore, diretta al bagno. Riempii la tinozza ormai logora di acqua calda e andai a prendermi in camera un paio di vestiti puliti. Ne presi uno celeste chiaro e tornai in bagno, mi spogliai ed entrai nella vasca. Trovai quel meraviglioso tepore molto rilassante e ristoratore. Era molto piacevole restare li immersi al calduccio, mentre fuori la pioggia fredda si abbatteva sulle cose. Presi un sapone all’arancia e vaniglia e mi lavai accuratamente il corpo e poi, con un olio profumato, mi pulii i capelli per farli tornare al loro solito splendore.
Mi costrinsi a non pensare a nulla e mi godetti quel bagno fino in fondo.
Solo dopo molto tempo, quando l’acqua aveva ormai cominciato a freddarsi, mi decisi ad uscire.
Mi asciugai con un morbido panno di cotone e mi rivestii, strofinandomi poi i capelli per togliere la maggior parte dell’acqua. Me li raccolsi nella solita crocchia, appesi ad asciugare i vestiti bagnati e mi apprestai ad andare in cucina a pranzare.
 
Piovve tutto il giorno, con dei picchi particolarmente violenti nel tardo pomeriggio. Passai la giornata intervallandola ad aiutare Bahira nelle faccende, leggendo e studiando sul mio libro di anatomia e medicina generale. La materia mi appassionava molto e un giorno, magari, con le conoscenze accumulate studiando quel tomo, avrei potuto lavorare in un’infermeria.
La sera, dopo aver cenato, mi trattenni in soggiorno a parlare con Bahira di tutto quello che ci passava per la testa e, difatti, tornai in camera mia piuttosto tardi.
Mi spogliai dell’abito rimanendo solo con la mia bianca camicetta da notte. Ripiegai per bene il vestito e lo deposi con cura sopra il tavolino, dato che l’avrei rimesso anche il giorno dopo.
Finii di leggere un capitolo particolarmente interessante di medicina, soffiai sulla fiamma scarlatta e tremolante della candela e mi infilai sotto le coperte.
Potevo vedere i lampi fulgidi e bianchi illuminare le pareti della stanza e udire il profondo rimbombo dei tuoni in lontananza. Mi ranicchiai su un fianco e strinsi il mio cuscino.
Pensai un momento a Malik, il ragazzo che avevo ‘conosciuto’ al mercato, ai suoi abiti particolari e, d’un tratto, mi folgorò un ricordo: tempo addietro, quando avevo circa dieci anni, io e i miei genitori eravamo usciti da Damasco, dirigendoci in un tranquillo paesino semi-montano per far visita ad alcuni amici. Non ricordavo il nome del posto, ma quando vi ero giunta mi sembrava di essere a casa. Lì avevo notato che le guardie erano vestite o di bianco o di grigio, molto armate e con un cappuccio perennemente calato a celarne il volto. Chiedendo informazioni avevo appreso che quegli uomini venivano chiamati Assassini ed erano guidati da un certo Al Mualim.
Con un semplice ragionamento dedussi che anche Malik e suo fratello Kadar dovevano essere di lì.
Malik era un Assassino e... la cosa non mi turbava affatto.
Rabi entrò di colpo dalla porta socchiusa facendomi quasi prendere un colpo dallo spavento. Con la sua solita andatura lenta e baldanzosa si avvicinò al letto e spiccò un poderoso balzo per salire.
Ce la fece in parte: il mento e la punta delle zampe anteriori raggiunsero con decisione il bordo del letto, mentre il treno posteriore restò oscillante sopra il baratro scuro del tappeto.
Prima che scivolasse a terra mi affrettai ad afferrarlo per la collottola e, con un po’ di fatica, ad issarlo a peso morto sul letto. Rabi non era affatto grasso, ma era grande e muscoloso e molto spesso tanto pigro da non voler fare sforzi appena eccessivi.
Il gattone cominciò a fare le fusa e con classe tutta particolare si infilò sotto le coperte e si accoccolò accanto a me. Io me lo strinsi al petto, trovando molto piacevole il tepore della sua pelliccia e fastidiose le sue vibrisse che mi solleticavano la pelle del viso.
Ci addormentammo di sasso dopo alcuni minuti e dormimmo profondamente tutta la notte.
 
Fui svegliata in modo piacevolissimo all’alba da un tuono particolarmente forte e particolarmente vicino che mi fece saltare giù dal letto con un mezzo infarto.
Anche Rabi per la paura balzò dal letto con il pelo dritto che lo faceva sembrare tre volte più grosso di quanto non lo fosse già. Per la foga di scappare fuori dalla stanza, però, sbattè in modo molto violento sulla porta rimasta socchiusa con un sonoro rumore secco. Dopo alcuni secondi di stordimento, disteso a pelle di leopardo sul pavimento, riuscì ad imbroccare la porta ed uscire.
Mi trattenni dallo scoppiare a ridere di cuore e mi rivestii in fretta con il vestito celeste chiaro sopra il tavolino. Adocchiai il mio libro di medicina. Era troppo invitante e così, prima di andare in bagno a sistemarmi e scendere a fare colazione, lessi un altro capitolo. Descriveva con accuratezza come fermare i vari tipi di emorragia e successivamente come e con cosa suturare le ferite.
In fondo ad una pagina c’era uno specchietto molto sintetico sulle tossine. Era affascinante notare come il veleno poteva uccidere e, se usato in minime quantità, salvare la vita.
Andai in bagno e mi pettinai quella massa informe che erano i miei capelli di prima mattina.
Riuscii a sbrogliare tutti quei nodi e a domare la mia chioma solo dopo diversi ed estenuanti minuti di lotta libera. Li pettinai per bene fino a quando non divennero le lisce e morbide onde che conoscevo e, prima che cambiassero idea, me li legai nel solito chignon leggero.
Quando giunsi al piano inferiore, mi accorsi con un po’ di dispiacere che Bahira era già partita. Andai in cucina e mangiai della frutta che trovai nel vassoio posto sopra il tavolo color mogano.
Constatai che non c’era molto da fare. Appena fosse tornato il bel tempo sarei immediatamente uscita a farmi una passeggiata e magari a ricomprare il fantomatico pane, ma dato che al momento imperversava il brutto tempo cercai di tenermi impegnata in qualche modo.
Nelle tre ore a seguire i miei passatempi e svaghi migliori furono:
- dondolarmi su una sedia
- dondolarmi sul tavolo
- aggrapparmi ad un mobile e dondolarmi pure da quello
- fare tutti i lavori domestici, anche quelli già fatti da Bahira
- contare le parti colorate di blu del tappeto della mia camera, e confondermi con alcuni colori simili
- canticchiare un motivetto idiota
- ciondolare per casa senza una meta o uno scopo preciso
- coccolare Rabi e svagarmi con lui, che dopo due minuti se ne partì e si addormentò sul divano
- tornare per l’ennesima volta in camera mia, sedermi vicino alla finestra, guardare fuori e pensare
Proprio durante quell’ultimo esaltante svago desunsi non solo che mi stavo annoiando a morte, ma anche che la pioggia era terminata ed il sole era rispuntato da dietro le ormai bianche e rade nubi.
Veloce come il vento, dato che non ne potevo più di restare lì con le mani in mano, mi avvolsi alla vita la fascia di stoffa blu che avevo il giorno prima, mi allacciai i sandali e mi fiondai fuori di casa chiudendo la porta a chiave. Imboccai una strada a caso, camminando spedita e ben felice di respirare quell’aria fresca e frizzante, ripulita dalla recente pioggia. Altre persone camminavano per le strade, ma restavano comunque poche, dato che la maggior parte preferiva di buon grado aspettare che le condizioni climatiche fossero più stabili per uscire di casa.
Cominciai a vagare con la mente, fantasticando sul percorso delle nubi temporalesche, la direzione e la corsa inesorabile del vento, su quanto mi sarebbe piaciuto poter uscire da Damasco e visitare posti nuovi e completare la mia ricerca di pace e tranquillità. Poi pensai a mio padre e al mio inevitabile futuro. Ormai era solo questione di tempo prima che mi trovasse un marito e mi facesse sposare a costi di usare la forza. Sospirai.
Ashraf era sempre stato attaccato a quella sua idea di controllo sulla mia vita e ormai ero adulta. Mia madre non poteva opporsi e nemmeno io, la diretta interessata, potevo controbattere e lottare. Sospirai di nuovo, amaramente. In verità c’era un modo per evitarmi questo triste destino...
Le grida gioiose di alcuni bambini che giocavano nella piazzola che stavo attraversando mi riscossero dai miei pensieri. Stavano giocando a rincorrere una palla fabbricata con stracci e vari pezzi di stoffa e cuoio. Un po’ invidiavo il loro modo di prendere la vita, con spensieratezza e leggerezza, senza preoccupazioni, lutti o discordie.
Continuai a camminare e, dopo qualche minuto, mi ritrovai in una via molto familiare.
Solo qualche giorno prima percorrerla era come transitare per una qualsiasi strada e invece, dopo la scorsa mattina, sostarvi mi faceva sorridere e ricordare l’episodio del pane.
Mi diressi verso le arcate che costeggiavano la via e mi sedetti su una panchina. Inevitabilmente cominciai a pensare a Malik, al suo sorriso, alla sua voce, alla sua mano tiepida che avevo stretto per così poco tempo, alla voglia di trovare un qualsiasi argomento su cui aggrapparmi per aver potuto continuare a parlare con lui...
Ma perché? Di solito quando conoscevo qualcuno per strada, dopo nemmeno mezza giornata me lo ero già completamente scordato. Invece lui no. Restava lì, nella mia mente, e non se ne andava.
Per quale motivo? Come mai mi sentivo così... strana? Probabilmente non lo avrei mai capito...
“Posso sedermi?”
Una voce mi riportò brutalmente alla realtà. Girai la testa per vedere chi aveva interrotto il flusso dei miei pensieri e il fiato mi si mozzò in gola.







L'angolo di Ama:

-Dunque, prima di tutto, devo assolutamente ringraziare Phantom G!!!!
Tu.... TU......  MI HAI RESO LA PERSONA PIU' FELICE DELL'UNIVERSOOOOOOO!!!!!! Quanto ho penato tutti questi giorni...arrivavo, aprivo EFP, controllavo la storia e mi demoralizzavo perchè non c'era nessun commento.... ma ora tu hai dato senso alle mie giornate! Ora so che qualcuno legge e considera questa storia!! UUUUUUU, che bellloooooo, non sai nemmeno quanto sono feliceeeee!!!! *saltella per la stanza seguita da una scia di fiori colorati come Amaterasu Okami*
E poi, un commento da te, da TE!! TU, che sei uno dei miei idoli di scrittura, TU, che sei un MITO!! GRAZIEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!!
Ora (se riesco a calmarmi, non ci crederai ma mi tremano le mani), veniamo a 'risponderti'.
Ti avviso in anticipo che le diciannove pagine che ho pronte e fresche sono.... soltanto l'inizio! xD
Si, ti sembrerà impossibile, ma questa storia credo sarà piuttosto lunghetta, e comincierà a diventare più interessante solo dopo (per ora... quiete prima della tempesta ^^)
Eh.... il nostro caro (a me non tanto, ma va bé, il mio parere non conta molto XD) Alty sarà un po', come dire... marginale. Ma dato che a te piace molto come personaggio e dato che non ho ancora cominciato a scrivere la parte nuova, lo inserirò e sarà un po' più presente di quello che pensavo ^-^ Contenta? Spero! XD
Ah, sono davvero lieta che ti piaccia Sarabi! Io ho sempre terrore che possa non piacere! (Ah, per la cronaca, iformazione gratuita, Sarabi significa Miraggio ^^)
Okokok, non linciarmi!! Lo so che ho lasciato un vuoto pazzesco ed un dubbio atroce alla fine del chap, ma l'ho fatto per creare un po' di.... Phatos XD
  Bene, detto questo, passo e chiudo! Per la Giada, ci ribecchiamo al prossimo chap (che arriverà poco dopo il tuo commento) e nel frattempo mi auguro davvero che mi si aggiunga qualcun altro a commentare! *-*
Baconi <3 Ama

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***



Capitolo 3


Malik stava in piedi di fronte la panchina in cui ero seduta, con il busto leggermente inclinato in avanti verso di me e un largo sorriso stampato sulle labbra morbide.
Il cuore mi batteva a mille e lo sentivo martellare nel petto come impazzito e, in quanto alle mie guance, preferivo non pensarci.
Annuii senza pensarci due volte e mi scansai un poco. Lui mosse un passo avanti e si sedette al mio fianco. Avevo desiderato, forse anche indirettamente, quel momento da tutto il giorno prima e ora che mi si presentava non sapevo che cosa dire né tantomeno cosa fare.
Grazie al cielo fu lui a parlare e a rompere il silenzio.
“Beh, Sarabi, pare proprio che non riesca a starle lontano..!” Disse allegro.
“Oh, ti prego, dammi pure del tu.” Gli dissi volgendo il viso verso di lui.
Il cappuccio era sempre abbassato sulle spalle e le armi sempre al loro posto. Quell’attrezzatura non mi spaventava o intimoriva affatto, anzi, mi dava un non so che di sicurezza.
Quella mattina Malik mi sembrava particolarmente gioioso, ma lo vedevo dalle spalle rigide leggermente teso. D’altronde io non ero di certo da meno, immobile e dritta come un tronco d’albero. Mi rivolse un ennesimo sorriso:
“Essia.” Poi, timidamente, aggiunse: “Come... insomma, come... stai, questa mattina?”
Non so se mi sbagliavo, ma mi era parso di notare un po’ di rossore farsi strada sulle sue guance.
“Direi tutto bene... e... tu, invece?”
Lui annuì. “Tutto bene. Sai, sono particolarmente contento perché Kadar è tornato a Masyaf...”
Ecco come si chiamava il fantomatico paese! L’ennesima conferma alle mie deduzioni.
“... e mi sono preso una vacanza.” Finì la frase tornando a guardare davanti a sé.
“Una vacanza?” Chiesi alquanto perplessa.
Malik annuì. “Me ne rimarrò qui a Damasco per un po’, al massimo una settimana, prima di rientrare a mia volta a Masyaf.”
Restammo a lungo lì seduti a conversare, parlando del più e del meno, come avevo fatto la sera prima in soggiorno con Bahira.
Nel mezzo di un discorso fui interrotta da niente di meno che dal mio stomaco. Malik si mise a ridere di cuore e io arrossii miseramente.
“Pare proprio che sia ora di pranzo, Sarabi!”
Io annuii distrattamente, poi mi volsi verso di lui con il sorriso.
“Malik, ti andrebbe di venire a pranzare a casa mia?”
Lui sembrò spiazzato da quella domanda e rimase alcuni attimi in silenzio, però poi annuì convinto.
“Si, molto volentieri.”
Si alzò e mi porse la mano per aiutarmi e io la accettai come il giorno prima sulla strada del mercato. Ci incamminammo fianco a fianco, continuando il discorso precedentemente interrotto dal mio rumoroso stomaco. Stavamo parlando di medicina e anatomia, divagando anche su vari argomenti. Io mi sorpresi di trovarlo interessato alle mie stesse passioni e lui si sorprese di trovare una donna con così tante competenze e interessi.
“Con le tue conoscenze saresti utile a Masyaf come specialista... ultimamente siamo un po’ a corto di personale qualificato. La medicina ormai sembra interessare a pochi, così come la cultura.”
Mi disse mentre camminavamo.
“Mmh... Valuterò attentamente la sua proposta e le farò sapere quanto prima mi sarà possibile, sir.”
Risposi alzando il mento e assumendo un tono altezzoso da chi ha di meglio da fare nella vita.
Scoppiammo entrambi a ridere subito dopo per il modo in cui avevo imitato le presuntuose e arroganti donne nobili. Era come se io e Malik fossimo amici da una vita, che ci conoscessimo da sempre. Poteva sembrare strano, ma era così. E questo penso rendesse felici entrambi.
Probabilmente se in quel momento mio padre mi avesse vista sarei stata giustiziata all’istante sulla pubblica piazza, ma in quel momento non mi importava nulla di tutto quello che avrebbero potuto dire, fare o pensare gli altri. Ero semplicemente felice e volevo godermi quella situazione nuova appieno, senza alcun tipo di turbamento o preoccupazione. Ultimamente mi ero angustiata abbastanza e Malik era una boccata d’aria fresca in una calda giornata d’estate.
 
