Call it love ~ Chiamalo amore ♡

di ellie_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Call It Love - Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** ~ Avviso. ***



Capitolo 1
*** Call It Love - Prologo. ***


Call it love

ProloGo

Denise è una semplice ragazza di sedici anni, timida e impacciata con poche relazioni alle spalle.

Inconsapevole della sua popolarità si trova ben presto ad affrontare un nuovo arrivato: Nicholas, un ragazzo egocentrico che sembra non aver capito nulla dalla vita. Così, tra amicizie sul bordo del lastrico, amori segreti ed incomprensioni, Denise si trova ad affrontare sentimenti contrastanti che mai aveva provato prima.

 

o - o - o

 

«Senti, perché invece non mi lasci stare? Perché proprio io? Che ti ho fatto?» rispondo con un filo di voce, ancora sorpresa per la troppa confidenza che si stava prendendo.

Non l’avevo allontanato e stranamente non avevo intenzione di farlo. Forse perché volevo dimostrargli che non ero una delle sue solite ragazzine, che non mi emozionavo per una semplice cosa del genere.

Strinse la presa sui miei fianchi e mi attirò a sé, indietreggiai leggermente spaesata e mi ritrovai con le spalle al muro, lui ne approfittò e posò le sue mani ai lati del mio viso, bloccandomi alla parete. Si stava avvicinando troppo, le sue labbra stavano bruciando i cinque centimetri che le separano dalla mie, riuscivo a sentire il suo respiro sulla pelle, la cosa non mi piaceva. 
[...] Mi fissava negli occhi e mi sembrava quasi che mi stesse scrutando dentro, fino ad arrivare all’anima. I suoi, visti da vicino, erano ancora più belli, ora potevo notare quelle pagliuzze dorate di cui prima non sapevo nemmeno l’esistenza, erano incredibili.

«Semplice.» sussurra a un millimetro dalle mie labbra «Perché ho scelto te».

La sua presa si fa’ meno salda fino a scomparire del tutto. Lui sogghigna e riporta le mani lungo i fianchi e, dopo avermi donato un ultimo sguardo, indietreggia e si allontana mentre la campanella in sottofondo annuncia la fine tanto attesa delle lezioni.


o - o - o

  Note: 
Ciao a tutti.
Inizio con il dire che questa è la mia primissima storia e perciò ho ancora molto da imparare, abbiate pazienza.
Questa storia è saltata fuori un giorno ma non ricordo bene il perché, fatto sta che mi era venuta questa ispirazione e ho buttato subito giù i primi capitoli.
Per ora aggiungerò un capitolo alla settimana, non c’è un giorno preciso, poi si vedrà più avanti se magari farò qualche eccezione e aggiornerò più spesso ^_^.
Spero che il prologo vi abbia incuriosito.
Premetto che sono una ragazza molto insicura e mi piacerebbe sapere la vostra, non vi chiedo di scrivere un poema ma basterebbe anche solo un “Carina, continua” oppure “Rassegnati, la scrittura non fa’ per te”.
Nel frattempo cercherò di trovare, o creare, un’immagine per questa fic. 
Con questo chiudo e ringrazio già in anticipo chi dedicherà un po’ di tempo per leggere la mia storiella. :)
Baci,

ellie_

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno ***


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Call it love

Capitolo 1

«Denise? Cara, svegliati, devi andare a scuola» mi sussurrò mia madre ad un orecchio.
Mi rigirai sul materasso e infilai la testa sotto il cuscino sperando che mia mamma se ne andasse, lasciandomi dormire ancora per qualche minuto, speranza vana, sapevo perfettamente cosa sarebbe successo se non mi fossi alzata subito: avrebbe cominciato a saltare sul letto come una bambina e Luca, il mio fratellino di otto anni, si sarebbe aggregato, così mi avrebbero costretto a tutti i costi a uscire dalle coperte poiché non sarei riuscita a riaddormentarmi se nella mai stanza era in corso la terza guerra mondiale.
Sì, la mia famiglia era tutto fuorché normale: i miei genitori avevano divorziato quando Daniel aveva ancora dieci anni, io ne avevo nove e Luca solo uno, dopo il tradimento di mio padre, che, da quello che avevo capito “se l’era spassata con quella sgualdrinella della sua segretaria”.
Ora mia madre, dopo essersi ripresa da quello stallo fra la depressione e la stanchezza causata dal nuovo lavoro in campo giornalistico, si era trovata un ‘ragazzo’, come diceva lei, e si atteggiava più come una sorella che come il ruolo di mamma che avrebbe dovuto rivestire, difatti lei credeva di avere ancora sedici anni e si divertiva un mondo ad andare in discoteca il sabato sera o spettegolare seduta sul tappeto di camera sua con le sue amiche, come se fosse irrilevante il fatto che avesse quarantadue anni. Ma tutto sommato mi andava anche bene, l’importante era che fosse felice accanto a Massimo, che avrebbe dovuto farsi santo per essere riuscito a soddisfare fino ad adesso le richieste di mia madre, e, cosa più importante, che non si facesse vedere in giro in discoteca quando c’ero anche io, era una cosa imbarazzante vederla scatenarsi in mezzo alla pista che brulicava di ragazzi della mia età, presa a strusciarsi su Max.
Luca era un bambino abbastanza sveglio, amava leggere e a scuola era uno fra i più bravi della classe, se non fosse stato per quella stupida ossessione per Dragon Balls che l’aveva portato a riempirsi la camera di fumetti, poster e album da collezionare, per non parlare dei personaggini giocattolo che seminava in giro per la casa, motivo per cui cercavamo di non camminare più scalzi per casa dopo che un giorno me ne ero trovata uno conficcato nel piede. Non che avessi qualcosa contro quel cartone, fumetto o cosa diavolo era, ma ormai mi era andato in odio. Luca era identico a papà, stessi capelli mori e stessi occhi nocciola mentre a me dicevano sempre che avevo preso assolutamente tutto da mia madre: i capelli castani leggermente mossi, gli occhi azzurri e i caratteristici tratti dolci della sua famiglia, anche se io segretamente pensavo mi paragonassero a lei più per il suo modo di fare adatto alla mia età.
Nonostante Katia, nostra madre, ci parlasse sempre male di Roberto, nostro padre, noi avevamo comunque continuato a vederlo. Ora abitava in una casa sempre nelle periferie di Verona, dove abitavamo noi, e io potevo tranquillamente raggiungerlo in motorino nel giro di una mezzoretta. Viveva con la ‘famosa segretaria’ e i suoi due figli: Elena, che aveva la mia età e Matteo, che aveva un anno in meno di Luca, con il quale andava molto d’accordo. Monica, la segretaria nonché la nuova fidanzata di mio padre, non era per niente male, anzi, era molto simpatica e una cuoca provetta, uno dei motivi che mi spingeva spesso ad andare a trovarli, non fraintendetemi, anche mia madre se la cavava bene ma Monica cucinava con il cuore e si sentiva quando assaggiavi le sue prelibatezze, e naturalmente questo dava un tocco in più alla sua cucina.
Se io e Luca andavamo d’accordo con nostro padre, non si poteva dire la stessa cosa di Daniel.
Daniel era il mio fratellone, aveva da poco compiuto diciassette anni e fin da subito aveva rifiutato papà, stando dalla parte della madre. Io sinceramente non avevo preso le parti di nessuno dei due, era stata una loro scelta separarsi e non vedevo cosa dovevamo centrare noi, insieme o divisi rimanevano comunque il nostro papà e la nostra mamma, no?
Daniel invece era un misto fra i due: capelli mori del padre e occhi azzurri della madre. Perfetto.
Aveva lo stesso carattere esuberante di Katia ed era un gran rubacuori, perciò tutti noi ormai non facevamo più caso alle ragazze che si portava ogni tanto a casa, ogni settimana diverse. Un unico difetto forse l’aveva: era estremamente possessivo nei miei confronti, da una parte capivo che lo faceva per proteggermi perché mi voleva bene, ma se arrivava perfino ad alzare le mani quando un ragazzo mi sfiorava era decisamente troppo.
«Insomma, vuoi alzarti?» mi urlò mia madre alzandosi in piedi sul letto. Oh no.
«Sì, sì!» gli risposi con la voce ancora impastata dal sonno, scoprendo le gambe dal piumino.
Mi trascinai fino al bagno e dopo essermi fatta una breve doccia calda, mi preparai ed uscii di casa.
Mi avvolsi nel cappotto proteggendomi dal vento freddo che tirava fuori.
Eravamo già a inizio novembre, la scuola sembrava iniziata ieri e le vacanze natalizie si avvicinavano sempre più, mancava giusto un mese a dicembre e le vacanze natalizie si avvicinavano sempre più.
Amavo il Natale, con sé portava sempre tanta allegria e calore, e, nonostante non fossimo più bambini, ci entusiasmavamo ancora ad aprire i regali sotto l’albero. Ricordavo ancora quando da piccolina mi svegliavo la mattina del 25 e correvo sotto l’albero per vedere se Babbo Natale era passato, un po’ preoccupata perché in quei giorni avevo fatto arrabbiare la mamma, e rimanevo meravigliata dalla quantità di pacchetti avvolti nelle carte da regalo dai motivi eccentrici e stravaganti, certe con le renne, altri con i pupazzi di neve o gli angioletti. Sembrava tutto così magico e surreale che la notte non volevi addormentarti per non porre fine a quella meravigliosa giornata.
Sospirai, bei tempi quelli, quando eri bambina e credevi nelle fate, nel topino dei denti o nei superpoteri, e non te ne vergognavi perché tutto era possibile. E poi crescevi e piano piano ti rendevi conto che ti avevano solo preso in giro, che da una lampada non poteva uscire un genio pronto ad esaudire i tuoi desideri, che la forza di gravità non ti permetteva di volare e che per quanto tu ti sforzassi non potevi spostare un oggetto telepaticamente. Ancora ora mi chiedo come mai gli adulti illudano i bambini così, a mio parere non era una cosa da prendere alla leggera, ricordavo ancora la delusione che avevo provato quando avevo scoperto che Babbo Natale in realtà non esistesse.
«Eccoti finalmente! Pensavo non saresti mai arrivata..» esclamò Sara, la mia migliore amica, uscendo di corsa dal portone.
Le sorrisi e ci avviammo insieme alla fermata dell’autobus senza dire una parola.
Io e Sara eravamo nella stessa classe, ci eravamo appunto conosciute alle superiori e in breve tempo eravamo diventate inseparabili seppur eravamo una l’opposto dell’altra: lei era estroversa mentre io timidissima. Era imprevedibile, nella mente le frullavano sempre le idee più strane mentre io prima di fare qualcosa ci pensavo sempre su due volte, forse proprio per quello metà delle sue idee venivano scartate, inoltre lei non aveva peli sulla lingua, era diretta, cosa che io non ero per nulla e l’ammiravo molto per questo.
Ma si sa: gli opposti si attraggono.

