L'abitudine

di Shinalia
(/viewuser.php?uid=68696)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salveeee, voi direte? Un'altra storia? Ma sei impazzita?

Ammetto che è stato un incidente... ieri ero particolarmente abbattuta, così ho aperto la pagina di word, bianca, e ho iniziato a scrivere senza sapere cosa o come. Alla fine è sbucata fuori una trama XD bha... Vederemo cosa ne uscirà! Un bacione a tutti voi che passerete di qua!

Sulla mia pagina su Fb:  Questa troverete spoiler, le foto dei personaggi (che sto caricando proprio ora) ecc XD

Abitudine?  

« Questa è una bufala grande come una casa.» sentenziai, senza impelagarmi in futili maledizioni o in epiteti offensivi.

Un inutile spreco di fiato, a parer mio.

« Tutto qui?» mormorò incredula.

Probabilmente lei non concordava con me.

Avvertii il suo sguardo trapassarmi, irritato ed irrequieto, ma non vi diedi peso. Non in quel momento almeno.

Ero a metà di quel dannatissimo quadro. Dopo due settimane ero riuscita a raggiungere finalmente quel livello, che con mio disappunto si stava rivelando anche più arduo dei precedenti.

Porcaccia la miseria. Imprecai a denti stretti, premendo con irruenza una combinazione di tasti, accelerando e provocando un testacoda, facendo così uscire di strada il povero Super Mario. Dannazione… riparti, riparti!

« Cristina, ti ho appena detto che all’università gira voce che tu sia stata con Mattia e tu stai lì a perdere tempo con quel cazzo di video gioco?»

Alzando gli occhi al cielo per l’esasperazione, fui costretta a mettere in pausa il quadro. Non tanto perché ritenessi giusto prestarle attenzione, ma semplicemente perché le sue urla stridule avevano la stupefacente capacità di deconcentrarmi.

Abilità che non perdeva occasione di sfruttare, oltretutto.

«Cosa altro dovrei dirti?» mormorai, poggiando il joystick in terra, volgendomi verso di lei, seduta a gambe incrociate sul pavimento freddo della mia stanza. «Sentiamo.» la incoraggiai cercando di non ridere della sua espressione frustrata.

Detestava la mia costante parvenza di calma.

Non era la prima a cui facevo quell’effetto, ma almeno era la prima a non piantarmi in asso dopo anni di amicizia.

La osservai sorridendo divertita. Era una bella ragazza, con il viso un po’ tondo e due occhi vispi color menta. Se non fosse stato per qualche chiletto di troppo avrebbe avuto ai suoi piedi chiunque, ma il suo amore per il cibo andava ben oltre quello per gli uomini ed in verità questi ultimi non rientravano nei suoi interessi.

« Dovresti fare qualcosa. - bofonchiò. – Non puoi permettere a quell’idiota di spargere certe voci. Dannazione, come se tu potessi abbassarti a stare con uno come lui! » esclamò stizzita, arricciando le labbra in una smorfia di puro disgusto, seriamente esilarante.

Era una persona incomprensibilmente teatrale, un motivo in più per adorarla. Il suo modo di fare riusciva a strapparmi un sorriso anche nelle situazioni più critiche, e di quelle ne avevamo affrontate in abbondanza, insieme.

« Forse tu non te ne rendi conto ma quello ha ai suoi piedi mezzo corso di letteratura, credo che tutte quelle ragazze abbiano una percezione ben diversa dalla tua. »

Arcuò il sopracciglio destro, fissandomi con disapprovazione.« Vuoi dire che ci andresti a letto?»

« Ha il cervello che è l’equivalente di una nocciolina ed è un bastardo rompipalle di dimensioni epiche. » obiettai, sbuffando. Certo era carino, con un bel fisico e un fondoschiena da urlo, ma a tutto c’è un limite. Magari se non fosse un narcisista convinto di poter aver tutto ciò che desiderava e soprattutto se fosse stato in grado di stare zitto… uhm.

« Il tuo è un no?»

« Mi pare ovvio.» mormorai pacata, gettando lo sguardo allo schermo della tv, sperando di aver placato una volta per tutte le sue lamentele.

Speranza vana. La sua cocciutaggine era sempre stata un’arma a doppio taglio e questa era una di quelle volte in cui ne avrei volentieri fatto a meno.

«Allora dovresti fare qualcosa.» asserì, incrociando le braccia al petto. Già… qualcosa! Suggerimento piuttosto generico. Non che la mia mente non vagliasse ipotesi stuzzicanti , quel bastardo meritava certamente una lezione, ma alla fine sarebbe stato come lottare contro i mulini a vento. Bhe, Don Chiosciotte non era certo il mio modello di vita.

«Vuoi che vada da lui a tirargli un bel calcio nelle palle, zittendolo finalmente una volta per tutte? – proposi alzando gli occhi al cielo. - L’idea è allettante, ma sai benissimo che non sono il tipo e poi una simile scena finirebbe per alimentare il vociare su di noi. Scommetto dieci a uno che mi scambierebbero per la ragazzetta sedotta e abbandonata. »

« Anche questo è vero.» fu costretta ad ammettere riluttante.

Come sempre avrebbero tratto da quella stronzata tutti i pettegolezzi più assurdi e succulenti che sarebbero stati in grado di montarci e io mi sarei impelagata in una specie di romanzo rosa, indossando le vesti della pulzella bisognosa di attenzioni che si è rivolta al bastardo di turno, illudendosi di avere dinanzi il principe azzurro.

Come se credessi ancora nelle favole.

« Già, lo so. – commentai caustica. – se tu ti dessi la pena di riflettere prima di agire riusciresti a risparmiarti un gran numero di guai.»

Scrollò le spalle con noncuranza. «Forse, ma in questo modo riesco a togliermi un bel po’ di soddisfazioni. – sospirò, massaggiandosi le tempie con studiata lentezza. - Io proprio non ti capisco. Se Michele lo scoprisse? Non credi si arrabbierebbe a morte?»

Scrollai le spalle. Già Michele.

Il mio fidanzato da tre lunghi anni. Un ragazzo dolce, di bell’aspetto, ma noioso come pochi. La sua mente era costantemente proiettata sui libri e sullo studio, trascorreva gran parte delle giornate recluso nella sua stanza, degnandosi di uscire solo per i pasti o se costretto. Vivendo nello stesso palazzo avevamo modo di vederci spesso, di trascorrere almeno un paio di sere a settimana insieme, guardando un film o chiacchierando. O meglio, io parlavo e lui ascoltava. Ma… c’era qualcosa di stantio nel nostro rapporto. Una routine insopportabile che iniziava a pesarmi, più di quanto fossi disposta ad ammettere.

Talvolta cerchiamo di ignorare i segnali, fingiamo di non vedere quello che sappiamo potrebbe stravolgere le nostre certezze, troppo preoccupati per le conseguenze.

Bhe, per me Michele era una certezza.

Lamentavo l’impulsività di Luana, ma internamente ammiravo la sua capacità di affrontare tutto a testa alza, senza pensar troppo. Era una qualità che a me mancava del tutto.

Saltare nel vuoto? No grazie…

« Capirà! – asserii, sventolando la mano fingendo noncuranza. – Sa benissimo che non vado dietro il primo sgallettato che mi capita a tiro. Tra parentesi conoscendolo non lo saprà mai. Non è tipo da ascoltare i pettegolezzi.»

«Certo, vive in un mondo tutto suo. – bofonchiò, tirando fuori una busta di patatine dalla borsa. – Stamattina ho parlato per oltre due ore al muro. Inutile dirti che cercare di convincerlo a rinunciare al corso di Martucci perché il programma era il doppio è stato tutto fiato sprecato. La sua unica risposta è stata il professore è un luminare nel suo campo. - borbottò imitando alla perfezione il suo tono. – Che poi mi domando luminare di che? È un professore di antropologia, mica di astrofisica.»

Scrollai le spalle, per nulla sorpresa, reprimendo un sorriso. Era una persona estremamente silenziosa, con un senso della morale e del dovere decisamente fuori norma per un ragazzo della sua età. Non che me ne lamentassi… o almeno non sempre, ma sapeva essere oltremodo irritante, in certe situazioni. A confronto con lui io mi sentivo costantemente come una bambina sorpresa con il braccio nel barattolo dei biscotti. «Sai com’è fatto. – sospirai arrendevole, gettando lo sguardo sul quadrante dell’orologio a muro. Le 19:30. – Si è dimenticato di chiamarmi.» notai, storcendo le labbra.

La mia amica mi scrutò attentamente, corrugando la fronte in un’espressione fin troppo consapevole. « Sbaglio o neanche ieri?»

«Ci sono gli esami. – lo giustificai d’impulso. – è una settimana che non ci vediamo.»

«Per stasera piantalo ed esci con me.» propose, passandosi distrattamente le mani tra i capelli che le ricadevano in una massa arruffata sul viso.

«Qualche idea?» alzai gli occhi su di lei, in attesa. Forse un po’ di distrazione mi avrebbe aiutata.

«Che ne dici di un giro nel pub di Sebastiano? Potremmo prenderci una birra stasera.»

Annuii, afferrando il cellulare ed inviando a Michele un messaggio. Neanche per quella sera non ci saremmo visti.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Holaa! Eccomi con il primo capitolo di questa storia! ^^  Da premettere che la descrizione della casa riprende quella di una mia compagna di corso all'università ahahahah la prima volta che la vidii rimasi impalata all'ingresso, temendo di vedermi cadere il tetto in testa ahahahah Roba da panico. Questa di seguito è la cover della storia... infatti nelle due foto vengono ritratti i due attori che ho scelto per interpretare Michele e l'altro... che arriverà nel prossimo capitolo. hihiihi Non aggiungo altro. Vi ringrazio per i vostri commenti, sperando vivamente che questa storia possa piacervi. é nata dal nulla, ma in essa ci sono molte cose che mi rispecchiano... chissà. Un bacio! ♥

ps: Link mia pagina su FB, con spoiler e foto dei personaggi:

Link

Capitolo 1

 

La mia storia con Michele era nata tre anni prima. Ero al mio primo anno di università. Città nuova, casa nuova, gente nuova e senso di abbandono e smarrimento totale. Mi ero trasferita in una palazzina adibita a casa studenti, in un quartiere di Napoli, di cui all’epoca conoscevo poco. Meglio, considerando che non avrei mai deciso di risiedervi se mi fossi adeguatamente informata.

Quando entrai in quella casa il mio primo impulso fu quello di prendere bagagli e scatoloni e fuggire il più lontano possibile, correndo a perdifiato. Naturalmente fui costretta a sopprimere quel folle proposito, salutando con un sorriso stentato la ragazza in pigiama che camminava per il corridoio con uno spazzolino penzoloni da bocca.

Luana.

Ancora mezza addormentata si limitò a squadrarmi sorpresa, allontanandosi nuovamente verso il bagno, dopo aver bofonchiato un frettoloso “Ciao.”

