Anna e Antonio dalla A alla Z

di Dea Elisa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Abisso ***
Capitolo 2: *** Bianco ***
Capitolo 3: *** Cancello ***
Capitolo 4: *** Desiderio ***
Capitolo 5: *** Errore ***
Capitolo 6: *** Fragile ***
Capitolo 7: *** Gelo ***
Capitolo 8: *** Hybris ***
Capitolo 9: *** Importante ***
Capitolo 10: *** Jalousie ***
Capitolo 11: *** Keplero ***
Capitolo 12: *** Libertà ***
Capitolo 13: *** Malattia ***
Capitolo 14: *** Nobiltà ***
Capitolo 15: *** Ossigeno ***
Capitolo 16: *** Polvere ***
Capitolo 17: *** Quindici ***
Capitolo 18: *** Regole ***
Capitolo 19: *** Segreto ***
Capitolo 20: *** Tu ***
Capitolo 21: *** Urla ***
Capitolo 22: *** Vedova ***
Capitolo 23: *** Zitta ***



Capitolo 1
*** Abisso ***





Pairing: Anna/Antonio;
Prima persona: Anna;
Seconda persona: Antonio.
Premessa: solo in questa prima drabble ho reso in corsivo le numerose parole che mi sono state proposte come titolo e che ho voluto inserire comunque.







Abisso

È un po’ dove mi trovo io adesso.

La mia anima ti chiama, ma tu non le dai ascolto, e ormai non mi stupisco più della nostra lontananza che si fa via via più dilatata.

Siamo come due attori in mano al peggior commediante della Terra: gli spettatori s’appassionano alle nostre rispettive storie, ma quando l’attesa di vederci riuniti si fa frustrazione, lo spettacolo finisce e i titoli di coda lasciano la gente con l’amaro in bocca.

Il mio agire è arbitrario, inutile è l’arrendersi alle persuasioni di Fabrizio che coerentemente mi giudica una sciocca e una vigliacca a non montare il mio cavallo e correre da te.

Poi un giorno ti trovo sotto il gazebo in giardino, in compagnia di mio fratello, e come due vecchi amici ridete, scherzate, vi fate beffe della vita anche solo per un attimo di libertà.

Ti accorgi di me prima che io potessi eludere l’attrito tra l’erba e gli stivaletti; sei già in piedi a fissare, nonostante la distanza, i miei occhi che procedono nei tuoi a ricreare la maledetta alchimia che credevo dissipata. Scappo in casa, benché fosse palese l’attrazione che ancora viveva nei tuoi confronti.

Il tuo azzardo è stato quello di non permettere alla porta della mia camera di richiudersi a dovere.

Antonio ma che fate?”

Credevo che vivere senza di te fosse stata un’agonia, ma a quanto pare lo è di più parlarti in tono sprezzante e distante con l’ambizione di riportare tutto come un’eternità fa.

Ma non è possibile tornare indietro, vero, amore mio?

“Siete scappata.”

Allora dammi la mano e fammi credere che con te esista un modo per risalire questo abisso.




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Capitolo 2
*** Bianco ***





Pairing: Anna/Antonio;
Seconda persona: Antonio.







Bianco

Era il colore che sembrava avere il suo vestito dalla distanza a cui ti trovavi.

Forse era un po’ più scuro, o magari la tonalità rimbalzava dal rosato all’azzurro per via delle luci delle candele che si rinfrangeva sulle vetrate colorate.

Qualunque fosse stata la sfumatura assunta da quella veste, avrebbe donato ai suoi occhi quel riflesso colorato che non era più loro innato, almeno da quando le avevi distrutto il sogno di essere felice.

 

Con quale diritto ti saresti presentato a interrompere le futili chiacchiere tra Anna e le sofisticate nobildonne altere che sventolavano i ventagli seguendo un procedimento fisico che a te sfuggiva?

Non di certo con il pretesto di far loro notare come l’ipocrisia regnasse tra le pieghe di quelle gonne infiocchettate di lusso, ma nemmeno con l’intenzione menzognera di permeare tra i loro discorsi.

Saresti rimasto appoggiato in quell’angolo di muro finché gli ospiti non avessero lasciato la sala: sarebbe stato l’unico modo non esibizionista per farti notare dalla sola donna che ti interessava.

 

Ora che si era voltata su un fianco, il bianco lasciava notare una scia di brillantini luccicanti di giallino.

Ma sicuramente il colore di quel vestito non era nemmeno il giallo.

Per poter definire con meticolosità le sfumature del capolavoro di sartoria che indossava la contessa Ristori, non sarebbe bastata un’occhiata di sfuggita dal fondo della sala, ma nemmeno uno studio approfondito alla luce di quelle candele, che avrebbero rischiato di alterare la vera natura delle stoffe.

Era altresì impossibile negare che l’accostamento della collana dalle pietruzze bianche brillanti e i nastrini candidi che dai capelli disegnavano la linea delle spalle la rendessero la più attraente nella sua diversità dalle altre donne: troppo truccate, ingioiellate e dall’aria di conscia altezzosità.

 

Al contempo la tua presenza nel salotto dei Ristori era discutibile.

Fabrizio ti aveva avvertito di questa sorta di rimpatriata tra i vecchi amici dei due fratelli, ma non ti aveva formalmente invitato, perciò, oltre al timore di incrociare uno sguardo femminile sconvolto o piacevolmente sorpreso, eri angosciato dall’idea di essere scacciato con l’accusa di intrusione.