Salimmo sull’autobus e ci guardammo attorno in cerca di un posto dove sederci, ne avvistai due liberi e mi ci diressi speditamente prima che li occupasse qualcun altro, passando però prima il mio abbonamento dell’autobus a Sara che, mentre io prendevo i posti, andava a passarli sul marchingegno dei biglietti.
Appoggiai la cartella su uno dei due sedili per tenerlo occupato per Sara ma mentre mi stavo sedendo al mio il bus ripartì facendomi così scivolare di mano il cellulare che cadde malamente a terra, allora tenendomi al palo di metallo nero mi accucciai per ripescarlo fra i vari piedi che occupavano la superficie lì intorno.
Sentii un movimento vicino a me ma fra tutte quelle persone non ci feci molto caso, ma quando alzai lo sguardo vidi che il posto, il mio posto, era occupato e che la mia cartella era stata eclissata da tutt’altra parte, ovvero sul pavimento, e al suo posto ci stava un’altra cartella, sempre dell’Eastpak ma grigia.
Spostai lo sguardo furente sulla persona che si era permessa di rubarmi il posto e notai con forte disappunto che era un ragazzo pressappoco della mia stessa età, con disappunto perché non mi era per nulla una faccia nota, di solito le persone che salivano su quell’autobus erano sempre le stesse, dopo tre anni che io viaggiavo su quel “automezzo” arancione erano cambiate solo raramente.
«Scusami, ma quello sarebbe il mio posto» puntualizzai cercando di darmi un certo contegno, con una finta garbatezza nella voce, finta, molto finta, perché avrei capito se avesse solamente occupato quel sedile, in quel caso avrebbe chiaramente potuto pensare che fosse libero, ma aveva addirittura buttato a terra il mio zaino su quello affianco per appoggiare il suo.
Lui alzò lo sguardo e mi guardò disorientato, con la fronte aggrottata e gli occhi azzurri ingenuamente confusi. Inclinai appena il capo, ma non è che magari fosse straniero? O forse aveva qualche problema mentale, considerando lo sguardo quasi spaventato che mi stava lanciando.
Feci peso con il corpo sull’altro piede mentre cercavo di adattare il mio equilibrio alla guida malandata del conducente, mi domandavo spesso se i guidatori degli autobus avessero seguito un esame della patente tutto loro, nel genere “Più vai male più sei sicuro di essere promosso”.
Vedendo che continuavo a fissarlo il ragazzo alzò gli occhi al cielo e si portò una mano a un orecchio levandosi una cuffietta nera, facendomi così scoprire perché mi aveva guardato così confusamente prima.
Fece un cenno con il capo come a intimarmi di ripetere ciò che precedentemente avessi detto, e solo per questo mi irritai ancora di più, odiavo quando mi si chiedeva di ridire qualcosa.
«Dicevo», iniziai a dire, scandendo bene le lettere e cercando di parlare nella maniera più chiara possibile in maniera che non mi venisse chiesto nuovamente di ripetere «quello dove sei seduto tu sarebbe il mio posto».
«Oh», disse lui quasi dispiaciuto, al che pensai che si sarebbe alzato e scusato, probabilmente aveva una spiegazione per la mia cartella che stava rivoltata a terra in malo modo, ma poi riaprì le labbra e continuò dicendo «e con questo?».
Aprii la bocca quasi offesa, poi mi guardai in giro per vedere se fosse uno scherzo o qualche cavolata simile, ma puntando lo sguardo nel suo notai che fosse serio, e quel sorrisino derisorio sul volto mi faceva intendere tutto fuorché che lui potesse avere problemi di demenza cronica.
«E con questo ora dovrei esserci io seduta su quel sedile, non tu» gli spiegai sostenendo il suo sguardo, con lo stesso tono di voce che avevo usato in precedenza.
«Appunto, dovresti, ma non è così» rispose prontamente lui ed emettendo uno strano verso con la bocca, simile a uno schiocco, si voltò verso il finestrino e si rinfilò la cuffia nell’orecchio.
Mi inumidii le labbra e mi domandai da quale pianeta fosse arrivato quel ragazzo così insopportabile quando saccente. Capii che genere di ragazzo fosse, bastava osservalo da un punto di vista strettamente oggettivo: era indiscutibilmente bello, capelli biondi scompigliati leggermente tendenti all’andare verso l’alto, insomma, sicuramente c’era dietro qualche tecnica per tenerli in quella maniera, a meno che non avesse dormito con il viso piantato nel cuscino rischiando il soffocamento, cosa che, considerando il tipo di ragazzo che sembrava essere, era più che possibile che rischiasse la vita pur di apparire al meglio. La pelle era di un’abbronzatura appena accennata, probabilmente residuo di una recente vacanza se fossimo stati vicini all’estate, ma più probabilmente era proprio il colore della sua pelle. I lineamenti del viso lo rendevano se possibile più maturo, per questo mi era un po’ difficile collocarlo in una certa fascia d’età, ma ad ogni modo da come si era mostrato, questi tradivano completamente il suo modo di fare, per nulla da persona matura. I suoi occhi erano ciò che mi aveva colpito di più, erano di un azzurro chiaro, puro, e in qualche modo assolutamente irrazionale data la situazione erano attraenti, con il loro fascino ti spingevano a non togliere il tuo sguardo come se dovessi in loro cogliere qualcosa.
Con uno sbuffo alzò gli occhi al cielo, riportandomi così alla realtà, e senza nemmeno togliersi la cuffia esclamò: «Senti, dolcezza, so che in questo momento ti starai sicuramente facendo un film mentale dove noi due ci spogliamo come assatanati sopra una scrivania da ufficio, e credimi, questo non mi dispiacerebbe affatto, ma non ho intenzione di stoppare la musica ogni dieci secondi per stare a sentire le tue lagne da bambinetta infantile, quindi ti sarei grato se te ne andassi lasciandomi in pace, finalmente».
Arrossii visibilmente e distolsi lo sguardo da lui, non sapevo se questo fosse dovuto all’imbarazzo al pensiero di quella scena oppure semplicemente per la rabbia che mi stava montando dentro, ma sta di fatto che quando vidi il suo sorrisetto malizioso sul volto e il suo sopracciglio incurvato come a sfidarmi nell’affermare il contrario, non resistetti più e afferrando il mio zaino da terra goffamente, mentre lui spostava appena la gamba per facilitarmi il gesto, mi voltai e gli sussurrai un “Patetico” che ero sicura non avesse sentito.
Mi issai lo zaino sulla spalla e mi diressi alla ricerca di Sara sopra quell’autobus che alla fermata precedente si era fatto più affollato, tanto che nemmeno riuscivo a trovarla.
«Denny!» la sentii chiamarmi e volandomi verso sinistra la vidi incastrata fra un signore anziano e un palo, poi passando sotto al braccio di quest’ultimo mi raggiunse.
