Growing up together di Arthur Jeevas (/viewuser.php?uid=108994)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Malinconia ***
Capitolo 3: *** Un Amico ***
Capitolo 4: *** Più vicino ***
Capitolo 1 *** L'inizio ***
Growing up together
I bambini erano tutti riuniti in quella
grandissima aula. Molti non sapevano neanche perché. Erano spaventati, soli.
Minuscole creaturine assorbite dall’enormi sedie dov’erano seduti.
Nella prima fila vi
erano due ragazzi però, che non condividevano dello stesso sentimento degli
altri. Sembrava che a loro, cosa facevano lì non gli importasse un granché. Quello
che di loro sembrava essere il più piccolo, un normale ragazzo rosso, che
teneva i suoi misteriosi occhi dietro ad occhiali piuttosto inusuali, era
concentrato su un videogioco portatile, senza dare importanza a ciò che li
circondasse e, accanto a lui, vi era l’altro ragazzetto, biondo, poco più
grande, dai delineamenti piuttosto delicati, persino per un bambino. Questi
osservava discretamente il suo vicino di sedia mentre si mordicchiava una
barretta di cioccolata.
- Tu mi ricordi
Biancaneve.
Quell’affermazione
ferì fortemente l’orgoglio maschile del rosso che però fece finta di niente.
Senza neanche degnarsi di guardare in faccia chi si era permesso di paragonarlo
ad una… principessa, non mosse neanche gli occhi dalle coloratissime figure
programmate per intrattenerlo e servire come scusa per non dover confrontarsi
con il mondo reale… Anzi, più che una scusa era uno scudo. Lo proteggeva da
ulteriori sofferenze, già ne aveva passate troppe.
- Hey! Sto
parlando con te!
Il biondino
cominciava ad innervosirsi. Che caratterino… non era che un bambino, ma in lui
già si manifestava quello che in futuro dovrebbe rivelarsi una personalità
piuttosto forte e impaziente. Guardava il rosso inquieto, odiava il fatto di
essere ignorato. Di solito era compito suo, quello di ignorare. Cresciuto
circondato da attenzioni extra, da preoccupazioni extra… “Poveretto… ha perso
entrambi i genitori…” “Eppure è così piccolo…” Era ormai di norma ignorare gli
altri. Non avevano altro da offrire sennò pietà. E non li gradiva affatto
riuscire ad ottenere le cose senza dimostrare quanto era in grado di fare per
raggiungerle. Ma adesso che era lui quello ignorato, la cosa non le stava
affatto bene.
Il rosso s’infastidì con l’insistenza
dell’altro. Pausò il suo gioco e si girò di scatto. Guardando il soggetto che
lo aveva ‘offeso’ gli venne quasi da ridere.
- Senti un po’
chi parla, bambolina.
E rise così alto
che attirò verso di sé la maggior parte degli sguardi spaventosi dei bambini
presenti. Appena si rese conto, smise. Il biondo lo fissava indifferente. Diede
di spalle, poi abbassò lo sguardo verso la sua tavoletta e la morse ancora.
- Guarda che non
era affatto una offesa, stupido.
- Mi hai appena chiamato
Biancaneve, cosa vuoi che pensi?!
Le labbra sottili,
e un po’ marroncini per via della cioccolata sciolta dalla saliva, si unirono
in un sorriso di superbia. Potevano anche avere più o meno la stessa età, ma
era senz’altro più furbo.
- Bè, adesso non
te lo voglio più spiegare.
Si girò di leve,
nascondendo il sorriso fiero che vi era stampato in viso. Si rendeva conto che
adesso il rosso gli stava con il fiato sul collo. Aveva capito che tipo era dal
modo in cui lo aveva risposto.
- E’
inutile che lo stai a fissare. Non è così che ti darà una qualche risposta. E
poi, basta che gli dici qualsiasi cosa… Tanto muore dalla voglia di
risponderti.
Il biondo si girò
verso il rosso, proprio dietro ad esso ci stava un altro bambino
- E tu chi diavolo sei?
Se non era molto più piccolo di
loro; Allora lo sembrava. Aveva dei capelli strani, bianchi,
completamente disorganizzati,
indossava un pigiama tutto bianco e si sedeva in una maniera senz’altro
stravagante. Non aveva lo sguardo verso di loro, fissava il soffitto, mentre
giocava con un ciocca ondulata dei suoi capelli.
- Nate. E’ un
piacere poterti conoscere, Mihael.
- E come fai a sapere il mio nome?
- Ero in un colloquio diretto con
Roger, fino a poco fa. Discutevano di me e di te, delle nostre sorprendenti
capacità
Qualsiasi bambino normale ne sarebbe più che contento di occuparne una
posizione del genere. Di essere considerato un piccolo genio, una fonte di
intelligenza… Ma a Nate non sembrava fosse così. Le parole gli uscivano dalla
bocca con un tono piuttosto malinconico, sembrava più che altro… annoiato. In
fin dei conti, ormai ci era abituato a tutto ciò. A differenza di quelli altri
due, le capacità di Nate erano state notate fin dal principio ed è sempre stato
circondato da persone che lo trattavano male, indipendente dal fatto che fosse
solo un bambino, per paura di sentirsi inferiori ad un essere così… piccolo.
