A kind of magic di micht82 (/viewuser.php?uid=96640)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 1 *** capitolo 1 ***
La pagina bianca del monitor continuava a
rimanere tale, senza che io
potessi fare qualcosa per riempirla, anche solo di parole senza senso.
Il racconto che avevo in mente e che avrebbe concluso la storia
dell’ elfo, rimaneva a vagare tra i miei pensieri senza
riuscire a venir fuori da essi.
Un suono squillante interruppe quel momento di stasi. Ringraziai
mentalmente chiunque avesse deciso di chiamarmi al telefono di casa,
perché mi aveva dato la scusa per distrarmi dalla mia
mancanza d’ispirazione.
“Pronto”
“Buongiorno parlo con il signore Alberto Lombardo?”
“Si, sono io”
“Sono la direttrice dell’istituto Don Bosco per
giovani senza famiglia, avrei bisogno d’incontrarla al
più presto per discutere di una questione che la riguarda da
vicino”
“Domani va bene?”
“Certo, l’aspetto domani mattina alle nove,
arrivederci”
Incominciai a pensare al motivo per cui un istituto per orfani volesse
vedermi, probabilmente volevano organizzare un incontro con i ragazzi,
ma la storia non mi convinceva e continuava a tornarmi in mente, a fasi
alterne, durante la rilettura dei miei appunti, disseminati su tutta la
scrivania.
Vedendo la data sul calendario fui preso quasi dal panico, visto che il
termine per la consegna del romanzo era sempre più vicina.
Non più tardi di qualche giorno prima, il mio editore mi
aveva chiamato per farmi pressione, visto che ero la fonte
più remunerativa per loro.
L’indomani mattina, dopo aver indossato abiti informali, mi
recai all’istituto, anche se la ritenevo una seccatura non me
la sentivo di ignorare un impegno preso, la mia speranza era che fosse
una cosa breve e che non comportasse perdita di tempo, visto il momento
delicato.
L’edificio dell’organizzazione per i giovani era
grande e talmente vecchio, che avrebbe avuto bisogno di un restauro .
Aveva un ampio giardino con un viale in mezzo che portava direttamente
all’ingresso della struttura circondata da grandi mura.
Entrando dal portone principale chiesi ad una signorina vestita in modo
sobrio e dai tratti gentili se poteva indicarmi l’ufficio
della direttrice.
Molto cordialmente mi indicò il percorso per raggiungerlo,
una volta ringraziata, mi misi in marcia per trovarlo.
Dopo alcune rampe di scale, e dopo essermi perso almeno due volte,
riuscii finalmente a raggiungere la mia meta e bussare alla porta.
“Avanti”
“Buongiorno sono Alberto Lombardo, ci siamo sentiti ieri al
telefono” esordii dopo aver chiuso la porta alle mie spalle.
“Buongiorno anche a lei, l’ho riconosciuta subito
anch’io leggo i suoi libri… prego si
accomodi” mi disse con un sorriso.
“Signor Lombardo le ho chiesto di venire qui,
perché ho alcune comunicazioni da darle”
continuò lei, diventando subito seria.
“Mi dica, spero niente di grave” volevo essere
sarcastico, ma il suo volto me lo impediva e la mia espressione fu
altrettanto seria.
“Lei conosce Maria di Chiara?” mi chiese scandendo
bene il nome.
Mi chiedeva se conoscevo l’unica ragazza che avevo mai amato,
ma che purtroppo aveva deciso di lasciarmi con una lettera, su cui
avevo riversato lacrime di dolore.
“Si, la conosco, ma sono anni che non so più
niente di lei” le dissi quando mi riscossi dai tristi ricordi
che mi ottenebravano la mente.
“Mi spiace informarla che purtroppo è morta tre
mesi fa di cancro al seno” mi disse con molto tatto.
La notizia mi aveva gelato il sangue nelle vene, dovetti farmi forza
per non disperarmi, ero stupito che la rivelazione della sua morte,
poteva avere questo effetto su di me, pensavo di averla dimenticata
dopo tutti questi anni e invece il suo ricordo mi attraversò
anima e cuore, toccandomi nel profondo. Evidentemente non ero riuscito
a spezzare il legame profondo che ci univa.
“Mi scusi se la notizia l’ha turbata, ma era
necessario che lei sapesse” mi disse lei visto che era da
quasi un minuto che non avevo reazioni.
“Mi perdoni lei… è solo che non
è facile accettare questa sua notizia, ma non capisco
perché sia stata lei a dirmelo” per fortuna
sembrava che una parte del mio cervello, quella razionale, avesse
deciso di tornare a funzionare, visto che quella emotiva era in lutto.
“Deve sapere che Maria aveva una figlia, la bambina ora ha
dodici anni, e dopo la sua morte era stata affidata alla sorella di
lei. Purtroppo la zia è finita in prigione in attesa di
giudizio e la piccola è stata portata qui. Parlando con un
assistente sociale ci è sembrato opportuno che la bambina
venisse affidata al padre” disse concisa.
“Mi scusi, continuo a non capire” non riuscivo a
comprendere il mio ruolo nella vicenda.
“Non sa di essere il padre di Giada?” mi chiese
stupita.
La mia espressione di stupore con occhi sgranati e bocca aperta doveva
averla convinta di avere di fronte un uomo che era appena caduto dalle
nuvole, perché prese un documento e me lo
consegnò.
“Come può vedere questo è il
certificato di nascita di Giada e c’è il suo nome,
pensavo che non avesse riconosciuto la bambina visto che manca la sua
firma, ma non credevo che non fosse a conoscenza della sua
esistenza” mi disse sorpresa.
“È così, non lo
sapevo…” il certificato riportava il mio nome,
un'unica domanda continuava a girarmi nella testa: perché
Maria non me l’aveva detto?
“Capisco che per oggi lei ha ricevuto troppe emozioni, ma le
chiederei se almeno per domani volesse dirmi quali sono le sue
intenzioni per Giada” mi chiese gentilmente.
“Posso vederla?” fu tutto quello che riuscii a dire.
“Certo, mi segua” mi disse alzandosi dalla
scrivania.
Mi guidò per l’istituto per vedere per la prima
volta… mia figlia. Non potevo credere a tutto ciò
che mi stava succedendo, troppe emozioni tutte insieme. Non capivo come
facessi a rimanere così calmo.
“Eccola… è la bambina dai capelli neri
seduta isolata nell’angolo” mi disse sorridendo.
Alzando lo sguardo su di lei non avevo dubbi che fosse figlia di Maria,
assomigliava a lei in modo impressionante stessi capelli e stessi
tratti del viso, gli occhi da quella distanza non riuscivo a capire se
fossero uguali a suoi, ma una domanda si fece strada dentro di me, era
veramente mia figlia?
“Vuole andare a parlargli?” mi chiese con fare
rassicurante.
“Potrebbe tralasciare almeno per il momento di dirle che sono
suo padre?” anche perché non c’era
certezza in questa rivelazione.
“Come vuole… possiamo dirle che era un amico della
madre almeno” dal suo tono capii, che sapeva che io nutrivo
dei dubbi sul fatto di essere il padre della bambina.
“Sono d’accordo, procediamo” mi occorse
tutto il mio coraggio per percorrere quei pochi metri che mi separavano
da Giada… da mia figlia.
Eravamo a un passo da lei che era intenta a leggere un libro, aveva
un’espressione così assorta, che dubitavo che ci
avesse sentito arrivare.
“Giada… voglio presentarti un amico di tua
madre” le disse in modo cordiale.
Sembrava che non volesse staccare gli occhi dal libro, ma poi con fare
stizzito lo chiuse non prima di averci messo il segnalibro per segnare
la pagina.
“Non potevate aspettare… la storia cominciava ad
essere bellissima” disse lamentandosi mentre ci guardava
negli occhi.
Fu in quel momento che ebbi il mio terzo shock della giornata,
perché Giada aveva gli stessi occhi di mia madre, lo stesso
azzurro chiaro che anch’io avevo ereditato da lei. Non avevo
bisogno di altre prove, perché in quel momento ero certo che
la bambina di fronte a me era mia figlia.
“Piacere sono Giada, qual è il suo
nome?” cercava di essere gentile, ma era ancora infastidita
di essere stata interrotta.
“Mi chiamo Alberto Lombardo… e sono tuo
padre” non sapevo perché lo avessi detto in quel
momento, forse mi ero lasciato trascinare dalla situazione e da tutte
le emozioni provate in poco tempo.
“Razza di…” la sua espressione era
cambiata, i suoi occhi erano pieni di risentimento e tutto il suo viso
si deformò in una maschera di puro odio, si fece avanti
cercando di colpirmi con calci e pugni.
“Perché sei venuto! Hai abbandonato la mamma!
