Ad un passo dall'Iperuranio

di Seratul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciasette ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Freddo. Una notte buia e umida. Il ponte, giocciolava dalle sue travi di ferro, nel grosso, inquinato fiume. Le sponde erbose e ripide, sembravano abbracciare il fiume. A destra del ponte una rotonda incompleta, deserta, a sinistra un lungo stradone. Stridii di gomme, urla di ragazzi scalmanati e il rimbombo del ronzio dei lampioni.
Ero li, in piedi, sulla spessa, ferrosa ringhiera del ponte. I pensieri, le delusioni, i dettagli della vita, mi avevano portato fino a li.
Tutto a causa sua.
Lei, la ragazza del mio cuore e dei miei incubi. Una piccola infatuazione, trasformatasi in qualcosa di piu. Un dolore patito per anni, anni in cui desideravo farla mia, solo mia, ma purtroppo, al destino non manca il senso dello humor.
Non che non mi amasse, ma non poteva amarmi. Avevo qualcosa che a lei non piaceva, ero qualcosa che il suo cuore non gradiva.
Tre anni a starle dietro, diventando un fratello per lei, un amico, un angelo custode.
Un canto aveva risuonato dentro la mia anima, giorni prima. La musica. Il mio amore più grande, quasi quanto lei.
Lei gli aveva mandato un messaggio. Una canzone, ascoltata per caso, mentre le lacrime rigavano il suo viso. Una canzone triste, che riportava semplici parole, "è inutile vivere una vita, vuota di quello che desideri".
Allora ero lassù. In piedi sul cornicione arrugginito, con il cuore in gola. Il cuore diceva che era l'unica soluzione. L'unico modo per smettere di soffrire sarebbe stato prendere coscienza di me stesso, ma non ero forte.
La morte avrebbe messo fine a tutto.
Stesi le braccia, pronto a fare il salto. Guardavo il nero fiume sotto di me, e il cuore mi ballava in petto. Mi sembrava assurdo ritrovarmi li.
Non avevo il coraggio di prende in mano la mia vita, ma sembrava che la mia morte fosse facile. In effetti non ci avevo riflettuto nemmeno tanto.
- Oh la va, oh la spacca, Lean. -
Dissi a me stesso, mentre il vento faceva sventolare i miei indumenti.
Mi ero vestito anche bene per una cosa così. Una paio di jeans, t-shirt e una felpa. Mi ero detto, "se ritroveranno il mio corpo dopo che sarò morto, mi piacerebbe mi trovassero bene, non una cadavere da film poliziesco".
Un pensiero idiota. Totalmente idiota.
Allora presi un grosso respiro, stesi per bene le braccia allargate. Portai un piede in avanti, pronto a fare il grande salto, il salto decisivo. Un colpo al cuore mi fece desistere.
- Cavolo Lean. Non hai il coraggio nemmeno per questo! -
Il tono prorompente che avevo usato, attirò l'attenzione dell'ultima persona che avrei voluto fosse stata li quella sera. No, non lei. Un poliziotto.
Irrequieto l'agente scese dall'auto, lasciò il compagno nella macchina ad aspettare, e venne quatto verso di me.
- Ragazzo! Stai calmo! Vieni giu da la sopra! -
- Stia lontano o lo faccio! Giuro che lo faccio! -
dissi con fare minaccioso.
Il poliziotto avanzò ancora. Nel suo sguardo un espressione di terrore. Si accovaccio leggeremente ed espose una mano in avanti.
- Avanti ragazzo! Per qualsiasi motivo tu lo faccia non vale la pena di morire. -
Le sue parole non mi intaccarono. Voltai la testa verso il fiume, intenzionato a fare quello per cui ero venuto li. Sentii un rumore dietro la schiena, sembrava il suono della fondina che viene aperta.
A quel punto mi decisi. Un inclinazione in avanti e i miei piedi persero l'equilibrio.
Il baratro si aprì sotto di me. Un oscuro pozzo, ma con una fine, l'oblio.
Caddì per mezzo secondo, ma mi sembrò un'ora.
Vidi tutto me stesso in quel lasso di tempo, vidi lei, vidi la mia famiglia ed il loro dolore.
Vidi i miei amici e vidi il mio soffrire finalmente sulla strada per scomparire.
Le acque gelide del fiume d'autunno mi abbracciarono, come ad accogliermi nella loro mortale morsa gelata.
Avvertii il freddo entrarmi nelle ossa, come milioni di lance acuminate. Le lame astratte perforarono ogni brandello di lucidità nella mia mente.
Un armata pronta a fucilare la mia essenza.
Sentii me stesso venir meno. Gli occhi offuscati dall'acqua torbida, si stavano oscurando. La perdita dei sensi avanzava, fin quando fu completa.
Oblio. L'unica cosa rimasta intorno a me.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Il buio del sonno era tutto intorno a me. Cercai la prova di essere morto.
Come fai a capire se sei morto o vivo?
Alcuni dicono che dovresti vedere un lungo tunnel con una luce bianca in fondo, ma no, niente, non la vedo.
Che sia ancora vivo allora?
Diavolo Lean non ti riesce nemmeno suicidarti con serietà. Sei proprio un fallito.
Oddio ma con chi sto parlando?
La mia voce interiore, la mia psiche, il mio subconscio, non so come definirlo.
Niente. Non sento niente che definisca uno stato di morte. Allora forse sono ancora vivo.
Sentivo la sensazione dei muscoli. L'intorpidimento da "mi sono appena fatto una nuotata in un cascata".
Tentai di aprire gli occhi, ma senza successo.
Dai pappamolla, prova ancora sei vivo!
Provai di nuovo e fu quello il momento, in cui riuscii ad aprirli legermente.
Una intensa luce bianca filtrava.
Dove diavolo ero, in paradiso? Allora ero morto sul serio. finalmente un po' di sollievo. iente piu soffrire per amore, niente rodersi il fegato per una relazione che non puoi ottenere.
O forse no?
- Ehi ragazzo... Lean. Rispondimi se riesci a sentirmi. -
Una voce ridondante mi entrava nelle orecchie. Sembrava quella di un angelo, o di un risultato di una botta da morfina.
Oddio forse sono in ospedale. Sono vivo allora.
Aprii gli occhi e mi ritrovai quella luce bianca, che violentava i miei occhi.
Tanto che mi misi una mano davanti alla faccia.
La mano! Muovevo la mano. Forse non ero così intontito come credevo.
- D-dve sono? - chiesi stordito dalal luce abbagliante.
- Sei in ospedale Lean. Ti hanno rispescato dal fiume. -
Daccordo, era assodato che il progetto suicidio non era riuscito una granchè. Che cavolo! Uno tenta di farla finita con tutta la sofferenza che la vita provoca, e quella continua a ridondarti sulla faccia, come una cane che ti lecca fastidiosamente ogni volta che entri in casa.
Ok, è l'ora di fare i conti con la realtà.

- Hai fatto un bel volo dal ponte.. è un miracolo che tu sia vivo. Qualcuno lassù deve volerti bene. - disse mentre sistemava qualcosa nei pressi della flebo.
Quando riuscii ad avere la completa capacità di vedere, scorsi con chi parlavo.
Un infermiera. Una bella infermiera.
L'abbigliamento da ospedale non lasciava molto all'immaginazione, ma i lunghi capelli castani e il viso minuto lasciavano capire il tipo di fisico.
Una bella ragazza sulla ventina, probabilmente uscita da un servizio di volontariato.
Mi alzai per la lunghezza del mio busto, e mi accorsi di assere dentro un lungo camice, completamente nudo sotto. Ritrassi le coperte come per coprire le mie vergogne, come se fossi davvero nudo. Che cosa stupida.
Lei mi guardo in modo stranito, poi sistemata la flebo, uscì dalla stanza molto tranquilla.
Volevo uscire da li.
Afferrai le coperte e me le tolsi da sopra le gambe, per riuscire ad alzzarmi dal letto.
Mi issai sulle mie gambe, presi la flebo e me la portai dietro.
Ma perchè lo stavo facendo?
Mi tolsi l'ago dal braccio e mi inolrai verso la porta della camera.
In corridioio era pieno di gente ma non m'importava. Avanzai tranquillo, ma, come se fossi un una spece di carcere di massima sicurezza, l'infermiera di prima mi inquadrò subito.
- Ehi! Ritorna in stanza! Non sei ancora in condizioni di essere dimesso, ritorna nella tua stanza.-
- Devo andarmene, non voglio stare qui. - dissi con tono irritato.
Lei mi si pose davanti e mi afferrò per un braccio. Con fare molto seducente mi si pose di fronte e mi sussurrò molto vicino.
- Andiamo, rimani qui per ventiquattrore. Ho sentito che sta per arrivare qualcuno a trovarti. Una ragazza.-
Un immagine mi si pose in mente. Lei. Forse davvero lei. si sarebbe preoccupata per me e mi sarebbe venuta a trovare. Magari la compassione avrebbe aiutato. Magari un bacio rubato, non so.
Mi convinsi di rimanere li in camera.
Tornai indietro e mi rimisi a letto, pronto ad affrontare un giornata intera, ad aspettare lei, che arrivasse o no la aspettavo.

Tempo trenta minuti e l'infermiera tornò nella mia standa. Sempre la solita.
Chissa se assegnano un infermiera sola a camera o se fanno a turni tra stanza e stanza.
Fondamentalmente chissene importa.
Volai lo sguardo verso la finestra che dava fuori. Un cielo bianco, immacolato. Probabilmente il tempo segnava neve.
Ad un tratto sentii uno strano formicolio percorrermi i muscoli.
Mi voltai verso l'infermiera e vidi che aveva premuto un pulsante bianco. Penso fosse quello per la morfina.
Cavolo. Mi aveva fregato. Non sarebbe venuto nessuno a trovarmi, lei non lo sapeva, non era in città. Che stupido.
Fregato da un'infermiera per farmi tornare in camera e drogarmi per farmi stare buono.
L'effetto della morfina entrò in circolo velocemente, e in poco tempo fui di nuovo nel mondo dei sogni.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


L'ospedale era un ricordo ormai, ma aveva avuto le sue innervosenti conseguenze.
Tornato a casa, subii le miglioni di cattiverie uscite dalla bocca dei miei genitori.
Il loro essere dannatamente bigotti non gli permetteva di capire che, quando soffri così tanto, la desideri la morte.
Comunque secondo loro avevo un qualche tipo di debolezza mentale, che andava curata con delle sedute dallo psicologo.
Benissimo. Gia me lo vedevo. Si sarebbe seduto sulla sua sedia molleggiata, con aria di "confidami ogni tuo piccolo segreto", e si permetterà di giudicarmi e pretendere di insegnarmi qualcosa.
Cos'è che non va? Che lei non mi vuole e non mi vorrà mai, non c'è possibilità.
Ad ogni modo accettai anche se a malincuore di fare queste sedute.
Il pomeriggio stesso ce ne era una. Non avevano perso tempo i mieie genitori nel considerarmi un pazzo.
Se il prezzo vdel mio gesto avrei preferito di gran lunga morire.

Quello stesso pomeriggio mi preparai.
Mi vestii nel solito modo in cui mi vestivo per uscire. Un paio di jeans, t-shirt, camicia sarebbero bastati.
Il mio giubbotto di pelle, il mio carissimo giubbotto era ancora sporco della fanghiglia del fiume, quindi non utilizzabile.
Poco male, io ed il freddo andavamo d'accordo.
Presi cellulare, sigarette il mio Ipod ed uscii di casa.
Il tempo di fare due passi e gia avevo le cuffie nelle orecchie. Non sapevo vivere senza musica.
Penso che sensa quella, ed il tempo passato con la mia band, sarei impazzito per davvero.
La musica portava sfogo, ma unicamente per quelle ore in sala prove o al concerto.
Continuai a camminare, non era poi così lontano, perché il tempo di scegliere canzone e sentirla, ed ero gia arrivato.
Un portone vecchio, come piu o meno tutta l'architettura della città, si erigeva davanti a me.
Suonai il campanello e quasi subito la porta di aprì. Mi inoltrai all'interno dell'abitazione e trovai un ambiente molto simile a quello che mi aspettavo.
Grossi quadri di pittori famosi e mobili antichi pieni di orletti ed archi.
Praticamente all'ingresso c'era una donna.
Sedeva dietro una scrivania di legno, tutta addobbata dai classici ornamenti di un tavolo da ufficio.
Il battito delle sue dita sui tasti della tastiera del computer, risuonava fino a me.
Fastidioso.
La donna era un po' traccagnotta, sulla quarantina. Portava un paio di occhiali orrendi, con una catenella che ruotava intorno al collo, collegandosi ai margini delle aste.
Mi guardai attorno e poi avanzai.
- Lei deve essere... -
- Lean.- dissi interrompendola.
Mi squadrò, sollevando dal naso gli occhiali, come a dire "non provare ad interrompermi mai piu".
- Corridoio, seconda porta a destra.-
Mi incamminai subito. Con lei non si discuteva a quanto pare.
Ne rimasi abbastanza stranito, dopotutto una segretaria dovrebbe invogliare a venire in posti come quello.
Che so, magari una bella ragazza dal seno prorompente o con un bello sguardo.
Lei non mi aveva invogliato per niente, anzi, mi stava facendo desidere ancora di piu di non essere li.

Seconda porta a destra. Eccola li davanti a me. Un profondo respiro e fui pronto ad entrare.
Il pomello ruotò tranquillamente.
Appena aprii appena la porta, un odore intenso di thè penetros violentemente nelle mie narici.
Adoravo il thè.
Spalancai la porta e vidi che lo studio dello psicologo era enorme.
Sembrava un piccolo appartamento piu che uno studio.
Sgranai gli occhi e mi guardai attonoo, inoltrandomi nella stanza.
Quello aveva tutta l'aria di essere una spece di salotto.
Un'arredamento così bizzarro, così arioso, luminoso, metallico. Sembrava una di quelle cucine che si vedono nelle pubblicità.
Divani, sedie, mobili, librerie, tavoli, quadri, soprammobili, tutto era perfettamente in stile moderno.
Il muro si interrompeva in un grosso arco, da cui proveniva l'odore di thè.
- Arrivo subito!- irruppè una voce di donna.
Al sentirla mi avvicinai all'arco per vedere se avevo sentito bene.
Li la vidi.
Una ragazza, sulla trentina stava accanto ai fornelli, versando dentro due tazze il liquido da un pentolino.
Jeans attillati, maglia grigia e un gilet nero. Capelli raccolti dietro la testa da un bastoncio intagliato.
Non proprio quello che mi ero immaginato.
Ne rimasi piacevolmente sorpreso, almeno non dovevo litigare con un vecchio, barboso dallo sguardo accusatore.
Poggiò il pentolino dentro il lavello, prese le due tazze multicolore e venne verso di me.
Un bel viso. Un bel paio di occhi verde prato, coperti da degli occhiali squadrati, neri.
- Ciao - disse porgendomi una tazza. - Io mi chiamo Sibilla. -
- Piacere, io Lean. -
Mi fece cenno di dirigermi verso il salotto, così ci andai.
Sembrava cordiale. Mi ero completamente sbagliato.
Mi avvicinai al divano e mi sedetti.
Lei fece il giro del tavolino da caffè, che divideva i due divani e la poltrona, e si sdette su quest'ultima.
Presi un sorso del thè ancora bollente. Percepii il suo piacevole tepore, in un esplosione di fragranze.
Non sapevo a quale gusto fosse quel thè, ma era poesia liquida.
Un sorriso si disegnò sul volto di lei, vedendo la mia espressione di beatitudine nellassaporare la bevanda.
- Allora.. Lean. E' un nome d'arte vero? -
- Si. Me lo sono messo così. Il mio nome non mi piaceva e nemmeno il mio soprannome. - dissi, prendendo un altro sorso.
Dalla bocca mi usci una vampata di respiro caldo, unit ad un gemito di soddisfazione.
- Va bene, allora ti chiamerò così. Lean. - restitui lo stesso gesto, prendendo un sorso anche lei. - scommetto che ti starai chidendo, "Ma che ci faccio qui? -
- In effetti si. Non lo so... non sono pazzo. -
- Nessuno ha detto che sei pazzo. - poggiò la tazza sul tavolino - Perché credi questo di te stesso? -
- Perché sarei qui altrimenti? -
Lei scoppiò in una sonora risata. Fu tanto contagiosa che spuntò un sorriso divertito anche sul mio volto.
Era così strana. Non aveva per niente l'aria di una psicologa.
Quando si calmò, mi guardò negli occhi, quasi a voler scavare dentro di me.
- Un suicidio non è così rilevante, ma il motivo che ti ha spinto a farlo si. Perché non me lo racconti? -
- E' stupido.. - dissi, abbassando lo sguardo.
- Sta tranquillo. Non sono qui per giudicarti, ma solo per aiutarti. -
A quelle parole alzai lo sguardo. Volevo scorgere il suo viso per vedere se stava dicendo sul serio. Nel suo sguardo non mi pareva ci fossero ne falsità, ne ipocrisia, così decidi di fidarmi.
- Si tratta di una ragazza. -
- Oh ho! Adoro le storie d'amore. -
Poggiò il mento sul palmo della mano, sorretto dal braccio sul ginocchio accavallato all'altra gamba, e mi guardo negli occhi.
- ..la conosco da un po' ormai. Saranno tre anni ormai. Non so come funzioni l'amore, ma sono sempre stato innamorato di lei. Volevo dirglielo, ma un mio amico - dissi facendo le virgolette - rovinò tutto dicendoglielo. -
- E lei che ti rispose? -
- venni a sapere cos'era successo da lei, che mi disse un no. Ma non era un no così.. deciso ecco.-
- Cosa intendi? -
- Che non poteva stare con me, che non ci sarebbe stato niente perché...-
Mi scrutò con fare curioso. Le sorpacciglia inarcate dicevano che aveva capito, ma voleva sentirmelo dire.
- ...non le piacevano i maschi. Capito? -
Si sciolse dalla posizione d'attenzione, ed afferrò la tazza nuovamente. Io feci la stessa cosa e ne bevvì un bel sorso, quasi ustionandomi la gola.
- E' un bel problema - disse bevendo anche lei. - ma non insormontabile. -
- E come faccio? -
- Posso intuire che questo successe dopo poco che vi conoscevate. Adesso ti conosce di piu e forse ne aveva proprio bisogno. -
- Ma.. non le piacciono gli uomini. Cioè non mi ero fatto capire? -
Pogiò la tazza sul tavolo rapidamente, con un espressione del tipo "si che l'avevo capito".
- Si si.. l'avevo capito. Ma non significa niente. Nessuno si ottimizza davvero alle etichette. E' tutta una questione di sentimenti. -
Lei alzò una questione che mi fece pensare.
Che quelle fossero solo etichette, e il cuore comandi incontrastato su ogni tipo di azione legato a questa sfera?
- Il cuore dona le istruzione per usarlo, ma poi verso chi si direziona l'amore non importa, non ci sono regole. -
Quelle parole mi colpirono come una fredda giornata d'inverno. Che sia vero? Che sia tutto dettato dal cuore?
Allora la situazione era peggiore. Non era perchè ero un uomo, ma perché sono io a non piacerle.
Presi la tazza e la tenni vicina alla faccia.
Forse il dolce tepore del vapore, avrebbe imprigionato quel pensiero e non mi avrebbe portato a buttarmi di nuovo.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Era passato un giorno da quella faticia pugnalata al cuore, che era la rivelazione data dalla chiaccherata con la psicologa.
Una persona piacevole, in una piacevole casa, con una piacevole scatola di bustine di thè, con un sapore strano, però li odiavo per quello gli psicologi, ti attirano facendoti abbassare la guardia, e poi ti fanni spiattellare qualsiasi cosa riguardi te stesso.
Non mi meraviglierei se il sapore strano di quella bevanda, fosse veritas serum o qualcosa di simile uscito da un racconto fantasy.
Il punto era che adesso conoscevo la situazione, e non mi piaceva nemmeno un po'.
Sapevo perché spariva, perché non chiamava mai, perché metteva sempre persone davanti a me, sapevo perché degli sconvolgimenti dati da me nella sua vita non le importava un granchè.
La verità è che non le importava di me, ho almeno non come io avevo ritenuto le importasse.
Forse devo solo liberarmi di questa spiacevole sensazione.
Forse devo solo annullare definitivamente i sentimenti.