Dopo circa quindici minuti di strada, arrivammo davanti la porta di casa. Armeggiai nella tasca alla ricerca delle chiavi e, una volta trovate, mi apprestai ad aprire la porta.
Prima di spalancarla, però, dissi a Malik:
“Mi raccomando, attento ai piedi.”
Lui non fece a tempo a chiedere nulla perché appena aprii la porta, un’enorme palla di pelo a righe saltò fuori a gli afferrò un piede.
Malik saltò per aria dalla sorpresa, trattenendo a stento un urlo. Alzò la gamba per vedere cos’aveva attaccato allo stivale: Rabi se ne stava lì, penzolante, a mordere e graffiare selvaggiamente il cuoio.
Lui indicò il gatto e mi guardò con aria perplessa:
“Ma da dove è sbucato questo piccolo demonio?”
Sorrisi e mi strinsi nelle spalle, chinandomi a raccogliere l’improvvisato ‘gatto da guardia’ e quando lo afferrai per la collottola tornò il dolcissimo e coccoloso gattone di sempre.
Nel frattempo il mio ospite era sempre più confuso e sconcertato, così mi affrettai a scuotere la testa e ad entrare in casa seguita dall’ormai domato Rabi. Malik mi seguì a sua volta, un po’ titubante.
 
Non ero una grande cuoca, anzi, tendevo a bruciare quello che cucinavo il più delle volte, ma non potevo di certo presentare a Malik un piatto con una mela e un grappolo d’uva.
Il suddetto Malik aveva insistito molto con il volermi aiutare, ma io l’avevo praticamente costretto a mettersi seduto al tavolo e ad aspettare tranquillo.
In verità non lo avevo fatto solo perché era un ospite, ma soprattutto perché in cucina ero già impedita di mio e quindi non volevo fare una figuraccia ancor più grande facendomi aiutare.
Sul momento avevo pensato di preparare una Shobah, la zuppa di carne e verdure, ma dovetti ricredermi e accingermi davvero a prendere due mele e un grappolo d’uva. Misi la frutta su un piccolo vassoio, presi una brocca d’acqua e appoggiai il tutto sul tavolo.
Mi preparai ad una pessima figura per il non aver cucinato e, invece, Malik mi stupì di nuovo.
Non sembrava affatto sorpreso ne’ tantomeno perplesso. Aspettò che io prendessi una mela e lo esortassi a fare altrettanto prima di afferrare delicatamente il frutto.
Mangiammo abbastanza in silenzio e poi lo invitai a sedersi in soggiorno. Di tanto in tanto, mentre si parlava, Malik mi chiedeva qualcosa di me e della mia famiglia e io rispondevo, poi successivamente chiedevo a mia volta qualcosa su di lui.
Venni così a sapere che aveva perso entrambi i genitori all’età di undici anni e si era ritrovato solo con un fratellino di sei anni a carico. Aveva dovuto trovare un modo per cavarsela, ma arrivato a questo punto cambiò discorso. Io sapevo per ragionamento che aveva probabilmente intrapreso la carriera di Hashashin, ma anche se volevo saperne di più, non lo tormentai. Doveva essere difficile per lui riportare alla vita quei dolorosi ricordi.
Magari più tardi ci sarebbe stata l’occasione di parlarne.
Quando, divagando, gli dissi di mio padre e di quello che aveva in mente, rimase letteralmente a bocca aperta, fissandomi incredulo, provando a balbettare qualcosa.
“Che... Ma... Cos... Cosa... Ma...!”
Mi stupii. Non sarebbe dovuto importargli molto, invece sembrava affranto. Gli appoggiai una mano sulla spalla e sorrisi, mentre lui sussultò leggermente al contatto.
“Hei, non ti devi assolutamente preoccupare!” Inclinai leggermente la testa di lato. “E poi, se voglio, ho modi e modi di scamparla.”
Malik di tutta risposta farfugliò qualcos’altro di incomprensibile, poi arrossì violentemente e abbassò la testa. Io sorrisi e mi alzai. Accidentaccio, trovavo quella scena terribilmente divertente.
“Aspetta, vado a prendere il famoso libro di medicina di cui ti parlavo. Torno subito.”
Lui annuì distrattamente e io salii le scale.
Quando fui in camera mia, dopo aver rovistato un po’ sullo scaffale per poi accorgermi stupidamente che era sopra il tavolo, afferrai il volume e mi defilai giù per le scale.
Riprendendo posto mi accorsi che Malik si era abbastanza tranquillizzato.
Cominciammo a sfogliare e leggere il tomo, serenamente. Io non diedi peso all’episodio precedente e forse commisi un errore, ma la cosa non influì comunque molto sulle vicende a venire.





L'angolo di Ama:

-Beh che dire? Davvero non mi aspettavo che si aggiungesse qualcun'altro a leggere questa storia!! Che bella sorpresa ^-^
Orbene, procediamo!
Phantom G: Tu mi lodi troppo *-* Grazieeeeeeee, ma addirittura la storia i preferiti..... non me l'aspettavo proprio!! :O *gli salta in braccio* EEEEEEEHHHHHHHHH!!!!!!!!!!
Ah, prima che mi dimentichi (non so se ti è arrivata l'e-mail), io msn non ce l'ho, ma ho facebook e netlog. Su facebook mi trovi sotto Beatrice Zanchetta, su netlog sono Hank_the_Friesian. Okay, detto questo, spero davvero  che questo capitolo ti abbia soddisfato :) Ci ribecchiamo al prossimo chap! (che arriverà o dopo il tuo commento o domani [dannazione, non ho pazienza! >.<])
Enio: Uh, che bello, una nuova lettrice! Nuovi sempre i benvenuti!! Ecco a te come promesso il nuovo chap, spero sia stato di tuo gradimento. ^-^ Beh, mi spiace dirti che questa quiete prima della tempesta durerà un bel po', ma ti assicuro che mi serve per preparare la "tempesta" XD Bene, alla prossima, see ya! ^^

Bacon (Bacioni) <3 Ama


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***



Capitolo 4


Non ci rendemmo minimamente conto del tempo che passava e così, quando mi girai quasi per sbaglio verso la finestra, vidi che il sole era ormai tramontato e il cielo andava tingendosi dei freddi colori della notte.
Spalancai gli occhi dalla sorpresa e mi resi conto che Bahira sarebbe tornata di lì a pochi minuti.
Malik inclinò la testa da un lato.
“Che c’è?” Mi chiese innocentemente.
Io mi riscossi.
“Ah, nulla, tra un po’ conoscerai mia madre.”
Sul volto di Malik si aprì un largo sorriso. “Oh, che bello! Dai, parlamene un po’!”
Rimasi di stucco. Certo che quel ragazzo era proprio strano...
Così mi misi a parlare di Bahira, un po’ dei suoi interessi, cosa faceva da giovane e via via discorrendo. Evidentemente voleva essere preparato e conoscere il ‘nemico’.
Ovviamente, dopo alcuni minuti, finimmo con il metterci a parlare d’altro.
Gli avevo già raccontato della mia antica visita a Masyaf e anche che sapevo che lui fosse un Assassino. Malik ne era rimasto un po’ impressionato, poi su mia richiesta aveva cominciato a spiegarmi le cose basilari che potevo sapere, e di certo non avrei indagato oltre.
Ogni segreto esiste per un motivo.
“Come mai tuo fratello aveva una veste diversa dalla tua?”
Gli chiesi, dato che mi era tornato alla mente il ricordo dell’episodio al mercato.
“Perché Kadar, avendo appena sedici anni ed essendo relativamente giovane, è colui che viene detto Novizio. I Novizi sono quelli giovani ed inesperti, che devono ancora imparare...”
Sospirò. Chissà quali ricordi gli tornavano alla mente.
Stavo per chiedergli qualcos’altro, quando sentii la porta cigolare. Balzai letteralmente in piedi e corsi all’ingresso, saltando quasi in braccio a Bahira, appena entrata.
Mia madre era rimasta abbastanza scioccata per quella plateale manifestazione d’affetto, anche se ormai avrebbe dovuto abituarsi dato che le facevo sempre così, quando rientrava.
Malik nel frattempo mi aveva seguito, un po’ titubante.
Mi scostai da mia madre e feci le presentazioni:
“Mamma, lui è Malik Al-Sayf. Malik, lei è mia madre Bahira.”
Malik si proferì in un inchino. “Piacere di fare la vostra conoscenza.”
Bahira inclinò la testa da un lato.
“Ma che caro ragazzo. E suvvia, dammi pure del tu! ... Ah, Sarabi, poi a cena mi racconti e mi spieghi tutto per benino.”
Ci oltrepassò e, prima di sparire sulle scale, rivolse un sorriso a Malik.
“Rimarrai a cena da noi, questa sera?”
Lui sembrò leggermente spiazzato da quella richiesta.
“Se questo le fa piacere, accetto volentieri.”
Bahira annuì, poi lo guardò severamente. “Ti avevo detto di darmi del tu, ma se proprio non ti riesce... va bene anche così!” Ridacchiò e salì le scale, diretta verso la sua camera.
Malik si girò verso di me e inclinò un sopracciglio.
“Tua madre è proprio una tipa strana...”
L’espressione che aveva assunto mi fece letteralmente scoppiare a ridere.
“Cosa vuoi, è fatta così... A volte mi domando anche io se effettivamente sia normale!”
La mia risata contagiò anche lui e dopo pochi secondi ridevamo entrambi.
Tentai di calmarmi un po’ e gli feci cenno di seguirmi in cucina. Ci sedemmo al tavolo scuro color mogano e riprendemmo a parlare.
“Tranquillo, stasera mangerai decentemente dato che cucina Bahira.”
Lui ridacchiò.
“Dai, il pranzo non è stato tanto male!”
Io incrociai le braccia sul petto e assunsi un finto broncio.
“Si si, fai lo spiritoso!”
Mia madre piombò in cucina e quasi cadde a terra per essere inciampata su un paio di pantofole.
“Sarabi! Quante volte te lo devo ripetere di rimettere a posto le tue cose!”
Tuonò agitando un pugno. Io spalancai gli occhi.
“Ma veramente sono tue...”
Bahira divenne quasi paonazza, non si sa se per l’imbarazzo o altro, poi balbettò qualcosa.
“Non... non contestare quello che dico!”
Io alzai le mani e, dopo aver raccolto le pantofole colpevoli, andai all’ingresso a metterle al loro posto senza replicare. Sapevo benissimo di avere ragione, ma quando mia madre faceva così era meglio non controbattere oltre, lo sapevo per esperienza.
Rabi mi guardò sornione dal basso con i suoi occhioni di smeraldo e miagolò.
Gli feci una carezza sulla testa e aprii la porta per farlo uscire.
“Ah, Rabi, beato te. Tu non hai di questi problemi...”
Lui di tutta risposta si strofinò sulle mie gambe e uscì ondeggiante. Io scossi la testa, richiusi la porta e tornai in cucina.
Bahira era già ai fornelli, mentre Malik era sempre seduto al suo posto, facendomi ben supporre che fosse rimasto immobile per tutto il tempo.
Quando mi avvicinai mi guardò stupito e io risposi con un’alzata di spalle. Bahira era fatta così.
Mi avvicinai a mia madre e feci per darle una mano, ma lei mi fermò.
“Non ti azzardare. Piuttosto, vai a fare compagnia al nostro ospite...”
Io sbuffai indispettita.
“Cosa credi, so benissimo che non mi vuoi veder cucinare per nessun motivo...”
Lei ridacchiò e io, dopo aver preso piatti e posate varie, mi diressi al tavolo apparecchiando distrattamente. Dopo aver finito ripresi posto vicino a Malik, al momento distratto a guardare fuori dalla finestra. Il cielo era bellissimo, aveva assunto una colorazione stupenda. I radi colori caldi del tramonto mischiati e sfumati dalle scure gradazioni del blu creavano un effetto spettacolare.
Spostando lo sguardo, intravidi il mio libro di medicina ancora mezzo aperto sul tavolino del soggiorno, così mi alzai e andai a prenderlo per riportarlo nella mia stanza.
Richiusi le pagine ingiallite dal tempo e salii le scale. Spalancai la porta della mia stanza e avanzai sul tappeto, dirigendomi verso lo scaffale. Lì rialzai un libro caduto trasversalmente e nello spazio così formato riposi delicatamente il prezioso tomo. Nel girarmi per uscire, urtai il piede contro qualcosa di duro e spigoloso, facendomi male. Ma nel fare un passo indietro, poggiai male la gamba e mi presi una storta.
“Grandioso!” Dissi fra me e me.
 Mi chinai a vedere meglio il colpevole e trovai un grosso libro di geografia mezzo aperto e con una pagina un po’ spiegazzata.
Scossi la testa e lo rimisi sullo scaffale. Rabi aveva di nuovo compiuto il suo guaio giornaliero e, furbamente, era uscito prima che potessi accorgermene e rimproverarlo di conseguenza.
Mi massaggiai il piede dolorante e, zoppicando, uscii dalla stanza e scesi le scale, cosa che non mi fu affatto semplice in quanto rischiai di cadere e sbattere il naso a terra non poche volte.
Mi trascinai in cucina e mi abbandonai sulla sedia.
Malik mi guardò un po’ perplesso e Bahira, che stava servendo la Shobah, mi chiese:
“Che cosa ti sei fatta, Sarabi?”
Io sospirai. “Rabi ha fatto cadere un libro, io ci ho sbattuto il piede e nel fare un passo indietro mi sono presa una distorsione...”
Mia madre ridacchiò. “L’ennesima, vorrai dire!”
Nell’ultimo anno me ne ero presa già due, ma certamente non dolorose come questa.
Malik mi guardò preoccupato.
“Dovresti fasciare la caviglia e restare a riposo per un paio di giorni, senza forzare il piede...”
Io sorrisi mestamente.
“Tranquillo, non è il caso di preoccuparsi, passerà in un paio d’ore.”
“Si, ma dovresti...”
Bahira rise e si sedette di fronte a noi, cominciando a mischiare la sua zuppa e indicandoci di fare lo stesso. “Lascia perdere, Malik! Questa ragazza è una causa persa...”
Mangiammo la Shobah e poi restammo al tavolo a conversare.
Quando venne ora di salutarci, lo accompagnammo fino all’uscio (io zoppicando malamente), poi Bahira si defilò in cucina dicendo di dover riordinare e lavare i piatti.
Malik aveva insistito per darle una mano, ma mia madre l’aveva zittito con un gesto della mano e lo aveva salutato, augurandogli la buona notte.
“Dovresti fare come ho detto, Sarabi, o potrebbe peggiorare.”
Mi disse, alludendo alla slogatura. Io scossi la testa.
“Ma non c’è bis...”
Mi poggiò una mano sulla spalla.
“Fidati, è meglio. E poi il dolore passerà prima...”
Mi rivolse un sorriso e io non capii per quale motivo il mio cuore batteva violentemente nel petto. Annuii distrattamente. Era una notte davvero splendida, spirava un fresco venticello e la luna illuminava candidamente le strade immobili. Ascoltando si poteva udire la flebile musica dei grilli.
“E va bene, farò come mi hai detto, se ti fa sentire più tranquillo...”
Malik parve enormemente sollevato, poi tolse la mano dalla mia spalla.
“Bene, vedrai che ho ragione, ti sentirai molto meglio e guarirai prima, facendo così.”
Rimase un attimo fermo, indeciso sul da farsi. Poi si decise, fece un passo avanti e con fare un po’ impacciato mi abbracciò. Io rimasi per un attimo di stucco con gli occhi spalancati dalla sorpresa, poi, timidamente, poggiai la guancia sulla sua spalla e lo abbracciai a mia volta.
Oltre al mio impazzito, potevo sentire anche il suo cuore battere violentemente contro il petto e il suo respiro tiepido leggermente accelerato che mi sfiorava la pelle scoperta del collo.
Ci dividemmo, credo con immensa fatica, dopo un po’ (anche se a noi parvero ore). Malik fece un passo indietro, tenendo la testa leggermente abbassata. Da quanto potei notare aveva le guance molto arrossate, probabilmente così come le mie.
Io volevo dire qualcosa, ma ero... bloccata, non riuscivo a parlare e, se avessi tentato di aprire bocca, non sarei riuscita ad articolare una sola frase. Malik riuscì meglio di me nell’impresa.
“B... bene, e... ecco, insomma... Buo... buona notte, Sarabi...”
Mi riscossi un po’ e riuscii miracolosamente a proferire qualcosa di comprensibile.
“Buona... buona notte, Malik...”
Prima di congedarsi definitivamente, mi rivolse un timido sorriso, indugiando sui miei occhi.
“Domani... domani io... sarò sulla via del mercato e... e mi chiedevo se... se per caso... insomma, se per caso anche tu...”
Io annuii, riscuotendomi dallo strano stato di leggero torpore in cui ero caduta.
“Si, certo... dovrò andare a comprare del pane e della frutta...”
“Verso... verso le tre?”
Annuii di nuovo. “Si, si... direi... direi che verso le tre va... va bene...”
Malik sorrise debolmente, poi ci congedammo definitivamente e lui si avviò fuori. Prima di superare il basso cancelletto e richiuderselo alle spalle, si tirò il cappuccio sul viso e si avviò per le strade ormai deserte e silenziose.
Dopo un po’ riuscii a riscuotermi e a tornare in casa.
Zoppicai verso la cucina e quando entrai nella stanza Bahira mi guardò sorniona.
“Che cosa c’è?” Feci io, inclinando un sopracciglio.
Bahira si limitò ad alzare le spalle. “Ah, io non ho mica detto nulla...”
Poi ridacchiò e tornò a sbrigare le sue faccende. Io sbuffai e salii faticosamente le scale, andando in camera mia. Da un cassetto ripescai una garza sterile e mi fasciai il piede, dopodichè mi tolsi il vestito, che ripiegai e misi a posto, rimanendo con la camicetta da notte. Sistemai un pochino il letto, spensi la candela e mi infilai sotto le coperte, addormentandomi, però, dopo diversi tentativi.






