Huzi

di Melanto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 (parte I) ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 (parte II) ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 (parte I) ***
Capitolo 23: *** Capitolo 21 (parte II) ***
Capitolo 24: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 23 (parte I) ***
Capitolo 26: *** Capitolo 23 (parte II) ***
Capitolo 27: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 28: *** Epilogo - 28 anni dopo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Huzi

- Capitolo 1 -


La Jeep inchiodò con un leggero stridio dei freni, fermandosi innanzi allo spiazzo che circondava il nuovo stadio di Nankatsu.
La vernice verde mimetico della carrozzeria era abbondantemente schizzata di fango, soprattutto sulla parte anteriore: parafango, cofano e portiere.
“Sei sicuro di volerci andare?”. Il giapponese di Ricardo era un vero spasso per le orecchie: si trascinava le parole, con la sua cadenza ispanica, sbagliando la maggior parte delle intonazioni; era al volante del mezzo ed osservava l’alta struttura in cemento, mantenendo il motore acceso ed aspettando una risposta.
“Se non ci vado, credo che Sanae vorrà il mio scalpo.” gli rispose con un sospiro, afferrando il consunto cappello da cow-boy che tante volte gli aveva evitato un’insolazione, mentre scalava le vette dell’America Centrale. Se lo calcò sui corti capelli scuri, scendendo dalla Jeep. Si portò poi le mani ai fianchi, assumendo un’espressione critica nei confronti dello stadio che era stato tirato su dal nulla, quattro o cinque anni prima, e battezzato in onore del campione Tsubasa Ozora che, proprio da Nankatsu, aveva cominciato la sua formazione che lo aveva portato ai massimi livelli.
“Santoddio se è brutto!” esclamò sollevando un po’ la tesa, mentre la risata di Ricardo lo raggiunse strappando un sorriso anche a lui.
“Dai, magari dentro è migliore!”.
Lui fece spallucce. “Ah, lo spero! Tsubasa si merita qualcosa di più di questa specie di mausoleo!" poi si volse ad osservare l’amico, richiudendo la portiera “Tu vai in dipartimento?”.
Rick annuì e lui aggiunse “Allora ci vediamo là, non credo che mi fermerò molto. Ho l’ufficio da sistemare e devo aggiornarmi sugli ultimi tre anni di monitoraggio.”.
L’altro alzò gli occhi al cielo “¡Madre de Dios! Potresti non pensare al lavoro una volta tanto? Siamo appena tornati!” esclamò contrariato “Il tuo ufficio sarà esattamente come lo hai lasciato e le scartoffie non saranno scappate all’estero quindi rilassati, per favore, e goditi la tua bella rimpatriata!”.
“Ci vediamo in dipartimento.” fu la risposta che ottenne e sbuffò rassegnato.
¡Sì señor!” ingranò la marcia e si allontanò, sollevando una tenue scia di polvere.
Lui rimase per un attimo immobile, osservando la vettura che veniva inghiottita dal traffico cittadino per poi scomparire tra le strade della sua vecchia città cui, volente o nolente, finiva per ritornare. Si soffermò sulle case regolari e dall’architettura familiare, che risplendevano sotto il sole tiepido di quel primo pomeriggio di Febbraio, fino ad inquadrare l’imponente figura del Fuji che si stagliava, nitida ed incredibilmente elegante, ad alcuni chilometri di distanza. Sorrise abbassando la tesa del cappello e dirigendosi verso l’entrata dello stadio Ozora.
Un mostro dalla ovaleggiante struttura in cemento, con delle colonne in fuga verso l’alto, dalla forma trapezoidale, che dovevano rappresentare delle ali stilizzate.
“Hurrà la fiera del kitsch!” mormorò, trattenendo una risata. Per fortuna l’ingresso era decisamente più sobrio e moderno. L’ampio atrio aveva, nell’immediata destra e sinistra, due uscieri di guardia ai corridoi che portavano alle curve; nel centro c’era il bar. Un paio di giovani venditori di bibite avevano appena appoggiato le loro ceste sul bancone e si erano seduti a parlottare. In alto, sopra l’insegna, c’erano delle cornici con le foto di Tsubasa ed alcune magliette che erano state indossate dal campione: quella delle elementari, quella delle medie, quella del San Paolo e quella del Barcellona. In testa a tutte campeggiava una gigantografia della Nazionale e la maglia numero 10 del capitano.
Avanzò di qualche passo, con le mani nelle tasche dei pantaloni, ad osservare meglio quei cimeli.
Santo Dio, le elementari!
Quanti anni erano passati da allora? Fece un enorme balzo indietro con la memoria, rivedendosi bambino insieme a Tsubasa, Ryo, Genzo e tutti i suoi compagni di squadra alla Nankatsu, quando l’unico problema era quello di non avere paura dei tiri di Hyuga. Sorrise, osservando la foto immediatamente sotto: erano tutti lì. Dei piccoli soldi di cacio sorridenti, stringevano il trofeo della vittoria al Campionato Nazionale. Rivedersi gli fece uno strano effetto, soprattutto rivedersi sorridente. Era una sensazione decisamente malinconica, ma di quelle in senso positivo: non intristiva, ma lasciava pensieroso; con quel gusto agro-dolce nel mezzo sorriso che riusciva a strapparti.
Quando decise di aver ricordato abbastanza, si diresse all’usciere fermo alla destra della porta, e che lo guardava in modo curioso da quando aveva messo piede nello stadio Ozora. Pescò il biglietto che Sanae gli aveva mandato all’indirizzo della casa che aveva a Nankatsu, e che lui aveva trovato solo la sera prima quando era finalmente rientrato in Giappone. Tra tutta la posta che si era accumulata nei suoi tre anni di assenza era comparsa una busta con indirizzo scritto a mano in delicata grafia femminile. Quando l’aveva aperta ne aveva cavato un biglietto per lo stadio ed una breve lettera.

“Si dice che la speranza sia l’ultima a morire, ed io sono notoriamente una persona testarda. Sono anni che nessuno riceve più tue notizie e stiamo seriamente pensando di chiamare qualche trasmissione che si occupi di persone scomparse! Ma si può sapere dove sei, Prof? Avresti dovuto accettarla quella dannata cattedra all’Università, così non saresti scappato in giro per il mondo! Ok, basta paternali! Ti lascio un biglietto per la partita che la Nazionale Giapponese giocherà, tra circa un mese, contro la Germania. Sarà una pacifica amichevole, vedi di esserci (se puoi!!!). Altrimenti sguinzaglieremo l’Esercito della Salvezza!
Fai il bravo, Prof, sii prudente e metti la maglia di lana!

Con affetto.
Sanae Ozora”

Aveva sorriso, leggendo quelle brevi righe, e, per quanto lo allettasse davvero poco rivedere tutti i vecchi amici e compagni di squadra, sapeva di non poter deludere, ancora una volta, le aspettative della sua ex-manager. Per questo, ora era lì e porgeva il biglietto all’usciere.
“E’ in ritardo, signore…” disse questi, strappando lungo il bordo tratteggiato “…è appena cominciato il secondo tempo.”.
Lui sorrise “Sì, lo so, ma devo smaltire un cambio di fuso orario piuttosto consistente.”.
L’altro annuì, aprendo il cordone “Buon divertimento.” augurò, lasciandolo passare.
“Grazie.” e si avviò lungo il corridoio alla fine del quale poteva scorgere una scalinata.
Le grida dei tifosi erano un sommesso mormorio, che diveniva sempre più forte a mano a mano che si avvicinava all’uscita. Approvazione, disapprovazione, incitamenti, cori che chiamavano a gran voce Tsubasa Ozora si facevano più chiari e distinti, più trascinanti. Accidenti, aveva dimenticato la bolgia di una partita di calcio, soprattutto della Nazionale, ma, nell’ultimo periodo, a stento si ricordava come fosse fatto uno stadio.
Salì la scalinata senza troppa fretta, immergendosi lentamente in quel trambusto entusiasmante che sapevano creare i tifosi dagli spalti e che lo calarono in una realtà che, un tempo, era stata anche sua.
L’interno dello stadio era decisamente più grande di quanto avesse immaginato vedendolo dall’esterno e le gradinate erano strapiene di gente. Quanti potevano essere? Cinquantamila? Sessantamila persone? Nankatsu stava divenendo qualcosa di più di una semplice cittadina per cui le due scuole si davano aspra battaglia per accaparrarsi il campo da calcio lungo il fiume. Aveva fatto il primo passo per trasformarsi in una città vera e propria, di quelle con la ‘C’ maiuscola, dotate di traffico e smog.
Avanzò di qualche passo per appoggiarsi alla ringhiera dalla quale poteva dominare l’intero terreno di gioco su cui, le due Nazionali, cercavano di aggiudicarsi il possesso della sfera.
Vide i suoi ex-compagni correre a perdifiato da una parte all’altra, nelle loro mise azzurre ed inconfondibili, mentre la Germania, con il suo completo verde, si difendeva o cercava di rubare palla agli avversari. Vide Tsubasa saltare agilmente Schneider. Accidenti se ne aveva fatta di strada il capitano. Il Kaiser ormai non era più un nemico in grado di impensierirlo e lo diceva anche il risultato che scorse sul tabellone: un secco 3 a 0 per il Giappone.
Riconobbe Hyuga e Misaki che davano man forte al capitano; Shingo Aoi e le sue acrobazie che, con l’età, aveva affinato tecnicamente; Matsuyama che comandava la difesa insieme ad Ishizaki. Per il resto erano tutte facce nuove. Di sicuro le giovani leve che cominciavano ad emergere, la nuova Generazione D’Oro. Osservò la porta: Wakabayashi faceva da Santo protettore. Beh, se non avevano messo Ken, significava che la sfida Genzo-Karl era ancora abbondantemente aperta.
In panchina individuò il resto della truppa: Jito parlava con i Tachibana Bros.; Soda restava a braccia conserte, non gli era mai piaciuto scaldare la panca; del Trio Shutetsu era presente solo Izawa: Santo Cielo, Mamoru si era tagliato i capelli? Sorrise all’idea di lui senza la zazzera, che invece Wakashimazu aveva fatto allungare ancora di più, parlava con Sawada.
Affondò la mano in uno dei tasconi laterali del pantalone, cavandone un pacco di Marlboro. E dove l’aveva messo l’accendino? Dannazione finiva sempre per perderlo, in tre anni ne aveva persi più di un centinaio tra le battute di Ricardo e gli sbuffi di Toshi che lo accusava di essere un ‘ladro di accendini’. Si tastò la giacca trovandone uno e non era di Sugihara, ma uno degli zippo pacchiani di Rick.
“Beh, consolati Toshi…” si disse, portando la sigaretta alla bocca “…almeno non li rubo solo a te!” accese il tabacco, tirandone una lunga boccata, ed incrociando le mani sotto al mento. Con il pollice sfiorò lentamente i due cerchietti di sottile oro rosso che portava all’anulare sinistro.

“Forza papà!” incitò un bambino sui sette anni, sbracciandosi come un ossesso dalla ringhiera che separava le gradinate alte da quelle basse “Sei il migliore!”.
“Hayate Ozora!” tuonò imperiosa una voce di donna alle sue spalle “Non sporgerti troppo, signorino, e questa è la quarta volta che te lo ripeto!” ma nel suo tono non c’era rabbia, quanto una vena di preoccupazione per la paura che potesse farsi male.
“Sì, mamma.” borbottò il piccolo, assumendo un contegno mortificato, per poi tornare ad osservare il padre che volava verso la porta avversaria superando tutti gli altri giocatori. Il numero 10 oscillava sul retro della maglia.
Sanae scosse il capo con un sospiro “E’ proprio un monello!” esclamò, incrociando le braccia al petto, mentre Yukari rideva, al suo fianco, spingendo avanti ed indietro una carrozzina triposto dove tre frugoletti, imbacuccati fino ai denti, sonnecchiavano tranquillamente senza curarsi del frastuono che i tifosi, attorno a loro, stavano orchestrando, anzi avevano avuto quasi l’effetto di una ninna nanna. Sulle gambe reggeva una quarta bambina, sui quattro anni o poco più, che osservava compostamente la partita, battendo le mani entusiasta appena il padre toccava palla.
“Suvvia, è pur sempre figlio tuo e di Tsubasa e nemmeno voi, da piccoli, eravate delle acque chete!” le disse e Sanae le strizzò l’occhio.
“Anche questo è vero!”.
“Pensa a me e a quando questa specie di Banda Bassotti comincerà a gattonare per casa!” sospirò l’altra, alzando lo sguardo al cielo “Meno male che Mika è un gattino silenzioso, vero tesoro?” e le diede un bacio sulla testa dai lunghi capelli scuri che le aveva acconciato in due simpatiche codine di cavallo.
Sanae le sorrise, dando poi una rapida scorsa all’orologio che portava al polso. Inarcò un sopracciglio, sbuffando “Non è venuto.” disse attirandosi l’occhiata incuriosita di Yukari.
“A chi ti riferisci?”.
“Al Prof…”.
L’altra sembrò animarsi “Lo hai sentito?”.
Ma Sanae scosse il capo, spegnendo il suo entusiasmo “Gli ho mandato una lettera con il biglietto per lo stadio, un mese fa. Ma a quanto pare non deve ancora essere tornato in Giappone.”.
“Senti, io non vorrei fare l’uccello del malaugurio, ma non pensi che sarebbe davvero il caso di chiamare quelli che cercano le persone scomparse?”.
La signora Ozora sospirò “Quasi quasi…” e mosse il suo sguardo all’ingresso laterale, a svariati metri da loro, più in un gesto meccanico che nella speranza di vederlo comparire davvero all’ultimo momento. Ma c’era solo un tizio, con uno strano cappello da cow-boy, che fumava appoggiato alla ringhiera della balaustra.
- Bel cappello! - pensò soffocando una risata; doveva essere di sicuro uno straniero per come era vestito. Indossava dei pantaloni verde militare, strapieni di tasche, ed un giubbetto scuro pseudo-invernale, forse troppo leggero per quel periodo.
Poi inarcò un sopracciglio - E se fosse… - cominciò a formulare, credendo a stento alla sua stessa ipotesi, eppure… che le costava controllare?
“Yukari tieni d’occhio Hayate per un secondo!” disse alzandosi e cominciando ad avviarsi con fare disinvolto verso il cow-boy, mentre l’amica assumeva un’espressione interrogativa senza riuscire a capire.
Sanae camminava a passo sicuro, scrutando il profilo che lo sconosciuto le offriva, seminascosto dal cappello, e fu quando si girò di più verso di lei che lo riconobbe, dipingendo un largo sorriso ed aumentando l’andatura.
Era proprio il Prof.

Tirò un’altra lunga boccata dalla sigaretta esalando, poi, una grigia nuvoletta di fumo che si disperse rapidamente, mentre una pungente brezza se la trascinava lontano.
Beh, ora che era arrivato avrebbe dovuto cercare Sanae.
Pescò, dalla tasca della giacca, il biglietto con il numero del posto a sedere e fece per allontanarsi dalla ringhiera quando, una voce di donna, gli si rivolse con una punta di finto rimprovero.
“Allora è proprio vero che la speranza è l’ultima a morire!”.
Si volse alla sua sinistra ad incrociare una minuta figura, avvolta in un piumino nero, ferma ad alcuni passi da lui. Due vivaci occhi scuri lo osservavano in attesa di una sua risposta e manteneva le mani ai fianchi. Semplicemente inconfondibile.
“Così pare.” disse lui sorridendo, mentre le vedeva accorciare anche l’ultima distanza.
“Fatti abbracciare, straniero!” esclamò buttandogli le braccia al collo.
“E’ bello rivederti, manager.” e lo pensava davvero. Nonostante la reticenza iniziale, che aveva provato la sera prima quando aveva trovato la lettera, ora non gli dispiaceva affatto trovarsi lì.
“Bentornato a casa, Yuzo.”.


…E poi Bla bla bla…

Allora, due parole da spendere riguardo questa fanfiction, credo siano quantomeno doverose.
Erano anni, circa un paio, che pensavo di scriverne una di questo genere. Ed il motivo è semplice: fa parte di me. È l’argomento che più mi è vicino e per il quale sto studiando affinché possa diventare il mio futuro.
Probabilmente, da questo primo capitolo, non si capirà nulla. Ad ogni modo, il capitolo successivo sarà totalmente chiarificatore, fidatevi di me.

…perché ‘Huzi’?
I più informati avranno capito cosa esso significhi… eppure vi posso assicurare che lo conoscete tutti, ma, cambiando il nome, ho voluto mantenere un filino di mistero. E poi trovo che suoni meglio! XD per gli altri… capirete più avanti cosa esso sia (no, non sono deficiente! XD).
 
…l’idea di base…
…nasce fondamentalmente da un mio “E se…?” dopo aver letto nel manga (precisamente al volumetto n°40) che Yuzo aveva rinunciato all’Università pur di andare in ritiro con la Nazionale guidata dal neo-promosso Minato Gamo. Ecco… e se invece ci fosse andato? Abbandonando, in tal modo, il calcio?
Non ho messo AU in quanto gli eventi si svolgono alcuni anni nel futuro degli attuali Road to 2002 e Golden 23.
Ammetto di essermi divertita non poco ad ideare un probabile futuro per i cari personaggi di Zio Taka XD (Izumi se vuoi il mio scalpo, questo è il momento giusto per prendertelo! XD).
 
Ringraziamenti:

  • Al Diofà, che una mano ti dà, e a me ne ha date due leggendo ogni capitolo in anteprima e dandomi il suo parere. Tesoro, io so quale è la fanfiction che stai aspettando: stai tranquillo, a breve riuscirai a leggere la seconda parte del capitolo due! Ti amo, Diofà. La tua Madonnafà, colei che tutto sa! XD 
  • A Sakura-chan, la mia ‘acchiappa-svarioni’ (ovvero: betareader!XD) di fiducia che, nonostante i tanti impegni, s’è fatta la croce ed ha ricontrollato il materiale prima della sua pubblicazione. 
  • Alle compagne di MSN *.*, con le quali passo i miei pomeriggi a sparare minchiate su CT! XD
  • A Maki-chan, che non leggerà mai ‘sta fic a prescindere XD, ma che si merita comunque una menzione speciale perché è la mia ‘cumpagnella’ di bakate! Oibò! è_é
  • A Yuzo Morisaki, il personaggio cui sono più affezionata in assoluto. Sarà perché, a livello caratteriale, siamo terribilmente simili: sfigati fin nel midollo, armati di incrollabile pazienza, buoni dentro, fuori e tutt’intorno e senza grandi potenzialità, ma che fanno il loro porco lavoro con tutto l’impegno possibile.
  • A Zio Takahashi: anche se ti smadonno spesso e volentieri (XD) sappi che ti ringrazio. Grazie di aver creato Captain Tsubasa ed il mio Yu-chan. Soprattutto, grazie di averlo creato così com’è (pucciosamente sfigato!*.*)!

Credits:

  • I personaggi di Captain Tsubasa appartengono al suo creatore, Yoichi Takahashi, che ne detiene qualsiasi diritto.
  • I personaggi che esulano dal mondo di Captain Tsubasa sono nati da me medesima e, pertanto, mi APPARTENGONO (ci vorrebbe la faccina blinko-bastarda, cazzarola! -.-').

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Huzi

  - Capitolo 2 -

Sanae si sciolse dall’abbraccio, osservandolo con occhio critico. “Ma guarda come sei abbronzato! È incredibile: noi qui, preoccupati per te, e tu spaparanzato a prendere il sole!” scherzò, prendendolo sotto braccio. “E questo cappello? Non avrai rinunciato alla cattedra all’Università per correre dietro a vacche e buoi spero!”.
Lui rise, lasciandosi guidare dalla manager. “Non è il massimo del fashion, ma ha impedito che mi abbrustolissi il cervello in Guatemala.”.
Lei parve sorpresa “Guatemala? Ma non dovevi essere in Indonesia?”.
“Solo per sei mesi, gli altri due anni e mezzo li abbiamo passati nel Centro America. Il Pacaya[1] ha fatto dei bei fuochi d’artificio.”.
“Ora mi racconti tutto, ma prima vieni a salutare Yukari… e la sua prole!”.
“Prole?!” fece eco inarcando un sopracciglio. L’ultima volta che l’aveva vista, la signora Ishizaki, era in attesa del primo figlio, anzi ‘figlia’ visto che era una femmina.
Avanzarono a passo deciso fino a che Yuzo non riconobbe Yukari affiancata dalla più grande carrozzina che avesse mai visto, e si ritrovò a strabuzzare gli occhi.
“Salute!” esclamò, mentre Sanae se la rideva di fianco a lui, fino a che non furono abbastanza vicini, poi la ex-manager esordì.
“Ehi Yukari!”.
La giovane, sentendosi chiamare, si volse ad incrociare lo sguardo dell’amica, per poi soffermarsi sul suo accompagnatore. I suoi occhi si allargarono per la sorpresa appena lo riconobbe “Prof!” esclamò, prendendo in braccio la figlia per alzarsi e salutarlo. “Oh mio Dio! E dire che noi stavamo davvero per fare la denuncia della tua scomparsa, vero Sanae?”.
La signora Ozora annuì con decisione.
“Come siete esagerate, stavo solo lavorando…” tentò di difendersi.
“Ed è quello che ci preoccupa di più: lavori troppo!” lo redarguì Yukari, tornandosi a sedere.
“Oh beh, anche tu ti sei data parecchio da fare, a quanto vedo!” ed indicò i pargoli con un cenno del capo, lei arrossì.
“Scemo!”.
“Non sono bellissimi?” domandò Sanae e lui sbirciò i tre gemellini dai pugnetti stretti e le espressioni teneramente sopite.
Sorrise. “Questo lo hanno preso da Ryo.” disse sedendosi accanto alla manager, che lo separava da Yukari “Anche lui dormiva, sempre e comunque, indipendentemente dal rumore che lo circondava!”.
“E’ vero!” rise la moglie del difensore.
“E questa graziosa signorina?” domandò, sollevando leggermente il cappello in cavalleresco saluto.
“Lei è Mika, la primogenita. Saluta, tesoro.”. La bambina gli rivolse un timido sorriso, arrossendo, per poi nascondersi tra le braccia della madre, che la strinse “Si vergogna.” bisbigliò quest’ultima.
“Complimenti Yukari, hai una bellissima famiglia.” lo disse senza malinconia nella voce e Sanae non seppe se sentirsi sollevata o meno per questo, ma, prima che potesse dire qualcosa, venne interrotta da una vocina squillante a lei ben nota.
“Mamma! Mamma!” il piccolo Hayate corse verso la donna, poggiandosi contro le sue ginocchia “Hai visto? Papà ha fatto una cosa bellissima!” e, mentre lo diceva, aveva gli occhi che brillavano nello stesso identico modo di Tsubasa. “Ha preso la palla, poi ha saltato tre giocatori!” e mimava l’intera sequenza. “Poi ha fatto un passaggio in rovesciata e…” solo allora si accorse dell’altra presenza accanto alla madre.
Dal canto suo, Yuzo lo osservava in attesa che continuasse la sua personale telecronaca. Hayate si mise le mani dietro la schiena, recuperando un improvviso contegno.
“Ciao.” disse rigirando la punta del piede per terra.
“Ciao a te. Vediamo se indovino, tu sei Hayate?”.
Il piccolo annuì “E tu sei un cow-boy?” domandò osservando il suo cappello.
Lui scosse il capo, sorridendo.
“Ma conosci la mia mamma?”.
“Sì, ed anche il tuo papà!” poi si tolse il vecchio copricapo e glielo mise in testa. L’oggetto era enorme e gli cadde sul viso. Hayate se lo tirò su sorridendo.
“Tu sì che sembri un cow-boy!” esclamò l’ex-portiere della Nankatsu, facendogli il segno della pistola con due dita.
“Ora corri a fare il tifo per papà, tesoro! Altrimenti non vincerà se non lo inciti!” gli disse Sanae ed il bambino annuì con convinzione, correndo di nuovo alla ringhiera, e tenendosi ben stretto il cappello sulla testa.
“Accidenti se è cresciuto anche lui.” esclamò Yuzo, con un sorriso. Quando era partito, Hayate aveva circa quattro anni e già rotolava dietro ad una palla, ora era divenuto un ometto identico a suo padre. “Ha lo stesso entusiasmo di Tsubasa. Scommetto che è già un piccolo campione!”.
“Puoi dirlo forte!” rise Sanae, scuotendo il capo “Ha il pallone incollato ai piedi! Eh, tali padri...!” poi si decise a rivolgergli uno sguardo indagatore “Bene, bene!” cominciò, pungolandogli un fianco con l’indice “Ora però non cercare di cambiare discorso: voglio il resoconto di questi anni di silenzio! A proposito, quando sei rientrato?”.
Yuzo si passò una mano tra i corti capelli scuri. “Ho messo piede in casa ieri sera e, come benvenuto, ho trovato una montagna di posta davanti la porta!” disse con un sorriso “Così l’ho passata tutta al setaccio, ed è spuntata la tua lettera… tra la partecipazione al matrimonio di Mamoru, di due anni fa, e quelle dei tre matrimoni di Genzo…” scosse il capo, incrociando le braccia al petto e rilassandosi contro lo schienale del posto su cui era seduto. Con lo sguardo osservava il portiere giapponese fermo tra i pali “Santoddio, ma la smetterà di comportarsi come un bambino? Tre matrimoni in meno di un anno…”.
“Sta preparandosi al quarto.” affermò Sanae annuendo “Lo sai che non è fatto per il matrimonio, deve solo rendersene conto.”.
“E meno male che ho saltato gli altri tre!” rise lui “E Mamoru, invece, come va?”.
“Kumi è incinta.”.
“Ah, però. Almeno lui la testa a posto l’ha messa. E si è pure tagliato i capelli!” poi sospirò teatralmente “Eh… questo è amore!”.
Sanae gli diede una gomitata, mentre lui sghignazzava senza ritegno “Quanto sei cinico!” lo rimproverò con un sorriso.
“Scusa, scusa, hai ragione.”. Poi mosse lo sguardo oltre Yukari, aggiungendo “E dov’è la futura mamma?”.
“E’ con Yayoi, stanno organizzando la festa di stasera…”.
Mentre lei parlava, Yuzo estrasse un’altra sigaretta dal pacchetto, portandola alla bocca. “A proposito di Yayoi, non ho visto Jun né in campo né in panchina.” e si mise a cercare lo zippo nelle tante tasche “Come mai? Si è ritirato dalla Nazionale?... ma dove diavolo…!”.
Sanae rimase a fissare i suoi movimenti per qualche secondo, sfilandogli poi la sigaretta dalle labbra. Lui la osservò con espressione interrogativa, senza smettere di tastare la giacca. Era divenuta improvvisamente seria.
“Ho provato a mandarti un’e-mail, ma già da un paio di anni mi ritornavano indietro perché il tuo account era troppo pieno.” gli disse, rigirando il rotolino di tabacco tra le dita. “Da quanto tempo non lo controlli?”.
Lui aggrottò le sopracciglia, alzandosi in piedi per frugare nelle tasche dei pantaloni. “Più o meno da quando sono partito. A dire il vero non ricordo più nemmeno il mio indirizzo! Ah, eccolo!” esclamò infine, estraendo lo zippo da uno dei tasconi.
“Jun è morto.”.
L’accendino gli scivolò dalle mani senza che lui nemmeno tentasse di riprenderlo e toccò terra con un secco rumore metallico. Rimase come paralizzato, mentre teneva lo sguardo fisso in quello di Sanae. La bocca semiaperta e l’incapacità di formulare alcuna domanda, tanto era lo sconcerto. Poi sbatté un paio di volte le palpebre, come a tentare di riprendersi.
“Puoi… puoi ripetere?” ebbe solo la forza di chiedere.
Sanae raccolse lo zippo, che era rimasto a marcire ai suoi piedi, e glielo porse insieme alla sigaretta. “E’ successo l’anno scorso.” cominciò la donna, mentre lui si sedeva lentamente “Il suo cuore, alla fine, ha ceduto.”.
Yuzo osservò la sigaretta per qualche secondo, facendo un paio di profondi respiri, poi se la portò alle labbra accendendola quasi con un gesto di rabbia. “Ma non lo avevano rimesso a nuovo?” domandò osservando, senza realmente vederlo, il campo da calcio.
“E’ stata una cosa improvvisa. Tutti sapevano che per lui il rischio di infarto era più alto che per altri, ma nessuno si aspettava che potesse colpirlo così presto.”.
Esalando una densa nube di fumo grigio, Yuzo cercò di fare mente locale: Jun Misugi era morto a 29 anni.
“Yayoi come sta?” ma era una domanda della quale conosceva già la risposta.
“E’ stata dura…”.
E lui poteva immaginare quanto.
“…ma ora sembra aver trovato nuova forza, per andare avanti, nei suoi figli e nell’associazione benefica che ha fondato in ricordo di Jun.”.
Yuzo si massaggiò gli occhi, che ancora non si erano abituati al cambio di fuso orario, e li sentiva pesanti per la stanchezza. “Cristo…” mormorò tra i denti in una specie di sospiro.
“Va tutto bene, Prof?”.
“Sì, sì certo.”.
Sanae gli prese una mano, attirandosi il suo sguardo “E tu come stai?”.
Ma non era una di quelle generiche domande di circostanza a cui rispondere ‘io bene e tu?’.
Lui fece un profondo sospiro, mentre cercava la risposta giusta ad un quesito al quale si era sempre sottratto ogni maledetto istante in cui non pensava al suo lavoro. “Mi avevano detto che il tempo sarebbe stata l’unica cura.” cominciò “Ma sono passati quattro anni ormai, e a me sembra ieri che le ho detto addio.”.
“Forse hai solo bisogno di ancora un po’ di tempo, non credi?”.
“Sì… ancora un po’…” fece eco, mentre un sorriso triste gli incurvava le labbra.
“Perché non ti trasferisci? Vendi l’appartamento e cambia città. È così piena di ricordi quella casa, non ti fa bene.”.
Lui fece spallucce “Figurati, tanto sono sempre fuori. E forse non sono ancora pronto per lasciarmeli alle spalle.”.
“Non sei ancora andato a trovarla?” domandò, addolcendo il tono “Zio Hiroshi se n’è preso cura durante la tua assenza e non le ha mai fatto mancare le bocche di leone che le piacevano tanto.”.
Yuzo annuì “Lo dovrò ringraziare, ad ogni modo volevo passare nel pomeriggio.” diede una lunga aspirata dalla sigaretta, alzandosi lentamente, mentre Sanae lo guardava perplessa.
“Ma come? Vai già via?” domandò dispiaciuta.
“Sì, essendo rientrato solo ieri sera, ho molte cose da fare: passare in dipartimento, disfare le valigie...” poi indicò la sua giacca “...cercare qualcosa di più appropriato da mettere! Se non mi cambio finisce che mi pianto a letto con la bronchite!”.
La manager sorrise, mettendo mano alla borsa che aveva adagiato accanto a lei. “Prima che tu vada...” disse estraendo una busta in carta di riso di un tenue color paglia “...questo è l’invito per la festa di beneficenza di stasera, Yayoi l’ha organizzata in memoria di Jun. Ovviamente tu verrai, altrimenti ti vengo a prendere fino a casa!”.
L’espressione del giovane fu piuttosto eloquente, mentre afferrava l’invito con due dita, nemmeno fosse stato un oggetto radioattivo. “Ma... devo proprio? Lo sai che gli eventi mondani non sono il mio forte...”.
“Vedi di non fare storie, Prof! Non vorrai darti alla macchia così di fretta spero! E poi hai tutti gli altri da salutare, non provare a scappare! Per non parlare del fatto che dovresti farla una visita a Yayoi, visto che non sei nemmeno andato al funerale di Jun!”.
Lui osservò lo sguardo severo che Sanae gli stava rivolgendo, emettendo un profondo sospiro: non aveva scampo. “Va bene, va bene...” acconsentì, dando una scorsa al biglietto che era all’interno della busta, per poi esclamare “Naaaa, e dove lo prendo un ‘abito scuro’? Non ho nulla di elegante!”.
“Poche storie! Per quel che mi riguarda vai benissimo anche in jeans, ma non cercare stupide scuse! Sono stata chiara?”.
“Sissignora.” e, dopo aver salutato anche Yukari, fece per allontanarsi quando Hayate lo richiamò.
“Signore! Il tuo cappello!”.
Yuzo glielo calcò meglio sulla testa. “Tienilo tu, campione, e non fare arrabbiare la mamma!” disse strizzandogli l’occhio, ed il bambino annuì energico, sorridendo. Il giovane gli volse le spalle e se ne andò, dando un’ultima occhiata al campo.
In quel momento, l’arbitro fischiò la fine dell’incontro.
 
Il VRC[2], Volcano Research Center, era una sezione distaccata dell’ERI[3], Earthquake Research Institute, dell’Università di Tokyo. La sede principale si trovava nella capitale, ma l’ingente quantitativo di vulcani sul territorio aveva richiesto la disseminazione di numerose stazioni di osservazione, ed anche la città di Nankatsu aveva la sua. Si presentava come uno squadrato palazzone a cinque piani, il cui tetto era stracolmo di parabole di tutte le grandezze.
Era situato in una delle zone più periferiche della città, alle cui spalle si ergeva, bellissimo, il Monte Fuji con la sua caratteristica vetta innevata.
Yuzo ne varcò l’anticamera, estraendo la sua tessera magnetica. La fece passare nella macchinetta situata accanto alla porta scorrevole, che si aprì lentamente con un ronzio dopo che ebbe riconosciuto i suoi dati presenti sul tesserino. La guardia Shiguro gli rivolse un sorriso appena lo vide.
“Bentornato, Professore Morisaki.” disse, togliendosi il cappello “Siete stato via parecchio questa volta.”.
“Salve, Shiguro.” salutò di rimando, imboccando le scale di fianco al più pratico ascensore. “Più a lungo del solito, sì.” rispose con un sorriso, eclissandosi lungo la tromba.
La sua destinazione era il terzo piano.
Salì gli scalini con il solito passo spedito, simile ad una corsetta. Da che lavorava all'FVO, Fuji Volcano Observatory, non aveva mai preso l’ascensore, per due motivi precisi: 1) era giovane e le scale le poteva fare anche ad occhi chiusi, 2) in caso di terremoto era meglio non essere nel mezzo metallico. Eppure, quando giunse al terzo piano, si disse che non era poi tanto giovane visto che aveva un leggero affanno. O era colpa del fumo degli ultimi quattro anni? Naaa era solo perché stava invecchiando, ovvio! L’anno prima, mentre osservava il Pacaya insieme alla sua squadra, Ricardo gli aveva fatto notare la comparsa del suo primo capello bianco. L’avevano ribattezzato ‘Paco’ in onore del vulcano guatemalteco.
Sorrise tra sé.
- Quante scuse pur di non ammettere che dovrei smettere di fumare! -.
E varcò la porta a vetri dalla quale si poteva vedere l’interno: numerose scrivanie erano disposte in file ordinate, ma sormontate da scartoffie e computer. Tecnici e ricercatori mantenevano sotto costante controllo non solo il gigante dormiente alle loro spalle, ma erano in contatto diretto sia con le sedi centrali – dell’ERI e del VRC – che con tutte le altre succursali sparse sul territorio, creando come un filo continuo di informazioni che attraversava l’intero Giappone: dall’Hokkaido al Kyushu.
“Ed ecco Michael Jordan, signori e signore, che tenta il tiro da tre punti!” disse Ricardo, lanciando una pallina di carta dall’altra parte della stanza, mentre Toshi gli reggeva il cestino della spazzatura adibito a canestro.
Yuzo osservò la pallina disegnare un arco sopra la sua testa e centrare il bersaglio, mentre l’esecutore del tiro balzava in piedi esultando “E segna!”.
Lui scosse il capo “Buonasera.” disse a voce alta.
“Prof!” esclamò Rick “Ma non ti avevo detto che dovevi goderti la tua rimpatriata?!”.
“Ed io non ti avevo detto che sarei passato ugualmente?”.
“Sei un dannato stacanovista!” borbottò, incrociando le braccia al petto.
“E tu uno sfaticato. Mettiti al lavoro. Voglio sapere cosa è successo al Giappone negli ultimi tre anni.” l’altro sbuffò, cominciando a smanettare sulla tastiera, mentre lui se la rideva rivolgendosi a Toshi. “Il capo ‘is in’?” domandò, mentre l’altro posava il cestino.
“Sì, ma ha detto di dirti che non c’è e che devi andartene a casa a dormire e che non ti vuole vedere al lavoro fino a domani!” .
Yuzo sorrise, portandosi una sigaretta alla bocca senza accenderla, e fece per allontanarsi quando estrasse lo zippo dalla tasca “Ehi, Rick!” chiamò, attirandosi la sua attenzione per poi lanciarglielo. Il giovane agguantò l’oggetto al volo, con espressione interrogativa, dandogli una rapida occhiata. “Toh! Guarda cosa è tornato all’ovile! L’avevo perso ‘solo’ sei mesi fa!” disse ironico.
“Muoviti con quei dati!” lo rimbeccò, dandogli le spalle ed agitando una mano, mentre passava oltre le varie scrivanie, salutando gli altri presenti.
“Sì, sì…” borbottò Ricardo.
 
Hideki Yoshikawa era il direttore di quella succursale del VRC, e non aveva mai avuto un bel carattere. Era un ometto basso e tondeggiante, con lo sguardo perennemente stretto in fessure, che scrutava tutti da sopra le lenti che portava sul naso. Yuzo ricordava ancora la sua prima settimana al centro. Era fresco di laurea e pieno di entusiasmo: Hideki gli aveva letteralmente spezzato le gambe, facendogli credere di essere finito in un incubo. Ma l’avere a che fare con lui gli aveva rafforzato il carattere e, alla fine, quando era stato assunto a tempo indeterminato, era divenuto perfettamente in grado di tenergli testa.
Abbozzò un altro sorriso, spostando la sigaretta spenta da un lato all’altro della bocca, mentre ormai era davanti la porta del suo ufficio.
Diede solo un colpo deciso ed entrò, senza nemmeno attendere una eventuale risposta dall’interno. L’uomo era seduto alla scrivania, intento a compilare qualche relazione. Yuzo si accomodò nella poltrona all’altro lato del tavolo.
“Toshi è un idiota.” disse Hideki senza alzare lo sguardo dalle sue carte “Gli avevo detto di rimandarti a casa.”. Tra le labbra rimestava il suo solito cubano, rigorosamente spento.
“Amo il mio lavoro.” rispose il giovane con un sorriso “Non sei felice di rivedermi vivo?”.
L’uomo gli rivolse i suoi occhi ridotti alle solite fessure. “Sei sopravvissuto al Ruiz[4]. Non mi scandalizzo più di nulla.” ma si pentì subito di aver detto quella frase, facendo trapelare un lampo di rimorso che Yuzo colse al volo, accentuando il sorriso e spostando lo sguardo altrove, mentre Hideki posava la penna incrociando le mani sotto al mento, osservandolo attentamente.
“Da quanto hai cominciato a fumare?” gli disse notando la sigaretta.
“Da un po’.” rispose vago “Divento sempre più simile a te!”.
“Per essere come me dovresti fumare cubani.”.
Lui storse il naso con ironia “Fanno venire il cancro alle gengive.”.
“E quelle il cancro ai polmoni.”.
Yuzo si rilassò contro la poltrona, afferrando la sigaretta tra due dita “A ciascuno il suo veleno.” disse con un sorriso.
“Con che testa sei tornato?” gli domandò Hideki, facendosi serio “Ho parlato con Tatsumoto dell’Università di Tokyo. Mi ha detto che ti hanno spedito un’ennesima lettera…”
Il Prof roteò gli occhi, piuttosto seccato. “E’ già finita nel cestino della carta straccia…”.
“Dovresti accettare.”.
“No. La cattedra non è il mio posto.”.
“E cosa conti di fare?”.
Lui fece spallucce. “In un mese avrai la relazione su questi tre anni, dopodichè la mia intenzione è ripartire. Voglio studiare la Rift Valley[5].”.
Hideki scosse il capo, contrariato. “Questo non è ‘amore per il proprio lavoro’, ma ‘scappare’ e lo sappiamo tutti e due. Se ti è così difficile restare a Nankatsu, per più di un mese, perché non ti fai trasferire al centro di ricerche del Sakura-Jima[6]? Potrei metterci una buona parola…”.
“E liberarti di me così facilmente? Ma smettila! E poi, se fosse solo questa città il problema, avrei potuto accettare la cattedra a Tokyo, no?”.
L’uomo si tolse il sigaro dalla bocca, con un moto di stizza “Diosanto! Tentare di ragionare con te è come parlare ad un mulo sordo!” e Yuzo rise, alzandosi in piedi; se prima usciva sempre sconfitto dai loro scontri, ora ne era sempre il degno vincitore, ma Hideki non aveva ancora finito. “Adesso apri bene le orecchie, ragazzo!” continuò, agitando minacciosamente il cubano “Gli anni passano anche per me ed il traguardo della mia tanto auspicata pensione si fa sempre più vicino, ebbene, sappi che, quando sarà il momento, io farò il tuo nome a quelli del VRC per metterti a capo di questa baracca; a meno che tu non ti decida ad accettare la famosa cattedra. Sono stato abbastanza chiaro? Ti inchioderò il culo a questa sedia!” e si scambiarono una lunga occhiata. “Ora sparisci dalla mia vista!” concluse, ritornando a dedicare le sue attenzioni alle carte che aveva sulla scrivania, mentre Yuzo lasciava lo studio sorridendo e scuotendo il capo.
Lui non voleva ‘fermarsi’. Era fatto per stare sul campo, per vedere con i suoi occhi la lava che veniva vomitata fuori lentamente oppure scagliata nel cielo con rabbia violenta tra polveri, ceneri e gas. Doveva toccare la terra con le sue mani, sentire l’odore dello zolfo, percepire il calore rovente sotto gli abiti.
E tutto per lei, solo per lei. Con cui aveva condiviso quella passione comune dai banchi universitari fino a che, quattro anni prima, quella stessa passione, che lui continuava ad inseguire e studiare in tutte le sue forme, non gliel’aveva strappata dalle mani.
La Vulcanologia era tutto ciò che gli fosse rimasto.
Con le mani in tasca osservò il Fuji, da una delle finestre, che si stagliava maestoso e tinteggiato di rosso oro per il tramonto che si stava consumando. Attraversò nuovamente la sala comune, dirigendosi alle scale. Afferrò lo zippo dalla scrivania di Ricardo che tentò di protestare “Ma… ma…”.
“Ah, Rick, voglio quei dati per domani mattina, nel mio ufficio. Buona serata!” e se ne andò, agitando una mano.
“Schiavista!” gli urlò dietro l’altro “E ladro di accendini!”.
Yuzo rise, scendendo velocemente le scale, fino a raggiungere la portineria dove Shiguro restava di guardia.
“Shiguro!” chiamò appena gli fu abbastanza vicino “Vorrei le chiavi del mio Pick-up.”.
L’uomo annuì, con un sorriso, afferrando uno tra i tanti mazzi di chiavi presenti nella bacheca alle sue spalle.
“Grazie mille per essersene preso cura, in tutti questi anni.”.
“Si figuri, professore, Dante fila che è un piacere!” e Yuzo sorrise a sua volta, ringraziandolo di nuovo, prima di inforcare la rampa di scale che lo avrebbe portato al parcheggio sotterraneo.
Quel mezzo lo aveva scelto lei e, sempre lei, aveva deciso di dargli un nome…
 
… “Prenderemo un Pick-up!” esordì, balzando in piedi e battendo il pugno in una mano.
Lui la osservò, inarcando un sopracciglio, fermando la macchina fotografica a mezz’aria. In lontananza le colate dell’Etna illuminavano la montagna in quello scenario notturno.
“Perché un Pick-up?” domandò incuriosito.
“Come perché? È la macchina perfetta per degli avventurieri come noi!” e, mentre parlava, era piena di entusiasmo “E’ grande, aggressiva e resiste ai terreni impervi! Perfetta, perfetta!” e prese a saltellargli intorno come una trottola. Lui rise, tornando alle sue foto.
“Va bene, vada per il Pick-up.”.
“E gli darò un nome!”.
“Addirittura?!” e tornò ad osservarla interdetto. Lei annuì con decisione.
“Ovvio! Passeremo così tanto tempo con lei che sarà come una di famiglia!”.
Lui rise sonoramente “Oh Dio, questa poi. E sentiamo: come la vorresti chiamare?”.
Lei non ebbe dubbi nemmeno su quello “Dante!”.
“Dante?” fece eco perplesso “Come Dante di Devil May Cry[7]?” in risposta ricevette una leggera spinta.
“Scemo! Parlavo di Dante Alighieri, il poeta italiano.”.
“Ah! Come omaggio al fatto che stiamo fotografando l’Etna[8]?”.
“A parte che Dante era toscano, ignorantone, e noi siamo in Sicilia!” lui le fece una smorfia, mentre lei continuava.
“Scrisse un’opera in cui raccontava di un suo viaggio all’Inferno…”.
“Accidenti, una vera botta di vita!” scherzò lui, per poi aggiungere “E che c’entra con noi?”.
“Beh, noi non abbiamo a che fare con frammenti di Inferno?” sorrise, spostando il suo sguardo sulle fluide lingue infuocate che scendevano lungo i fianchi del vulcano. Lui si ritrovò ad annuire, mentre osservava quei fiumi sanguigni scivolare lentamente a valle, sotto lo stretto controllo della Protezione Civile.
“Allora è deciso.” disse rivolgendole un sorriso “Si chiamerà Dante.”.
E lei si illuminò, felice, saltandogli al collo e facendolo pericolosamente sbilanciare. “Piano piano o ruzzoliamo di sotto tutti e due e ci rompiamo l’osso del collo! Poi non riusciremo a fare nessuna foto e Hideki te lo senti tu!”.
Lei rise, stampandogli un sonoro bacio sulla guancia “Ti amo! Ti amo! Ti amo!”…
 
Yuzo fece scattare l’antifurto del Mitsubishi dal fiammante colore ‘rosso magma’. Sulla portiera compariva una piccola scritta aeorografata.
Dante.
“Ehi, ciao bambinone.” lo salutò il giovane, passandogli una mano sul cofano lucido. Shiguro gli aveva davvero riservato la massima cura, sembrava appena uscito dall’autosalone. “Ti hanno trattato con i guanti, vero? Dai, al prossimo viaggio ti porto con me.”. Non si sentì stupido a parlargli come fosse stato una persona reale e non solamente un Pick-up.
Lei lo faceva sempre.
Si mise al volante, infilando le chiavi nel comando di accensione. Poteva ancora sentire il suo profumo nell’abitacolo. Sorrise, mettendo in moto.
“Andiamo Dante, Aiko ci sta aspettando.”.
 


 
 
[1]PACAYA: è un complesso massiccio vulcanico situato a circa trenta chilometri dalla capitale del Guatemala. E’ un complesso poiché, allo stratovulcano principale e più antico, si sono affiancate altre bocche di successiva formazione (duomi lavici e un altro stratovulcano). Presenta numerosi picchi, tra i quali: il Cerro Chino, il Cerro Grande ed il MacKenney Cone il quale è la cima attiva del Pacaya. La sua attività vulcanica è di tipo effusivo- esplosivo (stromboliana). (Fonte: Tutto Vulcani di M. ROSI, P. PAPALE, L. LUPI, M. STOPPATO; edizioni: MONDADORI).
 
[2]VRC e[3]ERI: il Volcano Research Center e l’Earthquake Research Institute esistono per davvero ed hanno sede all’Università di Tokyo. L’ERI è il nucleo composto da varie divisioni, come il VRC ad esempio, ma non solo. Lo scopo di questo centro, nato il 13 Novembre 1924, è quello di comprendere al meglio fenomeni come i terremoti e le eruzioni, in modo da ridurne al minimo i danni. Il VRC ha invece il nobile scopo di ‘prevedere’ le eventuali eruzioni tramite lo studio del magma e dei processi vulcanici. Gli osservatori del VRC sono sparsi un po’ ovunque, ed il Fuji ne ha ben cinque… ed uno ho voluto piazzarlo proprio a Nankatsu, dandole il nome fittizio di FVO, Fuji Volcano Observatory! XD (ecco che mi prendo un po’ di libertà!XD). potete trovare altre informazioni (molto poche, a dir la verità, visto che la maggior parte delle pagine sono in giapponese!O_O) cliccando sui rispettivi nomi: ERI & VRC.
 
[4]RUIZ: Il Nevado del Ruiz è uno stratovulcano colombiano appartenente ad una catena vulcanica composta da quattro apparati principali denominati: Nevado del Tolima, Nevado Santa Isabel, Nevado del Ruiz e Cerro Bravo. Il Ruiz si presenta come un piccolo massiccio costituito dalla sovrapposizione di colate di lava, con una sommità piuttosto pianeggiante sormontata da un ghiacciaio di 17 chilometri quadrati. La sua attività passa da eruzioni fortemente esplosive (pliniane) ad emissioni fumaroliche. (Fonte: Tutto Vulcani di M. ROSI, P. PAPALE, L. LUPI, M. STOPPATO; edizioni: MONDADORI).
 
[5]RIFT VALLEY: la Great Rift Valley è una stretta e lunga fascia (dell’estensione di circa 9000km) che taglia l’Africa orientale dal Djibuti fino al Mozambico, creando una vasta area depressa e distensiva. Questa distensione provoca un assottigliamento della crosta e, quindi, la risalita del magma, poiché presenta una densità inferiore rispetto alle rocce circostanti, che riemerge in superficie attraverso la formazione di numerosi vulcani (circa 99 al momento). Nelle depressioni della Rift Valley si possono formare anche numerosi laghi, poiché le acque discendono lungo le pareti delle scarpate raccogliendosi in suddette zone (un esempio è il lago Tanganika). Tra i vulcani più famosi della Rift Valley è possibile citare il Kilimanjaro ed il Nyragongo.
 
[6]SAKURA-JIMA: sito nella regione del Kyushu, il Sakura-Jima è uno stratovulcano tra i più attivi e pericolosi del Giappone. Ubicato all’interno di una baia, a soli 8 chilometri da una delle città più popolose della nazione giapponese (Kagoshima), questo vulcano viene considerato come il gemello orientale del Vesuvio, anche se è decisamente molto più attivo di quest’ultimo. L’ultima eruzione risale al 4/giugno/2006. Ha un’attività di tipo esplosivo freato-magmatica (vulcaniana) con alte formazioni di nubi di fumo e ceneri. (Fonti: Tutto Vulcani di M. ROSI, P. PAPALE, L. LUPI, M. STOPPATO; edizioni: MONDADORI – e VRC).
 
[7]DEVIL MAY CRY: per i non appassionati di videogames, Devil May Cry è un gioco per playstation ideato dalla CAPCOM. Dante è il protagonista di questo prodotto videoludico.
 
[8]ETNA: il noto vulcano a scudo siciliano e considerato il più grande d’Europa. Nella parte sommitale vi sono quattro strutture crateriche attive, denominate: Bocca Nuova, Voragine, Cratere di Nord-est e Cratere di Sud-est. La struttura principale del vulcano è la Valle del Bove, una depressione a forma di anfiteatro di circa quattro chilometri di ampiezza. Alterna attività eruttive effusive-esplosive (stromboliana), con ingenti emissioni fumaroliche. (Fonte: Tutto Vulcani di M. ROSI, P. PAPALE, L. LUPI, M. STOPPATO; edizioni: MONDADORI).

 
 

 

…E poi Bla bla bla…

Che vi avevo detto? XD credo che ora le cose siano decisamente più chiare!
Io AMO la Vulcanologia, non a caso studio Scienze Geologiche con indirizzo Geofisico. Il mio sogno, quindi, è divenire vulcanologa, gironzolare per il mondo e vedere quelle meravigliose montagne, e non, che sputano e sbuffano i prodotti di Madre Terra.
AMO il mio Vesuvio e voi non avete idea della sensazione meravigliosa che si prova a guardare il Golfo di Napoli dall’alto del cratere.
Potete quindi capire la mia passione per il genere catastrofico in sé, e la cinematografia offre molto, da questo punto di vista, ma, tranne… mmm… un paio di prodotti (non ho ancora visto The Day After Tomorrow, purtroppo)… il resto fa veramente CAGARE!
Non ho mai visto sparare tante cazzate immonde come in questi film: dico, ma qualcuno ha mai visto ‘Volcano’? Quello con Tommy Lee Jones? Ecco, mi spiegate come cazzo fa il capo della Protezione Civile a NON sapere cosa diamine sia un vulcano?O_O che cavolo protegge? L’aria fritta? La gente dall’abbronzatura? Ma andiamo! Ammerecani, mah!
E perché ‘The Core’? patetico.
‘Armageddon’? Terrificante!
‘Deep Impact’? Osceno!!
Gli unici due film che sono riuscita a salvare sono: ‘Twister’ (che, nonostante la mega minchiata dei due tizi dentro l’F5, si fonda su basi reali come il progetto ‘TOTO’.) e ‘Dante’s Peak’ (anche lui con qualche pecca, ma credibile!).
Ed è proprio a quest’ultimo che si avvicina Huzi (infatti, il nome del Pick-up, ha un doppio riferimento: omaggio al Poeta, ma anche al su citato film.).
 
Il fine principale di questa fanfiction è quello di dare, alla trama ed i meccanismi, ciò che manca in moltissimi film catastrofici: la credibilità e la verosimiglianza.
Le cose di cui parlerò non sono campate in aria, ma si fondano su libri, cinque anni di studi universitari e ricerche personali. Quando ce ne sarà bisogno, citerò anche le fonti.
Ovvio: non pretendo di scrivere la verità rivelata, anche io tirerò la corda a mio piacere, ma di certo le minchiate colossali non ci saranno (si spera! XD).

 
Amen.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Huzi 

- Capitolo 3 -


I suoi passi riecheggiavano lentamente come unico rumore in quel luogo silenzioso.
Qualche uccello cinguettava su alberi distanti, creando un quieto sottofondo musicale. Il tramonto rosso conferiva un’aura surreale al paesaggio.
Nonostante fosse stato lontano per tre anni, ricordava esattamente la sua posizione e vi si avvicinò, tenendo tra le mani un vaso con vivaci foglie verdi e fiori dai petali di sgargianti colori giallo, fucsia, arancio, schizzati di migliaia di sfumature.
Tra le labbra stringeva ancora la sigaretta spenta.
Quando scorse la sua meta in lontananza, tacita ed immobile tra le altre dalle asimmetriche forme, sentì come se qualcuno gli avesse adagiato un macigno sulle spalle che rendeva terribilmente difficile ogni singolo passo, ma si sforzò di proseguire, affondando in quella miriade di ricordi che aveva chiuso fuori dalla sua testa per anni. Ora se n’era trovato travolto come fossero stati un’onda anomala alla quale si sforzava di resistere, con ogni singolo nervo o muscolo, ma non faceva che sprofondare inesorabilmente.
Si fermò quando si ritrovò innanzi al marmo brillante, di luci ed ombre arancio, del sole ormai scomparso oltre l’orizzonte. Si inginocchiò, lentamente, ad incrociare il suo eterno sorriso che sembrava quasi dargli il ‘bentornato’ dopo il suo lungo viaggio. Lo stesso sorriso che lo aveva come stregato all’Università e con cui avrebbe voluto condividere ogni singolo momento, attimo, secondo e fibra del suo essere, gioia, dolore e passione.
Ma Aiko Nakazawa era morta a soli ventisei anni, privandolo per sempre del suo sorriso e del suo amore.
Distese le labbra, addolcendo lo sguardo. “Ciao tesoro, sono tornato.” le disse poggiando il vaso sul marmo liscio della lapide, tra i mazzi rigogliosi, e dalle forti tinte, delle bocche di leone. “Guarda cosa sono riuscito a trovare da un fioraio di Nankatsu. Le ricordi? A Napoli le chiamavano ‘belle di notte’, se non sbaglio. Eri così entusiasta della loro fioritura serale, che ho pensato ti avrebbe fatto piacere averle qui, a farti compagnia quando il sole scompare.”.
Aiko sorrideva.
Lui si sedette per terra, rimanendo ad osservarla. “Ti avevo promesso che sarei tornato presto, ed invece sono già passati tre anni… scusami, non sono affatto un marito modello.” poi alzò la mano sinistra “Ma ti ho sempre portata con me.” e carezzò le fedi che recava all’anulare: quella di Aiko e la sua.
Aiko sorrideva.
“Sono stato sul Pacaya.” disse poi “Sono sicuro che ti sarebbe piaciuto. Era in fase stromboliana[1], ha fatto dei bei fuochi. Ricardo si è profuso in una marea di foto pittoresche, mentre Toshi stava per rimetterci la pelle mentre faceva dei rilevamenti: ad un tratto è saltato fuori un lapillo che davvero l’ha mancato per tanto così!” indicando la distanza con due dita “Rita ha riso per mezzora, sbagliando tre volte le registrazioni al sismografo. Un vero disastro!”. Lui rise, scuotendo il capo “Per non parlare della dissenteria fulminante di Hisui! Ed io che dovevo tenerli tutti a bada! Questa sì che è stata una vera impresa!” mosse lo sguardo verso l’alto, dove il cielo limpido stava imbrunendo “Sai che mi è spuntato un capello bianco? Rick lo ha battezzato Paco. Rita mi ha detto che è la maturità ed io le ho risposto che invece è la vecchiaia! Tra un po’ spunteranno anche i suoi fratelli.”.
Aiko sorrideva.
Yuzo si decise ad accendere la sigaretta, esalando una densa nuvoletta di fumo.
“Adesso mi starai criticando, ci scommetto.” fece spallucce “Ma non arrabbiarti, tanto si muore tutti, prima o poi, quindi niente paternali!” minacciò, agitando il rotolino di tabacco che disperdeva deboli scie di fumo.
Ma Aiko continuava a sorridere con dolcezza e lui non poté fare altro che rispondere a quel sorriso, senza però trattenere una triste espressione.
“Sono venuto con Dante.” disse, tirando una lunga boccata dalla cicca “Shiguro me lo ha fatto trovare in condizioni perfette. Nonostante tutto, conserva ancora il tuo profumo, ed anche la casa. Lo sento in tutte le stanze, su tutti gli oggetti. Stanotte ho dormito sul divano…” e gli sfuggì una risata ironica “…sono patetico, vero? Non me la sono sentito di restare da solo in quel letto.”. Scosse il capo “Forse Sanae e Hideki hanno ragione. Dovrei andar via, trasferirmi, magari a Tokyo ed accettare quella dannata cattedra. Ma a noi non piace affatto stare fermi, vero tesoro? Noi siamo avventurieri. Dobbiamo vedere, toccare, respirare il vulcano, lo dobbiamo vivere ed inoltre… come potrei restare in Giappone e non venire a salutarti ogni giorno? No, non mi posso ancora fermare e poi non riuscirei mai a vendere il nostro appartamento. Lo abbiamo scelto insieme, arredato insieme…” ma si fermò “…santoddio, i ricordi mi uccidono.”. Rigirò la sigaretta tra le dita, osservandola un momento prima di tirarne un’ennesima boccata.
Aiko sorrideva.
“L’anno scorso ho voluto dimostrare a me stesso di aver superato il dolore della tua perdita.” disse con serietà “Sono tornato sul Ruiz.” e rimase ad osservare intensamente i suoi vivaci occhi scuri, molto simili a quelli della cugina Sanae. “E’ tutto come allora o quasi. Si sono decisi a spostare i centri abitati più lontano e, dove eravamo noi, ci sono solo rovine sommerse e la vegetazione che tenta di riappropriarsi dei suoi spazi. Ho risalito la colata fino a dove ritrovarono te. Ero nel punto esatto.”. Accennò una smorfia ironica, spegnendo il mozzicone sul cemento del vialetto su cui era seduto. “Volevo restare lì, a braccia conserte, ed osservare con distaccata indifferenza quella maledetta montagna. Ed invece, sono caduto in ginocchio, piangendo come un bambino.” lentamente scosse il capo, rimettendosi in piedi “Sanae dice che ho solo bisogno di più tempo, mentre io… vorrei solo riaverti con me. Essendo che il mio desiderio non è realizzabile, non mi resta che aspettare. Tu che dici, tesoro?”.
Aiko sorrideva e avrebbe continuato a sorridere per sempre, in quella foto, senza mai rispondere ai suoi quesiti.
Yuzo chiuse gli occhi, emettendo un profondo sospiro. “Ciao amore, ci vediamo presto.” e fece per andarsene, quando una profonda voce di uomo lo fermò, attirandosi la sua attenzione.
“Sanae me l’aveva detto che eri tornato.”.
Il giovane si volse ad incrociare lo sguardo gentile del suo interlocutore, che recava con sé delle bocche di leone.
“Salve, Hiroshi.” salutò, mentre l’uomo gli si faceva vicino, dandogli una leggera pacca sulla spalla.
“Ciao figliolo, come stai?”.
Lui fece spallucce “Bene.” ma l’altro sapeva come stesse mentendo, glielo leggeva negli occhi che, quattro anni prima, avevano perso tutta la loro vitalità e ancora non l’avevano ritrovata.
“Sei venuto a trovare Aiko?”.
Yuzo annuì “Sì e la ringrazio di essersi preso cura di lei, per tutto questo tempo.”.
“Non devi ringraziarmi, era la mia bambina.” poi lo scrutò con serietà e sincera apprensione “Lo capisco che avevi bisogno di star via per un po’ e tenerti impegnato, ma io e mia moglie ci siamo preoccupati non ricevendo tue notizie, ed anche i tuoi genitori erano in ansia per te.”.
Il giovane sorrise “Sì, lo so. Ho chiamato ieri sera mia madre e si è fatta un bel pianto per telefono.”.
Anche Hiroshi sorrise, aggiungendo “Ora che sei tornato, perché qualche volta non vieni a trovarci? Sei come un figlio per noi e Rikako sarebbe felicissima di vederti.”.
“Farebbe piacere anche a me.” disse, ma l’uomo sapeva che era già pronto per andare via di nuovo – lui ed Aiko erano uguali quando si trattava del loro lavoro – per questo aggiunse.
“Quanto ti fermi?” strappandogli un sorriso sincero al quale rispose con un leggero scotimento del capo.
“Circa un mese, poi andrò in Africa.”.
“Non ne avevo dubbi.” sospirò “E quanto starai via, questa volta?”.
“Non so. Tre, forse quattro anni…”.
L’uomo lo prese per le spalle, costringendolo a guardarlo negli occhi “Yuzo, ascoltami, io e Rikako ne abbiamo parlato molto in questi anni e siamo tutti e due giunti alla stessa conclusione: perché non ti risposi?”.
Sul viso del Prof comparve un’espressione di totale sorpresa e perplessità, mentre Hiroshi continuava “Sei giovane, hai solo trent’anni, non devi consumare la tua vita dietro un ricordo; Aiko non ne sarebbe contenta. Nessuno di noi avrà nulla da ridire, anzi, ne saremo felici…”.
Ma Yuzo scosse il capo con decisione “Assolutamente no, non ho la minima intenzione di sostituire Aiko…”.
“Ma non la devi sostituire. Noi sappiamo quanto tu abbia amato la nostra bambina e ti saremo sempre grati per averla resa felice, ma non è giusto che tu debba restare da solo!”.
Il vulcanologo si sottrasse, delicatamente, alla sua stretta, facendo un passo indietro. “Io la ringrazio davvero, Hiroshi, ma non posso accantonare Aiko e rifarmi una vita. Non me la sento e non voglio. Sto bene da solo.” e gli volse le spalle “Arrivederci.” allontanandosi definitivamente e stringendosi in quella giacca troppo leggera che stava indossando.
Hiroshi Nakazawa emise un profondo sospiro per poi osservare la foto della figlia, con affetto “Veglia su di lui, piccola mia, e dagli la forza necessaria per cominciare a guardare avanti.”.
Le belle di notte, intanto, schiudevano le loro variopinte corolle alla sera.
 
Salì le scale con passo deciso e nervoso.
Afferrò le chiavi di casa, con altrettanta frenesia, aprendo l’uscio ed entrando, richiudendo la porta alle sue spalle con un colpo secco che risuonò nel silenzio dell’appartamento. Poi vi si poggiò contro, emettendo un profondo sospiro.
Era arrabbiato. Anzi, era a dir poco furente. Lo sapeva che il padre di Aiko aveva detto quelle cose per il suo bene, ma a lui non era piaciuto sentirle. Ma come poteva chiedergli di risposarsi? Era assolutamente impensabile! Quattro anni prima aveva seppellito la donna della sua vita, solo quattro maledetti anni! Era troppo presto, per la miseria!
Lanciò le chiavi sul tavolino in un gesto irato, mentre le labbra erano incurvate verso il basso in un’espressione scura.
Lentamente mosse lo sguardo, sezionando l’ambiente in maniera quasi maniacale, passando, al setaccio dei suoi occhi, anche il più piccolo particolare. In quella casa c’era una parte di lei che ancora sembrava essere presente, tra i gli oggetti, nell’aria. Inspirò profondamente e percepì di nuovo il suo profumo, socchiudendo leggermente le palpebre, mentre si dava una spinta allontanandosi dalla porta di ingresso. L’espressione cupa era scomparsa lasciando posto ad una più triste che arrabbiata. Nemmeno pensava alle parole di Hiroshi.
Superò i borsoni, che aveva abbandonato nei pressi dell’uscio al suo arrivo e non aveva ancora provveduto a disfare, e sfilò l’invito, che Sanae gli aveva dato, da una delle tasche.
Che barba! Non aveva la minima voglia di andare ad una festa, desiderava solo richiudersi a riccio per un po’, ma, se non si fosse presentato, la signora Ozora non gliel’avrebbe perdonata questa volta; e poi lo faceva soprattutto per far visita a Yayoi e scusarsi con lei per aver saltato il funerale di Jun.
Diede una rapida occhiata all’orario che recava scritto. Le 21:00.
C’era ancora tempo. L’orologio al suo polso segnava le 18:00. Ora, l’unico problema, era quel dannato abito scuro: dove diavolo lo andava a pescare? L’unico completo scuro che avesse era quello del suo matrimonio e, no, decisamente non era il caso. Abbozzò un sorriso, scuotendo il capo: sarebbe riuscito a passare inosservato con un paio di jeans? Probabilmente no, ma era quanto di più elegante offrisse il suo guardaroba.
Leggendo l’indirizzo, notò che il party benefico era stato organizzato a Villa Wakabayashi, quindi – per sua sfortuna – non poteva nemmeno inventare la scusa di essersi perso.
Lasciò la busta sul tavolo, accanto alle chiavi, ed afferrando le Marlboro.
Lentamente si diresse al balcone, spalancandone le imposte. Ad attenderlo c’era il Fuji, dalla vetta innevata e l’imponente struttura.
Aiko aveva amato quella montagna.
Si accese l’ennesima sigaretta di quella giornata ormai agli sgoccioli e gli sembrò quasi di vederla, accanto a lui, con lo sguardo fisso allo stratovulcano[2] dalla conica forma.
 
… “Guardalo! Non è magnifico?”…
 
Disse quell’immagine di lei, riaffiorata dai suoi ricordi, con i lunghi capelli castani oscillanti al vento.
“Sì… è meraviglioso…” rispose in un mormorio.
 
… “Io resterei a guardarlo in eterno!”…
 
“Non ti bastano… tutti quelli che vediamo?…”
 
… “No, no! Questo è speciale. È il nostro vulcano.”…
 
E la vide rivolgergli uno dei suoi meravigliosi sorrisi.
 
… “E’ la nostra casa.”…
 
Sorrise a sua volta, alzando lentamente la mano come a volerle sfiorare il viso in una carezza leggera, ma non sentì il calore della sua pelle sotto le dita. Deglutì a fatica, mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo.
“Dio se mi manchi, Aiko.”.


 
 
[1]STROMBOLIANA: è un tipo di eruttività classificata appena sopra a quelle di tipo effusivo. Consiste nel susseguirsi di brevi esplosioni, durante le quali i brandelli di magma incandescente vengono lanciati in aria e ricadono nelle vicinanze della bocca eruttiva. A volte si possono formare delle vere e proprie fontane di lava. Il nome, di facile intuizione, deriva dal vulcano italiano Stromboli, sull’isola omonima, che presenta, appunto, questo tipo di attività. (Fonte: Vulcanologia di R. SCANDONE e L. GIACOMELLI; edizioni: LIGUORI EDITORE).
 
[2]STRATOVULCANO: è una classificazione di vulcano in base alla sua forma. Si attribuisce agli edifici vulcanici formati da strati di prodotti sovrapposti che derivano da alternate fasi di attività esplosive ed effusive. Presentano pendii molto ripidi lungo i quali si depositano i prodotti emessi da un cratere centrale; la presenza di conetti laterali indica la lunga attività del vulcano. Un esempio di stratovulcano nostrano è il Vesuvio. (Fonte: Vulcanologia di R. SCANDONE e L. GIACOMELLI; edizioni: LIGUORI EDITORE).
 

 
 
 

…E poi Bla bla bla…

Parliamo un po’ dei personaggi, vi va?
Vi deve andare per forza, altrimenti saltate a piè pari! XD
Dunque…
 
…la squadra di Yuzo.
Ci sono molti modi per studiare un vulcano, molti elementi da analizzare singolarmente per poi ottenere un quadro complessivo della situazione. Per questo è nata la squadra sulla quale Yuzo può fare affidamento durante i rilevamenti.
Abbiamo quindi:
 
Yuzo Morisaki: è il vulcanologo ‘classico’. Cito testualmente da Tutto Vulcani (M. ROSI, P. PAPALE, L. LUPI, e M. STOPPATO; edizione MONDADORI) “…nel tempo tale ruolo si è specializzato ed evoluto fino a fare del Vulcanologo di campagna una sorta di investigatore, che utilizza ogni minima traccia e ogni piccolo dettaglio contenuto nei depositi vulcanici per ricostruire gli eventi eruttivi.” A questo approccio ‘visivo’ con il vulcano si aggiunge anche la conoscenza sempre più dettagliata di quelli che sono i processi geodinamici che muovono il cuore della struttura.
 
Ricardo Manzanares: è l’ingegnere specializzato in modellistica. Il suo compito è quello di ricostruire, attraverso l’utilizzo di complessi programmi di calcolo matematico, quelli che sono i processi che avvengono prima, durante e dopo un’eruzione. Si passa dalla formazione di una camera magmatica al movimento del magma stesso all’interno della crosta, dalla risalita all’interazione con le rocce circostanti e così via.
Sostanzialmente, Rick è un tuttofare all’interno dell'FVO. Braccio destro di Yuzo, è un genietto troppo pigro per far lavorare tutti i suoi neuroni. Ispano-americano, è un patito di basket e ama collezionare pacchiani accendini modello ‘zippo’. Preferisce una sana canna al classico tabacco.
 
Toshi Sugihara: è il geochimico, il cui compito è quello di studiare il comportamento del magma a livello di composizione chimica. Ma non solo. Col tempo il compito di un geochimico si è esteso anche alle componenti volatili (i gas) che il magma stesso rilascia durante la risalita lungo il condotto vulcanico. Ed è un compito fondamentale in quanto, variazioni sulla chimica dei gas di un vulcano in quiescenza, possono fornire informazioni su di una eventuale ripresa delle attività all’interno della struttura stessa e, quindi, anticipare l’arrivo di un’eruzione.
Vorrei sottolineare come questo lavoro sia estremamente pericoloso. I geochimici restano anche ore a campionare gas venefici e lave, rischiando la salute a causa delle esalazioni e le temperature notevolmente alte. Lode a loro, quindi, per il grande ed importante lavoro che svolgono.
Toshi è una personalità pacifica, a volte fin troppo ingenua, ma è un gran lavoratore. Il suo più grande difetto è che è sempre distratto, anche quando non dovrebbe. Poco fumatore, spende una fortuna in accendini, visto che Yuzo glieli ruba sempre.
 
Margherita Fusco: è il geofisico specializzato in sismologia, ovvero si occupa dei terremoti legati o meno all’attività vulcanica. Tramite l’entità delle scosse telluriche si può stabilire, infatti, come il magma si stia muovendo nel sottosuolo, la sua velocità e posizione.
Margherita è italiana, precisamente campana, fin troppo chiassosa, dotata di una riccissima capigliatura color carotina accesa! XD (professoressa, sappia che stavo pensando proprio a lei! XD). Quando è arrabbiata comincia a parlare in dialetto e nessuno capisce un accidenti di quello che dice.
Il motivo per il quale ho deciso di inserire due personaggi ‘stranieri’, come Rick e Rita, è semplice: la Geologia varia molto da zona a zona, e questo può facilmente portare gli studiosi ad abbandonare il luogo natio per dirigersi altrove. Conoscendo persone che vivono questa situazione (che non riguarda solo la Geologia), Rick e Rita hanno una loro ragion d’essere.
 
Hisui Aoki: è il meteorologo. Il suo compito è di studiare, attraverso i venti e le correnti, la direzione e la distribuzione sul territorio dei così detti ‘depositi da caduta’, la direzione di espansione delle nubi ricolme di gas e ceneri e la balistica.
Hisui è un eterno petulante. Si lagna di ogni cosa, ha tutti gli acciacchi del mondo, l’espressione sempre sofferente e non si separa mai dalla sua mascherina che usa per proteggersi da “…smog, batteri, virus, aliti pesanti e puzze inconsulte.” Lavora in prestito all'FVO dalla Japan Meteorological Agency (Agenzia realmente esistente. Fondata nel 1887 con il nome di Tokyo Meteorological Observatory, è divenuta JMA nel 1956 con il compito di: prevenire i disastri naturali, la sicurezza dei trasporti, lo sviluppo e prosperità dell’industria e l’aumento del benessere sociale).
 
…Il Capo del VRC.
Hideki Yoshikawa: è il capo della baracca. Direttore di quella sede del VRC, è l’esperienza su gambe. Fa il suo lavoro in maniera meticolosa ed attenta, ma conosce anche la burocrazia che ruota attorno a lui ed il pericolo che gli allarmismi infondati possono causare.
Per quanto lui e Yuzo stiano sempre a scornarsi, Hideki considera il suo vice quasi come un figlio adottivo e tenta, con i suoi modi burberi, di mettergli in zucca un po’ di sano buonsenso… con scarsi risultati.
 
Orbene, se non avete già chiuso la pagina, vorrei farvi un sentito applauso per essere arrivati fino alla fine! XD purtroppo, quando parto, metto il turbo e addio! Non mi ferma più nessuno! XD
Spero che questa piccola (?!) chiacchierata sui personaggi sia stata di vostro gradimento e vi rimando quindi al prossimo capitolo.
 
PS: mi raccomando, fatemi notare se ci sono punti che magari possono risultare poco chiari (per quanto riguarda termini tecnici) in modo da spiegare meglio ciò che può riuscirvi ostico.

PS2: un grazie particolare a Sakura-chan, Maki-chan e Scandros per i loro commenti! Makina, mio tesor, cercherò di essere il meno traggggica possibile! XD ma non assicuro niente! *buahahah*

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Huzi 

- Capitolo 4 -


Yayoi Aoba sistemò, in un gesto carico di affetto, il nastro nero che circondava la grande foto del suo defunto marito, il Baronetto del calcio, Jun Misugi.
Una morte annunciata, la sua, ma arrivata prima del previsto e che aveva avuto, in ogni caso, l’effetto di un fulmine a ciel sereno.
Era passato un anno da quel giorno e, ringraziando la sua forza d’animo – che davvero non credeva di avere – ed i suoi figli, era riuscita a ritrovare, seppur in parte, il suo equilibrio interiore. Ma non si era ancora ripresa del tutto e, spesso, la notte si trovava a piangere nel vedere il letto vuoto accanto a sé, ma era sulla buona strada ed ogni giorno era un passo avanti.
“Hai visto, tesoro, quanta gente è venuta stasera? Sono tutti qui per te, per onorare la tua memoria.” disse, lasciando che le sue labbra si distendessero in un delicato sorriso.
Con un gesto leggero, riavviò la ciocca rossiccia di capelli che era rimasta fuori dall’acconciatura e le scivolava a carezzare una parte dell’ovale del viso.
Tra tutte le donne presenti, Yayoi era sicuramente la più raffinata ed elegante. Ma lo era sempre stata, fin da quando era solo la manager della Musashi; ed ora, nonostante il pesante lutto e due bambini, rispettivamente di quattro e cinque anni, riusciva a preservare pressoché intatta la sua signorile compostezza.
“In quella foto è venuto proprio bene.” disse una voce di donna alle sue spalle, prendendola delicatamente sottobraccio.
Yayoi sorrise all’indirizzo di Sanae “Già, piace molto anche a me.”.
“La serata sta andando benissimo…” e volse il capo ad osservare la sala che potevano dominare dal palchetto allestito per l’occasione “…ho visto molte persone importanti. Sarai sommersa da fior di donazioni per la tua associazione!”.
L’altra annuì “Il modo migliore per ricordare Jun.”.
La musica della piccola orchestra, che suonava in un angolo, creava un rilassante sottofondo, mentre gli invitati conversavano amabilmente sorseggiando champagne ed addentando tartine.
D’un tratto, le due ex-manager videro arrivare Kumi di gran carriera, con un sorriso smagliante “E’ un successo!” esordì entusiasta “Continua ad arrivare gente ed ho chiesto a Yoshiko di andare a spronare quelli del catering!”.
Yayoi sorrise “E tutto questo è anche merito tuo: sei stata un aiuto prezioso, però cerca di non strapazzarti troppo nelle tue condizioni…”.
L’altra si portò le mani ai fianchi, mentre si poteva già vedere un lieve rigonfiamento del ventre “Ehi, non sono mica malata! Sono solo incinta!”.
“Appunto, non devi stancarti!” insistette Yayoi.
“Oh, andiamo! Non fatemi il predicozzo! Non me lo fa nemmeno Mamoru!”.
Sanae rise “Poverino, lui ci avrà già rinunciato, conoscendo la tua testa dura!”.
L’ex-manager le fece una linguaccia, aggiungendo “Parte del merito va anche alla sorella di Taro: l’allestimento della sala è stato ideato da lei, io ho solo dovuto contattare i fornitori…”.
“Minacciandoli di ridurre il loro onorario se avessero mancato di solerzia!” concluse Yayoi ridendo.
“A proposito di solerzia…” borbottò Sanae osservando il suo orologio da polso. Erano quasi le 22:00 e del Prof nemmeno l’ombra. La Signora Ozora assunse un’espressione minacciosa “…è già in ritardo!” esclamò contrariata “Guai a lui se tra mezzora non varca quella soglia: gli mando Jito e Takasugi a casa a prenderlo di peso!”.
Yayoi e Kumi si scambiarono un’occhiata perplessa.
“Ma con chi ce l’hai?” domandò la seconda.
La giovane dal caschetto corto le strizzò l’occhio “Sorpresa!”.
 
Già di per sé, Dante era una vettura che non passava inosservata, circondata da Rolls Royce, Limousine e fuori serie, poi, attirava ancora di più l’attenzione.
Yuzo lo fermò proprio davanti all’ingresso della villa, dove un giovane parcheggiatore lo osservò inarcando un sopracciglio e grattandosi la tempia.
Il vulcanologo scese, avvicinandosi al ragazzo “Spero che tu abbia la patente nautica!” disse lanciandogli le chiavi, che l’altro prese al volo con un sorriso, mentre lui continuava con tono finto minaccioso “Occhio: non ci voglio nemmeno un graffio.”.
“Non si preoccupi signore.” rispose “Ci starò attentissimo!” e montò sul Pick-up, mentre lui saliva rapidamente i gradini che conducevano all’ingresso. Alle sue spalle, altre macchine ed altri invitati si susseguivano ad un ritmo elevato, facendo sfilare donne in pellicce raffinate e uomini in soprabiti scuri.
Per quanto il cielo fosse perfettamente limpido e si vedessero nugoli di stelle brillanti, faceva un freddo cane e lui – incredibile ma vero – non aveva nemmeno un cappotto, chiaro o scuro che fosse: o giacconi supersportivi ed imbottiti o key-way leggerissimi. Entrambi per nulla eleganti e solo lui sapeva la fatica che aveva fatto per ritrovare qualcosa di simil-scuro adatto per quella dannata serata, mettendo a soqquadro l’intero guardaroba.
L’usciere, fermo vicino all’ingresso, che controllava gli inviti, lo squadrò da capo a piedi, non potendo quasi credere che qualcuno avesse avuto il coraggio di presentarsi in jeans!
“’Sera.” salutò Yuzo porgendo la busta in carta di riso.
L’uomo, che aveva abbondantemente passato la quarantina – ed era indubbiamente più elegante di lui! –, prese la lettera controllando il nominativo sulla lista che una delle organizzatrici gli aveva fornito.
Professore Morisaki Yuzo.
C’era.
Emise un leggero sospiro: uomini di cultura, terribilmente eccentrici.
Restituì il biglietto, sorridendo.
“Prego, segua il tappeto rosso, la condurrà al salone, e buona serata.”.
“Grazie.” ma l’usciere non poteva di certo sapere che lui, quella villa, la conosceva già piuttosto bene.
Infilò la busta nella tasca interna della giacca scura che indossava, camminando a passo lento, seguendo il percorso guidato che si snodava dall’ampia anticamera fin nei lunghi corridoi della villa riccamente arredati con statue e quadri. Quante serate avevano organizzato in quella casa? Ogni scusa era buona per fare rimpatriate e dare fondo alla cantina del padre di Genzo. Sorrise, salendo una lunga scalinata in marmo che lo avrebbe condotto al salone in cima al piano, dove si stava svolgendo la festa.
“Ah, perfetto!” esclamò una voce accanto a lui, ma non ebbe nemmeno il tempo di osservare con chi ce l’avesse ché si sentì afferrare per un braccio e trascinare nella direzione opposta alla sua destinazione, rischiando di perdere l’equilibrio e scapicollarsi per i gradini. La furia sconosciuta, che ancora lo strattonava imperterrita ed aveva le fattezze di una giovane avvolta da un lungo abito bordeaux, continuava a parlargli senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
“Cercavo proprio te! C’è bisogno di più gente in sala a servire gli invitati! E mi spieghi perché non hai ancora indossato la tua uniforme?”. La vide scuotere la testa di scuri capelli castani raccolti in una semplice acconciatura alta “Su forza che non hai tutta la sera! E poi, quante volte ve lo dovrò ripetere: il percorso rosso è per gli ospiti! Voi del servizio catering dovete usare quello blu!”.
“Il servizio di cosa?” sbottò Yuzo piuttosto perplesso.
“Massì, massì chiamalo come vuoi!” e continuò a tirarselo dietro, abbandonando il percorso guidato. “Santo Cielo e chi l’avrebbe detto che avrebbero aderito quasi il 90% degli invitati?! Ed il salone è pienissimo! E c’è bisogno di più champagne, più stuzzichini e, quindi, più personale! Sono stata chiara?”.
“Chiarissima!” il giovane cercò in tutti i modi di trattenersi dal non scoppiare a ridere, mentre la sconosciuta sembrava non essersi resa affatto conto di aver commesso un piccolo errore e, sempre trascinandolo come fosse stato un sacco di patate, piombò nelle cucine dove il responsabile del catering parlava con il capocuoco.
“Ah, signor Kitose, eccola qui!” esclamò la giovane, fermandosi di fronte all’uomo “Ho trovato un altro dei suoi ragazzi! Lo mandi a preparare subito perché ho bisogno di lui in sala!” perentoria, sbrigativa, diretta. Un caratterino sveglio, che lo fece annuire con decisione, mentre cercava di rimanere serio il più possibile.
Il signor Kitose osservò prima la ragazza, poi Yuzo, poi nuovamente la ragazza, piuttosto perplesso “Ma, signorina Yamaoka, lui non è uno dei miei camerieri.”.
E lì, l’ex-portiere della Nankatsu, esplose in una fragorosa risata, attirandosi lo sguardo della giovane che lo vide piegarsi in due dall’ilarità.
“Ah, no?” disse solo.
“Ehm… no!” confermò l’uomo.
“Oh, Dio! Questa la dovrò raccontare a Ricardo!” ed intanto cercava di recuperare un apparente contegno, mentre la ragazza era totalmente confusa.
“Santo Cielo! E allora chi sei?”.
“Beh, se ero sul tappeto rosso… magari uno degli invitati?” propose Yuzo con ironia e la vide impallidire, portandosi una mano alla fronte.
“Misericordia! Quale blasonato rampollo ho scambiato per un cameriere?” domandò con un’espressione che era un misto tra il disperato ed il mortificato.
“Ti è andata bene, rilassati…” la rassicurò, rivolgendole un sorriso “…sono solo un povero scienziato giramondo.”.
L’altra sospirò pesantemente “Oh Dio, che figura barbina! Mi dispiace tanto…” e, alle sue spalle, capo-cuoco e responsabile di catering sghignazzavano poco rispettosamente “…è che… ti ho visto in jeans… e non pensavo… insomma…”.
“Sì, sì ho capito, ma il mio guardaroba non offriva niente di meglio!”.
Anche lei sorrise “Se vuoi la verità: te li sto invidiando quei jeans!” poi alzò lo sguardo al cielo “Cosa non darei per un paio di pantaloni comodi!” e lo prese sottobraccio, avviandosi all’uscita della cucina. “Ti accompagno al salone: questa casa è enorme e rischieresti di perderti.”.
“Veramente la conosco già.”.
“Sei già stato a Villa Wakabayashi?”.
“Molte più volte di quelle che pensi.” .
E si lasciarono alle spalle il trambusto generato dagli schiamazzi dei cuochi, il cozzare delle pentole, il tintinnare delle posate.
A passo lento intrapresero il percorso inverso.
“Quindi conosci Genzo?”.
Yuzo annuì “Sì. Lui e tutta la vecchia Generazione d’Oro: Tsubasa, Taro…”.
“Mio fratello!” esclamò la giovane entusiasta.
“Sei la sorellina di Misaki?”.
Lei storse il naso “Il tempo dell’‘ina’ l’ho superato già da un po’, eh!”.
Il vulcanologo rise “Siamo permalosi, vedo!”.
“Ah! Non è vero!” si difese “E’ solo un dato di fatto: sono all’Università ora!” disse con orgoglio.
“Mh… vediamo… io l’Università l’ho finita secoli addietro, quindi… sì, sei ancora ‘ina’!”.
“Non sei carino! Ci siamo appena conosciuti e già mi prendi in giro?” esclamò la ragazza, tendendo la mano con un sorriso “Io sono Yoshiko Yamaoka.”.
“Yuzo Morisaki.” rispose stringendogliela.
“Morisaki…” ripeté la giovane “…l’ho già sentito…”.
“Santoddio! Spero in bene!”.
E lei sorrise per poi esclamare “Ma certo! Tu sei il Prof! Sei quello che ha piantato tutto per dedicarsi agli studi!”.
“Questo nomignolo è opera di Sanae.” precisò con un sospiro, mentre varcavano una transenna che delimitava il Percorso Rosso, camminando sul tappeto.
“E’ da molto che manchi da Nankatsu? Non ti ho mai visto in giro…”.
“Abbastanza per vedere come certe cose siano cambiate…”.
Lei sorrise con leggera malinconia “Parli di Jun, vero?”.
“Di lui, dei trecento matrimoni di Genzo, della carica dei 101 sfornata da Ishizaki!”.
Yoshiko rise di gusto alle sue parole, annuendo “E’ vero! Ryo e Yukari si sono dati parecchio da fare!”
“E poi c’è Mamoru senza la zazzera!”.
“Oh, vedrai, questo è solo l’inizio! Hai ancora molto da recuperare!”.
Lui alzò lo sguardo al cielo “Oh Dio, una serata all’insegna del pettegolezzo!” poi, con ironia “Ma non si dovrebbe commemorare il defunto?”.
Lei scosse il capo “Non solo, almeno! Si vede che non sei un tipo da evento mondano!”.
“Puoi dirlo forte! Se sono qui è solo per non incorrere nelle ire di Sanae e salutare Yayoi, vedrai sarà l’apparizione più veloce del west: ‘Ciao Yayoi, mi dispiace per Jun, bella festa, ciao Yayoi.’”.
Yoshiko lo osservò con espressione incredula, dandogli poi un buffetto sul braccio “Non provarci sai!” lo minacciò con un sorriso, mentre cominciavano a salire la scalinata, alla cui sommità c’era l’entrata al salone.
La ragazza attirò la sua attenzione, mentre salivano anche gli ultimi scalini. “Ti prego, non dire a nessuno che ti ho scambiato per un cameriere o mi prenderanno in giro per tutta la vita!”.
“Tranquilla.” annuì lui, sorridendo “Sarò muto come un pesce!”.
Yoshiko emise un sonoro sospiro sollevato e, afferrati rapidamente due bicchieri di champagne dal vassoio di un giovane domestico, gliene porse uno “Sii disinvolto!” ed insieme varcarono l’ingresso all’enorme stanza che era stata adibita al ricevimento.
Vennero immediatamente avvolti da una rilassante musica di sottofondo, che l’orchestra continuava a suonare dal suo angolino. Le luci erano soffuse quanto bastava per ricreare un ambiente di rassicurante intimità, all’interno del quale gli invitati si trovavano subito a proprio agio conversando, danzando e degustando qualche tartina. Lo champagne innaffiava le loro chiacchiere.
Yuzo diede una lenta squadrata alla stanza, inarcando un sopracciglio. “Oddio, ma quante gente c’è?” con un tono di chi avrebbe preferito sicuramente essere altrove. Lei, invece, parve soddisfatta da tutto questo.
“Sono venuti quasi tutti gli invitati, un vero successo per Yayoi!”.
“Se conosco un decimo dei presenti è tutto il mondo!”.
Yoshiko sorrise, guardandosi intorno alla ricerca di Sanae. La vide sul palco in compagnia di Yayoi e Kumi.
“Rilassati, Prof, e vieni a salutare la Signora Ozora.” gli disse strizzandogli l’occhio e tirandolo leggermente in direzione della ribalta.
 
“Sorpresa?” fece eco Kumi e Anego annuì, volgendo lo sguardo alla sala. E lì li vide, mentre scivolavano tra gli invitati e sembravano dirigersi proprio verso di loro.
Sanae si portò le mani ai fianchi, annuendo soddisfatta. “Allora le mie minacce continuano a sortire lo stesso effetto di quando eravamo a scuola!” esclamò rivolgendosi alle altre due ex-manager “Guardate un po’ chi c’è in compagnia di Yoshiko!”.
Yayoi fu la prima a vederlo “Oh Dio!” esclamò “Ma come hai fatto a rintracciarlo? Sono anni che nessuno ha sue notizie!”.
La signora Ozora rise “Sono una persona terribilmente insistente.” poi scese dal palco per andare loro incontro, allargando le braccia. “Eccoti! Cominciavo a temere che fossi scappato di nuovo per non venire a questo gala!”.
Lui fece una smorfia “E perdermi la fiera del pettegolezzo? Giammai!”.
“Scemo!” lo ammonì Sanae, rivolgendosi poi a Yoshiko che rideva “Ma lo conoscevi già?” le domandò perplessa “Eppure non ti eri ancora trasferita qui quando lui è partito…”.
“Oh, beh…” tentennò la giovane prima di scambiare una rapida occhiata con Yuzo “…è una lunga storia!” e risero entrambi, mentre la signora Ozora li osservava interrogativa.
“Adesso però devo scappare a strigliare quelli del catering.” spiegò la sorella di Misaki, cominciando ad allontanarsi.
“Sì, ma vedi di prendertela con le persone giuste, questa volta!” le fece eco l’ex-portiere della Nankatsu, sghignazzando. Yoshiko rispose con una linguaccia “Spiritoso!” e scomparve tra gli invitati.
“Prof!” esclamò Kumi, allargando le braccia “Che bello rivederti! E chi se l’aspettava?”.
“Ecco qui la signora Izawa.” ricambiando l’abbraccio “E così Mamoru si è deciso, alla fine. Congratulazioni.”.
Lei rise “Già! Ci ha messo un po’, ma poi ha dovuto cedere innanzi al mio indiscusso fascino.” e sbatté velocemente le palpebre in modo scherzoso.
“Non lo metto in dubbio, soprattutto adesso: sei splendida.”.
“Trovi?” domandò, carezzandosi il ventre rigonfio “Si vede ancora poco, ma già mi dona!”.
Yuzo annuì, notando che stava sopraggiungendo anche Yayoi.
“Questa sì che è una sorpresa.” cominciò la giovane “Ma quando sei tornato?”.
“Ieri sera e Sanae ha ben pensato di braccarmi prima che potessi scappare di nuovo.”.
“Ed ha fatto bene.” lo ammonì con decisione, prendendolo sottobraccio e ritornando in direzione del palco. “Non si scompare in questo modo.”.
“A tal proposito…” la interruppe Yuzo, assumendo un tono più serio “Mi dispiace per Jun. L’ho saputo poche ore fa da Sanae… è soprattutto per questo che sono venuto stasera.”.
Un cameriere si avvicinò a loro, porgendo un vassoio con sopra flute di champagne. Yayoi ne prese delicatamente uno tra le dita avvolte in neri guanti di raso. Il vulcanologo mostrò il suo, ancora pieno per metà, ed il giovane si allontanò con un inchino.
La signora Misugi sorrise. “Sanae aveva provato in tutti i modi a rintracciarti, ma tu dovevi essere sperduto chissà dove.”.
“Centro America.” spiegò Yuzo e lei gli rivolse un sorriso ironico.
“Sei tornato a pochi passi dal Ruiz, nonostante tutto?”.
“Nonostante tutto.” ammise “Ho cacciato i fantasmi per un po’.”.
E si fermarono davanti la grande foto del Baronetto. Nell’osservare quel viso sorridente e sereno, a Yuzo sembrò quasi impossibile che fosse morto davvero.
Yayoi sospirò “Devo dedurre che questo ‘esilio auto-imposto’ non sia riuscito a sortire l’effetto sperato, vero?”.
Lui si schermì con ironia “No, ma cosa dici? Non vedi come sono in perfetta forma?” e bevve un lungo sorso di champagne; sentì le bollicine solleticargli il palato, poi continuò “Ma lasciamo perdere me, che sono un caso raro, tu come stai?”.
Lei sorrise, scuotendo il capo, per poi aggiungere “E’ stato difficile, ma questo lo sai anche tu. Anche io avrei tanto voluto scappare, ma avevo i bambini a cui pensare… e loro avevano già perso il papà, non potevano perdere anche la mamma.”. La vide rivolgergli un dolcissimo sorriso sereno di chi, anche se ci sarebbe voluto dell’altro tempo, stava superando il dolore della perdita. “E poi devo molto anche ai miei genitori, ai genitori di Jun, ai ragazzi e, soprattutto, a Sanae. Lei mi è stata vicinissima e di grande conforto.”.
“Lo immagino.”.
Yayoi lo osservò in silenzio per qualche secondo. “Avresti dovuto permetterci di fare lo stesso con te...” disse poi con serietà, mentre lui abbozzava un sorriso rigirando il calice; gli occhi seguivano il percorso delle bollicine che salivano fino in superficie “…invece di fuggire in giro per il mondo. Non è scappando che si risolvono i problemi e non prenderlo come un ammonimento.”.
“Lo so, Yayoi, ma non sarei mai potuto rimanere… o avrei finito col tirarci le cuoia anche io. Dovevo… dovevo rimettermi in moto, anche per Aiko. Questo era il nostro lavoro e solo continuando a svolgerlo riesco a sentire come se fosse ancora viva.”.
“Ma lei non c’è più…”.
“Lo so.” e sorrise, vuotando il flute “Ad ogni modo, vorrei che mi indicassi dove è stato sepolto Jun, in modo da potergli fare una visita prima di ripartire.”.
Yayoi sgranò gli occhi “Ma come? Sei tornato ieri sera e parti di nuovo?”.
“Te l’avevo detto che sono un caso raro, no?”.
Lei sospirò pesantemente, riprendendo a camminare “Vieni, andiamo dai ragazzi, non vuoi salutare la vecchia Generazione d’Oro? Stasera ci siete davvero tutti.”.

...E poi Bla bla bla...

Ed eccoci ritrovati nell'angolino che solitamente mi riservo per fare quattro chiacchiere. Stavolta niente particolari elucubrazioni sulla Vulcanologia, Geologia et similia!XD
Vi siete salvati, va!XD
Preferisco prendere un paio di righe per ringraziare, bene, tutti coloro che finora hanno letto e - soprattutto - commentato Huzi. Davvero, grazie di cuore a tutti per apprezzare questa fanfiction in cui c'è decisamente la parte più consistente del mio mondo.
Grazie a Sakura-chan, che continua a farmi da beta con tantissimo entusiasmo.
Grazie ad Alex_Kami, alla quale dedico la Sanae-non-zerbina!XD perché noi la vogliamo più 'Anego'! E, soprattutto: no! Non smetterò mai di scrivere sui miei 'sfigatelli'! XD
Grazie a Maki-chan, per la quale cercherò di dosare al meglio la traggggedia!XD
Grazie a Scandros, che non mi sarei mai aspettata di ritrovare tra i recensori, e ne sono davvero molto contenta!
Grazie a Cloud, per i suoi complimenti e per il fatto che riesca a trovare utili le mie elucubrazioni geologiche!XD
Grazie a tutti coloro che leggono, ma non recensiscono. Sappiate che non mordo!XD Abbaio, ma non mordo!XD
Grazie a tutti voi, quindi, e vi rimando al prossimo capitolo... decisamente movimentato!XD


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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Huzi

- Capitolo 5 -


“Ryo, per la miseria, piantala di tampinare la signorina con il vassoio delle tartine!” esclamò Yukari, portandosi le mani ai fianchi “Sei il solito incorreggibile!”.
“Lascia perdere, Yukari, ormai siamo abituati al suo modo di abbuffarsi.” se la rise Urabe, ma lei scosse il capo.
“Lo so, Hanji, ma il problema è che il ‘signorino’ dovrebbe essere a dieta: ordine del mister!”.
“Tesoro, sono solo due tartine!” cercò di difendersi il giocatore dello Jubilo Iwata.
“Due?! Erano due venti tartine fa!”.
Ed il gruppo si animò con rumorose risate.
C’erano tutti.
Ed era molto raro vederli al gran completo in un unico posto. Eppure, quella sera, la Generazione d’Oro del calcio giapponese era finalmente riunita. O, almeno, la Vecchia Generazione d’Oro. Ormai trentenni, presto avrebbero dovuto fare posto alle nuove leve che già si stavano inserendo nella Nazionale e nelle squadre di J-League. Anche in quel momento, molti di quelli che sarebbero stati i campioni di domani, erano presenti alla serata di beneficenza organizzata in memoria di colui che era stato soprannominato il ‘Baronetto del Calcio’ per la sua classe e tecnica strabilianti. Ed anche se non ci sarebbe stato più, fisicamente, il suo ricordo sarebbe rimasto indelebile.
“Che cosa avete tanto da ridere?” Sanae attirò la loro attenzione, raggiungendo il gruppo in compagnia di Kumi “Che ha combinato Ryo, stavolta?” e l’interpellato le fece una smorfia, mentre gli altri continuavano a ridere.
“Uh! Salmone!” esclamò la Signora Izawa, fregando la tartina dalle mani del marito, trangugiandola in un sol boccone. “Mh! Che bontà!” esclamò, per poi rivolgere lo sguardo al difensore dei Marinos che era rimasto piuttosto perplesso. “Oh, scusami tesoro, ma lo sai che ho le voglie!”.
L’altro sospirò “E meno male che non sei in vena di fragole e panna.”.
“Ah, Sanae!” esclamò Yukari, rivolgendosi alla Signora Ozora “Ma ‘tu-sai-chi’ è venuto?” ma fu Kumi a rispondere, entusiasta.
“Sì, sì!” disse agitando una mano “Io l’ho già salutato!” e Sanae annuiva soddisfatta di sé stessa.
La Signora Ishizaki sorrise incredula “Ma come hai fatto a convincerlo? E dire che io ero sicura di aver visto un fantasma oggi allo stadio.”.
“Beh, sai che novità!” intervenne Genzo “Nell’arte della ‘rottura’ nessuno è più bravo di Anego.”.
Sanae incrociò le braccia al petto “Il tuo humor è pessimo come al solito, SGGK!” poi, in direzione della futura quarta moglie, che faceva bella mostra attaccata al suo braccio, aggiunse “Nastja[1], mia cara, fossi in te ci penserei bene prima di sposare siffatto comico!”.
“Ehi! Non inculcare strane idee alla mia fidanzata.” rimbeccò l’altro “Tu non lo sai, ma io ho uno spiccato senso dell’umorismo.”.
E Kojiro Hyuga scoppiò a ridere senza ritegno “Questa sì che è buona!” attirandosi un’occhiata sghemba da parte del portiere dell’Amburgo.
“Ma chi è ‘tu-sai-chi’?” domandò Ryo all’indirizzo di Urabe “Voldemort?”. Il suo compagno di squadra si limitò a tirare un profondo sospiro, scuotendo il capo.
Intanto, il SGGK fece per rispondere a tono alla Tigre della Juventus, quando abbandonò ogni proposito restando ad osservare oltre la spalla del cannoniere, con la bocca semiaperta, ma senza emettere alcun suono. Lentamente inarcò un sopracciglio, reclinando leggermente il capo di lato.
“Ti ho lasciato senza parole, Wakabayashi?” incalzò Kojiro, non potendo quasi credere che non gli avesse ancora lanciato contro qualche ingiuria, come al solito. Ma Genzo non lo sentì nemmeno, rivolgendosi alla sua futura quarta moglie “Nat, tesoro, scusami un momento…” e si liberò dal suo braccio, cominciando ad abbozzare quello che sembrava essere un sorriso. La minuta ragazza, dai capelli biondi, lo osservò allontanarsi dal gruppo, per dirigersi verso colei che aveva organizzato la festa, ma non per salutare Yayoi. Lo vide allargare le braccia e salutare il giovane che si accompagnava alla moglie del defunto Baronetto.
“Yuzo!” lo sentì esclamare “Santo Cielo, non ero sicuro che fossi tu! Credevo di aver avuto un’allucinazione!” e gli circondò le spalle con un braccio, rivolgendosi alla Signora Misugi. “Permetti Yayoi?”
La ragazza rise “Prego, è tutto tuo Genzo!” ed il SGGK lo sequestrò, trascinandoselo verso la Generazione D’Oro.
“Adesso non fingere di essere sorpreso di vedermi.” rimbeccò l’altro “Non dirmi che Sanae non vi aveva detto nulla?”.
“No!” sbottò energico il portiere, prima di piombare in mezzo al gruppo, esclamando “Signori, abbiamo un redivivo.”.
A Ryo per poco non andò la tartina di traverso, cominciando a tossire, mentre Urabe gli dava dei colpetti sulla schiena.
Gli altri ex-compagni, invece, ebbero più o meno la stessa reazione di incredulità di Genzo, convinti anche loro di aver avuto una strana allucinazione. Ma poi si riscossero, ben felici di ritrovarlo ancora tutto intero, dandogli un caloroso benvenuto. Abbracci di rito, pacche sulle spalle, e tutti che cercavano rigorosamente di tenere alla larga ogni argomento che potesse far spuntare fuori il nome di Aiko. Accortezza di cui, il Prof, fu profondamente grato.
Dal canto suo, Yuzo esibì il più classico dei suoi sorrisi, rispondendo alle loro battute, domande e quant’altro, fino ad incrociare lo sguardo pessimo che Izawa gli stava lanciando.
“Non guardarmi a quel modo.” disse l’ex-portiere della Nankatsu, avvicinandosi a lui.
“E tu non provare a rivolgermi la parola.” rispose di rimando Mamoru, incrociando le braccia ed abbozzando un leggero sorriso risentito “Ce l’ho a morte con te.” facendolo sospirare sonoramente e fare ‘mea culpa’.
“Hai ragione…” cominciò il Prof.
“Certo che ho ragione!” lo interruppe il difensore dei Marinos, dandogli una sonora pacca sul braccio “Non ti sei fatto vedere al mio matrimonio! Questa me la sono legata al dito!”.
Yuzo tentò di difendersi “Ma io nemmeno lo sapevo che ti sposavi!”.
“E’ colpa tua! Se non te ne fossi andato a zonzo per tutto questo tempo, senza nemmeno fare uno straccio di telefonata per giunta, l’avresti saputo!” ma il Numero Otto della Nazionale non era seriamente arrabbiato con il suo ex-compagno di squadra, però si era ripromesso di bacchettarlo a dovere il giorno in cui si sarebbero rivisti. E così aveva appena fatto.
“Ed io che dovrei dire?” intervenne Genzo, facendo spallucce “Se ne è saltati ben tre!”.
“E meno male.” rispose il Prof ridendo, mentre il portiere dell’Amburgo continuava.
“Ah, ma il quarto non te lo perdi! Parola mia!” e, presa la sua giovane fidanzata per mano, aggiunse “A tal proposito, ti presento Nastja.”.
Yuzo osservò la giovane dai lunghi capelli biondi ed il viso pulito ed innocente. Vispi occhi chiari lo osservavano sorridenti, mentre tendeva una delicata mano dalla chiarissima pelle.
Lui la strinse con un sorriso “Ochen prjatno, Nastja.” disse, cercando di ricordare quel poco di russo che aveva forzatamente imparato durante una spedizione in Kamchatka[2].
Al suono della lingua della sua terra natale, lo sguardo della ragazza si illuminò di una genuina felicità “Ty govòriesh pa-ruski?”.
Ja njemnogo goborju pa-ruski.”.
E lei rise allegra “Luchsche Genzo, konjechno![3]” facendo ridere anche lui, mentre il suddetto portiere inarcava un sopracciglio.
“Non so cosa avete detto, ma perché ho la sensazione che mi stavate prendendo in giro?”.
Nastja si strinse al suo braccio, rivolgendogli uno dei suoi spiazzanti sorrisi ingenui che lo avevano letteralmente folgorato il giorno in cui l’aveva conosciuta, dicendo “Ma non ti prendevamo in giro, Zoshen’ka.” lasciandogli un delicato bacio sulla guancia, prima di allontanarsi per raggiungere Sanae e Kumi. Il SGGK la seguì con lo sguardo, lasciando che un leggero sorriso si dipingesse sulle sue labbra.
Yuzo lo inquadrò con la coda dell’occhio, sorridendo a sua volta. “Ahia.” disse, bevendo un sorso di champagne “Hai un’espressione che la dice davvero lunga…”.
“Credo che lei sia quella giusta.” e lo affermò con una semplicità che faceva uno strano effetto se ad usarla era una persona come Genzo.
Mamoru ed il Prof si scambiarono un’occhiata di intesa, mentre il SGGK si rivolgeva al vulcanologo “E tu vedi di esserci, stavolta. Questo sarà il matrimonio definitivo.”.
Ed il difensore dei Marinos annuì “Come spero sarai presente alla nascita di mio figlio: ho intenzione di festeggiare e guai a te se ti dai alla macchia un’altra volta!” con un tono che non ammetteva un ‘no’ come risposta.
“Ma ci vorranno ancora dei mesi al lieto evento!” puntualizzò il Prof.
“Con te è meglio partire in anticipo. Almeno non potrai fingere di non saperlo.” si difese l’altro con non-chalance.
D’un tratto, Shingo Takasugi attirò l’attenzione dei suoi compagni. “Ragazzi, ma non l’avete notato? La Nankatsu è di nuovo al gran completo…” ed alzò il flute con solennità “…bisogna brindare!” venendo imitato da tutti i membri della ex-squadra liceale.
“E’ vero!” disse qualcuno.
“Alla salute!” esclamò qualcun altro.
“Prosit.” si limitò ad annuire Yuzo, mentre i calici tintinnavano sonoramente gli uni con gli altri.
 
Il fumo della sigaretta si disperse trascinato dal freddo di quella notte di Febbraio.
Mosse lo sguardo ad inquadrare la limpida volta celeste sopra la sua testa, puntellata di stelle, mentre alle sue spalle provenivano gli schiamazzi del salone in festa. Con i gomiti poggiati sulla ringhiera dell’ampia terrazza, rigirava l’ennesimo flute di champagne di quella serata che sembrava interminabile. Mentre il suo desiderio di essere altrove si faceva sempre più insistente.
“Scommettiamo che indovino quello che stai pensando?”.
Una voce allegra lo raggiunse, facendolo voltare. Yoshiko camminava nella sua direzione, stretta nello scialle abbinato al vestito, oscillando il flute che recava in una mano.
Yuzo le rivolse un sorriso “Ah, sì? Sentiamo, dunque, quali sarebbero i miei pensieri?”.
Lei gli fece il verso, appoggiandosi alla ringhiera, accanto a lui. “Mh, da quale uscita di sicurezza me la svigno? Quella di destra o quella di sinistra?”.
Il Prof rise, alzando le mani in segno di resa. “Touché!”.
“Ti si legge in faccia che non vedi l’ora di tagliare la corda.” continuò Yoshiko, poggiando il viso in una mano.
“Dici che è troppo lampante?”.
Lei annuì lentamente “Non ti piace proprio la mondanità, eh?”.
“Fosse solo quello.” sospirò l’altro, osservando Nankatsu e le sue luci notturne, mentre la sigaretta continuava a disperdere fumo tra le sue dita. “I ragazzi portano avanti sempre gli stessi discorsi: calcio-mercato, campionato... e chi diavolo è Rivaul? Oddio, non riesco a star loro dietro e di certo non posso passare l’intera serata a fingere di capire quello che dicono.” scosse il capo “No, decisamente io ed il calcio abbiamo separato le nostre strade in maniera definitiva, ormai.”.
Yoshiko sorrise “Senti, non ci crederai, ma la tua disgrazia è la mia fortuna: finalmente ho trovato qualcuno con cui scambiare davvero quattro chiacchiere!” disse entusiasta “Non fraintendermi, sono molto affezionata ai ragazzi della Nazionale ed i compagni dello Jubilo Iwata di Taro, ma parlano di calcio a colazione, pranzo e cena! Mentre le rispettive consorti, se non parlano di calcio anche loro, allora discorrono di pappe e pannolini.” e sospirò, vuotando il calice, per poi poggiarlo sulla ringhiera.
Yuzo volse le spalle alla città, rimanendo poggiato contro il marmo della balaustra, tirando una lunga boccata dalla sigaretta e ridendo dell’espressione afflitta della sua interlocutrice.
Quest’ultima continuò “Allora, Prof, cosa fai nella vita?”.
“Sono un vulcanologo. Lavoro per l’FVO di Nankatsu.” disse, esalando una grigia nuvoletta di fumo.
“L’FV… che?” fece eco lei, inarcando un sopracciglio.
Fuji Volcano Observatory.
“Ah! Allora sei il guardiano del Fuji!”.
“Più o meno...” obiettò rigirando il suo bicchiere “...non sono stato molto presente nell’ultimo periodo.”.
Yoshiko ci pensò un po’, osservando il silenzioso giardino, perfettamente curato, che si stendeva alle spalle della Villa di Genzo e che potevano dominare dalla loro posizione. “Vulcanologia...” fece eco, scandendo lentamente quella parola “...materia interessante. Scommetto che sei sempre in viaggio, per questo non ti ho mai visto.”.
Yuzo annuì “Sì, abbastanza. Sono tornato proprio ieri sera.”.
“Ah sì? E dove sei stato?”.
“Guatemala. A studiare un vulcano in eruzione.”.
Lei si volse ad osservarlo “Accidenti! Certo che tu ne avresti di cose da raccontare!” disse con sincera ammirazione “Sei per caso parente di Indiana Jones?” scherzò poi, pungolandogli un braccio e volgendo anche lei le spalle al panorama che aveva osservato fino a quel momento.
“Mi manca la frusta…” rise il Prof “…ma ho una collezione di cappelli da cow-boy, che potrei fargli concorrenza!”.
Rise anche Yoshiko prima di continuare “Toglimi una curiosità…”.
“Anche due.” e spense il mozzicone in un vaso adibito a grande posacenere per l’occasione.
“Magari è la classica domanda alla quale ti sarai sicuramente stufato di rispondere, ma volevo sapere come mai hai lasciato il calcio. Insomma, eri un membro della Generazione D’Oro...”.
Yuzo bevve un piccolo sorso di champagne. “Domanda interessante.” ripensando alle volte in cui se l’era chiesto anche lui, tempo addietro, ma rispose con assoluta sincerità “Volevo rendermi utile. Fare qualcosa che potesse aiutare gli altri, anche se indirettamente. E continuando a giocare non avrei mai potuto farlo.”. Poi sorrise “Ad ogni modo, non sono stato una grande perdita per il mondo dello sport.”.
“Che coraggio… dovevi essere davvero determinato...”.
“No, affatto.” scosse il capo “Ci ho pensato fino all’ultimo.”.
“E cosa ti ha permesso di decidere?”.
“L’ultima persona dalla quale mi sarei aspettato un discorso serio e posato: Genzo Wakabayashi.”.
Yoshiko strabuzzò gli occhi “Che cosa? Oddio, no! Questa la voglio sentire, racconta!”.
Yuzo rise, puntando lo sguardo sulle figure danzanti all’interno del salone, che poteva scorgere dalla terrazza. “E’ stato all’ultimo anno di liceo. Bisognava cominciare a prepararsi per il diploma e, mentre tutti gli altri sapevano esattamente cosa fare dopo, io non ne avevo la minima idea.”. Cominciò, rigirando il flute, prima di poggiarlo sulla ringhiera accanto a quello di Yoshiko. “Mi era sempre piaciuto studiare e la Geologia aveva stuzzicato il mio interesse già dal liceo. Però...”.
“Però c’era il calcio.” concluse la sorella di Taro per lui e Yuzo annuì.
“Già. Il calcio. E avevo lottato così tanto per ottenere determinati risultati, che piantare tutto per andare all’Università mi sembrava un po’ un fallimento. Poi arrivò la convocazione, da parte di Mikami, per il World Youth e a quel punto non potevo tergiversare oltre. Così chiesi consiglio alla persona che consideravo come un riferimento, calcisticamente parlando, e telefonai a Genzo.”. Incrociò le braccia al petto, inquadrando la figura del portiere che, all’interno della sala, discorreva amabilmente con persone a lui sconosciute, accompagnandosi con la graziosa Nastja.
“E cosa ti disse?”.
Yuzo sorrise “Mi fece tutto un discorso sul futuro, chiedendomi come mi vedessi da lì ad una decina d’anni. Se il mio primo pensiero fosse stato rivolto al calcio, allora la risposta ai miei dubbi era semplice: non dovevo fare altro che rispondere alla convocazione e presentarmi al ritiro. Ma se, invece, il mio primo pensiero non avesse avuto nulla a che vedere con lo sport, beh, allora la mia strada era sicuramente altrove.”.
“Parole di Genzo?” chiese in conferma Yoshiko, con un sorriso incredulo.
“Parole di Genzo.”.
“E tu, cosa hai fatto?”.
“Il giorno seguente telefonai a Mikami, dicendo che lasciavo il calcio, e, dopo il diploma, venni ammesso all’Università di Tokyo.”.
Yoshiko osservò in silenzio il suo profilo, con interesse “Ed è così che sei diventato un eroe.”.
“Eroe?!” fece eco Yuzo, incrociando il suo sguardo e scoppiando a ridere “Eroe è una parola troppo impegnativa ed io non credo affatto di esserlo.”.
“E perché no?” si impuntò la ragazza “In fondo fai la guardia al Fuji-san, tutelando la sicurezza di coloro che vivono accanto a lui.”.
“Yoshiko, il Fuji non erutta da circa trecento anni.” sottolineò il Prof.
“Embeh? Sei un eroe in stand-by!” sghignazzando con poco velata ironia.
“Ah ah, molto spiritosa!” le fece il verso lui, inarcando un sopracciglio “Ma veniamo a te Miss ‘non darmi dell’ ‘ina’, vado all’Università!’” strappandole una smorfia ed un sorriso, prima di rispondere.
“Allora...” cominciò, sistemando lo scialle troppo leggero perché la proteggesse adeguatamente dal freddo notturno, ma Yoshiko sembrò non farci troppo caso “...ho ventidue anni...”.
“Allora lo vedi che sei ‘ina’?” la interruppe lui, facendole storcere il naso.
“Non parlare come se fossi mio nonno!” esclamò contrariata “Dovresti avere l’età di mio fratello e trent’anni non sono tanti!” poi gli diede un paio di colpetti sul braccio “Su, non farmi perdere il filo!” e riprese da dove era stata interrotta. “Come ho detto, ho ventidue anni e a venti sono letteralmente scappata da Sendai.”.
“E perché?”.
Lei sospirò con espressione rassegnata “Mia madre.” disse “E’ una persona meravigliosa, ma decisamente troppo apprensiva nei miei confronti.”.
Yuzo fece spallucce “Trovo che sia normale, lo sono un po’ tutti i genitori...” ma lei scosse il capo.
“Nel mio caso l’effetto è decuplicato! Non si è mai perdonata di aver abbandonato Taro, senza fargli nemmeno una visita, per quasi sette anni. E, non volendo far mancare a me quello che è mancato a mio fratello, mi ricopre di attenzioni... troppe.” sorrise “Mi tratta sempre come se fossi una bambina, ma la maggiore età l’ho passata già da un po’...”.
“Così sei venuta a Nankatsu.”.
“Sì, avevo bisogno di staccare la spina e dimostrarle di essere perfettamente in grado di badare a me stessa. Taro mi aveva parlato così bene di questa città, che ho voluto verificare i suoi racconti.”.
“Cosa studi?”.
“Arte. Nelle sue forme più classiche: scultura, pittura. Sono una fan del signor Misaki e venero il Rinascimento Italiano. Mi diletto in computer grafica.” poi incrociò le braccia, assumendo una postura impettita “Non per vantarmi, ma: l’allestimento di questo salone è opera mia!” e sospirò teatralmente “Eh! Sono un genio!”.
E Yuzo cominciò a ridere “E anche tanto modesta!” mentre lei gli strizzava l’occhio, agitando l’indice. “Eccome se lo sono!” ridendo a sua volta.
Fu in quel momento, quando il Prof fece per prendere il pacchetto di sigarette, pronto per fumarne l’ennesima, che un brillio improvviso, alla sua mano destra, attirò lo sguardo di Yoshiko.
“Sei sposato?” domandò la giovane, notando solo allora i due cerchietti all'anulare. Lui fermò la mano a mezz’aria, seguendo il suo sguardo.
“Lo ero.” precisò con un sorriso appena accennato.
“Oh-oh! Sento odor di terreni pericolosi!” esclamò la ragazza, attirandosi lo sguardo del Prof. “L’ho capito da come hai cambiato espressione. Non dirmelo, anche tu un cuore infranto?”.
“In che senso?” domandò l’altro con espressione interrogativa.
Yoshiko scosse il capo, prendendolo sotto braccio “Adesso ti faccio un po’ di ‘scuola del pettegolezzo’.” disse con solennità “Altrimenti che serata mondana sarebbe?”.
E Yuzo sorrise, prestandosi al gioco “Avanti, sentiamo, chi è il cuore infranto?”.
“Hikaru Matsuyama.” esclamò lei, annuendo “L’anno scorso, prima della morte di Jun, l’Aquila dell’Hokkaido ha preso il ben servito dalla sua fidanzata storica, nonché mia omonima, Yoshiko.”.
“Stai scherzando?!” fece l’altro incredulo.
“No, affatto! Lei lo ha mollato per l'ex-compagno di squadra di Hikaru, tale Kazumasa Oda.”.
“Per Oda?!” ripeté interdetto “Questa poi! Povero Matsuyama.”.
Yoshiko annuì “Eh già, non l’ha presa tanto bene.”.
“Beh, ci credo!” e scosse il capo, portando la sigaretta alla bocca, mentre la ragazza rimase ad osservare i suoi movimenti per qualche istante prima di esclamare: “E lei?” attirandosi il suo sguardo “Anche lei ti ha lasciato per un altro?”.
Il Prof non rispose subito, rimanendo ad osservare i suoi occhi nocciola, in silenzio, per alcuni istanti. Yoshiko era una ragazza vitale e spontanea, sarebbe stato giusto intristirla con i suoi dolori? No, decisamente no.
Abbozzò un sorriso a fior di labbra. “No.” disse accendendo il tabacco ed esalando una densa nube di fumo “E’ solo… andata via.”. E, nel dire quelle parole, nel ricordare a sé stesso di non averla più vicino, sentì la gola divenire improvvisamente secca. Afferrò il flute che aveva poggiato sulla ringhiera, vuotandolo definitivamente.
“Ti ha lasciato da molto?”.
“Quattro anni.” mantenendo fisso lo sguardo sui due cerchietti d’oro.
“Oddio, scusami, forse non dovevo chiedertelo!” esclamò Yoshiko “A volte so essere davvero poco discreta. Ti prego, dimmi che non pensi che io sia un’impicciona!”.
Lui sorrise, scuotendo il capo e posando nuovamente il bicchiere sul bordo della terrazza “No, non lo penso.”.
“Ah! Meno male!” sospirò l’altra, stringendosi nello scialle.
Yuzo inarcò un sopracciglio “Non starai prendendo troppo freddo? Forse dovremmo rientrare in sala…” e fece per muoversi, quando lei lo trattenne, attirandosi la sua attenzione.
“No, non preoccuparti, non fa poi così freddo…”
“Come no? Siamo a Febbraio e l’inverno non è ancora trascorso… sul Fuji c’è addirittura la neve!”.
“Sì lo so, però… sei il primo amico di mio fratello che riesce a non parlarmi di calcio. Ti spiace se ti monopolizzo per qualche altro minuto?” e gli rivolse un grazioso sorriso al quale non seppe dire di no.
“Va bene… ma solo qualche minuto, altrimenti rischi di prenderti un malanno.” acconsentì, ciccando nel vaso .
“Grazie!” annuì entusiasta, poi gli si avvicinò con espressione risaputa “E poi… non vorrai essere braccato dai tuoi ex-compagni così presto, vero?” prima di ridere e volgere lo sguardo ad osservare il salone ed i suoi occupanti che continuavano a conversare tranquillamente.
Osservando la sua espressione allegra, Yuzo notò come fosse molto diversa da Taro. Yoshiko era intraprendente, spigliata e gran chiacchierona, mentre Misaki era molto più pacato e riservato. Però dovette ammettere che non gli dispiaceva affatto la sua compagnia, anzi, era da parecchio che non si sentiva così a suo agio in una conversazione; o, meglio, era da parecchio che non intratteneva una conversazione con qualcuno che non fosse della sua squadra all'FVO. E che la trovasse piacevole era addirittura un miracolo.
“Ad ogni modo…” riprese lei, tornando a guardarlo “…ti rivelerò il ‘Metodo-Yoshiko’ contro il mal d’amore.” facendolo ridere di gusto a quelle parole.
“Il ‘Metodo-Yoshiko’?!”.
“Sì!” accordò energica “Ti dico che è infallibile! Sono riuscita a consolare tutte le mie amiche disperate.”.
“Ed in che cosa consiste?”.
“Oh, è molto semplice.” annuì la ragazza, agitando l’indice con solennità “Basta una sana e calorica vaschetta maxi di gelato al giorno, da gustare lentamente a grandi cucchiaiate.”.
E Yuzo rise ancora più forte, mentre lei storceva il naso “Ehi! Guarda che è scientificamente provato contro i dolori del cuore!”.
“Sostituendoli con quelli di pancia?!”.
Rise anche Yoshiko, dandogli un buffetto sul braccio “Ovvio! Alla fine starai così male, che le altre pene ti sembreranno superflue!”.
“Dovrei provarlo… chissà, magari funziona.” ma sapeva che niente sarebbe mai riuscito a lenire le sue sofferenze, ma non riuscì a non ringraziare mentalmente la sua interlocutrice per quel po’ di buon umore che era riuscita a trasmettergli.
D’un tratto, uno stormo di uccelli si librò all’improvviso dalle fronde scure del giardino, facendo sonoramente frusciare le foglie ed emettendo allarmati versi gracchianti.
Yoshiko sobbalzò, girandosi di scatto, mentre Yuzo osservava la loro fuga improvvisa, divenendo serio ed inarcando un sopracciglio.
“Mamma mia che spavento!” esclamò lei, portandosi una mano al petto “Dannate cornacchie!” quando si sentì prendere per un braccio e sospingere leggermente, rivolgendo un’occhiata interrogativa al Prof, che le sorrise.
“Credo sarebbe meglio spostarsi dalla ringhiera e mettersi sotto l’arco del balcone…”.
Lei lo osservò confusa, lasciandosi guidare “Perché? Cosa sta…”.
Il tintinnare improvviso dei due flute appoggiati sulla ringhiera, attirò il suo sguardo. Poi, il tremore si trasmise anche al pavimento sotto i suoi piedi, dandole un improvviso senso di vertigine, facendole perdere l’equilibrio. Yuzo l’afferrò saldamente, impedendole di cadere.
“Attenta!” esclamò, mentre lei si sentiva sorreggere dalla sua stretta, realizzando cosa stesse succedendo. Consapevolezza che la mandò in panico.
“E’ un terremoto?!” domandò e non, con voce allarmata, mentre anche dal salone cominciavano a levarsi esclamazioni concitate e l’orchestrina smise improvvisamente di suonare.
“Tranquilla, va tutto bene.” le disse Yuzo, continuando a sorriderle ed accompagnandola fin sotto l’arco della terrazza, che era quanto di più simile ad un riparo vi fosse.
Yoshiko, appena furono al sicuro, afferrò un lembo della sua giacca, stringendolo con forza, continuando a guardarsi intorno terrorizzata ed osservando come gli oggetti e le persone tremassero ed oscillassero pericolosamente davanti ai suoi occhi.
“Io… io… detesto i terremoti…” mormorò vibrando, non solo per la scossa, ma soprattutto per la paura.
I bicchieri, abbandonati sulla ringhiera, caddero sul cotto della terrazza, andando in mille pezzi e strappandole un gridolino, mentre, intorno, qualche altro coccio rovinava al suolo, disperdendo contenuto e vetro sul pavimento.
Yuzo attirò l’attenzione della ragazza “Yoshiko, guardami.” ordinò in tono calmo, costringendola ad alzare il viso verso di lui. “Fai un bel respiro profondo.” inspirando a pieni polmoni e venendo imitato dalla sorella di Misaki “Ed ora espira. Va tutto bene…” e, mentre diceva quelle parole, le vibrazioni scemarono fino a cessare del tutto. “Hai visto? È finita. Non è successo niente.” e le sorrise, togliendo solo allora il braccio che aveva tenuto poggiato contro la parete per proteggerla da eventuali crolli.
Lei annuì lentamente, continuando la respirazione e cercando di sedare l’ansia.
“Forse è meglio se ti siedi per qualche minuto e bevi un bicchier d’acqua.” propose il Prof e Yoshiko accennò un sorriso.
“Sì, credo sia il caso…” accordò con voce incerta.
“Yoshiko!” la voce preoccupata di Taro attirò la loro attenzione e, appena lo vide insieme ad Azumi, la ragazza gli si fece contro, abbracciandolo.
“Tutto bene?” domandò il giocatore dello Jubilo Iwata, accertandosi che non si fosse fatta nulla, poi notò anche la figura di Yuzo e sorrise sollevato. “Ah beh, ma eri in compagnia dell’esperto.” scherzò, stemperando la tensione, e facendola sedere.
“Ti porto dell’acqua, tesoro.” le disse Azumi, prima di allontanarsi rapidamente. Tutt’intorno, i presenti erano ancora leggermente turbati, per quanto non fossero estranei a simili fenomeni geofisici. Yayoi, Yukari e Sanae erano andate ai piani superiori per vedere se i bambini stessero bene, mentre Mamoru cercava in tutti i modi di convincere Kumi a sedersi per qualche secondo, con scarsi risultati, visto che la ragazza non voleva saperne e andava a tranquillizzare gli ospiti.
“Ah! Sapori di casa!” esclamò Yuzo con ironia “Non mi sarei mai aspettato un simile comitato di accoglienza.”.
Ma Taro scosse il capo, allontanandosi di qualche passo, mentre Azumi era tornata con l’acqua e si prendeva cura di Yoshiko.
“Non ti nascondo che comincio a preoccuparmi sul serio.” gli disse smorzando il tono della voce, mentre il Prof inarcava un sopracciglio.
“Parli del terremoto? Beh, siamo in Giappone, praticamente siamo cresciuti a suon di scosse…” ma l’altro lo interruppe.
“Sì lo so, ma stavolta è diverso.”.
“Di cosa stai parlando?”.
“Questo è il terzo in una settimana, non sono un po’ troppi?”.
Yuzo rimase perplesso, riflettendo sulle sue parole. Effettivamente tre terremoti di magnitudo superiore alla soglia di percezione, in una sola settimana e con epicentro piuttosto circoscritto, erano inusuali, ma per nulla impossibili. Senza contare poi tutte le scosse rilevate esclusivamente dai sismografi.
“Da quanto tempo va avanti così?”.
E Taro fece un’alzata di spalle “Venendo a Nankatsu solo saltuariamente, mi baso sui resoconti di mia sorella…” premise prima di pensarci su “…e lei mi ha parlato del primo terremoto circa tre settimane fa.”.
La cosa destò il suo interesse, lasciandolo visibilmente pensieroso.
“Che sta succedendo?” gli domandò Taro, con voce preoccupata, e lui scosse il capo abbozzando un sorriso.
“Non saprei, sono tornato solo ieri sera e negli ultimi tre anni non ho la minima idea di quello che sia successo al Giappone. Ma credo non sia nulla di grave, altrimenti sarebbero già scattati gli allarmi.” disse, cercando di convincere l’amico di un qualcosa di cui era il primo a dubitare, ma, per il momento e fino a che non si fosse accertato di persona che fosse tutto a posto, preferì evitare inutili allarmismi.
D’un tratto, un improvviso trillare animò il suo cercapersone.
Afferrò l’oggetto attaccato alla cintura, dando un rapido sguardo al numero: la sede dell'FVO.
Evvai! Poteva darsi alla fuga!
Yuzo sorrise “Comincerò ad accertarmi subito della situazione.” disse, incamminandosi verso l’uscita “Salutatemi Yayoi!”.
“E tu facci sapere se sta per arrivare la fine del mondo!” scherzò Ryo, facendolo sorridere.
“Non mancherò!” rispose, estraendo il satellitare ed accendendolo, quando incrociò Sanae che era appena rientrata in sala dopo aver lasciato Yayoi e Yukari con i bambini.
La ex-manager lo squadrò perplessa “Ma, Prof, te ne stai andando?”.
“Oh, perdonami Sanae, ma sono stato richiamato in dipartimento.” e le mostrò il cercapersone.
“Ti sei portato il cicalino?!” sbottò indicando l’oggetto con fare inquisitorio.
Yuzo divenne improvvisamente serio “Sanae, in questo lavoro devo essere sempre reperibile.”.
E rimasero a fissarsi in silenzio, mentre lei incrociava le braccia al petto, osservandolo con sufficienza “Come se non l’avessi capito che non vedevi l’ora di dileguarti.” gli disse, facendolo scoppiare a ridere. “Scommetto che questo terremoto è opera tua!” aggiunse prima di superarlo, dandogli una pacca sulla spalla e sospirando rassegnata “Buon lavoro, Prof.”.
 
Yuzo scese rapidamente le scale, cominciando a comporre il numero del telefono sulla scrivania di Rick. Ciò di cui gli aveva parlato Taro gli aveva messo una dannata pulce all’orecchio e, arrivato all'FVO e stimato l’entità del sisma, avrebbe cominciato a guardarsi tutti i dati relativi al monitoraggio giapponese degli ultimi tre anni; magari erano davvero solo delle semplici scosse di natura tettonica, ma era meglio controllare.
Era quasi arrivato nei pressi dell’atrio della villa, quando si sentì richiamare da una voce femminile.
“Certo che cammini veloce! E poi con i tacchi è ancora più difficile starti dietro!” Yoshiko lo raggiunse, accorciando anche l’ultima distanza “Ti sei allenato con le escursioni ci scommetto!”.
“Yoshiko? Ma non eri con Azumi?”.
“Sì, ma tu sei scappato via e non ho avuto modo né di salutarti, né di ringraziarti.”.
Il Prof sorrise “E di cosa? Piuttosto, va meglio ora?”.
Lei annuì “Sì. Scusami, i terremoti mi terrorizzano…”.
“Ma non devi mica scusarti. È normale averne paura.”.
“Ad ogni modo, grazie. Sei stato davvero gentile.”.
“Di nulla, ma cerca di non farti prendere dal panico la prossima volta…” poi cominciò a tastare la giacca alla ricerca di qualcosa “…ero sicuro di averlo…” e lei lo osservò interdetta fino a che non sembrò trovare ciò che stesse cercando. Da una tasca interna, Yuzo cavò un bigliettino con una penna.
“Se dovessi essere nuovamente in difficoltà e avessi bisogno di aiuto…” disse, cancellando il numero segnato sul cartoncino e scribacchiandone rapidamente un altro “…questo è il numero del mio cellulare: è un satellitare, quindi prende dovunque.”. Le porse il bigliettino da visita che lei prese delicatamente tra le dita.
“Davvero… posso?” domandò titubante “Non ti disturbo?”.
Ma lui scosse il capo “Non preoccuparti. Se hai bisogno puoi chiamarmi a qualsiasi ora, dormo relativamente poco.” disse con un sorriso “Solo… tieni questo numero lontano da Sanae o sono un uomo morto!”.
E lei sorrise, annuendo “Ok, stai tranquillo! E grazie ancora!”.
“Grazie a te per aver salvato una serata altresì terrificante.” le disse infine, prima di volgerle le spalle ed attraversare l’atrio, esclamando “Buonanotte, sorellina di Misaki.” che gli valse una linguaccia.
 


 
 
[1]NASTJA: un mio piccolo omaggio ad una autrice del fandom di Captain Tsubasa, Izumi, ed al suo personaggio di ‘Sotto la pioggia camminava la primavera’, che io, personalmente, ho adorato!*_*
 
[2]KAMCHATKA: estrema penisola russa che si affaccia sull’Oceano Pacifico ed il Mare di Okhotsk. Relativamente giovane, geologicamente parlando, vanta un elevato numero di vulcani (circa 160, dei quali 79 sono attivi) e geyser (circa 200).
 
[3]“OCHEN… KONJECHNO”: il dialogo sarebbe “Piacere di conoscerti, Nastja.” / “Parli il russo?” / “Molto, molto poco.” / “Più di Genzo di sicuro!” Si ringrazia la bravissima Izumi, traduttrice inconsapevole del suo omaggio! XD *_* sono stata brava a non farmi scoprire? Ehhhh?*.*
 
 
 


…E poi Bla bla bla…

 
Qualcuno è probabile che possa restare molto, molto stupito o addirittura sbottare con un ‘Massè! E prima il Guatemala e dopo la Kamchatka… che più?!’, orbene: questo non è solo possibile, ma POSSIBILISSIMO.
E vi spiego perché.
La maggior parte dei miei professori universitari ha girato mezzo mondo (ed ho visto le foto! XD), uno di loro è stato Capo della Protezione Civile alcuni anni fa. Ma l’esempio che più mi preme illustrarvi, riguarda un professionista che venne con noi in escursione.
Lui era il nostro ‘fuochino’, ovvero preparava gli esplosivi per fare indagini sismiche.
Il Signor E. è un mito! Ci ha fatto morire dalle risate e ci ha raccontato tantissimi aneddoti, soprattutto, ci ha parlato dei suoi tantissimi viaggi.
Quest’uomo si è girato la Cintura di Fuoco, l’Africa, l’Australia e posti stranissimi che credo io riuscirò a vedere solo tramite foto. Ci ha raccontato dell’alba sulle Ande, di quando è stato fatto prigioniero da alcuni guerriglieri africani insieme ad un suo collega, e di quando ha incontrato – per puro caso – il parente di un suo amico a Sidney. E tutto questo grazie al suo lavoro.
Quindi, i tanti viaggi di Yuzo, non sono che la realtà di moltissimi geologi.
Concludo citando il mio professore di Geofisica Applicata: “Per essere dei buoni geologi, non bisogna soffermarsi solo sulla realtà nazionale, ma conoscere la geologia del mondo. Quindi, dovete viaggiare.”.

Ed ora i ringraziamenti dovuti!

la mia Sakura-chan: *_* tesssssora. Mi sto armando per creare il bannerino per il Club-Sanae-no-Zerby! XD abbi fede! *_* e sono contenta di esser riuscita a farti piacere Yuzo. Attendo, piena di curiosità, di sapere bene ciò che pensi di lui!*_*

NOTA MOLTO IMPORTANTE: Non ci saranno aggiornamenti per le prossime due settimane. Questo perché: la settimana del 1° Maggio la devo dedicare tutta al completamento della fanfiction partecipante al concorso indetto da Lisachan sul forum di EFP. Quindi, ha la priorità. Mentre dal 7 al 14 Maggio, non sarò in sede: *_* vado a trovare il Diofà
Inoltre, sono ormai arrivata a pubblicare quasi tutti i capitoli già conclusi (manca solo il 6, mentre il 7 è in lavorazione.), quindi, per prendermi anche maggiore tempo per la stesura, alternerò la pubblicazione di Huzi a quella per la storia del concorso (se i risultati saranno già usciti). E questo è davvero tutto ^_^ grazie mille per la cortesissima attenzione!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Huzi

- Capitolo 6 -

La prima cosa che disse, appena varcò l’ingresso del centro operativo dell’FVO, fu “Profondità dell’ipocentro?”.
Ricardo alzò lo sguardo dal monitor. “Sei già qui?” domandò, squadrandolo da capo a piedi “Hai avuto anche il tempo di andarti a cambiare?”.
Yuzo inarcò un sopracciglio. “No, veramente sto arrivando direttamente dalla festa.”.
¡Madre de Dios! Sei andato vestito così?!” sbottò l’ingegnere portandosi una mano alla fronte.
“Sì, perché?”.
“Mi lasci senza parole. Già immagino: gli altri vestiti di tutto punto e tu come l’allegro contadino!”.
Il Prof alzò lo sguardo al cielo, scuotendo il capo. “Abbiamo altro a cui pensare.” disse cambiando discorso “Allora? Questo ipocentro? Hai chiamato Rita?”.
“17 km, 3.7 Richter. Sì, l’ho chiamata: prima mi ha bestemmiato in napoletano, poi ha detto che arrivava.”.
Yuzo mugugnò qualcosa, riguardo la profondità dell’ipocentro, ed aggiunse “Hideki?”.
Rick fece spallucce “Ha chiesto se fosse necessaria la sua presenza, io gli ho detto di no e lui, dopo avermi mandato a quel paese per averlo svegliato inutilmente, mi ha detto di fargli trovare un rapporto per domattina.”. Poi si alzò, esibendo un largo sorriso “Quindi, in assenza del burbero, sei tu il grande capo.” e gli diede una sonora pacca sulla spalla “Forza, facci vedere come comandi l’FVO!”.
L’altro abbozzò un sorriso “Non credo ti convenga.” lo avvertì, afferrando il pacchetto di sigarette e portandosene una alla bocca, senza accenderla.
Un’esclamazione di forte disappunto attirò la loro attenzione “Che puozz jett’o’sanc[1]!”.
“E’ arrivata anche Rita.” notò Ricardo, riconoscendo una delle tipiche espressioni in dialetto della sismologa campana, e si volse ad osservare la giovane dall’inconfondibile massa riccia color carotina. “Oh, mia principessa!” esclamò andandole incontro, ma lei lo fermò sollevando una mano e osservandolo da sopra le lenti con uno sguardo omicida.
A’ Riccà! Se vuoi rompere, cambia soggetto, ché oggi non è aria!”.
Querida, sei di pessimo umore?” incalzò l’altro, prendendole la mano e rivolgendole uno sguardo da triglia.
“Solo ‘pessimo’?” fece eco “Di’ pure che sembro una iena! Siamo tornati solo ieri sera e sto ancora litigando con il fuso orario, ok? E come se non bastasse, mentre sono nel meglio del mio sonno ristoratore, un ispanico rompiballe mi chiama perché devo analizzare un terremoto talmente scemo che io nemmeno ho avvertito!” e Ricardo sbatté velocemente le palpebre, esibendo un sorriso a trentadue denti, mentre lei sospirava e scuoteva il capo. “Cos e’ pazz![2]” borbottò, ritraendo bruscamente la mano e dirigendosi verso l’uscita per scendere al primo piano dove c’erano i sismografi. Ed intanto continuava a rimbrottare “Con tanti sismologi che ci sono, vorrei proprio capire perché devono rompere le scatole sempre a me! O’ vulesse sapé[3]!”.
Yuzo e Rick sghignazzarono appena mise piede fuori dagli uffici.
“E’ la migliore, non c’è niente da fare.” disse Ricardo.
“Già. Dovremmo dirglielo, così la smetterebbe di borbottare.” accordò il Prof, ma l’altro scosse il capo incrociando le braccia al petto.
“Ma scherzi? È italiana: se non si lagna di qualcosa, poi si annoia!” e risero ancora più forte, fino a che Yuzo non gli mollò una sonora pacca sulla spalla, esclamando.
“A proposito di annoiarsi, non avevi detto di volermi in versione ‘grande capo’?” ma l’altro assunse un’espressione di poco velata preoccupazione, che lo fece sghignazzare in maniera subdola.
“Esatto, mio caro, comincia a sfacchinare: ricordi quel file sul monitoraggio che ti avevo commissionato oggi pomeriggio? Ecco, hai dieci minuti per farmelo trovare sulla mia scrivania. Giusto il tempo che mi prenda un caffé e fumi una sigaretta.” e si allontanò, diretto ai distributori automatici.
“La sai una cosa?” urlò Rick alle sue spalle “Preferisco Hideki!”.

La camera era avvolta da una rassicurante penombra, schiarita da qualche sottile raggio luminoso che riusciva a filtrare tra le fenditure delle persiane chiuse.
I rumori esterni, della città già sveglia, erano un conciliante mormorio di sottofondo. Poi, un mugolio ovattato arrivò da sotto il pesante piumone, che copriva il letto, e qualcosa si mosse, cambiando posizione.
E, nuovamente, solo il traffico cittadino divenne l’unico rumore percepibile.
D’un tratto, due braccia emersero da quella cacofonia di coperte, stiracchiandosi nell’aria, accompagnate da un sonoro sbadiglio. Una mano tastò il comodino alla ricerca di uno strano oggetto, tutto rosa, a forma di maialino, sulla cui pancia vi era un quadrante con le lancette fosforescenti. Le dita studiarono per bene le varie forme, cercando di riconoscere quella giusta e poi si fermarono, trovandola.
Agguantò la sveglia che le aveva regalato suo fratello, facendola scomparire sotto il piumone.
E, di nuovo, il silenzio regnò per cinque secondi.
Uno.
Due.
Tre.
Quattro.
Cinque.
“Maledizione!”.
Puntuale come un orologio svizzero, Yoshiko si svegliò che era in ritardo cosmico.
“Eccheccavolo! Ma come ho fatto a non sentire il suo grufolare convulso?!” si domandò, mandando all’aria le coperte e tirandosi a sedere nel letto, passandosi una mano tra i capelli super impicciati e duri come tavole di legno a causa dei chili di lacca che la parrucchiera le aveva messo il giorno prima, in modo che l’acconciatura tenesse per tutta la serata.
Sbuffò contrariata, non riuscendo ad affondarci nemmeno metà dita. “Devo sembrare un porcospino con la permanente riuscita male, accidenti!” poggiò i piedi al suolo, tastando alla ricerca delle moppine a cagnolino, con tanto di orecchie.
Le infilò con lentezza, dandosi un’ennesima stiracchiata e nascondendo uno sbadiglio in una mano.
“Dio, che sonno... e meno male che c’è stato il terremoto, altrimenti la serata sarebbe finita ancora più tardi.” disse a sé stessa, spalancando la finestra ed alzando la persiana, permettendo alla luce del giorno di invadere la camera da letto del piccolo appartamento che aveva allo Studentato. Con il sole, entrò anche il freddo pungente di Febbraio, che la fece rabbrividire e richiudere i vetri alla velocità del fulmine.
“Accidenti! Sembra di essere in Siberia!” esclamò, dirigendosi velocemente nel cucinino-salotto per prepararsi un bel caffé caldo e darsi una sonora svegliata. Caricò rapidamente la macchinetta all’americana, che faceva un caffé lungo davvero vomitevole, ma che aveva la santa capacità di resuscitare i morti di sonno come lei, e si sedette al tavolino in attesa che uscisse.
Certo che aveva dormito proprio bene, quella notte, per quanto l’ultima settimana fosse stata terribilmente stancante: tra l’organizzazione del gala e le tre scosse sismiche, aveva accumulato uno stress davvero notevole. Eppure, differentemente dalle altre nottate, il cui sonno era stato poco ristoratore ed agitato, stavolta si era coricata con un senso di rilassatezza e compiacenza che l’avevano aiutata a dormire come un ghiretto in letargo. Forse era dovuto al fatto che ormai la serata fosse finita, e tutta la preoccupazione, affinché la sala fosse perfetta, si fosse esaurita con la ottima riuscita del gala... oppure...
Distrattamente afferrò la borsetta che aveva lasciato sul tavolo quando era rientrata e la aprì, cavandone il bigliettino da visita che le aveva lasciato il Prof, mentre stava andando via.
Yuzo Morisaki.
Vulcanologo.
Campeggiava al centro, mentre in basso, da un lato, vi era l’indirizzo ed il numero di telefono della sede dell’FVO e dall’altro il suo vecchio numero di cellulare, cancellato, con sopra, a penna, quello attuale.
Sorrise.
Certo che era carino, accidenti! Un vero peccato che non fosse comparso prima. Si ritrovò a pensare, rigirando il cartoncino tra le dita, e si ricordò di quando aveva distrattamente captato il suo nome, durante qualche conversazione di suo fratello o gli altri membri della Nazionale. Il suo primo pensiero, scoprendo che questo strano soggetto aveva mollato la Generazione d’Oro per dedicarsi agli studi, era stato: folle! E di certo non si sarebbe mai immaginata che, proprio quel ‘folle’, avrebbe magneticamente catturato la sua attenzione.
Il forte aroma di caffé invase la stanza, distraendola dai suoi pensieri, e si mosse per prendere una tazza e versarsene fino all’orlo in modo da reggere per tutta la giornata, quando qualcuno bussò con decisione alla porta dell’appartamento.
“Yoko[4]!” chiamò una voce femminile “Yoko, ma stai ancora dormendo?”.
Yoshiko sorrise, andando ad aprire “Che hai da urlare? Sono sveglia.” rimbrottò, mentre l’amica, e vicina di stanza, sgattaiolava all’interno, osservandola con occhio critico e picchiettando il pavimento con la punta del piede.
“Sei ancora in pigiama?!” notò, inarcando un sopracciglio ed abbozzando un sorrisetto ironico “Non dirmelo: ti sei alzata dieci minuti fa.”.
“Cinque.” corresse l’altra, versandosi il caffé.
“Cinque?! Sei in ritardissimo!”.
Yoshiko sbuffò “Saya, non ripetermi quello che so già!”.
“Tesoro, repetita juvant.” affermò, annuendo con severità “Ommioddio! Guarda i tuoi capelli! Sono un disastro!”.
“Sì, sì... ora vado a farmi una bella doccia e torneranno decenti.” e vuotò la tazza, assumendo un’espressione di puro disgusto.
“Ok, ma spicciati! O finisce che facciamo tardi alla lezione di Storia dell’Arte Italiana e lì sì che sono guai! Lo sai come è puntiglioso quello!” e lei mugugnò qualcosa di affermativo, eclissandosi all’interno del bagno il cui ingresso era nella sua camera da letto.
Saya osservò il letto sfatto e scosse il capo, posando la borsa con i quaderni su di una sedia, provvedendo a sistemarglielo.
“Allora?” domandò a voce alta, per sovrastare lo scrosciare dell’acqua della doccia “Come è andata la serata di beneficenza?”.
“E’ stata un successone!” rispose Yoshiko, strofinando per bene i capelli affinché tutto lo schifo, con cui erano stati incollati, venisse lavato via “C’erano tantissime persone e le donazioni sono state estremamente generose! Yayoi era davvero contenta!”.
“Perfetto!” convenne, ripiegando le lenzuola “E dimmi... c’era anche quel gran figo di Hyuga?” domandò con un sorriso, sbattendo il cuscino.
“Certo!” confermò Yoshiko “Con la sua amatissima fidanzata.” e sottolineò sia la parola ‘amatissima’ che ‘fidanzata’, scoppiando a ridere.
Saya sospirò affranta, sistemando il piumone. “Dio, come invidio la Akamine! Credo che Hyuga sia il più gran bel pezzo di carne che io abbia mai visto! Che darei per essere al suo posto!” e sospirò ancora più sonoramente, sedendosi sul letto che aveva appena finito di rifare.
Ignorando le sue parole, Yoshiko esclamò “Ho conosciuto una persona.” attirando la curiosità dell’altra, che abbandonò per un momento le sue pene d’amore-impossibile, domandando “Un calciatore?”.
“No.”.
“No?!” fece eco con perplessità.
“Strano, ma vero.”.
“E allora cos’è? Un manager? Un riccastro?” e lo scosciare dell’acqua cessò, venendo richiusa. Poco dopo, la sorella di Misaki uscì avvolta dal suo accappatoio di spugna rosa, frizionando i capelli con l’asciugamano.
“Nessuna delle due.” rispose sorridendo “E’ uno scienziato.”.
“Ommioddio no!” scattò su l’altra, balzando in piedi con espressione terrorizzata, facendole inarcare un sopracciglio “Gli scienziati sono pazzi!” esclamò con convinzione “Che ne sai che non sta progettando di conquistare il mondo?!”.
Attimo di profondo e sacrale silenzio.
“Saya... stai vedendo Dragon Ball, per caso?”.
“Sì! E c’è quel Dottor Gelo che è raccapricciante!”.
E Yoshiko alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo “E’ solo un vulcanologo...” disse, afferrando il phon e tornando nel bagno per asciugarsi i capelli “...ed è carino e gentile.”.
Saya comparve sulla porta, poggiandosi contro lo stipite. “Quanto carino e quanto gentile?” domandò con un sorriso e le braccia conserte.
“Molto carino e molto gentile.”.
“Da 1 a 10?” insistette l’altra e Yoshiko rimase per un momento in silenzio, con la testa all’ingiù, a pensarci.
“Direi 10 a tutte e due.” e Saya fischiò.
“Cavolo! Il massimo al primo colpo! Allora lo devo conoscere! Come si chiama?”.
La sorella di Misaki rialzò il capo, buttando i capelli all’indietro e finendoli di asciugare con la spazzola. “Yuzo, ma tutti lo chiamano ‘il Prof’... ed ho il suo numero di cellulare.”.
L’amica fece schioccare le dita “Ottimo lavoro, ragazza! Allora ti ho insegnato bene!” poi si fermò, assumendo un’espressione criptica. “Aspetta. Quanti anni ha?!”.
“Ehm... è un po’ più grande...” tergiversò.
“Più grande... di quanto?”.
“...otto... è un amico di Taro.”.
“Trent’anni, Yoko?! È vecchio!” sbottò contrariata.
“Non è vecchio!” si impuntò con decisione “E’... maturo! Ecco!” e spense il phon, dando un’ultima spazzolata a quei capelli, lisci come spaghetti, che le arrivavano sulle spalle. Poi si diresse in camera, cavando gli abiti dai cassetti, mentre l’altra continuava a fare la sua arringa.
“Gli uomini, a quell’età, hanno esigenze diverse. E poi... a trent’anni non è né sposato, né fidanzato? Allora è un farfallone!” ed annuì con convinzione.
“Saya, risparmiami le tue perle di vita.” sbuffò Yoshiko “E poi non è un farfallone: è divorziato.”.
“Divorziato?!”, e la sorella di Misaki le fece il verso, “Oddio: uno scienziato divorziato... una catastrofe!”.
“No, te lo dico io cos’è una catastrofe: arrivare tardi al corso di Storia dell’Arte Italiana, ecco, quella è una catastrofe!” e tornò nel bagno, richiudendole la porta ad un palmo dal naso.

Sbuffò nuovamente, rilassandosi contro lo schienale della poltrona del suo ufficio, e si tolse gli occhiali che metteva solo quando lavorava al computer, lanciandoli con un gesto seccato sulla scrivania.
Gli occhi gli bruciavano a causa di tutta la stanchezza accumulata, sommata alla notte trascorsa davanti ad un monitor ed il riposo praticamente nullo. Li massaggiò con lentezza, mentre aveva l’impressione che venissero trafitti da migliaia di spilli.
In quel momento, avrebbe gradito volentieri un caffé. Fu il suo primo pensiero, al quale seguì subito quello di una sigaretta: Santa Nicotina e Santa Caffeina erano le sue protettrici fidate. Con gesto lento, afferrò il rotolino di tabacco spento, che le sue labbra avevano trattenuto fino ad allora, reclinando il capo all’indietro e mantenendo gli occhi socchiusi per qualche secondo.
Aveva vagliato il primo dei tre anni di monitoraggio e gli era sembrato che fosse tutto piuttosto regolare: i soliti vulcani in eruzione avevano mantenuto il loro stato pressoché immutato, alternando periodi di maggiore e minore intensità. La sismicità era nella norma: terremoti associati a fenomeni eruttivi, terremoti tettonici. Niente di rilevante o anomalo. Aveva osservato i sismogrammi degli eventi più significativi, intensità, velocità, con scarsi risultati.
Andava tutto bene.
E allora perché una vocina, fastidiosa come il Grillo Parlante di Pinocchio, continuava a sussurrargli all’orecchio “c’è qualcosa che non va!”?
Un qualcosa che, però, sembrava sfuggirgli. O forse il suo intuito era rimasto ad abbronzarsi sul Pacaya alla faccia sua?
Non era un’ipotesi da scartare a priori, quella. E poi, alla fine aveva controllato solo il primo anno, ne restavano altri due e magari qualcosa sarebbe saltata fuori.
Un paio di colpetti alla porta gli fecero aprire gli occhi di scatto ed inquadrare la figura sorridente di Rita, che restava ferma presso l’uscio aperto del suo ufficio.
“Ti ho pizzicato.” esclamò lei, avvicinandosi alla scrivania “Sei cotto dalla stanchezza come tutti i comuni mortali, Stachanov.”.
Lui abbozzò un sorriso, negando l’evidenza “Ma che stanco! Dammi un caffé e torno fresco come una rosa.”.
Rita scosse il capo “Sei un masochista della peggior specie, lo sai?”.
“Piuttosto, dimmi che hai delle notizie interessanti…”.
“Spiacente di deluderti, Yuyù, ma non ne ho nemmeno mezza.” e gli allungò una serie di fogli pieni di schemi, diagrammi e grafici vari, ai quali lui diede una rapida occhiata, mentre lei continuava “Me lo sono rigirato come un calzino questo terremoto, l’ho praticamente sezionato, ma non ho trovato niente di anomalo… è una banalissima scossa tettonica.”.
Yuzo sospirò, inarcando un sopracciglio “E come ti spieghi la distanza ravvicinata di tutti questi eventi?”.
Rita fece spallucce “Avvisaglie di un fenomeno di dimensioni maggiori?”.
“Sì, ci avevo pensato anche io… eppure non mi convince del tutto…”.
La sismologa lo guardò con occhio critico “Yuyù…” esordì, attirandosi il suo sguardo “…non ti starai mica incaponendo nel cercare un qualcosa che non esiste?!”.
L’altro sorrise, posando i fogli sul tavolo ed agguantando il telefono “E’ ancora presto per dire che non c’è nulla.” si giustificò, facendola sospirare. “Facciamo così: fai un’indagine comparata degli ultimi tre terremoti, io chiamo l’ERI e mi faccio inviare dati più specifici…” ma lei lo fermò prima che potesse iniziare a comporre il numero, tenendo premuto il tastino del ricevitore.
“Facciamo che, invece, io comincio l’indagine e tu vai a casa a dormire.” disse con decisione “Chiamerai l’ERI dopo che ti sarai riposato o non riuscirai a cavare un ragno dal buco.”.
Yuzo osservò attentamente il suo sguardo severo e poco conciliante, capitolando e posando la cornetta.
Vabbuò![5]” disse in un napoletano dall’accento nipponico, che fece sorridere Rita “Hai vinto, me ne vado a casa.” e spense rapidamente il portatile, lasciando poi l’ufficio seguito dalla vigile sismologa, che non lo mollò fino a che non lo vide inforcare le scale, per essere sicura che non facesse una finta e ritornasse, alla chetichella, sui suoi passi per rimettersi a lavorare.
Ricardo comparve di fianco a lei, che annuiva soddisfatta.
“Dove sta andando?” domandò perplesso.
“A farsi un bel sonno.”.
“E come lo hai convinto?!”.
La ragazza lo inquadrò con la coda dell’occhio, da sopra le lenti da vista “Riccà, staje parlann co’ Rita![6]”.

“Sono le 8:20, se abbiamo fortuna ed il professore ritarda, forse ce la facciamo ad arrivare prima che cominci la lezione.” disse Saya, dopo che ebbe controllato l’orologio.
Yoshiko annuì, aumentando il passo, mentre zig-zagavano tra le persone che camminavano nella direzione contraria. La borsa pendente dalla spalla, ed un paio di libri sottobraccio. Si strinse ancora di più nel corto cappotto nero e la pesante sciarpa multicolore, per contrastare il freddo, mentre, nel cielo, alcune nuvole cominciavano a chiazzare di grigio l’azzurro.
Il palazzo dello Studentato non era uno solo: oltre quello che rientrava nel Campus, ce n’erano altri due, ed il loro distava una ventina di minuti, a passo sostenuto, dall’Università.
“Ehi, ma l’hai sentita la scossa, ieri?” domandò Saya ad un tratto, facendola rabbrividire al solo pensiero.
“Certo che sì!”.
“Io ero in camera con un paio di ragazze francesi che fanno l’Erasmus, quando ha cominciato a tremare tutto.” spiegò “Non ti dico: hanno preso a strillare come aquile! Dio, che sceme.”.
Yoshiko inarcò un sopracciglio, abbozzando un sorriso ironico “Mentre tu, immagino, mantenevi i nervi saldi e rassicuravi tutte da buon Cuor di Leone, n’est-ce pas?”.
“Ovvio.” sbottò l’altra “Non potevo certo far vedere che me la stavo facendo sotto, davanti a quelle due ochette?!”.
E la sorella di Misaki cominciò a ridere come una matta, provando ad immaginare la scena, quando l’amica aggiunse “Io ho pensato subito a te, e ai tuoi attacchi di panico-da-terremoto, e mi sono un po’ preoccupata, poi, però, ho pensato che fossi con tuo fratello e la cosa mi ha rassicurata…”.
Yoshiko sorrise con affetto, prendendola sottobraccio “Oh, che carina!” per poi continuare “E’ stato un momento pessimo, ero terrorizzata…”.
“Meno male che c’era Taro…”.
L’altra le lanciò un’occhiata da furbetta “E chi ti dice che sia stato proprio lui ad aiutarmi, in quegli attimi?” facendo assumere un’espressione di puro stupore a Saya, che disse “Non mi dirai che…”
“Proprio così.” confermò “Lo scienziato divorziato.”.
“E che facevi in compagnia di Dott. Frankestein?” domandò maliziosa, facendola arrossire.
“Scema! Stavamo solo parlando sulla terrazza della villa!” si difese con foga “Non incominciare a macinare pensieri strani, tu!”.
“E perché non dovrei? Sei già nella fase ‘mi si fanno gli occhi a cuoricino appena lo nomino’!”.
“Non è vero! Ci ho parlato solo una volta!”.
“Beh, ma la frase ‘colpo di fulmine’ ti dice niente?”.
Yoshiko sbuffò, guardando altrove, per poi bloccarsi di colpo, mormorando un “Oddio!” allarmato e nascondersi dietro ad un muretto, sotto lo sguardo perplesso di Saya che esclamò “Ma che diavolo stai facendo?!”.
“Oddioddio!”.
“Questo l’ho capito, e dopo?”.
“Presto, nasconditi!”.
“Nascondermi?!”.
E vedendo che l’amica continuava a restare immobile, la agguantò per una mano, trascinando anche lei dietro al muretto.
“Ehi!” protestò, ma venne ignorata di sana pianta.
“E’ qui!” mugolò Yoshiko.
“Ma chi?!”.
“Come ‘chi’?!” le fece eco con ironia e Saya esibì un sorriso entusiasta.
Doktor Terror[7] è qui?! E dov’è?!” alzandosi di scatto, ma venendo immediatamente trascinata giù.
“Non farti vedere!” la ammonì, mentre i passanti le osservavano perplessi.
“Yoko, sembriamo due cretine.” sbuffò l’amica e l’interpellata le fece segno di affacciarsi pian piano oltre il muretto.
Lentamente, una testa castana ed una corvina emersero come periscopi.
“Allora?” domandò la seconda.
“Lo vedi il Pick-up rosso, davanti al bar?”.
“Sì…”.
“E lo vedi il tipo appoggiato alla portiera, che fuma con l’aria distratta?”.
“Sì!”.
“Ecco. Saya, ti presento Yuzo.”.
“Oddio quanto è carino!” sbottò entusiasta, mentre Yoshiko le lanciava un’occhiata ironica.
“Ed io che ti avevo detto?!”.
“Me lo immaginavo diverso, che so: con l’espressione folle da conquistatore spietato.”.
“Dio, Saya, guarda meno cartoni animati.”.
Ma l’altra la ignorò “La sigaretta gli conferisce quell’aria da uomo vissuto, davvero affascinante.”.
“Secondo me gli fa male: sapessi quanto fuma.” e Saya abbozzò un sorriso ironico “Oh, che premurosa!” ottenendo una gomitata come risposta, che la fece ridacchiare.
“E adesso? Che faccio?” domandò Yoshiko.
“Ma che domande fai? Ti alzi e lo vai a salutare, mi sembra scontato.”.
“No! Non ci penso nemmeno! Ci siamo visti solo ieri… sembra che l’abbia fatto apposta!”.
“Ma cosa dici?! È stato un caso!” e poi, con maggiore solennità “Magari è destino.” ma, vedendo che l’amica non aveva la minima intenzione di uscire allo scoperto, assunse un’espressione severa. “Smetti di comportarti come una bambina ed usciamo da questo stupido nascondiglio. Ora, io e te lo andremo a salutare, sono stata abbastanza chiara?!”. Saya sapeva bene quali note toccare con Yoko: bastava solo che sentisse la parola ‘bambina’, per farle prendere il coraggio a due mani e dimostrare di non esserlo più.
La ragazza, dai capelli castani, sospirò pesantemente, assumendo un’espressione finto-decisa che fece sorridere l’amica.
“Ok, andiamo.”.

Rita aveva terribilmente ragione. Era a pezzi.
Gli occhi si tenevano aperti per puro miracolo e vedeva sismogrammi ovunque. Stavolta aveva chiesto un po’ troppo a sé stesso, non riposando per circa 24 ore consecutive e con i fusi orari che continuavano a cozzare tra di loro.
Ma prima di collassare sul divano, si concesse un caffé al primo bar che trovò lungo la strada.
Parcheggiò Dante e scese rapidamente, ordinando un caffé nero, forte e amaro come il veleno; una roba che avrebbe tenuto allegramente sveglio anche un narcolettico, ma lui era così stanco che avrebbe potuto berne anche due di fila, senza che questi gli facessero effetto.
Lo mandò giù velocemente, per poi uscire e cavare il pacchetto di sigarette dalla tasca. Caffé chiamava sigaretta: era un binomio indissolubile nel suo cervello.
Si poggiò contro la portiera del Pick-up, accendendo il tabacco ed esalando una grigia nuvoletta di fumo, rimanendo piuttosto pensieroso.
Se era vera l’ipotesi di un imponente evento sismico, perché l’ERI non aveva comunicato nulla agli osservatori disseminati nella zona interessata? E qual era la genesi di tale fenomeno? E, soprattutto, quale sarebbe stata l’intensità?
Aveva un bel po’ di domande in testa, ma avrebbe ripreso le sue elucubrazioni dopo aver dormito, a mente fresca.
“Posso dirti che non hai affatto una bella cera, Prof?”.
Un’allegra voce femminile gli si rivolse, attirandosi la sua attenzione. Due ragazze lo stavano osservando sorridenti, ed in quella con i capelli castani riconobbe la sorella di Taro.
“Di’ pure pessima.” scherzò con un sorriso “Ciao Yoshiko, la serata si è conclusa bene ieri?”.
Lei annuì “Grazie al sisma, è finita leggermente in anticipo: meglio così, altrimenti stramattina non mi avrebbero svegliato nemmeno le palle di cannone. Però è stato un successo!”.
“Ne sono contento. È una bella soddisfazione anche per te: allestitrice modesta.”.
Yoshiko arricciò il naso, sorridendo “Tu, invece, hai l’aria di chi ha passato la nottata a lavorare.”.
Yuzo rise, grattandosi un sopracciglio “Sembro così stravolto?”.
“Io direi anche di più.” poi aggiunse, in tono più serio “Scoperto qualcosa di importante?”.
Il Prof scosse il capo “No, niente di particolare.”.
“Capisco…” annuì pensierosa “…beh, è un bene no?”.
“Sì…” - Peccato che io non ne sia convinto nemmeno un po’! - “…è un buon segno.”.
Poi, Yoshiko si sentì pizzicare il sedere con insistenza e si ricordò di essere in compagnia.
“Ah! Ti presento Saya.” esclamò ad un tratto “E’ la mia vicina di stanza.”.
E la giovane interpellata tese una mano “Piacere.” che Yuzo strinse, sorridendo.
“Piacere mio, solitamente non sembro appena uscito di galera…” si giustificò “…ma non ho ancora dormito.”.
L’altra rise “Oh, figurati: Yoshiko stamattina non era messa meglio di te. E dire che lei se l’è fatto un bel sonno!” la prese in giro, attirandosi un’occhiata omicida-anzicchennò che fece ridere sia lei che il Prof.
“State andando all’Università?” domandò quest’ultimo, notando come fossero cariche di libri.
“Sì…” annuì Yoshiko, osservando distrattamente l’orologio da polso, per poi sgranare gli occhi “…e siamo anche in ritardo pauroso!” le lancette segnavano le 8:30.
“Volete un passaggio?” propose Yuzo “Andavo comunque in quella direzione…”.
“Non è un problema?”.
“Affatto, nessun disturbo.”.
E la sorella di Misaki lanciò un’occhiata a Saya, la quale sembrava dirle ‘cavolo ma ci pensi pure? Accetta, muoviti!’, e lei sorrise “Allora approfitteremo della tua cortesia.”.
Il Prof sorrise, indicando la vettura alle sue spalle “Dante è a vostra disposizione.” e rapidamente montarono sul Pick-up, allontanandosi in direzione dell’Università.
“Hai dato un nome alla tua macchina?!” rise Yoshiko e lui scosse il capo.
“E’ una lunga storia.”.
“Beh, trovo che sia un bel nome…” annuì con decisione “…come il poeta italiano.” e Yuzo la guardò, inarcando un sopracciglio.
“Possibile che solo io abbia pensato a Devil May Cry la prima volta che l’ho sentito?!”.
Yoshiko scoppiò a ridere divertita, agitando l’indice con l’aria da saputella “Ahi ahi, Prof, siamo ignoranti in letteratura straniera, eh?” e lui sospirò.
“Lo so, le materie letterarie non sono mai state il mio forte.”. Accostò al marciapiede, appena furono innanzi all’ingresso del cortile universitario. “Eccoci qua, siete in orario?” domandò, rivolgendosi alle occupanti della vettura, e la sorella di Misaki annuì.
“Sì, grazie mille: se non fosse stato per te, saremmo arrivate ancora più tardi.”.
Intanto, Saya era già scesa rapidamente “Yoko, io ti precedo e vado ad occupare dei posti decenti…” poi si rivolse al Prof, facendo un inchino “…piacere di averti conosciuto e grazie del passaggio.”.
“Di nulla.”.
Per poi allontanarsi rapidamente, sotto il secondo sguardo omicida di Yoshiko che aveva immediatamente capito la tattica dell’altra, che era scappata in modo che lei potesse salutarlo da sola e con maggiore tranquillità.
- Oggi sta dando proprio il meglio di sé, accidenti! - pensò - Ma dopo mi sente! - e scese anche lei dal Pick-up, fermandosi di fronte al finestrino abbassato del guidatore.
“Allora…” tentennò “…grazie ancora.”.
Lui scosse il capo “Non ringraziarmi. Per così poco, poi.” ed aggiunse “Ricorda che hai il mio numero, per qualsiasi cosa tu abbia bisogno non esitare.”.
Per quanto non avrebbe mai potuto dimenticarlo, sentirselo ripetere le fece un immenso piacere, come fosse stato un incentivo in più a chiamarlo sul serio, se fosse riuscita a farsi coraggio. Yoshiko si limitò a sorridere ed annuire “Buon riposo.” augurò, facendo qualche passo indietro.
“Buono studio.” rispose il Prof, effettuando la manovra e venendo inghiottito dal traffico cittadino.

Le chiavi rigirarono nella toppa, facendo scattare il meccanismo della serratura.
Con movimenti lenti, Yuzo varcò la soglia dell’appartamento, richiudendo l’uscio alle sue spalle.
I borsoni erano ancora dove li aveva lasciati e li osservò per un attimo, con occhio critico, dicendo a sé stesso che avrebbe dovuto disfarli in tempi non sospetti. Ma non l’avrebbe fatto quel giorno, poco ma sicuro: con il sonno che aveva arretrato, non avrebbe avuto il tempo di sistemare anche le valigie.
Avanzò con passo stanco verso il divano, evitando accuratamente di guardarsi troppo intorno, soprattutto di inquadrare la sua camera, il cui letto era ancora perfettamente intatto. Non era più stato toccato da quando era partito, tre anni prima: non aveva il coraggio sufficiente per dormirci da solo, senza Aiko rannicchiata al suo fianco o che leggeva qualche rivista, appoggiata alla testiera, o, ancora, che lavorava al portatile.
Era anche per quello che passava tanto tempo all’FVO: rientrare in casa era come tuffarsi nei ricordi, proprio ciò da cui tentava di fuggire, per non rimanerne schiacciato. Quasi quasi avrebbe dovuto portarsi una branda in ufficio, così avrebbe dormito lì. Hurrà, cosa chiedere di più alla vita: il lavoro sempre con sé ed Hideki perennemente nelle orecchie.
Sorrise con ironia, togliendosi le scarpe e gettandosi sul divano, lentamente si coprì gli occhi con una mano.
“Grazie a Dio sono troppo stanco per poter pensare…” mormorò, socchiudendo le palpebre “…troppo, troppo stanco…” ed in pochi minuti si addormentò. 


[1]“CHE… SANC!” : esclamazione dialettale di disappunto, “Che tu (tu ipotetico, in questo caso) possa buttare il sangue!”. Rita, da buona napoletana DOC, non ci va tanto per il sottile! XD.

[2] “COS… PAZZ!” : “Cose di pazzi!” quando una situazione è assurda.

[3] “O’… SAPE’!” : “Lo vorrei sapere!”

[4]YOKO: il diminutivo che ho scelto per ‘Yoshiko’, prendendo l’inizio e la fine del nome; sinceramente, non avrei usato ‘Yoshy’ nemmeno per tutto l’oro del mondo!O_O essendo che lo detesto! XD

[5] “VABBUO’!” : “Va bene!”

[6] “RICCA’… RITA!” : “Ricardo, stai parlando con Rita!” in senso molto ironico.

[7]DOKTOR TERROR: questo l’ho preso da Dylan Dog! XD



...E poi Bla, bla, bla...

Dopo due settimane di stop, di cui una l'ho trascorsa in compagnia del mio Diofà (*_*) a fare incetta di fumetti al Torino Comics 2007 (XD), ritorno con a voi con un nuovo capitolo di Huzi.
Capitolino abbastanza leggero, non trovate?XD Ho cercato di venire in contro alla pucciosa richiesta Makinika di stemperare la tragggggedia!XD Ho un cuore anche io!*_* seppur moooolto piccino ed incline al traggggico profondo! XD
In questo capitolo avete fatto la conoscenza di Rita e Saya, entrambi personaggini che ho in profonda simpatia!XD La prima, diciamo che ha la sua controparte reale: una delle mie professoresse universitarie!XD E non le somiglia solo di aspetto, ma anche nei modi di fare. La seconda... beh... Saya si commenta da sola, o no? XD
Per quanto riguarda il Capitolo 7 è in lavorazione e spero di finirlo al più presto. Diciamo che è già ad un buon punto, devo solamente organizzare la... mhh... parte 'tecnica'!XD E non è una cosa facile!
Ora, passo ai ringraziamenti come sempre doverosi!*_*:

Cloud: prima di tutto, volevo ringraziarti dei complimenti: super-apprezzatissimi!*.* Fa sempre un piacere enorme sapere che riesco a farvi appassionare ad una storia!*.* (Ego e Autostima sentitamente ringraziano!XD) Poi, volevo rassicurarti!XD Tre scosse di magnitudo 5 in un mese, non sono avvisaglia di catastrofe!XD Ovvio... dipende anche dall'epicentro e ipocentro!XD Però ora la domanda mi sorge spontanea: sei in Giappone?*_* se sì: beata teeeeeeeeee!! *zig*

Hikarisan: XD grazie mille anche a te per i tuoi complimenti! Ero un po' stanca del 'Jun miracolato' e così mi son detta: "Massì, facciamolo schiattare per una volta!"XD (sempre sadica-mode-on) così ho frantumato anche l'altra coppietta mielosa! Però la riuscita di Yayoi mi ha soddisfatta abbastanza, chissà... magari sta meglio in vedovanza!XDDDDDD. Per quel che riguarda Genzo... essendo che nel manga non lo si è mai visto in 'atteggiamento amoroso' (e correggetemi se sbaglio), ho voluto 'giocarci' un pochino!XD Solitamente, nel fandom ha sempre tristi vicende travagliate: anche qui la situazione non è stata tanto rosea (tre divorzi, mica cotica!XD), ma presa molto alla leggera (di tragggggedie ce ne sono - e saranno - già tante, almeno lui facciamolo risposare allegramente, va!XD).

