Camp Rock 3: Another Love Story

di AvevoSolo14Anni
(/viewuser.php?uid=112327)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Timidezza, Pazzia E Musica ***
Capitolo 2: *** Un Posto Nuovo ***
Capitolo 3: *** Una Nuova Chitarra ***
Capitolo 4: *** Il Patto ***
Capitolo 5: *** Solitudine Infranta ***
Capitolo 6: *** Una Canzone D'Amore ***
Capitolo 7: *** Inaspettato ***
Capitolo 8: *** Il Difensore ***
Capitolo 9: *** Confidenze ***
Capitolo 10: *** Il Sogno E Le Stelle ***
Capitolo 11: *** Desideri Repressi ***
Capitolo 12: *** Il Tempo ***
Capitolo 13: *** Gesti ***
Capitolo 14: *** Una Giornata Di Noi ***
Capitolo 15: *** Lo Sbaglio ***
Capitolo 16: *** La Sofferenza ***
Capitolo 17: *** L'Idea ***
Capitolo 18: *** In Sospeso ***
Capitolo 19: *** Indifesa ***
Capitolo 20: *** Lieto Fine ***



Capitolo 1
*** Timidezza, Pazzia E Musica ***


Timidezza, Pazzia E Musica

 
È una giornata molto calda, il sole batte deciso sulla strada e sulle acque calme del lago che si estende vicino allo sterrato.
Rifletto attentamente su quello che mi accadrà. Vorrei essere qui? Forse. Non so decidermi davvero sulla risposta a questa domanda, perchè ho pensieri molto contrastanti. Ci sono due parti di me, che come sempre vogliono cose opposte.
La mia parte razionale sa che questo è il posto giusto per me. Potrò fare musica in santa pace, imparare a relazionarmi con gli altri e fare nuove amicizie.
La mia parte più codarda, invece, vorrebbe aprire la portiera della macchina e buttarsi giù come in uno di quei film d’azione dove la vettura sta per esplodere, cadere da un dirupo o ha i freni rotti.
Cerco di convincermi che andrà tutto bene. Che sarà una bella estate. Infondo, come posso essere sicura che sarà un completo disastro? È proprio questo il punto, ripete la mia parte pessimista. Ma in effetti ha ragione: nulla mi terrorizza più dell’ignoto. Di non avere aspettative. Di non sapere cosa succederà, dove andrò e con chi starò. Anche il tipico “effetto sorpresa” che a tante persone piace, mi ha sempre spaventata. È sciocco, non trovate? Tutto è imprevedibile nella vita, e io non posso di certo vivere nella costante paura.
Ho bisogno di tranquillizzarmi. Ripasso a mente i pochi elementi che conosco del luogo in cui di lì a poco sarei stata confinata per ben tre mesi: corsi di musica, falò, tanta gente da conoscere, tanto caldo, attività divertenti.
So cosa mi aspetta, no? Andrà tutto bene.
Oddio, con chi capiterò in camera? Non ci sono le camere singole, vero? Dannazione, sarò costretta a parlare! Potrei iniziare a prepararmi degli argomenti di conversazione, magari studiare a memoria le possibili domande degli altri per riuscire a dare una risposta coerente…
Mi mando al diavolo non appena mi accorgo di quello a cui sto pensando. Sono proprio da ricovero. Potrei proporre ai miei genitori di mandarmi in un manicomio anziché in quel posto, almeno là hanno le camere singole… Cavolo, l’ho pensato davvero? Arrossisco senza nessun buon motivo, dato che non ho detto nulla ad alta voce.
“Va tutto bene, Melanie?” sento dire alla vocina acuta della mia sorellina, seduta accanto a me in quel momento, sebbene me ne sono quasi dimenticata.
“Certo” le sorrido cercando di essere il più convincente possibile.
“Ne sei sicura?” in qualche modo, lei intuisce sempre la mia tensione. Anche se probabilmente la maggior parte delle volte ho scritto la parola “nervosa” in fronte a caratteri cubitali.
“Sì” continuo a mentire. Non voglio angosciarla.
La mia sorellina si chiama Madyson – ma potete chiamarla Maddy, come fanno quasi tutti -, ha dieci anni e non penso di essere in grado di descrivervela come si deve. È una delle poche fortune che ho avuto nella mia vita, e sono ben consapevole di quanto sia fantastica. È la bambina più dolce che si possa incontrare, più matura e responsabile del normale, razionale ed estroversa. Insomma, ben diversa da me. Lo confesso, a volte vorrei legarla ad un albero in giardino, ma capita raramente. Okay, diciamo non troppo spesso. Giusto un paio di volte al giorno. Eh sì, perché quando vi dico che è “estroversa”, forse non sono del tutto sincera. Probabilmente il termine più corretto nel suo caso è “esuberante” o anche “logorroica”. Diciamo che ama mooolto chiacchierare e farsi gli affari degli altri. Ma è pur sempre una bambina, anche se a volte me ne dimentico.
Vi ho detto che potete chiamarla con il suo soprannome, ma sappiate che non vi do il diritto di farlo con me: non chiamatemi mai Mel, Melly o surrogati. Sì, vi potrebbe risultare parecchio strano, ma mi da molto fastidio. E quando dico molto, intendo davvero molto. I miei genitori mi hanno chiamata Melanie, ed è così che pretendo di essere chiamata. Questo era tanto per precisare un fatto, scusate la mia intransigenza.
Dato che ci sono, vi descrivo il più brevemente possibile anche il resto della mia famiglia: mia madre si chiama Michelle, non vi dico la sua età perché sono certa che se lei non mi ha mai detto la sua vera data di nascita c’è un motivo, e cioè probabilmente si sente a disagio dal fatto che in realtà è di qualche anno più grande di mio padre (come l’ho scoperto? Lo ammetto, potrei aver preso di nascosto la sua carta d’identità, sapete ero troppo curiosa); mio padre si chiama Matthew, e dato che mi è già sfuggito che mia madre ha qualche hanno più di lui, non posso dirvi nemmeno la sua età. Spero comprendiate le mie motivazioni.
Ad ogni modo, hanno messo su insieme un’impresa mobiliare che fortunatamente ha riscosso un notevole successo. Quando ne parlano non fanno altro che ripetere frasi come “chi l’avrebbe mai detto?” oppure “siamo stati molto fortunati”, ma in realtà non vorrebbero far altro che vantarsene dal mattino alla sera. E con questo non voglio che pensiate che sono persone insopportabili, solo molto orgogliose.
In caso non lo aveste notato o ve ne foste accorti e vi stiate chiedendo se è solo una coincidenza o no, sia io che mia sorella e i miei genitori abbiamo il nome che inizia con la lettera “m”. Ebbene no, non è una coincidenza. I miei sono dei tipi un po’ bizzarri, che si divertono con particolari che nessun’altro nota, e pensano che la “m” sia la loro lettera fortunata. E non solo perché entrambi i loro nomi iniziano con tale lettera, ma anche perché se non ricordo male il nome del college in cui si sono conosciuti iniziava sempre con la fatidica lettera, per non parlare del loro ben noto a tutti primo appuntamento al ristorante Mirage (avranno raccontato l’episodio almeno quindicimila volte in mia presenza, a chiunque varchi la nostra porta di casa). Come se non bastasse, di cognome faccio Mayer, mentre mia madre fa Mackenzie.
Ora sono più che certa che se prima avevate già qualche dubbio sulla sanità mentale dei mie genitori, quei dubbi si sono trasformati in certezze. Ma in fondo, come potrei darvi torto? Ho parecchi dubbi anch’io.
Torno alla realtà quando la macchina prende un dosso e io vengo leggermente sbalzata, prendendo una testata contro il finestrino. Che dolore; mi massaggio la fronte sperando che non venga nessun segno.
“Tutto bene là dietro?” chiede Albert, il nostro autista. Okay, io vi avevo detto che l’impresa dei miei aveva avuto un notevole successo, quindi adesso non stupitevi.
Evidentemente l’impatto tra la mia scatola cranica e il vetro aveva prodotto più rumore di quanto pensassi. “Ho dato solo un colpetto”.
I miei genitori non avevano potuto accompagnarmi per motivi di lavoro, mentre la mia sorellina aveva insistito molto per farmi compagnia durante il viaggio. Probabilmente mi sarebbe mancata molto una volta rimasta sola al camp. Avevamo già stabilito di scriverci una mail ogni giorno, che doveva necessariamente essere molto dettagliata, per non parlare del modo in cui mi aveva ordinato di scattare una marea di foto, sia al camp che ha tutte le persone che avrei conosciuto. Lei sapeva come farsi rispettare nonostante la sua giovane età, e questo è un altro degli aspetti del suo carattere che apprezzo, ammiro e di cui sono consapevole di non essere dotata.
A scuola non ho molti amici. Non sono tra quelli che tutti classificano come “sfigati”, la mia definizione preferita di me stessa è “emarginata per scelta”.
Non sono in grado di stare con la gente. Ne sono cosciente, ma non so come cambiare questo aspetto del mio carattere. E non crediate che non ci abbia provato, ma è tutto inutile. Mi apro solo con mia sorella e la mia migliore amica Carol, che conosco praticamente da quando sono nata dato che ha sempre abitato affianco a me. Viviamo quasi in simbiosi, e questo è un altro dei tanti motivi per cui dubito di poter sopravvivere quest’estate (anche con lei ho già stabilito di sentirci ogni giorno, però tramite telefonate).
E poi, esiste un altro mondo in cui mi apro, il mio preferito, il mondo dove posso decidere di essere come voglio, in cui posso dire tutto quello che penso senza alcun timore, quel mondo che non tutti comprendono: il mondo della musica.
Da piccola i miei mi costrinsero ad imparare a suonare il pianoforte, solo per cultura. Ma ho saputo fin da subito che quello non era il mio strumento e, sebbene non lo disprezzi e sappia suonarlo senza problemi, la mia vera passione è la chitarra. Toglietemi tutto ma non la mia Melody (sì, ho dato un nome alla mia chitarra, ma fidatevi che in quanto a pazzia – considerando i parenti che ho – potevo essere molto peggio, quindi non fate commenti maligni, per piacere).
Qualche volta mi diletto a cantare, ma solo quando sono sola. Nessuno mi ha mai sentita, e spero che non accada mai.
Suonare, invece, è l’unica cosa che non mi imbarazza fare in pubblico. Suono nell’orchestra della scuola, in passato suonavo per quella della chiesa e in casa ormai sono tutti così abituati a sentirmi perennemente strimpellare qualche canzone che probabilmente non ci fanno neanche più caso. Anzi, i futuri mesi senza musica potrebbero risultare ai miei coinquilini addirittura troppo silenziosi.
Torno di nuovo al presente quando sento la macchina rallentare sullo sterrato – mamma mia, quanto sono distratta! – e torna il nervosismo, puntuale come sempre.
Guardo fuori dal finestrino e vedo una grossa insegna in legno: sono arrivata a Camp Rock.
 
 
 
 
Grazie a chiunque abbia letto la mia prima storia! Recensite e commentate, spero tanto che vi sia piaciuta e sarei grata a chiunque mi dia consigli su come migliorare!
A presto con il capitolo numero due!


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Un Posto Nuovo ***


Un Posto Nuovo

 
La macchina è ferma da almeno cinque minuti, ma non ho il coraggio di scendere.
Fisso fuori dal finestrino tutte le ragazze che si abbracciano e fanno urletti di gioia e i ragazzi che ridono come degli scemi. Cosa ci faccio io qui?
“Devi andare” mi incita la mia sorellina.
“Magari la prossima estate…” sussurro.
“Non dire sciocchezze! È il posto per te!”
“Non mi sembra proprio.”
Mi si fa addosso e appoggia le mani al mio finestrino. Guarda fuori e con una manina indica un punto su cui non mi era ancora caduto lo sguardo. “Guarda là!”
Osservo tre ragazzi, una femmina e due maschi, che avranno pressoché la mia età. Non fanno casino come tutti gli altri: se ne stanno seduti in disparte, sulle scale di una delle casette per i campers che avevo visto in fotografia, all’ombra a suonare le loro chitarre e parlare. Accanto a loro stanno ammassati dei borsoni da viaggio.
Voglio andare lì con loro. Non so perché, ma voglio essere lì. È come un impulso, sento un richiamo che mi attira verso quei ragazzi.
“È meglio che io vada. Ci sentiamo presto. Fai la brava e divertiti quest’estate. Ti scriverò stasera” dico rivolta a mia sorella, una mano già sulla maniglia della portiera. Le do un bacio sulla fronte e vorrei quasi portarmela dietro.
“E tu non fare sciocchezze” dice, come se io fossi la tipica ragazza che si lascia andare a fare cose di cui si pentirà. Sono troppo fifona per farlo.
“Contaci” le rispondo, e scendo dalla macchina.
Prendo nel bagagliaio la mia borsa, che pesa quasi più di me, e la custodia con dentro Melody.
Saluto con la mano Maddy e Albert mentre partono. Cerco di non pensare che adesso sono totalmente sola e abbandonata a me stessa.
Mi volto e mi dirigo verso i ragazzi con le chitarre, che sono ancora lì. Devo parlare, posso riuscirci. Forza Melanie, sii amichevole.
Mi fermo a qualche metro da loro. “Ciao.”
Avete mai sentito un’entrata in scena più originale della mia? Ne dubito.
“Ciao!” rispondono in coro loro, con entusiasmo.
La ragazza posa la sua chitarra sulle scale e si alza in piedi.
È di altezza media, almeno una decina di centimetri più bassa del mio metro e settanta. Ha folti capelli neri e lisci che le arrivano sotto le spalle e grandi occhi color nocciola dall’apparenza molto gentili. La sua pelle è più abbronzata della mia. È magra e il vestito rosso che indossa le dona molto. Nel complesso, molto carina.
Mi porge la mano e io l’afferro dopo qualche istante. “Piacere, io sono Amber.”
“Piacere mio, Melanie.”
Anche i due ragazzi mi allungano la mano, presentandosi.
“Phil, suo fratello” dice il primo ragazzo, indicando Amber.
Stavo giusto in quel momento notando che erano praticamente identici.
Anche l’altro ragazzo afferra la mia mano. “E io sono Alex.”
Alex è indubbiamente bello. Biondo, con profondi occhi azzurri, ben più alto di me. I suoi denti sono così bianchi che quasi mi acceca quando sorride. Bello sì, ma non il mio tipo. Non che io abbia qualche chance con uno come lui.
Mi schiarisco la voce. “Siete già stati qui?”
“No, ma ci conosciamo già. Comunque, anche se non sono mai stata qua, so benissimo come funziona questo posto. Mia cugina viene qui da anni e mi ha raccontato tutto. Adesso è andata a salutare le sue amiche, appena torna te la presento. Tu sei nuova, vero? Si capisce. Non ti preoccupare, ti aiuterò io. Potremmo stare in stanza insieme, che ne dici?” inizia a parlare a raffica, mentre io cerco di seguire il discorso. Adocchia i miei bagagli. “Suoni la chitarra anche tu! Perfetto! Potremmo fare musica insieme… saremo grandi amiche.”
Annuisco, un po’ confusa.
“Ecco mia cugina!” urla, e corre incontro ad un gruppetto di ragazze che viene verso di noi.
Sento che parla di me mentre si avvicina. Oddio quanta gente.
“Ciao, io sono Caitlyn, la cugina di Amber” si presenta una ragazza dai capelli mossi e castani.
“Melanie” dico incerta stringendole la mano.
Mi stringe la mano una ragazza di colore, con capelli neri liscissimi e un viso dolce. “Io sono Margaret, ma tutti mi chiamano Peggy.”
Ora mi si fa vicina un’altra di loro con un viso rotondo e dei grandi occhi a mandorla. Mi bacia le guance, cosa del tutto inaspettata che mi fa rimanere impietrita. “Io mi chiamo Ella!” dice con una voce un po’ stridula.
Sono ancora un po’ stranita dall’entusiasmo di Ella, quindi non riconosco subito l’ultima ragazza che mi si fa davanti, nonostante il suo aspetto non mi sia nuovo. “Io sono Mitchie” dice stringendomi la mano con un grande sorriso sul volto.
Ma certo, lei è Mitchie Torres, la ragazza di Shane Gray. Ne ho sentito parlare su un qualche programma di gossip.
Chissà se anche quest’anno i famosissimi Connect 3 verranno in questo camp. Se sono timida con dei ragazzi normali, figuriamoci con delle star.
“Ehi ragazze, guardate c’è Tess!” urla Peggy indicando una limousine che si sta fermando sulla strada all’entrata del camp.
Corrono tutte verso la macchina mentre la portiera si spalanca.
Qualunque adolescente che abbia un minimo di cultura musicale ha sentito parlare di Tess Tyler, la figlia della grande TJ Tyler. Scende dalla sua macchina lussuosa con uno sguardo da vera diva, i capelli biondissimi ondeggiano nella brezza leggera. Con un sorriso luminoso sembra volersi annunciare al camp, e guardandomi intorno noto che praticamente tutti la stanno osservando.
“Wow” sussurra Alex accanto a me.
Le ragazze si abbracciano e iniziano a chiacchierare. Non sarà facile per me ambientarmi.
Amber sembra essere una di loro, nonostante mi abbia detto che non è mai stata lì prima. Non sento cosa dicono, ma vedo la sua faccia eccitata. Corre verso di me ancora più entusiasta di prima.
“O mio Dio Melanie! Ho appena ricevuto una notizia splendida!” urla.
“Cosa?” domando timidamente.
“I Connect 3 stanno per arrivare, e passeranno tutta l’estate qui!”
“Oh” è tutto quello che dico.
 
Mi siedo sul mio letto dopo aver sistemato la mia roba in un armadio.
Finalmente tiro fuori la mia chitarra dalla sua custodia e accarezzo le corde. Con una sola nota mi sento di nuovo in pace.
Alloggio in una casetta con Amber, Caitlyn e Mitchie. Ci sono due letti a castello, io dormo in quello più basso, con sopra di me Amber.
Ho ascoltato Mitchie e Caitlyn raccontare la storia delle due estati passate per tutto il pomeriggio.
Mitchie è in pieno fermento perché domani arriverà Shane. Non parla altro che di lui, e in effetti non posso biasimarla.
Caitlyn e Amber stanno parlando di non so cosa, ho smesso di ascoltarle da una mezz’ora.
Qualche ora fa è venuta a salutarci Dana Turner, la figlia di Axel Turner, proprietario scorbutico di Camp Star (questo è uno degli aggettivi più carini che ho sentito su di lui).
È difficile da credere che sia così cattivo, una volta vista sua figlia: è una ragazza gentile, simpatica e dolce, con un sorriso enorme e abbagliante.
Ho scoperto che lei è la ragazza di Nate, altro membro dei Connect 3. Era stata un po’ a delirare insieme a Mitchie su quanto i rispettivi ragazzi fossero fantastici, poi era dovuta tornare a Camp Star. Purtroppo suo padre non le avrebbe mai permesso di cambiare camp.
Mi alzo ed esco così silenziosamente che nessuna delle mie coinquiline se ne accorge. Vago un po’ per il camp senza dare nell’occhio e finalmente trovo un luogo tranquillo, vicino ad un albero in riva al lago, dove telefonare a Carol.
Le racconto un po’ di cose e dopo circa tre quarti d’ora la saluto. Poi scrivo una mail alla mia sorellina come promesso.
Mi fermo ancora un po’ ad osservare il lago: non c’è vento adesso, e l’acqua è liscia come l’olio.
Il sole mentre tramonta manda dei riflessi dorati che brillano sulla sua superficie. Il cielo al tramonto è bello da osservare.
Quest’oggi non è successo nulla di male, penso. Spero tanto di riuscire a passare inosservata per tutta l’estate.


Spero che anche questo capitolo sia venuto decentemente! Per favore recensite!!!
A presto con il capitolo tre!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Una Nuova Chitarra ***


Una Nuova Chitarra


Mi sveglio al suono degli altoparlanti che annunciano l’inizio del primo giorno di attività a Camp Rock. Nei primi istanti di intontimento, non realizzo nemmeno dove sono. Poi tornano i ricordi, insieme a una smorfia sul mio viso.
Guardo l’orologio. Le sette e mezza. Ma la scuola non era finita?! Uffa.
Faccio per scendere dal letto e la mia coinquilina della branda di sopra quasi mi cade addosso. La schivo per un pelo, sgranando gli occhi.
“Scusa! Ti sei fatta male?” chiede Amber preoccupata.
Scuoto la testa. “Tutto a posto, non ti preoccupare.”
Quello era un chiaro presagio: sarebbe stata una giornata molto dura.
Mitchie fece un balzo giù dal letto, senza rischiare di uccidere Caitlyn al piano di sotto. Aveva un sorriso che andava da orecchio a orecchio. “Oggi arriva Shane!”
Evviva, penso con grande sarcasmo.
Miss Sorriso Smagliante corre a vestirsi in fretta e furia (aveva già preparato i vestiti da indossare la sera prima, impiegandoci circa due ore).
Ecco un’altra cosa che non condivido con gran parte delle teenager di questo mondo: lo stare ore ed ore a scegliere come vestirsi. Voglio dire, chi se ne frega? Quanto può una maglietta rendervi più carine, o un paio di jeans farsi sembrare più magre? Ovviamente ci può essere qualche particolare evento che richiede un look molto specifico, ma gran galà a parte, io mi vesto un po’ come mi pare o con quello che mi capita sotto mano.
Di solito scelgo i vestiti in base al mio umore, senza nemmeno rendermene conto: è Carol che me lo ha fatto notare.
Mi avvicino al mio armadio e osservo con circospezione i miei abiti. Vedo una maglietta grigio chiaro: perfetta. Quale colore passa più inosservato del grigio? Un tempo pensavo il nero, ma può sembrare che io lo metta perché va di moda. Il bianco? No, è troppo sgargiante in un certo senso.
Afferro il primo paio di jeans che vedo e mi cambio rapidamente. Mi infilo un paio di All Star alte e nere.
Vado a osservarmi allo specchio e sono molto soddisfatta da quello che vedo: la parola giusta per descrivermi è “insignificante”. Passerò inosservata come sempre.
Finalmente sorrido ed esco dal bungalow.
“Aspettami!” urla Amber dietro di me.
La osservo e inorridisco: non riuscirò mai a passare inosservata con lei vicino. Se camminassi con affianco Babbo Natale, di certo darei meno nell’occhio. Potrei sempre nascondermi nel suo sacchetto dei regali.
Invece no: ho la mia nuova amica Amber, dal superfantastico look iper-colorato.
Okay, forse io esagero, ma lei sembra un cataro frangente ambulante.
Sì, lo so che vi state contorcendo dalla curiosità, quindi vi descrivo il suo fantastico abbigliamento: un paio di ballerine viola, delle calze che arrivavano fin sotto al ginocchio blu, un paio di calzoncini color jeans azzurro chiaro, una cintura verde pistacchio, una maglia giallo canarino, una foulard arancione e un cerchietto rosso fuoco. Realizzai rabbrividendo che era vestita dei colori della bandiera della pace.
Non che io abbia qualcosa contro la pace, per inciso. Ma dai, come si ci può vestire così? Sembrava il mio alter ego.
Mi raggiunge e mi prende per il braccio. “Andiamo!” dice con entusiasmo.
Facciamo colazione al tavolo con Mitchie, Caitlyn, Peggy, Ella e Tess. In teoria i tavoli sono da sei, ma ci stringiamo un po’.
Resto silenziosa per tutto il tempo, ma verso la fine del pasto Tess mi rivolge la parola per la prima volta. “Hey, Melanie, perché non ci parli un po’ di te?” dice sorridendomi. E con questa semplice frase si guadagna il mio disprezzo.
Sei paia di occhi si puntano verso di me, e io entro nel panico. Raccolta veloce di dati: cosa si dice in questi casi? Età, provenienza, hobby… penso. Oddio, oddio, oddio.
“Ehm… che dire… ho sedici anni. Vengo da Miami. Suono la chitarra e il pianoforte” sussurro.
Ella ride. “Hey, non stai mica riempiendo un questionario!”
“Lasciatela stare, è molto timida” dice Amber in mia difesa, guadagnando parecchi punti nella mia scala di simpatia.
Annuisco arrossendo.
“Vedrai che ti divertirai moltissimo quest’estate. Magari riuscirai ad essere meno timida” dice Mitchie sorridendo gentilmente.
“Lo spero, ma ne dubito” riesco a dire.
“Ragazze, chi farà la Open Jam?” chiede Peggy con aria preoccupata.
Tutte si voltano a fissare Mitchie, che sorride con aria falsamente innocente.
“Be’… Io ce l’avrei una canzone” dice.
“Non avevamo dubbi” ribatte Caitlyn.
“Canterai da sola?” chiede Ella.
“In realtà, la canzone non è solo mia…” continua.
Rimango ad osservarla come tutte le altre.
“Io e Shane abbiamo preparato un duetto” confessa infine.
Scoppiano vari commenti come “fantastico” o “meraviglioso”. Guardo in modo strano Ella quando dice “forte al quadrato”. Che?
Mitchie continua a sorridere. “Ovviamente avrò bisogno di qualche aiuto per la musica…”
“Puoi contare su tutte noi!” dice Peggy. Le altre annuiscono.
Hey, aspettate un attimo. Io sono inclusa in quel “noi”?
 
Sì, scopro più tardi, quando vengo trascinata su un palco a forza senza neanche la mia povera Melody. Al suo posto una chitarra elettrica che non riconosco. Ma non è male.
Fisso con orrore la folla radunata di fronte a noi, ma so che non devo avere paura.
Accarezzo le corde della chitarra e inizio a rilassarmi. Fingi di essere a scuola, Melanie.
Sale sul palco insieme a noi anche Brown, il direttore di Camp Rock.
“Salve a tutti ragazzi!” dice, facendo esplodere gli applausi e le urla. “Benvenuti a una nuova estate qui a Camp Rock! Ci sono molti nuovi campers con mia grande gioia” prosegue, scrutando la folla. “Per tutti quelli che sono già stati qui almeno una volta: fate capire ai ragazzi nuovi quanto vi siete divertiti gli anni precedenti!”
Resisto all’impulso di coprirmi le orecchie con le mani e quasi mi implode la testa. Evidentemente i “membri anziani” si erano divertiti parecchio in passato.
Brown sorride dell’entusiasmo dei ragazzi. “Fantastico! E ora quello che tutti voi aspettate: la Open Jam! Canterà per noi Mitchie insieme a un ospite straordinario – che ormai è quasi di casa. Esatto, anche quest’anno sono con noi i Connect 3! Fate un grande applauso a Shane, Nate e Jason!” dice, facendosi da parte.
Shane sale sul palco salutando la folla e sorridendo. Mitchie gli si catapulta addosso e i due si abbracciano teneramente. Lui è davvero molto bello.
Nate lo segue a poca distanza con le bacchette della batteria in mano, con un sorriso più composto. Noto che guarda un punto fisso della folla e vedo Dana che si sbraccia come una pazza. Si siede alla sua postazione e batte qualche colpo sui piatti della batteria. Anche lui è davvero bello.
Jason sale per ultimo con la chitarra al collo, un sorriso raggiante e gli occhi accesi dall’entusiasmo. Mi irrigidisco quando si posiziona a poca distanza da me, restandolo a fissare come una scema. Ma perché sono tutti così dannatamente belli?!
Parte la musica e come per magia ogni mia preoccupazione svanisce. Mi ritrovo a suonare le note che avevo memorizzato poco prima senza neanche esserne del tutto cosciente.
Forse dovreste sapere un’altra cosa di me: sono scatenata sul palco quanto sono timida nella normalità. Sì, è un po’ bizzarro. Ma sono fatta così.
Perdo il controllo di me stessa e mi lascio andare al ritmo della musica.
Jason, accanto a me, è ancora più scatenato: sembra inarrestabile, una forza della natura. Lo guardo con ammirazione.
Shane e Mitchie sono persi l’uno negli occhi dell’altra e viceversa, e sembra che neanche si rendano conto di quello che li circonda.
Nate continua a fissare la sua Dana.
Non ho nemmeno il tempo per invidiare le loro storie d’amore così felici, sono troppo presa dalla musica. Vedo solo con la coda dell’occhio che Jason mi guarda e mi sorride.
Mi viene più vicino e da due distinte persone scatenate diventiamo quasi una cosa sola: la musica ci unisce insieme al nostro entusiasmo e iniziamo a rockeggiare insieme.
La canzone finisce troppo presto, lasciandomi senza fiato. Non ho prestato grande attenzione alle parole, ma il ritmo era davvero bello.
Tutti urlano e ci applaudono. Sorrido soddisfatta.
Seguo gli altri mentre scendono dal palco e finisco dietro le quinte.
Mi sfilo dal collo la chitarra e rimango interdetta: di chi è? Dove la metto?
Sento picchiettarmi la spalla e mi giro convinta di trovarmi di fronte Amber.
Rimango spiazzata vedendo Jason a poca distanza da me. “Ti è piaciuta la mia chitarra?” chiede.
Cerco di respirare normalmente e di parlare senza balbettare troppo (inutilmente). “Sì… è, è t-tua?”
Annuisce sorridendo.
“È bella” dico, schiarendomi la voce. Accarezzo un’ultima volta le corde e faccio per restituirgliela.
Lui scuote la testa. “Tienila. Se non hai portato una chitarra elettrica, questa ti servirà. Io ne ho tante altre.”
Quasi svengo ma cerco di farmi forza. Oddio, cosa devo fare? Ti prego Signore mandami un segno: devo rifiutare cortesemente o accettare ringraziando?
In effetti ha ragione però, sono stata stupida a non portarmi anche una chitarra elettrica. La mia Melody non è adatta a tutte le canzoni. “Sei sicuro?” dico in un sussurro strozzato.
“Certo” risponde, facendo un sorriso che mi fa quasi barcollare indietro.
“Okay, grazie” dico infine, cercando di sorridere a mia volta. Probabilmente in realtà le mie labbra si sono soltanto mosse in un qualche modo contorto che lo ha spaventato.
Ma se così è stato, non lo da a vedere. “È il tuo primo anno qui, vero?”
“Sì” dico.
“Conosci già il posto?” mi chiede continuando a sorridere.
“Abbastanza” dico circospetta.
“Se vuoi ti faccio fare un giro” dice.
Okay, pausa di riflessione: questa è una domanda (anche se non è proprio una domanda) molto difficile. Bisogna fare un’attenta analisi.
Vorrei dire di sì perché: mi và, lui sembra simpatico (ed è tanto, tanto, tanto bello); per conoscere meglio il posto ed evitare di perdermi in futuro; per allontanarmi da tutta quella confusione. Ma soprattutto perché mi và.
Vorrei dire di no perché: lui mi mette a disagio (come qualsiasi altro essere vivente su questo pianeta, e poi lui è così bello! No aspetta, questo l’ho già detto); perché non ho idea di cosa dirgli; perché correrei il rischio di fare qualche figuraccia.
Oh, Melanie, smettila!, urla una parte di me. Non puoi avere sempre paura di tutto.
“Okay” dico.
E poi come si può dire di no a uno che ti guarda con così tanto entusiasmo? (E i suoi occhi sono così belli!).
 
 
Grazie a tutti quelli che stanno continuando a leggere!!! Ancora nessuno a recensito :(
Spero qualcuno lo faccia!!! xD
Continuate a leggere :D
A presto con il capitolo 4 ;)


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il Patto ***


Il Patto


Mentre ci allontaniamo dal caos della folla siamo entrambi in silenzio.
“Allora… conosci già qualcuno qui?” chiede lui dopo un po’.
“Sì, ho conosciuto qualche ragazza…”
“Mitchie?” chiede.
“Anche” rispondo.
Sorride. “Come ti sembra il camp?”
Mi schiarisco ancora la voce. “Carino” dico.
Ridacchia. “Solo?”
“Sono qui da nemmeno due giorni!” ribatto.
“Vero” dice. Sta in silenzio per qualche istante. “Suoni solo la chitarra?”
“E il piano.”
Annuisce tra se. “Canti?”
“Non davanti agli altri” rispondo.
Si ferma e rimane a fissarmi e io appena me ne accorgo faccio lo stesso. Lo guardo con aria interrogativa ma lui non dice nulla. “Che c’è?” chiedo alla fine.
Mi guarda per qualche altro istante. “Sei arrabbiata?”
Lo guardo sempre più perplessa. “No.”
“Ti do fastidio?” continua a domandare.
Che? “No.”
Riflette in silenzio. “Parli poco” afferma.
Arrossisco. “Sono timida.”
Scuote la testa. “Non va bene.”
Aggrotto le sopracciglia. “Non ci posso fare niente.”
Sorride ampiamente. “Perché ancora non hai passato del tempo con me.”
Alzo un sopracciglio. “Ah sì?”
“Certo” dice sorridendo malizioso.
“Ti sfido” gli dico.
“A far cosa?”
“A farmi passare la timidezza” chiarisco.
“Ci sto” dice porgendomi la mano per sancire il patto.
Il mio cuore sobbalza leggermente: solo il contatto fisico è peggio del parlare, per me. Okay, ammetto che con lui le mie reazioni sono ancora più esagerate.
Gli stringo la mano con un po’ di esitazione. La sua pelle è calda, liscissima e soffice. La sua presa è salda e sicura.
La mia stretta di mano assomiglia di più a quella di un invertebrato. Magari una medusa, che è anche priva di volontà: si fa trasportare dalla corrente senza protestare. Ecco, io sono una medusa. Una medusa che però non punge nemmeno.
“A proposito di strette di mano, non mi sono ancora presentato: io sono Jason” dice e poi scioglie la stretta.
“Lo so” dico senza rifletterci. Potevo anche evitare, forse. Non che ci sia qualcosa di male… “Io sono…”
“Melanie!” sento urlare dalla voce di Amber.
Mi volto istintivamente sentendo il mio nome e la vedo sbucare di corsa da dietro un bungalow.
“Melanie…” sento dire a Jason tra sé.
Amber corre e si ferma a pochi metri da me col fiatone. Solo in quel momento sembra notare che non sono sola.
“Oh” dice, impallidendo nel ritrovarsi Jason a pochi passi.
“Ciao” dice lui sorridendole.
Questo ragazzo sorride davvero tanto, è stupendo.
Vedo quasi gli occhi di Amber cadere dalle orbite e rotolare per terra.
“Ciao” riesce a dire dopo qualche altro secondo.
Ora che non sono l’unica che ha fatto una figura da imbecille mi sento quasi meglio.
Lei cerca di riprendersi e strizza gli occhi un paio di volte. Prova ad ignorare Jason. “Ehm… Io vado a fare un bagno al lago insieme alle altre ragazze, vieni anche tu?”
Fa caldo: è una proposta molto allettante. “Certo.” Incerta mi volto verso Jason. “Tu vieni?” chiedo prima di cambiare idea.
Il sorriso che a quel punto credevo fosse un ospite fisso sul suo viso si appiattisce fino a scomparire. Scuote la testa. “Nate ha delle idee per certe nuove canzoni e non posso mancare” spiega.
Scuoto le spalle con indifferenza. “Allora ciao.”
Torna il sorriso. “Ci vediamo” dice.
Amber mi fa cenno di seguirla e ci incamminiamo verso il nostro bungalow.
“Sai, ti sta osservando” dice sbirciando indietro.
Alzo di nuovo le spalle. Non vuol dire niente.
“Ha un sorriso pazzesco” commenta.
Oh ti prego non iniziare a fare questo genere di considerazioni. “Già” rispondo, cercando di farle intuire che non ero ben disposta a quella conversazione.
“Però ora non sorride” continua, sempre guardando verso di lui.
Sbuffo e accelero il passo. Lei finalmente inizia a guardare di fronte a sé e mi rincorre.
 