L'angolo di Ama:

-A voi giudicare ^-^

Bacioni <3 Ama

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


Era l’alba. Il sole sorgeva lentamente sulla silenziosa Damasco rischiarando le mute strade percorse solo da qualche carro diretto al mercato e da pochi passanti.
Si udiva il vento, la cui brezza fresca e tranquilla faceva delicatamente stormire le fronde dei pochi alberi lì vicino. Sulle panchine non sedeva nessuno, la polvere si alzava e si riabbassava dalle strade immobili, come sospinta dal respiro di una creatura dormiente.
La finestra della stanza era socchiusa ed un flebile e rosato raggio di sole filtrava tra i balconi che coprivano le finestre, andandosi a posare sul tappeto e la poca mobilia.
Un ragazzo riposava nel basso letto. Teneva un cuscino stretto al petto e le gambe distese comodamente sul materasso. Il viso tondo era celato nell’ombra del cappuccio, le labbra socchiuse, il respiro calmo: dormiva.
La veste bianca cadeva con grazia sul suo corpo giovane e allenato. Le armi sciolte dai fianchi e dalle spalle erano a terra, mandando di rado qualche bagliore quando colpite dai raggi di sole.
La luce di una candela dal cero ormai quasi estinto, brillava tremolante e sola poggiata sul comodino di fianco la branda, rischiarando i mobili antichi.
Dopo diversi minuti, venendo colpito da un raggio di sole più intenso e brillante, Malik si ridestò.
Prima di alzarsi definitivamente dal letto e affrontare una nuova giornata, si stiracchiò per bene e si passò una mano sugli occhi assonnati, dopodichè si sedette sul letto e riagganciò le armi al proprio posto. Controllò i coltellini dal lancio, il filo della lama sia della spada che della spada corta e si assicurò che il taglio delle armi fosse ben affilato. Con un movimento secco del polso sinistro e stando molto attento a tenere la mano bene aperta, estrasse la lama nascosta ed esaminò accuratamente anche quella. Funzionava bene ed era affilata, senza nessun tipo di danno al taglio.
In effetti non aveva dovuto fortunatamente usarla tante volte come Altaїr. Scosse la testa e, con un altro movimento secco, rinfoderò la lama, stando sempre molto attento.
Di certo lui non era come quel pazzo del suo amico, che si era mozzato un dito solo per usare l’arma più agevolmente ed imprimere maggiore forza nell’affondo. Si sarebbe tenuto la sua mano intatta, ci teneva particolarmente a restare tutto intero.
Si alzò dalla branda, sistemò alla meglio le coperte e, sbadigliando, si diresse al piano inferiore.
Si avvicinò al bancone del bureau e pagò il pernottamento al locandiere, un omaccione dallo sguardo truce ed arcigno che poteva essere alto benissimo due metri. L’oste grugnì malamente un “Grazie” e un “a questa sera”. Aveva una voce profonda che ricordava un pozzo umido e profondo.
A Malik corse un brivido, come ogni volta che sentiva quella voce di terra.
Accennò un inchino e si defilò all’esterno.
Di certo avrebbe preferito pernottare come ogni missione alla Dimora, ma dato che il Rafiq era fuori sede per condurre i soliti affari burocratici e raccogliere informazioni, doveva arrangiarsi. Comunque quell’uomo era riuscito ad appioppargli una missione.
Magari fosse stato vero quello che aveva detto a Sarabi... una vacanza gli avrebbe sicuramente giovato, ma proprio non poteva permettersela. Kadar era stato rimandato a Masyaf perché si era ritenuto che, essendo un Novizio, avrebbe potuto ostacolare la buona riuscita della missione.
Gli tornava alla mente quando, due giorni prima, l’aveva riferito al fratello.
Dopo aver ascoltato, l’aveva guardato con quegli occhioni azzurri, incredulo. Forse si era quasi messo a piangere, ma dopo un abbraccio e qualche coccola di consolazione da parte sua era partito con il suo solito sorriso a cavallo di Miluna con rotta verso Masyaf.
Malik accelerò di più il passo nell’attraversare il cortiletto della locanda. Quella mattina non aveva per nulla intenzione di imbattersi nella figlia dell’oste, la solita scocciatrice.
Era più giovane di lui e da tutto il tempo in cui era a Damasco, se per catastrofica sfortuna la incontrava, lo seguiva come un cagnolino e non lo mollava più. E in questo modo lui non poteva svolgere le sue missioni.
Stava per svoltare l’angolo. Ormai ce l’aveva quasi fatta...
“Malik! Hei, Malik!!”
Sbarrò gli occhi. No, non può essere..!
La figlia dell’oste gli corse vicino e si aggrappò sgraziatamente al suo braccio.
Ma da quando si prende queste libertà?!
Gli fu molto difficile combattere l’impulso di scrollarsela di dosso e arrampicarsi sulla prima casa in cui si fosse imbattuto, ma non doveva dare sospetti, quindi si frenò.
“Ashanti...”
Borbottò malamente, accelerando ulteriormente il passo, speranzoso che lo lasciasse in pace. Ma la ragazzina non demordeva, anzi, quella mattina sembrava particolarmente agguerrita.
Ashanti non era di origine Araba, ma veniva da un altro luogo, dalle parti della Grecia. Difatti aveva i capelli nero corvino, il bacino largo, le spalle strette e gli occhi grandi e chiari. Non era molto alta, ma era ostinata e cocciuta come un mulo.
“Malik, come stai questa mattina? Sai, io mi sono alzata, ho fatto un bagno, ho fatto colazione...”
Ma che cos’ha da blaterare così, di prima mattina? Ma la gente non può avere i suoi impegni?
Poi, lo folgorò un pensiero.
Se non me la tolgo di torno al più presto, come faccio a svolgere i miei impegni e ad andare all’appuntamento al mercato con Sarabi?!
Nel frattempo la ragazzina continuava a parlare, forse non ben conscia che Malik non la ascoltava.
“Senti, Ashanti...”
Lei spalancò gli occhi.
“Ah, e poi, ieri ti ho cercato tanto, ma non ti ho trovato! Dov’eri? Perché, sai, io...”
E ricominciò a parlare.
Malik si spazientì. Tentò di darsi un contegno, di calmarsi, ma fallì miseramente.
“Ashanti! Basta, smettila! Ho i miei impegni, ho cose da fare, a differenza tua che te ne stai in panciolle tutto il giorno, spensierata e tranquilla! Lasciami in pace!”
Strattonò il braccio e, una volta liberato, si incamminò per la via.
Ashanti rimase imbambolata qualche secondo, ma fu breve. Appena ripresa, gli corse appresso.
“Malik! Ma cos...?”
Non finì la frase perché, ormai esasperato, Malik scattò e si arrampicò sul primo muro che gli si presentò davanti e corse via sui tetti di Damasco.
La ragazzina pestò i piedi per terra. Non si sarebbe arresa, l’avrebbe cercato e, una volta trovato, sarebbe rimasta sempre con lui. Ma perché Malik si ostinava ad ignorare i propri sentimenti?
Lei sapeva bene di piacergli tanto, ma non capiva perché non glielo diceva e basta, invece di andarsene. Ashanti si incamminò per le strade, cominciando la sua ricerca.
 
Finalmente!
Pensò Malik mentre correva sui tetti e respirava l’aria fresca del mattino.
Aveva molte cose da fare. Per prima cosa, sarebbe andato alle scuderie alle porte di Damasco.
Doveva assolutamente controllare Cascade e farlo lavorare un pochino, altrimenti a furia di stare fermo nella posta sarebbe impazzito. Per secondo, avrebbe dovuto intercettare un postino e farsi dare due lettere che il Maestro voleva non fossero recapitate.
Dal distretto medio ci mise qualche minuto ad arrivare alle porte della città senza farsi vedere dalle guardie che, se l’avessero visto correre a quel modo, si sarebbero di certo insospettite. Discrezione. Scese agilmente dal tetto in cui si trovava ed atterrò su una polverosa stradina secondaria, per poi camminare ed immettersi in quella principale, raggiungendo le scuderie in poco tempo.
Quando entrò nella struttura fu subito investito dall’intenso profumo di fieno e segatura.
La luce dorata che penetrava dalle finestre sulle poste, illuminava debolmente i sottilissimi granelli di polvere sollevati dalle lettiere dai movimenti degli animali.
Il rilassante suono del masticare e sbuffare dei cavalli si spargeva nell’aria, calmando gli animi.
Malik procedette dentro, mentre alcuni cavalli alzavano la testa dal loro pasto a guardare l’ospite inatteso. Scrutò dentro qualche posta alla ricerca del suo, quando, d’un tratto, un potente nitrito si sollevò dal fondo della stalla.
Quel cavallo non si smentisce mai!
Si diresse verso Cascade, scalpitante nel suo stabbio.
“Hei, campione! Come va questa mattina?”
Disse Malik, entrando nella posta e passando una mano sul nero manto del suo cavallo.
Era il più grande lì dentro. Muscoloso, lucido e possente, incuteva quasi timore.
Cascade non era come i tipici cavalli Arabi, e differiva da loro non solo nell’aspetto, ma anche caratterialmente. Sanguigni e paurosi, erano sempre pronti a sgroppare e buttarti a terra al minimo spavento. Lui era stoico, a sangue freddo, non aveva paura di nulla e se faceva qualche sgroppata, voltafaccia e simili era per un buon motivo.
Malik prese una spazzola e lo strigliò per bene, eliminando la polvere e poi passò il mantello con un panno umido per mantenerlo lucido e fresco. Con un pettine di metallo passò i fluenti e morbidi crini di coda e criniera e con un ferretto pulì accuratamente gli zoccoli.
Quand’ebbe finito, Cascade inclinò il collo ed emise un rumore sordo dilatando le narici, palesemente contento. Malik sorrise compiaciuto.
“Bene, piccolo mio, che ne dici di andare a lavorare un po’?”
Il cavallo di tutta risposta tirò indietro le orecchie e sbuffò, ma seguì fedelmente il padrone quando si incamminò per uscire.
I passanti si stupivano quando per la strada incrociavano Malik seguito, senza nessun tipo di corda o redine, da quel mastodontico animale.
Dopo che ebbe passato le guardie sospettose spiegando loro ciò che volevano sapere, uscì dalla città e si diresse in un campo incolto e pianeggiante lì vicino.
Mentre Malik camminava verso lo spiazzo, non potè evitare di mettersi a contemplare il panorama. Le dune dorate del deserto che circondavano la città di Damasco, il vento delle lande che imperterrito seguiva il suo inesorabile cammino, contrastando le epoche e i secoli, sussurrando tra le rocce plasmate e modellate dal suo continuo incedere... Quel luogo era surreale e il silenzio che vi regnava pareva dilatare il tempo. Difficile non rimanere ammaliati.
Le auree dune del deserto, le folate ventose, la sabbia calda e dorata... tutte queste cose non facevano che aumentare il fascino e l’incanto di quel luogo.
Si fermò al centro del campo incolto e, aggrappandosi ad un ciuffo di criniera e con l’altra poggiandosi alla groppa, si issò su Cascade. Quando si fu sistemato e aggrappato alla criniera, il cavallo rimasto fermo circa tre giorni, partì al galoppo per rilasciare le energie accumulate.
Malik se lo aspettava benissimo, così rimase tranquillamente in groppa, stringendo appena i polpacci e le ginocchia per tenersi in equilibrio.
Dopo circa mezz’ora, il possente cavallo si mise al trotto, sfogato e pronto per lavorare.
Malik gli accarezzò il collo.
“Mi raccomando, Cascade, che non diventi un’abitudine.”
Poi lo mosse alle tre andature e dopo circa un’ora e mezza avevano finito. Non gli fece fare i nuovi passi che avevano imparato per mancanza di tempo.
Una volta tornato a Masyaf avrebbe dovuto montarlo tutti i giorni per mantenerlo in allenamento. Cascade era un corridore, galoppava velocemente per lunghe distanze senza stancarsi ed era lo stallone più veloce e resistente del paese, persino più rapido e forte del grigio pomellato di Altaїr.
Quando finì di muoverlo, lo fece passeggiare per farlo asciugare e poi lo riportò in scuderia. Lì lo spazzolò e gli bagnò le gambe per tenerlo fresco, passò il mantello con una spugna per togliere il sudore e lo salutò, dopodichè uscì dalla struttura.
Quando Malik ritornò tra le strade polverose le trovò già piene di gente che affollavano i mercati.
Si guardò intorno, fece un respiro profondo e s’incamminò, confondendosi tra la gente, alla ricerca del suo obbiettivo.





