Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Capitano
giorni, a volte, che ti
cambiano la vita.
Sono
giorni strani, sono ore in
cui non ti rendi davvero conto che qualcosa, intorno a te, è
cambiato.
A
me è successo: e non è stato un
cambiamento piccolo, insignificante, tranquillo.
È
stato un uragano, che è entrato
nella mia vita e ha mandato tutto all’aria.
E si è anche divertita.
.
.
Me
lo ricordo bene, quel locale.
Non
troppa gente, musica
eccellente e luci al neon: mi aveva stupito la scelta di Will,
solitamente
incline ai bagordi e alle feste sfrenate in discoteche rumorose e
ammassate di gente ubriaca e disordinata. Dopo
quattro mesi dall’ultima
volta che ci eravamo visti mi sarei aspettato che mi trascinasse
proprio ad
uno dei
suoi festini – non che mi dispiacesse l’idea ma,
dopo dieci ore di volo, mi sentivo abbastanza esausto e di certo per
nulla incline ad unirmi a quel biondo dissoluto per una notte brava di
cui, probabilmente, avrei finito per ricordare poco o nulla.
Guardandomi
intorno, appena entrato, non trovai
William: la cosa non mi sorprese, dopotutto, perché uno dei
dettagli caratteristici di Will è sempre stato quello di
essere perennemente in ritardo.
Decisi di sedermi e, per ammazzare il tempo, di ordinare
qualcosa da bere ad una delle belle ragazze che lavoravano al bancone.
Quel
posto era pieno, pieno
zeppo di bellezze esotiche, rare, eleganti e raffinate come odalische.
Avevo
scorto due giovani che
quasi sicuramente erano brasiliane, un’altra che chiaramente
proveniva dal
Mediterraneo; una bellissima gitana dagli occhi verdi, tre splendide
ragazze
orientali.
I
gusti di Will erano solo che
migliorati, bisognava dirlo.
Poi,
però, una di loro mi passò
accanto.
Me
la ricordo bene, con i tacchi
vertiginosi che indossava era alta più o meno quanto me; i
capelli erano di un
biondo scuro, la carnagione pallida resa ancora più terrea
dalle luci al neon, i tratti del volto stranamente taglienti.
Pensai fosse londinese, ma la pronuncia delle parole che rivolse alla
barista fu ben diversa da
quella
che mi aspettavo: chiese un Brave Bull alla barista con uno spiccato
accento
americano che m’incuriosì più di tutto
il resto.
Indossava
un abito rosso che le lasciava scoperta la schiena fin sotto le
scapole, e rosso era anche il fermaglio che le tratteneva i corti
capelli riccioluti sulla nuca: non era niente di particolare... era
carina, sì, ma io ero abituato a frequentare le donne
più belle del jetset
e, di certo, non fu il suo aspetto ad impressionarmi.
Non
so perché mi spinsi fino a
quel bancone: forse per la mia solita curiosità, forse per
capire meglio quell'andatura spedita e tutt'altro che femminile, forse
per un istinto inconscio
che non riuscii
in nessun modo a reprimere.
Mi
accostai a lei, dipingendomi in faccia quel sorriso accattivante e
misterioso che
già tante donne
avevano dimostrato di apprezzare.
Dopotutto,
sono Ben Barnes. Il
mio fascino è appurato e confermato.
-Ehi,
bella, io sono Ben, tu
sei…?-
Uno
sguardo di sufficienza, due occhi blu tutt'altro che amichevoli.
-Fuori
dalla tua portata,
tesoro.-
Ci
rimasi male. Quanto, quanto ci rimasi male lo so soltanto
io.
Aveva
una
voce secca, dura, e l’accento
metallico risuonava come una lama fra le sillabe; ma fu la sua
occhiataccia a lasciarmi di stucco, folgorato come nel più
insipido dei romanzetti rosa da qualcosa che non seppi identificare.
C’era
da perdersi in quei due
baratri. C’era da affogarci e non riemergerne mai
più.
-Ray!
Ma ti pare il modo di
rivolgerti ad un cliente?- la barista, dietro al bancone, si rivolse
alla
bionda e la guardò con aria severa. Io, invece, continuai a
guardarla, boccheggiando, con un misto di
sorpresa, orgoglio maschile irreversibilmente ferito e
curiosità.
Ad
un’occhiata
distratta chiunque l’avrebbe scambiata per una qualunque,
per una ragazza dal
viso pulito e, probabilmente, senza trucco non avebbe dimostrato
più di diciott'anni. Eppure…eppure
c’era un gelo tale,
in quelle iridi, da restarci di sasso.
In
molti si sarebbero spaventati dinanzi ad una donna del genere,
perché la maggior parte degli uomini tende a preferire una
compagnia più facile, meno mordace; io, invece, da
compulsivo amante della competizione, decisi all'istante che quella
sarebbe stata la mia prossima sfida.
-Non
è un cliente. È un amico di
Will.-
Ray.
Mi
ricordava qualcosa, quel nome,
ma non riuscivo a rammentare chi lo avesse pronunciato: ero troppo
impegnato a
macerarmi nel mio orgoglio annichilito per accorgermi subito
dell’allusione al
mio amico.
-Come
ti pare.- soltanto quando
la barista si allontanò, altezzosa, collegai le due cose.
-Tu
conosci__- cominciai ma, prima
di riuscire a finire la mia domanda, ecco arrivare la conferma in carne
e
ossa
della mia domanda.
-Ben!-
mi voltai di scatto e
così fece anche la bionda: là, sulla soglia del
locale,
c’era il mio migliore amico,
altrimenti conosciuto come William Peter Moseley.
Sorrisi,
nel rivederlo. Non
glielo avrei confessato nemmeno sotto tortura, ma… mi era
mancato, durante gli ultimi
mesi. Will è una
presenza che difficilmente non manca una volta entrato a far parte
della tua
vita.
Mi
sorrise a sua volta, allegro come sempre: aveva i capelli
biondi più lunghi di come li rammentavo,
l’immancabile borsalino calato sul
capo ed in faccia l'immancabile espressione solare che lo avrebbe reso
caro a chiunque.
Ray,
accanto a me, si alzò in piedi: gli occhi freddi e cupi si
erano spostati sulla figura del mio
amico
ed un lampo di calore – e un
sorriso
lieve, su quelle labbra – li aveva illuminati per
un istante.
E
fu proprio a lei che Will si
rivolse, non appena avvicinatosi e rivolto un saluto allegro anche alla
barista
che, da quanto potevo capire, conosceva.
-Ray,
non trovavo da
parcheggiare, mi dispiace.- esordì, mentre gli occhi celesti
si
spostavano sulla
ragazza, dolci e amichevoli come non mai. Ecco svelato il mistero:
grazie a lui
Ray mi conosceva già, e io avevo appena fatto una delle
più colossali figuracce
nella storia degli abbordaggi.
Lei
annuì, rivolgendogli
soltanto un fugace sguardo molto diverso dalla stoccata terribile che
era
toccata al sottoscritto.
-Toglimi
una curiosità, i tuoi
amici sono tutti imbecilli come il principino, qui?- appunto. Ecco come
smontare definitivamente il sottoscritto in due semplici, crudeli
proposizioni.
Will
mi rivolse un’occhiata
stupita mentre il suo sguardo si riempiva di una luce che ben
conoscevo e,
altrettanto bene, temevo: lo vidi diventare tutto rosso in risposta
alla
mia
occhiataccia, che gli intimava silenziosamente di non sfottere –
oh, prima
o poi
lo avrei strangolato. Poco ma sicuro.
-Vedo
che avete già fatto
conoscenza.- commentò, evitando di scoppiare a ridere ma
aprendosi in un ghigno
soddisfatto che mi sembrò più canzonatorio di
molto altro. -Ben,
lei è Ray, la mia
coinquilina e migliore amica. Te ne ho parlato.-
Sì,
me ne aveva parlato quattro
mesi prima, appena tornato da un viaggio negli Stati Uniti passato con
Angel.
Ne ero
stato felice, ma l’esistenza di questa misteriosa ragazza che
si era portato
dietro dall’America era, sinceramente, scivolata in fondo
alla mia lista di
pensieri.
Will
aveva Angel al suo fianco,
si erano conosciuti sul set di Narnia e lei ancora non lo aveva mandato
a quel
paese (era qualcosa che aveva dello straordinario, considerato il fatto
che
Angel è una donna intelligente e Will un coglione patentato).
Tornato
a Londra con lei, dove
Angel viveva con la sua famiglia e frequentava il primo anno del
college,
Will l’aveva trascinata in un viaggio negli USA,
dov’era stato prima di Prince
Caspian, ed erano tornati con una persona che era diventata la
coinquilina di
William: Ray.
L’avevo
immaginata come una
ragazza allegra, leggera, incline allo stile di vita dissoluto delle
ragazze
americane… ma
mi dovetti ricredere quella
sera stessa, dopo essermi ritrovato davanti quei due occhi di ghiaccio.
-Sì…beh,
piacere.- era alquanto
inutile cercare di rimediare alla figuraccia appena fatta, vero?
...sì,
decisamente: lo
sguardo di sufficienza che Ray
mi rivolse bastò a confermare questa mia ipotesi.
-Tutto
tuo.- mormorò infatti,
atona, recuperando una borsetta appena più scura del vestito
che indossava e
sfilandone una sigaretta che, con un gesto secco, accese e si
portò alle labbra sottili. Non
aveva
le unghie lunghe, smaltate o curate, anzi: erano corte e appena
rovinate, così come la pelle delle sue mani che, nonostante
avessero una bella forma, erano segnate da diverse piccole cicatrici
che non riuscii, lì per lì, a spiegarmi.
C’era
qualcosa che non quadrava,
in quella ragazza.
-Ray!-
una voce fece sussultare
tutti e tre, interrompendo i discorsi e le mie elucubrazioni –
e, avendo gli
occhi
fissi su Ray, la vidi incupirsi ed impallidire appena, scambiare
un’occhiata
scura con un William improvvisamente irato.
-Sì,
Jòs?-
Non
mi sfuggì la nota
stanca della sua voce quando, stancamente, si voltò per
fronteggiare il nuovo
venuto, accavallando le gambe velate dai collant.
-È
arrivato Carter, sai che
la tua graziosa compagnia è il motivo per cui viene qui due
volte a settimana.-
L’uomo
che aveva appena parlato
era
inequivocabilmente omosessuale, ben vestito e irritante.
Vidi Ray serrare le mani chiare sul bordo del vestito,
mentre un’angoscia ben vestita si disegnava in quei
terribilmente espressivi
occhi blu.
-Cerca
sempre di allungare le
mani, Jòs.- mormorò, con una voce molto
più mite di quanto fosse stata quella rivolta
a me. Mi voltai verso Will e lo vidi scuotere appena la testa, con gli
occhi
inchiodati con astio su quel Jòs.
Non
mi piacque l’espressione di
Will. Non mi piacque il disagio e l’angoscia di Ray.
-E
lasciagliele allungare, purché
ti paghi.-
Bastò
quella frase per farmi
capire.
Che
Ray lavorasse in quel luogo lo avevo capito anche da solo ma,
occupato com’ero a
studiare quella
ragazza, non avevo
compreso di che genere di lavoro si
trattasse esattamente: le ragazze in quel luogo erano accompagnatrici,
intrattenitrici –
alcune servivano al banco, altre servivano ai tavoli, ma la maggior
parte era seduta in compagnia
dei clienti, con una lascivia che pareva anche troppo disponibile.
-Lei
non sta qui per fare la
puttana, Jòs.- fu Will,
con una
veemenza che mi sorprese, ad intervenire, mettendosi letteralmente in
mezzo fra
questo Jòs e Ray.
-Tu
non dovresti nemmeno stare
qui, Moseley.- ribatté il tizio, scoccandogli
un’occhiataccia sotto i miei
occhi allibiti. Tutta quella situazione aveva del surreale…
Vidi
il mio amico in procinto di
ribattere ma fu Ray ad alzarsi, a posare una mano sul suo braccio.
Improvvisamente quel vestito rosso non mi sembrava più tanto
sensuale, quei
tacchi alti non mi parevano più tanto eleganti: mi davano
l’idea di una gabbia –
la stessa gabbia che scorgevo negli occhi stanchi di Ray.
E
fu improvvisa la mazzata di dispiacere che mi colpì in
quell’istante.
Non
era piacevole vedere una così
bella creatura, con tanto negli occhi, in
trappola. Non era giusto, non mi andava giù, non
era qualcosa che avrei
accettato. Will avrebbe sicuramente riso nel sapere quello che mi stava
passando
per la
testa: "Hai sempre la mania di fare
l’eroe"
era uno dei suoi commenti più frequenti nei riguardi del
sottoscritto.
Fu
per questo che mi schiarii
sonoramente la voce, attirando su di me l’attenzione di tutti
e tre: di Will,
di quel tale Jòs… e di Ray, che mi guardava con
qualcosa di finalmente diverso
dall’indifferenza.
-Posso
parlarle in privato,
mister?- se c’è una cosa di cui vado fiero, in me
stesso,
è la mia faccia tosta inglese.
Soltanto noi siamo in grado di mostrare quella faccia di bronzo
particolare,
accattivante, che raramente ottiene un no
in risposta.
-Ma
certo.- mi rispose l’ometto,
forse riconoscendomi, intuendo dalla mia occhiata che avevo in mente
qualcosa
che gli sarebbe quasi certamente andato a genio.
Fu
una soddisfazione, dopotutto,
allontanarmi da Ray e da Will con la consapevolezza dello sguardo
incuriosito e cupo di quella ragazza inchiodato sulla mia schiena...
anzi, a dirla tutta, fu un balsamo per quel mio amor proprio che
proprio lei aveva appena maciullato.
Seguii
quel Jòs fino al bancone
più lontano, accorgendomi di quanto il suo passo affrettato
riflettesse esattamente il suo aspetto viscido e lezioso.
-Allora
mister, cosa…- iniziò, ma
lo interruppi in un modo che quasi tutti riescono a comprendere
immediatamente:
sotto al suo naso tozzo sventolavano improvvisamente due biglietti da
cento
sterline, trattenuti dalle mie dita sottili.
-Quella
ragazza starà con me,
stasera.- affermai, deciso, con la voce suadente di chi vuole
convincere
qualcuno a
fare ciò che desidera. E sorrisi appena, soddisfatto, quando
vidi Jòs seguire
come ipnotizzato il movimento lieve delle banconote.
-Non
c’è problema, mister.- mi
rispose, trasognato, e non potei fare a meno di disgustarmi per
quell’atteggiamento viscido e amorale che chissà
come mai aveva quel potere su Ray.
-E
nessun altro.- gli ricordai,
alzando un sopracciglio.
-Assolutamente
nessuno.- che
schifo.
Gli
lasciai i soldi e mi
allontanai in fretta: ho sempre odiato le persone come quel
Jòs e sapere che
un’amica di Will, una ragazza giovane e carina e
probabilmente intelligente, era costretta a
sottostarvi… beh, era orribile.
Tornai
da lei e da Will con un
sogghigno soddisfatto che il mio amico conosceva decisamente
bene –
Ray
invece non aveva ancora imparato a capire quanto io non fossi lo
squinternato maniaco che dovevo esserle sembrato all'inizio:
mi guardava, spaesata, senza comprendere che cosa avessi
appena
fatto.
-Che
cosa…- cominciò infatti, confusa, mordendosi le
labbra e arrotolandosi nervosamente una ciocca di capelli fra le dita.
Scossi
appena la mano, stringendomi nelle spalle con fare noncurante.
-Non
andarci, da quel tipo.
Stasera avrai l’onore di passare tutto il tempo col
sottoscritto, e spero non ti
dispiaccia troppo.-
Giuro.
Prima di lei non mi sono mai comportato così. Non sono mai
stato il tipo arrogante e saccente che probabilmente sembravo in quel
momento.
Probabilmente
anche Ray lo capì, perché vidi un accenno di
sorriso apparire sulle sue labbra e il suo sguardo rischiararsi,
sollevato.
-Quasi
quasi avrei preferito Carter.-
replicò, ma non c'era il minimo segno di
sarcasmo
nella sua voce e, per la prima volta, mi rivolse un'espressione gentile
e radiosa che mi lasciò (di nuovo) senza parole.
È
bella Ray, sono belli i suoi
occhi, ed era bello quel sorriso che leggevo in quel
celeste
rischiaratosi come il cielo dopo un temporale.
Rimanemmo
a guardarci per dei
lunghi istanti che penso non dimenticherò mai, studiandoci a
vicenda come due
gatti curiosi e diffidenti al tempo stesso: Ray era cauta, cauta come
se fosse
sempre sul filo di un rasoio... ma c’era una
curiosità troppo forte nei suoi
occhi, una curiosità tutta per me,
che la spingeva a sostenere il mio sguardo e a non lasciare che quel
contatto
si spezzasse.
E
realizzai solo in quell’istante
che non volevo si spezzasse.
Ray
aveva destato la mia, di
attenzione: volevo assolutamente
avvicinarmi a lei, conoscerla meglio, capirla,
perché fino a quel momento avevo solamente fatto
supposizioni sbagliate e io odio, detesto
sbagliare.
-Bene…
vedo
che sono di troppo,
quindi me ne vado!-
Ray
si voltò di scatto, arrossendo furiosamente.
-Scusa,
e io come torno a casa?-
gli chiese, allibita.
Will,
che conosceva bene me e
probabilmente anche lei, si esibì in uno dei suoi migliori
sorrisi smaglianti,
accennando a me.
-Ti
accompagnerà il prode
cavaliere, qui. Io ho appuntamento con Angie.-
Ora
che ci penso, se non
fosse
stato per Will probabilmente tutto quello che è successo con
Ray non sarebbe
mai avvenuto. Mi tocca anche ringraziarlo, accidenti.
-Ma
dillo prima!- sbottò Ray, avvampando ancor di più
e fulminandolo con lo
sguardo.
-Sono
sicuro che ti troverai
benissimo comunque. Ben è un galantuomo, non
è vero?- si rivolse a me, e quelle ultime tre parole mi
colpirono proprio per la serietà che riuscii ad udire al di
là della sua perenne ironia.
-Verissimo.-
annuii,
rivolgendogli appena un cenno d’assenso che comprese
immediatamente: fra me e lui, come penso sia anche fra molti amici
uomini, non servivano troppe parole per capire i sottintesi ed i
significati delle nostre azioni. Will voleva solo essere sicuro che la
sua amica fosse al sicuro, dopotutto...
-Se
avete finito con i vostri
scambi di virilità vorrei ricordarvi che io ho tirato di
spada per lavoro e che sono cresciuta in una periferia texana piena di
delinquenti, quindi direi di sapermi difendere benissimo
da sola senza che voi due dobbiate farmi la pipì addosso per
marcare il territorio.-
Non
potei far altro che rimanere a bocca aperta, sconvolto e pieno
d'ammirazione per quella sortita del tutto inattesa: ora sì che
potevo scorgere il suo retaggio americano!
Will,
sicuramente più abituato di me a quelle uscite brusche ed un
po' scurrili, scoppiò a ridere, avvicinandosi a lei e
soffiandole un bacio sulla fronte.
-Lo
dimentico sempre.- le disse,
con una dolcezza nella voce che intenerì anche
me. Li
vidi
sussurrarsi qualcosa e, per la prima volta, mi resi conto di quanto
bene
dovessero volersi: avevo visto William comportarsi così
soltanto con una
persona, e quella persona era Georgie. -Ben,
trattamela bene.- mi
avvertì, con un sorriso minaccioso, dandomi una pacca sulla
spalla mentre
passava accanto a me, diretto all'uscita.
Ma
dico io. Ora facevo anche la
figura del maniaco sessuale.
Sospirai,
esasperato
dall’atteggiamento iperprotettivo di William ma senza davvero
nessun buon motivo per prendermela: era sempre
stato così con le persone a
cui teneva sul serio, lo sapevo bene e, proprio per questo, avrei fatto
in modo che Ray passasse una serata piacevole e al sicuro dalle insidie
che quel luogo poteva nascondere.
Tornai
a guardarla e,
istintivamente, sorrisi: sarebbe stata una serata decisamente
interessante.
.
§
.
La
stavo aspettando fuori dal
camerino dove le ragazze si cambiavano, osservando i tecnici e i barmen
che
spegnevano le luci, che riordinavano e rassettavano la sala. Io
sorridevo, divertito, senza riuscire a smettere di pensare a quelle due
piacevolissime e sorprendenti ore appena passate insieme a Ray.
Si
era dimostrata una
compagnia formidabile, una volta convinta a parlare. Quella ragazza
era
americana di nome e di fatto e, discorrendo con lei degli argomenti
più disparati – aveva dimostrato di possedere,
oltre ad un turpiloquio sorprendentemente colorito e fantasioso, anche
una conoscenza profonda ed appassionata della letteratura, della
cinematografia e della musica – avevo compreso di avere
davanti una persona che amava la conoscenza almeno quanto me.
Avrei
imparato presto a trovare
anche la dolcezza, la tenerezza ed il suo essere donna in quel modo
tanto puro
e
selvaggio, in quell'americana dagli occhi vividi; ma, in
quelle ore, le caratteristiche
che mi avevano colpito di lei erano state la sua arguzia, il
suo cinismo ed il sottile, tagliente
sarcasmo con cui quella giovane donna pareva affrontare il mondo.
Ray
non era una persona felice: lo
si capiva dal suo volto
prematuramente levigato, dagli occhi che guardavano il mondo
attraverso un velo di cupezza e di sfiducia.
Ed
aveva soltanto diciott’anni.
Era
stato questo a sconvolgermi, più di
tutto il resto.
Aveva
dieci anni meno di me… ma, da
come parlava, dal suo atteggiamento, dalla freddezza con cui trattava
la vita,
gliene avrei dati molti di più.
-Andiamo?-
Sobbalzai
quando, alle
mie spalle, risuonò la sua voce, strappandomi dalle mie
elucubrazioni. Non
l’avevo sentita arrivare: i
suoi piedi non avevano provocato il minimo suono sul pavimento, al
contrario di
quanto succedeva, inevitabilmente, quando indossava i tacchi. Mi
voltai per salutarla ma, e detesto ammetterlo, per la terza volta in
quella serata riuscì a lasciarmi completamente a bocca
asciutta.
La
ragazza infelice e costretta
in una gabbia? Scomparsa.
Indossava
un abitino nero, adesso, aderente
alle sue forme ben proporzionate, con le maniche lunghe che terminavano
in uno sbuffo, un paio di fuseaux
chiari ed una coppia di anfibi dall'aspetto estremamente pesante e
minaccioso.
Quella
non era la giovane donna infelice con cui avevo passato la serata, no:
quella era la spigliata americana appassionata di rock'n'roll che si
era animata tantissimo a raccontarmi di come avesse sempre voluto
imparare a suonare la batteria come Jimmy Sullivan e che mi aveva
spiegato pazientemente i fondamenti delle religioni pagane precristiane.
-Ehi?-
mi chiamò,
incuriosita dalla mia espressione ed in effetti dovevo essere
alquanto
buffo
mentre la fissavo, stralunato, con occhi sgranati e la bocca lievemente
schiusa.
-Sei…
stai
molto bene.- balbettai,
cercando di ritrovare un minimo di decoro in quella situazione
quantomai
imbarazzante.
Il
rossore dilagò nuovamente sulle sue guance e lei distolse lo
sguardo, torcendosi contemporaneamente le mani.
-Sono
vestiti normalissimi.-
mormorò, in un tono di falsa freddezza che non mi convinse
minimamente. Mi superò in fretta, ed io la
seguii fino al parcheggio,
senza davvero riuscire a distogliere lo sguardo dai riccioli biondi che
spiccavano contro il nero dell’abito – e da quando, di una donna,
notavo il modo in cui i capelli si sposavano tanto bene con il colore
dei suoi vestiti?
-Qual
è la tua macchina?- mi
chiese, tradendo un nervosismo nella voce che mi sorprese: non ero
l’unico a
sentirsi sul filo del rasoio, allora…
-Quella.-
le dissi, indicando il
mio personalissimo orgoglio parcheggiato a pochi metri
dall’entrata.
-Cazzo!-
mi voltai a guardarla,
sorpreso. Ray si era fermata lì dov’era,
con in volto l’espressione allibita che,
per un solo attimo, mi ricordò la mia nel vederla dopo
essersi
cambiata. -Cioè,
quella è vera?-
Sorrisi,
divertito.-Fino
a prova contraria…-
commentai, affiancandomi a lei e posando una mano sulla sua schiena.
Era troppo
occupata a rimirare la mia macchina, un piccolo sfizio che mi ero tolto
con i primi
guadagni
seri, per tranciarmi di netto quella mano troppo audace.
-No,
vuoi dirmi che tu davvero ti
sei comprato una Mercedes SLK 350?- mi chiese, sempre più
ammirata, alzando lo sguardo vivido su di me.
-Ti
piacciono le auto?- le
chiesi, compiaciuto. La ragazza che avevo visto in
quel
locale non era niente in confronto alla giovane donna che adesso avevo
al
fianco –
e non avevo dubbi su quale fosse la più vera,
e su quale preferissi io.
La
donna in tacchi alti dopo un
po’ stanca, ne so qualcosa. Tamsin era proprio
così: la
nostra brevissima storia finì dopo non più di un
paio di mesi, quando mi resi conto
che non era una
modella dallo sguardo vuoto ciò che cercavo.
La
donna in anfibi, invece, quella
donna in anfibi… beh, nascondeva
tante di quelle sorprese da riuscire a
non stancarmi mai.
-Preferisco
le moto. 136 cavalli?- mi
chiese con la voce che tremava appena, avvicinandosi con un timore
quasi
reverenziale alla Mercedes.
-Esatto.-
risposi, e non riuscii ad evitarmi un sorrisetto.
Ero
particolarmente orgoglioso di quell’auto, sì.
-È
un mostro.- commentò,
sfiorando con devozione la carrozzeria nera e lucida del
tettuccio.
Sorrisi
di nuovo, sornione,
accostandomi allo sportello del passeggero con tutta la galanteria di
cui ero
capace.
Ero
un coglione? Ero un coglione.
Per
fortuna, e lo ripeto PER
FORTUNA, non c’era Will a prendermi per il culo.
-Prego.-
le feci, e fu l’ennesima
soddisfazione vederla sgranare gli occhi e diventare scarlatta per
l'ennesima volta, presa in contropiede.
C’era
un piacere, nel
sorprenderla, che presto avrei capito essere terribilmente seducente.
-Grazie.-
mormorò mentre saliva in
macchina, torcendosi le mani gelide. La
raggiunsi dopo pochi istanti,
facendo il giro dell’auto e salendo alla sua destra, al posto
del guidatore.
-Anche di stasera. E scusa per la rispostaccia, non sono mai di
buonumore in
quel posto…- mormorò lei dopo un istante,
talmente piano che quasi non riuscii
ad udirla oltre il rombo del motore appena acceso.
Le
sorrisi, stavolta con
dolcezza.
-Non
è il primo due di picche che
prendo e non sarà nemmeno l’ultimo.- la
rassicurai, in un tono molto più
adulto di quanto non fosse mai stato in quelle ore. Improvvisamente Ray
mi
pareva piccola e fragile, con gli occhi chiari che si spostavano sul
finestrino, di
nuovo cupi, di nuovo lontani.
-Non
ci credo.- mormorò, con voce
assente e lievemente malinconica, guardando le goccioline di pioggia
che
cominciavano ad imperlare i vetri.
-Oh,
invece sì.- risposi; una
risposta inutile, perché dopo un attimo il silenzio
calò nell’abitacolo della mia
auto, ma l’attenzione alla guida non mi distolse dal suo
volto
repentinamente
distante, freddo.
Ricordava.
Ricordava
e soffriva.
C’era
qualcosa in lei, qualcosa
di grande e doloroso, che la divideva dal resto del mondo come una
fredda
barriera di ghiaccio inspessita dal dolore: una
barriera che mi spaventava,
una barriera che avrei tanto voluto abbattere.
-Perché
lavori in quel posto,
Ray?- le chiesi, di getto, senza nemmeno rendermene conto. La vidi
sussultare,
ma non si voltò a guardarmi; abbassò lo sguardo,
con vergogna, continuando a torturarsi le
lunghe dita sul grembo.
-Perché…-
esitò, su quella
risposta, prima di scuotere la testa. -Beh, è una storia
lunga.- mi liquidò
e frettolosamente
recuperò il suo telefonino, spingendo qualche tasto e
facendo partire una
canzone, probabilmente per distrarmi da quella domanda, o per
dimenticare lei
stessa.
Seize
the day, or die
regretting the time you lost, it’s empty and cold without you
here, too many
people to ache over…
La
sentii sussurrare le parole di
quella canzone che conoscevo solo di vista, di un gruppo metal
parecchio famoso
negli Stati Uniti.
C’era
una malinconia, in quella
voce e in quella canzone, che mi strinse il cuore.
-Canti
bene.- mormorai, mentre le
note di quella melodia struggente di chitarra elettrica e di batteria
riempiva
l’abitacolo, mischiandosi al ticchettio della pioggia
sull’auto. Le luci della
notte parevano sbiadite, al di là dei finestrini; tutto
pareva sfocato, tranne
Ray.
-Ho
smesso molto tempo fa… come ho
smesso di recitare.- mi voltai a guardarla, sorpreso. Qualcosa in lei
mi aveva
suggerito che fosse un’attrice: il modo di porsi, di
atteggiarsi,
l’espressività del suo volto e dei suoi
occhi… ma non stava recitando adesso, lo sapevo bene. Sono
un attore anch’io, e so
riconoscere le emozioni reali nello sguardo di una persona.
-Recitavi?-
le chiesi, con
dolcezza, sfiorandole appena la mano bianca con la mia. Era
così fredda… provai
per un istante il desiderio di riscaldarla, di portar via quel gelo
dalla sua
pelle.
-In
teatro.- mi rispose, e la
sentii rabbrividire sotto il mio tocco accennato.
Parcheggiai
l’auto sotto casa di
Will pochi minuti dopo, ma
Ray non parve aver
intenzione di
scendere né
io di volere che lei se ne andasse: la sua pelle gelida era
così soffice, così
bianca, che mi persi in quel tocco che improvvisamente pareva molto
più intimo
di qualunque altro.
La
canzone finì dopo qualche
attimo, lasciando di nuovo il silenzio, fra noi: un
silenzio diverso dagli altri,
un silenzio elettrico che pareva scintillare pericolosamente fra lei e
me.
Toccarla
era stato un errore… Ray
bruciava come il ghiaccio, e quel gelo mi avrebbe trascinato fino a
limiti che
forse non avrei dovuto infrangere.
Accarezzai
con dolcezza le linee
sottili del suo palmo, seguendo con gli occhi il reticolo bluastro
delle vene
che si annodavano sul polso.
-Sei
così bianca…- mormorai, e
nemmeno mi accorsi di essermi impercettibilmente avvicinato a lei
– oppure era
lei ad essersi accostata a me?
Alzai
gli occhi, trovando il suo
viso candido terribilmente vicino a me, quei due pozzi di tempesta a
poche
manciate di centimetri dai miei.
Mi
stava guardando, Ray, mi stava
osservando con uno sguardo tagliente ed impaurito che avrebbe
intimorito
chiunque. Pareva
lo sguardo di un felino in
gabbia, maltrattato a sangue più e più volte, che
temeva chiunque si
avvicinasse per paura di soffrire ancora – pareva
un gatto, quella bambola
di porcellana.
Avrei
passato secoli a guardarla,
cercando di carpire ogni pagliuzza che imperversava nelle sue iridi:
c’era
l’orgoglio di non voler abbassare lo sguardo, c’era
un terrore che aumentava ad
ogni centimetro che spariva fra il suo volto ed il mio, c’era
una luce ben
diversa che mi attirava come una musica sensuale attira un serpente.
C’era
tutto, in quei due sprazzi
d’oceano.
E volevo esserci anch’io.
La
guardai socchiudere gli occhi quando mi accostai a lei, e mi inebriai
della sensazione incredibile che mi trasmise il tocco del suo respiro
sulla bocca.
Non
ebbi fretta nello sfiorare
quelle labbra carnose che parevano aspettare soltanto me. Le toccai
appena,
con solo un lieve accenno di bacio, imponendomi tutta la calma che
possedevo per
non esagerare... ma il desiderio di scoprire se anche la sua bocca
fosse
tanto
gelida imperversava dentro di me, togliendomi il fiato.
Mi
allontanai quasi immediatamente, sconvolto dalla sensazione bruciante
che mi avevano impresso le sue labbra nella carne, ma il richiamo di
quel bacio agognato fu più forte del buonsenso.
Ray
inclinò il volto quando mi accostai di nuovo alla sua bocca,
cancellando gli
ultimi sospiri che dividevano le sue labbra dalle mie.
Non
credo che dimenticherò mai quel nostro primo, vero bacio.
Trovai
la sua lingua e la coinvolsi senza fretta, senza travolgerla, lasciando
che le nostre bocche trovassero il ritmo giusto per allacciarsi ed
esplorarsi a vicenda. Lasciai
scivolare le dita fra
quei riccioli, incredibilmente morbidi,
ma ero
troppo concentrato su quel bacio per accorgermene, per
accorgermi persino del battito forsennato del mio cuore e del suo.
Era
buona, Ray. Pareva dare
dipendenza
perché sentivo di non
riuscire a stancarmene, di desiderarne sempre di più.
Lei
rispondeva con lo stesso
trasporto che sentivo ardere dentro di me, facendosi inseguire e
cercandomi subito dopo. Appoggiò le mani gelide sulla mia
gola e quel
contatto mi
diede alla
testa, più di quanto fosse lecito.
Andava
tutto bene.
Andava.
Improvvisamente,
però... la sentii
sussultare, e in un istante scostarsi, bruscamente, da me.