Si, per gli adulti faceva davvero male riconoscere in un bambino un qualcuno
più intelligente di loro. Creature buffe, gli adulti. Nate giurò a se stesso
che mai avrebbe cresciuto.
- Ecco, perfetto sono in mezzo a due secchioni
e…
- Troppo presto per parlare, Mail.
- Eh?!
- Hanno parlato
anche di te. Piuttosto sorprendenti le tue doti tecnologiche/informatiche.
Involontariamente Mail e Mihael si lanciarono
un’occhiata sorpresa. Ma chi cavolo era questo Nate? Non sembrava neanche
normale. La sua voce, la sua postura… La sua apparenza.
- Scusa è,
signor saputone. Ma come hai fatto a riconoscerti?
- Quella è stata
la parte più semplice, Mihael. Un tipo color neve, capelli rosso sangue, strani
occhiali, un altro biondo dai lineamenti ambigui, femminili.
Mail si buttò
contro la sedia con forza, non riuscì a trattenere le risate.
- Femminili…
hahaha, lo hai sentito, vero Mihael?
- Zitto! Smettila stupido! Visto cos’hai fatto tu, albino spastico!?
Nate sospirò,
rigirò gli occhi a 360°, tornando sempre a fissare il soffitto.
- E’ inutile
negare le evidenze, Mihael. E poi, io non predico il falso.
Mail rideva
tantissimo. Il suo viso era quasi rosso quanto i suoi capelli. Tutta la
situazione non faceva che arrabbiare Mello. Non sapeva perché, ma Mail gli
stava simpatico, quando invece veniva clamorosamente preso in giro da esso… E
poi sentiva di detestare Near con tutte le sue forze, sentiva che lo avrebbe
per sempre detestato. Aveva quell’atteggiamento dove gli si leggeva in faccia ‘Io
sono il numero uno’ e aveva quella pretesa di essere il patrone della ragione…
Ma poi era così piccolo, com’era possibile?
- Ma
senti tu, quanti anni hai?
- Ne ho appena compiuti 7.
- Solo 7? – Chiese Mail con un
espressione che ondeggiava tra l’incredulo e lo spaventato. Era completamente
affascinato da quel bambino che, pur essendo più piccolo di un anno, dimostrava
intelligenze e conoscenze pari a un adulto - Io invece ne ho già…
- 8. Lo so, lo so. So tutto su di
te.
Nate mosse
finalmente lo sguardo verso gli altri due, per la precisione verso Mail. Quello
infastidì profondamente Mihael, che involontariamente fece una smorfia a Nate.
- Stai tranquillo
Mihael, non m’interessa di rovinarti quella che, a mio parere, diventerà una
grandiosa amicizia.
Ritornò lo sguardo
sul soffitto e s’infilò la in mezzo alla stoffa del pigiama, tirando fuori un
modello piuttosto recente di un robot verde e azzurro. Si azzittì, concentrato
nel suo giocattolo.
- Hai sentito
Mello? Diventeremo amici! – Mail rideva, era piuttosto contento dell’idea di
avere un amico.
- Non mi chiamo
Mello, il mio nome è Mihael!
- Ma è un nome
complicato, non me lo ricorderò mai! Ti posso chiamare Mello?
Un sopranome? Non
gliene avevano mai dato uno, prima d’ora. Era un sensazione piacevole. Una
specie di brezza leggera che gli accarezzava ogni parte del suo corpo. Si
chiamava forse felicità, quello? Al momento Mihael non ne poteva essere sicuro…
benché avesse soltanto 8, quasi 9, anni, non si ricordava più cosa fosse quel
sentimento così complesso, ormai diventato un tabu. Non poteva ancora dare un
nome a questa sensazione, ma sapeva per certo che era piacevole; gli faceva
sentire finalmente unico per qualcuno. Perché mai sarebbe esistito un altro Mello,
e anche se così fosse, lui sarebbe comunque unico per Mail. Sbozzò il suo
migliore sorriso.
- E va bene,
Mail. Sarò Mello per te.
E gli porse
gentilmente la sua cioccolata.
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Capitolo 2 *** Malinconia ***
growing up togehter - cap 2 malinconia
Era il maledettissimo
24 agosto 2008. Agosto… Mello odiava quel mese. Era passata una settimana
dall’ultima volta che aveva trascorso del tempo con Mail… Questi si era chiuso
dentro la sua camera, era occupatissimo a preparare il suo regalo per Nate.
Insomma, che ci sta di così importante nel compiere 14 anni?! E poi, era molto
nervoso dal fatto che Mail desse priorità ad un inutile regalo piuttosto che a
lui. Che bisogno c’era di fargli questo regalo? Sicuramente non gli sarebbe
neanche piaciuto a Nate, che è completamente indifferente. Apatico… Perché Mail
si affascinava così tanto per lui?! Eppure Mello era quasi intelligente quanto
Nate.