L'angolo di Ama:

-Bene, questo capitolo dedicato a Malik secondo me va bene... Secondo voi? Beh, attendo opinioni.
Una cosa che mi è dispiaciuta moltissimo è stato vedere che, 1° nessuna delle mie lettrici (sono 2, pensate..) ha commentato il capitolo precedente che, a parere mio, era una bomba!
Per 2°, io ODIO vedere tutti quei lettori silenziosi che danno un'occhiata alla storia e NON commentano! Questo mi fa imbestialire, ok? Quindi ora, da bravi, lasciate giù qualcosa!!
Awsguezainet (si scrive così "ottimo", vero? Boo, in tedesco sono negata [non l'ho mai studiato] XD)
 Okaaaay, detto questo, mi ritiro in un angolo e attendo ^-^

Bacioni <3 Ama


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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***



Capitolo 6


“E... e ora che ti... ti ho consegnato le... le lettere mi... mi lascerai andare, ve... vero?”
Malik osservò per un tempo che gli parve interminabile Uday, il postino, il suo obbiettivo.
Gli aveva consegnato le lettere dopo poche minacce, senza combattere. Uday era mingherlino, sulla quarantina, con baffi e capelli neri. Lo aveva seguito fino ad un vicolo deserto e lì l’aveva bloccato.
Malik indugiò sugli occhi scuri e supplichevoli del postino che lo scrutavano dal basso. Sapeva di doverlo uccidere, o avrebbe potuto riferire l’accaduto. La voce che un Hashashin si aggirava per Damasco si sarebbe sparsa in fretta e allora sarebbe stato un disastro.
Uday parlò ancora, con una voce lamentosa e implorante.
“Ti... ti prego, lasciami... lasciami andare! Ho... ho una famiglia... Ti prego...”
Malik lo guardò tristemente da sotto l’ombra scura del cappuccio.
“Lo vorrei tanto...”
Con un movimento secco del polso sfoderò la lama nascosta. Velocemente, alzò la mano destra e la spinse sulla bocca del postino per evitare che un suo urlo desse eventuali sospetti e premette la lama sul suo addome.
In quel preciso istante, quando sentì l’acciaio freddo premergli contro la pelle, Uday scoppiò in lacrime e tentò di farfugliare qualcosa tra i singhiozzi.
“No! Per... per favore, no! Ti prego!!”
Malik guardò l’uomo disperato e... non resse oltre.
Rinfoderò la lama nascosta e ritirò la mano, poi tentò di assumere uno sguardo duro e minaccioso.
“Essia! Ti lascerò vivere, ma se racconterai a qualcuno di questa storia, sappi che ne verrò a conoscenza e ti verrò a cercare, Uday!”
Il postino ancora in lacrime si proferì in mille inchini.
“Si, signore, stia tranquillo! Non lo saprà nessuno! Nessuno, lo giuro! Grazie, grazie!”
Malik annuì, si voltò e, sorridendo, sparì inoltrandosi nella strada affollata e gremita di gente.
Uday si sedette a terra. Le sue emozioni erano in subbuglio. Si sentiva impaurito, sorpreso e... felice. Si, era davvero felice. Le lacrime gli sgorgavano ancora dagli occhi.
Ma guarda un po’ se un uomo di quarant’anni si deve mettere a piangere...
Quel ragazzo era diverso dagli Hashashin di cui aveva spesso sentito parlare, senza anima, senza cuore, senza sentimenti. Di fronte alle sue suppliche gli era sembrato deciso e spietato, ma anche affranto da quello che doveva compiere. Combattuto tra due scelte aveva deciso di risparmiarlo, forse violando un importantissima regola.
Gli aveva risparmiato la vita. Anche se non avrebbe dovuto.
Però Malik si sentiva sempre una persona migliore quando poteva evitare di uccidere e spegnere la fiammella tremolate di una vita innocente e senza colpe.
Per questo non sarebbe mai stato un Assassino bravo come Altaїr.
Ma per questo sarebbe sempre stato una persona migliore di lui.
In ogni caso aveva portato a termine la missione e ora non gli restava che confidare in Uday e aspettare il Rafiq per poi tornare a Masyaf.
Ma di certo, pensò, tornerò spesso a Damasco...
 
 
Quella mattina mi ero svegliata, avevo letto un pochino, fatto un bagno, constatato che Malik aveva ragione riguardo alla mia storta e che ora non avvertivo più dolore, fatto colazione e svolto le solite faccende domestiche. Insomma, una mattina come tutte le altre, se non fosse stato per gli sguardi e i sorrisini di Bahira. Alquanto snervanti, devo aggiungere.
Però capivo perfettamente perché faceva così. In tutta la mia vita le uniche persone estranee a tutta la mia famiglia con cui avevo socializzato erano state due ragazze conosciute nella piazza, la panettiera e la bibliotecaria, quindi Malik era una sorta di eccezione, un’anomalia. Ed in più era l’unico che era entrato in quella casa, quindi la capivo benissimo, ma ciò non toglie che mi innervosisse comunque.
Ad un certo punto, mentre eravamo sedute in soggiorno a leggere dopo aver finito i lavori domestici e aspettando che l’acqua bollisse, non ressi più.
“Ma insomma, mamma! Che cosa c’è?!”
Bahira si strinse innocentemente nelle spalle, continuando a sorridere sorniona.
“Ah, nulla, non ho mica detto niente, io!”
Strinsi le dita attorno alla copertina rilegata di cuoio del libro che stavo leggendo e la guardai in cagnesco. Dovevo trattenermi dal fare una qualsiasi azione dettata sul momento dal mio istinto.
“Si, tu non dici mai niente, ma è quello che pensi a preoccuparmi!”
Lei, di tutta risposta, si portò una mano alla bocca e scoppiò a ridere, piegandosi quasi in due.
Mi era venuta l’immensa ed irresistibile vocazione di tirargli il libro che avevo in mano o qualsiasi cosa sul momento alla mia portata, ma riuscii miracolosamente a trattenermi un’altra volta.
“Sei terribilmente irritante quando fai così!”
Ma Bahira non accennava a smettere, anzi, probabilmente aveva cominciato a ridere più forte e in breve tempo capii perché.
Le mie guance si erano colorate in modo molto pastoso e questo mi fece arrabbiare ancora di più. Per evitare un massacro, posai il libro su una mensola e mi alzai per controllare l’acqua, lasciando mia madre a ridere da sola come una pazza.
A volte mi rendeva la vita parecchio difficile.
Scrutai nella pentola e notai che l’acqua bolliva a pieno regime.
“Mamma! L’acqua bolle!”
La sentii calmarsi un pochino, alzarsi e venire in cucina. La osservai in viso e notai che aveva le guance rosse e i brillanti occhi verdi che lacrimavano. E stava ancora ridacchiando.
La guardai con gli occhi stretti.
“Se almeno mi spiegassi cosa c’è tanto da ridere, riuscirei a sopportarti meglio!”
Bahira si calmò e si asciugò gli occhi con le dita sottili.
“Ah, nulla di importante... per me..!”
E riprese a ridacchiare per conto suo. In modo insopportabile, per giunta.
La vidi versare qualcosa di ignoto nell’acqua bollente e successivamente armeggiare con un mestolo di legno chiaro all’interno della pentola.
“Hai bisogno di qualcosa?”
Le chiesi sbuffando. Lei alzò leggermente il viso, degnandomi di un attimo d’attenzione.
“Mmh, vediamo... Ah, si. Vai sul retro a prendermi qualche erba aromatica nell’orto.”
Annuii e mi incamminai verso il retro, pregando di riuscire ad aprire la porta.
Quando giunsi davanti alla porticina stretta che portava al vivaio, feci un bel respiro, afferrai la maniglia con entrambe le mani e cominciai a tirare. Aprire quella porta era sempre un’impresa e solo mio padre riusciva ad aprirla più agevolmente, mentre io e Bahira fallivamo il più delle volte.
Continuai a tirare tenendo stretta la maniglia e facendo leva con i piedi, ma dopo un minuto persi la presa e caddi a terra.
Mi rialzai sbuffando e ripartii all’attacco. Non avevo di certo intenzione di demordere.
Alla fine, dopo vari tentativi e molto dolore alle mani, riuscii a spalancare quella maledetta porta.




L'angolo di Ama:

-Okay, qui avete un'assaggio di un po' d'azione (ma proprio poco! ) e poi *ggggghhh* noiaaaaaa    -_-''
Sisi, lo so, oltre ad essere più corto del normale, questo capitolo è relativamente noioso... Ma calmi, calmi!! Ho una notiziona!
 In pratica, ci siamo spropositamente avvicinati alla fine delle 20 pagine già preparate! Il che vuol dire non solo aggiornamenti meno frequenti, ma anche che fra due o tre capitoli........ BOOOMMM!!! Colpi di scena e azioneeee!!!!! Ce la stiamo facendoooo!!!!! Arriviamo al phatos!!!!! :D
Ok ok, ora mi calmo ù_u ........... UIIIIIIUUUUU!!!!! ^-^
Bene, passiamo al resto (a cose molto più importanti)

Phantom G: ...................................... GRAZIEEEE!!!!! Amo sempre di più le tue recensioni, sono una boccata d'aria in una stanza chiusa ç--ç Spero che il modesto capitolo non ti abbia schifato troppo XD Ah, per rispondere alla tua domanda, si. Ho un cavallo, per quello li conosco bene ^-^ E' una femmina e si chiama.... no, non te lo dico XD Però posso dirti che per Cascade (il cavallo di Malik) ho preso come esempio il cavallone di un mio parente (si chiama Ezio e su DeviantART ha l'originalissimo nickname di Ezio4..)

 Bene, detto questo ... (indovinate? XD)
Bacioni <3 Ama



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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***



 Capitolo 7


Una volta finito di pranzare, toccò a me riordinare la tavola e lavare i piatti.
Quando terminai il tutto, mi accorsi che era passato parecchi tempo e, guardando fuori dalla finestra, mi accorsi che erano quasi le tre.
Mi fiondai all’ingresso e mi allacciai i sandali, ma prima che potessi uscire Bahira mi bloccò.
“Hei, Sarabi, dov’è che stai andando?”
Aveva un’espressione e un tono di voce che potevano voler dire qualsiasi cosa e quindi non riuscii a decifrare il suo stato d’animo.
“Sto andando al mercato a comprare del pane e della frutta. C’è per caso una legge che lo vieta?”
Lei si strinse nelle spalle e sorrise tra sé.
“Nessuna legge! Volevo solo chiederti, già che ci sei, di comprarmi un foulard.”
Io annuii e lei mi diede sei monete.
“Colore?”
“Va bene qualsiasi, purché sia morbido. E, Sarabi?”
“Si?”
Bahira sogghignò.
“Torna prima di sera.”
Io sorrisi scuotendo la testa e uscii, chiudendomi la porta alle spalle.
Era una bellissima giornata, assolata ma fresca.
Con il cuore allegro e l’animo sereno mi incamminai per le strade a passo spedito. Nulla avrebbe potuto rovinare quella giornata o turbare la mia serenità.
O, almeno, così credevo.
 
Quando giunsi sulla via del mercato, cominciai distrattamente a sbirciare le bancarelle, alla ricerca del foulard per Bahira. Dopo qualche minuto vidi una bella stoffa azzurra che faceva al caso mio, molto morbida al tatto così come la voleva mia madre.
Alla fine, dopo aver esaminato gli altri articoli, decisi che quel tessuto era il migliore.
“Scusi, quanto viene questo velo?” Mi feci avanti chiedendo al mercante di stoffe, appena liberato da un’altra cliente.
Lui prese il foulard e lo esaminò per un attimo.
“Ah, questa è una pregiatissima stoffa, proveniente addirittura dalla Persia! Ha sentito quant’è morbida al tatto? Ebbene è una vera rarità, lei è stata davvero fortunata ad imbattersi in questa straordinaria tulle!”
Sembrò continuare all’infinito con gli elogi, ma quando mi disse il prezzo persi praticamente tutta la motivazione a comprarlo: il mercante voleva addirittura sedici monete!
Dopo molte trattative, riuscii a comprarlo per dieci soldi e mi augurai che Bahira avrebbe gradito.
Continuai a girare per qualche bancarella, alla ricerca di pane e frutta, ma probabilmente avrei trovato qualcosa solo nel tardo pomeriggio dato che ormai il primo assalto della folla era stato compiuto.
Continuai ad aggirarmi svogliatamente per le bancarelle ancora per un po’, sbirciando i vari articoli.
Mi fermai ad un tavolino che vendeva un po’ di tutto e diedi un’occhiata ai fermacapelli. Ne vidi uno argentato con dei lievi intarsi sinuosi a motivi floreali, ma probabilmente non mi sarebbero bastati i soldi per comprarlo.
“Cosa stai guardando di bello?”
Il cuore mi balzò in gola per la sorpresa e mi girai di scatto per riconoscere il misterioso interlocutore.
“Ma tu hai la vocazione a comparirmi vicino d’improvviso!”
Esclamai scuotendo la testa. Malik di tutta risposta sorrise e si strinse nelle spalle.
“Cosa vuoi farci, è un desiderio travolgente!”
Cominciammo a camminare fianco a fianco.
“E’ da molto che aspetti?”
Mi chiese dopo poco, un po’ titubante. Io abbassai lo sguardo e ridacchiai mestamente.
“Sai che, a dire il vero, non ti ho mai aspettato?”
Lui si finse offeso.
“Hei, grazie tante! E io che ho sbrigato tutti gli impegni il più velocemente possibile per non fare tardi e poi scopro che questa nemmeno mi aspettava... Bell’appuntamento!”
Io scoppiai a ridere e lo punzecchiai sul braccio con l’indice.
“Dai, un po’ ti aspettavo... magari inconsciamente..!”
Malik ridacchiò e mi prese per mano. Lo vidi arrossire leggermente, ma probabilmente era capitato lo stesso anche a me.
“Malik, ma... dov’è che stiamo andando, di preciso?”
Era da un po’ che camminavamo, ma davvero non sapevo dove i piedi ci stessero portando.
“Mmh... direi che stiamo ciondolando per le strade senza uno scopo e una meta definita.”
“Hai le idee molto chiare in proposito...”
Lui girò appena la testa a guardarmi, incatenando il mio sguardo al suo.
“Senti un po’, sapientona, perché invece non mi dici tu dove andare? Vivi qui a Damasco da ventun anni, dovresti ormai conoscere il posto!”
Ridacchiando ci pensai su. Dunque, c’era il porticato sulla piazza della fontana, oppure...
“Ti andrebbe di andare al chiostro vicino la libreria antiquaria? E’ davvero un bel posticino.”
Malik annuì.
“Certo! In più idee migliori io non ne ho...”
Dopo qualche minuto di cammino e varie svolte in strade tortuose, superammo l’entrata del chiostro, retrostante la libreria. Il posto non era molto grande, ma in compenso era ombreggiato e fresco, molto accogliente e silenzioso. Sul muro laterale vi era una fontanella e sotto uno degli alberi era posizionata una panchina di sasso.
Nell’insieme, il luogo era particolarmente adatto per leggere e studiare.
“Acqua!”
Esclamò Malik, appena notata la fontana.
“E’ da questa mattina che non bevo.”
E detto questo si avviò verso la fontana, mentre io mi sedetti sulla panchina a godermi la frescura.
Dopo un po’ Malik si sistemò vicino a me, finalmente dissetato.
Mi voltai a guardarlo e notai che aveva il mento ancora gocciolante d’acqua. Senza pensarci su, quasi come un gesto automatico, lo asciugai con il dorso della mano.
E’ dire poco che ne rimase scioccato.
Arrossì parecchio e distolse lo sguardo dal mio. Lo osservai con aria interrogativa.
“Che cosa c’è? ... Ho fatto forse qualcosa di male?”
Lui di tutta risposta si irrigidì e tentò di balbettare qualcosa.
“N... No, no... E’ solo che... che... non ci sono abituato, ecco...”
Io scoppiai a ridere.
“Non sei abituato ai gesti gentili? Va bene, scusa!”
Mi allungai verso di lui e lo abbracciai sulle spalle.
Il mio voleva essere un gesto amichevole, leggero, ma poi temetti che Malik sarebbe svenuto per la troppa emozione.






