Anna e Antonio dalla A alla Z di Dea Elisa (/viewuser.php?uid=100271)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Abisso ***
Capitolo 2: *** Bianco ***
Capitolo 3: *** Cancello ***
Capitolo 4: *** Desiderio ***
Capitolo 5: *** Errore ***
Capitolo 6: *** Fragile ***
Capitolo 7: *** Gelo ***
Capitolo 8: *** Hybris ***
Capitolo 9: *** Importante ***
Capitolo 10: *** Jalousie ***
Capitolo 11: *** Keplero ***
Capitolo 12: *** Libertà ***
Capitolo 13: *** Malattia ***
Capitolo 14: *** Nobiltà ***
Capitolo 15: *** Ossigeno ***
Capitolo 16: *** Polvere ***
Capitolo 17: *** Quindici ***
Capitolo 18: *** Regole ***
Capitolo 19: *** Segreto ***
Capitolo 20: *** Tu ***
Capitolo 21: *** Urla ***
Capitolo 22: *** Vedova ***
Capitolo 23: *** Zitta ***
Capitolo 1 *** Abisso ***
Pairing:
Anna/Antonio;
Prima
persona: Anna;
Seconda
persona: Antonio.
Premessa: solo in questa prima drabble ho reso in corsivo le numerose parole che mi sono state proposte come titolo e che ho voluto inserire comunque.
Abisso
È
un po’ dove mi
trovo io adesso.
La
mia anima ti chiama, ma tu non le
dai ascolto, e ormai non mi
stupisco più
della nostra lontananza che si fa via via più dilatata.
Siamo
come due attori in mano al peggior
commediante
della Terra: gli spettatori s’appassionano alle nostre
rispettive storie, ma
quando l’attesa di vederci
riuniti si
fa frustrazione, lo spettacolo finisce e i titoli di coda lasciano la
gente con
l’amaro in bocca.
Il
mio agire è arbitrario,
inutile è l’arrendersi alle
persuasioni di Fabrizio
che coerentemente mi giudica una sciocca e una vigliacca a non montare
il mio
cavallo e correre da te.
Poi
un giorno ti
trovo sotto il gazebo in giardino, in compagnia di mio fratello, e come
due vecchi
amici ridete, scherzate, vi fate
beffe della vita anche solo per un attimo
di libertà.
Ti
accorgi di me prima che io potessi
eludere l’attrito tra
l’erba e gli
stivaletti; sei già in piedi a fissare, nonostante la
distanza, i miei occhi
che procedono nei tuoi a ricreare la maledetta alchimia
che credevo dissipata. Scappo in casa, benché fosse palese
l’attrazione che ancora viveva nei tuoi confronti.
Il
tuo azzardo è stato
quello di non permettere
alla porta della mia camera di richiudersi a dovere.
“Antonio ma che fate?”
Credevo
che vivere
senza di te fosse stata un’agonia,
ma
a quanto pare lo è di più parlarti in tono
sprezzante e distante con l’ambizione
di riportare tutto come
un’eternità fa.
Ma
non è possibile
tornare indietro, vero, amore mio?
“Siete
scappata.”
Allora
dammi la mano e
fammi credere che con te esista un modo per risalire questo abisso.
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Capitolo 2 *** Bianco ***
Pairing:
Anna/Antonio;
Seconda
persona: Antonio.
Bianco
Era
il colore che
sembrava avere il suo vestito dalla distanza a cui ti trovavi.
Forse
era un po’ più
scuro, o magari la tonalità rimbalzava dal rosato
all’azzurro per via delle
luci delle candele che si rinfrangeva sulle vetrate colorate.
Qualunque
fosse
stata la sfumatura assunta da quella veste, avrebbe donato ai suoi
occhi quel
riflesso colorato che non era più loro innato, almeno da
quando le avevi
distrutto il sogno di essere felice.
Con
quale diritto ti
saresti presentato a interrompere le futili chiacchiere tra Anna e le
sofisticate nobildonne altere che sventolavano i ventagli seguendo un
procedimento fisico che a te sfuggiva?
Non
di certo con il
pretesto di far loro notare come l’ipocrisia regnasse tra le
pieghe di quelle
gonne infiocchettate di lusso, ma nemmeno con l’intenzione
menzognera di
permeare tra i loro discorsi.
Saresti
rimasto
appoggiato in quell’angolo di muro finché gli
ospiti non avessero lasciato la
sala: sarebbe stato l’unico modo non esibizionista per farti
notare dalla sola
donna che ti interessava.
Ora
che si era
voltata su un fianco, il bianco lasciava notare una scia di brillantini
luccicanti
di giallino.
Ma
sicuramente il
colore di quel vestito non era nemmeno il giallo.
Per
poter definire
con meticolosità le sfumature del capolavoro di sartoria che
indossava la
contessa Ristori, non sarebbe bastata un’occhiata di sfuggita
dal fondo della
sala, ma nemmeno uno studio approfondito alla luce di quelle candele,
che
avrebbero rischiato di alterare la vera natura delle stoffe.
Era
altresì
impossibile negare che l’accostamento della collana dalle
pietruzze bianche
brillanti e i nastrini candidi che dai capelli disegnavano la linea
delle
spalle la rendessero la più attraente nella sua
diversità dalle altre donne:
troppo truccate, ingioiellate e dall’aria di conscia
altezzosità.
Al
contempo la tua
presenza nel salotto dei Ristori era discutibile.
Fabrizio
ti aveva
avvertito di questa sorta di rimpatriata tra i vecchi amici dei due
fratelli,
ma non ti aveva formalmente invitato, perciò, oltre al
timore di incrociare uno
sguardo femminile sconvolto o piacevolmente sorpreso, eri angosciato
dall’idea
di essere scacciato con l’accusa di intrusione.
Eppure
quel
pizzicore al cuore e il formicolio ai muscoli delle gambe rendevano la
tua
permanenza in quel luogo proibito una fonte di accattivante rischio.
L’unione
di un uomo
dalla superiorità congenita al gruppetto di signore
capeggiate da Anna non passò
inosservato ai tuoi occhi: aveva salutato con un leggero inchino le
quattro donne
e ora teneva la mano della contessa su cui aveva posato le labbra
velate di un
sorriso, lo stesso che apparve sul viso compiaciuto della Ristori.
Non
avesti la
possibilità di studiare la sua espressione per trovare i
segni del fastidio,
perché quando il suo capo si sollevò dal viso del
nobile, si appoggiò su di te,
lentamente, fermando il tempo in quel preciso momento.
Donne
e uomini
attraversavano la sala a braccetto, nobili annoiati parlottavano
fittamente, le
candele trasmettevano il loro sfiancamento nel posare la luce su tutti
quei
volti, ma a te non importava se qualcuno si fosse accorto del vostro
scambio di
sguardi, tantomeno dell’espressione paralizzata che avevate
entrambi.
Il
contatto svanì
altrettanto velocemente quando le compagne vivaci di Anna la
presentarono in
modo più compiuto all’uomo, che non nascondeva
affatto il proprio interesse
verso la sua fisicità sagomata dal corpetto.
Ti
chiedesti come
fosse plausibile essere gelosi di uno sconosciuto; la risposta che la
tua mente
stava elaborando non era necessaria a mandare l’impulso ai
tuoi muscoli, che si
erano già avviati da soli verso l’uscita.
Se
mai Anna fosse
tornata a guardare nella tua direzione, non avrebbe visto altro che un
muro
spoglio e non propriamente candido.
L’unico
dettaglio
che avresti rimpianto sarebbe stato il colore di quel vestito: non
avresti mai
saputo di che sfumatura fosse il bianco, né come sarebbe
stato accarezzare il
suo corpo da sopra la rigida stoffa. Per quello ti accontentavi dei
ricordi
perduti nel tempo, sempre meno vividi e legati al reale.
“Potevate
rimanere,
non stavate recando alcun disturbo.”
Sarebbe
stata solo
quella la condizione necessaria e sufficiente per essere allontanati
dal
salotto?
Ti
voltasti piano,
giusto per non illudere la contessa del tuo desiderio infinito di
vederla da
vicino.
“Perdonate
la mia
uscita di scena, ma non reputavo adatto a me l’ambiente che
si era creato.”
E
lo sapeva
benissimo, che detestavi gli incontri in pubblico.
“Perché
avete
lasciato il vostro nuovo ospite? Tornate nel salone, vi staranno
aspettando.”
“No,
preferisco
lasciarli sparlare da soli del mio casato. In mia presenza sarebbe
stato molto
più complicato.”
Aveva
parlato con
allegra rassegnazione, come se conoscesse a memoria le abitudini, le
chiacchiere e le facce degli aristocratici.
“Mi
spiace.”
Sorrise,
scuotendo
il capo. “Non avrei mai pensato di trovarvi in
un’occasione simile.”
Ora
che il discorso
ricadeva su di te, i tempi morti di cui avevi disponibilità
sarebbero stati
impiegati a formulare frasi coerenti e non arroganti, perciò
l’analisi del suo
abito doveva essere rimandata.
“Vostro
fratello me
ne ha parlato.”
L’affermazione
non
era per niente esauriente, ma potevi sfruttare i suoi occhi curiosi su
di te
per centrare i tuoi sullo stretto corpetto che indossava.
“Ma
non immaginavo-”
Una
sua mano si posò
tra collo e bordo dell’abito giocando nervosamente con la
collana. O aveva
notato il tuo sguardo attento su di lei e fingeva di sistemarsi il
gioiello per
coprirsi l’incavo del seno, o era semplicemente agitazione.
“…
di trovare tutta
questa gente.”
Una
folata di vento
forte aprì d’improvviso una finestra del corridoio
lasciando svolazzare la
tenda e riempiendo il silenzio di fischi fastidiosi.
Un
fiotto di luce
chiara investì il corpo di Anna che respirava forte per lo
spavento,
illuminando in tutte le sue sfaccettature l’oggetto del tuo
studio.
Le
sfumature di stoffa
immerse nel bianco luccicavano finalmente del loro vero colore: erano
verdi,
come la speranza ora ripagata di ritrovare nei suoi occhi lo stesso
strato di
pianto quiescente che li ricopriva quand’era felice.
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Capitolo 3 *** Cancello ***
Pairing:
Anna/Antonio;
Seconda
persona: Anna.
Cancello
“…
e qualche goccia
di questo se i dolori non gli permettessero di dormire.”
Osservavi
scettica
le cinque boccette appoggiate sul comò della tua stanza, ma
ti eri già
dimenticata a cosa servisse la prima ampolla.
“Non
sarete
esagerato? Tutti questi farmaci… potrebbero fargli del male,
ecco.”
“Voi
come fate a
saperlo?”
Richiude
meticolosamente la borsa che prende in mano, e istintivamente cerchi
una
motivazione a caso per non permettergli di andar via.
Mentre
lui sorride.
Sorride
ma senza
guardarti.
“Hanno
chiuso il
cancello” azzardi.
“Il
cancello?”
“Il
cancello.”
“Lo
farete aprire.”
“Ha
dei problemi.”
“Il…
cancello.”
“Sì,
il cancello ha
dei problemi.”
“Non
vedo quale sia
l’impedimento, ho lasciato il cavallo nel retro.”
“Ah.”
“Sentite,
è meglio
che vada.”
Annuisci,
piena di
vergogna per il vano tentativo.
“Ah,
credo di sapere
quale sia il problema del vostro
cancello.”
“Dite.”
“La
prossima volta provate
a chiedergli di rimanere in maniera più…
diretta.”
“Al
cancello?”
“A
chiunque voi
vogliate che rimanga. Arrivedervi.”
Lo
osservi uscire
dalla tua stanza senza più voltarsi.
Aspetti
qualche
secondo.
Poi
esci a tua
volta, ma il nome di Antonio ti muore in gola dopo la prima sillaba.
Il
corridoio era
vuoto, così come lo vedevi ogni giorno.
“Anna.”
La
paura che avevi
di voltarti fa trascorrere l’istante che lo porta
più vicino a te.
“Perché
siete ancora
qui?”
Immagini
di sentire
il suo profumo, ti sembra che le sue labbra sfiorino il tuo collo
scoperto dai
capelli raccolti, mentre lui si limita,
nell’immobilità più assoluta, a
rispondere alla tua insolente domanda.
“Ho
trovato il
cancello chiuso.”
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Capitolo 4 *** Desiderio ***
Pairing:
Anna/Antonio;
Seconda
persona: Anna.
Desiderio
“Si
è addormentata?”
ti chiese Antonio con la stessa premura con cui un padre avrebbe potuto
parlare
della figlia. Era seduto sulla poltrona dell’ingresso con le
braccia appoggiate
ai braccioli e la giacca slacciata sul petto. Solo quando
corrugò la fronte ti
rendesti conto di aver trascorso gli ultimi secondi a studiare il suo
aspetto.
Riprendesti
il
controllo di te, annuisti e allargasti le braccia per lasciarle
ricadere come
un peso morto sui tuoi fianchi.
“Elisa?”
domandasti
con finta padronanza della conversazione.
Antonio
alzò il capo
in un sorriso. “È andata a dormire anche lei, ma
non so come potrà passare la
notte.”
Nessuna
frase di
circostanza sarebbe stata consona come risposta, perché
potevi immaginare, sì,
la sua condizione, ma non ci riuscivi comunque.