«I posti?» domandò lanciandosi un’occhiata in giro nel tentativo di individuarli, ma poi soffermò lo sguardo sul mio viso teso per l’irritazione.
«Fregati» dissi in una risposta, se avessi provato solo a parlare di quell’acido smorfiosetto avrei sicuramente ucciso qualcuno nell’ansia di scatenarmi contro qualcosa. Ero facilmente irritabile, io.
Sospirai per calmarmi e guardai il paesaggio fuori dal finestrino opaco e un po’ sporco, e in un attimo la mente aveva già preso la sua strada, mentre Sara blaterava qualcosa su un nuovo ragazzo, il più bello al mondo dicevano delle ragazze, che probabilmente sarebbe arrivato nella nostra scuola, ma non la stetti ad ascoltare più di tanto, presa da quel cielo azzurro che si intravedeva appena coperto dalle nubi.
Arrivammo a scuola e ci affrettammo a solcare il cancello temendo di essere in ritardo.
Ci fermammo all’entrata per aspettare Michele e Andrea, due nostri amici, ed ero come al solito con la testa fra le nuvole decisa più che mai ad eliminare quell’episodio dell’autobus dalla mia testa, giusto per non rovinarmi la giornata, quando Sara aveva cacciato un urlo facendomi sobbalzare.
«Che succede?!» domandai allarmata afferrandola per un gomito.
«Eccolo, dovrebbe essere lui!» esclamò indicando con l’indice un punto indistinto dietro di me.
Mi voltai non preoccupata del fatto che potesse sentirsi osservato, guardare non è mica un reato, no?
La prima cosa che notai erano i capelli, biondo chiaro, e abbassando lo sguardo sul suo viso potei giurare di essere diventata rossa come i capelli di Ronald McDonald, che poi era pure un paragone stupidissimo ma pensandoci bene quelli erano la cosa più rossa che io avessi mai visto.
«Lui chi?» domandai mantenendo lo sguardo sul ragazzino presuntuoso, decisa a non rivelargli del mio incontro precedente perché prima volevo scoprire questa sua identità di cui Sara sembrava essere a conoscenza.
«Ma come “Lui chi”?» mi domandò accigliata afferrandomi un braccio per farmi voltare «Non mi ascolti mai! Te ne ho parlato prima! Il ragazzo nuovo che si diceva sarebbe venuto nella nostra scuola, e infatti..».
Ah, ecco di cosa parlava sull’autobus!
«Oh, sìsì scusami» risposi sorridendole falsamente per poi riportare gli occhi su di lui.
Il suo sguardo che prima era soffermato sull’iPod si puntò su di me, come se avesse sentito sulla pelle che lo stessi fissando.
Distolsi gli occhi imbarazzata, andava bene guardarlo di nascosto ma se poi se ne accorgeva ero io quella a disagio. Poi considerando la frase con la quale mi aveva liquidato precedentemente, senza che io dicessi nulla in risposta, poteva fargli credere che fossi realmente una ragazzina abbagliata dal suo aspetto.
«Cavoli, non è un figo? Dio, ci sta guardando!» urlò eccitata saltellando qua e là come un grillo attirando l’attenzione degli altri.
I bisbigli fra le ragazze aumentavano a favore del nuovo individuo e tutto questo mi fece pensare a un fatto accaduto a me alle medie, in passato, infatti mi ero trovata coinvolta con un ragazzo simile quello stronzetto arrogante a cui tutti stavano rivolgendo l’attenzione e non era andata a finire per nulla bene. Ricordavo perfettamente quel ragazzo, Marco, “un bel figo” lo definivano in molte me compresa, alto, castano, occhi verdi che ti ipnotizzavano con uno sguardo: che si poteva desiderare di più?
Un giorno si era avvicinato a me dopo scuola e io, da scema, mi stavo già facendo i miei soliti film mentali, alla fine invece mi aveva solamente chiesto se avevo da accendere e io, delusa, avevo scosso la testa. Però dopo quel giorno aveva incominciato a salutarmi quando mi vedeva e fermarsi a parlare durante l’intervallo. Così qualche giorno dopo mi aveva chiesto di andare al cinema con lui e io avevo accettato.
Al cinema era stato tutto perfetto, Marco mi aveva anche baciato, il mio primo bacio. Così il giorno dopo ero andata a scuola tutta felice e gli ero corsa incontro pensando che dato ciò che era successo ora stavamo insieme, anche se non ne aveva mai fatto cenno, lo so, era un ragionamento incredibilmente stupido. Lui mi aveva allontanato ridendo e mi aveva spiegato che non gli piacevo, che quello era stato tutto un gioco con gli amici, che aveva scommesso con loro che mi avrebbe baciato entro una settimana.
Certo, eravamo ancora piccoli, a me sembrava una cosa talmente da grandi, un mondo tutto nuovo, non come adesso, ora che i ragazzi andavano a letto anche per gioco, insomma, era un grande passo. Allora io gli avevo tirato uno schiaffo e me ne ero andata piangendo mentre lui mi urlava che ero solo una bambina. Non mi ero mai sentita così male, ero stata un’ingenua, mi aveva solo fatto soffrire. Ma ero ancora alle medie, avevo qualche amica ma fra di noi non c’era la stessa grande amicizia che avevo ora con Sara, così mi rifugiai la maggior parte del tempo a piangere in bagno e una volta suonata la campanella della fine delle lezioni ero scappata a casa.
In breve tempo tutta la scuola venne a sapere di questa storia e seppur qualcuno mi veniva incontro dispiaciuto altri mi parlavano alle spalle e ridevano di me, era una cosa orrenda. Così da quel giorno non mi ero più avvicinata a un ragazzo e mi ero fatta più guardinga nei loro confronti, quando qualcuno mi invitava a uscire io li studiavo attentamente e il più delle volte rifiutavo nel terrore di un’altra delusione, aggiungeteci poi il carattere di mio fratello Daniel, che li scartava tutti come se dovesse essere lui a scegliere.
Okay, forse mi penserete pazza, era da cinque anni che questa cosa andava avanti ma non riuscivo a togliermi quel dolore dentro. Ma a me andava bene, mi ripromisi che mai e poi mai un ragazzo mi avrebbe fatto sentire così male. Okay, non ero una suora, lo ammettevo se trovavo carino un ragazzo, ma non capivo tutta questa eccitazione delle altre ragazze.
«Mmh, mi domando però che ci faccia qui, l’anno è già iniziato, no? Speriamo solo che non ci capiti in classe» commentai sbuffando, sistemandomi meglio la cartella in spalle che mi aveva provocato un incredibile mal di schiena. Mai e poi mai avrei voluto avere a che fare con quel ragazzo cinque ore al giorno.
«Beh» disse Sara con sguardo pensieroso «A me non dispiacerebbe!».
Dopodiché mi fece l’occhiolino e scappò all’interno dell’edificio facendomi la linguaccia.
«Che hai detto?! Pensavo che fossi d’accordo con me sulla fucilazione di ogni esemplare maschile!».
«Scusami se sono una ragazza!».
Scoppiai a ridere e la rincorsi all’interno della scuola, divertita da quel nostro stupido gioco.
Ma se fossi stata più attenta, mi sarei accorta di quel paio di occhi azzurri che mi scrutavano interessati.