-Io…
io
vado. Will sarà già a
casa.- si voltò, senza guardarmi, ma riuscii ad intravedere
le guance rosse e gli occhi
che brillavano
come stelle nel buio mentre recuperava la borsa di pelle dai suoi piedi.
Non
riuscii a dire nulla, in
quell’istante: quelle labbra, quel sapore… scosso,
turbato, stravolto, non
riuscii a fare altro che mormorare un flebile
“okay” e guardarla scivolare
fuori dalla mia auto, delicata come un gatto.
Era
bella, maledizione. Era
intelligente, era misteriosa, aveva un profumo così
buono… e quel sorriso
meraviglioso, che speravo di poter rivedere.
E
quegli occhi. Quegli occhi.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
Allora, eccomi qua.
Sì, sono pazza, ho
iniziato un'altra fanfiction; ma c'è un motivo preciso se ho
preso l'impegno di scriverla (sarà due o tre capitoli, non
di più ^.^), ed è...
Per ringraziarvi.
Per ringraziarvi tutti quanti,
dal primo all'ultimo delle centouno persone che mi hanno inserita fra
gli autori preferiti.
Mi ero ripromessa di scrivere
qualcosa in vostro onore, quindi eccomi qui. Questa è tutta
per voi, tutta per le centouno anime che mi seguono da ormai quasi tre
anni.
Ecco, questa fanfiction che
roba è?
E' il "come è
iniziato" fra la mia Ray e Ben; è un pò un misto
di tanti generi diversi, c'è la mia vena comica,
c'è una parte di tristezza, c'è amore.
C'è tutto, ogni sfaccettatura di me.
Il
commento di William, in quel momento, mi parve quantomai inutile e
fuoriluogo, dato che ero già arrivato a quella conclusione
per conto mio.
-Lo
so, grazie.- risposi,
sarcastico, mandando giù un altro sorso della birra che il
mio
amico mi aveva offerto.
Erano
passati due giorni da
quella serata, due giorni in cui non avevo fatto altro che ripensare a
Ray:
quel bacio, quel sapore, la consistenza della sua pelle
lattea… ero
stato
un idiota e non avevo fatto fatica a comprenderlo: avevo
visto la paura nei suoi occhi, la sua ritrosia, la sua
fragilità... avevo capito
che non avrei dovuto farlo ma, purtroppo,
l'istinto era stato
più forte di me.
Quella
ragazza mi attirava come il miele
chiama le api e,
per quello stesso motivo, dopo quarantott'ore di agonia mi ero deciso a
rivolgermi a William: un po’
perché speravo di
incontrarla, dato che viveva assieme a lui, un po’ per
chiedere un consiglio
all’unico che sembrava conoscerla davvero.
-Will,
io non__-
Will
alzò una
mano, fermandomi con indolenza prima che un fiume di parole senza senso
erompesse dalle mie labbra. Forse stavo diventando paranoico, d'accordo,
ma mi parve sul serio
di scorgere un ghigno
decisamente sadico sulla sua faccia da schiaffi.
-Ray
ha un fascino tutto suo, non
sei il primo che reagisce così.- commentò, e
scorsi la sua soddisfazione
accentuarsi quando vide il mio sguardo assottigliarsi e le mie mani
stringersi.
Ero
davvero così semplice da
provocare?
-…ma
sei il primo da troppo tempo
che Ray ha lasciato avvicinare.-
Alzai
di scatto gli occhi, preso
sottogamba da quell’affermazione.
-Davvero?-
Will
annuì, improvvisamente serio, lanciando
un’occhiata pensierosa alla porta del salotto oltre cui, in
fondo al corridoio, si trovava la stanza di Ray.
-Ne
ha passate troppe. Ha vissuto
a New York dopo aver lasciato il Texas alle sue spalle, è
originaria di
Dallas.- mi spiegò e qualcosa, nella sua circospezione, mi
suggerì che Ray non
avrebbe gradito di sentirlo parlare del suo passato. -Ha avuto una vita
più dura di quel che avrebbe dovuto essere, e si
è indurita molto... però dentro di lei, da
qualche parte,
c’è ancora una ragazza
che soffre.-
Una ragazza che soffre.
La
mia mente si soffermò su
quelle parole, assorbendone non senza
difficoltà il
significato che portavano con sé.
Io
l’avevo vista, quella ragazza.
Era la stessa che aveva canticchiato quella canzone nella mia macchina,
che appena tornato
a casa
avevo scaricato e ascoltato fino alla nausea. Era la stessa giovane,
angosciata dalla prospettiva di dover permettere ad un viscido vecchio
di metterle le mani addosso, che mi aveva guardato con gratitudine
quando l'avevo sottratta a quella disgustosa situazione.
-Non
avrei dovuto baciarla.- commentai,
più rivolto a me stesso che a Will.
La
cosa che mi sorprese di più, però,
fu la risata che mi fece sobbalzare quando Will, dopo un istante,
scoppiò a
ridere in un modo che avrebbe anche potuto offendermi, se ci avessi
fatto caso.
-Che
razza d’idiota che sei.-
commentò, spaparanzandosi sulla sua comoda poltrona un po'
sdrucita e consunta.
-Grazie,
sei
sempre così cortese.-
mormorai, ironio, rivolgendogli un’occhiataccia che Will
– come al solito,
oltretutto – ignorò tranquillamente. Gli concessi
una manciata
di secondi d'ilarità, sospirando fra me e me, prima che si
ricomponesse e
tornasse a
guardarmi in faccia, con quelle taglienti iridi azzurre che
improvvisamente
mi ricordarono molto quelle di Ray.
Forse
Will aveva imparato
qualcosa di più della scherma, da quella bionda.
-Te
ne sei pentito?- mi chiese,
senza più scherzare. La sua domanda mi colse di sorpresa:
non mi aspettavo un
quesito del genere, né di ritrovarmi a non sapere che cosa
rispondergli.
Mi ero pentito?
Mi
ero pentito di aver baciato
quella ragazza tanto particolare quanto intossicante, di aver provato
ad avvicinarmi a lei, di aver voluto
toccare quel respiro e appropriarmi di almeno una particella del suo
sguardo?
La
risposta dovevo avercela scritta in faccia, perché le labbra
di Will si schiusero in un
sorrisetto
compiaciuto.
-Ti
è piaciuto?- mi domandò
ancora ma, stavolta, seppi che non avrei avuto bisogno di pensarci due
volte.
Era
il motivo per cui ero lì, per
cui avevo chiesto consiglio al mio amico: quel bacio mi aveva sconvolto
talmente tanto che non avevo potuto fare a meno di desiderarne ancora,
di
volerla
sfiorare ancora, di voler carpire ogni segreto che quella donna
nascondeva dentro di sé.
Sì.
E
anche per quella seconda
domanda non ci fu bisogno di rispondergli ad alta voce: mi
bastò vedere
il
suo sorriso farsi tronfio per capire che sapeva benissimo cosa mi
stesse
passando per la testa.
-Allora
non recriminare, e
comincia a usare la testa per chiederle di uscire.- affermò,
soddisfatto,
mandando giù in un sol sorso quel che rimaneva della birra
che aveva ben stretta
in pugno. Will è
l’unica persona al mondo che riesce a bere birra
di primo
pomeriggio come se fosse una camomilla.
Chiederle
di uscire? Niente
che desiderassi di più.
Sospirai.
-Adesso
Ray dov’è?- gli chiesi,
senza dargli la soddisfazione di dirgli che la sua era, dopotutto, una
buona
idea.
Lui
sorrise, ancora, malefico, alzandosi in piedi ed affacciandosi sul
corridoio.
-Ray!-
Sobbalzai,
colto di
sorpresa, quando Will alzò la voce per chiamarla.
Intravvidi
la porta di Ray aprirsi e un'energica musica rock riempire il silenzio
dell'appartamento. Dopo
diversi anni di conservatorio non mi fu difficile
distinguere
la
mancanza della batteria nella canzone che pulsava dalla sua stanza.
-Che
vuoi?- la sentii rispondere in tono scocciato.
L’espressione
ferita di Will in reazione a quella
rispostaccia mi strappò un sorriso, riportandomi alla mente
il modo di trattarlo che aveva sempre tenuto Anna.
-C’è
il mio amico coi capelli da
fricchettone!-
Come!?
-Digli
di andare dal
parrucchiere!- Ray tacque per un secondo, dandomi il tempo di
assimilare le sue parole. -Ma non il tuo!-
Rischiai
seriamente di scoppiare
a ridere in faccia a Will quando lui, ferito nell'orgoglio, assunse
l'espressione di un cucciolo abbandonato. Ray però aveva
ragione: era ridicolo
con i capelli tanto
lunghi e boccoluti, sembrava una bellissima principessa delle fiabe.
La
testa bionda di Ray, che di principessa invece aveva ben poco, apparve
dallo spiraglio della porta del salotto, con un mezzo sorriso
sulle
labbra e gli occhi divertiti, ironici, molto più tranquilli
di quanto fossero stati durante quella sera.
-I
miei capelli sono perfetti!-
protestò Will, scoccandole un’occhiata di fuoco
che non la smosse di un
millimetro.
-Questo
lo dici tu, perché non
hai mai letto la favola di Raperonzolo e Angel è una santa
innamorata e cieca come una talpa.-
L’espressione
di Will, dinanzi a quella affermazione arguta, fu impagabile.
-Sei
cattiva!- brontolò, indignato.
-Sì,
come un pancreas
infiammato.- replicò lei, ridacchiando, prima di
voltarsi verso di me e scrutarmi con un misto di ilarità e
di
interesse, con l'ombra di un sorriso sulla bocca sottile. -Era
così stupido anche sul
set?- mi chiese, divertita, accennando al biondo ormai sull'orlo di una
crisi
di nervi.
-Peggio.-
riuscii ad evitare una
figuraccia, stavolta, rispondendo immediatamente alla sua domanda ed
esibendo
uno di quei miei ghigni sardonici che tanto hanno sempre fatto
arrabbiare William.
Ray
scoccò
un’altra occhiata al
biondo, che continuava a brontolare improperi rivolti non si sa bene
contro
cosa, prima di tornare a guardarmi.
-Poveri
voi.- mormorò; ma,
stavolta, le sue iridi rimasero nelle mie.
Per
la prima volta mi accorsi della scintilla infuocata che nascondevano i
suoi occhi, dell'incendio pronto a divampare che sembrava attendere
lì, al di là di un velo di cortesia e di
autocontrollo: c'era ancora molto, di Ray, che non sapevo, ma ad ogni
sguardo mi sembrava di cogliere un mistero in più,
un'ennesima domanda che avrei voluto porle.
-Coppia
di stronzi, io esco.-
Ci
voltammo entrambi verso William, sussultando –solo in
seguito, anche se avremmo potuto capirlo prima, venimmo a scoprire che
Will aveva
autonomamente deciso di autoeleggersi a Cupido della situazione per
spingere me e Ray a frequentarci.
-E
dove vai?- gli domandai, più
veloce di Ray nel replicare.
-Esco
con Angel.- mi chiedo anche
perché le facessi, quelle domande.
Balzò
in piedi, sistemandosi la
camicia chiara e ravviandosi i capelli. Non ho mai incontrato un
ragazzo più
vanesio di Will… eccetto il sottoscritto, ma questo
è un dettaglio insignificante perché io, essendo
me medesimo, ho tutti i diritti, anzi, i doveri di prendermi
cura della mia magnifica persona.
Mi
rivolse un sorriso allegro a
cui replicai con una smorfia sarcastica, facendogli ben capire che
avevo
compreso il suo gioco; Will però non volle cogliere la mia
tensione,
avvicinandosi a Ray e sorridendole.
-Salutamela.-
mormorò lei, ma dal
suo tono era chiaro che aveva capito quanto me che Will stesse cercando
di
lasciarci soli.
-Sarà
fatto. Ciao, raggio di
sole.- e prima che Ray potesse tirargli dietro qualcosa – che
ne so… un anfibio,
magari –, Will le schioccò un bacio sulla guancia
e filò via, lasciandola con
un’espressione impagabile sul volto che posso definire come
una via di mezzo fra la
sorpresa, l'affetto sincero e l’odio
più profondo.
Cadde
il silenzio, fra noi,
quando ci rendemmo conto di essere nuovamente soli: non eravamo in un
locale
pubblico, stavolta, bensì nell’appartamento vuoto
di Will,
mentre la musica che Ray stava
ascoltando riempiva l’aria densa di elettricità
intorno a noi.
I
don’t belong here,
we gotta move on dear… escape from this afterlife.*
Mi
alzai in piedi, senza scatti
né gesti improvvisi; Ray mi sembrava un gatto, un pericoloso
ed impaurito gatto
che avrebbe potuto in ogni momento fuggire via da me, e volevo fare di
tutto per impedire che questo accadesse.
-Ti
va di uscire?- le domandai, senza preamboli, senza esitare, sulle note
di quel
riff di chitarra
che
sembrava nato apposta per lei. Era come quella musica, Ray: travolgente
e
decisa, ma con un sottinteso nascosto e malinconico.
-Ben…-
mormorò, in risposta a quella
richiesta, con gli occhi che si socchiudevano appena.
-Non
voglio provarci con te.-
bugia. -Facciamo finta che non sia successo niente l’altra
sera, okay?- altra bugia.
Mi
soppesò a lungo, e scrutò con
la freddezza calcolatrice di un felino la mano che tesi con gentilezza
verso di
lei.
-Amici?-
le proposi, accennando un
sorriso incoraggiante.
Forse,
solo forse, avevo capito come arrivare
a lei: prenderla di petto non sarebbe servito a nulla, se non a
schiantarsi contro
un muro di cemento armato spesso mezzo metro; ma,
se avessi saputo scavare
quelle fondamenta, se avessi potuto togliere un mattone alla
volta… allora,
forse,
sarei arrivato dove desideravo.
Attesi
una manciata di secondi la
sua risposta e poi
sorrisi, trionfante, quando la
sua manina candida e fresca si chiuse nella mia.
-…d’accordo.-
Era
già la seconda volta che
aspettavo che si cambiasse; perlomeno, per mia fortuna, Ray non era una
donna che impiegava
un’eternità per vestirsi... e fu anche la seconda
volta in cui mi ritrovai a guardarla a bocca aperta nel momento in cui
si mostrò a me, nonostante non fosse davvero nulla di
speciale ciò che aveva addosso.
Avete
mai visto una ragazza metaller?
Ecco. Sono la cosa più bella che esista al mondo.
Ci
sono molti sciocchi che pensano che una donna che indossa jeans
militari, bracciali di pelle e T-shirt di gruppi rock'n'roll siano poco
femminili, mascoline e per nulla attraenti. Nulla di tutto questo
poteva applicarsi a
Ray ed io, guardandola infilarsi gli anfibi da motociclista, mi
ritrovai completamente incantato dalla genuinità e dalla
sensualità che traspariva dai suoi gesti.
Quella
era l'immagine che Ray aveva di sé, che non aveva paura di
mostrare e che la faceva sentire bene con se stessa. Era questo,
probabilmente, che la rendeva così bella e desiderabile al
mio sguardo: quell'alone di sicurezza e di amore per se stessa che la
circondava e che sembrava, soprattutto, che Ray indossasse come una
medaglia al valore, come qualcosa per cui aveva strenuamente combattuto
e che fosse orgogliosa di portare.
-C’è
qualcosa che non va?- mi domandò, alzando lo sguardo verso
di me.
-No,
anzi. Ho appena avuto la riprova che sei
molto più bella, vestita così.- replicai, senza
malizia, rivolgendole un complimento sincero e sentito che la fece
arrossire fino alla radice dei capelli.
Ray
non sa accettare i complimenti. Non fa parte del suo DNA.
-Hai
detto che non ci avresti provato, Barnes.- borbottò,
mugugnando come una bambina indispettita.
-Ma
infatti il mio era un
complimento spassionato.- replicai prontamente, divertito, ma non
riuscii ad evitare un'occhiata al suo bel fondoschiena quando mi
superò per recuperare una borsa dal guardaroba accanto alla
porta.
-Allora
smettila di guardarmi il
culo.- colpito e affondato. Due a zero per Ray.
-Chi
ti dice che ti stessi
guardando?- ribattei, non accettando però
quell’ennesima sconfitta.
Ray
mi scrutò dal basso di quei dieci centimetri che ci
differenziavano, inarcando un sopracciglio sottile.
-Non
sei un granché come attore,
Barnes.-
Mi
limitai a ridacchiare, in risposta, prima di seguirla fuori e poi in
strada,
nel caos del centro di Londra.
Amavo
parlare con lei. Le sue
rispostacce mi stuzzicavano, mi spingevano a punzecchiarla ancor di
più, il suo
modo di fare spigliato ed irriverente era una piacevole
novità in quella vita
che stava diventando pericolosamente sempre più uguale a se
stessa.
-Che
musica ascoltavi, prima?- le
chiesi ad un certo punto, interrompendo un dibattito su quale motore
fosse il
più indicato per un’Alfa Romeo. Ecco
un’altra cosa splendida di Ray: era
cresciuta a pane e motori e finalmente
potevo parlare di una cosa che mi appassionava – le auto
sportive – con una
donna senza che rischiasse di sbadigliarmi in faccia.
Anzi,
s’infervorava anche.
-Avenged
Sevenfold. Stavo
provando la batteria, sto imparando.- mormorò, e ricordai
improvvisamente
che mi aveva accennato di una passione proprio per quello strumento.
-Potrei
darti qualche lezione, se ti va.- le proposi, soprappensiero, senza
cogliere la sua occhiata sorpresa. -Suono la
batteria da quindici anni, ho una Pearl a casa.-
-Non
stai scherzando, vero?- volle sincerarsi, incredula, ma io mi limitai a
sorridere, prendendola
sottobraccio e voltando verso il caos di Piccadilly Circus.
-Assolutamente
no.- risposi, contento e ringalluzzito come un gallo in un pollaio. Che
razza di cretino che
dovevo
sembrarle…
-Oh.-
la sentii sussultare,
quando i suoi occhi si posarono su una vetrina ben illuminata di un
negozio di
abbigliamento.
C’era
un vestito, su un manichino
solitario in quella vetrina d’alta moda; era un abito
sbarazzino e romantico al
tempo stesso, corto e senza spalline, decorato da una fascia dorata in
vita che
doveva essere una cintura. Era allo stesso tempo sobrio, spigliato ed
elegante;
un po’ come Ray, che presto avrei capito essere
più mutevole – come stile e
come carattere – del cielo in primavera.
-È
molto bello.- commentai, ma la
vidi improvvisamente voltarsi di scatto, cupa in volto.
-E
mi sa che resterà dov’è.-
mormorò, sciogliendosi dalla mia stretta e precedendomi
nella folla di
Piccadilly.
La
seguii,
guardandola camminare spedita ad un metro di distanza da me.
Incredibile quanto
un vestito possa rendere volubile l’umore di una donna, vero?
E
poi, improvvisamente, restò
inchiodata lì dov’era. Quasi
le andai a sbattere
addosso tanto repentina fu la sua frenata.
-Ray…?-
la chiamai, perplesso,
posandole una mano sulla spalla quando colsi la tensione delle sue
spalle e delle sue mani, improvvisamente serrate a pugno. Alzò
gli occhi per guardarmi,
avvicinandosi istintivamente a me come se cercasse protezione, riparo.
-C’è
una persona che non voglio
vedere.- mormorò.
Seguendo
il suo sguardo, vidi un
ragazzo parecchio più alto di me, con gli occhi celesti e i
capelli di un biondo
scuro, dirigersi esattamente verso di noi. Non aveva ancora visto Ray,
che
pareva decisamente contraria all’idea di incrociare la sua
strada ed il suo
sguardo, e che serrò le dita sul mio braccio
prim’ancora che potessi rendermene
conto.
Era
una stretta forte, forte e
spaventata; sembrava cercare un conforto, una forza che non aveva, un
sostegno
per affrontare quella sfida che sembrava farle troppo male.
E
dopo nemmeno un battito di ciglia
la vidi cedere: lo capii dai suoi occhi spaventati, allargati dalla
paura, proprio un istante prima che mi trascinasse contro di
sé,
intrappolando se
stessa fra me e il muro di una villetta a schiera.
-Ti
prego, fai finta.- sussurrò
sul mio collo, sfiorandomi la pelle col respiro. Sospirai, cercando di
ignorare la
percezione del suo
corpo premuto sul mio che, purtroppo, avevo già capito
essere in grado di mandarmi completamente nel pallone.
Annuii,
stringendo i denti e socchiudendo gli occhi. Il tocco della sua pelle
sulla mia era caldo,
soffice e meraviglioso: le sue labbra sfioravano la mia gola, timide
e
spaventate ma ben più che concrete – calde,
sensuali.
Fai finta?
Come
potevo far finta di desiderarla
quando il mio corpo la voleva con una
forza inaudita?
-È
la seconda volta che finiamo
così, Ray.- le sussurrai sul collo, accostando il volto alla
sua spalla e toccandola con la punta del naso, seguendo lentamente il
profilo del suo collo arcuato.
Tremava,
Ray, completamente
abbandonata contro di me. Risalì in punta di dita le mie
braccia, le mie spalle, prima d'intrecciarle fra i miei capelli e
tirarmi di più a sé, forse anche lei alla ricerca
di un contatto più approfondito con me.
Non
capivo bene come fossimo
arrivati a quel punto… ma sinceramente, poco
m’interessava.
-Dio,
quanto sei bella…- cedetti, sconvolto dai suoi gesti
semplici ma completamente devastanti, affogando finalmente in quella
gola morbida che mi aveva atteso anche troppo a lungo.
La
serrai maggiormente fra la
parete e il mio petto, baciando quel collo invitante con una lentezza
soltanto apparente e proseguendo sino
all’orecchio, lasciando soffici impronte arrossate su quella
dolce carnagione bianca che s'arrossava con un niente. La
sentivo sospirare sulla mia
spalla, e le unghie mi graffiavano lievemente la nuca.
Mi
faceva perdere il controllo.
Vicino a lei non ero più il Ben spigliato ed arrogante che
tutti conoscevano,
l’inglese imperturbabile e sardonico che amavo essere:
quando lei si
avvicinava
a me diventavo un
semplice
uomo schiavo dei propri istinti, dei propri desideri, della donna che
già mi aveva in pugno.
-Ben…-
Non
doveva farlo. Non doveva
pronunciare il mio nome così, non con quella voce tremante,
non sospirando in
quel modo.
-È…
è
andato via.- pigolò, accarezzandomi le spalle e scendendo
lungo il mio torace fino a fermarsi sul mio petto, sul mio cuore.
Compresi
subito ciò che mi stava dicendo: voleva
che mi fermassi, che non continuassi
su quella strada fatta di baci ardenti, di pelle morbida che
mi
accoglieva e di brividi sconvolgenti.
Fu
la cosa più difficile di tutte
tornare in me, separarmi da quel corpo che volevo così
tanto, che – Ray non
poteva negarlo – mi voleva allo stesso modo.
La
sciolsi dal mio abbraccio
possessivo, lasciandola respirare, ignorando il gelo che mi colse nello
stesso, preciso momento in cui ci separammo.
-Chi
era quel
ragazzo?- riuscii a domandarle soltanto dopo molto, molto tempo –
un tempo che mi era
servito per
riprendermi e per mettere a tacere il desiderio pulsante che aveva
assordato i
miei pensieri.
-Era
un mio... amico, una volta.- mi
rispose dopo un istante, arrampicandosi agilmente su un muretto;
ci eravamo spostati in
una
delle laterali più tranquille di Piccadilly, dove meno gente
trafficava i
percorsi e dove ci si poteva fermare a chiacchierare, poco lontani da
un
caffè
italiano.
La
guardai, incuriosito, ma lei distolse
lo sguardo e sospirò. -È una lunga storia
Ben, t’annoierebbe…-
-Ho
tempo.- la interruppi,
rabbrividendo quando pronunciò il mio nome. Ero
terribilmente dipendente
dalla sua voce, dal modo in cui mi chiamava... Dopo quel tete
a tete a dir poco scottante, la mia mente non poteva che
partorire immagini di come sarebbe stato sentirla sospirare il mio
nome o,
anche, urlarlo…
Dovevo
darmi una calmata. Sembravo
un adolescente in crisi ormonale.
Per
fortuna Ray non se ne
accorse; era terribilmente ingenua e inconscia dell’effetto
che faceva solo
esistendo, me n’ero già accorto.
Sbuffò, invece, dondolando le gambe nel vuoto.
-Fu
una delle prime persone che
conobbi arrivata qui. Will t’avrà detto che sono
cresciuta in America, no?-
Will
m’aveva anche detto di chiederle di uscire, ma certo
questo non
gliel’avrei riferito.
-Non
m’ha detto perché te ne sei
andata.- annuii, e seppi di aver toccato un tasto dolente quando Ray
sussultò
come se l’avessero pugnalata al cuore.
-Perché
ho perso tutto quello che
per me era casa e famiglia.-
sgranò gli occhi lei stessa,
quando si rese conto delle parole che aveva appena pronunciato.
Le
erano sfuggite prim’ancora di
pensarci, prim’ancora di riuscire a trattenerle: la vidi
mordersi un labbro, e
improvvisamente capii che quella confidenza involontaria aveva riaperto
una
ferita ancora dolorosa.
Non
dissi niente, senza forzarla
a parlare; ma fu lei, probabilmente maledicendosi, a continuare.
-Incidente
in moto.- disse, soltanto, e non riuscì ad impedire ai
propri occhi di farsi lucidi e al proprio volto di contrarsi nel
tentativo di reprimere i ricordi e la sofferenza.
Sbagliavo,
forse, a
chiedere,
a farle rivivere tutto quanto… ma allo stesso tempo avevo
bisogno di sapere, dovevo capire
cosa Ray nascondesse
dentro di sé. Volevo conoscerla, ma sapevo che soltanto dal
passato si capisce
qualcosa di un’anima come quella di Ray.
Non
era così fredda e lontana
come voleva apparire, se quel dolore tornava a galla con una
facilità così
disarmante; eppure sentivo di essere fortunato, in un qualche modo,
perché era con me che si
era aperta, con me stava
parlando, ed avevo
l’impressione che non fosse così semplice tirarla
fuori dal suo guscio, non
semplice come era stato per me.
Non
si lasciò abbattere da
quel ricordo che, probabilmente, ancora tanto la faceva soffrire,
perché tirò su
col naso e prese fiato, raccogliendo un coraggio immenso di cui non
avevo
ancora ben chiara la portata e cambiando argomento.
-Con
quel ragazzo… beh, diciamo che sono stata con lui
più per beneficenza che per qualche altro motivo. Solo che
mi ha causato un sacco di guai, e ne sto pagando lo scotto ancora oggi.-
continuò, probabilmente sollevata dal poter cambiare
argomento, tornando a parlare dello sconosciuto che avevamo incrociato
poco prima. -Ero solo un giocattolo, per lui.- aggiunse, scuotendo la
testa.
-Perché
glielo hai permesso?- le domandai di getto, prima di potermi rendere
conto che quella non era la domanda migliore da farle. Mi
fissò a lungo, torva, aspettando un po' prima di rispondermi.
-Perché
a volte è più facile farsi del male che cercare
di migliorare la propria vita.- ammise, infine, abbassando lo sguardo.
Le
sue parole mi sarebbero rimaste dentro molto a lungo: aveva avuto
ragione nel dire che sarebbe sempre stato molto più semplice
smettere di lottare per migliorare se stessi e la propria vita... e
qualcosa, in quel momento, mi suggerì che proprio lei aveva
dovuto lottare con tutte le sue forze per strapparsi da quell'indolenza
deleteria.
-Penso
sia meglio tornare a
casa.- mormorò dopo un’eternità,
saltando giù dal muretto e superandomi; ma
quel groviglio di emozioni ribelli che si agitava nel mio petto mi
spinse a
prenderla per mano, a fermarla, e a trascinarla contro di me in un
abbraccio
che nemmeno io mi aspettavo.
Mi
trattenni dal baciarla, dal
fare qualsiasi cosa che non fosse stringerla a me, anche se non fu
semplice evitare che quelle emozioni prendessero del tutto il
sopravvento e mi facessero combinare l'ennesimo pasticio.
Ma
la tirai contro al mio petto,
sentendola irrigidirsi mentre il bisogno di toccarla, di lei, ruggiva tutta
la sua approvazione.
-Non
ti faccio niente.- mormorai
quando la sentii tesa e vigile contro al mio petto, accostando le
labbra al suo
orecchio e sussurrandovi a pochi millimetri di distanza. E
rabbrividì,
rilassandosi un poco, posando le dita candide sui miei fianchi ed il
volto sulla
mia spalla.
Sorrisi,
in cuor mio
sollevato di non essere stato rifiutato, lasciando scivolare le braccia
sulla
sua schiena e stringendola di più a me.
Era
tremendamente bello essere
lì, tenerla fra le braccia come se fosse una soffice
bambola da proteggere
dal mondo.
Sembrava
quasi che il suo corpo
fosse stato modellato per me, esclusivamente per me: per ogni sua curva
c’era
un incavo nel mio petto e le sue gambe si posavano sulle mie con
tenerezza,
quasi sapessero istintivamente come incastrarvisi alla perfezione.
La
sentii sciogliersi, nel mio
abbraccio, stringendosi a me e strusciando appena il nasino freddo sul
mio
collo.
Era
così bella, maledizione. Così
fragile. Perché
la vita era stata tanto
ingiusta, con lei?
Non
lo meritava… volevo vederla
sorridere, volevo lasciare che la ragazza dolce e tenera che
intravedevo in
quell’abbraccio potesse liberarsi del suo guscio, senza
più paura di restare
bruciata.
Secondo
voi è possibile che una
donna provochi tutto questo in così poco tempo? Secondo me
sì. Ray è un
tornado e, quando passa, tutto ciò che pareva concreto e
materiale si ritrova
spazzato via dai suoi occhi, dalla sua ironia, dalla sua dolcezza.
-Se
ti chiedo di uscire con me,
stasera, mi mandi al diavolo?- le sussurrai, accarezzandole i capelli.
La
sentii dissentire con un gesto della testa e sentii le sue ciglia
solleticarmi la pelle, il
suo respiro sfiorarmi collo.
-No…
se
mi lasci stare qui ancora
un po'.- mormorò, e capii anch’io quanto le fosse
costato chiedermi di non
allontanarla da me.
Quanto le fosse costato ammettere di star bene,
lì dov’era.
Fu
una sorpresa, una meravigliosa
sorpresa, capire che voleva restare dove io volevo trattenerla: con me.
Sorrisi,
lasciando un bacio fra
quei morbidi riccioli biondi.
-Quanto
vuoi.- risposi, e
avvertii le sue labbra distendersi in un sorriso prima che si alzasse
sulle
punte dei piedi, posando un morbido bacio sulla mia guancia ruvida
prima di tornare ad accoccolarsi contro di me.
Fu
proprio in quel momento che mi resi
conto di essermi ormai spinto troppo in là per tornare
indietro.
La
volevo per me, ormai l’avevo
capito. La
volevo con me.
E,
in qualche modo, avrei
distrutto quelle barriere che aveva eretto intorno a sé e
l’avrei conquistata.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
*Afterlife,
Avenged Sevenfold: "Non apparteniamo a questo posto, dobbiamo muoverci,
cara, per scappare da questa vita al di là della vita."
Buooooongiorno xD
Sì, aggiorno, dopo un bel pezzo che ho pubblicato
il primo capitolo...però dai, perdonatemi, non ho fatto un
ritardo così mostruoso ^^'
Per chi segue le mie altre fic, la prossima in ordine di
aggiornamento è Seven
Gods xD
Allora, cosa dire di questo capitolo? Mmmm...magari il fatto
che come mio solito mi faccio prendere tanto dalle fic, e che quindi
anche questa storia si allungherà più del
previsto ^^'
E' che sono così belli questi due *-*
Ray a Ben darà non poco filo da torcere...nel
prossimo capitolo il principino caaaro avrà una bella
batosta U.U e comparirà anche Angel, a proposito xD
....Will è un deficiente xDDDDDDDDDDDDDDDDD
*frasi random per sottolineare l'idiozia di William Moseley*
Okay, seriamente: spero che vi piaccia questo capitolo,
perché non ne sono molto sicura...non so, mi piace molto, ma
sapete com'è quando si conosce un ragazzo che vi piace da
subito? Che magari fate cose che non vi aspettate da voi stesse,
accelerate i tempi, e poi vi sentite in colpa?
Ecco, è quello che spero di aver lasciato
trasparire da Ray e da Ben. Penso lo chiamino colpo di fulmine (e ne so
qualcosa, ne so decisamente qualcosa ^^'). Che ne dite? Schifezza o
passabile?