“Tu
come stai?”
Perché
non l’aveva
chiesto mesi prima, quando Elisa era ancora straziata dal dolore,
mentre tu
proseguivi da anni con lo stesso odio nei confronti della tua vita?
Forse era
troppo complesso leggere nei tuoi pensieri, o forse era lui ad essere
felice con
Lucia e a non porsi domande su chi potesse non esserlo.
Se
non si hanno
preoccupazioni, poco importa di coloro che sono costretti a viverci
quotidianamente circondati.
Alzasti
gli occhi
sui suoi. “Facendo la media dei miei stati d’animo,
direi normale.”
“Se
hai bisogno di
qualcosa…” ma non era convinto di
quell’incipit.
“L’unica
cosa che mi
servirebbe per dormire sarebbe sapere che Fabrizio uscirà
dal carcere, ma non
per salire su un patibolo” percorresti due passi nella sua
direzione e inspirasti
profondamente osservando il soffitto.
Sussultasti
quando
la sua mano toccò la tua: non era proponibile
l’impiego di una siffatta
confidenza se tra voi non sussisteva nessun rapporto di tipo
amichevole, né
tantomeno amoroso dichiarato.
Eppure
ti eri
lasciata adagiare sulle sue ginocchia e abbracciare forte, come fosse
un giorno
qualunque di vent’anni prima, quando gli errori che compivi e
le consolazioni
che richiedevi erano ben più effimeri di quello che ti
serviva in quel momento.
Sarebbe
stato troppo
banale baciarlo senza dirgli nulla.
Sarebbe
stato
altrettanto insignificante sussurrare quanto ti fosse mancato a
quell’orecchio
così vicino senza
guardarlo negli occhi.
Ti
scappò da
sorridere, anche se sapevi che non avresti dovuto, o almeno non in una
situazione simile, che tuttavia sarebbe stata l’occasione
perfetta per farlo.
Scivolasti
tra le
sue braccia, trasformando così il fatto di essere seduta
sulle sue gambe in una
logica risposta alla scusa di essere rassicurata della speranza di un
futuro
con tuo fratello libero e felice.
E,
perché no, con
tuo marito incatenato in un manicomio o più semplicemente
atterrato dalla
malattia.
Prima
che tu potessi
idealmente realizzare anche solo una delle tue elucubrazioni, sentisti
il suo
fiato sulla pelle delle spalle lasciate scoperte dal corpetto allentato
e ti
mancò per un attimo il respiro.
Ti
stuzzicò il collo
con le labbra e d’istinto portasti il tuo corpo ad aderire al
suo, così che i
vostri occhi fossero allo stesso livello.
Fu
un bacio diverso
da quello che ti aveva accompagnata da quel giorno in biblioteca.
Non
vi era imbarazzo,
né la paura di lasciarsi coinvolgere in un errore da
rimpiangere.
C’erano
solo le sue
mani addosso a te che cercavano di riconoscere un corpo mai
più sfiorato e
brividi lungo braccia e gambe che lo imploravano di continuare.
Appoggiasti
baci sul
triangolo di petto lasciato nudo dalla camicia che lentamente stavi
sbottonando
e le sue mani ti accompagnarono a slacciargli gli abiti per permetterti
di
soddisfare il desiderio delle tue labbra sulla sua pelle liscia.
Volevi
che quelle
mani ti toccassero, volevi che ti spogliassero lentamente, assaggiando
la pelle
liberata dai pesanti abiti con le labbra che stavi di nuovo baciando.
Le
sue dita
attraversarono la massa riccia di capelli castani per sostenere il tuo
capo
mentre ti percorreva il viso con le labbra sulle guance e sul contorno
del
volto, come a volerlo disegnare.
Quando
scese sui
seni respirasti più velocemente e lui se ne accorse,
tant’è che li sfiorò con
l’altra mano, un attimo prima di abbandonare i tuoi capelli
con la sinistra e
cercare i lacci del bustino che iniziò a slegare per
lasciarti in sottoveste.
I
vostri fiati si
confondevano, tra le vostre labbra era un continuo cercarsi, come
steste
tornando pian piano indietro nel tempo.
Ti
sentivi sospesa a
metà tra un passato lontano e felice e un presente
inesistente se non tra le
sue braccia, legati tra loro solo da un intermezzo di sospensione
costruito su
ricordi e illusioni.
Prima
o poi, ti eri
detta, sarebbe successo di nuovo.
O
tu, o lui, o
entrambi, avreste sentito il bisogno del vostro opposto.
“Quanto
mi sei
mancato, amore mio…” ti uscì spontaneo,
quel sussurro, e ti domandasti come mai
non glielo avessi confessato giorni prima in biblioteca.
Lui
non rispose, né
a te, né più ai tuoi baci.
Ti
discostasti, il
cuore che batteva forte, la bocca socchiusa e un desiderio pulsante di
tornare
ad essere sua.
“Ho…
detto qualcosa
di sbagliato?” tentasti di rimediare, balbettando.
Forse
le tue parole
gli avevano riempito di nuovo la mente del suo passato.
Forse
non riusciva
più a pensare a te come la ragazza di una volta ma solo come
la donna che aveva
rifiutato per un’altra.
E
non sapeva che a
te non importava più e che, se lei fosse stata ancora in
vita, non saresti
stata in grado di tacere per altro tempo.
È
mai possibile
amare due persone nel corso di una vita con la stessa intensa forza?
Non
riuscivi a capacitartene, e il motivo era così
evidente…
“Sono
io che ho
sbagliato tutto, Anna!” ti ricondusse addosso a lui in uno
scatto così
improvviso che ti costrinse a poggiare le mani sulle sue spalle.
“E tu fidi
ancora di me” era un’affermazione al limite della
domanda retorica.
“Non
sono in grado
di dirtelo.”
Perché,
da qualsiasi
punto di vista avessi traslato la vostra storia, lui avrebbe sempre
avuto meno
ragione di te.
Ma
l’assurdità delle
vostre vite ti assicurava che avresti continuato a desiderarlo
eternamente.
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Capitolo 5 *** Errore ***
Pairing:
Anna/Antonio;
Seconda
persona: Anna.
Errore
Accarezzavi
con un
palmo della mano le lenzuola lisce sotto di te, illuminate dalla
finestra
aperta.
Avevi
paura di
voltarti per scoprire che quella notte non fosse esistita davvero o
che, peggio
ancora, lui se ne fosse andato.
“Non dovreste essere qui.”
E intanto eri indietreggiata, nascondendo
nell’indifferenza quella che
indifferenza non era.
“Non dovreste ricevermi nella vostra
camera.”
“Siete salito voi.”
“Avevo bisogno di parlarvi.”
“Potete parlarmi anche da più
distante.”
Alzasti le mani aperte ad altezza del petto,
scuotendo la testa bassa.
Lui te le prese tra le sue, massaggiandole.
“No che non posso.”
E te lo dimostrò baciandoti.
Ti
scende una
lacrima, che lasci scorrere sul tuo volto per non muoverti.
Anche
se ti
solleticava la guancia.
Anche
se te ne
vergognavi.
D’improvviso avevi sentito un gran caldo;
ti sembrava d’essere in una
di quelle notti in cui lo sognavi, in una di quelle notti che ti
risvegliavi
maledicendo di averlo sognato. Gli sbottonasti la camicia lasciandoti
portare
verso il letto, gli sfilasti la giacca cercando ancora la sua lingua,
gli
abbassasti i pantaloni mentre lui ti toglieva la veste da camera. Con
quella
voglia, la voglia di fare l’amore, la voglia di far finta che
non fosse un
errore, la voglia di credere che il domani fosse solo un avverbio di
tempo
tendente all’infinito.
Se
n’era andato,
concedendoti una notte d’illusioni.
Se
n’era andato, ed
era stato tutto un errore, come la tua vita, le tue scelte, il tuo
destino.
Se
n’era andato e
basta.
Ti
sposti
all’improvviso sull’altra piazza del letto, per
poter cogliere ancora qualcosa
di lui.
“Ehi.”
Scatti
seduta appena
senti la sua voce e intrappoli il tuo corpo nudo nelle lenzuola.
Gli
eri finita
addosso.
Addosso.
E
lui era lì, anzi,
era sempre stato lì.
E
ora dirà che era
stato tutto un errore, che sarebbe stato meglio dimenticare tutto,
che…
“Sono
un idiota,
Anna. Un idiota.”
Non
ti guardava
nemmeno in faccia.
Anche io, avresti dovuto rispondergli. A credere ancora a te e a cadere nella maledetta
tentazione della carne.
Cosa
potevi farci,
se l’istinto di sentirlo vicino era più forte
della razionalità?
E
se quegli occhi
non facevano altro che farti venir voglia di annegarci dentro?
Anche
ora vorresti
essere stretta tra quelle lenzuola, vorresti che s’inventasse
la miglior scusa
per andarsene, affinché tu la potessi smantellare di baci e
carezze.
“Dillo”
lo affronti
angustiata.
“Che
cosa?”
“Che
è stato tutto
un errore.”
“L’errore
è stato
non accorgermi prima di quanto avessi bisogno di te.”
E
ora dovresti
credergli.
Dovresti
gettarti
tutto alle spalle.
Dovresti
non
fargliela pagare per i pianti in cui ti ha costretto a vivere per anni.
Oh,
non gli avresti
concesso la vittoria così facilmente.
Ma
è quello che fai.
Perché
non ha senso
avere la felicità a quella distanza e non volerla
toccare.
E
il passo che dovevi
fare era così corto che temevi non potesse riproporsi mai
più.
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Capitolo 6 *** Fragile ***
Pairing:
Anna/Antonio;
Fragile
“Ditemi
che amate
vostro marito e vi lascerò sola.”
La
sua mano aperta
sotto il seno sulla placca rigida del bustino impediva ad Anna di
prendere aria
come avrebbe dovuto, per rispondere a tono a quel ricatto verbale.
Finì
col tacere,
come sempre d’altra parte, e si lasciò sorreggere
da quella mano che l’aveva
trascinata ad aderire con la schiena al corpo di Antonio.
Si
sarebbe messa a
piangere, vestendo i panni di una vittima indifesa; avrebbe suscitato
in lui
quel poco di compassione che ancora sarebbe stato in grado di provare
per lei;
non si sarebbe dimenata, non avrebbe opposto resistenza.
Sentiva
le ossa
della sua colonna vertebrale assumere una postura non consona
appiattite contro
il corpetto non malleabile a sua volta premuto contro il suo torace, ma
Antonio
non riusciva a non trattarla come fragile oggetto di vetro di cui
preservare la
bellezza.
Si
dannò mentalmente
della cura con cui inconsapevolmente si era approcciato a lei, ormai
non più
sorpreso dell’amore che il proprio inconscio mostrava provare
per quella donna.
Salì
di qualche
centimetro con la mano e con il pollice lambì la base del
seno, ritrovandosi a
contenere tra le braccia i brividi della donna.
“Non
potete rimanere
qui, vi prego” inclinò la voce perché
le mancò l’aria dopo aver sentito il suo
fiato solleticarle l’orecchio.
“Lo
dico per-” a
rompersi fu il suo respiro quando le labbra di Antonio solcarono il
margine
inferiore della guancia per portarsi in prossimità della
nuca.
“Vattene…”
appoggiò
le proprie mani sulla sua al centro del corpetto e inspirò
più volte prima di
intrecciare le dita con le sue e voltarsi finalmente verso di lui.
Quell’accorata
implorazione non era altro che una menzogna verso se stessa.
Antonio
sorrise.
Anna
aveva le gote
arrossate e il petto che animatamente s’alzava e abbassava al
ritmo dei suoi
respiri piacevolmente veloci.
Avrebbe
pagato oro per
trovare un po’ di coraggio e ammettere quanto gli piacesse
vederla così, con
gli occhi lucidi e dalle grandi pupille, un po’ accaldata, le
labbra socchiuse
come unica possibilità di regolarizzare l’affanno.
Affondò
le labbra
nella sua bocca e adorò quando Anna si fissò alle
sue spalle per impedire al
tremolio delle sue gambe di abbandonarla.
Sentiva
i muscoli
del collo di Anna contratti, mentre lo teneva saldo sotto il suo palmo
al
limitare dei capelli.
Erano
tesi a lui le
braccia e il busto della donna che respirava con lui, per vincere anche
solo
per qualche centimetro l’altezza che li divideva.
Eppure
Antonio non
riusciva a non pensare a quell’oggetto racchiuso tra le sue
braccia come a
qualcosa che si sarebbe rotto, a stringerlo forte; che si sarebbe
spezzato, ad
abbracciarlo con troppo impeto; che si sarebbe perso per sempre, se non
fosse
stato fermato in un letto di sogni, carezze e parole.
Le
dita allentate
attorno al suo polso scivolarono via, come cosparse di sapone.
E
lei, fragile, bella,
silenziosa, segnò la sua fuga con ancora il suo calore
addosso.
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Capitolo 7 *** Gelo ***
Pairing:
Anna/Antonio;
Prima
persona: Anna.
Gelo
Ho
freddo.
Ho
freddo senza di
te.
Ho
freddo perché è
freddo, perché ho un abito non adatto alle temperature
artiche che questo
inverno ha riservato al Piemonte.