Non un cenno. Non una parola di benvenuto.

Rimasi lì impalata cercando di attribuire a quel comportamento un significato recondito. Solo in seguito avrei scoperto che Luana e le convenzioni sociali erano come due rette parallele, destinate a non incrociarsi mai. Se fosse stata allevata da un branco di lupi non ne sarei stata sorpresa, ma al contrario proveniva da un’affabile famiglia di ceto medio. Suo padre lavorava in un’azienda agricola, sua madre gestiva un negozietto di antiquariato in provincia di Caserta, dove vivevano. Li conobbi il Natale successivo, in onore delle feste, quando fecero visita alla loro figlia. Mi piacque osservare la dolcezza con la quale si rapportavano a lei, le premure che le rivolgevano, temendo non mangiasse abbastanza proteine, che non si coprisse adeguatamente nonostante il rigido inverno.

Lì percepii il calore di una famiglia.

La mia infanzia trascorsa in compagnia di una o di un’altra badante, mi rendevano estranea a quel genere di sensazioni e di coesione. Certo, volevo un gran bene a Lucilla, la vecchia signora che si era occupata di me negli ultimi dieci anni, ma… io non ero sua figlia e neanche una sua parente.

Non ponevo in dubbio il suo affetto per me, ma credo che per quanto si possa voler bene a qualcuno, l’amore e la dedizione di una famiglia non possano avere eguali. Il senso di protezione che possono donarti, quel calore indiscusso dovrebbe essere qualcosa di stabile e insostituibile, quel qualcosa su cui si sa di poter sempre contare. Nonostante i problemi, nonostante gli errori.

La mattina del mio arrivo a Napoli rimasi lì, impalata nel corridoio di entrata, tremolante e a disagio, per quel contesto tanto nuovo e altrettanto bizzarro, implorando mentalmente l’arrivo di una figura amica che potesse trarmi d’impaccio.

Purtroppo, o almeno così ritenni all’epoca, l’unica a giungere in mio soccorso fu Luana.

« Che ci fai ancora qui? – bofonchiò perplessa, addentando una ciambellina. Mi osservava con un cipiglio sorpreso dipinto in volto, mentre masticava frettolosa. – Non credo ci sia molto da contemplare in questo ingresso, ma se ci tieni tanto almeno posa le valige in stanza. »

« Non so dove andare.» mormorai timidamente, imbarazzata da quella ragazza che mi parve tanto strana e dalla situazione in sé. Ero cresciuta in quella bolla di vetro che i miei genitori avevano costruito per me, protetta da tutto e da tutti. Scuole private, una tata che sopperiva alle loro mancanze e il mio gatto.

Troppo introversa per instaurare un vero rapporto con qualcuno, avevo ben poche amiche, con cui ero praticamente cresciuta. Essendo rapporti che si protraevano sin dall’infanzia erano per me alla stregua di sorelle. Le adoravo, ma l’aver sempre fatto troppo affidamento su di loro mi aveva sempre isolata dal resto del mondo.

Non ero mai stata una fan dei luoghi affollati. Prediligevo il silenzio e la pace della mia stanza, magari in compagnia di un buon libro.

Detestavo internet e qualsiasi scempiaggine elettronica, considerando insulsi i social network di cui tanto sentivo parlare e soprattutto pericolose le amicizie che si potevano stringere in quel modo. Non le trovavo reali.

Erano per me qualcosa di artefatto. Se non osservi il viso di una persona, le espressioni che ti rivolge, il suono della sua voce quando ti parla, come puoi valutare la sincerità del suo affetto?

Lo consideravo inconcepibile. Sono le piccole cose a far sorgere un’amicizia, la condivisione di esperienze, di una realtà simile, di sensazioni positive o negative che siano. L’interazione diretta… nulla nasce dal nulla. L’amicizia, proprio come l’amore, è il frutto di un percorso, con i suoi ostacoli che talvolta appaiono insormontabili, ma quando l’affetto c’è anche il muro più alto più rivelarsi alla stregua di uno steccato.

Con Luana tutto partì da qualche frase scostante, mormorata a mezza bocca… eppure con il tempo avrei imparato ad amare anche questo. Anche le sue reazioni bizzarre e inspiegabili, per il resto del mondo, anche gli attimi in cui pareva isolarsi, estraniando tutti dalla sua realtà. Perché, in fin dei conti, il bene che le donavo era contraccambiato da un’amicizia pura e sincera.

Certo all’epoca del nostro primo incontro non avrei mai scommesso a nostro favore. Tutt’altro.

« Potresti indicarmi la mia stanza? Non sono mai stata qui. » le domandai, quel mattino, dondolandomi nervosamente sulle gambe.

Parve riscuotersi, annuendo impercettibilmente. «Non c’è molto da dire. Lì c’è la cucina, lì il bagno e quelle sono le tre stanze. La tua è quella in fondo, con il poster di Hello Kitty, reduce dalla precedente inquilina, sia chiaro.»

Annuii disorientata, mordendo il labbro inferiore. Continuai ad ascoltare il suo farfugliare svogliato, osservando le sue braccia agitarsi scompostamente, cercando di assimilare tutte le informazioni, senza proferire parola.

« Non far caso alle condizioni della casa, avrebbe bisogno di una ristrutturata totale, ma il padrone non intende sentirne parlare, almeno fino a quando non ci tireranno fuori dalle macerie.» borbottò stizzita lasciandomi lì, nel bel mezzo del corridoio.

Le sue parole non mi sorpresero. L’abitazione era realmente in condizioni precarie. Le pareti tappezzate da carta da parati, probabilmente più vecchia di mia nonna, erano percorse da crepe e completamente scolorite. Qua e là erano affissi quadretti di nature morte intervallati da poster di quelli che presupposi essere gruppi rock. Ma il pavimento era il peggio del peggio. Le mattonelle erano rialzate in più di un punto e più di una volta incespicai con le valige, quella mattina, per raggiungere la mia stanza.

La prospettiva che Luana mi dipinse all’epoca non fu allettante ma effettivamente non potei in alcun modo biasimare i suoi timori. Per le prime tre notti osservai le crepe sulle mura della mia stanza con il reverente terrore di vederle crollare sulla mia testa.

«Dove sono finita?» sussurrai sospirando con aria agonizzante.

Se le prime impressioni sono quelle che contano posso affermare con certezze che nessuna persona sana di mente avrebbe trascorso in quel luogo più di dieci minuti.

Purtroppo per me non avevo alternative. Telefonare ai miei per spiegargli la situazione avrebbe involontariamente posto fine a questo mio tentativo di distacco. Erano stati necessari tre mesi di preghiere al vento e di salamelecchi inutili per indurli a darmi abbastanza fiducia per farmi vivere da sola, così lontana da casa.

Perché, se è vero che la loro presenza fisica era un’optional, la loro apprensione per la sorte della loro unica bambina era spropositata.

Facendo leva sul mio spirito di avventura, in realtà inesistente, trascinai i bagagli verso la stanza che mi era stata assegnata mentre, ad ogni passo, lanciavo immani maledizioni ai miei genitori che, suggestionati dall’annuncio, avevano considerato uno spreco di tempo visitare la casa.

Viva la coerenza.

Ma le sorprese quella mattina non erano certo terminate.

Quando passai dinanzi alla cucina vidi un ragazzo con il busto riverso sul tavolo, addormentato su di un cumulo di libri spessi come mattoni. Il viso era completamente coperto da una massa informe di capelli riccioluti, color castano scuro.

Michele.

Lo osservai con perplessità domandandomi il perché della presenza di un uomo in un appartamento per studentesse. Poteva essere il ragazzo di una delle mie coinquiline, ma allora perché dormiva sul tavolo alle sei del mattino, dando l’impressione di aver trascorso la notte in quel modo?

I vestiti erano completamente stropicciati, il respiro profondo e regolare e le braccia poggiate sotto il capo.

«Frequenta biologia con me. – mormorò Luana avvicinandosi e porgendomi una tazza fumante di caffè. La prima gentilezza ricevuta da lei quella mattina. – è un bravo ragazzo.»

 « Non vive qui? »

Scosse il capo.  « Terzo piano, scala A.»

Volsi nuovamente lo sguardo verso di lui, portando la tazza calda. – troppo calda – alle labbra. «Non dovresti svegliarlo? » bofonchiai arricciando il naso per il dolore, mentre la mia lingua implorava pietà. Complimenti Cristina, prima figura da stupida, adesso ti scotti anche con il caffè. Mi ammonii esausta, fortunatamente per me la ragazza non parve far caso alla mia sbadataggine.

« Abbiamo lezione questo pomeriggio.»

«Ma non starebbe meglio su un divano? Non oso immaginare i mal di schiena che avrà al suo risveglio.» obiettai con una certa preoccupazione. In realtà quella scena mi allarmò anche per un altro motivo. Ero terrorizzata dall’idea di iniziare l’università, una parte di me non si sentiva in grado di affrontare un simile percorso e, osservare quel ragazzo, sfiancato dallo studio, non mi lasciava presupporre nulla di buono.

Avrei retto una simile mole di lavoro? Orari sballati e l’opprimente preoccupazione di poter deludere i miei?

Uhm…

«La prossima volta ci penserà due volte a costringermi a passare la notte sui libri. Cretino! » esclamò seccata, allontanandosi verso la sua stanza.

Aveva la pessima abitudine di interrompere a suo piacimento una conversazione, dileguandosi. Con il tempo mi ci sarei abituata, ma in quell’istante trovai la cosa assolutamente bizzarra, oltre che inquietante.

Scuotendo il capo decisi finalmente di raggiungere la mia camera, ignorando lo strano ragazzo che dormiva nella nostra cucina.

Quando fui faccia a faccia con l’enorme poster di hello kitty fui seriamente timorosa di aprire quella porta. Mi domandai se per caso dall’altro lato non avrei trovato il cappellaio matto intento a prendere il the con il bianconiglio. Vista la situazione non mi sarei sorpresa di nulla.

Con mia gioia, più o meno, scoprii che quella in cui avrei vissuto era una camera normale. Lo stato  di usura era pari al resto della casa, le pareti però erano state malamente ridipinte di un rosa antracite decisamente deprimente, che però non aveva ricoperto le innumerevoli crepe.

Una mano di stucco, no?

O forse sarebbe più opportuna una tanica di benzina ed una scatola di fiammiferi.

« Che disastro.» mormorai avvilita, abbandonando la valigia sull’uscio. Avrei dovuto apportare non poche modifiche. Il mobilio era quasi inesistente, solo una cassettiera dall’aspetto logoro pronta a sbriciolarsi da un istante ad un altro. Il letto sembrava in condizioni decenti e con una riverniciata avrebbe acquistato uno stato quantomeno dignitoso.

Per il resto… bhe, mancava praticamente tutto.