Maki-chan: BUAHAHAHAHAHAHAHAHAHAAHAHAHAHAH! O' Ingenua! Sono o non sono una delle 'Donne della Tragggica Tragggedia'?XD Tranquilla, il Giappone non si affosserà: te l'ho detto che mi sono tenuta più alla larga dai film iper-catastrofici, eh! Però, mi preparo pissicologiamente alla sputazzata nell'occhio!XD Quale mi ciccherai? Il destro o il sinistro?XD ti consiglio il destro, è quello che ci vede peggio!XD *____* ai lovv iù, mai Giangyna!

Sakura-chan: *__________________________* oh darling!*_* sei troppo buona con me, eh!XD *_* e sono contenta di sapere che questo Yuzo, decisamente il più maturo che sia mai uscito dalla mia tastiera, ti stia piacendo così tanto!*.* Ma dico: come farei senza la mia Be(t)ta? Ehhhhhhhh? Grazie mille per tutto il lavoro che fai per me e che apprezzo tantissimo!*_* Spero di riuscire a mantenere fede alle tue aspettative anche per i successivi capitoli! *.*Ti voglio bene tesssssssssora!

Ed anche per questo capitolo è tutto, grazie mille a chi continuerà a seguire questa storia. Grazie davvero.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Huzi

- Capitolo 7 -

La pioggia cadeva con un regime torrenziale, picchiando sui loro corpi in fuga.
A fatica si destreggiavano tra la gente che urlava, piangeva e scappava proprio come loro.
Assordante, il cupo rumore della montagna che veniva giù.
Gambe che correvano in cerca di un riparo.
Pochi attimi per trovarlo.
“Eccoli!” gridò Ricardo “Gli altri sono lassù!”.
Le braccia di Hisui, Rita e Toshi si dimenavano convulsamente nella speranza di essere avvistati.
“Grazie a Dio sono salvi!” continuò l’ispanico “Presto! A breve ci raggiungerà!”.
Cambio di direzione improvviso.
Zig-zag frenetico tra madri e figli stretti al loro petto, tra uomini e animali tutti uguali in quel preciso momento. Tutti terrorizzati. Tutti disperati.
E poi arrampicarsi rapidamente; attaccarsi ad impossibili pezzi di muro sporgenti con tutta la forza che l’adrenalina riusciva a pompare.
Si volse a guardare accanto a sé, ed Aiko era lì. Sospirò, maledicendosi ad ogni singolo passo per non aver insistito quando avrebbe dovuto farlo. Ma ormai il tetto era vicino, poteva lasciarsi a pensare: - Cristo, ce l’abbiamo fatta! -.
Ricardo venne tirato su da Toshi, poiché Hisui era ferito ad un braccio. Rita gli prestò immediato soccorso: sanguinava dalla fronte.
Lui riuscì ad issarsi da solo, volgendosi subito per aiutare sua moglie. La vide arrancare, mentre parte del muro le franava sotto le suole.
“Forza tesoro! Un piccolo sforzo! Ci sei quasi!” e si sporse, tendendo la mano.
L’acqua continuava a cadere su di loro con strafottenza, mentre il ticchettare veniva lentamente sommerso da un altro rumore. Ciò da cui loro e tutti, in quel villaggio alle pendici del Ruiz, stavano scappando.
Aiko riuscì ad afferrare la sua mano con uno sforzo sovrumano, ma l’appiglio cedette di schianto, facendola rimanere appesa, con i piedi ciondolanti nel vuoto.
“Tesoro non mollare!” le gridò, allungando anche l’altro braccio. Invano, sua moglie cercava una sporgenza su cui fare perno.
Ed arrivò.
Un fiume di fango reso come cemento dall’acqua piovana. La lava fredda, adagiata sui fianchi della montagna, era il collante.
Vie di fuga? Nessuna.
Aiko si sentì strattonare con feroce violenza dalla corrente di melma che le arrivava al petto. Ed era così forte, che anche Yuzo rischiò di perdere l’equilibrio e finire in quel marasma di detriti.
Mantenere la presa divenne impossibile.
“Yuzo!”.
“Non mollare Aiko! Per l’amor del cielo, non mollare!”.
“Non ce la faccio più!”.
“Non lasciare la mia mano!”.
Acqua, che rendeva scivoloso il contatto, che tirava giù la montagna, che picchiava sulla sua testa, che, maledetta, gli annebbiava la vista… che separò, per sempre, le loro mani.
La vide trascinare via dalla corrente infame. La sentì chiamare.
“Yuzo!”.
“Aiko! Aiko!” ma la sua mano era ormai vuota, e lei lontana… 


Il Prof si tirò a sedere di scatto, mormorando il suo nome con lo sguardo atterrito ed il respiro pesante. Lentamente cercò di orientarsi, guardandosi intorno con espressione confusa e riconoscendo il salotto della sua casa a Nankatsu.
Tirò un profondo sospiro, passandosi una mano sugli occhi. “Di nuovo... cazzo.” biascicò con indolenza, regolarizzando il battito accelerato e stendendosi nuovamente, cercando di riprendersi da quel risveglio terribilmente brusco.
Con eccessiva lentezza, mise mano al cellulare che aveva nella tasca per vedere se avesse ricevuto chiamate e controllare l’orario. Quanto poteva aver dormito? Otto, dieci ore...?
Il display restituì i numeri: 13:37.
“Cazzo, appena cinque ore?” mormorò sbuffando ed osservando se ci fossero chiamate perse o messaggi. Niente. Rita doveva aver sparso la voce che fosse andato a dormire, in modo che nessuno gli rompesse l’anima. Quella donna era come una mamma chioccia, merito della sua natura italiana, sicuramente. Sorrise, poggiando il cellulare sul tavolino lì accanto e passandosi nuovamente una mano sugli occhi per qualche istante. Li sentiva ancora un po’ pesanti, ma di continuare a dormire non se ne parlava proprio, tanto non sarebbe più riuscito a prendere sonno, ormai. Rimase per alcuni, lunghissimi secondi a fissare le fedi e a sfiorarle delicatamente con il pollice.
Le sue mani non erano riuscite a trattenerla.
Lui non era stato abbastanza forte per trattenerla.
Lui non aveva sufficientemente insistito quando avrebbe dovuto farlo, quando il suo istinto gli diceva che avrebbero dovuto andarsene via perché... perché...
“Basta così.”.
E con uno sforzo sovrumano si impose di smettere di rivangare le memorie sepolte e farsi del male.

“Yuzo, non è stata colpa tua...”
“Il vostro maledetto lavoro si è portato via mia figlia!”
“Hai fatto tutto quello che potevi...”
“Perché hai permesso che le succedesse questo?!”
“Aiko conosceva i rischi del suo mestiere.”
“Yuzo, non è stata colpa tua...”


Frasi e parole, di affetto e odio, rimbombarono nelle sue orecchie a ricordargli i giorni del ritorno dal Ruiz con una prepotenza tale che avrebbe voluto prendere a pugni il suo cervello affinché smettesse di torturarlo così.
Con decisione, si alzò dal divano intenzionato a farsi una santa doccia, dopodiché si sarebbe preso un santo caffè e avrebbe fumato la sua prima, santa sigaretta post-risveglio. Di mangiare non se ne parlava minimamente. Aveva lo stomaco chiuso come il condotto vulcanico del Vesuvio, al massimo avrebbe spiluccato la prima cosa iper-calorica che avrebbe trovato nel distributore dell’FVO, giusto per rifornire il suo organismo di una qualche misera forma di energia o avrebbe finito col crollare ancor prima di mettere piede in ufficio. Infine, nuovamente alla sua scrivania, avrebbe prima chiamato l’ERI, per carpire materiale ed informazioni, e poi avrebbe chiamato Rita, per vedere se ci fossero novità rilevanti.
Perfetto.
Lavorare.
Ecco quello che doveva fare per tenere le colpe fuori dalla sua attenzione. Sbattere la testa su di un monitor ed una fottuta tastiera.
Sì.
Perfetto.
Lavorare.
Per smettere di ripetersi come Aiko fosse morta per colpa sua.

Yoshiko seguiva la lezione su Michelangelo Buonarroti con la testa persa completamente in altri pensieri. Il viso poggiato in una mano e l’altra che rigirava la matita tra le dita. Il blocco di appunti aperto su una pagina semivuota sulla quale erano state scarabocchiate solo un paio di note, e per il resto era perfettamente candida.
La prima cosa che aveva fatto, appena era entrata in aula ed aveva adocchiato Saya che si sbracciava per farsi individuare, era stato raggiungerla, posare i libri sul banchetto accanto al suo, sedersi, accavallare le gambe e guardarla con l’espressione da Psycho.
“Scema.” aveva detto in tono calmo e fermo “Mi hai piantato lì da sola e te la sei data a gambe.”.
L’amica aveva sghignazzato “Sono stata geniale, vero?! Allora, lo hai ‘salutato’?!”.
Gli occhi di Yoko si erano ridotti a fessurine sottili come crune di aghi, e che stavano per lanciare raggi gamma alla Mazinga. “Scema.” aveva ripetuto e si era tolta il cappotto, cominciando a tirare fuori i quaderni per la lezione. “E grazie per la battuta su come sono io appena sveglia!” aveva aggiunto, ma Saya l’aveva ignorata, dicendo “Allora? Che gli hai detto? Gli hai dato un appuntamento?”.
“Un appunta-cosa?!” aveva fatto eco, inarcando un sopracciglio “Ma sei matta?! Quale appuntamento d’Egitto!” ed era arrossita fino all’inverosimile, sotto lo sguardo deluso dell’amica.
“Ma… non ti ha detto nulla?”.
“Beh…” e si era messa a giocherellare con una ciocca di capelli “…mi ha ricordato che posso chiamarlo quando voglio…”.
Saya si era illuminata, dandole una sonora pacca sulla spalla “Ottimo. Fallo.”.
“Seee… come no… tra un paio di secoli magari!”.
“Yoko, tesoro mio, svegliati per l’amor del cielo! Se ti interessa così tanto, e si vede lontano un miglio, allora prendi il cellulare e componi il numerino, ok?” ed aveva roteato gli occhi al cielo rassegnata, ottenendo un mugugno incomprensibile come risposta.
“Senti…” aveva domandato allora Yoshiko “…come ti sembra?”.
Saya aveva poggiato il viso in una mano, con espressione pensierosa “Beh, carino è carino, e non ha l’aria dello scienziato pazzo.” facendo sorridere l’amica “Però… ha lo sguardo un po’ triste o è solo la mia impressione?”.
No. Non lo era. Lo aveva notato anche lei ed era proprio ciò a cui stava pensando in quel momento, mentre il professore parlava de La Pietà ed il David.
Anche se sorrideva o faceva qualche battuta, Yuzo rimaneva come avvolto da un alone melanconico. E, la prima volta che lo aveva notato, era stato quando, la sera della festa, aveva scoperto che fosse divorziato. La separazione dalla moglie doveva essere una ferita ancora aperta, però... cavolo erano passati quattro anni! Ne doveva essere davvero innamorato perso per essere ancora in quella condizione nostalgica. Ed il fatto che indossasse, nonostante tutto, sia la fede sua che quella della ex-moglie ne era una prova lampante. Insomma: vieni piantato e ti porti dietro la fede?! O sei masochista... o non riesci ad accettare il distacco perché sai che non potresti fare a meno di lei.
Sospirò, osservando l’esterno visibile da una delle grandi finestre, che costeggiavano la parete dell’aula. Aveva preso a piovere già da un po’, con gocce sottili e mormoranti. Quella pioggerellina fastidiosa che riusciva ad insinuarsi dappertutto. Nemmeno la vetta candida del Fuji era visibile in lontananza.
Chissà che tipo era lei. Di sicuro una persona speciale, se il Prof non era ancora riuscito a dimenticarla in tutto quel tempo; bella, intelligente... e per quale motivo lo aveva piantato? Lui non è che fosse stato molto chiaro a riguardo...

“No. E’ solo... andata via.”

...chissà, forse era a causa del suo lavoro. Yuzo era sempre in viaggio, da quello che le aveva detto. Magari lei si era stancata di non averlo mai vicino. Eppure... il Prof le sembrava una persona così attenta e premurosa, che non ce lo vedeva proprio a mollare la moglie a casa per mesi, anni addirittura, e dedicarsi solo alle sue ricerche ed i suoi vulcani.
E lei perché era così curiosa di sapere come diamine fosse la sua ex?! Non stava per caso cominciando a sentirsi in competizione con lei, vero?!
Oh Santo Cielo, era ridicolo!
Non poteva farsi già queste pare per una persona che conosceva... mh, da quanto? Un giorno e mezzo! Si batté una mano sulla fronte, rimproverandosi “Che scema!”.
“Signorina Yamaoka...” esordì il professore, osservandola con perplessità, mentre lei si rendeva conto di aver parlato a voce un po’ troppo alta “...essendo il Mosè una figura maschile, Michelangelo avrebbe dovuto esclamare al massimo un ‘Che scemo!’ quando colpì la statua con il martello. Se poi lei è a conoscenza di particolari a noi ignoti sulle tendenze sessuali dell’artista italiano, beh... ci illumini!” tra le risate generali dell’intera classe, compresa Saya che si stava letteralmente piegando in due sul banco e cui lei lanciò l’ennesima occhiata omicida della giornata, prima di farsi piccola come una gocciolina di pioggia, arrossendo all’ennesima potenza. Rise anche il professore, mentre riprendeva il discorso “No, la frase esatta che Michelangelo disse, guardando la sua immensa opera, fu ‘Perché non parli?’...”.
“Ed io perché non imparo a stare zitta?!” mormorò Yoshiko, in un sospiro rassegnato.

 L’FVO era in piena attività quando varcò la soglia del terzo piano, dirigendosi al suo ufficio.
Tsk! L’avevo detto io.” sbottò Ricardo, incrociando le braccia al petto ed attirandosi la sua attenzione. Yuzo lo vide rivolgergli un sorrisetto risaputo.
“Altro che andare a dormire.” continuò, rilassandosi contro lo schienale della sedia “Al riparo dallo sguardo omicida di Rita, hai trasferito tutti i dati da qualche parte per poterli studiare a casa con calma. Su, forza! Tira fuori la pennetta USB, ormai ti ho scoperto!”.
Il Prof rise, inarcando un sopracciglio “Spiacente di deluderti, Rick, ma a dormire ci sono andato sul serio.”.
L’altro adocchiò l’orologio, con perplessità “Ma sono passate solo cinque ore!”.
Lui si strinse nelle spalle. “Più di questo non sono riuscito a fare.” fece per allontanarsi, sospirando “Il richiamo del lavoro è troppo forte…”.
“Sono ricominciati, vero?”.
E quelle parole lo fermarono di colpo, senza tuttavia farlo voltare. Le labbra presero una curvatura amara.
“Ciclicamente ritornano a farsi sentire. Ci sono abituato ormai.” e riprese a camminare senza dare il tempo all’altro di controbattere, anche perché, la sua risposta, Yuzo la conosceva già. Era la stessa che gli ripeteva ogni volta che i tragici eventi del Ruiz si riproponevano a lui durante il sonno: “Da solo non ce la fai. Fatti aiutare, ma da uno bravo.”.
E lui ‘uno bravo’ lo conosceva anche, ma Yayoi aveva già fatto inconsapevolmente il suo dovere durante il gala. No, non aveva bisogno di nessun aiuto. L’unica cosa che doveva fare era lavorare, poi, così com’erano cominciati, gli incubi sarebbero andati nuovamente via, lasciandogli un po’ di respiro prima di ritornare.
Entrò nel suo ufficio, sedendosi dietro la scrivania ed accendendo il computer. Mentre la macchina caricava le impostazioni si stiracchiò, sbadigliando.
Massì, cinque ore di sonno erano più che sufficienti per riprendere lucidità.
Ora non doveva fare altro che chiamare l’ERI.
Rapidamente agguantò la cornetta, componendo il numero dell’Istituto. Squillò libero per un paio di volte prima che una voce di uomo rispondesse in tono brusco. “Sakaguchi. E che sia una cosa importante, sono molto impegnato.”.
Il Prof abbozzò un sorriso “Certo, come no. A giudicare dall’ora, immagino che sarai impegnato ad addentare un panino.”.
Seguì un lungo momento di silenzio.
“Diosanto! Yuzo, sei tu?! Ma da dove mi stai chiamando?! Il prefisso è quello della Prefettura di Shizuoka!”.
“Infatti sono all’FVO.” confermò il Prof al suo ex-compagno di Università.
Shiro Sakaguchi era stata la prima persona che aveva conosciuto a Tokyo, quando era andato a vedere i risultati del test di ammissione. Shiro li aveva tentati per la seconda volta, ed era molto più rilassato di lui che era rimasto, rigido come una statua, a scrutare i tabelloni. Aveva studiato come un dannato per affrontare quei test in cui c’era tutto il suo futuro e quando Shiro aveva visto che entrambi li avevano superati gli aveva battuto una mano sulla spalla. “Ragazzo, era destino che venissi bocciato l’anno scorso, per essere ammesso con te! Questa sarà una grande avventura!”
E così era stata: entrambi avevano trovato moglie in quella galeotta Università, da buon vecchio polpettone romantico.
“Allora sei tornato! Sapevo che ti stavi arrostendo le chiappe su qualche vulcano guatemalteco.” aggiunse l’uomo, sghignazzando.
“Sono rientrato da qualche giorno, ma ho già pane per i miei denti.”.
Yuzo lo sentì sospirare in tono rassegnato. “Ah! Lascia perdere il lavoro per cinque minuti, maledizione, e dimmi come stai: va bene? Va male? Sei tutto intero? Per la miseria! Io temevo di non sentirti più!” borbottò a raffica “Ed anche Sunomi! Dio solo sa quante cavolo di volte abbiamo provato a chiamarti!”. Yuzo rise sonoramente, facendolo sbuffare “E non prenderla così alla leggera. Eravamo preoccupati, eh!”.
“Io sto bene. Ma come lo devo dire a tutti?! In turco?!” rise ancora, cercando di mascherare quelli che erano i suoi veri sentimenti, ma Shiro sbuffò di nuovo, scuotendo il capo, anche se Yuzo non poteva vederlo.
“Bah, ho capito. Meglio parlare di lavoro.” disse con un sospiro, divenendo serio “Allora, che succede?”.
Al Prof dispiacque non essere sincero con lui, ma l’ultima cosa che voleva in quel momento era mettersi a parlare di sé, di Aiko e di quanto continuasse a stare male. Aveva cose più importanti di cui occuparsi, ed avevano la priorità.
“Beh, questo dovresti dirmelo tu.” esclamò “Che puoi dirmi dei terremoti che stanno interessando Shizuoka?”.
Shiro sospirò “Hai avvertito la scossa di ieri, eh?”.
“Già, ma mi hanno riferito che è solo l’ultima della serie. Devo cominciare a preoccuparmi oppure sto diventando paranoico?”.
“Guarda, non lo so nemmeno io, però è meglio stare allerta.”.
Yuzo inarcò un sopracciglio “Avete già un’ipotesi? E non ne avete fatto parola con quelli del VRC?!”.
“No, le alte sfere lo sanno, ma Sunomi ha detto che preferiscono avere certezze sulla nostra teoria, prima di cominciare a spargere la voce anche ai vari FVO disseminati nella Prefettura.” spiegò con calma “Non ritengono ci siano pericoli imminenti, quindi preferiscono agire a carte coperte.”.
E Yuzo non era per niente d’accordo con quella linea di pensiero: almeno gli osservatori dovevano saperlo, avrebbero potuto essere un valido sostegno per i ricercatori dell’ERI. Si passò una mano sul mento, con espressione cupa “Quale sarebbe la vostra teoria?”.
“Sappi che ci stiamo ancora lavorando ed è solo un’ipotesi…”.
“Spara.”.
“Un effetto secondario.”.
“Un effetto secondario?” fece eco con perplessità “Di cosa?”.
“Di un terremoto avvenuto poco più di due anni fa.”.
Yuzo sgranò gli occhi “Di quale terremoto stai parlando?”.
“Sumatra, 26 Dicembre 2004.”.


 

…E poi Bla bla bla…

A questo giro siete stati miracolati: nessuna nota esplicativa, ma al prossimo capitolo ne ritroverete il doppio!XD
E così, cominciano a venire a galla un po’ di cose, ma su quella più importante – ovvero il probabile ‘motore’ dell’incremento della sismicità giapponese – mi soffermerò nel prossimo capitolo. Credo meriti un discorso particolare.

Vorrei che perdonaste, sin da ora, il ritardo rispetto ai primi aggiornamenti.
Il fatto è che, quando ho cominciato a pubblicare, avevo completato già quattro capitoli, e gli altri li scrivevo nel mentre. Ora che quelli già terminati sono finiti, li sto scrivendo di volta in volta. Tenete conto che, per tre giorni alla settimana, sono nella mia casa universitaria, dove non ho un computer, quindi… faccio tutto a mano!XD Carta e penna, a me!
Poi, una volta tornata a casa, passo a pc, invio prima al Diofà (*_* lettore number one!) e poi alla mia Bet(t)uzza!*.*
Quindi, ci vuole un po’ di tempo in più!^___^Y
Ma spero che apprezziate lo stesso il lavoro!ç___ç


Angolino del ‘Grazie, lettori, grazie!’ XD:

- Hikarisan: Hihihi! Il tempo per loro ci sarà!XD e ne approfitto per rassicurare anche Luxyna: assisterete allo ‘Scontro tra Titani’! XD chissà che qualcosa non venga fuori già nel prossimo capitolo… *wink*
Grazie mille per seguire con entusiasmo questa storia!^_^Y


- Cloud: *_* oibò! Un’altra conterranea! Che bello!*_* E così eri in Giappone! *-* invidia cosmica!XD mi spiace che tu sia stata perseguitata dal terremoto, non credo sia stato molto… divertente! (Oddio, io avrei fatto i salti di gioia!XD Ma è solo mero interesse scientifico il mio eh!!!). E sono contentissima che apprezzi Rita! XD mi fa piacere che abbia ritrovato riscontri favorevoli!^_^Y.
Ma parliamo del King of Tabacco!XD Da buona ex-fumatrice/caffeinomane quale ero, dovevo rendere omaggio all’industria più odiata del mondo ed al tesoro di Napoli!*__* (donne: l’espresso Napoletano è na’ delizia!*ç*). Io e la cicca avevamo lo stesso rapporto che ha Yuzo: sembravo una turca!XD Soprattutto quando ero sotto stress, nervosa, incazzata! Ed è ovvio che, se fumi, ti prendi il caffè: la sigaretta, dopo il caffè, è SACROSANTA!XD. Posso confermare che Yuzo è da Marlboro Rosse (se si deve fare del male, lo deve fare per bene!XD), Rick è più da canne che sigarette!XD Però, sì, un genere come le Lucky Strike vanno benissimo!
Grazie ancora per i complimenti! *______*Y


Infine, un ringraziamento generale ai miei lettori-non-recensori (ma se recensiste, non vi mangerei!XD rotfl!).
Vi rimando al prossimo capitolo, sperando di continuare a creare qualcosa di buono. ^__^/

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Huzi

- Capitolo 8 -

“Nankatsu è perfetta!” esclamò il Prefetto di Shizuoka, richiudendo il fascicolo con espressione soddisfatta.
Alle spalle della sua poltrona in pelle nera, la grande finestra illuminava a giorno l’ufficio ed il viso del segretario, poco entusiasta di quella scelta, che continuava a prendere appunti in silenzio.
“Al centro dello Stadio Ozora monteremo il palco d’onore. È una struttura abbastanza grande da poter ospitare chiunque.” ed agitò animatamente il dito con severità. “E voglio il miglior complesso della Prefettura a suonare per me.”.
Il segretario annuì, sistemando gli occhiali e prendendo nota.
“Tu che dici, Tatsuya? Che te ne pare della location?” domandò poi il Prefetto rivolgendosi al suo vice, che restava comodamente seduto in una poltrona più piccola, posta dall’altra parte della scrivania.
L’uomo, a qualche anno dalla quarantina, annuì con approvazione alle sue parole. “Credo che questa sia un’ottima idea. Nankatsu si sta sviluppando molto velocemente come centro abitato, e lo Stadio Ozora richiama già notevole attenzione per il suo nome, inoltre, c’è sempre il Fuji con il suo fascino millenario a far da contorno.” annuì ancora, intrecciando le mani sotto al naso. “Credo che farà colpo sull’opinione pubblica, scegliendo un luogo in crescita come questo, ma non ancora totalmente contaminato come le grandi città possono essere. Dimostrerà di saper puntare sui vincenti.” ed il Prefetto si gongolò su quell’ultima frase, con un mezzo sorriso vittorioso sulle labbra.
Avrebbe sbaragliato tutti i suoi avversari e, alle prossime elezioni, che si sarebbero tenute di lì a pochi mesi, ne sarebbe uscito come unico e indiscusso vincitore.
“Scusate se mi intrometto, signore…”. Il segretario prese la parola, con voce incerta, attirandosi gli sguardi degli alti funzionari. “…ma ultimamente la zona di Nankatsu è interessata da una… ehm… vivace attività sismica, io non credo che-…”.
Ma l’uomo lo interruppe con un gesto della mano. “Oh, sciocchezze! Il Giappone è in perenne scuotimento tettonico, che vuoi che siano un paio di scosse in più? Se basassimo la scelta del luogo sul grado di sismicità, beh, a questo punto faremmo bene a restarcene tutti a casa e Amen.”.
“Ma signore…” tentò di contestare, ma Tatsuya Kishu lo bloccò, puntando su di lui un severo sguardo corvino, uno di quelli che non lasciavano diritto di replica, e rimarcò in tono fermo.
“Il Prefetto terrà la sua manifestazione nello Stadio Ozora di Nankatsu e questo è quanto. Non ci saranno terremoti che terranno.”.

Yuzo rimase per qualche secondo in silenzio alle parole di Shiro.
Quello di Sumatra era stato di sicuro il più violento terremoto degli ultimi anni, con i suoi nove gradi di magnitudo Richter.
Quando si era verificato il sisma, lui si trovava già sul Pacaya con la squadra, ma aveva costantemente seguito l’evolversi di quei tragici giorni attraverso i telegiornali dei canali satellitari.
Data la scarsissima profondità dell’ipocentro, si erano sollevati due tsunami che avevano fatto molti più danni di quanti ne avesse provocati il sisma stesso, arrivando a toccare non solo le coste dell’Indonesia, ma anche quelle dell’India, dello Sri Lanka, della Thailandia, della Malaysia, addirittura della Somalia, a migliaia di chilometri di distanza, provocando più di duecentomila vittime ed un imprecisato numero di feriti e dispersi.
Ecco.
Quella era stata una vera catastrofe.
Di quelle che la gente era abituata a vedere solo in TV, in inverosimili filmoni americani, ma, questa volta, non c’era stato nessun eroe che scongiurasse la tragedia, nessuna morale patetica da snocciolare in due battute scadenti, nessun pessimo effetto speciale ad ingigantire grottescamente la drammaticità della situazione. Quelle onde, quei muri d’acqua che erano riusciti a raggiungere anche i trenta metri, erano state vere come vera era stata la paura negli occhi della gente che se le era viste piovere addosso, senza avere il tempo di mettersi in salvo; erano state vere, come le urla disperate delle vittime trascinate via, come il pianto dei sopravvissuti che non avrebbero mai dimenticato. Vere, come quelle immagini, trasmesse a raffica dalle televisioni di mezzo mondo, di cadaveri abbandonati dalla stessa acqua che li aveva sommersi e lasciati lì, come i manichini di un set cinematografico, in attesa che i soccorsi si occupassero anche di loro, cercando la loro identità smarrita nel caos e facendoli divenire parte del ‘numero’.
“Continua.” si decise a dire il Prof, ma già di per sé tutta quella storia non sembrava preannunciare nulla di buono.
“Sembrerebbe che il sisma di Sumatra abbia velocizzato il reciproco movimento tra placche. I terremoti nella zona di Nankatsu, non sono altro che un effetto della spinta inflitta alla Placca delle Filippine da quella Eurasiatica che, quindi, sta subducendo[1] più rapidamente del normale. Ciò significa che: a) l’Asia diviene sempre più lontana, con tanti saluti ai nostri fratelli e b) l’attività sismica è aumentata a spron battuto.”.
Yuzo inarcò un sopracciglio. “Uno sciame sismico dovuto ad una variazione dell’equilibrio, quindi.”.
“Esatto. Appena le placche ne raggiungeranno uno nuovo, e cesserà la forza impressa alla spinta, anche i terremoti scemeranno.”.
Il Prof si appoggiò contro lo schienale della sedia, sospirando. “Come avete spiegato l’ampio lasso di tempo intercorso tra il sisma del 2004 ed il suo effetto secondario?”.
“In relazione ai volumi in gioco. Sai meglio di me che spostare una placca non è come dare un colpo ad un bicchiere. E c’è da dire che la zona di Sumatra è ancora fortemente interessata da eventi piuttosto notevoli. Non dimentichiamoci che c’è subduzione sotto la penisola, proprio come da noi, ma sembra che il terremoto abbia dato – e scusa la pessima battuta – una bella scossa al sistema.” respirò a fondo “Se continua così, ci vorranno anni prima che le cose si stabilizzino di nuovo.”.
“Sì, lo so.” sbuffò contrariato “Ma mi permetterai di dire che tutta questa teoria mi sembra un’elaborata stronzata, vero?”.
Shiro rise con il suo vocione pieno e forte come quello di un trombone. “Posso assicurarti che non convince nemmeno me, ma, per quanto fantascientifica, questa sembra essere l’unica spiegazione possibile. Ti hanno detto delle oscillazioni libere?”. A quanto pareva, l’intero pianeta, a seguito del sisma, aveva vibrato come un campanaccio per mucche: un evento alquanto raro e riscontrabile solo a seguito di terremoti molto, molto potenti.
“Sì, ma non vorrete utilizzarle come prove a carico, vero?!” borbottò Yuzo “Andiamo, che assurdità! Anche nel ’60 e nel ’64 sono state misurate, ma non mi sembra che le placche abbiano preso a muoversi più velocemente del normale…”.
“Questo lo so anche da me.” sbuffò Shiro “Ma è tutto quello che ci passa il convento, quindi, a meno che tu non abbia un’idea migliore, ci dobbiamo accontentare di questa e continuare a lavorarci. Non possiamo fare di più.”.
Ma il Prof non sembrò per nulla soddisfatto, e mugugnò un verso di poco convinta approvazione, mentre sul computer faceva scorrere, lentamente, le pagine riguardanti il secondo anno di monitoraggio, visionandole senza però vederle realmente, preso com’era dalle ultime dritte ricevute direttamente dall’ERI.
“Senti…” disse ad un tratto “…avete azzardato qualche stima riguardo i terremoti?”. A quella domanda, Yuzo lo sentì sospirare profondamente.
“Per ora le scosse si sono attestate tutte su valori piuttosto minimi di magnitudo. Sembrerebbero, e sottolineo sembrerebbero, destinate a continuare così, ma… chi ci dice che non si vada a sollecitare una parte già pericolosamente fragile di crosta e ne venga fuori una seconda tragedia del Kanto?! O un secondo disastro di Kobe?!” e scosse severamente il capo, anche se il Prof non poteva vederlo. “Santo Dio, Yuzo, lo sappiamo tutti e due come sia letteralmente impossibile riuscire a prevedere questo genere di cose, quindi, ti prego: non chiedermi miracoli, non sono ancora attrezzato per quelli!”.
Ed il vulcanologo rise, decidendo di averlo stressato abbastanza. “Ok, ok, basta così!” disse, facendo ruotare la poltrona di novanta gradi. “Potresti mandarmi tutti i dati dal terremoto di Sumatra ad oggi?”.
“Sì, certo, dammi solo il tempo di raggrupparli e te li manderò quanto prima…”.
“Perfetto. Invia tutto alla mail del dipartimento, l’altra non la apro da più di tre anni, credo sia scaduta.”.
“Va bene, ma ti anticipo che è un gran mattone di roba: l’ideale se hai del tempo da perdere.” sghignazzò Shiro.
“Oh, tranquillo: ho un mese di buco prima di ripartire, e questa lettura è proprio quel che fa per me!” Yuzo venne raggiunto da un sospiro rassegnato.
“Parti di nuovo? Santoddio, ma quando la smetterai di scappare?! Guarda che non resterai un trentenne per sempre, e se non risolvi ora tutti i problemi, cosa farai quando sarai troppo vecchio per darti alla fuga? Creperai in una valle di lacrime, tra dolori e rimorsi?!”.
“Shiro, abbi pietà! Sembri Hideki! Mi rimetto al lavoro e salutami Sunomi.”.
“Sì, sì… scappa tu. Sei proprio un testardo! Vienici a trovare qualche volta a Tokyo, lo sai che ci farebbe piacere vederti.”.
Yuzo sorrise “Appena mi libererò, ci farò un pensierino, promesso.”.
Seee… promesse da marinaio.” e rise sonoramente “Ciao secchione!”.
“Ciao schiappa!” lo salutò con gli appellativi di quando erano studenti, e riappese la cornetta con un gesto deciso, rimanendo poi a fissarla, per qualche secondo.
Le placche ballavano l’hula-hula sotto i loro piedi.
Sospirò pesantemente. “Ora siamo a posto.” anche se lui non credeva che fosse questa la reale causa dell’aumento improvviso di sismicità nella zona di Nankatsu. Quella dell’ERI era una teoria troppo macchinosa e poi, che diamine!, c’erano stati terremoti ben più forti di quello di Sumatra, negli anni precedenti: quello dell’Alaska, del 1964, ne aveva contati 9.2 di gradi[2], e nel Cile addirittura 9.5! Che avrebbero dovuto fare le placche, allora? La ola?
Abbozzò un sorriso sbilenco “Catastrofisti del cazzo.” e cavò una sigaretta dal pacchetto morbido portandosela alla bocca, senza accenderla ovviamente. Afferrò di nuovo la cornetta del telefono e compose un numero interno dell’FVO.
“Fusco.” rispose una voce di donna dall’altra parte.
“Rita, sono Yuzo.”.
“Yuyù sei già qui?!” domandò la sismologa, con incredulità “Ma che ore sono?”.
“Lascia perdere queste minuzie e raggiungimi nel mio studio: ho novità da parte dell’ERI. E credo che tu le debba proprio sentire.”.

“Yoko, abbiamo saputo della tua performance a lezione di Storia dell’Arte Italiana!” esclamò Sumie, comparendo alle sue spalle, accompagnata da Eri e Fuyuko che reggevano dei libri tra le braccia.
La sorella di Misaki inarcò un sopracciglio, arricciando il naso con stizza. “Università di pettegoli.” borbottò, girando altrove la faccia, mentre le tre amiche prendevano posto accanto a loro al tavolo della sala studio, all’interno del palazzo principale, dove si andavano a rintanare dopo le lezioni.
Sumie la prese sottobraccio, facendola voltare, e le rivolse un sorriso affettuoso, tirando su gli spessi occhiali di foggia rettangolare. “Eddai! Non mettere il broncio! Piuttosto, dicci a che stavi pensando di così interessante da distrarti addirittura da Michelangelo.”.
Ma, purtroppo per Yoko, Saya la batté sul tempo, rispondendo con tono di chi la sa più lunga di tutte. “Chissà, magari ad uno scienziato pazzo…” disse, attirandosi gli sguardi incuriositi delle nuove venute e quello assassino di Yoshiko, che la guardò come se avesse voluto balzarle alla gola.
“Credo di non capire…” intervenne Eri, reclinando il capo di lato.
“Se è per quello nemmeno io.” accordò Fuyuko.
“Ah! Che dirvi, ragazze, non c’è molto da capire…” rincarò Saya, sbattendo velocemente le palpebre con fare civettuolo.
“Saya cuciti il becco!” ringhiò la sorella di Misaki, ma l’altra la ignorò bellamente, concludendo la frase.
“…la nostra Yoko è innamorata!” ed un portapenne volò da una parte all’altra del tavolo, ma la destinataria del missile lo scansò con nonchalance, ridacchiando strafottente.
“Linguaccia!” sbuffò Yoshiko, incrociando le braccia al petto ed assumendo un colorito acceso, mentre le tre ragazze esibivano dei sorrisi a trentadue denti, osservandola con occhietti luccicanti e già perduti in sogni disgustosamente romantici affogati in vagonate di melassa.
“E smettetela di guardarmi a quel modo!” brontolò, arrossendo ancora di più.
“Yoko!” esclamò Eri, prendendole le mani “Come hai potuto non dirci nulla?!”.
“Ma… ma…” non le diedero nemmeno il tempo di rispondere, che un’altra raffica di domande le piovve sulla testa.
“E chi è?!”.
“E dove l’hai conosciuto?!”.
“E come si chiama?!”.
“E state insieme?!”.
“Cosa?! Da quando?!”.
“E com’è?!”.
“E perché non lo sapevamo?!”.
“Silenzio.” sbottò Saya, facendo azzittire immediatamente le altre, che rimasero a fissarla con perplessità. La giovane dai capelli neri e mossi, che arrivavano a lambire il contorno dell’ovale, aveva un’espressione seria e severa. Tossicchiò un paio di volte, assumendo una postura più composta, mentre le altre pendevano praticamente dalle sue labbra. Smosse con gesto vanesio la chioma e disse “Risponderò io a tutte le domande.” guardandole con aria da furbetta. “Modestamente, l’ho visto.”.
E tre paia di occhi trasognanti si focalizzarono su di lei, esclamando un coro di “L’hai visto?!”.
Yoshiko assunse l’aspetto simile a quello di un toro inferocito, mancava solo che spuntassero corna e coda e cominciasse ad uscire fumo dalle narici. Ma tanto Saya avrebbe continuato ad oltranza, con o senza i suoi sguardi omicida puntati addosso.
“Eh, sì… l’ho visto.” continuò a gongolarsi la giovane.
“Ed è carino?” domandò una.
“E’ molto carino.”.
“E di che facoltà è?” domandò un’altra.
Lei scosse il capo, lentamente. “Non è un ragazzo.” disse solenne, per poi strizzare l’occhio alle sue interlocutrici “E’ un uomo. E’ un Prof!”.
Eri balzò in piedi, portandosi le mani al viso ed esclamando “Ommioddio! Un professore?!” che si attirò anche gli sguardi di tutti gli altri presenti in quell’aula studio. La giovane si guardò intorno, abbozzando un sorriso tremulo di vergogna, e tornò a sedersi composta, arrossendo, mentre Saya la rimproverava.
“Eri! Contegno!”.
“Scusate…”.
“Quindi è davvero un professore, Yoko?” domandò Sumie, con tanto d’occhi, e lei sbuffò, spostando altrove lo sguardo.
“Non di questa Università… grazie a Dio!”.
Fuyuko sospirò “Oh, che romantico!”.
“E non sapete il bello!” riprese Saya “E’ divorziato, per giunta!”.
“Oh! Un cuore infranto!” sospirò di nuovo Fuyuko “La nostra Yoshiko ne raccoglierà i cocci, ridandogli la felicità… che romantico!”.
Ossignore se ne dicevano di cretinate le sue amiche! Si ritrovò a pensare la sorella di Misaki, mentre le altre continuavano a spettegolare come se lei non fosse nemmeno presente in quel momento.
“Ma non sarà troppo avventato da parte sua? In fondo, un uomo più grande… e di quanto?” si preoccupò Eri.
“Otto anni in più.” rispose prontamente Saya, annuendo grave con le braccia incrociate. “E gliel’ho detto anche io che è troppo vecchio.”.
“Eddai, vecchio! Sono solo trent’anni, pensavo almeno 40-50!” rise Sumie e Fuyuko scosse il capo.
Seee e chi era? Matusalemme?” disse ridacchiando, mentre Eri aggiungeva.
“Saya, tu l’hai conosciuto: com’è? È una persona affidabile? La nostra Yoko è in buone mani, vero?”.
“Sì, sì, state tranquille, lui mi sembra un tipo a posto; nel caso, ci sono io a vegliare!”.
Yoshiko ascoltava in silenzio i loro discorsi, spostando lo sguardo dall’una all’altra, totalmente rassegnata. Ormai sarebbe stata la loro vittima sacrificale e tutto per colpa di quella lingua lunga di Saya che, quel giorno, era totalmente incontenibile. Prima le faceva fare la figura della cretina con il Prof, ed ora l’aveva praticamente lanciata in pasto a quelle belve succhia-zuccheri delle sue amiche universitarie, che avrebbero fatto di lei e della sua amicizia con Yuzo la nuova telenovela giornaliera. Roba da non perdere nemmeno per tutto l’oro del mondo!
Sospirò grave, borbottando “Che qualcuno mi salvi da questo supplizio!” e le sembrò davvero che qualcuno l’avesse ascoltata, perché il suo cellulare prese a vibrare sul tavolo, roteando a scatti e facendole illuminare gli occhi.
“Salva!” esclamò, prendendo l’oggetto e leggendo sul display chi la stesse cercando. Un sorriso, ancora più ampio, si distese sulle sue labbra, quando vide che era Taro. Rapidamente si alzò, uscendo dall’aula studio, liquidando le altre con un “Vengo subito!” e lasciandole ai loro pettegolezzi.
Si fermò nel corridoio, il cellulare che continuava a vibrare nelle sue mani, e rispose raggiante: “Qualunque cosa tu abbia da dire, sappi che ti voglio tanto, tanto bene!” quasi con le lacrime agli occhi, mentre un interdetto Misaki rimase a guardare la cornetta come fosse stato un oggetto alieno.
“Beh, grazie. Te ne voglio anche io.” rispose il giocatore dello Jubilo Iwata, con un sorriso affettuoso sulle labbra “A cosa devo questo slancio disinteressato?” la prese in giro.
“Scemo! Io sono sempre affettuosa con te! Che antipatico!” ed arricciò il naso in una smorfia offesa, mentre l’altro continuava.
“Spero di non disturbarti. Eri a lezione?”.
“No, dimmi pure, ero in aula studio.”.
“Senti, oggi pomeriggio è stato organizzato una specie di aperitivo da Genzo, una cosa per pochi intimi, giusto noi della Vecchia Generazione D’oro. La maggior parte del gruppo domani ripartirà per tornare a casa, e così volevamo fare un piccolo raduno extra per salutarci. Le ragazze hanno espressamente richiesto la tua presenza.” poi rise “Diciamo che mi hanno minacciato, va!”.
Rise anche Yoshiko, continuando a camminare avanti ed indietro per il corridoio esterno. “Per me va benissimo, a che ora?”.
“Più o meno per le otto, vuoi che ti passi a prendere?”.
“Se non è un problema per te, certo.”.
“Perfetto allora. Ti aspetto davanti al palazzo dello Studentato, per le otto.” poi aggiunse, con piglio di finto rimprovero “Mi raccomando, non farmi aspettare mezz’ora come l’ultima volta! Mica devi restaurare la Cappella Sistina!”.
“Oh, si vede che sei un maschietto.” sospirò con fare altezzoso, mentre Taro sorrideva all’altro capo del telefono.
Yoshiko continuò “Verranno tutti?”.
“Sì, più o meno, devo ancora avvertire Yuzo, ma, accidenti!, cercare di mettersi in contatto con lui è come vincere alla lotteria!”.
E la ragazza sgranò gli occhi.
Diavolo!
Non aveva minimamente pensato al fatto che avrebbe potuto esserci anche il Prof a quell’aperitivo! Ed il solo fatto che lo avrebbe rivisto, per la terza volta nel giro di nemmeno due giorni, la fece prima arrossire fino alla punta dei capelli e poi sbiancare: quella sì che sarebbe stata la volta buona che avrebbe potuto pensare male di lei, se se la fosse ritrovata davanti a mo’ di prezzemolo!
E adesso?! Che diavolo avrebbe dovuto fare?!
“Yoshiko, sei ancora lì?” la voce di suo fratello richiamò la sua attenzione all’improvviso.
“Eh? Ah, sì. Dimmi! Sai… la linea va e viene.” sfruttando la scusa più classica da associare ad un cellulare.
“Dicevo che ho provato a chiamarlo a casa, ma senza nessun risultato. E credo abbia cambiato numero di cellulare già da un po’…”.
Certo che aveva cambiato numero! Si ritrovò a pensare Yoko e lei… lo aveva! Dannazione, se non le fosse sembrato così assurdo, quasi quasi avrebbe pensato che fosse destino! Lei era, in quel momento, l’unica che avrebbe potuto rintracciarlo… ma mica poteva chiamarlo! Dio onnipotente, no! Nemmeno sotto tortura!
Dare il numero a Taro?
Assolutamente no! Come avrebbe spiegato, a suo fratello, il motivo per il quale aveva il numero del suo ex-compagno di squadra? E poi, Yuzo si era raccomandato di tenerlo lontano dalla portata di Sanae… L’unica a poterlo chiamare… era davvero lei.
“Ci penso io!” si affrettò a dire, forse troppo precipitosamente.
“Mh?” Taro sembrò piuttosto perplesso.
“Cioè… ecco…” tentò di giustificarsi Yoshiko “…ho visto che passa spesso davanti la mia Università, chissà… magari per andare a lavoro. Potrei fermarlo, se lo vedessi oggi…”.
“Oh, va bene…” accordò la metà della Coppia d’Oro “…io gli lascerò un messaggio in segreteria.” poi sorrise “Allora per le otto, eh! E non far tardi! Ciao Yoko.”.
E lei si sforzò di sorridere “Ok… ciao.” chiudendo la comunicazione.
Disgrazia incommensurabile!
Ecatombe!
Apocalisse!
Rimase a guardare il cellulare, per alcuni minuti, come fosse stato un mostro.
Sospirò pesantemente, rientrando come una specie di zombie all’interno dell’aula studio, dove le ragazze erano ancora intente nel loro fitto spettegolare. Fu Eri ad accorgersi della sua presenza, ed agitò una mano nella sua direzione.
“Yoko! Vieni, ché devi raccontarci i particolari!” esclamò entusiasta, ma inarcò un sopracciglio vedendo la sua espressione funerea. “Ma… che è successo?” domandò, attirandosi anche l’attenzione delle sue compagne, che smisero improvvisamente di borbottare, girandosi ad osservare la sorella di Misaki.
Quest’ultima, si sedette in silenzio al suo posto e, rivolgendo loro uno sguardo disperato, si gettò tra le loro fauci, dicendo “Sono nei guai.”.

Rita restava seduta nella poltrona che si opponeva a quella in cui era accomodato Yuzo, dall’altra parte della scrivania. Una gamba accavallata, le mani in grembo, gli occhi nocciola che osservavano il vulcanologo che l’aveva appena messa a parte delle scoperte dell’ERI.
Attimo di silenzio meditativo.
“Sì...” esclamò con serietà “...e poi c’era la marmotta che confezionava la cioccolata.” facendo scoppiare a ridere il Prof, che si tolse la sigaretta spenta dalla bocca, stringendola tra le dita.
“Oh, andiamo, è la spiegazione più idiota che io abbia mai sentito!” rincarò Rita “Ma sei sicuro che non ti stessero prendendo in giro?! Davvero, ci sarebbe da chiederselo!”.
Lui sospirò “Anche Shiro non era per niente convinto di quello su cui stanno cercando di aggrapparsi. Ha detto che mi farà avere tutta la documentazione necessaria.” poi si rilassò contro lo schienale della sedia. “E tu? A che punto sei? Scoperto qualcosa?”.
Rita scosse il capo, facendo spallucce “Ci sto ancora lavorando, ma sono ad un punto morto. Sono tre terremoti molto simili, per ipocentro e frequenza, cambia l’epicentro, la magnitudo, i meccanismi focali[3]… ma figurati, niente di rilevante.” e si alzò lentamente “Dammi ancora un po’ di tempo, ok?” concluse, muovendosi in direzione della porta.
Yuzo annuì “D’accordo, io analizzerò il resto dei dati del monitoraggio, in attesa di ricevere quelli dell’ERI.”. Abbassò lo sguardo sul video che era stato messo in stand-by e che, con un semplice movimento del mouse, fece comparire nuovamente la schermata piena di grafici e diagrammi.
Intanto, sentì Rita che continuava a borbottare. “Mo’ pure e’ placche ca’ fùjno! San Gennà, viri ca’ pacienz ca’ ci vò![4]” e lo fece sorridere, prima che si tuffasse nuovamente nel suo lavoro.

“Yoko che è successo?” domandò preoccupata Saya, mentre le altre facevano cerchio attorno a lei, osservandola con occhi sgranati in attesa che parlasse “Di che guaio stai parlando?”.
Yoshiko sospirò pesantemente, poggiando le mani sulla liscia superficie del tavolo, il telefono ancora stretto tra di esse.
“Chi era al cellulare?” domandò ancora l’amica dai capelli corvini.
“Taro.” rispose con un filo di voce.
“Oddio è qualcosa di grave?”.
“Sì.”.
Saya la prese per le spalle. “Come ‘sì’?! Santo Cielo, Yoko, mi stai facendo spaventare!”.
La sorella di Misaki deglutì con uno sforzo. “Mio fratello mi ha invitata ad un cocktail a casa di Genzo Wakabayashi... stasera...”.
Sumie inarcò un sopracciglio. “E allora? Non mi sembra nulla di così catastrofico o no?”.
“...ci sarà la Generazione D’oro al completo...” continuò l’altra.
A Fuyuko brillarono gli occhi. “Dio che fortuna! Con tutta quella carne al fuoco!”.
Saya intervenne, cogliendo quasi al volo quello che poteva essere il nocciolo della questione. “Ci sarà anche Dottor Jekyll[5]?” domandò infatti, mentre Eri inarcava un sopracciglio, esclamando.
“Credo di non capire bene... ma... non avevi detto che era un professore?” ma l’altra la azzittì con un gesto della mano.
“Sì, sì. Poi vi spiego bene la faccenda!” disse, ritornando a guardare Yoshiko. “Allora ci sarà anche lui?”.
La ragazza annuì e Saya parve perplessa. “E quindi che problema c’è?!”.
Yoko le rivolse uno sguardo sottile, esclamando “C’è che mio fratello non riesce a rintracciarlo e l’unica che può mettersi in contatto con lui sono io, visto che ha dato solo a me il suo numero di cellulare!”.
“E ti preoccupi di questo?! Ma sei scema?! E’ la tua grande occasione per rompere il ghiaccio!”. Saya era già partita per la tangente, e quasi invidiava la sua decisione ferrea, mentre lei continuava a mordicchiarsi il labbro con nervosismo.
“No che non lo chiamo!” rispose infatti e tre teste si scossero in sincrono, mentre la sua vicina di stanza affondava il viso in una mano, osservandola di sguincio.
“Certo, perché lui ti ha dato il suo numero per sport, vero? Senti, perché non lo incornici e lo appendi alla parete? Poi ci accendi un bel cero e resti a rimirarlo a mo’ di reliquia...” ma non finì la frase che venne colpita da un quaderno, cominciando a ridacchiare.
“Dai Yoko, Saya ha ragione.” intervenne Sumie in tono più pacato e ragionevole. “In fondo non è che una chiamata tecnica, per metterlo al corrente di qualcosa. Non penserà che lo stai perseguitando, tranquilla.”.
“Ecco!” si animò Yoshiko “E’ proprio quello il problema! È quello che io temo arrivi a pensare... e vorrei evitarlo.”.
“Vedrai che non lo penserà, anzi, studia le sue risposte per vedere se gli ha fatto piacere sentirti.” concluse l’amica, mentre le altre appoggiavano le sue parole, annuendo con decisione.
Trovatasi in minoranza netta, la sorella di Misaki sospirò lentamente. “Avete vinto.” accordò, alzandosi “E speriamo di non fare una figuraccia!” concluse avviandosi nuovamente verso il corridoio.
“Forza, ragazza! Noi facciamo il tifo per te!”. Saya era in piedi con i pollici verso l’alto ed un sorriso smagliante, cui lei rispose con un altro sorriso.
“E voi non venite ad origliare, intesi?!”.
“Ok, però poi ci dovrai raccontare tutto!” rise Sumie.
“Tutto tutto!” sottolineò Fuyuko.
“Anche i particolari!” rincarò Eri.
E Yoshiko scosse il capo, lasciando l’aula.
Si allontanò di qualche metro, poggiandosi con la schiena al muro ed osservando il display. Il labbro che veniva ancora mordicchiato ed un piede tamburellante al suolo. Richiamò la rubrica e, pigiando sulla lettera ‘P’, scorse l’elenco fino a che non comparve scritto ‘Prof’.
Rimase a guardare quella scritta per qualche altro secondo, pensando che ci fosse un altro problema da affrontare, prima di chiamarlo: che gli avrebbe detto?!
- Ciao. - pensò. Semplice, classico. Forse troppo stringato.
- Ciao Prof, sono Yoshiko la sorella di Taro, ti ricordi di me? - Seee! Si erano visti proprio quella mattina, figurarsi se l’avesse già rimossa.
- Salve Prof... - sì, più formale andava bene - ...scusa il disturbo... - perché doveva essere sicuramente al lavoro, quindi, lo avrebbe interrotto. Poi si riscosse: e se stesse ancora dormendo? Quella mattina gli aveva detto di aver passato l’intera nottata all’FVO. Magari stava riposando e lo avrebbe svegliato. Però suo fratello aveva detto di aver provato a chiamarlo a casa, senza ottenere risposta...
Osservò l’orologio.
Erano quasi le 16:30 e, a proposito, avrebbe fatto bene ad andare anche lei a casa a cambiarsi, tanto le lezioni erano terminate per quel giorno.
Ecco.
Altro dilemma!
Se ci fosse stato anche Yuzo al cocktail... che diavolo si sarebbe dovuta mettere?! Oddio! Quando incominciava a pensare così sembrava peggio di Saya e le altre.
Sorrise, scuotendo il capo e decidendo di occuparsi di un problema alla volta.
Ora, la cosa principale era chiamare il Prof.
Sperando che davvero non stesse ancora dormendo.
- Allora, ricapitolando: ‘Salve Prof, scusa il disturbo, volevo dirti che blablabla... Taro ha provato a chiamarti e blablabla... il cocktail è alle otto alla villa di Genzo.’ - annuì soddisfatta del suo discorso mentale - Gli dirò così! - e, fatto il respiro più profondo possibile, pigiò sul tasto di chiamata, portando il telefono all’orecchio.

Niente da fare.
Assolutamente niente da fare.
I dati del secondo anno non avevano nulla di anomalo, esattamente come quelli del primo. Forse stava cercando troppo indietro e lo sciame sismico era legato a qualcosa di più recente.
Altro che movimento velocizzato delle placche!
Se il terremoto di Sumatra aveva davvero a che vedere con tutta la faccenda, allora perché non era ancora emerso nulla?
Se quelle teste vuote del VRC avessero deciso di richiedere anche l’assistenza dello staff degli FVO, a quest’ora, forse, avrebbero già cominciato a mettere in piedi qualche teoria meno fantasiosa di quella dell’ERI.
Sbuffò contrariato, poggiandosi contro lo schienale della sedia ed incrociando le braccia al petto, quando, ad un tratto, il suo cellulare cominciò ad animarsi, vibrando e disperdendo un’allegra suoneria.
Yuzo inarcò un sopracciglio, afferrando l’oggetto e rispondendo senza nemmeno guardare il display.
“Morisaki.”.
Silenzio all’altro capo.
“Pronto?” chiamò nuovamente con perplessità.
Ancora silenzio, nonostante sentisse che ci fosse qualcuno, visto il vociare di sottofondo che riusciva a percepire.
Abbozzò un sorriso. “Yoshiko sei tu?”.
“...come... hai fatto a capirlo?!” decisamente la risposta più idiota che potesse uscire dalla sua bocca, mentre Yuzo scoppiava a ridere sonoramente.
Ecco, proprio quello che lei aveva cercato di evitare a tutti i costi: la figura barbina. Impeccabile come un orologio svizzero. Se glielo avessero raccontato avrebbe riso allo stesso modo del Prof, ma... era stata presa in contropiede. Le era bastato sentire la sua voce ed il sistema era andato in crash. Tutti i giri di parole ed il discorso che si era preparata erano stati cancellati solo dal fatto stesso che lui avesse risposto. Ossignore, ma come aveva fatto ad arrivare già a quel punto?
“Beh, le sole persone che hanno il mio numero sono tutte qui.” disse Yuzo, attirando nuovamente la sua attenzione “Diciamo che tu sei l’unica esterna all’FVO ad averlo. Ho tirato a indovinare.”.
“Ah... sì?” rise nervosamente Yoshiko, mentre il Prof chiese, in tono più serio.
“Ma... è successo qualcosa?”
“Eh? No, no... scusa, magari ti ho disturbato.”.
“No, affatto. E poi ti ho detto che puoi chiamarmi quando vuoi, quindi non preoccuparti.”.
E la sorella di Misaki ringraziò il fatto che non potesse vederla, perché era diventata di un colorito molto prossimo al porpora acceso. Sorrise, riprendendo un po’ di coraggio. “Volevo... ecco... volevo solo dirti che Genzo ha organizzato un piccolo cocktail, per questa sera, alla Villa. Ci saranno solo i ragazzi della Generazione D’oro, visto che domani la maggior parte tornerà a casa per riprendere gli allenamenti...”.
“Oh, capisco...” poi aggiunse “Credi che se non verrò, Sanae vorrà la mia testa su di una picca?” e Yuzo la sentì ridere divertita.
“Credo proprio di sì!”.
“Ok, allora mi sacrificherò per la patria, dimmi solo a che ora.”.
“Taro ha detto per le otto... sai, lui aveva provato a chiamarti a casa, ma non rispondevi.” ed inarcò un sopracciglio “Ma non hai dormito?”.
Yuzo si passò una mano tra i corti capelli scuri, sentendosi come colto in castagna. “Eh... sì, più o meno... te l’ho detto che dormo poco, no?” e cambiò discorso. “Immagino che ci sarai anche tu, vero?”.
Yoshiko si pietrificò all’istante: il Prof... si stava informando sulla sua presenza al cocktail? Naaa era solo una domanda di cortesia, figurarsi!
“Sì, vengono a prendermi Taro ed Azumi.”.
“Un refrain del gala, ma senza terremoto, quindi.” rise il vulcanologo “Ottimo, almeno sono sicuro che sarà una serata piacevole.”. 
Quello fu il colpo di grazia. Ora sì che era color pomodoro maturo.
Yoshiko deglutì a fatica “Già... allora ti lascio lavorare...” mentre stava praticamente scappando da quella conversazione.
“Grazie per avermi avvertito. A più tardi.”.
“Di nulla... a dopo.” ed entrambi chiusero la comunicazione.
La sorella di Misaki rimase a guardare il display, ancora illuminato, con il viso in fiamme.
Forse aveva capito male, anzi, no: aveva sicuramente capito male.
E, se così non fosse stato, allora il Prof le aveva appena detto di trovare piacevole la sua compagnia.


[1]SUBDUCENDO: la ‘subduzione’ è quel processo tettonico che porta una placca ad insinuarsi sotto l’altra, sprofondando nel mantello. Quindi, se una placca sta subducendo, significa che sta affondando sotto un’altra placca.

[2]9.2 GRADI: secondo quanto riportato dall'USGS. Visto che i dati relativi alla magnitudo di questo terremoto sono diversi, preferisco fare riferimento ad una sola fonte. 

[3]MECCANISMI FOCALI: lo studio dei 'meccanismi focali' permette di individuare il tipo di faglia che ha generato il terremoto e la superficie lungo la quale è avvenuta la frattura (il piano di faglia). Ci permette quindi di dire se il primo impulso è compressivo o dilatativo e se il movimento relativo tra i lati della faglia è di tipo: normale, inverso o trascorrente (in parole povere, indica come si è mossa la faglia: in orizzontale, in verticale e così via!).

[4]“MO’… VO’!”: traduzione “Adesso anche le placche che fuggono (nel senso che si muovono più velocemente). San Gennaro, vedi che pazienza che ci vuole!”

[5]DOTTOR JEKYLL:  va beh, credo che lo conosciate tutti il Dott. Jekyll del romanzo di Robert L. Stevenson. XD


 

…E poi Bla bla bla…

Ve l'avevo detto che ci sarebbero state delle notine in più, a questo giro!XD ma sono tutte (o quasi!XD) facili, facili!
Finito prestissimo questo capitolo, nonostante sia venuto addirittura più lungo del previsto!O_O
Ebbene, come annunciato nel capitolo precedente, mi prendo qualche righina per parlare dell’evento realmente accaduto che qui è stato ripreso.
Sumatra 2004.
Chi ricorda quello che è successo il 26 Dicembre?
Credo tutti.
Quindi, capo chino e momento di silenzio per ricordare tutte le vittime dei capricci di Madre Terra e della pessima organizzazione umana.
Il motivo per cui ho deciso di riallacciarmi a questo evento reale, non è certo stato dettato da una mancanza di rispetto verso coloro che ci hanno tirato le cuoia o che ancora continuano a soffrire, affatto, ma mi sembrava giusto che ci fossero anche riferimenti alla vita vera. In fondo, parlo di Geologia ed è una materia che si fonda sulla concretezza.
Detto ciò, la teoria espressa dall’ERI non esiste! XD (ah! Licenze… poetiche?) E credo che i miei professori mi prenderebbero a randellate sulla testa o, peggio, mi negherebbero la laurea ad oltranza, se la dovessero leggere!XD
Ehi! Non ho mai detto di voler scrivere la Verità Rivelata, eh! XDD

Ed ora, vorrei fare dei ringraziamenti:

Prima fra tutti, la mia Be(t)ta!*_* che, nonostante i suoi mille impegni, riesce sempre ad avere un momentino per me e per questa storia! ç___ç Grazie cara, sei un vero tesssssoro! ç_ç

Poi, un ringraziamento particolare va ad un’utente di EFP che mi è stata, non utile… deppiù!*_*
Grazie mille a Yeran85 per il suo preziosissimo aiuto sulla comprensione del funzionamento delle prefetture giapponesi, sul loro sistema gerarchico e le relazioni tra funzionari.
Grazie davvero, senza il tuo supporto (povera, ha ricercato apposta il materiale per aiutare me! ç______ç) avrei tirato fuori di sicuro qualche cretinata!XD *______*Y grazie ancora, sei di una gentilezza impagabile!

Vi rimando al prossimo capitolo e al primo… incontro tra Titani! XD (Ero convinta di riuscire ad inserirlo in questo, ma mi son fatta prendere la mano!XD).
    

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Huzi

- Capitolo 9 -

Nella sua camera da letto sembrava si stesse svolgendo la Terza Guerra Punica, visto il caos dominante.
I vestiti erano sparsi dappertutto: sul pavimento, sul letto, sul comò… su Saya che, poverina, era stata obbligata a darle consiglio al suono della terrificante, catastrofica, spaventosa domanda: “Cosa metto?!”.
Ed ora, la suddetta giovane, continuava a restare seduta, con le gambe incrociate ed il viso affondato nella mano; lo sguardo rassegnato, ed una marea di vestiti addosso che le erano stati lanciati alla rinfusa da una Yoshiko in crisi mistica.
“No! Questo no! Questo nemmeno!” continuava a borbottare la sorella di Misaki, cavando anche l’impossibile dal suo guardaroba che sembrava quello di Mary Poppins.
“Yoko, Santo Cielo, fermati!” sbuffò Saya togliendosi una maglia dalla testa e lanciandola sul letto. “E’ solo un banale cocktail, mica il party della Regina Elisabetta! Stai calma!”.
L’altra si fermò, mostrando un’espressione abbattuta.
“Lo so!” esclamò afflitta “Ne sono perfettamente consapevole!” e si sedette stancamente sul materasso, sprofondando tra gli abiti. “E’ per questo che ci sei tu qui.”. La guardò con due occhioni nocciola luccicanti, sbattendo velocemente le palpebre. Saya sospirò, sorridendo.
“Ok, ok! Partiamo da un problema alla volta…”.
“Gonna o pantalone?” propose Yoshiko, ma l’altra sbarrò gli occhi.
“Pantalone! Che domande! Fuori faranno minimo sette gradi, la gonna è da escludere!”.
“E che c’entra? Al gala ho passato buoni venti minuti all’aperto, ed il vestito era scollato…”.
“E non hai avuto freddo?” domandò l’amica con malizia, mentre Yoko rispondeva a tono.
“No, affatto.”.
“Chissà perché.”.
E risero entrambe, poi la sorella di Misaki aggiunse “Dai, basta fare le sceme. Allora, abbiamo detto pantalone: classico o jeans?”.
Saya incrociò le braccia al petto. “Jeans, ovviamente, in fondo è una cosa informale, no?” poi sghignazzò “Per pochi intimi…”.
Seee… pochi intimi un cavolo!” borbottò Yoshiko “Ci sarà la Nazionale e gli ex-compagni di liceo di Taro! Saremo circa una quarantina di persone!”.
“Salute!” rise l’amica, poi si batté il pugno su una mano. “A proposito! Non mi hai detto com’era il Prof in smoking.”.
E Yoko sorrise con ironia “Quale smoking?”.
“Parlo della sera del gala.”. Saya la vide scuotere il capo.
“Se ti dicessi che si è presentato in jeans, mi crederesti?”.
L’altra rimase un attimo in silenzio, inarcando un sopracciglio, prima di scoppiare a ridere. “Stai scherzando?!”.
“Affatto! Ed io che l’ho scambiato anche per un cameriere! Lasciamo perdere, che figuraccia!”.
“Davvero?! Per un cameriere?! Oddio Yoko, questo non me lo avevi raccontato!” e per poco non cadde dalla sedia per le risate “Le puoi fare solo tu certe cose!”.
“Ah, ah.” le fece il verso “Ridi pure. Intanto non ti dico che vergogna.”.
Saya le rivolse uno sguardo sagace “E quindi è così che l’hai conosciuto, eh?”.
Giààà… trascinandolo in cucina come un sacco di patate.” e l’amica riprese a ridere sonoramente.
“L’amore corre sul manico della padella!” scherzò, piegandosi in due mentre un cuscino, ripescato da sotto il marasma di abiti sparsi, arrivava a colpirla in testa.
“La pianti di sfottere?! Dammi una mano piuttosto!”.
Saya cercò di dare fondo a tutta la sua forza di volontà per recuperare un certo contegno, dicendo “Tesoro, lascia perdere i frizzi ed i lazzi. Tanto ormai in versione ‘strafiga’ ti ha già visto! Ora devi colpirlo ed affondarlo in versione ‘nature’!” e si alzò in piedi, puntando lo sguardo verso un punto indefinito del soffitto, allungando una mano e portandosi l’altra sul cuore, teatralmente. “Ti presenterai senza un filino di trucco, casta e pura, ingenua fanciullina dagli occhioni sinciueri, per far brecciua nel suo cuoriciuino ferito da divorziato! E lui, vedendoti, penserà: ‘Ommioddio come ho fatto a vivere anche un solo nanosecondo senza di lei?’. E l’amore trionferà!” declamò, sbattendo velocemente le palpebre, mentre Yoshiko restava in sacrale silenzio e l’espressione interdetta.
“In parole povere…” continuò Saya, tornando seria ed incrociando le braccia al petto “…jeans, maglioncino e Amen.”.
“A volte mi spaventi…” sospirò Yoko, scuotendo il capo rassegnata. “E comunque, non credere che sia tanto facile.”. Cincischiò con una delle maglie che stringeva tra le mani. “La ex-moglie è uno spauracchio ancora vivido… si vede lontano un miglio.”. Rilasciò un profondo sospiro.
“E noi chiameremo i Ghostbusters per togliercelo dai piedi!” rispose Saya strizzandole l’occhio e facendola sorridere. “Ora non pensare a lei, e poi, chissà: magari è una racchia antipatica!”.
“Ah, non credo proprio, guarda.” rise Yoshiko alzandosi anche lei e pescando il primo jeans che trovò nel mucchio caotico insieme ad un maglioncino di lana. Li mostrò all’amica la quale annuì con pollice in alto.
“Ora che il tanto drammatico quesito del ‘cosa metto’ è stato risolto, io vado, altrimenti rischio di perdere il treno.” disse Saya e si infilò il cappotto che aveva lasciato appoggiato alla sedia, accanto alla quale era stato abbandonato anche un trolley.
Yoshiko la abbracciò, scoccandole un bacio sulla guancia. “Grazie di tutto Sa-chan! E salutami i tuoi, buon week-end.”.
L’altra ricambiò la sua stretta con altrettanto affetto. “Di niente tesoro. E fai la brava…” si raccomandò, strizzandole l’occhio e avviandosi insieme verso la porta della camera. “…domani chiamami. Voglio sapere tutti i particolari, intesi?!”.
“Signorsì!”.
“Allora in bocca al lupo. Ci vediamo domenica sera.” ed uscì, mentre l’altra rispose.
“Crepi, Saya, e buon viaggio.”. Lentamente richiuse la porta.
Era stata davvero fortunata a trovare un’amica come lei, si ritrovò a pensare Yoshiko con un sorriso. Certo, era piuttosto esaurita e linguacciuta, ma anche adorabile e sincera.
“Ed ora, diamo inizio all’operazione: ‘Nature’!” si disse, scuotendo poi il capo e dando un’occhiata all’orologio. “Accidenti, le 19:30! Se non mi sbrigo, Taro attaccherà la solfa della ‘Cappella Sistina’!” e, afferrati rapidamente gli abiti che aveva scelto, si richiuse in bagno per la doccia più veloce della sua vita.

La BMW blu scuro, piena di gocce di pioggia, rallentò piano accostandosi al marciapiede davanti al palazzo dello Studentato.
Taro osservò l’orologio sul cruscotto, esclamando con un sorriso “Mettiti comoda, Azumi, sono solo le otto, prima che Yoshiko scenda ci vorrà almeno un’altra mezz’ora!”.
La ragazza dai corti capelli biondo scuro, seduta al lato passeggero, si sporse per osservare l’ingresso del palazzo. “Ma anche no.” esclamò facendogli cenno con il capo.
Il campione dello Jubilo Iwata seguì il suo sguardo e per poco non gli venne un colpo quando vide sua sorella uscire dall’androne, stretta nel cappotto scuro e la sciarpa, ed un ombrellino per ripararsi dalla pioggia fitta e sottile che continuava a cadere incessantemente.
“Ho un’allucinazione?” si disse, controllando nuovamente l’orario.
Lo sportello posteriore si aprì e Yoshiko salì rapidamente. “Brrr! Che freddo maledetto! E che tempaccio!” esclamò, poggiando l’ombrello sul tappetino.
Taro guardò stralunato nello specchietto retrovisore, esclamando “E tu?! Chi saresti?! Un alieno, senza dubbio!”.
“Che spiritoso.” le fece il verso Yoshiko, sfregandosi le mani per scaldarle. “Me l’hai detto tu di essere puntuale, di che ti sorprendi ora?”.
“Del fatto che non lo sei mai tutte le volte che te lo chiedo?!”. Guardò per l’ennesima volta l’orologio: le 20:05. “E’ un miracolo!”.
“Azumi, per favore, gli tireresti un ceffone ché sei più vicina?” e l’interpellata rise, mentre il giovane metteva in moto, immergendosi nel traffico cittadino che cominciava a diradarsi.
Naaa! Ci deve essere qualcosa sotto!” rise Taro, lanciandole furbe occhiatine dallo specchietto retrovisore. “Non me la racconti giusta, sai?”.
Yoshiko arrossì violentemente, sentendosi colta sul fatto; incrociò le braccia al petto, guardando fuori dal finestrino e sbuffando. “Non è vero!”, non poteva certo dirgli che non vedeva l’ora di incontrare nuovamente il Prof!
Taro, intanto, se la rideva divertito, mentre Azumi lo redarguiva bonariamente. “Su tesoro, non essere così antipatico!” ma cercava anche lei di trattenere qualche risatina.

Villa Wakabayashi era, al solito, illuminata a festa e non poteva passare inosservata attraversando il quartiere.
Taro varcò lentamente il grande cancello aperto, dirigendosi al parcheggio dove erano posteggiate già svariate autovetture.
Yoshiko sentì i battiti accelerare all’improvviso quando scorse l’inconfondibile sagoma di Dante che spiccava, imponente, tra le minute fuoriserie.
- E’ già qui! - e non sapeva se esserne più felice o terrorizzata.
“Oh, c’è anche Yuzo: allora deve aver sentito il messaggio che gli ho lasciato in segreteria.” notò Taro, mentre posteggiava proprio accanto al Pick-up. I tre occupanti della BMW scesero, riparandosi sotto un paio di ombrelli.
“Certo che è proprio un transatlantico.” scherzò, mentre camminavano sul bricciolino con un sonoro scalpiccio.
Yoko partì in sua difesa. “Ehi! Guarda che Dante è bellissimo!” ed il fratello inarcò un sopracciglio.
“E tu come fai a sapere che ha un nome?”.
- Accidenti! - sbottò tra sé la ragazza, redarguendosi mentalmente di stare più attenta. “Beh, ho letto la scritta sulla portiera!” affermò, camuffando l’imbarazzo, mentre Taro sorrise.
“Ah, sì…” reggendo l’ombrello, con Azumi stretta al suo braccio “…glielo ha dato Aiko.”.
Quella frase attirò immediatamente l’attenzione di Yoshiko.
“Aiko?” fece eco con curiosità, ma l’altro si affrettò a scuotere il capo.
“No, niente.” ed aumentò il passo, borbottando “Presto, altrimenti ci congeliamo!”.
La sorella rallentò, osservando la sua figura di spalle.
Era lei.
Doveva essere lei, ne era sicura.
La ex-moglie.
Aiko.
E così… il nome Dante era stato una sua idea, ripensò, mentre la curiosità si faceva sempre più forte. E poi, perché Taro aveva glissato sull’argomento?
Scosse il capo con decisione: non doveva pensarci, almeno per quella sera. Doveva rilassarsi e godersi il cocktail in compagnia del Prof, tutto il resto doveva restare fuori. Rapidamente affrettò i passi, raggiungendo il fratello ed Azumi che erano già arrivati davanti al portone della Villa.
Il maggiordomo li accolse, facendoli entrare e prendendo in consegna i loro soprabiti.
“Benvenuti.” disse in tono calmo e cortese “Il Signor Genzo e gli altri ospiti sono nel salone, prego, se volete seguirmi.” e, lasciati i cappotti ad un altro inserviente, fece strada scortandoli fino ad una stanza dalla quale proveniva un allegro vociare. L’uomo aprì loro la porta. “Accomodatevi.”.
Diversamente dalla sala usata per il gala, quella era infinitamente più piccola ed intima, ma perfetta per ospitare una quarantina di persone.
Fidanzate e consorti erano comodamente sedute sui divani, intente a chiacchierare animatamente, mentre piccole pesti schizzavano come schegge da un lato all’altro della stanza.
Alcuni campioni erano presso il camino acceso a sorseggiare svariati liquori, qualcun altro al balcone e numerosi si stavano dando battaglia al tavolo da biliardo.
“E con questo: vi ho stracciato.” esclamò Mamoru Izawa, dando un colpo secco alla palla bianca che colpì tre sponde prima di sfiorare quel tanto che bastava la Numero 8 mandandola nella buca d’angolo, ed aggiudicandosi la partita.
“Ah! Ma sei un mostro!” sbuffò Ryo, agitando una mano e venendo imitato da Kishida e Jito.
Yuzo rise. “Al liceo aveva una certa fama…” e si rivolse all’ex-compagno che sistemava nuovamente le palle nel triangolo “…vero bisca?”.
“Già. Ero il re del gioco d’azzardo e la carambola!” confermò l’interpellato “Se giocavamo a Poker, Ryo, posso assicurarti che ci avresti rimesso anche le mutande!” ed Urabe si coprì gli occhi.
“Dio, che orrenda visione!”. Tutto il gruppo si animò con sonore risate, mentre Ishizaki sorseggiava del Jack Daniel's facendo loro il verso.
Il primo ad accorgersi dei nuovi venuti fu Hayate, che corse loro incontro, gridando “Zio Taro! Zio Taro!”. Anche se Misaki non lo era veramente, il piccolo Ozora lo aveva sempre considerato come tale.
La metà della Golden Combi lo agguantò al volo, prendendolo in braccio. “Accidenti! Quanto sei diventato pesante!” rise, mentre Genzo si avvicinò a loro.
“Ed ecco Misaki e famiglia, direi che siamo al completo.” battendogli una sonora pacca sulla spalla. “Servitevi pure, ragazzi, io ho un ‘presunto’ campione di biliardo da umiliare.”.
“Staremo a vedere!” rispose Mamoru di rimando, sfregando minacciosamente la punta della stecca col gessetto blu.
Taro rise della scena, facendo scendere Hayate e calcandogli sulla testa quello strano quanto enorme cappello che indossava, avvicinandosi al divano dove erano accomodate le ragazze. “Ehi, e questo cappello da dove spunta?” gli domandò con un sorriso.
“Me lo ha dato il cow-boy!” rispose il piccolo, indicando il gruppetto attorno al biliardo, per poi correre nuovamente a giocare.
Fu Sanae a sciogliere il mistero, notando l’espressione perplessa di Misaki. “Parla di Yuzo.” disse, addentando uno stuzzichino “Adora quel cappello. È da ieri che lo tiene incollato in testa.”.
Yoshiko inquadrò la figura del Prof tra quelle degli altri giocatori: sigaretta spenta tra le dita ed un bicchiere con del liquido scuro in una mano, l’altra nella tasca dei jeans. Era in piedi, accanto all’imponente figura di Takasugi.
Un brivido improvviso, lungo tutta la schiena, le troncò il respiro per un brevissimo attimo, mentre ebbe come l’impressione di essere arrossita, perché il viso stava andando letteralmente a fuoco.
- No, Yoko! Calma! Calma e sangue freddo! - cercò di auto-imporsi, ma sembrava proprio che il cuore avesse deciso di trasformarsi in una repubblica indipendente, e continuava a martellare nel suo petto.
“Ah, sì?” fece eco Taro alla risposta di Sanae, per poi aggiungere “Ehi, Prof!” ed attirarsi l’attenzione del vulcanologo. “Hai ricevuto il mio messaggio allora!”.
Yuzo lanciò una rapida occhiata a Yoshiko, che sembrava avesse scritto in fronte ‘PANICO’ a caratteri cubitali, e distese un sorriso.
“Sì, grazie!” annuì, muovendosi per raggiungerli.
“Sappi che è più facile strappare un appuntamento al Padreterno che parlare con te!” lo prese in giro Misaki.
“Di sicuro lui è meno impegnato!” rispose il Prof con altrettanta ironia. “Ciao Azumi…” salutò poi, rivolgendosi alla ragazza di Taro, infine il suo sguardo si fermò su Yoshiko. “Ciao.” le disse sorridendo e lei rimase come immobile davanti a quelle labbra leggermente distese e la sua voce che riecheggiava nelle orecchie.
Lo stesso effetto che le aveva fatto quando lo aveva sentito per telefono: il sistema aveva crashato di nuovo. Con il più grande sforzo di volontà che potesse fare, sorrise a sua volta, costringendosi a cacciarsi fuori a pedate da quello stato catatonico.
“Ciao!” ricambiò il saluto, mentre Azumi li superò, accomodandosi sul divano.
“Finiti i convenevoli, andate pure a parlare di calcio. Natureza, oh Natureza, perché sei tu Natureza?!” declamò ironicamente, facendo ridere le altre consorti, mentre Sanae annuì con decisione.
“Parole sante!”.
“Noi ci dedichiamo alla sottile arte del pettegolezzo!”.
A tal proposito, Kumi batté le mani entusiasta. “Sì! Ho delle novità che non vi ho ancora raccontato!” esclamò, attirandosi subito l’attenzione delle colleghe, che si dimenticarono totalmente della presenza di mariti e fidanzati.
Taro scosse il capo con un sospiro, mentre Yuzo cercò di non ridere. Fu allora che arrivò Tsubasa armato di joypad e galvanizzato.
“Ragazzi! Mega-torneo di Winning Eleven[1]?!” domandò entusiasta con un largo sorriso.
Il vulcanologo scosse il capo. “No, grazie, io passo.”.
“Io ci sto!” annuì Taro “Scontro epocale: Brasile – Giappone?!”.
“Io prendo il Brasile!” si prenotò Tsubasa, lanciandogli il joypad wireless che l’altro prese al volo, sorridendo.
“Ok, ok! Vedremo chi la spunterà!” accordò il 'rivale', raggiungendolo ed accomodandosi davanti alla Playstation 3.
Yoko lanciò un’occhiata a Yuzo. “Non dire una parola.” lo minacciò, puntandogli contro l’indice ed il Prof alzò le mani, scuotendo il capo.
“Si commentano da soli.”. Risero entrambi, notando come la Golden Combi non sarebbe mai cambiata, nemmeno tra un paio di secoli.
“Bevi qualcosa?” esclamò poi il vulcanologo, e lei diede un’occhiata al suo bicchiere che conteneva ancora due dita di liquido trasparante.
“Vedo che ti sei già servito, quindi, fammi strada.” gli sorrise, seguendolo attraverso la stanza fino a fermarsi nei pressi di un tavolino ricolmo di bicchieri e bottiglie di ogni foggia ed altezza.
“Accidenti!” esclamò la giovane appena le vide “E’ la boutique del liquore, per caso?”.
“Il padre di Genzo non ha mai fatto mancare l’alcool in casa, soprattutto quando sapeva che ci fosse odore di rimpatriata nell’aria.” smosse un paio di bottiglie. “Cosa preferisci?”.
Yoko ci pensò un po’, anche perché lei non era affatto un’intenditrice e se conosceva qualche nome era già tanto. Osservò il suo bicchiere. “Che stai bevendo tu?” domandò.
Chivas.”.
Gli rivolse lo sguardo di una persona con le idee meno chiare di prima. “Che sarebbe?”.
“Whisky.” rise Yuzo, porgendole il suo bicchiere “Vuoi assaggiare?”.
Yoshiko rimase ad osservarlo per qualche secondo, arrossendo leggermente per quel piccolo gesto di complicità: un contatto indiretto tra le loro labbra, che si sarebbero poggiate sullo stesso oggetto. Sorrise, “Ok.”, camuffando l’imbarazzo ed afferrando il bicchiere, delicatamente. “Vediamo com’è questo Chivas.” e bevve un piccolo sorso.
L’espressione sul suo viso fu decisamente eloquente circa il gradimento della bevanda in questione, mentre Yuzo rideva delle sue smorfie disgustate “Ok, non ti piace il whisky.”.
“Dio, ma che schifo!” sbottò con la gola in fiamme ed il sapore amarissimo in tutto il palato. “Ma come fai a bere questa roba! Bleah!”.
Lui rispose con finta spavalderia. “E’ la bevanda preferita di noi ‘uomini duri’!” mentre Yoko rideva. “No, sul serio, lascia un ottimo retrogusto, ma solitamente è il meno apprezzato dalla compagine femminile, perciò…” si portò la sigaretta spenta alla bocca, afferrando un bicchiere a triangolo e versandoci dentro del liquido color paglierino chiaro e trasparente. “…meglio provare col preferito dalle donne.”. Le porse il nuovo liquore con un sorriso. “Questo ti piacerà.”.
“Il bicchiere mi è già simpatico!” scherzò lei, prima di assaggiarlo leggermente e sorridere con espressione entusiasta “Questo sì!”.
“Il Martini è un classico.” disse Yuzo, bevendo un sorso di whisky.
“Ma senti senti, che aria da intenditore.” lo prese in giro Yoshiko “Beone incallito oltre che fumatore?”.
“Affatto.” negò, scuotendo il capo “Però il Signor Wakabayashi ci ha fatto scuola: tirava fuori mezza cantina e si metteva a raccontare vita, morte e miracoli di tutti gli alcolici a disposizione. Un grande estimatore.” poi sorrise, avvicinandosi. “Sai chi era il migliore del ‘corso’?” domandò in confidenza e lei scosse il capo. “Tuo fratello.”.
“Taro?!” fece eco incredula, mentre lui annuiva.
“A volte il Signor Wakabayashi si divertiva a farci fare delle prove: ci faceva assaggiare vari liquori e poi, noi, dovevamo indovinare cosa fossero… beh, Taro li riconosceva sempre tutti.”.
Yoshiko inquadrò il fratello impegnato nella sua partita all’ultimo sangue contro Tsubasa. “Hai capito!” poi si rivolse nuovamente al Prof, rigirando il bicchiere “A proposito… come mai non mi hai chiesto se ne potessi bere, ma l’hai dato per scontato? Solitamente mi sento domandare: ‘Tuo fratello non ha nulla in contrario?’”.
E Yuzo inarcò un sopracciglio, con perplessità. “Avrei dovuto? Ma non avevi detto che detestavi essere trattata come una bambina?” poi si grattò dietro la nuca “In fondo... hai ventidue anni, non credo tu abbia ancora bisogno del permesso di Taro. Il Martini, poi, non è così forte…” il vulcanologo le vide distendere un sorriso a trentadue denti a quella risposta.
“Grazie, Prof!” esclamò, bevendo un sorso dal bicchiere.
Era pazza di lui.
Solo per quelle parole, avrebbe voluto balzargli al collo per la felicità. E al diavolo il buon senso ed i suoi derivati: lui era perfetto! Anche se magari la prendeva in giro perché, in fondo, era la più piccola  – escludendo i vari pargoli – del gruppo, non la trattava affatto come se fosse una bambina e questo la faceva sentire terribilmente a suo agio in sua compagnia.
“Allora…” riprese il Prof, attirando la sua attenzione “…come è andata la tua giornata universitaria?”.
“Bene!” - Figuracce escluse! - “Ho studiato Michelangelo Buonarroti.”.
“Aspetta! Questo lo conosco!” esclamò entusiasta “Fammi pensare…” e cincischiò con la sigaretta spenta e lo sguardo concentrato, prima di guardarla nuovamente “Il David?”.
“Esatto!”.
“Sì!” esultò, agitando il pugno in gesto di approvazione, mentre la giovane rideva. “Visto? Non sono poi così schiappa.”.
“Sì, ma non conoscevi Dante.” lo rimproverò Yoko.
“Non è vero! Conoscevo Dante…” tentò di difendersi “…non quello che dicevi tu, però lo conoscevo.”.
E lei scosse il capo, ridendo. “E tu, invece? Come procedono le ricerche?”.
Lui si strinse nelle spalle. “A rilento. Sto aspettando di avere tutti i dati necessari…”.
“Ma non avete già qualche idea?” e rabbrividì “Se si preannuncia la fine del mondo avvisami, così emigro!”.
Il Prof rise “No, niente Apocalisse. Sembrerebbe un semplice assestamento strutturale…” spiegò, senza scendere nei particolari, e le vide assumere un’espressione preoccupata
“Quindi, ci saranno ancora altri terremoti?”.
Yuzo sospirò con un sorriso. “Sì, qualcuno sì.”.
“Ah… che bella notizia…” esclamò con ironia e le sopracciglia aggrottate, per nulla entusiasta all’idea di dover sentire ancora la terra tremare sotto i suoi piedi.
Osservando la sua espressione corrucciata, il Prof richiamò la sua attenzione, poggiandole una mano sulla spalla. “Ehi… guarda che è solo un’ipotesi, non c’è ancora niente di sicuro e, se anche fosse, non devi preoccuparti, non c’è pericolo.”.
E lei come poteva non credere alle sue parole, soprattutto se pronunciate con quel tono basso e rassicurante? Come quando, la sera del gala, erano stati sorpresi dalla scossa e lui le era sempre rimasto vicino, parlandole con calma e guardandola negli occhi. Anche in quel momento stava facendo lo stesso, la faceva sentire al sicuro, protetta. Ed era una gran bella sensazione. Avrebbe anche potuto dirle che gli asini volavano e lei avrebbe preso le sue parole per Verità Rivelata.
Santoddio come pendeva dalle sua labbra!
“Dici davvero?” chiese in conferma, scrutando nella malinconia dei suoi occhi scuri.
“Prometto che sarai la prima persona cui dirò di andar via se la situazione dovesse peggiorare, va bene?”.
E lei era maledettamente sicura che lo avrebbe fatto, perché non era un tipo che parlava a vanvera. Ricambiò il suo sorriso. “Guarda che ci conto.” e bevve un sorso del suo drink, quando vennero raggiunti da Teppei che si versò dello scotch, esclamando.
“Povera Yoshiko, scommetto che il Prof ti sta riempiendo la testa con i suoi vulcani.” per poi additare il vice direttore dell’FVO in tono finto minaccioso “Vedi di non spaventarla: è terremofoba!”.
Yoko rise, scuotendo il capo. “Non mi sta spaventando, anzi. E poi, trovo interessante la vulcanologia.”.
Yuzo annuì entusiasta “Sentito?”.
Teppei assunse un’espressione spaventata. “Pazza! Non sai quello che dici!” mentre Yoshiko fece per portarsi nuovamente il bicchiere alla bocca, quando l’attaccante del Cerezo Osaka la fermò. “Ehi! Vacci piano col liquore. Tuo fratello approva?”. La ragazza sospirò rassegnata, scambiandosi una lunga occhiata col Prof, prima di sbottare a ridere entrambi sotto lo sguardo perplesso di Teppei. “E che ho detto? Perché ridete?!”.
Yoshiko scosse il capo. “Grazie per l’interessamento, ma non credi che io sia abbastanza grande per decidere da sola?”.
L’altro ci pensò un po’, stringendosi nelle spalle. “Questo è vero, però… accidenti, per noi sarai sempre la sorellina di Misaki!” e scosse il capo “Dovremmo cominciare ad abituarci all’idea che anche tu stia crescendo.”.
“Ecco, bravi! Prima comincerete, meglio sarà!” scherzò lei, mentre il suo cellulare prese improvvisamente a vibrare nella tasca, attirandosi la sua attenzione.
Rapidamente poggiò il bicchiere, allontanandosi di qualche passo. “Scusatemi un attimo…” disse, osservando il display e leggendo il nome di una sua compagna di Studentato.
“Chiharu?” rispose piuttosto perplessa da questa chiamata improvvisa.
“Oh, Yoko! Perdonami! Ti sto disturbando?” domandò la ragazza in tono quantomeno allarmato, che le fece inarcare un sopracciglio.
“No, figurati, dimmi pure…”.
“Qui allo Studendato è scoppiato il finimondo! Devi tornare subito!”.
“Aspetta! Aspetta! Frena! Che… che è successo?!”.
E l’altra sbottò in tono semi-isterico “Topi!”.
“Topi?!”.
“Topi!” confermò sull’orlo delle lacrime “Ce ne sono tre, grossi come elefanti, e li stanno rincorrendo per tutto il palazzo! È probabile che qualcuno si sia infilato in qualche appartamento e stanno facendo dei controlli, però hanno bisogno delle chiavi, quindi…”.
Yoshiko si passò una mano sul viso, con espressione tra il rassegnato e lo schifato: e così si concludeva la serata in compagnia del Prof. Saya si sarebbe ammazzata dalle risate appena l’avrebbe saputo.
“Va bene, dammi qualche minuto e arrivo. A tra poco.” chiuse la comunicazione, sbuffando sonoramente. Lanciò un’occhiata a Yuzo, che stava parlando con Teppei al tavolino dei liquori, e sorrise; almeno aveva passato un po’ di tempo in sua compagnia, poteva ritenersi soddisfatta. Lentamente li raggiunse, emettendo un profondo sospiro ed attirandosi la loro attenzione.
“Ehi, cos’è quell’espressione sconsolata?” domandò il Prof e lei scosse il capo
“Devo rientrare allo Studentato.”.
“Devi rientrare?” fece eco Teppei “E come mai?”.
Yoshiko si portò le mani ai fianchi, inarcando un sopracciglio. “C’è la Grande Caccia al Topo stasera! Udite udite!” disse, cercando di buttarla sul ridere e Yuzo per poco non si strozzò col Chivas
“Topi?!”
Giààà…” confermò lei, incrociando le braccia al petto. “A quanto sembra sono entrati dei topi e li stanno cercando dappertutto, ma hanno bisogno delle chiavi per entrare negli appartamenti, ergo…” si strinse nelle spalle “…mi tocca salutarvi e chiedere a Taro se può darmi un passaggio…” e lì arrivò la frase che Yoshiko non si sarebbe mai aspettata di udire...
“Ti accompagno io, se vuoi.”
...e che la fece voltare in direzione del Prof per osservarlo con tanto d’occhi e la sensazione di essere arrossita, mentre lui continuava. “Sarei comunque dovuto andar via presto, ho molto lavoro da fare, quindi, se per te non è un problema, ti posso dare uno strappo con Dante, così tuo fratello non fa avanti e indietro.”.
Teppei si intromise, scuotendo il capo. “Lavoro, lavoro sempre lavoro.” e strizzò l’occhio a Yoshiko “E’ la sua parola preferita, se non l’avessi capito!” mentre la ragazza cercava di riprendersi dalla sorpresa di quella graditissima proposta, che non si sarebbe minimamente aspettata, ed annuì con un sorriso.
“Va bene! Allora avverto Taro e…”.
“Di cosa mi devi avvertire?” esclamò proprio Misaki, comparendo accanto a loro per versarsi da bere.
“Oh! Sei qui! Ascolta… devo rientrare in Studentato perché si sono intrufolati dei topi ed hanno bisogno delle chiavi per fare delle perquisizioni.”.
“Topi?!” fece eco “Che schifo! Ti accompagno-…” ma lei lo fermò, scuotendo il capo.
“Non preoccuparti, resta pure, mi accompagna il Prof.”.
Taro inarcò un  sopracciglio con perplessità, mentre fu proprio Yuzo a continuare “Tanto stavo andando via.”.
“Ah… sì? Non è un problema?...”.
“Ma quale problema, figurati.”.
E la metà della Golden Combi non poté fare altro che capitolare, ancora piuttosto perplesso, dando un bacio sulla fronte di Yoshiko. “Telefonami appena hanno ripulito il palazzo, va bene?”.
“Ok. E tu fai un buon ritorno ad Iwata.” per poi volgersi in direzione del Prof ed esclamare “Andiamo?”.
Taro rimase con le mani nelle tasche dei pantaloni di taglio classico ed una strana espressione dipinta sul viso. Il sopracciglio inarcato e la netta impressione che gli stesse sfuggendo qualcosa in tutta quella situazione. Rimase ad osservare Yoshiko e Yuzo che salutavano gli altri presenti. Sanae che rimproverava il Prof di rifuggire le rimpatriate e di non scomparire come al suo solito o sarebbe arrivata di corsa da Barcellona per prenderlo a calci, per poi abbracciarlo con affetto e rivolgergli uno sguardo preoccupato, facendogli le solite raccomandazioni di non lavorare troppo, cui lui rispondeva sempre con un sorriso e la classica frase “Va bene.”. Mentre Yoshiko spiegava alle altre ragazze, dall’espressione disgustata, come si dovesse ritirare per la comparsa dei topi. Pacche varie, abbracci, auguri di buon rientro nelle rispettive città ed in bocca al lupo generali per le future partite.
In tutto quel movimento, i suoi occhi si spostavano da Yoshiko a Yuzo che ormai stavano varcando la porta del salotto. Insieme. Come insieme erano stati fino ad allora, come insieme li aveva trovati anche la sera del gala. E poi, Yoko gli era sembrata particolarmente entusiasta di andar via in compagnia del Prof… e quella sera si era preparata in un lampo, senza farlo aspettare la solita mezz’ora.
Sì, decisamente c’era qualcosa che continuava a sfuggirgli; anche in quel momento, che si richiudevano la porta alle spalle continuando a parlare e ridere, e gli sembravano vicini. Troppo vicini.
Poi cominciò a ridere della sua assurda teoria, scuotendo il capo ed agitando una mano “Naaa!”. Si volse verso Tsubasa ed esclamò “Ehi! Voglio la rivincita contro il Brasile!”.

Il primo pensiero, una volta fuori da Villa Wakabayashi, fu accendersi una sigaretta.
“Nicotina…” sospirò Yuzo, esalando una grigia nuvoletta di fumo “…grazie a Dio.” e Yoshiko rise della sua espressione beata, stringendosi nel cappotto per ripararsi dal freddo serale.
“Di’ la verità: ti sei offerto di accompagnarmi per poter finalmente fumare?” insinuò, guardandolo minacciosa.
“Accidenti. Mi hai scoperto.”.
E lei gli mollò un buffetto leggero sul braccio coperto dal pesante giaccone sportivo. “Sei poco galante, Prof, sappilo!” rispose fingendosi offesa, mentre l’altro rideva.
“Scherzavo!” si difese “Seriamente, ho il lavoro che mi aspetta a casa: altri dati da controllare, diagrammi da valutare…” ed inarcò un sopracciglio “…un paio di valige da disfare.”.
“Ancora?!” sbottò incredula, salendo sul rosso Pick-up, mentre Yuzo si limitava ad un’alzata di spalle e sospirava.
“Abbi un po’ di compassione. Io detesto fare le valige.”. Mise in moto, facendo manovra ed inforcando il vialetto di uscita, lasciandosi alle spalle la casa di Genzo.
“Beh, ma se le lasci lì, non si disferanno da sole!” lo rimproverò Yoshiko.
“Lo so, lo so… ma mi spieghi perché disfarle se poi dovrò rifarle nuovamente?” e scosse il capo, ciccando dal finestrino leggermente aperto.
“Non ti facevo così pigro, lo sai?”.
“Non sono pigro. E’ solo che… se disfo le valige, poi devo fare il bucato, no? Ecco. La lavatrice: questo oggetto alieno.”. Yoshiko sbottò in una sonora risata. “Guarda che non c’è niente da ridere! Io passo le ore a litigare sulla suddivisione del bucato! I bianchi, i colorati, quelli né carne né pesce!”.
“Ah! Non sei affatto un buon casalingo!”.
“Ehi ehi! Sorellina-ina-ina di Misaki guarda che io sono un ottimo ‘donnino di casa’: cucino, stiro non è colpa mia se la lavatrice mi odia e mi ha dichiarato guerra!” rispose animatamente. “Di solito, se ne occupava sempre mia-…” ma troncò la frase di netto, lasciandola sospesa sotto lo sguardo dispiaciuto di Yoshiko, che gli vide tirare una lunga boccata dalla sigaretta e cambiare espressione. “Insomma, io e la lavatrice non andiamo d’accordo.” tagliò corto.
“Se ne occupava lei, vero?” domandò la ragazza e lui esibì un sorriso tirato, senza voltarsi, ma continuando a tenere la strada sotto controllo.
“Sì.”.
E a Yoshiko fu chiaro come la mancanza della ex-moglie dovesse fargli ancora più male di quello che lei avesse pensato, mentre la curiosità diveniva sempre più forte perché voleva davvero sapere quanto pazza fosse questa donna per aver mollato una persona così fantastica come il Prof, che stravedeva ancora terribilmente per lei. Ma, altrettanto chiaramente, si vedeva come lui non volesse parlarne, e l’unica cosa che poteva fare era ricacciare la curiosità e cercare di stemperare quella tensione che era improvvisamente calata, cambiando argomento.
“Devo ammettere che sei un tipo ordinato.” esclamò, dando un’occhiata al sedile posteriore di Dante “Non ho mai visto la macchina di un uomo così pulita, tranne quella di Taro. Solitamente, le auto dei ragazzi sono un vero disastro!”.
E Yuzo rise “Perché tu non hai visto il retro.”.
“Oddio, cosa ci tieni?!” domandò con espressione terrorizzata.
“Mh, fammi pensare… se non ricordo male dovrei avere: delle pale, qualche piccone, martelli… oh, niente dinamite, quella viene conservata in luoghi più adatti, ma detonatori, sì.” elencò, ciccando dal finestrino. “Poi… mappe varie, bussole, qualche geofono… e basta, credo… è da un po’ che non spulcio sotto quel telone.”.
“Ah! Ma senti che furbo! Nascondi il disordine sotto il telo, come con la polvere sotto il tappeto!”.
“Esatto!”.
E risero entrambi, mentre il palazzo dello Studendato entrò nel loro raggio visivo, permettendo loro di scorgere un sacco di giovani fermi in strada, in attesa che i disinfestatori acchiappassero gli animali che si erano intrufolati nell’edificio.
“Accidenti! Guarda che casino!” sbottò Yoshiko, mentre parcheggiarono nel primo posto libero che videro e che fosse abbastanza grande per Dante.
“Già, devono aver evacuato praticamente tutti.”. Insieme scesero dal Pick-up, incamminandosi verso la folla.
Yoshiko individuò quasi subito Chiharu, che parlava con altre persone, e la raggiunse, facendosi largo tra i presenti.
“Chiha!” chiamò appena fu abbastanza vicina e l’interpellata le si fece contro immediatamente.
“Yoko, ciao! Hai visto che confusione?!” esclamò, stringendosi nel giaccone e balzellando da un piede all’altro per il freddo.
“Sembra Capodanno!” rispose lei, guardandosi intorno “Li hanno presi i topi?”.
“Solo uno, stanno ancora cercando gli altri, ne avranno per un po’. Se mi dai le chiavi del tuo appartamento le porto al responsabile.”.
E la ragazza annuì, cavando l’oggetto tintinnante dalla tasca del cappotto e consegnandolo all’amica. “Hanno detto che le lasceranno attaccate alle porte, quindi, quando avranno finito; potremo rientrare direttamente.”.
“Ok.” accordò e Chiharu si allontanò, dirigendosi al servizio disinfestazione.
“Sembra che si andrà per le lunghe.” esclamò Yuzo alle sue spalle e lei sospirò.
“A quanto pare. E fa un freddo cane, maledizione! Meno male che, almeno, ha smesso di piovere.”.
“Nell’attesa, ti andrebbe un caffè?”.
“Un caffè?!” fece eco perplessa, guardando l’orologio “A quest’ora?”.
Lui minimizzò. “E’ sempre l’ora del caffè.” poi si avvicinò con sguardo serio “Se non bevo un caffè, muoio.” sentenziò, facendola scoppiare a ridere ed annuire.
“Vada per il caffè! Non voglio mica averti sulla coscienza!”. Lo prese sotto braccio, destreggiandosi tra la folla. “Sei fortunato, c’è un bar da queste parti.”.

Il locale era pieno di persone che cercavano di scaldarsi nell’attesa di poter nuovamente rientrare nello Studentato.
Ma l’ambiente era abbastanza grande e riuscirono ad adocchiare anche un tavolino libero in un angolo, accanto all’ampia vetrata.
“Mai visto questo bar così pieno come stasera.” esclamò Yoshiko, liberandosi della pesante sciarpa multicolore e del cappotto, mentre venivano raggiunti da una graziosa cameriera.
“Cosa vi porto?” domandò, con blocchetto e penna già pronti per annotare le consumazioni.
“Un espresso, grazie.” rispose Yuzo, sistemando il giaccone alla spalliera della sedia.
“Una cioccolata calda.” chiese invece Yoshiko, poggiando il viso in una mano e rivolgendosi al Prof. “Ma gli ‘uomini duri’ non bevevano whisky?”.
Lui aggrottò le sopracciglia con ironia. “Ed io ti sembro un duro?” sospirò, facendola sorridere “Ebbene, questa è la verità… sono un drogato di caffè.”.
“E poi come fai a dormire?”.
“E chi ti dice che io debba dormire?” fece spallucce “Ho troppo da lavorare, mi bastano 4-5 ore e torno come nuovo.”.
Lei scosse il capo, con aria di rimprovero. “Sanae fa bene a farti le prediche, allora.” e Yuzo scherzò, agitando l’indice.
“Ah! Non cominciare a farmele anche tu, eh?! Secondo te perché ti ho chiesto di non dare il mio numero di cellulare a Sanae?! Se finisse tra le sue mani, ogni momento sarebbe buono per farmene una. Ed io come potrei lavorare in pace?!”.
La cameriera ritornò con le rispettive ordinazioni, poggiando la tazzina, disperdente l’aroma forte dell’espresso, e quella più grande, dall’odore dolce di cioccolata.
“Allora, Prof…” riprese Yoshiko “…assodato che sei un irriducibile stacanovista, cosa fai quando non lavori? Ce l’avrai anche tu del tempo libero, no?”.
Lui assunse un’espressione pensierosa. “Tempo libero…” fece eco, per poi scuotere il capo e sorridere “…no, non rientra nel mio vocabolario.”.
“Ma dai! Avrai pure un hobby! Non giochi più a calcio nemmeno con gli amici?”.
“No, ormai il calcio non mi appartiene più e poi…” rimestò piano il liquido amaro con il cucchiaino “…questi anni sono stati davvero intensi e non ho avuto tempo…” - Grazie a Dio. - “…di pensare ad altro. Il lavoro mi ha tenuto impegnato”. Si strinse nelle spalle, portando la tazzina alla bocca. “Non che adesso mi lasci tregua, ma non è un problema per me. Amo quello che faccio.”. E bevve un sorso del suo caffè, aggiungendo “E tu, invece?”.
Yoshiko abbassò la tazza sul tavolo, facendo spallucce. “Classica vita da giovane studentessa universitaria: quando non studio, smanetto con i programmi di grafica…”.
“E allestisci feste.”.
“Esatto. Poi, esco con le amiche, faccio shopping…” sospirò profondamente “…vado a trovare i miei.”.
Yuzo sorrise. “Non sei contenta di tornare a casa, qualche volta?”.
“Certo che lo sono… se solo non si ripetessero sempre le solite discussioni: ‘Ma perché ti sei iscritta così lontano?’, ‘Ci vieni a trovare troppo poco spesso!’, ‘Spero che tu non perda tempo dietro ai ragazzi, invece di studiare!’, ‘Dovrei chiamare Taro per sapere se fai la brava!’…” ed agitò la mano, roteando gli occhi. “Eccetera, eccetera…” poi sorrise “Meno male che papà è dalla mia parte e tiene a freno mia madre, altrimenti impazzirei tutte le volte che torno a Sendai…” e bevve una lunga sorsata della sua cioccolata, che riuscì a scacciare definitivamente il freddo di Febbraio che le si era insinuato anche nelle ossa.
“Abbi solo un po’ di pazienza…” le disse il Prof, che aveva già finito il caffè. “…presto o tardi anche lei si dovrà abituare all’idea di vederti andar via e prendere la tua strada. Dalle ancora un po’ di tempo e lo accetterà.”.
“Se io conducessi una vita come la tua, credo che le potrebbe anche venire un infarto.” scherzò, rilassandosi contro lo schienale della sedia.
Yuzo scrollò le spalle “Ormai sono troppo vecchio perché possano dirmi qualcosa, ma mia madre, seppur all’epoca non fosse stata d’accordo, l’ha sempre tenuto per sé. Ricordo, però, che tutte le volte che dovevo partire, mi guardava piena di preoccupazione temendo di non rivedermi più… ho sempre sospettato che avrebbe di gran lunga preferito che io continuassi a giocare a calcio.”.
“Ed ora che sei tornato?” domandò Yoshiko “Immagino che ti abbiano fatto una montagna di feste quando ti hanno rivisto…”.
Lui inarcò un sopracciglio, grattandosi dietro la nuca. “Ri-rivisto?” fece eco, cambiando posizione sulla sedia divenuta improvvisamente scomoda, mentre la ragazza lo guardava con serietà.
“Perché tu sei andato a far loro visita, una volta rientrato in Giappone, vero?”.
“Beh… ecco… non proprio… io… ho fatto una telefonata.”.
“Hai fatto… cosa?!” fece eco incredula, prima di sbottare. “Vergognati! Figlio degenere! Vivi per anni dall’altra parte del mondo ed ora che sei tornato non vai nemmeno a trovarli per dire ‘Mamma sono tutto intero!’?”.
Lui tentò di difendersi “L’ho fatto per telefono…”.
“Ah, sì? E tua madre cosa ha risposto?!”.
“Si è messa a piangere.”.
Yoshiko scosse il capo. “Sei proprio senza cuore.” sospirò, prima di agitare animatamente il cucchiaino sotto il suo naso. “Per farti perdonare, domani andrai a pranzo da loro! E non si discute!” gli intimò, finendo la sua cioccolata, sotto lo sguardo sorridente del Prof che rimase ad osservarla per qualche secondo prima di annuire.
“Hai vinto, domani telefonerò…”.
“No, no! Mai rimandare a domani quello che potresti fare benissimo stasera!” lo ammonì con un sorriso.
D’un tratto, la porta del bar si aprì ed un giovane annunciò a gran voce: “Li hanno presi tutti! Lo Studentato è di nuovo agibile!”.
La notizia venne accolta come una manna dal cielo da tutti gli altri studenti, che cominciarono ad applaudire e manifestare la loro approvazione, lasciando lentamente il bar.
“A quanto sembra il palazzo è stato ripulito…” affermò Yoshiko, quasi dispiaciuta che avessero risolto così presto la situazione. Questo significava che anche la sua serata con il Prof si avviava definitivamente alla sua conclusione. Beh, era andata decisamente meglio del previsto, e quasi quasi avrebbe voluto ringraziare quei topi che le avevano permesso di passare così tanto tempo in sua compagnia. Solo loro due. Ora che aveva rotto il ghiaccio, magari si sarebbe vergognata di meno la prossima volta che gli avrebbe telefonato.
Lentamente si alzarono, imbacuccandosi nuovamente per poter affrontare il freddo esterno e, dopo che il Prof l’ebbe battuta sul tempo pagando il conto, seguirono la fiumana di persone che si stava rapidamente dirigendo all’edificio.
“La prossima volta sarò io ad offrirti il caffè.” protestò Yoshiko, incrociando le braccia al petto, mentre lui cavò il pacchetto di sigarette dalla tasca, accendendone una.
“Non se ne parla.” rispose scuotendo il capo “Tu sei ancora una studentessa, che è sinonimo di ‘squattrinata’, mentre io lavoro ed ho uno stipendio, quindi, pago io.”.
“Ma non c’era la parità dei sessi una volta?”.
“La parità dei sessi è irrilevante, si fa come dico io e basta.”.
Lei scoppiò a ridere, agitando animatamente un pugno “Dittatore!”.
“Sì e ne sono fiero.” rispose con la massima calma, la sigaretta che disperdeva deboli scie di fumo tra le sue dita ed un sorriso sulle labbra. “Ma se vuoi, posso buttarla sull’età: io sono più grande e tu sei ancora ‘ina’, mi devi portare rispetto, sai.”.
“Va bene, va bene… nonno! Hai vinto!” ed alzò le mani in segno di resa, fermandosi innanzi al portone aperto del palazzo, dal quale era visibile il cortile interno dove gli uomini della disinfestazione stavano portando via le ultime cose nel via vai di studenti.
“Ad ogni modo…” disse Yoshiko, infilando le mani nel cappotto ed evitando accuratamente di guardarlo negli occhi “…grazie per tutto il disturbo che ti sei preso accompagnandomi e tenendomi compagnia fino ad ora, devo averti fatto perdere un sacco di tempo…”.
Ma lui scosse il capo. “Affatto, anzi, mi sono rilassato un po’ prima di riprendere a lavorare. Adesso tornerò a casa, mi preparerò un caffè…”.
“Un altro?!”.
“Ovvio! Poi fumerò tranquillamente la mia ennesima sigaretta davanti al portatile.”.
“Io, invece, entrerò in camera con il terrore di vedere un quarto roditore sgattaiolare sotto i miei piedi!” disse Yoshiko con ironia, facendolo ridere.
“Vuoi che dia un’altra occhiata per essere sicura di non avere ospiti sgraditi?” propose il Prof e lei fu quasi tentata di accettare pur di trattenerlo qualche altro minuto, poi le sovvenne un flash del suo appartamento e dello stato pietoso in cui l’aveva lasciato prima di uscire, e cominciò a gesticolare convulsamente.
“No no no! Non devi assolutamente vedere il disordine cosmico in cui versa! Ci farei una pessima figura! Pare si sia svolta la battaglia di Waterloo!”.
“Disordine, eh?” ironizzò Yuzo “Allora sono più casalingo di te.”.
“Non pensare male! È solo un caso se sembra che sia atterrato un missile terra-aria, lo giuro!”.
E lui rise divertito del suo imbarazzo, facendo qualche passo indietro. “Allora ti auguro una buona fortuna, sperando di non trovare sorprese. E ricorda: che la Grande Caccia al Topo sia con te!”. Le strizzò l’occhio, mentre lei arricciava il naso in una smorfia.
“Non sei affatto divertente!” gli urlò dietro, mentre lui si allontanava in direzione di Dante. “Guarda che se stanotte farò gli incubi di brutti topacci rosicchianti, me la verrò a prendere con te!”.
Yuzo le rivolse un altro sorriso, alzando la mano in segno di saluto ed augurandole un molto ironico “Sogni d’oro!”, mentre Yoko rimase ad osservarlo andar via, con lo sguardo totalmente perso, e studiando la sua figura alta, dall’incedere sicuro, in modo da poterla riconoscere tra altre mille ad una prima occhiata. Con quella perenne sigaretta tra le dita sarebbe stato inconfondibile, come inconfondibile sarebbe rimasta quella voce calma alle sue orecchie. E fingere che non fosse già arrivata al punto di non ritorno era totalmente inutile, ormai.
Con un ampio sorriso attirò un’ultima volta la sua attenzione, prima che salisse su Dante ed andasse via. “Ehi, Prof!”.
Lui si volse, con la sigaretta pendente all’angolo della bocca e lo sguardo interrogativo.
- Mi piaci da morire! - “Ricorda di chiamare i tuoi genitori!”.
Yuzo sorrise “Sissignora!”.
Salì sul pick-up, mettendo in moto, e solo quando vide Yoshiko scomparire all’interno dell’androne, fece manovra, allontanandosi di gran carriera lungo la strada ormai sgombra ed ancora bagnata.
Diede una rapida occhiata all’orologio, che restituì i numeri: 22:05, e sorrise, afferrando l’auricolare del telefono. Con un tasto, richiamò uno dei numeri della rubrica.
Mentre squillava libero, pensò che Yoshiko avesse maledettamente ragione: era un figlio degenere.
“Pronto?” una profonda voce di uomo, terribilmente simile alla sua, rispose all’altro capo.
“Ciao papà.”.


[1]WINNING ELEVEN: per gli irriducibili dei videogames, questo nome non dovrebbe affatto essere nuovo!XD Sto parlando proprio di Pro-Evolution Soccer!*_* un gioco di calcio per pc e playstation, fatto benissimo, in cui sono presenti anche i personaggi di Captain Tsubasa!*________*Y Io ringrazio tantissimo il Diofà, patito di tale giochino, per averlo fatto scoprire anche a me ed il suo inserimento è un omaggino a lui e al suo amore sconfinato per la Play!*_______*


 

…E poi Bla bla bla…

Non.
Dite.
Una.
Parola.
XDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDD
Avete ragione! Imploro, umilmente, la vostra pietà. Sono passati quasi 20 giorni dall’ultimo aggiornamento, ma credo che questo capitolo sia abbastanza sostanzioso, o no?XD
Se l’altro mi era uscito più lungo del previsto, questo non fa eccezione. Ed avevo pensato di dividerlo in due parti all’inizio, poi, però, ho pensato che, visto il lungo tempo intercorso, fosse più giusto metterlo tutto insieme.
Anche perché, se no, mi si sballava la scaletta che ho preparato!XD
Uèèèèè! Io persona seria! Ed ho preparato una stima (ipotetica, ma che spero di seguire interamente) dei capitoli di cui si comporrà questa storia: dovrebbero essere 27 + epilogo.
Che sono quelle facce?!
Lo so anche io che siamo solo al nono!XDDDDDD
Intanto posso già preannunciarvi che questo sarà l’ultimo capitolo ‘tranquillo’. Dal prossimo, come disse Badoglio, “l’acqua si imbroglia” in un crescendo che perdurerà fino alla fine della storia. ^__^Y


Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

- Hikarisan:  il mio ‘prestissimo’ è un po’ relativo, eh?XD Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e ti ringrazio tantissimo per i complimenti.

- SakuraChan: ç__________ç tesorina, io ti ringrazio tantissimo per le tue parole. T_______T tutti i tuoi complimenti mi commuovo sempre e mi fanno arrossire fino alla punta delle orecchie.
Sono felice che apprezzi Yoshiko, che anche per me è stata un’incognita fin dall’inizio!XD Non avevo la minima idea di come sarebbe riuscita, ma letti i complimenti che le sono stati rivolti, non deve essere venuta affatto male!XD E ti posso confermare che tu mi sei stata di grande aiuto nel realizzarla, anche se inconsapevolmente! ^__-
Per quanto riguarda Yu-chan: *_________________* per me è sempre motivo di gongolamento se riesco a farlo piacere ai lettori! è__é questa è la mia personale battaglia per dare fama e ammmore a questo personaggino bistrattato e sbeffeggiato da tutti! T_____________T perché la gente è cattiva e nessuno gli vuole bene!
(XD ok, demenza finita!)
Per quanto riguarda l’evolversi della storia di Yuzo e Yoko... beh... *ghgh* lo scoprirai solo leggendo!XD anche perché tu lo saprai sempre in anteprima, essendo la mia Be(t)tuzza! XDDD
Ti voglio bene anche io ciccì!*.*


- Eos (che i complimenti me li ha fatti privatamente): ti ringrazio ancora tantissimo. Ed i complimenti, di una irriducibile Genziana come te, sono ancora più graditi! XDDDD

Ed anche per questo capitolo è tutto, vi rimando al prossimo... sperando di impiegarci meno tempo di questo, ma preannuncio già che la settimana del 2 luglio, sarò impegnata fino a venerdì tra lauree (XD non mie purtroppo!) ed esami (ecco, questi sono miei!ç_ç).
Un grazie anticipato a tutti voi! ^____^Y

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Huzi

- Capitolo 10 -

Il cielo opalescente piangeva.
Riversava, al suolo, pioggia incessante, ma sottile come fili di seta. Fredda.
Picchiettava le sue spalle, la sua testa.
Le sue mani, affossate nel fango, che scavavano. Senza sosta.
Da ore… giorni…
Quanti?
Il Sole si era dato il cambio con la Luna senza mai farsi vedere, nascosti entrambi dalle nuvole che continuavano a far muro sopra di lui anche in quel momento.
Ma sarebbero potuti passare decenni e lui non si sarebbe fermato.
Fino a che non l’avrebbe trovata.
Fino a che non l’avrebbe riportata a casa.
Le mani smuovevano la poltiglia di lava e fango in gesti rabbiosi.
Inutile.
Tutto inutile.
Per quanta ne togliesse, altra andava a ricoprire i suoi sforzi, ma lui sapeva raschiare il fondo della sua disperazione per trarne nuova energia ed afferrare altro fango da lasciarsi alle spalle.
Come avrebbe voluto essere una piovra, per avere migliaia di braccia e rivoltare quella maledetta colata come un calzino.
Ma lui era un uomo.
Solo un uomo.
E continuava a prendere terra a piene mani, sperando di trovarla.
Viva…
Morta…
Non osava chiederselo. Scacciava quel maledetto pensiero fuori dalla sua testa o non avrebbe avuto più la forza di continuare, perché le risposte già le conosceva.
La torcia illuminava limitatamente la zona in cui era in ginocchio a combattere con il suo nemico invincibile, che sporcava i suoi vestiti, le sue braccia. Ma lui non avrebbe ceduto.
Mai.
Fino alle fine dei suoi giorni.
Un rumore di ruote che arrancavano nella melma lo raggiunse, ma non lo fermò. Non si volse nemmeno. Non poteva distrarsi. Non poteva fermarsi.
Scalpiccio lento ed affaticato di chi cercava di avvicinarsi a lui. Poi una voce.
“Yuzo.”.
Lo aveva riconosciuto, ma non gli rispose.
Ricardo abbassò il capo, sospirando. Erano sei giorni che non si dava tregua, né lui aveva mai lontanamente pensato di dirgli di fermarsi. Se lo avesse fatto, se il Prof si fosse seduto in un angolo accanto al telefono aspettando che squillasse, l’attesa lo avrebbe massacrato molto di più di quanto stesse facendo in quel momento.
Ma l’attesa era finita.
“Al rifugio è arrivata una telefonata della Protezione Civile locale.”.
Le mani smisero improvvisamente di rimestare, ma non si volse.
“Hanno trovato una donna orientale, a circa sei chilometri da qui, più a valle.”.
Le labbra tese, lo sguardo fisso. Non una parola. Non una domanda. Niente.
Si alzò afferrando la torcia e dirigendosi alla Jeep.
La pioggia mormorava.
Lui continuò a mantenere il suo imperscrutabile mutismo, salendo sul lato passeggero, mentre Rick occupava quello del guidatore.
Arrancando come era venuta, la vettura si allontanò dalla colata assassina dirigendosi nei centri di accoglienza che i soccorsi avevano allestito, nella ricerca di morti e feriti.
Il campo era abbastanza grande.
L’esercito colombiano era in continuo fermento, spostandosi da un tendone all’altro. Ed il via vai li accolse al loro arrivo.
Ricardo fermò uno degli addetti, scambiandoci rapidamente due parole in spagnolo. L’uomo indicò uno dei tendoni e poi si allontanò, riprendendo il suo lavoro incessante.
Hisui, Toshi e Rita erano rimasti al rifugio. Inutile sarebbe stata la loro presenza.
I due varcarono la soglia della cortina e lo spettacolo che li accolse non li sorprese.
Lunghe fila di brande occupate da corpi coperti da teli bianchi.
Vittime.
La sua mascella si contrasse, ma non disse nemmeno una parola.
“Han dicho que habéis encontrado a una mujer oriental…”  disse Rick, rivolgendosi ad una signora che restava seduta dietro un tavolino da campo a compilare schede: l’aria sbattuta e sofferente. Guardò prima l’ingegnere, poi il suo accompagnatore che continuava a scrutare in silenzio tutto l’ambiente. La sua espressione si intristì ancora di più, mentre da fuori provenivano pianti e lamenti di chi aveva perso qualcuno, di chi era ferito, di sconforto. Cantilena funebre sulle note della pioggia.
“En el fondo.” disse in un sussurro “Tercero de izquierda.[1]”.
Yuzo si mosse, mentre Rick rimase lì, presso il tavolino.
Il passo del vulcanologo era incerto, silenzioso come un fantasma tra altri fantasmi.
Poi si fermò, appena fu davanti a quella branda bassa e stretta.
Il lenzuolo candido era macchiato di acqua e fango.
E nemmeno lui seppe quantificare quanto a lungo rimase ad osservarlo senza fare nulla. Perché le mani gli tremavano già e non riusciva a muoverle.
Poi una sembrò prendere l’iniziativa, sollevandosi piano, afferrando un lembo del telo.
Se davvero fosse esistito un Dio qualunque da qualche parte, sicuramente fu lui a dargli la forza necessaria per spostarlo. Lentamente. E scoprire quel viso.
I capelli castani erano incollati dal fango, ma erano lunghi e mossi.
Ed erano i suoi.
La pelle, candida come porcellana, sporcata dalla lava rappresa.
Ed era la sua.
Le labbra, un tempo rosee, erano livide. Graffiate.
Ed erano le sue.
Gli occhi chiusi. Tra le ciglia, la terra. Addormentati.
Ed erano i suoi.
Era la sua Aiko.
Il respiro si mozzò come se gli avessero strappato l’aria dai polmoni. Le labbra si incurvarono, tremando. E le gambe non lo sorressero più.
Piano, come una goccia di pioggia, scivolò al suolo in ginocchio, continuando a guardarla, trattenendo ogni lamento dentro di sé. Lentamente cercò la sua mano; all’anulare, insudiciato dal fango, c’era ancora la fede. Strinse piano le dita gelide, portandole alla fronte.
Allora e solo allora, con quell’ultimo irreale contatto, comprese di averla persa per sempre.
Ed il senso del tutto si annullò in pochi minuti, mentre quel dolore divenne troppo anche per lui, e pianse.
Il rumore del suo cuore in pezzi si accodò alla lugubre nenia che aleggiava sul Nevado del Ruiz.


Hideki rilasciò un sospiro pesante e chiaramente seccato.
Se c’era una cosa che non aveva mai sopportato in vita sua, quella erano i politicanti. E giusto perché andarsene in pensione in santa pace sarebbe stata troppa grazia, proprio un politicante era arrivato a creare problemi.
Rimestò il sigaro spento tra le labbra, mentre il Vice Prefetto restava elegantemente seduto nella poltrona opposta alla sua, una gamba accavallata e l’espressione di chi sa perfettamente di avere il coltello dalla parte del manico. Gli sarebbe bastata una sola parola a Tatsuya Kishu ed avrebbe fatto ruotare la Terra al contrario, di questo Hideki ne era convinto.
“Fatemi ben capire…” ricapitolò, sperando ardentemente che l’uomo smentisse improvvisamente le parole pronunciate poco prima “…il Prefetto sta preparando la sua campagna in vista delle elezioni, giusto? Ed ha deciso di tenere uno dei suoi comizi proprio qui, a Nankatsu?”.
- Di’ di no! Di’ di no! -.
“Esattamente.” confermò invece l’uomo con fermezza.
“E dove avete detto di voler tenere questo… evento?”.
“Nello Stadio Ozora.”.
Ennesima riprova che le sue orecchie ci sentivano ancora perfettamente, purtroppo. Ed era ancora abbastanza lucido per capire come quella fosse una pessima, pessima idea. La condizione della Prefettura di Shizuoka, ed in particolar modo della zona del Fuji dove si trovavano loro, era talmente instabile nell’ultimo periodo che l’ipotesi di un evento così importante, e che avrebbe sicuramente attirato gente comune e VIP, gli sembrò quanto di più fuori luogo potesse esserci.
I terremoti erano stati molto lievi fino a quel momento, ma ciò non toglieva che ce ne fossero stati fin troppi e la cosa lo impensieriva. Sapeva che Yuzo e la sua squadra ci stavano lavorando giorno e notte per avere delle risposte, ma erano ancora in alto mare, purtroppo, ed il sentore di pericolo restava solo una vaga nebbiolina attorno a loro.
Hideki tolse lentamente il sigaro dalla bocca, massaggiandosi gli occhi.
“Signor Kishu, lei è al corrente dei-…” ma l’altro non lo fece nemmeno terminare.
“Perfettamente  e la cosa non mi riguarda.”.
Il capo di quella sezione dell’FVO sospirò seccatamente, incrociando le mani davanti a sé.
Oh, come avrebbe voluto sculacciare quel pivello in doppio petto! Ma si limitò a sporgersi in avanti. “E allora, di grazia, cosa è venuto a fare qui, se tanto non gliene frega un accidente dei terremoti?” disse con un ironico tono benevolo, mentre l’altro non perdeva l’espressione seria e risoluta.
“Perché voglio sapere se devo aspettarmi una catastrofe nel bel mezzo del comizio.” poi inarcò un sopracciglio “Sarebbe sconveniente, non trova?”.
- Che stronzetto pieno di soldi! - pensò il burbero, cercando di trattenere la sua lingua con uno sforzo sovrumano. Batté piano un pugno sul legno delle scrivania, tentando di trovare le parole più adatte, prima di sorridere. “Ed io che ne so?”.
“Beh, siete voi gli esperti, no?”.
E la pazienza di Hideki Yoshikawa cominciò ad esaurirsi esponenzialmente, mentre gli occhi si ridussero alle minacciose fessure da cui scrutava sempre tutti, mettendo soggezione, ma la cosa sembrò non funzionare con il Vice Prefetto che sostenne fermamente il suo sguardo.
“Signor Kishu, essere un esperto non significa essere un veggente.” rispose aspro “Differentemente da un’eruzione vulcanica, un terremoto non dà preavviso: se deve avvenire, avviene. E questo lei non può pretendere di saperlo da noi.”. Fece ampi gesti con la mano che reggeva il sigaro “Possiamo ‘ipotizzare’, ma le nostre supposizioni potrebbero non avverarsi mai. Se la può rassicurare, la mia squadra migliore è al lavoro per cercare di venire a capo di quello che sta succedendo.”.
Ma Tatsuya scosse il capo con decisione. “No, a me non interessa il perché ed il percome: io voglio solo che, qualunque cosa sia, avvenga dopo il comizio, sono stato chiaro?”.
Hideki sorrise con ironia. “Mi sta dicendo che devo controllare Madre Natura?”.
“Se necessario, sì.”.
E quella non era affatto la risposta che il capo dell’FVO voleva sentire.

Aveva dormito peggio del solito quella notte.
Il ricordo del Ruiz aveva continuato a tormentarlo ed alla fine si era alzato per la disperazione, dopo essere andato a dormire circa quattro ore prima.
In compenso, gli ultimi dati del monitoraggio erano stati decisamente interessanti. Le informazioni si fermavano a circa una settimana dal suo ritorno in Giappone. Secondo quanto detto da Taro, la prima scossa era avvenuta tre settimane prima da quella della sera del Gala e non ci aveva messo molto ad individuarla. Andando ancora a ritroso di due giorni, rispetto quella data, aveva letto di uno sciame sismico di magnitudo 1.5, il probabile inizio dell’incremento di attività.
Ma ciò che gli aveva fatto inarcare un sopracciglio con preoccupazione era stato notare come gli epicentri fossero lentamente migrati dalla costa all’entroterra. Infatti, lo sciame era stato localizzato verso Shimizu City, mentre Nankatsu era alle pendici del Fuji e la cosa gli era piaciuta poco. Fosse stato un semplice assestamento strutturale i terremoti avrebbero dovuto attestarsi lungo il limite di placca, quindi al largo dell’Oceano Pacifico, o, quantomeno, distribuirsi in maniera più disordinata all’interno del territorio e non in quel modo nettamente localizzato.
C’era da dire, però, che i dati non erano completi e avrebbe avuto le risposte necessarie solo mettendoli a confronto con quelli dell’ERI, sperando che Shiro glieli inviasse al più presto.
Dopo essersi alzato e preparato il caffè, aveva deciso di litigare con le valige passandoci un paio d’ore, ma riportando una degna vittoria sulla sua nemica giurata: la lavatrice. Infine, aveva fatto una doccia lampo dirigendosi all’FVO, per vedere se ci fossero novità e cominciare a lavorare, nell’attesa, alla relazione riguardante il Pacaya.
Il tempo non era dei migliori, ma fortunatamente non pioveva.
Yuzo stava scendendo nel parcheggio sotterraneo insieme a Dante, quando lo vide: un macchinone nero extra-lusso era cupamente posteggiato proprio sotto l’FVO, facendogli assumere un’espressione di sorpresa. A quanto pareva doveva esserci un pezzo grosso a rapporto da Hideki. Sorrise, immaginando la faccia annoiata del suo capo, notoriamente allergico ai politici. Salì rapidamente le scale, salutando Shiguro che era al suo consueto posto di guardia, e si avviò al piano superiore quando notò un’altra figura, a pochi passi da lui, che arrancava lungo i gradini. L’andatura un po’ ciondolante e la mano a tenersi il fianco, come se fosse un vecchio di ottant’anni.
Le labbra del Prof si distesero in un sorriso, riconoscendo l’identità di quell’uomo che si trascinava come un relitto.
“Hisui!” chiamò, attirandosi la sua attenzione e raggiungendolo in rapide falcate, mentre l’altro continuava a salire.
“Ah, Yuzo.” rispose con il suo classico tono lamentoso.
“Bentornato! Come è andata a Tokyo?”.
L’altro si strinse nelle spalle “E come deve essere andata?” si lagnò “Come sempre: il freddo ha acutizzato i miei reumatismi, ho rischiato di essere investito da un motorino ed il capo è soddisfatto di come procede il progetto di affiancamento tra la JMA e l’FVO. Talmente soddisfatto che mi ha rispedito qui dicendomi che la collaborazione è stata rinnovata per un altro anno e mezzo. Prendo il primo treno e resto mezz’ora in attesa di un taxi, a casa trovo le mie begonie appassite – e vatti a fidare dei vicini! -, il cambiamento d’aria da Tokyo a Nankatsu ha aumentato la mia asma ed infine l’ascensore dell’FVO è in manutenzione e mi tocca salire a piedi, cosa che non giova alla mia sciatica cronica.”. Gli rivolse la sua espressione afflitta “Tutto nella norma.” concluse, arrivando finalmente al terzo piano, mentre Yuzo rideva scuotendo il capo.
“Sei tornato giusto in tempo.” esclamò nel varcare la soglia degli uffici “La zona è vivacemente attiva.”. Disse, dandogli una pacca sulla spalla e dirigendosi al suo ufficio, mentre l’altro si fermava abbassando la mascherina per riprendere fiato.
“Che? Come? Oddio in che senso?! Eh, no! Altri terremoti, no! Mi erano bastati quelli sul Pacaya! Che disgrazia!” per poi riprendere a camminare verso l’ufficio di Hideki, quando videro comparire Rick che veniva proprio da lì con passo sostenuto.
“Ehi! Ma l’Imperatore è venuto a fare un giro turistico in dipartimento?!” domandò Yuzo all’ingegnere “Ho visto-...”.
“Guai!” lo interruppe l’altro, alzando le mani “C’è il Vice Prefetto dal burbero e la sua non sembra affatto una visita di cortesia! Hideki ha detto di raggiungerlo appena arrivavi.”.
“Il Vice Prefetto?” fece eco il Prof, inarcando un sopracciglio.
“Già. Non ho idea di ciò che vuole, ma ho captato le parole ‘comizio’, ‘elezioni’ e ‘Stadio Ozora’. Questo è venuto a piantar grane, me lo sento!”.
“Captato?! Di’ piuttosto che hai origliato!” lo corresse Hisui e Rick lo agguantò sotto braccio, sorridendo.
“Ehi! Anche Meteo-man è tornato all’ovile!”.
“Ricky non strapazzarmi troppo, mi sono appena fatto tre rampe di scale, devo riprendermi!”.
“Come mi mancavano i tuoi lamenti!” rise l'ispanico, ritornando tutti e tre presso l’ufficio di Hideki davanti la cui porta sostavano un Toshi ed una Rita a braccia conserte e l’espressione seria.
“Ah, beh!” sospirò Hisui nel vederli tutti lì “C’è il gruppo ‘pettegoli’ al completo!”.
Toshi gli fece una smorfia, mentre Rita intimò di abbassare il tono per poi rivolgersi al Prof. “Parlano fitto fitto, ed è lì dentro da più di mezz’ora…” scosse il capo “…non mi piace. Quel tizio ha una faccia antipatica.”.
Yuzo alzò gli occhi al cielo, portandosi una sigaretta spenta alla bocca. “Cominciamo bene la giornata.”.
Diede un solo colpo secco per annunciare la sua presenza e poi entrò, senza attendere risposta dall’interno.
“Mi avevi mandato a chiamare?” domandò, richiudendo la porta alle sue spalle e puntando lo sguardo su Hideki, che non aveva affatto un’espressione entusiasta, anzi, sembrava decisamente nervoso. Poi inquadrò anche l’altra figura presente nell’ufficio. Era compostamente accomodata in una poltrona, i gomiti appoggiati sui braccioli e le mani intrecciate all’altezza del naso. I capelli, tirati indietro col gel, erano leggermente brizzolati ed aveva stampata sul viso un’espressione scura ed imperscrutabile.
“Ah, sei arrivato.” disse Hideki, attirandosi nuovamente la sua attenzione e rilassandosi contro lo schienale della poltrona “Ti presento il Vice Prefetto di Shizuoka, Tatsuya Kishu.”.
Yuzo tolse la sigaretta dalla bocca, avvicinandosi e tendendo la mano, mentre l’uomo si alzava per stringergliela.
“Signor Kishu, lui è Yuzo Morisaki, Vice Direttore di questo osservatorio e capo della squadra che si sta interessando dell’insolita attività sismica.” continuò il capo dell’FVO.
“Ah. Quindi è a lei che devo rivolgermi per avere delle certezze.” esclamò l’uomo tornando a sedersi, mentre il Prof rimaneva in piedi.
“Se potrò fornirgliene, non mancherò.” rispose il vulcanologo piuttosto perplesso.
Hideki sospirò, rigirando il sigaro tra le dita. “Yuzo, il Vice Prefetto è venuto ad informarci che, in vista delle prossime elezioni, il Prefetto Terobashi terrà uno dei suoi comizi nello Stadio Ozora, tra due settimane.”.
“Non se ne parla.” fu la secca risposta dell’interpellato, che si attirò lo sguardo contrariato di Kishu. “Nankatsu e le zone limitrofe sono sismicamente troppo instabili in questo periodo e, fino a che non verremo a capo dell’enigma, sconsiglio vivamente qualsiasi forma di raduno, festa o… comizio politico.”.
L’uomo scosse il capo. “No, forse non ci siamo capiti…” borbottò, affilando il tono di voce “Io non sono venuto a chiedervi il permesso, ma ad assicurarmi che facciate il possibile affinché il tutto avvenga senza intoppi. Non voglio sgradite sorprese per quel giorno…” e si alzò, sistemando la giacca, pronto a concludere quella conversazione che gli aveva rubato fin troppo tempo. “…e, soprattutto, non voglio che la gente si spaventi inutilmente, quindi, da ora in avanti, qualsiasi cosa scopriate dovrete riferirla a me.”. Fece segno alla guardia del corpo che era rimasta per tutto il tempo in piedi alle sue spalle. L’uomo si mosse, portandogli una valigetta dalla quale Kishu cavò due fogli spillati. “Le direzioni principali dell’ERI e del VRC sono perfettamente concordi nel mantenere tale condotta, e questa…” il foglio scivolò sulla superficie liscia della scrivania, mentre Hideki assumeva un’espressione allarmata di chi non è al corrente di nulla “…è un’ingiunzione formale da parte del Prefetto che mi affida la totale gestione della situazione. Quindi, prima di fare qualsiasi cosa, ne dovrete parlare con me. È tutto chiaro?”.
Yoshikawa lo guardò in tralice, senza nemmeno alzare la testa dai fogli che stringeva con forza tra le mani. Un’espressione di disgusto ad incurvargli le labbra e la voce che uscì come un ringhio. “Porti le sue chiappe da lacché fuori da questo edificio o giuro che-…” ma Yuzo lo fermò, poggiandogli una mano sulla spalla e scuotendo il capo, mentre il Vice Prefetto si avviava all’uscita, senza far scomparire quello sguardo severo ed autoritario. Il Prof lo fermò prima che mettesse mano alla maniglia.
“Ovviamente, lei sta facendo gli interessi della popolazione, vero?” domandò con tono fermo, scambiando una lunga occhiata con lui che rimase in silenzio per qualche secondo prima di esclamare.
“Gli interessi del Prefetto sono gli interessi della Prefettura e di chi vi abita.”.
“Lo spero.”.
E Tatsuya lasciò definitivamente l’ufficio, passando tra gli sguardi indagatori della squadra rimasta in attesa fuori la porta.
Hideki lanciò il foglio in malo modo, battendo un pugno sul tavolo. “Perché diamine non mi hai permesso di prenderlo a calci?!” sbuffò furente.
“Perché ti saresti giocato il posto a pochi passi dalla pensione.” rispose il vulcanologo, buttando la sigaretta che aveva stretto troppo fortemente tra le dita e che si era spezzata, cavandone un’altra dal pacchetto, ma anche lui era fuori dalla grazia di Dio. “Ed il problema è che non abbiamo prove sufficienti per dimostrare che sta per succedere realmente qualcosa, accidenti!”.
Hideki scosse il capo “E poi cos’è ‘sta storia che all’ERI e al VRC vogliono il massimo riserbo?!”.
Yuzo sospirò “Mi è stato riferito ieri da un amico che lavora lì. Te ne avrei parlato questa mattina, sembra che abbiano anche una teoria…”.
L’uomo agitò animatamente il sigaro nella sua direzione. “Non me ne frega niente dell’ERI e delle loro fantasie, voglio che trovi al più presto delle risposte prima che sia troppo tardi!”.
Il vulcanologo annuì, passandosi una mano sugli occhi e lasciando l’ufficio.
“Allora?” domandò subito Rick appena lo vide. “Che diavolo voleva quello?”.
“Rompere.” rispose Yuzo senza mezzi termini, avviandosi lungo il corridoio. “Ma vi spiegherò tutto nel mio ufficio: riunione di emergenza.”.

Tatsuya Kishu salì in macchina con movimenti decisi ed un po’ collerici. Avrebbe preferito una maggiore collaborazione da quel Yoshikawa ed invece era stato costretto a ricorrere all’ingiunzione che si era fatto firmare da Terobashi come ultima risorsa.
“Portami allo Stadio Ozora.” ordinò all’autista che mise in moto, lasciando il parcheggio dell’FVO. Con gesto seccato estrasse il cellulare richiamando il palazzo della Prefettura di Shizuoka.
“Sono Kishu.” disse lapidario ed attese un altro paio di secondi, poi riconobbe la voce del Prefetto.
“Allora?” si sentì domandare “Mi porti buone nuove?”.
“Sì signore, lo Stadio è tutto suo.”.
Tatsuya non poteva vederlo, ma, conoscendolo, immaginò il suo sorriso trionfante.
“Hai avuto problemi?”.
“Hideki Yoshikawa è un testardo come ci avevano detto, ma ha dovuto capitolare davanti alla sua ingiunzione.”.
“Molto, molto bene.”
“Ma c’è il suo vice, un certo Morisaki…” e lo sguardo di Tatsuya si incupì “…che credo mi darà noie.”.
L’altro sbuffò “Via! Non preoccuparti di questo e pensa ad allestire il comizio, voglio che sia tutto perfetto.”.
“Ovviamente signore, comincerò ad occuparmene immediatamente.”. Kishu chiuse la comunicazione restando a guardare, attraverso i vetri oscurati, la vita cittadina che animava le strade di Nankatsu.
No, decisamente il giovane vice di Yoshikawa sarebbe stata la sua spina nel fianco visto che non gli era piaciuto affatto quello sguardo di sfida che gli aveva lanciato né quello che gli aveva detto.

“Ovviamente, lei sta facendo gli interessi della popolazione, vero?”

E cosa avrebbe dovuto rispondergli se non ‘sì’? Per caso che di Nankatsu ed i suoi abitanti non gliene fregava un accidente, ma l’importante era che l’attuale Prefetto venisse rieletto grazie ad una sua impeccabile campagna?
Sì.
Perché era questo ciò che veramente importava a Tatsuya Kishu.
Una vittoria alle elezioni, di cui si sarebbe preso il merito, sarebbe stato il primo, importante passo verso il suo ambizioso progetto che lo avrebbe portato, un giorno, alla poltrona di Primo Ministro del Giappone e non poteva permettere a nessuna catastrofe e nessun vulcanologo di mettergli i bastoni tra le ruote.
Aveva organizzato tutto alla perfezione, la campagna elettorale sarebbe stata un successo ed avrebbero vinto.
Lui avrebbe vinto.
Si concesse un accenno di sorriso soddisfatto.
Massì, perché preoccuparsi? Alla fine tutta quella faccenda si sarebbe risolta in un immenso buco nell’acqua.

“Ma no! Ma no! Ma no!” sbottò Hisui, più disperato del solito, mettendosi le mani nei corti capelli biondo scuro. “Ma che ho fatto di male per meritarmi questo?! Perché, dico io, non posso riposarmi con del sano lavoro di ufficio? Perché?!”.
“Eddai, Meteo-man, dacci un taglio!” sbuffò Toshi, incrociando le braccia al petto “Fa parte del nostro lavoro, è inutile lamentarsi!” ma l’altro non sembrò particolarmente convinto.
“No! Fa parte del vostro lavoro! Io sono un povero meteorologo disgraziato e pieno di acciacchi, la cui aspirazione massima sarebbero le previsioni in TV! Ho passato gli ultimi tre anni incollato al culo di un vulcano a far la guerra con tafani, zanzare e zecche cavalline! Per non parlare della diarrea fulminante che mi ha costretto a defecare un minuto sì e l’altro pure, e credi che sia stato divertente farlo mentre il water tremava da sotto le chiappe a causa delle scosse eruttive?! Decisamente no! Ed ora che torno a casa, dove mi aspetta il mio meraviglioso ed immobile cesso e la mia tanto adorata scrivania, mi venite a dire che Nankatsu trema?!”. Sospirò affranto, appoggiandosi stancamente alla sedia. “Oddio, ho l’emicrania. Qualcuno ha un’aspirina?”.
“Se la situazione non fosse così preoccupante…” intervenne Rick, rimanendo a fissare un punto indefinito del pavimento “…credo che sarei morto dalle risate, Hisui.”.
“Ma quelli dell’ERI sono così sicuri di questo ‘acceleramento tettonico’?” domandò Toshi, osservando il Prof che li aveva appena messi a parte di tutte le informazioni che erano in suo possesso.
Yuzo scosse il capo. “A dire il vero, no. Ma stanno facendo il possibile anche se si stanno muovendo nella direzione sbagliata, secondo me.”.
“Novità dal monitoraggio?” si intromise Rita.
“Solo informazioni che hanno alimentato altri dubbi.” sospirò “Ho bisogno dei dati di Shiro per avere finalmente delle risposte… almeno spero.”.
“E noi cosa facciamo nel frattempo?” domandò Toshi, ma Yuzo si strinse nelle spalle.
“Non molto purtroppo. Potreste ri-controllare i dati, magari salta fuori qualcosa che non ho visto… più di questo per ora non si può.” poi si girò verso la sismologa. “Rita, tu continua a lavorare sui terremoti, anzi, prendi in considerazione tutto il periodo di aumento della sismicità.”.
“Va bene.” anche se sapeva che sarebbe stato un lavoraccio.
Ad un tratto fu Rick a sbottare con asprezza. “Quel Kishu è un verme!” disse e si alzò, prendendo a camminare nervosamente per lo studio. “Invece di preoccupasi della città pensa a quel suo maledetto comizio!”.
“Parole sante!” annuì Toshi “Akinori Terobashi può scordarsi il mio voto!”.
“E non capisco che diavolo stiano combinando ai piani alti dell’ERI e del VRC! Affidare a questo tizio i pieni poteri solo perché lui possa organizzare indisturbato il suo teatrino politico? Che cavolo ne sa, quello, di Geologia?! Perché non hanno mandato il Capo della Protezione Civile? Sarebbe stata una scelta più sensata!”.
Hisui scosse il capo lentamente “Qualcuno deve aver fatto pressioni…” e Rick sbuffò, palesemente seccato.
“Recriminare sulle scelte dei potenti è inutile.” esclamò Yuzo, alzandosi anche lui. “L’unica cosa che possiamo fare è trovare al più presto delle risposte.” diede una rapida occhiata all’orologio “Aggiorniamoci a dopo pranzo.”. Decise, afferrando il giaccone e muovendosi per lasciare l’ufficio, quando Ricardo lo fermò inarcando un sopracciglio.
“Dove vai?”.
“A pranzo dai miei.”.
“Ah, beh! Vuoi così male a tua madre? Lo sai, no, che le verrà un infarto vedendoti!” rise l’ingegnere, mentre lui si portava la sigaretta spenta alla bocca.
“Guarda che li ho avvisati.” rispose a tono, lasciando l’ufficio dell’FVO “Fare visite a sorpresa non mi sembra proprio il caso.”.

Il rollio del motore cessò quando estrasse le chiavi dal volante.
Aveva posteggiato Dante all’altro lato della strada in cui c’era la villetta dei suoi genitori. La sua vecchia casa.
Rimase ad osservarla per qualche secondo, senza scendere dalla vettura, e gli sembrò che non fosse cambiata dall’ultima volta che l’aveva vista. La siepe ben curata, le persiane aperte. La finestra più in alto era quella della sua camera. Sorrise, ricordando le parole di sua madre quando lui ed Aiko erano andati a vivere insieme, nella sua attuale casa, ed era felice come una Pasqua.
“Ho già deciso!” aveva detto una sera a cena “La tua stanza resterà così com’è: sarà perfetta per quando mi porterete il mio nipotino o la mia nipotina...” poi li aveva guardati con occhi luccicanti “...o anche tutti e due!”.
Lui aveva inarcato un sopracciglio, poggiando il viso in una mano. “Mamma, temo che dovrai aspettare. Abbiamo solo ventiquattro anni, un sacco di lavoro da fare ed i figli non rientrano ancora nei nostri programmi futuri.” aveva smorzato l’entusiasmo della donna che aveva incrociato le braccia al petto, mettendo il broncio.
“Oh, non fare il guastafeste! Lasciami crogiolare nell’idea di avere un pupo da viziare e a cui preparare tanti dolcetti!”.
Lui aveva sospirato con rassegnazione, scambiando una rapida occhiata con Aiko che aveva cercava di trattenere le risate. Fortunatamente era intervenuto suo padre. “Lasciala parlare, figliolo. Sai com’è fatta.” aveva detto agitando una mano, mentre la donna lo aveva additato con fare inquisitorio, sbottando.
“Come sarebbe?! Non vuoi anche tu diventare nonno?!”.
L’uomo aveva fatto spallucce “Certo che mi farebbe piacere, ma c’è tempo! Sono giovani, hanno altro a cui pensare. Lasciali in pace.”.
E la donna si era limitata a sospirare sconfitta “Vedo che sono in minoranza, uffa.”.
“Grande papà!” aveva esclamato lui, dando il cinque al suo vecchio, e la madre aveva nuovamente assunto un’espressione contrariata.
“Tsk! Morisaki! Siete tutti uguali! Sempre pronti a darvi man forte tra di voi!” poi si era rivolta ad Aiko con sguardo supplichevole “Ti prego, cara, almeno tu...”.
“Oh, signora, ma io sono sicura che lei sarà una nonna fantastica...” aveva risposto con un sorriso “...tra qualche anno.” dandole il colpo di grazia, tra le risate generali.
A quel ricordo, ringraziò Dio di aver voluto aspettare.
Non riusciva da solo a superare la morte della moglie, figuriamoci se avesse avuto anche dei figli... sarebbe stato un pessimo padre.
Mettendo da parte simili pensieri, lasciò il Pick-up avviandosi al cancelletto della sua casa natale. Aveva ancora le chiavi e preferì usare quelle, anziché bussare. Come se volesse entrare in punta di piedi perché si sentiva in colpa di averli chiamati più che raramente nei tre anni precedenti al suo ritorno. Era stato maledettamente ingiusto nei loro confronti, soprattutto sapendo quanto sua madre fosse ansiosa.
Richiuse l’inferriata dietro di sé, lentamente, senza far il minimo rumore, camminando nel cortile e dirigendosi all’entrata sul retro. Osservò come il giardino fosse in perfetto ordine e pieno di piante, delle quali la maggior parte era priva di foglie a causa dell’inverno. In fondo al vialetto vide la figura di suo padre, in ginocchio, armato di guanti, che strappava delle erbacce.
Rimase ad osservarlo per qualche minuto, mentre l’uomo non si era accorto della sua presenza.
Notò come i capelli si fossero ingrigiti parecchio in quei tre anni, ma non rinunciava alla sigaretta che pendeva al lato della bocca e si consumava lentamente, disperdendo fumo.
Era una caratteristica della sua famiglia: i Morisaki e la cicca.
Suo padre, i suoi zii e zie, cugini e cugine. Non c’era un Morisaki che non fumasse. Sembrava quasi una tradizione. Lui era stato un po’ il ‘bastian contrario’, l’eccezione: essendo uno sportivo, si era tenuto sempre ben lontano dalle sigarette, ed anche quando aveva lasciato il calcio non aveva mai preso il vizio. Per la gioia di sua madre.
Poi, Aiko era morta, e lui nemmeno ricordava dopo quanto tempo avesse cominciato a fumare.
L’eccezione era rientrata nei ranghi.
Avanzò di qualche altro passo. “Ehi! Rubi l’hobby alla mamma?” esordì con un sorriso, attirandosi lo sguardo dell’uomo che tolse la sigaretta.
“No, sto solo facendo le prove. Ora che sono in pensione, sono in cerca di un possibile passatempo per la vecchiaia: il giardinaggio non è male.” replicò l'uomo e ricambiò il suo sorriso, togliendo i guanti ed alzandosi.
Yuzo osservò le siepi e l’aiuola “Sono cambiate un po’ di cose. Lo ricordavo diverso…”.
“Beh, l’ultima volta che sei stato qui risale a tre anni fa.”.
Il Prof annuì lentamente. “Già…” convenne, fermandosi innanzi al suo vecchio che accorciò anche l’ultima distanza, abbracciandolo con affetto.
“Bentornato figliolo, è bello rivederti.”.
“Anche per me, papà.”
L’uomo lo squadrò con occhio critico.
“Sei dimagrito.” gli disse, tirando poi una lunga boccata dalla cicca “Tua madre la butterà sul tragico.”.
Yuzo spostò altrove lo sguardo con ironia. “Non aspettavo altro.”.
Suo padre sorrise, facendogli segno con la testa. “E’ in cucina, valla a salutare, ma sta’ attento: è sul piede di guerra.”.
E lui sospirò pesantemente, come se se lo stesse aspettando. Era anche per quel motivo che non era andato subito a trovarli una volta rientrato in Giappone. Perché sapeva di essere nel torto, ma non aveva voglia di giustificarsi con nessuno.
Varcò la soglia del terrazzo che portava al salotto, venendo immediatamente avvolto da odori ed oggetti a lui familiari. Fotografie, ninnoli, mobili e vecchi premi. La tavola era già apparecchiata per tre.
Lentamente si liberò del giaccone, poggiandolo sul divano e dirigendosi in cucina, dalla quale sentiva il rumore di stipetti che venivano aperti e chiusi, tintinnare di posate ed un profumo invitante di carne e verdure. Piano, fece capolino adocchiando una donna, di spalle, che lavorava incessantemente attorno ai fornelli. Aveva un simpatico grembiule legato in vita ed i capelli raccolti.
Come aveva fatto con suo padre, si fermò ad osservarla senza dire una parola, più per un senso di disagio e rimorso che altro.
“Quanto tempo ancora vorrai restare sulla porta?” disse lei ad un tratto, senza nemmeno voltarsi, e continuando a cucinare. Yuzo alzò lo sguardo al cielo, tirando un profondo sospiro: sì, era sul piede di guerra.
“Ciao mamma.” salutò raggiungendola e poggiandosi di spalle al lavandino, mentre lei gli era di fianco. La donna rigirò rapidamente lo stufato assanggiandone una punta ed annuendo soddisfatta del sapore. Spense la fiamma e si liberò del grembiulino a fiori, appallottolandolo e poggiandolo sul piano da lavoro. Solo allora gli concesse il suo sguardo, in cui lesse gioia celata dal rimprovero.
Sua madre lo scrutò attentamente da capo a piedi, incrociando le braccia al petto.
“La cucina guatemalteca non deve essere affatto un granché: sei troppo magro.”.
Lui abbozzò un sorriso, scuotendo il capo. “Non così tanto, mamma.”.
Calò nuovamente il silenzio tra loro per alcuni istanti, durante i quali nessuno dei due distolse lo sguardo da quello dell’altro. Ma Yuzo aveva fatto pratica con Hideki e ci voleva molto di più per farlo cedere, mentre la donna cominciò a tamburellare nervosamente la punta piede sul pavimento.
“Quanto ancora avevi intenzione di aspettare prima di farti vedere?” domandò con la voce che cominciava a tradire una certa emozione. “Hai… hai idea di quanto ci siamo preoccupati io e tuo padre?!” cambiò posizione, roteando gli occhi per nascondere il fatto che le si fossero fatti lucidi. “Avresti potuto chiamare un po’ più spesso, no?!”.
Ma Yuzo non rispose e lei non riuscì più a trattenersi oltre, scoppiando a piangere. “E di’ qualcosa, accidenti!”.
Il vulcanologo sorrise, abbracciandola. “Mi dispiace, mamma.” le sussurrò all’orecchio, mentre la donna si aggrappò al suo maglione con quanta più forza avesse.
“Oh, tesoro. Mi sei mancato così tanto!” senza smettere di piangere e singhiozzare.
Yuzo cercò di rabbonirla, carezzandole la schiena e parlandole con dolcezza. “Eddai, non fare così, non sono mica partito per la guerra.”.
“Qu-questo lo so, però…”.
“Ascolta, mamma.” le disse, mentre lei agguantava il grembiule per asciugarsi gli occhi. “Tu e papà avete ragione ad essere arrabbiati. Eravate preoccupati e questo io lo capisco, ma… avevo bisogno di andarmene via per un po’, cambiare aria e restarmene da solo senza vedere o sentire nessuno.” scosse il capo “Non volevo sentirmi ripetere le solite frasi ‘Come stai? Vedrai che passerà’, dovevo tenere la mente impegnata ed il lavoro era l’unica cosa che riusciva a non farmi pensare a niente.” poi abbozzò un sorriso incerto “Sto meglio ora…”.
Ma la donna scosse il capo con decisione. “Non mentirmi. E, soprattutto, non mentire a te stesso. Lo sai benissimo che il lavoro non è sufficiente. È solo una via di fuga per non affrontare quello che realmente provi e tenerti dentro il dolore non ti fa bene.” gli prese le mani, addolcendo il tono con espressione preoccupata. “Come puoi dire che va meglio se non riesci nemmeno a parlare di quello che è successo quattro anni fa? Anche solo sentire il suo nome ti spezza il cuore.”. E lei sapeva di aver ragione, visto che Yuzo aveva ceduto spostando altrove lo sguardo come faceva sempre quando non sapeva cosa rispondere. “I ricordi non smetteranno mai di tormentarti se non li affronti… fermati… non scappare più…”.
Il Prof scosse impercettibilmente la testa, continuando a fissare un punto indefinito del pavimento. “Non posso…” rispose a mezza voce “…non sono ancora pronto per farlo…”.
“E non lo sarai mai se non provi.” concluse la donna dandogli un leggero bacio sulla guancia, attirandosi nuovamente il suo sguardo per qualche altro secondo, prima di farsi vento con la mano e sbuffare. “Forza, va’ a sederti a tavola prima che mi metta a piangere di nuovo, altrimenti tuo padre dice che la butto troppo sul tragico.”.
Yuzo sorrise, abbracciandola di nuovo e lasciandole un bacio sulla fronte. “Vi voglio bene.”.
“Anche noi, tesoro.” e sospirò, trattenendo un singhiozzo prima di separarsi e cacciarlo dalla cucina. “Su, vai, sciò!” e lui rise, prendendola in giro.
“Che tipa che sei! Prima ti arrabbi perché non mi faccio sentire ed ora che sono qui mi cacci.”.
“Piantala, sciagurato!” scherzò la donna, lanciandogli dietro il grembiule “E fila in salotto!”.
Lui non se lo fece ripetere una terza volta e lasciò la stanza, raggiungendo suo padre che aveva appena messo via tutti gli attrezzi da giardino ed era rientrato in casa. L'uomo gli lanciò un’occhiata, ciccando nel posacenere poggiato sul tavolino basso accanto ai divani e sedendosi su un bracciolo. “Allora?” esordì con un sorriso “Quanto l’ha fatta tragica?”.
Yuzo lo raggiunse con le mani nelle tasche dei jeans. “Abbastanza. E poi mi ha quasi cacciato a pedate.”.
L’uomo rise, spegnendo il mozzicone. “Ah! Amo tua madre.”.
“State confabulando, me lo sento!” esclamò proprio la donna, comparendo con la pentola che appoggiò al centro del tavolo, mentre gli altri due ridevano della sua espressione imbronciata. “Finitela! E venite a sedervi, altrimenti si raffredda!”.

Doveva ammetterlo, per quanto non avesse disprezzato il cibo guatemalteco, gli era mancata la cucina di sua madre. E poi, quello era il primo pasto decente che faceva da quando era tornato in Giappone. Nei giorni precedenti, tra il lavoro ed i ricordi spiacevoli del Ruiz, gli si era chiuso lo stomaco e non era riuscito a mangiare nulla di sostanzioso, limitandosi ad un disordinato piluccare.
Il suo organismo accolse festante quello stufato caldo ed iper-proteico: non gli era mai sembrato così buono.
A fine pasto, sua madre preparò il caffè.
“Amaro, per i miei uomini.” disse, portando loro le due tazzine fumanti.
“Certo che dovrei farcela anche io una capatina su questo… Pacco!”.
“Pacaya, papà.” lo corresse Yuzo con un sorriso, mentre l’altro agitava una mano.
“Sì, sì, quello che è!” per poi aggiungere “Il sole picchia forte lassù.”. Ed avvicinò un braccio al viso del vulcanologo per vedere la differenza di colorito. “Che ne dici, Junko?”.
La donna inarcò un sopracciglio, fulminandolo con lo sguardo “Keisuke!” e lui sghignazzò divertito.
“Tua madre non ha un grande spirito di avventura!” disse rivolto a Yuzo.
“Avventura no, ma sopravvivenza sì!” si difese la donna.
“Beh, se volete, posso consigliarvi qualche itinerario.” propose il Prof sorseggiando il caffè.
“Tesoro, per carità!” lo fermò lei “Non dare corda a tuo padre!”. Yuzo rise, mentre l’uomo gli poggiò una mano sulla spalla, attirandosi la sua attenzione.
“Allora, come è andato il rientro in Giappone?”.
Lui si strinse nelle spalle. “Bene: mi hanno accolto i terremoti!”.
Keisuke sospirò pesantemente. “Già. Ci sono state parecchie scosse ultimamente. Tu ne sai qualcosa?”.
Yuzo rigirò la tazzina, osservando il liquido scuro ondeggiante all’interno. “Non molto, girano voci, ma ancora non sappiamo quanto siano verosimili. Ci stiamo lavorando…” poi aggiunse con irritazione mal celata “…sempre se ce lo lasciano fare!”.
L’uomo inarcò un sopracciglio “Problemi?”.
Il Prof finì il suo caffè, rilassandosi contro lo schienale della sedia. “Il Vice Prefetto è venuto a dirci come fare il nostro lavoro, questa mattina.”.
“Kishu, vero? Si tratta delle elezioni?”.
“Sì. Vogliono tenere un comizio nello Stadio Ozora e se n’è altamente sbattuto quando gli abbiamo detto che non è il caso.” scosse il capo contrariato “Quell’uomo non mi piace.”.
Sua madre intervenne, toccandogli il braccio e guardandolo con apprensione. “Dobbiamo preoccuparci, tesoro?”.
Lui sorrise “Ma no, mamma. Sta’ tranquilla, va tutto bene. Per ora si tratta solo di qualche scossa, tutto qua.” e si volse anche all’indirizzo di suo padre “Ciò non toglie che, se la situazione dovesse peggiorare, voi lascerete subito Nankatsu ed andrete a Nagoya da zia Yukino, sono stato chiaro? Ben inteso: questo non è un consiglio.”.
L’uomo annuì sorridendo. “Va bene, va bene.” e finì il suo caffè “Nel frattempo? Quali sono le tue intenzioni?”.
Yuzo non rispose subito, anzi, a dire il vero aveva sperato che non gli venisse posta tale domanda, più che altro per sua madre. Se le avesse detto che aveva intenzione di ripartire e andare in Africa sarebbe scoppiata a piangere un’altra volta, ne era sicuro.
Inspirò profondamente nel disperato tentativo di prendere tempo ed inventare una scusa.
“E’ vero che hai ricevuto delle proposte dall’Università di Tokyo?” domandò ad un tratto Junko, attirandosi immediatamente la sua attenzione.
Come lo sapevano?
Lui non aveva mai detto nulla a riguardo, soprattutto visti i suoi secchi rifiuti.
“Alcuni mesi fa ha chiamato un certo Tatsumoto. Ha detto che erano anni che tentava di mettersi in contatto con te, ma senza risultati. Voleva sapere se fossi tornato…”.
Yuzo incupì lo sguardo, spostandolo altrove e sbuffando stizzito. - Che dannato insistente! - pensò contrariato.
“Perché ce lo hai tenuto nascosto?” domandò ancora, mentre suo padre aggiungeva: “E’ un’ottima possibilità, dovresti pensarci bene.”.
Il Prof alzò una mano con decisione, visibilmente alterato. “No. Come dissi a Tatsumoto la prima volta che me lo chiese, e come ho continuato a ribadirgli fino alla fine, io non accetterò quella dannata cattedra. E questa è la mia ultima parola a riguardo.”.
Sua madre fece per replicare, quando la sua bocca prese una piega amara e lasciò subito il suo braccio. “Vuoi ripartire, non è così?” disse con voce tremante ed occhi lucidi. E lui non ebbe il coraggio di guardarla in viso. Sentì solo il rumore di una sedia che veniva spostata con un gesto secco “Scusate…” ed il rumore affrettato dei passi della donna che andò a rintanarsi in cucina, sbattendo la porta alle sue spalle.
Il silenzio dominò con prepotenza nel salotto, mentre lui restava a fissare un punto indefinito del tavolo sul quale aveva poggiato i gomiti; lo sguardo di suo padre addosso che scrutava il suo profilo. Poi lo sentì sospirare.
“Ne avevo quasi la certezza, avevo anche detto a tua madre di non illudersi troppo, ma sai com’è fatta.”.
Yuzo non rispose, limitandosi ad annuire piano.
“Dove andrai?”.
“Africa.”.
“Per…?”.
Si strinse nelle spalle. “Non lo so, poi si vedrà.” disse atono prima di cavare il pacchetto di rosse dalla tasca e dargli un leggero colpetto, facendone uscire due. Porse l’oggetto al padre, continuando a fissare il tavolo, mentre l’uomo rimase ad osservarle in silenzio per qualche secondo prima di estrarne una portandola alla bocca.
“Non farti vedere da tua madre, le daresti il colpo di grazia.”.
“Non avrebbe motivo di scandalizzarsi…” disse, sfilandone una anche lui e facendo scattare lo zippo in direzione di suo padre, che tirò una lunga boccata dalla Marlboro. “…sono pur sempre un Morisaki.” concluse, accendendo la sua ed incrociando le mani sotto al mento.
Keisuke rimase ad osservare il figlio con sguardo preoccupato, mentre continuava a restare in silenzio e fumare lentamente. Doveva aver cominciato già da un po’, vista la naturalezza con cui stringeva la sigaretta tra le dita. In quel momento, gli sembrò solo l’ombra della persona allegra che era stata un tempo e gli parve più vecchio di quanto non fosse in realtà.
“Yuzo, ascoltami.” disse ad un tratto, ciccando nel posacenere davanti a lui ed attirandosi il suo sguardo. “Ormai non sei più un bambino al quale imporre le scelte da prendere né io e tua madre l’abbiamo mai fatto a suo tempo. Ci siamo sempre fidati di te perché eri una persona responsabile. Anche quando decidesti di lasciare il calcio per andare a Tokyo eravamo orgogliosi di sapere che volevi intraprendere una carriera universitaria, e ti abbiamo appoggiato comunque quando ci comunicasti di aver scelto Geologia, nonostante ne fossimo perplessi, ma ora…” scosse il capo “…siamo seriamente preoccupati per te. Prendi, parti e non ti fai sentire per anni, poi ritorni per ripartire di nuovo non si sa per quanto tempo. Non fai altro che lavorare tutto il santo giorno senza darti tregua. Non riusciamo più a capirti! Dov’è lo Yuzo che conoscevo io? Dov’è mio figlio?!”.
Le labbra del Prof si incurvarono in un sorriso triste. “Le persone cambiano, papà… volenti o nolenti.”.
“Io capisco che la morte di Aiko sia stata un duro colpo per te, ma credi che lei sarebbe contenta di vedere come ti stai riducendo?”.
“Oh, per favore!” scattò il giovane all’improvviso, ciccando con un gesto irato. “Piantatela di dirmi sempre le stesse cose! Sembri Hiroshi! Avanti! Dilla anche tu la stronzata del secolo! Dillo che dovrei risposarmi, guarda, non aspetto altro!”.
Diversamente da Yuzo, suo padre mantenne il solito tono calmo. “Sì, esatto. Ne abbiamo parlato spesso con i Nakazawa e ci siamo ritrovati d’accordo. Dovresti rifarti una vita e smettere di vivere nel ricordo di quella che hai perduto. Aiko non-…”.
Aiko è morta!” gridò sbattendo un pugno sul tavolo in un eccesso di rabbia, facendo sonoramente tintinnare le stoviglie sopra di esso. “E quello che lei avrebbe voluto… non ha più importanza…” concluse a mezza voce, cercando di riprendere il controllo di sé. Spense piano la sigaretta, facendo degli ampi respiri, prima di portarsi una mano alla fronte e massaggiare le tempie. “Mi dispiace. Non volevo alzare la voce con te.”.
L’uomo gli poggiò una mano sulla spalla, guardandolo con preoccupazione. “Se c’è qualcosa che possiamo fare, devi solo chiederla, lo sai…”.
Yuzo tentò di sorridere “Me la vedo io, papà. Me la devo vedere io…”.
“Cerca di stare attento però, e di chiamare più spesso… quando ripartirai?”.
Il Prof fece spallucce. “Dobbiamo prima accertarci di quello che sta succedendo nella Prefettura, sempre se Kishu non ci mette i bastoni tra le ruote.”.
“Capisco.”.
Yuzo sospirò. “Mi dispiace di avervi rovinato il pranzo. Forse non dovevo lasciarmi convincere a venire…”.
“Convincere? Da chi?”.
“Oh, un’amica.”.
Keisuke sorrise. “Quella italiana tanto simpatica?”.
“No, papà, non la conosci.”.
L’uomo inarcò un sopracciglio, poggiando il viso in una mano con interesse. “Ah, no?”.
Ma Yuzo gli puntò subito l’indice sotto il naso, mettendosi sulla difensiva. “Non incominciare a farti strane idee tu, sono stato chiaro?!”.
“Idee? Quali idee?!”.
“E non provare a fare il santarellino con me, ti conosco da trent’anni!”.
“Va bene, va bene!” si difese l’uomo alzando le mani. “Non ti farò domande a meno che non sia tu a volermene parlare di tua sponte…”.
“Perfetto.” annuì Yuzo con decisione, lasciando che uno strano silenzio di attesa aleggiasse tra di loro, mentre rimanevano a fissarsi.
“Allora? Me ne parli di tua sponte?!” esordì suo padre con un sorriso, facendolo balzare in piedi e sbottare.
“Ma sei tremendo! Ringrazio Dio che devo rientrare in dipartimento, guarda! Ora vado a vedere come sta la mamma, poi vado via e guai a te se fiati!” e si allontanò in direzione della cucina, borbottando frasi incomprensibili, mentre un sorridente Keisuke Morisaki rimase ad osservarlo con espressione benevola e serena.

La sentiva singhiozzare dalla porta chiusa e sospirò, sentendosi in colpa, prima di entrare.
Appena si accorse della sua presenza, la madre cercò di darsi un contegno, continuando a volgergli le spalle.
“Tuo padre me lo aveva detto di non sperarci troppo.” disse, asciugandosi rapidamente gli occhi “Ma io… ero convinta che saresti rimasto.” tirò su col naso. “Scusami. In fondo, questa è la vita che tu hai scelto e non posso pretendere di trattenerti in Giappone a tutti i costi.”.
Yuzo la raggiunse abbracciandola e poggiandole il mento sulla testa, sentì la sua figura bassa e minuta rilassarsi a quel contatto e sospirare affranta “Il problema è che… non voglio che succedano altri incidenti… dopo quello di Aiko…”.
“Non preoccuparti mamma, non succederanno. Prometto che ti chiamerò più spesso, va bene?”.
La donna lo inquadrò con la coda dell’occhio, arrossato dalle lacrime, e l’espressione imbronciata. “Davvero?”.
“Davvero.” confermò lui con un sorriso e Junko non poté fare altro che rassegnarsi.
“Torni a lavoro?” domandò, mentre Yuzo scioglieva l’abbraccio e le dava un bacio sulla guancia. “Sì, abbiamo i terremoti di cui occuparci. Ci sentiamo appena ho delle certezze.” e fece per allontanarsi, quando la voce di sua madre lo fermò sulla porta.
“Yuzo?” chiamò, attirandosi il suo sguardo “Tu fumi.”. Ma non era una domanda, quanto una secca affermazione che lo fece restare per un momento senza parole, prima di sfoderare il migliore dei suoi sorrisi.
“Certo che sei meglio di un cane da tartufo, mamma!”.
La donna inarcò un sopracciglio, scuotendo il capo. “Morisaki, tutti uguali!”.