O - O - O

Note:

Eccomi qui con il primo capitolo, ho pensato di postarlo prima così vi facevate un'idea migliore della storia.

Lo so, è abbastanza noioso, ma all’inizio volevo fare una cosa tranquilla.

Ora vi spiego:

Questo primo capitolo l’ho dedicato maggiormente alla famiglia di Denny e, poiché è numerosa (ricordo in ordine: mamma, compagno della madre, due fratelli, un fratellastro, una sorellastra, papà e compagna del padre) ho preferito dividerlo, così, dato che immagino sia difficile ricordarsi i vari nomi, in caso uno andando avanti nella storia non ricordi a chi appartiene un nome può tornare a questo capitolo e sa di trovarsi i componenti della famiglia. Non so se mi sono spiegata, volevo solamente semplificarvi le cose e invece penso di averle incasinate il doppio. >.<

Ad ogni modo poi troverete un breve schema dove riassumo in breve personaggi.

Nel prossimo capitolo parlerò degli amici di Denise, con una descrizione più dettagliata di Sara, Michele e Andrea, e con qualcosina in più anche sul ‘fantomatico’ ragazzo dagli occhi azzurri.

Sperando di non avervi annoiato, cosa molto probabile, giù vi lascio un breve spoiler del prossimo aggiornamento e più in basso le risposte alle recensioni.

Poi volevo domandarvi una cosa: sono più che sicura che nei miei capitoli inserirò qualche parolaccia perciò, secondo voi, il rating dovrei cambiarlo? Scusate, mi sono letta le varie spiegazioni per i rating ma non ho trovato niente che alludesse a questa cosa e volevo domandare a voi. Sono nuova e sinceramente non so molto a riguardo.

Schemino:

Protagonista: Denise, 16 anni.

Fratellino: Luca, 8 anni.

Fratello maggiore: Daniel, 17 anni.

Mamma: Katia, 42 anni.

Compagno della madre: Massimo (o Max), 41 anni.

Papà: Roberto, 43 anni e mezzo.

Compagna del padre: Monica, 39 anni.

Sorellastra: Elena, 16 anni.

Fratellastro: Matteo, 7 anni.

(Sara, Michele e Andrea, nonostante siano citati in questo capitolo, lì metterò nello schema del prossimo capitolo, insieme al biondino ;D).

Spoiler:

«Ehm ehm!» tossicchiò qualcuno per attirare l’attenzione ma nessuno di noi ci diede bada e continuammo a chiacchierare per i fatti nostri.

«Ehm ehm!».

Ci voltammo tutti scocciati maledicendo chiunque avesse osato interromperci e, non appena ci rendemmo conto che costui era il preside, ci ricomponemmo velocemente.

[…]

«Ragazzi, mi complimento con voi per la bella impressione che avete dato al nuovo arrivato, soprattutto con te, Sara, la tua esibizione è stata almeno divertente, spero solo che tu non ti sia spezzata l’osso del collo» esclamò il preside con la sua voce imponente, non era mai stato cattivo con noi, ci rimproverava solo perché era il suo dovere ma per il resto appena poteva se ne usciva con delle battute che ci facevano restare con un palmo dal naso.

Ma, aspetta aspetta... cos’aveva detto?! Nuovo arrivato?!

Solo a quelle parole mi venne come un lampo improvviso il viso di quel ragazzetto insopportabile nella mia mente, e pregando gli dei pagani in cui non credevo, oltre che Dio, sperando in un maggior aiuto divino, sperai vivamente che l'individuo che avrebbe varcato quella porta avesse i capelli di tutti i colori possibili immaginabili tranne che di quella sfumatura di biondo. Avrei accettato pure Ronald in persona, di cui già vi ho parlato prima, ma non, con assoluta convinzione, quel petulante ragazzo so-tutto-io.

 

Risposte alle recensioni:

Balenotta: Guarda, tutto ciò che hai detto è assolutamente vero. Basta guardare la mia reazione: appena ho letto ‘Rassegnati’ , dopo un colpo al cuore (xD), ho pensato “Fantastico, la prima che recensisce e già mi dice di smetterla, va beh, vedrò di togliere la storia”. Ecco, ciò dimostra che hai perfettamente ragione, invece di dire “Beh, vedrò di migliorare” ho subito pensato di non continuarla. Hai ragione, una recensione negativa ti butterebbe giù. Però forse dipende da persona a persona, bisogna anche tenere conto del carattere, no? Magari uno sicuro di sé avrebbe pensato diversamente.

Ad ogni modo non sto qui a cianciare, grazie mille della recensione, spero che continuerai a seguirmi!

CullenDipendent: Ciao, innanzitutto grazie mille per il complimento. Sono felice che ti sia piaciuta fin dall’inizio! Ecco, ho aggiornato, spero che leggerai questo capitolo. Fammi sapere, eh. :)

micia247: Ciao Masha! Grazie di aver letto e recensito. Ecco il primo capitolo, spero di non averti deluso. Bene, sono felice che mi abbiate accettato nonostante la mia scrittura non sia delle migliori, farò di tutto per migliorare, prometto. Grazie ancora, spero di risentirti. C:

sciona: Ciao sciona. Cavoli, proprio come ho detto prima a Balenotta (vedi sopra), mi è preso un colpo al cuore quando ho letto ‘Rassegnati’.

Grazie, grazie mille! Sono felice che ti piaccia e anche che continuerai a seguirla. Un bacio.

Selena_14: Ciao Selena, o Luna, sì, mi sono fatta un giretto su tutti i vostri profili prima di rispondere (come mi avevi chiesto), volevo conoscervi un po’ meglio. :)

Comunque lo so, il prologo è un po’ confuso scusa, non ho citato i protagonisti (anche se penso possiate immaginarli) ma è fatto di proposito, preferisco lasciarvi sul dubbio! Inoltre vi dico già che non è una dichiarazione ma questa parte di storia arriverà molto presto, e sarà appunto solo l’inizio.

Non so, e non credo, di aver messo in chiaro la cosa con questo capitolo, mi dispiace, spero che capirai più avanti in questo caso. :)

Grazie ancora, Selena.

__Claire__: Grazie per la recensione, mi fa’ piacere che la presentazione ti sia piaciuta. :)

Ad ogni modo non so se questo capitolo sia corto, normale o lungo, su Word contro tre pagine e non so regolarmi poi sul sito. >.<

Fammi sapere se sono ancora troppo corti e vedrò di provvedere.

Baci :)

Ringrazio inoltre chi ha aggiunto la storia fra i preferiti e i seguiti, o chi la legge solamente.

Grazie mille veramente, per me significa molto!

 

 

(Rivisionata: 06/09/2010)

(Cambio parte di capitolo: 12/07/2011)

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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo ***


testo

Capitolo 2

Capitolo 2

Dopo quella “corsa mattutina” per tutta la scuola nel tentativo di acchiapparla ci trascinammo sfinite in classe.

Gli altri erano già tutti dentro, intenti a raccontarsi l’ultimo pettegolezzo su chi si è messo con chi o a parlare di come fosse fica la festa di questo o di quell’altro, e noi eravamo in ritardo, come sempre del resto.

Facemmo cadere sul banco il nostro zaino provocando un sonoro tonfo e crollammo sulla sedia respirando affannosamente.

