Seize The Day - Cogli l'attimo

di ranyare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Seize The Day

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Seize The Day - Avenged Sevenfold

Capitano giorni, a volte, che ti cambiano la vita.

Sono giorni strani, sono ore in cui non ti rendi davvero conto che qualcosa, intorno a te, è cambiato.

A me è successo: e non è stato un cambiamento piccolo, insignificante, tranquillo.

È stato un uragano, che è entrato nella mia vita e ha mandato tutto all’aria.

E si è anche divertita.

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Me lo ricordo bene, quel locale.

Non troppa gente, musica eccellente e luci al neon: mi aveva stupito la scelta di Will, solitamente incline ai bagordi e alle feste sfrenate in discoteche rumorose e ammassate di gente ubriaca e disordinata. Dopo quattro mesi dall’ultima volta che ci eravamo visti mi sarei aspettato che mi trascinasse proprio ad uno dei suoi festini – non che mi dispiacesse l’idea ma, dopo dieci ore di volo, mi sentivo abbastanza esausto e di certo per nulla incline ad unirmi a quel biondo dissoluto per una notte brava di cui, probabilmente, avrei finito per ricordare poco o nulla.

Guardandomi intorno, appena entrato, non trovai William: la cosa non mi sorprese, dopotutto, perché uno dei dettagli caratteristici di Will è sempre stato quello di essere perennemente in ritardo. Decisi di sedermi e, per ammazzare il tempo, di ordinare qualcosa da bere ad una delle belle ragazze che lavoravano al bancone.

Quel posto era pieno, pieno zeppo di bellezze esotiche, rare, eleganti e raffinate come odalische.

Avevo scorto due giovani che quasi sicuramente erano brasiliane, un’altra che chiaramente proveniva dal Mediterraneo; una bellissima gitana dagli occhi verdi, tre splendide ragazze orientali.

I gusti di Will erano solo che migliorati, bisognava dirlo.

Poi, però, una di loro mi passò accanto.

Me la ricordo bene, con i tacchi vertiginosi che indossava era alta più o meno quanto me; i capelli erano di un biondo scuro, la carnagione pallida resa ancora più terrea dalle luci al neon, i tratti del volto stranamente taglienti. Pensai fosse londinese, ma la pronuncia delle parole che rivolse alla barista fu ben diversa da quella che mi aspettavo: chiese un Brave Bull alla barista con uno spiccato accento americano che m’incuriosì più di tutto il resto.

Indossava un abito rosso che le lasciava scoperta la schiena fin sotto le scapole, e rosso era anche il fermaglio che le tratteneva i corti capelli riccioluti sulla nuca: non era niente di particolare... era carina, sì, ma io ero abituato a frequentare le donne più belle del jetset e, di certo, non fu il suo aspetto ad impressionarmi.

Non so perché mi spinsi fino a quel bancone: forse per la mia solita curiosità, forse per capire meglio quell'andatura spedita e tutt'altro che femminile, forse per un istinto inconscio che non riuscii in nessun modo a reprimere.

Mi accostai a lei, dipingendomi in faccia quel sorriso accattivante e misterioso che già tante donne avevano dimostrato di apprezzare.

Dopotutto, sono Ben Barnes. Il mio fascino è appurato e confermato.

-Ehi, bella, io sono Ben, tu sei…?-

Uno sguardo di sufficienza, due occhi blu tutt'altro che amichevoli.

-Fuori dalla tua portata, tesoro.-

Ci rimasi male. Quanto, quanto ci rimasi male lo so soltanto io.

Aveva una voce secca, dura, e l’accento metallico risuonava come una lama fra le sillabe; ma fu la sua occhiataccia a lasciarmi di stucco, folgorato come nel più insipido dei romanzetti rosa da qualcosa che non seppi identificare.

C’era da perdersi in quei due baratri. C’era da affogarci e non riemergerne mai più.

-Ray! Ma ti pare il modo di rivolgerti ad un cliente?- la barista, dietro al bancone, si rivolse alla bionda e la guardò con aria severa. Io, invece, continuai a guardarla, boccheggiando, con un misto di sorpresa, orgoglio maschile irreversibilmente ferito e curiosità.

Ad un’occhiata distratta chiunque l’avrebbe scambiata per una qualunque, per una ragazza dal viso pulito e, probabilmente, senza trucco non avebbe dimostrato più di diciott'anni. Eppure…eppure c’era un gelo tale, in quelle iridi, da restarci di sasso.

In molti si sarebbero spaventati dinanzi ad una donna del genere, perché la maggior parte degli uomini tende a preferire una compagnia più facile, meno mordace; io, invece, da compulsivo amante della competizione, decisi all'istante che quella sarebbe stata la mia prossima sfida.

-Non è un cliente. È un amico di Will.-

Ray.

Mi ricordava qualcosa, quel nome, ma non riuscivo a rammentare chi lo avesse pronunciato: ero troppo impegnato a macerarmi nel mio orgoglio annichilito per accorgermi subito dell’allusione al mio amico.

-Come ti pare.- soltanto quando la barista si allontanò, altezzosa, collegai le due cose.

-Tu conosci__- cominciai ma, prima di riuscire a finire la mia domanda, ecco arrivare la conferma in carne e ossa della mia domanda.

-Ben!- mi voltai di scatto e così fece anche la bionda: là, sulla soglia del locale, c’era il mio migliore amico, altrimenti conosciuto come William Peter Moseley.

Sorrisi, nel rivederlo. Non glielo avrei confessato nemmeno sotto tortura, ma… mi era mancato, durante gli ultimi mesi. Will è una presenza che difficilmente non manca una volta entrato a far parte della tua vita.

Mi sorrise a sua volta, allegro come sempre: aveva i capelli biondi più lunghi di come li rammentavo, l’immancabile borsalino calato sul capo ed in faccia l'immancabile espressione solare che lo avrebbe reso caro a chiunque.

Ray, accanto a me, si alzò in piedi: gli occhi freddi e cupi si erano spostati sulla figura del mio amico ed un lampo di calore – e un sorriso lieve, su quelle labbra – li aveva illuminati per un istante.

E fu proprio a lei che Will si rivolse, non appena avvicinatosi e rivolto un saluto allegro anche alla barista che, da quanto potevo capire, conosceva.

-Ray, non trovavo da parcheggiare, mi dispiace.- esordì, mentre gli occhi celesti si spostavano sulla ragazza, dolci e amichevoli come non mai. Ecco svelato il mistero: grazie a lui Ray mi conosceva già, e io avevo appena fatto una delle più colossali figuracce nella storia degli abbordaggi.

Lei annuì, rivolgendogli soltanto un fugace sguardo molto diverso dalla stoccata terribile che era toccata al sottoscritto.

-Toglimi una curiosità, i tuoi amici sono tutti imbecilli come il principino, qui?- appunto. Ecco come smontare definitivamente il sottoscritto in due semplici, crudeli proposizioni.

Will mi rivolse un’occhiata stupita mentre il suo sguardo si riempiva di una luce che ben conoscevo e, altrettanto bene, temevo: lo vidi diventare tutto rosso in risposta alla mia occhiataccia, che gli intimava silenziosamente di non sfottere oh, prima o poi lo avrei strangolato. Poco ma sicuro.

-Vedo che avete già fatto conoscenza.- commentò, evitando di scoppiare a ridere ma aprendosi in un ghigno soddisfatto che mi sembrò più canzonatorio di molto altro. -Ben, lei è Ray, la mia coinquilina e migliore amica. Te ne ho parlato.-

Sì, me ne aveva parlato quattro mesi prima, appena tornato da un viaggio negli Stati Uniti passato con Angel. Ne ero stato felice, ma l’esistenza di questa misteriosa ragazza che si era portato dietro dall’America era, sinceramente, scivolata in fondo alla mia lista di pensieri.

Will aveva Angel al suo fianco, si erano conosciuti sul set di Narnia e lei ancora non lo aveva mandato a quel paese (era qualcosa che aveva dello straordinario, considerato il fatto che Angel è una donna intelligente e Will un coglione patentato).

Tornato a Londra con lei, dove Angel viveva con la sua famiglia e frequentava il primo anno del college, Will l’aveva trascinata in un viaggio negli USA, dov’era stato prima di Prince Caspian, ed erano tornati con una persona che era diventata la coinquilina di William: Ray.

L’avevo immaginata come una ragazza allegra, leggera, incline allo stile di vita dissoluto delle ragazze americane… ma mi dovetti ricredere quella sera stessa, dopo essermi ritrovato davanti quei due occhi di ghiaccio.

-Sì…beh, piacere.- era alquanto inutile cercare di rimediare alla figuraccia appena fatta, vero?

...sì, decisamente: lo sguardo di sufficienza che Ray mi rivolse bastò a confermare questa mia ipotesi.

-Tutto tuo.- mormorò infatti, atona, recuperando una borsetta appena più scura del vestito che indossava e sfilandone una sigaretta che, con un gesto secco, accese e si portò alle labbra sottili. Non aveva le unghie lunghe, smaltate o curate, anzi: erano corte e appena rovinate, così come la pelle delle sue mani che, nonostante avessero una bella forma, erano segnate da diverse piccole cicatrici che non riuscii, lì per lì, a spiegarmi.

C’era qualcosa che non quadrava, in quella ragazza.

-Ray!- una voce fece sussultare tutti e tre, interrompendo i discorsi e le mie elucubrazioni – e, avendo gli occhi fissi su Ray, la vidi incupirsi ed impallidire appena, scambiare un’occhiata scura con un William improvvisamente irato.

-Sì, Jòs?-

Non mi sfuggì la nota stanca della sua voce quando, stancamente, si voltò per fronteggiare il nuovo venuto, accavallando le gambe velate dai collant.

-È arrivato Carter, sai che la tua graziosa compagnia è il motivo per cui viene qui due volte a settimana.-

L’uomo che aveva appena parlato era inequivocabilmente omosessuale, ben vestito e irritante. Vidi Ray serrare le mani chiare sul bordo del vestito, mentre un’angoscia ben vestita si disegnava in quei terribilmente espressivi occhi blu.

-Cerca sempre di allungare le mani, Jòs.- mormorò, con una voce molto più mite di quanto fosse stata quella rivolta a me. Mi voltai verso Will e lo vidi scuotere appena la testa, con gli occhi inchiodati con astio su quel Jòs.

Non mi piacque l’espressione di Will. Non mi piacque il disagio e l’angoscia di Ray.

-E lasciagliele allungare, purché ti paghi.-

Bastò quella frase per farmi capire.

Che Ray lavorasse in quel luogo lo avevo capito anche da solo ma, occupato com’ero a studiare quella ragazza, non avevo compreso di che genere di lavoro si trattasse esattamente: le ragazze in quel luogo erano accompagnatrici, intrattenitrici alcune servivano al banco, altre servivano ai tavoli, ma la maggior parte era seduta in compagnia dei clienti, con una lascivia che pareva anche troppo disponibile.

-Lei non sta qui per fare la puttana, Jòs.- fu Will, con una veemenza che mi sorprese, ad intervenire, mettendosi letteralmente in mezzo fra questo Jòs e Ray.

-Tu non dovresti nemmeno stare qui, Moseley.- ribatté il tizio, scoccandogli un’occhiataccia sotto i miei occhi allibiti. Tutta quella situazione aveva del surreale…

Vidi il mio amico in procinto di ribattere ma fu Ray ad alzarsi, a posare una mano sul suo braccio. Improvvisamente quel vestito rosso non mi sembrava più tanto sensuale, quei tacchi alti non mi parevano più tanto eleganti: mi davano l’idea di una gabbia la stessa gabbia che scorgevo negli occhi stanchi di Ray.

E fu improvvisa la mazzata di dispiacere che mi colpì in quell’istante.

Non era piacevole vedere una così bella creatura, con tanto negli occhi, in trappola. Non era giusto, non mi andava giù, non era qualcosa che avrei accettato. Will avrebbe sicuramente riso nel sapere quello che mi stava passando per la testa: "Hai sempre la mania di fare l’eroe" era uno dei suoi commenti più frequenti nei riguardi del sottoscritto.

Fu per questo che mi schiarii sonoramente la voce, attirando su di me l’attenzione di tutti e tre: di Will, di quel tale Jòs… e di Ray, che mi guardava con qualcosa di finalmente diverso dall’indifferenza.

-Posso parlarle in privato, mister?- se c’è una cosa di cui vado fiero, in me stesso, è la mia faccia tosta inglese. Soltanto noi siamo in grado di mostrare quella faccia di bronzo particolare, accattivante, che raramente ottiene un no in risposta.

-Ma certo.- mi rispose l’ometto, forse riconoscendomi, intuendo dalla mia occhiata che avevo in mente qualcosa che gli sarebbe quasi certamente andato a genio.

Fu una soddisfazione, dopotutto, allontanarmi da Ray e da Will con la consapevolezza dello sguardo incuriosito e cupo di quella ragazza inchiodato sulla mia schiena... anzi, a dirla tutta, fu un balsamo per quel mio amor proprio che proprio lei aveva appena maciullato.

Seguii quel Jòs fino al bancone più lontano, accorgendomi di quanto il suo passo affrettato riflettesse esattamente il suo aspetto viscido e lezioso.

-Allora mister, cosa…- iniziò, ma lo interruppi in un modo che quasi tutti riescono a comprendere immediatamente: sotto al suo naso tozzo sventolavano improvvisamente due biglietti da cento sterline, trattenuti dalle mie dita sottili.

-Quella ragazza starà con me, stasera.- affermai, deciso, con la voce suadente di chi vuole convincere qualcuno a fare ciò che desidera. E sorrisi appena, soddisfatto, quando vidi Jòs seguire come ipnotizzato il movimento lieve delle banconote.

-Non c’è problema, mister.- mi rispose, trasognato, e non potei fare a meno di disgustarmi per quell’atteggiamento viscido e amorale che chissà come mai aveva quel potere su Ray.

-E nessun altro.- gli ricordai, alzando un sopracciglio.

-Assolutamente nessuno.- che schifo.

Gli lasciai i soldi e mi allontanai in fretta: ho sempre odiato le persone come quel Jòs e sapere che un’amica di Will, una ragazza giovane e carina e probabilmente intelligente, era costretta a sottostarvi… beh, era orribile.

Tornai da lei e da Will con un sogghigno soddisfatto che il mio amico conosceva decisamente bene Ray invece non aveva ancora imparato a capire quanto io non fossi lo squinternato maniaco che dovevo esserle sembrato all'inizio: mi guardava, spaesata, senza comprendere che cosa avessi appena fatto.

-Che cosa…- cominciò infatti, confusa, mordendosi le labbra e arrotolandosi nervosamente una ciocca di capelli fra le dita.

Scossi appena la mano, stringendomi nelle spalle con fare noncurante.

-Non andarci, da quel tipo. Stasera avrai l’onore di passare tutto il tempo col sottoscritto, e spero non ti dispiaccia troppo.-

Giuro. Prima di lei non mi sono mai comportato così. Non sono mai stato il tipo arrogante e saccente che probabilmente sembravo in quel momento.

Probabilmente anche Ray lo capì, perché vidi un accenno di sorriso apparire sulle sue labbra e il suo sguardo rischiararsi, sollevato.

-Quasi quasi avrei preferito Carter.- replicò, ma non c'era il minimo segno di sarcasmo nella sua voce e, per la prima volta, mi rivolse un'espressione gentile e radiosa che mi lasciò (di nuovo) senza parole.

È bella Ray, sono belli i suoi occhi, ed era bello quel sorriso che leggevo in quel celeste rischiaratosi come il cielo dopo un temporale.

Rimanemmo a guardarci per dei lunghi istanti che penso non dimenticherò mai, studiandoci a vicenda come due gatti curiosi e diffidenti al tempo stesso: Ray era cauta, cauta come se fosse sempre sul filo di un rasoio... ma c’era una curiosità troppo forte nei suoi occhi, una curiosità tutta per me, che la spingeva a sostenere il mio sguardo e a non lasciare che quel contatto si spezzasse.

E realizzai solo in quell’istante che non volevo si spezzasse.

Ray aveva destato la mia, di attenzione: volevo assolutamente avvicinarmi a lei, conoscerla meglio, capirla, perché fino a quel momento avevo solamente fatto supposizioni sbagliate e io odio, detesto sbagliare.

-Bene… vedo che sono di troppo, quindi me ne vado!-

Ray si voltò di scatto, arrossendo furiosamente.

-Scusa, e io come torno a casa?- gli chiese, allibita.

Will, che conosceva bene me e probabilmente anche lei, si esibì in uno dei suoi migliori sorrisi smaglianti, accennando a me.

-Ti accompagnerà il prode cavaliere, qui. Io ho appuntamento con Angie.-

Ora che ci penso, se non fosse stato per Will probabilmente tutto quello che è successo con Ray non sarebbe mai avvenuto. Mi tocca anche ringraziarlo, accidenti.

-Ma dillo prima!- sbottò Ray, avvampando ancor di più e fulminandolo con lo sguardo.

-Sono sicuro che ti troverai benissimo comunque. Ben è un galantuomo, non è vero?- si rivolse a me, e quelle ultime tre parole mi colpirono proprio per la serietà che riuscii ad udire al di là della sua perenne ironia.

-Verissimo.- annuii, rivolgendogli appena un cenno d’assenso che comprese immediatamente: fra me e lui, come penso sia anche fra molti amici uomini, non servivano troppe parole per capire i sottintesi ed i significati delle nostre azioni. Will voleva solo essere sicuro che la sua amica fosse al sicuro, dopotutto...

-Se avete finito con i vostri scambi di virilità vorrei ricordarvi che io ho tirato di spada per lavoro e che sono cresciuta in una periferia texana piena di delinquenti, quindi direi di sapermi difendere benissimo da sola senza che voi due dobbiate farmi la pipì addosso per marcare il territorio.-

Non potei far altro che rimanere a bocca aperta, sconvolto e pieno d'ammirazione per quella sortita del tutto inattesa: ora che potevo scorgere il suo retaggio americano!

Will, sicuramente più abituato di me a quelle uscite brusche ed un po' scurrili, scoppiò a ridere, avvicinandosi a lei e soffiandole un bacio sulla fronte.

-Lo dimentico sempre.- le disse, con una dolcezza nella voce che intenerì anche me. Li vidi sussurrarsi qualcosa e, per la prima volta, mi resi conto di quanto bene dovessero volersi: avevo visto William comportarsi così soltanto con una persona, e quella persona era Georgie. -Ben, trattamela bene.- mi avvertì, con un sorriso minaccioso, dandomi una pacca sulla spalla mentre passava accanto a me, diretto all'uscita.

Ma dico io. Ora facevo anche la figura del maniaco sessuale.

Sospirai, esasperato dall’atteggiamento iperprotettivo di William ma senza davvero nessun buon motivo per prendermela: era sempre stato così con le persone a cui teneva sul serio, lo sapevo bene e, proprio per questo, avrei fatto in modo che Ray passasse una serata piacevole e al sicuro dalle insidie che quel luogo poteva nascondere.

Tornai a guardarla e, istintivamente, sorrisi: sarebbe stata una serata decisamente interessante.

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§

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La stavo aspettando fuori dal camerino dove le ragazze si cambiavano, osservando i tecnici e i barmen che spegnevano le luci, che riordinavano e rassettavano la sala. Io sorridevo, divertito, senza riuscire a smettere di pensare a quelle due piacevolissime e sorprendenti ore appena passate insieme a Ray.

Si era dimostrata una compagnia formidabile, una volta convinta a parlare. Quella ragazza era americana di nome e di fatto e, discorrendo con lei degli argomenti più disparati – aveva dimostrato di possedere, oltre ad un turpiloquio sorprendentemente colorito e fantasioso, anche una conoscenza profonda ed appassionata della letteratura, della cinematografia e della musica – avevo compreso di avere davanti una persona che amava la conoscenza almeno quanto me.

Avrei imparato presto a trovare anche la dolcezza, la tenerezza ed il suo essere donna in quel modo tanto puro e selvaggio, in quell'americana dagli occhi vividi; ma, in quelle ore, le caratteristiche che mi avevano colpito di lei erano state la sua arguzia, il suo cinismo ed il sottile, tagliente sarcasmo con cui quella giovane donna pareva affrontare il mondo.

Ray non era una persona felice: lo si capiva dal suo volto prematuramente levigato, dagli occhi che guardavano il mondo attraverso un velo di cupezza e di sfiducia.

Ed aveva soltanto diciott’anni.

Era stato questo a sconvolgermi, più di tutto il resto.

Aveva dieci anni meno di me… ma, da come parlava, dal suo atteggiamento, dalla freddezza con cui trattava la vita, gliene avrei dati molti di più.

-Andiamo?-

Sobbalzai quando, alle mie spalle, risuonò la sua voce, strappandomi dalle mie elucubrazioni. Non l’avevo sentita arrivare: i suoi piedi non avevano provocato il minimo suono sul pavimento, al contrario di quanto succedeva, inevitabilmente, quando indossava i tacchi. Mi voltai per salutarla ma, e detesto ammetterlo, per la terza volta in quella serata riuscì a lasciarmi completamente a bocca asciutta.

La ragazza infelice e costretta in una gabbia? Scomparsa.

Indossava un abitino nero, adesso, aderente alle sue forme ben proporzionate, con le maniche lunghe che terminavano in uno sbuffo, un paio di fuseaux chiari ed una coppia di anfibi dall'aspetto estremamente pesante e minaccioso.

Quella non era la giovane donna infelice con cui avevo passato la serata, no: quella era la spigliata americana appassionata di rock'n'roll che si era animata tantissimo a raccontarmi di come avesse sempre voluto imparare a suonare la batteria come Jimmy Sullivan e che mi aveva spiegato pazientemente i fondamenti delle religioni pagane precristiane.

-Ehi?- mi chiamò, incuriosita dalla mia espressione  ed in effetti dovevo essere alquanto buffo mentre la fissavo, stralunato, con occhi sgranati e la bocca lievemente schiusa.

-Sei… stai molto bene.- balbettai, cercando di ritrovare un minimo di decoro in quella situazione quantomai imbarazzante.

Il rossore dilagò nuovamente sulle sue guance e lei distolse lo sguardo, torcendosi contemporaneamente le mani.

-Sono vestiti normalissimi.- mormorò, in un tono di falsa freddezza che non mi convinse minimamente. Mi superò in fretta, ed io la seguii fino al parcheggio, senza davvero riuscire a distogliere lo sguardo dai riccioli biondi che spiccavano contro il nero dell’abito – e da quando, di una donna, notavo il modo in cui i capelli si sposavano tanto bene con il colore dei suoi vestiti?

-Qual è la tua macchina?- mi chiese, tradendo un nervosismo nella voce che mi sorprese: non ero l’unico a sentirsi sul filo del rasoio, allora…

-Quella.- le dissi, indicando il mio personalissimo orgoglio parcheggiato a pochi metri dall’entrata.

-Cazzo!- mi voltai a guardarla, sorpreso. Ray si era fermata lì dov’era, con in volto l’espressione allibita che, per un solo attimo, mi ricordò la mia nel vederla dopo essersi cambiata. -Cioè, quella è vera?-

Sorrisi, divertito.-Fino a prova contraria…- commentai, affiancandomi a lei e posando una mano sulla sua schiena. Era troppo occupata a rimirare la mia macchina, un piccolo sfizio che mi ero tolto con i primi guadagni seri, per tranciarmi di netto quella mano troppo audace.

-No, vuoi dirmi che tu davvero ti sei comprato una Mercedes SLK 350?- mi chiese, sempre più ammirata, alzando lo sguardo vivido su di me.

-Ti piacciono le auto?- le chiesi, compiaciuto. La ragazza che avevo visto in quel locale non era niente in confronto alla giovane donna che adesso avevo al fianco e non avevo dubbi su quale fosse la più vera, e su quale preferissi io.

La donna in tacchi alti dopo un po’ stanca, ne so qualcosa. Tamsin era proprio così: la nostra brevissima storia finì dopo non più di un paio di mesi, quando mi resi conto che non era una modella dallo sguardo vuoto ciò che cercavo.

La donna in anfibi, invece, quella donna in anfibi… beh, nascondeva tante di quelle sorprese da riuscire a non stancarmi mai.

-Preferisco le moto. 136 cavalli?- mi chiese con la voce che tremava appena, avvicinandosi con un timore quasi reverenziale alla Mercedes.

-Esatto.- risposi, e non riuscii ad evitarmi un sorrisetto. Ero particolarmente orgoglioso di quell’auto, sì.

-È un mostro.- commentò, sfiorando con devozione la carrozzeria nera e lucida del tettuccio.

Sorrisi di nuovo, sornione, accostandomi allo sportello del passeggero con tutta la galanteria di cui ero capace.

Ero un coglione? Ero un coglione.

Per fortuna, e lo ripeto PER FORTUNA, non c’era Will a prendermi per il culo.

-Prego.- le feci, e fu l’ennesima soddisfazione vederla sgranare gli occhi e diventare scarlatta per l'ennesima volta, presa in contropiede.

C’era un piacere, nel sorprenderla, che presto avrei capito essere terribilmente seducente.

-Grazie.- mormorò mentre saliva in macchina, torcendosi le mani gelide. La raggiunsi dopo pochi istanti, facendo il giro dell’auto e salendo alla sua destra, al posto del guidatore. -Anche di stasera. E scusa per la rispostaccia, non sono mai di buonumore in quel posto…- mormorò lei dopo un istante, talmente piano che quasi non riuscii ad udirla oltre il rombo del motore appena acceso.

Le sorrisi, stavolta con dolcezza.

-Non è il primo due di picche che prendo e non sarà nemmeno l’ultimo.- la rassicurai, in un tono molto più adulto di quanto non fosse mai stato in quelle ore. Improvvisamente Ray mi pareva piccola e fragile, con gli occhi chiari che si spostavano sul finestrino, di nuovo cupi, di nuovo lontani.

-Non ci credo.- mormorò, con voce assente e lievemente malinconica, guardando le goccioline di pioggia che cominciavano ad imperlare i vetri.

-Oh, invece sì.- risposi; una risposta inutile, perché dopo un attimo il silenzio calò nell’abitacolo della mia auto, ma l’attenzione alla guida non mi distolse dal suo volto repentinamente distante, freddo.

Ricordava.

Ricordava e soffriva.

C’era qualcosa in lei, qualcosa di grande e doloroso, che la divideva dal resto del mondo come una fredda barriera di ghiaccio inspessita dal dolore: una barriera che mi spaventava, una barriera che avrei tanto voluto abbattere.

-Perché lavori in quel posto, Ray?- le chiesi, di getto, senza nemmeno rendermene conto. La vidi sussultare, ma non si voltò a guardarmi; abbassò lo sguardo, con vergogna, continuando a torturarsi le lunghe dita sul grembo.

-Perché…- esitò, su quella risposta, prima di scuotere la testa. -Beh, è una storia lunga.- mi liquidò e frettolosamente recuperò il suo telefonino, spingendo qualche tasto e facendo partire una canzone, probabilmente per distrarmi da quella domanda, o per dimenticare lei stessa.

Seize the day, or die regretting the time you lost, it’s empty and cold without you here, too many people to ache over

La sentii sussurrare le parole di quella canzone che conoscevo solo di vista, di un gruppo metal parecchio famoso negli Stati Uniti.

C’era una malinconia, in quella voce e in quella canzone, che mi strinse il cuore.

-Canti bene.- mormorai, mentre le note di quella melodia struggente di chitarra elettrica e di batteria riempiva l’abitacolo, mischiandosi al ticchettio della pioggia sull’auto. Le luci della notte parevano sbiadite, al di là dei finestrini; tutto pareva sfocato, tranne Ray.

-Ho smesso molto tempo fa… come ho smesso di recitare.- mi voltai a guardarla, sorpreso. Qualcosa in lei mi aveva suggerito che fosse un’attrice: il modo di porsi, di atteggiarsi, l’espressività del suo volto e dei suoi occhi… ma non stava recitando adesso, lo sapevo bene. Sono un attore anch’io, e so riconoscere le emozioni reali nello sguardo di una persona.

-Recitavi?- le chiesi, con dolcezza, sfiorandole appena la mano bianca con la mia. Era così fredda… provai per un istante il desiderio di riscaldarla, di portar via quel gelo dalla sua pelle.

-In teatro.- mi rispose, e la sentii rabbrividire sotto il mio tocco accennato.

Parcheggiai l’auto sotto casa di Will pochi minuti dopo, ma Ray non parve aver intenzione di scendere né io di volere che lei se ne andasse: la sua pelle gelida era così soffice, così bianca, che mi persi in quel tocco che improvvisamente pareva molto più intimo di qualunque altro.

La canzone finì dopo qualche attimo, lasciando di nuovo il silenzio, fra noi: un silenzio diverso dagli altri, un silenzio elettrico che pareva scintillare pericolosamente fra lei e me.

Toccarla era stato un errore… Ray bruciava come il ghiaccio, e quel gelo mi avrebbe trascinato fino a limiti che forse non avrei dovuto infrangere.

Accarezzai con dolcezza le linee sottili del suo palmo, seguendo con gli occhi il reticolo bluastro delle vene che si annodavano sul polso.

-Sei così bianca…- mormorai, e nemmeno mi accorsi di essermi impercettibilmente avvicinato a lei – oppure era lei ad essersi accostata a me?

Alzai gli occhi, trovando il suo viso candido terribilmente vicino a me, quei due pozzi di tempesta a poche manciate di centimetri dai miei.

Mi stava guardando, Ray, mi stava osservando con uno sguardo tagliente ed impaurito che avrebbe intimorito chiunque. Pareva lo sguardo di un felino in gabbia, maltrattato a sangue più e più volte, che temeva chiunque si avvicinasse per paura di soffrire ancora – pareva un gatto, quella bambola di porcellana.

Avrei passato secoli a guardarla, cercando di carpire ogni pagliuzza che imperversava nelle sue iridi: c’era l’orgoglio di non voler abbassare lo sguardo, c’era un terrore che aumentava ad ogni centimetro che spariva fra il suo volto ed il mio, c’era una luce ben diversa che mi attirava come una musica sensuale attira un serpente.

C’era tutto, in quei due sprazzi d’oceano.

E volevo esserci anch’io.

La guardai socchiudere gli occhi quando mi accostai a lei, e mi inebriai della sensazione incredibile che mi trasmise il tocco del suo respiro sulla bocca.

Non ebbi fretta nello sfiorare quelle labbra carnose che parevano aspettare soltanto me. Le toccai appena, con solo un lieve accenno di bacio, imponendomi tutta la calma che possedevo per non esagerare... ma il desiderio di scoprire se anche la sua bocca fosse tanto gelida imperversava dentro di me, togliendomi il fiato.

Mi allontanai quasi immediatamente, sconvolto dalla sensazione bruciante che mi avevano impresso le sue labbra nella carne, ma il richiamo di quel bacio agognato fu più forte del buonsenso.

Ray inclinò il volto quando mi accostai di nuovo alla sua bocca, cancellando gli ultimi sospiri che dividevano le sue labbra dalle mie.

Non credo che dimenticherò mai quel nostro primo, vero bacio.

Trovai la sua lingua e la coinvolsi senza fretta, senza travolgerla, lasciando che le nostre bocche trovassero il ritmo giusto per allacciarsi ed esplorarsi a vicenda. Lasciai scivolare le dita fra quei riccioli, incredibilmente morbidi, ma ero troppo concentrato su quel bacio per accorgermene, per accorgermi persino del battito forsennato del mio cuore e del suo.

Era buona, Ray. Pareva dare dipendenza perché sentivo di non riuscire a stancarmene, di desiderarne sempre di più.

Lei rispondeva con lo stesso trasporto che sentivo ardere dentro di me, facendosi inseguire e cercandomi subito dopo. Appoggiò le mani gelide sulla mia gola  e quel contatto mi diede alla testa, più di quanto fosse lecito.

Andava tutto bene.

Andava.

Improvvisamente, però... la sentii sussultare, e in un istante scostarsi, bruscamente, da me.

-Io… io vado. Will sarà già a casa.- si voltò, senza guardarmi, ma riuscii ad intravedere le guance rosse e gli occhi che brillavano come stelle nel buio mentre recuperava la borsa di pelle dai suoi piedi.

