Cap 3
William entrò nella grande hall dell’albergo più rinomato della città.
Aveva seguito Mark Arrington senza farsi scorgere e lo aveva visto incontrarsi con una bella donna mora.
Certamente molto meglio quella mulatta della perfida Agatha si era ritrovato a ghignare tra se.
Più volte però, si era anche accorto di fissare troppo intensamente la sua vittima.
Il fascino che emanava da quell’uomo aveva un qualcosa di magnetico.
William infastidito ripassò –nel tentativo di distrarre la mente da quei pensieri- il piano che aveva in testa.
In fondo era molto semplice.
Mark era rinomato per la sua passione per le sfide.
Lui l’avrebbe sfidato a carte e certamente ridotto in mutande, se possibile portandosi via anche la sua donna, ed il giorno dopo avrebbe concluso il “lavoro”.
In fondo non c’era possibilità alcuna di perdere.
Le carte truccate che il vecchio Hank gli aveva lasciato in eredità dopo la morte, e la sua innata bravura al poker, lo avrebbero facilmente condotto alla vittoria.
Così la prima parte dell’incarico affidatogli si sarebbe conclusa con successo –avrebbe umiliato di fronte a tutti il sig. Arrington-.
Il giorno dopo, o addirittura la sera stessa lo avrebbe ucciso, così come richiesto da Agatha.
Aspettò con pazienza che i due amanti –perché erano certamente tali- finissero la loro cena.
Quando si spostarono al piano bar, decise che era arrivato il momento di farsi avanti.
Mark aveva passato una piacevole serata.
Evangeline era una bella compagnia, peccato che le cose tra loro non si potessero approfondire.
Se la bella investigatrice non avesse avuto già il cuore completamente impegnato lui non avrebbe certo disdegnato una relazione amorosa.
Però era chiaro che alla donna –per quanto fosse affascinante- lui non interessava minimamente.
Pazienza, alle volte neppure il suo fascino poteva nulla.
In più il tanto sospirato collega di Evangeline era già da un bel pezzo che se ne stava in disparte ad osservarli.
Almeno questo era quello che immaginava, dato l’enormità di occhiate che l’uomo rivolgeva alla loro direzione.
Comunque doveva ammettere che la donna aveva buon gusto nella scelta dei compagni.
Il biondo in questione era veramente affascinante, e se non fosse stato certo che era l’obiettivo della mora, sicuramente ci avrebbe fatto su un pensierino.
Un sorriso si allargò sul viso di Mark quando ad un certo punto della serata, vide il biondo marciare sicuro nella loro direzione.
Di certo stava venendo a reclamare per se le attenzioni della graziosa collega.
Quando l’uomo fu ormai molto vicino a loro, si sorprese però a constatare che era molto più giovane di quanto avesse immaginato.
William simulò un sorriso cordiale, mentre avanzava gli ultimi due passi che lo separavano dal tavolo del suo obiettivo.
“Salve, scusate se vi importuno”
“Prego dica pure” rispose la donna.
Mark si ritrovò a constatare sorpreso che i due non si conoscevano affatto –le sue supposizioni erano del tutto errate-
Meglio per lui –pensò contento-.
“Come possiamo esserle utili?” continuò Evangeline, fissando il biondo con sospetto.
Certo era poco probabile che quello fosse un killer inviato dalla Summers, però la prudenza non era mai troppa.
William sorrise.
“Il suo compagno è molto rinomato per la sua abilità al poker… mi sono permesso di disturbarvi, nella speranza che accettasse una sfida…”
La donna si rilassò sulla sedia –quel ragazzo non poteva essere un pericolo-
Poi fissò con sguardo seducente il suo protetto e disse.
“Caro se vuoi cimentarti fa pure!”
Il moro non se lo fece ripetere due volte e facendo segno affermativo col capo si alzò prendendo sotto braccio Evangeline, e seguendo William al tavolo da poker.
William si maledì mentalmente per la sua leggerezza –anche se ancora non si capacitava di come l’altro lo avesse battuto-.
Certamente il buon Hank si era rivoltato nella tomba, alla vista di tale scempio.
Per non parlare delle conseguenze ingloriose alle quali la disfatta lo aveva portato.
Raccattò in fretta la giacca ed uscì dalla stanza d’albergo in tutta fratta, per poi precipitarsi subito fuori e respirare al freddo della notte, una boccata di aria fresca.
Le gambe tremanti inciamparono nella stringhe delle scarpe slacciate, incespicando e imprecando si diresse verso il suo appartamento.
“Sig. Arrington, siamo alla fine, ormai non ha più nulla… eccetto lei…” mormorò beffardo indicando con la testa la bella donna mora.
Mark sorrise.
“Se perdo tu l’avrai… ma se vinco… tu per questa notte farai tutto ciò che ti chiedo”
Strana proposta per uno che ormai aveva perso tutto, si era ritrovato a pensare il biondo.
Però stavano giocando con le sue carte, perciò con sicurezza rispose:
“Accetto” tanto sapeva già che l’altro stava solo bleffando.
Il povero Mark aveva in mano solo due misere coppie, mentre lui teneva tra le dita un full.
La sua disfatta era certa.
William scoprì con sicurezza le sue carte sul tavolo, attendendo con un pizzico di sana crudeltà la faccia distrutta del suo avversario.
Però sorprendentemente Mark sorrise, mentre lentamente poggiava sul tavolo una scala.
William si sentì il sangue gelare nelle vene, ed inghiottì a vuoto.
Aveva perso.
Mark si rigirò nel letto della sua suite ed allungò un braccio.
Nel dormiveglia si accorse che qualcosa di imprecisato stonava, perciò si costrinse ad aprire le palpebre.
Al suo fianco, lì dove doveva trovarsi il bel viso addormentato del biondino senza nome, c’erano solo le lenzuola scomposte dalla notte di passione.
Nessuna traccia del suo occasionale amante.
Un senso di fastidio lo assalì.
Non gli piaceva risvegliarsi da solo.
Anche se era solo stato del sesso occasionale, il risveglio senza il partner di turno che lo fissava, lo aveva sempre infastidito.
Era una sensazione spiacevole… si sentiva abbandonato –un po’ come quando da piccolo si alzava nel cuore della notte e si ritrovava da solo in casa-.
Scacciò con forza il ricordo del padre ubriacone e decise di farsi una doccia ristoratrice.
Uno strano senso di vuoto lo assalì al pensiero che non conosceva neppure il nome di quello strano ragazzo.
|