«Ehi, avete già incominciato ad allenarvi per la campestre? Ottima idea considerando il fatto che l’anno scorso siete arrivate ultime, e pure l’anno prima» esclamò Michele scoppiando a ridere, per poi accomodarsi sul mio banco, rigorosamente in seconda fila a destra, quello vicino alla finestra naturalmente, amavo perdermi nei miei pensieri mentre fissavo fuori dal vetro, inoltre in qualche maniera mi ispirava durante i temi in classe, puntavo lo sguardo lì fuori e fissando il cielo formulavo frasi degne di Shakespeare, beh, forse non proprio.

«Ahah, come sei simpatico. Semplicemente non fa’ per noi. E comunque, per precisare, l’anno scorso siamo arrivate penultime ed è già tanto per noi» replicai torva con una punta di ironia fulminandolo con lo sguardo.

Non era proprio del tutto vero, se non eravamo arrivate ultime non era perché ci eravamo impegnate, perché a nostro parere non valeva la pena correre ripetutamente per tutto il campo con l’obbiettivo di vincere una stupida medaglia, ma perché una ragazza di un’altra classe era inciampata in un sasso e si era slogata la caviglia, ma valeva comunque, no?

«Sì, immagino» esclamò pensieroso fissando il soffitto.

Mi accasciai sul banco facendo cadere rovinosamente lo zaino a terra, sbadigliai e appoggiai la guancia destra sulle braccia incrociate e lanciai uno sguardo ai miei due compagni.

Sara aveva quei bei capelli ricci che lei amava piastrare, di un castano scuro quasi nero, che io adoravo tanto, ricordavo ancora quando li aveva tagliati, mi ero incazzata così tanto! Ma i capelli non erano miei e comunque lei stava bene anche così, come sempre. Sì, perché Sara aveva quel fantastico ‘dono’, come lo chiamavo io, che invidiavo tanto: qualunque cosa lei si mettesse o in qualunque modo si conciasse era sempre splendida. Poi quei begl’occhioni verdi rincaravano la dose, adoravo anche quelli, in confronto al mio azzurro, che poi azzurro non era nemmeno tanto, dato che si mischiava con un grigio e un verde. Aveva delle belle labbra rosee e la sua pelle era sempre abbronzata, perfino in pieno inverno, altra cosa che ammiravo, io ero bianca, bianca come un lenzuolo cavoli! Eh sì, l’invidia c’era, ma era un’invidia innocente, niente odio con essa. Ma lei, ovviamente non contenta, continuava a piagnucolare per il suo naso che aveva una leggera gobbetta, che lei definiva ‘l’Himalaya che le rovinava il viso’. Io non capivo tutta questa disperazione, era splendida, chi aveva detto che il naso era bello dritto o leggermente all’insù? E poi se fosse stata perfetta anche in quello rischiava di sembrare irreale!

“Certo, dici così perché tu hai un naso stupendo, alla francese! Quello che io ho sempre desiderato!” ribatteva quando gli esponevo il mio parere. Bah, ma chi la capiva quella?

Spostai lo sguardo su Michele, era uno di quei ragazzi che non passava decisamente inosservato, quello che sicuramente ti giravi a guardare per strada però, oltre al bel visino, aveva un carattere stupendo, premuroso, altruista e dolce, che solitamente non si addiceva ai ragazzi del suo tipo, quelli che essendo fighi dovevano fare i duri per mantenere l’immagine, per intenderci. Adoravo i suoi capelli castani, e adoravo ancora di più scompigliarglieli, aveva il solito taglio dei ragazzi di oggi, quelli un po’ lunghetti e sparati leggermente all’aria alla ‘mi sono appena svegliato’ ma, nonostante dessero l’impressione di non essere nemmeno stati pettinati, erano morbidi e lisci. Poi i suoi occhi a mio parere erano il suo pezzo forte, un blu intenso in cui ti perdevi, e lui naturalmente lo sapeva e li usava sempre per ammaliarti, lanciando sguardi ipnotici a ogni ragazza che si trovava nei dintorni.

L’avevo conosciuto per via di Sara, erano in classe insieme dalle elementari e devo ammettere che all’inizio aveva avuto una leggera cotta per lui, eh sì io, la suora di clausura, avevo abbandonato momentaneamente il mio titolo! Inutile dire che Sara appena lo aveva saputo aveva insistito sul farmelo conoscere, io inizialmente aveva rifiutato ma poi mi ero lasciata convincere. Michele si era rivelato subito simpaticissimo ed era diventato uno dei miei amici più fidati, però dopo poco tempo Sara aveva iniziato a blaterare che io gli piacevo, perché lei lo sapeva, se lo sentiva, ancora ora non capivo cosa volesse intendere, sembrava tipo una di quelle signore coi turbati in testa che si offrivano di leggerti le carte del destino.

Comunque inizialmente non ci avevo creduto, poi come poteva ad uno come lui piacere una come me?

Come avete capito ero ancora nella mia situazione “Ragazzi = Delusione, dolore, sofferenza e chi ne ha più ne metta”. Poi però avevo cominciato a destare anche io alcuni sospetti, che erano poi diventati certezze quando un giorno aveva tentato di baciarmi. Non serve che vi spieghi per filo e per segno ciò che successe dopo: avevo cominciato a sudare freddo e quando le sue labbra stavano per sfiorare le mie mi ero allontanata scusandomi, non se l’aspettava di certo lui, era abituato che gli cadessero tutte ai piedi, lui era imbarazzatissimo e ancora più impacciato di me, povero, inizialmente aveva creduto che ci fosse qualcosa che non andasse in lui ed io mi ero affrettata a negare tutto ciò, lui era magnifico.

Questa storia era naturalmente giunta alle orecchie di Daniel, pensavo che avrebbe sollevato un polverone ma appena lo aveva conosciuto mi aveva dato la sua approvazione, una cosa assolutamente rara. Alla fine avevamo deciso di dimenticare il fatto e di tornare a diventare amici anche se inizialmente lui si innervosiva alla mia presenza.

Ora però non sapevo cosa provasse per me, se gli piacessi ancora o gli fosse passata, in quanto a me provavo un grande affetto nei suoi conforti, ma solo come amica, però sinceramente non saprei a cosa attribuire quell’effetto che ogni tanto mi faceva quando mi fissava con quelle sue pozze d’acqua blu oppure quando si passava una mano fra i capelli, forse era solamente un piccolo sprazzo di quella cotta che avevo avuto che, ogni tanto, tornava a bussare al mio cuore.

«Ma dov’è la prof?» domandò scocciata Sara, mentre si guardava attorno notando il casino che stavano facendo gli altri.

«È assente, non ho capito bene cos’abbia, penso che prima che suonasse la campanella abbia avuto l’ennesimo attacco di nausea e l’abbiano mandata a casa» rispose prontamente Michele raccogliendo il mio zaino da terra.

La professoressa Bianchi aspettava un bambino ma, nonostante fosse incinta, non aveva considerato nemmeno per un secondo di lasciare il suo ruolo di insegnante per prepararsi al parto, non voleva lasciare ‘i suoi bambini’ nelle grinfie di una supplente che non sapeva nulla di loro, aveva detto, inutile spiegarle che ce la saremmo cavati e, soprattutto, che non siamo ‘i suoi bambini’. Il lato positivo però era che almeno sarebbe stata una buona mamma, era sempre così dolce e premurosa con tutti noi.

«Potevano anche avvisarci, almeno ora sarei ancora sotto alle coperte al calduccio» sbottai sbadigliando per l’ennesima volta.

«Ma dai, non fare la pigrona! Un’ora buca equivale a una bell’ora a non fare un cavolo!» esclamò felice Sara, appoggiando i piedi sul banco e dondolando con la sedia avanti indietro, con le mani dietro alla nuca.

«Scommettiamo che cadi?» dissi ridendo .

«Scommettiamo che non cado?».

«Vediamo!» scommisi inarcando un sopracciglio.

«Ehm ehm!» tossicchiò qualcuno per attirare l’attenzione ma nessuno di noi ci diede bada e continuammo a chiacchierare per i fatti nostri «Ehm ehm!».

