Use somebody di KatNbdwife (/viewuser.php?uid=102937)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tienimi, sto perdendo contro me... ***
Capitolo 2: *** Non sono una signora ***
Capitolo 3: *** It's not always rainbows and butterflies it's compromise that move us along ***
Capitolo 4: *** I'm cool, I'm great, I'm a jerk ***
Capitolo 5: *** I'm just a victim of my mind ***
Capitolo 6: *** That day ***
Capitolo 7: *** Erzähl mir alle Lugen, macht es so dass ich es glaub ***
Capitolo 8: *** What can I say? ***
Capitolo 9: *** Faithfully ***
Capitolo 10: *** Trying to forget you is just a waste of time ***
Capitolo 11: *** I'm on fire ***
Capitolo 12: *** I can't sleep until I devour you ***
Capitolo 13: *** Is someone getting the best, the best, the best, the best of you? ***
Capitolo 14: *** Things are better if I stay so long and goodnight... ***
Capitolo 15: *** Behind blue eyes ***
Capitolo 1 *** Tienimi, sto perdendo contro me... ***
Mi è venuta
voglia di postare questa FF che sto scrivendo da parecchi mesi.
Attualmente sono in stallo ma ho diverse idee in mente.
Non volevo postarla fino a quando non l'avevo finita, a dire il vero,
per essere certa di non farvi aspettare troppo, però mi
spiaceva lasciarla lì.
Ogni capitolo sarà introdotto da un titolo preso in prestito
da una canzone. Come noterete, il titolo avrà a che fare con
l'argomento trattato nel capitolo. Ci saranno titoletti in italiano o
in inglese e, per ognuno di loro, alla fine crediterò
artista e canzone.
Ecco a voi
Use
somebody
1. Tienimi, sto perdendo contro
me…
La donna correva trafelata per la corsia dell’ospedale, le
lunghe falde del cappotto aperto che sbattevano contro le sue gambe.
Nei suoi occhi non c’era dolore o paura, solo disperazione.
Raggiunse la stanza 88 nell’esatto momento in cui il medico
di turno ne uscì.
“Klaus! Ti prego, dimmi che è vivo!”
“Simone” rispose l’uomo, posando le mani
sulle spalle della donna “E’ vivo. Anche questa
volta Tom è arrivato in tempo”
“Posso vederlo?” chiese Simone, piangendo
“Sì, ma solo per pochi minuti. Ha bisogno di
riposare”
Simone varcò la soglia della stanza e, come tutte le volte,
il cuore le balzò dritto in gola per poi rituffarsi nel
petto e provocarle un dolore indescrivibile.
Per l’ennesima volta, la sesta per l’esattezza, il
suo bambino aveva tentato di porre fine alla sua vita e per la sesta
volta lei era stata costretta a correre in ospedale, nel cuore della
notte, terrorizzata al solo pensiero che Bill fosse morto.
Accanto al letto del figlio minore c’era, come sempre, Tom.
Gli teneva goffamente una mano e scuoteva la testa. Quando vide la
madre gli occhi gli si riempirono di lacrime troppo a lungo trattenute
e, alzandosi, andò ad abbracciarla.
“L’ha fatto ancora. Roipnol, questa volta”
“Dove?”
“In bagno. Mi sono accorto che ci metteva troppo tempo,
l’ho chiamato ma non rispondeva così ho sfondato
la porta. Era nella vasca, respirava ancora ma il battito era
debolissimo. Ti ho chiamata appena siamo arrivati in ospedale”
“Non ce la faccio più, Tom” disse la
donna, soffocando i singhiozzi “Dobbiamo assolutamente
aiutarlo”
“Abbiamo fatto di tutto, mamma. Bill è stanco e
penso che l’unico modo per aiutarlo sia quello di sciogliere
la band”
“Io credo sarebbe peggio, invece. Bill si sfoga con le sue
canzoni, se gli levassimo anche quello si lascerebbe morire”
“Sta già morendo, giorno dopo giorno. Questa
è la sesta volta che tenta di ammazzarsi nel giro di un anno
e domani mattina tutti i giornali ne parleranno. David era riuscito a
ridare un briciolo di dignità alla sua immagine dopo il
penultimo tentativo di suicidio, due mesi fa, ma ora non so se
sarà in grado di rifarlo… potrebbe essere la
fine”
“Lo aiuteremo Tom. Tu fratello tornerà a
sorridere, te lo prometto”
**
La notte appena trascorsa era stata una delle più merdose
della sua vita. I suoi sogni erano stati popolati da strane ombre che
gli urlavano in faccia e tentavano di assalirlo. Si era svegliato in un
letto che non era il suo, in una stanza che non era decisamente la sua
e solo dopo qualche minuto aveva capito di trovarsi in ospedale. Quindi
significava che l’aveva fatto di nuovo.
Cercò con gli occhi il gemello e, come tutte le volte, lo
vide assopito sulla sedia, la testa poggiata sulle braccia conserte sul
suo letto. Con una mano gli sfiorò la guancia e Tom
aprì gli occhi.
“Ciao” mormorò Bill. La gola gli
bruciava e sentiva uno spiacevole dolore al centro dello stomaco, come
tutte le volte che si sottoponeva alla lavanda gastrica
“Pezzo di merda” grugnì Tom
“Mi dispiace Tom…” balbettò
il moro
“Mi dispiace un cazzo! Hai la minima idea di quanto tu ci
abbia fatto preoccupare?”
“Tom…”
“No Bill, no! Tu sei un egoista! Pensi solo a te stesso, non
ti accorgi di quanto soffriamo a vederti conciato così! A te
non importa, se stai male tu gli altri non contano!”
“Mi dispiace… ero… ero triste, volevo
solo dormire…”
“Cazzo. Vaffanculo Bill, vaffanculo”
“Ti prego Tom, non essere arrabbiato. Te lo giuro, non
succederà più” Bill tentò di
mettersi a sedere ma una fitta allo stomaco glielo impedì.
Facendo una smorfia si stese nuovamente.
“Lo dici sempre. Tutte le volte dici che sarà
l’ultima…”
“Voglio curarmi. Sono deciso Tom, te lo giuro.
Andrò da uno psicologo, uno psichiatra, qualsiasi
cosa… questa volta seguirò la terapia fino in
fondo, te lo prometto. E voglio scrivere delle canzoni nuove, voglio un
album nuovo, nuovi concerti”
“Bill… è da un anno che non facciamo
concerti. L’ultima volta sei svenuto sul palco, pensavamo ti
fossi spaccato la testa dal volo che hai fatto. Non sei in forma, non
stai in piedi. Non riusciresti a reggere una tournee”
“Mi rimetterò in forma, dammi fiducia.
Seguirò tutte le terapie del caso, lo prometto Tom. Questa
volta sono serio”
“Potrebbe essere tardi, Bill. La nostra immagine è
stata danneggiata irrimediabilmente, temo. I tuoi continui tentativi di
suicidio ci hanno resi, agli occhi del pubblico, un pessimo esempio di
vita. La tua dipendenza dai farmaci non ha giovato alla nostra
reputazione”
“Stavo male, cazzo! Non ho iniziato a prendere farmaci per
gioco!”
“Lo so. Ma in seguito ne hai abusato”
sentenziò Tom, perentorio
Bill chiuse gli occhi. Non voleva più ascoltare il fratello,
quelle parole gli facevano male. Voleva solo ricominciare daccapo,
riprendere in mano la sua vita e tornare a fare l’unica cosa
che avesse mai amato fare: la musica.
**
Il dramma personale di Bill e, in seguito, di tutta la band era
cominciato qualche anno prima. Il raggiungimento del successo a livello
planetario aveva portato con sé anche un sacco di
scocciature. C’erano le fan da accontentare e, in alcuni
casi, dalle quali scappare. C’era la casa discografica che
spingeva affinché fossero ovunque e a disposizione di tutti.
C’erano i giornalisti, i paparazzi, gli stalker, i fanatici.
Bill viveva la situazione nella maniera peggiore.
Mentre Tom, Georg e Gustav riuscivano a ritagliarsi dei piccoli spazi
privati, Bill avvertiva un peso maggiore sulle spalle.
L’opinione pubblica lo riteneva il leader, il ragazzo cool,
quello sempre bello, sempre carismatico, sempre disponibile, sempre
sorridente. Se sgarrava, se commetteva anche solo un piccolo errore,
era finito. I mass media si avventavano su di lui e lo davano in pasto
al pubblico senza pietà.
Bill aveva, di conseguenza, imparato a stipare tutte le sue paure e le
sue angosce in un angolino del suo cuore, uno spazio che solo lui
conosceva e nel quale sperava di farci stare tutti i suoi timori. E, in
effetti, rimasero lì per parecchio tempo, fino a quando Bill
non cadde dalle scale e si fratturò una gamba in diversi
punti.
Durante il ricovero e la convalescenza gli vennero prescritti dei
farmaci antidolorifici, da assumere in quantità limitate a
seconda del grado di dolore. Ma, man mano che il corpo di Bill si
abituava ai medicinali, il ragazzo si accorse che non facevano sparire
solo il dolore fisico. Quelle piccole pastiglie bianche lenivano anche
il dolore della sua anima, lo facevano sentire forte, liberavano il suo
cuore dalle ansie e dai timori e, la notte, lo facevano dormire sereno.
Anche quando gli venne tolto il gesso e la gamba tornò come
nuova, il ragazzo continuò ad assumere i farmaci di
nascosto, fino a al giorno in cui svenne sul palco durante un concerto
e, a seguito delle analisi ospedaliere, la sua tossicodipendenza venne
alla luce.
I medici proposero al cantante un periodo di riposo e il ricovero in un
centro riabilitativo. Bill passò un mese in clinica e ne
uscì pulito. Nessuno però, nemmeno Tom, si
accorse del malessere interiore che aveva ripreso a divorarlo e che,
ben presto, sfociò nel primo tentativo di suicidio.
I giornali cominciarono, quindi, a sparare articoli a raffica nei quali
mettevano a nudo il cantante, raccontando per filo e per segno la sua
dipendenza dagli antidolorifici e parlando del suo tentativo di
suicidio come fosse il capriccio di una star viziata.
E così fecero per tutte le volte successive, fino alla sesta.
Anche in quel caso i giornalisti dipinsero Bill come una rockstar
sciocca e superflua, che amava prendersi gioco della vita e degli altri.
Nessuno, nemmeno per un istante, mise in luce un fatto: i suoi occhi
non ridevano più. Gli occhi di Bill, solitamente espressivi
e solari, avevano perso la loro luce.
Ora Bill voleva ricominciare davvero.
Voleva tornare a sorridere, voleva tornare a scrivere canzoni, ad
andare in studio, ad esibirsi, a firmare autografi e stringere mani.
Lo doveva a Tom, a Georg e a Gustav. Lo doveva alle sue fan. E lo
doveva a sé stesso.
Per farlo, però, doveva prima rimettersi in piedi e
riabilitare la sua immagine agli occhi del mondo intero. Volente o
nolente.
* Viola - Shandon
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Capitolo 2 *** Non sono una signora ***
2. Non sono una signora.
Essere la beniamina dei bambini di tutta la Germania non era certamente
il lavoro meno stressante al mondo. Lisbeth Sommer scommetteva che
nessuno, a parte coloro che facevano il suo mestiere, capisse cosa
significava avere a che fare con bambini dagli 0 ai 12 anni tutti i
santi giorni.
Bambini in studio, durante la diretta televisiva. Bambini ai programmi
in cui veniva ospitata. Bambini che la fermavano per strada per una
foto, un abbraccio, un autografo. Bambini ovunque.
E a Lisbeth i bambini non piacevano affatto. Erano appiccicosi, a volte
puzzolenti, capricciosi e perfino insolenti. Non aveva mai, mai nemmeno
una volta pensato di diventare madre in futuro e, ironia della sorte,
ora doveva avere a che fare con quei mostriciattoli tutti i giorni.
Aveva mosso i primi passi nel mondo dello spettacolo perché
sognava, da sempre, di condurre un programma televisivo che fosse tutto
suo. Un bel talk show con ospiti seri durante il quale parlare di cose
importanti, di cronaca, di politica, di attualità. Sognava
di ospitare i più influenti politici del Mondo, di dedicare
serate intere agli eroi veri, alla gente che in un modo o
nell’altro aveva combattuto per il raggiungimento di un
ideale. Ma, dopo qualche anno di dura gavetta e probabilmente a causa
della giovane età, non le era stato ancora offerto nulla di
così importante.
Aveva fatto la co-conduttrice in un gioco a premi e l’inviata
speciale per un programma di cronaca rosa e di gossip. Fino a quando,
l’anno prima, le era stato proposto un programma televisivo
tutto suo. Avrebbe potuto scegliere tutto personalmente, dal set agli
ospiti alle musiche, ma il tema era stato scelto dal network e, su
quello, Lisbeth non poteva mettere becco: i bambini.
Sarebbe stato un programma dedicato solo ed esclusivamente ai bambini
con giochi, cartoni animati, spettacolini di magia ed intrattenimento.
Una specie di parco giochi televisivo, insomma.
Sarebbero intervenuti, una o due volte a settimana, degli ospiti che
avrebbe potuto scegliere lei ma avrebbero dovuto aver a che fare
comunque con i bambini.
Una volta, ad esempio, Lisbeth invitò la principale cantante
di quasi tutte le sigle di cartoni animati tedeschi, la volta dopo
optò per il più grande scrittore di fiabe
moderne, la volta dopo ancora scelse un tizio che era diventato famoso
per aver inventato un giocattolo che spopolava tra i bimbi
più piccoli ma il suo sogno di poter stringere la mano a
gente come Barack Obama o Nelson Mandela si era infranto.
Del resto, a quale bambino sarebbe importata la storia della lotta
all’apartheid o del problema della rottura del serbatoio di
una petroliera nel Golfo del Messico?
Lisbeth aveva però accettato quell’offerta
perché sperava fosse utile per il grande “salto di
qualità”, la svolta che avrebbe segnato la sua
carriera. Ma quando era costretta a farsi truccare il viso per
assomigliare ad un gattino e far divertire i bambini si chiedeva chi
avrebbe mai avuto il coraggio di affidarle un talk show serio. Chi
diamine avrebbe mai riposto fiducia in una presentatrice che entrava in
studio vestita da Cenerentola?
Seduta in camerino, in attesa dell’inizio della puntata,
Lisbeth accese l’ennesima sigaretta e, facendo ruotare la
sedia, appoggiò i piedi sulla bancone da toeletta che le
stava di fronte. Il riflesso dello specchio le rimandò
l’immagine di una giovane ragazza insoddisfatta. Bella, dai
lineamenti dolci e il sorriso aperto ma decisamente insoddisfatta.
La porta del camerino si spalancò così
velocemente da rischiare di farla cadere.
“Beth cazzo! Te l’ho detto mille volte, qua dentro
non devi fumare!” la sgridò Ingrid Scholz, la sua
manager
“Non posso fumare in giro, non posso fumare nel cortile della
mia fottuta casa, non posso fumare nei locali. Almeno in questo dannato
camerino potrò accendermi una sigaretta senza rotture di
palle?”
“No. Ti ho già spiegato che l’immagine
è importante in questo campo. Cosa direbbero le madri se ti
vedessero fumare come uno scaricatore di porto? Tu sei la beniamina dei
bambini tedeschi, Beth. Loro ti adorano. Le bambine sognano di
diventare come te e i maschietti vorrebbero sposarti!
Capisci?”
“No” sbuffò la ragazza, spegnendo la
sigaretta fumata solo a metà “Ma va bene”
“Brava, così mi piace la mia ragazza!”
cinguettò la donna, dandole una pacca sulla spalla
“Ora lavati i denti che ti puzza l’alito di fumo.
Tra dieci minuti mando Bette a truccarti” e, nel dirlo,
uscì dal camerino lasciandola nuovamente sola.
Lisbeth andò in bagnò, si lavò i denti
e si sciacquò il viso. Era la beniamina dei bambini,
fantastico.
Solo che i bambini non sapevano che, tutto sommato, lei non era proprio
la fatina di Pinocchio.
Non era una ragazzaccia, questo no, però non era nemmeno la
principessa che era costretta fingere di essere.
Era, insomma, una ragazza normale con tanti pregi, tanti difetti,
qualche vizio e diverse passioni.
Come il fumo, ad esempio. Oppure quei tre tatuaggi che doveva sempre
nascondere al pubblico con chili di fondotinta, nel caso in cui
indossasse abiti senza spalline, o con gonne che non salivano oltre il
ginocchio, per evitare che si vedesse l’enorme brano tatuato
sulla sua coscia sinistra.
Fingere di essere ciò che non era risultava insopportabile.
Ma rinunciare al programma per bambini significava rinunciare al mondo
che tanto amava. Se avesse resistito ancora qualche anno
chissà… forse sarebbe riuscita ad esaudire il suo
più grande desiderio.
Bette, la truccatrice, arrivò puntuale come un orologio
svizzero. La truccò alla perfezione (poco ombretto,
pochissimo fondotinta, solo un velo di lucidalabbra e un leggero tratto
di matita) e se ne andò, lasciandole il tempo di vestirsi.
Venti minuti dopo Lisbeth si apprestava ad entrare in scena. Nei panni
di Biancaneve, questa volta, con un grosso sorriso stampato in faccia
ed un cerchietto di raso rosso adagiato fra i morbidi capelli neri.
Era la beniamina dei bambini del resto, no?
*Non sono una signora - Loredana Bertè
**
Come noterete, alcuni
capitoli sono più lunghi mentre, altri, sono decisamente
più corti.
Il punto è che, quando scrivo, arriva un momento in cui
sento che il capitolo deve finire così xD
Spero non vi dispiaccia la cosa!
Grazie mille alle ragazze che hanno commentato fino ad ora! ^^
Kate
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Capitolo 3 *** It's not always rainbows and butterflies it's compromise that move us along ***
3. It’s not always
rainbows and butterflies it’s compromise that move us along
Bill era tornato a casa da qualche giorno ormai e si sentiva, tutto
sommato, bene. Lo stomaco gli procurava ancora qualche fastidio e aveva
le gambe molli ma sarebbe potuta andare decisamente peggio quindi
decise di non lamentarsi, anche per evitare di far andare su tutte le
furie il gemello.
Tom aveva, inoltre, provveduto ad organizzare una piccola ed informale
riunione fra loro per decidere il dà farsi. Sciogliersi,
continuare, prendersi un’ulteriore pausa? Erano queste le
domane a cui sperava di ottenere una risposta quel giorno stesso.
Il ragazzo entrò in salotto con in mano qualche bottiglia di
birra che poggiò sul tavolino e sedette sul divano, accanto
a Bill. Sul secondo divano sedevano Gustav e Georg mentre David Jost
aveva preso posto sulla poltrona, quella preferita da Bill.