Abituata com’ero alla mia stanza, con tutti i suoi confort, quella era una vera e propria topaia, che sperai vivamente di non dover dividere con una famiglia di ratti, anche perché alla vista di una coda probabilmente mi sarei lanciata dal balcone, senza neanche pensarci.

Rabbrividii involontariamente, percependo i tremiti attraversarmi la schiena, al pensiero di quei roditori disgustosamente pelosi e dei loro occhietti piccoli e astuti.

Una delle mie peggiori fobie.

«Se vuoi posso aiutarti a ridipingere. » mormorò una voce calda e morbida, dietro di me.

Sobbalzai vistosamente, portandomi le mani al petto, mentre mi voltavo.

Fu allora che lo vidi per la prima volta.

Aveva un bel viso, dai lineamenti dolci, le labbra piene, le sopracciglia folte e due occhi piccoli e scuri. Un accenno di barba gli colorava il mento e le guance un po’ scavate, sul quale era inciso il segno del libro su cui si era addormentato. Il fisico smilzo era avvolto in vestiti larghi e decisamente fuori moda. Era palesemente trascurato e nel complesso aveva un aspetto quasi buffo.

Non era quello che avrei definito un bel ragazzo, ma nel complesso aveva qualcosa di interessante. Carino, forse.

«Mi dispiace, non volevo spaventarti! – esclamò contrito. - Io sono Michele. »

Lo scrutai attentamente, soffermandomi sugli abiti sgualciti e sui ricci ribelli. « Il ragazzo che dormiva in cucina.» asserii, riconoscendolo.

Arrossì vistosamente, grattandosi il capo imbarazzato, non so se per la mia analisi un po’ troppo sfacciata o per le mie parole. S0lo dopo un po’ notai di averlo fissato un po’ troppo intensamente, distogliendo lo sguardo.

Non avevo ancora disfatto le valige e avevo già collezionato un bel po’ di figuracce. Un record anche per me…

« Già, mi dispiace, non devo aver fatto una buona impressione. Luana non mi ha detto che oggi sarebbe arrivata la nuova coinquilina oppure avrei avuto il buon cuore di non farmi trovare in questo stato.»

« Luana?»

Increspò la fronte. «La ragazza in pigiama. – spiegò indicando un cenno la porta della camera accanto alla mia. – Non dovrei stupirmi non si sia neanche presentata. »

Soffocò una risata, scuotendo il capo bonariamente. All’epoca mi persuasi fosse il suo ragazzo, visto il suo tono affettuoso e dolce. Naturalmente sarebbe stato impossibile, ma questo lo scoprii solo in seguito.

«Ah, giusto, siete compagni di corso. »

Annuì incuriosito, ma non mi pose domande, limitandosi a sorridere impacciato, prima di congedarsi. Lo rividi spesso nei giorni a seguire. Frequentava la nostra casa con assiduità e fu proprio grazie a lui che riuscii a comprendere come relazionarmi con Luana. I suoi comportamenti bizzarri iniziarono quasi ad acquisire un senso.

Quasi.

Eppure, quel suo essere anticonvenzionale, in un certo qual modo, facilitava molto le cose. Non pretendeva nulla, non si abbandonava ad inutili recriminazioni.

Rapportarmi con lei era semplice perché Luana lo era.

Una semplicità genuina, non falsata da uno sforzo o da una qualunque imposizione. Con lei non c’erano significati reconditi, i suoi gesti – nel bene e nel male – erano quelli, lineari e coincisi. Sapeva essere brusca, talvolta, ma mai malevola.

Non temeva ripercussioni ed esprimeva i suoi pensieri totale serenità, anche se la sua sentenza era negativa. Potevo essere certa che se mi esternava un suo giudizio, questo coincideva esattamente con le sue riflessioni.

Per una persona impacciata e timida come me, soprattutto all’epoca, fu stranamente d’aiuto. Avevo sempre temuto il giudizio altrui, timorosa delle impressioni che poteva risvegliare la mia timidezza, il mio modo impacciato di espormi quando ero a disagio, la mia riservatezza.

Fu quasi tranquillizzante scoprire che con lei tutto questo non era necessario.

Per quanto riguardava Michele, invece, inizialmente trovai un po’ strana tutta quella gentilezza.

Solo tempo dopo scoprii che Maria, l’altra coinquilina, lo inviò da me con il proposito di ingraziarsi la mia simpatia. Trascorrendo molte ore nella nostra casa temevano che io fossi una di quelle rompipalle che avrebbe avuto da obiettare sulle sue continue visite. Ovviamente non era il mio caso, ma loro non potevano saperlo.

La settimana seguente, quando mi presentai a casa con pennelli e pittura, lui si ripropose nuovamente di aiutarmi. Con un sorriso stampato in volto trascorremmo una domenica pomeriggio tra barattoli di vernice bianco panna, teli per ricoprire il mobilio e tanto tanto stucco.

Ciò a cui inavvertitamente condusse quella prima gentilezza andò ben oltre le loro intenzioni. La compagnia di Michele si rivelò piacevole. Chiacchierammo e, nonostante la mia iniziale titubanza, parlai davvero molto. Dei miei interessi, della mia famiglia, delle mie amiche.

Lui non si sbottonò particolarmente, non snocciolò dettagli della sua vita, al contrario di me, ma non parve mai annoiato dalle mie chiacchiere. Pose numerose domande, si interessò di conoscere  le mie opinioni in merito al trasferimento, ai nuovi compagni di corso, ad alcuni libri che aveva letto di recente. Non tentò mai di creare imbarazzi, e quando un argomento risvegliava in me un certi imbarazzo, si affrettava a distogliere la mia attenzione con qualche frase semplice o un’altra domanda.

In fin dei conti non ci furono battute di spirito o grasse risate, eppure fu piacevole.

Custodirò sempre nella mia mente il ricordo di quel giorno e con esso la tenerezza che risvegliò in me, sin da allora.

Con il tempo scoprii molte cose di lui, alcune piacevoli altre meno, ma fu la sua dolcezza e quel suo sguardo un po’ da bambino, quasi innocente, a farmi innamorare di lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Salveee! Eccomi con il secondo capitolo di questa storia XD Ne sono venute fuori 10 pagine ahahhah più lungo di quanto pensavo. *O* ahahahah questa storia non so neanche dove voglia andare a parare, ad essere sincera! Come ogni mia storiellina soprattutto originale non ha uno schema o una scaletta da seguire, semplicemente apro word e scrivo quello che mi passa per la testa! O.o Qui stanno venendo fuori personaggi uno esauriti a dire il vero ahahaha

Comunque ci tengo a ringraziarvi per i vostri bei commenti, a cui ho risposto con il nuovo sistema di risposta per le recensioni di EFP hihihi utilissimo! ♥ Vorrei anche lasciare il link al mio gruppo su fb, dove inserisco spoiler e cose simili e ci sono anche le foto dei personaggi di questa storiella. Se vi interessa, link: Storie di Shinalia

Kissssssssss

Delle volte mi piacerebbe comprendere il perché molte cose accadono. Per alcuni ogni avvenimento ha un suo fine, una sua motivazione intrinseca, che forse non ci appare nella sua reale consistenza, almeno non subito, ma che comunque nonostante tutto esiste.

Per me il destino è solo un gran bastardo, si prende gioco di noi, sue marionette, ponendoci dinanzi agli eventi che non siamo in grado di affrontare e che porteranno con loro solo scompiglio.

Il mio incontro con Gabriele mi fece spesso pensare a tutto ciò. Mi chiesi se fosse incappato sulla mia strada come una qualche punizione, una tortura per una mia malefatta, una prova… qualcosa, un segno.

Talvolta penso fu solo sfortuna, o fortuna. Non saprei dirlo con precisione, forse perché nonostante tutto portò con sé quella ventata d’aria fresca di cui necessitavo, probabilmente se non fosse stato lui ci sarebbe stato un altro, più avanti, e le cose avrebbero preso comunque quella piega.

Forse…

Non tutti i mali vengono per nuocere.

La prima volta che lo vidi ne fui folgorata. Non solo dalla sua bellezza, a dire il vero, quella la notai soprattutto in un secondo momento.

Ironico direi… perché il suo aspetto difficilmente passava inosservato ed in realtà fu ciò che mi spinse verso di lui, quando ebbi modo di porre da parte la mia iniziale titubanza.

Un’affermazione superficiale?

Si, ma non è forse vero che prima di risvegliarsi un interesse intenso necessita di alcune basi? Non ci si innamora con uno sguardo. Il colpo di fulmine non è che un’infatuazione momentanea che ha la durata di uno schiocco di labbra e si spegne in breve, come una debole fiammella sotto la pioggia.

Talvolta però da quel primo barlume nasce altro. Non saprei dire, in realtà, se quello fu o meno il mio caso. Probabilmente in lui, inizialmente, cercai una via di fuga.

Tanto diverso da Michele da essere la sua perfetta nemesi, mi attirò a sé come una calamita. Un bel ragazzo, sveglio, allegro, desideroso di godere a pieno la sua giovinezza e la sua vita. Una persona impulsiva, ma non per questo stolta o poco accorta. Certo, neanche i suoi difetti passavano inosservati, ma nel complesso apparivano mitigati dalla sua capacità di valorizzare le virtù che possedeva.

Mi piacque, mi piacque vedermi rivolte attenzioni, mi piacque scoprire una percezione di un rapporto tanto diversa da quella che stavo vivendo con Michele.

Mi piacque la novità… ma anche la novità alla fine svanisce.

 

«Cristina!»

La porta si aprì con uno scatto secco, rivelandomi la figura di Luana ancora in pigiama, con i capelli arruffati sulla fronte e la sciarpa stretta alla gola.

Eravamo ad ottobre, un caldo ottobre a dire il vero. Il sole era ancora forte e personalmente io vestivo ancora con abiti leggeri, ma non Luana. Lei era freddolosa per natura.

«Ma che male ho fatto per trovarti sulla mia strada?» brontolai stretta al mio cuscino, per nulla incline ad abbandonare il letto confortevole ed il suo tepore rassicurante.

«Tanto lo so che mi adori.»

«L’importante è crederci.»

Sorrise melliflua, incrociando le braccia al petto, con palese soddisfazione. «Oggi è il tuo turno di fare la spesa.»

« Rettifico: ti detesto.»

Si avvicinò al mio armadio, spalancando le ante, tirando fuori alcuni abiti a casaccio, neanche minimamente turbata dalle mie parole, anzi appariva quasi divertita.

Adorava indispettirmi, soprattutto a quell’ora del mattino, quando mi svegliava nonostante l’assenza di lezioni.

Bastarda.

«Vado più tardi.» brontolai assonnata, nascondendo il volto al di sotto delle lenzuola azzurre ed il copriletto con i pinguini. Il mio preferito.

«Svegliati. Ci sono novità. – sentenziò gettando i vestiti sul letto, prima di accomodarsi accanto a me. - Nuovo coinquilino!»