Passo una giornata piacevole: prima un bel bagno rinfrescante al lago, poi un po’ di relax prendendo il sole; subito dopo il pranzo, di nuovo al tavolo con le mie nuove “amiche”; il pomeriggio iniziavano i corsi: la prima lezione di chitarra con Shane era andata bene.
Lui è molto bravo ed è anche indubbiamente la persona più carismatica che abbia mai visto: al contrario di me, si sente a proprio agio con le persone, così tanto da far sembrare impossibile metterlo a disagio.
Sono riuscita a non sbagliare niente, anche perché questa prima lezione è stata molto semplice. Comunque sono soddisfatta.
A cena non avevo molta fame, ma ho cercato di non fare troppe storie.
Sono corsa a telefonare a Carol e ho scritto a Madyson.
Ora me ne sto seduta su un tronco, tutta sola in riva al lago. Decido che questo posto, così un po’ imboscato, sarà il mio piccolo “rifugio”: un luogo per trascorrere del tempo solo con i miei più fastidiosi  pensieri e la mia chitarra.
Non ho detto né a Carol né a mia sorella di Jason, avrebbero cominciato a scocciare troppo. Semmai gliene parlerò più avanti.
Ma tanto probabilmente lo rivedrò solo di sfuggita. Mi ha degnata di attenzione, oggi, solo perché avevo suonato con entusiasmo (la sua chitarra, peraltro). Non appena ha capito che in realtà sono una ragazza noiosissima, se l’è data a gambe. Come tanti altri.
Chissà perché ha accettato quello stupido patto se intanto non aveva più intenzione di vedermi. Forse per gentilezza. Forse perché non sapeva come evitarlo. Oggi infatti non l’ho più visto.
Ma tanto che mi importa? Nulla. Non traete strane conclusioni: è vero che come tutte le adolescenti di questo mondo sono soggetta al fascino dei bei ragazzi, ma non sono così stupida da prendermi una cotta solo perché uno è carino. Ditemi tutto, ma non che sono superficiale. Non conosco Jason e mai lo conoscerò, non me ne dispiacerò nemmeno per un secondo. E poi non sono una di quelle che si fa i castelli per aria: sono realista. Una realista molto tendente al pessimismo, ma questo è tutto un altro discorso.
Ad ogni modo, anche questa giornata non è andata male. Sono stanca per l’alzataccia mattutina, ma a parte questo è tutto a posto.
Decido che domani mattina mi sveglierò ancora prima per venire qui a suonare un po’ da sola: è da tanto che voglio scrivere una mia canzone e sento che questo posto mi ispirerà. Spero di non svegliare nessuno.
Basta, ora me ne vado a dormire. Controllo l’orologio: sono le undici e un quarto.
Mi avvio verso il bungalow iniziando a sentire qualche nota risuonare nella mia testa, e inizio a pensare che forse riuscirò davvero a scrivere una canzone tutta mia.


Grazie per aver letto la mia storia :) Scriverò presto il seguito! Commentate!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Solitudine Infranta ***


Solitudine Infranta


Come premeditato sono in piedi un’ora prima degli altri. Mi vesto, afferro la mia chitarra cercando di non far rumore ed esco.
Attraverso silenziosamente tutto il camp fino ad arrivare al mio rifugio.
Il lago è una visione molto rilassante: sembra senza tempo, come fosse lì da sempre, pacifico come ora.
Stanotte ho fatto il solito sogno, quello che faccio ogni volta che dormo sodo e sono rilassata: sono in un posto buio (non penso sia una stanza, sembra più di essere in mezzo all’universo oscuro), seduta su qualcosa che nemmeno riesco a vedere, solo una piccola luce ad illuminare me e basta. Ma va tutto bene, perché tra le mani ho la mia Melody; suono come se niente fosse, in quel posto sconosciuto che normalmente mi metterebbe paura.
Ho sognato una canzone che non ho mai sentito prima: potrebbe essere la base per la mia composizione.
Parto da quelle poche note che ricordo e cerco di mettere insieme qualcosa di decente.
Dopo qualche minuto torno con lo sguardo alla distesa d’acqua che pare quasi sconfinata.
Ecco il mix che preferisco: musica, solitudine, pace e natura.
“Buongiorno” dice una voce dietro di me.
Per lo spavento faccio un balzo e cado dal tronco su cui sono seduta. Per fortuna non ho rovinato Melody.
Mi volto e vedo Jason in piedi dietro di me, che cerca di non scoppiare a ridere. Le sue labbra tremano e si vede che si sta sforzando molto.
“Mi hai fatto prendere un colpo” lo accuso rialzandomi.
Mi tende una mano che io afferro. “L’ho notato, scusa.”
Scuoto le spalle e mi tolgo le foglie secche dai vestiti. “Come mai sei già in piedi?”
“Ho la tua stessa abitudine, vengo a suonare in riva al lago ogni mattina” risponde fissando la spiaggia.
“Oh” rispondo con molta originalità.
“Era bella quella canzone” commenta.
Arrossisco violentemente. “Non dovevi sentirla. L’ho iniziata a scrivere adesso, devo fare ancora tante modifiche…”
“Io ho detto che mi piace” puntualizza.
Già, è vero. Scuoto le spalle.
Un musicista di fama internazionale si è complimentato per una mia canzoncina!, urla una vocina da qualche parte nella mia testa. Non le bado.
“Be’, continua pure” mi incoraggia Jason.
“Non posso farlo con te qui!” ribatto.
“E perché?”
“Perché non devo avere distrazioni, devo essere sola mentre suono” spiego.
Riflette per qualche istante osservando la mia chitarra. “E se ti aiutassi?”chiede, accarezzando  la chitarra che ha appesa alla tracolla.
Il mio cuore sobbalza. “Non so…”
“Potrei esserti utile”, dice. Mi lancia una sguardo che fa implodere ogni mio neurone e rimane in attesa di una risposta.
Sono leggermente stordita dai suoi occhi. Sono di un bellissimo verde-azzurro, profondi e incoraggianti.
Cerco di ricompormi. “O-Okay” balbetto.
Sorride contento e si siede poco distante da me sul tronco.
Prende gli spartiti che ho in mano e inizia a leggerli, poi si mette a suonare le poche note scritte. Annuisce. “Si, mi piace.”
 
Passiamo un’ora a suonare quasi senza parlarci. Ci passiamo il foglio e scriviamo qualche nota a testa: quando una mia idea non gli sembra giusta scuote la testa e fa qualche correzione, quando invece qualcosa gli sembra perfetto annuisce con un ampio sorriso sulle labbra. Io faccio lo stesso con lui, infondo la canzone è mia (almeno in teoria).
Quando l’altoparlante si fa sentire squillante per svegliare tutti i campers, noto con soddisfazione che sono state di più le volte in cui ha sorriso. Magari la canzone verrà bene.
Raccolgo gli spartiti e mi alzo. “È ora di andare” dico. È ora di tornare nel mondo reale.
“Già” commenta. Rimane qualche secondo impalato a fissare gli spartiti.
Poi mi scocca un altro sorriso e si incammina verso il centro del camp. “A domani!” saluta.
Rimango perplessa a fissarlo senza realizzare quello che lui aveva in serbo per me.
 
Il resto della giornata passa velocemente. Colazione, lezioni di ballo con Shane (che vergogna assurda), salto il pranzo, lezioni di chitarra.
Mi aspettavo di rivedere Shane come il giorno precedente, ma invece oggi c’è Jason. È bravissimo con la chitarra ed ha una buona tecnica di insegnamento. Mi saluta e mi tratta proprio come tutti gli altri ragazzi (non che mi aspettassi chissà cosa).
Le ragazze nel tardo pomeriggio organizzano una partita di pallavolo in riva al lago. Mi costringono a giocare e io ci faccio un’altra bella figura prendendo una schiacciata con un bagher e mandando la palla dritta in acqua, e anche abbastanza al largo.
Alex (l’arbitro), con fare da bagnino di Baywatch, si toglie la maglia e si getta con slancio in acqua. Vedo che alcune giocatrici e molte spettatrici lo guardano ammaliate.
In effetti non è male. Come vi immaginereste un surfista australiano dal sorriso accattivante? Dai immaginatevelo. Ecco, quello è Alex.
Insomma, lui recupera la palla e torna sulla terraferma. Scuote i capelli lunghi e biondi come fanno solo nei film (i cani di solito) e chiede se qualcuno ha un asciugamano.
Inizio seriamente a sospettare che lui abbia più fascino di quanto pensassi quando tutte le ragazze (e magari anche qualche ragazzo già che ci siamo, no?) gli si catapultano addosso per asciugarlo.
Dopo questo episodio le nostre spettatrice guardano più l’arbitro che la partita.
Arriva – finalmente – l’ora di cena. Ho una fame che quasi non ci vedo.
Mangio (non so cosa, non mi sono posta il problema) e poi seguo tutti gli altri verso un falò. Mi siedo in un angolino nella penombra e ascolto distrattamente quello che raccontano. A una ragazza vicino a me squilla il cellulare, si alza e se ne va a parlare da qualche parte. Cellulare… chiamare… Oh cavolo, Carol e Madyson.
Mi alzo anch’io e corro di nuovo verso il lago.
Mando anche a Carol una e-mail per paura di disturbare, vista l’ora.
Poi mi fermo a osservare le stelle. Brillano numerose in quella serata serena, circondando la Luna di cui si vede solo un spicchio.
Non so per quanto rimango lì, a non fare niente, ipnotizzata dal cielo.
Ho una bella melodia in testa, non quella che ho scritto stamattina. Non l’ho mai sentita prima.
Mi accorgo solo in quel momento che la musica non è nella mia testa, ma che qualcuno la sta suonando poco distante.
È una musica piena di dolcezza, sembra un richiamo irresistibile.
Provo a restare dove sono: di certo chi sta suonando non vuole essere disturbato da una mia incursione.
Ma il suono mi arriva molto soffocato, e io voglio disperatamente sentire meglio.
Cedo alla tentazione e inizio a camminare seguendo le note, poi corro.
La musica si fa sempre più forte e finalmente trovo il musicista che mi ha condotto fin lì con quel richiamo stupendo.
 

Ed ecco qui anche il capitolo 5. Grazie ancora a chi mi segue! Inizio subito a scrivere il 6 :)
Allora, secondo voi chi è il "musicista misterioso"?? Lasciate un commento, sono curiosissima di scoprire le vostre supposizioni e soprattutto se questa storia vi piace!
Al prossimo capitolo :D

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Una Canzone D'Amore ***


Una Canzone D’Amore

Siede su una roccia, all’inizio del bosco, poco lontano dai bungalow.
Non si accorge nemmeno della mia presenza. Continua a suonare imperterrito quella melodia dalla dolcezza insostenibile.
Arriva a un punto in cui il ritmo rallenta, poi prova un accordo che stona. Scuote la testa e impreca sottovoce. Non sembra soddisfatto del risultato. Io resto dell’idea di non aver mai sentito niente di meglio.
Finalmente alza lo sguardo dalla sua chitarra e mi vede, impalata, appoggiata ad un albero.
Rimane perplesso a fissarmi.
“Scusa, non ti volevo disturbare. Ero sulla spiaggia e ho sentito la tua canzone. È meravigliosa” dico balbettando e arrossendo. Tengo lo sguardo basso.
“Figurati. E grazie” risponde Nate. I suoi occhi color cioccolato fondente brillano alla lieve luce delle stelle. “Tu sei?”
“Melanie” dico.
Lui mi tende la mano e io l’affermo malcerta. “Nate” afferma, anche se è superfluo.
La sua mano è morbida e tiepida; non fa molto caldo.
Sciogliamo la presa e io faccio qualche passo indietro. “Be’… Io tolgo il disturbo…” sussurro, e torno sui miei passi.
“No, aspetta!” dice, afferrandomi per un braccio.
Un brivido mi sale su per la schiena.
“Sì?” chiedo.
Si risiede al suo posto. “Dato che sei qui, suppongo che tu ti intenda di musica…”
“Direi di sì” dico circospetta.
“Ecco…” inizia. Fa un pausa e guarda incerto la chitarra. “Ti andrebbe di ascoltare la mia canzone e darmi un consiglio sincero?”
Rimango spiazzata dalla sua domanda.
Evidentemente, essere una superstar non ti da tutta la sicurezza che ho sempre immaginato. Davvero vuole un consiglio da me, una completa sconosciuta? Voglio dire, scrivere canzoni è il suo lavoro, ed è molto bravo a mio parere.
Lo resto a fissare perplessa e lui continua a spiegare. “Non è una canzone per il gruppo. È… per la mia ragazza” mi racconta. “Non riesco a ripeterle ogni giorno quanto ci tengo a lei. Ho un carattere difficile e non penso di poter cambiare. Se riesco a scriverle una canzone che descriva bene quello sento… l’avrà con sé per sempre.”
La sua logica non fa una piega.
“Okay” gli rispondo, e mi siedo per terra di fronte a lui. Che dolce, non trovate?
“Grazie” dice. Poi prende un bel respiro profondo e inizia a suonare.
Rimango a fissarlo rapita durante tutta la canzone.
 
 
If the heart is always searching,   [Se il cuore sta sempre cercando,]
Can you ever find a home?   [potrai mai trovare una casa?]
I've been looking for that someone,   [Sto cercando qualcuno,]
I'll never make it on my own.   
[non ce la farò mai da solo.]
Dreams can't take the place of loving you,   [I sogni non possono prendere il posto per amarti,]
There's gotta be a million reasons why it's true   [c’è un milione di motive per cui è vero.]

When you look me in the eyes,   [Quando mi guardi negli occhi,]
And tell me that you love me,   [e mi dici che mi ami,]
Everything's alright.   [tutto va bene.]
When you're right here by my side,   [Quando sei qui al mio fianco,]
When you look me in the eyes,   [quando mi guardi negli occhi,]
I catch a glimpse of heaven.   [io rubo un pezzo di cielo.]
I find my paradise,   [Trovo il mio paradiso,]
When you look me in the eyes.   [quando mi guardi negli occhi.]

How long will I be waiting,   [Quanto a lungo dovrò aspettare,]
To be with you again?   [per stare di nuovo con te?]
Gonna tell you that I love you,   [Ti voglio dire che ti amo,]
In the best way that I can.   [nel modo migliore che posso.]
I can't take a day without you here,   [Io non posso stare un giorno senza te qui,]
You're the light that makes my darkness disappear.   [sei la luce che fa scomparire la mia oscurità.]

When you look me in the eyes,   [Quando mi guardi negli occhi,]
And tell me that you love me,   [e mi dici che mi ami,]
Everything's alright.   [tutto va bene.]
When you're right here by my side,   [Quando sei qui al mio fianco,]
When you look me in the eyes,   [quando mi guardi negli occhi,]
I catch a glimpse of heaven.   [io rubo un pezzo di cielo.]
I find my paradise,   [Trovo il mio paradiso,]
When you look me in the eyes.   [quando mi guardi negli occhi.]

More and more, I start to realize,   [Sempre di più, comincio a capire,]
I can reach my tomorrow,   [che posso raggiungere il mio domani,]
I can hold my head high,   [posso mantenere la mia testa alta,]
And it's all because you're by my side.   [e tutto questo perchè tu sei al mio fianco.]

When you look me in the eyes,   [Quando mi guardi negli occhi,]
And tell me that you love me,   [e mi dici che mi ami,]
Everything's alright.   [tutto va bene.]
When you're right here by my side,   [Quando sei qui al mio fianco.]
When I hold you in my arms   [Quando ti stringo tra le mie braccia,]
I know that it's forever,   [so che è per sempre,]
I just gotta let you know   [devo solo farti sapere]
I never wanna let you go   [che non ti lascerò mai andare.]

Cause when you look me in the eyes  [Perchè quando mi guardi negli occhi]
And tell me that you love me,   [e mi dici che mi ami,]
Everything's alright.   [tutto va bene.]
When you're right here by my side,   [Quando sei qui al mio fianco,]
When you look me in the eyes,   [quando mi guardi negli occhi,]
I catch a glimpse of heaven.   [io rubo un pezzo di cielo.]
I find my paradise,   [Trovo il mio paradiso,]
When you look me in the eyes.   [quando mi guardi negli occhi.]
Oh

(--->http://www.youtube.com/watch?v=-ZBoPlCzuRY)
 
Rimango attonita, incapace di parlare.
È la canzone più bella del mondo. Ci siamo fissati per tutto il tempo. È stato qualcosa di… quasi magico.
Non vi dirò che non mi ha fatto né caldo né freddo. Sarebbe una bugia troppo grande. Sentirsi cantare una canzone del genere, da un ragazzo del genere, mentre ti fissa dritto negli occhi… nessuno potrebbe rimanere indifferente ha una cosa simile.
Ma bisogna tenere conto che quella è una canzone d’amore per la sua ragazza, quindi non c’è tanto da fantasticare.
Sono così stupefatta che non riesco a dirgli niente. È semplicemente la canzone più dolce che io abbia mai ascoltato.
Passa ancora non so quanto tempo e infine parla. “Allora?”
Apro la bocca e cerco di dire qualcosa ma non so cosa. La richiudo e provo a pensare a come esprimere correttamente quello che penso. “Io… non so se ci sono parole per descriverla. Direi che ‘perfetta’ è troppo poco.”
Fa un sorriso enorme, che gli fa brillare anche gli occhi nella sera buia. Wow. “Davvero? Sei sicura?”
“Al cento per cento. È la canzone più bella che abbia mai sentito, e a Dana piacerà da morire” affermo.
Mi fissa qualche istante. “La conosci?”
“Certo” rispondo. “Non fa altro che parlare di te” aggiungo dopo qualche secondo.
Un altro sorriso da infarto.
“Quando hai intenzione di suonargliela?” gli chiedo.
“Domani sarà l’anniversario del nostro primo incontro…” spiega.
“Le farai il più bel regalo che sia mai stato fatto!”
“Grazie” dice, sorridendo ancora.
“Figurati” gli sorrido a mia volta. “Ora devo andare, si chiederanno dove sono finita” o forse no. Chissà. “Be’… ci vediamo.”
“Ciao” mi saluta. Rimane seduto a fissare il cielo.
Io mi volto e torno verso il mio bungalow, ancora con la strana sensazione che sentivo mentre cantava quella canzone meravigliosa.
 
Mi sveglio sorridendo, per la prima volta da non so quando.
Questa notte ho sognato la canzone di Nate. L’ho sentita una sola volta ma penso di saperla a memoria.
Come pianificato anche oggi sono sveglia un’ora prima degli altri. Mi alzo e mi vesto in silenzio.
Mentre mi infilo le scarpe mi domando se Jason sarà al lago. Da lui, sinceramente, non so cosa aspettarmi. Per me è incomprensibile… è come il mio opposto: solare, sempre allegro, spigliato, carismatico, divertente, simpatico, gentile con chiunque. Con un grande talento. E bellissimo.
Prendo la mia chitarra e vado verso la porta. La apro con cura, tentando di non far cigolare i cardini un po’ arrugginiti.
Faccio un passo fuori e osservo l’alba per qualche istante prima di richiudere la porta e darmela a gambe.
“Buongiorno” dice una voce dietro di me.
Faccio un salto tanto alto da far invidia agli atleti olimpici e resisto per poco al tirare un urlo.
Mi volto a fissare il responsabile di quel bel infarto mattutino con gli occhi spalancati. Lui anche oggi tenta di non ridermi in faccia.
“Ma tu devi sempre fare un’entrata a sorpresa?!” sussurro.
“Certo, sennò dov’è il divertimento?” mi risponde Jason sorridendo come sempre.
“Perché sei qui?” gli chiedo sempre in un sussurro.
“Mi pareva di averti detto che oggi ci saremmo rivisti…”
“Lo so. Intendevo perché proprio qui, fuori dalla porta del mio bungalow” insisto.
Alza le spalle. “Così” risponde semplicemente.
Ci incamminiamo verso il lago con le nostre chitarre e (almeno da parte mia) una gran voglia di suonare.
“Allora ti stai divertendo?” domanda.
“Direi di sì” rispondo.
“È come te lo aspettavi?”
Rifletto qualche istante. Cosa mi aspettavo prima di venire qui? Cosa ho trovato, fin’ora?
“Forse è meglio” dico infine.
Sono davvero stupida. La sensazione provocata dalla serata precedente non è ancora svanita. Il mio cervello non riesce a capire che è una cosa totalmente masochista e sbagliata? Ma forse non è il cervello a conservare il ricordo di quelle parole e di quegli sguardi…
Jason intanto sorride soddisfatto. “Sono contento” afferma.
Chissà perché. Voglio dire, che gli importa?
Arriviamo a destinazione e ci sediamo uno di fronte all’altra. Io tiro fuori gli spartiti con le nostre prime annotazioni e li metto in mezzo a noi. Lui continua a sorridere, e non so se questo fatto mi piace o mi irrita.
È piacevole vederlo sorridere. Ha anche un bel sorriso. Ma perché lui sorride sempre e io no? Non è giusto.
Attacca a suonare quelle note scarabocchiate – ha anche una scrittura migliore della mia, quasi incomprensibile – e io gli vado dietro.
La melodia sembra quasi scriversi da sé. Sono le parole che non riusciamo a tirare fuori. Sembrano sempre sbagliate, anche quando ci vengono in mente delle belle frasi.
Ho un’armonia nella testa e nel cuore, ma non riesco ancora a capire cosa mi vuole trasmettere. Non so di cosa vuole parlare la mia canzone.
Anche se un po’ infastidita dalla mia mancante ispirazione, sto benissimo in questo momento.
Come succede sempre quando sono con Melody. E un po’ del merito forse va anche al sorriso onnipresente di Jason.
Mi spavento ancora quando gli altoparlanti annunciano l’inizio di un’altra giornata al camp.
Jason, per una volta, sembra quasi imbronciato. “Che peccato. Non abbiamo fatto tanto.”
“Pazienza” sospiro.
“Non ti sono di grande aiuto…” continua a dire, accigliato.
Ora so che il suo sorriso non mi irrita. Mi da più fastidio quando non c’è. “Ma che dici? Senza di te non avrei scritto nemmeno tre note.”
E rieccolo sulle sue labbra piene. “Okay. Allora ci vediamo!”
Si alza e si incammina da solo.
Io resto seduta ancora un attimo, confusa da me stessa.
Non so se è una buona cosa o meno, ma la sensazione scaturita da Nate non c’è più.
 

Ed ecco qui anche il 6. Per chi segue questa storia, chiedo scusa per il ritardo. :)
Smiley__: sono molto contenta che la mia storia ti piaccia! Spero tu continui a seguirla :D E grazie per il commento!!!
annina_thebest: grazie per il complimento e per il commento! Volevo che sembrasse fosse Jason il musicista per farvi una sorpresa :D
Spero commenterete ancora :) A presto con il capitolo 7 :D

OVVIAMENTE LA CANZONE SOPRA CITATA NON MI APPARTIENE. E' "When You Look Me In The Eyes" dei Jonas Brothers.
P.S.
Per chi non la conosce, consiglio vivamente di ascoltarla perchè è MAGNIFICA. :D

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Inaspettato ***


Inaspettato

Mi incammino verso il mio bungalow e metto Melody al suo posto. Le mie compagne di branda si stanno vestendo, a parte Amber, che non vuole scendere dal letto.
Dopo poco usciamo e andiamo a fare colazione. È tutto molto buono.
Ci incamminiamo verso il luogo dove si tengono le lezioni di chitarra, quando sento chiamare il mio nome e mi volto automaticamente verso una ragazza che viene verso di noi a passo di marcia.
“Ciao Dana!” saluto io insieme alle altre.
Viene verso di me e senza fermarsi mi da uno spintone. Io resto in piedi per poco.
La guardo scioccata e solo in quel momento mi rendo conto che è su tutte le furie.
“Che succede?” sussurro spaventata.
“Come se non lo sapessi!” urla, in collera.
Nate in quel momento arriva correndo e la saluta, ignaro della sua rabbia.
“E tu non fare finta di niente! So tutto!” urla verso di lui, che assume istantaneamente la mia stessa espressione.
“Dana, stai bene?” chiede preoccupato, cercando di farle una carezza sulla spalla.
Lei si scosta e lo guarda male. “No!” urla ancora, e lentamente i suoi occhi si riempiono di lacrime e corre via.
“Aspetta!” le urla lui e la rincorre.
Io sono ancora sotto shock.
“Ma cosa è successo?” mi chiede Mitchie.
“Non ne ho idea” le rispondo.
“Le provo a parlare io” dice, e corre verso dove i due ragazzi sono spariti.
A quel punto, non so se per curiosità o per preoccupazione, li inseguo a mia volta.
Devo riconoscere che Dana corre molto velocemente. Nate, che ormai l’ha quasi raggiunta, sembra un ghepardo. Io e Mitchie siamo entrambe più lente.
Dana si ferma sulla spiaggia, dove una moto d’acqua di Camp Star è arenata (perché noi dobbiamo spezzarci la schiena con le canoe?). Fa per metterla in acqua ma Nate l’afferra e la trattiene. Lei piange e il suo corpo è scosso da gemiti.
“Cosa ti succede?” chiede lui, molto dolcemente. Ha la fronte corrugata dalla preoccupazione.
“Lasciami andare!” strilla. “Non voglio parlare con te!”
Vedo con esattezza il momento in cui quelle parole si conficcano nel cuore di Nate e la sua espressione cambia radicalmente fino a diventare una maschera di dolore, sembra chiedersi dove abbia sbagliato mentre lascia andare la ragazza di cui so che è follemente innamorato. Vorrei tanto consolarlo ma è meglio non fare mosse azzardate, dato che Dana sembra avercela anche con me.
“Parla con me” dice Mitchie, le si avvicina e le prende delicatamente le mani.
Dana annuisce tra le lacrime. Mitchie le mette un braccio sulle spalle e la allontana.
Nate le fissa mentre se ne vanno, il dolore ancora dipinto sul viso bellissimo. “Io non ho fatto niente” sussurra, non so se a se stesso, a me, o a Dana.
Con un po’ di riluttanza gli sfioro una spalla, come ad incoraggiarlo. “Vedrai che si sistemerà tutto” sussurro.
Lui, voltandosi parzialmente verso di me, chiude gli occhi e sospira. Vado in panico quando vedo delle lacrime scendere sulle sue guance. “Oggi doveva essere il nostro giorno” dice.
“Mi dispiace” gli rispondo. Cerco di trattenere le lacrime; vedere una persona piangere mi fa piangere a mia volta. E lui in questo momento sembra terribilmente fragile.
Con un movimento fluido si siede sulla sabbia e si prende la testa tra le mani.
Non so che fare. Resto lì o me ne vado? Come posso farlo stare meglio se resto lì? Se vado via dove vado? Lo lascio solo in un momento così… tragico?
Mi siedo dietro di lui, a poca distanza, senza fare nulla.
Vedo che la sua schiena, ogni tanto, trema dai singhiozzi muti e spezzati. Perché mi sento così angosciata?
Ma soprattutto, cosa centro io in questa storia? Perché mai Dana ce la dovrebbe avere con me?
Cerco ragioni, immagino fatti non accaduti, creo collegamenti inconsistenti: niente sembra spiegare il suo comportamento. Niente che sia realmente accaduto.
Nate ha smesso di piangere, o almeno così mi sembra. Non posso giurarci, dato che lo vedo di schiena.
Non so quanto tempo passa prima che Mitchie e Dana tornino da noi.
Mitchie, con passo deciso, stringe ancora Dana con un braccio. Quando Nate si alza e le guarda speranzoso e addolorato, lei lo fulmina con rabbia. Poi fissa me con la stessa espressione. Non capisco.
L’altra ragazza ha ancora il viso rigato di lacrime.
“Ragazzi, come avete potuto fare una cosa simile?!” ci urla contro Mitchie, infuriata. Sembra fare da avvocato all’amica singhiozzante.
“Cosa abbiamo fatto?” chiede Nate debolmente, ogni speranza subito cancellata dai suoi occhi tristi.
“Vi frequentate di nascosto!” urla lei in risposta. “Non solo la tradisci, ma non hai nemmeno il coraggio di dirglielo?! Da te non me lo sarei mai aspettata.”
Spalanco gli occhi dallo shock. Nate è immobilizzato da quell’assurdità.
Questa non me l’aspettavo.
“Cosa?!” intervengo io.
“Vi ha visti!”
Alzo le sopracciglia. “E quando?”
“Ieri sera” ribatte prontamente.
Un sorriso ironico mi spunta sulle labbra senza volerlo, mentre scuoto la testa amareggiata.
Che razza di malinteso. Solo io mi posso ficcare in certe situazioni.
Mi volto verso la diretta interessata. “Dana, non so cosa tu abbia visto, ma è stato tutto un grosso sbaglio” la rassicuro.
Una scintilla di rabbia passa sul suo viso. “Vi ho visti! Lui ti ha cantato una canzone d’amore! Eravate vicinissimi.”
Scuoto ancora la testa. “Mi dispiace che tu abbia visto, ma l’unica ragione è che così ti sei rovinata la sorpresa. Non è come pensi, te lo assicuro” cerco le parole più affettuose per spiegarle la situazione. “Io ero sulla spiaggia da sola come ogni sera, quando ho sentito una canzone bellissima provenire da qualche parte nelle vicinanze. Ho trovato Nate che suonava; quanto lui si è accorto della mia presenza, mi ha chiesto un parere sulla canzone. Ma non era di certo per me! Era la prima volta che ci rivolgevamo la parola!” ridacchio, non so perché. “La canzone era per te! Ed è veramente stupenda. Non conosco Nate, ma potrei giurare su qualunque cosa che è follemente innamorato di te e che non ti farebbe mai una cosa simile” concludo.
Potrebbe essere il discorso più lungo che abbia fatto in vita mia.
Dana rimane interdetta a fissarmi, poi passa con lo sguardo a Nate.
“È tutto vero, te lo giuro sulla mia vita” dice lui con dolcezza.
Grazie al cielo, vedo sul viso di lei che si fida. Si libera del braccio di Mitchie – rimasta senza parole – e si getta tra le braccia di Nate, che la stringe a sé. “Scusami” sussurra tra altre lacrime, spero di sollievo.
“Stai tranquilla. L’importante è che tutto si sia risolto” dice lui, baciandole la testa.
Tiro un sospiro di sollievo e li guardo sorridendo.
Ed anche oggi il compito di Super-Melanie è stato portato a termine. Faccio dietro-front e me ne torno verso il centro del camp.
Mitchie mi cammina a fianco. “Ti chiedo scusa per averti aggredita in quel modo” dice rossa in viso.
“Non importa” dico, scrollando le spalle. Veramente, un po’ mi aveva irritata. Mi sembrava si fosse… messa a giudicare. E non sapeva neanche lontanamente chi ero.
La lezione di chitarra è quasi finita. Vado direttamente nel mio bungalow.
Mi sento stranamente stanca e svogliata.
 