Ho
freddo perché la
mia energia cinetica è sempre inferiore alla media.
Ho
freddo perché
sono dieci anni che non ricevo abbracci.
Ho
freddo perché
anche le coperte non mi riscaldano più.
Ho
freddo perché… io
sono fredda.
Sono
fredda dentro.
Credo di avere la febbre.
Allora
è per quello
che ho freddo.
Sto tremando.
No,
la febbre non è
sufficiente per scacciare gli altri infiniti motivi del mio gelo.
Dal
corridoio
percepisco una voce femminile che si avvicina.
Tremo ancora di più.
Tendo
le orecchie.
Distinguo
un tono
diverso ma familiare.
Ho
freddo perché la
porta che si apre lascia entrare un fiotto d’aria.
Ho
freddo perché ho i
brividi.
“Chiudi
la porta, ho
freddo” farfuglio alla cameriera, che si congeda con un
inchino.
“Avete
freddo perché
avete la febbre” esplica il dottore, avvicinandosi a me.
Mi
indica di sedermi
sulla poltroncina, davanti alla quale s’inginocchia.
Una
mano dietro alla
nuca mi accosta il capo al suo per premermi le sue labbra sulla fronte.
Non
voglio più
muovermi da lì.
Voglio
ubriacarmi
del suo odore, che respiro a lungo, che respiro piano, che faccio mio.
Mi
lascio andare
verso di lui ricadendo con la testa tra il collo e una spalla e lo
sento
sporgersi contro di me per non rischiare di sbilanciarsi
all’indietro.
Credo
che mi avesse
incrociato le braccia sulla schiena.
Credo, sì.
Perché
credo anche di avere perso i sensi.
… mentre il gelo si scioglieva in calore.
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Capitolo 8 *** Hybris ***
Pairing:
Anna/Antonio;
Prima
persona: Anna.
Hybris
Secoli
di filosofia e
poi?
Ognuno
ha le sue
credenze, ognuno la pensa come vuole.
Ci
si ammazza, ci si
picchia, per un Dio in cielo, per un Dio in terra.
Per
un destino che
non esiste, per la preveggenza, per la speranza in un futuro migliore.
Se vuoi trovare quello che cerchi, alzati e vallo a
prendere.
Qualcuno
mi avrebbe
detto di aspettare: la divinità prima o poi si sarebbe
accorta di me.
Qualcun
altro
avrebbe scosso la testa. Niente è sicuro, tantomeno la
nostra esistenza.
Viviamo nel silenzio!
Io
voglio di più.
Voglio vincere contro chi mi dice che ogni cosa abbia un destino.
Che
tutti siamo destinati a qualcosa,
oltre che a
morire.
Non
ho più certezze,
al mondo, se non quella della tua indifferenza.
Se
esistesse
qualcuno, lassù, che mi voglia bene e che segua i miei
passi, perché non
avrebbe ancora mandato un angelo ambasciatore a recapitare alla mia felicità quanto io abbia
bisogno di lui?
Non
me lo merito.
E
con questa
risposta, la più scontata e la più vera, termino
l’ennesimo giorno trascorso ad
attendere l’intervento di qualcuno. Ma saranno le ultime ore
che passerò inerme
ad aspettare.
Vorrei
sfidare il
fato, il logos, il Dio, il destino, la materia, l’assoluto,
il mondo, l’Infinito,
la natura, l’Idea, il pensiero, l’eterno ritorno,
l’essere, l’essenza, la
ragione, la dea bendata, l’Io.
L’uomo è l’artefice
del proprio destino.
Cosa
scommettiamo?
La mia felicità?
E
sia.
Se vuoi trovare quello che cerchi, alzati e vallo a
prendere. Ti
renderai conto di aver sprecato troppo tempo pensando di non poterlo
avere.
Così
sono finita a
rincorrere il tempo a rovescio, a immaginare di trascinare con me la
linea
dell’età a un decennio prima, quando mi
mancò il coraggio di mandare all’aria
il mio matrimonio e convincere Antonio a tornare con me.
Scendo
dal calesse
di fronte a casa sua, tenuta sempre in buono stato di pulizia
nonostante sul
muro fossero evidenti numerose crepe.
Guardo
in alto: due
nuvole oscurano il sole, permettendomi di non stringere più
gli occhi.
A noi due.
La
porta si apre
prima che potessi bussare.
“Contessa,
che fate
qui?”
“Ho
una scommessa in
sospeso.”
“Con…
chi?”
Mi
alzo sulle punte
dei piedi per raggiungere l’altezza del tuo viso a cui sono
quasi incollata.
“Avete
presente il
detto se vuoi una cosa valla a prendere?”
“Nel
mio caso credo
sia un po’ diverso.” Lo guardo perplessa.
“Quello che voglio è già tra le mie
braccia.”
Sorrido
soddisfatta.
“Grazie.”
“Per
cosa?”
“Per
avermi fatto
vincere la scommessa col destino.”
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Capitolo 9 *** Importante ***
Pairing:
Anna/Antonio (Antonio-centric);
Ambientazione:
Seconda serie; Antonio ha scoperto del "tradimento" di Anna, il duello con Salvati non è ancora avvenuto.
Importante
Importante.
Era per Antonio che lei non
si lasciasse raggirare da chi
aveva ben altre intenzioni che il solo mostrare generosità
nei confronti di
un’amica.
Era non essere tradito,
almeno non al fine che
imputazioni ingiuste fossero smentite dalla stessa accusa.
Era non avere alle spalle
altri momenti da cancellare,
altre situazioni da cambiare, altri ricordi da non raccontare.
Era pretendere che gli altri
seguissero i suoi stessi
ideali, anzi, che lei abbracciasse
i
suoi stessi principi di onestà e trasparenza.
“Tutto quello in
cui credevo mi è stato tolto.”1
Diceva così,
mentre Anna ammetteva senza trattenere una
lacrima di avere bisogno di lui.
Quanta ingiustizia era stata
perseguita nel corso dei
secoli, prima di quel giorno?
Forse era il buio e la
disperazione che si respirava in
quella cella, ad averlo abituato alla solitudine.
Quasi si era dissolto, lo
sguardo di Anna tra i suoi
pensieri, a forza di fissare le pietre mal incastonate in quel muro che
reggeva
l’asse di legno su cui passava le notti.
Adesso era il lago
luccicante del tramonto, ad essere la
meta della sua mente.
L’aria era fresca,
profumata di vegetazione e di fiori
lontani.
La terra sotto i suoi piedi
era morbida, piena di sassi
di varie tonalità e di erba verde.
I suoi capelli pettinati si
muovevano col vento.
La sua casa era tornata ad
essere quella di sempre, ma la
sua donna non c’era.
Aveva davvero preferito
tendere all’inesistente giustizia
ideale piuttosto che al sogno concreto dell’amore?
“È
finita, Anna.”1
Importante.
Sei
sempre stata
tu, Anna, la più importante.
1. Antonio, Elisa di Rivombrosa - Parte Seconda
(episodio 16)
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Capitolo 10 *** Jalousie ***
Pairing:
Anna/Antonio;
Seconda persona:
Antonio.
Jalousie
Non
eri mai stato
eccessivamente geloso.
Almeno
non per
Lucia, che ripeteva con assiduità come non potesse
innamorarsi di nessun altro.
Gli
ingranaggi
stridevano, però, se il nome a cui fare riferimento era
quello di Anna, la
donna con gli orecchini che brillavano ogni volta che scuoteva il capo
alla
luce delle numerose candele nel salone da ballo.
Non
avrebbe potuto
entrare inosservata, a braccetto di suo marito, impettito e orgoglioso
per l’atmosfera
così calda e luminosa, sicuramente opera sua e dei suoi
dispotici comandi alla
servitù ingobbita dalla sua prepotenza.
A lei non piaceva l’esagerazione.
Non
dovevi strafare,
per convincerla, non dovevi correre, se bastava camminare.
A
lei bastava la
penombra, per ballare.
Ti
portasti una mano
alla fronte, sicuro che fosse l’odore della cera ad
alimentare quei pensieri
intrisi di ricordi pericolosi.
Aveva
un abito color
vaniglia, rifinito in rosa, e un fiocco tra i capelli della stessa
tonalità,
che lasciava ricadere sulla spalla una ciocca arricciata di quel
castano scuro
che conoscevi troppo bene.
Fabrizio,
dall’altro
lato del salone, salutava gli ospiti e introduceva la festa, ma le sue
parole
passarono indifferenti su di te, che avevi gli occhi impazienti di
trovare i
suoi.
Cogliesti
qualcosa
che somigliava a festa in maschera
dalla presentazione del conte, ma probabilmente era l’idea
iniziale di quello
che era già divenuto un semplice e noiosissimo ballo dalle
solite facce.
L’unico
particolare
era che tu non avevi la… compagna.
O
i Ristori erano davvero fiduciosi nelle capacità di una
serata in compagnia di
garantire approcci con il sesso femminile di durata sufficiente a
prevedere
ulteriori incontri privati?
Quando
i musici
diedero inizio al primo ballo, decidesti di ritirarti e sederti accanto
alla
contessa Agnese, che osservava non convinta la scena che si stava
movimentando
al centro della sala.
“Oh,
dottor Ceppi,
siete solo?” chiese con entusiasmo.
“A
quanto pare.”
“Vi
inviterei
volentieri a danzare con me, ma, sapete, non sono più in
forma come una volta e
non vorrei poi dover usufruire della vostra competenza medica in una
serata
come questa.”
“Toglietemi
una
curiosità.”
“Se
posso.”
“Di
chi è stata
l’idea?”
“Di
quel matto del
marito di mia figlia. Ma non chiedetemi perché Fabrizio
abbia preso in mano la
conduzione della festa: ho preferito rimanerne fuori.”
“Capisco.”
Alzasti
gli occhi
verso la massa, e all’improvviso comparve di fronte a te una
gonna color
vaniglia, che sparì poco dopo immersa dagli altri ospiti.
Non riuscisti a
trattenerti e ti sollevasti dalla sedia, per cercare di nuovo lei.
Lei che ballava con un altro.
“Non
sa nemmeno
appoggiare un piede dopo l’altro” commentava
intanto la contessa.
“Chi,
scusate?”
rinvenisti.
“Il
marito di mia
figlia. Grasso, grosso, impacciato, irritante, e mi fermo
qui” fece una pausa. “Perché
non le chiedete di danzare con voi, il prossimo giro?”
sorrise, senza che tu
avessi partecipato all’enumerazione.
“Non
oserei mai,
sarebbe indecoroso.”
L’uomo
avvicinò a sé
la moglie e temesti di non esserti immaginato quel bacio che le diede
sul
collo.
Rabbrividisti.
“Scommetto
che ad
Anna non farebbe che piacere. E di indecoroso, in questo momento,
c’è ben
altro.”
La
musica cessò, e
Fabrizio richiese di nuovo l’attenzione.
“…
e quindi gradirei
che nella prossima danza le coppie si scambiassero tra di loro,
alleggerendo
questo opprimente clima di festa mondana!”
No,
avrebbe solo
suscitato discussioni su chi si sarebbe accaparrato la donzella
più bella, ed
equivoci e gelosie tra coppie sposate.
Alzasti
gli occhi
sulla confusione che si stava creando: trovasti in mezzo alla folla
Alvise
avvinghiato alla figlia minore dei Maffei – a quanto pare non
aveva perso tempo
–, ma di Anna avevi perduto le tracce.
“Cosa ci fate
qui?” udisti un sussurro
provenire da dietro di te. Il cuore iniziò a martellare, e
la mente a correre, all’analisi
delle possibili risposte, che non fossero né troppo
ricercate, né superficiali.
“Credo
di essere
stato invitato. Regolarmente” ti difendesti senza voltarti,
con la mano già
pronta a estrarre dalla tasca l’invito pervenutoti.
Delle
parole della
donna non rimase che un sospiro.
Poi
percepisti il
frusciare della sua gonna contro le tue gambe, mentre si portava di
fianco a
te.
Non
avevi avuto
l’occasione di vederla così vicino da anni.
Ti
stupisti di
quanto fosse bella, di quanto quegli occhi castani fossero grandi e
profondi, e
anche, purtroppo, di quanto avessi voglia di sentire quelle labbra rosa
addosso
a te. Il tempo viaggiava troppo in fretta, e tanti pensieri si
accavallavano.
“Il
vostro compagno
vi starà aspettando” parlasti piano, sicuro che la
vicinanza l'avrebbe fatta
sentire comunque.
“Non
avete udito
Fabrizio?” ti accusò di distrazione.
“Non
vorrete dirmi
che nessuno vi ha chiesto di danzare” recuperasti un punto a
tuo favore.
Scosse
la testa, con
le labbra inclinate in un sorriso, che cancellò il tuo
intento di istigarle
rabbia.
Le
note del secondo
ballo si dispersero nell’aria.
“E
voi siete
l’ultimo uomo con cui avrei intenzione di unirmi alle
danze.”
“Ho
forse espresso
il proposito di trascinarvi in mezzo a questa confusione?”
“No,
ma a quanto
pare non perdete tempo a comportarvi da arrogante, quando scorgete
l’occasione
di litigare.”
Avresti
voluto dirle
che era l’unico modo che avevi per fare poi pace, ma ti
avrebbe dato dello scellerato,
oltre che del maleducato.