Ovvero un’altra persona che gironzola per casa, occupa l’unico bagno, si lamenta della spesa e…

Assunsi un’espressione corrucciata, rinunciando completamente al mio intento di rimettermi a dormire. «Aspetta, hai detto nuovo? Un maschio?»

Scrollò le spalle con indifferenza. «Si, perché? Ti crea qualche problema?»

«Considerando la mia abitudine di girare in accappatoio per casa direi di si. – bofonchiai, stropicciandomi stancamente gli occhi. – Oltretutto ti rammento che questa è una casa per studentesse?»

«Quell’aguzzino del proprietario non deve essere riuscito a trovare nessuna ragazza disposta a vivere in questo tugurio e avrà deciso di ripiegare su qualche maschietto.»

Sbuffai riluttante. Sempre la solita solfa, quell’uomo era il più avido bastardo rompipalle si fosse mai visto in giro. Eravamo state costrette a trascorrere tre mesi, quell’inverno, senza termosifoni. Si era rifiutato di far revisionare l’impianto, nonostante spettasse a lui.

Non avrebbe dovuto sorprendermi quella novità.

«Marta?» proposi alzando lo sguardo sul volto tondo della mia amica, implorandola di proporre a lei l’ultima camera della casa. Era la più spaziosa, ma tra le tre aveva la vista peggiore, affacciando sul cortile di un groviglio di palazzine deturpate, il che la rendeva abbastanza buia.

Ma in fin dei conti era carina e, con qualche lampada, si sopperiva al problema.

Ovviamente una smorfia di disappunto piegò le sue labbra. «E rinunciare totalmente alla mia libertà? Neanche morta, se così è ossessiva non oso immaginare se dividessimo anche casa. »

Trattenni una risata divertita. Marta era la ragazza di Luana.

Era una tipetta carina che frequentava il terzo anno di lettere, avevo con lei qualche corso in comune, ma non avevamo mai legato particolarmente. I motivi potevano essere vari, ma avevo la sensazione che fosse un po’ gelosa del mio rapporto con Luana, nonostante fosse palese il mio interesse per gli uomini. Il povero Michele era costretto a sopportare non poche voci su di me e, sebbene non paresse interessato a dare conto a ciò che si diceva in giro, temevo la cosa potesse infastidirlo.

O forse quella sua apparente noncuranza infastidiva me… non avrei saputo dirlo con precisione.

Molte donne sostengono che avere accanto una persona tranquilla, dolce, che non crea mai problemi sia la fortuna più grande che si possa mai avere. In realtà siamo tutte tendenzialmente incontentabili… cerchiamo qualcosa che non esiste. Un connubio di qualità che in una stessa persona non potrebbero mai convivere, tranne che non si tratti di uno schizzo-frenico che soffre di personalità multiple, e anche in quel caso avremo di certo da ridire.

In quel periodo, quando Gabriele entrò nella mia vita, avvertivo lo spasmodico bisogno di dare al mio rapporto con Michele uno scossone, in grado di frantumare quell’abitudinaria relazione che iniziava a stancarmi.

Avrei voluto una qualche reazione, un segno di un interesse che non fosse superficiale, un accenno di passionalità che non si limitasse semplicemente al sesso.

Desideravo un cambiamento.

Bhe, fui accontentata, anche se non come desideravo.

 

In seguito alle lamentele di Luana, sebbene riluttante, mi preparai per recarmi al supermercato, munita di una lista della spesa che sembrava scritta da un bambino di una decina d’anni. Gran parte degli alimenti erano grasso, unto e potenzialmente nocivo.

Se mia madre avesse saputo cosa mangiavo per sopravvivere mi avrebbe diseredata. Lei era una di quelle persone con l’ossessione per la salute e di conseguenza per il cibo sano, molto sano. Quando ancora vivevo con lei la mia alimentazione era esclusivamente a base di prodotti erboristici e controllati; possibilmente coltivati sul cucuzzolo di qualche montagna sperduta o allevati in zone montane dai nomi improbabili.

In sintesi… uno schifo.

La zucca non aveva sapore di zucca, il tofù sembrava gomma ma il caffè decaffeinato era il mio incubo peggiore.

Il corpo è un tempio e come tale va trattato.

Bhe, il mio corpo era impossibilitato ad assumere cibo vero se non fuori di casa mia, quando ospite da una delle mie amiche o in giro per ristoranti e pub mi concedevo di nutrirmi come qualsiasi persona perfettamente consapevole che anche sulle montagne non mancavano problemi e che molte di quelle mucche o pecore o bestie di dubbia natura brucavano erba in terreni probabilmente inquinati da scorie o immondizie gettate lì abusivamente.

Dettagli che ormai, dopo anni, non mi davo pena di ribadire.

Cercando comunque di non tenere completamente fede alla lista di Luana, terminai la spesa velocemente, aggiungendo al cibo spazzatura anche alimenti realmente nutritivi. Fortunatamente per me il supermercato era a meno di dieci metri dal palazzo dove vivevamo e questo mi concedeva di non sopperire sotto il peso delle buste.

Probabilmente dovevamo smettere di fare la spesa una volta a settimana, iniziando a ridistribuire il carico.

Probabilmente…

Fu proprio sulla soglie del portone che lo vidi.

Gabriele.

Era imbardato con una kefia, avvolta al collo che lo ricopriva fino il mento, e degli occhiali da sole che celavano due occhi azzurro-verde a dir poco spettacolari, che in quel momento non potei ammirare. Aveva con sé solo un borsone ed indossava abiti stropicciati a causa della notte trascorsa in treno.

Nonostante tutto, compresa la stanchezza che appesantiva i lineamenti del suo volto, il suo profilo perfetto mi lasciò basita per qualche istante, ma furono le sue labbra ad attirare il mio sguardo.

Cavolo! Fu il mio primo pensiero.

Voltai il capo imbarazzata quando appurai di averlo osservato con sin troppo interesse e stanca dei pesi alle braccia, poggiai le buste della spesa in terra, dirigendomi verso le cassette della posta.

Meglio distrarsi.

In quei giorni attendevo una lettera di Nana, una delle mie più vecchie amiche.

In realtà il suo nome di battesimo non era certo Nana, ma Carmela e lo detestava a tal punto da averlo rinnegato sin da bambina, attribuendosi i nomignoli più strani. Nonostante la comoda invenzione delle e-mail noi eravamo amanti della vecchia corrispondenza, poco affidabile e più dispendiosa, ma certamente meno impersonale.

Ci scambiavamo una lettera una volta al mese, raccontandoci quello che sfuggiva alle nostre rare chiacchierate al telefono o alle frettolose chat che ci concedevamo di tanto in tanto, la sera.

Purtroppo per quanto possa essere profonda un’amicizia la lontananza incide, e con essa gli impegni della giornata che si accumulano e si accumulano, fino a quando non si crolla sul libro di turno.

Solo bollette e volantini pubblicitari.

Con un sospiro sommesso richiusi la cassetta della posta, dopo aver appurato l’ennesimo ritardo delle poste. Sai che novità!?

Udii il suono dell’ascensore che si fermava al piano e mi voltai per recuperare le buste della spesa prima di salire, avviandomi verso di esso. Purtroppo lo sconosciuto con il fondoschiena da paura non parve prestare attenzione alla mia presenza.

«Un attimo.» borbottai affrettando il passo, ma invano. La porta dell’ascensore si chiuse dinanzi al mio naso con uno scatto secco, lasciandomi impalata.

Quell’idiota con le cuffie nelle orecchie mi aveva appena chiuso la porta in faccia? Imbecille!

«Ma che cazz…» imprecai, mordendomi la lingua per non iniziare ad inveire nel palazzo, attirando gli inquilini del piano terra, due tranquilli vecchietti che sarebbero inorriditi dinanzi alle esclamazioni colorite che premevano per venir fuori dalla mia bocca.

Inspira, espira, inspira espira…

Pensai spesso al nostro primo incontro, in seguito. Quella porta sbattuta in faccia poteva sintetizzare perfettamente quello che fui costretta a subire a causa sua. O almeno quello che mi convinsi a sopportare, ammaliata da quella persona così particolare e apparentemente interessante. Non che non lo fosse.

Era carismatico, molto carino, sagace e con la battuta pronta in ogni occasione, ma a queste buone qualità si sommavano una serie di pessime caratteristiche come la superficialità intrinseca in ogni suo atto o pensiero, l’ostinazione e l’egocentrismo maniacale che mi impediva di restare nella stessa stanza con lui senza ribattere acidamente. Soprattutto agli esordi della nostra conoscenza.

Il nostro non poteva dirsi un rapporto idilliaco, per nulla.

Quel giorno, con le buste della spesa ai miei piedi e le braccia incrociate al petto, attesi che l’ascensore si decidesse a scendere, mormorando imprecazioni di ogni genere su quello sconosciuto, ipotizzando potesse essere un amico di quella sgallettata al quarto piano, con il seno palesemente rifatto.

Era decisamente il suo tipo.

Quando finalmente raggiunsi la porta della mia abitazione trafficai con le chiavi senza però avere il tempo di usarle. Dalla velocità con la quale si spalancò supposi che Luana era appostata al di là dello stipite.

« Cristina, finalmente sei a casa, dannazione! » esclamò, venendomi incontro con il suo incedere barcollante.

Quella mattina era caduta dalla scala mentre litigava con la cassa del suo impianto stereo. Il tonfo si era avvertito forte e chiaro anche nella mia camera, accanto alla sua.

« Sono andata a fare la spesa.» borbottai portando le buste nella nostra piccola cucina e poggiandole sul tavolo per svuotarne il contenuto. Con il caldo di quella giornata temevo seriamente per le condizioni degli yogurt. «Mi serviva un po’ di tempo per cercare di porre rimedio alla tua lista della spesa oltremodo inutile.»

«Il nuovo inquilino è arrivato.»  mi comunicò con uno sbuffo, ben attenta a non rispondere alle mie provocazioni, ponendo la macchinetta del caffè sul fuoco. Santa donna… mi aveva aspettato prima di prepararlo ben consapevole della mia inclinazione a bere caffè bollente anche il quindici agosto, con quaranta gradi all’ombra.

Ecco spiegato perché era tanto  nervosa, non aveva bevuto la sua dose mattutina.« E che ha detto? » mormorai, gettando un fugace sguardo alla porta.

« Piacere. »

« E poi? »

Scrollò le spalle. « E poi basta. »

«Tipo loquace.»

«Meglio, non avrei sopportato un rompipalle chiacchierone.» commentò tirando fuori dalle buste una scatola di biscotti al cioccolato, con ripieno di cioccolato e glassa di cioccolato. A quel punto tanto valeva attaccarsi alla zuccheriera e buttare tutto il contenuto giù per la gola.