 

Eppure quel pizzicore al cuore e il formicolio ai muscoli delle gambe rendevano la tua permanenza in quel luogo proibito una fonte di accattivante rischio.

L’unione di un uomo dalla superiorità congenita al gruppetto di signore capeggiate da Anna non passò inosservato ai tuoi occhi: aveva salutato con un leggero inchino le quattro donne e ora teneva la mano della contessa su cui aveva posato le labbra velate di un sorriso, lo stesso che apparve sul viso compiaciuto della Ristori.

Non avesti la possibilità di studiare la sua espressione per trovare i segni del fastidio, perché quando il suo capo si sollevò dal viso del nobile, si appoggiò su di te, lentamente, fermando il tempo in quel preciso momento.

Donne e uomini attraversavano la sala a braccetto, nobili annoiati parlottavano fittamente, le candele trasmettevano il loro sfiancamento nel posare la luce su tutti quei volti, ma a te non importava se qualcuno si fosse accorto del vostro scambio di sguardi, tantomeno dell’espressione paralizzata che avevate entrambi.

Il contatto svanì altrettanto velocemente quando le compagne vivaci di Anna la presentarono in modo più compiuto all’uomo, che non nascondeva affatto il proprio interesse verso la sua fisicità sagomata dal corpetto.

 

Ti chiedesti come fosse plausibile essere gelosi di uno sconosciuto; la risposta che la tua mente stava elaborando non era necessaria a mandare l’impulso ai tuoi muscoli, che si erano già avviati da soli verso l’uscita.

Se mai Anna fosse tornata a guardare nella tua direzione, non avrebbe visto altro che un muro spoglio e non propriamente candido.

 

L’unico dettaglio che avresti rimpianto sarebbe stato il colore di quel vestito: non avresti mai saputo di che sfumatura fosse il bianco, né come sarebbe stato accarezzare il suo corpo da sopra la rigida stoffa. Per quello ti accontentavi dei ricordi perduti nel tempo, sempre meno vividi e legati al reale.

 

“Potevate rimanere, non stavate recando alcun disturbo.”

Sarebbe stata solo quella la condizione necessaria e sufficiente per essere allontanati dal salotto?

Ti voltasti piano, giusto per non illudere la contessa del tuo desiderio infinito di vederla da vicino.

 

“Perdonate la mia uscita di scena, ma non reputavo adatto a me l’ambiente che si era creato.”

E lo sapeva benissimo, che detestavi gli incontri in pubblico.

“Perché avete lasciato il vostro nuovo ospite? Tornate nel salone, vi staranno aspettando.”

 

“No, preferisco lasciarli sparlare da soli del mio casato. In mia presenza sarebbe stato molto più complicato.”

Aveva parlato con allegra rassegnazione, come se conoscesse a memoria le abitudini, le chiacchiere e le facce degli aristocratici.

 

“Mi spiace.”

 

Sorrise, scuotendo il capo. “Non avrei mai pensato di trovarvi in un’occasione simile.”

Ora che il discorso ricadeva su di te, i tempi morti di cui avevi disponibilità sarebbero stati impiegati a formulare frasi coerenti e non arroganti, perciò l’analisi del suo abito doveva essere rimandata.

 

“Vostro fratello me ne ha parlato.”

L’affermazione non era per niente esauriente, ma potevi sfruttare i suoi occhi curiosi su di te per centrare i tuoi sullo stretto corpetto che indossava.

“Ma non immaginavo-”

Una sua mano si posò tra collo e bordo dell’abito giocando nervosamente con la collana. O aveva notato il tuo sguardo attento su di lei e fingeva di sistemarsi il gioiello per coprirsi l’incavo del seno, o era semplicemente agitazione.

“… di trovare tutta questa gente.”

 

Una folata di vento forte aprì d’improvviso una finestra del corridoio lasciando svolazzare la tenda e riempiendo il silenzio di fischi fastidiosi.

Un fiotto di luce chiara investì il corpo di Anna che respirava forte per lo spavento, illuminando in tutte le sue sfaccettature l’oggetto del tuo studio.

Le sfumature di stoffa immerse nel bianco luccicavano finalmente del loro vero colore: erano verdi, come la speranza ora ripagata di ritrovare nei suoi occhi lo stesso strato di pianto quiescente che li ricopriva quand’era felice.




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Capitolo 3
*** Cancello ***





Pairing: Anna/Antonio;
Seconda persona: Anna.







Cancello

“… e qualche goccia di questo se i dolori non gli permettessero di dormire.”

Osservavi scettica le cinque boccette appoggiate sul comò della tua stanza, ma ti eri già dimenticata a cosa servisse la prima ampolla.

“Non sarete esagerato? Tutti questi farmaci… potrebbero fargli del male, ecco.”

“Voi come fate a saperlo?”

Richiude meticolosamente la borsa che prende in mano, e istintivamente cerchi una motivazione a caso per non permettergli di andar via.

Mentre lui sorride.

Sorride ma senza guardarti.

“Hanno chiuso il cancello” azzardi.

“Il cancello?”

“Il cancello.”

“Lo farete aprire.”

“Ha dei problemi.”

“Il… cancello.”

“Sì, il cancello ha dei problemi.”