Ero davanti al computer quando tutti questi pensieri mi si accavallarono nella mente.
Come sempre con qualche spartito di qualche canzone, la chitarra la mio fianco e un social network aperto.
Come al solito una totale solitudine. Con mille amici nella lista e una tragedia in solitaria.
Che schifo. Come si fa a ridursi così?
Un occhiata al cellulare, con la solita frase di spranza in testa.
Niente. Nemmeno uno squillo.
Mi sembrava di essere una quattordicenne in piena crsi ormonale.
Che schifo, continuavo a ripetermi in testa.
Tenni aperto il social network ancora un po'.
Lo misi in secondo piano così potei guardare gli spartiti e prendere la chitarra in mano.
La mia bellissima chitarra.
Un regalo, anzi no, il regalo.
Per i miei diciannove anni arrivarono con una grossa scatola, che non riuscivo ad immaginare cosa fosse. Quando scartai il tutto rimasi allibito.
Una bellissima Ibanez blu notte, semi acustica.
Le avevo dato anche un nome.
La mia bellissima Valentine.
Almeno lei non criticava, teneva compagnia, e non mi abbandonava quando non le facevo piu comodo.
Intonai le note di una vecchia canzone di John Denver.
Mi lascia trasportare completamente dalla musica e dalle sue bellissime parole.
se c'era un momento in cui stavo davvero bene, era quando prendevo in mano Valentine, e cominciavo a perdermi nel mio mondo di armonia e note musicali.
Un viaggio, un fantastico trip senza droghe.
Ad un tratto, mentre intonavo un acuto nello stantio eco della mia camera, sentii un suono strano.
Sembrava il suono di una bottiglia stappata.
Tenni la chitarra sempre in braccio, ma portai le braccia verso il computer.
Riportai il social network in primo piano e vidi che c'era una richiesta d'amicizia.
Mi stupii. Non succedeva spesso che qualcuno mi cercasse.
Aprii la pagina web della notifica e con fare da vecchio ottantenne, avvicinai il volto allo schermo luminoso, per cercare di scorgere l'avatar avvanto al nome.
La riconobbi subito.
L'infermiera. Quella che mi aveva fregato e drogato per farmi stare fermo e zitto.
Che voleva? I medici e gli infermieri non dovrebbero essre distaccati dai pazienti?
Ad ogni modo accettai la richiesta, e, nemmeno il tempo di ricaricare la pagina web, subito lei mi contatto in chat.
- Ciao ragazzo isterico.- scrisse con uno smile, per far capire che scherzava.
Rimasi un attimo interdetto da quella confidenza. In fondo non la conoscevo nemmeno.
- Ciao... scusa la domanda ma sei l'infermiera? -
- No sono mia nonna... Certo sono io! -
Uno sorriso soffocato mi apparve sul volto.
- Ehm.. come hai saputo il mio nome? -
- La cartella clinica. -
Violare così la privacy di una persona non era reato? Ne ero quasi sicuro, ma non glielo feci notare. Forse il mio difetto piu grande era la mia acidità, ma purtroppo quando passi tempo ad essere il docle ragazzo che sei, e le persone non fanno altri che abbandonarti, tradirti o trattarti male, bhe la acquisisci. Serve a proteggersi.
- Oh giusto... non ci pensavo.-
- Comunque io sono Freida. E tu..-
- Chiamami Lean.- scrissi interrompendola.
- Ok.. Lean. Da cosa deriva questo nome?-
- Ehm.. è una storia lunga.-
Non so bene perché desiderassi interrompere quella conversazione, però alla fin fine non aveva detto niente di male, aveva fatto come tanti di quel social network fanno per conoscere persone.
Non puoi allontanare la prima persona che si è interessata a te.
- Ed il tuo nome? Non è italiano.-
- No. Sono per metà indiana, non si è notato?-
Anche se non era li davanti a me, si sentiva dalle sue parole che quell'espressione trasudava orgoglio, orgoglio di non essere del tutto italiana.
Con qualche veloce click del mouse, andai a sbirciare fra le sue fotoe in effetti dava quest'impressione.
All'ospedale non avevo notato piu di tanto il colore della sua pelle, ma ora lo vedevo chiaro.
Probabilmente non l'avevo visto, perchè ero concentrato unicamente sull'adarmene.
- Oh giusto, in effetti si nota.-
- Sfido che all'ospedale non l'avevi notato, eri strafatto.- scirsse con uno smile divertito.
- Sei tu che mi hai ignettato quella roba.-
Quasi ci stavo a quel giochetto di punzecchiamenti, mi divertiva.
- Senti.. perché non ci prendiamo una birra da qualche parte? Così mi racconti la storia di Lean.-
Un invito?! Un invito vero! Cercai tracce di sarcasmo e falsità. varcai la possibilità che fossi solo il casuale bersaglio di un'enorme e complicato scherzo. Non mi sembrava così.
Bhe, un'uscita così per una birra non puo certo far male, mi permetterà di smettere di pensare un po'.
- Perché no? Dove ci ritroviamo?-
- Piano tigre! Adesso sto studiando, ma ci possiamo vedere questa sera se sei libero.-
Ha ragione lei, vai piano odiota!
- Ok. Dimmi dove ci ritroviamo.-
- Il tuo indirizzo era nella cartella clinica, vengo a prenderti io con la mia macchina.- stavo per controbattere, ero dell'idea che l'uomo oveva  guidare, ma lei mi battè sul tempo. - Ti suono alle dieci.-
E in un colpo solo, aveva deciso tutto lei e sia era disconnessa.
Ero quasi sconcertato da quello che era successo.
Con sicurezza ed aggressività lei mi aveva invitato ad uscire, una ragazza, per giunta carina.
Ma il lampare di questi pensieri, mi fece sentire peggio.
Che razza di uomo ero se uscivo con una ragazza, quando ero innamorato perso di un'altra.
Forse dovevo fare come una volta mi disse lei, la ragazza che mi ha spinto a tentare di suicidarmi.
Mi disse "Amore mio.. devi pensare meno".

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


La giornata continuò imperterrita nella sua noia, ma una cosa mi aveva acceso il cuore, lei, Freida. la trovavo una cosa così strano che mi veniva quasi da ridere al pensarci.
Ero sempre davanti al computer, con ancora il social network acceso e gli spartiti aperti. Avevo passato il resto del pomeriggio a suonare la chitarra con uno strano abbozo di tranquillità, quando ad un tratto un altro suono strano provenì dal computer.
Mi decisi a poggiare la chitarra a terra, tanto non c'era verso che potessi suonare in pace. Mi avvicinai al computer e guardai cos'era.
Esplorai un po' ma non era niente, solo un avviso del sistema operativo riguardo il livello di batteria del portatile basso.
Collegai il computer al carica batterie, rimanendo comunque davanti ad esso ancora acceso.
Si caricherà mentre ci sono.
Esplorai il social network e quando sbircia nella finestra delle chat, notai che lei c'era.
Lei. Era ancora ad una città di distanza, perché studiava fuori, ad un'ora e mezza da dove abitavo io.
Era nata nella mia stessa città e ci eravamo conosciuti proprio li, in una scuola di musica, mentre lei usciva dalla sua lezione ed io dovevo entrare.
Visto che l'insegnante era svicolata via per sistemare delle pratice, rimanemmo li a discorrere qualche minuto, piu che altro di musica e gusti musicali.
Mi era piaciuta da subito. Non so cosa avesse di strano. Era misteriosa, affascinante, una vera rosa con un miliardo di spine. Dio solo sapeva quant'era pericolosa.
Ci scambiammo in mumeri di telefono così tanto per fare, e così nacque un stupenda amicizia che ormai durava da tre anni.
Avrei voluto dirglielo di quello che provavo, ma un mio ex amico mi rovinò tutto, dicendoglielo lui per primo, vanificando così la possibilità che potessi sembrare sicuro ai suoi occhi.
Da li in poi filò tutto stranamente bene.
La vidi passare da un amore all'altro, divenendo un po' il suo confidente, quello a cui chiedeva di salvarla, di aiutarla o comunque con cui passare una serata tranquilla, vista la sua indole festaiola.
Dopo un'estate spumeggiante, mi dicisi a dirle tutto, ma ancora una volta qualcosa rovinò tutto.
Sembrava quasi che il destino, con il suo spiccato senso dell'umorismo, si mettesse di mezzo per rovinare ogni mia azione data dala sicurezza.
Quasi volesse proprio lui distruggermi l'autostima.
Agì attraverso il social network e alcuni post sul quale mi ero sbilanciato un po', e una sua amica che sospettai gli avesse fatto venire il dubbio.
Prese subito le distanze e me ne accorsi.
Tentai di rillacciare il tutto, anche se lei contunava a negare che ci fosse un problema, quando dopo una lunga astinenza fino a dopo halloween, la rabbia cedette il posto alla frustrazione.
Sapete com'è andata poi.

Lei era li, stazionaria con il suo nome, in cima alla lista della chat. Il puntatore del mouse ci passava sopra, indeciso se contattarla o meno.
Erano passate sue settimane ormai, eravamo alla fine della prima settimana di novembre, doveva essere tornata.
Ad un tratto presi un grosso respiro e mi decisi.
Click sul nome e la finestra si aprì.
- Ciao tesoro!-
Scrissi. Ormai l'avevo fatto non si cancellava. Ma poi perché mi preoccupavo tanto? Le dovrebbe far piacere sentirmi di nuovo.
Aspettai un po' ma per quel momento, nessuna risposta. Non mi preoccupai faceva spesso così.
Aspettai circa una ventina di minuti. Ci avevo quasi rinunciato, poi il suono, aveva risposto.
- Ehi.-
Tutto qui? Non mi senti ne vedi da due settimane ed è tutto qui? Era piu la mia paranoia che mi faceva fare così, oppure il mio desiderio che per lei fossi la persona piu importante?
Non lo sapevo piu nemmeno io.
- Come stai? ^^- scrissi con falso buonismo.
- Bene, tu?-
- Bene bene. ^^-
Mi sarei aspettato molto di piu, ma alla fin fine non puoi pretendere niente dalle persone. Chiedergli di essere se stessa, e poi pretendere qualcosa sarebbe da ipocriti.
- Senti questo fine settimana sono incasinata, semmai ti chiamo io quando ci sono.-
Delusione. Aveva sicuramente da andare in qualche discoteca, con amiche, amici, conoscenti di amici, che come minimo l'avrebbero tradita appena non avrebbero avuto piu bisogno di lei, o non appena avrebbero ottenuto da lei quello che vogliono.
E dopo sarebbe venuta da me, piangendomi sulla spalla, dicendomi che sono l'unico importante nella tua vita, come l'estate che era passata.
Ma a me stava bene, d'altrodne era strana, e mi piaceva per questo. Anche per il senso di mancanza che mi faceva provare quando non c'era.
- Si va bene.. - scrissi deluso. - ..tanto anch'io stasera sono occupato.-
La risposta a questa mia affermazione arrivò subito.
- Con chi esci?-
- Con una ragazza.. vedrò come va.- scrissi con un sorriso in faccia.
- Ok allora buona serata. Ciao Lean.-
- Ciao tesoro.-
Fui io il primo ad uscire dal social network. Averle detto che ero occupato mi faceva sentire strano. Un insieme di emozioni, paranoie e film mental in un colpo solo, ma tanto sapevo che non le importava granché sul vedermi o meno.
O almeno pensavo.
Comunque quella sera mi aspettava una bella serata, insieme ad una bella ragazza. Sembrava strano ma non vedevo l'ora.

Detti uno sguardo all'orologio e vidi che era gia le otto di sera, così, dato che i miei genitori erano fuori per una cosa parrocchiale, mi prodigai per preparami cena da solo.
Una pizza surgelata andva piu che bene. La misi in forno e in trenta minuti era gia pronta. Accesi la televisione e feci un giro di canali, tanto per guardare cosa trasmettevano.
Misi il primo film che trovai sul satellite e mi gustai la pizza con un bicchiere d'acqua, guardando a pezzi quel film.
Il tempo passò veloce.
Mi buttai sotto la doccia per una piccola rinfrescata, mi vestii velocemente con maglia verde e camicia blu. Scesi le scale di corsa, una capata in bagno per un po' di deodorante, il mio gubbiotto di pelle finalmente ripulito e fui pronto.
Mi sentivo in fibrillazione per questo incontro.
Tempo zero ed erano gia le dieci, e con una puntualità inquietante il campanello suonò.
Andai ad aprire un po' nervoso e la trovai li, davanti alla porta, bella da mozzare il fiato.
Ne rimasi sconcertato. Con indosso il camice non si poteva notare molto, ma così vestita, le sue forme uscivano allo scoperto.
Jeans stretti, una maglia con un chitarrista sopra e un piccolo giacchetto di pelle nera.
I capelli ne mossi ne ricci le cadevano sulle spalle, delineando il viso minuto, leguance incavate e o bellissimi occhi verdi.
Era strano che un indiana avesse gli occhi verdi, ma nel contrasto con la pelle olivastra ed i capelli castani, era un tripudio di bellezza.
- Ehi Lean! Mmmh sei molto piu carino senza camice e flebo.-
Mi piaceva il suo senso dello humor. Non era ne troppo impertinente, ne falso.
- Grazie. Anche tu stai bene senza camice.-
Battuta idiota. Gli hai appena detto che sarebbe bella nuda. Magari non lo capisce, oppure lo capisce ma non la prende come un'offesa.
- Oh ho! Sentilo come corre!- disse tendendomi la mano.
Con un po' di diffidenza, chiusi la porta e le afferrai delicatemente la mano.
La sua pelle era così calda.
- Adesso vedria che macchina che ho.- disse con una velo di maliziosità.
Che macchina potrebbe mai permettersi un'infermiera, con il misero stipendo che le danno?
girammo l'angolo e davanti ai miei occhi, apparì un altro angelo. Una meravigliosa Mustang nera, con verniciatura custom bianca.
- Cavolo che macchina! E' una mustang giusto?-
- Ford Shelby Mustang GT 500 del '67, prego.- disse con un sorriso così abbagliante e allo stesso tempo malizioso, che ne rimasi quasi incantato.
- E' una macchina favolosa! Chissà quanto l'hai pagata.-
- Bellezza.. le Mustang non si pensano, si vivono.- disse passandomi un dito sotto il mento, mentre mi passava davanti. - Vuoi sentire i cinquecento cavalli?-
Non feci parola alcuna, salii al posto del passeggero, mi sistemai sul morbido sedile, ammirando il fantastico lunotto. Sembrava di essere in uno di quei telefilm ambientati in sud america.
Lei si posizionò sul sedile del guidatore con una tale sensualità, da sembrare quasi la sexy cameriera di Hazzard.
Sembrava quasi lo facesse apposta, a farmi notare le sue curve, e probabilmente era vero, ma perchè questa ragazza, che nemmeno mi conosceva voleva questo.
- Reggiti la carrozzeria bello, che adesso si parte.-
Una forza enorme ci schiaccio ai sedili, e così partimmo e tutta birra.

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


La sua guida sportiva mi piaceva molto. Non molte ragazze sono così. In questo si somigliavano freida e lei. Due ragazze forti, dal carattere sia dolce, che sensuale, sia spiritoso che irriverente.
Mentre pensavo a lei, non ebbi notate che le strade che stava prendendo erano strade secondarie. Dov'era questo pub, bar o qualunque cosa fosse dove voleva prendere questa birra?
Ad un tratto eravamo arrivati, dopo una lunga salita, in un parcheggio vicino ad un campo sportivo.
Quello era il posto dove tante coppiette andavano per fare sesso. Che volesse così al primo appuntamento? Non era decisamente il mio stile.
Si fermò in mezzo al parcheggio, dicendo solo una parola, "scendi".
Era strano. La sua voce era così sicura, così bella, così aggressiva ma al tempo stesso melodiosa.
Scesi dall'auto ma lei non lo fece del tutto. Si chinò da fuori a dentro l'auto, per accendere la radio. Non avevo idea di che disco fosse, ma riconobbi l'inconfondibile voce di Steve Tyler degli Aerosmith.
Tornata in posizione eretta mi fece cenno di seguirla, così vidi che andava verso il retro della macchina e gli andai dietro. Aprì il portabagagli e dentro non c'era niente, ma armeggiò con il fondo e così aprì uno sportello segreto.
Era un vero e proprio frigorifero, con di tutto di piu, da alcuni panini incartati, alle birre ghiacciate, da preservativi a bottiglei di superalcolici. Mi venne il sospetto che lei, non fosse ne di religione indù ne musulmana.
Sorrisi al quel pensiero. A cosa andavo a pensare con una bella ragazza accanto? Alla religione? Ero proprio un idiota.
Mi passò una birra gelata e ne prese una anche lei, così richiuse lo sportello, il portabagagli e mi tese la mano. La presi e mi feci guidare. Andammo davanti alla macchina e ci sedetto al limitare del cofano.
Lei si palpò le tasche, penso cercasse un apri bottiglie, così sfoderai una piccola tecnica imparata da mio zio. Le presi la birra di mano, strinsi il tappo nella mano e con forza la aprii, poi feci lo stesso con la mia.
- Wow. Sei forte tesoro, e hai delle gran belle mani. Grandi e muscolose.-
- Dai! Mi metti in imbarazzo!- esclamai con un sorriso imbarazzato.
- Bellezza... io adoro un uomo che sa essere un duro, ma anche un po' patetico e sensibile.-
Alla parola patetico, mi indispettii un attimo.
- Patetico in senso buono eh.- chiarì con un sorriso.
- Ma si certo.-
Un sorso di birra e mi sentii così bene, come non stavo da un po'. Il liquido gelato mi scese per la gola, come una fredda sentinella della mascolinità. Mi sentii piu duro, piu forte, piu sicuro.
- Dai Lean, dimmi un po' di te.-
- Bhe... hai letto la mia cartella clinica, perciò sai cosa ho fatto.-
- Si, lo so. Ma se devo dirti la verità non mi importa. La vita è di chi la vive, e non mi sembri un ragazzo stupido, avrai sicuramente avuto un motivo valido per farlo. Scommetto che è per via di una donna.-
Come facesse ad entrarmi nella testa così, non ne avevo proprio la minima idea.
- Si hai colpito nel segno.-
La musica degli Aerosmith in sottofondo, creava una sorta di atmosfera, che rendenva quel momento, non così imbarazzante come mi aspettavo sarebbe stato.
Mi sentivo bene, davvero. Non pensavo nemmeno a lei, cioè non come solitamente facevo.
Il mio silenzio andava avanti da troppo, dovevo dire qualcosa, ma lei mi precedè.
- Lean.. so come vanno queste cose, ti capisco. Il rifiuto ti distrugge dentro, e ti rende cieco a chiunque altro potrebbe essere interessato a te.- disse mentre mi guardava con i suoi grandi occhi verdi.
Io mio volto si trasformò in una smorfia di sorpresa. Aveva praticamente detto di essere interessata. Allungò una mano e mi prese la birra, per poi poggiarla a terra con la sua.
Poi poggiò una mano sul cofano per avvicinarsi al mio viso.
- Sei troppo bello, per sprecarti con qualcuno che non ti vuole.- disse avvicinandosi in modo provocante.
Tentai di aprire la bocca per dire qualcosa, ma il fiato si era mozzato. Non feci nemmeno resistenza, non potevo, non ci riuscivo e non capivo perché.
Era talmente vicina, da poter sentire il suo respiro caldo sulla mia pelle.
Mi aveva lasciato spazio di manovra. In quel momento sentivo una forte indecisione. Se l'avessi baciata avrebbe significato tradire lei. NOn stavamo insieme ma era un tradimento morale, ero innamorato dopotutto. Ma allora perché sentivo quest'attrazione verso Frieda.
L'indecisione mi tartassava, che fare?
In quel momento mi tornò in mente il consiglio di lei. "Tu pensi troppo" mi risuonò nella mente, tu pensi troppo, tu pensi troppo.
"Non pensare" mi disse il mio io interiore.
Al diavolo! Meglio fare qualcosa di cui ci si puo pentire, che pentire poi di non avrla fatta.

Mi lasciai andare completamente. Al contatto, le nostre labbra rilasciarono nell'aria una piacevole fragranza di tutto e niente.
Sentivo il suo respiro caldo attraversarmi l'anima, come un afoso vento d'estate.
I brividi lungo tutto ilcorpo mi ficero venire il sudore freddo.
La sua mano accarezzò il mio viso, poi scese lentamente lungo la spalla ed il busto, per arrivare alla gamba. Le mie mani, vagavano fra i suoi meravigliosi capelli, provocandole gemiti di passione.
Un bacio intenso, selvaggio ma dolce, passionale ma tenero. Nell'atmosfera dell'effusione i don't wanna miss a thing risuonava, come se tutto il mondo si fosse colorato di quella canzone. L'assolo di chitarra elettrica sembrava quasi accentuare i rispiri, i battiti dei cuori all'unisono, e il corpo eccitato e caldo.
Si lasciò cadere sul cofano dell'auto, afferrandomi per il collo come ad invitarmi a seguirla.
Le gambe intersecate lasciavano spazio all'allusione del rapporto sessuale, e i movimenti dei corpi, come leggi fisiche, i corpi in movimento rimangono in movimento.
Lei senti il bisogno di distaccarsi per un attimo, così l'effusione terminò.
Fronte contro fronte, ci guardavamo. Aveva il fiatone. Le guance rosse, il prosperoso petto che si muoveva su e giu, le gambe che stofinavano contro le mie.
- Wow bellezza! Mi hai lasciato senza fiato.- disse ancora con il fiatone.
Un sorriso malizioso disegno il suo volto, così attrattivo che non sapevo come facevo a resistere.
Lei scivolò via dalla mia presa, con un gesto dell'indice molto esplicativo. Scivolai  dal cofano e la segui dentro la macchina. Tirammo giu i sedili e tornammo ancora una volta avvinghiati. Questa volta con intenzioni piu serie.
Il non pensare era stato preso alla lettera. Il suo eccitante corpo si muoveva con sinuosamente, in modo così voglioso, che resistere sarebbe stato stupido e inutile.
I giubbotti scivolarono dalle nostre spalle. Lei fece serpeggiare le sue mani sotto la mia maglia e la sfilò, così feci io per la sua. Il suo  reggiseno bianco, faceva contrasto con la pelle scura, così eccitante da perdere il fiato.
Fra le mie mani e le sue c'era intesa. Scivolavano e toccavano dappertutto. I bottoni dei pantaloni saltarono ed in poco tempi fummo semi nudi, dentro la meravigliosa mustang, con tanto desiderio addosso che era quasi palpabile.
Con forza lei mi voltò con la schiena poggiata, per stare sopra.
Mi guardò con fare malizioso e, baciando il mio corpo semi nudo, si fece strada verso le mie parti basse.
Non fu che un momento di brividi, poi in un semplice movimento sincopato, si trasformò in una sinfonia di gemiti.
Le mie mani accarezzarono i suoi capelli, così lontani dalla mia faccia. Non era per arrivare, ma per pura effusione. Tornò in traiettoria col mio corpo, stofinando il suo corpo nudo ormai contro il mio, lancio un gemito di piacere e di dolore.
Il movimento sincopato, unito ai baci e ai gemiti, creò armonia con la musica rock di sottofondo.
Sentivo il suo respiro sul collo, percorrermi tutto il corpo. La poesia del sentimento stava avendo luogo, e per la prima volta riuscii davvero a non pensare, a non pensare altro che a frieda, li, sopra di me.