« Vabbè dal chiacchierone al mutismo ce ne passa. » ghignai mentre riponevo la pasta nella dispensa, scuotendo il capo divertita. Luana di per sé non era una persona che amava ciarlare e scambiarsi convenevoli con sconosciuti, quindi in fin dei conti la cosa non mi sorprese. Mi domandai se avesse abbandonato anche lui sulla porta.

« Che tipo è?»

« Bello, simpatico, intelligente, ma potresti scoprirlo da sola semplicemente voltandoti.» la voce sconosciuta alle mie spalle, mi sbeffeggiò facendomi trasalire.

Oh porca miseria…

Chiusi gli occhi imprecando mentalmente per l’ottimo esordio di questa conoscenza, ovviamente fui costretta a ricredermi quando voltandomi lo vidi.

Lo riconobbi subito ed il mio volto espresse eloquentemente il mio repentino cambio d’umore.

Irritazione allo stato puro.

Senza quegli occhiali avvolgenti e l’ampio cappotto era ancora più bello. Alto, più di un metro e ottanta, fisico asciutto, labbra carnose ed occhi di una tonalità straordinaria, tra il verde e l’azzurro. Il viso era ricoperto da una barba appena accennata, che ricopriva la mascella squadrata. Aveva dei bei lineamenti, difficili da definire, abbastanza marcati, ma non troppo.

Bhe, era decisamente uno dei ragazzi più carini avessi mai avuto modo di incontrare.

Certo, quel sorrisetto serafico che piegava le sue labbra lasciava presupporre la piena consapevolezza di questo dettaglio.

« Tu sei quello dell’ascensore. » commentai caustica.

« Non so di cosa tu stia parlando. – ribattè placidamente avvicinandosi alla credenza alla ricerca di uno spazio vuoto. – Dove posso riporre le mie cose? Non intendo conservarle nella mia camera rischiando un’invasione di formiche.»

«Tu sei quell’idiota che mi ha sbattuto la porta dell’ascensore sul naso.»

Si voltò scrutandomi con una certa perplessità. « Non ti ho notata.»

Repressi un grugnito esasperato, non è di certo il genere di frase che una ragazza adora sentirsi di rivolgere. «Uno scusa sarebbe gradito.»

«Certo scusa…» mi liquidò, come se fossi una pazza isterica a cui era opportuno dare ragione solo per farla tacere, con sguardo di sufficienza che mi fece fremere dall’ira.

Io questo lo strangolo…

Mi morsi la lingua lasciando la cucina con quel minimo di dignità che mi restava, cercando di mitigare la mia irritazione. Dannazione avrei dovuto dividere la casa con quel tizio, una prospettiva che in quell’istante mi parve tutt’altro che lieta.

 

Dieci minuti dopo Luana si intrufolò nella mia stanza, ovviamente senza bussare, rivolgendomi quel sorrisetto di scherno che avevo imparato a detestare perché celava qualche commento sarcastico che probabilmente non avrei gradito.

« Spara!» esclamai con voce colma di esasperazione. « Aspetto la stronzata della giornata.»

« È sexy.» commento avvicinandosi al letto e porgendomi la tazza di caffè ancora caldo.

«A te piacciono le donne.»

«A te piacciono gli uomini.»

«Grazie per avermelo rammentato, iniziavo ad avere dubbi sulle mie inclinazioni sessuali, miss ovvio.»

Si lasciò scappare una risatina divertita. « Semplicemente sottolineavo il fatto che è un bel ragazzo, anche se sembra un imbecille totale.»

«Sarà una tragedia vivere con lui.»

«Temi di saltargli addosso?» mi stuzzicò sempre più divertita.

Sbuffai scuotendo il capo.

All’epoca i suoi commenti non erano che un tentativo di distrarmi, con la speranza di farmi dimenticare la piccola schermaglia avuta in cucina. Con il tempo avrebbe avuto modo di pentirsi di quel suo sbeffeggiarmi, soprattutto perché si sentì in dovere di rimproverarmi piuttosto di frequente, a causa di Gabriele.

Fortunatamente per me in quel momento qualcuno bussò alla porta, un tocco esitante che ben conoscevo.

«Entra! » esclamai con un sospiro sommesso, sperando finalmente di avere un po’ di supporto in quella gabbia di matti.

Michele fece il suo ingresso nella mia camera da letto, facendo scorrere lo sguardo stralunato dal mio volto a quello di Luana. « Chi è il tizio che mi ha aperto la porta?» domandò indicando al di là della mia stanza, con un’espressione perplessa.

« Il nostro nuovo coinquilino.» spiegai, increspando le labbra in una smorfia.

Ah… si limitò a rispondere leggermente accigliato. « Simpatico?»

Non un commento salace, non sottolineò il per nulla futile dettaglio che era un uomo e che io non lo avevo avvisato. Non mostrò alcun segno di turbamento se non una certa perplessità.

Avrei diviso la casa con un uomo e a lui non interessava.

« La tua piccola Cristina ci ha appena litigato. – ghignò Luana, con un sorriso divertito decisamente fuori luogo. – E poi dicono che tra noi due sono io quella polemica.»

«Nessuno ti dà della polemica, tutti dicono semplicemente che non possiedi alcun filtro tra cervello e bocca e che dici tutto quello che ti passa per la mente.» ribeccai acida.

« Sono pro sincerità estrema.»

Mi morsi la lingua per evitare di protrarre quel battibecco inutile. « Fuori di qui Lu, prima che decida di prenderti a calci.»

La mia amica uscì dalla stanza portando con sé la tazzina di caffè ormai vuota, richiudendosi la porta alle spalle. Con un sospiro sommesso accolsi la sua scomparsa, battendo energicamente la mano sul letto, invitando Michele a sedersi accanto a me.

Mi assecondò, accomodandosi. «Sei nervosa.»

Alzai gli occhi al cielo, sulla soglia dell’esasperazione. «Oggi è la giornata del “facciamo commenti ovvi”

«Sei buffa quando ti arrabbi. – sorrise sporgendosi verso di me per stamparmi un veloce bacio sulle labbra. – Mi spieghi cosa ti irrita? Il fatto che è un uomo?»

«No, semplicemente che è uno stronzo.» bofonchiai piccata, tirando il lenzuolo fin sopra la testa.  Avevo una gran voglia di recuperare il sonno perduto di quella mattina, di rilassarmi con doccia bollente e di una tazza di cioccolato caldo alla cannella. Non di un nuovo coinquilino, uomo e borioso, che avrebbe occupato il bagno, che si sarebbe preso gioco di me e di cui avremmo dovuto tener conto costantemente.

«Ha fatto qualcosa…»

Mi scoprii il volto, notando il suo tono esitante e la sua espressione preoccupata, comprendendo che stavo decisamente esagerando. Ero maledettamente permalosa, in ogni occasione, e mal digerivo situazioni come quelle, ma in fin dei conti non era accaduto nulla di talmente rilevante da giustificare quella tragedia che stavo inscenando.

Grattandomi il naso imbarazzata cercai di abbozzare un sorriso. « Solo un piccolo battibecco da nulla. – mormorai, facendo scorrere una mano tra i suoi ricci ribelli. I capelli ormai erano abbastanza lunghi, lui diceva di doverli assolutamente tagliare, ma a me quell’aspetto da scienziato pazzo piaceva. Gli conferiva un aspetto dolce. – A te com’è andata la giornata? »

Chiuse gli occhi assaporando le mie carezze, prima di distendersi accanto a me, avvolgendo il braccio attorno alla mia vita per stringere il mio corpo al suo. «Ho studiato, come al solito. »

«La tua vita è noiosa.»

« Avrò il tempo di godermi la vita quando sarò laureato e avrò una posizione.»

Sospirai sommessamente per nulla incline a credere nelle sue parole. Conoscendolo si sarebbe trasformato in uno di quegli stacanovisti che lavorano anche di notte e si portano fascicoli e fascicoli a casa, visionandoli anche nel letto. Quando si è tanto inclini al perfezionismo difficilmente si cambia quando si trova un lavoro, al contrario spesso si può solo peggiorare.

Restammo stesi uno accanto all’altro in silenzio. Non ribattei, consapevole quanto fosse inutile. Avevamo discusso spesso su questo punto, quando cercavo di farlo ragionare, mostrandogli come la sua giovinezza stesse sparendo negli anni, schiacciata dal peso dei libri e delle responsabilità che si auto affliggeva.

Delle volte quando lo osservavo mi  balenava in mente un’immagine mentale piuttosto bizzarra, con il suo Super Io a forma di omino della Michelen, bianco e ciccioso, che tentava di soffocare con un cuscino il suo Es.

Un pensiero che mi permetteva di avere un biglietto di sola entrata in una clinica psichiatrica.

«Stasera sei di turno al locale? » domandai voltandomi verso di lui, cercando di scacciare quella assurda rappresentazione che, per quanto eloquente, avrei fatto bene a tenere per me.

Il silenzio fu tutto ciò che udii.

Non ebbi risposta, Michele si era addormentato.

______________________________

 

Trascorsi il pomeriggio sottolineando uno dei libri dell’esame di sociologia generale, distesa prona sul mio letto, mentre Michele dormiva al mio fianco. Doveva aver trascorso la notte sui libri, quella non era certo una novità.

Tutta quella situazione non era una novità.

Sfiancato dalla sua vita, quando ci vedevamo, non era raro crollasse addormentato come un  bambino e, se la cosa all’inizio della nostra storia mi era parsa quasi dolce, nell’ultimo periodo mi appariva esasperante.

La noia della sua vita incideva inesorabilmente sulla mia.

Non eravamo soliti uscire in gruppo, entrambi eravamo abbastanza solitari, poco inclini alle amicizie. Detestavamo discoteche e ambienti sovraffollati, quindi raramente partecipavamo a feste, come quelle organizzate all’università. Trascorrevamo spesso le nostre serate in casa, guardando qualche film o di rado qualche passeggiata sul lungo mare, per un caffè o un gelato.

La nostra vita era definibile con un unico termine… noiosa.

Intricata in una routine logorante e senza via di uscita.

Con un sospiro abbandonai il libro, richiudendolo con uno scatto secco. Ero brava a rimuginare, ma non altrettanto ad agire.

Avrei potuto pretendere da Michele maggiori attenzioni ma ero ben consapevole delle sue aspirazioni ed ero certa che renderlo partecipe delle mie aspettative deluse non avrebbe portato a nulla.

Lo osservai placidamente addormentato, come un bambino. Era un ragazzo favoloso e per certi versi il migliore a cui si potesse aspirare. Sempre dolce, cortese, disponibile in caso di bisogno.

Ma, per ottenere qualcosa da lui, era necessario chiedergliela.

Ogni gesto derivava da una richiesta di attenzione che io stessa gli esponevo, nulla partiva direttamente da lui.

La sua mente era costantemente proiettata al futuro, alla costruzione del suo futuro. Io ero la sua ragazza, quella alla quale si rivolgeva per sfogarsi, quella con ci trascorreva del tempo, con cui faceva l’amore. Ero uno dei suoi punti fermi.