Ci voltammo tutti scocciati maledicendo chiunque avesse osato interromperci e, non appena ci rendemmo conto che costui era il preside, ci ricomponemmo velocemente, chi tornando ai propri posti e chi rimettendosi composto a sedere, come la mia compagna qui affianco, peccato che nello spostare i piedi dal banco si slanciò troppo all’indietro e finì rovinosamente a terra con le gambe all’aria.

Tutti scoppiarono a ridere mentre lei, impacciata, rimise apposto la sedia, mi fulminò con lo sguardo e si sedette velocemente.

«Avanti, dillo!» esclamò coprendosi il viso con le mani per la vergogna.

«Okay: te l’avevo detto!».

Era troppo sfizioso dirglielo, soprattutto se date le situazioni avveniva spesso.

«Ragazzi, mi complimento con voi per la bella impressione che avete dato al nuovo arrivato, soprattutto con te, Sara, la tua esibizione è stata almeno divertente, spero solo che tu non ti sia spezzata l’osso del collo» esclamò il preside con la sua voce imponente, lui non era mai stato cattivo con noi, ci rimproverava solo perché era il suo dovere ma per il resto appena poteva se ne usciva con delle battute che ci facevano restare con un palmo dal naso.

Ma, aspetta aspetta... cos’aveva detto?! Nuovo arrivato?!

Solo a quelle parole mi venne come un lampo improvviso il viso di quel ragazzetto insopportabile nella mia mente, e pregando gli dei pagani in cui non credevo, oltre che Dio, sperando in un maggior aiuto divino, sperai vivamente che l'individuo che avrebbe varcato quella porta avesse i capelli di tutti i colori possibili immaginabili tranne che di quella sfumatura di biondo. Avrei accettato pure Ronald in persona, di cui già vi ho parlato prima, ma non, con assoluta convinzione, quel petulante ragazzo so-tutto-io.

Tutti incominciarono a bisbigliare eccitati ed impazienti di scoprire chi fosse mai questo invasato, io feci l’indifferente ma non posso non ammettere di essere pure io un po’ curiosa, seppur con le aspettative peggiori.

«Speriamo sia una ragazza!» esclamò Andrea, l’anima scatenata della classe nonché miglior amico di Michele.

«Andrea, ha detto nuovo arrivato, cosa non comprendi?» rispose qualcuna ridendo per poi essere seguita da tutta la classe.

Sinceramente non mi avrebbe fatto tutta questa differenza, che fosse stato maschio o femmina per me era uguale, ma in quel caso sperai vivamente che entrasse una ragazza al massimo della femminilità, e che il preside avesse commesso solo un errore a parlare al maschile.

«Nicholas, entra pure, capisco che tu ti sia scandalizzato alla vista di questa mandria di bufali ma vedrai che sotto sotto non sono poi così male» lo rassicurò con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.

Le ragazze, io esclusa si intende, allungarono entusiaste il collo alla ricerca di questo fantomatico Nicholas.

Inutile parlarvi dei sospiri di approvazione da parte di quest’ultime all’entrata del ragazzo ed è anche inutile raccontarvi degli sguardi omicidi dei ragazzi rendendosi conto che questo Nicholas era un altro ragazzo da aggiungere alla lista dei rivali in amore.

Ma unicamente io in quella classe guardai questo Nicholas con uno sguardo furente in volto per poi spostarlo per non destare troppi sospetti.

«E che cavolo, ti pareva! Mai una bella fi... ehm, dolce e amabile ragazza!» esclamò Andrea sbuffando.

Le ragazze, che erano troppo impegnate a fissare ammirate Nicholas, intente a decidere di quale tonalità di azzurro fossero i suoi occhi, non lo fulminarono nemmeno con lo sguardo per essere stato “scortese” verso di lui e non aver dimostrato l’ospitalità che secondo loro gli andava data. Bah.

«Cazzo, Sara, ci mancava solo lui! Sarà un inferno quest’anno, me lo sento!» piagnucolai in un sussurro mentre voltandomi vidi la traditrice completamente assorta nell’ammirarlo.

Sapevo cosa avrebbe significato avere un altro ragazzo carino in classe: le ragazze avrebbero preso a spettegolare fra di loro e a inventarsi di tutto pur di essere al centro dell'attenzione, e credetemi, le parole ‘ragazza’ più ‘fantasia’ sommate a ‘competizione’ è sempre meglio evitarle in qualsiasi caso.

Era già successo in prima con Michele e Andrea, e forse pure Giacomo, e la maggior parte delle ragazze non la smettevano di fare le galline, erano veramente insopportabili.

«Beh, non dire così, visto da più vicino è anche più figo» mi bisbigliò Sara coprendosi le labbra con una mano, ma allo sguardo vigile del preside non sfuggì così lei si affrettò a zittirsi e a sorridere ruffiana come una demente.

«Siate gentili con lui, qualcuno potrebbe aiutarlo ad ambientarsi, magari facendogli fare un giro della scuola» continuò il preside gesticolando animatamente.

Un commento appena accennato della mia amica mi giunse all'orecchio sinistro: «Io mi offro volontaria, prima lo porterei nello stanzino dei bidelli e poi gli salterei addosso ed inizierei a leccargli...».

«Sara! Per l’amor del cielo! Potresti tenere i tuoi pensieri... erotici, per te?!» le bisbigliai imbarazzata mentre le tappavo la bocca con una mano pregando Dio che nessuno l’avesse sentita.

Una risatina generale crebbe lì attorno ai nostri banchi e Sara avvampò coprendosi nuovamente il viso.

«Cavoli Denise, secondo te mi ha sentito?» mi chiese preoccupata nascondendosi dietro i capelli.

«Ma figurati, è dall’altra parte della stanza» la rassicurai posandogli una mano sul braccio, lanciando uno sguardo al ragazzo saccente che se ne stava lì alla porta ignaro.

«Speriamo, comunque vorresti dirmi che non ti fa nessun effetto?» mi domandò poi sbalordita.

Io negai con la testa, vabbene, era un bel ragazzo, ma sicuramente non mi portava a quei pensieri, soprattutto se pensavo alla sua incredibile presuntuosità.

«Denise, seriamente, vai da una psicologa, ne hai bisogno, insomma fatti curare!» esclamò divertita.

«Sara, ho già avuto il fantomatico piacere di parlargli e stai sicura che il suo angelico faccino nasconde un carattere da stronzo fisso» l’avvisai facendo la saputella, pronunciando le ultime parole come se da un momento all’altro sarebbe saltato sul qualche banco e avrebbe iniziato a sbranare qualcuno.

«Come? E quando sarebbe avvenuto tutto ciò?» mi domandò lei prestandomi finalmente attenzione, e sperai che da lì in poi non avrei sempre dovuto parlare di quel presuntuoso perché Sara per lo meno mi guardasse in volto.

Le raccontai ciò che era successo sull’autobus tentando di non lanciarmi contro Nicholas per commettere un omicidio a mani nude davanti all’intera classe, esagerando forse in certi punti ma volevo che si rendesse di più l’idea.

Sara mi deluse molto, ma molto molto, perché se ne uscì dicendo: «Uh, dunque è il classico stronzo-figo, la cosa mi attizza».

Roteai gli occhi e impulsivamente le diedi una botta dove mi capitò, felice nel sentire il suo gridolino di sorpresa e dolore.

Finalmente, dopo tre interminabili ore passate ad ascoltare Sara che mi descriveva ogni singolo dettaglio di Nicholas, suonò la campanella per l’intervallo e mi fiondai subito fuori, uscendo da quella gabbia di matti, o meglio, di matte.

Appena varcai la soglia della porta un’ondata d’aria fresca mi pervase e non badai ai brividi sulla pelle causati dal freddo, l’importante era respirare un’aria nuova che non sapesse da chiuso, come quella della classe.

Guardai le porte delle altre classi spalancarsi velocemente e i ragazzi uscire fuori e mischiarsi insieme nel corridoio spazioso, cercandosi a vicenda in quella folla.

«Denny, io vado un attimo al bagno» mi informò Sara dirigendosi verso la fine del corridoio senza aspettare una mia risposta.