“Signora,
non era
nelle mie prospettive importunarvi in questa piacevole serata. Se
preferite che
tolga il disturbo, non vedo impedimenti che mi trattengano.”
Alzò
il mento
massaggiandosi il collo. “Cosa ne sapete voi, di quello che
preferisco o che
non preferisco? Se volessi… che ne so, scappare in giardino,
passarci la notte,
chi mai me lo permetterebbe? O se preferissi andarmene da questa tenuta
e non rivedere
mai più mio fratello, mia madre così devota alla
sua dama di compagnia, o mio
marito, devoto a qualcos’altro? O se preferissi invece
ballare con voi, ma
fossi troppo timida o orgogliosa per ammettere che non vedrei
l’ora di farlo?”
Fu
la musica già
avviata a rendere mute quelle parole di sfogo, concesse solo al tuo
orecchio.
“Siete
grande, per
avere ancora bisogno di chiedere il permesso.”
Le
cingesti la vita
col tuo braccio e la trascinasti contro di te, lasciando tra le vostre
labbra
solo lo spazio necessario per respirare. Sentisti la sua mano posarsi
sulla tua
spalla, mentre cercavi l’altra che intrecciasti con la tua.
“Ma
non abbastanza da
non aver paura delle reazioni di chi mi conosce
bene…”
“Vostro
marito non
si è fatto scrupoli a corteggiare un’altra
dama.”
“Io
sono diversa da
mio marito.”
“Anche
io sono
diverso.”
La
guidasti in mezzo
alle altre coppie che avevano avuto il coraggio di formarsi, tenendola
sempre
più stretta a te. “E dubito che possa essere
geloso di voi.”
Sorrise
e sollevò il
viso portando la guancia in corrispondenza della tua.
“Chiunque
sarebbe
geloso, a vedere la propria donna in atteggiamenti così
intimi con un altro.”
“Sbaglio
o voi non
siete stata da meno, con Alvise, prima?”
“Si
dà il caso che
Alvise sia mio marito.”
“Lo
so.”
“Êtes-vous
jaloux?”
“Posso
considerare
il vostro sorriso come un’indicazione di quanto vi faccia
piacere che io lo sia?”
Anna
accostò la
guancia alla tua e chiuse gli occhi, respirando piano, aspettando che
quella
danza già finita desse il tempo alle coppie di sciogliersi,
non senza borbottii
e gridolini d’ogni sorta.
Lei
allontanò il suo
viso dal tuo, guardandoti con occhi rassegnati.
“Avete
paura di
rispondermi?” le appoggiasti una mano sul collo, accarezzando
debolmente col
pollice la sua pelle chiara.
La
sua mano, così
piccola e inerme rispetto alla tua che la tratteneva ancora accanto a
te, si
appoggiò tra le tue dita.
“Non
posso, rispondervi.”
E
sulla tua pelle, ad
illuderti ancora, non rimase che il ricordo di averla tenuta tra le
braccia.
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Capitolo 11 *** Keplero ***
Pairing:
Anna/Antonio;
Prima persona:
Anna.
Keplero
Keplero
diceva che
fosse il Sole a stare fermo in mezzo al sistema solare.
Ma
come chiamavano
il loro sistema i seguaci di Aristotele e Tolomeo? Sistema… terraneo? O… geoqualcosa?
Forse più semplicemente geocentrico. Ma chi dice che
non siamo stati noi ad inventarci questo termine? Magari, loro, non lo
chiamavano proprio.
L’uomo
era al centro
dell’universo.
L’uomo
era la forma
di vita per eccellenza.
L’uomo,
l’uomo,
l’uomo.
L’uomo non è niente.
L’uomo
non è che una
briciola d’universo, un microbo di cosmo sputato su una sfera
azzurra e verde
sospesa in mezzo al nulla.
Così
Keplero si è
inventato che attorno al Sole ruotassero i pianeti.
Ma
solo la Terra ne
ha veramente bisogno, perché è abitata da esseri
non autosufficienti, a cui
servono calore, luce, cibo, acqua.
E
che necessitano
d’amore.
Senza
Sole la Terra
cesserebbe di esistere, collasserebbe su se stessa restringendosi sino
a
diventare un puntino opaco.
Credo
sia la stessa
fine a cui mi stavo avvicinando io.
Io,
Terra.
Tu,
Sole.
Ho
passato troppi
anni con la convinzione che io potessi esistere anche senza la mia
stella a
scaldarmi, con la speranza che quello che tu non potevi darmi mi fosse
concesso
dall’affetto della mia famiglia.
Mi
sbagliavo.
L’affetto
non può
essere venduto come amore.
“Anna,
stai poco
bene? È mezz’ora che ti rigiri nel
letto.”
“Scusa.”
Mi
sposto accanto a
te, che mi abbracci. “Stavo pensando.”
“A
cosa?” Mi sposti
i capelli e mi posi un bacio sulla nuca.
“A
noi.”
Ti
sento sorridere.
Keplero
non aveva
tutti i torti: ogni Sole ha i suoi pianeti; ogni pianeta ha il suo sole.
L’unica
differenza è
che io sono l’unico pianeta del mio Sole.
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Capitolo 12 *** Libertà ***
Pairing:
Anna/Antonio;
Seconda persona:
Anna.
Libertà
Libertà.
Di
non dare
spiegazioni.
Di
decidere per te e
tua figlia senza dover rendere conto a nessuno.
Di
leggere fino a
tardi, di non leggere affatto; di andare presto a dormire o di passare
la notte
inseguendo i pensieri.
Libertà
di essere
arrabbiata per un vestito macchiato o felice di un sorriso di Emilia.
Libertà
di offendere
il proprio fratello per la sbandata presa per una serva.
Libertà
di uscire da
sola, di impartire ordini alla servitù senza sensi di colpa,
di sbagliare e non
aver paura del giudizio di qualcuno.
Di
sbagliare e non
aver qualcuno da abbracciare liberando i tuoi errori in un pianto
sommesso
sulla sua spalla.
Di
svegliarti e
avere il letto vuoto, di addormentarti con il martellare del cuore nel
petto
chiedendoti se fosse una libertà, quella di non avere anche
il suo respiro a
tenerti compagnia.
Libertà…
come quella
di non ascoltare le sue raccomandazioni, come quella di non sentire il
bisogno
di chiedere il suo aiuto e ricevere rassicurazioni ad ogni starnuto di
Emilia.
Libertà
di sentirti
sola, senza di lui.
Di
piangere ai suoi
ricordi, di immaginare la sua mano appoggiarsi sulla tua spalla per
farti
voltare e ridere di un suo sorriso.
Libertà
di odiarti,
di odiare lui, di odiare l’amore, la lontananza, gli stupidi
principi in cui
preferiva annegare. Di odiare l’orgoglio che vi separava, la
testardaggine di
una donna che voleva avere ragione anche quando era palese il
contrario, le
pazzie di un uomo che aveva tentato di cambiare le leggi della
gerarchia
sociale mostrandosi ora solo più debole dinnanzi a tuo
fratello, cui era stato
concesso di mantenere il titolo garantendolo anche alla sua sposa.
Non
aveva combattuto
abbastanza. E non era rassegnazione, questa?
Non
avevi combattuto abbastanza per
restare
al suo fianco; avevi lasciato che scegliesse un’altra donna.
E
non era
prevaricazione, ingiustizia, voglia di illudere, questa?
Ma
non era trascorso
troppo tempo da quando odiavi la sua insistenza nel presentarsi a casa
tua a
quando non potevi fare a meno di dissetarti dei suoi occhi.
Aveva
scelto te per
la seconda volta in una vita.
Aveva
scelto te come
seconda donna della sua vita.
E
non è inganno, non
è prendersi gioco della tua solitudine e voglia di
ricominciare dal principio?
E
poi ti chiedevi
perché non avresti dovuto sentirti soddisfatta, a prenderti
la libertà di
odiarlo.
Anche
solo per il
fatto che non avresti mai smesso di amarlo.
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Capitolo 13 *** Malattia ***
Pairing:
Anna/Antonio (mi chiedo perché continuo a riportarlo, vista
la fantasia delle mie storie in questa sezione);
Seconda
persona: Anna.
Ambientazione:
quando e dove più vi piace... nella prima serie.
Premessa:
per questa one-shot ho impiegato uno stile che ho preso in prestito da
una persona che ho "conosciuto" in un altro fandom. Spero che, se mai
leggerà questa storia, lo prenda solo come ammirazione per
l'uso immancabile nelle sue ff di questi incisi in corsivo,
che adoro - altrimenti non glieli avrei certo rubacchiati!
Premessa2:
non credo di aver mai dedicato una storia a qualcuno. Ebbene... oggi
vorrei dedicare questa storia a due persone. La mia cara Sara, che da quando
mi ha trovata non mi ha più lasciata e che, quando inizio a
temere che non mi recensisca più perché
si è rotta le scatole di leggere di 'sti due, mi sorprende
sempre più adorabilmente scrivendo parole che mi
commuovono. Peccato solo non avertele dedicate tutte, le mie
storie! Non posso non menzionare Sofia, che dopo aver letto la storia
si chiederà: "diamine, con tutte le storie possibili da
dedicarmi, proprio questa?". Sì, lo so, mi scuso per la
presenza di frasi, argomentazioni, temi simili alla tua seconda
one-shot, ma il bello è che l'ho scritta prima che tu la
inserissi, e mi piaceva troppo, per rinunciare alla sua pubblicazione.
Quindi perdonami, se puoi! (ecco, magari se la immagini con la voce di
Anna disperata, il mio tentativo otterrà più
successo!)
Malattia
“Mi
prende una cosa
qui, nel petto. Me lo sento scoppiare, devo allentare il corsetto
perché riesca
a respirare meglio. E allo stomaco… una morsa che non mi
dà tregua. Non ho
appetito, anzi, spesso la nausea. Mi gira la testa quando mi muovo
velocemente,
e mi fa male quando sto troppo seduta o sdraiata. Ma è il
cuore, che batte
forte, tutti i giorni, e non mi dà pace.”
“Potrei
darvi un
calmante e qualcosa per stimolare l’appetito, ma in ogni caso
non risolveremmo
il problema all'origine.”
“Cosa
intendete dire?”
“Che
cureremmo i
sintomi e non la malattia. Permettete che vi ascolti il
cuore?”
Portasti
le dita a
slacciare la veste, ma ti assicurò che non ce
n’era bisogno – già
ti chiedevi perché avevi chiamato lui.
Si
sporse verso di
te, appoggiando piano l’orecchio al petto e una mano dietro
la schiena, per non
sbilanciarsi – per tenerti stretta.
L’attacco
di panico
che ti stava sopraggiungendo avrebbe falsato la valutazione: tu
– no, il tuo cuore
– nemmeno adesso
riuscivi a guardarlo con gli occhi da paziente.
Era
solo un dottore…
– no, non lo era.
E
quel calore che penetrava
sotto la tua pelle? E la mancanza d’aria, il respiro corto
– come a nuotare sempre
più velocemente verso
la superficie, impiegando parsimoniosamente le ultime riserve?
Si
staccò, piano.
Volle
ascoltare
anche i polmoni, ma stavolta la veste scese, lungo la tua schiena
– e lo fece insieme a un brivido,
quando le
sue mani ti sfiorarono.
“Anna,
non siete
malata.”
“Sto
male, certo che
sono malata.”
“Ma
non per cause
patologiche. È… la vostra mente a condizionare a
reazioni anomale il vostro
corpo. Ma siete sanissima.”
“Lo
sapevo. Lo
sapevo che avrei dovuto chiamare un medico migliore!”
Ma
lui era il medico
migliore, lo sapevi anche tu – ed
eri la
prima a dirlo.
Solo
avresti voluto
che non confermasse i tuoi dubbi.
Solo
avresti voluto
che i suoi occhi non ti guardassero così – quasi
a farti sentire nuda.
“Mi
spiace non
avervi saputo aiutare.” E continuava a non controbattere, a
non reagire alle
tue arroganti parole come chiunque altro avrebbe fatto.
Raccolse
il cappello
e strinse il palmo della mano attorno alla maniglia della borsa.
Perché tutta
quella fretta?
Ti
mettesti a sedere
sul letto, i piedi a terra, pronta ad alzarti. “Che cosa devo
fare?”
“Dirmi
che c’è un
motivo, se avete chiamato me.”
Scuotesti
la testa. “Non
lo farò solo perché me lo dite voi. Voi che siete
l’ultimo a cui si possa
concedere tale diritto.”
“Spero
di rivedervi
presto, Anna.”
“Io
no.”
Sorrise.
“Lo vedete?
State già guarendo.”
Sfacciato.
Per
essersene andato
con quel sorriso beffardo in volto – per
non averlo potuto sentire premuto sulle tue labbra.
Per
non aver
concluso il discorso – per aver
lasciato
intuire troppo bene di aver compreso la tua bugia.
Ma
quando ti gettasti
contro la porta per rincorrere i suoi passi, il corridoio non ti
offrì che l’eco
del tuo affanno.
|
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Capitolo 14 *** Nobiltà ***
Pairing:
Anna/Antonio;
Prima
persona: Antonio;
Seconda
persona: Anna.
