A kind of magic

di micht82
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


La pagina bianca del monitor continuava a rimanere tale, senza che io potessi fare qualcosa per riempirla, anche solo di parole senza senso. Il racconto che avevo in mente e che avrebbe concluso la storia dell’ elfo, rimaneva a vagare tra i miei pensieri senza riuscire a venir fuori da essi.
Un suono squillante interruppe quel momento di stasi. Ringraziai mentalmente chiunque avesse deciso di chiamarmi al telefono di casa, perché mi aveva dato la scusa per distrarmi dalla mia mancanza d’ispirazione.
“Pronto”
“Buongiorno parlo con il signore Alberto Lombardo?”
“Si, sono io”
“Sono la direttrice dell’istituto Don Bosco per giovani senza famiglia, avrei bisogno d’incontrarla al più presto per discutere di una questione che la riguarda da vicino”
“Domani va bene?”
“Certo, l’aspetto domani mattina alle nove, arrivederci”
Incominciai a pensare al motivo per cui un istituto per orfani volesse vedermi, probabilmente volevano organizzare un incontro con i ragazzi, ma la storia non mi convinceva e continuava a tornarmi in mente, a fasi alterne, durante la rilettura dei miei appunti, disseminati su tutta la scrivania.
Vedendo la data sul calendario fui preso quasi dal panico, visto che il termine per la consegna del romanzo era sempre più vicina. Non più tardi di qualche giorno prima, il mio editore mi aveva chiamato per farmi pressione, visto che ero la fonte più remunerativa per loro.
L’indomani mattina, dopo aver indossato abiti informali, mi recai all’istituto, anche se la ritenevo una seccatura non me la sentivo di ignorare un impegno preso, la mia speranza era che fosse una cosa breve e che non comportasse perdita di tempo, visto il momento delicato.
L’edificio dell’organizzazione per i giovani era grande e talmente vecchio, che avrebbe avuto bisogno di un restauro . Aveva un ampio giardino con un viale in mezzo che portava direttamente all’ingresso della struttura circondata da grandi mura.
Entrando dal portone principale chiesi ad una signorina vestita in modo sobrio e dai tratti gentili se poteva indicarmi l’ufficio della direttrice.
Molto cordialmente mi indicò il percorso per raggiungerlo, una volta ringraziata, mi misi in marcia per trovarlo.
Dopo alcune rampe di scale, e dopo essermi perso almeno due volte, riuscii finalmente a raggiungere la mia meta e bussare alla porta.
“Avanti”
“Buongiorno sono Alberto Lombardo, ci siamo sentiti ieri al telefono” esordii dopo aver chiuso la porta alle mie spalle.
“Buongiorno anche a lei, l’ho riconosciuta subito anch’io leggo i suoi libri… prego si accomodi” mi disse con un sorriso.
“Signor Lombardo le ho chiesto di venire qui, perché ho alcune comunicazioni da darle” continuò lei, diventando subito seria.
“Mi dica, spero niente di grave” volevo essere sarcastico, ma il suo volto me lo impediva e la mia espressione fu altrettanto seria.
“Lei conosce Maria di Chiara?” mi chiese scandendo bene il nome.
Mi chiedeva se conoscevo l’unica ragazza che avevo mai amato, ma che purtroppo aveva deciso di lasciarmi con una lettera, su cui avevo riversato lacrime di dolore.
“Si, la conosco, ma sono anni che non so più niente di lei” le dissi quando mi riscossi dai tristi ricordi che mi ottenebravano la mente.
“Mi spiace informarla che purtroppo è morta tre mesi fa di cancro al seno” mi disse con molto tatto.
La notizia mi aveva gelato il sangue nelle vene, dovetti farmi forza per non disperarmi, ero stupito che la rivelazione della sua morte, poteva avere questo effetto su di me, pensavo di averla dimenticata dopo tutti questi anni e invece il suo ricordo mi attraversò anima e cuore, toccandomi nel profondo. Evidentemente non ero riuscito a spezzare il legame profondo che ci univa.
“Mi scusi se la notizia l’ha turbata, ma era necessario che lei sapesse” mi disse lei visto che era da quasi un minuto che non avevo reazioni.
“Mi perdoni lei… è solo che non è facile accettare questa sua notizia, ma non capisco perché sia stata lei a dirmelo” per fortuna sembrava che una parte del mio cervello, quella razionale, avesse deciso di tornare a funzionare, visto che quella emotiva era in lutto.
“Deve sapere che Maria aveva una figlia, la bambina ora ha dodici anni, e dopo la sua morte era stata affidata alla sorella di lei. Purtroppo la zia è finita in prigione in attesa di giudizio e la piccola è stata portata qui. Parlando con un assistente sociale ci è sembrato opportuno che la bambina venisse affidata al padre” disse concisa.
“Mi scusi, continuo a non capire” non riuscivo a comprendere il mio ruolo nella vicenda.
“Non sa di essere il padre di Giada?” mi chiese stupita.
La mia espressione di stupore con occhi sgranati e bocca aperta doveva averla convinta di avere di fronte un uomo che era appena caduto dalle nuvole, perché prese un documento e me lo consegnò.
“Come può vedere questo è il certificato di nascita di Giada e c’è il suo nome, pensavo che non avesse riconosciuto la bambina visto che manca la sua firma, ma non credevo che non fosse a conoscenza della sua esistenza” mi disse sorpresa.
“È così, non lo sapevo…” il certificato riportava il mio nome, un'unica domanda continuava a girarmi nella testa: perché Maria non me l’aveva detto?
“Capisco che per oggi lei ha ricevuto troppe emozioni, ma le chiederei se almeno per domani volesse dirmi quali sono le sue intenzioni per Giada” mi chiese gentilmente.
“Posso vederla?” fu tutto quello che riuscii a dire.
“Certo, mi segua” mi disse alzandosi dalla scrivania.
Mi guidò per l’istituto per vedere per la prima volta… mia figlia. Non potevo credere a tutto ciò che mi stava succedendo, troppe emozioni tutte insieme. Non capivo come facessi a rimanere così calmo.
“Eccola… è la bambina dai capelli neri seduta isolata nell’angolo” mi disse sorridendo.
Alzando lo sguardo su di lei non avevo dubbi che fosse figlia di Maria, assomigliava a lei in modo impressionante stessi capelli e stessi tratti del viso, gli occhi da quella distanza non riuscivo a capire se fossero uguali a suoi, ma una domanda si fece strada dentro di me, era veramente mia figlia?
“Vuole andare a parlargli?” mi chiese con fare rassicurante.
“Potrebbe tralasciare almeno per il momento di dirle che sono suo padre?” anche perché non c’era certezza in questa rivelazione.
“Come vuole… possiamo dirle che era un amico della madre almeno” dal suo tono capii, che sapeva che io nutrivo dei dubbi sul fatto di essere il padre della bambina.
“Sono d’accordo, procediamo” mi occorse tutto il mio coraggio per percorrere quei pochi metri che mi separavano da Giada… da mia figlia.
Eravamo a un passo da lei che era intenta a leggere un libro, aveva un’espressione così assorta, che dubitavo che ci avesse sentito arrivare.
“Giada… voglio presentarti un amico di tua madre” le disse in modo cordiale.
Sembrava che non volesse staccare gli occhi dal libro, ma poi con fare stizzito lo chiuse non prima di averci messo il segnalibro per segnare la pagina.
“Non potevate aspettare… la storia cominciava ad essere bellissima” disse lamentandosi mentre ci guardava negli occhi.
Fu in quel momento che ebbi il mio terzo shock della giornata, perché Giada aveva gli stessi occhi di mia madre, lo stesso azzurro chiaro che anch’io avevo ereditato da lei. Non avevo bisogno di altre prove, perché in quel momento ero certo che la bambina di fronte a me era mia figlia.
“Piacere sono Giada, qual è il suo nome?” cercava di essere gentile, ma era ancora infastidita di essere stata interrotta.
“Mi chiamo Alberto Lombardo… e sono tuo padre” non sapevo perché lo avessi detto in quel momento, forse mi ero lasciato trascinare dalla situazione e da tutte le emozioni provate in poco tempo.
“Razza di…” la sua espressione era cambiata, i suoi occhi erano pieni di risentimento e tutto il suo viso si deformò in una maschera di puro odio, si fece avanti cercando di colpirmi con calci e pugni.
“Perché sei venuto! Hai abbandonato la mamma! Schifoso… “ sono sicuro che mi rivolse altri insulti, ma non vi feci caso, ero troppo sconvolto dalla sua reazione furiosa e incontrollata.