Annuii anche se sapevo che non mi potevo avere visto poiché era girata di spalle e decisi di andare al piano di sopra a prendere qualcosa da bere dalle macchinette.

Non ci andava quasi mai nessuno a quelle del secondo piano, forse perché i ragazzi si dirigevano tutti alle porte d’entrata per uscire in cortile e allora approfittavano di quelle al piano terra.

Infilai entrambe le mani in tasca alla ricerca di qualche spicciolo e poi selezionai una cioccolata calda e mi appoggiai al muro attenendo che lo preparasse, ascoltando la macchinetta lavorare provocando un ronzio insistente.

Chinai la testa all’indietro e chiusi gli occhi sentendomi sovrastare da un senso di stanchezza enorme, non avevo dormito quella notte, ero rimasta sveglia per finire quella stupida relazione che ci aveva assegnato la professoressa Bianchi e come se non bastasse oggi non ci aveva neppure fatto lezione, tutto tempo sprecato.

Mi passai una mano sul volto e mi abbandonai all’ennesimo sospiro.

Appena il ronzio cessò aprii gli occhi e mi affrettai ad afferrare la cioccolata e a portarmela alle labbra, un calore mi riempii la bocca e scivolò giù lungo la gola, scottava ma non importava, faceva un freddo terribile.

Mi voltai e mi affrettai a scendere al piano di sotto, sicura che Sara mi stesse cercando dandomi per dispersa.

Percorsi il corridoio affollato e in un attimo di distrazione andai a sbattere contro qualcuno facendo rovesciare gran parte del contenuto del bicchiere a terra.

«Cazzo!» sbottò una voce, allontanandosi velocemente da me.

Quella voce era incredibilmente profonda ed incisiva e improvvisamente temetti di essere andata contro un professore così mi spostai ed alzai il viso incrociando le dita, anche se quel commento da una persona autoritaria di quel calibro non me lo sarei aspettata.

Sgranai gli occhi quando, invece, scoprii che non era per nulla un insegnante ma bensì quel ragazzo: Nicholas. Probabilmente non avevo ancora memorizzato la sua voce, forse perché le poche frasi che mi aveva rivolto su quell’autobus mi avevano fatto pensare a tutt’altro fuorché a ricordarmi del suono di essa.

In effetti, oltre al nostro episodio, in quelle tre ore non aveva nemmeno aperto bocca, si era limitato a seguire la lezione lanciando sguardi seducenti alle ragazze che sorprendeva intente a guardarlo, e questo confermava il fatto che avevo ragione, era solamente un altro dei tanti fighetti che si credevano i più belli del mondo.

«Scusami» sibilai a denti stretti, giusto per essere gentile, ma senza fingere di non essere molto più interessata al bicchiere in cui non era più rimasto quasi nulla che alla sua felpa verde.

Alzò lo sguardo verso di me e sbuffò irritato.

«Mi hai sporcato la felpa» sbottò lanciandomi un occhiata torva indicando la macchia umida che si era creata sul tessuto, forse nemmeno mi aveva riconosciuta considerando che non aveva detto niente in merito, ma molto probabilmente lui trattava con quel disprezzo tutte le persone.

«Capirai, non si nota nemmeno» mentii roteando gli occhi infastidita.

Si notava perfettamente invece, ma non era di certo la fine del mondo, l’avrebbe lavata o se proprio non ne era capace, cosa molto probabile, ne avrebbe comprata un’altra.

Tanto che aveva di così speciale? Era una semplice felpa verde con il cappuccio, però effettivamente aderiva perfettamente al suo corpo, questa finiva all’altezza del suo sedere che mostrava abbondantemente i suoi boxer blu coperti poi da un paio di pantaloni neri fissati in vita da una cintura dello stesso colore, “fissati” per modo di dire, perlomeno si vestiva bene.

Bah, ma chi li capiva i ragazzi? Sempre con i pantaloni calati e le mutande in bella mostra, nemmeno che fossero un reperto archeologico di incredibile importanza da mostrare al mondo intero.

«Certo, ma ci vedi bene?!» mi domandò con una sfumatura canzonatoria nella voce.

«Ma smettila, che sarà mai? Almeno tu non hai pagato un patrimonio per una cioccolata calda che è poi finita addosso ad un ragazzetto imbecille e presuntuoso!» risposi a tono con un sorrisino in volto.

Aveva iniziato lui e io finivo, la colpa era solo sua. E poi era veramente come lo avevo chiamato, faceva un affare di stato per una macchia su una maglia. E io, che avevo speso i miei ultimi soldi per una cioccolata che non avevo neppure bevuto?

«Se qui c’è un’imbecille questa sei tu, non guardi nemmeno dove vai» rispose lui alzando un sopracciglio per poi soffiare sulla maglia nel tentativo di asciugare la macchia.

«Parli tu, potevi spostarti allora, no?» ribattei incrociando le braccia al petto e accartocciando il bicchiere in una mano.

Lui alzò lo sguardo su di me, rimanendo comunque a capo chino e continuando a soffiare sulla maglia.

Cavoli, avevo ragione però, aveva veramente dei begl’occhi, e ora che lo avevo di fronte e questi si dedicavano completamente a me potevo confermarlo, poiché sull’autobus avevo comunque avuto un incontro abbastanza vicino a essi, ma con gli sbalzi dovuti alle buche e il suo tenerli quasi socchiusi non era stato il massimo, seppur la loro bellezza l’avevo percepita comunque.

Mi fissò un istante per poi scuotere la testa con un sorrisino beffardo sul volto ed allontanarsi nella direzione opposta, aggirando la pozza di cioccolata che si era creata sul pavimento.

E rideva pure? Mi faceva passare dalla parte della stupida anche, con quel sorrisino irrisorio stampato sulle labbra!

In un moto di rabbia strinsi ancora di più il bicchierino di plastica fino ad appallottolarlo e glielo tirai dietro, colpendolo sul collo scoperto dai capelli biondi.

«Stupido!» gli urlai rossa in volto, stringendo i pugni.

Lui si voltò ed aggrottò la fronte, camminando lentamente all’indietro, allargando le braccia con i palmi dischiusi, come a domandarmi quale fosse il motivo di quel mio insulto.

Sperai con tutto il cuore che cadesse o scivolasse, o meglio che andasse a sbattere contro qualcuno, ma non successe, scoppiò invece in una sonora risata, limpida e cristallina, per poi rivoltarsi nuovamente e scendere le scale scomparendo al piano di sotto.

Fantastico, dicevano sempre che non bisognava mai fidarsi della prima impressione, ma se all’inizio mi era solo sembrato un ragazzetto petulante, stronzo, irritante, scorbutico e saccente, ora ne avevo la più piena conferma.

«Sono tornata!» urlai appena aprii la porta di casa.

Nessuna risposta.

«Ehi, mamma? Ci sei?» chiamai sfilandomi la cartella e lasciandola cadere pesantemente a terra.

«Dee? Sono qui, in cucina!» mi rispose e io mi affrettai a raggiungerla iniziando ad apparecchiare.

Dee, come mi chiama lei e, soprattutto, solo lei. Si perché una volta anche Max mi aveva chiamato così e lei era andata su tutte le furie e l’aveva sbattuto fuori di casa. E pensare che erano le prime volte che si vedevano, fossi stato in lui sarei scappato a gambe levate.

«Come è andata oggi?» mi domandò mentre aspettava che l’acqua bolli.

«Bene» risposi solamente sistemando i tovaglioli di stoffa arancione.

«Niente di nuovo?» mi domandò ancora.