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Caldo e fiamme, fuochi d'artificio.
Era stato meraviglioso. Non mi sentivo così da non sapevo piu quanto tempo. Pensavo ancora, daltronde la capacità di articolare un pensiero non si perde mai e non si puo davvero bloccare, ma non pensavo a lei. Lei, cavolo.
Era bastato il ricordo del pensiero, per farmi visualizzare il suo viso nel vuoto davanti a i miei occhi.
Io e Freida eravamo li sdraiati. Io disteso di schiena e lei, rannicchata sul mio petto. Era un momento davvero perfetto, ma la mia mente era torata a lei. Putroppo non ero mai stato una persona che sapeva nascondere i propri sentimenti piu di tanto, così a Freida bastò alzare lo sguardo verso di me, per vedere che la mia espressione era quasi turbata.
Le sue mani calde si stesero sul mio petto, per farsi forza, in modo che potesse guardarmi bene in viso.
- Ehi Lean... che c'è?- disse con una espressione in viso, molto confusa.
Sbattei gli occhi, come uscito da uno stato di trans, e la guardai con un piccolo sorriso sghembo.
- Niente..- mentii con quel sorriso.- ..è tutto perfetto.-
Lei mi sorrise dolcemente a sua volta. Si avvicinò col suo fare sempre suadente, e mi baciò dolcemente a stampo.
- Balle! Dai piccolo... dimmi.-
feci un profondo respiro, e mi innalai leggermente sui gomiti. Dirglielo sarebbe voluto dire vanificare tutta la bellezza dell'atmosfera, ma dopotutto non potevo mentire, non lo sapevo fare.
Non ero mai stato bravo in quello, lei se ne sarebbe accorta e si sarebbe offesa.
Pensare! Basta pensare troppo!
- Sento che ti sto usando per dimeticare un'altra.-
- Non è così sexy come credi.- disse, avvicinandosi ancora una volta con quel fantastico sorriso.
Voltai lo sguardo lontano da lei, mi vergognai di me stesso in quel momento. Con che sanità mentale avevo fatto sesso, e poi tornavo a pensare a lei.
- Freida.. tu mi piaci molto, ma questo non è giusto nei tui confronti.-
Mi piegai in avanti, rimanendo con il busto innalzato, per non vedere l'espressione di rabbia che mi aspettavo avrebbe avuto lei.
Lei non fece storie. Si innalzò anche lei, lasciando che il lenzuolo le cadesse di dosso e mi si posizionò vicino.
Mi passò un dito sotto il mento, e facendo forza mi voltò il viso. così incrociò il mio sguardo colpevole.
- Se per te va bene piccolo, credo che sarò io, a decidere cosa è piu giuto... per me.-
Un nuovo sorriso le dipinse il volto.
Il cuore mi si era riscaldato all'improvviso, ed anche sul mio venne qualcosa di simile.
Un lungo bacio seguì. Le sue labbra così morbide, così calde, mi mandavano nel pallone.
La mente non riusciva ad articolare un pensiero, ed il corpo reagiva da solo ad ogni volta.
Forse aveva ragione. Solo lei poteva decidere per se stessa, e se desiderava me nonostante tutto, chi ero io per impedirle di avermi?
Quel momento era perfetto e così rimaneva. Era così bello che nemmeno sembrava reale.
Ad un passo dall'iperuranio. Fra il mondo reale e quello fantastico, fra il paradiso e la terra.
La sua mano andò a cercare la mia. L'accarezzò e poi intersecò le dita, come a creare una sottospecie di lucchetto.
Il bacio si interruppe un attimo, con la fronte l'uno vicina all'altra. Il suo sorriso eccitato rilasciava costantemente quel respiro così caldo. Lo percepivo sulla pelle. Faceva venire i brividi.
- Mi dispiace dover interrompere, ma penso sia tardi.- disse ridendo divertita.
Voltai lo sguardo cercando i miei pantaloni e, appena li ebbi trovati, frigai fra le tasche per trovare il cellulare.
Accesi lo schermo e vidi che erano le tre di notte.
Cavolo! Avevamo passato tre ore di sesso? Non me ne ero neanche accorto.
Sorrisi a quel pensiero. Lei mi guardò stranita.
Mi afferrò il cellulare dalla mano ed giocherellò un po' con il touch screen, poi lo voltò, fece un sorriso ed il suono dello scatto completò il tutto.
Sentii il suono tipico di quando si registra un numero nella rubrica, e poi mi ridette il telefonino.
- Per motivi di sicurezza, è meglio che ci rivestiamo.-
- Potrebbe prenderci un altro attacco di sesso?-
Ma che dici?! Sei idiota? Non si deve dire cose così! Ma forse non ci fa caso, daltronde mi sembrava il tipico spirito libero come carattere.
- Umhh.. ammetto che non mi dispiacerebbe, ma domani, o meglio, entro a lavoro fra quattro ore.-
- Wow... allora andiamo. Non voglio farti fare tardi.-
Uscimmo a carponi dalla macchina per rivestirci, e non fu che un attimo, perchè nudi fuori si gelava.
rivestiti, girammo intorno alla macchina, perchè eravamo usciti dalla parte opposta a dove dovevamo sederci. Ci trovammo davanti al cofano e li non mi superò. Mi afferrò le mani e se le portò intorno ai fianchi. Lei mise le sue intorno al mio collo, e con il suo bellissimo sorriso, mi baciò.
Smise e sinuova mi girò intorno, fino ad arrivare all'abitacolo. Feci lo stesso, quasi divertito.
Lei attaccò di nuovo lo stereo, questa volta con un'alytra canzone degli Aerosmith, ma piu movimentata, e partì con una sonora sgommata dal parcheggio, inoltrandosi nella strada per il ritorno.

La sua guida sportiva, ci permise di arrivare a casa mia in tempo record.
Appena la notai feci per scendere, feci il giro della macchina e mi chinai verso il finstrino aperto.
- Grazie per la bella serata.-
- Spero sia piu di una serata.-
Mi afferrò co forza per il colletto e mi attirò a se con violenza.
Il bacio era piu corposo, piu forte, piu sexy.
Mi staccò con forza e ne rimasi quasi intontito.
- Chiamami bellezza! Ci conto!-
- Lo farò.- dissi con un sorrso idiota sul volto.
Inarcò le sopracciglia e scoppiò in una fragorosa risata.
- Ok, alla prossima.-
Come era arrivata, sparì in uno stridio di pneumatici, e si perse nei meandri della notte.
Presi il cellulare dalla tasca e con pochi gesti del mio pollice, la vidi di nuovo. Quella foto.
Quella che si era fatta in macchina.
I suoi occhi guardarono i miei attraverso lo schermo. Così intensi e belli che potrebbero guarire il cancro.
Al solo ripensare ai suoi capelli ed ai suoi occhi, mi tornava a ballare il cuore in petto.
Con un sorriso misi il cellulare in tasca e rientrai.
Un ultimo sguardo alla notte piu bella della mia vita, e poi il portone si chiuse dietro di me, come a mettere una fine al tutto.
Sapevo che domani ci sarebbe stato ancora, sapevo che me stesso sarebbe ancora esistito e adesso sapevo pure, che non ero così anonimo come pensavo d'essere.

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


Il fastidioso suono della sveglia risuonò chiassono.
Detestavo quella orrenda sveglia. era una cavolo di faccietta sorridente, che aprivi come un ovetto delle soprese, lo piegavi ed usciva fuori un orologio e la sveglia. Per spegnerlo dovevi aprirlo e premere un pulsante al''interno. Fastidioso.
Ad ogni modo mi alzai dal letto un po' intontito. Sfido chiunque a non esserlo alle nove di mattina, ma dovevo aiutare i miei genitori a fare un lavoro particolare al salotto di casa.
La stupida idea di vore in tutti i modi ridipingere la stanza, di un rosa pallido. Orrendo.
Era meglio il giallo della mia stanza, lo consideravo meno un pugno in un occhio.
Scorpii le gambe nude dalle coperte e mi issai.
Una classica grattata alla testa scompigliata e mi diressi verso la sedia, dove la sera prima avevo posto i jeans.
In tempo record mi vestii, aprii la porta e scesi le scale. La piacevole fragranza di caffè, riempiva tutta la casa, speravo ce ne fosse rimasto un poco per me.
Il salotto era collegato alla cucina, due divani circondavano la televisione a cinquanta pollici, e venivano stoppati solo da un orrendo tappeto, che avevo sempre detestato.
Sul grosso tavolo, posto accanto al bancone che delineava la cucina, c'era una tazza fumante di caffè che aspettava solo me.
Niente di piu invitante la mattina presto.
Mi avvicinai, l'afferrai e ne bevvi un grosso sorso. Il piacevole tepore della bevanda, mi ricordò, per un attimo la calda pelle di Freida, e confermò il fatto che non si fosse trattato di un grosso sogno, la fantastica notte passata con lei. sentii mia madre e mio padre, arrivare su dalla cantina con sette grossi barattoli di vernice e tre rulli.
- Bensvegliato!- disse mia madre con ironia.
Farfugliai qualcosa con la tazza alla bocca, che sembrava una risposta gentile. Mi bevvi con calma la mia colazione, che poi andai in cucina a poggiare nel lavabo, e fui pronto a dipingere.
Ci mettemmo prima a spostare i mobili e ricoprirli con il cellofan, poi ci dividemmo per tre parti della stanza e cominciammo.
Mio padre portò uno stereo che mise sul tavolo ed accese. La divertente I want to break free dei Queen, rimepì la stanza di una allegria strana, vista l'operazione noiosa che andavamo a fare.
Mi capitò di sapermi a muovere il sedere a tempo con la musica, come anche i miei genitori facevano. Quando notammo di essere all'unisono, scoppiammo insieme in una sonora risata.
Continuammo fra le risate e la musica che risuonava, quando a mio padre venne in mente una domanda.
- Ehi Lean.. chi era quella stupenda ragazza di ieri?-
I miei occhi si spalancarono di stupore e imbarazzo.
- Ehi! Ma tu dovevi dormire a quell'ora!-
- Invece no. eravamo entrambi alla finestra e vedere conchi eri.-
Oddio che imbarazzo.
- Bhe... una ragazza. L'ho conosciuta in ospedale, un'infermiera.-
- Oh ho! Bravo figliolo, un infermiera! E dimmi e molto sexy eh!-
- Franco!- esclamò mia madre.- Che sono cose da dire queste?-
- Volevo solo sapere..- disse con una risata divertita.
I miei genitori non erano malaccio. Era dei bigotti tremendi per certi versi, e non accettavano cose come sesso prematrimoniale e aggeggi anticoncezionali, ma finche si teneva le mani apposto per loro andava bene. Naturalmente non gli avrei detto della notte di sesso, andrebbero su tutte le furie, ma potevo dirgli di averla baciata.
- Si è molto sexy. Una gran bella ragazza.- dissi tranquillo, mentre dipingevo.
- E quindi? Dettagli, Dettagli.-
- Bhe... è venuta a prendermi con la sua macchina e...-
- Bello. Una ragazza che domina finalmente.- disse mia madre interrompendomi.
Lei era proprio così come tipo, forte e comprensiva, come Freida un po'.
- Quella stupenda Mustang? Come fa a permettersela?-
- ..me lo sono domandato anche io.- risposi a mio pare ridendo.- Comunque mi ha portato ad un parcheggio, ci siamo bevuti una birra e poi..-
- E poi?- chiesero i miei all'unisono.
- E poi ci siamo baciati.-
La mia facia divenne completamente rosso peperone, tanto che entrambi i miei genitori se ne accorsero.
Il ricordo della serata mi attraverso nuovamente la mente, e cos' eravamo gia a due volte che non pensavo a lei. Che Freida sia la cura prescritta dal dottore? Potrebbe darsi.
- E bravo figliolo! Vedi che non è vero che non ti vuole nessuna? Basta che ti metti in gioco ed è fatta.-
In effeti mio padre mi aveva sempre incoraggiato a trovarmi una ragazza. Diceva sempre che una vita senza amore non è vita. Era presto per parlare di amore, ma in effetti le emozioni sono importanti, ed aspettare una persona che probabilmente non mi riteneva nemmeno quello che io, in amicizia, credevo di essere per lei, sembrava così stupido in quel momento.
"Grazie Papà" pensai.
- Devi portarla qui un giorno. La vorrei conoscere, vedere che acchiappo che hai fatto.-
Il suo sorriso quando si sentiva orgoglioso di me, era così luminoso che avrebbe dato elettricità ad una metropoli. Mi piaceva che fosse così. Mi piaceva molto. Promesso, la coboscerai.

Tre quarti della stanza erano stati dipinti, e molte canzoni passate.
Lasciammo l'ultimo pezzo da dipingere a mio padre, mentre mia madre si riposava su una sedia, ed io preparavo il pranzo.
Lo sfrigolare dell'olio nella padella intorno agli hamburger mi piaceva molto. Una delle mie passioni segrete era proprio quella di cucinare.
Sperimentare, trovare gusti strani, o fondere differenti sapori per fare qualcosa di originale.
Ad un tratto, mentre rigiravo la carne udii un forte tonfo metallico, tanto che incavai la testa nelle spalle per l'impatto sulle orecchie.
Mi asciugai le mani sulla pezzola alla mia cintura, che scaraventai sul ripiano della cucina e mi voltai.
L'orrore riempì i miei occhi.
La confusione del cellofan scomposto, mi fece distrarre un attimo, ma il lago di sangue in terra attirò la mia attenzione successivamente, come del ferro vicino alla calamita.
Mi ritrovai senza accorgermene del tutto, a correre per la stanza. Sul luogo del fatto, c'era mio madre in terra piangente e mio padre.
La sua testa era spaccata da dietro, e galleggiava praticamente in un bagno di sangue.
I miei occhi si spalancarono.
Notai la scala che usava, in terra. Doveva essersi sbilanciato in qualche modo, e caduto prima lui della scala.
L'epiglottide ballava, come a trattenere un urlo disumano, un urlo di sofferenza infernale.
Nemmeno una lacrima uscì dai miei occhi.
Mi chinai verso di lui. Lo scossi leggermente prendendolo per le spalle.
- Papà. Papà svegliati.-
Mia madre mi guardò in viso. Gli occhi gonfi sofferenza non lacrimavano, ma le vene sul mio collo stavano per esplodere.
- E' morto, figliolo.-
- No, no. Sta solo riposando, o ci fa uno scherzo. Vero Papà? Adesso svegliati dai.-
Aspettai. Non sapevo bene cosa. Niente di preciso. Forse di scoppiare.
- Papà! Basta Papà!- dissi con voce spezzata, mentre le prime lacrime cadevano.- Svegliati! Mi senti?! Svegliati!-
Il corpo deceduto giaceva li, scosso da me prima con leggerezza, per poi passare a un po' piu di forza.
- Lean smettila! E' morto nn lo vedi!-
- NO! Smettila! No! No! Non e vero!- lo scossi piu forte, questa volta alzandolo da terra, imbrattandomi di sangue.- Non puoi andartene! Non puoi!-
E quello fu il momento in cui scoppiai. Le lacrime scendevano tremende, segnali di una rabbia incontenibile e di una tristezza assurda.
Mia madre prese coraggio e svicolò verso il telefono, per chiamare il centodiciotto.
La sentii farfugliare qualcosa, ma avevo le orecchie orientate, speranzose che mio padre rispondesse.
- Papà.. ti prego..- la voce spezzata e inumidita dalle lacrime.- Devi conoscere Freida ancora, ricordi?-
Ma nessuna risposta venne da quel corpo ormai senza vita.
Le mie labbra si contorsero in una smorfia di dolore, le lacrime ormai bagnavano anche il suo viso e il dolore riempiva la stanza come un gas velenoso.
- Non puoi lasciarmi così..-
L'unica cosa che rimaneva da fare, l'unica cosa che potevo fare era urlare. Sfogare la mia rabbia verso il cielo e maledire ogni entità superiore che guardasse quella scena.
L'urlo risuono nella casa e fuori, nella cornetta del telefono e fino a margini dell'univerno.
Il sonoro no trasudava di rabbia e tristezza, tanta, incontenibile, affliggente.
Urlai, urlai fino a che il fiato mi tradì ed il tutto terminò, con le mie lacrime che bagnavano il viso di mio padre.
"Papà", le ultime parole che mi uscirono dalla bocca.

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


Passarono due giorni, tutto il sabato e la domenica in cui rimasi nella mia stanza, disteso sul letto a fissare il soffitto, con uno sguardo così vuoto, che in confronto il letto asciutto di un fiume, era l'oceano pacifico.
Non ero riuscito a dormire nemmeno un po'. Ogni volta che chiudevo gli occhi, mi passavano davanti la scene di mio padre, disteso nel sangue, o che lo portavano via in barella.
Il triste signore delle pompe funebri, vestito di scuro per lutto rispettoso, ci disse che il funerale sarebbe stato fissato per il lunedi, cioè il giorno seguente.
Non aveva fatto in tempo a farci le condoglianze, che subito ci presentò il conto del funerale.
Quando lo vidi, unicamente interessato ai soldi che gli dovevamo dare, mi prese uno sfogo di rabbia, e se non ci fosse stata mia madre li con me, l'avrei preso a pugni.
Perché gente schifosa come quella viveva e mio padre, una delle persone piu giuste e buone non c'era più?
Era così ingiusto il mondo, così sbagliato.
Mi aveva messo piu rabbia che altro quel tipo, così sfogai la mia rabbia e la tristezza nel niente, rimanendo per tutto il giorno, in modalità zombie, sul mio letto a guardare l'infinito.
Ad un tratto il cellulare trillò.
Era la suoneria di messaggi. Ruotai il braccio verso il comodino  accanto al letto e lo presi. Mel o portai alla faccia per vedere chi era.
Le emozioni si erano un po' diradate dal mio cuore, ma comunque rimasi stranito nel vedere che era lei, la ragazza del tentato suicidio, la ragazza per cui stavo uscendo fuori di testa, lei, Valeria.
Aprii l'applicazione con qualche movimento veloce del pollice e lessi il messaggio:
"Ciao Lean. Senti.. è successo un casino con l'università e questa settimana sono libera. Se vuoi ci vediamo domani. xoxoxo"
In effetti era le undici di sera, era un po' tardi adesso e non avevo proprio la forza di uscire in quel momento.
In tempo zero, decisi di rispondere.
"Tesoro... domani sono ad un funerale."

Lunedi arrivò in fretta. Riuscii a chiudere gli occhi un paio d'ore, ma mi risvegliai di soprassalto con l'incubo di rivedere mio padre nel bagno di sangue, e tutto il rimpianto che mi aveva lasciato.
Scensi le scale, vestito di una completo nero da lutto, che se non fosse he era per un funerale, sarebbe stato anche elegante.
Incrociai mia madre ed il suo sguardo triste, ma comunque che trasudava forza. Sapeva che adesse dipendeva tutto da lei, e che suo marito non avrebbe voluto che si crogiolasse nel dolore.
- Andiamo Lean.-
Il tragitto in macchina fino al cimitero, fu tanto straziante quanto silenzioso. etrassi il pacchetto di sigarette e ne presi una per fumarla.
Quanso mia mare vide il pacchetto, mi chiese se potevo dargnene una.
La guardai con una espressione sorpresa, daltronde aveva smesso di fumare ormai da quasi un anno, ma la compresi.
Era stato un miracolo che non mi fossi buttato su qualche super alcolico per dimenticare tutto, per far finta che fosse tutto un brutto sogno.
Ad ogni modo, fra le  sigarette e il silenzio di tomba arrivammo al cimitero.
C'erano tante persone. Tante che non ne riconoscevo nemmeno tutte.
C'erano lo zio Mario, Giovanni e la zia Marta.
Le mie cugine Giulia e Anna vennere quasi subito ad abbracciarmi. Una magra consolazione, ma confortava un poco avere l'affetto di parenti, che vedi si e no un paio di volte l'anno.
Il prete arrivò, con la sua stola bianca e ci fece strada verso il luogo, dove la rettangolare buca aspettava che la bara venisse calata.
Ad un tratto sentii un macchina arrivare e parcheggiare al limitare del cimitero.
Era lei. La vidi uscire dall'auto e venire verso di noi. Anche lei vestita di nero, con i capelli castani raccolti dietro la testa.
Nessuna corsa verso di me, nessuna lacrima di conforto, nessun abbraccio di piacere, niente di quello che mi aspettavo, ma come al solito riguardo lei.
Imprevedibile. Non faceva mai quello che ci si aspettava avrebbe fatto, si limitò a venirmi vicino, guardarmi in faccia e dirmi semplicemente "Lean.. mi dispiace."
Sentii una rabbia incommnsurabile salirmi dal cuore alle mani, ma la contenni per il mene di me stesso.
- Grazie..- secco e apatico.
Riprendemmo a camminare, seguendo la folla vestita di nero. Non fece parola. Non ci vedevamo da due settimane e non diceva niente?
Magari lo faceva per rispetto, per non rovinare l'aria di tristezza e commozione.