Solo l’intervento della direttrice e di un’altra insegnante riuscì a smorzare la sua furia.
Mi sedetti sulla sedia, la stessa che lei aveva usato per leggere, perché sentivo le gambe cedermi sotto il peso delle continue rivelazioni, che mi erano piombate in poco tempo. Avevo bisogno di recuperare almeno una parte delle forze che gli eventi mi avevano prosciugato.
Non ero cosciente del tempo che trascorreva, ero in evidente stato di shock.
“Signor Lombardo…” la voce della direttrice mi riscosse.
“Mi scusi… vorrei andare a casa, ho bisogno di riflettere e parlare con qualcuno… posso chiamarla io per favore?” avevo una voce strana lo percepivo distintamente.
“Ma certo… è sicuro che ce la farà a tornare a casa da solo?” era molto preoccupato.
“Credo di no, chiamerò una mia amica per farmi venire a prendere” dissi meccanicamente.
Chiamai Noemi supplicandola di venirmi a prendere e, capendo dal mio tono che c’era qualcosa che non andava, mi rispose che sarebbe venuta al più presto.
Dopo averle dato l’indirizzo, chiusi il cellulare salutai la direttrice e mi avviai verso l’uscita.
Mentre aspettavo l’arrivo di Noemi mi misi a sedere su una panchina del parco vicino all’istituto, continuavo a rivedere l’espressione animalesca di Giada e mi chiedevo che cosa le avevano raccontato per odiarmi in modo così violento?

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Durante il tragitto con la macchina, che mi riportava a casa, ero stato completamente in silenzio a cercare di riprendermi da tutte l’emozioni ricevute in poco tempo.
Entrati in casa, entrai con passo lento fino a raggiungere il divano per sdraiarmi, mi sentivo spossato come se avessi fatto una maratona.
“Posso sapere che è successo di così terribile da essere ridotto come uno straccio?” mi ero scordato che Noemy era entrata in casa e giustamente meritava una spiegazione.
“Ancora un attimo, ti prego” dovevo raccogliere tutte le energie che mi erano rimaste.
“Mi stai facendo preoccupare, ma è morto qualcuno?” la sua voce era davvero preoccupata.
“Siediti… ho brutte notizie da darti” mi ero messo seduto ma la schiena era curva appesantita dal peso delle rivelazioni della giornata e lei forse angosciata dall’espressione greve del mio volto lo fece senza protestare.
Incominciai a raccontarle tutto quello che era successo in poche ore, partendo dalla telefonata della direttrice, alla morte di Maria per finire con Giada.
Anche lei come me era sconvolta per la morte di Maria erano state grandi amiche fin dall’infanzia, fino alla partenza di Maria per un paese vicino Torino.
“Quindi Giada è tua figlia, ma perché ti ha detto che hai abbandonato Maria quando è stata lei a partire e a non farsi più trovare?” aveva gli occhi umidi e la voce spezzata.
“Non lo so, continuo a domandarmelo da quando me l’ha detto, ma adesso non è questo che mi preme di più, ho scoperto di essere padre di una ragazzina di dodici anni… solo di questo mi devo preoccupare” .
“Cosa hai intenzione di fare?” mi chiese dopo alcuni minuti di silenzio.
“Noemi, lei è mia figlia e vorrei che vivesse con me voglio crescerla, ma per fare questo devo chiarirmi e spiegarmi con lei, raccontandole la mia verità” avevo avuto modo di rifletterci bene e non potevo permettere che anche questa volta una parte di me non facesse parte della mia vita.
“Vuoi che venga con te?”
“lo faresti, davvero?”
“Certo siamo amici, no?” e poi vorrei vederla anch’io” un timido sorriso irruppe sul suo viso velato di dolore.
Concordammo di incontrarci a casa mia per poi andare con la sua macchina all’istituto verso le nove, non prima di aver chiamato la direttrice per informarla delle nostre intenzioni, al principio sembrava titubante per non rischiare il ripetersi di un’altra incresciosa scena come quella avvenuta alla mattina, ma poi la convinsi che ero determinato a spiegare a Giada la verità, penso che accettò quando la mia voce cominciò ad alzarsi di un ottava, spiegandole che avevo tutti i diritti di vedere mia figlia.
Per oltrepassare il cancello di entrata dell’istituto mi occorse tanto coraggio, che mi infuse Noemy con la sua sola presenza al mio fianco.
Ci dirigemmo direttamente nell’ufficio della direttrice e una volta accomodati e fatte le dovute presentazioni cercammo di trovare un accordo per il bene di Giada.
Dopo un’ora di conversazione proficua, con punte d’isterismo da parte di Noemi che non sopportava i modi della direttrice perché secondo lei troppo superficiali, riuscimmo ad arrivare all’accordo che con la bambina si sarebbe proceduto per gradi, cercando di spiegarle la verità per non turbarla e che comunque la sua parola avrebbe avuto moltissima importanza.
La direttrice chiamò un numero interno per chiedere che Giada fosse accompagnata nel suo ufficio.
Furono minuti terribili nell’attesa che mi guardasse con odio e disprezzo, sapevo che non era colpa sua se provava questi sentimenti nei miei confronti, ma quell’astio nei miei confronti mi dilaniava l’anima.
Quando varcò la porta s’irrigidì immediatamente appena mi scorse, ma l’insegnante alle sue spalle la spinse delicatamente in avanti. Era palese la sua avversione a trovarsi con me nella stessa stanza.
“Cosa vuoi da me!” disse con rabbia.
“Voglio parlarti e poterti spiegare la situazione dal mio punto di vista” mi ero alzato in piedi lentamente, nella speranza di potermi avvicinare di più a lei.
“Non voglio niente da te! La zia mi ha già detto tutto, vigliacco!” i suoi occhi davano l’idea di appartenere a un adulto, ti scrutavano dentro, potevo solo immaginare com’era stata la sua vita ultimamente, dopo la morte di Maria e l’arresto di Silvana, ma ero sicuro che fosse stato un vero inferno.
Mosso dall’istinto di proteggerla feci qualche passo nella sua direzione, ma lei con uno scatto fulmineo si lanciò verso la porta aprendola e uscendo come una scheggia impazzita.
Rimasi solo per un secondo interdetto e confuso di fronte alla sua fuga, ma lasciandomi guidare dall’istinto le corsi dietro nel tentativo di raggiungerla.
Giada correva a perdifiato scansandosi all’ultimo momento, quando incontrava un ostacolo sia che fossero persone o mobili. La nostra corsa attraverso i corridoi e le scale dell’istituto ci aveva portato sul viale per arrivare al cancello.
Mi ero avvicinato molto a lei ancora qualche metro e l’avrei raggiunta, lei continuava a voltarsi per vedere dov’ero e fu forse per questo che non vide che avevo varcato il limitare dell’edificio e che ormai era in mezzo alla strada.
Una macchina cominciò a suonare all’impazzata e sentii lo stridore dei freni della macchina che cercava di arrestare la sua corsa.
Giada era paralizzata dal terrore, sapevo che non si sarebbe mai spostata, feci gli ultimi due passi pregando in cuor mio di riuscire ad arrivare prima della macchina.
Fu un sollievo quando la cinsi per la vita e la trascinai via dalla strada per raggiungere il marciapiede dall’altra parte della via.
Mi chinai immediatamente di fronte a lei per assicurarmi che stesse bene almeno fisicamente, quando fui convinto che il suo corpo stesse bene l’accompagnai con delicatezza verso quella stessa panchina su cui ieri mi ero seduto a riflettere.
Una volta seduta notai che non si era ancora ripresa dallo shock subito e i suoi occhi erano ancora pieni terrore ed era bianca come un lenzuolo.
Trascorsero cinque minuti, senza che nessuno dei due avesse ancora parlato, forse perché nessuno aveva il coraggio di parlare per primo.
“Sono stata una stupida!” la sua voce tremava.
“Anch’io, non avrei dovuto rincorrerti in quel modo, ma la voglia di parlarti non mi ha fatto ragionare in quel momento” non volevo minimamente pensare a cosa sarebbe accaduto se non l’avessi spostata dalla traiettoria della macchina.
“E perché vuoi parlarmi? Non hai mai voluto sapere niente di me fino adesso” la sua voce aveva ripreso un po’ di vigore e il viso aveva ripreso un colorito più naturale.
“Mi prometti che mi farai raccontare tutta la storia fino alla fine e che non m’interromperai?”