Non riuscii a dire nulla, in quell’istante: quelle labbra, quel sapore… scosso, turbato, stravolto, non riuscii a fare altro che mormorare un flebile “okay” e guardarla scivolare fuori dalla mia auto, delicata come un gatto.

Era bella, maledizione. Era intelligente, era misteriosa, aveva un profumo così buono… e quel sorriso meraviglioso, che speravo di poter rivedere.

E quegli occhi. Quegli occhi.

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My Space:

Allora, eccomi qua.

Sì, sono pazza, ho iniziato un'altra fanfiction; ma c'è un motivo preciso se ho preso l'impegno di scriverla (sarà due o tre capitoli, non di più ^.^), ed è...

Per ringraziarvi.

Per ringraziarvi tutti quanti, dal primo all'ultimo delle centouno persone che mi hanno inserita fra gli autori preferiti.

Mi ero ripromessa di scrivere qualcosa in vostro onore, quindi eccomi qui. Questa è tutta per voi, tutta per le centouno anime che mi seguono da ormai quasi tre anni.

Ecco, questa fanfiction che roba è?

E' il "come è iniziato" fra la mia Ray e Ben; è un pò un misto di tanti generi diversi, c'è la mia vena comica, c'è una parte di tristezza, c'è amore. C'è tutto, ogni sfaccettatura di me.

Ve la meritate.

Love you all, B.

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Capitolo 2
*** 2. ***


Seize The Day

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-Sei un coglione.-

Il commento di William, in quel momento, mi parve quantomai inutile e fuoriluogo, dato che ero già arrivato a quella conclusione per conto mio.

-Lo so, grazie.- risposi, sarcastico, mandando giù un altro sorso della birra che il mio amico mi aveva offerto.

Erano passati due giorni da quella serata, due giorni in cui non avevo fatto altro che ripensare a Ray: quel bacio, quel sapore, la consistenza della sua pelle lattea… ero stato un idiota e non avevo fatto fatica a comprenderlo: avevo visto la paura nei suoi occhi, la sua ritrosia, la sua fragilità... avevo capito che non avrei dovuto farlo ma, purtroppo, l'istinto era stato più forte di me.

Quella ragazza mi attirava come il miele chiama le api e, per quello stesso motivo, dopo quarantott'ore di agonia mi ero deciso a rivolgermi a William: un po’ perché speravo di incontrarla, dato che viveva assieme a lui, un po’ per chiedere un consiglio all’unico che sembrava conoscerla davvero.

-Will, io non__-

Will alzò una mano, fermandomi con indolenza prima che un fiume di parole senza senso erompesse dalle mie labbra. Forse stavo diventando paranoico, d'accordo, ma mi parve sul serio di scorgere un ghigno decisamente sadico sulla sua faccia da schiaffi.

-Ray ha un fascino tutto suo, non sei il primo che reagisce così.- commentò, e scorsi la sua soddisfazione accentuarsi quando vide il mio sguardo assottigliarsi e le mie mani stringersi.

Ero davvero così semplice da provocare?

-…ma sei il primo da troppo tempo che Ray ha lasciato avvicinare.-

Alzai di scatto gli occhi, preso sottogamba da quell’affermazione.

-Davvero?-

Will annuì, improvvisamente serio, lanciando un’occhiata pensierosa alla porta del salotto oltre cui, in fondo al corridoio, si trovava la stanza di Ray.

-Ne ha passate troppe. Ha vissuto a New York dopo aver lasciato il Texas alle sue spalle, è originaria di Dallas.- mi spiegò e qualcosa, nella sua circospezione, mi suggerì che Ray non avrebbe gradito di sentirlo parlare del suo passato. -Ha avuto una vita più dura di quel che avrebbe dovuto essere, e si è indurita molto... però dentro di lei, da qualche parte, c’è ancora una ragazza che soffre.-

Una ragazza che soffre.

La mia mente si soffermò su quelle parole, assorbendone non senza difficoltà il significato che portavano con sé.

Io l’avevo vista, quella ragazza. Era la stessa che aveva canticchiato quella canzone nella mia macchina, che appena tornato a casa avevo scaricato e ascoltato fino alla nausea. Era la stessa giovane, angosciata dalla prospettiva di dover permettere ad un viscido vecchio di metterle le mani addosso, che mi aveva guardato con gratitudine quando l'avevo sottratta a quella disgustosa situazione.

-Non avrei dovuto baciarla.- commentai, più rivolto a me stesso che a Will.

La cosa che mi sorprese di più, però, fu la risata che mi fece sobbalzare quando Will, dopo un istante, scoppiò a ridere in un modo che avrebbe anche potuto offendermi, se ci avessi fatto caso.

-Che razza d’idiota che sei.- commentò, spaparanzandosi sulla sua comoda poltrona un po' sdrucita e consunta.

-Grazie, sei sempre così cortese.- mormorai, ironio, rivolgendogli un’occhiataccia che Will – come al solito, oltretutto – ignorò tranquillamente. Gli concessi una manciata di secondi d'ilarità, sospirando fra me e me, prima che si ricomponesse e tornasse a guardarmi in faccia, con quelle taglienti iridi azzurre che improvvisamente mi ricordarono molto quelle di Ray.

Forse Will aveva imparato qualcosa di più della scherma, da quella bionda.

-Te ne sei pentito?- mi chiese, senza più scherzare. La sua domanda mi colse di sorpresa: non mi aspettavo un quesito del genere, né di ritrovarmi a non sapere che cosa rispondergli.

Mi ero pentito?

Mi ero pentito di aver baciato quella ragazza tanto particolare quanto intossicante, di aver provato ad avvicinarmi a lei, di aver voluto toccare quel respiro e appropriarmi di almeno una particella del suo sguardo?

La risposta dovevo avercela scritta in faccia, perché le labbra di Will si schiusero in un sorrisetto compiaciuto.

-Ti è piaciuto?- mi domandò ancora ma, stavolta, seppi che non avrei avuto bisogno di pensarci due volte.

Era il motivo per cui ero lì, per cui avevo chiesto consiglio al mio amico: quel bacio mi aveva sconvolto talmente tanto che non avevo potuto fare a meno di desiderarne ancora, di volerla sfiorare ancora, di voler carpire ogni segreto che quella donna nascondeva dentro di sé.

.

E anche per quella seconda domanda non ci fu bisogno di rispondergli ad alta voce: mi bastò vedere il suo sorriso farsi tronfio per capire che sapeva benissimo cosa mi stesse passando per la testa.

-Allora non recriminare, e comincia a usare la testa per chiederle di uscire.- affermò, soddisfatto, mandando giù in un sol sorso quel che rimaneva della birra che aveva ben stretta in pugno. Will è l’unica persona al mondo che riesce a bere birra di primo pomeriggio come se fosse una camomilla.

Chiederle di uscire? Niente che desiderassi di più.

Sospirai.

-Adesso Ray dov’è?- gli chiesi, senza dargli la soddisfazione di dirgli che la sua era, dopotutto, una buona idea.

Lui sorrise, ancora, malefico, alzandosi in piedi ed affacciandosi sul corridoio.

-Ray!-

Sobbalzai, colto di sorpresa, quando Will alzò la voce per chiamarla.

Intravvidi la porta di Ray aprirsi e un'energica musica rock riempire il silenzio dell'appartamento. Dopo diversi anni di conservatorio non mi fu difficile distinguere la mancanza della batteria nella canzone che pulsava dalla sua stanza.

-Che vuoi?- la sentii rispondere in tono scocciato.

L’espressione ferita di Will in reazione a quella rispostaccia mi strappò un sorriso, riportandomi alla mente il modo di trattarlo che aveva sempre tenuto Anna.

-C’è il mio amico coi capelli da fricchettone!- 

Come!?

-Digli di andare dal parrucchiere!- Ray tacque per un secondo, dandomi il tempo di assimilare le sue parole. -Ma non il tuo!-

Rischiai seriamente di scoppiare a ridere in faccia a Will quando lui, ferito nell'orgoglio, assunse l'espressione di un cucciolo abbandonato. Ray però aveva ragione: era ridicolo con i capelli tanto lunghi e boccoluti, sembrava una bellissima principessa delle fiabe.

La testa bionda di Ray, che di principessa invece aveva ben poco, apparve dallo spiraglio della porta del salotto, con un mezzo sorriso sulle labbra e gli occhi divertiti, ironici, molto più tranquilli di quanto fossero stati durante quella sera.

-I miei capelli sono perfetti!- protestò Will, scoccandole un’occhiata di fuoco che non la smosse di un millimetro.

-Questo lo dici tu, perché non hai mai letto la favola di Raperonzolo e Angel è una santa innamorata e cieca come una talpa.-

L’espressione di Will, dinanzi a quella affermazione arguta, fu impagabile.

-Sei cattiva!- brontolò, indignato.

-Sì, come un pancreas infiammato.- replicò lei, ridacchiando, prima di voltarsi verso di me e scrutarmi con un misto di ilarità e di interesse, con l'ombra di un sorriso sulla bocca sottile. -Era così stupido anche sul set?- mi chiese, divertita, accennando al biondo ormai sull'orlo di una crisi di nervi.

-Peggio.- riuscii ad evitare una figuraccia, stavolta, rispondendo immediatamente alla sua domanda ed esibendo uno di quei miei ghigni sardonici che tanto hanno sempre fatto arrabbiare William.

Ray scoccò un’altra occhiata al biondo, che continuava a brontolare improperi rivolti non si sa bene contro cosa, prima di tornare a guardarmi.

-Poveri voi.- mormorò; ma, stavolta, le sue iridi rimasero nelle mie.

Per la prima volta mi accorsi della scintilla infuocata che nascondevano i suoi occhi, dell'incendio pronto a divampare che sembrava attendere lì, al di là di un velo di cortesia e di autocontrollo: c'era ancora molto, di Ray, che non sapevo, ma ad ogni sguardo mi sembrava di cogliere un mistero in più, un'ennesima domanda che avrei voluto porle.

-Coppia di stronzi, io esco.-

Ci voltammo entrambi verso William, sussultando solo in seguito, anche se avremmo potuto capirlo prima, venimmo a scoprire che Will aveva autonomamente deciso di autoeleggersi a Cupido della situazione per spingere me e Ray a frequentarci.

-E dove vai?- gli domandai, più veloce di Ray nel replicare.

-Esco con Angel.- mi chiedo anche perché le facessi, quelle domande.

Balzò in piedi, sistemandosi la camicia chiara e ravviandosi i capelli. Non ho mai incontrato un ragazzo più vanesio di Will… eccetto il sottoscritto, ma questo è un dettaglio insignificante perché io, essendo me medesimo, ho tutti i diritti, anzi, i doveri di prendermi cura della mia magnifica persona.

Mi rivolse un sorriso allegro a cui replicai con una smorfia sarcastica, facendogli ben capire che avevo compreso il suo gioco; Will però non volle cogliere la mia tensione, avvicinandosi a Ray e sorridendole.

-Salutamela.- mormorò lei, ma dal suo tono era chiaro che aveva capito quanto me che Will stesse cercando di lasciarci soli.

-Sarà fatto. Ciao, raggio di sole.- e prima che Ray potesse tirargli dietro qualcosa – che ne so… un anfibio, magari –, Will le schioccò un bacio sulla guancia e filò via, lasciandola con un’espressione impagabile sul volto che posso definire come una via di mezzo fra la sorpresa, l'affetto sincero e l’odio più profondo.

Cadde il silenzio, fra noi, quando ci rendemmo conto di essere nuovamente soli: non eravamo in un locale pubblico, stavolta, bensì nell’appartamento vuoto di Will, mentre la musica che Ray stava ascoltando riempiva l’aria densa di elettricità intorno a noi.

I don’t belong here, we gotta move on dear… escape from this afterlife.*

Mi alzai in piedi, senza scatti né gesti improvvisi; Ray mi sembrava un gatto, un pericoloso ed impaurito gatto che avrebbe potuto in ogni momento fuggire via da me, e volevo fare di tutto per impedire che questo accadesse.

-Ti va di uscire?- le domandai, senza preamboli, senza esitare, sulle note di quel riff di chitarra che sembrava nato apposta per lei. Era come quella musica, Ray: travolgente e decisa, ma con un sottinteso nascosto e malinconico.

-Ben…- mormorò, in risposta a quella richiesta, con gli occhi che si socchiudevano appena.

-Non voglio provarci con te.- bugia. -Facciamo finta che non sia successo niente l’altra sera, okay?- altra bugia.

Mi soppesò a lungo, e scrutò con la freddezza calcolatrice di un felino la mano che tesi con gentilezza verso di lei.

-Amici?- le proposi, accennando un sorriso incoraggiante.

Forse, solo forse, avevo capito come arrivare a lei: prenderla di petto non sarebbe servito a nulla, se non a schiantarsi contro un muro di cemento armato spesso mezzo metro; ma, se avessi saputo scavare quelle fondamenta, se avessi potuto togliere un mattone alla volta… allora, forse, sarei arrivato dove desideravo.

Attesi una manciata di secondi la sua risposta e poi sorrisi, trionfante, quando la sua manina candida e fresca si chiuse nella mia.

-…d’accordo.-

Era già la seconda volta che aspettavo che si cambiasse; perlomeno, per mia fortuna, Ray non era una donna che impiegava un’eternità per vestirsi... e fu anche la seconda volta in cui mi ritrovai a guardarla a bocca aperta nel momento in cui si mostrò a me, nonostante non fosse davvero nulla di speciale ciò che aveva addosso.

Avete mai visto una ragazza metaller? Ecco. Sono la cosa più bella che esista al mondo.

Ci sono molti sciocchi che pensano che una donna che indossa jeans militari, bracciali di pelle e T-shirt di gruppi rock'n'roll siano poco femminili, mascoline e per nulla attraenti. Nulla di tutto questo poteva applicarsi a Ray ed io, guardandola infilarsi gli anfibi da motociclista, mi ritrovai completamente incantato dalla genuinità e dalla sensualità che traspariva dai suoi gesti.

Quella era l'immagine che Ray aveva di sé, che non aveva paura di mostrare e che la faceva sentire bene con se stessa. Era questo, probabilmente, che la rendeva così bella e desiderabile al mio sguardo: quell'alone di sicurezza e di amore per se stessa che la circondava e che sembrava, soprattutto, che Ray indossasse come una medaglia al valore, come qualcosa per cui aveva strenuamente combattuto e che fosse orgogliosa di portare.

-C’è qualcosa che non va?- mi domandò, alzando lo sguardo verso di me.

-No, anzi. Ho appena avuto la riprova che sei molto più bella, vestita così.- replicai, senza malizia, rivolgendole un complimento sincero e sentito che la fece arrossire fino alla radice dei capelli.

Ray non sa accettare i complimenti. Non fa parte del suo DNA.

-Hai detto che non ci avresti provato, Barnes.- borbottò, mugugnando come una bambina indispettita.

-Ma infatti il mio era un complimento spassionato.- replicai prontamente, divertito, ma non riuscii ad evitare un'occhiata al suo bel fondoschiena quando mi superò per recuperare una borsa dal guardaroba accanto alla porta.

-Allora smettila di guardarmi il culo.- colpito e affondato. Due a zero per Ray.

-Chi ti dice che ti stessi guardando?- ribattei, non accettando però quell’ennesima sconfitta.

Ray mi scrutò dal basso di quei dieci centimetri che ci differenziavano, inarcando un sopracciglio sottile.

-Non sei un granché come attore, Barnes.-

Mi limitai a ridacchiare, in risposta, prima di seguirla fuori e poi in strada, nel caos del centro di Londra.

Amavo parlare con lei. Le sue rispostacce mi stuzzicavano, mi spingevano a punzecchiarla ancor di più, il suo modo di fare spigliato ed irriverente era una piacevole novità in quella vita che stava diventando pericolosamente sempre più uguale a se stessa.

-Che musica ascoltavi, prima?- le chiesi ad un certo punto, interrompendo un dibattito su quale motore fosse il più indicato per un’Alfa Romeo. Ecco un’altra cosa splendida di Ray: era cresciuta a pane e motori e finalmente potevo parlare di una cosa che mi appassionava – le auto sportive – con una donna senza che rischiasse di sbadigliarmi in faccia.

Anzi, s’infervorava anche.

-Avenged Sevenfold. Stavo provando la batteria, sto imparando.- mormorò, e ricordai improvvisamente che mi aveva accennato di una passione proprio per quello strumento.

-Potrei darti qualche lezione, se ti va.- le proposi, soprappensiero, senza cogliere la sua occhiata sorpresa. -Suono la batteria da quindici anni, ho una Pearl a casa.-

-Non stai scherzando, vero?- volle sincerarsi, incredula, ma io mi limitai a sorridere, prendendola sottobraccio e voltando verso il caos di Piccadilly Circus.

-Assolutamente no.- risposi, contento e ringalluzzito come un gallo in un pollaio. Che razza di cretino che dovevo sembrarle…

-Oh.- la sentii sussultare, quando i suoi occhi si posarono su una vetrina ben illuminata di un negozio di abbigliamento.

C’era un vestito, su un manichino solitario in quella vetrina d’alta moda; era un abito sbarazzino e romantico al tempo stesso, corto e senza spalline, decorato da una fascia dorata in vita che doveva essere una cintura. Era allo stesso tempo sobrio, spigliato ed elegante; un po’ come Ray, che presto avrei capito essere più mutevole – come stile e come carattere – del cielo in primavera.

-È molto bello.- commentai, ma la vidi improvvisamente voltarsi di scatto, cupa in volto.

-E mi sa che resterà dov’è.- mormorò, sciogliendosi dalla mia stretta e precedendomi nella folla di Piccadilly.

La seguii, guardandola camminare spedita ad un metro di distanza da me. Incredibile quanto un vestito possa rendere volubile l’umore di una donna, vero?

E poi, improvvisamente, restò inchiodata lì dov’era. Quasi le andai a sbattere addosso tanto repentina fu la sua frenata.

-Ray…?- la chiamai, perplesso, posandole una mano sulla spalla quando colsi la tensione delle sue spalle e delle sue mani, improvvisamente serrate a pugno. Alzò gli occhi per guardarmi, avvicinandosi istintivamente a me come se cercasse protezione, riparo.

-C’è una persona che non voglio vedere.- mormorò.

Seguendo il suo sguardo, vidi un ragazzo parecchio più alto di me, con gli occhi celesti e i capelli di un biondo scuro, dirigersi esattamente verso di noi. Non aveva ancora visto Ray, che pareva decisamente contraria all’idea di incrociare la sua strada ed il suo sguardo, e che serrò le dita sul mio braccio prim’ancora che potessi rendermene conto.

Era una stretta forte, forte e spaventata; sembrava cercare un conforto, una forza che non aveva, un sostegno per affrontare quella sfida che sembrava farle troppo male.

E dopo nemmeno un battito di ciglia la vidi cedere: lo capii dai suoi occhi spaventati, allargati dalla paura, proprio un istante prima che mi trascinasse contro di sé, intrappolando se stessa fra me e il muro di una villetta a schiera.

-Ti prego, fai finta.- sussurrò sul mio collo, sfiorandomi la pelle col respiro. Sospirai, cercando di ignorare la percezione del suo corpo premuto sul mio che, purtroppo, avevo già capito essere in grado di mandarmi completamente nel pallone.

Annuii, stringendo i denti e socchiudendo gli occhi. Il tocco della sua pelle sulla mia era caldo, soffice e meraviglioso: le sue labbra sfioravano la mia gola, timide e spaventate ma ben più che concrete – calde, sensuali.

Fai finta?

Come potevo far finta di desiderarla quando il mio corpo la voleva con una forza inaudita?

-È la seconda volta che finiamo così, Ray.- le sussurrai sul collo, accostando il volto alla sua spalla e toccandola con la punta del naso, seguendo lentamente il profilo del suo collo arcuato.

Tremava, Ray, completamente abbandonata contro di me. Risalì in punta di dita le mie braccia, le mie spalle, prima d'intrecciarle fra i miei capelli e tirarmi di più a sé, forse anche lei alla ricerca di un contatto più approfondito con me.

Non capivo bene come fossimo arrivati a quel punto… ma sinceramente, poco m’interessava.

-Dio, quanto sei bella…- cedetti, sconvolto dai suoi gesti semplici ma completamente devastanti, affogando finalmente in quella gola morbida che mi aveva atteso anche troppo a lungo.

La serrai maggiormente fra la parete e il mio petto, baciando quel collo invitante con una lentezza soltanto apparente e proseguendo sino all’orecchio, lasciando soffici impronte arrossate su quella dolce carnagione bianca che s'arrossava con un niente. La sentivo sospirare sulla mia spalla, e le unghie mi graffiavano lievemente la nuca.

Mi faceva perdere il controllo. Vicino a lei non ero più il Ben spigliato ed arrogante che tutti conoscevano, l’inglese imperturbabile e sardonico che amavo essere: quando lei si avvicinava a me diventavo un semplice uomo schiavo dei propri istinti, dei propri desideri, della donna che già mi aveva in pugno.

-Ben…-

Non doveva farlo. Non doveva pronunciare il mio nome così, non con quella voce tremante, non sospirando in quel modo.

-È… è andato via.- pigolò, accarezzandomi le spalle e scendendo lungo il mio torace fino a fermarsi sul mio petto, sul mio cuore.

Compresi subito ciò che mi stava dicendo: voleva che mi fermassi, che non continuassi su quella strada fatta di baci ardenti, di pelle morbida che mi accoglieva e di brividi sconvolgenti.

Fu la cosa più difficile di tutte tornare in me, separarmi da quel corpo che volevo così tanto, che – Ray non poteva negarlo – mi voleva allo stesso modo.

La sciolsi dal mio abbraccio possessivo, lasciandola respirare, ignorando il gelo che mi colse nello stesso, preciso momento in cui ci separammo.

-Chi era quel ragazzo?- riuscii a domandarle soltanto dopo molto, molto tempo – un tempo che mi era servito per riprendermi e per mettere a tacere il desiderio pulsante che aveva assordato i miei pensieri.

-Era un mio... amico, una volta.- mi rispose dopo un istante, arrampicandosi agilmente su un muretto; ci eravamo spostati in una delle laterali più tranquille di Piccadilly, dove meno gente trafficava i percorsi e dove ci si poteva fermare a chiacchierare, poco lontani da un caffè italiano.

La guardai, incuriosito, ma lei distolse lo sguardo e sospirò. -È una lunga storia Ben, t’annoierebbe…-

-Ho tempo.- la interruppi, rabbrividendo quando pronunciò il mio nome. Ero terribilmente dipendente dalla sua voce, dal modo in cui mi chiamava... Dopo quel tete a tete a dir poco scottante, la mia mente non poteva che partorire immagini di come sarebbe stato sentirla sospirare il mio nome o, anche, urlarlo…

Dovevo darmi una calmata. Sembravo un adolescente in crisi ormonale.

Per fortuna Ray non se ne accorse; era terribilmente ingenua e inconscia dell’effetto che faceva solo esistendo, me n’ero già accorto. Sbuffò, invece, dondolando le gambe nel vuoto.

-Fu una delle prime persone che conobbi arrivata qui. Will t’avrà detto che sono cresciuta in America, no?-

Will m’aveva anche detto di chiederle di uscire, ma certo questo non gliel’avrei riferito.

-Non m’ha detto perché te ne sei andata.- annuii, e seppi di aver toccato un tasto dolente quando Ray sussultò come se l’avessero pugnalata al cuore.

-Perché ho perso tutto quello che per me era casa e famiglia.- sgranò gli occhi lei stessa, quando si rese conto delle parole che aveva appena pronunciato.

Le erano sfuggite prim’ancora di pensarci, prim’ancora di riuscire a trattenerle: la vidi mordersi un labbro, e improvvisamente capii che quella confidenza involontaria aveva riaperto una ferita ancora dolorosa.

Non dissi niente, senza forzarla a parlare; ma fu lei, probabilmente maledicendosi, a continuare.

-Incidente in moto.- disse, soltanto, e non riuscì ad impedire ai propri occhi di farsi lucidi e al proprio volto di contrarsi nel tentativo di reprimere i ricordi e la sofferenza.

Sbagliavo, forse, a chiedere, a farle rivivere tutto quanto… ma allo stesso tempo avevo bisogno di sapere, dovevo capire cosa Ray nascondesse dentro di sé. Volevo conoscerla, ma sapevo che soltanto dal passato si capisce qualcosa di un’anima come quella di Ray.

Non era così fredda e lontana come voleva apparire, se quel dolore tornava a galla con una facilità così disarmante; eppure sentivo di essere fortunato, in un qualche modo, perché era con me che si era aperta, con me stava parlando, ed avevo l’impressione che non fosse così semplice tirarla fuori dal suo guscio, non semplice come era stato per me.

Non si lasciò abbattere da quel ricordo che, probabilmente, ancora tanto la faceva soffrire, perché tirò su col naso e prese fiato, raccogliendo un coraggio immenso di cui non avevo ancora ben chiara la portata e cambiando argomento.

-Con quel ragazzo… beh, diciamo che sono stata con lui più per beneficenza che per qualche altro motivo. Solo che mi ha causato un sacco di guai, e ne sto pagando lo scotto ancora oggi.- continuò, probabilmente sollevata dal poter cambiare argomento, tornando a parlare dello sconosciuto che avevamo incrociato poco prima. -Ero solo un giocattolo, per lui.- aggiunse, scuotendo la testa.

-Perché glielo hai permesso?- le domandai di getto, prima di potermi rendere conto che quella non era la domanda migliore da farle. Mi fissò a lungo, torva, aspettando un po' prima di rispondermi.

-Perché a volte è più facile farsi del male che cercare di migliorare la propria vita.- ammise, infine, abbassando lo sguardo.

Le sue parole mi sarebbero rimaste dentro molto a lungo: aveva avuto ragione nel dire che sarebbe sempre stato molto più semplice smettere di lottare per migliorare se stessi e la propria vita... e qualcosa, in quel momento, mi suggerì che proprio lei aveva dovuto lottare con tutte le sue forze per strapparsi da quell'indolenza deleteria.

-Penso sia meglio tornare a casa.- mormorò dopo un’eternità, saltando giù dal muretto e superandomi; ma quel groviglio di emozioni ribelli che si agitava nel mio petto mi spinse a prenderla per mano, a fermarla, e a trascinarla contro di me in un abbraccio che nemmeno io mi aspettavo.

Mi trattenni dal baciarla, dal fare qualsiasi cosa che non fosse stringerla a me, anche se non fu semplice evitare che quelle emozioni prendessero del tutto il sopravvento e mi facessero combinare l'ennesimo pasticio.

Ma la tirai contro al mio petto, sentendola irrigidirsi mentre il bisogno di toccarla, di lei, ruggiva tutta la sua approvazione.

-Non ti faccio niente.- mormorai quando la sentii tesa e vigile contro al mio petto, accostando le labbra al suo orecchio e sussurrandovi a pochi millimetri di distanza. E rabbrividì, rilassandosi un poco, posando le dita candide sui miei fianchi ed il volto sulla mia spalla.

Sorrisi, in cuor mio sollevato di non essere stato rifiutato, lasciando scivolare le braccia sulla sua schiena e stringendola di più a me.

Era tremendamente bello essere lì, tenerla fra le braccia come se fosse una soffice bambola da proteggere dal mondo.

Sembrava quasi che il suo corpo fosse stato modellato per me, esclusivamente per me: per ogni sua curva c’era un incavo nel mio petto e le sue gambe si posavano sulle mie con tenerezza, quasi sapessero istintivamente come incastrarvisi alla perfezione.

La sentii sciogliersi, nel mio abbraccio, stringendosi a me e strusciando appena il nasino freddo sul mio collo.

Era così bella, maledizione. Così fragile. Perché la vita era stata tanto ingiusta, con lei?

Non lo meritava… volevo vederla sorridere, volevo lasciare che la ragazza dolce e tenera che intravedevo in quell’abbraccio potesse liberarsi del suo guscio, senza più paura di restare bruciata.

Secondo voi è possibile che una donna provochi tutto questo in così poco tempo? Secondo me sì. Ray è un tornado e, quando passa, tutto ciò che pareva concreto e materiale si ritrova spazzato via dai suoi occhi, dalla sua ironia, dalla sua dolcezza.

-Se ti chiedo di uscire con me, stasera, mi mandi al diavolo?- le sussurrai, accarezzandole i capelli. La sentii dissentire con un gesto della testa e sentii le sue ciglia solleticarmi la pelle, il suo respiro sfiorarmi collo.

-No… se mi lasci stare qui ancora un po'.- mormorò, e capii anch’io quanto le fosse costato chiedermi di non allontanarla da me.

Quanto le fosse costato ammettere di star bene, lì dov’era.

Fu una sorpresa, una meravigliosa sorpresa, capire che voleva restare dove io volevo trattenerla: con me.

Sorrisi, lasciando un bacio fra quei morbidi riccioli biondi.

-Quanto vuoi.- risposi, e avvertii le sue labbra distendersi in un sorriso prima che si alzasse sulle punte dei piedi, posando un morbido bacio sulla mia guancia ruvida prima di tornare ad accoccolarsi contro di me.

Fu proprio in quel momento che mi resi conto di essermi ormai spinto troppo in là per tornare indietro.

La volevo per me, ormai l’avevo capito. La volevo con me.

E, in qualche modo, avrei distrutto quelle barriere che aveva eretto intorno a sé e l’avrei conquistata.

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My Space:

*Afterlife, Avenged Sevenfold: "Non apparteniamo a questo posto, dobbiamo muoverci, cara, per scappare da questa vita al di là della vita."

Buooooongiorno xD

Sì, aggiorno, dopo un bel pezzo che ho pubblicato il primo capitolo...però dai, perdonatemi, non ho fatto un ritardo così mostruoso ^^'

Per chi segue le mie altre fic, la prossima in ordine di aggiornamento è Seven Gods xD

Allora, cosa dire di questo capitolo? Mmmm...magari il fatto che come mio solito mi faccio prendere tanto dalle fic, e che quindi anche questa storia si allungherà più del previsto ^^'

E' che sono così belli questi due *-*

Ray a Ben darà non poco filo da torcere...nel prossimo capitolo il principino caaaro avrà una bella batosta U.U e comparirà anche Angel, a proposito xD

....Will è un deficiente xDDDDDDDDDDDDDDDDD

*frasi random per sottolineare l'idiozia di William Moseley*

Okay, seriamente: spero che vi piaccia questo capitolo, perché non ne sono molto sicura...non so, mi piace molto, ma sapete com'è quando si conosce un ragazzo che vi piace da subito? Che magari fate cose che non vi aspettate da voi stesse, accelerate i tempi, e poi vi sentite in colpa?

Ecco, è quello che spero di aver lasciato trasparire da Ray e da Ben. Penso lo chiamino colpo di fulmine (e ne so qualcosa, ne so decisamente qualcosa ^^'). Che ne dite? Schifezza o passabile?