Ma… potevo accontentarmi di questo?

… non credevo.

Erano trascorse tre ore.

L’ora di pranzo era passata da un pezzo ed io avevo decisamente bisogno di sgranocchiare qualcosa. Il languore allo stomaco ed il suo gorgoglio ne erano palesi dimostrazioni.

Con un sospiro sommesso mi sporsi verso di lui, baciandogli la guancia, la linea della mascella, le labbra morbide, tentando di svegliarlo con la maggiore dolcezza possibile e vidi un sorriso dipingersi sulle sue labbra dopo un po’. Uno di quelli caldi e dolci che mi rivolgeva tanto spesso.

Lui mi amava, di questo ne ero certa. Proprio come ero consapevole del fatto che non si rendesse conto di quanto la nostra storia fosse monotona e abitudinaria.

Lui mi amava davvero, ero io a non esserne più tanto sicura.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Salvee! Eccomi con il nuovo capitolo di questa storia grrr sono tre giorni che ci sto lavorando, ma per l'esasperazione lo sto postando anche se è letteralmente pietoso! *sospiro esasperato* ç__ç vi lascio alla lettura sperando non mi lanciate i pomodori sigh sob. Io e le originali abbiamo un rapporto decisamente conflittuale.

Capitolo 3

 
È strana, la vita è davvero strana.
Ci affanniamo per raggiungere un equilibrio, lavoriamo per dare alla nostra vita una parvenza di stabilità eppure anche se l’imprevisto ci spaventa, esso ci attrae.
Inesorabilmente.
 
Accompagnai Michele alla porta, aveva una relazione da preparare per il corso di calcolo ed io avrei trascorso probabilmente la serata con Luana. Si era ripetutamente scusato per essersi addormentato in quelle poche ore che avevamo a disposizione ed io, come al solito, avevo annuito tentando di dissipare le sue preoccupazioni.
Peccato che fossi contrariata, estremamente contrariata.
Nel tempo avevo però appreso come reprimere le spiacevoli emozioni, totalmente deleterie. Discutere avrebbe generato in lui sensi di colpa che non intendevo risvegliare, non quando non avrebbero condotto a nulla di buono.
Perché?
Perché io non ero una delle sue priorità.
 
Dopo aver recuperato una merendina dalla credenza avanzai trotterellando verso la camera della mia amica, bussando ed entrando, senza attendere risposta.
Pessima abitudine che avevo assimilato da lei, inizialmente per ripicca alla sua invadenza, in seguito mi ci ero adagiata per pura e semplice comodità.
Non di rado a causa delle cuffie nelle orecchie non percepiva alcun suono attorno a lei, oltre la musica. Se la casa ci fosse crollata sulla testa, probabilità che non mi permettevo di escludere, lei non si sarebbe accorta assolutamente di nulla.
« Lu!» salutai, notando la sua figura attorcigliata in un immenso accappatoio di spugna verde mela. La camera profumava del suo bagnoschiuma al muschio bianco, che aleggiava nella stanza mescolandosi all’essenza dell’incenso liquido che bruciava sul davanzale della finestra. Lei adorava quegli odori forti, io li detestavo.
Non riuscivo neanche a tollerare il profumo sulla mia pelle, a causa dell’emicrania cronica e non riuscivo a comprendere come lei potesse sopravvivere in quella cappa di odori che si creava.
Abominevole, per non dire disgustoso.
Mi schiarii la gola, arricciando il naso per limitare al minimo i respiri. «Esci?»
«Mi vedo con Marta.» spiegò tranquillamente, tirando fuori dall’armadio alcuni vestiti dopo quello che mi parve un accurato esame. Non che ne possedesse molti, al contrario.
Detestava lo shopping, era solito definirlo uno spreco di tempo, il risultato di una mentalità consumistica che stava logorando la nostra società fino a condurla progressivamente verso le soglie di un’implosione.
Sapeva essere maledettamente catastrofica, talvolta.
Sospirai, assorbendo con disappunto le sue parole. «Stasera?» domandai, lagnandomi con quel tono petulante che la mia amica detestava.
Bhe, io odiavo trascorrere le serate da sola in casa. Era deprimente.
Si voltò scoccandomi un’occhiata perplessa e, notando il mio broncio deluso, trasse immediatamente le ovvie conclusioni. Forse perché non era una novità o forse perché mi conosceva sin troppo bene. Probabilmente per entrambi i motivi. «Michele è andato via?»
Sbuffai annuendo. «Doveva studiare.»  addentando l’ultimo morso della merendina al cioccolato e arancia, spudorata imitazione della Fiesta.
Ci si potrebbe sorprendere da tutto quello che sono in grado di taroccare al giorno d’oggi.
 
«Quel ragazzo morirà giovane.»
Su questo non ho alcun dubbio.
Mi accomodai sul bordo del letto, giocando distrattamente con il pon pon del suo parka blu notte. «In fin dei conti credo che a lui piaccia molto studiare, quando termina uno dei suoi lavori sembra davvero felice.» mormorai sovrappensiero. Il sorriso soddisfatto che si dipingeva sulle sue labbra in quelle situazioni era impagabile, considerando i suoi successi accademici avrebbe dovuto essere ormai abituato. Eppure non esisteva nulla al mondo in grado di indurre in lui le medesime emozioni.
«Intendi che preferisce lo studio alla sua ragazza? Non credo sia così strano.» borbottò iniziando a vestirsi con un’accuratezza insolita per lei. Doveva essere una serata speciale per lei e per Marta.
Sospirai.
Delle volte mi sarebbe piaciuto avere accanto una persona come lei.
Caratterialmente ero sempre stata taciturna, restia alle relazioni e ai legami, chiusa e bhe, forse anche eccessivamente attaccata alla mia routine. Per tale motivo avrei dovuto affiancarmi a qualcuno diverso da me, capace di spronarmi a mutare quei miei atteggiamenti inadeguati.
Qualcuno ben diverso da Michele. Non era il suo corso di laurea ad imporgli quei ritmi, era lui a desiderarlo.
Era una sua scelta.
«Tu studi con lui, dovresti averlo notato anche più di me.» contestai, porgendole gli orecchini.
Mi scrutò con uno sguardo stranamente comprensivo, addolcendo leggermente il tono. « È un bravo ragazzo, solo un po’ ossessivo. Desidera farsi una posizione, ha quella strana fissazione di emulare le orme paterne.»
Già.
Voleva bene a Michele. Erano amici sin da prima del mio arrivo, compagni di corso e di studio. Talvolta ancora mi domandavo come fossero riusciti a stringere amicizia, viste le loro personalità tanto divergenti, ma ero consapevole dell’affetto che li legava.
Nonostante Luana fosse ormai la mia migliore amica, una parte di lei lo avrebbe sempre difeso, anche quando obiettivamente comprendeva i suoi eccessi e i problemi della nostra coppia.
Per questo generalmente evitavo di discutere con lei della mia relazione. Ma, talvolta, il bisogno di uno sfogo era tale da indurmi a porre da parte quella delicatezza, rivolgendomi ugualmente alla mia amica, pur consapevole che non avrei mai ottenuto quella consolazione di cui necessitavo.
« Lo so.» ammisi, indulgente. «Ti lascio agli ultimi ritocchi, buona serata e salutami Marta.» mormorai richiudendo la porta della sua camera alle mie spalle.
 