Schifoso… “ sono sicuro che mi rivolse altri
insulti, ma non vi feci caso, ero troppo sconvolto dalla sua reazione
furiosa e incontrollata.
Solo l’intervento della direttrice e di un’altra
insegnante riuscì a smorzare la sua furia.
Mi sedetti sulla sedia, la stessa che lei aveva usato per leggere,
perché sentivo le gambe cedermi sotto il peso delle continue
rivelazioni, che mi erano piombate in poco tempo. Avevo bisogno di
recuperare almeno una parte delle forze che gli eventi mi avevano
prosciugato.
Non ero cosciente del tempo che trascorreva, ero in evidente stato di
shock.
“Signor Lombardo…” la voce della
direttrice mi riscosse.
“Mi scusi… vorrei andare a casa, ho bisogno di
riflettere e parlare con qualcuno… posso chiamarla io per
favore?” avevo una voce strana lo percepivo distintamente.
“Ma certo… è sicuro che ce la
farà a tornare a casa da solo?” era molto
preoccupato.
“Credo di no, chiamerò una mia amica per farmi
venire a prendere” dissi meccanicamente.
Chiamai Noemi supplicandola di venirmi a prendere e, capendo dal mio
tono che c’era qualcosa che non andava, mi rispose che
sarebbe venuta al più presto.
Dopo averle dato l’indirizzo, chiusi il cellulare salutai la
direttrice e mi avviai verso l’uscita.
Mentre aspettavo l’arrivo di Noemi mi misi a sedere su una
panchina del parco vicino all’istituto, continuavo a rivedere
l’espressione animalesca di Giada e mi chiedevo che cosa le
avevano raccontato per odiarmi in modo così violento?
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Capitolo 2 *** capitolo 2 ***
Durante il tragitto con la macchina, che
mi riportava a casa, ero stato completamente in silenzio a cercare di
riprendermi da tutte l’emozioni ricevute in poco tempo.
Entrati in casa, entrai con passo lento fino a raggiungere il divano
per sdraiarmi, mi sentivo spossato come se avessi fatto una maratona.
“Posso sapere che è successo di così
terribile da essere ridotto come uno straccio?” mi ero
scordato che Noemy era entrata in casa e giustamente meritava una
spiegazione.
“Ancora un attimo, ti prego” dovevo raccogliere
tutte le energie che mi erano rimaste.
“Mi stai facendo preoccupare, ma è morto
qualcuno?” la sua voce era davvero preoccupata.
“Siediti… ho brutte notizie da darti” mi
ero messo seduto ma la schiena era curva appesantita dal peso delle
rivelazioni della giornata e lei forse angosciata
dall’espressione greve del mio volto lo fece senza protestare.
Incominciai a raccontarle tutto quello che era successo in poche ore,
partendo dalla telefonata della direttrice, alla morte di Maria per
finire con Giada.
Anche lei come me era sconvolta per la morte di Maria erano state
grandi amiche fin dall’infanzia, fino alla partenza di Maria
per un paese vicino Torino.
“Quindi Giada è tua figlia, ma perché
ti ha detto che hai abbandonato Maria quando è stata lei a
partire e a non farsi più trovare?” aveva gli
occhi umidi e la voce spezzata.
“Non lo so, continuo a domandarmelo da quando me
l’ha detto, ma adesso non è questo che mi preme di
più, ho scoperto di essere padre di una ragazzina di dodici
anni… solo di questo mi devo preoccupare” .
“Cosa hai intenzione di fare?” mi chiese dopo
alcuni minuti di silenzio.
“Noemi, lei è mia figlia e vorrei che vivesse con
me voglio crescerla, ma per fare questo devo chiarirmi e spiegarmi con
lei, raccontandole la mia verità” avevo avuto modo
di rifletterci bene e non potevo permettere che anche questa volta una
parte di me non facesse parte della mia vita.
“Vuoi che venga con te?”
“lo faresti, davvero?”
“Certo siamo amici, no?” e poi vorrei vederla
anch’io” un timido sorriso irruppe sul suo viso
velato di dolore.
Concordammo di incontrarci a casa mia per poi andare con la sua
macchina all’istituto verso le nove, non prima di aver
chiamato la direttrice per informarla delle nostre intenzioni, al
principio sembrava titubante per non rischiare il ripetersi di
un’altra incresciosa scena come quella avvenuta alla mattina,
ma poi la convinsi che ero determinato a spiegare a Giada la
verità, penso che accettò quando la mia voce
cominciò ad alzarsi di un ottava, spiegandole che avevo
tutti i diritti di vedere mia figlia.
Per oltrepassare il cancello di entrata dell’istituto mi
occorse tanto coraggio, che mi infuse Noemy con la sua sola presenza al
mio fianco.
Ci dirigemmo direttamente nell’ufficio della direttrice e una
volta accomodati e fatte le dovute presentazioni cercammo di trovare un
accordo per il bene di Giada.
Dopo un’ora di conversazione proficua, con punte
d’isterismo da parte di Noemi che non sopportava i modi della
direttrice perché secondo lei troppo superficiali, riuscimmo
ad arrivare all’accordo che con la bambina si sarebbe
proceduto per gradi, cercando di spiegarle la verità per non
turbarla e che comunque la sua parola avrebbe avuto moltissima
importanza.
La direttrice chiamò un numero interno per chiedere che
Giada fosse accompagnata nel suo ufficio.
Furono minuti terribili nell’attesa che mi guardasse con odio
e disprezzo, sapevo che non era colpa sua se provava questi sentimenti
nei miei confronti, ma quell’astio nei miei confronti mi
dilaniava l’anima.
Quando varcò la porta s’irrigidì
immediatamente appena mi scorse, ma l’insegnante alle sue
spalle la spinse delicatamente in avanti. Era palese la sua avversione
a trovarsi con me nella stessa stanza.
“Cosa vuoi da me!” disse con rabbia.
“Voglio parlarti e poterti spiegare la situazione dal mio
punto di vista” mi ero alzato in piedi lentamente, nella
speranza di potermi avvicinare di più a lei.
“Non voglio niente da te! La zia mi ha già detto
tutto, vigliacco!” i suoi occhi davano l’idea di
appartenere a un adulto, ti scrutavano dentro, potevo solo immaginare
com’era stata la sua vita ultimamente, dopo la morte di Maria
e l’arresto di Silvana, ma ero sicuro che fosse stato un vero
inferno.
Mosso dall’istinto di proteggerla feci qualche passo nella
sua direzione, ma lei con uno scatto fulmineo si lanciò
verso la porta aprendola e uscendo come una scheggia impazzita.
Rimasi solo per un secondo interdetto e confuso di fronte alla sua
fuga, ma lasciandomi guidare dall’istinto le corsi dietro nel
tentativo di raggiungerla.
Giada correva a perdifiato scansandosi all’ultimo momento,
quando incontrava un ostacolo sia che fossero persone o mobili. La
nostra corsa attraverso i corridoi e le scale dell’istituto
ci aveva portato sul viale per arrivare al cancello.
Mi ero avvicinato molto a lei ancora qualche metro e l’avrei
raggiunta, lei continuava a voltarsi per vedere dov’ero e fu
forse per questo che non vide che avevo varcato il limitare
dell’edificio e che ormai era in mezzo alla strada.
Una macchina cominciò a suonare all’impazzata e
sentii lo stridore dei freni della macchina che cercava di arrestare la
sua corsa.
Giada era paralizzata dal terrore, sapevo che non si sarebbe mai
spostata, feci gli ultimi due passi pregando in cuor mio di riuscire ad
arrivare prima della macchina.
Fu un sollievo quando la cinsi per la vita e la trascinai via dalla
strada per raggiungere il marciapiede dall’altra parte della
via.
Mi chinai immediatamente di fronte a lei per assicurarmi che stesse
bene almeno fisicamente, quando fui convinto che il suo corpo stesse
bene l’accompagnai con delicatezza verso quella stessa
panchina su cui ieri mi ero seduto a riflettere.
Una volta seduta notai che non si era ancora ripresa dallo shock subito
e i suoi occhi erano ancora pieni terrore ed era bianca come un
lenzuolo.
Trascorsero cinque minuti, senza che nessuno dei due avesse ancora
parlato, forse perché nessuno aveva il coraggio di parlare
per primo.
“Sono stata una stupida!” la sua voce tremava.
“Anch’io, non avrei dovuto rincorrerti in quel
modo, ma la voglia di parlarti non mi ha fatto ragionare in quel
momento” non volevo minimamente pensare a cosa sarebbe
accaduto se non l’avessi spostata dalla traiettoria della
macchina.
“E perché vuoi parlarmi? Non hai mai voluto sapere
niente di me fino adesso” la sua voce aveva ripreso un
po’ di vigore e il viso aveva ripreso un colorito
più naturale.