Di sera me ne vado in riva al lago, mi siedo dov’ero stata quella mattina e fisso il cielo cosparso dai deboli bagliori delle stelle.
Non mi accorgo della presenza di qualcun altro finché non sento dei passi affondare nella sabbia a pochi centimetri di distanza dalla mia schiena.
Mi volto di scatto e trovo Nate a fissarmi. Si inginocchia accanto a me, lanciando a sua volta un’occhiata al cielo notturno. “Ciao” mi saluta.
“Ciao” rispondo.
“Ti volevo… ringraziare, per oggi” dice lievemente imbarazzato.
“Non ho fatto niente” rispondo.
“Mi hai difeso” ribatte. “Dana ti chiede scusa.”
“Dille che non sono mai stata arrabbiata con lei” rispondo. “Le hai fatto sentire la canzone?” chiedo, in un impeto di curiosità.
“Sì” dice, sorridendo ampiamente.
“Scommetto che l’adora.”
“Pare di sì” dice soddisfatto. “Ieri sera non l’aveva praticamente sentita. Solo un paio di parole, mi ha detto. Era troppo scioccata” fa una smorfia.
“Mi dispiace per tutto questo malinteso.”
“Tranquilla, non è stata colpa tua. Per fortuna si è risolto tutto” risponde, tornando a sorridere.
“Te l’avevo detto” gli ricordo.
Tace per qualche istante. “Ti abbiamo fatto saltare la lezione di chitarra.”
Vero. Ma come sa che avevo proprio lezione di chitarra?
“Jason si chiedeva dove fossi finita. Poi gli ho spiegato tutto” continua.
Mi si blocca il respiro dallo shock per la sua affermazione. “Ah” dico, brillantemente.
Lui trattiene un sorrisetto. “Così, anche tu stai scrivendo una canzone.”
È chiaramente un’affermazione, non una domanda. “Sì.”
“Di cosa parla?” domanda curioso.
“Io… non lo so” dico, sospirando affranta. Vorrei tanto saperlo.
“È per qualcuno in particolare?” continua.
“Non so nemmeno questo.”
Si rassegna. Dopo qualche attimo di silenzio si alza in piedi. “Ora devo andare. Fammi sapere come procede la canzone.”
“Okay. Buonanotte” rispondo, fissandolo dal basso.
“’Notte” risponde, e se ne va.
Nate è un ragazzo gradevole – e non solo fisicamente. Dana deve ritenersi una ragazza fortunata. Spero per loro che non succedano più cavolate simili a quelle di oggi.
Ma… Jason aveva chiesto di me?



Ed ecco qui il settimo capitolo u.u Spero vi sia piaciuto xD Sì, lo so, ci ho messo tanto... In 'sti giorni non mi sentivo per niente ispirata >.<  Grazie a chi mi segue!!! :D
Smiley__: grazie anche questa volta per il commento :D Eeeeh chi può dire cosa succederà a Melanie xD Vedrai u.u 
Haunted__: grazie per aver commentato TUTTI i capitoli *___* Pensavo di sognare quando ho visto tutte quelle recensioni ò.ò Ti ringrazio per tuuuutti i complimenti :D 
Addio a tutti u.u Cioè, al prossimo capitolo! :D (Almeno spero xD)


 
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Il Difensore ***


Il Difensore

 

Ed ecco l’alba di un nuovo giorno. Sbadiglio e balzo giù dal letto (anche se forse più che “balzo” dovrei dire “rotolo”, ma non stiamo a fare i pignoli).
Come al solito mi vesto e prendo la chitarra.
Oggi apro la porta del bungalow cautamente, stando sul chi va là. Jason non mi coglierà di sorpresa anche oggi.
Ma tutta la mia prudenza si dimostra inutile: lui è appoggiato alla ringhiera della piccola veranda, non ha nemmeno tentato di spaventarmi.
Per un attimo penso alla possibilità di avvicinarmi silenziosamente e fargli “buh!” alle spalle, poi decido che è una cosa troppo infantile.
Mi avvicino a lui tranquillamente. “Buongiorno” gli dico.
“Buongiorno” dice a sua volta, girandosi verso di me e sorridendomi pacifico.
Senza aggiungere nulla ci incamminiamo verso quello che ormai poteva essere descritto come il “nostro rifugio”.
Con mio grande fastidio il mio inconscio riporta a galla i miei pensieri della sera precedente, ma cerco di non dargli corda. È assurdo pensare che Jason mi consideri più che una sua semplice alunna. O compagna di suonate mattutine. Insomma, niente di ché.
“Bel pasticcio, ieri” commenta di punto in bianco.
“Già” rispondo.                                                     
“Però te la sei cavata” prosegue.
“Lo spero.”
“Nate ti ha descritta come la sua eroina.”
Alzo un sopracciglio. “Non mi pare di aver fatto nulla di eccezionale.”
“Lo hai aiutato a spiegare. Lui non sarebbe riuscito a convincere Dana in così poco tempo, gli viene difficile spiegarsi in certe situazioni” dice. “Quello che mi sorprende un po’, in realtà, è che tu invece ci sia riuscita. Sei timida quanto lui, o almeno così pensavo” conclude dopo una breve pausa.
“Lo sono, stanne certo” chiarisco. “Non so nemmeno io come ci sono riuscita, ma mi sembrava necessario. In fondo, quel malinteso riguardava anche me.”
“Che sfortuna però. Proprio in quell’istante doveva venire a cercarlo” dice, quasi infastidito dalla sorte.
“Capita. A me di sicuro molto spesso.”
Ridacchia. “Ah sì?”
Annuisco, guardando per terra.
“Cioè?” insiste.
Scuoto le spalle. Non ho la minima intenzione di parlarne. “Tante cose.”
Con la coda dell’occhio sbircio verso di lui e vedo la sua espressione contrariata dal mio rifiuto di dargli altre informazioni. Il ragazzo è curioso.
Arriviamo in silenzio alla nostra postazione e ci accomodiamo nei soliti posti.
Mentre suoniamo e proviamo nuove melodie, c’è una certa intesa tra noi. Condividiamo la stessa passione sfrenata per la chitarra e la musica in generale, l’ho capito dalla prima volta che l’ho visto dal vivo, sul palco a suonare accanto a me.
È soltanto la terza mattina che suoniamo insieme, eppure ormai mi sembra una routine. Chissà per quanto durerà.
Ancora una volta gli altoparlanti si fanno sentire troppo presto. Però oggi abbiamo scritto il doppio di ieri: ormai la parte melodica della canzone è quasi completa.
Ma quelle poche parole scritte… sembrano tutte in qualche modo sbagliate. Jason fissa il foglio corrucciato.
“Inizio a pensare che non la finiremo mai” dice, sospirando.
“Forse dovrei ingaggiare un altro musicista professionista, magari uno più valido…” mormoro, tanto per provocarlo.
Mi guarda con una finta faccia attonita. “Non oseresti!”
“Ne sei sicuro?” continuo.
Ridacchia. “Se lo facessi non ti porterei rancore. Evidentemente sono negato a scrivere… quando qualcuno mi scoccia ogni secondo” questa volta è lui a partire all’attacco.
“Cosa?!”
Ride ancora. “Lasciamo perdere che è meglio. Dobbiamo andare. Non vorrai saltare la lezione anche oggi!”
Ecco di nuovo quegli stupidi pensieri. “Certo che no” balbetto.
“Ecco, brava Mel” dice, con aria di approvazione.
Lo fisso inespressiva. “Mel?”
“Sì: Melanie è un bel nome, ma è troppo lungo. Non ho voglia di sprecare ossigeno prezioso. Mel è molto più pratico” mi spiega.
Io rimango a fissarlo in silenzio.
“Ci vediamo!” saluta.
Faccio un cenno con la mano.
Perché non ho protestato? Odio i soprannomi! Forse glielo farò presente più tardi… anche se ne dubito. Che tonta.
Mi incammino verso il camp, intontita e per niente pronta a un’altra giornata di “lavoro”.
 
Stupidissime canoe. Stupidissimi remi. Nessuno ha mai detto a Brown che hanno inventato una cosa chiamata “motore”?!
Ma forse sono io ad essere anormale. Tutti gli altri campers sembrano divertirsi, con i remi si spruzzano a vicenda.
A pranzo ci avevano annunciato che avremmo fatto una piccola esibizione (solo chi volesse avrebbe avuto la possibilità di cantare, nessuno è costretto) insieme a quelli di Camp Star, sul loro palco. Brown è ancora un po’ diffidente, ma ormai la sua sicurezza si è rafforzata: aveva perso, ma aveva vinto. La Final Jam dell’anno prima era stata vinta da Camp Star – quasi sicuramente barando –, ma Camp Rock anziché rimetterci ci aveva guadagnato.
Alex, sulla canoa davanti a me, schizza un ragazzo – che sono quasi certa che si chiami Dylan – che si trova su un’altra canoa alla sua destra. Lo spruzzo va a segno, ma colpisce l’acqua così forte che per poco la sua canoa non si cappotta. Scoppiano le risate.
Tengo d’occhio le mie compagne di remi, in modo che non facciano brutti scherzi.
Sono così intenta a fissarle che quando l’acqua fresca mi bagna tutta la schiena, per poco non cado in acqua dalla sorpresa.
Riconosco la risata che scoppia alla mie spalle, mi volto lentamente e fulmino Jason con lo sguardo.
Medito se vendicarmi o no per qualche istante, e per poco non decido di ignorarlo. Poi però mi arriva un altro schizzo.
La sua canoa ora è a fianco della mia, il ché mi rende tutto più semplice. Lo guardo con un ghigno diabolico. “Preparati a un bel bagnetto, Riccio” lo avverto.
Ridacchia e si prepara a rifugiarsi dagli schizzi, fissando il mio remo con attenzione. Così – correndo anche meno rischi di far finire me e le mie amiche in acqua – immergo la mano destra nel lago e inizio a schizzarlo senza dargli tregua.
Come previsto non se lo aspetta, così continua a remare impassibile, con occhi e bocca chiusa, mentre io lo inzuppo da testa a piedi.
Quando ormai tutti i suoi vestiti sono completamente fradici, soddisfatta della mia vendetta, la smetto.
Lui riapre gli occhi e mi guarda con aria di sfida. Poi si inclina verso di me e scrolla i folti capelli mossi e bagnati nella mia direzione, bagnandomi ulteriormente.
Involontariamente mi sfugge un urletto. Riprendo a schizzarlo, e continuiamo così finché non arriviamo a riva.
Quando saliamo sul portico ci fissiamo da testa a piedi: siamo completamente fradici. Per fortuna non fa freddo. Poi iniziamo a ridacchiare sempre più forte, come degli scemi.
Non vi dico cosa penso di lui con addosso vestiti bagnati che aderiscono al suo corpo snello, ma penso lo possiate immaginare senza troppi sforzi.
Ci incamminiamo e vedo che Amber mi fissa perplessa. Io non le bado.
“Sei uno scemo” dico a Jason.
“Senti da che pulpito!” ribatte.
“Hai iniziato tu!” lo accuso.
“Lo so” risponde.
Lo guardo, stupita che si arrendesse in quel modo.
“Non ridi mai. Volevo vederti divertire. E ci sono riuscito” dice, sorridendo.
Non ribatto, un po’ scossa da quelle parole.
“Ormai mi sa che tutte le volte che vengo qui finisco fradicio” commenta dopo un po’.
Lo guardo incuriosita. “Ah sì?”
“Sì. Però la scorsa volta è andata un po’ diversamente.”
Sembra divertente. “Cioè?”
“Sapessi” risponde, impassibile.
“Dai!” lo imploro.
Lui si volta verso di me e mi fissa con irritazione. “Tu non rispondi alle mie domande però pretendi che io risponda alle tue?”
Rimango nuovamente in silenzio e distolgono lo sguardo dai suoi occhi verdi che già di norma mi confondono le idee in modo preoccupante, figuriamoci quando sono accesi dalla determinazione. Sospira e raggiunge Shane e Nate, più avanti.
Amber mi si affianca simultaneamente. “Non sapevo che tra voi ci fosse tutta questa confidenza! Non mi racconti mai niente!”
Non sei la prima che me lo fa notare, oggi, avrei voluto risponderle. “Scusa adesso non ho voglia. Semmai stasera” accelero, cercando di stare lontano da tutti.
Confidenza? Più che altro ora direi che è arrabbiato con me. E ne ha tutte le ragioni: mi sto comportando da vera ipocrita.
Ma parlargli di certe cose… mi è del tutto impossibile. Come faccio? Troppo difficile. E doloroso. E umiliante. Non posso.
Cammino da sola fissando il terreno fino ad arrivare al palco.
È… enorme!
Cerco di non far vedere quanto sono stupita e mi siedo accanto ad una ragazza che non conosco e che non bada minimamente a me.
Senza rendermene conto cerco Jason tra gli spettatori. Mi volto e incrocio il suo sguardo serio (stranamente, per colpa mia) da qualche fila dietro di me: mi sta fissando, e non abbassa lo sguardo. Qualcosa nei suoi occhi mi dice che è… ferito. Il senso di colpa mi opprime.
Sono io, come sempre, la prima a distogliere lo sguardo. È dura reggerlo se mi guarda in quel modo.
Lo sento ancora addosso, la sensazione mi da quasi i brividi. Cerco di non farci caso.
In quel momento sale le scale Dana, andando verso Nate. Quando mi vede fa un sorriso timido e molto imbarazzato, che io contraccambio.
Si esibiscono i ragazzi di Camp Star, ma non bado per niente al loro spettacolo. Troppo sfarzoso per i miei gusti. Se la musica è bella, non ha bisogno di coreografie eccezionali, look fantastici o altre cavolate varie. Per un bello spettacolo, secondo me, bastano tre cose: belle canzoni (ovvio), passione da vendere ed entusiasmo. Bisogna riuscire a comunicare al pubblico qualcosa, e per farlo non serve acconciarsi o essere circondati da migliaia di ballerini, serve solo far capire agli spettatori che credi in quello che fai, che ami il tuo lavoro, che ti senti bene quando canti, così si sentiranno bene anche loro.
Ma a Camp Star non la pensano esattamente così.
Poi salgono sul palco Mitchie e Shane per un duetto, accompagnati dalle coriste (Peggy, Ella, Caitlyn, Amber e Tess), e dai coristi barra musicisti Nate e Jason. Nate si siede alla batteria e Jason prende una chitarra.
Non sapevo avessero preparato un numero.
Non è la stessa canzone della Open Jam. Ne rimango stupita.
Ma non riesco a seguire troppo il testo e tutto il resto.
Fisso Jason, che non ha la solita aria felice di quando suona, e ogni tanto mi lancia occhiate che non so definire.
Gli parlerò… in qualche modo. Forse. Anche se so già che non avrò idea di cosa dire.
Lo spettacolo dura poco, o almeno così mi sembra.
Nessuna mossa sleale da parte di Axel Turner, questa volta.
Ci iniziamo ad incamminare verso il lago.
Da una porta aperta di uno degli enormi edifici vedo una stanza piena di strumenti musicali, ed entro quasi senza accorgermene, incantata da tutto quel ben di Dio.
Ci saranno almeno… quante? Cinquanta chitarre? Wow.
Una voce alle mie spalle mi fa sobbalzare. “Scusa, tu saresti?”
Mi volto e vedo uno dei più famosi cantanti di Camp Star, Luke Williams, che mi squadra da testa a piedi con aria insolente.
“Melanie, di Camp Rock” rispondo, intimidita. Vorrei essere abbastanza forte da guardarlo con altrettanta spavalderia.
Capisce subito che non sono “un’avversaria” temibile. “Lo si capisce dai vestiti” commenta sprezzante.
Serro la mascella per l’irritazione, ma non trovo niente da dire per ribattere.
“Stavi dando un’occhiata ai nostri strumenti? È una bella novità per te vedere tutta questa bella roba, considerando lo squallore a cui sei abituata” continua.
Sto per ribattere, anche se non so cosa vorrei dire, ma lui continua imperterrito.
“Scommetto che vorresti cambiare camp, vero? Ma non penso proprio che tu ne sia all’altezza” dice, ghignando.
“Lasciala in pace” ordina arrabbiata una voce dietro di lui.
Jason entra dalla porta e si mette in mezzo a me e Luke, come a proteggermi. Io rimango stupefatta.
“Cosa vuoi saperne tu di lei? Cosa vuoi saperne tu di musica?” continua Jason. Sono certa che la sua espressione è rabbiosa – non credevo potesse esserlo – a giudicare dal tono di voce. Io lo vedo di schiena; ha le spalle tese, che mi suggeriscono che ho ragione.
Luke sembra molto infastidito dall’intervento di Jason. “Di certo ne sappiamo più di voi” ribatte, dopo un po’, con molta poca fantasia.
“Lasciamo perdere questo perdente, dobbiamo tornare a casa” dice Jason. Mi circonda con un braccio le spalle e mi trascina via, tenendomi il più lontano possibile da Luke.
 
Ormai sono le due di notte, ma non riesco a chiudere occhio.
Dopo avermi “salvata” da Luke Williams, Jason mi aveva fatta sedere sulla sua canoa e portata a Camp Rock, senza neanche farmi remare. Per tutto il viaggio non ero riuscita ad incrociare il suo sguardo: era stato buono con me, fin troppo, e non lo meritavo.
Sapevo che Luke non era stata una vera e propria minaccia per la mia sicurezza, certo che no, però mi aveva attaccata moralmente. E Jason era intervenuto prontamente, neanche fosse il mio angelo custode. Non è stato un intervento d’importanza vitale… ma probabilmente è stato il gesto più bello che ho ricevuto in vita mia. E ne sono molto colpita.
Per tutta l’attraversata del lago non ci eravamo scambiati una parola. Arrivati a Camp Rock, mi aveva presa per mano per aiutarmi ad andare sulla sabbia senza bagnarmi, poi mi aveva voltato le spalle e se n’era andato.
È ancora arrabbiato con me, e ci sto inaspettatamente malissimo.
E se devo essere sincera con me stessa, ammetto che questo non è tutto.
Quando mi ha cinto le spalle trascinandomi lontana da Luke, quando mi ha presa per mano facendomi scendere dalla canoa… perché il mio cuore ha iniziato a correre più freneticamente? Non sono certa di volerlo sapere.



Stavolta ci ho messo veramente poco a scrivere il capitolo xD Ed è il più lungo di tutti!!! Spero vi sia piaciuto :) Grazie di cuore a chi mi segue :D
Haunted__: grazie per i complimenti :D eh lo so che ti piacciono Nate e Dana xD e immagino che tu immagini che io immagino come immagini ;) ahahah xD
Al prossimo capitolo :D


Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Confidenze ***


Confidenze

Questa notte ho dormito pochissimo, ma mi sveglio comunque prima per andare a suonare.
Troverò Jason davanti alla mia porta anche oggi? Ne dubito.
Mi cambio in fretta ed esco: come mi aspettavo non c’è anima viva.
Vado verso il lago a passo svelto, poi devio verso il nostro rifugio. Non c’è nessuno nemmeno lì.
Non mi rassegno e perlustro la parte esterna del bosco, ma non trovo nessuno.
Penso quasi di andare a cercare il suo bungalow, ma non mi sembra un’idea tanto brillante.
Attraverso la spiaggia e quando ormai ho perso le speranze sento una chitarra, da qualche parte.
Seguo la musica – sperando che questa volta non sia Nate – fino al lato opposto della spiaggia.
Finalmente lo trovo: è all’inizio del boschetto, però dal lato opposto al solito.
Non mi sente arrivare e mi è di spalle. Non so cosa sta suonando. Di colpo si interrompe e suona un pezzetto della canzone che abbiamo scritto insieme, poi resta immobile a fissare gli alberi.
“Ciao” dico, così che si accorga che sono lì.
Volta la testa lentamente e mi guarda impassibile. “Ciao.”
Si volta di nuovo nell’altra direzione e fa finta di niente.
Mi siedo di fronte a lui: per una volta nella mia vita non voglio essere vigliacca, non voglio arrendermi. “Jason, non so perché ce l’hai così tanto con me, ma in ogni caso mi dispiace.”
Lui mi guarda dritto negli occhi. “È semplice capire perché. Un attimo prima penso di starti simpatico: mi prendi in giro, mi bagni, ci divertiamo. Poi appena ti chiedo qualcosa o cerco di avere una conversazione con te, fai scena muta o rispondi a monosillabi. Non capisco perché fai così! Io voglio solo… esserti amico!”
Mi mordo il labbro. “Lo so, mi dispiace. Sono fatta così. Come posso rimediare?”
“Sforzandoti di parlarmi.”
I suoi occhi – che oggi sono più sull’azzurro che sul verde – mi fissano con un misto di fermezza e supplica.
“Okay. Di cosa?” rispondo, e inevitabilmente vado sulla difensiva.
Ci riflette qualche istante. “Potresti rispondere alla domanda di ieri, per esempio.”
Mi mordo ancora il labbro, così forte da sentire il sangue in bocca. Cosa devo fare?
Lui sospira vedendo l’indecisione dipinta a chiare lettere sulla mia faccia. “Perché non ti fidi di me?”
Abbasso lo sguardo. “Non è che non mi fido di te. Non mi fido dei ragazzi. E questo fatto è legato alla risposta a quella domanda” confesso.
Mentre sbircio verso di lui vedo l’irritazione scomparire dal suo volto e si fa più comprensivo. “Io non so cosa ti sia successo… però di certo non è colpa mia. Capisci? Non ha senso che tu non ti fidi di me per qualcosa che ti ha fatto qualcun altro. Non puoi non avere fiducia in metà della popolazione mondiale solo perché qualche individuo ti ha ferita.”
Lo guardo negli occhi e rifletto su quelle parole. “Hai ragione.”
Torna a sorridere, finalmente. So che si aspetta che gli racconti tutto.
Vedo nella mia testa il grande muro della timidezza, che non ho mai seriamente cercato di abbattere o aggirare. Ma questa volta voglio scavalcarlo. Ci devo provare.
“Due anni fa ero molto innamorata di un ragazzo della mia classe. Era il mio primo amore. Ero troppo timida per dirgli direttamente che mi piaceva, perciò tentai di farglielo notare. Un giorno, poco dopo il rientro dalla vacanze natalizie, mi disse che gli piacevo molto e mi chiese se volevo mettermi con lui. Mi sembrò l’avverarsi di un sogno! Con me era dolcissimo, mi ripeteva sempre che mi amava e altre cose sdolcinate. Poi un giorno una mia amica mi venne a dire che l’aveva visto con delle altre ragazze.
Lo affrontai e gli chiesi se era vero. Non provò nemmeno a negare, mi disse qualcosa come ‘non penserai mica di essere l’unica! Una sola ragazza non mi basta’. Mi disse che usciva con altre ragazze da quando ci eravamo messi insieme. Tutto il tempo. Io iniziai a piangere e gli dissi perché faceva questo se mi amava. Lui si mise a ridere e mi disse che tutto ciò che mi aveva detto erano bugie, era l’unico modo per tenermi buona. Mi disse che in realtà nemmeno gli piacevo, che aveva perso una scommessa con dei suoi amici e perciò doveva stare sei mesi con me.”
Cerco di non piangere, anche se mi viene difficile. Parlarne è durissima… però ora mi sento un peso in meno. È come se una parte del muro della timidezza sia crollata. Questo è di certo il discorso più lungo che abbia mai fatto.
Guardo Jason: la sua espressione è un misto di incredulità, tristezza e compassione.
Si alza e mi si siede accanto, poggiandomi un braccio sulla schiena. Mi percorre un brivido. “Mi dispiace” sussurra.
“Fa lo stesso. È passato tanto tempo. Hai ragione tu, non dovrei lasciare che questo avvenimento mi condizioni la vita.”
Sorride. “Questo è lo spirito giusto.”
Senza riflettere, spontaneamente, inclino la testa e l’appoggio sulla sua spalla. Quando me ne rendo conto non riesco nemmeno più a respirare: perché l’ho fatto?
Vado in paranoia – che scema – ma cerco di riflettere. In fondo vuole essermi amico. Non è un comportamento normale per degli amici?
Con molta nonchalance rialzo la testa (sarà meglio). “E te come ti sei bagnato l’anno scorso?”
Aspetta ancora qualche secondo a rispondermi. “Ho fatto accidentalmente cadere la telecamera di un bambino in acqua, così mi sono dovuto tuffare per riprenderla.”
Ridacchio. “E perché mai non me lo volevi dire?”
Fa spallucce. “Per principio.”
Mi trattengo dal guardarlo male.
Una parte del mio cervello mi fa notare che il suo braccio è ancora sulle mie spalle.
“Tutto qui quello che volevi sapere?” chiedo dopo un po’.
“Certo che no.”
“Allora?”
Riflette. “Da quanto tempo suoni?”
“Da sempre. Non ricordo la mia vita prima della musica” rispondo subito.
Annuisce tra sé. “Sei figlia unica?”
“No, ho una sorellina, Madyson.”
Assume un’aria pensierosa. “Mmm. È carina?”
Lo guardo male. “Ha dieci anni.”
Ridacchia. “Scherzavo!”
“Sarà meglio” dico squadrandolo.
“È una minaccia?”
“Ci puoi scommettere.”
Ride ancora. “Non fai paura.”
“Perché no?”
Ci pensa un attimo prima di rispondere. “Hai l’aria innocua.”
“Ah sì?”
Annuisce. “Non sai nemmeno difenderti da un pallone gonfiato come Luke” dice, alludendo a ieri.
Arrossisco leggermente. “Già. Grazie per ieri.”
Mi sorride. “Figurati. Che supereroe sarei se non salvassi una povera damigella in pericolo?”
Ridacchio. “Sei un supereroe?!”
“Certo!”
“Che supereroe saresti?”
Riflette qualche istante. “Superman” conclude.
Rido. Non ha l’aria da Superman. “E da quando?”
“Da quando mi ha morso un ragno radioattivo” risponde prontamente.
Rido ancora. “Mi sa che hai le idee un po’ confuse.”
“Per niente. Vado in giro di notte a Gotham City ad arrestare i cattivi!”
Sorrido. “Mmm. Quindi sei… un Super-Ragno-Pipistrello?”
Ridacchia. “Esatto! Attenti criminali: arriva SuperSpiderBat!”
Scoppio a ridere. Che discorso delirante. “Tu non stai bene.”
“Possibile. Mi dai il numero del tuo psichiatra?”
“Sei scorretto!”
Sorride. “Non ho mai detto di essere un supereroe corretto.”
“Ma i supereroi devono essere corretti! Dovete dare il buon esempio ai bambini!”
“Okay, hai ragione. Facciamo finta che non l’abbia detto.”
Ghigno. “E io cosa ci guadagno?”
Mi guarda con attenzione. “Cosa vuoi?”
Ci penso. “Voglio vederti con la tutina blu e rossa” dichiaro.
Annuisce. “Affare fatto” e mi porge la mano.
La stringo cercando di non far vedere la mia esitazione. In quel momento toglie l’altro braccio dalla mia schiena.  
Rimaniamo in silenzio, e lui continua a fissarmi con un sorriso soddisfatto sulle labbra piene. “Che c’è?” chiedo dopo un po’.
“Penso di esserci riuscito” mi dice.
“A fare cosa?” chiedo perplessa.
“Be’, ancora non ho terminato. Ma ti ho già fatto fare progressi.”
Lo fisso con aria interrogativa.
“Il patto, ricordi? Sei già un po’ meno timida” mi spiega.
Ah, giusto, quel patto. Me ne ero dimenticata. “Possibile.”
“Ed io cosa ci guadagno se riesco a farti passare la timidezza?”
Alzo le sopracciglia. “Non saprei. Che vuoi?”
Riflette. “Garantiscimi che quando verrà il momento farai qualsiasi cosa vorrò.”
Alzo le spalle. “D’accordo” che cosa mi chiederà di così terribile? Niente penso.
Fa un grande sorriso, il sole gli illumina i denti bianchi e gli occhi chiari.
Anche oggi l’altoparlante si fa sentire, io e Jason sospiriamo insieme.
Non abbiamo suonato, ma pazienza.
“Andiamo” dice, e si alza.
Lo imito e ci incamminiamo, chiacchierando ancora.
 
Quella sera sono di nuovo sulla riva del lago. Anziché guardare le stelle nel cielo, osservo il loro riflesso nell’acqua. Che bello.
La giornata è trascorsa veloce. Io e Jason abbiamo parlato anche a pranzo, insieme a Nate e Amber (che era iper-contenta che l’avessi “invitata” a parlare con i ragazzi, e che non la smetteva più di ciarlare. Aveva quasi esasperato Nate, che ad un certo punto mi aveva fissato e sono quasi certa che lo sguardo nei suoi occhi mi chiedeva qualcosa tipo “che ti ho fatto di male?”). Ora loro devono scrivere o provare qualche canzone, il che mi consente di starmene un po’ per i fatti miei, cosa di cui ho sinceramente bisogno.
È divertente parlare con Jason, perché dice un sacco di assurdità e mi fa sempre ridere. Anche Nate è molto simpatico, ma penso sia un po’ meno… pazzo.
Ad ogni modo spero di aver trovato dei nuovi amici. Questa sera per la prima volta ne ho parlato a Carol e l’ho scritto a Maddy. Come mi aspettavo, Carol ha delirato per un’ora buona. Domani mi aspetto una e-mail altrettanto insensata da mia sorella.
Per di più quest’ultima mi ha ordinato di fare foto – dato che non ne ho ancora fatto nemmeno una – e so già che mi chiederà anche delle foto con i Connect Three. Sarà imbarazzante.
Meglio non pensarci per ora.
Continuo a guardare la luce riflessa nello specchio d’acqua calmo. È bello, davvero molto bello.
Però non quanto il viso che vedo tra i miei pensieri.
 
 
Ed eccone qui un altro xD Sono a casa con la febbre, mi annoio e non ho proprio niente da fare, quindi penso scriverò un sacco!! xD
Non vi ho lasciato nemmeno il tempo di commentare il capitolo precedente... Avevo voglia di postare v.v
Grazie come sempre a tutti quelli che mi seguono :D Penso che oggi scriverò almeno un altro capitolo :)
Alla prossima :*

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Il Sogno E Le Stelle ***


Il Sogno E Le Stelle

Quando il mio cellulare inizia a vibrare – non metto la sveglia sonora perché sennò sveglierei anche le altre ragazze – il primo istinto è quello di prenderlo e lanciarlo contro il muro.
Stavo facendo un sogno così… bello e rilassante.
Spalanco gli occhi e scendo dal letto di corsa, rossa in viso.
Calma. Va tutto bene. Non pensarci.
Mi vesto in fretta e furia ed esco.
Jason è appoggiato di schiena alla ringhiera, e mi sorride non appena esco. Lo ricambio spontaneamente: spesso non ha bisogno nemmeno di dire cose divertenti, quando lui sorride ti viene naturale ricambiarlo. 
La sua presenza mi rassicura, ma spero che non intuisca che c’è qualcosa che non va.
Devo prendere il sogno come la conferma dei miei timori?
Quando ero andata a letto la sera prima, stanchissima – colpa della notte precedente passata quasi in bianco –, mi ero addormentata come un sasso. Avevo dormito sodo per tutta la notte, e come al solito avevo fatto il mio sogno ricorrente.
Ero di nuovo nel nulla, con la mia Melody tra le mani, e suonavo beata.
Tutto normale, tutto uguale al solito.
Fatta eccezione… per un piccolo ed insignificante dettaglio.
Jason era seduto di fronte a me, anche lui con la sua chitarra, e suonavamo insieme, sorridendoci tutto il tempo e senza scambiarci una parola.
E questo ha reso il sogno migliore del solito. Forse il migliore della mia vita. La sua presenza… mi infondeva una forza indescrivibile.
“Come va oggi?” chiede dopo un po’.
“Bene” rispondo automaticamente.
Non so cos’è ad insospettirlo, ma mi squadra attentamente. Evidentemente non sono brava a mentire, forse sembro troppo turbata.
“Abbastanza” aggiungo.
“Che succede?” indaga subito.
Scuoto le spalle. “Un brutto sogno” dico, fissando dritto davanti a me.
Lo vedo annuire tra sé con la coda dell’occhio.
“Tu come stai?” chiedo.
“Abbastanza bene anch’io” dice.
“Come mai abbastanza?”
“Ho dormito poco” risponde, guardando il cielo limpido.
Arriviamo nel nostro rifugio e mi accomodo sul solito tronco d’albero abbattuto, che probabilmente giace a terra da anni, visto tutto il muschio che vi si è formato sopra. Jason, anziché sedersi come sempre sul masso squadrato di fronte a me, mi si siede accanto, poco più in là sull’albero.
Aspetto che lui inizi a suonare la canzone come al solito, ma resta a fissare gli spartiti che ho sulle mie ginocchia. “Mel, la melodia è buona, ma ora penso che tu debba decidere di cosa deve parlare questa canzone, o non andremo mai avanti” dice dopo un po’.
Annuisco sconsolata. “Lo so, lo so. Il problema è che… non lo so. Cioè, sento che questa canzone deve parlare di qualcosa d’importante, ma non so ancora di cosa. Forse dovrò aspettare il momento giusto.”
Mi guarda pensieroso. “Per te questa canzone è importante, vero?”
Fisso i suoi occhi verdi e capisco che lo è anche più di quanto pensavo.
“Sì, molto. Ma ancora non so perché.”
“Penso di non poterti aiutare in questo.”
Guardo imbroncia il foglio. “Già.”
Sospira. “Be’, allora, che facciamo?”
Lo guardo perplessa.
“Ormai siamo svegli, non varrai mica tornartene in branda!” spiega.
“No” dico subito. Poi scuoto le spalle. “Non saprei.”
Ci pensa su. “Ma tu dove te ne vai tutte le sere? Non ti vedo mai in giro.”
Mi cercava? “Vengo in riva al lago.”
“Perché?” chiede curioso, gli occhioni illuminati d’interesse.
“Mi piace guardare le stelle. Da sempre. Ho iniziato a studiare astronomia quando avevo circa otto anni” racconto.
“Wow” dice, meravigliato.
“Mi piacerebbe stare fuori tutta la notte a osservarle” aggiungo.
“Perché non lo fai?” domanda.
“Cosa?”
“Dormire fuori.”
“Tutta sola? No, avrei paura” spiego.
“Ah, capisco” dice, annuendo. “Stasera posso venire anch’io a vedere le stelle?”
Il mio cuore perde un battito e poi riprende più svelto di prima, come un atleta in una corsa olimpica che inciampa e poi tenta di recuperare facendo uno sforzo estremo.
“Okay” rispondo con la voce rauca. Mi schiarisco la gola.
“A che ora?”
Rifletto. Prima devo fare le solite faccende (chiamare Carol e scrivere a Madyson). “Per le nove e mezza?”
“Perfetto” risponde.
Sorride, ignaro di quello che mi scatena dentro.
Chiacchieriamo ancora finché non è ora di andare verso il camp. Ci incamminiamo tranquilli.
 