A voi la parola ^^'

Alchemia [Contatta] Segnala violazione
05/11/10, ore 15:02 - Capitolo 1: Seize The Day.
Ma Ben è un cretino fatto apposta xD anche qua altalena fra "ohmaccheccarina" e "teniamo a bada l'amico nelle mutande"...ci sto prendendo un certo gusto sadico a maltrattare pure lui, quasi meglio di Will xD
Ma Chica, MU!!!! >/////< Ray è carina, dovrai vederla nel prossimo capitolo alle prese con la Premiata Ditta al completo O.o
Le sparizioni di Will SONO poco casuali...Cupido ci cova! xD
<3
_Manto_ [Contatta] Segnala violazione
27/10/10, ore 15:28 - Capitolo 1: Seize The Day.
Ciao, che bello vedere una nuova recensitrice!! ^.^ Sono contentissima che la storia ti piaccia, e per la canzone...ho un debole per quel gruppo, li ficco ovunque, li amo <3
Ray è un mito, è tremenda con questo ragazzo...nel prossimo capitolo usciranno insieme, ne vedremo delle belle xD Sono una coppia dolcissima e idiota, un pò come Angel e Will xD
Un bacione, e grazie!!
romina75 [Contatta] Segnala violazione
25/10/10, ore 21:39 - Capitolo 1: Seize The Day.
ciao tesoro!! ^.^
Eccomi qua con il secondo capitolo, dove Ray e Ben si dimostrano che non sanno nè stare buoni nè starsene lontani xD
Ben è un pò più furbo in questa fic...neanche poi tanto però xD Will invece è il solito scemo U.U
Ti adoro Romy <3
giu020 [Contatta] Segnala violazione
25/10/10, ore 21:04 - Capitolo 1: Seize The Day.
Sono contentissimissima che la storia ti piaccia ^.^ Ray e Ben sono coccolosi, ma presto mi sa che saranno anche ad alto tasso ormonale...certo, il soggetto maschile aiuta xD Spero che anche questo chap ti sia piaciuto, ti dirò la verità, mi sono divertita un mondo a scriverlo ^.^
Un bacione, e noi due ci sentiamo su FB xD
rei__ [Contatta] Segnala violazione
25/10/10, ore 20:24 - Capitolo 1: Seize The Day.
Uh *-* Ti piace davvero? Ero un pò indecisa, mi sembrava di aver affrettato le cose...ma alla fine le mie storie sono sempre state così, con un "piacersi" iniziale e poi un rincorrersi dopo ^^' spero di non aver scazzato, ecco ^^'
Grazie mille per il negozio, sei un tesoro <3 E ci sentiamo su FB anche con te xD <3

Love you all, B.

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Capitolo 3
*** 3. ***


cap 3 std
Seize the day

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-Ma quindi esci, stasera?-

-Mi sembra di avertelo ripetuto già quattro volte!-

-Non con il mio amico coi capelli da fricchettone, vero?-

Will sapeva essere davvero petulante, quando ci si metteva.

Soffocai una risata nel vedere qualcosa di molto simile ad un piatto di batteria volare con precisione addosso al biondo, stampandosi sulla sua faccia con un sonoro rumore metallico ed un’altrettanto rumorosa imprecazione del mio amico.

-Mi hai fatto male!- protestò, avvicinandosi alla sua camera e rimettendo a posto il piatto. Io rimasi in disparte; dopotutto, in teoria, non avrei dovuto affatto essere lì.

In pratica, ero lì da mezz’ora ad ascoltare Ray che strillava contro William, in preda ad una crisi di nervi perché non trovava un vestito da indossare per uscire… beh, per uscire con me.

-Magari è la buona volta che stai un po’ zitto! E fuori da camera mia!- la sentii strillare e, ancora una volta, nascosi una risata .

-Come se non ti avessi mai vista in mutande!- e finalmente vidi sul serio un anfibio volante arrivargli addosso, mentre Will filava via sghignazzando dalla camera di Ray; per mia somma sfortuna riuscì ad evitarlo per un pelo, mandandolo a cozzare contro una parete.

-Scusa, quand’è che avresti visto Ray in intimo?- gli chiesi, borbottando, senza farmi sentire grazie soprattutto alla musica assordante che risuonava in camera di Ray e in tutto l’appartamento.

-Vivo con lei, caro, capita!- si difese lui, stringendosi nelle spalle con fare non compromettente.

-Mh. Sarà.-

Will si lasciò sfuggire un ghigno in risposta alla mia smorfia poco convinta.

-Cosa sei, geloso? Tranquillo, per me esiste solo… Angel!- lo vidi illuminarsi di botto quando i suoi occhi celesti si spostarono oltre la mia spalla, verso la porta d’ingresso.

Mi voltai anch’io, sorridendo, quando una figura minuta che ben conoscevo apparve sulla soglia della porta.

Piccolina, col viso dolce e sempre allegro, lunghi capelli di un bel castano lucente e vividi occhioni color cioccolato: Angel era rimasta la stessa, dolce ragazza che avevo conosciuto sul set di Prince Caspian, e che aveva fatto breccia nel cuore di quell’inguaribile idiota del mio migliore amico.

-Angie.- sorrisi, quando i suoi occhioni scuri si allargarono di sorpresa nel vedermi.

Un istante più tardi mi ritrovai travolto da quel piccolo esserino bruno in un abbraccio molto più saldo di quanto, a vederla, potesse sembrare in grado di trasmettere.

-E manco mi saluti!- mugugnò il biondo ma, per un istante, trattenni Angie fra le braccia; eravamo diventati amici, durante le riprese, e non potevo negarmi che la sua presenza solare e ottimista mi fosse mancata. E non poco.

-Mi sei mancata, piccoletta.- le mormorai all’orecchio, ignorando Will che brontolava peggio di una vecchia caffettiera arrugginita. E lei mi sorrise, schioccandomi un bacio sulla guancia prima di sciogliere quell’abbraccio quasi fraterno.

-Sei un rompiscatole.- si rivolse immediatamente a Will, incrociando le braccia sul petto e guardandolo storto.

-Ti amo tanto.- ma che razza di ruffiano.

Rischiai di soffocare dal ridere quando Angel gli rivolse un’occhiata capace di ridurlo ad un cucciolo bastonato nel giro di tre secondi netti; Angie non penso si renda tuttora conto di quanto Will sia dipendente da lei, di quanto la ami e, soprattutto, di quanto lo terrorizzi l’idea di farla arrabbiare. Sinceramente, è una cosa che non auguro proprio a nessuno.

-Angie!- sussultammo tutt’e tre, quando la voce stridula di Ray ci raggiunse con la delicatezza di un’esplosione, vagamente isterica e sull’orlo delle lacrime.

Ma io mi chiedo: le donne sono davvero così volubili quando si tratta di vestiti!?

-Arrivo!- sospirò lei, alzando gli occhi al cielo ma sorridendo fra sé, divertita. -Come fareste se non ci fossi io proprio non lo so…- la sentii mormorare a mezza voce quando mi superò per raggiungere la camera di Ray, lasciando me e Will da soli.

Soltanto quando la porta si richiuse e sentii la musica spegnersi, Will si esibì in uno dei suoi migliori ghigni che tanto conoscevo, e che sicuramente avrebbero causato un qualche tipo di guaio. A me, in particolar modo.

-Vieni.- mi fece cenno di seguirlo, imboccando sicuro il corridoio e varcando la porta del ripostiglio, proprio accanto alla camera di Ray. Lo seguii, perplesso e non poco preoccupato; mi fido poco di Will quando ha di queste uscite, sinceramente.

Quando lo raggiunsi lo trovai ad armeggiare con una finestrella che dava sull’esterno; lo soppesai per qualche secondo, allibito, cercando di capire che diamine stesse facendo.

-Ray tiene sempre la finestra aperta, ha perennemente caldo. Da qua si sente tutto.- mi fece, soddisfatto, facendomi cenno di avvicinarmi.

-Scusa, tu origli in camera sua da quanto tempo esattamente?- gli chiesi, stupefatto; capisco l'essere un ficcanaso, ma così Will mi ricordava giusto un poco una vecchia comare pettegola!

-Da un po’. Ehi, dovrò pur sapere cosa le passa per la testa, sennò come potrei aiutarla?-

Detta così pareva anche avere un senso logico e vagamente nobile. Sì, ma certo.

-Certo Will. Convinto.- scossi la testa, rassegnato; Will non sarebbe mai cambiato, ne ero certo. -Ora però levati, biondo, fammi sentire!- lo spinsi poco carinamente di lato, accostandomi alla finestrella per ascoltare quello che le ragazze si stavano dicendo.

Oh insomma, avete mai provato a capire una donna? Sono più complicate del cubo di Rubik, alle volte.

-Ray, si può sapere perché sei sull’orlo dell’isteria? Ho visto un anfibio volare, non è mai un buon segno.-

Ma quanto spesso volavano scarpe in quella casa?

…okay, Ray viveva con Will. Risolto l’arcano: una scarpa in testa è indubbiamente un buon metodo per farlo tacere.

Sentii un sospiro ed un lieve tonfo che poteva essere quello di un corpo che si lasciava cadere pesantemente su un materasso.

-Non lo so.-

-Sei preoccupata per stasera?-

-Anche. Boh. Penso.-

Io e Will ci guardammo nello stesso istante, perplessi: in quel momento avrei davvero desiderato un cubo di Rubik piuttosto che cercare di capire cosa stesse dicendo Ray.

Un altro sospiro, un tramestio del letto.

-Ho paura, Angie. Dai, lo sai anche tu, dovrei solo starmene buona… non ho ancora imparato a tenermi alla larga dagli uomini, dai sentimenti e da tutto quel che ne comporta.-

-Ma per fortuna, no?-

-Insomma.-

Sentii qualcosa gelare dentro di me, a quel sospiro tremante.

-Sta succedendo tutto troppo in fretta… io non dovrei lasciarmi coinvolgere così, dannazione!-

Un altro suono ovattato, il suono di un pugno affondato in un cuscino.

-E invece sono qui a chiedermi come andrà questa serata, se gli piacerà un vestito che non so scegliere, se gli piacerò io…-

La voce di Ray si spezzò, imbarazzata, su quelle ultime parole, ma il mio cuore aveva già accelerato bruscamente, aveva già iniziato a martellare nel petto la consapevolezza che Ray era preoccupata di non piacere a me, a me che l’adoravo più di quanto io stesso potessi capire in quel momento.

-Sono un disastro.-

No, non era un disastro. Era splendida.

-Ma no che non lo sei.- avvertii Angie sospirare, paziente.

-Sì che lo sono.- non era un disastro, Ray. Era solo tremendamente testarda, e priva di una qualsivoglia forma di sicurezza in se stessa, quando la situazione si avvicinava troppo al suo cuore. -Non dovrei mettermi in gioco di nuovo, è da stupidi.-

-Ma non è vero. Ascolta… non sei in grado di tenere a bada il cuore, lo sai meglio di me. E poi con lui stai bene, me l’hai detto tu.-

Sentii il cuore minacciare di fracassarmi qualche costola, a quelle parole.

-Sì. È questo il punto Angie: io sto bene con lui. Mi sento felice, mi sento serena… mi sento viva.- intravvidi appena gli occhi azzurri di Will spostarsi rapidamente su di me prima di tornare a fissarsi sulla finestra. -È che non so… non so quello che gli passa per la testa. Io non sono una persona felice, sono cinica e ombrosa e ci sono ancora troppe cose che devo risolvere nella mia testa… che cosa mi dice che, giustamente, non si potrebbe stancare alla svelta di questa situazione?-

Rovesciai gli occhi al cielo più o meno nello stesso istante in cui lo fece Will.

Stancarmi di lei?

Sono passati anni, da quella serata, e ancora devo capire il senso di quella frase.

Come, in che modo avrei mai potuto stancarmi di lei?

-Ray, è sempre la solita storia.-

-Io non reggo ad altro dolore. Ho fatto il pieno troppo tempo fa.-

Una strana sensazione, simile al senso di colpa ma meno sordido, più languido, parve prendere vita nel mio stomaco: ci misi qualche istante a comprenderne il senso, il significato.

Era dolore.

Era quel dolore, lento e suadente, che riempie lo stomaco quando vedi una persona a cui tieni soffrire.

Non mi piaceva sentire Ray tanto angosciata, tanto insicura; per un istante pensai persino di inventare una qualche scusa per annullare la serata, per non costringerla a vivere qualcosa che poteva esserle tanto penoso…

Sobbalzai, e Will con me, quando un sonoro schiocco risuonò in tutta la stanza.

-Okay, basta insicurezze. Tanto lo so che sono troppo stupida per non rischiare comunque.-

Non potei non sgranare gli occhi in risposta a quell’esclamazione improvvisamente molto più sicura, molto più decisa.

Vidi William sorridere della mia espressione perplessa, e stringersi nelle spalle con una smorfia sardonica in volto. Evidentemente lui era abituato a quegli scatti, a quel coraggio che, prepotente, riprendeva il suo posto nel cuore di Ray.

Avrei imparato a conoscerlo, quel coraggio.

Avrei imparato ad amarlo.

-Oh, così mi piaci.- sentii Angel battere le mani, entusiasta, e rimestare nella busta elegante che aveva portato con sé. -Guarda questo, piuttosto. Giuro che l’ho comprato coi soldi di Will.-

Sorrisi, fra me e me, riuscendo quasi a vedere l’espressione di Ray davanti all’ultimo acquisto di Angel.

Non era stato poi così difficile fare in modo che quel famoso vestito blu arrivasse fra le mani della mia bionda preferita.

Ma, quando, sentimmo i passi svelti di Ray avvicinarsi alla porta, io e Will arrivammo alla stessa conclusione: se ci avesse trovati lì, intenti ad origliare, non penso sarebbe stata molto contenta.

Caso (o iella, più probabilmente) volle che Will inciampasse non ho idea dove, facendo perdere l’equilibrio anche a me e finendo entrambi per terra proprio sulla soglia dello sgabuzzino, il tutto corredato da una sequela impressionante d’imprecazioni e volgarità più o meno variopinte.

La scena aveva del comico, ora che ci penso.

-Ben.- alzai lo sguardo, districandomi da un brontolante William un po’ a fatica, scostando i capelli lunghi da davanti agli occhi; ritrovai lo sguardo di Ray, in piedi dinanzi a me, a metà fra l’esasperazione e l’ilarità più assoluta

-Io ho solo detto qual’era il vestito. Hanno fatto tutto loro.- mi giustificai, ostentando un sorriso e una faccia di bronzo veramente assurdi. Lei scosse la testa, abbassando però gli occhi.

Aveva le guance rosse, meravigliosamente rosse.

Angel era uscita qualche ora prima, diretta in quel negozio che aveva attirato l’attenzione di Ray mentre era fuori con me. Il vestito che l’aveva colpita era ancora lì, e Will aveva insistito per regalarlo all’amica, adducendo una scusa poco convincente su quanto Ray “gli avrebbe poi rotto le scatole ogni volta che passava davanti a quella vetrina”.

Hanno uno strano modo di volersi bene, Will e Ray.

-Non so se ridere o arrabbiarmi.- commentò la bionda in questione, scoccando un’occhiataccia a Will; ma lui, forse un poco esasperato dal mio dolce peso sullo sterno, mi spinse via in malo modo, emettendo un versaccio a dir poco spazientito.

-Facciamo così: vestiti. Altrimenti non mi libererò più di voi due!- sbottò, alzandosi in piedi e spingendo senza troppi problemi Ray ed Angie di nuovo in camera, mentre io me la ridevo come un emerito cretino.

.

-La pianti di controllarti i capelli? Mi stai dando sui nervi, Narciso.- 

Rivolsi una smorfia a Will, passandomi le dita fra i capelli scuri e folti, lunghi fin sotto le orecchie. Mi piacevano, così: per Dorian Gray li avevo fatti crescere ed entro un paio di mesi avrei cominciato a girare Il Viaggio del Veliero, dove avrei potuto mantenere la mia acconciatura.

Ero e sono un grandissimo vanitoso, lo ammetto: ma dopotutto, ne vale la pena.

-Devo ricordarti quanto ansioso eri al primo appuntamento con Angel?- gli ricordai, sarcastico, sistemando il risvolto della camicia e sbottonando un paio di bottoni, sentendomi subito molto più a mio agio.

-No, per carità! Il mio telefono s’è quasi fuso, quella volta!- sobbalzai, quando una voce che conoscevo bene risuonò alle mie spalle.

Mi voltai di scatto, del tutto impreparato ad accoglierla, senza nemmeno aver formulato un pensiero su cosa dirle, su che complimenti farle, su quale comportamento tenere con lei… svanì tutto in uno sbuffo, in un soffio di polvere, quando il mio sguardo si posò su di lei.

Era… era bellissima.

Mi presi il tempo di guardarla, di osservarla, d’imprimermi ogni singolo dettaglio nella mente era semplicemente la creatura più bella su cui avessi mai avuto la fortuna di posare gli occhi e sapere che lo era per me, che ero io il fortunato cavaliere di quella ragazza, fece affiorare lentamente un sorriso sulle mie labbra nel momento in cui incontrai i suoi meravigliosi occhi azzurri.

Quella particolare tonalità di blu le donava, era perfetta sulla sua carnagione candida; il vestito che tanto l’aveva impressionata era lì, meraviglioso sul suo corpo tonico e ben fatto. La stoffa indugiava sulle curve dei fianchi, arricciandosi dove un fermaglio d’argento chiudeva la fascia che delineava la vita sottile.

E guardava me.

Timida e imbarazzata ma tanto coraggiosa da non abbassare lo sguardo, lei guardava soltanto me.

Ma, ovviamente, Will doveva rovinare il momento.

-Wow. Sei davvero splendida.-

Oh, ma io l’avrei ucciso, prima o poi.

Scorsi Angie ridacchiare, alle spalle di Ray, quando scoccai a William un’occhiataccia di fuoco. Ray invece abbassò lo sguardo, torcendosi appena le mani e l’orlo del vestito.

-Mi sto vergognando come una ladra.- la sentii borbottare, più rivolta a se stessa che a me.

Io sorrisi, avvicinandomi di un passo e sfiorandole il viso; le posai l’indice sotto il mento facendole alzare lo sguardo, intrappolandolo nel mio e per me, improvvisamente, tutto il resto si dissolse: c’erano solo quei due occhi blu che mi guardavano, vividi e lucidi come non mai.

-E perché? Per una volta quell’idiota ha ragione, sei meravigliosa.- le sussurrai, e sentire il suo viso andare letteralmente a fuoco fu la soddisfazione più grande.

Avvertii Will alle mie spalle cominciare a dire qualcosa, sicuramente per sfottere il sottoscritto ma, grazie al Cielo, Angie lo interruppe e lo prese per un orecchio, tirandolo verso il basso.

-Ho come l’impressione che tu sia di troppo!- gli fece notare, rivolgendo un sorriso caldo ed incoraggiante a me e a Ray; sentii ridacchiare la mia bionda quando Angel – minuscola al confronto di quel ragazzone pompato che è William – se lo trascinò dietro senza troppi complimenti fuori dal salotto, ignorando tranquillamente le sue proteste.

-Sono qualcosa di fantastico, da vedere.- fu il commento divertito di Ray, con i riccioli che ondeggiavano intorno al suo viso mentre scuoteva la testa, esilarata.

-Lo sono sempre stati.- annuii, ricordando bene quanto Will e Angie si fossero trovati sin dall’inizio: erano fatti per stare insieme, era stato cristallino fin dal primo incontro.

Povera Angel.

Ray si voltò di nuovo verso di me, sorridendomi con una dolcezza che mi sorprese e m’intenerì al tempo stesso: era così vicina, così bella… per me il tempo poteva fermarsi in quell’istante, lasciandomi con lei per un periodo indefinito tendente al per sempre.

Le accarezzai delicatamente una guancia, sfiorandole i capelli con la punta delle dita, disegnando il profilo degli zigomi con il pollice.

Avevo bisogno di sfiorarla di nuovo, di essere sicuro che fosse vera.

Era accaldata, rossa in volto per l’imbarazzo, ma un sorriso fiorì sulle sue labbra al mio tocco; posò la mano sulla mia e la trattenne lì, guardandomi con una tenerezza incredibile che, come il più dolce dei colpi di grazia, sentii attraversarmi il petto e piantarsi da qualche parte sotto lo sterno.

-A te piace il teatro, giusto?- le domandai, beandomi di quel contatto molto più intimo di tanti altri. Lei annuì.

-Immensamente.-

-Shakespeare?- azzardai, incerto; Ray mi sembrava una persona amante non soltanto del teatro e della musica, ma certo non potevo sapere quanto avessi azzeccato la mia intuizione.

Rise, piano, rivolgendomi un’occhiata ironica capace di accendere desideri che, forse, avrei fatto meglio a redarguire almeno un poco.

-Shall I compare thee to a summer day?-* recitò, piano, la voce melodiosa che si adattava alla perfezione ad uno dei sonetti più belli e più famosi del maestro.

Accostai il volto al suo, sussurrando il secondo verso sulle sue labbra senza mai smettere di ricambiare il suo sguardo intenso.

-Thou art more lovely, and more temperate.-*

-Adoro Shakespeare.- sorrise, alzando forse senza accorgersene una mano, scostando un ciuffo di capelli dalla mia guancia e raccogliendolo dietro il mio orecchio.

-Anch’io. Specialmente le commedie.- lei annuì, il viso animato da un fervore che ben conoscevo: io stesso mi entusiasmavo ancora quando, per la milionesima volta, prendevo in mano un’opera del drammaturgo più famoso della storia, pronto a immergermi nei giochi letterari di un maestro come solo Shakespeare poteva essere considerato.

-Se ti dico che stasera a teatro danno Sogno di una notte di mezz’estatee che ho in tasca due biglietti per la prima fila, cosa mi dici?- le proposi, senza riuscire a trattenere un sorriso soddisfatto.

Alla menzione di quella commedia l'espressione di Ray s'illuminò, facendosi sorpresa ed entusiasta. Fu un piacere del tutto nuovo quello di essere riuscito a sorprenderla: mi sentii appagato, fiero di me e dell’intuizione che avevo avuto, felice di sapere di averla resa felice a sua volta.

Sembrava non trovare il modo per esprimersi, forse a corto di parole  dopotutto Ray era una persona di fatti, non di discorsi, ed io lo avevo già intuito.

Ma fu comunque una sorpresa, una gradita sorpresa, quando – senza davvero aver ben capito come ci fosse arrivata – me la ritrovai stretta fra le braccia.

Era la prima occasione in cui Ray si lasciava andare con me: ero sempre stato io ad osare, con lei, e sebbene non mi avesse mai respinto – anzi, tutt’altro – non aveva mai preso l’iniziativa, non aveva mai lasciato cadere la barriera che teneva eretta contro tutto il mondo.

Invece, in quel momento, mi stava abbracciando: sentivo le sue braccia strette intorno al collo, i capelli biondi e profumati solleticarmi il viso, il corpo tonico premersi sul mio e il respiro sfiorarmi la gola, dandomi i brividi.

Ne approfittai, non lo nego: la strinsi a me con forza, accarezzandole la vita e premendola contro il mio torace, fisicamente incapace di resistere a qualsiasi tipo di contatto con lei.

-Io… è la mia commedia preferita, e… grazie.- sussurrò nell'incavo del mio collo, con la voce che tremava appena ed un il sorriso premuto sulla mia pelle.

-Di niente.- risposi, tentando di non mostrarmi troppo fiero della situazione che si era creata: avevo appena abbattuto una di quelle barriere che mi separavano dal suo cuore, avvicinandomi un poco di più alla giovane donna che mi attirava come un magnete.

Alzò il volto dalla mia gola, sorridendomi felice e ingenua al tempo stesso: non s’era accorta del lampo di possessione nel mio sguardo, della stretta appena più salda con cui l’avevo intrappolata fra le mie braccia.

Era ad un soffio dal mio viso, ad una spanna dalle mie labbra. Baciarla sarebbe stato così facile… bruciavano, i suoi occhi, piantati nei miei con una forza capace di smuovere qualsiasi cosa.

Non vinsi quella lotta, non riuscii a sostenere quelle iridi.

Il desiderio che provavo per lei era troppo per riuscire a nasconderlo alla sua vista. E cedetti di nuovo, per l'ennesima volta  cedetti come un ragazzino, lasciandomi trascinare dalla voglia che avevo di lei.

Le sue unghie mi graffiarono debolmente la nuca quando immersi il viso nel suo collo, inebriandomi del suo profumo.

Rabbrividì, violentemente, fra le mie braccia: sorrisi, fra me e me, quando mi resi conto che quella reazione l’avevo scatenata io soltanto sfiorandola.

Tremava sul serio: sentivo le sue ginocchia vibrare lievemente ed era tesa, come se stesse lottando quanto me contro il desiderio che provava, tentando di mantenere un autocontrollo che sicuramente era più saldo del mio.

Respirai profondamente, tentando di calmarmi. Pessima mossa.

Il profumo semplice di Ray mi colpì con la prepotenza di un pugno in pieno stomaco, dandomi alla testa, il corpo e la mente per la prima volta uniti nel pretendere di più di quel contatto appena accennato: sapeva di pelle e di sapone e dell'odore particolare del cuoio che indossava spesso e che, probabilmente, le era rimasto un po' attaccato addosso, del profumo del bucato appena fatto e dello shampoo che aveva usato.

Avevo compreso quanta paura provasse all’idea di lasciarsi andare, di affidarsi a qualcuno, di affidarsi a me, ma avevo capito anche che il suo carattere, impetuoso e passionale come l’avevo scorto in più di un momento, e come presto mi avrebbe travolto, lottava per prendere il sopravvento e lasciarsi andare all’istinto, al cuore.

Volevo tutto, di lei; ma, più d'ogni altra cosa, volevo che si fidasse di me.

Volevo il suo sorriso, volevo vederla felice, volevo essere la causa ed il motivo della sua serenità.

Io volevo lei.

Non ho mai desiderato una donna come desidero Ray, non in quel modo completo, totale e, a tratti, intossicante. In pochissimi giorni quella giovane donna mi era entrata dentro, aveva sconvolto tutti i piani che avevo e si era appropriata di ogni mio pensiero, di ogni mio respiro, di ogni mio battito.

Proprio per questi motivi io decisi di aspettare.

Decisi di non bruciare le tappe, di non dare libero sfogo al mio desiderio: io mi stavo innamorando di lei, lo sentivo, ne ero conscio quanto non ero mai stato sicuro di niente nella mia vita.

E non volevo farla scappare. Non volevo perderla.

-Che ne dici, andiamo?- mormorai, sulla pelle calda e soffice della sua gola. Ray annuì rapidamente con un cenno della testa, ma si separò da me con molta meno convinzione: nonostante fosse rossa in volto, nonostante i suoi occhi fossero lucidi e imbarazzati, non abbassò lo sguardo quando la guardai.

Ray era la mia sfida e, allo stesso tempo, il mio premio.

.

.

.

-È stato… wow.-

Quella serata fresca d’inizio giugno accolse il commento trasognato di Ray con delicatezza, mentre un fruscio di vento che scuoteva appena l’orlo del suo vestito.

Si voltò a guardarmi, camminando all’indietro nonostante i tacchi alti, con un sorriso estatico e sognante sulle labbra. Avevo guardato i suoi occhi riempirsi di meraviglia e di stupore davanti ai volteggi degli attori, leggiadri nei loro ruoli come autentici elfi e folletti, perfettamente calati nelle parti.

-Sono stati fantastici.- annuii, sapendo di avere lo stesso tono di voce distaccato e sereno: il teatro aveva quest’effetto su di me fin da bambino, ed era stato uno dei motivi che mi avevano spinto sulla strada della recitazione.

Amavo quel mondo, amavo la sensazione di stare in piedi su un palcoscenico, amavo vivere per qualche ora le vite dei personaggi più diversi; ma amavo anche godermi uno spettacolo come quello, soprattutto in compagnia di qualcuno che condividesse la mia stessa passione.

Guardai Ray, che quasi saltellava per la contentezza: era così semplice, così facile, farla felice.

Mi lasciai sfuggire un sorriso forse anche troppo entusiasta, quando si spinse sulla punta delle scarpe che indossava per lasciarmi un lieve bacio sulla guancia.

Ray era fantastica anche nel suo essere una continua contraddizione di se stessa: sapeva essere un maschiaccio, all'occorrenza anche forte e dura… ma, allo stesso tempo, quando si fidava, lasciava che il suo essere donna in quel modo tanto selvaggio e genuino emergesse e le riempisse il viso di una luce del tutto nuova, incantandomi più che mai.

-Grazie.- mi disse, piano, serena.

-E di cosa? È bello vederti così felice.- fu la mia semplice, sincera ed incredibilmente schietta risposta.

Ancora una volta seppi che baciarla sarebbe stato terribilmente facile, ma qualcosa – forse l'istinto o forse la ragione stessa – mi suggerì che non era ancora il momento giusto.

Ignara ignara? dei miei pensieri, Ray intrecciò le dita alle mie, senza dire nulla, sorridendo di un sorriso lontano ed un poco malinconico mentre i suoi occhi si alzavano a cercare le stelle.

-Non si vedono mai le stelle, da Londra. È l’unica cosa che rimpiango di casa mia.- mormorò, piano, uno sguardo triste rivolto al cielo buio.

-Dove vivevi?- le domandai, avvicinandola a me e passandole un braccio intorno alla vita.

Anche di notte, anche aiutato soltanto dalla luce dei lampioni, riuscii a distinguere il rossore colorarle le guance pallide; ma non s’irrigidì al contatto con me, non tentò di allontanarsi, anzi: s’accostò al mio corpo e si accoccolò nel mio mezzo abbraccio, ed il suo sorriso sembrò cambiare espressione – sembrava il sorriso di chi ha perso troppo presto l'innocenza e la purezza dei bambini, di chi guarda il mondo con il cinismo e la disillusione di qualcuno invecchiato troppo in fretta... era il sorriso di chi cercava disperatamente la sicurezza di poter essere di nuovo libero.

-Vivevo fuori da Dallas, poco lontano dalle praterie. Di notte era uno spettacolo, le stelle sembravano non finire mai, la Luna era immensa…- mormorò, rivolgendo gli occhi verso quella Luna piena che svettava nel cielo altrimenti completamente oscurato dalla città. -Penso sia l’unica cosa che manca a questa città per essere perfetta.-

Annuii. Ero cresciuto appena fuori dal centro di Londra ma, comunque, in una zona troppo densa di luci e abitazioni. Avevo imparato ad apprezzare la meraviglia dei cieli stellati quando andavamo in campagna, in vacanza dai nonni.

-Concordo.-

E poi mi venne un’idea: un’idea che, speravo, le sarebbe piaciuta.

Avvicinai le labbra al suo orecchio, sentendo i riccioli biondi solleticarmi le guance; resistetti all’istinto di premere un bacio fra quei capelli, resistetti alla voglia che avevo di immergere il volto in quel profumo  sorrisi, invece, stringendo la sua mano nella mia. -Posso portarti in un posto?-

Si voltò a guardarmi, sorpresa.

-Dove?-

La baciai delicatamente in fronte, ancora una volta vinto dal bisogno di toccarla – molto, infinitamente più forte di me.

-A vedere le stelle, Ray. A vedere le stelle.-

.

.

Fuori dalla zona di Londra, seguendo la superstrada che si avvia verso il nord, si apre la sconfinata piana della brughiera. Durante l'inverno è soltanto una landa infinita ammantata dalla nebbia, i campi sono immersi nella brina candida e tutto sembra congelato in attesa della primavera. È uno spettacolo triste, immoto, deprimente, è uno scenario perfetto per un cuore solo e abbandonato.

A primavera, invece, la brughiera fiorisce di grano e di profumi del tutto nuovi.

Di notte, il verde intenso delle piante è illuminato dalla luce della Luna e dei miliardi di stelle che brillano lassù, in alto: tutto è rigoglioso, vivo, la natura esplode in un tripudio di bellezza e gioia, portando con sé il sapore fresco e intenso dell’estate imminente.

Era là che avevo portato Ray, senza dirle dov’eravamo diretti, ed era là che, appoggiato ad una staccionata con le braccia conserte sul petto, la guardavo alzare gli occhi al cielo con tutta la meraviglia di questo mondo nelle iridi azzurre.

-Ben, guarda che cielo!- si era tolta le scarpe, abbandonandole da qualche parte vicino all’auto, e camminava sicura nell’erba folta e rigogliosa, lo sguardo rivolto verso l’alto e gli occhi pieni di stelle.

-Lo vedo.- commentai, divertito: io non guardavo il cielo, avevo ben altro da imprimermi nella mente.

Quel venticello fresco che in piena città si avvertiva appena in quel luogo era più vivo, più presente, scompigliava i capelli di Ray arruffandoli intorno al suo viso: la gonna del vestito si gonfiava, accarezzandole le lunghe gambe sfiorate dall’erba alta.

Si voltò a guardarmi, un sopracciglio inarcato e le mani posate sui fianchi; era un’espressione irresistibilmente ironica e, a dirla tutta, anche decisamente sexy.

-Non stai guardando.- mi fece notare, col tono di chi spiega l’ovvio, avvicinandosi a me di qualche passo – con quel sorriso magnificamente malandrino sulle labbra, quello sguardo di sfida nelle iridi.

Mi alzai dalla staccionata con un sol gesto, accostandomi a lei in pochi passi; il vento parve essere dalla mia parte quando sembrò spingerla contro di me e la stoffa svolazzante del vestito sfiorò i miei jeans.