Quasi. Questo
maledettissimo quasi sembrava un abisso. Si sentiva così inferiore a Nate... E
come se non bastasse, gli stava rubando la sola cosa che gli appartenesse per
diritto. Mail. Si, era l’unica cosa che aveva, eppur la doveva dividere. Quello
non gli sembrava affatto giusto! Perché era sempre lui quello che doveva
adeguarsi? Perché lui doveva essere quello ad accontentarsi con ciò che
rimaneva? Sembrava un cane. Riceveva solo quello che non serviva più a nessuno.
Gli arrivava solo ciò che era inutile a tutti gli altri. Lui era sempre quello
con la roba di seconda mano. Cosa portava Nate ad essere così privilegiato? Non
sembrava neanche vivo!
Seduto sul letto sentiva
il rumore dei bambini che passavano sul corridoio ridendo contenti. Sentiva
qualche volta il nome di Nate, così di sfuggita… Il suo magro corpo vibrava.
Era sempre trascurato, invisibile. Al suo compleanno non c’era stato tutto
questo movimento. Anzi, tutti gli anni il suo compleanno passava del tutto
inosservato. Si sforzava sempre così tanto per raggiungere il primo posto… Ma
tanto era sempre inutile. E nessuno riconosceva mai i suoi sforzi e lo
confrontavano sempre con Nate… “Mihael è molto bravo, però Nate…” Nate. Nate.
Nate. I bambini non parlavano d’altro. Mail non parlava d’altro.
Mello lanciò lo sguardo
tutt’intorno e si soffermò sul suo violino, delicatamente poggiato su una
poltrona di cuoio nera, in un angolo della stanza. Lo prese e lo posizionò per
bene, poggiando il mento sulla mentoniera e il violino sulla spalla, aiutandosi
con la spalliera. Posizionò quindi le dita sulla tastiera. Tenendo l’arco, lo
mosse leggermente, emettendo i primi suoni della canzone. I suoi movimenti
erano morbidi, leggeri, delicati. Sembrava che accarezzasse le corde, l’unica
cosa che era in grado di accarezzare senza il timore di essere preso in giro
per la sua debolezza. Si, perché lui reputava debolezza l’attaccamento
sentimentale a delle persone, perché chi si attacca a qualcuno corre sempre il
rischio di soffrire per questo. Forse era questo che permetteva Nate di
occupare sempre il primo posto… Perché
non era mai stato attaccato a qualcuno o qualcosa, portandolo ad essere
più forte, perché solo i deboli soffrono.
Mello era un debole. Cercava di mascherare tutte le sue paure, sofferenze,
ricordi e sentimenti con una superflua indifferenza. Con una finta freddezza…
Per esperienza propria Mello sapeva che di solito quelli più forti
esternamente, dentro erano i più fiacchi. Ma quella teoria non si poteva certo
applicare su Nate.
Adesso non era più
arrabbiato, ma era profondamente deluso di sé stesso. Aveva già ripetuto l’intera
sinfonia ben tre volte e senza alcun testo suonava così triste…
-
Times have changed but so have I, I view my life
through your eyes… There’s no place like home they say, you’re my home so hear
me pray…**
Smise di suonare, il suo corpo era assalito
da una possente sensazione: Il suo viso bruciava. Il suo cuore pulsava
fortissimo. Il suo fiato era corto. Tremava di nuovo, ma non sentiva lo stesso
di prima… Era una sensazione leggera. La gola era bloccata. La testa era
confusa e… il suo viso era umido. Piangeva. Anche se nel bel mezzo della
estate, aveva freddo. Quella stanza sembrava diventare sempre più buia, si
sentiva solo. Pianse tanto, tantissimo. Pianse quanto non aveva pianto in tutti
quegli anni. Pianse per la morte dei suoi genitori, pianse per la prima volta
che si era fatto male, pianse per non riuscire a fare amicizie, pianse per non
riuscire a dimostrare i suoi sentimenti, pianse per la morte del suo gatto,
pianse per la solitudine che si era creato, pianse per i muri che aveva
costruito intorno al suo cuore, pianse per non sentirsi amato, pianse per stare
sempre un passo dietro a Nate, pianse per quella settimana schifosissima
trascorsa senza Mail, pianse per essere solo, in quel momento, pianse perché
era solamente colpa sua se era diventato così miserabile. Pianse per ore finché
non si addormentò.
Appena sveglio si
rese conto che era buio, di fuori. Erano le 19. Il compleanno di Nate doveva
essere già cominciato… Lo odiava, è vero, ma sarebbe andato lo stesso anche
perché caso contrario avrebbe alimentato dei sospetti.
Si alzò senza molta
voglia dal letto, e andò a lavarsi il viso. Sistemò i capelli incredibilmente
lisci e biondi, troppo lunghi per un maschio, ma dei quali ne andava fiero. Si
mise le scarpe e andò verso la mensa.