“Come mai non sei sulla poltrona?” chiese Georg.
Era così strano non vederlo accoccolato là sopra,
con le ginocchia strette al petto
“Si cambia, da oggi si cambia tutto”
mormorò il cantante, osando un sorriso
“Sono d’accordo con te” esordì
quindi David “E so anche come”
I quattro ragazzi lo osservarono, perplessi. Non era un cattivo uomo,
David. Sapeva essere gentile, onesto e persino simpatico ma
c’erano delle volte in cui poteva diventare un uomo
d’affari spietato. Certe volte i ragazzi temevano la sua
autorità e, in tutti quegli anni di lavoro assieme, non
erano di certo mancati i litigi. In linea di massima, comunque, si
fidavano di lui ed erano riusciti a creare un rapporto di stima e
amicizia reciproca.
“Premetto già che non vi piacerà ma se
volete continuare a fare questo mestiere dovrete farvelo andare
bene”
“Vai al sodo, David” si intromise Tom, scocciato
“Bill deve riabilitare la sua immagine. Prima di fare
qualsiasi altra cosa dovremo sistemare questo punto. Ho fatto alcune
ricerche, ho perfino sguinzagliato una decina di collaboratori che
hanno esaminato pagine e pagine di commenti al tuo
ultimo…” tossicchiò e, rivolto a Bill,
continuò “incidente. Le tue fan sono deluse, Bill.
Si erano fatte un’idea molto precisa di te. Eri quello dolce,
sensibile, romantico, un bravo ragazzo con l’aria da ribelle.
Ora pensano che tu sia solo un deficiente. Inizialmente temevano per la
tua salute, si chiedevano cosa ti fosse capitato ma quando hai
rilasciato quell’intervista in cui hai detto quelle
cose…”
Bill scosse la testa. Non voleva ricordare quel giorno. Era successo
poco dopo il suo secondo o terzo tentativo di suicidio. Un giornalista
lo aveva scovato all’uscita di un locale e aveva cominciato a
fargli un sacco di domande. Lui era ubriaco, strafatto di
antidolorifici e non capiva nemmeno dove si trovasse. Scocciato per
l’insistenza del reporter, aveva risposto duramente dicendo
che si era “rotto il cazzo di tutto questo e che potevano
andarsene tutti a fare in culo”.
La dichiarazione, ovviamente, aveva avuto un’eco spaventosa e
per settimane non si era parlato d’altro. Solo
l’intervento riparatore di David aveva calmato le acque e
ridato un briciolo di dignità alla figura del cantante.
“Ho capito” rispose Bill, interrompendolo
“Vai avanti”
“Beh insomma, dopo quell’episodio e i
successivi…” si schiarì di nuovo la
voce, imbarazzato “incidenti, le tue fan si sono scocciate.
Devi tornare, ai loro occhi, il Bill di sempre. Ed io so
come” prese fiato e, dopo qualche secondo,
ricominciò a parlare “Come si fa a far
sì che migliaia di giovani donne si persuadano di avere di
fronte a loro un giovane uomo redento dai suoi peccati?”
Tutti e quattro lo osservarono confusi per poi guardarsi l’un
l’altro.
“Si prende il giovane uomo, ex tossico, e lo si piazza di
fianco ad una giovane e bella donna. Creeremo un’illusione,
Bill. Noi mostreremo al mondo che tu, per amore, ti sei redento e sei
cambiato. Faremo emergere il tuo lato romantico, quello che conquista i
cuori. Faremo di te l’uomo dei sogni di ogni donna.
Diventerai il prototipo di fidanzato ideale. Con accanto una bella e
giovane donna riacquisterai credibilità e fiducia. Magari
parleremo anche di nozze, il che non guasta…”
“Non se ne parla!” sbraitò il cantante,
balzando in piedi “Te lo scordi!”
“Fa schifo questa cosa, David” commentò
Tom, risoluto “E’ una porcata”
“Io non ho intenzione di prestarmi a questi giochetti. Mi sta
bene mentire su qualche sciocchezza come tenere segreto un tatuaggio o
un flirt ma così… no, non se ne parla!”
“Bill tu sei giovane, credo tu non abbia ancora capito come
funziona questo mondo. Credi che tutte le coppie che vedi in TV siano
nate spontaneamente? Per cortesia. Alcune sono nate solo per promuovere
un film, altre solo per far salire gli album in classifica, altre
ancora per pubblicizzare una serie televisiva…”
“Non sono nato ieri, so cosa c’è dietro
questo mondo ma non voglio farne parte”
“Ne sei parte, amico”
“Non posso, non posso… e poi chi? Cioè,
quale ragazza sarebbe…”
“Credi sia uno sprovveduto? Ho già un nome e il
contatto della sua manager. Mi basta il tuo assenso e parte la
telefonata. Non hai che da decidere, Bill. Vuoi tornare ad essere Bill
Kaulitz?”
“Chi è?”
“Lei si chiama Lisbeth Sommer”
“Ma chi, la tizia che conduce quel programma per
bambini?” chiese Tom
“Esattamente. Lei è perfetta. Immagine pulita,
sobria, niente gossip sul suo conto. Niente di niente. E’ la
ragazza della porta accanto, perfetta per noi”
“Non posso David. E’ un
imbroglio…”
“Non vederla in questo modo. Si tratta solo di sopravvivenza.
La vostra storia durerà un annetto circa, poi sarete liberi
di prendere due strade diverse. Giusto il tempo di ridarti una parvenza
di normalità”
Bill osservò prima il manager e poi i suoi compagni. Nessuno
ebbe il coraggio di dire nulla perché tutti sapevano che se
il gruppo fosse andato a fondo sarebbe stata solo colpa di Bill. Lui
aveva deciso di sprofondare in una spirale di merda ed ora toccava a
lui risalire e riportare in auge i Tokio Hotel.
Prese quindi coraggio e, odiandosi per quello che stava per fare, disse
“Chiama la manager di questa Sommer e vediamo che si
può fare”
*She will be loved - Maroon 5
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Capitolo 4 *** I'm cool, I'm great, I'm a jerk ***
4. I’m cool,
I’m great, I’m a jerk
“Dai cazzo, cazzo!” sbraitò Lisbeth,
sbattendo la porta del suo camerino e fiondandosi verso il pacchetto di
sigarette “Mi sta bene tutto ragazzi ma questo no,
cazzo!”
“Lisbeth, il copione lo prevede”
“Me ne infischio del copione, Lou!”
urlò, rivolta all’assistente di scena, un signore
di mezza età che lavorava per quel network da almeno
trent’anni e che per Lisbeth era un punto di riferimento in
quel mondo caotico “Non ho intenzione di farlo!”
“Non ti sei letta il copione prima della diretta?”
“Certo che l’ho letto e non era scritto che avrei
dovuto sottopormi ad una seduta di torte in faccia!”
In quell’istante Ingrid varcò la soglia del
camerino: “Che c’è, principessa?
Qualcosa non va?”
“Ingrid, quando avete aggiunto la gag delle torte in faccia
alla sottoscritta?”
“Circa q uindici minuti dopo l’inizio dello show.
Ci sembrava una cosa simpatica, abbiamo pensato di
improvvisare”
“Come… come si fa ad improvvisare una scena
simile? E le torte?”
“Ehi, ci prendi per scemi? Abbiamo tutto sotto controllo. Ci
sono circa venti torte pronte per essere tirate sul tuo bel faccino.
Cambiati, tra cinque minuti devi tornare in scena”
“Ingrid!” urlò a quel punto Lisbeth
“Non ho intenzione di sottopormi al lancio delle torte in
faccia. Quindi o mi fate tornare in scena e continuiamo come da
scaletta NON improvvisata oppure me ne vado immediatamente”
“Non credo ti converrebbe, ragazzina” la
minacciò Ingrid, puntandole l’indice contro
“Questo è un canale importante. Se non stai alle
loro regole sei finita. E intendo dire che la tua carriera è
finita, qui e altrove”
Lisbeth pensò al talk show dei suoi sogni, pensò
a tutte le domande che avrebbe potuto fare ai suoi ospiti quando
sarebbe arrivato il suo momento. Pensò che
l’avrebbe fatta pagare a tutti quegli stronzi che la stavano
usando come fosse una marionetta solo perché sapevano quanto
tenesse a quel mestiere.
Inspirò quindi profondamente, ricacciò indietro
le lacrime che cominciavano a pungerle gli occhi e si cambiò
d’abito.
**
La parte più bella in assoluto del programma era la fine.
Anzi, quel momento che precedeva la fine. In quell’istante
Lisbeth sapeva che di lì a poco sarebbe finito tutto e lei
avrebbe potuto guidare fino a casa, immergersi nella vasca da bagno
bollente e passare almeno un’ora a mollo nella schiuma, con
la musica come unica compagnia.
Stava appunto per riempire la vasca quando il cellulare, che
solitamente spegneva in modo da essere libera da seccature durante il
suo momento di relax, squillò facendola sussultare.
Uscì dalla vasca avvolgendosi in un asciugamano che sapeva
di muschio bianco e corse in salotto. Rovistò un
po’ nella borsa prima di trovarlo e rispose.
“Sono Ingrid” disse la voce all’altro
capo del telefono e a Lisbeth parve di sentire, nel suo tono, un
pizzico di esultanza
“Dimmi” mormorò Lisbeth, ancora seccata
per quella stupida gag di prima
“Ho ricevuto una chiamata importante, bambina”
Lisbeth detestava quando Ingrid la chiamava
“bambina”. Non era più una bambina e
anche se lo fosse stata non voleva essere chiamata con quel nomignolo
da lei. Ingrid non le piaceva affatto ma era una brava donna
d’affari e, fino a quel momento, aveva sempre tutelato la sua
carriera. Anche quando l’aveva convinta ad accettare la
proposta del programma per bambini l’aveva fatto per il suo
bene. Ora Lisbeth era famosa in tutta la Germania, ogni persona
conosceva il suo volto e aveva vinto, più volte, diversi
premi e riconoscimenti in Patria. E quello era l’unico motivo
per cui non l’aveva ancora licenziata in tronco.
“Cosa?” per un attimo sperò che qualcuno
le avesse proposto il talkshow
“Mi ha chiamata Mister David Jost”
“E quindi? Non ho intenzione di registrare un CD con le
canzoni dei cartoni animati, sia chiaro”
“No tesoro, non vuole farti cantare”
ridacchiò Ingrid “Mi ha proposto un incontro
perché dice che vorrebbe discutere con noi una proposta di
affari”
“Ma in merito a cosa?” chiese Lisbeth, curiosa ma
seccata allo stesso tempo. Conosceva David Jost, sapeva che era il
manager dei Tokio Hotel ed, ultimamente, sapeva anche che il gruppo
stava rischiando il fallimento a causa dei problemi del cantante. Non
voleva averci nulla a che fare con quelli. La sua vita era
già abbastanza incasinata.
“Non me ne ha voluto parlare al telefono, ha chiesto se
possiamo incontrarci domani. Ci ha permesso di scegliere luogo e ora.
Che ne dici?”
“Ascoltare non costa nulla. Mi sta bene. Facciamo domani
intorno alle 10.00 nel tuo ufficio”
“Certo tesoro. Ora confermo a Jost. Ci vediamo domani
mattina, sii in forma!”
Lisbeth chiuse la comunicazione e tornò in bagno. Non
bastavano le torte in faccia! Quella sera anche il suo momento di relax
era stato interrotto. Sbuffando rumorosamente continuò a
riempire la vasca e vi si immerse, coprendosi il viso con un panno
umido e sperando di potersi rilassare per almeno quindici minuti
consecutivi.
**
“Quindi?” domandò Bill, quando David
interruppe la chiamata.
“La signorina Scholz parlerà con Lisbeth e ci
farà sapere”
“Non accetterà mai” sentenziò
Tom “E’ una porcata. Se dieci anni fa mi avessero
parlato di tutti questi sotterfugi non credo avrei intrapreso la
carriera di musicista”
“Cazzate” sbuffò David, infastidito
“Avete una vita da sogno. Soldi, belle auto, belle case,
belle donne. Che diamine volete d’altro?”
“Una vita normale” mormorò Georg, senza
guardare David negli occhi
“Beh, caro mio, questo si chiama compromesso. Io ti do una
cosa ma tu, in cambio, me ne devi un’altra. La vita normale,
poi, cosa sarebbe? Sveglia tutti i giorni alle sette, lavoro
d’ufficio fino alle cinque di sera, casa, divano e poi letto?
Baratteresti quello che hai ora con una vita normale?” chiese
il manager, calcando con ironia sulla parola
“normale”
“Certe volte sì” disse Gustav
“Ed io sono quello che se la gode più di tutti la
vita”
“Concordo con lui” si intromise Bill “A
me piace cantare. Quando ero un bambino sognavo questa vita ma non
credevo fosse…” sospirò e poi aggiunse
“così”
“Animo gente!” trillò David
“Si sistemerà tutto, vedrete. Dovrete solo fidarvi
di me”
“Ci stai chiedendo di raccontare una bugia
gigantesca” insinuò Bill “Permetti che
non sia poi così entusiasta?”
Il manager si grattò la testa con una mano, poi si
stropicciò gli occhi e sbuffando disse “Bill, ti
ricordi quando hai cominciato a prendere farmaci? Noi tutti sapevamo
del tuo piccolo problema, eppure abbiamo messo a tacere ogni cosa.
Successivamente non è più stato possibile farlo
ma, credimi, ho provato di tutto. Non è la prima volta che
siete costretti a mentire al pubblico. Funziona così, non
potete essere sempre cristallini e trasparenti con tutti”
“Perché no?” chiese il cantante, con
espressione ingenua
“Perché noi vendiamo un prodotto! E, in affari,
non si vende merce scadente. Un cantante tossico e con manie suicida fa
una pessima impressione. Molte delle tue fan sono giovanissime. Cosa
credi che penserebbero le loro madri se tu andassi in giro a parlare
liberamente di come ti diverti ad ingerire antidolorifici dalla mattina
alla sera? E i media cosa direbbero? Direbbero che tu vendi
un’idea sbagliata della vita, che incoraggi i giovani a
drogarsi! Lo capisci?”
Il tono duro del manager e le sue parole, così tristi ma
così vere, ferirono Bill. Eppure non riuscì a
ribattere. In fondo anche la sua musica, quella che tanto amava e che
aveva idolatrato per anni, era un business. C’erano in ballo
soldi e contratti. C’era gente che si aspettava determinate
cose da lui e, che gli piacesse o meno, doveva accettarlo. O, in caso
contrario, lasciar perdere e cambiare lavoro.
“Ecco ecco” disse David, interrompendo il flusso
dei pensieri di Bill “Mi sta richiamando la Scholz. Pronto?
Sì, certo… sono felice che abbiate accettato la
proposta! Certo, va benissimo. Domani mattina alle dieci nel suo
ufficio. Sì… sì, un attimo, prendo
nota” fece il gesto di scrivere a Bill che, prontamente, si
alzò alla ricerca di un foglietto e una penna. Qualche
secondo dopo tornò con l’occorrente e lo porse al
manager che riprese “Ecco, segnato. Va benissimo, a domani
mattina allora! Buona serata signorina Scholz!” interruppe la
comunicazione e, guardando i suoi ragazzi soddisfatto, disse
“Domani mattina si comincia!”
*That day - Tokio Hotel
|
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Capitolo 5 *** I'm just a victim of my mind ***
5. I’m just a victim
of my mind
Beth aveva seri dubbi circa l’appuntamento con David Jost e i
Tokio Hotel. Aveva trascorso l’intera notte a chiedersi cosa
le avrebbero proposto perché non riusciva a capire cosa
potessero volere delle rockstar da lei. “Magari”,
pensava, “mi vogliono in un loro video”.
Un altro problema con il quale si dovette scontrare, non appena
sveglia, fu l’abbigliamento. Sapeva che avrebbe dovuto
mostrare Lisbeth Sommer e non Beth ma non sapeva fino a che punto.
Avrebbe dovuto optare per il look da “brava
ragazza” o per quello da “brava ragazza ma con i
contro coglioni”? Ci pensò su per qualche istante
e, soprattutto, pensò a quello che le avrebbe consigliato
Ingrid così decise di optare per la prima scelta. La brava
ragazza, in fondo, faceva sempre il suo effetto.
Provò diversi completi prima di trovare quello giusto: un
paio di pantaloni neri, dal taglio semplice e lineare, abbinati ad una
canottiera rosa tenue con degli inserti di pizzo sulla scollatura, il
tutto completato da una giacca stretta in vita e leggermente ampia sui
fianchi. Avrebbe di gran lunga preferito indossare un paio di jeans ed
una maglietta ma l’occasione richiedeva un abbigliamento
consono. Ai piedi mise un paio di scarpe nere con il tacco medio basso,
afferrò la borsa e raggiunse in macchina l’ufficio
di Ingrid Scholz.
Durante il tragitto bevve un caffè preso al volo in un bar e
fumò una sigaretta, tenendo il finestrino abbassato in modo
da far uscire il fumo ed evitare di far puzzare troppo gli abiti.
Ingrid se ne sarebbe accorta lo stesso ma le importava ben poco: al
mattino doveva fumare. Sperò, come tutte le volte, che
nessun paparazzo la notasse. Ingrid si sarebbe arrabbiata parecchio se
fosse comparsa, sui giornali, una foto di Lisbeth Sommer con in bocca
una sigaretta.
Arrivò all’ufficio della sua manager quando
mancavano cinque minuti alle dieci. Parcheggiò, si
cacciò in bocca una mentina, afferrò la borsa e
si catapultò all’interno dello stabile.
L’ascensore era occupato quindi fece due piani di scale a
piedi ed arrivò davanti alla porta dell’ufficio
alle 9.58.
Entrò senza bussare e la prima cosa che vide furono le ampie
spalle di un ragazzo che, in testa, aveva delle lunghe treccine nere.
“Buongiorno a tutti” esordì,
schiarendosi la voce. Udendola parlare si voltarono tutti quanti
simultaneamente e, coloro che già sedevano, si alzarono per
galanteria.
Il primo ad avvicinarsi a lei fu David Jost che le porse la mano e le
presentò i ragazzi. Quando Lisbeth ebbe terminato i saluti
di rito si accomodò su una delle diverse poltroncine sparse
per la stanza. Di fianco a lei sedevano da un lato Ingrid e,
dall’altro, il ragazzo con le treccine nere di cui non
ricordava il nome.
“Bene Mr.Jost” cominciò Ingrid
“Ci può finalmente spiegare il motivo per cui ci
troviamo qui oggi?”