“Mi prometti che mi farai raccontare tutta la storia fino
alla fine e che non m’interromperai?”
“Prometto”
“Io e tua madre siamo stati insieme per due anni, ma alla
morte dei suoi genitori sua sorella decise di trasferirsi. Non ho mai
saputo il vero motivo di quel cambiamento. Ci promettemmo di scriverci
e appena avesse saputo il suo numero di telefono me lo avrebbe dato per
continuare a rimanere in contatto.
Da lei ricevetti una telefonata, da una cabina telefonica
perché a casa non aveva ancora il telefono, in cui mi diceva
che era arrivata a destinazione e che pensava che le fosse successa una
cosa bellissima, ma voleva essere sicura prima di dirmela . Solo adesso
capisco che pensava di essere incinta di te.
Dopo quella conversazione ricevetti una lettera, dopo che gliene avevo
spedita una io spiegandole quanto mi fosse intollerabile sopportare la
sua lontananza da me, in cui mi diceva che non potevamo più
stare insieme e che dovevamo lasciarci”.
Diedi a Giada la lettera con cui sua madre metteva fine al nostro amore
e che lei iniziò a leggere avidamente, quando
alzò lo sguardo da essa aveva negli occhi una strana
espressione che non riuscivo a interpretare e ripresi a parlare.
“Non fu facile per me, l’amavo troppo per perderla
in quel modo, le scrissi decine di lettere, ma non ricevetti nessuna
risposta, volevo andarla a trovare di persona per sapere
perché non mi voleva più, ma i miei genitori non
volevano che partissi da solo dopotutto ero ancora minorenne. Non hai
idea di quante volte li avessi implorati per farmi andare a trovarla
finché un giorno, dopo mesi d’insistenza, mio
padre acconsentì ad accompagnarmi da lei, ma con
l’unico risultato di trovare altre persone
all’indirizzo che mi aveva dato Maria.
Da quel momento non ho saputo più niente di lei fino a ieri.
Ti ho raccontato solo la verità Giada, credimi”
dissi sperando che mi credesse.
“Non sono ancora sicura che mi hai detto la
verità, la zia dopo la morte della mamma mi ha raccontato
che tu l’hai lasciata per un’altra donna e che
quando hai saputo di me hai detto che non eri mio padre, fin al quel
momento nessuna di loro mi aveva detto niente erano sempre state vaghe
su di te” disse con una punta di risentimento nella voce.
“Non è vero… te lo giuro!”
ero stupito da quello che le aveva raccontato Silvana,
perché mentirle in quel modo su di me?
“Non so cosa fare!” disse cominciando a piangere.
Davanti al pianto disperato mi sentii così impotente, era
una bambina sola e stava portando sulle sue spalle pesi che avrebbero
schiacciato una persona adulta.
Mi accovacciai davanti a lei e le presi dolcemente le mani che aveva
messo davanti agli occhi per nascondere le lacrime e gliele spostai
delicatamente affinché potesse guardarmi negli occhi.
“Giada… ho una proposta da farti,
perché non mi giudichi tu, potremmo passare del tempo
insieme così potrai capire da sola qual è la
verità. Decidi tu come vederci” speravo che
accettasse di vedermi.
“Alla mattina sono impegnata con le insegnanti, potremmo
vederci alla fine delle lezioni e poi alla sera tornerei a qui a
dormire” pronunciò lei titubante con gli occhi
gonfi di pianto.
“Sono contento che tu voglia vedermi, mi riempie di gioia e
se in futuro vorrai c’è una camera da letto che ti
aspetta se deciderai di dormire a casa mia” la
felicità nelle mie parole era incontenibile.
“…non so ancora se faccio bene a fidarmi di
te” era evidente nella sua espressione e nella sua voce il
conflitto che c’era in lei.
Decidemmo insieme, che ci saremmo rivisti più tardi alla
fine delle lezioni.
Ritornati dentro l’istituto dissi ciò che avevamo
deciso io e Giada omettendo del tutto il pericolo che avevamo corso,
perché mi sembrava già troppo preoccupata per
dirglielo.
Le lezioni finivano all’una ed io ero pronto con la macchina
vicino all’edificio, ero emozionato di poter passare del
tempo con mia figlia.
Ero ansioso di poterla a pranzo e a fare un giro per negozi e magari
farle vedere casa mia.
La vidi uscire dal cancello, in viso si leggeva chiaramente la
preoccupazione di trovarsi in quella situazione.
Mi avvicinai con la macchina e le feci segno di salire.
“Ciao, andiamo in un bel ristorante a mangiare?” le
chiesi tutto sorridente.
“Tu non sai cucinare?” mi chiese a bruciapelo.
“Si, qualcosa so cucinare… ma non bene come un
cuoco” le dissi sulla difensiva.
“Vorrei mangiare qualcosa cucinato da te” mi disse
semplicemente.
“D’accordo però non aspettarti niente di
elaborato” dissi ansioso e lei accennò un sorriso.
Arrivati nella casa, che mi ero fatto costruire con gli incassi della
vendita dei miei precedenti libri, la feci accomodare in salotto mentre
io sarei andato a preparare il pranzo e ad apparecchiare.
Feci una semplice pasta al ragù e apparecchiai allegramente.
Una volta che era pronto la chiamai, ma non ricevetti risposta, allora
andai in salotto, ma come potei constatare lei non era lì.
Cominciai a cercarla nelle varie stanze del piano terra,
però non c’era in nessuna di quelle stanze.
Incominciavo a preoccuparmi mentre salivo le scale per arrivare al
primo piano, andai dritto verso il mio studio.
La porta era aperta, entrai con circospezione e la vidi seduta a terra
che mi dava le spalle.
Vicino a lei c’erano diversi album di fotografie che
immortalavano la mia vita dall’infanzia fino
all’età adulta.
Mi avvicinai silenziosamente a lei, che stava guardando una foto di me
e Maria, che ci abbracciavamo stretti l’uno
all’altra felici del nostro amore.
Con le dita della mano accarezzava la figura di Maria.
“Ti manca?” le dissi per spezzare il silenzio.
Si voltò spaventata verso di me, stringendo
l’album verso di se.
“Scusa, non volevo spaventarti” le dissi con fare
rassicurante.
“Mi annoiavo in salotto e ho fatto un giro ed ero
curiosa…” si vedeva che aveva l’aria
colpevole.
“… e hai frugato nel mio studio per cercare
qualcosa che ti raccontasse qualcosa su di me, ho
indovinato?” le chiesi facendole l’occhiolino.
“Si, è stato più forte di me”
era imbarazzata e rossa in viso per essere stata colta in flagrante.
“Giada è pronto da mangiare, potremmo vedere e
discutere delle mie foto e della mia vita, dopo esserci rimpinzati a
dovere, d’accordo?” la mai voce era calma, volevo
che capisse che non ero arrabbiato.
“In effetti ho molta fame e sono curiosa di assaggiare la tua
cucina” si alzò e si diresse in cucina con uno
sguardo impaziente.
Mangiammo fino ad essere completamente sazi, Giada anche se era una
ragazzina minuta mangiava come un adulto e con molto gusto.
“Possiamo tornare nello studio?” chiese impaziente
dopo aver sparecchiato.
“Certo vuoi continuare a guardare le foto?” chiesi
non riuscendo a trattenere la contentezza.
“Non solo… voglio sapere anche dove sono state
scattate, mi devi dire tutto!” aveva assunto un cipiglio
quasi autoritario.
“Agli ordini!” e feci il gesto di mettermi sugli
attenti.
Ritornati nel mio studio ci sedemmo sul comodo divanetto grigio perla a
due posti, mantenendo una certa distanza fra noi: per la
prossimità non era ancora il momento.
Aprii l’album e cominciai a spiegare ogni fotografia che
vedevamo: chi c’era con me e Maria? Dove eravamo? Ma
soprattutto lei voleva conoscere aneddoti sulla nostra vita insieme.
Giada alternava espressioni gioiose a momenti di commozione a seconda
di ciò che raccontavo. Ogni volta che descrivevo il legame
che mi univa a Maria, la sentivo distante e triste.
Quasi senza che ce ne accorgessimo arrivò l’ora di
riportarla all’istituto per la cena e i compiti.
“Domani è domenica, vuoi ancora venire da
me?” le chiesi speranzoso, mentre eravamo vicino al cancello
dell’ organizzazione.
“Si… devo ancora farti un mucchio di
domande” il suo volto tradiva la sua immensa
curiosità.
“Vengo domani mattina alle dieci a prenderti”
Tornato a casa mi preparai dei panini imbottiti per mangiarli nello
studio.
Dovevo cercare di scrivere il più possibile per rispettare i
tempi previsti per la consegna del libro.