[1]HAN DICHO… DE IZQUIERDA”: “Hanno detto che avete trovato una donna orientale…” /  “In fondo” /  “Terzo da sinistra.”. Questa è la traduzione dei pezzi in spagnolo. Si ringrazia tantissimo Alex_Kami che mi ha aiutato nella traduzione!*_*


 

…E poi Bla bla bla…

Questo capitolo è venuto fuori particolarmente… triste! O__O
Giusto per dire che mi sono intristita da sola, mentre scrivevo il ricordo del Ruiz! T__T
E’ strano: solitamente quello che scrivo non ha effetto su di me, visto che sono io l’autrice, ma questa volta sono stata capace di mettermi angoscia da sola! O__O’’
È un male?! XD
Beh, anche stavolta l’attesa è stata notevole, ma come al solito credo di essermi fatta perdonare! *__* soprattutto: niente note astruse! Olè!XDD gioite con me, queste sono cose da segnare sul calendario! XDDD
In oltre, avete fatto la conoscenza del buon vecchio Hisui e dei genitori di Yuzo.
E Kishu inizia a dare noie.
Come avevo preannunciato le acque si stanno imbrogliando, ma questo non è che l’inizio *wink* ci sono ancora 17 capitoli alla fine! XDDD

Infine, comunicazione ai miei lettori: essendo che in questi giorni sono drogata di photoshop (XD), ho creato dei lavori di fotomontaggio per questa storia, setacciando il web alla ricerca degli attori in carne ed ossa da poter abbinare ai personaggi (non fate caso se sono tutti occidentali!XD è una specie di riflesso condizionato, visto e considerato che i disegni di Takahashi tanto orientali non sono!XDD)
Per ora ho creato:

- Yoko & Prof

- FVO Staff

Personaggi/Attori:

- per Yoko&Prof: Yoshiko/Jennifer Love Hewitt - Yuzo/James Caviezel (niente po-po di meno che Gesù Cristo!XD)

- per FVO Staff: Rita/Sarah Gilbert - Toshi/Freddie Prinze Jr - Hideki/John Voight - Aiko/Rachel Weisz - Rick/Esai Morales - Hisui/Callum Keith Rennie

Una motivazione per le scelte? Mmmm... XD Hisui è stato il primo che ho visto ed ho detto: "O_O è lui!" XD ha la faccia da lamentoso! Stessa cosa per Rick e Yuzo. Sono stati i tre personaggi sui quali ero sicurissima appena li ho visti! Esai Morales ha proprio la faccia da Rick!XD E non credo sia un complimento!
Mentre per Yuzo... Jim Caviezel ha proprio l'aria da "buono". Il buono disgraziato. E doveva avercela per forza altrimenti non avrebbe potuto fare Jesus ne "The Passion" di Gibson!XD A parte l'espressività , il viso non è la perfezione del 'bellone' classico: e mi è piaciuto subito per questo! Il suo naso, ad esempio, io lo trovo perfetto! Sì, lo so che è lungo con la gobbetta: proprio per quello è perfetto!XD
Forse nessuno ci crederà, ma quando all'inizio cominciavo a scrivere fanfiction e, soprattutto, a disegnare, mi ero sempre posta il problema di come rappresentare Yuzo. Non doveva essere - visto che non lo è! - perfetto, super-bellissimo solo perché era il mio personaggio preferito. Sarebbe risultato poco credibile. Così, decisi che doveva avere un difetto. E questo difetto era il naso!XD Doveva essere esattamente... lungo con la gobbetta! *___* Mentre ero alla ricerca delle immagini dei personaggi, e sono incappata in Caviezel, sono rimasta tre ore a guardarmi il suo naso!XD Era, esattamente, come dicevo io! *_*Y


Credits vari:

- Le immagini utilizzate sono state reperite in internet.
- I Brushes 'arabesque' e 'swirl' che fanno da cornice a Yoko&Prof sono opera di
LuizaLenora e Yozakura.
- I Brushes a 'macchia di inchiostro' utilizzati in FVO Staff sono opera di IvyPhotography

Ho creato anche una locandina di questa storia, ma non vorrei anticiparvi nulla, quindi, aspetterò ancora un po’ prima di metterla on-line. ^^Y

Angolino del “Grazie, lettori, grazie!XD”:

- Eos: *.* grazie mille per i tuoi complimenti (sono un po' monotona con la formula di ringraziamento eh?!XD).
XD Sì! Taro è il tipico fratello maggiore rompiscatole alla: “Chi tocca mia sorella è destinato a crepare!” (il tutto detto con un sorriso molto candido!)  XD *___* ma io li trovo pucciosissimi i fratelloni così… sempre se non esagerano!XDD
*///* grazie per i complimenti a Yuzo e Yoko, è sempre motivo di giubilo sapere che riesco a far piacere i personaggi ai lettori! T___T grazie.

- Yeran85 (che mi ha scritto privatamente): *_______* grazie mille per averla letta e per avermi ricoperto di complimenti!XD Sei stata gentilissima!ç______ç E soprattutto è un gran sollievo sentire che le parti tecniche si capiscono lo stesso, anche per i non addetti! *_____*
In tutto ciò: tranquilla, la tragggggggedia è dietro l'angolo, soprattutto in fic come questa di stampo catastrofico!XD Se non ci fosse la traggggedia, che catastrofe sarebbe?!XD *hihihi*
I taiko e le ragazze in guanti arriveranno nei prossimi capitoli: ovvio che li ho inseriti!*___* sono superfashion!*_*
Io non saprò mai come ringraziarti per tutto l'aiuto che mi hai dato. Sei stata gentilissima e disponibilissima! ç_____ç grazie mille! *___* riceverai presto mailuzza più dettagliata!*_*Y


Ed anche per questo capitolo è tutto, vi auguro già delle buone vacanze (per chi partirà!) e vi rimando al prossimo capitolo! ^^/

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Huzi

- Capitolo 11 -

“E così ti ha accompagnato a casa!” squittì Saya con voce ultrasonica, costringendola ad allontanare la cornetta dall’orecchio, con un sorriso. “E bravo il nostro Dottor Stranamore!”.
“Già, chi l’avrebbe mai detto che mi sarei ritrovata a ringraziare dei topi per questo?!” scherzò Yoshiko, rotolandosi nel letto e rimanendo ad osservare il soffitto.
“A proposito! Ne sono spuntati altri?! Che schifo!”.
“No, per fortuna.” negò l’altra “Ma stanotte mi sembrava di sentirli rosicchiare… brrr! Poi ho capito che sono solo una fifona paranoica!”. Saya rise all’altro capo del telefono, arrotolando il filo tra le dita e continuando a mantenere un equilibrio precario, dondolando la sedia che si reggeva solamente su due piedi invece di quattro.
“Allora?! Di cosa avete parlato?! Che avete fatto?!”.
“Ma che vuoi che abbiamo fatto?! Ci siamo rintanati in un bar a fare chiacchiere…”.
“Ti ha parlato di lei?!” domandò l’amica, fremente dalla curiosità.
Yoshiko si mordicchiò il labbro inferiore, sospirando.“Non era il caso, Saya.”.
“Ma come?! Non vuoi sapere qualcosa di più?...”.
La ragazza sbuffò. “Certo che voglio… solo… non era il momento adatto. Tutto qua.” sarebbe stato troppo lungo tentare di spiegarle come l’espressione del Prof fosse totalmente cambiata solo per averla indirettamente chiamata in causa durante la loro conversazione.
“Mh…” l’altra mugugnò con un filo di delusione nella voce, prima di riprendere “…e di cosa avete parlato, allora?!”.
“Mah… del più e del meno. Di cosa facciamo nel tempo libero, di mia madre, di lui che è un figlio degenere!” ridacchiò, domandandosi se li avesse chiamati davvero i suoi genitori. Osservò l’orario sulla sveglietta a porcellino. Chissà… forse era ancora a pranzo da loro in quel momento.
“Brava!” esclamò Saya con soddisfazione “Continua a sondare il terreno: gli intellettuali adorano la donna che ascolta molto e fa poco shopping! Vedrai! In men che non si dica ti ritroverai Doc Holliday[1] spalmato ai tuoi piedi come una pelle d’orso! Cacciatrice d’uomini!”.
Yoshiko scoppiò a ridere, arrossendo. “Saya! Piantala! Sei veramente perfida! E, per tua norma e regola, io odio la caccia!” ma l’altra continuò a ridacchiare all’idea, poi si fermò, inarcando un sopracciglio.
“Ma… e tuo fratello?! Non dice niente di questa amicizia?”.
La ragazza si rigirò ancora, appoggiando il mento su una mano e dondolando i piedi all’aria. “No, veramente no. Perché? Avrebbe dovuto dire qualcosa?”.
“Oh, dai Yoko! Vuoi farmi credere che vi ha visto andare via insieme… e non ha battuto ciglio?! Insomma, la sua autorità è stata… scavalcata!”.
“Autorità?!” fece eco Yoshiko, strabuzzando gli occhi “Saya, lui è mio fratello, non mio padre!”.
“Appunto, tesoro! È tuo fratello maggiore, ci terrei a sottolineare! È nella sua natura essere geloso dell’indifesa sorellina, soprattutto in assenza del genitore! Mi sembra assurdo che lui ti dica ‘Andate e moltiplicatevi!’, ‘Love & Peace!’, ‘Vaya con Dios!’…”.
“Aspetta, aspetta! Fermati!” la interruppe lei, agitando una mano davanti a sé. “Ti ricordo che stiamo parlando di Taro! La persona più discreta sulla faccia della Terra! Lui non si permetterebbe mai di intromettersi nella mia vita privata, imponendomi chi io debba o meno frequentare! Se avesse una qualsiasi sorta di dubbio o remora, da normale fratello preoccupato, ne parlerebbe direttamente a me! Mi esporrebbe il suo punto di vista e mi darebbe dei consigli, ma la scelta spetterebbe sempre e solo alla sottoscritta!”.
Saya parve titubante. “Ne sei proprio sicura?” chiese infatti.
“Certo che sì!” fu la risposta decisa che ottenne e si limitò a tirare un profondo sospiro, sperando che l’amica avesse ragione.
“Va da sé, comunque…” riprese Yoshiko “…che per il momento non gli andrò certo vicino a dirgli che stravedo per il suo amico vulcanologo, eh!”.
“Questo è ovvio!” concordò Saya “Ma, tralasciando tuo fratello… quando rivedrai il Dott. Spock?!”.
La ragazza sospirò, affondando il viso nel letto. “Non ne ho la più pallida idea!” borbottò afflitta.
“Oh, dai! Non abbatterti! Ormai il ghiaccio l’avete rotto e telefonargli ancora non credo sarà più un problema per te, quindi, su col morale! Sono sicura che lo rivedrai prestissimo, sta’ tranquilla!”.
Yoshiko sorrise con affetto. “Grazie del conforto, Sa-chan! Sei una vera amica. Allora ti chiamo se ci sono novità, va bene?”.
“Perfetto, altrimenti ci vediamo direttamente domani sera…” e concluse in scherzoso tono insinuante “…e salutami il Dott. Slump!”.
“Non mancherò!” rispose a tono, chiudendo la comunicazione e rigirandosi nuovamente di schiena ad osservare il soffitto.
“Già…” mormorò con un sospiro “…telefonargli…” di certo non avrebbe potuto farlo subito, sarebbe stato troppo lampante l’interesse nei suoi confronti e Yoko tutto voleva tranne che essere invadente, visti soprattutto i sentimenti di Yuzo per l’ex-moglie.
Era inutile fingere: lui l’amava ancora e tanto anche… così tanto che, forse, non sarebbe riuscito ad amare nessun’altra e lei doveva smettere di illudersi e guardare in faccia la realtà. In fondo, accanto al Prof non era che una ragazzina, anche se lui non l’aveva mai trattata come tale, anzi. Ma forse era solo il suo modo di essere cortese e lei era una stupida.
Sospirò di nuovo, decidendo che fosse meglio lasciar passare qualche giorno, così Yuzo non avrebbe pensato che fosse un insettino ronzante e fastidioso e, socchiusi gli occhi, si ritrovò a sperare nelle parole di Saya, lasciando che le labbra si distendessero in un leggero sorriso.
Cominciò dopo qualche secondo.
I ninnoli e i vetri della finestra furono i primi a vibrare, emettendo uno scoordinato tintinnio che le fece spalancare gli occhi all’improvviso. Poi, fu il turno dei mobili, del letto sul crescendo del cozzare di cocci che presero a muoversi a causa delle vibrazioni.
Yoshiko si tirò subito a sedere, guardandosi attorno con espressione atterrita ed il respiro che cominciava a farsi sempre più pesante e veloce per la paura. Tra le mani, ancora la cornetta del cordless, che prese a stringere con forza.
Alcuni ninnoli caddero al suolo, infrangendo la tensione e strappandole delle grida spaventate, mentre si lanciava giù dal letto per rannicchiarsi sotto l’arcata della porta che divideva il soggiorno-cucina dalla sua stanza. Altri oggetti continuarono a cadere: libri, stoviglie, un vaso. Gli stipetti della credenza si aprivano e chiudevano; il tavolo e le sedie che tremavano. L’intero Studentato oscillò per una frazione di secondo.
Yoshiko nascose la testa tra le ginocchia, piangendo e continuandosi a ripetere le parole che Yuzo le aveva detto la sera del gala.
“Non devo farmi prendere dal panico… va tutto bene… adesso smette… adesso smette…”.

Il terzo piano dell’FVO era una stonata orchestra di voci che parlavano tutte assieme, tra loro o al telefono; dita che ticchettavano sulle tastiere dei computer alle varie scrivanie; stampanti e fax in funzione; cellulari ed interni che squillavano.
“Secondo me, non ricaveremo nient’altro da questi dati.” borbottò Toshi, cliccando sul mouse. Con l’altra mano si sorreggeva il viso con noia. “Figurati se Yuzo si è lasciato sfuggire qualcosa, puntiglioso com’è.”.
“Sì, lo so…” accordò Rick, senza distogliere lo sguardo dallo schermo “…ma una ricontrollata è sempre utile. Vediamo di accontentarci, in attesa di qualcosa di più preciso su cui lavorare.”.
“Ok…” ma il geochimico non ne sembrò particolarmente entusiasta.
Da quando il Vice Prefetto aveva lasciato l’FVO, Hideki non aveva messo mezzo naso fuori del suo ufficio. Chi c’era passato vicino aveva affermato di averlo sentito sbraitare con foga al telefono, probabilmente con i dirigenti del VRC. Nemmeno per la pausa pranzo si era fatto vedere: brutto, bruttissimo segno.
Rita si era dileguata subito dopo la riunione, rintanandosi nella stanza dei sismografi; mentre Hisui faceva il possibile, per quanto la sismica non fosse propriamente la sua materia, ma gli anni di gemellaggio tra la JMA e l’FVO gli avevano insegnato moltissimo.
Erano da poco passate le 14 quando Yuzo varcò la soglia degli uffici al terzo piano.
Appena il Prof vi mise piede, venne avvolto dalla familiare frenesia a cui era abituato, buttando subito un’occhiata a Ricardo.
“Novità?” disse, sostando presso la sua scrivania.
L’ispano-americano si girò ad osservarlo, abbozzando un sorriso. “No, per ora niente, ma dimmi: tua madre è sopravvissuta all’incontro?!”.
Lui rispose con una smorfia, senza dire altro e girandosi verso il geochimico. “E tu, Toshi?”.
Ma anche Sugihara scosse il capo, appoggiandosi alla spalliera della sedia. “Niente di niente…”.
Yuzo cercò di camuffare il suo disappunto, agitando una mano e pronto a dirigersi nel suo ufficio per controllare se Shiro gli avesse mandato i dati di cui aveva bisogno. “Continuate a cercare, va bene?”.
“Sissignore.” sospirò Toshi che fece per rimettersi al lavoro, quando vide vibrare il caffè nella sua tazza. Un attimo dopo, il tremore si era trasmesso a tutti gli oggetti che cominciarono a cozzare con violenza gli uni con gli altri, rovinando al suolo o rovesciandosi. I fogli si dispersero cadendo dalle mani di chi li trasportava e non era più riuscito a mantenersi in equilibrio, ritrovandosi a terra. Si levò qualche grido allarmato.
Yuzo si aggrappò alla scrivania di Rick per non cadere, guardando il caos attorno. Toshi si nascose sotto al tavolo per evitare che qualcosa gli cadesse in testa.
Il tutto durò alcuni secondi, poi, com’era arrivato, il treno d’onde si allontanò ed il palazzo dell’FVO smise lentamente di sussultare.
I suoi occupanti rimasero immobili per qualche istante, per valutare se lo sciame fosse singolo o avesse innescato qualche replica.
Lentamente il Prof lasciò piano la scrivania, recuperando una postura eretta e guardandosi intorno con circospezione e tutti i sensi in allerta.
“Questo era più forte di quello di due giorni fa…” disse a mezza voce, mentre gli altri presenti cominciarono a raccogliere gli oggetti sparsi al suolo, cercando di mettere un approssimativo ordine nel caos.
“Decisamente.” convenne Rick. La testa di Toshi fece capolino da sotto la scrivania.
“Wow!” mormorò estasiato “Credo che ora abbiamo finalmente qualcosa di nuovo su cui mettere le mani!”.
“A quanto pare.” sospirò Yuzo, portandosi la sigaretta alla bocca. “Ok, signori, conoscete la prassi: ipocentro, epicentro e magnitudo. Rick, chiama Rita e dille di portare tutti i dati, cominciamo a lavorarci subito.”.
In quel momento arrivò anche Hisui, quasi sull’orlo delle lacrime. “Voglio tornare a Tokyo!” si lamentò, alzando gli occhi al cielo. “Nankatsu non è più la mia oasi di pace!” e fece ridere gli altri membri della squadra.
Il Prof si mosse, dirigendosi all’ufficio di Hideki. “Datemi un minuto, faccio un salto dal burbero e poi vediamo se questo terremoto ha anche la sorpresa.” e mentre diceva questo, il cellulare prese a vibrare nella sua tasca.
“Attento ad Hideki!” lo avvisò Ricardo “Morde!”.
Yuzo rise. “E dove starebbe la novità?!” disse, rispondendo al telefono “Morisaki.”.
La voce dall’altra parte gli arrivò tremante e rotta dal pianto.
“…Yuzo…”.
Il Prof arrestò subito il suo incedere che non aveva ancora inforcato il corridoio stretto dove c’erano gli altri uffici. Il sorriso scomparso dalle sue labbra e la sensazione di preoccupazione sotto la pelle. Rapidamente si tolse la cicca dalla bocca.
“Yoshiko?!”.
“…scusami… ti ho disturbato…” sussurrò tra le lacrime, continuando a parlargli con la testa nascosta nelle ginocchia.
“No! Hai fatto benissimo invece!” la rassicurò, facendo immediatamente dietro-front e dirigendosi alle scale.
Toshi e Ricardo lo videro tornare sui suoi passi di gran carriera.
“Hai dimenticato qualco-… dove vai?!” borbottò l’ingegnere appena venne superato, ma il Prof lo liquidò con un gesto della mano e le labbra che mimavano un “Ci vediamo dopo” che lo fece sbottare ed allargare le braccia.
“Come sarebbe ‘ci vediamo dopo’?! E ci lasci nei casini?! Yuzo!” ma non ricevette nessun’altra attenzione, mentre lo vedeva varcare la soglia degli uffici e continuare a parlare al telefono.
Ricardo si volse incredulo verso Toshi. “Ma dove cavolo sta andando?!”.

“Stai bene?! Dove sei?” domandò il Prof, mentre scendeva rapidamente le scale dell’edificio.
“A casa… allo Studentato…”.
“La tua amica Saya non è lì con te?”.
“…no… è tornata dai genitori, per il fine settimana…”.
Yuzo arrivò al garage. Si guardò intorno per vedere se ci fossero stati dei crolli, ma sembrava tutto perfettamente in ordine.
“Ti sei fatta male?” domandò ancora, salendo sul Pick-up ed infilando rapidamente l’auricolare, prima di allacciare la cintura e mettere in moto.
“No… sono sotto l’arco della porta…” rannicchiata su sé stessa e tremante come una foglia.
Il vulcanologo sorrise, inforcando la via più breve per lo Studentato. “Perfetto! Sei stata bravissima.”.
Ma lei scosse il capo. “Non è vero… io… ho cercato di non farmi prendere dal panico… ed invece… non riesco a muovermi…”.
“E’ normale, sai?” cercò di rassicurarla “Ma ora stai tranquilla, va tutto bene, il terremoto è passato, non piangere…”.
“Lo so!” singhiozzò ancora “E’ solo che… non riesco proprio a smettere…”.
Yuzo sospirò, continuando a tenere d’occhio la strada e destreggiandosi nel traffico post-scossa che era un concerto di clacson, vigili che cercavano di smaltirlo in una qualche maniera e gente che restava col naso all’insù per controllare se i palazzi prendessero ad oscillare di nuovo.
Cercò di trovare un argomento con cui distrarla e farla calmare, mentre la sentiva ancora singhiozzare.
“Beh, sai io per cosa restavo paralizzato, quando ero piccolo?” le domandò ad un tratto, attirandosi la sua attenzione.
“…no…”.
“Le pallonate di Kojiro Hyuga!” affermò senza esitazione, mentre sentiva all’altro capo che i singhiozzi venivano intervallati da risatine.
“Davvero?”.
“Certo che sì! Ehi, ma… dico: non starai spudoratamente ridendo dei miei traumi infantili, vero?!” domandò in finto tono di rimprovero.
“No, no! Non sto ridendo!” disse Yoshiko, tentando di trattenersi ed asciugandosi gli occhi con la mano. “Le pallonate di Kojiro farebbero paura a chiunque.”.
“Non dirlo a me! Ero un bimbetto gracilino, mica robusto come Genzo! E facilmente impressionabile: pensa un po’ cosa mai avrei potuto fare contro quei missili! Il mio naso ancora se li ricorda!”.
E la ragazza scoppiò a ridere, mentre lui svoltava ad un incrocio che fece entrare il palazzone dello Studentato nel suo raggio visivo.
Anche Yuzo sorrise. “Ah! Ma lo vedi che stai ridendo di me?!”.
“No! Scusa! Scusami!” ma senza riuscire a fermarsi.
Lui continuò, posteggiando il rosso Dante nel primo spazio libero che riuscì a trovare.“A proposito, sono andato a pranzo dai miei: dici che sono ancora un figlio degenere?”.
“Davvero ci sei andato? E ti hanno fatto una montagna di feste?”.
“Sì, certo… e dopo una montagna di rimproveri!”.
“Beh, che ti aspettavi? Poverini, dovevano essere preoccupati.”.
Yuzo scese dal Pick-up, liberandosi dell’auricolare ed attraversando la strada. Rapidamente si fece spazio tra i giovani, usciti a causa del terremoto, ed entrò finalmente nell’edificio. “Ehi! Ma tu da che parte stai?” rimbeccò, salendo le scale.
“Dalla loro, è ovvio: figlio degenere!” e sorrise, sospirando poi profondamente, mentre restava con la schiena appoggiata all’arco della porta e le ginocchia ancora strette al petto, ma senza più tenerci la testa nascosta.
Accidenti come faceva a non volergli bene, a non legarsi di più a lui nonostante sapesse di non avere la minima possibilità? Era stato così carino a cercare di farla strare tranquilla che ora… tutti quei lambiccamenti ed ammonimenti che si era fatta, dicendosi di non illudersi, andavano tranquillamente a quel paese e le veniva quasi da piangere perché si sentiva davvero una stupida.
“Grazie…” disse a mezza voce “…sei stato davvero gentile e scusa se ti ho fatto perdere tempo… immagino che sarete tutti in fermento per questo nuovo terremoto…”.
“Non devi preoccuparti.” rispose subito il Prof, salendo gli scalini del palazzo, ma senza sapere esattamente dove andare “Tanto i dati non scappano dall’FVO, piuttosto… a che piano stai?”.
Yoshiko inarcò un sopracciglio. “Al secondo… appartamento N°159. Perché?”.
Il giovane tornò rapidamente sui suoi passi, visto che era quasi arrivato al terzo, e si infilò nel pianerottolo, leggendo le targhette numerate affisse alle porte.
“Yuzo, mi senti? Ma dove sei?” domandò nuovamente la sorella di Misaki, non avendo ricevuto risposta al quesito precedente, ma lui la ignorò ancora.
“Ce la fai ad alzarti?”.
“Cosa?! Al-alzarmi?...”.
Ed il Prof si fermò davanti al N°159 che recava un’altra targhetta, sotto quella del numero, con scritto: Yamaoka Y.
Sorrise “Sì, per venirmi ad aprire.” e diede tre colpetti sul legno dell’uscio che la fecero girare di scatto ad osservare in direzione dell’ingresso, mentre lui concludeva. “Sono davanti la porta.”.
Yoko rimase per qualche secondo in silenzio e con la bocca semiaperta.
“Se-sei qui fuori?!” chiese in conferma.
“Sì.”.
“Per… per tutto questo tempo che stavamo al telefono… tu… stavi venendo qui?”.
“Sì.” affermò ancora “Ma posso spiegarti anche dal vivo, se mi vieni ad aprire.”.
Yoshiko scivolò lungo la parete, alzandosi piano, e, nonostante lui gliel’avesse appena confermato, non poteva crederci che fosse proprio lì, che fosse venuto per lei.
Con passo traballante, per i postumi della paura dovuta al terremoto, si avvicinò lentamente alla porta, tenendo stretto il cordless, con il Prof che restava ancora all’altro capo del telefono. Afferrò la maniglia, facendo scattare il chiavistello ed aprendola piano. Lentamente, la figura di Yuzo fece capolino, sorridendole, accompagnato da quella sua aura protettiva e la cicca tra le dita che reggevano il cellulare.
Il Prof chiuse la comunicazione appena la vide comparire sull’uscio con gli occhi arrossati e l’espressione un po’ spaurita.
“Ciao.” disse “Ero venuto ad assicurarmi che stessi bene, te l’avevo detto che ti avrei raggiunta se ti fossi trovata in difficoltà, conoscendo anche la tua… ehm… particolare avversione per i terremoti.”.
Lei era frastornata. “Ma… e l’FVO?”.
Yuzo si grattò un sopracciglio. “Oh, sì… ecco… li ho piantati un attimo in asso, ma se la sanno cavare anche senza di me.” continuò a sorridere prima di aggiungere “Allora, stai bene?”.
Nel mezzo del caos, aveva lasciato tutto solo perché lei gli aveva telefonato… e si conoscevano da nemmeno due giorni.
No.
Non poteva crederci.
Yoshiko sentì nuovamente le lacrime affollarsi ai suoi occhi per la tensione accumulata e l’emozione che lui fosse davvero lì.
Il Prof era una persona speciale, e lei era felice che le loro strade si fossero incrociate, ed anche se non sarebbe stato per sempre, se lui apparteneva ad un’altra, lei era comunque felice di quell’attimo in cui avrebbe potuto godere della sua presenza. Il resto era irrilevante.
Con un gesto secco, Yoko spalancò definitivamente la porta, abbracciandolo e cominciando a piangere.
“Grazie… grazie per essere venuto…” disse tra le lacrime.
Yuzo sorrise, ricambiando la sua stretta e carezzandole i capelli.
“Ehi, va tutto bene…” le disse a mezza voce “…non hai motivo di piangere. Il terremoto è passato già da un po’ e poi non devi ringraziarmi, lo sai.”.
Lei annuì, restando al sicuro con il viso affondato nel suo maglione.
Il Prof aveva un buonissimo profumo ed un abbraccio rassicurante che riuscì a calmarla e farle rilassare i muscoli tesi e tremanti. E poi, aveva delle mani grandi, ma dal tocco delicato, mentre le scivolavano tra i capelli. In quel momento, Yoshiko pensò che sarebbe potuto venire giù anche il più grande terremoto di tutti i tempi e lei non avrebbe avuto nessuna paura fintantoché ci sarebbero state le sue braccia a proteggerla.
“Meglio ora?” si sentì domandare e Yoko abbandonò lentamente la sua stretta, asciugandosi gli occhi col dorso della mano.
“Sì, grazie…” poi sorrise “…solitamente non sono così frignona, scusami.”.
Ma lui scosse il capo. “Non devi fartene un problema e poi questa scossa è stata decisamente più forte delle precedenti. Se ti sei spaventata, ne avevi tutti i motivi.”.
“Non farmici pensare…” sospirò “All’improvviso ha cominciato a tremare tutto, gli oggetti che cadevano, cose che sbattevano… credo che questo sia stato il terremoto più forte che io abbia mai avvertito…” e lanciò un’occhiataccia all’interno dell’appartamento “…e dire che avevo appena finito di sistemare.”.
“Ah, ma avevi rassettato?!” rise Yuzo “Ed io che speravo di vedere il classico disordine universitario, che peccato!”.
“Spiritoso!” lo rimbeccò la ragazza, facendogli segno di accomodarsi e richiudendo poi la porta alle loro spalle.
“Molto carino.” disse il Prof guardandosi intorno ed aiutandola a raccogliere alcuni cocci “E molto più ordinato di come era il mio quando ero uno studente: ricordo che ogni angolo libero veniva immancabilmente occupato da un libro.”.
Yoko arricciò il naso. “Ehi! Vorresti dire che io sono poco studiosa?! Adesso ti faccio vedere!” e se lo agguantò per un braccio, tirandolo nella stanza da letto e mostrandogli una serie di scatoloni sparsi sopra all’armadio ed una libreria a muro che occupava la parete della porta “Ta-dan!”.
“Ah, però! Vedo che mi fai buona compagnia!” rise Yuzo, per poi inarcare un sopracciglio “Certo che quella mensola sulla porta… fa un po’ impressione.”.
“Sì, lo so. Ho pensato spesso di toglierla, ma non saprei dove mettere i libri ed ogni volta che c’è Taro, mi dimentico…”.
“Appena trovi loro un posto, dimmelo, te la smonto io: non sembra molto sicura.”.
Yoshiko si portò le mani ai fianchi, scrutandola con occhio critico. “Nemmeno a me, sai? Soprattutto con questi terremoti.” gli diede un colpetto sul braccio “Ok, sei assunto: omino del fai-da-te!” e tornò nel salotto-cucina per chiudere gli stipetti, che la scossa aveva aperto, e gettare gli ultimi cocci.
“Mi spiace di averti fatto lasciare il lavoro di fretta, adesso si arrabbieranno con te…”.
“Stai scherzando, vero?” rise il Prof “Al massimo, Ricardo tenterà di borbottare qualcosa, ma appena saprà che l’ho fatto per una giusta causa, ovvero damigella in pericolo, mi darà tutto il suo sostegno!”.
“Ricardo?” fece eco la ragazza con curiosità.
“E’ un membro della mia squadra.”.
“E sono tutti come te?”.
“Magari! Ti dico solo che io sono quello normale!” poi aggiunse “Ancora spaventata?”.
Lei sospirò, sedendosi su una delle sedie attorno al tavolo ed invitando Yuzo a fare altrettanto. “Un po’… il fatto è che io non sono abituata, soprattutto: non a così tante scosse di seguito. E non c’è nemmeno Saya, solitamente è lei quella che mantiene il sangue freddo tra le due in caso di terremoto.”.
“Quando rientrerà?”.
“Domani, in serata.” poggiò il viso in una mano “La cosa che più mi terrorizza è una scossa notturna, mentre dormo. Rischierei di sentirla solo quando è troppo tardi… o di non sentirla affatto. Ma non potrei chiedere a Taro di venire, lui è già fin troppo impegnato con la squadra e non voglio creargli problemi, ci pensa già nostra madre! Né potrei mettermi io in viaggio per andare ad Iwata: i mezzi saranno quantomeno fermi per le prossime ore, ed io dovrei comunque rientrare domani, visto che ho l’Università il lunedì.” sbuffò sonoramente, prima di sorridere “Vorrà dire che dormirò con la luce accesa!”.
Yuzo rimase a pensarci per qualche secondo, poi prese ad agitare la sigaretta spenta. “Preparati una borsa: dormi da me.”.
Gli occhi di Yoshiko si spalancarono a quella offerta, che sembrava più un ordine e che la fece avvampare all’ennesima potenza, impastando un “Come?!”.
“Non credo sia il caso che tu resti da sola. Almeno con me sei sicura che, se dovesse arrivare un terremoto notturno, verresti svegliata per tempo.”.
“Sicuro che non ti sia di impiccio?” non che fosse quello il vero problema della sua reticenza, solo che… oddio… nella stessa casa?! Stesso tetto?! Questo era molto di più di quello che le aveva augurato Saya!
“Affatto.” il Prof scosse il capo “Anzi, un po’ di compagnia non mi dispiace.”. La sua casa era sempre un concerto di silenzio e ricordi, magari un po’ di vita gli avrebbe permesso di pensare di meno e farsi meno male.
“O-ok…” accettò lei, cercando di mascherare l’emozione “…sono proprio curiosa di vedere se sei tanto casalingo come dici di essere!”.
Lui raccolse la sfida, battendo un colpo leggero sul legno del tavolo. “Ti stupirò!” disse alzandosi “Ma prima, facciamo che vieni con me.”.
Yoshiko inarcò un sopracciglio “E… e dove andiamo?!”.
Yuzo sorrise “Ti porto all’FVO.”


[1]DOC HOLLIDAY: era un famosissimo personaggio del Selvaggio West. Pistolero, dentista e giocatore d'azzardo. Vi consiglio di vedere il film "Sfida all'O.K. Corral" (1957, con Burt Lancaster, Kirk Douglas ed il mitico Lee Van Cleef!*_*) dove si parla di una famosa sparatoria cui parteciparono Doc ed i Fratelli Earp!


…E poi Bla, bla bla…

Dopo la pausa estiva, in cui ho mandato in vacanza sia “Elementia” che “Huzi”, riprendo a pieno regime la pubblicazione di entrambe.
Prima di passare a ringraziare chi ha recensito i capitoli precedenti, volevo ringraziare di cuore coloro che hanno apprezzato le One-shot che ho pubblicato durante il mese di Agosto. Non erano niente di speciale, ma sono contenta delle recensioni entusiaste che hanno ricevuto, quindi: grazie a voi! ^___^

Ma passiamo a questo capitolo: niente note astruse! XD Ci sto prendendo gusto a non metterle, buon per voi! XD
Capitolo piuttosto breve rispetto agli ultimi due, ma con alcuni spunti interessante per i prossimi, che preannunceranno il primo colpaccio del Capitolo 13. *ghgh* Sono subdola e non vi dico nient’altro! MUHAHAHAHAHAHAHAHAH! XD

Lavoretti al Photoshop:

- Memorie dal “Nevado del Ruiz, 2003” (molto trisssste!ç_ç)

Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:


- Scandros: *_________* grazie Scandros! Sono contenta che tu sia riuscita a leggerli tutti, ç___ç davvero! Ed ancora più contenta che la storia ed i personaggi ti stiano piacendo! *___*
Ci tenevo molto che mantenesse un filo di 'quotidianetà' e 'vita reale' in cui un po' tutti potessero ritrovare qualcosa di familiare.
Era davvero da molto che non mi cimentavo con personaggi femminili protagonisti, essendo ormai un'amante dello Yaoi, ma sono contenta di Yoshiko. Certo, credo che di ritrovarmi nel descrivere un personaggio maschile, però! XD Ma lei mi sta dando molte soddisfazioni, insieme a Saya e Rita. E la cosa non può che farmi piacere. :)
Ti ringrazio ancora tantissimo per le tue parole! Sei stata gentilissima!*__*

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Huzi

- Capitolo 12 -

Dopo essere rimasta alcuni secondi in silenzio, per rendersi conto che il Prof l’avrebbe portata in quello che era il centro nevralgico del suo mondo, Yoshiko era balzata in piedi come un grillo ed era sgattaiolata in camera, esclamando un’entusiasta “Farò in un attimo!”.
Velocemente si era liberata della sua tenuta da casa, infilando un pigiama ed un ricambio in una borsa che si caricò sulla spalla, tornando nel salotto-cucina dove Yuzo la stava aspettando, osservando alcune foto poste su una mensola. La maggior parte ritraevano lei e Taro.
Il vulcanologo sorrise, portandosi la cicca spenta alla bocca. Erano davvero affiatati, per quanto fossero fratellastri, e trovò che fosse davvero una cosa molto bella, ma, conoscendo Taro, non se ne stupì: il numero 11 non era una persona umanamente detestabile né era in grado di detestare qualcuno.
In quanto a Yoshiko, beh, per certi versi si somigliavano molto lei ed il fratello, quindi, sì: anche Yoko non era umanamente detestabile.
“Eccomi!” esclamò la giovane, comparendo armata di borsa e cominciando ad infilarsi il pesante cappotto. “Sono stata velocissima, vero?!” chiese, arrotolandosi la sciarpa multicolore.
“Un fulmine.” confermò il Prof, e lei sorrise.
“Sei fortunato, solitamente faccio aspettare una buona mezz’oretta quando devo prepararmi… Taro ne sa qualcosa.” e lasciarono l’appartamento, scendendo lungo gli scalini dello Studentato.
“Oh, allora è un vero onore!” scherzò Yuzo e lei abbassò lo sguardo, sentendosi un po’ in colpa.
“Era il minimo, visto tutto il tempo che ti ho fatto perdere…”.
“Di nuovo con questa storia? Guarda, dillo ancora ed io ti lascio qui in compagnia dei ratti rosicchianti ed i terremoti, eh!” minacciò, agitandole la sigaretta spenta sotto al naso, e lei si affrettò a scuotere il capo sorridendo.
“Oh, no! Per carità! Stanotte ho già avuto abbastanza incubi a proposito dei perfidi roditori! Mi hai convinta, non mi scuserò più, anzi, ti dirò: hai fatto solo metà del tuo dovere!” annuì con convinzione, portandosi le mani ai fianchi. “Va bene così?!”.
Lui rise, varcando la soglia del palazzone ed accendendo il rotolino di tabacco. “Perfetta!” accordò, attraversando insieme la strada. Lei si avvicinò al Pick-up, dandogli un affettuoso colpetto sul cofano.
“Ciao, ciao Dante!” lo salutò, andando al lato passeggero.
A quelle parole, Yuzo si bloccò all’improvviso, con la portiera mezz’aperta, puntando lo sguardo su Yoko. In quel momento, per un solo attimo, l’immagine di Aiko si sovrappose a quella della ragazza, bloccandogli il cuore per un istante. E non capì se fosse dolore, quello spillo di tempo che gli si conficcò nel petto, ma era qualcosa, forse sorpresa o nostalgia.
Sentendosi osservata, Yoshiko sorrise. “Non prendermi per matta: ma se so che una cosa ha un nome, poi non riesco più a trattarla come un semplice oggetto.” Ed alzò lo sguardo al cielo “Taro dice che è un comportamento quantomeno infantile, ma è più forte di me!”.
Il Prof si riscosse dal suo attimo di smarrimento, abbozzando un sorriso e scuotendo il capo. “No, non ti prendo per pazza. Lo faccio anche io...” - Lo faceva anche Aiko... -.
Yoshiko annuì soddisfatta. “Alla faccia di mio fratello! Così non può dirmi che sono infantile!” e salì sul rosso Pick-up, chiudendo la portiera dietro di sé.
Yuzo rimase qualche attimo ancora all’esterno. Sorrise, tirando una lunga boccata dalla sigaretta e poi scuotendo un’ultima volta il capo.
Non gli era mai capitata una cosa simile.
Non aveva mai rivisto Aiko nel viso di un’altra persona, ma forse… questo era il motivo per cui apprezzava così tanto la compagnia della sorella di Misaki: certe volte le ricordava sua moglie e questo lo faceva essere anche particolarmente protettivo nei suoi confronti.
“Va tutto bene?”.
La voce di Yoshiko lo raggiunse, strappandolo improvvisamente ai suoi pensieri.
“Sì, sì! Tutto ok!” confermò Yuzo, eclissandosi rapidamente all’interno di Dante.

Tatsuya Kishu restava immobile al centro del grande Stadio Ozora.
Le labbra serrate e tese, lo sguardo rigido e fermo che solo ogni tanto si spostava lungo il campo visivo.
La scossa lo aveva colto che era nel mezzo della sua organizzazione e stava spiegando alla sua assistente come ogni cosa si sarebbe dovuta disporre, per rendere l’evento perfetto.
Il palco sarebbe stato eretto lungo uno dei lati, così il Prefetto avrebbe avuto una visuale a 180° del pubblico che avrebbe occupato parte delle tribune ed il campo. Tutt’intorno, chioschi informativi dove avrebbero distribuito volantini con gli obiettivi politici, cibi e bevande per mettere a proprio agio i presenti e farli sentire coccolati. Qualche dibattito interessante prima del grande discorso ed un folkloristico spettacolo con i migliori suonatori di Taiko[1] della Prefettura.
Poi, quando ormai la folla sarebbe stata totalmente entusiasta ed attenta, sarebbe toccato al Prefetto chiudere la serata con il suo fervente discorso e, tra gli applausi del pubblico, l’elicottero avrebbe sganciato una pioggia di coriandoli con i colori del Giappone; per ultimi i fuochi artificiali.
Sì, sarebbe stato perfetto.
Ed era proprio mentre si compiaceva del suo lavoro ed ordinava con il solito, perentorio modo di fare, che la terra aveva tremato sotto i suoi piedi, quasi a beffarlo del modo ostico e superficiale con cui aveva trattato quelli dell’FVO.
Era caduto in ginocchio, non essendo più stato in grado di mantenersi in equilibrio, mentre la giovane assistente si era messa a piangere spaventata.
Tutt’intorno, il rumore cupo delle vibrazioni era stato amplificato dall’eco ricreata all’interno della struttura, facendogli trattenere il respiro per alcuni istanti. Gli era sembrato che il mondo avesse dovuto spaccarsi da un momento all’altro.
Poi, le vibrazioni erano scemate, venendo soppiantate dal frastuono dei clacson in lontananza e l’eco delle sirene. Gli uomini della scorta lo avevano raggiunto immediatamente, accertandosi delle sue condizioni e suggerendogli di tornare in albergo, ma lui aveva seccamente rifiutato, ordinando a tutti di lasciarlo da solo. Gli altri, seppur con reticenza, avevano obbedito.
“Vuoi sfidarmi, non è così?” sibilò tra i denti, rivolgendosi ad un interlocutore invisibile “Credi di essere più forte di me? Sappi che io sono Tatsuya Kishu, Madre Natura, e sono una persona terribilmente testarda. Vedremo chi la spunterà tra di noi.”.
Il cellulare prese a trillare animatamente nella tasca interna dell’elegante giacca. Lo estrasse con moto deciso, scorrendo il frontalino.
“Kishu.” Masticò con severità.
“Vice Prefetto, le tipografie hanno consegnato il primo blocco di volantini.”.
“Perfetto e per quanto riguarda le hostess di terra?”.
“L’agenzia a cui ci siamo rivolti ci ha fornito una trentina di ragazze...”.
“Mi raccomando: tailleur blu, camicia bianca e foulard rosso. Cappotto e guanti bianchi e non dimenticate le fasce.”.
“Sì, signor Kishu.” accordò ancora la signorina all’altro capo “E’ quasi terminato anche l’allestimento dei due carri che sfileranno per la città. Domani saranno perfettamente operativi.”.
“Ottimo lavoro.” sorrise con soddisfazione “Avvisatemi per ulteriori novità.”.
“Sì, signore. Buona giornata.” ed entrambi troncarono la comunicazione.
Tatsuya rivolse un’ultima occhiata di superiorità alla terra sotto i suoi piedi. “Tutto si risolverà in un buco nell’acqua.” ricordò in un mormorio, cominciando ad allontanarsi in direzione dell’uscita, ma non seppe dire se quella frase fosse soprattutto un tentativo di rassicurare sé stesso.

“A proposito di Taro!” esclamò Yoshiko appena il Prof mise in moto dirigendosi all’FVO. “Meglio che lo avverta! Se venisse a sapere del terremoto per vie traverse, sarebbe capace di venire qui da Iwata!” e scosse il capo, frugando nella borsa alla ricerca del cellulare.
“Beh, lo fa perché si preoccupa per te.” lo giustificò Yuzo.
“Sì, sì. Lo so. Sono molto fortunata. In fondo, siamo solo fratellastri, non dovrebbe essere necessariamente affettuoso, considerando il fatto che la mamma lo ha snobbato per pensare a me, però... sono contenta che lo sia!” sorridendo con aria da furbetta e recuperando il telefono.
Cercò rapidamente il numero nella rubrica ed inoltrò la chiamata. Squillò libero un paio di volte, poi una voce rispose con una vena di preoccupazione “Stavo per chiamarti!”.
Yoko inarcò un sopracciglio “L’hai già saputo, eh?”.
“Appena adesso, ho provato a rintracciarti a casa, ma non rispondevi. Dove sei? Stai bene?”.
Lei sorrise, suo fratello era a dir poco adorabile. “Sì, tutto ok, non mi sono fatta nulla.” a quelle parole lo sentì tirare un respiro sollevato e smorzare i toni preoccupati. “Ero a casa al momento della scossa e mi sono nascosta sotto l’arco della porta.”.
“Ottimo.” accordò Taro “E come è andata con le tue crisi di panico? Hai fatto impazzire Saya come al solito?”.
Lei lanciò una rapida occhiata a Yuzo, borbottando un “Ecco... no... veramente Saya è tornata dai suoi per il week-end, ieri...”.
“Ah, sì?” suo fratello sembrava quantomeno confuso “E come hai fatto? Ma dove sei?”.
“Ehm... ecco...” sorrise “...sono col Prof!”.
“Sei... cosa?!” fece eco in un tono che Yoshiko non riuscì a definire, mentre il vulcanologo esclamò, sentendosi tirato in causa.
“Ciao, Taro!”.
“Sentito?” domandò Yoko, ma il fratello la ignorò.
“Che ci fai con Yuzo?!”.
“Beh, visto che Saya non c’era...” - L’ho chiamato in lacrime chiedendogli aiuto... - “...è venuto ad accertarsi che io stessi bene.” ed il Prof fece cenno di passargli il telefono.
“Aspetta, ti vuole parlare.” disse, accostandogli il cellulare all’orecchio, mentre Taro era rimasto in un misto di perplessità e tanti campanelli che rumoreggiavano nella sua testa.
“Ciao, Taro!”.
“Ah, ciao...”.
“Non preoccuparti per tua sorella, sta con me, non le succederà niente.”.
“Sì, ma... la scossa, cosa...” Misaki era stato preso troppo alla sprovvista e non riusciva ad articolare nemmeno una frase.
“Non era molto forte, ma più intensa della precedente. Adesso che arriveremo all’osservatorio comincerò a lavorarci.” spiegò il vulcanologo e lui aggrottò le sopracciglia.
“Porti Yoko all’FVO?”.
Yuzo sorrise. “Sì, magari stando a contatto con il mondo che li studia, tua sorella comincerà a conoscere di più i terremoti e temerli di meno.” e lei gli fece una smorfia, mentre il Prof continuava “Ad ogni modo, c’è ancora una cosa: visto che Yoshiko dovrebbe restare da sola in Studentato, è un problema se resta da me per questa notte?” e per poco a Taro non venne un infarto a quelle parole. “Lei aveva anche avanzato l’ipotesi di venire ad Iwata da te, ma qui già il traffico è tremendo...” ed un clacson strombazzò proprio in quel momento, confermando le sue parole “...appunto. E poi sarebbe poco consigliabile muoversi in treno almeno per le prossime 24h. Quindi, se per te non è un problema, può tranquillamente restare da me.”.
Il campione dello Jubilo Iwata non rispose subito, mentre l’assurda ipotesi avanzata la sera prima e scartata immediatamente adesso tornava con prepotenza a farsi spazio nella sua mente, trovando tante di quelle conferme che avrebbe avuto solo l’imbarazzo della scelta.
“Taro, sei ancora lì?” non ricevendo risposta, Yuzo richiamò la sua attenzione, mentre Yoko mormorò un “Forse ci sono accavallamenti di linea.” che fece annuire il Prof.
“Sì... sì, ci sono... se... se non crea disturbo a te, per me...” se ne sarebbe pentito, lo sapeva, era un errore “...per me va bene. Almeno non sarà da sola se dovesse arrivare un’altra scossa...”.
“Esatto, era quello che pensavo anche io. Ok, allora sta’ pure tranquillo, ci sentiamo.”.
“Sì... certo...”.
Yoshiko si riappropriò del telefono. “Ehi, fratellone, non è che avvertiresti tu la mamma?” miagolò in tono affettuoso “Non ho proprio voglia di sentire un ennesimo discorso dei suoi. Ti prego!”.
“Va bene...” accordò, abbozzando il sorriso più falso del mondo “...ci penso io e tu non dare troppi fastidi a Yuzo, ricorda che deve lavorare.”.
“Sì, Taro! Per chi mi prendi?!” lo rimproverò con piglio offeso: come al solito, suo fratello la trattava come una bimbetta seccante. “Ciao, ci sentiamo domani, ti voglio bene!”.
“Anch’io...” e chiuse la comunicazione, restando a guardare il cellulare in silenzio per un lungo istante, mentre Azumi, che aveva assistito all’intera telefonata, aveva nettamente notato il suo improvviso cambiamento.
“Che ha detto Yoshiko, tesoro? Come sta?” si azzardò a chiedere, e lui annuì in maniera meccanica senza muovere lo sguardo dal telefono.
“Sta bene...”.
“Taro... che succede?” lo conosceva da una vita, Azumi, e quell’espressione non gli piaceva affatto.
L’altro scosse il capo “Io... io credo... che Yoko abbia un debole per il Prof.”.
La ragazza esibì un sorriso entusiasta, battendo le mani davanti a sé “Ma davvero?! Che cosa carina!”.
“Affatto.” sbottò Taro, fulminandola con uno sguardo che solo raramente gli aveva visto, ma che sapeva non preannunciare niente di buono. “Non è per niente una cosa carina.”. Lasciò la stanza con passo deciso, mentre Azumi assunse un’espressione preoccupata.
“Ohi... ohi...”.

Parcheggiarono Dante nel garage sotterraneo dell’FVO.
Quando Yuzo le aveva indicato il palazzone dell’osservatorio, Yoko lo aveva osservato attentamente con un largo sorriso pieno di curiosità, per poi esclamare. “Me lo aspettavo più moderno come architettura!”.
Lui aveva riso. “Moderno?! Spiacente di deluderti, ma è un normalissimo palazzo. Però l’interno è...” ed aveva assunto un’espressione piuttosto indecifrabile, senza terminare la frase. Che avrebbe dovuto dire?! Caotico?! Iperattivo?! Invivibile?!
Yoshiko aveva agitato un dito nella sua direzione. “Comincio a preoccuparmi, sai?” ed erano entrati nel garage.
La sorella di Misaki scese, guardandosi intorno. “Quante macchine. Siete in molti a lavorare qui?”.
“Abbastanza, sono comunque cinque piani tra laboratori ed uffici.” spiegò il Prof.
“Accidenti!” e ne era rimasta davvero colpita. C’era così tanta gente a vegliare sulla loro incolumità, che si sentì molto più tranquilla. Senza contare che Yuzo era tra questi Santi Protettori e la cosa la faceva sentire in una botte di ferro: finché ci sarebbe stato lui, non le sarebbe successo nulla di male, ne era convinta.
Salirono rapidamente le scale, arrivando al piano terra dove la guardia restava compostamente seduta dietro la sua scrivania. Come li vide arrivare, si alzò in piedi togliendo il cappello.
“Bentornato, Professore. C’è stata un bella scossa, eh?”.
L ’altro sorrise, avvicinandosi al bancone. “Sì, davvero niente male, Shiguro.”.
Ma tu pensa! Parlavano di terremoti come fossero stati il più gran divertimento del secolo! Si ritrovò a pensare Yoshiko, inarcando un sopracciglio.
“E scommetto che, prima, è scappato a prendere la sua cuginetta!”.
- LA CUGINETTA?! - pensò la giovane, riducendo gli occhi a dure fessurine strette strette. Ma... sembrava così piccola accanto a Yuzo?! Gli lanciò un’occhiata di semi-disperazione, mente lui si stava letteralmente ammazzando dalle risate - Carogna! -.
“No, non è mia cugina.” spiegò il vulcanologo “Lei è Yoshiko, la sorella di un mio amico ed è terrorizzata dai terremoti.”.
La guardia le fece un inchino di saluto. “Benvenuta all’FVO, signorina. E non ti preoccupare...” le disse, avvicinandosi con fare complice “...qui ci sono i migliori del campo. Sei al sicuro!”.
“Grazie.” ringhiò lei in un sorriso, sforzandosi di essere il più gentile possibile - Un’altra parola e lo strangolo! -.
“Vi do subito un pass per ospiti.” affermò l’uomo, cavando un cartellino dal cassetto che le appuntò sul bavero del cappotto. “Ecco fatto! Spero troverai interessante la visita all’FVO, così potrai raccontarla ai tuoi compagni di scuola!” augurò, dandole un affettuoso pizzicotto.
Yoshiko divenne di un colore prossimo al fucsia, mentre l’altro le sorrideva totalmente convinto che fosse una bimbetta. Avrebbe dovuto consolarsi nel sapere che si portava bene la sua età, eppure il pensiero dominante fu un istinto omicida.
“Certo.” ringhiò di nuovo, camuffandolo dietro un sorriso e seguendo uno Yuzo che cercava di trattenersi in tutti i modi possibili per non scoppiare a ridere. Lei pensò che fosse un maledetto infame!
Come superarono la prima rampa di scale, esclamò. “Carogna, se devi ridere, fallo. Non voglio mica che muori soffocato!”. Lui non se lo fece ripetere, esplodendo in una fragorosa risata, mentre lei incrociò le braccia al petto, scoccandogli un’occhiata torva. “Certo che avresti anche potuto dirgli qualcosa, eh!”.
“E perdermi la tua espressione?! Assolutamente no!”.
Yoko gli mollò uno schiaffo sul braccio. “Antipatico!” prima di sbuffare e mettere il broncio “Ma sembro davvero una bambina?”.
Yuzo la osservò con un sorriso, indicandole il suo abbigliamento che la faceva sembrare una novella Pippi Calzelunghe: sciarpone e guanti multicolore, cappotto corto e jeans al ginocchio sotto ai quali spuntavano degli sgargianti calzettoni arancio di lana per proteggersi dal freddo invernale ed anfibi coperti da scaldamuscoli.
Yoshiko rimase a guardarsi i vestiti, inarcando un sopracciglio. “Va bene, ho capito!” borbottò, riprendendo a salire le scale “Mi piacciono le cose colorate e allora?! Uffa!” e l’altro continuava a ridacchiare della sua espressione.
“Siamo arrivati.” le disse ad un tratto appena arrivarono al pianerottolo del terzo piano. La ragazza poteva già vedere, dai vetri smerigliati, sagome indistinte di figure in continuo movimento, senza contare il brusio sommesso. Finalmente stava per vedere da vicino il mondo a cui il Prof apparteneva e ne era terribilmente emozionata. Un altro piccolo passo per arrivare a conoscere quanto più possibile di lui e la sua vita e poi... quella sera avrebbe visto anche la sua casa. Se l’era domandato a lungo: chissà se lui aveva ancora foto della sua ex. Beh, se era così masochista da portarsi in giro entrambe le fedi, conservare una fotografia non avrebbe dovuto fargli né caldo né freddo e lei... sperava tanto di vederne una. Moriva letteralmente dalla curiosità. Almeno questa famosa ‘Aiko’ avrebbe avuto finalmente un viso nella sua mente al posto di un punto interrogativo.
“Pronta per vedere dove passo la maggior parte del mio tempo?” le domandò Yuzo, attirando la sua attenzione.
“Prontissima!” rispose subito, mettendosi scherzosamente sull'attenti. Lui annuì, afferrando la maniglia, ma si fermò.
“Te l’ho detto, vero, che io sono quello normale?!”.
“Sì, sta’ tranquillo Prof, mi hai già avvisata.” rise Yoshiko e lui annuì di nuovo.
“Bene. Sai, per sicurezza...”.
“Ora non esagerare. Li stai dipingendo come dei mentecatti!”.
“Mh... quasi!”.
Lei gli diede un colpetto sul braccio. “Forza, forza! Ho le spalle larghe, che credi?! Non mi scandalizzo mica!”.
“Ok...” accordò infine “A tuo rischio.” ed aprì la porta degli uffici.
Yoshiko venne letteralmente investita da un via vai di persone che andavano da una scrivania all’altra, gente che raccoglieva gli oggetti caduti a causa della scossa, telefoni che squillavano in sincrono e tutti che parlavano in coro; chi urlava con persone che si trovavano dalla parte opposta della stanza e chi cercava di farsi sentire con coloro all’altro capo del telefono; orchestra di computer in funzione.
“Oh... Dio...” borbottò la ragazza, varcando la soglia.
“Baraonda, eh?”.
“Eh...” convenne, mentre lui le poggiò una mano sulla spalla, attirando il suo sguardo.
“Benvenuta all’FVO.” disse con un sorriso “Vieni, ti presento... i mentecatti!” e cominciò ad avviarsi, zig-zagando tra i presenti super-indaffarati, con lei che lo seguì prontamente, liberandosi della sciarpa.
Ricardo e Toshi stavano discutendo in attesa che lui si fosse degnato di tornare, trovandoli esattamente dove li aveva lasciati: accanto alla scrivania del geochimico.
Appena l’ingegnere lo vide, assunse un piglio arrabbiato, caricando nella sua direzione come un bisonte con la luna storta ed alzandosi le maniche con fare minaccioso.
“Eccoti qua!” esclamò appena fu abbastanza vicino “Maledizione, Yuzo! Ci hai piantati in as-... sssalve!” e l’espressione furente scomparve subito quando inquadrò la figura di Yoshiko. Con nonchalance superò il Prof, dandogli un colpo con un fianco per allontanarlo dalla traiettoria della ragazza sconosciuta, e le prese una mano con un sorriso a trentadue denti.
“Noi non ci conosciamo, vero?!”.
“Prof! Ci hai portato una graziosa ospite?!” accordò Toshi, affiancandosi all’ispano-americano, mentre Yuzo tirò un profondo sospiro, scuotendo il capo.
“Lei è la sorella di Taro Misaki e voi cercate di fare poco gli imbecilli.”.
“Imbecilli?!” fece eco Ricardo fintamente offeso. “Noi?! Sia mai!” poi tornò a rivolgere le sue attenzioni alla ragazza che li guardava con espressione tra il perplesso ed il sorpreso. “Io sono Rick e lui e Toshi, ovvero il braccio destro e quello sinistro di Yuzo!”.
“Di sinistro e destro, qua vedo solo due coglioni!” esclamò una terza voce alle spalle di Yoshiko che si volse, notando una ragazza dai ricci capelli color carota ed i tratti occidentali.
Ricardo storse il naso, portandosi le mani ai fianchi. “Rita, sei davvero Mastro Finezza, lo sai?!” borbottò contrariato.
“Scusate, ma ve ll’ata chiammata![2]” rispose la nuova arrivata in una lingua della quale Yoko non capì un accidenti.
“Aspetta!” intervenne Toshi “Ma se noi siamo i coglioni, Hisui cos’è?!”.
La sismologa incrociò le braccia al petto. “Secondo te? T’aggia fa’ nu risegn?![3]”
Con il solito passo ciondolante e trascinandosi a mo’ di relitto, arrivò anche il meteorologo della JMA borbottando un “Chi mi nomina?” con il classico tono lamentoso, la mascherina e la mano a reggersi il fianco.
“E adesso siamo al completo.” sospirò Yuzo, attirandosi l’attenzione di Yoshiko “Loro sono la mia squadra. Rick e Toshi si sono già auto-presentati, mentre lei è Margherita...”.
“Puoi chiamarmi solo Rita, cara.”.
“...e l’altro è Hisui.” poi si rivolse al gruppo “Ragazzi, lei è Yoshiko e avrei voluto chiedervi di non farvi riconoscere, ma mi avete battuto sul tempo.”.
“Piacere di fare la vostra conoscenza.” esclamò la giovane con entusiasmo, facendo un inchino.
“Ma il piacere è tutto nostro!” rispose Ricardo con eccessiva verve e lanciando poi un’occhiata ironica in direzione del Prof. “Senti un po’, Superman, era con lei che parlavi quando ci hai mollato nel mezzo dell’emergenza?”.
“Sì, sono andato a prenderla perché Yoshiko ha paura dei terremoti.” rispose l'interpellato, muovendosi in direzione del suo ufficio, con l’altro che cinguettò.
“Oh! Mio eroe!”.
“Che uomo d’oro!” diede manforte Toshi.
“Se la smettete di fare i deficienti, magari potremmo metterci al lavoro sull’ultimo sisma, mh.” ed aprì la porta della stanza, facendo segno di entrare e lanciando, sia al geochimico che all’ingegnere, delle occhiate abbastanza eloquenti a riguardo.
“Ok, ho afferrato il concetto... Superman!” bisbigliò Rick, strizzandogli l’occhio.
“Non una parola di più!” gli ringhiò Yuzo di rimando con un sorriso, poi sospirò in direzione di Yoshiko. “Te l’avevo detto di essere io l’unico normale!” ripeté, facendola sorridere ed entrando con lei all’interno dell’ufficio. Lentamente, richiuse la porta alle loro spalle.

- Certo che gli amici del Prof sono assurdi! - si ritrovò a pensare Yoko dopo che ebbero passato le prime due ore di quella riunione a farle praticamente il terzo grado. Non aveva minimamente immaginato che potessero essere le versioni maschili di Eri, Sumie e Fuyuko!
“Da quant’è che vi conoscete?!”.
“Accidenti, solo due giorni!”.
“Ehi, Yuzo! E ci tenevi nascosta una ragazza così carina?!”.
“Senti, non è che hai qualche altro amico con sorella graziosa e single? Sai, non vorrei morire zitello!”.
“Rick, non è ancora nata una donna che abbia lo stomaco per sopportarti!”.
Smorfie, battute e rimbeccate!
Sì, Yuzo aveva ragione nel dire che lui era quello normale!
Differentemente dai colleghi, il vulcanologo era rimasto per tutto il tempo con lo sguardo fermo ai sismogrammi che gli aveva portato Rita, confrontandoli con gli altri dati pervenuti, e l’espressione concentrata e meditabonda lo rendeva ancora più affascinante agli occhi della ragazza che aveva sorriso nel vederlo così serio. Con lo sguardo ai tracciati a lei incomprensibili, le dita che rigiravano la sigaretta spenta e le labbra strette veniva fuori quell’aura di maturità che agli amici di Taro un po’ mancava. Loro erano rimasti degli eterni ragazzini sempre pronti a far baldoria e correre dietro ad un pallone, mentre il Prof... il pallone se l’era lasciato alle spalle molti anni prima. E forse era per il lavoro che faceva che non si sbottonava mai del tutto, tranne in rare occasioni... o forse... sì, forse era anche colpa della fantomatica ex-moglie.
Aiko.
Yoshiko aveva notato che non c’erano sue foto nell’ufficio, ma solo una quantità spropositata di mappe e cartine, alcune appese alle pareti, altre ancora arrotolate nei tubi protettivi. La laurea era appesa alle spalle della poltrona su cui Yuzo era seduto, poster dei più bei vulcani del mondo  e... uno spazio vuoto dove prima doveva esserci stata una cornice. Se ne vedeva ancora il segno, la parete più chiara rispetto a quella circostante. Chissà qual era l’immagine che aveva occupato quel posto. Forse era proprio una foto che ritraeva lei... magari che ritraeva entrambi, insieme.
Oddio! Era terribilmente curiosa e stava diventando peggio di Saya, il che non era proprio una cosa positiva.
“Quando avete finito di fare salotto...” aveva esclamato il Prof ad un tratto “...potremmo cominciare a fare quello per cui siamo pagati. Che ne dite?” e li stava bellamente prendendo in giro.
“Signorsì!” aveva accordato Rick ed ora stavano finalmente lavorando.
“Il burbero non si è proprio fatto vedere?” domandò Yuzo, rilassandosi contro lo schienale della poltrona.
Toshi scosse il capo. “Nemmeno durante l’emergenza ha messo il naso fuori dallo studio.”.
“Chi è ‘il burbero’?” chiese Yoshiko con curiosità e fu Rita a rispondere.
“Il capo della baracca, mia cara: uomo dotato di cultura ed esperienza, ma soprattutto di un pessimo carattere!”.
“Secondo me starà ancora litigando con quelli del VRC!” sbuffò Hisui.
“E Kishu? Si è fatto sentire?” domandò ancora il Prof, ma Rick scosse il capo.
“Nemmeno uno squillo.” che gli strappò un gesto di stizza, facendogli lanciare la sigaretta sulla scrivania.
“Che imbecille!” ringhiò “Lui pensa al suo maledetto comizio, mentre la situazione continua a peggiorare: l’epicentro è migrato ancora e, visto che non ci troviamo lungo un margine di placca, la cosa non mi piace per niente!”.
Rita incrociò le braccia al petto. “Già, sembra quasi che si stiano spostando dalla costa all’entroterra... ma la placca Nord Americana è ancora distante rispetto all’ultimo epicentro.”.
“E se fosse legato alla teoria di quelli dell’ERI?” ipotizzò Hisui, ma Yuzo sbuffò.
“Lo escludo. Avrei capito se i fenomeni si fossero localizzati orizzontalmente lungo un margine, ma si sono disposti secondo un asse verticale e non ci sono né margini né faglie nei paraggi a cui possono essere riconducibili. Inoltre, l’inizio dell’attività sismica anomala risale ad alcune settimane fa, a quasi tre anni dalla tragedia di Sumatra, ed in quel lasso di tempo non c’è stata alcuna avvisaglia che possa in qualche modo avvicinare i due eventi, quindi, la teoria dell’ERI finisce definitivamente nel libro delle favole, dove è giusto che stia.”.
Toshi cambiò nervosamente la sua posizione sulla sedia “Quante possono essere le probabilità che una migrazione di epicentri sia riconducibile ad un evento tettonico, nonostante questi siano disposti lontano da un margine o una faglia?”.
“Relativamente poche...” rispose Rick.
“E se non è un fenomeno tettonico...” intervenne nuovamente Hisui “...allora che diavolo è?!”.
Il silenzio che seguì quelle parole riuscì a mettere ansia anche a Yoshiko, che era riuscita a capire sì e no un terzo di quello che avevano detto, ma se prima era rimasta impressionata dalle loro teorie che, per quello che aveva compreso, non presagivano nulla di buono, ora era letteralmente terrorizzata dal loro improvviso mutismo.
Si soffermò sul viso di Yuzo e gli sembrò che fosse preoccupato e se la situazione stava cominciando ad impensierirlo allora doveva stare accadendo qualcosa di grave.
“Non abbiamo prove sufficienti per ipotizzare che l’evento sia vulcanico.” decretò il Prof “La migrazione di epicentri, da sola, non basta. Quindi per il momento accantoniamo questa eventualità e continuiamo la strada del tettonico.”.
Rita si strinse nelle spalle “Forse una faglia in neo-formazione? Hai detto che l’inizio delle attività è da collocarsi verso Shimizu City, magari c’è stato qualche altro evento antecedente nei pressi della Depressione di Nankai...”.
Yuzo annuì lentamente. “Sì, probabile. Purtroppo i dati di monitoraggio erano incompleti...” controllò rapidamente la posta elettronica sul computer “...e quelli di Shiro non sono ancora arrivati.” concluse, tirando un profondo sospiro.
“E allora?” domandò Toshi “Che facciamo?”.
“Ah, non saprei... magari potremmo aspettare che la soluzione ci piova in testa!” propose il Prof con ironia “Chissà che non siamo fortunati!”.
“No, signori, ve lo dico io cosa facciamo!” esclamò Rick “Adesso andiamo tutti da un amico mio che vende la Marjuana più buona di Nankatsu! Ci rolliamo un bel cannone, ce lo fumiamo e avremo la soluzione a tutti i misteri di questo mondo, compreso quello di Fatima!”.
Yuzo gli lanciò uno dei tubi che aveva accanto alla scrivania, centrandolo in pieno. “Taci.” lo ammonì, mentre gli altri, compresa Yoshiko, scoppiarono a ridere. Il Prof si rivolse proprio alla sorella di Misaki, con un sorriso. “Ti stiamo spaventando con i nostri discorsi?” ma lei scosse il capo.
“A dire il vero, non ho capito quasi niente di quello che avete detto!”.
“Tranquilla, ci penso io a farti un rapido e semplice riassunto della nostra discussione, ovvero: non abbiamo la più pallida idea di quello che sta succedendo!” e forse, Ricardo, questa volta non aveva tutti i torti.

La giornata trascorse in un interessante giro turistico.
La squadra di Yuzo sequestrò letteralmente Yoshiko, facendole fare un’accurata visita di tutto l’FVO, laboratori compresi. Rita le spiegò il funzionamento dei sismografi, portandola nella stanza piena degli ingombranti apparecchi e dei computer che in automatico registravano i tracciati delle scosse al loro arrivo. Toshi, invece, le fece vedere uno dei laboratori di geochimica pieno di alambicchi e macchine per gli usi più strani. Intanto, Yuzo era andato a parlare con Hideki per fargli un resoconto delle loro ultime scoperte ed ipotesi, ma quando uscì dal suo ufficio sospirò profondamente, percorrendo a ritroso il corridoio a passo lento e la sigaretta spenta tra le labbra.
“Allora? Morde?” gli domandò Rita, comparendo da uno degli uffici laterali e camminando accanto a lui.
Yuzo si strinse nelle spalle. “E’ furente. Ha detto di non essere riuscito a smuovere quelli del VRC dalle loro posizioni e gli hanno ribadito di mantenere il massimo riserbo e di tenere Kishu al corrente di tutto.”.
“E riguardo al Vice Prefetto?”.
Una smorfia di disappunto incurvò le labbra del Prof. “Ha detto che avrebbe provato a chiamarlo, visto che non si è minimamente degnato di farsi sentire.” scosse il capo “Quel pallone gonfiato la sta prendendo troppo sottogamba.”.
“Già.”.
“Infine...” concluse Yuzo “...all’ERI sono sempre più convinti che si tratti di un acceleramento tettonico, ed io ho il bisogno impellente di un caffé o credo che non riuscirò a sopportare qualche altra stronzata.”.
Rita rise, mentre sbucarono insieme nella stanza comune.
Il Prof adocchiò Yoshiko accerchiata da Rick, Toshi ed Hisui che le stavano raccontando i mille aneddoti dei loro viaggi all’estero, gesticolando animatamente e facendola ridere di gusto.
“La stanno riempiendo di chiacchiere, poverina.” sorrise Yuzo.
“Beh, sembra che si stia divertendo.” constatò la sismologa, incrociando le braccia e distendendo le labbra in un sorriso furbo.
“Le faranno venire un’emicrania, meno male che a casa ho una scorta di aspirine.”.
“Ah!” sbottò con malizioso stupore “La porti da te?!”.
Ma lui si affrettò immediatamente a scuotere il capo, mettendosi sulla difensiva. “No, no, no! Non fraintendere, Rita! Questa sera dormirà da me solo perché altrimenti rimarrebbe da sola e, sapendo che ha la fobia dei terremoti, è più sicuro se resta in compagnia!”.
“Ah, davvero?”.
“Davvero!” rimarcò con decisione.
Seguirono un paio di secondi di silenzio.
“Però devi ammettere che è davvero molto carina.”.
Yuzo alzò gli occhi al cielo. “Mai detto il contrario. Comunque, che c’entra?!”.
“No, niente.” la sismologa si strinse nelle spalle “Era solo una constatazione...”.
“Margherita Fusco abbi pietà! Non sono nemmeno rientrato che già due volte in due giorni mi sono sentito dire, prima da Hiroshi e poi da mio padre, che dovrei risposarmi! Non ti ci mettere anche tu...”.
Lei lo guardò con affetto, addolcendo il tono. “Yuzo, sono passati quattro anni dalla morte di Aiko. È vero, non sono tanti, ma nemmeno pochi ed in tutto questo tempo nessuno di noi si è mai permesso di suggerirti di rifarti una vita; volevamo bene ad Aiko, ma non credere che non l’abbiamo pensato.” lo prese sottobraccio “Non si vive di soli ricordi.”.
Il Prof sospirò con sorriso. “Saggezza campana?”.
Rita smosse la chioma color carota con un gesto vanesio. “Simm’ donn’ e’ sustanz![4]”


[1]TAIKO: tamburi tradizionali giapponesi. Molto usati durante le feste. Io trovo che siano spettacolari *__* ed i suonatori sono bravissimi! (un grazie particolare a Yeran85 che mi ha suggerito di inserirli, insieme a tutto il particolare necessaire per il comizio! *___* è stata di un aiuto impagabile!)

[2] “VE… CHIAMMATA”: “Ve la siete chiamata!”

[3] “T’AGGIA… RISEGN!”: “Ti devo fare un disegno?”

[4] “SIMM… SUSTANZ”: “Siamo donne di sostanza!”


...E poi Bla bla bla...

In teoria la serata che lei passa con Yuzo sarebbe dovuta rientrare in questo capitolo, ma avrebbe finito col divenire troppo lungo, così ho deciso di spostarla al capitolo 13 (il capitolo del primo colpo di scena! XD).
Ordunque, ma veniamo a questo capitolino.
Oh, beh... Taro! XD
Sembrerebbe che la sua ipotesi non gli vada molto a genio, eh?!
Questo è il 2° colpo che riceve (se contiamo come primo quello della sera del cocktail). Posso preannunciarvi che ne avrà anche un terzo e poi... *ghgh* non sono perfida! *Nonò*! XD

Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

- Hikarisan: sono stata abbastanza veloce, non trovi? XD e credo che per il cap.13 dovrete aspettare anche meno! O__O è già in fase di stesura! ^_^ Grazie ancora per i tuoi complimenti! ^_^

- Eos(che mi ha recensita privatamente): ho sempre il timore che le mie mail facciano cilecca, quindi, spero ti sia arrivata la risposta che ti avevo mandato! XD Ti ringrazio ancora tantissimo per i tuoi complimenti! T__T sei stata gentilissima!

Ok, that’s all folks e ci risentiamo al prossimo capitolo... il primo colpaccio è in agguato! XD

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


PRE-NOTA: cospargendomi il capo di cenere, mi duole informare la gentile clientela, che il tanto sponsorizzato *colpaccio* slitterà al capitolo 14  a causa… della mia terribile logorrea! XD Questo capitolo è già chilometrico da solo! XD
Vi rimando a fine capitolo! Gomen nasai! T_T

Huzi

- Capitolo 13 -

Yoshiko non ce la faceva più, arrivando addirittura a piangere per le risate.
Rick, Hisui e Toshi le stavano raccontando da ore le loro avventure in giro per il mondo e le loro continue battute erano troppo divertenti. Ma sapevano anche essere seri, qualche volta, affascinandola con i loro discorsi ed i luoghi incredibili che il lavoro di ricercatori li aveva portati a visitare.
“Fai conto…” esclamò Rick, gesticolando animatamente “…ci trovavamo in una piana piena di vacche con le corna lunghe così!” ne mimò la misura “E noi dovevamo effettuare dei rilevamenti nel sottosuolo con un radar. Allora succede che, cammina cammina, dobbiamo entrare anche nello spazio recintato appartenente ad un altro mandriano, mi segui?”.
Yoko annuì, sempre più presa dal suo racconto.
“Bene! Allora cominciamo ad aprire il cancello di quel recinto, che si reggeva per opera e virtù dello Spirito Santo, ci sei? Ecco, comincia a passare Hisui che trascinava il carrello con sopra l’apparecchiatura e fin qui, tutto liscio. Poi, mentre Toshi tenta di entrare… PATAPAM! Il cancello si rompe!”.
“Oddio!” squittì Yoshiko “E poi?!”.
Rick la guardò con serietà “Non ci scappa un vitello?!”.
E la ragazza sbottò in una sonora risata, mentre l’altro continuava. “La bestiola ha cominciato a correre felice e contenta per tutta la piana, e Yuzo tirava giù l’intero calendario in improperi!”.
“Povero Prof!”.
“Povero Prof?!” fece eco Hisui “Povero me, vorrai dire! Questi disgraziati mi hanno lasciato da solo con una cinquantina di mucche esagitate!”.
“Zitto tu!” lo ammonì Ricardo “Fammi finire di raccontare!” e poi riprese subito il discorso “Dopo un primo momento di panico, io, Toshi e Yuzo ci adoperiamo per sistemare quel benedetto recinto, dicendo ad Hisui di continuare a fare le misure mentre noi cercavamo di riacchiappare il vitello!” e cominciò a ridacchiare “Ma le mucche non erano d’accordo! Dopo nemmeno cinque minuti vediamo Hisui che cammina avanti e tutte le vacche dietro che lo seguono perché rivogliono il vitellino!”.
A Yoshiko cominciarono a spuntare le lacrime dal ridere.
“Giuro! Avevano gli sguardi da psicopatiche!” confermò il meteorologo “E continuavano a muggire sempre più forte! Ero convinto che volessero incornarmi! Meno male che il toro dominante non era nei paraggi: un mostro che, al garrese, era alto quanto Yuzo!”.
“Addirittura?!” fece eco la sorella di Misaki, mentre Hisui annuiva gravemente.
“Non credere che a noi sia andata meglio!” esclamò Toshi, attirandosi l’attenzione della ragazza. “Mentre Meteo-man faceva il conquistador di vacche, noi abbiamo cominciato a rincorrere il vitello in lungo e in largo!” e la fece sbottare a ridere di nuovo “Yuzo e Rick cercavano di accerchiarlo, ma quel dannato correva come una lepre!”.
“Santoddio! Non me lo ricordare!” appoggiò l’ispano-americano “Mai fatta tanta ginnastica in una volta sola!”.
“E Rita?!” domandò Yoko. Rick incrociò le braccia al petto. “Quella carogna se la rideva alla faccia nostra, comodamente appoggiata alla portiera di Dante!”.
“E come avete fatto a riprendere il vitello?!” domandò ancora con curiosità.
Momento di imbarazzato silenzio.
“Perché l’avete ripreso, no?” continuò Yoshiko.
“Sì, sì…” annuì Toshi “…il vitello è tornato nel recinto, ma non l’abbiamo preso noi…”.
“No? E chi allora?”.
Secondo momento di imbarazzato silenzio, scambio di sguardi.
E la ragazza propose “Non mi direte che è stata Rita, vero?”.
Tre sospiri rassegnati e Yoko che scoppiò a ridere per l’ennesima volta.
“Le sono bastati un paio di fischi talmente forti, che secondo me l’hanno sentita anche sulla Luna, ed il vitello è tornato indietro…” riprese Rick “…e, con un paio di balzi, ha scavalcato il recinto! Mentre noi tre avevamo le lingue a terra per il fiatone ed Hisui si era nascosto dietro al carrello del radar per sfuggire ai bovini!”.
“Già…” convenne Toshi “…Rita ci guardò con una faccia che sembrava dire ‘Embeh?! Ci voleva tanto?!’.” scosse il capo, rivolgendosi all’ingegnere “Oddio, cos’è che disse? Quella frase in dialetto…”.
Quatt ne siti, e nun n’apparati uno bbuono!” ripeté Rick nel suo napoletano dalla cadenza ispanica, per poi tradurre “Siete in quattro, ma messi assieme non ne fate uno buono!”.
“Ragazzi, mi fate morire!” esclamò Yoshiko asciugandosi gli occhi.
“Non le avrete raccontato quella del vitello, vero?” la voce di Yuzo si attirò subito lo sguardo della giovane, che annuì con decisione.
“Proprio quella, cow-boy!” lo prese in giro, mentre Rita ridacchiava, portandosi le mani ai fianchi.
“Non siete furbi se le raccontate le vostre figuracce!”.
Rick le fece una smorfia, mentre il Prof continuava “Per stasera, basta così. Le avrete fatto la testa come un pallone.”.
“Ma non è colpa loro!” li difese Yoshiko “Io mi sono divertita a sentire delle vostre avventure!”.
“Allora sei più pazza di noi!” sorrise Yuzo “Ma non hai visto che ore sono?” e la sorella di Misaki scosse il capo, dando un’occhiata all’orologio da polso.
“Accidenti! Già le dieci di sera! Non mi ero accorta che fosse così tardi…” il tempo le era letteralmente volato come sempre accadeva quando era in sua compagnia.
“Preparati che andiamo.” le disse quest’ultimo “Hai fame?”.
La ragazza si infilò velocemente il cappotto, avvolgendo il pesante sciarpone colorato. “Mh… ora che mi ci fai pensare…”.
“Take-away?” propose e lei annuì. “Andata!” rivolgendosi poi agli altri membri della squadra, con un largo sorriso. “E’ stato un vero piacere conoscervi!”.
“Anche per noi! E vienici a trovare: abbiamo ancora un sacco di storie da raccontarti!” salutò Rick, annuendo con decisione.
“Allora le volete male!” scherzò Yuzo, indossando il giaccone ed avviandosi in direzione delle scale, seguito da Yoko che rideva, mollandogli un colpetto sul braccio.
“Ma smettila!”.
Rick, Toshi, Hisui e Rita li osservarono andar via e l’ingegnere esclamò. “Oh, che romantico! Il Principe riaccompagna la graziosa Cenerentola!”.
I suoi colleghi ridacchiarono, ma la sismologa, che ne sapeva più di loro, disse “Non hai capito, Riccà: Cenerentola dorme dal Principe stanotte.” affermazione che si attirò immediatamente l’attenzione di tre paia di occhi.
“Che cosa?!” fu il coro unanime.
Lei si sistemò furbescamente gli occhiali sul naso.
“Rita: cosa sai che noi non sappiamo?!” domandò subito l’ispano-americano, ma lei fece spallucce, allontanandosi.
“Non ve lo dirò!” disse con fare sostenuto, mentre i tre cominciarono a tampinarla.
“Come: non ce lo dirai?!” piagnucolarono, mentre lei ridacchiava, decisa a prenderli in giro ancora per un po’, anche se, in definitiva, non era successo nulla tra i due, ma Rita era un’italiana impicciona, campana per giunta e per queste cose aveva un intuito sopraffino.
E l’intuito continuava a dirle: “Tempo, è solo questione di tempo.”.

“Me li avevi descritti come dei mentecatti, ed invece sono simpaticissimi!” decretò Yoshiko, mentre scendevano lentamente le scale diretti ai garage.
“Trovi che non siano dei matti da rinchiudere e buttare via la chiave?!”.
“Affatto!” confermò con entusiasmo “Sono solo un po’ strambi, ma mi sono divertita tantissimo con loro!”.
“Davvero?” sorrise “Credevo ti saresti annoiata dopo un po’.”.
“Non me ne hanno dato il tempo!” Yoshiko scosse il capo “Mi hanno tenuto compagnia, mostrandomi l’FVO da cima a fondo! Anzi, scusa, magari li ho distratti troppo dal loro lavoro.” ed aggrottò le sopracciglia, esibendo un’espressione dispiaciuta.
“Figurati, si sarebbero distratti ugualmente, sono degli sfaticati!” scherzò, agitando una mano “Scusami tu se non sono stato molto presente…” ma lei si affrettò a scuotere il capo, arrossendo leggermente e gesticolando.
“Ma no! Non preoccuparti, è stato…” - …bello… - “…interessante vederti all’opera! Davvero!” sorrise “Cambi espressione…” e mosse lo sguardo altrove, con imbarazzo.
“Dici riguardo al fatto che ero piuttosto alterato?” sospirò Yuzo, cavando una Marlboro dal pacchetto. “Oddio, scusami. Solitamente sono meno antipatico, è che oggi sono riusciti a farmi innervosire tutti…” spiegò, sforzando un sorriso.
Per quanto non si riferisse a quello, Yoshiko ripensò a quel particolare momento della riunione. Il Prof le era sempre sembrato una persona equilibrata e calma, per quanto malinconica, e vederlo arrabbiato l’aveva stupita. “Ti riferisci a quel Kishu che avete nominato?” domandò, sperando di non sembrare troppo invadente.
“A lui, ai miei, a quelli del Volcano Research Center. Oggi hanno fatto en-plein!” e scosse il capo, stringendo la sigaretta tra le labbra, con un sorriso “Mi consolo sapendo che passerò la serata in ottima compagnia.”.
Yoshiko si sforzò all’ennesima potenza di non arrossire, mentre lui non si rendeva minimamente conto che semplici frasi come quella appena pronunciata la mandavano nella confusione più totale. Diciamo che ogni suo complimento o minima attenzione avevano l’effetto di un tornado F5[1] o un terremoto al massimo grado dentro di lei, che poi finiva col ripetersi il mantra: ‘Non illuderti, è solo cortese!’.
Arrivarono al piano terra, dove la stessa guardia che li aveva accolti era seduta al suo posto.
“Se ne sta andando, Professore? Buona notte!” e sollevò cavallerescamente il cappello verso Yoshiko. “Spero che la visita sia stata di tuo gradimento, figliola, avrai molto da raccontare ai tuoi compagni di classe!”.
Yoko trattenne un sorriso, avvicinandosi al banco. “Interessantissima!” confermò “Ma posso confidarle un segreto?” e l’uomo annuì incuriosito, sporgendosi verso di lei. “Vado all’Università!”.
Shiguro sgranò gli occhi, spostandoli da lei a Yuzo, che tentò di non ridere.
“Confermo.” disse il Prof e la guardia si grattò un sopracciglio con imbarazzo.
“Accidenti, signorina, è così graziosa che è riuscita ad ingannarmi!”.
Yoko raggiunse il vulcanologo. “Grazie del complimento! E buona notte anche a lei!” salutò, scendendo l’ultima rampa che li avrebbe portati ai garage. Alla fine, poco le importava se tutti la prendevano per una ragazzina, l’importante era che non lo fosse per il Prof. Il resto passava in secondo piano.
I parcheggi si erano notevolmente svuotati con il passare delle ore e Dante spiccava ancora di più tra le poche vetture rimaste.
“Ad ogni modo…” riprese, mentre Yuzo faceva scattare l’antifurto del Pick-up “…quando dicevo che la tua espressione cambia, non mi riferivo al fatto che fossi arrabbiato, ma a come divenissi improvvisamente serio…”.
“Serio dici?” sorrise lui, salendo entrambi sull’auto. Lo sguardo fisso sulle chiavi che rigirava tra le mani. “Sì, forse è vero. Il fatto è che lavorando per l’FVO ho molte responsabilità, tra cui la vita di altre persone…” si volse ad incrociare i suoi occhi nocciola “Se io sbaglio, metto in pericolo la loro incolumità…” e Yoshiko avvertì sulla pelle una sensazione di sofferenza provenire dalle sue parole, dal tono cui le aveva pronunciate e dallo sguardo: le sopracciglia leggermente aggrottate e le iridi velate di quella solita malinconia che sembrava portare sempre con sé. “…ed io questo non posso permetterlo.” concluse, mentre lei rimase in silenzio, osservandolo con la stessa sensazione di dispiacere senza riuscire a spiegarsene il motivo, ma avvertendo solo una specie di groppo alla gola.
Yuzo sorrise, infilando rapidamente la chiave nell’accensione e mettendo in moto. “In definitiva, divento un noioso barbogio quando sono a lavoro!”.
“E’… è rincuorante sapere che ti preoccupi così tanto per noi… mi fa sentire al sicuro…” e lo disse senza pensarci, arrossendo subito dopo e ringraziando la bassa luminosità del garage che nascondeva il suo imbarazzo.
Ma come le era venuto?!
A questo punto poteva anche dirgli di esserne innamorata, così tagliava la testa al toro!
Attenta, doveva stare più attenta!
“Davvero?” sorrise il Prof “Grazie, ma non dirlo solo perché sono io, eh!”.
“Antipatico!” arricciò il naso Yoshiko “Lo pensavo sul serio!” ed incrociò le braccia al petto, ringraziando la sua naturale capacità di offrirle sempre una via di fuga alle situazioni imbarazzanti in cui riusciva a cacciarsi.
Yuzo fece rapidamente manovra, ma come Dante mise fuori il suo lungo muso, venne investito da uno scroscio di pioggia.
Il tempo non era stato affatto piacevole negli ultimi due giorni, ma si era limitato a qualche precipitazione sottile e al freddo, ora invece stava letteralmente diluviando e per le strade il traffico scorreva lento.
“Accidenti…” borbottò il vulcanologo, accendendo la Marlboro ed aprendo leggermente il finestrino per far uscire il fumo “…non mi ero accorto che si fosse scatenato questo tempaccio.”.
“Nemmeno io…” accordò Yoshiko, mentre i goccioloni si infrangevano sul vetro con violenza. Poi sorrise “…i tuoi colleghi mi hanno tenuta così impegnata che non ho avuto tempo di affacciarmi alla finestra per vedere il paesaggio.”.
“Allora ti sei persa la bella visuale del Fuji. È proprio alle spalle dell’FVO.”.
“Ah, sì? Adesso che è completamente innevato è uno spettacolo davvero imponente!”.
L’altro annuì con decisione alle sue parole, svoltando in una traversa e posteggiandosi nel primo posto che trovò libero.
“Ci siamo. Quello…” disse il Prof, indicando un negozio all’altro lato della strada “…è il miglior take-away che conosca. Fanno degli spaghetti con le verdure che sono la fine del mondo. Allora, cosa preferisci?”.
“A dir la verità, mi sarebbe piaciuto assaggiare qualcosa preparato da te, Mr Casalingo!” lo prese in giro “Scommetto che il ‘fare tardi’ rientrava in una tattica per non metterti ai fornelli!”.
Lui inarcò un sopracciglio con un mezzo sorriso. “Ah, sì? Quando hai detto che rientra la tua amica Saya?” si informò.
Yoko ci pensò un po’. “Nel pomeriggio…” e l’altro le agitò minacciosamente il dito sotto al naso, con la sigaretta che disperdeva una debole scia di fumo all’angolo della bocca.
“Allora hai ancora un pranzo in mia compagnia, donna di poca fede.” e lei scoppiò a ridere, mentre Yuzo si scusava. “Credimi, non era nelle mie intenzioni fare così tardi, solo che, quando lavoro, mi devono tirare di peso dalla scrivania o potrei continuare ad oltranza.”.
“Sì, me ne sono accorta, però non devi fartene un problema. Sono io quella che ti crea fastidi standoti tra i piedi. Tu sei già fin troppo gentile.”.
“Non cercare di giustificarmi.” Yuzo ciccò rapidamente dallo spiraglio di finestrino. “Dunque, cosa vorresti mangiare?”.
Lei ci pensò su per poi annuire. “Mi affido a te!”.
Il Prof sorrise. “Ok, ho capito. Aspettami qui, faccio subito.”.
“Ma… non usi un ombrello?” domandò Yoko, mentre la pioggia continuava a sbattere imperterrita sul Pick-up.
“Ombrello?” fece eco Yuzo “Mai usato uno!” ed uscì rapidamente da Dante, stringendosi nel giaccone sportivo ed attraversando la strada di corsa. In un attimo fu dall’altro lato, eclissandosi nel take-away.
Yoshiko sorrise, rilasciando un profondo sospiro.
Era magnifico. Semplicemente magnifico, ed ogni momento che passava in sua compagnia lo rendeva ancora più speciale ai suoi occhi.
Al solo pensiero che a breve avrebbe visto anche la sua casa le veniva l’ansia, una strana trepidazione.
Durante il pomeriggio, i colleghi di Yuzo erano riusciti a distrarla, confondendola con le loro chiacchiere, ma ora il momento che aveva atteso stava arrivando.
Una serata col Prof. Solo loro due. Cena e chiacchiere.
Accidenti e dire che fino a qualche giorno prima lui era solo un nome tra i tanti amici di Taro.
Ed ora? Cos’era ora?
Un pensiero costante, un battito più veloce. Amore?
Per lei di sicuro, ma altrettanta certezza era nel fatto che non lo sarebbe mai stata per lui. Yoshiko ne era convinta, ne era sempre stata convinta da quando aveva capito di provare qualcosa nei suoi confronti.
Yuzo era paradossalmente troppo distante per lei; anche se stava facendo tanti piccoli passi per avvicinarsi di più alla sua realtà e al suo mondo, il suo ‘io’ restava sempre un qualcosa di lontano e sfocato. Come era accaduto quando erano saliti sul Pick-up. Yuzo le aveva parlato in un tono diverso dal solito, confidandole il peso delle sue responsabilità e la paura di sbagliare che le sue parole avevano cercato di nascondere.
Ed aveva avvertito sofferenza da quello spiraglio di sé che le aveva aperto, come se lui avesse già commesso un grave errore in passato, come se lui avesse già sbagliato.
Poi, tutto era ritornato sfocato.
Yoshiko sospirò di nuovo, in tono grave questa volta. Forse il suo errore era quello di aver perso l’ex-moglie, forse si pentiva di non aver fatto abbastanza per tenerla con sé.
Si spettinò i capelli con stizza. Uffa! Ogni volta che pensava al Prof, finiva sempre per pensare anche alla sua fantomatica ex, trovandosi tremendamente confusa da mille congetture.
Doveva imparare ad essere meno cerebrale e più menefreghista: le piaceva il Prof? Allora al diavolo questa Aiko!
“Sì! Al diavolo!” borbottò con pseudo-decisione e sopracciglia aggrottate.
Il suono del cellulare nella borsa attirò all’improvviso la sua attenzione. Rapidamente infilò la mano nella sacca alla ricerca dell’oggetto che continuava a strepitare.
“Sì, sì! Un momento!” masticò come se il telefono potesse in qualche modo sentirla ed intanto si domandava chi potesse cercarla a quell’ora. Magari suo fratello o sua madre, ma sperò ardentemente che non fosse quest’ultima.
Finalmente trovò il cellulare, adocchiando il display.
- Saya?! - pensò piuttosto sorpresa che fosse lei. “Sa-…”.
“Yoko era ora! Porca miseria! È da oggi pomeriggio che sto provando a chiamarti, ma dove sei?! A casa non rispondevi! Al cellulare nemmeno! Insomma! Io mi sono preoccupata! Ho saputo del terremoto, come stai?!”.
La sorella di Misaki fu letteralmente sommersa dalla sua carrellata di parole, allontanando il telefono dall’orecchio e restandolo a guardare per qualche secondo con un sopracciglio inarcato. Appena si accorse che l’altra aveva smesso di parlare a raffica disse “Hai finito?”.
“Cosa?!” sbottò Saya “Io passo il pomeriggio e la sera fermamente intenzionata a chiamare la Guardia Nazionale e tu tutto quello che sai dirmi è un asettico ‘hai finito?’?!”.
“Cara, scusami, ma avevo lasciato la borsa con il cellulare nello studio di Yuzo e-…”.
“Eh?! Nello studio di Doc Hollywood[2]?!” fece eco con un tono da vecchia zitella, facendola ridere.
“Sì, proprio lui.”.
“Che cosa mi devi raccontare?!” domandò con la sua solita e terribile curiosità.
“Avrai tutte le notizie domani, sappi solo che: sto bene, il Prof è venuto a prendermi subito dopo la scossa, mi ha portato dove lavora e mi ha invitato a dormire da lui visto che sono da sola.” ed allontanò immediatamente il telefono, conoscendo fin troppo bene il tipo di reazione che l’altra avrebbe avuto nel sentire quelle novità, soprattutto l’ultima. Ed infatti non venne smentita: Saya emise un urlo che avrebbe fatto invidia ai cantanti Metal.
“Ommioddio, Yoko!” strillò ancora “E me lo dici così?! Dormi a casa sua! Ahhhhhhh!”
“Saya, piantala di urlare o i tuoi ti prenderanno per matta!” l’ammonì la sorella di Misaki con un sorriso. “E soprattutto non farti idee strane, ok?”.
“Oh, tesoro! Ora chiedi troppo!” poi bisbigliò in confidenza “Vedi di non concederti subito, eh!”.
“Cosa?!” stavolta fu Yoshiko a strillare, avvampando come un tizzone. “Cretina! Yuzo non mi ha mai considerata da quel punto di vista, non dire scemenze!”.
“Sì, sì. Staremo a vedere…” accordò l'altra con nonchalance “…la carne è debole!”.
E Yoko si passò una mano sul viso, reprimendo il desiderio di volerla strozzare per telefono. Poi si accorse che il Prof stava lasciando il locale e si affrettò a terminare la conversazione.
“Saya devo andare, vedi di non pensare baggianate! Ci vediamo domani!”.
“Va bene, va bene… e tu divertiti!” concluse con una punta di malizia, chiudendo la chiamata prima che potesse lei rispondere qualche possibile insulto.
Yoshiko osservò l’apparecchio, facendogli una linguaccia di stizza, mentre Yuzo saliva rapidamente sul Pick-up, reggendo un paio di sacchetti che disperdevano un profumo decisamente invitante.
“Ecco fatto!” esclamò, passandosi rapidamente una mano nei corti capelli scuri per togliere qualche goccia di pioggia. “Scusami ci ho messo un po’ perché ero indeciso: fanno talmente tante cose buone, lì, che non sapevo quale farti assaggiare!” poi si grattò un sopracciglio “Credo di aver comprato la cena per un reggimento.”.
Yoshiko rise, afferrando le buste ed inspirando l’odorino di cibo a pieni polmoni. “Mh! Fame!” esclamò, mentre lui metteva in moto allontanandosi sotto la pioggia battente.

Nel tempo che il Prof era rimasto nel take-away, il traffico non si era minimamente snellito e ci misero circa una ventina di minuti per arrivare nei pressi dell’abitazione di Yuzo.
Quando Yoshiko si accorse che stavano parcheggiando, cominciò a scrutare le case del quartiere dal finestrino, provando ad ipotizzare quale potesse essere la sua. Condomini, qualche villetta… oddio era agitatissima!
“Allora…” il Prof si attirò la sua attenzione, spegnendo il motore “…la nostra meta è il portone di quel palazzo giallo.” e le indicò la costruzione che lei memorizzò immediatamente con espressione quasi estasiata, per quanto fosse un semplice edificio di un color ocra scuro. “Hai un ombrello con te?” si sentì domandare e lei si riscosse, annuendo e cominciando ad armeggiare con la borsa.
“Sì… dovrei averlo…” ma le ricerche si rivelarono infruttuose “…accidenti, devo averlo dimenticato nella fretta…”.
Yuzo non si perse d’animo. “Più che altro era per te, io sono abituato ad andare in giro senza, comunque niente panico.” ed un lampo illuminò a giorno il cielo seguito dal rombo del tuono e l’intensificarsi della pioggia.
“Dicevi?” fece eco Yoshiko con ironia e lui azzardò.
“Ci toccherà una corsetta.”.
“Ok!”.
“Allora prendi le buste e non ti muovere!” e Yoshiko lo vide scendere nuovamente dal Pick-up, togliendosi il giaccone e tenendolo sollevato sulla testa a mo’ di riparo. Il Prof girò intorno alla vettura, raggiungendo il lato passeggero ed aprendo la portiera. “Ombrello improvvisato!” esclamò e la ragazza sorrise, tenendo strette la borsa e le buste ed infilandosi sotto la sua giacca che era calda ed aveva il suo profumo.
“Pronta?” si sentì domandare per sovrastare la pioggia battente, un attimo dopo stavano correndo lungo la strada semi-deserta, con gli occhi stretti per cercare di schermarsi dalle gocce lanciate controvento ed i loro passi che sollevavano schizzi nelle pozzanghere che velocemente pestavano.
Gli ultimi scalini li decretarono al sicuro, fermandoli davanti al portone coperto da una tettoia spiovente.
“Salvi!” esclamò il Prof, dando una rapida scrollata alla giacca per far scivolare via l’acqua piovana. “Ti sei bagnata?”.
“No, per niente.”.
“Il bello di questi affari supersportivi è che non saranno i più adatti per un gala, ma non lasciano passare nemmeno un fiocco di neve.” sorrise Yuzo, infilandolo e ricercando le chiavi in una delle tasche.
Lei sbirciò tra i vetri del portone con curiosità. “Così vivi in un condominio. Ti facevo uomo da villetta, sai?”.
“Villetta?”. Cavò il mazzo tintinnante, pescando quella adatta. “Ha bisogno di attenzioni che non potrei mai darle, essendo sempre in viaggio.” e si fece cavallerescamente da parte per farla entrare. “Chi si prenderebbe cura del giardino in mia assenza? Diventerebbe una foresta amazzonica!”.
Yoshiko rise, avviandosi alle scale, quando lui la fermò.
“Ascensore.” decretò, indicando il mezzo metallico. “Abito al quarto e ti ho fatto fare già fin troppa ginnastica oggi tra l’FVO e la corsetta di poco fa.” ma lei gli pungolò furbescamente un braccio.
“Di’ piuttosto che non ce la fai!”.
“Io? Ah! Ricordati che facevo parte della Generazione d’Oro ed ho passato gli ultimi dieci anni della mia vita a salire e scendere montagne con qualsiasi condizione atmosferica! Non bastano certo quattro scalini per mettermi K.O.!”.
Yoshiko ridacchiò divertita. “Ma non ero io quella permalosa?!” disse, ricordando la frecciatina che Yuzo le aveva lanciato la sera del gala, quando si erano conosciuti. A pensarci, sembrava passato un secolo ed invece non erano che pochissimi giorni ed erano successe tantissime cose… e quella serata era ben lungi dal finire.
L’ascensore avvertì con un leggero ‘plin’ l’arrivo al piano desiderato, e Yoko ebbe come una velocissima vertigine nell’uscire dal mezzo per metter piede sul pianerottolo dove si affacciavano solo due ingressi. Yuzo si diresse a quello sulla destra ed il respiro sembrò mancarle per un attimo nel sentire lo scatto della serratura. L’occhio le cadde involontariamente sul campanello. Dovevano esserci state due targhette prima, sopra al pulsante. Ora ne restava solo una, solo quella con scritto ‘Morisaki Y.’, l’altra non c’era più. Doveva essere quella di Aiko.
Chissà come faceva di cognome…
“Casa.” e la voce del Prof si attirò la sua attenzione, forse per il modo in cui aveva detto quella semplice parola. Sospirato, quasi con sforzo. Di nuovo si fece da parte per permetterle di entrare e lei avanzò un po’ titubante.
La prima cosa di cui Yoshiko si rese conto era il profumo che la permeava, così diverso da quello di Yuzo, che era più forte e maschile, mentre nell’ambiente aleggiava sottilmente un’essenza più dolce… e femminile.
Un attimo dopo, fu in grado anche di vedere l’appartamento, quando il Prof accese la luce.
Era davvero carina.
Molto semplice, colori caldi e fronzoli ridotti al minimo indispensabile.
Yoshiko avanzò di qualche passo nel salotto, guardandosi intorno con una curiosità irrefrenabile, cercando di imprimersi tutto nella mente ad una prima occhiata. C’erano un divano e delle poltrone attorno al basso tavolino sul quale erano disposte alcune rocce messe come abbellimento insieme ad un posacenere stracarico di mozziconi. Televisore, mensole e altri reperti geologici sparsi. Un’ampia libreria a giorno occupava la parete opposta al divano, le immancabili stampe di spettacolari colate laviche ed eruzioni appese alle pareti ed un balcone dalle imposte ancora aperte che lasciava intravedere l’opalescenza delle nubi esterne illuminate a giorno dai lampi del temporale.
“Ehi!” esclamò la ragazza con sorpresa, osservando il Prof che si era liberato del giaccone. “Ma… e il disordine?!”.
“Quale disordine?” fece eco lui con un sorriso trionfante. “Te l’avevo detto o no che ero un casalingo provetto?”.
“Mh… non me la racconti giusta, sai?” continuò a prenderlo in giro, liberando una mano da un guanto. “Vediamo come te la cavi con la ‘prova dell’indice’!” esclamò, avvicinandosi al tavolino con aria da furbetta.
Lui non si scompose, anzi, si prestò tranquillamente al gioco, incrociando le braccia al petto. “Prego, accomodati.” la sfidò divertito, ma Yoko non si fece intimorire e passò velocemente il dito sulla superficie di vetro.
“Vediamo, vediamo…” ridacchiò, pronta a coglierlo sul fatto, ma si ritrovò a strabuzzare gli occhi “…ma! E la polvere?!”.
“Non c’è. Ennesima riprova che io sono un buon donnino di casa!” scherzò, togliendole le buste dalle mani, mentre lei lo guardava perplessa. Nemmeno suo fratello era così ordinato! Poi sghignazzò, guardando il posacenere. “E questo, Mary Poppins? Te lo sei dimenticato?”
Yuzo inarcò un sopracciglio. “Accidenti! Non l’ho svuotato!”.
“Ma, dico… non le avrai fumate tutte in una sera, vero?” notando la quantità davvero eccessiva di cicche spente al suo interno.
“Beh… ecco…” il Prof si grattò un sopracciglio con imbarazzo “…quasi!” e la superò dirigendosi in cucina. “Ma non incominciare a farmi la paternale, eh! Piuttosto, togli pure il cappotto e fa’ come se fossi a casa tua.”.
Lei lo osservò scomparire all’interno di un’altra stanza, ridacchiando del suo imbarazzo.
Lentamente fece come le aveva detto, lasciando il cappotto sull’appendiabiti. Dopodichè pescò le moppine dalla borsa che aveva preparato di fretta, arricciando il naso: dieci a uno che lui l’avrebbe presa in giro. Forse era il caso che si procurasse anche delle pantofole… normali.
“Quanta fame hai?” le urlò Yuzo, mentre lei si toglieva gli anfibi, lasciandoli accanto alla porta.
“Tanta!” rispose a tono, alzandosi e avventurandosi nelle stanze con passo incerto. Piano fece capolino in quella che era la cucina. Il Prof stava togliendo i vari recipienti dalle buste e Yoshiko gli zampettò attorno, tenendo le mani dietro la schiena e sbirciando il suo operato con curiosità.
Era interessante vederlo impegnato in qualcosa, anche la più stupida come quella che stava appena facendo, ma a lei piaceva vedere la sua espressione concentrata, e come la mani si muovessero rapidamente per afferrare gli oggetti. Era pazza di quelle mani, grandi ed accoglienti che le avevano carezzato i capelli quando se l’era visto comparire fuori la porta di casa. E le braccia, che l’avevano fatta sentire al sicuro e l’avevano stretta, erano forti. Arrossì leggermente, pensando che fosse proprio ad un passo, ne avvertiva il profumo, ne avvertiva il calore…
“Ma sei diventata più bassa?”.
Yoshiko arricciò il naso, cadendo dalla sua nuvoletta romantica e guardandolo di traverso, mentre lui sorrideva della sua espressione. “Naaa! Ho solo tolto gli anfibi!”.
Yuzo adocchiò le moppine, cominciando a ridere.
“Come volevasi dimostrare.” sospirò la ragazza, incrociando le braccia al petto e picchiettando la punta del piede. “Beh? Cosa ci trovi di divertente nelle mie moppy? Sono un regalo di Taro!”.
“Dovrebbe vedertele Shiguro, secondo me non ci crederebbe più che vai all’Università!”.
Yoko sbuffò “Antipatico!” poi aggrottò le sopracciglia con preoccupazione “Trovi che io... sia infantile nei miei gusti?”.
“No, perché?” rispose l'interloquito, scuotendo il capo. “Hai solo ventidue anni, non puoi certo andare in giro vestita come una vecchietta o una donna in carriera. Apprezzo la tua semplicità.” e lei sembrò illuminarsi all’improvviso per questo suo complimento.
“Davvero?” domandò con un allegro sorriso.
“Certo.”.
E si gongolò di quelle parole come se le avesse detto di essere la donna più bella dell’Universo.
“Prenderesti le tovagliette?” le chiese Yuzo, cavando un paio di bicchieri dalla credenza. “Sono nel secondo cassetto.” spiegò, indicandole il mobile alle loro spalle.
La ragazza annuì, ancora euforica per il suo complimento, cercando gli oggetti, ma quando alzò lo sguardo, il suo entusiasmo si dissolse all’improvviso ed il sorriso si eclissò in un attimo.
Quando era entrata in casa, dopo la sorpresa iniziale, l’aveva inconsciamente cercata con lo sguardo, credendo di trovarne a decine ed invece non ne aveva vista nessuna. Si era convinta che, come per l’ufficio all’FVO, le avesse fatte sparire tutte; si era convinta che anche per quella sera la famosa Aiko non sarebbe rimasta che un nome, anche con un certo sollievo, perché voleva godersi totalmente quella serata con Yuzo senza pensare al fatto che lui fosse ancora pazzo di lei. Illudersi che non fosse mai esistita.
Ed invece.
Le era bastato alzare lo sguardo... ed eccola lì.
La foto che aveva tanto sperato di vedere, in quel momento avrebbe tanto voluto non averla vista.
Due figure.
Yuzo, di qualche anno prima sicuramente: il sorriso davvero felice, luminoso e non c’era traccia di quel velo di malinconia che ora adombrava i suoi occhi. Era impeccabile nel suo scuro abito da cerimonia. Tra le braccia, quelle che lei adorava, stringeva una donna bellissima. Morbidi capelli castani le scendevano mossi sulle spalle scoperte, sorriso contagioso e grandi occhi nocciola scuro. Meravigliosa come tutte le spose nel loro abito candido. Un bouquet rigoglioso tra le mani, le fedi rosse al dito.
Il giorno del loro matrimonio.
E le sembrò che il cuore le cadesse a pezzi, piccoli piccoli, in modo che la sofferenza fosse molto più lunga.
Non aveva mai pensato che Aiko potesse essere così bella.
- E’ uno scontro ad armi impari... -.
E continuava a fissare quella foto come fosse inebetita, guardava la loro felicità sentendosi la persona più triste sulla Terra… lui la stringeva con quel fare protettivo... e sorrideva...
- ...lei ha troppo vantaggio... -.
...e le sembrò che Aiko avesse un viso conosciuto. Le ricordava qualcuno, ma non sapeva chi. O forse stava solo vaneggiando.
“Le hai trovate?” la voce di Yuzo non riuscì a raggiungerla, persa com’era nell’osservare, sezionare e dolorosamente memorizzare quella fotografia.
Non ricevendo risposta, il vulcanologo si volse trovandola immobile: le tovagliette nella mano e lo sguardo fisso sulla mensola più in alto. E lui sapeva cosa potesse esserci di così interessante su quel ripiano. Aggrottò le sopracciglia.
Forse... forse doveva dirle la verità riguardo Aiko, però... non avrebbe potuto liquidare il discorso con un ‘Ehi, sono vedovo.’ senza spiegarle quello che era accaduto quattro anni prima sul Ruiz e lui... al solo formulare il nome di quel vulcano nella mente, sentiva come una mano invisibile contorcergli il cuore. E poi si era ripromesso di scacciare i ricordi almeno per quella sera, perché era stata una giornata pesante dal punto di vista dello stress emotivo: prima gli incubi, poi la discussione con i suoi genitori. Aveva bisogno di un po’ di tranquillità e la compagnia di Yoshiko riusciva miracolosamente nell’intento, non sapeva spiegarsi come, ma era così.
Forse perché era sempre allegra e vederla sorridere riusciva a mettere di buonumore anche lui. Forse era proprio per questo che non si decideva a dirle la verità, come durante la sera del gala: non voleva che quel sorriso svanisse.
Aveva già perso quello di Aiko.
Inspirò profondamente.
La prossima volta... la prossima volta sarebbe stato sincero, ma per quella sera avrebbe continuato a mentirle.
“E’ l’unica foto che mi sono concesso di tenere.” disse, raggiungendola “Le altre, ho preferito metterle via.”
Yoshiko non distolse lo sguardo, come ipnotizzata dai loro sorrisi felici. “Come mai la tieni qui invece che in salotto?”.
Lui sorrise. “Perché finirei col vederla troppo spesso e non riuscirei a lavorare. In cucina passo molto di rado...”.
“Se... se io ti chiedessi di lei, tu risponderesti o preferiresti cambiare argomento?” solo allora, riuscì finalmente a staccare gli occhi da quell’immagine per puntarli in quelli di Yuzo. La domanda s’era imposta alla sua volontà senza che riuscisse a trattenerla, fregandosene di risultare invadente.
Il Prof fissò per un lungo momento le sue iridi che tradivano uno sguardo strano che lui non riuscì ad identificare, ma che lo facevano sentire in difficoltà come se qualsiasi risposta che avesse dato sarebbe stata quella sbagliata.
Si sforzò di sorridere, rispondendo con sincerità. “Preferirei cambiare argomento.”.
Yoshiko sentì distintamente un altro frammento di cuore staccarsi e cadere giù. Anche lei sforzò un sorriso, voltando le spalle a quella fotografia e comportandosi come se non l’avesse mai vista. “Allora, si cena?”.
Non avrebbe mai immaginato di esser così brava a fingere.

“Mamma mia!” fu l'esclamazione di Yoshiko, mentre si rilassava contro lo schienale della sedia e rilasciava un pesante sospiro. “Sono piena come un uovo! Ma era tutto talmente buono che non riuscivo a fermarmi!”.
Yuzo accese una sigaretta, grattandosi un sopracciglio. “L’avevo detto di aver preso roba per un reggimento.”.
“Questo è un attentato alla mia linea!” scherzò lei, agitando minacciosamente una bacchetta.
“Ma va!” Yuzo si alzò, togliendo i piatti “Voi donne dovete sempre esagerare: prendi esempio da Rita.”.
“Ma anche Rita è una donna!” protestò Yoko.
“No, è campana!” la corresse lui, sghignazzando poco rispettosamente.
“Ti dovrebbe sentire! Sai quanti insulti ti direbbe in dialetto?!”.
“Lo so! Ed è questo il bello. Farla arrabbiare è uno spasso!”.
La ragazza si alzò, portandosi le mani ai fianchi. “Mh! E poi tu saresti quello normale, eh?” e si avvicinò a lui, cominciando ad arrotolare la maniche “Fatti in là che ti aiuto.”.
“Non se ne parla.” rifiutò l'altro categoricamente. “Io sono il padrone di casa, ed io lavo i piatti. Tu mettiti pure comoda, faccio in un attimo.”.
“Sappi che sei odioso quando fai il dittatore.” lo prese in giro, pungolandogli un fianco per poi sospirare. “Va bene, vorrà dire che approfitterò del tuo bagno... dov’è?!”.
Yuzo si asciugò rapidamente le mani, facendole un momento da cicerone, sempre con la sigaretta pendente al lato della bocca.
“Il bagno è questo.” disse, aprendo un’altra porta in un corridoio accanto alla cucina. Da un mobile cavò alcune asciugamani. “Puoi anche cambiarti in camera, se preferisci.” indicandole l’ultima porta in fondo a quello stesso andito. “Io dormirò sul divano.”.
Ma lei si affrettò subito a gesticolare. “No! Non se ne parla! Dormirò io sul divano! Tu sei già stato fin troppo gentile e-...”.
“Ma guarda che il problema non sussiste.” sorrise Yuzo “Io sono un ‘divano addicted’, dormo sempre lì.”. Yoko inarcò un sopracciglio con perplessità. “Solitamente, quando la sera lavoro, sono al divano con il portatile e finisco sempre per addormentarmici.” non che fosse tutto falso, ma si premurò di omettere perché lavorasse al divano anziché nel suo letto e, per sua fortuna, Yoshiko non glielo chiese, limitandosi ad annuire, incerta.
“Sei sicuro? Preferisci...”.
“Sì, non preoccuparti.” e tornò nuovamente in cucina, mentre lei si eclissò nel bagno dalle graziose ceramiche rosa antico.
Piano si poggiò contro il legno della porta, emettendo un profondo sospiro.
Era difficilissimo fingere di essere rilassati quando dentro ci si sentiva quasi schiacciare da un peso invisibile.
Il ritrovarsi davanti quella foto, proprio quando non era preparata a vederla, era stato un duro colpo da incassare e scoprire che Aiko fosse molto, ma molto più bella di quello che aveva immaginato era stato un colpo anche peggiore. Come avrebbe mai potuto sperare di poter lontanamente competere con lei? I loro livelli erano troppo differenti.
E poi... vederli così felici, era stato il pugno nello stomaco finale.
Yuzo preferiva addirittura glissare l’argomento.
Sospirò profondamente, cominciando a togliersi i colorati abiti da dosso per farsi una rapida doccia bollente.
La partita era già persa, per utilizzare una metafora degna di suo fratello, ma se Saya l’avesse sentita ragionare così, le avrebbe tirato qualcosa in testa urlandole che solo le ‘marmocchie fifone’ mollavano quando la situazione si faceva più difficile, e se lei non voleva essere una ‘marmocchia’ allora doveva stringere i denti e continuare a lottare per quello che voleva davvero.
Ridacchiò, immergendosi lentamente sotto il getto caldo e pensando che Saya sapesse sempre come convincerla a tirare fuori le unghie.
E va bene, cercò di auto-convincersi, avrebbe continuato a fare buon viso a cattivo gioco: teneva troppo a lui per dichiararsi definitivamente sconfitta, anche se fingere di non stare male andava oltre quello che era il suo carattere.
Un mugugno di approvazione le sfuggì, sentendo che il calore dell’acqua stava rilassano i muscoli, liberandola definitivamente dal freddo di quella giornata. Si beò di quella sensazione per qualche altro minuto, poi sgattaiolò all’esterno della cabina avvolta in una profumata nuvoletta di vapore, coprendosi con l’asciugamano.
“Mi ci voleva.” esclamò stendendo le braccia per stiracchiarsi. Effettuò rapidamente il suo rituale post-doccia, che comprendeva tutta una serie di creme e cremine, e poi si infilò nel suo caldissimo, morbidissimo... e rosissimo pigiama. Infine, agguantò le sue cose, abbandonando il tepore del bagno, e si diresse in camera.
A dir la verità, si sentiva un po’ a disagio a dormire in quello che era stato il loro letto, quasi come se profanasse un luogo sacro.
Ma, cosa si era detta poco prima?
Ah, sì! Che doveva stringere i denti e lottare!
Lentamente fece capolino nella stanza, cercando l’interruttore accanto alla porta.
Il profumo femminile che aveva avvertito appena era entrata in casa, in quella camera, era nettamente più forte.
- Deve essere quello di Aiko… - pensò, avanzando silenziosamente verso il grande letto matrimoniale - …questa casa lo conserva ancora, come se non se ne fosse mai andata… - e con quel pensiero capì perché Yuzo avesse usato quel tono rassegnato quando erano arrivati. Avvertirlo ogni volta doveva essere davvero triste per lui.
Appoggiò gli abiti, perfettamente piegati, su di una sedia e si sedette sul bordo del letto. Era morbido. Passò una mano sulle coperte, continuandosi a domandare perché lei avesse lasciato il Prof. Era divenuto un dubbio amletico ormai.
In quella foto sembravano una coppia così bella, di quelle che, anche quando sarebbero stati vecchietti, avrebbero continuato a camminare tenendosi per mano.
- Tutto questo non ha senso, accidenti! - pensò contrariata, alzandosi e lasciando la camera sempre in punta di piedi.
Dal corridoio vide la testa di Yuzo spuntare dal divano e stava già smanettando al portatile. Sorrise, era davvero uno stacanovista, ma lo amava anche per quello.
Inspirò profondamente, calandosi di nuovo la maschera della tranquillità.
“Già al lavoro?!” lo punzecchiò con finto rimprovero, raggiungendolo sul divano.
Lui sorrise senza staccare gli occhi dal monitor. “Lo so, lo so, ma non sto facendo nulla di impegnativo per il momento, anzi, è un simpatico passatempo. Prova.” propose, voltandosi quel tanto che bastava ad adocchiare il suo abbigliamento e trattenere una risata. “Bel pigiamino, sembri un confetto.” la prese in giro e lei fece una smorfia, sospirando.
“Almeno non mi associ ad un maialino come fa Taro!” fu la sua consolazione, poi agitò una mano davanti a sé, incrociando le gambe a mo’ di indiano “Su, fammi vedere questo passatempo, va!”.
Yuzo girò il monitor nella sua direzione per permetterle di vedere un’immagine del globo terrestre tutta vivacemente colorata. A lato c’erano una serie di caselle da riempire, affiancate da varie diciture ed unità di misura.
“Cos’è?” domandò Yoko non riuscendo a capire.
“Un simulatore di terremoti.” spiegò lui, pigiando rapidamente qualche tasto ed evidenziando il Giappone. La sua immagine si ingrandì, occupando lo schermo principale. “Spesso lo uso per confrontare eventi reali con quelli teorici. Non che siano perfettamente affidabili, ma danno una buona approssimazione. Vuoi provare a crearne uno?”.
Yoshiko finse di rabbrividire. “Brrr! Che cosa cattiva…” per poi avvicinarsi di più a lui ed esclamare un’entusiasta “…ok! Lo faccio!” che gli strappò un sorriso: anche Aiko si divertiva a creare catastrofi virtuali, per poi inventarsi le ipotesi più assurde che spiegassero simili fenomeni.
Yuzo ricacciò indietro quel ricordo con uno sforzo. “Dai, inserisci dei valori, quelli che vuoi.”.
“Ehi! Ricorda che io li metto senza cognizione di causa, eh!” si difese la sorella di Misaki.
“Ed è questo il bello!”.
Lei sghignazzò, inserendo numeri a caso. Soddisfatta della sua assegnazione, cliccò sul comando ‘Start Earthquake’ e, dopo poco, l’immagine cominciò a tremare, con tanto di rumore.
D’un tratto, lo schermo iniziò a brillare di rosso, facendo comparire la scritta ad intermittenza che annunciava ‘Catastrophic Event!’.
“Oh, mio Dio! Che sta succedendo?! Che ho fatto?!” squittì Yoshiko, afferrandogli il braccio, mentre osservava l’immagine che modificava la sua visuale, passando dal 2D al 3D. la grafica restituì un Giappone, spaccato in tre parti, che lentamente colava a picco sommerso da mastodontiche onde tsunami che attraversavano gli oceani raggiungendo l’Australia, le Americhe e la parte russa dell’Asia. Poco dopo, l’immagine smise di lampeggiare ed un omino armato di caschetto e martello Estwing[3] passeggiò, fermandosi al centro dello schermo e, picchiettando la punta del piede, mostrò un cartello: ‘Congratulations! You’ve just killed 5.783.521.603 human being!’ poi scosse il capo, girando il cartello: ‘You’re damned catastrophist!’ e se ne andò, così com’era arrivato, sostituito da un’altra immagine: ‘Try Again? Y/N’.
“Oh, Dio! Ho ucciso tutte quelle persone?!” scattò, strapazzandogli il braccio ed arrossendo per l’imbarazzo. “Ti prego, non dirlo a nessuno!”.
Lui rise. “Tranquilla, non preoccuparti! Hai anche battuto il mio record! Il massimo che sono riuscito a fare è stato di quattro miliardi circa!”.
“Non vantartene! Sei perfido!” lo rimproverò la giovane, non riuscendo a non ridere.
“Io perfido? Ti ricordo che hai appena affossato il Giappone!” rimbeccò Yuzo, iconizzando la schermata del programma. “Ci sono anche simulatori di eruzioni e solitamente uso quelli, ma non sembrerebbe questo il caso…” sospirò, rilassandosi contro lo schienale del divano.
Yoshiko tornò seria. “Però… avete parlato di fenomeni vulcanici, oggi, durante la riunione…”.
Lui inarcò un sopracciglio con ironia. “Ah, ma allora hai capito i nostri discorsi!”
Yoko minimizzò. “Mh… ho captato parole familiari.” poi sospirò “Soprattutto, ho visto che eri preoccupato.” e ne incrociò lo sguardo con ancora la mano stretta al suo braccio. “E’ così grave la situazione?”. In tutta sincerità, la risposta la spaventava perché a poche cose non ci si poteva in alcun modo opporre, ed una di queste era Madre Natura.
“Come ha detto Rick, non siamo ancora riusciti ad identificare il motore di questi terremoti.” spiegò Yuzo, abbozzando un sorriso e cercando di spiegarle come stavano realmente le cose senza farla ulteriormente preoccupare. “Abbiamo ipotizzato che potessero essere fenomeni associati a movimenti prettamente tettonici, ma hanno alcuni comportamenti incoerenti con questa teoria…” sospirò “…per quanto riguarda il vulcanismo, ci sono troppi pochi indizi a riguardo.” si grattò un sopracciglio “Non sappiamo più che pesci pigliare!” rise infine, ma il nervosismo della sua risata era fin troppo chiaro.
“Quindi è per questo che eri preoccupato… se non sai qual è il pericolo, non sai nemmeno come proteggerci.”. Yoshiko capì di aver centrato il bersaglio, perché il suo sorriso prese quella stessa piega sofferente di quando si trovavano nel garage dell’FVO. E le fece male vederlo così, male più di quanto avrebbe mai immaginato. Un forte desiderio di abbracciarlo e dirgli di non preoccuparsi perché era sicura che sarebbe riuscito a trovare la soluzione, si fece spazio dentro di lei con prepotenza, ma si trattenne, restando fermamente ancorata nella sua posizione; solo, strinse un po’ di più la mano attorno al suo braccio, come per fargli capire che avesse completa fiducia in lui.
“Non perderti d’animo, eroe!” ed il vulcanologo accolse quasi con gratitudine il suo tentativo di sdrammatizzare, cogliendolo al volo.
“Ah, io non mi perderei d’animo, se non dovessi anche fare da balia ai capricci di un politicante!”.
“Quindi Kishu è un politico?”.
Yuzo sbuffò. “Peggio: è il Vice Prefetto di Shizuoka.”.
“Il Vice Prefetto?!” fece eco con stupore. Ora che ci pensava, forse lo aveva anche visto in televisione… massì! Era quello che le aveva sempre fatto un’impressione strana, quello che incuteva quasi timore per il suo sguardo glaciale. “Cazzo!” si lasciò sfuggire, coprendosi subito la bocca. “Oh, scusa!”.
“Non preoccuparti: era l’esclamazione più adatta!” sorrise il Prof, scuotendo il capo. “Sta organizzando la campagna elettorale per Terobashi ed è intenzionato a tenere un comizio nello Stadio Ozora, tra un paio di settimane, infischiandosene del nostro consiglio di lasciar perdere.”.
“Ma… lui sa dei terremoti, vero? Glielo avete detto?” si informò la sorella di Misaki, quasi con incredulità del fatto che quell’uomo avesse letteralmente snobbato gli avvertimenti di persone esperte come Yuzo e la sua squadra.
“Sì, lo sa.” disse solo, confermando i suoi timori. “Ma non gli importa, quindi, non ci resta che trovare una spiegazione ben prima di quella data o il numero delle persone che potrebbero trovarsi in pericolo salirà drasticamente.”.
Yoshiko rilasciò un pesante sospiro, abbassando lo sguardo. “Sì, capisco…” esalò, mentre lui cercava di metterla nuovamente a suo agio.
“Su, forza! Non ti devi preoccupare per questo. Ci penso io.” ed aveva sempre quel tono rassicurante e quel bel sorriso a fior di labbra, che lei non poté fare altro che annuire e sorridere a sua volta.
Poi gli vide aprire un file di testo.
“A cosa stai lavorando?” domandò subito, sbirciando qualche frase che le risultò totalmente incomprensibile.
“Mentre aspetto di avere finalmente tutti i dati necessari per formulare una teoria definitiva sull’attività di Nankatsu, termino la relazione riguardante la spedizione dalla quale sono rientrato qualche giorno fa.” spiegò il Prof.
“Sei stato in Guatemala, se non ricordo male, vero?”.
“Sì, a studiare uno dei tanti vulcani della zona, dopodichè, quando avremo risolto l’attuale problema, ripartirò.”.
E a quella rivelazione Yoshiko lasciò all’istante il suo braccio, come fosse divenuto un tizzone rovente, osservando il suo profilo con la bocca semiaperta e l’espressione smarrita.
“Te ne vai?” biascicò e la voce era ridotta ad un filo.
“Chi si ferma è perduto.” citò Yuzo con solennità, per poi abbozzare un sorriso “Ed io non voglio perdermi.”. Si volse ad osservarla, inclinando leggermente il capo di lato. “Qualcosa non va?” domandò, notando il suo sguardo, ma lei lo ignorò continuando a chiedere.
“E… e dove andrai? Quanto starai via?...” non le sembrava vero che ripartisse così presto… non poteva essere vero…
“Il ‘dove’ è sicuramente l’Africa, il ‘quanto’, beh… è ancora tutto da decidere…” azzardò qualche stima con un sorriso “…due, tre anni. Magari quattro questa volta.”.
“Così tanto…”.
Lui agitò scherzosamente un dito con fare risaputo. “Ehi, un vulcano non si studia in due giorni, sai?”.
“Già… hai ragione…” il sorriso le uscì fin troppo tirato da sembrare più una smorfia che altro. E si sentì pungere agli occhi e al cuore, che batteva troppo forte e temette potesse fermarsi di colpo da un momento all’altro. Ma… ma lei doveva stringere i denti, no? Era questo che le avrebbe detto Saya, stringere i denti e tenere duro… ma non avrebbe mai pensato che lo sforzo potesse essere così sovrumano. Troppo da sostenere tutto in quell’istante e non poteva crollare proprio davanti a lui: l’avrebbe presa per una stupida ragazzina.
“Yoshiko, ti senti bene? Sei impallidita…”. Lei vide la sua mano muoversi per avvicinarsi alla fronte, ma se avesse percepito anche solo un filo del suo calore sulla pelle sarebbe esplosa a piangere, ne era sicura, chiedendogli di non andarsene. Con un balzo saltò giù dal divano, trattenendo le lacrime ancora per qualche attimo, giusto il tempo di inventare una scusa e defilarsi.
“No, no! Sto benissimo!” rispose energica “Sarà… sarà stanchezza! Oggi, wow!, è stata una giornata impegnativa, eh! Infatti, credo proprio che andrò a rifugiarmi sotto le coperte e partirò per le terre di Morfeo!”.
- Se ne andrà… -
“Sì, deve essere così.” sorrise Yuzo “Perdonami, ho dei ritmi frenetici, lo so.”.
Lei agitò una mano. “Ma, no! Ma, no! Non scusarti!”.
- …e non lo rivedrò mai più… -.
“Se hai bisogno di qualcosa, non farti problemi a chiamarmi, dormo poco ed ho il sonno leggero.”.
Yoshiko annuì. “Ma sono sicura che dormirò come un ghiro! Allora buonanotte e non lavorare troppo!”.
- …lo perderò… -.
“Buonanotte anche a te e sogni d’oro.”. Lei sorrise un’ultima volta, quasi correndo in direzione della camera da letto.
- …non voglio! -.
Passi rapidi lungo il breve corridoio, la cui immagine si fece acquosa e tremolante. Scivolò oltre la porta della camera che venne richiusa piano alle sue spalle. E poi non riuscì a trattenere un singhiozzo, mordendosi il labbro subito dopo, e le lacrime, troppe perché i suoi occhi potessero impedire loro di fuggire lungo il viso.
“Non andartene…” mormorò, scivolando al suolo con la schiena al legno e le ginocchia raccolte al petto. La testa cercò rifugio tra esse. “…non andartene via…”.
I tuoni, in lontananza, coprirono il suo pianto d’amore.

Mio cuore,
tu stai soffrendo,
cosa posso fare per te?
Mi sono
innamorata
per te pace no, no, non c'è.


Al mondo,
se rido e se piango,
solo tu dividi con me
ogni lacrima,
ogni palpito,
ogni attimo d'amor.

Sto vivendo con te
i miei primi tormenti,
le mie prime felicità,
da quando
l'ho conosciuto
per me, per me più pace non c'è.

Io gli voglio bene, sai
sai, un mondo di bene,
e tu batti dentro di me
ad ogni piccola,
ad ogni tenera
sensazione d'amor.

Ogni giorno lo so
sempre più
sempre di più tu, tu
tu soffrirai.
Oh mio povero cuor,
Oh mio povero cuor
soffrirai di più,
ogni giorno di più,
ogni giorno, ogni giorno di più
di più, di più.

ad ogni piccola,
ad ogni tenera
sensazione d'amor.
Ogni giorno lo so
sempre più
sempre di più tu, tu
tu soffrirai.
Oh mio povero cuor,
Oh mio povero cuor.


Rita Pavone – Cuore


[1]F5: nella scala del giapponese Fujita, indica il tornado con forza massima i cui venti possono spirare fino a circa 542 Km/h.

[2]DOC HOLLYWOOD: è il titolo di un simpatico film commedia del 1991 di Michael Caton-Jones ed interpretato dal mitico Michael J. Fox!

[3]ESTWING: è la marca più famosa di attrezzatura per geologi e non. I martelli Estwing sono i più utilizzati, fatti di acciaio temperato.


…E poi Bla bla bla…

Come detto all’inizio, scusatemi, ma ho dovuto far slittare il colpaccio al prossimo capitolo T_T questo è venuto lunghissimo! O_O
Oddio, spero di non avervi annoiato, era una tappa obbligata… ed un po’ troppo mielosetta, lo so! XD non sono più abituata a scrivere puccioserie etero! XD
Trattare i maschi è molto più semplice: ingropp e via! XD
Che tatto che ho! XD
Ad ogni modo, qualche specificazione: l’avventura che Rick ha raccontato… è storia di vita vissuta in prima persona durante una delle escursioni che ho fatto! XD Io mi ritrovo molto in Hisui: quelle mucche sembravano davvero psicotiche! Immaginatevi un gruppo di persone che vi accerchia lentamente guardandovi con occhi spalancati ed espressioni serie. Uguale! È stato allora che ho scoperto di aver paura dei bovini! XD
Fyko no?! XD E non scherzo: avevano corna lunghe quanto il mio braccio! O_O
Per non parlare del toro… O___________O PAURA! Ed era pure incazzoso! A quelli dell’altro gruppo ha caricato il fuoristrada perché stava litigando con l’altro toro! ‘Sti maschi! XD
Però dove alloggiavamo si mangiava… *sbav*… tutta roba casereccia *_* goduria!
Per quanto riguarda i simulatori, non so se ne esistono di pucciosi come quello che ho descritto io, ma esistono! XD In internet se ne trova qualcuno on-line molto simpatico! *sisì*

Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

- Hikarisan: prima di tutto, grazie di seguire fedelmente questa storia! *_* gentilissima! E poi, grazie dei tuoi complimenti!  *arross* cercherò di sfornare il 14° nel minor tempo possibile, ma non assicuro nulla perché ho il capitolo dell’altra storia da stendere. Cerco di alternarli per correttezza! ^__^

- Eos: T_____T ma… ma… grazie! T__T santo cielo quanti complimenti! Me commossa!
Ti ringrazio davvero tanto per le tue parole, soprattutto sono contenta che i personaggi siano riusciti bene. La caratterizzazione è sempre una cosa a cui tengo molto e quindi non può che farmi piacere leggere che anche loro, che sono dei pg originali, siano riusciti a dare qualcosa al lettore. *_*
Per quanto riguarda la parte tecnica, oddio, spero di non aver scritto cose in maniera troppo criptica! XDDDDD E’ un terrore che permane sempre! XDDD E, sì: Yoshiko ha esattamente un “?” gigante in testa! Poverina! XDDD
E Taro… muahahahahahah! Tra poco si beccherà il colpo di grazia, la cosiddetta ‘goccia che farà traboccare il vaso’!
T__T mi scuso ancora per aver dovuto rimandare il colpaccio, sto diventando logorroica. Lo so! T__T

CREDIT: la canzone “Cuore” appartiene a Rita Pavone che ne detiene ogni diritto.
Non prendetemi per nonna, ma qua ci stava a pennello! *__* e poi… a me piace tanto ‘sta canzone! T__T

Ed anche per questo capitolo è tutto, vi rimando al quattordicesimo… e stavolta avrete davvero il colpaccio! *MUHAHAHAHAHAHAHAHA!*

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 (parte I) ***


Huzi

- Capitolo 14 (parte I) -

Gli occhi erano pesanti e le bruciavano, per cui fece molta fatica ad aprirli.
Avrebbe dovuto essere una serata magnifica, ed invece aveva passato la nottata a piangere rannicchiata sotto le coperte fino a che non si era addormentata. Ma anche nel sonno, non era riuscita a trovare un po’ di conforto.
Aveva sognato la partenza di Yuzo. E più lei aveva cercato di chiamarlo, più lui era divenuto distante, fino a che non era scomparso, chiacchierando amabilmente con i membri della sua squadra.
Fortunatamente, la voglia di fuggire a quella specie di incubo aveva vinto il sonno e, con uno sforzo, era riuscita ad aprire gli occhi. Solo uno, da principio. E lo aveva sentito lacrimare per il bruciore, poi aveva lottato per aprire anche l’altro, inquadrando il soffuso ambiente della camera da letto di Yuzo.
“ ’dio devo avere un aspetto orribile.” masticò, tenendo ancora la testa seminascosta sotto le coperte e solo gli occhi erano visibili, mentre le palpebre erano ferme a mezz’asta.
Doveva riprendersi prima di presentarsi davanti al Prof: che avrebbe detto se l’avesse vista con l’espressione allegra come quella di uno zombie?!
Sbuffò.
Aveva sbagliato ad agire in maniera così impulsiva, a lasciarsi prendere subito dallo sconforto e quasi scappare via. In fondo lo sapeva che, presto o tardi, sarebbe ripartito, ma aveva sperato che quel giorno non dovesse mai arrivare.
Ed invece sarebbe stato ancor prima del previsto.
Lentamente si tirò a sedere, mentre un invitante profumino di caffè riuscì a filtrare sotto la porta e solleticarle le narici.
Stropicciò gli occhi, scansando le coperte e decisa ad affrontare lo specchio posto sopra la cassettiera per vedere in che stato fosse.
Il vetro restituì un’immagine di lei dagli occhi ancora leggermente arrossati ed i capelli spettinati, sorridente come un condannato a morte.
Beh, aveva pensato peggio.
Fece un profondo respiro, dandosi un sonoro ceffone per svegliarsi del tutto e poi recuperò la spazzola all’interno della borsa per dare ai capelli una parvenza di ordine.
Prova sorriso?
Un paio di smorfie e poi uno sbuffo rassegnato. Ora era pseudo-pronta per affrontare Yuzo e fingere che andasse tutto bene.
- Adesso ci manca solo il ritorno della ex-moglie e poi sono al completo! Altro che ‘Beautiful’! - pensò, lasciando silenziosamente la camera ed avventurandosi lungo il corridoio.
L’aroma del caffè si sommò a quello di altre pietanze, mentre un parlottare sommesso arrivava dalla cucina. Yoshiko lanciò una rapida occhiata al salotto, prima di affacciarsi nell’altra stanza, sempre in punta di piedi.
Qualcosa ribolliva in una grande pentola, mentre la macchinetta disperdeva il vapore dal beccuccio.
Yuzo le dava le spalle: cicca accesa al lato della bocca e sembrava impegnato a tagliare della carne, mentre con la coda dell’occhio osservava le ultime novità al notiziario. Un bicchiere di vino rosso era appoggiato sul ripiano.
“Ancora nessuna spiegazione ufficiale riguardo la strana ondata di terremoti che sta interessando la Prefettura di Shizuoka.” gracchiò la giornalista “Gli esperti del Volcano Research Center di Tokyo rassicurano sulla situazione, catalogandola come una semplice fase di transizione…”.
“Sì, certo, ‘transizione’… verso una catastrofe! Imbecilli.” li bollò Yuzo, scuotendo il capo, non essendosi ancora accorto della presenza di Yoshiko che restava ferma sulla porta, ridacchiando dei suoi borbottii.
“…il nostro inviato è riuscito a parlare anche con il Vice Prefetto, Tatsuya Kishu, in questi giorni a Nankatsu per preparare la campagna elettorale dell’attuale Prefetto Terobashi.” l'attimo dopo partì il filmato.
“Ah, beh! Ecco il ‘meglio del meglio’!” aggiunse il Prof appena vide la faccia del politico sullo schermo, l’espressione sempre glaciale, ma il tono molto più affabile di quello usato con lui ed Hideki.
“Sto lavorando a stretto contatto con i ricercatori dell’FVO, ma gli studi effettuati non hanno evidenziato nulla per cui allarmarsi. I nostri cittadini possono, quindi, fare sonni tranquilli. La situazione è sotto controllo.” disse l’uomo al microfono dell’inviato e Yuzo si girò completamente a guardare il suo viso compiaciuto, portandosi una mano al fianco e l’altra, che reggeva un lungo coltello, venne agitata animatamente verso la TV.
Tsk! A stretto contatto?!” fece eco “L’unica cosa che stai facendo ‘a stretto contatto’ con noi è rompere le palle!”.
Yoshiko non riuscì più a trattenersi e cominciò a ridere. “Parlare con un televisore è uno stadio avanzato di pazzia, lo sapevi?” disse, attirandosi la sua attenzione ed avanzando nella cucina.
Yuzo sorrise con imbarazzo. “Allora temo di dover essere già da rinchiudere!” affermò, tornando ad occuparsi della carne e spegnendo l’apparecchio “Scusa, spero non sia stata la TV a svegliarti.” ma lei scosse il capo.
“No, no.” negò, stiracchiando le braccia “Ho poltrito abbastanza!”.
“Dormito bene? Ieri eri molto stanca.”.
“Benissimo!” mentì, avvicinandosi alla pentola che restava sul fuoco e sollevandone lentamente il coperchio con curiosità. “Ma vedo che stai dando fondo a tutte le tue conoscenze di casalingo!” inspirò il buon odore di verdure “Il profumo è buono!” lo stuzzicò, mentre lui inarcava un sopracciglio.
“Lo sarà anche il sapore, vedrai.” le tenne il gioco, immergendo pure la carne in quel brodino delizioso, dando poi una rapida mescolata al tutto. “Hai fame?” domandò, spegnendo la sigaretta. “Vuoi fare colazione? Il caffè è già pronto e, se vuoi, ho preso dei cornetti ad un bar qui vicino.”
Yoshiko agitò lentamente l’indice. “No, no, Prof! Tu mi vizi troppo! Poi rischio di abituarmi alla tua cortesia e costringere Saya a farmi trovare cornetti e caffè tutti i giorni!” un largo sorriso illuminò i tratti del suo ovale sottile e lui rimase ad osservarlo per qualche secondo, mentre si sentiva immerso in uno stato di profonda tranquillità. Fossero state tutte così, le sue giornate, sarebbe stato un grande passo avanti, purtroppo sapeva bene che non ci sarebbe sempre stato il suo sorriso a scaldargli il cuore.
Con il dorso della mano, le sfiorò delicatamente la tempia, facendola arrossire per quel tocco leggero ed inaspettato. “Ieri sera avevo temuto che la stanchezza ti avesse fatto salire qualche decimo di febbre.” spiegò “Ma sembra che ora sia passato, ne sono contento.”.
Yoshiko tentò di stemperare l’imbarazzo, buttandola sul ridere, come sempre faceva in quei casi. “Ehi! Guarda che io sono una tosta!” esclamò portandosi le mani ai fianchi in un atteggiamento da ‘dura’- Balla! Balla colossale! Si vede come ero tosta stanotte! - “Ci vuole ben altro per sfiancarmi!” poi cercò di spostare l’attenzione su di lui, pungolandogli l’addome con l’indice con un tono di rimprovero. “Spero che tu abbia seguito il consiglio di ieri. Hai dormito?!”.
Yuzo assunse un’espressione pensierosa. “Mh… la domanda di riserva?” ma subito scosse il capo, ridendo. “Sto scherzando. Ho lavorato solo per un paio d’ore e poi mi sono messo a dormire, anche perché non sono riuscito a scoprire niente di nuovo.” e doveva ammettere di aver riposato bene. Estremamente bene, come non gli capitava da anni. Sì, si era svegliato comunque prestissimo, però il suo era stato un sonno tranquillo. Nessun incubo, nessun ricordo spiacevole legato al Ruiz era andato a fargli visita e di questo, ne era sicuro, avrebbe dovuto ringraziare solo lei e la sua allegra presenza.
“Nessun altra novità, eh?” Yoshiko non sapeva se essere o meno triste per quella faccenda. Da un lato avrebbe voluto fare i salti di gioia: più tardi Yuzo ne fosse venuto a capo, più tardi sarebbe ripartito ed era ciò che lei sperava più di ogni altra cosa. D’altra parte, il fatto che lui non riuscisse a trovare una spiegazione la metteva in agitazione.
Il Prof sospirò. “Ormai quei dati li sto imparando a memoria.” e tentò di sorridere “Spero che Rita mi dia buone nuove, lunedì.”. Lei si limitò ad annuire, quando il telefono di casa del vulcanologo prese a squillare con sorpresa dello stesso Yuzo che, solitamente, era sempre fuori e le chiamate le riceveva solo sul cellulare.
“Accidenti!” esclamò infatti, dirigendosi in salotto “Avevo dimenticato di averlo!” ed afferrò il cordless. “Ci credi che non ricordo nemmeno il mio numero?!”.
Yoshiko ridacchiò, mentre lui rispondeva. Un attimo di silenzio e poi lo vide sorridere “Ciao, Taro!”.
“Taro?!” mimò la giovane a fior di labbra ed era visibilmente sorpresa: perché diamine suo fratello la chiamava… – controllò rapidamente l’orologio che aveva al polso – … alle dieci del mattino? Di solito, quando dormiva fuori dallo Studentato, non le telefonava mai prima dell’ora di pranzo oppure, a volte, aspettava che fosse addirittura lei a telefonargli.
“Sì, certo, è sveglia. Te la passo subito.” e Yoko lo vide porgerle il cordless, che lei afferrò.
“Taro?”.
“Ciao, piccolina! Buongiorno.”.
“Ah… buongiorno anche a te.” salutò, studiando il suo tono, stranamente euforico, con fare circospetto. “Perché mi hai chiamato a quest’ora? E, soprattutto, non potevi attendere che accendessi il cellulare?”.
Lui parve titubante. “Oh, ecco… volevo sapere come stavi. Passata la paura?”,
“Sì, sì. Non preoccuparti, va tutto bene ora.” intanto il Prof era ritornato in cucina, mentre lei si era diretta al divano.
“Spero che tu non abbia dato troppi fastidi a Yuzo.”.
Yoshiko sbuffò stizzita. “Taro, smettila! Non sono una bambina stupida e certe cose le so anche da sola, va bene?!” lentamente passò una mano sul rivestimento morbido, sperando che avesse conservato ancora un po’ del suo calore.
“Sì, scusa.” accordò suo fratello, per quanto ebbe l’impressione che si fosse risentito per la sua risposta brusca, così cercò di usare un tono più allegro.
“Ho imparato un sacco di cose all’FVO e sono stati tutti gentili con me! Pensa, il guardiano dell’edificio credeva che io andassi ancora a scuola!”.
“Davvero?” rise Taro, ma per sua fortuna Yoshiko non si era accorta di quanto si stesse sforzando di apparire tranquillo, quando era già stato un incubo resistere all’impulso di telefonarle molto prima. In parte, era stata anche Azumi ad averlo tenuto lontano da qualsiasi apparecchio, con sguardo minaccioso.
“Smettila di essere così ossessivo e protettivo nei suoi confronti!” lo aveva rimproverato “Sai anche tu quanto Yoshiko stia lottando per scrollarsi quel falco di tua madre dalle spalle! Non vorrai sostituirla, spero! Finiresti col litigare con tua sorella!”.
Accidenti! Come se non lo sapesse! Ma Azumi non aveva una sorella più piccola che aveva preso una sbandata per un uomo di otto anni più grande, sempre in giro per lavoro e vedovo. Non era assolutamente la persona giusta per Yoko che era ancora… troppo, troppo ingenua, mentre lui era uomo di mondo, ormai. Inoltre, aveva il sentore che Yuzo non le avesse detto nulla di Aiko, anche se ne ignorava il motivo. Ma, forse, era meglio così: meno sua sorella avrebbe saputo della sua vita, meno ci si sarebbe affezionata. Ad ogni modo, per quanto gli pesasse, non poteva ancora intervenire, magari le cose si sarebbero sistemate anche da sole. E lui sperò ardentemente che ciò avvenisse al più presto.
“Sì! Ho visto tantissime apparecchiature e la gente è sempre così indaffarata, lì.” continuò Yoshiko attirandosi nuovamente la sua attenzione “Poi ho provato anche un simulatore di terremoti!” e ridacchiò al ricordo “Ho ucciso miliardi di persone! Sono una vera calamità!”.
Taro non poté non sorridere nel sentirla così di buonumore, sentendosi poi un verme per non riuscire ad essere davvero felice per lei, ma lui voleva solo il suo bene. Ed il suo bene non era Yuzo Morisaki.
“Che ha detto la mamma, ieri?” domandò ad un tratto la ragazza e lui sospirò.
“Ha attaccato la solita tiritera del ‘L’avevo detto, io, che non doveva andare a Nankatsu!’. Aspettati una sua telefonata stasera.”
“Sì, capisco…” d’improvviso la voce aveva perso parte dell’allegria tenuta fino a quel momento “…scusa se ieri ho chiesto a te di parlarle, ma non volevo che Yuzo assistesse ad una delle nostre ‘bellissime’ conversazioni.”.
“Tranquilla, non preoccuparti. Piuttosto, quando torna Saya?”.
“Nel primo pomeriggio. Il Prof mi riaccompagnerà in Studentato dopo pranzo.”.
- Solo qualche ora. - pensò Taro con sollievo, sentendosi in colpa per questo. “Allora fa’ la brava e quando la mamma ti chiamerà, ricordati di ignorare trequarti del suo discorso, ok?”.
Yoshiko sorrise con affetto. “Va bene… ci proverò. Grazie, fratellone.” e chiuse la comunicazione, rigirando il cordless tra le mani. Lo sguardo fisso sull’oggetto, senza realmente vederlo, e l’espressione improvvisamente imbronciata. Ci mancava solo una telefonata di sua madre, ovvero l’ultima persona che aveva voglia di sentire. Aveva altro a cui pensare e litigare con lei, perché era così che sarebbe andata a finire, non era certo ciò di cui avesse bisogno.
“Problemi?” la voce di Yuzo le fece alzare lo sguardo ad incrociare il suo, mentre restava appoggiato alla spalliera del divano.
“Il mio problema ha un solo nome…” sospirò “…e si chiama ‘mamma’!”.
Lo vide ridere di gusto. “E’ un problema che conosco anche io, allora.”.
“Taro ha detto che hanno discusso a causa mia, come al solito.” abbozzò un sorriso ironico, tornando a fissare il telefono. Socchiuse gli occhi quando avvertì la sua mano carezzarle affettuosamente la testa, le dita che scivolavano sui capelli.
“Non sentirti in colpa.” disse, comprendendo uno dei motivi del suo rammarico. “Sono convinto che Taro sia ben lieto di litigare un po’ con lei, se questo serve a fare in modo che tua madre ti stia meno addosso.”.
“Lo pensi davvero?” mentre il cuore aveva accelerato i battiti a quel contatto e le guance dovevano essersi imporporate, perché le sentiva bollenti.
“Certo che sì. Avrei fatto lo stesso se avessi avuto un fratello o una sorella, ma, da buon figlio unico, le rogne le ho dovute affrontare sempre da solo!” e lei non riuscì a trattenere una risatina. “Vedrai che un giorno si arrenderà.”.
Yoshiko si sforzò di puntare nuovamente il suo sguardo, sperando di non arrossire. “Mh, io non credo sai? Tua madre si è arresa?”.
Yuzo inarcò un sopracciglio, disegnando un’espressione quantomeno eloquente e battendo in ritirata. “Ho lasciato il curry sul fuoco!”.
“Ma dove scappi?! Devo forse dedurre che la tua filosofia è una fregatura?!” gli urlò dietro, tra le risate, prima di seguirlo. “Non sei affatto rassicurante!”.

Come auspicato da Taro, quelle ultime ore di Yoshiko in compagnia del Prof volarono rapidamente.
Dopo aver pranzato con un ottimo riso al curry, che le aveva fatto ammettere che lui fosse davvero il ‘bravo casalingo’ che diceva di essere, si erano infilati i soprabiti pronti per tornare allo Studentato dove quei pochissimi giorni insieme sarebbero, purtroppo, terminati.
Prima di lasciare l’appartamento, Yoshiko aveva osservato di nuovo l’ambiente con attenzione, decisa a non dimenticarsene nemmeno il più piccolo particolare. E subito aveva sentito la mancanza dell’immagine di lui seduto al divano a lavorare al portatile.
Ora, Dante scivolava silenzioso lungo le strade ancora bagnate, nonostante non stesse piovendo. Il cielo plumbeo, però, non presagiva nulla di buono.
Poca gente passeggiava per le vie cittadine, imbacuccata fino ai denti per ripararsi dal freddo di Febbraio. Il traffico scorreva tranquillo, non come la sera prima, ed avevano intravisto anche un furgoncino che pubblicizzava il famoso comizio organizzato da Kishu.
Per tutto il breve tragitto fino allo Studentato parlarono del più e del meno, ma Yoshiko non si interessò particolarmente alla conversazione, restando più che altro ad osservare attentamente il suo profilo dallo sguardo fermo sulla strada davanti a loro. Ogni tanto si girava rapidamente per dirle qualcosa e poi ritornava a concentrarsi sull’asfalto.
Le mancava già.
Lui era ancora lì accanto, ma riusciva ad avvertire il senso di disagio e dispiacere nel dover separare nuovamente le loro strade.
E poi?
Quando l’avrebbe potuto rivedere? E con che pretesto?
Non poteva aspettare l’arrivo di un nuovo terremoto e chiamarlo ancora in lacrime, ma, allo stesso tempo, era sicura che non avrebbe mai trovato il coraggio per telefonargli e magari invitarlo a cena o a fare due passi.
Appena l’alta struttura del palazzo dello Studentato entrò nel suo raggio visivo, capì che il tempo era davvero finito e se avesse voluto fare qualsiasi cosa, quella era la sua unica occasione.
- Appena mi saluta, lo invito… lo invito… - si auto-convinse, mentre Yuzo parcheggiava il grosso Pick-up all’altro lato della strada.
“Siamo arrivati.” esordì il Prof scendendo dal mezzo, imitato da una poco entusiasta Yoshiko
“Già…”.
Attraversarono lentamente la strada deserta, fermandosi davanti l’alto portone.
- Adesso glielo dico… - pensò Yoko, mentre erano l’uno di fronte all’altra, invece uscirono diverse parole. “Grazie ancora per l’ospitalità e scusa se ti ho arrecato disturbo…” strinse con forza il manico della borsa che recava, pendente, su una spalla; gli occhi si spostavano dal marciapiede all’intorno, inquadrando fugacemente il suo viso, ma troppo in imbarazzo per soffermarvisi più di qualche secondo.
“Lo sai bene che non è un disturbo.” rispose l’altro con calma “Anzi, sono io a doverti ringraziare per la tua piacevole compagnia. E per qualsiasi cosa tu abbia bisogno, non farti problemi a chiamare.”.
“Hai sempre molto lavoro da fare… non vorrei essere inopportuna…”.
Yuzo sorrise “Oh, ma il tempo per te ce l’ho sempre.” fece sorridere anche lei, mentre il cuore le era arrivato in gola per quelle parole.
- Ora glielo dico… glielo dico… -.
“YOKO!” urlò una voce dall’alto, facendola sobbalzare e ridurre gli occhi a due strette fessure. Arrossì per l’imbarazzo, decidendo di mandare a monte i suoi propositi.
- Non glielo dico! - sentenziò, alzando lentamente lo sguardo fino ad inquadrare la ricciuta testa di Saya, affacciata alla finestra, che si sbracciava nei modi più impossibili per farsi vedere.
“Sono tornata!” urlò ancora l’amica, imperterrita.
“Me ne sono accorta.” rispose di rimando con pesante ironia, per poi sospirare “Oddio che vergogna.” con Yuzo che rideva della scena e l’altra che sbraitava.
“Salve, signor vulcanologo!” disse, salutando anche il Prof che le rivolse un sorriso, agitando lentamente una mano.
“Perdona i suoi vistosi modi di fare, ti prego.”.
“Una ragazza piena di vita.” scherzò, trattenendo una risata e lei sbuffò.
“Pure troppa!” prima di sorridere e decidere di avviarsi al portone o non lo avrebbe lasciato più andare, soprattutto: il romanticismo del momento era letteralmente scomparso, sapendo che c’era quella cornacchia di Saya a spiare dall’alto. Gliene avrebbe dette quattro appena entrata in casa!
“Allora… a presto…” salutò ancora, indietreggiando piano.
“A presto.” accordò il Prof, muovendosi per tornare al Pick-up. Un ultimo sorriso e poi le volse le spalle, camminando lentamente lungo il marciapiede.
Yoshiko osservò la sua schiena per un attimo prima di fare lo stesso ed avviarsi all’interno dello Studentato con un sospiro.
- Non l’ho fermato… sono proprio una stupida. - ma lei non poteva sapere che lui si fosse fermato sul serio, fatti due passi, lungo il ciglio della strada.
“Yoko…”.
Sentirsi chiamare con il diminutivo che tutti solitamente usavano, la bloccò di colpo, facendole sgranare gli occhi per la sorpresa. Rapidamente si volse, convinta di averlo solo sognato…
“…a che ora finisci l’Università, domani?”.
…e scoprire che invece era vero.
Più secondi del previsto per fare un rapido calcolo e balbettare un “Per le 18… più o meno…”.
“Ti andrebbe di prendere un caffè con me?”.
Un’eternità per afferrare il senso di quella domanda. La stessa che lei non aveva avuto il coraggio di porgli.
Sistema in sovraccarico.
Sovraccarico.
Sovraccarico.
Crash.
Cuore e cervello si sconnessero dalla gola che non riuscì a riprodurre nemmeno il suono più misero, mentre la bocca si apriva e chiudeva come quella di un pesce appena pescato. Sforzo sovrumano per riavviare le connessioni delle sinapsi in tempi brevi, giusto l’attimo necessario a trascinare un “Sì.” E poi nuovo crash nel vederlo sorridere per la sua risposta affermativa.
“Se non sbaglio, c’è un bar a qualche minuto dalla tua Università che fa un ottimo caffè. Ci vediamo lì? Si chiama ‘Juliet’ se ricordo bene.”.
L ’immagine del negozio si focalizzò subito nella sua mente, apparendole come il luogo più bello del mondo.
Nuovo riavvio di sistema per annuire alle sue parole. “Perfetto.” accordò con lo sguardo sempre incredulo, ma felice. Immensamente, totalmente, terribilmente felice.
“Ok, allora a domani.” la salutò di nuovo il Prof e lei ebbe solo l’abilità di rispondere con un “Ciao.” a mezza voce. Lo osservò attraversare e salire su Dante. Un ultimo cenno con la mano prima che si allontanasse definitivamente.
Il cervello, il cuore e tutte le terminazioni nervose ripresero lentamente a funzionare nella maniera corretta.
Il cervello pensava, elaborava, ricordava.
Il cuore batteva, batteva, batteva.
Un sorriso.
“A… domani…” bisbigliò, varcando lentamente l’androne con passo traballante per l’emozione. Incerto salire di scale. Un gradino, un altro, un altro ancora.
“A domani…” ripeté a voce più alta. Una risatina sfuggì al suo controllo; passi più sicuri e rapidi. Scalino. Scalino. Scalino.
“A domani!” e stava letteralmente urlando dalla gioia, correndo a perdifiato per la scala dell’edificio, continuando a ripetere “A domani! A domani! A domani!”.
Come una saetta si infilò nel corridoio del suo piano dove una Saya in fibrillazione la stava aspettando da quasi cinque minuti. Appena la vide sbucare, alzò subito le mani. “Sei incazzata, vero? Tesoro, lo so che vorresti la mia pelle per quello che-…” ma Yoshiko non la stava minimamente calcolando, correndo ancora più veloce.
“Yoko, ma che… Yoko… fermati… rallenta… RALLENTA!” e se la vide praticamente piombare tra le braccia, mandando entrambe stese sul pavimento del corridoio, con un tonfo.
“AHIA!” sbottò la giovane dai capelli corvini, massaggiandosi una chiappa. “Ma sei impazzita?! Che diavolo ti è preso?!” si lagnò, con l’altra che non era minimamente intenzionata a togliersi di dosso.
“Domani! Domani!” continuava a ripetere come un disco rotto in preda ad un attacco di euforia acuta. “Mi ha invitato a prendere un caffè insieme! Domani! Ma ci pensi?! Domani! Io e lui! Caffè! Lo rivedo già domani, hai capito quello che ho detto?!” e riuscì ad inanellare solo frasi sconnesse, mentre la osservava con un sorriso smagliante, i capelli arruffati, le gote arrossate e l’affanno per la corsa.
“Quello che ho capito…” cominciò Saya, restando sdraiata “…è che devi darti una calmata, respirare a fondo, raccogliere le idee e prepararti a dirmi tuuutto tuuutto!” sollevò furbescamente le sopracciglia “Ho come l’impressione che tu abbia davvero molto da raccontare!”.

Proporle di prendere un caffè era stato istintivo e mentre guidava per tornare a casa non riusciva ancora a spiegarselo, ma non ne era affatto pentito.
Negare che gli piacesse la sua compagnia sarebbe stato da stupidi. Yoshiko, con la sua allegria ed i vivaci modi di fare, era riuscita a riempirgli le giornate di tranquillità e Dio solo sapeva quanto ne avesse bisogno in quel momento. Forse era per questo che le aveva chiesto di uscire, perché la sua presenza, anche se per pochi attimi, sarebbe riuscita a cambiare in meglio la sua giornata.
Ma cosa sarebbe successo quando sarebbe nuovamente partito?
Come avrebbe affrontato gli incubi che sarebbero tornati a perseguitarlo?
Yoshiko li aveva tenuti alla larga, non sapeva come, ma ci era riuscita. E quando lei sarebbe stata troppo lontana per regalargli anche solo un sorriso, i sensi di colpa, dai quali continuava a fuggire, sarebbero tornati alla carica insieme al ricordo di Aiko, ed il loro peso si faceva sempre più grande. Presto o tardi, quello che restava del suo cuore sarebbe divenuto polvere.
Yuzo respirò a fondo, accendendo l’ennesima sigaretta.
Forse non avrebbe dovuto contare così tanto su Yoko, avrebbe dovuto venirne fuori da solo, ma per quattro anni ci aveva provato ed i risultati erano stati solo un allontanarsi da tutto e tutti.
Ed anche in esilio non era riuscito a perdonare sé stesso per quello che era successo sul Ruiz.
Lentamente parcheggiò nel primo posto libero accanto al portone. Stringendosi nel pesante giaccone si avviò lungo le scale, snobbando come al solito l’ascensore. La cicca disperdeva deboli scie di fumo, tracciando il suo percorso come un intangibile filo di Arianna.
La chiave rigirò con un rumore secco nella toppa e rimase per qualche secondo lì, fermo sulla soglia, mentre la casa silenziosa ed il sottile profumo di Aiko gli davano il bentornato.
Erano bastati solo due giorni e già non era più abituato a tutta quella calma. Sorrise, richiudendo l’uscio alle sue spalle, dirigendosi in cucina con l’idea di farsi un caffè.
Mentre preparava la macchinetta, l’occhio gli cadde sulla foto che aveva lasciato – quasi nascosto – sulla mensola più alta. Rimase a fissarla a lungo, mentre ripensò alle parole di Yoshiko.

“E’… è rassicurante sapere che ti preoccupi così tanto per noi… mi fa sentire al sicuro…”

Era bello sapere che lei si fidasse così tanto di lui, che fosse convinta che fosse in grado di proteggerla. Con il suo sguardo sincero stava per convincere anche lui, ma Yoshiko non sapeva di Aiko e di come non fosse riuscito a trattenerla, lasciando che il fango gliela strappasse dalle mani.
“Anche tu ti fidavi di me…” mormorò a quell’immagine di una felicità ormai lontana anni luce “…ed io ti ho deluso. Non voglio deludere anche lei.”.
Glielo avrebbe detto.
Yoshiko doveva sapere che non era l’eroe che credeva, era stato già fin troppo scorretto a non dirle la verità.
Si volse, dedicandosi definitivamente al suo caffè.
Al ‘Juliet’ le avrebbe raccontato del Ruiz, forse era giunto il momento di provare ad affrontare i suoi ricordi.

Ci vollero ben tre tè bollenti prima che la sorella di Misaki riuscisse a terminare il resoconto di quei giorni ad una Saya attenta come non lo era mai stata nemmeno a lezione.
Appena Yoshiko ebbe terminato, esclamò: “Se ne andrà?!” con espressione affranta e l’altra annuì. “Allora devi dirglielo, Yoko.” affermò con serietà.
“Dirgli cosa?”.
“Ma che sei pazza di lui, è ovvio!”.
Yoshiko scosse il capo. “No… non posso.”.
“Sì che puoi, anzi, devi, prima che sia troppo tardi!” la redarguì, agitandole la tazza vuota sotto al naso “Se non lo farai, potresti pentirtene.”.
“Allora ti è sfuggita la parte riguardante la ex-moglie, vero?” borbottò, affondando il viso in una mano “Aiko è bellissima e lui ha uno sguardo indescrivibile quando osserva quella foto… stravede per lei, ed io… cosa dovrei mai rappresentare?”.
“Ma la ex è ex per un motivo o sbaglio? E poi ricorda che ti ha appena invitato ad uscire!”.
Yoshiko sospirò “E’ solo un caffè…”.
“Non la pensavi così, quando mi hai letteralmente investito!” le fece notare con stizza e la ragazza ridacchiò. “Ascolta: lo so che temi il confronto con questa Aiko, anche perché non conosci il motivo della loro separazione, ma se lo lasci andare, senza dirgli quello che realmente provi, potresti non avere più la possibilità di farlo. Hai detto tu stessa che starà via tre-quattro anni. E sono tanti, sai?”. Saya addolcì il tono, aggiustandole affettuosamente i capelli dietro l’orecchio. “E se non dovesse ricambiare i tuoi sentimenti, ti sentiresti almeno liberata da un peso.”.
Yoshiko aggrottò le sopracciglia, pensierosa. “Ma così rischierei di perderlo…”.
“Se lui dovesse partire, lo perderesti lo stesso.”.
Saya aveva ragione: avrebbe finito col perderlo comunque, allora tanto valeva dirgli la verità, però… avrebbe aspettato ancora un po’, era troppo presto. La sua partenza era ancora lontana o, almeno, lei sperava che lo fosse.
“L’hai detto tu, no?” riprese l’amica “Stringere i denti e tenere duro. Proprio quello che ti avrei suggerito anche io e poi…” sorrise maliziosa “…non devi essere così pessimista, se ti ha invitata a prendere un caffè, significa che tiene molto alla tua compagnia. Ed è un ottimo punto di partenza!” le l’occhio, strappandole un sorriso.
Con un tonfo, Saya si lasciò cadere sul letto alle sue spalle, sbuffando. “Accidenti! Però ero curiosa di sapere il motivo del suo divorzio!”.
Yoshiko le lanciò una cuscinata “Quello che dici non è molto carino.”.
“Come se tu non volessi saperlo!” rimbeccò con ironia, mentre l’altra arrossì.
“Certo che vorrei saperlo, solo che…”.
“Solo che?”.
Yoko si strinse nelle spalle. “Non so quanto possa essermi utile e poi… non voglio vederlo triste. E quando parla di Aiko, lo è.” lentamente si alzò, dirigendosi alla finestra. La pioggia era ricominciata da qualche minuto, cadendo con gocce sottili e leggere. “Invece, quando sorride… è bellissimo.”.
Saya balzò immediatamente a sedere, battendosi un pugno nel palmo. “Molto bene! Allora lo devi conquistare a suon di barzellette e-…” non finì la frase che un paio di peluche la raggiunsero in pieno viso, facendola ridere, con Yoshiko che borbottava uno “Scema.” prima di portarsi minacciosamente le mani ai fianchi.
“Ehi! Ovviamente spero che sarai discreta su quanto detto stasera, vero?! Per una volta, non fare la ‘rana dalla bocca larga’!”.
“Sissignora!” accordò l'accusata, alzandosi ed avviandosi alla porta. “Sarò discretissima! Ma ora scappo a vedere la mia telenovela preferita, almeno loro concludono: se aspetto te e Has Fidanken[1] credo che diventerò vecchia!” brontolò, ridacchiando senza ritegno.
“Non sei divertente!” Yoko le fece il verso “Ci vediamo domattina.”.
“Ok, buonanotte… e sogni erotici!”.
“Vattene!” le urlò tra le risate. Certo che era impossibile portare avanti un discorso serio con lei per più di cinque minuti.
Piano, ritornò al suo letto, afferrando il cellulare e gettandosi tra i cuscini. Chissà che stava facendo Yuzo in quel momento, magari fumava una sigaretta davanti al portatile alla continua ricerca di una soluzione ai terremoti.
Socchiuse gli occhi e non ci volle molto perché riuscisse a visualizzare la sua immagine nella mente. Si sarebbe volentieri addormentata con quel piacevole pensiero se il cellulare non avesse preso a vibrare tra le sue mani.
Per un attimo sperò ardentemente che fosse lui, ma le sue attese vennero deluse quando lesse ‘Mamma’ sul display. Sospirò profondamente, ricacciando la tentazione forte di non risponderle e fingere di essere già nel mondo dei sogni, ma non sarebbe stato giusto nei confronti di Taro.
Si fece forza, ricordando il consiglio del fratello e poi non era detto che avrebbero dovuto litigare per forza, no?
“Mamma?”.
“Ciao, tesoro.” la sua voce era cordiale ed affettuosa “Spero che ora ti sia convinta a ritornare a Sendai.”.
Appunto, speranze vane.
“Io sto bene e tu come stai?” ironizzò, ignorando la sua affermazione.
“Oh, Yoshiko! Quanti altri terremoti vorrai affrontare prima che ti decida che sarebbe meglio lasciare Nankatsu? Non vedi come è divenuta pericolosa quella Prefettura? Spero tu abbia seguito i notiziari…”.
“Sì, le lezioni stanno andando bene.” la ignorò una seconda volta, mentre il sangue cominciava a ribollirle per la rabbia.
“Smettila di fare la bambina ed ascoltami una volta tanto! Sei più testarda di un mulo!”.
“E tu smettila di ripetermi sempre le stesse cose!” rispose a tono “Potrebbero arrivare anche cento terremoti, io non me ne andrò da Nankatsu! Qui mi trovo benissimo, ho ottime amiche e anche… anche chi mi sostiene quando ho bisogno di conforto, quello che tu non sei in grado di fare, mamma! E ti ricordo che la testa dura l’ho presa da te!” disse tutto d’un fiato, cercando di trattenersi dal non mandarla al diavolo.
La donna sospirò affranta. “Diventi ogni giorno più intrattabile. Ma come devo fare con te? Non capisci che mi preoccupo?”.
“Fin troppo, mamma, fin troppo!” ed inghiottì ancora il rospo, riprendendo prima che potesse farlo lei. “Ora vado a dormire, domani mi aspetta una giornata impegnativa.” non era verissimo, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per troncare quella comunicazione. Ed anche sua madre lo capì.
“Sì, tesoro. Buonanotte.” accordò con un sospiro cui lei rispose con un secco.
“’notte. Saluta papà.” e chiuse il pieghevole del cellulare con un gesto irato.
Andava sempre a finire così tra loro, soprattutto nell’ultimo periodo. Meno male che Taro e suo padre erano dalla sua parte, altrimenti sarebbe stata completamente da sola.
E poi… e poi c’era Yuzo.
Come avrebbe potuto lasciare Nankatsu sapendo che c’era lui?
Sorrise, ripensando ai giorni trascorsi in sua compagnia. Anche lui era dalla sua parte e questo la faceva sentire molto più forte.
Lentamente socchiuse gli occhi, sperando che il nuovo giorno arrivasse presto in modo da poterlo finalmente rivedere.
Il lunedì non le era mai sembrato così meraviglioso.