Non c’era già più niente intorno a noi, tutto aveva perso importanza nello stesso istante in cui Ray mi aveva guardato. Tutto l’universo convergeva lì, in quegli occhi blu, su quella bocca rossa e invitante, su quel profumo seducente.

-Neanche tu.- le feci notare, respirando sulle sue labbra.

Rabbrividì quando sfiorai la sua bocca con la mia e fu proprio quel brivido a fermarmi, quando scorsi nel suo sguardo qualcosa che avrei preferito non vedere.

Il suo respiro si mischiava col mio, ma i suoi occhi non accennavano a schiodarsi dai miei. Era questo a frenarmi, a bloccarmi lì, ad un millimetro o poco più da quella bocca irresistibile.

Era terrorizzata.

I suoi occhi, in quell’istante più limpidi che mai, mi guardavano, mi scongiuravano di non spaventarla più di quanto già non fosse. Erano lucide quelle iridi, erano vivide, atterrite, più belle che mai.

Mi stava implorando di non farle del male.

La Rayche avevo scorto dietro quella scorza d’acciaio era lì, davanti a me, sotto un cielo carico di stelle e una Luna piena ed invitante. La dolcezza che avevo intravisto nei suoi gesti, sotto la sua scorza, adesso languiva angosciata in quegli occhi che per me erano diventati il fulcro del mondo intero.

Avrei voluto baciarla. Lo desideravo con ogni fibra di me stesso, avevo bisogno di assaggiare quelle labbra più dell’ossigeno, più del respiro.

Ma non ero uno sciocco.

Se anche Will non mi avesse avvertito lo avrei capito da me: dietro il guscio di donna forte e gelida, algida e insensibile, c’era un cuore spaventato che aveva solo bisogno di essere amato.

E mi stavo innamorando io di quel cuore.

Mi stavo innamorando io della Ray nascosta dietro tutte quelle maschere.

Sospirai, costringendomi in un sorriso che forse non sarei riuscito a fare con qualsiasi altra ragazza. Ray però era terribilmente bella, terribilmente enigmatica e così terribilmente fragile…

E io non avevo la minima intenzione di farle del male.

Mi sentii sprofondare, rassegnato, quando mi allontanai di un passo dal suo corpo.

Mi sentii sconfitto quando, dentro di me, qualcosa si arrese alla paura nel suo sguardo.

Mi sentii perso quando capii che tutto ciò che volevo era non farle del male.

E se avessi dovuto costringermi a guardarla da lontano, a vederla bella e irraggiungibile come una dimenticata e meravigliosa dea pagana… beh, l’avrei fatto.

Non volevo che si sentisse in colpa, non volevo che si sentisse costretta a… mi voltai di scatto, allontanandomi ancora di qualche passo da lei, senza riuscire a guardarla.

Sentivo qualcosa bruciare, dentro, ed era tutto fuorché piacevole.

-Forse è meglio che ti riporti a casa.- le dissi, e davvero mi spaventò il tono della mia voce: era lontano, vuoto, quasi spezzato.

Non riuscii a guardarla, quando scavalcai con un solo gesto quella ringhiera di legno, avvicinandomi alla macchina. Non la sentii muoversi, non la sentii camminare: i suoi piedini bianchi non facevano rumore, sull’erba fresca.

Sentii soltanto la sua voce. Sentii soltanto il mio nome.

-Ben.-

Ebbi appena il tempo di voltarmi prima che tutto il mondo si capovolgesse.

Ray si era accostata alla staccionata, appena accanto a me, alle mie spalle. Il vento le scompigliava i capelli morbidi, ribelli, e le accendeva le guance di rosso, mentre i suoi occhi brillavano di una luce che non le avevo mai visto in volto prima di quel momento.

Si era spinta sulle punte dei piedi, appoggiandosi al legno freddo con le mani, per premere dolcemente le sue labbra sulle mie.

Non era un bacio timido, trasognato, non aveva niente del bacio che le avevo rubato quella sera che mi pareva lontana secoli: era un tocco soffice, caldo, puro come l’aria. Le sue labbra parevano panna tanto erano morbide, delicate, succose. Lasciarono quel bacio tenero e delicato come una farfalla sulle mie, senza chiedere nient’altro che non fosse quel contatto.

Fu un bacio che mi lasciò stordito, imbambolato, travolto da quella voglia di vita che si era improvvisamente accesa negli occhi di Ray.

La Luna piena le illuminava il viso diafano e donava al su sguardo un candore del tutto nuovo, mentre un sorriso che si apriva come un fiore in sboccio su quella bocca rossa come una fragola.

-Respira, Dorian Gray.- ridacchiò, ironica, davanti alla mia espressione molto probabilmente simile a quella di un sopravvissuto ad una catastrofe naturale: era così che mi sentivo, travolto da uno tsunami e sconvolto da un ciclone.

Non riuscivo a crederci…

Le mani mi tremarono visibilmente quando le posai sulle guance di Ray, toccandola per essere sicuro che fosse vera, che fosse lì.

E la sua pelle era fresca, soffice, reale; ed erano davvero i suoi occhioni ironici e guardarmi divertiti, non una sola traccia di paura in quell’oceano blu.

E io, finalmente, potei smettere di frenare tutto quello che provavo per lei.

Mi ci volle meno di un istante per annullare la distanza fra la sua bocca e la mia. Meno di un istante per sentire il cuore ruggire trionfante nel petto, il sangue che pulsava impazzito nel mio corpo.

E fu un bacio che sapeva finalmente del sapore di quella notte di mezz’estate, di quel vento che s’infilava fresco e dispettoso sotto i vestiti, del profumo della campagna in sboccio, della pelle calda e viva di Ray sotto le dita.

Fu un bacio entusiasta, intenso, pieno di comprensione e di una nuova, profonda complicità: sentii la testa svuotarsi di tutto mentre una sensazione di beata incoscienza invece mi riempiva, mi saziava – delle sue labbra, del suo respiro, di lei.

Le inclinai il viso e affogai in quel bacio e dentro di lei, tirandola contro di me con più foga di quella che avrei voluto metterci e più gioia di quanta credevo di poter provare.

La stavo baciando, sì, non era un sogno evanescente figlio di uno sconosciuto incantesimo d’amore: era vera, il suo corpo era caldo e invitante contro al mio, le sue labbra erano succose e irresistibili e rispondevano al mio bacio con ardore, con desiderio, con giocosità.

La lasciai respirare dopo troppo, troppo poco tempo, ma lei mi trattenne lì, sulla soglia del suo fiato irregolare e accelerato, gli occhi socchiusi e un sorriso lieve sul volto.

E Shakespeare ancora una volta mi venne in aiuto, le parole perfette per quell’istante che emergevano sulla mia bocca avida di baci.

-Swift as a shadow, short as any dream…**- sorrise, riconoscendo all’istante il verso della commedia.

-…brief as the lightning in the collied night.**- completò per me con voce sognante e delicata, figlia lei stessa di un sogno che non mi ero mai permesso di ricordare.

Risi, prendendola in braccio e baciandola ancora, suggendo le sue labbra con decisione e desiderio.

E lei rise a sua volta di quella sua risata cristallina e vivace, trascinandomi con sé nell’erba alta umida di rugiada.

Capii soltanto di essere addosso a lei, sentii solamente le sue belle gambe stringersi attorno ai miei fianchi, il seno aderire al mio torace, prima che Ray mi spingesse a distendermi nell’erba alta, spostandosi con naturalezza sopra di me.

Era così semplice stringerla, toccarla  era così facile sfiorarla, era così bello, non c’era imbarazzo fra noi e più nessuna paura a dividerci.

-Sei mio.- sussurrò, il sorriso radioso che illuminava la notte, gli occhi vividi e accesi come stelle. Posò le manine affusolate sulle mie, portandole delicatamente sui suoi fianchi, e la stoffa delicata mi scivolò fra le dita come acqua corrente.

Ridacchiai, alzandomi a sedere.

-Stavo pensando la stessa cosa.-

Rise, la mia piccola Ray, coi riccioli che le incorniciavano il viso, spingendomi di nuovo disteso e baciandomi di slancio, le labbra calde e morbide che mordevano le mie.

La ribaltai di nuovo in quel letto di soffici fili d’erba, che subito s’intrecciarono ai suoi capelli delicati; rideva, rideva e la sua risata si mischiava con la mia nei nostri respiri, nei nostri sguardi.

Avevo avuto tante ragazze, tante esperienze, tante notti romantiche… ma mai mi ero sentito così bene, così felice.

Così vivo.

.

.

-Dovrei riportarti a casa.-

-Dovresti.-

Il profumo dei suoi capelli mi riempiva la testa, m’inebriava, mi faceva dimenticare tutto ciò che non fosse lei.

La sentii sospirare, fremere fra le mie braccia. Alzò delicatamente la testa, voltandosi per guardarmi, ad un soffio dal mio viso.

-Non voglio tornare a casa.- sussurrò, piano, posando le dita soffici sulla mia guancia in una carezza.

Sorrisi, intenerito: nemmeno io volevo separarmi da lei. Non volevo riportarla a Londra, darle un ultimo bacio prima di vederla correre sulle scale che portavano all’appartamento dove viveva con Will, non volevo sentire quel vuoto che avvertivo minacciarmi all’idea di allontanarmi da Ray.

Egoisticamente, volevo tenerla con me: volevo rapirla al mondo e restare con lei per sempre, sotto quella volta trapunta di milioni di stelle.

Le accarezzai il viso, riempiendomi il palmo con la sua guancia candida, soffice, appena arrossita.

-Allora resta con me.-

Era così facile essere me stesso, con Ray. Era così semplice parlare, era così semplice essere soltanto Ben, con lei: niente frasi di circostanza, niente desideri lasciati a metà  a lei, accanto a lei, trovavo il coraggio di dire tutto quello che pensavo, speravo, provavo.

Mi sorrise, voltandosi nel mio abbraccio e cingendomi il collo con le sue mani calde.

Eravamo distesi sull’erba, era accoccolata fra le mie gambe, il suo corpo aderiva al mio: era un incastro perfetto, lei era perfetta. Per me.

-Domani Will ti ucciderà.- ridacchiò, accarezzandomi i capelli e scostandoli con dolcezza dalla mia fronte.

Poco ma sicuro, Ray aveva ragione: se non fosse tornata a casa avrei dovuto fare i conti con un fratello maggiore iperprotettivo e decisamente incazzato, più grosso di me e con tutte le ragioni di questo mondo di volermi uccidere.

E non m’importava.

-Non ho intenzione di farti niente. Sono innocuo, io.- commentai, ostentando un’espressione angelica a cui non avrebbe creduto nemmeno un cieco.

E, infatti, Ray rise, rise di quella sua risata meravigliosa, immergendo le dita nei miei capelli e posando le labbra sulle mie.

Salii ad accarezzarle la schiena, premendola maggiormente contro di me. Le sue labbra erano morbide e calde, e si muovevano sulle mie con una dolce sensualità che mi avrebbe fatto presto ammattire.

Sentii i polmoni svuotarsi in un unico, brusco sospiro, quando la sua lingua impertinente si appropriò della mia bocca, insinuandovisi e stordendomi con il suo sapore dolce, intenso, suadente.

La catturai in un istante, intrappolandola in un gioco di lingue e di denti fra le nostre labbra  una lotta senza vinti, una guerra fatta di fiati che si mischiavano e diventavano uno soltanto, una lotta fatta di sapori nuovi, esotici, inesplorati.

Ci separammo soltanto quando la notte aveva ormai perso di significato  quando tutto, intorno a noi, pareva sbiadire al confronto del battito palpitante del suo cuore e del mio.

Sorrideva, Ray, un sorriso seducente e malandrino, irresistibile. I suoi riccioli ricadevano sul mio volto, i suoi occhi erano ad un soffio dai miei.

Ed ero felice.

Ero felice come non ero mai stato nella mia vita.

Mi baciò di nuovo, lievemente, sfuggendomi ridacchiando quando tentai  invano di catturarla in un altro bacio; inarcai un sopracciglio quando mi scoccò un’occhiata ironica, sfiorando appena la punta del mio naso con l’indice.

-Innocuo, vero?- commentò, divertita, scendendo ad accarezzarmi le labbra con i polpastrelli soffici, delicati. -L’importante è crederci, Ben.-

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My Space:

* da "i Sonetti" di Shakespeare: "Posso paragonarti ad una giornata d’estate?" e "Tu sei più amabile, più delicata."

** da "Sogno di una notte di mezz'estate" di Shakespeare: "Sfuggente quanto un’ombra, breve quanto un sogno, rapido quanto la saetta in una notte di nubi."

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Ditelo, ormai non ci speravate più xD

Buon Natale! In ritardo di un giorno, è vero, ma tanti auguri comunque a tutta EFP, agli admin, allo staff, e a chi più ne ha più ne metta ^^

Sì, lo so, non ditemelo; questo capitolo è ZUCCHERO, DIABETE, INSULINA; tre parole per esprimere ciò che penso di questa pappardella di 20 e passa pagine ^^'

Questa che segue è la mia Ray; scelta definitiva. La bellissima Reese Witherspoon non me ne voglia ^^'''

Ma sapete cos'è, a me rileggere Shakespeare fa male. Tutto il capitolo è permeato dalle sue parole, dalla citazione dei Sonnets a quella di Midsummer Night's Dream, alle parole stesse di Ben. Spero di essere riuscita a trasmettervi almeno un poco dell'amore che provo per questo grande, unico, meraviglioso poeta e drammaturgo che amo sopra ogni altro autore.

Ben è un segaiolo mentale di quelli pesanti, cielo! Ragazzo, SVEGLIAAAAAAAAAA!

E l'anfibio volante è una cosa che volevo fare da... tanto, tantissimo tempo xD

Allora? Che ne dite, schifezza diabetica o lasciamo correre il mio ritardo mostruoso per buona condotta? E' Natale, su, siamo tutti più buoni :D

Le risposte alle recensioni arriveranno domani, altrimenti non dormo più, son quasi le 5 del mattino ^^'''''

Al prossimo capitolo di nonsoqualestoria! xD

Un bacione, B.

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Capitolo 4
*** 4. ***


Seize The Day
(Cogli l'attimo)

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Penso che quella sia la notte che ricordo con minor chiarezza, fra tutte quelle che ho vissuto; ma, allo stesso tempo, è quella che al solo ripensarci mi riporta alla mente il sapore frizzante di quell’estate agli inizi, di quegli umidi giorni d’inizio giugno, delle labbra rosee e delicate della mia Ray.

Mi risvegliai, quella mattina, rintontito e beato come non mi ero mai sentito prima d’allora.

Ray dormiva accanto a me; il respiro era lieve e quasi inudibile, il volto morbidamente abbandonato sul cuscino chiaro, i capelli sparsi in un’aureola bionda intorno al viso.

Stringeva ancora la mia mano sul cuore, le dita intrecciate alle mie, il palpito sereno che sentivo pulsare nel mio palmo.

Era stata lei, mezza addormentata, a portare le nostre mani intrecciate sopra il seno sinistro; e lì erano rimaste per tutta la notte, quel muscolo impazzito che scalpitava nel mio palmo.

La maglietta che le avevo prestato le stava un poco larga, le braccia chiare erano scoperte; racchiudevano il suo torace in un abbraccio che si mischiava al mio, le gambe che mi sfioravano appena sotto il lenzuolo.

Era stata forse la prima notte della mia vita in cui avevo dormito con una donna senza fare altro che stringerla a me. Suona terribilmente sdolcinato, ma è così; non mi ero nemmeno azzardato a sfiorare il pensiero di poter fare qualcosa di più che godere della sua compagnia, di bearmi della sua presenza accanto a me.

Si era addormentata quando le nostre infinite chiacchiere si erano spente nell’opalescente luce dell’alba, quando il Sole aveva fatto timidamente capolino attraverso le figure cupe dei grattacieli della City.

Era bella, bellissima.

Ed era mia.

Sentivo che avrei potuto abituarmi sin troppo facilmente a quei risvegli, a ritrovarla al mio fianco splendida e addormentata come in quel momento; non ero mai, mai stato tanto felice in vita mia.

E non ero mai stato neanche tanto melenso; a dirla tutta, la cosa mi spaventava parecchio.

La baciai sulla bianca gola scoperta, sentendola rabbrividire e muoversi appena nel suo sonno placido, senza incubi.

Sorrisi, sciogliendo le nostre dita per stirare i muscoli intorpiditi del braccio; ma quando la abbracciai di nuovo, abbandonando la mano sul suo ventre, sentii il suo tocco morbido chiudersi sul mio polso e riportarla al suo posto originario. Là, sul suo cuore.

-Buongiorno.- sussurrai, quando distinsi nella luce tenue che filtrava dalle persiane abbassate il suo sorriso schiudersi, gli occhi ancora chiusi.

Mi sbirciò appena, malandrina, alzando appena una palpebra e rivelando un’iride blu più limpida che mai.

-Buongiorno.- sussurrò, sistemandosi meglio contro il mio petto, accucciandosi come un micio affettuoso. Sorrisi ancora, chiudendo gli occhi e tornando a smarrirmi nel profumo dei suoi capelli, ascoltandola respirare tranquilla fra le mie braccia.

Mi sentivo un ragazzino, un adolescente al primo amore; eppure io non ero mai stato tanto dipendente da una donna, mai – in tutte le storie che avevo avuto, serie o meno che fossero, ero sempre riuscito a mantenere una sorta di “distacco” che mi aveva impedito di innamorarmi davvero.

Eppure… eppure, quella barriera che nessuna aveva mai valicato adesso non esisteva più.

In quel momento per me c’era soltanto Ray, poco m’importava del resto del mondo.

-Toglimi una curiosità.- mi chiese all’improvviso, voltandosi nel mio abbraccio tanto repentinamente da non darmi il tempo di registrare il suo movimento; la ritrovai semplicemente accoccolata sul mio petto, gli occhi blu che mi guardavano vividi e penetranti, la mano calda premuta sul mio cuore. -Sei sempre così terribilmente romantico, Benjamin?- mi chiese, non senza una punta di divertita ironia nella voce; la guardai percorrere in punta di dita il mio torace, il corpo rilassato a contatto col mio.

Ridacchiai, accarezzandole i capelli e catturando quelle dita nelle mie.

-Se proprio devo dire la verità, no.- risposi, tranquillo; i suoi occhi non si spostavano nemmeno per un attimo da me, assorbendo ogni singola sillaba delle mie parole.

Parevano quasi voraci, avidi; parevano volersi imprimere nella retina ogni dettaglio del mio viso, mi fissavano con una tale intensità da farmi sentire illuminato da due fari nel buio fitto di una notte senza Luna.

Era uno sguardo molto più antico di quanto pensassi, molto più adulto; non era quello di una bambina ingenua, né di una comune ragazza della sua età, ma quello di una donna fatta e finita.

Era lo sguardo di chi sa bene cosa cercare nel volto di qualcuno, senza possibilità di scampo.

Era uno sguardo che accendeva languori che non sapevo nemmeno di poter provare. Desideri foschi, oscuri, ardenti, fuochi fatui in una notte nera.

-Non apprezzo molto la sdolcinatezza, mettiamola così. Dopo un po’ tutto sembra…- m’interruppi, quando un lampo di consapevolezza attraversò quelle iridi sconvolgenti.

-… perdere di valore?- completò per me, scegliendo le stesse parole che avrei potuto pronunciare io.

-Esattamente.- annuii, sentendomi teso come una corda di violino; ma il sollievo crebbe repentino dentro di me, quando le palpebre di Ray si abbassarono per qualche istante prima di rivelare un sorriso altrettanto sollevato in ogni tratto del suo volto.

L’espressività di quel visetto era qualcosa di unico; nessun attore avrebbe potuto eguagliare la semplicità e la perfezione con cui le emozioni si dipanavano su quei lineamenti dolci che, rapidamente e senza scampo, potevano diventare rudi e gelidi come la lama più affilata.

Era tanto facile, per me, carpire la chiave di lettura di quel volto nei suoi occhi e svelare la cacofonia di pensieri che si rincorreva dentro di lei.

Si era rasserenata di botto, alle mie parole; ciò che avevo detto l’aveva rassicurata, aveva sciolto un nodo dentro di lei.

Evidentemente, non ero l’unico allergico allo zucchero in eccesso.

-Io non sono brava con le parole, sai?- mormorò, dopo qualche attimo, scivolando con naturalezza sopra di me; io indossavo una semplice tuta, ma le sue gambe erano nude e lisce, lunghe e soffici come panna.

Posai entrambe le mani sui suoi fianchi, traendola a me quando la sentii strusciarsi delicatamente sul mio ventre, le dita affusolate che mi accarezzavano il petto; non era una situazione molto rassicurante, vista la notevole mancanza di autocontrollo che Ray mi causava semplicemente esistendo.

Rischiai seriamente di morire lì, quando il suo corpo si premette sul mio e le labbra gonfie cominciarono pigramente a disegnare un immaginario percorso di soffici baci ardenti sulla mia gola. Dalla clavicola all’attaccatura del collo, dal pomo di Adamo che risaliva e scendeva impazzito al mento, fino a sfiorare le mie labbra; se Ray aveva intenzione di farmi impazzire ci stava riuscendo, ci stava riuscendo alla perfezione.

Mi guardava maliziosa, in quel momento, il felino predatore che si muoveva sinuoso in quei due oceani profondi che erano i suoi occhi; era ad un soffio da me, la sua bocca toccava impercettibilmente la mia, il suo respiro si mischiava al mio.

Restammo in quella posizione per poco più di qualche secondo; ma furono una manciata di attimi eterni, occhi negli occhi, desiderio nel desiderio.

Ray poteva essere qualsiasi cosa volesse; da maschiaccio a dolce appassionata di Shakespeare, da amante dell’heavy metal a sensuale e accattivante predatrice.

Ed era sempre lei.

Erano tutte parti di lei.

Ray non mentiva, non recitava, non si sforzava; era semplicemente, in ogni istante della sua vita, ciò che sentiva rispecchiare alla perfezione il suo animo in perenne tumulto.

E là, ad un soffio dalla mia bocca, forse nemmeno si rendeva conto di avermi completamente in suo potere.

Un sorriso lieve e soddisfatto si disegnò su quelle labbra, quando comprese l’effetto che quei semplici tocchi accennati aveva scatenato dentro di me.

Mi accarezzò una guancia, con dolcezza, raccogliendo i capelli lunghi dietro il mio orecchio; fu un gesto semplice, tenero, un tocco delicato che diede vita al desiderio impellente di baciarla, di perdermi nel sapore di quelle labbra sensuali ed innocenti al tempo stesso.

E, infilando le dita fra i suoi capelli biondi, cedetti al bisogno che provavo traendola a me, annullando la minima distanza che mi divideva da quel bacio che tanto agognavo.

La sua bocca era calda e saporita esattamente come la ricordavo; era la mia certezza di non essermi svegliato da un sogno, di aver vissuto davvero quella notte che mi sembrava troppo perfetta per essere reale.

La baciai intrecciando la sua lingua alla mia, trascinandola in un gioco di saliva e di sapori diversi, di denti che si sfioravano e labbra che si modellavano le une sulle altre.

Quando si separò da me, il respiro corto e le iridi più scure che mai, il sorrisetto malandrino non era affatto scomparso.

Mi lasciai sfuggire un sogghigno, le dita ancora immerse in quei crini spettinati, beandomi soddisfatto della reazione altrettanto violenta che avevo causato in lei; in una donna è più difficile carpire i segni del desiderio, se non si sa dove guardare… ma Ray era per me un libro aperto, una pagina di diario scritta con l’inchiostro del desiderio.

Sentivo il seno fin troppo sodo premere sul mio torace, potevo avvertirne la forma calda ed invitante; le sue labbra erano arrossate, gli occhi solitamente chiari parevano più scuri, le gote non erano più pallide ma colorate di un rossore che nulla aveva dell’imbarazzo.

Inarcai un sopracciglio, divertito, scostando i capelli biondi dalla sua guancia.

-Beh…- cominciai, senza sorprendermi troppo di avvertire la mia voce più roca del normale, il respiro appena accelerato. -Devo dire che sai farti comunque capire alla perfezione.- le feci notare, ironico ma sincero, soffocando la sua risata in un altro bacio che coinvolse tutt’e due in ben altre occupazioni.

Ma ovviamente a questo mondo esistono i rompicoglioni, giusto?

Nella fattispecie, un certo essere dai capelli biondi che decise proprio in quel momento di presentarsi davanti a casa mia, più che mai deciso a fondere il campanello elettronico a furia di farlo suonare.

Ray si separò di scatto da me, allarmata dal suono improvviso che aveva echeggiato in tutta la villetta a schiera.

Sospirai, la mia poca pazienza già al limite.

-Will.- borbottai, nella voce l’eco della sua.

Le sfuggì una risata, quando vide la mia espressione farsi soltanto lievemente terrorizzata; non avevo la minima voglia di essere picchiato da Will, ma proprio neanche un po’…

-Vado a farmi uccidere.- borbottai, poco convinto, quando Ray si scostò e mi permise di alzarmi. No, era decisamente una prospettiva che non mi piaceva per niente.

-Al massimo ti fa un occhio nero.- commentò lei, divertita; le scoccai un’occhiataccia esasperata, ma non mi riuscì bene come avrebbe dovuto. Non riuscivo a prendermela con lei neanche per scherzo.

-Consolante, grazie.- le rivolsi una smorfia prima di dirigermi al piano di sotto, dove il campanello stava tranquillamente raggiungendo il punto di fusione.

Figurate la scena: quando aprii la porta ero mezzo scarmigliato, una tuta disordinata addosso e i capelli ridotti ad un groviglio inestricabile molto simile al nido di qualche insetto, i piedi scalzi e l’espressione sperduta; Will, vestito di tutto punto (e straordinariamente pettinato, sembrava quasi una persona normale), mi squadrò da capo a piedi con aria di sufficienza, le braccia muscolose incrociate sul petto e un’espressione un poco omicida sul viso.

-Ora, dammi un motivo valido per non ucciderti.- esordì, senza troppi preamboli.

Alle sue spalle, distinsi Angel; la guardai con un misto di terrore e di esasperazione, a cui lei rispose con una stretta nelle spalle come a dire “io ho provato a fermarlo!”.

Già dai primi giorni avevo compreso quanto William fosse affezionato a Ray: nessuno dei due lo dimostrava apertamente all’altro, troppo orgogliosi per farlo, ma molti dei loro gesti tradivano il profondo affetto che li legava.

-Sei un prevenuto…?- azzardai, ironico; dopotutto ero davvero innocente, io e Ray non avevamo fatto altro che… beh, dormire.

-Molto divertente.- fu la sua risposta, gli occhi celesti che si assottigliavano; ora, io non ho paura di Will, ma quando s’arrabbia davvero è meglio girare al largo ed evitarlo per un po’. Angel, alle sue spalle, gli scoccò un’occhiata esasperata; sapeva bene quanto William potesse diventare pesante, quand’era di malumore…

-Amore, forse non è il caso di frenare un pochino con i tuoi istinti omicidi?- gli fece notare, con voce dolce nonostante lo sguardo spazientito, posando la mano tanto piccola sul braccio del mio… amico?

Non penso che Will sia del tutto conscio dell’effetto che Angel ha su di lui; fin da subito, ai tempi delle prime riprese di Prince Caspian, il rapporto che si era formato quasi istantaneamente fra loro andava al di là della semplice amicizia. Will ce ne aveva messo, di tempo, per capire quanto Angel fosse arrivata in profondità di quel cuore fin troppo orgoglioso per ammetterlo.

Ad Angie basta guardarlo, per farlo sciogliere. Non lo fa apposta, certo non lo fa con premeditazione; lui sarà tonto, ma anche la mia piccoletta non si rende ben conto di quanto la sua presenza, la sua stessa esistenza, sia importante per William.

Non penso che resisterebbero a lungo senza l’altro. Si amano troppo.

-No. E non sono un prevenuto.- mugugnò Will in risposta, guardandomi male ma intrecciando allo stesso tempo le dita con quelle di Angel. Era ed è sempre un cercarsi, fra loro; sembra quasi che non possano fare a meno del contatto fisico, di sapersi vicini, di essere insieme.

Ero stato geloso, un tempo, di quel modo di amarsi tanto puro quanto immenso; avevo sentito lo stomaco attorcigliarsi più d’una volta in loro presenza, quando vederli insieme mi costringeva a ricordare che io non avevo mai provato quelle sensazioni che parevano renderli tanto felici.

Ero sempre stato solo.

Non avevo mai amato davvero, ero arrivato a convincermi di non esserne capace…

I miei pensieri non troppo allegri furono interrotti dal provvidenziale suono di una voce ironica e divertita alle mie spalle, due mani chiare che si posavano sui miei fianchi ed un respiro che accarezzava la mia gola.

Bastò quel semplice tocco, quella presenza calda e viva a contatto con il mio corpo, a scacciare ogni cupo pensiero dalla mia mente.

Bastò Ray, per cancellare quella sgradevole sensazione di solitudine che mi aveva oppresso per così tanto tempo.

-Lo sei.- vidi William inarcare un sopracciglio, scettico, quando Ray gli rivolse una smorfia divertita al di sopra della mia spalla.

Davvero: tentai di non assumere un’espressione soddisfatta ed un poco idiota, quando sentii il corpo tonico di Ray premere sulla mia schiena, il seno che si delineava sulle costole, le mani soffici sulla mia pelle, ma… insomma, non mi riuscì proprio brillantemente, ecco.

Non avevo voglia di nascondere ciò che stavo appena scoprendo di poter provare; era una sensazione talmente bella, talmente nuova per me, che davvero non avevo intenzione di curarmi anche delle crisi di gelosia fraterna di William.

-Will, in versione fratello maggiore sei tanto tenero, ma stavolta proprio non ce n’è bisogno.- fu la spiegazione breve e concisa di Ray; il significato di quella frase era cristallino, e vidi l’espressione cupa di Will incrinarsi non appena ne colse anche lui il senso.

-No?- le chiese, scrutandola in volto con palese scetticismo. Con la coda dell’occhio vidi Ray sorridere e scuotere gentilmente la testa, serena, mentre Angel si lasciava sfuggire una risata fin troppo trattenuta.

-No.- fu la sua risposta, talmente semplice e tranquilla che persino Will non poté far altro che sospirare, sconfitto.

-Proverò a crederti.- mugugnò, scoccandomi un’altra occhiata di fuoco; la cosa divertente era che io, per una volta, davvero non avevo fatto nulla di ciò che mi accusava. Per una volta che ero innocente…

Will scosse la testa – somigliava sempre di più ad un cocker, con quei capelli – e le rivolse un sorriso un poco esasperato, ma accondiscendente. Era impossibile arrabbiarsi davvero con Ray… i suoi occhioni chiari erano (e sono tuttora) un’arma impropria.

La sentii accoccolarsi meglio contro di me, le braccia che mi cingevano morbidamente la vita. Era calda, soffice, ed il sorriso felice che distinguevo sul suo volto era qualcosa di meraviglioso.

-Hai per caso dimenticato di avere un appuntamento, stamattina?- la sentii sussultare, quando le parole di Will la raggiunsero e le ricordarono qualcosa che aveva sicuramente dimenticato.

Si staccò di botto da me, gli occhioni sgranati e l’espressione allibita.

-Oh, merda!- si voltò di scatto verso il bagno, dove aveva lasciato i suoi vestiti… prima di tornare a voltarsi verso me, Angie e Will, allibita. -Ma non posso andarci col vestito blu!-

Will sbuffò, divertito, sollevando una busta di carta che non avevo notato sino a quel momento.

-Tieni.- distinsi solo un lampo, prima che la busta passasse – non so bene come – dalle mani di Will a quelle di Ray.

-Grazie!- la mia bionda vulcanica già si stava fiondando verso il piano di sopra, prima di lanciare un’occhiata alla busta e voltarsi di nuovo verso William. -Le scarpe!-

-Sono sotto i vestiti.- le rispose lui, sorridendole tranquillo, per nulla sorpreso – al contrario di me – da quel tornado che Ray era diventata in meno di un secondo.