“Innanzitutto” esordì David, sorridendo
“Se ti sta bene potremmo darci del tu. Renderebbe tutto molto
meno formale, non trovi?”
Ingrid, da sempre suscettibile al fascino maschile, accettò
di buongrado sfoderando uno dei suoi sorrisi a trentadue denti
“Certo David” rispose, ammiccando
“Bene. Prima di tutto avrei un piacere da chiedervi. Sarebbe
opportuno che tutto quello che diremo questa mattina resti tra queste
quattro mura”
A Beth cominciarono a sudare la mani. Ennesimi sotterfugi,
pensò.
“Dal momento che vivete in Germania credo sappiate benissimo
che Bill” e, nel dirlo, indicò il cantante
“ha avuto qualche problema in questi ultimi anni”
Ingrid e Beth annuirono.
“I Tokio Hotel stanno attraversando un periodo estremamente
complicato e la situazione è decisamente delicata.
Nonostante tutto, la casa discografica ha deciso di dar loro
un’altra possibilità a patto che
l’immagine di Bill venga completamente riabilitata. Bill
dovrebbe tornare ad essere, agli occhi dei suoi fan, il ragazzo
sensibile e romantico e, per farlo, non ci sarebbe modo migliore che
trovargli una fidanzata fittizia”
Ingrid, che cominciava a capire dove David volesse andare a parare,
unì la punta delle dita e, annuendo, disse:
“Continua, David”
“E mi sono quindi chiesto: qual è la ragazza
più amata e idolatrata dalle famiglie tedesche? E la
risposta, cara Ingrid, è seduta accanto a te”
Beth sbarrò gli occhi ma non fece in tempo ad aprire bocca
perché fu Ingrid a farlo, al posto suo: “Quindi
fammi capire. Tu vorresti che tra Lisbeth e Bill nascesse una storia
fasulla in modo da far credere al resto del mondo che il tuo ragazzo ha
ritrovato la retta via?”
“Esattamente” asserì il manager
“Lisbeht è il prototipo della brava ragazza. Le
donne tedesche la adorano, specialmente le madri di famiglia,
perché è gentile, ha un’immagine
pulita, non gioca a fare la bomba sexy e non si atteggia a grande diva.
I bambini, poi, la idolatrano addirittura e Bill ha bisogno di farsi
vedere con una ragazza simile. Una specie di angelo sceso in terra che
lo redime dai suoi peccati. I giornali impazziranno per questa love
story. Sarà la coppia dell’anno, me lo sento. E
voi non dovrete far altro che fingere che sia tutto assolutamente vero.
Ci penserò io ad inventare ogni singolo dettaglio, non
preoccupatevi”
“Quanto dovrebbe durare questa farsa?” chiese Ingrid
“Un anno circa, il tempo quantomeno di far uscire
l’album e di sondare le reazioni dei fan.
Dopodiché la coppia si lascerà, in maniera civile
ovviamente, e Lisbeth potrà andare per la sua
strada”
“Se il tuo piano funzionerà Bill e i Tokio Hotel
torneranno ad essere gli idoli di migliaia di ragazze, riguadagnando
così la stima perduta. Ma noi? Cosa ci guadagneremmo
noi?” domandò a quel punto Ingrid, mostrando
quindi il suo lato più pratico
David ridacchiò sommessamente “Non mi aspettavo di
certo che faceste tutto questo gratuitamente, sia chiaro. Non lo so,
c’è qualcosa che posso fare per voi o preferite
del denaro contante? Ditemi una cifra, possiamo discuterne”
“50.000 a testa” sparò Ingrid, senza
indugio
“Può andare” dichiarò David,
compiaciuto. Pensava che Ingrid Scholz, che conosceva di fama, gli
avrebbe spillato molto più denaro
“Un attimo” si intromise Lisbeth, a quel punto
“La persona tirata in causa sarei io e nessuno di voi si
è degnato di domandare il mio parere” si
alzò quindi dalla poltroncina e, meccanicamente, estrasse
una sigaretta dalla borsa. Ingrid la fulminò con lo sguardo
ma Lisbeth finse abilmente di non essersene accorta “Se io
non fossi d’accordo?”
“Signorina Sommer” disse quindi David
“Lisbeth, chiamami pure Lisbeth”
“Lisbeth, capisco che la mia proposta possa lasciarti
perplessa ma sono pronto a pagarti per questa prestazione
e…”
“Sembra uno scambio di favori sessuali, detto
così” fece notare Lisbeth e Tom non
poté fare a meno di ridere
“Intendevo dire che verrà ricompensata. La sua
vita non verrà scombussolata così tanto, potrete
continuare a vivere in case separate e condurre un’esistenza
normale. Dovreste solo presenziare agli eventi pubblici assieme e,
possibilmente, farvi vedere in pubblico mentre, che ne so, passeggiate
o prendete un gelato. Cose normali, cose che fanno tutte le
coppie… inoltre, ci saranno sicuramente i giornalisti da
accontentare, vi chiederanno interviste, dichiarazioni ufficiali e cose
simili ma a questo penserò io. Insieme alla tua manager,
ovviamente. Decideremo cosa farvi dire e quando. Voi dovrete solo
recitare, come foste attori. Ecco, fingetevi attori per un
anno”
Lisbeth sospirò. Avrebbe dovuto pensarci, non poteva
prendere una decisione simile in dieci minuti. Si chiese,
però, se avesse sopportato l’idea di dover mentire
anche sulla sfera sentimentale, un aspetto sul quale non avrebbe mai
voluto dire sciocchezze.
Aveva infatti detto alla sua manager, sin dai primi tempi in cui
lavoravano assieme, che non avrebbe mai e poi mai nascosto una
relazione al pubblico nel caso in cui si fosse innamorata. Almeno
quella parte della sua esistenza voleva essere libera di gestirla per
conto suo senza imbrogli, senza bugie.
Ed ora, invece, le veniva chiesto di partecipare ad un gioco
d’amore, ad una specie di roulette russa, solo che al posto
della pistola c’era un sentimento.
“Non posso decidere subito” disse infine la ragazza
“Datemi almeno un paio di giorni per rifletterci”
“Come vuoi” la assecondò il manager
“Anche se pensavo che tu e Bill potreste cominciare a
conoscervi, non credi?”
“Potremo farlo in seguito, quando e se accetterò
l’offerta”
“O adesso” si intromise Ingrid “Qui.
Potremmo lasciarvi soli per un paio di ore, potreste parlarne insieme,
ponderare la questione, discutere i dettagli. Non è una
buona idea, David?”
“Ottima direi” rispose il manager, sorridendo
“Ma…” tentò di dire Lisbeth
senza però venire ascoltata
“Coraggio bambina, vi lascio il mio ufficio per un paio di
ore. Fate come se foste a casa vostra! David, ragazzi” disse
poi Ingrid rivolgendosi a Jost e al resto della band
“E’ stato un piacere conoscervi. Se mi seguite vi
faccio strada”
David, Tom, Georg, Gustav ed Ingrid uscirono quindi
dall’ufficio. Prima di chiudere la porta, Tom
lanciò un’occhiata al gemello che voleva dire
tutto e niente.
Poi la porta venne chiusa e Lisbeth si ritrovò da sola con
un ragazzo del quale conosceva solo il nome.
**
Si guardò in giro per qualche secondo prima di andare a
sedersi accanto al cantante che, prontamente, cercò di
toglierla dall’imbarazzo “Ciao, sono
Bill” disse, allungando una mano e presentandosi di nuovo
“Ciao, Beth” rispose, stringendo la mano del
ragazzo che era calda e sudaticcia, proprio come la sua
“Ehm… quindi che ne pensi?”
“Scusami, sono leggermente confusa. Non… non mi
sono mai trovata in una situazione simile. Insomma, non è la
prima volta che mi capita di… ecco… smussare
leggermente i contorni della realtà ma mai in questo modo.
Di solito devo tacere particolari che riguardano solo ed esclusivamente
me stessa, come il fumo”
“Capisco” disse Bill “Anche io,
onestamente, non mi sono mai trovato in una situazione simile”
“Perché hai accettato? Oppure, è stata
per caso una tua idea?”
“No, veramente non è stata una mia idea. Ero
scettico, esattamente come te, all’inizio. Anzi, mi sono
anche arrabbiato ma… tu ce l’hai un sogno? Voglio
dire, un progetto che riguarda il tuo lavoro e che speri di poter
realizzare?”
Lisbeth sorrise “Certo, eccome se ce l’ho”
“Ecco, anche io. Da ragazzino ho sempre sognato di fare il
cantante. Sapevo che quella era la mia strada, ne ero certo. Quando ce
l’ho fatta, quando io e i ragazzi siamo arrivati in cima, mi
sono sentito realizzato, felice, completo. Poi sono iniziati i guai ed
ora… ora rischio di mandare in fumo anni ed anni di duro
lavoro. E rischio di mandare in fumo anche i sogni dei miei compagni.
Ho commesso una serie di errori, errori che quasi mi sono costati la
vita ed ora voglio rimediare. Sono disposto a fare qualsiasi cosa.
Qualsiasi”
“Ti stai vendendo, praticamente”
“Lo faccio tutti i giorni, del resto. Lo faccio dal debutto,
no? Non lo fai anche tu? Non stai vendendo anche tu la tua
immagine?”
“Sì, in effetti…”
mormorò Lisbeth
“Cerco solo di non vederla in quel modo. Io sto vendendo un
prodotto ma è un prodotto che rende felici le persone che lo
acquistano. E rende felice me, capisci?”
“Scusa se mi permetto ma… insomma, non mi sembri
così felice”
“Saggia osservazione. Effettivamente una persona felice non
cercherebbe di suicidarsi per sei volte di seguito, giusto?”
Lisbeth annuì, imbarazzata dalla schiettezza del ragazzo
“Ho capito il mio errore e voglio rimediare. Voglio ritornare
ad essere sereno, voglio godermi il lato più bello del mio
lavoro, ovvero i concerti. In quel momento io mi sento libero e vivo.
Vivo come mai mi sono sentito. Voglio tornare a scrivere canzoni, a
girare il mondo con i ragazzi, a vedere i fan che cantano felici.
Rivoglio la mia vita, Lisbeth”
“Beh, ecco, detto così… insomma, non mi
lasci poi molta scelta”
“Non fraintendere, non ho fatto questo monologo per
circuirti. Perdonami ma tendo ad essere logorroico” disse,
ridacchiando
“Accetto” rispose quindi lei, decisa
“Accetto a patto che mi lasciate la possibilità di
porre fine a tutto nel momento in cui non mi dovessi sentire
più in grado di gestire la situazione. Hai la mia parola che
resterà tutto un affare privato ma datemi almeno la
possibilità di mollare se non mi sentissi a mio
agio”
“Ne parlerò con David ma non credo ci saranno
problemi. Che posso fare per ringraziarti?” chiese il
ragazzo, sorridendo
“Ti sembrerà patetico ma… giura che non
mi hai preso per il culo. Che tutte le cose che hai detto un attimo fa
erano sincere”
“Lo giuro”
“Andata”
Non era sicura che Bill le avesse detto la verità. Era
possibile che il ragazzo l’avesse solo infarcita di stronzate
melodrammatiche per indurla ad accettare ma la sua bontà
naturale l’aveva indotta a credergli. In caso contrario, nel
caso in cui si fosse accorta che il ragazzo si era solo preso gioco di
lei, avrebbe sicuramente saputo come fargliela pagare. Su questo non vi
erano dubbi.
Bill non sapeva ancora che lei non era Lisbeth Sommer.
Lei era Beth.
**
Era ormai quasi giunto mezzogiorno e lo stomaco di Beth cominciava a
brontolare rumorosamente. Sul subito aveva pensato di salutare Bill ed
andarsene a casa ma, conscia del fatto che di lì a poche
settimane avrebbe comunque dovuto passare parecchio tempo assieme,
decise di invitarlo a pranzo.
“Ti andrebbe di mangiare qualcosa insieme?” chiese
“Sì, certo” rispose il cantante,
sfoderando un gran sorriso accattivante. Beth pensò
all’isteria che aveva sempre circondato i Tokio Hotel e
capì che, per un sorriso come quello di Bill, era facile
perdere la testa.
“Potremmo andare da Barney” propose
“E’ un ottimo ristorante, il cuoco è
italoamericano. Ci sei mai stato?”
“No, non che io ricordi” rispose Bill, ridendo
“E’ un posto tranquillo, non ci disturberanno
vedrai”
“Ti seguo” commentò Bill, alzandosi e
seguendo la sua nuova amica.
Giunsero al ristorante mezz’ora più tardi e il
maitre trovò immediatamente un posto adatto alle loro
esigenze. Lisbeth, del resto, era di casa in quel posto.
“Vengo qui tutte le settimane, di solito la
domenica”
“Ma vieni sola?” chiese Bill, accomodandosi
“Anche. La maggior parte di volte vengo con
un’amica ma mi è capitato di venirci anche da
sola. A volte ne ho bisogno”
“Capisco. Anche io avevo bisogno di starmene solo
quando… sì insomma…”
“Dai, ordiniamo! La pasta alla carbonara che fanno qui
è squisita!”
“Che pasta sarebbe?”
“Con uova, panna, un po’ di pancetta e il
parmigiano!”
“Pancetta?” disse Bill, con aria sdegnata
“Io sono vegetariano”
“Ah scusami, non lo sapevo” disse, mortificata
“No, non ti preoccupare, la colpa è mia che non ti
ho avvertita. Ci sarà sicuramente altro”
“Sì, a pagina tre del menù trovi
l’alternativa vegetariana” sorrise Beth e poi
aggiunse “Lo sei da sempre?”
“No, da circa un anno. Amo gli animali, non voglio
mangiarli”
“Anche io ho tentato la strada del vegetarianismo. Ma soffro
di bassa pressione e il medico mi ha consigliato di mangiare carne
rossa almeno una volta la settimana”
“Amante degli animali anche tu?”
“Puoi dirlo forte! Non uccido nemmeno le zanzare!”
Bill scoppiò a ridere e, di nuovo, Beth si fissò
su quel sorriso magnetico. Poi il ragazzo trovò la pietanza
adatta a lui così chiamarono il cameriere con un cenno ed
ordinarono.
Era piacevole, per Bill, parlare con Lisbeth. La conosceva solo da
poche ore ma pensava già di aver fatto un ottimo affare.
Avrebbe riguadagnato popolarità (o almeno, sperava) e se la
fortuna lo avesse assistito avrebbe anche guadagnato
un’amica. E solo il Cielo sapeva quanto ne avesse bisogno.
**
Al termine del pranzo, consumato tra chiacchiere e risate, il ragazzo
si scusò un attimo e, allontanatosi qualche passo da lei,
estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e chiamò il
gemello che rispose al secondo squillo.
“Ehi, dove sei?” chiese Bill
“A casa. Dove sei tu, piuttosto”
“Sono appena uscito da un ristorante, ero con
Lisbeth”
“Che la farsa abbia inizio” commentò
Tom, sarcastico
“E’ carina, scommetto piacerebbe anche a te. Sempre
meglio fingere con lei piuttosto che con una stronza
antipatica”
“Ti sei già innamorato, fratello?”
chiese il chitarrista, ridacchiando
“Ma smettila! Sto solo dicendo che è simpatica e
alla mano. Abbiamo chiacchierato parecchio, siamo sulla stessa
lunghezza d’onda e, se questa storia non finirà
male, potrei anche aver trovato un’amica”
“Lo spero per te” mormorò Tom
“Questa storia non mi piace, lo sai bene”
“Non piace nemmeno a me. E, per la cronaca, non piace nemmeno
a Lisbeth”
“Ottimo” farfugliò Tom “Ti
aspetto a casa, comunque”
“Ci vediamo tra poco” disse Bill, prima di
interrompere la chiamata e tornare da lei che, nel frattempo, era
salita in macchina.
“Tutto a posto?” gli chiese, sorridendo
“Sì, era mio fratello. E’ già
a casa”
“Vuoi uno strappo? Non ho idea di dove tu viva ma dato che
dovremo passare il prossimo anno assieme, che ne dici di mostrarmi la
tua magione?” chiese, scoppiando poi a ridere per la scelta
del termine
“Magione?” ripeté Bill, ridendo assieme
a lei “Non credere sia un castello! E’ un
appartamento normalissimo”
“Beh, qualsiasi cosa sia credo dovrei almeno scoprire
dov’è dislocato, non trovi? Pensi sia corretto che
la tua fidanzata non sappia nemmeno dove abiti?”
“Sbaglio o ci stai già prendendo gusto con questa
storia?” ridacchiò il cantante
“Mi sto divertendo un sacco, lo ammetto!” e poi,
continuando a ridere, accese l’auto e partì
sgommando.
*Symptom of my time - Marie Frank
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Capitolo 6 *** That day ***
6. That day
Casa Kaulitz non era poi tanto distante dalla sua e, durante il
tragitto, Lisbeth si divertì raccontando a Bill alcuni
spassosi aneddoti del suo mestiere.
“Una volta, un bambino grassoccio ha vomitato sui miei piedi
cinque minuti prima della diretta! La cosa più disgustosa
è che non indossavo le scarpe! Mi ha imbrattato tutti i
piedi di vomito!”
Bill rideva a crepapelle, così Lisbeth continuò:
“Sono corsa in bagno urlando e trattenendo le parolacce! ho
dovuto chiamare Lou, non ce la facevo a lavarmi da sola! Solo al
pensiero di dover toccare quella poltiglia…” fece
un verso con la bocca e riprese “così Lou mi ha
lavato via quello schifo con la doccetta mentre piangevo
disperata!”
Bill si asciugò le lacrime, provocate dalle risate, e
chiese: “Chi è Lou?”
“Ah scusa” Beth frenò dolcemente dinanzi
al semaforo rosso e, voltandosi a guardarlo, spiegò:
“Lou è un assistente di scena. Lo adoro,
è come un padre per me”
“Non hai un padre?” osò chiedere il
ragazzo
“Sì, ce l’ho. Solo che non abita qui, lo
vedo pochissimo. Lui e mia madre si sono trasferiti diversi anni fa,
per lavoro. Io ho deciso di restare, avevo cominciato la mia carriera
qui e non me la sentivo di ripartire daccapo in un altro
posto”
“Dove sono andati?”
“Sono stati per quasi un anno in Cina ed ora vivono in
America” disse, mestamente “Mi mancano molto, li
vedo solo qualche volta quando tornano a trovarmi. Lou mi è
stato accanto in questi anni, posso sempre contare sulla sua presenza
quando mi sento sola”
“Che mi dici di Ingrid Scholz? Ci vai
d’accordo?”