Ambientazione:
il flashback è ambientato ai tempi in cui Anna e Antonio
smisero di vedersi; la parte successiva è nella prima serie.
Premessa:
uno dei tanti motivi per cui mi piace scrivere su questa coppia
è il loro passato enigmatico, o almeno quello che
è frutto delle inconsapevoli "sviste" da parte degli autori,
che hanno preferito far progredire la storia con un'improbabile seconda
serie, piuttosto che ricostruire gli eventi passati dando un senso
logico alla vita di Anna e Antonio. Io ho sempre cercato di far
incastrare tutti i pezzi del puzzle, ma temo che, se dovessi raccontare
tutto ciò che hanno passato per filo e per segno durante la
loro adolescenza (?), finirei per modificare almeno un elemento della
storia originale, perché... non ha senso, accidenti. Ma i
riflettori erano puntati su altri due, cosa vogliamo pretendere...
Con questa piccola fanfiction ho messo nero su bianco la mia
interpretazione della chiave di tutta la vicenda, ossia il
perché Antonio avesse lasciato Anna. Come sempre, non
abbondo di sequenze descrittive, perché non sono qui per
scrivere un romanzo con personaggi originali; preferisco lasciare il
contesto all'immaginazione del lettore. Ne ho scritte di meglio, non c'è dubbio, e credo che il problema sia che questo tema è troppo esteso e articolato per essere limitato ad una flash-fic. In ogni caso, non potevo non trattarlo.
Nobiltà
“Non posso,
Anna.”
“È per questo,
no? È perché sono una contessa, perché
voi siete nobile quanto me, perché non
sopportate di appartenere ad una società che
dà importanza solo al
denaro e all’apparenza, no? Ditemi che è
così e che non avete smesso di amarmi.”
“Non posso,
Anna, non posso sposarvi.”
“Ditemi che
non mi volete perché la vostra
famiglia ha interrotto ogni rapporto con voi e che ne siete felice,
così potrete
avere per moglie quella ragazza del borgo e verrete per sempre
estraniato dalla
nobiltà che tanto odiate!”
Non è
contato a niente, hai visto? Mi maledico ogni giorno, per aver creduto
che
ognuno di noi possa scegliere chi amare. E ora non posso fare altro che
guardarti da lontano, accarezzando con gli occhi il tuo viso stanco,
con
sciocca invidia per il vento che dalla finestra ha il permesso di far
dondolare
i tuoi capelli.
«Dottore,
scusate, non vi ho sentito arrivare. Cosa dicevate?»
«Soltanto
che Emilia si è ripresa completamente.» Con un
cenno del capo mi congedo,
pregando che l’immagine dei tuoi occhi scompaia presto dalla
mia mente.
«Vi
accompagno?»
Non
costringermi a guardarti di nuovo.
«Antonio.»
Avevi
ragione, amore mio.
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Capitolo 15 *** Ossigeno ***
Pairing:
Anna/Antonio (Anna-centric);
Ambientazione: prima
serie, anche se c'è un piccolo riferimento che potrebbe
portare alla seconda.
Ossigeno
Anna
sollevò gli occhi dalle righe che stava
leggendo, distratta dal rumore di grossi tomi sfogliati e gettati a
terra uno
sull’altro in una pila informe.
«Emilia
fai attenzione» la rimproverò pacatamente.
«E alzati da lì.»
«Sì
madre» obbedì levandosi in piedi e aggiustandosi
la gonna, mentre il suo sguardo veniva attratto da un angolo della
vetrina che
stava svuotando. «Questo
cos’è?» la fanciulla
accarezzò la copertina grigia del
volume impolverato che aveva preso in mano, e percorse con un dito le
lettere
in rilievo che ne componevano il titolo. «Elementa
medicinae» lesse, per catturare
l’attenzione della madre non così propensa
ad assecondarla in quell’opera di riordino della libreria.
Emilia
ci riuscì, perché vide Anna fissarla come se
si fosse appena dichiarata innamorata del proprio cugino. E un libro
era
niente, a confronto.
«Lo
conoscete?» lo consegnò alla madre appena la
raggiunse. «Mi piace la copertina»
continuò, osservando Anna tracciare coi
polpastrelli ghirigori invisibili su di essa.
Gli
angoli erano sfilacciati, il dorso quasi
strappato; le tremarono le mani quando Emilia le propose di cercare in
prima pagina
il nome del proprietario, per verificare se mai fosse esistito un dottor Ristori
tra i loro antenati.
Anna
trasse un lungo respiro, sperando che la
curiosità di sua figlia andasse scemando insieme al tempo
che passava, ma i
suoi occhi rimasero lì, spalancati, sospesi ad aspettare
quel gesto
domandandosi perché sua madre non morisse dalla voglia di
aprirlo.
«Non
è nostro, Emilia.»
Le
si chiarì ogni dubbio, quando Anna le fece
leggere quel nome graffiato sulla carta ingiallita.
“Indovina chi
ti è venuto a trovare” la contessa Agnese si fece
da parte e lasciò passare un
Antonio impacciato e imbarazzato da quell’arrivo annunciato
ufficialmente.
Anna si alzò e
accennò un inchino, nascondendo l’impazienza di
correre ad abbracciarlo.
“Avete
intenzione di studiare anche oggi pomeriggio?”
sbottò infastidita appena sua
madre lasciò la stanza, indicando con un cenno del capo il
libro che Antonio
teneva sottobraccio.
“E voi di
tenermi il muso per tutta la giornata?” sorrise, sedendosi
accanto a lei e
iniziando a sfogliare il volume a caso solo per coltivare la sua ira.
“Voglio andare
a fare una passeggiata” dichiarò, le braccia
ancora conserte.
Il
pensiero di avere accanto quel libro le fece
compagnia tutta la notte; si svegliò diverse volte, ma mai
allungò il braccio
per verificare che fosse ancora lì: le bastava la sensazione
di percepire
quell’oggetto come se il proprietario non fosse
più così distante, e il suo
cuore batteva nel timore che scomparisse a toccarlo.
“Sedetevi
qui.”
“Avevate
promesso di non aprirlo” ribatté arrogante.
Antonio le
afferrò la mano. “C’è una
cosa che vorrei voi leggeste.”
“Mi si
sporcherà l’abito.”
Si tolse
veloce la giacca e la distese sull’erba umida. “Ora
non più.”
“Ma la vostra
giacca…”
“Non importa.”
Anna lo
raggiunse sul prato e si appoggiò a lui, che le
guardò i suoi occhi grandi e
scuri sorridendo.
“Allora?”
“Temo che
l’autore del testo abbia tralasciato qualcosa, qui, in questo
punto.” Il suo
lapis percorse qualche riga. Anna fece per controbattere, ma Antonio
non la
lasciò parlare. “Proprio qui, quando parla del
cuore, vedete?”
“A dir la
verità-”
Non
era difficile ricordarsi anche di come quella
stessa grafite si fosse fissata alla carta scrivendo il nome di Anna,
accanto all’elenco
degli elementi indispensabili alla contrazione del cuore e alla vita
umana.
Su
quella pagina cadde una lacrima che sbiadì
l’inchiostro stampato: Antonio si sarebbe infuriato,
assicurò Anna a se stessa.
Allora ne
cadde un’altra.
Note:
Ho avuto dubbi su un particolare della storia fino all'ultimo: mi sono
informata su quando è stata realizzata per la prima volta la
matita così come la conosciamo noi e ho scoperto che
è datata 1761, perciò, per evitare fastidiosi
anacronismi, ho deciso di impiegare l'accezione iniziale di questo
comune strumento, lapis.
È anche vero che, facendo un paio di conti, l'anno del
flashback potrebbe essere anche successivo a questa data,
però non posso essere sicura di come la chiamassero in
quell'epoca.
E...
sì, l'impressione che la fanfiction non sia conlcusa ce l'ho
anch'io, ma preferisco lasciarla sospesa in questo modo: lascia maggior
libertà di riflessione.
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Capitolo 16 *** Polvere ***
Polvere
«Buongior…
oh! Ma che sta succedendo?»
«Niente,
sto solo mettendo un po’ in ordine. Spero
di non averti svegliata.»
La
donna deviò lo sguardo, ma il viso stanco ammise
la verità.
«Elisa,
hai bisogno di riposare.»
«Ho
troppi pensieri per la testa.»
Antonio
fece per ribattere, ma Elisa scansò
l’argomento per lei ormai chiuso, preferendo mostrare
interesse per i ripiani e
i cassetti che il medico stava svuotando.
«Mangia
qualcosa almeno. Sai che devi mantenerti in
forze, e se non vuoi farlo per te-»
«Fallo
per il bambino» completò automaticamente la
frase, aggiungendo di essere passata per la cucina e di aver messo
sotto i
denti un paio di biscotti.
Antonio
la guardò scettico, ma Elisa giurò e si mise
a ridere.
«Sei
sempre così calmo e rassicurante»
commentò dopo
aver osservato in silenzio per qualche minuto le sue operazioni di
riordino.
Le
sorrise, incerto se metterla o meno al corrente
del reale motivo per cui avesse trovato quell’insolita
distrazione.
«Io
non ci riesco» sospirò Elisa.
«E
invece dovresti» la riprese, «e saresti meno
preoccupata se questa notte avessi chiuso occhio almeno un paio
d'ore» tornò
sull’argomento, esibendola come una delle tante scuse per
l’apprensione di
Elisa, oltremodo giustificata.
«Sei
ancora convinta di tornare a Rivombrosa a
cercare la lista? Potrei andare io, o incaricare
qualcuno…»
«Vedo
che hai ancora molto lavoro da fare. Ti serve
una mano?» trovò un pretesto per non mettere in
discussione la propria
decisione.
Appurato
che non avrebbe desistito, Antonio annuì
con un sorriso di rassegnato cedimento. Perlomeno quel leggero lavoro
manuale
avrebbe aiutato a non pensare, cosa di cui entrambi avevano bisogno.
Elisa
si lasciò cadere su una sedia, per esaminare
qualche oggetto e una pila di vari tomi ritrovati in un angolo del
mobile.
Sfogliò
distratta un volume dalle pagine rese
fragili dal tempo, ma la propria attenzione venne attratta da un
cofanetto
della grandezza di un libro, così lo pose di fronte a lei.
«Qui
sopra sembra esserci tanta polvere quanta ne
abbiamo ripulita sinora» osservò, ora curiosa.
Sembrava che nessuno l’avesse
toccato da un’eternità, constatò,
mentre con uno straccio riportava alla luce i
decori dorati che si intrecciavano per tutta la superficie del
contenitore.
Notò che la serratura era chiusa.
«Antonio,
per caso…»
«Dove
l’hai trovato?»
Elisa
si spaventò, temendo di aver fatto qualcosa di
sbagliato. Gli indicò il punto della libreria, ma Antonio
non la rimproverò, né
le intimò di rimetterlo a posto, bensì
continuò, con gesti meccanici, a
spolverare le copertine di ogni libro a cui si stava dedicando, e a
riporli nei
rispettivi spazi.
«Manca
la chiave» Elisa si azzardò ancora, ma solo
dopo averlo detto fece riferimento all’eventualità
che Antonio ne fosse ben
consapevole. «Dov’è?» fu
quindi più esplicita.
Il
contenuto di quella scatola era indubbiamente
importante per lui e riaverlo tra le mani avrebbe significato rivivere
ricordi
dimenticati, qualunque essi fossero. Ed Elisa aveva
l’impressione che Antonio
non desiderasse altro che la sua insistenza, per esternare
ciò che si
costringeva a tenere segreto.
«Non
è qui.»
«E
dove, allora?»
Antonio
la fissò a lungo, ma Elisa resse il suo
sguardo finché non ottenne una risposta.
«In
mezzo ad altrettanta polvere, se mai quella
chiave esiste ancora. Polvere nobile» aggiunse sdegnato.
«Anna.»
«Me
l’aveva regalato lei, perché ci tenessi le sue
lettere. Lo chiuse l’ultima volta che ci siamo visti, e
portò via con lei la
chiave, dicendomi che non ne avrei più avuto bisogno,
perché avevo appena
tagliato i ponti con lei e col passato.»
Sfiorò
con due dita i decori sul coperchio,
sorridendo, perché svelare quel ricordo fu come risentire la
sua voce.
«Ma
tu non hai mai chiuso col passato» evidenziò la
donna a costo di essere ridondante. «Forzalo con un coltello,
una lama, con
qualsiasi cosa…»
«Sarebbe
inutile come forzare il suo cuore.» Guardò
Elisa negli occhi, avidi di parole. «Ho bisogno della chiave,
e della sua mano
che l’accompagni a fare scattare la serratura.»
«Sì
ma-»
L’interruppe
poggiando una mano sul suo braccio.
«Solo lei mi può aiutare a spazzare via tutta
questa polvere dal nostro passato.»
Elisa
seguì con gli occhi il cofanetto mentre
Antonio lo sollevava dal tavolo e lo riponeva al suo posto sulla
libreria.
«Quanto
tempo sei disposto ad aspettare, ancora?»
Sorrise
mestamente, di spalle.
Tutto il tempo
necessario, avrebbe
voluto rispondere, ma i suoi
pensieri vennero interrotti da forti e insistenti colpi alla porta.