“Non vedo quale sia l’impedimento, ho lasciato il cavallo nel retro.”

“Ah.”

“Sentite, è meglio che vada.”

Annuisci, piena di vergogna per il vano tentativo.

“Ah, credo di sapere quale sia il problema del vostro cancello.”

“Dite.”

“La prossima volta provate a chiedergli di rimanere in maniera più… diretta.”

“Al cancello?”

“A chiunque voi vogliate che rimanga. Arrivedervi.”

Lo osservi uscire dalla tua stanza senza più voltarsi.

Aspetti qualche secondo.

Poi esci a tua volta, ma il nome di Antonio ti muore in gola dopo la prima sillaba.

Il corridoio era vuoto, così come lo vedevi ogni giorno.

 

“Anna.”

La paura che avevi di voltarti fa trascorrere l’istante che lo porta più vicino a te.

“Perché siete ancora qui?”

Immagini di sentire il suo profumo, ti sembra che le sue labbra sfiorino il tuo collo scoperto dai capelli raccolti, mentre lui si limita, nell’immobilità più assoluta, a rispondere alla tua insolente domanda.

“Ho trovato il cancello chiuso.”




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Capitolo 4
*** Desiderio ***








Pairing: Anna/Antonio;
Seconda persona: Anna.







Desiderio




“Si è addormentata?” ti chiese Antonio con la stessa premura con cui un padre avrebbe potuto parlare della figlia. Era seduto sulla poltrona dell’ingresso con le braccia appoggiate ai braccioli e la giacca slacciata sul petto. Solo quando corrugò la fronte ti rendesti conto di aver trascorso gli ultimi secondi a studiare il suo aspetto.

 

Riprendesti il controllo di te, annuisti e allargasti le braccia per lasciarle ricadere come un peso morto sui tuoi fianchi.

“Elisa?” domandasti con finta padronanza della conversazione.

 

Antonio alzò il capo in un sorriso. “È andata a dormire anche lei, ma non so come potrà passare la notte.”

 

Nessuna frase di circostanza sarebbe stata consona come risposta, perché potevi immaginare, sì, la sua condizione, ma non ci riuscivi comunque.

 

“Tu come stai?”

Perché non l’aveva chiesto mesi prima, quando Elisa era ancora straziata dal dolore, mentre tu proseguivi da anni con lo stesso odio nei confronti della tua vita? Forse era troppo complesso leggere nei tuoi pensieri, o forse era lui ad essere felice con Lucia e a non porsi domande su chi potesse non esserlo.

Se non si hanno preoccupazioni, poco importa di coloro che sono costretti a viverci quotidianamente circondati.

 

Alzasti gli occhi sui suoi. “Facendo la media dei miei stati d’animo, direi normale.”

 

“Se hai bisogno di qualcosa…” ma non era convinto di quell’incipit.

 

“L’unica cosa che mi servirebbe per dormire sarebbe sapere che Fabrizio uscirà dal carcere, ma non per salire su un patibolo” percorresti due passi nella sua direzione e inspirasti profondamente osservando il soffitto.

Sussultasti quando la sua mano toccò la tua: non era proponibile l’impiego di una siffatta confidenza se tra voi non sussisteva nessun rapporto di tipo amichevole, né tantomeno amoroso dichiarato.

Eppure ti eri lasciata adagiare sulle sue ginocchia e abbracciare forte, come fosse un giorno qualunque di vent’anni prima, quando gli errori che compivi e le consolazioni che richiedevi erano ben più effimeri di quello che ti serviva in quel momento.

Sarebbe stato troppo banale baciarlo senza dirgli nulla.

Sarebbe stato altrettanto insignificante sussurrare quanto ti fosse mancato a quell’orecchio così vicino  senza guardarlo negli occhi.

Ti scappò da sorridere, anche se sapevi che non avresti dovuto, o almeno non in una situazione simile, che tuttavia sarebbe stata l’occasione perfetta per farlo.

Scivolasti tra le sue braccia, trasformando così il fatto di essere seduta sulle sue gambe in una logica risposta alla scusa di essere rassicurata della speranza di un futuro con tuo fratello libero e felice.

E, perché no, con tuo marito incatenato in un manicomio o più semplicemente atterrato dalla malattia.

 

Prima che tu potessi idealmente realizzare anche solo una delle tue elucubrazioni, sentisti il suo fiato sulla pelle delle spalle lasciate scoperte dal corpetto allentato e ti mancò per un attimo il respiro.

Ti stuzzicò il collo con le labbra e d’istinto portasti il tuo corpo ad aderire al suo, così che i vostri occhi fossero allo stesso livello.

Fu un bacio diverso da quello che ti aveva accompagnata da quel giorno in biblioteca.

Non vi era imbarazzo, né la paura di lasciarsi coinvolgere in un errore da rimpiangere.

C’erano solo le sue mani addosso a te che cercavano di riconoscere un corpo mai più sfiorato e brividi lungo braccia e gambe che lo imploravano di continuare.

Appoggiasti baci sul triangolo di petto lasciato nudo dalla camicia che lentamente stavi sbottonando e le sue mani ti accompagnarono a slacciargli gli abiti per permetterti di soddisfare il desiderio delle tue labbra sulla sua pelle liscia.

Volevi che quelle mani ti toccassero, volevi che ti spogliassero lentamente, assaggiando la pelle liberata dai pesanti abiti con le labbra che stavi di nuovo baciando.