Sono seduta in riva al lago mentre aspetto Jason.
La giornata è passata velocemente come al solito. Evidentemente mi sto divertendo. Chi l’avrebbe mai detto?
Prendo la macchina fotografica che ho nella piccola tracollo che ho portato con me e inizio a scattare foto al cielo e al lago, anche se non si vede granché.
Mi perdo a fissare le stelle. Non riesco a trovare Dubhe, una delle stelle che compone l’Orsa Maggiore. Eppure vedo tutte le altre.
Persa in quella frenetica ricerca, ci metto un bel po’ a capire che Jason dovrebbe essere già arrivato. Sono le dieci e mezza.
Cerco di non rimanerci troppo male, ma è un tentativo inutile. Avrebbe almeno potuto avvisarmi. Pazienza.
Resto lì ancora un po’, poi sento dei passi sulla sabbia e mi volto sorpresa.
“Scusa!” esclama Jason.
Scuoto le spalle, ostentando indifferenza.
“Ho dovuto fare una cosa…” dice, e fa una pausa. “Per te” conclude.
Il mio cuore riprende a correre, e io lo maledico per quanto è stupido.
“Cosa?” chiedo, schiarendomi la voce.
“Vedrai” dice sorridendo. Mi porge una mano per farmi alzare.
L’afferro e il mio cuore corre ancora più veloce.
Mi fa alzare e mi trascina sulla spiaggia, senza mollarmi la mano.
“Dove stiamo andando?” domando spaesata.
Non risponde ma continua a guidarmi.
Mi porta verso il camp e poi punta dritto verso dove di solito facciamo i falò.
“Avevi detto che ti piacerebbe stare fuori tutta la notte, però non da sola perché hai paura” inizia a spiegare.
Vedo i bagliori di un fuoco acceso che illumina l’erba, da dietro a un bungalow.
Svoltiamo dietro di esso e finalmente Jason si ferma. “Perciò ho raggruppato un po’ di gente” conclude.
Il fuoco è acceso nel solito punto. Intorno ad esso, anziché i tronchi dove ci sediamo di solito – che sono ammassati contro un albero poco lontano – ci sono tanti sacchi a pelo.
Nate, Shane, Mitchie, Amber, Caitlyn, Peggy ed Ella sono lì attorno, che parlano e ridono.
“Eccoci!” esclama Jason, attirando l’attenzione degli altri.
“Ciao!” ci salutano tutti in coro.
Vedo chiaramente i loro occhi schizzare dai nostri visi alla mano che Jason continua a stringermi. Evidentemente è l’unico che non se ne accorge.
Mi trascina più vicino al fuoco e si siede, con le gambe incrociate, trascinandomi giù con lui, al suo fianco. Poi la sua mano si sfila delicatamente dalla mia.
“Allora, sei contenta?” chiede, carico di aspettative. Vedo chiaramente i suoi occhi anche con la sola luce del fuoco.
Mentre arrivavamo lì ero così distratta dalle nostre mani intrecciate che ancora non avevo realizzato cosa aveva fatto. Adesso provo a dimenticare quel piccolo dettaglio e mi concentro sulla situazione: ha organizzato un “campeggio nel campeggio”, in modo da farmi stare fuori tutta la notte a vedere le stelle, senza però sentirmi sola e impaurita.
Che dolce, mi viene spontaneo pensare, e per poco non lo dico ad alta voce.
“È un’idea fantastica, grazie” dico invece.
Sorride ampiamente. “Bene.”
Parliamo per un po’ tutti insieme – io come sempre sono quella più silenziosa, e vedo che Jason ne è un po’ contrariato – e poi Shane tira fuori da uno zaino un pacco a dir poco enorme di marshmallow. Tutti gli si buttano quasi addosso per arraffarne un po’, mentre io con molta calma aspetto che qualcuno – Jason – me li passi. Mi da anche uno spiedo dove io conficco quei cosi mollicci e buonissimi che hanno giusto qualche milione di calorie.
Li facciamo scaldare sul fuoco e poi li divoriamo.
Nate propone di raccontare una storia dell’orrore e – anche se le ragazze non sono propriamente d’accordo – iniziano i racconti da brividi.
Purtroppo il suo tentativo di spaventarci fallisce clamorosamente grazie a Shane, il quale ogni frase lo interrompe per fare un commento divertente: così da racconto del terrore diventa una storia divertente.
Nate è infastidito ma divertito, e ogni tanto spinge via Shane, che invade il suo spazio personale. Ad un certo punto è Shane a spingerlo e lui in risposta prende il piccolo cuscino del sacco a pelo e glielo lancia dritto in faccia.
Così, senza che nessuno lo decida, inizia una guerra dei cuscini.
Dapprima cerco solo di difendermi parando i colpi (che per lo più provengono da Jason, Nate e Amber). Poi Jason, intestarditosi con me, mi sceglie come suo unico bersaglio e mi bombarda di cuscinate (ovviamente senza farmi male).
Ormai non si aspetta nessuna reazione da me, che continuo a scappare. Così di punto in bianco mi volto e gli lancio il cuscino in faccia, che poi cade a terra.
Anziché recuperare il mio, gli sfilo dalle mani il suo, dato che lui è ancora sbalordito e non si è mosso di un centimetro.
Quando inizio a scappare si lancia al mio inseguimento e quando mi raggiunge mi prende per i fianchi e mi solleva, intrappolandomi. Io mi dimeno, lasciandomi sfuggire dalle labbra degli stupidi urletti, ma lui continua a tenermi e a ridere.
“Ti potrei lanciare nel fuoco, ma non ho voglia di finire in prigione” dice, ridendo.
Io non rispondo ma mi dimeno in aria, inutilmente.
Inizia a girare su se stesso e io temo che manchi poco perché crolli in terra, con me sopra. Poi, traballante, si ferma e mi posa a terra.
Mi accorgo solo in quel momento che gli altri hanno praticamente smesso e che Amber e Nate ci stanno fissando curiosi.
Abbiamo entrambi le vertigini. Io faccio un passo e per poco cado in terra, ma qualcuno mi afferra.
Ormai mi aspetto che sia Jason, ma invece è Shane, che mi rimette in piedi. “G-grazie” balbetto, rossa in viso.
“Figurati” dice, con un sorriso smagliante che mi stordisce ancora di più.
“Dai vieni” dice subito Jason, spingendomi non troppo delicatamente verso gli altri. Ha improvvisamente smesso di sorridere.
Non pensavo di potermi divertire tanto con un gioco così stupido. Però che risate.
Ormai è tardi e Nate – che probabilmente è il più responsabile – dice che forse è meglio dormire.
Tutti gli danno ragione, anche se di mala voglia.
Strisciamo nei nostri sacchi a pelo (Jason mi indica il mio).
Ci entro dentro e cerco di richiudere la cerniera. Non è il massimo del confort, ma resta meglio di quanto mi aspettassi.
Nel sacco a pelo alla mia sinistra c’è Amber, che parlotta con sua cugina, dall’altro suo lato.
Alla mia destra ovviamente – in fin dei conti penso di stargli simpatica – c’è Jason, che si sta chiudendo nel suo sacco.
La cerniera si è incastrata nel tessuto, chiusa solo a metà, e non riesce a sbloccarla.
“Vuoi una mano?”
Prova ancora a tirarla su, irritato, poi si arrende e annuisce.
Mi sporgo un po’ verso di lui, disincastro la cerniera e la tiro su.
“Grazie” dice, un po’ stupito dalla facilità con cui ero riuscita a sbloccarla.
“Di niente.”
“Buonanotte gente!” dice ad alta voce Shane.
Tutti ci scambiamo la buonanotte. Un paio di conversazioni sussurrate continuano per un altro paio di minuti, poi tutto tace. Solo il rumore delle fiamme quasi spente rimane.
Non ho sonno, stranamente. Resto a fissare le stelle, e senza nemmeno cercarla trovo la stella che prima mi ero tanto affannata a trovare.
È proprio vero che trovi una cosa quando smetti di cercarla.
Vago con i pensieri, sento di avere la mente da qualche altra parte: su nel cielo, con le stelle. Cerco di non pensare alle stupide reazioni del mio cuore, che quella sera non mi avevano praticamente dato pace per un solo secondo.
Jason è miliardi di volte più socievole di me, e probabilmente per lui il contatto fisico con amici e conoscenti è una cosa normalissima e forse anche gradevole. Per me, normalmente, non è una bella cosa. Mi dà fastidio, a volte addirittura mi mette in ansia.
Con lui… non posso dire che è una cosa sgradevole. In un certo senso è il contrario. Però mi mette l’ansia, per questo il mio cuore fa quelle strane corse. Non proprio solo per quello, ma l’altro motivo è ancora più stupido.
Non posso permettermi di prendermi una cotta per Jason. Non è del mio mondo. Non sarò mai al suo livello. Anche lasciando perdere il fatto che è una superstar famosissima – cosa che già di per sé non è un fatto da ignorare – siamo completamente diversi. Lui, caratterialmente, è… fantastico.
Mi mordo il labbro realizzando che è un po’ tardi per autoimpormi di non prendermi una cotta per lui.
Sospiro e giro la testa di lato, sul cuscino, con gli occhi chiusi.
Li riapro e con lo sguardo affondo nei suoi occhi – che al buio sono del colore della notte -, aperti. Subito penso di star sognando, poi mi convinco che sono sveglia.
Pensavo dormisse, ormai. Da quanto tempo mi sta fissando?
Cerco di ascoltare i rumori intorno a me, e sento gli altri respiri, lenti e regolari. Sembra che i miei compagni stiano tutti dormendo, tranne Jason.
“Perché sei sveglio?” sussurro, il più piano possibile.
“Sei sveglia anche tu” sussurra di rimando.
Questa non è una risposta. Lasciamo perdere. “Non riesci a dormire?” chiedo.
“No, non è quello” dice. “Stavo fissando le stelle come te.”
“Ah” dico, presa in contro piede.
“Cercavo di capire che stelle stavi osservando” spiega.
Oh, in realtà nessuna. Stavo guardando il cielo, però non vedevo niente. In realtà pensavo a lui, ma meglio non dirlo questo.
“Stavo osservando l’Orsa Maggiore” gli dico, dato che era l’ultima costellazione che avevo guardato.
“Quale sarebbe?” dice, fissando il cielo, in una direzione completamente sbagliata.
Ho le mani fuori dal sacco a pelo, e per poco non ne allungo una verso il suo viso per girarglielo. Diamine, devo stare più attenta. Okay che lui è il primo a toccarmi spesso, però quello sarebbe esagerato.
Gli indico il punto giusto. “Là.”
Lui volta la testa e cerca di capire dove gli sto indicando. Poi alza le sopracciglia perplesso. “Che forma ha?”
“Mmm, sembra una specie di carretto. È formata da sette stelle” rispondo.
“E perché mai l’hanno chiamata Orsa Maggiore?” chiede.
“Chi le ha dato il nome probabilmente pensava avesse la forma di un orso.”
Alza le sopracciglia. “Bah, ci rinuncio. Magari un giorno me la farai vedere, con più calma.”
Annuisco. “Meglio dormire.”
“Sì. Buonanotte, Mel” sussurra e mi sorride.
“Buonanotte, Jason” dico, sorridendogli a mia volta.


Ecco qui anche il capitolo 10!!! Oh che bello addirittura 10 v.v Per chi se lo sta chiedendo, non ho idea di quanto durerà questa storia xD Dico solo che non sono ancora proprio vicina alla fine... Comunque spero vi sia piaciuto!!! Adesso è questo il capitolo più lungo u.u Recensite, please!! :)
Haunted__: eccoti qui anche il decimo capitolo xD dato che ieri sera ti ho fatta sgobbare mi pareva giusto ricambiare, e stranamente questo capitolo (dopo la prima parte su cui ero bloccata i giorni scorsi) si è scritto da solo xD spero ti sia piaciuto!! :)
A presto a tuttiiii!!!!!!! :D

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Desideri Repressi ***


Desideri Repressi

Mi sveglio, sento il sole leggero dell’alba sulle mie braccia nude.
Apro gli occhi lentamente. Sono a pancia in su e, appena guardo il cielo, il sole – anche se ancora semi nascosto – mi acceca. Alzo il braccio sinistro per coprirmi gli occhi.
Tutti i ricordi della serata precedente si risvegliano e istintivamente guardo alla mia destra.
Jason proprio in quel momento si sta svegliando. Strizza gli occhi un paio di volte e poi si volta anche lui verso di me.
Intorno a noi tutti dormono. Forse ormai siamo talmente abituati a svegliarci un’ora prima degli altri che ci viene naturale anche senza sveglia.
“Buongiorno” sussurra. Tutti i sacchi a pelo sono abbastanza ammassati agli altri, quindi siamo piuttosto vicini. L’odore del suo alito mi colpisce in faccia proprio mentre sto inspirando, e mi chiedo come sia possibile che abbia un odore così buono anche di prima mattina.
“Buongiorno.”
Ci guardiamo intorno, ed entrambi notiamo – con un grande orrore da parte mia – quello che evidentemente era successo mentre dormivamo.
Non me n’ero nemmeno accorta fino a quel momento (forse era da tanto che eravamo messi a quel modo) ma la mia mano destra, disubbidendo ad ogni mio preciso ordine mentre ero incosciente, si era avvicinata al sacco a pelo di Jason, col palmo all’insù.
Sopra di essa, col palmo in giù, c’era la mano di Jason. Le nostre mani non si stringevano forte, erano semplicemente appoggiate l’una all’altra, con le dita solo leggermente aggrappate al palmo dell’altra.
Non poteva essere colpa mia se la sua mano era sulla mia, no?
Ce ne accorgiamo in una frazione di secondo ed entrambi tiriamo via le mani di scatto, facendo finta di niente. Sento le guance andare a fuoco, caldissime come mai prima d’ora. È forse la cosa più imbarazzante che mi sia successa.
Con la coda dell’occhio vedo che anche le sue guance sono di un rosso molto vivido.
Fingiamo indifferenza e ci tiriamo su, uscendo dai sacchi a pelo.
Vorrei strapparmi la mano a morsi, giusto per punirla. Come ha osato?! Poi mi rendo conto che non ha senso. Le mani non hanno un cervello loro, obbediscono solo agli ordini che gli do. Inconscio. Tutta colpa sua. Dannatissimo inconscio.
Non riesco a levarmi la sensazione della sua pelle calda a contatto con la mia. La mano vuole tornare a stringere quella di Jason. Cerco di reprimere quello stupido desiderio, ma è inutile: è troppo potente. Devo distrarmi, pensare ad altro.
Guardo l’ora sul cellulare e realizzo che è più tardi del solito. Manca solo mezz’ora al risveglio del camp.
Mostro il mio cellulare anche a Jason per fargli capire che ora è. Annuisce. “Tanto vale andarsi a preparare” sussurra.
Annuisco, grata della sua idea. Ho bisogno di stare un po’ da sola, senza di lui, per schiarirmi le idee.
Resto un attimo a fissarlo, mentre lui non mi guarda. Il sole lo illumina con dolcezza, come se anche lui volesse sfiorarlo. Scuoto la testa per cacciare via quel pensiero assurdo.
Ci incamminiamo verso i nostri bungalow. Mi accompagna al mio e poi si ferma senza salire sulla veranda. “Ehm… a dopo” mi saluta. Chissà dove vive lui, mi sembra così strano ancora non saperlo.
“A dopo” dico anch’io. Non l’ho mai visto così a disagio.
Mi cambio con calma e mi pettino.
Mi guardo allo specchio e quasi non mi riconosco. Quest’estate cambierò, lo so. Resta solo da scoprire se cambierò in meglio o in peggio.
Arrivano anche le mie coinquiline poco dopo che l’altoparlante ha svegliato a tutti.
Amber mi chiede di aspettarla e si cambia in fretta e furia. Io me ne sto in veranda a fissare il vuoto.
La porta si apre dietro di me e lei sbuca al mio fianco, prendendomi a braccetto. “Allora” inizia. “Come va tra te e Jason?”
La guardo perplessa. “Cosa?”
“E dai!” dice, supplicandomi con lo sguardo.
“Siamo amici” dico, semplicemente.
Lei sospira. “Sai cos’è successo stamattina quando ci siamo svegliati?”
Scuoto la testa.
“Ci siamo alzati tutti. Caitlyn ha detto tipo ‘manca qualcuno’, e io ho precisato ‘mancano Jason e Melanie’. A quel punto Nate e Shane hanno esclamato insieme ‘che coincidenza!’. Capisci cosa voglio dire?” mi chiede, aspettandosi chiaramente una risposta affermativa.
“No” le rispondo.
Lei mi guarda male. “Voglio dire che non sono l’unica a pensare che tra voi due ci sia qualcosa, o che ci sarà per lo meno.”
Arrossisco violentemente e non dico nulla.
“Ti sei presa una bella cotta, eh?” insiste.
Ero davvero così facile da leggere? “Non è vero.”
“Si che è vero.”
“Ti dico di no!”
“Che ti costa ammetterlo? Anche lui ha una cotta per te” dice.
Mi blocco di colpo e la strattono leggermente. “Cosa te lo fa pensare?”
Sorride, prendendo la mia domanda per una confessione. “In primo luogo, tutte le attenzioni che ti dà. Ti considera più di chiunque altro. Ti prende per mano, ti prende in braccio. E poi, da quello che hanno detto Shane e Nate.”
“Perché?” chiedo, seguendo attentamente il suo discorso.
“Sono i suoi fratelli, e probabilmente parlano tra loro di queste cose. O comunque lo capiscono al volo. Quando proprio voi due non c’eravate, hanno detto ironicamente ‘che coincidenza’, come se non ne fossero per niente stupiti. E sono abbastanza sicura che si siano scambiati uno sguardo d’intesa. Per di più il loro tono voleva sottintendere che pensavano foste insieme da qualche parte.”
Cerco di comprendere i suoi indizi, e ipotizzo che abbia ragione. Certe cose avrebbero un senso, in questo modo.
Per esempio, una delle cose che mi ha tormentata in questi giorni: quando avevo parlato con Nate, lui mi aveva detto che Jason aveva chiesto di me. E quello di per sé non era molto, perché poteva semplicemente avergli detto che ero mancata alla lezione, e si chiedeva se fossi morta. Ma una cosa di cui subito non mi ero accorta e che avevo notato in seguito, mentre ripensavo a quella conversazione, è che Nate successivamente mi aveva chiesto come stava andando la mia canzone, senza prima chiedermi se ne stavo scrivendo una. Questo voleva sottintendere che loro avevano parlato di me non solo nel contesto della lezione. Jason gli aveva raccontato delle nostre mattinate. Gli aveva raccontato della mia, o meglio nostra, canzone.
Ma poteva averlo fatto semplicemente mentre gli raccontava la sua giornata, abitudine che per quanto ne so possono benissimo avere.
Basta, devo smetterla di pensarci. “Lasciamo stare” dico, rivolta a Amber.
“Ma come?! Non ti importa?!” chiede, irritata.
“No. E a te dovrebbe importare ancora meno.”
È una bugia, perché mi importa eccome. Però non posso permettermelo.
In quel momento le altre ci raggiungono e ci dirigiamo verso la mensa insieme.
Jason, Nate e Shane sono già lì.
Nel tavolo affianco ci sono Tess, Ella e Peggy.
Mitchie si siede senza pensarci due volte accanto a Shane, mentre Caitlyn va all’altro tavolo.
Io rimango indecisa. A quel punto Jason mi fa segno di sedermi con loro, e non provo nemmeno a rifiutare. Non voglio farlo.
Vedo spuntare sulla faccia di Amber un sorrisetto, ma non le bado. Lei si siede al mio stesso tavolo, tra me e Mitchie.
Vedo Nate che sospira rassegnato e quasi scoppio a ridere. Povero.
Mangiamo con calma facendo due chiacchiere tranquille, tutti insieme.
Io tiro fuori la mia macchina fotografica e mi schiarisco la voce per attirare l’attenzione. Mi fissano solo Jason, Amber e Nate. Mitchie e Shane continuano a parlare tranquilli. Jason schiarisce la gola più forte e i due si voltano. “Dicci Mel” dice lui.
Arrossisco subito. “Ehm… Mia sorella mi continua a stressare perché non ho ancora fatto delle foto. Vi dispiace se ve ne faccio qualcuna?” chiedo, imbarazzata.
“Certo che no” dice subito Mitchie, sorridendo.
Tutti annuiscono, d’accordo con lei. Accendo la macchina fotografica e la punto su Shane e Mitchie per primi, che si mettono subito in posa. Poi fotografo i tre fratelli. Infine Amber.
“Te ne faccio io una a te!” esclama lei.
Io cerco di sorridere, e scatta il flash. Lei fa un sorrisetto. “Jason, perché non ne fate una insieme?” chiede con nonchalance.
Reprimo l’istinto di tirarle il vassoio in testa.
“Okay” risponde lui.
Ci fissiamo con circospezione, pensando a come metterci. Per un attimo ho l’impressione che lui abbia preso un bel respiro d’incoraggiamento. Mi si fa più vicino sulla scomoda panca di legno e mi circonda con le braccia, stringendomi a lui. Sento il suo mento morbido contro la mia tempia sinistra.
Il cuore pulsa così forte da farmi male, ma per qualche assurda ragione non sono mai stata così bene.
Amber tira su la macchina fotografica e sta per farci la foto, poi la riabbassa e ci fissa perplessa. “Mel, sembra che ti stia torturando. Non stare così rigida e abbraccialo anche tu. E sorridi magari!”
Oh, se solo Jason non mi stesse abbracciando le salterei addosso e le farei sentire quando sono rigidi i miei pugni sui suoi denti. E nonostante questo continuo a stare bene così.
Come faccio ad abbracciarlo se mi tiene così? Faccio l’unica cosa possibile, ovvero alzo le mani e le appoggio sulle su braccia che mi stringono, e mi appoggio un po’ di più a lui. E forse sto anche meglio.
Amber sorride soddisfatta e ci fa una foto.
Vorrei rimanere così ma lei mi passa la macchina fotografica e io allungo un braccio per prenderla. Le braccia di Jason scivolano via ma non si sposta di un centimetro, restandomi appiccicato. Guardo le foto scattate, e so che lui le sta guardando da dietro di me. Vorrei spegnere prima di arrivare alla foto di noi due, per non fargli vedere la mia espressione, ma sono troppo curiosa di vedere la sua. Rimango di sasso quando arrivo alla foto.
Non me l’aspettavo così. Mi aspettavo lui bellissimo come sempre ma molto imbarazzato e un po’ a disagio, ed io con una faccia da ebete. Ma ci siamo entrambi stranamente bene. Lui ha uno dei suoi soliti sorrisi spontanei, di quelli che fa sempre quando è tranquillo e sta bene. Io ho quasi lo stesso sorriso – solo che a lui sta molto meglio – e realizzo che la pace che sentivo dentro doveva essersi manifestata anche fuori.
Il primo pensiero che mi viene in mente, così, spontaneo, mi fa rabbrividire da capo a piedi: sembriamo una coppia.
Mi pento di averlo solo pensato lontanamente. Metto via la macchina fotografica.
Man mano che i miei amici finiscono di mangiare, si alzano, svuotano i vassoi nella spazzatura, li portano al loro posto ed escono.
Alla fine rimaniamo io, Jason e Amber. Quest’ultima, rendendosi conto della situazione, si alza – anche se non ha finito di mangiare – e se ne va. Sono pronta a scommettere che lo ha fatto intenzionalmente per lasciarmi sola con lui, ed il bello è che gliene sono grata ma ne sono anche irritata.
Finiamo di mangiare in silenzio e poi ci alziamo.
Sto prendendo il mio vassoio ma Jason mi precede, quindi per la seconda volta nella mattinata gli tocco la mano per sbaglio. La ritraggo subito imbarazzatissima ed arrossisco. Ho preso la scossa.
Lui fa finta di niente e svuota anche il mio vassoio. Poi li ripone e ci incamminiamo verso il centro del camp. Stamattina ho lezione di ballo, mentre di pomeriggio chitarra.
Noto con ancora più imbarazzo che lui tiene le mani in tasca, forse per non rischiare più il contatto con le mie. Gli da così fastidio?
“Ci vediamo dopo” dice lui.
“Certo” rispondo.
Rimane qualche istante impalato di fronte a me, riflettendo su qualcosa che non riesco ad immaginare. Poi si volta e se ne va di corsa.
È bello quando corre. È bello sempre. Porca miseria, perché deve essere così bello, dato che è già così adorabile? Non è giusto che io sia costretta a sopportarlo, senza nemmeno poterlo tenere per mano, abbracciarlo o…
Mi volto e me ne vado a lezione.



Ecco qui il capitolo 11!! :D Ho aggiornato abbastanza velocemente dai... u.u Spero tanto vi sia piaciuto!! :D Recensite please :)
Haunted__: ecco qui il nuovo capitolo, puoi mettere definitivamente via la pistola xD Spero ti sia piaciuto ^^ Ora devi aggiornare tu ;)
Zakurio: grazie mille per aver recensito, mi ha fatto molto piacere!!! Spero lo rifarai ;) Grazie tantissime per i complimenti :D Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo :)
A preso a tutti!!! :)

 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Il Tempo ***


Il Tempo

I giorni e le settimane trascorrono in fretta, sempre più o meno allo stesso modo.
Ogni mattina mi alzo un’ora prima degli altri, esco in veranda e trovo Jason, che mi fa uno dei suoi sorrisi che mi piacciono tanto da farmi impazzire.
Ci dirigiamo verso il nostro rifugio, ormai senza neanche più portare gli strumenti: con la mia canzone sono ad un punto ceco, forse non sono fatta per scrivere i testi.
Vi starete chiedendo allora perché continuiamo ad andare là per un’ora, e la risposta è molto semplice: per parlare. Per conoscerci sempre di più. E quello è l’unico posto (e anche l’unico momento) in cui sappiamo per certo che non verremo interrotti.
Ormai sa praticamente tutto di me, gli ho raccontato la mia vita nei più piccoli e stupidi dettagli, ed io penso di sapere altrettante cose su di lui. La sua vita è mille volte più interessante della mia.
E se qualcuno mai mi chiederà qual è stata la parte migliore dell’estate, gli dirò che sono state proprio quelle mattinate di chiacchiere spensierate. Ho parlato abbastanza da compensare il silenzio di tutta la mia vita.
Quando poi gli altoparlanti annunciano l’inizio dell’ennesima giornata al camp, noi ci incamminiamo insieme verso la mensa. Ci sediamo al solito tavolo con le solite persone (i suoi fratelli, Mitchie e Amber) e continuiamo a parlare beati, solo alcune volte con gli altri.
Poi andiamo a lezione – ovviamente lui ad insegnare ed io ad apprendere – e a pranzo ci rincontriamo. Prendiamo quasi sempre dei panini e li andiamo a mangiare in riva al lago, dove alcuni ragazzi sfrecciano sulle moto d’acqua, nuotano o vanno in canoa.
Poi ci sono le lezioni pomeridiane e le nostre strade si dividono. Infine ci risediamo al tavolo del mattino per cenare, e poi qualche volta andiamo a mangiare marshmallow con i nostri compagni intorno al falò, oppure torniamo in riva al lago a parlare e guardare il cielo notturno.
Gli ho insegnato parecchie cose sulle stelle, e lui ne è molto affascinato proprio come me.
Ogni sera mi riaccompagna al mio bungalow, mi da la buonanotte e se ne va (adesso finalmente so dove abita, un giorno me lo ha mostrato).
Insomma, se dovessi descrivere quell’estate con poche parole, direi che è stata un’estate molto Jason. E per questo è stata fantastica.
La mia infatuazione per lui cresce ogni giorno, ma non ci bado: è un amico troppo prezioso ormai. E poi non penso provi la stessa cosa per me.
Faccio queste riflessioni mentre sono seduta sulla sabbia morbida e chiara che c’è in riva al lago, con Jason al mio fianco. Siamo in silenzio da qualche minuto, ma non è un silenzio imbarazzato. È un silenzio pacifico e rilassato.
Jason osserva le acque scure del lago, perso in chissà quali pensieri. Io preferisco guardare lui.
Dopo un po’ si volta di colpo verso di me e mi fissa dritto negli occhi. “Mel, se tu potessi essere una qualcosa di naturale, cosa saresti?”
“Un qualcosa di naturale?” domando, non comprendendo cosa intende.
Annuisce. “Sì, ad esempio un albero, un prato… un lago” spiega.
“Ah” dico, capendo cosa intende. Ci rifletto attentamente. “Una stella” dico infine.
Lui sorride. “Ovviamente. C’è un perché?”
“Le stelle sono lassù da un sacco di tempo, hanno visto parecchie cose che noi non possiamo nemmeno immaginare. E poi pensa che bello starsene nel cielo beata mentre tantissime persone ogni notte ti guardano con ammirazione e ammirano la tua bellezza. Deve essere gratificante” rispondo, spiegando la mia motivazione.
Mi guarda sorpreso del mio ragionamento. “Hai ragione” dice, poco dopo.
“E tu?” chiedo, incuriosita.
Pondera una risposta per qualche minuto. “Vorrei essere l’acqua in generale.”
“Come mai?” chiedo, sempre più curiosa.
“Perché tutto quanto dipenderebbe da me. Nell’acqua sono nate le prime forme di vita del nostro pianeta. Senz’acqua noi non potremmo vivere. Tutta la natura che ci circonda vive grazie all’acqua. Nei posti più aridi la gente pregherebbe per farmi arrivare piovendo. Nevicherei per la gioia dei bambini. E poi il mare ospita in quantità immensa di forme di vita molto interessanti” risponde, perso nel suo racconto.
Ne rimango affascinata. “Sì, hai ragione, sarebbe bello.”
Torna con lo sguardo a me e mi sorride di nuovo.
“Come mai questa domanda?”
“Non lo so nemmeno io” dice, scuotendo le spalle.
Ridacchio.
“Ormai non so più cosa chiederti, quindi devo usare la fantasia” dice.
“Qualche altra domanda assurda?” gli chiedo, con aspettativa.
Ci pensa qualche istante. “Mmm. Che mostro o creatura immaginaria vorresti essere?”
Scoppio a ridere sentendo quella domanda insolita. Poi ci penso seriamente. “Un alieno.”
Rimane stupito. “E perché?”
“Perché arrivano da pianeti lontani, o magari da una stella!”
Sospira esasperato. “Ma allora sei proprio fissata!”
Ridacchio ancora. “Lo scopri solo adesso?”
Scuote la testa con amarezza.
“Cosa ti aspettavi che rispondessi?”
“Una fata, una sirena, un unicorno… qualcosa del genere!”
Lo guardo stranita. “E perché mai?”
Alza le spalle. “È una risposta da ragazza” spiega.
Lo guardo attentamente. “Vorresti insinuare che non sono abbastanza femminile?”
Lui fa finta di niente e sulle sue labbra spunta un sorrisetto insolente.
Con una mano con cui prima mi appoggiavo – senza farmi notare – prendo una manciata di sabbia. Quando lui distoglie lo sguardo da me, gliela infilo da dietro nella maglietta.
“Ah!” esclama, preso alla sprovvista.
Io inizio a ridere mentre lui si agita cercando di togliere i granelli fastidiosi dalla schiena.
Alla fine rinuncia all’impresa e mi guarda con aria di sfida. “Questa me la paghi!”
Io mi alzo in piedi di scatto e inizio a correre. Sento i suoi passi dietro di me e so che tra poco mi prenderà, perché lui è molto più atletico e le sue gambe sono più lunghe e potenti.
Infatti dopo qualche metro due mani forti mi afferrano per i fianchi e mi tirano indietro. Gli rimbalzo quasi addosso, ma lui mi tiene ferma. Di scatto mi solleva prendendomi le gambe con un braccio e la schiena con l’altro.
Mi porta in braccio senza sforzo e con orrore vedo che mi punta dritto verso il piccolo molo. Vuole gettarmi in acqua, lo so.
Inizio a dimenarmi inutilmente, la sua presa è salda e sul suo viso c’è già un sorriso di vittoria.
Quando arriva all’estremità del molo, smetto di agitarmi e con astuzia mi attacco a lui, in modo che non mi possa buttare di sotto.
Lo guardo e gli sorrido baldanzosa, dando per scontato di aver vinto.
Lui mi sorride di rimando. “Tappati il naso.”
Detto questo fa un saltello in avanti e si butta in acqua a soldatino con me in braccio.
Rimango così sorpresa che bevo parecchio prima di tornare a galla. L’acqua non è fredda ma nemmeno tanto calda. Sopportabile.
Tossisco un po’ di volte e metto a lo metto a fuoco, gli occhi infastiditi dall’acqua.
Inizia a ridere forte. Gli metto le mani sulle spalle e lo spingo sotto.
Evidentemente se lo aspettava, perché torna subito in superficie senza aver bevuto e riprende a ridere.
Cerco di guardarlo male per un po’ ma alla fine scoppio a ridere anch’io, senza avere la più pallida idea del perché. La sua risata è semplicemente contagiosa.
“Non ci credo” esclamo, tra le risate.
“L’hai voluto tu!” ribatte.
“E se non avessi saputo nuotare?!” gli chiedo, per metterlo alla prova.
“Ti avrei salvata. Sono un supereroe, ricordi?” risponde prontamente.
Gli sorrido. “Certo.”
Per qualche ragione non dubito che mi sarebbe riuscito a salvare, e per questo mi viene da sorridergli.
Si mette a pancia in su e da qualche bracciata in un stile che non saprei definire, nuotandomi intorno. “Non avevo mai fatto un bagno di mezzanotte.”
“E non lo hai ancora fatto, non sono nemmeno le undici.”
Mi guarda seccato. “Guastafeste.”
Sorrido ancora. “Allora fingi che sia mezzanotte.”
Sorride ampiamente. “Evviva!”
Mi fa di nuovo sorridere il suo entusiasmo inspiegabile.
Nuotiamo un po’ verso il largo, in silenzio.
“Hai freddo?” chiede con aria premurosa dopo un po’.
“Un pochino” rispondo.
“Anch’io. Torniamo a riva.”
Inizio a nuotare più seriamente e mi spavento quando sento una mano afferrarmi per un braccio.
“Che succede?” chiedo a Jason, fermandomi.
“Ho perso una scarpa, dannazione!”
Scoppio a ridere ancora più forte di prima. “E dove l’hai persa?”
“Ti faccio vedere. Aiutami a cercarla.”
Per fortuna non eravamo più molto al largo, e la luna illuminava un po’ l’acqua.
Jason mi prende per mano con naturalezza – facendo come al solito accelerare la corsa del mio cuore – e mi guida, tenendo la testa in acqua.
Con grande fastidio immergo il viso in acqua e apro gli occhi, tentando di vedere.
Lui si ferma in un punto e mi fa segno di andare sotto. Ci immergiamo e iniziamo a cercare la fatidica scarpa sul fondo del lago.
Mi accorgo di averla trovata solo quando sento le mie mani sfiorarne il tessuto (non l’avevo nemmeno vista, che colpo di fortuna!). Nuoto verso di lui e lo tiro verso la superficie per una spalla.
“Trovata” gli comunico, quando arriviamo a galla, sollevandola.
“Grazie mille!” risponde.
Rimango di sasso quando in un impeto di entusiasmo mi abbraccia. Sento il suo corpo aderire al mio, a dividerci solo i leggeri vestiti estivi e bagnati. Con quanta più naturalezza possibile gli stringo leggermente la schiena.
Dopo qualche istante scoglie l’abbraccio – per la felicità del mio cervello, che ritorna a ragionare – e nuota verso riva. Io lo seguo.
Arriva prima di me. Nell’acqua bassa si infila la scarpa ed esce dall’acqua, strizzando i vestiti.
Quando anch’io esco dall’acqua tento di asciugarmi il più possibile, strizzandomi per bene vestiti e capelli.
Rimango sorpresa quando un flash mi abbaglia.
Guardo verso Jason e lo vedo con in mano la mia macchina fotografica e un sorriso divertito.
“Dovevo farti una foto. Sembri un pulcino appena uscito dall’uovo” spiega, ridacchiando e fissandomi.
Arrossisco. In seguito l’avrei cancellata. “Senti chi parla” ribatto.
Vado verso di lui e gli strappo la fotocamera dalle mani. Per vendetta scatto anch’io una foto. Lui anziché cercare di nascondersi si mette in posa, sollevando un braccio e tirando il pollice in su. Non lo capirò mai questo ragazzo, è così pazzo.
“Meglio andare” dice a quel punto.
Annuisco. Prendo la mia borsa, ci metto dentro la macchina fotografica e ci incamminiamo.
“E questo come lo spiego alle mie amiche?” gli chiedo a metà strada, indicando i miei abiti fradici.
“Dicendo la verità?” chiede, alzando le sopracciglia scure.
“Ovvero che sei un pazzo e che mi volevi affogare?” ribatto.
Mi guarda in un modo che mi ricorda parecchio uno di quei cartoni animati in cui ad un personaggio cade la gocciolina dalla fronte.
“Scherzavo!” dico, un po’ seccata.
“Fatti coraggio, sono fatto così” dice conciliante dopo qualche passo.
Sei unico e fantastico, penso. “Se non ti trovassi simpatico sarai già scappata, non credi?”
Sorride contento del mio complimento malcelato. “E per me vale lo stesso con te” dice.
Sorrido anch’io. Mi trova simpatica!, urla una stupida vocina nella mia testa. Era abbastanza scontato, sennò perché avrebbe passato tutto questo tempo con noi?, le rispondo.
Noi? Oddio, sto impazzendo definitivamente.
Arriviamo al mio bungalow e mi volto verso di lui per salutarlo.
Anche lui si è fermato e mi guarda negli occhi sorridendo. “Buonanotte, Mel” dice dolcemente, e con la mano destra mi scompiglia i capelli bagnati. Si volta e se ne va.
Rimango qualche secondo con un’espressione da ebete. “Buonanotte!” dico ad alta voce ma senza gridare. Lo rimango a fissare finché non scompare dietro ad una curva.
Salgo gli scalini della veranda fissando il pavimento con attenzione, per paura di cadere. Sento la testa tra le nuvole. Ci vuole così poco a mandarmi in tilt? Che scema.
Senza nemmeno bussare la porta si spalanca e mi ritrovo le mie compagne di stanza a fissarmi.
Entro cercando di ignorarle, e tutte si allontanano un po’ per paura che le bagni.
Mollo la borsa sul mio letto, prendo il pigiama e mi chiudo in bagno senza lasciargli il tempo di fare domande.
 