L'angolo di Ama:

-Allora, ringrazio innanzitutto Enio per la recensione al capitolo precedente einsulto invece tutti quei madetti 124 (c.a.) che hanno visitato i capitoli e non hanno nemmeno lascito un misero commento!! Maledetti!!!!!! (Ovviamente Phantom G sei scusata, non ti incolpo assolutamente! Solo tu però, gli altri sono tutti cattivi :'(
 Bene, spero che il capitolo vi sia piaciuto e ora posso finalmente annunciarvi che questo segna la fine della quiete prima della tempesta!!!! Yay!! Infatti nel prssimo capitolo ci sarà un po' di pepe e nel prossimo ancora diamo inizio alle danze!!! :D
Ah, però abbiamo praticamente finito le famose 20 pg, quindi gli aggiornamenti saranno molto lenti (mi capite, vero? Tra scuola e studio mi resta poco tempo...)

 Benon, tosi, se vedem al prosimo capitoeo!! (nd spezzone in dialetto Veneto XD)
Basòti (Bacioni) <3 Ama


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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***



Capitolo 8


Dopo un paio di minuti di stordimento da parte sua, riuscii a trascinare Malik all’interno della libreria antiquaria adiacente per dare un’occhiata ai tomi antichi. Speravo che nella tranquilla atmosfera della bottega si sarebbe un po’ ripreso.
“Mar-haba, Majid!”
Salutai il vecchio antiquario a voce alta. Era seduto come al solito dietro il bancone di legno scuro e polveroso, ricolmo di vecchi libri.
“Sarabi! Ahlan Wa-Sahlan.”
Conoscevo Majid da quando ero molto piccola e lo avevo sempre considerato come un nonno.
Mia madre a volte lo prendeva in giro dicendo, ad esempio, che era vecchio quanto tutti i suoi libri, oppure che a furia di stare tra i tomi ne avesse assunto lo stesso odore. C’era addirittura chi affermava che Majid non fosse mai stato giovane.
Il vecchio dalla pelle scura e barba bianca mi sorrise, dopodichè spostò l’attenzione su Malik, assumendo uno sguardo indagatore e corrucciato, ma tornando dopo poco a sorridere cordiale.
“Sarabi, mi hai procurato un nuovo cliente? Dimmi, qual è il tuo nome, ragazzo?”
Non so se Malik si fosse reso conto di essere stato interpellato o sapesse quantomeno di esistere, ma fatto sta che dovetti dargli un colpetto per esortarlo a rispondere.
“Uh, il mio nome è Malik, Malik Al-Sayf. Piacere di conoscervi.”
Il vecchio ridacchiò tra sé per poi tornare al suo lavoro di classificazione ed inventario.
La libreria non era molto grande, ma era davvero ben fornita. Qualunque cosa si volesse sapere, non c’era luogo migliore in cui cercare.
Il piccolo locale era pieno zeppo di scaffali ricolmi di libri e l’aria era satura del buon odore dei tomi antichi, la cui finissima polvere solleticava leggermente le nari e gli occhi.
Ci trattenemmo nella bottega ancora per un po’, alternando qualche scorcio ai tomi con delle chiacchiere con Majid, dopodichè ci rincamminammo.
“Marhaba, Majid.”
Salutai l’antiquario con un cenno del capo.
“As’salaam-alaykum, Sarabi. Torna presto a farmi visita.”
Annuii e mi avviai fuori.
“Ma'as-salama.”
Salutò velocemente Malik prima di uscire a sua volta.
Imboccai sicura una strada e presi ad avanzare a passo spedito vicino all’Hashashin, che aveva ancora uno sguardo un po’ perso. Chissà a che cosa pensava.
Dopo un po’, vedendo che lui seguiva me e non aveva intenzione di andare da qualche parte, lo presi per mano e lo guidai per le strade del distretto medio di Damasco.
“Sarabi, ma dove mi stai portando? Spero non da un altro antiquario... Quel Majid mi mette soggezione, è strano.”
Io ridacchiai, mentre mi folgorava l’immagine del vecchio libraio che scrutava Malik da dietro il bancone, arroccato tra le montagne dei suoi libri antichi e odorosi.
“No, no, non ti porto in un’altra libreria. E poi è una sorpresa!”
Lui si strinse nelle spalle e sorrise, riacquistando la vivacità che aveva perso.
“Beh, allora guidami, matriarca!”
“Certo! E poi non mi sembri così pratico di questa città da poter indovinare dove stiamo andando. Ah, bene, siamo quasi arrivati.”
Gli dissi ridacchiando mentre continuavo a camminare.
Svoltammo a destra e... fummo investiti da mille profumi diversi.
“Ta-dah, ecco a lei la Via delle Essenze e il Mercato delle Spezie!”
C’era un inteso profumo di cannella e anice stellato, qui e là dolci profumi Arabi e forti oli Egiziani, particolari fragranze Persiane e qualche disparato prodotto della Grecia.
“Questo grande mercato c’è solo per questa settimana e se si vuole acquistare qualcosa occorre approfittare del momento, altrimenti bisogna aspettare l’anno prossimo.”
Malik era rimasto davvero affascinato e sbirciava curioso da una bancarella all’altra, guardando qui una spezia e là delle fragranze in piccole boccette di vetro sottile e trasparente.
“Certo avevo già visto mercati delle spezie, ma mai così grandi e forniti!”
Io sorrisi allegramente.
“Cosa credevi, Damasco non è famosa solo per le incisioni e i decori sinuosi.” Poi, osservando il suo viso dall’espressione meravigliata mentre scrutava le bancarelle, aggiunsi.
“... E scommetto che preferisci questo posto alla libreria antiquaria!”
Lui sfoderò un ampio sorriso.
“Di gran lunga!”
Camminammo ancora un po’ per la via e Malik comprò ad una bancarella qualche spezia che mise poi in uno dei taschini di cuoio appesi alla cintura, dopodichè ci sedemmo ad una panchina lì vicino. Discutemmo a lungo sulle vie carovaniere e sulle Crociate che avanzavano imperterrite per la Terra Santa e pareva volessero occupare Damasco, anche se questa possibilità mi pareva inverosimile, troppo lontana dalla realtà in cui vivevo e perciò non ci davo troppo peso.
“Mi spiace Malik, ma ora non saprei in quale altro posto portarti... Non mi viene in mente nulla.”
Lui mi rivolse un sorriso gentile e prese timidamente la mia mano nella sua.
“Non importa, Sarabi. Mi basta starti vicino.”
Mi volsi e lo guardai negli occhi, arrossendo leggermente.
Schiusi le labbra per dire qualcosa, ma fui interrotta da una voce acuta.
“Malik!!”
Entrambi ci voltammo e vedemmo una ragazzina che poteva avere al massimo diciotto anni correre nella nostra direzione.
Malik poggiò il viso sul palmo della mano.
“Oh, no...”
Da quanto potei osservare, la ragazzina non aveva nemmeno la metà della bellezza e del fascino delle tipiche donne Arabe. Difatti, da statura e conformazione, sembrava venire dalla Grecia.
La osservai avvicinarsi con aria interrogativa e quando spostai lo sguardo su Malik potei notare che tratteneva a stento la rabbia crescente.
La ragazzina si fece largo tra la folla del mercato e quando arrivò si gettò praticamente al collo di Malik. Quando successe sentii qualcosa muoversi dentro di me e mi alzai, incrociando le braccia al petto. Lui si alzò a sua volta e spintonò via la seccatrice improvvisata.
“Ashanti, ma che cosa vuoi da me?!”
Lei lo scrutò dal basso con i grandi occhi chiari, poi spostò lo sguardo su di me e io ricambiai con un’occhiataccia furente.
“Malik, chi è questa... ragazza?”
Chiese Ashanti, praticamente ignorando l’indisposizione dell’interpellato.
“E’ quello che mi sto chiedendo anche io, ragazzina.”
Intervenni acida.
Lei alzò il mento altezzosa e mi puntò l’indice contro.
“Beh, se tu hai intenzione di portarmi via il mio Malik, dovrai vedertela con me!”
A queste parole la scrutai dall’alto e sorrisi sarcastica, inclinando un sopracciglio.
“Tu? Piuttosto, tieni a freno la lingua. Non mi fai paura, bambina.”
La vidi praticamente bollire di rabbia e fare un passo avanti con aria di sfida. Io scossi la testa e di tutta risposta la ignorai bellamente, spostando l’attenzione su Malik. Lo vidi leggermente spiazzato, non sapeva che fare.
Ashanti, vedendo che la ignoravo, tornò indietro di qualche passo e si aggrappò sgraziatamente al braccio del suo obbiettivo, ignorando lo spintone che le aveva dato per liberarsene.
Per me era il colmo.
Strinsi i pugni, mi voltai sdegnata e me ne andai a grandi passi nella folla.
Ignorai la voce di Malik che mi chiamava e non prestai attenzione a nulla, volevo solamente andarmene di lì il più presto e lontano possibile.
Scelsi e decisi di percorrere tutte le vie più affollate e gremite di persone che riuscii a trovare, senza badare alla direzione.
Mano a mano che camminavo e il tempo passava, la furia controllata che mi pervadeva l’animo si tramutò in un sentimento di sconsolazione e di infelicità che non avevo mai provato fino a quel momento.
Camminai ancora a lungo per le strade polverose che andavano pian piano svuotandosi e solo quando notai la luce rosata del tramonto che cominciava a pervadere dolcemente ogni cosa mi decisi a prendere la via di casa.
 
Quando giunsi sulla soglia della costruzione tanto familiare era ormai quasi l’imbrunire. Prima di aprire la scricchiolante porta scura ed entrare, però, preparai una finta allegria e ripescai dalla tasca il velo che avevo acquistato per Bahira.
“Buona sera, Sarabi.”
Mi salutò cordiale mia madre dalla cucina dopo che fui entrata. Non mi tolsi nemmeno i sandali e le andai appresso di filato.
“Ecco qua il velo che ti avevo promesso! Spero che sia di tuo gradimento, perché ho speso dieci monete per acquistarlo.”
Le dissi cercando di far apparire vera la mia ostentata allegria.
“Addirittura dieci monete? Però si vede che le vale tutte, è bellissimo, grazie!”
Aveva un’espressione felice mentre accarezzava la morbida stoffa con le dita sottili.
“Sono lieta di aver scelto bene. Ora vado in camera mia a leggere un po’, se hai bisogno di qualcosa chiamami.”
Prima che mi voltassi, però, Bahira mi fermò. Sul momento temetti di non aver mascherato abbastanza bene la mia tristezza e che volesse farmi qualche domanda, ma sentendo ciò che voleva dirmi tirai un sospiro di sollievo.
“Che sciocca, oggi mi sono scordata di avvertirti che questa sera vado di nuovo da Amal. Sai, quando è tornata da Aleppo mi ha chiesto di aiutarla a preparare sua figlia Zahira per le nozze. Suo marito sarà Aban, l’aiutante di tuo padre. Non è una bella notizia?”
“Oh, si, lo è! Fai a Zahira e ad Amal le congratulazione da parte mia.”
Mentii spudoratamente. Sapevo fin troppo bene che era un matrimonio combinato e che probabilmente i due futuri sposi non si erano mai nemmeno visti, ma almeno Aban era una brava persona e Zahira poteva ritenersi fortunata.
Prima di partire, mia madre mi abbracciò e mi baciò sulla guancia.
“Buona notte, Sarabi. Ci vediamo domani, non aspettarmi alzata. Ah, a proposito, oggi pomeriggio era passato quel Malik e mi aveva chiesto di te, ma tu eri ancora fuori. Era leggermente agitato, forse aveva qualcosa di importante da dirti.”
Io sbuffai e salutai mia madre con un sorriso, poi chiusi a chiave la porta e andai in camera mia, finalmente libera di sfogarmi.
Mi sedetti sul bordo del letto e poggiai la testa tra le mani.
Quella era stata una bellissima giornata, ma poi si era tramutata nella peggiore delle aspettative.
I lati del naso presero a formicolarmi e in breve sentii i miei occhi inumidirsi. Mi asciugai subito le lacrime con rabbia. Non volevo apparire debole nemmeno con me stessa.
Anche se avevo un tremendo bisogno di sfogarmi, continuai a trattenermi e riuscì a sfuggirmi solo qualche singhiozzo e rare lacrime subito eliminate.
Non so per quanto tempo rimasi così, a pensare e a trattenermi, ma quando mi calmai un po’ e guardai fuori dalla finestra, vidi che il buio della notte aveva già invaso il cielo.
La candida falce di luna calante illuminava fiocamente il paesaggio nero ed immobile della Damasco addormentata. Fuori si sentiva soltanto il sibilo del vento che spirava tra le abitazioni e sollevava lentamente e ritmicamente la polvere dalle strade.
Quella nivea e bianca luce dava una parvenza livida e lugubre ai viottoli e alle strade buie, facendo apparire il paesaggio come a viverlo in un incubo.
Mi alzai dal letto e armeggiai sul tavolino, accendendo la candela. Subito una calda luce rosata e avvolgente si diffuse per la stanza, illuminando gli angoli bui e rischiarando la mobilia.
Mi avvicinai alla finestra, chiusi i balconi e tirai le tende, dopodichè presi la candela e andai a serrare le altre finestre della casa.
Quando mi avviai per ritornare in camera mia ed infilarmi a letto, sentii bussare alla porta e per poco il cuore non mi balzò in gola.
A certe ore della notte non aprivo nemmeno per fare entrare Rabi, soprattutto se ero in casa da sola.
Mi avvicinai lentamente all’ingresso.
“... Chi è?” Chiesi con voce tremante.
“Sono... Sono Malik. Posso... entrare?”