Ma Ben è un cretino
fatto apposta xD anche qua altalena fra "ohmaccheccarina" e "teniamo a
bada l'amico nelle mutande"...ci sto prendendo un certo gusto sadico a
maltrattare pure lui, quasi meglio di Will xD
Ma Chica, MU!!!! >/////< Ray è carina, dovrai
vederla nel prossimo capitolo alle prese con la Premiata Ditta al
completo O.o
Le sparizioni di Will SONO poco casuali...Cupido ci cova! xD
<3
Ciao, che bello vedere una
nuova recensitrice!! ^.^ Sono contentissima che la storia ti
piaccia, e per la canzone...ho un debole per quel gruppo, li ficco
ovunque, li amo <3
Ray è un mito, è tremenda con questo
ragazzo...nel prossimo capitolo usciranno insieme, ne vedremo delle
belle xD Sono una coppia dolcissima e idiota, un pò come
Angel e Will xD
Un bacione, e grazie!!
ciao tesoro!! ^.^
Eccomi qua con il secondo capitolo, dove Ray e Ben si dimostrano che
non sanno nè stare buoni nè starsene lontani xD
Ben è un pò più furbo in questa
fic...neanche poi tanto però xD Will invece è il
solito scemo U.U
Ti adoro Romy <3
Sono contentissimissima che la
storia ti piaccia ^.^ Ray e Ben sono coccolosi, ma presto mi sa che
saranno anche ad alto tasso ormonale...certo, il soggetto maschile
aiuta xD Spero che anche questo chap ti sia piaciuto, ti
dirò la verità, mi sono divertita un mondo a
scriverlo ^.^
Un bacione, e noi due ci sentiamo su FB xD
Uh *-* Ti piace davvero? Ero
un pò indecisa, mi sembrava di aver affrettato le cose...ma
alla fine le mie storie sono sempre state così, con un
"piacersi" iniziale e poi un rincorrersi dopo ^^' spero di non aver
scazzato, ecco ^^'
Grazie mille per il negozio, sei un tesoro <3 E ci sentiamo su
FB anche con te xD <3
-Mi
sembra di avertelo ripetuto
già quattro volte!-
-Non
con il mio amico coi capelli da fricchettone, vero?-
Will
sapeva
essere davvero petulante, quando ci si metteva.
Soffocai
una risata nel vedere qualcosa di molto simile ad un piatto di batteria
volare con
precisione
addosso al biondo, stampandosi sulla sua faccia con un sonoro rumore
metallico
ed un’altrettanto rumorosa imprecazione del mio amico.
-Mi
hai fatto male!- protestò,
avvicinandosi alla sua camera e rimettendo a posto il piatto.
Io rimasi
in disparte; dopotutto, in teoria, non avrei dovuto affatto essere
lì.
In
pratica, ero lì da mezz’ora ad
ascoltare Ray che strillava contro William, in preda ad una crisi di
nervi
perché non trovava un vestito da indossare per
uscire… beh, per uscire con me.
-Magari
è la buona volta che stai
un po’ zitto! E fuori da camera mia!- la sentii strillare e,
ancora una volta, nascosi
una risata .
-Come
se non ti avessi mai vista
in mutande!- e finalmente vidi sul serio un anfibio volante arrivargli
addosso,
mentre Will filava via sghignazzando dalla camera di Ray; per mia somma
sfortuna riuscì ad evitarlo per un pelo, mandandolo a
cozzare contro una
parete.
-Scusa,
quand’è che avresti visto
Ray in intimo?- gli chiesi, borbottando, senza farmi sentire grazie
soprattutto alla
musica
assordante che risuonava in camera di Ray e in tutto
l’appartamento.
-Vivo
con lei, caro, capita!- si
difese lui, stringendosi nelle spalle con fare non compromettente.
-Mh.
Sarà.-
Will
si lasciò
sfuggire un ghigno in risposta alla mia smorfia poco convinta.
-Cosa
sei, geloso? Tranquillo, per me esiste solo… Angel!- lo vidi
illuminarsi di botto quando i suoi occhi
celesti si
spostarono oltre la mia spalla, verso la porta d’ingresso.
Mi
voltai anch’io, sorridendo,
quando una figura minuta che ben conoscevo apparve sulla soglia della
porta.
Piccolina,
col viso dolce e sempre
allegro, lunghi capelli di un bel castano lucente e vividi occhioni
color
cioccolato: Angel era rimasta la stessa, dolce ragazza che avevo
conosciuto sul
set di Prince Caspian, e che aveva fatto breccia nel cuore di
quell’inguaribile
idiota del mio migliore amico.
-Angie.-
sorrisi, quando i suoi
occhioni scuri si allargarono di sorpresa nel vedermi.
Un
istante più tardi mi ritrovai
travolto da quel piccolo esserino bruno in un abbraccio molto
più saldo di quanto,
a vederla, potesse sembrare in grado di trasmettere.
-E
manco mi saluti!- mugugnò il
biondo ma, per un istante, trattenni Angie fra le braccia; eravamo
diventati
amici, durante le riprese, e non potevo negarmi che la sua presenza
solare e
ottimista mi fosse mancata. E non poco.
-Mi
sei mancata, piccoletta.- le
mormorai all’orecchio, ignorando Will che brontolava peggio
di una vecchia
caffettiera arrugginita. E lei mi sorrise, schioccandomi un bacio sulla
guancia
prima di sciogliere quell’abbraccio quasi fraterno.
-Sei
un rompiscatole.- si rivolse
immediatamente a Will, incrociando le braccia sul petto e guardandolo
storto.
-Ti
amo tanto.- ma che razza di
ruffiano.
Rischiai
di soffocare dal ridere
quando Angel gli rivolse un’occhiata capace di ridurlo
ad un cucciolo
bastonato nel giro di tre secondi netti; Angie non penso si renda
tuttora conto
di quanto Will sia dipendente da lei, di quanto la ami e,
soprattutto, di quanto lo
terrorizzi l’idea di farla arrabbiare. Sinceramente,
è una cosa che non auguro
proprio a nessuno.
-Angie!-
sussultammo tutt’e tre,
quando la voce stridula di Ray ci raggiunse con la
delicatezza di
un’esplosione, vagamente isterica e sull’orlo delle
lacrime.
Ma
io mi chiedo: le donne sono davvero così volubili quando si
tratta di vestiti!?
-Arrivo!-
sospirò lei, alzando
gli occhi al cielo ma sorridendo fra sé, divertita. -Come
fareste se non ci
fossi io proprio non lo so…- la sentii mormorare a mezza
voce quando mi
superò per
raggiungere la camera di Ray, lasciando me e Will da soli.
Soltanto
quando la porta si
richiuse e sentii la musica spegnersi, Will si esibì in uno
dei suoi migliori
ghigni che tanto conoscevo, e che sicuramente
avrebbero causato un qualche tipo di guaio. A me, in particolar modo.
-Vieni.-
mi fece cenno di
seguirlo, imboccando sicuro il corridoio e varcando la porta del
ripostiglio,
proprio accanto alla camera di Ray. Lo seguii, perplesso e non poco
preoccupato;
mi fido poco di Will quando ha di queste uscite, sinceramente.
Quando
lo raggiunsi lo trovai ad
armeggiare con una finestrella che dava sull’esterno; lo
soppesai per qualche secondo, allibito,
cercando di capire che diamine stesse facendo.
-Ray
tiene sempre la finestra aperta,
ha perennemente caldo. Da qua si sente tutto.- mi fece, soddisfatto,
facendomi
cenno di avvicinarmi.
-Scusa,
tu origli in camera sua
da quanto tempo esattamente?- gli chiesi, stupefatto; capisco l'essere
un
ficcanaso, ma così Will mi ricordava giusto un poco una
vecchia comare
pettegola!
-Da
un po’. Ehi, dovrò pur sapere
cosa le passa per la testa, sennò come potrei aiutarla?-
Detta
così pareva anche
avere un senso logico e vagamente nobile. Sì, ma certo.
-Certo
Will. Convinto.- scossi la
testa, rassegnato; Will non sarebbe mai cambiato, ne ero certo. -Ora
però
levati, biondo, fammi sentire!-
lo spinsi poco carinamente di lato, accostandomi alla finestrella per
ascoltare
quello che le ragazze si stavano dicendo.
Oh
insomma, avete mai provato a
capire una donna? Sono
più complicate del cubo di
Rubik, alle volte.
-Ray,
si può sapere perché sei
sull’orlo dell’isteria? Ho visto un anfibio volare,
non è mai un buon segno.-
Ma
quanto spesso volavano scarpe
in quella casa?
…okay, Ray viveva
con Will. Risolto
l’arcano: una scarpa in testa è indubbiamente un
buon metodo per
farlo tacere.
Sentii
un sospiro ed un lieve
tonfo che poteva essere quello di un corpo che si lasciava cadere
pesantemente
su un materasso.
-Non
lo so.-
-Sei
preoccupata per stasera?-
-Anche.
Boh. Penso.-
Io
e Will ci guardammo nello
stesso istante, perplessi: in quel momento avrei davvero desiderato un
cubo di
Rubik piuttosto che cercare di capire cosa stesse dicendo Ray.
Un
altro sospiro, un tramestio
del letto.
-Ho
paura, Angie. Dai, lo sai
anche tu, dovrei solo starmene buona… non ho ancora imparato
a tenermi alla
larga dagli uomini, dai sentimenti e da tutto quel che ne comporta.-
-Ma
per fortuna, no?-
-Insomma.-
Sentii
qualcosa gelare
dentro di me, a quel sospiro tremante.
-Sta
succedendo tutto troppo in
fretta… io non dovrei lasciarmi coinvolgere così,
dannazione!-
Un
altro
suono ovattato, il suono di un pugno affondato in un cuscino.
-E
invece sono qui a chiedermi
come andrà questa serata, se gli piacerà un
vestito che non so scegliere, se
gli piacerò io…-
La
voce di Ray si
spezzò, imbarazzata, su quelle ultime parole,
ma il mio cuore aveva già accelerato bruscamente, aveva
già iniziato a
martellare nel petto la consapevolezza che Ray era preoccupata di non
piacere a
me, a me
che l’adoravo più di quanto io stesso potessi
capire in quel momento.
-Sono
un disastro.-
No,
non era
un disastro. Era splendida.
-Ma
no che non lo sei.- avvertii
Angie sospirare, paziente.
-Sì
che lo sono.- non era un
disastro, Ray. Era solo tremendamente testarda, e priva di una
qualsivoglia
forma di sicurezza in se stessa, quando la situazione si avvicinava
troppo al suo cuore. -Non dovrei mettermi in gioco di nuovo,
è da stupidi.-
-Ma
non è vero. Ascolta… non sei
in grado di tenere a bada il cuore, lo sai meglio di me. E poi con lui
stai
bene, me l’hai detto tu.-
Sentii
il cuore minacciare di
fracassarmi qualche costola, a quelle parole.
-Sì.
È questo il punto Angie: io
sto bene con lui. Mi sento felice, mi sento serena… mi sento
viva.- intravvidi appena gli occhi
azzurri di Will spostarsi rapidamente su di me prima di tornare a
fissarsi sulla
finestra.
-È che non so… non so quello che gli passa per la
testa. Io non sono una persona
felice, sono cinica e ombrosa e ci sono ancora troppe cose che devo
risolvere nella mia testa… che cosa mi
dice che, giustamente,
non si potrebbe stancare alla svelta di questa situazione?-
Rovesciai
gli occhi al cielo più
o meno nello stesso istante in cui lo fece Will.
Stancarmi di lei?
Sono
passati anni, da quella
serata, e ancora devo capire il senso di quella frase.
Come,
in che modo avrei mai
potuto stancarmi di lei?
-Ray,
è sempre la solita storia.-
-Io
non reggo ad altro dolore. Ho
fatto il pieno troppo tempo fa.-
Una
strana sensazione, simile al senso
di
colpa ma meno sordido, più languido, parve prendere vita nel
mio stomaco: ci
misi qualche istante a comprenderne il senso, il significato.
Era
dolore.
Era
quel dolore, lento e
suadente, che riempie lo stomaco quando vedi una persona a cui tieni
soffrire.
Non
mi piaceva sentire Ray tanto
angosciata, tanto insicura; per un istante pensai persino di inventare
una
qualche scusa per annullare la serata, per non costringerla a vivere
qualcosa
che poteva esserle tanto penoso…
Sobbalzai,
e Will con me, quando
un sonoro schiocco risuonò in tutta la stanza.
-Okay,
basta insicurezze. Tanto
lo so che sono troppo stupida per non rischiare comunque.-
Non
potei non sgranare gli occhi in risposta
a quell’esclamazione improvvisamente molto più
sicura, molto più decisa.
Vidi
William sorridere della mia
espressione perplessa, e stringersi nelle spalle con una smorfia
sardonica in
volto. Evidentemente lui era abituato a quegli scatti, a quel coraggio
che,
prepotente, riprendeva il suo posto nel cuore di Ray.
Avrei
imparato a conoscerlo, quel
coraggio.
Avrei
imparato ad amarlo.
-Oh,
così mi piaci.- sentii Angel
battere le mani, entusiasta, e rimestare nella busta elegante che aveva
portato
con sé. -Guarda questo, piuttosto. Giuro che l’ho
comprato coi soldi di Will.-
Sorrisi,
fra me e me, riuscendo quasi a
vedere l’espressione di Ray davanti all’ultimo
acquisto di Angel.
Non
era stato poi così difficile
fare in modo che quel famoso vestito blu arrivasse fra le mani della
mia
bionda
preferita.
Ma,
quando, sentimmo i passi svelti
di Ray avvicinarsi alla porta, io e Will arrivammo alla stessa
conclusione: se
ci avesse trovati lì, intenti ad origliare, non penso
sarebbe stata molto
contenta.
Caso
(o iella, più probabilmente)
volle che Will inciampasse non ho idea dove, facendo perdere
l’equilibrio anche
a me e finendo entrambi per terra proprio sulla soglia dello
sgabuzzino, il tutto corredato da una
sequela
impressionante d’imprecazioni e volgarità
più o meno variopinte.
La
scena aveva del comico, ora
che ci penso.
-Ben.-
alzai lo sguardo, districandomi
da un brontolante William un po’ a fatica, scostando i
capelli lunghi da
davanti agli occhi; ritrovai lo sguardo di Ray, in piedi dinanzi a me,
a metà
fra l’esasperazione e l’ilarità
più assoluta
-Io
ho solo detto qual’era il
vestito. Hanno fatto tutto loro.- mi giustificai, ostentando un sorriso
e una
faccia di bronzo veramente assurdi. Lei scosse la testa, abbassando
però gli
occhi.
Aveva
le guance rosse, meravigliosamente rosse.
Angel
era uscita qualche ora
prima, diretta in quel negozio che aveva attirato
l’attenzione di Ray mentre era fuori con me. Il vestito che
l’aveva colpita era ancora
lì, e Will aveva insistito
per regalarlo all’amica, adducendo una scusa poco convincente
su quanto Ray
“gli avrebbe poi rotto le scatole ogni volta che passava
davanti a quella
vetrina”.
Hanno
uno strano modo di volersi
bene, Will e Ray.
-Non
so se ridere o arrabbiarmi.-
commentò la bionda in questione, scoccando
un’occhiataccia a Will; ma lui,
forse un poco esasperato dal mio dolce peso sullo sterno, mi spinse via
in malo
modo, emettendo un versaccio a dir poco spazientito.
-Facciamo
così: vestiti. Altrimenti
non mi libererò più di voi due!-
sbottò, alzandosi
in piedi e spingendo senza
troppi problemi Ray ed Angie di nuovo in camera, mentre io me la ridevo
come un
emerito cretino.
.
-La
pianti di controllarti i
capelli? Mi stai dando sui nervi, Narciso.-
Rivolsi
una smorfia a Will,
passandomi le dita fra i capelli scuri e folti, lunghi fin sotto le
orecchie.
Mi piacevano, così: per Dorian Gray li avevo fatti crescere
ed entro un paio
di mesi avrei cominciato a girare Il Viaggio del Veliero, dove avrei
potuto
mantenere la mia acconciatura.
Ero
e sono un grandissimo
vanitoso, lo ammetto: ma dopotutto, ne vale la pena.
-Devo
ricordarti quanto ansioso
eri al primo appuntamento con Angel?- gli ricordai, sarcastico,
sistemando il risvolto della camicia e sbottonando un paio di bottoni,
sentendomi subito molto più a mio agio.
-No,
per carità! Il mio telefono
s’è quasi fuso, quella volta!- sobbalzai, quando
una voce
che conoscevo bene risuonò
alle mie spalle.
Mi
voltai di scatto, del tutto
impreparato ad accoglierla, senza nemmeno aver formulato un pensiero su
cosa
dirle, su che complimenti farle, su quale comportamento tenere con
lei… svanì
tutto in uno sbuffo, in un soffio di polvere, quando il mio
sguardo si
posò su di lei.
Era…
era
bellissima.
Mi
presi il tempo di guardarla,
di osservarla, d’imprimermi ogni singolo dettaglio nella
mente era
semplicemente la creatura più bella su cui avessi mai avuto
la fortuna di posare gli occhi e sapere che lo era per
me,
che ero io il fortunato
cavaliere di quella ragazza, fece affiorare lentamente
un
sorriso sulle mie labbra nel momento in cui incontrai i suoi
meravigliosi occhi
azzurri.
Quella
particolare tonalità di
blu le donava, era perfetta sulla sua carnagione candida; il vestito
che tanto
l’aveva impressionata era lì, meraviglioso sul suo
corpo tonico e ben fatto. La
stoffa indugiava sulle curve dei fianchi, arricciandosi dove
un
fermaglio d’argento chiudeva la fascia che delineava la vita
sottile.
E
guardava me.
Timida e
imbarazzata ma
tanto coraggiosa da non abbassare lo sguardo, lei guardava
soltanto me.
Ma,
ovviamente, Will doveva rovinare il
momento.
-Wow.
Sei davvero splendida.-
Oh,
ma io l’avrei ucciso, prima o poi.
Scorsi Angie
ridacchiare, alle
spalle di Ray, quando scoccai a William un’occhiataccia di
fuoco. Ray
invece abbassò lo sguardo, torcendosi appena le mani e
l’orlo del vestito.
-Mi
sto vergognando come una
ladra.- la sentii borbottare, più rivolta a se stessa che a
me.
Io sorrisi,
avvicinandomi di un
passo e sfiorandole il viso; le posai l’indice sotto il
mento facendole
alzare lo sguardo, intrappolandolo nel mio e per me, improvvisamente,
tutto il resto si dissolse: c’erano solo quei due occhi blu
che mi
guardavano, vividi e
lucidi come non mai.
-E
perché? Per una volta
quell’idiota ha ragione, sei meravigliosa.- le sussurrai, e
sentire il suo viso andare letteralmente a fuoco fu la soddisfazione
più grande.
Avvertii
Will alle mie spalle
cominciare a dire qualcosa, sicuramente per sfottere il sottoscritto
ma, grazie al Cielo, Angie lo interruppe e lo prese per un orecchio,
tirandolo verso il basso.
-Ho
come l’impressione che tu sia
di troppo!- gli fece notare, rivolgendo un sorriso caldo ed
incoraggiante a me e a Ray;
sentii
ridacchiare la mia bionda quando Angel – minuscola al
confronto di quel
ragazzone pompato che è William – se lo
trascinò dietro senza troppi
complimenti fuori dal salotto, ignorando tranquillamente le sue
proteste.
-Sono
qualcosa di fantastico, da
vedere.- fu il commento divertito di Ray, con i riccioli che
ondeggiavano
intorno
al suo viso mentre scuoteva la testa, esilarata.
-Lo
sono sempre stati.- annuii,
ricordando bene quanto Will e Angie si fossero trovati sin
dall’inizio: erano
fatti per stare insieme, era stato cristallino
fin dal primo incontro.
Povera
Angel.
Ray
si voltò di nuovo verso di
me, sorridendomi con una dolcezza che mi sorprese e
m’intenerì al tempo stesso:
era così vicina, così bella… per me il
tempo poteva fermarsi in quell’istante,
lasciandomi con lei per un periodo indefinito tendente al per sempre.
Le
accarezzai delicatamente una
guancia, sfiorandole i capelli con la punta delle dita, disegnando il
profilo
degli zigomi con il pollice.
Avevo
bisogno di sfiorarla di nuovo, di essere
sicuro che fosse vera.
Era
accaldata, rossa in volto per
l’imbarazzo, ma un sorriso fiorì sulle sue labbra
al mio tocco; posò la mano
sulla mia e la trattenne lì, guardandomi con una tenerezza
incredibile che, come il più dolce dei colpi di grazia,
sentii
attraversarmi il petto e piantarsi da qualche parte sotto lo sterno.
-A
te piace il teatro, giusto?-
le domandai, beandomi di quel contatto molto più intimo
di tanti altri.
Lei annuì.
-Immensamente.-
-Shakespeare?-
azzardai, incerto; Ray mi sembrava una persona
amante
non soltanto del teatro e della musica, ma certo non potevo sapere
quanto
avessi azzeccato la mia intuizione.
Rise,
piano, rivolgendomi
un’occhiata ironica capace di accendere desideri che, forse,
avrei fatto meglio
a redarguire almeno un poco.
-Shall I compare thee to a summer day?-*
recitò, piano, la voce
melodiosa che si adattava alla perfezione ad uno dei sonetti
più belli e più
famosi del maestro.
Accostai
il volto al suo,
sussurrando il secondo verso sulle sue labbra senza mai smettere di
ricambiare il suo sguardo intenso.
-Thou
art
more lovely, and more temperate.-*
-Adoro
Shakespeare.- sorrise,
alzando forse senza accorgersene una mano, scostando un ciuffo di
capelli dalla
mia guancia e raccogliendolo dietro il mio orecchio.
-Anch’io.
Specialmente le
commedie.- lei annuì, il viso animato da un fervore che ben
conoscevo: io
stesso mi entusiasmavo ancora quando, per la milionesima volta,
prendevo
in mano
un’opera del drammaturgo più famoso della storia,
pronto a immergermi nei
giochi letterari di un maestro come solo Shakespeare poteva essere
considerato.
-Se
ti dico che stasera a teatro
danno Sogno di una notte di
mezz’estatee
che ho in tasca due biglietti per la prima fila, cosa mi dici?- le
proposi, senza riuscire a trattenere un sorriso soddisfatto.
Alla
menzione di quella commedia l'espressione di Ray s'illuminò,
facendosi sorpresa ed entusiasta. Fu
un piacere del tutto nuovo
quello di essere riuscito a sorprenderla: mi sentii appagato, fiero di
me e
dell’intuizione che avevo avuto, felice di sapere di averla
resa felice a sua volta.
Sembrava
non trovare il modo per
esprimersi, forse a corto di parole –
dopotutto Ray era
una
persona di fatti, non di discorsi, ed io lo avevo già
intuito.
Ma
fu comunque una sorpresa, una gradita
sorpresa,
quando – senza
davvero aver ben capito come ci fosse arrivata –
me la ritrovai stretta
fra le braccia.
Era
la prima occasione in cui Ray
si lasciava andare con me: ero sempre stato io ad osare, con lei, e
sebbene non
mi avesse mai respinto – anzi,
tutt’altro
– non aveva mai preso l’iniziativa,
non aveva mai lasciato cadere la barriera che teneva eretta contro
tutto il
mondo.
Invece,
in quel momento, mi stava
abbracciando: sentivo le sue braccia strette intorno al collo, i
capelli biondi
e profumati solleticarmi il viso, il corpo tonico premersi sul mio e il
respiro
sfiorarmi la gola, dandomi i brividi.
Ne
approfittai, non lo nego: la
strinsi a me con forza, accarezzandole la vita e premendola contro il
mio torace,
fisicamente incapace di resistere a qualsiasi tipo di contatto con
lei.
-Io…
è
la mia commedia preferita,
e… grazie.- sussurrò nell'incavo del mio collo,
con la voce che
tremava appena ed un il
sorriso premuto sulla mia pelle.
-Di
niente.- risposi, tentando di
non mostrarmi troppo fiero della situazione che si era creata: avevo
appena
abbattuto una di quelle barriere che mi separavano dal suo cuore,
avvicinandomi
un poco di più alla giovane donna che mi attirava come un
magnete.
Alzò
il volto dalla mia gola,
sorridendomi felice e ingenua al tempo stesso: non s’era
accorta del lampo di
possessione nel mio sguardo, della stretta appena più salda
con cui l’avevo
intrappolata fra le mie braccia.
Era
ad un soffio dal mio viso, ad
una spanna dalle mie labbra. Baciarla sarebbe stato così
facile… bruciavano, i
suoi occhi, piantati nei miei con una forza capace di smuovere
qualsiasi cosa.
Non
vinsi quella lotta, non
riuscii a sostenere quelle iridi.
Il
desiderio che provavo per lei
era troppo per riuscire a
nasconderlo alla sua vista. E
cedetti di nuovo, per l'ennesima volta –
cedetti come un
ragazzino, lasciandomi trascinare dalla voglia che avevo di lei.
Le
sue unghie mi graffiarono debolmente la nuca quando immersi il viso nel
suo collo, inebriandomi del suo
profumo.
Rabbrividì,
violentemente, fra le
mie braccia: sorrisi, fra me e me, quando mi resi conto che quella
reazione
l’avevo
scatenata io soltanto sfiorandola.
Tremava
sul serio: sentivo le sue ginocchia
vibrare lievemente ed era tesa, come se stesse lottando quanto me
contro
il desiderio che provava, tentando di mantenere un autocontrollo che
sicuramente
era più saldo del mio.
Respirai
profondamente, tentando
di calmarmi. Pessima
mossa.
Il
profumo semplice di Ray mi colpì con la
prepotenza di un pugno in pieno stomaco, dandomi alla testa, il corpo e
la
mente per la prima volta uniti nel pretendere di più di quel
contatto appena
accennato: sapeva di pelle e di sapone e dell'odore particolare del
cuoio che indossava spesso e che, probabilmente, le era rimasto un po'
attaccato addosso, del profumo del bucato appena fatto e dello shampoo
che aveva usato.
Avevo
compreso quanta paura
provasse all’idea di lasciarsi andare, di affidarsi a
qualcuno, di
affidarsi a me, ma avevo capito
anche
che il suo carattere, impetuoso e passionale come l’avevo
scorto in più di un momento, e come
presto mi avrebbe travolto, lottava per prendere il sopravvento e
lasciarsi
andare all’istinto, al cuore.
Volevo
tutto, di lei; ma, più d'ogni altra cosa, volevo
che si fidasse di me.
Volevo
il suo sorriso, volevo
vederla felice, volevo essere la causa ed il motivo della sua
serenità.
Io volevo lei.
Non
ho mai desiderato una donna
come desidero Ray, non in quel modo completo, totale e, a tratti,
intossicante. In
pochissimi
giorni quella giovane donna mi era entrata dentro, aveva sconvolto
tutti i piani che avevo e si era appropriata di ogni mio pensiero, di
ogni mio respiro, di ogni mio battito.
Proprio
per questi motivi io decisi di aspettare.
Decisi
di non bruciare le tappe,
di non dare libero sfogo al mio desiderio: io mi stavo innamorando
di lei,
lo sentivo, ne ero conscio quanto non ero mai stato sicuro di niente
nella mia
vita.
E
non volevo farla scappare. Non
volevo perderla.
-Che
ne dici, andiamo?- mormorai,
sulla pelle calda e soffice della sua gola. Ray annuì
rapidamente con un cenno della
testa, ma si separò da me con molta meno convinzione:
nonostante fosse rossa in
volto, nonostante i suoi occhi fossero lucidi e imbarazzati, non
abbassò lo
sguardo quando la guardai.
Ray
era la mia sfida e, allo
stesso tempo, il mio premio.
.
.
.
-È
stato… wow.-
Quella
serata
fresca d’inizio giugno accolse il commento trasognato di Ray
con delicatezza,
mentre un fruscio di vento che scuoteva appena l’orlo del suo
vestito.
Si
voltò a guardarmi, camminando
all’indietro nonostante i tacchi alti, con un sorriso
estatico e
sognante sulle labbra. Avevo guardato i suoi occhi riempirsi di
meraviglia e di stupore
davanti
ai volteggi degli attori, leggiadri nei loro ruoli come autentici elfi
e
folletti,
perfettamente calati nelle parti.
-Sono
stati fantastici.- annuii,
sapendo di avere lo stesso tono di voce distaccato e sereno: il
teatro
aveva quest’effetto su di me fin da bambino, ed era stato uno
dei motivi che mi
avevano spinto sulla strada della recitazione.
Amavo
quel mondo, amavo la
sensazione di stare in piedi su un palcoscenico, amavo vivere per
qualche ora
le vite dei personaggi più diversi; ma amavo anche godermi
uno spettacolo come
quello, soprattutto in compagnia di qualcuno che condividesse la mia
stessa
passione.
Guardai
Ray, che quasi saltellava
per la contentezza: era così semplice, così
facile, farla felice.
Mi
lasciai sfuggire un sorriso
forse anche troppo entusiasta, quando si spinse sulla punta delle
scarpe che
indossava per lasciarmi un lieve bacio sulla guancia.
Ray
era fantastica anche nel suo essere una continua
contraddizione di se stessa: sapeva essere un maschiaccio,
all'occorrenza anche forte
e dura… ma, allo stesso tempo, quando si fidava, lasciava
che
il suo essere
donna in quel modo tanto selvaggio e genuino emergesse e le
riempisse il
viso di una luce del tutto nuova, incantandomi più che mai.
-Grazie.-
mi disse, piano,
serena.
-E
di cosa? È bello vederti così
felice.- fu la mia semplice, sincera ed
incredibilmente schietta risposta.
Ancora
una volta seppi che
baciarla sarebbe stato terribilmente facile, ma qualcosa –
forse l'istinto o forse la ragione stessa –
mi suggerì che
non era ancora il momento giusto.
Ignara
– ignara? –
dei miei pensieri, Ray
intrecciò le
dita alle mie, senza dire nulla, sorridendo di un sorriso lontano ed un
poco
malinconico mentre i suoi occhi si alzavano a cercare le stelle.
-Non
si vedono mai le stelle, da
Londra. È l’unica cosa che rimpiango di casa mia.-
mormorò, piano, uno sguardo
triste rivolto al cielo buio.
-Dove
vivevi?- le domandai, avvicinandola a me e passandole un braccio
intorno alla vita.
Anche
di notte, anche aiutato
soltanto dalla luce dei lampioni, riuscii a distinguere il rossore
colorarle le
guance pallide; ma non s’irrigidì al contatto con
me, non tentò di
allontanarsi, anzi: s’accostò al mio corpo e si
accoccolò nel mio mezzo
abbraccio, ed il suo sorriso sembrò cambiare
espressione –
sembrava il sorriso di chi ha perso troppo presto l'innocenza e la
purezza dei bambini, di chi guarda il mondo con il cinismo e la
disillusione di qualcuno invecchiato troppo in fretta... era
il sorriso di chi cercava
disperatamente la sicurezza di poter essere di nuovo libero.
-Vivevo
fuori da Dallas, poco lontano dalle praterie. Di notte
era uno spettacolo, le stelle sembravano non finire mai, la Luna era
immensa…-
mormorò, rivolgendo gli occhi verso quella Luna piena che
svettava nel cielo
altrimenti completamente oscurato dalla città. -Penso sia
l’unica cosa che
manca a questa città per essere perfetta.-
Annuii.
Ero cresciuto appena
fuori dal centro di Londra ma, comunque, in una zona troppo densa di
luci e abitazioni. Avevo imparato ad apprezzare la meraviglia
dei
cieli stellati quando andavamo in campagna, in vacanza dai nonni.
-Concordo.-
E
poi mi venne un’idea: un’idea
che, speravo, le sarebbe piaciuta.
Avvicinai
le labbra al suo
orecchio, sentendo i riccioli biondi solleticarmi le guance; resistetti
all’istinto di premere un bacio fra quei capelli, resistetti
alla voglia che
avevo di immergere il volto in quel profumo –
sorrisi, invece,
stringendo la sua
mano nella mia. -Posso portarti in un posto?-
Si
voltò a guardarmi, sorpresa.
-Dove?-
La
baciai delicatamente in fronte, ancora una volta vinto dal bisogno
di
toccarla – molto, infinitamente più forte di me.
-A
vedere le stelle, Ray. A
vedere le stelle.-
.
.
Fuori
dalla zona di Londra, seguendo la superstrada che si avvia verso il
nord, si apre la
sconfinata piana della brughiera. Durante l'inverno è
soltanto una landa infinita ammantata dalla nebbia, i campi sono
immersi nella brina candida e tutto sembra congelato in attesa della
primavera.
È uno spettacolo triste, immoto, deprimente, è
uno scenario perfetto per un
cuore solo e abbandonato.
A
primavera, invece, la brughiera
fiorisce di grano e di profumi del tutto nuovi.
Di
notte, il verde intenso delle
piante è illuminato dalla luce della Luna e dei miliardi di
stelle che brillano
lassù, in alto: tutto è rigoglioso,
vivo, la natura esplode in un tripudio
di bellezza e gioia, portando con sé il sapore fresco e
intenso dell’estate
imminente.
Era
là che avevo portato Ray,
senza dirle dov’eravamo diretti, ed era là che,
appoggiato ad una staccionata
con le braccia conserte sul petto, la guardavo alzare gli occhi al
cielo con
tutta la meraviglia di questo mondo nelle iridi azzurre.
-Ben,
guarda che cielo!- si era
tolta le scarpe, abbandonandole da qualche parte vicino
all’auto, e camminava sicura nell’erba folta e
rigogliosa, lo sguardo rivolto verso
l’alto e gli occhi
pieni di stelle.
-Lo
vedo.- commentai, divertito: io non guardavo il cielo, avevo ben altro
da imprimermi
nella
mente.
Quel
venticello fresco che in
piena città si avvertiva appena in quel luogo era
più vivo, più presente,
scompigliava i capelli di Ray arruffandoli intorno al suo viso: la
gonna del
vestito si gonfiava, accarezzandole le lunghe gambe sfiorate
dall’erba alta.
Si
voltò a guardarmi, un
sopracciglio inarcato e le mani posate sui fianchi; era
un’espressione
irresistibilmente ironica e, a dirla tutta, anche decisamente sexy.
-Non
stai guardando.- mi fece
notare, col tono di chi spiega l’ovvio, avvicinandosi a me di
qualche passo –
con quel sorriso magnificamente malandrino sulle labbra, quello sguardo
di sfida nelle iridi.
Mi
alzai dalla staccionata con un
sol gesto, accostandomi a lei in pochi passi; il vento parve essere
dalla mia
parte quando sembrò spingerla contro di me e la stoffa
svolazzante del
vestito
sfiorò i miei jeans.