Il prete si fermò li davanti alla buca, così noi accerchiammo quest'ultima, come una solenne muraglia. L'uomo con la stola apri la sua bibbia e cominciò a recitare versi, che probabilmente recitava ogni volta, con finta tristezza e ipocrita commozione.
Tutti lo stavamo a sentire ugualmente, in religioso silenzio. Mi aspettavo qualcosa, di sentire qualosa, ma quell'urlo aveva lasciato uscire tutte le mie emozioni, provavo solo un grosso senso di vuoto interiore.
Come se qualcuno mi avesse perorato il petto, e scavato una profonda voragine senza fine.
Odio. Odiavo quello che ti era successo Papà, odiavo il perché, odiavo essere li a sentire quello ipocrita di prete recitare le sue frasine da quattro soldi, odiavo tutto in quel momento.
In un momento di follia, non mi accorsi piu nemmeno di avere Valeria accanto a me, non me ne importava niente, volevo Freida.
Avrei voluto fossi li con me, ma non potevo pretendere che fosse dove volevo quando volevo.
Non l'avevo piu nemmeno richiamata. Forse avrebbe capito. Probabilmente si, era una persona intelligente, che comprendeva.
Almeno mi pareva di aver capito.
Valeria mi guardò, forse credendo di vedere una lacrima o qualcosa del genere. Mi dette una spallata affettuosa così mi voltai verso di lei. vidi il suo viso pieno di tirstezza per me. Non l'avevo mai vista piangere, ma mi sembrava sul punto di farlo.
Il prete terminò le sue preghiere e se ne andò, lasciando che gli invitati se ne andassero, e i becchini calassero la bara nella buca.
Mia madre mi mise una mano sulla spalla, guardò Valeria e se ne andò, capendo che era meglio lasciarmi li.
La bara venne calata, così gli addetti tirarono fuori il meccanismo e se ne andarono, aspettando che una grossa ruspa venise a ricoprire la buca.
Rimasi ancora un po' li davanti alla buca. Valeria mi mise una mano sulla spalla, come gesto di aiuto, di conforto.
- Mi dispiace tanto Lean... nessuno poteva prevederlo. Sono cose che succedono.-
- Si... immagino di si.- dissi, completamente apatico.
Mi chinai sulla ginocchia per prendere un po' di terra e, con un gesto teatrale la lanciai dentro la buca, sopra la bara. Polvere siamo e polvere ritorneremo, si ok, ma perché suonavano tanto amare quelle parole?
- Dai andiamo tesoro... andiamo farci una birra.-
Non era un genio nella sensibilità, ne sul concetto di consolazione, ma sapeva come prendermi. In quel momento, diciamo mi accorsi che c'era, che era li con me. In quel momento sentii ilcuore riscaldarsi di nuovo per il suo pensiero, ma, per fortuna un miracolo mi salvò.
Una Ford Shelby Mustang parcheggio velocemente dietro a tutte le altre macchine. La portiera si aprì velocemente e da dentro ne usci Freida.
Non era vestita a lutto come tutti, probabilmente aveva saputo la notizia da qualcuno dell'ospedale ed era corsa senza cambiarsi.
Mi corse incontro alla sua velocità e mi saltò all'abbraccio. Mi strinse così forte, che venni inebriato dall'odore forte di lavanda, di cui era ricoperta. Valeria fece qualche passo indietro, sgranando gli occhi in un'espressione quasi si gelosia.
- Oddio Lean, ho appena saputo! Potevi dirmelo scemo!- disse mentre mi guardava, per poi abbracciarmi di nuovo.- Quanto mi dispiace! Non sai quanto!-
A quelle parole il cuore misi scaldò davvero. Chiusi gli occhi in un espressione di beatitudine, "non lasciarmi amore".
Era questo che volevo, anche se non ne ero ancora convinto, ne di chi volevo, ne di cosa, quell'abbraccio era quello che avevo voluto da Valeria, ma con Freida era un emozione tutta nuova, meravigliosa, calda ed unica.
Ti voglio bene, Freida.

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


Valeria ci fissò in modo strano. Probabilmente mi avrebbe chiesto di lei, con domande su perché non le avessi detto che avevo una ragazza, o sul perché nonostante il funerale, avessi quell'espressione felice sul volto.
Freida sciolse l'abbraccio, notando che vicino a noi c'era lei, così con un sorriso smagliante, porse la mano per presentarsi e salutare.
- Ciao. Io sono Freida, piacere di conoscerti.-
Valeria inarcò le sopracciglia in un gesto molto bizzarro, poi afferrò la mano e sorrise a sua volta, dicendo il suo nome.
Mentre strigneva la mano, il cercapersone che Freida aveva attaccato ai pantaloni trillò.
Lasciò la presa e si fiondo sulla piccola scatoletta nera. Sul display c'era un messaggio delle sue colleghe, che diceva di tornare subito all'ospedale, perché c'era bisogno di lei.
- Cavolo, devo andare! Lean, senti sono tutto il pomeriggio in ospedale, se poi ci sono mi faccio viva io ok?- mi abbracciò.- Mi dispiace di non poter rimanere.-
- Non ti preoccupare.. mi ha fatto piacere rivederti, anche se per un secondo.-
Mi sorrise dolcemente e mi baciò a stampo. Mi prese le mani e con un gesto di comprensione sul volto, sembrava voler dire "per qualunque cosa io ci sarò".
Cominciò a correre via verso la macchina, salutando entrambi, rientrò in macchina e sfrecciò via, per tornare al lavoro.
Lei si era ricordata subito di me. Lei era venuta da me anche se il suo turno non era terminato. Lei sapeva che avev bisogno di lei era corsa subito. Forse era quello che significava dire, vivere le cose insieme, nel bene e nel male. Anzi sicuramente era così.
Valeria mi guardò con uno sguardo d'attesa, come se aspettasse una spiegazione per qualcosa. In effetti con la sua ex ragazza, non esitò a chiamarmi per presentarmela, desiderava presentarmela, come se io fossi una specie di fratello per lei. Mi ricordo che gradii molto la cosa, quindi magari dovevo ricambiare la cosa.
Ci incamminammo verso la meta che prima ci era veniuta in mente, quella birra ci aspettava. Magari avrebbe alleviato un po' il dolore per la perdita di mio padre, o forse no, ma dopo due settimane volevo solo passare un po' di tempo con lei, migliore amica e persona della mia vita, ma causa di molte mie turbe e nevrosi mentali.
- Bhe.. si riuscito a trovare una ragazza, ho visto.-
- Si bhe.. non la conosco da molto, da pochi giorni, ma mi piace molto.-
- Sembra piu grande di noi.-
- In effetti ci ho pensato anch'io.- ed era vero.- Ma non lo so.-
In poco tempo di discorsi eravamo gia fuori dal cimitero, e a poco dalla sua macchina. Un'altra donna a cui piaceva guidare lei.
La sua era una piccola auto dal design moderno, maneggievole e e veloce, ma non era come l'auto di Freida. Come quella non c'era nessuna.
Entrammo nella macchina con tranquillità, lei mise in moto e ci dirigemmo verso il solito pub, dove solitamente andavamo a bere qualcosa insieme, quando si degnava di farsi sentire.
Nel tragitto, fissai lo sguardo verso l'esterno e verso il triste paesaggio autunnale di sera.
Non feci in tempo a ricordare la mancanza che mi aveva lasciato mio padre, che il cielo mi precedette, piangendo lacrime amare.
Una pioggia fredda venne giu imperterrita.
Arrivammo al pub che era pieno. Lo deducemmo dal numero di macchine parcheggiate e dall'assenza di posto in cui posteggiare.
Rallentò prima della rotonda in fondo alla strada, sostando a quattro freccie sul lato destro.
- Qua c'è troppa gente, no si trova parcheggio. Che ne diresti di arrivare a casa mia? Ci guardiamo un film, ci facciamo una tazza di thè, ti farà bene.-
Riflettei un attimo sulla scelta di film che potevamo vedere, e ricordando i suoi gusti, potevamo anche farlo, tanto non avrei visto per niente il film.
- Va bene.-
La mia risposta secca, avrebbe congelato persino il piu caldo dei fuochi di bivacco ed il mio sguardo, avrebbe fatto piangere il piu allegro degli arlecchini. In faccia mi si legggeva tutta la sofferenza che stavo provando, tutto quello che mi stavo tenendo dentro, tutte le lacrime che non ero riuscito a piangere al funerale.
Qui potevo vedere che amica era, se teneva da parte per un attimo il suo egocentrismo, per aiutare me. Pretendevo era vero, ma mi ero stufato di essere ignorato, e, soprattutto in una situazione del genere, mi aspettavo la consolazione di un'amica.

Arrivammo a casa sua che piovigginava appena, così facemmo una corsa verso il cancello, che aprì con grande maestria e velocità, e ci fiondammo alla porta, superando il piccolo cortile. Entrammo in casa bagnati e un po' indolenziti. Il freddo, unito all'umido dell'aria ci era entrato nelle osa, e provocva le classiche scariche di freddo e brividi.
Per fortuna la casa di Valeria, era sempre e comunque abbastanza calda all'interno, così non ci mettemmo molto ad smettere di avere freddo, e un po' calmava i miei pensieri.
Con un sorriso divertito, lei mi guardò. Sfregava le mani per riscaldarle nell'aria della sua casa, e sembrava aver effetto.
- Facciamo una cosa. Ho preso dei dvd a noleggio ieri, guardali un po' e scegline uno, io intanto metto su un thè.-
Si voltò per andare verso la cucina, che, come in casa mia era integrata con il salotto, poi si voltò di nuovo verso di me.
- Oppure preferisci una birra.-
La sua afferamzione era piu una domanda, dato il tono in cui l'aveva posto.
- No no, il thè è perfetto.-
Proferendo parola, mi diressi verso il divano. Posto dietro quest'ultimo c'erano un tavolino basso e un televisore LCD molto grande, e sotto di lui tutti i dvd. Ne presi uno a caso, senza stare a scegliere fra tutti quelle custodie, e pescai proprio un film d'azione. Ci voleva, decisamente ci voleva un po' di spari, inseguimenti e quant'altro, per non farmi pensare per un po', inoltre c'era lei con me. Anche se per molti versi, avevo dei motivi per rinfacciarle tutto addosso adesso, tutta la frustrazione unita a quello per cui mi volevo lamentare di lei, preferivo passare un po' di tempo in tranquillità con lei, che mai avrei potuto avere mia, ma che almeno potevo avere per amica.
L'acqua terminò di bollire, così lei rovesciò il liquido bollente in due tazzè, e poi ci infilò dentro due bustine di thè.
Preferivo di gran lunga quello che mi dette la piscologa quando andai da lei. Quella bevanda però aveva il sapore di qualcosa fatto con le dolci mani di Valeria, o almeno affettuose a suo modo.
Porto le tazze sul tavolino basso, prese la custodia, estrasse il dvd e lo mise dentro il lettore. Un gioco di tasti sul tecomando ed il film si avviò.
Si sedette accanto a me, al suo solito con quei venti centimetri di distanza che non avevo mai compreso. Solitamente ero io che le dicevo di stendersi o mi avvicinavo. Chissà perché fosse tanto ristia ad avvicinarsi a me? Magari aveva paura di cadere nelle braccia dell'atmosfera, e innamorarsi di me, cosa che la sua mente probabilmente non poteva accettare, dato che non ero un concentrato di bellezza e sensualità. Oppure aveva solo il timore di perdere l'affinità amichevole che si era costruità fra di noi. Francamente non lo sapevo proprio, e non glielo avevo mai domandato.
Ad ogni modo il film cominciò in una classica maniera, con una persona che all'inizio era buona, ma che poi, per qualche intrigo politivo e governativo, veniva messo in cima alla lista dei ricercati. Una grande noia, ma forse un po' di cruda realtà hollywoodiana mi avrebbe salvato dalla tristezza.
- Lean..- si voltò verso di me con il suo sguardo.- Come ti senti?-
- ...tesoro, come mi sento... non mi va di parlarne.-
Fece una smorfia di comprensione e tentò subito di cambiare discorso.
- Dimmi un po' di Freida dai. E' una gran bella ragazza sai?-
Un sorriso dipinse il mio volto, e gli occhi mi si riempirono di gratitudine verso di lei, per avermi portato con se, per avermi capito e portato a casa sua per non pensare per un po'.
- Ci siamo conosciuti in ospedale...-
- In ospedale? Per via di tuo padre?-
- No no... io... bhe... mi ero fatto male.-
mentire non miera mai riuscito, e lei lo sapeva, ma per fortuna lei era una persona, che se non gli sparavi l'ovvio in faccia, non capiva del tutto.
- Lei è un infermiera, e mi aveva in cura li all'ospedale.-
- Oh ho! Un'inferiera! Non è sempre stato il tuo sogno erotico?-
- Bhe... si. Comunque l'altro ieri, siamo andati in quel parcheggio.. ti ricordi dove andammo a vedere le stelle cadenti?-
- Ehm... ero con te?-
Lasciai perdere quell'affermazione, anche se era stata una delle piu belle serate della mia vita ed il ricordo era vivido dentro di me, come ogni istante passato con lei.
- Si eri con me. Comunque eravamo li, mi è venuta a prendere a casa mia con la sua macchina. ci siamo bevuti un birra con musica rock di sottofondo e poi, ci siamo baciati.-
- Tutto qui? Niente sesso?-
Sorrisi divertito. Sembrava quasi delusa della storia.
- Si, dopo. Dentro la sua macchina.- il ricordo era impresso nella mia mente.- E'così forte, dolce e così sensuale. Mi piace.-
Il film continuò con la sua trama banale e il suo susseguirsi di scene in cui il protagonista superava un casino dietro l'altro, con poco originale eroismo.
Non mi entusiasmo piu di tanto.
Ad un tratto Valeria volle stendersi, così le ofrii di appoggiarsi alle mie gambe. Diffidé per qualche secondo, poi si appoggiò tranquillamente. La mia mano sostava sulla sua pancia e l'altra aveva la tazza di thè in mano.
La serata passò con tranquillità, ma il film nn debello tutte le mie paranoie e le mie nevrosi. Non fece sparire il mio dolore, però, grazie a Valeria, ero riuscito a sorridere per qualche ora.
In fondo tutte le congetture che avevo fatto su di lei, erano unicamente parto della mia immaginazione, paranoie inutili.
Grazie tesoro si essermi amica, sei preziosa per me come l'aria per respirare.

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Capitolo 11
*** Capitolo undici ***


Il giorno dopo cominciò come qualunque altro, con l'unica differenza che non ero a casa mia.
Il film era durato per la sua normale lunghezza, poi, terminato il thé ci eravamo messi distesi sul divano, abbracciati e ci eravamo addormentati.
Una scena molto dolce, come non mi sarei sicuramente mai aspettato con lei, ma sicuramente ben accetta.
Aprii gli occhi e lei era sempre li, accanto a me, con i capelli scompigliati e gli occhi chiusi. Per quell'attimo domenticai tutti i mieie problemi. Vederla in quella stasi, così tenera, così vulnerabile era così bello. Un momento piu perfetto di quello non poteva esistere.
Detti uno sguardo all'orologio sul cellulare che tenevo in tasca. erano le deeci di mattina.
Per fortuna io non lavoravo come tutte le persone normali, avevo dei piccoli invstimenti su canzoni fatte da me ed il mio gruppo, così non dovevo svegliarmi alle sette di mattina e fare il pendolare per arrivare da qualche parte ed entrare in ufficio.
Comunque, anche se avrei desiderato tutto tranne che dovermene andare, dovevo decisamente farlo. Mia madre adesso era sola. Quando sarebbe tornata da lavoro avrebbe voluto trovare un pranzo o qualcosa che gli somigliasse, perché prepararlo dopo essere tornata da lavoro, sarebbe stato stancante.
Dovevo farlo, dovevo prendermi cura di mia madre.
Feci una discreta forza sul braccio per alzare il busto. Il corpo pesava molto, e il movimento lento e silenzioso non aiutava l'andatura.
Lei si smosse leggermente ma non si svegliò.
Riuscii, dio solo sa come, a scavalcarla senza toccarla minimamente. Poggiai i piedi al di là del divano, feci forza sugli addominali e riuscii a liberarmi.
Guardarla ora, con quei linemanti dolci dormire, era come guardare in faccia la vita. Una visione di totale e assoluta beatitudine.
Mi flettei sulle ginocchia, così da poter accucciarmi e guardarla diretta in viso.
Il mio cuore palpitava in una modo quasi trascendentale. Un momento così l'avevo sempre desiderato con lei, ma, non potevo. La mia moralità mi impediva di adempiedere al mio desiderio adesso. Avevo fatto sesso con Freida, e mi aveva aiutato come io mi aspettavo. Mi sentivo bene con lei e, lasciarmi andare proprio adesso, avrebbe significato distruggere una cosa bella della mia vita.
Che fare? Esitare significava, probabilmente farsi scoprire. Agire significava venire meno ai miei principi.
Che fare? Rubare un bacio così poteva voler dire davvero tradire?
I miei occhi scorsero ogni suo lineamento rilassato. Il suo corpo rispondeva beato nel ripetitivo muoversi del suo petto. Il respiro caldo dal cuo viso arrivava al mio, quasi fosse un vento di cupido scagliati verso di me. Mi incantava vederla così.
Un bacio era un apostrofo rosa fra le parole t'amo, quindi era un gesto d'affetto, un semplice e rapido modo per dire ti amo a lei. In effetti era quello che provavo da sempre e trovare finalmente il modo per dirlo non era poi così sbagliato.
Mi avvicinai con il cuore in gola. Il fremito che usciva dalla mia bocca era segno rivelatore di eccitazione, paura e desiderio.
Mi feci molto vicino e, con un gesto teatrale baciai le sue labbra addormentate con infinita delicatezza. Un piccolo bacio, semplice.
Non si accorse di niente. Nemmeno il minimo movimento da parte sua.
Riuscii a respirare in quel momento. Con le mani e le gambe che mi tremavano, riuscii a farmi strana nel suo salotto ed arrivare al tavolo della cucina.
C'erano dei post it sopra. Ne presi uno e con una penna posta li vicina scrissi: "Grazie per la fantastica serata tesoro! Ti voglio bene".
Un po' misero come ringraziamento, ma non sapevo proprio che scrivere in quel momento.
Arrivai fino la porta, che aprii con leggerezza. Oltrepassai la soglia, dando l'ultimo sguardo al suo tenero corpo addormetato, poi mi inoltrai nella splendina mattina.

Feci tutta la strada a piedi. Alla fin fine le nostre case non erano poi così lontane. Qualche chilometro a piedi non era poi tanto per me.
Il bianchissimo cielo minacciava una nevicata da un momento all'altro e il vento freddo, calmò ogni leggero tepore di desiderio dentro di me.
Ero gia in casa quando il ricordo di quel bacio rubato mi attanagliò il cuore. Una cosa sbagliata, probabilmente si, ma era stata proprio lei a diemi di non pensare. L'avevo fatto e non stavo rimpiangendo niente.
Mi toccai le labbra con dolce rimembranza. Avevo ancora il suo sapore addosso, ed era così dolce, così piccante, come il cioccolato fondente al peperoncino.
Una sonora musica rock ruppe l'illusione di quel momento, e ne riconobbi anche la vibrazione nella tasca.
Presi il cellulare con tranquillità e notai l'allarme che giorni prima avevo messo, oggi era il giorno di un'altra seduta dalla psicologa.
Non potevo piu andarci, glielo avrei detto. Non potevo far pagare a mia madre qualcosa di costoso, che poi non mi serviva nemmeno.
Ero davanti ai fornelli quando tutto questo successe, con un paio di cordon bleu a soffriggere, così abbassai il fuoco e mi allontanai un attimo. Accesi la televisione con il telecomando, con un gesto talmente disinteressato, che se l'elletrodomestico fosse stato munito di una coscienza, si sarebbe offeso molto.
Al notiziario vomitavano inutili news di gossip, qualche nuova schifezza commessa dal primo ministro e quella di una cane intrappolato in una grotta. Mi stupivo sempre quanto stesse cadendo in basso il livello di informazione che veniva dato.
Un espressione di disgusto mi si disegno in volto, tanto che cambiai canale.
C'era un film a cartone animato talmente idiota, da far ridere davvero, così lasciai quel canale, tanto per farmi due risate.
Mezz'ora ed i cordon bleu erano pronti. Spensi il fuoco e ne misi uno nel mio piatto, e uno li ad attendere l'arrivo di mia madre.
Non l'avrei vista perché lei arebbe tornata l'una di pomeriggio, ed io dovevo andare all'incontro con la psicologa a quell'ora.
Mangai con strana calma, mi bevvi un bel bicchiere di coca cola e fui pronto per andare.
Sibilla sarebbe stata felice di rivedermi? Probabilmente vedeva tutti i giorni squilibrati ragazzi come me, quindi non mi avrebbe dovuto aspettare piu di tanto.
Un pomeriggio noioso mi aspettava, ma perlomeno il tutto poteva distrarmi ancora, perlomeno non avrei pensato a mio padre.