Avevo un buon rapporto con mia madre, gli raccontavo sempre tutto, mi piaceva perché in caso avevo dei problemi lei era sempre lì pronta ad aiutarmi e a darmi consigli, sarà che si diverte a fare la sorella maggiore oppure che, dato che lavorava in una rivista per ragazzi, voleva sperimentare i suoi consigli su di me ma non mi costava nulla renderla felice se ciò aiutava anche me, no? Inoltre mi era sempre stata vicina, anche per quella storia di Marco, mi aveva abbracciato e mi aveva lasciato piangere sulla sua spalla sussurrandomi che andava tutto bene, che non era successo nulla e che, in ogni caso, se c’era qualcuno che ci aveva rimesso questo era lui. Certo, aveva detto questo prima di aggiungere: “Dimmi dove abita così mi apposto fuori e appena lo vedo gli faccio vedere io cosa significa prendersi gioco della mia Dee”. Vi immaginate che vergogna? Oltre che ingenua e illusa mi avrebbe pensato anche mammona. Inoltre sapevo che Daniel si sarebbe aggiunto volentieri, doppio imbarazzo.

«No..» dissi istintiva, abituata a risponderle sempre così, ma poi mi affrettai ad aggiungere «Anzi sì, è arrivato un nuovo ragazzo nella nostra classe».

«Ah sì, così, a scuola già iniziata?» domandò sorpresa sistemandosi un ciuffo di capelli che le era ricaduto sul viso.

«Sì, non so perché però».

Mi attorcigliai una ciocca di capelli castani attorno al dito, erano dello stesso colore originale della mamma, ma ora lei li aveva tinti di biondo lasciando però delle striature castane, tutto sommato ci stava molto bene.

«Mmh, e dimmi, è carino?» chiese senza esitazioni, eccola in fase adolescenziale, mai una volta che si possa parlare con lei normalmente, ma se questo a volte mi infastidiva non era lo stesso per Max che lo adorava.

Max era sempre sereno e si capiva quando era in casa perché erano tutti più tranquilli, è divertente e si offre sempre di aiutarci in qualunque cosa: casa, compiti e anche problemi di cuore, sì avete capito bene, ma non me la sentivo di parlare con lui di queste cose, forse perché è un maschio o perché sento di non conoscerlo poi così bene nonostante frequenti mia mamma da molto tempo.

«È questo il problema, mamma. Ma non come pensi tu, non mi piace, per nulla, ma è talmente... non so! Sa di essere carino e tutte le vanno dietro, mi da’ fastidio, chi si crede di essere? È come tutti noi ma pensa di esistere solo lui, capisci?» sbotto irritata sbattendo le posate sul tavolo.

Non dicevo questo solo per l’ ‘incontro-scontro’ all’intervallo ma anche per le restanti due ore di scuola; non aveva fatto altro che lanciare sguardi seducenti a tutte le ragazze, per non parlare di loro, che avevano parlato per tutto il giorno di lui e, non appena suonava la campanella per il cambio dell’ora si fiondavano su di lui, come se fosse stato l’ultima minigonna più in dell’anno rimasta in vendita, e lui apprezzava, non faceva nulla per fermarle o impedire la cosa.

«Sì, ho presente, ma calmati. Vedrai comunque che prima o poi la smetterà. Pensaci, attirerà l’attenzione delle ragazze ma facendo così, comportandosi come se non esistesse nessun altro fuorché lui, non guadagnerà sicuramente la simpatia dei ragazzi. Pensi possa resistere per tanto senza amici?».

Il suo ragionamento non faceva una piega, e allora perché avevo il presentimento che questa storia sarebbe andata avanti per un bel po’? Che non sarebbe finita nel giro di una settimana, né di un mese?

«Me lo auguro» le risposi allungandomi sulla credenza per prendere i piatti, e lo speravo vivamente, altrimenti nel giro di qualche giorno già mi avrebbe assalito una crisi di nervi.

Abbigliamento Nicholas

O - O - O

Note:

Ecco il secondo capitolo, con il romantico incontro fra Denise e Nicholas.

Beh, che ne pensate di lui? Del suo carattere? Insomma, dal poco che si è capito.

Ad ogni modo qui ho introdotto Sara e Michele, Andrea no, scusate ma la parte del capitolo in cui lo descrivevo l’ho cancellata perché non mi convinceva, vedrò di scriverla nel prossimo.

Sotto farò un altro schemino, ancora più giù inserirò le immagini di alcuni personaggi, poi risponderò alle recensioni. :)

Fatemi sapere che ne pensate..

Schemino:

Migliore amica: Sara, 16 anni.

Migliore amico: Michele, 16 anni e mezzo.

Amico: Andrea, 16 anni.

‘Mmh, come definirlo?’(xD): Nicholas, 17 anni.

ImmaGini dei personaGGi:

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Denise Santori:

Ho scelto questa ragazza per Denise.

Non so come si chiami, però ho subito pensato a lei.

Non sono convintissima ma per il momento penso che lei possa andare bene.

QUI c'è l'immagine originale, di Jean Luis David.

Che ne dite?

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Nicholas Mancini:

Prima di guardare la foto vi consiglio di afferrare una bacinella per evitare l’allagamento della stanza.

Eccovi a voi il fantomatico Nick.

Appena l’ho visto, dopo aver sbavato per una buona mezzora, ho subito pensato: «Questo deve essere assolutamente il mio Nicholas!».

E di lui che mi dite? Lo immaginavate diverso?

Lui è Mitch Hewer, per chi volesse cercarselo su internet.

Bene, ora che vi siete rifatte gli occhi proseguiamo. ;)


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Sara Rinaldi:

Eccovi Sara.

Lei è Evangeline Lilly, lo so, non è decisamente una sedicenne, poiché è nata il 3 agosto del 1979,

ma ho trovato questa foto e per il momento mi immagino Sara così.

Comunque è molto bella. :)



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Michele Martini:

Oh sì, ecco a voi uno dei miei personaggi preferiti, per il momento: Michele.

Questo ragazzo è Eduardo Surita, è brasiliano.

Forse è più conosciuto come Dudu Surita, ad ogni modo, adoro i suoi capelli.

Lo so, Michele ha gli occhi blu, scusate, ma non mi andava di modificarla ulteriormente con Photoshop.

Risposte alle recensioni:

Sciona: Inanzitutto grazie per la recensione. Wow, grazie pensavo realmente che fosse noioso (e lo penso tuttora xD). Ad ogni modo anche io mi sono infatuata del mio stesso personaggio, soprattutto dopo aver trovato la foto del ragazzo che in questa storia lo rappresenta. *-*

Ad ogni modo eh già, povera Denny, con quel Marco!

Grazie ancora, spero che continuerai a seguire la mia storiella. :)

Oo_Vanessa_oO: Eccomi qui con il nuovo e secondo capitolo! Che bello, una nuova ‘recensitrice’ (esiste? xD)! Grazie mille per i complimenti, ed ecco il fantastico, quanto classico, incontro fra i due protagonisti. xD

Grazie ancora!

__Claire__: Cambiato il rating, grazie per il consiglio, ora sono più sicura.

Sì lo so, incasinato è incasinato, perdonami! Non so perché ho scelto questo nome per lei, mi piace molto, forse è il suono oppure appunto eprchè non lo scelgono in molti, nonostante io penso sia bellissimo, inoltre ho anche una mia cara amica che si chiama così. :)

Ecco l’incontro casuale fra i due, ammetto che volevo inserirlo nel prossimo capitolo, non in questo ma poi ho notato che lo aspettavate in molte e allora ho cambiato idea. ;D

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Capitolo 4
*** ~ Avviso. ***


s

 

~ Avviso.

 

Non fucilatemi!

Sono consapevole del fatto che è da un casino di tempo che non aggiorno, da più di un mese cavoli.

Scusatemi, non trovo mai il tempo e anche se fosse ciò che scriverei verrebbe immediatamente cancellato.

Sono ferma a questo terzo capitolo, l’avrò scritto più di quattro volte ma nonostante tutto è sempre stato eliminato, tutto quello che butto giù non mi soddisfa.

Non so, magari qualcuna/o di voi può capirmi essendosi trovata/o nella mia stessa situazione.

Comunque non voglio assolutamente chiudere questa fic, anzi ho tantissimi progetti per questa storia.

Spero di trovare a breve questo spunto, casomai pubblicherò quello che mi ispira di più. :)

A prestissimo spero, ellie.

 

P.s: non c’è assolutamente bisogno di qualche commento,  ho solo scritto questo avviso per farvi sapere che sono ancora viva e che non ho dimenticato per nulla questa ff. :)

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