Antonio
avrebbe giurato di sentire Anna chiamarlo più volte, ma rise
dell’eventualità
che fosse la sua voce.
Se ne
assicurò voltandosi verso Elisa, che lo stava osservando
turbata.
«Non
è possibile» sussurrò, correndo ad
aprire.
Note:
Mi piace partire da una scena della fiction, perché sono
quelle che mi danno più spunto. Possono essere continuate,
completate, rivissute, alterate; in questo caso ho voluto narrare un
evento probabile accaduto prima di una di esse. Siamo nella prima
serie, nel 25esimo episodio (ultima puntata), quando Anna scappa
insieme ad Emilia dalla tenuta, rifugiandosi da Antonio, dove scopriamo
si fosse nascosta anche Elisa. Ho lasciato l'ultima battuta volontariamente di dubbia attribuzione, perché nella realtà è stata Elisa ad aprire la porta, e sinceramente trovo che entrambi avrebbero potuto farlo allo stesso modo: non sono riuscita a "scegliere" tra i due, perché mi piace immaginarli entrambi.
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Capitolo 17 *** Quindici ***
Quindici
«Tornerete a visitarla?» Anna
sperò di mascherare l’impaccio con
il disinteresse, sotto il debole sole di quella giornata, che
prepotentemente
si prefiggeva di riscaldare la terra ancora intorpidita
dall’inverno passato.
Il riverbero le fornì
un’ulteriore scusa per non sollevare lo
sguardo, impegnato a contare i passi che distanziavano la donna e il
suo
accompagnatore dalla loro meta.
«Se non avete nulla in contrario
sì.» La condizionale rese il
disagio meno tollerabile: le accuse trattenute tra le righe per mero
rispetto parvero
schiacciarla, quasi fino a desiderare di colpevolizzarsi per le pene
subìte.
«Ve ne saremo molto
riconoscenti.» Formale, grato: questo fu il
tono neutrale che preferì. «Soprattutto
perché in passato sono stata molto
ingiusta con voi.» Lo guardò, tormentandosi le
mani, e chiedendosi se avesse
dovuto sforzarsi a ricercare un modo diverso per esprimere il proprio
turbamento.
Il medico si voltò per un attimo verso
di lei, la medesima donna
che adorava quando Antonio le sorrideva accarezzandole le guance, e che
non
avrebbe mai voluto arrivasse l’alba, quando si tratteneva con
lui. Lei che non
aspettava altro che il rumore degli zoccoli del suo cavallo, che la
chiamavano
dalla sua stanza e la facevano correre giù per la scalinata
per raggiungere le
sue braccia.
Continuava a guardarlo, sperando in un suo gesto,
in una sua
frase, in un qualsiasi segno che non le facesse rimpiangere di essersi
confessata.
«E cosa ve lo fa pensare oggi?»
continuò a perseguitare i suoi
occhi perché potesse leggerne le profondità,
invano. Era serio, ferito, pronto
a scaricarle addosso tutte le cattiverie che fino a poco tempo prima
uscivano
dalla bocca di lei. Ma non disse altro, e aspettò che fosse
Anna, a rispondere.
E poi parlò. Gli disse che si capiscono
molte cose, nei momenti di
difficoltà. Si vergognò di sé, delle
proprie reazioni quando lo vedeva
piombarle in casa chiamato da qualcuno che ormai non chiedeva
più chi fosse,
perché ormai evidente: sempre lei, sempre Elisa, come se
facesse apposta, a procurarle
questo dolore, o forse solo a mettere in mostra davanti alla sua
padrona come
stavano in realtà le cose.
Sorrise. Ma lui non le vide, le sue labbra farlo.
«Forse è tardi,
ma…»
Era tardi.
Era tardi per poter pensare anche solo di
ricostruire un rapporto
diverso con lui. Era tardi per esprimere le sensazioni, le emozioni, i
pensieri, positivi, ma soprattutto negativi, che ad ogni incontro con
lui le
riempievano l’anima e la mente non facendola più
respirare. Ma non era tardi
per poter avere un po’ di speranza, immaginare una vita
diversa, senza dissidi,
senza odio.
«Volevo dirvi
quanto…» Trasse un grosso respiro e
cercò di
continuare la frase scacciando tutto il resto dalla sua mente, ma
faticò non
poco, a trovare le parole giuste, a continuare a respirare, a mandare
giù quel
grosso groppo in gola che non voleva andarsene. «Quanto mi
dispiace, per vostra
moglie.» La sua voce decisa e per niente esitante, risultato
dell’abitudine a reprimere
la sincerità del cuore, le parve inadatta e incapace di
essere intesa tale.
Moglie… moglie…
vostra moglie…
Era il ruolo nel quale avrebbe dovuto calarsi
parecchi anni prima,
per accompagnare quell’uomo nel corso della sua vita. Le due
famiglie, legate
da lunga amicizia, avevano favorito e apprezzato l’affetto
insorto tra i giovani,
ignari delle complicazioni causate dalla crescita nella bambagia degli
agi nobiliari,
che la mente già matura di Antonio aveva imparato a
disprezzare.
E quante volte Anna aveva provato a convincersi che
fosse stato
davvero solo affetto, quello che provava per lui, per via della lunga
frequentazione
avviatasi sin dall’infanzia. Ma ogni volta che
s’impuntava su quella
risoluzione, era costretta a tornare sui suoi passi.
Prima per gioco, poi senza chiedersene il motivo,
poi perché in
età da matrimonio… erano ormai quindici anni che
due sentimenti contrastanti
quali amore e odio li accomunavano e li inseguivano dannandoli.
Quindici anni li avevano distanziati donando loro
un lavoro
impegnativo ma gratificante, una moglie sicura di sé ma
dall’animo fragile, una
figlia piena di sogni, pronta ad imparare, a dare e ricevere amore.
Quindici anni erano serviti a ricercare e ottenere
un equilibrio,
ora messo in discussione, in due vite nelle quali l’uno era
senza l’altra.
«In effetti pare molto strano detto da
voi.»
Anna sorrise, perché era vero.
«Potete anche non credermi. Ma oggi
ho sentito il bisogno di pregare per lei.»
Già pronto a salire sul calesse, Antonio
tornò a girarsi verso di lei,
stavolta con imprevisto stupore. «Vi ringrazio»
rispose, guardandola negli
occhi a cui sorrise.
Erano state le sue scuse ufficiali, ed ora Anna
avvertiva il cuore
più leggero. Ma per quanto poteva sentirsi meglio, forse
finché il calesse non
avesse oltrepassato il cancello?
«Devo andare, io… ho altri
pazienti da visitare.»
Lo osservò parlare, incantata dal suono
della sua voce, senza
concentrarsi sul significato delle parole, intese solo dopo: stava per
lasciarla.
Antonio annuì in segno di saluto,
mostrando fretta di partire.
Chissà se per non continuare quel dialogo e quel gioco di
sguardi. O chissà se
per evitarla proprio perché aveva paura di rimanere
lì con lei, da soli, senza che
nessuno erigesse tra loro barriere d’imbarazzo.
Gli ripeté l’arrivederci che
Antonio le aveva promesso, mentre
tante altre parole bramose di essere scambiate le morirono in gola.
Avrebbe
voluto avvicinarsi di qualche passo, trattenergli un lembo del
soprabito, esprimergli
il bisogno di colmare una distanza che pareva infinita. Sembrava essere
vittima
di un sogno, quando una paralisi irreversibile alle gambe ti impedisce
di
muoverti, di saltare, scappare o inseguire qualcuno.
Anna rimase inabile davanti a lui, con le labbra a
disegnare un
sorriso e la mente in bilico su una striscia di terra tra due crepacci.
Era passato troppo tempo, per sperare nel
conseguimento di una
nuova realtà accanto all’uomo mai dimenticato.
Ma forse ne era passato
troppo poco, perché due anime orgogliose
si arrendessero al bisogno reciproco mai attutito.
Note:
Ribadisco il mio attaccamento alla fiction. Ultimamente mi trovo
davvero incapace di inventare da zero scene da descrivere compatibili
con il carattere dei personaggi, perciò ripiego, soddisfatta
allo stesso modo, su particolari ripresi dalla realtà della
serie televisiva. Siamo nel 19esimo episodio, nel momento in cui Anna
accompagna all'uscita della tenuta Antonio, terminata la visita ad
Elisa.
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Capitolo 18 *** Regole ***
Regole
Tua madre ti
diceva sempre che una signorina deve attenersi ad alcuni doveri
imprescindibili, dettati dall’appartenenza ad un casato
nobiliare. Tu annuivi
seria, la schiena ritta e le spalle tese a simulare la sua impeccabile
postura.
Tuo padre ti
impose lo studio della letteratura, l’apprendimento della
matematica e del
latino.
Ti insegnò a
leggere, ma tu insegnasti a lui ad ascoltare, quando i suoi occhi erano
divenuti troppo deboli per poter distinguere le macchie
d’inchiostro.
Tuo fratello ti
dimostrò che non esistono regole da non poter infrangere o
moderare secondo il
proprio interesse. La vita può essere scevra di rimpianti,
se affrontata con
coraggio e talvolta smoderatezza. I rischi non sono mai abbastanza, se
confrontati alle soddisfazioni che se ne trae.
Elisa ti raccontò
la sua storia. Ti spiegò che tutto può
realizzarsi, che la forza è vincolata
alla speranza e alla fiducia, ma si deve essere in grado di retrocedere
o di
rallentare al momento giusto. Non sempre alla volontà
corrisponde il compimento
di un obiettivo.
L’importante è
non arrendersi.
Finché
c’è
tempo, finché c’è luce.
Finché
c’è
cuore.
Tuo marito impose
una sola regola al tuo matrimonio.
Denaro e
proprietà.
Tu accondiscendesti
all’unione predisposta dalla tua famiglia perché
queste erano le stesse
condizioni che i Radicati avevano garantito ai Ristori.
Nessuno dei due
ebbe ciò che era stato promesso loro.
Emilia è la tua
rinascita. Quei riccioli mori rimbalzano sulle sue spalle mentre ti
corre
incontro pronta ad abbracciarti. Tu no, non sei pronta a riceverla tra
le tue
braccia senza impaccio, a renderle affetto. Cosa ti ha cambiato, Anna?
Esigi da
tua figlia il rispetto dell’etichetta, l’assunzione
di un determinato contegno.
Ma non riesci a crescerla nella rigidità in cui hanno
allevato te. Emilia
reclama libertà, possibilità di rincorrere le
proprie curiosità. Ha bisogno di
imparare cose nuove, di respirare l’umidità del
sottobosco, di essere cullata
dal moto armonioso di un cavallo.
Antonio è la tua
vita.
È la tua
adolescenza, la tua innocenza, lo spettro dei tuoi sentimenti.
Con lui hai
imparato ad amare e a lasciarti amare, hai creduto nell’odio
che ti annebbiava
la ragione e sei stata costretta a ricrederti.
Antonio è la tua
rabbia, la tua illusione, i sogni a occhi aperti e quelli dentro a un
letto.
Antonio è la tua
serenità, la tua gioia e il tuo autocontrollo.
È un sorriso da
nascondere, un broncio da vantare, la voglia di essere sempre se stessi
e
quella di cambiare.
Antonio non ti
ha imposto regole: ha ritenuto valide le tue.
Ma la fiducia,
quella stessa che infondevano tua madre e tuo padre, quella che
pretendeva tuo
marito, che dài ogni giorno ad Emilia, che Fabrizio riponeva
in Elisa e che
Elisa rispetterà sino all’ultimo giorno della sua
vita… sei stata capace di
gettarla nel baratro della vergogna.
Non ti senti più
donna, non ti senti più viva. Galleggi sul fiume dei giorni
trasportata
passivamente dalla corrente.
Gli altri non
capiscono cosa significhi, perché gli altri non
sanno. E non possono vedere il vuoto negli occhi di Antonio,
quello stesso
che lui vedrà nei tuoi. Non immaginano le notte insonni, il
tremore delle mani
nel tentativo di scarabocchiare una lettera.
Ma quale
lettera, ma quali parole, dialoghi, spiegazioni… ma quale
gesto sarebbe in
grado di riavvolgere i minuti, i mesi e gli anni?
L’unica
costrizione è quella di andare avanti, accumulare ricordi,
dubbi, rimorsi, conversazioni
e silenzi.
Eppure, niente
di tutto questo ti restituirà Antonio. Lo leggi nel suo
sguardo, mentre piangi
di fronte a lui, in ginocchio.
Perdonami
di esistere,
gli vorresti
gridare. Perdonami di averti rubato la
vita, perdonami di non averti rispettato, di non aver seguito i tuoi
consigli,
dei miei errori e dell’abito da vittima che continuo a
indossare.
La sua voce
fredda ti toglie l’aria dai polmoni: c’è
una sola regola, in questo gioco,
e nessuno è autorizzato a sovvertirla.
«Finalmente ti
libererai di me per sempre.»
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Capitolo 19 *** Segreto ***
Segreto
Dovevo
immaginarlo.
Da come
parlottavano, riempiendo i vuoti tra le parole con qualche occhiata
nella mia
direzione.
Io
distoglievo
lo sguardo, arrotolando il lenzuolo tra le dita e fingendo di non
accorgermi di
loro, di essere unicamente presa dalla mia sofferenza.
Dovevo
saperlo.