“Prometto”
“Io e tua madre siamo stati insieme per due anni, ma alla morte dei suoi genitori sua sorella decise di trasferirsi. Non ho mai saputo il vero motivo di quel cambiamento. Ci promettemmo di scriverci e appena avesse saputo il suo numero di telefono me lo avrebbe dato per continuare a rimanere in contatto.
Da lei ricevetti una telefonata, da una cabina telefonica perché a casa non aveva ancora il telefono, in cui mi diceva che era arrivata a destinazione e che pensava che le fosse successa una cosa bellissima, ma voleva essere sicura prima di dirmela . Solo adesso capisco che pensava di essere incinta di te.
Dopo quella conversazione ricevetti una lettera, dopo che gliene avevo spedita una io spiegandole quanto mi fosse intollerabile sopportare la sua lontananza da me, in cui mi diceva che non potevamo più stare insieme e che dovevamo lasciarci”.
Diedi a Giada la lettera con cui sua madre metteva fine al nostro amore e che lei iniziò a leggere avidamente, quando alzò lo sguardo da essa aveva negli occhi una strana espressione che non riuscivo a interpretare e ripresi a parlare.
“Non fu facile per me, l’amavo troppo per perderla in quel modo, le scrissi decine di lettere, ma non ricevetti nessuna risposta, volevo andarla a trovare di persona per sapere perché non mi voleva più, ma i miei genitori non volevano che partissi da solo dopotutto ero ancora minorenne. Non hai idea di quante volte li avessi implorati per farmi andare a trovarla finché un giorno, dopo mesi d’insistenza, mio padre acconsentì ad accompagnarmi da lei, ma con l’unico risultato di trovare altre persone all’indirizzo che mi aveva dato Maria.
Da quel momento non ho saputo più niente di lei fino a ieri. Ti ho raccontato solo la verità Giada, credimi” dissi sperando che mi credesse.
“Non sono ancora sicura che mi hai detto la verità, la zia dopo la morte della mamma mi ha raccontato che tu l’hai lasciata per un’altra donna e che quando hai saputo di me hai detto che non eri mio padre, fin al quel momento nessuna di loro mi aveva detto niente erano sempre state vaghe su di te” disse con una punta di risentimento nella voce.
“Non è vero… te lo giuro!” ero stupito da quello che le aveva raccontato Silvana, perché mentirle in quel modo su di me?
“Non so cosa fare!” disse cominciando a piangere.
Davanti al pianto disperato mi sentii così impotente, era una bambina sola e stava portando sulle sue spalle pesi che avrebbero schiacciato una persona adulta.
Mi accovacciai davanti a lei e le presi dolcemente le mani che aveva messo davanti agli occhi per nascondere le lacrime e gliele spostai delicatamente affinché potesse guardarmi negli occhi.
“Giada… ho una proposta da farti, perché non mi giudichi tu, potremmo passare del tempo insieme così potrai capire da sola qual è la verità. Decidi tu come vederci” speravo che accettasse di vedermi.
“Alla mattina sono impegnata con le insegnanti, potremmo vederci alla fine delle lezioni e poi alla sera tornerei a qui a dormire” pronunciò lei titubante con gli occhi gonfi di pianto.
“Sono contento che tu voglia vedermi, mi riempie di gioia e se in futuro vorrai c’è una camera da letto che ti aspetta se deciderai di dormire a casa mia” la felicità nelle mie parole era incontenibile.
“…non so ancora se faccio bene a fidarmi di te” era evidente nella sua espressione e nella sua voce il conflitto che c’era in lei.
Decidemmo insieme, che ci saremmo rivisti più tardi alla fine delle lezioni.
Ritornati dentro l’istituto dissi ciò che avevamo deciso io e Giada omettendo del tutto il pericolo che avevamo corso, perché mi sembrava già troppo preoccupata per dirglielo.
Le lezioni finivano all’una ed io ero pronto con la macchina vicino all’edificio, ero emozionato di poter passare del tempo con mia figlia.
Ero ansioso di poterla a pranzo e a fare un giro per negozi e magari farle vedere casa mia.
La vidi uscire dal cancello, in viso si leggeva chiaramente la preoccupazione di trovarsi in quella situazione.
Mi avvicinai con la macchina e le feci segno di salire.
“Ciao, andiamo in un bel ristorante a mangiare?” le chiesi tutto sorridente.
“Tu non sai cucinare?” mi chiese a bruciapelo.
“Si, qualcosa so cucinare… ma non bene come un cuoco” le dissi sulla difensiva.
“Vorrei mangiare qualcosa cucinato da te” mi disse semplicemente.
“D’accordo però non aspettarti niente di elaborato” dissi ansioso e lei accennò un sorriso.
Arrivati nella casa, che mi ero fatto costruire con gli incassi della vendita dei miei precedenti libri, la feci accomodare in salotto mentre io sarei andato a preparare il pranzo e ad apparecchiare.
Feci una semplice pasta al ragù e apparecchiai allegramente. Una volta che era pronto la chiamai, ma non ricevetti risposta, allora andai in salotto, ma come potei constatare lei non era lì.
Cominciai a cercarla nelle varie stanze del piano terra, però non c’era in nessuna di quelle stanze.
Incominciavo a preoccuparmi mentre salivo le scale per arrivare al primo piano, andai dritto verso il mio studio.
La porta era aperta, entrai con circospezione e la vidi seduta a terra che mi dava le spalle.
Vicino a lei c’erano diversi album di fotografie che immortalavano la mia vita dall’infanzia fino all’età adulta.
Mi avvicinai silenziosamente a lei, che stava guardando una foto di me e Maria, che ci abbracciavamo stretti l’uno all’altra felici del nostro amore.
Con le dita della mano accarezzava la figura di Maria.
“Ti manca?” le dissi per spezzare il silenzio.
Si voltò spaventata verso di me, stringendo l’album verso di se.
“Scusa, non volevo spaventarti” le dissi con fare rassicurante.
“Mi annoiavo in salotto e ho fatto un giro ed ero curiosa…” si vedeva che aveva l’aria colpevole.
“… e hai frugato nel mio studio per cercare qualcosa che ti raccontasse qualcosa su di me, ho indovinato?” le chiesi facendole l’occhiolino.
“Si, è stato più forte di me” era imbarazzata e rossa in viso per essere stata colta in flagrante.
“Giada è pronto da mangiare, potremmo vedere e discutere delle mie foto e della mia vita, dopo esserci rimpinzati a dovere, d’accordo?” la mai voce era calma, volevo che capisse che non ero arrabbiato.
“In effetti ho molta fame e sono curiosa di assaggiare la tua cucina” si alzò e si diresse in cucina con uno sguardo impaziente.
Mangiammo fino ad essere completamente sazi, Giada anche se era una ragazzina minuta mangiava come un adulto e con molto gusto.
“Possiamo tornare nello studio?” chiese impaziente dopo aver sparecchiato.
“Certo vuoi continuare a guardare le foto?” chiesi non riuscendo a trattenere la contentezza.
“Non solo… voglio sapere anche dove sono state scattate, mi devi dire tutto!” aveva assunto un cipiglio quasi autoritario.
“Agli ordini!” e feci il gesto di mettermi sugli attenti.
Ritornati nel mio studio ci sedemmo sul comodo divanetto grigio perla a due posti, mantenendo una certa distanza fra noi: per la prossimità non era ancora il momento.
Aprii l’album e cominciai a spiegare ogni fotografia che vedevamo: chi c’era con me e Maria? Dove eravamo? Ma soprattutto lei voleva conoscere aneddoti sulla nostra vita insieme.
Giada alternava espressioni gioiose a momenti di commozione a seconda di ciò che raccontavo. Ogni volta che descrivevo il legame che mi univa a Maria, la sentivo distante e triste.
Quasi senza che ce ne accorgessimo arrivò l’ora di riportarla all’istituto per la cena e i compiti.
“Domani è domenica, vuoi ancora venire da me?” le chiesi speranzoso, mentre eravamo vicino al cancello dell’ organizzazione.
“Si… devo ancora farti un mucchio di domande” il suo volto tradiva la sua immensa curiosità.
“Vengo domani mattina alle dieci a prenderti”
Tornato a casa mi preparai dei panini imbottiti per mangiarli nello studio.
Dovevo cercare di scrivere il più possibile per rispettare i tempi previsti per la consegna del libro.
Aver parlato con mia figlia della mia vita passata e il fatto che lei fosse interessata ad ascoltarmi mi rendeva euforico.