Aver parlato con mia figlia della mia vita passata e il fatto che lei
fosse interessata ad ascoltarmi mi rendeva euforico.
Ed’improvviso riuscii a capire come scrivere una delle parti
più difficili del libro, le parole venivano da sole e
incominciai a scriverle al computer, non sentivo né fame
né sonno solo lo scorrere dei pensieri, il ticchettio dei
tasti del computer e la dolce melodia della musica jazz come sottofondo
musicale.
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Capitolo 3 *** capitolo 3 ***
Il mattino dopo mi risvegliai in una strana posizione, aprendo gli
occhi mi accorsi che avevo la testa ciondolante riversa sulla spalla
sinistra e il resto del corpo era ancora disteso sulla poltrona.
Avevo finito di scrivere verso le tre di notte, ero così
soddisfatto del lavoro, che mi ero messo comodo sulla sedia e senza
accorgermene mi ero addormentato quasi all’istante.
Mi sentivo tutto indolenzito soprattutto il collo che presi a
massaggiare per cercare di lenire il dolore lancinante, allungai la
mano verso il mouse per spegnere il computer, solo in quel momento
notai l’ora erano le dieci esatte. Ebbi un momento di panico
perché ero tremendamente in ritardo: dovevo prendere Giada
all’istituto.
Senza pensarci un attimo , mi sollevai dalla sedia e corsi il
più velocemente possibile fuori di casa, cercando
d’ignorare i dolori lancinanti che ogni movimento mi
procurava, misi in moto la macchina e partii guidando come un pazzo.
Arrivai al cancello della struttura con venti minuti di ritardo,
correndo a perdifiato fino all’ingresso , una volta entrato
notai che Giada sedeva lì vicino con la testa china, facendo
dondolare le gambe piano.
“Scusami Giada… mi sono svegliato tardi”
le dissi ansimando per lo sforzo.
Lei alzò la testa e quello che vidi mi fece sentire male,
potevo sopportare il suo sguardo carico d’odio, ma non ero in
grado di sostenere il suo viso carico di delusione.
Volevo che lei mi considerasse un padre, però come potevo
pretendere che mi apprezzasse come tale se la deludevo?
Mi avvicinai lentamente a lei, che aveva di nuovo abbassato la testa e
continuava a guardarsi le scarpe da ginnastica vecchie e logore.
“Perdonami… in mia difesa posso dire che ho
lavorato fino a tardi al mio nuovo libro, ma so che non ho
scuse” le dissi accovacciandomi di fronte a lei.
“E’ più importante il libro o
me?” mi chiese con una voce sottile intrisa di tristezza
senza guardarmi.
“Giada non c’è niente che sia
più importante di te! Ho commesso un errore e ne sono
consapevole, avrei dovuto premunirmi di una sveglia, ma non
l’ho fatto e sono terribilmente dispiaciuto per averti
delusa.” Speravo che il mio tono di voce le suggerisse quanto
ero addolorato.
“Tu mi vuoi bene?” nel chiederlo alzò
gli occhi e mi fissò attentamente.
“Giada era da molti anni che non sentivo così
tanto amore per una persona. Io ti voglio bene abbiamo lo stesso sangue
nelle vene e questo ci unisce indissolubilmente. Ti prego concedimi
un’altra possibilità”
“Voglio provare a fidarmi di te, ieri sei stato tutto il
giorno con me… e mi è piaciuto. Avevi in mente
qualcosa da fare oggi, insieme?” spuntò un accenno
di sorriso sul suo volto.
“Che ne dici di una passeggiata nel parco, mentre mangiamo
due enormi gelati”
“Sì!” disse con gli occhi che le
brillavano di felicità.
Dopo aver avvisato la direttrice che Giada sarebbe venuta con me,
partimmo per il parco.
Sentivo che lei rideva sommessamente come se stesse trattenendo a
stento un attacco di risa.
“Fai ridere anche me? Ti è venuto in mente
qualcosa di divertente?” le chiesi curioso.
“E’ solo che hai un aspetto orribile”
disse in modo sarcastico, ridendo senza più controllarsi.
Mi guardai nello specchietto retrovisore e notai che, in effetti, avevo
un aspetto terrificante.
“Hai proprio ragione…” dissi con tono
sconsolato.
“Però non hai perso il tuo fascino!” e
ridemmo entrambi di cuore.
Stavamo passeggiando tranquillamente per uno dei viali del parco,
mangiando due enormi coni gelato, con non poca sorpresa avevamo
scoperto che ad entrambi piaceva il gelato al fiordilatte, questo mi
aveva dato molta soddisfazione.
“Ti piace scrivere?” disse Giada dopo aver finito
il suo gelato.
“E sempre stato una mia grande passione fin dai tempi del
liceo. Ricordo che scrivevo poesie d’amore per cercare di
conquistare tua madre, la ragazza più bella e dolce che io
abbia mai visto, dopo un centinaio di lettere accettò di
uscire con me, perché voleva vedere se quello che scrivevo
rispecchiava il mio carattere, l’unica cosa che mi
rimproverava era che stampavo queste lettere al computer, mentre lei
avrebbe preferito che le scrivessi di mio pugno, ma le dissi che mi
vergognavo della mia pessima grafia”
“E dopo quel primo incontro vi siete messi
insieme?” mi chiese eccitatissima.
“Si… scoprimmo che ci piacevano le stesse cose e
che avevamo due caratteri affini”
“Che bello!” disse raggiante.
“Lei è stata la prima a leggere la bozza del mio
primo libro, quello che venne pubblicato sette anni dopo il suo parere,
penso che se non mi avesse detto che le piaceva non l’avrei
mai finito” sorridevo a ricordare quei momenti che avevo
condiviso con Maria.
“A cosa stai lavorando adesso?” chiese curiosa.
“Al quinto e ultimo libro che chiude la storia iniziata con
quel primo libro”.
“E come si chiama la storia?”
“La magia dell’elfo”
“Ho sempre desiderato leggerlo, ma la zia non mi ha mai
voluto comprare i libri! Adesso capisco il motivo. Tu li hai tutti a
casa, me li faresti leggere? per favore” chiese tutta
emozionata.
“Prima di andare vorrei farti conoscere una persona molto
importante, visto che ieri non ha potuto salutarti come si deve, ti
va?” le chiesi titubante.
“E' la signora che ti accompagnava?” chiese
sospettosa.
“Si lei, è una mia carissima amica e prima che tua
madre si trasferisse erano inseparabili.”
“Va bene” non aveva un tono di voce molto convinto.
Il tragitto fino all’ospedale, il luogo dove la dottoressa
Mussi lavorava, non fu lungo da percorrere, intenti come eravamo ad
ascoltare la radio lasciandoci catturare dal ritmo della musica.
Addentrandoci nei corridoi bianchi dell’ospedale, arrivammo
fino al reparto in cui lavorava Noemy: il reparto di chirurgia interna.
Girammo per alcuni minuti scrutando gli interni delle stanze dei
pazienti, nella speranza di vederla, quando all’improvviso
uscì conversando con una infermiera.
“Ciao Noemy… ti abbiamo fatto una
visita” esordii allegro.
“Ciao! Come stai Giada?” le disse abbracciandola
teneramente senza considerarmi.
“Bene” le rispose un po’ infastidito dopo
che si era staccata da lei.
“Seguitemi nel mio ufficio, ho una sorpresa per
te!” sprizzava gioia da tutti i pori e ci precedette.
“Giada… è il suo modo di fare,
comprendila: ti vuole bene anche lei” le dissi, notando che
non era contenta dell’esuberanza di Noemy.
“E’ solo che non me l’aspettavo di essere
abbracciata così all’improvviso, non ci conosciamo
neanche.”
“Imparerai ad apprezzarla, credimi” dissi con un
tono rassegnato ed entrambi sospirammo.
Una volta entrati nel suo ufficio ci accomodammo sulle sedie vicino
alla scrivania, mentre lei andava all’angolo opposto alla
stanza.
Giada ed io ci scambiammo occhiate sospettose come a dire
“cosa avrà in mente?”.
Quando si girò verso di noi aveva in mano alcune buste
colorate, con sopra impresso dei marchi e conoscendo la sua attitudine
allo shopping, capii subito cosa conteneva.
“Allora Giada, dimmi cosa ne pensi di questo vestitino blu
elettrico? Spero sia di tuo gradimento, non conosco ancora i tuoi
gusti, ma questo mi sembra bellissimo” disse eccitatissima,
sorridendo come una bambina a cui hanno fatto un meraviglioso regalo.
“Mi hai comprato un vestito?” chiese Giada
sbalordita.