Per il
solo
fatto di essere una donna.
Strinsi
gli
occhi, cercando di innalzare una barriera tra me e loro, in piedi
sull’uscio
della porta ad agitare le braccia, gli sguardi, i pensieri.
«L’ha
rovinata» mio
padre non si curò di abbassare la voce. «Si è
rovinata.»
Udii il
medico
di famiglia congedarsi a passi affrettati, accennando un saluto.
«Quando
lo si
saprà a Torino…»
«Smettetela,
conte. Nessuno lo verrà a sapere.»
«Come
intendete
agire, allora? Dandola in sposa a-»
«Il
figlio dei
Magliano.»
Sussultai.
Non
importava
come mi sentissi, né se stessi bene.
A loro
stava
unicamente a cuore garantire il riserbo della famiglia, e trovare la
soluzione
più rapida ed efficace a questo guaio.
Il
guaio più
bello del mondo.
«Credete
potrà
essere ancora interessato? Quando scoprirà il motivo per cui
si sono affrettate
le nozze…»
«Il
motivo
rimarrà in questa casa» proseguì mia
madre. «Ma dobbiamo sbrigarci. Il marchese
sarà anche tonto, ma tutti sanno quanto dura una
gravidanza.»
Mi
rannicchiai
avvicinando le ginocchia al petto.
Avevo
freddo, ma
non mi mossi a cercare la coperta, col timore di attirare
l’attenzione su di
me.
«Quando
nascerà,
niente potrà convincerlo che non sia figlio suo.»
Una
lacrima mi
rigò il viso e bagnò il cuscino.
Mia
madre
sospirò, forse stupita di aver pronunciato tali parole.
«Tu credi ce la farà a
tenere per sé questo segreto?» si rivolse al
marito, che rimase in silenzio
qualche istante.
«Non
per tutta
la vita.»
Non
per tutta la vita, mamma.
Anche
se me lo hai fatto promettere, anche se me lo hai fatto giurare, anche
se mi
hai donato conforto tra le lacrime, chiamandomi piccola, chiamandomi
figlia.
Quella
bambina che ti ha delusa, ma che continuerai a proteggere, stringendola
in un
abbraccio e custodendo la verità come un fiore in una teca
di vetro.
E
si può chiamare tradimento corrergli incontro sotto la
pioggia, nel buio di una
sera, mentre a palazzo Alvise sbraitava ubriaco contro i servi?
O
guardare i suoi occhi illuminarsi di una gioia mai provata, dopo
essersi
bloccato a metà di un movimento?
«Perdonami
Antonio» di averti mentito tutti questi anni.
Perdonami,
madre, per non avere mantenuto la parola, per essere volata a ritrovare
la mia
gioia, per aver chiesto alla vita che mi restituisse ciò che
mi aveva riservato
e poi sottratto.
Ma
avevo bisogno che le sue mani afferrassero titubanti le mie, e che le
sentissi
tremare, come i brividi stavano facendo con il mio corpo, di
un’emozione mai
vissuta.
Che
studiasse attonito la mia espressione, chiedendo silenziose spiegazioni.
Che
sorridesse, incredulo, alle mie lacrime.
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Capitolo 20 *** Tu ***
Tu
«Sei stato tu a
scegliere per entrambi» parlò Anna senza guardare
negli occhi l’amante che
aveva nel letto. Sedeva sul bordo, le dita a torturare il lenzuolo
sgualcito. A
coprirla era una sottoveste slacciata, che le ricordava senza tregua le
mani
che gliel’avevano fatta scivolare di dosso poco prima.
«Appena seppi
del tuo matrimonio corsi alla tenuta» affermò
placido Antonio, trattenendosi
dal toccarla, dallo sfiorarla ancora, dal baciarla tra i capelli.
Anna finse di
non avere sentito.
Finse che quelle
parole fossero frutto della sua mente e delle sue numerose
ricostruzioni di
quei giorni passati, che spesso facevano capolino nei momenti di noia,
di
sconforto o di nostalgia.
Finse di provare
solo indifferenza, quando dentro di lei si sentiva smarrita,
angosciata,
rassegnata; quando le sue labbra tremavano e i suoi occhi si
inumidivano.
Non si
possono amare due donne allo stesso tempo, e
la tua scelta aspettava nella vostra umile casa che tu tornassi dal
lavoro,
quel giorno come tutti gli altri.
«Ero venuto a
cercarti» aggiunse, avendo previsto il suo silenzio.
Lo sguardo della
donna si perse, alla ricerca di quei momenti che aveva giurato a se
stessa di
dimenticare.
«Avevo chiesto
aiuto ad Amelia perché potessi entrare.»
La mano che
stringeva il lenzuolo si bloccò.
«Avevo bisogno
di vederti. Di parlarti.»
Non si
può pretendere di avere ascolto quando
ascolto si ha negato.
«Tuo
padre…»
«Basta!»
«Ho creduto di
liberarmi del mondo a cui appartenevo allontanandomi dalla mia famiglia
e da
te.»
«Ti
prego…»
«Voglio che tu
sappia che me ne pento ogni giorno.» Si sporse verso di lei a
sfiorarle un
braccio, che ritrasse prontamente.
«Sarà quello
che
farò io di ciò che è successo
oggi.»
Antonio le si
avvicinò, le gambe a terra a stringere il suo corpo esile
contro il suo, e un
braccio a cingerle la vita. Anna non si mosse, ma non riuscì
a celare il
fremito che la scompose al ricordo ancora troppo vivido del contatto
con la sua
pelle, dei suoi sussurri flebili destinati unicamente a lei, della
dolcezza dei
suoi baci.
«Anna stammi a
sentire.»
La donna scosse
la testa e posò le proprie mani sulle sue, strette sul
ventre, immobili e
resistenti ad ogni tentativo di fuga.
«È
tardi.»
«Se solo
volessi, potremmo-»
«Dimenticare il
nostro passato? Ricominciare una nuova vita? Immaginare che non sia
successo
niente? Fingere di amarci come allora?»
«Potremmo smettere
di fingere.»
Sei
stato tu a scegliere per entrambi. E lo stai
facendo ancora, convinto che ciò che per te corrisponde al
giusto equivalga
anche al mio bene.
«Siamo stati
distanti così tanto tempo che non riuscirei più a
distinguere la realtà dal
sogno.»
«Il confine tra
i due non è sempre così netto. Anna, io ti
amo.»
Anna chiuse gli
occhi e respirò profondamente, contrastando il capogiro che
la colse.
«È una
follia»
farfugliò una volta riacquistata consapevolezza di
sé.
«L’hai
detto anche vent’anni fa.»
«Allora
non sapevo cosa significasse.» Si girò verso di
lui, e gli posò le mani sulle
spalle. Il cielo dei suoi occhi esprimeva pazienza, pace e sicurezza.
«Oggi
sì.»
Tu sei
mia
realtà, mio sogno e mia follia.
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Capitolo 21 *** Urla ***
Urla
«Dottor
Ceppi. Sarà un piacere, per me, uccidervi.»
«Antonio!»
«Non
voglio starti a sentire, Anna!»
«E
invece ti conviene.»
«Non
permetterti di stabilire ancora delle regole tra noi.»
«Non
sono stata io a farlo.»
«Ah
no?» si voltò, così finalmente potei
prendere spavento riconoscendo
un’espressione di avversione che non gli apparteneva. Scosse
la testa alla mia
mancanza di risposta. «Sei stata
un’incosciente.»
«Mai
lo sono stata meno di allora! Tu non ti sei mai macchiato di colpe
dettate
dall’istinto, dalla passionalità, dalla
superficialità…?»
«È
successo vent’anni fa, Anna! Ero un ragazzino.»
«Continua
a nasconderti dietro queste banali scuse. Non sei morto in carcere, ma
lo farai
per mano di uomo misero.»
«Avrei
preferito passare il resto della mia vita in quella cella, piuttosto
che-»
«Io,
avrei preferito morire, quelli che
tu chiami vent’anni fa,
invece di
trascorrerli pensando a chi non avrei mai più creduto di
riavere.»
Si
zittì, studiando le mie parole.
«Pensi
sia stato facile tornare con te dopo ciò che mi avevi fatto
passare?» Abbassai
la voce e deviai lo sguardo, come volessi parlare a me stessa.
«Forse per te
era tutto così naturale… riappropriarsi
dell’affetto del primo amore» risi
amaramente.
«Non
espierò mai questa colpa, vero?» parlò
come se stesse sfidandomi.
«No,
perché tu scegliesti un’altra» feci una
pausa, per serbarmi ancora qualche
istante prima di cadere nella trappola del rimorso. «Io ho
sempre scelto te»
mormorai, la testa bassa, quasi vergognandomi di quella confessione
fanciullesca, sebbene racchiudesse il nocciolo della mia vita in una
coltre di
sincerità.
Antonio
non fece alcun movimento.
«Stavolta
più che mai.» E sollevai le gonne, fissandolo
negli occhi con un’espressione
compassionevole più che ripugnata.
Quindi
mi affrettai fuori dalla stanza, prima che
l’irrazionalità del mio sentimento
mi costringesse ad ammettere errori mai commessi, pur di mantenere sul
bilico
dell’equilibrio gli ultimi frammenti della nostra storia.
Solo
quando mi accomodai in carrozza, pronta ad impartire al vetturino
l’ordine di avviarsi,
la portiera si spalancò di colpo, facendomi
d’istinto portare una mano sul
cuore.
«La
marchesa ha dimenticato il baule più piccolo»
ansimò la giovane serva, in pieno
timore di subire un rimprovero per la mancata solerzia.
Annuii,
posando il bauletto sul sedile di fronte a me, quasi fosse un compagno
di
viaggio.
E
chissà se il petto mi stava facendo male per lo spavento o
piuttosto per aver
sperato, nell’infinitesimo di un istante, di riaverlo accanto
a me, così da gridare
al mondo che non m’importava più di niente, se non
dei suoi sorrisi e della
stretta delle sue braccia.
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Capitolo 22 *** Vedova ***
Vedova
«Si
consola facilmente, la vedova Radicati.»
I
commenti maliziosi delle nobildonne che si intrattenevano attendendo
udienza
dal re non potevano essere più ostentati. Se fino a quel
momento l’attenzione di
Anna ignorava le loro chiacchiere, le signore avevano abbandonato ogni
discrezione quando i loro sguardi indagatori avevano intercettato il
cenno che
Antonio aveva rivolto ad Anna dalla parte opposta del corridoio.
«Oh,
si è offesa.»
«Che
avremmo detto di scandaloso?»
Anna
sentiva i loro occhi vispi adesi alla propria schiena, rapidi a
calcolare
traiettorie, a congetturare emozioni, mentre l’abito
frusciava veloce attorno
alle proprie gambe.
«Niente
di sconosciuto.»
«Se
solo l’avesse scelto giovane ed
altolocato…»
«Allora,
mia cara, la nostra si chiamerebbe invidia.»
«E
adesso, invece, di che si tratta?» domandò
Fabrizio con drammatizzato fare
complice, sopraggiunto dopo aver notato la repentina evasione della
sorella.
«Oh»
sobbalzò l’ultima voce, troppo concentrata nella
conversazione per accorgersi
dell’intromissione. «Conte Ristori, perdonante
l’impertinenza: sono solo
chiacchiere di vecchie galline annoiate.»
«Mi
avete tolto le parole di bocca. E ora scusate» le
fulminò con lo sguardo, «ma
io e la contessa Ristori mia moglie siamo attesi da sua
maestà.»
«Che
sfrontatezza! E tutto per difendere la sorella.»
«Amica
mia, riteniamoci privilegiate a non appartenere alla loro famiglia. Tra
nobili
decaduti e serve insignite di titoli nobiliari, chi avrebbe il coraggio
di
affacciarsi alla finestra?»
Le
interlocutrici accondiscesero, scuotendo più volte la testa
in segno di
commiserazione.
«Anna,
aspettate.»
La
donna camminava a passo svelto, più dispiaciuta che adirata,
verso la prima
uscita che desse sui giardini. Il tentativo di non farsi scalfire da
quelle
parole taglienti era fallito, sebbene fosse convinta che il proprio
allontanamento avesse provocato in loro maggiore ilarità e
materiale su cui
affinare le loro supposizioni.
La
sontuosità del palazzo era immersa nel silenzio: gli ospiti
erano concentrati
negli appartamenti reali, con l’illusione che le proprie
esigenze venissero
prima o poi assecondate dal re, o con la pretesa di scambiare fantasie
e
aggiornarsi sulle ultime notizie di corte. Nemmeno i numerosi membri
della
servitù parevano interessarsi dell’uomo e della
donna che giocavano a
rincorrersi.
Quando
il corridoio si aprì sul porticato che incorniciava il
cortile interno, Anna
rallentò, percorrendo solo alcuni ulteriori passi, quasi
come a saggiare la
consistenza dell’erba.
Il
suo inseguitore rallentò a sua volta, fiducioso nel termine
della fuga di Anna,
e si fermò a distanza dietro di lei.
«Non
dovete prendervela.»
«Avete
sentito tutto?» Si meravigliò della
stupidità della domanda.
Era
evidente che avesse sentito.
Avevano
sentito tutti.
«Mi
spiace.»
«Non
ho bisogno della vostra pietà.»