In cucina afferrai distrattamente una zuppiera in vetro di medie dimensioni, con l’intento di riempirla fino all’orlo di popcorn conditi con il burro fuso.
Intendevo uccidermi innalzando il mio colesterolo? No, ma il cibo era sempre un’ottima consolazione quando non avevo altro, almeno per me era sempre stato così.
Avrei rivisto il diario di Bridget Jones spaparanzata sul divano del minisalottino che avevamo abbozzato, ingerendo fino alla nausea quei burrosi concentrati di grassi.
Una seratina allegra.
Trafficai con le padelle, alla ricerca degli ingredienti e degli utensili necessari. Nella credenza c’erano ancora i resti di una scatola di popcorn dell’erboristeria che mia madre mi aveva costretta a portare durante il mio ultimo ritorno a casa. Non erano male, ma mi appariva quasi contro natura utilizzare uno dei suoi acquisti. Probabilmente li aveva pagati tre volte di più di una normale confezione del supermercato.
Diamine… i popcorn sono popcorn, che differenza può esserci?
Quello restava uno dei maggiori interrogativi della mia esistenza, esteso però a tutti gli altri alimenti che mia mamma si ostinava a farmi mangiare.
Donna bizzarra.
Canticchiando una canzone dal titolo ignoto, che avevo ascoltato alla radio quella mattina, iniziai a muovermi per la cucina, pronta a soddisfare il mio bisogno di cibo spazzatura.
Fu in quel momento che avvertii dei passi stranamente leggeri dietro di me, comprendendo immediatamente non fossero di Luana. I suoi erano equiparabili a quelli di un elefante, con quegli zoccoli in legno che si ostinava a portare e che erano divenuti l’incubo dei poveri inquilini al piano inferiore.
Il viso di Gabriele mi apparve accanto, portando con sé uno strano profumo, molto leggero e muschiato. « Popcorn!» esclamò afferrando la strana scatola, probabilmente a lui per nulla familiare, visto il suo tono sorpreso.
«Già.» asserii, senza neanche voltarmi.
Ignoralo.
Non intendevo dare inizio ad un’ulteriore scambio di opinioni, soprattutto considerando che quel mattino avevo abbondantemente esagerato, dando il meglio di me. Forse avrei dovuto porgergli le mie scuse, ma non intendevo farlo. Purtroppo era mia abitudine irritarmi a morte con chiunque tendesse in qualche modo a ferire il mio orgoglio, con una parola, un gesto, anche solo un sorriso di scherno.
In passato dinanzi ad un simile evento avrei chinato il capo, fingendo di non vedere o di non restarne ferita; la mia amicizia con Luana mi aveva invece insegnato che reagire ed esternare le mie emozioni, permettendomi di scoprire quanto ciò fosse meravigliosamente liberatorio.
Ovviamente non intendevo raggiungere i suoi livelli di sincerità estrema - come la definiva lei - mandando al diavolo le convenzioni sociali e il buon senso, in compenso non biasimavo più completamente il suo atteggiamento e tendevo ad emularlo, anche se nei limiti.
«Mi dispiace per stamattina, non era mia intenzione chiuderti fuori dall’ascensore.»
Scrollai le spalle, tentando di non palesare la mia sorpresa. «Scuse accettate.»
Uhm… forse non è uno sbruffone del cavolo, come immaginavo. Rimuginai tra me e me, indecisa. È pur vero che sono le prime impressioni quelle che generalmente quelle che contano, ma non di rado si rivelano errate.
Non particolarmente convinta, comunque, decisi di tacere per il momento, riservandomi per il futuro la possibilità di cambiare idea.
Peccato che lui non intendesse demordere. «Logorroica, e pensare che tu e la tua amica criticavate me.» tentò, schiarendosi la gola. In seguito avrei compreso che quello era un suo modo per provocarmi, per attirare la mia attenzione e cercare di rimediare a quella piccola defaillance mattutina; in quell’istante mi parve semplicemente un rompipalle strafottente. Il che poi non era del tutto inesatto.
Razza di…
Mi voltai ancorando le mani ai fianchi in una posa stizzita. «Senti, io e Luana non stavamo sparlando di te, stamattina. Non ho niente di cui scusarmi. Credo sia piuttosto logico chiedere informazioni con una persona con cui si dovrà dividere la casa.» sbottai infervorata, abbandonando le mie buone intenzioni.
«Io non stavo reclamando le tue scuse, hai la coda di paglia?» sorrise, mettendo in mostra una bella dentatura, quasi perfetta, se non fosse stato per un canino leggermente scheggiato.
Solo allora notai che si era rasato, indossava una tuta dell’adidas ed un’ampia felpa, di almeno una taglia più grande, ma nonostante ciò non aveva un aspetto trasandato. Appariva meno perfettino rispetto a quella mattina, con camicia e maglioncino, ma era ugualmente attraente.
Ok, vuoi controllargli anche la marca dei boxer e fargli una TAC, così da essere certa di averlo studiato a sufficienza?
Digrignai i denti, volgendomi nuovamente verso il fornello, scuotendo la pentola in modo tale da smuovere i popcorn sul fondo e permettere anche agli altri chicchi di aprirsi.
Restammo in silenzio mentre lo scoppiettio riecheggiava nella piccola cucina ed il profumo caratteristico e caldo dei popcorn si diffondeva nello spazio angusto, saturandone l’aria e tranquillizzandomi.
Mi piaceva, evocava nostalgici ricordi dei pochi natali passati con la nonna che tentava in ogni modo di viziarmi, per sopperire all’assenza dei miei genitori. Si rammaricava per il loro atteggiamento, per i viaggi con gli amici e colleghi organizzati all’ultimo istante, lasciando me a casa, perché troppo piccola. Personalmente ero più che lieta di quelle loro partenze, solo con la nonna il natale era realmente tale.
Solo con lei percepivo il tepore rassicurante e familiare.
«Cosa studi?»
Mi accigliai, scuotendo il capo per scacciare i pensieri malinconici evocati dal mio spuntino, rivolgendo nuovamente attenzione al mio interlocutore.
«Hai detto che è ovvio voler conoscere qualcuno quando sarai costretto a dividerci la casa… io sto solo cercando di fare conoscenza.» commentò tranquillamente, aprendo la credenza e tirando fuori miele e fette biscottate.
Increspai le labbra e annuii a malincuore. Il bastardo arrogante forse non aveva tutti i torti.
«Letteratura.»
«Io psicologia.» rispose mesto.
«Non hai l’aspetto di uno psicologo.» ribattei sovrappensiero, sistemando i fazzoletti di carta sul fondo della zuppiera di vetro.
«Lo so, mi dicono tutti che ho l’aspetto di un modello mancato. – sospirò teatralmente. – Ma il fatto che io sia bello non implica che sia stupido.»
Mi volsi verso di lui con un’espressione ironica dipinta in volto. Che razza di tipo… « Punto primo: alla faccia della modestia, punto secondo non ti ho dato dello stupido, al massimo del megalomane.»
«Io sono bello, ne sono consapevole e non apprezzo la finta modestia. Perché dovrei affermare che non mi piaccio o fingere che gli altri non trovino il mio aspetto gradevole?»
Increspai le labbra in una smorfia, osservando i suoi occhi divertiti che mi studiavano.  Non sembrava intenzionato a schernirmi e probabilmente una parte di lui adorava veder confermata la sua avvenenza. Forse era anche un modo per crearmi imbarazzo, per appurare se il suo aspetto mi facesse o meno effetto. Personalmente non intendevo concedergli una simile soddisfazione; era un bel ragazzo ed io ero tranquillamente capace di ammetterlo senza arrossire o imbarazzarmi… più o meno.
«Effettivamente non ne avresti motivo, ma affermarlo apertamente trasmetti l’immagine di un egocentrico.» sentenziai a capo chino, dedicando un’attenzione quasi maniacale alla cottura dei popcorn.
Si fa quel che si può…
«Lo sono.» sorrise addentando la fetta biscottata stracolma di miele, provocandomi uno spasmo allo stomaco, per il disgusto.
«Buono a sapersi.»
Restammo in silenzio per qualche minuto mentre lui completava il suo spuntino ed io mi premuravo di non bruciacchiare la mia cena, sistemando la fiamma, ma soprattutto di non farmi scoppiare un popcorn sulla fronte.
Lui ripulì il bancone, lentamente, riponendo tutto in ordine prima di voltarsi nuovamente verso di me. Qualcosa mi disse che aveva atteso invano un mio tentativo di fare conversazione, oppure io stavo diventando paranoica. In compenso non comprendevo perché non tornasse nella sua stanza, rinunciando a quel tentativo di conoscenza che per quella sera non mi premuravo di assecondare.
«Adesso tocca a te, quali sono i tuoi difetti?» incrociò le braccia al petto, adagiandosi con la schiena al frigorifero, a pochi passi da me, in una posizione che gli permetteva di scrutare facilmente il mio viso, anche se cercavo di dargli le spalle.
«Dovresti dirmelo tu, sei tu lo spettatore esterno, quindi per te sarebbe più facile una valutazione.»
Tolsi il coperchio dalla padella, inspirando a fondo il buon profumo con un sorriso e ne riversai lentamente il contenuto nella zuppiera, attenta a non spargerlo sul piano della cucina.
«Sei permalosa e petulante.»
Assimilai le parole indignata. «Grazie.» mormorai ironica, increspando le labbra in una smorfia. Detto da uno spaccone come lui…
«Mi hai chiesto tu i tuoi difetti. – ghignò divertito. – Io ti sto solo rispondendo.»
«Ci vai giù deciso, ed io che credevo che gli psicologi dovessero essere forniti di tatto.»
« Non sono ancora uno psicologo e con te non sto comunque parlando in quelle vesti. – mi corresse scherzosamente.  - Quel tizio che è venuto oggi, Michele mi pare, è il tuo ragazzo?»
«Non credo che la cosa ti riguardi.» ribattei velocemente, a disagio.
Michele.
Non era quel genere di argomenti di cui mi piaceva discutere, soprattutto in quei periodi nel quale quella relazione mi pesava particolarmente. Non era sempre così, però.
Talvolta riuscivo ad adeguarmi a quei ritmi con maggiore facilità, soffermandomi meno su quei suoi comportamenti particolari. Forse dipendeva dalla mia voglia di sopportare o dagli impegni che si accumulavano, o semplicemente dal riuscire a trascorrere con lui un po’ più di tempo senza che si addormentasse o si vedesse costretto a studiare.
Purtroppo però ultimamente erano più i periodi no, che quelli si, e ciò incideva inevitabilmente sul mio umore.
Stavo diventando nevrotica.
«Siete stati ore in quella stanza ma non ho sentito alcun rumore molesto e, considerando le mura così sottili, mi sono insospettito.»
Spalancai la bocca, senza parole. «Ma che diamine… sei una specie di maniaco?» domandai inorridita, lasciando perdere il condimento dei popcorn.
Perfetto, mancava solo il coinquilino depravato per completare il quadro della disperazione. Non bastava fosse maschio?
Alzò le mani sorridendo sornione. «No, ma devo pur premurarmi, la tua camera è vicina e se arriva il tuo ragazzo potrei accendere lo stereo.»
Arricciai il naso, in quel tic involontario che esprimeva il mio nervosismo.
«Io ti avviserò quando avrò compagnia, così potrai accendere lo stereo.» continuò con un tono tanto pacato ed indifferente che mi domandai se stesse o meno scherzando.
Non mi sta chiedendo di avvisarlo quando faccio sesso, vero?
«Grazie…» mormorai non propriamente convinta.
«Allora è il tuo ragazzo?»
Sospirai. Meglio stare al gioco e non fare la parte della sciocca. «Si, ma non sarà necessario accendere lo stereo ogni volta che lo vedrai.» ribattei titubante.
Ghignò. «A giorni alterni?»
«Sto per decidere di picchiarti con questa pentola vuota.» lo minaccia avvertendo l’imbarazzo prendere il sopravvento. Ok, non c’è il limite al peggio. Questa non era proprio il genere di conversazione che volevo intrattenere con un bel ragazzo che avrebbe vissuto nella mia stessa casa e che per tale motivo, per quieto vivere, dovevo imparare a vedere come asessuato.
« È anche calda, potresti ustionarmi.» ribattè scrutandomi fintamente accigliato.
Aveva un’espressione buffa, quella di chi non sa se scoppiare a ridere o preoccuparsi realmente.
«Un ulteriore punto a favore per l’idea di picchiarti con la pentola.»
Si alzò dalla sedia, sorridendo sornione. «Tre tocchi al muro e capiremo, sarà il nostro segnale segreto.»
Gli lanciai dietro una manciata di popcorn, mentre lui sgattaiolava fuori dalla cucina. «Basta!» urlai, scuotendo il capo divertita.
Forse non era tanto male come temevo.
 