“Non uno… ma tre vestiti assolutamente adorabili,
un paio di scarpe, qualcosa di intimo e… un pigiama di Hello
Kitty che chiedeva di essere comprato!” quando Noemy parlava
di vestiti e di shopping si trasformava in un'altra persona.
“Perché mi avresti comprato dei
vestiti?” Giada era sospettosa.
“Non sapevo che regalo farti, non conosco ancora i tuoi
gusti. Quindi ho optato per i vestiti, perché ti andranno
divinamente” era su di giri.
“Intendevo dire perché mi hai fatto dei regali?
Noi non ci conosciamo” disse Giada sempre più
guardinga nei suoi confronti.
“Io e tua madre ci siamo conosciute all’asilo e da
quel momento non ci siamo più separate, finché
non è andata via. Eravamo come sorelle, legate
l’una all’altra in modo inscindibile e per me fu un
trauma ricevere una lettera simile a quella di Alberto nella quale
erano scritte cose assolutamente offensive nei miei riguardi. Non ti
nascondo che per un po’ l’ho odiata con tutta me
stessa perché la delusione è stata enorme,
però quando ho saputo della tua esistenza, ho capito che
c’è qualcosa che non va in tutta questa storia e
mi sono già attivata per capire cosa sia successo.
L’amicizia che mi lega anche ad Alberto, giustifica i miei
regali nei tuoi confronti ed inoltre ogni scusa per me è
valida per fare shopping” disse Noemy passando dal serio
della prima parte alla gioia del finale.
Giada rimase in silenzio, sembrava che stesse riflettendo su qualcosa
di molto importante.
“Grazie” fu tutto quello che uscì dalle
sue labbra in un soffio.
“Prego tesoro” le disse aprendosi in un sorriso
sincero.
“Vieni a pranzo con noi, Noemy?” le chiesi
all’improvviso.
“Il mio turno è finito dieci minuti fa,
perciò accetto volentieri. Mi cambio e arrivo,
perché non mi aspettate all’uscita?”
disse allegra.
Uscendo fino al parcheggio, osservavo Giada che era pensierosa, quando
arrivammo alla macchina le domandai:
“Che ne pensi di Noemy?”
“Mi sembra una persona buona, un po’
strana…”
“E’ vero è un po’ eccentrica,
ma come amica è insuperabile”
“Con Noemy cambia la nostra giornata?” chiese un
po’ delusa.
“Giada stai tranquilla… ti ho promesso che
leggerai e ti assicuro che potrai farlo, ti chiedo solo di non essere
prevenuta nei suoi confronti, lasciala entrare nella tua vita, ti
porterà solo gioie e amore.”
“Vedrò, ma sarà lei a dovermi
convincere” disse sogghignando.
“Allora posso stare tranquillo, ti conquisterà
sicuramente con la sua frizzante vitalità”
Verso le quattro rincasammo, dopo esserci rifocillati abbondantemente
in un ristorante che ero solito frequentare quando la voglia di
cucinare era minima. Il menu era semplice ma curato nei dettagli ed il
servizio ottimo
Sia Giada che Noemy avevano apprezzato moltissimo ogni portata che ci
avevano portato. Non riuscivo a capacitarmi come facessero due persone
con un fisico asciutto come il loro a mangiare in modo abbondante senza
ingrassare, visto che io mi gonfiavo anche solo con un panino.
Giada si diresse immediatamente nel mio studio dove c’era
anche la mia biblioteca.
La seguii lentamente per darle il tempo di cercare i libri che voleva
da sola, mi faceva piacere che si muovesse per casa per conto suo.
Speravo che considerasse questa la sua casa.
Arrivato sulla soglia della stanza la vidi sdraiata sul divanetto,
immersa nella lettura e mi ritrovai a sorridere per la gioia di vederla
così entusiasta.
Andai a sedermi al computer e, aspettando che si avviasse, ripresi in
mano gli appunti e la penna e cominciai a correggerli.
Eravamo così intenti nelle nostre attività da non
accorgerci del tempo che passava. A interrompere questa sorta
d’incantesimo fu lo squillo del telefono, che mi fece
sobbalzare e subito dopo lo presi in mano per rispondere.
“Pronto”
“Signor Lombardo, dov’è
Giada?” disse la voce della direttrice agitata.
“E' a casa mia che sta leggendo un libro” dissi
semplicemente.
“Si rende conto che la bambina avrebbe dovuto essere da noi
almeno mezz’ora fa?” disse accigliata.
Guardai istintivamente l’orologio del computer e non potei
far altro che constatare che la direttrice aveva pienamente ragione.
“Mi deve scusare… il tempo ci è
volato”
“Chi è?” chiese Giada sottovoce.
“La direttrice, dovresti essere
all’istituto” dissi sommessamente, coprendo con la
mano il ricevitore.
“Non posso restare qui?” chiese con una leggera
nota di supplica nella voce.
“Chiedo” ero al settimo cielo.
“Mi scusi signora Tommasi, Giada potrebbe dormire
qui”
“La bambina è d’accordo?”
domandò sospettosa.
Passai il telefono a Giada perché fosse lei a confermare la
sua decisione.
“Signora Tommasi se non è un problema mi fermerei
alcuni giorni qui” disse cercando di risultare convincente.
“Sei sicura Giada?” Giada aveva azionato la
funzione vivavoce, in modo tale che anch’io potessi ascoltare.
“Si, mi sto divertendo troppo”
“Va bene cara, divertiti. Passami tuo padre, per
favore”
“Mi dica”
“Come concordato sarà la bambina a decidere dove
stare, la prego di prestarle attenzione”
“Sarà fatto. Buona sera”
“Buona sera”
Al termine della telefonata scendemmo in cucina per mangiare, visto che
tutti e due ci eravamo resi conto di avere fame.
Mentre io cucinavo dei petti di pollo con purè, Giada
apparecchiava la tavola. La tv era accesa come sottofondo
perché nessuno dei due era veramente interessato ad essa,
serviva solo a farci compagnia.
Dopo aver mangiato di gusto e una volta messo tutto a posto, feci
vedere a Giada la sua camera.
“So che non è un granché, ma possiamo
sistemarla secondo i tuoi gusti” dissi sulla difensiva.
“Questa camera è più grande di quella
che avevo a casa della zia e c’è anche la
tv!”
“Ti piace?” chiesi speranzoso.
“Si… manca solo qualche poster, un po’
di libri e un copriletto che non sia di color marrone, a quel punto
sarebbe perfetta” disse entusiasta.
“Possiamo risolvere tutto questo domani, andremo a fare
compere noi due, ti va?”
“Siiiiiiiiii, evviva!”
“Hai un PC?” le chiesi serio.
“No, non ho mai avuto un computer, la mamma mi diceva che
costava troppo” un velo di malinconia gli scese sul viso.
“Che ne dici se compriamo anche quello,
conosco…”
“Perché comprare un computer, costa troppo! I
regali costosi bisogna meritarli, anche questo mi diceva sempre la
mamma” ero serissima in quel momento.
“Sono d’accordo con lei. Facciamo
così… considera il computer come un pagamento
anticipato della recensione che ti chiederò per il mio
ultimo libro, prima ancora di farlo vedere all’editore. Che
ne pensi?” gli chiesi serio.
“Sarò la prima a leggerlo?” chiese
emozionata.
“Si, ti piace l’idea di dirmi cosa ne pensi? Ho
sempre bisogno di qualcuno che giudichi il mio lavoro.”
“Per me sarà un piacere pa…”
colma di gioia s’interruppe d’improvviso, sapevo
che stava per pronunciare la parola
“papà”, ma era ancora bloccata.
“…voglio dire non c’è bisogno
di regalarmi un computer per questo” disse cercando di
riprendersi, comunque potevo notare che l’idea del regalo non
le dispiaceva.
“E' giusto premiarti con un premio, perché per me
la tua opinione è molto importante, sono sicura che sarei
obbiettiva”
“Allora va bene, affare fatto!” disse sorridendo e
saltellando sul posto.
“Bene ora che abbiamo concordato tutto, sarà
meglio che ti lavi e vai a letto” era da un po’ che
volevo provare a dirglielo, per vedere l’effetto che faceva
poter dire qualcosa che di solito dice un genitore.
“Oh no!” smise d’improvviso di saltare
sul posto e la sua fronte si corrugò.
“Che succede?” chiesi stupito.
“I miei vestiti sono all’istituto, come faccio a
cambiarmi?” chiese sconsolata.
“Puoi mettere i regali di Noemy” dissi serafico.
“Devo mettere il pigiama di Hello Kitty?” chiese
disperata.
“Solo per questa sera, domani recuperiamo i tuoi vestiti e
possiamo comprarne di altri.
“Non dirai a nessuno che l’ho indossato,
vero?” con una nota di supplica nella voce.
“Tranquilla, questo rimarrà un segreto tra noi
due” le disse facendole l’occhiolino.