“Ingrid… Ingrid è una persona da
capire. A primo impatto sembra una donna austera, fredda come il
ghiaccio e dedita solo al lavoro ed in parte è
così. Ma, sotto sotto, è buona. Non posso dire di
andare sempre d’accordo con lei, certe volte vorrei mandarla
a quel paese e cercarmi un’altra manager ma perderei un
valido aiuto. E’ una donna d’affari con i fiocchi,
la mia carriera è al sicuro con lei”
“Però non è un’amica, o
sbaglio?”
“No, in effetti non è una vera e propria amica. I
nostri rapporti sono perlopiù lavorativi, difficilmente mi
confido con lei… e David Jost, invece?”
“Somiglia molto ad Ingrid” disse Bill,
giocherellando con un anello “Anche noi abbiamo un rapporto
di quel tipo con lui. E’ un uomo d’affari
eccezionale, siamo amici ma non veri e propri confidenti.
Però è sempre stato onesto nei nostri confronti e
mi ha tirato fuori dai guai tante volte”
“Sai, ti conosco da poche ore ma mi sorge spontanea una
domanda. Spero non ti offenderai ma…
com’è possibile che un ragazzo come te…
insomma…”
“Ti chiedi come sia possibile che abbia tentato di uccidermi
sei volte?”
“Esattamente” annuì Beth, arrossendo
lievemente
“Non lo so, cose che succedono. Probabilmente ho
sottovalutato gli effetti della fama” rispose, rabbuiandosi.
Lisbeth notò il repentino cambiamento d’umore del
cantante, quindi aggiunse “Mi spiace, non volevo essere
scortese”
“Figurati. Credo di dover essere onesto con te. Sei la mia
ragazza, no?” disse poi, ridendo
“Esatto!” trillò Lisbeth “E,
in quanto tale, pretendo di conoscere ogni tuo singolo
tratto!”
“Abbiamo parecchio tempo a disposizione” rispose
Bill “Nel frattempo, lascia che ti mostri casa mia”
e, con la mano, indicò una casetta verde scuro,posta al
centro di un bel cortile quadrato protetto da una cancellata in ferro
battuto “Accosta lì e suona il campanello,
così Tom ci aprirà”
Lisbeth accostò dinanzi al cancello, abbassò il
finestrino e suonò il campanello. Una telecamera di
sorveglianza ronzò e, pochi istanti dopo, una voce bassa
disse solo “Vi apro”. In meno di dieci secondi il
cancellò emise un suono metallico e si spalancò.
Beth premette sull’acceleratore ed entrò in
cortile, parcheggiando l’auto sul vialetto
d’accesso, proprio di fronte alla porta di casa. Bill scese
per primo e aspettò la ragazza, sorridendo. Qualche attimo
dopo sulla soglia di casa comparve anche il gemello che andò
incontro a Lisbeth tendendole la mano “Benvenuta, sono
Tom” disse il ragazzo, ripresentandosi
“Ciao Tom” rispose Beth, stringendo la mano del
chitarrista con fare vigoroso “Che meraviglia questo posto!
Vi occupate voi personalmente del giardino, immagino”
aggiunse, ironicamente
“Certo, tutte le mattine Bill scende in cortile con la zappa,
il rastrello e il falcetto e passa due ore a potare le siepi, levare le
erbacce, sistemare il vialetto” rispose Tom, ridendo e
facendo strada in casa mentre Bill li seguiva ridendo e sibilando
insulti
“E quando ha finito” continuò Tom,
entrando in salotto e facendo cenno a Lisbeth di accomodarsi sul divano
“va al mercato cittadino a comprare semi per
l’orto!”
Beth scoppiò a ridere e si lasciò andare sul
morbido divano in eco pelle, nero come la pece “Un perfetto
contadino!”
“Ridete, ridete pure!” si intromise Bill,
sistemandosi accanto alla ragazza “Intanto è
davvero merito mio se il cortile è così bello! Ho
scelto personalmente il miglior giardiniere di tutta Berlino!”
“Sì, certo Bill, certo” lo prese in giro
Tom. Poi si rivolse a Beth e domandò “Vuoi
qualcosa da bere?”
“No, ti ringrazio. Comunque, giardino e giardinieri a parte,
casa vostra è bellissima! Mi avevi detto che era solo un
normale appartamento!” disse, guardando Bill
“Beh, non è nulla di speciale”
“Ma che dici? E’ una casetta incantevole! Casa mia
è un normale appartamento ma casa vostra sembra uscita da un
libro di favole. Favole moderne ma pur sempre favole!”
La casa, in effetti, non era affatto un semplice appartamento. Oltre
allo splendido giardino che la circondava, reso ancor più
magico dalla siepe e dalla cancellata che la nascondevano dagli sguardi
indiscreti, la casa contava otto stanze divise fra cucina con sala da
pranzo, salotto, due bagni dotati di ogni comfort, due stanze da letto,
uno sgabuzzino grande quanto un monolocale e un piccolo studio adibito
a sala prove. Ogni stanza era arredata con gusto ed era ricca di
accessori e suppellettili. Le pareti erano dipinte con tinte lucide ed
ogni camera, tranne i due bagni, aveva il pavimento rivestito di
parquet. Bill e Tom fecero fare un dettagliato tour della villetta a
Lisbeth che, in ogni stanza, strabuzzava gli occhi ed emetteva
gridolini di stupore. Quando tornarono in salotto e si riaccomodarono
sui divani, Lisbeth disse “Complimenti ragazzi, è
una delle case più belle che abbia mai visto! Vivete qui da
molto?”
“L’abbiamo acquistata circa due anni fa. Prima dei
miei guai eravamo spesso in tour e trascorrevamo qui solo pochi mesi
all’anno. Ultimamente ci siamo spesso ma spero di poter
tornare presto al lavoro. Adoro la mia casa, il mio letto, il mio
giardino ma voglio tornare a suonare” e, ancora una volta
quel giorno, il viso di Bill si adombrò. Il gemello, notando
prontamente il cambiamento d’umore di Bill, si intromise
cambiò discorso “E tu, Lisbeth, che mi dici del
tuo lavoro?”
Lisbeth ridacchiò, una risatina amara in verità
“Non saprei da che parte cominciare. E’ un lavoro
strano. Da una parte lo amo e dall’altra lo detesto. Ma sono
costretta a farlo altrimenti brucerei sul nascere ogni singola
possibilità di carriera futura”
“Mi pare di capire che non desideri avere a che fare con i
bambini per sempre, o sbaglio?” chiese Tom
“Assolutamente no! Ho un progetto ben chiaro in mente che
spero di poter realizzare al più presto possibile! Considero
questo periodo come una specie di transizione”
“Posso chiedere quale sia il tuo progetto?” si
intromise Bill
A Lisbeth si illuminarono gli occhi e, in men che non si dica, prese a
sciorinare una dettagliatissima spiegazione del suo talk show dei
sogni. Parlo per quasi dieci minuti di fila, senza che i gemelli
osassero interromperla, completamente assuefatti dalle sue parole.
Quando la ragazza ebbe terminato, Bill esordì “Io
ti affiderei un talk show anche subito! Pendevo dalle tue labbra,
Lisbeth!”
“Lo stesso vale per me” aggiunse Tom, ammirato
“Hai un talento naturale! Parli come una macchinetta ma non
stanchi mai! Ti avrei ascoltata per ore”
“Vi ringrazio tanto” rispose lei, emozionata
“Questo progetto conta molto per me. Prego che arrivi il
giorno in cui vedrà la luce”
“David potrebbe aiutarti!” disse Bill, con enfasi
“Conosce un sacco di persone, sono certo che saprà
mettere una buona parola per te”
“Dici?” chiese Beth, speranzosa
“Tu aiuti noi, noi aiutiamo te” rispose Bill,
ammiccando anche se, dentro di sé, avvertiva il desiderio di
aiutare quella ragazza in qualsiasi caso.
Dopo qualche ora, passata perlopiù a chiacchierare di
lavoro, musica (che per Bill e Tom era comunque sinonimo di lavoro) e
hobby Lisbeth si alzò dal divano decisa ad andare a casa.
“E’ stato un piacere conoscervi. Insomma,
conoscervi meglio” disse, sorridendo. Anche i due ragazzi si
alzarono dal divano e, sorridendo, Bill propose “E se
andassimo a cena fuori?”
“Non ho voglia di uscire, Bill. Sono stanco”
mugolò Tom
“A dire il vero, intendevo io e Lisbeth”
mormorò Bill, timidamente
“Io e te?” chiese la ragazza, stupita. Non pensava
che Bill avrebbe avuto voglia di mostrarsi in pubblico con lei
così presto ma, sorprendendo perfino sé stessa,
si accorse che quell’invito le aveva fatto piacere
“Ah grazie” si intromise Tom, fingendosi offeso
“Sei fidanzato da poche ore e già pianti in asso
il tuo gemello”
“Su Tom, non essere geloso” ridacchiò
Bill e poi volse lo sguardo in direzione di Lisbeth, aspettando una
risposta
“Ci sto” trillò la ragazza “Ma
vorrei cambiarmi prima di uscire”
“Perché, cosa c’è che non va
nel tuo abbigliamento?”
“Questo completo è troppo serio! Vado a casa, mi
cambio e torno a prenderti”
“Ok” rispose Bill “Vorrà dire
che mi cambierò anche io” e poi, per la prima
volta da mesi, il cantante si diresse verso la sua stanza canticchiando
allegramente e lasciando Tom sbalordito
“L’hai sentito canticchiare anche tu,
vero?” domandò Tom a Beth, accompagnandola alla
porta. La ragazza fece un cenno di assenso con la testa e Tom, prima di
salutarla e richiudere la porta, disse “Mi sa che ne vedremo
delle belle!”
*That day - Tokio Hotel (Ancora xD)
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Capitolo 7 *** Erzähl mir alle Lugen, macht es so dass ich es glaub ***
7. Erzähl mir alle
Lugen, macht es so dass ich es glaub
Erano seduti uno di fronte all’altra in un ristorante
affollato. Oltre la vetrata lussuosa, Bill aveva già notato
qualche paparazzo intento a scattare foto che, l’indomani,
avrebbero sicuramente riempito le pagine dei quotidiani scandalistici.
Lisbeth rideva di gusto mentre si portava una generosa forchettata di
pasta alla bocca e Bill, guardandola, provò un moto di
affetto. Non la conosceva così bene, sapeva pochissimo di
lei ma sentiva una profonda sintonia con quella ragazza.
“Sei pronta a finire su tutti i giornali scandalistici della
Germania?” le chiese, sorseggiando del vino bianco
“Prontissima, e tu?”
“Pronto. Ho un po’ di paura ma sono
pronto”
“Paura di cosa?” chiese lei, posando la forchetta e
pulendosi la bocca con il tovagliolo che, poi, ripose educatamente in
grembo
“Di quello che scriveranno. Non mi piace poi molto essere
definito tossico, sai? Anche se, come giustamente potrai pensare, me la
sono cercata”
“Non direi” rispose lei, riprendendo in mano la
forchetta “Certe cose non si cercano. Il tuo abuso di farmaci
è stato solo la conseguenza di un malessere. E’
come se fossi caduto in una buca non visibile ad occhio nudo
perché ricoperta di foglie. Non è mica colpa tua
se ci sei finito dentro. Semplicemente, non l’hai vista e hai
messo un piede in fallo. Cose che capitano, Bill.
L’importante è trovare la forza di
risalire”
“Mi piace questo punto di vista” sorrise Bill,
riconoscente “Mi fa sentire meno colpevole”
“Sei una vittima, non un carnefice. Il giorno in cui
smetterai di colpevolizzarti vedrai che smetteranno di farlo anche gli
altri”
“Dici?”
“Certo!” esclamò Lisbeth, allungando una
mano ed afferrando quella del cantante che, a quel tocco,
sentì un brivido lungo la schiena
“Andrà tutto bene, Bill. Fidati”
“Come fai ad esserne così sicura?”
Lisbeth inghiottì il boccone, posò di nuovo la
forchetta, si pulì la bocca e dopo aver bevuto un sorso di
acqua fresca rispose: “Tutta questa storia, questa
messinscena del fidanzamento” e, nel dire la parola
“messinscena” abbassò la voce
“all’inizio mi spaventava un po’.
Stamattina non sapevo a cosa sarei andata incontro quando David Jost ci
ha parlato del piano. Ma adesso, seduta qui con te, mi sento
tranquilla, in pace. Non saremo innamorati ma credo che potremo
diventare buoni amici, Bill. E forse è tutto quello che ci
serve, adesso. Un amico”
“La tua vita non è un disastro come la mia,
però”
“Dipende dai punti di vista” mormorò la
ragazza. Stava per cominciare a raccontare a Bill quanto si sentisse
fuori luogo nei panni della beniamina dei bambini di Germania quando il
cameriere comparve al loro tavolo e chiese loro se desideravano
ordinare altro
“Io vorrei volentieri una fetta di torta Sacher”
disse Beth, sorridendo al cameriere
“Anche per me” aggiunse Bill, sorridendo a sua
volta.
Il cameriere sparì in direzione della cucina e ricomparve
qualche minuto dopo con due generose porzioni di torta corredate da un
mucchietto di panna montata dall’aria più che
deliziosa. Per qualche istante i due ragazzi mangiarono in silenzio,
assaporando ogni boccone, fino a quando Lisbeth riprese a parlare:
“Ho dei tatuaggi, sai? Devo sempre nasconderli
perché Ingrid dice che darei un’immagine sbagliata
ai genitori di tutti quei bambini che mi idolatrano. E anche il fumo.
Non posso fumare in pubblico anche quando ne ho disperatamente bisogno.
Ingrid dice che se mi fotografassero con una sigaretta in mano starebbe
male” fece una pausa, inghiottì un altro boccone
di torta e riprese “Mi piacciono tantissimo le magliette con
le stampe. Sai no, quelle con su immagini di gruppi famosi, ad esempio,
come i Ramones o i Pistols. Ne ho tante nell’armadio ma non
le posso mettere in giro. La Stolz dice che sembrerei una ragazzaccia.
E lo stesso vale per i jeans stracciati sulle ginocchia o le Converse
sdrucite. E allora sai cosa faccio, in certi giorni? Indosso tutte
quelle cose e mi rimiro allo specchio. Sto lì, in piedi, a
guardarmi come una cretina e a fingere di essere per strada,
tranquilla. Sto lì, così, fino a che mi sento
meglio. So anche io cosa significa dover fingere di essere
ciò che non sei, Bill”
Durante il lungo monologo Bill era rimasto in religioso silenzio, senza
muovere un muscolo. Non aveva neppure mangiato, troppo preso dalle
parole di Lisbeth. Lo riscosse dal suo intontimento solo la luce di un
flash proveniente dall’esterno del ristorante, dove i
paparazzi erano aumentati.
“Che bella coppia che siamo” disse quindi il
cantante, per stemperare la tensione
“Non siamo poi così diversi, Bill. Siamo
più simili di quanto tu pensi”
Dopo mezz’ora la coppia decise di uscire non prima,
però, di aver fatto un brindisi con una costosa bottiglia di
champagne. Bill, come un vero gentleman, pagò la cena ed
entrambi si avviarono all’uscita. Sulla soglia due bodyguard
li aspettavano per scortarli alla macchina mentre i paparazzi
scattavano furiosamente centinaia di fotografie e chiamavano a gran
voce Bill e Lisbeth. Quando furono saliti in auto, la ragazza mise in
moto e in men che non si dica si lasciarono alle spalle
l’isteria.
“Oh mio Dio” disse Beth, passandosi una mano sulla
fronte “Ma quanti erano?!”
“Tanti” rise Bill, guardando nello specchietto
retrovisore alcuni paparazzi che, a piedi, tentavano di inseguire
l’auto
“Ma come cazzo hanno fatto a sapere dove eravamo?”
“Beh, quel ristorante è spesso meta di
celebrità. Ho sentito dire che chi lavora in posti come
quello ha sempre un contatto diretto con i fotografi. Appena entra una
star chiamano il fotografo e quello si precipita. Poi dividono il
ricavato della vendita delle foto”
“Ingegnoso”
“Funziona così dappertutto. Ormai i paparazzi
hanno spie ovunque” ridacchiò Bill “Ma
questo dovrebbe farci piacere, no? Significa che domani saremo su tutti
i giornali”
“Hai così voglia di finire in
copertina?” chiese lei
“Ho voglia di tornare ad essere quello che ero,
Beth”
Beth.
Per la prima volta in tutta la giornata Bill l’aveva chiamata
Beth.
Lisbeht sorrise e premette sull’acceleratore diretta verso la
casa di Bill.
**
Love – Alert!
Bill Kaulitz, leader della famosa band Tokio Hotel, e Lisbeth Sommer,
la celebre conduttrice televisiva, sono stati avvistati da
“Gregor’s”, il famoso ristorante nel
cuore di Berlino, meta delle star di tutta la Germania e non solo.
I due si sono trattenuti a cena per diverse ore scambiandosi gesti
affettuosi (vedi foto a lato) e brindando con dell’ottimo
champagne.
Verso le 23.00 la coppia è uscita dal ristorante e, scortata
da due guardie del corpo, è salita sull’auto di
Lisbeth Sommer per dirigersi verso ignota destinazione.
La bella e dolce Lisbeth riuscirà a redimere il dannato
Kaulitz?
Angeli e demoni
Bill Kaulitz e Lisbeth Sommer! Ecco la coppia dell’anno 2010!
Ieri sera Bill Kaulitz, cantante dei Tokio Hotel con problemi ben noti
di tossicodipendenza e depressione (tristemente noti i suoi diversi
tentativi di suicidio) e Lisbeth Sommer, la popolare conduttrice del
programma televisivo „Kinder” sono stati avvistati
in atteggiamenti intimi da “Gregor’s”, il
celebre ristorante berlinese. La coppia ha cenato scambiandosi tenere
effusioni (vedi foto sotto) per poi brindare con del pregiato champagne
e fuggire via a bordo dell’auto della conduttrice.
Nuovo amore e nuova rinascita per il bel Kaulitz?
Di articoli simili erano pieni tutti i giornali. Dal Bild allo Stern.
Ogni singolo giornale tedesco riportava la notizia di Bill e Lisbeth. E
la foto che li ritraeva in “atteggiamenti intimi”
altro non era che il momento, catturato dalle macchine fotografiche, in
cui Lisbeth aveva poggiato la mano su quella del ragazzo. Seguivano
foto del loro brindisi, dell’uscita dal ristorante e di loro
due intenti a ridere durante la cena.
Ingrid guardava le foto sorridendo e passandosi la lingua sulle labbra,
come se stesse gustando qualcosa di prelibato. Lisbeth, seduta di
fronte alla manager, la guardava di sottecchi.