Ed’improvviso riuscii a capire come scrivere una delle parti più difficili del libro, le parole venivano da sole e incominciai a scriverle al computer, non sentivo né fame né sonno solo lo scorrere dei pensieri, il ticchettio dei tasti del computer e la dolce melodia della musica jazz come sottofondo musicale.

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Il mattino dopo mi risvegliai in una strana posizione, aprendo gli occhi mi accorsi che avevo la testa ciondolante riversa sulla spalla sinistra e il resto del corpo era ancora disteso sulla poltrona.
Avevo finito di scrivere verso le tre di notte, ero così soddisfatto del lavoro, che mi ero messo comodo sulla sedia e senza accorgermene mi ero addormentato quasi all’istante.
Mi sentivo tutto indolenzito soprattutto il collo che presi a massaggiare per cercare di lenire il dolore lancinante, allungai la mano verso il mouse per spegnere il computer, solo in quel momento notai l’ora erano le dieci esatte. Ebbi un momento di panico perché ero tremendamente in ritardo: dovevo prendere Giada all’istituto.
Senza pensarci un attimo , mi sollevai dalla sedia e corsi il più velocemente possibile fuori di casa, cercando d’ignorare i dolori lancinanti che ogni movimento mi procurava, misi in moto la macchina e partii guidando come un pazzo.
Arrivai al cancello della struttura con venti minuti di ritardo, correndo a perdifiato fino all’ingresso , una volta entrato notai che Giada sedeva lì vicino con la testa china, facendo dondolare le gambe piano.
“Scusami Giada… mi sono svegliato tardi” le dissi ansimando per lo sforzo.
Lei alzò la testa e quello che vidi mi fece sentire male, potevo sopportare il suo sguardo carico d’odio, ma non ero in grado di sostenere il suo viso carico di delusione.
Volevo che lei mi considerasse un padre, però come potevo pretendere che mi apprezzasse come tale se la deludevo?
Mi avvicinai lentamente a lei, che aveva di nuovo abbassato la testa e continuava a guardarsi le scarpe da ginnastica vecchie e logore.
“Perdonami… in mia difesa posso dire che ho lavorato fino a tardi al mio nuovo libro, ma so che non ho scuse” le dissi accovacciandomi di fronte a lei.
“E’ più importante il libro o me?” mi chiese con una voce sottile intrisa di tristezza senza guardarmi.
“Giada non c’è niente che sia più importante di te! Ho commesso un errore e ne sono consapevole, avrei dovuto premunirmi di una sveglia, ma non l’ho fatto e sono terribilmente dispiaciuto per averti delusa.” Speravo che il mio tono di voce le suggerisse quanto ero addolorato.
“Tu mi vuoi bene?” nel chiederlo alzò gli occhi e mi fissò attentamente.
“Giada era da molti anni che non sentivo così tanto amore per una persona. Io ti voglio bene abbiamo lo stesso sangue nelle vene e questo ci unisce indissolubilmente. Ti prego concedimi un’altra possibilità”
“Voglio provare a fidarmi di te, ieri sei stato tutto il giorno con me… e mi è piaciuto. Avevi in mente qualcosa da fare oggi, insieme?” spuntò un accenno di sorriso sul suo volto.
“Che ne dici di una passeggiata nel parco, mentre mangiamo due enormi gelati”
“Sì!” disse con gli occhi che le brillavano di felicità.
Dopo aver avvisato la direttrice che Giada sarebbe venuta con me, partimmo per il parco.
Sentivo che lei rideva sommessamente come se stesse trattenendo a stento un attacco di risa.
“Fai ridere anche me? Ti è venuto in mente qualcosa di divertente?” le chiesi curioso.
“E’ solo che hai un aspetto orribile” disse in modo sarcastico, ridendo senza più controllarsi.
Mi guardai nello specchietto retrovisore e notai che, in effetti, avevo un aspetto terrificante.
“Hai proprio ragione…” dissi con tono sconsolato.
“Però non hai perso il tuo fascino!” e ridemmo entrambi di cuore.
Stavamo passeggiando tranquillamente per uno dei viali del parco, mangiando due enormi coni gelato, con non poca sorpresa avevamo scoperto che ad entrambi piaceva il gelato al fiordilatte, questo mi aveva dato molta soddisfazione.
“Ti piace scrivere?” disse Giada dopo aver finito il suo gelato.
“E sempre stato una mia grande passione fin dai tempi del liceo. Ricordo che scrivevo poesie d’amore per cercare di conquistare tua madre, la ragazza più bella e dolce che io abbia mai visto, dopo un centinaio di lettere accettò di uscire con me, perché voleva vedere se quello che scrivevo rispecchiava il mio carattere, l’unica cosa che mi rimproverava era che stampavo queste lettere al computer, mentre lei avrebbe preferito che le scrivessi di mio pugno, ma le dissi che mi vergognavo della mia pessima grafia”
“E dopo quel primo incontro vi siete messi insieme?” mi chiese eccitatissima.
“Si… scoprimmo che ci piacevano le stesse cose e che avevamo due caratteri affini”
“Che bello!” disse raggiante.
“Lei è stata la prima a leggere la bozza del mio primo libro, quello che venne pubblicato sette anni dopo il suo parere, penso che se non mi avesse detto che le piaceva non l’avrei mai finito” sorridevo a ricordare quei momenti che avevo condiviso con Maria.
“A cosa stai lavorando adesso?” chiese curiosa.
“Al quinto e ultimo libro che chiude la storia iniziata con quel primo libro”.
“E come si chiama la storia?”
“La magia dell’elfo”
“Ho sempre desiderato leggerlo, ma la zia non mi ha mai voluto comprare i libri! Adesso capisco il motivo. Tu li hai tutti a casa, me li faresti leggere? per favore” chiese tutta emozionata.
“Prima di andare vorrei farti conoscere una persona molto importante, visto che ieri non ha potuto salutarti come si deve, ti va?” le chiesi titubante.
“E' la signora che ti accompagnava?” chiese sospettosa.
“Si lei, è una mia carissima amica e prima che tua madre si trasferisse erano inseparabili.”
“Va bene” non aveva un tono di voce molto convinto.
Il tragitto fino all’ospedale, il luogo dove la dottoressa Mussi lavorava, non fu lungo da percorrere, intenti come eravamo ad ascoltare la radio lasciandoci catturare dal ritmo della musica.
Addentrandoci nei corridoi bianchi dell’ospedale, arrivammo fino al reparto in cui lavorava Noemy: il reparto di chirurgia interna.
Girammo per alcuni minuti scrutando gli interni delle stanze dei pazienti, nella speranza di vederla, quando all’improvviso uscì conversando con una infermiera.
“Ciao Noemy… ti abbiamo fatto una visita” esordii allegro.
“Ciao! Come stai Giada?” le disse abbracciandola teneramente senza considerarmi.
“Bene” le rispose un po’ infastidito dopo che si era staccata da lei.
“Seguitemi nel mio ufficio, ho una sorpresa per te!” sprizzava gioia da tutti i pori e ci precedette.
“Giada… è il suo modo di fare, comprendila: ti vuole bene anche lei” le dissi, notando che non era contenta dell’esuberanza di Noemy.
“E’ solo che non me l’aspettavo di essere abbracciata così all’improvviso, non ci conosciamo neanche.”
“Imparerai ad apprezzarla, credimi” dissi con un tono rassegnato ed entrambi sospirammo.
Una volta entrati nel suo ufficio ci accomodammo sulle sedie vicino alla scrivania, mentre lei andava all’angolo opposto alla stanza.
Giada ed io ci scambiammo occhiate sospettose come a dire “cosa avrà in mente?”.
Quando si girò verso di noi aveva in mano alcune buste colorate, con sopra impresso dei marchi e conoscendo la sua attitudine allo shopping, capii subito cosa conteneva.
“Allora Giada, dimmi cosa ne pensi di questo vestitino blu elettrico? Spero sia di tuo gradimento, non conosco ancora i tuoi gusti, ma questo mi sembra bellissimo” disse eccitatissima, sorridendo come una bambina a cui hanno fatto un meraviglioso regalo.
“Mi hai comprato un vestito?” chiese Giada sbalordita.
“Non uno… ma tre vestiti assolutamente adorabili, un paio di scarpe, qualcosa di intimo e… un pigiama di Hello Kitty che chiedeva di essere comprato!” quando Noemy parlava di vestiti e di shopping si trasformava in un'altra persona.