Se la domenica il tempo era stato quantomeno clemente, il giorno dopo sembrò seriamente intenzionato a bissare il temporale del sabato.
L’acqua cadeva su Nankatsu in scrosci pesanti, mentre il cielo si illuminava con i bagliori improvvisi dei fulmini.
Eppure, nonostante tutto, a Yoshiko sembrò ugualmente stupendo.
Delle lezioni delle giornata aveva seguito sì e no tre frasi, poi la sua mente si era persa in tutt’altri pensieri, con lo sguardo che vagava dall’orologio, appeso sopra la lavagna, alla finestra contro cui la pioggia sbatteva violentemente.
“Meno male che c’ero io a prendere appunti, oggi!” borbottò Saya con ironia, mentre si trovavano nell'aula multimediale per fare una ricerca. “Tu sei completamente su di un altro pianeta! Ricorda di mandarmi una cartolina!”.
“Piantala di sfottere!” le fece il verso, stiracchiando le braccia e disegnando un allegro sorriso.
La sala aveva circa una trentina di postazioni sistemate su lunghe fila di banchi con sedie e sgabelli.
Yoshiko sospirò per l’ennesima volta, con aria trasognante. “Mezz’ora… manca solo mezz’ora…”.
“E graziaddio finirà il countdown! È da stamattina che va avanti ‘sto conteggio!” la prese in giro l’amica “Mi stai facendo venire l’ansia!”.
“Yoko! Eccoti qua, ma insomma!” la voce fintamente alterata di Sumie si attirò subito la sua attenzione. “Tu passi la serata a casa del famoso ‘Prof’ e non ce lo dici?!”. Eri e Fuyuko annuirono gravemente alle sue spalle.
La sorella di Misaki lanciò un’occhiata traversa alla vicina di stanza. “Non ti avevo chiesto di essere discreta?”.
“Ed io lo sono stata!” annuì con forza “Discretamente pettegola!”.
Yoshiko alzò gli occhi al cielo, mentre le altre tre aveva subito recuperato delle sedie, accomodandosi accanto a loro.
“E allora?”.
“Dicci tutto!”.
“Che avete fatto?! Che ti ha detto?!”.
La solita sequela di domande a raffica cui tentò di difendersi. “Niente! Non è successo niente!”.
Eri alzò un sopracciglio con sospetto. “Non ci ha provato?” domandò seria e lei negò immediatamente, arrossendo come un semaforo.
“Ma no! Ma no! Che dici?!”.
Scambio rapido di sguardi tra le tre degne compari di Saya e poi un sospiro pesante. “Peccato!” sbottarono in coro con lei che divenne ancora più rossa, se possibile.
“Finitela! Siete tremende! Vi siete dimenticate che è ancora innamorato della sua ex?!”.
“Uffa! Io sarei proprio curiosa di vederla…” e Saya intervenne subito all’affermazione di Sumie.
“Oh, ma Yoko l’ha vista!”.
“Davvero?!” solito coro di voci.
Certo che tutte e quattro assieme erano impossibili da contenere.
“Sì, l’ho vista in fotografia…”.
“E com’è?!”.
Yoshiko sospirò, abbozzando un sorriso. “Bella.”.
“Oh, non preoccuparti tesoro.” la consolò Sumie in tono affettuoso “Tanto lei non è qui! E tu hai campo libero, mi spiego?” ci tenne a precisare, pungolandola con il gomito e strappandole un sorriso.
“Già! E poi lui l’ha invitata a prendere un caffè!” accordò Saya, sbattendo velocemente le palpebre “E ieri è stato così cavalleresco quando l’ha accompagnata a casa!”.
“Oh, che romantico!” sospirò Fuyuko.
“Le ha anche fatto vedere dove lavora!”.
“Ohhh!”.
“Sì, ma… riusciremo a vederlo anche noi l’uomo dei tuoi sogni?” scherzò Eri “Quando ce lo presenti?”.
“E se lo cercassimo su internet?!” esclamò Sumie, battendo le mani con entusiasmo. Manco a dirlo, trovò il pieno appoggio delle sue amiche, mentre Yoshiko inarcò un sopracciglio con perplessità.
“Su… su internet?”.
“Dai, Yoko! Siamo troppo curiose!” le si rivolsero, con uno sguardo supplichevole “Solo una sbirciatina!”.
Con Saya che se la rideva e le altre due totalmente d’accordo con la richiesta di Sumie, la sorella di Misaki si ritrovò in netta minoranza. Diede una rapida occhiata all’orologio e vide che aveva ancora un po’ di tempo prima di avviarsi al ‘Juliet’, però… forse non era proprio una cosa corretta quella che stavano per fare, anche se, in fondo, si trattava solo di trovare una foto… non c’era nulla di male, no?
Sospirò, cedendo alla loro richiesta con un sorriso. “E va bene. Sul sito dell’FVO credo abbiano una sezione sul personale.”.
“EVVIVA!” esultarono in coro le ragazze, attirandosi occhiate incuriosite dagli altri studenti presenti nella sala.
Yoshiko digitò rapidamente il nome del Prof e sul portale di Google comparvero tutta una serie di link. Il primo fu proprio quello relativo all’Osservatorio Vulcanico.
La pagina venne aperta in un’altra scheda e lei sorrise, riconoscendo lo squadrato palazzone in cui aveva passato il sabato pomeriggio.
“Questo è l’FVO, il luogo in cui lavora.” spiegò alle super-incuriosite colleghe, poi ricercò nel menù laterale, trovando la sezione dello STAFF.
Una lista di nomi e ruoli comparve sullo schermo, ma solo due erano cliccabili: quello di Hideki Yoshikawa, capo dell’FVO di Nankatsu, e quello del suo vice, Yuzo Morisaki appunto. Proprio come lei aveva ipotizzato.
“Ecco, spero che ora siate soddisfatte.”. Sullo schermo comparve un’immagine di gruppo e Yoshiko riconobbe subito che era stata scattata nello studio del Prof. “Lui è Yuzo.” esclamò infine, indicando l’uomo che rimaneva appoggiato alla scrivania e le sembrò più giovane, mentre sulle sue labbra c’era solo l’ombra di un sorriso accennato; accanto a lui, i ragazzi della squadra che lei aveva conosciuto.
“Occielo! Quanto è affascinante!” sbottò Eri, portandosi le mani al viso.
“Vero! È proprio carino!” accordarono anche Fuyuko e Sumie, mentre Saya annuiva con decisione.
“Ve l’avevo detto, no?”.
Yoko tentò di ignorarle, presentando loro anche i membri del suo team.
“Questi sono Toshi, Rick, Hisui e Rita. Sono i suoi colleghi più fidati… e dei pazzi esauriti!” si concesse con un sorriso, poi incrociò le braccia al petto “Siete contente?”.
Ed il coro fu unanime “Sì!” corredato da tre trasognanti sorrisi.
“Povera me.” sospirò, chiudendo la scheda e stava per chiudere l’intera finestra, quando Saya la fermò.
“Aspetta…” disse, inarcando un sopracciglio ed indicando un punto preciso dello schermo “…apri un momento questo link.”.
Yoshiko rimase perplessa dalla sua richiesta, ma acconsentì.
L’indirizzo riportò ad un’immagine in bianco e nero che sembrava la pagina di un giornale.
Il titolo, a caratteri cubitali, accese tutta una serie di campanelli di allarme nella sua testa.

“TRAGEDIA SUL NEVADO DEL RUIZ!”
- Tra le vittime, anche una vulcanologa giapponese. -

“Il Nevado del Ruiz…” propose piano Fuyuko “…non è un vulcano?”.
La sorella di Misaki avvertì una spiacevole sensazione improvvisa farsi spazio sotto la pelle, seguita dalla confusione nel riconoscere Aiko in una delle due immagini che corredavano l’articolo. Occhi bloccati sul suo viso sorridente e incapacità di leggere quello che il pezzo raccontava.
Fu Eri a farlo per lei, lentamente.
“…a quasi ventidue anni dalla strage di Armero, il Nevado del Ruiz torna a fare paura. Una improvvisa colata di fango e lava, staccatasi a seguito delle abbondanti piogge stagionali, ha raso al suolo la piccola cittadina di Navidad, uccidendo 2'500 persone.
Coinvolta nella tragedia, anche una squadra di ricercatori giapponesi dell’FVO di Nankatsu, nella Prefettura di Shizuoka. Dei sei componenti, solo cinque sono tornati in patria sani e salvi; la sesta, Aiko Nakazawa di 26 anni, è morta sommersa dal fango.
Tra i sopravvissuti, anche il marito della vittima e responsabile della spedizione, Yuzo Morisaki…
”.
Le ci volle qualche secondo per afferrare le sue parole, qualche secondo per elaborarle e qualche secondo ancora per rendersi conto di ciò che dicevano. La bocca semiaperta a rileggere quelle poche righe fino a che non fu in grado di saperle a memoria.
“Yoko…” chiamò Sumie “…ma non avevi detto che era divorziato?”.
Lei scosse lentamente il capo, come fosse un automa, e guardò le amiche come se le vedesse per la prima volta. “I-io… io non…”.
“Ma è stato lui a dirtelo?” ed era la voce di Saya, che la osservava con espressione seria, e lei riuscì solo a continuare a scuotere la testa, sentendosi totalmente smarrita.
Ora che ci pensava… lui non le aveva mai detto di essere… aveva solo…

“No. È solo... andata via.”

E lei, come un’idiota, aveva frainteso le sue parole.
Aveva frainteso tutto.
Che stupida!
Stupida! Stupida! Stupida!
La mano afferrò saldamente il mouse, guidandolo sull’icona del comando ‘STAMPA’ e cliccandoci sopra con foga. Poi si alzò di scatto, afferrando le sue cose. Si rivestì alla buona, incurante dei richiami delle altre e si lanciò sulla stampante collegata al loro computer. Prese il foglio, lasciando di corsa la sala senza ascoltare niente e nessuno.
- Non è vero… - continuava a ripetersi -…non è possibile! Non è vero! -.
Adesso capiva perché portava entrambe le fedi.
Adesso capiva perché cambiasse espressione quando si parlava di lei.
Adesso capiva perché i suoi occhi erano sempre così malinconici.

“…lavorando per l’FVO ho molte responsabilità, tra cui la vita di altre persone. Se io sbaglio metto in pericolo la loro incolumità… e questo io non posso permetterlo.”

Adesso capiva la sofferenza delle sue parole e la paura celata in esse.
Adesso capiva il suo sbaglio: la vita che non era riuscito a preservare, era stata proprio quella della persona che aveva amato di più.
E tutto quello le sembrò così maledettamente ingiusto.
Corse lungo i corridoi senza fermarsi un solo istante, incurante degli sguardi che gli altri studenti le lanciavano. Corse fuori dall’Università senza badare alla pioggia scrosciante che la investì in pieno appena mise piede all’esterno dell’edificio. Corse lungo il marciapiede che portava al ‘Juliet’; l’acqua che si sollevava in schizzi quando pestava le pozzanghere, altra scendeva dai capelli che si erano infradiciati in pochi minuti, altra ancora, calda, scivolava dai suoi occhi mischiandosi a quella gelida della pioggia di Febbraio tanto che non fu più possibile distinguerle.
Perché non gliel’aveva detto?
Perché aveva lasciato che lei continuasse a fraintendere senza spiegarle come realmente stavano le cose?
- Perché ti prende per una stupida, come tutti! - pensò quasi con rabbia, ma pentendosene immediatamente.
Appena vide il bar, rallentò la sua corsa fino a fermarsi.
Gli occhi spalancati a scrutare l’intorno, ma lui non era ancora arrivato.
Il fiato caldo ed affannato si condensò in grigie nuvolette, mentre le lacrime non accennavano a smettere di fuggire dai suoi occhi e rotolare sul viso.
Che cosa gli avrebbe detto una volta che fosse arrivato? Come si sarebbe dovuta comportare con Yuzo ora che sapeva la verità?
Lentamente abbassò lo sguardo sul foglio che continuava a stringere con forza tra le mani.
Aiko Nakazawa.
Ecco perché le era sembrato di averla già vista…
“Somiglia a Sanae.”.


[1]HAS FIDANKEN: credo che questo nome risulterà familiare solo ai lettori un po’ più grandicelli, come me. Per tutti gli altri… avete mai visto ‘Drive in’? Era uno dei primissimi programmi di cabaret dove si sono succeduti dei giovani: Ezio Greggio, Gianfranco D’Angelo, Enrico Beruschi e tanti, tanti altri. Ecco, Has Fidanken era il nome di un pucciosissimo cocker spaniel che faceva uno sketch con Gianfranco D’Angelo. Ed era troppo lolloso! XDDD


…E poi Bla, bla bla…

Ennesimo capitolo chilometrico che ho dovuto frammentare in due parti. T_T perdono.
Avrei voluto darvi interamente il ‘colpaccio’, ma sono stata costretta a dividerlo onde evitare di appesantire troppo il capitolo, già piuttosto lunghetto.
Riguardando la scaletta, mi sono resa conto che forse verrà un capitolo in più del previsto e tutto a causa della mia logorrea! T_T odio quando mi si sballottano i piani, anche perché non vorrei creare una fanfiction eccessivamente lunga: so che può divenire stancante per il lettore.
Quindi, forse (ma spero di riuscire a rientrare nei ranghi, e magari accorciare che male non fa!XD) i capitoli saranno 28 + epilogo… vi ho visti! State scappando! XD
Non avete tutti i torti! XD

Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

Hikarisan: XDD ho cercato di fare più in fretta del fulmine e dico subito che la seconda parte del capitolo… è già pronta!! XDDD Quindi non vi farò penare molto! hihihi

Eos: XD credo che ora mi vorrai ancora più morta, visto come ho lasciato a metà!
*__* ti preeeeego! Al mio scalpo ci tengo ancora! XD
Tu hai perfettamente ragione T_T sono mortificatissima per aver rimandato ed ora frammentato ancora!
Ti ringrazio infinitamente per i tuoi complimenti, però, davvero: ho trovato faticosissimo scrivere le puccioserie etero senza scadere troppo nella super-melassa! O_O
Ecco l’effetto dello scrivere troppi pornazzi yaoi! XD

Sakura-chan: XD ma credo che questo capitolino sia piovuto a soddisfare proprio ciò che tu hai evidenziato nella recensione o sbaglio?! XD tu vedi e prevedi, incomincio a spaventarmi!
NOOOOOO, Bruttiful NOOOOO! Adesso mi viene uno scompenso! XD
Ovviamente non è solo per una questione di età e vedovanza che Taro non li vede di buon occhio, ma anche altro di cui parlerò in seguito (niente di eclatante, eh, ma credo siano motivazioni quantomeno credibili a favore delle preoccupazioni del fratelluzzo. ^^ Solo età e vedovanza mi sembrava troppo poco, ma… orsù… le carte si ‘terzeano’! *hihihi*).
Io ti ringrazio per tutte le tue parole, Bettina T_T sei sempre la mia pucciosissima bet(t)uzza!
PS: se ti dicessi che la battuta su Beautiful l’avevo scritta prima di leggere la tua recensione, mi crederesti?! Veggente! XD

Ok, non ho più niente di idiota da dirvi, quindi, vi rimando al prossimo capitolo che sarà pieeeeeno di noteeeee! *blink* lo so che mi odierete per questo! *___*.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 (parte II) ***


Huzi

- Capitolo 14 (parte II) -

“Un caffè, eh?” Ricardo inarcò un sopracciglio, dipingendo un sorrisetto che la diceva fin troppo lunga su quello che la sua testa bacata stesse lentamente macinando appena Yuzo gli aveva detto che aveva appuntamento con Yoshiko.
Toshi, all’altra scrivania, sghignazzava poco rispettosamente, ma il Prof finse di ignorarlo, mantenendosi indifferente per quanto avrebbe voluto tirare un pugno in testa a tutti e due.
Al lavoro, le cose procedevano ancora troppo a rilento, mentre i dati di Shiro non erano ancora arrivati e Rita era chiusa nel laboratorio da quella mattina.
“C’è qualcosa che dovrei sapere, Yuzo?” domandò l’ispanico, senza far scomparire l’espressione di chi la sa più lunga di lui, ma finge di cadere dal pero.
E lui non era intenzionato a fare il suo gioco; scrollò le spalle, scuotendo il capo e sistemando il giaccone. “No, non mi sembra.” anche perché non c’era nulla da dire, no?
Stava solo andando a prendere un normalissimo caffè con un’amica, dov’era la cosa sorprendente?
“Ok, se lo dici tu.” Rick non aveva intenzione di arrendersi, così fu lui ad abbandonare quel duello, allontanandosi in direzione della porta e borbottando un “Finitela.” con i due colleghi che, praticamente, gli stavano ridendo alle spalle.
“Tu pensi che Rita abbia ragione?”.
L’ingegnere non rispose subito alla domanda di Toshi, ma attese che il vulcanologo non fosse più visibile prima di muovere lo sguardo sull’altro. “Sì, anzi, secondo me, Occhi Belli sta già sortendo il suo effetto.”.
“Dici?”.
“Dico.” e ne era totalmente convinto.

Controllò nuovamente l’orologio, mentre guidava Dante nel traffico che si era creato per le vie di Nankatsu a causa della pioggia.
“Accidenti.” borbottò, notando che le 18 erano passate da circa cinque minuti. Forse sarebbe dovuto scendere prima, ma non si era minimamente accorto del tempaccio che stava imperversando sulla città. Si camminava praticamente a passo di lumaca ed il tergicristallo del Pick-up lavorava a ritmo incessante per fargli avere una decente visibilità della strada.
Sperò ardentemente che Yoshiko non fosse ancora arrivata o che, almeno, si fosse rintanata all’interno del bar.
Quando il semaforo scattò rosso, imprecò battendo una mano sul volante. Poi, dopo qualche secondo, qualcuno bussò al vetro del suo finestrino, attirandosi la sua attenzione.
Una graziosa signorina, stretta in un cappotto bianco e con un piccolo ombrellino, reggeva precariamente dei volantini. Lui abbassò il vetro e la poverina, che dal sorriso tirato che aveva si capiva lontano un miglio che avrebbe preferito essere altrove, gliene porse uno, accennando un ringraziamento con il capo, prima di passare alla vettura successiva.
Yuzo rigirò il foglio semi-fradicio, notando che sponsorizzava il maxi-evento organizzato da Kishu e non riuscì a non trattenere un sorriso di soddisfazione. “Eh, mio caro Vice Prefetto, la tua propaganda… fa acqua da tutte le parti!” scherzò, dispiacendosi solo del fatto che non fosse stato proprio Kishu a prendersi l’acquazzone. Hideki gli aveva detto di esser riuscito a rintracciarlo, ma che continuava ad ignorare tutti i suoi avvisi e preoccupazioni riguardo l’ultima scossa: voleva certezze, aveva detto, non supposizioni e fino a che non ne avrebbe avute, lui avrebbe continuato con la sua propaganda.
Che testardo!
E Yuzo era sempre più convinto che a quell’uomo non importasse un accidenti dei cittadini della Prefettura. Era chiaro ormai. Solo un idiota non sarebbe scattato dopo cinque scosse in una sola settimana. E quelli del VRC e dell’ERI riuscivano a mandarlo ancora più in bestia, se possibile.
Con un enorme sforzo di volontà decise di ignorarli, aveva altro a cui pensare, ed ingranò la seconda quando il semaforo divenne verde e le auto cominciarono a muoversi.
Doveva trovare le parole giuste per spiegare ogni cosa a Yoshiko e… e non sapeva da dove cominciare.
Ci aveva pensato durante la mattinata, tra un sismogramma e l’altro, senza successo: ogni volta che cercava di raccontare gli eventi del Ruiz, la gola gli si seccava all’improvviso ed il cuore diveniva pesante come un macigno. Sembrava quasi che, dopo tanto fuggire, anche le parole fossero scomparse, nascondendosi da qualche parte dentro di lui insieme ai ricordi che a valanga lo avrebbero sommerso nell’attimo in cui sarebbe andato a stanarli.
In quel momento si domandò se ce l’avrebbe fatta ad affrontarli tutti in una sola volta; se il dolore, in quegli anni, lo avesse reso abbastanza forte… se Yoshiko avesse continuato a fidarsi di lui, dopo aver saputo la verità.
Quando avvistò il ‘Juliet’ cominciò a rallentare, guardandosi intorno alla ricerca di un parcheggio, e allora la vide. Lì, ferma sul marciapiede, mentre la pioggia le cadeva addosso incurante del fatto che non avesse un ombrello sotto cui ripararsi. Immobile, la testa bassa a fissare le mani che reggevano qualcosa che lui non riuscì a vedere.
La gente camminava velocemente intorno a lei per sfuggire al diluvio che invece la ragazza sembrava ignorare.
Ed acqua cadeva dai suoi capelli fradici e gli abiti pregni, cadeva ai suoi piedi per poi fuggire lungo la strada, raccogliendosi in pozzanghere.
C’era qualcosa di strano, si disse, qualcosa di… sbagliato. Perché restava lì senza correre a ripararsi?
Infilò Dante nel primo spiraglio libero che trovò e scese rapidamente.
In pochi passi la raggiunse, mentre Yoshiko non si era minimamente accorta della sua presenza e continuava a dargli le spalle.
Distese un sorriso, decidendosi a parlare.

“Somiglia a Sanae…”.
Mormorò, rivedendo nei suoi occhi quelli della consorte del grande campione giapponese, ed allora si ricordò di quando, anni prima, aveva invitato suo fratello a Sendai e lui aveva rifiutato, dicendo che sarebbe dovuto andare ad un funerale, quello della cugina di Sanae.
Da ragazzina stupida e capricciosa qual era all’ora, non si era nemmeno premurata di provare un minimo di dispiacere per lei né chiedere cosa le fosse capitato. Egoisticamente, si era rammaricata solo del fatto che non avrebbe potuto trascorrere del tempo con il suo fratellastro.
Ed ora… quella ragazza, di cui si era disinteressata con tanta superficialità, era tornata prepotentemente nella sua esistenza, facendola sentire di nuovo la ragazzina stupida di un tempo. Una ragazzina stupida che era innamorata della stessa persona che aveva amato lei e che ancora starebbe amando, se fosse stata viva.
Il tutto ritornava come un gioco del destino, così bravo ad intrecciare tanti fili diversi in un unico arazzo.
“Spero di non averti dato il cattivo esempio ad andare in giro senza ombrello.”.
Il cuore si bloccò nell’istante stesso in cui riconobbe quella voce alle sue spalle. Si fermò con un ultimo, cupo battito, mentre riemergeva nella realtà circostante, accorgendosi solo allora che la pioggia le si stava riversando addosso con violenza, che le gocce le rigavano il viso ed inzuppavano gli abiti, che il freddo le si stava insinuando fin dentro le ossa, divorandole come fossero legno tra le fauci di una termite. Alzò lentamente la testa, mentre attorno a sé vedeva solo immagini acquose e tremolanti ed in bocca sentiva il retrogusto salato delle lacrime.
Si volse piano, con il foglio fradicio stretto al petto. Il suo sorriso entrò nel raggio visivo, scomparendo poi come neve al sole quando i loro occhi si incrociarono e lui si accorse che stava piangendo.
Lo sguardo improvvisamente serio, preoccupato e confuso. Lo vide avanzare di un passo. “Yoshiko… che succede?” si sentì domandare, ma non rispose.
Mantenne gli occhi fissi nei suoi.
Allora e solo allora tutto quello che fino al giorno prima le era sembrato sfocato, indistinto, quasi inafferrabile divenne improvvisamente nitido; chiaro come non lo era mai stato. Le sue iridi scure, trasparenti come vetro attraverso cui leggere tutto il suo dolore.
Ed era così vicino ed era così forte che riuscì ad avvertirlo su di sé, dentro di sé.
E… e Yuzo doveva essere fatto d’acciaio per non essere ancora crollato, mentre lei se ne sentiva già sopraffare come foglia sotto il peso di un masso. Ma ora riusciva a capire fino in fondo ciò che era, a vedere oltre i suoi occhi e quel dolore lo stava lentamente divorando dall’interno, mentre il cuore continuava a sgorgare sangue vivo da quella ferita che lo aveva tagliato di netto a metà.
Il suo, invece, prese lentamente a battere dopo quella strana sospensione e le faceva male come mai prima d’ora.
Le labbra le si incurvarono piano verso il basso, mentre nuove lacrime si affacciarono ai suoi occhi e tutto quello che seppe dire, allo sguardo confuso del Prof, fu “Mi dispiace…” sussurrando quella parole con sofferenza.
La mano, tremante, allungò il pezzo di carta che l’acqua stava sbiadendo. E lui lo prese, continuando a non capire.
Gli occhi di Yuzo si abbassarono su quelle lettere.
Ruiz.
Aiko.
Un articolo di giornale.
Un pugno in pieno stomaco dato con tutta la violenza possibile e oltre.
Socchiuse per un attimo gli occhi, sorridendo con ironia, prima di tornare a volgerli a lei.
“Avrei voluto essere io a dirtelo, ma temo di esser arrivato tardi.” e si sentì affogare nel suo pianto silenzioso, mentre tutto il mondo continuava a scorrere intorno a loro. Accartocciò ciò che ormai era divenuto poco più di un velo, riducendo di ancora un passo la loro distanza. Piano, avvolse la sua esile figura, stringendola a sé e Yoshiko non trattenne un singhiozzo quando fu al sicuro nel suo abbraccio.
“Mi dispiace…” bisbigliò di nuovo; le mani che risalirono lente nella pioggia, cingendogli il collo. Ed i singhiozzi divennero due e poi tre e controllarsi fu inutile, mentre tremava nella sua stretta protettiva senza nemmeno rendersene conto. “Mi dispiace così tanto…”.
“Lo so…” le disse, carezzandole la schiena e le sembrò ancora più minuta di quanto non fosse “…ma non devi piangere, ti prego.”. Sentirla vibrare, con voce incrinata riuscì a ferirgli il cuore. “Ascolta…” continuò piano, prendendole il viso tra le mani e costringendola a guardarlo negli occhi. I profili sperati solo da una goccia di pioggia.
Nonostante le sue mani fossero bagnate, Yoshiko le avvertì calde sulle guance ed accoglienti, grandi mentre l’accarezzavano con affetto. Ed era così bello sentire il contatto con la sua pelle, ed avere i suoi occhi così vicini da studiarne ogni sfumatura di colore e vederci rispecchiati i propri.
“Ascolta…” ripeté Yuzo “…ti racconterò tutto con calma, te lo prometto. Ma prima ti porto a casa: devi mettere qualcosa di asciutto e fare una doccia calda.” sorrise “Non voglio certo che ti ammali, va bene?”.
Lei riuscì solo ad annuire lentamente, mentre in gola avvertiva un groppo che non la faceva parlare. Poi, sentì il cuore battere più forte quando le baciò la fronte e le sue labbra erano delicate e morbide sulla pelle in quel lungo contatto.
Era il primo bacio che riceveva da lui ed anche se era solo una innocente dimostrazione di affetto, provò una sensazione meravigliosa di calore che si diramò in tutto il corpo, scacciando per un intenso momento il gelo dell’acqua piovana. Le ansie andarono dissolvendosi lentamente ed anche se il dolore che aveva avvertito in Yuzo agiva ancora come il riflesso di uno specchio su di lei, quel semplice contatto sembrò lenirlo a poco a poco, nonostante non riuscisse a farlo sparire completamente.
Eppure riuscì a sentirsi più tranquilla di quanto non fosse stata pochi minuti prima.
Quando le labbra sciolsero il bacio e gli occhi tornarono ad incontrare quelli di Yoshiko, Yuzo le sorrise ancora. “Andiamo.”.
Lentamente si mossero in direzione di Dante che, finalmente, offrì loro un riparo dall’acquazzone imperversante.

Quando l’imponente cono del Fuji non era visibile in lontananza, Yuzo aveva sempre pensato che la città di Nankatsu perdesse tutto il suo fascino, come ogni paese che aveva lo stratovulcano come parte integrante del proprio paesaggio.
Ed ora che l’acqua continuava a cadere abbondante e la sua struttura elegantemente imbiancata non risaltava nel buio con la sua naturale opalescenza, Nankatsu gli sembrò terra straniera mentre la scrutava dai vetri graffiati di pioggia del suo salotto.
Lentamente bevve un lungo sorso del tè bollente che aveva preparato una volta arrivati a casa: con tutta l’acqua che avevano preso, soprattutto Yoshiko, avevano bisogno di qualcosa di caldo con cui combattere il freddo.
Così, mentre la sorella di Misaki era sotto la doccia, lui aveva messo a fare il tè, frizionando i corti capelli con un asciugamano, tanto era abituato ad andarsene in giro con le più svariate condizioni meteo. Gli era quindi bastato cambiarsi d’abito e darsi una rapida asciugata per tornare come nuovo. Nel frattempo aveva anche avvertito Ricardo, dicendogli che non sarebbe rientrato all’FVO perché aveva una ‘questione importante da risolvere’ e l’ingegnere aveva cercato di trattenere una risata, evitando di nominare Occhi Belli, nonostante avesse subito capito che la questione importante avesse a che fare con lei. Si era limitato ad augurargli la buona notte, dicendo che lo avrebbe avvisato subito in caso di novità.
Ora, il Prof restava fermo presso il balcone a scrutare l’esterno senza reale interesse.
“Sei… sei sicuro che possa usarli?” la voce di Yoshiko lo raggiunse, attirandosi subito la sua attenzione e la osservò avanzare nel salotto con titubanza, mordendosi un labbro. La tuta di Aiko le calzava a pennello. Lui sorrise.
“Certo che sì.” affermò senza esitazione “Anche perché ci sarebbero volute due te per riempire un mio maglione.”.
Yoko si grattò un sopracciglio. “Anche questo è vero.” convenne, accomodandosi sul divano, mentre lui rimase con la schiena appoggiato al vetro.
“E’ una delle poche cose che ho ancora di suo.”. La ragazza lo ascoltò in silenzio, afferrando l’altra tazza di tè ferma sul tavolino e disperdente il caldo vapore. “Il resto, tra abiti e oggetti, lo conservano i suoi genitori.”.
“Io non so se sarei mai riuscita a separarmi delle cose appartenute ad una persona tanto importante per me.”.
Yuzo sorrise di nuovo. “E’ stato un passaggio graduale e per nulla facile all’inizio.” poi abbassò lo sguardo sul tè della sua tazza e, piano, cominciò ad aprire le tante porte che aveva sbarrato il giorno della sua partenza, tre anni prima.
“Poco dopo il funerale di Aiko…” spiegò “…mi decisi a far scomparire tutto ciò le fosse appartenuto. Vedere ogni momento i suoi abiti, i suoi oggetti, faceva… troppo male. Così, in un giorno, imballai tutto e lasciai gli scatoloni accanto alla porta di ingresso. Non dovevo fare altro che chiamare suo padre oppure caricarli su Dante e di lei mi sarebbero rimaste solo le fedi ed il mio lavoro. Però… il non vedere più le cose che usava quotidianamente e che per anni erano rimaste in determinati posti… sortì l’effetto contrario a quello auspicato.”. I suoi occhi vagarono per l’appartamento, sezionandolo in maniera lenta. “La sera di quello stesso giorno, ogni cosa era nuovamente al suo posto ed io ero nella stessa situazione iniziale.” Sforzò di sorridere sulla triste ironia di quel ricordo, bevendo un nuovo e breve sorso di tè. Una delle porte della sua memoria si frantumò ed i resti vennero esalati in un profondo respiro. “Nell’anno che precedette la mia decisione di rimettermi in moto e partire per il Guatemala, cercai di separarmi dai suoi affetti un po’ alla volta, provando a seguire anche i consigli di Yayoi.”.
“Yayoi la moglie di Jun?” domandò Yoshiko e lui annuì.
“La mia psicologa di fiducia.” cercò di sdrammatizzare “Ma anche un bravo strizza-cervelli come lei si è dovuto arrendere di fronte alla mia netta decisione di ripartire.” poi scosse il capo. “Credo di non averle mai permesso seriamente di aiutarmi, così come ho rifuggito l’affetto di tutti, i miei genitori compresi.”. Yuzo si strinse nelle spalle “Quindi, per evitare di sentirmi ripetere sempre le stesse frasi e per provare a mettere una netta distanza tra me ed i ricordi, sono andato via…” nel dire questo, la bocca prese una piega amara “…ma loro sono sempre stati molto più veloci di me e non importava dove io andassi, non sono mai riuscito a lasciarmeli alle spalle, nemmeno per pochi attimi…”.
“E’ per quello che lavori sempre così tanto…”.
“Sì… tenere la mente occupata mi permetteva di non pensare, almeno per un po’. Ed in quei pochi momenti riuscivo ad illudermi di averli superati, di essere stato io il più veloce… ed invece… mi bastava chiudere gli occhi e loro erano di nuovo lì, a ricordarmi l’errore che avevo commesso.”.
La seconda porta cadde in frantumi come fosse stata rosa da tarli, ma più andava avanti più divenivano pesanti da aprire e forse, invece di renderlo più forte, la continua fuga non aveva fatto altro che indebolirlo lentamente.
Yuzo si mosse in direzione del tavolo, appoggiando la tazza sulla superficie.
Nonostante la gola si fosse fatta secca, sapeva che non sarebbe riuscito a buttar giù un solo goccio del liquido ambrato e ancora un po’ tiepido.
Afferrò stancamente le sigarette, cavandone una dal pacchetto e portandosela alla bocca.
Yoshiko osservò in silenzio i suoi movimenti, prima di scuotere il capo con decisione. “Ma ciò che è successo su quel vulcano… è stato un incidente! Non puoi fartene una colpa, non lo è!” ed era seriamente convinta di ciò che stesse dicendo.
Yuzo esalò una densa nuvoletta di fumo, tornando nuovamente al balcone. “Incidente, sì…” fece eco dandole le spalle “…che io potevo evitare.”.
Ed ecco che era arrivato davanti all’ostacolo più grande, quello insormontabile: un portone altissimo teneva celato il ricordo più doloroso della sua vita, che non aveva mai più condiviso con nessuno dal giorno in cui lo aveva vissuto. Non era mai riuscito a parlarne, nonostante fosse sempre nitido e vivo nella sua mente. Con gli anni, non si era sbiadito né aveva perso i particolari, ma era rimasto perfettamente intatto davanti ai suoi occhi. Ne ricordava ogni minuzia, odore, colore e sensazione. Ogni parola che le loro bocche avevano pronunciato, ogni grido e pianto che aveva udito, il freddo della pioggia e le loro mani strette che scivolavano, non riuscendo più a mantenere la presa.
Tutto in un attimo, ogni cosa gli si riversò addosso prima ancora che tentasse di formulare una qualunque frase. E, come sempre accadeva quando cercava di parlarne, l’aria sembrò abbandonare i suoi polmoni e l’ambiente intorno si fece asfittico, soffocante.
Tentò di respirare a fondo un paio di volte, ma la situazione non migliorò. Rapidamente tornò nei pressi del tavolo, spegnendo la sigaretta quasi intatta.
“Scusami…” le disse, tornando poi al balcone ed aprendone un leggero spiraglio.
Lo spiffero gelido di Febbraio sembrò farlo rinascere.
Yoshiko lo raggiunse in rapidi passi. “Stai bene?” chiese in tono preoccupato dopo averlo visto impallidire di colpo.
Lui respirò ancora per un momento quello spillo d’aria, prima di sorriderle. “E’ sempre così quando cerco di parlarne… in tanti anni, la sensazione di soffocamento non è cambiata. Scusami, davvero…”. Le sfiorò il viso, spostando una ciocca di capelli più indisciplinata e, diversamente da quando l’aveva accarezzata mentre erano sotto la pioggia, Yoshiko avvertì che le sua mani erano gelide. Sembrava quasi un paradosso, eppure era così.
“Non devi parlamene per forza, se non te la senti…” gli disse con dolcezza, prendendogli la mano prima che scivolasse via e la tenne stretta tra le sue, che erano calde, sperando di riuscire a trasmettere anche alle sue dita un minimo di tepore.
“Se non lo faccio ora… potrei non riuscirci mai più.”. Yuzo ne era sicuro ormai: se non li avesse affrontati una volta per tutte, i ricordi non lo avrebbero mai lasciato in pace. E questo sembrò comprenderlo anche Yoshiko, che gli sorrise.
“Allora procedi con calma, va bene?”.
Lui annuì, inspirando ancora una volta, profondamente. Se quel portone non voleva spalancarsi, allora lo avrebbe smantellato un pezzo alla volta. I suoi occhi fermi sulle luci della città che evidenziavano la pioggia che aveva perso il regime torrenziale per farsi più sottile e fitta.
“Vedi…” cominciò senza voltarsi “…molto spesso i vulcani non sono così pericolosi come appaiono e, se si conoscono bene i loro comportamenti, possono essere studiati in tutta sicurezza anche da vicinissimo.”. Il suo sguardo si fece serio “Ciò non toglie che anche loro possano far paura ed in particolare sono due le manifestazioni da temere. La prima è la colata piroclastica.”. Mosse piano lo sguardo per incrociare il suo, appoggiando la fronte al vetro. “Hai mai sentito parlare del Vesuvio? Dicono che il Sakura-Jima sia il suo gemello giapponese.”.
Yoshiko annuì: il suo professore di Storia dell’Arte Italiana lo aveva nominato, qualche volta, a lezione.
“Nel 79 d.C., il vulcano scatenò la sua furia con un’eruzione esplosiva tra le più importanti della storia che le valse anche un posto nella nomenclatura[1]. Ebbene, quell’eruzione rase al suolo tre città dell’impero romano di nome Ercolano, Pompei e Stabia che vennero sepolte da un’immensa nube di gas, polveri e ceneri a temperature talmente elevate da uccidere per shock termico ancor prima di venirne travolti. Per fare un esempio nostrano, pensa all’Unzen[2].”.
Lei annuì, ripescando nei ricordi scolastici del liceo.
“Ad ogni modo, le colate piroclastiche si verificano solo quando il vulcano è in eruzione, quindi, più semplici da evitare. Mentre l’altro fenomeno può avvenire anche a freddo, diciamo; dopo giorni, mesi o addirittura anni dall’ultima eruzione del vulcano.”. Yuzo fece un profondo respiro, dando il primo, pesante colpo di scure al portone invalicabile. “Si chiamano lahar e sono enormi valanghe di fango, acqua e lava che, come colate, ridiscendono i versanti del vulcano, trascinando materiali, detriti e tutto ciò che si trovi sul loro cammino senza pietà.” deglutì con uno sforzo, costringendo l’aria ad entrare nei suoi polmoni. “Il Nevado del Ruiz è un vulcano soggetto a formazione di lahar. Nel 1985 uno di questi uccise circa 22'000 persone.”.
Yoshiko rimase ad osservare il suo sguardo fermo e freddo come quello di una statua, avvertendo un brivido lungo la schiena quando tornò a rivolgerlo a lei e non aveva mai sentito così gelidi i suoi occhi.
“Sopravvivere è quasi impossibile. È un fiume di melma: se ci finisci dentro, sei morto. E spesso fanno più vittime della stessa eruzione.”. Il gelo tornò a liquefarsi. “Ed io questo lo sapevo fin troppo bene. Avevo passato tanto di quel tempo a studiare il Ruiz ed i suoi lahar prima della spedizione, che fui io stesso a proporre il periodo più adatto in modo da evitare la stagione delle piogge… però… quest’ultima arrivò con una settimana di anticipo, cogliendoci che eravamo ancora nel pieno delle nostre indagini.”. Il secondo colpo si abbatté sull’ostacolo con un suono secco che rimbombò assordante nella sua testa. “I-io… lo sapevo che dovevamo andarcene, che un lahar si sarebbe staccato dalla montagna… lo sapevo…” la voce tremò, divenendo incerta ed i suoi occhi erano sofferenti “…ma lei continuava a dirmi: ‘Ancora un giorno, tesoro. Restiamo ancora un giorno o questi mesi saranno stati inutili’… ed i giorni divennero sette e ci decidemmo a partire quando ormai era tardi… troppo, troppo tardi…”.
Yoshiko lo vide deglutire con uno sforzo e prendere un’ampia boccata prima di continuare, lo sguardo che vagava di nuovo all’esterno.
“Il lahar ci sorprese che stavano rientrando a Navidad, dove avevamo il campo base. Io, Rick ed Aiko eravamo andati a recuperare l’ultima attrezzatura e anche in quel momento pioveva. All’improvviso… il boato… ed abbiamo visto la montagna cadere giù. E poi… e poi abbiamo corso… tra la gente che scappava, la pioggia e quel rumore assordante e cupo come un rombo. Nel caos abbiamo avvistato gli altri sul tetto di una palazzina. Non era il massimo, ma era sufficiente a salvarci. Ricordo… ricordo che le tenevo la mano, che ci arrampicavamo sul muro, che eravamo quasi al sicuro… le tenevo la mano e poi… è arrivato il lahar.”. Un colpo ed un altro in rapida sequenza ed il portone si crepò. Una frattura profonda come il suo dolore, ancora una percossa e sarebbe finalmente venuto giù. “Era più forte di me.” affermò, mentre le mani di Yoshiko si strinsero con forza attorno alla sua, che ricambiò la loro stretta. “E me l’ha portata via.”
Tutto crollò come un enorme vetro mandato in frantumi, ed i ricordi non ebbero più nessun ostacolo a trattenerli. In corsa lo oltrepassarono, portandosi finalmente alle sue spalle. Il rumore dei loro passi sfuggenti andò lentamente scemando come un’eco della sua memoria.
“Non sono riuscito a trattenerla… avrei… avrei dovuto insistere di più… avrei…” gli occhi lucidi, fissi nei suoi per alcuni istanti, poi, Yuzo li distolse per l’attimo necessario a ricacciare le lacrime che cercavano di fuggire al suo controllo, abbozzando un sorriso ironico “…non sono l’eroe che pensi.”.
“Invece ti sbagli!” e la decisione con cui lo disse ebbe la forza di sorprenderlo. “Tutto quello che stai facendo per questa città dimostra l’esatto contrario. Se così non fosse, allora ti comporteresti come quel Vice Prefetto… ed invece no.” Yoshiko scosse lentamente il capo “Quello che è successo sul Ruiz non è stata colpa tua: Aiko era una vulcanologa come te e sapeva i rischi che correva nel voler restare, è stata una sua scelta e sono sicura che nemmeno lei ti accusa di nulla. Ne sono sicura!”. La forza delle sue parole aveva la capacità di riuscire a convincere anche lui, infatti sorrise.
“Credi?”.
Yoko annuì, lasciando andare la mano che aveva tenuto stretta fino ad allora; era di nuovo calda. Yuzo rimase a guardarla per qualche altro secondo, avvertendo l’aria attorno di nuovo respirabile, il senso di soffocamento dissolto.
“Come… come ti senti?”.
Alzò nuovamente lo sguardo su di lei, avvertendo un piacevole ed insolito senso di leggerezza che lo fece sorridere. “Bene.”. Lo disse in tutta sincerità ed anche la sorella di Misaki lo avvertì dal tono naturale con cui lo aveva proferito e l’ampio sospiro che lo aveva seguito.
Rispose al suo sorriso pensando che, presto o tardi, il velo malinconico avrebbe abbandonato i suoi occhi, anzi, le sembrò che avesse già cominciato a dissolversi.
“Che ne dici se preparo un altro tè?” propose la giovane con entusiasmo.
Ed il Prof accordò, richiudendo lo spiraglio di balcone e osservando per un attimo la pioggia che continuava a cadere. Se era riuscito ad affrontare per la prima volta i suoi ricordi, lo doveva soprattutto a colei che era rimasta ad ascoltarlo, infondendogli il coraggio necessario per abbattere tutte le porte che aveva chiuso.
“Yoshiko…”.
“Sì?”.
Se non ci fosse stata lei, avrebbe continuato a scappare, lo sapeva, fino a perdersi definitivamente nei suoi sensi di colpa.
Si volse ad osservarne gli occhi arrossati, dispiacendosi del fatto che avesse pianto a causa sua, nonostante avesse sempre cercato di evitarlo.
La ragazza, intanto, aspettava con espressione interrogativa; la sua vitalità e spontaneità trasparivano dal viso ingenuo. Forse nemmeno si rendeva conto, fino in fondo, di cosa realmente avesse fatto per lui.
Yoshiko lo vide muoversi nella sua direzione ed abbracciarla senza dire una parola. Ed era…  diverso… lo avvertiva diverso, non la sua solita stretta protettiva, ma più forte. Un abbraccio dato in segno di gratitudine ed affetto. Intenso era il calore che il suo corpo offriva.
“Grazie.” lo sentì sussurrare e dopo l’emozione iniziale per quel gesto, si rilassò tra le sue braccia, ricambiando la stretta. Ed era così bello sentire la sua presenza sotto le dita, mentre le mani gli avvolgevano la schiena ampia.
Socchiuse gli occhi, beandosi di averlo così vicino come non lo era mai stato e non era solo una pura questione fisica, ma di spirito: i loro cuori erano talmente in sincrono che non fu in grado di scinderne i battiti.
“Ho fiducia in te.”.

I tè divennero tre, mentre le ore passarono senza che nemmeno se ne rendessero conto.
Seduti sul divano, Yuzo le parlò di Aiko come non era mai riuscito a fare, prima di allora. Solo il giorno prima evitava addirittura di nominarla, mentre ora riusciva finalmente a raccontare di lei senza sentire il groppo in gola.
“Il primo giorno di corsi all’Università, entrai nell’aula piuttosto titubante…” disse il Prof, ciccando nel posacenere che aveva appoggiato sul bracciolo, mentre i piedi erano sostenuti dal tavolino; Yoshiko ascoltava con interesse i suoi racconti, con il viso nelle mani, e ad ogni storia scopriva qualcosa di nuovo su di lui ed il suo carattere.
“…nella testa cominciavo già a pentirmi della scelta, temevo di aver commesso un errore, poi… poi la vidi. Era seduta ai primi banchi, aveva una maglietta rossa ed i capelli raccolti. Santo cielo! Me lo ricordo ancora. Non sapevo chi fosse, non sapevo il suo nome o se fosse o meno fidanzata, ma la prima cosa che pensai fu che andare all’Università fosse stata la scelta migliore che avessi mai potuto fare.”.
“E poi?” lo incalzò con curiosità.
“E poi stavo quasi per inciampare nelle scale che portavano ai banchi più alti!”.
Yoshiko scoppiò a ridere sonoramente. “Oddio, Prof! Ma eri un disastro!”.
Lui non negò. “Ah, puoi dirlo forte! Un vero imbranato!”.
“E come hai fatto a conquistarla?”.
Yuzo si grattò un sopracciglio. “Veramente… non ne ho idea! Ricordo solo che un giorno, mentre stavo studiando, lei arrivò, si appoggiò al banco dove ero seduto e mi disse: ‘Mi passi a prendere alle 8?’”.
“Ti ha rimorchiato lei?!”.
“Incredibile, ma vero!” sospirò con un sorriso “Sarà stato il fascino dello sfigato, che devo dirti? Sta di fatto che io la guardai come fosse stata un'aliena e con l’espressione meno intelligente di questo mondo. Aiko non demorse: ‘Forse dovevo chiederti se ti andava di uscire con me!’ disse, ed io risposi: ‘Ma non dovrebbe essere il ragazzo ad invitare la ragazza?’ e lei sorrise, concludendo con un: ‘Allora invitami!’”.
“Ehi! Questa tattica la devo passare a Saya!”.
Yuzo annuì, ridendo al ricordo. “Aiko era una persona intraprendente che sapeva sempre quello che voleva e come ottenerlo. Ma credo di averla colta di sorpresa quando le chiesi di sposarmi.” aspirò una lunga boccata dalla sigaretta “Credo che non se l’aspettasse… avevamo appena ventiquattro anni.”.
Yoshiko sorrise. “Ti sei sposato che avevi solo due anni in più di me…”.
“Sì… e due anni dopo l’ho persa…” inspirò profondamente. “Perdonami se non te l’ho detto prima. Il fatto è che… quando ti ho conosciuta a casa di Genzo, ti ho vista così vivace che non mi andava di intristirti con i miei problemi.” sorrise “Non pensavo certo che le cose sarebbero cambiate così. A dire il vero, volevo parlartene proprio oggi al ‘Juliet’…”.
Lei se ne sentì quasi in colpa, intrecciando nervosamente una ciocca di capelli. “E’ stato un caso… avevo parlato così tanto di te alle ragazze, che morivano dalla curiosità di vederti…” si morse il labbro “…così abbiamo fatto una ricerca in internet e tra i link è comparso anche quello. Sei arrabbiato, vero?”.
Yuzo rise divertito. “Ma no!”.
E Yoshiko sospirò sollevata. “Sicuro? Devi sapere che loro tre insieme sono peggio di Saya, se ci si mettono di impegno, se poi contiamo che c’era anche quest’ultima a dare manforte… erano quattro pettegole contro di me!”.
Lo sguardo del Prof si addolcì. “Hai stretto molte amicizie qui a Nankatsu, non è così?”.
“Sì. E poi c’è mio fratello.”. Yuzo notò come il sorriso di Yoko divenisse sempre più luminoso quando parlava di Taro. “Iwata è molto più vicina a questa città che a Sendai, quindi riesco a vederlo più spesso di prima e ne sono davvero felice…” poi spostò altrove lo sguardo, inquadrando la tazza vuota sul tavolo. “A casa, invece, ho lasciato solo cose spiacevoli, eccetto papà.”.
“Tua madre?” propose Yuzo .
Lei si strinse nelle spalle, senza voltarsi. “Eh, già.”.
“Come vanno le cose tra voi?”.
A Yoshiko sfuggì un sospiro ironico. “Proprio ieri abbiamo discusso, come al solito.”.
“Oh, mi dispiace…”.
La ragazza tentò di sorridere. “Nell’ultimo periodo ogni nostra conversazione finisce sempre come non dovrebbe. Non riusciamo in nessun modo a raggiungere un punto di incontro: lei continua ad insistere affinché io ritorni a casa.” ma scosse il capo, alzando gli occhi su di lui “Ma è questa casa mia, molto più di quanto lo sia Sendai.”.
Yuzo le carezzò affettuosamente i capelli, sorridendo. “Io credo di capirla, in parte: con tutti i terremoti che ci sono stati, è normale che sia preoccupata per te. Io farei lo stesso, credo.”.
“Allora saresti un padre rompiscatole!” asserì Yoshiko, incrociando le braccia al petto, per poi scoppiare a ridere della sua espressione terrorizzata. “Ma lei…” ed il suo sorriso andò scemando per fare posto ad un’espressione più seria “…si è sempre comportata così nei miei confronti, anche prima che mettessi in conto l’idea di partire per Nankatsu. Nella sua testa, l’immagine che ha di me è sempre quella della bambina da tenere per mano, a cui dire cosa fare e quando. Ma sono anni ormai che io so cavarmela benissimo anche da sola, solo che… non riesce ad accettarlo.” sospirò “Come ti dissi la sera del gala, mia madre vorrebbe darmi tutto quello che non è riuscita a dare a mio fratello, ma non si rende conto di averlo già fatto e che ora, invece, è il momento che mi lasci prendere la mia strada…”.
“Tu, questo, glielo hai mai detto?”.
A quella domanda, Yoshiko arricciò il naso in una smorfietta infantile, aggrottando le sopracciglia quasi con vergogna. “Beh… ecco… essendo che sono cocciuta almeno quanto lei… parto con tutte le buone intenzioni, Yuzo, davvero… solo che poi mi faccio prendere dalla rabbia e…” sbuffò “Sbaglio, eh? Lo so!” mentre il Prof sorrideva del suo imbarazzo.
“E non avevi nessuno ad appoggiarti o che ti sostenesse?”.
“Papà. Solo papà riesce a tenere a bada la mamma, ma sapere che discutono a causa mia non fa affatto piacere, come quando discute con Taro.”. Yoko si strinse nelle spalle, alzando gli occhi al cielo “E questa era la mia vita prima di venire qui!” poi li abbassò, incrociando i suoi “Però… sai cosa? Sono contenta di ogni scelta che ho fatto, anche perché… venendo a Nankatsu… ho avuto modo di conoscere te.” concluse, arrossendo visibilmente “E ne sono felice…”.
Yuzo sorrise con affetto alle sue parole; le dita scivolarono dai capelli al viso in un contatto leggero che accentuò il rossore delle gote della giovane. Le sue mani non sarebbero più state fredde, ne era sicura, mentre l’attirarono verso di lui, lasciando che poggiasse delicatamente il capo sul suo petto. Il respiro tra i capelli era lento e si accompagnava ai ritmici battiti del suo cuore che avvertiva ovattati, coperti dal maglione.
“Ed io sono felice di aver conosciuto te.” le sussurrò piano, mentre un luminoso sorriso distese le labbra di Yoshiko, nel socchiudere lentamente gli occhi. Era stata una giornata molto più intensa di quello che aveva ipotizzato la sera prima, e tutto quello che voleva era godersi quel momento di calma e tepore dopo la tempesta che insieme avevano affrontato, e poi… e poi sarebbero stati altri piccoli passi verso di lui, mentre ricordava le parole di Saya.

“Allora devi dirglielo, Yoko. Se non lo farai, potresti pentirtene... se lo lasci andare, senza dirgli quello che realmente provi, potresti non avere più la possibilità di farlo.”

Ma non voleva pensare alla sua partenza ed intristirsi ancora, ora voleva solo riscaldarsi nel suo abbraccio; col nuovo giorno si sarebbe occupata del resto.
Rimasero in quella posizione per dei lunghissimi minuti, senza aggiungere altro alle miriadi di parole che avevano riversato, soprattutto lui che continuava a carezzarle lentamente i capelli. Poi, Yuzo alzò lo sguardo sull’orologio, appeso alla parete, che restituì la mezzanotte in punto.
“Si è fatto già così tardi?” si sorprese, non rendendosi conto di come il tempo fosse letteralmente volato. “Forse dovresti…” ma fermò la frase a metà, quando scorse il suo viso dagli occhi chiusi ed il respiro regolare e profondo. “…dormire.” concluse con un sorriso e stava già dormendo; un’espressione tranquilla e serena a distenderne i giovani tratti.
Prestando la massima attenzione ad ogni movimento, la sollevò dirigendosi in camera a passo lento.
“E’ stata una lunga giornata anche per te.” le disse in un sussurro, anche se non poteva sentirlo. Spinse la porta socchiusa con il piede, scostando attentamente le coperte prima di adagiarla piano sul letto e facendo scivolare via le braccia che l’avevano sostenuta e cullata fino a quel momento. Con cura, sistemò il piumone, vedendola rannicchiarsi sotto le coltri pesanti. I capelli sparsi sul cuscino e le labbra appena socchiuse. E lui rimase per un lungo momento ad osservarla dormire, seduto sul bordo del letto, prima di sorridere e sporgersi verso di lei, lasciandole un bacio leggero sulla tempia.
“Buonanotte.” le sussurrò un’ultima volta, per poi alzarsi e lasciare silenziosamente la stanza, ma quando ebbe richiuso la porta alle sue spalle, rimase lì, immobile, nella penombra del corridoio.
Rilasciò un pesante sospiro, passandosi una mano sugli occhi.
“Maledizione.” tra i denti sibilò la sua imprecazione.
Così non andava, non andava affatto, mentre avvertiva emozioni fin troppo chiare dentro di sé.
- Non posso affezionarmi a lei. - pensò, cercando di ricordare a sé stesso che quello fosse un errore. Perché lui a breve sarebbe dovuto ripartire e perché… amava Aiko e quello che invece il suo cuore si ostinava a provare, anche contro la sua volontà, gli sembrava quasi un tradimento alla sua memoria. Si era arrabbiato così tanto con Hiroshi e suo padre per aver osato suggerirgli di risposarsi ed ora… ora…
Si mosse con una lentezza estrema, chiudendo le imposte esterne del balcone del salotto e la pioggia era quasi del tutto cessata, ma le nuvole basse non permettevano di scorgere il cono del Fuji.
Portò le tazze in cucina, lasciandole nel lavello prima di tornare in salotto e spegnere il lume accanto al divano. La sua luce soffusa scomparve, lasciandolo immerso nel buio, che solo qualche bagliore esterno riusciva a fendere in spilli sottili, filtranti dagli spiragli delle imposte chiuse ma non serrate.
Si distese, incrociando le mani sotto la testa e fissando l’oscurità.
Non aveva amato nessun altra dopo Aiko.
Non aveva voluto amare nessun altra.
Era inconcepibile anche solo l’idea di una simile eventualità, ma ora… perché le cose dovevano essere diverse?
Perché Yoshiko era allegra e spensierata, forse?
Perché riusciva a farlo stare bene e rilassarlo?
Perché era riuscita a liberarlo dal peso che si portava dietro da anni?
Perché, maledizione!, tutto stava cambiando dentro di sé e si sentiva tremendamente in colpa per questo mutamento?
Doveva forse dire addio anche ad Aiko, insieme al ricordo del Ruiz?
La sola idea lo faceva sentire anche peggio, mentre rimaneva immerso nella confusione più totale. Sospirò profondamente, cercando di capire: cosa provava per Aiko?
Amore. Sicuro, niente da dire o pensare.
Cosa provava per Yoshiko?
Affetto… protezione nei suoi confronti…
Era attratto da lei?

Non lo sapeva.
O, meglio: lo sapeva, ma non riusciva ad ammetterlo e questo non faceva che farlo tornare al punto di partenza.
Si passò le mani sul viso, cambiando posizione e socchiudendo gli occhi.
Era inutile pensarci, la risposta a tutto già la conosceva: era un errore e lui non voleva più sbagliare.


[1]NOMENCLATURA: le eruzioni vulcaniche non sono tutte uguali, ovviamente, e vengono, quindi, classificate a seconda della loro tipologia. Quella del Vesuvio, del 79 d.C., si chiama ‘Pliniana’ da Plinio il Giovane che la descrisse in maniera perfetta per i mezzi dell’epoca.
Le pliniane sono eruzioni di tipo esplosivo, tra le più violente. La colonna di gas, polveri, ceneri e materiali vulcanici è compresa tra i 30 ed i 55 km di altezza.

[2]UNZEN: è un vulcano situato nella penisola di Shimabara. Ha un’attività di tipo Peleéano (eruttività esplosiva che prende il nome dal vulcano Peleé delle Antille, la cui colata piroclastica del 1902 uccise 28'000 persone) con produzione di nubi ardenti collassanti che si riversano sui fianchi del vulcano, formando colate piroclastiche. Nel 1991, una di queste uccise 38 persone, tra cui i coniugi Krafft, vulcanologi di fama mondiale. (Fonte: Tutto Vulcani di M. ROSI, P. PAPALE, L. LUPI, M. STOPPATO; edizioni: MONDADORI).


…E poi Bla bla bla…

Un parto.
Un vero ed unico parto questo capitolo.
Una fatica immane. Ore spese a scrivere, cancellare, riscrivere e tutto perché non mi piacevano le frasi, le parole, ogni cosa.
L’ho odiato e continuo a non esserne soddisfatta. O__O
Ma, grazie al cielo, l’ho finito XD se lo avessi visto ancora lo avrei strappato tutto e buttato i rimasugli nella carta straccia! XD
Avrò cambiato idea sì e no 6/7 volte su alcuni passaggi! XD
Così, i capitoli del 1° colpaccio sono finiti. *_* AMEN!
Spero non siano stati eccessivamente mielosi, in tal caso: gomen nasai! T_T
Per il resto… dite la verità, sentivate la mancanza delle ‘note tecniche’, vero?! XD
*__* eddai che sono pucciose!
Consolatevi: è probabile che il prossimo capitolo sia molto più breve! XD
Eeeeee… notizia stampa: il prossimo colpaccio sarà… al capitolo 18! *hihihihihihihi*

Prima di ringraziare i lettori, vi lascio due piccole note:

- La tragedia del 1985 è realmente avvenuta. Il lahar, staccatosi dal Nevado del Ruiz, ha distrutto la città di Armero dopo aver percorso circa 70 km, sommergendola sotto metri e metri di fango.
- La cittadina di Navidad non esiste, è solo un parto della mia fantasia. Riferimenti a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale.

Ed ora, giusto per farvi ‘vedere’ ciò di cui ho parlato, questi sono: Colata Piroclastica e Lahar. (immagini trovate in internet, ovviamente. Il lahar, in particolare, è relativo al Mount S.Helens.).

 PS: mi scuso fin da ora per eventuali rallentamenti nella pubblicazione delle mie storie. Il fatto è che ho cominciato a lavorare alla tesi da un paio di settimane, a pieno regime (*__* l'eruzione del '44 del Vesuvio!), e sto in laboratorio dalla mattina al pomeriggio e, quando torno a casa, sono a pezzi! Riesco a buttar giù solo un paio di righe a sera. T__T
Vi comunico che ho già cominciato il capitolo 15, però devo prima finire le due parti del capitolo 5 di Elementia (per ora ho finito la prima e sono a buon punto con la seconda!).
Spero che continuerete a seguirmi, nonostante i rallentamenti! T___T
Grazie fin d'ora a tutte/i voi! ^___^Y


Angolino del "Grazie, lettori, grazie! XD":

- Hikarisan: come sempre, non posso non ringraziarti per l'affetto con cui stai seguendo questa fanfic! T__T e ne sono commossa! Davvero, grazie mille! E ti ringrazio anche dei complimenti che mi hai fatto! *^^*. Per quel che riguarda Taro... XDDDDD il capitolo 15 gli porterà il colpo di grazia, la famosa 'goccia' che farà traboccare il vaso della sua pazienza! *ghgh* NON sono perfida! *___* asssssssolutamente!!! XDDD

- Cloud: *____* che bello risentirti!! E sono contentissima che continui a seguire questa storia! *___* Ti ringrazio tantissimo dei complimenti! Ti dirò, quella scena non era in programma! XDDDD poi, come spesso accade, la penna prende il sopravvento sulla mia volontà, ecc ecc! XD E forse sono proprio queste cose nate all'ultimo momento che riescono a risultare più piacevoli! ^__^

Ed anche per questo capitolo è tutto! *__* grazie a tutti voi, lettori e recensori, vi auguro un felicissimo Natale, una buona fine ed un buon principio! ^^/

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


PRE-NOTA: prima di lasciarvi alla lettura del capitolo, mi premeva scusarmi con voi lettori per i futuri rallentamenti negli aggiornamenti a causa dei lavori alla tesi.
Tenendo conto che è sperimentale, per la maggior parte del tempo resto intrappolata in box-loculi e laboratori, quindi, la possibilità di scrivere si riduce ai minimi storici. Per questo, tutte le mie produzioni, subiranno un brusco rallentamento, Huzi compresa. (ma sappiate che sono felicissima della tesi! *__*)

Huzi

- Capitolo 15 -

Buio.

“Non si vive di soli ricordi.”
“Non si vive di soli ricordi.”

Eco di voci e frasi confuse.

“Dovresti rifarti una vita.”
“Non devi consumare la tua vita dietro ad un ricordo.”
“Non si vive di soli ricordi.”

I volti di Rita, suo padre ed Hiroshi comparivano e scomparivano in quel luogo a-dimensionale, continuando a ripetere i loro consigli come sconnesse cantilene.
Rivide sua madre piangente in cucina per lui, che era sempre via e non chiamava mai, e la sua ansia di ricevere una terribile notizia gli si riversò addosso, sentendosi pieno di angoscia.
“Mi dispiace…” mormorò, osservando quell’immagine singhiozzante prima che scomparisse, ritornando alle ombre.
Le voci continuavano a rimbombargli nella testa, bombardandolo con le stesse frasi senza dargli tregua.
Disperato, si strinse il capo tra le mani, turandosi le orecchie per non sentirli.
“Smettetela!” gridò con rabbia e dolore. “Voi non potete capire! Io non posso dimenticarmi di lei! Non voglio farlo!”.
E tutto tacque all’improvviso, mentre lui continuava a restare con gli occhi serrati ed il viso nascosto nelle mani.
Altre mani sfiorarono le sue, facendogli volgere lo sguardo al loro proprietario.
Un sorriso solare ed occhi luminosi.
Yoshiko.
“Ho fiducia in te.” gli disse, ed era sincera, per poi cominciare ad allontanarsi, continuando a sorridergli. La sua immagine che lentamente sbiadiva sotto il suo sguardo totalmente confuso ed il cuore in burrascoso contrasto.
E poi…
E poi l’oscurità scomparve come fosse un velo strappato dal vento, lasciandolo solo.
Paesaggio intorno e, come un’eco, rumori lontani della realtà mutevole; uccelli, foglie, il suo stesso respiro, mentre poteva avvertire una solida consistenza sotto i piedi, volgendo al suolo lo sguardo.
I passi nella lava fredda che costeggiava i fianchi del vulcano si imprimevano in impronte profonde qualche centimetro, mentre tutt’attorno la vegetazione cercava di ricrescere dove era stata spazzata via in un attimo.
E quando alzò gli occhi, l’enorme complesso del Nevado del Ruiz si stagliò con la sua solita imponenza davanti a lui.
Inarcò un sopracciglio con perplessità, riconoscendo il punto su cui restava fermo. Prima vi sorgeva Navidad; qualche rudere spuntava dove il lahar non era riuscito ad arrivare. Guardò ai suoi piedi, proprio lì avevano ritrovato Aiko. Il luogo esatto.
“Alla fine è sempre qui che torno, vero?” la sua voce aveva una strana eco, eppure il senso di impotenza davanti a quella montagna non c’era più.
“Perché sei un testardo.” sentenziò con calma una donna al suo fianco che, fino a pochi attimi prima, non c’era. E quella donna era…
“Aiko?” mormorò quasi non credendo ai suoi occhi, mentre la vedeva sorridergli.
“Ciao.” gli disse ed i suoi occhi si fecero lucidi per l’emozione improvvisa di averla di nuovo lì, bella come prima che il vulcano gliela portasse via per sempre.
Temendo che potesse scomparire, sollevò una mano a sfiorarle delicatamente il viso, quasi avesse paura che si frantumasse come cristallo sotto al suo tocco, invece le vide socchiudere gli occhi, tenendogli il palmo appoggiato contro la guancia.
“Mi sei mancata… così tanto…” mormorò ancora, con voce spezzata.
“Lo so.”.
“Ma… perché siamo qui?” e si guardò intorno senza capire. Lei mosse lo sguardo al Ruiz.
“Perché, volente o nolente, sono legata a questo posto nei tuoi ricordi e, come sei riuscito a liberarti di lui, è giunto il momento che lasci andare anche me.”.
Disse quelle parole con una calma totalmente innaturale, come innaturale era tutta quella situazione, ma lui riuscì a sentirsi ugualmente perduto per ciò che stava dicendo.
Allarmato, le prese il viso con entrambe le mani. “Ma… ma Aiko, cosa… questo è… è impossibile… io…”.
Shhh…” lo fermò senza smettere di sorridere amorevolmente “E’ giusto così. Ti ringrazio per tutto l’amore che mi hai dato, tesoro, e non aver paura: io resterò per sempre con te, in un angolo del tuo cuore.” disse, sfiorandogli il petto con un dito. “Ma adesso devi riprendere in mano le redini della vita che hai perduto su questa montagna e lasciare che io appartenga al passato.”.
“Non puoi chiedermi questo…” sussurrò, mentre tutte le lacrime che si era sforzato di trattenere in quella giornata cominciarono a scivolare via dai suoi occhi senza che potesse in alcun modo fermarle. “Non puoi…”.
“Sì invece. E so che tu ce la farai, ne sono sicura.” poi avvicinò i loro visi, bisbigliando le ultime parole. “Datti una possibilità, tesoro, hai ancora tanto amore dentro di te, non lasciare che muoia dietro il mio ricordo. Devi vivere anche per me.”.
Yuzo si specchiò nei suoi occhi, leggendovi così tanta tranquillità che l’unica cosa che fu in grado di fare fu stringerla forte per l’ultima volta, di sentirla ancora tra le sue braccia prima che scomparisse per sempre.
Prima che la sua vita ricominciasse senza di lei.
Il Nevado del Ruiz non sarebbe più tornato a tormentare i suoi sogni. 

Un respiro troncato nell’attimo in cui riaprì gli occhi, e gli sembrò di riemergere da uno stato di apnea, dal fondo di un oceano fatto di rimorsi in cui si era lasciato affondare con lentezza estrema, fingendo di stare ancora a galla. Ora che aveva di nuovo e davvero guadagnato la superficie, inquadrando il soffitto che ancora tremolava nei lievi bagliori del mattino, inspirò profondamente, incamerando tutta l’aria che i suoi polmoni potevano contenere.
Solo un sogno.
Diverso da quelli che era abituato a rivivere ogni sacrosanta notte e che lo avevano tormentato per quattro anni.
Niente dolore, paura o impotenza. Nessun massacrarsi il cuore in maniera autolesionista e masochista.
Solo un addio.
Quello che non era riuscito a darle quattro anni prima, che si era rifiutato di darle con tutta l’anima e la forza che aveva in corpo.
Credeva che sarebbe stato terribilmente difficile, assolutamente insostenibile, ed invece… erano bastate poche parole, il suo sorriso meraviglioso ed un abbraccio. L’ultimo.
Espirò.
E si sentì leggero.
Consapevole che il suo tempo stava riprendendo a scorrere in quell’istante, che la perdita era superata, che il dolore era finito. Che era libero.
Libero da tutti i: ‘Forse avrei dovuto…’.
Libero da tutti i: ‘E’ stata colpa mia…’.
Libero da tutti i: ‘Non ho saputo proteggerla…’.
Affrontati e sconfitti, come i suoi ricordi.
E adesso, avrebbe dovuto imparare a ricostruire sulle macerie che aveva definitivamente sepolto.
Lentamente si portò la mano al viso, sentendo gli occhi bruciare con insistenza e le immagini non smettevano di tremare. Li coprì con il braccio, mentre lacrime scivolavano lente dagli angoli.
Le ultime, che la sera prima non si era concesso, le lasciò fuggire ora che era da solo, quando Yoshiko non avrebbe potuto vederlo perché, ne era sicuro, si sarebbe intristita e lui non voleva.
Respirando a fondo ancora un paio di volte si tirò a sedere, asciugando il viso con il dorso della mano su cui lo sguardo si fermò.
Le fedi rosse, trafitte da un tiepido raggio di sole filtrante nel primo mattino, brillavano dell’oro con cui erano fatte, come anelli di sangue e lava.

“…e non aver paura: io resterò per sempre con te, in un angolo del tuo cuore…”

“Lo so, Aiko.” soffiò, sfiorandole con le dita. Un sorriso leggero. “Adesso lo so.”.
Lentamente le sfilò, racchiudendole nel palmo, e per un momento si sentì come nudo e smarrito, circondato da una terra straniera, ma l’unico straniero era lui e ritrovare l’equilibrio ed un nuovo ritmo sarebbe stata la sua prossima impresa, più difficile di una scalata per pendii e vulcani, ma l’importante era aver fatto un passo.
Appoggiò i cerchietti sulla superficie del tavolino con delicatezza. “Grazie.” disse e si alzò, dirigendosi al bagno per sciacquarsi il viso e ricominciare, finalmente.

Il ragazzetto tirocinante, con due occhiali che erano fondi di bottiglia, sbadigliò per l’ennesima volta, mentre una lacrima da sonno spuntò all’angolo dell’occhio.
La asciugò rapidamente, dando poi un’occhiata sconsolata a Rita che, imperterrita, continuava a sezionare sismogrammi con sguardo attento e vigile.
“Dottoressa, ma non abbiamo ancora finito?!” piagnucolò, mentre dai vetri delle finestre del laboratorio filtravano i primi raggi di sole che tentavano di superare la coltre di nubi che ancora copriva il cielo di Nankatsu.
“C’è ancora luce, Takumi.” rispose l'interpellata senza nemmeno voltarsi.
Il ragazzo incrociò le braccia al petto, mettendo il broncio. “Certo, dottoressa: è l’alba!”
Lei gli mollò una sonora pacca sulla spalla. “E allora?! C’è tempo!”
“Tempo?! Ma non dormo da ventiquattro ore! Non posso reggere un’altra giornata! Crollerò!”
Rita sbuffò, rilassandosi contro lo schienale della sua poltrona e alzando gli occhi al cielo. “Ah! Maronn’! siti tutt’uguali![1] Possibile che non esista un maschio che riesca a starmi dietro?!” poi lo guardò, puntandogli un indice sotto al naso “Lagnati di meno e lavora di più, Pisellino… e vammi a prendere un caffè!” ordinò, afferrando la tazza vuota e mettendogliela davanti.
Il giovane scosse il capo non intenzionato a cedere. “Io sono un tirocinante, non il suo schiavo!”
“Finché sarai affiancato a me, sì!” sorrise, consapevole di avere il coltello dalla parte del manico “E mo’ vamm’a’ piglià stu cafè![2]”
Takumi grugnì, afferrando la tazza e trascinandosi verso l’uscita, quando la vocina della sismologa lo raggiunse. “Con molto zucchero, caro.” cinguettò, facendolo imprecare e richiudere la porta alle sue spalle con lei che ridacchiava perfida.
Poi si stiracchiò, distendendo le braccia non riuscendo più a trattenere un sonoro sbadiglio. Non aveva voluto ammetterlo davanti a quel novellino, ma anche lei era cotta ed i sismogrammi le ballavano davanti agli occhi. Però, come un certo vulcanologo di sua conoscenza, non era intenzionata a gettare la spugna; non ancora almeno.
Si diede un paio di buffetti per svegliarsi, tornando a concentrarsi sullo schermo davanti a lei e decidendo di fare un raffronto comparato dei sismogrammi dei vari eventi in esame. Aprì rapidamente le varie schede, affiancando i tracciati e cominciando ad individuare per l’ennesima volta gli arrivi delle varie onde P, S e superficiali[3]; frequenze, periodi, tempi di inizio e fine degli eventi, velocità. Sembrava di vagare a vuoto alla ricerca di un’oasi nel deserto!
Non c’era niente di-…
Lo sguardo di Rita ebbe un guizzo improvviso e si avvicinò maggiormente al monitor.
“E questo cos’è?” mormorò, facendo scorrere gli occhi agli altri tracciati e poi controllando la stasi prima degli eventi.
Si diede una rapida spinta al tavolo, facendo vagare la sedia dotata di rotelle ad un altro computer. Rapidamente pescò tracciati risalenti a qualche mese prima, un periodo sufficientemente lontano da quello dell’attuale instabilità e relativo sempre alla stessa zona. Lo passò tramite rete al suo computer e tornò al monitor precedente, richiamando i sismogrammi registrati nell’intervallo di tempo tra i vari eventi delle ultime due settimane, li confrontò con quello preso come ‘campione’.
Gli occhi che vagavano rapidamente tra le immagini, scrollò le tabelle piene di valori e si tolse lentamente le lenti tonde, mormorando un “Cazzo.” prima di mandare tutto in stampa.
Mentre l’apparecchio sputava fogli su fogli, lei fece una stima approssimativa di quello che aveva trovato, passandosi una mano nella folta capigliatura color carota e, più andava avanti, più la situazione diveniva peggiore delle loro più nere previsioni.
Con un sospiro si appoggiò alla sedia, incrociando le mani in grembo; il ronzio della stampante in funzione.
“Houston... stamm ‘nguaiat![4]”

L’acqua gelida sul viso lo svegliò del tutto e rimase ad osservare per qualche secondo il suo riflesso nel vetro dello specchio, con le gocce che scivolavano dal mento, prima di afferrare un asciugamano e passarlo sulla pelle, lasciando poi il bagno.
Lo sguardo si soffermò sulla porta della camera da letto per qualche istante. Lentamente si mosse per raggiungerla.
Gesti silenziosi e controllati per socchiuderne l’uscio senza fare il minimo rumore e scivolare all’interno della stanza avvolta dall’ombra.
Piano, si avvicinò al letto e, come la sera prima, rimase ad osservare la sua addormentata ospite. Con delicatezza le sistemò le coperte che, nel sonno, aveva allontanato e sorrise nel vederle distendere una smorfietta contrariata, aggrappandosi stretta alle coltri.
Da quando aveva conosciuto Yoshiko il suo universo era stato stravolto, ed era bastato così poco che non gli sembrava ancora possibile. Dopo anni che era rimasto arenato a fissare con rimpianto quello che si era lasciato alle spalle, lei era riuscita a fargli volgere lo sguardo in avanti, dove il futuro, per quanto incerto, si era attirato il suo interesse, mentre il passato tale sarebbe rimasto.
E lei…
Lei era come l’ago della bussola, puntato all’orizzonte ad indicare la via da seguire per non perdersi di nuovo e tornare ad arenarsi. Lo faceva star bene con le piccole cose: un sorriso, quattro chiacchiere attorno ad un caffè, lo stupore e la genuina sorpresa nei suoi occhi per ciò che non conosceva.
La sola compagnia.
Il suo calore umano.
E tenerla stretta, sentire la sua presenza tra le braccia era come arrivare alla fine del viaggio, era come arrivare a casa.
E lui…
I quesiti della sera prima si riproposero con decisione, ma questa volta era sicuro delle sue risposte.
Cosa provava per Aiko?
L’aveva amata davvero, fino in fondo, ed un pezzo di cuore le sarebbe appartenuto per sempre.
Cosa provava per Yoshiko?
Affetto e riconoscenza per tutto quello che inconsapevolmente aveva fatto e stava ancora facendo per lui.
Protezione perché non avrebbe permesso a niente e nessuno di farle del male.
Era attratto da lei?
Sì. Anche se temeva che vivessero in realtà troppo differenti: Yoko era giovane, piena di entusiasmo e sogni da realizzare, mentre lui viveva otto anni più avanti o forse…
Forse non era quello il vero problema, ciò che lo lasciava nell’indecisione, quanto piuttosto: avrebbe avuto il coraggio di amare di nuovo? Di darsi quella possibilità di cui Aiko gli aveva parlato in sogno?
Forse era un passo ancora troppo lungo ed avventato per lui che solo il giorno prima aveva affrontato i suoi fantasmi.
Forse doveva prendersi ancora un po’ di tempo…
“…ti ho battuto…” parole borbottate in un mugolio arrivarono dalle coperte, mentre la sorella di Misaki si rigirava “…sono più catastrofista di te…” senza svegliarsi e facendolo sorridere di gusto.
Sognava di quando le aveva fatto provare il simulatore e ne sembrava entusiasta, visto il sorriso leggermente accennato sulle labbra.
E Yuzo adorava vederla sorridere.

“Datti una possibilità…”

Fece per allungare una mano verso di lei, in un gesto istintivo ed automatico, quando il cordless nel salotto prese a trillare, rompendo il silenzio della casa ed attirandosi di scatto la sua attenzione.
Con movimenti calibrati si ritrasse, lasciando la stanza senza fare il minimo rumore e poi correre lungo il corridoio e rispondere all’irrispettoso telefono prima che il suo continuo squillare svegliasse Yoshiko.
“Sì, sì! Sto arrivando!” borbottò, afferrando il cordless al volo “Pronto?!”.
Doveva essere di sicuro Rick deciso a rompergli il-…
“Ciao Yuzo, perdona l’ora, sono Taro.”.
- Taro?! - fu il primo pensiero seguito da un - Cristo! - nel rendersi conto del fatto che Yoko non gli avesse telefonato la sera prima per avvisarlo che sarebbe rimasta da lui. Ed anche a Yuzo era passato di mente, dato che non era stata una cosa prevista.
“E' da ieri che Yoshiko ha il cellulare spento, non è che per caso tu… l’hai…” e a giudicare dal tono serio e preoccupato con cui gli stava parlando, il Prof capì che sarebbe andato su tutte le furie.
“Ciao, Taro.” cominciò, portandosi una mano alla fronte “Lo so, scusami, è stata colpa mia che non le ho ricordato di avvisarti.”.
Incertezza nella voce della metà pacata della Golden Combi nel ripetere “A-avvisarmi?”.
“E’ da me. Sta dormendo.”.
Solo il cielo sapeva quanto fosse costata a Taro quella telefonata al suo vecchio compagno di squadra. Quanto avesse atteso prima di farla e rimandata fino al possibile, sperando che, nel frattempo, sua sorella si mettesse in contatto con lui dicendogli che era andata al cinema o che era stata con Saya in giro, al ristorante, in capo al mondo addirittura!
Tutto pur di non sentire proprio quella conferma che Yuzo gli aveva dato, che Yoshiko era da lui, che avevano trascorso insieme tutto il tempo. E chissà da quanto! Dalla sera? O magari dal pomeriggio, dopo l’Università? Quanto… quanto tempo passavano in compagnia anche quando lui non era in città per poter ‘vigilare’, quanto erano divenuti ‘amici’… più vicini di quando era ritornato ad Iwata di sicuro e… e…
Inspirò a fondo, stringendo con forza il pugno e cercando di calmarsi. Grazie a Dio, sapeva che Yuzo era una persona affidabile e non l’avrebbe mai toccata nemmeno con un dito… forse. In quel momento, Taro non riusciva ad essere sicuro di niente, tranne del fatto che la situazione non potesse andare avanti in alcun modo e lui era l’unico a poter intervenire prima che fosse troppo tardi, prima che Yoko sapesse la verità su…
“E’ che… ieri ha scoperto ciò che è successo sul Ruiz e così… le ho parlato di Aiko.”.
- Maledizione! - la sua mente si ritrovò a gridare quel pensiero, mentre riusciva a tenere serrate le labbra con un enorme sforzo di volontà per non imprecare a voce alta.
Era arrivato in ritardo. Sarebbe dovuto intervenire prima, ma lui aveva davvero sperato con tutto il cuore che la situazione si risolvesse da sola, in maniera differente ed invece… come al solito era stato un dannato ottimista. Ed ora, avrebbe dovuto agire di conseguenza.
“Davvero?” disse con un tono mortalmente neutro e le risposte che Yuzo gli diede sancirono la decisione definitiva. Ora nemmeno Azumi avrebbe potuto fermarlo.
“Sì, le ho detto dell’incidente…” e Taro sapeva che il Prof non ne aveva mai parlato con nessuno, da quando era avvenuto, nemmeno con Yayoi. Lo sentì sorridere. “…è incredibile, ma… è stato molto più facile di quanto avessi mai immaginato. Tua sorella è davvero una persona speciale.”
Un asettico “Lo so.” fu la risposta, mentre tutta la situazione sembrava precipitare all’improvviso per quelle rivelazioni, per l’ultima frase che aveva pronunciato ed il tono che aveva usato. Non poteva permettere che Yuzo si innamorasse di Yoshiko, sarebbe stata la catastrofe.
“Mi rendo conto che tu ti sia preoccupato e ne sono davvero mortificato.” continuò a scusarsi il Prof “Ma vorrei che non te la prendessi troppo con Yoko: stravede per te e ti avrebbe avvertito sicuramente, solo che…”.
L’aveva chiamata con il suo diminutivo: avevano già tutta questa confidenza? Si domandò Taro, studiando tutte le sue parole.
“…non pensavamo che il tempo passasse così in fretta e, quando ho visto che si era fatto tardi, lei si era già addormentata.”.
“Decido io come comportarmi con mia sorella.” e quella frase gli uscì con una durezza maggiore di quella che avrebbe voluto, non riuscendo poi a trattenere un profondo sospiro col quale riuscì a liberarsi, seppur solo in parte, della tensione che aveva addosso.
“Sì, certo. Ovviamente.” rispose Yuzo, picchiettando nervosamente un dito sul mobile “Ad ogni modo, ti faccio chiamare subito appena si sveglia, va bene?”. Non poteva certo biasimarlo di essere furente, sperò solo che riuscisse a calmarsi un po’ ora che sapeva che Yoko stava bene e non le era accaduto nulla di male.
“Sì… sì, va bene.” accordò Taro, prendendo un profondo respiro prima di aggiungere “Senti, Yuzo…” era la scelta migliore “…nel pomeriggio verrò a Nankatsu e…” anche a costo di farsi odiare da Yoshiko “…vorrei scambiare due chiacchiere con te, hai qualche minuto da dedicarmi?”
Il Prof si grattò un sopracciglio, dando un’occhiata all’orologio appeso al muro. “Ma certo, nessun problema. Va bene per le 18, più o meno?” domandò, facendo un po’ mente locale sul lavoro che lo stava aspettando all’FVO.
“Perfetto.” accettò Taro ed il dado fu tratto “Ti aspetto a casa, allora.”
“Ok, a più tardi.”.
“Buon lavoro.”.
Yuzo pigiò lentamente sul tasto rosso che mise fine alla conversazione, tirando un profondo sospiro. Tutto sommato non era andata malissimo, anche se il risveglio di Yoshiko non si preannunciava proprio uno dei migliori. Appoggiò il cordless sul supporto, grattandosi un sopracciglio e pronto a dirigersi in cucina per preparare il primo caffé della giornata.
“Sono appena le 7 e sei già al telefono?” la voce della sorella di Misaki lo raggiunse assonnata, ma non per questo meno ironica. Il Prof la vide sbucare dal corridoio che si stropicciava un occhio ancora a mezz’asta e l’aria un po’ intontita.
Sorrise. “Che fai in piedi? È presto, perché non dormi ancora un po’?” e la raggiunse, poggiandole affettuosamente la mano sulla testa e spettinandole ancora di più i capelli già scompigliati.
Lei rispose al suo sorriso e scosse il capo, dicendo solo “Uni.” mentre cercava di far carburare il cervello in tempi non giurassici. Poi reclinò leggermente la testa da un lato. “Caffé?”.
Ed il Prof ammiccò ai suoi comportamenti. “Sintetica, ma efficace.” disse pensieroso “In questo momento potrei prenderti in giro e tu non reagiresti. Interessante.” ed entrò in cucina seguito da lei che sembrava più uno zombie che un essere umano.
“Non sfottere.” si limitò a rispondere, collassando su una sedia con una mano a puntellare il viso.
“Almeno, hai dormito bene?” domandò Yuzo, mentre caricava la macchinetta, dandole le spalle. Rapidamente cavò una sigaretta da uno dei pacchetti sparsi per casa e che era appoggiato su una mensola accanto al piano cottura. La accese, sfruttando la fiammella sotto la caffettiera e tornò ad osservare la sorella di Misaki che esibì uno dei suoi sorrisi solari, assaporando un “Benissimo.”. Come se fosse ancora sotto le pesanti coperte, al caldo. Oppure, come se fosse ancora sul divano, stretta nel suo abbraccio. Ed era lì che nei suoi sogni aveva riposato, con il suo corpo a darle calore ed i suoi battiti come quieto sottofondo. A dire il vero, nemmeno ricordava come ci fosse arrivata in camera: c’era solo un vago ricordo di sospensione e leggerezza, poi più nulla.
Il Prof espirò una densa nuvoletta di fumo, sorridendo a sua volta, mentre la tranquillità di Yoko si rifletteva anche su di lui, lasciandogli quel piacevole senso di benessere che aveva ricominciato a provare da quando l’aveva conosciuta. Lentamente tornò a rivolgere le sue attenzioni al caffé, cavando un paio di tazzine quando la ragazza aggiunse.
“A proposito, mi illumineresti su come sono tornata in camera? Ho un vuoto…”.
“Ti ci ho portato io: ti eri addormentata sul divano.” spiegò lui, spegnendo il fuoco, mentre il caffé disperdeva il suo aroma forte e forse fu quell’odore inebriante o, molto probabilmente, le parole pronunciata da Yuzo a far svegliare completamente Yoshiko, che assunse immediatamente una postura più composta, mentre le guance le si imporporarono visibilmente.
Ecco spiegato il senso di sospensione: il Prof l’aveva portata in braccio.
Dio! Che vergogna!
Il tintinnare della tazzina che veniva poggiata sul tavolo la fece sobbalzare, mentre sentiva ancora il viso caldo al solo pensiero.
“Zucchero?” si sentì domandare.
“Sì, uno.” abbozzò un sorriso imbarazzato e cercò di non guardare Yuzo che si era seduto di fronte a lei, rimestando il liquido con il cucchiaino, facendo scivolare lentamente la tazzina verso di lei.
“Prima che inizi a scusarti, ti dico subito che: a) non mi hai causato fastidi  e b)… sei leggera come una piuma.”.
Ed il rossore, che era quasi del tutto scemato, tornò ad imporporarle vivacemente le guance. Detestava quando riusciva a metterla in difficoltà con tale nonchalance!
Cercò di concentrarsi sul caffé, portandosi la tazza alla bocca e sorseggiandolo piano con fare distratto, ma era impossibile non riuscire ad avvertire i suoi occhi che la scrutavano, quasi con attesa, anche se non sapeva di cosa. Ed il sentirsi così osservata  – da  lui, per giunta! – la metteva in imbarazzo.
Dal canto suo, Yuzo sembrò non accorgersi della soggezione che le stava involontariamente incutendo e continuava a seguirne tutti i movimenti. Quando Yoshiko appoggiò la tazzina nuovamente sul tavolo, lui rimase in silenzio ancora un attimo prima di chiederle “Com’era il caffé?”.
“Ah… ottimo.” cercò di dissimulare la difficoltà, sentendolo poi sospirare, mentre intrecciava le dita ad altezza mento con la sigaretta che disperdeva fumo.
“Ti devo dire una cosa…” riprese il Prof “…ma non farti prendere dal panico, ok?” e lei annuì, levando finalmente lo sguardo su di lui con notevole perplessità, ma anche un filo di ansia: aveva un’espressione così seria e le sopracciglia aggrottate.
Un nuovo e breve silenzio di attesa li divise, poi lui affermò. “Era con Taro che stavo parlando al telefono prima.”.
La preoccupazione scomparve dallo sguardo di Yoko che avrebbe voluto tirare quasi un sospiro di sollievo. “Ah, con Taro?” fece eco sorridendo. E lei che per un attimo aveva pensato che stesse per annunciarle chissà quale catas-…
Un momento.
Il cervello riavvolse gli ultimi concetti per elaborarli con maggiore calma.
Aveva detto… Taro?
Taro suo fratello?
Quello che ieri si era dimenticata di-…
Gli occhi le si allargarono a poco a poco, mentre balzava in piedi in preda al panico ed urlando un “Ommioddio! Taro!”.
Yuzo alzò lo sguardo al cielo, sorridendo. “Appunto.”.
“I-io… sono una donna morta! Mi scuoierà viva e ne farà rivestimento per il suo divano!” si allarmò Yoshiko, camminando avanti ed indietro per tutta la cucina, portandosi una mano alla fronte. “Come… come ho potuto dimenticarmi di avvisarlo?! Oddio! sarà andato su tutte le furie e…” una nuova associazione di idee si affacciò alla sua mente. Al volo afferrò una sedia sedendosi di fronte a Yuzo e portandosi una mano al viso. “Che ti ha detto?! Se l’è presa anche con te, vero?! Ti prego, dimmi che non ti ha rimproverato!”.
Ed il Prof cercava di non ridere nel vederla così agitata, ma si limitò a scuotere il capo lentamente.
“Non si è arrabbiato, ma era molto nervoso ed è comprensibile: era preoccupato per te.” cercò di rassicurarla col suo tono calmo, quando le vide aggrottare pericolosamente le sopracciglia ed assumere un cruccio mortificato. Lui alzò subito una mano “Non dirlo!” ma fu più forte di lei.
“Mi dispiace…”.
Yuzo sospirò “Lo sapevo.” per poi tornare a guardare i suoi occhi nocciola, sporgendosi verso di lei in tono confidenziale. “Non hai motivo di dispiacerti, non è successo nulla di grave, anzi, è anche colpa mia che non te l’ho ricordato.”.
Lei si mordicchiò un’unghia. “Non prenderti colpe che non hai.” disse con un sospiro “Piuttosto… aiutami a trovare un epitaffio carino per la mia lapide.”. Appoggiò il viso in una mano e puntò lo sguardo in un indefinito punto del tavolo, quando si sentì prendere delicatamente il mento con due dita. Gli occhi di nuovo verso il Prof che si era sporto ancora un po’, soffiandole uno “Scema.”. Ed era così vicino che il calore delle sue parole riuscì a sfiorarle le labbra, facendola arrossire come un tizzone.
Oddio! Le sarebbe bastato così poco per rubargli un bacio, sporgersi un respiro in più e… e distruggere ogni cosa, la complicità e l’amicizia che avevano raggiunto e Yoshiko non voleva rischiare così tanto.
“Gli ho detto che l’avresti chiamato appena ti fossi svegliata.” continuò Yuzo senza variare la loro distanza “Forza. Via il dente, via il dolore.” e sorrise, addolcendo il tono già rassicurante. “Ti striglierà un pochino, ma sono sicuro che gli passerà. Taro è sempre stato molto comprensivo.”.
“Già…” si limitò ad accordare lei in un mormorio, cercando di non fissare quelle labbra magnetiche ed arrossendo per il suo stesso, forte desiderio di annullare in maniera definitiva anche quell’ultimo spazio.
“Allora non preoccuparti, andrà meglio di quanto credi.” il Prof le lasciò il mento, afferrando le tazzine vuote ed alzandosi per sciacquarle; la sigaretta di nuovo pendente all’angolo della bocca. E, nel momento in cui non avvertì più il calore della sua pelle sul viso, le sembrò come se si fosse creato un vuoto attorno a lei.
Lentamente si volse a catturare la sua figura di schiena, mentre un’espressione imbronciata le intristì lo sguardo. Da quando i suoi sentimenti si erano evoluti in quel drastico modo senza che se ne accorgesse e potesse controllarli? Quante volte si era ripetuta di non illudersi troppo perché tra di loro non avrebbe potuto esserci nient’altro che una bella amicizia? Aveva solo sprecato il fiato con sé stessa visto che era passata dal ‘Mi piaci’ al ‘Ti amo’ senza rendersene conto. E cosa sarebbe successo quando lui sarebbe ripartito?
Al solo pensiero di vederlo andare via il senso di ansia, già forte per dove affrontare Taro, aumentò a dismisura e si costrinse a fare un respiro profondo prima di alzarsi e nascondere quel maledetto problema per permettersi di fronteggiarne un altro di più rapida soluzione.
“Ehi.” si sentì chiamare che era sulla soglia della porta della cucina “Non prendertela troppo per il suo rimprovero, va bene?”.
Lei si limitò ad annuire, sforzando un sorriso “Va bene.” e scomparve lungo il corridoio, emettendo un profondo sospiro. A passo lento arrivò in salotto, afferrò il cordless e si rannicchiò sul divano. Fissò l’apparecchio per qualche istante, prima di trovare il giusto coraggio per comporre il numero e portarsi la cornetta all’orecchio.
Nemmeno tentò di formulare un ipotetico discorso da fare al fratello o inanellare una serie di scuse, mentre all’altro capo squillava libero. Aveva così tante cose a cui pensare che non riusciva a focalizzarsi solo su di un problema per quanto ci provasse. Poi, l’eterno frullare di tutti i suoi sentimenti si interruppe all’improvviso quando una voce profonda rispose all’altro capo e già faceva presagire burrasca.
“Yoko.” sembrò più un’affermazione, quasi lo sapesse che era lei e la ragazza si ritrovò a masticare un: “Sì.”.
“Ti rendi conto di che ore sono?” era la prima volta che percepiva in Taro un tono così glaciale quando solitamente riusciva ad essere accorato anche nella rabbia. “Hai una seppur vaga idea di quanto io sia stato in ansia?”. Avvertirlo così freddo la fece sentire tremendamente in colpa.
“Mi dispiace…”.
“E’ il minimo.”.
“Perdonami, non volevo farti preoccupare. È che… avevo spento il cellulare e…” cercò di fornirgli una spiegazione senza entrare troppo nei particolari “…e poi mi è passato di mente…”
Yoshiko gli sentì tirare un sospiro nervoso.
“Sì, lo so. Yuzo mi ha raccontato tutto.” Taro si passò una mano sugli occhi. Quanto lo irritava ammettere di non sapere cosa realmente fosse successo tra loro e cosa si fossero detti.
“Perché non mi hai mai parlato di Aiko?” gli domandò sua sorella all’improvviso e a lui sembrò di scorgervi un filo di rimprovero che lo irritò.
“Perché avrei dovuto?” rispose infatti, leggermente piccato, anche se sperava che lei non venisse mai allo scoperto, che non le confidasse i suoi sentimenti per il Prof, altrimenti… non sarebbe mai riuscito ad andare fino in fondo alla sua decisione. E Taro era convinto che fosse la cosa più giusta da fare.
Yoko sbuffò un sorriso. “Già… perché?” suo fratello cercò di cambiare argomento.
“Stai andando all’Università?”.
“Sì, il tempo di cambiarmi e vado…” si passò una mano sulla tuta che stava indossando e che un tempo era appartenuta proprio ad Aiko.
“Allora buona lezione.”.
“Grazie.”.
La comunicazione poteva dirsi conclusa, quando Taro richiamò nuovamente la sua attenzione dopo qualche secondo di silenzio.
“Yoko?”.
“Sì?”.
E non seppe dirsi perché si sentì in dovere di specificarlo, forse perché presto sarebbe stato lui a doversi giustificare per il dolore che le avrebbe causato. “Se… se a volte posso sembrarti severo… è solo perché ti voglio bene.”.
Un genuino sorriso carico di affetto distese le labbra di Yoshiko. “Anche io te ne voglio, fratellone.”.
Eppure, nonostante tutto, Taro non riuscì a non sentirsi in colpa, sforzando un “Ciao.” prima di chiudere la comunicazione.
Yoshiko rimase a fissare la cornetta per qualche minuto con un senso di sollievo, dopotutto non era andata poi così male. Solo all’inizio suo fratello le aveva risposto furente, ma si era calmato quasi subito. Yuzo aveva avuto ragione e l’aver risolto almeno un problema la caricò di una piccola dose di ottimismo che sembrò risollevarle il morale.
Fece per muoversi e tornare in cucina, quando un luccichio attirò la sua attenzione e solo allora le vide, appoggiate sulla liscia superficie del tavolino: le fedi di Yuzo ed Aiko. In un primo momento, pensò di essersi sbagliata, visto che il Prof non se ne separava mai, nemmeno quando lavava i piatti, ma dopo una seconda occhiata si risolse che fossero proprio loro e lo stupore, la perplessità si dipinsero sul suo viso, lasciandola interdetta.
Perché Yuzo non le stava indossando?
Che le avesse dimenticate o lasciate incustodite per qualche momento?
Ma ogni ipotesi le risuonò impossibile a meno che… lui…
Una mano si mosse lentamente verso i due cerchietti immoti.
…non le avesse tolte di proposito…
E quella era l’idea più assurda di tutte.
“Già fatto?”.
La voce di Yuzo alle sue spalle la fece sobbalzare e ritrarre le dita, che avevano solo leggermente sfiorato il freddo oro rosso degli anelli; il cuore in gola per essere stata quasi colta sul fatto a profanare quelli che erano gli oggetti più importanti del Prof.
Yoshiko si volse ad osservarlo avvicinarsi a lei, mentre l’occhio le cadde sulla mano: il non vedere più le fedi al suo dito le fece una stranissima impressione.
“Ah, sì… fatto.” borbottò, esibendo un sorriso imbarazzato.
Lui si sedette sul bracciolo, asciugando le mani con uno strofinaccio. “Immagino che sia andata meglio del previsto, vero?”.
Yoko annuì, mordendosi il labbro, mentre cercava di studiare i suoi comportamenti e lo sguardo che, con insistenza, si posava sulla mano ‘nuda’.
“Era soprattutto preoccupato.”.
Quella stessa mano le si poggiò sulla testa in una carezza affettuosa.
“Hai visto? Non c’era nulla di cui aver paura.”. Le sembrò perfettamente rilassato, più di quanto non l’avesse mai visto e non fece nemmeno il gesto di riprendere gli anelli. “Preparati prima di fare tardi.” le disse infine, alzandosi e lei… lei doveva capire cosa stesse succedendo.
“Hai… hai dimenticato le fedi.” lo richiamò con quanto più coraggio avesse.
Yuzo si volse, inquadrando i due cerchietti e Yoshiko scrutò il suo viso dalla imperturbabile espressione. Ma durò giusto il tempo di un attimo.
“Grazie.” le rivolse un sorriso che non gli aveva mai visto: sereno, sincero fino in fondo mentre la malinconia nei suoi occhi sembrava solo un ricordo ormai. La sorella di Misaki gli vide prendere gli anelli ed allontanarsi lungo il corridoio. Meccanicamente si alzò anche lei, seguendolo con gli occhi fino alla camera da letto, ma quando ne uscì la sua mano era ancora nuda: non li aveva indossati, ma messi via, accantonato quella parte della sua vita… accantonato Aiko.
Ed il suo sguardo rimase perplesso quando lo vide farlesi contro, senza nemmeno tentare di dissimulare la sua sorpresa.
“Se te lo stai chiedendo…” l’anticipò Yuzo “…sì: sto bene.” ma Yoshiko scosse leggermente il capo.
“Ma… perché non le porti più?” domandò, non riuscendo a trovare una spiegazione.
“Perché il passato è passato.” le disse, accarezzandole una guancia e lei avvertì, calde, le dita sulla pelle. “E non ho bisogno di aggrapparmi ad un cerchio di metallo per ricordarmi di lei: Aiko sarà sempre con me.”.
In quel momento, il sorriso che gli distese le labbra era così bello e sincero che Yoko non riuscì a non rispondergli con un altro sorriso felice. Felice per lui, per la sua ritrovata stabilità, perché aveva smesso di tormentarsi per colpe che non erano sue. Perché aveva smesso di soffrire.
Il vulcanologo diede una rapida occhiata all’orologio. “Ma tu a che ora hai lezione?”.
“Alle 8, perché?” e Yoshiko continuava a godere del tocco della sua mano, viaggiando già mezz’aria.
“Perché sono le 7:30.”.
Al solito, la nuvoletta romantica le scomparve da sotto al sedere, facendola scattare sull’attenti.
Ahhhhh! È tardi!” e si precipitò in camera, afferrando gli abiti ormai asciutti. “Il mio regno per un bagno!” declamò, ripiombando nel corridoio, mentre il Prof se la rideva, vedendola eclissarsi come un fulmine all’interno del bagno, ma lui non sapeva che, dietro il suo travolgente entusiasmo, lei stesse celando la gioia per quell’inaspettato piccolo passo che accorciava ulteriormente la loro distanza e che era stato compiuto dallo stesso Yuzo.


[1] “MARONN’… UGUALI!”: “Madonna! Siete tutti uguali!”

[2] “E… CAFE’!”: Ed ora vammi a prendere un caffè!”

[3]P, S e SUPERFICIALI: sono tre tipi di onde sismiche. Le onde P sono le onde Primarie, perché più veloci ed arrivano per prime. Le S sono le onde Secondarie, più lente delle P e arrivano per seconde. Le Superficiali (divise in Love e Rayleight) nascono, presso la superficie libera della terra, dall’interazione delle P e le S insieme. Ovviamente, sono più lente ed arrivano per ultime (sono anche le onde che fanno i danni maggiori perché il complesso moto delle particelle è fonte di un forte stress per il terreno).

[4]HOUSTON… ‘NGUAIAT!”: “Houston, siamo inguaiati!” (versione napoletana del più famoso: “Houston, abbiamo un problema!” XDDD)


 

…E poi Bla bla bla…

Qualcuno mi dirà che sono una vera carogna, soprattutto quando saprà che il pezzo iniziale sarebbe dovuto andare alla fine del capitolo precedente. Però, mi son detta: “Ma perché non far credere loro fischi per fiaschi?!*_*” (con tanto di risatina perfida!).
Quindi, ho preferito terminare la seconda parte del Capitolo 14 con l’idea che Yuzo non volesse lasciarsi Aiko alle spalle. XDDD
Lo so che ora mi odiate perché Taro si mette di mezzo! XDDD
Il prossimo capitolo vedrà lo ‘Scontro tra Titani’ già abbondantemente annunciato e credo che vorrete la mia testa! XDD
Ma, tralasciando ciò, vorrei scusarmi ancora con voi per i ritardi con cui arriveranno gli aggiornamenti.
Come detto nella nota iniziale, sto lavorando alla tesi che mi tiene impegnata fino al Venerdì. Quindi, la sera che torno a casa (perché resto nel mio loculo dal mattino fino alle 18 circa ogni giorno), sono a pezzi. Inoltre, ho ancora un esame da preparare e, trattandosi di Matematica e Fisica, non è proprio facile e leggero.
Insomma, cerco di fare il possibile per non far passare tempi giurassici da un capitolo all’altro, ma perdonatemi sin d’ora per la lentezza.

Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

- Hikarisan: T__T grazie. Me commossa che reputi perfetto questo capitolo. Ci ho davvero buttato il sangue! XDDD Sembrava avercela con me, ma sono contentissima che, invece, sia riuscita a scriverlo decentemente. Ti dirò: i maschi sono lenti anche fuori dalle fic! Però, dai, Yuzo sta cominciando a svegliarsi un pochino, che ne dici?! XDDDDD
E non temere, Taro ha appena collassato! XDDDDDD *__* grazie ancora per seguire fedelmente questa storia.

- Eos: T___________T ecco un'altra che mi fa sempre commuovere con le sue recensioni. Grazie cara, per tutti i complimenti che fai a questa storia ed i suoi personaggi. Sono felicissima che i pg siano riusciti a colpire voi lettori per la loro caratterizzazione, lo sai che è una cosa cui tengo molto insieme con le ambientazioni.
E guarda che io ero peggio di Yoshiko, alla sua età! XDDD Credo sia un po' il periodo in cui si sogna ancora la Grande Storia D'Amore, mentre, con il senno di poi, si opta per i piedi di piombo.
Yuzo è un pg che mi somiglia molto. Solitamente, l'autrice mette di più una parte di sé nella protagonista, io, invece, la metto nell'uomo! XD Vuoi perché sono un 'maschio sbagliato', come dice mio padre, vuoi perché mi sono sempre identificata molto con lui, anche e soprattutto per il carattere (oltre alla sfiga!XD). In questa fic, mi ritrovo con quella difficoltà nel lasciarsi le cose indietro, nel rimuginarci fino alla nausea, forse in maniera masochistica. Continuo a farlo ancora adesso, mentre cerco di fare in modo che almeno lui se ne liberi: ed in questo capitolo, sembra aver fatto il passo giusto!^^


- Sakura-chan: XDDDDDDDD No, no. Tu fai PREVEGGENZA! Lo dimostra, per l'ennesima volta, anche la reccina che mi hai lasciato! Non sapevi che avrei srotolato un po' la matassa in questo capitolo, avevo lasciato la sospensione apposta (*_*perché sono carogna!)! Dimmi tu se questa non è preveggenza! XD Mentre io sono tempista ed arrivo puntuale a sciogliere le tue perplessità! XDDD *____* ehhhhhh, non per niente sei la mia betulla!*_*
Ad ogni modo, non essere troppo dura con Yuzino! Non credo sia una cosa facilissima dimenticare la persona che si è amato di più in assoluto e cancellarla con un colpo di spugna, soprattutto visto come è morta. Liberarsi dei sensi di colpa è davvero difficile, in special modo se ci si considera davvero i colpevoli (io sono un esempio lampante! XDDD).
Non temere per Taruccio tuo! XDDD Nel prossimo capitolo spiegherà i suoi motivi, che sono buoni et giusti. *sisì*
Grazie mille anche a te, tesssssssora!*______*


Ringraziandovi ancora per la vostra pazienza, vi rimando al prossimo capitolo! ^^Y

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Huzi

- Capitolo 16 -

Ahhhh! Oddio! Attento alla vecchietta!”.
“L’ho vista, l’ho vista. Rilassati.”.
“Ed il rosso del semaforo?! Hai visto anche quello?!”.
“Ma se era arancione!”.
Il Prof avrebbe potuto continuare a minimizzare quanto voleva: Yoshiko non avrebbe mollato il suo braccio al quale si era arpionata da quando lui aveva fatto manovra per uscire dal parcheggio sotto casa, promettendole che sarebbe arrivata in perfetto orario all’Università, nonostante mancassero cinque minuti alle otto.
A quelle parole, la ragazza aveva avuto la brillante idea di chiedergli in quale miracoloso modo ci sarebbe riuscito e lui aveva sorriso candidamente, esclamando “Ti mostrerò la mia… ‘guida sportiva’.”
‘Guida suicida’ sarebbe stato un termine più appropriato, a detta di Yoshiko, mentre Yuzo destreggiava l’ingombrante Dante come fosse stata una minuta fuori serie a tutta velocità tra le strade che si riempivano del traffico mattutino, scartando assonnati pedoni, passando al limite del ‘rosso’ ed effettuando sorpassi sul filo del frontale con le auto che arrivavano dalla corsia opposta.
“Ossignore ed hai ancora la patente?!” sbottò la sorella di Misaki dopo che ebbero mancato di un soffio un signore col cane. “Sei un pericolo pubblico! Te la dovrebbero ritirare!” ed osservò il Prof che se la rideva come se il problema non lo riguardasse, ma, anzi, divertendosi come un bambino.
“Guarda che guido così solo in caso di emergenza, ad esempio: quando ho una colata piroclastica nello specchietto retrovisore.” spiegò con calma. Mentre Yoshiko non riusciva a non sorridere, nonostante si sforzasse di mantenere una severa espressione di rimprovero. Rispetto a quando l’aveva conosciuto, Yuzo le sembrava come rinato: non cercava più di dosare meccanicamente le sue emozioni per tentare di camuffare il dolore che si portava dentro. Ora era libero ed ogni sua espressione era più sincera di quanto non fosse stata fino ad allora: se era felice, era felice davvero; se si divertiva, lo faceva davvero senza più quell’alone malinconico ad adombrare i suoi comportamenti.
“Mi duole informarti che non c’è nessuna colata piroclastica che ci insegue!” rimbeccò Yoshiko e lui esibì un’espressione di puro stupore, guardando nello specchietto.
“Davvero?!” per poi inchiodare di colpo, ma trattenendo la ragazza per impedire che avesse un incontro ravvicinato con il cruscotto.
“Ma, dico?! Sei impazzito?!” sbottò Yoko con incredulità, spalmandosi contro lo schienale.
“Era rosso.” si difese candidamente il Prof, ridendosela sotto i baffi.
Lei sospirò uno “Scemo.” scuotendo il capo e girando lo sguardo per non fargli vedere che stesse ridendo, prima di continuare. “Oggi ti comporti come un bimbetto dispettoso, lo sai?”.
“Ah, sì?”.
“Sì! E sappi che non mi fido affatto della tua ‘guida sportiva’!” comunicò con convinzione.
“Ma davvero?” fece eco pensieroso, mentre inforcavano una traversa “Capisco.”. Così si strinse nelle spalle, mollando il volante. “Allora guida tu.” e cavò con nonchalance una sigaretta dal pacchetto.
“Che cosa?!” scattò Yoshiko, cambiando posizione sul sedile.
“Quello che ho detto.” fece eco, accendendosi la cicca. “Dante è tutto tuo.”.
“Ma non dire cretinate, per l’amor del cielo!” squittì lei, guardando la strada che, nel fondo, aveva una curva. “Io non so guidare!”.
“Beh, devi solo girare il volante, non ci vuole un diploma; è una cosa istintiva.” continuò il Prof imperterrito, esalando una nuvoletta che fuggì dall’abitacolo attraverso lo spiraglio aperto del finestrino. “Del cambio e dei pedali me ne occupo io.”.
“Ma… ma stai scherzando?!”.
“No, affatto. Anzi, se non sterzi, abbracciamo il palo.” le disse, indicando la via ormai terminata.
Yoshiko guardò prima la strada e poi lui che continuava a fumare per nulla intenzionato a riprendere i comandi del Pick-up.
“Ti strozzo!” esclamò prima di afferrare il volante ed effettuare una sterzata poco ortodossa.
Naaaa, che modi bruschi.” criticò Yuzo e la stava allegramente prendendo in giro. “La vedi quell’auto parcheggiata? Per poco non ci finivamo dentro, eh.”.
Yoshiko lo guardò come se avesse voluto incenerirlo: quella carogna le stava facendo il verso!
“Fa’ silenzio tu! E ringrazia che ho le mani impegnate o saresti già un uomo morto!” poi sospirò, scuotendo il capo “Ma guarda un po’ se io devo fare lezioni di guida alle otto del mattino.”.
“Ti correggo.” intervenne Yuzo “Sono le 7:58, mancano ancora due minuti e, se giri a sinistra al prossimo bivio, siamo arrivati alla tua Università in perfetto orario, come promesso.”.
Tsk! E ti aspetti anche che ti ringrazi?! L’unico ad essere ringraziato qui è Dante, che mi ha fatto arrivare sana e salva!” per poi rivolgersi teatralmente allo sterzo “Grazie caro, tu sì che mi vuoi bene.”.
Ma l’affermazione di Yuzo ebbe il solito effetto di farla avvampare, soprattutto per il suo modo di dire le cose.
“Perché? Io no?”.
Yoko si girò di scatto ad incrociare il suo sguardo e cercare di capire se lo stesse facendo apposta a metterla in difficoltà, se almeno un minimo si rendesse conto dell’effetto che aveva su di lei e di come le mettesse il cuore sottosopra con certe frasi. Eppure, nei suoi occhi scuri non riusciva davvero a leggere nient’altro che la reale attesa di una risposta alla sua domanda e lei si limitò a deglutire con uno sforzo, buttandola, al solito, sul ridere.
“Dante di più!”  - Davvero mi vuoi bene? -.
Con Yuzo che fece schioccare la lingua, ciccando all’esterno del vetro. “Naaa!” scherzò prima di attirarla a sé ed afferrare il volante, esclamando un “Attenta!” ed i freni del Pick-up inchiodarono giusto in tempo prima di tamponare l’auto ferma in doppia fila alla quale si accodarono. Ne scese uno studente, accompagnato da quello che doveva essere il padre, che rivolse loro una schifata occhiata di rimprovero prima di varcare il cancello dell’Università.
Yuzo gli rivolse uno stentato sorriso di scuse, accennando un saluto con la mano che il giovane ignorò. “Ehi, ma l’hai visto come mi ha guardato male?” ma Yoshiko non si era accorta assolutamente di nulla, mentre restava stretta al suo maglione, il braccio del Prof a cingerle le spalle. Adorava essergli così vicina e la faceva sentire più al sicuro di chiunque.
“Comunque…” riprese Yuzo “…hai visto?! Ti sei distratta e stavamo per andare a sbattere! E poi dici che dovrebbero ritirare a me la patente!”.
Yoko lo guardò incredula, puntellandosi sul suo petto con i pugni per poterlo osservare dritto negli occhi, il suo braccio ancora attorno alle spalle. “Che cosa?! Non vorrai mica dare la colpa a me, spero!”.
“Certo.” affermò con disinvolura “Non ero io a tenere il volante!”.
“Ma… ma!” capitolò, mollandogli un buffetto al torace. “Antipatico!” fu la sua resa, mentre si allontanava a malincuore dalla sua stretta ed afferrava la borsa con i libri. Scese dal Pick-up che lui stava ancora ridacchiando e lei gli fece una smorfia prima di aggiungere. “Grazie per l’ennesimo aiuto che mi hai dato.”.
Yuzo scosse il capo, divenendo più serio. “Grazie a te. Non credo che riuscirò mai a trovare le parole adatte per dirti quanto ti sia riconoscente.” e lei arrossì con un sorriso, spostando lo sguardo al marciapiede per qualche istante, mentre sperava che di nuovo qualche miracolo avvenisse e portasse con sé la certezza del re-incontro il prima possibile, però… l’ultima volta il passo lo aveva fatto lui, forse ora… toccava a lei fare qualcosa.
“Senti…” cominciò, dando fondo a tutte le sue scorte di coraggio e sistemandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio “…se ti chiamassi più tardi… ti disturberei? Sai, per sapere se ci sono novità.” quasi a voler trovare una giustificazione a tutti i costi pur di non fargli capire semplicemente: ‘Ti chiamo perché ho voglia di sentirti.’.
“Ma no che non mi disturbi, anzi, parlare con te mi fa sempre piacere e lo sai.”.
Yoshiko sorrise, sentendosi anche un po’ fiera di sé stessa per essere riuscita a superare il suo imbarazzo: Saya ne sarebbe stata orgogliosa. “Ok.” accordò, facendo un passo indietro. “Allora a più tardi. Buon lavoro.”.
“Grazie, buona giornata a te. Aspetterò la tua telefonata per prendermi una pausa.” le sorrise ancora il Prof, salutandola un’ultima volta con un cenno della mano, prima di fare manovra ed allontanarsi dall’Università.
Yoshiko rimase ancora qualche momento ferma sul piazzale ad osservare il Pick-up che si faceva piccolo piccolo, inghiottito dal traffico cittadino, con un senso di euforia crescente per la certezza che, in serata, lo avrebbe sentito.
Sistemandosi la spalliera della borsa con un gesto deciso ed una rinnovata sicurezza in sé stessa, varcò allegramente il cancello del Campus pronta ad affrontare il terzo grado che Saya le avrebbe sicuramente fatto.

Quando Yoshiko gli aveva chiesto se avesse potuto telefonargli, il suo cuore aveva accelerato i battiti per una frazione di secondo quasi impercettibile, ma sufficiente a diffondergli un senso di tranquillità sotto la pelle.
Era felice di sentirla.
Felice davvero.
Voleva ascoltare il resoconto della sua giornata, sentirla ridere, sentire la sua voce che aveva un effetto catartico su di lui. Anche un semplice: ‘Ciao, come stai? A presto.’ sarebbe stato sufficiente a migliorare la sua giornata e quell’inspiegabile, puro senso di piacere che traeva da una banale conversazione lo aveva solo con Yoshiko. Anche di questo, un giorno, avrebbe dovuto renderle merito.
Ricaricato di tutte le energie che aveva perduto dietro orari di lavoro improponibili e fughe camuffate da stacanovistiche missioni di ricerca, parcheggiò Dante nel posteggio sotterraneo dell’FVO e si avviò, deciso, al terzo piano, convinto che le cose sarebbero andate finalmente nel verso giusto, che sarebbero venuti a capo dei terremoti ed avrebbero risolto per tempo l’emergenza.
Salutò Shiguro, vigile come sempre al suo posto di guardia, e salì le scale con una rapida corsetta e pieno di rinnovato ottimismo.
“Buongiorno.” esordì, varcando la soglia del dipartimento e dirigendosi al suo studio. Della squadra era presente solo Hisui armato della solita mascherina - usata in ogni occasione per difendersi da smog, batteri, virus, aliti pesanti e puzze inconsulte - che rispose con un lamentoso. “Buondì.”. Mentre le scrivanie di Toshi e Rick erano ancora vuote.
“Cip e Ciop hanno fatto le ore piccole per caso?” domandò all’indirizzo del meteorologo che si strinse nelle spalle.
“Perché domandarselo: non senti che pace?”.
Yuzo rise. “Rita?”.
“A quel che ne so, non è proprio andata a dormire, ma sembra che abbia obbligato a frustate un povero tirocinante a lavorare con lei tutta la notte.”.
Il Prof sgranò gli occhi “Addirittura?!” mentre estraeva le chiavi dello studio, quando la porta del dipartimento si spalancò e la sismologa si precipitò in direzione di Yuzo, travolgendolo come un uragano.
“Ah, ecco ‘Stachanov in gonnella’!” esclamò il Prof con un sorriso. “Vuoi forse rubarmi la nominata di ‘lavoratore insonne’?” domandò, ma l’unica risposta che ottenne fu un “Amm’ parlà.[1]” ed un venir strattonato per un braccio con poca grazia.
“Ehi, ehi! Calma!” Yuzo tentò invano di protestare, mentre veniva trascinato davanti al suo ufficio come un sacco di patate. “Ma che diavolo sta…”.
“Ho trovato qualcosa che devi assolutamente vedere.” gli bisbigliò Rita, guardandolo con serietà da sopra le lenti tonde. “E mo’ arapri ‘sta port![2]” indicando l’uscio chiuso con un cenno del capo.
L’aria allegra ed ottimista scomparve dal viso del Prof, che divenne marmoreo in un attimo.
Aveva avuto la giusta intuizione, finalmente qualcosa cominciava a muoversi, ma, differentemente da quello che aveva pensato, la situazione non sembrava profilarsi di facile soluzione a giudicare dall’espressione scura di Rita, e cos’erano quei fogli che teneva stretta?
Rapidamente aprì la porta dell’ufficio, andandosi a sedere alla scrivania e accendendo il computer, mentre la sismologa richiudeva l’uscio alle loro spalle, prima di raggiungerlo.
“Che succede?” fu la domanda del Prof e lei lanciò il malloppo di fogli A4 sulla superficie del tavolo.
“Dai un’occhiata a questi.” disse solo, mentre lui cominciava a farli scorrere.
Erano sismogrammi.
No.
Erano pezzi di sismogrammi, ingrandimenti.
E tabelle.
Diede uno sguardo alle date degli eventi, mentre Rita spiegava, poggiando le mani sul tavolo. “Me ne sono accorta all’alba, facendo un raffronto tra gli eventi di Martedì, Giovedì e Sabato.” gli sistemò i diagrammi in modo che il primo, quello centrale e l’ultimo fossero i tracciati dei terremoti di cui stava parlando. “Mentre questi…” e posizionò altri fogli tra i precedenti “…sono i sismogrammi relativi alla stasi che è intercorsa tra un sisma e l’altro.”.
L’espressione di Yuzo cambiò in maniera drastica, mentre le labbra si tesero. Un sopracciglio si inarcò pericolosamente e fece per dire qualcosa, quando la sismologa lo interruppe.
“Se me lo stai per chiedere: no, non sono repliche[3].” e quell’affermazione gli fece alzare di scatto lo sguardo verso di lei.
“Ne sei certa?”.
“Ho rigirato quei tracciati fino a vomitare.” concluse Rita, ed il Prof tornò a guardare quello zigzagare fitto di linee nere che, ad occhi inesperti, non avrebbero detto assolutamente nulla, mentre ai suoi dicevano molto di più di ciò che avrebbe voluto vedere.
La sismologa sbuffò contrariata. “Ci siamo fossilizzati come stupidi solo sui fenomeni principali dei terremoti senza contare la microsismicità[4].”.
“Quanti ne hai contati?” domandò a bruciapelo.
“280 tra il primo ed il secondo, 330 tra il secondo ed il terzo, 300 dal terzo ad ora.”.
910 microsismi che non erano repliche degli eventi più grandi.
“Probabilità che siano noise[5]?”.
Rita scosse il capo “Ho preso come campione un tracciato relativo a quattro mesi fa: non sono noise.”.
910 micro-sismi che non erano repliche degli eventi più grandi né associabili a noise.
“Hai i valori di (b)[6]?”.
“Ovviamente.” accordò quasi con rassegnazione, passandogli fogli pieni di tabelle e numeri che lui scrutò senza fiatare.
1.1
1.5
1.4
1.3
1.6
1.5
2.0
1.2
1.0
E via di seguito con scarti minimi.
La sismologa aggrottò le sopracciglia, scrutando la sua espressione glaciale e dallo sguardo che scivolava sui fogli ed il loro contenuto; con un respiro pesante disse “Lo sai cosa significa tutto questo, vero?”.
A quelle parole, tutti i buoni propositi si dissolsero come neve al sole, mentre incrociava le mani sul tavolo. Meditò per una frazione di secondo, poi afferrò rapidamente la cornetta del telefono, componendo a memoria un numero.
All’altro capo squillò libero per qualche minuto prima che una voce impastata dal sonno rispondesse. “¿Que pasa?[7]”.
“Rick, sono Yuzo. Rintraccia Toshi e portate il vostro culo all’FVO.” sospirò con forza “L’ipotesi dell’evento vulcanico è di nuovo sulla lista.”.

Saya strinse il fazzoletto, guardandola con occhi lucidi. “Dio, che storia triste!” e si soffiò sonoramente il naso.
Yoshiko sorrise, tenendo il viso poggiato nella mano, mentre rigirava la lattina di coca cola, quasi vuota, sul tavolo.
“Già.” convenne, continuando a fissare l’oggetto senza realmente vederlo. Nella sua mente c’era una sola immagine, un solo viso, i suoi occhi ed il suo sorriso. Nient’altro. Lentamente mosse lo sguardo al cellulare che restava silenzioso accanto al vassoio del pranzo ormai consumato. Le sue labbra si distesero appena. Era da quando Yuzo l’aveva lasciata davanti all’Università che non vedeva l’ora che fosse pomeriggio per poterlo chiamare. Le mancava così tanto la sua voce, che finì col domandarsi se sarebbe riuscita a resistere così a lungo, ma sapeva anche che lui stava lavorando e che doveva essere impegnatissimo, come al solito. Lo immaginò, per un attimo, dietro la scrivania e lo sguardo al monitor del computer, con quell’espressione seria e pensosa, mentre Rick e Toshi facevano casino, magari prendendo in giro Hisui, e Rita che li ammoniva tutti e tre nella sua lingua incomprensibile. Non riuscì a non ridacchiare a quel quadretto, quando Saya si attirò nuovamente la sua attenzione.
“E’ il momento giusto, Yoko.” disse con severità, battendo i pugni sul tavolo e sporgendosi un po’ verso di lei. “Affondalo, tesoro.”.
“Affondarlo?” fece eco, prima di sorridere con ironia “L’unica ad essere colata a picco sono solo io.” ed agitò una mano “Anche se…”.

“…l’unico che deve essere ringraziato, qui, è Dante. Grazie caro, tu sì che mi vuoi bene.”
“Perché? Io no?”

“Anche se?” ripeté l’amica e Yoshiko scosse il capo.
“No, niente. Pensavo che magari un po’ di affetto lo prova nei miei confronti, ma credo che per lui io sia solo un’amica.”.
Saya incrociò le braccia al petto con stizza. “Non essere così pessimista, uffa! E poi… la moglie è morta, non è più un ostacolo, di che ti preoccupi? Non hai forse detto tu stessa che The Doctor[8] si è addirittura tolto le fedi?”.
Ma la ragazza non ne sembrava totalmente convinta. “Questo è vero, però… forse per lui è ancora troppo presto per cominciare a guardarsi intorno.” poi sbuffò, affondando il viso in tutte e due le mani, con espressione crucciata. “E poi, figurati se guarda proprio me.” scosse il capo “Certo, è protettivo, è dolce e molto affettuoso nei miei confronti, però…” e diede voce ad alcuni dei dubbi che, nonostante tutto, non l’avevano mai abbandonata ed ogni tanto si affacciavano al suo cuore, smorzando le poche certezze faticosamente acquisite “…temo che anche lui mi consideri come una bambina, solo… in maniera diversa dagli altri.”.
“Cioè?” indagò Saya, non riuscendo a capire il suo contorto ragionamento.
Yoshiko sospirò pesantemente. “Vedi, per tutti gli amici di Taro io sono la ‘sorellina di Misaki’, ed anche loro mi trattano e coccolano come se fossi la loro sorella minore. Per Yuzo, invece, io sono un’amica e, sotto quest’ottica, non mi vede come una bambina, ma credo di esserlo per l’uomo che è.”.
L’amica assunse un’espressione dispiaciuta. “Oh… ho capito…” ma, differentemente da Yoko, lei tendeva a non perdersi d’animo e con convinzione batté un pugno sul tavolo, facendo tintinnare gli oggetti su di esso. “Ebbene! Dimostragli che non lo sei! Hai già fatto un gran passo in avanti offrendoti di chiamarlo, ma ora devi fargli capire che siete entrambi giovani ed in buona salute, che siete entrambi sessualmente attivi e che non esiste solo ‘l’udito’ per ‘sentire’ l’altra persona!” arringò, annuendo con decisione.
La sorella di Misaki inarcò lentamente un sopracciglio, lasciando che qualche secondo di silenzio le separasse, poi sentenziò “Saya, sei veramente una… maiala!”.
“Oh, eddai! Hai capito cosa voglio dire, no?” la giovane si rilassò contro lo schienale della sua sedia.
“Certo che ho capito, scema! Ma mi spieghi cosa dovrei fare?! Intrufolarmi nel primo sexy-shop che trovo, comprare il completo più provocante di questo mondo e presentarmi a casa sua con il Kamasutra illustrato da Manara per caso?!”.
Saya si massaggiò il mento con aria pensosa “Sai che è un’idea?!”. Un tovagliolo appallottolato la centrò in piena faccia, facendola sbottare in una sonora risata.
“Non mi sei di nessuno aiuto!” l’ammonì Yoko, divenendo porpora.
“Eddai! Non dirmi che non ci hai mai fatto un pensierino…” poi, abbassando il tono e rivolgendole un’occhiata maliziosa “…il tuo vedovello è un gran bel figliolo, alto e con le spalle larghe…”.
Yoshiko le tenne il gioco, incrociando le mani sotto al mento e sporgendosi in avanti. “Posso confermarti che le sue spalle sono favolose, le braccia forti e le mani grandi, ma delicate.”.
“Ma davvero?”.
“Davvero.”.
Ehhhh. Chissà come lo hai consolato ieri… da cosa nasce cosa…”.
“E chi lo sa.”.
Rimasero a fissarsi in silenzio per qualche secondo.
“Stiamo degenerando, vero?” propose Saya.
“Abbastanza.”.
Ed entrambe scoppiarono a ridere con Yoko che ringraziò mentalmente l’amica per la sua innata abilità di saper sempre come risollevarle il morale anche nei momenti peggiori.
“Passando a cose più serie…” riprese proprio quest’ultima “…quando hai intenzione di parlargli dei tuoi sentimenti? Io sono sempre convinta che sia la soluzione migliore.”.
La sorella di Misaki bevve l’ultimo sorso della bibita ormai a temperatura ambiente, prima di stringersi nelle spalle. “Non lo so… il fatto è che non vorrei sembrare poco opportuna o, peggio ancora, non vorrei che lui pensasse che io abbia voluto approfittare della situazione.”.
“Anche questo è vero.” sbuffò contrariata.
“Senza dimenticare che… non credo di avere ancora il coraggio necessario per poterglielo dire.”.
E Saya alzò gli occhi al cielo. “Mhhh! Va bene, va bene. Un passo alla volta. Concentrati sulla telefonata che dovrai fargli dopo, ma vedi di trovare questo benedetto coraggio prima che lui vada via, intesi?”.
“Sì, sì.” accordò con un sorriso, ma non era affatto una cosa semplice. Le bastava ripensare a quando, quella mattina, aveva avuto il suo viso a distanza millimetrica per far sciogliere tutti i suoi buoni propositi come burro e sapere che avrebbe avuto quegli occhi puntati nei suoi, non aiutava di certo a farle trovare la forza necessaria. Forza che avrebbe dovuto essere doppia quando, con quel suo tono rassicurante, le avrebbe detto che no, non ricambiava i suoi sentimenti.
Era una cosa di cui aveva sempre tenuto conto. Differentemente da Saya, lei non aveva mai creduto in una happy ending tra loro ed anche ora, che aveva saputo la verità su Aiko, continuava a non crederci, sforzandosi di non sperarlo neppure: troppa era la paura di sentire il cuore in frantumi. Però, nonostante i timori e le raccomandazioni che tentava di auto-imporsi, non riusciva a non provare una gioia immensa per ogni piccolo passo che riusciva a compiere nella sua direzione.
Sospirò pesantemente, muovendo lo sguardo in direzione della porta, e sorrise, adocchiando Eri, Sumie e Fuyuko che si avvicinavano quasi correndo verso il loro tavolo.
“Tre Grazie a ore 10.” ridacchiò “Le tue degne compari.”.
Saya le fece prima una linguaccia poi si girò verso le amiche, sbracciandosi come un’ossessa e con un sorriso a trentadue denti.
“Eccovi!” esclamò Sumie “Vi abbiamo cercato dappertutto!” mentre Fuyuko si sedette, prendendo la mano di Yoshiko e guardandola con apprensione.
“Cara, allora? Si può sapere che è successo? Ieri sei scappata via ed il tuo cellulare è rimasto spento. Come stai?”.
“Bene bene, mie care.” cominciò Saya con la solita solennità di chi sta per divulgare la notizia più sconvolgente del secolo “Prendete posto e mettetevi comode, ne avrete per buoni trequarti d’ora.” ed annuì soddisfatta, incrociando le braccia al petto. “Dai, Yoko. Racconta.”.
La sorella di Misaki le rivolse un sorriso affettuoso. “E toglierti il piacere di spettegolare?” disse, scuotendo teatralmente il capo “Non mi permetterei mai!”.
Alla sua vicina di stanza per poco non venne un colpo, mentre si rizzò sulla sedia, osservandola con tanto d’occhi. “Dici davvero?! Posso dirglielo io?!”.
Yoshiko fece una piccola riverenza “A te l’onore.” generando il tripudio dell’amica che non aspettava altro.
Così, mentre Saya raccontava alle tre attentissime ragazze gli ultimi sviluppi, infarcendoli dei suoi particolari commenti, lei tornò a far scivolare il suo sguardo sul cellulare silenzioso, rievocando, con un sorriso, la sua bellissima voce.

“I conti non tornano.” esclamò Ricardo con uno sbuffo.
“Se è per quello, non tornano mai.” sospirò ironicamente Toshi, mentre tutta la squadra era riunita nello studio di Yuzo da quella mattina.
La scoperta di Rita era stata una maledetta doccia fredda, ma non era ancora una conferma definitiva.
“I valori di (b) sono ancora troppo ambigui per farci affidamento.” il Prof si passò stancamente una mano sul viso, desiderando ardentemente un caffè ed una soluzione al tutto nei tempi più rapidi possibili. “E quelle micro-scosse possono significare qualsiasi cosa…”.
“Non sono repliche, ergo, la possibilità che siano tettoniche tende a zero.” replicò l’ingegnere e Yuzo scosse il capo.
“E le migrazioni vulcaniche avvengono verticalmente e non in orizzontale.” si rilassò contro lo schienale della poltrona, alzando le mani “Sono fattori di eventi comuni che si smentiscono a vicenda, che diavolo!”.
“I dati del tuo amico, però…” intervenne Rita, riferendosi a quelli di Shiro che erano arrivati proprio in mattinata “…ci hanno permesso di individuare il reale inizio dell’attività sismica anomala.” che era avvenuto circa un mese prima dello sciame individuato da Yuzo al largo di Shimizu City, quando i dati non erano ancora completi. L’ipocentro era stato localizzato nelle profondità della Depressione di Nankai, registrando una magnitudo di circa 7.3 gradi Richter, però, data l’alta profondità, l’allarme tsunami non era nemmeno scattato. Per questo, in TV ed alla radio così come sui giornali, l’evento era passato in sordina.
“Beh, sappi che una migrazione che parte dalla Nankai non mi rassicura per niente.” obiettò Yuzo, afferrando una sigaretta spenta e portandosela alle labbra.
“Nemmeno a me, ma almeno abbiamo messo il primo punto fermo in tutta questa faccenda.”.
Hisui avanzò un’ipotesi. “Non potrebbe essere dovuto al famoso ‘acceleramento tettonico’?” ed il Prof negò con decisione.
“No. Avremmo dovuto avere eventi lungo tutta la Depressione e non ce ne sono stati.”.
“Questo mette una croce definitiva sulla teoria dell’ERI?” domandò ancora il meteorologo. Rick si strinse nelle spalle.
“Esattamente, ma non ci avevamo mai fatto grande affidamento.”.
Yuzo si attirò nuovamente l’attenzione di Rita. “Adesso dobbiamo verificare se queste micro-scosse, la migrazione se le porta dietro dall’evento (α).” E la sismologa si portò una mano al viso, per nulla entusiasta della cosa.
Uggesù[9]! Sai come sarà contento Takumi? Ci faremo Pasqua, Natale ed Epifania in quel laboratorio.”.
“Cosa succederebbe se Rita le trovasse fin dall’evento (α)?” si informò Toshi.
“Che si tratterebbe di fenomeni tettonici.” spiegò Yuzo “Già una migrazione orizzontale è alquanto rara, così lunga poi: è vulcanicamente impossibile.”.
“E se non ne trovasse, invece?”.
Un profondo sospiro precedette la risposta per nulla rassicurante. “Allora, l’evento avrebbe subito un mutamento e, da tettonico, si starebbe evolvendo in vulcanico.” si strinse nelle spalle “Le vibrazioni potrebbero aver fratturato substrati molto profondi, deformandoli e mettendo il magma in condizioni di risalire.” a quelle parole seguì un lungo momento di silenzio, mentre passava in rassegna tutti gli sguardi preoccupati dei presenti “Pregate che non sia così o avremmo un grosso problema.”. Poi si alzò lentamente, afferrando il giaccone. “Per ora lavoriamo su questi dati.” e controllò rapidamente l’orologio prima di affermare “Io mi assento per un po’.”.
“Dove vai?” si informò Rick con espressione ebete e già pronto per prenderlo in giro.
“Ho un appuntamento. E sono anche in ritardo, accidenti!” mancavano pochi minuti alle 18.
“Ma non mi dire…”.
Yuzo lo fulminò con un’occhiataccia.
“Mi spiace, ma non è con Yoshiko.” e l’ingegnere parve deluso.
“Come sarebbe?! Ed io che già immaginavo un incontro galante con Occhi Belli!” sbuffò, sbattendo velocemente le ciglia.
“Ed immaginavi male: devo vedere suo fratello.”. Yuzo infilò la pesante giacca sportiva, eclissando il cellulare in una tasca. “Credo voglia sapere un po’ com’è la situazione qui a Nankatsu.” ipotizzò anche se, effettivamente, Taro non gli aveva detto il motivo di quella visita, ma l’accertarsi dello status dei terremoti, per sapere se Yoshiko correva qualche pericolo, era l’unica idea che gli era venuta in mente.

“Taro, sei ancora in tempo per ripensarci.”
Azumi gli stava ripetendo quella frase da quando erano partiti da Iwata. Anzi, da prima. Da quando gli aveva detto che sarebbero andati a Nankatsu perché lui doveva parlare con Yuzo.
La donna aveva cercato di dissuaderlo in tutti i modi, ma lui era stato categorico e come sordo ad ogni sua più vivace protesta, trincerandosi in un sacrale mutismo che però non riusciva a schermare il suo nervosismo.
Era teso. Ed avrebbe continuato ad esserlo fino a quando non avrebbe parlato con il suo vecchio compagno di scuola ed avrebbe avuto la sua parola riguardo al non vedere più Yoshiko. Solo allora, dopo essersi tolto il peso, avrebbe sciolto anche la tensione.
Lanciò un’occhiata alla pendola del salotto e la lancetta dei minuti, in quel momento, scivolò sulle 18:05, l’attesa era quasi finita ormai, ma Azumi continuava imperterrita a non darsi per vinta.
“Per l’amor del cielo, perché non parli con tua sorella, prima di intrometterti in questo modo nella sua vita?” e, nonostante tutto, cercava di mantenere un tono dolce, preoccupato, sforzandosi di non rimproverarlo anche se avrebbe voluto. Fece scivolare una mano sulla liscia superficie del tavolo per stringere quelle intrecciate del giocatore dello Jubilo. “Stai rischiando di perderla, lo sai vero? Appena scoprirà quello che stai per fare, non vorrà più sapere niente di te…”.
Taro si concesse un sospiro pesante.
Azumi credeva forse che non ne fosse cosciente? Che volesse leggere l’odio negli occhi di Yoshiko nei suoi confronti?
“Se per risparmiarle una sofferenza maggiore in futuro devo farmi detestare, allora mi sta bene.” disse infine, alzando lo sguardo sulla fidanzata storica “Un giorno… un giorno capirà e mi ringrazierà…” ma sembrava quasi che stesse cercando di convincere sé stesso.
“Ma io non capisco cosa tu voglia dire!” si impuntò Azumi, scuotendo il capo “Credi forse che Yuzo possa trattarla male, seppur dovesse esserci qualcosa tra loro?! È un pensiero ridicolo!”.
Taro non si stupì che non riuscisse a capire, a vedere dove stesse il problema, perché avevano storie e caratteri differenti, ma, essendo lui il fratello di Yoko, era quasi normale che riuscisse a vedere più in là di quanto facesse Azumi.
“A me sembra solo che tu stia cercando una qualsivoglia spiegazione alla tua iper-protezione!” concluse la donna con uno sbuffo ed assumendo per un attimo il piglio arrabbiato.
Ma avrebbero potuto continuare a discutere per ore, ormai era troppo tardi per tornare indietro e rivedere le proprie decisioni e, forse, lo capì anche lei, quando sentì trillare improvvisamente il campanello.
Entrambi si girarono di scatto a guardare la porta chiusa, rimanendo immobili per qualche secondo, poi Taro si alzò, ma la mano di Azumi si serrò velocemente intorno al suo braccio. Con sguardo supplichevole tentò per l’ultima volta di fargli cambiare idea.
“Te ne pentirai.” disse solo.
“Lo so. Ma non c’è altra scelta.” e la presa cedette debolmente, quel tanto che bastava a fargli liberare il braccio e tornare a camminare verso la porta per accogliere il suo ospite, mormorando un “Lo faccio per il suo bene.”.

La casa era del padre di Taro. Quella in cui avevano vissuto la prima volta che erano arrivati a Nankatsu e, nonostante ora il signor Misaki continuasse a girare il Giappone e l’Europa tra mostre e nuove ispirazioni e Taro risiedesse ad Iwata, avevano deciso, perfettamente concordi, di non rinunciare a un importante pezzo di cuore che i due avevano lasciato in quella città.
Volenti o nolenti finivano sempre per ritornarci, soprattutto Taro che considerava Nankatsu come ciò che di più simile alla parola ‘casa’ vi fosse. E quando Yoshiko si era trasferita per l’Università, si era rivelato ancora più utile avere quell’appartamentino come appoggio, in modo da essere più vicino a sua sorella.
Non era molto grande, ma giusto per due persone, situato in una tranquilla palazzina che costeggiava il fiume di Nankatsu.
Yuzo parcheggiò nel primo spazio abbastanza grande per Dante e scese rapidamente, dando una veloce occhiata all’orologio. Era riuscito a recuperare qualche minuto, sperando che Taro ed Azumi non lo stessero aspettando da molto. Nel tragitto aveva continuato a rimuginare sul motivo di quell’incontro improvviso, senza però riuscire a trovarne uno diverso dai terremoti.
Inforcò rapidamente il portone aperto, avviandosi alle scale. Se non ricordava male, l’appartamento di Taro doveva essere al quinto piano, il che significava che gli aspettava una bella scarpinata.
Mentre saliva i gradini si disse che avrebbe dovuto scusarsi nuovamente con il suo ex-compagno di scuola per il casino che era successo quella mattina e, meccanicamente, tirò fuori il cellulare per dare un’occhiata al display.
Chissà quando lo avrebbe chiamato Yoshiko e sorrise, scoprendo di stare davvero aspettando quella telefonata. Ora che ci pensava, non le aveva detto che doveva vedersi con suo fratello. Non che fosse necessario, anzi, magari lo stesso Taro avrebbe preferito che Yoko non lo sapesse: se dovevano parlare della sismicità della Prefettura, si sarebbe potuta preoccupare. Però non riuscì a non pensare che stesse cominciando a perdere colpi.
Arrivò finalmente al pianerottolo del quinto piano, eclissando il telefono in una tasca e controllando le targhette delle porte.
Quando lesse ‘Misaki’ su una di questa, si sentì quasi rincuorato: forse non ne stava perdendo troppi, di colpi, e, tirato un profondo sospiro, pigiò sul campanello.
Non dovette aspettare molto perché qualcuno andasse ad aprirgli e sull’uscio comparve proprio Taro cui lui rivolse un sorriso.
“Ciao, Yuzo. Grazie di essere venuto.” esordì il fratello di Yoshiko e la prima impressione che il Prof ebbe fu che fosse… strano. Non il solito Misaki dai modi cortesi e sorridenti, accoglienti, ma insolitamente freddo e distaccato. Addirittura nervoso, ma non ne era sicuro. Gli ostentava un sorriso quasi di circostanza.
“Figurati, anzi, scusami: ho fatto tardi.” si limitò a rispondere, fingendo di non notare l’irrequietezza dell’altro che gli fece cenno di accomodarsi.
“Veramente, sarei io quello che dovrebbe scusarsi. Immagino di averti distolto dal tuo lavoro.”.
Yuzo sentì il rumore della porta che venne richiusa alle loro spalle, mentre anche Azumi, che fino a qualche attimo prima era rimasta al tavolo, si alzò per andare incontro all’ospite.
“Nessun disturbo. Qualche minuto di pausa non può farmi altro che bene.” rispose il Prof, per poi sorridere in direzione della donna. “Ciao, Azumi.”.
“Ciao, Yuzo.”.
Stranamente, gli parve che anche lei fosse tesa ed il suo sorriso quasi tirato. La salutò con un bacio sulla guancia, mentre numerosi campanelli cominciarono a tintinnare nella sua testa, come se avessero voluto avvisarlo di un pericolo imminente.
“Dammi pure il giaccone e accomodati.” continuò la ragazza di Misaki “Ho appena fatto il caffè, ne vuoi un po’?”.
Yuzo sorrise. “Lo sai che non lo rifiuto mai, quindi, credo che approfitterò della tua gentilezza, grazie.”.
Lei ricambiò il sorriso, lanciando una rapida occhiata a Taro, prima di appendere la sua giacca sull’appendiabiti e lasciare il salotto.
Forse si era sbagliato, ma il Prof sembrò leggevi quasi apprensione in quello sguardo fugace che aveva rivolto al giocatore dello Jubilo Iwata, eppure continuò stoicamente ad ignorare i fastidiosissimi campanelli che sembrarono come impazzire nella sua testa.
Si sedette al tavolo, venendo imitato da Taro che si accomodò alla sedia accanto alla sua. “Come procedono le vostre ricerche sui terremoti?”.
Proprio come aveva immaginato. Taro voleva ragguagli sulla situazione. Era comprensibile, anche lui sarebbe stato in ansia se si fosse trovato al suo posto.
Il Prof incrociò le mani sulla liscia superficie in legno, utilizzando un tono molto rilassato: non aveva ancora elementi sicuri sulla gravità dei fatti e non voleva certo che si impensierisse ancora di più, così esibì un sorriso, costruendo un discorso molto vago che lasciasse intendere che fosse tutto sottocontrollo.
“Ci stiamo lavorando molto, ma è ancora troppo presto per delle risposte. Nel frattempo continuiamo a muoverci in tutte le direzioni possibili.”.
L’altro annuì quasi meccanicamente, mantenendo lo sguardo fisso sulle dita che picchiettavano il tavolo, come se Taro non riuscisse a far trovare loro un po’ di pace.
Nel frattempo, Azumi tornò con una tazzina piena di caffè fumante e dall’aroma piacevole ed invitante.
“Se non sbaglio lo prendi amaro, vero?” domandò la donna e lui confermò.
“Esatto, grazie.”.
La ragazza annuì, lasciandoli nuovamente soli.
“Ad ogni modo, non c’è ancora motivo di preoccuparsi e non dar retta a ciò che potrà dire la TV!” Yuzo riprese il discorso, cercando di concluderlo in modo che l’amico si tranquillizzasse del tutto “Tendono sempre ad ingigantire le cose.” ma Taro rispose nella maniera per lui più inaspettata.
“Capisco. Allora cercherò di non farti perdere altro tempo, andando subito al punto.”.
Panico.
Il punto?
Non era quello, il punto?
Taro non l’aveva chiamato per i terremoti?
Beh, ormai era lampante dato che aveva liquidato l’argomento in un paio di battute.
E allora?
Di cosa mai avrebbe dovuto parlargli?
Lentamente appoggiò la tazzina che stava per portarsi alla bocca, osservandolo realmente sorpreso.
“Si tratta di Yoshiko.” e vedere il mutamento repentino sul viso del Prof non piacque a Taro.
“Yoshiko?!” fece eco Yuzo “Che è successo? Sta bene? Stamattina l’ho lasciata davanti all’Università e-…” il fatto che l’amico avesse nominato la sorella con quel tono così serio, lo aveva messo immediatamente sull’attenti e la preoccupazione gli si era riversata addosso senza che nemmeno se ne rendesse conto; l’altro lo rassicurò, alzando una mano, ma senza riuscire a trattenere un modo quasi seccato.
“Sta bene.” per poi sospirare profondamente ed aggiungere “Il problema è un altro.” disse, liberandosi finalmente del peso che si portava dietro da alcuni giorni.
Nell’altra stanza, Azumi trattenne il fiato per un attimo, restando appoggiata allo stipite della porta e sperando che il giovane avesse un ripensamento dell’ultimo minuto.
Ma ciò non avvenne.
“Che intenzioni hai con mia sorella?”.
Scese il silenzio, gelido come quel nuvoloso Febbraio che si intravedeva dai vetri del balcone e come lo sguardo che solo dopo quella domanda Taro aveva deciso di rivolgergli.
“…cosa?” fece eco il Prof. Era ingenuamente convinto di aver capito male.
’Che intenzioni hai con mia sorella?’. Perché, non so se l’hai notato, ma lei si è presa una cotta per te.”l’amico lo spiegò con lo stesso tono glaciale di prima. E il fastidio. Dio! Il fastidio che provava nel rivelargli quella notizia era palpabile, ma Yuzo riuscì a metterlo da parte, focalizzando la sua attenzione sulle parole che aveva pronunciato.
Yoshiko… cosa?
No, non l’aveva notato.
Ma era sempre stato un po’ tardo in quelle cose, Aiko glielo diceva sempre.
“Certo, ad occhi estranei può passare inosservato.” Taro continuò senza distogliere il suo sguardo “Ma io sono suo fratello ed ho visto il modo in cui ti guarda, come ti sorride, come cambia totalmente espressione in tua compagnia. Ed io…” strinse i pugni con forza “…io non sono d’accordo.”.
Eccolo, il vero problema. Ciò di cui voleva parlargli e, dopo aver udito quelle parole, Yuzo avvertì quasi la necessità fisica di accendersi una sigaretta, mentre i suoi occhi vagarono fino alla tazzina in cui il liquido scuro aveva smesso di disperdere il fumo.
A quel punto, Taro si aspettò che lui negasse una simile eventualità, che scoppiasse addirittura a ridere, ma, come incredibilmente continuava ad accadere, le sue attese vennero per l’ennesima volta disilluse, sentendosi domandare, dopo qualche attimo di silenzio, quel sospirato “E’ per via dell’età?”.
Forse lo stesso Yuzo si sorprese nel chiedergli i motivi del suo essere contrario. Come se stesse confermando… che anche lui…
Un sorriso quasi rassegnato distese le labbra del centrocampista dello Jubilo Iwata. “Quello è il male minore. E passa in secondo piano anche il fatto che tu sia già stato sposato.” si sporse di più verso di lui, le sopracciglia aggrottate “E’ il tuo lavoro, il problema, Yuzo.” seppellendolo sotto quella marea di particolari e problematiche che furono come uno schiaffo per il Prof, una doccia fredda improvvisa. “Yoshiko non è un geologo e non può costruire la sua vita dietro al tuo perenne spostarsi da un continente all’altro per… quanto? Due, tre, quattro anni? E poi? Come potrebbe mai realizzarsi?” scosse il capo “Io lo so che cosa significa muoversi di continuo, non avere il tempo di ambientarsi ed affezionarsi a qualcuno ché bisogna ripartire. Ringrazio il cielo di aver avuto il calcio, ma lei? Io non voglio che salti di città in città come una vagabonda. E seppur dovesse restare qui e tu continuassi a viaggiare come hai sempre fatto, mi spieghi che rapporto riuscireste a costruire? Fusi orari sballati, anni di distanza e vedervi poi per… un mese? Due? Prima che un nuovo viaggio ti porti via e la faccia rimanere da sola? Come potresti mai aiutarla se lei avesse bisogno di te? Avendolo vissuto sulla mia pelle, so che le storie così hanno una sola, spiacevole conclusione…” lasciò volutamente la frase in sospeso “…e so che non posso pretendere che tu lasci la vulcanologia per restare bloccato in questo Giappone che sembra andarti troppo stretto: finireste con l’odiarvi.” Infine, concluse con l’argomento che più gli stava a cuore. “Ed è pericoloso, questo tuo arrampicarti per vette fumanti, per quanto tu abbia sempre detto il contrario. Io non voglio che una telefonata la svegli nel cuore della notte per informarla che hai avuto un incidente e non tornerai mai più a casa.”. Taro respirò a fondo, osservando il suo sguardo che si era nuovamente arenato in un punto indefinito. “Lei… lei non c’era al funerale di Aiko, ma io sì ed ho visto com’eri distrutto, ho visto la tua sofferenza… non voglio rischiare di vederla anche su di lei, un giorno. Non voglio.”.
Mentre Taro illustrava quello straziante elenco, Yuzo si odiò.
Odiò sé stesso ad ogni sua parola perché tutto quello che l’amico gli stava dicendo avrebbe dovuto già saperlo da solo, avrebbe dovuto pensarci per primo. Come un idiota non stava imparando dai propri errori, ma stava per commetterli di nuovo.
E si odiò ancora di più per questo, per la sola idea che avrebbe potuto farle del male e rischiare di perdere anche il suo sorriso dopo quello di Aiko.
Erano troppo distanti e lui si era lasciato cogliere di sorpresa da quell’attrazione e quel forte affetto che provava nei suoi confronti. Ma se davvero le voleva bene, avrebbe dovuto fare qualsiasi cosa per proteggerla e c’era una sola scelta.
“Per tutto questo, ti prego: scompari dalla sua esistenza nello stesso, identico modo in cui vi sei entrato, ora che non è troppo tardi.” concluse Taro “E’ un favore che ti chiedo come amico: non vedere mai più mia sorella.”.
Scomparire dalla sua esistenza.
Non vederla mai più.
Eclissarsi dal suo mondo e tornare ad essere nient’altro che un nome, tra i tanti amici di suo fratello.
Il battito rallentò quasi a gelarsi nel petto del Prof, che lo sentì pesante come piombo, mentre il sorriso di Yoshiko gli attraversò la mente come un lampo che, col tempo, sarebbe divenuto sempre più lontano fino a che il destino non lo avrebbe fatto appartenere a qualcun altro e lui ne avrebbe serbato solo il ricordo. Ma Taro aveva ragione e Yuzo lo sapeva.
Dopo essere rimasto come immobile per tutto il tempo del suo discorso, il vulcanologo annuì lentamente, deglutendo non senza sforzo.
“Va bene.” per un attimo non riconobbe nemmeno la sua voce, ma era stato davvero lui a pronunciare quelle due semplici parole e, dopo tanto nervosismo, Taro distese un sincero sorriso sereno.
“Grazie, sapevo di poter contare su di te.” disse, mentre Yuzo si limitava ad imitare pallidamente il suo sorriso e buttare giù, in un sorso, il caffè ormai freddo e non gli era mai sembrato così amaro.
Solo Azumi, dalla cucina, continuava a stringere con rabbia lo strofinaccio. Possibile che nessuno dei due si fosse accorto che era già troppo tardi per tutti? Che Taro non avesse notato come la voce del Prof fosse cambiata nel dire quel ‘va bene’ e lo sforzo per tirarlo fuori? Che non si fosse posto la domanda sul perché Yuzo non avesse smentito l’ipotesi di una sua storia con Yoshiko? E lo stesso Yuzo, come poteva non capire che scomparire di punto in bianco dalla vita di Yoko non avrebbe fatto altro che farla soffrire di più?
“E’ meglio che io torni in dipartimento.” esordì il Prof dopo aver dato una rapida occhiata all’orologio, tanto non c’era più altro da aggiungere. “Abbiamo ancora molto lavoro da fare.” si alzò, venendo imitato da Taro.
“Sì, scusa. Ti ho trattenuto. Ma avevo davvero bisogno di chiarire questa situazione.”.
“Me ne rendo conto.” accordò, afferrando il giaccone e dirigendosi alla porta, quando anche Azumi comparve, ostentando un sorriso.
“Vai già via?” disse, incrociando il suo sguardo e, nonostante le stesse sorridendo, i suoi occhi non trasmettevano serenità.
“Sì, ho i miei colleghi da controllare: fanno danni senza di me.” cercò di buttarla sul ridere. “Grazie ancora del caffè.” e varcò l’ingresso, accennando un ultimo saluto col capo. “Ciao, Taro.”.
“Ciao Yuzo, buon lavoro.” Il centrocampista dello Jubilo Iwata chiuse il portone alle sue spalle e solo si concesse un profondo sospiro liberatorio, girandosi a guardare Azumi che lo fissava con un misto di rimprovero e preoccupazione.
“Non sei d’accordo con me?” le domandò, raggiungendola, e facendo scivolare le mani attorno alla sua vita sottile.
L’altra sospirò, lasciandosi abbracciare e poggiando la testa contro la sua spalla. “Ora comprendo le tue motivazioni, ma so che Yoshiko non lo farà e nessuno di voi tre ne uscirà incolume quando lo verrà a sapere.”.
“Lo so, ma Yoko è ancora una ragazzina e col tempo le passerà…”.
Azumi sbuffò un sorriso ironico. “Ragazzina? Sei rimasto un po’ indietro coi tempi, tesoro.”
Taro finse di non sentire quell’ultima frase che avrebbe rischiato di far crollare quel breve attimo di tranquillità faticosamente raggiunta.

Sarebbe dovuto rientrare all’FVO, ma preferì concedersi una breve deviazione.
Non aveva voglia di arrivare in dipartimento e sorbirsi le domande di Rick. Adesso aveva bisogno solo di un po’ di silenzio e ritrovare la concentrazione necessaria per potersi dedicare esclusivamente all’emergenza sismica.
E poi, cosa mai avrebbe potuto rispondere all’ingegnere? Che aveva dovuto dire addio all’unica persona che, dopo quattro anni di gelo, era riuscita a trasmettergli un po’ di calore umano a quel cuore che era convinto fosse definitivamente morto insieme ad Aiko? Che Taro gli aveva sbattuto in faccia come il suo mondo fosse un circolo chiuso per chi non ne condividesse il lavoro?
Si risolse che non gli avrebbe fornito nessuna spiegazione, trincerandosi nuovamente in quei mille impegni che la condizione della Prefettura gli aveva elegantemente offerto su di un piatto d’argento.
Poi sarebbe ripartito, perché la fuga faceva parte del suo DNA e perché magari sarebbe stato meglio anche per Yoshiko. Scomparire dalla sua esistenza, come aveva detto Taro.
Alzò lo sguardo al cielo plumbeo, mentre un gruppo di uccelli volò alto sulla sua testa, gracchiando dei versi stonati. Con quel tempo pessimo, il cimitero gli apparve ancora più silenzioso di quanto non fosse nei giorni di sole. E più triste. Ma, in fondo, era andato lì proprio per quello e si aggirò lentamente tra le lapidi con le mani nelle tasche dei jeans e la sigaretta fumante al lato della bocca. Ed era già la seconda che si accendeva dopo aver lasciato l’appartamento dell’amico. Quando era nervoso diveniva più ciminiera del solito ed in quel momento era teso come una corda di violino.
Arrivò alla meta, sedendosi sul cemento freddo di fronte alla lapide ed abbozzando un sorriso che non aveva nessuna pretesa di essere felice.
“Ciao, tesoro.” salutò la sua Aiko sorridente, osservando le bocche di leone cambiate di fresco, segno del passaggio di Hiroshi, e le Belle-di-Notte che aveva portato lui con le corolle che si stavano aprendo alla sera in arrivo. “Ti fanno abbastanza compagnia?” le dita sfiorarono i setosi petali multicolore. “Abbiamo un bel po’ di problemi, quaggiù. Se hai qualche suggerimento, lo accetto più che volentieri, sai?” raccontò, parlandole come se davvero avesse potuto rispondergli.
Ciccò sull’asfalto del vialetto, spostando lo sguardo all’intorno, ma senza soffermarsi su alcun particolare; il silenzio interrotto solo da un cinguettare solitario.
“Ho rinunciato a quella famosa possibilità; non credo di essere la persona giusta per lei… finirei col farle del male ed è l’ultima cosa che voglio.” rise con ironia “Lo vedi che faccio bene a non tornare mai in Giappone? Sono io la catastrofe! Ah, ma aspetta che risolvo il mistero dei terremoti e poi…” il tono tornò malinconico “…e poi prenderò nuovamente il largo…”. Sul cemento spense il mozzicone della cicca, deglutendo a fatica. “…ma non farmi arenare, tesoro. Non farmi arenare ancora.”. Gli occhi fissi su quel sorriso eterno della fotografia, in cui rivide ancora una volta quello di Yoko e si sentì solo come non mai.
In quel momento, il cellulare prese a vibrare nella tasca del suo giaccone, facendogli socchiudere gli occhi per un lungo momento, mentre lo sentiva agitarsi in maniera ritmica. Avvertì il cuore gelido che riaffondava inesorabilmente, nel lento cavare di tasca l’oggetto per osservare sul display la scritta lampeggiante del nome di chi lo stava cercando.
Ed aveva atteso così a lungo quella telefonata.
Yoshiko.
Ma non rispose, appoggiando il cellulare sul marmo della lapide con una delicatezza estrema, restandolo poi ad osservare con le mani intrecciate all’altezza del naso, lo sguardo assente.
“Aiko, dimmi che ho fatto la scelta giusta…” sussurrò con un filo di fiato “…dimmi anche tu che non era destino.”.


[1]“AMM’ PARLA’”: “Dobbiamo parlare!”.

[2]“E… PORT!”: “Ed ora apri questa porta!”.

[3]REPLICHE:sono le scosse che seguono quella principale e che vengono comunemente dette ‘scosse di assestamento’ (termine orrendo). Hanno una minore intensità ed il loro numero è proporzionale alla grandezza dell’evento principale.

[4]MICROSISMICITA’: ovvero si tratta di piccoli terremoti registrabili solo dai sismografi e non avvertiti dalla popolazione.

[5]NOISE: termine inglese per individuare il ‘rumore di fondo’ (da ‘noise’ = ‘rumore’), ovvero quelle vibrazioni che non sono dovute ai terremoti, ma ad altre fonti: automobili, vento, ecc.

[6](B): valore appartenente alla relazione empirica introdotta da Richter (1958) che lega la magnitudo dei terremoti alla frequenza con cui avvengono.

[log N = A – bM] 

dove (N) è il numero di eventi di magnitudo (M) o superiore, (A) una costante e (b) la pendenza della retta. Il valore di (b) differisce a seconda del tipo di terremoto: valori di (b) tra 0,6 e 1,2 si osservano comunemente per terremoti tettonici, mentre valori maggiori di 1,5 sono associati a terremoti di tipo vulcanico. (Fonte: “Vulcanologia – principi fisici e metodi di indagine”, R. SCANDONE, L. GIACOMELLI. Edizioni: LIGUORI EDITORE).

[7]“¿QUE PASA?”: “Che succede?”.

[8]THE DOCTOR: omaggio al mitico Valentino ‘The Doctor’ Rossi.

[9]“UGGESU’!”: “Oh Gesù!”.


…E poi Bla bla bla…

Za-za-za-zaaaaaaaan! XD
Beh? Non ditemi che vi aspettavate fuoco, fiamme, pugni volanti ed occhi neri, spero! Né Taro e né Yuzo sono persone da sfuriate colossali, ma piuttosto soggetti inclini al pacifico dialogo. Ad ogni modo, il numero 11 ha mollato la bomba che è stata piuttosto devastante per il Prof.
Ed ora siamo a -2 dal colpaccio del Capitolo 18! *blink* E chissà che non riesca ad anticiparlo… o a ritardarlo! XD Non si sa mai, quando mi prende la logorrea sono cavoli neri anche per me.
Ad ogni modo, vorrei tentare di ridurre di qualche capitolo l’intera storia, se ci riesco, ma si vedrà.
Infine, vorrei ringraziare tutti i lettori per la fiducia con cui seguono questa fic: lo so che procedo un po’ lentamente, ma cerco di fare del mio meglio affinché gli aggiornamenti siano quantomeno consistenti. ^^

PS: questa volta vi ho riempito di note! XDDD

Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

Hikarisan: in primis grazie mille per gli auguri!*__* Dopodiché, ti ringrazio tantissimo anche dei complimenti che mi fai ogni volta!*_____*
Alla fine, Taro ha fatto il ‘buon fratello maggiore’ e spero che tu abbia apprezzato questo capitolo, nonostante l’abbia dovuto scrivere nei ritagli di tempo o alla sera, stanca morta per le ore in laboratorio. T___T

Eos: T__________________T Grazie! Mi ricopri di complimenti ogni volta *arross*. Sono felicissima quando leggo che certe cose, emozioni ed atteggiamenti riescono ad arrivare al lettore. L’evoluzione dei personaggi e le loro caratterizzazioni sono alcuni dei punti sui quali mi soffermo di più e quando vengono apprezzati… ne sono commossa! T___T
Per quel che riguarda Rita… la mia prof è esattamente così! XDDDD Ed ora sai anche cosa gli strumenti le hanno detto… sperando di essere stata abbastanza chiara! XDDD
Spero di non averti fatto attendere troppo per questo capitolo, mi metterò al più presto a lavorare al prossimo! *_____* grazie ancora!

Sakura-chan: Bettina! Spero che tu abbia trovato valide e credibili le motivazioni di Taruccio. A me, personalmente, non sembravano campate in aria. T_T  Eccetto per l’età e la vedovanza, sono state le prime cose a cui ho pensato quasi in maniera istantanea.
Per quanto riguarda Yuzo: lui non è che si sveglia e capisce, lui lo ha capito già da prima, solo che aveva bisogno di quella ‘spintarella’ in più per ammetterlo con sé stesso.
Rose e fiori?... MWAHAHAHAHAH! XDDDDDDD.
Grazie mille per tutto il lavoro che fai con le betaletture, davvero, grazie di tutto! Luv!

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Huzi

- Capitolo 17 -

“Informazione gratuita. Il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile. Si prega di riprovare più tardi, grazie.”.
Si sentì solamente il leggero ‘bip’ della comunicazione che veniva chiusa e poi un lungo ed affranto sospiro.
Ormai, Yoko avrebbe potuto prevenire ogni eventuale risposta; le aveva imparate a memoria: o squillava fino a che non cadeva la linea o era irraggiungibile, probabilmente spento.
Ed erano tre giorni che andava avanti così.
Tre giorni in cui cercava di mettersi in contatto con lui, ottenendo solo silenzio e nient’altro. Quando il Martedì pomeriggio, Yuzo non aveva risposto alla sua telefonata, ne era rimasta terribilmente delusa, ma si era consolata immaginandolo immerso nel suo lavoro e probabilmente non aveva avuto il tempo di concedersi quella pausa di cui le aveva parlato. Aveva aspettato fino a tardi che magari il Prof si prendesse un attimo di respiro, addormentandosi con l’attesa del nuovo giorno per poter provare a richiamarlo. Ma il Mercoledì la situazione non era cambiata e ad ogni tentativo aveva ottenuto solo una voce pre-registrata o il silenzio.
Alla trepidazione era subentrata l’angoscia per questo suo improvviso scomparire nel nulla.
E la confusione.
Tanta, tantissima confusione che le aveva fatto formulare i più svariati motivi che potevano esserci dietro questo comportamento che non era dal Prof.
Giovedì aveva fatto naufragare le sue speranze e quel Venerdì non si prospettava molto diverso.
Rimase ad osservare il display ormai spento del cellulare appoggiato sul letto sul quale restava seduta, tenendosi le ginocchia al petto ed il mento poggiato sopra di esse. Ed aveva addirittura saltato le lezioni, quel giorno, tanto non avrebbe concluso nulla come i precedenti: per tutta la durata dei corsi, era rimasta imbambolata a guardare l’esterno dalla finestra, pensando a tutt’altro ed anche Saya se n’era accorta, consigliandole di restarsene a letto il giorno dopo.
Yoshiko così aveva fatto, ma svegliandosi ugualmente presto per controllare se Yuzo si fosse fatto sentire. Invano.
Aveva rassettato in maniera pigra, spostando i cumuletti di abiti, libri e ninnoli da una parte all’altra meccanicamente, ma senza prestare particolare attenzione a ciò che stesse facendo. Poi si era rannicchiata sul letto, dove continuava a restare dopo l’ennesimo tentativo fallito di mettersi in contatto con lui.
Si strinse ancora di più le ginocchia al petto, girandosi ad osservare la finestra dalle persiane alzate. Quel Febbraio aveva tutta l’intenzione di essere inclemente ed i giorni prima aveva anche piovuto, mentre in quel momento si manteneva di un grigio noioso.
Un paio di colpi secchi alla porta di ingresso le annunciarono la presenza di un visitatore, ma lei non si mosse, mentre parole ovattate riuscirono a raggiungerla.
“Tesoro, sono Saya, sei in casa?”.
Yoshiko non le rispose, tanto l’amica aveva le chiavi del suo appartamento e viceversa. Se l’erano scambiate nel caso una delle due avesse avuto bisogno di aiuto. Infatti, l’altra continuò, dopo il suo silenzio. “Yoko, sto entrando.” ed aveva fatto scattare la serratura, avanzando nel piccolo salotto-cucina. Rapidamente abbandonò i libri su una sedia, parlando a raffica.
“Non ti sei persa proprio niente a lezione. Quello di storia dell’Arte Contemporanea ha spiegato quella noia di Kounellis, mentre il Prof di Restauro voleva fare un esperimento con le tecniche di affresco, ma non ti dico che impias-…” troncò la frase appena la vide sul letto con lo sguardo perso all’esterno e non la stava minimamente ascoltando.
Saya tirò uno sconsolato respiro, aggrottando le sopracciglia. “Ancora niente?” domandò e finalmente Yoshiko ebbe una reazione.
“Mh, mh.” mugugnò scuotendo il capo in diniego.
“Ah! Maledetti maschi!” sbottò l’amica, prendendo a camminare per tutta la stanza con le braccia conserte. “Tutti uguali! Sul più bello, spariscono nel nulla! Tsk! Chissà che diavolo passa per la testa di quel Vedovo Nero! Te l’avevo detto, io, che gli scienziati sono pazzi!”.
“Deve essere colpa mia…” la interruppe Yoshiko “…devo aver fatto qualcosa di sbagliato…” ipotizzò stringendosi nelle spalle “…forse si è solo stancato di avermi tra i piedi.”. Una smorfia distese le sue labbra nell’imitazione di un sorriso rassegnato. “Doveva succedere, prima o poi.”.
“Yoko, no!” Saya la ammonì subito, sedendosi di fronte a lei e poggiandole una mano sul ginocchio. “Non cominciare a dire simili assurdità…” ma l’altra la interruppe bruscamente, volgendo finalmente lo sguardo all’amica.
“E allora dimmelo tu perché è sparito così all’improvviso! Dimmi perché il giorno prima mi apre il suo cuore ed il giorno dopo non risponde nemmeno al telefono! Dimmi… dimmi perché…” ed un grosso groppo alla gola frenò la sua foga, rallentando lo sfogo, mentre lacrime amare sfuggivano ai suoi occhi, disegnando un umido percorso lungo le guance. “…proprio ora che eravamo così vicini, siamo tornati più distanti di quanto non fossimo quando ci siamo conosciuti!” e si arrabbiò con sé stessa perché, in fondo al cuore, aveva fatto lo sbaglio tremendo di illudersi. Si asciugò con stizza il pianto che non accennava a smettere, nascondendo poi il viso nelle ginocchia. Detestava farsi vedere così fragile, anche da Saya che era la sua migliore amica. “Non era alla mia portata…”.
L’altra aggrottò le sopracciglia in un’espressione affranta, carezzandole affettuosamente la testa, prima di abbracciarla. “Oh, Yoko. Vedrai che c’è una spiegazione. Le persone non cambiano così dalla sera alla mattina…”.
“E se… se io non avessi mai capito niente di lui?” mormorò, continuando a singhiozzare “Se io lo avessi idealizzato solo perché… perché io…” -…lo amo…- ma quella verità preferì tenerla ancora per sé, come se non fosse stata ancora pronta per pronunciarla davvero, per sentirla dalla sua stessa voce, ma Saya non aveva bisogno di sentirgliela dire, era sempre stata palese per lei, fin da quando le aveva parlato di uno strano scienziato divorziato ed anche se molto spesso preferiva buttarla sul ridere, perché era nel suo carattere, non le era certo sfuggito il lento evolversi dei sentimenti di Yoshiko. Dall’incuriosito interesse, all’agitazione nel doverlo rivedere, aveva notato ogni cambiamento, divertendosi a prenderla in giro, ma ora, come una farfalla, il suo amore stava abbandonando la timida scorza da crisalide per riempirle il cuore con le sue bellissime ali. E doveva esser lasciato andare, senza tenerlo nascosto dietro un: ‘Tanto è solo un’illusione. Tanto non ricambierà. Tanto non conto niente per lui.’.
Tanto non era destino.
Ma l’uomo è fabbro della propria fortuna e solo la paura di rischiare non lo fa cambiare.
Saya sorrise, sciogliendo l’abbraccio e costringendola ad alzare il viso per far incrociare i loro sguardi. “Se davvero pensi di aver frainteso tutto, allora dimmi: erano finte le volte in cui il tuo Prof è corso perché eri in difficoltà? Erano finte le sue parole di conforto quando gli hai parlato delle discussioni con tua madre? Ed era finto l’abbraccio che ti ha dato quando ti ha parlato della moglie? Il suo ‘Grazie’… era finto anche quello?”.
Yoshiko si morse il labbro, scuotendo poi il capo. No. Tutti quei momenti, la sua dolcezza, il cuore in pezzi che lentamente lottava per rinascere, i suoi sorrisi, non erano finzione. Ma non lo era nemmeno quell’inspiegabile silenzio che adesso riceveva da parte sua e le faceva così male non conoscerne il motivo, non riuscire a catalogarlo in qualche modo.
Era come trovarsi circondati dal nulla e non sapere in che direzione muoversi, perché tanto era nero ovunque, e sentirsi smarriti restando immobili.
Saya le sorrise ancora, sistemandole una ciocca dietro l’orecchio. “Credo che tu non possa più aspettare oltre: con o senza il coraggio, devi parlagli. Almeno, se proprio devi star male, sarà per una sola volta, non sei d’accordo?” e le puntellò la fronte con l’indice.
Yoshiko tirò su col naso un paio di volte, prima di annuire lentamente: Saya aveva ragione. A che serviva restare in quella specie di agonia in attesa che finalmente Yuzo rispondesse al telefono? Se erano delle risposte che voleva, doveva andarsele a prendere e tirò un profondo sospiro, sapendo già cosa fare.
“Come hai intenzione di muoverti?” le domandò l’amica dopo che lei le ebbe rivolto un abbozzo di sorriso.
“Parlerò con Taro.” disse senza mezzi termini, sorprendendo la stessa Saya che sgranò gli occhi. “Oggi, lui e Azumi verranno a Nankatsu per trascorrere il fine settimana.” continuò Yoshiko “E gli chiederò qualche consiglio, in fondo, lui conosce Yuzo da più tempo di me…”.
“Yoko, sei sicura?” l’altra assunse un’espressione preoccupata “Io non so quanto tuo fratello possa prenderla bene, anche se dici il contrario…”.
“Sì, lo so. Ne ho tenuto conto.” si strinse nelle spalle “Se non vorrà aiutarmi, andrò direttamente all’FVO.”. Gli occhi che si illuminarono per un momento come sempre accadeva quando parlava di lui. “A meno che Yuzo non sia ripartito all’improvviso, sono sicura che lo troverò lì, al terzo piano, dietro la scrivania del suo ufficio.”.
Saya sospirò, ed in cuor suo sperava davvero che tra l’amica ed il suo vedovello ci fosse l’Happy Ending di cui era convinta… ma non sapeva spiegarsi il perché non fosse altrettanto tranquilla sul fronte ‘fratello’. Nonostante i suoi timori, però, preferì rivolgerle un sorriso per trasmetterle tutto il coraggio possibile. “In bocca al lupo, tesoro. E mi raccomando: devo essere la prima a sapere! Qualsiasi cosa accada! Chiaro?!” agitò minacciosamente il dito sotto al naso di Yoshiko che non riuscì a non ridacchiare, confidandole un sincero: “Ti voglio bene.”.
Saya le balzò al collo, abbracciandola con il suo irruente modo di fare, piagnucolando un “Anche io!” in preda alla commozione. “Fatti valere e torna vincitrice!”.
“Ma… vuoi anche un trofeo di guerra?!” esclamò Yoko senza smettere di ridere, mentre l’amica sciolse l’abbraccio soffocante per alzarsi e farsi vento, ricacciando gli ultimi lacrimoni.
“Ok, ok! Adesso me ne vado!” disse, puntando la porta della camera non senza farle le ultime raccomandazioni. “E non farmi stare in pensiero, ok?!”.
“Sì, sì.”.
Saya annuì ancora, prima di eclissarsi nel salotto per agguantare le sue cose e su un soave “Disintegralo!” lasciò definitivamente l’appartamento.
Rimasta sola, Yoshiko esalò un profondo sospiro, volgendosi poi ad osservare il cordless abbandonato sul comodino accanto al letto.
Si arrivava così al capolinea del suo tergiversare. Era il momento di affrontare i dubbi e le paure e fare la scelta: aprire il suo, di cuore, questa volta. Era l’ultima occasione che aveva per dimostrare al Prof di non essere una bambina. Ed era l’unico modo per vederlo ancora una volta e sentire la sua voce, perché le mancava da morire; non lo sentiva da tre giorni, ma era come se l’avessero privata di qualcosa di importante, indispensabile.
E lei voleva riprenderselo.
Afferrò il telefono, componendo in rapida sequenza il numero del cellulare di Taro che squillò libero per un paio di secondi prima che la voce di suo fratello le rispondesse con il suo solito tono tranquillo.
“Ehilà! Mi hai preceduto, lo sai? Stavo per chiamarti.”.
Yoshiko si sforzò di apparire allegra, non voleva che il campione dello Jubilo Iwata si rendesse conto che qualcosa non andava e quindi dovergli accennare l’argomento per telefono; preferiva affrontarlo guardandolo negli occhi.
“Ah, sì? Volevo sapere se eravate già a Nankatsu…”.
Per sua fortuna, Taro non si accorse di nulla. “Sì, siamo arrivati da una ventina di minuti. Ti va di passare per un tè?”.
Proprio quello che Yoko aveva sperato di sentire.
“Certo. Va bene tra un’oretta?” in modo che avesse avuto giusto il tempo di cambiarsi e raggiungere l’appartamento; non voleva perdere nemmeno un minuto.
“Perfetto, allora a tra poco.” accordò l’ignaro fratello e lei si limitò a rispondere un “Ok.” prima di chiudere la comunicazione.
Rimase ferma nel letto per qualche secondo, prendendo delle ampie boccate per sedare il panico improvviso che le aveva attanagliato lo stomaco appena aveva salutato Taro. Quando gli sentì allentare la presa, sospirò, concedendosi l’ultimo tentativo di rintracciare Yuzo. Si portò piano il cellulare all’orecchio ascoltando, per l’ennesima volta, il suo silenzioso squillare.