Non
c’era già più niente intorno
a noi, tutto aveva perso importanza nello stesso istante in cui Ray mi
aveva
guardato. Tutto
l’universo convergeva lì,
in quegli occhi blu, su quella bocca rossa e invitante, su quel profumo
seducente.
-Neanche
tu.- le feci notare, respirando sulle sue labbra.
Rabbrividì
quando
sfiorai la sua bocca con la mia e fu proprio quel brivido a fermarmi,
quando
scorsi
nel suo sguardo qualcosa che avrei preferito non vedere.
Il
suo respiro si mischiava col
mio, ma i suoi occhi non accennavano a schiodarsi dai miei. Era
questo a frenarmi, a
bloccarmi lì, ad un millimetro o poco più da
quella bocca irresistibile.
Era
terrorizzata.
I
suoi occhi, in quell’istante
più limpidi che mai, mi guardavano, mi scongiuravano di non
spaventarla più di
quanto già non fosse. Erano lucide quelle iridi, erano
vivide, atterrite, più
belle che mai.
Mi
stava implorando di non farle
del male.
La Rayche
avevo scorto dietro quella scorza
d’acciaio era lì, davanti a me, sotto un cielo
carico di
stelle e una Luna piena ed invitante. La dolcezza che avevo intravisto
nei suoi gesti, sotto
la sua scorza, adesso languiva angosciata in quegli occhi che per me
erano
diventati il
fulcro del mondo intero.
Avrei
voluto baciarla. Lo
desideravo con ogni fibra di
me stesso, avevo bisogno di assaggiare quelle labbra più
dell’ossigeno, più del
respiro.
Ma
non ero uno sciocco.
Se
anche Will non mi avesse
avvertito lo avrei capito da me: dietro il guscio di donna forte e
gelida,
algida e insensibile, c’era un cuore spaventato che aveva
solo bisogno di
essere amato.
E
mi stavo innamorando io di
quel cuore.
Mi
stavo innamorando io della
Ray nascosta dietro tutte quelle maschere.
Sospirai,
costringendomi
in un sorriso che forse non sarei riuscito a fare con qualsiasi altra
ragazza. Ray però era terribilmente bella, terribilmente
enigmatica – e
così terribilmente
fragile…
E
io non avevo la minima
intenzione di farle del male.
Mi
sentii sprofondare, rassegnato, quando mi
allontanai di un passo dal suo corpo.
Mi
sentii sconfitto quando,
dentro di me, qualcosa si arrese alla paura nel suo sguardo.
Mi
sentii perso quando capii che
tutto ciò che volevo era non farle
del
male.
E
se avessi dovuto costringermi a
guardarla da lontano, a vederla bella e irraggiungibile come una
dimenticata e
meravigliosa dea pagana… beh, l’avrei fatto.
Non
volevo che si sentisse in
colpa, non volevo che si sentisse costretta a… mi voltai di
scatto, allontanandomi
ancora di qualche passo da lei, senza riuscire a guardarla.
Sentivo
qualcosa bruciare,
dentro, ed era tutto fuorché piacevole.
-Forse
è meglio che ti riporti a
casa.- le dissi, e davvero mi spaventò il tono della mia
voce: era lontano,
vuoto, quasi spezzato.
Non
riuscii a guardarla, quando
scavalcai con un solo gesto quella ringhiera di legno, avvicinandomi
alla
macchina. Non
la sentii muoversi, non la
sentii camminare: i suoi piedini bianchi non facevano rumore,
sull’erba fresca.
Sentii
soltanto la sua voce. Sentii soltanto
il mio nome.
-Ben.-
Ebbi
appena il tempo di voltarmi
prima che tutto il mondo si capovolgesse.
Ray
si era accostata alla staccionata,
appena accanto a me, alle mie spalle. Il
vento le scompigliava i
capelli morbidi, ribelli, e le accendeva le guance di rosso,
mentre i
suoi occhi brillavano di una luce che non le avevo mai visto in volto
prima di quel momento.
Si
era spinta sulle punte dei
piedi, appoggiandosi al legno freddo con le mani, per premere
dolcemente le sue
labbra sulle mie.
Non
era un bacio timido,
trasognato, non aveva niente del bacio che le avevo rubato quella sera
che mi
pareva lontana secoli: era
un tocco soffice, caldo, puro
come l’aria. Le
sue labbra parevano panna
tanto erano morbide, delicate, succose. Lasciarono quel bacio tenero e
delicato
come una farfalla sulle mie, senza chiedere nient’altro che
non fosse quel
contatto.
Fu
un bacio che mi lasciò
stordito, imbambolato, travolto da quella voglia di vita che si era
improvvisamente accesa negli occhi di Ray.
La
Luna piena le illuminava il
viso diafano e donava al su sguardo un candore del tutto
nuovo, mentre un
sorriso che si apriva come un fiore in sboccio su quella bocca rossa
come una
fragola.
-Respira,
Dorian Gray.-
ridacchiò, ironica, davanti alla mia espressione molto
probabilmente
simile a quella di
un sopravvissuto ad una catastrofe naturale: era così che mi
sentivo, travolto
da uno tsunami
e sconvolto da un ciclone.
Non
riuscivo a crederci…
Le
mani mi tremarono
visibilmente quando le posai sulle guance di Ray, toccandola per
essere sicuro
che fosse vera, che fosse lì.
E
la sua pelle era fresca,
soffice, reale; ed erano davvero i
suoi occhioni ironici e guardarmi divertiti, non una sola traccia di
paura in
quell’oceano blu.
E
io, finalmente, potei smettere
di frenare tutto quello che provavo per lei.
Mi
ci volle meno di un istante
per annullare la distanza fra la sua bocca e la mia. Meno
di un istante per sentire
il cuore ruggire trionfante nel petto, il sangue che pulsava impazzito
nel mio
corpo.
E
fu un bacio che sapeva
finalmente del sapore di quella notte di mezz’estate, di quel
vento che s’infilava
fresco e dispettoso sotto i vestiti, del profumo della campagna in
sboccio,
della pelle calda e viva di Ray sotto le dita.
Fu
un bacio entusiasta, intenso, pieno di comprensione e di una nuova,
profonda complicità: sentii la testa
svuotarsi di tutto mentre una
sensazione di beata incoscienza invece mi riempiva, mi saziava
– delle sue
labbra, del suo respiro, di lei.
Le
inclinai il viso e affogai in quel bacio e dentro di lei, tirandola
contro di me con più foga di quella che avrei voluto
metterci e
più gioia di quanta credevo di poter provare.
La
stavo baciando, sì, non era un
sogno evanescente figlio di uno sconosciuto incantesimo
d’amore: era vera, il
suo corpo era caldo e invitante contro al mio, le sue labbra erano
succose e
irresistibili e rispondevano al mio bacio con ardore, con desiderio,
con giocosità.
La
lasciai respirare dopo troppo,
troppo poco tempo, ma lei mi trattenne lì, sulla soglia del
suo
fiato irregolare e accelerato,
gli occhi socchiusi e un sorriso lieve sul volto.
E
Shakespeare ancora una volta mi
venne in aiuto, le parole perfette per quell’istante che
emergevano sulla mia
bocca avida di baci.
-Swift as a shadow, short as any dream…**-
sorrise, riconoscendo all’istante il verso della commedia.
-…brief as the lightning in the collied night.**-
completò per me con voce sognante e delicata, figlia lei
stessa di un sogno che non mi ero mai permesso di ricordare.
Risi,
prendendola in braccio e
baciandola ancora, suggendo le sue labbra con decisione e desiderio.
E
lei rise a sua volta di quella sua risata cristallina e vivace,
trascinandomi con sé nell’erba alta
umida di rugiada.
Capii
soltanto di essere addosso
a lei, sentii solamente le sue belle gambe stringersi attorno ai miei
fianchi,
il seno aderire al mio torace, prima che Ray mi spingesse a
distendermi nell’erba alta, spostandosi con naturalezza sopra
di me.
Era
così semplice stringerla, toccarla –
era così facile sfiorarla, era così bello, non
c’era imbarazzo fra noi e più
nessuna paura a dividerci.
-Sei
mio.- sussurrò, il sorriso
radioso che illuminava la notte, gli occhi vividi e accesi come stelle.
Posò le
manine affusolate sulle mie, portandole delicatamente sui suoi fianchi,
e la
stoffa delicata mi scivolò fra le dita come acqua corrente.
Ridacchiai,
alzandomi a sedere.
-Stavo
pensando la stessa cosa.-
Rise,
la mia piccola Ray, coi riccioli che le incorniciavano il viso,
spingendomi
di nuovo disteso e baciandomi di slancio, le labbra calde e morbide che
mordevano le mie.
La
ribaltai di nuovo in quel
letto di soffici fili d’erba, che subito
s’intrecciarono ai suoi capelli
delicati; rideva, rideva e la sua risata si mischiava con la mia nei
nostri
respiri, nei nostri sguardi.
Avevo
avuto tante ragazze, tante
esperienze, tante notti romantiche… ma mai mi ero sentito
così bene, così
felice.
Così
vivo.
.
.
-Dovrei
riportarti a casa.-
-Dovresti.-
Il
profumo dei suoi capelli mi
riempiva la testa, m’inebriava, mi faceva dimenticare tutto
ciò che non fosse
lei.
La
sentii sospirare, fremere fra
le mie braccia. Alzò delicatamente la testa, voltandosi per
guardarmi, ad un
soffio dal mio viso.
-Non
voglio tornare a casa.-
sussurrò, piano, posando le dita soffici sulla mia guancia
in una
carezza.
Sorrisi,
intenerito: nemmeno io volevo separarmi da lei. Non volevo riportarla a
Londra,
darle un ultimo bacio prima di vederla correre sulle scale che
portavano
all’appartamento dove viveva con Will, non volevo sentire
quel vuoto che
avvertivo minacciarmi all’idea di allontanarmi da Ray.
Egoisticamente,
volevo tenerla
con me: volevo rapirla al mondo e restare con lei per sempre, sotto
quella
volta trapunta di milioni di stelle.
Le
accarezzai il viso,
riempiendomi il palmo con la sua guancia candida, soffice, appena
arrossita.
-Allora
resta con me.-
Era
così facile essere me stesso,
con Ray. Era
così semplice parlare, era
così semplice essere soltanto Ben,
con lei: niente
frasi di circostanza,
niente desideri lasciati a metà –
a lei, accanto a lei, trovavo il
coraggio di dire tutto
quello che pensavo, speravo, provavo.
Mi
sorrise, voltandosi nel mio
abbraccio e cingendomi il collo con le sue mani calde.
Eravamo
distesi sull’erba, era
accoccolata fra le mie gambe, il suo corpo aderiva al mio: era un
incastro
perfetto, lei era perfetta. Per me.
-Domani
Will ti
ucciderà.-
ridacchiò, accarezzandomi i capelli e scostandoli con
dolcezza dalla mia
fronte.
Poco
ma sicuro, Ray aveva
ragione: se non fosse tornata a casa avrei dovuto fare i conti con un
fratello
maggiore iperprotettivo e decisamente incazzato, più grosso
di me e con tutte
le ragioni di questo mondo di volermi uccidere.
E
non m’importava.
-Non
ho intenzione di farti
niente. Sono innocuo, io.- commentai, ostentando
un’espressione angelica a cui
non avrebbe creduto nemmeno un cieco.
E,
infatti, Ray rise, rise di
quella sua risata meravigliosa, immergendo le dita nei
miei
capelli e posando le labbra sulle mie.
Salii
ad accarezzarle la schiena,
premendola maggiormente contro di me. Le sue labbra erano
morbide e
calde, e si
muovevano sulle mie con una dolce sensualità che mi avrebbe
fatto presto
ammattire.
Sentii
i polmoni svuotarsi in un
unico, brusco sospiro, quando la sua lingua impertinente si
appropriò della mia
bocca, insinuandovisi e stordendomi con il suo sapore dolce, intenso,
suadente.
La
catturai in un istante,
intrappolandola in un gioco di lingue e di denti fra le nostre
labbra –
una
lotta senza vinti, una guerra fatta di fiati che si mischiavano e
diventavano
uno soltanto, una lotta fatta di sapori nuovi, esotici, inesplorati.
Ci
separammo soltanto quando la
notte aveva ormai perso di significato –
quando tutto, intorno a noi,
pareva
sbiadire al confronto del battito palpitante del suo cuore e del mio.
Sorrideva,
Ray, un sorriso
seducente e malandrino, irresistibile. I suoi riccioli ricadevano sul
mio
volto, i suoi occhi erano ad un soffio dai miei.
Ed
ero felice.
Ero
felice come non ero mai stato
nella mia vita.
Mi
baciò di nuovo, lievemente,
sfuggendomi ridacchiando quando tentai –
invano –
di catturarla in un
altro
bacio; inarcai un sopracciglio quando mi scoccò
un’occhiata ironica, sfiorando
appena la punta del mio naso con l’indice.
-Innocuo,
vero?- commentò,
divertita, scendendo ad accarezzarmi le labbra con i polpastrelli
soffici,
delicati. -L’importante è crederci, Ben.-
.
.
.
.
.
.
My Space:
* da "i
Sonetti" di Shakespeare: "Posso
paragonarti ad una giornata d’estate?" e "Tu
sei più amabile, più delicata."
** da "Sogno
di una notte di mezz'estate" di Shakespeare: "Sfuggente
quanto un’ombra, breve quanto un sogno, rapido
quanto la saetta in una notte di nubi."
.
Ditelo, ormai non ci speravate
più xD
Buon Natale! In ritardo di un
giorno, è vero, ma tanti auguri comunque a tutta EFP, agli
admin, allo staff, e a chi più ne ha più ne metta
^^
Sì, lo so, non
ditemelo; questo capitolo è ZUCCHERO, DIABETE, INSULINA; tre
parole per esprimere ciò che penso di questa pappardella di
20 e passa pagine ^^'
Questa che segue è
la mia Ray; scelta definitiva. La bellissima Reese Witherspoon non me
ne voglia ^^'''
Ma sapete cos'è, a
me rileggere Shakespeare fa male. Tutto il capitolo è
permeato dalle sue parole, dalla citazione dei Sonnets a quella di
Midsummer Night's Dream, alle parole stesse di Ben. Spero di essere
riuscita a trasmettervi almeno un poco dell'amore che provo per questo
grande, unico, meraviglioso poeta e drammaturgo che amo sopra ogni
altro autore.
Ben è un segaiolo
mentale di quelli pesanti, cielo! Ragazzo, SVEGLIAAAAAAAAAA!
E l'anfibio volante
è una cosa che volevo fare da... tanto, tantissimo tempo xD
Allora? Che ne dite, schifezza
diabetica o lasciamo correre il mio ritardo mostruoso per buona
condotta? E' Natale, su, siamo tutti più buoni :D
Le risposte alle recensioni
arriveranno domani, altrimenti non dormo più, son quasi le 5
del mattino ^^'''''
Penso
che quella sia la notte che
ricordo con minor chiarezza, fra tutte quelle che ho vissuto; ma, allo
stesso
tempo, è quella che al solo ripensarci mi riporta alla mente
il sapore frizzante
di quell’estate agli inizi, di quegli umidi giorni
d’inizio giugno, delle
labbra rosee e delicate della mia Ray.
Mi
risvegliai, quella mattina,
rintontito e beato come non mi ero mai sentito prima d’allora.
Ray
dormiva accanto a me; il
respiro era lieve e quasi inudibile, il volto morbidamente abbandonato
sul
cuscino chiaro, i capelli sparsi in un’aureola bionda intorno
al viso.
Stringeva
ancora la mia mano sul
cuore, le dita intrecciate alle mie, il palpito sereno che sentivo
pulsare nel
mio palmo.
Era
stata lei, mezza
addormentata, a portare le nostre mani intrecciate sopra il seno
sinistro; e lì
erano rimaste per tutta la notte, quel muscolo impazzito che scalpitava
nel mio
palmo.
La
maglietta che le avevo
prestato le stava un poco larga, le braccia chiare erano scoperte;
racchiudevano il suo torace in un abbraccio che si mischiava al mio, le
gambe
che mi sfioravano appena sotto il lenzuolo.
Era
stata forse la prima notte
della mia vita in cui avevo dormito con una donna senza fare altro che
stringerla
a me. Suona terribilmente sdolcinato, ma è così;
non mi ero nemmeno azzardato a
sfiorare il pensiero di poter fare qualcosa di più che
godere della sua
compagnia, di bearmi della sua presenza accanto a me.
Si
era addormentata quando le
nostre infinite chiacchiere si erano spente nell’opalescente
luce dell’alba,
quando il Sole aveva fatto timidamente capolino attraverso le figure
cupe dei
grattacieli della City.
Era
bella, bellissima.
Ed
era mia.
Sentivo
che avrei potuto
abituarmi sin troppo facilmente a quei risvegli, a ritrovarla al mio
fianco
splendida e addormentata come in quel momento; non ero mai, mai stato
tanto
felice in vita mia.
E
non ero mai stato neanche tanto
melenso; a dirla tutta, la cosa mi spaventava parecchio.
La
baciai sulla bianca gola
scoperta, sentendola rabbrividire e muoversi appena nel suo sonno
placido,
senza incubi.
Sorrisi,
sciogliendo le nostre
dita per stirare i muscoli intorpiditi del braccio; ma quando la
abbracciai di
nuovo, abbandonando la mano sul suo ventre, sentii il suo tocco morbido
chiudersi sul mio polso e riportarla al suo posto originario.
Là, sul suo
cuore.
-Buongiorno.-
sussurrai, quando
distinsi nella luce tenue che filtrava dalle persiane abbassate il suo
sorriso
schiudersi, gli occhi ancora chiusi.
Mi
sbirciò appena, malandrina,
alzando appena una palpebra e rivelando un’iride blu
più limpida che mai.
-Buongiorno.-
sussurrò,
sistemandosi meglio contro il mio petto, accucciandosi come un micio
affettuoso. Sorrisi ancora, chiudendo gli occhi e tornando a smarrirmi
nel
profumo dei suoi capelli, ascoltandola respirare tranquilla fra le mie
braccia.
Mi
sentivo un ragazzino, un
adolescente al primo amore; eppure io non ero mai stato tanto
dipendente da una
donna, mai – in tutte le storie che avevo avuto, serie o meno
che fossero, ero
sempre riuscito a mantenere una sorta di “distacco”
che mi aveva impedito di
innamorarmi davvero.
Eppure…
eppure, quella barriera
che nessuna aveva mai valicato adesso non esisteva più.
In
quel momento per me c’era
soltanto Ray, poco m’importava del resto del mondo.
-Toglimi
una curiosità.- mi
chiese all’improvviso, voltandosi nel mio abbraccio tanto
repentinamente da non
darmi il tempo di registrare il suo movimento; la ritrovai
semplicemente
accoccolata sul mio petto, gli occhi blu che mi guardavano vividi e
penetranti,
la mano calda premuta sul mio cuore. -Sei sempre così
terribilmente romantico,
Benjamin?- mi chiese, non senza una punta di divertita ironia nella
voce; la
guardai percorrere in punta di dita il mio torace, il corpo rilassato a
contatto col mio.
Ridacchiai,
accarezzandole i
capelli e catturando quelle dita nelle mie.
-Se
proprio devo dire la verità,
no.- risposi, tranquillo; i suoi occhi non si spostavano nemmeno per un
attimo
da me, assorbendo ogni singola sillaba delle mie parole.
Parevano
quasi voraci, avidi;
parevano volersi imprimere nella retina ogni dettaglio del mio viso, mi
fissavano con una tale intensità da farmi sentire illuminato
da due fari nel
buio fitto di una notte senza Luna.
Era
uno sguardo molto più antico
di quanto pensassi, molto più adulto; non era quello di una
bambina ingenua, né
di una comune ragazza della sua età, ma quello di una donna
fatta e finita.
Era
lo sguardo di chi sa bene
cosa cercare nel volto di qualcuno, senza possibilità di
scampo.
Era
uno sguardo che accendeva
languori che non sapevo nemmeno di poter provare. Desideri foschi,
oscuri,
ardenti, fuochi fatui in una notte nera.
-Non
apprezzo molto la
sdolcinatezza, mettiamola così. Dopo un po’ tutto
sembra…- m’interruppi, quando
un lampo di consapevolezza attraversò quelle iridi
sconvolgenti.
-…
perdere di valore?- completò
per me, scegliendo le stesse parole che avrei potuto pronunciare io.
-Esattamente.-
annuii, sentendomi
teso come una corda di violino; ma il sollievo crebbe repentino dentro
di me,
quando le palpebre di Ray si abbassarono per qualche istante prima di
rivelare
un sorriso altrettanto sollevato in ogni tratto del suo volto.
L’espressività
di quel visetto
era qualcosa di unico; nessun attore avrebbe potuto eguagliare la
semplicità e
la perfezione con cui le emozioni si dipanavano su quei lineamenti
dolci che,
rapidamente e senza scampo, potevano diventare rudi e gelidi come la
lama più
affilata.
Era
tanto facile, per me, carpire
la chiave di lettura di quel volto nei suoi occhi e svelare la
cacofonia di
pensieri che si rincorreva dentro di lei.
Si
era rasserenata di botto, alle
mie parole; ciò che avevo detto l’aveva
rassicurata, aveva sciolto un nodo
dentro di lei.
Evidentemente,
non ero l’unico
allergico allo zucchero in eccesso.
-Io
non sono brava con le parole,
sai?- mormorò, dopo qualche attimo, scivolando con
naturalezza sopra di me; io
indossavo una semplice tuta, ma le sue gambe erano nude e lisce, lunghe
e
soffici come panna.
Posai
entrambe le mani sui suoi
fianchi, traendola a me quando la sentii strusciarsi delicatamente sul
mio
ventre, le dita affusolate che mi accarezzavano il petto; non era una
situazione molto rassicurante, vista la notevole mancanza di
autocontrollo che
Ray mi causava semplicemente esistendo.
Rischiai
seriamente di morire lì,
quando il suo corpo si premette sul mio e le labbra gonfie cominciarono
pigramente a disegnare un immaginario percorso di soffici baci ardenti
sulla
mia gola. Dalla clavicola all’attaccatura del collo, dal pomo
di Adamo che risaliva
e scendeva impazzito al mento, fino a sfiorare le mie labbra; se Ray
aveva
intenzione di farmi impazzire ci stava riuscendo, ci stava riuscendo
alla
perfezione.
Mi
guardava maliziosa, in quel
momento, il felino predatore che si muoveva sinuoso in quei due oceani
profondi
che erano i suoi occhi; era ad un soffio da me, la sua bocca toccava
impercettibilmente la mia, il suo respiro si mischiava al mio.
Restammo
in quella posizione per
poco più di qualche secondo; ma furono una manciata di
attimi eterni, occhi
negli occhi, desiderio nel desiderio.
Ray
poteva essere qualsiasi cosa
volesse; da maschiaccio a dolce appassionata di Shakespeare, da amante
dell’heavy metal a sensuale e accattivante predatrice.
Ed
era sempre lei.
Erano tutte parti di lei.
Ray
non mentiva, non recitava,
non si sforzava; era semplicemente, in ogni istante della sua vita,
ciò che
sentiva rispecchiare alla perfezione il suo animo in perenne tumulto.
E
là, ad un soffio dalla mia
bocca, forse nemmeno si rendeva conto di avermi completamente in suo
potere.
Un
sorriso lieve e soddisfatto si
disegnò su quelle labbra, quando comprese
l’effetto che quei semplici tocchi
accennati aveva scatenato dentro di me.
Mi
accarezzò una guancia, con
dolcezza, raccogliendo i capelli lunghi dietro il mio orecchio; fu un
gesto
semplice, tenero, un tocco delicato che diede vita al desiderio
impellente di
baciarla, di perdermi nel sapore di quelle labbra sensuali ed innocenti
al
tempo stesso.
E,
infilando le dita fra i suoi
capelli biondi, cedetti al bisogno che provavo traendola a me,
annullando la
minima distanza che mi divideva da quel bacio che tanto agognavo.
La
sua bocca era calda e saporita
esattamente come la ricordavo; era la mia certezza di non essermi
svegliato da
un sogno, di aver vissuto davvero quella notte che mi sembrava troppo
perfetta
per essere reale.
La
baciai intrecciando la sua
lingua alla mia, trascinandola in un gioco di saliva e di sapori
diversi, di
denti che si sfioravano e labbra che si modellavano le une sulle altre.
Quando
si separò da me, il
respiro corto e le iridi più scure che mai, il sorrisetto
malandrino non era
affatto scomparso.
Mi
lasciai sfuggire un sogghigno,
le dita ancora immerse in quei crini spettinati, beandomi soddisfatto
della
reazione altrettanto violenta che avevo causato in lei; in una donna
è più
difficile carpire i segni del desiderio, se non si sa dove
guardare… ma Ray era
per me un libro aperto, una pagina di diario scritta con
l’inchiostro del
desiderio.
Sentivo
il seno fin troppo sodo
premere sul mio torace, potevo avvertirne la forma calda ed invitante;
le sue
labbra erano arrossate, gli occhi solitamente chiari parevano
più scuri, le
gote non erano più pallide ma colorate di un rossore che
nulla aveva
dell’imbarazzo.
Inarcai
un sopracciglio,
divertito, scostando i capelli biondi dalla sua guancia.
-Beh…-
cominciai, senza
sorprendermi troppo di avvertire la mia voce più roca del
normale, il respiro
appena accelerato. -Devo dire che sai farti comunque capire alla
perfezione.-
le feci notare, ironico ma sincero, soffocando la sua risata in un
altro bacio
che coinvolse tutt’e due in ben altre occupazioni.
Ma
ovviamente a questo mondo
esistono i rompicoglioni, giusto?
Nella
fattispecie, un certo
essere dai capelli biondi che decise proprio in quel momento di
presentarsi
davanti a casa mia, più che mai deciso a fondere il
campanello elettronico a
furia di farlo suonare.
Ray
si separò di scatto da me,
allarmata dal suono improvviso che aveva echeggiato in tutta la
villetta a
schiera.
Sospirai,
la mia poca pazienza
già al limite.
-Will.-
borbottai, nella voce
l’eco della sua.
Le
sfuggì una risata, quando vide
la mia espressione farsi soltanto lievemente terrorizzata; non avevo la
minima
voglia di essere picchiato da Will, ma proprio neanche un
po’…
-Vado
a farmi uccidere.-
borbottai, poco convinto, quando Ray si scostò e mi permise
di alzarmi. No, era
decisamente una prospettiva che non mi piaceva per niente.
-Al
massimo ti fa un occhio
nero.- commentò lei, divertita; le scoccai
un’occhiataccia esasperata, ma non
mi riuscì bene come avrebbe dovuto. Non riuscivo a
prendermela con lei neanche
per scherzo.
-Consolante,
grazie.- le rivolsi
una smorfia prima di dirigermi al piano di sotto, dove il campanello
stava
tranquillamente raggiungendo il punto di fusione.
Figurate
la scena: quando aprii
la porta ero mezzo scarmigliato, una tuta disordinata addosso e i
capelli
ridotti ad un groviglio inestricabile molto simile al nido di qualche
insetto,
i piedi scalzi e l’espressione sperduta; Will, vestito di
tutto punto (e
straordinariamente pettinato, sembrava quasi una persona normale), mi
squadrò
da capo a piedi con aria di sufficienza, le braccia muscolose
incrociate sul
petto e un’espressione un poco omicida sul viso.
-Ora,
dammi un motivo valido per
non ucciderti.- esordì, senza troppi preamboli.
Alle
sue spalle, distinsi Angel;
la guardai con un misto di terrore e di esasperazione, a cui lei
rispose con
una stretta nelle spalle come a dire “io
ho provato a fermarlo!”.
Già
dai primi giorni avevo
compreso quanto William fosse affezionato a Ray: nessuno dei due lo
dimostrava
apertamente all’altro, troppo orgogliosi per farlo, ma molti
dei loro gesti
tradivano il profondo affetto che li legava.
-Sei
un prevenuto…?- azzardai,
ironico; dopotutto ero davvero innocente,
io e Ray non avevamo fatto altro che… beh, dormire.
-Molto
divertente.- fu la sua
risposta, gli occhi celesti che si assottigliavano; ora, io non ho
paura di
Will, ma quando s’arrabbia davvero è meglio girare
al largo ed evitarlo per un
po’. Angel, alle sue spalle, gli scoccò
un’occhiata esasperata; sapeva bene
quanto William potesse diventare pesante, quand’era di
malumore…
-Amore,
forse non è il caso di
frenare un pochino con i tuoi istinti omicidi?- gli fece notare, con
voce dolce
nonostante lo sguardo spazientito, posando la mano tanto piccola sul
braccio
del mio… amico?
Non
penso che Will sia del tutto
conscio dell’effetto che Angel ha su di lui; fin da subito,
ai tempi delle
prime riprese di Prince Caspian, il rapporto che si era formato quasi
istantaneamente
fra loro andava al di là della semplice amicizia. Will ce ne
aveva messo, di
tempo, per capire quanto Angel fosse arrivata in profondità
di quel cuore fin
troppo orgoglioso per ammetterlo.
Ad
Angie basta guardarlo, per
farlo sciogliere. Non lo fa apposta, certo non lo fa con
premeditazione; lui
sarà tonto, ma anche la mia piccoletta non si rende ben
conto di quanto la sua
presenza, la sua stessa esistenza,
sia importante per William.
Non
penso che resisterebbero a
lungo senza l’altro. Si amano troppo.
-No.
E non sono un prevenuto.-
mugugnò Will in risposta, guardandomi male ma intrecciando
allo stesso tempo le
dita con quelle di Angel. Era ed è sempre un cercarsi, fra
loro; sembra quasi
che non possano fare a meno del contatto fisico, di sapersi vicini, di
essere insieme.
Ero
stato geloso, un tempo, di
quel modo di amarsi tanto puro quanto immenso; avevo sentito lo stomaco
attorcigliarsi più d’una volta in loro presenza,
quando vederli insieme mi
costringeva a ricordare che io non avevo mai provato quelle sensazioni
che
parevano renderli tanto felici.
Ero
sempre stato solo.
Non
avevo mai amato davvero, ero
arrivato a convincermi di non esserne capace…
I
miei pensieri non troppo
allegri furono interrotti dal provvidenziale suono di una voce ironica
e
divertita alle mie spalle, due mani chiare che si posavano sui miei
fianchi ed
un respiro che accarezzava la mia gola.
Bastò
quel semplice tocco, quella
presenza calda e viva a contatto con il mio corpo, a scacciare ogni
cupo
pensiero dalla mia mente.
Bastò
Ray, per cancellare quella
sgradevole sensazione di solitudine che
mi aveva oppresso per così tanto tempo.
-Lo
sei.- vidi William inarcare
un sopracciglio, scettico, quando Ray gli rivolse una smorfia divertita
al di
sopra della mia spalla.
Davvero:
tentai di non assumere
un’espressione soddisfatta ed un poco idiota, quando sentii
il corpo tonico di
Ray premere sulla mia schiena, il seno che si delineava sulle costole,
le mani
soffici sulla mia pelle, ma… insomma, non mi
riuscì proprio brillantemente,
ecco.
Non
avevo voglia di nascondere
ciò che stavo appena scoprendo di poter provare; era una
sensazione talmente
bella, talmente nuova per me, che davvero non avevo intenzione di
curarmi anche
delle crisi di gelosia fraterna di William.
-Will,
in versione fratello
maggiore sei tanto tenero, ma stavolta proprio non ce
n’è bisogno.- fu la
spiegazione breve e concisa di Ray; il significato di quella frase era
cristallino, e vidi l’espressione cupa di Will incrinarsi non
appena ne colse
anche lui il senso.
-No?-
le chiese, scrutandola in
volto con palese scetticismo. Con la coda dell’occhio vidi
Ray sorridere e
scuotere gentilmente la testa, serena, mentre Angel si lasciava
sfuggire una
risata fin troppo trattenuta.
-No.-
fu la sua risposta,
talmente semplice e tranquilla che persino Will non poté far
altro che
sospirare, sconfitto.
-Proverò
a crederti.- mugugnò,
scoccandomi un’altra occhiata di fuoco; la cosa divertente
era che io, per una
volta, davvero non avevo fatto nulla di ciò che mi accusava.
Per una volta che
ero innocente…
Will
scosse la testa – somigliava
sempre di più ad un cocker, con quei capelli – e
le rivolse un sorriso un poco
esasperato, ma accondiscendente. Era impossibile arrabbiarsi davvero
con Ray… i
suoi occhioni chiari erano (e sono tuttora) un’arma impropria.
La
sentii accoccolarsi meglio
contro di me, le braccia che mi cingevano morbidamente la vita. Era
calda, soffice,
ed il sorriso felice che distinguevo sul suo volto era qualcosa di
meraviglioso.
-Hai
per caso dimenticato di
avere un appuntamento, stamattina?- la sentii sussultare, quando le
parole di
Will la raggiunsero e le ricordarono qualcosa che aveva sicuramente
dimenticato.
Si
staccò di botto da me, gli
occhioni sgranati e l’espressione allibita.
-Oh,
merda!- si voltò di scatto
verso il bagno, dove aveva lasciato i suoi vestiti… prima di
tornare a voltarsi
verso me, Angie e Will, allibita. -Ma non posso andarci col vestito
blu!-
Will
sbuffò, divertito,
sollevando una busta di carta che non avevo notato sino a quel momento.
-Tieni.-
distinsi solo un lampo,
prima che la busta passasse – non so bene come –
dalle mani di Will a quelle di
Ray.
-Grazie!-
la mia bionda vulcanica
già si stava fiondando verso il piano di sopra, prima di
lanciare un’occhiata
alla busta e voltarsi di nuovo verso William. -Le scarpe!-
-Sono
sotto i vestiti.- le
rispose lui, sorridendole tranquillo, per nulla sorpreso – al
contrario di me –
da quel tornado che Ray era diventata in meno di un secondo.