Il palazzo era il solito, la musica nelle orecchie la solita, e la segretaria, ancora la solita.
Non aprì bocca ne sollevò gli occhi su di me, mi limitai a seguire la strada che gia conoscevo per raggiungere la dottoressa.
A parere mio quella donna nascondeva qualcosa. Forse, segretamente macellava i ragazzi come me, con cui Sibilla non riusciva ad operare.
L'immagine della signora traccagnotta con una motosega in mano mi attraversò il cervello.
Perché la mia mente partoriva cose del genere? Ero proprio pazzo, l'amore mi aveva fatto uscire di testa.
varcai la soglia dell'ufficio, se cos' si poteva chiamare, della psicologa, ed ancora una volta fui travolto da un buonissimo odore. Sembrava gelsomino. Forse utilizzava uno di quei deodoranti d'ambiente di cui si parla tanto nelle pubblicità. Magari era nascosto fra i soprammobili ed avrbbe spruzzato al passarci davanti. Che invenzione angosciante. Avere tipo un temperamatite che spruzza profumo, o un qualsiasi altro tipo di soprammobile così, mi avrebbe dato abbastanza fastidio.
Lei era gia li, piu bella che mai. Stavolta un vestirario piu professionale la avvolgeva. Un lungo vestito, dotato di gonna e tacchi, una simpatica treccia dietro e un paio di occhiali piu tondi.
- Ciao Lean.- disse, esenguenzo un professionale gesto di sedermi.
Non feci testo e mi sedetti subito. Per quanto potesse essere bella quella donna, non era il mio posto li e ne ero sempre piu convinto.
- Dimmi... che ti è successo ultimamente?-
A quella domanda mi salirono tante emozioni contrastanti al cuore. Rabbia, tristezza, gioia, passione. Erano stati dei giorni abbastanza pieni.
- Ho conosciuto una ragazza, ci ho fatto sesso, è morto mio padre ed è tornata la ragazza di cui ti parlavo l'altra volta. Sono stato da lei ieri sera e questa mattina, mentre andavo via, le ho rubato un bacio mentre dormiva. Apparte questo tutto normale.-
Lei strabuzzò per un attimo gli occhi. Doveva essere suonato un po' troppo anche per le sue orecchie, probabilmente.
- Raccontami un po' di questa ragazza che hai conosciuto.-
Inarcai le sopracciglia. Strano con non volesse sapere di mio padre, gli psicologi non facevano in quel modo? Ti cercavano il problema, mettevano il dito nella piaga e poi ti giudicavano. Forse lei era davvero diversa come pensavo.
- E' l'infermiera che mi curava all'ospedale. Mi ha aggiunto come amico su un social network, e mi ha chiesto di uscire.-
- Svelta la ragazza.- disse ridendo.
- Si - risi anch'io.- Bhe... siamo usciti. Mi ha portato in un parcheggio con la sua auto.-
- Guidava lei? Non dovrebbe essere l'uomo a guidare?-
- E' quello che dico anch'io!- esclamai con sorpresa.- Ma comunque, siamo andati in questo posto e, fra una birra, un po' di musica rock e l'atmosfera bhe... abbiamo fatto sesso.-
Sibilla scrisse qualcosa sul suo blocchetto che teneva in mano, lanciandomi ogni tanto qualche occhiata. Giudicava, lo sapevo. Ora mi avrebbe detto che sono un classico uomo e bla, bla, bla.
- Bhe... forse non eri così indesiderabile come pensavi.- disse con un sorriso malizioso.
- E' lei come fa...-
- Sono una psicologa, e piuttosto brava.-
Un occhiolino. Un gesto d'intesa. Da quel momento, con quella risposta, sapevo che lei era una psicologa giusta. Mi potevo fidare. Non mi avrebbe giudicato. Mi avrebbe capito.
Continuai a raccontarle le cose accadute, dal senso di passione che mi aveva fatto provare Freida, alla tristezza per la morte di mio padre. Ci scappò pure qualche lacrima e un abbraccio da parte sua.
Le raccontai infine del ritorno di Valeria, della sua comprensione e della splendida notte, terminata con un bacio rubato al luminar del sole.
- Mmmh... e così sei stato anche con lei.- scrisse due righe sul blocchetto.- E cosa ti ha fatto provare quel bacio?-
- E' stato bello. Mi sono sentito un po' come un ladro, ma tutto sommato è stato bello.-
Una smorfia strana focalizzò la mia attenzione. La sua bocca corrucciata voleva dire qualcosa, ma non rinuscivo ad intuire che cosa.
Poggiò la testa sul pugno e mi guardò negli occhi, poi fce una cosa che non mi aspettai. Si sciolse i capelli e li scosse in modo sensuale. portò gli occhiali piu in giu sul naso e sbottonò gli ultimi bottoni della camicetta elegante.
Che stava combinando? Era reale o la mia mente lo stava partorendo?
Mi si avvicinò con fare seducente, a labbra socchiuse, come se volesse eccitarmi con forza.
Mi guardò reagire, poi si ricompose. Scrisse qualcosa sul suo blocchetto ed infine si mise di nuovo in posizione riflessiva.
Ci fu un tremendo flash di luce, dal quale mi ripresi come da un trip. Lei mi guardò stranita. Era successo veramente?
- Tutto bene?- domandò
- Io... cioè lei... ha fatto..-
Mi guardai attorno impaurito. Che cavolo stava succedendo? Era reale, ne ero sicuro. Quasi sicuro.
Non potevo domandarglielo. Non potevo proprio.
- Io... cosa?-
- Lei... mi stava provocando. La sua camicetta, i capelli.-
- Mi hai vista provocarti?-
Annuii con un certo timore negli occhi. Il suo sguardo praticamente urlava che non aveva fatto niente. Era tutta un'illusione. La mia mente l'aveva partorita.
Cavolo. Ero pazzo. Ero pazzo davvero.

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


L'avvenimento nell'ufficio della psicologa mi aveva sconvolto abbastanza. avevo battuto la testa e non me ne ero reso conto? Il mio tuffo mi aveva procurato danni cerebrali?
Forse ero pazzo davvero, lo ero diventato. Il desiderare così tanto una persona che non avrei mai potuto avere mi stava facendo uscire di testa?
Le solite parole di Valeria risuonarno nella mia testa, ma questa volta non potevo non pensare. Questa volta la cosa era molto seria.
Avrei, in qualche modo pero il lume della ragione, diventando un peso per la mia stessa esistenza?
La psicologa non mi aveva detto molto sulla cosa. Aveva scribacchiato qualcosa sul suo tacquino, ma non mi aveva detto niente di rilevante.
Certo come ragazza era molto bella, ma che la mia mente partorisse immagini del genere così senza alcun senso, era davvero strano.
Confidavo nel fatto che tutto fosse solo un brutto scherzo. Forse la psicologa mi aveva messo qualcosa nel thé, così da farmi impazzire, tornare alle sue sedute e guadagnare piu soldi.
Forse l'inquinamento nel fiume mi era entrato nelle vene, aveva modificato la mia normale attività cellulare e mi faceva avere delle strane visioni.
Ma che cavolo andavo a pensare?
Non poteva essere davvero così, altrimenti me ne sarei accorto prima.
Nel passeggiare al ritorno dalla psicologa, mi squillò di nuovo il cellulare. Lo presi dalla tasca e notai il numero sullo schermo.
Era Freida. Non l'avevo richiamata, ma nonostante tutto ci aveva pensato lei.
- Pronto?-
- Ehi Lean! Va tutto bene tesoro?-
Non potevo raccontarle quello che era succeso, assolutamente no. Mi avrebbe preso per pazzo.
- Si, si... va tutto bene. Tu? Che fai?-
- Niente. Ho il giorno di riposo. Ti andrebbe di vederci? Ti vengo a prendere.-
La sua voce sembrava gioiosa dall'altra parte della cornetta, come solitamente era il suo spirito. Mi faceva sempre molto piacere risentirla, ma questa volta avevo dentro di me un peso. La colpa di un bacio rubato, La colpa di qualcosa simile ad un tradimento.
In fondo io e Freida, nonostante il nostro rapporto intimo, non avevamo mai chiarito se stavamo insieme o meno. Dovevo sentirmi in colpa o no? Forse no, e forse non dovevo nemmeno farne parola.
- Si - dissi con un rinnovato sorriso.- sono quasi in piazza, vieni qui.-
La strada fra casa mia e l'ufficio della psicologa, passava per delle piccole vie che uscivano fuori dal centro storico, dove c'era una grossa piazza mattonellata, padroneggiata da una grossa statua raffigurante Athena, dea greca della guerra e della saggezza.
Non aveva niente a che vedere con gli abitanti di quella città. Una enorme distesa di bigotti, provinciali, con cui non riuscivi a scambiare mezza parola senza andare a finire in una rissa.
Mi fermai in piazza e mi misi a sedere su una panchina ad aspettare lei. Mi accesi una sigaretta, tanto per passare il tempo, guardando le persone che passavano.
Le combriccole di ragazzini vestiti in modi talmente assurdi da sembrare carnevale, passavano in avanti e indietro, scambiandosi prese per i fondelli in gergo provinciale, e rozzi commenti sulle ragazze che passavano.
Avevo sempre odiato quei tipi. Degli idioti che non sapevano nemmneo cosa gli succedeva intorno. Tanti stupidi piccioni con un cervello un po' piu grosso, ma inutilizzato.
Freida non ci mise molto ad arrivare. Il rombo del motore lo si percepii da lontano. Il bagliore arancione della sua carrozzeria, rinquorava in quell'aria così satura di secchezza.
La vidi arrivare e parcheggiare intorno alla piazza. Scese e subito venne verso di me, con una tale allegria da curare il cancro.
- Lean!-
Mi alzai per salutarla per bene, ma fui subito ricacciato indietro da lei, che mi saltò addosso, quasi fosse un koala e io un eucalipto.
Mi si disegnò un espressione di gioia in volto. Quei tipi di saluto mi erano piaciuti sempre tanto. Dimostravano quanto ad una persona eri mancato veramente. Non feci tempo a proferir parola, che lei subito mi bacio energicamente, tenendomi la testa fra le sue mani.
Quando il bacio terminò dissi con un sorriso:- Ehi! Calma tesoro! So che sono irresistibile, ma tranquilla.-
Lei mi tirò una capocciata afettuosa, mi si scrollò di dosso e mi si mise accanto. Una dolce risata ci unì ancora.
Mi vene vicino, facendosi spazio sotto il mio braccio, come una gatta che cerca le coccole strofinandosi addosso. i suoi occhi esprimevano la gioia di rivedermi, di riavermi tutto per lei. Ci eravamo visti il giorno prima, ma per un secondo ed in circostanze nefaste. Vedersi in quel momento era decisamente molto meglio.
Il problema era che non sentivo decisamente tutto quello, che avevo sentito le prime volte. Il bacio rubato a Valeria forse aveva debellato un bel po' di cose. Ricordavo bene la serata passata con Freida, ma dei dubbi mi sorgevano.
Che fosse stata tutto frutto della mia depressione?
Avevo bisogno di essere amato, e una semplice amicizia non mi bastava proprio.
Lei era venuta con aggressività con me, mi aveva posseduto e a e non era dispiaciuto, ma che non ci fosse niente di piu, era un pensiero che mi aveva proprio passato la mente.
Maledetto cervello, smettila di pensare.
- Allora tesoro? Ti sei ripreso vedo.-
Nel suo sguardo una strana espressione. Mi aspettavo gelosia, o comunque qualcosa di simile, daltronde sapeva che ero stato con Valeria il pomeriggio. Non sapeva il resto, ma non importava, io avrei chiesto.
- Si. Una buona amica e un film aggiustano sempre tutto.-
Mentii. Il ricordo di mio padre era ancora vivido dentro di me, ma non volevo darlo a vedere. Non pensarci mi avrebbe fatto stare bene.
Lei annuì con strana approvazione.
- Mi dispiace di non aver potuto rimanere di piu. Avrei voluto, ma all'ospedale mi avrebbero squiato viva.-
- Non preoccuparti. Capisco.-
Una conversazione un po' secca. Non avevamo niente da dirci. Strano.
Ad un tratto, un altro flash mi abbagliò. Sbattei gli occhi come ripresomi da un tremendo trip da acido, e sbigottito notai che Freida non era piu accanto a me. Mi alzai tremendamente impaurito. Mi guardai attorno per cercarla, ma proprio non cera. Cercai la sua auto da qualche parte, ma nemmeno lei c'era.
Oddio, un'altra visione. No, non poteva essere. Lei era li, accanto a me, potevo giurarci. L'avevo vista, mi aveva baciato, l'avevo abbracciata. Lei era li davvero, non me lo ero immaginato.
Presi a correre intorno alla piazza, tante volte avessi perso di vista la sua auto, ma proprio non c'era.
Presi subito una sigaretta dal pacchetto, che notai pieno. Ne avevo presa una prima, ne ero sicuro. Non era possibile una cosa del genere. Come facevo a sognare tutto in quel modo?
Eppure nella piazza c'ero.
Con mano tremante presi il cellulare dalla tasca, che mi scivolò dalla presa e cadde in terra. Per fortuna era molto resistente, così non si ruppe. Lo raccolsi rapidamente, impaurito tremendamente. Giocai con il touch screen con un istante, con l'intento di arrivare all'elenco delle chiamate ricevute.
Niente. Nessuna chiamata da Freida.
Non era possibile che fosse stata davvero una visione. Non era possibile. No, non poteva.

Feci una corsa estenuante fino a casa mia, dove feci le scale per arrivare in camera mia. Non accesi nemmeno la luce della camera. Mi fiondai sul mio letto, tenendo la testa avvolta dal cuscino. Continuavo a ripetermi che non era possibile, non stavo impazzendo.
- Calma Lean. Non sei pazzo. Forse hai battuto la testa quando ti sei buttato, forse è solo la paura.-
Mi dissi quelle parole, ma non ci trovai nessun conforto all'interno. Mi voltai, guardando l'infinito sul soffitto. Il cuore mi stava scoppiando nel petto, con una tale forza che la paura che mi uscisse dal corpo, fu quasi reale.
Nel buio della mia stanza, una luce rishciarò il tutto. Il computer era aperto. Forse era stata mia madre.
La luce simboleggiò che un messagio era arrivato. Il social network era aperto, il mio. L'avevo lasciato aperto? Non lo ricordavo.
Una finestra di chat si aprì, e il nome suo mi terrorizzò quando lo lessi.
Freida era li. Era sul social network. Mi catapultai li alla finestra di chat per parlarci subito. Il suo "Ciao lean", riempì i miei occhi.
Le scrissi a mia volta un saluto e lei mi rispose quasi subito.
- Ehi tesoro, che fine hai fatto? Non mi hai piu richiamato.-
- Piccola, ci siamo visti ieri.- dissi, fingendo non calanche.
- Si lo so, ma mi manchi.-
Non riuscii a prendere quelle parole seriamente. Non riuscivo a togliermi dalla testa le due visioni che avevo avuto nel corso della giornata. Era tutto così strano, così alieno, così... folle. Forse ero davvero impazzito.
In quel momento ricordai qualcosa che la psicologa mi aveva detto, dopo che gli ebbi raccontato tutti i miei casini. Mi aveva detto che alla fin fine anche l'amore era un tipo di follia. Forse ero folle perché ero innamorato, forse l'amore davvero mi aveva fatto impazzire.
Inspiegabilmente lei sparì, e sulla finestra di chat comparì la scritta offline. La connessione ad internet funzionava male un po' dovunque, non dovevo collegare anche quello alla mia mente in lento declino. Quello che comparì dopo però si.
Il programma per gli appunti si aprì da solo, con una scritta fatta da nessuno sopra.
"Hai paura?", scritto dal niente. Sentii uno strano brivido lungo la schiena, quasi ci fosse una strana forza malvagia dietro di me, che incombeva come una grande aquila ad ali spiegate sulla mia schiena. Ormai terrorizzato decisi di dare retta alla mia mente e provare a rispondere, un po' come se fossi in una chat, con chi non sapevo proprio.
"Si, ho paura." Ma che stavo facendo? A chi rispondevo? Che follia.
"Fai bene ad aver paura, l'oscurità ti avvolgerà, la tua mente lentamente cederà e tu finirai per impazzire".
Lessi quelle parole attentamente. Stavo per chiedergli chi fosse a scrivere, ma chiunque fosse mi precedette.
"Guarda sul tuo comodino."
Quelle parole ed il programma per gli appunti si chiuse da solo. Ne rimasi orrendamente terrorizzato. Chi diavolo era a scrivere? Non era una chat, nessuno poteva rispondere li come se lo fosse stata.
Guarda sul comodino, aveva detto. Mi allontanai dal computer e arrivai a quest'ultimo. Sul mobile c'erano la mia sveglia, il cavo del caricabatteria  del cellulare, una lampada e un libro.
Era un vecchio libro che avevo cominciato a leggere tempo fa, ma che poi avevo lasciato a metà perchè non ne avevo piu voglia.
Lo raccolsi dal suo stato di ibernazione letteraria e lo aprii. Non ricordavo nemmeno la trama. Lessi qualche parte della prefazione e gli occhi mi si riempirono di confusione quando lessi quel nome. Freida.
Nel libro? Doveva essere una coincidenza. Era davvero una coincidenza.
Chiusi il libro e lo rimisi dove era. Dimenticare quella vicenda era tutto quello che volevo, dimenticare tutto. Un sogno ristoratore avrebbe aggiustato tutto.

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


Una notte di sonno dicono che puo sistemare tutto, ma chissà per quale motivo per me non era mai davvero successo. Durante la notte tutto diventava piu vero, piu dolorosa, piu tremendo per la psiche. Era il momento in cui uscivano i pensieri, quelli nascosti nell'inconscio, quelli che non conosci nemmeno, quelli che ti vergogneresti pure di rivelare a te stesso.
Forse il mio amore disperato per Valeria aveva davvero creato una relatà alternaiva dove vedevo quello che volevo vedere.
Una baggianata. Non esistevano quelle cose, se non in qualche film di hollywood o in qualche film di fantascienza. Eppure stavo vivendo una cosa strana. Vedevo la sessualità spiccare dappertutto e il mio cervello cedere attraverso illusioni.
Soprattutto quella rivelazione. Quel nome, quella ragazza erano anche in quel libro. Una cosa molto strana. Che la mia mente avesse creato dal tutto quella ragazza così fantastica? Non poteva davvero essere possibile, dovevo andare in cerca della conferma che il tutto non fosse solo una grande illusione.
Mio padre era scomparso, mia madre soffriva, il mio sogno d'amore non si sarebbe mai realizzato e io lentemante andavo alla deriva, nella vastità delle mie illusioni.
Mi svegliai frastornato. Non avevo dormito un granché. I pensieri avevano condizionato l'intera notte e mi avevano impedito di ristorami nel mondo dei sogni. Non avevo tante cose da fare, unicamente quella di cercare conferma.
Mi alzai dal letto e mi vestii in quattro e quattr'otto. La voglia di capire era tanta che non riuscivo nemmeno a conternerla.
Il computer era ancora acceso. Nessun messaggio strano riempiva lo schermo, così mi fiondai giu per la rampa di scale, senza pensare al far colazione e qualcosa del genere. Mi inoltrai nella mattina fresca della piccola città e corsi subito verso la mia macchina.
Sarei andato verso l'ospedale, voglioso nel sapere la verità. Freida esisteva oppure no? Era frutto della mia immaginazione oppure no?

L'auto correva veloce per le strade dela città. La mia guida non si poteva proprio descrivere lenta e riflessiva, ero un tipo dal piede pesante.
In pochissimo tempo arrivai all'ospedale, Il parcheggio era a pagamento ma non mi importava un granchè. Lasciai la macchina in un parcheggio a caso senza pagare e corsi subito verso l'entrata. Cercai di ricordare il piano dove ero stato ricoverato ma non mi venne. C'era un piano "tentato suicidio"? Non credevo proprio, ma forse un database di dipendenti c'era.
Corsi velocemente alla reception, dove c'era una piantina affitta al muro che spiegava come raggiugnere i vari piani. L'ufficio del personale era al quinto piano. Un labirinto di ascensori e corridoi componeva quell'edificio, ma mi ci giostravo abbastanza bene.
Presi l'ascensore che la mappa consigliava di prendere e in poco tempo fui al quinto piano. Mi trovai proprio davanti la porta dell'ufficio. Non c'erano molte persone che passeggiavano li, quindi tentai una cosa. Una piccola effrazione con scasso, daltronde la cose era piuttosto importante. Una carta nella fessura della serratura e la porta si aprì. Cavolo funzionava davvero!
Entrai e mi ritrovai in una stanza poco illuminata, piena di schedari grigi. Sentii una forsa irrefrenabile alle spalle, che si abbassarono in segno di sconforto.
Per fortuna c'erano delle etichette sopra i cassetti, così andai a cercare la "F". Mi resi conto di non sapere assolutamente il suo cognome. Era un bel problema. Per fortuna lo schedarai andava per titoli. Le lettere stavano per il tipo di occupazione che rappresentavano, così non ci volle molto a trovare "infermieri".
Aprii il cassetto e scorsi tutte le schede per cercare il suo nome, o comunque qualcosa che ricordasse il suo nome. le guardai tutte, ma in nessuna c'era il suo nome.
Non era possibile.
Presi il cellulare, scavai fra le chiamate e, stranamente trovai il suo nome. Che fosse a nero? Poteva essere.
Selezionai il numero ed aspettai.
Il telefono squillò a vuoto.
Con rabbia riagganciai e feci di nuovo la stessa cosa.
Continuò a squillare quando una voce registrata rispose. Un sorriso mi di dipinde in volto, ma volò subito via riconoscendo la segreteria telefonica.
Qualcosa di buono c'era però. Quel numero esisteva. Forse non era tutto falso. Forse non era tutto un parto della mia immaginazione. Purtroppo non sapevo dove fosse casa sua, non sapevo il suo cognome, non sapevo niente di lei.
Corsi subito via, cercando di non farmi trovare dalla sicurezza. Ascensore e poi subito in auto.
Dovevo andare a prendere il libro, dovevo controllare il tutto, volevo sapere. Presi la macchina e in poco tempo ero di nuovo a casa. Scale, camera, comodino, libro ero fuori casa. Mi appoggiai al muro, lo aprii a caso, ma le pagine erano bianche. Rimasi allibito. Sfogliai il resto delle pagine ma erano anche loro tutte bianche.
Che significava? Cosa voleva significare?
Forse una persona poteva rispondere a tutto, lei. Sibilla. La psicologa lavorava con questo tipo di nevrosi, probabilmente le vedeva tutti i giorni. lei avrebbe potuto aiutarmi, guarirmi, farmi capire.
Con il libro in una mano e il cuore nell'altra, mi misi a correre. Corsi così veloce, che il vento stesso sembrava dirmi di rallentare, dall'attrito che ponevo contro il mio corpo. Il cuore mi danzava in petto. Il fuoco lo stava bruciando. Il dubbio mi stava consumando.
Come poteva un libro essere completamente vuoto? Come poteva la mia mente cadere nell'olbio così?
L'unica risposta sarebbe arrivata da lei. L'unica, la sola. Non rimaneva che lei.