-Grazie!- la sentii da lontano, perché già era scomparsa al piano di sopra, i piedi nudi che non provocavano nemmeno un rumore sulla moquette soffice.

Mi voltai verso Angel, completamente allibito davanti a quell’esplosione di energia; ma la mia piccola amica se la stava tranquillamente ridendo, davanti alla mia espressione stupita.

-Ma che…- le chiesi, cercando di riprendermi un poco, sconvolto.

-Colloquio di lavoro.- fu la semplice risposta di lei, mentre Will la tirava dolcemente contro di sé. Ma ebbe giusto il tempo di accostare le labbra alla fronte di Angie, prima che una voce squillante e un qualcosa di molto simile ad un tornado sfrecciasse da una parte all’altra di casa mia, già pronta e pettinata.

La cosa aveva seriamente dell’allucinante, ora che ci penso.

-Will, muoviti! Non vorrai che guidi io la tua macchina!- vidi il biondo sgranare gli occhi, a quella frase, evidentemente poco propenso a lasciare la sua preziosissima auto nelle mani spericolate di Ray.

-No, per carità!- gemette, rivolgendosi ad Angie e quasi implorandola con lo sguardo; ma dietro l'espressione esageratamente spaventata si distingueva un sorriso malandrino, un sorriso in grado di farlo sembrare veramente poco convincente.

-Io ti aspetto qui.- mormorò lei, divertita, accarezzandogli una guancia e lasciando un bacio sulle sue labbra.

Lo guardai aprirsi in un sorriso entusiasta, felice; non ero mai riuscito a comprendere appieno il motivo per cui un semplice bacio potesse renderlo tanto felice… questo prima, prima di Ray.

E poi vidi soltanto una confusa macchia di capelli biondi, una minigonna di jeans ed un body scuro sotto un giubbotto di lucida pelle nera, prima di essere travolto da due labbra che, decise e dolci allo stesso tempo, si premettero con passione sulle mie.

Mi aggrappai a quelle labbra senza quasi accorgermene, riccioli segosi che s’intrecciavano alle mie dita, pelle calda che riempiva il mio palmo; quella bocca soffice accolse il mio tocco intenso, modellandosi sulla mia, un tocco bollente sulle mie spalle.

-Ti chiamo più tardi, promesso.- sussurrò Ray sulle mie labbra, separandosi decisamente troppo presto da me, sorridendo di un sorriso malandrino e sparendo un decimo di secondo più tardi, inseguita da un Will sull’orlo di una crisi di nervi.

Rimasi lì, imbambolato, il sapore di Ray impresso sulle labbra e la mente confusa, travolta da quell’uragano biondo appena scomparso oltre la soglia della porta di casa mia.

Scossi appena la testa, cercando di riprendermi un poco; era bastato quel breve, intenso bacio sulle labbra ad accendere ogni mio senso, a risvegliare ogni mio desiderio.

Mi passai una mano fra i capelli, perplesso e completamente stordito.

-Torna coi piedi per terra, Ben.- alzai lo sguardo, stupito, ricordandomi soltanto in quel momento della presenza di Angel; mi stava osservando divertita, le braccia incrociate sul petto, gli occhi scuri che mi scrutavano con tenerezza.

-Oh, sì, scusa. È che… ecco, non me l’aspettavo.- mormorai, la voce un po’ troppo rauca, scuotendo la testa ancora una volta e tentando di rimettere ordine fra i miei pensieri; il mio piccolo tornado personale ancora una volta mi aveva sconvolto, lasciando solo caos al suo passaggio.

Precedetti Angel verso il salotto, facendola accomodare; Angie conosceva bene casa mia, lei e Will più di una volta rimanevano a dormire nella camera degli ospiti accanto alla mia stanza.

-Allora? Com’è andata ieri sera?- mi chiese, vivace, sorridendomi quando mi lasciai sprofondare nella mia ormai malridotta poltrona preferita.

Socchiusi gli occhi, ripensando per qualche istante alle sensazioni vivide e concrete che avevo vissuto quella notte; e per un istante sentii nuovamente il profumo dell’erba fresca e umida di rugiada, il sapore caldo e morbido delle labbra di Ray.

-È stato un sogno ad occhi aperti.- mormorai, un sorriso lieve che si disegnava sulle mie labbra.

-Dalla tua espressione sognante deduco che Ray si sia lasciata andare, finalmente.- sentii ridacchiare Angel, la risata argentina che risuonava nel pigro silenzio della bianca luce del Sole che riempiva il salone. Angel era l’unica persona al mondo con cui riuscissi a parlare tranquillamente di ciò che sentivo, di ciò che provavo, delle emozioni che non volevano mai saperne di mostrarsi al resto degli esseri viventi che mi circondavano… era, è e resterà sempre la mia migliore amica.

Ray si era lasciata andare.

Ray aveva sconfitto la paura che provava, aveva deciso di rischiare il tutto e per tutto… per me. Per stare con me.

E io? Che cosa sentivo, io?

Sapevo soltanto di aver bisogno di lei, di volerla avere accanto. Sapevo che avrei dato qualsiasi cosa per averla al mio fianco, per averla lì in quel preciso istante, per poterla stringere fra le braccia e sentire la sua voce dall’accento spagnolo sussurrare il mio nome.

Avrei saputo dimostrarglielo?

Avevo paura di non esserne capace, di non essere tagliato per un rapporto serio con una persona a cui mi stavo legando in un modo che non avrei mai potuto prevedere.

Non volevo perderla.

Non volevo lasciarla scivolare via, non volevo rovinare quel tutto in cui per la prima volta credevo davvero…

-Mi sto innamorando di lei, Angie.- mormorai, sorpreso io stesso da quell’affermazione: mai, mai nella vita avrei pensato di arrivare a pronunciare quelle parole tanto pericolose, quell’emozione che non avrei mai voluto provare.

Avevo visto troppi amici, compagni di vita – Will compreso – distruggersi per una donna. Avevo sempre sostenuto che mi sarei tenuto alla larga dalle relazioni “serie”, da quel tipo di donna che fa perdere la testa ad un uomo…

Ma non avevo messo in conto Ray.

-E dov’è il problema?- mi chiese, raggiungendomi e accoccolandosi sul bracciolo della mia poltrona, fissandomi con un lieve sorriso sulle labbra e gli occhioni illuminati dalla luce chiara che filtrava dalla finestra. -Ben, guarda che non ti mangia, è abbastanza innocua se non la si fa arrabbiare!- ridacchiò, arruffandomi con dolcezza i capelli già spettinati per conto loro.

Sorrisi, mio malgrado, il doloroso nodo nel mio stomaco che non accennava, però, a diminuire.

-Angie, ti risulta che io abbia mai avuto una relazione durata più di un mese?- le chiesi, e non fu piacevole vedere la comprensione farsi strada sul suo visetto dolce.

-Beh… no.- dovette ammettere, piano, guardandomi con un misto di dispiacere ed esasperazione.

Annuii, greve, per nulla contento dei pensieri che stavano popolando la mia testa.

-Appunto. È questo che mi preoccupa. È… è diverso, con Ray.- per la prima volta nel parlare di una donna, incespicai sulle mie parole, m’incastrai nei miei discorsi e nei miei pensieri.

Ray era diversa, Ray era… era lei, semplicemente, e questo rendeva tutto molto più difficile.

Angel inarcò un sopracciglio, scettica, incrociando le braccia sul seno e guardandomi con un cipiglio severo che avrebbe saputo far ragionare persino un toro imbufalito.

-Fammi capire. Sei preoccupato di innamorarti sul serio o di farla soffrire?- mi chiese, assottigliando lo sguardo; e mi sentii arrossire, imbarazzato, a quella domanda che non avevo ancora posto a me stesso.

-Penso… entrambe le cose?- provai, incerto.

Angel mi fissò per un istante, sbalordita… prima di scoppiare a ridere, la testa bruna scossa con vigore, i lunghi capelli che s’illuminavano di bagliori dorati nella luce del Sole nascente.

-Cielo, tu e lei siete fatti per stare insieme.- commentò, tornando a guardarmi, esasperata.

Mi lasciò un bacio sulla fronte, dolcemente, scostando le ciocche lunghe e spettinate dalla mia fronte.

-Basta pare mentali, okay? Vivila, vivete. Senza pensieri, per una volta.-

E le parole di Angel mi sono ancora ben chiare nella mente, cristalline e vivide come in quella limpida mattina d’estate.

Vivila. Vivete.

.

.

.

Rividi Ray soltanto quel pomeriggio, dopo averla sentita allegra ed entusiasta per telefono, a casa di William.

Non ebbi quasi il tempo di entrare; mi ritrovai travolto da un tornado biondo e da due labbra calde, morbide, che sembravano impazienti quanto le mie di perdersi ancora una volta in uno di quei baci infiniti e trasognati che avevo scoperto di apprezzare particolarmente, con lei.

La strinsi a me senza remore, passando le braccia intorno alla sua vita e sfiorando i riccioli dorati che le ricadevano sulle spalle. Avvertii il suo sorriso, sulle labbra, la lingua che birichina e maliziosa sfuggeva la mia, le dita immerse fra i miei capelli.

Ci separammo fin troppo presto, per i miei gusti, e fu un radioso sorriso ad illuminarle il volto quando la guardai.

-Ehi, che entusiasmo.- commentai, sfiorandole la guancia con la punta delle dita, sollevato; era bellissimo vederla così, dopo averla vista tanto angosciata nei giorni precedenti.

-Ho avuto il lavoro!- mi annunciò, entusiasta; ma in un solo istante vidi quelle iridi incupirsi di botto.

-Aspetta, devo fare una cosa.- si sciolse dal mio abbraccio in un istante, fiondandosi verso la sua camera e lasciandomi per l’ennesima volta con un palmo di naso; la seguii in quella stanza con un mezzo sorriso esasperato, prima di vederla dinanzi all’armadio spalancato, una serie di vestiti ammucchiati sul letto.

-Che cosa… Ray?- la chiamai, perplesso, entrando in quella stanza per la prima volta: quella camera dipingeva alla perfezione l’animo complesso e poliedrico della mia bionda, accostando alla perfezione dettagli che, per chiunque altro, avrebbero provocato soltanto caos.

Alle pareti, erano esposte tre meravigliose katane in acciaio, l’elsa in pelle nera e la lama perfettamente lucidata; poco lontano, una spada di stampo chiaramente arturiano faceva bella mostra di sé, proprio accanto ad una libreria stracolma di libri e DVD. I libri parevano riempire ogni angolo disponibile, notai; scorsi molti titoli fantasy, fra gli altri, ma altrettanti dei generi più disparati.

Alle pareti, di un bel verde chiaro, erano appesi fogli, disegni, biglietti d’aereo e di treno, cartoline; vidi un poster della band americana che tanto amava, una maschera veneziana poco distante, una collezione di bambole di porcellana ordinatamente disposta su una mensola.

La sua batteria era in un angolo, poco distante dalla finestra; l’enorme scrivania si affacciava sulla vista di Londra attraverso i vetri limpidi, un computer portatile e una miriade di penne, quaderni e moleskine impilati disordinatamente lì accanto. L’armadio, enorme, troneggiava lungo la parete di fondo, dietro il letto dalle lenzuola blu notte; ed era dinanzi a quel mobile di legno scuro – come tutto il resto dell’arredamento – che Ray era ritta in piedi, assorta e pensierosa.

-Questi li brucio. Tutti quanti.- il suo sguardo cupo e lontano si spostò sulla luce del Sole che filtrava attraverso le tende smeraldine, assorto e angosciato come speravo di non doverla vedere ancora una volta. -Io non ci torno più in quel posto.- mormorò, piano, un lampo di rabbia nel viso.

-Non avrei saputo fare scelta migliore.- commentai, muovendo un passo in quel piccolo pezzo d’universo; quello era il rifugio di Ray, ovunque c’era la sua presenza, il suo tocco, il suo profumo.

Mi sentivo bene, in quel luogo, più vicino a lei di quanto non fossi stato sino a quel momento.

La vidi serrare gli occhi per un istante, angosciata, le braccia che salivano a stringersi intorno alla vita.

-Ehi. Vieni qui, su.- scosse la testa, poco convinta, alle mie parole.

-Non è niente… adesso mi passa, non è niente.-

Inarcai un sopracciglio, scettico, quando la vidi serrare maggiormente le palpebre e stringere i pugni, il corpo attraversato da un fremito di rabbia e di dolore a stento trattenuti.

-Ray, ti sembra di essere sola in questa stanza?- commentai forse con troppo sarcasmo, rivolgendole uno sguardo ironico quando schiuse timidamente le palpebre, guardandomi come un cucciolo chiede da lontano di essere coccolato.

Sembrava non voler cedere a quello che sentiva, al bisogno che provava di essere stretta e rassicurata; aveva passato troppo tempo da sola, aveva subito troppe ferite… e aveva dimenticato che aver bisogno di qualcuno non era un reato capitale, che agognare un abbraccio non l’avrebbe resa debole agli occhi di nessuno. Non ai miei, se non altro.

Sospirai, tendendole una mano con un gesto risoluto ed un poco impaziente. -Vieni qua, per piacere.- le dissi, senza darle la possibilità di replicare al mio tono deciso, inchiodando le sue iridi nelle mie ben sapendo l’effetto che ero in grado di farle.

E la seconda volta fu quella buona, perché non più di un secondo più tardi la ritrovai stretta al mio petto, il viso affondato nella mia spalla ed un mugugno non meglio identificato come risposta.

Sorrisi, soddisfatto, passando le braccia intorno alla sua vita e stringendola a me; ecco, avrei voluto trattenerla lì per sempre. Lì, fra le mie braccia, al sicuro da tutto – e, soprattutto, con me.

-Odio quel posto. Lo odio.- la sentii mormorare, la voce spezzata da un fremito, il viso che si nascondeva nella mia spalla.

-Non ci tornerai più. È una promessa.- le sussurrai all’orecchio, accarezzandole i capelli; e avrei fatto qualsiasi cosa per impedire che quel luogo tremendo tornasse a reclamare la sua prigione, un dazio che Ray non doveva più pagare.

Restammo in silenzio, abbracciati, per un tempo che non seppi mai definire con certezza; i minuti e le ore parevano fare strani scherzi, perché ogni istante passato in sua compagnia mi sembrava allo stesso tempo eterno e brevissimo.

-Ma quanto siete carini.- alzai gli occhi al cielo, istintivamente, quando la voce divertita – gongolante – di Will risuonò nella stanza.

Il nostro abbraccio si sciolse di malavoglia, con poca convinzione, mentre io mi voltavo per soppesare il biondo. Pareva il ritratto della felicità, William; ci fissava con un sorrisone immenso ed irritante sulla faccia, orgoglioso e trionfante per la piega che aveva preso la situazione fra me e Ray.

-Will, hai mai pensato di lavorare come voce bianca?- non riuscii a trattenermi dallo scoppiare a ridere, quando alle mie spalle risuonò cristallina la minaccia non del tutto scherzosa di Ray, gli occhi di Will che sgranavano di botto.

Il biondastro si rivolse a me, guardandomi come un cucciolo ferito.

-Ecco, sei velenosa! Ben, fa’ qualcosa, è la tua ragazza, contienila!- sbottò, una nota lievemente isterica nella voce.

-Ma non ci penso neanche.- mi voltai a guardare la bionda in questione, sorridendo lievemente nel vedere l’espressione impagabile con cui stava mentalmente trucidando William.

Posai l’indice sotto il suo mento, alzandole il volto e distogliendo la sua attenzione dal biondastro; e fu una soddisfazione non indifferente vederla improvvisamente confusa, le guance che arrossivano furiosamente sotto il mio sguardo penetrante.

-Mi vai benissimo come sei.- commentai, inarcando un sopracciglio con un sorriso tronfio sulle labbra – oh, insomma, non riuscii proprio ad evitarlo: il piacere di far capitolare Ray con un solo sguardo era qualcosa di unico, di immensamente soddisfacente.

Sentii un fischio provenire dalle mie spalle, un fischio che apparteneva sicuramente al rompiballe più biondo che conoscessi.

-Qua gli zuccheri salgono…- lo sentii commentare, sarcastico e divertito; mi voltai di scatto a fulminarlo con lo sguardo, ma i suoi occhi azzurri si erano già spostati – spaventati – alle mie spalle.

-Ben, scusa un secondo.- Ray mi spinse gentilmente da parte, avanzando con aria omicida verso il biondo che già stava battendo in ritirata.

-Ehiehiehi io scherzavo!- tentò di difendersi, allarmato, arretrando verso la porta; ed un attimo più tardi erano già a corrersi dietro per casa come due bambini, due biondi completamente pazzi che ridevano divertiti sotto il mio sguardo esilarato.

-Io no! Vieni subito qua che ti picchio, Moseley!-

-Ma no, tu mi fai male, sei cattiva! Angel!-

-Ray, non lasciargli lividi, per piacere.-

.

.

.

Fu da quel giorno che iniziò la mia nuova vita: una vita con Ray, una vita che non avrei mai pensato di avere l’occasione di vivere.

Sono sempre stato una persona solitaria, poco incline a storie serie o a relazioni sentimentali; non mi sentivo portato alla vita di coppia, né tantomeno pronto a condividere la mia esistenza con un altro essere vivente.

Eppure Ray aveva minato alla base quella trista consapevolezza, quella mera rassegnazione alla solitudine, ogni punto fermo che avevo trovato nella mia vita.

Stare con lei era facile come respirare; era una ragazza forte, vulcanica, non stava mai ferma nemmeno per un secondo. Sprizzava energia da tutti i pori, non era raro vederla sfrecciare da una parte all’altra di casa, un piccolo tornado biondo che lasciava ordine alle sue spalle.

Era inevitabile fare un confronto fra lei ed Angel, tanto diverse quanto amiche; Angel era una ragazza dolce, solare, col sorriso sempre sulle labbra ed una parola buona per le persone che amava. Era impossibile non volerle bene, non apprezzare il suo atteggiamento aperto e gioioso nei confronti del mondo e della vita.

Ray invece era una donna vissuta, cresciuta e temprata dal cinismo e dal dolore; portava sulla pelle i segni indelebili che avevano ucciso il suo essere bambina e la sua fiducia nel mondo e nell’ottimismo.

Ray era una guerriera: lottava ogni giorno contro la vita che non le regalava mai niente, che la metteva alla prova in ogni istante. Combatteva strenuamente, la mia Ray, per ogni momento di serenità e di gioia che faticosamente conquistava.

Da quando aveva lasciato il lavoro da accompagnatrice era rinata, a sentire William; quel lavoro l’aveva soffocata in un mondo di tacchi alti e vestiti di lusso per troppo tempo – un mondo che non apparteneva a quella vulcanica bionda amante del rock, che le andava stretto e aveva rischiato di distruggerla.

Il nuovo lavoro le piaceva; non avrebbe potuto non piacerle.

-Ray! Il carburatore della Camaro è arrivato, sostituiscilo subito!-

-Agli ordini!-

Saperla in compagnia di sei uomini nerboruti in un’officina per auto da corsa non era per nulla confortante.

La stavo osservando da lontano, quel giorno; ero passato a prenderla per pranzare insieme, aveva quasi finito il suo turno.

Era raro che una donna venisse assunta come meccanico, per di più per auto delicate e potenti come le magnifiche creature che distinguevo nell’immensa officina; ma smontare e rimontare alla perfezione un motore di una Lamborghini (in minigonna, oltretutto!) le aveva assicurato senza ombra di dubbio quel posto di lavoro.

Certo, probabilmente anche le sue lunghe gambe avevano sortito un buon effetto, ma preferivo ignorare quel dettaglio.

La guardai mentre sfrecciava da una parte all’altra del capannone, i capelli raccolti in una coda scomposta che lasciava scoperta la nuca e le spalle forti, una canottiera nera dalla scollatura quadrata a vestirla oltre i pantaloncini di jeans.

Ero geloso, non lo nego.

Ero geloso di ogni singolo sguardo che la sfiorasse anche solo per un istante, possessivo come non pensavo di poter essere – come non ero mai stato.

-Ehi, zucchero.- il mio sguardo saettò allarmato verso un energumeno moro apparso dal cofano rialzato di una Corvette, avvicinatosi a Ray senza che me ne accorgessi in tempo.

Respirai a fondo, sentendo la gelosia agitarsi nervosamente nel mio stomaco; ma Ray mi rivolse un cenno lieve con una mano, invitandomi a non intervenire e a lasciare che se la cavasse da sola.

-Come, scusa?- chiese, il sarcasmo che venava la sua voce, alzando lo sguardo dal carburatore che stava smontando; non c’era traccia di gentilezza o dolcezza nelle sue iridi grigioblu, ma soltanto una durezza e una freddezza che avrebbero ridotto a più miti consigli praticamente chiunque.

Il ragazzone sorrise, lasciando scorrere lo sguardo sul corpo di Ray.

-Sei tutta sporca… che ne dici di toglierti quei vestiti di dosso? Rovinano il tuo bell’aspetto.- chiusi gli occhi per un istante, respirando a fondo per calmarmi; era più grosso di me, quel tizio, ma non m’interessava assolutamente niente. Sentivo pulsare la rabbia appena sotto la pelle, i pugni stretti e l’espressione più irata che mai avessi assunto nella mia vita.

-Ma sei serio, scusa?- la voce di Ray risuonava di un tono che avevo già sentito una volta: un campanello di allarme per chiunque la conoscesse almeno un poco, e che non presagiva niente di buono.

Avanzò di un passo, le mani strette sui fianchi e l’espressione fredda, decisa. -Senti, io di farti fuori non ho molta voglia. Facciamo che te ne torni al lavoro e mi stai fuori dai piedi tipo per sempre, sì?- propose, assottigliando lo sguardo su quelle sorprendenti iridi taglienti.

Ma quel tizio era tutto fuorché intelligente, e non parve cogliere l’avvertimento anche piuttosto esplicito nelle parole di Ray.

-Ma quanto siamo focose, zucchero!- ridacchiò, avvicinandosi ancora alla mia bionda.

-No, sono cattiva. Fai un altro passo e ti frantumo le palle.- la risposta rapida e gelida di Ray riuscì a far rabbrividire persino me; non avevo ancora ben chiara la consapevolezza di quanto potesse diventare pericolosa, ma già in quel momento ne ebbi una cristallina dimostrazione.

Ray era un felino, un puma che si muoveva perfettamente in quella foresta di metallo e plastica; ed era felino il suo sguardo attento, lo sguardo di un cacciatore nato, di una creatura che sapeva sguainare gli artigli e fare anche del male, se costretta a farlo.

-Io ti consiglierei di non continuare, Vince.- la voce divertita del capo di Ray spezzò quell’istante di tensione, facendo cenno alla mia bionda di raggiungermi e dando uno scappellotto al prode Vince.

Ray mi raggiunse con un sorriso, l’ombra già scomparsa dai suoi occhi, dopo essersi cambiata; sembrava assolutamente allergica ai colori chiari quali il giallo o il bianco, ma il top blu e la minigonna rigorosamente di jeans che indossava le donavano più di qualsiasi altra cosa.

-Ho faticato a non intervenire, sappilo.- le feci notare, ancora rigido, lo sguardo ancora inchiodato addosso a quel… quel… quel coso.

Lei si strinse nelle spalle, ridacchiando, arruffandomi i capelli.

-Nah, è innocuo, è da quando ho iniziato che ci prova.- inarcai un sopracciglio, risistemandomi automaticamente le ciocche spettinate; Ray aveva presto scoperto il divertimento che le dava scompigliarmi la testa, e io… io ero (e sono) troppo innamorato perché mi desse fastidio davvero.

-Dovrebbe rendermi tranquillo, la cosa?- commentai, sarcastico, mugugnando qualcosa d’indefinito quando ridendo mi baciò appena a fior di labbra, contrariato.

-So cavarmela, Ben.- mi fece notare, ironica.

-Non lo metto in dubbio.- annuii, più che certo di quella mia affermazione; le passai un braccio intorno alla vita, possessivo, lanciando un’occhiataccia a quel tale che fissava entrambi con un’espressione tutt’altro che amichevole.

-Ma se ci prova un’altra volta, non sarò in grado di restare in disparte.-

.

.

.

Ecco, se c’è una cosa che ricordo nitidamente di quelle prime settimane con Ray, quella è la sua iperattività; non esisteva quasi nessun modo per tenerla buona per più di una manciata di minuti, e l’unico che avevo scovato (anche particolarmente piacevole, bisogna dirlo) incontrava il disappunto e i commenti rompiscatole di un biondo a caso.

Per tenerlo buono – e soprattutto per divertirsi non poco – Ray gli aveva proposto di tornare ad allenarsi in palestra; una sera, per non so quale caso, ci ritrovammo tutti e quattro – strano a dirsi, perché io non sono assolutamente come Will e Ray, non passo ore in palestra ad allenarmi per il puro gusto di faticare. A meno che non ci sia da giocare a basket, o da nuotare: in quel caso faccio un’eccezione.

Disgrazia fu che Ray e Will prediligevano ben altri tipi di sport, e non per niente avevano scelto fra le decine di palestre londinesi proprio l’unica che si occupava soprattutto di…

-Will, ti ricordi come si usano queste?- un lancio preciso, e Will afferrò immediatamente la spada smussata che Ray gli aveva lanciato; Angel, al mio fianco, impallidì vistosamente e alzò gli occhi al cielo, esasperata.

-Vagamente.- fu la risposta del biondo malefico, che rigirò l’arma fra le dita con la stessa, identica scioltezza di quando ci allenavamo durante le riprese di Prince Caspian (e mi ha riempito di lividi durante quel film, sottolineamolo!).

-Eccoli che ricominciano!- borbottò infatti Angie al mio fianco, scoccando un’occhiata in fondo divertita ai due biondi; io osservavo silenzioso, senza ben sapere cosa dire.

Era la prima volta che vedevo Ray tirare di scherma; sapevo che era stata la sparring partner di William in America e che, molto probabilmente, poteva rivaleggiare con lui in quanto a bravura e tecnica.

Quello che non mi aspettavo era di ritrovarmi davanti due teste bionde con lo stesso, mefistofelico sorriso stampato in faccia.

-Ma… c’è da preoccuparsi?- chiesi a Angel, un poco allibito.

Lei ridacchiò, sedendosi accanto a me ed accoccolandosi con naturalezza nel mio abbraccio, come faceva sempre; è impossibile non provare la tentazione di coccolare Angie, piccola com’è, dolce com’è.

-Non troppo.- commentò, ma in risposta mio sguardo perplesso si limitò ad indicarmi con un cenno della testa il centro della saletta deserta, salvo noi quattro.

Will e Ray erano uno di fronte all’altro, le spade sollevate dinanzi al viso; c’era la stessa luce nei loro occhi chiari, quella luce di sfida che avevo già riconosciuto nel volto del mio amico, la stessa che vedevo animare lo sguardo di Ray davanti ad una macchina particolarmente potente.

-Ho come l’impressione che combineranno qualche disastro.- commentai, soppesandoli con una ferma preoccupazione, vedendoli saggiare le lame smussate con lo stesso, fluido movimento.

-Stai a vedere.- fu la risposta divertita di Angie, che si accomodò contro di me e incrociò le braccia sul petto, osservandoli attenta.

Tornai a guardarli, allibito.

Ray e Will si fronteggiavano, cauti, i corpi tesi e scattanti come quelli di due felini in procinto di azzannarsi; erano l’una lo specchio dell’altro, i capelli di Ray raccolti in un corto codino, quelli altrettanto biondi di William arruffati attorno al viso concentrato.

Erano immobili, le spade sorrette dalle braccia forti, le dita serrate sulle else grezze; parevano studiarsi, gli occhi chiari inchiodati gli uni negli altri, e…

T-CLANG!

Sobbalzai di scatto, allibito, quando il clangore assordante di due spade che s’incrociavano risuonò nella piccola saletta privata della palestra.

Ebbi appena il tempo di distinguere le due lame allontanarsi, prima di vedere un’assolutamente inedita danza scatenarsi a pochi metri da me e da Angel.

-Cazzo.- riuscii soltanto a commentare, stupefatto dallo spettacolo rapidissimo e brutale che mi si parava davanti.

Non avevo mai visto William impegnarsi davvero in un duello; io sono sempre stato meno abile di lui, lo riconosco, e Will non ha mai potuto dar fondo alle sua capacità, contro di me.

Ma Ray…

Sussultai, vedendola saltare di lato con uno scarto paurosamente veloce, la spada che seguiva fluidamente il movimento scattante del braccio.

Ray era un fulmine, tanto rapida da non riuscire quasi a distinguerla; si muoveva con eleganza e scioltezza, la lama d’acciaio che pareva fondersi con la sua mano sinistra, il corpo che ne seguiva ogni singolo movimento.

Era perfettamente in sintonia con quell’arma, esattamente come avevo sempre visto William.

Il biondo sferrò un colpo tremendo, in direzione del fianco momentaneamente scoperto di Ray; fui sul punto di avvertirla, d’intervenire, di urlarle di stare attenta alla spada che calava inesorabile contro di lei…

CLANG!

Will non fece quasi in tempo ad accorgersi della parata impossibile della mia bionda, perché Ray già stava per scagliarsi ancora verso di lui; le spade s’incrociarono di nuovo, prima che i due balzassero l’uno lontano dall’altra – per un istante soltanto, prima che si scagliassero nuovamente addosso.

Ero perfettamente conscio di essere rimasto a guardarli a bocca aperta, allibito, sconvolto da tanta violenza ma – soprattutto – da tanta bravura.

Improvvisamente, Ray barcollò e perse l’equilibrio; la vidi cadere nello stesso attimo in cui Will, trionfante, sferrò l’ennesima stoccata, questa volta diretta precisamente contro la mano che sorreggeva l’arma.

Ray parò per un pelo, puntellandosi sul braccio libero e ruotando repentinamente la spada, scagliando per pochi attimi fondamentali quella di Will lontano da sé.

Ebbi solo il tempo di vedere l’espressione del biondastro sgranare, prima che un poco gentile calcio negli stinchi non facesse crollare a terra anche lui.

-Non vale questo!-

-Sì che vale!-

Finirono prevedibilmente a rotolarsi come due bambini sul tappeto gommato, i capelli biondi tutti arruffati e le guance rosse per lo sforzo.

-Ho vinto io.- affermò Will, sicuro, ridacchiando e fermandosi lungo disteso accanto a Ray.

-Certo, nei tuoi sogni.- ribatté lei, il seno che si alzava e si abbassava velocemente, il respiro corto e affannato.

Voltò il viso verso di me, ansimante ma sorridente, lasciandosi sfuggire una risata quando distinse la mia espressione scioccata.

-Tutto okay?- mi chiese, non senza una punta di sadismo, sul volto il medesimo ghigno sprezzante del biondastro al suo fianco.

-A parte il fatto che mi farete venire un infarto…?- replicai, sconcertato.

-Non facevano sul serio.- sentii mugugnare Angie, al mio fianco.

Mi sorprese, la sua voce: se fino a pochi istanti prima era stata allegra e serena, come sempre, adesso scrutava Ray con un cipiglio di disapprovazione mista a sincera preoccupazione. Avrei presto capito – e condiviso, soprattutto – la visione di Angel su quegli scontri, sullo sforzo che Ray aveva appena fatto.

E in effetti, la vidi faticare più di William per alzarsi in piedi, dovette puntellarsi sulla spada per reggersi sulle gambe; sul momento non ci feci troppo caso, la sua espressione era serena e lo sguardo che rivolse all’amica fu caldo e rassicurante.

Non era ancora giunto il momento del dolore e dell’angoscia per tutti quanti noi, per me, per Ray; in quell’istante, nulla sembrava potesse andare storto.

Sorrisi, accogliendo Ray fra le braccia quando vi si lanciò con forza, facendo rovinare entrambi a terra scossi dalle risate.

Non c’era altro che avrei desiderato, in quel momento: c’ero io, c’era Ray, c’erano i nostri amici.

Era soltanto l’inizio, l’inizio di un’estate magnifica e di una vita del tutto nuova: la mia vita con Ray, la nostra vita.

Insieme.