La luce del monitor si rifletteva sugli occhiali da riposo che stava indossando per scandagliare, in lungo e in largo, tutta la bibliografia che trattasse in qualche modo l’interconnessione tra fenomeni tettonici e vulcanici, alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse smentire o avvalorare le ultime scoperte. Ma, nonostante rimanesse inchiodato alla sua poltrona da tre giorni, abbandonandola solo per tornare a casa quei venti minuti necessari per una doccia, ricordava poco o niente di ciò che aveva letto, avendo tutt’altri pensieri per la testa. Inoltre, da quando Yoko non trotterellava più per le stanze, l’appartamento era ritornato quell’orchestra di silenzi che era un tempo. Ed il silenzio lo infastidiva.
Sbuffò, stufo di dover rileggere per la quarta volta lo stesso rigo, e si rilassò contro lo schienale della poltrona, afferrando il pacchetto semivuoto di rosse. Aveva perso il conto di quante ne avesse fumate, mentre il posacenere, ormai, strabordava di mozziconi. Esalò una grigia nuvoletta, togliendo le lenti che vennero abbandonate sulla scrivania tra la miriade di scartoffie… ed il cellulare.
Meccanicamente, l’occhio gli ricadde proprio sul telefono che, pochi minuti prima, aveva finito di squillare, ed ogni volta avveniva una lotta serrata con sé stesso per non rispondere, perché aveva promesso, perché era la scelta migliore, perché…
Perché era un emerito stronzo.
Ed anche se magari aveva tutti i motivi più che validi per giustificare tale comportamento, non poteva non sentirsi così ogni volta che l’apparecchio cominciava a vibrare senza sosta.
Era arrivato addirittura a spegnerlo, per non cedere alla tentazione di rispondere, ma si era sentito anche peggio e lo aveva riacceso.
Non si stava comportando nel modo giusto, e lo sapeva. Doveva una spiegazione a Yoshiko, parlarne insieme, non fingere di non essere mai esistito.
E…
E Santo Dio, stava male quando restava ad osservare il cellulare che ruotava solitario sul tavolo, male! Come non credeva sarebbe mai stato possibile dopo la morte di Aiko, ma la sorella di Misaki, ormai era assodato, aveva l’incredibile capacità di fargli provare tutte quelle emozioni che lui aveva creduto perdute.
Tirò una lunga boccata dalla cicca, esalandone lentamente il fumo con la testa reclinata all’indietro e lo sguardo al soffitto.
Come era difficile muoversi, se ogni passo comportava un errore. Qualsiasi scelta non sarebbe stata quella giusta e questo gli faceva rabbia, ma, più di ogni altra cosa, gli faceva rabbia non poterle parlare come avrebbe voluto.
E lei?
Che pensava le volte che le sue telefonate non ricevevano risposta?
“Mi odierà…” sospirò a voce alta “… e avrà ragione.” ma nonostante questo, anche Taro era nel giusto e lui cosciente che non avrebbe mai potuto darle la felicità che meritava.
Eppure, in quei deboli tentativi di auto-convincersi, gli mancava.
Gli mancava il suo sorriso e la sua parlantina svelta.
Gli mancava trovarla accucciata sul divano con un tè fumante tra le mani.
Gli mancava quel poter parlare liberamente di ogni cosa perché lei avrebbe saputo capirlo.
Gli mancava non poter essere un riferimento, per lei, se avesse avuto bisogno di aiuto.
Gli mancava lei ed i loro momenti insieme.
“Ma che diavolo sto facendo!” sbottò all’improvviso, spegnendo il mozzicone con stizza. “Ho una città da salvare ed un’emergenza da risolvere, tutto il resto…” ed il petto gli punse con insistenza “…tutto il resto passa in secondo piano.”. Si spettinò i corti capelli, assumendo una postura più composta. “Forza Yuzo, concentrati!” ma proprio in quel momento, quasi a beffarlo e sbattergli in faccia la fragilità dei suoi propositi, il telefono si animò di nuovo, ricordandogli cosa volesse davvero.
Lo osservò immobile per qualche secondo prima di deglutire con uno sforzo e dare fondo a tutta la sua forza di volontà per ignorare quel logorante richiamo.
“Ti dimenticherai di me…” sorrise debolmente, addolcendo lo sguardo come se davvero lei avesse potuto sentirlo “…è solo questione di tempo.” e tornò a fissare il monitor, inforcando gli occhiali.
Avvertì distintamente il frantumarsi del sottile equilibrio che era riuscito a ricostruire.

Quando si ritrovò davanti la porta di casa di suo fratello, non riuscì a suonare subito il campanello, vittima di un nuovo attacco d’ansia e rimase a guardare la porta per qualche secondo, inspirando profondamente.
Di sicuro, a Taro sarebbe bastata un’occhiata per capire che qualcosa non andava: non aveva affatto una bella cera e far le prove davanti lo specchio non era servito a nulla. Non le riusciva di apparire quantomeno serena neppure per pochi attimi.
Sbuffò sonoramente, riuscendo a trovare il coraggio necessario almeno per pigiare il dannato bottone del campanello e strinse più forte il manico della borsa, per scaricare un po’ di tensione in attesa che qualcuno aprisse.
Non dovette aspettare molto e si ritenne addirittura fortunata quando si ritrovò Azumi davanti.
“Eccoti!” esclamò la ragazza, sorridendo “Hai fatto presto, Taro è andato a comprare delle cose in un negozio qui vicino, ma tu accomodati!” e si fece di lato per farla entrare.
“Sì, ho trovato subito l’autobus.” era una balla, ma Yoko non voleva dirle di essersi cambiata alla velocità del fulmine ed aver percorso a piedi, quasi correndo, il tragitto.
Dal canto suo, Azumi tentò di dissimulare il fatto di essersi accorta subito che qualcosa non andava e non le fu difficile capire cosa fosse.
“Ah, sì?” finse reale stupore “Siedi pure, che io comincio a preparare il tè.” quasi scappando in cucina e lasciando Yoshiko in salotto.
Al sicuro dal suo sguardo, la ragazza di Misaki si appoggiò contro la parete, alzando lo sguardo al cielo e tirando un profondissimo sospiro.
“Taro… che casino hai combinato, accidenti!” mormorò. La reazione di Yoko era peggiore del previsto e le lanciò un’occhiata carica di preoccupazione, sbirciandola di nascosto dalla cucina.
La vide compostamente seduta presso il tavolo e, coincidenza volle, che avesse occupato lo stesso posto in cui si era seduto Yuzo, qualche giorno prima, giusto per ribadire che la catastrofe stava per ripetersi.
E poi… maledizione! Come poteva fingere di non vedere l’espressione abbattuta sul suo viso?
Tirò un nuovo sospiro, riempiendo il bollitore e mettendolo suo fuoco, prima di raggiungere la ragazza.
“Ecco fatto.” esordì con un sorriso tiratissimo, prendendo anche lei posto presso il tavolo “Il tè sarà pronto tra qualche minuto, ed anche tuo fratello dovrebbe rincasare a breve.”.
Yoshiko si limitò a rispondere un semplice “Ok.” tornando a fissare le mani che teneva intrecciate sulla superficie del tavolo, senza però riuscire a far trovare loro un po’ di pace.
Fu nuovamente Azumi ad interrompere il silenzio, mentre Yoko sapeva che avrebbe dovuto sforzarsi di mostrare maggiore naturalezza, ma non ci riusciva. Non ci riusciva proprio.
“Allora?” disse “Va tutto bene?”. Non era proprio la domanda che avrebbe voluto porle, ma era quella classica per intavolare una conversazione.
“Sì.” ma il finto sorriso che ottenne in risposta le fece gettare la spugna del fingere che fosse tutto in regola e capitolare.
“Ne sei sicura?” domandò infatti, addolcendo il tono “A me non sembra, tesoro.” ma non poteva dirle la verità, quello era un compito che spettava solamente a Taro.
Yoshiko spostò altrove lo sguardo, rendendosi conto che fosse troppo palese il contrario e chissà, magari sarebbe stato meglio parlarne prima con Azumi: forse avrebbe potuto darle qualche buon consiglio.
“Veramente…” cominciò senza doversi più sforzare di apparire serena “…non va proprio tutto bene…” ed alzò nuovamente lo sguardo su di lei, abbozzando un sorriso un po’ rassegnato.
“Solitamente…” la fidanzata di Misaki cercò di buttarla sul ridere “…quando una ragazza ha quell’espressione, il problema ha sempre un nome maschile.” e riuscì a strappare una risatina sincera alla giovane. “E’ così anche in questo caso, vero?” ma lo sapeva già perfettamente.
“Eh, sì.” accordò Yoshiko “E’ anche per questo che sono venuta per il tè: devo parlare con Taro.”
-…e poi vorrai tagliargli la testa…- ma questo, Azumi, preferì tenerlo per sé domandando invece un “Chi è?”.
“Yuzo Morisaki.” Yoko lo disse tutto d’un fiato senza distogliere lo sguardo da quello dell’altra, che sorrise.
“Mentirei se ti dicessi che non me l’aspettavo.” appoggiò il viso in una mano, pensierosa “E’ dalla sera del gala che, per un motivo o per un altro, vi vedete spesso. E poi… ho notato come lo guardi, come cambi umore quando sei in sua compagnia…” le strizzò l’occhio “…ci son passata anche io, sai?”.
Yoshiko arrossì, trovandosi un po’ in imbarazzo ad affrontare con lei quell’argomento. In fondo, non era come spettegolare con le sue amiche; Azumi aveva comunque l’età di suo fratello e lei l’aveva sempre considerata come una sorella maggiore. Soprattutto, aveva il timore che lei considerasse il suo sentimento verso Yuzo come la cotta di una ragazzina, mentre Yoko sapeva che non lo era. Di vere cotte ne aveva avute in passato, quindi, sapeva perfettamente riconoscere l’abissale differenza tra quelle e la profonda agitazione che stava provando da quando aveva conosciuto il Prof.
“Però…” la donna continuò e Yoshiko prestò la massima attenzione alle sue parole. “Tu sei davvero sicura? Yuzo è un uomo, ha un lavoro molto impegnativo e… un gran vuoto dentro da quando è morta sua moglie…”.
“Sì, lo so.” la interruppe la ragazza con un sorriso, osservandosi le mani senza realmente vederle. “E capisco quelle che possano essere le tue perplessità o preoccupazioni. Yuzo mi ha parlato di Aiko ed ho visto con i miei occhi la sua sofferenza per questa perdita, ma… ho visto anche… la sua voglia di guardare avanti, di rialzarsi, ed apprezzo questa sua immensa forza di volontà; riesce a trasmetterla anche a me.” scosse il capo “So che viaggia molto, che ha sempre problemi importanti da risolvere e che lavora troppo, ma… credo che sia stato proprio questo suo frenetico mondo ad aver fatto colpo su di me e come lui me ne abbia reso partecipe senza mettermi mai in secondo piano rispetto ad esso, nonostante ci conoscessimo da poco. Il suo modo di parlarmi, di essere sempre presente quando mi sono trovata in difficoltà, la fiducia che ha riposto in me quando mi ha parlato di Aiko… mi hanno fatta sentire importante ed estremamente protetta.”. Yoshiko alzò di nuovo lo sguardo su Azumi senza timore, questa volta “Non mi importa se è qui o in capo al mondo, ovunque Yuzo sarà, il solo pensiero di lui riuscirà a farmi sentire al sicuro.” e dalle iridi nocciola traspariva tutta la sua determinazione e la sincerità di quelle parole, lasciando che il silenzio calasse per qualche secondo, prima che la sorella di Misaki muovesse lo sguardo al balcone, poco distante, soffermandosi sul panorama esterno. “Solo che…” riprese e la voce si era fatta improvvisamente incerta “…non so cosa stia succedendo ora. Eravamo… in sintonia perfetta fino a pochi giorni fa e poi…” gli occhi le si fecero lucidi contro la sua volontà, ma si impose fortemente di non piangere. “…poi è scomparso. Senza un perché. Sto provando a chiamarlo, ma o non mi risponde o il telefono è staccato e questo comportamento… non è da lui.”. Ripensare a tutte le sue attese deluse l’esasperò di nuovo “Io… io non so che cosa è successo! Deve esser qualcosa che ho fatto io, ma non riesco a capire! Se solo mi rispondesse, maledizione!” e sbuffò per ricacciare le lacrime.
Azumi sospirò, passandosi una mano tra i capelli corti; Taro stavolta l’aveva combinata grossa e Yoko… oddio, l’avrebbe ucciso appena avesse scoperto la verità.
“Forse sono solo io che mi sono illusa troppo, credendo di essere qualcosa di più per lui.” riprese la sorella di Misaki “Mi ero detta di restare con i piedi per terra ed invece… ma non posso farci nulla…” ammise infine, abbozzando un sorriso rassegnato “…né posso tornare indietro…” lo sguardo che nuovamente incrociava quello di Azumi, la quale vi lesse un qualcosa che conosceva fin troppo bene e con il quale tutti, prima o poi, finivano per fare i conti.
“…lo amo.”.
Se quando ne aveva parlato con Saya non si era ancora sentita pronta per ammetterlo, ora le era sembrata quasi una liberazione udire la sua stessa voce che pronunciava quelle due brevi parole.
Lo amava e adesso sentiva di aver finalmente trovato il giusto coraggio per poterlo confessare anche a lui.
Sul viso di Azumi stazionò un’espressione seria e preoccupata al contempo ancora per qualche momento, prima che distendesse un dolce sorriso, carico di affetto. Lentamente le prese le mani, mentre un forte sentimento di orgoglio le illuminò lo sguardo. Al diavolo Taro e le sue paranoie da protettivo fratello maggiore, Yoshiko era cresciuta ormai e lui avrebbe fatto bene ad abituarsi all’idea. Era il momento che lei prendesse piena libertà sulle sue scelte e seguisse quello che la mente ed il cuore le dicevano e se le loro parole erano d’amore per il Prof, bene, nessuno aveva il diritto di fargliele ignorare.
“Non arrenderti, mia cara.” le disse con convinzione “Se è davvero Yuzo ciò che vuoi, allora è ancora troppo presto per gettare la spugna.” e lei sapeva cosa significasse lottare fino all’ultimo per la persona che amava. Era addirittura tornata in Giappone pur di restare con Taro quando era stato ingaggiato dallo Jubilo Iwata, lasciando in Francia tutta la sua famiglia ed i vecchi amici, ma non si era mai pentita di questa scelta.
Yoshiko ricambiò il suo sorriso con immensa gratitudine per quelle parole, che erano riuscire a farle ricaricare in parte le speranze, ed era felice che lei avesse capito e non l’avesse considerata solo una stupida ragazzina che viveva ancora di sogni troppo romantici e poco realistici. Ora, l’unico problema era affrontare suo fratello, però, sapere di avere l’approvazione di Azumi la rendeva più sicura di sé e tranquilla. Avrebbe capito se Taro non fosse stato d’accordo, ma non avrebbe rinunciato al suo Prof per niente al mondo.
Su quel pensiero, il rumore di una chiave, che apriva la porta d’ingresso, attirò l’attenzione di entrambe le ragazze le quali ebbero un sussulto, chi per un motivo e chi per un altro.
“Tesoro, non sono riuscito a trovare la salsa che mi avevi chiesto…” esordì Taro, varcando la soglia, e solo in un secondo momento si accorse che Azumi era in salotto in compagnia di sua sorella. Un largo sorriso distese i suoi tratti gentili appena la vide.
“Ehi, sorellina. Sei già arrivata?” la salutò, liberandosi rapidamente del cappotto ed avvicinandosi a loro.
“Ciao, Taro.” Yoshiko rispose con un sorriso sincero, anche se era leggermente agitata, però… sentiva davvero la necessità di confidarsi con lui. Era sempre stato un po’ come una guida e sperò ardentemente di riuscire ad avere anche il suo appoggio, oltre quello di Azumi; sarebbe stato l’incoraggiamento finale prima di correre all’FVO per poter parlare con Yuzo. Oppure, chissà, magari lo stesso Taro aveva qualche spiegazione riguardo lo strano comportamento del vulcanologo.
“Ah, non importa, tesoro!” Azumi era balzata improvvisamente in piedi e lo aveva afferrato per un braccio, cominciandolo a trascinare con forza verso la cucina “Vieni a posare le buste e a portare il tè a tua sorella!”.
“Eh?! Sì… sì, arrivo, ma non c’è bisogno di tirarmi!” tentò di protestare il giocatore dello Jubilo Iwata, ma la ragazza era una specie di forza della natura e continuò a tenerlo stretto fino a che non scomparvero oltre la porta della cucina, sotto lo sguardo divertito di Yoko che ridacchiò alla scena.
Appena abbandonarono il raggio visivo della giovane, Azumi strinse Taro contro la parete senza tanti complimenti, piantandosi le mani ai fianchi e folgorandolo con un’occhiata torva.
“Ma si può sapere che diav-…”.
“Adesso tu andrai di là e confesserai a Yoshiko quello che hai fatto!” ordinò senza nemmeno fargli finire la frase.
Taro inarcò un sopracciglio. “Ma cosa ti salta in mente? Assolutamente no.” ma la ragazza era di tutt’altro avviso.
“Ed invece, sì!” ribatté, strattonandolo per un braccio e costringendolo ad affacciarsi leggermente dalla porta. “Guarda in che stato hai ridotto tua sorella! Sei felice di vederla così?!”.
Il giocatore la scorse seduta al tavolo con lo sguardo rivolto alla finestra e l’aria di chi è perso in tutt’altri pensieri. L’espressione malinconica e triste.
Aggrottò le sopracciglia, rammaricato, ma si era già aspettato una simile evenienza, l’aveva messa in conto e si era ripromesso di non cedere. ‘Il fine giustifica i mezzi’ e quelli erano necessari.
“Quando è arrivata qui stava anche peggio.” continuò Azumi “E sai perché? Perché Yuzo non si è più fatto sentire, proprio come gli hai chiesto tu, e lei non riesce a spiegarsene il motivo! Ha provato a rintracciarlo, ma non risponde e Yoshiko soffre terribilmente per questo.”.
“Sapevo che sarebbe successo, ma le passerà, vedrai.”.
“No, invece!” e scosse il capo con vigore “Non le passerà proprio un bel niente!”. Azumi lo prese per le spalle, guardandolo dritto negli occhi con espressione supplichevole. “E’ innamorata di lui, Taro.”.
L’altro parve stizzirsi “Oh, per favore!” sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “E’ solo un’infatuazione e nulla più…”.
“Ed è qui che ti sbagli. Ma lo capirai anche tu, quando lei te lo dirà perché è venuta proprio per questo, per confidarsi con te e chiederti consiglio ed aiuto. E quando la guarderai negli occhi, ti prego solo di non peggiorare la situazione.” Azumi lo lasciò andare, andando a spegnere il bollitore che fischiava da qualche secondo. Versò un po’ di acqua bollente nella tazza col tè, poggiandola su di un piattino. Lentamente gliela passò. “Ricordati che è la sua vita, Taro, ed ha tutto il diritto di viverla nel modo che riterrà opportuno. Dille la verità, forse non è ancora troppo tardi per loro.”.
Misaki osservò il liquido scuro che oscillava nella tazza, disperdendo un fumo caldo e dal piacevole aroma. Senza aggiungere nient’altro, ma con espressione indecifrabile, si mosse per raggiungere sua sorella assolutamente convinto delle scelte che aveva fatto e deciso a portarle avanti fino in fondo.
Sforzò un sorriso tiratissimo, comparendo in salotto. “Ecco il tuo tè.” disse, attirandosi la sua attenzione. “Bevilo, è bollente. L’ideale contro il freddo.”.
“Grazie.” Yoshiko ricambiò il sorriso e prese la tazza con entrambe le mani, appoggiandola sul tavolo.
Taro si sedette accanto a lei ed ebbe un improvviso senso di déjà-vu per nulla piacevole, ma si sforzò di non pensarci, continuando la recita. “Sei arrivata da molto?” le domandò, sistemandole con affetto una ciocca di capelli. Era un gesto che faceva spesso anche con Azumi, nonostante avesse i capelli corti, un’attenzione che rivolgeva alle persone cui teneva di più e racchiudeva un senso di protezione.
“No, una decina di minuti. Più o meno.”.
Lui annuì, appoggiando il viso in una mano. “Tutto bene all’Università?”.
Yoshiko mentì, visto che negli ultimi giorni non aveva seguito con chissà quale attenzione. “Sì, certo. Nessun problema.”.
“Ieri ha chiamato la mamma, mi ha pregato di convincerti a tornare per qualche giorno a Sendai. Non ti vede dalle vacanze di Natale…” stava tergiversando, in maniera codarda e ridicola, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per cercare di evitare che Yoko mettesse in mezzo Yuzo, ma sua sorella non era disposta ad aggirare ancora il discorso: prima ne avrebbero parlato, meglio sarebbe stato per entrambi.
“Lasciamo perdere la mamma, vuoi?” chiese esibendo un fugace sorriso prima di spostare lo sguardo sulla tazza fumante, ma dalla quale non aveva bevuto nemmeno un sorso di tè. “A dire il vero… la mia non è proprio una visita di cortesia.”.
E Taro respirò a fondo, cercando di apparire il più tranquillo possibile, mentre Yoshiko continuò. “Volevo parlarti di una cosa importante e magari avere un tuo consiglio.”.
L’altro deglutì con uno sforzo, sentendo la gola improvvisamente secca. “Certo, dimmi pure. Di che… di che si tratta?”.
Lei lo guardò di nuovo. “Del tuo amico Yuzo.”.
“Ah.” e avrebbe voluto dipingersi un’espressione più sorpresa, ma non ci riuscì in alcun modo.
Yoshiko accennò un sorriso. “Non mi sembri stupito. Deduco che te ne sia accorto anche tu, come Azumi.”.
“Mh.” si limitò a rispondere non sapendo in che modo porsi per affrontare la questione.
“Non ne sei molto entusiasta, vero?”.
E dal tono tranquillo con cui gli aveva risposto, Taro capì che Yoko doveva aver già preso in considerazione quell’eventualità; forse non sarebbe stato troppo difficile farla ragionare.
“Infatti.”. Tentò di stemperare al massimo l’inflessione della voce per non risultare severo “Yuzo è troppo grande per te. Ha già una sua vita, mentre tu sei solo all’inizio del tuo percorso. E poi... il suo lavoro lo porta sempre lontano ed in più è pericoloso: sai bene cosa è successo ad Aiko, no?” e le prese la mano, cercando di sorriderle. “Dammi retta, piccola, è meglio se lasci perdere, non è la persona giusta per te.” si sentì soddisfatto della sua risposta, mentre Yoko continuava a sorridergli.
“Capisco i tuoi timori. Ho affrontato lo stesso discorso con Azumi, poco prima. Ed in sintesi, il suo pensiero è riconducibile al tuo, ma, come ho detto a lei, le nostre diversità non mi spaventano, anzi: io adoro il suo mondo e vorrei conoscerlo meglio, farne parte. Ma capisco anche che tu, essendo mio fratello, sia preoccupato per me perché mi vuoi bene e te ne ringrazio, però, allo stesso modo, vorrei che tu cercassi di capire quelli che sono i miei di sentimenti. Puoi farlo?”.
L’espressione sul viso di Taro virò inesorabilmente dal sorridente all’affranto; le sopracciglia aggrottate e le labbra appena schiuse. “Mi stai dicendo che non rinuncerai a lui?” domandò, sperando che smentisse.
“Sì: con o se il tuo appoggio, io non rinuncerò a Yuzo.”.
E fu proprio come gli aveva detto Azumi: nei suoi occhi non lesse quello che poteva essere il capriccio di una ragazzina né la cottarella passeggera di un’adolescente. C’era qualcosa di immensamente più profondo che brillava nelle sue iridi nocciola, e di bello. Oddio, ma da quando sua sorella era cambiata così tanto? Le era cresciuta e maturata sotto al naso senza che lui se ne rendesse conto e... e aveva sbagliato, pensando che potesse restare per sempre la sua ‘sorellina’.
Ed aveva sbagliato anche con Yuzo, nei cui occhi aveva visto la stessa luce brillare al nome di Yoshiko e lui si era ostinato ad ignorarla, ma ora non poteva più pretendere di voler a tutti i costi cambiare le cose.
Non ne aveva nessun diritto.
“A dire il vero...” sua sorella riprese, abbassando lo sguardo, il sorriso che si era caricato di una sfumatura triste “...non è detto che io riesca a conquistare il suo cuore. Sono diversi giorni che non riesco a mettermi in contatto con lui, sembra essersi come volatilizzato nel nulla. Non mi risponde nemmeno al telefono...” tornò ad osservarlo, facendolo sentire mortalmente in colpa. “...è anche per questo che sono venuta qui...” gli prese le mani con espressione speranzosa “...vorrei chiederti se puoi provare a metterti in contatto con lui... magari ce l’ha con me per un motivo, forse ho fatto qualcosa di sbagliato, non so...” sorrise “...ma se non approvi il mio amore per Yuzo, non sentirti obbligato ad aiutarmi. Non sarebbe giusto da parte mia pretenderlo.”.
Arrivati a quel punto, Taro capì di non poter fingere ancora di essere estraneo alla vicenda, di mentire a sua sorella.
“Veramente...” cominciò, deglutendo a fatica “...ci ho già parlato con Yuzo.” rivelò, sotto lo sguardo di Yoko che non nascose la sorpresa per quelle parole.
“Cosa?... quando?” si informò subito, ma non sapeva se dirsi felice o meno per quella notizia.
“Martedì. Nel pomeriggio.”.
Martedì.
Proprio il giorno in cui il Prof era scomparso dalla circolazione e, guarda caso, proprio quel pomeriggio avrebbero dovuto sentirsi, ma ciò non era avvenuto.
Immediatamente, Yoshiko lasciò le mani del fratello, calando sul viso una maschera di puro gelo.
Troppe coincidenze.
Taro che non approvava. Loro che parlavano. Yuzo che scompariva.
Decisamente troppe.
“Che cosa gli hai detto?” sibilò con un tono fermo e tagliente cui il giocatore dello Jubilo cercò di far immediatamente fronte.
“Tutto quello che ho fatto è stato solo per il tuo bene...” ma lei gli urlò contro, alzandosi in piedi con uno scatto d’ira.
“Che cosa gli hai detto, Taro?!” e non poteva credere... non voleva credere che suo fratello...
Il giovane non rispose, limitandosi ad abbassare lo sguardo.
Due più due faceva sempre quattro, e la matematica non era un’opinione.
“Gli hai detto di lasciarmi stare, non è così?” fu un flebile sussurro carico di orrore quello che uscì dalla bocca di Yoshiko.
“Non volevo che soffrissi...” e non lo disse per cercare di giustificarsi, ma perché lo pensava davvero, ma aveva agito nel modo sbagliato e lo aveva capito troppo tardi.
“Come hai potuto... come hai potuto farmi questo?” aveva il cuore gonfio di amarezza mentre pronunciava quella frase. Le labbra le si incurvarono verso il basso e si morse un labbro per cercare in tutti i modi di trattenersi dal piangere per quella cocente delusione. “Con che diritto hai osato intrometterti in questo modo nella mia vita?”. Yoshiko strinse i pugni con tutta la forza che aveva in corpo “Ed io che mi fidavo di te...” non attese una sua risposta, rapidamente si mosse in direzione della porta, agguantando con gesti irati il cappotto. “E’ chiaro che non avete ancora capito che io no sono più una bambina e che non avete alcun diritto di decidere per me.” afferrò la borsa, lanciandogli un’ultima occhiata carica di odio “Credevo che tu mi capissi, che fossi dalla mia parte... ed invece sei come la mamma.”. Una lacrima venne giù in solitario, spianando la strada alle altre che fremevano per fuggire dai suoi occhi “Non voglio più avere niente a che fare con te.”.
La porta sbatté dietro di lei con un rumore forte e cupo, facendolo sobbalzare per un attimo. Attese qualche altro secondo, per assimilare tutto ciò che gli aveva detto ed il tono che aveva usato, prima di tirare un profondo respiro ed affondare il viso in una mano.
Come aveva potuto essere così stupido ed egoista?
Aveva preso con troppa leggerezza i sentimenti di Yoshiko e quello era stato il bel risultato.
Due mani si appoggiarono sulle sue spalle, per poi scivolare sul petto ed abbracciarlo forte. I corti capelli di Azumi gli solleticarono l’orecchio.
“Avevi ragione su tutta la linea.” le disse senza voltarsi, ma stringendo le sue mani.
“Non importa. Ciò che conta è che le hai detto la verità. È stata la scelta più giusta.” appoggiò la donna, baciandogli affettuosamente una guancia, ma lui non ne sembrò troppo convinto.
“Pensi anche tu che io sia come mia madre?”.
Lei nascose un sorriso nell’incavo del suo collo. “Assolutamente no, altrimenti non sarei riuscita a sopportarti per tutto questo tempo.” strappando un filo di sorriso anche a lui prima di continuare. “Non prendertela per le parole che ti ha detto, è solo molto arrabbiata, ma sono sicura che non le pensa. Dalle un po’ di tempo, le passerà.”.
“Lo spero.” si limitò a dire, sospirando nuovamente “E adesso? Che succederà?” non potendo non preoccuparsi per sua sorella, ma Azumi scosse il capo.
“Non chiedertelo. È la sua vita e queste sono scelte che spettano solo a lei, ma, se sono spiegazioni quelle che vuole, allora starà andando a prendersele dall’unica persona in grado di dargliele.”


...E poi Bla bla bla...

Ed eccomi qui, finalmente di ritorno dopo due mesi circa di assenza. Ora che le storie per il Concorso a cui sto partecipando sono finite, posso finalmente tornare ad occuparmi di “Huzi”.
Come volevasi dimostrare, la mia logorrea non mi ha permesso di riuscire ad accorpare questo capitolo con quello relativo al colpaccio-bis! XD Ci ho provato!
Spero di riuscire ad accorciare la manfrina dopo il capitolo 18 in attesa del... colpaccio-tris! *blink*
Sì. C’è anche il terzo e lo leggerete nel penultimo capitolo! *ari-blink*

Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

- Eos: XDDDDDDDD ma povero Taro! Non essere così cattivo con lui, è solo apprensivo! Spezziamo una lancia a suo favore: fossi stata maschio e fratello maggiore, altro che dirgli “Stalle lontano”, avrei aggiunto “Stalle lontano o ti spezzo le ossa anche se siamo vecchi amici! *-*” XDDD. Va beh, su, si è redento. *_* non fustighiamolo (anche se Azumi sarebbe d’accordo!XD).
Ti ringrazio tantissimo per tutti i tuoi complimenti *///* lo sai che mi fai sempre commuovere T_T. E spero che questo capitolo ti sia piaciuto anche se, *mmm*, non si raddrizza niente! XDDD
Nel frattempo, ti consiglio di continuare a restare terrorizzata. Yoshiko è incazzata come una iena! *blink* (SAN-GUE! SAN-GUE!).

- Hikarisan: tranquilla, non è affatto il ‘cattivo’! XD Non lo vedo così nemmeno io. Anzi, trovo che la sua reazione sia stata abbastanza normale: la ‘gelosia iperprotettiva’ credo che sia un must tra i padri/fratelli verso le figlie/sorelle. E poi, come hai letto, le ha detto la verità, riconoscendo i suoi errori *.*. Nonò, Taro no cattivo.
XD Ci credi che non riesco a considerare ‘cattivo’ nemmeno quel bastardo del Vice Prefetto?! LOL! XDDDDDD E sì che farebbe venir voglia a chiunque di spaccargli una pala in testa! XD
*_*  Ovviamente, non posso esimermi dal ringraziarti sempre tantissimo per continuare a seguire questa storia! Grazie mille! ^^/

Ed anche per questo capitolo è tutto.
XD dite la verità: siete tanto felici dell’assenza di note assurde, eh?!?!?!? Ah! Ingenue! XDDD ve ne aspettano ancora un po’ *-* (credo! O_O).
E, detto ciò, vi rimando al prossimo capitolo (…e al colpaccio *mwahahah*) e son contenta perché tra un po’ posso mettere su anche la Locandina che avevo preparato! *-* gnà!
(sì, sono tornata più esaurita di prima! Abbiate pazienza: stare ore intere confinata in laboratori grandi quanto un loculo ha i suoi effetti devastanti! XD).

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Huzi

- Capitolo 18 -

“A un passo dal possibile,
a un passo da te.
Paura di decidere,
paura di me.
Di tutto quello che non so,
di tutto quello che non ho…”

"Traditori. Traditori tutti e due. E bugiardi." Yoshiko continuava a ripetere quella frase come fosse una cantilena da quando aveva lasciato la casa di Taro.
Con passo svelto e collerico, camminava per le strade di Nankatsu, affrontando con noncuranza il vento gelido che si era alzato e sferzava sul suo viso con altrettanta rabbia. Come un fiume di aghi ghiacciati, le pungeva gli occhi arrossati e brucianti per il pianto che non era più riuscita a controllare una volta fuori dall'abitazione del fratello.
Era arrabbiata.
No, di più, era furente. Ira pura le stava cavalcando le vene ed infiammando il cuore come un tizzone rovente.
Saya aveva avuto ragione, mentre lei l’aveva anche ammonita, dicendo che Taro non avrebbe mai potuto intromettersi nella sua vita, perché era una persona corretta, perché aveva fiducia in lei e rispetto delle sue scelte…
Che illusa!
Altro che rispetto e fiducia! Per suo fratello era ‘matura’ solo in determinate situazioni e Yuzo non rientrava tra queste.
Si era dimostrato peggio di sua madre, mille volte peggio.
Un altro singhiozzo le sfuggì, mentre percorreva la strada, tremolante ed acquosa ai suoi occhi. Con un gesto irato tentò di asciugarli in qualche modo, ma come le toglieva, altre lacrime andavano a sostituire le precedenti, rendendo nuovamente sfocate le immagini.
Ed i passanti la osservavano per qualche attimo, con curiosità, per poi tornare ad occuparsi dei propri affari, ma non se ne curava Yoshiko, non vedeva nemmeno le loro occhiate, continuando a masticare le sue invettive.
"Traditori e bugiardi. Bugiardi!".
Quando associò il viso di Yuzo a quella frase, la sua espressione si intristì ancora di più.
Proprio lui… che l’aveva sempre rassicurata e trattata come una persona adulta, che le diceva di avere pazienza perché presto anche gli altri avrebbero avuto fiducia nelle sue capacità di giudizio…
Era solo un maledetto bugiardo!
Le sue parole erano state niente più che una pura cortesia perché, in fondo, era la sorella di Misaki. E nient’altro.
Oddio! Che stupida era stata a credere che lui potesse davvero considerarla come una donna e guardarla con occhi diversi.

"Se davvero pensi di aver frainteso tutto, allora dimmi: erano finte le volte che il tuo Prof è corso perché eri in difficoltà? Erano finte le sue parole di conforto quando gli hai parlato delle discussioni con tua madre? Ed era finto l’abbraccio che ti ha dato quando ti ha parlato della moglie? Il suo ‘Grazie’… era finto anche quello?"

Con forza si strinse la testa tra le mani, mentre le parole di Saya erano tornate a riecheggiare nelle sue orecchie, costringendola ad ammettere che nelle azioni di Yuzo c’era un inspiegabile controsenso che lei non riusciva a comprendere e la mandava nel panico.
"Non lo so! Non lo so!" continuò a piangere ed era esasperante vedere come ogni suo ragionamento non portasse che ad un maledetto vicolo cieco, ma Yoshiko non era più disposta a farsi trattare come una ragazzina, da nessuno.
Con decisione riaprì gli occhi, attingendo adrenalina dal rancore che le stava divorando il cuore ed accelerò i passi, puntando con decisione la sede dell’FVO: se davvero Yuzo non aveva fatto altro che prenderla in giro, allora avrebbe dovuto dirglielo in faccia, occhi negli occhi, a costo di sentirsi totalmente a pezzi dopo, ma voleva la verità.

Con le mani nelle tasche del giaccone, rimase svariati minuti fuori dall’FVO ad inspirare la fredda aria di Febbraio come fosse una benedizione dal Cielo, nonostante spirasse insidiosa e per nulla benevola.
Non ce l’aveva davvero fatta a restare confinato nel suo ufficio a combattere con sé stesso tra il concentrarsi sul lavoro e pensare a Yoshiko, aveva dovuto prendersi quella pausa. Anche perché era rimasto senza Santa Nicotina nel momento meno opportuno.
Finalmente si impose di muoversi, cominciando ad avviarsi al tabacchi più vicino ed era fortunato: ce n'era uno proprio ad un centinaio di metri. Susseguendo passi con una lentezza paurosa, sospirò pesantemente fingendo di osservare la strada senza però vederla davvero.
A fine giornata avrebbe dovuto riunire la sua squadra per cercare di mettere i primi capisaldi alla situazione della Prefettura: che diamine! In tre giorni dovevano pur aver raccolto abbastanza informazioni, no?!
"Bah, parlo proprio io..." mormorò, passandosi stancamente una mano sul viso ed avvertendo il pizzicare della barba che stava ricrescendo indisturbata. Avrebbe dovuto darsi una sistemata per non sembrare un avanzo di galera, ma era altrettanto consapevole del fatto che avrebbe automaticamente dimenticato quel proposito con la stessa rapidità con cui l'aveva formulato. Nei brevi rientri a casa, non riusciva ad estraniarsi dai suoi tremila pensieri nemmeno per i dieci minuti che si concedeva sotto la doccia.
Yoshiko, terremoti.
Terremoti, Yoshiko.
E quegli argomenti riuscivano a prendere strane correlazioni nella sua testa: Yoshiko era il suo terremoto personale, segnale di stravolgimenti catastrofici, ma anche di cambiamento; battito vitale del suo cuore che fungeva da nucleo in quello strano microcosmo.
D'altra parte: i terremoti della Prefettura avrebbero potuto mettere in serio periocolo la popolazione, compresa Yoshiko, e lui avrebbe dovuto darsi una mossa per venire a capo dell'enigma.
Però, sembrava che la capacità di fuggire ai problemi per lasciarsi sommergere dal lavoro, l'avesse abbandonato da quando aveva affrontato il ricordo di Aiko e del Ruiz. L'aveva fatto per anni, eppure, ora sembrava non essere più in grado di ignorare i suoi sentimenti ed era snervante.
Entrò nel tabacchi, dirigendosi subito al bancone. "Tre pacchetti di Marlboro Rosse.". Santa Nicotina avrebbe vegliato su di lui per le prossime trentasei ore. Pagò, eclissando meccanicamente due confezioni nelle prime tasche che trovò; rigirò la terza tra le mani, aprendola e cavando un rotolino di tabacco prima di riporre anche quel pacchetto. Il vento, all'esterno del negozio, lo avvolse di nuovo come un gelido abbraccio dal quale si lasciò cullare per nulla allettato all'idea di ritornare a combattere cone le parole scritte sul monitor del suo computer che non riuscivano ad entrargli in testa, ed era terribile, per lui, non riuscire a trovare requie nemmeno nel suo lavoro. Con la sigaretta pendente tra le labbra, si adoperò per scovare dove diamine avesse messo l'accendino, ma, quando alzò lo sguardo, interruppe all'istante tutte le sue ricerche. I passi si arrestarono di colpo, fermando la sua figura alta di fronte quella più minuta di una ragazza avvolta da una sciarpa multicolore; i capelli le serpeggiavano come impazziti tra i sospiri del vento, ma anche se scivolavano spesso davanti al viso, non riuscivano a nascondere gli occhi di brace con cui lo stava guardando. A Yuzo sembrò di non vederla da secoli e si rese conto di aver trattenuto il fiato per un attimo, nei pochi momenti in cui aveva realizzato di avere proprio Yoshiko davanti. E gli era mancata molto di più di quanto avesse creduto. In quell'istante, gli sembrò tutto improvvisamente distante: la promessa fatta a Taro, quella fatta con sé stesso, i problemi che le loro differenti realtà inevitabilmente avrebbero comportato. Tutto divenne come un'eco confusa, mentre desiderò solo che lei gli sorridesse in quel modo solare che sapeva farlo stare bene; che lo prendesse sotto braccio per andare in qualche caffè a fare due chiacchiere. Cosa avrebbe dato per quell'attimo di serenità, ma sul viso di Yoshiko non c'erano sorrisi ad illuminarle gli occhi, solo una malcelata espressione di rabbia, le labbra tese e dritte e la mascella contratta, le iridi lucide ed arrossate. Un'immagine, quella, che lo catapultò nuovamente al presente con la violenza di una doccia gelata e l'eco lo assordò, tornando ad essere un concitato frastuono nella sua testa.
Dal canto suo, Yoshiko si era sentita mancare la terra sotto i piedi nell'attimo in cui aveva raggiunto l'FVO e lo aveva visto allontanarsi lentamente dall'edificio senza accorgersi della sua presenza. Il cuore le si era bloccato di colpo, scandendo nettamente il suo ultimo e rumoroso battito, poi, lei non era più stata in grado di sentirlo agitarsi dentro di sé, restando a fissare la schiena di Yuzo come imbambolata. L'indecisione e la forte emozione nel rivederlo dopo giorni di silenzi l'avevano come stordita per degli istanti lunghissimi, facendola quasi cedere alla tentazione improvvisa di scappare via senza dirgli una parola.
Ma proprio mentre stava per fare un passo indietro, le parole di Taro, le contraddizioni di Yuzo, la sensazione di sentirsi presa immensamente in giro dalle persone di cui si fidava di più, avevano gonfiato di rancore le sue certezze, disegnandole quella ferma espressione sul viso con la quale stava fissando il Prof. Lo aveva seguito senza palesare la sua presenza, fino a che non l'aveva visto entrare nel tabacchi, solo allora si era fermata, decidendo di prendersi tutte le spiegazioni appena avesse lasciato il negozio. Quella strada, trafficata da passanti che si muovevano immersi nelle proprie preoccupazioni e spazzata da raffiche di vento gelido, avrebbe fatto da sfondo. Ed ora che lo aveva davanti, che i loro occhi si erano nuovamente incontrati, la rabbia aveva preso il sopravvento, impedendole di scorgere quell'espressione affranta che, per alcuni attimi, aveva preso possesso del viso di Yuzo, prima che lui cercasse di nasconderla dietro un falso sorriso che riuscì a piegare solo leggermente le sue labbra.
"Yoko...".
Udire la sua voce le fece male.
Pronunciare il suo nome gli fece male.
"...cosa fai qui?" Yuzo tolse lentamente la sigaretta "Perdonami se non ho risposto alle tue chiamate, ma in questi giorni il lavoro non mi ha dato il tempo di respirare.".
Mentirle gli fece male.
Le sue menzogne le fecero male.
"Bravi." lo freddò Yoshiko, facendo scomparire l'accenno di sorriso dal volto. "Tu e Taro. Bravi tutti e due.".
Yuzo avvertì nettamente il sangue gelarsi nelle vene a quella frase e al tono tagliente che aveva usato: distaccato, controllato, ma pronto a traboccare d'ira. Abbassò per un attimo lo sguardo, abbandonando tutti i suoi propositi di inventare una qualsivoglia giustificazione, mentre lei riprese, impietosa.
"Mio fratello mi ha detto tutto. Avete fatto una piacevole conversazione alle mie spalle?" marcata e velenosa ironia elargirono le sue parole, cui lui cercò di opporsi senza però la necessaria convinzione.
"Taro era preoccupato per te ed anche io, abbiamo... cercato di fare solo il tuo bene..." le spiegò, tentando di mantenere un tono calmo, ma il lampo d'ira che attraverò le iridi di Yoshiko a quella frase riuscì ad abbagliarlo.
"Il mio bene?!" fece eco lei, serrando i pugni in una morsa e gli occhi che si ridussero a sottili fessure, mentre si lasciava guidare totalmente dalla collera. "E perché non l'avete chiesto a me quale fosse il mio bene?! Ho ventidue anni, maledizione! Non sono più una bambina e voi non siete i miei genitori! E tu..." intimò puntandogli contro l'indice, tremante di rabbia, con fare accusatorio "...tu lo sapevi cosa significasse per me avere la vostra considerazione non solo per sentirmi dire 'la piccola Yoshiko', 'La sorellina di Misaki', 'Devi chiedere il permesso a tuo fratello', ma come l'adulta che sono! E sapevi... sapevi quanto mi pesasse il ferreo controllo di mia madre! Lo sapevi!". Senza che riuscisse ad impedirlo, un groppo alla gola le incrinò la voce, mentre scaricava tutta la sua amarezza contro Yuzo che, immobile, si lasciò travolgere dalle sue parole senza replicare, osservando i suoi occhi farsi lucidi ad ogni frase. "Ero così contenta di essere venuta a Nankatsu! Di stare vicino a mio fratello! 'Almeno lui mi capisce', dicevo, 'Almeno lui riesce ad arginare la mamma'... ed invece... poi sei arrivato tu ed io... ero felice di aver trovato una persona che mi considerasse come un suo pari... che non vedesse in me solo la maledetta sorella minore dell'amico!". Lentamente Yoko abbassò la mano, serrandola nuovamente in pugno. L'immagine del Prof davanti a lei era già da un po' divenuta sfocata dalle lacrime che avevano ripreso a scendere, per quanto si fosse sforzata fino all'ultimo di trattenerle, ma in quel momento, mentre lui continuava a guardarla senza fiatare, non le importò più niente di cosa avesse potuto pensare di lei: tanto la considerava già una ragazzina, cosa aveva da perdere? Niente, Yuzo lo aveva già perso in partenza. Eppure, una parte di sé, quella che faceva capo al suo cuore e che lo amava da morire, continuava strenuamente a non arrendersi all'evidenza e continuava a sperare che ogni sua parola, ogni sua attenzione, ogni suo abbraccio o carezza, l'affetto che aveva letto nei suoi occhi, non fossero solo un atteggiamento di pura cortesia, un inganno.
"Perché..." riprese; la smorfia furiosa che le aveva inasprito i tratti si tramutò in un'espressione affranta, ultimo disperato tentativo del suo 'io' innamorato. "...perché, quando Taro ti ha detto di lasciarmi stare, non ti sei rifiutato? Perché hai obbedito alle sue richieste, scomparendo in quel modo? La nostra amicizia non era importante per te?" ma lui continuò a non rispondere, osservandola dritto negli occhi in cui Yoko non riuscì a leggervi nulla, forse a causa del pianto che le appannava la vista o perché, semplicemente, al Prof non importava niente di lei e questo pensiero le diede il colpo di grazia. Serrò gli occhi con forza. "Io non sono importante per te?!" gli urlò contro con tutta la sua disperazione.
- Sì che lo sei! - fu la sola risposta che rimbombò nella testa di Yuzo, ma che non riuscì a tramutarsi in suono anche se avrebbe voluto. L'insieme di tutte le sue paure gli strozzò in gola ciò che realmente avrebbe voluto dirle, facendolo restare in un assordante silenzio. E rabbia prese a ribollirgli nelle vene. Rabbia verso sé stesso e consapevolezza di ciò che non avrebbe mai potuto darle, della stabilità e la presenza che il suo lavoro le avrebbe fatto mancare e lui non voleva rischiare di renderla infelice, ma... non le stava ugualmente facendo del male in quel momento? Yoshiko piangeva a causa sua ed era fuori di sé per quello, ma, per quanto avesse voluto dirle di non aver mai finto con lei, le labbra rimasero serrate e le braccia immobili, come blocchi di marmo, abbandonate lungo i fianchi.
La sua guerra interiore era finita, decretando la schiacciante supremazia di una sola fazione. E, per quanto Erasmo da Rotterdam dicesse che 'Il Cuore ha sempre Ragione', il suo senso di responsabilità era molto più forte di qualsiasi sentimento. Con voce severa continuava a giustificare la sua vittoria dietro un austero: "Sarà solo un dolore momentaneo. Poi le passerà e dimenticherà.", e lui si ritrovò come prigioniero nel suo stesso corpo; puro e semplice spettatore.
Al suo prolungato silenzio, Yoshiko non riuscì più a trattenere un singhiozzo, trovando finalmente il coraggio di levare per un'ultima volta lo sguardo su di lui. Dolore e disprezzo avvelenarono le sue iridi nocciola, prima che le labbra assumessero una piega aspra. "Bugiardo." ringhiò tra i denti, volgendosi di scatto e pronta ad allontanarsi il più velocemente possibile da quel luogo.
E per Yuzo fu come uno svegliarsi all'improvviso nel leggere un tale odio nei suoi occhi, nel sentire quella singola parola che lo aveva colpito a morte. La ragione si frantumò in mille pezzi, lasciandolo finalmente libero di riprendere il controllo sul proprio corpo che si mosse repentinamente a fermare la sua fuga.
- Non lasciarla andare! Fermala! - gridò il suo cuore nell'attimo in cui afferrò saldamente il suo polso.
"Yoshiko, io...".
Ma una volta che ci si lasciava affogare nel rancore, tornare indietro era impossibile. Una scheggia nocciola lo inquadrò per un istante, carica d'ira.
"Non mi toccare!".
E lo schiaffo arrivò come un fulmine, colpendolo in pieno viso e lasciandolo di sale. Il silenzio cadde di schianto, rotto solo dal brusio perplesso di chi aveva assistito alla scena.
Solo in quel momento, osservando lo sguardo incredulo di Yuzo, Yoshiko realizzò cosa avesse fatto in quella frazione di secondo in cui si era lasciata guidare dalla rabbia. Gli occhi le si allargarono lentamente, tradendo un'espressione di puro smarrimento, mentre sembrò non esservi più traccia dell'ira provata fino a qualche attimo prima. Con orrore, mosse lo sguardo alla sua mano, come se la vedesse per la prima volta.
Oddio.
Lo aveva schiaffeggiato davvero e in mezzo alla strada per giunta.
Guardò i passanti incuriositi, con espressione confusa e spaventata, prima di tornare ad osservare il Prof, totalmente spiazzato dalla sua reazione.
Non poteva averlo fatto sul serio...
Gli occhi le si riempirono nuovamente di lacrime.
...come aveva potuto esser stata così impulsiva?
"Io..." e fece un passo indietro, sgusciando con facilità dalla presa di Yuzo che aveva perso tutta la sua forza all'improvviso "...io vi odio! Vi odio tutti e due!" furono le sue ultime parole prima di correre finalmente via con il vento di Febbraio che continuava a scivolarle attorno con strafottenza. Non sapeva dove i suoi piedi l'avrebbero condotta, né le importava più di tanto, in quel momento desiderò solo allontanarsi da lui per non leggere nei suoi occhi il disprezzo per la stupida ragazzina che era.
Ma mentre osservava la sua figura farsi sempre più piccola e scomparire tra i passanti, Yuzo non pensò affatto che fosse una ragazzina, né lo aveva mai pensato da quando l'aveva conosciuta, ma le sue paure lo avevano bloccato nell'indecisione ed ora era troppo tardi.

"...io vi odio..."

Spostò lo sguardo al suolo, avvertendo un intenso calore dove Yoshiko lo aveva colpito, ma il dolore che stava provando non era affatto fisico.
Con forza, strinse i pugni, piegando le labbra in una smorfia amara.
Non era la guancia a fargli male, quando si rese conto di aver perduto ciò che aveva disperatamente cercato di difendere.
Non era il suo orgoglio ad essere ferito.
Il cuore rallentò la sua corsa, ma ogni battito sembrava avesse voluto spaccarlo in due.
Si era promesso di proteggere il suo sorriso a tutti i costi ed invece aveva fallito di nuovo.
Lentamente, si mosse per ritornare all'FVO.

Quando smise di correre, il tabacchi alle sue spalle non era più visibile da un pezzo e Yuzo con lui, ma Yoshiko si sforzò comunque di non voltarsi, rallentando il passo fino a fermarsi al centro del marciapiede. Lo sguardo piantato al suolo ed i singhiozzi che non accennavano a diminuire.
Doveva essere impazzita per aver fatto una cosa del genere ed anche in quel momento le sembrò impossibile che gli avesse tirato uno schiaffo, urlandogli contro in quel modo, e pianto... oddio, aveva finito per comportatsi proprio come la bambina che millantava di non essere.
E Yuzo? Di sicuro non avrebbe più voluto avere niente a che fare con una stupida come lei, ma, in fondo, perché se ne preoccupava? Tanto non era mai stata importante per il Prof, tanto le aveva sempre mentito... e allora perché continuava a tormentarsi su cosa lui avrebbe potuto pensare?
Piano si portò le mani al viso, tentando di asciugarsi gli occhi.
"Che impiastro che sei, Yoshiko Yamaoka." si disse, alzando lo sguardo e scorgendo il cancello del Parco Hikarigaoka proprio davanti a lei. Stringendo di più la sciarpa attorno al collo per proteggersi dal freddo, riprese a camminare lentamente, decidendo di trovare un piccolo rifugio proprio in quel luogo che offriva una panoramica vista della città e la giusta quiete per pensare con calma e raccogliere le idee. Anche se non c'era molto su cui rimuginare, ormai.
Le fronde spoglie degli alberi e quelle di alcuni sempreverde frusciarono al vento, innalzando un malinconico brusio che si perse nel cielo carico di nubi. Con quel tempo inclemente, non c'era praticamente nessuno a passeggiare per gli ampi viali del parco, ma lei nemmeno ci fece caso ed occupò la panchina più vicina appena giunse sul belvedere. In maniera poco composta si tirò le ginocchia al petto, un po' per raccogliersi su sé stessa ed un po' per proteggersi dal freddo che, su quello spiazzo spazzato dalla brezza, sembrava essere più insidioso e tagliente.
"E adesso?" si disse "Che faccio?" non aveva alcuna voglia di tornasene a casa e parlare con Saya dell'accaduto; conoscendola, le avrebbe piazzato un odioso 'te l'avevo detto!'. Voleva solo che il tempo prendesse a scorrere al contrario per correggere l'errore che aveva commesso, innamorandosi di Yuzo, e mantenendo, invece, quello che era stato il suo proposito iniziale: restare con i piedi per terra. Ma subito scosse il capo con forza a quel pensiero, nascondendo il viso nelle ginocchia.
Si stava illudendo di nuovo credendo che, tornando indietro, le cose avrebbero potuto prendere una piega differente. Le sarebbe bastato incrociare per un attimo il suo sorriso per tornare nuovamente ad innamorarsi di lui altre cento volte. E per altre cento volte ancora avrebbe sofferto come in quel momento, perché per tutte e cento le volte lei non sarebbe mai stata importante per Yuzo. Avrebbe dovuto capirlo subito che nessuna, dopo Aiko, sarebbe mai riuscita a lasciare un segno nel suo cuore. Quando gli aveva visto metter via le fedi, aveva davvero creduto che forse... invece era stata solo la sua ennesima illusione. Doveva smetterla di essere così maledettamente ingenua e cominciare ad essere più realista.
Una nuova lacrima, calda e amara, scivolò lungo la guancia, mentre si rendeva conto che Taro non aveva tutti i torti a trattarla ancora come una bambina. Una persona matura non si sarebbe arrabbiata in quel modo, non avrebbe preso a schiaffi la persona di cui era innamorata per poi scappare via, sputandole contro la rabbia ed il disprezzo che la delusione le aveva fatto provare. Avrebbe, invece, mantenuto un temperamento più controllato e, soprattutto, non avrebbe pianto.
"Adesso... adesso smetto...".
Una persona matura se ne sarebbe fatta una ragione.
"...in fondo... è meglio così...".
E avrebbe dimenticato.
"Ma io non posso..." - ...non voglio... - "...dimenticarmi di te, Yuzo.".

Quando il rumoroso vociare dell'FVO lo avvolse, provò un enorme senso di fastidio.
Il tic-tac delle tastiere, il tintinnare degli oggetti, i telefoni, il parlottare confuso dei suoi colleghi gli fecero disegnare una smorfia di disgusto sulle labbra già tese.
Era nervoso.
E sarebbe stato meglio se nessuno gli si fosse avvicinato, permettendogli di rintanarsi nel suo ufficio per pensare esclusivamente al lavoro. Non voleva né vedere né sentire nessuno. Era come un cavo elettrico lasciato scoperto e in procinto di andare in corto.
Per quanto si sforzasse, le immagini degli ultimi istanti con Yoshiko continuavano a riproporsi ai suoi occhi come un nastro incantato e lui strinse le palplebre per mettere a fuoco dove stesse andando. Con passo svelto puntò dritto al suo studio senza distogliere lo sguardo.
Ma non aveva fatto i conti con Ricardo.
Come l'aveva visto ricomparire, l'ingegnere era balzato in piedi stringendo un paio di fogli e quasi non facendo caso all'espressione scura che gli induriva i tratti e che sembrava dire 'statemi alla larga'. Non che quando fosse uscito avesse avuto un'aria più tranquilla, ma Rick aveva ipotizzato che fosse solo preoccupato a causa dell'emergenza.
"Yuzo, ci sono delle cose cui dovresti dare un'occhiata." esordì, facendoglisi contro e sfogliando distrattamente i diagrammi che aveva in mano. "Prima è arrivato Hideki. Aveva le palle girate, sembra che il Vice Prefetto stia facendo pressioni per avere qualcosa di definitivo sui terremoti." e scosse il capo con stizza, mantenendo il passo sostenuto del vulcanologo. "Quello continua ad avere solo il suo stramaledetto comizio per la testa e-" ma si zittì quando si accorse di star parlando a vuoto. L'ingegnere inarcò un sopracciglio con perplessità, osservando il suo profilo impassibile. "Yuzo, ma mi stai ascoltando? Sto parlando con te." ed ancora silenzio ottenne da parte sua, come se non esistesse. "Yuzo?!". Con decisione lo afferrò per una spalla, costringendolo a voltarsi "Yuzo!", ma la reazione che ottenne lo bloccò in mezzo alla stanza.
"¿Que diablo quieres?[1]" gli urlò contro il vulcanologo divincolandosi dalla sua presa con uno strattone.
Un improvviso silenzio si creò attorno a loro che si attirarono gli sguardi confusi dei presenti.
Hisui abbassò la perenne mascherina.
Toshi mosse lo sguardo prima a Rick e poi a Yuzo, senza riuscire a capire che diavolo stesse succedendo.
Dal canto suo, l’ingegnere non disse una parola, fissando la rabbia che leggeva negli occhi del Vice Direttore dell’FVO e cercando di comprendere cosa l’avesse generata. L’ultima volta che lo aveva visto così era stato poco dopo la morte di Aiko, quando Yuzo aveva attraversato un periodo di forte irascibilità dovuto all’odio che covava verso sé stesso per ciò che era avvenuto sul Ruiz ed il senso di colpa. Ma erano passati anni, da allora, e non pensava che un giorno avrebbe nuovamente letto un simile sentimento di ira ed impotenza nelle sue iridi, soprattutto ora che era comparsa Occhi Belli e gli era sembrato estremamente rilassato e tranquillo. Forse aveva parlato troppo presto.
Sentendosi osservato, Yuzo mosse rapidamente lo sguardo intorno a sé dove i colleghi continuavano a restare immobili fissandolo con incredulità. E le loro espressioni lo mandarono in collera.
“E allora?!” sbottò allargando le braccia “Non avete niente da fare?! Al lavoro, per Dio! Abbiamo dei problemi da risolvere!” e volse loro le spalle, chiudendo la porta del suo ufficio con uno schianto.
Gli uomini dell’FVO rimasero fermi ancora per qualche secondo, prima di ricominciare ad occuparsi delle proprie faccende, parlottando dello strano comportamento del Vice Direttore.
“Incazzato nero, eh?” esordì Toshi, portandosi alle spalle di Rick e rimanendo ad osservare la porta chiusa con un sopracciglio inarcato.
“Già.” accordò l’ispanico, senza aggiungere nient’altro.
Ma v’a’ stati cuntemplann?[2]” Rita comparve dietro di loro reggendo un voluminoso mazzo di sismogrammi.
“Ohi! Ti sei persa una scena da manuale!” esclamò Hisui, raggiungendo il gruppo “Yuzo ha azzittito Ricardo! È un evento storico! Dovrò segnarmelo sul calendario.”
“Piantala, Meteo-man, non c’è niente da ridere.” lo ammonì Toshi, spostando poi lo sguardo sulla sismologa “Yuzo ha dato di matto senza apparente motivo, prendendosela anche con tutti i presenti.”.
Ma veramente fai?![3]” e lanciò un’occhiata torva all’ingegnere “Che gli hai detto, Riccà?!”.
L’interpellato rispose un asettico “Niente.” tornando alla sua scrivania e smanettando di nuovo al computer sotto lo sguardo perplesso di Rita che lo raggiunse.
“Rick?”.
“Deve essere successo qualcosa perché era fuori dalla Grazia di Dio.” spiegò il giovane, intrecciando le mani all’altezza del naso e rivolgendo alla sismologa un’occhiata seria. “Ad ogni modo, se stavi andando da lui, non so quanto ti convenga farlo in questo momento.”
“Lo sai che amo il rischio.” tentò di sdrammatizzare Rita e, chissà perché, aveva già una mezza idea riguardo al motivo di tale comportamento. Con passo deciso si mosse per raggiungere lo studio di Yuzo, intenzionata a verificare la sua ipotesi, ma, su questo genere di cose, raramente si sbagliava.
“In bocca al lupo.” le augurò Toshi, mentre Hisui ci tenne a sottolineare: “Sappi che se sentiremo volare delle urla, non verremo a salvarti!”.
Tsk! Veri Maschi DOC![4]” li prese in giro la sismologa “Non vi smentite mai!” e si fermò davanti la porta chiusa, tirando un profondo sospiro prima di bussare con un paio di colpi secchi. Come aveva immaginato, non ottenne una risposta carica di cortesia.
“Che cavolo c’è?! Sto lavorando, maledizione!”.
Arricciò il naso con stizza prima di fare capolino nell’ufficio esclamando un “C’hamm scetat stuort stammatina?[5]”.
Come la vide comparire sull’uscio, Yuzo sospirò, lanciando la penna sul tavolo e togliendosi gli occhiali. Lentamente prese a massaggiare gli occhi, rilassandosi contro lo schienale della poltrona.
“Scusa.” disse ed era mortificato davvero.
“Non credo di essere l’unica a cui devi delle scuse.” la sismologa avanzò nella stanza, chiudendo la porta alle sue spalle ed avvicinandosi alla scrivania.
“Lo so.” avrebbe dovuto scusarsi anche con Ricardo, che aveva solo avuto la sfortuna di avvicinarlo nel momento meno opportuno.
“Allora?” continuò l’altra, accomodandosi in una delle sedie opposte alla sua. “Che succede?”.
“Niente di importante...” tentò di minimizzare.
“A giudicare dalle cinque dita che fanno bella mostra sulla tua guancia, direi proprio il contrario.”.
Lui accennò un sorriso. “Si notano tanto?”.
“Un po’, ma sono segni che vanno via in un attimo, a differenza di quelli che lascia dentro chi il ceffone te l’ha mollato.” ed appoggiò il gomito sulla liscia superficie del tavolo, sporgendosi un po’. “E visto che gli uomini tra loro si scambiano pugni, deduco che c’entri qualcosa Occhi Belli.”.
Yuzo sorrise ancora “Deduzione esatta, Watson.”. L'intuito di Rita non faceva mai cilecca.
“Problemi?”.
“A parte che mi odia? No, nessuno.”.
Lei si strinse nelle spalle. “Un ‘ti odio’, detto dopo uno schiaffo, spesso nasconde un ‘ti amo’.”.
L’altro scosse il capo. “Non credo sia questo il caso.” e fece vagare lo sguardo per la stanza senza trovare nulla su cui farlo arenare. “Ho sbagliato.” ammise in tutta sincerità “Volevo solo il suo bene ed ho ottenuto l’esatto contrario.”. Poi sospirò, reclinando il capo all’indietro “Forse è meglio così...” e lasciò che il silenzio li separasse per alcuni istanti in cui Rita attese pazientemente che lui le spiegasse cosa fosse realmente accaduto.
“Alcuni giorni fa, il fratello di Yoshiko mi ha detto di starle alla larga, di scomparire dalla sua vita perché non ero la persona adatta a lei, perché non voleva che soffrisse...”.
“Ma tu non l’avresti mai fatta soffrire.”.
Yuzo abbassò di nuovo lo sguardo sull’amica e collega con espressione seria. “E chi può dirlo? Nemmeno Aiko avrebbe voluto che io soffrissi, eppure... l’ho persa.”. Con un movimento lento si sporse, intrecciando le dita sulla scrivania. “A mie spese ho imparato che la vita è troppo imprevedibile per avere determinate certezze, ed io... non volevo rischiare...”.
“Così hai acconsentito a metterti da parte.” concluse l’altra.
Lui annuì, continuando a fissarsi le mani. “Per giorni non mi sono fatto sentire, né ho risposto alle sue telefonate, ma Yoko ha scoperto cosa è successo...”.
“Ed è venuta a cercarti.”.
Annuì ancora.
La sismologa sospirò. “Anche se capisco la sua preoccupazione, il fratello di Yoshiko non avrebbe dovuto intromettersi in questo modo. In fondo, la vita è la vostra e l’onere di decidere cosa sia più giusto per voi spetta solo a te e lei.” sorrise con malizia, tirandosi su gli occhiali rotondi “E credo che Occhi Belli abbia già fatto la sua scelta: anche uno schiaffo può essere una manifestazione d’amore. C’è chi lo dimostra tramite frecciatine e punzecchiate...”.
“Povero Rick.” rise Yuzo.
“Ma ‘povero’ un cazzo! Quell’ispanico scassaballe è più tardo di un mulo! Non ci arriverebbe nemmeno se glielo scrivessi! Lasciami divertire un po’, almeno!” agitando enfaticamente una mano prima di aggiungere “Ad ogni modo, il problema non è Yoshiko, lei sa quello che vuole, ma devi capire che cosa vuoi tu.”.
E, a quella affermazione, Yuzo rimase in silenzio.
Già, che cosa voleva?
Era una gran bella domanda alla quale, però, non era in grado di dare una risposta. O meglio, ogni risposta che tentava di dare entrava in contrasto con tutti i suoi dubbi e le sue paure, lasciandolo sempre confuso sulla scelta da prendere: ricominciare o rallentare i suoi passi che, forse, si stavano susseguendo in maniera troppo affrettata?
Affondò le dita nei corti capelli scuri, spettinandoli con un gesto stanco. “Io... non lo so.”.
Rita sorrise con affetto. “Allora ti faccio un’altra domanda, ma dovrai essere sincero, soprattutto con te stesso. Che cosa provi quando sei con lei?”.
Ma nemmeno quello era un facile quesito perché provava talmente tante emozioni contemporaneamente che far trovar loro un senso a parole sembrava quasi impossibile.
Per un attimo, si rivide sul divano in compagnia di Yoshiko e, focalizzandosi su quella immagine, parlò.
“Io mi sento a casa. La stessa sensazione di tranquillità che provavo quando ero con Aiko. Non ho niente da cercare o chiedere, niente a cui pensare. Sto bene.”.
E nei suoi occhi, Rita lesse sincerità. Continuando a sorridere, la sismologa si alzò lentamente “E dopo quanto hai appena detto, sei ancora sicuro di non sapere quello che vuoi davvero, Yuzo?” senza attendere una sua replica si mosse in direzione della porta “Pensaci ed una volta che l’avrai ammesso a te stesso, saprai cosa fare.”. Uscì dal suo ufficio, lasciando che meditasse su quelle parole.

Nonostante le ore intere che aveva tascorso rannicchiata su quella panchina, nemmeno la quiete del parco era riuscita a portarle consiglio. Il tempo le era scivolato addosso come il freddo e quando aveva deciso di andarsene, nella sua testa regnava ancora la stessa confusione di quando era arrivata.
Tutto ciò che era stata in grado di fare era stato fissare il cellulare per degli inquantificabili minuti, prima di spegnerlo e lasciarlo a marcire sul fondo della borsa. Per un attimo, aveva addirittura provato l’assurdo desiderio di telefonargli, ma aveva subito accantonato quel pensiero: che avrebbe mai potuto dirgli? Scusami per lo schiaffo, ti amo, addio? E poi... non era nemmeno detto che lui avrebbe risposto.
Anzi, sicuramente non l’avrebbe fatto.
Sospirò, camminando a passo lento per le strade deserte di Nankatsu. Solo qualche macchina sfrecciava accanto a lei, diretta a casa, mentre lungo i marciapiedi non c’era quasi nessuno, giusto qualche ritardatario che si affrettava a raggiungere luoghi più caldi e qualche temerario che, invece, preferiva sfidare il freddo in compagnia di qualcuno altrettanto pazzo, scambiandosi battute e ridendo. Ma Yoshiko non avrebbe nemmeno saputo dire che facce avessero; il suo sguardo restava incollato alla strada e alle punte delle scarpe che susseguivano meccanici passi.
Quando aveva abbandonato la folle idea di telefonare a Yuzo aveva provato a prendere una decisione sul da farsi, ricercando un’ombra di determinazione nell’odio che provava nei suoi confronti, ma era stata solo una stupida a credere di poterlo odiare davvero. Le parole e l’ira che gli aveva riversato addosso non erano state altro che frutto della delusione del momento, ma dopo lo sfogo, non era rimasto nulla di quei sentimenti e a stento ricordava cosa avesse davvero provato in quei momenti. Il tutto si era svolto così in fretta, che le erano rimasti solo frammenti di immagini e sensazioni che non avevano fatto altro che aumentare la sua confusione.
Una folata di vento le smosse i capelli, facendoli oscillare davanti agli occhi e lei si strinse ancora di più nel cappotto, perfettamente abbottonato, e la sciarpa ben stretta attorno al collo; eppure, il freddo pungente riuscì ad insinuarsi sotto gli abiti pesanti, facendola rabbrividire. Restarsene immobile nel parco non era stata proprio l’idea più brillante del secolo, ma davvero non avrebbe saputo dove andarsi a rintanare per starsene un po’ da sola. Se solo quel vento fosse riuscito a farle schiarire un pochino le idee, avrebbe passato fuori anche l’intera nottata, ma, dopo ore, era rimasta ancora allo stesso punto.
Non le restava, quindi, che aspettare.
Aspettare che il tempo facesse il suo dovere, ma quanto ci sarebbe voluto affinché il suo cuore avesse smesso di torturarla mormorando il suo nome ad ogni battito? E quanto ancora ci sarebbe voluto perché quello stesso nome si fosse cancellato e, con lui, fossero scomparsi tutti i ricordi ad esso collegati?
Quanto, quanto tempo?
Forse era da sciocchi stare così male per una persona che si conosceva relativamente da pochissimo, ma l’intensità di tutto ciò che avevano condiviso le dava l’idea che fossero passati anni dalla famosa serata di gala e non un paio di settimane.
Yuzo le aveva sempre dato la sensazione di familiarità, di casa, e non era mai riuscita a spiegarsi come questo fosse possibile. Aveva provato verso di lui una fiducia quasi istantanea e forse era per questo motivo che la delusione l’aveva accecata a tal punto da reagire in quel modo.
Sospirò, fermando il meccanico girovagare.
I rumori delle macchine avevano smesso da tempo di intervallare i suoi pensieri, ma lei non se n’era nemmeno accorta, presa com’era dalla sua affannata ricerca di una via d’uscita da quel vicolo cieco in cui si era ritrovata. Adesso, c’era solo un irreale silenzio, attorno a lei, rotto solo dal mormorante fruscio delle fronde degli alberi. Doveva essere decisamente tardi e forse sarebbe stato meglio prendere la via del ritorno che l’avrebbe condotta allo Studentato; aveva bisogno di una doccia calda per togliersi il gelo dell’intera giornata passata a vagabondare.
Finalmente, Yoshiko si decise ad alzare la testa per cercare di individuare la sua attuale posizione ed imboccare la via più breve per arrivare a casa. Ma, ad una prima occhiata, sembrò non riconoscere la zona: una strada silenziosa e macchine ordinatamente posteggiate, lampioni ad intervalli regolari e svariate finestre illuminate dei palazzi che costeggiavano entrambi i lati della via.
Yoko continuò a guardarsi attorno con espressione spaesata, poi, un flash improvviso: lei e Yuzo che correvano sotto la pioggia, con il suo giaccone a ripararli; l’odore del cibo preso al take-away.
“Oddio...” mormorò girandosi di scatto alla sua destra: l’edificio giallo ocra apparve nitido nella sua interezza, come si fosse materializzato direttamente dai suoi ricordi.
Era sotto casa di Yuzo.
Lentamente si portò una mano al viso, gli occhi si sgranarono mentre uno strano senso d’ansia accelerò i battiti del suo cuore. “Oddio...” ripeté “...come ho fatto ad arrivare qui?”.

Erano le 22:30 quando decise che restare in ufficio a fingere di lavorare fosse perfettamente inutile. Non aveva nemmeno fatto lo sforzo di aprire i file che aveva nel computer: era rimasto tutto il tempo a pensare alle parole di Rita senza però riuscire ad effettuare una scelta, e detestava sentirsi così maledettamente indeciso ed insicuro sulla via da seguire. Era convinto di aver abbandonato le sue esitazioni quando aveva superato il test di ammissione all’Università. Per una facoltà come quella che aveva scelto, avere dei dubbi si sarebbe potuto dimostrare pericoloso per coloro che avrebbero fatto affidamento sulle sue capacità di giudizio e valutazione.
Invece, le incertezze sembravano essere ancora una parte di lui. Per colpa loro aveva già perso Aiko, ed ora stava per perdere anche Yoshiko. Eppure, nonostante fosse consapevole di tutto questo, continuava a restare intrappolato tra ciò che temeva e ciò che desiderava; era l'ago della sua stessa bilancia.
Immerso nella sue elucubrazioni, era stato addirittura fortemente tentato di telefonarle. Per scusarsi, almeno, di non essere riuscito ad essere chiaro su nulla, per non aver risposto alle sue domande, per aver mentito ed averle fatto credere di non essere importante per lui. Aveva fissato il cellulare fermo sul tavolo per dei minuti lunghissimi, poi aveva sorriso, abbandonado l'idea: di sicuro, Yoshiko non avrebbe voluto stare a sentire le sue inutili giustificazioni. Come darle torto. Così, aveva finito per arrendersi all'evidenza: quella giornata era da considerarsi conclusa sotto tutti i punti di vista.
Lentamente, spense il computer afferrando il telefono e ficcandolo in tasca. Con la stessa calma prese il giaccone che aveva malamente abbandonato sul divano del suo studio e si mosse per lasciare l'edificio. L'indomani, qualsiasi consiglio gli avrebbe portato quella notte, avrebbe dovuto concentrarsi esclusivamente sulla condizione della Prefettura, a qualsiasi costo, e dare delle maledette risposte a Kishu. Ma, prima, c'era ancora una cosa che doveva fare.
Con le mani nelle tasche e la giacca ripiegata su un braccio, si avvicinò alla scrivania dove Ricardo stava ancora lavorando. Avrebbe dovuto prendere esempio dai membri della sua squadra, piuttosto che fare l'idiota. Al terzo piano, ormai, non era rimasto quasi più nessuno a parte loro e Yuzo era sicuro che anche Rita fosse ancora nella stanza dei sismografi, insieme al suo povero tirocinante schiavizzato.
Quando si fermò al tavolo, l'ingegnere alzò lo sguardo nella sua direzione senza dire nulla. Rimasero qualche secondo a fissarsi, poi, il vulcanologo sospirò pesantemente. "Mi dispiace." disse "Non volevo prendermela con te.". Rick sorrise, appoggiando il viso sul dorso della mano.
"Ya he olvidado[6]. Non preoccuparti. Piuttosto, vattene a casa e riposati, tre giorni rinchiuso qua dentro non ti hanno fatto molto bene.".
Yuzo si infilò la pesante giacca a vento "Era quello che stavo per fare." disse, quando Hisui cominciò a sbraitare.
"Ma no!" sbottò, attirandosi la loro attenzione "Non dovevi scusarti! Hai distrutto il mito!".
"Rassegnati, Meteo-man." sghignazzò Toshi seguito a ruota dall'ispanico, mentre il vulcanologo sorrise, inforcando l'uscita.
"Buona notte, ragazzi." salutò infine, cavando una sigaretta dal pacchetto e scendendo le scale.
Di guardia all'FVO sarebbe rimasto Myuri, un ragazzo a cavallo dei venticinque che si alternava con Shiguro. Il giovane alzò leggermente il capello quando lo vide scendere diretto ai garage, e lui rispose con un cenno della mano. Dante, dalla carrozzeria macchiata dalla pioggia di quei giorni, aspettava silenzioso e lui ne fece scattare l'antifurto, salutandolo, prima di mettere in moto ed allontanarsi senza fretta dall'edificio dell'osservatorio.
Mentre fumava lentamente, Nankatsu scivolava attorno a lui in procinto di addormentarsi. Aveva abbassato tutte le serrande, rannicchiandosi sotto le coltri opalescenti delle alte nubi che il vento non era riuscito a spazzare via. Ed il Fuji appariva come un bianco fantasma alla fine della città.
Ciccando fuori dal finestrino, Yuzo si chiese dove fosse Yoshiko in quel momento. Magari a casa, a sfogarsi con la sua amica Saya, oppure si era già messa a letto, decisa a dimenticare tutto al più presto, a dimenticarsi anche di lui.
E lui? Che cosa voleva?
Qual era la scelta più giusta da prendere?
Ma era anche la più sincera?
Lanciò la cicca con stizza. Sarebbe stata una notte di Inferno. Con manovre nervose, imboccò la sua strada, parcheggiando il Pick-up rapidamente. Quando scese, il vento lo investì tagliente, facendogli stringere gli occhi per contrastarne la forza, ma quando riuscì ad inquadrare il suo palazzo, scorse anche chi non si sarebbe mai aspettato di incontrare. Quella figura minuta, avvolta nello sciarpone multicolore, era divenuta talmente inconfondibile per lui che rimase a fissarla immobile per degli istanti lunghissimi, quasi con il timore che, se si fosse avvicinato, lei sarebbe scomparsa, come i miraggi nel deserto.
Ma non era più il momento di esitare.
Con il sangue che sembrava lava rovente nelle sue vene, tirò un profondo respiro, cominciando a muoversi per accorciare la loro distanza.
Quella giornata era ben lungi dall'essere terminata.

"Che cosa fai ancora in giro a quest'ora? Con questo freddo, poi, e da sola?".
Il suono di quella voce, che riconobbe all'istante, ebbe il potere di cristallizzare il tempo e la realtà attorno a lei, mentre l'ansia, mista alla sorpresa, accelerò al massimo i battiti del suo cuore. Lentamente si volse, riempiendosi gli occhi della sua figura che si era fermata a pochi passi.
Non pensava che l'avrebbe rivisto così presto, anzi, non pensava che l'avrebbe rivisto e basta. Ed anche lui sembrava incredulo di trovarla lì, per quanto cercasse di nasconderlo dietro un'espressione seria e preoccupata al contempo.
"I-io..." tentò di dire, per cercare di uscire dal fortissimo imbarazzo. Stringendo con forza il manico della borsa, abbassò lo sguardo prendendo a camminare per dileguarsi il più in fretta possibile. "...stavo giusto tornando a casa." mormorò rapidamente e fece per superarlo, quando una mano si serrò attorno al suo braccio.
Quel contatto fu una scossa elettrica per entrambi.
"Ti accompagno." le comunicò Yuzo che, anche a rischio di beccarsi un altro schiaffio, aveva deciso di fermarla.
Le guance di Yoko andarono in fiamme mentre masticava un "No... non ce n'è bisogno... io...".
"Ho detto che ti accompagno." ed il suo tono non ammetteva repliche, come quel frammento di sguardo che le rivolse con la coda dell'occhio e che lei incrociò per un attimo prima di abbassare nuovamente il proprio, limitandosi ad annuire.
Per quanto non l'avesse stretta con forza, nel momento in cui il Prof lasciò la presa, Yoshiko sentì il sangue rifluire bollente dove l'aveva toccata. Poi, Yuzo si mosse, ma, stranamente, non si avvicinò a Dante, ma si diresse al portone del suo edificio. Yoko osservò la sua schiena con perplessità, prima di seguirlo, lanciandogli di tanto in tanto delle rapide occhiate. Pensò che dovesse essere quantomeno infastidito di averla trovata lì, quasi come se lo stesse aspettando mentre vi era arrivata davvero per puro caso. Non aveva nemmeno guardato la sua direzione, aveva camminato in maniera meccanica per tutto il tempo, ma... di sicuro Yuzo non le avrebbe creduto.
Il Prof aprì rapidamente il portone, facendosi da parte per farla entrare e richiudendo poi l'uscio di vetro e metallo alle loro spalle. Mentre restavano fermi in attesa dell'ascensore, non si rivolsero mezza parola e così pure quando furono all'interno del mezzo metallico. Yuzo fissava, senza realmente vederli, i numeri sulle porte che si illuminavano a mano a mano che superavano i vari piani, fino a fermarsi al suo con un sonoro 'plin'. Yoko, invece, aveva continuato a lanciargli fugaci occhiate per poi abbassare repentinamente lo sguardo al suolo.
Il Prof armeggiò con la porta di ingresso, aprendola ed accendendo la luce.
Certo che... le era mancata quella casa. La sorella di Misaki dovette ammetterlo; le mancavano quei tranquilli momenti domestici vissuti insieme e, come un nuovo flash, si rivide seduta sul divano a provare il catastrofico simulatore di terremoti di Yuzo. Quando vide l'oggetto d'arredo vuoto, avvertì una forte sensazione di disagio che le fece nuovamente abbassare lo sguardo.
"Tè o caffè?" la voce del vulcanologo si attirò la sua attenzione.
"Cosa?".
"Preferisci un tè o un caffè?" le domandò ancora, liberandosi del giaccone. "Sei rimasta fuori tutto il tempo, no? Sarebbe meglio se tu prendessi qualcosa di caldo.".
"Ah, sì..." ed abbozzò un leggero sorriso di cortesia "...un tè va benissimo.".
Yuzo annuì, avviandosi in cucina. "Siedi pure, te lo preparo subito.".
Lentamente, Yoko svolse la pesante sciarpa con la quale aveva cercato di proteggersi durante il suo girovagare e la appoggiò sull'appendiabiti assieme al cappotto. Con movimenti lenti ed incerti, occupò una delle due poltrone poste ai lati del divano; le mani compostamente appoggiate sulle ginocchia strette e lo sguardo fermo sulle proprie dita.
Era agitata e a disagio. Non sapeva nemmeno cosa avrebbe dovuto dirgli. Forse scusarsi per quello che era accaduto nel pomeriggio, di sicuro, ma poi? Magari lui avrebbe potuto chiarirle quei suoi comportamenti che ancora la confondevano, avrebbero potuto parlare con calma dell'intera situazione. Ma a cosa sarebbe servito? Tanto le cose tra loro non sarebbero cambiate comunque. Chissà, magari proprio in virtù di questo, era giunto il momento di smettere di nascondersi.
Con rassegnazione e cercando di dar fondo a tutto il coraggio che ancora aveva, Yoko tirò un profondo sospiro.
"Temo che questo sia il peggior tè della storia." esordì Yuzo, facendola sussultare; troppo presa dai suoi mille pensieri, nemmeno si era accorta che fosse tornato in salotto. Con un leggero sorriso dispiaciuto, il vulcanologo appoggiò la tazza fumante davanti a lei. "Scaldare l'acqua nel microonde non è il massimo, ma di sicuro è il metodo più veloce.".
Lei si affrettò a scuotere il capo, gesticolando animatamente. "Ah! Ma no! Ma no! Non preoccuparti!" per poi assumere subito una postura più composta.
Yuzo si accomodò nel divano, restando ad osservarla con una malinconica espressione d'affetto, nonostante gli dispiacesse vederla in difficoltà in sua presenza.
Sentendosi osservata, Yoshiko arrossì, afferrando la tazza col tè fumante e cercando di intavolare una discussione prima di affrontare il vero problema. "E... e come procedono le vostre ricerche?" anche se, in quel momento, non gliene fregava un emerito accidente.
"A rilento." sospirò il Prof "Colpa mia, non sono stato di grande aiuto negli ultimi giorni.".
Lei annuì, bagnandosi appena le labbra con la bevanda bollente: non sarebbe riuscita a buttare giù nulla con l'agitazione che aveva in corpo e non ebbe nemmeno il coraggio di chiedere maggiori spiegazioni a Yuzo, forse per paura della risposta. Ma sapeva anche che era perfettamente inutile continuare a girare attorno al nocciolo della questione.
"Senti, io..." cominciò, appoggiando la tazza "...volevo scusarmi per... per lo schiaffo. So-solitamente non sono un tipo manesco, lo giuro!" e riuscì finalmente a levare lo sguardo su di lui che le stava sorridendo.
"Non hai motivo di scusarti. Come mi ha detto qualcuno: 'Non sono questi i segni che restano'." parafrasando le parole di Rita "E, ad ogni modo, me lo sono meritato.". Mentre le parlava, la decisione da prendere cominciò ad apparirgli più nitida in lontananza, nel fondo del suo cuore. "Avrei dovuto essere sincero con te e dirti di aver parlato con tuo fratello, ma non volevo che litigassi con Taro a causa mia: so quanto tieni a lui e, se ha agito in quel modo, è stato solo perché anche lui tiene moltissimo a te.".
Yoshiko abbassò lo sguardo, mormorando un "Lo so." per quanto il suo comportamento l'avesse profondamente ferita.
"Eravamo entrambi convinti che quella fosse l'unica strada. In fondo, io sono solo di passaggio qui a Nankatsu e una volta risolta l'emergenza, ripartirò." anche se, da quando aveva conosciuto Yoshiko, aveva cominciato a riscoprire il piacere dell'avere una casa cui tornare dopo un lungo viaggio, cosa che aveva perduto da quando sua moglie era morta perché, in quel caso, tornare equivaleva ad un doloroso immergersi nei ricordi. Ma ora che quest'ultimi erano stati finalmente lasciati alle spalle, l'idea di 'casa' era tornata a coincidere con quella di 'porto sicuro' che aveva avuto un tempo, di rifugio, di stabilità e appartenenza.
Yoko si morse un labbro, continuando a mantenere basso il suo sguardo. Non aveva bisogno di ricordarle che sarebbe andato via, lo sapeva già benissimo, purtroppo, ma non lo interruppe.
"Però... voglio che tu sappia che non ti ho mai considerata solo come la 'sorella di Misaki'...".
"Ma nemmeno come una donna da amare." sospirò lei, non riuscendosi più a trattenere; non aveva alcun senso farlo: se doveva perderlo, che almeno sapesse dei suoi sentimenti. Non voleva dirgli 'addio', lasciando cose non dette che avrebbe finito col rimpiangere. Non era più una questione di 'avere il coraggio di farlo', ormai, ma andava fatto e basta. Come diceva Saya: almeno avrebbe sofferto una sola volta.
Alzò lo sguardo per incrociare quello indecifrabile di Yuzo e sorrise. Una smorfietta dolce che sciolse il cuore del vulcanologo.
"Sai... quando ti ho conosciuto, la sera del gala, ho pensato subito che fossi una persona interessante. Accidenti! Un amico di Taro che non parlava di calcio?! 'Al miracolo!', mi sono detta. Mi eri sembrato una specie di àncora: eravamo due pesci fuor d'acqua in quel covo di ultrà." e le sfuggì una risatina leggera, mentre tornava a fissarsi le mani che tradivano tutto il suo nervosismo: le strofinava, intracciando le dita, non riuscendo a far trovare loro un po' di pace. "Ma la vera sorpresa è stata quando mi sono accorta che più ti parlavo, più desideravo che quella nostra conversazione non si esaurisse mai. Sarei stata capace di restare tutta la notte con te su quel balcone. 'Colpo di fulmine' decretò Saya, ed anche se io mi ostinavo a negare, a dire che fosse assolutamente impossibile, dentro di me sapevo che aveva ragione.". Con il cuore che viaggiava più veloce dei suoi pensieri, tornò a guardarlo per qualche istante, ma poi mosse altrove le sue iridi non riuscendo a sostenere quelle del suo interlocutore. "So che puoi capirmi: Aiko è stata il tuo colpo di fulmine, quindi, non mi prenderai per matta, vero?". Sforzandosi, cercò di ignorare lo strano groppo che cominciava a formarsi in gola; arrivata a quel punto, non poteva tirarsi indietro, anche se non sapeva se sarebbe riuscita ad arrivare fino in fondo. "Sapevo che non dovevo illudermi, che c'erano troppe differenze tra noi, ma... quando stavo in tua compagnia... non esisteva più niente; i mondi sui quali viviamo coincidevano ed io mi sentivo così bene che finivo col perdere di vista il fatto di dover camminare con i piedi per terra, lo ricordavo solo quando ormai era troppo tardi e mi ero già legata a te un po' di più.". Il sorriso che le aveva disteso le labbra era andato a poco a poco affievolendosi fino a scomparire, venendo sostituito da un'improvvisa voglia di piangere, ma si impose fermamente di non cedere. Per nessuna ragione. Da persona adulta, doveva anche imparare a dire 'addio'. "Eppure, per quanti ostacoli avessi potuto superare, ce ne sarebbe sempre stato uno insormontabile, per chiunque, ed io lo sapevo... l'avevo sempre saputo... da quando mi avevi parlato di lei. Il ricordo di Aiko ed il tuo amore per lei non sono destinati ad essere sostituiti da nessuno." ma tra il 'dire' ed il 'fare' il passo non era così breve come aveva sperato. Si alzò di slancio, consapevole che non sarebbe riuscita a restare in quella casa un minuto di più, anche perché sentiva di stare raggiungendo il limite, mentre gli occhi le pungevano con insistenza. "Sono stata davvero una stupida a credere che una ragazzina come me avrebbe potuto... e... quando tu hai tolto le fedi, io... che stupida! Nonostante tutto, tu apparterrai per sempre ad Aiko e nessuna potrà mai prendere il suo posto nel tuo cuore." afferrò la borsa alla rinfusa, desiderosa solo di fuggire da lui. Con passo svelto si diresse all'ingresso senza avere nemmeno il coraggio di guardarlo in volto un'ultima volta. Recuperò con foga il cappotto e la sciarpa "Perdonami per tutti i problemi che ti ho creato... perdonami. Addio...".
Ma Yuzo non era disposto a lasciarla andare via, non di nuovo. Già quando l'aveva trovata sotto casa sua aveva capito che quella sarebbe stata l'ultima possibilità che aveva per capire cosa volesse davvero, e se anche adesso le avesse permesso di andarsene, era consapevole che non l'avrebbe più rivista. Ma muoversi, fermarla, trattenerla lì, in quella casa, insieme a lui, equivaleva anche a compiere la famosa scelta, quella che aveva sempre sentito di desiderare, ma che la paura delle conseguenze aveva bloccato fino alla fine; però, in quel momento, le conseguenze persero tutte la loro importanza e la scelta divenne solo una.
Chiara, decisa e senza paure.
Con rapidità la raggiunse, afferrandola per un braccio e sbattendo quello spiraglio di porta, che era riuscita ad aprire, con uno schianto.
"Aspetta!" le disse con foga, costringendola a guardarlo negli occhi e per Yoshiko fu uno sforzo sovrumano incrociare le sue iridi scure, quasi col timore di leggervi qualche sentimento negativo: disprezzo, rabbia, qualsiasi cosa, ma gli occhi di Yuzo le restituirono solo un'espressione affranta. In quelli di lei, invece, il Prof vi scorse dolore reso lucido e brillante dalle lacrime che silenziosamente le scivolarono sul viso.
"Aspetta..." ripeté, addolcendo il tono ed allentando la stretta. "Aiko è stata la donna più importante della mia vita, questo non posso negarlo e ne conserverò per sempre il ricordo, dentro di me. Ma io... io non voglio che tu prenda il suo posto. Vorrei che ne creassi uno solo tuo e, credimi, lo hai già fatto. Grazie a te ho ritrovato tutto ciò che avevo perduto. Ho ritrovato il piacere dello stare in compagnia senza pensare al lavoro, il piacere di ridere di gusto, di sentirmi sereno... di svegliarmi al mattino e sentirmi bene... di avere qualcuno da proteggere. Ma le parole di tuo fratello mi avevano aperto gli occhi su quanto i nostri mondi fossero distanti e ti giuro che, tra tutte le cose che avrei voluto fare, 'farti soffrire' non rientrava nell'elenco. Pensavo solo... che la decsione di Taro fosse la più giusta per te, ma mi sbagliavo, come sbagliavo credendo che fosse la più giusta anche per me. Io... non so cosa in futuro si rivelerà davvero giusto, ma tra tutto ciò che ignoro, c'è solo una cosa di cui sono sicuro: io voglio ricominciare e voglio farlo con te.". Dolcemente, una mano si mosse a carezzarle la guancia dalla pelle morbida e quel viso, dall'espressione incredula, gli sembrò così piccolo e delicato tra le sue dita e per loro così perfetto.
"Ti amo, Yoshiko.".
Un sussurro caldo che le fece esplodere il cuore con un dolore così piacevole, che lei lasciò che si diffondesse in ogni parte del suo corpo, come un'onda. Forse aveva solo sognato di sentirgli pronunciare quelle parole, ma il contatto delle sue mani era troppo reale, il respiro... così vicino...
Socchiuse gli occhi, avvertendo il leggero sfiorarsi delle loro labbra e quel frammento di attimo le fece vibrare l'anima prima che quel contatto divenisse qualcosa di più di una fugace carezza.
Lentamente, Yoshiko perse la presa sul cappotto e la borsa che aveva tenuto saldamente stretti fino ad allora, lasciando che toccassero terra con un leggero tonfo che nemmeno udì. Nelle sue orecchie, rimbombava solo il pulsare del sangue. Mentre il senso del tatto era concentrato sulla delicatezza delle sue labbra e quelle mani meravigliose che le tenevano il viso, scivolando sulla pelle. Mani grandi, che lei aveva sempre considerato accoglienti e protettive, adesso le stavano rivolgendo tutte le loro attenzioni. In quel momento, scoprì che si poteva tremare anche senza esser spaventati e che i brividi potevano correre lungo la schiena anche senza avere freddo. E che si poteva provare l'ebbrezza di una vertigine anche restando immobili, con i piedi ben ancorati al suolo, l'importante era lasciar libero il cuore.
Trascinata via da quella mutevole corrente di indefinite emozioni, Yoshiko riuscì solo a sollevare le braccia, appoggiando piano le mani sul suo petto.
Oddio! Come gli batteva il cuore.
Correva veloce come il suo, scandendo quasi lo stesso, irrefrenabile ritmo.
E i loro respiri si fusero e scissero innumerevoli volte in quel muto parlare; mentre il sapore salato delle lacrime assunse un dolce retrogusto; mentre si cercavano; mentre le mani di Yuzo le carezzarono la schiena, avvolgendola in un abbraccio dal quale non l'avrebbe più lasciata andare; mentre le mani di Yoko gli corsero al viso, avvertendo il ruvido della barba ed affondando poi nei suoi corti capelli scuri.
Le ultime parole furono sussurrate dal suo sorriso.
"Ti amo, Yuzo...".

"...Eppure sentire
nei fiori, tra l'asfalto,
nei cieli di cobalto c'è...
Eppure sentire
nei sogni in fondo a un pianto,
nei giorni di silenzio c'è...
...un senso di te."

Elisa - Eppure Sentire


[1]"QUE... QUIERES?": "Che diavolo vuoi?" - si ringrazia la mia pucciosa coinquilina Maria per la traduzione.

[2]"MA... CUNTEMPLANN?": "Ma ve la state contemplando?"

[3]"MA... FAI?!": "Ma dici sul serio?!"

[4]"VERI MASCHI DOC!": piccolo riferimento alla intelligentissima opera scritta e ideata dalle menti geniali di Maki e me. XD "Turni", perché NON potete perdervela!

[5]"C'HAMM... STAMMATINA?!": "Ci siamo svegliati storti questa mattina?!"

[6]"YA... OLVIDADO": "Ho già dimenticato." - si ringrazia la mia pucciosa coinquilina Maria per la traduzione.


...E poi Bla, bla, bla...

*Blink* Noto con piacere che avete messo via i coltellacci che certosinamente stavate affilando fino ad ora! XD
Chissà come mai! XD
Devo dire che questo è stato un capitolo difficilissimo da scrivere, perché nato durante un periodo di forte stress e non è che ne sia proprio soddisfatta. Ma tant'è... spero che abbia almeno la vostra approvazione.
Col prossimo capitolo si entrerà in quella che sarà la fase finale della fanfiction e che porterà alla sua conclusione.
Come detto più volte, cercherò di ridurre il numero di capitoli, ma non aspettatevi miracoli! XD Sono prolissa e lo sapete, ma finalmente potrò lasciare tutta la scena a quel tipo di azione che una fic di questo genere richiede.
Godetevi, quindi, questo piacevole attimo di calma, perché non durerà tanto a lungo.
Ehi! Che fate?!
Rimettete giù i coltellacci!


Angolino del "Grazie, lettori, grazie! XD":

- Eos: *blink* (XD voglio la faccina!! La scritta non rende a dovere!) Beh, penso che non ci sia molto da dire, no?! XDDD E quando in chattina mi hai detto: "Oh! Che colpaccio hai in mente?! Di sicuro niente 'ingropp' perché hai messo un rating troppo basso!" a me veniva da ridere in maniera subdola e perfida! Chi dice che non si possa fare *mapinmapon* anche con un rating basso?! *blink* Certo, ci si adatta con le parole, ma fin dall'inizio questa scena non sarebbe stata descritta passo-passo. *blink* (ma quanto sono infame?!). Va beh, ora non mi resta che aspettare la pubblicazione del 'colpaccio-tris' e poi... dovrò solo emigrare alle Cayman! XD

- Hikarisan: XD Addirittura le notti insonni?! *hihihi* vedrai che, dopo questo, anche col capitolo 19 riuscirai a fare sonni tranquilli... ma non posso assicurarti nulla per il futuro!
Come sempre ti ringrazio davvero per la costanza, i tuoi commenti sempre puntuali a questa storia e tutti i complimenti di cui mi ricopri ogni volta! ^///^ ne sono davvero contenta.


- Meichan: Mei-caraaaaaaaaaa! Ma che sorpresona graditissima ritrovarti come lettrice! *__*
Sorry se ti ho fatto aprire i rubinetti! XD Passo scatola di kleenex per fare ammenda! E se all'Uni ti vedono... XD dici che è sudore!! Col caldo che fa! XDD


E per questo capitolo è tutto, per il prossimo dovrete aspettare un po' dato che comincerò prima quello di Elementia (T_T non posso trascurarla oltre).
Un "Grazie" ed un inchino a voi tutti! ^__^

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Huzi

- Capitolo 19 -

Un occhio forzò il sonno che fino ad allora lo aveva tenuto chiuso, aprendosi pigramente.
La luce soffusa del giorno filtrava appena dalle imposte chiuse del balcone, ricreando una piacevole penombra all’interno della quale i contorni degli oggetti erano individuabili quanto bastava affinché la vista decretasse che quella non era la sua camera.
Non c’erano serpentine di mensole, alle pareti, cariche di libri; non c’erano sagome di pupazzi addormentati su sedie strategicamente allocate per rendere più allegro l’ambiente; non c’era il comodino con la sveglietta a maialino.
Eppure, lei era esattamente dove doveva essere.
Le labbra si distesero in un morbido sorriso mentre metteva a fuoco la sua mano adagiata sul cuscino a pochi centimetri dal viso. Lentamente ne seguì i contorni lungo le linee del braccio che la teneva stretta. Il calore del suo torace contro la schiena; il suo respiro ad intrecciarle i capelli.
Il suo odore sulla pelle, sotto la pelle, dentro il suo cuore.
Sì, era esattamente dove doveva essere.
Con espressione soddisfatta, si mosse nel suo abbraccio, girandosi alla ricerca di una maggiore protezione e nascondendo il viso nel suo petto.
Un altro occhio si aprì, giusto un attimo, richiamato dal susseguirsi di quei movimenti, per verificare che fosse tutto a posto, poi il respiro si trasformò in un sospirato sorriso e le braccia rafforzarono la stretta, mentre le dita scivolavano piano lungo la schiena richiamando la dolce eco dei ricordi della nottata appena trascorsa.
Sentendolo sveglio, Yoshiko gli baciò la pelle, tracciando un piccolo percorso: dal torace al collo, dal collo al mento, fino a concludere quello strano viaggio sulle sue labbra, dove indugiò qualche attimo in più, beandosi della consapevolezza di averle solo per sé, ora.
Niente più ostacoli contro cui scontrarsi.
Niente più paure a tenerli lontani.
Tutto il resto lo avrebbero costruito insieme.
“’Giorno.” mormorò, incontrando le sue vigili iridi scure. Svegliarsi, sentendosi così meravigliosamente al sicuro tra le sue braccia, era un’emozione totalizzante.
“’Giorno.” sorrise lui di rimando, aggiungendo un “Tuo fratello mi ucciderà.”.
Yoshiko nascose una risatina nell’incavo del suo collo.
“Ehi, guarda che non è divertente!” Yuzo le pungolò scherzosamente la schiena. “Ora sei tu quella che deve aiutarmi a trovare un epitaffio carino!”.
“Mh… vediamo…” lei si prestò al gioco “…che ne dici di: ‘Qui giace Yuzo Morisaki, vulcanologo di fama mondiale…’”.
Seee! ‘Fama mondiale’! Addirittura!” rise lui di gusto.
“Sì, certo! È una questione di fama postuma: da morto, si tende sempre a gonfiare la realtà…”
“Ma senti, senti! Invece di dirmi: ‘No, non ti preoccupare, ti proteggerò dal fucile di Taro!’ mi dai già per sepolto?! Ah! Che affronto!” e la strinse ancora più forte, prima di bloccarla sotto di sé con lei che continuava a ridacchiare.
“Ma Taro non ha un fucile!”.
“Può sempre lanciarmi contro il set di coltelli da cucina di Azumi!” insistette Yuzo, baciandole lentamente il collo in un gioco sensuale e Yoko socchiuse gli occhi, avvolgendogli l’ampia schiena con le braccia; le dita tracciavano astratti disegni sulla pelle nuda.
“Allora sarà divertente vedere quanto sarai veloce a correre…” gli sussurrò piano, provando un rilassante piacere nel stuzzicarlo.
“Non sottovalutarmi, tesoro…” le labbra scivolarono sulla spalla “…Flash Gordon non tiene il mio passo…”.
La sentì ridere di nuovo e avvertirla felice lo fece sentire vivo come non era più da anni. Finalmente vivo, sospeso in un meraviglioso stato di grazia. Benessere in ogni parte del suo spirito: le zone d’ombra erano tornate a giorno, la tristezza si era dissolta, i fantasmi del passato non c’erano più. Il passato stesso si era finalmente portato alle sue spalle, spianando l’arrivo del futuro che avrebbe vissuto senza più guardarsi indietro.
E il futuro era già lì, tra le sue braccia, sotto le sue labbra.
Il futuro si chiamava ‘Yoshiko’ e lui l’avrebbe difeso strenuamente affinché quel sorriso avesse continuato ad illuminare la sua strada in ogni istante. Vezzeggiato da quel senso di totale appagamento, continuò a baciarle la pelle, ma si fermò all’improvviso squillare del telefono di casa.
Lei mugugnò un “Ignoralo…” che Yuzo fu ben felice di appoggiare, riprendendo le sue coccole mattutine. E Yoshiko sospirò soddisfatta quando lo sconosciuto disturbatore sembrò gettare la spugna, facendo zittire il telefono, ma quel piacevole silenzio durò meno di dieci secondi, venendo sostituito dal cellulare del vulcanologo.
Yuzo sbuffò con una certa ironia, appoggiando la fronte sul seno di Yoko per qualche secondo, prima di incrociare il suo sguardo ancora assonnato ma che cercava di non ridere.
“Questo è Rick.” sentenziò “Rompere le palle è il suo sport preferito!”. Notevolmente contrariato dalla separazione, rotolò su un fianco per agguantare il cellulare irrispettoso abbandonato sul pavimento insieme al groviglio di abiti.
“Lezione per la prossima volta…” lo prese in giro Yoshiko “…si deve sempre staccare il telefono quando si è in compagnia di una signora.”.
“Tranquilla! Me ne ricorderò sicuramente!” e rispose “Rick? Dimmi tutto.”.
“Ah! Eccoti finalmente! Ma dove sei?!” borbottò l’ingegnere.
“A casa, dove vuoi che sia?”.
“Beh, non rispondevi!”.
Lui sospirò rassegnato “Magari dormivo?”.
“A quest’ora?!”.
Yuzo ruotò gli occhi al cielo. “Oddio, Rick! Saranno le otto!”.
L’altro sbuffò un sorriso. “Tsk! Vai a cambiar le pile all’orologio, bello addormentato, sono le 11:30!” notizia che lo avrebbe fatto scattare in piedi come una molla se solo non avesse avuto Yoko appoggiata sul suo petto, quindi, si limitò a sbottare un “Che cosa?!” tra le risate dell’ispano-americano.
“Ehi, Stella Solitaria, non sarai mica andato a letto con il Principe Valium, vero?!” e prima che Yuzo potesse rispondere, la sorella di Misaki gli rubò il cellulare.
“Veramente ci è andato con la Principessa Vespa, mio caro… Ruttolomeo[1]! Non preoccuparti, tra un’ora te lo mando sbarbato e in perfetto ordine. Ciao, ciao!” e chiuse la comunicazione, lanciando il cellulare nel groviglio di coperte.
Yuzo la guardò immobile per qualche secondo con la mano ancora a mezz’aria, prima di esordire “Tu… mi hai appena condannato a morte.”.

“E allora? Ti ha risposto?” domandò Toshi, restando seduto alla sua scrivania ed osservando l’espressione indecifrabile che ora restava in bella mostra sul viso di Ricardo. Come imbambolato, l’ingegnere fissava il display del cellulare limitandosi a rispondere un cantilenoso: “A-ah.”.
“Era a casa?”.
“A-ah.”.
“E stava ancora dormendo?”.
“A-ah.”.
Il geochimico sbuffò seccato. “Rick, la pianti di rispondermi a monosillabi?!”.
“C’era Occhi Belli con lui…” affermò, mentre l’altro si stringeva nelle spalle.
“E allora?”.
“Eh, no… tu non hai capito…” ed intanto non riusciva a trattenere una serie di risatine che divennero sempre più frequenti e forti.
“Che cosa dovrei capire?!”.
“Tu…” e giù altre risate “…tu non capisci…” mentre Toshi scambiava una rapida occhiata con Hisui che gli fece cenno, indicando che ormai l’ingegnere era andato fuori di testa, Rick scattò in piedi lanciando il telefono che, dopo un volo pindarico, venne agguantato al volo da uno sconvolto Toshi.
“Evvai! Sìììììììì! Sìsìsìsìsì! Si festeggia!” gridava Ricardo, attirandosi l’attenzione di tutto il piano. Rapidamente cavò una bottiglia di spumante dal piccolo frigorifero che aveva accanto alla scrivania. “L’avevo conservata per le occasioni speciali, sapevo che sarebbe arrivata!” e lanciò bicchierini di carta a profusione, saltellando come uno stambecco di scrivania in scrivania tra le risate e la confusione di tutti gli altri colleghi.
“Lo abbiamo perso.” sentenziò Hisui, appoggiandosi alla scrivania di Toshi. “Si può sapere che gli è preso?”.
“E che ne so?!” il geochimico si strinse nelle spalle “Dopo aver chiamato Yuzo, ha perso il cervello.”.
Intanto Rick li aveva raggiunti, elargendo bicchieri e spumante anche a loro due. “Dobbiamo brindare!” esordì, mentre Meteo-man inarcava un sopracciglio.
“Finalmente ti rinchiudono?”.
L ’ingegnere parve sorpreso. “Ma… non avete ancora capito?” come se fosse la cosa più ovvia del mondo “Ho chiamato Yuzo e c’era Occhi Belli!”.
Ancora perplessità negli altri due.
“E allora?” sottolineò Toshi, ma Rick non si arrese: santo cielo, come potevano non capire?!
“Yuzo e Occhi Belli!” insistette, come fosse la cosa più ovvia del mondo.
Stavolta fu Hisui a parlare. “Yoshiko ha già dormito da Yuzo, dove starebbe la novità?”.
L’ingegnere inspirò a fondo, cercando di mantenere un certo self-control. “Yuzo e Occhi Belli… insieme!”.
“Ma è ovvio che siano insieme se lei ha dormito da Yuzo!” Toshi aveva definitivamente sfidato la sua pazienza.
“Yuzo si è fidanzato, idioti!” urlò Rick al limite dell’esasperazione, lasciandoli in un silenzio tombale, mentre finalmente realizzavano la situazione.
Hisui e Toshi si scambiarono una rapida occhiata prima di rivolgersi nuovamente all’ingegnere in un esultante “Yeeeeeeeeh!”.
Quando Rita e Hideki arrivarono al terzo piano, dopo essere stati nella stanza dei sismografi, si bloccarono sull’uscio ad osservare quella specie di Carnevale di Rio che imperversava senza ritegno.
“Ma che diav-” esordì il Burbero, togliendosi lentamente il sigaro dalla bocca, mentre la sismologa scuoteva la testa scandendo un lento.
Tu nn’he vist nient…[2]”.

“Perché ti avrei condannato a morte?” rise Yoshiko, osservando la sua espressione terrorizzata.
“Beh… Rick è la ‘pettegola’ della mia squadra: tempo trenta secondi e lo saprà tutto l’FVO di noi due.” con un sospiro si passò una mano sugli occhi. “Oddio, non oso immaginare quello che mi aspetterà in ufficio.”. Poi abbracciò stretta la sorella di Misaki “Ho deciso! Oggi mi prendo un giorno di ferie, ecco!” con lei che rideva a più non posso.
“Cosa, cosa?! Non provare a scappare, fifone! Il pericolo va sempre affrontato a testa alta… fingi di dover scalare un vulcano attivo!”.
“Parli così perché ancora non li conosci bene.” si impuntò Yuzo con convinzione, ma Yoshiko era più tenace di lui.
“Niente ‘ma’, ho promesso che in un’ora saresti stato al lavoro e tu farai il bravo e ci andrai, ma prima…” lasciandogli un bacio a fior di labbra “…dedicami altri cinque minuti…”.
Yuzo osservò i suoi vivaci occhi nocciola con un sorriso rilassato, prima di ricambiare il bacio e farla scivolare sotto di sé, riprendendo da dove erano stati interrotti “Facciamo dieci…”.
Ma quel giorno doveva esserci qualche congiura in atto contro di lui perché, nell’attimo stesso in cui stava per baciarle il collo, avvertì uno strano tremore. Durò pochi istanti ma, conoscendo buona parte di ciò che stava avvenendo nella Prefettura, si fermò, restando un paio di secondi in attesa di qualche altra scossa che, per fortuna, non arrivò… almeno non con una magnitudo sopra la soglia di percezione. Alzò il viso per incrociare lo sguardo di Yoshiko, trovando anche lei vigile e attenta.
“L’hai sentita?” le domandò.
“Allora era proprio una scossa?” ma non sembrava affatto preoccupata.
“Già.” sospirò, alzando lo sguardo al cielo e rivolgendosi ad un interlocutore invisibile “Io e te dobbiamo fare un discorsetto.” mentre Yoko ridacchiava divertita e lui, rassegnato, rotolava nuovamente al suo fianco.
“Non ridere.” borbottò con ironia prima di assumere un tono più serio. “Stai bene?”.
Lei rispose con un leggero sorriso. “Sì, perché c’eri tu; non avevo nulla di cui preoccuparmi.”. Poi sospirò “E’ strano. Sono sempre stata terrorizzata dai terremoti; non importava chi mi stesse vicino: mi ci attaccavo con tutte le mie forze in preda al panico. È successo anche quella sera al gala… ma da quando ho imparato a conoscerti, a conoscere il tuo mondo… non mi fanno più tutta questa paura, lo sai?”.
“Davvero?”.
Yoko si strinse a lui un po’ di più. “Mh, mh. Piuttosto: ancora non avete scoperto quello che sta succedendo?”.
“No, purtroppo no. Un po’ è stata anche colpa mia, sai, avevo una certa studentessa di arte per la testa.” rise Yuzo, mente lei gli pungolò il petto.
“Ehi! Non vorrai mica dare la colpa a me, adesso?!”.
“Assolutamente!” continuò a ridacchiare “In più, gli eventi non ci stanno dando una mano; non riusciamo ancora a capire se il fenomeno sia vulcanico, tettonico o tutti e due. I dati sono troppo contrastanti, però, sai cosa?” le sue dita scivolavano lente tra i lisci capelli castani della giovane, coccolandola con il loro tocco delicato. “Oggi sono fiducioso e sono sicuro che sbroglieremo il bandolo della matassa. Da qualche parte, nascosto così bene tanto da non saltare agli occhi, ci deve sicuramente essere quel piccolo particolare che stiamo cercando da una settimana e che ancora ci sfugge.”.
Yoshiko osservò con sguardo carico di ammirazione la sua espressione decisa e sorrise. “Lo troverete.” disse con convinzione e leggere quella sicurezza nei suoi occhi nocciola, lo caricò ancora di più. Sì, adesso poteva trovare la soluzione, era una certezza matematica che non sapeva spiegarsi, ma era così e di questo avrebbe dovuto ringraziare solo lei che gli aveva fatto ritrovare la cosa più importante: sé stesso.
Con dolcezza le baciò la fronte, sussurrandole quel sincero “Grazie.” che la fece sorridere.
Con uno sbuffo, la giovane si costrinse a separarsi da lui, anche se avrebbe voluto restare avvolta dalle sue braccia per l’eternità. “Forza o fai ancora più tardi.”.
“Okay.” accordò l'altro con uno sforzo, mentre scansava le coperte. Pescò dal mucchio abbandonato di abiti i suoi boxer e li indossò. La specchiera sul comò intrappolò la propria immagine che lui osservò con orrore, passandosi una mano sulla barba decisamente troppo lunga per i suoi gusti. “Oddio! Sembro appena uscito da Sing Sing!” per poi scuotere il capo e soprassedere, almeno per il momento. “Che ne dici se preparo il caffè mentre ti fai una doccia?” propose il vulcanologo e la ragazza colse al volo lo spunto per sfruttare al meglio quegli ultimi momenti prima che lui si re-immergesse nel suo lavoro e lei tornasse allo Studentato dove Saya, sicuramente, la stava aspettando, vigile come un falco, per sapere tutte le ultime novità. Maliziosamente si mosse, attingendo anche lei al solito mucchio di abiti e cavandone il maglione di Yuzo che, sul suo fisico minuto, sembrava un maxipull sformato.
“Io avrei un’idea migliore…” cominciò, alzandosi; lentamente lo raggiunse presso l’arco della porta, camminando a piedi nudi per la stanza; il bordo del maglione che le arrivava nemmeno a metà coscia. Sensualmente si appoggiò allo stipite, avvolgendogli il collo con le braccia sottili “E se la doccia la facessimo assieme? Il caffè può anche aspettare…”.
Lui inarcò un sopracciglio. “Ma tu lo sai, vero, che finiremmo col fare tutt’altro?”.
Yoko strinse le labbra. “Ma, amore, lo scopo è proprio quello. Però… se preferisci dedicarti al caffè…” e sciolse l’abbraccio dirigendosi, sempre lentamente, verso il bagno; le dita che scivolavano maliziose lungo la parete.
Yuzo rimase ad osservarla con perplessità. “Ma che è successo alle ragazze di oggi? Deve essermi sfuggito qualcosa in questi quattro anni…”.
Yoshiko si fermò davanti la porta aperta della toilette. “Beh, se mi raggiungi, posso farti un corso intensivo…”.
Teatralmente, il Prof si portò una mano al petto. “Cosa non si è disposti a fare per amore della conoscenza…” prima di correre verso di lei che scomparve rapidamente oltre la porta, riempiendo la casa con il suono allegro della sua risata.

Alloggiava nell’albergo più costoso di Nankatsu che svettava, nella sua imponente struttura dall’architettura moderna, al centro della città.
Dalla sua suite godeva di un panorama davvero mozzafiato, esaltato dal possente cono del Fuji ammantato di neve, ma Tatsuya Kishu continuava ad osservarlo senza lasciarsi ammaliare o battere ciglio.
Non era nel suo solito ordine impeccabile: la cravatta era sciattamente allentata attorno al collo e la camicia leggermente aperta. I capelli, solitamente fissati dal gel, scivolavano attorno al viso e risaltava la brizzolatura avanzata. Con il gomito appoggiato sul bracciolo della poltrona in pelle bordeaux e l’indice che scivolava lentamente sulle labbra, restava ad osservare il paesaggio dall’amplissima vetrata nel silenzio più cupo.
Erano giorni che continuava ad avvertirle. A volte credeva di averle solo immaginate, altre restava immobile a fissare l’oscillare dell’acqua nel bicchiere fino a che non tornava nella sua posizione iniziale. Le scosse sismiche non erano più dei casi isolati ed Hideki Yoshikawa continuava a non avere risposte, sapeva solo dirgli che era meglio spostare il comizio altrove. Ma Nankatsu era fondamentale per la sua carriera per potervi rinunciare; però… ormai l’aveva capito anche lui che stava per succedere qualcosa di grosso e doveva valutare quanto era disposto a rischiare ancora.
Il telefono della sua camera, posto sul tavolino accanto alla poltrona in cui era accomodato, cominciò a squillare, ma lui non variò né la postura, né lo sguardo fisso e severo quando si portò il cordless all’orecchio.
“Pronto?”.
“Buongiorno, Sig. Kishu.” rispose la centralinista dell’albergo “C’è stata una leggera scossa e volevamo sapere se lei stava bene.”.
“Sì, l’ho avvertita. Qui è tutto in ordine.”.
“Molto bene, signore. Ha una chiamata in entrata, gliela passo.” e, dopo un attimo di silenzio, riconobbe la voce del Prefetto.
“Buongiorno, Tatsuya. Allora, ci sono nuove per me?”.
“Tutto procede come stabilito, Prefetto Terobashi. Gli addetti stanno montando il palco all’interno dello stadio.”.
“Ah! Ottimo! Io, invece, ho in mente un discorso che sono sicuro lascerà un segno nel cuore degli elettori.”.
“Sì, signore.” ma nel breve silenzio che seguì, Akinori Terobashi ebbe l’impressione che il vice non lo stesse minimamente ascoltando.
“Tatsuya… va tutto bene?” domandò infatti “Mi sembri pensieroso. Ancora problemi con quelli dell’Osservatorio Vulcanico?”.
“No, signore, anzi, gli esperti dell’FVO non mi hanno ancora saputo fornire motivazioni valide all’aumento anomalo di sismicità. Credo che presto smetteranno di arrampicarsi sugli specchi e riconosceranno di aver preso un abbaglio. Non c’è nulla di cui preoccuparsi.” scandì maggiormente quell’ultima frase senza variare il tono profondo della voce.
“Allora rallegrati, Tatsuya, ancora pochi giorni e avremo Nankatsu a nostro favore alle prossime elezioni. Continua a tenermi informato.” chiuse la comunicazione senza nemmeno attendere una sua risposta.
Con lentezza, Kishu ripose il cordless sul tavolino.
Non poteva piegarsi, non ancora. Poco importava se questo avrebbe significato continuare ad andare contro-natura. Aveva votato tutta la sua vita al raggiungimento della carica di Primo Ministro e non poteva permettersi di fare un passo indietro e cambiare i suoi piani, per nessuna ragione al mondo.
Ma il nuovo squillare del telefono riuscì a distoglierlo dai suoi pensieri, questa volta. Chi poteva cercarlo? Aveva già ricevuto la chiamata del Prefetto.
“Sì, pronto?” rispose con una certa sorpresa.
“C’è una nuova chiamata per lei, Sig. Kishu, resti in attesa.” il silenzio durò ancora meno di prima e un’allegra voce di bambina trillò all’altro capo.
“Papà!”.
Tatsuya distese uno di quei sorrisi che riservava solo a lei.
“Kazuki.”.

Yuzo fermò Dante davanti all’ingresso dello Studentato, osservando poi Yoshiko.
“Sei sicura di non voler venire all’FVO con me? Non vorrei che ti spaventassi in caso di altre scosse…” e le carezzò il viso col dorso delle dita, ma la ragazza scosse il capo con decisione.
“Non preoccuparti, avrai tantissime cose da fare e non voglio distrarti. Inoltre, non sarò da sola: ho sempre Saya su cui contare, due fifone sono meglio di una!”. Strappò una risata anche al vulcanologo prima di stringersi nelle spalle “E se dovesse arrivare un altro terremoto, mi rifugerò sotto l’arcata della porta, in attesa che passi. Devo imparare ad affrontare i problemi e le paure; lo hai fatto tu, ora tocca a me.” e si sporse, lasciandogli un fugace bacio sulle labbra prima di afferrare la borsa e sgattaiolare giù dal Pick-up. “Ciao.” gli disse, fermandosi davanti al portone “E buon lavoro.”.
Il Prof rimase ad osservarla con un leggero sorriso. “Ti chiamo più tardi, ma se avessi bisogno di me non farti problemi a telefonarmi, ok?”.
“Sissignore!” lo prese in giro, mettendosi sull’attenti. “Ma ora corri a salvare il mondo!” e lui scosse il capo, lasciandole un ultimo saluto con la mano prima di allontanarsi assieme a Dante.
Yoko lo osservò fino a che non scomparve dal suo raggio visivo, con un sereno sorriso.
Quante cose erano cambiate in poche settimane? Tante e da quando aveva conosciuto Yuzo, anche lei sapeva di essere cambiata. Si sentiva più sicura di sé stessa e di ciò che voleva, aveva imparato a cacciare le unghie e a fare delle scelte importanti, se necessarie. Ora sapeva di non essere più una bambina e, in virtù di questa consapevolezza, avrebbe dovuto imparare a lasciarsi tutte le sue vecchie paure alle spalle, ma la cosa non la spaventava affatto perché, qualunque cosa sarebbe accaduta, avrebbe sempre avuto Yuzo a vegliare su di lei e la paura di perderlo era già un ricordo lontano. Con passo deciso entrò all’interno dello Studentato.
Avrebbe anche dovuto chiarirsi con Taro.
Nonostante lui l’avesse ferita, Yoshiko sapeva che le sue azioni erano state dettate solo dall’affetto che provava nei suoi confronti, come fratello maggiore, e anche lei gli voleva un mondo di bene, anche se lo aveva sommerso con parole piene di veleno. Ma ci avrebbe pensato più tardi, adesso voleva godersi quella meravigliosa tranquillità che sentiva da quando si era svegliata abbracciata al Prof, sperando che durasse il più a lungo possibile.
Ma mentre saliva l’ampia scalinata che l’avrebbe condotta al suo appartamento, il cellulare prese improvvisamente a trillare nella tasca del cappotto. Lo aveva acceso appena erano saliti su Dante e si era sentita un po’ sollevata nel non trovare chiamate da parte di suo fratello, almeno per il momento, ma forse aveva parlato troppo presto. Afferrò l’apparecchio osservando il display, ma un sorriso distese le sue labbra appena lesse il nome ‘Prof’.
“Ho dimenticato qualcosa in macchina oppure sentivi già terribilmente la mia mancanza?” rispose con una leggera ironia, divertendosi a punzecchiarlo, però la risposta che ottenne la lasciò per un momento senza parole, fermandola in mezzo alla scalinata.
“Volevo solo dirti che sono davvero orgoglioso di te.” con quel suo tono carezzevole e rassicurante.
Era la prima volta che qualcuno glielo diceva e che quel qualcuno fosse Yuzo le fece quasi esplodere il cuore.
“…e, sì, anche che mi mancavi.” concluse lui stando al gioco.
Yoko socchiuse gli occhi per un attimo, avvertendoli lucidi, e quando li riaprì il sorriso era di nuovo sulle sue labbra. “Ti amo.” gli disse.
“Anche io. Ci sentiamo dopo.”.
“Ciao.” chiuse la comunicazione, riprendendo a salire le scale con maggiore vigore. Quando arrivò al suo piano, lo trovò stranamente più silenzioso del solito, ma era anche Sabato e molti erano partiti per passare il week-end con le famiglie. Cavò le chiavi dalla borsa e le infilò nella toppa, ma non fece nemmeno in tempo a rigirarle che, dall’appartamento adiacente, spuntò la testa ricciuta di Saya.
“Yoko! Era ora che tornassi! Si può sapere che fine hai fatto, ieri?! Ho provato a contattarti, ma il tuo cellulare era sempre spento!”.
La sua espressione agitata la fece sorridere. “Sono successe un po’ di cose.”.
L ’altra inspirò profondamente. “Oddio, che ti ha detto tuo fratello? Dieci a uno che ne ha fatta una tragedia, ma prima… dimmi dove hai passato la notte!”.
Forse, Saya avrebbe dovuto intuire la riposta già da quel sorriso che le illuminava gli occhi, ma attese che lei rispondesse.
“Sono stata da Yuzo.”.
L’amica reclinò leggermente la testa di lato, dipingendosi l’espressione più furba e maliziosa del secolo, ma, in fondo, Yoko pensò che ne avesse tutti i motivi, questa volta.
“Che ne dici se ne parliamo davanti ad una tazza di tè?” propose infatti, strizzandole l’occhio “Vedrai che dopo avrai tanto, tanto, tanto di cui spettegolare.”.

“Mi sento un idiota.” ed era la terza volta che Yuzo se lo ripeteva, mentre si aggirava a mo’ di Pantera Rosa lungo le scale che, dal garage, lo avrebbero condotto al terzo piano. Mancava solo il motivetto di sottofondo e poi sarebbe stato al completo. E tutto perché era semplicemente terrorizzato all’idea di ciò che Rick gli avrebbe fatto trovare.
Emerse lentamente al pian terreno, dove Shiguro restava come di consueto dietro al bancone. Yuzo lo osservò, appostandosi a ridosso del muro; conoscendo quella carogna dell’ispanico, doveva aver sbandierato tutto ad ogni essere respirante dell’FVO, piante comprese. Ma il guardiano sembrava così preso dal suo quotidiano, che il Prof annuì con decisione.
- Bene! -.
Adesso doveva solo salire piano, piano e…
“Professore Morisaki!”.
…farsi beccare come un imbecille!
“Ah! Buongiorno, Shiguro!” salutò, mantenendo l’espressione più tranquilla e naturale del mondo, nonostante si aspettasse il primo colpo di grazia della giornata.
“E’ in ritardo quest’oggi, ma ha fatto bene a riposarsi, lei lavora sempre troppo.” affermò l’uomo con un sorriso, per poi togliersi il cappello. “Mi scusi se non l’ho vista prima, ma leggevo questo articolo sul giornale.” ed assunse un’espressione preoccupata “Non fanno che parlare del comizio che si terrà allo Stadio Ozora.”.
Anche Yuzo cambiò espressione, assumendo un piglio più severo. Quell’idiota di Kishu non sembrava intenzionato a lasciar perdere e non era affatto una buona notizia. Lentamente si avvicinò a Shiguro che sospirò.
“Io non ne capisco molto, ma stando qui qualcosa l’ho imparata anche io e non credo che fare un comizio elettorale con tutte queste scosse sia una grande idea. Lei che ne dice, Professore?”.
“Che sono assolutamente d’accordo con te.” sorrise Yuzo “Vedrai che faremo cambiare idea al Vice Prefetto.” e raggiunse nuovamente le scale.
“Lo so che vi state dando molto da fare.” accordò Shiguro “Dal terzo piano veniva molta confusione oggi.”.
“Co-confusione?!” fece eco il Prof, lanciandogli un’occhiata terrorizzata.
“Sì, un gran vociare. Si sentiva fino qui.” annuì con orgoglio “La città è fortunata ad avere gente come voi, lavoratori instancabili.” ma Yuzo era sbiancato, accennando una risatina isterica.
“Certo… come no…” e salendo più velocemente possibile “…proprio dei gran lavoratori…”.
Oddio! Doveva assolutamente fermare Rick prima che distruggesse l’intero FVO, ma quando arrivò al pianerottolo del suo dipartimento, aspettò ancora qualche momento prima di entrare, valutando la situazione.
Il caos cui aveva accennato Shiguro sembrava essersi quantomeno acquietato, dato che non sentiva nessun rumore molesto provenire da dietro la porta chiusa. Pensò che fosse piuttosto strano: quando c’era da festeggiare – anche la cosa più stupida dell’Universo! – Ricardo era capace di far bisboccia per ventiquattro ore filate; l’ipotesi, quindi, che la sua euforia si fosse già esaurita, gli risuonò piuttosto inverosimile.
Comunque, era anche vero che non poteva continuare a restare fuori la porta come un palo e, sconfitto, sospirò profondamente prima di rassegnarsi all’idea ed abbracciare quella croce. Con decisione, afferrò la maniglia antipanico, appoggiandovisi contro e facendo un titubante capolino nello spiraglio che riuscì ad aprire.
Occhiata a destra, occhiata a sinistra.
Calma piatta.
Le scrivanie di Rick, Hisui e Toshi erano vuote e lui tirò un profondo sospiro di sollievo, varcando la soglia del dipartimento con maggiore tranquillità. Tutt’intorno, i suoi colleghi svolgevano normalmente il proprio lavoro e gli rivolsero comuni accenni di saluto.
Soddisfatto, Yuzo cavò una sigaretta dal pacchetto, portandosela alle labbra e avanzando senza fretta verso il suo ufficio.
Ah! Era stato proprio malpensante nei confronti di Rick ed invece l’ingegnere era innocente; magari aveva capito che, comunque, era una situazione piuttosto delicata, visti i quattro anni precedenti e, per una volta, aveva seguito il suo buon senso, comportandosi in maniera discreta. Adesso, forse, la sua squadra era addirittura da Hideki per lavorare attivamente sul problema della Prefettura ed annuì con vigore a quei pensieri, sentendosi anche un po’ in colpa per aver trascurato l’emergenza a favore delle sue faccende personali.
Scuotendo il capo con un sorriso, aprì la porta dell’ufficio, ma non fece nemmeno in tempo ad entrare che venne investito da una pioggia di coriandoli e stelle filanti che infransero definitivamente tutte le sue speranze, lasciandolo inchiodato sul posto con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca aperta. Le labbra persero la presa sulla sigaretta, che cadde silenziosa, mentre gli invitati a quella ‘festa a sorpresa’ esclamavano un corale: “Congratulazioni!”.
Rick gli si avvicinò, mollandogli un bicchiere pieno di spumante ed una sonora pacca sulla spalla, mentre, con un sorriso a trentadue denti, esclamava: “Auguri e figli maschi!”.
Yuzo osservò il liquido paglierino con espressione affranta, prima di sospirare rassegnato. “Voglio morire…”.
“Ma che dici?! Vuoi già spezzare il cuore di Occhi Belli?!” lo ammonì Toshi, portandosi teatralmente una mano alla fronte.
“Hai ragione… ammazzo voi!” ringhiò il vulcanologo, lanciando loro occhiate truci, ma Hisui si difese.
“A mia discolpa posso dire di essere stato costretto da Rick!”.
“Non provarci, Meteo-man! Sei stato tu a proporre le trombette!”.
Yuzo li lasciò a discutere, avvicinandosi alla scrivania dove restavano appoggiati sia il burbero che Rita. Il Prof si accomodò tra loro, incrociando le braccia al petto.
“Hideki, tu quoque…”.
L’uomo rise con il suo vocione grosso, togliendosi il sigaro. “E che cosa avrei dovuto fare?”.
“Urlare e sbraitare come il tuo solito, magari?!” propose Yuzo, mentre pescava una nuova sigaretta dal pacchetto.
“Ringrazia che nun stamm’a Napoli.” intervenne Rita “Altrimenti Rick avrebbe offerto pastarelle a tutto l’FVO!”.
Il Prof alzò lo sguardo al cielo. “Grazie a Dio!”.
“Piuttosto…” Hideki si attirò nuovamente il suo sguardo “…abbiamo davvero un motivo per festeggiare?” e tentava di mantenersi serio, ma le sue labbra si erano già incurvate in un accenno di sorriso.
Yuzo scosse il capo, portandosi di fronte ai due di qualche passo, sospirando. “E sia! Sì, sono innamorato; sì, sono felice e sì, mi sento finalmente rinato.”.
L’uomo lo osservò in silenzio per alcuni secondi, prima di muoversi e poggiargli una mano sulla spalla. Con espressione benevola, quasi paterna, gli sorrise ed era la prima volta che gli si rivolgeva in quel modo. “E’ bello sentirtelo dire, ragazzo.” disse, attirandosi poi l’attenzione di tutti gli altri, compreso il trio che ancora borbottava, srotolando trombette e lanciando coriandoli. “Molto bene, signori, basta festeggiare: è il momento di avere delle risposte, quindi, tirate fuori i mantelli da supereroi e salvate il culo a questa città.” ordinò, lasciando definitivamente l’ufficio.
Rita sghignazzò, vuotando il suo bicchiere di spumante in un sol colpo. “Anche lui ha un cuore, sotto sotto.” accordò, mentre Hisui, Toshi e Rick recuperavano una certa serietà, avvicinandosi a Yuzo e la sismologa.
Hideki aveva ragione, basta fare congetture a vuoto, aveva già sprecato fin troppo tempo cercando di capire la natura dell’evento e senza vanire a capo di nulla. Era giunto il momento di fare un’azione di forza, un controllo a tappeto che prendesse in considerazione qualunque ipotesi, contraddittoria o assurda che fosse. Ormai, Yuzo aveva la netta sensazione che il tempo a loro disposizione stesse arrivando agli sgoccioli e continuare ad avanzare a piccoli passi avrebbe potuto portarli ad una soluzione quando ormai sarebbe stato troppo tardi.
No, dovevano dare delle risposte. Adesso.
Rick si affiancò a Rita, appoggiandosi anche lui alla scrivania. “Allora?” domandò “Che facciamo?”.
“Avete sentito Hideki, no?” un’espressione di ferma decisione animò i tratti del Prof “Diamoci da fare, dobbiamo avere un quadro generale dell’intero sciame sismico da quando è iniziato, al largo della Depressione di Nankai[*], a oggi, senza tralasciare le probabilità che siano di origine vulcanica, per cui: Hisui, chiama quelli della JMA e fatti mandare tutti i dati riguardanti la geodesia e il magnetismo; se c’è stata una variazione dei campi o un sollevamento della crosta lo devo sapere. Con Rick elaborerete un modello fisico-matematico. Toshi, contatta tutti gli FVO della Prefettura e verifica se ci sono state emissioni gassose fuori dalla norma o variazioni chimiche. Rita, tu mi stilerai una mappa della sismicità, voglio sapere epicentro, ipocentro e magnitudo di tutti i terremoti che sono avvenuti. Non mi importa quanto dovremmo lavorare, ma qualsiasi cosa stia succedendo a questa Prefettura, la scopriremo oggi, sono stato chiaro?”.
I membri della sua squadra annuirono con convinzione alle sue parole e lasciarono rapidamente il suo ufficio per mettersi subito in azione.
Deciso a giocarsi il tutto per tutto, Yuzo afferrò la cornetta del telefono che aveva sulla scrivania, componendo rapidamente il numero di un interno dell’FVO. Squillò libero un paio di volte, prima che la voce allegra di una delle responsabili rispondesse.
“Qui è il magazzino, in cosa posso esserle utile?”.
“Okawa, sono il Vice Direttore Morisaki: abbiamo ancora quella mappa luminosa dell’esercito?”.

Takumi entrò nella stanza dei sismografi con due tazze ricolme di caffè fumante. “Dottoressa, che ne dice di una pausa?” propose, appoggiando il coccio bollente accanto al monitor davanti al quale Rita restava immobile da ore.
“No, Pisellino, niente pausa. Non posso più concedermene.” Ma afferrò comunque la tazza dando una breve sorsata al liquido, dolce al punto giusto, senza staccare gli occhi dai sismogrammi e le tabelle piene di valori. Da parte, su di un foglio, annotava date, coordinate e altri numeri relativi agli eventi che più le interessavano, mantenendo lo sguardo sempre attento e vigile per non lasciarsi sfuggire nulla.
Il tirocinante sospirò, prendendo una sedia e accomodandosi accanto a lei. “Otto occhi sono meglio di quattro.” Affermò, cominciando a scrutare anche lui i dati “Cosa stiamo cercando?”.
La sismologa abbozzò un sorriso, osservandolo con la coda dell’occhio: Takumi si stava dando davvero da fare senza lamentarsi nemmeno per un secondo; nel tempo che lei aveva continuato a sezionare tutti i singoli eventi da quello (α) ai successivi, lui aveva compilato l’elenco richiestole da Yuzo, con attenzione e celerità. Ormai, anche il tirocinante aveva capito che non c’era più tempo da perdere.
“Microscosse.” Affermò Rita, tirando su gli occhiali ed appoggiandosi contro la spalliera della sedia. “Gli eventi che hanno interessato la nostra zona, nell’ultima settimana, sono intervallati da una serie di microscosse ad alta frequenza.”.
“Ed è un male?” domandò Takumi.
“Sì, se non sono conseguenze dell’evento (α). Per questo, dobbiamo capire quando sono cominciate.” E gli passò una pennetta USB “Io mi occupo di quelli che vanno dall’evento (α) in poi, tu farai un lavoro inverso: parti dall’ultimo e torna indietro. Se trovi qualcosa, anche la più stupida, dimmelo immediatamente e non tralasciare ciò di cui non sei convinto.”.
Il ragazzo annuì, caricando immediatamente i dati sulla sua postazione e mettendosi a lavoro.

“A-ah… a-ah… sì, ho capito. Darò subito un’occhiata alle immagini che mi hai inviato… Sì, certo, informeremo tutti gli FVO appena saremo sicuri della situazione. A presto.” Toshi chiuse la conversazione, posando lentamente la cornetta sul supporto che aveva sulla scrivania. Con espressione pensierosa e sopracciglio inarcato, si rilassò contro la sedia, incrociando le braccia al petto. “E’ strano…” borbottò, pensando ad alta voce.
Rick spostò lo sguardo dal monitor, su cui stava lavorando per creare il modello seguendo i dati che Hisui aveva ottenuto dalla JMA, al geochimico.
“Qualcosa non va?”.
L’interpellato sospirò “Non saprei dirlo con certezza.” Ammise, mentre Meteo-man si appoggiava alla scrivania dell’ingegnere.
“Ci sono state emissioni gassose anomale?” domandò, ma l’altro scosse il capo, mantenendo lo sguardo fisso in un punto senza realmente vederlo.
“No… o almeno, non in superficie, attraverso qualche frattura o fumarola.”.
Rick smise di smanettare con la tastiera “In che senso?”.
Solo allora Toshi parve riscorsi dai suoi pensieri, sporgendosi nuovamente in avanti per osservare i due colleghi. “Tajima dell’FVO a Sud della Regione dei Cinque Laghi[3], mi ha detto che un pescatore, tre giorni fa, nel Tanuki[4] ha trovato numerosi pesci morti o morenti.
L’ispanico ci pensò su “Un aumento dell’acidità.” concluse.
“Di tre/quattro punti sul valore standard.” Annuì il geochimico, lasciando che lo stupore si impossessasse dei visi dei suoi interlocutori. “Poi i parametri si sono stabilizzati, ma sempre intorno a valori inferiori di mezzo punto, un punto. Hanno chiuso il lago per continuare i controlli.” Spiegò Toshi “Mizunashi dell’FVO sul versante Nord-Ovest ha invece detto che svariati alberi della Foresta Aokigahara[5] si sono seccati, marciti, come bruciati in pochissime settimane.”
“Colpa del freddo?” azzardò Rick.
“No, sembrerebbe di no; pensavano a qualche parassita, ma con la neve fino alle pendici è molto difficile verificare. Hanno rimandato i controlli a dopo il disgelo.” E sbuffò “Infine, dall’FVO sul versante Est, nella Prefettura di Kanagawa, ho scoperto che ci sono state parecchie slavine nell’ultimo periodo.” Si strinse nelle spalle “Asseriscono come causa principale gli eventi sismici che si sono succeduti fino ad ora, che hanno pericolosamente variato la stabilità del manto nevoso, ma Suzu, il geochimico con cui ho parlato io, non è d’accordo: erano l’osservatorio più distante dagli epicentri e poi gli eventi li hanno registrati solo attraverso i sismografi. Lui ritiene che sia colpa della temperatura al suolo, troppo alta rispetto la media stagionale.”.
“E che quindi fa sciogliere il ghiaccio.” Il meteorologo abbassò la mascherina “Strani eventi che si sono concentrati in questo mese, ovvero, da quando l’anomala attività sismica ha cominciato ad interessare la città città. Non credo sia un caso.”.
“Nemmeno io…” il ticchettare della tastiera, su cui Ricardo faceva nuovamente scivolare le dita con rapidità, riempì il silenzio che rimase sospeso per qualche secondo, prima che Toshi continuasse “Ci deve essere un nesso tra tutte le cose e, se ci aggiungiamo anche la microsismicità trovata da Rita e quei valori di (b)… a me viene in mente un’unica ipotesi, per quanto assurda sia…”.
Una volta eliminato l’impossibile…” l’ingegnere si attirò l’attenzione degli altri due che osservarono la sua espressione terrea, mentre fissava il monitor come se fosse un mostro “…quello che resta, per improbabile che sia, dev’essere la verità.”[6] E girò lo schermo in modo che anche Hisui e Toshi potessero vedere l’animazione risultante dal modello che aveva ottenuto con i dati della JMA.

“Dottoressa, presto venga a vedere! L’ho trovato!” Takumi la chiamò in preda all’agitazione dopo nemmeno un’ora che si era messo a controllare la sua parte di terremoti e a Rita non sembrava possibile. “Le microscosse cominciano da qui.”.
“Fa’ vedere!” la sismologa scrutò diagrammi e valori, prima di impallidire visibilmente: Takumi lo aveva trovato davvero l’inizio, ma era presto, troppo, troppo presto rispetto quanto avesse mai sperato. Si era aspettata di non trovarle subito dopo l’evento (α), ma che fossero cominciate addirittura la settimana prima rispetto quella che lei aveva preso in considerazione era… era… una catastrofe.
“Prima di questa data…” spiegò Takumi “…le microscosse erano molto discontinue, a volte totalmente assenti tra un evento e l’altro, ma da qui in poi, ci sono sempre state.”.
Rita non trattenne un grugnito “Merda.” Adesso avevano finalmente la conferma che stavano cercando: seppure l’evento (α) fosse stato di origine tettonica, quello che ora stava avvenendo nella loro zona… non lo era più.
“Stampami gli spettri delle frequenze.” Ordinò con fermezza al tirocinante che si mise subito in moto, mentre lei stampava i sismogrammi della settimana incriminata; Yuzo doveva vederli subito.
“Dottoressa…” mentre la stampante vomitava fogli su fogli, Takumi si attirò la sua attenzione; aveva un sopracciglio inarcato e l’espressione preoccupata “…io sono qui da poco ed ho ancora molto da imparare, ma… ho visto una differenza tra le microscosse della scorsa settimana e quelle degli ultimi tre giorni.” Scosse il capo “All’inizio non l’avevo notato, perché ero concentrato sulla ricerca dell’inizio della microsismicità, però… ora che ci penso… le prime avevano un’alta frequenza, ma le ultime… una frequenza altamente variabile e questo… non è tremore spasmodico[7]?”.
Se la situazione non fosse stata così critica, Rita gli avrebbe detto che era davvero in gamba per essere un Pisellino.

Quando i due robusti magazzinieri erano entrati nel dipartimento al terzo piano, spingendo l’enorme mappa in materiale trasparente, si erano attirati non poche occhiate incuriosite da parte degli altri ricercatori al lavoro presso le proprie scrivanie.
La mappa, che rappresentava il Giappone ed i margini di placca lungo i quali sorgeva, era un regalo da parte dell’Esercito dopo che avevano smantellato una base nel Pacifico. Essendo una mappa corredata di tettonica, l’avevano data al VRC che poi l’aveva assegnata al loro osservatorio, ma non l’avevano mai usata… fino ad ora. A Yuzo serviva una cartina della Nazione quanto più grande possibile e quella faceva proprio al caso suo.
Appena erano arrivati, aveva aiutato i magazzinieri a portarla nel suo studio ed aveva atteso l’elenco dei sismi da parte di Rita. Una volta avuto, aveva segnato sulla mappa solo gli eventi da magnitudo tre in poi.
Adesso restava ad osservare il risultato, braccia conserte, appoggiato alla sua scrivania.
La mappa, completamente trasparente, aveva i contorni del Giappone illuminati di verde ed i margini di placca in azzurro. In rosso, erano individuati gli eventi sismici che Yuzo aveva ritenuto più importanti, mentre il puntino giallo indicava la microsismicità. Ma il tutto continuava a non avere senso nemmeno così.
Con uno sbuffo, Yuzo tolse la cicca spenta che continuava a rimestare tra le labbra, buttandola sul tavolo alle sue spalle.
“Allora…” disse, passandosi una mano sul viso e cominciando a parlare da solo “…ricapitoliamo. L’attività sismica è cominciata nelle profondità della Depressione di Nankai. Se fosse stata una conseguenza dell’acceleramento tettonico, ipotizzato dall’ERI, avremmo dovuto avere terremoti lungo tutti i margini della placca, ed invece no.” E gesticolò animatamente come se ci fosse stato davvero qualcun altro con lui “Ma ammettiamo che l’evento sia comunque tettonico e le vibrazioni abbiano agito su uno strato di rocce più fragili: sforzi, deformazioni, rottura, terremoti. Fino ad arrivare a Shimizu City, dopodichè, lo schema si è ripetuto.”.
Senza smettere di osservare la mappa, si mosse verso essa seguendo con le dita tutto il percorso costellato di puntini rossi. “La migrazione di epicentri è salita… fino ad arrivare a Nankatsu e poi si è bloccata. Perché? Se avesse seguito la stessa logica iniziale, avrebbe dovuto continuare verso l’alto fino a trovare una nuova stabilità, ma anche qui… la risposta è negativa.”.
Si strinse nelle spalle. “Forse ha trovato una superficie di discontinuità che ostacola la propagazione, ma, a questo punto, il fenomeno avrebbe dovuto scemare e terminare col raggiungimento di un nuovo equilibrio, eppure… la terra continua a tremare, per non parlare della microsismicità…” le dita scivolarono sul puntino giallo. “No… a Nankatsu sta succedendo qualcosa di diverso da due o, chissà, magari tre settimane…” ma doveva aspettare le ultime analisi di Rita per averne conferma.
Scosse il capo con stizza, portandosi le mani ai fianchi e passeggiando nervosamente per la stanza. “Ma perché proprio qui?! Che cosa può esserci in questa zona che…” ma interruppe la frase prima di portarla a termine. Gli occhi si allargarono a dismisura e la testa si mosse rapida verso la mappa. La osservò a distanza, cercando in qualsiasi modo di convincersi che non fosse possibile, ma ogni ipotesi che tentava di formulare, veniva bocciata sul nascere. Alla cieca, afferrò la riga che aveva sul tavolo; gli occhi puntati sulla mappa che non si muovevano nemmeno di un millimetro. “Non può essere… non può…” borbottò, raggiungendo la cartina in rapide falcate.
Alla buona, utilizzò la riga per effettuare una rudimentale interpolazione dei dati, la retta di bestfit puntava in un’unica direzione.
“Come abbiamo fatto a non capirlo prima?” mormorò, gettando la riga sul pavimento e correndo alla finestra, dietro la sua scrivania, che spalancò con decisione incurante dell’improvviso gelo che invase la stanza e smosse i fogli, abbandonati sul tavolo, con un fruscio. Lo sguardo rapito dal paesaggio all’esterno e da quella risposta che affannosamente stavano cercando da giorni.
“E’ sempre stata sotto i nostri occhi… per tutto il tempo.”.
Sullo sfondo di un cielo plumbeo, il Fuji si stagliava nitido e candido come un mostruoso fantasma.


[1] RUTTOLOMEO: Stella Solitaria, Principe Valium, Principessa Vespa e Ruttolomeo sono i personaggi del divertentissimo “Balle Spaziali”, film del geniale Mel Brooks che fa un po’ il verso a “Guerre Stellari”. Da vedere, rivedere e stravedere fino a che non saprete le battute a memoria e dopo… rivederlo ancora!

[2] “TU… NIENT!”: “Tu non hai visto niente!”. Frase che fa un po’ il verso a quella pronunciata dai Pinguini nel film “Madagascar”. XD

[3] REGIONE DEI CINQUE LAGHI: zona realmente esistente, situata nella Prefettura di Yamanashi, a Nord del Cono del Fuji. La regione è chiamata così per la presenza di cinque laghi, piuttosto importanti, che costeggiano le pendici del vulcano.

[4] TANUKI: E' un lago situato ad Ovest del Monte Fuji, precisamente a Fujinomiya City, nella Prefettura di Shizuoka.

[5] FORESTA AOKIGAHARA: una delle foreste più famose che si stende ai piedi del Fuji per circa tremila ettari. È tragicamente conosciuta come ‘La Foresta dei Suicidi’, per l’alto numero di gente che decide di togliersi la vita proprio tra le sue fitte e oscure fronde boscose. Situata sempre nella Prefettura Yamanashi, si stende verso Nord-Ovest.

[6] “UNA VOLTA… VERITA’”: la frase pronunciata da Rick è una delle più famose di Sherlock Holmes.

[7] TREMORE SPASMODICO: ogni eruzione che si rispetti è sempre accompagnata da dei segnali ‘premonitori’. Uno di questi, per quanto faccia già supporre uno stato avanzato dell’evento eruttivo, è il ‘tremore’ ovvero: la presenza continuata di sismi, a magnitudo non troppo alta. A seconda delle frequenze e delle ampiezze delle scosse appartenenti al tremore, questo può dividersi in: Spasmodico, con frequenze ed ampiezze variabili, ed Armonico, con frequenze ed ampiezze pressoché costanti.


NOTE AGGIUNTIVE:

[*]- ERRATA CORRRRRRRIGE: che ancora non mi capacito di come sia potuta accadere! T_T Ringraziate la Betta che, in merito ad un suo suggerimento, mi ha fatto implicitamente scoprire il DANNO. Ho sbagliato a posizionare la Fossa del Giappone. Ero convinta che si trovasse a Sud, mentre è localizzata verso Nord-Est. Quella che io ero convinta fosse la Fossa, è in realtà la Depressione di Nankai. Ovviamente, scoperto il misfatto, ho provveduto a correggere subito in tutti i capitoli. T_T sono davvero mortificata!

- Di preciso, non so dove siano realmente presenti gli FVO per il monitoraggio del Fuji. Magari l’avrei pure scoperto, se le informazioni non fossero scritte in giapponese! XD Scusate, i kanji ancora li so leggere. Quindi, ho lavorato un po’ di fantasia sulla loro ubicazione! :P

- Quando si parla di ‘acidità’, ricordate che questa aumenta all’abbassarsi del pH. Ergo, dire “C’è stato un aumento dell’acidità di tre/quattro punti.” significa dire che il pH è sceso di tre/quattro punti. Es: il pH neutro è 7. Un’acqua con pH = 4 o 3 è sicuramente acida (pure parecchio! XD i pesci crepano già con pH di circa 4,5).
Emissioni di monossido di Carbonio, anidride carbonica e gas contenenti Zolfo, fanno irrimediabilmente aumentare l’acidità dell’acqua, ergo: una frattura sul letto del lago, sbocco perfetto di una fumarola, può favorire un degassamento del materiale magmatico e, quindi, rendere un comune laghetto una tomba.
Ma queste, sono tutte cose che ritroverete nel prossimo capitolo.


…E poi Bla, bla, bla…

Lo so, da Giugno ad oggi sono trascorsi quattro mesi e sono tanti.
Mi scuso davvero per il ritardo nell’aggiornamento, ma ultimamente non sono proprio al massimo della forma, soprattutto perché non riesco a liberarmi dell’ultimo, odiosissimo esame che mi sta uccidendo in maniera lenta e dolorosa.
Ad ogni modo, sono notevolmente contenta di aver concluso questo capitolo; spero di riuscire ad accorpare i due successivi così da ridurre il groppone! XD
Io e le cose da 300 capitoli non andiamo troppo d’accordo. XD
Comunque, vorrei festeggiare con voi: questo è il VENTESIMO CAPITOLO (ufficioso, visto che il 14° era diviso in due parti!) e sono molto orgogliosa perché non mi era mai capitato di scrivere una fic… così long! È un piccolo traguardo e non posso non ringraziare le persone che, fedelmente, hanno continuato a leggermi fino ad ora. Soprattutto, non potevo non ringraziare coloro che mi hanno addirittura recensito, lasciandomi, quindi, un loro parere.
GRAZIE! *___*
Ormai siamo entrati nella parte finale della storia, i nostri hanno finalmente capito cosa sta succedendo nella Prefettura, ma non è affatto una buona notizia.
Se tutto va bene (speriamo T_T) dovrebbero mancare ancora 7 capitoli e l’epilogo prima di leggere la parola “FINE” ad Huzi. Sette capitoli in cui può succedere… di tutto! *blink*

Giusto per farvi nuovamente quadrare i conti o rinfrescarvi le memorie perdute, vi lascio una piccola ‘Cronologia’ relativa alle ‘tappe sismiche’ della fic e... una MAPPA della zona! XDDD Ringraziate, di nuovo, la Betta: è stata lei a darmi questo suggerimento che io ho trovato ottttttimo! *_* I Love la mia Be(t)ta. *.*

MAPPA:

- Pseudo-Mappa degli eventi sismici e delle locazioni dei luoghi citati. (prendetela con le pinze, ho fatto il meglio che potevo! XD)

CRONOLOGIA:

- Mercoledì 13 Dicembre 2006: sisma al largo della Depressione di Nankai.
- Lunedì 15 Gennaio 2007: sciame sismico al largo di Shimizu City.
- Giovedì 18 Gennaio 2007: 1° scossa a Nankatsu.
- Martedì 30 Gennaio 2007: inizio appurato della microsismicità.
- Martedì 6 Febbraio 2007: 2° scossa in una settimana.
* microsismicità: 280 sismi*
- Giovedì 8 Febbraio 2007: 3° scossa in una settimana.
*microsismicità: 330 sismi*
- Sabato 10 Febbraio 2007: 4° scossa in una settimana.
*microsismicità*
- Domenica 11 / Venerdì 16 Febbraio 2007: scosse di magnitudo variabile (percepibili soprattutto ai piani alti degli edifici), intervallati da microsismicità crescente.
*microsismicità*
- Giovedì 15 Febbraio 2007: inizio del tremore spasmodico.
- Sabato 17 Febbraio 2007: ultima scossa corrente.

Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

- Hikarisan: XD ehm! Mai dire mai sui ‘colpacci’: sono tali per un motivo! *blink* Ed io sono una donna perfida con i miei personaggi *_*.
Grazie mille per i tuoi complimenti, spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento e mi scuso ancora per la lentezza T_T In questo periodo, si fa davvero quel che si può.

- Eos: XDDDDDD lo so che non se ne poteva più!!! LOL! E’ stata una liberazione anche per me farli finalmente ‘trovare’. Ti ringrazio per tutti i complimenti T_T ma lo sai che io sono molto più autocritica sulle etero che sulle yaoi… forse perché non ne scrivo mai! XD
E comunque… *ghghgh*… ti pareva che io, IO!, non li facessi consumare?!?!?!?!? AHAHAHAH! XDDDDDDDD anche se non l’ho descritta, dopo tutta la fatica che hanno fatto, una trombata se la meritavano ecchediamine! XD Altrimenti sarebbero stati LORO ad uccidere ME! XD (cerca di capire anche Yu-chan: astinenza da QUATTRO anni, ahò, mica cotica! LOL!)
PS: fai bene a non metter via la scimitarra… *blink*…

Ed anche per questo capitolo è tutto!
Sperando di aver allietato una mezzora del vostro tempo, vi rimando al prossimo capitolo dove potrete finalmente ammirare (XDDD) la ‘locandina’ di questa fic (E tutto senza far uso di sostanze stupefacenti! XD)!

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Documento senza titolo

Dopo un anno di assenza, mi sembra quasi doveroso fare una sorta di ‘punto della situazione’ per permettere a tutti voi di ricollegare i fili dell’intera vicenda e ricordarvi cosa era successo.
Di seguito troverete un piccolissimo riassunto degli eventi narrati fino al capitolo 19 e sto anche provvedendo a rileggere e sistemare i capitoli precedenti.
Perdonate il ritardo mostruoso, non ricapiterà più. Sono tornata e Huzi vedrà la fine nel corso di questo 2010.
E’ una promessa.


Dove eravamo rimasti…
«Dopo tre anni trascorsi dall'altra parte del mondo, Yuzo Morisaki - vulcanologo e Vice Direttore dell'FVO (Fuji Volcano Observatory) - torna finalmente in Giappone.
Costretto da un'intransigente Sanae a partecipare ad una serata in memoria dello scomparso Misugi, Yuzo conosce la sorella di Taro Misaki, Yoshiko Yamaoka, con la quale instaura subito un legame di amicizia.
A causa di una improvvisa scossa di terremoto, Yuzo scopre che la situazione della Prefettura - ed in particolare di Nankatsu - è altamente instabile e, insieme alla sua squadra di specialisti, si mette al lavoro per cercare una spiegazione all'alta attività sismica.
Tra un Vice Prefetto troppo arrivista per capire la pericolosità della situazione e la gelosia di Taro, Yuzo riesce ad affrontare i sensi di colpa per la morte della moglie, avvenuta quattro anni prima, e ad aprire nuovamente il suo cuore ad un nuovo sentimento di amore verso Yoshiko.
Ma mentre tutto sembra finalmente andare per il verso giusto, la terrificante verità dietro l'anomala sismicità di Nankatsu sta finalmente per venire a galla, e la verità si chiama "Fuji".»


Huzi-locandina

 

Huzi

- Capitolo 20 -

“E questo è quanto.”
A quelle parole, Saya tirò un profondo sospiro sollevato, mentre seguitava a guardare la sua migliore amica seduta all’altra parte del piccolo tavolo di quel salotto-cucina. Il sorriso saldamente ancorato alle labbra, l’espressione serena e, dopo tante sofferenze, finalmente felice. Ma felice davvero, quel senso di profondo benessere in cui ci si trova una volta arrivati in cima alla maledetta salita che si credeva insormontabile. Adesso, Yoshiko poteva finalmente guardare dal punto più alto tutta la sofferenza che si era lasciata alle spalle, pronta ad affrontare la discesa davanti a sé, dove l’attendeva il suo futuro. O meglio, il loro. Il suo e quello di Yuzo, insieme.
E Saya, che aveva condiviso parte delle sue gioie e delle sue paure, delle sue attese e delle sue delusioni, non poteva non sentirsi altrettanto felice per lei.
“Che romantico.” cinguettò, sbattendo velocemente le palpebre, in una perfetta imitazione di Fuyuko che strappò una risata anche a Yoko. Poi assunse un’espressione più subdola, mentre nascondeva una perfida risatina dietro la mano. “Sai come impazziranno le ragazze appena lo sapranno?”
“Saya, lo so che non vedi l’ora di sbandierarlo all’Universo Conosciuto, che credi.”. Yoko buttò giù un lungo sorso di tè. L’altra si sporse, aggrappandosi al tavolo e facendole gli occhi dolci nel tentativo di muoverla a compassione.
“Oh, eddai! Ti prego, posso dirglielo io?! Ti prego!”
La sorella di Misaki le rivolse uno sguardo sostenuto per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere ed agitare una mano. “Certo che puoi, ormai sei diventata il mio Addetto Stampa.” poi sospirò con una certa teatralità “Eh, cosa faresti se non ci fossi io ad allietare le tue giornate, mh?”
Saya s’alzò per andare ad abbracciarla con affetto e mettere da parte, per qualche secondo, il lato infantile di sé. “Sono davvero contenta che tra voi si sia risolto tutto per il meglio.” disse con un sorriso. “Ormai avevo preso in simpatia il tuo vedovello.”
“Grazie, Sa-chan. Sei stata preziosissima, se non ci fossi stata tu a darmi i giusti consigli, sarei rimasta a rotolarmi nei miei mille dubbi.” e Yoko le era davvero riconoscente per la sua amicizia insostituibile.
“Oh, non dirmi così! Lo sai come sono sensibile ai complimenti!” la ragazza cercò di stemperare il tono commosso facendosi vento prima di scoppiare a piangere come una fontana, rapidamente tornò al suo posto, mandando giù un buon sorso di tè ormai tiepido.
Dalle imposte aperte della finestra, la luce di quel Febbraio, che sembrava intenzionato a perdurare nel suo stato nuvoloso, illuminava l’ambiente con un certa difficoltà, ma Yoshiko non sembrava fare troppo caso al cattivo tempo. Aveva ben altro cui pensare ed anche se una questione si era risolta, ce n’era ancora un’altra che aspettava di essere chiarita. Una questione cui anche Saya pensò.
“Hai più sentito tuo fratello?”. La sua vicina di stanza glielo domandò valutando attentamente le sue reazioni, ma lei si limitò a sospirare, rigirando la tazza ormai quasi vuota.
Si strinse nelle spalle, scuotendo il capo.
“No, non ancora.”
“Non potrai evitarlo per sempre, lo sai vero?”
“Sì, lo so.”. Dopo qualche attimo di silenzio in cui era rimasta a fissare il fondo del tè, Yoshiko appoggiò i gomiti sul tavolo, sprofondando il viso tra le mani. “Gli ho detto delle cose orribili, Saya. Sono stata troppo dura con lui.”
“Eri arrabbiata e credo che questo lo abbia capito anche Taro.” ridacchiò l’amica, cercando di stemperare la sua espressione seria. “E poi un po’ se l’è cercata, no?”
Non lo disse esplicitamente, ma lo pensava anche Yoko: suo fratello se l’era meritato, un pochino pochino, anche se aveva cercato di giustificarsi dicendo di averlo fatto per il suo bene; lei, per il suo bene, invece, lo aveva strigliato. Potevano considerarsi pari.
“Vedrò di chiamarlo più tardi.” si convinse, annuendo, e lentamente si alzò per riporre le rispettive tazze nel lavello. “Anche se sarebbe meglio parlarne di persona; magari faccio un salto a casa sua.”
“Mi sembra un’ottima idea!” convenne Saya, senza nascondere una punta di orgoglio nei suoi confronti, ormai non avrebbe più potuto dirle di smettere di comportarsi come una bambina, visto che non tendeva più a nascondersi per rifuggire i problemi che le sembravano particolarmente difficili.
In quel momento, qualcuno bussò alla porta dell’appartamento con un paio di colpi un po’ titubanti.
Saya si volse ad inquadrare l’ingresso con espressione interrogativa. “Aspettavi qualcuno?” le domandò, ma l’interpellata scosse il capo, asciugando le mani.
“Non che io sappia. Ieri non ero nemmeno in casa.”
A quelle parole, sul viso della sua ricciuta amica comparve uno di quei sorrisi furbetti e perfidi di chi ha appena lasciato la fantasia a briglia sciolta. “Chissà, magari è il tuo vedovello. Si vede che non può stare lontano da te!” in falcate saltellanti raggiunse la porta, mentre Yoshiko inarcava un sopracciglio, ridendo divertita.
“Yuzo ha cose più importanti da fare, in questo momento…” – …come salvare il mondo! – “…sarà sicuramente al lavoro, immerso nelle miriadi di carte.” ma Saya non demorse.
“Staremo a vedere.” e sperò seriamente nell’apparizione di Yuzo, in modo da avere altro da aggiungere alla pioggia di pettegolezzi con cui avrebbe allietato la giornata delle Tre Grazie, ma quando sulla soglia si ritrovò Taro rimase immobile per tre secondi netti, prima di esibire un tiratissimo sorriso a trentadue denti ed esclamare quel “Taro!” a voce alta e carica di verve per farsi sentire da Yoko.
“Ciao, Saya. Mia sorella è in casa, vero?”
“Ah… ehm…” la ragazza si volse, lanciando un’occhiata piuttosto agitata alla giovane che si limitò ad annuire appena, dandole una sorta di via libera. “Sì! C’è!” esclamò, facendosi da parte “Ed io mi sono appena ricordata di un impegno urgentissimo che non posso rimandare, ciao Taro! Ciao Yokoooo!” allungando a dismisura la ‘o’ finale e lasciandole intendere che, più tardi, avrebbe dovuto raccontarle tutto per filo e per segno. Poi, si dileguò, intrufolandosi rapidamente nel proprio appartamento.
Rimasti soli, Taro seguitò a restare sulla soglia con le mani nelle tasche del cappotto. Era rimasto l’intera giornata a pensare a cosa fare: telefonarle prima o presentarsi direttamente da lei? Alla fine aveva optato per l’incontro diretto, ma aveva tergiversato fino all’ultimo perché si sentiva terribilmente in colpa per quello che aveva fatto, per essersi intromesso in quel modo, ma, soprattutto, aveva tergiversato perché non avrebbe saputo che fare qualora sua sorella non avesse voluto nemmeno vederlo, mantenendo fede alle parole che gli aveva sputato contro nell’impeto della rabbia. Rapidamente, levò lo sguardo su di lei che era rimasta ferma, appoggiata al mobile della cucina con le braccia conserte e si decise ad uscire dall’imbarazzo e la difficoltà iniziale.
“Posso entrare?” domandò, temendo la sua risposta. Yoshiko non rispose subito, facendolo restare sulla graticola ancora per qualche altro momento, prima di abbozzare un sorriso ed avvicinarsi al tavolo.
“Certo che puoi, siediti.”
Anche se lei non se ne accorse, in quel momento Taro tirò un profondo sospiro sollevato, lasciando che parte della tensione provata fino a quel momento abbandonasse le sue spalle. Con calma si liberò del cappotto pesante, appoggiandolo sull’attaccapanni accanto alla porta di ingresso che aveva richiuso sui suoi passi.
“Vuoi un tè? Io l’ho già preso, ma te lo preparo se ne vuoi un po’. Fuori fa un freddo cane.” propose la ragazza, ma lui scosse il capo, prendendo posto nella sedia accanto a lei.
“Grazie, sto bene così.” ed incrociò le mani sulla liscia superficie del tavolo.
“Ok.”
Il silenzio aleggiò tra loro per un tempo che il giocatore dello Jubilo Iwata non seppe definire, mentre si rimestava le dita con un certo nervosismo, prima di decidersi a prendere le mani della sorella tra le sue e buttare fuori tutto quello che pensava.
“Mi dispiace, mi dispiace davvero di essere stato così… pessimo.” disse d’un fiato e guardandola dritto nei suoi occhi nocciola “Io non volevo intromettermi nella tua vita, non volevo farti soffrire, non volevo tutto questo. Ero solo preoccupato per te e volevo… volevo fare il tuo bene perché sono tuo fratello e proteggerti è il mio compito, ma…” sospirò, rivolgendole finalmente uno di quei suoi sorrisi affettuosi cui lei era profondamente legata “…sembra che ormai non spetti più a me. Credevo che saresti per sempre rimasta la ragazzina che mi portava i fiori nello spogliatoio chiedendomi di vedere nostra madre almeno per una volta. Ed invece il tempo è passato, ed io non ho più il diritto di dirti cosa sia giusto o meno per te.”. Poi, inarcò un sopracciglio dipingendosi un’espressione abbastanza eloquente quando concluse “Sei davvero sicura che io assomigli alla mamma?”
Yoshiko non trattenne una risata nel vederlo leggermente ‘turbato’ all’idea. “No che non le somigli.” disse ricambiando la stretta delle sue mani “E dispiace anche a me averti detto quelle cose, non le pensavo davvero ero solo… molto arrabbiata. Lo so che mi vuoi bene e che le tue azioni sono state dettate solo dall’affetto e mi dispiace di essermela presa in quel modo, però… sono contenta che tu abbia capito.”. Lentamente si alzò, prendendo posto sulle sue gambe come faceva quando era più piccola. “Ci tenevo davvero tanto al tuo appoggio.”
“Quindi… non era troppo tardi, vero?” ed il sorriso che sua sorella gli rivolse fu più chiaro di qualsiasi risposta. Stavolta sorrise anche lui ed era sincero.
“Abbiamo deciso di darci una possibilità e sono sicura che le cose andranno bene.”
“Ne sono convinto anche io.” Appoggiò, abbracciandola con affetto. “Yuzo è una brava persona e so che farà di tutto per renderti felice.”
Yoshiko sospirò, il mento appoggiato tra il suo collo e la spalla “Sei ancora preoccupato?”
“Mentirei se dicessi di no. Per quanto lo rispetti, l’opinione che ho del suo lavoro non la cambierò tanto facilmente.” Taro sciolse l’abbraccio per poterla guardare negli occhi “E’ pericoloso, in certi casi, e credo che ormai lo sappia bene anche tu: non voglio vederti soffrire come ha sofferto lui alla morte di Aiko. Comprendimi, sei mia sorella.”
“Certo che ti comprendo.” sorrise Yoko “Ma so anche che Yuzo non farebbe mai nulla che possa mettermi nella stessa condizione in cui si trovò lui quattro anni fa. E’ diventato più attento e prudente di quanto già non fosse, stai tranquillo.”
A Taro non restò che capitolare in via definitiva. In cuor suo, sperò davvero che la loro storia potesse avere uno svolgimento tranquillo e sereno: Yuzo era suo amico da una vita, Yoshiko era la sua adorata sorellina, nessuno, più di lui, avrebbe potuto essere felice per loro.
Con un sospiro ottimista, annuì alle parole di Yoko, prima di tirare in ballo l’ultima persona che sua sorella avrebbe mai voluto sentir nominare in quel momento. “E con la mamma come la metterai? Stamattina mi ha chiamato, pregandomi di convincerti a tornare a Sendai. Continua a sentire dei terremoti in TV…”
Il viso della ragazza assunse una smorfia seccata. “Oddio, ma perché… perché non mi lascia in pace?” sbuffò, sciogliendo l’abbraccio con Taro e prendendo a camminare nervosamente per la cucina. “Gliel’ho detto e ripetuto che non me ne andrò da qui.”
“Yoshiko, cerca di capire anche lei, è tua madre.”
“E’ asfissiante!”
Taro rise. “Lo so. Ma dovresti chiamarla e farle sapere che stai bene.”
Lei scosse il capo con rassegnazione, appoggiandosi contro il lavello della cucina. “E a che servirebbe? Mi direbbe di ritornare a Sendai, di cambiare città e andare a studiare altrove.” e lei non aveva la minima intenzione di fare una sola delle tre cose che aveva appena elencato.
Suo fratello la raggiunse lentamente, prendendo posto accanto a lei e passandole affettuosamente un braccio attorno alle spalle. “Ah, che fatica essere suoi figli.” sospirò con ironia e Yoko sbuffò un sorriso, mantenendo le braccia conserte.
“Parole sante.”
“Ma non puoi rifuggirla in eterno o passare le vostre telefonate a litigare, non sei d’accordo.”
Yoshiko poggiò la testa contro il suo petto; le sopracciglia aggrottate le conferirono un’espressione afflitta. “Io ci provo, Taro, devi credermi. Ogni volta cerco di parlarle e farle capire il mio punto di vista, ma lei non mi ascolta o finge di non ascoltarmi e mi dà della testarda.”
E suo fratello non stentava a credere che fosse vero per quanto sua madre, con lui, fosse stato meno invadente di come avrebbe sicuramente voluto; probabilmente perché troppo presa dal senso di colpa. “Provaci ancora, sorellina. Ripetiglielo fino a che non dovrà arrendersi all’evidenza.”
Yoshiko sbuffò, anche lei pienamente consapevole che non avrebbe potuto fare nient’altro. “Va bene. Stasera o domani vedrò di telefonarle…”
“Le dirai di Yuzo?”
La ragazza ci pensò su per una brevissima frazione di secondo. “Sì.” se c’era una cosa che aveva imparato, da che aveva conosciuto il vulcanologo, era affrontare le difficoltà senza tergiversare o metterle da parte, perché più si accantonavano, più diveniva difficile. E anche Taro le aveva appena detto di non rifuggire sua madre, quindi, se telefonandole avrebbe fatto trenta, tanto valeva fare anche trentuno.
“Ah, ma sei masochista allora.” ridacchiò suo fratello, riuscendo a strappare un sorriso anche a lei che gli avvolse la vita in un abbraccio affettuoso ed in cerca di appoggio.
“Prima glielo dirò, prima si abituerà all’idea. Almeno comincia a mettersi l’animo in pace.” poi scosse il capo “Ma sono sicura che mi toccherà chiedere l’intervento di papà. Ovviamente dovrai metterci una buona parola anche tu, che credi?!” concluse, pizzicandogli il fianco e sghignazzando.
“Va bene, va bene!” si arrese Taro ed anche se la lite tra loro era durata solo l’arco di una giornata, era felice di aver ritrovato la complicità che l’aveva sempre legato a sua sorella. Spalleggiarla contro sua madre, in fondo, sarebbe stato divertente. “Ti voglio bene.” disse, lasciandole un bacio sulla testa coperta dai lisci capelli castani e anche se non poteva vederla, era sicuro che Yoko stava sorridendo.
“Anche io, fratellone.”