Le sue dita attraversarono la massa riccia di capelli castani per sostenere il tuo capo mentre ti percorreva il viso con le labbra sulle guance e sul contorno del volto, come a volerlo disegnare.

Quando scese sui seni respirasti più velocemente e lui se ne accorse, tant’è che li sfiorò con l’altra mano, un attimo prima di abbandonare i tuoi capelli con la sinistra e cercare i lacci del bustino che iniziò a slegare per lasciarti in sottoveste.

I vostri fiati si confondevano, tra le vostre labbra era un continuo cercarsi, come steste tornando pian piano indietro nel tempo.

Ti sentivi sospesa a metà tra un passato lontano e felice e un presente inesistente se non tra le sue braccia, legati tra loro solo da un intermezzo di sospensione costruito su ricordi e illusioni.

Prima o poi, ti eri detta, sarebbe successo di nuovo.

O tu, o lui, o entrambi, avreste sentito il bisogno del vostro opposto.

“Quanto mi sei mancato, amore mio…” ti uscì spontaneo, quel sussurro, e ti domandasti come mai non glielo avessi confessato giorni prima in biblioteca.

Lui non rispose, né a te, né più ai tuoi baci.

Ti discostasti, il cuore che batteva forte, la bocca socchiusa e un desiderio pulsante di tornare ad essere sua.

“Ho… detto qualcosa di sbagliato?” tentasti di rimediare, balbettando.

Forse le tue parole gli avevano riempito di nuovo la mente del suo passato.

Forse non riusciva più a pensare a te come la ragazza di una volta ma solo come la donna che aveva rifiutato per un’altra.

E non sapeva che a te non importava più e che, se lei fosse stata ancora in vita, non saresti stata in grado di tacere per altro tempo.

È mai possibile amare due persone nel corso di una vita con la stessa intensa forza? Non riuscivi a capacitartene, e il motivo era così evidente…

“Sono io che ho sbagliato tutto, Anna!” ti ricondusse addosso a lui in uno scatto così improvviso che ti costrinse a poggiare le mani sulle sue spalle. “E tu fidi ancora di me” era un’affermazione al limite della domanda retorica.

“Non sono in grado di dirtelo.”

Perché, da qualsiasi punto di vista avessi traslato la vostra storia, lui avrebbe sempre avuto meno ragione di te.

Ma l’assurdità delle vostre vite ti assicurava che avresti continuato a desiderarlo eternamente.









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Capitolo 5
*** Errore ***








Pairing: Anna/Antonio;
Seconda persona: Anna.







Errore




Accarezzavi con un palmo della mano le lenzuola lisce sotto di te, illuminate dalla finestra aperta.

Avevi paura di voltarti per scoprire che quella notte non fosse esistita davvero o che, peggio ancora, lui se ne fosse andato.

 

“Non dovreste essere qui.”

E intanto eri indietreggiata, nascondendo nell’indifferenza quella che indifferenza non era.

“Non dovreste ricevermi nella vostra camera.”

“Siete salito voi.”

“Avevo bisogno di parlarvi.”

“Potete parlarmi anche da più distante.”

Alzasti le mani aperte ad altezza del petto, scuotendo la testa bassa.

Lui te le prese tra le sue, massaggiandole. “No che non posso.”

E te lo dimostrò baciandoti.

 

Ti scende una lacrima, che lasci scorrere sul tuo volto per non muoverti.

Anche se ti solleticava la guancia.

Anche se te ne vergognavi.

 

D’improvviso avevi sentito un gran caldo; ti sembrava d’essere in una di quelle notti in cui lo sognavi, in una di quelle notti che ti risvegliavi maledicendo di averlo sognato. Gli sbottonasti la camicia lasciandoti portare verso il letto, gli sfilasti la giacca cercando ancora la sua lingua, gli abbassasti i pantaloni mentre lui ti toglieva la veste da camera. Con quella voglia, la voglia di fare l’amore, la voglia di far finta che non fosse un errore, la voglia di credere che il domani fosse solo un avverbio di tempo tendente all’infinito.

 

Se n’era andato, concedendoti una notte d’illusioni.

Se n’era andato, ed era stato tutto un errore, come la tua vita, le tue scelte, il tuo destino.

Se n’era andato e basta.

 

Ti sposti all’improvviso sull’altra piazza del letto, per poter cogliere ancora qualcosa di lui.

“Ehi.”

Scatti seduta appena senti la sua voce e intrappoli il tuo corpo nudo nelle lenzuola.

Gli eri finita addosso.

Addosso.

 

E lui era lì, anzi, era sempre stato lì.

E ora dirà che era stato tutto un errore, che sarebbe stato meglio dimenticare tutto, che…

“Sono un idiota, Anna. Un idiota.”

Non ti guardava nemmeno in faccia.

Anche io, avresti dovuto rispondergli. A credere ancora a te e a cadere nella maledetta tentazione della carne.

Cosa potevi farci, se l’istinto di sentirlo vicino era più forte della razionalità?

E se quegli occhi non facevano altro che farti venir voglia di annegarci dentro?

Anche ora vorresti essere stretta tra quelle lenzuola, vorresti che s’inventasse la miglior scusa per andarsene, affinché tu la potessi smantellare di baci e carezze.

“Dillo” lo affronti angustiata.

“Che cosa?”