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My Space:
Urca, non aggiorno dall'anno scorso O___O
chiedo veniaaaaaaaaaaaaaa ç___ç
Ho aggiornato tutte le fic, sono brava, ora... ora cercherò di non aspettare un altro mese e mezzo per riprendere le pubblicazioni ^^''' a mio discapito posso dire che sono malata, ho due genitori malati, un negozio da portare avanti e una quinta superiore da finire...... ^^''''
Spero che il capitolo (corposo pure, son 23 pagine O_O) vi sia piaciuto!
Io come al solito esagero quando si parla di questi due, son troppo carini, mi piacciono tanto, sono dolciosi *-*
E no, per chi se lo chiedesse, non consumeranno prima di almeno un paio di capitoli U___U è una novità assoluta nelle mie fic, lo so, però per stavolta ho deciso così: almeno 5 capitoli senza sesso U__U
Mi raccomando, preparate le verdure da lanciarmi, sono qua pronta con un bel cestino per raccoglierle xD (non si butta mai via nulla!)
Un bacione,
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love you all,
B.

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Capitolo 5
*** 5. ***


cap 5 std
Seize The Day

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I giorni volavano via rapidi, assieme a Ray: con lei il tempo pareva non avere concretezza, perché nel sapore di ogni bacio e nel profumo di ogni abbraccio sentivo di perdermi, di smarrirmi in una fragrante e meravigliosa eternità da cui non sarei mai voluto riemergere.

Era passato più di un mese, ormai: un mese in cui ero arrivato alla conclusione di non aver mai vissuto realmente, non prima di conoscere la sensazione di completezza e serenità di cui Ray riempiva le mie giornate.

Quella sera, il temporale infuriava come spesso accadeva a Londra durante l'estate; Ray, con Will, non era ancora rientrata.

Avevamo in programma una serata tranquilla, noi quattro, al posto della cena che avevo organizzato in un locale appartato appena fuori Londra – idea che la pioggia londinese aveva simpaticamente mandato all’aria, ovviamente.

Will mi prendeva in giro per come mi mostravo accorto e romantico nei confronti di Ray, ma non osava invece farlo nei confronti della mia bionda, perché Ray aveva preso l’ottima abitudine di picchiarlo ad ogni commento malizioso – e i pugni di quell’infida donna dagli occhi celesti facevano male, Will lo sapeva decisamente molto bene.

I due biondi di famiglia erano in palestra, come tutte le sere: Angel ed io li stavamo aspettando a casa di William, chiacchierando del più e del meno.

Quando sentii la porta aprirsi, istintivamente, sorrisi: Angie era in braccio a me, e la sentii sussultare non appena avvertì il suono della voce di Will, appena entrato in salone.

-A vedervi così potrei anche ricominciare dubitare che siate stati insieme solo per far ingelosire me.-

Quella frase sarcastica, detta con un fondo di gelosia, riuscì a gelarmi esattamente lì dov’ero.

Ai tempi di Prince Caspian, quando Will e Angel si rincorrevano ancora senza nessun risultato fruttuoso, il biondastro fece l’immane idiozia di invaghirsi di Katie, una sua vecchia fiamma mai del tutto dimenticata; Angel ne soffrì parecchio, penso che non riuscirò mai a dimenticare i suoi occhioni tanto sofferenti, tanto vuoti…

Successe qualcosa, in quel periodo, fra me ed Angie.

Un qualcosa che ancora oggi non saprei bene come definire, un qualcosa che ci avvicinò come non avrei creduto possibile: non fu esattamente una relazione, una storia, ma… in quel momento entrambi avevamo bisogno di sostegno, di affetto, di sicurezza – sentimenti che riuscimmo a trovare l’uno nell’altro, sentimenti che ancora oggi ci legano.

Ma che, in quel momento, scambiammo per qualcos’altro.

Mi voltai di scatto verso i due biondi appena entrati, focalizzando immediatamente la mia attenzione su Ray: sospettavo non le avrebbe fatto piacere saperlo, non avevo ancora avuto occasione di parlargliene, ma…

Sentii un brivido che nulla aveva di piacevole scorrere lungo la mia schiena quando distinsi la sua espressione attonita e pericolosamente interrogativa.

-…cioè?- chiese, piano, rivolgendosi a Will – che non si era minimamente reso conto del disastro che aveva appena combinato, oltretutto.

-Will, smettila!- Angie gli rivolse un’occhiataccia quando vide la smorfia che il biondo rivolse a Ray, sempre più pallida e dallo sguardo sempre più sottile.

Ma Will scosse la testa, scoccando uno sguardo seccato e palesemente geloso a me e ad Angel, ancora seduta sulle mie ginocchia. Era una cosa che Angel faceva sempre anche con Ray! , che aveva sempre fatto: cercava in continuazione il contatto fisico con gli altri, ne aveva bisogno – e William lo sapeva benissimo, per di più.

Ma Will è una persona impulsiva, gelosa e possessiva: ogni tanto, troppo spesso per i miei gusti, dimentica di avere un cervello e parla soltanto con la voce dell’istinto, causando non so quanti guai a tutti coloro che ha intorno.

-No, ma vi siete visti?- ci fece notare, ma prima che potessi rispondergli con qualcosa di adeguato – ad esempio, un bel vaffanculo ci sarebbe stato divinamente –, Ray lo interruppe e si rivolse a me.

-Siete stati insieme?- mi chiese, con una nota pericolosamente calma nella voce che riuscì a farmi accapponare la pelle.

Angel si alzò immediatamente, avvicinandosi di qualche passo a lei con fare conciliante: lei aveva un effetto calmante, sulla mia bionda, riusciva quasi sempre a farla ragionare… di solito.

-Ray…- cominciò, ma Ray si ritrasse di scatto, sfuggente come un micio.

Vidi il suo viso nascondersi nella penombra del salone, i capelli biondi velarle le guance arrossate dall’aria fredda. Era vestita come chiunque dopo la palestra, con un paio di pantaloncini e una maglietta comoda inumidita dalla pioggia:era bella, come sempre, ma la sua figura mi trasmise, in quel momento, un senso di vuoto e di fragilità che non mi piacque proprio per niente.

-Vado a fare un giro.- annunciò, voltandosi di scatto, e gli scarponcini slittarono sul parquet lucido quando si diresse, col suo solito passo sicuro, verso l’ingresso.

Angel sospirò, spazientita, seguendola; e le seguimmo anche Will ed io, dopo esserci scambiati un’occhiata allibita e preoccupata.

-Ray, aspetta!-

Ma, quando Ray si voltò e alzò gli occhi verso Angel, il suo sguardo fu tanto duro da raggelare anche me.

Distinsi Angie irrigidirsi, rimanere lì dov’era quando quelle iridi di ghiaccio si spostarono su di lei: c’erano lacrime, nascoste oltre il velo di rabbia repressa che vedevo rilucere in quell’occhiataccia, lacrime che mi ferirono più di quanto avrei potuto immaginare.

-Potevi dirmelo, Angel. Potevi dirmelo prima. Tu avresti voluto saperlo, al mio posto.- sillabò soltanto, la voce ridotta ad un flebile sussurro, prima di spalancare con violenza la porta di casa e richiuderla con pari furia dietro di sé, lasciandoci tutti e tre con un palmo di naso.

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-Sei un coglione!-

Angel non urla mai. Non le piace, non è da lei, è una persona troppo posata per farlo; ma, in quell’occasione, tirò fuori una voce da soprano che non avrei mai sospettato potesse avere.

Will, con l’espressione da cane bastonato e i capelli biondi ancora umidi di pioggia, chinò lo sguardo, colpevole.

-Angel…- cominciò, tirando indietro i crini dorati e alzando timidamente gli occhi, sperando di rabbonirla.

-No, “Angel” un cazzo!-

William sobbalzò ed io con lui: non era decisamente da Angel strillare a quel modo e, soprattutto, arrivare quasi a piangere dalla rabbia, i capelli solitamente lisci arruffati, i piccoli pugni serrati.

-Sei un cretino, guarda che disastro hai combinato, e per cosa? Perché sei geloso di qualcosa che non esiste nemmeno!?- calcò volutamente su quella parola, sillabandola con una calma furia che spaventò anche me: vedere Will ed Angie litigare non è una cosa da tutti i giorni e sentivo che sarebbe stato meglio non intervenire, rimanendo in disparte a macerarmi nella preoccupazione e nel senso di colpa.

-Angie, mi dispiace…- per un istante, solo per un istante, temetti che Angel gli avrebbe tirato un pugno: stava letteralmente tremando, infuriata, gli occhi scuri fissi su Will.

-Vallo a dire a Ray! È lei che c’è rimasta male e ha ragione, io al suo posto ho voluto sapere tutto quello che vi aveva avvicinati in quei mesi in America!- sbottò, nervosa, voltandosi repentinamente verso l’altro capo del salone e cominciando a percorrerne lo spazio rapidamente, troppo arrabbiata per restare ferma.

-Non so nemmeno dov’è andata, come faccio!- fu la risposta esasperata di Will, prima che un’ennesima occhiataccia lo riducesse nuovamente al suo pentito silenzio.

Ray era uscita a piedi, senza nemmeno prendere con sé le chiavi dell’auto: eppure fuori continuava a piovere, a piovere come se il cielo in tempesta riflettesse la furia che vibrava fra le pareti di quell’appartamento.

Non potevo pensarci, non riuscivo ad accettare il pensiero che Ray fosse là fuori, arrabbiata, furiosa, ferita da… dalle uniche persone su cui faceva affidamento. Dalle uniche persone su cui poteva contare.

Da me.

-La vado a cercare io.- annunciai, con una voce rauca e fredda che sorprese anche me: mi alzai, afferrando bruscamente la mia felpa, resistendo alla fortissima tentazione di tirare un cazzotto in faccia a William: gli rivolsi però un’occhiata di fuoco – detestandolo, in quel momento, per tutto il casino che era riuscito a combinare.

-E comunque grazie, Will: sei sempre un amico.- sbottai, irato, prima di sparire e lasciarlo alle prese con tutta la giustissima rabbia di Angel.

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Sotto la pioggia Londra diventa quasi impossibile da riconoscere: tutto è sfocato, reso indefinito dal buio fitto delle nubi e delle strade, e le luci fioche dei lampioni si confondono nelle fitte gocce che cadono dal cielo.

Impiegai più di mezz’ora per trovare Ray: ero bagnato fradicio, i capelli continuavano ad appiccicarmisi in faccia, l’aria era fredda e pungente, ma non m’interessava. Volevo soltanto trovare Ray, convincerla a tornare a casa, chiederle scusa.

Quando finalmente riuscii a distinguerla in quella pioggia incessante, in mezzo ad una Piccadilly Circus insolitamente tranquilla, erano quasi le dieci di sera: camminava rapida e spedita, nonostante la pelle d’oca sulle gambe scoperte e i pugni stretti, i riccioli fradici attaccati alla schiena.

-Ray!- la chiamai, sollevato, vedendola però irrigidirsi quando riconobbe la mia voce: non si voltò nemmeno quando mi sentì arrivare, continuando semplicemente a muoversi.

-Nessuno ti ha chiesto di seguirmi.- fu una pugnalata il suo tono di voce, una pugnalata in pieno petto, fredda e tagliente quanto le sue parole.

-Quello che ha detto Will__- cominciai, ignorando la rispostaccia: ma Ray m’interruppe, testarda, scuotendo con forza la testa bionda.

-Lascia perdere. Non importa, non fa niente.- quasi ringhiò, quelle parole, con una veemenza che non mi stupì proprio del tutto; per poi aggiungere, con un’irriconoscibile cortesia, una seconda frase: -Vorrei restare da sola.-

La ignorai di nuovo, più zuccone di lei, riuscendo a prenderla per un braccio e fermando finalmente la sua rapida camminata.

-Ray, io ed Angie__- tentai di nuovo, ma le parole mi morironoin gola quando Ray si voltò repentinamente verso di me, colma di una rabbia trattenuta a stento.

-Ti ho detto di lasciar perdere!- sbottò, prima di sgranare gli occhi e distogliere repentinamente lo sguardo da me, piccata.

-Ray, sei gelosa.- le feci notare, inarcando un sopracciglio: dopotutto era una reazione comprensibile, non c'era motivo di nascondersi in quel modo...

-Sono affari miei!- mugugnò, stringendo le braccia sul ventre, irata. -È affar mio se sono gelosa, d’accordo? Non ne ho motivo, non è una cosa razionale, quindi lascia perdere!-

-Guarda che non c’è niente di male.- le feci notare, senza riuscire a trattenere una punta di sarcasmo: se io ero geloso persino dell’aria che respirava come poteva, lei, non esserlo di qualcuno che tanto era vicino a me?

Rimase in silenzio, dopo le mie parole, sempre senza rivolgermi neanche un’occhiata: fra noi, soltanto il rumoroso scrosciare della pioggia.

-Potevi dirmelo. Potevate dirmelo.- mormorò, piano, la furia repentinamente sostituita da una tristezza immensa.

-Ray…-

-No, “Ray” un corno. Potevi dirmelo. Non me la sarei presa così, lo avrei accettato, non sono una stupida!-

Aveva ragione, in fondo. Avrei dovuto dirglielo prima, avrei dovuto parlargliene, anche solo per correttezza nei suoi confronti e in quelli di Angel.

Sospirai, tirando indietro i capelli bagnati dalla fronte, rivolgendole uno sguardo un poco esasperato e carico di senso di colpa.

-Ray, Angel mi piaceva, non te lo nego, ma… non c'era niente di più. Le voglio bene come a una sorella, c'è sempre stato soltanto affetto fra me e lei.- spiegai, a disagio, ricordando per un istante tutto ciò che era successo durante quei lunghi mesi in Nuova Zelanda.

A quei tempi parte di me aveva sperato di poter costruire qualcosa, con Angie: la rivalità fra me e William, per lei, era durata sino a che non mi ero reso conto di quanto il mio fosse soltanto un immenso affetto.

-Non è questo il punto, non m’interessa quello che avete fatto, non vi conoscevo neppure!- sbottò, serrando i pugni e guardandomi con gli occhi pieni di rabbia e di frustrazione. -Non me lo avete detto, né voi né Will. Vi siete tenuti tutto per voi, tanto per non farmi sentire ancora più emarginata, vero?- quelle parole esasperate, urlate con la forza del pianto che vedevo lottare per mischiarsi alla pioggia sulle sue guance, furono delle pugnalate in pieno petto.

Ray si voltò di scatto, nascondendo dietro i boccoli fradici il dolore che si era propagato sin troppo facilmente in quegli occhi tanto espressivi.

-Tanto per non ricordarmi che la straniera sono sempre io.- la sentii sussurrare, nella voce un abbandono che mi spaventò più di tutto il resto.

Non avevo davvero realizzato quanto Ray si sentisse sola, quanto non appartenesse a quella città che, per me, era semplicemente la mia casa: non avevo capito quanto le facessero male i ricordi di cui spesso parlavamo io, Will ed Angel... ricordi da cui lei era irrimediabilmente esclusa, ricordi di cui lei non avrebbe mai fatto parte ricordi che riportavamo a galla con affetto e volentieri.

Non ero mai riuscito a vedere tutta l’angoscia di Ray, in quei momenti: non mi ero accorto dei suoi repentini silenzi, dell’assenza della sua voce energica da quegli scherzi e da quelle reminiscenze.

Non avevo mai capito quanto le facesse male, sentirsi esclusa da noi – noi, che eravamo le uniche persone che aveva.

Ray è una creatura delicata, sebbene non lo dia a vedere: è rimasta sola per tantissimo tempo, con l’unica compagnia del dolore e del lutto… ed io non avevo compreso, non del tutto, quanto difficile fosse stato per lei abbandonare la sua solitudine, in America, per costringersi a vivere in un luogo che non le apparteneva.

Ray non era a casa.

Solo in quel momento mi resi conto di quanto poco sapessi di lei: non avevo idea di ciò che aveva passato nella vita, del dolore che le aveva portato via tutto – gli amici, la famiglia, l’amore… tutto.

Rimasi a guardarla allibito, sorpreso, dandomi dell’idiota quando compresi quanto avessi sbagliato nei suoi confronti: era infinitamente fragile, lo avevo visto ma non ero stato attento a ciò che avevo detto e fatto… ed ero riuscito a ferirla.

Sebbene fosse l’ultima cosa che desiderassi, ero riuscito a ferire la mia Ray.

-Te lo sto dicendo adesso.- mormorai, piano, ma lei sbuffò e si strinse nelle spalle, tirando su col naso e racchiudendosi fra le proprie braccia, sfregando le dita sulla pelle bagnata e infreddolita.

-È un po’ tardi.- mormorò, sarcastica.

Sì, era tardi. Era tardi per dirle la verità: avevo aspettato anche troppo tempo.

-Ray, ti amo.-

Il silenzio che calò improvvisamente fra me e lei fu rotto soltanto dalla pioggia che continuava a scrosciare su Londra, rendendo tutto ciò che ci circondava sfocato e indefinito, come in un sogno.

Ti amo.

Quelle parole mi erano uscite senza nemmeno una remora, senza nemmeno una paura: parole che io non avevo mai pronunciato nella mia vita e in cui, prima di lei, non avevo mai creduto parole vere, parole che rimbombavano con forza nel mio petto e fra i miei pensieri.

Ti amo.

Due stupide parole oramai prive di significato che, però, riuscivano a racchiudere il tornado e la bufera che Ray aveva portato nella mia vita.

Rimase lì, scioccata, con gli occhi blu inchiodati su di me, le labbra appena schiuse e la pioggia che riempiva di piccoli diamanti le sue folte ciglia scure.

-Come?- balbettò, il corpo scosso da un brivido, quello sguardo attonito e sbalordito che mi osservava come non aveva mai fatto prima d’allora.

Mi guardava come se non mi avesse mai visto, come se m’incontrasse per la prima volta nella sua vita.

Mi guardava con l’aspetto di un cucciolo spaventato, tremante, bisognoso soltanto di quell’amore che avevo appena ammesso ad alta voce – con me stesso e con lei.

Annuii, il petto che ruggiva la sua approvazione a quella determinazione che si era risvegliata dentro di me, avvicinandomi a lei con decisione e prendendola per le spalle, ritrovandomi ad una manciata di respiri dal suo volto esterrefatto.

-Hai sentito benissimo. Ti amo. Ti amo da quella sera in quel maledetto locale, ti amo da quando mi hai dato quella rispostaccia, da quando ti ho baciata per la prima volta.-

Vedevo le lacrime di Ray fare capolino dalle sue iridi chiare, lottare per raggiungere la pioggia.

-Lo sai che non l’ho mai detto? Lo sai che non ho mai provato nulla del genere, per nessun’altra?- tremò, sotto le mie mani, sotto i miei occhi neri e sotto le gocce che si facevano a ogni istante più intense, riempiendo il silenzio fra le mie parole e le mie frasi.

-Non è stato per cattiveria che non ti ho detto niente, d’accordo? Non ci ho solo pensato, perché è una cosa che appartiene a un’altra vita, a un altro me.-

Un altro Ben, un Ben che non aveva imparato ad amare, un Ben che non aveva idea di quanto sarebbe arrivato a tenere a lei.

La mia voce e il mio sguardo si raddolcirono quando vidi la prima lacrima solcare, solitaria, la pelle bianca di Ray.

Alzai con delicatezza due dita, percorrendo il percorso di quell’unica lacrima e riempiendomi lentamente il palmo di quella guancia fresca e soffice, umida – perfetta, nella mia mano, creata apposta per combaciarvi e nascondervicisi.

Mi avvicinai di alcuni centimetri a lei, finché quegli occhi non furono tutto ciò che riuscii a vedere.

Il mio mondo.

La mia Ray.

-Non mi lasciare, Ray. Non andare via.- sussurrai, piano – nero contro blu, carbone contro oceano.

E Ray scosse la testa, gli occhi chiusi per trattenere le lacrime, le mani che salivano a racchiudersi le braccia in una stretta solitaria, tremante, le spalle che sussultavano.

-Scusa.- sussurrò, la voce rotta come non mai.

Non ero abituato a sentirla piangere, non ero abituato a vederla così debole: Ray era forte, era forse la creatura più forte che conoscessi, ma… ma io sapevo benissimo cosa celava, conoscevo la creatura fragile che tanto bene si nascondeva dietro la facciata.

Scostai un boccolo biondo dalla sua fronte, sentendo il calore del suo corpo raggiungermi nonostante lo spazio che ancora ci divideva. Ray è calda, è sempre stata calda, un fuoco fatuo e meraviglioso che è arrivata ad illuminare la mia strada.

-Non dovevo arrabbiarmi… è che mi sento sempre lontana da tutto, tu ed Angie vi conoscete da tanto, e con Will anche, e tutti gli altri, mentre io…  io sono sempre stata sola…- quella confessione le pesava, riuscivo a capirlo: la vedevo soffrire sotto lo sgravo di quelle parole, della consapevolezza di non aver mai avuto nessuno, di aver perso tutto ciò a cui teneva realmente nella vita.

Ray aveva dovuto affrontare il mondo a soli sedici anni, senza qualcuno a cui appoggiarsi e su cui fare affidamento: ma poi aveva incontrato William, un William che per primo le aveva offerto amicizia, affetto, sicurezza – quella stessa sicurezza che ora le veniva a mancare mentre i suoi pilastri cedevano uno dopo l'altro.

Perché i suoi pilastri erano stati Will ed Angel, la sua sicurezza era la loro amicizia, il potersi fidare ciecamente di loro senza il timore di sentirsi, ancora una volta, un’emarginata, era stata la sua forza.

E, soprattutto, perché uno di quei pilastri ero io.

-Ray, non piangere. Ti prego, non piangere.-

-Io ho paura… Will è stata la prima persona ad essermi amica dopo troppo tempo, dopo troppo male, quando non avevo nemmeno una madre o un padre accanto… ma alla fine se n’è andato anche lui, e non…- chinò il capo, le gocce di pioggia che scivolavano lungo i suoi capelli: sconfitta, spaventata, tremante, finalmente si appoggiò a me, premendo la fronte sul mio petto e cercando – forse inconsciamente – la vicinanza del mio corpo, delle mie braccia.

-Tu non mi lasciare…-

Quel sussurro si perse negli scrosci rabbiosi del temporale, nei tuoni che si rincorrevano nel cielo buio e denso di tempesta; ma riuscii a coglierlo comunque, quando immersi le dita fra i suoi capelli e la costrinsi, con dolcezza, a guardarmi.

Socchiusi gli occhi, il suo viso vicino al mio, la fronte premuta contro la sua: come poteva anche solo pensare che potessi lasciarla lì, che potessi allontanarmi da lei in qualsiasi modo possibile?

Io la amavo. La amo tuttora, ancora di più, sempre di più.

Ray non è perfetta, non è la donna più bella del mondo, non è una principessa ed io non sono il suo principe: è una ragazza magari non ordinaria, ecco, ma… è la mia donna. È la donna che io amo, che io voglio accanto e, tutto questo, la rende la persona perfetta per me.

Solo per me.

-Io non vado da nessuna parte. Sono qui con te, no?- mormorai, piano, sentendo il suo profumo mischiarsi a quello della pioggia.

-Restaci.- Ray spalancò di botto gli occhi, nelle iridi una supplica che non avrei mai pensato di vedere in una persona orgogliosa quanto lei: ma sembrava pronta a rinunciare anche a se stessa, al suo amor proprio, alla sua fermezza, pur di non perdere me. -Per… per favore. Ti prego. Senza di te io non ce la faccio…-

Ma la sua voce morì sulla soglia di un bacio, un bacio che cancellò ogni insicurezza e la portò via con sé, scivolando via sulla nostra pelle assieme alle lacrime del cielo.

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§

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-È tutto in ordine, niente esplosioni nucleari.- il commento sussurrato di Ray mi strappò una risata sommessa quando, silenziosamente rientrammo in casa.

Tutte le luci erano spente e di Will e di Angel non c’era nessuna traccia: probabilmente fra loro non era del tutto risolta, la questione… era più probabile che fossero giunti ad un armistizio, ad una pace passeggera; ma, conoscendo Angie, sapevo che il comportamento di Will era riuscito a ferirla più profondamente di quanto non avesse dato a vedere.

-Perlomeno.- fu la mia risposta e, per precauzione, affinai l’udito per cogliere un qualsiasi tipo di suono compromettente o potenzialmente preoccupante; Ray fece lo stesso, confermando l’opinione di William su noi due: in fondo, eravamo davvero due inguaribili ficcanaso.

Tirò su col naso, ridacchiando e stringendosi un poco di più contro di me.

-Devo chiedere scusa ad Angie. Non dovevo prendermela con lei.- mormorò, rabbrividendo di freddo fra le mie braccia, spingendomi a stringerla maggiormente contro il mio torace.

La portai con me in salotto, fisicamente incapace di separarmi da lei: ammettere ciò che provavo nei suoi confronti mi aveva denudato di tutte le mie difese, lasciandomi soltanto con l’estremo bisogno di averla vicina e di amarla, amarla come mai avevo amato nella mia vita.

Si accoccolò fra i cuscini soffici quando mi distesi sul divano e la trascinai al mio fianco: si accucciò contro al mio stomaco, intrecciando le gambe alle mie e respirando delicatamente sulla mia spalla, le dita leggere che accarezzavano il mio petto.

Le sfiorai i capelli, giocherellando con un ricciolo ed arrotolandolo sulle dita, saggiandone la morbidezza.

Fra me e lei era calato un silenzio quieto, una pace leggera e fragrante che sapeva di una ritrovata serenità. Quella discussione mi aveva spaventato più di quanto avessi potuto immaginare: gli occhi duri e feriti di Ray non si sarebbero schiodati facilmente dai miei pensieri, e il senso di colpa sarebbe a lungo rimasto dentro di me.

Ma Ray era di nuovo lì, fra le mie braccia, il corpo soffice che si rilassava lentamente a contatto col mio. Era lì, con me, e quella era l’unica cosa che davvero m’importava.

Abbassai lo sguardo dopo un’eternità, quando la sentii respirare più profondamente, e sorrisi, distinguendo i suoi occhioni chiusi e la sua espressione rilassata.

Si era addormentata.

La strinsi contro di me, sfiorandole la spalla con la punta delle dita per poi baciarla in fronte: sembrava ancora così fragile, ai miei occhi… di una fragilità estrema e struggente, come splendido cristallo.

Socchiusi le palpebre, avvertendo una vaga sonnolenza rendere le mie palpebre terribilmente pesanti: l’adrenalina stava scemando, la sicurezza di avere Ray fra le braccia chetava anche il senso di colpa.

Ero sul punto di addormentarmi, di seguirla nel mondo dei sogni, ma udii comunque le parole calde e dolci che infransero quel silenzio, mentre le preoccupazioni morivano nel buio della notte e nei tuoni del cielo.

-Ti amo anch’io.-

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My Space:
Sono viva, sapete? xD
Lo dico ormai in tutti i miei spazietti deliranti alla fine di ogni capitolo... ma va beh ^^'
Vado subito al sodo, e domani (se riesco ^^') risponderò alle recensioni con tutta calma ^^ Oppure riesco anche ora, boh, vediamo, è l'una di notte ^^'
Allora: la questione Ben/Angel io l'ho appena accennata, perché non è compito e piacere mio descriverla nei dettagli. E' un'altra storia, come si dice. :)
Per Ray, invece... Ray s'è arrabbiata non tanto per quello che è stato fra Ben e Angel, ma per come si è sentita lei: si è sentita esclusa, allontanata dai suoi amici e dal suo ragazzo, si è sentita di nuovo sola, una sensazione che ben conosce e che le fa paura. Si è sentita lontana ed emarginata dalle uniche persone su cui può contare, e questo le ha fatto male. Non è un comportamento razionale: è un comportamento umano, molto umano, molto... da Ray.
Ecco, ora vado, che è meglio xD
E... ho superato il termine dei cinque capitoli di astinenza! :D.
love you all,
B.

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Capitolo 6
*** 6. ***


Seize The Day
(Cogli l'attimo)


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Quella discussione lasciò molti più strascichi di quanto avessi mai potuto pensare, tanto in Ray quanto – soprattutto – in Angel.

La mia piccoletta, il mattino dopo, si era comportata come sempre: era stata dolce con me, aveva sorriso alle mille scuse angosciate di Ray, ma non l’avevo vista con William; si era alzata per prima, svegliando noi due ancora abbracciati sul divano, prima di uscire da casa indossando i suoi inconfondibili abiti da cavallerizza.

Angel ha sempre amato l’equitazione, la sensazione di libertà che si può provare soltanto sulla groppa di un cavallo; è la sua via di fuga, il modo in cui fugge dal mondo quando tutto diventa troppo pesante per essere sopportato.

L’atteggiamento di Will le aveva fatto del male, l’aveva ferita più profondamente di quanto avessi potuto pensare; quello stesso pomeriggio era venuta da me e avevamo passato diverse ore a parlare, mentre Ray – dando prova di aver detto la verità, di non essere gelosa del rapporto fra me ed Angie – aveva inventato una qualche commissione da compiere ed era sparita per le vie di Londra.

La mia bionda tenne il muso a William per giorni, rivolgendogli a malapena la parola quando lo incrociava nei corridoi dell’appartamento che dividevano; fra il lavoro e me, passò davvero poco tempo in casa nelle settimane che seguirono, scatenando una reazione a dir poco esagerata in quel solito irascibile del mio migliore amico.

Pian piano le cose si sistemarono, tornando a una quieta normalità che tutti quanti agognavamo più di quanto potessi pensare; ma la vera tempesta presto si sarebbe abbattuta su tutti e quattro, perché soltanto io avevo scorto una luce strana nelle iridi azzurre di quello che non può essere definito altrimenti che un imbecille.

-Ben, mi togli una curiosità?-

Erano passate diverse settimane da quella notte, rimasta ormai soltanto un confuso ricordo bagnato di pioggia; Ray ed io, stranamente, eravamo a casa di William mentre lui e Angie non c’erano, distesi sul suo letto e abbracciati, i riccioli dorati che mi oscuravano la vista.

Il desiderio che provavo per lei non aveva fatto che accentuarsi, in quei giorni; sempre più a fatica riuscivo a nascondere il violento languore che mi agitava nel guardarla, gli occhi traditori che scendevano a disegnare avidi i contorni torniti del suo corpo.

Dopotutto, sono un uomo anch’io; e come uomo sentivo il bisogno fisico di amarla, di prendere per me quelle curve invitanti che non riuscivo più tanto facilmente ad ignorare.

Avevo deciso di aspettare, di aspettare sino a che Ray non si fosse sentita pronta per me; ma quell’attesa stava diventando snervante, e la mia maledetta immaginazione aveva reso insonne più di una notte nel pensiero continuo di come sarebbe stato fare l’amore con lei.

-Se posso.- incuriosito, la guardai alzare gli occhi blu su di me, guardandomi dal basso verso l’alto, le guance appena più rosse e un velo d’imbarazzo sulle iridi chiare.

Era ben stretta fra le mie braccia, i capelli che riempivano la mia visuale e il suo profumo che inebriava i miei sensi; faticavo davvero a mantenermi concentrato, a mantenere il controllo su me stesso.

Davvero.

-Insomma…c’è qualcosa che non va?- aggrottai appena le sopracciglia a quelle parole, senza capire a cosa si stesse riferendo.

C’era qualcosa che non andava?

A parte i freni tremendi che io stesso mi ero imposto nel mio desiderio…

-Stiamo insieme da due mesi, no?- sorrisi, nel sentirle pronunciare quelle poche parole che, per me, avevano un significato immenso.

Stiamo insieme.

Sì, stavamo insieme. I primi due mesi più belli della mia vita.

-Direi proprio di sì.- risposi, seguendola con lo sguardo mentre si scostava appena da me, stendendosi a pancia in giù al mio fianco e guardandomi con una luce splendida negli occhi, le labbra mordicchiate dai denti candidi.

-E non hai mai… cioè.- arrossì ancor più furiosamente, passandosi le dita bianche fra i capelli. Mi alzai sui gomiti, avvicinandomi appena di più a lei, una lenta comprensione che si faceva strada nella mia mente.

-Non ho mai…?- mormorai, piano, accostandomi a lei suadente come un gatto.