-Grazie!-
la sentii da lontano,
perché già era scomparsa al piano di sopra, i
piedi nudi che non provocavano
nemmeno un rumore sulla moquette soffice.
Mi
voltai verso Angel,
completamente allibito davanti a quell’esplosione di energia;
ma la mia piccola
amica se la stava tranquillamente ridendo, davanti alla mia espressione
stupita.
-Ma
che…- le chiesi, cercando di
riprendermi un poco, sconvolto.
-Colloquio
di lavoro.- fu la
semplice risposta di lei, mentre Will la tirava dolcemente contro di
sé. Ma
ebbe giusto il tempo di accostare le labbra alla fronte di Angie, prima
che una
voce squillante e un qualcosa di molto simile ad un tornado sfrecciasse
da una
parte all’altra di casa mia, già pronta e
pettinata.
La
cosa aveva seriamente
dell’allucinante, ora che ci penso.
-Will,
muoviti! Non vorrai che
guidi io la tua macchina!- vidi il biondo sgranare gli occhi, a quella
frase,
evidentemente poco propenso a lasciare la sua preziosissima auto nelle
mani
spericolate di Ray.
-No,
per carità!- gemette,
rivolgendosi ad Angie e quasi implorandola con lo sguardo; ma dietro
l'espressione esageratamente spaventata si distingueva un sorriso
malandrino, un sorriso in grado di farlo sembrare veramente poco
convincente.
-Io
ti aspetto qui.- mormorò lei,
divertita, accarezzandogli una guancia e lasciando un bacio sulle sue
labbra.
Lo
guardai aprirsi in un sorriso
entusiasta, felice; non ero mai riuscito a comprendere appieno il
motivo per
cui un semplice bacio potesse renderlo tanto felice… questo
prima, prima di
Ray.
E
poi vidi soltanto una confusa
macchia di capelli biondi, una
minigonna di jeans ed un body scuro sotto un
giubbotto di lucida pelle nera, prima di essere travolto da
due labbra che,
decise e dolci allo stesso tempo, si premettero con passione sulle mie.
Mi
aggrappai a quelle labbra
senza quasi accorgermene, riccioli segosi che s’intrecciavano
alle mie dita,
pelle calda che riempiva il mio palmo; quella bocca soffice accolse il
mio tocco
intenso, modellandosi sulla mia, un tocco bollente sulle mie spalle.
-Ti
chiamo più tardi, promesso.-
sussurrò Ray sulle mie labbra, separandosi decisamente
troppo presto da me,
sorridendo di un sorriso malandrino e sparendo un decimo di secondo
più tardi,
inseguita da un Will sull’orlo di una crisi di nervi.
Rimasi
lì, imbambolato, il sapore
di Ray impresso sulle labbra e la mente confusa, travolta da
quell’uragano
biondo appena scomparso oltre la soglia della porta di casa mia.
Scossi
appena la testa, cercando
di riprendermi un poco; era bastato quel breve, intenso bacio sulle
labbra ad
accendere ogni mio senso, a risvegliare ogni mio desiderio.
Mi
passai una mano fra i capelli,
perplesso e completamente stordito.
-Torna
coi piedi per terra, Ben.-
alzai lo sguardo, stupito, ricordandomi soltanto in quel momento della
presenza
di Angel; mi stava osservando divertita, le braccia incrociate sul
petto, gli
occhi scuri che mi scrutavano con tenerezza.
-Oh,
sì, scusa. È che… ecco, non
me l’aspettavo.- mormorai, la voce un po’ troppo
rauca, scuotendo la testa
ancora una volta e tentando di rimettere ordine fra i miei pensieri; il
mio
piccolo tornado personale ancora una volta mi aveva sconvolto,
lasciando solo
caos al suo passaggio.
Precedetti
Angel verso il
salotto, facendola accomodare; Angie conosceva bene casa mia, lei e
Will più di
una volta rimanevano a dormire nella camera degli ospiti accanto alla
mia
stanza.
-Allora?
Com’è andata ieri sera?-
mi chiese, vivace, sorridendomi quando mi lasciai sprofondare nella mia
ormai
malridotta poltrona preferita.
Socchiusi
gli occhi, ripensando
per qualche istante alle sensazioni vivide e concrete che avevo vissuto
quella
notte; e per un istante sentii nuovamente il profumo
dell’erba fresca e umida
di rugiada, il sapore caldo e morbido delle labbra di Ray.
-È
stato un sogno ad occhi
aperti.- mormorai, un sorriso lieve che si disegnava sulle mie labbra.
-Dalla
tua espressione sognante
deduco che Ray si sia lasciata andare, finalmente.- sentii ridacchiare
Angel,
la risata argentina che risuonava nel pigro silenzio della bianca luce
del Sole
che riempiva il salone. Angel era l’unica persona al mondo
con cui riuscissi a
parlare tranquillamente di ciò che sentivo, di
ciò che provavo, delle emozioni
che non volevano mai saperne di mostrarsi al resto degli esseri viventi
che mi
circondavano… era, è e resterà sempre
la mia migliore amica.
Ray si era lasciata andare.
Ray
aveva sconfitto la paura che
provava, aveva deciso di rischiare il tutto e per tutto… per
me. Per stare con
me.
E
io? Che cosa sentivo, io?
Sapevo
soltanto di aver bisogno
di lei, di volerla avere accanto. Sapevo che avrei dato qualsiasi cosa
per
averla al mio fianco, per averla lì in quel preciso istante,
per poterla
stringere fra le braccia e sentire la sua voce dall’accento
spagnolo sussurrare
il mio nome.
Avrei
saputo dimostrarglielo?
Avevo
paura di non esserne
capace, di non essere tagliato per un rapporto serio con una persona a
cui mi
stavo legando in un modo che non avrei mai potuto prevedere.
Non
volevo perderla.
Non
volevo lasciarla scivolare
via, non volevo rovinare quel tutto
in cui per la prima volta credevo davvero…
-Mi
sto innamorando di lei, Angie.-
mormorai, sorpreso io stesso da quell’affermazione: mai, mai
nella vita avrei
pensato di arrivare a pronunciare quelle parole tanto pericolose,
quell’emozione che non avrei mai voluto provare.
Avevo
visto troppi amici,
compagni di vita – Will compreso – distruggersi per
una donna. Avevo sempre sostenuto
che mi sarei tenuto alla larga dalle relazioni
“serie”, da quel tipo di donna
che fa perdere la testa ad un uomo…
Ma
non avevo messo in conto Ray.
-E
dov’è il problema?- mi chiese,
raggiungendomi e accoccolandosi sul bracciolo della mia poltrona,
fissandomi
con un lieve sorriso sulle labbra e gli occhioni illuminati dalla luce
chiara
che filtrava dalla finestra. -Ben, guarda che non ti mangia,
è abbastanza
innocua se non la si fa arrabbiare!- ridacchiò, arruffandomi
con dolcezza i
capelli già spettinati per conto loro.
Sorrisi,
mio malgrado, il
doloroso nodo nel mio stomaco che non accennava, però, a
diminuire.
-Angie,
ti risulta che io abbia
mai avuto una relazione durata più di un mese?- le chiesi, e
non fu piacevole
vedere la comprensione farsi strada sul suo visetto dolce.
-Beh…
no.- dovette ammettere,
piano, guardandomi con un misto di dispiacere ed esasperazione.
Annuii,
greve, per nulla contento
dei pensieri che stavano popolando la mia testa.
-Appunto.
È questo che mi
preoccupa. È… è diverso, con Ray.- per
la prima volta nel parlare di una donna,
incespicai sulle mie parole, m’incastrai nei miei discorsi e
nei miei pensieri.
Ray era diversa, Ray
era…
era lei, semplicemente, e questo rendeva tutto molto più
difficile.
Angel
inarcò un sopracciglio,
scettica, incrociando le braccia sul seno e guardandomi con un cipiglio
severo
che avrebbe saputo far ragionare persino un toro imbufalito.
-Fammi
capire. Sei preoccupato di
innamorarti sul serio o di farla soffrire?- mi chiese, assottigliando
lo sguardo;
e mi sentii arrossire, imbarazzato, a quella domanda che non avevo
ancora posto
a me stesso.
-Penso…
entrambe le cose?-
provai, incerto.
Angel
mi fissò per un istante,
sbalordita… prima di scoppiare a ridere, la testa bruna
scossa con vigore, i
lunghi capelli che s’illuminavano di bagliori dorati nella
luce del Sole
nascente.
-Cielo,
tu e lei siete fatti per
stare insieme.- commentò, tornando a guardarmi, esasperata.
Mi
lasciò un bacio sulla fronte,
dolcemente, scostando le ciocche lunghe e spettinate dalla mia fronte.
-Basta pare mentali, okay?
Vivila, vivete.
Senza pensieri, per una volta.-
E
le parole di Angel mi sono
ancora ben chiare nella mente, cristalline e vivide come in quella
limpida
mattina d’estate.
Vivila. Vivete.
.
.
.
Rividi
Ray soltanto quel
pomeriggio, dopo averla sentita allegra ed entusiasta per telefono, a
casa di
William.
Non
ebbi quasi il tempo di
entrare; mi ritrovai travolto da un tornado biondo e da due labbra
calde,
morbide, che sembravano impazienti quanto le mie di perdersi ancora una
volta
in uno di quei baci infiniti e trasognati che avevo scoperto di
apprezzare
particolarmente, con lei.
La
strinsi a me senza remore,
passando le braccia intorno alla sua vita e sfiorando i riccioli dorati
che le
ricadevano sulle spalle. Avvertii il suo sorriso, sulle labbra, la
lingua che
birichina e maliziosa sfuggeva la mia, le dita immerse fra i miei
capelli.
Ci
separammo fin troppo presto,
per i miei gusti, e fu un radioso sorriso ad illuminarle il volto
quando la
guardai.
-Ehi,
che entusiasmo.- commentai,
sfiorandole la guancia con la punta delle dita, sollevato; era
bellissimo
vederla così, dopo averla vista tanto angosciata nei giorni
precedenti.
-Ho
avuto il lavoro!- mi
annunciò, entusiasta; ma in un solo istante vidi quelle
iridi incupirsi di
botto.
-Aspetta,
devo fare una cosa.- si
sciolse dal mio abbraccio in un istante, fiondandosi verso la sua
camera e
lasciandomi per l’ennesima volta con un palmo di naso; la
seguii in quella
stanza con un mezzo sorriso esasperato, prima di vederla dinanzi
all’armadio
spalancato, una serie di vestiti ammucchiati sul letto.
-Che
cosa… Ray?- la chiamai,
perplesso, entrando in quella stanza per la prima volta: quella camera
dipingeva alla perfezione l’animo complesso e poliedrico
della mia bionda,
accostando alla perfezione dettagli che, per chiunque altro, avrebbero
provocato soltanto caos.
Alle
pareti, erano esposte tre
meravigliose katane in acciaio, l’elsa in pelle nera e la
lama perfettamente
lucidata; poco lontano, una spada di stampo chiaramente arturiano
faceva bella
mostra di sé, proprio accanto ad una libreria stracolma di
libri e DVD. I libri
parevano riempire ogni angolo disponibile, notai; scorsi molti titoli
fantasy,
fra gli altri, ma altrettanti dei generi più disparati.
Alle
pareti, di un bel verde
chiaro, erano appesi fogli, disegni, biglietti d’aereo e di
treno, cartoline;
vidi un poster della band americana che tanto amava, una maschera
veneziana
poco distante, una collezione di bambole di porcellana ordinatamente
disposta
su una mensola.
La
sua batteria era in un angolo,
poco distante dalla finestra; l’enorme scrivania si
affacciava sulla vista di
Londra attraverso i vetri limpidi, un computer portatile e una miriade
di
penne, quaderni e moleskine impilati disordinatamente lì
accanto. L’armadio,
enorme, troneggiava lungo la parete di fondo, dietro il letto dalle
lenzuola
blu notte; ed era dinanzi a quel mobile di legno scuro – come
tutto il resto
dell’arredamento – che Ray era ritta in piedi,
assorta e pensierosa.
-Questi
li brucio. Tutti quanti.-
il suo sguardo cupo e lontano si spostò sulla luce del Sole
che filtrava
attraverso le tende smeraldine, assorto e angosciato come speravo di
non
doverla vedere ancora una volta. -Io non ci torno più in
quel posto.- mormorò,
piano, un lampo di rabbia nel viso.
-Non
avrei saputo fare scelta
migliore.- commentai, muovendo un passo in quel piccolo pezzo
d’universo;
quello era il rifugio di Ray, ovunque c’era la sua presenza,
il suo tocco, il
suo profumo.
Mi
sentivo bene, in quel luogo,
più vicino a lei di quanto non fossi stato sino a quel
momento.
La
vidi serrare gli occhi per un
istante, angosciata, le braccia che salivano a stringersi intorno alla
vita.
-Ehi.
Vieni qui, su.- scosse la
testa, poco convinta, alle mie parole.
-Non
è niente… adesso mi passa,
non è niente.-
Inarcai
un sopracciglio, scettico,
quando la vidi serrare maggiormente le palpebre e stringere i pugni, il
corpo
attraversato da un fremito di rabbia e di dolore a stento trattenuti.
-Ray,
ti sembra di essere sola in
questa stanza?- commentai forse con troppo sarcasmo, rivolgendole uno
sguardo
ironico quando schiuse timidamente le palpebre, guardandomi come un
cucciolo
chiede da lontano di essere coccolato.
Sembrava
non voler cedere a
quello che sentiva, al bisogno che provava di essere stretta e
rassicurata;
aveva passato troppo tempo da sola, aveva subito troppe
ferite… e aveva
dimenticato che aver bisogno di qualcuno non era un reato capitale, che
agognare un abbraccio non l’avrebbe resa debole agli occhi di
nessuno. Non ai
miei, se non altro.
Sospirai,
tendendole una mano con
un gesto risoluto ed un poco impaziente. -Vieni qua, per piacere.- le
dissi,
senza darle la possibilità di replicare al mio tono deciso,
inchiodando le sue
iridi nelle mie ben sapendo l’effetto che ero in grado di
farle.
E
la seconda volta fu quella
buona, perché non più di un secondo
più tardi la ritrovai stretta al mio petto,
il viso affondato nella mia spalla ed un mugugno non meglio
identificato come
risposta.
Sorrisi,
soddisfatto, passando le
braccia intorno alla sua vita e stringendola a me; ecco, avrei voluto
trattenerla lì per sempre. Lì, fra le mie
braccia, al sicuro da tutto – e,
soprattutto, con me.
-Odio
quel posto. Lo odio.- la
sentii mormorare, la voce spezzata da un fremito, il viso che si
nascondeva nella
mia spalla.
-Non
ci tornerai più. È una
promessa.- le sussurrai all’orecchio, accarezzandole i
capelli; e avrei fatto
qualsiasi cosa per impedire che quel luogo tremendo tornasse a
reclamare la sua
prigione, un dazio che Ray non doveva più pagare.
Restammo
in silenzio,
abbracciati, per un tempo che non seppi mai definire con certezza; i
minuti e
le ore parevano fare strani scherzi, perché ogni istante
passato in sua
compagnia mi sembrava allo stesso tempo eterno e brevissimo.
-Ma
quanto siete carini.- alzai
gli occhi al cielo, istintivamente, quando la voce divertita
– gongolante – di
Will risuonò nella stanza.
Il
nostro abbraccio si sciolse di
malavoglia, con poca convinzione, mentre io mi voltavo per soppesare il
biondo.
Pareva il ritratto della felicità, William; ci fissava con
un sorrisone immenso
ed irritante sulla faccia, orgoglioso e trionfante per la piega che
aveva preso
la situazione fra me e Ray.
-Will,
hai mai pensato di
lavorare come voce bianca?- non riuscii a trattenermi dallo scoppiare a
ridere,
quando alle mie spalle risuonò cristallina la minaccia non
del tutto scherzosa
di Ray, gli occhi di Will che sgranavano di botto.
Il
biondastro si rivolse a me,
guardandomi come un cucciolo ferito.
-Ecco,
sei velenosa! Ben, fa’
qualcosa, è la tua ragazza, contienila!- sbottò,
una nota lievemente isterica
nella voce.
-Ma
non ci penso neanche.- mi
voltai a guardare la bionda in questione, sorridendo lievemente nel
vedere
l’espressione impagabile con cui stava mentalmente trucidando
William.
Posai
l’indice sotto il suo
mento, alzandole il volto e distogliendo la sua attenzione dal
biondastro; e fu
una soddisfazione non indifferente vederla improvvisamente confusa, le
guance
che arrossivano furiosamente sotto il mio sguardo penetrante.
-Mi
vai benissimo come sei.-
commentai, inarcando un sopracciglio con un sorriso tronfio sulle
labbra – oh,
insomma, non riuscii proprio ad evitarlo: il piacere di far capitolare
Ray con
un solo sguardo era qualcosa di unico, di immensamente soddisfacente.
Sentii
un fischio provenire dalle
mie spalle, un fischio che apparteneva sicuramente al rompiballe
più biondo che
conoscessi.
-Qua
gli zuccheri salgono…- lo
sentii commentare, sarcastico e divertito; mi voltai di scatto a
fulminarlo con
lo sguardo, ma i suoi occhi azzurri si erano già spostati
– spaventati – alle
mie spalle.
-Ben,
scusa un secondo.- Ray mi
spinse gentilmente da parte, avanzando con aria omicida verso il biondo
che già
stava battendo in ritirata.
-Ehiehiehi
io scherzavo!- tentò
di difendersi, allarmato, arretrando verso la porta; ed un attimo
più tardi
erano già a corrersi dietro per casa come due bambini, due
biondi completamente
pazzi che ridevano divertiti sotto il mio sguardo esilarato.
-Io
no! Vieni subito qua che ti
picchio, Moseley!-
-Ma
no, tu mi fai male, sei
cattiva! Angel!-
-Ray,
non lasciargli lividi, per
piacere.-
.
.
.
Fu
da quel giorno che iniziò la
mia nuova vita: una vita con Ray, una vita che non avrei mai pensato di
avere
l’occasione di vivere.
Sono
sempre stato una persona
solitaria, poco incline a storie serie o a relazioni sentimentali; non
mi
sentivo portato alla vita di coppia, né tantomeno pronto a
condividere la mia
esistenza con un altro essere vivente.
Eppure
Ray aveva minato alla base
quella trista consapevolezza, quella mera rassegnazione alla
solitudine, ogni
punto fermo che avevo trovato nella mia vita.
Stare
con lei era facile come
respirare; era una ragazza forte, vulcanica, non stava mai ferma
nemmeno per un
secondo. Sprizzava energia da tutti i pori, non era raro vederla
sfrecciare da
una parte all’altra di casa, un piccolo tornado biondo che
lasciava ordine alle
sue spalle.
Era
inevitabile fare un confronto
fra lei ed Angel, tanto diverse quanto amiche; Angel era una ragazza
dolce,
solare, col sorriso sempre sulle labbra ed una parola buona per le
persone che
amava. Era impossibile non volerle bene, non apprezzare il suo
atteggiamento
aperto e gioioso nei confronti del mondo e della vita.
Ray
invece era una donna vissuta,
cresciuta e temprata dal cinismo e dal dolore; portava sulla pelle i
segni
indelebili che avevano ucciso il suo essere bambina e la sua fiducia
nel mondo
e nell’ottimismo.
Ray
era una guerriera: lottava
ogni giorno contro la vita che non le regalava mai niente, che la
metteva alla
prova in ogni istante. Combatteva strenuamente, la mia Ray, per ogni
momento di
serenità e di gioia che faticosamente conquistava.
Da
quando aveva lasciato il
lavoro da accompagnatrice era rinata, a sentire William; quel lavoro
l’aveva
soffocata in un mondo di tacchi alti e vestiti di lusso per troppo
tempo – un
mondo che non apparteneva a quella vulcanica bionda amante del rock,
che le
andava stretto e aveva rischiato di distruggerla.
Il
nuovo lavoro le piaceva; non
avrebbe potuto non piacerle.
-Ray!
Il carburatore della Camaro
è arrivato, sostituiscilo subito!-
-Agli
ordini!-
Saperla
in compagnia di sei
uomini nerboruti in un’officina per auto da corsa non era per
nulla
confortante.
La
stavo osservando da lontano,
quel giorno; ero passato a prenderla per pranzare insieme, aveva quasi
finito
il suo turno.
Era
raro che una donna venisse
assunta come meccanico, per di più per auto delicate e
potenti come le
magnifiche creature che distinguevo nell’immensa officina; ma
smontare e
rimontare alla perfezione un motore di una Lamborghini (in minigonna,
oltretutto!) le aveva assicurato senza ombra di dubbio quel posto di
lavoro.
Certo,
probabilmente anche le sue
lunghe gambe avevano sortito un buon effetto, ma preferivo ignorare
quel
dettaglio.
La
guardai mentre sfrecciava da
una parte all’altra del capannone, i capelli raccolti in una
coda scomposta che
lasciava scoperta la nuca e le spalle forti, una canottiera nera dalla
scollatura quadrata a vestirla oltre i pantaloncini di jeans.
Ero
geloso, non lo nego.
Ero
geloso di ogni singolo sguardo
che la sfiorasse anche solo per un istante, possessivo come non pensavo
di
poter essere – come non ero mai stato.
-Ehi,
zucchero.- il mio sguardo
saettò allarmato verso un energumeno moro apparso dal cofano
rialzato di una
Corvette, avvicinatosi a Ray senza che me ne accorgessi in tempo.
Respirai
a fondo, sentendo la
gelosia agitarsi nervosamente nel mio stomaco; ma Ray mi rivolse un
cenno lieve
con una mano, invitandomi a non intervenire e a lasciare che se la
cavasse da
sola.
-Come,
scusa?- chiese, il sarcasmo
che venava la sua voce, alzando lo sguardo dal carburatore che stava
smontando;
non c’era traccia di gentilezza o dolcezza nelle sue iridi
grigioblu, ma
soltanto una durezza e una freddezza che avrebbero ridotto a
più miti consigli
praticamente chiunque.
Il
ragazzone sorrise, lasciando
scorrere lo sguardo sul corpo di Ray.
-Sei
tutta sporca… che ne dici di
toglierti quei vestiti di dosso? Rovinano il tuo
bell’aspetto.- chiusi gli
occhi per un istante, respirando a fondo per calmarmi; era
più grosso di me,
quel tizio, ma non m’interessava assolutamente niente.
Sentivo pulsare la
rabbia appena sotto la pelle, i pugni stretti e l’espressione
più irata che mai
avessi assunto nella mia vita.
-Ma
sei serio, scusa?- la voce di
Ray risuonava di un tono che avevo già sentito una volta: un
campanello di
allarme per chiunque la conoscesse almeno un poco, e che non presagiva
niente
di buono.
Avanzò
di un passo, le mani
strette sui fianchi e l’espressione fredda, decisa. -Senti,
io di farti fuori
non ho molta voglia. Facciamo che te ne torni al lavoro e mi stai fuori
dai
piedi tipo per sempre,
sì?- propose,
assottigliando lo sguardo su quelle sorprendenti iridi taglienti.
Ma
quel tizio era tutto fuorché
intelligente, e non parve cogliere l’avvertimento anche
piuttosto esplicito
nelle parole di Ray.
-Ma
quanto siamo focose,
zucchero!- ridacchiò, avvicinandosi ancora alla mia bionda.
-No,
sono cattiva. Fai un altro
passo e ti frantumo le palle.- la risposta rapida e gelida di Ray
riuscì a far
rabbrividire persino me; non avevo ancora ben chiara la consapevolezza
di
quanto potesse diventare pericolosa, ma già in quel momento
ne ebbi una
cristallina dimostrazione.
Ray
era un felino, un puma che si
muoveva perfettamente in quella foresta di metallo e plastica; ed era
felino il
suo sguardo attento, lo sguardo di un cacciatore nato, di una creatura
che
sapeva sguainare gli artigli e fare anche del male, se costretta a
farlo.
-Io
ti consiglierei di non
continuare, Vince.- la voce divertita del capo di Ray spezzò
quell’istante di
tensione, facendo cenno alla mia bionda di raggiungermi e dando uno
scappellotto al prode Vince.
Ray
mi raggiunse con un sorriso,
l’ombra già scomparsa dai suoi occhi, dopo essersi
cambiata; sembrava
assolutamente allergica ai colori chiari quali il giallo o il bianco,
ma il top
blu e la minigonna rigorosamente di jeans che indossava le donavano
più di
qualsiasi altra cosa.
-Ho
faticato a non intervenire,
sappilo.- le feci notare, ancora rigido, lo sguardo ancora inchiodato
addosso a
quel… quel… quel coso.
Lei
si strinse nelle spalle,
ridacchiando, arruffandomi i capelli.
-Nah,
è innocuo, è da quando ho
iniziato che ci prova.- inarcai un sopracciglio, risistemandomi
automaticamente
le ciocche spettinate; Ray aveva presto scoperto il divertimento che le
dava
scompigliarmi la testa, e io… io ero (e sono) troppo
innamorato perché mi desse
fastidio davvero.
-Dovrebbe
rendermi tranquillo, la
cosa?- commentai, sarcastico, mugugnando qualcosa
d’indefinito quando ridendo
mi baciò appena a fior di labbra, contrariato.
-So
cavarmela, Ben.- mi fece
notare, ironica.
-Non
lo metto in dubbio.- annuii,
più che certo di quella mia affermazione; le passai un
braccio intorno alla
vita, possessivo, lanciando un’occhiataccia a quel tale che
fissava entrambi
con un’espressione tutt’altro che amichevole.
-Ma
se ci prova un’altra volta,
non sarò in grado di restare in disparte.-
.
.
.
Ecco,
se c’è una cosa che ricordo
nitidamente di quelle prime settimane con Ray, quella è la
sua iperattività;
non esisteva quasi nessun modo per tenerla buona per più di
una manciata di
minuti, e l’unico che avevo scovato (anche particolarmente
piacevole, bisogna
dirlo) incontrava il disappunto e i commenti rompiscatole di un biondo
a caso.
Per
tenerlo buono – e soprattutto
per divertirsi non poco – Ray gli aveva proposto di tornare
ad allenarsi in
palestra; una sera, per non so quale caso, ci ritrovammo tutti e
quattro –
strano a dirsi, perché io non sono assolutamente come Will e
Ray, non passo ore
in palestra ad allenarmi per il puro gusto di faticare. A meno che non
ci sia
da giocare a basket, o da nuotare: in quel caso faccio
un’eccezione.
Disgrazia
fu che Ray e Will
prediligevano ben altri tipi di sport, e non per niente avevano scelto
fra le
decine di palestre londinesi proprio l’unica che si occupava
soprattutto di…
-Will,
ti ricordi come si usano
queste?- un lancio preciso, e Will afferrò immediatamente la
spada smussata che
Ray gli aveva lanciato; Angel, al mio fianco, impallidì
vistosamente e alzò gli
occhi al cielo, esasperata.
-Vagamente.-
fu la risposta del
biondo malefico, che rigirò l’arma fra le dita con
la stessa, identica
scioltezza di quando ci allenavamo durante le riprese di Prince Caspian
(e mi
ha riempito di lividi durante quel film, sottolineamolo!).
-Eccoli
che ricominciano!- borbottò
infatti Angie al mio fianco, scoccando un’occhiata in fondo
divertita ai due
biondi; io osservavo silenzioso, senza ben sapere cosa dire.
Era
la prima volta che vedevo Ray
tirare di scherma; sapevo che era stata la sparring partner di William
in
America e che, molto probabilmente, poteva rivaleggiare con lui in
quanto a
bravura e tecnica.
Quello
che non mi aspettavo era
di ritrovarmi davanti due teste bionde con lo stesso, mefistofelico
sorriso
stampato in faccia.
-Ma…
c’è da preoccuparsi?- chiesi
a Angel, un poco allibito.
Lei
ridacchiò, sedendosi accanto
a me ed accoccolandosi con naturalezza nel mio abbraccio, come faceva
sempre; è
impossibile non provare la tentazione di coccolare Angie, piccola
com’è, dolce
com’è.
-Non
troppo.- commentò, ma in
risposta mio sguardo perplesso si limitò ad indicarmi con un
cenno della testa
il centro della saletta deserta, salvo noi quattro.
Will
e Ray erano uno di fronte
all’altro, le spade sollevate dinanzi al viso;
c’era la stessa luce nei loro
occhi chiari, quella luce di sfida che avevo già
riconosciuto nel volto del mio
amico, la stessa che vedevo animare lo sguardo di Ray davanti ad una
macchina
particolarmente potente.
-Ho
come l’impressione che
combineranno qualche disastro.- commentai, soppesandoli con una ferma
preoccupazione, vedendoli saggiare le lame smussate con lo stesso,
fluido
movimento.
-Stai
a vedere.- fu la risposta
divertita di Angie, che si accomodò contro di me e
incrociò le braccia sul
petto, osservandoli attenta.
Tornai
a guardarli, allibito.
Ray
e Will si fronteggiavano,
cauti, i corpi tesi e scattanti come quelli di due felini in procinto
di
azzannarsi; erano l’una lo specchio dell’altro, i
capelli di Ray raccolti in un
corto codino, quelli altrettanto biondi di William arruffati attorno al
viso
concentrato.
Erano
immobili, le spade sorrette
dalle braccia forti, le dita serrate sulle else grezze; parevano
studiarsi, gli
occhi chiari inchiodati gli uni negli altri, e…
T-CLANG!
Sobbalzai
di scatto, allibito,
quando il clangore assordante di due spade che s’incrociavano
risuonò nella
piccola saletta privata della palestra.
Ebbi
appena il tempo di
distinguere le due lame allontanarsi, prima di vedere
un’assolutamente inedita
danza scatenarsi a pochi metri da me e da Angel.
-Cazzo.-
riuscii soltanto a
commentare, stupefatto dallo spettacolo rapidissimo e brutale che mi si
parava
davanti.
Non
avevo mai visto William
impegnarsi davvero in un duello; io
sono sempre stato meno abile di lui, lo riconosco, e Will non ha mai
potuto dar
fondo alle sua capacità, contro di me.
Ma
Ray…
Sussultai,
vedendola saltare di
lato con uno scarto paurosamente veloce, la spada che seguiva
fluidamente il
movimento scattante del braccio.
Ray
era un fulmine, tanto rapida
da non riuscire quasi a distinguerla; si muoveva con eleganza e
scioltezza, la
lama d’acciaio che pareva fondersi con la sua mano sinistra,
il corpo che ne
seguiva ogni singolo movimento.
Era
perfettamente in sintonia con
quell’arma, esattamente come avevo sempre visto William.
Il
biondo sferrò un colpo
tremendo, in direzione del fianco momentaneamente scoperto di Ray; fui
sul
punto di avvertirla, d’intervenire, di urlarle di stare
attenta alla spada che
calava inesorabile contro di lei…
CLANG!
Will
non fece quasi in tempo ad
accorgersi della parata impossibile della mia bionda, perché
Ray già stava per
scagliarsi ancora verso di lui; le spade s’incrociarono di
nuovo, prima che i
due balzassero l’uno lontano dall’altra –
per un istante soltanto, prima che si
scagliassero nuovamente addosso.
Ero
perfettamente conscio di
essere rimasto a guardarli a bocca aperta, allibito, sconvolto da tanta
violenza ma – soprattutto – da tanta bravura.
Improvvisamente,
Ray barcollò e
perse l’equilibrio; la vidi cadere nello stesso attimo in cui
Will, trionfante,
sferrò l’ennesima stoccata, questa volta diretta
precisamente contro la mano
che sorreggeva l’arma.
Ray
parò per un pelo,
puntellandosi sul braccio libero e ruotando repentinamente la spada,
scagliando
per pochi attimi fondamentali quella di Will lontano da sé.
Ebbi
solo il tempo di vedere l’espressione
del biondastro sgranare, prima che un poco gentile calcio negli stinchi
non
facesse crollare a terra anche lui.
-Non
vale questo!-
-Sì
che vale!-
Finirono
prevedibilmente a
rotolarsi come due bambini sul tappeto gommato, i capelli biondi tutti
arruffati e le guance rosse per lo sforzo.
-Ho
vinto io.- affermò Will, sicuro,
ridacchiando e fermandosi lungo disteso accanto a Ray.
-Certo,
nei tuoi sogni.- ribatté
lei, il seno che si alzava e si abbassava velocemente, il respiro corto
e
affannato.
Voltò
il viso verso di me,
ansimante ma sorridente, lasciandosi sfuggire una risata quando
distinse la mia
espressione scioccata.
-Tutto
okay?- mi chiese, non
senza una punta di sadismo, sul volto il medesimo ghigno sprezzante del
biondastro al suo fianco.
-A
parte il fatto che mi farete
venire un infarto…?- replicai, sconcertato.
-Non
facevano sul serio.- sentii
mugugnare Angie, al mio fianco.
Mi
sorprese, la sua voce: se fino
a pochi istanti prima era stata allegra e serena, come sempre, adesso
scrutava
Ray con un cipiglio di disapprovazione mista a sincera preoccupazione.
Avrei presto
capito – e condiviso, soprattutto – la visione di
Angel su quegli scontri,
sullo sforzo che Ray aveva appena fatto.
E
in effetti, la vidi faticare
più di William per alzarsi in piedi, dovette puntellarsi
sulla spada per
reggersi sulle gambe; sul momento non ci feci troppo caso, la sua
espressione
era serena e lo sguardo che rivolse all’amica fu caldo e
rassicurante.
Non
era ancora giunto il momento
del dolore e dell’angoscia per tutti quanti noi, per me, per
Ray; in quell’istante,
nulla sembrava potesse andare storto.
Sorrisi,
accogliendo Ray fra le
braccia quando vi si lanciò con forza, facendo rovinare
entrambi a terra scossi
dalle risate.