Silenziosamente andò in bagno con i regali di Noemy e nel
frattempo cambiai le lenzuola e le preparai il letto.
Al suo ritorno indossava il pigiama, guardandolo con orrore e in mano
aveva il libro che stava leggendo dal pomeriggio.
“Non fare tardi, mi raccomando” sforzandomi di
essere autoritario.
“Solo qualche capitolo” dall’aria che
aveva assunto non sembrava essersi accorta del mio tono.
“Lo spero” ritornai al mio solito tono sperando
avesse più effetto.
“Volevo sapere se ti da fastidio se non ti chiamo con la
parola che inizia per P” chiese titubante.
“Giada quando vorrai chiamarmi così
sarò al settimo cielo, ma devi essere convinta di chiamarmi
in quel modo, saprò aspettare, nel frattempo chiamami
Berto” dissi serafico.
“Grazie, buonanotte… Berto” e rise di
gusto.
Passai la serata a scrivere, adesso avevo un’altra
motivazione che mi spingeva a terminare il libro che doveva essere
perfetto, perché lei sarebbe stata la prima a leggerlo, ci
tenevo troppo a fare bella figura.
Era quasi mezzanotte quando decisi di andare a riposare nella mia
stanza, però prima decisi di passare da quella di Giada per
vedere se dormiva.
Entrando trovai l’abat-jour accesa, lei era profondamente
addormentata e coperta solo per metà dal piumone in una
posizione assolutamente innaturale, accanto a lei c’era il
libro chiuso con dentro un dito a mo’ di segnalibro.
Prima di tutto presi il libro, misi il vero segnalibro e lo deposi sul
comodino, cercai con molta delicatezza di farle assumere una posizione
un po’ più naturale, presi il piumone e la coprii
interamente cercando di non svegliarla.
Rimasi un momento a osservarla mentre dormiva, era bellissima, dolce e
innocente. Sapevo ormai che non potevo più fare a me no di
lei, era entrata nella mia vita per non uscirne più.
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Capitolo 4 *** capitolo 4 ***
Erano passati tre mesi ormai da quando mia
figlia si era stabilita definitivamente a casa mia e il
legame che mi univa a Giada si era rafforzato.
Attraverso il padre di Noemy, che era il mio avvocato, feci inoltrare
la richiesta di affidamento, non
avrei permesso a Silvana di portarmela via.
Secondo lui c’erano tutte le possibilità che
qualsiasi giudice mi affidasse la bambina. Silvana era in
carcere, probabilmente non avrebbe trovato subito un lavoro in tempo
breve, mentre io ero il padre
e potevo darle tutto quello di cui aveva bisogno.
A crescere Giada insieme a me c’era anche Noemy che
continuava a viziarla in ogni modo. Dal
canto suo, Giada accettava i regali, ma solo una volta ogni tanto,
perché a mio avviso più delle cose
materiali cercava di avere un rapporto amichevole con lei e Noemy era
speciale anche in questo,
sapevo che sarebbero diventate ottime amiche.
Dovevo riconoscere che Maria aveva fatto un ottimo lavoro con nostra
figlia, speravo solo di
riuscire a proseguire sulla linea che lei aveva tracciato.
In quel momento mi trovavo nel mio studio a scrivere, ormai mi mancava
poco per finire ero sicuro
che in una settimana avrei terminato il romanzo, quando improvvisamente
mi sentii chiamare.
“Berto… noi andiamo” disse Giada
affacciandosi alla porta dello studio.
“E dove andate?” chiesi curioso.
“A fare shopping, chiaro” rispose Noemy che era
dietro a Giada.
“Ancora! Ci siete state la settimana scorsa”
sbottai stupito.
“Sono riuscita a convertirla ad Hello Kitty e quindi devo
approfittare subito della situazione” disse
Noemy con un aria di trionfo in volto.
“E vero?” chiesi esterrefatto a Giada.
“Noemy sa essere molto convincente quando vuole”
disse con un sorriso furbo dipinto sul viso.
“Mi arrendo! Ci vediamo dopo, devo correggere alcune cose ne
capitolo”
“Bravo Berto scrivi, sono troppo impaziente di
leggere” gli brillavano gli occhi mentre lo diceva.
“Va bene tesoro, tu divertiti” dissi sorridendo.
Erano passate tre ore da quando erano uscite e cominciavo a
preoccuparmi, ma all’improvviso
suonò il campanello.
Mi avviai verso l’ingresso tutto contento di rivederle.
Aprii la porta e il sorriso si spense dal mio volto davanti a me
c’era l’ultima persona che avrei
voluto vedere, anche se erano passati più di dodici anni dal
nostro ultimo incontro, non potevo non
riconoscere quegli occhi neri come il carbone che mi guardavano
sprezzanti.
“Cosa vuoi Silvana? Non sei la benvenuta qui!”
“Voglio solo mia nipote, la direttrice mi ha detto che stava
a casa tua” la sua voce era ancora più
roca di quel che ricordavo.
“Non è qui è fuori, ti credevo in
prigione!” dissi stupito.
“Come puoi vedere mi hanno scarcerato, fatti da
parte!” e marciando sicura entrò dalla porta
obbligandomi a spostarmi
“Giada dove sei?” chiamò a gran voce
aggirandosi per la casa.
“Ti ho detto che non c’è…
fuori da casa mia!” stavo cominciando a infuriarmi.
“Me ne andrò solo con mia nipote” disse
mentre stava salendo le scale.
La seguii immediatamente, in me stava emergendo tutto l’odio
che provavo per lei, avrei voluto
prenderla in malo modo e cacciarla da casa mia, ma volevo anche sapere
perché aveva raccontato
quelle bugie a Giada.
Era entrata nel mio studio e si aggirava guardinga e quando mi
sentì arrivare alzò lo sguardo su di
me.
“Dov’è Giulia?” disse urlando.
“Mia figlia sta bene, è in giro con
Noemy” le dissi con aria di sfida.
“Adesso la chiami mia
figlia noto che hai fatto presto ad abituarti alla sua
presenza, ma non sei
capace di occuparti di una bambina se la lasci nelle mani di una
sciocca!” disse sarcastica.
“Di Noemy mi fido ciecamente, non è più
la ragazzina viziata che conoscevi tu, è cambiata, il fatto
che Maria se ne sia andata l’ha fatta maturare molto. Adesso
è una stimata dottoressa, è mia amica.
Non ti permetterò di portarmi via Giada” dissi
deciso.
“Giada verrà via con me, sono sua zia
l’ho cresciuta e non intendo rinunciare a lei”
“Nemmeno io rinuncerò a lei, ho già
fatto richiesta di affidamento, dopo tutto sono il padre”
dissi
guardandola dritta negli occhi.
“Per un tagico sbaglio, avevo detto a Maria che tu non eri la
persona giusta, lei poteva avere di
meglio, ma quella stupida non riusciva a smettere di leggere le tue
lettere cosa ci trovava non lo so.
Per un periodo mi aveva dato retta, ma tu continuavi a mandarle lettere
e alla fine ha ceduto”
“Tu non volevi che mi frequentasse?” chiesi
sconvolto.
“Certo… c’erano ragazzi più
in gamba e più belli di te e anche più
ricchi”
“E' per questo che vi siete trasferite, per allontanarla da
me” dissi in tono accusatorio.
“Dopo la morte dei nostri genitori mi era rimasta solo lei,
perciò avevo deciso che dovevamo
trasferirci. Ero convinta che la lontananza le avrebbe fatto
dimenticare quella ridicola infatuazione
che aveva per te. Ma le cose non andarono come avevo previsto,
poiché si accorse di essere incinta.
Per questo avevo dovuto agire in fretta è stato semplice
farle trovare una lettera scritta al computer
che riportava te come mittente, voleva chiamarti ma usando il mio
ascendente su di lei, l’avevo
convinta che doveva pensare alla creatura che portava dentro di se e
così ha scelto il bambino
invece di te” aveva un sorriso di compiacimento in volto.
“Tu sei un mostro! Immagino che la lettera che ho ricevuto
l’abbia scritta tu!” dissi puntandole
contro un dito.
“Non ci voleva molto a capirlo e sono anche riuscita ad
evitare che ricevesse le tue lettere, infatti ho
raccontato al postino che la perseguitavi e che le lettere doveva darle
solo a me”
“Tu mi hai impedito di vivere con l’unica persona
che io abbia mai amato, di vedere la nascita di
mia figlia, di vederla mentre cresceva, starle vicino nei momenti di
gioia e in quelli tristi, ma
soprattutto poterla sentire chiamarmi papà, tutto questo
l’hai fatto per egoismo” le ultime parole le
dissi gridando.