Inizialmente non
riuscì a vedere né Mail né quell’odioso di Nate, forse si era rifiutato di
andarci, come nell’anno scorso.. Era così schifosamente odioso! Ci stavano
tutti i bambini, a quanto sembrava… Una confusione assurda. Palloncini
dappertutto, striscioni con disegnini e scritte… Tutti degli illusi. Cercavano
sempre di accontentare Nate e non riuscivano a capire che a lui non gli
importava niente di nessuno. Mello da sempre credeva che Nate fosse privo di emozioni e sentimenti; non cambiava
mai espressione o tono di voce. Era macabro.
Gironzolando,
svogliato, lo sguardo tra quel grande ammucchiare di gente, si soffermò su una
scena che non le ha gradito affatto. In
fondo, sull’ultima tavola c’erano un sacco di regale disposti uno sopra l’altro,
ma solo uno era aperto. La carta che lo avvolgeva era a righe rosse e nere… Si
avvicinò di qualche passo e vide un giocattolo che dovrebbe avere mezzo metro
di altezza. Era completamente arredato e pieno di bottoni che lui non sapeva
bene a quali funzioni corrispondessero. Seduto sulla panchina, di fronte a quel
fantastico regalo, c’era Nate. Aveva lo sguardo fisso su di esso e… sembrava
quasi che sorridesse. Mello continuò a osservarlo. Era completamente sicuro che
il regalo era quello di Mail. La carte a righe, il regalo in sé… Non c’erano
dubbi.
Nate si alzò
lentamente, i suoi movimenti erano sempre lenti, come se riflettesse su ogni
piccola mossa, calcolando ogni possibile reazione.. Si girò verso qualcosa che
Mello non riusciva a vedere, perché tutti quei regali gli coprivano la visione.
Si spostò ancora di qualche passo, ma questa volta verso sinistra. C’era Mail.
Rideva, guardando Nate. Aveva la solita posa, con una gamba un po’ piegata e il
braccio alzato che formava un angolo di circa trenta gradi per poi ricadere
sulla nuca, aveva gli occhi scoperti e teneva i goggles intrufolati tra i
capelli. Nate lo guardava dal basso. Adesso aveva la solita espressione
impassibile… ma dopo qualche secondo lanciò le braccia intorno al collo di Mail
che, sorpreso, non seppe se riabbracciarlo oppure no. Cercò disperato un
appoggio con lo sguardo, quando notò Mello.
Mail non riuscì a
comprendere l’espressione di Mello; non ebbe il tempo. Questi si girò e corse
via.
** I tempi sono cambiati ma sono cambiato anche io. Riesco a
vedere tutta la mia vita nei tuoi occhi. Dicono che non esista un posto come
casa, tu sei la mia casa, quindi ascoltami pregare.
Vi faccio un po’ della mia cultura quasi-natale. Questa è
una canzone di un famoso violinista (e cantante, compositore, attore.. haha) Norvegese,
si chiama Alexander Rybak ed è un vero dio del violino. Ha 23 anni ma dimostrava
tutto questo talento già a 18'anni. E’ fantastico. Potete vedere il videoclip
della canzone dalla quale ho ‘rubato’ questo piccolo verso qui: http://www.youtube.com/watch?v=daqfr6DJsGc
Valelle96 e Regina Oscura, non fraintendete l’ultimo paragrafo di questo capitolo. Prima di venirmi a trovare per riempirmi di botte, aspettate il prossimo capitolo calme calme. Ok? Haha.
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Capitolo 3 *** Un Amico ***
Growing up together - un amico
Nate odiava con tutte le sue forze il 24 agosto. Tutti gli
anni si ripeteva la stessa storia, per quanto cercasse di allontanare le
persone, esse trovavano sempre un modo di stargli tra i piedi. Lui ovviamente sapeva benissimo la natura di
questa ossessione nei suoi confronti: Era senza dubbio il più intelligente
della Wammy’s House, ma non ne aveva certo il bisogno che glielo ricordassero
sempre.
Tutti i bambini
sicuramente vorrebbero avere le sue stesse doti, ma a lui, queste doti non
piacevano affatto. Lui voleva essere normale. Si, normale. Era molto faticoso
guardare il mondo con i suoi occhi. Occhi critici, assetati di ragione e
logica. Non riusciva ad apprezzare le cose semplici come i sentimenti. Per lui
tutto doveva avere una logica precisa, oppure non poteva essere altro che un
mito, una teoria fondata sulla fantasia, sulla necessità dell’uomo di
rispondere alle sue domande ricorrendo a elementi mistici, che non hanno
bisogno di essere provati. Ma lui sosteneva che tutto ciò che appartenesse al
mondo degli uomini doveva poter essere provato, era ovvio che un qualcosa la
quale esistenza non fosse basata a delle prove concrete, fosse argomento di
discussione.