Anna
allargò il ventaglio di pizzo e prese a farsi aria.
«Non
avrei mai voluto che la mia presenza fosse fonte di questo ciarlare
imbarazzante. Perdonatemi se ho insistito ad accompagnarvi.»
Sapevano
entrambi che l’invito non proveniva da Antonio,
bensì da Elisa e Fabrizio.
L’uomo le si avvicinò silenziosamente, timoroso
che un approccio troppo brusco
la portasse ad allontanarsi.
«Non
mi sembra avessimo assunto atteggiamenti equivoci»
continuò dopo essersi
rassegnato al silenzio di Anna, che si trattenne anche
dall’informarlo che
rincorrere una donna per consolarla non era niente di diverso.
In
fondo apprezzava quelle attenzioni.
In fondo.
«La
gente ci conosce, cataloga le nostre vite, le incrocia col nostro
passato»
esordì Anna. «Non si dà tregua, indaga
su ogni gesto per rintracciarne
ambiguità, sottintesi.» Voltò appena il
capo e studiò Antonio con la coda
dell’occhio.
«Si
stancheranno presto: in noi non troveranno niente di tutto
ciò.» Fece una
pausa. «O sbaglio?» le sussurrò ad un
orecchio, imponendosi di non sfiorarle il
viso con le labbra.
Il
ventaglio di Anna smise di agitarsi.
«Sbaglio»
bofonchiò Antonio.
«Avete
detto?»
«Che
è tutto molto chiaro e non c’è motivo
di nasconderci.»
La
mano di Anna tornò a muoversi nervosa.
«Infatti» concordò.
«Quindi
possiamo rientrare.»
La
donna continuò a farsi aria più intensamente,
ostinandosi a fissare il prato
innanzi a sé.
«E
questo» sfilò il ventaglio dalle mani di Anna,
«non vi serve più.»
Come
previsto, si girò e l’aggredì con
furia, ordinandogli di restituirle il
maltolto.
«Non
muovetevi» le intimò Antonio, gli occhi rivolti a
un punto oltre le sue spalle.
«Che
cosa?! Ridatemi il mio v-»
«Lo
dico per voi.» La prese delicatamente per le spalle
affinché non si spostasse.
Il
gesto le scatenò la reazione opposta. «Non
toccatemi.»
«Anna,
vi prego» la supplicò. «Ci stanno
guardando.»
Indifferente
ad ogni avvertimento, la donna si voltò e riconobbe alcune
delle signore che
tanto si erano prodigate a diffondere i propri giudizi.
Tornò
a fissare Antonio, le labbra tremanti alla ricerca di domande
pertinenti o
parole sufficientemente offensive.
«Ve
l’avevo detto» evidenziò lui.
«Vi
odio» sibilò, e non poté non adocchiare
di nuovo il capannello di donne.
«Smettetela
di guardarle» le raccomandò non riservando
riguardi alla provocazione.
«Altrimenti penseranno che stiamo parlando di loro.»
«E
non è quello che stiamo facendo?»
Antonio
sorrise alla naturalezza di Anna, e fece lo stesso alle nobildonne, che
si
affrettarono a rispondere con cenni e occhiate compiaciute.
«Avete
sorriso loro» gli fece notare con stizza.
«No.»
«Sì
invece» lo rimbeccò.
«Rispettabilità
e condiscendimento: me l’avete insegnato voi. Siete
gelosa?»
«Di
quelle quattr-» un’occhiataccia di Antonio le
suggerì di placare il tono. Si
lisciò il vestito e respirò profondamente,
costringendosi al contegno. «Cosa
consigliate di fare?» bisbigliò, rassegnandosi
alla collaborazione.
«Quello
che preferite. Potremmo rientrare, dileguarci verso l’uscita,
oppure…»
«Oppure
cosa?»
Antonio
fece un passo verso di lei.
«Che
fate? Non vorrete mica…»
Ma
non si mosse, mentre Antonio, incantato a scrutare i suoi occhi, le
carezzava
il viso con un dito. Il pollice le sfiorò le labbra, che si
dischiusero. Anna
continuò a fissarlo attonita e incapace di compiere alcun
gesto. Il cuore
insisteva a battere più forte, l’ambiente intorno
a lei a perdere di spessore.
Eppure
non era passato troppo tempo da quando l’aveva avuto
così vicino, sebbene
entrambi avessero tentato l’impossibile pur di dimenticare
quel giorno.
Vanamente.
Al
diavolo le dicerie, i commenti aspri e disprezzanti, il mito della
perdita
recente di un marito. Avevano mai conosciuto la felicità, loro? Avevano vissuto metà
della propria vita sognandone un’altra,
abbandonata e rinchiusa in una gabbia di vetro, che desse la
possibilità di
osservarla ma non quella di renderla tangibile?
Antonio
le posò una mano sul fianco e Anna si sentì
intrappolata, perduta, senza modo né
motivo di imporre resistenza.
Senonché
quel gesto non volle annullare l’ultimo fiato di distanza,
bensì atterrare
insieme di nuovo nello stesso giardino da cui provenivano.
«Avete
ragione. Meglio che vi lasci sola» pronunciò
mimando un sorriso.
E
se ne andò, lasciandola sospesa, inappagata, a domandarsi
confusa quando avesse
detto cosa fosse meglio, chi avesse avuto ragione o torto, quali parole
si
sarebbero scambiati nel loro successivo incontro, e quando questo
avrebbe avuto
luogo.
Prima
di scomparire all’interno del palazzo, Antonio si
voltò l’ultima volta.
Accennò
un inchino e sorrise: aveva ancora il suo ventaglio in mano.
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Capitolo 23 *** Zitta ***
Zitta
Mi
sembrava di aver udito dei rumori strani.
Come
dei colpi, dei tonfi sommessi, dei passi frettolosi e sconosciuti.
Mi
sporsi oltre la parete per verificare di persona l’origine di
quel trambusto,
il cuore in gola e il fiato corto. Non avrei voluto essere
così agitata:
avrebbe potuto trattarsi di un temporale, delle imposte che qualcuno
aveva dimenticato
di chiudere e che sbattevano per il vento. Avrebbe potuto essere
già mattino e
il mio sonno leggero mi aveva tradita, troppo sensibile persino ai
piccoli
gesti quotidiani che la servitù compiva all’alba
per risvegliare la tenuta.
Il
buio era quasi completo; avevo preferito non accendere lumi, ma me ne
stavo
rammaricando. Il freddo marmo delle scale intorpidiva i miei piedi nudi
mentre
scendevo al piano di sotto, facendo attenzione a non inciampare,
aggrappata
alla ringhiera. Dalle finestre si intravvedeva ancora
l’oscurità della notte:
constatai allora come il giorno fosse lontano, allo stesso modo della
mia
camera, dove avrei preferito essere ora, benché la
curiosità e soprattutto il
terrore e l’apprensione nei confronti della mia famiglia e di
questa stessa
tenuta si fossero vestiti di supremazia nei confronti di tutto il resto.
Oltre
ai colpi cadenzati sempre più vicini, riuscivo a riconoscere
alcune voci, senza
discernere le singole parole. Altrimenti avrei saputo tornare
saviamente di
corsa sui miei passi.
Attenta
ad ogni movimento, ad ogni ombra sulle pareti, a riflettere su quali
avvenimenti stessero avendo luogo a mia insaputa, non udii
l’avvicinarsi di una
figura alle mie spalle, né nei suoi passi leggeri,
né nel suo respiro ora più
teso.
Una
mano mi coprì la bocca, e iniziai ad annaspare alla ricerca
d’aria, spalancando
gli occhi per lo spavento e gridando contro le dita serrate sul mio
volto che
cercavo di strappare inutilmente da me. Con la mano libera mi
trascinò contro
il suo corpo, violentemente e con la prepotenza di chi desidera
appropriarsi di
qualcosa o difenderla a tutti i costi.
«State
zitta e non muovetevi.»
La
furia nei miei muscoli contratti a divincolarmi si placò non
appena la sua voce
raggiunse in un sussurro il mio orecchio. Mi lasciai andare sorretta
dal suo
corpo, mentre le forze sembravano avermi abbandonata per il panico che
mi aveva
brancato. La sua mano si allentò leggermente per permettermi
di respirare, non
senza affanno.
«Cosa
ci fate qui?» esclamai forte, per vincere la tensione contro
le mie labbra, che
si fece di nuovo più intensa.
«Fareste
meglio a chiedermi cosa stia succedendo.»
Iniziai
a strattonargli le braccia, imprigionata dalla solidità
della sua presa.
«Promettetemi
di rimanere in silenzio» depose la propria condizione.
Annuii
prontamente, così che potesse liberarmi la bocca.
«Cosa
diavolo-»
«Vi
ho detto di tacere!» mi intimò rigirandomi verso
di lui, che aveva dimenticato
per un attimo la delicatezza e lo scoglio del tempo e di un titolo
nobiliare
che si ergeva tra di noi.
La
veste da notte frusciò contro il suo corpo e lui mi premette
contro di sé, le mie
forme ad aderire alle sue senza il vincolo delle pesanti stoffe dei
miei abiti
consueti.
Lasciai
che i secondi passassero indefiniti, perché
l’angoscia si placasse. Deglutii
più volte, la bocca secca e gli occhi affaticati nel
cogliere nel buio ogni
particolare dell’uomo di fronte a me.
Continuai
a fissare il riflesso della poca luce naturale che filtrava dalle
finestre
nelle sue iridi azzurre, impegnate ad alternare la loro attenzione su
di me e
verso l’ambiente circostante.
Scossi
leggermente la testa, sperando di fargli intuire quanto fossi disposta
a non
fiatare pur di ricevere qualche spiegazione.
«Dobbiamo
andare via da qui» dichiarò invece.
Entrambi
sollevammo lo sguardo, quando udimmo qualcuno improntare la scalinata
con passi
rapidi.
«Che
succede, Antonio?»
Mi
fece segno di rimanere in silenzio e mi trascinò in un
angolo ancora più buio,
a lato della scala, dove la penombra ci avrebbe esclusi dalla vista.
Trattenemmo il respiro finché l’uomo non fu quasi
davanti a noi.
«Ma
è Fabrizio» notai, a bassa voce.
«Fabrizio!»
«No,
Anna!» le braccia di Antonio mi circondarono rapide
perché non mi spostassi né
lasciassi che la mia impulsività prendesse il sopravvento.
Tuttavia il suo
impegno non riuscì a trattenere la mia avventatezza.
Fabrizio
si avvicinò titubante al recesso in fondo alla scala, e sul
suo volto si
dipinse rabbia e sorpresa quando ci vide, stretti l’una tra
le braccia
dell’altro, spaventati e ignari degli eventi.
«Anna»
si tranquillizzò relativamente quando mi riconobbe.
«Portala via, Antonio.»
Antonio
provò a chiedere spiegazioni, a proporsi perché
l’accompagnasse dov’era
diretto, ma Fabrizio non cedette, né si permise di aprir
bocca più del
necessario.
«Accompagnala
nelle sue stanze, e non muovetevi di lì per nessuna ragione
al mondo»
insistette, per poi proseguire il suo cammino a passo sostenuto.
Fu
in quel momento che distinsi la pistola nascosta tra le pieghe dei
pantaloni
allacciati di tutta fretta. Dalla parte opposta oscillava il fodero
della
spada.
Strinsi
forte una manica di Antonio con il terrore che mi invase il corpo.
Appena
Fabrizio scomparve nell’oscurità, mi
indicò di fargli strada verso il piano
superiore.
I
colpi, le grida e lo sferragliare delle armi che dimostrarono
l’inizio di una
colluttazione impedì al mio buon senso di seguire
l’ordine di mio fratello.
Scattai in direzione dell’ala posteriore della tenuta,
annebbiata dal terrore
che stesse verificandosi l’inevitabile.
Antonio
mi raggiunse e di nuovo cercò di imporre
razionalità nei miei gesti. «È
pericoloso, Anna. Dobbiamo andarcene.»
«Non
voglio lasciarlo solo.»
«E
io non voglio lasciare sola voi. Siate ragionevole e fidatevi di lui.
Se vi ha detto
di-»
«Ho
paura, Antonio.» La mia voce echeggiò per il
corridoio, e lui si incupì,
incerto su come gestire quella situazione che gli era piombata addosso.
«Non
posso perdere anche lui» abbassai lo sguardo a terra,
seguendo le linee della
veste sottile.
«Non
succederà. Fabrizio è stato
nell’esercito: sa come comportarsi senza mettere in
pericolo la propria vita e quella degli altri.»
Titubante,
tornai sui miei passi e raggiungemmo la scala.
Salita
sul primo gradino mi voltai indietro, con la preoccupazione infondata
che
Antonio non si allontanasse da me.
Mi
guardò aspettando che parlassi, i nostri occhi ora quasi
alla medesima altezza.
«Non
lasciarmi, ti prego» bisbigliai, la voce spezzata da un
singhiozzo soffocato.
Antonio
si sporse verso di me e accolse il peso, il calore, i fremiti del mio
corpo che
si lasciò sostenere totalmente. Una mano sul capo mi teneva
ancor più stretta a
lui, casomai fosse stato possibile.
«No,
Anna. Non ti lascio più» sussurrò
baciandomi tra i capelli.
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