“Dici che sono stata egoista? Avevo solo cercato di tenere
insieme la mia famiglia, tu saresti
scappato a gambe levate appena ti avesse detto che era incinta e non
doveva soffrire ancora, aveva
già patito troppo la scomparsa dei nostri genitori. In
questo modo ha sofferto un po’ all’inizio, ma
poi si è ripresa, se invece la lasciavo a te avrebbe
condotto un vita infelice”
“Tu non ti sei mai sforzata di capire com’ero, ti
sei basata solo sull’apparenza. Avrei fatto di tutto
per Maria e Giada anche rinunciare a scrivere, non puoi neanche
immaginare com’è stata fredda la
mia vita senza qualcuno che mi scaldasse l’anima e mi facesse
sentire vivo.
L’amicizia stretta con Noemy mi ha aiutato molto in questi
anni, ma da quando Giada è entrata nella
mia vita sono tornato finalmente a provare un profondo affetto per
qualcuno” dissi iniziando con un
tono di voce alterato per finire con uno malinconico.
“Tu ti stai illudendo se pensi che Giada
ricambierà questo affetto, le ho spiegato il motivo per il
quale non ha mai avuto un padre, quindi dubito che ti
vorrà” disse ghignando.
“Non è vero!” disse una voce rotta dal
pianto vicino alla porta.
“Giada…” ma non seppi proseguire oltre
con le parole che mi si bloccarono in gola.
“Andiamo fuori di qui, Giada” le disse con
noncuranza.
“Io con te non ci vengo! La mamma era infelice a causa tua,
non sua” disse puntandoci il dito a
turno per indicarci.
“Non dire sciocchezze, ora tu verrai con me” disse
in modo perentorio.
“No!” rispose ostinata, ritraendosi dalla porta.
Insieme a lei c’era Noemy che non avevo notato subito,
evidentemente avevano trovato la porta
aperta ed erano saliti fin lì attirate dalle urla, mi
chiedevo da quanto stessero ad ascoltare.
Silvana cominciò a marciare verso Giada a passo deciso, ma
lei continuava a indietreggiare
guardandola con risentimento.
Mi mossi anch’io per impedire a Silvana di farle del male,
lei non doveva neanche pensare di
poterlo farle, ma era riuscita ad afferrarla per un braccio, Giada
tentava di divincolarsi con tutte le
sue forze.
“Lasciala!” dissi deciso.
Silvana cercava di trascinare Giada verso le scale, solo allora lei
riuscì a liberarsi dalla sua presa,
ma la forza che aveva dovuto usare, le fece perdere
l’equilibrio e mise un
piede in fallo sul primo gradino della scala cominciando a rotolare
giù in modo scomposto.
Gridai con tutto il fiato il suo nome e mi precipitai giù
per le scale per vedere come stava.
“Non toccarla” mi gridò Noemy allarmata.
Scese le scale in fretta, si avvicinò a Giada e con mani
esperte cominciò a valutare la situazione.
“Chiama un ambulanza, sbrigati!” mi disse in modo
concitato.
Presi immediatamente il telefono di casa e composi il numero con dita
tremanti.
All’operatore descrissi l’accaduto e diedi
l’indirizzo, gli dissi inoltre che un medico stava prestando
i primi soccorsi alla bambina da cui stava uscendo sangue dalla testa,
a quella scena per poco non
svenni.
Era da circa tre ore che aspettavo seduto in sala d’attesa la
fine dell’intervento alla testa di Giada.
Noemy mi aveva rassicurato sulle doti del neuro-chirurgo che la stava
operando.
L’ansia e il dolore mi tormentavano l’animo,
rivedevo costantemente la sua caduta e continuavo a
chiedermi se avessi potuto fare qualcosa per impedire tutto questo.
Le porte della sala operatoria si aprirono e ne uscirono Noemy con il
medico che presumevo avesse
operato mia figlia, avanzavano piano parlottando fra di loro, mi alzai
in piedi per raggiungerli.
“Come sta?” chiesi apprensivo.
“Berto, l’intervento è perfettamente
riuscito. Si tratta di aspettare che si risvegli” disse con un
sorriso tirato.
“Signor Lombardo, non sappiamo quando la bambina si
risveglierà, solo allora potremo giudicare
le sue reali condizioni. Quindi non ci resta che aspettare, noi abbiamo
fatto tutto il possibile,
arrivederci” disse in tono professionale.
“Arrivederci” gli dissi mentre gli stringevo la
mano.
“Noemy… dimmi la verità, per
favore” era quasi una supplica.
“Berto calmati, come ha già detto il collega
dobbiamo aspettare, perciò vai a casa e riposati”
mi
disse comprensiva.
“Non posso lasciarla qui da sola” dissi deciso.
“Devi finire il romanzo”
“Chi se ne importa! Non voglio che si svegli mentre io non ci
sono” dissi brusco.
“Adesso mi ascolti molto attentamente e farai esattamente
quello che ti dirò” disse con un cipiglio
deciso, “Andrai a casa prenderai alcuni vestiti, la valigetta
con il computer e poi tornerai qui e
finirai il romanzo, mentre tu farai queste cose, io ti farò
trovare un letto in più e una piccola
scrivania nella stanza che ho fatto assegnare a Giada” mi
disse con un tono che non ammetteva
repliche.
“Tu puoi fare questo?” chiesi incredulo.
“Io posso fare questo ed altro se è per una buona
causa e adesso fila!” disse perentoria.
“Ma Giada…” provai a protestare.
“Finché non torni ci starò io, e se
chiederà come mai il suo papà non
c’è, le spiegherò tutto…
quindi
non hai più scuse”
“Grazie” le dissi commosso dandole un bacio sulla
guancia.
“Lo faccio solo per quell’angioletto, so che ci
tiene troppo a leggere il libro” disse con gli occhi
lucidi, ero tremendamente fortunato ad averla come amica.
Erano tre giorni che stavo in ospedale nella stessa stanza di Giada.
Lei era distesa sul letto con gli
occhi chiusi con il tubicino della flebo attaccato al braccio per
nutrirla e con la testa fasciata da
bende.
Era diventata una lotta contro il tempo la mia, mi ero dato come
obbiettivo da raggiungere quello di
finire il romanzo prima che Giada si risvegliasse, perché
lei si sarebbe ridestata ormai avevo fatto
mia questa certezza.
Verso le due di pomeriggio arrivò Noemy, dopo un giorno di
assenza e mi chiese di uscire un
momento dalla stanza, perché dovevamo parlare.
Appena uscii intravidi la sagoma a capo chino di Silvana e stavo per
urlare, quando Noemy mi
prese la mano e mi disse “Berto rilassati, dobbiamo parlare
di una questione importante perciò
andiamo nel mio ufficio”.
Ero restio a lasciare Giada, ma qualcosa nella voce e
nell’espressione di lei m’indusse a seguirla
senza obbiettare.
Eravamo seduti intorno alla sua scrivania, mi era difficile guardare
Silvana perciò la ignoravo,
anche se sapevo che aveva gli occhi puntati su di me.
“Berto, ieri insieme a mio padre abbiamo parlato con Silvana
dell’affidamento di Giada e abbiamo
raggiunto un accordo” disse seria.
“Vi siete messi d’accordo senza dirmi
niente?” la voce mi si alzo senza volerlo.
“Calmati… abbiamo concordato che la bambina sia
affidata a te, ma dovrai consentire a Silvana di
vederla ogni tanto” disse paziente.
“Non se ne parla…” cominciai a dire in
modo furente.
“Ragiona, non puoi escluderla dalla vita di Giada,
anch’io ce l’ho con lei e abbiamo discusso a
lungo ieri, ma qui si tratta di decidere cosa è meglio per
la bambina, lasciando perdere il passato,
perché quello non possiamo cambiarlo, ma guardare a un
futuro dove Giada possa vivere serena”
davanti a me non c’era più la ragazzina viziata
che avevo conosciuto tanto tempo fa, ma una donna
adulta che era diventata molto saggia.
“Sarà Giada a decidere, la ritengo una bambina
intelligente, e io mi fido del suo giudizio, siete
d’accordo?” chiesi ingoiando l’orgoglio.
“Alberto… vorrei che tu capissi quanto tengo a
Giada, è l’unica cosa bella che mi è
rimasta, ti prego
non fare il mio stesso errore” per la prima volta mi voltai a
guardarla dritta negli
occhi e il suo sguardo non poteva essere più diverso da
quello in cui si era presentata a casa mia, in
quel momento esprimeva solo dolore e pentimento, l’incidente
subito da Giada evidentemente
aveva sortito quel cambiamento nel suo comportamento.
“Silvana non posso perdonarti per ciò che hai
fatto o per lo meno non subito, ma io non cercherò
mai di mettere Giada contro di te, anche se non l’accetto, tu
fai parte della famiglia e lei ha bisogno
anche di te” la situazione non mi piaceva, ma per mia figlia
ero disposto anche a questo sacrificio.