Non sorrideva mai,
rifiutava completamente l’ottimismo. Gli ottimisti tendono a guardare "il lato positivo
delle cose" e ad assumere la buona fede nelle persone… Le persone
deludono. Non si può mai pretendere che qualcuno abbia un certo atteggiamento
verso un qualcosa, ogni individuo è considerato unico per avere un’idea
propria, individuale e differente riguardo ad un certo argomento o situazione.
Non capiva la fede, non riusciva a trovare un senso nei sentimenti.
Principalmente nell’amore… ma neanche nella speranza. Nate era un Nichilista,
accettava la sua miserabile posizione e la sua difficoltà nel provare
sentimenti positivi, considerava inutile alimentare qualsiasi speranza che si
trovasse aldilà della sua portata. Aveva già sofferto troppo in soli
quattordici anni di… Chiamiamola “vita”. Era veramente triste, la vita di un
genio.
Era seduto per terra, circondato dai soliti
giocattoli. Teneva in mano un piccolo e sporco robot… Un modello molto vecchio,
che gli fu regalato circa undici anni fa. Il giocattolo che teneva in mano
quando arrivò alla Wammy’s. Aveva quattro anni ma era lontanamente paragonabile
ad un suo uguale in età. Era da quel maledetto giorno del 1998 che odiava la
sua maledetta intelligenza. L’intelligenza era tutto ciò che gli era rimasta.
Il resto gli fu strappato via, in quello stesso giorno. Odiava la sua
intelligenza perché avrebbe preferito mille volte crescere all’oscuro di quella
verità che gli aveva bloccato la voglia di vivere ad appena quattro anni, che
capire da solo tutto quanto accadde il quella notte maledetta. Maledetta quanto
lui e la sua rapidità logica.
Bussarono alla porta.
-
Avanti.
Mail entrò, euforico.
Aveva un sorriso esageratamente allegro, aveva aspettato quel giorno con grande ansia ed era pienamente fiero del
regalo che era riuscito a preparare. Nate aspirò due odori fortissimi, che si
contrastavano.
- E’ inutile che cerchi di nascondere l’odore della
sigaretta con della lozione, Mail.
Il ragazzo rosso
allargò gli occhi, ma cercò subito di mascherare l’azione involontaria
assumendo un’ espressione sarcastica
-
Ma cosa blasfemi, tu?
Nate scivolò
lentamente per il pavimento. Prese la mano di Mail ed inalò il suo profumo.
-
Vedi, Mail, non ti sei neanche curato di lavarti le mani. E
poi, l’odore che hai addosso è veramente forte. E’ sicuramente uno dei profumi
importati di Mihael. Anche perché tu non hai profumi, sei allergico.
-
Ma…
Nate sfiorò
lentamente il collo di Mail.
-
Hai il collo completamente irritato, sai.
Mail si sbrigò a toccare il proprio collo.
Non sentiva nessuna anomalia nella superficie della sua pelle.
- Perché mi devi sempre prendere in giro? Non
è giusto!
Che grande ironia. Davanti a sé Nate aveva
un ragazzo pieno di sentimenti e emozioni. Un ragazzo a cui piaceva stargli
accanto ma non per la sua intelligenza, ma per un qualcos’altro che lui non
riusciva a capire.
-
Tu non vuoi da me cosa vogliono tutti gli altri, eppure mi
cerchi. Allora cosa vuoi da me?
-
Non sono io che voglio qualcosa da te. Sei tu che hai
bisogno di avere qualcosa da me.
-
Spiegati.
Mail non credeva esistessero cose che dovevano
essere spiegate a Nate, ma si rese conto che in quel momento lui avesse bisogno
di capire questi famosi sentimenti ai quali non era mai riuscito ad attribuirne
un significato.
- Tu hai bisogno di un amico. Vedi, sei
quotidianamente circondato da molte persone che ti sembrano tutte uguali. Ti
sembrano uguali perché non ti rappresentano nulla… Per potertelo spiegare mi
devi dire una cosa. Tu mi vedi come vedi tutti gli altri?
Forse Mail fosse l’unica persona che avesse
mai avuto l’opportunità di guardare Nate come un bambino della sua età dovrebbe
essere guardato. Forse quello era ( e sarebbe stato ) l’unico momento in cui ci
fosse stata la possibilità di guardarlo così. Era fantastico ciò che sentiva il
rosso in quel momento: Era stato in grado di insegnare qualcosa a Nate. Era
fantastico anche ciò che sentiva il piccolo albino: Era stato in grado di
trovare qualcuno che si sentisse all’altezza di spiegargli qualcosa. Mail non
si era mai sentito intimidito dalle capacità di Nate.
-
Riuscirei a riconoscerti facilmente in mezzo alla folla.
-
Ecco. Questo perché siamo amici. Abbiamo un legame.
-
Un legame. Siamo quindi collegati. Facciamo parte di una
stessa catena che…
-
… E’ inutile se fai così. Non è che io non riesca a
spiegarti di più; è che non può proprio essere spiegato. Non è fatto per avere
una spiegazione. Siamo amici, tutto qua.