“Perché mi avresti comprato dei vestiti?” Giada era sospettosa.
“Non sapevo che regalo farti, non conosco ancora i tuoi gusti. Quindi ho optato per i vestiti, perché ti andranno divinamente” era su di giri.
“Intendevo dire perché mi hai fatto dei regali? Noi non ci conosciamo” disse Giada sempre più guardinga nei suoi confronti.
“Io e tua madre ci siamo conosciute all’asilo e da quel momento non ci siamo più separate, finché non è andata via. Eravamo come sorelle, legate l’una all’altra in modo inscindibile e per me fu un trauma ricevere una lettera simile a quella di Alberto nella quale erano scritte cose assolutamente offensive nei miei riguardi. Non ti nascondo che per un po’ l’ho odiata con tutta me stessa perché la delusione è stata enorme, però quando ho saputo della tua esistenza, ho capito che c’è qualcosa che non va in tutta questa storia e mi sono già attivata per capire cosa sia successo. L’amicizia che mi lega anche ad Alberto, giustifica i miei regali nei tuoi confronti ed inoltre ogni scusa per me è valida per fare shopping” disse Noemy passando dal serio della prima parte alla gioia del finale.
Giada rimase in silenzio, sembrava che stesse riflettendo su qualcosa di molto importante.
“Grazie” fu tutto quello che uscì dalle sue labbra in un soffio.
“Prego tesoro” le disse aprendosi in un sorriso sincero.
“Vieni a pranzo con noi, Noemy?” le chiesi all’improvviso.
“Il mio turno è finito dieci minuti fa, perciò accetto volentieri. Mi cambio e arrivo, perché non mi aspettate all’uscita?” disse allegra.
Uscendo fino al parcheggio, osservavo Giada che era pensierosa, quando arrivammo alla macchina le domandai:
“Che ne pensi di Noemy?”
“Mi sembra una persona buona, un po’ strana…”
“E’ vero è un po’ eccentrica, ma come amica è insuperabile”
“Con Noemy cambia la nostra giornata?” chiese un po’ delusa.
“Giada stai tranquilla… ti ho promesso che leggerai e ti assicuro che potrai farlo, ti chiedo solo di non essere prevenuta nei suoi confronti, lasciala entrare nella tua vita, ti porterà solo gioie e amore.”
“Vedrò, ma sarà lei a dovermi convincere” disse sogghignando.
“Allora posso stare tranquillo, ti conquisterà sicuramente con la sua frizzante vitalità”

Verso le quattro rincasammo, dopo esserci rifocillati abbondantemente in un ristorante che ero solito frequentare quando la voglia di cucinare era minima. Il menu era semplice ma curato nei dettagli ed il servizio ottimo
Sia Giada che Noemy avevano apprezzato moltissimo ogni portata che ci avevano portato. Non riuscivo a capacitarmi come facessero due persone con un fisico asciutto come il loro a mangiare in modo abbondante senza ingrassare, visto che io mi gonfiavo anche solo con un panino.
Giada si diresse immediatamente nel mio studio dove c’era anche la mia biblioteca.
La seguii lentamente per darle il tempo di cercare i libri che voleva da sola, mi faceva piacere che si muovesse per casa per conto suo. Speravo che considerasse questa la sua casa.
Arrivato sulla soglia della stanza la vidi sdraiata sul divanetto, immersa nella lettura e mi ritrovai a sorridere per la gioia di vederla così entusiasta.
Andai a sedermi al computer e, aspettando che si avviasse, ripresi in mano gli appunti e la penna e cominciai a correggerli.
Eravamo così intenti nelle nostre attività da non accorgerci del tempo che passava. A interrompere questa sorta d’incantesimo fu lo squillo del telefono, che mi fece sobbalzare e subito dopo lo presi in mano per rispondere.
“Pronto”
“Signor Lombardo, dov’è Giada?” disse la voce della direttrice agitata.
“E' a casa mia che sta leggendo un libro” dissi semplicemente.
“Si rende conto che la bambina avrebbe dovuto essere da noi almeno mezz’ora fa?” disse accigliata.
Guardai istintivamente l’orologio del computer e non potei far altro che constatare che la direttrice aveva pienamente ragione.
“Mi deve scusare… il tempo ci è volato”
“Chi è?” chiese Giada sottovoce.
“La direttrice, dovresti essere all’istituto” dissi sommessamente, coprendo con la mano il ricevitore.
“Non posso restare qui?” chiese con una leggera nota di supplica nella voce.
“Chiedo” ero al settimo cielo.
“Mi scusi signora Tommasi, Giada potrebbe dormire qui”
“La bambina è d’accordo?” domandò sospettosa.
Passai il telefono a Giada perché fosse lei a confermare la sua decisione.
“Signora Tommasi se non è un problema mi fermerei alcuni giorni qui” disse cercando di risultare convincente.
“Sei sicura Giada?” Giada aveva azionato la funzione vivavoce, in modo tale che anch’io potessi ascoltare.
“Si, mi sto divertendo troppo”
“Va bene cara, divertiti. Passami tuo padre, per favore”
“Mi dica”
“Come concordato sarà la bambina a decidere dove stare, la prego di prestarle attenzione”
“Sarà fatto. Buona sera”
“Buona sera”
Al termine della telefonata scendemmo in cucina per mangiare, visto che tutti e due ci eravamo resi conto di avere fame.
Mentre io cucinavo dei petti di pollo con purè, Giada apparecchiava la tavola. La tv era accesa come sottofondo perché nessuno dei due era veramente interessato ad essa, serviva solo a farci compagnia.
Dopo aver mangiato di gusto e una volta messo tutto a posto, feci vedere a Giada la sua camera.
“So che non è un granché, ma possiamo sistemarla secondo i tuoi gusti” dissi sulla difensiva.
“Questa camera è più grande di quella che avevo a casa della zia e c’è anche la tv!”
“Ti piace?” chiesi speranzoso.
“Si… manca solo qualche poster, un po’ di libri e un copriletto che non sia di color marrone, a quel punto sarebbe perfetta” disse entusiasta.
“Possiamo risolvere tutto questo domani, andremo a fare compere noi due, ti va?”
“Siiiiiiiiii, evviva!”
“Hai un PC?” le chiesi serio.
“No, non ho mai avuto un computer, la mamma mi diceva che costava troppo” un velo di malinconia gli scese sul viso.
“Che ne dici se compriamo anche quello, conosco…”
“Perché comprare un computer, costa troppo! I regali costosi bisogna meritarli, anche questo mi diceva sempre la mamma” ero serissima in quel momento.
“Sono d’accordo con lei. Facciamo così… considera il computer come un pagamento anticipato della recensione che ti chiederò per il mio ultimo libro, prima ancora di farlo vedere all’editore. Che ne pensi?” gli chiesi serio.
“Sarò la prima a leggerlo?” chiese emozionata.
“Si, ti piace l’idea di dirmi cosa ne pensi? Ho sempre bisogno di qualcuno che giudichi il mio lavoro.”
“Per me sarà un piacere pa…” colma di gioia s’interruppe d’improvviso, sapevo che stava per pronunciare la parola “papà”, ma era ancora bloccata.
“…voglio dire non c’è bisogno di regalarmi un computer per questo” disse cercando di riprendersi, comunque potevo notare che l’idea del regalo non le dispiaceva.
“E' giusto premiarti con un premio, perché per me la tua opinione è molto importante, sono sicura che sarei obbiettiva”
“Allora va bene, affare fatto!” disse sorridendo e saltellando sul posto.
“Bene ora che abbiamo concordato tutto, sarà meglio che ti lavi e vai a letto” era da un po’ che volevo provare a dirglielo, per vedere l’effetto che faceva poter dire qualcosa che di solito dice un genitore.
“Oh no!” smise d’improvviso di saltare sul posto e la sua fronte si corrugò.
“Che succede?” chiesi stupito.
“I miei vestiti sono all’istituto, come faccio a cambiarmi?” chiese sconsolata.
“Puoi mettere i regali di Noemy” dissi serafico.
“Devo mettere il pigiama di Hello Kitty?” chiese disperata.
“Solo per questa sera, domani recuperiamo i tuoi vestiti e possiamo comprarne di altri.
“Non dirai a nessuno che l’ho indossato, vero?” con una nota di supplica nella voce.
“Tranquilla, questo rimarrà un segreto tra noi due” le disse facendole l’occhiolino.
Silenziosamente andò in bagno con i regali di Noemy e nel frattempo cambiai le lenzuola e le preparai il letto.