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici ***


Lo studio era li davanti ai miei occhi, o meglio il portone. Avevo il libro in mano, ma non disponevo del coraggio di aprirlo di nuovo. Avrei voluto vedere se davvero erano bianche le pagine, ma quell'immagine mi aveva spaventato molto, il fatto di credermi davvero pazzo mi aveva terrorizzato.
Aprii il portone che si spalancò con uno strano cigolio, e mi inoltrai all'interno. La solita segretaria traccagnotta non c'era. Forse era il suo giorno di riposo, e lo studio era chiuso.
Entrai ugualmente, portandomi verso la porta dello studio di Sibilla. Quello piu che un ufficio sembrava una vera abitazione, e forse alloggiava davvero li. Era casa sua forse. La mano si alzò come per bussare, ma si bloccò all'improvviso. Avrebbe potuto davvero capire?
La voce di Valeria mi rimbombò nella testa con il solito, ripetitivo messaggio. Aveva ragione.
Bussai ed il mio pugno contro il legno della portam creò un sordo tonfo. Udii dei passi dietro la porta, molto veloci.
Un attimo e la porta si aprii. In quel momento un tremendo flash mi colpì. Insieme, in una donna sola, vidi Freida, Valeria e Sibilla.
I miei occhi si spalancarono e rimasi inebetito. Il flash passò quasi subito e tornai alla realtà, con unicamente Sibilla li davanti a me.
- Ehi Lean... che ci fai qui?-
Riconibbi che poteva sembrare strano piombare cos' in casa altrui, ma avevo proprio bisogno di lei.
- Scusami ma... ho bisogno di te.-
Gli detti del tu, comportandomi come se stessi parlando con qualcosa di somigliante ad un'amica. Non ricordavo se gia avevo questo tipo di confidenza, ma li per li non m'importava, lei era l'unica che poteva aiutarmi.
Mi fece cenno di entrare così ubbidii. Chiuse la porta dietro di me, mi misi il braccio intorno al mio e mi guidò verso la cucina.
- Che succede? Ancora le visioni?-
Gia aveva capito tutto. Era davvero una brava psicologa.
- Si... sono peggiorate.-
Sul tavolo da lavoro della cucina, sostava una tazza piena di cioccolata calda. Lei mi invitò a prenderla, così posai il libro sul primo scaffale che incrociai e protesi il braccio verso la tazza. Non l'avrei bevuta, non mi andava, ma mi sarei inebriato molto volentieri alla calda fragranza di cioccolata.
Le raccontai un po' quello che mi era successo, ma nemmeno una volta vidi il suo volto stupirsi.
Non era una cosa poi così strana, o anche quella era un'allucinazione?
Prese un sorso e fui quasi capace di vedere i brividi lungo la sua pelle.
- Forse stai esagerando un po'.- disse, sorprendendomi completamente.
- In che senso?-
- La tua mente è fragile in questo momento, ma non puo partorire cose di questo genere. La tua si chiama follia.-
La mani vennero percorse da una scarica di rabbia così intensa, che fu per grazia divina che la tazza non mi si ruppe in mano. La poggai sul bancone della cucina son forza. La cioccolata eruttò un po e mi finì sulla mano.
Il caldo mi ustionò, ma in quel momento nemmeno lo sentivo.
- Non sono impazzito!- esclamai, nero di rabbia.
- Clinicamente parlando si.-
Mi voltai con ira e andai a prendere il libro.
- La ragazza di cui ti avevo parlato, quella della mustang. E' in questo libro! Che diavolo significa questo?-
Sibilla poggiò la tazza sul bancone e venne verso di me. Mise le sue mani sulle mie spalle, come se volesse creare una sorta di connessione, notando che mi stavo innervosendo.
Dov'era finita tutta la sua comprensione?
Dov'era finita la psicologa con cui mi ero confidato?
Che fosse stata anche quella un'illusione?
- Lean... anzi... Elia. Questo è il tuo nome.- mi fissò negli occhi.- Tutto quello che hai visto è solo frutto della tua mente. Sei innamorato di un amore impossibile, e così il tuo cervello crea una realtà ideale unicamente per te.-
- No. Valeria l'ha vista! C'era!-
- Elia... quando ci siamo visti l'ultima volta?-
Perchè quella domanda? Lo sapeva benissimo.
- Ieri.-
Tolse le mani dalle mie spalle e chinò il volto.
- Dovevamo vederci ieri... ma non sei venuto.-
Quell'affermazione mi terrorizzò. Non poteva essere vero, ero sicuro, era stato da lei e l'avevo vista cercare di sedurmi. Mi aveva detto delle allucinazioni e le avevo raccontato tutto quello che era successo.
- No! Non è vero!-
- Fidati... ti ho aspettato.-
Con rabbia esorbitante scagliai il libro in terra.
- Non è vero! Non sono pazzo!-
Con quell'affermazione corsi subito via dallo studio e dall'edificio. Cominciai a correre senza meta. Delle lacrime mi sgorgarono dagli occhi. Non capivo piu niente.
Decisi di chiamare Valeria, ero stato da lei, lei aveva visto Freida.
Composi il numero sul cellulare che cominciò a squillare.
- Pronto.. pront.. pron..-
Udii la sua voce rispondere all'altro capo, ma si dissolse come un vecchio CD graffiato, che aveva definitivamente smesso di funzionare. Tentai di guardare il cellulare con la facia stupita, ma nella mia mano non c'era piu.
Mi tastai per cercarlo ma era scomparso.
Ad un tratto un'inquietante avvenimento ebbe inizio. Vidi il paesaggio davanti a me distruggersi. Sullo sfondo comparve qualcosa di somigliante ad un buco nero. Un enorme vortice buio che risucchiava tutto.
Auto, cartelli stradali, la statua della piazza, le mattonelle. Veniva tutto risucchiato in un pozzo nero.
Un tremendo vento mi soffiava addosso e entrava all'interno del vortice.
Terrorizzato cominciai a correre.
Schivai molte cose fluttuanti, che volavano in direzione del vortice. Mi guardai attorno per trovare qualcosa che mi potesse salvare, quando, nel vuoto di una strada vidi uno strano cerchio di luce. "Non pensare".
Senza pensarci molto mi fiondai verso la luce e la attraversai. Che stava succedendo? L'unica cosa che riuscivo a pensare era paura.

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Capitolo 15
*** Capitolo quindici ***


Con un enorme bagliore accecante, mi ritrovai in un nuovo posto. La luce si dissolse e scoprii di ritrovarmi a casa di Valeria. ero nel suo cortile. Ad un tratto il vortice ricomparve al di la della strada. Questa volta non ci pensai due volte e corsi vero la porta di casa sua.
Battei con forza e lei arrivò ad aprirmi subito.
- Ehi Lean.. che succ..-
Anche lei vide l'inquitante vortice oscuro. Mi dette uno strattone violento e mi fece entrare in casa. Non aprì piu bocca, si limito a guardare dalla finestra che succedeva. Notato il gorgo ingrandirsi venne verso di me e mi guidò verso il retro della casa. C'era un grosso giardino  dove teneva la sua auto. Capii subito cosa voleva fare. Entrammo e non perdemmo tempo. Mise in moto e con uno stridìo delle ruote, sfondò il cancello e si inoltrò nella strada.
Il vortice si ingrandì, inghiottendo praticamente tutto quello che stava dietro di noi. Sfrecciò velocissima, schivando qualunque tipo di oggetto volante che schizzava verso il gorgo.
Non poteva essere vero tutto quello. Una frase che ormai mi si era stampata nella mente. Mi voltai. Era tutto vero. Quel mostro di buio era li dietro di noi, che ci inseguiva.
Un cenno a Valeria e lei capì subito. Accelerò, ma il vortice fu piu veloce.
Ci inghiottì entrambi.
La macchina si sfaldò intorno a noi, come carta stagnola. Il mio cuore impazziva dalla paura, come il volto di Valeria, dipinto dal terrore puro.
Ci ritrovammo in un posto senza spazio, senza tempo. Buio, con riflessi violacei. Mi guardai intorno, sopra, sotto.
Notai che per terra c'era qualcosa di simile ad un liquido. Sembrava acqua ma non la distinguevo, era troppo buio. Come se qualcuno mi avesse udito, una luce simile ad un riflettore si accese su di me, facendomi vedere che lei era sempre li accanto a me. La abbracciai spaventato. Lei lo era quanto me.
- Che sta succedendo Lean?-
- Non lo so tesoro... non lo so.-
Quell'abbraccio era così confortante in mezzo a tutto quel buio. Era una fantasia. Tutto quello che stava  succedendo era una fantasia.
Ad un tratto tutto si bloccò, come comgelato. Rimasi pietrificato nel liquido dove stavo in piedi. Il corpo di Valeria mutò e diventò quello di Freida.
Sciolsi l'abbraccio per guardarla in volto e lei mi sorriso dolcemente.
- Freida... che sta succedendo?-
- Tutto e niente.-
Non capii quelle parole, così feci per parlare di nuovo, ma le parole non mi uscirono dalla bocca. Lei mi guardo con il suo sguardo malizioso. Si avvicinò e mi bacio appasionatamente. Non resistetti al qull'effusione, era piu forte di me. Sciolto il gesto romantico, mi resi conto che quella non era piu Freida.
Il corpo era cambiato di nuovo.
Sibilla la psicologa adesso sostava davanti a me.
Tentai di allontanarmi ma fu tutto inutile, ero pietrificato. Nel muovermi persi l'equilibrio e caddi a sedere. La guardai spaventato. I miei occhi trasudavano confusione.
- Che sta succedendo?-
Lacrime d'ragento cominciarono a rigarmi le guancie. Non resistevo piu, tutto quello era spaventoso e non poteva essere reale.
- Sei innamorato Elia. L'amore è illogico, irrazionale. Non puoi mettergli limiti ne controllarlo. La tua mente cede, sotto il peso dell'impossibile.-
Quelle parole erano confuse. Parlava in modo strano.
Si chinò verso di me, portandomi una mano al volto. Il pollice si mosse per asciugare una lacrima. Un sorriso dolce fu l'ultima cosa che vidi, poi la sua mano di dissolse, come il resto del corpo. Diventò fumo, che si innalzò verso l'infinito di quel buio. Mi guardai attorno. Come sarei uscito da quel posto?
Non ci fu tempo per una risposta, che dal liquido pietrificato, uscirono degli strani tentacoli di oscurità. Mi si avvolsero intorno a tutto il corpo. Tentai di reagire, ma fu tutto inutile, erano piu forti di me. Mi inghiottirono quasi completamente. Gli ultimi ad essere avvolsi furono gli occhi, che dettero un ultimo, impaurito scorcio, a quel posto inquitante.

- AHHHHHHH!!- mi alzai urlando.
Mi tastai terrorizzato, con ancora la sensazione di quei tentacoli addosso. Il fiatone e il batttito accelerato accrescevano il tutto. Cercando di calmarmi mi guardai attorno. Ero all'ospedale.
Inghiottii la saliva, sperando che, insieme al naso come principale strumento di respirazione, riuscissi a calmare il fiatone ed il cuore.
Come facevo ad essere all'ospedale? Perché ero li?
Le mie domande trovarono quasi subito una risposta, quando l'infermiera entrò nella stanza. Non era Freida, ma le somigliava molto. I caratteri somatici erano piu italiani, ma il volto era molto somigliante.
Venne verso di me, mettendomi una mano sul petto.
- Si calmi, era solo un incubo.-
Un incubo? Era tutto un sogno? No, non poteva essere.
- Che... che è successo?-
- Non si ricorda? E' stato ricoverato per un tentato suicidio.-
Era stato davvero un sogno. Tutto un'enorme, strano, inquitante, eccitante sogno. Mi ero immaginato tutto.
- Voglio andarmene.-
- Si. Stavo per dimetterla. Aspetti, che le stacco tutto.-
Mi tolse flebo e tutto quello che aveso addosso, mi rivestii e fui pronto per uscire. Da prassi, mi dovevano portare fuori con una sedia a rotelle e così fù. Appena fuori dal portone, fui abbagliato dalla luce del mattino.
Era passato solo una notte dal salto. Non riuscivo a crederci. presi il cellulare e cercai il numero, quel numero, Freida.
Non c'era. Freida non esisteva. Forse avevo creato quella persona sulle sembianze fisiche dell'infermiera. Si, non poteva essere altro che così, ma, a quel punto, che cos'era davvero la realtà? Che cos'era reale?
Forse la mia mente mi aveva voluto insegnare qualcosa. Forse mi aveva consigliato di smettere di pensare a Valeria, e concedermi per un'altra. Forse potevo davvero essere desiderato. Si.
- Andrò a lei e le dirò tutto. Adesso posso affrontare il rifiuto e riprenderm ia testa alta!-
Una convincente affermazione per niente autocommiserante. Poetvo farcela davvero. Forse.

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Capitolo 16
*** Capitolo sedici ***


Feci passare il giorno intero,  convincendomi, parlando con me stesso. La mia mente gia partoriva immagini di qualche possobile futuro, le mie paranoie creavano aspettative, forse troppo grandi, ma adesso potevo sopportarle, ne ero convinto. Il sorriso mi si dipinse in volto. Potevo farcela, era sicuro.
Mi misi alla chitarra a suonare un bel pezzo acustico, allegro. Diceva che quello era l'ultimo momento. L'ultimo in cui avrei sofferto, l'ultimo in cui avrei sprecato la vita ad autocommiserarmi, l'ultimo che avrei passato a sprecare la mia vita.
Non ero del tutto sicuro che fosse sprecata in quel modo, ma comunque non andava bene che un ragazzo come me, si lasciasse andare al solore di un amore impossibile, almeno non così a lungo. Era il momento di cambiare le cose.
Scoprire che tutto quello che avevo visto era solo un illusione, in un certo senso era stato anche un conforto. Quando rientrai in casa e vidi il volto di mio padre, gli saltai addosso, felice come una pascqua di vederlo. Non era morto realmente, ma solo nella mia allucinazione.
C'era da chiedersi perchè l'avessi visto, ma non era quello il momento.

Feci passare la notte. Quello era il giorno, le sarebbe tornata ed io mi sarei liberato da un grosso peso. Trascorsi la giornata a suonare la mia Valentine con passione. Canzoni che non mi erano passato nemmeno per il cervello. Troppo allegre per me, troppo strano, ma forse non dovevo farmi domande su quello, forse non dovevo spiegare proprio tutto. Un sorriso idiota mi comparve in viso e cominciai a ridere fragorosamente.
Pranzai e mi misi sul divano a guardare un po' di televisione. Ad un tratto il cellulare squillò. Era lei, me lo sentivo. Guardai il display e fui contento di non sbagliarmi.
- Pronto?- dissi rigorosamente.
- Ehi Lean! Ciao.. come va?-
- Tutto bene. Tu?-
- Bene, bene. Senti, mi è successa una cosa stupenda.-
Sentivo il tono della sua voce piu alto, era strano. Era successo qualcosa che l'aveva fatta diventare felice. Cosa poetva mai essere successo?
- Dimmi tutto.-
- Ho conosciuto un ragazzo.-
Il sorriso che avevo in volto, scomparve completamente.
- Un ragazzo?-
- Si. Mi piace molto e, non so, dovevo dirlo a qualcuno.-
Il mondo mi crollò addosso. Avevo sempre saputo di non piacerle, ma credevo fosse per il fatto che non gli piacessero gli uomini. Alla fin fine non c'entravo io, ma tutte le persone di sesso maschile.
Non risposi nemmeno. Riattaccai senza battere ciglio.
Credevo di essere pronto per lasciare quel peso ed andare avanti, ma una cosa così non me l'aspettavo.
Ero io che non le piacevo. Il mondo mi crollò tutto sulla testa in un colpo solo. Tutta l'autoconvinzione che avevo acquisito, scomparve in un secondo e, per un momento, il pensiero di quel ponto mi attraverso di nuovo la mente.
Proprio quando sei riuscito a risolvere un problema, ecco che ne arriva un altro fresco, fresco, ad incasinarti la vita.
Non potevo sopportare quello, non potevo prorpio.
Lei doveva essere solo mia. Non sopportavo l'idea che un altro uomo la stringesse, la baciasse, la facesse sua.
Mi era cresciuta tanta di quella rabbia dentro, che non riuscivo nemmeno a piangere.
Presi il cellulare, le sigarette, il cappotto ed uscii dalla mia camera. Al piano di sotto sentii mio padre chiamarmi, ma non ci feci caso. Uscii da casa molto velocemente, chiudendomi il portone dietro la schiena.

Per lei ero impazzito. Avevo perso la ragione. Ero vissuto in un illusione, per colpa del cuore. Quello era il copo di grazia. Non avevo piu niente per vivere, daltronde una vita senza amore, è un qualcosa di futile.
Non volevo vivere una vita così, con un altro uomo che posseva l'amore che era mio di diritto.
Io avevo passato anni a desiderarla, ad aspettarla e solo io potevo averla. Purtroppo non era così la realtà.
Mentre camminavo, arrivò una nuova chiamata sul cellulare.
- Pronto?- risposi.
- Lean! Mi hai riagganciato?-
La mia voce non uscì. Delel lacrime gonfie di trostezza e rabbia sgorgarono dai miei occhi.
- Stai piangendo?- chiese confusa.
- Valeria... non è giusto.-
Sentii la sua voce farsi strana al di la della cornetta.
- Cosa non è giusto?-
- Sono io. Io sono innamorato di te, dal primo momento che ti ho conosciuta.-
- ...Lean..-
La sua voce si spezzò, in un sospiro bizzarro, quasi di rassegnazione.
- Credevo di non essere io il problema, perché conosco i tuoi gusti, ma a quanto vedo..- singhiozzai. - ...sono davvero io il problema.-
- Elia. Calmati. Parliamone.-
- No. Non voglio. Se non posso averti... preferisco non avere niente.-
Non le detti il tempo di rispondere. Lasciai cadere il telefono a terra sul marciapiede, e continuai a camminare. Sentii la sua voce uscire dall'altoparlante. Urlare il mio nome, ma nessuno avrebbe risposto.
Le lacrime ormai riempivano il mio viso. Nessun'emozione riusciva a sovrastare la profonda tristezza che provavo.

Non ci misi molto e gia ero li. Quel maledetto ponte. Per un attimo ci ripensai, ma non mi tirai indietro. Non avevo piu niente per cui vivere, e con l'eterno rimorso di averla difinitivamente persa  non volevo convivere. Tirava un forte vento quel giorno e le acque erano agitate.
Meglio. Mi avrebbero portato a largo, affogato nella loro morsa gelida. Non ci sarebbe stata possibilità di salvarsi.
Il ponte era come al solito deserto, come quella parte di città a quell'ora.
Mi arrampicai sul cornicione arrugginito, stando attento a non cadere proprio subito. Volevo un ultimo momento teatrale, per dire addio alla vita. Il vento soffiava violento, ma riuscivo a tenere l'equilibrio sul cornicione.
Detti uno sguardo alle acque sotto di me. Il cuore mi balzò in gola. Il respiro si fece affanosso e un attimo di ripensamenti mi attraversarono la mente.
Ormai era tardi. Non c'era possibilità di un finale a sorpresa, stile hollywood. Nessuno sapeva che ero li.
L'amore mi aveva portato a quel punto. Mi aveva acceso il cuore, facendo mi credere che quella potesse essere la donna della mia vita, e poi mi ha gettato fango addosso. Mi aveva preso in  giro, ma, assolutamente, non rimpiangevo niente di tutto quello che era successo, daltrodne l'amore è così.
Ti fa stare bene, poi ti fa soffrire. Ti fa spuntare tanti sorrisi ma anche tante lacrime.
L'amore è quello ed essere pazzi d'amore per qualcuno, alla fine ti fa diventare davvero pazzo. L'amore è illogico e irrazionale. L'amore è follia.
Se nella vita reale non l'avrei potuta avere, forse nell'eterno mondo della mente si. L'amerei, dentro me stesso, nella mia mente, nel mio mondo.

Sentii i freni di un'auto stridire, la portiera aprirsi e una voce chiamarmi. Non poteva essere lei, non sapeva che ero li. Era un'altra illusione.
Stesi le braccia. Mi sentii quasi un angelo in quel momento, ma il posto che mi aspettava non era così confortevole. L'inferno arriverà, per chi il dono della vita resituirà.
Una piccola poesia inventata in quel momento.
La voce si fece piu forte, forse non era un'illusione. Ad un tratto, con un colpo forte mi sentii afferrare la gamba, per paura mi sbilanciai e caddì.
La mano era forte, tanto che riuscì a tenermi, ma il volo era iniziato, così ruotai praticamente sul cornicione e battei la testa forte, sulla lastra di ferro.
Un miliardo di pallini brillanti mi offuscarono gli occhi. Non capii bene cosa stava succedendo, ero intontito, però avvertii un'altra forza afferrarmi l'altra gamba. Mi sentii sollevare. Me ne accorsi perché il mio busto strofinò, contro il cornicione arrugginito. Un violento schianto mi proietto sull'asfalto del ponte.
Non ci ero riuscito, di nuovo. Che deve fare una persona per suicidarsi? C'è sempre qualcuno che viene a salvarti?