Nate si mise a giocare con una ciocca dei
suoi capelli, fissava il pavimento. Aveva la sua solita espressione di profonda riflessione.
-
Amicizia. E come lo chiami il tuo legame con Mihael?
Nate fissava ancora il pavimento. Mail
deglutì seccamente. Che significava “Come lo chiami…” ?
-
… Amicizia.
-
No. E’ diverso. – Il suo tono era convinto. Lui lo sapeva.
– Vedi, lo si può notare dai tuoi occhi. Diventano di un verde chiaro e
limpido, quando guardi Mihael. Ah, e brillano. Lo stesso vale per Mihael, ma
lui lo nasconde… come se sentisse che questo fosse sbagliato. Non ti sei mai
reso conto che non ti guarda mai negli occhi? E poi, nel giorno del vostro
incontro… La prima cosa che ti ha detto, è che gli ricordavi Biancaneve. Non ti
sei mai chiesto il perché?
Si, si era già reso conto… Ma Mello una
volta gli aveva spiegato che non riusciva a tenere fermo lo sguardo su di
niente allora non gli chiese più niente al riguardo… E invece sulla natura di quello
strano, e anche abbastanza odioso, paragone, lui non ne sapeva niente.
-
Dobbiamo andare, ti aspettano tutti. E poi, devi
assolutamente aprire il regalo che ti ho fatto!
Mail sorrise,
decidendo di ignorare completamente ciò che aveva appena sentito per il
semplice fatto di non sapere come ribattere. Ma Nate aveva ancora voglia d’
imparare ciò che non comprendeva. Nate sentiva di non farne parte di questo
misterioso mondo di sentimenti e emozioni, e voleva capire il perché. In fondo
erano molto simili, loro due.
-
Sei coperto di ricordi brutti, come me. I tuoi genitori
sono morti, come i miei. E tu sorridi. Perché sorridi?
-
Devi svincolarti di questi ricordi che ti fanno soffrire.
Appoggiò la mano sulla spalla di Nate. Questi alzò la testa e lo guardò.
Dritto negli occhi. Quegli occhi grigi e critici, pozzi profondi di acque
turbolente, che s’incontravano con quelli verdi e vividi, sintomi di energia e
voglia di vivere. Si contrastavano, si studiavano. Non si erano mai incontrati
prima, non si conoscevano. Quelle enorme sfere grigie si tirarono indietro.
-
E’ impossibile svincolarsi di un ricordo. Non puoi fare
finta che non sia mai successo.
-
Tu non sai se è possibile o impossibile. Non lo so sai
perché non hai provato a svincolarti. Non vuoi provarci perché i ricordi che ti
fanno soffrire sono davvero brutti, ma sono anche gli unici che hai della tua
famiglia.
Nate uscì dalla camera seguito da Mail.
Nessuno di loro voleva insistere troppo in un argomento così appuntito…
Tutti i regali erano disposti nell’ultimo
tavolo della mensa. Nate non ne aveva affatto la voglia di aprirli in quel
momento, ma almeno quello di Mail doveva aprirlo, il rosso ci teneva davvero
tanto.
Si sedette di fronte al tavolo e osservò
dall’esterno il regalo. Era molto grande e abbastanza pesante… Lo aprì
lentamente, scoprendo un fantastico robot, completamente attrezzato. Ci poteva
fare qualsiasi cosa con quello aggeggio! Gli piaceva. Era senz’altro un bel
regalo. E poi, Mail ci aveva messo veramente tanto impegno nel farlo. Si alzò.
-
Suppongo di doverti abbracciare, siamo amici.
Ma non diede a Mail il tempo di rispondere.
Lanciò le sue minuscole braccia intorno al collo dell’amico, per farlo dovette
addirittura mettersi in punta di piedi.
Mail non sapeva bene che fare. Non sapeva
manco cosa avrebbero pensato gli altri davanti ad una scena più unica che rara.
Guardò disperatamente in giro e trovò Mello, a qualche metro di distanza. Aveva
un’ espressione strana… Cercava di capirla quando il biondino si girò e corse
via.
-
Mello… Era strano… C-Corse via… Io…
-
Avrà clamorosamente frainteso la situazione. Tu lo sai il
perché. Lo sai…E lo senti anche tu. Non devi avere paura.
Nate lo lasciò. Mail lo guardò per qualche secondo… Quelle
parole erano esattamente quelle che cercava da sempre. Corse il più veloce che
poteva… Doveva trovare Mello. Era talmente ovvio… Si capiva dai loro occhi. Per
quanto volessero convincersi del contrario, i loro sguardi gli smentivano
sempre. Doveva assolutamente spiegare a Mello che amare non era affatto un
peccato.
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Capitolo 4 *** Più vicino ***
growing up together ep 4 avvicinati
Mail non riuscì a correre per molto, aveva già il
fiatone. Si guardò intorno… Non c’era
Mello; Non c’era nessuno.