Socchiuse gli occhi quando immersi il viso nella sua gola, baciando la sua pelle soffice con delicatezza, suggendola come un frutto prelibato e irresistibile.

La sentii rabbrividire, quando una scia di piccoli segni rossi comparve sulla sua carnagione candida; serrò il copriletto fra le dita, reclinò appena indietro la testa per permettermi di avere più spazio, per darmi la possibilità di affogare nel suo profumo fino a perdermici completamente.

-Non ho mai fatto questo?- le chiesi, la voce arrochita dal desiderio che sentivo pulsare sempre più prepotentemente nel sangue.

Lasciai scivolare un ginocchio fra le sue gambe tremanti; si schiusero subito per me, al mio tocco, concedendomi di avvicinarmi al suo corpo come mai avevo osato prima di quel momento.

Scesi appena, il respiro che indugiava sulla scollatura quadrata della sua maglietta, accarezzando il solco di quel seno bianco che, in quel momento, desideravo sfiorare più d’ogni altra cosa.

Scostai con delicatezza l’orlo della canottiera, posando il palmo della mano sul suo ventre soffice; bastò sentire i suoi muscoli contrarsi repentinamente, il suo corpo reagire a me, per mandarmi completamente nel pallone.

-O questo…?- aggiunsi, piano, alzando il viso per guardarla negli occhi; ma le mie dita agivano di volontà propria, scendendo a costeggiare l’orlo dei pantaloncini di jeans che indossava, provocandola apposta.

Ray aprì gli occhi, respirando a fatica, incontrando sulla sua strada il mio sguardo oscurato dal desiderio.

-E-Esatto.- riuscì a balbettare, annuendo, disorientata.

Era la mia risposta, quella che vedevo brillare nei suoi occhi? Era quella risposta che aspettavo dalla prima sera in cui avevo incrociato il suo sguardo, dalla prima volta che l’avevo baciata?

Era lì, bella come non mai, i capelli arruffati sparsi come un’aureola intorno al viso chiaro; le guance erano rosse, facevano venir voglia di mangiarla tutta, di baciarla, di amarla…

La guardai come mai avevo fatto sino a quel momento, le sue dita che sfioravano delicate i miei capelli, la pelle che avvampava a contatto con la mia: le sue iridi erano piene di una luce del tutto nuova, una luce irresistibile, languida, le labbra gonfie e bramose di baci.

Quelle labbra… quelle labbra erano la mia droga personale, labbra che mi chiamavano e a cui non potevo resistere; nelle orecchie sentivo il sangue pulsare dannatamente veloce, sotto le dita delineai la curva morbida dell’anca di Ray, sulla bocca sentivo il suo respiro mischiarsi al mio.

Non ce la facevo più.

Non resistevo più.

E cedetti al mio stesso istinto quando curvai il volto sul suo, bevendo il suo fiato accelerato prima di catturare in un solo attimo quella soffice bocca nella mia.

In quel preciso momento, quando le mie labbra e le sue si toccarono, entrambi fummo consci di aver appena pronunciato quel che i nostri corpi attendevano da fin troppo tempo.

La percezione della sua morbida carne premuta sulla mia inondò i miei sensi, accendendo desideri che sapevo di non poter più controllare; le sentii mancare il fiato quando la baciai con forza, suggendo quella bocca dolce con ingordigia, il mio torace che si premeva sul suo seno e le strappava a forza l’aria dai polmoni.

E le mie mani risalirono finalmente decise lungo i suoi fianchi, portando con sé la canottiera e scoprendo l’invitante linea del fianco di Ray, la carnagione bianca e morbida, le costole e il bacino curvi sotto la pelle tesa e liscia…

Il nostro bacio si riempì di foga, le lingue che combattevano una lotta senza vinti, i sapori che si mischiavano l’un con l’altro; sentii le dita rapide di Ray insinuarsi fra la mia pelle e la stoffa della felpa, il tocco bollente dei suoi polpastrelli che disegnava le linee delle mie costole.

Il desiderio pulsava tra il suo corpo e il mio, nel sangue che scorreva prepotente ad accendere un bisogno del tutto nuovo, il bisogno di aversi, di possedersi, di…

-Questa sarebbe comunque casa mia.- sobbalzai di scatto, sorpreso, al suono irato e sarcastico di una voce che spezzò in un istante la passione vibrante fra me e lei.

Mi separai immediatamente da Ray, vedendo la mia stessa espressione – stravolta e stupita – sul volto della mia bionda; ero in imbarazzo, in imbarazzo senza un vero motivo logico… dopotutto, non stavamo facendo niente di male. Non ancora.

Will era là, sulla soglia della porta della stanza di Ray, le braccia incrociate sul petto muscoloso e gli occhi più cupi ed arrabbiati di quanto non li avessi mai visti.

Fissava Ray con astio, astio reale e concreto, senza degnarmi nemmeno di uno sguardo e concentrandosi completamente sul volto di una ragazza che già stava intuendo cosa sarebbe successo entro pochi istanti.

-In questa camera, se non erro, ci vivo io.- mi voltai per osservarla, sorpreso: Ray sosteneva gli occhi furibondi di Will con pacata cautela, una luce pericolosa in fondo al blu delle iridi.

-Questo non vi autorizza a farci sesso, se non sbaglio.-

Fu quella rispostaccia, quell’esclamazione velenosa di Will, a scatenare tutto il disastro che ne seguì.

Quasi non vidi Ray alzarsi in piedi, tanto fu rapida; seppi soltanto scorgere, in quegli occhi che tanto amavo, una furia del tutto inedita – una furia che non avevo mai avuto l’occasione di vedere, di analizzare e di rispettare.

-Che cosa c’è, Will? Sei nervoso?- la sentii sussurrare, la voce pericolosamente bassa e suadente.

-Perché, te ne frega qualcosa?- replicò lui, caustico, i muscoli del volto contratti in una smorfia di palese rabbia.

Mai mi sono sentito di troppo come in quell’occasione; Will e Ray si fronteggiavano a poco più di un metro e mezzo di distanza, l’uno chiuso e venefico mentre l’altra ritta in piedi, i pugni serrati e le labbra strette.

Mi ero alzato anch’io, ma quando provai a dire qualcosa Ray mi bloccò sul nascere; le bastò alzare di scatto una mano, senza nemmeno voltarsi a guardarmi.

-Ben, magari ti raggiungo più tardi.- mi disse, gli occhi blu inchiodati in quelli celesti di Will.

Per un istante rimasi immobile, assorbendo il significato delle sue parole: mi aveva chiesto non molto fra le righe di andarmene, di lasciare soli lei e Will… parte di me avrebbe voluto ubbidire all’istante e levare elegantemente le tende, ma, allo stesso tempo, non volevo lasciarla alle prese con un William assolutamente imbufalito.

-Ben, per favore.- avvertii una nota di urgenza, nella sua voce; continuava a fissare Will, e prima di me si era accorta dell’insofferenza del biondo nei miei confronti.

Cos’altro avrei dovuto fare?

Mi fidavo di Ray, sapevo che non mi avrebbe allontanato senza un motivo concreto e reale: e quindi le diedi retta, annuendo appena, allontanandomi da quell’appartamento con una brutta sensazione nel cuore.

.

.

.

Non seppi mai il motivo della repentina rabbia di William, di cosa lo avesse spinto a quella reazione; provai per due ore filate a chiamare Angel, sicuro di trovarla, sicuro di poter sapere qualcosa… e invece niente, il cellulare era spento e i suoi genitori mi riferirono della sua presenza in camera sua, sprangata ormai da ore.

Detestavo non capire, non sapere: percorsi l’intero isolato intorno a casa mia per tre volte di fila, troppo ansioso e inquieto per restare fra quattro mura ad aspettare notizie; non mi era piaciuto vedere Will e Ray tanto furiosi l’uno con l’altra, proprio loro, che tanto erano legati…

Rientrai soltanto quando iniziò a piovere, una pioggia scrosciante che annunciava l’ennesimo, violento temporale estivo su Londra.

Ray non mi aveva fatto sapere nulla, non sapevo nulla di come e cosa stesse succedendo; potevo solo rodermi il fegato dall’ansia e dalla preoccupazione, maledicendomi per averle dato retta, per non essere rimasto al suo fianco.

Fu soltanto verso le dieci di sera che seppi qualcosa, che potei sincerarmi di sapere Ray in un posto sicuro: con me.

Fu un sollievo, infatti, sentire il campanello suonare e ritrovarla sulla soglia di casa mia, bagnata come un pulcino e con gli occhi arrossati, uno zaino in spalla e l’espressione più neutra ed enigmatica che le avessi mai visto.

-Posso passare la notte da te?- mi chiese, senza preamboli, con la voce arrochita e gli occhi lucidi e stanchi.

Sentii qualcosa aggrovigliarsi nel mio stomaco – un misto di rabbia e di preoccupazione che si agitava furioso dentro di me, nel riconoscere sul suo volto dei tratti che avrei preferito non vedere.

Aveva pianto.

-Ma che domande sono? Entra, sei congelata.- risposi, allibito, guardandola con una domanda inespressa scritta in viso.

Che cosa era successo?

Che cosa l’aveva costretta a piangere, che cosa aveva fatto Will per ridurla in quello stato?

La fissai insistentemente, senza il coraggio di chiederle apertamente che cosa fosse capitato, cercando di carpire qualcosa dal suo volto imperscrutabile; ma Ray non alzò lo sguardo su di me, limitandosi a mormorare un grazie prima di entrare, abbandonando lo zaino vicino alla porta e sospirando, sfilandosi la felpa larga che indossava.

-Ray…?- la chiamai, quando la vidi stringersi le braccia intorno al corpo, la maglietta chiara, bagnata, praticamente trasparente.

Presi un lungo respiro, costringendomi a ignorare le linee scure del reggiseno che disegnavano la sua pelle altrimenti candida, le scapole magre, la spina dorsale… un tatuaggio che delineava la curva morbida della spalla, aprendosi circolarmente sulla sua carnagione diafana.

Mi permisi d’indugiare su quelle linee scure e marcate per qualche istante di troppo, sorpreso di scoprire sul suo corpo un dettaglio che non avevo mai avuto il piacere di scorgere completamente: Ray non amava indossare abiti chiari, e avevo soltanto distinto di sfuggita i tratti scuri di quell’indelebile disegno.

L’intenso nero dell’inchiostro si attorcigliava sulla sua pelle, dipanandosi in una figura che riconobbi solo dopo qualche istante d’osservazione: una luna crescente riposava affilata sulla sua spalla, spezzata da tanti altri piccoli satelliti che si rincorrevano lungo il suo profilo ricurvo, rappresentando ogni fase del suo ciclo eterno.

Là, al centro della mezzaluna, si ergeva fiera e maestosa una bellissima lupa stilizzata, gli occhi raffigurati socchiusi e l’espressione lieve e dolce di una regina d’altri tempi.

Quel tatuaggio era meraviglioso, non avrei mai potuto pensare a nulla di più adatto a Ray, al suo stesso essere, al suo carattere.

-Ho preso la metro, ma ho scordato l’ombrello.- la sentii sussurrare, di spalle, i capelli bagnati che scendevano ad attorcigliarsi in ciocche più scure intorno al suo viso in ombra.

Mi avvicinai a lei, lentamente, quando la vidi tremare: il suo corpo mi chiamava a sé, m’incantava in una malia di strega che suadente mi avvolgeva nelle sue spire, attirandomi come una mosca golosa sul caldo e denso miele dorato.

Posai le mani sulle sue spalle, stringendola a me con delicatezza, sentendo il suo corpo fremere impercettibilmente al mio tocco.

-Hai discusso con Will, vero?- le chiesi, la voce bassa e dolce, avvertendo i suoi muscoli contrarsi al suono del nome di William.

Annuì, lieve, chiudendo gli occhi e abbandonandosi finalmente contro di me, permettendomi di avvicinarmi a lei; le passai un braccio intorno alla vita sottile, il palmo aperto della mia mano che lentamente aderiva al suo ventre, la sua gola che attirava – irresistibile – il mio respiro.

Dio, quanto la desideravo.

Socchiusi gli occhi, riempiendomi la mente del suo profumo mischiato a quello della pioggia: freddo e caldo, gelo e fuoco, fusi in un’unica creatura creata soltanto per farmi impazzire.

Per la prima volta, fra me e Ray c’era soltanto silenzio: un silenzio assoluto, un silenzio elettrico e denso di troppe parole non dette, di tutti i desideri celati.

C’era il silenzio di ciò che era quasi successo qualche ora prima, c’era il sapore di quella pelle sotto i miei baci voraci, di quel corpo morbido che s’inarcava al mio tocco… c’era la consapevolezza di aver già preso la decisione di appartenersi, il desiderio che pulsava insopportabile fra noi, spingendoci l’uno contro l’altro in un magnetismo impossibile da combattere.

Volevo fare l’amore con lei.

Questo sapevo, di questo ero certo, questo era l’unico pensiero che pulsava nella mia mente. Provavo il bisogno fisico di toccarla, di seguire le curve del suo corpo in punta di dita, di spogliarla di quegli abiti bagnati e di perdermi in quel calore che il suo corpo emanava in quel momento più che in ogni altro…

L’odore forte e inebriante della sua pelle mi colse alla sprovvista, quando inspirai profondamente, tentando di darmi una calmata: era la fragranza che avevo imparato ad amare, un profumo suadente che mi dava l’acquolina in bocca, che mi avrebbe spinto a fare qualsiasi cosa, con lei…

Non riuscii a evitarmelo, non riuscii a trattenere il mio sguardo lascivo dallo scivolare lungo il suo corpo di spalle, quell’appetito che si faceva sempre più forte ad ogni istante che passavo lontano da lei: la sua pelle chiara e umida trasudava una sensualità che i miei occhi ciechi non avevano mai colto, i suoi fianchi torniti chiamavano le mie mani, il seno florido i miei baci…

-Forse… dovresti cambiarti.- fu una fatica immane costringere la mia voce a non suonare bassa, arrochita dal desiderio e dalla gola che pulsavano sempre più voracemente sotto la cintola, che formicolavano sulla mia bocca affamata di lei. -E fare una doccia calda…-

Solo il pensiero del corpo nudo e flessuoso di Ray nella mia doccia mi diede alla testa, mi sconvolse più di quanto non avessi potuto immaginare; mi scoprii a fremere, le dita che indugiavano sulla spalla della mia ragazza, tremando dal desiderio di scendere a sfiorare lidi che non mi ero mai nemmeno il permesso di guardare da lontano.

Avevo già dimenticato la discussione che aveva avuto con William, del motivo per cui era lì con me; per me, in quell’istante, esisteva soltanto il suo profumo, la sua pelle bagnata di pioggia.

-O vuoi parlarne?- le chiesi, usando violenza su me stesso per porle quella domanda; non avevo mai avuto meno voglia o intenzione di parlare in vita mia.

-No.-

La voce di Ray mi parve terribilmente lontana, trasognata, figlia di un sogno da cui non volevo assolutamente svegliarmi; il suo corpo caldo era fra le mie braccia, sotto i palmi avvertivo il suo ventre contrarsi mentre le mie dita scorrevano sulla sua pelle e sfioravano l’orlo degli scuri pantaloncini che indossava.

Quell’istante cristallino parve durare per un’eternità assolutamente inaccettabile; il mio respiro le accarezzava la gola, scendendo a sfiorarla là dove io desideravo ardentemente arrivare.

La sentii sospirare, prima che repentinamente sciogliesse la stretta delle mie mani su di lei e si voltasse a guardarmi, intrecciando le dita alle mie.

E, quando i suoi occhi s’incatenarono ai miei, seppi di essere perduto.

Non c’era ombra di dubbio nelle sue iridi, nessuna traccia di paura o di esitazione; il blu dei suoi occhi ardeva, ardeva di desiderio, gli screzi grigi brillavano di brama e sconvolgevano ogni cellula del mio essere, lasciandomi disarmato e impaziente dinanzi a ciò che – lo realizzai soltanto in quell’istante – volevamo entrambi.

Mi lasciai trascinare lungo il corridoio, lungo le scale che portavano al piano di sopra, al bagno; nella penombra di casa mia il suo corpo spariva e appariva nell’oscurità della notte, il suono della pioggia che ticchettava pressante sui vetri, scandendo i battiti del mio desiderio.

Non riuscivo a smettere di guardarla, stregato dal suo sguardo e dalle fiamme che ribollivano appena dietro il velo blu dei suoi occhi, sull’orlo delle sue labbra carnose, completamente ammaliato dall’ardente decisione che vibrava sotto la sua pelle bagnata.

Quasi non mi accorsi di essermi lasciato condurre nell’ampia doccia che troneggiava nel bagno principale, quasi non sentii l’acqua calda bagnare tanto me quanto lei, il vapore confondere per un istante la mia vista e i miei sensi.

Per me c’era soltanto lei.

E, quando le sue labbra incontrarono le mie, io non capii più nulla, la brama che prendeva bruscamente il sopravvento sul mio labile autocontrollo.

La baciai con forza, intrecciando la lingua alla sua senza la minima esitazione; mi rispose con la stessa veemenza, strattonando lievemente i miei capelli per tirarmi ancor di più versi di lei.

Affogai nelle sue labbra con violenza, senza risparmiarmi, appropriandomi di ogni millimetro di quel caldo antro che mi apparteneva – perché lei era mia, solo e solamente mia.

Le mie mani corsero fameliche sul suo corpo, scendendo dalle sue spalle e percorrendo le curve toniche dei suoi fianchi, appropriandomene e superando la barriera dei suoi abiti umidi nel tempo di un battito di ciglia.

Un brusco sospiro le spezzò il fiato, quando le mie dita calde risalirono possessive il suo ventre, il nostro bacio che si spezzava per il tempo esatto di sfilarle la maglietta.

Aggredii nuovamente quelle labbra saporite senza quasi darmi tempo di respirare, il seno sodo velato soltanto dal pizzo nero che premeva insistentemente sul mio petto. La sua bocca mi accolse con una violenza che sfociava nell’esasperazione; sentivo le sue mani risalire voraci il mio torace, slacciando veementemente i bottoni della mia camicia oramai fradicia.

L’acqua batteva sui nostri corpi mai stati così vicini, le barriere degli abiti e dei ripensamenti che sparivano una dopo l’altra; eravamo soltanto noi due in quel momento, Ray ed io, noi e il desiderio che non voleva più saperne di restare in catene.

Quel bacio si spezzò quando entrambi avemmo bisogno di ossigeno, i respiri affannati che si mischiavano al suono scrosciante della doccia, il vapore che saliva pigramente verso l’alto ed annebbiava anche l’ultimo barlume di raziocinio.

Lo sguardo di Ray mi raggiunse ancora una volta, trafiggendomi come mai nessuna donna era stata in grado di fare: ed io vidi me stesso, riflesso in quegli specchi blu mai scorti tanto scuri prima d’allora.

Solo allora, la concretezza di ciò che avevo intorno riprese forma e materia; il mio udito riprese a funzionare, riempiendosi del battito forsennato del mio cuore e del suono scrosciante della doccia in cui Ray mi aveva trascinato.

La mia vista si godeva finalmente la vista del corpo tanto a lungo agognato di Ray, avvinghiata a me con la stessa possessività con cui avrei desiderato averla, amarla; il tatuaggio e l’intimo del medesimo colore spiccavano contro la sua carnagione chiara, gli shorts spariti chissà quando, i capelli biondi che si attorcigliavano fradici attorno al viso accaldato e stravolto.

Le sue labbra erano gonfie e dischiuse, attendevano soltanto me, soltanto il mio bacio, soltanto la mia passione…

Furono ingordi, i miei occhi, quando percorsero avidi quella pelle candida imperlata di miriadi di gocce trasparenti. Risalii e discesi le sue forme più volte, costeggiando i fianchi soffici, il ventre tonico fin su, sino alle costole, sino alle ricche curve del seno.

Tornai a guardarla in volto nello stesso istante in cui mi accorsi delle sue dita abili sul mio ventre, della mia camicia scomparsa, del tocco provocante che costeggiava i miei jeans.

I suoi occhi mi attendevano lì, d’un blu tanto scuro da sembrare quasi nero; vibravano dello stesso desiderio che pulsava nel mio sangue, di ciò che sentivo sempre più costretto oltre il bordo dei pantaloni scuri.

E, più lei mi guardava in quel modo, più sentivo il sangue affluire prepotente alla mia eccitazione, destabilizzando quel poco di autocontrollo che ancora possedevo.

E l’acqua bollente scendeva ancora, in rivoli bollenti che accarezzavano quel corpo bianco che tanto desideravo, tracciando scie sulle mie spalle, sulla mia schiena.

Le sue iridi perforanti non si spostarono nemmeno per un istante dalle mie, lasciandomi annegare in quel torbido oceano in tempesta quando le sue dita slacciarono il bottone che ancora ci divideva.

Rabbrividii, quando sentii la zip abbassarsi con studiata lentezza – con troppa lentezza, per ciò che ruggiva bramoso dentro di me.

Ogni suo gesto pareva calcolato, ma le sue mani tremavano almeno quanto le mie; e, nello sguardo inchiodato nel mio, leggevo la medesima impazienza che mi stava logorando dentro, che bruciava sempre più intensamente nelle mie vene.

Il suo volto era a un sospiro dal mio, le sue labbra erano bagnate e gonfie, il suo corpo pareva aspettare soltanto me.

Posso?, avrei voluto chiederle.

., mi urlavano in silenzio i suoi occhi, il fisico mezzo nudo che mi chiamava irresistibilmente a sé.

E cedetti.

Cedetti a tutto, colmando in un respiro la distanza fra le mie labbra e le sue, lasciando che i miei jeans sparissero insieme a quel poco che ancora ci vestiva.

Quando la trassi a me, il suo corpo aderì perfettamente al mio, rivoli caldi che scendevano a legarci insieme, il calore del suo seno, del suo ventre, delle sue labbra che bruciava al contatto con me.

La sua lingua danzava con la mia in un bacio che sapeva di brama, di possessione, di noi.

La sollevai e lei si aggrappò a me, le dita immerse nei miei capelli bagnati, la bocca che rubava respiri inframmezzati dai baci.

La premetti fra il mio petto e le mattonelle umide, il bisogno di averla che mi dava alla testa, che pulsava nel mio sangue annebbiando ogni altro pensiero che non fosse lei.

E non ne potevo più di aspettare, non riuscivo più a tollerare il bisogno che provavo, l’amore che ruggiva.

Mi spinsi fra le sue cosce con decisione, spezzando il contatto fra le sue labbra e le mie, riempiendomi i polmoni di quell’aria calda e satura di passione.

-Ben…- Ray schiuse gli occhi, le iridi dense di lucida frustrazione, le guance arrossate e le mani serrate sulle mie spalle.

La fissai a lungo, il respiro corto quanto il suo, carbone e ghiaccio che si trovavano e si mischiavano, sciogliendosi nell’acqua bollente che accarezzava densa i nostri corpi ancora intollerabilmente divisi.

E non smisi un istante di guardarla, l’eccitazione sempre più pressante, mentre le sue cosce si stringevano alla mia vita e il suo ventre mi accoglieva morbidamente dentro di lei.

Ero dentro di lei.

La consapevolezza esplose con violenza nella mia mente, nel mio corpo, ribollendo e bruciando come un vulcano in eruzione.

Ero dentro di lei.

Era il suo corpo che ora si adattava gradualmente a me, alla mia durezza pulsante e terribilmente insopportabile, i muscoli che si contraevano e si rilassavano in quell’incastro perfetto.

Era Ray a tremare fra le mie braccia, le gambe serrate con forza attorno al mio bacino – spingendomi a penetrarla di più, ad averla più a fondo, a renderla ancora più…

Mia.

La strinsi con forza, serrando le mani sulle sue natiche, abbassando il capo sotto la violenta consapevolezza che bruciava nella mia carne.

Ray era mia.

L’incavo della sua spalla accolse il mio volto stravolto, i suoi denti che martoriavano la mia pelle bollente, le mani che si appropriavano di quel seno meravigliosamente caldo, tenero, invitante.

Mia.

La sentii sospirare il mio nome, le unghie che, immerse nella mia carne, penetravano nella schiena.

Non mi trattenni, non ne ero più fisicamente capace; nella mia mente si avvicendavano profumi e sensazioni, sapori e piacere che si mischiavano al pulsante desiderio che urlava ormai per essere ascoltato.

E mi spinsi dentro di lei con forza, possessivo, avvertendo il bruciore dei suoi graffi fondersi al piacere, il suo ventre contrarsi alle mie spinte intense e meravigliosamente profonde, i suoi gemiti riempirmi la mente.

Mia.

Non ragionavo più, non capivo più. Per me c’era solo quella gola, quella pelle, quelle labbra travolte dalla mia lingua possessiva in un bacio che di casto non aveva proprio nulla.

Mia.

L’acqua sferzava il suo viso, le mie spalle, le sue mani ed io ero dentro di lei, sentivo il suo piacere crescere e sconvolgerla a ogni affondo sempre di più; per me c’era solo e solamente lei, il suo corpo – e il desiderio, che esplodeva violento e distruttivo nel mio sangue e nel suo.

Mia.

La serrai contro le mattonelle ormai bollenti, fredde al confronto della pelle che scorreva perfetta sotto le mie mani esigenti; e la baciai ancora, ancora e ancora, i suoi capelli bagnati che mi scorrevano fra le dita, il suo volto fra le mani, il mio nome in un gemito fra quelle labbra perfette.

Mia.

E poi affogai nel suo sapore, riempiendo il suo corpo di me e la mia mente di lei.

.


.

-Mmm… caffè.-

-Bravo. E questo?-

-Fragola?-

-Esatto.-

Sorrisi, negli occhi soltanto buio pesto, la presenza calda e concreta di Ray accomodata cavalcioni sul mio ventre; sentivo il suo corpo a contatto col mio, avvertivo la stoffa della camicia che aveva indossato sfiorarmi la pelle.

Le sue dita soffici si posarono ancora una volta sulle mie labbra, un sapore nuovamente diverso che si mischiava al suo.

Mi presi un istante per riconoscere il gusto sulla sua pelle; era qualcosa che non riuscivo a non associare a lei, che mi ricordava nitidamente voraci segni rossi su una pelle candida.

Il mio sorriso si trasformò in un sogghigno, quando chiusi con delicatezza il suo polso fra indice e pollice; percorsi le sue braccia in punta di dita, risalendo il suo corpo senza tralasciarne nemmeno un millimetro, sentendola morbida e docile al mio tocco.

Raggiunsi la gola sentendola riempirsi di pelle d’oca, immersi le dita in quei riccioli ancora umidi: e la trassi con dolcezza a me, baciando quelle labbra soffici e dolci che sapevano esattamente di panna.

Fu un bacio lungo e intenso, caldo, denso della particolare sensazione d’intontimento che si prova dopo l’amore; sfilai la cravatta che mi oscurava gli occhi, separandomi da lei con un mezzo ghigno soddisfatto sul volto.

-Ray.- sussurrai, sicuro, ed i suoi occhioni immensi e luminosi mi sorrisero con malizia, divertiti.

-Veramente era panna, ma va beh…- ridacchiò, posando la vaschetta da gelato ormai vuota sul comodino, premendo le mani fresche sul mio torace e spingendomi con dolcezza sul letto, accoccolandovisi soddisfatta dopo un istante.

I capelli le ricadevano in cascate di boccoli biondi intorno al viso, ancora umidi dopo la doccia; la camicia nerissima che aveva indossato contrastava magnificamente con la sua pelle candida, con le iridi celesti che mi guardavano con dolcezza, i lineamenti distesi e sorridenti come non mai.

Era un poco scarmigliata, arruffata, serena; ed era, semplicemente, stupenda.

-Tu sai di panna.- sottolineai, accarezzando quei capelli biondi in un tocco leggero, sfiorando non del tutto casualmente l’incavo ipersensibile dietro l’orecchio sinistro; socchiuse pigramente gli occhi, mugolando come una micia, nascondendo fra le braccia il viso e strusciando il nasino sul mio torace.

Sorrisi, quando in una scia di piccoli baci raggiunse la mia gola, lasciandosi morbidamente scivolare al mio fianco e permettendomi di voltarmi verso di lei, il respiro che si unì al mio quando la trassi contro di me e la intrappolai nel mio abbraccio.

-Sei mia.- sussurrai, guardandola penetrante negli occhi – quegli occhi accesi e bellissimi come non pensavo di averli mai visti prima d’allora.

Allacciai le mani sulla sua schiena, insinuandomi sotto la stoffa della camicia e accarezzando quella pelle vellutata, morbida.

-Sei soltanto mia.- riconfermai, baciandola sulla punta del nasino, godendo del suo sorriso.

Annuì convinta, bella come non mai, accarezzandomi una guancia e giocherellando con i miei capelli lunghi con aria assorta, pensierosa. La baciai sul polso quando la distinsi attorcigliarsi una ciocca sulle dita, strappandole una risata dolce e cristallina.

-Ti amo, sì. Tanto.- mormorò, piano, gli occhi che tornavano repentinamente nei miei. Vividi, splendenti, antichi di migliaia di anni; Ray era la mia dea dimenticata, la bellissima creatura che avevo il privilegio di stringere fra le braccia.

Era la seconda volta che la sentivo pronunciare quelle due parole che tanto potevano significare; e, per la seconda volta, sentii il cuore accelerare violentemente nel mio petto, minacciando di fracassare qualche costola nella folle corsa in cui si era lanciato.

Sorrisi, sorrisi di un sorriso immenso e felice, accarezzandole una guancia e disegnando quelle labbra con il pollice, seguendone il profilo roseo e perfetto.

-Ti amo anch’io, mia principessa.- e il rossore che le colorò istantaneamente le guance fu la succosa ciliegina sulla torta, prima che il suo viso si nascondesse repentinamente nel mio collo, strappandomi una risata.

La definii principessa, in quel momento, per la prima volta da quando la conoscevo: Ray era la sconosciuta principessa di un luogo dimenticato, di un cuore che non poteva essere altro che il mio.

-Non è possibile, mi fai diventare fluorescente, non è giusto…- la sentii mugugnare, il corpo che si accostava al mio; immersi il volto nei suoi capelli, socchiudendo gli occhi e sentendola rilassarsi nel mio abbraccio.

-E’ giustissimo, invece. Sei uno spettacolo, quando arrossisci.- le feci notare, accarezzando in punta di dita la sua schiena e disegnando arabeschi immaginari sulla sua pelle.

Quell’intimità del tutto nuova era qualcosa di meraviglioso, di assolutamente perfetto; finalmente mi ero permesso di desiderarla appieno, di sentirla, di fare l’amore con lei come da troppo tempo sognavo di fare.

Averla lì con me nella penombra dorata della mia camera, fra le lenzuola di un bel broccato rosso, e sentirla sospirare felice fra le mie braccia… era perfetto.

Era semplicemente perfetto.

La sentii soffocare uno sbadiglio, le dita affusolate che cercavano le mie.

-Dormi, Ray.- sussurrai con dolcezza, posando un bacio sulla sua tempia ed allungando un braccio per abbassare l’interruttore della luce, lasciando che soltanto un flebile bagliore color ocra illuminasse fiocamente la camera.

Scosse debolmente la testa, testarda.

-Non voglio dormire. Voglio stare con te.- mormorò, assonnata, sfregandosi gli occhi come una bimba capricciosa.

Sorrisi, abbracciandola più saldamente e stringendola a me, la mente beatamente piena soltanto di lei.

-Sei con me, Ray. Sarai sempre con me; non ti lascerò andare via, è una promessa.- la rassicurai, chiudendo gli occhi nel profumo intenso di sapone e di shampoo dei suoi capelli.

E la sentii sorridere, un bacio che si posava delicato come una farfalla sulla mia gola e il silenzio che scendeva fragrante fra noi, rotto soltanto dal ticchettio della pioggia sulla finestra.

Era tutto perfetto, sì.

Non poteva esserlo più di così.