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Capitolo 17
*** Capitolo diciasette ***


Mi ritrovai sul pavimento del ponte, esanime, con un grosso mal di testa. La vista era offuscata da un miliardo di bruscolini dorati. Non capivo veramente piu niente.
Sentivo dei suoni molto gravi, echeggiare intorno a me. Sembravano voci. Ce ne erano almeno tre.
Il bagliore dorato davanti a me cominciò lentamente a dissolversi, delineando figure scure intorno a me, che intuii dover essere delle persone.
Due mi stavano vicino alla testa, facendo qualcosa. Probabilmente stavano fasciando la testa, perché vidi qualcosa di oscuro passarmi davanti agli occhi che sembrava una specie di benda abnorme. Non mi dovevo spaventare.
Forse erano paramedici.
La terza figura stava sullo sfondo, senza fare granchè. Probabilmente stava fissando la scena, preoccupata per me, un perfetto sconosciuto. Forse era stata quella persona ad afferrarmi la gamba.
Che forza sovraumana doveva avere, per avermi afferrato con fermezza, mentre cadevo a peso morto nel vuoto?
Che braccia forti doveva avere, per aver sollevato il peso del mio corpo?
Avevo immaginato fosse Valeria, che per qualche grazia divina fosse arrivata li, intuendo che li sarei stato, ma non poteva essere. La sua coporatura esile non avrebbe sorretto il mio peso. Doveva essere stato un uomo.
Il bagliore negli occhi, continuò lentamente ad andarsene, lasciando uno strano effetto ubriacezza molesta. Vidi le tre persone molto piu chiaramente in quel momento, anche se mosse come da un rallentato mondo. Riconobbi la giacca arancione con striscie bianche catarifrangenti. Quei due accanto alla mia testa erano proprio due paramedici, o come diavolo si chiamava il loro titolo di lavoro. L'altra persona un po' piu distante era un uomo, anzi, un ragazzo.
Rimasi un po' deluso. Mi sarebbe piaciuto vedere lei, li preoccupata a morte per me, con negli occhi l'espressione di stava per perdere la persona piu importante della sua vita, ma, come avevo gia avuto modo di constatare, la vita non da mai quello che davvero vorresti. Trova sempre i modi piu fantasiosi per incasinare tutto, e ti sorprende sempre mandando all'aria ogni proposito di piano.
I due angeli in giacca arancione terminarono il loro lavoro e si dileguarono. Sarebbero tornati sicuramente. Avevo fatto un corso anni prima di primo soccorso, e sapevo bene che, onde rischiare che il malcapitato, che avesse affrontato un'avventura come la mia si sentisse peggio, l'avrebbero portato all'ospedale per controllare la presenza di qualche emorragia interna.
Dovevo solo stare li ed aspettare la barella.
Ma che diavolo! Non ci penso nemmeno!
Ero appena uscito da un ospedale, non avevo nessuna intezione di tornarci. Mi issai facendo forza su i gomiti, rendendomi conto di quanto la testa mi girasse. Tenatai di fermare il nauseante barcollare delle immagini nei miei occhi, e riuscii a farlo diminuire un po'.
Mi alzai a mezzo busto, e mi ritrovai con gli occhi di questo ragazzo che mi fissavano.
Un bel ragazzo tutto sommato. I capelli corti modellati dal gel, gli occhialoni e il suo vestiario, ricordavano molto uno stile indie, oppure un po' vintage.
- Stai bene? - mi chiese
Che domanda idiota. Avevo appena sbattuto la testa contro una trave di ferro arrugginito.
- Una meraviglia... -
- Che cavolo pensavi di fare?-
Poggai la fronte sul palmo della mano, in un espressione di confusione, poi alzai lo sguardo per guardarlo torvo.
- Una cosa che sembra molto difficile da fare...- dissi sospirando.
- Sei fortunato che stavo passando con la macchina.-
- Non direi di esser stato fortunato...-
- Perché ti volevi ammazzare?-
Che cos'era tutta quella confidenza? Non mi conosceva nemmeno. Mi venne da rispondergli molto male, ma, tutto sommatto mi aveva salvato da un gesto di assoluta disperazione, forse poteve essere gentile con lui.
- ...non ti preoccupare... una cavolata.-
Dietro gli occhiali, i suoi occhi assunsero un espressione confusa. Le sopracciglia inarcate mi rivelavano che aveva capito, che quello era un argomento non proprio semplice, e che era meglio sorvolare per il momento. Se avessi voluto dirglielo, avrei deciso io quando sarebbe stato opportuno e se.
Feci un gesto, come a volermi alzare, ma trovai qualche difficoltà nel corpo indolenzito. Lui non fece un attimo di attesa. Si alzò con velocità e mi porse la mano. La strinsi forte e con la sua forza esorbitante mi alzai da terra.
Gia che avevamo la mano strinta in un gesto che poteva essere interpretato, anche come un semplice gesto di complicità, non ci mise molto ad aprire di nuovo la bocca.
- Piacere, sono Gabriele.-
-... Elia.-
Mi sorrise, anche vedendo la mia risposta secca, quasi disinteressata. Non volevo fargli del male, ma in quel momento non mi importava niente di chi fosse lui, ma solo di riprendermi e ricordarmi del perché mi ero buttato.

Ecco. Un secondo di pensieri e tutto il dolore tornò addosso a me, come un impulso di vomito dallo stomaco. L'avevo amata per così tanto tempo, e adesso, un altro uomo sarebbe stato suo, un altro uomo l'avrebbe accarezzata, l'avrebbe baciata e fatta sentire viva.
Forse dovevo solo fare quella cosa. Quella cosa che non avevo avuto il coraggio di fare tempo fa, chiudere i ponti con lei.
No! Non mi importava. La volevo nella mia vita, altrimenti anche solo respirare non avrebbe avuto significato senza di lei. Dovevo però andare a scusarmi per il mio gesto assurdo. O forse no. Mi avrebbe ammazzato lei, però il cellulare era di vitale importanza andarlo a riprendere.
- Senti scusami... mi potresti fare un piacere?-
Sorrise divertito. Forse pensava "non ti ho gia fatto un grosso piacere salvandoti?".
- Certo, dimmi.-
- Potresti accompagnarmi a casa?-
- No es problemo!-
Quello slang in spagnolo poco c'entrava, ma faceva notare il fatto che forse quel ragazzo studiava lingue, o magari l'abveva sentita in qualche film e la ripeteva sempre.

Montai nella sua auto e gli mostrai la strada verso casa mia. Non ci volle molto per arrivarci. Durante il tragitto guardai attentamente i marciapiedi, per vedere se trovavo il mio cellulare in terra.
Ad un tratto scorsi lo schermo simile al mio e urlai al compagno di viaggio di fermarsi. Inchiodò in mezzo alla strada, facendo suonare il clacson così, della macchina che dietro stava. Forse si era preso anche qualche accidenti.
Scesi dall'auto e andai per raccoglierlo. Era proprio lui. Lo schermo era un po' ammaccato, ma in buone condizioni per essere caduto di schianto sul marciapiedie.
Tornai subito in auto e continuai nel farmi portare verso casa mia. Premetti qualche volta lo schermo touch screen per vedere se funzionava, e la luce abbagliante della retroilluminazione dimostrò un si.
Sul desktop c'erano dodici chiamate senza risposta, che, aprendo il menu apposito, mi accorsi essere tutte di lei. La dovevo aver fatta preoccupare a morte. Non feci in tempo a premere il pulsante per bloccare il telefono, che subito l'avviso di una chiamata riempì lo schermo. Era lei.
- Pronto?- dissi, nel solito tono di quando si risponde al telefono.
- Elia!! Che cazzo hai fatto! Perché non rispondevi??-
Portai il cellulare al collo, per lasciarla urlare da sola un attimo e riflettere. Non dovevo dirglielo, si sarebbe preoccupata, ma dovevo trovare una scusa per quello che le avevo detto.
- Ehm...- cominciai riportando l'auricolare all'orecchio - ...scusa. Ho avuto un piccolo crollo emotivo, e sono caduto sul marciapiede battendo la testa.-
Non reggeva molto come menzogna, ma non sapeva la vera versione dei fatti ed era meglio così. Mentre guidava, Gabriele mi guardò stranito, voltandosi inceprettibilmente verso di me.
Probabilmente, si domandava chi fosse all'altro capo del telefono e perché le avevo mentito.
- Accidenti a te tesoro!! Non farmi piu prendere uno spavento così! Sono stata chiara?!-
La sua voce terribilmente alterata, risuonava così forte, che probabilmente anche lui stava sentendo tutto.
- Ma... quella cosa che hai detto prima...-
Non le lasciai il tempo di finire la frase, che risi fragorosamente.
- No... cioè, era uno scherzo. Davvero.-
La menzogna mi faceva stare male.
- Elia... tu sei il mio migliore amico..-
- Si, e tu la mia! Per questo sarebbe strano!-
Che schifo di bugiardo che ero.
- Ok... senti, stasera devo ripartire. Oggi pomeriggio ci vediamo e ne parliamo, ok?-
- Ma non c'è niente di cui parlare!- risi.- Davvero... scherzavo!-
Vedendo la strada dove oramai eravamo arrivati, feci un cenno silenzioso a Gabriele, facendogli capire che casa mia era quella che con l'indice avevo indicato.
- Starò via i soliti tre giorni. Direi che ci vediamo dopo questi allora.-
- Si, si. Stai tranquilla.-
Un piccolo saluto e riagganciai. Ero riuscito a risolvere la situazione con una strana facilità. Inarcai le sopracciglia, guardando il celluare, poi feci spallucce e lo posai sulla gamba, stretto nella mia mano.
Lui accostò davanti la porta di casa mia, così, facendo un cenno di gratitudine, aprii la portiera.
- Ehi aspetta...-
Mi voltai confuso. Che poteva volere ancora da un pazzo come me?
- Perché non mi lasci il tuo numero? Almeno se ti viene voglia di suicidarti di nuovo, mi chiami. Ti faccio uno squillo così hai il mio.-
Il suo modo di fare era abbastanza bizzarro. Uno ti salva da un volo tra le acque gelide, ti aiuta, ti riporta a casa e poi ti chiede il numero. Che fosse gay? Che ci stesse provando?
Ma che vai a pensare?
- Certo....- dissi dandogli il mio cellulare.
Premette dei numeri in serie sullo schermo del telefono, facendo venire fuori una strana melodia, quasi fosse fatto apposta quel numero. Che strano.
Sentii il suono tipico di quando si salva un numero in rubrica, e con quell'acuto "beep", mi riconsegnò il cellulare. Sorrisi con segno di gratitudine e scesi dalla macchina. Feci qualche passo all'indietro per salutarlo con la mano, poi mi voltai per andare ad aprire la porta di casa mia. Udii il motore ruggire, segno dell'auto che sgommava via.
Entrai in casa, non salutai nessuno e corsi velocemente su, in camera mia. Chiusi la porta a chiave, smossi un po il mouse del computer per far fare luce allo schermo nella stanza buia, e poi mi avvicinai al letto. Lo guardai con fare strano, poi, come una piccola e umida dimostrazione di tristezza, una lacrima mi scese da un occhio.
La bocca mutò in una smorfia con il naso, unita al significato di quella lacrima. In un salto mi lanciai sul letto. La bocca contro le lenzuola vomitava incomprensibili parole di rabbia. Il pungo batteva forte sul materasso, come per sfogare l'ira dilagante.
La mia Valentine, sostava distesa sulla parte destra del letto a due piazze. Alzai lo sguardo e la notai, così strisciai sul letto, l'afferrai e mi portai al cuscino. Con lei fra le braccia e mezzò volto affodnato nel cuscino, finalmente scoppiai.
Le lacrime bagnavano la stoffa, come a creare un sacro lago di tristezza.
Desiderava forse il destino mantenermi in vita, così che potesse gioirsi del mio dolore? L'unica risposta, sembrò si.

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Capitolo 18
*** Capitolo diciotto ***


Erano passati ormai tre giorni dal mio ultimo tentativo di suicidio. Niente sembrava volermi aiutare. Ero solo come sempre e per giunta era successo un piccolo casino.
I miei compagni della band mi avevano chiamato giorni prima, dandomi la notizia che avevano trovato un altro cantante e che non mi volevano piu.
Perfetto. Un'altro pretesto per buttare via quella vita orribile.
Vivevo meglio in quella illusione, dove la mia mente aveva creato quella ragazza. Forse cedere all'oblio non sarebbe stata poi una cosa così male. Alla fin fine avrei vissuto dentro la mia mente, dove magari una vita migliore poteva essermi offerta.
Quante storie mi raccontavo. Non avevo mai creduto al destino, ma dall'ultimo tentativo di togliermi la vita, avevo cominciato a sospettare che esistesse, altrimenti cosa era che ogni volta mi impediva di farlo? Si divertiva, mi rideva alla spalle, guardandomi con la sua crudele penna che scrive le onde delle vite di tutti.
Meglio smettere di pensare.

Il ragazzo, Gabriele, mi aveva fatto qualcosa come sette squilli al cellulare, così, li per li, mi decisi a chiamarlo. Dopotutto, anche se non lo avevo desiderato per niente, mi aveva salvato li al ponte, gli dovevo almeno una birra.
Composi il numero e, senza nemmeno dare il tempo alla cornetta di squillare per piu di tre volte, la sua voce riempì subito l'altro capo della cornetta.
- Elia! Ciao bello!-
Un tono un po' troppo amichevole, per una persona che aveva conosciuto solo pochi giorni fa e in circostanze strane, ma ci passai sopra.
- Ciao... Gabri..- dissi, tentando di fare lo stesso.- C.. come va?-
- Mah... non mi lamento dai.-
Conoscere nuove persone per me era quasi sempre un affare imbarazzante. Non me la ero mai cavata bene e non ero poi così loquace.
- Ho visto i tuoi squilli e così... ho pensato di chiamarti.-
- Hai fatto bene!-
- Volevo chiederti.. ti andrebbe di farci una birra?- tossii.- Penso di dovertela..-
Una piccola risata provenì dall'altro capo del telefono.
- Ehi bello, non mi devi niente, però una birra me la faccio volentieri!-
- Ehm... bene. Ci vediamo...-
Non mi dette il tempo di proporre niente, perché la sua voce m'interruppe.
- Vengo a prenderti. Ti porto in un posto io.-
Inarcai le sopracciglia, come per sospettare. Daltronde non lo conoscevo, non sapevo chi era, poteva anche avere gusti strani. Non mi sarebbe piaciuto ritrovarmi ad una riunione del Ku Klux Clan o ad un ritiro satanico. Un po' estremo si, ma non si puo mai sapere chi hai con te.
- Che posto?-
- Non ti preoccupare! - rise.- Solo li da te fra dieci minuti.-
Non mi dette il tempo di controbattere su niente, perché il suono della chiamata che termina si fece sentire.
La bocca assunze una smorfia confusa. Potevo fidarmi? Dovevo fidarmi?
Non pensare, non pensare, non pensare.
- Ohhh! Al diavolo!-

Mi vestii in un modo ne troppo elegante, ne troppo strano. Un look casual che andava bene per quasi tutte le occasioni. I miei capelli castani addobbati con un gel forte, la mia pelle bianca coperta da un po' di barba ispida. L'unica cosa che magari poteva stonare, erano le occhiaie nel mio sguardo scuro.
Mi resi conto di essermi appena fatto un check out allo specchio. Il narcisismo non era proprio mai stato un mio difetto, ma darsi un occhiata ogni tanto, almeno per controllare di piacersi, non poteva far male.
Gabriele non tardò ad arrivare, però non suonò il campanello, come la maggior parte delle persone fa, ma suonò il fragoroso clacson come ad avvertire della sua presenza. In effetti nella mia via si trovava difficilmente un posto dove parcheggiare, quindi era giustificato.
Non persi tempo e scesi subito. Un saluto a mia madre e mio padre, seduti sul divano a guardare una schifezza sentimentale in televisione, ed uscii subito.
Notai la macchina e, alzando la mano per salutare, mi ci recai.
- Ciao.- dissi seccamente, salendo in auto.
Lui sorrise a labbra strette e cominciò subito a guidare.
Notai il suo vestiario casual come il mio e tirai un sospiro di sollievo. Per fortuna niente Ku Klux Clan ne messe nere.
- Allora bello, che mi racconti?-
Mi voltai verso di lui. Tutto sommato, il suo tono amichevole non era poi così fastidioso. Mi dava una certa sensazione di piacevole benessere, di essere accettato come amico di qualcuno.
- Niente. Sono stato parecchio a casa mia in questi giorni, con la mia Valentine in mano.-
Mi guardò stranito, facendo capire, solo con gli occhi, che non aveva compreso bene il mio discorso.
- Valentine è la mia chitarra.-
- Ah! Oddio, non ti dico che avevo capito.- disse, ridendo fragorosamente.
La sua risata fece ridere anche me ed il pensiero di cosa potesse aver immaginato, mi porto a mettermi una mano sul viso, come a dire "ma che vai a pensare?".
- Tu che hai fatto?-
- Ho studiato. Frequento l'accademia delle belle arti.-
Sgranai gli occhi nel sentirlo. Un artista. Forse era per quello che non mi dispiaceva poi tanto la sua compagnia, perché avevamo in comune la passione ed il romanticismo dell'arte.
- Wow!- dissi sinceramente stupito.- Un compagno artista.-
A quella mia frase mi sentii quasi strano. Stavo forse cominciando a considerare me stesso? La mia autostima si era stufata di stare sempre e solo nel seminterrato della mia mente?
- Dovresti farmi sentire qualcosa! Canti pure?-
- Si, me la cavo.-
Falsa modestia?! Che mi stava succedendo? Era lui? Era lui che mi faceva quell'iflusso? Se era così allora bene, mi ero appena trovato un altro amico.
- Allora canterai stasera.-
Un campanello d'allarme mi suonò in testa. Cantare? Stasera? Avevo sempre avuto una tremenda paura di cantare in pubblico. Nell'intimità della mia camera era un conto, ma davanti a delle persone, con i loro occhi tutti fissi su di me, era leggermente diverso.
- Dove mi stai portando?-

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Capitolo 19
*** Capitolo diciannove ***


Nessuna maledetta parola uscì dalla sua bocca. Voleva tenermi sulle spine a tutti i costi. Non ci fu però tanto tempo per farmi crogiolare nella curiosità, perché ad un tratto, dopo un lungo viaggio in superstrada di almeno una buona mezz'ora e piccole strade che sembravano appartenere a qualche sobborgo, ci inoltrammo in una campagna da dove veniva una strana musica.
Il riverberò sincopato dei bassi era talmente forte, che risuonava nell'aria arrivando fino a noi, anche se nei paraggi non si vedeva assolutamente niente.
In superstrada, da lontano, avevo notato dei fasci di luce che si perdevano nel cielo. Sei in tutto, che volteggiavano, quasi formando una danza, che ricordava tanto dei bambini che sul ghiaccio pattinavano allegri.
Quei bizzarri fari ora erano molto vicini.
All'orizzonte di quella strada di periferia tutta dritta, spuntò all'improvviso un enorme edificio, pieno di luci, da cui provenivano quei bassi fragorosi e i sei fasci di luce danzanti.
Una enorme insegna recitava "Onda". Il nome del locale, avevo supposto. Un po' sperduto nelle campagne intorno alla città, ma abbastanza visibile. La luce che emanava era intensa, tanto intensa da entrare nel verde inquinamento luminoso sopra la città.
Avevo vissuto in quella città da tutta la vita, ma non avevo davvero mai raggiunto quel posto. Non avevo mai notato nemmeno i fasci di luce, che poteva star a significare, data la loro immensa bellezza, quanto io mi guardassi attorno.
- Che posto è?! Non ci sono mai stato!- esclamai stupito.
- Lo sapevo. E' un po' sperduto, ma è un gran bel posto, una spece di paese dei balocchi, dove qualsiasi cosa tu voglia fare puoi farla.-
Era bravo a vendere. Dare un immagine così ad un locale era come assicurargli un cliente fisso. Ci avvicinammo per arrivare al parcheggio, che ricordava molto quello di un centro commerciale, vedendo la quantità di macchine.
Non fu difficile trovare un posto, ma uscire dall'auto si. nella campagna aperta, anche se c'era la presenza di quel grande edificio, la temperatura era piu bassa di dove abitavo io. Andavo d'accordo con il freddo, ma fino ad un certo punto.
Avevo il giubbotto di pelle, ma copriva il giusto.
Gabriele, appena ebbe fatto lampeggiare i fari dell'auto, segnale di una chiusura centralizzata, venne verso di me, mi prese a braccetto e fece strada.
Non obbiettai nemmeno a quel gesto di intimità. Mi stava simpatico.
- Spero tu abbia portato abbastanza soldi Elia.-
- Perché?- chiesi di riflesso.
- L'entrata si paga.-
Ci facemmo strada fra la gente che camminava in ogni direzione. Probabilmente erano arriati in quel momento anche loro, oppure c'era un modo per uscire e poter rientrare, magari per fumarsi una sigaretta.
Non c'era poi tanta fila fuori dal locale, forse perché eravamo arrivati tardi o presto, non avrei saputo dire non conoscendo il locale. Il bodyguard all'entrata ci guardo, dette uno sguardo alle braccia allacciate in quel gesto d'intimità, e allargò un braccio per farci entrare.
Poca fila alla cassa, per pagare l'entrata e avere il classico quadratino di cartone per la bevuta gratis, un po' in piu di fila al guardaroba per lasciare i giubbotti e ci inoltrammo dove i bassi si facevano piu forti.
La visione di quel posto mi stupì molto. La sala era enorme. Cinque cilindri blu erano un po' qua e un po' la nella sala. Data la quantità di persone sopra a ballare, doveva essere qualcosa come un cubo, anche se non aveva quella forma.
Un bancone per gli alcolici all'ultimo grido, luci stroboscopiche, laser, fumo artificiale e una moltitudine di persone pressate che saltavano, ballavano, pomiciavano faceva da atmosfera.
Sembrava davvero il paese dei balocchi, ma allora Gabriele era Lucignolo? Se fosse stato così mi sarebbe andato bene. Divertirsi ogni tanto non fa male.
Gabriele si infilò fra la gente, dirigendosi verso il bancone ed io feci lo stesso. Lo vidi voltarsi verso di me piu di una voce, aprendo la bocca come a dire qualcosa, ma con tutto quel casino non sentivo niente.
Arrivati al bancone, ci mettemmo l'uno accanto all'altro, appoggiati con i gomiti sopra di esso, aspettando che uno dei barman si accorgesse di noi.
- Ti piace il posto?- urlò Gabriele, per sovrastare i bassi degli altoparlanti.
- Si, non è male.-
- C'è altre due sale ai piani di sopra.-
In effetti avevo notato, in fondo alla sala una scala, e lo avevo un po' dedotto da solo.
Il barman si chinò verso di noi, per prendere i cartoncini e chiedere che cosa volessimo. Non feci tempo ad aprire bocca, che Gabriele gia aveva ordinato per tutti e due. Non udii cosa gli disse, ma notai che mimò un due con le dita, così recepii.
Non glielo chiesi. Non reggevo molto bene l'alcool, ma una volta ogni passaggio della cometa di Halley, ci si puo ubriacare. Cosa poteva succedere di male? Che mi sarei divertito per una volta nella mia vita? Che avrei fatto amicizia con qualcuno o qualcuna? Che mi sarei divertito a ballare completamente fuori di testa? Non ci vedevo niente di male in tutto questo
Il barman ci porse due bicchieri di plastica, con dentro un liquido rosso fuoco, abbastanza inquietante. Lo guardai stranito, poi scossi le spalle in segno di indifferenza e detti un piccolo sorso alla bevuta. Sgranai gli occhi per quanto fosse forte. Gabriele mi vide e cominciò a ridere.
- E' forte eh?-
- Cavolo! Ma che roba è?- dissi, continando a cercare di sovrastare la musica.
- Si chiama Diablos!-
Il nome era azzeccato. Ti riscaldava e non poco.
Il mio amico mi fece cenno di seguirlo con la testa, così non feci molte storie e gli venni dietro a ruota. Camminare in mezzo a quel caos era difficile ma non impossibile. Li nel mezzo vidi di tutto. C'era di tutto.
Ragazzi abbracciati che ballavano, ragazze mezze nude che si strofinavano l'una contro l'altra, travestiti che svolazzavano i loro drappi colorati e coppie di tutti i generi. C'erano le compagnie di amici, riunite in cerchio a ballare fra di loro, metallari e dark riuniti insieme a tutta quella gente, che, anche se non gradivano piu di tanto quel rumore sincopato, se ne fregavano e si lasciavano andare. Nel vedere tutto quello, mi si dipinse un sorriso in volto. Mi piaceva quel posto. Senza pregiudizi, senza etichette, a libera entrata verso tutti.
Facemmo con un po' di difficoltà l'intera sala, fino ad arrivare le scale. C'e ne erano due rampe, una che portava giu e una che portava su. Li, dove la musica rimbombava in concentrazione minore, riuscii a sentire bene Gabriele dirmi di seguirlo per le scale che salivano.
Due rampe ed arrivammo al piano piu tranquillo, dove tranquillamente la gente sedeva ai tavoli in compagnia, sostava appoggiata la muro a sorseggiare il proprio cocktail o conversava animatamente.
In fondo alla sala si vedeva una porta, che, vista l'assenza di cerniere, doveva essere scorrevole, e dietro una terrazza. Dal parcheggio e dalla strada non si vedeva, quindi doveva per forza essere sul retro del locale. Ci dirigemmo li, quasi leggendoci a vicenda la mente, perché entrambi estraemmo il pacchetto di sigarette dalle tasche.
Appena fuori, notammo molta altra gente. Ci appoggiammo al cornicione del terrazzo e ci accendemmo la sigaretta, tenendo il cocktail nell'altra mano.
Trovai difficoltà nel prende l'accendino, così Gabriele, che gia aveva acceso la sua, si avvicinò con la sua sigaretta, la poggia in cima alla mia che avevo in bocca, e la accese.
La cosa mi fece sentire un po' a disagio, perché anche se non c'era stato contatto, sembrava quasi un bacio.
Ma che vai a pensare? Ti fai troppi film mentali.
- Grazie.-
- Prego bello!-
Affermazione secca, liberatoria, ma i suoi occhi, quelli parlavano di piu. Forse non avevo pensato male tre giorni prima, forse era veramente gay.