“Che è stato tutto un errore.”

“L’errore è stato non accorgermi prima di quanto avessi bisogno di te.”

E ora dovresti credergli.

Dovresti gettarti tutto alle spalle.

Dovresti non fargliela pagare per i pianti in cui ti ha costretto a vivere per anni.

Oh, non gli avresti concesso la vittoria così facilmente.

 

Ma è quello che fai.

Perché non ha senso avere la felicità a quella distanza e non volerla toccare.

E il passo che dovevi fare era così corto che temevi non potesse riproporsi mai più.








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Capitolo 6
*** Fragile ***








Pairing: Anna/Antonio;







Fragile




“Ditemi che amate vostro marito e vi lascerò sola.”

La sua mano aperta sotto il seno sulla placca rigida del bustino impediva ad Anna di prendere aria come avrebbe dovuto, per rispondere a tono a quel ricatto verbale.

Finì col tacere, come sempre d’altra parte, e si lasciò sorreggere da quella mano che l’aveva trascinata ad aderire con la schiena al corpo di Antonio.

Si sarebbe messa a piangere, vestendo i panni di una vittima indifesa; avrebbe suscitato in lui quel poco di compassione che ancora sarebbe stato in grado di provare per lei; non si sarebbe dimenata, non avrebbe opposto resistenza.

Sentiva le ossa della sua colonna vertebrale assumere una postura non consona appiattite contro il corpetto non malleabile a sua volta premuto contro il suo torace, ma Antonio non riusciva a non trattarla come fragile oggetto di vetro di cui preservare la bellezza.

Si dannò mentalmente della cura con cui inconsapevolmente si era approcciato a lei, ormai non più sorpreso dell’amore che il proprio inconscio mostrava provare per quella donna.

Salì di qualche centimetro con la mano e con il pollice lambì la base del seno, ritrovandosi a contenere tra le braccia i brividi della donna.

“Non potete rimanere qui, vi prego” inclinò la voce perché le mancò l’aria dopo aver sentito il suo fiato solleticarle l’orecchio.

“Lo dico per-” a rompersi fu il suo respiro quando le labbra di Antonio solcarono il margine inferiore della guancia per portarsi in prossimità della nuca.

“Vattene…” appoggiò le proprie mani sulla sua al centro del corpetto e inspirò più volte prima di intrecciare le dita con le sue e voltarsi finalmente verso di lui.

Quell’accorata implorazione non era altro che una menzogna verso se stessa.

Antonio sorrise.

Anna aveva le gote arrossate e il petto che animatamente s’alzava e abbassava al ritmo dei suoi respiri piacevolmente veloci.

Avrebbe pagato oro per trovare un po’ di coraggio e ammettere quanto gli piacesse vederla così, con gli occhi lucidi e dalle grandi pupille, un po’ accaldata, le labbra socchiuse come unica possibilità di regolarizzare l’affanno.

Affondò le labbra nella sua bocca e adorò quando Anna si fissò alle sue spalle per impedire al tremolio delle sue gambe di abbandonarla.

Sentiva i muscoli del collo di Anna contratti, mentre lo teneva saldo sotto il suo palmo al limitare dei capelli.

Erano tesi a lui le braccia e il busto della donna che respirava con lui, per vincere anche solo per qualche centimetro l’altezza che li divideva.

Eppure Antonio non riusciva a non pensare a quell’oggetto racchiuso tra le sue braccia come a qualcosa che si sarebbe rotto, a stringerlo forte; che si sarebbe spezzato, ad abbracciarlo con troppo impeto; che si sarebbe perso per sempre, se non fosse stato fermato in un letto di sogni, carezze e parole.

 

Le dita allentate attorno al suo polso scivolarono via, come cosparse di sapone.

 

E lei, fragile, bella, silenziosa, segnò la sua fuga con ancora il suo calore addosso.







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Capitolo 7
*** Gelo ***





Pairing: Anna/Antonio;
Prima persona: Anna.







Gelo

Ho freddo.

Ho freddo senza di te.

Ho freddo perché è freddo, perché ho un abito non adatto alle temperature artiche che questo inverno ha riservato al Piemonte.

Ho freddo perché la mia energia cinetica è sempre inferiore alla media.

Ho freddo perché sono dieci anni che non ricevo abbracci.

Ho freddo perché anche le coperte non mi riscaldano più.

Ho freddo perché… io sono fredda.

Sono fredda dentro.

 

Credo di avere la febbre.

Allora è per quello che ho freddo.

 

Sto tremando.

 

No, la febbre non è sufficiente per scacciare gli altri infiniti motivi del mio gelo.

Dal corridoio percepisco una voce femminile che si avvicina.

 

Tremo ancora di più.

 

Tendo le orecchie.

Distinguo un tono diverso ma familiare.

 

Ho freddo perché la porta che si apre lascia entrare un fiotto d’aria.

Ho freddo perché ho i brividi.

 

“Chiudi la porta, ho freddo” farfuglio alla cameriera, che si congeda con un inchino.

“Avete freddo perché avete la febbre” esplica il dottore, avvicinandosi a me.

Mi indica di sedermi sulla poltroncina, davanti alla quale s’inginocchia.

Una mano dietro alla nuca mi accosta il capo al suo per premermi le sue labbra sulla fronte.

Non voglio più muovermi da lì.