Rita varcò la soglia del terzo piano travolgendo le due persone che stavano uscendo senza nemmeno scusarsi. I fogli stretti nelle mani, l’espressione pessima ed un continuo borbottio tra le labbra.
L’ignorato “Ehi! Ma che modi!” dei due poveri malcapitati che si erano ritrovati investiti dalla furia color carota si attirò l’attenzione del resto della squadra, ancora ferma presso la scrivania di Rick.
Guagliò, con me.” disse loro, ed i tre non se lo fecero ripetere, immettendosi nella sua scia.
“Rita, abbiamo capito cos-…” tentò Ricardo, ma la sismologa lo interruppe.
“Allora siamo in quattro.”
Toshi si portò una mano alla fronte mentre superavano le scrivanie e la gente al lavoro. “Oddio, non dirmi che è confermato?!”
“Sì, e stamm’ ch’i cazz’.”[1]
“Voglio emigrare in Giamaica!” piagnucolò Hisui sconsolato, mentre Rita spalancava con decisione la porta dell’ufficio di Yuzo, ma quando lo scorse fermo davanti alla finestra aperta dalla quale era ben visibile il cono del Fuji, si rese conto che fossero in cinque ad aver capito.
Ce si’ arrivato pure tu? Ma che tenimm’ i neuroni in sincrono?!”[2] sbottò e Yuzo si volse per incrociare il suo sguardo sconvolto con quello altrettanto allibito del resto della squadra. Il freddo di Febbraio divorava l’ambiente e smuoveva le carte sul tavolo.
Con un filo di voce chiamò finalmente il pericolo che incombeva, non più solo su Nankatsu ma su un’area che aveva addirittura cento chilometri di raggio massimo, col suo vero nome.
“E’ l’Huzi.”[3]
Passò in rassegna uno per uno i suoi colleghi, ma nessuno smentì quell’affermazione. Non c’era più alcun dubbio, ormai.
Inspirò a fondo. “Quanto è grave la situazione?” ma con tutti i terremoti che c’erano stati non si aspettò nessuna risposta rassicurante.
Il primo a parlare fu Hisui. “I dati geodetici forniti dalla JMA hanno evidenziato un rigonfiamento della struttura vulcanica, lento, ma costante e relative variazioni dei massimi gravimetrici e magnetici.”
“Nelle zone intorno al cono si sono verificati degassamento sotterraneo e innalzamento della temperatura al suolo.” continuò Toshi “Il lago Tanuki è stato chiuso, una parte della foresta Aokigahara è marcita e si sono verificate slavine.”
Ricardo incrociò le braccia la petto. “Dalle simulazioni, si direbbe che la macchina eruttiva si sia già messa in moto.”
“Togli il condizionale, Riccà.” Rita avanzò decisa verso la scrivania. Il pacco di fogli lanciato con malagrazia sul tavolo toccò la superficie con un sonoro tonfo, catturando il severo sguardo di Yuzo che lentamente si mosse per raggiungerlo. “La microsismicità è cominciata già alla fine di Gennaio ed il suo andamento ha dato i risultati che temevo.”
Mentre Rita parlava, lui prese alcuni dei fogli, dando un’occhiata ai tracciati. Ed era tutto come aveva sperato che non fosse, non ancora almeno, ed invece si trovavano già nel punto critico, quello in cui, anche se il destino non era segnato, non si poteva più fare finta di non vedere.
“C’è tremore spasmodico.” concluse la sismologa e Ricardo si massaggiò la fronte, sibilando quel sofferto “Dios mio…” che era un misto di preoccupazione e rabbia.
Accanto a loro, Toshi prese a scuotere lentamente il capo, mentre Hisui si lasciava sprofondare nel divano, togliendosi definitivamente la mascherina.
Il tempo si stava lentamente esaurendo ed aveva addirittura preso a scorrere più velocemente, ora che erano finalmente venuti a capo del mistero, che per giorni li aveva ingannati camuffando in segnali fuorvianti quella che era la risposta più ovvia ad ogni loro quesito. Perché ce l’avevano avuta sempre sotto gli occhi praticamente fin da subito. Ma per ogni giapponese, il Fuji era una specie di simbolo, la montagna sacra, quella che Yuzo si era fermato a contemplare infinite volte fin da quando era piccolo e come lui migliaia di altri giapponesi. Era una sorta di portafortuna, qualcosa di stabile e immutabile, che non importava quanto tempo saresti stato lontano da casa, al tuo ritorno lo avresti sempre trovato là, con la sua struttura perfetta e simmetrica, innevata quasi per tutto l’anno. E proprio questa sorta di stupido affetto infantile, di familiarità, gli aveva fatto dimenticare la cosa più importante, quella fondamentale, quella che nessun giapponese, soprattutto lui, avrebbe mai dovuto dimenticare: la loro montagna era un vulcano, e quel vulcano, dopo quasi tre secoli di quiescenza, era tornato in attività.
Lo sgomento iniziale per la scoperta trasfigurò sul suo viso in un’espressione severa che, aspramente, gli indurì i tratti. Afferrò lesto alcuni dei sismogrammi analizzati da Rita e, come il vento, lasciò lo studio senza dire una parola, ma i suoi colleghi sapevano esattamente da chi stesse andando e pensarono bene di non seguirlo.
Yuzo fece gli ultimi metri del corridoio che portavano allo studio di Hideki praticamente correndo e fuori dalla grazia di Dio, perché se quel maledetto imbecille di Kishu non avesse cercato in tutti i modi di ostacolare il loro lavoro, magari ci sarebbero potuti arrivare prima e non quando la massa magmatica era praticamente già in procinto di risalire perché, da quel momento in poi, tutto sarebbe potuto accadere e loro non avevano ancora preso nessuna contromisura in merito, non avevano stime ipotetiche del tempo che ancora li separava da un’eventuale eruzione, ipotesi sulla magnitudo, durata ed estensione areale della stessa.
Tanti, troppi fattori da prendere in considerazione e tutti ancora che erano contraddistinti solo da un punto interrogativo e preceduti da un enorme ‘SE’: se fosse avvenuta un’eruzione che avrebbe anche potuto non verificarsi affatto. Ma Yuzo aveva smesso di essere ottimista già da quattro anni e se lo sentiva fin sotto la pelle che il risveglio del Fuji non si sarebbe limitato solo a qualche avvisaglia, e quando ne scorse di nuovo il cono candido sul fondo grigio del cielo, attraverso le vetrate che costeggiavano il corridoio, ebbe la terribile certezza di cosa, in particolare, sarebbe accaduto.
“Adesso si fa a modo mio.” ringhiò, lanciando al vulcano un’ultima occhiata carica di rabbia prima di piombare nello studio di Hideki senza nemmeno bussare.
“Kishu voleva un valido motivo per non fare il suo fottuto comizio?” sbottò, sbattendo con forza i diagrammi sul tavolo, sotto al naso del burbero. “Beh, ora ne ha uno.”
Hideki lo guardò come se fosse appena uscito dal manicomio: gli occhi sbarrati, la bocca semiaperta ed il sigaro che per poco non gli cadeva dalle labbra.
“Ma, dico, ragazzo. L’amore t’ha dato di volta il cervello?!” borbottò incredulo “Di che diamine stai parlando?”
“Della sismicità anomala di Nankatsu e no, il mio cervello non è mai stato tanto a posto come ora.”
A quelle parole, il direttore dell’FVO alzò le braccia la cielo, felice come una Pasqua. “Halleluja, ci sei riuscito! Sapevo che non mi avresti deluso.” esclamò, togliendo entusiasticamente il sigaro dalla bocca. Afferrò alcuni fogli e cominciò a visionarli. “Allora? Qual è il problema? Lasciami l’onore di prendere a calci nel culo quello stronzetto in giacca e cravatta, ti prego-”
“Hideki!” Yuzo interruppe la sua frenesia, attirandosi lo sguardo interrogativo. Adagio, il vulcanologo appoggiò le mani sulla scrivania, sporgendosi verso di lui, e, dall’espressione che fece, il suo superiore si rese conto che non c’era nulla da stare allegri. “Si tratta del Fuji.”
Hideki boccheggiò per qualche momento, sbattendo le palpebre. “Del… cosa?!”
“Non sono impazzito.”
“E dovrei crederti?! Ti rendi conto di quello che mi hai appena-…”
“Cristo, Hideki! Solo Dio sa quanto vorrei che non fosse vero!” sbottò Yuzo, strappandogli con impazienza i fogli dalle mani e disseminandoli per tutta la superficie in modo che lui ne avesse una visione completa. “Ma non ci siamo sbagliati! Abbiamo contattato gli altri FVO: aumento della temperatura e acidità delle acque sono avvisaglie che da sole non bastano e lo so, ma a queste somma la migrazione ipocentrale, somma che sia arrivata proprio fin qui e non altrove, somma variazioni nelle anomalie magnetiche e gravimetriche. Sono troppi gli elementi che non hanno niente a che vedere con la tettonica.”
Il direttore continuò a scuotere il capo per nulla convinto e sicuro che fosse un’altra la spiegazione. I suoi occhi saettavano da un sismogramma all’altro, quasi a cercare in quel confondersi di linee una risposta che scongiurasse quella che sembrava essere l’ipotesi per una catastrofe.
“Ma la microsismicità-…”
E lì, Yuzo si attirò definitivamente il suo sguardo.
“Questa non è microsismicità normale.”
Le iridi scure di Hideki, da sopra le lenti da vista, si fecero enormi nel lento divorare quelle del vulcanologo. Le labbra tese e dritte rimasero serrate per qualche momento, prima che sibilarono quello sconcertato. “Non è possibile che siamo già arrivati a questo stadio così avanzato.”. Gli occhi si abbassarono di nuovo sui fogli che improvvisamente sembrarono dirgli ben più di quanto avrebbe voluto sapere. “Non è possibile che questo sia…”
“Tremore. E gli ipocentri sono tutti localizzati sotto la struttura vulcanica.” Yuzo sospirò lentamente “Non c’è nessun errore.”
“Cristo santo.” esalò Hideki “Da quanto tempo è spasmodico?”
“Circa tre giorni. Non ce ne siamo accorti prima perché eventi a più grande magnitudo li hanno coperti e perché eravamo troppo convinti che la causa fosse tettonica.”[4] si passò nervosamente una mano nei corti capelli scuri “Siamo stati degli imbecilli.”
Ma per Hideki quello era già passato in secondo piano, mentre lentamente si toglieva gli occhiali.
“Trecento anni, mio Dio… ti rendi conto di cosa significa?”
Yuzo chinò il capo, annuendo. Un ennesimo sospiro pesante venne rilasciato con forza.
“Sì.”
“E allora mettiti subito al lavoro. Cercate di farmi avere al più presto un quadro complessivo dell’hazard, voglio sapere quanto nere potranno essere le nubi davanti a noi.”
Yuzo annuì con risolutezza e subito si mosse per lasciare l’ufficio e dare disposizioni alla sua squadra, ma Hideki lo fermò che aveva appena afferrato la maniglia.
“Allerta tutto l’FVO, voglio ogni uomo, donna e tirocinante con il naso puntato sotto al Fuji. Io mi occuperò di contattare quelli dell’ERI e del VRC e, parola mia, questa telefonata se la ricorderanno a vita.”
“Come la mettiamo con Kishu?” domandò Yuzo senza voltarsi.
“Penserò io a lui, lo farò venire qui e voglio che ci sia anche tu quando gli parlerò.”. Hideki rimase per qualche secondo in silenzio, ma Yuzo non si mosse perché sapeva che l’altro aveva ancora qualcosa da dire. “Con quello che sappiamo ora, che suggerisci?”
Anche allora il vulcanologo seguitò a dargli le spalle, le iridi scure fisse sul legno della porta chiusa davanti a lui.
“Lo hai visto il cono del Fuji?”
Il sospiro di Hideki fu più eloquente di mille parole; lo aveva visto, eccome.
“Allora sai già la mia risposta.” e lasciò definitivamente l’ufficio.
Rimasto solo ed avvolto da un inquietante silenzio, Hideki lasciò vagare il suo sguardo sui sismogrammi sparsi sulla sua scrivania con espressione preoccupata. Era bastato un attimo affinché la situazione subisse un tracollo devastante e in quelle condizioni, sì, conosceva bene la risposta di Yuzo perché era uguale alla sua.
Con decisione afferrò la cornetta, componendo il numero dell’Hotel in cui alloggiava il Vice Prefetto e mentre attendeva che dall’altra parte qualcuno del centralino rispondesse, inforcò le lenti dando voce ai suoi pensieri.
“Dobbiamo prepararci all’evacuazione.”

Quando ritornò nel suo ufficio, Rita, Rick, Hisui e Toshi erano ancora lì. Pazientemente avevano atteso che lui portasse con sé le parole del burbero che avrebbero indirizzato le loro operazioni da quel momento in poi.
La squadra si volse nella sua direzione quando chiuse la porta alle sue spalle, rimanendovi appoggiato.
“Allora? Che ha detto?” domandò Rita avanzando di qualche passo, le braccia incrociate e l’espressione visibilmente preoccupata, come tutti del resto.
Yuzo pescò lentamente una sigaretta dal pacchetto, portandosela alle labbra, e quando fece scattare il meccanismo dello zippo rimase a fissare la fiamma per qualche attimo prima di accendersi la cicca.
E che Yuzo si mettesse a fumare in ufficio, non era affatto un buon segno.
“Vuole una mappa dell’hazard.” disse piano. Il fumo che sfuggiva assieme alle sue parole, mentre gli altri restavano attenti. “Dobbiamo capire di quanto tempo disponiamo ancora e che portata avrà l’evento.” si zittì di nuovo ed inspirò una lunga boccata dalla cicca; con lo sguardo fisso al pavimento sembrò come se stesse raccogliendo per bene tutti in pensieri prima che le sue iridi tornassero a sollevarsi sui membri della squadra per dare decise disposizioni. “Rita, torna nella sala dei sismografi e  monitora costantemente il tremore, dovesse esserci anche la più piccola variazione me la dovrai riferire. Hisui e Toshi voi passerete i dati registrati in tempo reale a Rick che farà delle simulazioni eruttive. Inoltre, Hisui, dovrai metterti di nuovo in contatto con la JMA, fatti mantenere aggiornato sulla direzione e forza dei venti. Tutto chiaro?”
“Sì.” fu l’affermazione unanime e anche lui annuì, ma prima di congedarli aggiunse.
“Hideki ha detto di allertare l’intero Osservatorio perché per le valutazioni dell’hazard impiegheremo ogni singolo uomo presente in questo edificio.”
“Era anche ora.” e tutti appoggiarono l’esclamazione di Rick.
Facendosi da parte, Yuzo aprì la porta alle sue spalle. “Mettetevi al lavoro.” disse ed il gruppo non se lo fece ripetere, lasciando l’ufficio in tutta fretta per raggiungere subito le proprie postazioni. Lui, invece, si diresse lentamente alla sua scrivania chiudendo la finestra che aveva lasciato spalancata. Tirando un’ennesima boccata dalla sigaretta si sedette, spostando, col taglio della mano, le carte che la stavano sommergendo per recuperare l’apparecchio dell’interfono con cui avrebbe potuto mettersi in contatto contemporaneamente con tutti i piani, uffici e laboratori dell’FVO.
Una volta che l’ebbe davanti rimase a fissarlo ancora per qualche secondo, pensando che quella fosse la prima volta che ne faceva uso e, se la situazione si fosse evoluta in peggio, probabilmente sarebbe stata anche l’ultima.
Tirando un profondo sospiro e spegnendo il rotolino di tabacco, pigiò sul tasto che azionò il microfono.
“Attenzione. È il Vice Direttore Yuzo Morisaki che vi parla e questa, purtroppo, non è un’esercitazione.”
In tutto l’edificio ogni persona interruppe ciò che, fino a quel momento, stava facendo, sollevando il capo per osservare, con sorpresa e curiosità, l’altoparlante più vicino dal quale proveniva la voce del numero due in carica di quell’Osservatorio.
“Qualcosa di molto grave sta interessando da giorni, settimane, la nostra città e buona parte della Prefettura e credo che di questo, ormai, ne siate consapevoli tutti.”
Shiguro abbassò il giornale, Takumi si sistemò gli occhiali sul naso ed esibì un’espressione tendente al terrorizzato. L’attimo dopo, Rita piombò nella stanza come fosse una furia ancora più furiosa di quando era andata via e lì capì che faceva bene ad avere paura.
“Quello che probabilmente ciascuno di voi ignora è che ciò che era cominciato come un evento di natura tettonica è ora divenuto di natura vulcanica e sancisce, così, la fine della quiescenza del Monte Fuji.”
Su quelle parole tutti trattennero il fiato come se Yuzo avesse appena detto la più grande eresia concepibile e con lui anche il resto della sua squadra, alle persone presenti lì al terzo piano, parvero colpevoli perché li avevano visti raggiungere le scrivanie come dei fulmini e attaccarsi subito chi al pc e chi al telefono.
Anche in quel momento che il loro Vice Direttore blaterava follemente di ‘fine quiescenza’ del Fuji loro erano al lavoro, per nulla intenzionati a fermarsi.
“Al momento attuale, la situazione è già piuttosto critica. Siamo in allarme di livello arancione per comprovata presenza di tremore spasmodico sotto l’edificio vulcanico. Quindi, le probabilità che nell’immediato futuro si profili un’eruzione sono molto alte. Il nostro compito, come Osservatorio, sarà quello di stilare nel più breve tempo possibile un’approssimativa mappa dell’hazard. So che farete tutti del vostro meglio perché molte vite dipenderanno dal lavoro che insieme svolgeremo a partire da ora.”. Yuzo fece una pausa, inspirando a fondo ed assumendo un tono meno formale. “Signori, purtroppo il tempo che ci rimane è più misero di quanto possiamo pensare, ma ho fiducia nelle capacità di ciascuno di voi. Diamoci da fare.” ed interruppe la trasmissione passandosi lentamente una mano sul viso. Chiuso nel suo studio continuò a sentire uno strano silenzio provenire dal piano e pensò che la notizia doveva essere stata shockante per ognuno di loro e così fu, infatti. Tutti rimasero immobili, come inebetiti, per alcuni secondi, poi la meraviglia scomparve e Yuzo avvertì il concitato vociare degli studiosi che rapidamente si mettevano a lavoro.

Quando Hideki Yoshikawa gli aveva telefonicamente comunicato di precipitarsi – testuali parole – alla sede dell’FVO perché avevano delle pessime novità, Tatsuya Kishu aveva pensato che dovevano aver trovato chissà che fantomatico pelo nell’uovo per impedire lo svolgersi del comizio. Oppure, peggio ancora, magari se l’erano addirittura inventato, il vecchio occhialuto ed il suo vice zelante, ma lui aveva abbozzato un sorriso beffardo ed aveva lasciato lentamente l’albergo deciso a fargli capire, una volta per tutte, che non avevano a che fare con un qualsiasi servetto imbecille di Terobashi. Peccato che, una volta arrivato all’FVO, già al piano terra aveva avuto una strana sensazione. La guardia, che restava sempre ferma presso la porta principale dell’edificio, lo aveva salutato senza la solita cortesia che gli aveva riservato le due visite precedenti, ma mantenendo un’espressione severa e tesa.
Ed il sentore che qualcosa non quadrava lo aveva accompagnato anche durante il viaggio in ascensore fino al terzo piano. Poi, le porte metalliche si erano aperte ed un vociare ancora più concitato del solito aveva raggiunto la sua piccola delegazione – lui e altre due persone – già sul pianerottolo. Ma era stato quando aveva finalmente varcato l’uscio ed era stato travolto da un caos inimmaginabile che aveva cominciato a pensare che, forse, il pelo nell’uovo doveva esserci davvero e non era nemmeno tanto piccolo.
Eppure, si era convinto con la sua solita durezza di non farsi impressionare da quell’elettrico via vai ed aveva attraversato le scrivanie con molta difficoltà, beccandosi anche delle rapide occhiate traverse da alcuni dei membri della squadra guidata dal Vice Direttore.
Ora che si trovava finalmente nell’ufficio di Yoshikawa, seduto nella poltrona opposta alla sua, nei suoi occhi ridotti in fessure lesse un nervosismo che gli piacque sempre maledettamente di meno.
Kishu gli vide rimestare il sigaro stranamente acceso tra le labbra, mentre seguitava a  mantenere il silenzio fino a che la porta dell’ufficio non si aprì e Morisaki fece la sua comparsa, richiudendo l’uscio alle sue spalle.
“Scusate l’attesa, ma abbiamo molto da fare.” si giustificò in tono lapidario ed accennando un saluto col capo. “Vice Prefetto.”
Lui decise che era il momento di cominciare a capirci qualcosa. “Allora, si può sapere che sta succedendo? E cos’è tutta questa fretta?”
Hideki tolse il sigaro, appoggiandolo nel posacenere. “Andiamo di fretta perché non c’è più molto tempo.”. Alle sue spalle, Yuzo rimase fermo presso al muro accanto alla finestra, aperta di uno spiraglio per stemperare l’odore forte del cubano. Lasciò che fosse il burbero a cominciare mentre lui fissava le reazioni di Kishu.
“Abbiamo finalmente le risposte all’anomala attività sismica della Prefettura e non sono buone. Purtroppo la situazione è tale che l’annullamento del comizio sarà l’ultimo dei suoi e nostri problemi.”
Il Vice Prefetto sospirò pesantemente e con condiscendenza, assumendo un piglio annoiato “Direttore Yoshikawa, se sta cercando di ingigantire una sciocchezza per tentare di convincermi a sospendere la manifestazione sappia che-…”
“La probabile eruzione del Fuji è una sciocchezza per lei?”
E con quell’affermazione Yuzo ottenne la totale attenzione di Tatsuya Kishu che gli rivolse il suo sguardo nero e duro come una lastra di marmo.
“Cosa ha detto?” scandì lentamente. Il famoso pelo era diventato grosso come una trave.
Il vulcanologo non si fece intimorire dal tono sottile della sua voce.
“Quello che ha sentito. Il Fuji è tornato in attività, un’attività già piuttosto avanzata.”
Il silenzio, tra i tre interlocutori, aleggiò per un momento lunghissimo prima che proprio il Vice Prefetto sbottasse a ridere forte.
“Il Fuji che erutta!” ripeté ed anche i due accompagnatori alle sue spalle accennarono un sorriso perché di tante scuse a loro disposizione gli avevano offerto la più impossibile. “Se volevate farmi divertire ammetto che ci siete perfettamente riusciti.” continuò, cambiando posizione nella poltrona “Ma in tutta sincerità, potevate inventarvi qualcosa di meglio per convincermi. Riprovate.”
“Questo non è uno scherzo.” Hideki anticipò Yuzo che era già pronto per balzargli alla gola, nonostante avessero messo in conto il suo probabile scetticismo, ma il modo in cui seguitava a trattare l’intera faccenda, la sua superficialità, erano terribilmente irritanti.
Kishu assottigliò lo sguardo ed il tono, smettendo di ridere. “Deve esserlo. Perché che il Fuji erutti, il nostro Fuji, un simbolo per l’intero Giappone, è semplicemente assurdo.”
“Il Fuji è un vulcano, non una montagna qualunque dove andare a fare una gita!” Yuzo avanzò con decisione verso la scrivania. Le mani vennero appoggiate sulla liscia superficie per sporgersi di più verso il politico. “E, per di più, è attivo. Lo è sempre stato, ma era rimasto in quiescenza. Quiescenza, Kishu, non estinzione. E la quiescenza può terminare anche dopo mille anni.”[5]
“Il Fuji non erutterà.” si impuntò l’altro, perché già la sola idea di quello che avrebbe significato ammettere una simile ipotesi aveva un che di catastrofico. “Le vostre sono solo congetture e qui servono prove.”
Yuzo disseminò valanghe di fogli sotto al suo naso che per lui avevano lo stesso senso degli scarabocchi di sua figlia.
“Le abbiamo, le stramaledettissime prove, tutte quelle che vuole, per chi diavolo ci ha preso?” il vulcanologo era fuori dalla grazia di Dio, il tono della voce che aumentava ad ogni parola. “Siamo dei professionisti, dalle nostre interpretazioni dipende la vita di migliaia di persone, crede che le avremmo comunicato una simile notizia senza esserne sicuri?”.
Se avesse potuto, il Vice Direttore lo avrebbe fulminato con lo sguardo, di questo Kishu ne era praticamente convinto, ma come poteva pretendere che potesse credere alle sue parole come nulla fosse?
Il Fuji era tornato in attività.
Il Fuji avrebbe potuto eruttare.
Madre Natura si stava forse vendicando della sua arroganza di poterla dominare?
Alle sue spalle, anche i due accompagnatori erano rimasti visibilmente di sale.
“Il nostro non è un tentativo di sabotare il suo dannato comizio.” intervenne Yoshikawa “Non useremmo mai il nostro lavoro per creare allarmismo su un evento così grave.” e le sue parole, per quanto proferite in tono calmo, rispetto quello del suo Vice, grondavano disprezzo. “La struttura vulcanica ha subito un lento rigonfiamento nel corso degli ultimi mesi.”. Con gesti rapidi ripescò alcuni fogli dal mucchio per farglieli vedere e Kishu riuscì ad interpretare i diagrammi che mostravano la lenta variazione geodetica. “Mentre la sismicità, che era cominciata poco più di un mese fa come normale evento tettonico, deve aver prodotto delle variazioni nel sottosuolo tanto da intaccare l’equilibrio relativo alla camera magmatica, probabilmente generando nuovi apporti di materiale che hanno innescato la risalita attraverso il condotto.”
“Sta già risalendo?!” questa volta, una nota di sconcerto sfuggì alla sua voce “Come fate ad esserne sicuri?”
“Le vede tutte quelle linee nere?” Yuzo indicò i sismogrammi con un cenno del capo “Quelle sono tracce di eventi localizzati esattamente sotto al vulcano.”
“Tutti quanti?!”
“Tutti quanti.” scandì l’altro lentamente, mentre Kishu cercava di schermare il più possibile la preoccupazione che, finalmente, gli stava facendo rendere conto quanto reale fosse l’intera faccenda.
“Il problema…” continuò il giovane Vice Direttore dell’Osservatorio “…è che quelli non sono eventi isolati, ma sequenziali e vengono classificati come ‘tremore’.”
Il nome già non gli piacque, ma lui aveva bisogno di qualsiasi cosa cui aggrapparsi per avere anche la minima possibilità di smentire il loro allarmismo infondato e riuscire a non bloccare la macchina del comizio, che ormai lavorava a pieno regime: mancavano ancora solo pochi giorni e dopo il Fuji avrebbe potuto fare quello che gli pareva.
Anzi.
Improvvisamente la tensione abbandonò i suoi tratti, lasciando che una nuova idea prendesse corpo nella sua mente. Se il vulcano era davvero entrato in attività, allora perché non sfruttare la situazione a proprio vantaggio?
Il comizio sarebbe stato il momento perfetto per comunicare alla popolazione quello che stava avvenendo ed il Prefetto avrebbe illustrato come stessero fronteggiando la crisi con abilità e tutto fosse assolutamente sotto controllo. Sarebbe stato un colpo da maestro che avrebbe assicurato la vittoria a Terobashi e avrebbe ridotto la sua distanza dalla poltrona di Primo Ministro.
Era perfetto.
Perché non ci aveva pensato prima invece di farsi prendere dal panico?
“Ed è un male?” domandò, il tono improvvisamente distaccato, quasi indifferente, come se gli stessero parlando di cose futili e irrilevanti.
Questo cambiamento non passò inosservato a Yuzo che comunque rispose.
“Delle vibrazioni continue, in generale, non sono mai un bene. Significano mancanza di equilibrio a causa dell’azione di una forza. In questo caso, una probabile massa in risalita e gas che premono e cercano di infilarsi nella massa rigida sovrastante che, attualmente, ostruisce il condotto vulcanico del Fuji.”. Eppure, mentre parlava, ebbe l’impressione che tutto ciò che gli diceva non sembrasse avere effetto su di lui e la cosa non gli piacque. Se prima gli era sembrato come scosso alla notizia che gli aveva ben fatto sperare sulla sospensione del comizio, adesso la sua freddezza aveva cancellato di colpo tutto il suo ottimismo, facendogli sospettare che lui avesse già in mente qualcosa, ma se si fosse azzardato ancora a prendere sottogamba il problema, Yuzo era convinto che non avrebbe più risposto delle proprie azioni.
“Quindi, cosa dobbiamo aspettarci ora?”
“Nel peggiore dei casi, un’eruzione.”
Le iridi di Kishu saettarono rapidamente per incrociare le sue e Yuzo ebbe la netta impressione di aver compiuto il passo falso che il Vice Prefetto stava aspettando simile ad un avvoltoio.
“Il peggiore dei casi? Mi sta dicendo che l’eruzione non è sicura?”
Lo sguardo del vulcanologo si assottigliò mentre inarcava un sopracciglio, scrutandolo attentamente.
“Dove vuole arrivare?”
Ma che prima che il politico potesse rispondere intervenne Hideki che, purtroppo, il ragionamento di Kishu l’aveva già capito. Erano troppi anni che aveva fare con quella categoria e ne aveva assimilato anche il modo di pensare e macchinare.
“Sì, è così.” ammise “Già è difficile fare previsioni con vulcani costantemente attivi, con uno che è quiescente da quasi trecento anni lo è ancora di più. Possono esserci varie ipotesi: che la situazione si mantenga costante fino al nuovo equilibrio senza che si verifichi un’eruzione, oppure può peggiorare e le probabilità che il vulcano erutti, salire.”
“O il peggioramento può essere talmente rapido da non aver nemmeno il tempo di rendersene conto se non quando ormai è troppo tardi.” concluse Yuzo, calcando di proposito sul quell’ultimo punto con la speranza che l’altro si rendesse conto della gravità e mutevolezza della situazione, ma Tatsuya Kishu sbuffò con un certo fastidio.
Tsk. Voi scienziati siete i soliti pessimisti e vi allarmate per un nonnulla. L’avete detto poco fa che il Fuji è comunque un vulcano attivo, non credo, quindi, che sia il caso di fare tutto questo rumore per un qualcosa che è effettivamente normale e che, molto sicuramente, non porterà a nessuna eruzione.”
Il Vice Direttore dell’FVO lo guardò con tanto d’occhi.
“Che cosa?!” sbottò, ma la mano di Hideki gli arpionò il braccio con forza per fargli capire che non doveva perdere le staffe e Yuzo ci provò, ci provò davvero, ma quello che Kishu aggiunse soppresse tutti i suoi buoni propositi, soprattutto per il tono di supponenza con cui si rivolse loro.
“Ovviamente, il mio ordine è quello che non allarmiate la popolazione con i vostri ‘se’ e i vostri ‘potrebbe’: sono riposte e soluzioni quelle di cui ha bisogno la gente, non inutili ipotesi. Fino a che non avrete nulla di davvero concreto, la vita a Nankatsu continuerà proprio come ora, comizio incluso.”
“Ma si rende conto di quello che sta dicendo?!” Yuzo era esasperato “Tacere un fatto così grave è inaccettabile!”
Ma Kishu non si lasciò impressionare, facendo trapelare un sorriso beffardo di chi sa perfettamente di avere il potere e il controllo dell’intera situazione. “E allora, mi dica lei: cosa suggerirebbe di fare in questo caso?”
“Evacuare, mi sembra ovvio.” Yuzo non aveva il minimo dubbio in merito “Non può fingere che non stia accadendo nulla quando basterebbe un attimo per passare da una fase pre-eruttiva a un’eruzione vera e propria. E la popolazione deve essere messa al corrente di tutto ora, non quando il vulcano sta già eruttando!”
Tatsuya rise. “Evacuare? Si vede che non ha la minima idea di come funzionino certe cose. Se il Fuji non dovesse eruttare, oltre al panico infondato, ci sarebbero perdite economiche enormi per la città.”
“I soldi si possono recuperare, i morti no! Non si metta a fare politica con un vulcano, per Dio!” lo scienziato era al limite della pazienza e sapeva che, a breve, sarebbe esploso di fronte a tanta ottusità, pregò solo che Hideki gli impedisse di mettergli le mani addosso. “Lei non immagina nemmeno lontanamente quale catastrofe sarebbe se il Fuji-yama dovesse eruttare senza che sia stata attuata un’evacuazione, perché non si tratta solo di Nankatsu! Sarebbe un’ecatombe!”
Il Vice Prefetto agitò una mano con noia. “Non cerchi di renderla inutilmente più tragica di quello che è, non mi farò certo intimorire.”
A quelle parole, Yuzo cominciò a vedere rosso.
“Inutil… mente…”
Hideki strinse la presa attorno al suo braccio. “Calma.” sibilò per quanto anche lui fosse seriamente tentato di cacciarlo fuori dall’FVO a pedate ed agire in totale autonomia.
Il giovane si divincolò dalla sua stretta, dirigendosi alla finestra e spalancando i vetri di scatto. Il vento smosse i fogli tanto che qualcuno cadde al suolo con un fruscio, ma nessuno nella stanza se ne curò.
Lo sguardo di nuovo serio e fermo di Kishu era fisso sul Vice Direttore dall’espressione furiosa ed il dito puntato dritto al cono dello stratovulcano che l’altro vide ergersi nitido e candido al centro di un cielo plumbeo.
“Inutilmente tragica?!” fece eco “Vede di cosa stiamo parlando, eh?! Lo vede?! Un mostro da tremila metri di altezza che corrispondono a tremila metri di condotto ostruito sotto al quale ci sono masse fuse e gas che stanno cercando di risalire ma non possono, aumentando la pressione a dismisura. E continueranno fino a che non ci sarà l’esplosione che potrebbe portare addirittura al crollo parziale della struttura; riversamento di materiale vulcanico, ceneri e polveri a non finire raggiungerebbero perfino Tokyo! Tokyo, ha capito? A cento chilometri da qui! Ma, soprattutto, emetterà gas ad altissima temperatura e allora sì che per Nankatsu sarà la fine. Mi dica, il lahar che si caricherà dell’acqua del pendio innevato e del materiale piroclastico sotto di esso, quella valanga inarrestabile, la fermerà a parole? Massì, gli dica che ha un comizio da fare, vediamo se funziona.”
Gli occhi di Kishu si assottigliarono. “Il Fuji non è il Mount St. Helens, signor Morisaki. Non mi prenda in giro.”
No! Lei non lo sottovaluti! Perché le mie ipotesi possono essere catastrofiche quanto vuole, ma non sono campate in aria. Posso non essere certo di come si comporterà il vulcano fino a che non erutterà, ma di una cosa sono assolutamente sicuro: contemporaneo all’eruzione, un lahar verrà giù dalla montagna e se per quel momento la città non sarà stata evacuata, l’avrà condannata a morte. Non ci sono sufficienti dighe SABO[6] per un simile volume di materiale, non riusciranno mai a contenerlo e Nankatsu sarà rasa al suolo!”
Kishu rimase in silenzio per qualche secondo. Era davvero così pericolosa la situazione? E lui… la stava davvero sottovalutando, mettendo in pericolo migliaia di vite?
“Lei vaneggia.” sibilò tagliente “E’ solo acqua.”
Yuzo avvertì distintamente l’andare in frantumi di tutta la sua lucidità o, almeno, di quel poco che gli era ancora rimasta perché non era possibile che la tragedia cui aveva assistito a Navidad fosse destinata a ripetersi a causa di un imbecille che si ostinava a non volerlo ascoltare. Si era ripromesso che una cosa simile non sarebbe accaduta  mai più, perché non poteva accettare che la morte di Aiko fosse inutile ora che una sciagura simile stava per abbattersi proprio lì. Non poteva accettarlo.
Come una furia si lanciò contro la scrivania, sbattendovi i pugni con forza, mentre i fogli si sparpagliavano ovunque ed Hideki sobbalzò.
“Io ho perso mia moglie a causa di un lahar, non mi venga a dire che quella è ‘solo acqua’, Cristo Santo, perché non è così, Kishu! E lei non ha la minima idea di cosa può essere capace di fare!”
Davanti a quello sfogo, il Vice Prefetto non rispose, limitandosi a fissarlo con una certa sorpresa. Ora riusciva a comprendere perché il vulcanologo temesse così tanto l’eruzione del Fuji, oltre a rappresentare un evento eccezionale di per sé; sapeva di cosa stava parlando e forse, proprio in virtù di questo, avrebbe dovuto dargli ascolto, ma qui ne andava della sua grande occasione, il lavoro di una vita. Non poteva ancora arrendersi.
Dal canto suo, Yuzo parve riscorsi dal suo impeto d’ira e rendersi conto di aver perso decisamente il controllo. Osservò prima lo sguardo meno severo, ma sempre fermo di Kishu e poi quello dispiaciuto di Hideki.
“Scusate.” masticò in fretta, lasciando l’ufficio del burbero ed il piano in rapide falcate. Aveva bisogno di aria perché là dentro si sentiva soffocare e perché aveva bisogno di recuperare la calma.
Una volta che Yuzo fu fuori dalla porta del terzo piano, Toshi sbuffò. “Credo che non sia andata tanto bene con quell’idiota del Vice Prefetto.”
“Già.” appoggiò Hisui
Ricardo tamburellò nervosamente la tastiera del suo pc. “E noi non possiamo fermare lo scorrere del tempo.”

Quando il freddo all’esterno dell’edificio gli ghiacciò gli ultimi residui di rabbia, Yuzo si rese conto che esplodere in quel modo non era stato molto professionale.
Con estrema lentezza si passò una mano sul viso, emettendo un profondo sospiro prima di levare lo sguardo al cielo che gli restituì un’immagine grigia e compatta.
Forse stava esagerando.
E lo ammise a sé stesso con una punta di dolore che gli trafiggeva lentamente il petto.
Forse la paura che si verificasse una nuova Navidad o, peggio ancora, una nuova Armero gli stava facendo vedere la situazione peggiore di ciò che era realmente.
Forse il Fuji non sarebbe mai eruttato, forse aveva tratto troppo velocemente le sue conclusioni. Forse… forse…
Ma, d’altra parte, un tremore spasmodico non era una sciocchezza da prendere sotto gamba come fosse nulla di grave, per di più se relativo ad un vulcano come quello.
Mentre pescava le sigarette dalla tasca dei pantaloni, si disse che avrebbe dovuto recuperare la lucidità al più presto per poter fare bene il proprio lavoro, ma in quel momento gli sembrò di aver perduto tutte le sue capacità di giudizio e analisi.
Nell’attraversare la strada con passo quasi trascinato, prese una delle rosse. Sentendosi stanco come mai in vita sua, si sedette nella panchina posta all’altro lato della strada, rigirando il rotolino di tabacco tra le dita per qualche momento prima di accenderlo e tirarne una lunga boccata.
Quando rilasciò lentamente il fumo, il senso di confusione ed incapacità di affrontare la situazione era ancora lì e Yuzo sprofondò il viso in una mano, sconfitto.

Mentre camminava a passo spedito, ma non affrettato, in direzione dell’FVO, Yoshiko si sentiva pervasa da un piacevole senso di tranquillità e leggerezza.
Era felice che Taro avesse capito e accettato i suoi sentimenti e le sue scelte perché teneva tantissimo a lui. Suo fratello era sempre stato un importante punto di riferimento per lei e averlo vicino anche e soprattutto in quell’occasione rendeva il momento ancora più bello di quanto non fosse già.
Per un attimo, il pensiero di sua madre fece capolino nella sua mente, ma lei lo accantonò subito, decidendo di occuparsene a tempo debito. Ora voleva solo comunicare la bella notizia a Yuzo e al resto avrebbe pensato dopo.
Convinta che il vulcanologo doveva essere sicuramente immerso nel suo lavoro, tra carte e pc, aveva pensato di fermarsi a prendere caffè per lui e la squadra in modo da avere anche la scusa per fargli fare una piccola pausa altrimenti, conoscendo la sua dedizione al lavoro, non si sarebbe fermato nemmeno per respirare.
Fu per questo che, quando lo scorse seduto in una panchina di fronte all’edificio dell’Osservatorio, ricurvo in avanti ed il viso nascosto in una mano, si fermò. Un’espressione perplessa prese possesso dei suoi tratti, scacciando il sorriso che aveva mantenuto fin da quella mattina.
Che Yuzo non fosse rinchiuso nel suo ufficio era già di per sé un evento eccezionale, ma che restasse seduto fuori al freddo e senza nemmeno un giaccone che lo proteggesse era ancora più strano.
Con cautela si mosse per raggiungerlo e nella sua testa cominciarono già ad affacciarsi le prime ipotesi a riguardo, ma quello che ritenne dover essere la più sicura fu che fosse accaduto qualcosa di grave al lavoro. Di molto grave se Yuzo era addirittura fuori dall’edificio e la cosa cominciò a preoccuparla mentre aumentava l’andatura.
Yuzo non si accorse di lei nemmeno quando l’ebbe ad un passo e Yoko rimase a fissarlo per qualche attimo ancora con le sopracciglia aggrottate.
Tra le dita del vulcanologo la sigaretta veniva fumata dal vento.
“Capisco che stamattina desideravi tanto poter poltrire, ma prenderti un malanno per poter restare a casa non è affatto una grande idea.” disse la ragazza, palesando la sua presenza e Yuzo alzò la testa di scatto inquadrandone la figura minuta avvolta nello sciarpone multicolore.
E fu avere lei lì, vederla e sentire che fosse dannatamente in pericolo che lo sbloccò dallo stallo in cui era caduto per un attimo. Era la stessa sensazione che aveva provato quando, quattro anni prima, si trovava sul Ruiz, quando lui sarebbe voluto andare via ed Aiko lo convinse a restare. Lo stesso, orrendo presagio che gli camminava sotto la pelle come una scia di formiche.
Era vero, lui non poteva prevedere con precisione assoluta quello che sarebbe potuto accadere se il Fuji avesse eruttato, come tutto lasciava supporre, o acquietarsi di colpo, ma aveva ancora il suo sesto senso su cui fare affidamento e quest’ultimo continuava a dirgli che l’intera zona era a rischio e che Yoko, qualsiasi cosa fosse accaduta, doveva lasciare Nankatsu il più presto possibile.
“Cosa fai qui?” domandò, la cenere che si staccò da sola dalla cicca non riuscì a toccare terra, una folata ti vento la disperse prima che potesse farlo.
Yoshiko sollevò la confezione che stava reggendo, mostrandogli i sei caffè.
“Venivo a portarvi un po’ di energie. Immagino che ne abbiate spese già tantissime da stamattina.”
Lo sguardo di Yuzo si addolcì, ma non perse la forte preoccupazione che lasciava trasparire tanto che la sorella di Misaki fece scomparire il sorriso che aveva ostentato fino a quel momento, assumendo un tono più serio. “C’è qualcosa che non va, vero?” chiese, prendendo posto accanto a lui “Che fai qui fuori al freddo?”.
Il giovane continuò a fissare intensamente i suoi occhi nocciola senza rispondere. Le dita sottili di Yoshiko gli carezzarono il viso dalla pelle infreddolita per il gelo di Febbraio e lui riuscì a rilassarsi leggermente sotto al suo tocco affettuoso.
“Che succede?”
Yuzo lasciò cadere al suolo il mozzicone consunto, spegnendolo con la scarpa.
“Ho avuto un’accesa discussione col Vice Prefetto ed avevo bisogno d’aria.” si decise a rispondere.
Yoshiko inarcò un sopracciglio. “E’ venuto a crearvi problemi? Ma perché non vi lascia fare il vostro lavoro in pace?”
Yuzo sospirò pesantemente, scuotendo il capo e prendendo nella sua la mano con cui lo stava carezzando. “La situazione non è così semplice, purtroppo.”
Yoko strinse con forza le sue dita, cercando di scaldarle. “Certo che lo è: lui si leva dai piedi e voi potete capire cosa sta succedendo. Più facile di così.”
“Yoshiko.” lo sguardo di Yuzo tornò ad incrociare quello della giovane, fissandolo con apprensione “Noi lo abbiamo capito.”
Quella notizia avrebbe dovuto tranquillizzarla, di questo Yoko ne era sempre stata sicura, forse troppo ingenuamente. Era convinta che, appena Yuzo avesse scoperto la causa dei terremoti, non ci sarebbe stato più nulla di cui preoccuparsi. Eppure, in quel momento, si sentì stranamente più spaventata di prima, forse perché Yuzo non aveva cercato di rassicurarla in nessun modo, perché non le aveva detto che era nulla di grave, che presto sarebbe passato. Perché continuava a guardarla come se stesse per abbattersi una sorta di catastrofe sulla sua piccola oasi di pace.
“Promettimi che farai quello che ti dirò e andrai via da Nankatsu.”
“Yuzo cosa sta succedendo?”
“Prima promettimi questo.”
Ma lei era testarda come un mulo e forse, almeno un po’, sua madre aveva ragione ad arrabbiarsi tanto. “Non finché non mi dirai la verità.”
Il giovane sospirò con forza e avrebbe voluto trovare parole più adatte e meno traumatiche, ma come poteva rendere meno preoccupante di quello che era un’eruzione vulcanica?
Si fece un po’ più vicino a lei, la mano libera corse a sfiorargli il viso in un tocco che cercò di essere il più rassicurante possibile.
“Il problema è il Fuji, Yoshiko. E’ uscito dalla sua stasi secolare.”
Una folata di vento più gelida parve come ghiacciare l’espressione della giovane che rimase a fissarlo con incredulità per qualche momento prima che lo sguardo cominciasse ad allargarsi e caricarsi di terrore. Le iridi misero a fuoco, oltre la spalla del vulcanologo, la struttura perfetta dello stratovulcano.
“Il… il Fuji…” fece eco e Yuzo ironizzò.
“Sei la prima a non chiedermi se sto scherzando.”
“So che non lo faresti mai sul tuo lavoro.” gli occhi di Yoshiko si puntarono nuovamente in quelli del giovane “Siamo in pericolo?”
L’espressione di Yuzo non presagì nulla di buono; nonostante volesse mantenersi sul vago, si decise a dirle la verità.
“Sì.”
“Oddio… tutta la città?”
Il vulcanologo annuì. “Nankatsu e tutte quelle che si trovano in un raggio di dieci-venti chilometri dal vulcano.”
La ragazza si passò una mano sul viso lentamente. “Ed il Vice Prefetto lo sa? Cosa vuole fare?”
A quella domanda il tono di Yuzo si fece aspro mentre puntava lo sguardo al palazzo dell’FVO.
“Certo che lo sa e quel bastardo non vuole fare niente. E’ per questo che abbiamo discusso.”
Yoshiko non credeva alle proprie orecchie. Il Vice Prefetto non avrebbe diramato un allarme per avvertire i cittadini? Ma prima che potesse replicare, gli occhi di Yuzo tornarono a puntarsi nei suoi con decisione e fermezza.
“Devi lasciare la città.”
“Che cosa?!”
“Lascia la città, fa’ come ti dico. Non voglio saperti a Nankatsu in questa situazione.”
“Ma… è davvero così pericoloso?” tentò di protestare, osservando nuovamente il cono e… e non sembrava tanto minaccioso… più o meno.
Yuzo alzò una mano, frapponendola tra loro. “Non è l’eruzione che mi preoccupa!” sbottò e lo sguardo della sorella di Misaki tornò su di lui e la sua espressione tesa e preoccupata. “Il Fuji non è un vulcano dall’attività esplosiva molto forte e anche se arrivano lontano, i prodotti areali sono controllati dal vento: se spira in direzione contraria è molto probabile che a Nankatsu non cadrà nemmeno mezzo lapillo.” spiegò con fervore “Ma il percorso di un lahar segue la topografia e Nankatsu….” l’espressione si fece sofferente “…si trova alla fine di un vallone. Ci sommergerà in un attimo.”
Yoko rimase in silenzio per qualche secondo, realizzando le parole di Yuzo con una lentezza terribile; sembrava quasi che una parte di lei volesse rifiutarle.
“Un lahar?” fece eco, adagio “Come… come è successo sul…”
“Ruiz.” concluse il vulcanologo per lei, che non riuscì a sostenere il suo sguardo puntandolo altrove. Quindi era questo il motivo per cui voleva che andasse via ad ogni costo.
“Per favore…” Yuzo le carezzò il viso con dolcezza, prendendolo tra le mani e costringendola a guardarlo di nuovo “…promettimi che farai quello che ti ho detto e te ne andrai via da qui. Sarò più tranquillo sapendoti al sicuro, perché…” scosse il capo e la ragazza riuscì a leggere la paura nelle sue iridi scure “…non voglio che le cose si ripetano. Non di nuovo.”
Yoko socchiuse gli occhi, appoggiando una mano sulla sua. Abbozzò un sorriso godendo del tocco del suo palmo sulla guancia. “Non si ripeteranno.” tentò di rassicurarlo con dolcezza, ma lui era convinto che l’unica sicurezza gliel’avrebbe data la sua partenza.
“Perché non torni a Sendai?” propose infatti “Lì non correresti alcun pericolo e faresti anche la gioia di tua madre.”
Ma Yoshiko non rispose. Aprì lentamente gli occhi per osservare i suoi, speranzosi.
“Tu resterai qui, vero?” e sapeva già la risposta dietro la quale si nascondeva anche la sua scelta.
“Sì.” confermò Yuzo, stringendosi nelle spalle “E’ il mio lavoro. Quest’eruzione, se avverrà, sarà davvero un evento importante a livello scientifico. Non possiamo perdercela.”. Poi sorrise, cercando di sdrammatizzare “Ma non preoccuparti per noi, sappiamo bene quello che facciamo. Siamo dei professionisti.”
Lei annuì adagio. “Lo so.” disse, prima di comunicargli la risposta che il vulcanologo stava ancora aspettando e lei sapeva che non gli sarebbe piaciuta nemmeno un po’. “Mi dispiace, ma… io resto.”
Il sorriso di Yuzo scomparve di colpo mentre gli occhi si sbarravano. “Che cosa?!”
“Io non lascerò Nankatsu, non sapendoti qui.”
“No. Yoshiko, no!”
“Voglio restarti vicino finché sarà possibile.”
Il vulcanologo balzò in piedi, prendendo a camminare avanti e indietro davanti alla panchina; i nervi a fior di pelle.
“Ma… ma… è mai possibile che dobbiate essere tutte così dannatamente testarde?!”
“Yuzo, siediti.”
“No che non mi siedo! Ma perché, per una volta, una!, non fate quello che dico io?! ‘Va bene, tesoro’ è così difficile da dire?!” ed era veramente fuori di sé.
Yoko trattenne una risata, ottenendo uno sbuffo rassegnato da parte sua.
“Non c’è niente da ridere.” disse, mentre lei lo prendeva per mano, costringendolo a sedersi.
“Lo so che sei preoccupato per me e lo capisco, ma se i nostri ruoli fossero invertiti te ne andresti?”
Yuzo fece per replicare qualcosa, puntandole contro l’indice, ma ci rinunciò, sbuffando di nuovo. Era ovvio che non l’avrebbe mai fatto.
“Tutte io quelle cocciute.” borbottò, appoggiando la fronte sulla sua spalla.
“E’ perché sei cocciuto anche tu.” ridacchiò Yoshiko al suo orecchio “Non devi preoccuparti, quando la situazione si farà davvero insostenibile lascerò Nankatsu, promesso. Ma finché posso… voglio restare con te.”. Le dita gli accarezzavano piano la nuca. Poi, Yuzo sollevò lentamente il capo.
“Ti chiedo almeno di restare da Taro, mh? Ti prego. A questo non puoi dire di no.”
Prese già come un sì il sorriso della ragazza prima che annuisse.
“Va bene, andrò da lui.” accordò, mordicchiandosi il labbro “A dire il vero, i caffè erano solo una scusa per vederti: volevo proprio parlarti di mio fratello.”
Yuzo parve perplesso.
“E’ venuto da me verso l’ora di pranzo.”
“Voleva la mia testa?” sospirò il vulcanologo con rassegnazione, ma la ragazza scosse il capo.
“No, mi ha chiesto scusa e ha detto che vorrebbe davvero che noi fossimo felici.”
La perplessità sul viso di Yuzo scomparve lentamente, sostituita da un sincero sorriso. “Una nota positiva dopo tremila negative… è un buon inizio.” decretò, prima di baciarle dolcemente le labbra.
“Dovresti tornare a lavorare.” ed il sussurro di Yoko si infranse piacevolmente sulla sua pelle.
“Tienimi informato, ok? Voglio sapere tutti i tuoi spostamenti, per favore…”
“Promesso.”
Yuzo annuì, separandosi definitivamente da lei.
“Quanto tempo abbiamo?” ma il vulcanologo davvero non conosceva la risposta a quella domanda, non ancora almeno. Sospirò con forza.
“Non lo so, ma se dovesse eruttare non ce ne rimarrebbe ancora molto.”
Yoshiko annuì, baciandolo fugacemente un’ultima volta prima di alzarsi. “Fate tutto il possibile, mh?”
“E tu vai da Taro.” ci tenne a raccomandarle ancora.
Yoko sorrise. “Ci sentiamo più tardi.” che nascondeva un ‘sì, stai tranquillo, andrò da mio fratello.’ A lui non rimase altro da fare che vederla allontanarsi e divenire sempre più piccola. Poi lo sguardo gli cadde sui caffè che aveva portato e sospirò profondamente.
Doveva rimettersi al lavoro, nonostante la decisione del Vice Prefetto, perché se l’unico modo per convincere quell’idiota ad evacuare Nankatsu era quello di mostrargli dati più certi possibili… allora non poteva perdere tempo. Ma prima di rientrare nell’FVO, aveva ancora una cosa da fare.
Cavò il cellulare dalla tasca dei pantaloni, componendo rapidamente un numero e non dovette attendere molto perché qualcuno rispondesse.
“Papà, sono io.” esordì in tono serioso “Ti ricordi quando ti ho detto che in caso di pericolo sareste dovuti andare da zia Yukino? Beh, fate i bagagli.”[7]


[1] “STAMM’ CH’I CAZZ!”: XD ahè, tradurla è un po’ complesso. Sappiate che è un equivalente di “Stiamo inguaiati!” XD (altresì traducibile come ‘siamo messi male’)

[2] “CE… SINCRONO!”: “Ci sei arrivato anche tu? Ma abbiamo i neuroni sincronizzati?”

[3] HUZI: ed arriviamo praticamente a svelare l’arcano del titolo (XD dopo 20 capitoli, ehm.) L’Huzi E’ il Fuji XD. Huzi è la PRONUNCIA corretta di Fuji. XD.

[4]: in questo caso (oltre ad essere loro scemi *fischietta*) c’è da dire che, sì, quando un vulcano è quiescente da molto tempo, si possono confondere i ‘segnali’ di ripresa delle attività, scambiandoli per normali terremoti tettonici. Infatti ho introdotto l’ambiguità sul fattore (b) di proposito.

[5]: vari esempi in merito: il Pinatubo eruttò nel 1991 dopo una quiescenza di cinque secoli, tra l’eruzione vesuviana delle ‘Pomici di Avellino’ e quella del 79 d.C sono trascorsi circa mille anni, le Isole Lipari affrontarono un periodo di quiescenza di circa 50'000 anni prima della ripresa delle attività eruttive.

[6]DIGHE SABO: ne studiai l’esistenza lo scorso semestre, quando dovetti preparare un ppt sul vulcano Unzen (e mi sono studiata anche l’Unzen, ovviamente XD Tra parentesi, l’Unzen è il vulcano che Yuzo nomina a Yoko quando parla delle ‘colate piroclastiche’. X3). In Giappone ve ne sono svariate, sono delle dighe che vengono posizionate nelle zone che possono essere soggette a frane e smottamenti (rientrano anche i lahar, non solo i debris flow o le debris avalanches nella categoria). Se ne trovano anche in zone vulcaniche (ad esempio l’Unzen) per rallentare e trattenere i materiali vulcanici e detritici che vengono giù dalla montagna durante e dopo l’eruzione. Ho ipotizzato che anche il Fuji ne avesse e avevo ragione: *QUI* una diga SABO sul Fuji. I giappo sono troppo avanti.

[7]Yuzo lo dice nel capitolo 10.


…E poi Bla bla bla…

 

NOTE ASTRUSE FTW E… LOCANDINA!!! \O/
Col ritorno, ritornano anche le valanghe di note, ma ormai credo che voi siate abituate XD
Allora, il capo me lo sono già cosparso di cenere all’inizio del capitolo e mi dispiace davvero, davvero, davvero per l’attesa.
Per farvi capire che non ho intenzione di rimollare la fic, vi dico che sto già scrivendo il capitolo 21. *alzapugno* e vi comunico che, per grazia di Dio, nel capitolo appena pubblicato ne ho accorpati ben due *w*, quindi la meta verso la parola ‘FINE’ è sempre più vicina!
La Locandina. XD
Ve l’avevo promessa, alla fine dell’aggiornamento scorso, ed eccola qui XD. Li avete riconosciuti? XD oddio, spero di sì! Comunque, dall'alto: Yuzo, Kishu e Yoko. **v No, non mi drogo. Sì, ho i neuroni esauriti XD

Ad ogni modo, cominciamo col dire che l’eventualità dell’eruzione del Fuji esiste e lo sanno anche gli scienziati giapponesi. Nel 2000/2001 si sono visti tremare il Fuji sotto un alto numero di microscosse, segno quindi che il vulcano è bello che attivo e tanto felice di farsi sentire. Ovviamente, i giapponesi sono balzati subito sulle sedie per darsi da fare e mettere a punto un piano di evacuazione ed uno che preventivasse i danni. (per saperne di più: *QUI*, *QUI* e *QUI*)
Questo genere di organizzazione, ad ogni modo, comporta un sacco di tempo ed in Giappone ci hanno impiegato circa tre anni (2004).
Ora.
In questa fic sono molto più tardi XD, nel senso che ci mettono un po’ di più (ma si tratta ugualmente di giorni, anche se sembra che siano passate settimane, eh XD) per capire cosa sta succedendo perché, in definitiva, cominciano ad interessarsene con mooooolto ritardo.
In parte li giustifico perché, comunque, si era davvero partiti da un qualcosa di tettonico (al largo della Depressione di Nankai) e perché la migrazione orizzontale di ipocentri, solitamente, può essere accettata (come associabile ad una attività vulcanica) se confinata in un raggio di dieci chilometri dal vulcano. Nankatsu è stata posizionata a circa venti chilometri dal Fuji, diamo loro il beneficio del dubbio. XD

Inoltre, ho scoperto per caso l’esistenza di un disaster movie che parla anch’esso di un eruzione del Fuji (va beh, parla di eruzioni ovunque e anche del Fuji XD). ** Al che mi sono tutta gasata e mi sono messa subito a cercare qualche video, prima di poterlo reperire (ormai parto sempre prevenuta con questo genere di film).
Miracolosamente, pesco il trailer su YouTube… e lì mi sciolgo in un mare di LOL per quanto è ORRENDO XDDDDD
Cioè, ma dico io, il film è del 2006, ok? Uno, come minimo, si dovrebbe aspettare degli effetti speciali decenti (è comunque un blockbuster) ed una trama che si regge in piedi… ed invece NO! XD Gli effetti speciali sono culosi da morire e questi vogliono far sfiatare il magma SPARANDO ALL’EDIFICIO VULCANICO ATTRAVERSO UN SOTTOMARINO!!! \O/ CON UN ORDIGNO NUCLEARE!!! *urla girando in tondo*
DIOPADRE, SALVACI TUTTI! \O/
NO, NO E NO! è_é io queste cose NON le posso accettare, per la miseria! NON HANNO SENSO \O/
Come non ha senso (e lo potete vedere dal trailer) la presenza CONTEMPORANEA di una colonna eruttiva assieme alle colate di lava \O/! Ma dove, dico io, DOVE!, hanno mai visto una cosa simile?! D-O-V-E!
Sì, mi ci incazzo. O_O
Vengono pagati un sacco di soldi e non si informano nemmeno?!
NON possono esserci, contemporaneamente, colonne eruttive e riversamenti lavici. Possono osservarsi in una stessa eruzione ma non nello stesso momento. O l’uno o l’altro. “O” disgiuntiva.
La colonna eruttiva NON è il vapore generato dal calore della lava, NO, quindi non può sollevarsi dalla superficie stessa.
La colonna eruttiva è una miscela di gas, pomici o scorie e ceneri. Ma non esiste né in cielo e né in terra che, durante una fase di colonna eruttiva sostenuta, vi troviate trabocchi di lava dal cratere: perché la forza del gas (che è insito nella lava stessa e parte da essa) sparato verso l’alto SE LA TRASCINA IN CIELO, CRISTOSANTO! \O/ La eradica, la straccia, creando brandelli viscosi che poi si riverseranno al suolo come materiale da caduta. *piange sangue* (e, sì, quei rivolini incandescenti, che sembrano tanti rigagnoli di lava e non lo sono, sono i prodotti piroclastici che ricadono al suolo dalla nube)
*respira, cercando di recuperare la calma*
L’unico caso in cui possono esserci riversamenti lavici e colonne eruttive è in caso di stromboliane: perché le altezze raggiunte dalla colonna sono di pochi chilometri, quindi è come se restasse confinata tutta all’interno del cratere.
Ma, visto che il caso del film NON era assolutamente stromboliano… ho un tantinello perso le staffe. XD scusate, ma sapere che la gente viene pagata e dice cazzate mi urta (dateli a me, quei soldi! \O/)
Comunque, non è possibile che, dopo TREDICI ANNI, il miglior disaster movie di sempre continui a restare: DANTE’S PEAK! *w* E gli effetti speciali di Dante’s non sono chissà cosa, ma restano accettabilissimi O_O.
Ciò detto, vi faccio fare due risate e vi metto il trailer di “Magma: Volcanic Disaster” (sì, dal titolo dovevo immaginarlo che fosse una minchiata colossale) e una scena di “Dante’s peak” XD la mia preferita, dove Greg impazzisce per il caffè e la faccia di Paul, accanto a lui, è da manuale! (riferimento a Yoko che va all’FVO e porta loro il caffè? Sì, lo è X3)

- Magma: Volcanic Disaster Trailer

- Dante’s Peak: coffee scene. Ora. Voi dovete guardare questo video con mooolta attenzione perché ad un certo punto vedrete comparire una scritta sull’affare giallo che Terry stacca dal robottino. Io ho trovato la cosa assurdamente profetica. XD come dire: il mio destino era già scritto in Dante’s Peak! *rotola via dal ridere*

“Angolino del: ‘Grazie, lettori, grazie!’ XD”:

- Hikari-san: con i tempi giurassici, sono arrivata ad occuparmi anche di Taruccio ** che, come vedi, si è fatto perdonare. ** il fatto è che lui era preoccupato, da buon fratello maggiore, e la preoccupazione gli ha fatto fare una cretinata XD capita!
T^T perdonami tantissimo per l’attesa.

- Sakura-chan: ** sei proprio una mitica Be(t)ta, la mappa mi è stata utilissima anche a distanza di tempo, mentre cercavo di far quadrare tutte le cose in questo capitolo XD ed io ti ringrazio tantissimo per la pazienza che hai con me, perché ti sbologni roba lunga chilometri. Grazie tantissimo anche e soprattutto per le tue parole ed i complimenti. T^T grazie e scusami per il tempo che ci ho messo a mandarti questo capitolo.

- Eos: fai bene a non mettere via la scimitarra *trullalà*, ma tanto ormai dovresti essere abituata a me e al fatto che io scrivo sempre tragggedie tragggiche XD. Insomma, se non faccio soffrire i pg non mi diverto, il che denota una mia particolare vena sadica. Anche quella, la conosci molto bene, ormai! XD
*_* sono felice di averti fatto ridere, cioè, insomma, parlavamo di Ricardo XD è un pagliaccio colossale, quello lì XD Ti pare che non avrebbe fatto trovare i festoni a Yuzo?! *rotola* non si terrebbe un cecio in bocca nemmeno se lo si pregasse in ginocchio, giuro! XD
T^T anche con te mi scuso tanto per il ritardo.

- Rubysage: Rubynaaaaaa *abbraccia*, quando lessi la tua recensione rimasi davvero contentissima **. Mi fa tantissimo piacere che la storia ti stia piacendo e ti ringrazio per i tuoi complimenti. T^T
Spero che l’attesa non ti abbia scoraggiato, e mi scuso tantissimo per il ritardo di questo aggiornamento. Cercherò di velocizzarmi e, come detto, lo sto già facendo. *alzapugno*
Ti ringrazio ancora :*

- Jaly-chan: XD sì, diciamo che qua proprio incarna la Sfiga con la “S” maiuscola. *rotola*
Sei stata davvero gentile e le tue parole mi hanno fatto davvero felicissima. ** Ti ringrazio tantissimo per aver rivalutato questo povero pg che è davvero un personaggio che meriterebbe molto di più ed io, nel mio piccolo, cerco di darglielo (assieme alla sfiga XD) *alzapugno*
Come con tutte, mi scuso infinitamente anche con te per l’attesa di questo capitolo. T^T mi spiace davvero tanto.

E anche per questo capitolo sono finite le ciarle XD
Scusate lo sfogo di prima, ma quando vedo certe cose mi si rizzano in testa i capelli. T_T cercate di capirmi.
Vi ringrazio di tutto e vi rimando al prossimo capitolo che, vi posso preannunciare, sarà pervaso da una gran botta di adrenalina **/

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 (parte I) ***


Documento senza titolo

Huzi

- Capitolo 21 (Parte I)-

Il silenzio regnò nell’ufficio del burbero per dei pesanti momenti, dopo che Yuzo l’ebbe lasciato.
Il Vice Prefetto rimase a fissare la porta chiusa con espressione tesa e severa, seppur meno ostica, e volse lo sguardo ad Hideki solo quando quest’ultimo riprese la parola, ed aveva un tono più calmo che comunque non riusciva a schermare a sufficienza la sua preoccupazione.
“Signor Kishu, capisco che possa sembrare assurdo e capisco anche la sua posizione, per quanto non possa condividerla, ma gli eventi elencati dal mio vice appartengono ad uno scenario probabile anche se terribile.”. Sospirò, togliendo gli occhialetti per massaggiarsi le palpebre stanche. “Gli esperti avevano individuato la periodicità del vulcano in trent’anni, ma ora che ne sono passati trecento senza dare alcun segnale, la cosa è ben più preoccupante. Più tempo passa, maggiore è l’energia che si accumula sotto l’edificio vulcanico e maggiormente violenta sarà la ripresa delle attività.”
“Lei ha detto che potrebbe anche non eruttare.” tenne presente Kishu in un estremo tentativo di convincersi che così sarebbe avvenuto.
“Sì, certo. Potrebbe. Ma un vulcano, che dopo trecento anni di silenzio dà segni di ripresa, ha una probabilità di fallire il tentativo di eruzione molto, molto più bassa di quello che pensa. Il Pinatubo eruttò dopo cinque-seicento anni di inattività dando vita ad una delle manifestazioni più imponenti del secolo scorso.”
Il vice Prefetto si zittì di nuovo. Lo sguardo fisso sull’immagine del Fuji che riusciva a vedere dalla finestra.
“Sono vulcani, Signor Kishu, manifestazioni della Natura e, come già le dissi, non possiamo piegarla ai nostri comodi, ma l’affronteremo così come verrà, cercando di prendere tutte le precauzioni e difese possibili. Ma lei deve permetterci di prenderle, queste precauzioni, e deve capire che, a volte, l’unica vera difesa è la ritirata.”
- Ritirarsi.- ripeté Tatsuya mentalmente che equivaleva ad evacuare le zone attorno al vulcano. Una manovra che avrebbe interessato non solo la città di Nankatsu, ma tutte quelle nel raggio di decine di chilometri dal cono e che avrebbe coinvolto ben due prefetture, se non tre o addirittura quattro.
Il problema si stava allargando troppo, ma voleva ancora credere di essere in grado di tenerlo sotto controllo.
“Per il momento, continuate a monitorarlo e tenermi informato di ogni sua più piccola variazione. Non una parola con la cittadinanza; nemmeno la più misera fuga di notizie.”
Con la stessa pacatezza che era riuscito a recuperare miracolosamente, Hideki inforcò di nuovo gli occhiali intrecciando le mani sulla liscia superficie della scrivania.
“Mi permetta di ricordarle che, differentemente da quanto avviene in altre nazioni, il popolo giapponese è molto informato su ciò che riguarda le attività sismiche e vulcaniche, vista e considerata la natura geologica dell’intero Giappone. Non ci metterà molto, quindi, a rendersi conto che c’è effettivamente qualcosa che non va nella Prefettura e che quel qualcosa è connesso al Fuji.”
“Ne sono consapevole.” Kishu non si perse d’animo, non era proprio nella sua indole. “Cercheremo di tenerlo nascosto il più possibile e lasciare al Prefetto il compito di divulgare la notizia con un annuncio ufficiale durante il comizio elettorale.”
A quelle parole, il burbero non trattenne una risatina carica di ironia che gli tese le labbra e si attirò la curiosità del Vice Prefetto.
“Ho detto qualcosa di divertente?”
“Signor Kishu, mi permette di essere franco?”
L’uomo annuì, convinto che Hideki Yoshikawa avesse capito la sua strategia.
“Ma certo.”
“Lei è proprio un fottuto politicante del cazzo.”
Tatsuya sorrise a sua volta. “Lo so. È per questo che sono arrivato dove sono.”
“Ma qui non si tratta più di vincere le elezioni.” si impuntò Hideki. “Ci sono delle vite in ballo cui lei sta permettendo di giocare col fuoco e quando si renderà conto di quanto grande è il pericolo sopra le loro teste, potrà essere tardi. Un’ora è troppo poca per evacuare la città.”
Tatsuya si alzò, aggiustando la giacca e concludendo la loro conversazione con il solito cinismo ed il mezzo sorriso di trionfo.
“Allora cercate di avere maggiori certezze quanto prima.”
Seguito dai suoi due accompagnatori fece per lasciare l’ufficio, quando Hideki lo fermò sulla soglia.
“Che lei lo voglia o no, noi lavoreremo assieme agli altri osservatori e sia l’ERI che la sede centrale del VRC sono stati avvisati di quello che sta accadendo.”
Kishu non aggiunse null’altro a quella che era praticamente un’azione di forza da parte di Yoshikawa, e lui decise di concedergliela per dimostrare di avere a cuore la faccenda. E, a conti fatti, ce l’aveva davvero.
Richiuse l’uscio alle sue spalle, muovendosi con passo deciso lungo il corridoio, prima di sbucare nell’atrio del piano dove, improvvisamente, quel caos furibondo gli sembrò chiaro e comprensibile.
Tutti si stavano dando da fare e lui era preoccupato. Per il comizio che, per quanto negasse, stava per essere mandato a gambe all’aria, per quel dannato vulcano che, dopo trecento anni, aveva deciso che doveva eruttare proprio adesso. E lui si trovava in una posizione terribilmente delicata.
“Signor Kishu, signore.” uno dei suoi accompagnatori gli rivolse la parola ed avvertì una nota di apprensione. “Ma lei crede davvero che ci sarà un’eruzione, signore?”
Lui si strinse nelle spalle, rispondendo con una certa irritazione. Ci mancava solo che i suoi sottoposti si facessero prendere dal panico.
“Non lo so, staremo a vedere. Non sono io l’esperto.”
L’altro accompagnatore aggiunse. “Forse dovrebbe permettere l’evacuazione, signore…”
Kishu fulminò l’incauto con un’occhiata severa.
“Quando vorrò il tuo parere sarò io a chiedertelo, chiaro?”
I due decisero di tacere, per fortuna, e arrivarono quasi alla porta che conduceva alle scale. La squadra di Morisaki era ancora al lavoro – come tutti, lì dentro – e pensò che, magari, loro potessero essere più malleabili del loro superiore. Con la ferma decisione di far sentire la sua presenza, si avvicinò alle scrivanie proprio nel momento in cui piombò – termine azzeccatissimo – una donna con un’accesa massa di ricci rossi che esclamò in direzione di quello che gli parve essere di origini ispaniche: “Il cagacazzi in doppio petto se n’è juto?[1]
Ecco, forse non aveva afferrato la parte finale della frase, ma ‘cagacazzi in doppiopetto’ era un appellativo piuttosto chiaro.
L’ispanico lanciò un’occhiata a lui e poi tossicchiò, cercando – con pessimi risultati – di non ridere. Solo in quel momento, la donna con i capelli rossi si accorse della sua presenza e gli rivolse un’occhiata di totale indifferenza.
“Il ‘cagacazzi’ sarebbe il secondo in carica di questa Prefettura.” ci tenne a far notare Kishu con un sopracciglio inarcato e lo sguardo glaciale con cui solitamente incuteva timore a chiunque osasse contraddirlo o intralciarlo in generale. Peccato che non avesse mai avuto a che fare con Rita, che simili soggetti aveva imparato a mangiarseli a colazione quando si trovava ancora a Napoli.
E i’ch’aggia fa? I cazzi e’ cag ‘o stess. Mo’ levete nu poco a’ ananzi, ohì! Amma faticà![2]” e lo scansò in malo modo, dirigendosi a passo spedito verso l’ufficio di Hideki.
Tatsuya rimase gelato sul posto con gli occhi e la bocca spalancati. Non aveva capito un accidenti, ma non ci sarebbe voluto un indovino per comprendere che non gli aveva fatto un complimento.
Attorno a lui, gli altri membri della squadra Morisaki stavano per morire soffocati nello sforzo di non ridergli in faccia.
“Vuole” ridacchiò l’ispanico “…vuole che glielo traduca?”
“Non si disturbi.” ringhiò Kishu, sistemandosi la giacca e scomparendo come un fulmine oltre la porta del terzo piano, masticando quell’incomprensibile: “Malleabili un cazzo!”
Lo scroscio di risate alle sue spalle lo sentirono in tutto l’FVO.

“Tutto bene, Professore?” gli domandò Shiguro appena Yuzo rientrò nell’edificio. Poi si corresse, passando una mano dietro la nuca ed abbozzando una specie di sorriso rassegnato. “Per quanto il concetto di ‘bene’ sia molto relativo in questo momento.”
Yuzo sospirò. “Lo so, ma cerchiamo di fare il possibile finché ne siamo capaci.”
“Sì, professore.” la guardia annuì gravemente; anche se lui non poteva materialmente fare qualcosa, capiva quanto tutti si stessero impegnando e a modo suo, restando fermamente al posto di lavoro, avrebbe dato loro il suo supporto morale fino alla fine. Però non riuscì a non chiederglielo pur avendo compreso, in tutti quegli anni, quanto fosse complesso fare determinate previsioni. “Lei crede che succederà davvero?”
“Quello che credo potrebbe non essere ciò che avverrà.” spiegò Yuzo “Ma se ho imparato a conoscere i vulcani almeno un po’.”, e in casi come quelli sperava davvero di sbagliarsi, “Vedremo un Fuji diverso nei prossimi giorni. Quello che non avremmo mai voluto vedere.”. Detto questo, scomparve lungo le scale che portavano ai piani superiori.
Quando arrivò al terzo non si incrociò con Kishu davvero per un pelo, scomparso giusto l’attimo primo dietro le porte dell’ascensore, ma venne investito da un boato di risate che gli disegnò un’espressione perplessa.
Varcando l’ingresso, vide Ricardo con la faccia completamente spalmata sulla scrivania e la mano che batteva sul tavolo, Toshi stravaccato sulla sedia che stava per morire soffocato ed Hisui che si teneva la pancia.
“Ah, bene. Siamo già alla fase del ‘rido per non piangere’?” disse, incrociando le braccia al petto ed appoggiandosi alla scrivania del geochimico.
Rick, che non ce la faceva nemmeno ad alzare la testa, agitò semplicemente una mano, mentre Hisui riusciva ad articolare un: “…perso! Che ti sei perso!”
“Un ‘Rita vs Vice Prefetto’!” sbrodolò d’un fiato Toshi con toni acutissimi. “Resterà negli annali!”
Quando Yuzo riuscì a realizzare il concetto, si portò una mano al viso con rassegnazione.
“Oddio, non voglio nemmeno immaginare cosa abbia potuto dirgli!”
“Immagina, immagina!” incalzò Hisui “Ci ha fatto ammazzare dalle risate!”
“Eh, lo vedo.” ironizzò il Prof che lentamente si allontanava dal tavolo “Ma ora vi voglio seri e nel mio ufficio. Rita dov’è?”
“Dal burbero.” Toshi si asciugò gli occhi con un fazzoletto di carta, uscendo finalmente dal suo stato di apnea.
“Perfetto.” accordò Yuzo, avviandosi nella sua stanza. “Chiamatela e raggiungetemi. E’ il momento di cominciare ad elaborare i primi scenari di eruzione.”

Kishu continuò a borbottare e masticare invettive fino a che non salì in macchina. Ed anche lì, accomodato nel lussuoso sedile in pelle, seguitò a bofonchiare parole incomprensibili.
Nel suo essere irritato, però, le parole del Vice Direttore continuavano a ronzargli nella testa.
Forse era stato davvero troppo allarmista, ma se putacaso avesse avuto ragione? Se il Fuji avesse eruttato e fosse venuto giù quello che Morisaki aveva chiamato lahar?
Trovandosi in una nazione ad alto rischio vulcanico e sismico, aveva studiato bene cosa comportavano eruzioni e terremoti con annessi e connessi, conosceva, quindi, cosa fosse un lahar o, più semplicemente, colata di fango, ma in quel momento avrebbe tanto preferito esserne all’oscuro.
Col Vice Direttore l’aveva presa molto alla leggera, anche perché valanghe come quelle venivano reindirizzate dalla stessa topografia lungo canali preferenziali, ma non aveva ipotizzato a quanto, effettivamente, avrebbe potuto essere la sua portata.
Gli occhi neri del Vice Prefetto si puntarono sul Fuji, appena l’auto lasciò il parcheggio sotterraneo, e sulla sua enorme coperta di neve.
Se l’ordine di evacuazione fosse partito in ritardo, i morti che avrebbe avuto sulla coscienza sarebbero stati maledettamente troppi.
La sua carriera valeva un simile sacrificio?
Con che faccia avrebbe potuto guardare sua figlia?
“Maledizione.” bofonchiò per l’ennesima volta, rivolgendosi a tutti e nessuno contemporaneamente.
Con un gesto irato recuperò il cellulare dalla giacca, componendo il numero di Terobashi.
“Ah, Tatsuya! Non ci eravamo già sentiti questa mattina?” il Prefetto sembrava realmente sorpreso.
“Ci sono delle… grosse novità, signore.”
L’altro rise sprezzante. “Che hanno escogitato quelli dell’FVO?”
“L’eruzione del Monte Fuji.” disse Kishu lapidario e senza tergiversare.
Sentì il Prefetto tossire in maniera convulsa dopo essersi quasi strozzato col fumo del sigaro che stava fumando.
“Vorrai scherzare?!”
“No, signore. Nemmeno per idea. Mi hanno mostrato prove inconfutabili della ripresa di attività del vulcano. La famosa sismicità che interessava la prefettura, si ricorda?”
“Che il diavolo se lo porti! E quando erutterà?”
Tatsuya si passò stancamente una mano sugli occhi. “Non lo sanno.”
Ma non era quella la risposta che Akinori voleva sentire. “E che accidenti aspettano a lavorare per scoprirlo?!”
L’altro sospirò, alzando gli occhi al cielo. Certe volte il Prefetto era un vero imbecille.
“Lo stanno già facendo, signore. Dicono che, nelle condizioni attuali, potrebbe anche non eruttare affatto. L’esito è incerto.”
“Bene. Una buona notizia. Tu cosa gli hai risposto?”
Tatsuya cambiò posizione, lo sguardo fisso sul panorama esterno. “Che i piani per il comizio non sono cambiati e non lo saranno fino a che non avranno certezze. Potrebbe rivelarsi una buona occasione per comunicare la situazione ai cittadini, nel frattempo ho proibito loro di farne parola ai media.” eppure, stranamente, non si sentiva più tanto convinto d’aver fatto la mossa vincente. Come aveva pensato, invece, Terobashi ne fu entusiasta.
“Perfetto! Hai avuto un’ottima idea, come al solito, sarebbe un bel colpo per la campagna elettorale.”
Il Vice Prefetto rimase in silenzio qualche momento in più, mentre osservava una bambina passeggiare felice tenendo per mano la madre. Quando parlò, non avrebbe mai pensato che una simile frase potesse uscire dalla sua bocca.
“Non sarebbe meglio sospendere tutto e diramare l’allarme, signore?”
Uno degli accompagnatori si volse addirittura di scatto per la sorpresa.
“Tatsuya! Mi meraviglio di te. Cosa ti prende?” tuonò invece il Prefetto. “Questo cambiare idea in corsa non ti si addice. Ti sarai mica fatto abbindolare dalle chiacchiere di quattro scienziatuncoli allarmisti, vero?”
Kishu incupì lo sguardo, facendo assumere alla bocca una piega amara: detestava quando veniva trattato da visionario e d’improvviso si rese conto d’aver fatto lo stesso mentre si trovava all’FVO. L’espressione divenne tetra.
“Non mi fraintenda, Prefetto, sono fermamente convinto di voler portare avanti la campagna, ma gli ‘scienziatuncoli’ di cui parla non sono degli sprovveduti e sanno benissimo quello che dicono. Gli scenari di cui mi hanno messo a parte non sono per nulla buoni, senza contare quanto importante sia già di per sé la notizia che il Fuji-san non sia più quiescente.”
“Nessuno lo mette in dubbio, ma conosco da molto più tempo di te come vanno queste cose, pur di farmi perdere, c’è gente che sarebbe disposta anche a vendere la propria madre. Magari Yoshikawa vota per Makio.”
“Signore, con tutto il rispetto, qui la politica non c’entra nulla. A quelli dell’FVO interessano solo i rischi legati all’eruzione-” possibile che non capisse?!
“Ed è il loro dovere. Tu pensa a fare il tuo, portando avanti i preparativi per il comizio come stabilito. Tanto si tratta solo di alcuni giorni ancora, cosa vuoi che succeda in così poco tempo?”

Durante tutto il tragitto per arrivare allo Studentato, Yoshiko non aveva fatto altro che pensare alla notizia comunicatagli da Yuzo e lanciare occhiate preoccupate al vulcano.
Sotto il candido manto innevato, le parve improvvisamente minaccioso, come mai le era sembrato.
Quasi un mostro.
E, per la prima volta da quando si era trasferita a Nankatsu, le fece paura. Trovò che fosse una sensazione nuova e spiacevole, mista ad un’altra che non le era del tutto sconosciuta: si sentiva come tradita. Le volte che, da Sendai, rientrava nella Prefettura di Shizuoka, vedere la forma conica perfettamente simmetrica le aveva sempre trasmesso sicurezza e protezione e le annunciava l’arrivo al suo ‘rifugio’, ovvero Nankatsu. Ed ora, proprio il vigile guardiano stava minacciando di raderlo al suolo, quello stesso rifugio tanto amato.
Inoltre, quella del Fuji non sarebbe stata una forza da poter contrastare. Ci si ritrovava, così, in balia delle sue mani come passivi spettatori. E forse era proprio questo che la feriva di più: non poter agire era avvilente.
D’improvviso, le sembrò i comprendere la rabbia e la frustrazione di Yuzo, l’urgenza e l’ansia di mettere al riparo la popolazione, ma con le mani legate da quell’arrivista di Vice Prefetto.
Un sospiro più forte ed aspro le sfuggì quando raggiunse il palazzo dello Studentato, che le si presentò più silenzioso del solito. Mentre saliva gli scalini in pietra, pensò che fosse una fortuna che fosse il week-end. Molti degli occupanti erano tornati a casa e, nel suo piccolo, le parve davvero una miracolosa coincidenza.
Con le mani nelle tasche del cappotto, camminò adagio lungo il corridoio, con lo sguardo rivolto al pavimento e lo sollevò solo quando sentì una porta aprirsi.
Vide Saya comparire sulla soglia armata di trolley.
Un sorriso sollevato le incurvò le labbra: per una volta, la sua ricciuta amica aveva avuto la giusta idea.
Quando Saya la scorse, le si fece subito contro, stringendo un foglio scarabocchiato.
“Stavo per lasciarti un messaggio nell’appartamento.” esordì, abbracciandola.
“Torni a casa?”
“Sì. Il mio livello di tolleranza-terremoti credo abbia raggiunto il limite: prima ho sentito un’altra scossa, di quelle piccole. È stato il culmine.” piagnucolò la ragazza, portandosi una mano al petto, e lei ridacchiò all’idea di non essersene nemmeno accorta; era divenuta totalmente terremoto-refrattaria, ormai. O forse, era stata semplicemente assorbita da tutt’altre faccende per rendersene conto.
“Fai benissimo.” l’appoggiò, prendendole le mani e assumendo un tono più serio. “E ascoltami: non tornare fino a che non te lo dico io, va bene?”
Saya sgranò i grandi occhi scuri con preoccupata perplessità. “Yoko, tu sai qualcosa che io non so e che temo di non voler sapere perché non sembra preannunciare nulla di buono. Ho ragione?”
“Decisamente.”
Si portò una mano alla fronte. “Oddio. Lo sapevo. Sta arrivando la fine del mondo, altro che 2012! Dici che nemmeno le Cayman sono sicure?!”
Yoshiko rise, battendole una mano sulla spalla. “Ma piantala! Non è l’Apocalisse!” -…a seconda dei punti di vista! - “Tu va’ a casa e aspetta mie notizie.”
“Te l’ha detto il vedovello?”
“Sì.”
L’altra sospirò. “E tu non tornerai a Sendai, vero?”
La risposta arrivò con qualche secondo di ritardo e non era cambiata da quella che aveva dato a Yuzo.
“No.”
“Perché non me ne stupisco?” sospirò Saya di nuovo “Sei sicura di sapere quello che fai? Da come me ne stai parlando si direbbe che la situazione stia precipitando…”
“Lo so. Ma Yuzo non se ne andrà, ed io voglio restare accanto a lui il più possibile.”. Yoshiko l’abbracciò di nuovo. “Stai tranquilla, domani vado da Taro, non preoccuparti.”
“Ci proverò. Ma so già che, appena saprò cosa diavolo sta succedendo, mi farò prendere dalle crisi isteriche.”
“Scema.”
Saya sospirò un’ultima volta prima di separarsi da lei ed afferrare il trolley. “Mi raccomando, stai attenta e niente slanci da eroina: non hai abbastanza tette per fare Wonder Woman!”
Yoko rise, dandole un buffetto affettuoso. “Fila via, tu! O perdi il treno!” ed attese che l’altra scomparisse definitivamente alla vista prima di mettere piede nel proprio appartamento.
Con estrema lentezza si liberò del cappotto, abbandonandolo esattamente sulla spalliera di una sedia assieme alla sciarpa.
Lo sguardo vagò malinconico sul semplice arredo del salotto-cucina fino all’ingresso della camera da letto. In quel momento, si rese conto che avrebbe potuto non rivederlo più, che non ci sarebbe stato nessun Studentato in cui rientrare dopo le lezioni e, addirittura, nessuna Università. Il suo mondo, quello che aveva eletto a ‘casa’ rischiava di essere distrutto e, molto probabilmente, non sarebbe stato in alcun modo recuperabile: troppo vicino al vulcano, ormai.
Affranta, rilasciò un pesante sospiro prima di rimboccarsi le maniche e mettersi al lavoro per decidere quale pezzo di passato portare con sé e quale lasciarsi alle spalle.

“Allora, considerando che il tremore persiste nella sua fase spasmodica, immagino non dobbiamo aspettarci nulla di buono nel prossimo futuro.” esordì Yuzo, le mani a massaggiare gli occhi stanchi e la squadra accomodata un po’ ovunque per l’ufficio. Al centro faceva bella mostra la mappa luminosa del Giappone.
“Dagli altri FVO ci sono state comunicazioni di slavine dalla bocca lungo i fianchi del cono.” comunicò Toshi. “La neve è instabile e comincia a venire giù per le troppe scosse e per l’innalzamento della temperatura del vulcano. Non si registra nessun danno rilevante, al momento.”
Hisui sfogliò i dati della JMA che si era appuntato. “I venti spirano verso SE e sembrano destinati a mantenersi costanti.”
“Se da un lato possiamo ritenerci fortunati perché a Nankatsu non dovrebbe cadere troppo materiale, dall’altro speravo che avessero direzione S-SW: è la via più breve verso il mare. Comunque, SE è il meno peggio. Accontentiamoci.” affermò Yuzo, muovendosi dalla scrivania dove era rimasto appoggiato fino a quel momento per avvicinarsi alla mappa luminosa e cominciare a camminargli intorno lentamente.
Ricardo cambiò posizione sul divano. “Qual è il meglio che possiamo aspettarci?”
“Che il Fuji faccia cilecca e ci gabbi tutti, oppure che ci dia abbastanza tempo per convincere Kishu che noi abbiamo ragione e lui torto.”
“E se non dovesse fallire la prova eruzione?” l’interrogò Toshi “Quale sarebbe il male minore in cui sperare?”
Yuzo inspirò a fondo, fermandosi davanti alla mappa e valutandola attentamente come se avesse potuto rivelargli un segreto da un momento all’altro. Poi accorciò l’ultima distanza, illustrando le ipotesi che aveva formulato.
“Conoscendo la storiografia eruttiva del Fuji, il suo stile ed il suo chimismo, il meglio in cui possiamo auspicare è un’attività modestamente freato-magmatica[3], nelle prime fasi, con una tendenza a scemare nel tempo in favore di un andamento più effusivo. La sua composizione è prevalentemente basaltica, ma ha eruttato anche materiale andesitico e dacitico[4], quindi, non è detto che possa mutare in corsa il suo stile in seguito ad una variazione chimica del magma.”. Il vulcanologo batté leggermente il dorso del dito ad indicare la parte SE del cono. “Sarei propenso a credere che l’eruzione potrebbe cominciare da una delle bocche dell’Hoei[5] e quindi avere colate in direzione E-SE-S, verso il Monte Hakone e il Monte Ashitaka, ma quelle non dovrebbero essere un problema. In caso contrario, allora, credo che il vent[6] sarà quello principale dello Younger Fuji[7] con colate in direzione NW-NE-SW.”
Rick si passò una mano sul mento. “E l’attività freato-magmatica, invece?”
“Nella migliore delle ipotesi le interazioni acqua-magma potrebbero generare una colonna di circa quattro-cinque chilometri. Come detto da Hisui, il tefra[8] ricadrebbe in direzione SE, con variazione massima verso S-SW.” le dita di Yuzo si mossero velocemente a circoscrivere l’area che avrebbe potuto trovarsi coinvolta nell’evento. Rapidamente, delimitò lo spazio con alcune puntine colorate.
“Con la sismicità come staremmo messi?” stavolta fu Toshi a porre la domanda, rivolgendo un’occhiata a Rita che restava accomodata sul bracciolo del divano.
La sismologa inarcò un sopracciglio, stringendo le labbra. “Contenuti. Con una magnitudo intorno a quattro. Decimo in più, decimo in meno. E se davvero varierà il suo stile in un’eruzione prettamente effusiva, allora saranno circoscritti solo durante l’iniziale fase esplosiva, con qualche debole evento successivo.”
Yuzo annuì, allontanandosi di qualche passo e portandosi le mani ai fianchi. Gli occhi ancora fissi sulla cartina. “In definitiva, una Vulcaniana[9]. Se volessimo quantificarla…” fece un rapido calcolo. “…un VEI-3, se siamo fortunati, un VEI-4[10] se lo siamo di meno.”
Per come era stato descritto, l’evento apparve al gruppo piuttosto modesto e non terrificante come si sarebbe potuto pensare. Ma, in fondo, era solo lo scenario migliore che avrebbero potuto avere.
“E se accadesse il peggio?” Rick ruppe quel brevissimo silenzio che li aveva avvolti dopo la conclusione di Yuzo.
“Dio non voglia.” replicò quest’ultimo, distogliendo lo sguardo dalla mappa ed afferrando un’altra manciata di testine con colore diverso da quelle precedenti. Lentamente tornò di nuovo verso la raffigurazione luminosa del Giappone che sembrava il campo di un’immensa battaglia navale con tutti quei colori sparsi sulla superficie. “VEI-5.” affermò senza esitare e cominciando a fissare le puntine. “Se il magma è prevalentemente andesitico, la fase freato-magmatica sarà ben più intensa di quanto si potrebbe sperare. La colonna potrebbe innalzarsi addirittura oltre i dieci chilometri di quota e la forza delle correnti a getto spingere in direzione WE il materiale piroclastico con ricaduta nelle prefetture di: Shizuoka, Yamanashi, Kanagawa, Tokyo, Saitama, Chiba e Ibaraki. Senza contare i venti a più bassa quota, ma passerebbero quasi in secondo piano.[11]
Toshi si passò una mano sulla fronte con lentezza, immergendola poi nella folta capigliatura. “Una nuova Hoei.” esalò con un sospiro forzato. “Saremmo nella merda.”
“Già. Il Fuji vedrebbe l’alba della seconda Pliniana[12] nella sua storia eruttiva.” il vulcanologo si fece da parte, permettendo agli altri di vedere fin dove la nube sarebbe arrivata a disperdere i suoi materiali, ed era molto più importante di quella precedentemente ipotizzata. Una lunga serie di ellissi, allungate verso Est, copriva circa la metà della Regione del Kanto, perdendosi poi nel Mar del Giappone.
Maldita puta…[13]
“Capirete che nel 1707 non c’era la densità abitativa di adesso.”
“E la sismicità? Probabilità di flussi piroclastici?” Rick cambiò nuovamente posizione nel divano che sembrava essere divenuto assurdamente scomodo.
Rita rispose alla prima domanda. “Se la fase freato-magmatica dovesse incrementare, ovviamente incrementerà anche la sismicità di almeno uno, due punti. Destinata poi a scemare nel tempo.”
“Contenuti. Il Fuji non è il Vesuvio. Per fortuna.” sospirò Yuzo, rispondendo alla seconda domanda. “Non aspettatevi la colonna del 79 d.C. e nemmeno una copia del St. Helens: l’acidità del nostro stratovulcano è decisamente più bassa. Ciò non toglie che i flussi piroclastici possano ugualmente formarsi, ma non credo arriveranno oltre le pendici del cono.” poi assunse un’espressione accigliata, borbottando quel poco convinto. “O, almeno, lo spero. Le cronache storiche non ne parlano durante la Hoei, quindi, possiamo ben sperare che faccia lo stesso anche questa volta. Se Dio vuole.” e lui lo sperava con tutte le sue forze.
“E riguardo ai lahar?” la domanda di Hisui si attirò gli sguardi di tutti i suoi colleghi per alcuni istanti prima che, in sincrono, si spostassero sul vulcanologo. Quest’ultimo li sostenne tornando poi a volgersi in direzione della lavagna luminosa.
“Quelli si formeranno comunque, in qualsiasi ipotesi, sia la migliore che la peggiore. Tutto sta a sapere da quale bocca erutterà. E se sarà attraverso le tre dell’Hoei, forse abbiamo anche una possibilità di non venire rasi al suolo. Ma se il vent principale dovesse essere quello dello Younger Fuji… faremmo bene a raccomandare Nankatsu a qualche Santo, credo che ne avrà bisogno.” e visto che lui aveva smesso di credere alla fortuna, aveva il maledetto sentore che non sarebbero stati graziati.
“Bisognerà condividere quello che abbiamo con gli altri Osservatori…” Ricardo sbuffò, lasciandosi sprofondare nel divano e passandosi le mani sul viso, mentre il telefono dell’ufficio di Yuzo prese a squillare all’improvviso. “…e sapere se loro sono arrivati alle nostre stesse conclusioni.”
“E dobbiamo preparare anche delle mappe di rischio per le varie ipotesi da fornire a Kishu. Vediamo di metterci subito al lavoro.” concluse il vulcanologo, appoggiandosi alla scrivania e afferrando il ricevitore. “Morisaki.” disse ed i suoi colleghi gli videro cambiare espressione dopo qualche momento fino a che non sbottò. “Che cosa?! E tu molli la rogna a me?! Guarda che non sei già in pensione, eh. La baracca la comandi ancora tu!” da questa frase, compresero che stava parlando con Hideki, ma non sembrava avergli comunicato una buona notizia. I membri della squadra lo videro sospirare ed alzare gli occhi al cielo, la voce all’altro capo che continuava a sbraitare e lui che annuiva rassegnato. “Sì, va bene, ci penso io.”, ma non sembrava molto entusiasta. Yuzo chiuse la chiamata con uno sbuffo, dirigendosi alla porta dello studio.
“Che c’è adesso?” domandò Ricardo con un sopracciglio inarcato e l’altro s’appoggiò all’uscio per un attimo prima di esalare quel: “Grane.” e lasciare la stanza.

“Per favore, state indietro. Abbiamo ricevuto l’ordine di non farvi entrare!”
Shiguro si domandava quanto diavolo mancasse ancora alla sua pensione, mentre cercava di arginare la folla di giornalisti che si era radunata sotto l’FVO per cercare di avere più informazioni possibili su quella situazione divenuta ormai insostenibile. I terremoti, seppur di poco oltre la soglia di percezione, continuavano ad un ritmo che aveva finito per mettere a dura prova la calma dei cittadini.
“Non possono tenerci ancora all’oscuro!” aveva sbottato una giornalista, agitando animatamente il microfono ed indicando l’edificio alle spalle della guardia. “Vogliamo avere delle risposte, gli abitanti di Nankatsu devono sapere cosa sta accadendo!”
“Mi dispiace, ma fino ad ordini contrari io non mi muoverò di qua e voi non potrete oltrepassare quella porta. È chiaro?”. Shiguro diede una rapida occhiata a Myuri, accanto a lui, che cercava di fare il possibile per arginare la calca di cameramen e altri giornalisti. “Per favore, devo chiedervi ancora di allontanarvi. Non costringetemi a chiamare la polizia per farvi sgomberare.”
A quella minaccia, le proteste si levarono ancora più forti e l’uomo alzò gli occhi al cielo pregando in un miracolo o, almeno, in qualcuno che arrivasse a dar loro una mano.
Se si fosse girato indietro, attraverso il vetro delle porte dell’FVO, si sarebbe accorto di come Dio avesse deciso di ascoltare la sua muta richiesta, mandandogli finalmente un aiuto. Peccato che l’aiuto in questione non fosse tanto d’accordo.
“Ossignore.” sbuffò Yuzo, appena arrivò nell’atrio dell’Osservatorio e scorse Shiguro e Myuri che cercavano di tenere a bada un gruppo di giornalisti piuttosto consistente e pure agguerrito. Certo, se da un lato non poteva dar loro torto, dall’altro avrebbe voluto disporre di un lanciafiamme per toglierseli dai piedi d’un sol colpo perché, in quel momento, con tutto il lavoro che c’era da fare, mettersi a battagliare con la stampa non era proprio il caso. Inspirando a fondo varcò la soglia dell’edificio, venendo investito da un vociare confusionario e forte.
“Oh, Professore! Grazie al cielo!” Shiguro lo guardò come fosse la sua ancora di salvezza. “Non sappiamo più cosa fare per tenerli indietro! Ci parli lei.”
“Sono qui apposta.” e fece, in avanti, un altro passo ancora, alzando le mani e la voce affinché tutti potessero sentirlo. “Per favore, signori, un po’ d’ordine.”
“Finalmente si sono degnati di mandare qualcuno!” esordì un reporter più distante e Yuzo inspirò a fondo, mandando in loop il mantra: ‘sii paziente, fanno il loro lavoro, come te.’
“Sono il Vice Direttore Morisaki e la gente in questo edificio non ha tempo da…” – perdere! – “…dedicare alla stampa, in questo momento.”
La donna che aveva parlato prima tornò alla carica. “Vice Direttore, può spiegarci che cosa sta succedendo e quali sono le cause di questi terremoti? Alle sedi dell’ERI e del VRC continuano a mantenere il silenzio stampa, ma la gente ha il diritto di-”
“Lo so e sono d’accordo con lei, il problema è che non abbiamo l’autorizzazione a parlarne, per questo non ci sono stati comunicati ufficiali.”
Un altro intervenne, allungando il microfono nella sua direzione. “Ma almeno avete scoperto cosa sta succedendo?”
Yuzo sospirò, maledicendo mentalmente il Vice Prefetto per l’ennesima volta. “Purtroppo non posso dirvi nemmeno questo.”
“Ma è assurdo!”
- Ah, non dirlo a me! - “Tutto quello che posso dirvi è che, al momento, la situazione è sotto controllo e ogni singolo uomo del dipartimento è impegnato in questa emergenza. Appena potremo, vi comunicheremo tutto ciò che sarà necessario sapere, ma, ora come ora, abbiamo le mani legate. Ci dispiace.”. avrebbero dovuto accontentarsi di quelle parole stringate e criptiche, perché da lui non avrebbero ottenuto nessun’altra informazione, purtroppo, e solo Dio sapeva quanto, invece, avrebbe voluto comunicare praticamente a reti unificate l’attività del Fuji e mettere in atto il piano d’evacuazione.
Poi, la giornalista lo fermò che stava per rientrare nell’FVO, facendogli balenare in testa l’idea più malsana e perfida che avesse mai potuto formulare.
“Ma se nessuno di voi è autorizzato a dirci nulla… a chi dovremmo rivolgerci?!”
Yuzo si volse appena. “Al Vice Prefetto Tatsuya Kishu. Alloggia al Crystal Sky Hotel. Buona giornata.” e ghignando di soddisfazione varcò la soglia dell’Osservatorio, borbottando tra sé. “Benvenuto nel Club delle Gatte da Pelare, Kishu.”

Yoshiko si buttò sul letto rilasciando uno sbuffo stanco. Non pensava che l’impresa di impacchettare tutte le sue cose, o almeno una parte di esse, in un estremo tentativo di volerle preservare, sarebbe potuta rivelarsi così estremamente laboriosa. E non aveva ancora finito. Senza contare che doveva preparare il piccolo bagaglio che avrebbe portato da Taro e avvisarlo.
O diavolo!
Non l’aveva ancora fatto!
Presa com’era stata da quelle ultime rivelazioni ed il proposito di inscatolare quanta più roba possibile, si era dimenticata di avvisare suo fratello della situazione, mentre a sua madre non avrebbe detto nulla del Fuji o avrebbe sguinzagliato anche l’Esercito della Salvezza per andare a riprenderla. Yoshiko era però consapevole che non avrebbe potuto oltremodo ignorarla, non sarebbe stato giusto.
Con un enorme sforzo di volontà, si tirò a sedere sulle coltri, guardandosi intorno lentamente ancora una volta prima di alzarsi e dirigersi alla finestra. Aveva cominciato la sua opera che c’era ancora il sole ed ora che l’orario di cena era già abbondantemente arrivato, l’oscurità aveva coperto il cielo. Eppure, l’intenso via vai di auto, che aveva notato già quando si stava dirigendo da Yuzo con i caffè, non era scemato per nulla. Cosa ben strana, poiché a quell’ora il traffico non era così intenso, solitamente.
A quanto pareva, Saya non era stata l’unica ad avere l’idea di lasciare la città, ed anche se il Vice Sbruffone aveva impedito a Yuzo ed i suoi colleghi di diramare l’allarme, l’evacuazione era già in atto, a modo suo. La gente stava cominciando ad avere paura di quei continui terremoti, nonostante fosse allenata ad avere un’attività sismica superiore alla norma. Osservò ancora per qualche momento, con la mano appoggiata sul vetro, la lunga coda di luci rosse e bianche delle vetture sulla strada, prima di allontanarsi ed afferrare il cordless.
E così, si veniva alla resa dei conti.
Oddio, messa in quei termini sembrava la scena di un vecchio film western e quel pensiero riuscì a farla sorridere, nonostante la tensione che sentiva nel dover parlare con sua madre, ma non sarebbe scappata, quella volta, e non avrebbe rifuggito le sicure parole allarmate con cui lei avrebbe cercato di convincerla a tornare a Sendai. Mentre digitava lentamente il suo numero di casa, si convinse che quella volta non si sarebbe infuriata, limitandosi a sbuffare laconiche risposte nel tentativo di chiudere alla svelta una scomoda conversazione, ma le avrebbe parlato, nella maniera che avrebbe dovuto fare ben molto tempo prima, perché voleva che lei cercasse almeno di comprendere il suo punto di vista. Poi avrebbe potuto condividerlo o meno, non le importava, ma almeno avrebbe messo le cose in chiaro tra loro una volta per tutte.
Il telefono squillò libero una sola volta e subito qualcuno rispose all’altro capo.
Yoko non riuscì a non sorridere pensando a quanto sua madre fosse davvero in ansia per lei e, stranamente, non si arrabbiò nel momento in cui la donna le riversò addosso parole a raffica senza nemmeno lasciarle il tempo di dire ‘A’.
“Ci voleva addirittura l’intercessione di tuo fratello per farti finalmente prendere il telefono e chiamarmi?! Perché sono sicura sia stato lui a dirtelo, vero?! Maledizione, Yoshiko, quanto ancora vorrai farmi stare in pensiero? Non so più cosa devo fare con te.”
Yoko sospirò. “E allora non fare niente.” le rispose con semplicità.
All’altro capo, la donna rimase per un momento spiazzata dalle sue parole, ma, soprattutto, dal suo tono. Si sarebbe aspettata una risposta sarcastica, voce irritata ed un susseguirsi di ‘smettila di dirmi cosa devo fare! Questa è la mia vita, lasciami in pace!’ ed invece niente.
“Non è detto che tu debba per forza fare qualcosa, mamma.” continuò la sorella di Misaki “Hai già fatto tanto, forse troppo. Non hai bisogno di recuperare il tempo perduto come se fossi Taro. Hai coperto alla perfezione il tuo ruolo di genitore, ma… adesso devi lasciare ch’io decida da sola. Non credi?”
Il silenzio perdurò ancora, con buona pace di Yoshiko che non si sarebbe mai aspettata di riuscire a lasciarla, per una volta, senza parole. Così seguitò.
“Lo so che vuoi solo il mio bene, come papà e Taro, ma il mio bene, ora, appartiene solo a me e per quante volte me lo chiederai, la mia risposta di lasciare Nankatsu sarà sempre la stessa: no.”
Gliel’aveva detto.
Era riuscita a fare un discorso articolato senza travasi di bile o altro, ma parlandole, semplicemente, e si sentì tremendamente orgogliosa di sé per questo ed anche più leggera. Ora, in tutta sincerità, poco le importava cosa avrebbe risposto sua madre, lei si sentiva già soddisfatta per aver raggiunto quel traguardo.
All’altro capo, la prima cosa che arrivò al suo orecchio non furono proprio parole, quanto un singhiozzo che le fece aggrottare le sopracciglia e sorridere.
“Mamma?”
“Speravo che questo discorso me lo facessi il più tardi possibile…” lamentò la donna, iniziando a piangere “…speravo che restassi la mia bambina ancora per un po’…”
Anche se sua madre non poteva vederla, l’espressione di Yoshiko si addolcì. “Ma io lo sarò sempre, che credi?”
“Sì, ma non potrò più pretendere di decidere per te o di tenerti stretta a me e…” sospirò, tirando su col naso “…di costringerti a tornare a Sendai.”
“Quello non potevi più farlo già da prima!” ridacchiò Yoshiko, cercando di sciogliere la tensione, ma Yumiko continuò con tono accorato.
“Però… sono molto preoccupata, tesoro. Perché non rientri a casa, almeno per qualche giorno? Non dico che devi trasferirti nuovamente qui, ma solo… solo finché questa storia dei terremoti non si sarà chiarita, eh? Al notiziario seguitano a dire cose poco rassicuranti, la città è un continuo tremare ed io sono in ansia per te… per favore… almeno questo…”
Doverle negare quella richiesta le dispiacque, soprattutto per il tono con cui gliela stava ponendo. Per una volta, le sue parole non erano dettate dai materni capricci di controllo e protezione, ma da sincera preoccupazione per la sua incolumità. Però, lei aveva già preso la sua scelta, e non sarebbe cambiata nemmeno se fosse stata sua madre a chiederglielo.
“Non posso.” disse solo.
“Perché? I corsi all’Università puoi recuperarli, non credo che-”
“Non è per quello, mamma.”
Il silenzio le separò per qualche attimo e venne poi spezzato da un altro singhiozzo, più forte dei precedenti.
“Ecco, lo sapevo che sarebbe successo…” riprese la donna, mentre Yoshiko alzava lo sguardo al cielo. “…chi è?”
La ragazza sbottò a ridere divertita. “Da quando sei diventata così perspicace?”
“Da quando ci sono passata ben prima di te.” tirò di nuovo su col naso. “Avanti, su. Chi è?”
“E’ un amico di Taro, ma non lo conosci.”
“E si trova a Nankatsu?”
“Sì.”
Yumiko tentò il tutto per tutto per farle cambiare idea. “Se lui davvero tenesse a te, sarebbe il primo a dirti di tornare a casa!” non poteva vederla, ma immaginò che sua figlia stesse sorridendo dal tono con cui rispose.
“Lo ha fatto, mamma. Se avesse potuto, mi avrebbe accompagnato di persona fino a Sendai.”
“Allora è sicuramente più responsabile di te! Se non vuoi stare a sentire i lamenti di tua madre, perché non ascolti il suo consiglio?”
Ma la donna non poteva capire fino in fondo la sua scelta perché ancora ignorava cosa stesse effettivamente per accadere alla città, all’intera Prefettura e, anche se in senso lato e metaforico, all’intero Giappone.
“Perché lui resterà qui. Tu avresti mai lasciato da solo papà?”
“Oh, Yoshiko, è un discorso differente! Io e tuo padre siamo insieme da anni e tu da quanto tempo conosci questo ragazzo?! Cerca di stare più con i piedi per terra-”
“I miei piedi sono perfettamente ancorati al suolo, molto di più di quello che credi e anche se ci conosciamo relativamente da poco, so che lui è la persona giusta per me, quindi puoi provare ad argomentare quanto vuoi, io non me ne vado. Mi dispiace, mamma.”
Yumiko aveva perso e ne era perfettamente consapevole. “Sei… sei una testarda! Una dannata testarda!” sbottò, mollando il telefono sul mobiletto e scappando via in lacrime.
“Pronto?! Pronto, mamma?!” Yoshiko fissò interdetta il cordless, inarcando un sopracciglio. “E adesso chi è che fa la bambina?!” masticò con un certo divertimento quando sentì una voce maschile provenire dall’altra parte.
“Tesoro?”
“Papà!”
“Ciao, bambina mia.”
“Dov’è sparita la mamma?”
Yoko lo sentì ridere piano per non farsi udire dalla donna. “Si è rintanata in lacrime nella sua stanza. E quando piange è perché è stata sconfitta. Posso congratularmi con te?”
Adorava il carattere allegro e comprensivo di suo padre e non riuscì a non sorridere alle sue parole che avevano finalmente spazzato via il clima da melodramma messo in piedi da Yumiko.
“Allora voglio una medaglia quando torno.”
“Ma non sarà adesso, immagino.”
“No.”
L’uomo inspirò a fondo. “Se sei riuscita a far capitolare tua madre, significa che ormai sei grande abbastanza per saper valutare autonomamente cosa sia giusto o sbagliato, per te. Quindi, se hai deciso di restare a Nankatsu, avrai le tue ragioni… che spero ci presenterai presto.” e Yoshiko non riuscì a non ridacchiare con un certo imbarazzo. “Tutto quello che posso dirti è solo di stare attenta.”
“Non preoccuparti, papà. Domani andrò da Taro, così non sarò da sola. Avrei voluto dirlo anche alla mamma, ma non me ne ha dato il tempo.”
L’uomo rise, cercando di stemperare la tensione. “Lo so. Me ne sono accorto. Ma tu cerca di non biasimarla, è solo preoccupata per te. Come me, del resto.”
“Non hai bisogno di dirmelo. Lo so già.”
“Allora non lo farò più. Mi fido di te, Yoko, e so che sarai attenta.”
Il sorriso di Yoshiko s’addolcì, mentre la voce assunse una sfumatura carica d’affetto per la fiducia che riponeva in lei. “Grazie, papà.”
“Chiamaci se dovessero esserci novità, va bene, piccola?”
“Sì, certo.” per quanto lei fosse già al corrente delle fantomatiche novità, ma avrebbe lasciato che i suoi le ignorassero ancora un po’, poi aggiunse. “Vi voglio bene.”
“Anche noi, tesoro.”
Yoshiko chiuse la comunicazione, lasciando che il sorriso continuasse ad aleggiare sulle sue labbra con un meraviglioso senso di soddisfazione. Incredibilmente, le cose stavano andando tutte per il verso giusto. Tutte quelle che esulavano dal Fuji, ovviamente. Il vulcano era un problema ben più grande di lei contro cui non avrebbe potuto fare nulla se non aspettare. Ma si impose che il pericolo incombente non avrebbe dovuto intaccare il suo ottimismo ed entusiasmo.
Di slancio e con rinnovato vigore, s’alzò per andare a prepararsi una calda tazza di tè quando, una volta giunta in cucina, la televisione attirò la sua attenzione. Stava passando il notiziario delle otto e nelle immagini riconobbe l’edificio dell’FVO con la guardia che cercava di tenere a bada una folla di giornalisti.
Yoshiko alzò il volume, appoggiandosi al tavolo.

“Continuano le scosse sismiche nella città di Nankatsu, che stanno mettendo in allarme la popolazione preoccupata dall’eventualità che qualcosa di importante possa verificarsi nei prossimi giorni. Gli esperti dell’ERI e VRC continuano a non voler lasciare dichiarazioni. Ma sentiamo le parole del Vice Direttore dell’FVO di Nankatsu, Yuzo Morisaki, avvicinato questo pomeriggio fuori dalla sede dell’Osservatorio.”

Un attimo dopo l’immagine di uno Yuzo che era visibilmente a metà tra l’irritato ed il nervoso fece la sua comparsa sullo schermo, strappandole una risatina.

“Vice Direttore, può spiegarci che cosa sta succedendo e quali sono le cause di questi terremoti? Alle sedi dell’ERI e del VRC continuano a mantenere il silenzio stampa, ma la gente ha il diritto di-”
“Lo so e sono d’accordo con lei, il problema è che non abbiamo l’autorizzazione a parlarne, per questo non ci sono stati comunicati ufficiali.”
“Ma almeno avete scoperto cosa sta succedendo?”
“Purtroppo non posso dirvi nemmeno questo.”
“Ma è assurdo!”
“Tutto quello che posso dirvi è che, al momento, la situazione è sotto controllo e ogni singolo uomo del dipartimento è impegnato in questa emergenza. Appena potremo, vi comunicheremo tutto ciò che sarà necessario sapere, ma, ora come ora, abbiamo le mani legate. Ci dispiace.”
“Ma se nessuno di voi è autorizzato a dirci nulla… a chi dovremmo rivolgerci?!”
“Al Vice Prefetto Tatsuya Kishu. Alloggia al Crystal Sky Hotel. Buona giornata.”

Su quella conclusione, Yoko sbottò a ridere sonoramente.
“Ma non ci credo!” ripeté, spegnendo la TV e scomparendo rapidamente in camera per recuperare il cellulare. “Che perfido!”
In un attimo aveva già il telefono all’orecchio che squillava.
La voce, all’altro capo, rispose con una certa severità.
“Morisaki.”
Mhhhh, come siamo seri.”
Il cambio di tono fu tanto radicale da farla sorridere. “Ehi, stavo proprio pensando di farti una telefonata. Avevo bisogno di sentirti.”
“Davvero?” Yoshiko arrossì leggermente, pasticciando con una ciocca di capelli. “Come procede il lavoro?”
Yuzo sospirò. “Si fa quel che si può, e anche di più.” gli sfuggì una risatina ironica. “Credo che stanotte non dormirò. E tu? Tutto bene?”
“Benissimo. Però ti avevo chiamato per dirti che sei davvero terribile, quando vuoi.”
Anche se non poteva vederlo, Yoshiko ipotizzò che avesse assunto un’espressione sorpresa, poiché rispose.
“Io? Ma se sono la bontà fatta persona.”
“Ah, sì? Io non direi, ho appena visto il notiziario.”
Aaaaah! Quello. Almeno: sono fotogenico?” scherzò il vulcanologo, ma lei scosse il capo.
“Gli hai sguinzagliato i giornalisti contro. Lo sai, vero, che il Vice Prefetto ti odierà a morte adesso?”
“Veramente, mi odiava già da prima. E comunque il politico è lui, che si occupasse almeno delle public relations. Abbiamo già troppo da pensare, qui, per correr dietro alla stampa. Sii comprensiva.”
La risata di Yoshiko riuscì a trasmettergli un po’ di buon umore, mentre si rilassava contro la morbida spalliera della sua poltrona. Fuori dal suo ufficio, non c’era una scrivania che non fosse occupata da uno studioso dell’Osservatorio e Rita si era addirittura trasferita al terzo piano, per poter comunicare ogni variazione in tempo reale a tutta la squadra.
“Hai parlato con tuo fratello di quello che sta accadendo? Che ha detto?” riprese Yuzo, ma Yoshiko tentennò, assumendo l’espressione di chi era pronta a sentirsi una ramanzina infinita. La giovane ringraziò che il vulcanologo non potesse vederla e che si trovassero al telefono, altrimenti sarebbe stata sicura che Yuzo l’avrebbe presa di peso e portata dal suo ex compagno di squadra e scuola.
“Ehm… ecco… veramente non sono ancora da Taro.”
“Tu… cosa?!” sbottò l’uomo, la parvenza di buonumore svanita di colpo. “Yoshiko! Mi avevi promesso che saresti andata da tuo fratello, dove sei?!”
“Sono allo Studentato, lo raggiungerò domani, ma non ti arrabbiare!” tentò di rabbonirlo, ma l’altro era fuori dalla Grazia di Dio.
‘Non ti arrabbiare’?! Io non sono arrabbiato. Io sono incazzato nero, dannazione! Mi spieghi che fai ancora lì?”
Yoko si passò una mano dietro la nuca, assumendo un tono tra l’accomodante ed il mortificato; il labbro inferiore stretto leggermente tra i denti. “E’ che stavo sistemando le cose da metter via e… non mi sono accorta che si fosse fatto così tardi.”
“Avresti dovuto semplicemente preparare un bagaglio da portare con te, non organizzare un trasloco!”
“Lo so, lo so.”
“Dammi pochi minuti e ti vengo a prendere per-”
Ma Yoshiko lo stroncò prima che potesse finire la frase. “Assolutamente no, Yuzo. Tu hai cose più importanti di cui occuparti e non hai alcun motivo di preoccuparti per me. Si tratta solo di aspettare fino a domani. Va bene?”
La risposta fu un lungo sospiro, decisamente poco convinto, che la fece sorridere, mentre, all’altro capo, Yuzo afferrava pigramente la tazza colma di caffè. Santa Caffeina non poteva assolutamente mancare quella sera.
“Tanto deve andarmi bene per forza, vero?” borbottò, buttando giù un lungo sorso di liquido caldo e amaro.
“Esattamente.”
“Dio, che pazienza.”
“Ti amo.”
“Stai cercando di rabbonirmi?”
“L’ho già fatto.”
Yuzo sollevò gli occhi al soffitto, rassegnato. “Detesto ripetermi, ma… Dio, che pazienza.”
La risata di Yoshiko riuscì a rilassarlo nuovamente, seppure l’idea che lei restasse ancora da sola nell’appartamento non gli piacesse per nulla. “Sicura che non vuoi venire almeno qui all’FVO?”
“Sicurissima. Non voglio esserti di intralcio più di quanto non lo sia già stata fino adesso. Pensa solo al Fuji-san, ok?”
Mh.”
“Ah, un’ultima cosa…”
“Dimmi.” la tazza che veniva nuovamente portata alle labbra e l’aroma del caffè in circolo.
Hochiamatolamammaelehodettodinoi.Papàvuoleconoscerti.Buonanottetiamociao!
Il caffè venne letteralmente sputato ovunque, mentre cercava di dare un senso compiuto all’ultima frase di Yoshiko che, purtroppo per lui, aveva capito benissimo.
“Tuo padre… cosa?! Pronto?! Yoko?!” ma la ragazza aveva già prontamente attaccato senza dargli il tempo di replicare alcunché.
Yuzo si ritrovò a fissare come inebetito il display del cellulare per qualche secondo prima di alzare lo sguardo al cielo e sospirare quel rassegnato: “Ti amo anch’io.”
Dall’altra parte della città, nel suo piccolo appartamento allo Studentato, Yoshiko si domandò, invece, se non gliel’avesse comunicato, come dire… un po’ troppo bruscamente.
Naaaa!” decretò infine, scuotendo il capo e mettendo da parte il cellulare per afferrare di nuovo il cordless.
Pigramente s’alzò, componendo il numero di casa di suo fratello e mettendo sul fuoco il bollitore del tè.
“Ehilà!” rispose Taro col suo solito tono affettuoso e gentile. “Non mi aspettavo una tua chiamata. Va tutto bene?”
Yoko tentennò, indecisa se prenderla molto alla larga oppure affrontare la questione di petto. Optò per la seconda. “Beh, sì. Dipende dai punti di vista.”
L’altro parve accigliarsi. “E’ successo qualcosa?”
“Decisamente. Da che vuoi che comincio? Dal Fuji che sta per eruttare o dalla mamma che si è finalmente arresa?!”
Che cosa ha fatto il Fuji?!” sbottò suo fratello e Yoshiko capì che avrebbe dovuto mettere da parte il suo piccolo momento di gloria almeno per un po’.


[1] “IL… JUTO?” : “Il cagacazzi in doppiopetto se n’è andato?”

[2] “ED… FATICA’!”: “Ed io che ci posso fare? I cazzi li caghi lo stesso! Adesso levati un po’ da davanti! Dobbiamo lavorare!”

[3]FREATO-MAGMATICA: FreaticaFreato-magmaticaIdromagmatica: sono i tre tipi di eruttività che si possono ottenere quando l’acqua e il magma interagiscono. Nel primo caso (freatica): acqua e magma non si toccano, direttamente, ma il magma riscalda l’acqua presente nell’edificio vulcanico, innescando esplosioni di vapore (è il meccanismo dei gayser). Il secondo caso (freato-magmatica) si ha quando acqua e magma entrano in contatto diretto. L’acqua, in questo caso, è acqua di falda o quella superficiale composta da neve e ghiaccio che possono ricoprire la sommità dell’edificio vulcanico (come nel caso del Fuji). Il contatto tra acqua e magma, dove la quantità di magma è maggiore di quella dell’acqua, innesca una serie di esplosioni che sono numerose, ma meno intense di una normale eruzione esplosiva (questo perché l’acqua abbassa la viscosità del magma). Il terzo caso (idromagmatica) è simile a quello freato-magmatico, solo che la quantità di acqua è maggiore rispetto al magma, quindi l’intensità delle esplosioni è ancor meno intensa, anche se gli eventi sono numerosi (ad esempio: un vulcano si forma sotto la superficie del mare o di un lago. Il livello d’acqua sovrastante è maggiore del magma in uscita. Possono esserci anche casi in cui l’acqua è talmente tanta da non permettere alcuna esplosione. Si ha quindi la formazione di ‘pillow lava’, ovvero ‘lava a cuscini’. Quello che avviene lungo le dorsali situate sul profondo degli oceani).

[4]ANDESITICO / DACITICO: i magmi non sono tutti uguali, ma vengono distinti in base alla loro composizione chimica e, soprattutto, al loro contenuto in silice. Ovviamente: minore sarà il contenuto in silice, minore sarà la viscosità (cioè la resistenza che il fluido oppone allo scorrimento) e minore sarà l’acidità del magma, quindi, minore sarà anche il grado d’esplosività dell’eruzione.
I magmi basici sono i più fluidi e quelli associati ad eruzioni tipicamente effusive (es: il basalto è un magma basico con un contenuto in silice <50%).
I magmi acidi sono quelli più viscosi e sono associati ad eruzioni tipicamente esplosive (es: i magmi dacitici che hanno un contenuto in silice tra 70/72%).
Ci sono poi i magmi intermedi con silice compresa tra il 56/62% (es: i magmi andesitici) che hanno un comportamento meno esplosivo dei magmi acidi, ma di certo non effusivo come i magmi basici.
Il Fuji è un vulcano che a componente non solo basaltica, ma anche andesitica (e nell’ultima eruzione ha anche emesso materiale dacitico), quindi ha un comportamento eruttivo piuttosto variabile: da effusivo a mediamente esplosivo/esplosivo.

[5]HOEI: l’ultima eruzione del Fuji, quella datata 1707, si originò da tre bocche formatesi sul fianco SE ad una quota di compresa tra 3100-2150 m. E vennero chiamate 1°, 2° e 3° bocca Hoei. L’eruzione prende il nome dal cratere eruttivo da cui si è originata.

[6]VENT: in inglese, è la ‘bocca eruttiva’. Il fatto è che in vulcanologia (ma un po’ in tutta la geologia e la geofisica) usiamo spesso termini stranieri.

[7]YOUNGER FUJI: Il Fuji, come già detto, è uno stratovulcano. Questo significa che si è formato per sovrapposizione di colate e materiali piroclastici, in seguito a svariate eruzioni, che si sono accumulati e gli hanno permesso di assumere la sua bellissima struttura conica. Il Monte Fuji è formato dalla sovrapposizione di tre vulcani: il Komitake, l’Older Fuji e lo Younger Fuji. (QUI potete vedere un disegno esplicativo). Lo Younger Fuji è il più recente ed è costituito dal cratere centrale, quello principale. Questo, però, non significa che le eruzioni possano avvenire solo attraverso quella bocca eruttiva. Oltre alle tre Hoei, ci sono tutta una serie di vent e coni parassiti che seguono la direzione della ‘Fossa Magna’, ovvero la frattura tettonica su cui sorge il Monte Fuji, il Monte Hakone, il Monte Ashitaka (Huzi Volcanic Zone), la Penisola di Izu, le Isole Izu e le Isole del Sud, in direzione NNW-SSE.

[8]TEFRA: è l’insieme del materiale piroclastico emesso da un’eruzione esplosiva. Non importa né la loro dimensione né il chimismo. (es: tutte le bombe, i blocchi, i lapilli, le ceneri emesse rappresentano il tefra. Che siano scorie, pomici, cristalli o litici non fa differenza.)

[9]VULCANIANA: secondo la nomenclatura è un tipo di eruzione caratterizzata o da un singolo evento esplosivo o da una serie pulsante di esplosioni. E’ uno stile eruttivo da moderato a modesto, ma di sicuro da non sottovalutare. Prende il nome dall’isola di Vulcano.

[10]INDICE VEI: Volcanic Explosivity Index (VEI) è l’indice di esplosività vulcanica inventato nel 1982 per fornire una misura relativa della capacità esplosiva di una eruzione vulcanica (QUI su Wikipedia).
Le ipotesi di VEI 3-4 sono vere, avanzate da Shimozuru (1984), nell’articolo: “Volcano Hazard assessment of Mount Fuji”.

[11]: QUI la cartina con l’ipotesi migliore, QUI la cartina con l’ipotesi peggiore formulate da Yuzo. Ovviamente, di certo Yuzo non si è svegliato la mattina e si è messo a fare ipotesi a casaccio. Ogni cosa è basata sulla storiografia eruttiva del Fuji. Studiare il comportamento passato di un vulcano è il punto di partenza per poter fare ipotesi sul suo comportamento futuro. Ed è proprio questo ciò che ha fatto Yuzo, considerando anche quale potrebbe essere la bocca eruttiva e la direzione del vento (QUI potete vedere la carta delle isopache – curve che uniscono punti con uguale spessore di materiale caduto – relative alla eruzione Hoei, che è stata usata come riferimento per la peggiore delle ipotesi formulate da Yuzo).

[12]PLINIANA: secondo la nomenclatura è un tipo di eruzione caratterizzata da un’altissima esplosività ed intensità. L’eruzione dell’Hoei è stata indicata come Pliniana, VEI5. E l’eruzione del 79 d.C. del Vesuvio era una pliniana. Il nome è preso da Plinio il Giovane (XD come vi avevo già spiegato nel Capitolo 14 (parte II))

[13] “MALDITA PUTA”: Maledetta puttana!” (Rick è sempre molto fine XD)


…E poi bla, bla, bla…

Allora, in principio il capitolo avrebbe dovuto essere uno solo, intero.
XD ma qualcuno mi ha fatto notare che, insomma, era troppo lungo per darvelo tutto d’un colpo, e così… l’ho diviso in due parti (meglio per voi o avreste dovuto sbobbarvi DICIOTTO note tecniche!!!)
Ad ogni modo, v’avevo promesso un po’ d’adrenalina… e purtroppo è nella seconda parte. XD Scusate!
Inoltre, perdonatemi se il capitolo vi potrà risultare un po’ ostico a livello di tecnicismi, purtroppo non ho potuto semplificare più di così, ma spero che le note possano avervi fornito tutte le informazioni necessarie per la comprensione del testo. ^^ (se c’è qualcosa di poco chiaro, ovviamente, fatemelo presente, in modo da provvedere ad aggiungere ulteriori spiegazioni! E, sì XD le mappe delle ipotesi sono state fatte da me! LOL).

Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

Eos: Suvvia, non trattarmi male Tatsuya Kishu, non è poi così cattivo! Vedrai che nella prossima parte ti sorprenderà! *_* giurin, giuretta!
Grazie cara per l’affetto ed i complimenti che verso questa storia. ** sono contenta d’aver creato qualcosa di catastrofico fatto bene e non quegli orrori da blockbuster come si vedono in tv!
XD Rita è AMORE. La adoro anche io che l’ho ‘creata’ (sempre tra apicini perché, lo sai, Rita esiste davvero! XD Ed è davvero un mito!)
Yoko è una testarda di quelle toste (con quella madre, non poteva essere altrimenti! E’ una questione di sopravvivenza!) e Yuzo… povera anima XD come hai potuto notare anche in questo capitolo, non può far altro che abbracciarsi la croce ed armarsi di pazienza!
Finirà male, dici?
Mh…
E chi lo sa? **
Non puoi far altro che aspettare il finale!
:* grazie ancora tantissimo, tessò e, sì, *w* io aspetto DAME!

Hikarisan: *Melanto tossicchia* Far sparire mezza città? IOOO?! *v* Perché solo mezza?! *blink**MWAHAHAHAHAAHHA*
Grazie mille, Hikarisan, per l’affetto con cui hai sempre seguito e continui ancora a seguire questa storia. Mi fa davvero moltissimo piacere!
Come ti avevo assicurato, Taruccio ha finalmente capito ed è ritornato il pucciofratello di sempre! **7 Non temere, lo vedremo ancora all’opera!
:) grazie ancora!

Kara: E’ FIGHISSIMA QUELLA SCRITTA??!?!?! XDDDD Non trovi anche tu che abbia un che di profetico indescrivibile?! XD Era troppo destino, allora!
E comunque non è assolutamente vero che Taro fa la figura dello scemo O_O, ma proprio no. E’ un fratello maggiore, con le pare da fratello maggiore e la pucciosità del fratello maggiore. XD
Soprattutto, essendo stato presente al funerale di Aiko e sapendo quanto Yuzo è stato male, mica poteva davvero fare come diceva Saya: “Vaya con Dios *w*! Andate e moltiplicatevi!”, eh! XDDD
Looo sooo che non riesci a vedere Yu-chan senza Mamo-chan, loooo sooo!!! XD Ma non temere, anche se non aggiorno da un’infinità, ad Elementia io continuo sempre a lavorare. Dammi il tempo di finire questa longverylong, e riprendo anche Ele. :*
Grazie mille :***

E per questa prima parte di capitolo è tutto!
Ringraziate infinitamente la Betta (Sakura-chan) perché ha fatto una lavoro di betalettura che ha del FULMINEO!!! *_* è stata MI-TI-CA!
State sintonizzati che tra un paio di settimane avrete anche la seconda parte! Nel frattempo… continuo a lavorare al nuovo capitolo. ^_- Sì, lo sto già scrivendo!

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 21 (parte II) ***


Documento senza titolo

Huzi

- Capitolo 21 (parte II) -

Più che dormire, quella notte Tatsuya rimase immerso in un irrequieto stato di veglia.
A volte, durante le fasi in cui aveva coscienza della realtà circostante, avvertiva la sensazione che  tutto oscillasse sotto e attorno a lui, ma non avrebbe saputo dire se fossero scosse o solo suggestione: il sonno tornava a blandirlo con attimi di finto riposo.
Si era svegliato definitivamente che il sole era sorto da poco, incapace di rimanere a letto. S’era allora seduto in poltrona, restando con lo sguardo fisso sulla vetrata che restituiva una Nankatsu brillante alle prime luci che facevano timido capolino tra le nuvole addensate nel cielo in banchi disomogenei, ma minacciosi.
I sensi erano in allerta e la spiacevole sensazione che tutto gli stesse sfuggendo di mano lo rendeva ancora più ansioso, ma cercava quasi inconsciamente di controllare il sentimento di paura che sentiva scivolare, gelido, sotto la pelle. Non era un qualcosa cui era molto avvezzo, anzi, solitamente era lui ad incutere timore nel prossimo e non viceversa, ma da che era arrivato in quella città tutte le sue convinzioni e i propositi, che erano stati ampiamente messi a dura prova, stavano cominciando a cedere di fronte alla realtà dei fatti impossibili da modellare ai propri voleri.
Accese la televisione prima di ordinare la colazione. Vedere la propria faccia già al primo notiziario della giornata gli fece arricciare le labbra in maniera talmente minacciosa che sembrava sul punto di commettere un omicidio, e, tutto sommato, l’idea gli era passata per la mente.
Quel maledetto di Morisaki!
La sera prima era stato un incubo! Si era trovato l’albergo assediato da una marea di giornalisti che lo avevano sommerso con le domande che avevano finito di minare le sue convinzioni.

“La popolazione deve sapere la verità!”
“Non potete continuare ad impedire che l’FVO comunichi quello che sta succedendo!”
“Cosa c’è dietro tutto questo?!”

Lui aveva cercato di rispondere nella maniera più diplomatica possibile, dando le informazioni sufficienti a tenere quelle bocche affamate di notizie buone per un po’, ma i risultati non erano stati quelli sperati. Ormai si era arrivati ad un momento in cui non era più possibile tirare troppo la corda. Era stato costretto a dire alla reception di impedire l’accesso all’hotel a tutta la stampa rimasta confinata fuori. Una pattuglia della polizia presidiava l’ingresso, un’altra era appostata sul retro.

“Si tratta di aspettare ancora qualche giorno, signori. Durante il comizio riceverete tutte le risposte che desiderate direttamente dal Prefetto Terobashi.”

Sentì la propria voce, proveniente dal televisore, ripetere quello che la sera prima aveva detto di fronte alle telecamere.
“E’ quindi tutta una mossa politica?!” aveva insinuato un giornalista e lui ricordò di aver fatto un enorme sforzo per non replicare: “Sì, e allora?!”.
“Ogni scelta presa fino a questo momento è stata fatta pensando solo al bene dei cittadini, se stiamo aspettando significa che, per quanto preoccupante, la situazione non è ancora così grave come può sembrare.” ma non era più stato sicuro delle proprie bugie. “Vi prego di attendere solo una manciata di giorni. Stiamo cercando di avere più certezze possibili, ma è un lavoro che richiede tempo e concentrazione, per questo vi pregherei di non disturbare oltre i ricercatori dell’FVO. Grazie per la vostra pazienza.”
Ed era rientrato nell’albergo, sfuggendo le orde di microfoni che avevano tentato di seguirlo assieme al vociare concitato e svelto degli addetti stampa che avevano cercato di fermarlo ed estorcergli altre informazioni. Mentre il servizio veniva interrotto e la cronista riprendeva a parlare dallo studio, Tatsuya avvertì nuovamente la sensazione di piacevole sollievo delle porte dell’hotel che si richiudevano alle sue spalle, isolandolo dall’orda e dandogli un rifugio in cui nascondersi. Una volta al sicuro, aveva severamente proibito ai centralinisti dell’albergo di passargli telefonate. Anche se fosse stato l’Imperatore Akihito. Nessuno avrebbe dovuto disturbarlo ancora più di quanto avessero già fatto con le loro dannate domande e richieste. Lo sapeva anche lui che stavano tirando troppo la corda, che stavano giocando col fuoco e con la vita di centinaia di migliaia di persone. Sapeva esattamente tutto questo, eppure anche lui, incredibilmente, aveva le mani legate dai voleri del Prefetto e non poteva fare nulla. Forse, in parte la colpa era anche sua, che non aveva fatto nulla per arginare la megalomania di Terobashi, sfruttandola, anzi, per i propri scopi, con particolare veemenza.
E dire che all’inizio era stato davvero sicuro di poter piegare Madre Natura ai suoi comodi.

“Anche se ancora permangono strane ombre e domande irrisolte sull’attuale situazione, nonostante le parole rassicuranti del Vice Prefetto, i cittadini di Nankatsu non sembrano più disposti a concedere la loro fiducia, mentre la condizione si fa più drammatica ogni momento che passa. Nuove scosse di lieve intensità sono state avvertite dalla popolazione che, già dalla serata di ieri, ha cominciato ad allontanarsi dalla città.”

Su quella frase della giornalista in studio, il telefono dell’albero prese a suonare, attirandosi la sua attenzione con uno sbuffo contrariato. Con un gesto seccato, Tatsuya spense il televisore, lanciando poi il telecomando sul divano, ed era combattuto tra il pensare che il tutto stesse praticamente sfuggendo loro di mano e il sentirsi quasi sollevato dall’esodo in massa che si stava naturalmente verificando a Nankatsu.
Rudemente agguantò il cordless dal supporto, rispondendo brusco.
“Mi sembrava d’esser stato chiaro ieri sera. Avevo detto di non passarmi nessuna telefonata, nemmeno quelle del Prefetto.”
La centralinista si mortificò, intimorita dal suo tono autoritario. “Lo so, signore, ma si tratta di sua figlia ed ho pensato che, almeno lei…”
Il piglio irato di Kishu s’acquietò all’istante, ma seguitò a mantenere un tono severo.
“Me la passi.”
“Subito, signore.”
L’attimo dopo, la vocina allegra di Kazuki lo fece sorridere di piacere, facendogli accantonare tutte le preoccupazioni che lo stavano braccando da giorni sempre più strettamente.
“Papà! Papà!”
“Principessa. Cosa fai in piedi a quest’ora? Non dovresti essere ancora a letto? E’ pur sempre Domenica.”
“Sì, ma ho chiesto alla mamma di svegliarmi presto così potevo telefonarti!”
L’uomo scosse il capo, con un certo divertimento. “Tua madre ti vizia troppo quando non ci sono. Stai facendo la brava?”
“Certo! Ieri sono andata a vedere il laghetto delle carpe con la nonna!”
“Oh, molto bello. Quando torno porterai anche me?” ma su quella domanda la bambina sembrò mettere il broncio.
“E quando torni, papà?”
Se da un lato, da padre, gli si strinse il cuore nell’immaginare la boccuccia all’ingiù ed il visetto intristito di sua figlia, dall’altra parte, da uomo, il cuore gli si allargò in petto, felice di sapere che esisteva ancora qualcuno cui facesse piacere la sua presenza, visto che, negli ultimi tempi, non era proprio considerato una persona amabile. A-ah, sì, ‘cagacazzi in doppiopetto’ riassumeva bene.
“Presto tesoro, ancora pochi giorni e poi mi prenderò le ferie, così ce ne andremo tutti e tre a quel Luna Park che ti piace tanto, che ne dici?”
“Evviva!” subito la tristezza svanì dalla voce della piccola, in fondo, bastava così poco per far felice un bambino e Tatsuya provò un piacevole senso di soddisfazione nell’essere riuscito ad accontentare almeno una persona. Poteva essere un buon inizio di giornata. Ma quel pensiero venne formulato decisamente troppo presto. L’attimo dopo, il cellulare prese a ruotare sul tavolino basso davanti al divano. Inarcando un sopracciglio, con fastidio, perché non si poteva stare in pace nemmeno la Domenica mattina, Kishu lo raggiunse e l’espressione s’incupì appena un po’ di più quando lesse il nome dell’importuno.
“Allora è deciso, nel frattempo, non far disperare la mamma, va bene?” riprese, riuscendo a mantenere un tono affettuoso con la sua unica figlia.
“Proooomesso!” trillò Kazuki entusiasta e lui la salutò un’ultima volta prima di chiudere la conversazione per intraprenderne un’altra, di sicuro meno piacevole.
“Signor Prefetto.”
“Tatsuya! Si può sapere che diavolo sta succedendo?!” tuonò l’uomo e Kishu suppose che fosse nel pieno di una crisi di nervi. “Gli uffici della Prefettura sono da ieri bersaglio di telefonate allarmate da parte della popolazione, tanto da costringerci a restare aperti anche quest’oggi che è Domenica! Che cosa significa?! Stai perdendo il controllo della situazione?! Ti ho anche visto al notiziario!”
Tatsuya ringhiò quasi la sua risposta. “Sta succedendo quello che i ricercatori dell’FVO avevano già previsto e di cui ero in parte già consapevole io stesso. La gente sta cominciando a porsi sempre maggiori domande, visto che seguita a non avere risposte e, nel silenzio, preferisce allontanarsi da questi luoghi considerati pericolosi. Credo sia comprensibile.” ma per Terobashi non lo era affatto.
“Maledizione, sono stronzate! Il Fuji non erutterà affatto e tu dovresti essere al lavoro per convincere i cittadini a restare nelle loro case! Come diavolo speri ch’io possa tenere un comizio se la città è vuota?! E come speri ch’io possa tenere ancora a bada gli altri Prefetti se vengono a sapere che la città sta già evacuando per conto proprio?!” mentre Akinori seguitava a sbraitare, Tatsuya stringeva convulsamente il pugno. Il viso distorto in un’espressione d’ira repressa in maniera disperata. “Neanche immagini quanti favori dovrò ricambiare per questo! Ed ora datti da fare, vai all’FVO, filtra tra tutte le informazioni quelle per sedare la popolazione ed indici una maledetta conferenza stampa! Per il notiziario delle due voglio sapere che va tutto bene e l’allarme è rientrato, mi hai capito?!” e gli chiuse bruscamente il telefono in faccia senza dargli modo di replicare o solo accennare un ‘Sì’.
Tatsuya abbassò lentamente la mano che reggeva il cellulare, continuando a fissare nel punto indefinito davanti a sé dove aveva fatto ancorare lo sguardo fin dall’inizio della conversazione. La mascella contratta, le nocche livide strette a pugno, il respiro che cercava di mantenersi regolare e alternava boccate profonde e lente. Dentro era proprio come il Fuji, un vulcano in procinto di esplodere.
“Coglione.” esalò avvicinandosi adagio al tavolo del salone. Un bellissimo fascio di orchidee faceva bella mostra nel vaso al centro del mobile. Tatsuya fece spazio tra gli steli, lasciando scivolare il cellulare nell’acqua e abbandonandolo lì, per poi dirigersi al bagno e cominciare a prepararsi.
Differentemente da quanto pensato nemmeno un paio di minuti prima, quella giornata stava già virando sul catastrofico.

Il rumore del traffico, la Domenica mattina, era un qualcosa di veramente strano e sbagliato, come se tutto stesse andando al contrario.
L'esodo naturale si era interrotto a notte fonda, ma era ripreso con le prima luci dell’alba, segno che la popolazione avvertiva distintamente l’incombenza di un pericolo, ma non riusciva ancora a focalizzarne la provenienza e se da un lato Yuzo sembrava sentirsi leggermente più sollevato nel vedere la città svuotarsi adagio, dall’altro era preoccupato che la gente potesse muoversi nella direzione sbagliata.
Appoggiato al vetro della finestra chiusa nell’ambiente principale del terzo piano dell’FVO, il vulcanologo osservava quell’ordinato fuggire con una punta d’apprensione ed una vena di nostalgia.
“Non sembra nemmeno di essere a Nankatsu.” constatò, mentre Ricardo si trovava accanto a lui, appoggiato di spalle allo stesso vetro. Le braccia conserte.
“Se continua così, va a finire che il Prefetto non avrà più nessuno ad ascoltare le sue ciarle.”
Lo disse con un certo divertimento, trovando subito l’appoggio di Toshi.
“Se lo meriterebbe.”
Ma Rita arrivò a chiudere quella pausa per riportare tutti sull’attenti.
“Appena finite re’ vi cuntemplà o’ panorama[1], magari possiamo tornare ad occuparci del Fuji.”
Heil, Hitler.” borbottò Rick in direzione di Yuzo, facendolo sorridere, ma la sismologa aveva ancora un buon udito.
“Se ora dici che sembro Hitler, significa che non mi hai mai vista in versione Caina.”
“Scommetto che saresti adorabile!” cinguettò l’ispanico, sbattendo velocemente le ciglia e Rita lo guardò da sopra gli occhiali con un mezzo sorriso ironico.
Fatìca.[2]
“Sissignora.”
Yuzo si volse, osservando la sua squadra con un sorriso. Si stavano tutti dando da fare, non avevano chiuso occhio, ma continuavano a restare con i nasi incollati ai monitor. Rita seguiva l’andamento del tremore in tempo reale dal suo portatile e passava i dati a Rick, che continuava a creare possibili modelli di variazione dell’edificio vulcanico e dell’andamento del magma. Hisui era in contatto con la sede centrale della JMA, che seguitava a comunicargli, con scadenze di mezz’ora, mutamenti alla rete geodedica e tiltmetrica[3] senza escludere quella meteorologica.
Toshi manteneva la comunicazione con altri team sparsi nei vari FVO, per sapere i loro progressi e comunicare i propri. Insomma, la macchina per la salvaguardia della popolazione ed il monitoraggio del vulcano lavorava a pieno regime.
Poi Rita emise una sorta di ringhio, portandosi una mano al mento.
“Qualcosa non va?” Yuzo le si fece subito accanto, perché quando sbuffava in quel modo significava che c’era qualcosa che la preoccupava.
“Osservavo le profondità…” masticò la donna “…la migrazione ipocentrale si è fermata. Guarda qui.” e gli indicò il modellino sul computer di Rick. Una chiazza rossa, pulsante, rappresentava la sorgente magmatica in risalita che, a sua volta, generava anche il tremore. “Si è attestata attorno a tre chilometri.”
“Praticamente sotto l’edificio vulcanico.”
Mh. I valori sono aumentati e diminuiti in questo periodo, ma non ci sono state variazioni significative. Si potrebbe pensare che la risalita si sia rallentata e assestata.”
“O fermata.” propose ancora Yuzo. Per quanto sarebbe stata una vera fortuna e, di sicuro, tra tutte le loro ipotesi, quella che avrebbe fatto urlare all’intera Prefettura ‘al Miracolo’, il vulcanologo non parve troppo convinto dall’idea che il Fuji arrestasse la sua crisi. “Da quanto tempo è così?”
“Circa sei-sette ore, tra alti e bassi.”
“Io ho rilevato un rigonfiamento simmetrico della struttura.” fece notare invece Rick, indicando i fianchi del cono. “Nessun sollevamento preferenziale, il vulcano si sta deformando in maniera omogenea.”
“Questo ci fa ben sperare nell’assenza di blast[4] laterali.” Toshi appoggiò il viso in una mano, pensieroso. “Ma si potrebbe anche ridurre la possibilità che l’eruzione possa avvenire dal lato delle bocche Hoei, come avevamo sperato. La variazione di temperatura?”
“L’innalzamento è globale.” disse Rick, richiamando i dati delle ultime ventiquattro ore.
Yuzo inarcò un sopracciglio, allontanandosi di qualche passo. “Proverò a vedere che ne pensa il burbero.” ma Hisui lo bloccò.
“Attento, c’è il Vice Prefetto con lui, questa mattina è arrivato presto e sembra sia intenzionato a stazionare nel suo ufficio per tutto il resto della giornata.”
Il vulcanologo sbuffò all’idea di doversi trovare la sua faccia davanti già a quell’ora e mezzogiorno non era ancora arrivato, ma ogni cosa passò in secondo piano quando sentì Rita sbottare quel “Oh.” che si attirò l’attenzione di tutta la squadra.
Osservarono la sismologa assumere una posizione composta sulla sedia, la schiena dritta, le mani sollevate dalla tastiera e lo sguardo fisso al monitor nemmeno fosse apparso San Gennaro su YouTube con un messaggio a reti unificate in cui diceva: ‘Legalize it!’.
“Oh!” ripeté e d’improvviso partì una specie di allarme dal suo portatile che, stavolta, fece girare l’intero terzo piano, azzittendolo all’istante. “Ohohoh! Ci siamo, signori!” rapidamente prese a smanettare col programma, mentre Yuzo la raggiungeva in rapide falcate ed Hisui e Toshi accorrevano dalle loro scrivanie, Rick allungò il collo per sbirciare sul monitor l’oscillare del segnale misurato in tempo reale e digitalizzato.
“Sì! Sì! Ho capito! Piantala di suonare, cazzo!” borbottava la sismologa mentre faceva delle verifiche alla frequenza e all’ampiezza del tremore.
“Che sta succedendo, Rita?”
“Quello che speravamo non accadesse.” la donna si volse, osservandolo con le sopracciglia aggrottate sull’espressione preoccupata. Si spostò appena, permettendogli di vedere il nuovo tracciato assunto dalle vibrazioni ed erano piuttosto chiare. “Si sta armonizzando, Yuyù. Ci siamo.”
“Ci… siamo?” fece sottilmente eco Hisui, come avesse anche solo paura di dirlo.
“Ci siamo…” replicò Toshi con maggiore decisione, levando lo sguardo sugli altri compagni.
“Ci siamo!” sbottò Ricardo, balzando in piedi.
Quella variazione segnò che il tempo rimasto a loro disposizione era ormai agli sgoccioli ed ora non c’era più nulla su cui tergiversare.
Yuzo si mosse velocemente per raggiungere l’ufficio di Hideki, dando disposizioni. “Diramate l’allarme rosso in tutto l’FVO e fate evacuare il personale non necessario. Immediatamente! Contattate gli altri Osservatori e il VRC riferendo le ultime novità di cui credo si saranno già accorti anche loro. Svelti, forza!”
“Di volata!” Rick corse subito nell’ufficio del vulcanologo per utilizzare l’interfono, mentre Toshi ed Hisui s’attaccarono ai rispettivi telefoni e Rita seguitava a controllare l’andamento del tremore dal pc, ricavando un modello per la risalita del magma all’interno del condotto.
Yuzo corse tra le varie scrivanie dove i ricercatori si guardavano attorno spaesati senza riuscire a comprendere cosa stesse accadendo e quanto negativamente si era appena evoluta la situazione, fino a che non sentirono la voce di Ricardo diffondersi dagli altoparlanti.
La sua voce, dalla forte cadenza ispanica, risuonò fin dentro l’ufficio del burbero dove Tatsuya Kishu restava seduto da quella mattina. Il Vice Prefetto sollevò il capo con espressione confusa, interrompendo la conversazione che stava avendo con il Direttore dell’FVO. Le sue iridi scure vagarono per l’intero soffitto, ascoltando il comunicato, ma non riuscendo a comprenderlo pienamente.
Tremore cosa?
Evacuare?
L’unica cosa che aveva capito all’istante era stato che il livello di guardia da Arancione, com’era stato fino a quel momento, era ora divenuto Rosso. E comprendeva benissimo che non fosse un buon segno. Proprio per niente.
Davanti a lui, l’espressione di Hideki non lo rassicurò sulla questione, anzi, vedergli sbarrare gli occhi e togliersi il sigaro dalla bocca, gli provocò una sensazione terribilmente spiacevole che gli fece assumere una postura più composta e attenta.
Mentre il tizio che, per interfono, aveva detto di chiamarsi Ricardo continuava a parlare, la porta dell’ufficio s’aprì di schianto ed il Vice Direttore Morisaki si fece avanti pervaso dall’urgenza.
“E’ diventato armonico, ragazzo?” chiese Hideki e Yuzo annuì grave.
“Proprio in questo istante. Gli altri stanno contattando il VRC e gli Osservatori, non c’è più molto tempo. Ho dato ordine di far evacuare il personale non indispensabile.”
Hideki approvò con un cenno deciso del capo.
“Un momento! Un momento! Non parlate per enigmi come se io non fossi presente!” Tatsuya aveva sollevato le mani, agitandole con un certo fastidio. “Si può sapere che diavolo sta succedendo? Che significa che è ‘diventato armonico’? Cosa è diventato ‘armonico’?!”
Yuzo gli rivolse un’occhiata seria. “Si ricorda il tremore di cui le abbiamo parlato ieri?”
Kishu si ritrovò ad annuire con una certa severità. Da quel poco che aveva capito il ‘tremore’ non era una cosa positiva.
“Fino a pochi minuti fa presentava caratteristiche differenti. Era composto da eventi di breve durata ed alta frequenza, separati da pochi secondi l’uno dall’altro; impulsivi. Indicavano instabilità sotto l’edificio vulcanico, un qualcosa di piuttosto ‘normale’ per un vulcano attivo, un po’ meno se la profondità ipocentrale diminuisce nel tempo. Significa che il magma è in risalita e sta facendosi spazio tra le rocce fredde sovrastanti. Ora, questo stesso tremore non è più una sequenza di piccoli eventi ma è un unico evento continuo.” la conclusione provocò un brivido gelido lungo la schiena di Tatsuya. “Significa che il magma sta degassando. E’ la fase finale che precede un’eruzione.”
Il Vice Prefetto lo fissò a lungo senza dire nulla, prima di distogliere lo sguardo e piegarsi in avanti; i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani intrecciate sotto al naso. Gli occhi scuri si arenarono in un punto indefinito.
“Quanto tempo?” domandò senza muoversi.
Yuzo inspirò a fondo. “Se siamo fortunati, più di ventiquattro ore.”
“E se non lo siamo?”
La risposta gli fece piegare le labbra verso il basso ulteriormente, mentre il sopracciglio saettava in alto.
“Meno di dodici.”
Tatsuya si vide passare davanti tutta la serie di responsabilità che aveva accettato di prendere su di sé il giorno che aveva deciso di entrare in politica. Tutte, nessuna esclusa. Si diramavano come uno schema a piramide, scendendo a cascata verso quelle meno primarie, ma pur sempre importanti e cui avrebbe dovuto prestare fede. E sulla cima, in alto a tutte, vi era: ‘Fare sempre il bene del Giappone e dei suoi abitanti’, ma la corsa laboriosa per riuscire a diventare Primo Ministro gli aveva fatto accantonare più volte quel proposito fondamentale. Anche lì, a Nankatsu, una volta aveva pensato che dei cittadini non gliene importava un accidenti. Ma ora era arrivato ad un maledetto bivio: continuare con il suo spirito arrivista e diventare sempre più simile al Prefetto, oppure ritornare a perseguire quegli antichi propositi che, nel tempo e venendo a contatto con quella che era la realtà nuda e cruda e decisamente meno idealista della politica, aveva perduto?
E lui ci stava anche a pensare, dopotutto?
“Basta così.” mormorò tra i denti, sollevando di scatto la testa ed assumendo una postura ritta e severa. Terobashi voleva che facesse una conferenza stampa, no? Lo avrebbe accontentato. “Noboyuki.” chiamò, rivolgendo la trequarti ad uno degli uomini che lo scortavano. Quest’ultimo si fece prontamente avanti.
“Sì, signore?”
“Chiama la ShizuokaChannel TV e di’ loro di mandare una troupe perché ho delle dichiarazioni da rilasciare. Avvisali che l’intervista dovrà essere trasmessa in diretta e voglio che sia presente anche l’emittente radiofonica della città. Muoviti.”
L’uomo si limitò ad annuire ed uscire dalla stanza in tutta fretta, estraendo il cellulare dalla tasca. Ma Tatsuya non aveva finito, e si volse all’altro accompagnatore. “Tu, invece, chiama quelli del servizio di distribuzione dei volantini per il comizio, voglio che si facciano trovare qui sotto entro dieci minuti, mi hai capito bene?”
“Sì, signore.”
“E avvisa gli uomini al lavoro nello Stadio Ozora: che sospendano tutto, il comizio è annullato.”
L’altro rimase interdetto per qualche secondo, prima di annuire di nuovo.
“S-sì, signore.”
Tatsuya lo seguì con lo sguardo fino a che anche lui non fu fuori dall’ufficio di Hideki. Una volta rimasti da soli, il Vice Prefetto mosse finalmente le sue iridi scure in quelle di Yuzo, inspirando a fondo, e capitolò. “Mi dica in che direzione dovrò dire alla popolazione di muoversi.”
“Vado a prenderle una mappa.” accordò il vulcanologo, lasciando la stanza. Mentre percorreva il corridoio per raggiungere il proprio ufficio, uno strano senso di sollievo per la decisione presa da Kishu riuscì a sciogliere almeno in piccolissima parte la tensione, ma fu un benessere momentaneo, perché subito un’altra preoccupazione tenne Yuzo in allerta, sollecitando le sue azioni: quella che fosse già troppo tardi.

“Finito!”
A Yoshiko non parve vero d’esser riuscita ad inscatolare, seppur non tutto quello che avrebbe voluto, almeno gli oggetti più fragili. Se il Fuji avesse eruttato, le scosse di terremoto avrebbero fatto sfracellare in migliaia di pezzettini tutti i ninnoli vari sparsi per l’appartamento.
A dire la verità, avrebbe voluto mettere al sicuro anche la montagna di libri di cui disponeva, ma avrebbe avuto bisogno almeno di un altro giorno pieno per quelli, ed era convinta che se avesse provato ad accennare la cosa a Yuzo quest’ultimo sarebbe andato a prenderla di peso per portarla da Taro.
La ragazza sospirò, passandosi il dorso della mano sulla fronte e lanciando una sconsolata occhiata alla super-mensola sulla porta. Non era il caso di mettere alla prova la sua pazienza, dopotutto, e non riuscì a non ridere all’idea di vederlo imbufalito che se la caricava su una spalla a mo’ di sacco per portarla via dallo Studentato.
Lo squillare del telefono la distolse dai suoi pensieri, ma senza far scomparire il sorrisino ironico. Era convinta che fosse proprio il suo apprensivo Prof, ma quando scorse il numero di suo fratello, non si stupì più di tanto.
“Ciao, fratellone!”
“Ma si può sapere quanto ti manca ancora?! Avevi detto che saresti venuta da me in mattinata!”
Lei alzò gli occhi al soffitto con un sospiro. Era bello avere così tante persone che si preoccupavano per lei, davvero. Certo, se solo fossero stati un meno agitati, magari. Ma in fondo, data la situazione, doveva cercare di capirli.
“Stavo per chiamarti, ho finito proprio adesso.”
“Sì, certo. Dovrei crederti?”
“Oh, non ti ci mettere anche tu! Lo sai Yuzo a che ora mi ha telefonato, stamattina?! Alle otto! Praticamente m’ha buttato giù dal letto all’alba!”
“E ha fatto bene. Conoscendo la tua pigrizia, ti saresti alzata tardissimo e a quest’ora non avresti ancora finito.”
La ragazza gli fece una smorfia, tanto non poteva essere vista, ma la sua attenzione venne catturata dal suono del cellulare e stavolta sapeva che fosse Yuzo, ci avrebbe scommesso il mondo.
“Ma vi siete messi d’accordo vuoi due?!”
“Eh?”
“Aspetta un momento in linea, fratellone.” disse Yoshiko, spostando il cordless e rispondendo al cellulare. “Prima che tu possa dire alcunché, sappi che sono al telefono con Taro e tra poco scenderò di casa per raggiungerlo, ok?”
“Yoko, accendi subito il televisore sul canale dell’emittente della Prefettura, presto.”
La ragazza rimase per un attimo perplessa. “Ma… che sta succedendo?”
“Fa’ come ti ho detto, tesoro, e poi fatti venire a prendere da tuo fratello: dovete lasciare immediatamente la città.”
“Come?”
“Avrai tutte le risposte dalla televisione, ma sappi che non accetterò proteste questa volta, è chiaro? Ora devo tornare al lavoro, chiamami quando sarai con Taro.”
Yoshiko si mosse per raggiungere la cucina ancora piuttosto frastornata da quel susseguirsi di informazioni e dall’urgenza che sentiva pervadere la voce del Prof. “Va bene, allora. Ci sentiamo più tardi.”. Il cellulare venne poggiato sul tavolo, mentre tornava alla sua conversazione con il Numero Undici della Nazionale Giapponese. “Ehi, ci sei ancora?”
“Yoko, c’è qualcosa che non va?”
Lei inarcò un sopracciglio, accendendo la TV e pigiando rapidamente sul canale della ShizuokaChannel. Veder comparire la faccia del Vice Prefetto non le piacque affatto.
“Non credo d’esserne sicura, Taro… ma metti il televisore sul settimo canale. E’ importante. Ci sentiamo dopo.”
“Ok.” fu la risposta del fratello prima che entrambi chiudessero la comunicazione. Yoshiko si sedette lentamente, mentre la voce di Kishu divenne l’unica udibile nel silenzio dell’appartamento. In sovrimpressione era fissa la scritta a caratteri cubitali: ‘Pericolo eruzione del Fuji – Stato di massima allerta. Evacuazione in atto.’
Il suo sospetto fu confermato a metà tra un sospiro e la comprensione improvvisa dell’ansia nelle parole di Yuzo. Ormai stava per accadere.

“Cittadini di Shizuoka, fino all’ultimo momento ho sperato di non dover mai comunicare ciò che sto per dirvi adesso, credendo in un diverso destino. Sono il Vice Prefetto Tatsuya Kishu, e mi trovo all’Osservatorio Vulcanologico di Nankatsu. Purtroppo, ciò che poche settimane fa era cominciato come un evento di pura origine tettonica ha assunto connotati imprevisti: il Fuji-san, la nostra montagna sacra, ha ripreso con forza la sua attività vulcanica e minaccia-” ma si corresse. “Anche se ormai è ben oltre la semplice avvisaglia, di eruttare nelle prossime ore. Prego tutti gli abitanti delle città di Nankatsu, Fujinomiya, Fuji e Gotemba, nella Prefettura di Shizuoka, e Fujiyoshida e il villaggio di Narusawa nella Prefettura di Yamanashi di evacuare le proprie case nel minor tempo passibile ed il massimo ordine e di spostarsi in direzione SW e NW per chi si trova a Fujinomiya, Nankatsu, Narusawa e Fuji. Gli abitanti di Fujiyoshida e Gotemba si muovano verso N, NE e SE allontanandosi quanto più possibile dall’edificio vulcanico e dalla Zona1. Non soffermatevi nella Zona2, ma muovetevi direttamente nella Zona3 e oltre, in modo da essere il più al sicuro possibile.”. Mentre l’uomo spiegava, con voce ferma ma calma, quello che stava accadendo ormai da giorni, delle animazioni del Fuji e della probabile eruzione comparvero sullo schermo per spiegare cosa fare e cosa evitare. Dall’esterno, un furgoncino con altoparlante diffondeva le stesse parole della televisione, passando lentamente attraverso le strade cittadine. “Seguite le istruzioni delle forze dell’ordine che vi aiuteranno nell’evacuazione. Non agite di vostra iniziativa e non avvicinatevi al vulcano. Ripeto: muovetevi verso SW e NW per le città poste sul lato Ovest del Fuji e N, NE e SE per quelle poste sul lato Est. Gli agenti di polizia e vigili del fuoco saranno a vostra disposizione nel miglior modo possibile, per qualsiasi aiuto voi abbiate bisogno. L’evacuazione degli ospedali e delle persone impossibilitate a muoversi autonomamente è già in atto. Prego ciascuno di portare delle radio per essere costantemente aggiornati sulla situazione durante gli spostamenti.”. Fece una breve pausa in cui a Yoshiko parve che stesse cercando le giuste parole. Gli vide abbassare lo sguardo per qualche istante, mentre le mani intrecciate tradivano un certo nervosismo. Quando i suoi occhi scuri tornarono a puntarsi dritto nella telecamera, il Vice Prefetto le apparve meno ostico e severo di quanto le fosse sempre sembrato. “Mi rendo conto che questo ordine di evacuazione giunge a voi con un imperdonabile ritardo. Abbiamo confidato che la nostra montagna non ci tradisse, ma, come giustamente mi è stato ricordato: il Fuji è un vulcano, dopotutto, e, come tale, non va mai sottovalutato. La direzione della Prefettura si assume tutte le responsabilità nell’errata gestione dell’emergenza e vi invita a non soffermarvi a lungo nelle vostre case. Prendete solo lo stretto necessario ed allontanatevi il prima possibile dai centri a rischio. Siate prudenti.”[5]

Il messaggio si interruppe e subito venne sostituito dall’edizione speciale del notiziario in cui il giornalista in studio tornò a ripetere tutto quello detto dal Vice Prefetto.
Yoshiko abbassò il volume, portandosi una mano sulle labbra. Doveva essere accaduto qualcosa di davvero importante per aver convinto addirittura quello scettico di Kishu, ma, in fondo, forse non le importava davvero sapere cosa stesse per accadere e quali strani meccanismi si erano definitivamente innescati dentro il Fuji. Doveva solo andarsene da lì e raggiungere Taro, come gli aveva detto Yuzo, anche se non poteva non essere preoccupata per il vulcanologo che sarebbe, invece, rimasto a Nankatsu in attesa del fuoco d’artificio del secolo.
In rapide falcate infilò le scarpe da ginnastica, soffermandosi un attimo ancora sulla soglia della camera. Con occhio critico fece un’ultima valutazione degli oggetti messi via senza tuttavia la lucidità necessaria poiché, improvvisamente, avvertì l’ansia dell’inevitabilità stringerle le gambe e fargliele tremare come fuscelli. Per la prima volta, si rese conto che l’eruzione era più vicina di quanto avesse mai pensato, che davvero la situazione poteva cambiare in un attimo, ma cercò di imporsi di non lasciarsi atterrire da questa consapevolezza e di muoversi per afferrare il piccolo bagaglio che aveva preparato, quando, di colpo, l’intera stanza e tutti gli oggetti in essa presenti presero ad oscillare.
L’Inevitabile bussava alla porta.