Al suo ritorno indossava il pigiama, guardandolo con orrore e in mano aveva il libro che stava leggendo dal pomeriggio.
“Non fare tardi, mi raccomando” sforzandomi di essere autoritario.
“Solo qualche capitolo” dall’aria che aveva assunto non sembrava essersi accorta del mio tono.
“Lo spero” ritornai al mio solito tono sperando avesse più effetto.
“Volevo sapere se ti da fastidio se non ti chiamo con la parola che inizia per P” chiese titubante.
“Giada quando vorrai chiamarmi così sarò al settimo cielo, ma devi essere convinta di chiamarmi in quel modo, saprò aspettare, nel frattempo chiamami Berto” dissi serafico.
“Grazie, buonanotte… Berto” e rise di gusto.
Passai la serata a scrivere, adesso avevo un’altra motivazione che mi spingeva a terminare il libro che doveva essere perfetto, perché lei sarebbe stata la prima a leggerlo, ci tenevo troppo a fare bella figura.
Era quasi mezzanotte quando decisi di andare a riposare nella mia stanza, però prima decisi di passare da quella di Giada per vedere se dormiva.
Entrando trovai l’abat-jour accesa, lei era profondamente addormentata e coperta solo per metà dal piumone in una posizione assolutamente innaturale, accanto a lei c’era il libro chiuso con dentro un dito a mo’ di segnalibro.
Prima di tutto presi il libro, misi il vero segnalibro e lo deposi sul comodino, cercai con molta delicatezza di farle assumere una posizione un po’ più naturale, presi il piumone e la coprii interamente cercando di non svegliarla.
Rimasi un momento a osservarla mentre dormiva, era bellissima, dolce e innocente. Sapevo ormai che non potevo più fare a me no di lei, era entrata nella mia vita per non uscirne più.

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Erano passati tre mesi ormai da quando mia figlia si era stabilita definitivamente a casa mia e il
legame che mi univa a Giada si era rafforzato.
Attraverso il padre di Noemy, che era il mio avvocato, feci inoltrare la richiesta di affidamento, non
avrei permesso a Silvana di portarmela via.
Secondo lui c’erano tutte le possibilità che qualsiasi giudice mi affidasse la bambina. Silvana era in
carcere, probabilmente non avrebbe trovato subito un lavoro in tempo breve, mentre io ero il padre
e potevo darle tutto quello di cui aveva bisogno.
A crescere Giada insieme a me c’era anche Noemy che continuava a viziarla in ogni modo. Dal
canto suo, Giada accettava i regali, ma solo una volta ogni tanto, perché a mio avviso più delle cose
materiali cercava di avere un rapporto amichevole con lei e Noemy era speciale anche in questo,
sapevo che sarebbero diventate ottime amiche.
Dovevo riconoscere che Maria aveva fatto un ottimo lavoro con nostra figlia, speravo solo di
riuscire a proseguire sulla linea che lei aveva tracciato.
In quel momento mi trovavo nel mio studio a scrivere, ormai mi mancava poco per finire ero sicuro
che in una settimana avrei terminato il romanzo, quando improvvisamente mi sentii chiamare.
“Berto… noi andiamo” disse Giada affacciandosi alla porta dello studio.
“E dove andate?” chiesi curioso.
“A fare shopping, chiaro” rispose Noemy che era dietro a Giada.
“Ancora! Ci siete state la settimana scorsa” sbottai stupito.
“Sono riuscita a convertirla ad Hello Kitty e quindi devo approfittare subito della situazione” disse
Noemy con un aria di trionfo in volto.
“E vero?” chiesi esterrefatto a Giada.
“Noemy sa essere molto convincente quando vuole” disse con un sorriso furbo dipinto sul viso.
“Mi arrendo! Ci vediamo dopo, devo correggere alcune cose ne capitolo”
“Bravo Berto scrivi, sono troppo impaziente di leggere” gli brillavano gli occhi mentre lo diceva.
“Va bene tesoro, tu divertiti” dissi sorridendo.
Erano passate tre ore da quando erano uscite e cominciavo a preoccuparmi, ma all’improvviso
suonò il campanello.
Mi avviai verso l’ingresso tutto contento di rivederle.
Aprii la porta e il sorriso si spense dal mio volto davanti a me c’era l’ultima persona che avrei
voluto vedere, anche se erano passati più di dodici anni dal nostro ultimo incontro, non potevo non
riconoscere quegli occhi neri come il carbone che mi guardavano sprezzanti.
“Cosa vuoi Silvana? Non sei la benvenuta qui!”
“Voglio solo mia nipote, la direttrice mi ha detto che stava a casa tua” la sua voce era ancora più
roca di quel che ricordavo.
“Non è qui è fuori, ti credevo in prigione!” dissi stupito.
“Come puoi vedere mi hanno scarcerato, fatti da parte!” e marciando sicura entrò dalla porta
obbligandomi a spostarmi
“Giada dove sei?” chiamò a gran voce aggirandosi per la casa.
“Ti ho detto che non c’è… fuori da casa mia!” stavo cominciando a infuriarmi.
“Me ne andrò solo con mia nipote” disse mentre stava salendo le scale.
La seguii immediatamente, in me stava emergendo tutto l’odio che provavo per lei, avrei voluto
prenderla in malo modo e cacciarla da casa mia, ma volevo anche sapere perché aveva raccontato
quelle bugie a Giada.
Era entrata nel mio studio e si aggirava guardinga e quando mi sentì arrivare alzò lo sguardo su di
me.
“Dov’è Giulia?” disse urlando.
“Mia figlia sta bene, è in giro con Noemy” le dissi con aria di sfida.
“Adesso la chiami mia figlia noto che hai fatto presto ad abituarti alla sua presenza, ma non sei
capace di occuparti di una bambina se la lasci nelle mani di una sciocca!” disse sarcastica.
“Di Noemy mi fido ciecamente, non è più la ragazzina viziata che conoscevi tu, è cambiata, il fatto
che Maria se ne sia andata l’ha fatta maturare molto. Adesso è una stimata dottoressa, è mia amica.
Non ti permetterò di portarmi via Giada” dissi deciso.
“Giada verrà via con me, sono sua zia l’ho cresciuta e non intendo rinunciare a lei”
“Nemmeno io rinuncerò a lei, ho già fatto richiesta di affidamento, dopo tutto sono il padre” dissi
guardandola dritta negli occhi.
“Per un tagico sbaglio, avevo detto a Maria che tu non eri la persona giusta, lei poteva avere di
meglio, ma quella stupida non riusciva a smettere di leggere le tue lettere cosa ci trovava non lo so.
Per un periodo mi aveva dato retta, ma tu continuavi a mandarle lettere e alla fine ha ceduto”
“Tu non volevi che mi frequentasse?” chiesi sconvolto.
“Certo… c’erano ragazzi più in gamba e più belli di te e anche più ricchi”
“E' per questo che vi siete trasferite, per allontanarla da me” dissi in tono accusatorio.
“Dopo la morte dei nostri genitori mi era rimasta solo lei, perciò avevo deciso che dovevamo
trasferirci. Ero convinta che la lontananza le avrebbe fatto dimenticare quella ridicola infatuazione
che aveva per te. Ma le cose non andarono come avevo previsto, poiché si accorse di essere incinta.
Per questo avevo dovuto agire in fretta è stato semplice farle trovare una lettera scritta al computer
che riportava te come mittente, voleva chiamarti ma usando il mio ascendente su di lei, l’avevo
convinta che doveva pensare alla creatura che portava dentro di se e così ha scelto il bambino
invece di te” aveva un sorriso di compiacimento in volto.
“Tu sei un mostro! Immagino che la lettera che ho ricevuto l’abbia scritta tu!” dissi puntandole
contro un dito.
“Non ci voleva molto a capirlo e sono anche riuscita ad evitare che ricevesse le tue lettere, infatti ho
raccontato al postino che la perseguitavi e che le lettere doveva darle solo a me”
“Tu mi hai impedito di vivere con l’unica persona che io abbia mai amato, di vedere la nascita di
mia figlia, di vederla mentre cresceva, starle vicino nei momenti di gioia e in quelli tristi, ma
soprattutto poterla sentire chiamarmi papà, tutto questo l’hai fatto per egoismo” le ultime parole le
dissi gridando.