Voglio ubriacarmi del suo odore, che respiro a lungo, che respiro piano, che faccio mio.

Mi lascio andare verso di lui ricadendo con la testa tra il collo e una spalla e lo sento sporgersi contro di me per non rischiare di sbilanciarsi all’indietro.

Credo che mi avesse incrociato le braccia sulla schiena.

Credo, sì.

Perché credo anche di avere perso i sensi.

… mentre il gelo si scioglieva in calore.





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Capitolo 8
*** Hybris ***





Pairing: Anna/Antonio;
Prima persona: Anna.







Hybris




Secoli di filosofia e poi?

Ognuno ha le sue credenze, ognuno la pensa come vuole.

Ci si ammazza, ci si picchia, per un Dio in cielo, per un Dio in terra.

Per un destino che non esiste, per la preveggenza, per la speranza in un futuro migliore.

Se vuoi trovare quello che cerchi, alzati e vallo a prendere.

Qualcuno mi avrebbe detto di aspettare: la divinità prima o poi si sarebbe accorta di me.

Qualcun altro avrebbe scosso la testa. Niente è sicuro, tantomeno la nostra esistenza. Viviamo nel silenzio!

Io voglio di più. Voglio vincere contro chi mi dice che ogni cosa abbia un destino.

Che tutti siamo destinati a qualcosa, oltre che a morire.

Non ho più certezze, al mondo, se non quella della tua indifferenza.

Se esistesse qualcuno, lassù, che mi voglia bene e che segua i miei passi, perché non avrebbe ancora mandato un angelo ambasciatore a recapitare alla mia felicità quanto io abbia bisogno di lui?

Non me lo merito.

E con questa risposta, la più scontata e la più vera, termino l’ennesimo giorno trascorso ad attendere l’intervento di qualcuno. Ma saranno le ultime ore che passerò inerme ad aspettare.

Vorrei sfidare il fato, il logos, il Dio, il destino, la materia, l’assoluto, il mondo, l’Infinito, la natura, l’Idea, il pensiero, l’eterno ritorno, l’essere, l’essenza, la ragione, la dea bendata, l’Io.

L’uomo è l’artefice del proprio destino.

Cosa scommettiamo? La mia felicità?

E sia.

 

Se vuoi trovare quello che cerchi, alzati e vallo a prendere. Ti renderai conto di aver sprecato troppo tempo pensando di non poterlo avere.

 

Così sono finita a rincorrere il tempo a rovescio, a immaginare di trascinare con me la linea dell’età a un decennio prima, quando mi mancò il coraggio di mandare all’aria il mio matrimonio e convincere Antonio a tornare con me.

Scendo dal calesse di fronte a casa sua, tenuta sempre in buono stato di pulizia nonostante sul muro fossero evidenti numerose crepe.

Guardo in alto: due nuvole oscurano il sole, permettendomi di non stringere più gli occhi.

A noi due.

La porta si apre prima che potessi bussare.

“Contessa, che fate qui?”

“Ho una scommessa in sospeso.”

“Con… chi?”

Mi alzo sulle punte dei piedi per raggiungere l’altezza del tuo viso a cui sono quasi incollata.

“Avete presente il detto se vuoi una cosa valla a prendere?”

“Nel mio caso credo sia un po’ diverso.” Lo guardo perplessa. “Quello che voglio è già tra le mie braccia.”

Sorrido soddisfatta. “Grazie.”

“Per cosa?”

“Per avermi fatto vincere la scommessa col destino.”






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Capitolo 9
*** Importante ***





Pairing: Anna/Antonio (Antonio-centric);
Ambientazione: Seconda serie; Antonio ha scoperto del "tradimento" di Anna, il duello con Salvati non è ancora avvenuto.







Importante



Importante.

Era per Antonio che lei non si lasciasse raggirare da chi aveva ben altre intenzioni che il solo mostrare generosità nei confronti di un’amica.

 

Era non essere tradito, almeno non al fine che imputazioni ingiuste fossero smentite dalla stessa accusa.

Era non avere alle spalle altri momenti da cancellare, altre situazioni da cambiare, altri ricordi da non raccontare.

Era pretendere che gli altri seguissero i suoi stessi ideali, anzi, che lei abbracciasse i suoi stessi principi di onestà e trasparenza.

 

“Tutto quello in cui credevo mi è stato tolto.”1

Diceva così, mentre Anna ammetteva senza trattenere una lacrima di avere bisogno di lui.

Quanta ingiustizia era stata perseguita nel corso dei secoli, prima di quel giorno?

Forse era il buio e la disperazione che si respirava in quella cella, ad averlo abituato alla solitudine.

Quasi si era dissolto, lo sguardo di Anna tra i suoi pensieri, a forza di fissare le pietre mal incastonate in quel muro che reggeva l’asse di legno su cui passava le notti.

 

Adesso era il lago luccicante del tramonto, ad essere la meta della sua mente.

L’aria era fresca, profumata di vegetazione e di fiori lontani.

La terra sotto i suoi piedi era morbida, piena di sassi di varie tonalità e di erba verde.

I suoi capelli pettinati si muovevano col vento.

La sua casa era tornata ad essere quella di sempre, ma la sua donna non c’era.

Aveva davvero preferito tendere all’inesistente giustizia ideale piuttosto che al sogno concreto dell’amore?

 

“È finita, Anna.”1

 

Importante.

Sei sempre stata tu, Anna, la più importante.