Quando la lucina rossa della telecamera si spense, Tatsuya emise un lungo e profondo sospiro, portandosi le mani intrecciate all’altezza del viso.
Avrebbe dovuto aspettarsi una telefonata di Terobashi, ma si ricordò che il suo cellulare stava facendo compagnia alle orchidee nel vaso dell’albergo e si sentì sollevato all’idea.
L’unità di crisi era stata allestita all’interno dell’FVO, in quel terzo piano che era stato ormai sgomberato del personale non necessario. I responsabili della polizia ed i vigili del fuoco, assieme alla Protezione Civile, si trovavano con la squadra di Yuzo, mantenendosi in contatto con tutte le volanti ed i mezzi sparsi per la città per coordinarne gli spostamenti e comunicare loro, in tempo reale, l’evoluzione degli eventi.
“Bel discorso.” affermò Hideki, attirandosi l’attenzione del politico. Quest’ultimo si alzò di slancio.
“Mi perdoni di aver preso in prestito il trono di questo Osservatorio.” disse con sottile ironia, lasciando la poltrona che aveva occupato fino a quel momento. Erano ancora nell’ufficio del burbero e quest’ultimo agitò una mano, abbozzando una sorta di sorrisetto.
“Si figuri, quando vuole. I troni importanti sanno essere decisamente scomodi dopo un po’.” si portò nei pressi della porta, rivolgendosi al suo vice, che restava appoggiato allo stipite. “Vado a dare un’occhiata alla situazione nella sala grande.”
Il Prof annuì, ma non si mosse, tornando a fissare Tatsuya che sostenne il suo sguardo.
“Dovrebbe allontanarsi anche lei. Potrà controllare la situazione stando a Shizuoka, Nankatsu non è più un luogo sicuro.” gli disse il vulcanologo e lui non rispose subito. Avvicinandosi adagio, si sistemò la giacca scura.
“So bene di non esserle simpatico, ma non sono disposto ad abbandonare il campo prima del tempo. Come rappresentante del Prefetto, in questo momento, ho delle responsabilità cui non posso e, dopo quanto accaduto, non voglio sottrarmi. Devo assicurarmi che le procedure di evacuazione si svolgano regolarmente. Noi delle alte sfere abbiamo già fatto troppi torti ai cittadini per delle futilità perché io possa voltar loro le spalle e pensare solo alla mia sicurezza.”
Yuzo non nascose una certa sorpresa per quelle parole, abbozzando un sorriso subito dopo. “Ma la propaganda non era stata sospesa?” cui, incredibilmente, anche Tatsuya incurvò le labbra in una strana smorfia divertita. Il Prof riprese. “Mi segua; nell’atrio del piano è tutto pronto, potrà controllare meglio l’evolversi della situazione.” ed entrambi si mossero lungo lo stretto corridoio che portava alle scrivanie, ma non fecero nemmeno in tempo ad arrivare che una violenta scossa sismica fece tremare l’intero edificio.
Yuzo s’aggrappò ad una delle porte che costeggiavano l’andito per non perdere l’equilibrio, mentre il Vice Prefetto scivolò al suolo, seguendo il percorso della parete e proteggendosi il capo da eventuali crolli. Le vetrate delle finestre tintinnarono come un concerto scoordinato e sembrò dovessero spaccarsi da un momento all’altro, ma rapidamente le vibrazioni scemarono e l’edificio tornò stabile e fermo.
“Tutto bene?” domandò Yuzo all’indirizzo di Kishu, dandogli una mano a rialzarsi.
“Sì… credo. Era… era il Fuji?”
“Già.”
In rapide falcate raggiunsero la sala principale dove i presenti stavano cercando di sistemare le attrezzature sballottate dal terremoto e ripristinare le comunicazioni con gli agenti sparsi per la città.
La prima preoccupazione di Yuzo, però, non era legata a quella stanza e nemmeno al vulcano. Svelto pescò il cellulare, componendo il numero di Yoshiko.
“Tutto bene, voi?” domandò ai componenti della squadra mentre attendeva che la ragazza rispondesse e già il fatto che il cellulare avesse squillato a vuoto per ben tre volte lo mise in agitazione.
“Sì, ormai siamo rodati.” scherzò Toshi.
Yuzo annuì, mentre veniva finalmente raggiunto dalla voce della sorella di Misaki.
“Ehi…”
“Yoshiko, stai bene?”
La risposta che ottenne non gli parve troppo convinta.
“Sì, tutto ok.”
“Sicura?” il tono si fece più apprensivo per quanto cercasse di mantenerlo comunque rassicurante.
“Sì, cioè… più o meno.” la sentì ridacchiare con un certo nervosismo. “Pensavo di aver superato la mia fobia, ma forse devo lavorarci ancora un pochino…”
“Stai andando benissimo, invece. Sei ancora allo Studentato, vero?”
Mh. Sei arrabbiato? Davvero, stavo per uscire, quando mi ha sorpreso la scossa.”
Yuzo sorrise e la voce si fece più morbida e calma. “Non muoverti, vengo a prenderti subito e ti porto da Taro.”
“Ma-”
“Non si discute.” era l’unico modo che aveva per esser certo che lei fosse davvero al sicuro una volta che l’eruzione fosse cominciata. In quel momento, Rick gli si rivolse con una certa urgenza.
“Yuzo, credo che abbiamo un problema! Le immagini del satellite hanno evidenziato una frattura sulla sommità dello Younger Fuji!”
Ma il vulcanologo non ebbe nemmeno il tempo di replicare, che un nuovo sisma, più forte del precedente, tornò a scuoterli con violenza.
“Ci risiamo!” lagnò Hisui, nascondendosi sotto la scrivania, mentre Rita teneva salda il computer e Toshi rimaneva aggrappato ai bordi del tavolo come Rick.
Qualche monitor rovinò al suolo e le sedie si spostarono da sole per effetto delle vibrazioni.
“Che sta succedendo?!” la voce di Yoshiko gli arrivò spaventata e Yuzo, aggrappato ad una scrivania, non fece in tempo acquietarla che il suo grido successivo gli ghiacciò il sangue nelle vene. Udì un tonfo confuso d’oggetti e, poi, più nulla.
Rimase col cellulare all’orecchio per dei lunghissimi secondi, senza dire una parola, senza nemmeno respirare.
Nessun rumore, all’altro capo, nessuna voce.
Gli occhi si sbarrarono e a stento riuscì a riconoscere il proprio timbro.
“Yoshiko?” chiamò con incertezza. “YOSHIKO?!”
Ma la comunicazione, ormai, si era interrotta.


[1] “APPENA… PANORAMA.”: “Appena finite di contemplarvi il panorama.”

[2] “FATICA.”: “Lavora.”

[3]TILTMETRO: serve per osservare l’inclinazione di un corpo. La variazione dell’inclinazione, nel caso di un vulcano, può stare ad indicare un sollevamento del terreno e quindi una qualche ripresa delle attività sotto l’edificio vulcanico.

[4]BLAST: è, in inglese, lo ‘scoppio’ o l’‘esplosione’. Viene soprattutto utilizzato per indicare le esplosioni laterali (come quella occorsa al Mount St. Helens, nel 1980).

[5]: anche in questo caso, le indicazioni date dal Vice Prefetto non sono state inventate, ma basate sullo studio delle mappe dell’Hazard relative al Fuji. Sono riuscita a trovarne una dettagliata per la parte Nord (che è la zona considerata più a rischio), mentre per la parte Sud (dove invece è situata la Nankatsu) ne ho trovata una tutta in giapponese, ma sono riuscita ad adattarmi lo stesso facendo dei confronti.
QUI mappa per la caduta di cenere. Come potete vedere, Nankatsu è situata a cavallo tra l’isopaca di 10cm e quella di 2cm. Quindi, non dovrebbe cadere troppo materiale.
QUI mappa con le zone di Hazard. Nankatsu è la nostra solita stellina gialla (**puccina). L’area rossa (Zona1) limita la probabile area in cui potrebbe crearsi una bocca eruttiva (e segue appunto la frattura della Fossa Magna che passa sotto al Fuji). La parte lilla chiaro indica la Zona2, quella che va evacuata appena l’eruzione diviene imminente. La parte arancio è la Zona3 che non necessita di evacuazione imminente, ma solo nel caso l’eruzione si protragga per molti giorni o vi sia rischio pericolo lahar. Il tratteggiato arancio è una fascia di transizione tra Zona2 e Zona3. Il tratteggiato verde indica la zona a rischio lahar. Come potete vedere è molto ampia e arriva, ovviamente, fino a Nankatsu.
Purtroppo non sono riuscita a decifrare il tratteggiato viola e quello bordeaux, ma credo che siano sempre in relazione all’area del vent principale.


…E poi bla, bla, bla…

Ordine! Ordine! Cosa sono tutte queste proteste?! XD
Vi avevo detto che ci sarebbe stata un po' d'agitazione in questo capitolo, o no? *blink*
Non vorrete mica la mia testa, adesso? *ari-blink*
MWAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA! XD
Ci siamo, signori, c'avviciniamo alle battute finali di questa storia che vedrà la sua conclusione in *mmm* circa tre capitoli, più l'epilogo. *_*/ Ce la sto facendo! Non posso crederci, ormai manca così poco!
Questo capitolo (parte I e II) è stato sicuramente il più complesso della fic, vi ho dovuto lavorare tantissimo, fare ricerche e riuscire a far quadrare quante più cose possibile, mi son messa a fare le mappe ed ho tentato di avvicinarmi alle vere ipotesi che ruotano attorno alla prossima eruzione del Fuji-san (che per ora, appunto, restano solo ipotesi poiché, per grazia di Dio, l'Huzi continua a pennicare e lanciare qualche scossa, di tanto in tanto). Spero sia venuto fuori un buon lavoro! ^^
Prima di lasciarvi ai ringraziamenti, volevo segnarvi una piccola bibliografia così, chi è interessato, può andarsi a leggere quello che mi sono spulciata io (è tutto in inglese, XD io vi avviso, ed erano anche gli unici per cui non bisognava pagare):

- "On some lavas of Volcano Huzi (Fuji)" - Hiromichi Tsuya, ERI (1935)
- "On the Volcanism of Huzi Volcanic Zone, with Special Reference to the Geology and Petrology of Idu and Southern Islands" - Hiromichi Tsuya, ERI (1936)
- "Volcano Hazard assessment of Mount Fuji" - Daisuke Shimozuru (1984)
- "Fifth International Symposium on Vulcanospeleology Excursion Guide Book - cap1, cap2, cap3" - T. Sameshima, T. Ogawa, and N. Kashima (1988)
- "Observation of two special kinds of tremor at Galeras volcano, Colombia" - Fernando Gil-Cruz (1999)
- "The 1707 Eruption of Fuji Volcano and Its Tephra" - Naomichi Miyaji (2002)
- "Reconstruction of the 1707 Hoei Eruption of Fuji Volcano, Japan, based on historical documents" - M. Koyama, A. Nishiyama, H. Sumiya, K. Inoue, K. Sasahara, N. Anyoji (date unknown)
- "A new era of Volcano Risk Management" - Risk Management Solutions, Inc. Special report (2009)
- "Mount Fuji Volcanic Hazard Map" - Issued by "Mt. Fuji Volcanic Disaster Prevention Conference", JMA (2007)

Angolino del "Grazie, lettori, grazie! XD":

Hikarisan: MWHAHAHAHAHAHAHAAH!!! XDDDDD Mi sono troppo cappottata dal ridere leggendo la tua recensione!!! XDDD
Abbi fede, ormai sono in corsa e vi ho promesso che la storia finirà entro quest'anno, quindi, niente più tempi biblici o giurassici! *__*/
Eh, sì, ormai Yoshiko ha fatto capire chi comanda (XD), mentre Yuzo... LOL, povero martire! Io me lo piango sempre questo pg, perché se Takahashi lo bistratta, in mano a me non fa certo una fine migliore XDDDD Gliene faccio passare di cotte e crude! XD povero caro!
E non temere per Taruccio, ci farà compagnia fino al finale!!! **v
Grazie mille per le tue recensioni! *v*

Eos: ah-ehm... XDDDDD Credo d'aver rafforzato la tua convinzione che io sarò cattivissima con questa storia, dico bene? *blink* Posso ricordarti, sì, che manca ancora un colpaccio? XDDD MWAHAHHAHAHAHAAHHAHA!
Ma tornando a cosa meno serie... SI! Yuzo preferirebbe 100volte stare proprio DENTRO al cratere dello Younger Fuji, piuttosto che affrontare genitori vari!!! XD coccolo, si vergogna lui, eh!
Rita è Rita XD mentre Kishu... come t'avevo preannunciato, quest'uomo vi avrebbe stupito con effetti speciali! XD In fondo, non è cattivo, era solo un po' accecato dai suoi obiettivi personali. Spero di aver cominciato a dargli un po' del lustro che si merita, in fin dei conti! Ma, ovviamente, è programmato per stupire, abbi fede! **/
Sono felicissima di sapere che tutta la parte tecnica non è da suicidio immediato, davvero! *_* e ti ringrazio tantissimo per tutte, tutte, tutte le tue parole! Grazie mille!!! *_*

Ed anche per questo capitolo è tutto. Per quanto riguarda il prossimo, non prometto niente (anche perché avrei da studiare per due esami XD), ma farò di tutto per farvelo arrivare entro fine Giugno.
Grazie mille a tutti voi! ^^/

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Capitolo 24
*** Capitolo 22 ***


Documento senza titolo

Huzi

- Capitolo 22 -

Il silenzio del nulla, all’altro capo del telefono, lo assordò come fosse un grido, mentre la sensazione che lei fosse in pericolo si tramutava in una certezza che l’attraversò da parte a parte con la velocità ed il dolore d’una folgore.
Senza pensarci oltre, corse per lasciare l’edificio e precipitarsi da Yoshiko perché no, non era possibile che le cose si ripetessero, che non avesse imparato nulla e che adesso, come quattro anni prima, non avesse insistito a sufficienza. Yoko avrebbe dovuto lasciare Nankatsu già il giorno prima ed invece lui s’era lasciato convincere dalla sua testardaggine come uno stupido. Come con Aiko.
Mentre raggiungeva le scale del piano, tenendosi stretto contro il muro, il palazzo oscillò ancora per alcuni istanti sotto un nuovo sciame sismico meno intenso delle due scosse precedenti.
Yuzo si precipitò lungo le rampe, scendendo i gradini senza nemmeno vederli. I gesti animati dall’urgenza di raggiungere Dante e lasciare l’FVO.
Quando arrivò nel garage sotterraneo, l’ambiente era ormai quasi vuoto, restavano solo le auto delle poche persone ancora presenti nell’edificio e riunite al terzo piano. L’intonaco s’era staccato dai muri e dal soffitto, nei punti in cui era più fragile, chiazzando di bianco e grigio l’asfalto tremolante alla luce intermittente dei neon che seguitavano a subire cali di tensione per il continuo scuotersi della terra.
Yuzo estrasse le chiavi del Pick-up e solo quando fu al suo interno e le infilò per mettere in moto si accorse che gli tremavano le mani.
Le fissò con orrore quasi non fossero le sue, scoprendo d’essere terrorizzato al pensiero che fosse accaduto qualcosa a Yoshiko, la sua Yoshiko, ed era insopportabile.
Stringendo i denti in un ringhio, sbatte quelle stesse mani sul volante e scacciò l’espressione disperata dai tratti del viso con un estremo sforzo di volontà.
“Non farti prendere dal panico, maledizione!” si disse con una mano saldamente stretta allo sterzo e l’altra a girare con decisione le chiavi. Il motore di Dante rombò con ferocia mentre le ruote sgommavano con un acuto stridio sulla pavimentazione viscida del garage. Gli occhi del vulcanologo erano piantati sulla rampa d’uscita dove il braccio meccanico, che s’alzava ed abbassava per impedire ad estranei l’accesso al parcheggio, era andato in tilt, forse per l’attività simica, e non sembrava intenzionato a sollevarsi.
Da parte sua, Yuzo non era intenzionato a perdere altro tempo.
Con decisione affondò l’acceleratore a tavoletta, preparandosi all’impatto.
Il muso rinforzato di Dante sbalzò senza difficoltà l’asse di legno che volò in alto e poi ricadde con un tonfo nella scia del Pick-up, ma il Prof non guardò nemmeno nello specchietto retrovisore, puntando a tutta velocità in direzione dello Studentato.
La gente era completamente riversa in strada, terrorizzata, mentre vedeva il quieto scorrere della propria vita capovolgersi completamente nella frazione di pochi attimi. Solo alcuni momenti prima la televisione aveva annunciato l’eruzione del Fuji ed ora la terra tremava con violenza, confermando l’imminenza del pericolo.
Le vie di fuga dalla città erano intasate nonostante la polizia tentasse di fare il possibile per snellire il traffico, ma la sensazione di panico, di cui si era percepita appena la presenza fino a quel momento, era esplosa tra grida spaventate, auto che sbandavano non riuscendo a mantenere il controllo su un terreno mobile, e i primi incidenti.
Yuzo fu costretto ad inchiodare con un ringhio quando si trovò davanti un tamponamento. Con rabbia batté i pugni sullo sterzo, cominciando a guardarsi intorno per trovare un’altra strada e l’unica possibile era un senso unico da prendere contromano.
Con vigore fece retromarcia, saltando poi nella corsia opposta che puntava verso il vulcano e quindi sgombra, infilandosi nel senso unico. Un bidone della spazzatura venne trascinato dal Pick-up per alcuni metri prima che sbucasse a tutta velocità sulla parallela alla strada che aveva abbandonato. Il freno a mano venne tirato fino al limite per riuscire a contenere la sterzata ed il posteriore di Dante sbandò per un momento in un acuto stridere di ruote. Poi, di nuovo in velocità, percorrendo contromano la direzione che portava al Fuji, Yuzo cavò il cellulare dalla tasca del giaccone, richiamando più volte il numero di Yoshiko ed ogni volta, col cuore che batteva sempre più forte e che faceva sempre più male, rimase in ascolto di quel maledetto messaggio che lo informava che il numero non era raggiungibile.
“Maledizione, maledizione!” sibilò tra i denti, lanciando il telefono sul cruscotto e premendo ancora più a fondo sul pedale dell’acceleratore, incurante che si trovasse in città e il tachimetro segnasse i cento. A lui importava solamente di raggiungere lo Studentato, anche a costo di far mettere le ali a Dante, che sembrò davvero volare quando balzò su un dosso, ma il mastodontico mezzo era abituato alle peggiori condizioni stradali e gli ammortizzatori attutirono il contraccolpo. Il vulcanologo rallentò solo quando avvistò la sua meta farsi nitida in lontananza.
I ragazzi, che ancora abitavano nello Studentato, erano riversi in strada, spaventati dalle ultime scosse e confusi da quel repentino susseguirsi degli eventi. Yuzo li vide vagare lungo il marciapiede che parlavano concitatamente tra loro o col custode. Gli sguardi dei molti rivolti all’edificio, mentre qualcun altro cercava di scrutare in direzione del Fuji, che era ben visibile in quella domenica di Febbraio dal cielo cupo e grigio. La sagoma del vulcano era nitida ed inquietante, pervasa da una finta quiete.
Yuzo posteggiò Dante di sbieco tra la strada ed il marciapiede, scendendo di corsa. Per un momento cercò tra gli studenti, sperando di scorgere anche Yoshiko, ma l’ansia gli strinse con maggiore forza lo stomaco quando le sue attese vennero deluse.
Gli occhi saettavano tra i visi allarmati, qualcuno piangeva, qualcuno scuoteva il capo, qualcuno cercava di consolare tutti, ma di Yoko nessuna traccia.
Di nuovo il terribile, insopportabile dubbio tornò a martellargli il cuore con colpi forti e violenti, e lui si mosse incurante del dolore che gli faceva anche il solo pensare di dover rivivere l’esperienza che, sul Ruiz, gli aveva distrutto la vita.
Si fece largo tra i presenti, guadagnando l’ingresso dello Studentato e non c’era più un briciolo di lucidità nella sua testa. In quel momento, non avrebbe saputo prendere alcuna decisione, nemmeno la più stupida, ed il Fuji, con la sua tremenda minaccia, erano scomparsi dalle sue priorità ed i suoi pensieri. Saliva i gradini due alla volta e, ovattati, gli arrivavano i gridolini degli ultimi studenti che s’affrettavano a lasciare l’edificio.
Gli passarono accanto.
Li guardò.
E Yoshiko non c’era.
Non c’era. Non c’era, maledizione! Non c’era.
“Non andrà così. Non lo permetterò.” la voce gli uscì senza che nemmeno se ne rendesse conto e riprese a correre, sbucando sul corridoio deserto del secondo piano.
“Yoshiko!” chiamò dal fondo dell’andito, ma non ottenne risposta. Velocemente arrivò davanti la porta del miniappartamento, girando la maniglia, ma non poteva essere aperta dall’esterno senza le chiavi. Con forza sbatté i pugni contro il legno.
“Yoshiko! Yoshiko sono io, per l’amor del cielo rispondimi!” ma nulla, ancora.
La porta tremò per la sua prima spallata, ma non cedette. Cosa che nemmeno lui era disposto a fare. S’allontanò d’un passo e optò per le maniere forti. Dopotutto, aveva passato una vita intera tra campi di calcio e scalate infinite: le sue gambe erano la parte più forte del corpo e nel calcio che sferrò all’uscio ci mise tutta l’energia della rabbia e la disperazione che aveva dentro.
Il legno cedette con uno schianto mentre il meccanismo della serratura veniva divelto e la porta s’apriva, facendogli guadagnare finalmente l’interno. Ma lo scenario che si presentò ai suoi occhi ebbe l’effetto d’una stilettata nel cuore, lo stesso dolore acuto e sottile. Gli rubò il respiro, nemmeno lui seppe per quanto, lasciandolo immobile al centro del salotto-cucina. Davanti a lui, Yoko restava riversa sul pavimento, attorniata dai libri crollati dalla mensola posta sulla porta che, probabilmente, non aveva retto alle scosse di terremoto. Per un attimo, di fronte a quell’immagine, a Yuzo sembrò di non avere più una sola goccia di sangue per il gelo che sentiva sotto la pelle.
Senza rendersi conto nemmeno dei propri movimenti ed azioni, il Prof la soccorse, scaraventando lontano i pesanti volumi d’arte, le pubblicazioni ed i quaderni di appunti che le erano rovinati addosso.
“Yoshiko! Yoshiko, Dio mio, rispondimi!” la sua voce tremava dalla paura perché gli sembrava d’avere davanti la realizzazione di tutti i peggiori incubi e non era sopportabile, non lo era affatto. Lentamente la girò per poterla vedere meglio in viso e scorse un rivolo di sangue scivolare dalla tempia. Come fosse fatta di cristallo, la prese tra le braccia con una delicatezza quasi irreale.
“Guardami, ti prego… ti prego…” adagio si chinò su di lei, appoggiando la fronte contro la sua e continuando chiamarla a mezza voce, a cavallo tra il mormorio e la nenia. “…Yoshiko… non lasciarmi… non può essere già tardi… non può…”
E lei sembrò rispondere a quel richiamo disperato con un leggero mugugno dolorante. Il Prof sollevò immediatamente il capo, smettendo di respirare, le iridi scure fisse ad osservare i suoi tratti che si contrassero in una smorfia, mentre apriva leggermente gli occhi.
La sorella di Misaki si sentiva la testa pesante come un macigno e con la sensazione d’esser stata investita da almeno una decina di camion a rimorchio. Il vago ricordo di quello che era accaduto le balenò davanti nelle immagini sfocate e puntellate di bianco che cominciava a vedere. Il terremoto, la telefonata, la nuova scossa, quel ‘crack’ improvviso che aveva preceduto il peso d’un mattone sul capo ed il buio successivo.
“Yu… zo…” masticò, cercando di mettere a fuoco il viso del vulcanologo con una certa difficoltà.
L’interpellato riprese a respirare, esibendo il peggiore sorriso della sua vita.
“Sono qui, stai tranquilla, va tutto bene.”
“Cosa… cosa è successo?” piano, Yoshiko si passò una mano sul viso, ritraendola appena le dita sfiorarono la tempia. Sbatté le palpebre un altro paio di volte, poi ogni immagine tornò ad essere nitida, compreso quello della propria mano sporca di sangue.
“La... la famosa mensola sulla porta non ha retto, ma sei stata fortunata, la ferita è solo superficiale.”
Yoko annuì adagio cercando di calibrare ogni movimento perché la testa le batteva come un martello. Molto lentamente, ed appoggiandosi al corpo di Yuzo, riuscì a mettersi seduta ed il doloroso pulsare raggiunse una sorta di stabilità, già più sopportabile.
“Sono corso appena è caduta la linea.”
E Yoko levò subito lo sguardo su di lui, quando avvertì le sue dita tremare contro la guancia, nel tentativo di carezzargliela. Le sopracciglia aggrottate, sul sorriso tirato, tradivano le sue emozioni più di quanto riuscisse a trattenerle. Le iridi erano lucide e le parole uscivano quasi strozzate.
“Grazie a Dio sono arrivato in tempo…”
La sorella di Misaki corrugò la fronte, con preoccupazione; era la prima volta che lo vedeva così fragile. Lui era sempre stato protettivo e sicuro, una sorta di punto di riferimento, ma, improvvisamente, Yoshiko si rese conto di quanto forte fosse stato il trauma della perdita di Aiko, avvenuta sotto i suoi stessi occhi, e che impatto emotivo doveva esser stato vedere lei riversa al suolo e priva di sensi.
“Ehi… sto bene, è solo un graffio.” cercò di rassicurarlo.
In quel momento, il vulcanologo, mentre Yoko le prendeva tra le sue, fissò sperduto le proprie mani, di nuovo tremanti come era avvenuto quando si era messo alla guida di Dante, ma stavolta gli parvero impossibili da fermare.
“Oddio…” mormorò, scoprendo quanto insostenibile fosse divenuto il peso della paura sulle sue spalle e dentro il suo cuore; quanto la sola idea di Yoshiko in pericolo fosse lacerante e distruttiva per i suoi nervi, ancora fragili in determinate situazioni. Quanto terribilmente avesse bisogno di sfogarsi e liberare quel nodo d’emozioni che gli avevano avviluppato il petto in una stretta spasmodica. “…oddio… oddio…” ripeté ancora prima di stringerla a sé con tutta la disperazione che aveva nel cuore e piangere. Erano anni che non lo faceva davanti a qualcuno, celando silenziosamente la propria sofferenza ed impedendole di dominarlo, ma in quel momento nascondersi non era più importante.
“Per un attimo… per un attimo ho temuto d’aver perso anche te.”
Shhh…” Yoshiko ricambiò con forza la stretta, lasciandolo sfogare. Le dita che, lente, gli accarezzavano la schiena per calmarlo. “…sono qui con te, va tutto bene.” adagio gli sollevò il viso, tenendolo tra le mani, per poter incrociare i suoi occhi. “Non mi è successo nulla, vedi? Niente che un po’ di disinfettante ed un cerotto non possano sistemare.” sorrise, sfiorandogli i contorti dell’ovale e lui scosse il capo, passandosi la mano sugli occhi per asciugarli.
“I-io… mi dispiace, non…”
“Non devi scusarti, tesoro. Non tu, almeno.” Yoko sospirò, mordendosi il labbro e sentendosi in colpa. “Avrei dovuto darti ascolto e andar via subito. Non volevo farti preoccupare così.”
Ma lui l’abbracciò di nuovo, con dolcezza questa volta. “Non è più importante. Quello che conta è che tu stia bene.” e nel mentre un nuovo terremoto investì l’edificio, strappando un gridolino alla sorella di Misaki. Ora, però, non era più da sola e Yuzo la strinse forte, riparandola con tutto il suo corpo. Rimasero così, stretti l’un l’altro fino a che la calma apparente non tornò a regnare nell’edificio.
Il Prof sollevò il capo, guardandosi attorno. Di nuovo la lucidità nello sguardo e nei movimenti. “Dobbiamo andare subito via da qui.” disse, facendole passare un braccio attorno alle spalle per aiutarla ad alzarsi. “Ce la fai a camminare?”
“Sì, non preoccuparti.”
Yoshiko barcollò per un momento, una volta in piedi; la testa sembrava avesse voluto esploderle, ma Yuzo le offrì la sua solidità come appoggio e lei si lasciò condurre verso l’uscita del miniappartamento.
“Ti porto in uno dei centri di accoglienza che sono stati allestiti dalla Protezione Civile, ti cureranno quella ferita. Gli ospedali, ormai, sono stati evacuati del tutto.” spiegò il Prof, avanzando nel salotto-cucina ed afferrando uno straccio dalla spalliera della sedia per poterle tamponare la tempia. Tenendola stretta a sé, camminarono lungo il corridoio a passo sostenuto, una volta che Yoshiko ebbe recuperato una certa stabilità ed il dolore era scemato il necessario a renderlo sopportabile.
Una volta fuori, Yuzo osservò come la gente fosse ancora lì ed inarcò un sopracciglio assumendo un’espressione scura.
“Perché non ve ne siete ancora andati?” domandò a voce alta, attirandosi l’attenzione dei giovani e del custode dell’edificio che cercava di far mantenere la calma. “Non avete sentito l’ordine di evacuazione?”
Uno studente si passò una mano dietro la nuca, con perplessità. “Ma le nostre cose-”
“Lasciate perdere gli oggetti e andatevene, finché siete ancora in tempo!” sbottò Yuzo e Yoshiko sollevò una mano, sospirando in tono più pacato.
“E’ dell’Osservatorio del Fuji. Dategli ascolto, sa quello che dice.”
Dopo il primo momento di confusione e perplessità, fu il custode a prendere in mano la situazione. “Avete sentito che cosa ha detto? Forza, ragazzi bisogna fare presto!” e la folla cominciò a disperdersi, mentre qualcuno sgattaiolava a recuperare almeno il necessario come i soldi o il cellulare.
Yuzo aiutò Yoshiko a salire su Dante e montò rapidamente al lato guidatore.
“C’era bisogno di specificare che ero dell’FVO?” domandò, mentre metteva in moto e faceva manovra per allontanarsi dallo Studentato.
“Certo che sì, i giovani d’oggi non danno mica ascolto al primo che passa.”
Ed il Prof inarcò un sopracciglio, facendo una smorfia. “Ai miei tempi-”
“Ai tuoi tempi i ragazzi di oggi erano ancora dei bambini.” gli fece notare Yoko, con un sorriso.
“Vuoi dirmi che sono vecchio?!”
“Beh, ecco…”
Lui accelerò nuovamente scoccandole un’occhiata ironica che la fece ridacchiare. Poi, Yuzo afferrò il cellulare abbandonato sul cruscotto.
“Chi stai chiamando?” domandò la giovane.
“Tuo fratello.” borbottò. “Vecchio, io. Tsk! Questa poi.”
All’altro capo risposero quasi subito.
“Yuzo?! Non riesco a contattare Yosh-”
“E’ qui con me. Stiamo andando al campo d’emergenza allestito verso la statale che porta a Fujinomiya.” spiegò il vulcanologo, senza perdere d’occhio la strada e la ragazza accanto a sé, alla quale lanciava fugaci occhiate per controllare se la ferita le desse problemi.
Sentì Taro sospirare.
“Dio ti ringrazio. Sta bene?”
“Ha solo un taglio sulla fronte, ma non è nulla di grave. Raggiungeteci al centro.”
“Siamo già per strada, ci vediamo là.”
La comunicazione venne chiusa e Yuzo eclissò il cellulare nella tasca del giaccone. Poi, appoggiò la mano sulla testa del cambio. Un attimo dopo, venne raggiunta dalle dita di Yoshiko e lui si volse incrociando il suo sorriso.
Con preoccupazione aggrottò le sopracciglia ed il tono gli uscì dolce e protettivo. “Ti senti bene?”
Lei annuì adagio, facendosi più vicina e guardandolo da sotto in su con affetto. “E comunque trovo che tu sia perfetto così.”
Yuzo ricambiò il sorriso, tornando a fissare la strada. “Sì, la ferita non è affatto grave.” decretò, facendola ridere e, poco dopo, arrivarono a destinazione.
Quando misero piede all’interno del campo, ciò che li accolse fu una sorta di Inferno.
Il via vai di feriti delle ultime scosse e degli incidenti stradali, che il fuggi fuggi generale aveva innescato, sembrava inarrestabile. Yuzo si guardò attorno disorientato, cercando qualcuno cui rivolgersi, ma sembravano tutti troppo indaffarati ed il pianto dei bambini spaventati o stretti alle mani dei genitori lo immerse, per un orribile attimo, nell’incubo di Navidad.
Nankatsu era ancora all’inizio, era ancora possibile cercare di mettere in salvo i suoi abitanti o, almeno, una buona parte di essi.
“Avete bisogno d’aiuto?”
Una giovane volontaria s’era avvicinata, accorgendosi subito della ferita di Yoshiko. Yuzo si riscosse, ma la ragazza stava già provvedendo ad un primo soccorso.
“Lei aspetti qui.” disse al Prof “Di là possiamo portare solo i feriti. Si tratterà di pochi minuti.” e lui annuì, mentre Yoshiko gli rivolgeva un’occhiata preoccupata e smarrita, ma Yuzo s’affrettò a sorriderle.
“Non mi muoverò finché non avranno finito.” la rassicurò e lei sembrò calmarsi, mentre si avviava tra i vari lettini e tende disseminati per l’area.
“Saprebbe indicarmi il responsabile di questo campo?” domandò poi il vulcanologo, trattenendo la volontaria per un braccio prima che potesse allontanarsi.
L’interpellata indicò un medico, ad alcuni metri da loro, che stava dando rapide disposizioni, poi raggiunse Yoshiko, dedicandosi completamente alla sua ferita. Il Prof osservò la sorella di Misaki ancora per qualche istante, riuscendo a sentirsi sollevato, almeno un po’, sapendola in buone mani. Eppure, d’altra parte, era conscio che non fosse del tutto fuori pericolo; nessuno lo era fintantoché sarebbero rimasti a Nankatsu. Lo sguardo si spostò nuovamente sul medico che ora stava visitando alcuni pazienti più gravi.
Ogni tanto parlava alla trasmittente in cui gli comunicavo altri arrivi urgenti che non potevano ancora essere trasportati in ospedali distanti e maggiormente attrezzati.
Yuzo gli si avvicinò con decisione, appena ebbe lasciato il paziente. Muovendosi a passo svelto, gli si fece di fianco.
“Posso parlarle un momento?” esordì, ma l’altro lo degnò solo d’una rapida occhiata, prendendo a sfogliare una serie di cartelle con la lista dei medicinali che avevano a disposizione.
“Se non è un ferito, un medico, un volontario o un poliziotto, no. Non ho tempo.”
Yuzo non demorse. “Questo campo va evacuato il prima possibile.”
“Grazie dell’informazione, se non ha qualche altra brillante idea di cui mettermi a parte, avrei delle vite di cui occuparmi.”
“Se non ve ne andate moriranno comunque, non lo capisce?”
Finalmente l’uomo fermò il suo frettoloso incedere e gli rivolse lo sguardo per un tempo decisamente più lungo, con un sopracciglio inarcato.
“Ma chi diavolo è lei?”
“Osservatorio del Fuji.”
E solo in quel momento l’altro sembrò riconoscerlo all’improvviso. Il sopracciglio saettò ancora più verso l’alto. “Io l’ho vista al-”
“Deve ascoltarmi: dovete andarvene da qui, rischiate di essere spazzati via.”
Il medico non rispose subito, ma si limitò a sospirare con una certa rassegnazione.
“Lo so.” affermò infine “Ma al momento ci è impossibile muoverci.”
Yuzo lo fissò con sgomento e poi prese a scuotere il capo, guardandosi attorno. “Ma questa gente-”
Il suo interlocutore si passò una mano sulla fronte madida di sudore per il continuo correre, cercando di tenere tutto sotto controllo. “Me ne rendo conto e facciamo il possibile per curare le ferite lievi in poco tempo, permettendo ai pazienti di allontanarsi subito, ma più di questo non possiamo fare, proprio come voi non potete impedire l’eruzione del Fuji. Stiamo aspettando i veicoli per i trasporti d’emergenza e gli elicotteri, se possibile, e nel frattempo cerchiamo di curare tutti, ma andarcene, no. Non possiamo.”
A quelle parole Yuzo abbassò il capo in un misto di rabbia e rassegnazione. Se i mezzi non fossero arrivati in tempo, tutto si sarebbe ripetuto come a Navidad e l’immagine del fiume di lava e fango, che trascinava indistintamente uomini e cose, balenò di nuovo, con prepotenza, davanti ai suoi occhi.
“Almeno…” riprese, sollevando lo sguardo sull’uomo “…quando il vulcano erutterà, e si tratta di minuti, ormai, cercate di spostarvi più in alto possibile. Almeno quindici, venti metri.”
“Più in alto?” fece eco il medico.
“Sì. Mi prometta che farà il possibile.”
L’uomo lo fissò a lungo e nonostante la perplessità per quella richiesta annuì con sguardo severo. “Lo farò.” disse e, dopo aver accennato un gesto di congedo, riprese il suo lavoro.
Il Prof lo vide allontanarsi sapendo perfettamente di non poter fare più di così. Per questo aveva sempre puntato sulla prevenzione, sull’agire in anticipo, anche se si fosse rivelato un falso allarme, perché aveva già visto cosa sarebbe potuto accadere e s’era ripromesso che non vi avrebbe assistito mai più. Ma, a quanto pareva, i buoni propositi, da soli, non erano stati sufficienti.
“Yuzo!”
Sentirsi chiamare lo distolse dai suoi pensieri e subito riconobbe il proprietario di quella voce che non riusciva a nascondere un tono allarmato. Di lontano, che cercavano di farsi largo tra la folla, il Prof riuscì a scorgere Taro ed Azumi. Svelto fece scomparire la cupa espressione che gli stava indurendo i tratti in favore di una più rincuorata: finalmente, Yoko si sarebbe allontanata da lì assieme a suo fratello e lui stava quasi per concedersi un sospiro sollevato quando vide levarsi, dalla sommità del Fuji, un candido pennacchio di vapore. Il gas aveva cominciato a guadagnarsi l’esterno attraverso la frattura formatasi come conseguenza delle ultime scosse telluriche.
Di nuovo, la maschera tetra prese possesso del suo viso ora che aveva la materiale certezza che non vi fosse più tempo. Anche se non c’era stata ancora l’esplosione vera e propria, l’eruzione era già iniziata.
“Yuzo! Siamo arrivati prima possibile. Il traffico è atroce!”
Il Prof spostò lo sguardo verso Taro.
“E Yoshiko dov’è? Come sta? Ma cosa diavolo-” il Numero Undici della Nazionale sbuffò, portandosi stancamente una mano alla fronte, per cercare di calmare la preoccupazione che non riusciva a farlo stare fermo.
“Stai tranquillo, sta bene. Vedi?” disse Yuzo, indicando Yoko e la volontaria che le stava mettendo un cerotto. “Si stanno già prendendo cura di lei.”
“Ma si può sapere che cosa è successo?” domandò ancora Taro, inspirando a fondo.
“Le scosse hanno fatto crollare la mensola che Yoko ha-” ma l’altro non gli fece terminare la frase.
“Quella maledetta mensola!” sbottò “Sono mesi, mesi!, che dico di dovergliela smontare perché pericolosa, dannazione! Sapevo che sarebbe venuta giù, prima o poi.”
Yuzo abbozzò un sorriso, era la prima volta che vedeva Taro privo della sua seraficità e calma storiche; se la situazione fosse stata diversa, l’avrebbe trovato divertente.
“Se fosse venuta da me questa mattina, tutto questo non sarebbe accaduto e a quest’ora saremmo già arrivati ad Iwata.” sospirò con una certa rassegnazione, portandosi le mani ai fianchi. “Una testa dura come sua madre, altroché.”
Il Prof scosse il capo, poggiandogli una mano sulla spalla. “Non pensare a questo, adesso. Dovete immediatamente lasciare la città, non c’è più tempo. Prendete Yoshiko e seguite le indicazione per allontanarvi da Nankatsu.”
Il giovane annuì e lo fissò a lungo prima di chiedere. “Tu che farai?”
“Io tornerò all’Osservatorio. Ho lasciato i miei colleghi nel bel mezzo della crisi, vorranno la mia testa se non mi muovo a raggiungerli.” tentò di sdrammatizzare, ma Yuzo sapeva benissimo cosa si celasse dietro la domanda di Taro.
“Sta’ attento.” si raccomandò infatti, poi il suo sguardo si spostò oltre la spalla del vulcanologo, animandosi. “Yoshiko!” esclamò non appena la giovane li ebbe raggiunti e la abbracciò con affetto e sollievo. “Come stai, sorellina?”
Lei si lasciò coccolare dalla sua stretta protettiva.
“Non è niente, Taro, mi si farà solo un bel bernoccolo.” sorrise. Sulla tempia spiccava l’evidente cerottone che la volontaria le aveva applicato. Poi rivolse un’occhiata carica di dolcezza al Prof. “Per fortuna che ero al telefono con Yuzo. È arrivato allo Studentato praticamente in un attimo per soccorrermi.”
Lentamente si separò dalle braccia del fratello per poter stringere la mano di Yuzo e trasmettergli, con quel semplice gesto, tutta la fiducia che aveva in lui. Il Prof ricambiò il suo sorriso, stringendo quelle dita sottili nelle sue.
“Ora però è meglio andare.” affermò il vulcanologo, rivolgendosi al campione dello Jubilo Iwata, il quale annuì con decisione.
A passo svelto zigzagarono tra i feriti che, molto sicuramente, ignoravano quanto quell’eruzione avrebbe cambiato le sorti di Nankatsu. Non sarebbe più stata come prima o, peggio, non sarebbe più stata affatto.
Taro li condusse dove aveva posteggiato la BMW. All’altra parte della strada, Dante era facilmente riconoscibile con tutto il muso parcheggiato sul marciapiede.
“Mi raccomando.” ribadì Yuzo appena furono accanto alla lussuosa berlina. “Non fermatevi per nessun motivo al mondo. Puntate dritto verso Iwata senza mai guardarvi indietro.”
“Contaci.” annuì il giocatore, mentre Azumi si raccomandava un’ultima volta.
“E tu fa’ attenzione, non dimenticarlo.”
Quelle parole gelarono Yoko sul posto.
Lo sguardo fisso sul Prof, che ribadiva ad Azumi di non preoccuparsi, e l’improvvisa consapevolezza che lui non sarebbe andato con loro perché il suo lavoro, lì, in quella città, non era ancora finito e sarebbe rimasto a vivere l’Inferno, che di lì a poco si sarebbe scatenato, nella sua interezza.
La presa si fece istintivamente più salda nel disperato desiderio di non lasciarlo andare, mentre la paura che qualcosa potesse andare storto s’era insinuata sotto la sua pelle di colpo ed in maniera così subdola, quando era sempre stata consapevole che, prima dell’eruzione, le loro strade si sarebbero separate per poi ricongiungersi alla fine di tutto. Ma ora che era arrivato il momento, non voleva vederlo andar via.
Sentire le dita che si stringevano attorno alle sue con così tanta forza fece volgere il Prof per incrociare lo sguardo terrorizzato di Yoko, perso nel suo.
“Non verrai con noi?” disse lei con la leggerezza d’un sussurro, ma le sue parole arrivarono perfettamente al destinatario.
Yuzo aggrottò le sopracciglia, piegando le labbra in un sorriso che non riuscì a tranquillizzarla, questa volta.
“No. Te l’avevo detto, ricordi?”
Certo che lo ricordava. E ricordava anche come quella decisione le fosse sembrata ‘normale’ poiché, in fondo, era pur sempre il suo mestiere. Ma allora l’eruzione era ancora così lontana, quasi irreale, a suo modo. Adesso, invece, le cose erano cambiate di colpo, il vulcano era lì, il countdown per l’esplosione quasi arrivato allo zero, lei che stava per andare via e lui che sarebbe rimasto.
“Che… che farai?” domandò ancora, l’altra mano che si aggrappava al suo maglione e gli occhi che si facevano lucidi anche contro la sua volontà.
L’espressione di Yuzo si addolcì, mentre con una mano le carezzava il viso lentamente. La voce cercava di trasmetterle tutta la sicurezza di cui era sempre stato capace.
“Andrò a vedere se gli altri stanno bene. Poi, cercheremo di aiutare la popolazione nella fuga, per quanto ci sarà possibile. Dopotutto, parte della colpa è anche nostra che abbiamo compreso quanto stava accadendo quando ormai era già troppo tardi.”
La presa di Yoko si rafforzò. “Avete sempre fatto il possibile, non avete nulla di cui sentirvi responsabili!”
Ed il Prof sorrise del calore del suo sostegno. “Infine, ci porteremo a distanza di sicurezza per osservare l’evolversi del fenomeno. Lo abbiamo già fatto, non c’è nulla di cui preoccuparsi.” anche se qui la situazione era differente e più pericolosa, ma questo non lo disse a Yoshiko la quale non sembrò affatto convincersi delle sue parole. Eppure, la vide inspirare a fondo un paio di volte, nel tentativo di trattenere le lacrime, perché sapeva che quella era la vita che aveva scelto e non lo avrebbe intralciato. Però i suoi sforzi non diedero i risultati sperati e le lacrime corsero via lungo le guance mentre la voce si faceva tremolante ed incerta.
“Guarda che… che se non mi chiamerai appena tutto questo sarà finito, io… io non te la farò passare liscia. Sono pericolosa, sai.” tentò di scherzare, ma non riuscì a ridere in nessun modo, mentre sentiva gli occhi pungere con insistenza.
Il sorriso di Yuzo si fece più caldo a quel tentativo e lentamente la strinse nel suo abbraccio, quello che Yoshiko aveva sempre amato fin dalla prima volta e all’interno del quale nulla le sarebbe mai potuto succedere. La giovane nascose il viso nel suo petto, inspirando il suo odore di cui il maglione era pregno.
“Torna da me.” mormorò contro il suo cuore e lui la strinse più forte, godendo ancora per qualche attimo di quella piccola e preziosa presenza.
“Certo che tornerò.” perché non l’avrebbe mai lasciata sola.
Piano, Yoshiko emerse da quel nascondiglio per poter finalmente incontrare il suo sguardo. Le mani sottili corsero al viso, carezzandone la pelle ruvida, prima di baciargli le labbra. Si strinsero alle sue, si unirono e sciolsero tante piccole volte prima di sussurrare quello spezzato: “Ti amo.”
“Anch’io. E tutto questo finirà presto, vedrai. Non avere paura. Ma ora devi metterti al sicuro, solo così potrò svolgere il mio lavoro con tranquillità: sapendo che non corri più alcun pericolo.”
A quella richiesta lei non poté far altro che annuire piano, baciandolo fugacemente un’ultima volta prima di sciogliere quell’abbraccio di cui avrebbe serbato il ricordo fino al loro re-incontro.
Yuzo si allontanò d’un passo. Gli angoli delle labbra leggermente rivolti verso l’alto. “Vai.” ribadì e lei si mosse, seppur con maggiore lentezza, salendo sulla BMW. Gli occhi che rimasero incollati ai suoi anche se c’era il vetro a separarli. L’attimo dopo, Taro mise in moto, allontanandosi finalmente da quel luogo e da Nankatsu.
Solo quando la vettura si fece più piccola lungo la strada, Yuzo eliminò il sorriso, sostituendolo con una tesa espressione seria.
Quando si volse ad osservare il Fuji, il pennacchio candido era ancora lì, anzi, erano diventati due e lui strinse minacciosamente gli occhi.
Doveva muoversi.
Rapidamente raggiunse Dante, mise in moto e fece una inversione ad U, sgommando in direzione del vulcano.

“Sei riuscita a metterti in contatto con lui?”
Ricardo faceva la spola tra la vetrata ed il proprio computer, che già da un paio di minuti era entrato in una specie di loop: la simulazione riproduceva ad oltranza l’esplosione del cratere principale, che avrebbe frantumato l’ultima copertura.
“Ancora niente.” Rita compose il numero per l’ennesima volta, ma il risultato non cambiò. “Le linee sono intasate, maledizione.”
Dall’ingresso al piano, Toshi ed Hisui arrivarono correndo.
“Nell’edificio non è rimasto più nessuno, abbiamo controllato.” esclamò il primo, appoggiandosi alla scrivania per riprendere fiato.
“C’è solo Shiguro che ci sta aspettando ai garage.” concluse il secondo, tenendosi la schiena.
“Allora muoviamoci, dobbiamo l’asciare l’Osservatorio.” il tono del burbero, fermo e con le mani ai fianchi, alle spalle di Rita, fu perentorio. Rick tentò di protestare distogliendo per un attimo lo sguardo dal Fuji.
“Ma capo non aspettiamo Yuzo?!”
“Non preoccuparti. Il ragazzo ha la pellaccia dura e sa cavarsela benissimo da solo. Continueremo a contattarlo una volta fuori di qui.” masticò il sigaro, guardandosi attorno lentamente e con gli occhi stretti, camuffando un’espressione rassegnata e nostalgica assieme, molto rara in Hideki. “Questo luogo non è più sicuro.”
Per anni era stato a capo di quell’Osservatorio. Per anni aveva tenuto sotto controllo il Fuji e l’intero Giappone da quell’ufficio al terzo piano e per anni era stato sicuro che lì si sarebbe conclusa la sua carriera. Poco gli sarebbe bastato per arrivare alla pensione, ma ora, improvvisamente, si rese conto che non ci sarebbe stata nessuna festa d’addio né che avrebbe potuto passare il testimone e la scomoda poltrona a Yuzo per tenerlo ancorato in un posto. E lui, anche se nessuno l’avrebbe mai detto, era un vecchiaccio dal cuore tenero, sotto sotto.
“Muoviamoci.” concluse, dopo ch’ebbe completato quel lento scrutare delle scrivanie in disordine, sedie riverse, fogli disseminati ed oggetti sparsi ovunque in seguito alle violenti scosse.
La squadra obbedì. Rick abbandonò rapidamente la finestra, mentre Rita afferrava il piccolo portatile dove continuava a seguire i tracciati del tremore persistente. Hisui e Toshi aprirono la fila, ma un’altra forte scossa li sorprese all’improvviso. Ricardo riuscì ad afferrare Rita impedendole un incontro ravvicinato con il pavimento. Hideki s’aggrappò alla porta, mentre Hisui e Toshi si tennero al corrimano delle scale. Tutti e cinque avvertirono il netto oscillare dell’edificio ed il concitato rumore di vetri e metallo che tintinnavano. Qualcosa cadde, alle loro spalle, e si fracassò con un rumore sordo, ma nessuno guardò indietro, riprendendo la fuga appena la coda dello sciame fu passata.
“Forza! Non abbiamo più molto tempo!” incitò Hideki ed il gruppo si mosse lungo le scale, tenendosi ben stretto al muro. Già arrivare al secondo piano si rivelò un’impresa titanica, quando Rita si fermò di colpo sul pianerottolo dalle porte spalancate in cui si intravvedeva la desolazione imperante.
“Ma che cosa-” la sentirono borbottare e Rick tornò indietro di qualche passo, mentre gli altri rimanevano immobili in attesa delle ultime nuove.
“Che succede ora?”
La sismologa inarcò un sopracciglio, fissando il piccolo monitor. “Le variazioni ipocentrali stanno divenendo troppo imprevedibili e veloci, guarda.” indicò i numeri sottostanti che sembravano mutare senza una logica, mentre l’intensità era aumentata all’improvviso.
1.3 km
0.500 km
1.2 km
0.380 km
0.800 km
0.220 km
1.1 km
0.130 km
Ricardo trasalì, lo sguardo saettò rapidamente alla vetrata che riusciva a vedere dal fondo della sala del secondo piano. Gli parve che i pennacchi di vapore si fossero drasticamente ridotti, poi fissò di nuovo il monitor.
0.770 km
0.085 km
Con un gesto deciso afferrò il braccio di Rita, trascinandola via di peso senza nemmeno darle il tempo di protestare. L'handbook volò dalle sue mani, rovinando al suolo e spaccandosi in due esatte metà.
“Via da qui, svelti!” riuscì a dire prima che un forte e cupo boato squarciasse l’attesa di Nankatsu ed i suoi abitanti.
La voce del Fuji si levò furente e terribile, per la prima volta dopo trecento anni, riempiendo il cielo con il suo ruggito e facendo esplodere le vetrate in migliaia di pezzi lucenti.
Cominciava così il fuoco d’artificio del secolo.


…E poi bla, bla, bla…

Eccisiamo! *v*
Il Fuji ha fatto il botto! *O*
Gioiamo!
Io gioisco, i miei pg un po’ meno XD, poretti loro.
Insomma, ero convinta che questo capitolo sarebbe venuto un po’ più breve in previsione del prossimo che, se viene come penso, sarà decisamente lungo, ma non lo spezzerò: voglio darvi l’ultimo colpaccio per intero. *blink* Per farmi odiare meglio. XD
Ormai, davvero, stiamo arrivando alle battute finali di questa fanfic e non l’avrei mai detto che questo momento sarebbe finalmente arrivato. XD Ed immagino che anche voi stavate cominciando a perderci le speranze, ma quest’ultimo periodo mi ha visto molto produttiva.
Vi avevo promesso o no che l’avrei finita entro quest’anno?
Ogni promessa è debito, ed io ero da tempo in debito con tutti voi per la pazienza che avete avuto con questa storia ed i suoi aggiornamenti non rapidissimi.
Purtroppo, il prossimo capitolo non arriverà proprio prestissimo perché, come detto, sarà piuttosto lungo ed articolato e ci devo lavorare bene, inoltre, il mese di Luglio è il mese degli ESAMI XD ed io ne ho ben tre, senza contare che altri problemi – decisamente più importanti di qualsiasi altra cosa – mi son piovuti tra capo e collo, portandosi via tutta la mia attenzione.
Quindi, anche stavolta non vi prometto niente, per quanto in cuor mio spero di farvelo avere tra fine Luglio e inizio Agosto ma, davvero, a questo giro non ne sono sicura. Farò del mio meglio, come fatto finora! *alzapugno*

Prima di lasciarvi ai ringraziamenti di rito, volevo dire qualcosa in più sulla dinamica eruttiva.
Solitamente, le eruzioni vulcaniche vengono precedute da un’attività meno intensa (come delle piccole esplosioni freatiche) prima di raggiungere il parossismo e quindi l’evento importante. In questo caso ho fatto anticipare il botto da delle fasi di degassamento avvenute attraverso le fratture del cratere.
Infine, la variazione ipocentrale è dovuta al fatto che le bolle di gas, presenti in un range che andava da 1.3 km di profondità, hanno preso ad insinuarsi più velocemente attraverso le fratture del condotto (per variazioni di pressione), e quindi arrivare in superficie, innescando l’esplosione finale.

Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

Hikarisan: LOL Tappare il cratere è un bellissimo suggerimento!!! XDDDDD
*_* Yoshiko è salva *alzapugno*, soccorsa dal suo ‘principe non tanto azzurro’ XD ma ovviamente anche Taro è arrivato di corsa!!! XD
E comunque, sapere che mi stai sul fiato sul collo è un fantastico stimolo **: sotto pressione lavoro meglio XD non lo so perché! Mi raccomando, resta ancora sintonizzata per questa trance finale: il prossimo capitolo sarà decisamente… al cardiopalma (peggio di questo!)! XD
*_* grazie mille per tutto!

Eos: aspetta a volermi morta, devi ancora leggere il prossimo capitolo. *blink* e poi, lì, davvero avrai un OTTIMO motivo per volermi sepolta XD (e se lo dico io, puoi credermi).
Ora il Fuji ha fatto il botto, il capitolo prima stava solo… facendo gli ultimi preparativi. XD Ora, invece, è proprio esploso-esploso. *_* BOOM! Sarà un amore, te lo posso garantire *w* E grazie mille per il supporto: conoscere un po’ meglio il Fuji, ti dirò, è stato interessantissimo, ma anche piuttosto impegnativo, perché dovevo riuscire ad incastrare tutto per bene (e son stata molto fortunata, meno male! XD).
L’FVO è il luogo dei sogni, per me, soprattutto se potessi davvero contare su persone come Rita, Rick, Toshi, Hisui ed il Burbero XD Tu non sai quanto invidio Yuzo.
E te l’avevo detto che Kishu avrebbe stupito con effetti speciali!*v* Ed ha ancora qualche colpo in canna. X3 quell’uomo è puccio.
Mentre Yoko… XDDDDDDDD, in fin dei conti è ancora una ‘ragazzina’. Ha 22 anni ed una testa dura come la pietra. XD come sua madre. Per fortuna che è l’unica cosa che hanno in comune XDDDD!
*_* grazie millissime, tessora, :**********

Sakura-chan: *_* TESSSSSORA! XD non trattare male quel poverino di Kishu, era solo un po’ accecato dai suoi obiettivi personali (e poi era un politico, insomma, XD cerca di capirlo. Prendi ad esempio i politici nostrani che sono capaci di negare anche di fronte all’evidenza! XDDDD).
Ovviamente, io continuo a ringraziarti sempre tantissimo per tutto il lavoro che fai e per sbolognarti i miei capitoli chilometrici (e non dimenticarti che, alla fine di Huzi, ti toccherà Elementia XDDDD NO! NON SCAPPAREEEEEE! XDDDDD).
Yoko, come detto ad Eos, ha preso la testaccia da sua madre. XD E per fortuna solo quella. E comunque… HAI AZZECCATO LE PIPPE MENTALI DI YUCCIOLO!!! XDDDD SEI IL SOLITO MITO!!! XDDDD AHAHAHAHAHAH! Ti pare che io non gli facessi fare un mare di elucubrazioni catastrofiste?! *rotola* Io AMO l’Angst! XD
Grazie millissime per tutto e per apprezzare ciò che di ‘scientifico’ vi è in questa storia. :********

Kara: *Mela ridacchia e con nonchalance ignora la Premessa fatta da Kara* Io non so niente. *nonò* Non so mai niente fino a cose fatte XDDDD.
Tu leggi questa het perché, sotto sotto, alla fine il pairing ti intriga e vuoi sapere se li accopperò o meno *fischietta* LOL
*_* Non temere, nel prossimo capitolo avrai botti, fuochi d’artificio, tric e trac e bombe a mano. *_* il Fuji darà vita ad uno spettacolo meravigliosamente pirotecnico per il quale darò fondo a tutte le mie conoscenze e capacità per riuscire a renderlo al meglio. *alzapugno* (ecco, ora mi viene l’ansia da prestazione °^°).
E finalmente qualcuno che tifa per la Rita/Rick! I miei tesssssori!!! *AWWWWW*
Anche io faccio troppo il tifo per loro perché li trovo adorabili *v* Ovviamente, nel prossimo capitolo ci saranno assolutamente anche loro, non temere, ma per quanto riguarda eventuali spinoffini *mmm* non credo proprio (XD ma con me, lo sai, mai dire mai).
Suuuuu!!! Non trattare male puccioKishu XD mi piaceva troppo quel pg per farlo restare cattivo. X3
Grazie mille per le tue parole. :****** Io adoro fare le ricerche per le storie XD Perché poi vengo a scoprire sempre cose nuove che, magari, prima non conoscevo. Mi domando perché non le facciano anche gli altri ‘_’, invece di scrivere montagne di scemenze. *mah*

Ed anche per questo capitolo è tutto! **/
Vi rimando al prossimo, per l’ultimo colpaccio di questa storia! *____*

PS: ho già iniziato a scrivere il nuovo capitolo. ^^/

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 23 (parte I) ***


Documento senza titolo

Comincia qui il penultimo capitolo di “Huzi”.
Sissignore, avete capito bene.
Tenetevi ben stretti alle sedie, ragazze e ragazzi, e con i popcorn a portata di zampa perché il Fuji sta per dare il meglio di sé.
Buona lettura!

Huzi

- Capitolo 23 (Parte I) -

Taro aveva ragione: il traffico era terribile e lui aveva dovuto cambiare strada più volte e nelle maniere meno ortodosse per non restare imbottigliato.
Inoltre, le linee telefoniche sembravano completamente fuori uso e non c’era stato verso di mettersi in contatto con l’FVO o qualsiasi altro membro della sua squadra.
Yuzo continuava a sterzare bruscamente, cercando di evitare quanto più possibile gli ostacoli che si trovava davanti. Sembrava di fare una gara di slalom perché le auto incidentate e abbandonate per le strade assieme alle macerie, crollate in seguito alle scosse, ormai non si contavano più. Un paio di volte aveva anche rischiato di investire le persone che si erano gettate in strada disperate ed in cerca di aiuto.
“Maledizione!” sbottò, lanciando definitivamente il cellulare sul cruscotto dopo l’ultimo tentativo fallito di prendere la linea. Ormai non poteva fare altro che arrivare all’FVO per controllare che i suoi colleghi fossero ancora lì e in salvo.
D’improvviso, sentì la strada muoversi sotto le ruote ed ondeggiare, tanto che non fu più in grado di controllare il Pick-up il cui muso sbandò prima che lui riuscisse a tenerlo con un enorme sforzo. L’inchiodata dei freni tracciò la lunga scia nera delle gomme sull’asfalto per poi fermarsi del tutto, ma non furono le sole. Le altre vetture, nella coda che s’era creata, zigzagavano proprio davanti a lui.
Un’altra scossa seguì quella appena trascorsa, lasciandolo immobile con una mano stretta al volante e l’altra pronta per mettere in moto appena si fosse accorto del definitivo passaggio dello sciame.
Fu allora, nell’attesa caratterizzata da orecchie ben tese e occhi sbarrati, che il rumore di quel boato riuscì a fargli tremare il cuore. Istintivamente abbassò il capo per proteggerlo dietro al volante, mentre, all’esterno, le urla della gente furono sostituite dal tintinnare e addirittura infrangersi dei vetri. Anche Dante tremò, investito da un’invisibile onda d’urto e Yuzo fu sul punto di credere che perfino il parabrezza stesse per spaccarsi, ma riuscì a tenere.
Quando sollevò la testa, già sapeva cosa fosse avvenuto, ma non avrebbe mai pensato di poterlo vedere con i suoi occhi, un giorno.
Il Fuji era esploso.
L’esterna copertura fredda, ammantata di neve, e l’ostruzione che riempiva parte del condotto, ricordo delle precedenti eruzioni, erano stati scagliati via dalla forza dei gas sottopressione, essoluti dal magma fluido in risalita. Sottoforma di bolle, s’erano infilati fra le fratture. La pressione del magma da un lato, la pressione del materiale incassante dall’altro, la pressione all’interno delle stesse bolle dove i gas premevano per espandersi. Poi, la presenza dell’acqua della copertura nevosa in contatto con le alte temperature aveva fatto scattare il grilletto ed il condotto era esploso come la canna d’un fucile.
I primi litici vennero lanciati in aria come proiettili, larghi addirittura metri. Yuzo li vide percorrere perfette parabole prima di ricadere prossimali al vulcano, mentre altri, ad altezze sempre maggiori, venivano sparati dalla regione di gas thrust[1].
Sembravano gli stami di centinaia di fiori, le scie nere che tracciavano nelle traiettorie erano miriadi di pistilli, l’enorme nube che si levò sospinta dalla forza della pressione dei gas finalmente liberi di espandersi tra i petali che si aprivano improvvisamente in ogni direzione, allungandosi verso l’infinito, neri come mai se n’erano visti, e letali, destinati a divorare aria e cielo e tutto ciò che si trovava loro attorno.
La colonna eruttiva si levò velocemente come un filmato che veniva mandato avanti col tasto ‘fwd’, guadagnando metri a vista d’occhio. Sembrava non dovesse mai fermarsi. E la sua ascesa, la consistenza quasi morbida delle forme che si evolvevano e partorivano altre curve aveva un che di ipnotico.
Così, con gli occhi fissi su quello spettacolo che non gli era sconosciuto, ma che aveva sempre il potere di lasciarlo carico di meraviglia, soprattutto se a farlo era il Fuji, Yuzo mise di nuovo in moto cercando di allontanarsi da lì. Ma il caos, ora, sembrava totalmente indomabile.
La gente correva senza nemmeno guardare la strada, gli occhi costantemente rivolti alle proprie spalle perché era da lì che il vero pericolo sarebbe arrivato e il Prof sudò più delle famose sette camicie per non ferire nessuno. Un’auto, nel senso contrario al suo, sbandò perché la terra ancora tremava a causa delle esplosioni freatiche e la ruota anteriore urtò il marciapiede che divenne come una rampa di lancio. La vettura si impennò, ricadendo di schianto su un fianco e percorrendo così l’asfalto, tra grida e scintille.
La vide scomparire dagli specchietti e continuò a guidare cercando di non ripetersi che tutto quello non sarebbe dovuto accadere. In città non avrebbe dovuto esserci più nessuno a parte loro e le forze dell’ordine ed invece, mentre continuava ad avanzare, la gente scivolava attorno a Dante come la piena d’un fiume; aggiravano macerie di case dai tetti spioventi crollate in toto o in parte sotto le ultime, ripetute e violenti scosse, mentre gli edifici in cemento sembravano aver tenuto, ma qualcuno aveva perso la facciata, altri erano sfregiati da crepe profonde come cicatrici indelebili. E mentre vedeva e tentava di ignorare al contempo tutto questo, sapeva che per Nankatsu non ci sarebbe stato nulla da fare.
Una bomba vulcanica impattò ad un paio di metri da Dante e lui imprecò, sterzando di colpo. Si sporse verso il volante per poter osservare il cielo. Una nuova imprecazione, più aspra della precedente, trovò fiato nella sua gola: era cominciata la pioggia di balistici.
Gli enormi frammenti della copertura ricaddero, schiantandosi con violenza tra cose e persone e tracciando una scia di polveri nere lungo il percorso. Alcune centrarono gli edifici ancora in piedi, frammentando il cemento che schizzava via come sciami di proiettili più piccoli e letali. Altre ricaddero sull’asfalto, perforandolo con solchi profondi più di trenta centimetri. Una pompa di benzina saltò in aria, innalzando una vigorosa fiammata e poi una intensa colonna di fumo tra i tetti delle case.
Yuzo e Dante zigzagarono, evitando la traiettoria delle bombe, quando il vulcanologo scorse una lussuosa vettura nera ferma a metà su un marciapiede. Il muso distrutto dall’impatto contro un palo ed il guidatore di mezzo busto fuori dal parabrezza, tra vetro e sangue.
La riconobbe subito.
“Kishu?!”
Era convinto che si fosse già messo al sicuro, ma a quanto pareva non era stato fortunato. Yuzo accostò, scendendo dal Pick-up ma lasciando acceso il motore.
Rapidamente raggiunse l’autista ma non gli ci volle molto per capire che non ci fosse nulla da fare per lui e, a giudicare dal buco nel tettuccio, doveva essere stato preso in pieno proprio da una bomba. Priva di controllo, l’auto era poi impattata contro il palo, fermando la sua corsa.
“Kishu!” chiamò Yuzo a gran voce, tentando di aprire la portiera posteriore il cui meccanismo sembrava essere stato bloccato in seguito alla botta. Non ottenne risposta, ma non demorse. Un piede puntato contro la ruota per fare da perno e la portiera cedette, aprendosi lentamente e con sforzo. “Kishu, sta bene?”
Yuzo scorse la figura del Vice Prefetto che si teneva la fronte con una mano e con l’altra restava appoggiato al sedile davanti a sé. Doveva aver preso una bella botta perché gli parve disorientato.
“Che… che cosa… è successo?”
“Il Fuji ha eruttato, siete stati colpiti da una bomba e vi siete schiantati.” fu il sintetico riassunto di Yuzo e l’altro gli rivolse uno sguardo ancora più confuso. Un rivolo di sangue lungo la tempia.
“Cosa?”
“Glielo spiego più tardi, ora venga fuori da lì!”
Kishu non se lo fece ripetere e non senza una certa difficoltà riuscì a guadagnare l’esterno dove il frastuono delle grida terrorizzate, delle auto che cercavano di allontanarsi e delle sirene lo investirono, facendolo barcollare. Aveva un continuo ronzio nelle orecchie, come un fischio, e poi un tuonare interminabile.
“I-il… mio autista…” la voce era ancora pastosa, ma sentì benissimo la risposta di Yuzo.
“Mi dispiace, ma era già morto quando sono arrivato.”
Kishu rivolse all’uomo, che scorse per metà riverso fuori dall’auto, un’occhiata colpevole perché sapeva che se avesse agito prima non sarebbe accaduto. Molte cose non sarebbero accadute.
La voce del giovane scienziato lo distolse dalle sue recriminazioni.
“Riesce a camminare?”
Annuì adagio per evitare che la testa gli girasse troppo velocemente.
“Allora stia accanto a me e mi segua: piovono bombe.”
Tatsuya inarcò un sopracciglio con sarcasmo. “Bombe? Cosa siamo in guerra?”
“Beh, di sicuro Nankatsu, dopo, sarà un vero campo di battaglia.”
E solo in quel momento, come se l’ovatta che aveva nel cervello fosse scomparsa del tutto, si rese conto di cosa fosse davvero accaduto. Con la bocca semiaperta e gli occhi sbarrati, si volse a guardare il Fuji: una minacciosa e nera nube eruttiva continuava ad alzarsi dal suo cratere centrale, fagocitando l’aria circostante ed espandendosi come un mostro.
Istantaneamente, il rumore tonante che credeva fosse solo nella sua testa trovò una spiegazione, così come il famoso fischio. Vide un qualcosa di nero passare sopra la sua testa e schiantarsi al suolo tra cemento e polvere e lui sobbalzò.
“Q-quella è una bomba?!” ma Yuzo nemmeno lo sentì, afferrandolo per un braccio e tirandoselo dietro.
“Forza, mi segua! Dobbiamo andarcene da qui! La porterò al primo posto di blocco che-”
“Mi lasci venire con lei.” di nuovo in pieno possesso di tutte le sue facoltà, Tatsuya si fermò accanto alla portiera di Dante, attirandosi lo sguardo di Yuzo.
“Cosa?!”
“Quello che ho detto, lasci che l’aiuti.” insistette il Vice Prefetto, ma lui scosse il capo.
“Non se ne parla è troppo pericoloso e lei-”
“Buona parte di quello che sta succedendo è colpa mia, per favore…” -…mi permetta di fare ammenda…- “…posso esserle utile. Sono stato nell’esercito prima di dedicarmi alla politica, non sono uno sprovveduto.”
Yuzo fissò intensamente lo sguardo fermo dell’altro, indeciso sulla scelta da prendere, quando l’impatto d’un’altra bomba, non troppo distante da loro, gli ricordò che doveva muoversi.
“Va bene, salga presto!” accordò ed ambedue scomparvero all’interno di Dante che riprese, sgommando, la sua corsa verso l’FVO.
Mentre fissava la montagna dall’interno del Pick-up, Kishu non poté fare a meno di domandare: “Crede che… che quel lahar sia già…”
“In rotta verso Nankatsu? Non lo so. Forse sì, deve essersi già staccato dal vulcano, ma abbiamo ancora un po’ di tempo prima che raggiunga la città.” e Yuzo sperava che fosse il più possibile, sufficiente da permettere alla popolazione ancora rimasta di mettersi al riparo.
Di permettere a Yoshiko di raggiungere un luogo sicuro. Oddio. Pensare che fosse ancora in città lo faceva diventare pazzo e riusciva a calmarsi solamente ricordando a sé stesso che fosse con Taro.
Con gesti nervosi cavò le sigarette da una tasca del giaccone, porgendole a Kishu.
“Fuma?”
“No, grazie.” rifiutò l’uomo.
“Fa bene.” e ne afferrò una tra le labbra direttamente dal pacchetto per poi metterlo via. La nuvola di fumo si infranse contro il vetro appena la accese.
Il Vice Prefetto lo fissò in silenzio per qualche attimo, notando come i suoi occhi si muovessero dalla strada al vulcano per tenerlo costantemente sottocontrollo. Poi tornò a guardare, avanti a sé, la pioggia di ‘bombe’, come le aveva chiamate il vulcanologo; quegli affari avevano causato la morte del suo autista ed il solo pensiero d’aver perso uno dei suoi gli risultò pesante.
“Lo so che dirlo adesso non serve a nulla, ma: mi dispiace. Lei aveva ragione ed io torto. Non l’ho ascoltata e questo è il risultato.”
Yuzo abbozzò un sorriso, togliendo la cicca dalle labbra. “Apprezzo che se ne sia reso conto, ma recriminare adesso non serve a nulla. Cerchiamo di fare il possibile per aiutare la gente ancora rimasta, prima che il lahar ci raggiunga.”
Tatsuya annuì lasciando che il silenzio tornasse a separarli per qualche altro istante.
“Mi dispiace per sua moglie.” riprese d’un tratto “Anche io sono sposato e non oso immaginare che cosa farei se non potessi più rivedere lei e mia figlia.”
Yuzo lo inquadrò con la coda dell’occhio, leggermente sorpreso. “Ha una figlia?”
“Sì, Kazuki.” un sorriso affettuoso distese le labbra dell’uomo e quell’espressione paterna fece sorridere anche il Prof, che tornò a guardare la strada, mentre il Vice Prefetto seguitava. “Le ho promesso che sarei tornato presto e saremmo andati tutti e tre al Luna Park.”
“Lo farà.”
La convinzione con cui Yuzo lo disse, fece accentuare la smorfia sulle labbra di Tatsuya, convincendolo che avrebbe potuto farlo davvero alla fine di quell’incubo.
“Sì, lo farò.”
Ma intanto la colonna eruttiva continuava a sollevarsi e divenire sempre più minacciosa. Trecento anni di pressione accumulata fin nelle viscere della terra non erano destinate ad esaurirsi tanto presto. Con ferocia e ruggendo, raggiunse la regione delle correnti a getto, ma non si fermò.
Yuzo percepì la formazione d’un piccolo ombrello che iniziò a spingere il materiale in direzione di Tokyo, mentre il cielo si era fatto grigio cupo attorno alla montagna, la cui bocca gli sembrò più ampia di quando l’evento era cominciato, probabilmente si era allargato il condotto e avrebbero dovuto aspettarsi il lancio di altre bombe.
D’un tratto vide il bagliore d’un lampo attraversare la nube e squarciare il cielo col suo suono crepitante.
“Che diavolo era?!” sbottò Kishu, cambiando posizione sul seggiolino. Gli occhi fissi al vulcano ed i muscoli tesi.
“Fulmini.” spiegò Yuzo “Sono normali, i gas e le particelle entrano in contatto con l’atmosfera e generano scariche elettrostatiche. Tutto qui.”
Tutto qui?” fece eco Tatsuya con una certa ironia. “Se lo dice lei.”
Ed il Prof abbozzò un sorriso senza perdere di vista il Fuji. Alla base della colonna vide lo scivolare di piccoli flussi piroclastici mescolarsi alla neve che ammantava i fianchi, farla franare e scioglierla.
Lahar.
Rivoli di fango liquido mescolati a vecchi e nuovi prodotti vulcanici si diramavano come piccoli torrenti pronti a confluire in un unico, grande fiume. Quello era il boia di Nankatsu e stava arrivando.
“Si regga!” esclamò Yuzo, effettuando l’ultima curva a tutta velocità sulla strada quasi sgombra. Kishu si aggrappò alla portiera. “Ormai ci siamo, l’FVO è-” ma ammutolì di colpo quando scorse l’edificio dell’Osservatorio e ciò che vide divorò le sue parole. Lo stridio delle gomme di Dante che inchiodavano fu l’ultimo rumore che si sentì all’interno dell’abitacolo prima che calasse il silenzio.
Kishu s’affacciò alle spalle di Yuzo, osservando la situazione con espressione grave. La costruzione accanto all’FVO era crollata, probabilmente in seguito alle forti scosse, falciando parte dell’Osservatorio. Quest’ultimo si trovava ora coricato su di un fianco e  non si capiva dove finiva e cominciavano le macerie dell’altro edificio.
“Crede che siano ancora lì dentro?”
Yuzo serrò con forza le mani attorno allo sterzo senza rispondere, ma infilando velocemente Dante nel parcheggio sotterraneo. Buona parte di esso era occupato dalle macerie per le pareti crollate e l’illuminazione era intermittente nelle poche lampade ancora funzionanti, altre penzolavano dal soffitto facendo piovere scintille dove i fili erano spezzati, andando in corto circuito.
“Dio Santo, che sfacelo.” masticò Kishu, mentre il Pick-up rallentava fino a fermarsi dove prima c’era la porta che, dai garage, portava ai piani superiori. Ora l’ingresso era totalmente occupato da cemento, lamiere ed il pezzo d’una trave crollata. Era impossibile entrare dall’ingresso principale e, a quanto pareva, nemmeno da lì si poteva passare.
“Maledizione!” Yuzo sbatté con rabbia il pugno sul volante, scendendo rapidamente.
“Magari i suoi colleghi sono andati via prima che avvenisse il crollo.” ipotizzò Tatsuya in un ruvido tentativo di rassicurarlo e, dentro di sé, Yuzo sperò ardentemente che avesse ragione. Avanzò mani ai fianchi di qualche altro passo, pestando frammenti di vetro ed intonaco e fermandosi a guardare dove fino a poco tempo fa c’era stata una porta.
Stava andando peggio del previsto e non erano che all’inizio dell’eruzione. Sospirando pesantemente, abbassò lo sguardo passandosi una mano sul viso e fu in quel momento che, tra i calcinacci ed il metallo divelto, scorse le dita di una mano spuntare sotto a tutto. Di colpo, il Prof smise di respirare guardando quei pochi centimetri di pelle con gli occhi sbarrati.
Tatsuya lo raggiunse e notò la sua espressione.
“Che succede?” ma non ottenne risposta, lo vide solo avanzare ancora e poi cominciare a prendere macerie a piene mani e scavare. “Morisaki… che diavolo sta facendo? È inutile restare ancora, qui è pericoloso e non c’è più-” ma quando scorse la mano si azzittì, rimanendo immobile ad osservare.
Quando Yuzo riuscì a liberare il braccio capì subito chi fosse rimasto sepolto ben prima che riuscisse a far emergere la testa.
“Shiguro.” esalò in tono sofferente e con le labbra piegate verso il basso, da sotto uno squadrato blocco di cemento emerse finalmente parte del viso, sporco di polvere e sangue, dal cranio fracassato. Yuzo sospirò pesantemente, scuotendo il capo. Lo conosceva da così tanto tempo; Shiguro era guardiano dell’Osservatorio da prima che lui venisse assunto, ed era sempre stato un uomo fedele al proprio lavoro e ligio. Una morte simile ad un passo dalla pensione non era giusta.
“Ma è la guardia.” affermò Kishu, riconoscendo il cadavere.
“Sì.” il Prof lo osservò ancora per qualche momento, rimanendo in ginocchio prima di guardarsi attorno con un sopracciglio inarcato e l’espressione scura, nuovamente preoccupata.
Quando s’accorse che ciò che cercava con gli occhi era ancora lì, ebbe la conferma anche della sua ipotesi.
“Dobbiamo entrare.” disse fermamente, rimettendosi in piedi e raggiungendo il muro di macerie che ostruiva l’ingresso dell’FVO. Ignorando completamente la perplessità del Vice Prefetto si mise a spostare i grossi blocchi di cemento e lamiere, per quanto possibile.
“Entrare dove?” fece eco Tatsuya, ancora fermo presso il cadavere della guardia.
“Nell’FVO.”
“Che cosa?! E per quale motivo? Non ci sarà più nessuno ormai!”
Ma Yuzo non si volse né si fermò.
“Hideki e gli altri sono ancora lì dentro.” il crepitare dell’incastro perfetto tra le macerie che venivano smosse dal loro equilibrio, mentre rotolavano lungo i fianchi del cumulo, infastidì il politico che si passò una mano nei capelli, solitamente tirati indietro con la gelatina, ma ora in totale disordine.
“E come fa ad esserne tanto sicuro?” domandò con ironia, sperando che l’altro non volesse combattere contro i mulini a vento.
“Conosco Yoshikawa meglio di lei, e so che non lascia mai indietro nessuno. Non avrebbe mai lasciato l’FVO se non fosse stato sicuro che gli altri erano già fuori.”
“Lodevole da parte sua, ma il palazzo può essere crollato dopo che loro se ne sono andati, non crede?”
Yuzo si volse, indicando il fondo del garage col mento.
“Se le dicessi che le loro auto sono ancora tutte qui, sarei più convincente?”
Tatsuya osservò il punto indicato dal vulcanologo e, in effetti, c’erano ancora delle auto parcheggiate, di cui alcune sommerse di calcinacci, e in una situazione come quella non avrebbe avuto senso andarsene a piedi.
“Accidenti.” sibilò, mentre Yuzo aveva già ripreso a togliere il possibile per cercare di aprirsi un varco ed infilarsi nell’edificio.
“Allora vuole darmi una mano o no?” lo incitò con impazienza e l’altro non se lo fece ripetere.
Entrambi si misero a lavorare di buona lena, per quello che potevano, ma con quella trave davanti c’era poco da fare: seppure fossero riusciti a creare uno spiraglio, non ci sarebbero mai passati.
“Hideki!” chiamò Yuzo d’un tratto, il cemento che continuava a venire lanciato alle loro spalle e non era assolutamente intenzionato a mollare, soprattutto, non era intenzionato a credere che non fossero ancora vivi e in attesa di soccorsi. “Hideki! Ricardo! Mi sentite?” ma ancora silenzio provenne dall’altra parte. Forse erano bloccati al terzo piano, ancora.
Accanto a lui, il Vice Prefetto continuava ad aiutarlo seppur non con la stessa speranza nutrita da Yuzo. Aveva detto che lo avrebbe aiutato e visto il casino che aveva combinato era proprio l’ultima persona a potersi permettere di iniziare un discorso per tentare di farlo ragionare e fargli capire che, probabilmente, nessuno era sopravvissuto.

Quando Ricardo riprese conoscenza, la prima domanda che si pose fu: quando e perché l’aveva persa?
Tutto ciò che ricordava era di aver afferrato Rita per un braccio, trascinandola con sé giù per le scale, poi il Fuji aveva eruttato e lo spostamento d’aria aveva spaccato i vetri della parte di edificio esposta in direzione del vulcano. E poi… poi il boato, certo, anzi, in quel momento aveva avuto come la certezza che i boati fossero stati due: uno più distante, ovviamente il Fuji, ed uno molto, molto più vicino che però non aveva avuto la minima idea di che diavolo fosse.
Tastando alla cieca avvertì sotto le dita e anche sotto al culo solo ed esclusivamente cemento ed improvvisamente l’ultimo frammento di ricordo balenò davanti ai suoi occhi, svegliandolo del tutto: le scale erano crollate, mentre loro le stavano ancora scendendo.
“Ehi!” biascicò con la bocca pastosa ed il sapore della polvere. “Tutto bene, ragazzi?”
Il primo a rispondere fu Hisui ed il suo tono lamentoso lo rassicurò.
“Ti pare che possiamo stare bene? E’ venuto giù il finimondo!”
“Non lagnarti, Meteo-man, ringrazia Dio che sei ancora vivo, piuttosto.” lo ammonì Toshi chissà da dove, tentando di liberarsi dalle macerie che lo tenevano intrappolato. Rick lo comprese dal rumore dei massi che venivano smossi.
“Tu stai bene?” domandò il geochimico e l’ingegnere tentò di mettersi almeno seduto.
“Sì, più o meno. Ho un pezzo di cemento piantato nel culo.”
La voce di Rita lo raggiunse poco lontano da lui.
“Non mi sembra il momento di mettersi a fare strani giochetti sadomaso.”
¡Cariño! Stai bene?”
“Potrei stare meglio.” sbuffò la sismologa. “Per poco non mi ammazzavi! Mi hai tirato così, di botto, tanto che stavo per cadere dalle scale.”
“Ci sei caduta lo stesso, visto che sono crollate.” ci tenne a precisare Hisui, mentre Rick si difendeva.
“Ammazzarti?! Ma se ho cercato di salvarti!”
“Oh, mio eroe, la prossima volta non disturbarti, faccio da me.”
Ricardo sbuffò, incrociando le braccia al petto. “Mi denigri sempre.”
“Povero cucciolo.” ironizzò Rita, quando una quinta voce si levò più lontana.
“Potreste mettere da parte la vostra corrispondenza di amorosi sensi e darmi una mano? Credo di avere una gamba rotta!”
L’ingegnere tentò di mettersi in piedi come poteva nell’angusto spazio semibuio, dove la luce arrivava solo tra gli spiragli delle macerie.
“Arrivo capo, tenga duro, la tiro fuori!”
“Ma qualcuno di voi ha capito che diavolo è successo?” rimuginò Toshi, mentre Hisui lo aiutava a venire fuori da alcuni pezzi di marmo degli scalini.
“Credo che lo scopriremo solo una volta fuori.” e il meteorologo non aveva tutti i torti, ma la sua affermazione non fece che evidenziare un problema ben più urgente: come avrebbero fatto ad uscire? La confusione delle scale crollate era tale che non si capiva nemmeno più da che parte era il sopra e il sotto.
“Ragazzi, ho bisogno di voi!” Ricardo richiamò l’attenzione dei colleghi. “Hideki è bloccato, mi serve aiuto!”
Il burbero aveva una gamba, quella rotta, incastrata sotto un grosso blocco di cemento. Hisui e Toshi lo raggiunsero, mettendosi alle spalle di Ricardo per valutare la situazione.
Lo spazio per muoversi era talmente angusto che tutti e tre restavano in ginocchio.
“Bel modo di arrivare alla pensione.” borbottò il capo dell’FVO.
“Non si preoccupi, adesso ci pensiamo noi.”
“E’ proprio questo che mi preoccupa!”
Ed i tre soccorritori ridacchiarono, mentre Rick dava disposizioni.
“Toshi, aiutami a sollevare quel coso. Hisui, appena la gamba è libera, tira via il capo.”
“Ok.” risposero in coro e ognuno raggiunse la posizione più favorevole. Il meteorologo si sdraiò per riuscire a mettersi alle spalle di Hideki, mentre Rick e Toshi si avvicinarono al grosso blocco pronti a spingerlo via.
“Al mio tre.” disse l’ispanico. “Uno, due…” e al ‘tre’ insieme fecero forza con tutte le energie che avevano in corpo, mentre il burbero tratteneva tra i denti il dolore del peso che si spostava sopra la gamba ferita.
“Ci siamo quasi! Ancora uno sforzo!” incitò Rick, spingendo più che poteva. Al momento giusto, Hisui afferrò Hideki da sotto le braccia, tirandolo via.
“Ce l’ho, mollate!”
A quel richiamo, i due scienziati non se lo fecero ripetere e tirarono un profondo sospiro, recuperando fiato. Il blocco di marmo e cemento tornò al proprio posto con un tonfo e qualche frammento più piccolo che rotolò via.
Rita accorse per prestare soccorso ad Hideki. “Non parrebbe scomposta, ma ho bisogno di qualcosa con cui steccargli la gamba.”
“Non vedo legno nei paraggi.” fece presente Toshi. "E a dire il vero, è già tanto se riesco a vedere qualcosa."
“Vanno bene anche delle barre di ferro.”
Hisui si mise a tastare alla cieca attorno a sé, avanzando carponi fin dove poteva spingersi in quell'insieme di macerie. Le dita graffiate facevano presa sugli oggetti cercando di carpirne le forme nella penombra. Toccò qualcosa di metallico e ne seguì la forma per un po'. Sembravano barre, quelle che facevano parte della struttura armata del cemento. Non erano perfettamente dritte, ma potevano andare bene. Cercò di tirarle via dalla loro allocazione come poté, perché in parte spezzate dal troppo peso che aveva superato lo sforzo massimo sopportabile. Prese a sbatterle contro una parete crollata per ripulirle, il più possibile, dalla maggior parte di cemento che ancora vi restava saldamente attaccata. "Queste vanno bene?" propose infine, passandole a Rita.
“Perfetto!” esclamò la donna e con della stoffa rimediata dalla giacca che stava indossando, le fissò ai lati della gamba di Hideki.
“Che provetta crocerossina.” scherzò lo stesso Meteo-man.
“E’ solo momentaneo. Al primo ospedale faranno di meglio.”
Rick si guardò attorno con piglio critico. “Il problema è: come usciamo di qui?!” e il resto della squadra tacque perché nessuno aveva la risposta giusta a quella domanda.
“Quando… quando le scale sono crollate.” tentò Hideki con uno sforzo. “Io, Sugihara e Aoki eravamo più avanti, mentre tu e Fusco eravate poco dietro di noi. Quindi, significa che di là” ed indicò avanti a sé “si scende verso il garage. Mentre dalla parte opposta si sale.”
Rick annuì. “Almeno iniziamo ad orientarci. Hisui, controlla se è possibile accedere al piano e cerca di capire se siamo al primo o al piano terra. Io vado a dare un’occhiata in basso. Toshi, Rita: mettete comodo il burbero.”
“Burbero?!” fece eco il diretto interessato. “Non approfittartene troppo solo perché sono ferito, Manzanares!” ma l’altro ridacchiò, non prestandogli ascolto e andando in avanscoperta.
Poco dopo, Hisui tornò, ma non aveva buone nuove.
“Più sopra le macerie sono così ben incastrate che se provassimo a smuoverle, crollerebbe tutto.”
Nemmeno Rick fu più fortunato.
“C’è un blocco enorme costellato da altri più piccoli. Nemmeno se ci mettessimo tutti e quattro a spingere riusciremmo a spostarlo. Comunque, credo di aver capito dove siamo. Dabbasso filtravano degli spifferi d’aria fredda ed umida, credo sia il garage.”
“Questo dovrebbe consolarci?” sbottò Toshi. “Siamo bloccati qui dentro come dei ratti!”
“Manteniamo la calma, Shiguro sa che siamo ancora qui.” intervenne Rita “Manderà qualcuno a liberarci.”
“E chi? A quest’ora la città sarà deserta! Non lo sentite? Il Fuji sta facendo il suo show!”
“Non me ne parlare.” borbottò Hideki che, nonostante il dolore, ebbe da lamentarsi di ben altro. “L’eruzione del secolo e ce la stiamo perdendo.”
Anche se circondati da marmo e cemento il suono basso e rombante del vulcano riusciva ad arrivare anche a loro, e fu mentre era concentrato su quel cupo rumore che Rick riuscì a sentire qualcos’altro, mentre gli altri seguitavano a discutere.
“Zitti tutti!” intimò con un gesto e rimanendo in ascolto.
“Hi… ki… cardo… mi… tite?”
Un sorriso gli distese le labbra nello sbottare con sicurezza: “E’ Yuzo!”
“Cosa? Yuzo? E dove? Hai le traveggole?” Hisui parve non comprendere.
“Deve averlo contattato Shiguro!” Rick si precipitò verso il fondo, rispondendo al richiamo con tutto il fiato che aveva in gola. “Yuzo! Yuzo siamo qui!”
Non avrebbe lasciato morire quella possibilità di salvezza per nulla al mondo.

“Ehi! Ha sentito?” Yuzo afferrò il Vice Prefetto per un braccio, facendogli cenno di fermarsi e ascoltare. Ma oltre al continuo rombare dell’eruzione che imperversava all’esterno, Kishu non sentiva nulla.
Tatsuya sospirò. “Morisaki, io non credo-”
Sh!” Yuzo lo zittì con decisione, seguitando a rimanere in ascolto. “Sono convinto di aver sentito una voce.”
Il Vice Prefetto si passò il dorso della mano sul viso per cercare di liberarsi dalla polvere sollevata dal continuo spostare di macerie, che gli stava bruciando gli occhi. Non sentendo nient’altro, Yuzo riprese a togliere quanto più materiale possibile.
“Ricardo! Rita!” chiamò ancora, imperterrito, e Tatsuya stava per fermarlo definitivamente quando, stavolta, anche le sue orecchie captarono quel flebile: “…’zo…”
Il Prof lo guardò trepidante e con un mezzo sorriso sulle labbra. “L’ha sentito anche lei, vero? Adesso non può negarlo!”
E no, non poteva davvero, tanto che si rimise subito a scavare ed insieme riuscirono ad aprire finalmente uno spiraglio per poter guardare dall’altra parte delle macerie. Ora, la voce arrivò forte e chiara.
“Yuzo! Yuzo siamo qui!”
“Rick! Tutto ok?” il Prof lo riconobbe subito ed un senso di sollievo lo fece sospirare profondamente, riuscendo a frenare la preoccupazione.
“Adesso sì, grazie a Dio.”
Yuzo scrutò nello spiraglio ma non riuscì a scorgerli.
“Che diavolo è successo?”
“Stavamo abbandonando l’FVO quando il Fuji ha eruttato e al boato del vulcano se n’è unito anche un altro che non siamo riusciti a capire.”
“Era l’edificio accanto all’Osservatorio, vi ha preso in pieno mentre crollava.”
“Ecco perché d’un tratto le scale sono franate!” riuscì a capire l’ispanico. “Noi siamo rimasti bloccati tra il piano terra e i garage.”
Yuzo si guardò intorno con fare accigliato, seguitando a parlargli. “D’accordo, adesso cercheremo di fare il possibile per tirarvi fuori.”
“Ti ha detto Shiguro che eravamo ancora dentro?”
E a quella domanda il Prof non rispose subito, scambiando un’occhiata col Vice Prefetto.
“Shiguro è morto.” disse poi, in tono fermo.
“Merda!”
“C’è Kishu con me.” e, un po’ più debole ma perfettamente comprensibile, si levò quel sorpreso: “Il cagacazzi in doppio petto?!”
“Proprio quello.” replicò Tatsuya, arricciando le labbra.
“Rita! Ma ti pare il momento di offenderlo?! Quello ci lascia qui!” la rimproverò Ricardo e la sismologa borbottò qualcosa in dialetto che nessuno dei due, all’interno del garage riuscì a sentire, ma Yuzo fu felice di sapere che stavano tutti bene e si concesse un sorriso più rilassato.
“Ok, adesso cercheremo un modo per liberare il passaggio. Purtroppo c’è una trave che lo blocca e non sappiamo come spostarla.”
“Va bene, aspetteremo tue disposizioni.” accordò l’ingegnere e Yuzo scese dal cumulo di macerie per guardarsi attorno e trovare qualsiasi cosa potesse rivelarsi utile, ma lì sotto era un caos e nulla sembrò far al caso suo.
“Che ha intenzione di fare?” domandò Kishu, facendo vagare lo sguardo anche lui per rendersi utile.
“Dobbiamo trovare qualcosa che ci aiuti a fare da leva. Se la infilassimo in quello spiraglio-”
“Seppur trovassimo ciò che ci serve avremmo bisogno di altre quattro braccia per riuscire a spostare una trave di quelle dimensioni.”
Il Prof si passò una mano tra i capelli impolverati con nervosismo. Il Vice Prefetto aveva ragione, ma loro erano solo in due e sarebbero dovuti bastare.
“L’unico modo sarebbe farla saltare.” concluse il politico e Yuzo ebbe l’idea. Con vigore gli afferrò il braccio, attirandosi la sua attenzione.
“Giusto! Il Tovex[2]!”
“Avete del Tovex?!”
“Certo! Altrimenti come le facciamo le prove sismiche in foro?”
“Con qualcosa di meno pericoloso, magari?!” replicò Kishu come se fosse ovvio.
“Non sempre è possibile. Su, mi segua.”
Yuzo si mosse rapidamente verso l’uscita del garage e Tatsuya gli tenne dietro con ancora l’espressione tra il perplesso e lo sconcertato. Decisamente, la gente di quell’Osservatorio – ma anche di tutta la categoria – non era proprio sana di mente.
“E si può sapere dove lo tenete?”
“Qui dietro.” il Prof si mise a rovistare nel voluminoso mazzo di chiavi che portava sempre con sé e al quale erano attaccate anche quelle di casa. Praticamente privato e lavoro erano una cosa sola per lui; inscindibile.
Tatsuya stava per mettersi le mani nei capelli, invece.
“In pieno centro cittadino?! Voi tenete il Tovex-”
“Kishu, per la miseria! Non ci prenda per degli incoscienti o, peggio, per degli imbecilli! Il magazzino è a prova di catastrofe, il Tovex non è dinamite e non ne conserviamo in quantità industriali, che cavolo!”
Al vulcanologo venne da ridere: non si sarebbe mai aspettato che fosse tanto impressionabile. Ma ogni traccia di ilarità scomparve non appena si trovarono fuori ed il rombo li avvolse con una forza devastante. Yuzo e Tatsuya si volsero entrambi, uno di fianco all’altro, per valutare la situazione che il primo definì con un’imprecazione masticata, focalizzandosi solo sul problema di più immediata risoluzione. Il passo, da affrettato, divenne una corsa per raggiungere il magazzino.
L’altro, invece, rimase rapito a fissare quel mostro nero che continuava a divorare il cielo e scaricare folgori. Ceneri e polveri avevano oscurato tutto verso Tokyo e continuavano ad espandersi e salire in alto. A Nankatsu sembrava stesse calando la notte e il Fuji non sembrava intenzionato a perdere intensità, anzi, lo scorrere del tempo non faceva altro che renderlo più spaventoso e forte, enorme.
Erano solo all’inizio, ricordò Tatsuya a sé stesso, ma quanto ancora li avrebbe separati dalla fine? E cosa sarebbe rimasto quando il Fuji avesse finalmente acquietato la sua furia? Che scenario l’avrebbe atteso dall’altra parte della montagna?
Per un attimo si rese conto di non volerlo sapere e di non volersi trovare ancora lì quando la fine sarebbe giunta. Con decisione mosse un passo indietro, voltando le spalle al nero dragone impazzito per raggiungere Yuzo, che si era già allontanato.
Lo rincorse ed insieme aggirarono l’edificio, pendente come la torre di Pisa. La casupola adibita a magazzino era miracolosamente ancora in piedi.
Yuzo armeggiò velocemente tra chiavi e lucchetto, riuscendo ad aprire la porta, ma la corrente era saltata e quando pigiò sull’interruttore, l’ambiente rimase buio.
“Sa già dove si trova?” domandò Kishu, facendo capolino all’interno. Era ben più grande di quanto avesse immaginato, alcune delle alte scaffalature in metallo si erano inclinate a causa delle scosse, riversando al suolo il loro contenuto. Mentalmente il Vice Prefetto ringraziò che il Tovex non fosse sensibile ai movimenti, altrimenti sarebbe già saltato tutto in aria.
Yuzo avanzò con maggiore decisione, rovistandosi nelle tasche alla ricerca delle sigarette.
“Sì, venga. E stia attento a dove mette i piedi.”
“Si vedesse qualcosa, almeno.” protestò Tatsuya.
“Mi dia un momento.” borbottò il Prof, continuando a tastare gli abiti fino a che non trovò il pacchetto con soddisfazione. “Eccole! Possibile che io le perda sempre?”
“Che cosa?”
“Le sigarette.”
Kishu lo agguantò per un braccio. “Non vorrà mettersi a fumare qui dentro?”
Yuzo ridacchiò. “Vice Prefetto, lei sta offendendo la mia intelligenza, lo sa?” e prima che l’altro potesse replicare, gli puntò sul viso la luce della piccola torcia posta nella parte inferiore dell’accendino. “Cosa non si inventano di questi tempi, eh?”
Tatsuya si passò una mano sul viso, sbuffando. “Mi scusi, oggi è una pessima giornata.”
Stavolta, il Prof rise davvero. “Non lo dica a me.” poi puntò la luce al suolo, rischiarando i loro passi e gli oggetti sparsi: scatoloni dal contenuto riversato ovunque e frammenti di plastica e vetro. “Dovrebbe essere in fondo.”
Velocemente si mossero nell’ambiente dominato dalla penombra e fesso dalla luce solo ai punti in cui i vetri oscurati delle finestre, poste alla sommità delle pareti, si erano frantumati per le troppe vibrazioni.
Scavalcarono il metallo caduto al suolo, arrivando al loro obbiettivo anch’esso a terra.
“E’ in una scatola con scritto: ‘Maneggiare con cura’.”
“Peccato che il Fuji non sappia leggere.” ironizzò Kishu cominciando a rovistare tra gli oggetti.
La famosa scatola la trovò per caso. Dopo aver messo le mani praticamente dappertutto, Tatsuya urtò col piede quello che fece lo stesso rumore del cartone. Di colpo si immobilizzò, sudando freddo. Vero era che il Tovex esplodeva – di solito! – solo se detonato, ma dare un calcio a dell’esplosivo non era proprio un’emozione da provare.
“Morisaki!” il tono gli uscì più allarmato di quanto avrebbe voluto. “Faccia luce qui, presto. Credo d’aver appena urtato la scatola che stavamo cercando.”
Ed infatti, il vulcanologo confermò entusiasta, illuminandolo con la piccola torcia.
“Bel colpo, Vice Prefetto!”. Cavò i tre candelotti rimasti. Erano più che sufficienti per quello che avrebbe dovuto fare. “Venga, torniamo nel garage.”
“Aspetti: e i detonatori?”
“Ce li ho sul Pick-up.”
“E lei ha dei detonato-” ma si interruppe, alzando le mani ormai rassegnato. “Ci rinuncio.”
“Saggia decisione.”
Una volta fuori, percorsero il tragitto inverso ancor più velocemente, scomparendo all’interno del garage.
“Rick!” chiamò Yuzo appena fu abbastanza vicino.
“Sì! Era ora, ma che fine avevi fatto?”
“Abbi pazienza! Cercheremo di spaccare la colonna con i candelotti di Tovex. Voi state il più lontano possibile da questa parte di muro.”
“Ok, col… col COSA?! Ma vuoi salvarci o ammazzarci?! No perché in tal caso è più facile che ci ammazzi tutti!”
“Non lamentarti e lasciami fare.” lo rimbrottò Yuzo e l’altro si arrese con più condiscendenza di Kishu.
“Va bene, sei tu il capo. Comunque sappi che non te ne vorrò qualora dovessi seppellirmi vivo.”
Il vulcanologo rise e svelto raggiunse Dante. Abbassò il portellone posteriore, salendo sul rimorchio, e con un gesto deciso tolse il telo che lo ricopriva.
“Quanta fiducia da parte del suo gruppo.” il Vice Prefetto cercò di fare dell’ironia, nonostante la situazione fosse drammatica, mentre Yuzo rovistava sotto le tremila cianfrusaglie che aveva nel vano. Da sotto metri e metri di cavetti, geofoni e pale emersero i fili per detonare ed il piccolo telecomando.
“Ho la patente per maneggiare questa roba, Ricardo lo sa, ma deve fare un po’ di scena, altrimenti non è contento.” spiegò Yuzo, saltando giù dal mezzo e tornando ad occuparsi di cose più pratiche “Questo lo metta in basso a sinistra della colonna.”. Gli mollò il candelotto in mano assieme al cappuccio del detonatore.
Tatsuya fissò l’oggetto con le sopracciglia aggrottate e poco entusiasmo per qualche momento, prima di tirare un profondo respiro e mettersi al lavoro. Ormai non era più tempo di recriminare, ma solo di agire, anche se in maniera poco ortodossa come quella.
La giornata era ben lungi dal finire.
Con le competenze acquisite con gli anni vissuti nell’esercito, Kishu infilò il cappuccio detonatore al candelotto, posizionando quest’ultimo nella crepa sotto la colonna. Srotolò il cavo muovendosi a ritroso mentre Yuzo scendeva dal cumulo di macerie dopo aver sistemato il secondo candelotto nell’angolino in alto a destra.
Si ritrovarono al lato opposto del Pick-up che avrebbero usato come scudo durante l’esplosione, si sedettero a terra, uno accanto all’altro, e spalle al mezzo. Yuzo inserì le estremità dei cavi nell’esploditore, accendendo il dispositivo. Le luci dei primi due slot si illuminarono di rosso emettendo un sonoro ‘bip’, segno che i cavi erano stati correttamente inseriti e le cariche erano pronte per esser fatte brillare.
“Si turi le orecchie e ripari la testa.” avvisò il Prof ed il Vice Prefetto ebbe solo il tempo di raccogliersi su sé stesso e portare le mani ai lati del volto, poi il boato lo assordò completamente, facendogli tremare perfino le ossa. Il Pick-up traballò, investito dall’onda d’urto, tanto che i finestrini esplosero, lasciando che una pioggia di vetri rovinasse su di loro. Attorno, la nube di polvere li inghiottì assieme al mezzo. Rimasero immobili per alcuni minuti lunghissimi, coprendosi il viso come meglio poterono, mentre le orecchie erano tese ad ascoltare – oltre l’ovatta che sembrava ricoprirle – il rumore di cemento e macerie che crepitavano. Qualcuna aveva colpito la fiancata di Dante, producendo l’inconfondibile rumore metallico, altre avevano superato il Pick-up ed erano volate alte oltre le loro teste.
“Tutto bene?” la voce di Yuzo raggiunse il Vice Prefetto tra i colpi di tosse.
“Sì.” tossì l’altro di rimando. “Più o meno. Dice che ha funzionato?”
“Non ci resta che scoprirlo.” il Prof emerse dal suo nascondiglio, cercando di scrutare attraverso la cortina di polvere e sperando d’esser riuscito almeno a smuovere la trave che bloccava la via di fuga dei suoi colleghi.
Attraverso la polvere che lentamente si faceva più rada, fuggendo verso l’uscita del garage, entrambi poterono scorgere le macerie che erano state lanciate in avanti, facendo quasi una sorta di colossale pulizia di quelle che, in principio, avevano formato il cumulo. La trave era stata spaccata in tre punti, che avevano preso a separarsi tra loro ed era ben di più di quanto Yuzo avesse sperato.
Subito agguantò due pale da dentro il Pick-up, dandone una a Kishu.
“Faccia perno con questa!”
E si misero a lavoro con maggiore lena.
Il ruzzolare di un terzo della colonna risuonò per tutto il garage, andando a morire con un tonfo sul pavimento.
“Ci siamo ragazzi! Tra poco sarete fuori!” avvisò Yuzo e Ricardo rispose prontamente: “Grazie per non averci ucciso, lo apprezziamo molto.”
Il secondo terzo di colonna andò a fare compagnia al primo, spinto da Tatsuya, mentre il Prof scavava per togliere le macerie più piccole e spostare le altre. Lo spiraglio divenne sufficiente per permettere il passaggio di una persona.
La prima ad uscire sana e salva, coperta di polvere di cemento, fu Rita.
Yuzo l’aiutò a venire fuori dal passaggio creato tra le macerie.
“Yuyù! Metterò il tuo santino assieme a quello di San Gennaro!” esclamò, sgranchendosi finalmente le gambe e la schiena anchilosate e doloranti per essere state a lungo rinchiuse in quello spazio angusto e per i lividi.
Poi scoccò un’occhiata a Kishu, indicandolo col pollice. “E mo’ l’avesse pure ringrazià?!”
“Beh, direi.” affermò Yuzo “Mi ha aiutato a tirarvi fuori.” mentre l’uomo, che aveva intuito cosa la donna avesse detto, sollevò le mani, inarcando un sopracciglio e sorridendo ironicamente.
“Non si dia pena. Come se l’avesse già fatto.”
Ma Rita gli si fece ugualmente vicino, togliendosi la polvere e lanciandogli un’occhiata divertita da sopra le lenti da vista.
“Non male per un cagacazzi.”
Il secondo ad uscire fu Hisui, seguito da Toshi che però rimase presso l’apertura. Insieme a Yuzo aiutarono il passaggio di Hideki.
“Fate attenzione alla gamba del burbero.” si premurò Rick dall’interno “E’ rotta.”
“Ancora con questa storia?! Io non sono burbero!” sbraitò Hideki, facendo ridere i suoi giovani sottoposti.
“Sì, sì certo.”
“Non ti ci mettere anche tu, ragazzo!” borbottò ancora verso il Prof. Toshi si fece passare un braccio dell’uomo dietro al collo, mentre Tatsuya accorse all’altro lato.
“Mettetelo sul sedile posteriore del Pick-up.” ordinò il vulcanologo. “Rita, monta con lui e tu, Hisui, sgombra il vano coperto di Dante da tutte le cose inutili.”
Entrambi annuirono, mettendosi subito al lavoro.
“Ah! ¡Dios mio! Aria!” nel mentre, Ricardo aveva appena messo fuori la testa. L’attimo dopo era finalmente libero ed in piedi all’interno del garage, il braccio che veniva fatto ruotare adagio per controllare che non avesse niente di rotto, a parte la botta che aveva preso nello schianto delle scale.
Yuzo lo guardò con un sorriso. “Tutto bene?”
¿Qui eres tu? ¿Un Santo?” scherzò l’ispanico, prima di scambiare con lui un abbraccio sollevato. “Stavo per diventare claustrofobico lì dentro.”
“Non stento a crederlo. Ma ora muoviamoci, il Fuji sta dando spettacolo.”
“Già mi sono perso l’inizio, vorrei almeno godermi il resto!”
Ma il loro entusiasmo venne interrotto quando avvertirono uno strano tremore provenire dall’interno dell’edificio. Entrambi si guardarono attorno con circospezione fino a che non notarono una serie di crepe diramarsi velocemente in tutte le direzioni delle pareti e del soffitto.
“Yuzo.” chiamò Rick, annuendo lentamente. “…credo che tu… abbia esagerato col Tovex.”
“Già…”
Adagio si volsero l’uno verso l’altro, scambiandosi uno sguardo d’intesa.
“Fuori di qui!” sbottarono in coro, correndo verso il Pick-up, dove l’esclamazione allarmata s’era attirata lo sguardo perplesso di Kishu.
“Che succede adesso?”
“Proprio sicuro di volerlo sapere?!” Yuzo montò su Dante senza nemmeno degnarlo d’una occhiata. L’altro fece una smorfia.
“Certo che sì, gliel’ho appena-” ma la risposta la ebbe non appena ebbe alzato i suoi occhi al soffitto dove le crepe si delineavano come neri serpenti sottili, raggiungendo e superando le loro teste. Non gli ci volle molto per capire.
“Oh, merda!”
“Andiamo, Kishu! Salga su!”
Tatsuya non se lo fece ripetere due volte. Come un fulmine montò su Dante, nel seggiolino accanto al guidatore, occupato da Yuzo. Nei sedili posteriori c’erano Rita e Hideki, mentre nel vano, Toshi, Hisui e Rick restavano seduti e ben attenti a proteggersi dai crolli.
“Reggetevi!” fu l’ordine del vulcanologo che partì sgommando, facendo una poco ortodossa inversione tra le colonne ancora in piedi del garage e quelle ormai a terra. Nella scia, il soffitto cominciò a crollare. Yuzo poteva vederlo dallo specchietto retrovisore e sentire il ticchettare di alcuni frammenti sul tettuccio.
Davanti a lui, la rampa che portava all’uscita venne presa col piede premuto a tavoletta sull’acceleratore. Nonostante il posteriore del Pick-up sbandasse leggermente e lui facesse un terribile sforzo per riuscire a tenerlo, non avrebbe rallentato. La luce della salvezza era sempre più vicina.
Alla fine della rampa, Dante perse aderenza con l’asfalto, spiccando un piccolo balzo ed atterrando subito dopo, tra i gridolini di Rita e dei tre compagni nel vano, mentre Hideki emetteva un ringhio di dolore per la gamba.
“Siamo fuori.” disse Yuzo, quasi a convincersi del fatto che ce l’avessero fatta e, per quanto all’esterno li stesse aspettando un altro, enorme problema, al momento erano salvi. “Siamo fuori.”
L’attimo dopo, il rombo della parte inferiore dell’FVO che crollava separandosi definitivamente da quella coricata su un fianco, sancì che Nankatsu aveva appena perso definitivamente il suo Osservatorio Vulcanico.
“Questa la spiegherai tu alle alte sfere del VRC, ragazzo.” affermò Hideki, osservando la nuvola di polvere dal vetro della finestrella comunicante col vano aperto.
Yuzo ruotò gli occhi al cielo. “La prossima volta ti lascio lì!” borbottò, inquadrandolo dallo specchietto retrovisore.
Kishu intervenne, la mano ancora serrata alla maniglia della portiera. “Gradirei che non ci fosse una seconda volta!”
E Yuzo scosse il capo, dando disposizioni a Rita. “Dai una voce agli altri tre, vedi se stanno bene.”
“Ok.” ridacchiò la sismologa, aprendo proprio la piccola finestrella che sostituiva il classico lunotto posteriore.
“Sì, tutto ok qua dietro.” spiegò Rick una volta interpellato “Ma quello che sto vedendo è incredibile.”
Ora che erano fuori dall’FVO, mentre il Pick-up scivolava svelto tra le strade deserte e disastrate, il Fuji entrò finalmente nel raggio visivo del gruppo di scienziati, che lo avevano già individuato a causa della enorme nuvola nera che formava la colonna e la regione ad ombrello. Aveva già da tempo raggiunto la zona delle correnti a getto e tutto il materiale veniva spinto in direzione Est. Su Tokyo doveva già essere iniziato l’inferno della pioggia di lapilli, visto che da loro si stava riversando materiale piroclastico, anche se in quantità minime.
Frammenti di pochi centimetri incandescenti caddero sul mezzo, cominciando a coprire il parabrezza.
“E questa cos’è? La seconda piaga?” Kishu era esasperato. Quell’incubo sembrava non avere mai fine.
“Lapilli.” precisò Yuzo “E finché possiamo, consideriamoli il male minore.”
Rita si sporse dal finestrino per osservare il vulcano, imitata da Hideki che, con maggiore sforzo, tentò di guardare dalla finestrella.
“Fantastico.” esalò la sismologa. La colonna eruttiva del Fuji si ergeva enorme e minacciosa nel pieno del suo vigore. Ad occhio e croce, l’eruzione avrebbe potuto continuare per delle ore e quel pensiero non piacque al vulcanologo. Un’attività così intensa, tutta in una sola volta, avrebbe potuto svuotare pericolosamente la camera magmatica e far crollare l’intera struttura. Yuzo sospirò, distogliendo lo sguardo dallo specchietto retrovisore.
“Avete una concezione di ‘fantastico’ davvero tutta vostra.” borbottò il Vice Prefetto ed Hideki sbuffò una risata.
“Benvenuto nel Club.”
“Ah, per carità! Questa esperienza è stata sufficiente.” e se alla fine di tutto quello fosse riuscito a restare in politica, promise a sé stesso che avrebbe fatto qualsiasi cosa affinché non si ripetesse mai più una simile tragedia. Lanciò un’occhiata al vulcanologo e vide il suo sguardo fermo e serio.
Le dita picchiettavano nervosamente sul volante.
“Dove stiamo andando ora?” decise di chiedere poiché non ne aveva idea.
“Devo portarvi in uno dei centri d’accoglienza, che sia al sicuro però. Aspetterete lì il passaggio del lahar e l’arrivo dei soccorsi.” poi ringhiò “Che spero facciano presto, cazzo! Non si vede nemmeno uno stramaledetto elicottero!”
Kishu parve sorpreso. “Non lasciamo la città?”
“Non ce la faremmo in tempo, il traffico è concentrato tutto nelle vie di fuga da Nankatsu, resteremmo imbottigliati e senza via di scampo. Andremo invece in un campo e vi lascerò lì.”
Il sopracciglio di Kishu si inarcò lentamente. “E lei?”
Yuzo lo osservò per un attimo per poi tornare a fissare la strada.
“Io ho una cosa da fare.”
Una cosa cui aveva pensato costantemente per tutto il tempo. Una cosa che se non avesse verificato con i proprio occhi, non si sarebbe mai dato pace. Doveva accertarsi che Yoshiko stesse bene. Sapendo che probabilmente era ancora in città, doveva raggiungerla, trovarla e restare con lei. Convincersi che non corresse più alcun pericolo e non lasciarla sola.
Il suo rimuginare venne interrotto da dei concitati colpi sul tettuccio.
Yuzo osservò Rita dallo specchietto. “Vedi che vuole Rick.” ma non ci fu bisogno che la giovane facesse da tramite perché come aprì il piccolo vetro divisore, la testa di Ricardo si infilò nello spazio, sbraitando come un disperato.
¡Madre! Yuzo, fermati e esci a guardare! Sta arrivando!”
L’ispanico non dovette specificare cosa, perché il Prof comprese all’istante.
Inchiodò il mezzo d’improvviso, costringendo il Vice Prefetto a fare perno con le mani per  non tirare una testata sul cruscotto.
“Mapporca!” imprecò. Gli occhi che, furenti, saettarono al giovane accanto a lui. “Di che diavolo state parlando?!”
“Del motivo per cui volevo far evacuare l’intera città!” sbottò Yuzo, scendendo di fretta dal mezzo e guardando in direzione del Fuji. Perfino Hideki costrinse gli altri a dargli una mano, perché voleva vederlo con i propri occhi e lo spettacolo, stavolta, per quanto scientificamente fantastico, ghiacciò a tutti il sangue nelle vene.
Yuzo avanzò meccanicamente di qualche passo, arrivando al limitare di Dante. Negli occhi gli sembrò che l’immagine trasfigurasse nei contorni di un incubo e, per un attimo, il Fuji divenne il Nevado del Ruiz, facendogli realizzare che la situazione era addirittura peggiore.
Ricardo spezzò il silenzio, dando voce a quelli che erano anche i suoi pensieri. “Questo batte Navidad, non è così?”
Sì. Lo batteva.
Stava arrivando da lontano, non si distingueva nemmeno da dove fosse cominciato o se fosse il solo, perché tutto il fianco del Fuji era stato coperto da materiale piroclastico ed il candore della neve era stato divorato e sciolto dal calore. Restavano solo lingue sporadiche, ma presto sarebbero scomparse anche quelle. L’acqua che impregnava la terra si era mobilitata nel tumulto eruttivo e non era più stata capace di tenersi aggrappata ai pendii. Il terreno non era più stato in grado di trattenerla e assorbire quella prodotta dalla neve sciolta.
Ora, in un fronte larghissimo e grigio, veloce come una carica di guerra, si stava muovendo lungo le pareti del vallone alla base del quale c’erano loro e l’intera Nankatsu.
Kishu trasalì, la gola secca ed il peso della paura sulle spalle. “Volete dirmi che quello… quello è un… lahar?”
“E’ enorme.” constatò Hisui con la bocca semiaperta, mentre Toshi realizzava cosa avrebbe comportato quel muro inarrestabile di acqua, roccia e lava, fango e alberi. Quella calata barbarica paragonabile alla violenza degli Unni.
“Nankatsu è spacciata.”
Kishu scattò come una molla. “Che cosa?! Mi state dicendo che verrà spazzata via? Rasa al suolo? Sepolta?!”
“Per buoni venti metri, sì.” confermò Hideki, con un distacco raggelante, ma non era l’unico a sembrare quasi refrattario a quella notizia. Su i visi di ciascuno dei membri della squadra di Yuzo, Tatsuya non lesse il minimo sconcerto, come se la scomparsa di un’intera città non fosse un evento tanto eclatante e lui non comprese, trovando l’insieme troppo assurdo per essere vero.
“Ma non è possibile! Quella è solo-”
“Solo acqua?” gli fece il verso Yuzo, ripetendo le stesse parole che lui gli aveva detto nemmeno ventiquattro prima, sembrava passata un’eternità. E fu in quella frase e nello sguardo consapevole della distruzione che sarebbe arrivata e dell’impossibilità di impedirla che si rese conto di quanto l’unico superficiale tra tutti fosse stato soltanto lui. Tatsuya fissò per qualche altro attimo l’espressione del Prof, attraverso la quale trapelava l’eco d’un dolore lontano, prima di distogliere lo sguardo e puntarlo nuovamente verso il boia della città.
“Quanto tempo abbiamo prima che ci raggiunga?” domandò Rick, inginocchiandosi alla fine del vano. In piedi, lì accanto, Yuzo sospirò pesante.
“Un’ora, se ci va bene, ma forse di meno.”
“Così poco?” Ricardo si passò la mano nei capelli in un gesto carico di frustrazione. “Cosa ci resta da fare?”
“Dovremmo avvisare la popolazione!” sbottò Kishu, raggiungendo i due scienziati.
Yuzo inarcò un sopracciglio. Faceva uno strano effetto tale affermazione sulla bocca del politico, soprattutto visti gli avvenimenti.
“Questo lo so anche io, ma non so come fare.”
“Ma… non ce l’ha una radio in questo transatlantico?! Mi basterebbe mettermi in contatto con il capo della Protezione Civile.”
“Certo che ce l’ho! Ma la tengo nel-” d’improvviso, il vulcanologo sembrò avere un’illuminazione. “Hisui!” chiamò concitatamente e l’interpellato alzò le mani, bloccandolo prima che potesse chiedere.
“Ovvio che non l’ho tolta, mi avevi detto di sgomberarlo solo delle cose inutili.” svelto rimestò nel fondo, cavando la scatola con dentro l’apparecchio. “Non sono mica così scemo.”
“Grande Meteo-man!” approvò Toshi, dandogli una sonora pacca sulla spalla che trovò subito il lamento di Hisui.
“Per carità, fai piano! È già un miracolo che non mi sia rotto niente col crollo delle scale, non esagerare!”
Dal canto suo, Yuzo prese in consegna l’oggetto. “Speriamo che funzioni.” auspicò, tirando fuori la radio, mentre Kishu accanto a lui pareva esasperato.
“Come sarebbe?!”
“Che vuole, sono quattro anni che non la uso!”
Il politico scosse il capo afferrando con decisione il congegno dalle sue mani e lasciando il Prof con tanto d’occhi per l’autorità del gesto.
“Lasci fare a me. Ci penso io.”
“Non me lo dica: Reparto Comunicazioni?”
“Perspicace.” replicò Tatsuya, eclissandosi nuovamente nell’abitacolo della vettura e pronto a spolverare tutto quello che aveva imparato sotto le armi. Nel frattempo, Yuzo ordinò agli altri di salire sul Pick-up e tenersi pronti a ripartire, prima di raggiungere il Vice Prefetto.
Quest’ultimo aveva rapidamente allocato la radio sopra il cruscotto e stava collegando i cavi all’alimentazione.
“Provi ad accenderla.” ordinò e Yuzo obbedì.
Ci fu un attimo di falso contatto, ma poi le spie si illuminarono e i canali cominciarono a frusciare.
“Ci siamo.” il Vice Prefetto ebbe un moto di soddisfazione. “Ora vediamo di trovare la giusta frequenza.”
I rumori di fondo aumentavano e diminuivano al ruotare della manopola e ciascuno di loro restava con le orecchie tese per non lasciarsi sfuggire nessun possibile segnale.
Una voce gracchiò per un attimo e poi scomparse al cambiare della frequenza.
“Aspetti!” Yuzo bloccò Tatsuya. “Torni indietro lentamente.”
Il fruscio si assottigliò e poi, di nuovo, la voce di prima tornò a sentirsi forte e chiara. Kishu alzò il volume.
“…a tutti gli uomini, ripiegare e allontanarsi dal vulcano. Ripeto: ripiegare. Passo.”
Hideki affermò con sicurezza: “E’ il capo della Protezione Civile, Itou!”
Il Vice Prefetto non si lasciò sfuggire l’occasione. “Itou! Itou sono il Vice Prefetto Kishu, mi riceve? Passo.”
“Kishu?” borbottarono all’altro capo dopo qualche momento. “Con tutto il rispetto, signore… ma che diavolo ci fa ancora a Nankatsu?! L’ho vista andare via con-”
“Glielo spiegherò più tardi, Itou, mi faccia una sintesi sulla situazione attuale. Passo.”
“Non è buona, signore. Mi trovo nei pressi di una delle tre vie di fuga, lungo la statale che porta a Fujinomiya.”
Il cuore di Yuzo saltò un battito nel sentire che era proprio per dove Yoshiko era andata via.
“Ed è il caos. Le strade sono intasate, la gente ha abbandonato le vetture e sta cominciando ad allontanarsi a piedi. Io personalmente sto provvedendo all’evacuazione di uno dei campi d’accoglienza. Lo sto trasferendo al Kumori Parking perché, stramaledizione!, il responsabile medico dice che uno dell’Osservatorio Vulcanico gli da ordinato di fare così!”
Tatsuya cercò conferma nello sguardo di Yuzo e lui si ricordò subito dell’uomo, quando aveva portato Yoshiko a farsi medicare. Svelto pensò al parcheggio: era in cemento, di circa otto piani, era perfetto. Annuì con vigore al Vice Prefetto che riprese subito la parola.
“Faccia esattamente quello che ha detto il medico.”
“Cosa?! Ma, signore-”
“Questo è un ordine!” tuonò in tono talmente raggelante che lasciò colpito anche Hideki, prima che sghignazzasse. “La situazione sta precipitando, il lahar è in arrivo a meno di un’ora dalla città.”
“Gli dica di ordinare a tutti i cittadini di salire più in alto possibile.” disse Yuzo e Tatsuya ripeté le parole del vulcanologo.
“Sì, signore.” accordò l’uomo. “Lei dov’è, ora?”
“Poco lontano dall’FVO.”
“E’ troppo pericoloso, deve immediatamente recarsi in uno dei centri, il più vicino a lei è nello Stadio Ozora.”
“Lo Stadio?” fece eco Yuzo, dando una sonora manata di disapprovazione sul volante. “Maledizione, quella gente è in trappola, non ha vie d’uscite!”  ma Kishu non sembrò pensarla allo stesso modo, anzi, lo afferrò saldamente per un braccio.
“Ed invece è perfetto!”
“Ma che dice? Gli spalti sono a rischio di crollo per la cenere e l’impatto col lahar, il fango riempirà il campo e le persone-”
“Lo Stadio ha una struttura curvilinea che permetterà più facilmente al materiale di scivolarle attorno, inoltre, la pianta è maggiore della sua altezza ed è più solida. Resisterà all’urto.”
“Come può esserne tanto sicuro? Il lahar di Armero si portò via interi edifici!”
“Perché ho studiato la sua architettura fino alla nausea, visto che avrebbe dovuto ospitare il comizio perfetto che avrebbe sancito la vittoria di Terobashi alle elezioni e mi avrebbe aperto le porte per la candidatura a Primo Ministro. Mi creda, so esattamente di cosa parlo.”
Quella era la prima volta che Tatsuya discorreva apertamente di quelli che erano stati i suoi reali obiettivi fin dall’inizio. Ora che avevano perso tutto il loro significato di fronte a quel terribile evento eruttivo, gli sembrò inutile fingere d’esser stato un politico integerrimo; tanto loro erano sempre stati gli unici ad aver capito subito il suo arrivismo. “Ora come ora, quell’affare verrebbe giù solo con l’Apocalisse.”
Yuzo si passò una mano sul mento, pensieroso, non ancora del tutto convinto.
“E come pensa d’ovviare al fango che divellerà le porte, invadendo l’interno della struttura?”
“Vi è un sistema di serrande che corre lungo tutto il perimetro dell’ingresso principale. Dopo la prima fila di porte a vetri c'è una sorta di anticamera ed un secondo sistema di entrata più stretto. Se noi rinforzassimo quella zona di mezzo con tutto ciò che di pesante e metallico riusciamo a trovare, dovremmo essere in grado di rallentare l’avanzata del lahar, qualora dovesse sfondare le saracinesche, impedendogli di entrare e raggiungere il campo.”
“Potrebbe funzionare.” Rick aveva la testa infilata nella finestrina del lunotto posteriore. “Le serrande sono più elastiche di una parete di cemento, tenderebbero a deformarsi riducendo la resistenza opposta al flusso. Potrebbero addirittura resistere fino alla fine.”
“Inoltre, l’ingresso agli spogliatoi, l’ingresso al campo, l’ingresso agli spalti e le uscite posteriori e di sicurezza sono composte da porte antipanico a chiusura quasi ermetica. Rinforzeremmo anche quelle.”
“Ma è uno stadio o un bunker?!” sbottò Hideki, trovando l’appoggio anche di Rick e Rita.
“Vice Prefetto Kishu? Vice Prefetto è ancora lì? Passo.”
Il capo della Protezione Civile tentò di mettersi nuovamente in contatto con loro, dopo che la linea si era improvvisamente interrotta.
A quel punto, Yuzo annuì, mettendo in moto. “Va bene, vi ci porto e che Dio v’assista.”
Annuì anche Tatsuya, che rispose alla radio. “Sì, ci sono. Ci stiamo dirigendo allo Stadio Ozora. Faccia diramare l’ordine ai suoi uomini di stanza lì di dire a tutta la gente nei paraggi di raggiungere immediatamente lo Stadio, ha capito?”
“E’ sicuro, signore?”
“Sicurissimo, ormai non abbiamo più né tempo né altre possibilità.”
“D’accordo, Vice Prefetto, e buona fortuna.”
“Anche a lei. Chiudo.” e la comunicazione venne interrotta del tutto.

Fu terribile scoprire che c’era ancora tutta quella gente in giro, quando arrivarono allo Stadio Ozora.
Gli agenti della Protezione Civile e dei Vigili del Fuoco erano nel vivo dell’azione per aiutare i cittadini che si trovavano ancora nel quartiere a raggiungere il centro d’accoglienza. Nel momento in cui Yuzo fermò Dante davanti la struttura, un furgoncino della Protezione parcheggiò poco distante e da dietro scesero almeno una decina di persone.
“Merda! Ce ne sono ancora nelle case? Avevo ordinato a tutti di evacuare!” fu l’esclamazione contrariata di Kishu, mentre Hideki affermava.
“La paura ci fa perdere di lucidità e ci fa fare cose stupide.”
Yuzo scese in fretta dal mezzo, imitato dal Vice Prefetto e dagli altri membri della squadra. Aiutato da Toshi, fece scendere Hideki mentre Hisui andava a chiedere l’aiuto di qualche paramedico.
L’attimo dopo, Tatsuya si sostituì al Prof per sorreggere il burbero.
“Lasci fare a me, adesso.” disse con sorpresa del vulcanologo “Lei ha detto di avere una cosa da fare e deve essere importante. Non ha più molto tempo, veda di fare in fretta. E buona fortuna.”
Yuzo annuì adagio. Kishu aveva ragione, era una cosa davvero importante, fondamentale e non poteva più restare lì.
“Si occupi lei di questa gente.” affermò, dandogli per la prima volta fiducia. Anche se i loro rapporti erano stati per lo più dominati da tensioni ed incomprensioni, Yuzo aveva capito già da un po’ di che pasta era davvero fatto Tatsuya Kishu e, strano a dirsi, secondo lui sarebbe stato davvero un ottimo Primo Ministro, se fosse riuscito ad arrivare alla poltrona.
“Ci penso io.” accordò l’uomo e detto questo gli volse le spalle per raggiungere lo Stadio davanti a loro e andare incontro ai due paramedici della Protezione Civile che avrebbero preso Hideki in consegna. Quest’ultimo cominciò a sbraitare, agitando animatamente un pugno.
“Yuzo! Dove credi d’andartene, eh, sbarbatello? Non metterti nei guai con i tuoi soliti colpi di testa, ragazzo! Mi hai capito?! Yuzo Morisaki!” ma né Toshi né Tatsuya si fecero muovere a pietà dai suoi improperi e lo trascinarono via.
A quella scena, il Prof sorrise, indietreggiando di qualche passo. Alle sue spalle, la solidità di Dante sembrò dirgli che doveva salire e darsi una mossa. Lui recepì il messaggio e con un gesto deciso chiuse lo sportello, pronto a mettere in moto, quando la voce di Ricardo lo raggiunse dal finestrino ormai rotto dopo l’esplosione del Tovex.
“¿Adonde vas?” chiese grave, con le sopracciglia aggrottate e l’espressione di chi, sotto sotto, la risposta la conosceva già.
“Devo andare da Yoshiko.”
“Chi ti dice che sia ancora a Nankatsu? Potrebbe già essere arrivata addirittura a Fujinomiya.”
Yuzo avrebbe dato tutto l’oro del mondo per avere la certezza dell’affermazione di Rick, ma purtroppo sapeva che non era così.
“Hai sentito anche tu cosa ha detto Itou. Il traffico è fermo, la gente si sta muovendo a piedi. Yoshiko è in città, lo so, ed io devo trovarla.”
Rick capiva il peso delle sue parole e la necessità che il vulcanologo aveva di andarla a cercare per ricongiungersi a lei ed affrontare insieme l’arrivo del lahar. Una sorta di ‘esorcizzazione del passato’, per poterlo cancellare per sempre. Spostò lo sguardo altrove per qualche momento, la mano a massaggiare la nuca, poi sbuffò e tornò ad osservarlo.
“Niente eroismi.” lo ammonì con decisione.
Yuzo sorrise. “Anche tu.” poi mise in moto ed il Pick-up s’allontanò dallo Stadio a tutta velocità.
Ricardo rimase ad osservarlo scomparire, lungo le strade cittadine, con le mani ferme sui fianchi.
“Dove sta andando, quel pazzo?” Rita comparve alle spalle dell’ispanico, la polvere ancora intrappolata nella riccia massa di capelli e le lenti sporche, ma che non erano in grado di mascherare la preoccupazione delle sue iridi. La stessa si poteva leggere in quelle di Ricardo.
“Sta andando ad evitare che la storia si ripeta.”



[1]GAS THRUST: è la regione che si solleva per alcuni metri sopra la bocca eruttiva dalla quale i gas sparano verso l’alto e si espandono a gran velocità.

[2]TOVEX: è un tipo di esplosivo (più sicuro della dinamite e non tossico) che viene usato per indagini geofisiche in foro (viene fatta brillare una carica in un foro nel terreno e si registrano gli arrivi delle onde sismiche prodotte. Lo studio dei tempi d’arrivo delle onde e le velocità permettono di ricavare informazioni sul tipo di terreno in esame e le sue variazioni.)



 

…E poi Bla, bla, bla…

Lo so, avevo detto che avrei fatto il possibile per darvi il capitolo tra la fine di Luglio e l’inizio di Agosto, ma tra esami e poi le (meritate XD) vacanze non ho avuto affatto modo di mettere penna sul foglio (sì, io scrivo alla vecchia maniera XD), e per dedicarmi a questo capitolo avevo bisogno di tempo e calma, visto che – come avete potuto notare – è piuttosto complesso.
Succedono tante cose in questo penultimo cap, che mi sono vista costretta a dividere in due parti, altrimenti vi sareste dovuti sbobbare trentasei pagine. XD Lo avreste mai fatto? Non credo proprio. XDDDDD
E così, l’Ultimo Colpaccio di “Huzi” lo leggerete nella seconda parte, ovviamente XD.

Azione, azione, azione!
AH!
Come godo! *_*
Se c’è una cosa che amo di più nelle storie è l’azione. L’eccessivo spissicoleggiare va bene in una oneshot, ma in una long bisogna saper dosare bene le pippe mentali e la sana azione, altrimenti si rischia di annoiarsi. O, almeno, io mi annoierei da morire. *ridacchia* Ma so bene di avere dei gusti tutti miei.
In questo capitolo (detesto averlo dovuto dividere, davvero T_T) di azione ce n’è quanta ne volete.
C’è un vulcano che sbotta, palazzi che crollano, colonne che esplodono, lahar che imperversano. Davvero di tutto, e la seconda parte non sarà affatto da meno.
Avremo eroi, fango e tefra, e tanto ammmmmmore. E il Colpaccio. E le vostre bestemmie. XD
Ma veniamo a questa parte!
C’erano delle cose che volevo mostrarvi.
Come il Tovex. Questo è un candelotto di Tovex. Come detto nella nota è un tipo di esplosivo più stabile della dinamite e non tossico, composto da nitrati d’ammonio, sodio, ammonio metilico, calcio e un sacco d’altra roba. Ogni candelotto è di circa mezzo chilo, quindi Yuzo ha usato un chilo di Tovex, che poco non è XD. Non so se fosse proprio sufficientissimo per far crollare l’FVO, ma va detto che l’edificio era già più di là che di qua XD, quindi, passatemela per buona (se usavo più Tovex morivano tutti XDDDDD, quindi, non ho potuto eccedere).
Come esploditore ho pensato ad un modello simile a questo usato dall’Esercito Italiano. E’ piccino e maneggevole, mi sembrava adatto.

Poi… i fulmini *w*
I fulmini nella nube eruttiva *w* *adora*
Premesso: io ho il terrore dei fulmini XD sono stati l’unico motivo che mi ha fatto disinteressare ai Tornado (che pure amo tantissimo) e focalizzarmi sui vulcani. Ma qui mi stanno anche bene, visto che sono localizzati esclusivamente all’interno delle nubi vulcaniche, questo perché è lì che si concentrano le cariche elettriche dovute alle particelle emesse dall’eruzione che entrano in contatto con l’atmosfera. Ho studiato questo fenomeno anche durante la mia tesi di laurea triennale: durante l’eruzione del ’44 del Vesuvio, si ebbero queste belle manifestazioni elettriche.
Io mi sono un po’ ispirata a quella meraviglia dell’eruzione dell’Eyjafjallajokull (noto ai più come il ‘vulcano islandese’. MAH. Come se l’Islanda avesse solo quello. XD)
Lo so che in migliaia l’hanno bestemmiata, ma io faccio parte di tutt’altra categoria ed ogni volta che la facevano vedere ero lì adorante: “*-*”.
Come si fa a non rimanere estasiati davanti a immagini come: questa, questa, questa e questa?
E’… è assolutamente… spettacolare! *_*
Tutta l’Islanda lo è, in generale, ma le sue manifestazioni eruttive credo siano tra le più belle del mondo. E’ l’unica ad avere eruzioni fissurali, le mie preferite e non avete idea di quanto avrei pagato per poter assistere allo spettacolo dell’Eyja. T_T Ovviamente mi rendo conto dei disagi degli islandesi, anche perché la cenere è vetro vulcanico e respirarla, beh, bene non fa XD.

Infine, volevo mostrarvi un piccolo schema di come è composta una colonna eruttiva: QUI.
Dunque, cominciamo dal basso: il magma è una miscela fluida composta da liquido e gas perfettamente fusi. Quando il magma comincia a risalire all’interno del condotto, la pressione litostatica (della roccia incassante) diminuisce, quindi i gas – che sono più solubili – cominciano a fuoriuscire dal fuso formando delle bolle. Questa è il livello di essoluzione.
Una volta giunti ad una certa altezza nel condotto avviene la frammentazione delle bolle (livello di frammentazione) che innesca, quindi, l’esplosione ed i gas liberati vengono emessi velocemente attraverso la regione di gas thrust (o getto turbolento, come viene segnata nell’immagine).
Una volta emessi, i gas e le particelle ascenderanno all’interno della zona convettiva fino ad una certa altezza oltre la quale si formerà la ragione ad ombrello (zona di espansione laterale, come indicata in figura) dove particelle e gas si muoveranno per inerzia, raggiungendo la quota massima dalla bocca eruttiva.   
Quella che viene chiamata Colonna Eruttiva non è che la somma della Regione di Gas Thrust e della Regione Convettiva.

Ok, credo d’aver ciarlato abbastanza anche per questa volta XD
Come se ne sentiste il bisogno, poi, visto quanto chilometrico era il capitolo!

Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

Eos: hai visto che alla fine si sono ritrovati lo stesso?! XD Non ti preoccupare, io calcolo sempre tutto… anche se alla fine del prossimo capitolo NON so effettivamente quale sarà la reazione generale. ** E’ il capitolo topico; per me “Huzi” sarebbe potuta finire pure lì! XDDDD *LOLLAMMORTE*
Ma ne riparleremo poi, nel frattempo: sono felicissima di esser riuscita a mantenere la tensione alta, era quello che volevo e che spero perdurerà anche in questo capitolo e poi nella successiva parte.
Staremo a vedere, nel frattempo ti ringrazio tantissimo, come sempre, del tuo supporto e affetto per questa storia! :*****

Hikarisan: LOL!!!! XD Sulla distruzione di Nankatsu sappi che ti prenderò in parola, perché sono una catastrofista nell’animo e se faccio eruttare il Fuji è OVVIO che gli faccio distruggere qualcosina, nel mentre XD.
Beh, ma se Yuzo non è un principe azzurro, almeno un eroe facciamolo essere XD, è stato in stand-by per tutto ‘sto tempo!!! *ridacchia*
*_* spero che i botti di questo capitolo ti siano piaciuti! Immaginarli, descriverli, studiarli è stato divertente e piacevole (solo io trovo piacevole pensare ad un’eruzione, lo so XD) e spero d’aver reso bene l’idea dell’evento e della forte maestosità di una pliniana (anche se di media entità e non al massimo. Purtroppo il Fuji non è uno dalle eruzioni plateali XD).
Grazie ancora del sostegno, Hikari!!! :****

Kara: XD MA POVERA YOKO!!! Perché ti sta sulle balle?! XD Povera! E’ gggggiovine, è inespeeeeerta XD Non trattarla male, io ci sono tanto affezionata a lei *-*
Allora, ho soddisfatto la tua curiosità eruttiva? *_* Ovviamente, le pliniane con i controcoglioni fanno anche qualcosa di assurdamente più figo quali i flussi piroclastici, ma nella storiografia eruttiva del Fuji non ce ne sono XD quindi, fuffa. Ne ho messo qualcuno piccino solo lungo la parte sommitale del cono perché lì è più facile che si verifichino. Però quelli plateali, tipo il St. Helens sono assurdi da paura.
Rick e Rita *mwahahahah* al prossimo capitolo avrai di che gongolare, promesso!!! XD Sono i miei spupacchi originali e gli voglio bene, gli renderò merito e tu sarai contenta! *alzapugno*
Grazie mille per tutti i complimenti a questa fic. T_T commossa. :********
(però voglio la banconota da un euro! XD)

Sakura-chan: ma io ti faccio prendere anche i bucatini, quando mi ci metto di impegno. *blink* e tu lo sai, visto che il capitolo l’hai letto per intero. *blink*
E comunque… è OVVIO che gli voglio bene  a Yuzo *_* se non gliene volessi, non gliene farei certo passare di peste e corna! Non lo calcolerei proprio! (so che lui preferirebbe l’anonimato a me, ma ormai è destinato XD).
E poi ho anche rimesso ‘tutto a posto’ come hai detto tu *_* si sono ritrovati… e poi si sono riseparati, va beh XD cose che capitano, non si può mica avere tutto dalla vita!
Grazie mille, tesò, per tutto il lavoro che hai svolto come mia Be(t)tina; ormai la piaga è quasi finita, abbi pazienza XD. Sì, sì, poi c’è Elementia, quindi non ti libererai di me… ma almeno si cambia genere XDDDDDD (no, non sarà meno chilometrica, mi spiace! *_* ma ti voglio bene!) :********************

Sandie Rose: è stato un piacerissimo leggere la tua recensione, davvero **! Sono contenta d’esser riuscita a rendere l’evoluzione di entrambi i protagonisti, perché ci tenevo molto e le tue parole mi hanno fatta felicissima! *_*
Così come sono contenta d’aver reso bene Taro e Madre nei loro ruoli e di averti fatto piacere quella squadra guastatori!!! XDDD Creare pg originali da inserire nelle fic mi piace molto, e se poi sono secondari li coccolo ancora di più perché io adoro i pg secondari a prescindere. X3
Quindi, non posso che ringraziarti per le tue parole ed i tuoi complimenti a questa storia che, davvero e non l’avrei mai detto visto il tema e i personaggi, mi ha dato tanto; ben più di quello che sperassi. E se è riuscita a dare qualcosa a voi lettori, beh, ne sono ancora più felice! :*** Grazie!

Ok, that’s all!
Vi rimando alla seconda parte di questo capitolo…
…intanto mi scavo la fossa! XD

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Capitolo 26
*** Capitolo 23 (parte II) ***


Documento senza titolo

Huzi

- Capitolo 23 (Parte II) -

 

Barcellona, ore 5:00 a.m.

Al primo squillo di telefono non ci fu alcuna reazione da parte degli occupanti della casa. Come a voler dire: “Ignoriamolo, avranno sbagliato numero.”
Al secondo squillo ci fu il primo mugugno tra l’infastidito e l’assonnato.
Al terzo capirono che non avrebbe smesso.
La mano sottile di Sanae si mosse a cercare il tasto dell’abat-jour, che sembrò diffondere quasi una luce abbagliante.
“Ma chi diavolo è quest’ora?” borbottò Tsubasa, nascondendo il viso dietro la spalla della moglie per sfuggire alla luce killer.
“Uno che non dorme molto, a quanto pare.” scherzò la donna, afferrando il telefono. “¿Hola?” rispose, la voce impastata.
Passò qualche minuto di silenzio, poi Tsubasa sentì la giovane muoversi in maniera agitata tra le sue braccia per mettersi a sedere.
“Yukari, aspetta, non parlare così di fretta. Mi sto alzando, dammi il tempo. Ti sei dimenticata che qui sono le cinque di mattina? Ti richiamo appena ho acceso la tv, ok?” e chiuse la comunicazione. A tentoni cercò le ciabatte.
“Che sta succedendo?” anche Tsubasa si era messo a sedere, stropicciandosi un occhio, mentre vedeva Sanae trascinare i piedi verso il salotto. Più svelto che poté la seguì, spettinandosi i capelli in un fallito tentativo di dar loro una sistemata.
“Non ho capito. Ha detto Yukari di mettere su un canale satellitare giapponese.” col chiarore che segnava il passaggio dalla fine della notte all’inizio dell’alba, Sanae raggiunse il divano afferrando il telecomando.
“Quale canale?”
“Non lo so, uno qualunque. Dice che tanto ne stanno parlando tutti.”
Lo schermo si accese, ma rimase scuro ancora per qualche attimo. Poi, d’improvviso, il Fuji comparve con la sua nera colonna di fumo e i coniugi Ozora ammutolirono. Le immagini scorsero veloci da tutte le angolazioni, così come le scritte in sovraimpressione e la voce del cronista che continuava a ripetere: “Si preannuncia come la peggiore catastrofe del Giappone del XXI° secolo. Ancora non si ha una stima delle vittime, ma la nube non arresta a fermarsi e il cielo delle Prefetture prossime al vulcano si è tinto di nero.”
Sanae allungò meccanicamente il telefono al campione del Barça.
No, non avrebbe chiamato Yukari.
“Tsubasa… chiama tua madre.”

Amburgo, ore 5:30 a.m.

Nastja allungò il braccio nell’altra metà di letto alla ricerca della possente presenza del SGGK, ma trovando solo le lenzuola vuote.
Non era ancora tornato a dormire. Si era mosso in tutta fretta quasi un’ora prima, dopo aver ricevuto la telefonata improvvisa di un suo ex-compagno di scuola. Le era parso di capire che fosse il marito di Kumiko, Mamoru. Lei aveva creduto che fosse andato nell’altra stanza per non disturbarla, ma doveva essere accaduto qualcosa di veramente importante per averlo tirato giù dal letto in piena notte, tenendolo al telefono addirittura per un’ora.
Lentamente si alzò, facendo frusciare il tessuto liscio e scivoloso della sua camicia da notte. Afferrò la vestaglia abbandonata sulla sedia e la indossò, scostando delicatamente i lunghi e sottili capelli biondi.
In punta di piedi, quasi fosse un delicato fantasma, lasciò la stanza per raggiungere colui che presto sarebbe divenuto suo marito.
Mentre avanzava per i corridoi dell’appartamento in cui vivevano, udì distintamente il rumore basso del televisore acceso.
Entrò nel salotto, dove si trovava anche la porta di ingresso. Genzo era seduto nel divano, le mani incrociate all’altezza del naso e l’espressione seria.
Nastja diede un’occhiata alle immagini sullo schermo; vide gente urlare e fuggire e fumo, ma ancora annebbiata preda del sonno non riuscì subito a capire cosa stesse accadendo.
Zoshen’ka?” chiamò con voce sottile.
Lui non si volse, ma cercò la sua mano, stringendola in silenzio. In quella presa salda e forte, Nastja avvertì sofferenza e ricerca di conforto, così si sedette accanto a lui, appoggiandogli la testa sulla spalla.
“Che succede, Zoshen’ka?”
La risposta le giunse con un tono tra l'incredulo e il ferito.
“La mia città sta per essere distrutta.”


 

Yoshiko si era accorta del lungo pennacchio di fumo candido sulla sommità del Fuji solo quando era rimasta a fissare Yuzo dal finestrino della BMW, mentre si faceva sempre più piccolo a mano a mano che l’auto si allontanava. E a quella vista, la sua espressione era mutata da preoccupata ad atterrita.
L’eruzione era ormai ad un passo e Yuzo le stava andando incontro.
Poi, lo stratovulcano era scomparso dal suo raggio visivo, coperto dagli alti edifici, e lei era rimasta a fissarsi le mani strette, con le labbra tese e un’ansia terribile a rimestarle le viscere. Gli occhi avevano seguitato a pungerle, ma lei s’era imposta che non avrebbe dovuto versare più alcuna lacrima perché Yuzo le aveva fatto una promessa e lui manteneva sempre la parola, quindi non aveva motivo di disperarsi.
Ma nonostante questo, non riusciva a non sentirsi il cuore sul punto d’andare in pezzi. Le sarebbe bastato un sussulto più forte, il minimo vacillare delle sue convinzioni per infrangerlo. La più piccola emozione, un semplice brivido sotto la pelle… il boato del Fuji alle loro spalle.
Il rumore secco e deciso del clacson la distolse dai suoi pensieri.
“Maledizione, non ci muoviamo!” sbottò il Numero Undici della Nazionale Giapponese. Solitamente un esempio irreprensibile di calma e lucidità, in quel momento sembrava averla messa da parte per lasciare campo libero alla tensione.
Yoko lo vide sbuffare con forza, mentre Azumi accanto a lui picchiettava nervosamente le dita sulla borsa che aveva in grembo. Le sopracciglia aggrottate sull’espressione spaventata.
Il traffico era terribile. Yoko nemmeno ricordava da quanto stessero muovendosi praticamente a passo di lumaca. Sentiva solo il continuo strombazzare di clacson da ogni dove; erano divenuti la colonna sonora della loro fuga.
La gente che stava cercando d’allontanarsi da lì era così tanta che le sembrò impossibile che Nankatsu avesse una tale densità abitativa. Alcune auto cercavano vie di fuga addirittura su i marciapiedi, complicando ancora di più il lavoro della forze dell’ordine.
“Questa è l’unica strada?” domandò Yoshiko ad un tratto. Taro le lanciò un’occhiata dallo specchietto retrovisore, scuotendo il capo.
“Se non sbaglio dovevano essere tre, ma non credo che altrove siano messi meglio. E poi, ormai siamo incastrati. Indietro non possiamo tornare, possiamo solo andare avanti.”
A quella frase, Azumi strinse con forza la borsa, ma l’attimo dopo, il calore della mano di Taro sulla sua le fece volgere lo sguardo al giovane. La metà della famigerata Golden Combi le sorrideva con gentilezza.
“Vedrai che andrà tutto bene. Sta’ traquilla.”
Azumi annuì alle sue parole, recuperando un po’ di fiducia, e proprio in quel momento la fila ripartì. Tacitamente lo presero tutti come un buon segno.
Seguendo la fiumana, la BMW si accodò per immettersi sulla via principale che lì avrebbe portati fuori dalla città e verso Fujinomiya. La strada aveva due ingressi laterali che vi si immettevano, e le forze dell’ordine cercavano di gestire il traffico facendo muovere a turno le auto. In quel momento, le vetture che avevano già preso il raccordo direttamente dal centro di Nankatsu erano state fatte fermare per permettere il transito di quelle dalle traverse.
Il rumore di clacson ronzò con ferocia nelle orecchie di Yoko che si sforzò di ignorarli, ma d’improvviso qualcosa ruppe quella sorta di equilibrio precario su cui si stavano muovendo, e la terra prese a tremare.
“Delle scosse?” domandò Taro retoricamente.
Yoshiko si resse alla portiera ed il suo cuore sembrò quasi gridarle la risposta, mentre si guardava attorno.
- Eccolo! -
Fu quello l’inizio del caos.
L’auto dietro di loro li tamponò; presa dalla fretta e dalla paura cominciò ad accelerare, spingendoli in avanti fino a fargli tamponare a loro volta la vettura difronte.
“Ma che diavolo crede di fare?!” ringhiò Taro, mentre Yoshiko, dal lunotto posteriore, cercava di far segno al guidatore di smetterla, senza risultati.
Misaki tentò di frenare, ma anche le altre vetture avevano cominciato a spingere quelle che stavano intorno e l’unico modo che aveva di uscire da quella maledetta situazione era di accelerare a sua volta. La colonna di vetture, così forzata, si mosse più rapidamente, ma la BMW era ancora più difficile da tenere. Quando sfociarono sulla via principale, una nuova scossa più violenta gli fece perdere definitivamente il controllo, finendo in testa coda sulla spinta degli altri mezzi.
“Tenetevi!” gridò Taro, con Yoko e Azumi che urlarono per lo spavento.
La BMW si trasformò in una trottola, fermandosi nella direzione opposta a quella di percorrenza proprio al centro della strada. Ma non fu l’unica. Altre si bloccarono di sbieco come le pedine disordinate di un domino. La follia della paura aveva ormai preso il sopravvento sulla razionalità e sulla calma. Le vetture ferme per dare precedenza forzarono i posti di blocco, lanciandosi in una corsa nella mischia.
“Che sta succedendo?! Che diavolo sta succedendo?!” Azumi era terrorizzata, mentre Yoshiko si guardava attorno fissando con orrore il caos che li circondava; ormai era totalmente fuori controllo, tanto che nemmeno la polizia era capace di contenerlo.
Di nuovo, nel campo visivo di tutti e tre gli occupanti dell’elegante berlina, il Fuji tornò a campeggiare più alto ed imponente di qualsiasi edificio, e più minaccioso.
A Yoshiko sembrò che per un momento tutto si svolgesse a rallentatore: gli occhi furono come magneticamente catturati da quella visione inquietante, disinteressandosi di tutto il resto. I clacson e lo stridere dei freni, il fischiare della polizia e le sirene vennero come attutiti da un muro d’ovatta. C’era solo il Fuji davanti a lei, candido e freddo. Il pennacchio che le sembrò come ritrarsi, farsi più piccolo.
La calma apparente.
Yoko strinse leggermente gli occhi con sospetto e confusione.
Poi la montagna esplose e la BMW venne travolta dalla devastante onda d’urto.

“Dannazione, signor Yoshikawa, la smette di fare tante storie?!”
“Non ho bisogno di una stramaledetta barella! Come se fossi un moribondo, tsk!”
Tatsuya sospirò esasperato, passandosi una mano nei capelli. Quell’uomo era impossibile e faceva capricci peggio dei bambini, ma lui non aveva tempo da dedicargli.
“Ok, basta così.” con piglio autoritario rivolse le iridi scure ai poveri paramedici. “Caricatelo sulla barella e se oppone resistenza: sedatelo!”. A mali estremi c’erano sempre estremi rimedi e lui non aveva affatto paura di ricorrervi.
I due obbedirono, cominciando a combattere con un recalcitrante Hideki.
“Che cosa?! Sedarmi?! Kishu, questa gliela faccio pagare! Eccome!”
Ma il Vice Prefetto aveva già voltato le spalle al suo eterno borbottare per parlare con uno dei responsabili della sicurezza dell’area.
“La stavamo aspettando, signore. Il Capo Itou ci aveva avvisato del suo arrivo.”
“Bene…” lesse la targhetta sulla giacca “…Hanzo. Abbiamo un sacco di cose da fare e mezz’ora per farle, quindi, voglio tutti i vigili del fuoco, i poliziotti e chiunque sia in grado di muoversi di mettersi al lavoro.”
L’interpellato annuì grave. “Ci dica cosa dobbiamo fare.”
“Quando avete allestito il campo, cosa avete trovato all’interno dello Stadio?” Kishu sapeva d’aver interrotto i preparativi per il comizio di fretta e furia, quindi i materiali dovevano essere ancora tutti lì e facevano proprio al caso suo. Mai avrebbe pensato potessero risultargli utili.
“Di tutto, signore: lastre di metallo, tavole, cavi, luci, sedie. Anche tavoli e travi.” elencò sommariamente l’uomo.
“Perfetto: voglio che li usiate per rinforzare tutte le entrate e le uscite di questo Stadio e fatene portare quanto più possibile all’ingresso. Svelti.”
“Subito.” ed Hanzo rapidamente scomparve per cominciare a dare disposizioni e reclutare tutte le braccia disponibili.
Tatsuya si volse poi in direzione del parcheggio.
“Ehi, squadra di Morisaki!” La sua voce s’attirò gli sguardi di Rick e Rita che avevano visto l’allontanarsi di Yuzo, e di Hisui e Toshi poco distanti. “Ci muoviamo? Ho bisogno anche di voi.”
Il geochimico e Meteo-man si scambiarono un’occhiata tra loro e poi guardarono Rita e Ricardo. La sismologa incrociò le braccia al petto.
“'Sto cagacazzi comincia a starmi simpatico.” disse, avanzando seguita da Rick e gli altri due. Svelti raggiunsero il Vice Prefetto e insieme entrarono nell’enorme Stadio Ozora.
“Dovremmo avere materiale a sufficienza per riuscire a serrarci dentro.” spiegò Tatsuya, mentre salivano per il corridoio che li avrebbe portati sugli spalti. “E se abbiamo abbastanza uomini, dovremmo farcela in tempo.”
Quando emersero dall’andito, e poterono finalmente avere una visione totale dell’area, ammutolirono. Dovevano essere in centinaia. Non c’era più uno spazio libero sull’erba verde del campo e le porte erano state tolte per recuperare ogni centimetro quadrato possibile. Tutte le attrezzature del comizio, abbandonate di fretta, erano state accatastate lungo il perimetro. Gruppi di uomini tra membri della protezione civile, forze dell’ordine e rifugiati stavano già provvedendo a recuperarli per iniziare il lavoro di rinforzamento delle porte.
“Dovremmo proteggere tutta questa gente?” domandò Hisui, il tono lamentoso la dipinse come un’impresa titanica.
“E’ una grande responsabilità.” precisò Rick, ma Tatsuya non era disposto a perdersi d’animo e, soprattutto, a fallire ancora.
“Abbiamo bisogno di un modo per tenere sotto controllo il lahar.” esordì “Così da sapere quanto ancora ci resta.”
Ricardo inquadrò due poliziotti che stavano perlustrando gli spalti e si stavano dirigendo velocemente proprio verso di loro.
“Mi è venuta un’idea.” esclamò, facendo segno ai due uomini per esortarli a raggiungerli in fretta.
“Vice Prefetto.” salutò uno degli agenti cui il politico rispose con un cenno del capo. Ricardo, invece, non si perse in formalità.
“Datemi le vostre radio.” pretese sotto gli sguardi perplessi dei due. “Su, forza! Non abbiamo tutto il giorno!”
I poliziotti non se lo fecero ripetere e gli consegnarono le trasmittenti nere.
Rick ne mollò una a Hisui. “Meteo-man ce la fai a salire lì sopra?” indicando la sommità degli spalti. Dietro l’ultima fila c’era il muro di contenimento.
“Beh, sì…” valutò il meteorologo in prestito dalla JMA.
“Allora arrampicati sulla sua sommità e facci da vedetta.”
Hisui sospirò rassegnato, ma poco entusiasta. “D’accordo. Almeno finiranno di cadermi lapilli in testa.”
La pioggia di tefra era davvero rada, rispetto quella che sicuramente stava investendo il fronte di Tokyo, ma Hisui tendeva sempre a fare un dramma di ogni cosa. Ad ogni modo, non perse altro tempo e si mosse per raggiungere la sua postazione.
“Voi andatevi ad occupare del sistema di serrande.” ordinò Kishu rivolgendosi ai due poliziotti, che annuirono e si dileguarono lungo il corridoio. “Mentre noi andiamo ad aiutare gli altri con le porte.”
Abbandonarono gli spalti per entrare finalmente nel cuore dell’azione, ma, dabbasso, il via vai era concitato e senza sosta. La gente si muoveva veloce e, come una meccanica fila di formiche, andava e veniva dal campo portando tavole e scrivanie. Delle lastre di metallo erano state appoggiate contro la prima fila di porte a vetri e tenute ferme da sedie e travi dell’impalcatura.
Hanzo venne fermato da Kishu, che chiese ragguagli.
“A che punto siamo?”
“Le uscite posteriori e di sicurezza sono state bloccate e rinforzate.”
“Ottimo, ho mandato dei poliziotti a chiudere le serrante esterne, affianchi loro anche due vigili del fuoco.”
Hanzo parve titubante. “Ma, signore, le serrante sono elettriche e non c’è corrente nello Stadio-”
“E allora?! Calatele a mano, per Dio! Sbrigatevi!”
“Sì, signore!” lesto scomparve alla loro vista.
“Quanto abbiamo?” domandò Tatsuya a Ricardo il quale mise mano alla trasmittente.
“Hisui sei in posizione?”
“Ci sono quasi! Questa parete non ha nemmeno un appiglio decente; non hai idea per dove mi sto inerpicando!”
Ricardo ruotò gli occhi al cielo. Mandare Hisui, forse, non era stata proprio un’idea brillante, tuttavia la frase che seguì smentì i suoi pensieri.
“Eccomi! Ci sono e-… o cazzo!”
“Deduco che siamo nella merda. Quantifica!”
“Ok… ad… ad occhio e croce avrà una velocità di 40-45 km/h. Il fronte è enorme e sembra avere continui apporti dalla montagna.”
L’ispanico scosse il capo in un gesto contrariato. “In quanto tempo ci sarà addosso?”
“Mezz’ora, quaranta minuti. Forse.”
“Mezz’ora?!” chiuse per un attimo la trasmissione, alzando lo sguardo al cielo e lasciandosi scappare una preghiera. Cosa che non faceva praticamente mai. “¡Dios mio, pregas por nos!” poi riaprì il canale. “D’accordo, avvisami ogni cinque minuti.”
“Ok. Chiudo.”
Kishu ostentò una ferma sicurezza.
“Possiamo farcela, forza!” e si immerse nella frenesia degli uomini al lavoro, seguito dal resto della squadra di Yuzo. Percorse velocemente il perimetro del campo per raggiungere i depositi di materiali abbandonati. Gli era impossibile non rivolgere lo sguardo alla gente accampata sull’erba, piangente, impaurita e ferita. I medici e i volontari si muovevano tra tutti loro; molti avevano ancora i visi sporchi dalla polvere dei crolli, bendaggi, fasciature e nelle persone che lo osservavano e riconoscevano lesse sorpresa -  per la sua presenza -  e anche disprezzo. Ma quest’ultimo era un sentimento che lui aveva messo in conto fin dall’inizio. Lui era stato uno di quelli che aveva sbagliato, colui che aveva parlato alla televisione facendo le veci del Prefetto e ne avrebbe pagato le conseguenze, ma non si sarebbe fatto abbattere e avrebbe riconquistato la fiducia della gente. La sua risalita era già cominciata.

L’eco dei rumori arrivò di lontano alle sue orecchie, come se si stesse muovendo per raggiungere l’origine di quegli strani fischi e poi le esplosioni e le urla. Il fastidioso odore di fumo si faceva sempre più forte, ma sapeva di essere immobile, anche se intorno era tutto nero. Forse, se non era lei a muoversi, erano i rumori che la stavano raggiungendo, assieme agli odori acri, di uova marce.
Il primo colpo di tosse che le sfuggì rese tutto più vivo ai suoi sensi, più forte. Il secondo le fece anche mettere in moto la vista e aprire gli occhi. Oltre le palpebre, inquadrò una chiazza beige e l’odore della pelle sembrò quasi dirle che aveva il viso premuto sul rivestimento del sedile posteriore della loro auto.
Mugolò un verso tra dolore e stordimento. La testa, dove aveva il bendaggio, le pulsava di nuovo e forse la ferita s’era riaperta a causa della botta.
Un momento.
Quale botta?
Se lo domandò cercando di mettere a fuoco i ricordi delle ultime immagini che aveva prima che tutto fosse divenuto nero. Riavvolse il nastro e rivide la fila di auto, l’improvviso terremoto e la paura dilagante, loro che venivano trascinati dalle vetture che spingevano come impazzite, poi il testacoda e poi… poi il Fuji.
Yoko spalancò gli occhi di scatto, tirandosi a sedere troppo velocemente tanto che la testa protestò, facendo girare il mondo attorno a lei in una specie di trottola, ma nonostante questo la realtà non sembrò mutare.
Il vulcano aveva eruttato, come previsto, e il paesaggio che la circondava sembrò restituirle un terribile scenario di guerra.
Non sapeva per quanto tempo avesse perso conoscenza, ma doveva essere parecchio perché prima di svenire non ricordava ci fosse un simile sfacelo. Le auto erano state abbandonate in tutta fretta, bloccando la loro BMW in quello che ora appariva come un enorme cimitero. Fiamme e fumo si levavano da alcune vetture che sembravano essere state colpite da missili. E questo gli parve l’impattare di una bomba vulcanica al suolo. Il fischio che aveva sentito mentre riprendeva conoscenza, assieme alle esplosioni, doveva essere opera di quelle… cose. La deflagrazione le strappò un gridolino spaventato e le fece coprire la orecchie con le mani. I suoi occhi si strinsero impauriti e quando si riaprirono, catturando il cono del Fuji, non lo riconobbero.
Quel mostro che sputava una enorme colonna di fumo nero e denso non era più la pacifica montagna che aveva sempre creduto vegliasse e proteggesse chi abitava alle sue pendici e l’intero Giappone. Ora era irriconoscibile, un altro vulcano. Un Dio incollerito che sfogava la sua ira senza pietà, lasciando Yoko sconvolta per una violenza che non avrebbe mai sospettato essere celata sotto la coltre candida della neve.
Qualche altra bomba cadde tra edifici e vetture, ma la fase critica di quel bombardamento sembrava essere passata, visto lo sfacelo che la circondava. Doveva essere stato terribile, ma per lei lo era tutt’ora, nonostante cadessero solo piccoli sassolini che ticchettavano sul tettuccio come gocce di pioggia.
“Taro! Taro!” Yoshiko s’affacciò tra i due sedili. Dovevano andarsene da lì, ma suo fratello non rispose e quando tentò di scuoterlo per una spalla, la testa ruotò mollemente verso di lei, mostrandole il volto insanguinato del giovane.
“No!” la voce le uscì come uno strozzato lamento e le lacrime s’affollarono ai suoi occhi, riversandosi sulle guance. “Taro…” pianse, continuando a scuoterlo lentamente. Preda dello sconforto si volse verso Azumi ed anche lei aveva del sangue che le scorreva sul lato del viso.
Il parabrezza era esploso in seguito all’onda d’urto e le schegge avevano fatto il resto.
Le venne da urlare, ma non uscì nessun verso se non un lamento sottile, che si perse nel fragore dell’eruzione. S’aggrappò con tutta la sua forza alla manica del fratello, sentendosi improvvisamente così piccola come mai prima di allora, e sola. Sola nell’imperversare dell’Inferno, incapace anche di pensare.
“Oh…”
Poi, quel mugugno sembrò giungerle in soccorso assieme al movimento del braccio di Taro.
Yoshiko volse lo sguardo carico di speranza al fratello, trattenendo il fiato. Per un attimo, la paura più profonda le aveva fatto credere il peggio, ma il campione dello Jubilo Iwata aprì gli occhi, seppur con fatica sentendosi intorpidito, e la prima cosa che vide fu sua sorella in lacrime che gli stringeva il braccio.
“Yoko…” si sforzò, cercando di recuperare tutte le sue funzionalità e adagio cambiò posizione.
“Fratellone!”
“…sei ferita?”
“No, sto bene.”
Lentamente si passò una mano sul viso, che bruciava. Ricordava cosa fosse accaduto e come avesse afferrato Azumi per costringerla ad abbassarsi giusto l’attimo prima che lo spostamento d’aria dell’esplosione li travolgesse. Pensare al nome della sua compagna lo svegliò del tutto.
Allungò l’altro braccio verso di lei, che aveva la testa appoggiata al sedile e del sangue che, dalla tempia, scendeva copioso lungo la guancia, mischiandosi a quello degli altri taglietti, opera del vetro.
“Azumi… tesoro…” la scosse e lei mugugnò un verso sofferente, schiudendo le palpebre. Taro e sua sorella si sentirono sollevati nel vederla reagire, mentre la giovane metteva a fuoco le immagini.
“Taro… mi fa male la testa…”
“Non preoccuparti, non è niente.”
Azumi annuì, poi vide che c’era sangue, troppo sangue sul volto del giovane e si spaventò, lanciando un gridolino. Ma l’altro cercò subito di rassicurarla.
Shhh. Tranquilla, è solo qualche scheggia di vetro. Yoko, vedi se c’è qualcosa, della stoffa, per darmi una ripulita.” ed il fatto che riuscisse a muoversi sempre con maggiore facilità, significava che non aveva nulla di rotto.
Eppure, le sue parole non riuscirono a calmare Azumi, le cui mani cominciarono a tremare quando s’accorse che anche il suo viso era insanguinato, seppur meno di quello del giovane, e che tutt’attorno vi era solo devastazione e gente che correva, tentando di mettersi al riparo.
Un nuovo grido, terrorizzato ed in preda al panico, la fece rimanere inchiodata al sedile, mentre continuava a chiedere, tra le lacrime, come un disco rotto: “Che sta succedendo?!”  .
Vederla così, improvvisamente fragile e spaventata quando solitamente era orgogliosa e battagliera, preoccupò Taro, che le prese le mani, costringendola a guardarla in viso.
“Andrà tutto bene, tesoro. Ne usciremo, con qualche graffio, ma ne usciremo, non avere paura. Ti fidi di me?”  
Quasi come se la voce del calciatore avesse effetti catartici e terapeutici, la giovane sembrò acquietarsi lentamente e recuperare una certa calma e lucidità. Le dita di Taro, sul viso e i capelli, assieme al suo sguardo, quieto e pacato, sortirono l’effetto voluto.
“Taro, ho trovato questo!”
Rovistando nella borsa che aveva accanto, Yoshiko aveva recuperato un foulard.
“Perfetto.” accordò l’altro e si fece ripulire alla meglio e lentamente dalla ragazza, la quale gli tolse con cautela alcune schegge ma, in definitiva, non era nulla che dei cerotti e del disinfettante non avessero potuto curare. Poi, fu Taro stesso a medicare Azumi, sorridendole sempre. La donna aveva solo qualche piccolo graffio su di un lato del viso, ma nessuna scheggia, per fortuna.
Quando si fu accertato che tutti e tre erano perfettamente in grado di muoversi, Misaki si guardò intorno.
“Dobbiamo andarcene, non possiamo restare qui.”
“Per andare dove? Non sarebbe più prudente restare ad aspettare i soccorsi?” propose Azumi, ma per quanto in una situazione differente sarebbe stato d’accordo, Taro si rese conto che in quel caso non sarebbe stata una scelta possibile, non da dove si trovavano in quel momento almeno. La gente correva via disperata, c’era il caos e le forze dell’ordine sembravano non essere in grado di arginare quella folla, inoltre, avrebbero dovuto cominciare a ritirarsi anche loro per mettersi in salvo.
“Non sappiamo nemmeno tra quanto arriveranno e qui siamo troppo esposti.”
L’impatto poco lontano di un’ennesima bomba vulcanica, sembrò confermare le sue parole; era un miracolo che fino a quel momento fossero stati risparmiati e a Taro non sembrò il caso di sfidare la sorte.
Nel vedere il missile che colpiva una vettura più avanti in maniera talmente violenta da sbalzarla contro un’altra auto, Azumi si convinse che avrebbero dovuto cercare un luogo diverso in cui riposarsi e attendere di essere salvati.
Yoshiko provò ad aprire le portiere posteriori, ma la BMW era incastrata tra le altre, come in un folle tetris.
“Da dietro è impossibile uscire!” ma anche davanti la situazione era la stessa.
Taro si liberò della cintura di sicurezza, armeggiando con il seggiolino affinché scivolasse indietro per avere maggiore mobilità. Riuscì a mettersi accovacciato e a scavalcare il volante, guadagnando l’uscita attraverso il parabrezza infranto. Una volta fuori, aiutò Azumi a fare lo stesso. Yoko scavalcò invece i sedili anteriori, afferrando poi la mano di Taro ed in pochi momenti si trovò in piedi sul cofano. Da quella posizione più alta, mosse adagio lo sguardo intorno, girando anche la testa, lentamente.
Le macchine abbandonate erano talmente tante che per contarle tutte c’avrebbero impiegato più di un’ora. Occupavano il raccordo per tutta la sua interezza e altrettante si trovavano ancora alle sue spalle, puntate verso le vie di fuga, ma impossibilitate a muoversi e per questo abbandonate. Tra di esse, la fiumana di gente correva veloce verso nemmeno loro sapevano cosa, l’importante era solo allontanarsi. Allontanarsi da lui, da quel vulcano che, adesso, Yoko poteva osservare nella sua interezza sputare materiale ancora e ancora. La nube nera si inoltrava nel cielo senza mai fermarsi, allungando la sua sommità in direzioni e forme dettate dalle correnti d’alta quota, e da quella parte c’era Tokyo, la capitale; nessuno avrebbe mai pensato che, un giorno, sarebbe stata minacciata dal suo simbolo più famoso.
Ma non era quell’inquietante ironia la sua più grande preoccupazione, ma il pensare che Yuzo fosse lì, da qualche parte, più vicino al mostro, e lei non sapeva come stava, e lui non sapeva dove lei fosse.

“Torna da me.”
“Certo che tornerò.”

Quelle frasi fecero capolino nella sua memoria in un tentativo di rincuorarla e allora perché le veniva da piangere?
“Yoko, andiamo!”
La mano di Taro, che stringeva la sua, le fece capire che era il momento di muoversi, anche se lei avrebbe voluto rimanere lì, in piedi, per vederlo arrivare e farsi trovare, ma non poteva.

“Devi metterti al sicuro, solo così potrò svolgere il mio lavoro.”

Non poteva restare e negargli quella richiesta.
“Vedrai che Yuzo sta bene.”
Quelle parole di Taro la fecero volgere nella sua direzione per osservarne l’espressione sicura e avrebbe davvero voluto avere la sua stessa convinzione.
“Grazie.” si limitò a dirgli e lo ringraziava davvero per aver cercato di rassicurarla, ma quando si volse all’orizzonte, qualcosa sembrò farle battere il cuore più velocemente e non per la gioia.
Poi, Taro la aiutò a scendere e a raggiungere le altre persone in fuga, e mentre correva senza voltarsi indietro, si convinse che quella strana striscia grigia, che le era sembrato divenisse sempre più vicina senza tuttavia riuscire a comprendere cosa fosse, l’avesse solo immaginata.