“Dici che sono stata egoista? Avevo solo cercato di tenere insieme la mia famiglia, tu saresti
scappato a gambe levate appena ti avesse detto che era incinta e non doveva soffrire ancora, aveva
già patito troppo la scomparsa dei nostri genitori. In questo modo ha sofferto un po’ all’inizio, ma
poi si è ripresa, se invece la lasciavo a te avrebbe condotto un vita infelice”
“Tu non ti sei mai sforzata di capire com’ero, ti sei basata solo sull’apparenza. Avrei fatto di tutto
per Maria e Giada anche rinunciare a scrivere, non puoi neanche immaginare com’è stata fredda la
mia vita senza qualcuno che mi scaldasse l’anima e mi facesse sentire vivo.
L’amicizia stretta con Noemy mi ha aiutato molto in questi anni, ma da quando Giada è entrata nella
mia vita sono tornato finalmente a provare un profondo affetto per qualcuno” dissi iniziando con un
tono di voce alterato per finire con uno malinconico.
“Tu ti stai illudendo se pensi che Giada ricambierà questo affetto, le ho spiegato il motivo per il
quale non ha mai avuto un padre, quindi dubito che ti vorrà” disse ghignando.
“Non è vero!” disse una voce rotta dal pianto vicino alla porta.
“Giada…” ma non seppi proseguire oltre con le parole che mi si bloccarono in gola.
“Andiamo fuori di qui, Giada” le disse con noncuranza.
“Io con te non ci vengo! La mamma era infelice a causa tua, non sua” disse puntandoci il dito a
turno per indicarci.
“Non dire sciocchezze, ora tu verrai con me” disse in modo perentorio.
“No!” rispose ostinata, ritraendosi dalla porta.
Insieme a lei c’era Noemy che non avevo notato subito, evidentemente avevano trovato la porta
aperta ed erano saliti fin lì attirate dalle urla, mi chiedevo da quanto stessero ad ascoltare.
Silvana cominciò a marciare verso Giada a passo deciso, ma lei continuava a indietreggiare
guardandola con risentimento.
Mi mossi anch’io per impedire a Silvana di farle del male, lei non doveva neanche pensare di
poterlo farle, ma era riuscita ad afferrarla per un braccio, Giada tentava di divincolarsi con tutte le
sue forze.
“Lasciala!” dissi deciso.
Silvana cercava di trascinare Giada verso le scale, solo allora lei riuscì a liberarsi dalla sua presa,
ma la forza che aveva dovuto usare, le fece perdere l’equilibrio e mise un
piede in fallo sul primo gradino della scala cominciando a rotolare giù in modo scomposto.
Gridai con tutto il fiato il suo nome e mi precipitai giù per le scale per vedere come stava.
“Non toccarla” mi gridò Noemy allarmata.
Scese le scale in fretta, si avvicinò a Giada e con mani esperte cominciò a valutare la situazione.
“Chiama un ambulanza, sbrigati!” mi disse in modo concitato.
Presi immediatamente il telefono di casa e composi il numero con dita tremanti.
All’operatore descrissi l’accaduto e diedi l’indirizzo, gli dissi inoltre che un medico stava prestando
i primi soccorsi alla bambina da cui stava uscendo sangue dalla testa, a quella scena per poco non
svenni.
Era da circa tre ore che aspettavo seduto in sala d’attesa la fine dell’intervento alla testa di Giada.
Noemy mi aveva rassicurato sulle doti del neuro-chirurgo che la stava operando.
L’ansia e il dolore mi tormentavano l’animo, rivedevo costantemente la sua caduta e continuavo a
chiedermi se avessi potuto fare qualcosa per impedire tutto questo.
Le porte della sala operatoria si aprirono e ne uscirono Noemy con il medico che presumevo avesse
operato mia figlia, avanzavano piano parlottando fra di loro, mi alzai in piedi per raggiungerli.
“Come sta?” chiesi apprensivo.
“Berto, l’intervento è perfettamente riuscito. Si tratta di aspettare che si risvegli” disse con un
sorriso tirato.
“Signor Lombardo, non sappiamo quando la bambina si risveglierà, solo allora potremo giudicare
le sue reali condizioni. Quindi non ci resta che aspettare, noi abbiamo fatto tutto il possibile,
arrivederci” disse in tono professionale.
“Arrivederci” gli dissi mentre gli stringevo la mano.
“Noemy… dimmi la verità, per favore” era quasi una supplica.
“Berto calmati, come ha già detto il collega dobbiamo aspettare, perciò vai a casa e riposati” mi
disse comprensiva.
“Non posso lasciarla qui da sola” dissi deciso.
“Devi finire il romanzo”
“Chi se ne importa! Non voglio che si svegli mentre io non ci sono” dissi brusco.
“Adesso mi ascolti molto attentamente e farai esattamente quello che ti dirò” disse con un cipiglio
deciso, “Andrai a casa prenderai alcuni vestiti, la valigetta con il computer e poi tornerai qui e
finirai il romanzo, mentre tu farai queste cose, io ti farò trovare un letto in più e una piccola
scrivania nella stanza che ho fatto assegnare a Giada” mi disse con un tono che non ammetteva
repliche.
“Tu puoi fare questo?” chiesi incredulo.
“Io posso fare questo ed altro se è per una buona causa e adesso fila!” disse perentoria.
“Ma Giada…” provai a protestare.
“Finché non torni ci starò io, e se chiederà come mai il suo papà non c’è, le spiegherò tutto… quindi
non hai più scuse”
“Grazie” le dissi commosso dandole un bacio sulla guancia.
“Lo faccio solo per quell’angioletto, so che ci tiene troppo a leggere il libro” disse con gli occhi
lucidi, ero tremendamente fortunato ad averla come amica.
Erano tre giorni che stavo in ospedale nella stessa stanza di Giada. Lei era distesa sul letto con gli
occhi chiusi con il tubicino della flebo attaccato al braccio per nutrirla e con la testa fasciata da
bende.
Era diventata una lotta contro il tempo la mia, mi ero dato come obbiettivo da raggiungere quello di
finire il romanzo prima che Giada si risvegliasse, perché lei si sarebbe ridestata ormai avevo fatto
mia questa certezza.
Verso le due di pomeriggio arrivò Noemy, dopo un giorno di assenza e mi chiese di uscire un
momento dalla stanza, perché dovevamo parlare.
Appena uscii intravidi la sagoma a capo chino di Silvana e stavo per urlare, quando Noemy mi
prese la mano e mi disse “Berto rilassati, dobbiamo parlare di una questione importante perciò
andiamo nel mio ufficio”.
Ero restio a lasciare Giada, ma qualcosa nella voce e nell’espressione di lei m’indusse a seguirla
senza obbiettare.
Eravamo seduti intorno alla sua scrivania, mi era difficile guardare Silvana perciò la ignoravo,
anche se sapevo che aveva gli occhi puntati su di me.
“Berto, ieri insieme a mio padre abbiamo parlato con Silvana dell’affidamento di Giada e abbiamo
raggiunto un accordo” disse seria.
“Vi siete messi d’accordo senza dirmi niente?” la voce mi si alzo senza volerlo.
“Calmati… abbiamo concordato che la bambina sia affidata a te, ma dovrai consentire a Silvana di
vederla ogni tanto” disse paziente.
“Non se ne parla…” cominciai a dire in modo furente.
“Ragiona, non puoi escluderla dalla vita di Giada, anch’io ce l’ho con lei e abbiamo discusso a
lungo ieri, ma qui si tratta di decidere cosa è meglio per la bambina, lasciando perdere il passato,
perché quello non possiamo cambiarlo, ma guardare a un futuro dove Giada possa vivere serena”
davanti a me non c’era più la ragazzina viziata che avevo conosciuto tanto tempo fa, ma una donna
adulta che era diventata molto saggia.
“Sarà Giada a decidere, la ritengo una bambina intelligente, e io mi fido del suo giudizio, siete
d’accordo?” chiesi ingoiando l’orgoglio.
“Alberto… vorrei che tu capissi quanto tengo a Giada, è l’unica cosa bella che mi è rimasta, ti prego
non fare il mio stesso errore” per la prima volta mi voltai a guardarla dritta negli
occhi e il suo sguardo non poteva essere più diverso da quello in cui si era presentata a casa mia, in
quel momento esprimeva solo dolore e pentimento, l’incidente subito da Giada evidentemente
aveva sortito quel cambiamento nel suo comportamento.
“Silvana non posso perdonarti per ciò che hai fatto o per lo meno non subito, ma io non cercherò
mai di mettere Giada contro di te, anche se non l’accetto, tu fai parte della famiglia e lei ha bisogno
anche di te” la situazione non mi piaceva, ma per mia figlia ero disposto anche a questo sacrificio.