1. Antonio, Elisa di Rivombrosa - Parte Seconda (episodio 16)






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Capitolo 10
*** Jalousie ***





Pairing: Anna/Antonio;
Seconda persona: Antonio.







Jalousie




Non eri mai stato eccessivamente geloso.

Almeno non per Lucia, che ripeteva con assiduità come non potesse innamorarsi di nessun altro.

Gli ingranaggi stridevano, però, se il nome a cui fare riferimento era quello di Anna, la donna con gli orecchini che brillavano ogni volta che scuoteva il capo alla luce delle numerose candele nel salone da ballo.

Non avrebbe potuto entrare inosservata, a braccetto di suo marito, impettito e orgoglioso per l’atmosfera così calda e luminosa, sicuramente opera sua e dei suoi dispotici comandi alla servitù ingobbita dalla sua prepotenza.

A lei non piaceva l’esagerazione.

Non dovevi strafare, per convincerla, non dovevi correre, se bastava camminare.

A lei bastava la penombra, per ballare.

Ti portasti una mano alla fronte, sicuro che fosse l’odore della cera ad alimentare quei pensieri intrisi di ricordi pericolosi.

 

Aveva un abito color vaniglia, rifinito in rosa, e un fiocco tra i capelli della stessa tonalità, che lasciava ricadere sulla spalla una ciocca arricciata di quel castano scuro che conoscevi troppo bene.

Fabrizio, dall’altro lato del salone, salutava gli ospiti e introduceva la festa, ma le sue parole passarono indifferenti su di te, che avevi gli occhi impazienti di trovare i suoi.

Cogliesti qualcosa che somigliava a festa in maschera dalla presentazione del conte, ma probabilmente era l’idea iniziale di quello che era già divenuto un semplice e noiosissimo ballo dalle solite facce.

L’unico particolare era che tu non avevi la… compagna. O i Ristori erano davvero fiduciosi nelle capacità di una serata in compagnia di garantire approcci con il sesso femminile di durata sufficiente a prevedere ulteriori incontri privati?

 

Quando i musici diedero inizio al primo ballo, decidesti di ritirarti e sederti accanto alla contessa Agnese, che osservava non convinta la scena che si stava movimentando al centro della sala.

“Oh, dottor Ceppi, siete solo?” chiese con entusiasmo.

“A quanto pare.”

“Vi inviterei volentieri a danzare con me, ma, sapete, non sono più in forma come una volta e non vorrei poi dover usufruire della vostra competenza medica in una serata come questa.”

“Toglietemi una curiosità.”

“Se posso.”

“Di chi è stata l’idea?”

“Di quel matto del marito di mia figlia. Ma non chiedetemi perché Fabrizio abbia preso in mano la conduzione della festa: ho preferito rimanerne fuori.”

“Capisco.”

Alzasti gli occhi verso la massa, e all’improvviso comparve di fronte a te una gonna color vaniglia, che sparì poco dopo immersa dagli altri ospiti. Non riuscisti a trattenerti e ti sollevasti dalla sedia, per cercare di nuovo lei.

Lei che ballava con un altro.

“Non sa nemmeno appoggiare un piede dopo l’altro” commentava intanto la contessa.

“Chi, scusate?” rinvenisti.

“Il marito di mia figlia. Grasso, grosso, impacciato, irritante, e mi fermo qui” fece una pausa. “Perché non le chiedete di danzare con voi, il prossimo giro?” sorrise, senza che tu avessi partecipato all’enumerazione.

“Non oserei mai, sarebbe indecoroso.”

L’uomo avvicinò a sé la moglie e temesti di non esserti immaginato quel bacio che le diede sul collo.

Rabbrividisti.

“Scommetto che ad Anna non farebbe che piacere. E di indecoroso, in questo momento, c’è ben altro.”

 

La musica cessò, e Fabrizio richiese di nuovo l’attenzione.

“… e quindi gradirei che nella prossima danza le coppie si scambiassero tra di loro, alleggerendo questo opprimente clima di festa mondana!”

No, avrebbe solo suscitato discussioni su chi si sarebbe accaparrato la donzella più bella, ed equivoci e gelosie tra coppie sposate.

Alzasti gli occhi sulla confusione che si stava creando: trovasti in mezzo alla folla Alvise avvinghiato alla figlia minore dei Maffei – a quanto pare non aveva perso tempo –, ma di Anna avevi perduto le tracce.

 

 “Cosa ci fate qui?” udisti un sussurro provenire da dietro di te. Il cuore iniziò a martellare, e la mente a correre, all’analisi delle possibili risposte, che non fossero né troppo ricercate, né superficiali.

“Credo di essere stato invitato. Regolarmente” ti difendesti senza voltarti, con la mano già pronta a estrarre dalla tasca l’invito pervenutoti.

Delle parole della donna non rimase che un sospiro.

Poi percepisti il frusciare della sua gonna contro le tue gambe, mentre si portava di fianco a te.

Non avevi avuto l’occasione di vederla così vicino da anni.

Ti stupisti di quanto fosse bella, di quanto quegli occhi castani fossero grandi e profondi, e anche, purtroppo, di quanto avessi voglia di sentire quelle labbra rosa addosso a te. Il tempo viaggiava troppo in fretta, e tanti pensieri si accavallavano.