Non
c’era altro che avrei
desiderato, in quel momento: c’ero io, c’era Ray,
c’erano i nostri amici.
Era
soltanto l’inizio, l’inizio di
un’estate magnifica e di una vita del tutto nuova: la mia
vita con Ray, la nostra vita.
Insieme.
. . . . . . . .
My Space:
Urca, non aggiorno dall'anno scorso O___O
chiedo veniaaaaaaaaaaaaaa ç___ç
Ho aggiornato tutte le fic, sono brava, ora... ora cercherò
di non aspettare un altro mese e mezzo per riprendere le pubblicazioni
^^''' a mio discapito posso dire che sono malata, ho due genitori
malati, un negozio da portare avanti e una quinta superiore da
finire...... ^^''''
Spero che il capitolo (corposo pure, son 23 pagine O_O) vi sia piaciuto!
Io come al solito esagero quando si parla di questi due, son troppo
carini, mi piacciono tanto, sono dolciosi *-*
E no, per chi se lo chiedesse, non consumeranno prima di almeno un paio
di capitoli U___U è una novità assoluta nelle mie
fic, lo so, però per stavolta ho deciso così:
almeno 5 capitoli senza sesso U__U
Mi raccomando, preparate le verdure da lanciarmi, sono qua pronta con
un bel cestino per raccoglierle xD (non si butta mai via nulla!)
Un bacione, . love you all,
B.
I
giorni volavano via rapidi, assieme a Ray: con lei il tempo pareva non
avere
concretezza, perché nel sapore di ogni bacio e nel profumo
di ogni abbraccio
sentivo di perdermi, di smarrirmi in una fragrante e meravigliosa
eternità da
cui non sarei mai voluto riemergere.
Era
passato più di un mese, ormai: un mese in cui ero arrivato
alla conclusione di
non aver mai vissuto realmente, non prima di conoscere la sensazione di
completezza e serenità di cui Ray riempiva le mie giornate.
Quella
sera, il temporale infuriava come spesso accadeva a Londra durante
l'estate; Ray, con Will, non era ancora rientrata.
Avevamo
in programma una serata tranquilla, noi quattro, al posto della cena
che avevo organizzato
in un locale appartato appena fuori Londra – idea che la
pioggia londinese
aveva simpaticamente mandato all’aria, ovviamente.
Will
mi prendeva in giro per come mi mostravo accorto e romantico nei
confronti di
Ray, ma non osava invece farlo nei confronti della mia
bionda, perché Ray aveva
preso l’ottima abitudine di picchiarlo ad ogni commento
malizioso – e i pugni
di quell’infida donna dagli occhi celesti facevano male, Will
lo sapeva
decisamente molto bene.
I
due biondi di famiglia erano in palestra, come tutte le sere: Angel ed
io li
stavamo aspettando a casa di William, chiacchierando del più
e del meno.
Quando
sentii la porta aprirsi, istintivamente, sorrisi: Angie era in braccio
a me, e la
sentii
sussultare non appena avvertì il suono della voce di Will,
appena entrato in
salone.
-A
vedervi così potrei anche ricominciare dubitare che siate
stati insieme solo per far ingelosire
me.-
Quella
frase sarcastica, detta con un fondo di gelosia, riuscì a
gelarmi esattamente
lì dov’ero.
Ai
tempi di Prince Caspian, quando Will e Angel si rincorrevano ancora
senza
nessun risultato fruttuoso, il biondastro fece l’immane
idiozia di invaghirsi
di Katie, una sua vecchia fiamma mai del tutto dimenticata; Angel ne
soffrì
parecchio, penso che non riuscirò mai a dimenticare i suoi
occhioni tanto
sofferenti, tanto vuoti…
Successe
qualcosa, in quel periodo, fra me ed Angie.
Un
qualcosa che ancora oggi non saprei bene come definire, un qualcosa che
ci
avvicinò come non avrei creduto possibile: non fu
esattamente una relazione,
una storia, ma… in quel momento entrambi avevamo bisogno di
sostegno, di affetto,
di sicurezza – sentimenti che riuscimmo a trovare
l’uno nell’altro, sentimenti
che ancora oggi ci legano.
Ma
che, in quel momento, scambiammo per qualcos’altro.
Mi
voltai di scatto verso i due biondi appena entrati, focalizzando
immediatamente
la mia attenzione su Ray: sospettavo non le avrebbe fatto piacere
saperlo, non avevo ancora avuto occasione di parlargliene,
ma…
Sentii
un brivido che nulla aveva di piacevole scorrere lungo la mia schiena
quando
distinsi la sua espressione attonita e pericolosamente interrogativa.
-…cioè?-
chiese, piano, rivolgendosi a Will – che non si era
minimamente reso conto del
disastro che aveva appena combinato, oltretutto.
-Will,
smettila!- Angie gli rivolse un’occhiataccia quando vide la
smorfia che il
biondo rivolse a Ray, sempre più pallida e dallo sguardo
sempre più sottile.
Ma
Will scosse la testa, scoccando uno sguardo seccato e palesemente
geloso a me e
ad Angel, ancora seduta sulle mie ginocchia. Era una cosa che Angel
faceva
sempre – anche con Ray! –,
che aveva sempre fatto: cercava in continuazione il contatto
fisico con
gli altri, ne aveva bisogno – e William lo sapeva benissimo,
per di più.
Ma
Will è una persona impulsiva, gelosa e possessiva: ogni
tanto, troppo spesso
per i miei gusti, dimentica di avere un cervello e parla soltanto con
la voce
dell’istinto, causando non so quanti guai a tutti coloro che
ha intorno.
-No,
ma vi siete visti?- ci fece notare, ma prima che potessi rispondergli
con
qualcosa di adeguato – ad esempio, un bel vaffanculo
ci sarebbe stato divinamente –, Ray lo interruppe e si
rivolse a
me.
-Siete
stati insieme?- mi chiese, con una nota pericolosamente calma nella
voce
che riuscì
a farmi accapponare la pelle.
Angel
si alzò immediatamente, avvicinandosi di qualche passo a
lei con fare conciliante: lei aveva un effetto calmante, sulla mia
bionda, riusciva quasi
sempre a
farla ragionare… di solito.
-Ray…-
cominciò, ma Ray si ritrasse di scatto, sfuggente come un
micio.
Vidi
il suo viso nascondersi nella penombra del salone, i capelli biondi
velarle le
guance arrossate dall’aria fredda. Era vestita come chiunque
dopo
la palestra, con un paio di pantaloncini e una maglietta comoda
inumidita dalla pioggia:era
bella, come sempre, ma …
la sua figura mi trasmise, in quel
momento, un senso di
vuoto e di fragilità che non mi piacque proprio per niente.
-Vado
a fare un giro.- annunciò, voltandosi di scatto, e gli
scarponcini slittarono
sul parquet lucido quando si diresse, col suo solito passo sicuro,
verso
l’ingresso.
Angel
sospirò, spazientita, seguendola; e le seguimmo anche Will
ed io, dopo esserci
scambiati un’occhiata allibita e preoccupata.
-Ray,
aspetta!-
Ma,
quando Ray si voltò e alzò gli occhi verso Angel,
il suo sguardo fu tanto duro
da raggelare anche me.
Distinsi
Angie irrigidirsi, rimanere lì dov’era quando
quelle iridi di ghiaccio si
spostarono su di lei: c’erano lacrime, nascoste oltre il velo
di rabbia
repressa che vedevo rilucere in quell’occhiataccia, lacrime
che mi ferirono più
di quanto avrei potuto immaginare.
-Potevi
dirmelo, Angel. Potevi dirmelo prima. Tu avresti voluto saperlo, al mio
posto.-
sillabò soltanto, la voce ridotta ad un flebile sussurro,
prima di spalancare
con violenza la porta di casa e richiuderla con pari furia dietro di
sé,
lasciandoci tutti e tre con un palmo di naso.
.
-Sei
un coglione!-
Angel
non urla mai. Non le piace, non è da lei, è una
persona troppo posata per farlo; ma, in quell’occasione,
tirò fuori una voce da
soprano che non avrei mai
sospettato potesse avere.
Will,
con l’espressione da cane bastonato e i capelli biondi ancora
umidi di pioggia,
chinò lo sguardo, colpevole.
-Angel…-
cominciò, tirando indietro i crini dorati e alzando
timidamente gli occhi,
sperando di rabbonirla.
-No,
“Angel” un cazzo!-
William
sobbalzò ed
io con lui: non era decisamente da
Angel strillare a quel modo e, soprattutto, arrivare quasi a piangere
dalla
rabbia, i capelli solitamente lisci arruffati, i piccoli pugni serrati.
-Sei
un cretino, guarda che disastro hai combinato, e per cosa?
Perché sei geloso di
qualcosa che non esiste
nemmeno!?- calcò volutamente su quella parola, sillabandola
con una calma furia
che spaventò anche me: vedere Will ed Angie litigare non
è una cosa da tutti i
giorni e sentivo che sarebbe stato meglio non intervenire, rimanendo
in
disparte a macerarmi nella preoccupazione e nel senso di colpa.
-Angie,
mi dispiace…- per un istante, solo per un istante, temetti
che Angel gli
avrebbe tirato un pugno: stava letteralmente tremando, infuriata, gli
occhi
scuri fissi su Will.
-Vallo
a dire a Ray! È lei che c’è rimasta
male e ha ragione, io al suo posto ho
voluto sapere tutto quello che vi aveva avvicinati in quei mesi in
America!-
sbottò, nervosa, voltandosi repentinamente verso
l’altro capo del salone e
cominciando a percorrerne lo spazio rapidamente, troppo arrabbiata per
restare
ferma.
-Non
so nemmeno dov’è andata, come faccio!- fu la
risposta esasperata di Will, prima
che un’ennesima occhiataccia lo riducesse nuovamente al suo
pentito silenzio.
Ray
era uscita a piedi, senza nemmeno prendere con sé le chiavi
dell’auto: eppure
fuori continuava a piovere, a piovere come se il cielo in tempesta
riflettesse
la furia che vibrava fra le pareti di quell’appartamento.
Non
potevo pensarci, non riuscivo ad
accettare il pensiero che Ray fosse là fuori, arrabbiata,
furiosa, ferita da…
dalle uniche persone su cui faceva affidamento. Dalle uniche persone su
cui
poteva contare.
Da
me.
-La
vado a cercare io.- annunciai, con una voce rauca e fredda che sorprese
anche
me: mi alzai, afferrando bruscamente la mia felpa, resistendo alla
fortissima
tentazione di tirare un cazzotto in faccia a William: gli rivolsi
però
un’occhiata di fuoco – detestandolo, in quel
momento, per tutto il casino che
era riuscito a combinare.
-E comunque grazie, Will:
sei sempre un
amico.- sbottai, irato, prima di sparire e lasciarlo alle prese con
tutta la
giustissima rabbia di Angel.
.
.
Sotto
la pioggia Londra diventa quasi impossibile da riconoscere: tutto
è sfocato,
reso indefinito dal buio fitto delle nubi e delle strade, e le luci
fioche dei
lampioni si
confondono nelle fitte gocce che cadono dal cielo.
Impiegai
più di mezz’ora per trovare Ray: ero bagnato
fradicio, i capelli continuavano
ad appiccicarmisi in faccia, l’aria era fredda e pungente, ma
non m’interessava.
Volevo soltanto trovare Ray, convincerla a tornare a casa, chiederle
scusa.
Quando
finalmente riuscii a distinguerla in quella pioggia incessante, in
mezzo ad una
Piccadilly Circus insolitamente tranquilla, erano quasi le dieci di
sera:
camminava
rapida e spedita, nonostante la pelle d’oca sulle gambe
scoperte e i pugni
stretti, i riccioli fradici attaccati alla schiena.
-Ray!-
la chiamai, sollevato, vedendola però irrigidirsi quando
riconobbe la mia voce:
non si voltò nemmeno quando mi sentì arrivare,
continuando semplicemente a muoversi.
-Nessuno
ti ha chiesto di seguirmi.- fu una pugnalata il suo tono di voce,
una
pugnalata in pieno petto, fredda e tagliente quanto le sue parole.
-Quello
che ha detto Will__- cominciai, ignorando la rispostaccia: ma
Ray m’interruppe,
testarda, scuotendo con forza la testa bionda.
-Lascia
perdere. Non importa, non fa niente.- quasi ringhiò, quelle
parole, con una
veemenza che non mi stupì proprio del tutto; per poi
aggiungere, con
un’irriconoscibile cortesia, una seconda frase: -Vorrei
restare da sola.-
La
ignorai di nuovo, più zuccone di lei, riuscendo a prenderla
per un braccio e
fermando finalmente la sua rapida camminata.
-Ray,
io ed Angie__- tentai di nuovo, ma le parole mi morironoin gola quando
Ray si voltò repentinamente verso di me, colma di una rabbia
trattenuta a
stento.
-Ti
ho detto di lasciar perdere!- sbottò, prima di sgranare gli
occhi e
distogliere
repentinamente lo sguardo da me, piccata.
-Ray,
sei gelosa.- le feci notare, inarcando un sopracciglio: dopotutto era
una reazione comprensibile, non c'era motivo di nascondersi in quel
modo...
-Sono
affari miei!- mugugnò, stringendo le braccia sul ventre,
irata. -È affar mio se
sono gelosa, d’accordo? Non ne ho motivo, non è
una cosa razionale, quindi
lascia perdere!-
-Guarda
che non c’è niente di male.- le feci notare, senza
riuscire a
trattenere una punta di sarcasmo: se io ero geloso persino
dell’aria che
respirava come poteva,
lei, non esserlo di qualcuno che tanto era vicino a me?
Rimase
in silenzio, dopo le mie parole, sempre senza rivolgermi neanche
un’occhiata:
fra noi, soltanto il rumoroso scrosciare della pioggia.
-Potevi
dirmelo. Potevate dirmelo.- mormorò, piano, la furia
repentinamente sostituita
da una tristezza immensa.
-Ray…-
-No,
“Ray” un corno. Potevi dirmelo. Non me la sarei
presa così, lo avrei accettato,
non sono una stupida!-
Aveva
ragione, in fondo. Avrei dovuto dirglielo
prima,
avrei dovuto parlargliene, anche solo per correttezza nei suoi
confronti e in
quelli di Angel.
Sospirai,
tirando indietro i capelli bagnati dalla fronte, rivolgendole uno
sguardo un
poco esasperato e carico di senso di colpa.
-Ray,
Angel mi piaceva, non te lo nego, ma… non c'era niente di
più. Le voglio bene come a una
sorella, c'è sempre stato soltanto affetto fra me e lei.-
spiegai, a disagio,
ricordando per un istante tutto ciò che era successo durante
quei lunghi mesi
in Nuova Zelanda.
A
quei tempi parte di me aveva sperato di poter costruire qualcosa, con
Angie:
la rivalità fra me e William, per lei, era durata sino a che
non mi ero reso
conto di quanto il mio fosse soltanto un immenso affetto.
-Non
è questo il punto, non m’interessa quello che
avete fatto, non vi conoscevo
neppure!- sbottò, serrando i pugni e guardandomi con gli
occhi pieni di rabbia
e di frustrazione. -Non me lo avete detto, né voi
né Will. Vi siete tenuti
tutto per voi, tanto per non farmi sentire ancora più
emarginata, vero?- quelle
parole esasperate, urlate con la forza del pianto che vedevo lottare
per mischiarsi
alla pioggia sulle sue guance, furono delle pugnalate in pieno petto.
Ray
si voltò di scatto, nascondendo dietro i boccoli
fradici il dolore che si
era propagato sin troppo facilmente in quegli occhi tanto espressivi.
-Tanto
per non ricordarmi che la straniera sono sempre io.- la sentii
sussurrare,
nella voce un abbandono che mi spaventò più di
tutto il resto.
Non
avevo davvero realizzato quanto Ray si sentisse sola, quanto non
appartenesse a
quella città che, per me, era semplicemente la mia casa: non
avevo capito quanto
le facessero male i ricordi di cui spesso
parlavamo io, Will ed Angel... ricordi da cui lei era
irrimediabilmente esclusa,
ricordi di cui lei non avrebbe mai fatto parte –
ricordi che riportavamo
a galla
con affetto e volentieri.
Non
ero mai riuscito a vedere tutta l’angoscia di Ray, in quei
momenti: non mi ero
accorto dei suoi repentini silenzi, dell’assenza della sua
voce energica da
quegli scherzi e da quelle reminiscenze.
Non
avevo mai capito quanto le facesse male, sentirsi esclusa da noi
– noi, che
eravamo le uniche persone che aveva.
Ray
è una creatura delicata, sebbene non lo dia a vedere:
è
rimasta sola per
tantissimo tempo, con l’unica compagnia del dolore e del
lutto… ed io non avevo
compreso, non del tutto, quanto difficile fosse stato per lei
abbandonare la
sua solitudine, in America, per costringersi a vivere in un luogo che
non le
apparteneva.
Ray non era a casa.
Solo
in quel momento mi resi conto di quanto poco sapessi di lei: non avevo
idea di
ciò che aveva passato nella vita, del dolore che le aveva
portato via tutto –
gli amici, la famiglia, l’amore… tutto.
Rimasi
a guardarla allibito, sorpreso, dandomi dell’idiota quando
compresi quanto
avessi sbagliato nei suoi confronti: era infinitamente fragile, lo
avevo visto
ma non ero stato attento a ciò che avevo detto e
fatto… ed ero riuscito a
ferirla.
Sebbene
fosse l’ultima cosa che desiderassi, ero riuscito a ferire la
mia Ray.
-Te
lo sto dicendo adesso.- mormorai, piano, ma lei sbuffò e si
strinse nelle
spalle, tirando su col naso e racchiudendosi fra le proprie braccia,
sfregando
le dita sulla pelle bagnata e infreddolita.
-È
un po’ tardi.- mormorò, sarcastica.
Sì,
era tardi. Era
tardi per dirle la verità: avevo aspettato anche troppo
tempo.
-Ray,
ti amo.-
Il
silenzio che calò improvvisamente fra me e lei fu rotto
soltanto dalla pioggia
che continuava a scrosciare su Londra, rendendo tutto ciò
che ci circondava
sfocato e indefinito, come in un sogno.
Ti amo.
Quelle
parole mi erano uscite senza nemmeno una remora, senza nemmeno una
paura:
parole che io non avevo mai pronunciato nella mia vita e in cui, prima
di lei, non avevo mai creduto –
parole vere,
parole che rimbombavano con forza
nel mio petto e fra i miei pensieri.
Ti amo.
Due
stupide parole oramai prive di significato che, però,
riuscivano a racchiudere
il tornado e la bufera che Ray aveva portato nella mia vita.
Rimase
lì, scioccata, con gli occhi blu inchiodati su di me, le
labbra
appena schiuse e la
pioggia che riempiva di piccoli diamanti le sue folte ciglia scure.
-Come?-
balbettò, il corpo scosso da un brivido, quello sguardo
attonito e sbalordito
che mi osservava come non aveva mai fatto prima d’allora.
Mi
guardava come se non mi avesse mai visto, come se
m’incontrasse per la prima
volta nella sua vita.
Mi
guardava con l’aspetto di un cucciolo spaventato, tremante,
bisognoso soltanto
di quell’amore che avevo appena ammesso ad alta voce
– con me stesso e con lei.
Annuii,
il petto che ruggiva la sua approvazione a quella determinazione che si
era
risvegliata dentro di me, avvicinandomi a lei con decisione e
prendendola per
le spalle, ritrovandomi ad una manciata di respiri dal suo volto
esterrefatto.
-Hai
sentito benissimo. Ti amo. Ti amo da quella sera in quel maledetto
locale, ti
amo da quando mi hai dato quella rispostaccia, da quando ti ho baciata
per la prima
volta.-
Vedevo
le lacrime di Ray fare capolino dalle sue iridi chiare, lottare per
raggiungere
la pioggia.
-Lo
sai che non l’ho mai detto? Lo sai che non ho mai provato
nulla del genere, per
nessun’altra?-
tremò, sotto le mie
mani, sotto i miei occhi neri e sotto le gocce che si facevano a ogni
istante
più intense, riempiendo il silenzio fra le mie parole e le
mie frasi.
-Non
è stato per cattiveria che non ti ho detto niente,
d’accordo? Non ci ho solo
pensato, perché è una cosa che appartiene a
un’altra
vita, a un altro me.-
Un
altro Ben, un Ben che non aveva imparato ad amare, un Ben che non aveva
idea di
quanto sarebbe arrivato a tenere a lei.
La
mia voce e il mio sguardo si raddolcirono quando vidi la prima lacrima
solcare, solitaria, la pelle bianca di Ray.
Alzai
con delicatezza due dita, percorrendo il percorso di
quell’unica lacrima e
riempiendomi lentamente il palmo di quella guancia fresca e soffice,
umida – perfetta, nella
mia mano, creata apposta
per combaciarvi e nascondervicisi.
Mi
avvicinai di alcuni centimetri a lei, finché quegli occhi
non furono tutto
ciò che riuscii a vedere.
Il mio mondo.
La mia Ray.
-Non
mi lasciare, Ray. Non andare via.- sussurrai, piano – nero
contro blu, carbone
contro oceano.
E
Ray scosse la testa, gli occhi chiusi per trattenere le lacrime, le
mani che
salivano a racchiudersi le braccia in una stretta solitaria, tremante,
le spalle
che sussultavano.
-Scusa.-
sussurrò, la voce rotta come non mai.
Non
ero abituato a sentirla piangere, non ero abituato a vederla
così debole: Ray
era forte, era forse la creatura più forte che conoscessi,
ma… ma io sapevo
benissimo cosa celava, conoscevo la creatura fragile che tanto bene si
nascondeva
dietro
la facciata.
Scostai
un boccolo biondo dalla sua fronte, sentendo il calore del suo corpo
raggiungermi nonostante lo spazio che ancora ci divideva. Ray
è calda, è sempre
stata calda, un fuoco fatuo e meraviglioso che è arrivata ad
illuminare la mia
strada.
-Non dovevo
arrabbiarmi… è che mi sento
sempre lontana da tutto, tu ed Angie vi conoscete da tanto, e con Will
anche, e
tutti gli altri, mentre io… io sono sempre stata sola…- quella confessione le
pesava, riuscivo a capirlo: la
vedevo soffrire sotto lo sgravo di quelle parole, della consapevolezza
di non
aver mai avuto nessuno, di aver
perso
tutto ciò a cui teneva realmente nella vita.
Ray
aveva dovuto affrontare il mondo a soli sedici anni, senza qualcuno a
cui
appoggiarsi e su cui fare affidamento: ma poi aveva incontrato William,
un
William che per primo le aveva offerto amicizia, affetto, sicurezza – quella stessa
sicurezza che ora le veniva a mancare mentre i suoi
pilastri cedevano uno dopo l'altro.
Perché
i suoi pilastri erano stati Will ed Angel, la sua sicurezza era la loro
amicizia, il
potersi fidare ciecamente di loro senza il timore di sentirsi, ancora
una
volta, un’emarginata, era stata la sua forza.
E, soprattutto, perché
uno di quei pilastri ero io.
-Ray,
non piangere. Ti prego, non piangere.-
-Io
ho paura… Will è stata la prima persona ad
essermi amica dopo troppo tempo,
dopo troppo male, quando non avevo nemmeno una madre o un padre
accanto… ma
alla fine se n’è andato anche lui, e
non…- chinò il capo, le gocce di pioggia
che scivolavano lungo i suoi capelli: sconfitta, spaventata, tremante,
finalmente si appoggiò a me, premendo la fronte sul mio
petto e cercando –
forse inconsciamente – la vicinanza del mio corpo, delle mie
braccia.
-Tu
non mi lasciare…-
Quel
sussurro si
perse negli scrosci rabbiosi del temporale, nei tuoni che si
rincorrevano nel
cielo buio e denso di tempesta; ma riuscii a coglierlo comunque, quando
immersi
le dita fra i suoi capelli e la costrinsi, con dolcezza, a guardarmi.
Socchiusi
gli occhi, il suo viso vicino al mio, la fronte premuta contro la sua:
come
poteva anche solo pensare che potessi lasciarla lì, che
potessi allontanarmi da
lei in qualsiasi modo possibile?
Io
la amavo. La
amo tuttora, ancora di più, sempre di più.
Ray
non è perfetta, non è la donna più
bella del mondo, non è una principessa ed io
non sono il suo principe: è una ragazza magari non
ordinaria, ecco, ma… è la mia
donna. È la donna che io amo,
che io voglio accanto e, tutto
questo, la rende la persona perfetta per me.
Solo
per me.
-Io
non vado da nessuna parte. Sono qui con te, no?- mormorai, piano,
sentendo il
suo profumo mischiarsi a quello della pioggia.
-Restaci.-
Ray spalancò di botto gli occhi, nelle iridi una supplica
che non avrei mai
pensato di vedere in una persona orgogliosa quanto lei: ma sembrava
pronta a
rinunciare anche a se stessa, al suo amor proprio, alla sua fermezza,
pur di
non perdere me. -Per… per favore. Ti prego. Senza di te io
non ce la faccio…-
Ma
la sua voce morì sulla soglia di un bacio, un bacio che
cancellò ogni
insicurezza e la portò via con sé, scivolando via
sulla nostra pelle assieme
alle lacrime del cielo.
.
§
.
-È
tutto in ordine, niente esplosioni nucleari.- il commento sussurrato di
Ray mi
strappò una risata sommessa quando, silenziosamente
rientrammo in casa.
Tutte
le luci erano spente e di Will
e di
Angel non c’era nessuna traccia: probabilmente fra loro non
era del
tutto risolta, la questione… era più probabile
che fossero giunti ad un
armistizio, ad una pace passeggera; ma, conoscendo Angie, sapevo che il
comportamento di Will era riuscito a ferirla più
profondamente di quanto non avesse dato a vedere.
-Perlomeno.-
fu la mia risposta e, per precauzione, affinai l’udito per
cogliere un
qualsiasi tipo di
suono compromettente o potenzialmente preoccupante; Ray fece lo
stesso,
confermando l’opinione di William su noi due: in fondo,
eravamo davvero due
inguaribili ficcanaso.
Tirò
su col naso, ridacchiando e stringendosi un poco di più
contro di me.
-Devo
chiedere scusa ad Angie. Non dovevo prendermela con lei.-
mormorò,
rabbrividendo di freddo fra le mie braccia, spingendomi a stringerla
maggiormente contro il mio torace.
La
portai con me in salotto, fisicamente incapace di separarmi da lei:
ammettere
ciò che provavo nei suoi confronti mi aveva denudato di
tutte le mie difese,
lasciandomi soltanto con l’estremo bisogno di averla vicina e
di amarla, amarla
come mai avevo amato nella mia vita.
Si
accoccolò fra i cuscini soffici quando mi distesi sul
divano e la trascinai al
mio fianco: si accucciò contro al mio stomaco, intrecciando
le gambe alle mie e
respirando delicatamente sulla mia spalla, le dita leggere che
accarezzavano il
mio petto.
Le
sfiorai i capelli, giocherellando con un ricciolo ed arrotolandolo
sulle dita,
saggiandone la morbidezza.
Fra
me e lei era calato un silenzio quieto, una pace leggera e fragrante
che sapeva
di una ritrovata serenità. Quella
discussione mi aveva spaventato più di quanto avessi potuto
immaginare: gli
occhi duri e feriti di Ray non si sarebbero schiodati facilmente dai
miei pensieri, e
il senso di colpa sarebbe a lungo rimasto dentro di me.
Ma
Ray era di nuovo lì, fra le mie braccia, il corpo soffice
che si rilassava
lentamente a contatto col mio. Era
lì, con me, e quella era l’unica cosa che davvero
m’importava.
Abbassai
lo sguardo dopo un’eternità, quando la sentii
respirare più profondamente, e
sorrisi, distinguendo i suoi occhioni chiusi e la sua espressione
rilassata.
Si
era addormentata.
La
strinsi contro di me, sfiorandole la spalla con la punta delle dita per
poi baciarla
in fronte: sembrava ancora così fragile, ai miei
occhi… di una fragilità
estrema e struggente, come splendido cristallo.
Socchiusi
le palpebre, avvertendo una vaga sonnolenza rendere le mie palpebre
terribilmente pesanti: l’adrenalina stava scemando, la
sicurezza di avere Ray
fra le braccia chetava anche il senso di colpa.
Ero
sul punto di addormentarmi, di seguirla nel mondo dei sogni, ma udii
comunque
le parole calde e dolci che infransero quel silenzio, mentre le
preoccupazioni
morivano
nel buio della notte e nei tuoni del cielo.
-Ti
amo anch’io.-
. . . .
.
.
.
.
. . . .
My Space:
Sono viva, sapete? xD
Lo dico ormai in tutti i miei spazietti deliranti alla fine di ogni
capitolo... ma va beh ^^'
Vado subito al sodo, e domani (se riesco ^^') risponderò
alle recensioni con tutta calma ^^ Oppure riesco anche ora, boh,
vediamo, è l'una di notte ^^'
Allora: la questione Ben/Angel io l'ho appena accennata,
perché non è compito e piacere mio descriverla
nei dettagli. E' un'altra storia, come si dice. :)
Per Ray, invece... Ray s'è arrabbiata non tanto per quello
che è stato fra Ben e Angel, ma per come si è
sentita lei: si è sentita esclusa, allontanata dai suoi
amici e dal suo ragazzo, si è sentita di nuovo sola, una
sensazione che ben conosce e che le fa paura. Si è sentita
lontana ed emarginata dalle uniche persone su cui può
contare, e questo le ha fatto male. Non è un comportamento
razionale: è un comportamento umano, molto umano, molto...
da Ray.
Ecco, ora vado, che è meglio xD
E... ho superato il termine dei cinque capitoli di astinenza! :D. love you all,
B.
Quella
discussione lasciò molti più strascichi di quanto
avessi mai potuto pensare,
tanto in Ray quanto – soprattutto – in Angel.
La
mia piccoletta, il mattino dopo, si era comportata come sempre: era
stata dolce
con me, aveva sorriso alle mille scuse angosciate di Ray, ma non
l’avevo vista
con William; si era alzata per prima, svegliando noi due ancora
abbracciati sul
divano, prima di uscire da casa indossando i suoi inconfondibili abiti
da
cavallerizza.
Angel
ha sempre amato l’equitazione, la sensazione di
libertà che si può provare
soltanto sulla groppa di un cavallo; è la sua via di fuga,
il modo in cui fugge
dal mondo quando tutto diventa troppo pesante per essere sopportato.
L’atteggiamento
di Will le aveva fatto del male, l’aveva ferita
più profondamente di quanto
avessi potuto pensare; quello stesso pomeriggio era venuta da me e
avevamo
passato diverse ore a parlare, mentre Ray – dando prova di
aver detto la
verità, di non essere gelosa del rapporto fra me ed Angie
– aveva inventato una
qualche commissione da compiere ed era sparita per le vie di Londra.
La
mia bionda tenne il muso a William per giorni, rivolgendogli a malapena
la
parola quando lo incrociava nei corridoi dell’appartamento
che dividevano; fra
il lavoro e me, passò davvero poco tempo in casa nelle
settimane che seguirono,
scatenando una reazione a dir poco esagerata in quel solito irascibile
del mio
migliore amico.
Pian
piano le cose si sistemarono, tornando a una quieta
normalità che tutti quanti
agognavamo più di quanto potessi pensare; ma la vera
tempesta presto si sarebbe
abbattuta su tutti e quattro, perché soltanto io avevo
scorto una luce strana
nelle iridi azzurre di quello che non può essere definito
altrimenti che un imbecille.
-Ben,
mi togli una curiosità?-
Erano
passate diverse settimane da quella notte, rimasta ormai soltanto un
confuso
ricordo bagnato di pioggia; Ray ed io, stranamente, eravamo a casa di
William
mentre lui e Angie non c’erano, distesi sul suo letto e
abbracciati, i riccioli
dorati che mi oscuravano la vista.
Il
desiderio che provavo per lei non aveva fatto che accentuarsi, in quei
giorni;
sempre più a fatica riuscivo a nascondere il violento
languore che mi agitava
nel guardarla, gli occhi traditori che scendevano a disegnare avidi i
contorni
torniti del suo corpo.
Dopotutto,
sono un uomo anch’io; e come uomo sentivo il bisogno fisico
di amarla, di
prendere per me quelle curve invitanti che non riuscivo più
tanto facilmente ad
ignorare.
Avevo
deciso di aspettare, di aspettare sino a che Ray non si fosse sentita
pronta
per me; ma quell’attesa stava diventando snervante, e la mia
maledetta
immaginazione aveva reso insonne più di una notte nel
pensiero continuo di come
sarebbe stato fare l’amore con lei.
-Se
posso.- incuriosito, la guardai alzare gli occhi blu su di me,
guardandomi dal
basso verso l’alto, le guance appena più rosse e
un velo d’imbarazzo sulle
iridi chiare.
Era
ben stretta fra le mie braccia, i capelli che riempivano la mia visuale
e il
suo profumo che inebriava i miei sensi; faticavo davvero a mantenermi
concentrato, a mantenere il controllo su me stesso.
Davvero.
-Insomma…c’è
qualcosa che non va?- aggrottai appena le sopracciglia a quelle parole,
senza
capire a cosa si stesse riferendo.
C’era
qualcosa che non andava?
A
parte i freni tremendi che io stesso mi ero imposto nel mio
desiderio…
-Stiamo
insieme da due mesi, no?- sorrisi, nel sentirle pronunciare quelle
poche parole
che, per me, avevano un significato immenso.
Stiamo insieme.
Sì,
stavamo insieme. I primi due mesi
più
belli della mia vita.
-Direi
proprio di sì.- risposi, seguendola con lo sguardo mentre si
scostava appena da
me, stendendosi a pancia in giù al mio fianco e guardandomi
con una luce
splendida negli occhi, le labbra mordicchiate dai denti candidi.