“Signore abbiamo un problema con le serrande!”
Hanzo comparve davanti al Vice Prefetto in tutta fretta e preda dell’ansia, mentre l’uomo era seguito da Rita, Rick e Toshi che, intenti come lui a trasportare a braccia materiale per creare la barriera, continuavano a lavorare incessantemente.
“Che diavolo c’è, adesso?!” sbottò Kishu. Avevano già ricevuto il primo avviso dal meteorologo appollaiato sul muro dello stadio e non sarebbe trascorso ancora molto prima che avesse chiamato di nuovo, indicando così la catastrofe più vicina a loro di dieci minuti.
“Sono bloccate, signore. Alcune non riusciamo a farle scendere, devono essere state danneggiate dal terremoto.”
“Che cosa?!” Tatsuya mollò la tavola al suolo con un tonfo.
“Proprio così, signore, non sappiamo cosa fare, i pompieri ci stanno lavorando-”
“Quante sono bloccate?”
“Tre, signore.” spiegò ancora Hanzo “Due centrali e l’ultima.”
“Merda!” fu il ringhio frustrato del politico. “Continuateci a lavorare senza sosta.” ordinò e l’altro si dileguò per riferire gli ordini.
Tre erano troppe, si disse Tatsuya, ma anche una sarebbe già potuta risultare fatale. Il lahar si sarebbe infiltrato, trascinando con sé anche le altre saracinesche. Bisognava chiuderle tutte.
Alle sue spalle comparve Rick.
“Io posso esservi utile.”
Tatsuya lo fissò come avesse potuto fare un miracolo da un momento all’altro. “Dice sul serio? Può ripararle?”
L’ispanico gonfiò il petto con un certo orgoglio. “Certo che sì, sono un ingegnere.”
“E allora sono tutte sue.”
Ricardo annuì prontamente, lasciando il tavolino, che aveva preso dal mucchio di materiale accantonato, pronto per mettersi all’opera quando la radio gracchiò, restituendo la voce di Hisui più allarmata del solito.
“Ditemi che ci siamo già sbarrati dentro e abbiamo buttato via la chiave!”
“Che succede?”
“Sono passati altri cinque minuti e, parola mia, ad ogni secondo che passa sono sempre più convinto che Dio si sia scordato dell’esistenza di questa città. A buon intenditore…”
Ricardo scambiò una rapida occhiata col Vice Prefetto, prima di rispondere. “Ok, continua a tenermi informato.” e chiuse, correndo subito in direzione dell’ingresso per occuparsi del problema principale.
Dietro di lui, anche Toshi, Rita e Tatsuya si mossero svelti. La barriera era quasi completa, ed era stato lasciato aperto solo un passaggio per permettere agli uomini che stavano lavorando alle saracinesche di entrare e uscire. Sembrava un’enorme trincea, addossata alla prima fila di porte a vetri. Alcuni uomini la stavano puntellando con delle travi per renderla più robusta.
Quando Rick raggiunse i pompieri, ne trovò uno arrampicato sulla scala posta precariamente nello stretto spazio che c’era tra le fila di serrande e l’ingresso, sufficiente per una sola persona.
“Che cosa abbiamo qui?” domandò ad un altro vigile del fuoco, fermo lì fuori.
“I due avvolgibili centrali non ne vogliono sapere. Si è bloccato qualcosa all’interno, ma con la serranda ancora tutta su non riusciamo a capire.”
Rick mollò la radio a Rita, che comparve proprio in quel momento.
“Ok, fatemi spazio.”
Il pompiere sulla scala scese molto lentamente per non perdere l’equilibrio e l’ispanico prese il suo posto, affacciandosi lateralmente al meccanismo di riavvolgimento, ma già ad una prima occhiata, facendo il confronto con la serranda accanto, anch’essa bloccata, gli parve di capire quale fosse il problema.
“Datemi una torcia!” disse e uno degli uomini gli passò la sua.
Ricardo illuminò l’interno che era stato leggermente spostato dalla sua guida nel muro e trovò conferma ala propria ipotesi. “Il tubo dell'albero di riavvolgimento si è storto! Datemi un'asta di quelle che erano nello stadio, più è sottile meglio è!”
Rita sapeva già a quali si riferisse.
“Vado io.” esclamò scomparendo all’interno dell’edificio. Appartenevano alla struttura che sarebbe dovuta divenire il palco. La sismologa le trovò accatastate accanto ai teloni e ne prese una ritornando velocemente su i suoi passi.
Nel frattempo, Rick era passato a dare un’occhiata alla saracinesca contigua, anch’essa bloccata e quando Rita ricomparve lo vide che ci stava già lavorando dando dei colpi sotto alla serranda, dove era ancora riavvolta.
“Che ha questa?” domandò la donna.
“Ah, perfetto, eccoti!” rapidamente, Rick si fece passare il tubo e con attenzione lo infilò all’interno della parte ancora riavvolta, creandosi lo spazio con la forza. “Un pezzo del motoriduttore si è rotto e blocca la serranda. Per grazia di Dio, funziona ancora.” spiegò. Con la punta del bastone cercava in tutti i modi di smuoverlo. Al quarto colpo ci riuscì, ritirando subito l’asta e scendendo dalle scale. “Ok, tiratela giù!”
L’avvolgibile venne chiuso senza ulteriori intoppi. Era leggermente deformato, ma andava bene.
“Rick, sono passati altri cinque minuti, ora dovreste vederlo anche voi.”
Tutti si volsero a fissare la radio che Rita teneva attaccata al bordo dei jeans, con ansia. Il silenzio cadde tra loro e restarono immobili a meno di Ricardo, che continuava a lavorare quasi fosse sordo a tutto il resto.
D’un tratto, uno dei due pompieri, che si era mosso di qualche in passo più in là, confermò le indicazioni di Hisui.
“Oh mio Dio! Arriva!”
Il fronte grigio dell’acqua era finalmente entrato in città. Dall’alto, il meteorologo aveva potuto scorgere addirittura gli spruzzi del lahar contro gli ostacoli che incontrava e gli edifici che cercavano di rallentarlo, ma con pessimi risultati. Al suo interno, le macchine venivano trascinate come fuscelli dalla melma inarrestabile, aumentando la quantità di detriti. Sembrava che la sua portata non avesse mai fine.
Agli altri, dabbasso, il muro fangoso sembrò ancora più mostruoso; si insinuava tra le costruzioni, alcune li sommergeva del tutto, altre le abbatteva e trascinava con sé. Se tendevano bene le orecchie, escludendo il rombare del vulcano, avrebbero potuto sentire anche il suo passo: lo scrosciare intenso dell’acqua che diveniva sempre più forte.
“Ricevuto, Hisui. Ce l’abbiamo. Chiudo.” la risposta di Rita fu lapidaria prima di tornare di nuovo a fissare l’incessante lavoro di Ricardo.
“Qualcuno mi dica quale cazzo è il problema dell’ultima serranda!” esordì proprio l’ispanico. Il tubo era stato fatto infilare dentro la parte riavvolta, come per l’altra saracinesca. Adesso cercava di usarlo per fare perno e tentare di raddrizzare il braccio dell'albero incrinato.
Uno dei vigili del fuoco si mise subito ad ispezionare l’avvolgibile, l’ultimo della fila. In realtà, quella saracinesca era già in parte svolta, anche se meno di metà.
“E’ uscito tutto fuori dalla guida.”
“Cazzo!” imprecò tra i denti l’ingegnere, mentre con un ultimo sforzo riusciva a rendere il braccio più o meno dritto. “Fatela scendere e dopo datele qualche colpetto dove la vedete deformata. La superficie non deve avere sporgenze o rientranze, altrimenti i detriti possono incastrarsi più facilmente e tirarla via.” infine passò all’ultima.
Rick rimase a fissarla con espressione critica. Rita gli si fece di fianco, imitandolo nella contemplazione.
“Qualcosa non va? Non riesci a ripararla?”
“Certo che sì, ma è il tempo che mi manca.”
“Cerca di abbassarla più che puoi.”
Ma lui scosse il capo. “Devo abbassarla tutta, altrimenti è come lasciare una porta spalancata al lahar e farlo entrare. Ci metterebbe un attimo a distruggere tutto il resto e ad arrivare al campo.” poi sollevò teatralmente lo sguardo al cielo, portandosi una mano al petto. “Vorrà dire che farò un miracolo!” la sceneggiata gli valse uno scappellotto dietro la nuca. “Ahia!”
Nun tenimm’ tiempo p’ ‘e strunzate[1]! Muoviti!”
Rick si mise a ridacchiare, ma non se lo fece ripetere. Recuperò la scala e si fece dare da un martello. Nel frattempo, i pompieri avevano sistemato in un attimo la saracinesca appena abbassata. Poi si fermarono ad osservare con apprensione il lavoro del giovane. Più velocemente che poteva, Ricardo faceva rientrare gli elementi ciechi nelle guide laterali. Il rumore del martello sul metallo rimbombava all’interno dell’atrio attenuato dal fragore eruttivo, ed ogni lista che veniva rimessa a posto era un passo avanti e qualche centimetro in più che si chiudeva.
Lo sguardo dell’ispanico era fisso e concentrato sul proprio lavoro, mentre dabbasso, Rita teneva d’occhio l’arrivo del lahar.
E fu quando il primo piccolo livello di fango giunse a lambirle i piedi che lei attirò l’attenzione dell’ingegnere; la serranda chiusa solo per metà.
“Riccà!”
La sua voce allarmata gli fece muovere la coda dell’occhio per un momento, senza smettere il proprio lavoro, ma non appena notò che il fango era arrivato, scorrendo come l’acqua di una pioggia abbondante, capì che il tempo era scaduto, che loro dovevano barricare anche l’ultima porta e che lui doveva prendere una decisione: mollare tutto e mettersi al sicuro nel campo, sperando in Dio, oppure restare fuori, fare il suo lavoro fino all’ultimo e sperare ugualmente in Dio?
E aveva pure detto a Yuzo: ‘niente eroismi’, come se ne fossero stati convinti, poi.
“Rita, rientrate immediatamente e sprangatevi dentro, presto!”
Lei scosse il capo, dipingendosi un’espressione di puro sconcerto sul volto.
“Che cosa?! E tu che diavolo pensi di fare?!”
“Io finisco di tirare giù quest’affare. Voi chiudetevi all’interno dello Stadio!”
“Non dire stronzate! Te pare ‘o mumento e ti mette a fa’ l’eroe ro’ cazzo[2]?!”
Ma l’ispanico non poteva mettersi a discutere con lei proprio in quel momento e alzò la voce.
“Rita, porca puttana! Vuoi starmi a sentire una stracazzo di volta?! Vattene dentro!”
In quel momento arrivarono anche Tatsuya e Toshi. Oramai era davvero tutto pronto, restava da chiudere solo i due ingressi.
“Allora?” la voce del Vice Prefetto attirò l’attenzione della sismologa che lanciò un’ultima occhiata a Rick e rientrò per farsi incontro al politico. “Quanto tempo vi ci vuole ancora?!”
“Fino all’ultimo secondo, è un lavoro lungo.”
“Ma non possiamo aspettare oltre!” sbottò, poi si passò una mano sulla fronte per cercare di mantenere la sua lucidità. “Hanzo, sono rientrati tutti nello stadio, vero?” chiese, ma l’interpellato venne interrotto da uno dei pompieri, in tono grave.
“Veramente c’è ancora uno dei nostri furgoni in giro nel quartiere.”
“Hanno una radio?”
“Sì, signore.”
“Allora mi ci faccia parlare.”
Il giovane impostò la frequenza sulla trasmittente e la passò al politico, che non perse tempo.
“Sono il Vice Prefetto Kishu, mi ricevete?”
“Sì, signore, forte e chiaro.”
“Il flusso di fango ci raggiungerà in dieci minuti, dovete rientrare immediatamente allo Stadio Ozora. Dove vi trovate?”
“A venti minuti da voi.”
“Troppo lontani!” masticò Kishu. “In quanti siete?”
“Abbiamo appena finito il giro. Abbiamo trovato quindici persone.”
“Allora fermatevi, entrate in un edificio e salite fino all’ultimo piano. Ma deve essere un palazzo alto, minimo di cinque piani.”
“Sì, signore. Ricevuto.”
Tatsuya sospirò. “Buona fortuna.”
“Grazie signore. Chiudo.”
Il politico fissò per qualche altro momento la trasmittente, annuendo adagio. Poi alzò la testa con decisione.
“Blocchiamo la porta.”
Era la scelta migliore che potesse prendere, per quanto non fosse la più giusta. Tatsuya lo sapeva, ma era suo dovere salvare le centinaia di persone che si trovavano nell’area di gioco e non poteva aspettare.
Anche Rita lo capì.
“D’accordo, allora sbrigatevi.”
Toshi la trattenne per un braccio. “Sbrigatevi? E tu?”
“Non vengo.”
“Vorrai scherzare!”
Lei si divincolò dalla presa del geochimico. “Affatto. Ricardo continuerà a lavorare a quella saracinesca fino alla fine ed io resterò con lui.”
“Allora resto anch’io-”
“Non se ne parla.”
“Rita! Se vi succede qualcosa, Yuzo m’ammazza!”
“E se murimm’ tutt’e tre gli viene un infarto. Che vulimm’ fa’[3]?”
“Ma-”
“Niente ‘ma’. Sono più anziana di te e fai quello che dico. È chiaro? Forza, vattene.”
Non ci sarebbe stato alcun verso di farle cambiare idea, Toshi lo sapeva e le rivolse un’occhiata tra il rassegnato e il preoccupato.
“Non fate i coglioni.” la minacciò, ma gli veniva quasi da piangere. Toshi era il più giovane della squadra, quello con ancora molto da imparare e teneva a tutti loro per poter accettare a cuor leggero di doversene lasciare qualcuno dietro.
Rita gli sorrise, dandogli un affettuoso buffetto sul braccio.
“Ci vediamo dopo, ma non dire ad Hideki cosa stiamo facendo o a lui viene davvero un infarto!”
Toshi annuì ancora, prima di volgerle le spalle, richiamato con urgenza dal Vice Prefetto che non poteva più aspettare. Mentre scomparivano lungo il corridoio che li avrebbe portati al campo, anche Tatsuya rivolse un cenno di congedo col capo, augurando loro, pur senza dirlo a voce, di uscirne vivi.
Pochi attimi dopo, il rumore pesante della porta tagliafuoco che veniva chiusa arrivò a Rita sommesso e coperto dal rimbombare del metallo smartellato da Rick, dalla furia eruttiva e da un gorgogliare che diveniva sempre più forte.
Quando guardò in basso, la sismologa s’accorse che del fango era riuscito ad entrare dall’unico ingresso disponibile e mentre s’avvicinava alla saracinesca, il livello prese a salire, arrivando quasi a lambire il polpaccio.
“Vuoi darti una mossa? Qua finisce che entrerà tutto lo stesso!”
“Rita?!” sbottò Rick appena riconobbe la sua voce. “Ma… ma possibile che le mie parole con te valgano sempre zero?!”
“Piantala di fare la vittima!” e fece sbucare la testa da sotto la serranda. “Gesù!”. Il livello s’alzava ancora, preannunciando l’onda di piena che ormai stava per abbattersi su di loro. La saracinesca aveva superato la metà e Rick non smetteva di lavorare, velocizzando i movimenti nonostante cominciasse a sentire la stanchezza nelle braccia.
“Con te non ho proprio possibilità né di esser preso sul serio né d’altro!”
Rita ridacchiò. “Altro? Altro cosa? Cos’è? Una proposta?”
“Sì, stramaledizione! Ma vedi se io devo fartela in un momento simile!”
E quella risposta, no, Rita non se la sarebbe mai aspettata e per quanto non ne fosse assolutamente avvezza, arrossì di colpo.
In tutti quegli anni in cui era sempre stata convinta che fosse lui quello che non capisse un accidente, si rese conto di non essere stata affatto da meno, di non aver mai saputo vedere oltre il suo perenne scherzare e prender le cose poco sul serio, quale fosse la verità.
“Ma… ma… MA!” sbottò, cavandosi fuori dall’imbarazzo e agitandogli contro la trasmittente. Il tono della voce che veniva costantemente alzato per sovrastare quello del lahar che si faceva sempre più vicino ad ogni attimo, ad ogni respiro, ad ogni nuova parola. “Perché te lo sei fatto uscire solo adesso?!”
“Tu me ne hai mai dato la possibilità?!”
“E te la dovevo dare io?! Potevi prendertela quando ti pareva!”
Lui si difese, la saracinesca che veniva abbassata sempre di più. “E come facevo? Hai sempre avuto una bassa considerazione di me!”
“Non dire cazzate! Non ho mai avuto una bassa considerazione di te!”
“Certo che sì! Non mi stai mai a sentire e mi prendi sempre in giro!”
“Ma era il mio modo per farti capire che mi piacevi!”
Lui agitò il martello, esibendo uno sguardo furbo. “A-ah! Quindi ammetti che io ti piaccio?”
“Ma certo che sì, imbecille!”
Ricardo parve davvero sorpreso. “Davvero?” chiese con un mezzo sorriso tra il felice e il soddisfatto.
“Ma vedi tu se dobbiamo fare queste tarantelle adesso!” sospirò invece Rita, passandosi una mano sul viso, quando la voce di Hisui, che era stato raggiunto da Toshi alla sua postazione interruppe la loro discussione.
“Ragazzi, fatemi sapere che siete al sicuro perché il tempo è scaduto!”
E solo dopo aver sentito quelle parole, i due si resero conto che il rumore era divenuto talmente assordante da essere impossibile da ignorare e confondere. Il flusso di fango infiltrante dallo spazio sotto la serranda si era fatto più forte e intenso. Rita e Rick si guardarono negli occhi, realizzando il tutto, poi l’ingegnere balzò giù dalla scala, chiudendo di forza gli ultimi centimetri rimasti aperti. L’avvolgibile scattò con un tonfo metallico, toccando il pavimento.
Come era avvenuto sulle scale dell’FVO, Rick afferrò Rita per un braccio tirandola all’interno dello Stadio. Ebbero solo il tempo di cercare rifugio dietro al bancone dei pop-corn ed il lahar arrivò.
L’intera struttura tremò nell’impatto, ma tenne. Come ipotizzato da Kishu, il flusso di fango scivolò attorno all’edificio favorito dalla sua forma. Le saracinesche vibrarono con forza ed in maniera scoordinata alla massa inarrestabile di acqua, prodotti vulcanici e detriti di vario genere. Il loro stridere sembrava un grido lancinante e mostruoso, acuto come quello delle arpie. Del fango riuscì ad entrare sotto le serrande il cui tintinnio fece infrangere la prima fila di porte a vetri. Accodarono il loro suono crepitante al concerto che, di fuori, si stava svolgendo. Il rinforzo tenne, dietro il vetro crollato, in maniera stoica, come la volontà di tutte le persone che avevano lavorato incessantemente per preparare quella specie di fortezza. E tra queste c’erano anche Ricardo e Margherita che, nascosti sotto al bancone, restavano stretti l’uno all’altra in attesa del passaggio della fine del mondo.

Yuzo inchiodò di colpo quando si trovò davanti la paurosa fila di auto di cui non riusciva a vedere la fine.
Era tornato su i suoi passi, raggiungendo il campo d’accoglienza oramai evacuato per percorrere lo stesso tragitto compiuto da Taro, ma la strada che immetteva sulla via principale era intasata di vetture ferme e abbandonate.
Yuzo imprecò, sbattendo le mani sul volante. Cercò di scorgere tra esse se riusciva ad individuare quella del suo ex-compagno di scuola, ma era oggettivamente impossibile.
Con decisione ingranò la retromarcia, facendo manovra ed infilandosi in un vicolo precedente che era l’uscita d’un garage sotterraneo. Lo percorse in senso contrario ed il muro di Dante forzò anche quell’asta ferma, sbucando sul corso principale. Purtroppo la situazione non sembrò cambiare. Il numero spropositato di vetture abbandonate sembrava non avere fine e riempiva la strada come un fiume di metallo.
Yuzo diede un’occhiata alla sua destra, che portava al cuore della città. Il fronte del lahar si faceva inesorabilmente più vicino e minaccioso tanto che, per lui, il suo rumore era chiaro ed inconfondibile. Quel rombare e scrosciare non avrebbe mai potuto dimenticarlo; per anni era stato la sua persecuzione, il sottofondo sonoro dei suoi incubi ed ora era tornato ad inseguirlo nuovamente nella realtà, confonderlo sarebbe stato impossibile, ma questa volta le cose avrebbero avuto un diverso finale.
Con una violenta sterzata salì sul marciapiede, sbalzando via ogni ostacolo incontrasse sul suo cammino fino a che non terminò e nuovamente il mare di auto si estese davanti a lui. Di Yoshiko nemmeno l’ombra. Sentiva grida in lontananza e vedeva gente che scappava, ma erano ancora troppo lontani da lui per poterli distinguere. Così Yuzo accelerò, tentando con forza di aprirsi un varco e guadare quello stuolo di cadaveri metallici. Nemmeno lui seppe come, riuscì ad infilarsi forse aiutato dalla forza della disperazione, fatto sta che le vetture vennero caricate dal muso di Dante e trascinate in avanti per alcuni metri. Poi, il peso fu troppo da spostare ed il Pick-up rimase bloccato. Le ruote stridevano, emettendo fumo per il continuo accelerare, ma senza avanzare nemmeno di un centimetro e Yuzo capì che la sua unica possibilità era proseguire a piedi.
Con un sospiro, diede un colpo leggero sul volante, quasi come una carezza.
“Le strade si dividono, eh, bambino? Sei stato una buona macchina. Addio.” e spense definitivamente il motore. Sembrava quasi un ulteriore lasciarsi indietro pezzi di un passato che, invece, tentava di tutto per restargli incollato, tanto da rendere nuovamente reali e vividi quegli incubi che aveva affrontato e sconfitto. Ma il passato aveva ancora un’ultima carta da giocare, la sfida finale, come due vecchi nemici che stanno per porre fine alla loro guerra secolare. E nessuno dei due era disposto a perdere quella partita.
Yuzo uscì dal finestrino andato in pezzi, visto che la portiera era bloccata, e s’arrampicò sul tettuccio, mettendosi in piedi e scrutando, da quella posizione dominante, l’intera area. Si guardò per un attimo alle spalle, valutando ad occhio la distanza del lahar, e poi sfruttò le auto, saltando dall’una all’altra fino ad arrivare al marciapiede opposto. Una volta a terra, i piedi toccarono qualcosa di melmoso e sciaguattante: l’inizio del flusso di fango era già arrivato ed era solo questione di una manciata di minuti prima che arrivasse anche il resto. Senza più stare a pensarci si mise a correre per raggiungere gli altri il più in fretta possibile.
Dietro di lui sapeva che il flusso di fango correva forse ben più veloce di lui, ma l’idea di rallentare o fermarsi non gli balenò nemmeno per un istante. Si concentrò solo su ciò che aveva davanti e sulla gente che diveniva sempre più vicina. Raggiunse la coda della fuga, si infilò in essa, la superò, ma Yoshiko non c’era e lui non smise di cercare. Ma scorgere da lì chi lo precedeva era impossibile, così salì nuovamente sulle auto e proseguì, camminando su cofani e tettucci, guardando lungo la fiumana di gente.
La polizia continuava a ripetere di salire in alto, ma nessuno sembrava prestar loro ascolto, troppo spaventati e con il rumore del pericolo così incombente da azzittire tutti gli altri. E poi… e poi anche loro fuggirono alla ricerca di un riparo, perché la paura non risparmiava nessuno.
Tranne Yuzo.
Non aveva tempo per pensare alla potenza dell’acqua capace di trascinare qualsiasi cosa con sé, non aveva tempo per pensare di nascondersi e salvarsi da quella calamità irrefrenabile. Non aveva tempo di lasciarsi spaventare anche perché lui, il suo nemico, lo conosceva già e aveva ancora una cosa da fare prima d’arrendersi al tempo e farsi da parte. Per questo non si dava requie, mentre le auto sotto di lui divenivano sempre più scivolose per via del materiale caduto e del fango che aveva sotto le scarpe. Il rischio di mettere un piede in fallo gli si presentò un paio di volte, ma riuscì a non cadere. Nel frattempo le sue iridi cercavano qualsiasi elemento che potesse fargli individuare Yoshiko o Taro. Qualsiasi cosa come… come un abito.
Le immagini di Yoko quando era accorso a salvarla, quando l’aveva portata al centro e poi l’aveva vista allontanarsi gli balenarono davanti agli occhi per alcuni momenti, ricordandogli come fosse vestita. Jeans, scarpe da ginnastica, cappotto e la sua sciarpa multicolore. Sì, proprio come quella che, per un attimo, fece capolino tra la folla. Il cuore gli sembrò che battesse di colpo più velocemente, così come le sue gambe che, non curanti della possibilità di cadere, accelerarono.
Forse l’aveva solo immaginata, probabilmente non era lei, ma era l’unico appiglio che gli fosse rimasto. L’unico. E lo inseguì fino a che non lo vide comparire di nuovo. Coloratissimo come un miraggio nel bianco e nero improvviso che stinse ogni immagine ai suoi occhi. C’era solo quella sciarpa, quella figura dai capelli castani che correva stretta nel cappotto e anche se non era lei, Yuzo ci provò lo stesso, chiamandola con tutto il fiato che aveva in corpo.
Yoshiko!”

Correvano lungo il marciapiede gremito di fuggitivi senza fermarsi un momento.
Nonostante l’adrenalina che riusciva a tenerla in piedi, Yoshiko sentiva le gambe pesanti come macigni, ma Taro seguitava a tenere sia lei che Azumi per mano, senza rallentare nemmeno un secondo. Tutti e tre sapevano che se l’avessero fatto, probabilmente non avrebbero più avuto scampo.
E nel procedere tra uomini, donne e bambini, tutti spaventati e disperati, ripensò a quando Yuzo le aveva detto che il Fuji avrebbe eruttato. Sembrava fosse passato un secolo, ed invece erano nemmeno quarantotto ore. Quanto rapidamente poteva cambiare la situazione in scarsi due giorni? Ben più di quanto avesse mai creduto possibile, eppure era così. Yuzo glielo aveva detto, aveva messo in guardia tutti e nessuno gli aveva prestato ascolto. Era per questo se ora correvano come formiche impazzite a cui avevano appena distrutto il formicaio.
Sotto i suoi piedi, il viscido del fango misto all’acqua aumentava ad ogni istante, ma non aveva il coraggio di guardarsi indietro.
Passarono accanto ad un posto di blocco e alcuni poliziotti cercavano di parlare alla gente in fuga per guidarla verso la salvezza.
“Salite sugli edifici!”
“Raggiungete l’ultimo piano dei palazzi alti!”
“Non restate in strada! Morirete tutti!”

Ma se qualcuno sembrava dar loro ascolto, sfondando i portoni e scomparendo al loro interno, la maggior parte continuava a correre, come sorda agli avvisi.
“Taro, hai sentito? Dicono che dobbiamo-”
“Lo so! Siamo vicini al Centro Commerciale, ci infileremo lì! È molto alto, ce la faremo!”
Ma lei non sapeva effettivamente quanto tempo avessero ancora. Il rumore alle sue spalle era sempre più forte e cupo e si mischiava a quello del vulcano in maniera inquietante. Desiderava voltarsi solo per un momento, ma la paura di vedere cosa li stesse inseguendo le bloccò lo sguardo in avanti almeno fino a che quella voce non riuscì a sovrastare ogni altro rumore. E stava chiamando il suo nome.
Yoshiko!
Girò appena il volto, convinta d’averla solo immaginata. In momenti simili, la paura sapeva sempre come giocare terribili scherzi. Ma la seconda volta, forse, non era possibile che fosse ancora un abbaglio.
Yoshiko!
Stavolta rallentò il passo, volgendosi completamente e tentando di individuare quella voce che proveniva da chissà dove alle sue spalle. Cercò di scorgere tra le teste delle persone un viso familiare, ma la confusione era terribile e quegli occhi che non la guardavano, quelle espressioni concentrate solo sulla fuga non le dicevano nulla.
Poi, una figura più isolata, che si muoveva sopra le auto catturò il suo sguardo. Una figura che si rese conto inconsciamente di conoscere fin dal primo momento e a mano a mano che diveniva più vicina. Una figura che le fece salire le lacrime agli occhi perché non credeva l’avrebbe rivista se non alla fine di tutto. Ed invece lui era lì, agitava una mano per farsi individuare e la chiamava per nome, ancora.
Yoshiko!
Era venuto a cercarla.
“Yuzo…”
Esalare il suo nome le sembrò così dolce sulle labbra. D’istinto lasciò la mano del fratello, che si volse preoccupato, ma altra gente s’era già insinuata tra di loro, aumentando la distanza.
“Yoko!”
“E’ Yuzo! Taro, è Yuzo!”
“Yuzo?! Che cosa-… Yoshiko, dove vai?! Torna indietro!”
Ma lei stava già correndo, guadando in senso contrario la fiumana inarrestabile.
Yuzo!” chiamò con forza nel riecheggiare delle altre grida.
Era lui! Lo aveva visto! E Yuzo aveva visto lei, ne era sicura!
Scorse la sua figura avvicinarsi al marciapiede e scomparire, inghiottita dalla folla. Ebbe il timore d’averlo perso di nuovo, ma poi la testa apparve e scomparve, divenendo sempre più vicina; i passi del giovane erano facilitati dalla gente attorno a lui che sembrava scorrere e si lasciò come trascinare dalla corrente.
Yuzo aveva visto giusto. Era davvero Yoshiko ed era riuscito a ritrovarla. Mentre vedeva la loro distanza ridursi e la mano di lei tendersi nella sua direzione, sentì che le cose sarebbero cambiate e che non si sarebbero ripetute. Navidad sarebbe rimasto un ricordo sepolto nel suo passato che non avrebbe rivissuto né quel giorno né mai. E ne ebbe la conferma quando sfiorò le sue dita, quando le afferrò e quando la sentì tutta stretta contro di sé. Non avrebbe mai permesso a nessun lahar di potergliela strappare via.
“Yuzo! Yuzo!” Yoshiko mormorò il suo nome, tenendosi stretta al maglione e al calore familiare anche sotto la polvere. Ora sarebbe andato tutto bene, ne era sicura. Erano riusciti a ritrovarsi nonostante tutto, nonostante il caos e la paura; come avrebbe potuto finire male adesso che erano di nuovo insieme?
“Sono qui, sono venuto a prenderti. Sapevo che eri ancora in città.”
Quella voce, quelle parole, quel tono rassicurante che aveva imparato a conoscere fin dal primo momento sembrò far scomparire ogni cosa, ogni pericolo, ogni rumore. Eruzione? Quale eruzione? Il Fuji aveva eruttato? Ah ah! Che battuta divertente! No, tutta quella realtà distorta in una eventualità accostabile solo ai filmoni che trasmettevano in tv, non faceva più così paura e sembrava troppo lontana da lei, mentre avvertiva le sue dita carezzarle i capelli. Ma era quella la vera illusione, che tutto fosse distante e attutito, perché attorno la gente continuava a scivolare via. Come acqua, come fango, lo stesso che ora arrivava loro alle caviglie, riportandola nel centro del caos.
Il Fuji aveva eruttato, il cielo s’era dipinto di nero, un lahar stava per abbattersi su tutta Nankatsu e loro dovevano fuggire.
“Yoko!” la voce allarmata di Taro emerse tra la folla assieme alla sua figura e non nascose la sorpresa nel vedere che c’era davvero Yuzo con lei. “Yuzo?!”
“Taro, Azumi! State bene? Dobbiamo metterci al riparo immediatamente!” disse il vulcanologo ed il calciatore annuì.
“Se raggiungiamo il Centro Commerciale saremo al sicuro.” ed era vero, ma Yuzo scosse il capo.
“E’ troppo lontano, dobbiamo trovare un’alternativa più vicina, non c’è più tempo.” col capo gli fece cenno di guardare in basso.
Incredibilmente, solo allora, forse perché troppo preso dall’ansia e l’adrenalina della fuga, Taro si accorse di essere con i piedi nel fango.
“Oddio!” esclamò spiazzato, e stringendo di più la mano di Azumi.
“Presto, andiamo!” lo spronò Yuzo e insieme tornarono a correre nella difficoltà del fango, il cui livello saliva in maniera progressiva e veloce, cercando un qualsiasi edificio in cui nascondersi, ma sembravano essere tutti troppo bassi fino a che non ne trovarono uno di circa sette piani, ancora in costruzione. Vi era solo lo scheletro in cemento, ma per loro era più che sufficiente. Lui e Taro sfondarono il lucchetto che chiudeva l’ingresso del cantiere ed entrarono nella struttura. Era dotata di doppia scala, interna ed esterna che loro cominciarono a salire in tutta fretta. Il segno del fango era arrivato a lambirgli metà coscia e una volta all’asciutto sembrò d’essere più leggeri e veloci. Arrivati al secondo piano, Yuzo si affacciò all’esterno e vide nettamente la cresta dell’onda di piena preceduta da altre più piccole che avrebbero portato il livello ad alcuni metri. A giudicare dalla portata del lahar, dalla neve e il materiale adagiato sul Fuji, non sarebbe stata l’unica prevista. L’onda era enorme e lo stridere dei detriti tra loro e gli ostacoli che scontrava nella sua corsa entrava nel cervello per quanto acuto e terribile. Il letto di macchine venne trascinato via come fosse stato composto da modellini di gommapiuma. Tanta forza, tutta insieme, era a dir poco spaventosa e gli era quasi addosso, ormai, ma sembrava fossero destinati a salvarsi per il rotto della cuffia, quando al quarto piano ricevettero una pessima sorpresa: le scale interne non erano state completate e vi erano ancora tre piani per arrivare al tetto.
“Dannazione!” ringhiò Taro “Non siamo ancora abbastanza in alto?”
“No! Dobbiamo raggiungere la sommità dell’edificio!”
Yuzo si affacciò alla scala esterna, guardando in basso il livello che precedeva la prima piena aveva coperto il terzo piano. Poi guardò in alto e con somma gioia si accorse che almeno quelle scale arrivavano fino in cima, ma quando si volse a sinistra il sorriso morì nel rendersi conto che la prima onda, che avrebbe rischiato di investire il piano, era seguita da una seconda, ben più alta, che l’avrebbe sommerso completamente.
Sarebbero morti tutti, se non si fosse fatto venire in mente qualcosa all’istante.
E l’idea arrivò.
Non stette nemmeno a pensare alle conseguenze, svelto rientrò nella struttura, si guardò intorno tra i materiali edili abbandonati e afferrò una porta in metallo che non era ancora stata montata. Con fermezza ordinò: “Taro, guidale fino al tetto presto! Io vi farò da scudo!” e a fatica, dando fondo a tutte le sue energie, sollevò l’oggetto, posizionandolo contro la ringhiera della scala esterna in modo da prolungare la copertura del muro.
L’attimo dopo arrivò la prima piena e l’impatto della cresta fu così violento che Yoko si portò una mano alle labbra, trattenendo il fiato. Yuzo fu costretto ad arretrare di un paio di passi, trascinato dal fango che gli scorse attorno; una parte lo scavalcò, infrangendosi contro l’ostacolo, inondandolo completamente, ma lui non perse la presa e riguadagnò, seppure con sforzo estremo, la sua posizione. Il fango gli si era insinuato dappertutto: negli abiti, negli occhi, addirittura nel naso e nella bocca. Sputò acqua e terra ripulendosi alla buona e facendo peso sulla porta con tutto il suo corpo.
Via! Portale via! Non resisterò per molto!” gridò appena fu nuovamente in grado di parlare. La seconda ondata, più grande della prima stava arrivando e non avrebbe potuto fermarla.
Taro non se lo fece ripetere e le fece uscire. Azumi salì velocemente senza fermarsi o guardarsi attorno, in un attimo raggiunse il punto di salvezza.
Yoshiko oppose resistenza, nonostante suo fratello la trascinasse via a forza. L’acqua e il fango erano dappertutto, inzuppandole gli abiti, ma lei non voleva saperne. Le convinzioni che l’avevano come rincuorata nel momento in cui si erano riuniti stavano andando improvvisamente in pezzi, travolte anche loro da quel maledetto lahar.
“Yuzo! Devi venire con noi! Non ti lascio qui! Non ti lascio, hai capito?!” si aggrappò alla manica del suo giaccone; le lacrime agli occhi e senza controllo. “Non puoi pretendere che io lo faccia!” ma l’acqua, ancora una volta, come quattro anni prima in un differente luogo, rese tutto troppo scivoloso per essere trattenuto. Yoko avvertì le dita perdere la presa, nonostante la sua volontà, fino a che non le sfuggì completamente.
Cristo! Taro, non ce la faccio più!” urlò il Prof allo stremo; gli occhi serrati per lo sforzo, ma le orecchie avevano sentito perfettamente le parole della ragazza ed il tono con cui le aveva pronunciate, eppure rimase immobile con la schiena contro la porta e le mani aggrappate alla ringhiera per non venir trascinato via.
Il giocatore dello Jubilo Iwata non se lo fece ripetere e costrinse Yoshiko a salire con sé, dando fondo ad una forza che non credeva d’avere.
La trascinò via nonostante tutto.
Nonostante lei stesse piangendo disperata, nonostante sapesse che Yuzo non ce l’avrebbe mai fatta a contrastare la forza del lahar e riuscire a raggiungerli. Nonostante tutte queste cose continuò a salire fino in cima, ignorandole con tutto sé stesso.
No! No, Yuzo! Non voglio! Mi hai fatto una promessa! Mi hai… mi hai promesso… che…” ma il pianto le divorò le parole “…che… con me…”
E Yuzo lo sapeva anche senza che completasse la frase; le aveva promesso tante cose: che sarebbe rimasto con lei, che la storia non si sarebbe ripetuta, che non l’avrebbe mai fatta soffrire. Ma quando sollevò lo sguardo verso l’alto e la vide finalmente al sicuro, capì che non avrebbe mantenuto fede a nessuna delle tre. Eppure, nonostante quel giorno l’ombra del suo passato stesse per dimostrargli la machiavellica ciclicità della storia seppur a ruoli invertiti, l’ultimo sguardo che le rivolse fu un sorriso, perché questa volta era riuscito dove quattro anni prima aveva fallito. Nessun lahar, aveva promesso anche questo, nessun lahar gliel’avrebbe strappata via. Aveva rispettato almeno quella parola e non aveva rimpianti.
Diversamente, dall’alto dell’edificio, Yoshiko si sentiva impotente, si odiava e si dava la colpa tutto insieme in un unico istante dilungato in uno straziante infinito. Se non fosse voluta rimanere a tutti i costi forse, anzi, sicuramente, Yuzo non si sarebbe trovato lì, ora, a rischiare la vita per lei. Invece, ancora una volta si era comportata da stupida testarda e queste erano le conseguenze, troppo amare per essere accettate senza sentirsi morire dentro.
Disperatamente protese le mani verso quell’acquosa immagine di lui che continuava ad oscillare nelle lacrime che correvano via da i suoi occhi, come avesse voluto afferrarlo, ma erano così lontani e tutto quello che il suo cuore riuscì ad afferrare, prima di frantumarsi, fu il suo sorriso. L’ultimo.
“Avevi… Avevi promesso che saresti ritornato da me! Che tutto sarebbe andato bene! Non puoi… non puoi… non lasciarmi!” glielo urlò con tutto il fiato che aveva in gola, ma le sue preghiere rimasero inascoltate e, con spregio, la seconda onda di piena si abbatté sull’edificio, sulla scala, su di lui, trascinandolo con sé come fosse stato un pupazzo. La porta metallica, la misera barriera, volò nell’impatto, mentre Yoko vedeva Yuzo scomparire nei flutti di fango e detriti. Alle grida del metallo, che strideva nel gorgogliare dell’acqua, si unirono le sue, spaventose, e quelle del suo cuore che esplose come un vulcano di cristallo. Gli occhi enormi, sbarrati su quella sequenza traumatica e le braccia che si protesero ancora di più, prima che Taro la trascinasse con forza dietro al muro affinché non si facesse altro male nel vedere il fango scorrere inarrestabile, cancellando ogni traccia del vulcanologo.
Yuzo! Yuzo!” ripeté il suo nome come una straziante cantilena, aggrappandosi alla spalla di Taro, ma non vedeva altro che acqua e grigio e massi e auto e alberi morti davanti ai suoi occhi ed il corpo del vulcanologo che veniva avvolto dall’abbraccio del lahar per poi scomparire. A nulla valsero i tentativi di suo fratello di calmarla, non vedeva e non sentiva nient’altro che la morte accompagnata dal suo scrosciante passo e continuò a gridare e piangere fino a che non perse la voce.
Avveniva così, dopo poche ore dall’inizio dell’eruzione del Fuji, la distruzione di un’intera città, e all’acqua che aveva smosso il fango assassino, si sarebbero sommate le lacrime di chi era sopravvissuto.
Di lontano si poteva udire, farsi più vicino, il rumore dei primi elicotteri.

Yann Tiersen - Comptine d'un autre été l'après midi (strumentale)


[1]“NUN… STRUNZATE!”: “Non abbiamo tempo per le stronzate!”

[2]“TE… CAZZO?”: “Ti pare il momento di metterti a fare l’eroe del cazzo?”

[3]“MURIMM… FA’?”: “E se moriamo tutti e tre gli viene un infarto. Che vogliamo fare?”


 

…E poi Bla, bla, bla…

 

Pre!Nota Relativa al capitolo precedente: seguendo i consigli di Kara, ho aggiunto qualche pezzo alla scena in cui Rick e compagnia sono bloccati nelle macerie. Credo d'averlo dato forse troppo per scontato, ma ovviamente non è che sono usciti da quel casino proprio lindi e pinti così come vi erano entrati XD. Il burbero, va beh, ha una gamba rotta, ma gli altri hanno ematomi per la botta presa in seguito al crollo e graffi vari, oltre che essere pieni di polvere XD. Il crollo non è stato piacevole, ma nemmeno estremamente traumatico. Inoltre, ovviamente le barre di ferro che Hisui trova non sono perfette come appena uscite dalla fabbrica. Credo d'aver sbagliato a non soffermarmici troppo, e questo può aver fatto pensare che avessero avuto una sequenza di botte di culo allucinanti. XD Spero d'aver rimediato, dando qualche particolare in più che facesse comprendere come loro cinque se la siano vista ugualmente scura e come potessero utilizzare davvero materiale che, in una simile situazione, possano aver trovato a portata di mano. :)

Ora veniamo al capitolo appena letto: l’ultimo colpaccio si consuma così, tra fango e fuoco.
E le vostre bestemmie XD
E anche il “TANTO LO SAPEVO CHE L’AVRESTI FATTO! TZE’!” (<- made in Kara. *ridacchia*).
Ma, ehi!, ormai dovreste conoscermi! Le cose non vanno mai lisce e pulite, non con me, almeno. Ma vi ricordo che abbiamo ancora l’ultimo capitolo e l’epilogo.
Ormai, possiamo dire di essere arrivate alle tanto sospirate battute finali e vi comunico che la storia è finita. Ufficialmente: ho scritto sia l'ultimo capitolo che l'epilogo. Quando pubblicherò questa seconda parte, i due capitoli conclusivi saranno in stand-by dalla mia beta per essere corretti. :) Ci siamo, ragazzi.
Ma parliamo dei lahar, via, che per i lacrimoni e saluti di commiato abbiamo ancora un po’ di tempo. *ridacchia*
Allora, volevo linkarvi un paio di video che a me sono piaciuti particolarmente. Sono due esempi di lahar (uno più piccolo ed uno più imponente).

- Lahar del Vulcano Fuego, Guatemala
- Lahar del Vulcano Ruapehu, Nuova Zelanda


Come potete vedere, la forza dell’acqua è davvero incredibile. Riesce a trasportare con facilità dei massi che, a mano, una persona normale non solleverebbe. Per questo ho fatto dire, per bocca di Yuzo, che i lahar non sono ‘solo acqua’ perché, davvero, non lo sono per niente.
Il primo potrà sembrare contenuto, ma vi assicuro che non vi vorreste trovare in mezzo alla corrente. Inoltre, notate i continui apporti che arrivano, e le piene che piombano quando sembra che la situazione si sia stabilizzata.
I lahar sono così: sono subdoli, perché anche se nascono come causa di un’eruzione ci metteranno del tempo prima di arrivare e, magari, ti piomberanno in testa quando meno te l’aspetti. Oppure possono cadere giù dopo piogge abbondanti, quando l’eruzione è finita da mesi.
Lahar dell’imponenza di quello che ho ricreato per il Fuji non sono frequenti; di solito i mudflow (nome inglese dei lahar) hanno altezze massime di circa 7-10 metri (che non è poco), ma ci sono casi eccezionali in cui possono raggiungere anche altezze di centinaia di metri.
Nell’evento di Armero, il lahar raggiunse un’altezza di più di 20 metri. Questo perché la loro velocità e la loro portata dipende molto dall’altezza del vulcano e dalla quantità di acqua presente.
Il mudflow di Armero venne giù da una quota di circa cinque chilometri (tanto è alto il Nevado del Ruiz), quello che ho ricreato nasce da un'altezza di tre chilometri circa, si carica degli apporti nevosi e dell’acqua che satura il terreno e viene convogliato lungo le rugosità laviche delle eruzioni precedenti che hanno creato come dei canali lungo i fianchi del Fuji-san. Entrando in una città moderna come Nankatsu, piena di edifici di cemento dai tre piani in su (ma anche di villette e case tradizionali), ovviamente il materiale non può espandersi molto facilmente, ma resta comunque convogliato e raggruppato dai palazzi attorno, come un argine, anche per questo mantiene un livello piuttosto elevato.
Ma vuoi che siano di venti metri o due la sostanza non cambia: sono capaci di trascinare cose e persone, enormi quantità di materiali, case, ponti e tutto quello che incontrano.
E sono belli, ma sono devastanti.
Ovviamente, ringraziate che ho deciso di far scendere giù solo un lahar XD perché se optavo per un flusso piroclastico facevo una STRAGE! XDDDDD

Più in generale: volete vedere l'eruzione del Fuji?
XD O almeno a quale potrebbe somigliare, come stile?
Ecco, pensatela come la sorella maggiore di questi due esempi:

- Formazione dell'Isola di Surtsey (1963)
- Mt. Ruapehu (1995-1996)
- Ghiacciaio Eyjafjallajokull (2010)


Pensate solo che l'eruzione dell'Eyja è stata catalogata come VEI-4; la nostra è una VEI-5, quindi non siamo proprio lontanissimi, come idea.
Queste sono entrambi eruzioni con stile freato-magmatico, proprio come quella che ho descritto per il Fuji. E quelle meravigliose esplosioni nere, sono i famosi fiori con stami e pistilli. Sono meravigliosi.
Nel secondo filmato, potete vedere attorno al secondo 0:50 anche le bombe vulcaniche. Ad occhio sembrano piccoline, ma contate che c'è una enorme distanza dalla colonna XD. Li vedete quei sassolini chiari, che svolazzano con la scia al seguito? Ecco, quelle sono le bombe! Salutiamole! *_*/

Infine!
Io!
Mi sono resa conto di non avervi mai fatto vedere Dante! O_O
DANTE! LO CAPITE?! IL VERO PROTAGONISTA DI QUESTA FIC XDDDD!
Io amo quel Pick-up e averlo dovuto abbandonare mi ha spezzato il cuore nemmeno fossi stato Yuzo T_T.
Ammiratelo in tutta la sua pucciosità:

- Dante ♥

Immaginatevelo col muso rinforzato e con le guide laterali in acciaio nel vano posteriore! X3 E' bello!!!


Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

Eos: dopo questo capitolo, ho quasi il terrore a rispondere alla tua recensione. XD Dico sul serio! Intanto ti sto scrivendo dalla fossa che mi sono preventivamente scavata: è comoda e spaziosa, con l'abat-jour decorato con i teschi **. Ma bando alle cazzate (XD): sappi che anche io tifo per Kishu *_* te l'avevo detto che aveva ancora una cartuccia in canna e che si sarebbe riscattato con i controcazzi! XDDDD (ammetto di avere un debole per lui ♥ )
I ragazzi dell'FVO sono la mia fonte di LOL, adoro scrivere di loro, mi diverte, e sono contenta che facciano divertire anche i lettori, per il loro essere sempre e comunque molto sopra le righe.
Sì, lo so, vedo troppi film d'azione XD ma a me l'azione piace tantissimo!!! ** Altrimenti una fic (così come un libro o anche un film) mi annoiano T_T Spissicoleggiare va bene, lacrime e angst pure... ma almeno un po' dinamismo che diamine XD E poi... era una fic sui vulcani, se non ci mettevo l'azione sai che palle?!?!?!? XDDDDDD E poi... sì, è vero, Tsupalle salva tutti pure a distanza XDDDDDDD!!!!
Grazie tessora per le tue parole e non posso che appoggiare: "Huzi" mancherà molto anche a me; per quanto io sia più che felice d'averla conclusa, è come se mettessi via un pezzo di cuore. :*******

Hikarisan: \O/ ma sono stata assente solo per un paio di mesiiiiiiiii!!! T^T non bacchettarmi, ero in vacanzina-ina-ina é_è *Mela fa cerchietti nell'angolino*.
*_* ben ritrovata in questo spazio! Sei stata una lettrice fedelissima ed è anche e soprattutto per voi che mi sono imposta di concludere la storia entro l'anno. E ce l'ho fatta. :) Ormai, i capitoli finali sono pronti e quindi non tarderanno troppo ad arrivare.
XD come avrai potuto leggere, t'ho presa in parola: Nankatsu è andata in via definitiva e ti ho salvato Yoko *alzapugno*, ma Yuzo se la sta vedendo di schifo però. XD Non si può mica avere tutto, no?!
*_* i fulmini sono meravigliosi, non posso che essere d'accordo con te, e pittoreschi al massimo. ** io li adoro, per quanto anche io, come te, sia terrorizzata da i fulmini X3 Ma quelli eruttivi sono pucci *w* (XD ho uno strano gusto del 'puccio', lo so!).
** Ti ringrazio tantissimo per i complimenti che rivolgi a questa storia e sono felicissima di esser riuscita a creare quella suspance e tensione tipica di questo genere di storie. :******** grazie millissime, Hikari!

Kara: (già ti vedo che urlazzi: 'LO SAPEEEEEEVOOOOOOOO!' XD) *alzapugno* ho sistemato la cosa che mi avevi fatto notare! XD Spero che ora vada un po' meglio e stemperi l'idea di Culo Supremo avuto da 'sti cinque disgraziati. Non mi ci sono ugualmente soffermata moltissimo, però avevi ragione, avevo dato troppe cose per scontate. *mmm* spero che così vada meglio! **
XD Tu però ti devi rendere conto che non stiamo più parlando del ragazzetto delle elementari che aveva la fobia delle pallonate in faccia. Yuzo c'ha TRENT'ANNI, ha cambiato totalmente ambiente, s'è visto la moglie morirgli sotto gli occhi e alla fin fine utilizza tutte cose che io ho visto utilizzare durante i miei anni universitari (come l'esplosivo: c'era il nostro fuochino che era un grande!). La maggior parte dei vulcanologi sono dei mezzi matti che vanno DENTRO le bocche vulcaniche attive XD (come quelli che morirono sul Galeras: erano DENTRO il cratere, incuranti dell'arrivo dell'eruzione. E sono morti, sì, ma alcuni sono stati salvati dalle MOGLI - vulcanologi anche loro - che li sono andati a prendere, mentre attorno imperversava la pioggia di lapilli o_ò. Hanno tutta la mia stima incondizionata, giuro). Il suo percorso formativo è stato del tutto cambiato da che aveva 18-19 anni, e magari sarà pure stato il portiere citofono (XD e, sì, che è pippa rispetto ad un Genzo o un Ken lo so pure io e lo ammetto senza remore), ma è stato anche il Portiere Più Coraggioso (parole di Genzo): glielo vogliamo far maturare questo coraggio, o no? XD (e poi i geologi sono sempre avvolti dall'aura di estrema figaggine perché sì, anche se sono sfigati da morire XDDDDD Ti ricorda niente? *si sente la musichetta dell'Amaro Montenegro* LOL)
*_* le immagini sono l'amore infinito e hai visto i video che ho linkato in questo capitolo?!?!?! *w* non sono la meraviglia?!?!? (XD contando anche dove cazzo si è appollaiato quello per vedere l'eruzione del Ruapehu! *w* come lo invidio T_T)! *_* sono felicissima che l'eruzione sia venuta bene, mi ha fatto penare perché non ci sono immagini del Fuji in eruzione né altro e quindi son dovuta andare a ricercare quelle che potessero essere in qualche modo simili a quella ipotetica del Fuji. Ovviamente, nella realtà, il Fuji saprebbe fare molto di meglio di quello che ho descritto io XD, ma non auguro ai giapponesi di vederlo: ne hanno già tanti di vulcani cui star dietro (Unzen ♥ è un bel bimbo, ad esempio), ci mancherebbe solo il Fuji-san.
Ti ringrazio tantissimo per i complimenti! ** io amo fare il lavoro di ricerca, credo sia la parte più bella della storia, perché poi devi stare lì a pensare di far incastrare tutto con le informazioni trovate. *_* Penso che sia la cosa basilare per scrivere, anche se si tratta di sole fic, perché denotano la cura che l'autore mette nel proprio lavoro e ne aumenta il valore; poi potranno esserci errorini, sviste, quel che vuoi, ma se si 'sente' l'impegno che c'è dietro, allora tutto assume un altro significato. :******* grazie tessò! (XD ma lascia in pace Yoshiko! Povera stella!!!)

Ed anche per questo capitolo è tutto. ^^/
Ci risentiamo per l’ultimo… e se mi fischieranno le orecchie, saprò che starete parlando MALISSIMO di me!!! XDDDDD

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Capitolo 27
*** Capitolo 24 ***


Documento senza titolo

Huzi

- Capitolo 24 -

“Nessuna avvisaglia di lahar al momento.” gracchiò la voce dalla radio “Ma fossi in voi non mi fermerei troppo a lungo. Sapete bene quanto siano bastardi. Finite il giro e rientrate. Passo.”
Il Sergente Honda dell’Esercito Giapponese rispose prontamente; gli abiti inzaccherati di fango fino alle ginocchia ed i cani delle unità cinofile che abbaiavano di tanto in tanto, appena rinvenivano un nuovo cadavere.
“Ricevuto, signore. Chiudo.”
Si guardò intorno per qualche momento, calcandosi il cappello sulla testa e chiudendo il bavero dell’impermeabile fino alla fine. Per fortuna le piogge che avevano caratterizzato gli ultimi due giorni s’erano acquietate, permettendo loro di poter lavorare con maggiore celerità e relativa sicurezza, ma tutti continuavano a rivolgere costantemente un occhio al vulcano, quasi a volerlo controllare.
“Santoddio, non finiremo mai.” il Capitano Numikura comparve al fianco del giovane Sergente, portandosi le mani ai fianchi e scuotendo il capo. “Quanti altri potrebbero ancora essercene là sotto?”
La sua domanda retorica rimase senza una risposta precisa, anche se Honda se la immaginava.
Tanti.
Non se ne sarebbe mai avuta una stima esatta, di questo ne erano un po’ tutti consapevoli, ma loro avrebbero continuato a scavare, facendo il possibile.
Il Capitano levò lo sguardo al vulcano, fissandolo con espressione indecifrabile. Al posto del bianco della neve che avrebbe dovuto ricoprire i suoi fianchi in quella stagione, c’era il grigio della cenere che aveva creato una sorta di sporco mantello. E diveniva sempre più spesso. Dopo quattro giorni dal suo inizio, l’attività si manteneva viva e stabile. Secondo gli esperti avrebbe potuto andare avanti addirittura per un mese e la sola idea non rendeva felice nessuno.
“A quanto stiamo?” domandò il Capitano, volgendosi al suo sottoposto. Il Sergente Honda osservò un gruppetto di soldati radunarsi nel punto indicato da uno dei cani.
“Con quello” disse, mettendo mano al block-notes che aveva con sé e appuntando la nuova cifra “dovrebbero essere trecentoquarantuno, signore. Solo nel lato Ovest della montagna. Continuo a ricevere altre stime dai contingenti che si trovano un po’ più verso Est. Sembra che i paesi distrutti su questo lato siano circa una ventina, molti dei quali erano evacuati già spontaneamente.”
L’uomo sospirò, incrociando le braccia al petto. “La cosa non riesce a consolarmi, ahimé. Il Giappone ne uscirà comunque cambiato.” ed era inevitabile.
Quattro soldati delle unità cinofile si avvicinarono a loro che restavano in piedi su un rialzo di fango accumulatosi sul fianco di un edificio crollato, da cui controllavano lo svolgimento delle operazioni di recupero dei cadaveri.
“Sergente Honda.” esordì il proprietario di un labrador, il cui manto miele era ormai irriconoscibile per quanto sporco. “Noi ci dirigiamo verso Fujinomiya, viene anche lei?”
Il graduato scambiò un’occhiata col suo superiore, che annuì.
“Vada pure, me la vedo io qui.”
“Sì, Capitano.” il Sergente fece un rapido saluto e abbandonò la sua posizione per raggiungere gli altri militari.
Si mossero a piedi perché usare dei mezzi li avrebbe rallentati vista la quantità di materiale che intasava la strada. Le ruspe sarebbero arrivate solo successivamente, alla conclusione del lavoro di setacciatura che le squadre stavano effettuando.
Il Sergente Honda camminava affiancato dagli altri soldati, guardandosi intorno; le sopracciglia sempre debolmente aggrottate su quello scenario che aveva in sé qualcosa di apocalittico. Forse era un aggettivo eccessivo, ma quando si trovava circondato da case che erano nulla più che scheletri vuoti, semi-crollati; quando vedeva letti trascinati in mezzo alla strada dalla furia del fango  mescolarsi ad alberi diroccati, tavolini di bar e automobili, l’unico concetto che gli veniva in mente era l’Apocalisse. Sarebbe stato un ottimo titolo per un’opera di Arte Contemporanea nella quale Nankatsu si era assurdamente trasformata: accozzaglie di materiali senza capo né coda, ecco, solo questo restava della città e la sua scia di cadaveri da recuperare come in una macabra caccia al tesoro.
Stavano camminando lungo quella che era la strada che portava alla città di Fujinomiya, anch’essa caduta vittima dei lahar del Fuji. Se ne erano susseguiti quasi a ripetizione nell’arco di quelle novantasei ore. Acqua-fango-tefra, il copione si era ripetuto costante, monotono come un vecchio disco e mentre ci pensava, si avvicinavano alla zona ribattezzata: Lo Sfasciacarrozze. Già dalla loro posizione potevano vederlo, farsi sempre più vicino e lugubre, silenzioso, come qualsiasi altro posto in quella città fantasma.
Il proprietario di Malcom-X, un massiccio Rottweiler, strinse un po’ più fortemente il guinzaglio. “Brrr. Questa zona mette i brividi. Sembra un cimitero.”
“Ma questo è un cimitero, Baku.” ci tenne a sottolineare il soldato che teneva il labrador.
Ed il Sergente convenne: l’intera area era una grandissima necropoli, ormai.
Con i brividi messi dalla soggezione, il gruppo si fermò proprio all’inizio de ‘Lo Sfasciacarrozze’.
“Ma quante saranno?” il proprietario di un altro labrador, di colore nero e nome Akira, alzò la visiera del cappello per osservare meglio lo scenario che si apriva davanti ai suoi occhi. La fila di auto, che durante la fuga erano state abbandonate nel mezzo della strada, ora giacevano come ammassate, impilate con precisione maniacale assieme a massi altrettanto grandi lungo i lati della carreggiata. Alcune erano cementate tra loro a causa del fango, che sembrava come ergere un muro. Una fortificazione rudimentale da cui sporgevano anche travi e tronchi d’albero, relitti di tetti e altre macerie. Un pullman scolastico giaceva riverso su un fianco nel mezzo della strada.
“Non chiedertelo, non dobbiamo contarle e spero che tu non sia tanto masochista da farlo.” fu l’affermazione del quarto soldato, più anziano degli altri, e padrone di Jethro, un pastore tedesco.
“D’accordo. Lasciamo andare i cani. Vai, Kagemusha.” il militare sganciò il guinzaglio dal collare e il labrador miele fu libero di andare a svolgere il suo compito. Gli altri seguirono il suo esempio e quattro chiazze colorate presero a rovistare la zona con loro che li seguivano poco distanti.
I primi cadaveri furono rinvenuti in un groviglio di melma e lamiere, tanto che ad occhio non si capiva dove finisse il cadavere e cominciasse la vettura.
“Oddio, questo è completamente a pezzi.” osservò il padrone di Akira, mentre Baku si tappava la bocca allontanandosi di corsa per vomitare.
Il Sergente prese appunti, cominciando a fare una mappa dell’area e segnando i luoghi in cui avrebbero avuto bisogno di aiuto per recuperare le vittime.
Un altro cadavere lo trovarono poco distante, schiacciato dal peso di quattro SUV, ma tutti si augurarono che fosse morto sul colpo, così come per il corpo murato dentro una coltre di fango.
“Questa è una delle zone più colpite.” il soldato che si occupava di Kagemusha si fermò accanto al Sergente. “La gente stava fuggendo a piedi quando è arrivato il primo lahar. Sono stati travolti, non hanno avuto scampo.”
“E’ terribile.” constatò Shigatsu, mentre osservava Akira apparire e scomparire tra le vetture. “La fine dei topi: in trappola.”
Baku riemerse con la tonda faccia pallida madida di sudore. Malcom-X gli uggiolò, sedendosi accanto a lui, e Shigatsu tentò di sdrammatizzare.
“Ecco che ne spunta uno vivo. È arrivato addirittura X a salvarti.”
“Non scherzate. Qua ci sono cadaveri ad ogni angolo. Sarà una giornata lunga.”
Gli altri convennero con un cenno del capo, quando si sentì un altro intenso uggiolare, seguito da un abbaiare di avvertimento.
Shigatsu allungò il collo verso una fila di auto. “Kagemusha ha trovato qualcosa?”
“Sì direbbe.” convenne il padrone, muovendosi velocemente in direzione del richiamo. Dietro di lui, anche l’altro militare s’avvicinò, mentre il Sergente scrutava con curiosità, tenendosi da parte.
Ueno raggiunse il suo cane che scodinzolava impaziente sul cofano di una ormai distrutta Toyota, prima di infilarsi tra i rottami. Lui gli tenne dietro, cercando di muoversi come poteva tra lamiere ed auto ammassate. Finalmente raggiunse un passaggio abbastanza largo da poter stare in piedi. Kagemusha si era accucciato sul tettuccio di quello che, al militare, sembrò un Pick-up della Mitsubishi a cui era stato staccato di netto il vano posteriore. Restava solo l’abitacolo, ridotto anch’esso piuttosto male. Gli parve di scorgere una scritta sulla fiancata, ma la violenza dell’acqua e l’abrasione del fango avevano come strappato la vernice rossa e argento. Ueno si fermò sul cofano, affacciandosi dal parabrezza senza più il vetro, e scorse un corpo. Il corpo di un uomo.
“Bravo, Musha, bravo!” gratificò il cucciolo, che rimase lì in attesa.
Il soldato si distese sul cofano, lasciandosi scivolare all’interno di mezzo busto, giusto il necessario per riuscire a toccare la figura adagiata su entrambi i sedili anteriori. Il volante non c’era più, quindi non fece troppa fatica, pur mantenendo lo sguardo attento e concentrato: c’era solo un motivo per cui il labrador aveva uggiolato e non abbaiato come al solito, ma gli sembrava quasi impossibile. Toccò la pelle del viso sporca del fango rappreso. Era fredda, per via dell’acqua, dei vestiti in buona parte strappati via dalla violenza del lahar e dell’essere rimasto quattro giorni all’addiaccio. Di sicuro, aveva un principio di ipotermia, ma… non era un freddo da ‘cadavere’. Fermò le dita sul collo, mentre da fuori alla fila di auto, Shigatsu attendeva una sua parola, così come il graduato più distante.
Ueno cercò il punto giusto e rimase in ascolto. Gli bastò un attimo ed i suoi occhi si spalancarono, quasi increduli. Si sporse di più e con entrambe le mani gli cercò il petto, lo tastò e quello che credeva d’aver immaginato trovò conferma.
“Oh, cazzo!”
Svelto si ritrasse e la prima cosa che fece, fu afferrare il labrador e scoccargli un bacio sul naso.
“Sei stato grande, Musha!” poi la sua voce risuonò per tutto ‘Lo Sfasciacarrozze’. “Shigatsu, fate venire un’unità di soccorso, presto! Qui ce n’è uno ancora vivo!”
L’interpellato boccheggiò. “Che cosa?!” e con la stessa agitazione riferì al suo superiore.
“Sergente Honda! Contattate il campo, signore, abbiamo trovato un sopravvissuto!”
Gli occhi del giovane si fecero enormi, mentre afferrava la radio che aveva con sé. In rapidi passi si fece dappresso ai suoi uomini. Anche Shigatsu era scomparso per raggiungere Ueno.
“Capitano Numikura, qui è il Sergente Honda.”
“Novità, Sergente?” la voce dell’uomo arrivò forte e chiara col suo tono basso e amaramente rassegnato.
“Assolutamente, sì! Abbiamo bisogno di un’unità per il soccorso, signore. C’è un superstite!”
“Dici sul serio?! Vi mando subito qualcuno. Ottimo lavoro. Chiudo.”
Di improvviso, anche se la persona intrappolata tra le auto fosse stata davvero l’unica ad avercela fatta, fu evidente l’aria elettrica di speranza rinata che serpeggiava tra tutti i militari impegnati nel recupero.
Honda si arrampicò sui relitti, osservando il lavoro degli altri due.
“Condizioni?” domandò, accovacciato sulla ruota di un furgoncino rovesciato di lato.
Ueno si volse. “Ipotermia e un braccio rotto. Dobbiamo tirarlo fuori.”
“Ma sei pazzo? E se avesse qualche lesione interna?” Shigatsu non aveva tutti i torti, così come il suo collega.
“E che vuoi fare, lasciarlo qui? Lo spazio è quello che è, la squadra di soccorso non potrebbe fare di più di quanto possiamo fare noi; non hanno nemmeno le ruspe per spostare tutta questa roba! E inoltre…” sollevò con occhio critico e preoccupato lo sguardo agli altri resti che sovrastavano il mezzo. “…non so per quanto tempo ancora potrà resistere questo Pick-up.”
“Ueno ha ragione. Procediamo con il recupero.” decise il Sergente e gli altri si misero immediatamente all’opera. Shigatsu scese dall’altra parte, dove aveva abbastanza spazio per riuscire ad aprire la portiera. Provò a tirare un paio di volte,  ma era bloccata. Ueno gli passò un pezzo di ferro recuperato dal marasma di macerie per fare perno e l’altro riuscì a forzare la serratura. Adagio, sollevò lo sconosciuto afferrandolo da sotto le braccia, mentre Ueno, di nuovo per mezzo busto dentro la vettura, lo prese per i piedi. Il Sergente osservò con attenzione ogni singolo momento delle operazioni, chiamando a raccolta anche Matsuda, seguito dal fedele Jethro. Crearono come una sorta di catena umana. Shigatsu teneva il corpo dalle parte della testa ed avanzava adagio, per uscire dal quel groviglio, Ueno arretrò fin dove poté, cedendo poi il posto proprio al Sergente che arretrò ancora. Ueno, intanto, cercava di fare quanto più spazio possibile fino a che la catena non si concluse con Matsuda che lo prese in consegna per ultimo, uscendo finalmente da quella sorta di loculo fatto d’auto. Adagiarono il sopravvissuto per terra e il Sergente si tolse la giacca, mettendogliela addosso per contrastare l’ipotermia. Su ordine del padrone, Kagemusha si accucciò accanto a lui per cercare di infondere calore al corpo.
Il primo a rivolgere la parola a quella specie di miracolato fu proprio Honda.
“Signore! Signore riesce a sentirmi?”

Non era mai stata quella la sua idea di morte.
Non tanto il modo, perché in cuor suo aveva sempre saputo che la pelle ce l’avrebbe lasciata, un giorno, quanto proprio l’essere morto.
Dov’erano gli angeli che cantavano tutti in coro? E la famosa luce bianca fuori dal tunnel? Lui non la vedeva e, a dirla tutta, non vedeva nemmeno il tunnel. Non vedeva sé stesso, non aveva coscienza della propria fisicità, c’era solo il nero ed era ovunque. Intrappolato in un enorme cristallo d’ossidiana dal perimetro infinito. E faceva… sì, faceva freddo.
Era forse questo quello che aveva provato anche la sua Aiko?
Da sola, perduta nel… niente.
Il solo pensiero lo fece tremare anche se non sentiva il proprio corpo, ma i brividi sì. Era orribile che le fosse toccata quella condizione di atroce solitudine. Gli faceva rabbia e tristezza.
Se avesse saputo che sarebbe finita in quel modo, avrebbe chiuso la propria esistenza già sul Ruiz, assieme ad Aiko, così lei non sarebbe stata sola, lui non avrebbe sofferto in maniera crudele per quattro anni e Yoshiko…
Ebbe l’impressione di sorridere, con una piega amara.
Yoshiko non sarebbe stata costretta ad assistere ad una cosa così devastante come la morte della persona amata.
Se il destino o chi per lui aveva solo voluto dimostrargli quanto fottuto e bastardo sapeva essere, beh, c’era riuscito e aveva pure superato sé stesso.
Poi, qualcosa sembrò mutare nella sua condizione di nulla assoluto. Sentì dei rumori o, meglio, dei versi, dei lamenti. Se era il famoso coro di angeli, non stavano messi molto bene.
Il lamento cominciò a divenire più forte e, sì, anche familiare.
Il guaito d’un cane.
E qualcosa di umido finalmente lo toccò, restituendogli nuovamente la sensazione di fisicità, concretezza, esistenza. Ma era tutto così labile; il corpo gli sembrava solo un ricordo perché la sua mente non riusciva a comandarlo, a muoverlo. Forse non c’era nessun corpo da muovere. Forse era diviso in migliaia di pezzi.
Altri rumori, di metallo, di voci. Urla concitate che si davano da fare, che impartivano ordini l’un l’altra e altri tocchi, più decisi. La mente che riprendeva a focalizzarsi dando nomi alle parti del corpo – ma allora era tutto intero! – che venivano toccate: braccia, collo, petto, piedi, gambe. E poi il movimento. Lo stavano sollevando e… spostando. Lo percepiva. Lo capiva.
Ad un certo punto, il freddo iniziò ad allentare la sua morsa e si rese conto d’esser nuovamente fermo. Le nere pareti d’ossidiana s’erano fatte più sottili, chiare. Quel nulla aveva un perimetro, una fine e lui vi era prossimo.
Anche le voci, in maniera omogenea e continua, acquisirono un significato: erano parole e avevano un senso e avevano una, anzi, più persone che le stavano pronunciando.
“Signore! Signore riesce a sentirmi?”
Sì, sentiva, e allora, forse, non era morto.
E se non era morto doveva aprire gli occhi.
E se non era morto doveva respirare – lo stava già facendo? –.
E se non era morto doveva alzarsi, nonostante il dolore – sentiva il dolore? Sì, lo sentiva! – andare da Yoshiko, abbracciarla più forte che poteva e dirle quanto meravigliosamente l’amasse.
E se doveva fare tutto questo, allora perché stava piangendo?
Non lo sapeva e non cercò una risposta.
Il suo primo, faticoso movimento fu di aprire la bocca.
Avvertiva il peso del fango incollargli la pelle e renderla di pietra, una pietra che si crepa e poi si spacca. Gli occhi varcarono il limite dell’ossidiana, schiudendo le palpebre adagio e tremanti. Si chiusero quasi subito; la luce gli sembrava così intensa, e le lacrime che scendevano agli angoli bruciavano. Poi li riaprì ancora, piano, un filo per volta, e le prime immagini cominciarono a prendere forma. Contorni, colori, figure.
Un uomo gli stava sorridendo, il verde della divisa gli fece capire chi fosse. Gli parlava a raffica, ma in maniera chiara.
“Riesce a capirmi? Ricorda cosa è accaduto?”
Le immagini del lahar scorsero come un fiume. Il grigio cemento, l’acqua e il fango ovunque; il loro sapore, l’impatto, il venire trascinato da una forza inumana e il pianto di Yoshiko che riecheggiava nel gorgoglio del muflow. Poi, più nulla.
Ricordava tutto.
“…sì.” fu più un mezzo sospiro che una risposta vera e propria, ma venne compresa.
“E ricorda come si chiama?”
Diede fondo a tutte le sue energie per tirar fuori la voce e articolare le lettere.
“Y… Yu… zo… Mori… Morisaki…”
Il Sergente Honda mise mano alla cartella che aveva con sé, velocemente prese a sfogliare la lista di nomi con i dispersi.
Yuzo Morisaki, vulcanologo dell’FVO.
Con un sorriso ancora più ampio, il giovane lo depennò.
“Signor Morisaki, bentornato nel mondo dei vivi.”
Yuzo chiuse gli occhi, mentre le labbra si distendevano nel suo primo sorriso.
Sì, era tornato. La sua guerra personale era finita e lui aveva vinto.

Con il vassoio su di un braccio, Taro bussò con due colpi leggeri e, come sempre, non ottenne risposta.
Il giovane sospirò, aprendo piano la porta. “Yoko, sto entrando.”
Sapeva che in quattro giorni nessun miracolo avrebbe potuto riportare le cose come erano prima, ma tutte le volte che vedeva sua sorella seduta presso il davanzale della finestra chiusa, con le gambe raccolte al petto e lo sguardo fisso all’esterno di cui sapeva non stesse osservando nulla, gli si stringeva il cuore.
E così la trovò anche in quel momento, come era stato per la mattina e la sera precedente.
Yoshiko aveva lo sguardo rivolto ai vetri rigati dalla pioggia e le labbra serrate in un mutismo che lo stavano facendo seriamente preoccupare. Ancora ricordava la sua disperazione, quelle grida che le sgorgavano dal cuore come sangue vivo. L’aveva tenuta stretta per tutto il tempo, l’aveva cullata per tentare di calmarla, ma lei era come se nemmeno fosse stata lì, non si rendeva conto di ciò che la circondava quasi fosse divenuta cieca e sorda insieme. Poi, quando la voce l’aveva abbandonata, era divenuta anche muta e lui non aveva più saputo che fare.
Taro avanzò nella stanza per gli ospiti della sua casa ad Iwata. Sul viso spiccavano i bendaggi e i cerotti che gli avevano messo all’ospedale di Shimizu City dove erano stati portati dalle unità di soccorso.
“Ti ho portato del tè caldo, tesoro, perché non ne bevi un po’?” glielo disse avvicinandosi al piccolo tavolo che c’era nella camera. Il vassoio col pranzo perfettamente intatto. Sospirò ancora, appoggiando quello col tè fumante e prelevando l’altro. “Yoshiko, per favore, dovresti mangiare qualcosa. Sono quattro giorni che quasi non tocchi cibo. Sono preoccupato per te.”
Lei non rispose né si girò, mentre fuori continuava a piovere in maniera uggiosa e sottile.
Taro le si avvicinò adagio, e con una certa rassegnazione le carezzò la testa, posandole un bacio tra i capelli.
“Ti voglio bene. Quando vuoi parlare, sappi che sono sempre qui. Va bene? Il tè è sul tavolo.”
Era consapevole che non avrebbe avuto risposta, così lasciò la stanza chiudendo la porta alle sue spalle e poggiandovisi contro. Ripensò a come, in pochissimi giorni, fosse successo veramente di tutto, forse troppo, e a come ora, mentre sul Fuji l’eruzione continuava ad imperversare, fosse calata su di loro una sorta di strana stasi fatta di attese. L’attesa di ricevere una telefonata. Forse, solo allora, quando la voce di Sanae le avesse comunicato il ritrovamento del cadavere di Yuzo, Yoshiko avrebbe cominciato a farsene una ragione. Nel frattempo, come fratello non poteva fare altro che aspettare  e starle vicino. D’un tratto, la vibrazione del cellulare lo distolse dai suoi pensieri, assieme alle note della suoneria. Svelto mise mano alla tasca cavando l’oggetto con una certa ansia e fissando il display col fiato sospeso, ma lo rilasciò con un pesante sospiro quando capì che non erano le notizie tanto attese.
“Mamma?” rispose dopo qualche momento.
“Ciao, Taro.” la donna aveva la voce stanca e preoccupata, come ogni singolo giorno in cui telefonava per avere notizie. “Come stai?”
“Come sempre. La situazione non è cambiata.”
Yumiko parve capire senza che lui dovesse specificare. “Almeno ha cominciato a mangiare qualcosa?”
“Pilucca giusto il necessario.”
A Taro sembrò che sforzasse un sorriso per quanto non potesse vederla.
“E’ già qualcosa. Forse dovrei venire lì e-”
Ma lui la stroncò prima che potesse terminare. Sapeva già che la sua presenza non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose. “No, mamma. L’eruzione è ancora in atto e dicono che ne avrà per molto. Non muoverti da Sendai, per favore. Yoshiko non è da sola, qui, ci sono io, non preoccuparti. Penso io a lei.”
Stranamente per quanto fosse consapevole che avrebbe voluto impuntarsi come suo solito, Yumiko non insistette.
“Va bene, tesoro. Allora ti chiamerò più tardi o domani. Fammi sapere se ci sono novità, anche le più piccole. Per favore.” l’ultima richiesta gliela rivolse proprio come una supplica e Taro sorrise.
“Ma certo, mamma, sarai la prima a sapere.”
“Grazie.”
La conversazione morì così, dopo un rapido commiato. Il campione del Jubilo Iwata osservò il cellulare un’ultima volta prima di metterlo via. Sperava davvero di potergliele comunicare presto queste novità, ma sapeva che, comunque, non sarebbero state buone.

Il suono del cellulare di Taro, ovattato all’esterno della porta chiusa, le aveva fatto trattenere il respiro per un attimo talmente lungo che aveva creduto di morire. Il cuore, o ciò che ancora ne restava tra le macerie, aveva smesso di battere di colpo, lasciandola in uno stato d’ansia così doloroso da sentire lo stomaco implodere. Poi il nodo si era sciolto quando suo fratello aveva risposto e, no, non era la telefonata che da quattro giorni stava aspettando.
Quattro giorni in cui aveva sviluppato la fobia dei telefoni, quattro giorni in cui navigava come sospesa in una lenta e logorante agonia, consumata goccia su goccia ed il desiderio che non finisse mai per quanto atroce. Rompere quella sorta di equilibrio precario sarebbe stato come doversi risvegliare a tutti i costi; ammettere, convincersi, concretizzare, accettare ciò che era accaduto e prepararsi a dirgli addio per sempre.
Yuzo.
Quattro giorni in cui il suo nome era risuonato assieme alle grida e al rifluire dell’acqua. Quattro giorni che non aveva fatto altro che vedere fango, davanti ai suoi occhi, che lo stringeva tra le spire come una serpe, portandolo con sé.
Dove?
Chissà.
Yoshiko non sapeva se potesse esser capace di sopportare anche il pensiero di saperlo intrappolato in un muro di fango duro come cemento. A stento riusciva a comprendere come non fosse ancora crollata del tutto, come mantenesse una sorta di distaccata lucidità che la teneva seduta lì e immobile a guardare Iwata oltre i vetri e non vedendo altro che Nankatsu: la paura della gente, il fumo delle auto abbandonate, l’odore del Fuji. Le nubi basse, che stavano continuando a riversare pioggia sottile, avevano coperto la visuale e scorgere il vulcano non era possibile, ma Yoshiko riusciva a vederlo ugualmente attraverso quei ricordi troppo vividi che lo disegnavano senza difficoltà.
Ma pensandoci meglio, forse era già crollata perché non riusciva a fare altro che quello: osservare e rivivere istante per istante l’attimo in cui Yuzo le era stato trascinato via. Non parlava, non si muoveva, era un involucro, un guscio: le sarebbe bastato un solo tocco per rompersi del tutto e sapeva che sarebbe accaduto solo quando il telefono avesse squillato portando con sé la realtà.
Adesso capiva, e lo capiva davvero, cosa Yuzo aveva provato alla morte di Aiko, quando le sue mani non erano riuscite a tenere la presa, quando la sua debolezza gli era stata sbattuta in faccia, quando il senso di impotenza gli aveva urlato che niente, non avrebbe potuto fare niente per salvarla, quando tutto il suo corpo avrebbe voluto lanciarsi nel vuoto e morire assieme a lei.
Lo sapeva.
E, Dio, quanto era devastante.
Yuzo ci aveva messo quattro anni per riprendersi, rialzarsi e lasciarsi tutto alle spalle. E a lei, che erano passati solo quattro giorni, il concetto di ‘anni’ sembrò lungo un’eternità. Non sapeva nemmeno se avesse mai potuto riprendersi per davvero, perché non era così forte e perché non voleva accettare di non poterlo avere accanto mai più: di non poterlo vedere seduto al divano, pc sulle gambe e sigaretta tra le labbra, di non poter sentire la sua voce raccontarle aneddoti di avventure passate, di non poter avvertire il tocco delle mani, il calore del suo abbraccio, il suo profumo. Sforzava di recuperarne il ricordo, scavando nella mente come fosse anch’essa coperta dal fango, ma non vedeva altro che il suo ultimo sorriso sparire d’un tratto nell’acqua sporca.
Il labbro cominciò a tremare, mentre tutte le emozioni provate in quell’ultimo istante tornarono ad attraversarla come un’onda. Gli occhi umidi e Nankatsu che sembrava venisse investita da un nuovo lahar, ma Yoshiko si sforzò. Inghiottì le lacrime che non credeva d’avere ancora, trattenne il pianto e chiuse gli occhi, per distendere i tratti del viso che si erano contratti e tornare ad essere una maschera morta nell’attesa che il tempo passasse, e lo sapeva, lo sentiva come un formicolio sottopelle che, oramai, era in procinto di scadere.
Poi, il telefono di casa penetrò nel suo scudo di silenzio e Yoshiko tornò a trattenere il fiato.

Taro si era fermato a posare il vassoio in cucina prima di tornare nel salotto.
Nonostante la presenza di ospiti, la stanza era ugualmente silenziosa ed il clima teso.
Hanji Urabe restava seduto nella poltrona, le braccia conserte ed il dito che le tamburellava con nervosismo. Nel divano c’erano Azumi e Yukari, mentre Ryo restava in piedi presso il balcone con lo sguardo rivolto in direzione del Fuji. I coniugi Ishizaki avevano lasciato la prole a casa con la madre di Ryo, scampata al disastro solo perché si trovava ad Iwata da qualche giorno.
Come videro Taro comparire nel salotto, gli occupanti gli rivolsero meccanicamente lo sguardo.
“E allora?” chiese Azumi, ma la metà della storica Golden Combi scosse il capo, per indicare che non c’erano state reazioni di alcun genere e Yoko continuava a restare muta, sorda e immobile. Azumi insistette. “Ha almeno mangiato qualcosa?”
“Il piatto era tal quale come gliel’ho portato. Non ha toccato nulla.”
A quel punto la ragazza sospirò pesantemente.
Yukari si portò una mano al viso. “Così non va bene. Non sarebbe il caso di chiedere a Yayoi di provare a parlarle?”
Il giovane scosse il capo. “E’ stata proprio lei a dirmi di lasciarla tranquilla per questi primi giorni e non forzarla a confidarsi. Quando avranno… trovato Yuzo, allora, si vedrà. Dipende dalla sua reazione.”
“Sembra un enorme déjà-vu. Non avrei mai creduto di dover rivivere la stessa situazione della morte di Aiko.”
Ryo tornò a guardare l’esterno, serrando il pugno con rabbia. “Tutto questo è incredibile e a me non sembra ancora vero. In un colpo solo, il Fuji s’è portato via la nostra città e… e l’amico di una vita.” le labbra, curvate in una piega amara, restituirono l’espressione di un irriconoscibile Ishizaki. “Cristo! È assurdo!” ringhiò.
Yukari s’alzò adagio per raggiungere il marito. “Siamo miracolosamente riusciti a metterci in contatto con Kumi.” affermò, stringendo il pugno di Ryo. “Dice che Mamoru sembra un leone in gabbia perché non c’è modo di lasciare Yokohama: la cenere e i lapilli hanno bloccato completamente la città ed è stato fatto divieto di uscire dalle case.”
Urabe guardò Taro. “Novità da Sanae?”
I coniugi Ozora si trovavano a Shimizu City dove venivano trasportate le vittime recuperate nella zona Ovest del vulcano. Una fabbrica aveva messo a disposizione un enorme capannone dove la Protezione Civile aveva allestito il centro informazioni per i dispersi e le vittime. Restavano lì, assieme allo zio di Sanae e i coniugi Morisaki.
“Nessuna. L’ultima volta che l’ho sentita ha detto che era arrivato anche Genzo dalla Germania. Ci sono trasporti di corpi praticamente ogni giorno e nessuno ha idea di quanti ce ne siano ancora da trovare.”
“Come ha potuto farci questo?” riprese Ryo in un sussurro, continuando a guardare fuori, quasi che il Fuji fosse stata una persona vera che li aveva traditi, pugnalati alle spalle. “Mi ricordo ancora di quando, durante il World Youth, abbiamo raggiunto la vetta per vedere il sorgere del sole e augurare proprio a te, Taro, una pronta guarigione dall’infortunio.” l’aleggiare di un sorriso ironico e triste “Sembra passata un’eternità.”
Yukari appoggiò il mento sulla sua spalla, con gli occhi lucidi. A ripensarci ora, sì, sembrava avessero scalato un’altra montagna che purtroppo non esisteva più.
Poi, il telefono spezzò il silenzio che era nuovamente calato assieme all’attesa. Ciascuno di loro lo guardò senza dire una parola, fino a che Taro non si decise a prendere il cordless per rispondere e sapere, così, se tutto stava per cambiare.
“Sì, pronto?”
Gli sguardi fissi su di lui, la tensione palpabile e poi la conferma che l’attesa era finita.
“Ah, ciao Sanae.” riprese Taro ed il nervosismo trapelava nettamente dalle sue parole. “Novità?” un attimo di silenzio intercorse tra quella domanda e la sua frase successiva, durante la quale chinò il capo. “Capisco, l’hanno trovato.”
Ryo strinse i denti per celare la voglia che aveva di rompere qualcosa, Azumi e Yukari sospirarono rassegnate e Urabe si alzò in piedi per scaricare la tensione, quando qualcosa sembrò cambiare.
Taro sollevò il capo di scatto, sbottando quell’incredulo: “Cosa?!” che si attirò nuovamente gli sguardi degli altri presenti. “Dove?!” continuò “Sì, sì certo, arriviamo!” e chiuse la comunicazione fissando i presenti con la bocca semiaperta in un sorriso incredulo che gli distese adagio le labbra.
Azumi gli toccò il braccio. “Taro, che succede?”
L’interpellato continuò a sorridere, le sue espressioni che si succedevano velocemente sul volto ma il sorriso era sempre lì, sempre più largo.
“L’hanno trovato.” ma gli altri non sembravano comprendere la sua euforia fino a che non aggiunse quell’incredulo: “Vivo.” che lasciò muti i presenti.
Azumi si portò una mano alla bocca, mentre le si inumidivano gli occhi. Yukari lasciò il braccio di Ryo che fissava Taro con gli occhi spalancati.
“Cosa… cosa hai detto?” chiese, avanzando di qualche passo verso di lui.
“E’ vivo!” Taro era incredulo quanto loro, ma dentro di sé stava già rendendosi conto della realtà, quella che non avrebbe mai creduto possibile. “I-io non so come abbia fatto, ma Sanae ha detto che lo hanno trasportato all’ospedale di Shimizu e che… e che ha qualcosa di rotto, escoriazioni, ma… se la caverà. Se la caverà!” lo ribadì con un senso di sollievo che inumidì anche i suoi, di occhi, mentre Azumi gli stringeva la mano con forza, cercando ed ottenendo il suo sguardo.
“Devi dirlo subito a Yoshiko!” esclamò Yukari preda di un’euforica agitazione, supportata da Ryo anche lui su di giri.
“Sì! Noi andiamo a prendere la macchina! Vi aspettiamo giù. Andiamo, Hanji.” Ishizaki afferrò il cappotto e le chiavi in tutta fretta, seguito da Yukari e Urabe che non persero tempo. L’attimo dopo la porta si chiuse alle loro spalle.
“Credi sia un miracolo?” l’interrogò Azumi appena furono rimasti soli. Lo sguardo del giocatore del Jubilo di nuovo nel suo, sorridente.
“Non lo so, non so cosa credere, però… c’è sempre una prima volta.”
Lei ricambiò il suo sorriso, lasciandogli la mano.
“Va’ a dirlo a tua sorella; lei sta aspettando.” aspettava la conferma di una morte che aveva visto con i propri occhi, ma mentre Taro raggiungeva in rapidi passi la camera, di certo non poteva immaginare che ciò che era cominciato con gli intenti più drammatici avrebbe avuto la fine più lieta.

Era rimasta ad ascoltare il silenzio che aveva seguito lo squillare del telefono con lo stomaco distrutto, roso dall’ansia. Poi, la morsa aveva cominciato ad allentarsi nell’ennesima illusione che non fosse quella la telefonata che stava aspettando, ma quando aveva udito l’avvicinarsi svelto del passo di Taro, l’illusione si era infranta e lei aveva capito che l’attesa, atrocemente, era finita.
Finalmente, dopo un tempo che era sembrato lungo un’eternità, Yoshiko mosse il capo per guardare la porta. Da lì la realtà sarebbe entrata per ucciderla ancora con il colpo di grazia.
L’avrebbe perso per sempre… non voleva… oddio, non voleva. Non voleva sentire che non avrebbe potuto abbracciarlo mai più, non voleva sentire che l’avevano trovato, che non c’era più nulla da fare, che era finita, che l’avrebbero sepolto, che doveva cominciare a farsene una ragione.
Gli occhi punsero con violenza inaudita, sapeva che stava per esplodere, per urlare ancora come quando si trovava sul tetto e piangere nuove e più lacrime, ma le trattenne, stoicamente. Le serrò con tutte le sue forze mentre la porta s’apriva, prima adagio, introducendo la voce di Taro, poi con decisione. La figura di suo fratello comparve e si fece avanti. Frenesia nei gesti e nel volto, uno strano brillare nelle iridi scure, mentre la guardava con dolcezza, fermandosi al centro della stanza.
“Yoshiko…”
Ma lei non gli diede il tempo di finire che lo interruppe. Per la prima volta, dopo giorni di silenzio, risentì la propria voce. Ed era così vuota e fredda che non la riconobbe.
“Lo hanno trovato, non è così?”
Ancora quel brillio. “Sì.”
Yoko annuì, muovendosi adagio, quasi non avesse voluto separarsi da quella finestra. Il ‘sì’ di Taro che rimbombava nelle sue orecchie e nella testa che, invece, urlava quell’isterico: ‘No! No! No!’. Come un relitto che si trascinava per forza di inerzia, come una nave fantasma senza più una rotta da seguire ed un capitano a governarla, s’avvicinò alla sedia, accanto a suo fratello. Cercò sostegno nella spalliera.
“Sono pronta, andiamo.” anche se non era vero. “In quanto tempo raggiungeremo il centro di riconoscimento delle vittime?”
Ma le mani gentili di suo fratello la presero piano per le spalle e le fecero alzare lo sguardo con perplessità, anche se nulla trapelava dalla sua espressione.
“Non stiamo andando al centro.” disse il giovane con calma e lei non comprese. “Stiamo andando all’ospedale.”
Non capì, di nuovo. “Ospedale? Perché all’osp-” la frase rimase incompiuta, intrappolata nella bocca. Il brillio negli occhi di suo fratello che sembrava come parlarle, rispondendo alla sua confusione. Gli sguardi comunicarono tra loro la realtà delle cose, si sussurrarono il perché e le iridi di Yoshiko si fecero enormi, mentre la maschera apatica e distante si rompeva di schianto in due esatte metà.
L’incredulità, l’impossibilità, la paura anche solo di formulare l’ipotesi più desiderata nella mente scivolarono sulla sua mimica, facendo tremare le labbra e il corpo. Poi, il sorriso di Taro fu abbagliante nella sua bellezza e riconobbe, nel brillio dei suoi occhi, il sentimento della felicità. Le mani del fratello corsero dalle spalle fino al viso, tenendolo vicino al suo per poterlo osservare meglio.
“Non finirà come avevamo creduto, Yoko.”
E mai più dolci le parvero quelle parole e la consapevolezza che prendeva corpo, diveniva materia liquida come le lacrime che gravavano sugli occhi, forte come il dolore che fuggiva via e lento come il cuore che si ricomponeva, pezzo per pezzo, nel suo petto e ogni frammento ritornava al suo posto con quel sospirante ed incredulo: “E’ vivo.”
L’avrebbe avuto ancora accanto a sé.
- E’ vivo. -
Avrebbe avuto ancora il suo sorriso a scortare i suoi giorni.
- E’ vivo. -
Avrebbe avuto ancora le sue braccia a circondare il suo mondo.
- E’ vivo. -
Taro aggrottò le sopracciglia con affetto, nell’osservare quell’alternarsi di emozioni sul viso della sorella e l’abbracciò adagio, sussurrandole all’orecchio.
“Puoi piangere, se vuoi. Le lacrime di gioia non hanno mai fatto del male a nessuno.”
Lei ricambiò la stretta con una forza che lo fece sorridere. E mentre di lontano il Fuji continuava ad eruttare, Yoko pianse, ma d’amaro, ora, non v’era più nemmeno il ricordo.

Del tragitto per arrivare a Shimizu, Yoshiko non ricordava nulla se non che fosse troppo lungo. Lo sguardo fisso fuori dal finestrino e le mani a rimestare, tra nervosismo ed impazienza, la povera sciarpa.
Per l’ultima volta ancora, ma senza fare più male, davanti ai suoi occhi erano scivolati, assieme al panorama, i ricordi di ciò che si era succeduto quell’infausto giorno. Tutti gli eventi s’erano incastrati con una sequenza perfetta: dalla mattina in cui Yuzo l’aveva buttata giù dal letto, fino a quando non erano arrivati i soccorsi e l’elicottero li aveva prelevati per portarli al sicuro, lontano da quel luogo. Aveva rivissuto ogni momento per non dimenticare mai e per sentire con forza il senso di gioia inondarle il petto al pensiero che Yuzo fosse vivo; che il fango, così come l’aveva portato via, glielo aveva restituito.
Davanti a lei, Taro e Azumi avevano continuato a parlare ma lei non li aveva nemmeno sentiti. Nei suoi occhi aveva brillato solo il desiderio di rivederlo e nelle orecchie era riecheggiato solo il suono della sua voce che tornava a parlarle. Null’altro.
Quando la vettura si era fermata davanti all’ospedale, ogni pensiero si era interrotto lasciando che i rumori esterni tornassero a rifluire al suo udito, assieme al cuore che batteva impazzito.
Ora che tutto il gruppo stava entrando velocemente nell’edificio, capeggiato da Taro al telefono con Sanae che gli diceva dove andare, sentiva che ogni suo passo era dominato da una continua vertigine. Le scale che portavano al secondo piano, Yoko non le vide nemmeno e col cuore in gola, varcò la pesante porta assieme agli altri, scorgendo le figure note di Tsubasa, Genzo e Nastja. Sanae si fece loro incontro, abbracciando Azumi prima e poi Taro.
“Siete arrivati! Avete fatto presto.” disse con un largo sorriso sereno. Anche lei era stata terribilmente in ansia per le sorti del Prof, aveva già dovuto dire addio ad una cugina per colpa di un lahar, sapere che anche a Yuzo era toccata lo stesso destino le aveva spezzato il cuore, costringendola a piantonarsi a Shimizu in attesa che venisse ritrovato.
Nemmeno lei avrebbe mai sperato in un simile miracolo.
Quando vide Yoshiko, il sorriso le si fece ancora più ampio e luminoso, ma anche rassicurante. Yoko pensò che sapesse quello che c’era tra lei e Yuzo perché si premurò di dirle: “Non preoccuparti, presto starà bene.” dandole un affettuoso bacio sulla guancia. Poi la signora Ozora era stata monopolizzata da Ishizaki e gli altri e lei non era stata in grado di chiederle nulla.
Yoshiko continuava a spostare lo sguardo da Sanae a Taro e gli altri che seguitavano a parlare delle ferite, del ritrovamento, ma nessuno che le dicesse dove fosse, come potesse raggiungerlo. In quella cacofonia di voci e persone, scorse la squadra di Yuzo un po’ più distante, seduti nelle poltroncine di tessuto arancio, che richiamavano i colori dell’ospedale. Con un sorriso sgusciò via, praticamente non vista dagli altri troppo presi a discutere. Era felice di sapere che stessero tutti bene, Ricardo era addirittura divenuto una specie di eroe per ciò che era accaduto allo Stadio.
Fu proprio l’ispanico il primo a notarla, mentre veniva fuori dal gruppetto di calciatori, e, appena la vide, prese a sbracciarsi.
“Ragazzi, che gioia rivedervi!”
Rick sollevò furbescamente le sopracciglia. “Sei venuta a trovare il miracolato?!” ridacchiò.
Lei arrossì appena, spostando i capelli dietro l’orecchio. “Sì, ma non mi hanno ancora detto dov’è…”
Rita le strizzò l’occhio con complicità. “Il corridoio oltre quella porta.” le indicò col mento. “Ultima stanza sulla destra. È tutto tuo.”
Rick, accanto a lei, continuò. “Lo sai dove l’hanno trovato?” chiese, lasciando che l’interrogativo rimanesse sospeso per qualche altro attimo negli occhi nocciola di Yoshiko. Non aveva ancora avuto la lucidità necessaria per ascoltare la storia per filo e per segno e anche fino ad un attimo prima era stata come sorda alle parole di Sanae: tutta la sua attenzione era focalizzata solo a sapere in quale stanza fosse Yuzo e alla voglia di vederlo. “Dentro un Pick-up. E solo Dio sa come c’è finito.”
Yoko inarcò le sopracciglia con sorpresa, mentre Toshi continuava.
“Comunque sia avvenuto, è stata la sua salvezza: gli ha evitato il soffocamento a causa del fango e lo ha riparato dal freddo, impedendogli di congelare. L’ipotermia non era ancora moderata. Il mezzo era sommerso e accerchiato da altre vetture, tutte ammassate. Lo hanno protetto, come uno scudo.”
Yoshiko strinse i lembi della sciarpa con forza per sfogare la preoccupazione. “E… e come sta?”
“Un braccio rotto, qualche costola inclinata e contusioni varie.” elencò Rita con un sorriso. “Gli è andata di gran lusso.” ma Rick gonfiò il petto con ironia.
“Avrebbe dovuto prendere esempio dal sottoscritto, ammirate: eroe e senza neanche un graffio!” si gongolò, ma subito ricevette uno scappellotto da Rita.
Stevem’ scarz ‘a galletti, eh? Che affare aggio fatto.[1]
Ma stavolta, tra le risate divertite degli altri, Rick non si imbronciò, anzi, incrociò solennemente le braccia sostenendo con audacia lo sguardo della sismologa.
“Il migliore che ti potesse capitare, cariño.”
L’italiana scosse il capo senza aggiungere altro, ma levando nuovamente lo sguardo su di lei. “Non ascoltare certi deliri d’onnipotenza e raggiungi il tuo, di eroe. Sono sicura che ti sta aspettando.”
Negli sguardi degli altri membri della squadra, Yoshiko lesse lo stesso sostegno e complicità e lei annuì, facendo un breve inchino di ringraziamento prima di raggiungere in fretta la porta altre la quale il corridoio era costellato di camere. Mentre scompariva ai loro sguardi, non notata dal gruppo di calciatori e consorti immersi in discorsi riguardanti gli ultimi eventi, Hideki si passò la mano sul mento. La vistosa ingessatura alla gamba lo costringeva a tenerla dritta e a muoversi con la sedia a rotelle.
“Così, lei sarebbe la famosa ‘Occhi Belli’?”
Rick allargò le braccia, coprendo le spalliere delle sedie accanto alla sua, sulle labbra il sorriso sereno di chi ha la certezza che, incredibilmente, tutto è bene quel che finisce bene. “Proprio così.”
E anche Hideki sorrise con affetto, nel pensare che quella ragazza così giovane fosse la persona che aveva fatto tornare Yuzo ciò che era stato un tempo.
In tutta quella devastazione, qualcosa era riuscito a salvarsi; poteva esser un buon inizio da cui ripartire.

Scivolare oltre quella porta ebbe come l’effetto di farle lasciare alle spalle il resto del mondo.
Gli schiamazzi del chiacchiericcio vennero chiusi fuori il pesante uscio tagliafuoco, lasciando che si immergesse in un corridoio quieto e silenzioso. Dalle camere proveniva il sommesso brusio dei pazienti che parlavano con chi era andato a far loro visita, ma anche quel rumore si smorzava appena Yoshiko superava le porte aperte.
La giovane non si guardò attorno nemmeno per un attimo, ma puntò dritta il fondo. Rita aveva detto che Yuzo si trovava nell’ultima stanza sulla destra e lei continuò a camminare col cuore che sembrava volesse scapparle dal petto.
Nemmeno s’accorse che c’era un’altra persona, lì fuori, che restava ferma ad osservare il vetro che dava all’interno della camera con le mani in tasca. Yoshiko non vedeva nulla oltre al suo obiettivo, la meta, che diveniva lentamente, come se i suoi passi stessero susseguendosi a rallentatore, sempre più vicina. Adagio, e trattenendo il respiro per un attimo, fece capolino. Una tenda veneziana copriva il vetro, ma tra le maglie aperte lo vide.
Solo allora, nel preciso istante in cui i suoi occhi incrociarono finalmente la figura del Prof, il cuore rallentò quasi a fermarsi, diffondendo un caldo senso di tranquillità.
Yuzo dormiva. Gli occhi chiusi e il capo adagiato sui cuscini che gli tenevano sollevata la schiena. La fronte avvolta da una fasciatura ed un’altra era evidente sul collo. Il braccio destro era ingessato e lunghi tubi sottili attaccati a delle flebo si diramavano da quello sinistro. Le gambe erano nascoste sotto le coperte, mentre il petto s’alzava ed abbassava adagio nel quieto respirare.
Era vivo, si disse ancora Yoshiko, e tutto il resto, improvvisamente, non ebbe più importanza. L’imponenza dell’eruzione, la distruzione di Nankatsu, la fuga, la morte, la paura… niente contava più, solo che Yuzo era lì a pochi passi da lei, oltre quel vetro, ed era vivo. Presto avrebbe aperto gli occhi, le avrebbe sorriso, parlato. Tutto il resto era già ricordo.
Con le labbra che si distendevano senza che lei se ne rendesse conto e due lacrime silenziose che venivano giù, portò meccanicamente le mani al vetro, quasi avesse potuto toccare il giovane ed essergli più vicino.
Accanto a lei, l’uomo rimase tutto il tempo ad osservarla senza dire nulla, sulle prime, e poi sorridendo con una certa curiosità per quella strana ragazza che sembrava non avere occhi che per Yuzo. A quel pensiero, sembrò finalmente comprendere la sua identità, sorridendo con maggiore piacere e anche riconoscenza.
“Si era ripreso, prima, ora sta solo riposando un po’.” esordì in tono calmo.
Yoshiko non parve rendersi pienamente conto di non essere da sola, ancora immersa in una estatica contemplazione d’amore. Tuttavia rispose.
“Ah, sì?” a fatica staccò gli occhi dal Prof inquadrando l’uomo al suo fianco per qualche momento, prima di volgersi di nuovo. “Meglio così, dopo mi sente. Non penserà  mica di passarla liscia solo perché è in ospedale, vero? Sarò implacabile.” rise sottilmente e preparando già una sorta di ramanzina per dirgli quanto atroce fosse stata la sofferenza d’averlo creduto morto. Poi, d’improvviso, la bolla felice ed ovattata che le stava attorno esplose in un leggero ‘puff’ facendole realizzare che c’era una persona accanto a lei e non aveva la minima idea di chi fosse.
Di colpo raddrizzò la schiena, sgranando gli occhi, poi si volse mortificata allo sconosciuto signore di mezza età, profondendosi in una marea di inchini.
“Oh! Mi dispiace, la prego di perdonarmi, sono stata maleducata e non mi sono nemmeno presentata. Non volevo disturbarla, volevo solo accertarmi che Yuzo stesse bene. Sono desolata.” parlò praticamente a raffica, facendo ridere di gusto l’uomo.
“Ma no, ma no. Non c’è bisogno, stai tranquilla.” affermò, agitando una mano e quasi sentendosi più in imbarazzo di lei per la sua formalità.
Yoshiko lo guardò da sotto in su, cercando di sorridere e sentirsi a suo agio. Quell’uomo le sembrò avesse qualcosa di familiare, anche se non riuscì a capire chi vagamente le ricordasse.
“Tu devi essere Yoshiko, dico bene? Sanae mi ha parlato molto di te.”
“Sì, signore.” la ragazza si irrigidì ancora di più. Il fatto che la conoscesse, mentre lei ignorava chi fosse, le metteva un po’ di soggezione.
“Io sono Hiroshi Nakazawa, il padre di Aiko.”
In quel momento, Yoko ebbe l’immediato impulso di voler fuggire a gambe levate, trovandosi però inchiodata sul posto; la bocca leggermente aperta sull’espressione sorpresa ed il disagio che divenne di colpo schiacciante. In fondo, lei era la persona che aveva permesso a Yuzo di mettere da parte il ricordo della figlia per poter ricominciare e, per un attimo, si aspettò uno sguardo scrutatore. Invece il signor Hiroshi continuò a sorriderle in maniera affabile.
Lei si riscosse, stringendo forte la sciarpa.
“E’… è un piacere, signor Nakazawa, Yuzo mi ha raccontato di Aiko.”
L’uomo scosse il capo, sollevando lo sguardo al cielo, quasi con divertimento. “Non stento a crederlo. Dovrebbe imparare che non è carino parlare di un’altra donna quando si è in compagnia.”
Le strizzò l’occhio e Yoshiko si rilassò, rispondendo al suo sorriso. Poi, entrambi tornarono a fissare la figura oltre il vetro.
“Non è colpa sua, sono stata io a chiedergli di parlarmi di lei. Mi dispiace davvero per quello che le è successo.”
Hiroshi la guardò con comprensione. “Sai, all’inizio ho odiato il loro lavoro con tutto me stesso, poi ho capito che se anche mia figlia avesse potuto avere altre cento vite, avrebbe scelto la vulcanologia ancora e ancora. Così mi sono rassegnato, perché gli incidenti possono sempre capitare, anche se le loro conseguenze sono capaci di spezzarci il cuore.” sospirò “Ma Yuzo ne aveva fatta una questione personale, una colpa: Aiko era morta perché lui non l’aveva protetta abbastanza.”
“Lo so.” mormorò Yoshiko, le sopracciglia aggrottate nel ricordare il pomeriggio in cui lui si era confidato e quanto fosse stato difficile.
La mano di Hiroshi si poggiò sulla spalla, attirandosi il suo sguardo. Quello dell’uomo era lucido e commosso.
“Allora puoi capire quanto io ti sia grato per avergli ridato quella serenità che aveva perduto assieme a mia figlia. Yuzo è stato un figlio per me, gli sarò sempre molto affezionato, e proprio per questo io sono davvero felice che lui abbia incontrato te, Yoshiko, perché anche se forse non te ne renderai mai davvero conto: lo hai salvato. Grazie.”
Yoko arrossì a quelle parole che non si sarebbe mai aspettata di udire proprio dal padre della ex-moglie di Yuzo e seppero scaldarle il cuore per il sentimento d’affetto che le riuscirono a trasmettere. Con un po’ di imbarazzo sorrise ad Hiroshi, abbassando lo sguardo.
In quel momento il passo deciso e un’altra voce maschile arrivarono alle sue spalle.
“Dannazione, possibile che il caffè di questo ospedale faccia così schifo?! È imbevibile, per la miseria.”
La ragazza si volse, incrociando il profilo di un uomo ben più alto di lei. I capelli corti ormai quasi completamente grigi, la sigaretta spenta tra le labbra e le iridi scure, dall’espressione rassegnata. Capì all’istante chi fosse nemmeno lo conoscesse già. Si somigliavano moltissimo in determinati gesti o espressioni, ma soprattutto nel modo di tenere la sigaretta. Era inconfondibile e Yoshiko sbiancò e arrossì in una sequenza perfetta.
Hiroshi inarcò un sopracciglio, scuotendo il capo.
“Ti farà male tutto quel caffè.”
“Lo so, lo so. Ma è una scusa per appoggiarci una sigaretta. Sono tre ore che non fumo!” insistette il nuovo venuto, dando una rapida occhiata a Yoshiko, salvo poi tornare ad osservarla con una certa curiosità. Si rese conto che non era la moglie di uno degli amici calciatori di suo figlio. Adagio prese la cicca tra due dita, sorridendo alla giovane.
Fu l’ennesima conferma per Yoshiko, adesso sapeva anche da chi il vulcanologo aveva ereditato il sorriso, oltre al vizio del fumo.
“Noi non ci conosciamo.” esordì l’uomo e Yoko fece un inchino, mentre Hiroshi si occupava delle presentazioni.
“Keisuke, lei è la ragazza di cui mi ha parlato Sanae.”
Per un attimo, la sorella di Misaki maledì la linguaccia di Anego. Già che c’era avrebbe anche potuto mettere i manifesti, tanto ormai era chiaro che tutti sapessero di lei e del Prof.
“Yoshiko?” domandò l’uomo con entusiasmo.
“Piacere di conoscerla, signor Morisaki.” disse, alzando di nuovo lo sguardo sul padre di Yuzo che ora la osservava con una certa sorpresa. Yoko rimestò la sciarpa, esibendo un sorriso. “E’… è perché vi somigliate molto.”
Il sorriso di Keisuke si fece più ampio e gentile; negli occhi la luce serena di chi finalmente non ha più nulla di cui preoccuparsi. “Il piacere è mio. Ho sentito così tanto parlare di te, anche se speravo di conoscerti in un’occasione migliore.” rise, grattandosi il sopracciglio.
“Chi si accontenta gode, Keisuke.” scherzò Hiroshi, dandogli una pacca sulla spalla.
“Ah, ma io sono contentissimo! Però sarei ancora più contento se riuscissi a prendere questo caffè.” pungolò col gomito il braccio del padre di Aiko. “Senti, c’è un bar fuori dall’ospedale, ci facciamo un salto? Tanto mio figlio, adesso, è in buone mani.” concluse rivolgendo un sorriso complice a Yoshiko che ricambiò ed arrossì.
“D’accordo, d’accordo, andiamo.” sospirò Hiroshi, superando la sorella di Misaki e rivolgendole un’occhiata divertita. La ragazza li vide allontanarsi lentamente lungo il corridoio e sorrise felice perché erano davvero due persone meravigliose e lei si sentiva fortunata ad averle conosciute.
D’un tratto, il padre di Yuzo si volse.
“Ah, Yoshiko: se vuoi, puoi entrare nella camera.”
“Eh? Davvero?” lei sentì le guance andare a fuoco ed il cuore batterle più forte.
“Ma certo, mia cara. E qualora dovesse svegliarsi, potresti dirgli che siamo nei paraggi?”
Yoko si profuse in un inchino tra l’imbarazzatissimo ed il grato all’ennesima potenza. “Assolutamente.”
“Ti ringrazio.” insieme ad Hiroshi ripresero a camminare fino a scomparire oltre le pesanti porte.
Yoshiko rimase a fissarle ancora per qualche attimo, mentre si chiudevano, per poi tornare a volgere lentamente lo sguardo al vetro, mordendosi un labbro. Adesso erano solo loro due.
Adagio, quasi in punta di piedi, scivolò oltre la soglia, richiudendola alle sue spalle senza che facesse il minimo rumore. La luce esterna filtrava dalle tende chiare aperte solo da un lato, mentre l’asettico odore di medicinali ed ospedale era stemperato dai fiori che spuntavano da un vaso poggiato sul tavolino accanto alla finestra.
A mano a mano che si avvicinava, i graffi che Yuzo aveva sul viso, sul collo, sulle mani divenivano più nitidi, scuri del sangue rappreso e della medicazione. Poi il suo sguardo si addolcì, soffermandosi sulle palpebre chiuse e l’espressione di riposo.
Piano, Yoko si tolse il cappotto, prendendo posto nella sedia accanto al letto, gli occhi che non riuscivano a separarsi da lui e l’emozione guidava ogni gesto o respiro. Sollevò una mano, carezzandogli la pelle del viso e quel calore, ennesima riprova che fosse vivo, le inumidì gli occhi e glieli fece pungere, ma ricacciò indietro le lacrime perché non voleva che Yuzo la vedesse piagnucolare come al solito. La prima cosa che il giovane avrebbe visto di lei, sarebbe stato il sorriso, Yoshiko se lo impose con convinzione mentre faceva scivolare la mano su quella del Prof adagiata sul letto.
La carezzò, seguendo le linee delle dita con sguardo adorante, come se le vedesse per la prima volta. Poi la prese tra le sue, sentendosi rinascere a quel contatto.
“Ciao…” mormorò “…alla fine sei riuscito a trovare il modo per restartene a letto, eh? Che pigro che sei. Guarda che Rick ti ha superato ed è stato più eroe di te, ha protetto l’intero Stadio Ozora.” scherzò, senza interrompere le sue carezze e nel frattempo si domandava se riuscisse a sentire la sua voce. “Ho… ho conosciuto il padre di Aiko, qui fuori, sai? E… mi ha ringraziato per averti salvato, dice, ma io penso di non meritare una tale fiducia, in fondo, sei finito all’ospedale per colpa mia.” sospirò, il groppo sempre in gola e le iridi fisse sulla mano. “Tutti hanno continuato a ripetermi che non è così, ma io so benissimo di esserne responsabile.” Ci aveva pensato così tanto, in quei quattro giorni, ed ogni volta che il ricordo di ciò che era accaduto tornava a svolgersi nella sua mente, arrivava anche quella vocina che continuava a ripeterle: ‘Se tu l’avessi ascoltato. Se tu gli avessi dato retta.’. “Avevo creduto d’averti perso per sempre… è stato insopportabile. Ora so come ti sei sentito sul Ruiz, ma io sono stata fortunata e tu sei ancora con me.” deglutì con uno sforzo e poi si impose di sorridere, cambiando argomento. Se Yuzo poteva sentirla, non voleva certo caricarlo anche delle sue recriminazioni. Inclinò il capo di lato ed i capelli le scivolarono lungo il viso. “Ho conosciuto anche tuo padre! Vi somigliate tantissimo: ambedue caffenicotinomani di prima categoria, accidenti! E comunque è stato imbarazzante! Ma lo sai che quella linguacciuta di Sanae l’ha detto praticamente a tutti che noi-”
Interruppe la frase nell’attimo in cui sollevò lo sguardo e le sue iridi si specchiarono in quelle aperte e vigili di Yuzo. il sorriso gli distendeva piacevolmente le labbra, mentre l’ascoltava con attenzione chissà da quanto tempo. Le mani di Yoshiko interruppero le loro carezze come se la mente fosse incapace di fare altro oltre a fissarlo e riempirsi gli occhi della sua presenza, della consapevolezza che fosse sveglio e il suo sguardo fosse solo per lei.
Il resto scomparve di colpo. Tutto il dolore e la paura d’averlo perduto si sciolsero come un incantesimo spezzato, così come il nodo alla gola che divenne liquido e le riempì gli occhi, ma lei si era imposta di non piangere no? E allora doveva trattenere, trattenere fino allo stremo.
“Ciao, chiacchierona…” mormorò Yuzo, muovendo la mano che Yoshiko stava stringendo. Lei arricciò il naso con ironia, la voce tremante.
“Ah, ma senti il… il signorino. Prima te la prendi con comodo e poi mi… mi dici anche che sono una chiacchierona? Su, puoi fare di meglio.”
Yuzo continuò a sorriderle con amore, sfilò le dita da quelle di Yoko e le sollevò con una certa fatica, lentamente, per poterle toccare il viso, dalla pelle liscia.
“Mi sei mancata.”
A quel contatto e a quelle parole, la sorella di Misaki non fu più in grado di trattenere le lacrime che corsero via dagli occhi stretti.
“Anche tu… da morire…”
Yuzo l’attirò a sé, lasciando che poggiasse il viso nell’incavo del suo collo. Sentì la sua testa sussultare per i singhiozzi, mentre le carezzava i capelli. Ne inspirò il profumo come fosse l’unico ossigeno e godette della sua presenza sotto le dita. Aveva creduto che non avrebbe potuto stringerla mai più, ne era stato convinto, ma ora tutto era cambiato e l’incubo finito.
“Credevo… credevo…” singhiozzò Yoko tra le lacrime, le mani strette alla t-shirt “…che non mi avresti… sorriso… parlato… eri sparito nel fango… ed io… io non potevo fare niente…”
Shhh… sono qui.” tentò di rassicurarla “Mi dispiace, non volevo che tu assistessi ad una cosa simile, te lo giuro.”
La sentì scuotere il capo e separarsi da lui, senza smettere di guardarlo.
“Non sei tu a doverti scusare, sono io che non ti sono stata a sentire mettendoti in pericolo e-”
Le dita di Yuzo si poggiarono dolcemente sulle labbra. “Non è così. So cosa significa portarsi addosso il senso di colpa, non voglio che lo faccia anche tu. Io sto bene, non devi più pensare a quello che è successo. E poi io avrei fatto lo stesso se mi fossi trovato al tuo posto.”
Lei annuì adagio, lasciando un bacio leggero sulle sue dita. Poi, Yuzo inarcò un sopracciglio con ironia.
“Allora, cos’è ‘sta storia che Rick è più eroe di me? Sentiamo.”
Yoko rise, asciugandosi gli occhi. “Ha salvato tutta la gente chiusa nello Stadio di Nankatsu senza farsi nemmeno un graffio.”
Nah! Ma il vero eroe è quello che porta a casa le ferite di guerra!”
“Ah, beh, tu ne hai a bizzeffe: con quel bendaggio attorno alla fronte sei già pronto per fare Rambo.”
“Preferivo quando mi paragonavi ad Indiana Jones.”
“Suvvia, non ti scoraggiare, eroe in stand-by, potrai rifarti al tuo prossimo viaggio.” disse lei con solennità, ma Yuzo non rispose subito, restando ad osservare il suo sguardo luminoso. Era già da un po’ che ci stava pensando, da prima che la situazione precipitasse di colpo. A dire la verità, l’idea si era insinuata nella sua mente in maniera subdola, fingendosi solo un pensiero passeggero. Poi, a poco a poco, nell’intenso via vai delle mille cose da fare, si era fatta più concreta, reale, solida. Non avrebbe mai pensato che potesse dirlo sul serio, un giorno, ma era anche vero che non avrebbe mai pensato di innamorarsi ancora. Forse faceva tutto parte del pacchetto e, incredibilmente, capì che gli stava bene così e che non se lo sarebbe lasciato sfuggire per niente al mondo.
Con un sorriso, scosse il capo.
“No.” disse piano.
Yoshiko non capì. “No?” fece eco, la mano di Yuzo che cercava nuovamente la sua per intrecciarne le dita.
“No. Non ripartirò.”
La ragazza sgranò gli occhi. “Ma… è sempre stata la tua vita! I vulcani-”
“Ci sono anche qui, in Giappone. Non smetterò di occuparmene solo perché non andrò dall’altra parte del globo.” la interruppe Yuzo, in tono calmo. “Il fatto è che: quello scorrazzare per il mondo apparteneva a me e ad Aiko, insieme, e quando l’ho perduta ho continuato a viaggiare perché cercavo di lei, cercavo di far rivivere il suo ricordo in ogni vulcano che vedessi, in quel… continuo girovagare. Ma Aiko è morta e tutto quello che mi legava a lei è andato distrutto. La nostra casa, la nostra città, addirittura il Fuji. Di noi e di ciò che abbiamo vissuto conserverò sempre il ricordo, ma quel tempo è passato ed è ora di cominciarne un altro. Se è ancora disponibile, dovrebbe esserci una cattedra che mi aspetta all’Università di Tokyo. Non mi dispiace l'idea di condividere quello che ho imparato in questi anni perché anche gli altri possano amare i vulcani quanto li amo io.” sorrise ancora e Yoshiko non poteva credere che stesse dicendo sul serio, che le stesse dicendo che non sarebbe più andato via fino a che non concluse, sporgendosi verso di lei: “E poi… qui ho te. Non ho più niente da cercare.”
Lo fissò incredula, le mani strette in una presa calda e indissolubile. “Davvero?”
Mh-h.”
“Resti qui… con me?”
Ancora più vicino, i nasi che si sfioravano piano ed i respiri che divenivano il flusso di uno solo.
“Per tutto il tempo che vorrai.”
Le iridi lucide si nascosero dietro le palpebre per quell’ultimo sorriso che aleggiò sulle loro labbra, prima che si unissero in un bacio leggero e dolce, il primo della loro nuova vita che iniziava da lì, in quel preciso istante in cui tutto era davvero finito e tutto poteva finalmente ricominciare.

Sorprendimi
con baci che non conosco ogni notte.
Stupiscimi.
E se alle volte poi cado,
ti prego, sorreggimi, aiutami
a capire le cose del mondo
e parlami di più di te.
Io mi do a te, completamente.


Adesso andiamo nel vento
e riapriamo le ali.
C’è un volo molto speciale
non torna domani.
Respiro nel tuo respiro
e ti tengo le mani.
Qui non ci vede nessuno
siam troppo vicini
e troppo veri.


Sorprendimi e con carezze proibite,
dolcissime amami.
E se alle volte mi chiudo, ti prego,
capiscimi altro non c’è
che la voglia di crescere insieme.
Ascoltami, io mi do a te
e penso a te continuamente.

Adesso andiamo nel vento
e riapriamo le ali.
C’è un volo molto speciale
non torna domani.
Respiro nel tuo respiro
e ti tengo le mani.
Qui non ci vede nessuno
siam troppo vicini
e troppo veri.


Dai che torniamo nel vento
e riapriamo le ali.
C’è un volo molto speciale
non torna domani.
Respiro nel tuo respiro
e ti tengo le mani.
Qui non ci vede nessuno
siam troppo vicini
e troppo veri.


Sorprendimi
Sorprendimi
Sorprendimi


StadioSorprendimi
(cliccate sul link per ascoltare la canzone)

 


[1]“STEVEM… FATTO!”: “Stavamo scarsi a galletti, eh? Che affare che ho fatto.”


…E poi Bla, bla, bla…

Io mi domando spesso perché la gente non mi crede mai quando dico loro: “Fidatevi di me.” XD
“Huzi” non poteva finire male, sarebbe stato… troppo! I protagonisti hanno già sofferto abbastanza in questi ventieppassa capitoli per dar loro il colpo di grazia!
Eos, Kara: sto parlando con voi!!! XD Dovreste avere un po’ più di fiducia nella sottoscritta! *Mel gira la faccia offesa* (XD)
Kara, lo so che avresti preferito la morte di Yoshiko, lo so. Ma io le voglio bene e poi sono abituata a far morire Yuzo XD *MWAHAHAHAHAHAHA*

E così, questo è l’ultimo capitolo. La storia è finita, gli amici se ne vanno e resta solo l’epilogo che metterò su tra un paio di giorni, perché non mi va di farvi aspettare troppo per la conclusione.
Per quanto riguarda la sorte di Yuzo: sopravvivere ad un lahar così importante è difficile ma, ovviamente, non impossibile. Vedansi ad Armero, ne sopravvissero circa un migliaio. Addirittura una bambina di tredici anni è sopravvissuta per tre giorni intrappolata nel fango, con l’acqua che le arrivava alla gola, prima di morire, purtroppo. Yuzo è un po’ più grande di una bambina, non è bloccato, ma, anzi, resta chiuso e protetto in un luogo abbastanza riparato. Se i sedici del disastro aereo del 1972 sono sopravvissuti sulle Ande – dove fa un tantino più freddo che in Giappone – per la bellezza di DUE MESI, penso che quattro giorni sono fattibili senza tirarci le cuoia. XD E comunque, il fango è un isolante, quindi tende a proteggere dal freddo.
Se ve lo state domandando –  e se ci avete fatto caso XD – sì, Yuzo lo ritrovano dentro Dante **, distrutto, ormai da rottamare, ma è lui. ** Mi piaceva come idea, mi dava un senso di continuità, a modo suo.
T_T e ho messo anche l’ultima nota in dialetto di Rita, ma per i piagnucolamenti vari e saluti di commiato aspetto l’epilogo, giusto per godermi fino alla fine ogni attimo in cui resterò ancora con questa fic. :*

Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

Hikarisan: *OHOHOHOH* *Mel ride col vocione e le mani puntellate ai fianchi* XD Come puoi vedere, alla fine, ** si sono salvati tutti... tranne Nankatsu XD eh beh. Niente Tsubasa e Consorte, anche se Tsu ha comunque salvato qualcuno, anche se sottoforma di stadio da calcio *rotola via*.
*_* perché dici che è brutto vivere lontano da i vulcani? *_* Sono così belli! E poi, la pericolosità/esplosività dipende da tantissimi fattori. Non tutti sono pericolosi, anzi, XD per me anche quelli che sono capaci di menare all'aria volumi e volumi di materiale sono pacifici, perché la cosa bella di un vulcano è che: sai da dove può venire il pericolo, differentemente da un terremoto (certo, si conosce l'ubicazione delle faglie, ma è ugualmente tutto un altro paio di maniche, purtroppo).
Ti ringrazio tantissimo per tutte le belle parole e i complimenti che rivolgi sempre a questa storia, e per averla seguita così assiduamente e con tanta partecipazione. :*** Ne sono stata felicissima (XD e la storia d'ammmmore è andata a finire beeeene!)!
XD immagino che la reazione della mamma di Taro t'abbia shockato, ammettilo! Ormai è stata sconfitta ed ha imparato che comportarsi come una cozza attaccata allo scoglio non serva affatto. *ridacchia* Però non ho osato immaginare la sua reazione alla notizia dell'eruzione del Fuji... secondo me è svenuta, ma non diciamolo in giro XDDDD!!!
Grazie mille per tutto e ci risentiamo per i saluti finali che saranno in coda all'Epilogo. :****

Eos: Eos. Dico solo... Eos! XDDD
Allora, sentiamo, chi è la cattivasadicamaleficachesidiverteadammazzareYuzo, mh? *fischietta* *MWAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH*
Non so quanto ti aspettassi un lieto fine (so per certo che Kara non se lo aspettava proprio! PAUHAHAHAHAHAHA! KARAAAAA: *spernacchia*. Non sai quanto ho riso delle tue congetture e convinzioni che Yuzo fosse morto davvero XDDDDD), ma... eccolo qua! *blink* Lieto Finissimo un po' per tutti: per Yoko e Yuzo, per Rick e Rita (LOOOOOL! Se non la giravano a macchietta la dichiarazione non erano contenti!!!), per Kishu ed il resto della truppa.
:***** grazie, tessò, di tutti i complimenti che hai sempre rivolto a questa storia e per averla seguita, come detto ad Hikari, con assiduità ed affetto, grazie davvero. Strutturarla non è stato facilissimo per tutte le ricerche che ho dovuto fare, e molto probabilmente ci sono di sicuro degli errori qua e là, ma spero che, nel suo insieme, sia stato un buon lavoro. :****
Ci ritroviamo tra qualche giorno con l'Epilogo e i titoli di coda. :*****

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Capitolo 28
*** Epilogo - 28 anni dopo ***


Documento senza titolo

Huzi

- Epilogo: 28 anni dopo -

Il proiettore venne spento sull’ultima immagine: la pliniana del Fuji con i suoi ventisette chilometri di altezza.
L’attimo dopo, il ronzio delle persiane, che venivano nuovamente sollevate, accompagnò l’entrata della luce del sole all’interno della spaziosa aula dell’Università di Tokyo, assieme al piacevole odore dell’avvicinarsi dell’estate.
Il Prof fece lentamente il giro della cattedra per portarsi di fronte al gruppo di studenti che, freneticamente, terminava di scrivere gli ultimi appunti. Con comodo si appoggiò di spalle alla scrivania, incrociando le braccia al petto.
I corti capelli, che all’epoca delle immagini appena trasmesse erano stati perfettamente scuri, mostravano ora un incalcolabile numero di ‘fratelli di Paco’, il suo primo e famoso capello bianco. Qualcuno più scuro, ancora, cercava stoicamente di sopravvivere, ma a cinquantotto anni la sua brizzolatura era divenuta perfetta.
“Allora” esordì “chi sa dirmi qual è stato il volume di tefra emesso dall’eruzione del Fuji del 2006?” poi puntò il dito verso l’ultima fila e osservò lo studente prescelto da sopra gli occhiali da vista. “Takahashi?”
Il ragazzo tribolò, cincischiando con la penna. “1 km3?”
Yuzo nicchiò. “Uno… chi offre di più?”
La mano di Fujimori si levò dal primo banco. “1,3 km3!”
“1,57 km3!”
“2,3 km3!”
“3,4 km3!” proclamò solennemente Aikawa, alzandosi addirittura in piedi, lui, che si trovava nell’angolo più a sinistra dell’aula.
Yuzo lo indicò. “3,4! Nessun altro? 3,4 e uno! 3,4 e due!... 3,4 e tre! Aggiudicato a Ryo Aikawa!” e le risate corsero tra i vari studenti per quell’asta improvvisata, mentre lui scuoteva il capo nonostante fosse divertito. “Signori, non dovete dare i numeri. Ma dovete stu-dia-re!”. Adagio sfilò gli occhiali, ripiegandoli con cura ed infilandoli nel taschino della giacca. “Per oggi direi che abbiamo finito.”
Un brusio liberatorio si levò tra i banchi, ma Aikawa aveva ancora qualcosa da chiedere, e fermò Yuzo mentre stava riponendo il portatile nella borsa.
“Prof, senta…” esordì, sporgendosi un po’ sul banco, affiancato da Kikuchi e Sakamoto meglio conosciuti come ‘i tre lapilli’ – e non è difficile immaginare come, invece, fossero peggio conosciuti. Il brusio calò di tono, divenendo interessato. “…gira una strana leggenda metropolitana.” continuò, sfregandosi le mani; il cappellino da baseball che veniva fatto ruotare lentamente, portando indietro la visiera.
“Addirittura?”
“Si dice che lei sia sopravvissuto ad uno dei famosi lahar del 2006. Per quattro giorni.” scandì adagio Aikawa, sottintendendo la domanda: ‘è vero?’.
Yuzo si portò una mano al mento, pensieroso. “Cosa vi ho sempre detto dei lahar?”
“Che c’è tra il novanta e il novantacinque per cento di mortalità.”
“Esatto.”
“E quindi? Resta un 5-10 per cento di sopravvivenza, no?”
“Sì. La matematica non è ancora diventata un’opinione.” che diceva tutto e non diceva niente. Yuzo lo sapeva bene e si divertiva da matti. “Ma le leggende metropolitane sono belle per il loro mistero e le domande senza risposta. Se poi vengono svelate, che leggende metropolitane sono?”
E Aikawa comprese che non avrebbe saputo altro da lui, ma sorrise pieno di soddisfazione perché, nel suo non dire, aveva capito quale fosse la verità.
Anche Yuzo ridacchiò, dando loro la benedizione. “Andate in pace, ci vediamo Venerdì e faremo un bel test!”
Il coro di dissensi fu unanime e quasi supplichevole, ma lui era sordo e implacabile.
“Oh, sì! Test! Test, test, test! Quindi incollate la faccia ai libri!” e lasciò l’aula tra i saluti e le risate dei suoi studenti di Principi Fisici delle Eruzioni Vulcaniche.
Una volta fuori, camminò a passo svelto nel via vai dei corridoi dell’Università, dando una rapida occhiata all’orologio. Quello era un giorno importante e lui era addirittura in anticipo. Meglio così, avrebbe fatto le cose con calma. Cavò dalla tasca le chiavi del Pick-up appena sbucò nel cortile. L’enorme ed ingombrante Mitsubishi sembrava una nave da crociera rispetto ai motorini e le piccole utilitarie dei suoi colleghi. Ma lui e Yoshiko erano andati in concessionaria con le idee ben precise. L’avevano scelto verde, come la speranza che non muore mai anche quando tutto sembra perduto, e per spirito di continuità gli avevano fatto aerografare la piccola scritta ‘Vergil’ sul fianco.
Dante era morto, sepolto da una massiccia coltre di relitti, ed ora toccava a Virgilio essere il nuovo compagno d’avventure e fino a quel momento stava svolgendo perfettamente il suo compito.
Yuzo salì sul mezzo, posando la borsa sul sedile posteriore ed infilando l’auricolare. Non fece nemmeno in tempo a mettere in moto che il cellulare squillò.
“Rick, il tuo tempismo ha dell’incredibile.” sospirò il Prof.
“Lo prendo come un complimento. Dove sei?”
“Devo uscire dal parcheggio dell’Università.”
“Ti sei ricordato che oggi hai la riunione col Primo Ministro Kishu, il Prefetto Hiromu e gli altri colletti bianchi per la questione del Sakura-jima?”
“E tu ti sei ricordato che io ho preso questo pomeriggio libero da almeno un mese?”
“Ma… non puoi silurarli! Sei il Direttore del VRC, lo sai bene che Kishu non muove un passo su queste cose se prima non ne ha parlato con te.”
Certo che lo sapeva; da che era stato eletto Primo Ministro, Tatsuya Kishu era divenuto attentissimo a quelli che erano i pericoli offerti dalla terra e dal cielo: i terremoti, i vulcani, il dissesto idrogeologico, i tifoni. Il Giappone non era mai stato tanto sicuro come adesso. Aveva visto giusto, tanti anni fa, e colui che si era dimostrato solo un cinico arrivista aveva saputo imparare da i propri errori.
“Lo so, per questo ci andrai tu. Che diavolo: sei o non sei il mio Vice?”
“Ma io odio parlare con i colletti bianchi!”
“So anche questo, non ti faccio mica andare allo sbaraglio! Trovi una relazione sulla scrivania, nel mio ufficio. Fatti accompagnare da Toshi e divertitevi!”
“Non sfottere! A volte mi ricordi il burbero e non è un complimento.”
Yuzo rise, con un po’ di malinconia. “Certo che mi mancano i suoi: ‘ragazzo, tentare di ragionare con te è come parlare ad un mulo sordo!’.” perché Hideki Yoshikawa, capo dell’ormai storico Osservatorio di Nankatsu, era morto felicemente cinque anni prima, sull’amata spiaggia di Okinawa dove si era trasferito subito dopo essere andato in pensione.
“Guarda, non avrei mai immaginato di dirlo, un giorno, ma: cazzo!, se hai ragione. Ne parlavamo anche con Rita, la scorsa settimana. E, a tal proposito e in onore dei vecchi tempi, pensavamo di organizzare una cena per rimpatriare tutta la squadra, appena Hisui torna in Giappone. Ah, parlando di Meteo-man: lo hai sentito?” ed il fatto che Rick stesse sghignazzando non gli preannunciò nulla di buono.
“No, se è per questo non ho sentito nemmeno mio figlio. Credo che lo darò per disperso.”
“Oh, tranquillo papito: ho parlato col mio, stanno benone, anche se credo che a qualcuno verrà un esaurimento nervoso.”
“Un nome a caso: Hisui?”
La risata di Ricardo fu così forte che Yuzo pensò l’avessero sentita in tutto il VRC.
“Io e Toshi ci siamo letteralmente ammazzati dalle risate, poverino, lo faranno diventare matto.”
“Ma è tornato a fare il meteorologo, dovrebbe essere contento.”
“Sì, ma nessuno capirà mai che lui vorrebbe un lavoro di scrivania o occuparsi delle previsioni in TV!”
Yuzo rise. “Nah! È troppo vecchio per fare il ‘Signorino Meteo!”
“Non se ne farà mai una ragione. Comunque, allora è deciso! Appena il lamentone rientra, si fa grigliata da me e Rita. Ah! Ti ho detto che sono mesi che continua a ripetere che le manca il vecchio lavoro all’Osservatorio e che all’ERI si annoia?!”
“Ma se praticamente è come se comandasse lei là dentro!”
“Lo so! La conosci, no? Se non si lamenta di qualcosa…”
“…si annoia.”
“Ecco. Ieri è tornata a casa felice come una Pasqua mostrandomi due biglietti per l’Etiopia per andare a vedere l’Erta Ale e il Dallol. Il Dallol, capisci?! Il Dallol! 60°C all’ombra inesistente!” poi Rick sospirò rassegnato, facendo scoppiare a ridere il Prof. “Amo quella donna.”
“Ci sono stato sette anni fa con Yoko, fidati, ne vale la pena.”
“Lo so che ne vale la pena, per questo si è impuntata che doveva andarci!”
“Allora ti posso già consigliare di fare scorta di crema solare e cappelli. Dio solo sa quanto ne avrai bisogno. Adesso però ti saluto, devo scappare.”
“Ok, capo, almeno tu divertiti e… auguri!”
Yuzo sorrise, accendendo il motore, pronto per fare manovra. “Grazie, Rick, ci vediamo domani al VRC.”
E la comunicazione venne chiusa, mentre si allontanava dal parcheggio per scivolare nel traffico cittadino. Aveva ancora una cosa da fare prima di passare a prendere Yoshiko e non voleva correre il rischio di trovare il negozio chiuso. Così, s’accodò alla fiumana di auto che, veloci, correvano per le strade di una Tokyo risorta dalle ceneri e dai lapilli non solo dell’eruzione del 2006, ma anche di tutte quelle successive, seppur molto meno intense. Ogni volta, la città veniva ripulita dai materiali piroclastici, ma se si andava un po’ più lontano, verso le campagne, era ancora possibile trovare degli affioramenti; ricordo di ciò che era stato e che non doveva mai essere dimenticato e Yuzo era convinto che nessuno avrebbe potuto rimuoverlo, lì come in tutto il Giappone, ed era giusto così.

“Adagio… adagio… è un ‘Misaki’ quello, volete fare più attenzione?”
Yoshiko sospirò con una certa rassegnazione, mentre seguiva, senza perderli d’occhio un momento, gli addetti che stavano sistemando l’ultimo, meraviglioso quadro lasciato da Ichiro Misaki: il Monte Fuji sovrastato dalla sua immensa e terribile nube nera.
Il Soffio del Dragone, si intitolava, ed ora occupava tutta la parete della enorme sala che Yoshiko aveva fortemente voluto e ottenuto all’interno del Museo Internazionale di Tokyo.
Osservò la maestosità delle dimensioni, la forza dei colori e la crudezza delle ombre con un sorriso deliziato e timoroso al contempo. Lei, che aveva vissuto la devastante eruzione del 2006, riusciva a rivederla attraverso quelle decise pennellate che sapevano metterle i brividi e lasciarla in contemplazione di ogni minimo particolare.
Poi, il cellulare cominciò a vibrare nella mano che teneva appoggiata sotto al mento, distogliendola dalla sua ammirazione estatica.
“Sì, pronto?” rispose senza nemmeno guardare il display.
“Direttrice!” esordì una voce femminile all’altro capo, caricandosi di una pesante vena ironica. “Oggi è il suo giorno fortunato! Vorremmo proporle l’allestimento di una mostra che non può assolutamente rifiutare! Le meravigliose opere della più grande artista contemporanea giapponese del secolo!”
Yoko ridacchiò, prestandosi al gioco. “Mi dispiace, ma nel Museo Internationale esponiamo solo i lavori di artisti morti.”
“Che diavolo! Dovrò addirittura crepare prima di vedere appeso un mio quadro lì dentro?!” e tutte e due scoppiarono a ridere sonoramente.
“Sa-chan!”
“Yoko!”
Si misero a squittire all’unisono come se fossero improvvisamente tornate indietro di trent’anni, attirandosi gli sguardi un po’ perplessi degli addetti ai lavori e dell’assistente di Yoshiko, che cercò di non ridere, tirando su gli occhiali.
“Come stai, Saya? E’ da tanto che non ci sentiamo.” almeno tre mesi, Yoko se ne rese conto in quel momento, facendo un attimo mente locale. Ma la sua amica di sempre era ormai divenuta un’artista irrintracciabile e perennemente in giro per il mondo, alla ricerca di nuova ispirazione. Su questo, le ricordava moltissimo il padre di Taro e, chissà, magari anche lei, un giorno, avrebbe avuto una sala tutta sua proprio in quel Museo.
“Lo so, tesoro, per questo ti ho chiamato! Ho finalmente strappato cinque minuti alla mia arte per sentire una voce amica.”
“Oh, che cara!” ridacchiò Yoshiko “Da dove mi stai chiamando?”
“Sono ancora a Londra, ma ci resterò poco. Io e Michael abbiamo un sacco di altri posti da vedere, pensavamo di spostarci in Nepal per un po’. Lui con le sue foto ed io con i miei quadri daremo una nuova immagine del mondo!”
“Come al solito, progetti in grande.”
“Vedrai che ci riuscirò, ma dovete fare un salto qui in Inghilterra prima che ripartiamo! Ti preeeeeego! Abbiamo così tanto di cui spettegolare! Lo sai da quanto tempo è che non lo faccio?!”
La donna sorrise con affetto, anche se Saya non poteva vederla. In tutti quegli anni non era cambiata di una virgola: era la solita matta e chiacchierona di sempre, e le voleva bene per questo.
“D’accordo, vedrò di parlarne a Yuzo e di organizzare il nostro piano di evasione dal Giappone per raggiungervi.”
“Sìììì!” squittì l’altra piena di entusiasmo “Allora devi assolutamente farmi sapere quando, e guarda che ci conto! Altrimenti vi toccherà venire in Nepal e credo che Yuzo si annoierebbe: non ci sono vulcani, che io sappia!”
Yoshiko le fece il verso. “Non temere, riesce sempre a trovare qualcosa ovunque si trovi! E comunque potresti anche venire tu in Giappone, qualche volta! Non fare la snob!”
“Hai ragione, dovrei tornarci. Ti immagini che Apocalisse: io, te e le Tre Grazie tutte insieme?!”
“E chi vi fermerebbe più! Mettereste su il Circolo delle Vecchie Comari!”
Saya rise divertita, cercando comunque di non fare troppo rumore, a Londra era notte fonda e suo marito, in teoria, era andato a dormire. “E di te che mi racconti? Come procede nel tuo ‘covo di tesori’?”
“Benissimo, abbiamo quasi finito l’allestimento della Sala Misaki.”
“Oh! Alla fine ce l’hai fatta!”
Yoshiko si inorgoglì un po’, girando lentamente su sé stessa per poter osservare le opere esposte che non attendevano altro di essere finalmente mostrate al pubblico per poter essere ammirate da tutti. “Certo che sì! Non avrei mai gettato la spugna! Contro Kounellis, poi! Ah! Il Ministro Chiba era convinto di dover allestire la discarica cittadina!”
“Yoko! Sei perfida!”
“Beh, dammi torto! Ichiro Misaki è davvero uno degli artisti contemporanei migliori del Giappone e gli andava reso il giusto riconoscimento.”
L’altra annuì con vigore. “E’ così che ti vogliamo, Direttrice!”
“Scema, non cambierai mai.”
“E per fortuna! Mi ci vedresti diversa?! Ora ti saluto, tesoro, è meglio se filo a letto prima che Michael si alzi e mi venga a tirar via per i capelli.”
A giudicare da come rideva e parlava, non avrebbe avuto dubbi che suo marito avesse potuto farlo sul serio, almeno per riuscire a dormire in pace.
“D’accordo, allora ti faccio sapere quando verremo. Saluta Mike.”
“Contaci e tu saluta The Lord of the Volcanoes! Ti abbraccio forte!”
Yoshiko chiuse con ancora il sorriso sulle labbra. Nonostante fossero passati anni, Saya continuava sempre a trovare qualche nomignolo nuovo da affibbiare a Yuzo, proprio come quando erano ancora all’Università. Annuendo soddisfatta mise via il cellulare e diede un’ultima occhiata ai lavori prima di guardare l’ora.
“Oh, accidenti! Sonoko…”
L’assistente in tailleur blu, coda di cavallo e occhiali sottili si fece avanti prontamente tenendo a portata di mano la cartellina con gli appunti.
“Sì, Direttrice?”
“Io devo scappare e sono già in ritardo. Qualora dovesse nuovamente telefonare il Ministro Chiba potresti dirgli, testuali parole: ‘L’Ala Contemporanea del Museo Internazionale di Tokyo non ospiterà mai accozzaglie di metallo, scatolette piene di merda e tantomeno animali, siano essi vivi o morti’? Grazie!”
La ragazza annuì, trattenendo una risatina. “Sarà fatto, Direttrice Morisaki e auguri di buon anniversario.”
Yoko le poggiò la mano sulla spalla con complicità. “Grazie, mia cara. Sei insostituibile.”
L’attimo dopo, il ticchettare deciso dei suoi tacchi risuonò per tutta la sala, accompagnandola fino all’uscita. Svelta raggiunse il suo ufficio, recuperando il soprabito, la borsa ed il cestino da pic-nic che aveva messo in fresco all’interno del piccolo frigo che aveva nella stanza. Diede un’ultima sistemata alle carte presenti sulla scrivania, che l’avrebbero attesa con impazienza il giorno successivo, quando di nuovo il lavoro avrebbe assorbito buona parte delle sue giornate, ma quel pomeriggio era solo suo e di Yuzo. Lo sguardo le cadde sulla foto che aveva sulla scrivania, ed un sorriso di moglie e madre le distese le labbra nel vedere i suoi uomini. Quella gliel’aveva scattata Michael, un giorno di svariati anni prima. In bianco e nero, Yuzo e suo figlio contemplavano con lo sguardo critico e curioso degli scienziati una piccola roccia. Erano fatti così e nella Terra avevano tracciato la loro vita, anche se Hirotaka l’aveva fatto a modo suo con buona pace di entrambi. Non sapeva quale dei due fosse più matto, ma aveva smesso di chiederselo anni prima ed in fondo li amava anche per questo.
Scuotendo il capo, sistemò meglio la cornice e lasciò l’ufficio, chiudendo la porta alle sue spalle.
Mentre camminava con decisione per i corridoi del Museo, si attirò le occhiate indagatrici dei visitatori che la osservavano andare in giro con quel cesto, ma lei non li notò nemmeno ed uscì dall’edificio, lasciandosi avvolgere dai piacevoli e caldi raggi di Maggio. Distogliendo completamente lo sguardo dalla strada, Yoshiko si mise a frugare nella borsa alla ricerca delle chiavi della macchina quando un enorme mazzo di fiori le si parò davanti.
“Oh.”
“Ciao.”
Parlarono quel tripudio di orchidee rosse e rose bianche, prima che una testa facesse capolino dietro di loro.
Il sorriso tornò ad illuminarle gli occhi ed i tratti maturi del viso, su cui il tempo aveva già cominciato a lasciare il suo segno.
“Yuzo, che fai qui? Non dovevamo vederci a casa di tua madre?”
Lui si strinse nelle spalle, i primi bottoni della camicia aperti, la cravatta eclissata chissà dove e la giacca messa via; le maniche arrotolate fino ai gomiti. Nemmeno sembrava un professore universitario, a dire il vero, non sembrava nemmeno il Direttore di un centro di ricerca.
“Sorpresa.” disse solo, sorridendole e porgendole i fiori profumati e dalle corolle meravigliosamente aperte. Bianco e rosso, neve e lava, proprio come le loro fedi che brillavano lucenti sotto il sole, mentre lei prendeva il dono dalle sue mani: una fascia d’oro bianco avvolta da un filo d’oro rosso; l’essenza dell’uno legata al futuro dell’altra.
Yoshiko inspirò la fragranza delicata delle orchidee. “Sono bellissimi, grazie.”
“Sei tu ad essere bellissima.” le disse, carezzandole il viso e sistemandole una ciocca di capelli, castani e d’argento, sfuggita alla crocchia con cui li teneva legati. “Auguri.”
Lei inclinò leggermente il capo, guardandolo da sotto in su con aria furba. “Ma ce li siamo già fatti questa mattina.”
“Ma la giornata non è ancora finita.” le fece notare Yuzo, baciandole la fronte e stringendola con affetto.
“Questo è vero. Auguri anche a te, tesoro.” si lasciò coccolare dal suo abbraccio, come aveva sempre fatto da quando l’aveva conosciuto, e dalla stretta che, nel passare del tempo, non aveva perso quell’aura di sicurezza e protezione che aveva sempre saputo infonderle, facendola sentire protetta ovunque fosse stata. Ora che i pericoli erano davvero solo un ricordo lontano e che l’attività del Fuji era un qualcosa di monitorato fin nei minimi dettagli, poteva godersi quei gesti d’amore senza più alcuna preoccupazione. “Andiamo? Ma prima dovremmo passare da casa per posare la mia macchina.”
“Lasciala pure qui, la veniamo a riprendere stasera.” suggerì Yuzo, dandole un altro bacio, ma l’espressione di Yoko, che la diceva praticamente lunghissima, lo lasciò interdetto e preoccupato.
“Va bene, però…” la donna allungò la mano “…guido io!”
E il Prof non poté fare altro che capitolare davanti alla sua richiesta. Scuotendo il capo con un sorriso, mise mano alla tasca tirando fuori le chiavi del Pick-up. Yoshiko gliele sfilò, ridacchiando come una bambina a cui avevano dato una golosissima caramella.
“Grazie!” disse, lasciandogli in cambio i fiori, il soprabito e il cestino per poi raggiungere a passo svelto il mezzo. “Ciao, Vergil! Oggi ti guida la mamma!”
Yuzo la osservò, con ironia ed un sopracciglio inarcato. “Non mi sembra uno scambio molto equo.” ma lei aveva già preso posto al lato guidatore, togliendosi le fastidiose scarpe col tacco che aveva praticamente lanciato sul sedile posteriore.
“Tesoro, nulla è equo, nella vita!” poi si appoggiò col gomito fuori dal finestrino, scoccandogli un’occhiata ammaliatrice. “Forza, salta su, giovanotto!”
Yuzo alzò lo sguardo al cielo con divertita rassegnazione.

Il panorama scivolava attorno a loro lungo l’autostrada che percorreva il perimetro del Fuji, passando per il Monte Hakone e il Monte Ashitaka. Si riusciva ad intravvedere, sulla sinistra, il filo di mare brillare come una striscia d’oro sotto i raggi del sole che pigramente migrava verso il tramonto.
Il chiarore del Fuji diveniva invece sempre più potente e magico, stranamente quieto pur col suo pennacchio bianco e grigio che, pacifico, si levava dalla sommità ribassata di circa trecento metri dopo gli eventi del 2006 e successivi. Ora sembrava un Dragone ammaestrato, ripiegato su sé stesso e sbuffante più per tedio che per ira.
Certo, continuava a fare paura soprattutto in chi aveva vissuto gli eventi del suo violento risveglio, ma come ogni pericolo, il suo eco si era spento con gli anni, tramutando in abitudine ciò che un tempo era stata anomalia. Adesso si manteneva costantemente attivo, calando periodicamente e poi, altrettanto periodicamente, tornando a tuonare con fumo e sbuffi neri che non arrivavano a quattro chilometri di quota oppure lasciando scivolare lingue di lava su i suoi versanti, bella da vedere e per nulla pericolosa. Solo i lahar continuavano ad essere la minaccia immutabile, ma il Primo Ministro di allora aveva fatto costruire, su progetto di Tatsuya Kishu,  il più imponente sistema di dighe SABO che il Giappone avesse mai visto, e seppure con le piogge e i momenti di vivace attività i mudflow tornavano a rombare dalla montagna, venivano trattenuti, deviati, incanalati e fatti sfociare dove non avrebbero potuto più fare del male.
Yuzo osservò, correndo con lo sguardo, la linea sempre dolce del pendio inconfondibile della Montagna Sacra, rimasta tale, nonostante tutto, per poi focalizzarsi su qualcosa di più interessante. Il gomito poggiato sul bordo chiuso del finestrino, l’altro braccio disteso a carezzare la linea del collo di Yoshiko che continuava a guidare scalza e a suo agio il possente Vergil. La giacca dell’elegante tailleur era finita assieme all’altra roba sul sedile posteriore mentre i lembi del foulard, che le fasciava la gola, svolazzavano alla corrente che entrava dal finestrino. Lui sorrise, pensando a come il tempo non sembrasse toccare la giovinezza del suo sguardo sempre limpido e vivace, così come lo aveva conosciuto. Come ogni storia d’amore che si rispetti, il loro inizio era stato segnato da ostacoli e tribolazioni, ma ormai questi erano solo un ricordo da tirare fuori di tanto in tanto e sorridere di come non facesse più male. Le sue dita salirono fino allo spillone che le teneva fermi i capelli, tirandolo via adagio.
“Ehi!” rise Yoshiko, lanciandogli una fugace occhiata prima di tornare a guardare la strada. “Che fai? Così mi distrai, non essere dispettoso!” ma lui si divertiva a vederla ridere e a seguire lo scivolare dei crini lunghi e mossi dal vento.
“Tanto ormai siamo quasi arrivati.” si difese Yuzo, mentre la Baia di Suruga era nitida e calma sull’altro lato dell’autostrada.
Come ogni anno, avevano quasi raggiunto la loro meta. Era diventato una specie di rituale ad ogni anniversario di matrimonio, un ritornare alle origini, all’inizio di tutto, per non dimenticare da dove ambedue avevano mosso i primi passi, chi perché vi era nato e chi perché da lì aveva cominciato il cammino verso l’indipendenza. Entrambi si erano ritrovati, in quelle strade che ora non c’erano più, avevano sognato, avevano amato e, sì, avevano anche sofferto, ma la roccia non era destinata a rimanere tale e solitaria per sempre: se la terra aveva ancora vita dentro di sé, dal fango, tra i sassi e blocchi di cemento sapeva comunque crescere qualcosa. E dalla lava rappresa di un vulcano, da i suoi cristalli e vetro trasformati in tefra, da i suoi gas e lahar la vita rinasceva. Sempre. Così, mentre arrivavano sulla collinetta dalla quale tanto tempo prima un bambino aveva lanciato una sfida scritta su un pallone da calcio, potevano già scorgere ciò che restava della vecchia Nankatsu.
Yoshiko parcheggiò Vergil col muso rivolto in senso contrario al belvedere, e scese dal mezzo senza nemmeno rimettersi le scarpe, ma sentendo sotto i piedi la morbidezza dell’erba. Si stiracchiò le braccia e le gambe, mentre Yuzo prendeva il cestino da pic-nic e apriva il portellone posteriore, salendo sul vano scoperto del Pick-up.
“Finalmente.” sospirò Yoko, avanzando fino al bordo del pianale per poterla ammirare di nuovo. La città si stava colorando dell’oro del tramonto che tracciava un arco sopra la vetta del Fuji-san, nitido e vicino in quella bellissima giornata. “Ciao, Nankatsu.” sussurrò, come se stesse salutando una vecchia amica. Il sorriso carico d’affetto era rivolto all’enorme distesa verde che ora sorgeva dove prima era esistita una viva e attiva città. La stessa che aveva assistito alla crescita di una parte della prima Generazione D’Oro del Giappone calcistico: campioni quali Ozora e Wakabayashi che, dal paese del Sol Levante, avevano portato il loro modo di fare calcio in tutto il mondo. Ora non c’erano più case e il fango era stato completamente ricoperto dalla vegetazione che in quegli anni era ricresciuta. Dopo l’eruzione che l’aveva distrutta, la città era stata dissepolta, ma impossibile da rendere nuovamente abitabile, perché troppo vicina al vulcano. Così gli edifici erano stati abbattuti, i materiali portati via e lasciato alla natura il compito di prendersi nuovamente cura di quella terra. Solo, sporadici, restavano alcuni scheletri storici quali i templi, che si era cercato di recuperare e lasciare lì, a proteggere l’intera area; la grande Villa Wakabayashi, seminascosta dai rampicanti per volontà della stessa famiglia e lo Stadio Ozora, simbolo della salvezza per le centinaia di persone che vi si erano barricate, sopravvivendo all’ondata assassina.
Ma Yoshiko riusciva a vedere ugualmente, in mezzo a tutto quel verde, le strade brulicanti di vetture, il rumore dei clacson del centro, la sede dell’Università ed il palazzo dello Studentato, la casa di Yuzo, la casa di Taro, l’orchestra suonare nella sala ricevimenti della Villa di Genzo, lo squadrato palazzone dell’FVO. Vedeva i ricordi ballare come la bambolina di un carillon ad una dolce musica malinconica e sorrise, perché anche se ormai Nankatsu non c’era più, le aveva lasciato la cosa più importante che aveva. La stessa che aveva spiegato la coperta a quadri sul vano del Pick-up e vi si era seduta, liberandosi delle scarpe. Le gambe distese e lo sguardo rivolto alla donna che gli dava le spalle, fissando il passato al di sotto della collina.
Sì, dire addio alla propria città era un qualcosa di impensabile e traumatico, per certi versi. Si vedeva la propria casa sparire nel giro d’un attimo e rendersi conto di non appartenere più a nessun luogo, questo Yuzo lo sapeva e l’aveva provato sulla propria pelle almeno due volte, ma da quando la sua strada s’era incrociata con quella di Yoshiko, aveva capito che il concetto di ‘casa’ non apparteneva più a quello di ‘luogo’, ma era lei e ovunque si fosse trovato, sarebbe sempre stato ‘a casa’.
“Credi che tuo figlio si degnerà di farci sapere che fine ha fatto?” esordì la donna ad un tratto, voltandosi verso di lui e raggiungendolo adagio, le mani dietro la schiena ed i capelli che oscillavano morbidamente alle sue spalle.
Yuzo inarcò un sopracciglio. “Perché quando fa qualche danno è solo figlio mio?”
“Perché è la tradizione, amore.” ridacchiò Yoko, salendo sul vano e prendendo posto accanto a lui.
“Questa risposta non mi convince affatto, comunque Ricardo ha dichiarato che, a detta di Pablo, stanno tutti bene e in ottima salute, tranne Hisui.”
“Oddio, che gli stanno facendo passare?”
Yuzo si passò una mano sul viso con una certa rassegnazione. “Guarda, non voglio nemmeno saperlo. Appena torna vivo e non esaurito da quest’esperienza, ha detto Rick che vuole organizzare una grigliata con tutta la squadra.”
Yoshiko ne fu più che entusiasta. “Oh, sì! Adoro queste cose nostalgiche! E poi ci sono ancora un sacco di aneddoti che non mi avete mai raccontato.”
“Se sono stati volutamente omessi, significa che sono troppo vergognosi per essere sbandierati.”
Ma lei gli pungolò il fianco, poco convinta.
“Vuoi dire peggio del vitello in fuga? Non ci credo. E comunque sappi che ho sentito Saya. Ci ha invitato a passare qualche giorno in Inghilterra, prima che riparta per il Nepal.”
Il vulcanologo ci pensò un po’. “Addirittura in Nepal? Mh… c’è la Catena Himalayana che è spettacolare. Potrei consigliare a Michael dove fare delle belle foto.”
“Ecco, come volevasi dimostrare.” sospirò la donna, trattenendo una risatina, ma lui non ebbe nemmeno il tempo di replicare qualcosa, che il piccolo portatile di Yoshiko trillò, avvisandola di aver ricevuto una e-mail.
“Mi ero dimenticata di spegnerlo.” disse, tirandolo fuori dalla borsa e controllando rapidamente di cosa si trattasse. Nel leggere il mittente, il suo sguardo si illuminò di gioia. “E’ Hirotaka! Tesoro di mamma!”
“Scommetto che ora è anche figlio tuo, vero?” la stuzzicò Yuzo e lei gli mollò una leggera gomitata.
“Finiscila!”
Ridendo, l’uomo l’abbracciò, attirandola a sé e lasciandole un bacio tra i capelli.
“Vedi un po’ cosa dice il nostro ‘cacciatore’, va’.”
Yoshiko annuì, cercando un maggiore appoggio contro il suo petto e aprendo l’e-mail.

“Seguite la via del Video! Vi voglio bene :)”

Era la semplice frase che campeggiava come testo, mentre più in basso era riportato un link.
“Tremo all’idea di ciò che vedrò.” fu il sospiro di Yuzo a metà tra il divertito e il rassegnato. Conosceva bene suo figlio e, no, non aveva ereditato la sua calma, quanto la sua attitudine ad andarsi a cercare il pericolo con le proprie mani, rincorrendolo addirittura. Nel vero senso della parola.
Yoshiko cliccò con impazienza sul link che aprì una piccola finestra dove un sorridente e traballante Hirotaka fece capolino assieme al rumore del motore, il cielo plumbeo che occhieggiava oltre i vetri e le voci fuori campo di un ispano-napoletano Francisco Pablo e un sagace Stuart in prestito dall’USGS degli Stati Uniti.
“Parla pure Hiro, il video è partito.” l’inquadratura cambiò velocemente per mostrare la faccia sorridente di Francisco Pablo Fusco Manzanares con i capelli rossicci di sua madre e l’aria da casinista di suo padre. “Salve, signori Morisaki!”
“Pablo!” lo riprese il guidatore e l’obiettivo tornò su di lui. Hirotaka Morisaki, ventiquattro anni, l’aria da scienziato e la sigaretta di suo padre, le testa dura di sua madre stava guidando il fuoristrada nemmeno loro riuscirono a capire dove. Se i suoi genitori avessero dovuto indovinarlo, avrebbero detto: ‘nel mezzo del nulla di qualche strada americana’ e non ci sarebbero andati troppo lontani. In realtà, stava percorrendo un vecchio tratto della Route 66 nello stato dell’Oklahoma, in piena Tornado Alley.
Come per il mestiere del vulcanologo, c’erano tanti modi per essere un meteorologo e lui s’era scelto quello più divertente: fare lo Storm Chaser per la JMA. Con buona pace dei suoi genitori e di Hisui, che era stato messo a capo di quel gruppo di ricerca e che non vedeva l’ora di tornare a casa.
“Mamma, papà… auguri di buon anniversario!” esordì con un sorriso smagliante e la faccia da schiaffi di chi sapeva d’esser nel torto. “No, non me ne sono dimenticato e, sì, lo so, non mi sono fatto sentire molto spesso, ma qua è il finimondo: siamo stati dietro a tre tempeste nelle ultime ventiquattro ore.”
L’inquadratura cambiò di nuovo. “Io però una telefonata a casa l’ho fatta. Sonc nu’ piezz ‘e core!”
“Pablito!” abbaiò ancora l’altro, mentre il suo compagno d’avventure ridacchiava. L’immagine tornò su Hiro, che scalò marcia tenendo la sigaretta tra le labbra. “Ma stiamo tutti bene, anche se mangiamo un po’ da schifo, però ci sono tornado a non finire, quindi, state tranquilli e non vi preoccupate! E se te lo stai domandando, mamma: no, non sto fumando, quella che vedi non è una sigaretta, ma solo il frutto della tua immaginazione.”
Yoshiko arricciò le labbra, tra lo sghignazzare di Yuzo. “Che sfacciato!”
“Se poi ti dovessi convincere che è una sigaretta vera, ricorda le sagge parole del nonno Keisuke: ‘vizi di famiglia, la cicca è nel DNA dei Morisaki!’” gli fece solennemente il verso il giovane, mentre Yoko lanciava un’occhiata truce a Yuzo.
Quest’ultimo tentò di difendersi. “Ma è vero!”
“Tu non fumi.”
“Fumavo.”
“Hai smesso!”
“Smetterà anche lui, un giorno…” la rassicurò per poi aggiungere, non udito. “…forse.”
“Ma se gli dici che ci sono tornado a non finire, a tua madre verrà un colpo!” l’obiettivo della telecamera si focalizzò sul retro della macchina, dove Stuart stava tenendo sotto controllo i monitor dei satelliti meteorologici.
“Ma quale colpo, Stu, lei è abituata con mio padre: fa il vulcanologo!”
“Ganzo!” esclamò lo straniero, masticando del chewing-gum e guardando in camera con due dita alzate in segno di ‘Vittoria’. “La stimo, signora Morisaki!”
Pablo tornò ad inquadrare Hirotaka. “Come potete vedere io sono tutto intero, Pablo è tutto intero, Stu è tutto intero e Hisui…” tentennò, mostrando un sorriso tiratissimo “…cercheremo di riportarlo con tutti i nervi intatti, ma non assicuro niente.”
In quel momento dalla radio arrivò proprio la voce del meteorologo in questione, il tono lamentoso era inconfondibile.
“Morisaki e compagnia, occhi aperti, il doppler ha segnato la probabile formazione di un tornado ad una decina di chilometri alla vostra sinistra. Pronti a dare gas.” poi piagnucolò “Io li detesto, ma quanti ce ne sono?!”
Hiro afferrò il microfono. “Ricevuto, siamo allerta, penso che a breve dovremmo cominciare a vederlo. Ah! Sto registrando un videomessaggio per i miei, salutali, capo!” e accostò il microfono in direzione della telecamera.
L’attimo dopo, Hisui era praticamente sull’orlo delle lacrime. “Yuzo! Voglio tornare ad occuparmi dei vulcani, ti prego, salvami da questo incubo!”
“Grazie della partecipazione.” chiuse la conversazione il giovane guidatore. Poi guardò alla sua sinistra, accompagnato dall’occhio attento della telecamera di Pablo e sia lui che i suoi genitori videro stralci di nubi diramarsi dal corpo uniforme e compatto della supercella.
La forma diveniva a poco a poco più netta e riconoscibile, una perfetta campana rovesciata che toccò terra con potenza e stabilità. Le correnti ascensionali iniziarono a sradicare tutto ciò che trovarono sul loro cammino.
“Questo è grosso, signori!” sbottò Stuart “Diventerà almeno un F3!”
“Allora tenetevi forte, andiamo a caccia!” Hiro si rivolse un’ultima volta alla telecamera. “Vi manderò questo messaggio appena ci saremo accampati in qualche cittadina. Divertitevi, oggi, e ci sentiamo presto, promesso. Vi voglio bene.”
Il video si interruppe lì, sul sorriso impaziente di chi non vedeva l’ora di mettersi al lavoro e se loro avevano potuto visionare quel messaggio, significava che stava bene.
Yoshiko sospirò, spegnendo il piccolo computer. “E’ proprio figlio tuo.”
“Non dirlo come se avessi creato un mostro.” scherzò Yuzo e lei si stiracchiò stringendosi di più a lui. Appoggiò il capo contro il suo petto e le braccia sottili gli corsero attorno alla vita.
“No, ma… ha lo spirito dell’eroe, come te.”
“Anche lui in stand-by?”
Lei rise, mentre quel flash del loro primo incontro apparve e scomparve in un attimo nel cinguettare d’uccelli e stormire di fronde, nello scorrere del tempo che spostava il sole un po’ più in là, nella Nankatsu silenziosa e dormiente, ma non per questo dimenticata, nel Fuji che, nonostante tutto, continuava a vegliare sul Giappone. Nel loro ritornare sempre, ogni anno, per mantenere una sorta di continuità con la nuova realtà delle cose che aveva segnato l’inizio concreto del loro futuro insieme.
“Sì, fino a che non avrà trovato la persona giusta cui mostrare il proprio valore. In fondo, è un Morisaki e ha coraggio da vendere. Esattamente come suo padre.”
Lui le carezzò i capelli, poggiando il mento sul suo capo. “E allora sarà altrettanto fortunato." disse con un sorriso. "Ti amo, tesoro.”
“Ti amo anch’io.”
Yoshiko sospirò quelle parole, chiudendo gli occhi e godendo del suo tocco che, lo sapeva, ancora per molto tempo le avrebbe scaldato il cuore.
Dai finestrini aperti dell’abitacolo, la radio di Vergil continuava a cantare quanto, nonostante tutte le avversità, il mondo fosse meraviglioso.

I see trees of green, red roses too
I see them bloom for me and you
And I think to myself, what a wonderful world

I see skies of blue and clouds of white
The bright blessed day, the dark sacred night
And I think to myself, what a wonderful world

The colours of the rainbow, so pretty in the sky
Are also on the faces of people going by
I see friends shakin' hands, sayin': ‘How do you do?’
They're really saying: ‘I love you’

I hear babies cryin', I watch them grow
They'll learn much more than I'll ever know
And I think to myself, what a wonderful world
Yes, I think to myself, what a wonderful world

Oh yeah


Louis ArmstrongWhat a wonderful world

 

Fine


…E poi Bla, bla, bla…

 

E’ finita.
E con lei se ne va anche un pezzo di cuore.
Di solito sono felicissima di concludere le mie storie, soprattutto se sono long di questa portata. Ma in questo caso non posso negare di sentirmi triste, perché “Huzi” è andata avanti tre anni, signori miei.
Tre anni.
Ha visto la mia laurea con tesi in Fisica del Vulcanismo, ha visto la mia passione per la scoperta della storia del Fuji e delle sue caratteristiche, ha visto anche i cali di ispirazione e le battute d’arresto, ma è andata avanti, pacifica e piena.
Piena di tante cose, ma soprattutto di quello che amo di più al mondo e che spero d’aver fatto amare un pochino anche a voi (compresi i tornado, la mia seconda passione catastrofica). A Yuzo ho fatto tenere il corso di “Principi Fisici delle Eruzioni Vulcaniche” che è stato il mio ultimo esame di vulcanologia nel corso di questa laurea specialistica che sto cercando di concludere. Lo stesso tenuto dalla persona che io rispetto di più in tutta l’Università. Il mio Prof. Se questa storia è nata, buona parte del merito va soprattutto a lui, che è riuscito a trascinare via dal letargo una passione che avevo creduto morta.
Vi ringrazio, quindi, del tempo che siete stati con me, seguendo le avventure di uno Yuzo non più tra i pali e di una Yoshiko che nessuno aveva mai preso in considerazione. Siete stati dei lettori bellissimi ed io sono riconoscente ad ognuno di voi.
Grazie, quindi, a tutti coloro che hanno letto “Huzi”, anche chi non s’è mai fatto sentire; grazie a chi l’ha messa nei preferiti e nei seguiti. Grazie a coloro che hanno lasciato un segno del loro passaggio: alle mie fedelissime Eos e Hikarisan che, nonostante i lunghi tempi d’attesa, non si sono scoraggiate e hanno perseverato, a Kara seppur odiasse Yoko e etero-Yuzo (XD), a Maki (amurrr), a Cloud, a Scandros, a Sandie Rose, a Jaly Chan, a Rubysage, a Mei_chan e anche ad Alex_kami e Luxy, nonostante le nostre strade si siano separate per motivi più o meno noti.
Un grazie sentitissimo a Yeran85 che, nel momento del bisogno, mi ha aiutato moltissimo con la politica giapponese.
Ma, soprattutto, il mio grazie più grande va alla mia Be(t)ta, Sakura-chan, che si è sciroppata tutti i capitoli prima degli altri e mi ha fatto da betareader insostituibile (ti sto ‘allisciando’ perché adesso tocca ad Elementia XD, come sono subdola!).
L’ultimo abbraccio coccoloso è, invece, tutto per i personaggi. Per Yuzo, Yoko, Rick e Rita. Per Hisui, Toshi, Hideki, Junko e Keisuke, Hiroshi, Tatsuya, Saya e le Tre Grazie, Taro, Azumi, Aiko, Dante e Vergil (dovevo farvelo vedere **) e tutti gli altri tra Original Character e Personaggi di CT che sono comparsi in questa fanfiction.
A tutti loro, a tutti voi e a me stessa dedico questa storia.

*Titoli di coda*

Yuzo Morisaki
(perché il naso di Caviezel non ha prezzo e gli sta da Dio. XD e poi sono sfigati uguali!)
Yoshiko Yamaoka
(perché la Love-Hewitt mi piace moltissimo ** e non riesco più a non associarla a Yoko XD)
Ricardo Manzanares
(perché qui, Esai Morales, riesce a rendere figo pure Rick XD)
Margherita Fusco
(perché Sarah Gilbert mi ricorda la mia Prof XD)
Hisui Aoki
(perché non vi aspettavate che Hisui fosse il più vecchio della squadra, dite la verità! *ridacchia* ebbene sì, lo è, ma Keith-Rennie ha l’espressione troppo cazzuta per essere Hisui, me ne rendo conto!)
Toshi Sugihara
(perché Freddie Prinze ha l’espressione un po’ pirlotta degna di Toshi)
Hideki Yoshikawa
(perché Jon Woight ha proprio la faccia da burbero)
Tatsuya Kishu
(perché Andy Garcia sembra davvero il politico rampante, un po’ stronzo e pure mafioso)
Keisuke Morisaki
(perché Eric Roberts resterà il migliore Eurimaco della storia dell’Odissea. *muored’amore*)
Junko Morisaki
(perché la Weaver è la Weaver sempre e comunque ** e qui ha l’espressione afflitta perfetta per MammaMorisaki XD)
Saya
(a cui non ho mai dato un cognome, ora che ci penso. XD Fa lo stesso. E Rachel Mcadams aveva il giusto taglio di capelli.)
Hiroshi Nakazawa
(perché Byrne è stato uno dei Satana più fighi ever)
Sanae Nakazawa
(perché dovevo mostrarvela! Per me è stato un pg importante, anche se comparso poco. In questa foto, Ashley Judd ha proprio l’espressione furba da Anego)
Le Tre Grazie
(perché hanno la faccia da pettegole incallite XD)
Taro Misaki
(perché Macfarlane è gay, lo sapevate? Chi meglio di lui, allora, per il nostro Taruzzo *sghignazza*)
Azumi Hayakawa
(perché le somiglia tantissimo e perché Azumi ha i capelli chiari o_o che shock! Mica me lo ricordavo)
Aiko Nakazawa
(perché la Weisz ha l’aria da tosta e Aiko lo era. Ed è pure abbastanza bona, diciamocelo XD)
Akinori Terobashi
(perché Dennis Hopper non ha nemmeno bisogno di presentazioni. RIP)
Hirotaka Morisaki
(Perché volevo mostrarvi anche la prole e Joseph Gordon Levitt ha davvero una faccia da schiaffi! XD E, sì, se non si era capito, il nome Hirotaka è in onore del mio mangaka preferito: Hirotaka Kisaragi!)
Francisco Pablo Fusco Manzanares
(perché Gabriel Garcia Bernal, per quanto non sia rossiccio di capelli, mi ispirava tantissimo per Pablito nostro XD)


E così sia.
Il Re è Morto. Viva il Re.

 

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