“Brava Beth” trillò la donna, posando
uno degli innumerevoli giornali che stava consultando “Ottima
la scelta dell’abbigliamento, del trucco e ottima
l’idea di mostrarti intima! Quella carezza alla mano di lui
è giunta a pennello!”
Lisbeth evitò di dire alla donna che, in realtà,
quel gesto era stato del tutto spontaneo. Preferì lasciarle
credere che si trattasse di una mossa ben studiata.
“Così direi che il piano procede bene,
no?”
“E’ la prima volta che usciamo insieme, Ingrid.
Siamo stati a pranzo e a cena insieme ieri per la prima volta. Posso
solo dirti che Bill è un ragazzo piacevole. Mi sono trovata
molto bene”
“Benissimo!” esclamò la donna,
sfregandosi le mani e Lisbeth, guardandola, cercò di
reprimere una risatina. Ingrid, in quell’istante, le sembrava
uguale identica al tirannico Montgomery Burns, personaggio dei Simpson,
una serie televisiva che amava guardare da sempre, nonostante Ingrid le
avesse proibito di dirlo in qualsiasi tipo di intervista
“E’ politically incorrect” le diceva
sempre.
“Uscirete anche stasera?” chiese poi Ingrid,
alzandosi
“Non lo so” mormorò Beth,
distrattamente. Mancava meno di mezz’ora alla diretta e la
truccatrice era in palese ritardo
“Beh, più vi fate vedere in pubblico meglio
sarà per tutti. Mi raccomando, stesso stile
nell’abbigliamento, stesso trucco poco marcato. Siete
bellissimi!” poi, sculettando leggermente, uscì
dal camerino di Lisbeth lasciando tutti i giornali sul tavolo.
La ragazza, non appena la porta si fu richiusa, li afferrò e
scrutò le foto: Bill era divino, il suo sorriso magnetico
spiccava sulla pagina ed oscurava quello di lei. I suoi occhi
brillavano e la ragazza, per un istante, pensò che tutta
quella faccenda avrebbe potuto davvero portare qualcosa di buono nella
vita del cantante. E, forse, anche nella sua.
*Hilf mir fliegen - Tokio Hotel
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Capitolo 8 *** What can I say? ***
8. What can I say?
“Ehi tesoro, ti sei trovata un fidanzato, dunque?”
Quella voce la riscosse dalle sue meditazioni. Alzò lo
sguardo dal giornale che stava sfogliando e vide il volto genuino e
gentile di Lou.
Era una novellina spaventata quando l’aveva conosciuto.
Nonostante fosse già abbastanza conosciuta nel Paese, non
aveva mai condotto un programma televisivo da sola e il fatto che ci
fossero bambini ovunque l’aveva sempre messa in soggezione.
Ma Lou le era stato accanto fin dal primo giorno e Lisbeth nutriva per
lui un affetto sincero e smisurato.
Guardandolo in viso non ebbe cuore di mentirgli. Aveva promesso di
mantenere il segreto ma come avrebbe fatto a dire una bugia a Lou?
“Ciao Lou” disse, cercando di eludere la sua
domanda. Aveva bisogno di tempo. Non poteva dirgli bugie ma non sapeva
nemmeno come fare per dirgli la verità. Temeva che Lou la
disprezzasse per quello che stava facendo.
“Che c’è, piccola?” chiese
l’uomo, sedendosi di fronte a lei “Dovresti essere
felice! Sai, leggo anche io i giornali e stamattina, qui, non si parla
d’altro!”
“Beh… insomma…”
balbettò la ragazza
“Se non hai voglia di parlarne non c’è
problema” commentò l’uomo, sorridendole.
Anche lui aveva una figlia solo che non sapeva dove fosse. Ci aveva
litigato tanti anni prima, pesantemente, perché non le aveva
perdonato la decisione di voler interrompere
l’Università per cercare fortuna
all’estero e, da allora, di lei non sapeva più
nulla. Solo con il passare degli anni si era reso conto
dell’errore commesso ma non sapeva come rimediare. Cercarla
sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio. Quando aveva
conosciuto Lisbeth aveva rivisto, in lei, il carattere deciso ma tutto
sommato fragile di sua figlia ed aveva giurato a sé stesso
che, per quella ragazza, ci sarebbe sempre stato.
“No, non è quello” rispose Lisbeth,
allungando una mano fino a sfiorare quelle dell’uomo
“E’ che… ti devo dire una cosa,
Lou”
“Anche io, a dire il vero” mormorò
l’uomo “Volevo aspettare la fine della trasmissione
ma visto che siamo in vena di confidenze…”
“Cosa volevi dirmi?”
“Prima tu”
“No, prima tu!” ridacchiò Lisbeth,
accarezzandogli una mano. Adorava quell’uomo, era davvero un
secondo padre per lei e, senza di lui, si sarebbe sentita
irrimediabilmente persa
“Ok. Dunque, non voglio girarci molto intorno
perché non avrebbe senso, quindi… oggi
è il mio ultimo giorno di lavoro”
Lisbeth sbarrò gli occhi “Che cosa?!”
tuonò
“Vado in pensione” disse l’uomo,
sorridendo lievemente
“Ma… ma io come faccio senza te? Perché
non me l’hai detto prima?!”
“Perché mi hanno proposto il prepensionamento solo
qualche giorno fa. Ho preso una decisione solo ieri sera, dopo averne
parlato a lungo con Dora”
“E tua moglie che dice?” chiese Lisbeth, cercando
di trattenere le lacrime
“Lei non vede l’ora! Finalmente potremo viaggiare,
passare più tempo insieme… e magari provare a
rintracciare Emily” concluse, sospirando
“Non… Lou no. Io…”
“Non ti lascerò mai Beth. Non ci vedremo tutti i
giorni al lavoro ma sai dove abito, hai il mio numero, non
cambierà nulla”
“Non è vero, cambierà tutto. Tu non ci
sarai più, mi lasci da sola con quella stronza di
Ingrid!” piagnucolò
“Potrai passare da me tutte le volte che vorrai, lo sai che
sei sempre la benvenuta”
“Non sarà lo stesso”
“Lisbeth, sono stanco. Ho fatto questo lavoro per tutta la
vita, ci sono così tante cose che ho sempre voluto fare ma
non ne ho mai avuto il tempo. L’occasione è troppo
allettante per rinunciarci, cerca di capire”
“Lo so… scusami, ti sarò sembrato una
vera egoista. E’ giusto che tu possa riposarti e goderti la
vita, solo che mi mancherai tantissimo”
“Non vado in America, lascio solo il lavoro” disse
Lou, sorridendo “Tu sei una ragazza forte, onesta, sincera,
non hai bisogno di me per cavartela. Ma ora, bando alle ciance, di cosa
volevi parlarmi?”
“Ecco…” nell’udire Lou
definirla una ragazza ‘sincera’, Lisbeth si
sentì un verme. Come avrebbe potuto, dopo tutte quelle belle
parole, raccontare a Lou la verità su lei e Bill?
“Beth?”
“Sì scusa… ecco, niente, volevo solo
parlarti di Bill…”
“Ah-ah!” esclamò l’uomo
“E’ nato un amore?”
“Non lo so, cioè… insomma…
lui è carino, siamo stati bene assieme”
“Come l’hai conosciuto?”
Lisbeth vacillò. Jost ed Ingrid non avevano ancora
specificato tutti i dettagli della loro storia, dal momento che era
appena cominciata. Non seppe cosa dire, quindi cercò di
generalizzare “Me l’hanno presentato, sai
no… gente di quel giro… siamo usciti a cena, come
avrai visto sul giornale. E’ stato gentile, è un
ragazzo simpatico”
“Ho letto che ha avuto molti problemi” disse Lou,
con apprensione “E’ un ragazzo a posto?”
“Oh sì, lo è! Ha avuto dei problemi ma
ora sta molto meglio. Lui è… come
dire… è speciale”
Poco prima che Lou si accingesse a rispondere, l’aiuto
regista fece capolino dalla porta “Beth, cinque minuti e si
va in scena”
“Vai tesoro e stendili!” la incitò Lou,
alzandosi. Anche Lisbeth fece lo stesso ma, prima di uscire dal
camerino, volò fra le braccia dell’assistente di
scena e lo strinse fino a fargli mancare il fiato “Ti voglio
bene, Lou. Più di quanto tu possa immaginare” e
all’uomo, che a sua volta la strinse forte, gli occhi si
colmarono di lacrime.
**
Al termine della trasmissione Lisbeth si fiondò in camerino,
si levò le scarpe con il tacco lanciandole in un angolo e si
buttò sulla sua poltrona preferita. Prima ancora di essere
riuscita a chiudere gli occhi per rilassarsi un attimo,
sentì il cellulare squillare, insistente.
La ragazza allungò una mano fino a raggiungere il tavolino,
posto accanto alla poltrona, e afferrò il telefono. Rispose
senza nemmeno guardare sul display chi la stesse chiamando
“Sì?”
“Buongiorno Beth! Letto i giornali?” la voce
squillante di Bill quasi le trapanò il cervello
“Buongiorno Bill. Letti, sì…”
mormorò
“Tutto bene?” chiese il ragazzo, notando il suo
strano tono di voce, così spento rispetto al solito
“Ho ricevuto una notizia non troppo felice. Se stasera non
hai un cazzo da fare, ti va se ci mangiamo una pizza? O se ci prendiamo
una sbronza colossale in qualche bettola?”
Bill scoppiò a ridere di gusto “Spero non sia
nulla di grave. Addirittura volerti sbronzare in una
bettola…”
“Lou va in pensione”
“Ah… beh, non va mica in America, no?”
“Sì ma… niente. Ci sei o no
stasera?”
“Pensa te, siamo fidanzati da due giorni e già mi
dai ordini” ridacchiò il ragazzo
“Comunque sì, ci sono. Passo a prenderti alle
otto, direi che ci conviene optare per una pizza”
“Va bene. Come vuoi, amore!” rise Lisbeth,
accentuando la parola “amore”. Dopotutto, si
divertiva a scherzare con lui su quella storia.
Quando interruppe la comunicazione, qualcuno bussò alla
porta del suo camerino.
“Avanti!”
“Beth, volevo presentarti una persona”
esordì Lou, entrando, seguito da un ragazzo dagli occhi
chiari e i capelli scuri come l’ebano.
C’era una cosa che Lisbeth non aveva mai confessato a
nessuno, forse nemmeno a sé stessa, ed era il fatto di
credere irrimediabilmente ed incondizionatamente ai colpi di fulmine.
Lisbeth era certa che il giorno in cui avrebbe incontrato la sua anima
gemella, se ne sarebbe accorta al primo sguardo. Ne era sicura, al
cento per cento.
E quando quel misterioso e sconosciuto ragazzo varcò la
soglia, al seguito di Lou, Lisbeth seppe di averla trovata.
*I wanna be your boyfriend - Ramones
**
Dunque, questa FF non
è molto commentata. La cosa mi dispiace, specie
perchè non so se non abbia commenti perchè fa
schifo o perchè... boh... ma mi piacerebbe saperlo xD
Ad ogni modo, grazie di cuore alle poche che hanno lasciato
un'opinione! ^^
Kate
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Capitolo 9 *** Faithfully ***
9. Faithfully
Lisbeth era ancora seduta sulla poltrona quando Lou e il ragazzo al suo
seguito le si pararono davanti e, nel tentativo di alzarsi dalla
poltrona senza mostrare le mutande – gonna a balze,
mannaggia! – rischiò quasi di cadere addosso ai
due.
“Ciao… Piacere, Lisbeth. Beth. Cioè,
sì insomma, Lisbeth”
“Ciao” mormorò il ragazzo, con un mezzo
sorriso
“Lui è Matthias” esordì Lou
“Prenderà il mio posto! Vedi, non ti lascio da
sola”
“Oh… bene” disse la ragazza,
attorcigliandosi una ciocca di capelli su un dito
“Beh, vi lascio un po’ da soli, avrete tempo per
conoscervi…” disse quindi Lou, uscendo dal
camerino e lasciando soli i due ragazzi.
Lisbeth tornò a sedersi e fece cenno al ragazzo di
accomodarsi “Mettiti dove ti pare”
“Quindi tu sei la famosa Lisbeth Sommer”
commentò Matthias, mettendosi a sedere e squadrando la
ragazza “Dal vivo sei diversa”
“Cioè?”
“Sei più bella” disse, arrossendo
“Grazie… ecco… quindi prenderai il
posto di Lou? Pronto per entrare in questa gabbia di matti?”
“Lou mi ha parlato molto di questo posto. Mia madre
è una vecchia amica di Dora, sua moglie. Sapeva che stavo
cercando lavoro, ho finito l’Università da poco.
Sai, mi piacerebbe diventare regista”
“Regista? Wow, bello…”
“E tu? Insomma, non conosco molto la tua carriera. Lavori da
molto in questo mondo?”
“Sì, abbastanza… Ormai è il
mio mondo questo”
“Lou mi ha detto che sei una tipa tosta”
ridacchiò e aggiunse “Ha proprio usato la parola
‘tosta’!”
Beth arrossì lievemente e rispose, sorridendo “Lou
è un fenomeno. Dovrai farne di strada per essere come
lui” disse ridendo, volutamente provocatoria
“Spero di essere all’altezza del compito”
Prima che Lisbeth trovasse qualcosa di decente da dire, lo sguardo del
ragazzo si posò sui giornali che ritraevano Bill e Lisbeth a
cena, da diverse angolazioni. Notando che Lisbeth lo stava osservando
di sottecchi, il ragazzo disse “Dunque sei fidanzata con quel
tizio dei Tokio Hotel?”
“No” disse lei, pentendosi immediatamente di quella
risposta così schietta
“Cioè… usciamo. Fidanzato è
una definizione azzardata”
“Pensavo fosse una ragazza quando l’ho visto per la
prima volta in TV” ammise lui
A Lisbeth, sul subito, quel commento diede fastidio. Non poteva dire di
conoscere Bill ma il ragazzo, durante il ritorno in auto dalla loro
prima cena assieme le aveva detto che, spesso, era stato scambiato per
una ragazza e che, i primi tempi, la cosa lo aveva fatto soffrire
specie perché gli ricordava sempre i tempi della scuola,
quando il suo soprannome era “femminuccia”.
“Ho spaccato un sacco di nasi, all’epoca”
le aveva detto il ragazzo “Non mi piaceva picchiare gli altri
ma quando è troppo è troppo!”
Lisbeth gli aveva fatto una carezza, istintivamente, e per risollevare
il morale del suo nuovo amico se ne era uscita con una battuta che
aveva fatto ridere Bill per dieci minuti “No cazzo, Bill!
Chissà quante volte ti sarai rotto le unghie!”
Per questo motivo la considerazione di Matthias la infastidì
“E’ un bellissimo ragazzo” disse, piccata
“Scusa, non era una critica la mia. Non metto in dubbio la
sua bellezza, dico solo che è molto femminile”
Lisbeth si accorse che il volto di Matthias era diventato completamente
rosso, proprio come un pomodoro maturo, e moderò il tono
della voce “No, scusami tu. E’ che mi da fastidio
sentir parlare male di lui. Ha passato un brutto periodo, ha bisogno di
affetto. E io…”
“Scusa, ho detto una sciocchezza. Mi dispiace”
“Nessun problema. Ora scusami ma sono di fretta, ho un
appuntamento e…” si interruppe, non sapendo per
quale motivo si fosse sentita in dovere di precisare il fatto di avere
un appuntamento
“Ci vediamo domani” mormorò Matthias,
sorridendole “E scusami ancora per prima”
Lisbeth fece un cenno con la testa che voleva dire tutto e, forse,
niente e lo guardò mentre usciva dal suo camerino.
**
“Non hai fame? Hai lasciato lì quasi
tutto”
Beth e Bill sedevano ad un tavolo appartato in un ristorante di modeste
dimensioni, alla periferia di Berlino. La zona era tranquilla, ancora
non era spuntato nessun paparazzo e i due ragazzi potevano
chiacchierare senza il timore di essere disturbati in ogni momento.
“Pensavo a Lou” mentì Lisbeth.
La prima bugia detta a Bill. Senza nemmeno sapere perché, si
sentì in colpa. Avrebbe anche potuto confidargli di Matthias
e di come, alla sua vista, il suo cuore avesse cominciato a battere
più forte ma temeva di far arrabbiare il ragazzo o di
preoccuparlo inutilmente. Del resto, lei stessa sapeva che, per almeno
un anno, non avrebbe potuto innamorarsi di qualcuno. Doveva mantener
fede alla parola data e anche se il loro accordo poteva essere
interrotto nel momento in cui lei non si fosse sentita più a
suo agio, l’idea di lasciare Bill da solo la faceva star
male. Lo conosceva da pochissimo ma lo sguardo sincero e, nello stesso
tempo, bisognoso di protezione di Bill la stordiva. Si sentiva in
dovere di stargli accanto e parlargli di Matthias l’avrebbe
solo messo in agitazione.
“Non devi preoccuparti, te la caverai benissimo anche da
sola”
“Non è questo il punto. Lui mi mancherà
tanto…”
“Beth, non sparirà dalla tua vita. Lo vedrai di
meno ma ci sarà sempre. Lo sostituirà qualcuno
sul lavoro?” chiese, portandosi alla bocca una forchettata di
insalata
“Sì, un tizio” balbettò Beth,
cercando di non arrossire “Me l’ha presentato oggi,
un neo laureato che vuole fare il regista”
“Bene, un ragazzo giovane dunque! Ti troverai sicuramente
bene con lui” sorrise Bill, del tutto ignaro dei sentimenti
di Beth per Matthias
“Speriamo…”
“Ma adesso mangia qualcosa! Altrimenti non ci muoviamo da
qui!” chiosò Bill, serio “Non puoi non
cenare!”
“Sì mamma” scherzò Beth,
sbocconcellando del pane. Dopo qualche istante di silenzio, interrotto
solo dal suono di posate e bicchieri che tintinnavano, Lisbeth
fissò il cantante e chiese “Se durante questo anno
ti innamorassi di una ragazza, che faresti?”
“Ti sei innamorata di qualcuno?”
“Non si risponde ad una domanda con una domanda, Bill! E
comunque no, ero solo curiosa di saperlo…”
“Non lo so, difficile dirlo. Probabilmente interromperei
l’accordo. Non avrebbe senso continuare. Ma non credo
succederà, non ho intenzione di mettermi a cercare
l’anima gemella in questo momento”
“E se la incontrassi senza cercarla?”
“Non lo so. Sicuramente ne parlerei con
te…”
“Capito. Senti, io non riesco a mangiare altro quindi che ne
diresti di andare a rubare qualche film a tuo fratello e farci una
maratona cinematografica? Mi dicevi che Tom ha una collezione immensa
di DVD”
“Ci sto! Ma… sicura che vada tutto bene?”