L'angolo di Ama:

- Ok, questo capitolo è una BOMBA!! L'ho appena scritto tutto d'un fiato e l'ho pure riletto! E con questo, posso finalmente annunciarvi che la quiete è finita! Qui avete assaggiato un po' di pepe, al massimo il prossimo chap sarà cheto ma posso assicurarvi che almeno dal capitolo 10 comincia la VERA storia!! Yep, che felice che sono! ^-^
 
 Ok, ringrazio Enio e Phantom G per la loro bontà di cuore per avermi recensito e a tutti voi che aprite la storia, leggete, vi piace, non vi piace e NON commentate.........

VERGOGNATEVI!!



Ci ribecchiamo al prossimo chap
 Ama





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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***




Capitolo 9




Malik era sulla soglia, appoggiato allo stipite della porta, leggermente ansante.
Ero così sorpresa e stupefatta che rimasi semplicemente zitta a osservarlo con gli occhi spalancati, con in mano la candela e l’altra sulla maniglia della porta aperta da cui entrava la fresca aria serale.
Lui mi lanciò uno sguardo supplichevole e carico di tristezza e dopo poco io annuii.
“Avanti, entra.”
Mi scansai di lato e lui entrò, chinando il viso. Richiusi la porta e mi diressi in soggiorno, seguita dall’Hashashin, poggiai la candela sul basso tavolino e mi sedetti, facendogli cenno di fare lo stesso.
Lui si sedette accanto a me e subito prese a parlare tutto d’un fiato.
“Sarabi, ti prego, scusami! E’ che... non sapevo che fare e... Per favore, io... Mi dispiace! Ti ho cercata tutto il giorno... Ma...”
Io gli portai un dito alle labbra e lui si zittì, fermato dal gesto eloquente di silenzio.
Probabilmente lo intese come un rifiuto ad ascoltare le sue motivazioni, perché mi lanciò uno sguardo afflitto. Sospirai e scossi la testa, apprestandomi a parlare.
“Malik, ascolta, non è stata colpa tua e lo so...”
Lui spalancò gli occhi dalla sorpresa.
“La mia reazione è stata esagerata, e sono io a doverti chiedere scusa.”
Malik mi prese la mano e scosse ripetutamente la testa.
“No, Sarabi, hai solo fatto bene... e sei assolutamente capibile. E’ stata solo colpa mia...”
Io lo interruppi un’altra volta e sorrisi.
“Colpa? La verità, Malik, è che sei troppo buono...”
Lui mi rivolse un tenero sorriso e il cuore prese a battermi velocemente nel petto.
“... ed è per questo che ti voglio bene.”
Abbassai gli occhi e credo arrossii parecchio.
Ma non ero arrabbiata con lui? Non avevo versato lacrime amare? Ma, d’altronde, era impossibile tenergli il broncio e io non ero di certo astiosa e vendicativa.
Riportai lo sguardo su Malik e potei notare un’espressione stupefatta sul suo volto. Aveva la bocca semi aperta, come se volesse dire qualcosa ma non trovasse le parole o la voce per parlare. Poi arrossì e abbassò a sua volta lo sguardo.
Io sorrisi.
“Ma guardaci, sembriamo due bambini...”
Lui si portò una mano dietro la testa e sorrise a sua volta.
“Si, è... è proprio vero...”
Ci fu un breve minuto di silenzio.
La candela aveva quasi terminato la cera e la luce si era fatta leggermente più fioca e tremolante, diffondendo una calda luce aurea che illuminava il tappeto e qualche carta ammonticchiata su un angolo del tavolino scuro.
Malik si stava apprestando a parlare, ma un fischio proveniente dall’esterno lo interruppe e mi fece sobbalzare leggermente. Entrambi volgemmo lo sguardo verso la direzione del suono e restammo silenziosamente in attesa.
Il rumore non sembrava essere stato prodotto da un animale notturno.
Poi, improvvisamente, nell’aria immobile e fredda della notte, risuonò nuovamente quel fischio.
Si levava, cresceva, si interrompeva e ripartiva prolungato, spegnendosi poi vibrando nel buio.
“Sembrerebbe... E’ un segnale...”
Sussurrò Malik, poi si alzò lentamente e si avvicinò lateralmente alla finestra. Mi fece cenno di spegnere la candela e prontamente eseguii, dopodichè lo sentii aprire leggermente il balcone.
Subito un argenteo e niveo raggio di luna entrò nella stanza, tracciando una scia bianca e luminosa come uno squarcio nell’oscurità.
Malik scrutò fuori per qualche minuto, poi lo vidi improvvisamente impallidire e ritrarsi di colpo dalla finestra. Il mio cuore ebbe un balzo e lentamente, stando attenta a non fare nessun tipo di rumore, mi avvicinai e mi accostai a lui.
Con un breve cenno del capo mi invitò a dare un’occhiata fuori e quando osservai l’esterno, il fiato mi si mozzò in gola e credetti che il mio cuore si sarebbe fermato:
Nel buio della notte, al riparo nell’oscurità, si muovevano silenziosamente parecchi uomini. Alcuni procedevano sui tetti, gli altri solcavano le vie immobili ed oscure, lanciando sguardi attenti ai dintorni, controllando con attenzione che tutto fosse e rimanesse fermo.
Alla luce candida della luna, potei notare le loro tuniche bianche come la stessa e, con orrore, le rosse croci che adornavano le vesti come marchio inconfondibile. Le loro armi mandavano bagliori ogni qualvolta sfiorate dal minimo raggio di luna.
Mi ritrassi dalla finestra ed indietreggiai nella stanza, il respiro prese a farsi pesante, quasi mi mancasse l’aria e cominciai a vedere sfocato. Malik mi raggiunse in due passi e mi fu accanto.
Le gambe mi tremarono e credetti avrebbero ceduto, ma l’Hashashin lo capì e mi accompagnò lentamente fino a farmi sedere a terra.
Non posso crederci... No, non può essere...
“Sarabi, va tutto bene? Come ti senti?”
“Io, io...”
Non finii la frase. Persino sussurrare mi sembrava cosa impossibile.
Malik mi cinse le spalle con un braccio e mi strinse a sé. In condizioni normali probabilmente avrei avuto tutt’altre reazioni, ma mi sentii solamente più lucida.
“Sarabi, dobbiamo andare via di qui.”
Io poggiai la testa sulla sua spalla. Mi sentivo come se qualcuno mi avesse tolto tutte le energie.
“Ma non... come...”
“Ascolta, prima di tutto devo portarti al sicuro, poi ci sarà tutto il tempo. Ma dobbiamo andare. Subito. Sarebbe troppo pericoloso esitare. Fidati di me.”
Io annuii e lui mi aiutò ad alzarmi.
Gli feci cenno di prendere la porta sul retro, quella che dava non all’orto, ma dietro la casa.
Non c’era tempo per spiegazioni, non c’era tempo per parlare, non c’era tempo di pensare. Potevamo solo agire, e io riposi tutta la mia fiducia su Malik.
Quando, lentamente, aprì la porta, recuperai d’un tratto tutta la mia lucidità e le cose divennero così nitide come non lo erano mai state.
Rimasi immobile sulla soglia mentre Malik andava avanti ad esaminare la situazione e quando mi fece cenno di raggiungerlo gli andai appresso più silenziosamente e velocemente che potei.
Lui osservò ancora per qualche attimo i dintorni, poi mi prese per mano e mi guidò a passo rapido fra le strade ed i vicoli.
Grazie all’acutezza dei nostri sensi, riuscimmo più di una volta a non farci scoprire dai soldati, in certe occasioni riparandoci nell’oscurità di un viottolo, certe altre facendo brevi tratti di corsa tra un’ombra e l’altra. In ogni caso, non riuscivo comunque a realizzare bene che cosa stesse succedendo. Mi sembrava quasi di procedere in un sogno:
Tutto era lì, nitido e reale. Io ero lì, più attenta ed in tensione che mai, ma con la mente che pareva offuscata da un velo di nebbia.
Continuando a procedere, cominciai a riconoscere le strade ed in breve capii che ci stavamo dirigendo verso il distretto povero di Damasco.
Dopo qualche altro minuto, giungemmo alla meta prefissata mentalmente dall’Hashashin. Mi guidò verso una delle strutture decadenti, rivolte internamente verso una piccola loggetta.
Quando fummo all’interno, lui tirò un sospiro di sollievo e io presi a respirare normalmente.
Ci sedemmo a terra, poggiando la schiena contro un muro.
“Sarabi, io devo andare alle porte della città e così potrò controllare la situazione. Tu resta qui, dovrebbe essere un luogo abbastanza sicuro. Tornerò il più presto possibile.”
Io annuii poco convinta, abbastanza spaventata dalla prospettiva di dover restare in quel luogo da sola con Damasco sotto assedio e soldati Crociati che giravano indisturbati per la città.
“Promesso?” La mia voce risuonò tremolante e leggera nell’aria fredda.
Malik mi guardò negli occhi e sorrise.
“Promesso.”
Poi mi abbracciò, stringendomi a sé come se non volesse più lasciarmi andare. Io affondai il viso sulla stoffa della sua veste e chiusi gli occhi, respirando il suo odore e godendomi il tepore del suo corpo contro il mio a dispetto della fredda aria della notte.
Mi sentivo protetta, come se nulla e nessuno ora potesse più farmi del male.
Dopo qualche tempo, seppur a malincuore, dovemmo dividerci e Malik si avviò verso l’entrata nord della città, ma prima di incamminarsi definitivamente sganciò la lama corta e me la porse, poi partì.
Osservai la sua figura slanciata scomparire nell’oscurità della strada ed insieme a lui, alla sua presenza, svanì anche il senso di protezione e sicurezza che provavo.
Ero sola.
Certamente ero sicura che sarebbe tornato, ma ciò che mi preoccupava era quando. E la solitudine gioca brutti scherzi.
I pensieri, le sensazioni, persino le percezioni della realtà cambiano radicalmente.
L’oscurità incute più timore e nell’imperscrutabile buio si riescono a scorgere figure e movimenti irreali, i suoni amplificati.
Nei minuti a venire sobbalzai al minimo scricchiolio, guardandomi continuamente attorno e spaventandomi per ogni movimento, sia reale sia immaginario.
I minuti passavano e la luna venne velata da delle nuvole passeggere.
Cominciai lentamente a soffocare la paura e dopo un po’ riuscii a recuperare abbastanza lucidità da riuscire a pensare.
Ero preoccupata per Bahira e per tutti gli abitanti di Damasco. Sapevano dei Crociati? Si erano messi in salvo? Che cosa sarebbe successo?
Probabilmente i soldati si erano infiltrati nella città con il favore delle tenebre ed ora stavano controllando la situazione. Presumibilmente entro poco tempo sarebbero passati all’azione.
Io volevo andare da Bahira, fare qualcosa, rendermi utile, ma in breve auto screditai questi pensieri.
Cosa poteva una ragazza di ventun anni contro metà esercito Crociato? Era molto meglio restare dov’ero come mi aveva detto Malik, al sicuro.
Ma in breve cominciai a sentirmi in colpa nei confronti di tutti. Cercai di sopprimere questi pensieri e mi concentrai. Non era certo il momento di deprimersi, anzi, dovevo ritenermi fortunata.
Osservai l’arma che mi aveva lasciato l’Hashashin se mi fosse servita in caso di bisogno. Ammirai la cesellatura dell’impugnatura, la lucentezza dell’acciaio, il filo della lama.
Era un perfetto e meraviglioso strumento di morte, preciso, leggero e micidiale.
Con il tempo che passava, cominciò a crescere in me lo sconforto e l’insicurezza. Come potevo essere certa che Malik sarebbe tornato indietro? Certo portarsi appresso una come me sarebbe stato un impedimento. Ero semplicemente un peso, un inutile peso.
Dopo aver formulato questi pensieri, mi resi conto della loro inverosimilità.
Scossi la testa. La stanchezza, la solitudine, la paura e la tensione cominciavano a deprimermi seriamente e il senso d’inutilità che provavo di certo non migliorava la situazione.
Rimasi in quello stato di semi inconsapevolezza per almeno un’altra mezz’ora, come in attesa.
Sentivo il gelo del muro contro la schiena e le spalle, l’aria fredda che mi risaliva le maniche del vestito e vedevo il mio respiro dissolversi in nuvolette di vapore che andavano a disperdersi nella notte immobile e nell’imperturbabile silenzio.
Sentivo il cuore rimbombarmi nel petto, riuscivo a percepire il sangue che mi scorreva nelle vene e mi pareva che ogni cosa, ogni mio minimo movimento potesse provocare un rumore assordante.
Ad un tratto, senza nessun preavviso, un urlò squarciò la notte, e tutto precipitò.
Quella notte la luna si macchiò di rosso.
Mi tirai in piedi di scatto e mi precipitai nella loggetta per vedere cosa stava accadendo.
Nell’aria c’era il continuo crepitare di mille fuochi ardenti, grida si sollevavano dalle case e, sempre più spesso, si sentiva il forte clangore di spade.
Quando mi sporsi sulla strada, con il cuore a mille, vidi che i Crociati avevano incendiato alcune case e il fuoco iniziava a propagarsi di costruzione in costruzione come un fiume in piena. Le persone sfuggite alle fiamme correvano per le strade nel tentativo di raggiungere le porte della città, ma si trovavano di fronte i soldati nemici. Era un vero e proprio sterminio, un assedio in piena regola. Le guardie erano totalmente impreparate all’attacco.
E i cittadini erano pari a carne da macello.
Feci un passo indietro dalla strada, gli occhi pieni di orrore e quella inconsapevolezza nell’animo. Poi sentii un rumore echeggiante, simile ad un acciottolio, farsi sempre più vicino. D’un tratto vidi, dal fondo della strada, un enorme cavallo dissellato e senza finimenti, nero come la notte più buia, galoppare a grandi falcate nella mia direzione. Il mantello riluceva dei fuochi appiccati dai Crociati, facendolo apparire fiammeggiante, e la lista bianca sulla fronte pareva uno squarcio nella notte.
Fui quasi presa dal panico. Era un soldato alleato, un Crociato oppure un Templare?
Annaspai quasi mi mancasse l’aria e mi appiattii contro il muro, sperando con tutta me stessa che il cavaliere misterioso non mi notasse.
Sentii il cavallo bloccarsi di colpo, il respiro affannoso come se avesse galoppato per miglia, e poi percepii il cavaliere scendere e correre... proprio all’interno della loggetta!
Trattenni il fiato e strinsi l’impugnatura della lama corta, pronta a colpire, se necessario.
Poi, un sussurro nell’aria.
“Sarabi!”
Mi ci volle qualche istante, ma poi capii, con un tuffo al cuore, che era Malik. Uscii di corsa dalla costruzione diroccata e, quasi con le lacrime agli occhi, mi precipitai da lui. Aveva la tunica sporca di sangue e qualcosa di scuro e all’apparenza denso gli stillava dalla spalla sinistra.
“Presto, svelta!”
Prese dalle mie mani tremanti l’arma, rinfoderandola, e dopodichè mi afferrò per i fianchi e mi issò velocemente sul cavallo, montando immediatamente dietro di me.
Non ebbi tempo di dire o fare nulla perché Malik, cingendomi la vita con un braccio e con l’altra afferrando un ciuffo di folta criniera dello stallone nero, spronò l’animale che immediatamente si lanciò al galoppo in una corsa disperata per le strade di Damasco.
Le strade del distretto povero erano ardue da percorrere e il cavallo dovette svicolare spesso e velocemente, sfiorando di poco i muri delle case e le rare bancarelle integre.
Sentivo l’aria della corsa tra i capelli e il cuore di Malik battere all’impazzata come il mio. Percepivo l’ansare dell’animale e probabilmente, se l’Hashashin non mi avesse retto con un braccio e io non mi fossi aggrappata a lui, avrei perso l’equilibrio più volte, rischiando di cadere.
In breve capii che ci stavamo dirigendo verso la porta Est, visto che stavamo percorrendo un breve tratto del distretto ricco per poi giungere al distretto medio.
La distruzione era ovunque. Fiamme, urla disperate, clangore di spade, gente che scappava, guardie che tentavano di opporsi alle forze Crociate, bancarelle rovesciate... Ovunque regnava caos e orrore.
Il cavallo compì un scarto brusco a sinistra per evitare un banco infuocato e ci ritrovammo nella strada principale che solo il giorno prima allestiva il mercato.
Sentii la schiena dell’animale contrarsi, dopodichè lo stallone spiccò un poderoso balzo, oltrepassando due bancarelle rovesciate per poi continuare la corsa.
Travolse un piccolo gruppo di persone non avendo potuto evitarle e cadde a terra, sbalzandoci sulla strada. Rotolai qualche metro più avanti, ai bordi di qualche maceria. Velocemente, poggiai le mani a terra per rialzarmi, ma sentii sotto la mano destra qualcosa di morbido, come una stoffa.
Senza sapere bene perché, la afferrai e mi tirai in piedi. Il cavallo si stava rialzando e Malik cercava di aiutarlo, spingendolo con le spalle. In poco tempo l’animale si raddrizzò e, come prima, rimontammo velocemente in groppa.
In breve raggiungemmo la porta Est di Damasco e quando lo sguardo mi cadde a terra, mi salirono le lacrime agli occhi e l’orrore agguantò il mio cuore in una morsa dolorosa.
Cadaveri.
Disseminati ovunque vi erano corpi.
Vecchi, uomini, donne e persino bambini, giacevano in pozze di sangue scuro e denso.
Di colpo il cavallo nitrì terrorizzato e si impennò, ergendosi in tutta la sua statura.
“Dannazione!”
Esclamò Malik. Quando l’animale ritornò a terra, pestando gli zoccoli e rigirandosi inquieto, potemmo vedere con angoscia cosa lo aveva bloccato.
Tutta l’uscita era bloccata dalle fiamme e una spessa cortina di fumo scuro impediva di vedere dall’altro lato e piccoli gruppi disparati di guardie tentavano di sopraffare dei Crociati.
Io mi strinsi a Malik con fortuite lacrime agli occhi, ripetendomi che non poteva essere vero, che tutto questo non stava capitando davvero. Ma sapevo fin troppo bene che quella era la vivida realtà.
Alzai lo sguardo vidi l’Hashashin guardarsi febbrilmente attorno. Poi spostò lo sguardo davanti a sé e in un momento spronò il cavallo, che partì ad un galoppo talmente veloce che quasi non riuscii a vedere la direzione della corsa e solo all’ultimo momento capii le sue intenzioni.
In poche falcate giunse di fronte alle fiamme e con un ultimo, potente e disperato scatto, saltò.
Il tempo parve fermarsi.
Sentii muscoli massicci e tesi dell’animale, percepii Malik chinarsi su di me come a proteggermi e udii il ruggito e il crepitio delle fiamme attorno a noi.
Il forte calore mi strinò i pochi tratti di pelle scoperta e il mio cure parve bloccarsi.
Alla fine, di colpo, l’aria fredda proveniente dal deserto mi investì e il cavallo atterrò al di là del muro di fiamme, quasi sbalzandoci dalla groppa.
Tutto era successo in qualche millesimo di secondo, anche se quei pochi istanti erano parsi minuti.
D’un tratto il tempo riprese a scorrere rapidissimo insieme al galoppare frenetico del cavallo che si allontanava dalla Damasco straziata, seguendo un’ampia strada sterrata, illuminata fiocamente dalla candida luce della luna che quella notte si era macchiata del sangue di molte persone innocenti.
Ci dirigemmo verso un’altura dove si ergevano delle case abbandonate e mano a mano che procedevamo l’ansare dello stallone nero si faceva più pesante. L’animale rallentò la corsa fino ad assumere un passo sostenuto, mantenendo l’incollatura protesa verso il basso ed emettendo qualche colpo di tosse che si dissolveva in nuvolette dense di vapore nell’aria fredda ed immobile.
Dopo poco giungemmo alla sommità e rimirammo a valle.
Damasco riluceva di mille fuochi fatui e perfino da dove ci trovavamo ora riuscivamo a percepire il lontano crepitio delle fiamme.
Il respiro accelerato di Malik mi solleticava il collo scoperto assieme alla leggera brezza d’altura. Stava ancora stringendomi a sé, così rilassai i muscoli tesi della schiena e poggiai la testa contro i suo petto, ascoltando il battito forte del suo cuore. Non volevo ancora pensare.
Mi accorsi di stringere ancora la stoffa che avevo raccolto sulla strada principale, così abbassai gli occhi, riuscendo a vederla grazie alla luce dell’astro d’argento.
Subito mi mancò l’aria e la mia mente prese a vorticare. Mi pervase un senso di nausea ed ebbi un tuffo al cuore, come se avesse smesso di battere.
Malik mi sorresse preoccupato, passandomi anche l’altro braccio attorno alle spalle.
Osservai ancora la stoffa, incapace di credere a ciò che avevo visto.
Era un morbido velo azzurro. Sporco di sangue.