- Mello…? Ci
sei? Mi senti? Dai, non ho voglia di correre… Siamo troppo grandi per giocare a
nascondino…
Nessuna risposta.
Addirittura l’eco si rifiutava di ribattere… Si accostò sul muro e scivolò
lentamente fino a sedersi per terra. Guardò un ultima volta in giro e, dopo
aver confermato di essere veramente
solo, tolse della tasca un pacchetto di sigarette e ne accese una. Mello si
trovava nella stanza accanto, dall’altra parte del muro dove Mail si era
accostato, e riusciva a vederlo attraverso uno specchio posto sulla porta della
stanza, che era aperta. Osservava, in silenzio, l’immagine riflessa allo specchio…
Non voleva uscire fuori, non adesso. Voleva sentirsi cercato da Mail. Voleva
sapere che il rosso aveva bisogno di lui. Era seduto per terra, poggiava la
schiena in un armadio e il fianco era accostato al muro. Girò il viso verso la
parete… Avrebbe voluto avere il potere di attraversarlo… Voleva toccare colui
che era dall’altra parte. Lo voleva molto più vicino… Perché non si sbrigava ad
arrivare? Chiuse gli occhi, alzò la mano e accarezzò il muro. È sempre stato
così. C’è sempre stata quella maledetta barriera che gli impediva di stare
insieme… Si chiamava debolezza. La famosa debolezza. La paura di soffrire, la
paura di non essere ricambiato… Era stanco di essere così debole. Continuava ad
accarezzare il muro, con la stessa delicatezza con cui accarezzava di solito
il suo violino. Aveva un grandissimo
bisogno di sfiorare il viso del suo amico, del suo compagno, del suo… amore?
Mello non voleva pensarci troppo. Era Mail. Si, ed era suo… Lo è sempre stato.
Erano loro due, e niente né nessuno poteva interferire. Neanche quello stupido
di un albino… Morse la tavoletta di cioccolato che teneva in mano. Un suono
corto, secco. E ancora un’altra volta l’eco non voleva intromettersi.
Mail si mosse. Con
lo sguardo studiò ancora un’altra volta il corridoio vuoto e scuro.
- Non fumare
che ti fa male…
Il rosso poteva riconoscere quella voce in qualsiasi posto.
In qualsiasi circostanza.
- Ma mi fa
anche provare piacere. E’ come l’amore, in fondo.
Un sospiro. Secondi sprecati. Respiri profondi… Mello si
decise finalmente a rispondere.
- “ Così
soavemente mi ferisce
nel cuore di
dolcezza questo amore,
che cento
volte ogni giorno muoio di dolore
e rinasco di
gioia altre cento.”
Il rosso cercava la provenienza della voce. Trovò lo sguardo
di Mello riflesso su uno specchio che riusciva a malapena a vedere, attaccato
sulla porta semi-aperta alla sua sinistra. Mello abbassò la testa, poggiandola
sulle ginocchia. Mail rimase immobile, ancora a fissare quel pezzo di specchio
che riusciva a vedere. Spense la sigaretta, riprese fiato.
- Mello… - Un
gemito come risposta - Una volta mi dicesti che ti ricordavo Biancaneve…Perché?
Ancora secondi di silenzio. Secondi che non avevano fine.
Secondi che non volevano finire mai.
- Sai… Da
piccolo mi leggevano sempre le favole. Ero così ingenuo che credevo veramente
che alla fine tutto si sarebbe aggiustato, sempre e comunque. Vedi, l’ultima
favola che mi hanno letto è stata Biancaneve… Ma non hanno finito di leggerla.
La storia rimase sospesa, bloccata. Biancaneve era morta ed è finito lì. Il
dolore non sarebbe finito finché la storia non fosse stata finita, finché non
fosse arrivato il ‘e vissero felici e contenti’. Così fu la mia vita… Ero
rimasto bloccato nel dolore, ero diventato servo della sofferenza. Pensavo che
nessuno mai avrebbe finito di leggere la mia favola, pensavo che il mio ‘felici
e contenti’ non sarebbe mai esistito… Ma poi sei arrivato tu.
Mail sorrise. Scivolò a gattoni sul pavimento fino a che non
si trovò davanti a Mello. Posò la mano sulla chioma bionda e lucente
dell’altro. Infilò le dita delicatamente tra i capelli lisci e morbidi finche
non raggiunse la nuca, la solleticò con la punta delle dita. Mello si mosse,
non riuscendo a trattenersi alle carezze, vibrava. Alzò il capo e fissò lo
sguardo su quello di Mail, che lo guardava con quel suo sorrisino furbastro.