______________________________
 
Quella mattina la sveglia suonò alle sette in punto, strappandomi brutalmente dal mondo dei sogni. Avevo dormito più di otto ore, eppure il desiderio di non alzarmi era talmente grande che per un istante pensai di mandare al diavolo lo studio e godermi il tepore confortante del letto.
Ovviamente le urla di Cristina alla mia porta ruppero l’idillio.
Io la detesto!
Mi sciacquai il viso e a passo pesante la raggiunsi in cucina, scoccandole un’occhiataccia, mentre afferravo il mio Sacro Grall: il caffè.
Senza, al mattino, posso diventare la peggior stronza acida dell’universo, dopo la prima tazza invece mi ammansisco con la velocità di un saluto. Inquietante, ma almeno chi mi conosce ha compreso che non è mai il caso di rivolgermi la parola prima di aver assunto la mia dose minima di caffeina mattutina.
«Com’è andata ieri sera?» mi domandò Luana, spalmando accuratamente la nutella su un paio di fette biscottate.
Scrollai le spalle indifferente, portando la tazza alle labbra ed inspirando il suo meraviglioso profumo. «Film e popcorn.»
«Allegria!»
Sorrisi. «A te?»
«Cinema e ristorante cinese.»
Sbuffai, avvertendo il mugugno del mio stomaco vuoto. «No, adesso ho voglia di involtini primavera.»
«Io preferirei un caffè, di prima mattina la cucina cinese non è il massimo.» Gabriele entrò in cucina a passo svelto, completamente sveglio e già perfettamente abbigliato. Una vera vergogna per me e Luana ancora in pigiama e con i capelli sfatti dal sonno.
Detesto avere un uomo per casa. Fosse stata una ragazza, come la nostra ex coinquilina, avrei appena notato quel dettaglio, ma con un ragazzo sorgeva il fattore imbarazzo, da non sottovalutare.
Yuppy! Pensai ironica, mordendomi la lingua, per evitare di ribattere sarcastica.
Bevi il tuo caffè, Cristina. Mi ammonii.
«I gusti sono gusti. – commentai, passandomi una mano tra i capelli tentando invano di conferirgli un garbo. Inutile spreco di energie, ovviamente. – Buongiorno, comunque.»
«Buongiorno. – replicò, versandosi del caffè, mentre un sorriso sfacciato piegava le sue labbra. - Stasera probabilmente busserò tre volte al muro della tua stanza.»
Oddio no… come diamine è possibile? Si è appena trasferito.
Increspai le labbra in una smorfia colma di disgusto. «Dannazione, che schifo, non voglio sapere quando farai sesso.»
«Meglio semplicemente saperlo che sentirlo, credimi.» replicò portando la tazza alle labbra, mentre si accomodava con noi attorno al tavolo.
Non replicai perché… cavolo, aveva decisamente ragione, ma personalmente avrei preferito evitare entrambe le cose. Quel problema con Luana non si era mai posto. Lei viveva con le cuffie alle orecchie e la musica a tutto volume, il che eliminava alla radice il problema. Non mi ero mai posta la domanda se quella sua abitudine fosse sorta per i medesimi motivi che portavano Gabriele a richiedermi di avvisarlo prima delle mie attività sessuali o fosse una sua abitudine pregressa.
Comunque non intendevo indagare.
Scossi il capo, decisa a soprassedere su quei discorsi inappropriati di prima mattina, quando il cervello non è ancora abbastanza sveglio per elaborare risposte pungenti. Quel pomeriggio avrei acquistato dei tappi per le orecchie.
Ovviamente avevo dimenticato un piccolo dettaglio. «Posso sapere di che state parlando?» intervenne Luana completamente all’oscuro del tema del nostro scambio, non avendo avuto modo di aggiornarla, non era informata sulla conversazione sera precedente.
«Il  nostro segnale pre sesso!» ammisi con una scrollata di spalle.
Fu il suo momento di restare spiazzata, evento decisamente raro che in quel momento non ebbi modo di godermi, troppo impegnata a dissipare le sue folli conclusioni. «Voi due fate sesso?»
«Ehi. – scattai imbarazzata. – Non io e lui! Che cavolo, Luana.»
Gabriele, dal canto suo, si limitò a ridacchiare decisamente divertito. Iniziava a darmi sui nervi quella sua capacità di non scomporsi mai. «Le nostre mura sono sottili e vorrei evitare di ascoltare rumori molesti durante la notte, o il pomeriggio o la mattina. Sinceramente non so a che ora tu faccia sesso gen…»
«Smettila! - esclamai avvilita. – Quando, come e perché faccio sesso sono cose che non ti riguardano! Eviterò di fare qualsiasi cosa qui in casa. Contento?»
« Il come non mi interessa, il perché mi pare ovvio… ma è il quando che preferirei sapere. – ribattè in tono conciliante. - Non vorrei impedirti di divertirti qui in casa tua, sarebbe scortese.»
«Non preoccuparti, tanto è un raro evento.» commentò innocentemente Luana, lasciandomi basita. -  Comunque ho lezione, vado a prepararmi. Voi non fate sesso sul tavolo, io qui ci mangio.»
Concluse la sua arringa alzandosi e allontanandosi tranquillamente dalla cucina, sotto il mio sguardo sbigottito.
Ero consapevole stesse scherzando, sia per la sua amicizia con Michele che l’avrebbe costretta ad ammonirmi se un simile pensiero mi avesse sfiorata, sia perché conoscendomi era consapevole dell’assurdità di una tale prospettiva. Almeno era quello che speravo…
Luana sapeva essere… indecifrabile.
« Che tipino… divertente.» commentò Gabriele, stiracchiando le braccia svogliatamente, con gli occhi chiusi e le labbra increspate. Con quel gesto mise inconsapevolmente in risalto il collo flessuoso ed i muscoli delle braccia avvolte in una maglia piuttosto aderente che sottolineava perfettamente ogni curvatura.
Oh porca miseria…
Mi schiarii la gola, stranamente a disagio, alzandomi e forzandomi a distogliere immediatamente lo sguardo. Sparecchiai velocemente la tavola con gli avanzi della colazione, perché quella mattina toccavano a me i piatti e stavo proprio per dedicarmi al contenuto del lavabo quando il campanello suonò.
Non mi scomposi, limitandomi semplicemente a chiudere l’acqua ed asciugarmi le mani. Gabriele si mosse per dirigersi verso la porta, ma lo bloccai. «Adesso entra.» spiegai, pacata.
«Non era chiusa a chiave?» borbottò con uno sguardo indignato.
Feci spallucce.«A quest’ora arriva Michele, quindi la lasciamo socchiusa così da non dover correre se ci stiamo vestendo.»
«Alla faccia della sicurezza, io in questo quartiere metterei sottochiave tutto.» contestò e, diamine, era stato uno dei primi pensieri quando mi ero trasferita in quella casa. Con il tempo avevo però compreso che in quella particolare zona, paradossalmente, i furti erano estremamente rari, per motivi a me ignoti.
«Fifone.» lo schernii.
«No, realista.»
«Buongiorno.» Michele entrò in cucina, interrompendo il nostro scambio, ostentando un sorriso che parve vacillare per un istante quando ci notò.
Luana fece capolino subito dopo di lui, ancora senza scarpe e con i capelli spettinati e gonfi. «Dammi cinque minuti.» borbottò in direzione del mio ragazzo, sbuffando come un treno a vapore, mentre correva verso il bagno, lì accanto.
Lui non parve quasi darle peso. Si limitò ad asserire con il capo, prima di avvicinarsi a me e  stamparmi un bacio a fior di labbra, con un atteggiamento quasi possessivo. «Buongiorno amore.» mormorò.
Un tipo di comportamento che gli era completamente estraneo. Mi parve quasi di essere uno di quegli irrigatori che i cani marcano al loro passaggio, per contrassegnare il territorio.
Sperai non iniziasse a fare pipì per casa. Vista la bizzarria della situazione sarebbe stato quasi normale, tralasciando il fatto che non aveva alcun motivo per agire in questo modo. Considerando i pettegolezzi che si erano diffusi sul mio conto, anche negli ultimi tempi, non comprendevo il motivo di un tale cambiamento.
Stamattina avrà dato una testata in un palo.
Mi accigliai palesando la mia perplessità. «’Giorno.»
«Signori io mi dileguo, le lezioni mattutine mi attendono.» esordì Gabriele, riponendo la tazza di caffè ormai vuota nel lavabo, forse a disagio per la strana. Come dargli torto? «A più tardi, piacere di averti rivisto… ehm, Michele.»
«Piacere mio.» ribatté mesto, quest’ultimo.
Osservai Gabriele allontanarsi verso la sua camera, sotto lo sguardo del mio ragazzo. «Sei preoccupato? – mormorai incredula. – Si può sapere che ti è preso?»
«Tutto bene. – replicò, ignorando la mia domanda. - Stamattina hai lezione?»
«No, lo sai che il mercoledì è il mio giorno libero.»
«Vuoi venire all’università con noi? Potresti studiare in biblioteca? Noi abbiamo lezione fino alle sette.»
Fu allora che compresi, vagamente sorpresa.
«Temi di lasciarmi da sola in casa con lui?» fu più una domanda che un’affermazione, ma non me ne curai.
Sbuffò, passandosi una mano tra la massa di ricci, irrequieto. «Non sappiamo nulla di questo tipo, potrebbe essere uno stupratore, un serial killer…»
«… un semplice studente di psicologia. – sorrisi divertita. – Ti comunico che ieri sera sono stata sola in casa con lui e come vedi sono intera, viva e vegeta.»
Trasalì. «Mi avevi detto che avresti visto un film con Luana.»
«Credevo che avrebbe trascorso la serata con me invece aveva preso appuntamento con la sua ragazza. Ti sembrerà strano ma le persone normali non si chiudono in casa a studiare tutte le sere.» reagii sulla difensiva. Non mi piacque quel suo tono insinuante, non quando era stato lui a piantarmi in asso per l’ennesima volta.
Si incupì colpito probabilmente dalle mie parole, ed un po’ di dispiacque, benché fosse la verità. «Lo sapevi che avevo una relazione da fare.»
Fu il mio turno di sbuffare, stanca di udire sempre la solita solfa, le stesse giustificazioni. «C’è sempre una qualche relazione, un libro da studiare, un progetto da completare. È sempre così. Mi domando come possa Luana essere al tuo stesso corso di laurea, aver scelto i suoi stessi moduli e condurre una vita sociale dignitosa.»
«Lei si accontenta.» ribatté come se fosse ovvio, come se aspirare costantemente all’eccellenza potesse essere normale.
È bello porsi grandi obiettivi, ma è fondamentale comprendere quali sono i propri limiti ma soprattutto quali sono quelli che il mondo ci pone.
Non si può avere ogni cosa.
Bisogna combattere per ciò che si desidera e non dare mai nulla per scontato, ma anche comprendere quando si eccede e quando questo può incidere negativamente sul resto della nostra vita.
Bisogna raggiungere un equilibrio, o almeno tentare.
Gli esseri umani sono complessi, multidimensionali. Non possono accontentarsi solo dell’amore o solo del lavoro, o di un altro aspetto della loro quotidianità, perché quando questo accade percepiscono una sorta di incompletezza.
Purtroppo però quando si è certi, anche erroneamente, di possedere qualcosa la si trascura. La si pone da parte per dedicarsi a ciò a cui ancora si aspira. Almeno sino a quando non la si perde.
La mia presenza per lui era indiscutibile, nonostante non si desse la pena di accertarsi che io concordassi. Io ero lì per lui, sempre.
Lottava per crearsi un avvenire che potesse soddisfarlo tralasciando tutto ciò che restava al di fuori di esso, tutto ciò che pur essendo parte della sua vita non aveva per lui il medesimo valore.
Io non avevo valore. I compromessi, anche se piccoli, sono fondamentali in ogni relazione e, per quanto lui potesse essere dolce e probabilmente amarmi, non era realmente disposto a compierne.
La sua non era cattiveria, non lo era mai stata, ma io iniziavo ad essere stufa di aspettare.
«Certo… hai sempre ragione.» sentenziai alzandomi. « Adesso se non ti dispiace andrei a farmi una doccia e a studiare, nella mia stanza. Buona lezione amore.» mormorai ironicamente melliflua prima di allontanarmi.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=590558