L'angolino di Ama:

*-* Non so perché, ma ho il presentimento di avervi deluso T___T

Bacioni <3  Ama





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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***




Capitolo 10


Quando aprii gli occhi, il sole era alto e la luce forte mi abbagliò per pochi secondi. Lentamente cominciai a riprendere coscienza di me stessa. Subito mi tornò in mente tutto.
I crociati, la battaglia, la fuga dalla Damasco in fiamme e il macchiato velo di Bahira. Mi assalì un senso di nausea e per poco non vomitai.
Mi accorsi di essere distesa, leggermente di fianco, con la testa poggiata a qualcosa di morbido. Facendo perno sulle mani, mi sollevai lentamente, mettendomi seduta.
La testa mi girava e avevo lo stomaco sottosopra. Mi portai una mano alla fronte, piegandomi leggermente in avanti e sollevando le ginocchia. Avevo i sensi intorpiditi e mi dolevano i muscoli di braccia e gambe.
Quando mi fui leggermente calmata, sollevai gli occhi e mi guardai attorno.
Mi trovavo accanto ad un grande olivo dalla corteccia rugosa, su una specie di largo altipiano ricoperto di erba secca e pungente.
Da dove mi trovavo potevo vedere, davanti a me, estendersi una brulla vallata con un piccolo paesello e, dietro, innalzarsi la parete di una vasta montagna.
Percepii un movimento alla mia sinistra e, con grande stupore, vidi brucare il grande stallone nero che la sera prima aveva consentito a Malik e me la fuga dalla città.
In quel momento mi chiesi dove fosse finito l’Hashashin. Guardai in giro, ma non riuscii a vederlo.
Quando poggiai le mani dietro di me per tentare di alzarmi, sentii sotto le dita la stoffa a cui ero appoggiata quando mi ero svegliata. La afferrai e la portai davanti a me per esaminarla.
Era una larga e spessa stuoia blu scura, rettangolare e lavorata grezzamente. Su uno dei lati inferiori, non centrale ma spostata in avanti, era attaccata una striscia di cuoio e sul lato opposto c’era un foro nella stoffa, probabilmente creato per inserirvi la fascia scura. Sui due angoli retrostanti, erano cuciti con stoffa rossa due strani simboli. Sembravano triangoli stilizzati, ma interrotti alla base e con rientranze esterne leggermente bombate.
Ricordai di avere visto lo stesso simbolo sul fodero della spada e della lama corta di Malik, quindi dedussi si dovesse trattare dello stemma degli Hashashin.
Ma l’utilità di quella stoffa era ancora un mistero e rinunciai a tentare di risolverlo.
Il cavallo nero alzò il muso dal suo pasto e mi osservò con i suoi particolari occhi blu scuro. Mosse le orecchie, scosse la criniera e trotterellò verso di me con l’incollatura protesa in avanti.
Quando mi fu accanto, abbassò il muso e mi sfiorò la spalla con le labbra. Io sorrisi e presi ad accarezzarlo sulla guancia, sfiorando con i polpastrelli il suo pelo lucido e delicato.
Il cavallo parve gradire molto, perché emise un rumore sordo dilatando le narici e strofinò il muso morbido e vellutato contro la mia guancia.
Sorrisi a quel gesto, ma d’un tratto una lacrima mi rotolò lungo lo zigomo e sotto il mento, cadendo poi a terra. Mi asciugai velocemente gli occhi.
Se mi fossi messa a piangere, certamente sarebbe stata dura smettere. Non volevo assolutamente pensare, o l’angoscia mi avrebbe di certo assalito.
Mi strinsi le ginocchia al petto e poggiai la schiena contro il tronco dell’ulivo. Anche lo stallone nero si distese comodamente accanto a me, riprendendo a brucare con tranquillità.
Chiusi gli occhi e mi godetti quel momento.
Il sole caldo e la brezza fresca che faceva stormire le fronde ed accarezzava l’erba creavano un’atmosfera tranquilla e piacevole.
Respirai i profumi tiepidi trasportati dal vento e mi godetti il tepore dell’astro dorato. Ascoltai il ruminare placido del cavallo e il gorgogliare di un fiume lontano.
Tirai un sospiro e riaprii gli occhi, riabituandomi pian piano all’abbaglio del sole.
Carezzai lentamente il fianco del cavallo, godendomi la piacevole sensazione che mi procurava sfiorare il suo manto tiepido e setoso.
Lui sollevò il muso e, allungando il collo in avanti, mi posò la testa in grembo e chiuse gli occhi. Non avevo mai visto un cavallo così affettuoso nemmeno con il proprio padrone, perciò fui parecchio stupita dal gesto dell’animale. Ripresi a coccolarlo, sfiorandogli il muso e passando le dita tra i morbidi ciuffi di criniera, con sua grande approvazione. Difatti aveva assunto un’espressione di totale beatitudine, socchiudendo gli occhi e facendo grandi respiri.
Dopo un po’ presi il ciuffo di crini più vicino alla spalla e presi a fare una treccina, tanto per passare il tempo in attesa di Malik.
Quand’ebbi terminato feci un piccolo nodo ed ammirai il piacevole risultato, dopodichè sospirai e tornai ad accarezzare il manto dell’animale, ancora tranquillo e in riposo.
Ad un certo punto lo vidi rizzare le orecchie ed aprire lentamente gli occhi blu. Alzò la testa e cominciò a fissare un punto oltre l’avvallamento erboso.
Anche io guardai da quella parte, ma non vidi nulla. Eppure il cavallo continuava a fissare quel punto con insistenza.
Lentamente, si alzò e mi oltrepassò, prendendo a trottare e bloccandosi dopo due tempi con orecchie ritte e sguardo attento.
Appena dopo, emerse una figura bianca incappucciata che diede una pacca affettuosa all’animale, per poi dirigersi nella mia direzione, seguita fedelmente dal cavallo.
Subito ebbi un tuffo al cuore, ma poi capii che era Malik e tirai un sospiro di sollievo.
Mi arrivò vicino e si sedette accanto a me, scoprendosi il viso e volgendosi a guardarmi.
Aveva uno sguardo pieno d’apprensione, anche se sorrideva.
“Sarabi... Come ti senti?”
Fece lui, mentre il cavallo si ristendeva bonariamente al mio fianco.
“Tutto bene, va... tutto bene...”
Risposi io, distrattamente. Evidentemente capì le mie intenzioni, perché annuì e non menzionò la sera precedente. Gliene fui molto grata e cominciai a carezzare il cavallo, che in breve riacquistò la posizione precedente.
“Come si chiama?”
Chiesi a Malik, alludendo all’animale.
Lui sorrise ed osservò il cavallo, al momento con gli occhi chiusi ed il muso poggiato sul mio grembo.
“Si chiama Cascade. E tu gli sei molto simpatica, non l’avevo mai visto fare così con nessuno.”
Cascade drizzò le orecchie. Evidentemente aveva capito che si stava parlando di lui.
“E’ davvero un bellissimo nome... per un cavallo bellissimo.”
Feci io, sorridendo e continuando a carezzare l’animale.
Dopo poco Cascade sollevò la testa, sbadigliò e si rialzò, andando a brucare lì vicino. Lo osservai per un po’ e mi abbracciai le ginocchia contro il petto.
Un’altra lacrima mi solcò la guancia, ma questa volta non la fermai. La lasciai scorrere e con lei cominciò a pervadermi il dolore, che non tentai nemmeno di combattere.
Quella lacrima fu seguita da un’altra, e un’altra ancora. Malik se ne accorse e mi posò con titubanza una mano sulla spalla.
Singhiozzai, e lui mi abbracciò, stringendomi a sé come a proteggermi.
Lo abbracciai a mia volta, affondando il viso nell’incavo del suo collo e piangendo amaramente. Tentai di oppormi alle lacrime, cercando di darmi un contegno, ma più provavo a trattenermi più il dolore mi assaliva.
“Tranquilla, va tutto bene... Vedrai che... si risolverà tutto, non temere...”
Mi sussurrò dolcemente Malik, tentando di rassicurarmi.
Mi abbandonai completamente a lui, singhiozzando e smettendo di combattere contro l’angoscia e la sofferenza, lasciandomi confortare.