“Certo Bill”
Si alzarono, Bill pagò il conto come un vero gentiluomo ed
entrambi uscirono dal locale. Prima di attraversare la strada per
raggiungere l’auto, il ragazzo prese la mano di Beth con fare
protettivo e gliela strinse “Mica che finisci sotto una
macchina” ridacchiò lui.
A Beth quel contatto fece tenerezza. E nonostante non provasse per lui
nulla di più che semplice affetto, sapeva che con quella
stretta Bill le stava sussurrando “Non lasciarmi da
solo”.
**
Arrivarono a casa dei gemelli poco dopo le undici di sera. Le luci
erano spente e Bill ipotizzò che il gemello stesse dormendo
“E’ strano, di solito non va a letto
così presto ma è tutto buio. Non facciamo
rumore” sussurrò a Beth, conducendola verso il
salotto.
Arrivarono in salotto ed accesero una lampada dalla luce tenue, poi
Bill aprì un mobiletto posto sotto al televisore che
conteneva una spaventosa collezione di DVD.
“Non ho mai visto una collezione così
fornita” ridacchiò Beth, cercando di non fare
troppo casino “Quanti anni ci sono voluti?”
“Non tanti, a dire il vero. Molti ci sono stati
regalati… e quando siamo in tour ne guardiamo a bizzeffe.
Ognuno di noi ne compra qualcuno e Tom è il custode
ufficiale” rise Bill “Li tiene tutti lui anche
perché è un vero patito. Se ne rovinassimo
qualcuno, non me lo perdonerebbe mai!”
“Cosa guardiamo?” chiese Beth, sfiorando con la
punta di un dito le custodie ordinatamente riposte “Qualcosa
con Johnny Depp, magari…”
“Anche io sono un fan di Depp! E’ strepitoso,
vero?”
“Quando riuscirò ad avere il MIO programma
televisivo, lo inviterò sicuramente! A costo di indire uno
sciopero della fame per convincerlo” ridacchiò
“Hai mai visto 2012?” chiese Bill
“No. Ma ho sentito dire che è bellissimo”
“Io l’ho visto un sacco di volte ma non mi stanco
mai. Ti va di guardarlo?”
“Aggiudicato”
Bill afferrò il DVD del noto film e, sempre cercando di fare
poco rumore, si alzò e scortò Beth fino al piano
di sotto.
Durante il giro della casa che i gemelli le avevano fatto fare qualche
giorno prima, Beth aveva visto anche la stanza al piano interrato, una
specie di sala prove/taverna/sala giochi, che i ragazzi usavano per
rilassarsi con gli amici o per strimpellare qualche nota.
Non appena Bill aprì la porta ed accese la luce,
però, si udirono un grido stridulo ed
un’imprecazione e, in rapida successione, Beth e Bill videro:
una ragazza nuda, un ragazzo seminudo con un cuscino a coprirgli le
parti basse, un ammasso di vestiti, scarpe, bottiglie di birra e
confezioni di patatine sparse sul pavimento e un posacenere colmo di
sigarette.
Il gemello più piccolo si affrettò a richiudere
la porta e, rosso in volto ma impossibilitato a trattenere le risate,
disse: “Forse è meglio se il DVD ce lo guardiamo a
casa tua!”
* Faithfully - Journey
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Capitolo 10 *** Trying to forget you is just a waste of time ***
10. Trying to forget you is
just a waste of time
“Ti avverto subito che casa mia non è ordinata
come la tua” disse Lisbeth, aprendo la porta di casa con un
mazzo di chiavi al quale erano attaccati numerosi gingilli.
Era la prima volta che faceva entrare Bill in casa sua e, inizialmente,
si vergognò del macello che la governava, fino a quando non
vide l’espressione sorridente del ragazzo.
Il tavolino della sala era colmo di giornali, riviste e libri. Inoltre,
sopra vi era appoggiato il suo computer portatile e il cellulare che
usava per lavoro. Sul divano c’erano una bottiglia
d’acqua mezza vuota e un pacchetto di patatine. Sulla
poltrona, accanto al divano, Lisbeth aveva lasciato un reggiseno, un
paio di pantaloni e un maglione. In cucina, alla quale si accedeva
direttamente dalla sala, separate solo da una porta scorrevole che in
quel momento era aperta, c’erano ancora i piatti sporchi
della sera prima e il fornello ospitava una padella ed una pirofila
incrostata.
“Non ho la governante e non sono molto ordinata”
disse la ragazza, togliendo i panni dalla poltrona e gettando, al loro
posto, la borsa
“Non ti preoccupare. Se non avessimo una domestica anche casa
nostra sarebbe così” ridacchiò Bill,
sedendosi sul divano
“Scusami, è davvero un macello qui”
“Stai tranquilla Beth, non mi scandalizzo! Vedessi che
disastro la mia stanza quando la domestica ha il giorno
libero!”
“Aspetta, porto questa roba in camera e arrivo”
disse Beth, sgattaiolando via. Tornò poco dopo e chiese al
ragazzo se desiderasse qualcosa da bere “Ho della birra al
fresco anche se a me non piace. La tengo perché Ingrid la
beve. Ne vuoi una?”
Bill accettò e poco dopo i due si trovarono seduti uno
accanto all’altra sul divano, Bill con in mano una bottiglia
di Heineken e Lisbeth con un bicchiere di aranciata.
“Tuo fratello si arrabbierà per
l’inconveniente di stasera?” chiese la ragazza,
sorseggiando dal suo bicchiere l’aranciata fresca
“Probabile che mi terrà il broncio per qualche
minuto” ridacchiò Bill “Più
che altro perché mi dirà che avrei dovuto
bussare”
“Ma come facevi a saperlo?”
“Mi aveva accennato qualcosa… ma mi sono
scordato!”
Beth rise e Bill continuò “Prima di uscire mi ha
detto che sarebbe passato Zara a trovarlo ma l’ho scordato.
Zara è la sua migliore amica di letto, in pratica”
“Cioè?”
“Quando siamo a casa, passa spesso a trovarlo.
L’abbiamo conosciuta quando abbiamo cominciato ad esibirci
come Tokio Hotel, lavora in un locale di Berlino. Lei e Tom hanno una
visione molto simile della vita quindi vanno
d’accordo”
“Perché non hanno una relazione stabile,
allora?”
“Entrambi, secondo me, hanno paura di impegnarsi. Ma quando
siamo in tour lui la chiama spesso e lei fa lo stesso. Credo che lui
sia innamorato ma non lo dice”
“Che carino!”
“Insomma…” sbuffò Bill,
bevendo un sorso di birra “Quando si innamora diventa pazzo.
E’ isterico, nervoso, insulta tutti per
niente…”
“Di solito gli innamorati non sono sempre felici, con la
testa fra le nuvole, gentili?” chiese la ragazza, ridendo
“Di solito. Ma stiamo parlando di Tom. Tom Kaulitz. Occhi
scuri, treccine nere, testa di cazzo. Conosci?”
ridacchiò Bill
“Non molto bene ma ho sentito parlare di lui”
rispose Beth, stando al gioco
“Beh, ma lasciamo stare Tom e la sua vita sentimentale. Se
sapesse che te ne ho parlato, mi terrebbe il muso per giorni. Guardiamo
il film?”
“Certo” e, nel dirlo, Lisbeht si alzò e
si diresse alla TV. Lo sguardo le cadde sul tavolo, dove teneva il
cellulare “di lavoro” e notò la
schermata che diceva “Un nuovo messaggio ricevuto”.
Lo lesse e imprecò sottovoce. Il messaggio diceva solo
“Ho chiesto il tuo numero a Lou. Mi ha dato questo. Ti va di
uscire con me domani sera? Matthias”
“Tutto ok?” chiese Bill, notando la sua espressione
cupa
“Sì, tutto ok. Questioni di lavoro”
rispose, cancellando il messaggio e spegnendo il telefono. Sforzandosi
di sorridere, inserì il DVD nell’apposito lettore
e tornò a sedersi accanto al cantante.
“Domani sera volevo portarti in un posto
particolare” le disse Bill, prima che il film cominciasse
“Domani… domani sera?”
balbettò Beth, arrossendo
“Hai impegni?”
“No. Cioè, sì. Insomma, non lo
so”
“Sicura che vada tutto bene?”
“Forse domani sera ho una cena di lavoro”
mentì, desiderando poi strapparsi la lingua a morsi per la
rabbia
“Ah, capito. Beh, mi farai sapere. Ora guardiamo il
film” concluse il ragazzo, rivolgendole un gran sorriso
Beth annuì e, continuando ad imprecare mentalmente,
allungò le gambe sul tavolino e tentò di
concentrarsi sul film.
**
Beth si svegliò di buonumore. La sera prima era stata molto
bene con Bill e si era perfino scordata di Matthias e del suo
messaggio. Ma quando arrivò agli studi, nel primo
pomeriggio, per la puntata di “Kinder” e lo vide,
non potè far finta di nulla. Il ragazzo le si
avvicinò e, sorridendo, chiese “Hai letto il mio
messaggio, ieri sera?”
“Sì” rispose Beth, arrossendo
“Non ti ho risposto perché non avevo
soldi”
“Suona un po’ banale come scusa, no?”
ridacchiò il ragazzo, guardandola dritta negli occhi
“Ero con Bill” sussurrò Lisbeth,
sentendosi improvvisamente nuda e in profondo imbarazzo
“Beh, bastava dirlo. Non voglio di certo mettermi fra di voi.
Ma, dal momento che mi hai detto che non è il tuo fidanzato
e che lavoreremo assieme, mi avrebbe fatto piacere conoscerti
meglio”
“Bill non è il mio fidanzato. Usciamo assieme da
poco, ci stiamo conoscendo” mormorò, sentendosi in
dovere di giustificar il suo rapporto con il cantante
“Non mi devi giustificazioni, Lisbeth. Ti ho solo chiesto di
uscire e tu mi hai risposto”
“Possiamo parlarne in un altro momento e in un altro
luogo?” chiese la ragazza
“Tipo questa sera a cena?” ci riprovò
Matthias, sorridendo in maniera disarmante
“Ok. Ma preferirei non andare in qualche locale. Sai
no… i fotografi…”
“A casa mia alle otto potrebbe andare?”
“Va bene”
Poi la truccatrice la chiamò, i tecnici cominciarono a
sistemare le luci e Beth si perse nel suo lavoro, senza rendersi
pienamente conto di ciò che era appena successo.
Al termine della trasmissione, Ingrid si catapultò nel suo
camerino con aria sognante “Piccola, domani sera
debutti!”
“Scusa?” chiese Lisbeth
“Domani sera i Tokio Hotel sono stati invitati alla prima dl
film di Michael Kessler e tu sarai accanto a Bill! Kessler è
amico di ragazzi, si sono conosciuti agli sordi, nel corso di una
trasmissione in cui erano ospiti. Li ha invitati ad assistere alla
prima del suo nuovo film comico. Io e David abbiamo deciso di farvi
uscir allo scoperto proprio domani. Quale miglior occasione?”
“Ma… insomma, io dovrei starmene lì in
mezzo a loro quattro come una deficiente?”
“Tom, Gustav e Georg vi procederanno di qualche passo. Tu e
Bill starete dietro. Sfilerete sul tappeto rosso, sorrisi, autografi,
risponderete alle domande e reciterete la part degli innamorati felici.
Ho già pensato a tutto: abito, trucco, acconciatura. La limo
verrà a prenderti domani sera alle otto, Bill
sarà già a bordo con gli altri. Tutto chiaro?
Alle sette sarò da te con il team”
“E il vestito?”
“Domani mattina ti mostrerò alcuni modelli che ho
scelto per te, deciderai tu quale indossare”
“D’accordo” mormorò la
ragazza, pensando a Bill e a come avrebbe reagito alla notizia. Si
trattava della sua prima vera e propria uscita dopo il sesto ricovero.
Poi aggiunse “Bill lo sa già?”
“Suppongo che David glielo stia dicendo proprio ora”
“Ottimo. Ci vediamo domani, dunque. Ora vorrei andare a casa,
ho da fare e voglio sentire Bill”
“Ah Beth”la fermò Ingrid “Ho
visto che il nuovo assistente di scena ti ronza attorno. Vedi di non
fare cazzate” disse, seria. Poi uscì dal camerino,
lasciando Beth sola e con mille domande alle quali non sapeva
rispondere.
*Baby come back - Player
**
Grazie di cuore per i commenti. Grazie, davvero.
|
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Capitolo 11 *** I'm on fire ***
11. I’m on fire
Una volta sola in camerino, Lisbeth chiamò Bill. Il ragazzo
rispose subito, quasi come se stesse aspettando quella chiamata
“Beth! Ti avrei chiamato io!”
“Hai parlato con Jost?” chiese la ragazza
“Sì. Immagino tu abbia parlato con
Ingrid”
“Esatto. Cosa ne pensi?”
“Ho paura” mormorò il ragazzo
“Sono terrorizzato, cazzo. La prima uscita pubblica da mesi.
Cazzo”
“Ascolta, prima o poi andava fatto, no? Andrà
tutto bene, ci sono io con te” rispose Beth, ostentando una
sicurezza che era ben lungi dal provare
“Stasera ci vediamo per fare le prove?” chiese il
ragazzo, ridacchiando “Volevo studiare il modo in cui
tenerti, che ne so, sottobraccio o…”
“Stasera non posso” lo interruppe Beth
“Sono a cena da Lou” mentì
“Capisco… beh, non importa,
improvviseremo” farfugliò, deluso
“Mi spiace, gliel’avevo promesso ancora prima di
sapere di domani”
“Stai tranquilla, non è un problema”
Poi si salutarono e Beth tornò a casa.
**
Matthias l’aspettava sulla porta. Indossava una camicia a
quadri bianchi e neri, che portava con le maniche rimboccate ed aperta,
lasciando così in evidenza la maglietta nera sotto. Un paio
di jeans sdruciti e delle Converse nere completavano
l’abbigliamento casual. La ragazza arrossì quando
la invitò ad accomodarsi e, imbarazzata, si chiese quanto
tempo sarebbe passato prima che lui si accorgesse della sua palese
cotta.
“Vieni, ho apparecchiato in sala” disse il ragazzo,
scortandola nel salone
“Che sala meravigliosa” mormorò Beth,
guardandosi attorno “Vivi qui da solo?”
“No, vivo con i miei genitori. Ora sono in viaggio, hanno
deciso di fare una specie di seconda luna di miele”
“Che bello” rispose lei, sorridendo “Una
cosa davvero romantica”
“Sei romantica?” le domandò, facendola
sedere e versandole del vino
“Dipende”
“Attualmente ti senti romantica?” chiese, ammiccando
“Attualmente mi sento affamata”
Matthias rise, poi sparì in cucina e tornò con
una vassoio sul quale troneggiavano due piatti colmi di lasagne appena
sfornate. Il profumo era invitante e lo stomaco di Beth
brontolò.
“Eccoti accontentata” disse il ragazzo, posando i
piatti sul tavolo e sedendosi di fronte a lei
“Ma… hai fatto tutto tu?”
“Ti starei più simpatico se dicessi di
sì?”
“Ma tu mi stai già simpatico”
“A volte ho l’impressione di starti
irrimediabilmente sulle palle” ammise il ragazzo, mangiando
una forchettata di lasagna “Anche questo invito, ho avuto
l’impressione che tu lo abbia accettato solo per farmi un
piacere e non perché lo volessi davvero”
“No. No, ti sbagli” balbettò lei,
arrossendo “Mi spiace averti dato questa impressione ma,
credimi, non è affatto così. Proprio per
niente” disse, osservando le mani del ragazzo che
accarezzavano il bordo del bicchiere. Mani grandi, con le dita lunghe e
snelle. Mani che Beth, per un istante, immaginò sulla sua
schiena.
“Bene. Perché tu mi piaci. Cioè,
insomma, mi piaci in tutti i sensi” e, prima che Beth potesse
parlare, aggiunse “So che ti vedi con quel cantante e non
voglio interferire ma… volevo solo dirtelo”
“Non mi conosci nemmeno” balbettò lei,
mentre il cuore sembrava scoppiarle in petto
“Vero, e vorrei poterti conoscere meglio”
Per qualche istante nessuno proferì parola. Mangiarono le
lasagne, bevvero qualche sorso di vino e, poco dopo, ripresero a
chiacchierare fingendo che non fosse successo nulla. Al termine della
cena, Lisbeth aiutò Matthias a sparecchiare e poi, entrambi,
tornarono in salotto. Matthias attizzò il fuoco nel
caminetto e abbassò le luci “La luce del camino
illumina l’intera stanza” disse, sedendosi sul
morbido divano bianco accanto a Lisbeth “Mi piace tenere le
luci basse o, addirittura, spegnerle e lasciare che il fuoco rischiari
la stanza”
“Adoro i camini ma nel mio appartamento non ho spazio per
metterlo. Oltretutto sono in affitto ma se mai potrò
disporre di una casa tutta mia, il camino ci sarà
sicuramente”
“Ho dato il mio primo bacio davanti a questo
camino” raccontò il ragazzo, sorridendo, mentre un
ciuffo di capelli ribelle gli scivolò sulla fronte
“Avevo 15 anni, lei era una mia compagna di classe. Era da me
a fare i compiti, l’aiutavo con la matematica. Eravamo seduti
lì” disse, indicando il tappeto “Sapevo
di piacerle e lei piaceva a me. Ricordo di aver allungato una mano a
sfiorarle il viso. Poi mi sono avvicinato e ho sbattuto il naso contro
il suo” Lisbeth ridacchiò, mentre il cuore
continuava a batterle furiosamente in petto e Matthias
proseguì “Fino a che non ho trovato le labbra.
Eravamo impacciatissimi, saliva dappertutto” disse, ridendo
“ma dopo qualche prova è diventato tutto
più naturale. E’ stato bello. Per quasi due anni
siamo stati inseparabili, poi è finita. Eravamo
giovanissimi, le cose cambiano. E tu?” chiese, voltando la
testa verso Beth “quando hai dato il …”
ma non fece in tempo a terminare la domanda perché si
ritrovò le labbra di Lisbeth premute contro le sue.
Labbra che, pochi istanti dopo, si dischiusero dando il via ad un lungo
bacio.
Lisbeth infilò le mani sotto la sua camicia, cosa che aveva
desiderato fare dal primo momento in cui aveva messo piede in casa, e
gli accarezzò il petto e la schiena mentre Matthias le
teneva il viso fra le mani, come se avesse timore di farsela scappare,
come se potesse scivolare via.