-E
non hai mai… cioè.- arrossì ancor
più furiosamente, passandosi le dita bianche
fra i capelli. Mi alzai sui gomiti, avvicinandomi appena di
più a lei, una
lenta comprensione che si faceva strada nella mia mente.
-Non
ho mai…?- mormorai, piano, accostandomi a lei suadente come
un gatto.
Socchiuse
gli occhi quando immersi il viso nella sua gola, baciando la sua pelle
soffice
con delicatezza, suggendola come un frutto prelibato e irresistibile.
La
sentii rabbrividire, quando una scia di piccoli segni rossi comparve
sulla sua
carnagione candida; serrò il copriletto fra le dita,
reclinò appena indietro la
testa per permettermi di avere più spazio, per darmi la
possibilità di affogare
nel suo profumo fino a perdermici completamente.
-Non
ho mai fatto questo?- le chiesi, la voce arrochita dal desiderio che
sentivo
pulsare sempre più prepotentemente nel sangue.
Lasciai
scivolare un ginocchio fra le sue gambe tremanti; si schiusero subito
per me,
al mio tocco, concedendomi di avvicinarmi al suo corpo come mai avevo
osato
prima di quel momento.
Scesi
appena, il respiro che indugiava sulla scollatura quadrata della sua
maglietta,
accarezzando il solco di quel seno bianco che, in quel momento,
desideravo
sfiorare più d’ogni altra cosa.
Scostai
con delicatezza l’orlo della canottiera, posando il palmo
della mano sul suo
ventre soffice; bastò sentire i suoi muscoli contrarsi
repentinamente, il suo
corpo reagire a me, per mandarmi
completamente nel pallone.
-O
questo…?- aggiunsi, piano, alzando il viso per guardarla
negli occhi; ma le mie
dita agivano di volontà propria, scendendo a costeggiare
l’orlo dei
pantaloncini di jeans che indossava, provocandola apposta.
Ray
aprì gli occhi, respirando a fatica, incontrando sulla sua
strada il mio
sguardo oscurato dal desiderio.
-E-Esatto.-
riuscì a balbettare, annuendo, disorientata.
Era
la mia risposta, quella che vedevo brillare nei suoi occhi? Era quella
risposta
che aspettavo dalla prima sera in cui avevo incrociato il suo sguardo,
dalla
prima volta che l’avevo baciata?
Era
lì, bella come non mai, i capelli arruffati sparsi come
un’aureola intorno al
viso chiaro; le guance erano rosse, facevano venir voglia di mangiarla
tutta,
di baciarla, di amarla…
La
guardai come mai avevo fatto sino a quel momento, le sue dita che
sfioravano
delicate i miei capelli, la pelle che avvampava a contatto con la mia:
le sue
iridi erano piene di una luce del tutto nuova, una luce irresistibile,
languida, le labbra gonfie e bramose di baci.
Quelle
labbra… quelle labbra erano la mia droga personale, labbra
che mi chiamavano e
a cui non potevo resistere; nelle orecchie sentivo il sangue pulsare
dannatamente veloce, sotto le dita delineai la curva morbida
dell’anca di Ray, sulla
bocca sentivo il suo respiro mischiarsi al mio.
Non
ce la facevo più.
Non resistevo più.
E
cedetti al mio stesso istinto quando curvai il volto sul suo, bevendo
il suo
fiato accelerato prima di catturare in un solo attimo quella soffice
bocca
nella mia.
In
quel preciso momento, quando le mie labbra e le sue si toccarono,
entrambi
fummo consci di aver appena pronunciato quel sì
che i nostri corpi attendevano da fin troppo tempo.
La
percezione della sua morbida carne premuta sulla mia inondò
i miei sensi,
accendendo desideri che sapevo di non poter più controllare;
le sentii mancare
il fiato quando la baciai con forza, suggendo quella bocca dolce con
ingordigia, il mio torace che si premeva sul suo seno e le strappava a
forza
l’aria dai polmoni.
E
le mie mani risalirono finalmente decise lungo i suoi fianchi, portando
con sé
la canottiera e scoprendo l’invitante linea del fianco di
Ray, la carnagione
bianca e morbida, le costole e il bacino curvi sotto la pelle tesa e
liscia…
Il
nostro bacio si riempì di foga, le lingue che combattevano
una lotta senza
vinti, i sapori che si mischiavano l’un con
l’altro; sentii le dita rapide di
Ray insinuarsi fra la mia pelle e la stoffa della felpa, il tocco
bollente dei
suoi polpastrelli che disegnava le linee delle mie costole.
Il
desiderio pulsava tra il suo corpo e il mio, nel sangue che scorreva
prepotente
ad accendere un bisogno del tutto nuovo, il bisogno di aversi, di
possedersi,
di…
-Questa
sarebbe comunque casa mia.- sobbalzai di scatto, sorpreso, al suono
irato e
sarcastico di una voce che spezzò in un istante la passione
vibrante fra me e
lei.
Mi
separai immediatamente da Ray, vedendo la mia stessa espressione
– stravolta e
stupita – sul volto della mia bionda; ero in imbarazzo, in
imbarazzo senza un
vero motivo logico… dopotutto, non stavamo facendo niente di male. Non ancora.
Will
era là, sulla soglia della porta della stanza di Ray, le
braccia incrociate sul
petto muscoloso e gli occhi più cupi ed arrabbiati di quanto
non li avessi mai
visti.
Fissava
Ray con astio, astio reale e concreto, senza degnarmi nemmeno di uno
sguardo e
concentrandosi completamente sul volto di una ragazza che
già stava intuendo
cosa sarebbe successo entro pochi istanti.
-In
questa camera, se non erro, ci vivo io.- mi voltai per osservarla,
sorpreso:
Ray sosteneva gli occhi furibondi di Will con pacata cautela, una luce
pericolosa in fondo al blu delle iridi.
-Questo
non vi autorizza a farci sesso, se non sbaglio.-
Fu
quella rispostaccia, quell’esclamazione velenosa di Will, a
scatenare tutto il
disastro che ne seguì.
Quasi
non vidi Ray alzarsi in piedi, tanto fu rapida; seppi soltanto
scorgere, in
quegli occhi che tanto amavo, una furia del tutto inedita –
una furia che non
avevo mai avuto l’occasione di vedere, di analizzare e di rispettare.
-Che
cosa c’è, Will? Sei nervoso?- la sentii
sussurrare, la voce pericolosamente
bassa e suadente.
-Perché,
te ne frega qualcosa?- replicò lui, caustico, i muscoli del
volto contratti in
una smorfia di palese rabbia.
Mai
mi sono sentito di troppo come in quell’occasione; Will e Ray
si fronteggiavano
a poco più di un metro e mezzo di distanza, l’uno
chiuso e venefico mentre
l’altra ritta in piedi, i pugni serrati e le labbra strette.
Mi
ero alzato anch’io, ma quando provai a dire qualcosa Ray mi
bloccò sul nascere;
le bastò alzare di scatto una mano, senza nemmeno voltarsi a
guardarmi.
-Ben,
magari ti raggiungo più tardi.- mi disse, gli occhi blu
inchiodati in quelli
celesti di Will.
Per
un istante rimasi immobile, assorbendo il significato delle sue parole:
mi
aveva chiesto non molto fra le righe di andarmene, di lasciare soli lei
e Will…
parte di me avrebbe voluto ubbidire all’istante e levare
elegantemente le
tende, ma, allo stesso tempo, non volevo lasciarla alle prese con un
William
assolutamente imbufalito.
-Ben,
per favore.- avvertii una nota di urgenza, nella sua voce; continuava a
fissare
Will, e prima di me si era accorta dell’insofferenza del
biondo nei miei
confronti.
Cos’altro
avrei dovuto fare?
Mi
fidavo di Ray, sapevo che non mi avrebbe allontanato senza un motivo
concreto e
reale: e quindi le diedi retta, annuendo appena, allontanandomi da
quell’appartamento con una brutta sensazione nel cuore.
.
.
.
Non
seppi mai il motivo della repentina rabbia di William, di cosa lo
avesse spinto
a quella reazione; provai per due ore filate a chiamare Angel, sicuro
di
trovarla, sicuro di poter sapere qualcosa… e invece niente,
il cellulare era
spento e i suoi genitori mi riferirono della sua presenza in camera
sua,
sprangata ormai da ore.
Detestavo
non capire, non sapere: percorsi l’intero isolato intorno a
casa mia per tre
volte di fila, troppo ansioso e inquieto per restare fra quattro mura
ad
aspettare notizie; non mi era piaciuto vedere Will e Ray tanto furiosi
l’uno
con l’altra, proprio loro, che tanto erano legati…
Rientrai
soltanto quando iniziò a piovere, una pioggia scrosciante
che annunciava
l’ennesimo, violento temporale estivo su Londra.
Ray
non mi aveva fatto sapere nulla, non sapevo nulla di come e cosa stesse
succedendo; potevo solo rodermi il fegato dall’ansia e dalla
preoccupazione,
maledicendomi per averle dato retta, per non essere rimasto al suo
fianco.
Fu
soltanto verso le dieci di sera che seppi qualcosa, che potei
sincerarmi di
sapere Ray in un posto sicuro: con me.
Fu
un sollievo, infatti, sentire il campanello suonare e ritrovarla sulla
soglia
di casa mia, bagnata come un pulcino e con gli occhi arrossati, uno
zaino in
spalla e l’espressione più neutra ed enigmatica
che le avessi mai visto.
-Posso
passare la notte da te?- mi chiese, senza preamboli, con la voce
arrochita e
gli occhi lucidi e stanchi.
Sentii
qualcosa aggrovigliarsi nel mio stomaco – un misto di rabbia
e di
preoccupazione che si agitava furioso dentro di me, nel riconoscere sul
suo
volto dei tratti che avrei preferito non vedere.
Aveva
pianto.
-Ma
che domande sono? Entra, sei congelata.- risposi, allibito, guardandola
con una
domanda inespressa scritta in viso.
Che cosa era successo?
Che
cosa l’aveva costretta a piangere, che cosa aveva fatto Will
per ridurla in
quello stato?
La
fissai insistentemente, senza il coraggio di chiederle apertamente che
cosa
fosse capitato, cercando di carpire qualcosa dal suo volto
imperscrutabile; ma Ray
non alzò lo sguardo su di me, limitandosi a mormorare un grazie prima di entrare, abbandonando lo
zaino vicino alla porta e
sospirando, sfilandosi la felpa larga che indossava.
-Ray…?-
la chiamai, quando la vidi stringersi le braccia intorno al corpo, la
maglietta
chiara, bagnata, praticamente trasparente.
Presi
un lungo respiro, costringendomi a ignorare le linee scure del
reggiseno che
disegnavano la sua pelle altrimenti candida, le scapole magre, la spina
dorsale…
un tatuaggio che delineava la curva morbida della spalla, aprendosi
circolarmente sulla sua carnagione diafana.
Mi
permisi d’indugiare su quelle linee scure e marcate per
qualche istante di
troppo, sorpreso di scoprire sul suo corpo un dettaglio che non avevo
mai avuto
il piacere di scorgere completamente: Ray non amava indossare abiti
chiari, e
avevo soltanto distinto di sfuggita i tratti scuri di
quell’indelebile disegno.
L’intenso
nero dell’inchiostro si attorcigliava sulla sua pelle,
dipanandosi in una
figura che riconobbi solo dopo qualche istante
d’osservazione: una luna
crescente riposava affilata sulla sua spalla, spezzata da tanti altri
piccoli
satelliti che si rincorrevano lungo il suo profilo ricurvo,
rappresentando ogni
fase del suo ciclo eterno.
Là,
al centro della mezzaluna, si ergeva fiera e maestosa una bellissima
lupa
stilizzata, gli occhi raffigurati socchiusi e l’espressione
lieve e dolce di
una regina d’altri tempi.
Quel
tatuaggio era meraviglioso, non avrei mai potuto pensare a nulla di
più adatto
a Ray, al suo stesso essere, al suo carattere.
-Ho
preso la metro, ma ho scordato l’ombrello.- la sentii
sussurrare, di spalle, i
capelli bagnati che scendevano ad attorcigliarsi in ciocche
più scure intorno
al suo viso in ombra.
Mi
avvicinai a lei, lentamente, quando la vidi tremare: il suo corpo mi
chiamava a
sé, m’incantava in una malia di strega che
suadente mi avvolgeva nelle sue spire,
attirandomi come una mosca golosa sul caldo e denso miele dorato.
Posai
le mani sulle sue spalle, stringendola a me con delicatezza, sentendo
il suo
corpo fremere impercettibilmente al mio tocco.
-Hai
discusso con Will, vero?- le chiesi, la voce bassa e dolce, avvertendo
i suoi
muscoli contrarsi al suono del nome di William.
Annuì,
lieve, chiudendo gli occhi e abbandonandosi finalmente contro di me,
permettendomi di avvicinarmi a lei; le passai un braccio intorno alla
vita
sottile, il palmo aperto della mia mano che lentamente aderiva al suo
ventre,
la sua gola che attirava – irresistibile – il mio
respiro.
Dio,
quanto la desideravo.
Socchiusi
gli occhi, riempiendomi la mente del suo profumo mischiato a quello
della
pioggia: freddo e caldo, gelo e fuoco, fusi in un’unica
creatura creata
soltanto per farmi impazzire.
Per
la prima volta, fra me e Ray c’era soltanto silenzio: un
silenzio assoluto, un
silenzio elettrico e denso di troppe parole non dette, di tutti i
desideri
celati.
C’era
il silenzio di ciò che era quasi successo qualche ora prima,
c’era il sapore di
quella pelle sotto i miei baci voraci, di quel corpo morbido che
s’inarcava al
mio tocco… c’era la consapevolezza di aver
già preso la decisione di
appartenersi, il desiderio che pulsava insopportabile fra noi,
spingendoci
l’uno contro l’altro in un magnetismo impossibile
da combattere.
Volevo fare l’amore
con lei.
Questo
sapevo, di questo ero certo, questo era l’unico pensiero che
pulsava nella mia
mente. Provavo il bisogno fisico di toccarla, di seguire le curve del
suo corpo
in punta di dita, di spogliarla di quegli abiti bagnati e di perdermi
in quel
calore che il suo corpo emanava in quel momento più che in
ogni altro…
L’odore
forte e inebriante della sua pelle mi colse alla sprovvista, quando
inspirai
profondamente, tentando di darmi una calmata: era la fragranza che
avevo
imparato ad amare, un profumo suadente che mi dava
l’acquolina in bocca, che mi
avrebbe spinto a fare qualsiasi cosa,
con lei…
Non
riuscii a evitarmelo, non riuscii a trattenere il mio sguardo lascivo
dallo
scivolare lungo il suo corpo di spalle, quell’appetito che si
faceva sempre più
forte ad ogni istante che passavo lontano da lei: la sua pelle chiara e
umida
trasudava una sensualità che i miei occhi ciechi non avevano
mai colto, i suoi
fianchi torniti chiamavano le mie mani, il seno florido i miei
baci…
-Forse…
dovresti cambiarti.- fu una fatica immane costringere la mia voce a non
suonare
bassa, arrochita dal desiderio e dalla gola che pulsavano sempre
più
voracemente sotto la cintola, che formicolavano sulla mia bocca
affamata di
lei. -E fare una doccia calda…-
Solo
il pensiero del corpo nudo e flessuoso di Ray nella mia doccia mi diede
alla
testa, mi sconvolse più di quanto non avessi potuto
immaginare; mi scoprii a
fremere, le dita che indugiavano sulla spalla della mia ragazza,
tremando dal
desiderio di scendere a sfiorare lidi che non mi ero mai nemmeno il
permesso di
guardare da lontano.
Avevo
già dimenticato la discussione che aveva avuto con William,
del motivo per cui
era lì con me; per me, in quell’istante, esisteva
soltanto il suo profumo, la
sua pelle bagnata di pioggia.
-O
vuoi parlarne?- le chiesi, usando violenza su me stesso per porle
quella
domanda; non avevo mai avuto meno voglia o intenzione di parlare in
vita mia.
-No.-
La
voce di Ray mi parve terribilmente lontana, trasognata, figlia di un
sogno da
cui non volevo assolutamente svegliarmi; il suo corpo caldo era fra le
mie
braccia, sotto i palmi avvertivo il suo ventre contrarsi mentre le mie
dita
scorrevano sulla sua pelle e sfioravano l’orlo degli scuri
pantaloncini che
indossava.
Quell’istante
cristallino parve durare per un’eternità
assolutamente inaccettabile; il mio
respiro le accarezzava la gola, scendendo a sfiorarla là
dove io desideravo
ardentemente arrivare.
La
sentii sospirare, prima che repentinamente sciogliesse la stretta delle
mie
mani su di lei e si voltasse a guardarmi, intrecciando le dita alle mie.
E,
quando i suoi occhi s’incatenarono ai miei, seppi di essere
perduto.
Non
c’era ombra di dubbio nelle sue iridi, nessuna traccia di
paura o di
esitazione; il blu dei suoi occhi ardeva, ardeva di desiderio, gli
screzi grigi
brillavano di brama e sconvolgevano ogni cellula del mio essere,
lasciandomi
disarmato e impaziente dinanzi a ciò che – lo
realizzai soltanto in
quell’istante – volevamo entrambi.
Mi
lasciai trascinare lungo il corridoio, lungo le scale che portavano al
piano di
sopra, al bagno; nella penombra di casa mia il suo corpo spariva e
appariva
nell’oscurità della notte, il suono della pioggia
che ticchettava pressante sui
vetri, scandendo i battiti del mio desiderio.
Non
riuscivo a smettere di
guardarla, stregato dal suo
sguardo e dalle fiamme che ribollivano appena dietro il velo blu dei
suoi
occhi, sull’orlo delle sue labbra carnose, completamente
ammaliato dall’ardente
decisione che vibrava sotto la sua pelle bagnata.
Quasi non mi
accorsi di essermi lasciato condurre nell’ampia doccia che
troneggiava nel
bagno principale, quasi non sentii l’acqua calda bagnare
tanto me quanto lei,
il vapore confondere per un istante la mia vista e i miei sensi.
Per
me c’era soltanto lei.
E, quando le sue
labbra incontrarono le mie, io non capii più nulla, la brama
che prendeva
bruscamente il sopravvento sul mio labile autocontrollo.
La baciai con
forza, intrecciando la lingua alla sua senza la minima esitazione; mi
rispose
con la stessa veemenza, strattonando lievemente i miei capelli per
tirarmi
ancor di più versi di lei.
Affogai nelle sue
labbra con violenza, senza risparmiarmi, appropriandomi di ogni
millimetro di
quel caldo antro che mi apparteneva – perché lei
era mia, solo e solamente mia.
Le mie mani corsero
fameliche sul suo corpo, scendendo dalle sue spalle e percorrendo le
curve
toniche dei suoi fianchi, appropriandomene e superando la barriera dei
suoi
abiti umidi nel tempo di un battito di ciglia.
Un brusco sospiro
le spezzò il fiato, quando le mie dita calde risalirono
possessive il suo
ventre, il nostro bacio che si spezzava per il tempo esatto di sfilarle
la
maglietta.
Aggredii nuovamente
quelle labbra saporite senza quasi darmi tempo di respirare, il seno
sodo
velato soltanto dal pizzo nero che premeva insistentemente sul mio
petto. La
sua bocca mi accolse con una violenza che sfociava
nell’esasperazione; sentivo
le sue mani risalire voraci il mio torace, slacciando veementemente i
bottoni
della mia camicia oramai fradicia.
L’acqua batteva sui
nostri corpi mai stati così vicini, le barriere degli abiti
e dei ripensamenti
che sparivano una dopo l’altra; eravamo soltanto noi due in
quel momento, Ray
ed io, noi e il desiderio che non voleva più saperne di
restare in catene.
Quel bacio si
spezzò quando entrambi avemmo bisogno di ossigeno, i respiri
affannati che si
mischiavano al suono scrosciante della doccia, il vapore che saliva
pigramente
verso l’alto ed annebbiava anche l’ultimo barlume
di raziocinio.
Lo sguardo di Ray
mi raggiunse ancora una volta, trafiggendomi come mai nessuna donna era
stata
in grado di fare: ed io vidi me stesso, riflesso in quegli specchi blu
mai
scorti tanto scuri prima d’allora.
Solo allora, la
concretezza di ciò che avevo intorno riprese forma e
materia; il mio udito
riprese a funzionare, riempiendosi del battito forsennato del mio cuore
e del
suono scrosciante della doccia in cui Ray mi aveva trascinato.
La mia vista si
godeva finalmente la vista del corpo tanto a lungo agognato di Ray,
avvinghiata
a me con la stessa possessività con cui avrei desiderato
averla, amarla; il
tatuaggio e l’intimo del medesimo colore spiccavano contro la
sua carnagione
chiara, gli shorts spariti chissà quando, i capelli biondi
che si
attorcigliavano fradici attorno al viso accaldato e stravolto.
Le sue labbra erano
gonfie e dischiuse, attendevano soltanto me, soltanto il mio bacio,
soltanto la
mia passione…
Furono ingordi, i
miei occhi, quando percorsero avidi quella pelle candida imperlata di
miriadi
di gocce trasparenti. Risalii e discesi le sue forme più
volte, costeggiando i
fianchi soffici, il ventre tonico fin su, sino alle costole, sino alle
ricche
curve del seno.
Tornai a guardarla
in volto nello stesso istante in cui mi accorsi delle sue dita abili
sul mio
ventre, della mia camicia scomparsa, del tocco provocante che
costeggiava i
miei jeans.
I suoi occhi mi
attendevano lì, d’un blu tanto scuro da sembrare
quasi nero; vibravano dello
stesso desiderio che pulsava nel mio sangue, di ciò che
sentivo sempre più
costretto oltre il bordo dei pantaloni scuri.
E, più lei mi
guardava in quel modo, più sentivo il sangue affluire
prepotente alla mia
eccitazione, destabilizzando quel poco di autocontrollo che ancora
possedevo.
E l’acqua bollente
scendeva ancora, in rivoli bollenti che accarezzavano quel corpo bianco
che
tanto desideravo, tracciando scie sulle mie spalle, sulla mia schiena.
Le sue iridi
perforanti non si spostarono nemmeno per un istante dalle mie,
lasciandomi
annegare in quel torbido oceano in tempesta quando le sue dita
slacciarono il
bottone che ancora ci divideva.
Rabbrividii, quando
sentii la zip abbassarsi con studiata lentezza – con troppa lentezza, per ciò
che ruggiva bramoso dentro di me.
Ogni suo gesto
pareva calcolato, ma le sue mani tremavano almeno quanto le mie; e,
nello
sguardo inchiodato nel mio, leggevo la medesima impazienza che mi stava
logorando dentro, che bruciava sempre più intensamente nelle
mie vene.
Il suo volto era a
un sospiro dal mio, le sue labbra erano bagnate e gonfie, il suo corpo
pareva
aspettare soltanto me.
Posso?, avrei voluto chiederle.
Sì., mi urlavano in silenzio
i suoi occhi, il fisico mezzo nudo che mi chiamava irresistibilmente a
sé.
E cedetti.
Cedetti a tutto,
colmando in un respiro la distanza fra le mie labbra e le sue,
lasciando che i
miei jeans sparissero insieme a quel poco che ancora ci vestiva.
Quando la trassi a me,
il suo corpo aderì perfettamente al mio, rivoli caldi che
scendevano a legarci
insieme, il calore del suo seno, del suo ventre, delle sue labbra che
bruciava
al contatto con me.
La sua lingua
danzava con la mia in un bacio che sapeva di brama, di possessione, di noi.
La sollevai e lei
si aggrappò a me, le dita immerse nei miei capelli bagnati,
la bocca che rubava
respiri inframmezzati dai baci.
La premetti fra il
mio petto e le mattonelle umide, il bisogno di averla che mi dava alla
testa,
che pulsava nel mio sangue annebbiando ogni altro pensiero che non
fosse lei.
E non ne potevo più
di aspettare, non riuscivo più a tollerare il bisogno che
provavo, l’amore che
ruggiva.
Mi spinsi fra le
sue cosce con decisione, spezzando il contatto fra le sue labbra e le
mie,
riempiendomi i polmoni di quell’aria calda e satura di
passione.
-Ben…- Ray schiuse
gli occhi, le iridi dense di lucida frustrazione, le guance arrossate e
le mani
serrate sulle mie spalle.
La fissai a lungo,
il respiro corto quanto il suo, carbone e ghiaccio che si trovavano e
si
mischiavano, sciogliendosi nell’acqua bollente che
accarezzava densa i nostri
corpi ancora intollerabilmente divisi.
E non smisi un
istante di guardarla, l’eccitazione sempre più
pressante, mentre le sue cosce
si stringevano alla mia vita e il suo ventre mi accoglieva morbidamente
dentro
di lei.
Ero
dentro di lei.
La consapevolezza
esplose con violenza nella mia mente, nel mio corpo, ribollendo e
bruciando
come un vulcano in eruzione.
Ero
dentro di lei.
Era il suo corpo
che ora si adattava gradualmente a me, alla mia durezza pulsante e
terribilmente insopportabile, i muscoli che si contraevano e si
rilassavano in
quell’incastro perfetto.
Era Ray
a tremare fra le mie braccia, le
gambe serrate con forza attorno al mio bacino – spingendomi a
penetrarla di
più, ad averla più a fondo, a renderla ancora
più…
Mia.
La strinsi con
forza, serrando le mani sulle sue natiche, abbassando il capo sotto la
violenta
consapevolezza che bruciava nella mia carne.
Ray
era mia.
L’incavo della sua
spalla accolse il mio volto stravolto, i suoi denti che martoriavano la
mia
pelle bollente, le mani che si appropriavano di quel seno
meravigliosamente caldo,
tenero, invitante.
Mia.
La sentii sospirare
il mio nome, le unghie che, immerse nella mia carne, penetravano nella
schiena.
Non
mi trattenni, non ne ero più fisicamente capace; nella mia
mente si
avvicendavano profumi e sensazioni, sapori e piacere che si mischiavano
al
pulsante desiderio che urlava ormai per essere ascoltato.
E
mi spinsi dentro di lei con forza, possessivo, avvertendo il bruciore
dei suoi
graffi fondersi al piacere, il suo ventre contrarsi alle mie spinte
intense e
meravigliosamente profonde, i suoi gemiti riempirmi la mente.
Mia.
Non
ragionavo più, non capivo più. Per me
c’era solo quella gola, quella pelle,
quelle labbra travolte dalla mia lingua possessiva in un bacio che di
casto non
aveva proprio nulla.
Mia.
L’acqua
sferzava il suo viso, le mie spalle, le sue mani ed io ero dentro di
lei,
sentivo il suo piacere crescere e sconvolgerla a ogni affondo sempre di
più;
per me c’era solo e solamente lei,
il
suo corpo – e il desiderio, che esplodeva violento e
distruttivo nel mio sangue
e nel suo.
Mia.
La
serrai contro le mattonelle ormai bollenti, fredde al confronto della
pelle che
scorreva perfetta sotto le mie mani esigenti; e la baciai ancora,
ancora e
ancora, i suoi capelli bagnati che mi scorrevano fra le dita, il suo
volto fra
le mani, il mio nome in un gemito fra quelle labbra perfette.
Mia.
E
poi affogai nel suo sapore, riempiendo il suo corpo di me e la mia
mente di
lei.
.
.
-Mmm…
caffè.-
-Bravo.
E questo?-
-Fragola?-
-Esatto.-
Sorrisi,
negli occhi soltanto buio pesto, la presenza calda e concreta di Ray
accomodata
cavalcioni sul mio ventre; sentivo il suo corpo a contatto col mio,
avvertivo la
stoffa della camicia che aveva indossato sfiorarmi la pelle.
Le
sue dita soffici si posarono ancora una volta sulle mie labbra, un
sapore nuovamente
diverso che si mischiava al suo.
Mi
presi un istante per riconoscere il gusto sulla sua pelle; era qualcosa
che non
riuscivo a non associare a lei, che mi ricordava nitidamente voraci
segni rossi
su una pelle candida.
Il
mio sorriso si trasformò in un sogghigno, quando chiusi con
delicatezza il suo
polso fra indice e pollice; percorsi le sue braccia in punta di dita,
risalendo
il suo corpo senza tralasciarne nemmeno un millimetro, sentendola
morbida e
docile al mio tocco.
Raggiunsi
la gola sentendola riempirsi di pelle d’oca, immersi le dita
in quei riccioli
ancora umidi: e la trassi con dolcezza a me, baciando quelle labbra
soffici e
dolci che sapevano esattamente di panna.
Fu
un bacio lungo e intenso, caldo, denso della particolare sensazione
d’intontimento
che si prova dopo l’amore; sfilai la cravatta che mi oscurava
gli occhi,
separandomi da lei con un mezzo ghigno soddisfatto sul volto.
-Ray.-
sussurrai, sicuro, ed i suoi occhioni immensi e luminosi mi sorrisero
con
malizia, divertiti.
-Veramente
era panna, ma va beh…- ridacchiò, posando la
vaschetta da gelato ormai vuota sul
comodino, premendo le mani fresche sul mio torace e spingendomi con
dolcezza
sul letto, accoccolandovisi soddisfatta dopo un istante.
I
capelli le ricadevano in cascate di boccoli biondi intorno al viso,
ancora
umidi dopo la doccia; la camicia nerissima che aveva indossato
contrastava
magnificamente con la sua pelle candida, con le iridi celesti che mi
guardavano
con dolcezza, i lineamenti distesi e sorridenti come non mai.
Era
un poco scarmigliata, arruffata, serena; ed era, semplicemente,
stupenda.
-Tu sai di panna.- sottolineai,
accarezzando quei capelli biondi in un tocco leggero, sfiorando non del
tutto
casualmente l’incavo ipersensibile dietro
l’orecchio sinistro; socchiuse
pigramente gli occhi, mugolando come una micia, nascondendo fra le
braccia il
viso e strusciando il nasino sul mio torace.
Sorrisi,
quando in una scia di piccoli baci raggiunse la mia gola, lasciandosi
morbidamente scivolare al mio fianco e permettendomi di voltarmi verso
di lei,
il respiro che si unì al mio quando la trassi contro di me e
la intrappolai nel
mio abbraccio.
-Sei
mia.- sussurrai, guardandola penetrante negli occhi – quegli
occhi accesi e
bellissimi come non pensavo di averli mai visti prima
d’allora.
Allacciai
le mani sulla sua schiena, insinuandomi sotto la stoffa della camicia e
accarezzando quella pelle vellutata, morbida.
-Sei
soltanto mia.- riconfermai, baciandola sulla punta del nasino, godendo
del suo
sorriso.
Annuì
convinta, bella come non mai, accarezzandomi una guancia e
giocherellando con i
miei capelli lunghi con aria assorta, pensierosa. La baciai sul polso
quando la
distinsi attorcigliarsi una ciocca sulle dita, strappandole una risata
dolce e
cristallina.
-Ti
amo, sì. Tanto.- mormorò, piano, gli occhi che
tornavano repentinamente nei
miei. Vividi, splendenti, antichi di migliaia di anni; Ray era la mia
dea
dimenticata, la bellissima creatura che avevo il privilegio di
stringere fra le
braccia.
Era
la seconda volta che la sentivo pronunciare quelle due parole che tanto
potevano significare; e, per la seconda volta, sentii il cuore
accelerare
violentemente nel mio petto, minacciando di fracassare qualche costola
nella
folle corsa in cui si era lanciato.
Sorrisi,
sorrisi di un sorriso immenso e felice,
accarezzandole una guancia e disegnando quelle labbra con il pollice,
seguendone
il profilo roseo e perfetto.
-Ti
amo anch’io, mia principessa.- e il rossore che le
colorò istantaneamente le
guance fu la succosa ciliegina sulla torta, prima che il suo viso si
nascondesse repentinamente nel mio collo, strappandomi una risata.
La
definii principessa, in quel momento, per la prima volta da quando la
conoscevo: Ray era la sconosciuta principessa di un luogo dimenticato,
di un
cuore che non poteva essere altro che il mio.
-Non
è possibile, mi fai diventare fluorescente, non è
giusto…- la sentii mugugnare,
il corpo che si accostava al mio; immersi il volto nei suoi capelli,
socchiudendo
gli occhi e sentendola rilassarsi nel mio abbraccio.
-E’
giustissimo, invece. Sei uno spettacolo, quando arrossisci.- le feci
notare,
accarezzando in punta di dita la sua schiena e disegnando arabeschi
immaginari
sulla sua pelle.
Quell’intimità
del tutto nuova era qualcosa di meraviglioso, di assolutamente
perfetto;
finalmente mi ero permesso di desiderarla appieno, di sentirla,
di fare l’amore con lei come da troppo tempo sognavo di
fare.
Averla
lì con me nella penombra dorata della mia camera, fra le
lenzuola di un bel
broccato rosso, e sentirla sospirare felice fra le mie
braccia… era perfetto.
Era
semplicemente perfetto.
La
sentii soffocare uno sbadiglio, le dita affusolate che cercavano le mie.
-Dormi,
Ray.- sussurrai con dolcezza, posando un bacio sulla sua tempia ed
allungando
un braccio per abbassare l’interruttore della luce, lasciando
che soltanto un
flebile bagliore color ocra illuminasse fiocamente la camera.
Scosse
debolmente la testa, testarda.
-Non
voglio dormire. Voglio stare con te.- mormorò, assonnata,
sfregandosi gli occhi
come una bimba capricciosa.
Sorrisi,
abbracciandola più saldamente e stringendola a me, la mente
beatamente piena
soltanto di lei.
-Sei
con me, Ray. Sarai sempre con me; non ti lascerò andare via,
è una promessa.-
la rassicurai, chiudendo gli occhi nel profumo intenso di sapone e di
shampoo
dei suoi capelli.