“Grazie… per me è difficile lasciarla, ma ho visto che ha scelto te, non voglio frappormi tra voi, ho
già sbagliato una volta e solo adesso capisco che ho fatto vivere a mia sorella una vita a metà, a
Giada non deve succedere” avevo quasi la certezza che avesse parlato con sincerità e per il
momento mi bastava.
“Bene ora che ci siamo chiariti, possiamo andare da Giada” disse Noemy sorridendo.
“Aspettate… penso che queste vi possano interessare” disse Silvana prendendo dalla borsa un porta
fotografie.
Presi in mano le fotografie e cominciai insieme a Noemy a guardarle. Le lacrime cominciarono a
scorrere senza possibilità di fermarle, in quelle immagini potevo vedere tutta la crescita di Giada
c’erano foto di quando era una neonata con pochi capelli neri in testa, fino ad arrivare ai giorni
nostri, erano comprese le feste di compleanno, le giornate al mare, le gite nei boschi e in tutte c’era
il suo sorriso accecante.
Quando ebbi finito, vidi che anche Noemy era visibilmente commossa, mi ero girato per restituire le
foto quando mi accorsi che Silvana era sparita.
Mi alzai e andai, insieme a Noemy nella stanza di Giada e trovammo Silvana accanto a lei intenta a
tenerle la mano.
“Adesso me ne vado, vi chiedo solo di avvisarmi quando si riprende” disse con gli occhi lucidi.
Noemy annuì con la testa e Silvana che si stava dirigendo verso la porta.
“Grazie per avermi fatto vedere le foto” dissi restituendole il porta fotografie.
“Tenetele, queste sono per voi” disse serafica e uscì dalla stanza.
Era passata una settimana dall’incidente e in Giada non c’era stato nessun miglioramento, questo
cominciava seriamente a minare le mie certezze, temevo di non poter più
vedere sorridere mia figlia.
Quando scrissi l’ultima parola del libro andai alla prima pagina e scrissi la dedica, poi salvai tutto
sulla penna usb. Noemy mi aveva detto che avrei potuto stamparlo con la stampante del suo ufficio
per farlo leggere a Giada.
Quando spensi il computer erano le tre di notte e decisi di sedermi accanto al suo letto. Le presi la
mano delicatamente e cominciai a massaggiarle il dorso con il pollice, speravo che prima o poi
riuscisse di nuovo a stringerla attorno alla mia. Appoggiai la testa al letto perché ero stanco, avrei
potuto andare nel letto affianco, ma non riuscivo a staccarmi da lei.
“Giada… il libro aspetta solo la tua recensione” dissi sottovoce e gli occhi mi si chiusero senza
volerlo.
Ero in fase di dormiveglia quando sentii che qualcuno mi stava accarezzando i capelli e il viso,
probabilmente era Noemy pensai d’istinto.
“Papà… sei sveglio?” mi disse una voce dolcissima.
Aprii subito gli occhi ancora carichi di sonno e in quella nebbia intravidi il volto sorridente di Giada
che mi guardava con tenerezza.
“Sei sveglia!” dissi con la voce ancora un po’ roca.
“Anche tu, adesso” disse ridendo piano.
“Stai bene?” chiesi preoccupato.
“Sto bene papà” disse raggiante.
“Mi hai chiamato papà!” dissi emozionato.
“Si tu sei il mio papà! Avrei dovuto chiamarti prima così” e sul suo viso si disegnò un aria
colpevole.
“Non importa… avevi bisogno di tempo, non ti preoccupare avevi le tue ragioni” dissi
comprensivo.
“Non ti ho raccontato tutto, era da un po’ che volevo parlartene” disse triste.
“Dimmi tutto senza problemi” dissi comprensivo.
“Quando mi hai fatto leggere la lettera avevo intuito che l’aveva scritta la zia, lei e la mamma hanno
la stessa grafia, ma la zia e maniacale nel mettere i puntini sulle i, mentre la mamma non li metteva
mai. Ma non riuscivo a fidarmi di te, poteva essere un trucco, così ho pensato che se venivo a casa
tua e trovavo un'altra donna o delle foto di lei, potevo smascherarti e invece ho trovato solo
fotografie di te e la mamma felici e quando parlavi di lei si vedeva che le volevi bene, lì ho
cominciato ad avere dei dubbi, tu sei troppo fantastico per abbandonare la mamma sola e incinta”
Mi alzai, anche se avevo i muscoli che urlavano dal dolore e l’abbracciai teneramente, facendo
attenzione alla fasciatura alla testa, con lei che mi stringeva forte.
“Non sapevo di avere una figlia così attenta ai dettagli” dissi scherzando.
“Diciamo che sono brava a coglierli” disse ridendo.
“Papà, secondo te perché ci siamo trovati subito in sintonia dopo che ci siamo parlati?” mi chiese
curiosa.
“Giada penso sia stato l’amore, ho sempre pensato ad esso come a un tipo di magia, capace di
incantarti e ha gettato su di noi un potente incantesimo appena ci siamo parlati, perché tutti i tipi
d’amore riescono a vincere qualsiasi tipo di ostacolo” dissi baciandole la fronte.
“Nella stanza entrò anche Noemy che esplose dalla gioia e si unì al mostro abbraccio.
“Berto potresti andare fuori un attimo? Vorrei visitare questa bellissima bambolina” disse gioiosa.
“Va bene, andrò nel tuo ufficio…” e strizzai l’occhio.
“Vai pure, fa come se fosse tuo” strizzando l’occhio di rimando.
Giada aveva lo sguardo incuriosito, ma non fece domande probabilmente aveva già intuito
qualcosa.
Dopo mezz’ora tornai con un fascio di fogli pronti per essere letti. Speravo sinceramente in un
recensione positiva, ma non potevo esserne sicuro poiché l’avevo scritto in circostanze particolari.
Appena entrai vidi che Giada stava parlando al telefono, dagli spezzoni di conversazione intuii che
stava parlando con Silvana.
Mi avvicinai a Noemy che mi disse che a una prima visita la bambina era perfettamente in sé e che
non aveva riportato danni, ma per sicurezza le avrebbero fatto una TAC.
Quando finì la conversazione telefonica ridiede il cellulare a Noemy che a sua volta uscì dandole
un bacio sulla guancia.
“Che ne pensi dell’accordo, Giada?” chiesi con un certo timore.
“Lo trovo giusto, la zia mi ha detto che ha commesso tanti sbagli, ma che mi vuole bene, quindi
devo andare anche da lei, tu che ne pensi?”
“Giada quello che tu decidi, per me va bene, perciò ogni tanto ti accompagnerò da lei”.
“So che ti ha fatto soffrire, ma lei mi ha cresciuto insieme alla mamma, non posso abbandonarla”
disse comprensiva.
“Lo capisco e non mi opporrò… questo è per te, leggilo quando ti sentirai in grado” dissi tranquillo.
“Lo sapevo che l’avevi finito” urlò di gioia strappandomi le pagine di mano.
“Papà, io qui sto bene al momento, perciò perché non vai a casa e dormi un po’? te lo sei meritato”
disse sorridendo.
“Sicura?”
“Certo.. vai! È un ordine, ci vediamo domani” disse indicandomi la porta con la mano ridendo.
Andai a casa con il sorriso sulle labbra, riuscii finalmente a fare una doccia come si deve, la barba e
dormire serenamente.
L’indomani arrivai all’ospedale al mattino, ed entrai nella sua stanza silenziosa, forse dormiva,
invece la trovai intenta a leggere, mi sedetti sulla sedia senza far rumore per non disturbarla, visto
che non si era accorta della mia presenza.
Quando posò anche l’ultima pagina vidi che aveva gli occhi arrossati per il pianto.
“Papà… è bellissima!” disse appena mi vide con voce emozionata.
“Pensi che piacerà all’editore?”
“Se dice che non gli piace lo strozzo!” disse combattiva.
“Ti è piaciuta la dedica?” chiesi speranzoso.
“A Giada il mio gioiello più prezioso” citò alla lettera “Come pensi che non mi sarebbe piaciuto?
Fidati di me, il libro sarà un successo” disse alzandosi dal letto per venire tra le mie braccia che
l’accolsero teneramente.
Infatti quando il libro uscì nelle librerie andò a ruba, perfino le recensioni furono positive, ma
l’unica che a me interessava l’avevo incorniciata, perché era della persona che aveva reso possibile
questo libro.

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