Quando lui, istintivamente, le lasciò il viso e
cercò la sua schiena, sotto alla maglia, la ragazza si
ritrasse “Basta” disse, spostandosi di qualche
centimetro da lui, combattuta tra la voglia di lasciarsi andare a
quelle carezze e il senso di responsabilità
“Scusa” disse lui, la voce roca
“Non chiedermi scusa, ho fatto tutto io” rispose
Beth, sistemandosi i capelli e cercando di controllare i battiti del
suo cuore “Mi dispiace”
“A me no” ammise, con un mezzo sorriso, il ragazzo
“Anzi, se proprio devo essere onesto, non vedevo
l’ora”
“Devo andare via” disse lei in un soffio ma,
anziché alzarsi immediatamente ed uscire da quella casa, si
voltò a guardarlo in viso ancora una volta e quegli occhi la
ipnotizzarono di nuovo, tanto che in meno di un secondo si
ritrovò fra le sue braccia, dimenticandosi di tutto.
Rotolarono sul tappeto e si amarono, i corpi nudi illuminati dalle
fiamme del camino che scoppiettava.
*I'm on fire - Bruce Springsteen
**
Cami, avevo intuito fossi tu *_*
Grazie, grazie davvero a tutte per i commenti!
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Capitolo 12 *** I can't sleep until I devour you ***
12. I can’t sleep
until I devour you
Una pesante coperta a scacchi copriva i loro corpi nudi mentre Lisbeth,
poggiata al petto di Matthias, faceva le fusa come una gattina. Il
ragazzo le accarezzava la spalla nuda, con movimenti lenti e melliflui.
Lisbeth assaporava quel momento come si assapora un dolce tanto
agognato. Non ricordava nemmeno più l’ultima volta
in cui si era accoccolata accanto ad un ragazzo, dopo
l’amore. Probabilmente l’ultimo era stato Gregor,
il suo ex fidanzato, con il quale aveva rotto due anni prima dopo un
anno di amore folle.
Matthias la stava facendo sentire unica e speciale, sensazione che ogni
donna sulla faccia della Terra (e forse anche oltre) sogna di provare
almeno una volta in tutta la sua vita.
“A cosa stai pensando?” chiese il ragazzo,
sfiorandole una guancia
“Pensavo all’ultima volta in cui mi sono trovata in
una situazione simile” ammise, sorridendo
“Cioè?”
“Credo siano passati almeno due anni”
“Non vai a letto con nessuno da due anni, quindi?”
chiese Matthias, incuriosito
“Esatto. Non mi piace andare a letto con qualcuno solo
perché non ho nulla da fare”
“Questo mi porta a dedurre con non sei mai stata a letto con
Bill Kaulitz, dunque”
“Ti ho detto che stiamo uscendo assieme da poco. Non siamo
mai andati a letto assieme” disse
“Cosa hai intenzione di fare, adesso?”
domandò Matthias, mettendosi a sedere
Lisbeth fece lo stesso, esponendo la schiena nuda ai caldi raggi del
camino, e rispose “Non lo so. Non sarei dovuta venire a letto
con te. E’ stata una debolezza ma ti giuro che non
l’ho fatto per togliermi uno sfizio. Mi piaci davvero ma la
situazione è complicata. Non ti piacerebbe sapere
quanto”
“Ammetto che sarei geloso all’ennesima potenza se
continuassi ad uscire con lui”
“Lui mi piace, Matthias. Ho cominciato ad uscire con lui
prima di conoscerti e mi sono affezionata a quel ragazzo. E’
speciale. Poi sei arrivato tu e, attualmente, sono davvero
confusa”
“Puoi prenderti tutto il tempo che ti serve ma vorrei
prendessi una decisione in merito. Per natura sono monogamo. Non amo
dividermi fra più donne e non amo nemmeno che la donna che
amo si divida fra più uomini. La poligamia non fa per me,
sono estremamente fedele”
“E’ una specie di dichiarazione, questa?”
“Ti ho invitata a casa mia, ti ho offerto la cena, ho fatto
l’amore con te… beh sì, direi che si
tratta di una dichiarazione”
“Non ho mai fatto sesso con nessuno al primo appuntamento.
Mai. E’ una specie di regola. Anche questo particolare mi
confonde” disse Beth, arrossendo “Ieri sera, detto
onestamente, non ho potuto farne a meno. Desideravo farlo, ho cercato
di impedirmelo ma non ne sono stata capace. E’ come se il tuo
corpo emettesse un invisibile richiamo”
“Suonerà banale e decisamente scontato, ma io ho
desiderato la stessa cosa fin da quando ti ho vista, per la prima
volta, stravaccata sulla poltrona del tuo camerino. Non chiedermi
perché, non saprei risponderti. So solo che una cosa simile
mi è successa davvero raramente”
“A me mai, credimi. Qualche anno fa avevo un fidanzato, ero
davvero innamoratissima di lui. Però non ho provato le
stesse sensazioni quando l’ho conosciuto. Mi piaceva, certo.
Mi ha colpita immediatamente ma non così. Tu mi
hai… insomma… sono stata prepotentemente attratta
da te, anche a livello…” si bloccò, poi
farfugliò qualcosa di incomprensibile che Matthias non
capì
“Cosa?” chiese, quindi, anche se aveva intuito il
nocciolo della questione
“A livello sessuale” ammise la ragazza, diventando
bordeaux in volto
Il ragazzo sorrise e, sfiorandole il mento, la baciò
“Nessuna ragazza è mai stata così
diretta” disse, prima di farla stendere nuovamente sul
morbido tappeto.
**
“Se non risponde entro cinque minuti, sei autorizzato ad
andare da lei, scardinare la porta e portarmela qui! Nuda, vestita,
mezza nuda, mezza vestita, non mi interessa! Cazzo!”
Ingrid sbraitava addosso al suo assistente, passeggiando nervosamente
avanti e indietro nel camerino di Beth. La ragazza avrebbe dovuto
essere lì da mezz’ora, per scegliere il vestito da
indossare quella sera, alla prima del film, e stabilire altri
particolari di massima importanza.
Al decimo tentativo, Lisbeth rispose e Ingrid urlò
“Dove sei?”
“Sono in auto, sto arrivando”
“Ringrazia che non ho mandato i pompieri a scardinarti la
porta di casa! E’ tardi, cazzo! Dovevi essere qui
mezz’ora fa! Sai quante cose dobbiamo fare, lo sai? Spero tu
abbia una spiegazione valida da fornirmi!”
Lisbeth bofonchiò qualcosa e interruppe la comunicazione.
Matthias la guardava ridendo, con gli occhi ancora impastati di sonno.
“Avevi un impegno?”
“Sì,cazzo. Sì”
“Mi spiace averti fatto tardare” mormorò
il ragazzo, sporgendosi verso di lei e baciandola. Cercò di
cingerle la vita con le mani, per farla sdraiare nuovamente sul letto
sul quale si erano spostati nel corso della lunga notte
d’amore, ma la ragazza si divincolò
“Sono in ritardo, se non mi presento agli studi tra meno di
cinque minuti sono finita”
“Devi registrare qualcosa?”
“No, ho una riunione con Ingrid”
“Questa sera ti rivedrò?”
“Ecco…” esordì Beth
“Questa sera… questa sera accompagno Bill ad una
prima” zittì qualche attimo, per aspettare la
risposta di Matthias, ma quando si accorse che il ragazzo non era
intenzionato a parlare, aggiunse “Ti prego, dì
qualcosa”
“Qualcosa” disse lui, piano
“Matthias, per favore. Ti spiegherò tutto, te lo
prometto”
“Io sono qui, Lisbeth. Ma ti scongiuro di non prendermi per
il culo. Sarei costretto a riconsiderare la mia opinione sul tuo conto,
altrimenti”
“Ti spiegherò tutto domani, te lo
prometto” e così dicendo, corse fuori dalla stanza.
**
“Cinquanta minuti Lisbeth! Cinquanta minuti di ritardo! Ti
rendi conto?” sbraitò Ingrid, quando la ragazza
varcò la soglia del camerino, trafelata e rossa in volto sia
per la corsa che per l’imbarazzo
“Mi dispiace, mi dispiace tanto”
“Si può sapere dove cazzo ti eri
cacciata?”
“Sono rimasta addormentata! Ho dimenticato di puntare la
sveglia e non ho sentito il cellulare”
“Sì va bene, non voglio indagare oltre. Guarda
questi vestiti e scegli quello che preferisci, in fretta
possibilmente”
Lisbeth osservò i tre vestiti indosso ai manichini al centro
del camerino. Erano tutti meravigliosi e Lisbeth si sforzò
di scegliere il più velocemente possibile. Dei tre, uno era
rosa antico e, nonostante fosse un abito eccezionale, decise di
scartarlo per primo. Si concentrò sui due abiti neri che le
stavano di fronte, uno di Vivienne Westwood e l’altro di
Roberto Cavalli.
Dopo qualche minuto, optò per l’abito della
stilista inglese e lo provò. Era un vestito medio lungo, la
gonna a palloncino arrivava appena sotto al ginocchio e il corpetto
stretto e senza maniche la fasciava alla perfezione. A completare
l’opera, un leggero copri spalle con le maniche a tre quarti
e un paio di scarpe dal tacco vertiginoso.
“In questo modo tu e Bill sarete più
bilanciati” disse Ingrid, aiutandola ad infilarsi le scarpe.
La ragazza fece una breve sfilata di prova e raccolse i complimenti di
Ingrid e dell’assistente, poi la manager aggiunse
“Dunque, ora ti dico cosa dovrai fare. Tra due ore inizia la
puntata del tuo show, fino ad allora ti rilassi, magari ti fai una
bella maschera facciale. Quando hai finito la puntata vai a casa, ti
fai un bagno, ti lavi i capelli ma senza asciugarli e aspetti. In dieci
minuti sarò da te con il team. Ti faranno la piega, ti
truccheranno, ti vestiranno e poi arriverà la limo a
prenderti. Non dire nulla di che, fai parlare Bill, lui ha il copione.
Se ti fanno qualche domanda sul tappeto rosso, sii vaga oppure ascolta
ciò che dice Bill e ripetilo. Evita di fornire particolari
dei quali, in seguito, potremmo scordarci. In fondo la storia
è semplice: vi siete conosciuti grazie ad amici comuni e
innamorati, fine. Tu sei felice, lui è felice, evviva
evviva” concluse, agitando le mani e dirigendosi alla porta
“Tutto chiaro?”
“Tutto chiaro” ripeté Lisbeth, mesta.
Poi sfilò scarpe e vestito e si buttò sulla
poltrona in mutande e reggiseno.
Sì, la situazione era decisamente complicata.
*Devour - Marilyn Manson
**
Vorrei ringraziare
particolarmente Cami e Ninfa per i commenti e Vale e Jada
perchè so che ci sono! ^^
Kate
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Capitolo 13 *** Is someone getting the best, the best, the best, the best of you? ***
13. Is someone
getting the best, the best, the best, the best of you?
Bill aspettava Lisbeth, sulla limousine, giocherellando nervosamente
con la lunga collana che aveva al collo. David gli aveva spiegato, nei
dettagli, tutto ciò che avrebbe dovuto dire alla stampa nel
momento in cui li avessero visti assieme.
I suoi compagni chiacchieravano, cercando di stemperare la tensione,
mentre lui ripassava mentalmente il copione. Lui e Lisbeth si erano
conosciuti qualche mese prima del suo ultimo ricovero, grazie ad amici
comuni. Non erano mai usciti assieme ma lei gli era stata accanto
quando era stato dimesso e, in quei giorni, avevano capito di piacersi.
Erano usciti assieme, per la prima volta, la sera in cui i paparazzi li
avevano beccati al ristorante e, da quel giorno, si erano frequentati
assiduamente. Sì, lei gli aveva salvato a vita.
Sì, era innamorato. Sì, sperava di tornare presto
a fare musica ed era certo che, grazie anche al sostegno di Lisbeth, ce
l’avrebbe fatta.
Non era sicuro di saper mentire così bene ma sapeva che, in
fondo, non era tutta una menzogna. A Lisbeth si era affezionato
davvero, le piaceva stare con lei e la considerava una buona amica.
Si riscosse dai suoi pensieri notando del movimento fuori dalla limo e,
guardando dal finestrino, vide comparire la ragazza. La
osservò scendere i pochi scalini dell’ingresso e
notò quanto fosse splendida con quell’abito. I
capelli raccolti a formare una crocchia molle sulla nuca e con qualche
ciocca saggiamente lasciata a penzoloni, il trucco leggero, le movenze
eleganti. Ricordando quanto gli aveva detto Lisbeth circa il suo
abbigliamento preferito, si chiese come si sentisse in quel momento,
con ai piedi delle scarpe che non avevano nulla a che fare con gli
stili da lei preferiti.
L’autista aprì la portiera e la ragazza
salì, accomodandosi accanto a Bill. Quattro paia di occhi
erano puntati su di lei, in adorazione.
“Ciao ragazzi” trillò, sistemando la
gonna “Come va?”
“Bene” risposero, in coro e Bill aggiunse
“Sei bellissima! Quel vestito è
fantastico”
“Grazie. Anche voi siete bellissimi” sorrise Beth
La macchina partì e, per i seguenti quindici minuti, tanto
durò il viaggio, nessuno proferì parola. Tutti
pensavano, anche se per motivi diversi, al momento in cui avrebbero
calcato il tappeto rosso. Era passato un anno dall’ultima
volta che era successo e il nervosismo si era impossessato,
prepotentemente, di loro.
Arrivati alla meta, l’autista scese dall’auto e
aprì loro la portiera. Tom fu il primo a scendere, seguito
da Gustav e da Georg. I flash delle macchine fotografiche si
riflettevano sui vetri della macchina. Bill scese dall’auto,
poi si voltò a guardare Lisbeth ancora seduta e, allungando
una mano, le disse “Coraggio, andiamo”
Quando la nuova coppia del momento iniziò a camminare in
direzione del tappeto rosso, i fotografi impazzirono. Le macchine
scattavano incessantemente e i fotografi cominciarono a chiamare i loro
nomi quando Bill, con scioltezza, afferrò la mano di Beth.
Si trovarono in mezzo alla passerella, circondati da fan, giornalisti e
fotografi urlanti. Tom, Gustav e Georg posavano, per delle foto,
qualche metro avanti a loro mentre una donna sui 50 anni, ben vestita e
pettinata, si avvicinò alla coppia con un microfono in mano
“Ciao Bill, ciao Lisbeth” trillò,
sorridendo. I due la riconobbero, era una nota giornalista di un
altrettanto noto programma di gossip. Lisbeth strinse la mano del
cantante e lui ricambiò la stretta, in segno di
solidarietà.
La donna continuò “Come state?”
“Molto bene” rispose lui, sfoderando uno dei suoi
sorrisi a trentadue denti
“Quindi ciò che si mormorava da tempo è
vero. Finalmente uno dei nostri scapoli d’oro si è
accasato!” disse, con fare professionale
Bill rise e disse “Beh, sì. Possiamo dire di
sì”
“Come vi siete conosciuti? Avanti, dicci di
più!” lo incalzò la donna
“Siamo stati presentati da amici comuni ma abbiamo cominciato
ad uscire insieme solo diverso tempo dopo. Lei mi è stata
accanto in momenti difficili”
“Lisbeth, come descriveresti Bill in una sola
parola?” domandò la giornalista, porgendo il
microfono a Lisbeth.
La ragazza guardò Bill, sorrise dolcemente e, senza indugi,
disse “Unico”. La giornalista non fece in tempo a
porgere nuove domande alla coppia perché la folla di
paparazzi assiepata oltre le transenne cominciò ad urlare i
loro nomi a gran voce, chiedendo un bacio da immortalare.
Bill, colto alla sprovvista, strinse la mano di Beth e la
guardò per qualche istante. I fotografi continuavano a
reclamare un bacio da far comparire sui giornali del Mondo intero.
Lisbeth arrossì, ricambiò la stretta e quando
Bill le cinse un fianco e si chinò verso di lei, Beth sporse
le labbra verso di lui e chiuse gli occhi.
Il loro primo bacio. Il loro vero e proprio primo bacio.
**
Mathias scaraventò il telecomando oltre la sala, gesto
seguito da un’imprecazione della durata di circa quaranta
secondi.
Non era stato tanto il bacio in sé a ferirlo, quanto il
fatto che Lisbeth gli avesse mentito. Gli aveva detto che non
c’era nulla fra loro ma, da quel che aveva appena visto e
sentito, pareva l’esatto contrario.
Due amici non si sarebbero mai tenuti per mano in quel modo, non si
sarebbero scambiati sguardi languidi né avrebbero pomiciato
di fronte a mezzo Mondo.
Lisbeth gli aveva mentito e quella consapevolezza lo ferì
profondamente. La sera prima era stato magnificamente con lei. Aveva
quasi creduto di aver trovato quella giusta ma ora desiderava solo
dirle di sparire dalla sua vita, di non chiamarlo più, di
non farsi nemmeno vedere.
D’istinto pensò perfino di licenziarsi, in modo
tale da non essere costretto ad incontrarla tutti i giorni ma quel
lavoro gli serviva e non sarebbe stato semplice trovarne un altro.
Spense la televisione dallo schermo e si accese una sigaretta.
**
Era la prima volta che un tappeto rosso la faceva sentire
così oppressa. Era già stata fotografata,
intervistata, seguita ma mai in quel modo e, in
quell’istante, si rese conto di come il gossip fosse davvero
parte integrante dello showbiz.
Tutti volevano un pezzo di lei e di Bill. Tutti volevano sapere come,
quando e perché si erano innamorati, tutti volevano entrare
a far parte di quella relazione.
E quando Bill l’aveva baciata, tutti erano come impazziti.
Aveva sentito i paparazzi urlare, aveva visto i flash delle macchine
fotografiche raddoppiare, triplicare, quadruplicare…
Quando si erano staccati, Bill le aveva sorriso come a voler dire
“Va tutto bene” ma, in realtà, non
andava così bene.
Un bacio avrebbe dovuto farle provare dei sentimenti sinceri mentre
l’unica cosa a cui aveva pensato quando le labbra del
cantante si erano unite alle sue, era stato Mathias. Aveva sperato che
non vedesse mai quella scena anche se lo riteneva alquanto improbabile.
Dopo aver percorso tutta la passerella e aver incontrato lo sguardo
compiaciuto di David Jost, entrarono nell’edificio che
avrebbe ospitato la prima del film e si accomodarono ai loro posti.
Bill si chinò verso di lei e, in un sussurro, le disse
“Scusami per quel bacio, non era in programma”
“Non importa, va tutto bene” mormorò, di
rimando “Non hai fatto nulla di male. Era solo un
bacio”
“Già” balbettò Bill.
Poi le luci si spensero e il film cominciò.