Mello afferrò velocemente il collo del compagno e lo tirò verso di sè,
quest’ultimo non si aspettava una reazione così veloce, ma dopotutto nessuno
avrebbe mai potuto prevedere le azioni sempre molto impulsive di Mello, nemmeno
lui. Lo abbracciò fortemente. Erano finalmente solo loro due e nulla da
perdere. Solo loro due e nient’altro. Finalmente... Mello fissava Mail che,
spaventato, sentiva il suono dei loro cuori che battevano accelerati,
completandosi nello svolgere di una melodia. Una mano tremula osò toccare il
viso del biondo che sospirò:
- Più vicino…
Mail si sbrigò a
pressare il proprio corpo contro quello del compagno. Gli baciò la punta del
naso. Avevano tutto il tempo del mondo adesso che finalmente si erano trovati,
unendo insieme le due anime in quella camera buia, lontani dall’oscenità degli
sguardi altrui, lontani dall’incomprensione del mondo.
Respiri profondi,
come se espellessero, attraverso ognuno di quei respiri, tutti i dubbi e le
esitazioni; paure e incertezze. Erano nudi di tutto ciò che non importava,
perché niente sarebbe cambiato adesso, non più. Mello era cosciente di non fare
niente di sbagliato, solo insolito. Insolito perché l’essere umano è già debole
per sè, si appoggia sempre sulla società stereotipata con la costante paura dei
cambiamenti. L’uomo ama la donna e viceversa. La società invece di evolvere,
sta regredendo. Dov’è l’amore per il prossimo? Dobbiamo forse stare sempre con
gli occhi attenti ai particolari superflui? E’ un paradosso che non voleva
capire, non aveva la necessità di capirlo… Lui stava avanti. Riusciva ad amare
ad occhi chiusi.
- Più vicino…
Il biondo alzò un
po’ il mento, se loro bocche vicine, sovrapponevano una respirazione
all’altra. Gli odori si mischiavano, si
fondevano. I pensieri non più così lucidi, erano inebriati da quella nuova
sensazione. Da quella vicinanza segretamente aspettata. La bocca semiaperta di
Mello invitava sfacciatamente la lingua di Mail, che non ci mise che qualche
secondo per accettare l’invito. La sua lingua scherzosa ballava come un
serpente, strofinandosi vogliosa su quella di Mello, che ribatteva a quelle
piacevoli sensazione con gemiti corti e trattenuti. Non vi era più spazio per la
timidezza iniziale, non era più necessario. Il biondo cercò di andare oltre,
scivolando agevolmente le dita fino alla zip di Mail, ma non riuscì ad aprirla,
fu bloccato da Mail stesso.
- Io… non
voglio che succeda così. A cavolo…
Mello l’osservò. Quel
ragazzo dai capelli rossi non avrebbe mai smesso di sorprenderlo. Un mezzo
sorriso di superbia si illuminò nelle sue labbra.
- Ma tu
guarda che romanticone.
Romantici
son pochi, romantici son completamente pazzi.
Romantici
son belli, romantici son belli e schizzati.
Che
piangono con le ballate, che amano senza vergogna o giudizio.
Son tipi
popolari che vivono per i bari e anche quando han ragione chiedono perdono.
Che passano
la notte in bianco, conoscono il sapore insano di amare senza la paura di
un'altra delusione.
Romantico è una specie in estinzione.
Mail diventò rosso quanto i suoi capelli.
- Non dire
sciocchezze! Ti sembra il posto adatto?!
- Certo,
sciocchezze. Quindi sei diventato rosso perché…?
- Perché fa
caldo. Non lo senti? Odio questi sbalzi di…
Mello lo azzittì con
un lieve bacio. Sorrise appena. Uno scambio di sguardi. Sguardi che parlavano
da sé, sussurrando ciò che di più segreto nascondevano dentro loro. “ Ti amo…”
“ Ho bisogno di te…” “Non lasciarmi” “Non deludermi” …
Ritornarono alla
mensa insieme. Le solite espressioni mantenute con fatica per nascondere
l’allegria quasi sovrannaturale. Tutti ancora radunati in quella grandissima
stanza, dolci, palloncini, risate. Un clima sereno, tranquillo, quasi come un
vero ambiente famigliare. ‘Quasi come casa’. Pensò Mello. Sospirò. Non gli
importava più di tanto se al suo compleanno non ci fosse mai stata una commemorazione
del genere, anche perché…
- Alla faccia
di quell’autistico di un albino. Il regalo migliore l’ho avuto io.
- Questa non
è mai stata una gara, sai.
- Hum…
Mello diede di
spalle, cercando qualche dolce alla cioccolata. Mail sorrise, non si aspettava
una reazione sdolcinata di Mello, tantomeno in pubblico. Sentì su di sé lo
sguardo di Nate, si girò. Nate mosse le labbra con lo scopo di formare un
sorriso. Era l’unico, oltre la coppia, a capire ciò che realmente succedeva.
Seppure non trovasse un senso logico, sapeva apprezzare la bellezza del
sentimento, la purezza che vi era in esso. Mail ricambiò il sorriso. Mello lo
notò ma non volle fargli capire, si girò velocemente, camuffandosi, cominciando
a riempire il piatto con delle truffe al cioccolato fondente.
- Sai Mail… -
Facendo finta di non importargli molto, continuò a selezionare meticolosamente
le truffe. – Il 24 agosto non fa poi così schifo.
FINE. |
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