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Capitolo 20
*** Capitolo venti ***


I pensieri avevano affollato la mia mente, e il dubbio che quanto sospettassi fosse vero era sempre e comunque dentro di me, ma per quella sera era tempo di divertirsi e basta. Molte persone dicono che quando sei innamorato di qualcuna, ma lei non ti ricambia, l'unica soluzione è trovare un'altra ragazza che ti faccia dimenticare la prima. Chiodo schiaccia chiodo. Che cosa stupida, ma tentare dopotutto non poteva portare poi tanto male, il peggio che poteva succedere è che mi divertissi magari con qualcuna che non conoscevo, che mi ubriacassi e che passassi una serata diversa, invece del solito rimanere a casa a piangermi addosso. Sei il peggio era questo, non doveva essere poi così tanto male.
Nella profondità dei miei pensieri, non avevo udito Gabriele parlare, ma quando gli occhi misero a fuoco il suo viso, vidi le labbra muoversi come a formulare parole, così lasciai per un attimo quella voce interiore che tentava di aiutarmi e mi focalizzai su di lui.
- Scusa, che hai detto?- dissi, squotendo la testa.
- Dicevo che, su questo piano, a notte inoltrata, fanno un po' di karaoke.-
- Figo. Potremmo rimanere a sentire qualcuno cantare.-
- Potremmo... o potremmo prima andare un po' a ballare.- disse, facendo l'occhiolino.
Le mie sopracciglia corrucciate e il movimento indietreggiante della testa, risultarono come un movimento che trasudava confusione. Desiderava che noi ballassimo insieme?
- Non ti va?- chiese Gabriele.
Non battè ciglio al mio gesto ricco di confusione, quasi la cosa non lo toccasse affatto. Volevo domandargli una risoluzione al dubbio che mi ballava in mente, ma ancora una volta non lo feci. Se non lo era ed era una persona omofoba, potevo anche offenderlo per quanto ne sapessi.
Il silenzio andava avanti da troppo tempo, era meglio rispondergli.
- Si che mi va. Andiamo.- dissi, buttando via la sigaretta.
Un sorriso sul mio volto, venne ricambiato subito da lui, con lo stesso gesto riguardo la sigaretta. Mi venne dietro a ruota fino ad affiancarmi. Mi dette una spallata amichevole, ricambiandoci a vicenda un sorriso.
Tutto sommato era una persona simpatica. Non era poi così strano come la mia mente aveva sospettato.

Facemmo le scale, che intanto si era affollate di persone. Una fila che entrava e usciva dai bagni, diverse persone che pomiciavano in mezzo alla rampa. Forse quel posto dopo la mezzanotte si trasformava, diventava una specie di raduno per persone senza pensieri, che si danno unicamente al proprio edonismo.
Schivammo quelle persone con nonchalance e ci avviammo verso la grande sala, dove tutti ballavano. Il forte suono di bassi rimbombava ancora. Le onde sonore risuonavano attraverso il mio corpo, in un modo tale, da farmi quasi sciogliere. Forse l'aria disinibita di tutte quelle persone che ballavano, veniva proprio da quei prorompenti suoni gravi. Non avevo mai davvero provato a lasciarmi andare, quindi pesanvo proprio fosse venuto il momento. Magari passare dal noioso allo scatenato, da un estremo all'altro, non era sbagliato, non poteva succedere niente di male.
Mi voltai, guardando con un espressione felice Gabriele, poi mi inoltrai, immaginando che lui mi avrebbe seguito e così fece. Mi diressi proprio verso il cubo, dove c'erano meno persone, perché data la quantità di gente vicino alle scale, un po' si era svuotato. Vicino, altre persone scesero, andando verso il bancone, così ci sarebbe stato posto anche per Gabriele sopra.
Salimmo insieme sopra quel cilindro bluastro e iniziammo a ballare, andando a ritmo con la musica che rimbombava. Da la sopra, si vedeva un po' tutta la marea di gente sotto di noi, che si muoveva come le onde dell'oceano. Forse veniva da quello il nome del locale. Davvero figo. Il direttore del locale doveva essere una specie di artista oppure un genio, perchè a me non sarebbe mai venuto in mente.
Gabriele si appoggiò alla mia spalla, con fare divertito, così io stetti al gioco, cominiando a ballare con lui. Non l'avevo mai fatto, ovvero ballare con un uomo, ma non ci doveva essere per forza qualche motivo sottinteso. Potevo farlo tranquillamente, come tante ragazze ballano con le amiche, senza per forza dover essere come Valeria.
Gabriele si voltò verso di me, intimando un movimento di avvicinamento. Ricambiai con un movimento che ricordava molto il sesso, ma che dopotutto, era il modo in cui molti ballavano. Lui ricambio avvicinandosi con fare provocatorio, che però non mi infastidiva. Perché non mi infastidiva? Forse mi eccitava pure un po'.
Le sue mani le sentivo sul corpo. Scorrevano come dei passionali testimoni di desiderio. Venivano da lui. I suoi occhi parlavano chiaro, così tentai di non fissarlo o di non incrociare il suo sguardo, ma inutilmente, perché lui si avvicinava con fare provocatorio, avvicinando la sua testa alla mia.
I cuore mi rimbalzò in bocca, mentre la musica a volume altissimo, facevano rimbombare i nostri corpi. Le persone sotto di noi ballavano tranquillamente, ma qualcuno mi accorsi che ci stavano guardando. Non sapevo se allontanarmi e rischiare di offenderlo, oppure continuare, con quegli occhi fissi su di noi. Non gradivo di gran lunga le persone che fissavano, così mi allontanai, scesi dal cubo e avanzai verso il bancone, quasi intenzionato ad uscire. Gabriele rimase allibito, tanto che esitò prima di corrermi dietro.
Mi districai fra la gente, prendendo qualche spintone fra chi ballava ed arrivai al bancone. Lasciai dei soldi al barman, prendendo, come per fare a cambio, una bottiglia di birra. Continuai verso una zona, vicino al bar dove la musica rimbombava in minor parte, mi appoggiai al muro con fare abbastanza bizzarro, cominciando a sorseggiare quella birra. Tempo un minuto nemmeno, vidi Gabriele uscire dalla marmaglia di gente e venire verso di me.
Appena lo vidi, deglutii imbarazzato. In effetti avevo compiuto un gesto un po' curioso, e che lui fosse un po' confuso non gli si poteva negare. Quando mi fu vicino, abbassò lo sguardo per incrociare il mio, che si crogiolava in un espressione imbarazzata.
- Ehi Elia.. che ti è preso?-
-...non ti preoccupare.-
L'animo di Gabriele sembrava confabulare con se stesso.
- Senti Elia... ti devo confessare una cosa.-
Quando sentii quelle parole, alzai lo sguardo verso di lui, curioso di conoscere il motivo del suo comportamento.
- Io.. sono gay.-
Sgranai gli occhi, fingendo si risultare sorpreso. I miei sospetti erano fondati, lo avevo creduto dall'inizio. Si avvicinò a me con fare quasi colpevole. Misi una mano in avanti per fermarlo.
- Lo sospettavo... ma Gabriele, io non lo sono.-
- Come fai a saperlo? Hai mai provato?-
Inarcai le sopracciglia perché aveva praticamente tirato fuori un concetto, in cui quando leggevo Dannunzio, credevo fermamente. Non puoi giudicare prima di aver provato.
- Hai ragione ma... io sono innamorato di lei.-
Lasciai cadere la mano sul fianco, come a volergli permettere di avanzare verso di me.
- Lei. Una ragazza che non ti considera nemmeno, se vogliamo analizzare il fronte dell'amore.- mi guardo negli occhi.- Perché stai male per lei? Ti precludi chiunque altro, per un amore impossibile.-
- Non è impossibile, almeno non piu!-
- Anche se fosse, adesso lei ha lui.-
Bevvi un sorso di birra, che ormai, data la capienza dei miei sorsi, avevo quasi gia finito. Caddi in una specie di analisi personale. In effetti lui non aveva tutti i torti. Mi facevo del male per lei. Avevo tentato di togliermi la vita due volte per lei. Per che cosa poi? Lei mi considera solo un amico e la speranza che possa provare qualcosa per me, probabilmente era più impercettibile di un protone.
Magari potevo donarmi a lui, che non si era fatto tanti scrupoli, a provarci con me fin dall'inizio. Il fatto di avere qualcuno a cui interessi, si essere ricambiato finalmente, poteva essere una cosa migliore di crogiolarsi nel dolore, per un amore veramente impossibile.
- Forse hai ragione...- alzai lo sguardo.- Non posso farmi del male per sempre..-
Gabriele si avvicinò, la sua mano si alzò e scivolò sulla mia guancia. Il cuore impazzì. Perché il cuore reagì in quel modo? Era attratto da lui?
Io non ero mai stato gay e non ci avevo mai nemmeno pensato. Mi ricordo cosa diceva Valeria, del suo essere omosessuale. Diceva che non lo puoi scegliere, e che non esiste al mondo un modo per saperlo con certezza, ne un termine matematico per capire quando lo si scopre, ma che quando succede, se è un condizionamento o il tuo vero essere, lo senti dentro.
Non si tratta solo di sesso, o di un desiderio carnale, ma di emozioni, di sentimenti. Il modo in cui lo capisci può essere più assurdo possibile, ma poi, quando ti scopri, ti senti molto piu felice, molto più libero, molto più te stesso. Per questo motivo non fermai Gabriele.
Si avvicinò lentamente, facendo strofinare il suo naso contro il mio. Il cuore batteva forte, forse era quello il segnale, forse no, ma cosa importava in quel momento? Ad un tratto il tempo fu come congelato. Il rombo assordante della musica sembrava non esserci nemmeno più, e il chiasso della gente che parlava, urlava e beveva, non si udiva più.
La nostre labbra si congiunsero nel famoso gesto. Un bacio. Ne spinto ne imbarazzante, solo un bacio, semplice, così per rompere il ghiaccio. Qualcosa di poco passionale. Gabriele si staccò dal quel gesto, rendendosi conto che, da parte mia, non c'era quel coninvolgimento che probabilmente lui avrebbe desiderato.
Era una menzogna, non è che non sentissi niente, perché il mio cuore stava ballando il rock n' roll nel mio petto, ma ero un po' imbarazzato, perchè per me era una cosa nuova. Purtroppo non riuscivo a non pensare a lei, che occupava sempre e comunque i miei pensieri, ma riuscivo a lasciare andare le mie inibizioni per fortuna.
Appena i nostri occhi si incrociarono dopo quel gesto, la mia faccia avvampò e le mani convergerono verso il suo viso, per avvicinarlo al mio. Il mio bacio fu piu spinto. Non so perché lo stavo facendo, ma il cuore palpitava in modo strano, come se mi stesse consigliando di farlo.
Le mie braccia andarono ad avvinghiarsi a lui, come le sue accerchiarono il mio collo. I respiri caldi percorrevano la mia pelle, ogni volta che le labbra lasciavano fuoriuscire aria, come fossero testimoni di passionalità, piccole parole calde che volavano e si disperdevano nell'aria. Lui mi spinse violentemente al muro, mozzandomi il fiato con il colpo alla schiena, poi venne di nuovo verso di me, baciandomi ancora, ma questa volta lasciando che le sue mani si infilassero tra i miei vestiti.
Trovai, tra i mille pensieri, uno che si focalizzò su di lui. La stranezza era che mi paceva quello che faceva, mi eccitava baciarlo. Molte delle cose di cui ero certo, in quel momento caddero tutte a terra. Esplosero in mille pezzi rilasciando nuove domande, nuovi dubbi. Ero gay allora? Che significava il fatto di essere da sempre innamorato di lei, se ero così? Forse non era così, forse mi stavo lanciando in quella esperienza per quello che aveva detto lui, provare. Forse ero davvero innamorato di Valeria, ma dovevo scoprire prima me stesso ed amarmi a pieno per quello che ero. La buon vecchia frase, "nessuno ti potrà amare, finche non comincierai ad amare te stesso".
Il bacio terminò momentaneamente, visto che Gabriele si era accorto che ero distratto da qualcosa, anche se non sapeva cosa stavo pensando.
- Ehi.. a cosa stai pensando?-
- A questo momento.- dissi con un sorriso.
Lui mi sorrise a sua volta, mi prese per mano e mi guidò fra la folla. Si stava dirigendo verso le scale. Credevo avrebbe voluto tornare su, al piano di sopra, ma quando arrivammo in quella parte del locale, si diresse verso il bagno dei maschi, dove la fila si era praticamente dissolta. Che cavolo desiderava fare? Non ero pronto per una cosa del genere, o forse me lo stavo imponendo?
Mi guardo con sguardo malizioso, e a quel punto mi venne solo una cosa in mente, "non pensare". Lo seguii mentre apriva la porta, e con un altro bacio all'interno del bagno, la porta si chiuse.

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Capitolo 21
*** Capitolo ventuno ***


Socchiusi gli occhi con fare stanco, ed una intensa luce bianca filtro violentemente dalla palpebre. La pelle dei miei occhi rattrappì a quell'aggressione, come se qualcuno mi avesse sferrato un violento pugno in faccia. 
Cercai di aprire gli occhi con tranquillità. Il mio sguardo prese un espressione rilassata.
Vidi davanti a me un muro bianco, con nessuno tipo di arredamente sopra di esso. Una finestra troneggiava sul muro di destra, da dove entrata l'intensa luce di una magnifica mattinata di sole. Le coperte bianche scivolarono dal mio corpo e notai così di essere a torso nudo. Resomi conto di questo notai che ero proprio nudo. Con la stanchezza negli occhi, li sgranai come a chiedermi che cosa ci facessi nudo a letto, in un letto che non era il mio, in una camera che non era la mia.
Sentii movimento accanto a me e un braccio nudo si stese sul mio busto. Li notai di essere nel letto con lui, con Gabriele. Deglutii. Tentai di ricordare che cosa avevo fatto la sera prima, ma per quel momento mi comparivano solo immagini. Dovevo defilarmi dal letto, quella situazione era nuova per me e un po' imbarazzante. Riuscivo a pensare solo al panico.
Poggiai le mani sul materasso, e con un po' di forza di addominali, cercando di fare meno rumore possibile, scivolai dalle coperte per mettermi a sedere sul letto. Mi misi i pantaloni, che stavano stropicciati per terra, e mi alzai mentre me li agganciavo. A petto nudo tentai di districarmi nella stanza, che col suo tono monocromatico, mi confondeva un po'. La porta era di un colore piu chiaro, dopotutto non molto difficile da trovare, così andai verso quella, cercando di non fare rumore per non rischiare di svegliarlo.
Mi inoltrai oltre la camera, dove credevo di trovare un corridoio, invece trovai un salotto. Era arredato un po' spartano, in uno stile che potrebbe essere definito moderno. I toni delle mura erano sul bianco, ma i divani erano sul grigio e sul nero, e somigliavano piu a grossi cuscini dall'aria molto morbida. Il salotto comunicava con una piccola cucina, con un bancone a finestra.
Ad un tratto i ricordi della serata mi tornarono in mente, ed anche i ricordi di cosa era successo, anche se dalla scena del letto era abbastanza palese. Mi misi a pensare al fatto che non sapevo bene che cosa era successo, e per quello che mi ricordavo ci eravamo dati solo un bacio. Il panico mi comunicava di andarmene, più velocemente possibile, ma non sapendo perché rimasi li. Lui mi aveva salvato, mi aveva aiutato, mi aveva fatto passare una bella serata in un posto che non conoscevo, non potevo lasciarlo li così. Non potevo e non l'avrei fatto.
 
Vidi la macchina del caffè sul bancone della cucina, così mi venne in mente di farne un po'. Mi avvicinai a quel marchingegno così per vedere un attimo come funzionava. Non capivo bene cosa si doveva fare, ma c'era un piccolo pulsante con l'icona di tre strisce ondulate sopra. Una lampadina spenta centrava il pulsante. Lo premetti e l'elettrodomestico cominciò a fare un ronzio non proprio silenzioso. C'erano delle tazze colorate a striscie sul bancone, così ne disposi due in fila, aspettando che il caffè venisse, avendo dedotto di aver acceso la macchina.
Il ronzio probabilmente aveva svegliato Gabriele, perché udii dei rumori dalla stanza accanto. Il cuore cominciò a battere all'impazzata. Avevo pensato un po' a cosa potevo dire, ma in quel momento tutti i discorsi, tutte le parole uscirono fuori dalla mia testa. Sentii dei passi dietro la mia schiena. Si avvicinavano lentamente, con passo non felpato ma tranquillo di una passeggiata. Ad un tratto, sentii le sue mani scivolare su mio torso nudo, ma quello fu troppo per me. Reagii in un modo che poteva essere intepretato forse un po' aggressivo, togliendo le sue mani da me e voltandomi. Lui si stranì, giustamente.
- Tutto bene Elia?-
Quella domanda era strana, forse non troppo strana, ma strana per me. Come facevo a sapere che cosa provare? Come potevo sapere come comportarmi?
- Gabri... che è successo ieri sera?-
Il suo sguardo cominciò a trasudare sconforto. Capivo cosa poteva provare in quel momento, ma cosa potevo dire io?
- Non ti ricordi?-
- No...-
- Abbiamo fatto l'amore.-
Quella parola mi risuonò nella testa, ma non era appanicata, solo che io ero innamorato di lei, di Valeria.  Lo ero da sempre ormai, non immaginavo di poter amare qualcun'altra. Dopotutto però lui era qui, si era preso la briga di organizzarmi una bella serata e non mi aveva trattato male. Lei cosa aveva fatto per me? Ero sempre e solo stato io a prendere i suoi problemi addosso per consolarla, solo io a aiutarla sempre e comunque, lei pensava a se stessa, non a me. Forse lei non era fatta per me, forse in quel momento dovevo solo imparare cosa si prova ad essere amati.
- Elia.. lo so che..-
Lo zittii con un dito sopra le labbra.
- Sta zitto Gabri... non ricordo bene cosa è successo ieri. Forse ho bevuto troppo, ma ricordo cosa ho provato con quel bacio.-
Sul suo volto si disegnò un sorriso.
- Io lo so che tu non sei gay, ma...-
- Tu parli troppo.- lo interruppi di nuovo.
Un espressione che non sarebbe mai uscita dalla mia bocca, forse l'amore mi dava la sicurezza necessaria. Gabriele mi poggiò le mani sui fianchi, con dolcezza, avvicinandosi con fare provocatorio. Non volevo temporeggiare. 
Mi avvicinai a lui con tranquillità, mascherando il mio cuore che andava in fibrillazione. I nostri nasi strofinarono. I respiri si unirono in un turbinio di passione. Le labbra vicine si sfiorarono leggermente e li scattò la scintilla. Il cuore lo urlava. La dolcezza prese forma di passione. Una violenta effusione concluse quell'atto, il bacio, simbolo d'amore. I suoi occhi incontrarono i miei dopo quel gesto, singolare per me. Le sue intenzioni erano chiare.
Cosa poteva essere piu perfetto di quel momento?
con un sorriso lo seguii, mentre il rumore el caffè che era pronto, faceva da cornice.

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