La doccia calda mi ha schiarito le idee. Esco dal bagno facendo silenzio, nella speranza che le mie amiche dormano.
Speranza vana. Sono sedute sul mio letto e mi continuano a fissare.
“Che c’è?” domando avvicinandomi, rassegnata.
“Cosa ti ha detto fuori?” chiede subito Caitlyn.
“Buonanotte” rispondo.
“E ti ha fatto una carezza” dice Amber.
“Che dolce” aggiunge Mitchie.
Alzo le spalle fingendo indifferenza.
“Perché eri bagnata?” chiede Amber.
L’avevo detto io che me l’avrebbero chiesto. “Jason si è buttato in acqua con me in braccio” rispondo, imbarazzatissima.
Rimangano tutte stupite. “E perché mai?” continua lei.
“Per vendetta. Gli avevo infilato della sabbia nella maglietta.”
Rimangono ancora più stupite. “Perché?”
Per quanto hanno intenzione di continuare? “Perché mi aveva preso in giro.”
“Ah” conclude Amber.
“Quindi era bagnato anche lui?” investiga Mitchie.
E io cosa ho detto prima? “Sì.”
“Wow” dice lei, sorridendo.
Dio ti prego salvami da queste tre!
“Interessante” dice Caitlyn.
“Molto” sottolinea Amber.
“Quando vi mettere insieme?” chiede sfacciata Mitchie.
“Mai!” rispondo subito.
Tutte e tra alzano un sopracciglio, come a chiedersi se sono scema. Sì, lo sono, ma per altre ragioni.
Sospiro esasperata. “Mi lasciate dormire, per favore? Sono stanca.”
“Immaginiamo” risponde punzecchiandomi Amber.
Si alzano dal mio letto e vanno nei loro. Caitlyn spegne la luce.
“Buonanotte” dico.
“Buonanotte” rispondono insieme.
“Sogna Jason” sento qualcuno sussurrare, ma non capisco nemmeno chi.
 
Questa non era stata proprio una serata come tante altre, però i discorsi e il rapporto tra me e Jason era sempre più o meno così.
Spesso mi prendeva per mano con molta naturalezza, ma ogni volta il mio cuore correva frenetico. Non mi ci sarei mai abituata. Forse per lui era normale, ma per me no.
Ma ovviamente non l’avrei cambiato per niente al mondo.
Mi addormento mentre ci penso su, esausta dalla lunga giornata.
Come tutte le altre notti in cui riesco a dormire sodo, Jason mi fa compagnia nel solito sogno, facendomi sempre svegliare con un sorriso sulle labbra e tanta voglia di rivederlo.


Ed eccovi qui anche il capitolo 12 :) Spero vi sia piaciuto!! E' abbastanza lungo... E spero anche abbastanza divertente xD Qualche buon'anima mi recensisce?? Per me sarebbe un grande onore *.* Sul serio u.u
Haunted__: ahah adesso tocca a te aggiornare xD lo so Jason è fantastico *___* Con ogni frase che scrivo me ne innamoro sempre di più, sul serio <3 Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo e come sempre ti ringrazio per la recensione :)
A presto! :D

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Gesti ***


Gesti

Mi alzo di buon umore, in una bella mattinata di qualche giorno dopo.
In silenzio mi dirigo verso il mio armadio e cerco di aprirne i cassetti senza fare rumore. Afferro un paio di jeans lunghi fino al ginocchio e una maglietta azzurra a maniche corte. Sento che sarà una bella giornata.
Vado in bagno a cambiarmi e poco dopo esco, afferrando al volo la mia tracolla lilla con dentro la macchina fotografica: ho voglia di foto (e mia sorella continua a rompere).
Come sempre Jason è appoggiato alla ringhiera della veranda, mi sorride appena esco.
“’Giorno” dico, salutandolo.
“Buongiorno” dice nello stesso istante.
Noto quasi per la prima volta com’è vestito – a parte forse quando si era bagnato, ma quelle volte non contano. Ha una maglietta a maniche corte, bianca, con lo scollo a V (che dona in modo singolare al suo fisico) e un paio di pantaloni beige, che anche a lui arrivano al ginocchio.
Quando lo affianco e scendiamo dalla veranda, con una mano mi scompiglia i capelli in testa – una sua recente abitudine, che attua ogni mattina e ogni sera quando mi saluta dal giorno in cui abbiamo fatto il “bagno di mezzanotte non a mezzanotte”.
Come al solito oltre che ha scompigliarmi i capelli scompiglia i battiti del mio povero cuore, che penso che a questo punto sia molto precocemente a rischio infarto.
Ci incamminiamo verso il nostro rifugio con molta calma.
“Dormito bene?” chiede lui, tanto per dire qualcosa.
“Sì, tu?”
Anche quella notte lo avevo sognato.
“Anche” risponde.
Arriviamo al rifugio in silenzio, ed io mi accomodo sul solito tronco. Jason si siede accanto a me.
“Forse dovremmo trasportare qui un frigorifero e una tv” dice fissando il piccolo spiazzo vuoto.
“Mmm, dici?” chiedo, guardandomi intorno.
“A me piace più così” aggiungo poco dopo.
“Sì, hai ragione” dice annuendo.
Mi fissa e fa per dirmi qualcosa, poi chiude la bocca e si volta dall’altra parte facendo finta di niente.
“Che c’è?” chiedo.
“Niente” risponde subito, guardandomi.
Alzo un sopracciglio.
Sospira ma non dice niente.
“Allora?!” insisto, leggermente in ansia a causa del suo improvviso mutismo.
“Ci tenevo a dirti una cosa” inizia a spiegare, poi si interrompe.
“Sarebbe…?”
Sorride e mi guarda dritto negli occhi, confondendomi con quel verde acqua così intenso. “Sei la migliore amica che abbia mai avuto.”
Gli sorrido ampiamente. “Anche tu sei il mio migliore amico.”
Mi abbraccia, stringendomi per la vita, spontaneo come sempre. Per la prima volta anche a me viene naturale, senza imbarazzo, mettergli le braccia intorno alle spalle e appoggiare la mia testa alla base del suo collo. Lui abbassa la sua testa sulla mia, e non so per quanto dura l’abbraccio. Un’eternità, dal mio punto di vista. Il momento migliore della mia vita. Perfetto. Vorrei stare così per sempre.
È ovvio che avrei preferito che di punto in bianco mi dicesse “ti amo, Melanie” ma dato che questo è del tutto impossibile, non ci rimango minimamente male. Anzi: in questo modo non lo perderò mai.
Sorrido felice, ancora stretta a lui.
Dopo non so quanto sciogliamo l’abbraccio e ci scambiamo un sorriso. Sono ancora più contenta, vedendolo così felice.
Tiro fuori la macchina fotografica e gli faccio una foto senza nemmeno chiedergli il permesso, poi ne faccio un’altra al rifugio.
“Te ne faccio qualcuna io” dice lui, prendendomi la fotocamera dalle mani. “Mettiti in posa.”
Mi limito a sorridere guardando l’obbiettivo. Lui mi fissa seccato. “Tutto qui quello che sai fare?”
“Non sono io quella che posa per le riviste” dico in mia difesa.
“Prova a stupirmi” dice, con aria di sfida.
Mi alzo in piedi e fisso la minuscola radura circondata dagli alberi, cercando un posto in particolare che mi ispiri.
Lo trovo quasi subito.
Mi dirigo vesso l’unico grande albero lì in giro (una quercia, direi) e mi arrampico a fatica sul primo ramo, che è poco più in alto della mia testa.
Jason mi fissa perplesso e un po’ preoccupato. Si alza e mi si avvicina. “Che stai combinando?”
“Ti stupisco” rispondo, finalmente sul ramo spesso e solido.
Mi accuccio sopra di esso, tenendomi con le mani ad un ramo poco più in alto. “Ecco, scatta ora.”
Mi fa una foto. “Ora scendi, prima di ucciderti” ordina.
Mi siedo sul ramo con le gambe a penzoloni e ipotizzo di saltare, ma non mi pare una buona idea. Prenderò una storta di sicuro.
Jason, vedendo la mia insicurezza, posa la macchina fotografica su una roccia e senza dire niente mi tira giù prendendomi in braccio come un sacco di patate. “Ehi!” esclamo, sorpresa.
Mi molla subito a terra. “Così è più semplice.”
“Non ti peso?”
“Nah, sei leggera” risponde. Lo prendo per un complimento.
 
Quando è ora di colazione torniamo verso il camp.
Jason, con un gesto molto spontaneo, mi prende per mano mentre camminiamo. So per certo che tutti si faranno l’idea sbagliata e che poi spiegare la realtà alle mie amiche sarà un vero casino, ma non mi importa. La sua mano è morbida e calda, stringe la mia con dolcezza ma saldamente, e cerco di imprimermi per bene quella sensazione nella testa.
Nei giorni seguenti gesti come quello diventano sempre più frequenti.
Mi tiene per mano quasi sempre, come se volesse una conferma che sono lì accanto a lui. Ma non è l’unico gesto che compie di lì in avanti.
Un giorno a pranzo chiacchieriamo con i nostri amici.
Mitchie e Shane si fissano con una dolcezza insostenibile, persi l’una negli occhi dell’altro.
“La volete smettere? Siete insopportabili” dice Nate, scherzoso.
“Oh, ma senti chi parla!” ribatte Shane.
“Io non faccio così!” dice Nate.
“Be’, questo non è un problema mio” continua Shane.
“Non è proprio un problema!”
“La volete piantare entrambi?” interviene Jason.
“Zitto tu” dicono gli altri due, in contemporanea. Poi si scambiano uno sguardo di sfida.
“Capisci perché sono così fuori?” chiede Jason, rivolto a me. “Prova tu a crescere con questi due!”
Ridacchio. “È dura essere fratelli maggiori” dico annuendo comprensiva.
“Essere i maggiori è una pacchia, la vera sfida è essere il più piccolo!” interviene Nate.
“E nessuno si preoccupa mai del figlio di mezzo” aggiunge Shane.
“Viva i figli unici” sussurra Mitchie.
“Sono d’accordo” dice Amber.
“I fratelli maggiori devono dare sempre il buon esempio, non è semplice” spiega Jason.
Io annuisco. “E devono sempre aiutare i più piccoli nelle loro scelte” aggiungo.
Jason mi sorride e prendendomi alla sprovvista mi accarezza la schiena con una mano, comprensivo.
Vengo distratta da quel gesto e non bado più a Shane e Nate, che continuano a discutere da soli.
E questo è uno dei tanti esempi.
Una sera invece, dopo essere stati in riva al lago a chiacchierare fino a tardi, mi sta riaccompagnando verso il mio bungalow.
Abbiamo parlato quasi tutto il tempo di me e di mia sorella, perché Jason era curioso di sapere com’è.
“Lei è molto più matura di me” gli dico, mentre camminiamo.
“Ah sì?” chiede lui, incuriosito.
“Sì. Ricordo che due anni fa, per il compleanno della mia amica Carol, comprai un grazioso braccialetto, spendendo ogni mio risparmio. Il giorno stesso della festa, a mezzogiorno, andai a prendere mia sorella a scuola. Le feci vedere il braccialetto, tutta contenta. Inciampai e mi cadde in un tombino. Tentammo per due ore di recuperarlo, ma fu tutto inutile. Arrivate a casa iniziai a disperarmi. Lei mi si fece vicino e mi porse una scatola che non avevo mai visto (la teneva nascosta, non so ancora dove) e mi disse che potevo usare i suoi soldi. La aprii, pensando di trovare pochi spicci (era una bambina di otto anni!) e invece lì dentro c’era il doppio della somma che avevo speso io per il braccialetto. Rimasi di sasso” racconto. “Ne presi solo la metà, e ci misi quasi un anno a restituirglieli.”
Lui scoppia a ridere. “Sa risparmiare.”
“Eccome! Ancora devo capire dove li ha trovati tutti quei soldi.”
Ride ancora.
Arriviamo davanti alla mia veranda.
“Mi manca tanto” sussurro, fissando i gradini.
“Tornerai presto da lei” dice, per tirarmi su.
“Ma non voglio tornare” ribatto, guardandolo negli occhi.
Lui mi sorride e mi si avvicina. Mi abbraccia stretta, come pochi giorni fa nel nostro rifugio.
Poi, poco prima di scogliere l’abbraccio, mi da un bacio sulla testa.
Mi sento diventare completamente rossa, da testa a piedi, e ringrazio che sia buio. Sento il viso bruciare.
“Buonanotte” dice.
“’Notte” rispondo, inebetita.
Si volta e se ne va.
 
Posso ancora ricordare la sensazione delle sue labbra sulla mia testa mentre sono a letto.
Non la dimenticherò mai.
Ci penso e ci ripenso, mentre cado nell’incoscienza.
Sono sempre più convinta che questa sia più di una grande cotta…


Ecco qui il capitolo 13 :) Mi dispiace che sia così corto... Però spero vi piaccia ugualmente xD
Vi avverto che potrei metterci qualche giorno a scrivere il prossimo capitolo... Perchè sarà bello lungo, e anche interessante direi u.u
Ringrazio per i commenti:
Zakurio: ahah ebbene sì questa storia mi ha appassionata e sono io stessa curiosa di sapere come andrà a finire xD aspetta ancora un po' a sperare in bene... Potrebbe esserci qualche difficoltà di qui a poco :) grazie mille per il complimento *___*
Haunted__: ahah addirittura?? Dai abbi ancora un po' di pazienza... Voglio andare con calma u.u Tocca sempre a te aggiornare xD
KrissyJaymes: wow dici sul serio??? :') Ti giuro mi fa un gran piacere saperlo!!! Ti ringrazio infinitamente!!! Troppo gentile *___* Spero continuerai a commentare! :D
Okay, finito u.u Alla prossima :D

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Una Giornata Di Noi ***


Salve a tutti!!! Scrivo quassù perchè vorrei avvisarvi xD Allora, inizio con ringraziarvi già per aver aperto questa pagina, e spero la leggerete u.u Il capitolo è bello lungo, il doppio di uno normale xD Non vi voglio rovinare la sorpresa... Perciò buona lettura u.u Aspettatevi qualcosa.


Una Giornata Di Noi

Una decina di giorni dopo, Jason mi sta riaccompagnando verso il bungalow di sera.
Davvero lo conosco solo dall’inizio dell’estate? Non mi sembra possibile.
“Sputa il rospo” gli dico.
So che vuole dirmi qualcosa: cammina lentamente, lanciandomi brevi occhiate e tenendomi per mano. La sua mano è leggermente sudaticcia, una cosa molto strana per lui, che è la pura incarnazione della tranquillità.
“Cosa?” chiede, fingendosi sorpreso e confuso.
“So che vuoi dirmi qualcosa” gli comunico, sicura di me.
Sospira, rassegnato. “Okay, è vero.”
Aspetto in silenzio che dica qualsiasi cosa voglia dire.
“Pensavo… che magari domani potremmo prenderci un giorno di festa” dice, tentando di fare il disinvolto.
“Un giorno di festa?” chiedo, confusa.
“Sì. Dalle lezioni, da Camp Rock. Da tutto” spiega, incerto.
“Perché?” chiedo, sempre più confusa.
“Per starcene un po’ in santa pace” dice, sempre più insicuro.
“Chi?” chiedo, molto stupidamente.
“Noi due” dice, con lo sguardo basso.
Oh. Non me l’aspettavo, questa. Il mio cuore si fa prendere dall’entusiasmo e inizia a correre. Sento nascere in me una nuova sensazione: la speranza. La reprimo con durezza.
Noto con preoccupazione che Jason continua a non guardarmi negli occhi ed ha uno sguardo… un po’ mortificato, penso.
“Certo” dico subito sorridendo, per fargli capire che l’idea mi piace. Ed è la pura verità.
Alza il viso e mi fissa, i suoi occhi si riempiono di entusiasmo non appena vede la mia espressione sincera. “Che ne dici di domani?”
“Mi sembra perfetto” dico, continuando a sorridergli.
Sorride anche lui. “Okay. Dirò ai miei fratelli di raccontare che non sto tanto bene; fai lo stesso con le tue amiche” si raccomanda.
“Va bene” dico. Rabbrividisco pensando al lungo interrogatorio al quale sicuramente mi sottoporranno.
“Non ci alzeremo alla solita ora, perché se usciamo rischiamo di farci vedere. Meglio uscire dopo gli altri, quando non c’è più nessuno in giro” inizia a pianificare. Si sta già divertendo: gli piace l’idea di fare qualcosa di nascosto.
“Aspetto i suoi ordini, colonnello” dico, per prenderlo in giro.
“La verrò a prendere quando in giro non ci sarà più anima viva. Mi riconoscerà perché busserò cinque volte, signorina” dice, imitando dei modi d’altri tempi.
Ridacchiamo insieme.
“Ma cosa faremo per tutto il giorno?” chiedo curiosa, quando arriviamo alla mia porta.
“Quella sarà una sorpresa” dice. Ha architettato qualcosa, lo so.
Lo guardo imbronciata, ma lui continua a sorridermi. “A domani” dice.
Molla la mia mano e mi fa la solita carezza in testa (che continua a mandare in corto circuito il mio cervello). “A domani” lo saluto.
Jason si incammina e sparisce nel buio. Entro nella mia piccola casetta.
L’atmosfera è un po’ diversa da quella che mi aspettavo. Vedo la sagoma di Mitchie sotto le coperte; Caitlyn le è affianco e le sussurra qualcosa.
Amber mi viene incontro. “Mitchie è in crisi con Shane” mi comunica.
Rimango colpita. “Perché?”
“Non ho capito bene. So solo che, secondo lei, Shane non tiene abbastanza al loro rapporto” spiega, sottovoce.
A me sono sempre sembrati così innamorati, che peccato.
Poi mi ricordo del piccolo favore che devo chiederle. “Domani puoi raccontare che sono malata, per favore?”
“Certo. Perché?” dice, osservando Mitchie.
“Non so nemmeno io di preciso. Jason ha in mente qualcosa” spiego.
La fortuna è dalla mia parte: è troppo distratta da Mitchie per farmi altre domande.
 
La mattina dopo mi sveglia il suono dell’altoparlante, per la seconda volta in tutta l’estate (solo il primo giorno era successo).
Le altre escono, e ricordo a Amber quello che deve dire. Mitchie è sempre di pessimo umore.
Mi preparo un po’ di fretta, e poi attendo seduta sul letto, riguardando le foto scattate durante l’estate.
Mi soffermo su una foto di me e Jason. È un primo piano – l’ho scattata io stessa, allungando il braccio. Siamo sul piccolo molo che c’è sul lago, al tramonto. Il panorama è bellissimo, ma mi è difficile soffermarmi su quello. Perché entrambi stessimo nella foto insieme al paesaggio, Jason si era stretto vicino a me, tanto da appoggiare la sua guancia alla mia: i nostri visi erano così vicini.
Sono persa in quel ricordo, e sobbalzo sentendo bussare alla porta.
Cinque colpi secchi, evidentemente non scherzava.
Esco subito con tanto di tracolla e macchina fotografica.
“Ciao” dico, aprendo la porta e facendo per richiuderla senza nemmeno guardarlo.
Mi volto e quasi ci vado a sbattere contro. È appoggiato al muro e blocca la porta prima che si chiuda.
“Piccolo cambio di programma” mi avverte.
“Cosa?” chiedo, confusa.
“Vatti a mettere il costume sotto ai vestiti” mi ordina gentilmente.
Lo fisso per qualche altro secondo. “Okay” dico.
Vado verso l’armadio lasciandolo sulla porta, prendo uno dei costumi che ho portato con me – il più carino, naturalmente – e vado in bagno a cambiarmi.
Quando esco, Jason è seduto sul mio letto: ha aperto la tracolla e anche lui guarda le foto sulla mia macchina fotografica.
Appena mi sente la spegne e la infila nella mia borsa. Mi pare fosse la nostra prima foto insieme, ma non ne sono certa.
“Andiamo” dice, con più entusiasmo del solito.
Appena usciti mi prende per mano e mi trascina… non so verso dove.
Rimango comunque stupida quando si ferma davanti al suo bungalow. “Che ci facciamo qui?” chiedo.
“Piccola tappa” mi comunica.
Mi trascina dentro senza darmi altre spiegazioni.
Non sono mai entrata lì dentro. La stanza è grande quanto quella del mio bungalow. C’è un letto a castello – con le lenzuola tirate su alla bell’è meglio e qualche maglietta lasciata a caso sul poggiatesta sia di sopra che di sotto – e un letto ad una piazza poco lontano, in perfetto ordine. In generale, la stanza è un po’ disordinata: ci sono un paio di scarpe da ginnastica in terra, qualche giornale vicino al letto e la sedia vicino alla scrivania è sommersa dagli abiti sporchi. La scrivania, invece, contrasta molto con il resto della stanza perché è in perfetto ordine. Sei chitarre sono disposte lungo una parete, anch’esse ordinatamente.
Jason si infila in bagno dicendomi di aspettare lì un attimo.
Vorrei sedermi da qualche parte per aspettarlo con la sua stessa tranquillità, ma due dei letti sono inagibili per il troppo disordine mentre l’altro è così perfettamente ordinato da mettermi in soggezione. Scommetto che è di Nate.
Così lo aspetto in piedi, vicina alle chitarre, che osservo con ammirazione.
Dopo pochi minuti esce.
Alzo lo sguardo su di lui e rimango senza fiato. “O mio Dio” sussurro, nello shock.
“Te lo avevo promesso, ricordi? In cambio del tuo silenzio riguardo certe mie affermazioni” spiega. “Io mantengo sempre le mie promesse.”
Vorrei scoppiare a ridere, ne sento il bisogno, ma non ci riesco nemmeno!
Jason si è rivestito dalla testa ai piedi: indossa i pantaloni scuri di un costume (direi da Batman) e gli stivali coordinati. Sopra ha la maglia di Superman, con tanto di stemma con la famosa “S” e l’imbottitura per i muscoli finti. Un mantello blu scuro cade fino in terra, anch’esso da Batman. In testa ha la maschera da Spiderman.
Superato lo shock, finalmente riesco a ridere.
“Ti piace?” dice, volteggiando su se stesso.
“Sei fantastico. E completamente fuori di testa” rispondo, con una mano sulla bocca per soffocare le risate.
“Sei stata tu ad avermelo chiesto” dice, tranquillo.
“Ma io scherzavo!” ribatto.
“Lo so” risponde, e anche se non lo vedo in faccia sento che sorride. “Però mi piaceva come idea.”
“Stai fermo” dico. Prendo la macchina fotografica e gli faccio una foto. “Togliti la maschera” gli dico dopo.
Se la sfila e la tiene in mano. I bei riccioli scuri sono leggermente spettinati. “Però queste non le fai vedere a nessuno” dice, un po’ preoccupato.
“E perché no?” chiedo, scattando un’altra foto.
“Perché così tutto il mondo saprebbe la mia vera identità” ribatte.
“Okay, promesso” dico, tristemente. Avrei voluto farne un poster da appendere in camera.
“Vuoi fare un voletto con me?” chiede, avvinandosi.
Senza nemmeno lasciarmi il tempo di rispondergli mi prende tra le braccia e inizia a roteare su se stesso.
“Ah!” urlo, istintivamente. Mi da la nausea, e non mi sento affatto stabile.
Stringo le braccia intorno al suo collo e vi appoggio la testa sopra senza nemmeno pensarci. Sento che si sta fermando.
“Tutto bene?” sussurra. La sua voce è vicinissima.
“Sì” rispondo, tirando su la testa e quasi sbattendo contro il suo mento.
La vicinanza dei nostri visi mi confonde.
“Ehm, meglio andare” farfuglio.
“Certo” dice, mettendomi giù.
Corre di nuovo a cambiarsi e dopo poco esce. Indossa un costume lungo fin sopra al ginocchio al posto dei pantaloncini, come fanno tanti ragazzi in questo periodo dell’anno.
Mi riprende per mano e mi trascina verso il lago. Io lo seguo senza fare domande.
Punta dritto verso il molo e si ferma vicino a una moto d’acqua, salendoci sopra.
“Ma io non la so guidare” dico, fissando l’altra moto vicino a lui.
“Lo so” risponde. “Salta su” aggiunge, indicando il posto dietro di lui.
Lo rimango a fissare spaventata. Molto instabile quel trabiccolo.
“Be’, non saltare sul serio. Dai, siediti!” dice, porgendomi una mano.
Salgo nel posto dietro di lui e non cado in acqua per miracolo.
“Hai paura?” chiede, divertito.
“Solo se vai veloce” rispondo.
“Capito.”
Fa partire la moto lentamente.
“Ma qualunque sia il posto dove stiamo andando è così lontano da non poterci andare a piedi?” chiedo, fissando l’acqua.
“No, per niente. Ci vogliono dieci minuti” risponde tranquillo.
“Cosa?! E allora perché siamo su questo aggeggio?!” dico, con voce isterica.
“Perché è più divertente” risponde. “Reggiti forte!”
La moto schizza via sull’acqua, così veloce che mi pare di volare.
Terrorizzata, mi stringo a lui con tutta la mia forza, rischiando di stritolarlo. Appoggio il viso contro la sua schiena per non vedere. Con le mani sento le sue costole e forse gli sto facendo un po’ male, ma non riesco ad allentare la presa.
Per fortuna il viaggio dura poco, forse solo due minuti.
Jason rallenta e lascia che la moto si areni sulla riva. Io ancora non mi sono mossa.
Con la mano picchietta sulla mia testa. “Sei ancora viva?” chiede, un po’ preoccupato.
Lo lascio andare senza rispondere. Balza nell’acqua che gli arriva poco sopra la caviglia e mi aiuta a scendere. Lo guardo malissimo, arrabbiata.
E lui ridacchia, sfrontato. “Okay, scusa. È stato divertente” dice, fissandomi.
Non cambio espressione.
“Dai, perdonami, ti prego” sussurra, avvicinandosi un poco e fissandomi negli occhi.
Odio l’effetto che mi fanno i suoi occhi quando ha uno sguardo così intenso. Odio lui! No, non è vero per niente. Adoro lui e i suoi occhi stupendi.
Sospiro amareggiata da me stessa. “Okay. Ma non farlo mai più” gli ordino.
“Affare fatto” dice, tornando a sorridere contento.
Afferra la mia mano e mi trascina verso il boschetto che c’è al limite con la spiaggia.
“Dove stiamo andando?” chiedo, curiosa.
“Vedrai” risponde. “Però non aspettarti niente di eccezionale… non ho avuto molto tempo per sistemare tutto. E soprattutto non ho avuto grandi idee.”
Dopo aver sorpassato alcuni alberi, arriviamo in un prato di dimensioni non troppo estese. È bello, con molti fiori. Sotto l’ombra di un salice piangente c’è una specie di coperta a quadri bianchi e rossi, con sopra una borsa-frigo e un cestino da picnic (di quelli che ho sempre creduto esistessero solo nei cartoni animati e nei vecchi film).
“Un picnic?” chiedo, sorridendo. Che idea carina.
“Tanto per cominciare” dice, evidentemente contento del mio sorriso.
Noto che attaccata ad uno spesso ramo del salice c’è un’altalena improvvisata. “L’hai messa tu?” chiedo, indicandola.
“Sì” risponde. “Magari con quella riesci anche ad arrampicarti meglio.”
“Quando l’hai fatto?” chiedo, stupita.
“Stamattina.”
Arriviamo vicino alla coperta e Jason vi si accomoda sopra. “Hai fame?” mi chiede, speranzoso.
“Sì” rispondo. Non avevo fatto colazione.
Sorride. Apre il cestino e prende un paio di barattoli e un piccolo pacchetto. Mi avvicina un barattolo e mette il pacchetto in mezzo.
Senza neanche chiedermelo mi aveva preso la mia colazione preferita: fette biscottate con la marmellata di albicocca. Lui aveva quella ai mirtilli.
“Grazie” gli dico, sempre più stupita.
“Prego” risponde.
Iniziamo a mangiare.
“Ti piace il posto?” chiede, dopo un po’.
“Sì, è fantastico. Come l’hai trovato?”
“Passeggiando” risponde. Da un gran morso ad una fetta biscottata.
Continuiamo a chiacchierare tranquilli e finiamo di mangiare.
“Vuoi provare l’altalena?” chiede, toccando una delle corde con cui era legata al grosso albero.
“Certo” dico, cercando di non farmi spaventare dai nodi grossolani con cui era fissata. “È stabile?”
Mi fissa irritato. “Non ti fidi?”
“Di te sì, delle corde un po’ meno” rispondo, fissandole.
“Dai, fifona!” mi incita.
Testo le corde tirandole e non si spostano di un millimetro. Mi siedo sul sedile di legno liscio.
Prendendomi ancora di sorpresa, lui mi tira indietro e mi da una spinta. Non avevo afferrato che sarebbe stato lui a farmi dondolare.
Cerco di spingermi da sola con gambe e schiena per non farlo faticare, ma lui continua a spingermi tranquillo. Possibile che ogni volta che mi sfiora la schiena un brivido mi percorre? Non c’è un modo per far stare tranquillo il mio cuore? Forse con dei sedativi…
“Allora ti piace?” chiede, dopo una decina di spinte.
“Sì, molto” rispondo. Il vento fresco che mi soffia tra i capelli è una bella sensazione.
“Continua a muoverti” dice, e si allontana.
Prende di nuovo la mia macchina fotografica e mi fa una foto mentre vengo in avanti. “Mi sa che è un po’ mossa” dico.
Guarda la foto appena scattata. “No, è perfetta.”
Un’altra piccola scossa al mio cuore.
Passiamo tutta la mattinata a parlare mentre ci arrampichiamo sui solidi rami del salice e ci scattiamo foto in pose improbabili.
Per farsi fare una foto Jason, spaventandomi parecchio, si è praticamente messo a testa in giù, tenendosi con le gambe ad un ramo e con le mani ad un altro più in basso. Per fortuna non era caduto di sotto: lo avevo subito costretto a scendere.
A pranzo sfodera dalla borsa-frigo un paio di panini. Mangiamo sulla coperta e poi andiamo a prendere il sole sulla spiaggia (senza metterci in costume).
Dopo un’oretta di relax e poche chiacchiere, si alza in piedi.
“Hai voglia di un bagno?” chiede.
Il sole batteva forte e non c’era la solita brezza fresca. Il caldo iniziava ad infastidirmi. “Sì.”
“Bene. Si muore di caldo.”
Si toglie le scarpe e va verso l’acqua, sentendone la temperatura con i piedi. “Perfetta” lo sento mormorare.
Io rimango interdetta, e mi prende un leggero panico ma soprattutto un forte imbarazzo. Non mi ha mai vista in costume, e io non ho mai visto lui – anche se abbiamo già fatto un bagno insieme.
Si volta e incontra il mio sguardo. Stranamente lo vedo arrossire. Cammina deciso verso la coperta (che abbiamo spostato qui per sdraiaci sopra) e fingendo disinvoltura si sfila la maglietta, restando in costume.
Distolgo subito lo sguardo. Melanie ti prego sii forte e non arrossire, dico a me stessa.
“Testo una cosa, aspettami qui” dice, e schizza via.
Torno a respirare e cerco di calmarmi, scacciando via l’immagine di lui in costume dalla mia mente. O almeno ci provo. Non ho mai visto niente di più bello, poco ma sicuro.
Con gesti meccanici mi tolgo la maglia e i pantaloncini. Poi resto impalata ad aspettarlo.
Non mi sono mai reputata una bella ragazza, ma non mi sono mai ritenuta nemmeno un mostro: come sempre sono anonima. Monocromatica (occhi marrone scuro, capelli color nocciola con qualche ciocca rossiccia, pelle ormai un po’ abbronzata dal sole). Il fisico di certo non è quello di una super-modella, però (come pensa anche Jason, mi ricorda una vocina nella mia testa, riferendosi a quella volta che ha detto che sono leggera) sono magra quanto serve.
“Yu-uh!” urla all’improvviso.
Mi volto verso la sua voce appena in tempo per vederlo correre sulla piccola collina che si trova a pochi metri da dove sono io. Stringe una corda simile a quella dell’altalena tra le mani – anch’essa è legata all’estremità di un ramo di un albero, sopra l’acqua del lago - e prende la rincorsa. Non si ferma nemmeno quando la terra sotto i suoi piedi finisce. Si aggrappa alla corda anche con i piedi.
Quando essa è protesa verso il lago al massimo e sta per tornare indietro, Jason molla la presa e si lancia in acqua a palla di cannone. Fa grandi schizzi e crea piccole onde.
Io rimango basita a fissarlo.
Emerge poco dopo. “Mel, prova anche tu, è il massimo!”
 