E
la sentii sorridere, un bacio che si posava delicato come una farfalla
sulla
mia gola e il silenzio che scendeva fragrante fra noi, rotto soltanto
dal
ticchettio della pioggia sulla finestra.
Era
tutto perfetto, sì.
Non poteva esserlo più
di così.
. . . .
.
.
.
.
. . . .
My Space:
Buonasera darlings! Sì, avevo promesso di aggiornare prima
Seven Gods, ma... insomma, questo capitolo era l'unico che avessi
pronto, e ci tenevo a pubblicarlo ^^''''''
Allora! Finalmente ho infranto la regola del quinto capitolo :D
Un solo appunto: Will.
C'è un motivo per l'atteggiamento di Will, per la sparizione
di Angel, per la discussione fra Ray e Will. Spiegherò tutto
nel prossimo capitolo, una cui buona parte sarà incentrata
proprio sul biondastro e Angie. Non abbiatecela con lui, c'è
un motivo logico per tutto, è solo un ragazzo ferito ^^'
Spero che la scena lemon fra Ben e Ray vi sia piaciuta: il senso di
confusione, di scatti, di irrealtà che prova Ben sono
voluti, ve lo sottolineo per non farvi pensare che sia poco curata ^^'
ci ho messo un mese a scriverla ^^'''''
Spero vi sia piaciuta almeno quanto a me è piaciuto
scriverla! :)
Alla prossima :)
B.
Quando mi svegliai, il mattino
successivo a quella notte, Ray pisolava al mio fianco con l’espressione più
candida ed innocente che le avessi mai visto in volto. Fu il suono ripetuto ed insistente
del mio cellulare a strapparmi dal sonno profondo e sereno in cui ero
sprofondato assieme alla mia compagna; lanciando un’occhiata allo schermo,
istintivamente, sospirai.
Avrei dovuto aspettarmi l’arrivo di
Will, parte di me era rimasta sorpresa nel non vederlo irrompere in casa mia
già la sera prima.
Ray non aveva voluto spiegarmi nulla
di ciò che era successo fra loro ma, quando avevo aperto la porta e me l’ero
trovata davanti, avevo scorto nei suoi occhi l’inequivocabile traccia del
pianto che doveva averla scossa prima di arrivare da me: non avrei permesso a
William di farla star male un’altra volta, e fu proprio quel desiderio a farmi
alzare – lasciando a malincuore la dolcezza del corpo morbido e caldo di Ray –
e a spingermi a raggiungere la porta d’ingresso.
-Devo parlare con Ray.- fu la frase
con cui esordì William, senza nemmeno degnarsi di rivolgermi un saluto; non mi
guardava in faccia, troppo impegnato a cercare di scorgere alle mie spalle
l’eventuale presenza della mia bionda – mi sorprese, quel gesto, perché William
avrebbe dovuto sapere che Ray non si sarebbe mai lasciata proteggere da
nessuno.
-Scordatelo.- replicai io,
incrociando le braccia e scoccandogli un’occhiataccia.
L'espressione di Will, se non fossi
stato tanto irritato, mi avrebbe fatto scoppiare a ridere: aveva visto il mio
collo pieno dei succhiotti che Ray vi aveva lasciato, si era sicuramente reso
conto della luce estatica che mi brillava negli occhi e aveva visto quanto il
mio corpo, affaticato ma completamente rilassato, mostrasse i chiarissimi segni
di una notte passata in dolce compagnia. Si era rabbuiato nell'osservarmi, ma
io non avevo la minima intenzione di esprimermi in qualsivoglia segno di scuse.
In un altro momento, sicuramente,
Will avrebbe desiderato (e tentato) di strangolarmi per difendere l'onore e la
virtù della sua amica; ma, abbattuto ed angosciato com'era, si limitò a
sospirare e ad annuire appena in un muto gesto di resa.
-Tu non sai perché ho
reagito così, Ben.- mormorò, passandosi una mano fra i capelli arruffati e
scoccandomi un'occhiata impaziente dei suoi chiari occhi azzurri. -Per favore.
Voglio solo parlare con mia sorella.- aggiunse e, nonostante tutto, non mi
sfuggì il "sorella" che, con una naturalezza stupefacente, gli era
sfuggito per definire il suo rapporto con Ray.
Stavo per replicare, pronto a
consigliargli di andarsene al diavolo di gran carriera, ma una voce dolce ed
assonnata bloccò sul nascere la mia risposta pungente.
-Ben.-
Mi voltai di scatto, sorpreso: Ray
era sulla soglia dell’ingresso, avvolta nella mia camicia ed in un paio di
pantaloncini di tuta, e si sfregava gli occhi ancora pieni di sonno con la
manica mentre cercava inutilmente di ravviarsi i capelli arruffati dietro le
orecchie. -Va bene.- mormorò, lanciando uno sguardo indecifrabile a Will.
Sospirai, sapendo che
sarebbe stato inutile suggerirle di rimandare quella conversazione, facendomi
da parte per permettere al biondastro di entrare; Ray si voltò, muovendosi con
una sicurezza impressionante in casa mia e precedendoci in salotto.
Will, grato della sua accortezza, si
lasciò cadere sulla sua poltrona preferita non appena Ray gli fece cenno di
sedersi; io invece la trassi a me, strappandole un mezzo sorriso quando la
sollevai quasi di peso per stringerla fra le braccia, accomodandomi sul sofà.
Il biondo mi scoccò un’occhiata
storta, senza però dire nulla – aveva probabilmente capito quanto deleterio
sarebbe stato, per lui, commentare in qualsiasi modo il mio atteggiamento nei
confronti di Ray.
-Sarebbe troppo volere__- commentò
invece, rivolgendosi alla mia bionda.
-Sì.- lo interruppe
subito, bloccando la sua domanda – quale che fosse – sul nascere. -Ti ascolto.-
aggiunse, rivolgendogli un brusco cenno della mano e voltandosi a guardarlo con
quell’espressione indecifrabile che nemmeno io riuscii a comprendere.
Will tirò fiato, prendendosi la
testa fra le mani: sembrava preda di un violento conflitto interiore, come se
parlare ed esprimersi gli risultasse troppo penoso per permettergli altro che
quei respiri veloci ed irregolari.
-Ray, io…- cominciò,
senza guardarla in faccia e tenendo gli occhi inchiodati sul pavimento.
Inarcai un sopracciglio, lanciando
un’occhiata di sottecchi a Ray; lei però continuò ad ignorarmi, limitandosi ad
un cenno per intimarmi di stare zitto.
-Mi dispiace.-
Sentii il corpo della mia adorata
bionda irrigidirsi in risposta alle parole dell’amico, intravvidi il suo
sguardo raggelare: non invidiai William, in quel momento, perché l’occhiata che
lei gli rivolse avrebbe potuto rendere a più miti consigli persino un animale
feroce.
William si strinse nelle spalle,
azzardando una brevissima occhiata verso di noi prima di tornare ad osservare
con smodato interesse il parquet del salotto.
-Ho litigato con Angel, ieri sera…
per una cosa così stupida…- sussurrò, e non potei impedirmi di rovesciare gli
occhi al cielo: le discussioni fra quei due, da che avevo memoria, avevano
sempre causato catastrofi e calamità a loro e a chi era loro accanto.
-Angel vuole andare dai suoi parenti
per qualche tempo. Quando me l’ha detto ho dato di matto, mi sono sentito
morire, ho pensato di aver sbagliato tutto…-
Angel aveva dei parenti in un’altra
regione dell’Inghilterra e, dai suoi racconti entusiastici, avevo compreso quanto
si sentisse legata al resto della sua famiglia: fissai William, sorpreso ed un
poco confuso, perché Angie era andata spesso a trovarli e non riuscivo proprio
a comprendere cosa avesse potuto scatenare la reazione del biondo.
Ray, però, annuì; aveva in volto
l’espressione mesta e comprensiva di chi aveva capito più di quanto le parole
potessero esprimere, e mi lanciò un’occhiata per intimarmi di non esprimere ad
alta voce le mie perplessità.
Si alzò, andando a sedersi sul
bracciolo della poltrona su cui si era rannicchiato Will; gli sfiorò i capelli
con la punta delle dita ma, nonostante quel gesto affettuoso, mi accorsi di
quanto il suo corpo fosse ancora teso e chiuso in se stesso.
Ray
era fatta così,
pensai, ammirandola nonostante non fossi d’accordo con l’atteggiamento che
aveva assunto nei confronti di Will: non era in grado di rimanere insensibile
davanti a qualcuno che soffriva, specialmente se quel qualcuno era una persona
che lei adorava – e lei lo adorava davvero, quel suo fratello putativo: chiunque
avrebbe potuto scorgere lo sguardo pieno d’affetto e d’ammirazione con cui Ray
guardava William.
Sorrisi, mio malgrado, quando
distinsi i lineamenti del suo bel volto distendersi in un sorriso malinconico e
paziente; passò un braccio attorno alle spalle di Will, tirandoselo vicino e
permettendogli di abbandonare il volto nell’incavo buio e sicuro della sua
spalla.
Erano talmente belli, insieme, da
far quasi male agli occhi; non per la prima volta, da quando avevo incontrato
Ray, mi accorsi di quanto non fosse lui – più
alto, più massiccio, più solido – la persona più forte e concreta fra loro;
era lei quella in grado di sostenere
entrambi, lei, quella ragazzina
appena maggiorenne che si era dimostrata in grado di affrontare il mondo
intero.
-Io non posso perdere Angel.- lo
sentii sussurrare stringendo i pugni in quello che mi parve un gesto di
notevole autocontrollo: forse avrebbe voluto abbracciarla, ma qualcosa doveva
avergli suggerito quanto quella non sarebbe stata proprio una buona idea.
-Sei un imbecille.- sbottai
all’improvviso, incapace di rimanere in silenzio davanti a quel melodrammatico
imbecille preda delle più oscene seghe mentali della storia: Will alzò lo
sguardo su di me, confuso, ma scorsi Ray trattenere una risata. -Angel ti ama,
Will. Nemmeno la tua dannata testaccia riuscirà a cambiare quello che lei prova
per te.- aggiunsi, irritato dalla stupidità patologica di cui il mio amico era
evidentemente fornito.
Il biondo rimase in
silenzio per qualche istante, forse cercando di assorbire le brusche parole che
gli avevo rivolto; poi annuì, sospirando prima di alzare lo sguardo su Ray.
-Quando sono tornato a
casa e vi ho visti insieme… Ray, non ci ho visto più, ero arrabbiato e
frustrato e non__-
Ray alzò una mano, zittendo quel
fiume di parole sul nascere.
-Hai rivisto lui.-
mormorò soltanto, chiudendo gli occhi per qualche attimo e serrando le labbra
in una inequivocabile espressione di disprezzo.
Mi accigliai, improvvisamente
disorientato: di cosa stavano parlando, adesso?
Will spostò gli occhi
su di me, mordendosi un labbro e passandosi ancora una volta le mani fra i
capelli. -Ben… io mi fido di te, ti voglio bene, sei il mio migliore amico e
non avrei mai potuto volere di meglio per Ray.- cominciò, senza accorgersi di
quanto quelle parole mi avessero colpito: Will non si era mai esposto tanto,
con me, da affermare con tanta naturalezza una frase come quella.
Capii all’istante il motivo per cui
la rabbia di Ray nei suoi confronti era svanita quando lui l’aveva guardata:
era impossibile arrabbiarsi con William, soprattutto quando adottava la slealissima tecnica
degli “occhioni da cucciolo abbandonato”.
Il biondo si rivolse di nuovo a Ray,
angosciato.
-Solo che… Ray, ti ho vista soffrire
troppo, ho visto come lui ti aveva ridotta e…- la voce gli morì sulle labbra
davanti alle iridi indecifrabili di quella ragazza piena di sorprese, che lo
stava guardando con un cipiglio talmente serio da risultare quasi comico.
Lui sospirò, tormentandosi ancora la
folta chioma dorata.
-Voglio soltanto saperti al sicuro…-
mugugnò, e non potei trattenere un mezzo sorriso quando vidi le sue orecchie
arrossire furiosamente ed il suo sguardo riempirsi d’imbarazzo: è sempre stato
incapace di esprimere le proprie emozioni in maniera decente, William Moseley.
Ray, che era rimasta immobile ed in
silenzio mentre lui parlava, scosse la testa. -Sei un idiota.- commentò
soltanto, prima di tirarselo bruscamente addosso per un orecchio, lasciandosi
finalmente abbracciare e stringendolo forte a sua volta.
Vidi chiaramente il corpo di Will
cedere, rilassarsi di botto al contatto con quello di Ray; conoscevo l’effetto
calmante che quella piccola furia poteva avere sugli altri, quasi come se tutta
la tranquillità e la pacatezza che lei sembrava non possedere si orientasse
sulle persone che aveva accanto, salubri e delicate come l’abbraccio della
brezza estiva.
Disorientato
dalla piega repentina presa dagli eventi, mi limitai a rivolgere
ad entrambi un'occhiata interrogativa e spiazzata. Di
chi stavano parlando? Chi era che aveva fatto tanto male a Ray da
causare quella reazione spropositata di Will nei miei confronti?
Ray,
accorgendosi del mio sconcerto, sospirò. -Ti ricordi quel
ragazzo che abbiamo incontrato in
Piccadilly qualche mese fa?- mi domandò, guardandomi solamente
per qualche attimo prima di distogliere lo sguardo, nel tentativo di
impedirmi di vedere la malinconia e la tristezza riempirne quel blu
stupefacente. -Non è mai andato molto d’accordo
con Will.- aggiunse, ma subito il biondo alzò la testa dalla sua
spalla per rivolgerle un'occhiata malevola –
a dir la verità fu quello a preoccuparmi, perché non
avevo mai visto una tale espressione di disprezzo e di disgusto nello
sguardo del mio amico.
Ray, trovandosi presa in contropiede dalla reazione di William, gli
pizzicò con forza una spalla e sbottò un: -Oh, insomma!-
decisamente esasperato, rovesciando la testa verso l'alto per sfuggire,
probabilmente, all'intensa disapprovazione del biondo.
Però
sapeva, credo, che non sarebbe riuscita a sfuggire alle mie domande;
perciò sospirò, scoccando un'occhiataccia all'amico prima
di rivolgersi nuovamente a me.
-Lui… Simon…-
cominciò, esitando su quel nome che pronunciò con un
disgusto tale da farmi rabbrividire. Scosse la testa, rassegnata,
torcendosi le mani e spostando nuovamente gli occhi altrove prima di
tornare a guardarmi –
sembrava che si sentisse in colpa per ciò che si trovava
costretta a dire, che la disgustasse a tal punto quel ricordo da
renderle faticoso persino il parlare di quella cosa.
Ricambiai
il suo sguardo incerto, rivolgendole un lieve cenno per incoraggiarla a
parlare: non avrei mai potuto cambiare l'opinione che avevo di lei,
qualunque cosa mi avesse detto o mi avesse rivelato di aver fatto.
Sembrò
carpire quel mio pensiero, quella mia consapevolezza: e sospirò,
esasperata da se stessa, masticando un'imprecazione prima di riempirsi
i polmoni d'aria.
-Simon
è stato il peggior errore della mia vita, e l’apoteosi
della mia
tendenza all’autosacrificio e all’autoflagellazione.-
buttò fuori tutto d'un fiato, arrossendo per la vergogna e
l'imbarazzo che l'aver dovuto ammettere una cosa del genere,
evidentemente, le provocava.
Lì per lì non capii
a cosa si stesse riferendo, ma ebbi il lampo d'intelligenza necessario
per capire che non sarebbe stato saggio indagare in quel momento, non
con Will stravolto e Ray tanto nervosa. Solo diverso tempo dopo avrei
capito quanto, esattamente, quel tale le avesse fatto del male; ma, questa, è un'altra storia.
-Ti ha quasi
distrutta.- rincarò Will, guadagnandosi un altro pizzicotto e l'ennesima occhiataccia.
-Eppure
sono ancora in piedi.- replicò dolcemente Ray, rivolgendomi uno
sguardo che, forse, voleva essere di scuse. Avrei voluto abbracciarla e
dirle che andava tutto bene, che capivo, ma Will era ancora sconvolto e
lei se ne accorse, premurosa come sempre nei confronti di quel bizzarro
fratello maggiore che si era scelta; rimandai mentalmente a più
tardi le spiegazioni e i chiarimenti, perché sapevo che lei
aveva bisogno di occuparsi del suo amico. -Will, è tutto okay.
Va tutto bene, non sono arrabbiata
con te.- lo rassicurò infatti, accarezzandogli i capelli con un
atteggiamento sorprendentemente affettuoso, quasi materno.
-Dovresti.- mugugnò lui in risposta, imbronciato. Lei rise.
-Non
sono capace di
tenerti il broncio, dovresti averlo imparato da molto tempo.- gli fece
notare e, ancora una volta, mi ritrovai a rammentare a me stesso che
Will e Ray si conoscevano da diversi anni, e che il legame che si era
instaurato fra loro andava al di là della semplice fiducia o
amicizia. -Adesso, però, tu
devi parlare con Angel.- aggiunse lei dopo un istante, continuando a
coccolarlo e rimanendo in silenzio per qualche minuto: mi permisi di
osservarla, affascinato dal modo in cui il suo sguardo si faceva
assente quando rifletteva e dalla delicatezza con cui sfiorava la
chioma arruffata di William, che le si era nuovamente rifugiato addosso
come un bambino troppo cresciuto.
Era bella, mi dissi. Era bella in un modo tutto suo, e quella bellezza era solamente mia.
-Dovrò
trovare un altro posto dove stare.- affermò all'improvviso,
spezzando il silenzio finalmente quieto che era venuto a crearsi in
quella manciata d'istanti. Trasalii all'unisono con Will, perché
entrambi avevamo colto il tono stranamente definitivo della sua voce,
la malinconia che ne aveva velato le sillabe solitamente energiche e
preponderanti.
-Non
voglio che tu te ne vada.- esclamò subito lui, mentre io mi
costrinsi a rimanere in silenzio: qualcosa, dentro di me, mi stava
suggerendo di ascoltare prima d'intervenire.
Ray sorrise al suo migliore amico, arruffandogli la frangia con un gesto tenero ma, contemporaneamente, dannatamente triste.
-Will,
non siamo più a
New York. Abbiamo vissuto assieme per tanto tempo… è
arrivato il momento di
voltare pagina.- gli spiegò ma, quando lo vide sbiancare, si
affrettò a dargli un buffetto e a sorridere. -Ehi, va tutto
bene! Non ho intenzione di lasciarti solo!-
lo rassicurò subito, costringendosi – lo vedevo chiaramente – a mostrarsi allegra e serena nonostante non si sentisse minimamente così. -Perdiana, sei più insicuro di una ragazzina al primo amore.- aggiunse, sarcastica – sfuggendo, però, al mio sguardo indagatore.
-Mi
piace vivere con
te.- protestò lui, ma mi accorsi anch’io di quanto stesse
cercando di
impuntarsi su qualcosa che, alla fin fine, forse avrebbe anche potuto
andargli a
genio. Dopotutto, oggettivamente parlando, Ray poteva anche aver
ragione: Will ed Angel stavano insieme da tanto, forse era arrivato
davvero il tempo di cominciare a pensare ad un futuro insieme.
Ray gli arruffò i capelli, continuando a sorridere con quello che mi sembrò uno sforzo quasi titanico; capii in
quell’istante quanto stesse cercando di reprimere la propria angoscia, la
propria tristezza, pur di riuscire a tranquillizzare il suo amico… innervosito,
non potei fare a meno di tamburellare con le dita sul cuscino del divano,
guadagnandomi una sua occhiata ammonitrice.
Era stupefacente, per me, vedere
quanta intesa e complicità fossero sbocciate fra me e lei in quei pochi mesi di
relazione – era quasi come se, in tutta la mia vita, non avessi aspettato altro
che lei per sentirmi finalmente completo…
-Avanti, in fondo lo sai da molto
tempo che questa cosa doveva cambiare.- sorrise, Ray, rivolgendosi di nuovo a
Will. -Tu ed Angel siete pronti da tanto tempo.- aggiunse con tenerezza, ma la
vidi inghiottire quello che, probabilmente, doveva essere l’inizio di un pianto
che stava cercando di reprimere dentro se stessa.
-E
tu dove andrai?- le domandò lui col solito tatto elefantiaco,
infierendo inconsapevolmente su quell'autocontrollo mostruoso che,
tuttavia, stava cominciando a vacillare. Lei chiuse per un istante gli
occhi, prendendo fiato prima di rispondere.
-Ho qualche soldo da
parte. Mi troverò un posto vicino al lavoro, così__-
E
la soluzione, in quel
momento, si presentò nella mia mente con una consapevolezza
talmente chiara e cristallina da sorprendere me stesso per non averla
riconosciuta prima.
-Vieni
qui.- la interruppi, sollevandomi dallo schienale della poltrona e
osservandola da sopra le dita intrecciate; Ray, alla mia
esclamazione, si voltò di scatto verso di me –
ma Will, alle sue spalle, si aprì in un sorriso talmente
entusiasta da farmi intuire che la stessa idea fosse balenata in mente
anche a lui.
-Cosa?-
mi domandò lei, esterrefatta, fissandomi con quei due splendidi
occhi blu che erano riusciti a stregarmi molto tempo prima di quel
giorno. Annuii.
-Vieni
a stare qui. Con
me.- ripetei, convinto e serio come non ero mai stato prima di quel
momento: solamente ora mi rendo conto di quanto mi sentissi
determinato, di quanto desiderassi con tutte le mie forze che Ray fosse abbastanza coraggiosa da fare quel passo verso di me.
Ci
conoscevamo da poco, stavamo insieme da ancor meno, c'erano dieci anni
di differenza fra noi, ma io sapevo già che lei era tutto
ciò che avrei potuto desiderare.
-Ben…-
cominciò, incerta e deliziosamente confusa, passandosi le dita
fra i capelli biondi per tirarseli indietro, scostandoli dal volto.
-...stai
scherzando, vero?- mormorò, rivolgendomi un'occhiata così
insicura ed implorante da strapparmi uno sbuffo divertito.
-Evidentemente,
Will
non è l’unico insicuro patologico in questa stanza.-
commentai, ed entrambi i biondi tirati in causa arrossirono fino alla
radice della capigliatura del medesimo colore.
Mi allungai verso di lei, prendendole una mano ed avvicinandola a me; Ray, docile come non era mai stata nei miei confronti – né con nessun altro, d'altronde –, si lasciò sottrarre da Will e mi permise di prenderla di nuovo in braccio, di riempirmi lo sguardo di lei e dei suoi occhi meravigliosi.
Le
accarezzai lievemente una guancia col dorso della mano, sorridendo
appena quando la vidi socchiudere gli occhi per abbandonarsi,
fiduciosa, al mio tocco.
-Ti
voglio per me dal
momento stesso in cui mi hai rifilato quel due di picche, quando ci
siamo
conosciuti.- le rivelai a bassa voce, strappandole un piccolo sussulto
divertito quando quel ricordo riemerse nelle memorie di entrambi.
L'avevo trovata così sensuale, quella sera, così
meravigliosamente enigmatica... -Sono un uomo possessivo, Ray, ed
estremamente ansioso. Non
sopporterei l’idea di saperti lontana da me.- aggiunsi, inarcando
un sopracciglio e rivolgendole quell'occhiata sardonica che, come avevo
imparato, era in grado di farle saltare i nervi in un istante.
Per
una volta, però, lei non volle cogliere la mia provocazione e
sospirò, tormentandosi nuovamente le ciocche dorate che le
continuavano a ricadere sulle guance.
-Ho
vissuto sola per
molto tempo, non è un problema, non sentirti costretto ad
aiutarmi…- cominciò, ma alzai immediatamente una mano per
interromperla, scuotendo appena la testa.
-Costretto?- sottolineai, inarcando un
sopracciglio con scetticismo. “No, non ci siamo proprio.”
Sospirai,
abbassando lo sguardo per un istante prima di alzarlo nuovamente su di
lei, non riuscendo a trattenere un sorriso sarcastico dal disegnarsi
sul mio volto quando la vidi tanto insicura, triste ed estremamente
fragile. -Perdonami, ma forse non
hai colto il senso di ciò che ho detto.- le feci notare,
annuendo in risposta alla sua espressione accigliata.
Non voleva capire… per lei sarebbe
stato molto più semplice accettare un rifiuto od un dolore, invece delle parole
semplici che le stavo rivolgendo in quel momento. Avevo compreso da tempo
quanto fosse totalmente incapace di credere che qualcuno si preoccupasse per
lei o la desiderasse nella propria vita; l’unico modo per valicare la sua
insicurezza, dietro cui si trincerava come un guerriero al di là dei merli di un
castello, era essere chiari.
La guardai, inchiodando le iridi in
quelle tempestose della donna che amavo: sapevo che sarebbe stata
in grado di scorgere, nel mio sguardo, quella verità che lei si stava
testardamente ostinando a non voler accettare.
-Ti voglio con me, Ray. Adesso, fra
un anno, per tutto il resto della mia vita.-
La osservai trasalire, rabbrividire,
sgranare gli occhi quando pronunciai quelle parole che, probabilmente, lei non
avrebbe mai nemmeno sperato di sentirsi rivolgere; eppure quella era l’unica
realtà che sentivo ardere dentro di me, tanto immensa e cristallina da
annientare le paure ed i timori di entrambi.
Volevo bearmi di lei, della sua
presenza, volevo godere di ogni sua vittoria ed esserle accanto dinanzi a
qualsiasi difficoltà; volevo svegliarmi e trovarla accanto a me, volevo fare
l’amore con lei fino a spossare entrambi di piacere ed appagamento, volevo
vederla strillare contro la televisione e suonare la batteria con quella
determinazione assoluta con cui Ray affrontava la vita – una vita che volevo
mia, che volevo condividere con lei, che non mi sarei lasciato sfuggire per
nulla al mondo.
Io
volevo lei.
Allungai
una mano per racchiuderla
intorno alla sua, che lei aveva tenuto stretta a pugno in grembo sino a
quel momento, passandole l'altro braccio attorno alla vita per
trattenerla lì, nell’unico posto da cui non l’avrei
mai fatta scappare: fra le mie braccia. Conme.
Le accarezzai le guance soffici con
i pollici, riempiendomi lo sguardo e la mente dello splendore del suo volto,
dei suoi occhi increduli, del sorriso incerto che le increspava le labbra
morbide; le soffiai un bacio sulla bocca, sfiorandole con le dita i boccoli
disordinati e sorridendo a mia volta.
-Io sono un gran egoista, Ray. Tu
sei mia, e io non ho intenzione di lasciarti andare tanto facilmente.-
._
.
.
Una cosa che ho imparato ad
apprezzare di Ray, nel corso degli anni, è la sua ostinata caparbietà e
la sua (un poco patologica, lo ammetto) incapacità di procrastinare: una volta
presa la decisione di trasferirsi da me, quel piccolo vulcano impiegò appena
quindici giorni per spostare tutto ciò che possedeva dall’appartamento di Will
a casa mia.
William insistette per
non smantellare completamente la camera che Ray stava abbandonando; la
costrinse – quasi con la forza, a dire il vero – a lasciare un cambio d’abiti e
qualche effetto personale nell’armadio, “casomai avesse avuto bisogno di
trascorrere del tempo assieme a lui e ad Angel”: mi trovai d’accordo con la sua
richiesta, perché sapere che Ray avrebbe sempre avuto un posto dove andare se
mi fosse successo qualcosa è sempre stata una sicurezza non indifferente.
Nel giro di pochi mesi,
da quando avevo rimesso piede in Inghilterra, la mia vita era stata
completamente stravolta dall’arrivo di quella biondina esagitata che mi era
entrata dentro come mai nessuno aveva fatto prima d’allora.
Imparare a vivere
insieme fu facile e spontaneo per entrambi. Ray aveva vissuto a lungo sola ed
in seguito assieme a William, ed era abituata a gestire casa e lavoro senza
alcuna difficoltà; io avevo convissuto per molti anni con mio fratello Jack e
non mi preoccupava l’idea di dividere casa mia con qualcun altro, ma nessuno
dei due avrebbe mai potuto immaginare quanto semplice fu abituarsi l’uno
all’altra.
In breve tempo, come
già aveva fatto una volta, la sua presenza diventò, per me, essenziale.
_
Viviamo insieme da più di
quattro anni, ormai. Abbiamo superato tante avversità e tanti problemi, ma
niente è mai riuscito a convincermi di aver sbagliato, in quella lontana sera
di inizio estate, nel tentare di abbordare una giovane biondina che non potevo
immaginare avrebbe cambiato per sempre la mia vita.
Dicono
che la notte porti consiglio, che il buio sia riposo per la mente e per il
corpo; dicono che la notte sia pigra e fragrante, sempre identica, quasi
monotona e priva di luce; dicono che sia utile solo per dormire, per far
passare in fretta quelle inutili ore di buio.
È evidente quanto il
mondo non abbia ancora avuto l’occasione di conoscere la mia piccola Ray.
Lei, la notte, ce l’ha negli
occhi: ce l’ha dentro quelle iridi chiare, in ogni millimetro di quel viso di
bambola. Ho imparato ad amarla perché lei è e sarà sempre una che cambia, muta
ed esplode in una miriade di fuochi d’artificio ogni volta più belli, ogni
volta irripetibili; era ed è tante persone diverse, Ray, proprio come la notte:
mai uguale a se stessa, ma più bella ad ogni sguardo.
È del suo modo di
essere quella meravigliosa, magica notte di cui io non riesco più a fare a
meno: della notte che si riflette sulla sua pelle chiara, sulla linea morbida
della schiena illuminata dalla luce dorata dei lampioni che sfiora i suoi
corti, arruffati capelli biondi; della notte che sa delle sue labbra, delle sue
carezze, della sua pelle; della notte che mi ha riempito la vita di risate, di
gioia e della luce dolce e delicata della Luna.
Sorrido, guardandola
mentre dorme appallottolata contro di me, il suo respiro mi sfiora il petto e le sue dita stringono con forza le mie.
A pensare che è
iniziato tutto con un due di picche, sinceramente, ora mi viene quasi da
ridere.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
Ebbene sì,
sono riuscita a trovare una conclusione anche per Seize The Day! Non ci
speravate più, lo so; sinceramente… nemmeno io ^^'
Evidentemente
questo è il periodo in cui riesco a portare a termine molte
delle cose che ho
lasciato in sospeso per tanto tempo… dev'essere l'arrivo
dell'autunno e dell'inverno, mi fa
sempre un buon effetto e mi fa lavorare di più sui miei scritti,
con maggior
passione. Ben e Ray mi hanno accompagnata per un lungo pezzo della mia
vita e non hanno ancora finito con me, a dirla tutta: come ho detto
all'inizio, questa fanfiction è per tutti coloro che li hanno
amati e li amano quanto me, è un dono per le persone che,
nonostante le avversità, non rinunciano ai sogni.
Vorrei ringraziare
tutte le persone che hanno recensito e atteso pazientemente il finale di STD;
siete stati tutti meravigliosi, è soprattutto grazie ai vostri commenti e al
vostro entusiasmo che mi sono decisa a riprendere in mano questa fanfiction per
darle il finale che meritava. Ben e Ray, lo capisco solamente ora, non sono
soltanto il mio rifugio: sono anche un po' il vostro, e mi dispiace di avervi
fatto aspettare così tanto.
Magari
è un po' un cliché, ma a volte non mi dispiace inserirne
qualcuno ^^' spero che vi sia piaciuto questo capitoletto conclusivo!
Devo dire che non mi dispiace, non è stucchevole e Will è
un pacioccone estremamente coccolabile xD
Peter: :D
NON
TU, Peter. Tu sei insopportabile, è il tuo interprete ad essermi
simpatico. Ricordati sempre che io ti aborro dal profondo del mio cuore.
Peter: ...mai una gioia nella vita -.-
Ben
invece è mostruosamente perfetto, almeno secondo i miei canoni:
datemene uno così, per piacere. Dove li vendono? Ne ho un gran bisogno ç_ç
§
APPUNTI
TEMPORALI
-
Ray e Ben
si sono conosciuti dopo la registrazione di Dorian Gray ma prima
dell'uscita nei cinema, ossia
quando lei aveva compiuto da poco 18 anni (e lui 28, ci sono dieci anni
di
differenza fra loro). Will, al tempo, viveva con lei in un appartamento
di Londra. In seguito a "Seize The Day", però, Ray va a vivere
con Ben ed Angel si trasferisce da William.
- Will ed
Angel lasciano l'Inghilterra un anno dopo, ai 19 anni di Ray (29 di Ben), pochi
mesi dopo l'incidente di Ray (che trovate raccontato nella fanfiction "Phoenix").
Dopo questa partenza sono ambientate le fanfiction “Something was
broken” e “Stop.
Breathe. Cry if you must.”
- Angel e Ray
hanno uno screzio, circa un anno dopo il trasferimento di Will ed Angie negli
USA, che porta le due coppie ad allentare i rapporti e ad allontanarsi, pur
mantenendo intatte le amicizie Will/Ben, Angel/Ben e Will/Ray.
- Ora, ossia
nel momento in cui Ben parla di Ray al termine di questo capitolo, Ben e Ray
sono sposati e hanno una figlia, Sinéad, e convivono a Londra da più di quattro
anni. Ray quindi ha più di 22 anni e Ben 32, Sinéad invece ha compiuto un anno
(essendo nata ad agosto dell'anno prima). Un piccolo scorcio di questa
nuova vita lo trovate nella storia “Full Hearts”, ambientata durante le riprese del film The Words.
Tutto questo
lo troverete descritto nelle mie prossime fanfiction; sì, non ho finito con
loro! Ci rivedremo, quindi, è una promessa solenne. :)