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My Space:
Buonasera darlings! Sì, avevo promesso di aggiornare prima Seven Gods, ma... insomma, questo capitolo era l'unico che avessi pronto, e ci tenevo a pubblicarlo ^^''''''
Allora! Finalmente ho infranto la regola del quinto capitolo :D
Un solo appunto: Will.
C'è un motivo per l'atteggiamento di Will, per la sparizione di Angel, per la discussione fra Ray e Will. Spiegherò tutto nel prossimo capitolo, una cui buona parte sarà incentrata proprio sul biondastro e Angie. Non abbiatecela con lui, c'è un motivo logico per tutto, è solo un ragazzo ferito ^^'
Spero che la scena lemon fra Ben e Ray vi sia piaciuta: il senso di confusione, di scatti, di irrealtà che prova Ben sono voluti, ve lo sottolineo per non farvi pensare che sia poco curata ^^' ci ho messo un mese a scriverla ^^'''''
Spero vi sia piaciuta almeno quanto a me è piaciuto scriverla! :)
Alla prossima :)
B.

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Capitolo 7
*** 7. ***


STD last chap

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Quando mi svegliai, il mattino successivo a quella notte, Ray pisolava al mio fianco con l’espressione più candida ed innocente che le avessi mai visto in volto. Fu il suono ripetuto ed insistente del mio cellulare a strapparmi dal sonno profondo e sereno in cui ero sprofondato assieme alla mia compagna; lanciando un’occhiata allo schermo, istintivamente, sospirai.

Avrei dovuto aspettarmi l’arrivo di Will, parte di me era rimasta sorpresa nel non vederlo irrompere in casa mia già la sera prima.

Ray non aveva voluto spiegarmi nulla di ciò che era successo fra loro ma, quando avevo aperto la porta e me l’ero trovata davanti, avevo scorto nei suoi occhi l’inequivocabile traccia del pianto che doveva averla scossa prima di arrivare da me: non avrei permesso a William di farla star male un’altra volta, e fu proprio quel desiderio a farmi alzare – lasciando a malincuore la dolcezza del corpo morbido e caldo di Ray – e a spingermi a raggiungere la porta d’ingresso.

-Devo parlare con Ray.- fu la frase con cui esordì William, senza nemmeno degnarsi di rivolgermi un saluto; non mi guardava in faccia, troppo impegnato a cercare di scorgere alle mie spalle l’eventuale presenza della mia bionda – mi sorprese, quel gesto, perché William avrebbe dovuto sapere che Ray non si sarebbe mai lasciata proteggere da nessuno.

-Scordatelo.- replicai io, incrociando le braccia e scoccandogli un’occhiataccia.

L'espressione di Will, se non fossi stato tanto irritato, mi avrebbe fatto scoppiare a ridere: aveva visto il mio collo pieno dei succhiotti che Ray vi aveva lasciato, si era sicuramente reso conto della luce estatica che mi brillava negli occhi e aveva visto quanto il mio corpo, affaticato ma completamente rilassato, mostrasse i chiarissimi segni di una notte passata in dolce compagnia. Si era rabbuiato nell'osservarmi, ma io non avevo la minima intenzione di esprimermi in qualsivoglia segno di scuse.

In un altro momento, sicuramente, Will avrebbe desiderato (e tentato) di strangolarmi per difendere l'onore e la virtù della sua amica; ma, abbattuto ed angosciato com'era, si limitò a sospirare e ad annuire appena in un muto gesto di resa.

-Tu non sai perché ho reagito così, Ben.- mormorò, passandosi una mano fra i capelli arruffati e scoccandomi un'occhiata impaziente dei suoi chiari occhi azzurri. -Per favore. Voglio solo parlare con mia sorella.- aggiunse e, nonostante tutto, non mi sfuggì il "sorella" che, con una naturalezza stupefacente, gli era sfuggito per definire il suo rapporto con Ray.

Stavo per replicare, pronto a consigliargli di andarsene al diavolo di gran carriera, ma una voce dolce ed assonnata bloccò sul nascere la mia risposta pungente.

-Ben.-

Mi voltai di scatto, sorpreso: Ray era sulla soglia dell’ingresso, avvolta nella mia camicia ed in un paio di pantaloncini di tuta, e si sfregava gli occhi ancora pieni di sonno con la manica mentre cercava inutilmente di ravviarsi i capelli arruffati dietro le orecchie. -Va bene.- mormorò, lanciando uno sguardo indecifrabile a Will.

Sospirai, sapendo che sarebbe stato inutile suggerirle di rimandare quella conversazione, facendomi da parte per permettere al biondastro di entrare; Ray si voltò, muovendosi con una sicurezza impressionante in casa mia e precedendoci in salotto.

Will, grato della sua accortezza, si lasciò cadere sulla sua poltrona preferita non appena Ray gli fece cenno di sedersi; io invece la trassi a me, strappandole un mezzo sorriso quando la sollevai quasi di peso per stringerla fra le braccia, accomodandomi sul sofà.

Il biondo mi scoccò un’occhiata storta, senza però dire nulla – aveva probabilmente capito quanto deleterio sarebbe stato, per lui, commentare in qualsiasi modo il mio atteggiamento nei confronti di Ray.

-Sarebbe troppo volere__- commentò invece, rivolgendosi alla mia bionda.

-Sì.- lo interruppe subito, bloccando la sua domanda – quale che fosse – sul nascere. -Ti ascolto.- aggiunse, rivolgendogli un brusco cenno della mano e voltandosi a guardarlo con quell’espressione indecifrabile che nemmeno io riuscii a comprendere.

Will tirò fiato, prendendosi la testa fra le mani: sembrava preda di un violento conflitto interiore, come se parlare ed esprimersi gli risultasse troppo penoso per permettergli altro che quei respiri veloci ed irregolari.

-Ray, io…- cominciò, senza guardarla in faccia e tenendo gli occhi inchiodati sul pavimento.

Inarcai un sopracciglio, lanciando un’occhiata di sottecchi a Ray; lei però continuò ad ignorarmi, limitandosi ad un cenno per intimarmi di stare zitto.

-Mi dispiace.-

Sentii il corpo della mia adorata bionda irrigidirsi in risposta alle parole dell’amico, intravvidi il suo sguardo raggelare: non invidiai William, in quel momento, perché l’occhiata che lei gli rivolse avrebbe potuto rendere a più miti consigli persino un animale feroce.

William si strinse nelle spalle, azzardando una brevissima occhiata verso di noi prima di tornare ad osservare con smodato interesse il parquet del salotto.

-Ho litigato con Angel, ieri sera… per una cosa così stupida…- sussurrò, e non potei impedirmi di rovesciare gli occhi al cielo: le discussioni fra quei due, da che avevo memoria, avevano sempre causato catastrofi e calamità a loro e a chi era loro accanto.

-Angel vuole andare dai suoi parenti per qualche tempo. Quando me l’ha detto ho dato di matto, mi sono sentito morire, ho pensato di aver sbagliato tutto…-

Angel aveva dei parenti in un’altra regione dell’Inghilterra e, dai suoi racconti entusiastici, avevo compreso quanto si sentisse legata al resto della sua famiglia: fissai William, sorpreso ed un poco confuso, perché Angie era andata spesso a trovarli e non riuscivo proprio a comprendere cosa avesse potuto scatenare la reazione del biondo.

Ray, però, annuì; aveva in volto l’espressione mesta e comprensiva di chi aveva capito più di quanto le parole potessero esprimere, e mi lanciò un’occhiata per intimarmi di non esprimere ad alta voce le mie perplessità.

Si alzò, andando a sedersi sul bracciolo della poltrona su cui si era rannicchiato Will; gli sfiorò i capelli con la punta delle dita ma, nonostante quel gesto affettuoso, mi accorsi di quanto il suo corpo fosse ancora teso e chiuso in se stesso.

Ray era fatta così, pensai, ammirandola nonostante non fossi d’accordo con l’atteggiamento che aveva assunto nei confronti di Will: non era in grado di rimanere insensibile davanti a qualcuno che soffriva, specialmente se quel qualcuno era una persona che lei adorava – e lei lo adorava davvero, quel suo fratello putativo: chiunque avrebbe potuto scorgere lo sguardo pieno d’affetto e d’ammirazione con cui Ray guardava William.

Sorrisi, mio malgrado, quando distinsi i lineamenti del suo bel volto distendersi in un sorriso malinconico e paziente; passò un braccio attorno alle spalle di Will, tirandoselo vicino e permettendogli di abbandonare il volto nell’incavo buio e sicuro della sua spalla.

Erano talmente belli, insieme, da far quasi male agli occhi; non per la prima volta, da quando avevo incontrato Ray, mi accorsi di quanto non fosse lui – più alto, più massiccio, più solido – la persona più forte e concreta fra loro; era lei quella in grado di sostenere entrambi, lei, quella ragazzina appena maggiorenne che si era dimostrata in grado di affrontare il mondo intero.

-Io non posso perdere Angel.- lo sentii sussurrare stringendo i pugni in quello che mi parve un gesto di notevole autocontrollo: forse avrebbe voluto abbracciarla, ma qualcosa doveva avergli suggerito quanto quella non sarebbe stata proprio una buona idea.

-Sei un imbecille.- sbottai all’improvviso, incapace di rimanere in silenzio davanti a quel melodrammatico imbecille preda delle più oscene seghe mentali della storia: Will alzò lo sguardo su di me, confuso, ma scorsi Ray trattenere una risata. -Angel ti ama, Will. Nemmeno la tua dannata testaccia riuscirà a cambiare quello che lei prova per te.- aggiunsi, irritato dalla stupidità patologica di cui il mio amico era evidentemente fornito.

Il biondo rimase in silenzio per qualche istante, forse cercando di assorbire le brusche parole che gli avevo rivolto; poi annuì, sospirando prima di alzare lo sguardo su Ray.

-Quando sono tornato a casa e vi ho visti insieme… Ray, non ci ho visto più, ero arrabbiato e frustrato e non__-

Ray alzò una mano, zittendo quel fiume di parole sul nascere.

-Hai rivisto lui.- mormorò soltanto, chiudendo gli occhi per qualche attimo e serrando le labbra in una inequivocabile espressione di disprezzo.

Mi accigliai, improvvisamente disorientato: di cosa stavano parlando, adesso?

Will spostò gli occhi su di me, mordendosi un labbro e passandosi ancora una volta le mani fra i capelli. -Ben… io mi fido di te, ti voglio bene, sei il mio migliore amico e non avrei mai potuto volere di meglio per Ray.- cominciò, senza accorgersi di quanto quelle parole mi avessero colpito: Will non si era mai esposto tanto, con me, da affermare con tanta naturalezza una frase come quella.

Capii all’istante il motivo per cui la rabbia di Ray nei suoi confronti era svanita quando lui l’aveva guardata: era impossibile arrabbiarsi con William, soprattutto quando adottava la slealissima tecnica degli “occhioni da cucciolo abbandonato”.

Il biondo si rivolse di nuovo a Ray, angosciato.

-Solo che… Ray, ti ho vista soffrire troppo, ho visto come lui ti aveva ridotta e…- la voce gli morì sulle labbra davanti alle iridi indecifrabili di quella ragazza piena di sorprese, che lo stava guardando con un cipiglio talmente serio da risultare quasi comico.

Lui sospirò, tormentandosi ancora la folta chioma dorata.

-Voglio soltanto saperti al sicuro…- mugugnò, e non potei trattenere un mezzo sorriso quando vidi le sue orecchie arrossire furiosamente ed il suo sguardo riempirsi d’imbarazzo: è sempre stato incapace di esprimere le proprie emozioni in maniera decente, William Moseley.

Ray, che era rimasta immobile ed in silenzio mentre lui parlava, scosse la testa. -Sei un idiota.- commentò soltanto, prima di tirarselo bruscamente addosso per un orecchio, lasciandosi finalmente abbracciare e stringendolo forte a sua volta.

Vidi chiaramente il corpo di Will cedere, rilassarsi di botto al contatto con quello di Ray; conoscevo l’effetto calmante che quella piccola furia poteva avere sugli altri, quasi come se tutta la tranquillità e la pacatezza che lei sembrava non possedere si orientasse sulle persone che aveva accanto, salubri e delicate come l’abbraccio della brezza estiva.

Disorientato dalla piega repentina presa dagli eventi, mi limitai a rivolgere ad entrambi un'occhiata interrogativa e spiazzata. Di chi stavano parlando? Chi era che aveva fatto tanto male a Ray da causare quella reazione spropositata di Will nei miei confronti?

Ray, accorgendosi del mio sconcerto, sospirò. -Ti ricordi quel ragazzo che abbiamo incontrato in Piccadilly qualche mese fa?- mi domandò, guardandomi solamente per qualche attimo prima di distogliere lo sguardo, nel tentativo di impedirmi di vedere la malinconia e la tristezza riempirne quel blu stupefacente. -Non è mai andato molto d’accordo con Will.- aggiunse, ma subito il biondo alzò la testa dalla sua spalla per rivolgerle un'occhiata malevola – a dir la verità fu quello a preoccuparmi, perché non avevo mai visto una tale espressione di disprezzo e di disgusto nello sguardo del mio amico.

Ray, trovandosi presa in contropiede dalla reazione di William, gli pizzicò con forza una spalla e sbottò un: -Oh, insomma!- decisamente esasperato, rovesciando la testa verso l'alto per sfuggire, probabilmente, all'intensa disapprovazione del biondo.

Però sapeva, credo, che non sarebbe riuscita a sfuggire alle mie domande; perciò sospirò, scoccando un'occhiataccia all'amico prima di rivolgersi nuovamente a me.

-Lui… Simon…- cominciò, esitando su quel nome che pronunciò con un disgusto tale da farmi rabbrividire. Scosse la testa, rassegnata, torcendosi le mani e spostando nuovamente gli occhi altrove prima di tornare a guardarmi – sembrava che si sentisse in colpa per ciò che si trovava costretta a dire, che la disgustasse a tal punto quel ricordo da renderle faticoso persino il parlare di quella cosa. 

Ricambiai il suo sguardo incerto, rivolgendole un lieve cenno per incoraggiarla a parlare: non avrei mai potuto cambiare l'opinione che avevo di lei, qualunque cosa mi avesse detto o mi avesse rivelato di aver fatto.

Sembrò carpire quel mio pensiero, quella mia consapevolezza: e sospirò, esasperata da se stessa, masticando un'imprecazione prima di riempirsi i polmoni d'aria.

-Simon è stato il peggior errore della mia vita, e l’apoteosi della mia tendenza all’autosacrificio e all’autoflagellazione.- buttò fuori tutto d'un fiato, arrossendo per la vergogna e l'imbarazzo che l'aver dovuto ammettere una cosa del genere, evidentemente, le provocava.

Lì per lì non capii a cosa si stesse riferendo, ma ebbi il lampo d'intelligenza necessario per capire che non sarebbe stato saggio indagare in quel momento, non con Will stravolto e Ray tanto nervosa. Solo diverso tempo dopo avrei capito quanto, esattamente, quel tale le avesse fatto del male; ma, questa, è un'altra storia.

-Ti ha quasi distrutta.- rincarò Will, guadagnandosi un altro pizzicotto e l'ennesima occhiataccia.

-Eppure sono ancora in piedi.- replicò dolcemente Ray, rivolgendomi uno sguardo che, forse, voleva essere di scuse. Avrei voluto abbracciarla e dirle che andava tutto bene, che capivo, ma Will era ancora sconvolto e lei se ne accorse, premurosa come sempre nei confronti di quel bizzarro fratello maggiore che si era scelta; rimandai mentalmente a più tardi le spiegazioni e i chiarimenti, perché sapevo che lei aveva bisogno di occuparsi del suo amico. -Will, è tutto okay. Va tutto bene, non sono arrabbiata con te.- lo rassicurò infatti, accarezzandogli i capelli con un atteggiamento sorprendentemente affettuoso, quasi materno.

-Dovresti.- mugugnò lui in risposta, imbronciato. Lei rise.

-Non sono capace di tenerti il broncio, dovresti averlo imparato da molto tempo.- gli fece notare e, ancora una volta, mi ritrovai a rammentare a me stesso che Will e Ray si conoscevano da diversi anni, e che il legame che si era instaurato fra loro andava al di là della semplice fiducia o amicizia. -Adesso, però, tu devi parlare con Angel.- aggiunse lei dopo un istante, continuando a coccolarlo e rimanendo in silenzio per qualche minuto: mi permisi di osservarla, affascinato dal modo in cui il suo sguardo si faceva assente quando rifletteva e dalla delicatezza con cui sfiorava la chioma arruffata di William, che le si era nuovamente rifugiato addosso come un bambino troppo cresciuto.

Era bella, mi dissi. Era bella in un modo tutto suo, e quella bellezza era solamente mia.

-Dovrò trovare un altro posto dove stare.- affermò all'improvviso, spezzando il silenzio finalmente quieto che era venuto a crearsi in quella manciata d'istanti. Trasalii all'unisono con Will, perché entrambi avevamo colto il tono stranamente definitivo della sua voce, la malinconia che ne aveva velato le sillabe solitamente energiche e preponderanti.

-Non voglio che tu te ne vada.- esclamò subito lui, mentre io mi costrinsi a rimanere in silenzio: qualcosa, dentro di me, mi stava suggerendo di ascoltare prima d'intervenire.

Ray sorrise al suo migliore amico, arruffandogli la frangia con un gesto tenero ma, contemporaneamente, dannatamente triste.

-Will, non siamo più a New York. Abbiamo vissuto assieme per tanto tempo… è arrivato il momento di voltare pagina.- gli spiegò ma, quando lo vide sbiancare, si affrettò a dargli un buffetto e a sorridere. -Ehi, va tutto bene! Non ho intenzione di lasciarti solo!- lo rassicurò subito, costringendosi – lo vedevo chiaramente – a mostrarsi allegra e serena nonostante non si sentisse minimamente così. -Perdiana, sei più insicuro di una ragazzina al primo amore.- aggiunse, sarcastica – sfuggendo, però, al mio sguardo indagatore.

-Mi piace vivere con te.- protestò lui, ma mi accorsi anch’io di quanto stesse cercando di impuntarsi su qualcosa che, alla fin fine, forse avrebbe anche potuto andargli a genio. Dopotutto, oggettivamente parlando, Ray poteva anche aver ragione: Will ed Angel stavano insieme da tanto, forse era arrivato davvero il tempo di cominciare a pensare ad un futuro insieme.

Ray gli arruffò i capelli, continuando a sorridere con quello che mi sembrò uno sforzo quasi titanico; capii in quell’istante quanto stesse cercando di reprimere la propria angoscia, la propria tristezza, pur di riuscire a tranquillizzare il suo amico… innervosito, non potei fare a meno di tamburellare con le dita sul cuscino del divano, guadagnandomi una sua occhiata ammonitrice.

Era stupefacente, per me, vedere quanta intesa e complicità fossero sbocciate fra me e lei in quei pochi mesi di relazione – era quasi come se, in tutta la mia vita, non avessi aspettato altro che lei per sentirmi finalmente completo

-Avanti, in fondo lo sai da molto tempo che questa cosa doveva cambiare.- sorrise, Ray, rivolgendosi di nuovo a Will. -Tu ed Angel siete pronti da tanto tempo.- aggiunse con tenerezza, ma la vidi inghiottire quello che, probabilmente, doveva essere l’inizio di un pianto che stava cercando di reprimere dentro se stessa.

-E tu dove andrai?- le domandò lui col solito tatto elefantiaco, infierendo inconsapevolmente su quell'autocontrollo mostruoso che, tuttavia, stava cominciando a vacillare. Lei chiuse per un istante gli occhi, prendendo fiato prima di rispondere.

-Ho qualche soldo da parte. Mi troverò un posto vicino al lavoro, così__-

E la soluzione, in quel momento, si presentò nella mia mente con una consapevolezza talmente chiara e cristallina da sorprendere me stesso per non averla riconosciuta prima.

-Vieni qui.- la interruppi, sollevandomi dallo schienale della poltrona e osservandola da sopra le dita intrecciate; Ray, alla mia esclamazione, si voltò di scatto verso di me  ma Will, alle sue spalle, si aprì in un sorriso talmente entusiasta da farmi intuire che la stessa idea fosse balenata in mente anche a lui.

-Cosa?- mi domandò lei, esterrefatta, fissandomi con quei due splendidi occhi blu che erano riusciti a stregarmi molto tempo prima di quel giorno. Annuii.

-Vieni a stare qui. Con me.- ripetei, convinto e serio come non ero mai stato prima di quel momento: solamente ora mi rendo conto di quanto mi sentissi determinato, di quanto desiderassi con tutte le mie forze che Ray fosse abbastanza coraggiosa da fare quel passo verso di me.

Ci conoscevamo da poco, stavamo insieme da ancor meno, c'erano dieci anni di differenza fra noi, ma io sapevo già che lei era tutto ciò che avrei potuto desiderare.

-Ben…- cominciò, incerta e deliziosamente confusa, passandosi le dita fra i capelli biondi per tirarseli indietro, scostandoli dal volto. -...stai scherzando, vero?- mormorò, rivolgendomi un'occhiata così insicura ed implorante da strapparmi uno sbuffo divertito.

-Evidentemente, Will non è l’unico insicuro patologico in questa stanza.- commentai, ed entrambi i biondi tirati in causa arrossirono fino alla radice della capigliatura del medesimo colore.

Mi allungai verso di lei, prendendole una mano ed avvicinandola a me; Ray, docile come non era mai stata nei miei confronti – né con nessun altro, d'altronde –, si lasciò sottrarre da Will e mi permise di prenderla di nuovo in braccio, di riempirmi lo sguardo di lei e dei suoi occhi meravigliosi.

Le accarezzai lievemente una guancia col dorso della mano, sorridendo appena quando la vidi socchiudere gli occhi per abbandonarsi, fiduciosa, al mio tocco.

-Ti voglio per me dal momento stesso in cui mi hai rifilato quel due di picche, quando ci siamo conosciuti.- le rivelai a bassa voce, strappandole un piccolo sussulto divertito quando quel ricordo riemerse nelle memorie di entrambi. L'avevo trovata così sensuale, quella sera, così meravigliosamente enigmatica... -Sono un uomo possessivo, Ray, ed estremamente ansioso. Non sopporterei l’idea di saperti lontana da me.- aggiunsi, inarcando un sopracciglio e rivolgendole quell'occhiata sardonica che, come avevo imparato, era in grado di farle saltare i nervi in un istante.

Per una volta, però, lei non volle cogliere la mia provocazione e sospirò, tormentandosi nuovamente le ciocche dorate che le continuavano a ricadere sulle guance.

-Ho vissuto sola per molto tempo, non è un problema, non sentirti costretto ad aiutarmi…- cominciò, ma alzai immediatamente una mano per interromperla, scuotendo appena la testa.

-Costretto?- sottolineai, inarcando un sopracciglio con scetticismo. “No, non ci siamo proprio.”

Sospirai, abbassando lo sguardo per un istante prima di alzarlo nuovamente su di lei, non riuscendo a trattenere un sorriso sarcastico dal disegnarsi sul mio volto quando la vidi tanto insicura, triste ed estremamente fragile. -Perdonami, ma forse non hai colto il senso di ciò che ho detto.- le feci notare, annuendo in risposta alla sua espressione accigliata.

Non voleva capire… per lei sarebbe stato molto più semplice accettare un rifiuto od un dolore, invece delle parole semplici che le stavo rivolgendo in quel momento. Avevo compreso da tempo quanto fosse totalmente incapace di credere che qualcuno si preoccupasse per lei o la desiderasse nella propria vita; l’unico modo per valicare la sua insicurezza, dietro cui si trincerava come un guerriero al di là dei merli di un castello, era essere chiari.

La guardai, inchiodando le iridi in quelle tempestose della donna che amavo: sapevo che sarebbe stata in grado di scorgere, nel mio sguardo, quella verità che lei si stava testardamente ostinando a non voler accettare.

-Ti voglio con me, Ray. Adesso, fra un anno, per tutto il resto della mia vita.-

La osservai trasalire, rabbrividire, sgranare gli occhi quando pronunciai quelle parole che, probabilmente, lei non avrebbe mai nemmeno sperato di sentirsi rivolgere; eppure quella era l’unica realtà che sentivo ardere dentro di me, tanto immensa e cristallina da annientare le paure ed i timori di entrambi.

Volevo bearmi di lei, della sua presenza, volevo godere di ogni sua vittoria ed esserle accanto dinanzi a qualsiasi difficoltà; volevo svegliarmi e trovarla accanto a me, volevo fare l’amore con lei fino a spossare entrambi di piacere ed appagamento, volevo vederla strillare contro la televisione e suonare la batteria con quella determinazione assoluta con cui Ray affrontava la vita – una vita che volevo mia, che volevo condividere con lei, che non mi sarei lasciato sfuggire per nulla al mondo.

Io volevo lei.

Allungai una mano per racchiuderla intorno alla sua, che lei aveva tenuto stretta a pugno in grembo sino a quel momento, passandole l'altro braccio attorno alla vita per trattenerla lì, nell’unico posto da cui non l’avrei mai fatta scappare: fra le mie braccia. Con me.

Le accarezzai le guance soffici con i pollici, riempiendomi lo sguardo e la mente dello splendore del suo volto, dei suoi occhi increduli, del sorriso incerto che le increspava le labbra morbide; le soffiai un bacio sulla bocca, sfiorandole con le dita i boccoli disordinati e sorridendo a mia volta.

-Io sono un gran egoista, Ray. Tu sei mia, e io non ho intenzione di lasciarti andare tanto facilmente.-

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Una cosa che ho imparato ad apprezzare di Ray, nel corso degli anni,  è la sua ostinata caparbietà e la sua (un poco patologica, lo ammetto) incapacità di procrastinare: una volta presa la decisione di trasferirsi da me, quel piccolo vulcano impiegò appena quindici giorni per spostare tutto ciò che possedeva dall’appartamento di Will a casa mia.

William insistette per non smantellare completamente la camera che Ray stava abbandonando; la costrinse – quasi con la forza, a dire il vero – a lasciare un cambio d’abiti e qualche effetto personale nell’armadio, “casomai avesse avuto bisogno di trascorrere del tempo assieme a lui e ad Angel”: mi trovai d’accordo con la sua richiesta, perché sapere che Ray avrebbe sempre avuto un posto dove andare se mi fosse successo qualcosa è sempre stata una sicurezza non indifferente.

Nel giro di pochi mesi, da quando avevo rimesso piede in Inghilterra, la mia vita era stata completamente stravolta dall’arrivo di quella biondina esagitata che mi era entrata dentro come mai nessuno aveva fatto prima d’allora.

Imparare a vivere insieme fu facile e spontaneo per entrambi. Ray aveva vissuto a lungo sola ed in seguito assieme a William, ed era abituata a gestire casa e lavoro senza alcuna difficoltà; io avevo convissuto per molti anni con mio fratello Jack e non mi preoccupava l’idea di dividere casa mia con qualcun altro, ma nessuno dei due avrebbe mai potuto immaginare quanto semplice fu abituarsi l’uno all’altra.

In breve tempo, come già aveva fatto una volta, la sua presenza diventò, per me, essenziale.

 _

Viviamo insieme da più di quattro anni, ormai. Abbiamo superato tante avversità e tanti problemi, ma niente è mai riuscito a convincermi di aver sbagliato, in quella lontana sera di inizio estate, nel tentare di abbordare una giovane biondina che non potevo immaginare avrebbe cambiato per sempre la mia vita.

Dicono che la notte porti consiglio, che il buio sia riposo per la mente e per il corpo; dicono che la notte sia pigra e fragrante, sempre identica, quasi monotona e priva di luce; dicono che sia utile solo per dormire, per far passare in fretta quelle inutili ore di buio.

È evidente quanto il mondo non abbia ancora avuto l’occasione di conoscere la mia piccola Ray.

Lei, la notte, ce l’ha negli occhi: ce l’ha dentro quelle iridi chiare, in ogni millimetro di quel viso di bambola. Ho imparato ad amarla perché lei è e sarà sempre una che cambia, muta ed esplode in una miriade di fuochi d’artificio ogni volta più belli, ogni volta irripetibili; era ed è tante persone diverse, Ray, proprio come la notte: mai uguale a se stessa, ma più bella ad ogni sguardo.

È del suo modo di essere quella meravigliosa, magica notte di cui io non riesco più a fare a meno: della notte che si riflette sulla sua pelle chiara, sulla linea morbida della schiena illuminata dalla luce dorata dei lampioni che sfiora i suoi corti, arruffati capelli biondi; della notte che sa delle sue labbra, delle sue carezze, della sua pelle; della notte che mi ha riempito la vita di risate, di gioia e della luce dolce e delicata della Luna.

Sorrido, guardandola mentre dorme appallottolata contro di me, il suo respiro mi sfiora il petto e le sue dita stringono con forza le mie.

A pensare che è iniziato tutto con un due di picche, sinceramente, ora mi viene quasi da ridere.

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My Space:

Ebbene sì, sono riuscita a trovare una conclusione anche per Seize The Day! Non ci speravate più, lo so; sinceramente… nemmeno io ^^'

Evidentemente questo è il periodo in cui riesco a portare a termine molte delle cose che ho lasciato in sospeso per tanto tempo… dev'essere l'arrivo dell'autunno e dell'inverno, mi fa sempre un buon effetto e mi fa lavorare di più sui miei scritti, con maggior passione. Ben e Ray mi hanno accompagnata per un lungo pezzo della mia vita e non hanno ancora finito con me, a dirla tutta: come ho detto all'inizio, questa fanfiction è per tutti coloro che li hanno amati e li amano quanto me, è un dono per le persone che, nonostante le avversità, non rinunciano ai sogni.

Vorrei ringraziare tutte le persone che hanno recensito e atteso pazientemente il finale di STD; siete stati tutti meravigliosi, è soprattutto grazie ai vostri commenti e al vostro entusiasmo che mi sono decisa a riprendere in mano questa fanfiction per darle il finale che meritava. Ben e Ray, lo capisco solamente ora, non sono soltanto il mio rifugio: sono anche un po' il vostro, e mi dispiace di avervi fatto aspettare così tanto.

Magari è un po' un cliché, ma a volte non mi dispiace inserirne qualcuno ^^' spero che vi sia piaciuto questo capitoletto conclusivo! Devo dire che non mi dispiace, non è stucchevole e Will è un pacioccone estremamente coccolabile xD

Peter: :D

NON TU, Peter. Tu sei insopportabile, è il tuo interprete ad essermi simpatico. Ricordati sempre che io ti aborro dal profondo del mio cuore.

Peter: ...mai una gioia nella vita -.-

Ben invece è mostruosamente perfetto, almeno secondo i miei canoni: datemene uno così, per piacere. Dove li vendono? Ne ho un gran bisogno ç_ç

 

§

 

APPUNTI TEMPORALI

- Ray e Ben si sono conosciuti dopo la registrazione di Dorian Gray ma prima dell'uscita nei cinema, ossia quando lei aveva compiuto da poco 18 anni (e lui 28, ci sono dieci anni di differenza fra loro). Will, al tempo, viveva con lei in un appartamento di Londra. In seguito a "Seize The Day", però, Ray va a vivere con Ben ed Angel si trasferisce da William.

- Will ed Angel lasciano l'Inghilterra un anno dopo, ai 19 anni di Ray (29 di Ben), pochi mesi dopo l'incidente di Ray (che trovate raccontato nella fanfiction "Phoenix"). Dopo questa partenza sono ambientate le fanfiction “Something was broken” e “Stop. Breathe. Cry if you must.

- Angel e Ray hanno uno screzio, circa un anno dopo il trasferimento di Will ed Angie negli USA, che porta le due coppie ad allentare i rapporti e ad allontanarsi, pur mantenendo intatte le amicizie Will/Ben, Angel/Ben e Will/Ray.

- Ora, ossia nel momento in cui Ben parla di Ray al termine di questo capitolo, Ben e Ray sono sposati e hanno una figlia, Sinéad, e convivono a Londra da più di quattro anni. Ray quindi ha più di 22 anni e Ben 32, Sinéad invece ha compiuto un anno (essendo nata ad agosto dell'anno prima). Un piccolo scorcio di questa nuova vita lo trovate nella storia “Full Hearts”, ambientata durante le riprese del film The Words.

Tutto questo lo troverete descritto nelle mie prossime fanfiction; sì, non ho finito con loro! Ci rivedremo, quindi, è una promessa solenne. :)

 

Love you all,

B.

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