Trascorriamo tutto il pomeriggio a lanciarci da quella corda e ad inventare tuffi assurdi.
Ogni volta che esce dall’acqua non riesco ad impedire a me stessa di fissarlo: non dovrei nemmeno pensarci – è il mio migliore amico – ma bagnato e in costume è incredibilmente sexy.
Sono un caso disperato, nemmeno un esorcista può aiutarmi. Me ne sto a faccia in giù nell’acqua, fingendomi morta.
All’improvviso della mani mi solleticano dai fianchi. Scoppio a ridere e bevo. Tiro su la testa tossendo. Un’altra mano mi da dei colpetti sulla schiena, ma io continuo a tossire: che stupida ho bevuto un sacco e non riesco quasi a respirare. L’acqua nei polmoni è un fastidio tremendo.
Un braccio mi afferra de dietro e mi trascina a riva.
“Scusa, volevo solo farti uno scherzo. Stai bene?” chiede Jason, preoccupato.
“Sì” tossisco, con la voce rauca. Finalmente non sento più acqua, ma la mia gola brucia.
Sono seduta nell’acqua bassa. Sento che Jason si allontana e torna subito dopo. Mi porge una bottiglia. “Grazie” dico.
Ne bevo qualche sorso e sto subito meglio.
“Scusa ancora” ripete.
“Tranquillo, capita” rispondo.
Questa sciocchezza non riuscirà a rovinarmi una giornata così perfetta.
Che sta per finire, penso, fissando accigliata il tramonto.
Anche Jason fissa il sole che si abbassa dietro alle basse montagne. “Forse dovremmo andare.”
Annuisco, sconsolata.
Raccogliamo tutta la roba e la ficchiamo dentro una grossa borsa. A malincuore fisso Jason che si rinfila la maglietta mentre faccio lo stesso. I nostri capelli sono ancora fradici e i costumi anche. Il mio pezzo di sopra bagna la maglietta.
Saliamo sulla moto d’acqua e cerco di essere coraggiosa, ma non riesco ad evitarmi di stringermi a lui mentre accelera veloce. Non che mi dispiaccia, in fin dei conti.
Arriviamo poco dopo al molo del camp. A Jason non sembra più importare niente della segretezza.
Anziché andare verso i bungalow, mi prende per mano e mi fa sedere con lui all’estremità del pontile.
In giro non c’è anima viva.
“Che succede?” gli chiedo.
Lui fissa il lago e non risponde.
“Jason?” chiedo, un po’ preoccupata dalla sua espressione contratta.
In questi ultimi tempi si comporta in modo strano, e non riesco a capirne il perché.
Sospira. “Ti sei divertita?” chiede, senza guardarmi. La sua espressione non cambia.
“Tantissimo, lo sai” rispondo.
Mi lancia un’occhiata rapida e poi torna a fissare l’acqua calma, senza tradire emozioni. “Anche io” sussurra. “È stata una delle giornate migliori della mia vita.”
Di nuovo una punta di speranza nel mio cuore. Di nuovo la tronco sul nascere.
Rimango in silenzio.
“Mi diverto sempre con te” sussurra ancora.
Il mio cuore scandisce un ritmo anormale, lo sento rimbombare nelle orecchie. Non riesco a distogliere lo sguardo dal viso di Jason.
“Più che con gli altri” aggiunge, poco dopo.
La speranza non vuole rassegnarsi a sparire, ma io non voglio illudermi: ci soffrirei troppo. La cancello con cattiveria.
“Anche per te è così?” domanda, affondando con i suoi occhi nei miei.
Annuisco, incapace di parlare. Balbetterei e basta, intontita come sono.
Di nuovo fissa il lago. “Per un po’ sono stato confuso… però poi, l’altra volta… e lo so che ho detto… be’, forse è stata una stupidaggine…” dice, confuso.
Non capisco un bel niente.
“Però ecco, adesso sono sicuro… poi oggi…” sospira, scuotendo la testa.
Sto impazzendo. Prego che dica qualcosa di sensato, qualsiasi cosa.
“Quindi ti volevo dire…” inizia, per poi bloccarsi subito.
Gira il viso lentamente e incrocia il mio sguardo. Si volta verso di me con tutto il corpo, restandomi a fissare in silenzio.
“Cosa?” sussurro, dopo non so quanti minuti. Deve dire qualcosa, o morirò lì. Le mani mi tremano ma cerco di nasconderle.
Rimane in silenzio. Alza un braccio verso di me – anche la sua mano trema leggermente. La avvicina al mio viso. Con una delicatezza indescrivibile sposta un ciuffo bagnato di capelli dietro il mio orecchio, per poi lasciar scivolare la mano con altrettanta grazia lungo il mio viso, e poi giù per il collo.
La speranza è ovunque. La speranza è tutto. Fa battere il mio cuore forte come mai prima di allora. Non ho e non avrò mai la forza per reprimerla tutta. Forse nemmeno voglio. Forse… o no?
Con la mano ancora poggiata sul mio collo, allunga il pollice e accarezza avanti e indietro il profilo della mia mascella, con delicatezza. Sento la pelle scottare dove è a contatto con la sua.
I suoi occhi non lasciano i miei, e anche se volessi non potrei guardare altrove. Sono intrappolata, sto affogando in quel verde acqua che non è mai stato tanto intenso come ora. E affogherò sul serio se non dirà qualcosa.
Di nuovo la speranza scuote la mia mente. È giustificata? Sta davvero succedendo quello che spero ardentemente?
Risolleva la mano e mi accarezza ancora il viso, questa volta con il dorso della mano. Poi scova una delle mie, che tremano neanche avessero appena preso una scossa mortale, e la afferra dolcemente.
È come se non avesse mai fatto quel gesto prima d’ora. Ed è vero, in parte: non l’hai mai fatto in quel modo. È… totalmente diverso. Stringe le mie dita con tenerezza e accarezza il dorso della mia mano con il pollice, tracciando dei cerchi che mi scottano. Le mie dita stringono la sua mano allo stesso modo.
Si avvicina un po’ a me, senza dire nulla, continuando a fissarmi.
Finalmente si decide a parlare. “Melanie, io…”
“LASCIAMI STARE!” urla fortissimo una voce. Mitchie spunta da dietro un bungalow e corre lungo la spiaggia.
Io e Jason sobbalziamo, e lui si interrompe.
“Aspetta!” urla Shane, spuntando dal medesimo posto.
“NO!” urla rabbiosa Mitchie, e corre via.
Ora, io sono una brava ragazza. Non una santa, ma non ho mai fatto male a nessuno. Vado a scuola, ho buoni voti, obbedisco ai miei genitori, tratto bene mia sorella, a volte faccio anche volontariato. Perché dovevano interromperci proprio in questo momento?!
Non ho mai avuto in vita mia così tanta voglia di picchiare qualcuno. La rabbia mi scuote violenta, prendendo il posto della speranza.
Dietro Shane e Mitchie spuntano anche Nate, Amber e Caitlyn.
“Che sta succedendo?” sussurra Jason.
Perché? Perché a me? Perché ora?
“Non lo so” sussurro a mia volta.
Si alza in piedi senza lasciare la mia mano e mi porta con sè, verso i ragazzi che continuavano a urlarsi contro infuriati.




Ed ecco qui anche il capitolo 14 :) Spero vi sia piaciuto! E so già che qualcuno sarà un po' arrabbiato per la conclusione xD Però dai, c'è tempo. Ho aggiornato prima di quanto pensassi, stranamente xD Ormai non riesco a stare più di tanto senza scrivere, sono drogata da questa storia! xD
Per chi volesse fare due chiacchiere con me, vi metto qui il mio contatto di msn: giulianicolini@live.it
Povera Melanie, mi fa pena. Forse le farò strozzare qualcuno nel prossimo capitolo (scherzo, non preoccupatevi u.u). Vi metto un piccolo SPOILER in fondo.
KrissyJaymes: wow sono davvero onorata!!! Grazie mille :D <3 Ahaha da quello che hai scritto mi sa che anche tu ci rimarrai male per la conclusione del capitolo xD Mi dispiace, dovevo far succedere qualcosa :/ Anch'io lo amo *__* <3
ElyCecy: grazie mille!!! Sono contenta che ti piaccia (e Jason/Kevin è anche il mio JB preferito, se non si fosse capito xD)! Mi dispiace per dover far litigare Mitchie e Shane, dato che ti piacciono così tanto :( Però loro litigano in ogni film xD Vedrai che poi si sistemerà tutto... E mi sa che non ti sbagli sul fatto dell'amore corrisposto (direi che ormai posso dirlo, perchè mi pare abbastanza evidente. Solo Mel non lo capisce xD).
Haunted__: le minacce di morte si fanno sempre più frequenti, a quanto pare xD Grr ma com'è io ho già scritto 3 o 4 capitoli dall'ultima volta che TU hai aggiornato??? Non mi pare tanto giusto u.u Mi manca la tua storia :( [PER TUTTI QUELLI CHE STANNO LEGGENDO: vi consiglio la sua storia, si chiama "Can't Back Down" ed è a dir poco S T U P E N D A v.v]


S P O I L E R:
Io vi ho avvertito, quindi leggete a vostro rischio e pericolo xD No, okay, non vi dico niente di chè perchè odio rovinare la sorpresa. E' più che altro un avviso: nel prossimo capitolo le cose si metteranno mooolto male per Jason e Melanie :'( E non finirà tanto presto, sappiatelo.

Detto questo, a presto :) Aggiornerò il più presto possibile! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Lo Sbaglio ***


Lo Sbaglio

“Cosa sta succedendo?” chiede Jason a Nate, una volta che siamo arrivati da loro.
Mitchie e Shane si gridano contro a una ventina di metri da noi. Meglio tenersi ad una distanza di sicurezza.
Se inizia una rissa Shane vs Mitchie, però, voglio partecipare. Ho ancora una gran voglia di picchiarli entrambi.
No, okay, non sarei capace di ferirli sul serio. Potrei urlargli di tutto, al massimo. Non possono aiutarli gli altri a fare pace? Insomma, c’è Nate: è il fratello di Shane. Il più saggio, direi. Basta anche solo lui, no?
Non dico niente, perché so che Jason vuole rispettare il suo ruolo da fratello maggiore. Mi aggrappo al suo braccio con forza, e lui mi stringe la mano, lanciandomi uno sguardo: anche lui vorrebbe andarsene, ma so che non lo farà.
“Shane è arrabbiato con Mitchie perché Mitchie è arrabbiata con Shane” dice Nate, osservando il fratello arrabbiato.
“Forse dovresti capire che al mondo non esisti solo tu!” urla Shane.
Mitchie fa un passo indietro sentendo quelle parole, senza rispondere. Si volta e corre via.
Amber e Caitlyn si lanciano subito al suo inseguimento, superando Shane, che rimane impalato a fissarle. Tira un calcio alla sabbia, rabbioso.
Nate va subito verso di lui e Jason fa lo stesso, trascinandomi con sé.
“Tutto bene?” chiede Nate.
“Secondo te?” ribatte Shane, fissando la sabbia.
“Vedrai che sistemerete tutto” lo incoraggia Jason.
“E invece no. Adesso Caitlyn ed Amber la ascolteranno e sicuramente le daranno ragione, così da convincerla ancora di più che non deve calmarsi” ribatte Shane.
“Magari se le andiamo a parlare noi… potremmo prendere le tue difese… che ne dici?” propone Jason, lanciando un’occhiata a Nate.
“Lo fareste?” domanda Shane, titubante.
“Certo” risponde Nate, mettendogli una mano sulla spalla.
“Andiamo” dice Jason. “Mel, puoi restare qui con lui?” aggiunge, lanciando un’occhiata a Shane.
Lo sapevo che mi ero illusa troppo presto. “Certo” rispondo.
Nate inizia a correre verso dove le tre ragazze sono sparite. Jason lascia la mia mano lentamente e sostiene il mio sguardo per qualche altro istante, poi si volta e corre dietro al fratello.
Shane tira un altro calcio alla sabbia. “Io non capisco le donne” dichiara.
“Perché è arrabbiata?” chiedo, timidamente.
“Sostiene che io non tengo abbastanza al nostro rapporto. Che non la considero abbastanza, solo perché non passo ogni istante con lei” spiega. “Ma io ci tengo. Tanto.”
Impossibile non credergli: i suoi occhi marroni e verdi sembravano bruciare di sincerità e passione.
Non rispondo, non so che dire.
“Non capisco cos’ho fatto di sbagliato” continua. “Forse dovrei scriverle una canzone? Mandarle dei fiori? Farle dei regali? Le dico che la amo ogni giorno, pensavo che questo fosse l’importante” sussurra.
“Lo è” farfuglio, a disagio.
“Quindi forse c’è qualcosa che non va in me, non nel mio comportamento” riflette.
Resta pensieroso per qualche istante, guardandomi. “Dovrei essere più serio? Più dolce?” domanda, senza aspettarsi una risposta.
Fa qualche passo verso di me, scalciando per l’ennesima volta la sabbia chiara. “Forse non bacio bene” sussurra.
Mi fissa, aspettandosi una risposta.
Cosa dovrei dirgli? Cosa ne posso sapere io? Panico.
“Non lo so” sussurro, con la voce strozzata.
Continua a fissarmi, avvicinandosi ancora un poco.
Mi aspetto che continui con il suo monologo e le sue domande, ma non lo fa.
Senza che io me ne renda nemmeno conto – come posso immaginare una cosa del genere, in fondo? – si avvicina ancora. Poi, di punto in bianco, alza una mano per accarezzarmi una guancia (in modo simile a come faceva Jason, prima che ci interrompessero).
Rimango così sbalordita dal quel gesto, che non riesco nemmeno a spostarmi, andarmene, correre via.
Il mio cervello è così scioccato che realizza cosa sta succedendo solo quando sento le labbra di Shane sulle mie.
Una sua mano mi tiene ferma la testa da dietro, mentre l’altra mi afferra per la schiena, stringendomi a lui.
L’unica cosa che mi riesce a far ragionare in quel momento di caos è il pensiero di Jason. Io voglio baciare Jason, di certo non Shane.
Cerco di allontanarlo da me spingendo via il suo viso, che non si scota di un millimetro. Metto le mani sul suo petto e spingo con tutta la forza che ho, ma è troppo forte.
Grazie alla mano che mi tiene ferma la testa, non riesco nemmeno ad allontanare il mio viso dal suo.
Per un attimo, molto stupidamente, la mia attenzione si posa proprio su Shane, che sta continuando a baciarmi. Proprio in quel momento lui mi stringe ancora più forte e mi morde il labbro inferiore: inizia a fare sul serio.
Sento le sue labbra che cercano di aprire le mie… e ci riescono.
La mia opposizione svanisce, il mio corpo non reagisce più ai comandi: sembra che sia Shane a comandarlo. Chiudo gli occhi.
Mi ritrovo a stringerlo anziché spingerlo via; lo bacio senza nemmeno deciderlo.
È impossibile sfuggirgli: sembra un ciclone di passione, non riesco a scampargli. Non riesco a pensare ad altro.
Sento la sua lingua che accarezza leggera le mie labbra, per poi andarsi ad intrecciare con la mia.
Quando il ritmo rallenta, per mancanza di ossigeno, riapro gli occhi lentamente.
Le mie braccia cadono e il mio cuore si ferma quando vedo Jason che ci fissa, a una ventina di metri di distanza. È sconvolto, ferito: la sua espressione parla chiaro.
Si volta e se ne va a passo veloce.
Do uno spintone a Shane e gli corro dietro. “Jason!” urlo.
Lo raggiungo e lo prendo per un braccio facendolo girare.
A quel punto non so che dire: mi guarda con un’espressione così piena di dolore da spiazzarmi totalmente. Inizio a piangere senza accorgermene.
“Che vuoi?” chiede, gelido. I suoi occhi brillano di lacrime trattenute.
“Non è come pensi” dico. “È stato lui a baciarmi” mormoro, balbettando.
“Lo so. Vi ho visti da lontano e quando lui ha iniziato e tu cercavi di spingerlo via sono corso da voi per prenderlo a schiaffi” dice, rabbioso. “Poi all’improvviso ti ci sei buttata addosso!”
“Non è stata una decisione mia! Non so perché l’ho fatto!” cerco di spiegare. “E poi… noi non stiamo insieme” sussurro.
Non mi guarda nemmeno mentre parla. “Vuoi dire che non avevi capito cosa stavo per dirti?”
Abbasso lo sguardo sulla terra e mi mordo il labbro bagnato di lacrime, mentre penso alle mie speranze di poco prima.
“Ecco, infatti” sussurra, interpretando correttamente il mio silenzio. “Io non pretendo tante cose. Però voglio essere l’unico.”
“Ma io non volevo farlo! Io…” vado in cerca delle parole giuste, ma non riesco a trovarle.
Aspetta in silenzio qualche istante. “Non riesci nemmeno a dirlo” sussurra. Grosse gocce di acqua salata scendono sulle sue guance chiare.
Si volta e se ne va, lasciandomi in preda al dolore più profondo che abbia mai sentito.
Le mie ginocchia tremano e poi cedono, facendomi cadere a terra.
Non so per quanto tempo rimango lì immobile, a piangere per il più grande sbaglio della mia vita. Perché? Perché è successo? Perché l’ho fatto? Perché ho tradito il ragazzo di cui sono innamorata per un bacio che per me non conta niente? Perché proprio ora che mi stava per confessare di ricambiare quel sentimento? Ma perché l’ho fatto?
Vorrei solo che mi colpisse un meteorite.


E siamo a 15... :'( Mi dispiace che il capitolo sia così corto, ma non sapevo cosa aggiungerci xD Spero vi piaccia anche se ne dubito (non piace nemmeno a me xD). Sono proprio curiosa di sapere cosa ne pensate di questo fatto... u.u
KrissyJaymes: eh anche a me dispiace per loro xD Soprattutto per Jason :'( Qui le cose si complicano parecchio anziché risolversi xD
ElyCecy: ecco qui entrambe le coppie si incasinano xD Chissà cosa succederà? u.u
Haunted__: ahah non mi uccidere xD Se lo fai non saprai mai come andrà a finire u.u E ricorda che mi hai promesso un capitolo per oggi =.=
Zakurio: questo intendevo dicendo che le cose si mettono male xD Lo so c'erano vicini... E proprio per questo Melanie ci soffre ancora di più xD
Che dire... Al prossimo capitolo xD L'ho già scritto, ma aspetto almeno un commento (ma anche più di uno) prima di pubblicarlo u.u Buahahah v.v Adios :D

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** La Sofferenza ***


La Sofferenza

Certa gente non si rassegna mai.
Sono nel mio letto da quattro giorni. Ho detto chiaramente a tutti di non voler più mettere fuori il naso dal mio bungalow fino a quando non sarà finito il soggiorno a Camp Rock.
“Ti prego, vieni con noi a giocare. Potresti divertirti” mi supplica Amber, seduta sul mio letto.
So di non potermi arrabbiare con lei: è così paziente da portarmi cibo e acqua ogni giorno. Però vorrei urlarle contro.
Come può non capire che è impossibile che io mi diverta? Ora e sempre. Ad ogni minimo movimento sento i cocci del mio cuore in frantumi che picchiano tra loro facendomi male e ricordandomi quello che ho perso per sempre.
“No” sussurro, mentre altre lacrime stanno per straripare. Come possono essercene ancora? Non esiste un limite?
Finalmente si arrende. Sento i suoi passi sul pavimento di legno e la porta che cigola mentre si richiude.
Adesso che sono di nuovo sola con me stessa, mi lascio andare ai soliti singhiozzi.
Tutto ha perso significato, mi resta solo una cosa: il dolore. Il dolore ora è tutto ciò che ho.
Lo sento forte, ovunque. No, anzi: sono più dolori che mi colpiscono insieme.
Il primo, quello che mi da la nausea e i crampi allo stomaco, è quello che si prova quando perdi la persona più importante della tua vita. Lui lo era, sul serio. Me ne rendo conto solo ora che ha superato tutto – persino i miei parenti. È il classico dolore che si prova quando si perde la persona che si ama.
Un altro dolore, che mi fa male alla testa, è la consapevolezza. La consapevolezza che è tutta colpa mia. Potevo averlo, era vicinissimo. Mi si era offerto dopo tanto tempo: è come se fossi stata tutta l’estate su un prato, ad ammirare il bocciolo di un fiore bellissimo, aspettando che si schiudesse per poterlo cogliere. Quando finalmente si era aperto, per sbaglio lo avevo calpestato e distrutto.
E poi c’è l’ultimo dolore, il peggiore di tutti: l’amore stesso, che mi tortura il cuore anche se è già a pezzi. Perché quando si ama davvero una persona e con un gesto si ferisce si questa che se stessi, è ancora più grande il dispiacere per la sofferenza di quella persona che per la propria.
Ogni volta che chiudo gli occhi c’è sempre la stessa immagine: il volto di Jason rigato dalle lacrime.
L’ennesimo singhiozzo mi toglie il respiro e le lacrime scendono ancora più veloci.
Come se non bastassero quei tre dolori – che già da soli possono distruggerti completamente, ve lo assicuro – lui mi manca da morire. Voglio vedere il suo volto, il suo sorriso, sentire la sua mano che stringe la mia. E so che non succederà mai più.
Di nuovo il feroce odio per me stessa mi travolge. Se non fossi così dannatamente fifona, troverei un qualche modo per uccidermi. Ma forse è meglio così: morire sarebbe troppo facile. Invece in questo modo mi contorcerò nella sofferenza per il resto dei miei schifosi giorni.
Un po’ mi odio anche per la mia debolezza, non sono abbastanza forte per reagire. Per lottare. Ma tanto non c’è niente per cui lottare, l’ho perso per sempre.
Mi raggomitolo su me stessa sotto le coperte, aspettando che il tempo faccia il suo corso e che la morte mi venga a salvare.
Qualche piccola ed insignificante parte del mio cervello si accorge di un rumore, ma non ci bado.
Altri rumori più forti che si avvicinano e mi distraggono dal mio dolore: è entrato qualcuno. Perché non mi lasciano stare? L’unica persona che voglio vedere adesso di certo non mi verrà a fare visita.
Un altro singhiozzo e qualcuno si siede sul mio letto, vicino ai miei piedi.
“Melanie?” chiede, qualcuno.
Sono così stordita da metterci un po’ a capire che non è Amber e che è una voce maschile.
L’unica certezza è che non è la voce che volevo sentire.
Non rispondo, non voglio parlare con nessuno.
“Per favore, parlami” dice la voce.
La parte del mio cervello che la ascolta, la riconosce.
Mugolo qualcosa, per fargli capire che non sono per niente dell’umore giusto per una chiacchierata.
“Ti prego, voglio aiutarti” continua lui.
“Non voglio essere aiutata” sussurro, ma so che mi sente.
Rimane in silenzio qualche istante. “Nemmeno se ti dico che così potrei aiutare anche Jason?” domanda, centrando in pieno il bersaglio.
Un fremito mi percorre sentendo il suo nome ad alta voce, i cocci del mio cuore sobbalzano e si contraggono. Jason, Jason, Jason. Come sta Jason? Cosa fa?
Mi asciugo le lacrime dalle guance e mi tiro su a sedere, poco importa che abbia un aspetto terribile.
Nate mi sta fissando preoccupato. “Peggio di quanto pensavo” mormora, esaminando il mio viso.
“Cosa vuoi? Non ho voglia di parlare” dico, con freddezza. Mi dispiace un po’ parlargli così, ma almeno forse in questo modo capirà.
“Lo so” dice. “Te l’ho detto, voglio aiutarti.”
“Perché?” chiedo, irritata dalla sua ostinazione.
Sospira. “Perché non posso sopportare di vedere mio fratello nello stato in cui è ora per ancora chissà quanto tempo.”
Mi si blocca il respiro mentre sento una fitta tremenda al petto. Gli occhi mi si gonfiano di nuove lacrime.
“So che pensi che non ci sia più niente da fare, ma non è così” dice, fissandomi mentre ricomincio a piangere.
Mi raggomitolo di nuovo sotto le coperte mentre scoppiano altri singhiozzi.
Nate sospira e poco dopo lo sento alzarsi e andarsene, mentre borbotta qualcosa. Le uniche parole che colgo sono “maniere forti”.
Vuol dire che non si darà per vinto, penso esasperata.
Ma adesso non importa, il dolore è troppo forte per pensare.
 
Quanto buio, non vedo niente.
C’è qualcosa tra le mie mani: Melody, la riesco a vedere. Qualcosa la illumina.
Mi siedo su un tronco, l’unica altra presenza nel vuoto.
Le mie mani sfiorano le corde perfettamente accordate: devo suonare.
Inizio una canzone, ma c’è qualcosa di sbagliato, un’assenza.
Solo adesso noto un altro tronco di fronte a me, ma è vuoto.
No, qualcosa sopra c’è: una chitarra.
Un brivido mi percorre e il dolore mi scuote: non è unachitarra, è la suachitarra.
Dov’è? Dov’è lui?
“Jason!” urlo, disperata, tra le lacrime.
Ma è inutile: non c’è niente intorno a me.
 
Mi risveglia da quell’incubo tremendo un rumore acuto, stridulo.
È il mio urlo, realizzo, stupita.
Poi torna quella sensazione, quella del sogno: la solitudine lacerante. Jason non è nemmeno qui.
Con la coscienza tornano le lacrime.
Solo quando mi distendo e tocco qualcosa con i piedi capisco che c’è qualcuno seduto sul mio letto.
Abbasso dalla testa la coperta, pronta a cacciare via Nate.
Mi si blocca il respiro quando vedo che non è lui.
Troppo brutti i ricordi legati a lui. Ancora troppo vividi.
Perché Shane è qui?
“Finalmente” dice, esaminandomi mentre lo guardo traumatizzata.
Non rispondo.
“Non mi aspettavi, immagino” aggiunge, fissandomi.
Scuoto la testa, circospetta.
“Stai tranquilla, non  ho cattive intenzioni” dice, azzardando un sorriso.
Lo fulmino con lo sguardo, anche se so che non posso prendermela con lui. Non è colpa sua, la colpa è solo mia.
“Devi aiutarmi” dice.
“A far cosa?” chiedo, secca.
“Ad aiutarti” risponde.
“Perché?”
“Per aiutarlo” bisbiglia cautamente, fissandomi negli occhi.
Come il fratello minore colpisce dritto il bersaglio. “C-come sta?” mormoro.
Fa una risatina secca, con molta ironia. “Come te, o forse peggio.”
Lacrime silenziose scendono dai miei occhi.
Lui mi guarda, tornando serio. “Senti, lo so che ce l’hai con me. Anch’io ce l’ho con me, e ovviamente anche Jason. Nate non fa che ripetermi che sono un deficiente. Mitchie…” dice, poi il suo sguardo si perde nel vuoto e si morde un labbro. Vedo nei suoi occhi il mio stesso dolore. “Be’, insomma, sono un idiota. Questo è chiaro. Ma devo riuscire a rimediare ai miei danni.”
Scuoto la testa. “Non ce l’ho con te.”
Mi guarda sorpreso. “Ah no?”
“No, ce l’ho solo con me stessa.”
“Ma sono stato io a baciare te” dice, con la voce un po’ strozzata.
“Lo so. Ma io avrei dovuto scappare, o tirarti un pugno” spiego.
Scoppia a ridere, anche se non sembra per niente divertito.
“Anche se in realtà ho provato ad allontanarmi” mormoro, e inizio a provare un po’ di rabbia nei suoi confronti. Se solo mi avesse lasciata andare, quando avevo provato a sfuggirgli. Adesso me ne starei abbracciata a Jason, da qualche parte.
Si morde di nuovo il labbro, imbarazzato e con un evidente senso di colpa. “Mi dispiace.”
“Forse non era destino” sussurro, e un’ondata di dolore mi sommerge.
“Eh no!” esclama Shane, e mi sa fa più vicino. “Devi combattere adesso!”
Alzo le spalle, senza reagire.
“Capisco, non ti importa” dice, tranquillo.
Una scossa di rabbia mi colpisce, e lo guardo furente. Non mi importa?! Sta scherzando?!
“Se non provi a lottare, vuol dire che non ti importa veramente” continua. “Forse è meglio così allora, per Jason. Non vale la pena di stare con una che non si prende nemmeno la briga di combattere per averti.”
“Io ci tengo un miliardo di volte di più di quanto tu immagini!” gli urlo contro.
“Allora devi provare a combattere” dice, sorridendo.
Capisco che era tutto un piano, una mossa astuta per farmi arrabbiare. Ma ha ragione, e quello era l’unico modo per farmene rendere conto.
“Ci proverò” dichiaro.
“Perfetto” dice, alzandosi. “Ora devi riuscire a farti venire una buona idea. Se hai bisogno di aiuto, Nate ha detto che puoi riferirti a lui. Ti offrirei una mano anch’io, ma adesso ho un’altra relazione da salvare, ovvero la mia.”
“Okay” dico, mentre inizio a riflettere, fissando il letto.
Si blocca sulla porta. “Melanie?”
Alzo lo sguardo su di lui, che mi fissa intensamente.
“Mi dispiace veramente per la situazione in cui ti ho cacciato e lo so che stai soffrendo parecchio, però... metticela tutta. Mio fratello sta malissimo, è una sofferenza vederlo in questo stato” dice, e poi esce dalla stanza chiudendo la porta.
Da lì in avanti passo tutto il tempo a cercare una soluzione, mentre continuo a piangere.