*Best of you - Foo Fighters
**
Grazie, grazie di cuore
alle mie piscione Cami, Vale ed Esty che commentano sempre <3
E grazie anche a tutte coloro che leggono!
Kate
|
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Capitolo 14 *** Things are better if I stay so long and goodnight... ***
14. Things are better if I stay
so long and goodnight…
Al termine della proiezione, tutti gli invitati si diressero presso il
maestoso hotel “Splendid” dove si sarebbe tenuto il
party. Per tutta la durata del breve viaggio dal cinema
all’hotel parlarono tutti tranne Lisbeth. Aveva acceso il
cellulare sperando di trovarvi un messaggio di Matthias ma il ragazzo
non si era fatto sentire e la cosa la turbava, oltre a farla
leggermente incazzare.
Quando giunsero all’hotel, furono scortati
all’interno da un cordolo di bodyguards mentre i soliti
paparazzi scattavano foto senza sosta. Molti, tra gli invitati,
guardavano Bill come se lo vedessero per la prima volta o come se fosse
tornato da un viaggio oltre i confini del Mondo. Il ragazzo pareva
essere a suo agio in mezzo a quella moltitudine di sguardi,
l’esatto opposto di Lisbeth che, invece, era nervosa ed
agitata. Le mani avevano cominciato a sudarle e quando, scendendo
dall’auto, Bill cercò di afferrargliene una, lei
si ritrasse scusandosi “Sono fradice” disse, a
bassa voce.
Una volta all’interno, quella sensazione di disagio venne
acuita dal gran numero di invitati, stipati uno accanto
all’altro. La musica, che solitamente le piaceva, in quel
momento le dava fastidio e le luci le facevano girare la testa.
Scusandosi con Bill si allontanò cercando un bagno, uno
sgabuzzino, una botola segreta. Insomma, qualsiasi cosa le permettesse
di stare sola per un attimo.
Non trovò botole ma un sontuoso bagno, pulito e profumato.
Vi entrò e chiuse la porta a chiave, noncurante degli altri
ospiti. Si fottessero anche loro, aveva bisogno di starsene da sola per
qualche istante.
Posò la borsetta sul bordo del lavandino di ceramica e si
appoggiò alla parete, lasciandosi scivolare a terra fino a
quando il suo sedere incontrò il pavimento freddo.
Non era stato il bacio in sé a destabilizzarla, quanto quel
conseguente senso di disagio. Si era sentita in colpa, quasi sporca.
Avrebbe dovuto dirlo a Matthias, prima o poi. Sempre che non lo venisse
a sapere dalla televisione. La televisione, cazzo! Erano presenti le
emittenti di tutto il Paese e, solo in quell’istante, si rese
conto che, con molta probabilità, Matthias era
già a conoscenza dell’intera vicenda.
Si alzò e prese il telefono dalla borsetta. Cercò
il numero del ragazzo ed inoltrò la chiamata. Matthias
impiegò diversi istanti per rispondere e quando lo fece, la
sua voce le suonò arrabbiata e scostante.
“Ciao” balbettò lei, non sapendo come
condurre la conversazione
“Ti stai divertendo?” domandò lui,
sarcastico “Beh, che domanda. Ovvio che ti diverti”
“Matthias…”
“Stai tranquilla, non sei di certo la prima stronza che
incontro. Le conosco quelle come te. Avrei dovuto leggertelo in faccia.
Tanto carina e pudica, tanto sobria e gentile. Era ovvio che fosse
tutta una montatura. Sei come le altre, sei
un’approfittatrice”
“Posso spiegarti”
“Cosa? Mi vorresti spiegare il motivo per cui sei venuta a
letto con me mentre, in contemporanea, ti facevi un altro? Oppure mi
vorresti spiegare il motivo per cui mi hai mentito?”
“Non è come sembra, non ti ho mentito”
“Ah no? Mi sembrava di averti visto mentre baciavi il tuo
cantante di fronte all’intero Mondo. Forse ti ho scambiata
per un’altra” commentò, sarcastico
“Possiamo parlarne a tu per tu? Non mi sembra il caso di
affrontare questo discorso al telefono”
“E allora perché cazzo di motivo mi hai
chiamato?” urlò
“Non urlare! Ci sento benissimo”
“Ho voglia di urlare, ti crea problemi?”
“Sì. Mi crea problemi”
“Affari tuoi” concluse, interrompendo la
comunicazione.
Imprecando abbondantemente Lisbeth afferrò la borsetta ed
uscì dal bagno. Doveva trattenere le lacrime, altrimenti le
sarebbe colato il trucco e tutti quanti si sarebbero accorti del suo
stato pietoso.
Una volta in sala cercò Bill con lo sguardo e lo
individuò in mezzo alla folla, intento a parlare con un noto
presentatore televisivo che Lisbeth aveva già conosciuto. Si
avvicinò al ragazzo cercando di sembrare serena e rilassata.
“Eccoti” disse Bill, piazzandole in mano un calice
di champagne “Tieni, l’ho preso per te” e
poi aggiunse “Conosci Klaus?”
“Sì certo” rispose lei, sorridendo
“Ci siamo conosciuti qualche anno fa”
L’uomo le sorrise e la baciò sulle guance
“Sei radiosa, Lisbeth. A quanto pare l’amore ti fa
bene”
“Eh già” ribattè lei
arrossendo, anche se avrebbe voluto mandarlo a fare in culo
“Mi ha fatto piacere rivederti. Ora vi saluto, ragazzi. Mia
moglie mi avrà dato per disperso, in mezzo a questa
bolgia” disse, andandosene
“Tutto bene?” chiese quindi il cantante, una volta
rimasti soli, anche se “soli” in quel momento
suonava più come un eufemismo
“Sì, tutto bene”
“Vuoi andare via?”
“Possiamo?” rispose Beth, gli occhi che
scintillavano ma non per l’emozione
“Certo. Aspetta, cerco i ragazzi. Stai qui, arrivo
subito”
Tornò pochi minuti dopo, la prese per mano e la condusse
fuori. La limousine li stava già aspettando e i due ragazzi
vi salirono in un lampo, rivolgendo i soliti sorrisi di cortesia ai
fotografi.
Finalmente si ritrovarono davvero soli, il vetro divisorio li separava
perfino dall’autista e solo in quel momento Beth si
rilassò. Sospirò profondamente e
scoppiò a piangere.
**
“Vieni, qui staremo tranquilli almeno fino a quando Tom non
tornerà. E, conoscendolo, non tornerà molto
presto” disse Bill, facendola entrare in casa
“Mettiti comoda, se vuoi posso anche trovarti qualcosa da
mettere al posto di quel vestito. E’ una favola ma dubito sia
comodo”
“Non è così scomodo come sembra. Sono
le scarpe che mi stanno massacrando” rispose la ragazza,
tirando su con il naso “Hai un fazzoletto? In questa borsa di
merda non ci sta un cazzo”
In un attimo Bill fu da lei con un foglio di carta assorbente
“Vado a cercati i fazzoletti di carta, intanto usa
questo”
“Grazie” mormorò, sedendosi sul divano e
togliendosi le calze.
Aveva i piedi gonfi e i talloni arrossati, non vedeva l’ora
di poterli immergere nell’acqua calda, magari con del sale
grosso, come le aveva insegnato sua madre, in modo da alleviare il
dolore.
Quando il ragazzo tornò da lei, la trovò
raggomitolata sul divano, il vestito che la ricopriva come una coperta
di lusso.
“Vuoi farti un bagno? Posso darti una maglia di Tom per
cambiarti, sono talmente grosse che sarà come indossare una
camicia da notte”
“No, ti ringrazio. Non voglio disturbare, adesso chiamo un
taxi e torno a casa. Non capisco nemmeno perché ho accettato
di venire qui”
“A dire il vero non te l’ho chiesto. Tu piangevi ed
io ho solo fatto la cosa che mi pareva più ovvia”
“Scusa, sono stata maleducata. Ti ringrazio, davvero. Sei
molto premuroso” disse, sorridendo
“Cosa c’è che non va? Se si tratta di
quel bacio io…”
“No Bill, no. Lascia stare, va tutto bene”
“Non trattarmi come uno stupido. Non va bene, Beth. Una
persona non piange per venti minuti di fila se tutto andasse davvero
bene”
“Solo un momento di sconforto”
“Generato da cosa?” chiese Bill, sedendosi accanto
a lei
Cosa avrebbe dovuto dire? Avrebbe dovuto mentire di nuovo? Fingere che
si fosse trattato solo di un calo di tensione o simili? Come avrebbe
potuto parlare a Bill di Matthias senza farlo infuriare?
Forse lui avrebbe capito o forse no. Forse avrebbe pensato che voleva
rinunciare al loro accordo e mandare a puttane il piano.
L’aveva visto, quella sera. Aveva visto la gioia nei suoi
occhi quando i fotografi lo chiamavano a gran voce. Aveva percepito la
sua emozione, il suo bisogno di essere di nuovo quell’animale
da palcoscenico che era sempre stato. Lui era così, era nato
per fare quel mestiere, era nato per intrattenere il pubblico, nato per
girare il Mondo cantando.
Non poteva rovinare tutto confessandogli di essersi, inspiegabilmente,
innamorata di un “quasi sconosciuto” e di aver
avuto voglia di rinunciare al loro patto per poter vivere serenamente
la relazione con Matthias.
“Beth?” la chiamò Bill, non ricevendo
risposta.
Lisbeth lo guardò dritto negli occhi e decise, in quel
preciso momento, che avrebbe rinunciato a Matthias piuttosto che
infrangere la speranza che leggeva in quello sguardo.
*Helena - My Chemical Romance
|
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Capitolo 15 *** Behind blue eyes ***
15. Behind blue eyes
“Sto bene, credimi. Sono solo molto stressata, non ho mai
gestito una relazione in pubblico”
“Ma non è una vera relazione” disse lui,
dubbioso “O no?”
“No, non lo è” si affrettò a
precisare lei “ma è come se lo fosse. In fondo
dobbiamo fingere che lo sia”
“Sarebbe più semplice se fossimo innamorati, come
nei film”
“Beh, se questo fosse un film saremmo già a
letto” ridacchiò Beth, nel tentativo di alleviare
la tensione. Una tensione che, a Lisbeth, parve più sessuale
che altro
“Eh già…” balbettò
lui, sentendosi un vero pirla
“Bill, ora vado. E’ tardi, sono stanca e ho bisogno
di dormire” disse, alzandosi e infilandosi le scarpe. I piedi
le facevano un male pazzesco, tanto che si ritrovò a
zoppicare fino alla porta
“Ti accompagno” propose Bill, seguendola
“No, lascia stare. Chiamo un taxi”
“Non mi va di farti tornare da sola”
“Bill, non insistere, ti prego” poi, salutandolo
con un bacio sulla guancia, sgattaiolò fuori di casa e
chiamò il taxi.
**
Era notte fonda quando l’auto si fermò di fronte a
casa di Matthias. Doveva sistemare quella faccenda e doveva farlo
subito. Forse lui non le avrebbe nemmeno aperto la porta, forse
l’avrebbe mandata a quel paese o avrebbe fatto finta di non
sentire il campanello ma doveva tentare.
Non poteva andarsene a letto senza prima aver parlato con il ragazzo.
Scese dal taxi, pagò la corsa e raggiunse la porta.
Suonò il campanello, un suono lungo e prolungato, e
pensò che se qualcuno avesse suonato così il suo
campanello, probabilmente avrebbe imprecato.
Matthias non tardò ad aprirle anche se, quando la vide,
mutò espressione “Hai idea di che ore sono? Mi hai
spaventato”
“Mi dispiace, ma ho bisogno di parlarti”
“Dopo una notte di bagordi ti ricordi di uno stronzo che ti
aspetta”
“Posso entrare? Ho freddo qui fuori”
Matthias si scostò dalla porta e la fece passare. Indossava
solo un paio di pantaloni leggeri, del pigiama. Aveva il petto ben
delineato e glabro, che Lisbeth ricordava bene. Per qualche secondo si
perse in pensieri decisamente poco consoni al momento, poi
parlò “Devo raccontarti una cosa”
“Lisbeth, non ho voglia di parlare. Non ho voglia di sentire
stronzate. Non ho voglia di ascoltare nessuna storia del cazzo. Quindi
o la fai breve oppure arrivederci”
“Ti prego, è importante”
“Parla”
E come un fiume in piena, Lisbeth raccontò tutto.
Raccontò di Bill, di Jost, dell’accordo, di come
si fosse affezionata a Bill e di quanto, però, si fosse
inspiegabilmente innamorata di Matthias. Gli spiegò che non
poteva costruire nulla di serio con lui fintanto che
l’accordo con Bill fosse valido e, quando ebbe terminato il
racconto, si ritrovò le guance rigate di lacrime.
Guardò Matthias negli occhi ma non vi lesse comprensione e
affetto. Quello che vide fu solo rabbia.
“Vai via” disse il ragazzo, la voce bassa ma il
tono secco
“Matthias…”
“Vai via. Non voglio sentire altro”
“Cerca di capire”
“Capire? Cosa? Ti sei venduta, ecco cosa capisco”
“Non mi sono venduta!”
“Oh sì, sì che l’hai fatto!
Me l’hai detto tu stessa. 50.000 euro, no? Vale
così poco la tua dignità?”
“Sto solo aiutando Bill”
“Ma che cazzo dici?” urlò il ragazzo, a
quel punto, furioso “Non lo conoscevi nemmeno! Avrebbe potuto
essere uno stronzo, un violento, non sapevi nulla di lui eppure hai
accettato di fingerti la sua donna!”
“Bill è…”
“Non mi interessa” si intromise “Non mi
riguarda, sono affari tuoi. Fai quello che ti pare con la tua vita ma
non sconvolgere la mia. Vattene e non farti più
vedere”
“Perché non capisci?”
“Non capiresti nemmeno tu se fossi al posto mio. Mi stai, in
pratica, chiedendo di accettare che la mia ragazza si faccia un altro
per un intero anno!”
“Non sono la tua ragazza e non mi faccio nessuno”
“Non sei la mia ragazza, giusto. Ma sembravi felice di
diventarlo o almeno così mi era parso l’altra
notte. E ti ho visto coi miei occhi mentre baciavi quello”
“Fa parte del gioco”
“Ma che cazzo. Ti rendi conto di cosa stai dicendo? Questo
non è un fottuto gioco del cazzo. Questa è la mia
vita ed io non ho intenzione di far parte di questa schifezza. Non sono
un VIP come voi, sono un cazzo di assistente di scena. Mi sfondo il
culo dalla mattina alla sera per portare a casa la metà
della metà dello stipendio che porti a casa tu raccontando
balle!” urlò, con tutta la forza che aveva in gola
“Credevo di aver conosciuto una persona speciale. Ora non ho
idea di chi tu sia”
“Non sono così, Matthias. Non mi sono venduta, sto
facendo…”
“Esci da questa casa, subito”
“Non avrai intenzione di raccontare in giro questa storia,
vero?”
“E’ di questo che ti preoccupi? Non ti interessa
altro, vero?”
“Non è questo il punto, è che non si
tratta solo di me. C’è Bill
e…”
“Fanculo Bill. E fanculo anche te, esci” e nel
dirlo, la spinse verso l’uscita e richiuse la porta con un
calcio.
Beth, infreddolita, confusa e in lacrime prese la via di casa a piedi.
**
Il giorno dopo si reco al lavoro di malavoglia. Non le andava
l’idea di incontrare, come al solito, i bambini che
componevano la maggior parte del pubblico in studio e il pensiero di
incontrare Matthias la rendeva nervosa.
Chiusa nel suo camerino, mordendosi la pelle delle dita fino a farle
sanguinare, aspettava la truccatrice. Il cellulare interruppe il flusso
dei suoi pensieri. Dal display vide il nome di Bill e decise di non
rispondere. Tolse la suoneria per non sentire la melodia, che le
trapanava il cervello, e si accoccolò sulla poltrona, la
stessa sulla quale sedeva quando aveva visto Matthias per la prima
volta.
Riuscì a restare sola ed in silenzio per pochi minuti
perché Ingrid si fiondò nel suo camerino,
interrompendo la quiete.
“Ho saputo che ieri sera sei andata via presto dalla
festa” disse, senza nemmeno salutare “Beh, potevi
anche sforzarti un po’. Era un’occasione eccellente
per farvi vedere insieme anche se, lo ammetto, quel bacio sul tappeto
rosso è stato perfetto. Chi l’ha deciso? Scommetto
Bill, tu sei sempre così restia nel mostrare sentimenti in
pubblico” prese fiato e, senza lasciarle il tempo di
rispondere, continuò “Comunque, poco fa mi ha
chiamato Jost. I Tokio Hotel sono stati invitati ad una trasmissione
televisiva, dovranno anche esibirsi. Mi pare ovvio che
l’intera puntata sarà dedicata più a
Bill che al gruppo, ma questo non è un problema nostro.
Sicuramente gli faranno domande sulla vostra storia, ora che
è stata palesata. Ti andrebbe di accompagnarlo? Mi ha
perfino ventilato l’ipotesi che tu faccia una
comparsata…”
“Scordatelo” ruggì Beth
“Era solo un’ipotesi, non è il caso di
essere così aggressiva. Dormito male?”
“Sì. E comunque mi sembra si stia esagerando. Ieri
sera ci hanno fatto diverse domande in merito, che bisogno
c’è di andare a parlarne anche in una
trasmissione?”
“Tesoro mio” rispose Ingrid, con voce melliflua
“Forse non hai capito. Qui c’è in gioco
la carriera del gruppo e anche la tua. Gioca bene le tue carte e potrai
avere tutto ciò che desideri”
“Non sono più tanto sicura di voler continuare con
questa farsa” azzardò Beth, osservando di
sottecchi la reazione della sua manager a quell’affermazione
“Faccio finta di non avere sentito”
“Bill mi ha detto che avrei potuto rescindere il contratto
qualora non…”
“Bill non decide un cazzo” tuonò Ingrid,
interrompendola “Tu e Bill fate esattamente ciò
che io e David vi diciamo di fare, chiaro? Non giocare a fare la diva
con me, ragazzina. Tu sei mia, io ti ho fatto diventare ciò
che sei, io ti ho portato alle stelle. Ci metto un secondo a scaricarti
e farti tornare nell’anonimato”
Beth, sconcertata da quelle parole così cariche di rabbia,
restò in silenzio.
Solo la truccatrice arrivò ad interrompere il gelido
silenzio che era sceso sul camerino.
*Behind blue eyes - Limp Bizkit
**
Chiedo scusa per la lunga attesa ma se non sono ispirata non riesco a
scrivere.
Grazie fin da ora a tutte coloro che continueranno a seguirmi!
Kate
|
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