L'angolo di Zazzy:

-Heilà! Scusate la cortezza e la presunta pallosità del chap, ma mi serve come post-preludio ^-^''
Sostanzialmente, vuol dire che il prossimo capitolo sarà più lungo
<___<
Già il capitolo 10? Hei, la fine si avvicina! :D
.... NOO! Ma che avete capito! XD La fine della prima parte ;)
Difatti, se pigramente andate a rivedere la presentazione della storia e il primo chap, potrete notare qualcosa ....
:]
Ringrazio come sempre i miei lettori (Enio, Lady_Kadar e quant'altri [mi spiace non menzionarvi, ma la memoria è già dolore..]) e non mi resta che dire un...
a ribeccarci al prossimo chap!!
;D

Bacioni <3 Zazzy



P.S.: Pantom G !!!!!!!!!!!!! TT__________TT Voglio la tua recensioneeeeeeeeeeeeee!!!!!!!!! *piange like Sarabi*




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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***



Capitolo 11


Era ormai pomeriggio inoltrato ed il sole cominciava già ad imbrunire, dipingendo il cielo e le rade nuvole di passaggio con colori tiepidi, come se fossero pastelli.
Malik ed io stavamo procedendo sul dorso di Cascade già da qualche ora, a passo medio.
La stoffa che avevo esaminato sull’altipiano erboso serviva come specie di sottosella e andava posizionata sul dorso del cavallo, appena sopra il garrese. La cinghia di cuoio, invece, era una sorta di sottopancia e assicurava il tessuto al dorso dell’animale.
Da quanto avevo potuto comprendere, Cascade la portava anche la sera prima, ma nella confusione generale non me ne ero minimamente accorta.
Ormai eravamo tra le montagne e la strada che stavamo percorrendo era divenuta leggermente più erta e scoscesa.
Prima che partissimo, appena mi ero calmata, Malik mi aveva esposto il suo proposito. Mi avrebbe portato con sé a Masyaf, il suo paese, dove avrei preso temporaneamente dimora a casa sua. Lì ci sarebbe stato il tempo e l’occasione di rintracciare Ashraf, mio padre, e si sarebbe deciso il da farsi.
Io avevo accettato di buon grado, ritenendomi fortunata ad aver trovato qualcuno come lui, oramai mia unica sicurezza in un modo così incerto.
E poi avevo ancora mio padre, e la cosa mi rincuorava davvero molto. Probabilmente ci sarebbe voluto molto tempo per ricongiungermi a lui, ma avrei aspettato volentieri sapendo di poterlo riabbracciare.
Cascade incespicò, riportandomi alla realtà. Ormai la luce dell’astro dorato era quasi del tutto scemata, lasciando più spazio alla tenebra della notte, fiocamente illuminata dalla luna calante.
Sospirai e mi lasciai andare contro Malik, abbandonando la schiena sul suo petto.
Spirava un venticello freddo e la notte sarebbe probabilmente stata più rigida, vista la vicinanza delle montagne.
Prima della partenza, Malik mi aveva avvolto attorno alle spalle il velo azzurro appartenuto a mia madre. Avevo scoperto che era andato a lavarlo ad un ruscello quella mattina stessa, mentre riposavo, e gliene ero molto grata.
Cominciai ad ascoltare i suoni e i rumori di quel luogo sconosciuto e magnifico, rabbrividendo quando un soffio di brezza più fredda mi carezzava il corpo.
Passò probabilmente qualche ora, visto che il cielo era ormai scuro e freddo, e per tutto il tragitto nessuno dei due aveva aperto bocca.
Non sapevo perché, ma in un certo qual senso era stato meglio così.
Nelle condizioni in cui mi trovavo non ero certo in vena di discorrere, anche se mi sentivo tremendamente in colpa a formulare pensieri così egoistici.
Lentamente, cullata dal movimento basculante di Cascade e dal piacevole calore del corpo di Malik contro il mio, mi assopii.












L'angolo di Zazzy:

Si, lo so.
Vi ho fatto una testa così dicendo che aggiornavo a giugno.
Vi continuo a rompere le palle con questi stamaledettissimi capitoli brevi come solo dio sa.
Non sono soddisfatta di come è la pagina.
Mi sento tremendamente in colpa nei vostri confronti.
Mi manca la Giada (PhantomG).
Mi manca il tempo.
Mi manca l’ispirazione.
Ma diamine... questo capitolo è corto anche perché è di passaggio, quindi non è davvero tutta colpa mia...
Beh, almeno posso assicurarvi che tra due capitoletti, verso la fine della Parte Prima (ebbene si, ci avviciniamo *-*)... *SPOILER!*
 
Hehe, abbiate pazienza (ANCORAAA???? Nd.Tutti)(ç____ç Nd.Me)
 
Ringrazio infinitamente tutte le mie amate lettrici, che continuano a seguire questa dannata *Dammnit!* storia, nonostante tutto ç___ç
Vi voglio bene!! D°X
 
Bacioni
<3 Zazzy
 
PS: Volete darmi una mano, cosicchè riesca ad aggiornare meglio e più in fretta?
   Recensioni lunghe e corpose. Sono la mia linfa vitale *-*



 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***



Capitolo 12


“Sarabi?”
Con la mente ancora impastata dal sonno, mi destai sobbalzando leggermente dopo aver percepito la calda voce di Malik e una leggera pressione al braccio.
Socchiusi leggermente gli occhi, sorpresa di trovarmi distesa su una branda.
Mi guardai attorno curiosa, scoprendo di essere all’interno di una piccola stanza dalle pareti marroni, una porta scura, una finestrella e la poca mobilia composta da una mensola, un ruvido tappeto, una sedia e la branda su cui ero coricata.
Malik era seduto sullo sgabello posto accanto a me e teneva premurosamente la mia mano nella sua, sorridendo debolmente.
Appena ripresi un minimo di coscienza mi tirai a sedere, e su quello il letto cigolò in modo orribile, tanto che spalancai gli occhi dalla sorpresa.
Dovevo avere assunto un’espressione molto comica, perché Malik scoppiò a ridere, ed io a mia volta ne fui contagiata.
Calmata leggermente, buttai le gambe oltre il bordo della branda ed osservai l’Hashashin con espressione eloquente.
Afferrò al volo.
“Ti sei addormentata durante il tragitto...”
Annuii. Fino a quel punto ci ero arrivata anche io.
“... e così ho pensato che avremmo fatto meglio a pernottare in un ostello di questo paese. Comunque manca poco a Masyaf, solo un paio d’ore seguendo la via principale.”
Annuii ancora, sovrappensiero, poi decisi di dire ciò che mi premeva da tempo.
“Malik, io... grazie.”
Lui rimase per un momento senza parole, poi mi osservò interrogativo.
“E di cosa?”
A quel punto toccò a me rimanere sorpresa. Lo squadrai leggermente sconcertata e scelsi accuratamente le parole da dire nel subbuglio aggrovigliato che erano i miei pensieri, ma comunque non rimasi molto soddisfatta della frase che ne risultò.
“Beh... Mi hai aiutato e ti sei preso cura di me fino ad ora... per te sono quasi una sconosciuta.”
Malik sbattè le palpebre, poi sorrise e scosse la testa.
“... Sei una delle cose migliori che mi siano mai capitate.”
Il mio cuore perse un battito.
Non ebbi il tempo di dire nulla che l’Assassino si alzò ed uscì dalla stanza, rosso in viso, farfugliando qualcosa del tipo: vado a prendere la colazione.
A dir poco stupita rimasi a fissare la porta di legno scuro e logoro da cui era scomparsa la schiena di Malik, incerta se soffermarmi a pensare o se avessi anche solo avuto il coraggio per tentare di capire il subbuglio delle mie emozioni.
Decisi per una soluzione mediatica e passai alle cose reali e tangibili. La vera Sarabi, versatile e decisa, doveva tornare subito al suo posto, pronta e carica a sostituire quella emotiva e perennemente in disaccordo con se stessa.
Dovevo seppellire le mie remore sul passato e concentrarmi unicamente sulle cose concrete per il futuro.
Mi alzai in piedi e mi guardai ancora intorno, quasi volessi cercare l’ispirazione, che non tardò a presentarsi. Difatti mi accorsi di essere scalza.
Probabilmente Malik si è premurato di sfilarmi i sandali, e l’unico posto dove si deporrebbero...
Mi chinai e guardai sotto il letto, trovandoli esattamente lì, lacci di cuoio marrone e suola piatta ormai morbida.
Li pulii dalla polvere che avevano accumulato durante il viaggio e li indossai, stringendo bene i cordini alle caviglie e sistemando gli eventuali nodi allentati.
Con la coda dell’occhio notai che sulla mensola erano posati, ordinatamente ripiegati, la fascia blu che mettevo alla vita e il velo turchese di Bahira.
Mi avvicinai e, legata la prima sopra l’abito celeste, afferrai la tulle e mi sedetti sullo sgabello.
Accarezzai la stoffa morbida, venendo colpita mio malgrado da una fitta dolorosa al cuore, ma mi riscossi quasi immediatamente e tornai a posare il velo nel luogo originario.
Andai alla finestra e, dopo averla spalancata, presi una gran boccata d’aria fresca, sentendomi quasi subito meglio.
Osservai per un po’ il magnifico paesaggio che si poteva rimirare da quel punto sopraelevato che dominava il paesello montano.
Il massiccio luminoso, i brulli ed assolati altipiani e il cielo terso che sovrastava ogni cosa... Tutto mi trasmetteva un’immensa e concreta calma.
Uno sbuffo di vento mi sfiorò il viso, facendo ondeggiare lievemente ai lati del mio viso le ciocche castane sfuggite allo chignon.
Respirai ancora quell’aria pura e fresca, chiudendo gli occhi e godendomi i soffusi rumori di vita che provenivano dalle vie del paese, interrompendo l’irreale silenzio delle montagne antiche.
Puntai i palmi sul piano d’appoggio dei balconi e mi distaccai dalla stupenda visione, avendo percepito la porta aprirsi.
Voltai il viso e vidi Malik comparire nella stanza con una piccola gerla tra le mani, che poggiò sul tavolino per poi fare cenno di avvicinarmi a mangiare qualcosa.
Facemmo colazione con i datteri dolci del canestrino, lui seduto sullo sgabello e io sul letto, pressoché chiusi in un silenzio rotto solo da stralci di informazioni per il viaggio.
Non c’era molto di cui parlare, vista anche la situazione non proprio gioviale e la mia condizione d’esistenza completamente stravolta.
I datteri erano deliziosi, ma ne mangiai giusti tre. Sentivo un peso sullo stomaco, ed era come se avessi un nodo alla gola.
“Non mangi più?”
Fece Malik alludendo ai datteri, senza riuscire a nascondere un poco di apprensione.
Io scossi la testa, così lui prese una manciata di frutti e li infilò in una saccoccia legata alla cintola.
Stirai la schiena e ci alzammo, pronti a ricominciare il viaggio, ma prima di varcare la soglia della stanza l’Hashashin mi avvolse il velo turchese attorno alle spalle.
Uscendo ebbi modo di studiare l’interno dell’ostello, dallo stretto corridoio che conduceva alle minute scale, fino all’ampio bureau d’entrata.
Io aspettai Malik alla porta d’ingresso mentre lui retribuiva il pernottamento ad un ometto tarchiato sulla cinquantina, con un paio di folti baffi scuri che regolarmente lisciava con le dita paffute. Doveva andarne molto fiero.
Quando l’Assassino mi raggiunse, fui ben felice di prendere una vigorosa boccata d’aria e di sentire il calore del sole sulla pelle.
“Se vuoi possiamo darci una sciacquata alla fontanella, vicino alla posta dei cavalli.”
Annuii convinta, non mi pareva vero! Bagnarmi il viso con acqua fresca dopo giorni di viaggio...
Non appena ci avvicinammo alle poste, Cascade cacciò subito la testa fuori dalla finestrella di legno sbeccato. Malik si avvicinò a lui prendendogli il muso fra le mani e, indicando la rimessa, mi disse:
“La stalla è troppo piccola per lui! Per fortuna questa notte non si è imboxato, altrimenti ci sarebbe voluta tutta la giornata per farlo uscire.”
Sorrisi a mia volta e ci avvicinammo alla fontanella. Malik si buttò dell’acqua in volto, poi andò a sistemare il cavallo per la partenza.
Quando tuffai le mani nella catinella cristallina un brivido mi percorse la schiena, e quando mi bagnai il viso sentii subito la frescura frizzante del liquido giovare sul mio umore.
Mi raddrizzai e avvicinandomi a Cascade, legato con una lunghina di cuoio ad un anello di ferro infisso alla parete dello stabile, notai Malik intento a frugare in un mucchio di paglia a lato del pozzo al centro del cortiletto in terra battuta.
Posai una mano sul fianco liscio del cavallo e restai ad osservare perplessa l’Assassino intento a concludere la sua misteriosa opera.
Quando si rialzò, con un sorriso di trionfo stampato sul volto, stringeva tra le palme un oggetto simile in tutto e per tutto ad una sella di cuoio con una spessa coperta agganciata alle cinghie posteriori.
Spalancai gli occhi dalla sorpresa e mi feci da parte mentre Malik si apprestava a finire di bardare l’animale.
“Ma, come..?”
L’Hashashin sorrise, mettendo l’imboccatura a Cascade e passando le redini sul collo.
“L’avevo nascosta lì poco prima di arrivare a Damasco. La cavalla di mio fratello, Miluna, aveva perso un ferro e perciò se l’avesse montata fino alla città si sarebbe fiaccata le sesamoidi dell’anteriore, perciò le ho tolto la sella e ho fatto salire Kadar su Cascade. Non potevo farmi carico di un’altra sella, perciò ho dovuto nasconderla e pregare di ritrovarla. Fortunatamente a nessuno è venuto in mente di frugare nel fieno vecchio!”
Ridacchiai e, una volta regolate le staffe e salito in groppa al cavallo, Malik mi tese la mano e mi fece salire dietro di lui, sopra la coperta.
“Vedrai, d’ora in poi il viaggio sarà molto più comodo. Ah, se perdi l’equilibrio aggrappati a me, sono difficile da smuovere.” Fece lui, sorridendo.
Poggiai timidamente le mani sui fianchi di Malik, ed arrossii quasi subito al contatto del suo corpo tiepido.
Quando ci fummo sistemati sulla groppa, l’Hashashin portò le redini alla mano e spronò l’animale che, subito reattivo, partì a passo deciso verso il tortuoso e accidentato sentiero tra le montagne.









L'Angolo di Zazzy

E rieccomi, dopo tempo immemore, a torturare voi poveri lettori con questo pallosissimo oltre ogni dire e noiosissimo Antefatto!!
Ve l'avevo detto che a giugno tornavo a rompervi le balòn °-^
Che dite, per questo capitolo commenterete tutti e sette che avete messo la storia tra le seguite?
E chi legge e basta (perchè vi vedo che visualizzate i capitoli, cosa credete!), mi fa l'immenso favore di scrivermi due righette, tanto per farmi capire che c'è?

Se lo fate, grazie. Altrimenti... *labbro tremolino e lucciconi agli occhi* CATTIVI °^°

Ringrazio al solito i miei lettori e recensitori assidui
(mi manca la Giada, però çAç)
Vi voglio tanto bene!! TT^TT
Scusateeeee!!!! Perdonatemi vi pregooo, per la pallosità unica di questa ff!!!
Forse la ridurrò a due Parti, anzichè tre come prestabilito..
.... se non avete letto la nuova anteprima della storia non ci capirete niente XD

Volevo dire una cosa prima di lasciarvi in pace... o meglio, chiedere
Premetto che non rinfaccio niente a nessuno! °-° Io, lo sapete, faccio tutto volentieri e non smetterò di impegnarmi per farlo ^-^
Veniamo al punto... (parlo in generale, non mi riferisco a nessuno)
Io mi impegni sempre tantissimo per far felice voi autori... scrivo recensioni da chilometro per farvi scalare le classifiche e farvi il più piacere possibile.. E non facendovi sempre e solo complimenti, sia chiaro! Molti di voi sanno, anzi, che se mi metto a fare critichine so dare filo da torcere XD , ma ripercorro il chap e lo commento quasi in tempo reale.. descrivo ciò che mi è piaciuto, cosa non mi aspettavo.. eccetera
Ma soprattutto, dopo aver recensito un paio di volte una storia - se non lo faccio al primo capitolo-, mi scaravento a mettere la storia tra le seguite e le preferite (quantomeno nelle ricordate) e, addirittura, anche l'autore tra i preferiti
Per alcuni mi sono anche fatta il mazzo a difenderli dalle critiche (chiedete a konoha_ellsing_94 o a moniko-chan), e anche a scrivere una pappardella di testo per inserimenti di ff tra le 'Scelte!

Ecco, la mia domanda, dopo questo ragionamento è:
Voi queste cose alle mie storie non le fate perchè non meritano/merito o altro?

Voglio sapere, vi prego! ç__ç
E' da settimane che mi torturo >.<

Ora non mi resta che agurarmi -e pregare anche se sono atea- che il chap vi sia piaciuto.. *souspir*

Bacioni <3 Zazzy




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