Ecco qui il capitolo 16 u.u Spero di non avervi depresso troppo xD E spero sia piaciuto ovviamente u.u Riuscirà la nostra Melanie a trovare l'agognata soluzione??? Lo scoprirete nella prossima puntata... Cioè, capitolo v.v
ElyCecy: ahahah xD Ma sì Shane non c'era tanto poveraccio... Sicuramente è stata parecchio scema ad avere quella reazione (anche se non so quanto sia facile resistere ad uno come lui eheh) >_< Avevo pensato di mettere una scena di combattimento Jason VS Shane ma poi... non ce li vedevo proprio xD E Melanie è sempre bloccata da quella timidezza del cavolo >_> Quale soluzione troverà secondo te? ;)
Haunted__: ahahahahahahah come sei esagerataaa xD <3 P.S. aggiorna anche tu grrr =.=
Passo e chiudo u.u Buona giornata/notte/pomeriggio/mattina o qualsiasi altra cosa :D A presto v.v

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** L'Idea ***


L’Idea

Un giorno. Ventiquattro lunghe ore. Come è possibile che non mi sia venuta nemmeno un’idea sensata in tutto questo tempo?
Eppure è così. Sono una frana, un disastro totale. Forse sono stupida. Il mio cervello non collabora, ogni volta che provo a ragionare per trovare una soluzione a questo casino, lui si distrae nei modi più assurdi.
Poco fa ero intenta a riflettere e fissavo la coperta che mi avvolgeva. Pensavo a qualcosa che piacesse a Jason… però tutti quei ricami casuali sulla coperta somigliavano tanto a un grosso coniglio, o forse qualche altro animaletto…
Questo per fare un esempio. Forse tutti quei giorni in casa da sola mi avevano per sempre rincitrullita, dato che già lo ero in parte.
Mi resta solo una scelta: chiamare Nate. Peccato che non lo possa chiamare sul serio. Diamine.
Devo uscire? Sul serio? Non c’è qualche altra alternativa? Forse potrei scavarmi un passaggio sotterraneo. Certo, mi basterebbe giusto qualche decennio.
Di malavoglia mi alzo in piedi – dopo quel lungo periodo di quasi totale inattività le mie gambe sono molli – e mi vesto con lentezza.
Sono le tre del pomeriggio, dove posso trovare Nate? Spero non sia a fare lezione.
Esco cautamente – come se ci sia qualcuno pronto ad uccidermi – e mi dirigo verso la mensa. Con un po’ di fortuna, potrebbe essere lì a preparare la sua prossima lezione.
Dio, ti prego, non farmi incontrare Jason. Ti prego, ti prego, ti prego.
Sono fortunata: nessuno incrocia il mio cammino.
Arrivata alla mensa, la buona sorte mi ha già abbandonata. Non c’è nessuno nella grande stanza silenziosa.
Non mi do per vinta e continuo a cercarlo qua e là.
Incontro Alex insieme ad altri due ragazzi mentre mi dirigo verso il palco principale e cerco di non incrociare i loro sguardi, ma con la coda dell’occhio vedo che mi guardano incuriositi: probabilmente tutti sanno quello che è successo. Accelero il passo, rossa in viso.
Quando arrivo a destinazione tiro un sospiro di sollievo: Nate è seduto sul palco, da solo con la sua chitarra, e scarabocchia qualcosa su un foglio con una matita molto corta.
Mi avvicino e lui alza il viso dai suoi appunti.
“Melanie” mi dice, a mo’ di saluto.
“Ciao, Nate” rispondo, titubante.
Forse non dovrei chiedergli aiuto. Forse per una volta nella vita dovrei riuscire a cavarmela da sola. Ma non ne sono in grado, come sempre.
“Mi volevi dire qualcosa?” domanda dopo qualche attimo di silenzio.
Mi schiarisco la voce. “Non riesco a trovare una soluzione. Ho pensato e ripensato, ma non mi viene in mente nulla” spiego, poi esito. “Potresti aiutarmi?” chiedo infine, lanciandogli uno sguardo timido.
Lui sorride comprensivo – e qualcosa nella sua espressione mi dice che sapeva già che sarei andata a cercare il suo aiuto. “Certo.”
Poggia la chitarra e mette da parte carta e matita, poi assume uno sguardo pensieroso.
“Allora, andiamo per ipotesi” dice, con espressione molto seria.
Annuisco, restandolo a guardare in silenzio.
“La prima cosa che viene da pensare sarebbe parlargli, ma non penso ti darebbe ascolto, proprio come non ha ascoltato nemmeno Shane” dice, continuando a riflettere.
“È arrabbiato con Shane?” chiedo, interrompendo i suoi ragionamenti.
Mi fissa e alza le sopracciglia, come a dire “che domanda scema”.
Non voglio che sia arrabbiato con Shane. È suo fratello, devono fare pace. Diventa sempre più essenziale trovare una soluzione, una soluzione a tutto.
“Forse dovresti sorprenderlo” dice, dopo un minuto di silenzio.
“Sorprenderlo?” chiedo, fissandolo con uno sguardo interrogativo.
Annuisce, tornando a guardarmi negli occhi.
“Come?” domando ancora.
Si mordicchia un labbro e fissa il palco vuoto.
“Con qualcosa che non si aspetta da te. O qualcosa che gli piace” dice, sempre serio e pensieroso.
“O magari entrambe le cose.”
Era così ovvio! Come avevo potuto non pensarci prima?!
Forse erano state le parole di Nate. Qualcosa che da me non si aspetterebbe mai. Qualcosa che ama. Qualcosa che entrambi amiamo. Forse l’unica cosa che abbiamo in comune.
Forse era stato il luogo stesso in cui ci trovavamo a suggerirmelo.
Forse era stato il grosso cartello di legno sopra al palco con scritto “3 giorni alla Final Jam” a collegare i pezzi del puzzle nella mia mente.
Diamine, sono proprio una stupida. Era tutto così chiaro, così naturale! Seriamente, come era potuta sfuggirmi una così semplice soluzione?
Certo, non è detto che questo risolverà tutto. Ma vale la pena provare.
Nate mi sta fissando, incuriosito dal sorrisetto diabolico che mi è spuntato sulle labbra. Da tanto tempo non sorrido, e questo non conta veramente. Non mi sento felice.
“Hai avuto un’idea?” chiede, guardandomi.
“Sì” rispondo, e senza dirgli nulla parto a razzo verso il mio bungalow.
Non mi volto più indietro e di conseguenza mi accorgo che mi ha seguita solo quando, entrata nella piccola abitazione, quasi non gli chiudo la porta in faccia.
Lascio aperto e vado verso il letto. Nate entra e si chiude la porta alle spalle.
Prendo la mia solita tracolla, che da giorni è accasciata sul pavimento, e ne estraggo dei fogli.
Gli spartiti con la nostra canzone.
Leggo le note e le suono nella mia mente, cercando di trovare un testo adatto.
Nate si siede accanto a me e resta a fissarmi in silenzio.
Passano i minuti e non ricavo niente di niente.
No, non è nemmeno questo quello che la canzone voleva comunicarmi. Non era nata per un testo malinconico, esprimeva allegria. Era stata scritta in momenti così felici che rovinarla con un testo deprimente sarebbe stato un delitto. No, non era adatta a quello che avevo in mente.
“Allora?” chiede Nate, vedendomi sospirare e riporre i fogli al loro posto.
“Niente” rispondo, guardando tristemente la stanza.
“Vuoi scrivergli una canzone” deduce.
“E cantarla alla Final Jam” spiego.
Annuisce, d’accordo con la mia idea.
“È la canzone che avete scritto insieme?” dice, ammiccando verso la tracolla dove avevo cacciato i fogli stropicciati.
“Sì, ma non va bene. Non è adatta.”
“Quindi?”
“Devo cominciare tutto da capo. Mi metto subito al lavoro” dico, determinata.
Mi alzo e vado verso il piccolo tavolo che sta contro una delle pareti della stanza – quella opposta ai letti – e prendo uno degli spartiti bianchi che ci sono sparpagliati sopra. Non sono miei, ma non penso che la legittima proprietaria si arrabbierà per questo.
“Ti lascio sola a scrivere, così sei più concentrata” mormora Nate alle mie spalle. “Fammi sapere quando la finirai.”
Annuisco senza voltarmi e sento la porta aprirsi per poi richiudersi.
Devo concentrarmi.
Allora, questa canzone deve essere su Jason. Su quello che sento per lui e su quello che provo adesso.
Non è difficile capire cosa sento, il dolore riaffiora non appena lo penso.
Sì, c’è tanto dolore. Tantissima tristezza e tantissimo senso di colpa.
Poi, lasciando da parte tutto, mi concentro semplicemente su di lui.
Il suo volto sorridente si dipinge da solo nella mia mente, e un angolo della mia bocca si tira leggermente su. Come mi fa sentire solamente il pensarlo?
Il mio cuore accelera come a volermi suggerire la risposta, e senza neanche accorgermene la mia mano che impugna la matita vola sul foglio bianco segnando note e parole che mi erano del tutto nuove.
 
Intercettare Nate di sera è più difficile, soprattutto coglierlo in un momento in cui è solo.
Mi avvio verso la mensa quando ormai la cena dovrebbe essere agli sgoccioli, e mi apposto dietro ad un cespuglio poco lontano.
Dieci minuti dopo ne escono tanti ragazzi, tra cui le mie compagne di stanza. Tutti si dirigono verso il falò, mentre Nate prende un’altra direzione dicendo a Shane che li avrebbe raggiunti subito. I miei occhi cercano automaticamente il viso che muoio dalla voglia di rivedere, ma Jason non c’è.
Capisco dove sta andando Nate quando vedo che ha tra le mani un grosso panino avvolto in un tovagliolo: la cena per Jason, probabilmente. Perché non usciva? Fino a quel punto lo avevo ferito, tanto da renderlo triste come me? Non poteva essere…
Sgattaiolo via da dietro il cespuglio e raggiungo Nate silenziosamente.
“Nate” dico, a bassa voce – non so perché.
“Ciao” dice volandosi, sorpreso di vedermi.
“Volevo farti sentire la canzone” sussurro.
“L’hai già finita?” domanda stupito, in tono normale.
Annuisco.
“Okay andiamo” fa un passo, ma subito si blocca e fissa il pacchetto che regge tra le mani.
“Ci vediamo nel mio bungalow” dico precedendolo.
Annuisce e si incammina a passo svelto verso dove si nasconde il fratello.
Quasi corro in casa, trovando subito confortante il fatto di essere di nuovo protetta da quelle quattro pareti legnose.
Tredici minuti dopo sento bussare alla porta.
“Entra” dico.
Nate scivola nel bungalow e richiude velocemente la porta, come se avesse fretta. Giusto, deve andare al falò.
Si siede vicino a me sul letto, e io impugno la mia fedele Melody.
Mi resta a guardare, aspettando che io inizi a suonare.
Mi prende una certa ansia.
“Ti avverto che non so se so cantare o no. Nessuno mi ha mai sentita cantare. Mai” premetto, nervosa.
Si limita a farmi un leggero sorriso d’incoraggiamento.
Certo di cacciare via l’imbarazzo e accarezzo le corde della chitarra con dolcezza, senza produrre nessun suono. Solo per sentirle, perché sembrerà strano ma loro mi confortano.
Tutti di Melody mi conforta: il peso a cui ormai sono abituata, il color legno chiaro con sfumature più scure che ho subito apprezzato, le corde sempre così intonate. È un po’ come se fosse la mia migliore amica: spesso mi sono ritrovata a parlarle, solo a volte attraverso la musica.
Prendo un bel respiro per calmarmi ulteriormente e inizio a suonare.
Insieme alla musica parte la mia voce, cantando le parole che so a memoria.
Difficile, impossibile, non piangere. Cerco di trattenermi, ma sento alcune lacrime rigarmi il viso.
Mi stupisco di quanto bene quella canzone descriva ciò che sento. Mai mi sono espressa così bene.
Pochi minuti dopo arrivo alla fine del brano, e le ultime note riecheggiano nella stanza altrimenti silenziosa.
Non sono riuscita a guardare Nate nemmeno per un attimo ma ora alzo lo sguardo su di lui.
Se non fossi ancora scossa dai ricordi e il dolore portati dalla canzone, forse riderei della sua espressione. È così sconvolta da risultare comica.
Aspetto in silenzio che esprima un parere e dia un giudizio alla mia prima canzone completa, e non so come interpretare quel silenzio.
“Incredibile” mormora dopo chissà quanto tempo.
“Cioè?” chiedo, rischiando di impazzire per l’ansia.
“È… perfetta” balbetta, stupito. Sembra sincero. “Sei una cantante bravissima, non ne avevo idea.”
Sento le mie guance arrossire, e mi auguro di tutto cuore che ciò che dice sia vero. “Grazie” sussurro. “Allora pensi possa andare bene? Pensi che gli piacerà?”
Sorride, e finalmente l’espressione scioccata scompare dal suo volto. “Non può essere altrimenti” dice, sicuro di sé.   




Ebbene sì, sono ancora viva xD Mi dispiace tanto per voi u.u
Scusate il ritardo ma è un periodo un po' incasinato, e non mi sentivo granchè ispirata xD
Comunque, ecco qui finalmente il capitolo 17. Come vi è sembrato? Spero almeno decente. Non garantisco sulla grammatica, dato che l'ho scritto per la maggior parte tra mezzanotte e mezza e l'una e mezza xD Capitemi u.u (L'ispirazione mi viene nei momenti meno opportuni -.-)
Haunted__: ahahah! Sono contenta ti sia piaciuto :) Grazie :) P.S. Ma che fine hai fatto??? T.T
ElyCecy: spero che il capitolo sia stato all'altezza delle tue aspettative :) Shane aveva sbagliato, però si sa che è un po' fuori xD E comunque è molto preoccupato per il fratellone u.u Nate ha aiutato a far capire a Melanie cosa deve fare, grazie al cielo... Serve sempre il parere di uno intelligente u.u Spero recensirai anche questo capitolo ;)
KrissyJaymes: scusa tu il ritardo xD comunque dai povero Shane deve pensare anche un po' a sistemare con Mitchie, no? Ovviamente Nate ha risolto tutto proprio come ti aspettavi :D Grazie per i complimenti, troppo gentile *___*
Detto questo mi scuso ancora per avervi fatto aspettare... E che dire, a presto u.u Non penso che il prossimo capitolo tarderà troppo ad arrivare :) A poi :D

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** In Sospeso ***


In Sospeso

Riesco ad ottenere la partecipazione alla Final Jam, anche grazie a Nate e Shane.
Non mi importa nulla di vincere, ma penso che quello sia il momento giusto per cantare la canzone. Semplicemente perché ci sarà molta gente, e ho la certezza che ci sarà anche Jason. Nate mi ha garantito che se sarà necessario ce lo trascinerà con la forza, inventandosi scuse.
Shane non ha sentito ancora la mia canzone, ma si fida del parere di suo fratello. Anche io non posso fare altrimenti.
Nate mi ha dato solo una dritta: quella canzone non è fatta per essere suonata con la chitarra, ma con il pianoforte. Mi ha aiutato ad apportare solo un paio di modifiche ed è finalmente pronta per essere suonata in pubblico.
Sono ancora più terrorizzata all’idea che sul palco con me non ci sarà la mia povera Melody, ma che suonerò il piano. Nonostante non mi eserciti con esso da parecchio tempo, sono ancora brava come anni fa, merito di tutte le lezione obbligatorie – grazie mamma e papà.
È giunto il gran giorno e – cosa davvero inaspettata, come no – sono in completa agitazione.
In tanti oggi hanno cercato di calmarmi: Nate, Shane, Mitchie, Amber e Caitlyn. Senza ottenere niente.
Proprio adesso c’è Nate qui con me, sta cercando di incoraggiarmi. Mi accorgo di non stargli prestando attenzione e mi sforzo di ascoltare le sue parole, che mi giungono soffocate, forse a causa dei battiti scombinati che mi rimbombano nelle orecchie.
“…davvero, non c’è nulla di cui preoccuparsi. Ricorda che ci sarò io lì con te, sul palco” ripete, forse per la milionesima volta.
“Sì, lo so” mormoro, poco convinta.
Lui sarebbe stato davvero sul palco con me, perché naturalmente per la mia canzone non serviva solo il pianoforte. Nate sarebbe stato alla batteria, e mi aveva procurato alcuni violinisti.
Il suo sguardo si fa più dolce e cattura i miei occhi, sorridendo incoraggiante. “Davvero, vedrai che andrà tutto bene” dice, gentilmente.
“Lo spero” mormoro, poco convinta, nonostante il suo sguardo mi dia una certa sicurezza. Ma forse anche lui può sbagliare, no?
Sono persa in una catena di pensieri cupi, e quando Nate mi abbraccia rimango spiazzata ed interdetta. Cerco comunque di abbracciarlo a mia volta in modo naturale, ma non sono certa di riuscirci.
Il suo abbraccio mi ricorda un po’ quello di Jason: così dolce e rassicurante. Mi ripeto che è Nate, per non andare in iperventilazione.
Mi lascia subito ma trattiene la sua mano destra sulla mia spalla. Gli sorrido, cercando di essere convincente. Solo ora mi accorgo di aver trovato un nuovo e prezioso amico.
“Hey, gente!” esclama Shane, irrompendo nella stanza, con il suo solito sorriso smagliante sulle labbra. “È quasi ora!”
Il mio cuore perde un paio di battiti e rimango con gli occhi sbarrati, in panico totale.
“Oh, grazie mille Shane!” esclama ironico Nate, guardandomi preoccupato.
Il ragazzo si rende conto della sua gaffe e mi si avvicina, accucciandosi di fronte a me sul pavimento.
“Dai, stai tranquilla, andrà tutto bene…” mormora, cercando di rimediare. “Melanie?” domanda, accorgendosi del mio sguardo vitreo.
“Proprio ora che ero riuscito a farla calmare” sospira Nate.
Shane mi guarda negli occhi, cercando di catturare il mio sguardo, che continua a scivolare via. Sorridendo in modo strano – non saprei definirlo, era ironico e malizioso, con una punta di amarezza – mi avvicina una mano al viso e fa per sollevarmi il mento in modo da vedermi meglio, avvicinandosi ancora.
Con un gesto più che automatico, come un riflesso, schizzo all’indietro e ciocco uno schiaffo sulla sua mano. Rimango un po’ imbarazzata quando me ne rendo conto: non volevo fargli male.
Quel gesto mi sconvolge in modo inaspettato, facendo tornare a galla un sacco di ricordi che avevo tentato di seppellire al centro della terra.
Ma era proprio questo il suo intento, glielo leggevo negli occhi.
Nate guarda il fratello dubbioso, ma resta in silenzio.
“Ora mi ascolti?” mi domanda Shane, riuscendo finalmente a catturare il mio sguardo, ancora molto circospetto.
Annuisco cautamente.
“Non c’è davvero niente di cui avere paura. Sei brava, Nate me lo ha assicurato, e so per esperienza che lui non sbaglia mai, almeno su queste cose” dice tranquillo. “Quindi salirai su quel palco rilassata, suonerai quella benedetta canzone, e tutto andrà per il meglio.”
Oh, quanto spero che abbia ragione.
Annuisco ancora, meno convinta.
Shane sembra soddisfatto e torna a sorridere. Mi chiedo chi, tra lui e Jason, sorrida di più. È molto difficile vederli tristi, anche se ormai di Jason forse non potrei dirlo. Avevo visto anche Shane molto triste, quando aveva litigato con Mitchie. Adesso che hanno in qualche modo ristabilito il loro rapporto, è tornato il solito ragazzo allegro e spensierato.
Sono contenta per loro, perché sapevo che anche Mitchie era stata molto triste per giorni interi. Posso capirla molto bene.
Proprio lei entra in questo momento dalla porta socchiusa, senza dire niente ma lanciando uno sguardo molto espressivo prima a Shane e poi a Nate.
A quel punto tutti mi guardano, ed il mio cuore inizia a correre per l’agitazione ancor prima che il cervello realizzi che è quasi giunto il fatidico momento.
Mi sento in sospeso: di lì a poco un ragazzo deciderà del mio destino.
Shane e Nate si alzano in piedi nel medesimo istante, e quest’ultimo mi porge una mano per aiutarmi ad alzarmi.
L’afferro senza esitazioni: mi sento le gambe molli, la testa mi gira, lo stomaco è tutto un nodo ingarbugliato e sento la nausea che aumenta ad ogni mio passo.
Non sono mai stata brava a reggere l’ansia. A scuola spesso andavo così tanto nel panico, che anche studiando facevo scena muta. I professori mi terrorizzavano, come chiunque cerchi di giudicarmi.
Sono molto contenta di aver finito le superiori, anche se adesso mi attende il college. Spero di riuscire a sopravviverci.
Passo dopo passo arriviamo nei pressi del palco, e vedo una marea di persone che entrano nel grande salone, mentre altre restano annidate fuori.
Amber mi si avvicina non appena ci vede e mi stringe forte una mano per rasserenarmi: anche lei è stata una buona amica, quest’estate.
Con mio grande rammarico Nate si allontana, per andare a prendere il fratello mancante. Chissà se gli ha detto che questa sera suonerò anch’io.
Il cielo è scuro, ormai è tardi. Seguo i miei amici – o forse sarebbe meglio dire che mi faccio trascinare da loro – fino dietro le quinte.
Vedo un grosso pianoforte con le ruote e sento la voce di Brown che anticipa la prima esibizione.
Per quanto lo credevo impossibile, la mia agitazione raddoppia, o forse si triplica. Il mio cuore batte  così forte da mozzarmi il respiro, e un conato mi scuote. Per fortuna non ho toccato cibo nelle ultime… ventiquattro ore, direi. Forse il mio giramento di testa ha più di un motivo.
Shane mi prende al volo prima che io cada e mi sorregge, mentre tutti cercano di farmi calmare.
Mi sento così patetica, ma non posso farci niente.
“Pensate che ce la farà? A me non sembra pronta” mormora Mitchie preoccupata, mente mi accarezza un braccio.
Deve farcela” dice Shane, duro.
Ed ha ragione. Io devo riuscirci, non ho altra scelta.
Tutti contano su di me e non posso deluderli. Ma soprattutto, Jason…
Ed è su di lui che mi concentro. Il solito dolore provocato dal suo viso nei miei pensieri mi scuote e mi fa rinvenire totalmente, quasi dandomi la forza. Ma non è sufficiente, e allora cerco un altro pensiero a cui aggrapparmi.
Lo avrei rivisto entro pochi minuti. Questo non basta a farmi salire su uno stupido palcoscenico?
Sì, basta: le mie gambe smettono di tremare e il cuore prende un ritmo più salutare, mentre anche i miei pensieri tornano a seguire un filo logico.
Tutti quanti mi guardano con sollievo e stupore mentre mi scosto da Shane e rimango in piedi con le mie sole forze, uno sguardo determinato negli occhi – uno sguardo che non avevo mai avuto.
Caitlyn – che era rimasta ad attendere Nate fuori – arriva di corsa. “Sono arrivati” annuncia col fiatone.
Quel plurale da un altro scossone al mio cuore, ma non perdo di nuovo il controllo di me stessa.
È di nuovo Shane a parlarmi, più tranquillo. “Resta qui un attimo, Nate arriva subito.”
Annuisco, mantenendo la mia quasi calma.
Spariscono tutti in pochi secondi, e dopo forse un paio di minuti arriva Nate a passo svelto.
Tira un sospiro di sollievo vedendomi in piedi, composta, e non svenuta in terra come probabilmente si aspettava.
“Gli altri?” domando, cercando di mantenere il respiro regolare.
“Sono con…” dice, poi si blocca. “Sono tra il pubblico.”
Non do peso alla sua correzione, capendo senza troppi problemi.
“Anche Shane e Mitchie?” domando, dato che anche loro si devono esibire.
“Sì, perché il loro turno è dopo di te” spiega.
Annuisco, sbirciando il pubblico nel piccolo spazio tra due tendoni. Non vedo nessuno di loro, soltanto tanti visi familiari e allo stesso tempo sconosciuti.
Due ragazzi si esibiscono cantando e ballando un pezzo Rap, poi Tess, Ella e Peggy – tornate insieme come tempo prima, ma adesso senza che qualcuna abbia un ruolo più importante di altre (così mi avevano raccontato) – cantano un pezzo Hip-Hop.
Le fisso tutto il tempo, ma in realtà non vedo nulla di reale: un viso triste ha il pieno controllo dei miei pensieri.
Ogni parte di me smania per rivederlo, e sono quasi tentata di spuntare sul palco anche se non è ancora il mio momento, solo per osservarlo. È un bisogno ancora più potente di quanto pensassi.
Poi, senza che io me ne accorga, le ragazze terminano la loro canzone e scoppia un grande applauso. Brown sale nuovamente sul palco e capisco che tocca a me solo quando mi nomina.
Chissà che faccia ha fatto Jason, sentendo chi avrebbe cantato.
Avrei cantato io, adesso. Blocco il panico con tutta la forza che ho, ma una parte di esso riesce ad arrivare a me.
Nate mi prende per il braccio. “Andrà tutto bene, e ricordati di respirare.”
Mi trascina sul palco e un applauso scoppia senza che io abbia fatto niente.
Non permetto a me stessa di cercare il suo viso prima di arrivare al seggiolino che stava di fronte al pianoforte, che qualcuno aveva trascinato al centro del palco per me.
Arrivata alla mia meta, senza più il pericolo di cadere, mi concedo finalmente di cercarlo tra i tanti presenti.
Non ci metto più di due secondi a trovarlo, è come se avesse un’insegna luminosa sopra la testa, o come se lui stesso scintillasse.
Jason mi guarda di rimando, rigido, torvo. Dalla sua espressione non trasparisce niente, eccetto l’evidente dolore.
Lancia uno sguardo tradito al fratello seduto accanto a lui, che sembra volerlo incoraggiare a tornare a fissarmi. E così fa.
Così, con il suo sguardo addosso, che pesa più di ogni bagaglio mai trasportato, più di ogni aereo mai costruito, più di ogni pianeta nel nostro universo, distolgo lo sguardo e cerco quello di Nate, che annuisce.
Le mie dita scivolano sul pianoforte senza schiacciare alcun tasto, solo per sentirne la consistenza. Prendo un bel sospiro e cerco di convincermi che tutto questo sia solo un sogno – e non un incubo, perché la sua presenza basta a rendere meravigliosa qualsiasi cosa.
E raccogliendo tutte le forze che mi restano, inizio a suonare e cantare.
 
 
Well, it’s good to hear your voice.   [Be’, è bello sentire la tua voce.]
I hope you’re doing fine,   [Spero che tu stia bene,]
And if you ever wondered,    [e se te lo sei mai chiesto,]
I’m lonely here at night.   
[sono sola qui di notte.]
I’m lost here in this moment,   [Sono persa qui in questo momento,]
And time keeps slipping by.   [e il tempo continua a scorrere.]
And if I could have just one wish,   [E se potessi avere un solo desiderio,]
I’d have you by my side    [avrei te al mio fianco.]

Oh, I miss you.    [Oh, mi manchi.]
Oh, I need you.   [Oh, ho bisogno di te.]

And I love you more than I did before,   [E ti amo più di quanto abbia fatto prima,]
And today I won’t see your face.   [e oggi non vedròil tuo viso.]
Nothing’s changed,   [Nulla è cambiato,]
No one can take your place,   [nessuno può prendere il tuo posto,]
It gets harder every day.   [sta diventando più difficile ogni giorno.]
Say you love me more than you did before,   [Dimmi che mi ami più di quanto tu abbia fatto prima,]
And I’m sorry it’s this way.   [e mi dispiace che sia in questo modo.]
But I’m coming home,   [Ma sto tornando a casa,]
I’ll be coming home,   [tornerò a casa,]
And if you’ll ask me I will stay,   [e se me lo chiederai io resterò,]
I will stay.   [resterò.]

Well, I tried to live without you,   [Be’, ho provato a vivere senza di te,]
The tears fall from my eyes.  
[le lacrime cadono dai miei occhi.]
I’m alone and I feel empty,   [Sono sola e mi sento vuota,]
And I’m torn apart inside.  
[e sono a pezzi dentro.]
I look up at the stars,   [Ho guardato in su le stelle,]
Hoping you’re doing the same.   
[sperando che tu stessi facendo lo stesso.]
And somehow I feel closer,   [In qualche modo mi sento più vicina,]
And I can hear you say…   [E riesco a sentirti dire…]


Oh, I miss you.    [Oh, mi manchi.]
Oh, I need you.   [Oh, ho bisogno di te.]

And I love you more than I did before,   [E ti amo più di quanto abbia fatto prima,]
And today I won’t see your face.   [e oggi non vedròil tuo viso.]
Nothing’s changed,   [Nulla è cambiato,]
No one can take your place,   [nessuno può prendere il tuo posto,]
It gets harder every day.   
[sta diventando più difficile ogni giorno.]
Say you love me more than you did before,   [Dimmi che mi ami più di quanto tu abbia fatto prima,]
And I’m sorry it’s this way.   [e mi dispiace che sia in questo modo.]
But I’m coming home,   [Ma sto tornando a casa,]
I’ll be coming home,   [tornerò a casa,]
And if you’ll ask me I will stay,   [e se me lo chiederai io resterò,]
I will stay, oh, I will stay.   
[resterò, oh, resterò.]

I never wanna lose you,   [Non ti voglio perdere mai,]
And if I had to I would chose you!   
[e se avessi dovuto avrei scelto te!]
So always stay,   [Quindi resta sempre,]
Please always stays!   [ti prego resta per sempre!]

You’re the one that I hold onto,   [Sei quello che aspettavo,]
‘Cause my heart would stop without you.   
[perchè il mio cuore si fermerebbe senza di te.]

And I love you more than I did before,   [E ti amo più di quanto abbia fatto prima,]
And today I won’t see your face.   [e oggi non vedròil tuo viso.]
Nothing’s changed,   [Nulla è cambiato,]
No one can take your place,   [nessuno può prendere il tuo posto,]
It gets harder every day.   [sta diventando più difficile ogni giorno.]
Say you love me more than you did before,   [Dimmi che mi ami più di quanto tu abbia fatto prima,]
And I’m sorry it’s this way.   [e mi dispiace che sia in questo modo.]
But I’m coming home,   [Ma sto tornando a casa,]
I’ll be coming home,   [tornerò a casa,]
And if you’ll ask me I will stay,   [e se me lo chiederai io resterò,]
I will stay.   
[resterò.]
I’ll always stay!   [Resterò sempre!]
And I love you more than I did before,   [E ti amo più di quanto abbia fatto prima,]
And I’m sorry it’s this way.   
[e mi dispiace che sia in questo modo.]
But I’m coming home,   [Ma sto tornando a casa,]
I’ll be coming home,   [tornerò a casa,]
And if you’ll ask me I will stay,   [e se me lo chiederai io resterò,]
I will stay.   
[resterò.]
I will stay. [Resterò.]

(---> http://www.youtube.com/watch?v=RY5D-yj5RNo )

 
 
Sono riuscita a non fissarlo solo per le prime tre parole.
Sono riuscita a respingere i ricordi e il dolore solo per le prime due frasi.
Sono riuscita a non piangere solo fino al ritornello.
L’ho guardato, l’ho guardato quasi in ogni stante. Di tutti gli altri non mi ha importato niente, mi sono accorta a malapena della loro presenza. Per me c’è stato solo lui, i nostri sguardi incatenati, mentre riflettevano lo stesso dolore.
Spero di avergli davvero comunicato quello che sento.
Ho guardato le mie dita solo per pochi secondi, ogni tanto, quando il senso di colpa era troppo. Quando l’ho guardato negli occhi, i miei esprimevano tutte le promesse mute che gli stavo facendo.
Suono sfinita l’ultima nota, poi finalmente riprendo fiato e abbasso lo sguardo, mentre altre lacrime bagnano i tasti bianchi e neri del pianoforte a mezza coda.
L’applauso che esplode fortissimo mi spaventa, perché sul serio non mi ricordavo più di tutte le persone che mi guardavano piangere in quel momento che sarebbe dovuto essere così intimo.
Torno a guardare il pubblico, che urla e scuote le braccia con entusiasmo.
Ma l’unica persona cui doveva piacere la mia canzone continua a guardarmi dolente, due grosse lacrime scendono sulle sue guance pallide.
Tutto il mondo mi ricade addosso e non riesco a sopportare oltre. Senza nemmeno ringraziare la folla in visibilio per la mia canzone, scappo dal palco.
Passo davanti a Nate, che con la coda dell’occhio lo vedo guardarmi triste. Non mi fermerà, lo so.
Corro più veloce che posso, stremata, senza nemmeno vedere dove vado.