“Grazie… per me è difficile lasciarla,
ma ho visto che ha scelto te, non voglio frappormi tra voi, ho
già sbagliato una volta e solo adesso capisco che ho fatto
vivere a mia sorella una vita a metà, a
Giada non deve succedere” avevo quasi la certezza che avesse
parlato con sincerità e per il
momento mi bastava.
“Bene ora che ci siamo chiariti, possiamo andare da
Giada” disse Noemy sorridendo.
“Aspettate… penso che queste vi possano
interessare” disse Silvana prendendo dalla borsa un porta
fotografie.
Presi in mano le fotografie e cominciai insieme a Noemy a guardarle. Le
lacrime cominciarono a
scorrere senza possibilità di fermarle, in quelle immagini
potevo vedere tutta la crescita di Giada
c’erano foto di quando era una neonata con pochi capelli neri
in testa, fino ad arrivare ai giorni
nostri, erano comprese le feste di compleanno, le giornate al mare, le
gite nei boschi e in tutte c’era
il suo sorriso accecante.
Quando ebbi finito, vidi che anche Noemy era visibilmente commossa, mi
ero girato per restituire le
foto quando mi accorsi che Silvana era sparita.
Mi alzai e andai, insieme a Noemy nella stanza di Giada e trovammo
Silvana accanto a lei intenta a
tenerle la mano.
“Adesso me ne vado, vi chiedo solo di avvisarmi quando si
riprende” disse con gli occhi lucidi.
Noemy annuì con la testa e Silvana che si stava dirigendo
verso la porta.
“Grazie per avermi fatto vedere le foto” dissi
restituendole il porta fotografie.
“Tenetele, queste sono per voi” disse serafica e
uscì dalla stanza.
Era passata una settimana dall’incidente e in Giada non
c’era stato nessun miglioramento, questo
cominciava seriamente a minare le mie certezze, temevo di non poter
più
vedere sorridere mia figlia.
Quando scrissi l’ultima parola del libro andai alla prima
pagina e scrissi la dedica, poi salvai tutto
sulla penna usb. Noemy mi aveva detto che avrei potuto stamparlo con la
stampante del suo ufficio
per farlo leggere a Giada.
Quando spensi il computer erano le tre di notte e decisi di sedermi
accanto al suo letto. Le presi la
mano delicatamente e cominciai a massaggiarle il dorso con il pollice,
speravo che prima o poi
riuscisse di nuovo a stringerla attorno alla mia. Appoggiai la testa al
letto perché ero stanco, avrei
potuto andare nel letto affianco, ma non riuscivo a staccarmi da lei.
“Giada… il libro aspetta solo la tua
recensione” dissi sottovoce e gli occhi mi si chiusero senza
volerlo.
Ero in fase di dormiveglia quando sentii che qualcuno mi stava
accarezzando i capelli e il viso,
probabilmente era Noemy pensai d’istinto.
“Papà… sei sveglio?” mi disse
una voce dolcissima.
Aprii subito gli occhi ancora carichi di sonno e in quella nebbia
intravidi il volto sorridente di Giada
che mi guardava con tenerezza.
“Sei sveglia!” dissi con la voce ancora un
po’ roca.
“Anche tu, adesso” disse ridendo piano.
“Stai bene?” chiesi preoccupato.
“Sto bene papà” disse raggiante.
“Mi hai chiamato papà!” dissi emozionato.
“Si tu sei il mio papà! Avrei dovuto chiamarti
prima così” e sul suo viso si disegnò
un aria
colpevole.
“Non importa… avevi bisogno di tempo, non ti
preoccupare avevi le tue ragioni” dissi
comprensivo.
“Non ti ho raccontato tutto, era da un po’ che
volevo parlartene” disse triste.
“Dimmi tutto senza problemi” dissi comprensivo.
“Quando mi hai fatto leggere la lettera avevo intuito che
l’aveva scritta la zia, lei e la mamma hanno
la stessa grafia, ma la zia e maniacale nel mettere i puntini sulle i,
mentre la mamma non li metteva
mai. Ma non riuscivo a fidarmi di te, poteva essere un trucco,
così ho pensato che se venivo a casa
tua e trovavo un'altra donna o delle foto di lei, potevo smascherarti e
invece ho trovato solo
fotografie di te e la mamma felici e quando parlavi di lei si vedeva
che le volevi bene, lì ho
cominciato ad avere dei dubbi, tu sei troppo fantastico per abbandonare
la mamma sola e incinta”
Mi alzai, anche se avevo i muscoli che urlavano dal dolore e
l’abbracciai teneramente, facendo
attenzione alla fasciatura alla testa, con lei che mi stringeva forte.
“Non sapevo di avere una figlia così attenta ai
dettagli” dissi scherzando.
“Diciamo che sono brava a coglierli” disse ridendo.
“Papà, secondo te perché ci siamo
trovati subito in sintonia dopo che ci siamo parlati?” mi
chiese
curiosa.
“Giada penso sia stato l’amore, ho sempre pensato
ad esso come a un tipo di magia, capace di
incantarti e ha gettato su di noi un potente incantesimo appena ci
siamo parlati, perché tutti i tipi
d’amore riescono a vincere qualsiasi tipo di
ostacolo” dissi baciandole la fronte.
“Nella stanza entrò anche Noemy che esplose dalla
gioia e si unì al mostro abbraccio.
“Berto potresti andare fuori un attimo? Vorrei visitare
questa bellissima bambolina” disse gioiosa.
“Va bene, andrò nel tuo
ufficio…” e strizzai l’occhio.
“Vai pure, fa come se fosse tuo” strizzando
l’occhio di rimando.
Giada aveva lo sguardo incuriosito, ma non fece domande probabilmente
aveva già intuito
qualcosa.
Dopo mezz’ora tornai con un fascio di fogli pronti per essere
letti. Speravo sinceramente in un
recensione positiva, ma non potevo esserne sicuro poiché
l’avevo scritto in circostanze particolari.
Appena entrai vidi che Giada stava parlando al telefono, dagli spezzoni
di conversazione intuii che
stava parlando con Silvana.
Mi avvicinai a Noemy che mi disse che a una prima visita la bambina era
perfettamente in sé e che
non aveva riportato danni, ma per sicurezza le avrebbero fatto una TAC.
Quando finì la conversazione telefonica ridiede il cellulare
a Noemy che a sua volta uscì dandole
un bacio sulla guancia.
“Che ne pensi dell’accordo, Giada?”
chiesi con un certo timore.
“Lo trovo giusto, la zia mi ha detto che ha commesso tanti
sbagli, ma che mi vuole bene, quindi
devo andare anche da lei, tu che ne pensi?”
“Giada quello che tu decidi, per me va bene,
perciò ogni tanto ti accompagnerò da
lei”.
“So che ti ha fatto soffrire, ma lei mi ha cresciuto insieme
alla mamma, non posso abbandonarla”
disse comprensiva.
“Lo capisco e non mi opporrò… questo
è per te, leggilo quando ti sentirai in grado”
dissi tranquillo.
“Lo sapevo che l’avevi finito”
urlò di gioia strappandomi le pagine di mano.
“Papà, io qui sto bene al momento,
perciò perché non vai a casa e dormi un
po’? te lo sei meritato”
disse sorridendo.
“Sicura?”
“Certo.. vai! È un ordine, ci vediamo
domani” disse indicandomi la porta con la mano ridendo.
Andai a casa con il sorriso sulle labbra, riuscii finalmente a fare una
doccia come si deve, la barba e
dormire serenamente.
L’indomani arrivai all’ospedale al mattino, ed
entrai nella sua stanza silenziosa, forse dormiva,
invece la trovai intenta a leggere, mi sedetti sulla sedia senza far
rumore per non disturbarla, visto
che non si era accorta della mia presenza.
Quando posò anche l’ultima pagina vidi che aveva
gli occhi arrossati per il pianto.
“Papà… è
bellissima!” disse appena mi vide con voce emozionata.
“Pensi che piacerà
all’editore?”
“Se dice che non gli piace lo strozzo!” disse
combattiva.
“Ti è piaciuta la dedica?” chiesi
speranzoso.
“A Giada il mio gioiello più prezioso”
citò alla lettera “Come pensi che non mi sarebbe
piaciuto?
Fidati di me, il libro sarà un successo” disse
alzandosi dal letto per venire tra le mie braccia che
l’accolsero teneramente.
Infatti quando il libro uscì nelle librerie andò
a ruba, perfino le recensioni furono positive, ma
l’unica che a me interessava l’avevo incorniciata,
perché era della persona che aveva reso possibile
questo libro.
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