Ed ecco qui anche il capitolo 18... Che dire? Non è stato semplice scriverlo. Questo è forse il momento in cui io e Melanie ci assomigliamo di più. Io sono una persona molto ansiosa, ed ero in agitazione anche mentre scrivevo xD
Comunque... Adesso cosa succederà? Buona notizia: ho già praticamente scritto il capitolo, da tipo una settimana xD Devo solo rivederlo e magari aggiungere qualcosa... Be', lo pubblicherò entro stasera :)
La canzone citata nel capitolo è Stay di Miley Cyrus, una canzone che personalmente amo tantissimo. Da tanto tempo mi affannavo a cercare la canzone giusta per questo momento, e non ne trovavo mai una adatta. Circa dieci giorni fa mentre ero fuori ed ascoltavo la musica sull'iPod ho sentito per la millesima volta questa canzone... E mi sarei tirata un calcio per non averci pensato prima -.-'' Non so se la pensate come me, ma a mio parere è perfetta per la situazione :)
Una sola recensione per l'ultimo capitolo, ma del resto l'ho pubblicato ieri sera...
ElyCecy: grazie per commentare sempre la mia storia :D Ti ho già risposto per messaggio ma ti rispondo anche qui xD Davvero mi lusingano i tuoi complimenti *___* Spero tanto che questo capitolo sia stato all'altezza delle tue aspettative :)
Baci a tutti, Juls.

P.S. Questa storia sta per volgere al termine, ma ne ho già pronta un'altra sui Jonas Brothers. Non so se la inizierò prima o dopo aver terminato questa, ma di sicuro entro poco :) Ci sono anche un po' di possibilità che io scriva un "Camp Rock 5", perchè già mi mancano Jason, Nate, Shane, Melanie e tutti gli altri xD Però ancora non lo so :) Era tanto per avvisarvi u.u Comunque ve lo dirò a fine storia :)

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Indifesa ***


Indifesa

Mi allontano dalle urla, mi allontano da tutto.
Dopo tutti quei giorni in casa da sola sotto le coperte, non avrei mai più pensato che mi potesse mancare il silenzio. Ma è così. Voglio starmene in solitudine e non pensare più a niente.
Mi ha fissato tutto il tempo. Il suo sguardo era così attento… ma questo non basterà. Ormai è troppo tardi, non ho più tempo. L’estate è finita.
Non so davvero dove sto andando. Quando mi guardo intorno realizzo di essere in quello che era stato il nostro rifugio. Ormai i piedi mi ci portano da soli.
Resto in piedi al centro di quella minuscola radura e inizio a piangere ancora più forte.
Quando una mano mi sfiora la spalla non mi spavento, la conosco troppo bene. Il mio cuore si stringe non appena la sente e la riconosce, poi inizia a correre tre volte più velocemente.
Mi giro e finalmente mi ritrovo Jason vicino, finalmente torno a fissare i suoi occhi così espressivi da poca distanza. Mi sono mancati così tanto.
Nel silenzio, aspetto che lui dica qualcosa.
“Melanie” pronuncia il mio nome con attenzione, un brivido mi sale su per la schiena. “Io non capisco. Non so più cosa pensare.”
Questa volta non agirò d’impulso – ho già perso troppo l’ultima volta che l’ho fatto. Rifletto bene prima di rispondere, scegliendo accuratamente le parole.
“La mia canzone non parla chiaro? Pensavo fosse ovvio che l’ho scritta per te, che esprime quello che sento per te” sussurro. Non ho più la forza di parlare normalmente, tutte le mie energie se ne sono andate cantando.
Mi fissa per qualche istante, meditando probabilmente se credermi o no.
“Allora perché l’hai fatto?” chiede infine, con il mio stesso tono di voce.
Non c’è bisogno di specificare a cosa si riferisce. Il suo sguardo è un misto di dolore e sensazione di tradimento.
“Te l’ho detto, non ero in me. Non l’ho deciso… non so nemmeno io perché l’ho fatto. Forse ero così sorpresa da non riuscire a riflettere” rispondo, ricordando bene lo shock che mi aveva investita quell’atto così assurdo.
Non risponde, rimane a scrutarmi.
“E poi forse è stata anche colpa della paura” aggiungo.
Si fa perplesso. “Paura? Di cosa?”
Mi affanno a cercare le parole, e mi sforzo di pronunciarle ad alta voce, guardandolo dritto negli occhi per fargli capire che è la verità.
“Paura perché non mi sentivo abbastanza importante da averti. Paura di non essere all’altezza delle tue aspettative. Paura perché non mi è mai capitata una cosa così, ed è tutto nuovo. Paura perché mi fai provare cose che non ho mai sentito prima e che mi confondono le idee. Paura, perché una volta che ti avessi avuto… avrei potuto perderti. Paura di non poter sopravvivere in tal caso. Ma non mi importa più della paura. Voglio stare con te sempre, sono pronta a seguirti ovunque andrai, perché…”
Rimane immobile, aspettando che io termini la mia spiegazione.
Sembra quasi che stia trattenendo il respiro, in attesa che finalmente riesca a dire ciò che non ho mai detto prima.
Con tutta la forza che mi rimane, abbasso tutte le mie difese, rimanendo vulnerabile. È orribile: sento che con una sola parola potrebbe distruggermi.
Ma devo dirlo, perché dipende tutto da questo in fondo. Prima non ci sono riuscita, ma adesso… adesso devo farcela, o sarà stato tutto inutile.
Il mio cuore batte in modo totalmente innaturale, il mio stomaco è attorcigliato in modo assurdo e ho la nausea mentre finalmente dico quello che sento, continuando a guardarlo negli occhi.
“Ho sempre creduto che quel detto, ‘capisci l’importanza di una cosa quando la perdi’, non mi avrebbe mai riguardata. Ho sempre pensato che sarei riuscita a rendermi conto in tempo di cosa era davvero importante per me, prima di commettere stupidi errori. Ma solo adesso, mentre soffro di un dolore mai provato prima, che mi squarcia il cuore, lo tritura, lo spacca a metà, capisco quanto conti per me. Io ti amo, questa volta sul serio. Da morire. Ne sto morendo. Ti amo per i tuoi sorrisi, per le tue battute, per la tua dolcezza, per la tua semplicità, per come mi capisci, per come mi guardi, per come hai reso quest’estate fantastica, fino a questo momento. Ti amo perché sei stata la prima persona ad avvicinarsi a me, osservarmi, capire che avevo bisogno di aiuto, e anziché fuggire come hanno fatto e farebbero tanti altri, ti sei è avvicinato a me e mi hai presa per mano, facendomi alzare e guidandomi alla scoperta di me stessa. Per come mi hai cambiata, anzi, per come hai fatto emergere la vera me. Per come mi hai dimostrato che per te sono importante. Per ogni parola che mi hai detto, per ogni sguardo che mi hai rivolto, per ogni sorriso che mi hai donato, io ti amo. E capisco che tu sei il mio primo vero amore, che quello provato in precedenza e per cui ho sofferto a lungo era niente in confronto a questo. Perché tutto il mondo svanisce quando sono con te. Perché tu mi fai sentire migliore, mi fai essere migliore, e mi hai fatto passare i migliori momenti della mia vita. E nonostante tutto quello che mi hai  dato, io ti ho ferito irrimediabilmente. E ora non mi arrenderò, lotterò per averti, anche se non ti merito. Almeno devo riuscire a farti stare meglio.”
Concludo senza fiato.
Non ci posso credere, ce l’ho fatta. Gli ho detto tutto.
Resta solo da vedere se questo cambia qualcosa o no.
Non riesco nemmeno a respirare mentre attendo che risponda. Mi sta fissando ancora, so che sta riflettendo sulle mie parole.
Cosa ne sarà di me se non mi vorrà comunque? Mi salgono altre lacrime, poi scendono lungo le mie guance.
Sorride, con un sorriso molto triste. “Penso che tu non sia più timida, ed è merito mio” dice.
Non capisco, cosa centro questo adesso?
Lo resto a fissare in silenzio.
“Mi dovevi un premio per questo. Avevi detto che avresti fatto qualsiasi cosa ti avrei chiesto a momento debito, ricordi?”
Sento una fitta al cuore mentre ripenso a quella chiacchierata felice, che mi pare avvenuta secoli fa. Avevamo appena fatto pace a quei tempi. Vorrei tanto si concludesse allo stesso modo.
Annuisco, sempre più confusa dal discorso.
Mi si avvicina lentamente, finché tra di noi restano solo pochi centimetri.
Mentre mi guarda negli occhi percepisco un cambiamento nei suoi. “Voglio riscuotere il mio premio: lascia che io ti baci, adesso” mormora con una quantità impossibile di dolcezza.
Mentre i nostri visi si avvicinano – ovviamente non si aspetta una risposta – provo una gioia così violenta che mi fa quasi male.
Quante volte ho sognato o desiderato questo momento? Adesso che lo sto vivendo, non posso crederci.
Tutti i pensieri svaniscono quando le sua labbra sfiorano le mie, prima con molta delicatezza. Il bacio inizia con un dolce sfiorarsi, per poi crescere d’intensità. Sento il gusto del suo alito fresco, che mi fa impazzire totalmente.
Infilo una mano tra i suoi capelli, tenendolo stretto, mentre l’altra gli carezza il viso. Sento una delle sue mani tenermi per la testa – come se avessi la minima intenzione di sfuggirgli – e l’altra mi stringe per la vita. Siamo così stretti l’uno all’altra che penso di riuscire a sentir battere il suo cuore.
Cattura un mio labbro tra le sue, come a morderlo senza usare i denti. Istintivamente la mia lingua trova la sua, mentre quel bacio diventa sempre più passionale.
Per tutta la vita mi sono chiesta se esistesse la perfezione: qualcosa di perfetto, una persona, un luogo, un oggetto, un momento. Adesso so che la risposta è sì.
Non so per quanto dura quel bacio così perfetto, ma non vorrei mai doverlo interrompere. Il mio cuore è completamente impazzito, corre così velocemente che penso voglia uscirmi dal petto per stringersi a sua volta a Jason.
Dopo un tempo imprecisato – perché ora come non mai il tempo non ha più senso – lui allontana leggermente il viso dal mio, per prendere fiato. Non mi ero nemmeno resa conto di quanto avessi bisogno d’ossigeno, forse perché il quel momento ogni bisogno che non riguardasse Jason era passato in secondo piano.
Sposta il viso solo di un paio di centimetri, i nostri nasi ancora si sfiorano. Trattiene le sue mani sul mio viso, mentre le mie sono sulle sue spalle massicce.
“Ti amo anch’io” dice, con lo stesso tono dolce di prima.
Incredibile quanta energia continuasse ad avere il mio cuore. Ma in effetti, anche io mi sentivo come ricaricata.
Finalmente, dopo tantissimo tempo, faccio un sorriso vero, addirittura esagerato. E, dopo ancor più tanto tempo, finalmente i miei occhi si riempiono di lacrime, lacrime che non hanno nulla a che fare con la tristezza. Non penso che al mondo ci sia qualcuno più felice di me in questo momento.
 
Quando – mezz’ora dopo il nostro primo bacio – eravamo andati dai nostri amici, era stato molto divertente vedere le loro facce prima stupite e poi felici di fronte al nostro arrivo insieme, con le mani intrecciate e due grandi sorrisi sui volti.
Ci erano corsi incontro, pretendendo ogni dettaglio della storia – soprattutto le ragazze, sempre curiose.
Avevamo spiegato loro cos’era successo – inutile dire che mentre Jason gli diceva del bacio ero rossa come un peperone – e subito sono iniziate le risatine e i complimenti maliziosi.
Avevo valutato uno ad uno tutti loro, per controllare le varie reazioni.
Mi ero stupita vedendo Shane: forse, involontariamente, lo avevo giudicato peggiore di quello che è. Sembrava davvero molto felice per noi. Quando finalmente suo fratello gli aveva rivolto la parola, i suoi occhi si erano accesi di una gioia profonda, di cui non avevo mai indovinato l’esistenza.
Jason, dopo il racconto, gli aveva offerto la mano destra in segno di pace. Shane gli era quasi saltato addosso, abbracciandolo forte. Solo in quel momento avevo capito quanto fosse forte il loro legame.
E non solo quello tra loro due. Con la coda dell’occhio avevo visto il sorriso sul volto di Nate distendersi, raggiungendo dimensioni epiche. Negli occhi gli leggevo la stessa gioia di Shane. Inoltre, avevo la certezza che fosse anche contento per noi, per me – dato quanto mi aveva aiutato.
Le mie amiche avevano tutte ampi sorrisi.
Nel totale, la mia gioia era aumentata ancora.
Adesso, mentre ripenso a tutto questo, sono seduta sulle ginocchia di Jason, accoccolata su di lui. Avvinghiata a lui.
Averlo di nuovo, più di prima tra l’altro, mi da alla testa. Non avrei mai pensato di poter essere così felice.
Le mie braccia sono intorno al suo collo, senza la minima intenzione di mollarlo. Né ora, né mai.
Jason mi stringe a sé, le sue mani sulla mia schiena mi accarezzano delicate, e mi bacia sulla fronte.
Le sue labbra sono morbide e calde, sento bruciare forte la pelle che hanno sfiorato. Così come mi pizzica la schiena nei punti in cui mi tocca.
Senza il minimo imbarazzo – forse per la prima volta in vita mia –, dato che la mia testa è già poggiata sulla sua spalla, mi basta voltarmi leggermente per baciargli il collo.
“Sai, a casa ho un peluche che adoro abbracciare. È morbidissimo, ti rilassa stringerlo. Ma con te non regge il confronto” mormoro, sorridendogli.
Mi guarda e ridacchia. “Sono un peluche anch’io?”
Rifletto. “Mmm, una specie. Sei, come dire… coccoloso.”
Ride ancora. “Grazie, penso.”
“Prego.”
Ora mi guarda con uno sguardo attento, più serio. “Promettimi una cosa, però.”
Lo guardo sorpresa dal cambiamento d’umore. “Tutto quello che vuoi.”
Sorride leggermente. “Promettimi che resterai sempre.”
Sorrido ampiamente, contenta della sua richiesta. Poi mi rendo conto che forse, infondo, ancora non si fida del tutto di me. Come posso dargliene torto? “Resterò sempre, anche quando non mi vorrai più. Non ti sbarazzerai mai di me” affermo, sicura.
Ridacchia, e io sorrido di nuovo sentendo quel suono rilassato. “Non sai quanto ci spero.”
Sono contenta di sentirglielo dire.
“Sai…” inizia, e poi si blocca indeciso. Con lo sguardo lo invito a proseguire. “Ormai ero quasi certo che non ti importasse più di me.”
Un brivido mi sale su per la schiena sentendo quelle parole.
“Non è vero, non pensarlo mai” dico, ancora scossa. “Ero solo troppo sconvolta per combattere. Per fortuna qualcuno mi ha fatta rinsavire.”
Sorride ancora, sembra tranquillo. “Nate?”
Annuisco. “Anche Shane, era pure lui a pezzi.”
Le sue labbra diventano una linea tesa.
“Non devi avercela con lui” mormoro, preoccupata.
“Non ce l’ho con lui, non più. Non stava ragionando… come te” cerca di sorridere, ma non è molto convincente.
“Bene” dico, dolcemente.
“Ti amo” ripete, per la seconda volta.
“Anche io, immensamente.”
Ci scambiamo un grande sorriso, poi le sue labbra tornano morbide sulle mie.





Ed ecco anche il penultimo capitolo! Allora, siete contente??? Spero di sì :)
Non so quanto sarà lungo il prossimo capitolo, ma penso abbastanza perchè dovrò spiegare ancora alcune cose... Quindi non considerate già finita la storia u.u
Anche perchè sono sempre più propensa a scrivere la continuazione :)
ElyCecy: direi che è andata come volevi, no? :D Lo spero u.u Non vedo l'ora di leggere il tuo commento ;)
Haunted__: sono contenta che tu abbia apprezzato la scelta della canzone :) Jason in realtà non aveva reagito subito perchè... era semplicemente troppo sconvolto! Diciamo che ormai dava per scontato che a Mel di lui non importasse più nulla xD
Ora vi saluto... Al prossimo - ed ultimo :( - capitolo!

P.S. Scusate la mia sdolcinatezza eccessiva in questo capitolo, ma che volete farci, sono fatta così xD

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Lieto Fine ***


Lieto Fine

Camp Rock è finito, così come l’estate.
Ma oggi sarà come se non fosse vero, come se fossimo ancora là, in quel posto che ci ha fatto vivere emozioni incredibili, alcune belle ed altre no.
Perché in fondo quest’estate è andata bene, fin troppo bene, e non potrei mai chiedere di meglio. Perché anche dalle brutte esperienze si impara qualcosa, e ora so che non farò mai più sbagli come quelli che ho fatto.
Abbiamo preso tante decisioni importanti io e Jason, decisioni che cambieranno le nostre vite. La nostra vita, quella che vivremo insieme.
So per certo che non lo lascerò mai andare, e lui mi ha promesso lo stesso. Mi fido di lui.
Non andrò al college, anche se avevo già scelto quale fare e non è stato per niente semplice convincere i miei genitori. Ma infondo sono maggiorenne, le superiori sono finite, posso fare quello che voglio.
Viaggerò insieme a Jason, insieme ai Connect Three. Suonerò la chitarra ai loro concerti. Non ci posso credere.
Jason è contentissimo, però è anche un po’ dispiaciuto della mia rinuncia. Ma stargli lontano sarebbe stato troppo brutto.
Mi mancheranno casa mia, mia sorella, la mia migliore amica e i miei genitori. Ma li sentirò ogni giorno – so che non mi daranno tregua.
Oggi facciamo una specie di uscita a coppie: io e Jason, Mitchie e Shane, Dana e Nate.
Andiamo in macchina fino alla meta, quando scendo mi sembra incredibile quanto mi sia mancato quel posto.
È leggermente più fresco di quell’estate, ma stare sulla spiaggia del lago di Camp Rock è sempre bello.
Sono impalata a pochi metri dall’acqua quando due braccia mi prendono per i fianchi e mi stringono ad un corpo massiccio che conosco bene. Jason mi bacia sulla testa.
“Nostalgia?” chiede con dolcezza.
“Sì” sospiro.
“È proprio un bel posto.”
Mi giro verso di lui abbracciandolo e storco le labbra. “Penso sia tu a renderlo bello.”
Lui sorride e fa per darmi un altro bacio, sulla fronte. Io rapidamente alzo il viso e lo bacio sulle labbra.
Lui ridacchia e mi bacia ancora.
“Oh, che teneri” commenta Mitchie sbucando alle spalle di Jason.
“Lasciali in pace” le dice Shane, stringendola a sé.
Da dietro di loro arrivano anche Nate e Dana, mano nella mano.
Shane molla il grosso zaino che teneva sulle spalle a terra e poi si dirige verso il lago. “Hey Nate, secondo te cos’è quel coso lì in acqua?” domanda, indicando un punto vicino alla riva.
Nate gli si avvicina e guarda nella direzione indicatagli. “Dove?” chiede, non vedendo niente.
“Qui” dice Shane, dando un calcio all’acqua e bagnando il fratello.
Nate rimane sbalordito e poi guarda Shane arrabbiato, e quest’ultimo si mette a correre.
“Io scapperei” gli consiglia Jason.
Shane guarda prima lui e poi Nate, quindi schizza via. Il fratello minore si lancia all’inseguimento.
Mitchie sospira e estrae dallo zaino una coperta, che stende sulla sabbia. Dana le corre a dare una mano, come me.
Alzo gli occhi giusto in tempo per vedere Nate che praticamente si lancia su Shane e lo atterra.
Vedendolo ricoperto di sabbia, Nate di allontana soddisfatto.
Poco dopo Shane si alza e viene verso di noi.
“Vendicativo il mio fratellino” dice, afferrando Nate con un braccio e spettinandolo con la mano libera.
Il ragazzo si scosta e lo spinge via, trattenendo un sorriso.
Ci sediamo tutti sulla coperta e facciamo un picnic in riva al lago, chiacchierando. Ormai sono abituata a tutte le frecciatine che si lanciano di continuo i tre fratelli.
Dopo pranzo Nate e Jason vanno a recuperare una palla da beach volley che avevano lasciato in macchina, mentre Mitchie e Dana ripongono il cibo avanzato e mettono in un sacchetto i rifiuti. Mi ero proposta di aiutarle ma loro avevano insistito di fare da sole.
Sono a poca distanza dall’acqua e ad un certo punto Shane mi viene vicino.
“Bella giornata” commenta, sorridendomi.
“Già” rispondo, continuando a fissare il lago calmo.
“Sai” dice, poi esita. “Mi devi ancora una risposta” conclude.
“A cosa?” chiedo, non afferrando quello di cui stava parlando.
“Alla mia domanda.”
“Quale domanda?”
Sono sempre più perplessa.
Si schiarisce la gola. “Quella che ti avevo fatto… quella volta.”
Intuisco di che momento sta parlando, ma non ricordo la richiesta che evidentemente mi aveva fatto e alla quale non avevo risposto.
Continuo a guardarlo dubbiosa.
“Ti avevo chiesto se bacio bene” dice, sorridendo.
È evidente che sta scherzando, ma rabbrividisco ugualmente. Si aspetta una risposta o no?
Dato che continua a fissarmi con un’aria interrogativa, capisco che si aspetta che io dica un commento.
Ci penso seriamente – anche se ripescare quei ricordi non è per niente piacevole – ma allo stesso tempo cerco di non essere troppo seria.
“Mmm, ho avuto di meglio” rispondo dopo un po’.
Alza le sopracciglia stupito. “Ah sì? E chi?”
Che domanda stupida. “Non so se lo conosci, si chiama Jason Gray ed è un famoso musicista.”
Mi guarda sconcertato. “Vorresti dire che lui bacia meglio di me?”
“Esatto” dico sorridendo, anche se ancora un po’ tesa dall’argomento.
“Grazie, era ora che qualcuno glielo dicesse” dice Jason, spuntando da dietro di me.
Non mi ero nemmeno accorta che fosse arrivato, e subito lo guardo per controllare la sua espressione.
Per fortuna lo vedo rilassato, non sembra scalfito dall’argomento della conversazione.
“Ma fammi il favore! Lei è di parte” esclama Shane.
Jason alza gli occhi al cielo.
“Mitchie direbbe la stessa cosa di me, se fosse stata lei al posto di Melanie. Dovremmo provare con qualcuno di imparziale” continua a dire. Si guarda intorno e adocchia Dana, ancora intenta a riordinare.
Nate, che sta ascoltando la conversazione, quando capisce dove si è posato lo sguardo del fratello, si irrigidisce. “No!”
Tutti scoppiamo a ridere a vedere la sue espressione. Dana si guarda intorno e non capisce che succede, vedendo tutti a fissarla. “Cosa?”
“Niente” si affretta a dire Nate, e la abbraccia in modo protettivo.
 
È un pomeriggio di qualche giorno dopo. Sono nell’immenso giardino di casa Gray, seduta ad un tavolo vicino alla piscina.
Jason è sdraiato su un lettino e legge il giornale. Nate è in casa e guarda la televisione, mentre Shane si gode uno degli ultimi bagni dell’anno.
Dopo ore di lavoro, guardo finalmente soddisfatta i fogli che ho di fronte e sorrido a me stessa.
Rileggo tutto attentamente e mi convinco di aver fatto un buon lavoro. Mi alzo e vado verso Jason con i fogli in mano.
“Puoi venire un attimo dentro?” mormoro, accucciandomi vicino alla sua testa.
Si volta verso di me. “Certo” risponde, alzandosi.
Lo conduco all’interno della casa e poi al piano di sopra, verso la sua stanza. Lui mi segue in silenzio.
Entriamo dentro alla grande stanza disordinata. Lo faccio sedere sul suo letto.
“Che succede?” chiede, incuriosito dalla mia espressione seria.
“Ho finito la canzone. Vuoi sentirla?”
Finalmente ho capito ciò di cui quella melodia aveva sempre voluto parlare. E cosa poteva essere, se non di me e Jason? Se non di quello che provo per lui?
Era ovvio: l’avevamo scritta insieme quella musica, giorno dopo giorno durante la lunga estate trascorsa, mentre i nostri reciproci sentimenti crescevano e mutavano. Non poteva parlare d’altro.
“Certo!” esclama, e i suoi occhi si illuminano.
Sorrido e afferro una delle sue chitarre, disposte ordinatamente nella stanza altrimenti completamente caotica.
Mi siedo sul letto vicino a lui e lo guardo negli occhi, sperando che gli piaccia la canzone.
“Pronto?” domando, prendendo forza.
Annuisce ed inizio a suonare.
 
 
I know that my love for you is real,  [So che il mio amore per te è reale,]
It's something true that we do,   [è qualcosa di vero che noi facciamo,]
Just something natural that I feel.  
[Solo qualcosa di naturale che io sento.]  

When you walk in the room, when you're near,   [Quando cammini nella stanza, quando sei vicino,]
I feel my heart skip a beat,   [sento che il mio cuore perde un battito,]
The whole world disappears.   [il mondo intero scompare.]

And there's just you and me,   [E ci siamo soltanto tu ed io,]
Falling head over feet,   [che perdiamo la testa,]
Let's take a chance together.   [diamoci una chance insieme.]

I know, I know, I know, I know,   [Lo so, lo so, lo so, lo so,]
We're gonna make it,   [ce la faremo,]
'Cause no one else can make me feel    [perchè nessun altro mi fa sentire]
the way that you do.   [come mi fai sentire tu.]
(I promise you.)    [Te lo prometto.]

And I know, I know, I know, I know,   [Lo so, lo so, lo so, lo so,]
We're gonna get there,   [ci arriveremo,]
Today, tomorrow and forever   [oggi, domani e per sempre]
we will stay true,   [resteremo sinceri.]

(I promise you.)   [Te lo prometto.]

They say that we're just too young to know,   [Loro dicono che siamo semplicemente troppo giovani per sapere,]
But I'm sure, heart and soul,   [ma sono sicura, cuore ed anima,]
that I am never letting you go.   [che non ti lascerò mai andare.]

When it's right, it's right, and this is it.   
[Quando è giusto, è giusto, e adesso lo è.]
'Cause I'm walking on air   [Perchè cammino tra le nuvole]
every single time that we kiss.   [ogni singola volta che ci baciamo.]

You make the angels sing.   
[Tu fai cantare gli angeli.]
You give that songbird wings.  
[Tu dai le ali a quell’uccello canoro.]
You make everything better.   [Tu fai diventare tutto migliore.]

I know, I know, I know, I know,   [Lo so, lo so, lo so, lo so,]
We're gonna make it,   [ce la faremo,]
'Cause no one else can make me feel    [perchè nessun altro mi fa sentire]
the way that you do.   [come mi fai sentire tu.]
(I promise you.)    [Te lo prometto.]

And I know, I know, I know, I know,   [Lo so, lo so, lo so, lo so,]
We're gonna get there,   [ci arriveremo,]
Today, tomorrow and forever   [oggi, domani e per sempre]
we will stay true,   [resteremo sinceri.]

(I promise you.)   [Te lo prometto.]

I'll never let you down.  
[Non ti deluderò mai.]
I'll always hear you out.   [Ti ascolterò sempre.]
There is nothing you cannot confide.   [Non c’è nulla che tu non mi possa confidare.]

You listen when I speak.   [Tu mi ascolti quando parlo.]

You make my knees go weak.   [Tu mi fai tremare le ginocchia.]
And I just want you by my side.   [E voglio solo te al mio fianco.]

I know, I know, I know, I know,   [Lo so, lo so, lo so, lo so,]
We're gonna make it,   [ce la faremo,]
'Cause no one else can make me feel    [perchè nessun altro mi fa sentire]
the way that you do.   
[come mi fai sentire tu.]
(I promise you.)    [Te lo prometto.]

And I know, I know, I know, I know,   [Lo so, lo so, lo so, lo so,]
We're gonna get there,   [ci arriveremo,]
Today, tomorrow and forever   [oggi, domani e per sempre]
we will stay true,   [resteremo sinceri.]

(I promise you.)   [Te lo prometto.]

We're gonna make it,   [Ce la faremo,]
I promise you,   [te lo prometto,]
Yeah, yeah, yeah,   [yeah, yeah, yeah.]

I promise you.   [Te lo prometto.]
(---> http://www.youtube.com/watch?v=TWZy0p7-iD8 ) 


Lui mi guarda per tutto il tempo, con gli occhi così lucidi che temo stia per piangere.
Alla fine resto senza fiato, aspettando che lui mi dica qualcosa.
Con un gesto repentino che mi coglie alla sprovvista mi afferra il viso con entrambe le mani e mi bacia con passione. Molta, molta, troppa passione.
Sfila via dalle mie mani la chitarra e la butta in terra senza farsi troppi problemi, in modo da stringermi ancora di più a sé. Poi mi solleva e mi poggia sulle sue gambe.
Quando una piccola parte di me inizia a pensare che lui voglia andare oltre, allontana leggermente il suo viso dal mio per riprendere fiato. Sospiro di sollievo: è ancora presto.
“Siete ti è piaciuta quanto a me è piaciuto questo… be’, direi che dovrei mandare un demo a qualche casa discografica” sussurro, ancora col fiatone.
Ridacchia. “Sai, dovresti farlo davvero. Hai la voce più bella che abbia mai sentito.”
Gli bacio una guancia. “Evidentemente l’amore oltre ad essere cieco è anche sordo.”
Mi guarda aggrottando le sopracciglia. “Non sono sordo, è la pura verità.”
“Scommettiamo che se vado a chiedere a Shane chi ha la voce più bella del mondo mi risponderà che la ha Mitchie? E se lo chiedo a Nate mi dirà Dana?” domando, sfidandolo.
“Loro sono di parte” ribatte.
“Esatto. Come te” concludo.
Lui si morde il labbro, insoddisfatto. Si è fregato da solo, proprio come volevo.
“E per te chi ha la voce migliore del mondo?” mi chiede dopo un po’.
“Tu” rispondo subito.
“Sei da parte anche te, quindi” dice sorridendo.
Scuoto la testa. “No no, perché io potrei trovare qualche altro milione di persone che la pensa come me.”
Sospira e alza gli occhi al cielo. “E se tu mandassi un demo ad una casa discografica, anch’io potrei trovare altri milioni di persone che la pensano come me.”
“Okay, okay” dico, per non prolungare il discorso all’infinito. “Ci penserò.”
“Se non lo farai tu, lo farò io” mi minaccia.
Lo guardo imbronciata e lui mi sorride. Poi sfiora la mia guancia con la sua, e per un po’ continua così, su e giù, come un gattino che fa le fusa strofinandosi contro il viso della padrona.
“Ti amo” ripeto, forse per la decima volta oggi.
“Anch’io” mormora.
Poi mi bacia una guancia, la fronte, il naso ed infine le labbra.
 
Passa il tempo, passano i giorni, sempre uguali ma diversi. In ogni secondo il mio amore per Jason aumenta. Tutte le sere quando gli do la buonanotte appena è fuori dalla mia vista mi manca, ogni notte lo sogno ed ogni mattina mi sveglio presto solo per vederlo.
Qualsiasi altra cosa a questo punto mi avrebbe già stufata, ma non Jason. Lui mai.
E chissà cosa ci riserverà il futuro. Spero, qualunque cosa sia, che l’affronteremo insieme.
Magari ci sarà un’altra estate a Camp Rock.



THE END

 

Oddio non ci posso nemmeno credere, ho finito una storia!! Ahah xD
Okay tornando seri... è finita, incredibile ma vero :) Cosa ne pensate del finale? So che non è successo granchè, è più un epilogo questo... E sinceramente non sapevo più che scrivere xD
Ero tentate di scrivere un bel "e vissero sempre felici e contenti" ma sarebbe stato troppo poco originale... E per di più, voglio lasciare un finale abbastanza aperto.
Eh sì, ve lo posso confermare: ci sarà un Camp Rock 4 u.u Non so quando nè quanto lungo (forse più breve) ma ci sarà :) Spero che sia una buona notizia xD
Per chi non la conoscesse, la canzone è "I Promise You" di Selena Gomez :D Ovviamente la consiglio a tutti perchè è fantastica *___*
Avrei voluto metterci "Everytime We Touch" dei Cascada (vi consiglio pure questa) perchè è semplicemente magnifica e dolcissima, però la versione lenta (che preferisco) è al piano quindi non andava :(
Okay la smetto di annoiarvi...
Haunted__: ecco qui il finale :) Che ne dici? Spero ti sia piaciuto :) Ti dico un GRAZIE speciale per aver commentato ogni mio capitolo *___* <3 Davvero grazie :D
ElyCecy: ahahah sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto tanto!!! Di questo che ne dici? GRAZIE un miliardo per tutte le recensioni e tutti i complimenti che mi hai fatto, sei stata davvero gentilissima e mi hai incoraggiato molto :D

Concludo con un GRAZIE IMMENSO A TUTTI QUELLI CHE HANNO LETTO LA MIA STORIA, CHE HANNO COMMENTATO, MESSO TRA LE PREFERITE/SEGUITE/RICORDATE!!!!!! Spero davvero tanto che tutto quello che ho scritto via sia piaciuto e spero leggerete anche il seguito di questa storia!!!
Baci, Juls. <3<3<3

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=584521