“Il vostro compagno vi starà aspettando” parlasti piano, sicuro che la vicinanza l'avrebbe fatta sentire comunque.

“Non avete udito Fabrizio?” ti accusò di distrazione.

“Non vorrete dirmi che nessuno vi ha chiesto di danzare” recuperasti un punto a tuo favore.

Scosse la testa, con le labbra inclinate in un sorriso, che cancellò il tuo intento di istigarle rabbia.

Le note del secondo ballo si dispersero nell’aria.

“E voi siete l’ultimo uomo con cui avrei intenzione di unirmi alle danze.”

“Ho forse espresso il proposito di trascinarvi in mezzo a questa confusione?”

“No, ma a quanto pare non perdete tempo a comportarvi da arrogante, quando scorgete l’occasione di litigare.”

Avresti voluto dirle che era l’unico modo che avevi per fare poi pace, ma ti avrebbe dato dello scellerato, oltre che del maleducato.

“Signora, non era nelle mie prospettive importunarvi in questa piacevole serata. Se preferite che tolga il disturbo, non vedo impedimenti che mi trattengano.”

Alzò il mento massaggiandosi il collo. “Cosa ne sapete voi, di quello che preferisco o che non preferisco? Se volessi… che ne so, scappare in giardino, passarci la notte, chi mai me lo permetterebbe? O se preferissi andarmene da questa tenuta e non rivedere mai più mio fratello, mia madre così devota alla sua dama di compagnia, o mio marito, devoto a qualcos’altro? O se preferissi invece ballare con voi, ma fossi troppo timida o orgogliosa per ammettere che non vedrei l’ora di farlo?”

Fu la musica già avviata a rendere mute quelle parole di sfogo, concesse solo al tuo orecchio.

“Siete grande, per avere ancora bisogno di chiedere il permesso.”

Le cingesti la vita col tuo braccio e la trascinasti contro di te, lasciando tra le vostre labbra solo lo spazio necessario per respirare. Sentisti la sua mano posarsi sulla tua spalla, mentre cercavi l’altra che intrecciasti con la tua.

“Ma non abbastanza da non aver paura delle reazioni di chi mi conosce bene…”

“Vostro marito non si è fatto scrupoli a corteggiare un’altra dama.”

“Io sono diversa da mio marito.”

“Anche io sono diverso.”

La guidasti in mezzo alle altre coppie che avevano avuto il coraggio di formarsi, tenendola sempre più stretta a te. “E dubito che possa essere geloso di voi.”

Sorrise e sollevò il viso portando la guancia in corrispondenza della tua.

“Chiunque sarebbe geloso, a vedere la propria donna in atteggiamenti così intimi con un altro.”

“Sbaglio o voi non siete stata da meno, con Alvise, prima?”

“Si dà il caso che Alvise sia mio marito.”

“Lo so.”

“Êtes-vous jaloux?”

“Posso considerare il vostro sorriso come un’indicazione di quanto vi faccia piacere che io lo sia?”

Anna accostò la guancia alla tua e chiuse gli occhi, respirando piano, aspettando che quella danza già finita desse il tempo alle coppie di sciogliersi, non senza borbottii e gridolini d’ogni sorta.

Lei allontanò il suo viso dal tuo, guardandoti con occhi rassegnati.

“Avete paura di rispondermi?” le appoggiasti una mano sul collo, accarezzando debolmente col pollice la sua pelle chiara.

La sua mano, così piccola e inerme rispetto alla tua che la tratteneva ancora accanto a te, si appoggiò tra le tue dita.

“Non posso, rispondervi.”

 

E sulla tua pelle, ad illuderti ancora, non rimase che il ricordo di averla tenuta tra le braccia.



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Capitolo 11
*** Keplero ***





Pairing: Anna/Antonio;
Prima persona: Anna.







Keplero





Keplero diceva che fosse il Sole a stare fermo in mezzo al sistema solare.

Ma come chiamavano il loro sistema i seguaci di Aristotele e Tolomeo? Sistema… terraneo? O… geoqualcosa? Forse più semplicemente geocentrico. Ma chi dice che non siamo stati noi ad inventarci questo termine? Magari, loro, non lo chiamavano proprio.

 

L’uomo era al centro dell’universo.

L’uomo era la forma di vita per eccellenza.

L’uomo, l’uomo, l’uomo.

L’uomo non è niente.

L’uomo non è che una briciola d’universo, un microbo di cosmo sputato su una sfera azzurra e verde sospesa in mezzo al nulla.

 

Così Keplero si è inventato che attorno al Sole ruotassero i pianeti.

Ma solo la Terra ne ha veramente bisogno, perché è abitata da esseri non autosufficienti, a cui servono calore, luce, cibo, acqua.

E che necessitano d’amore.

 

Senza Sole la Terra cesserebbe di esistere, collasserebbe su se stessa restringendosi sino a diventare un puntino opaco.

 

Credo sia la stessa fine a cui mi stavo avvicinando io.

Io, Terra.

Tu, Sole.

Ho passato troppi anni con la convinzione che io potessi esistere anche senza la mia stella a scaldarmi, con la speranza che quello che tu non potevi darmi mi fosse concesso dall’affetto della mia famiglia.

Mi sbagliavo.

L’affetto non può essere venduto come amore.

 

“Anna, stai poco bene? È mezz’ora che ti rigiri nel letto.”

“Scusa.”

Mi sposto accanto a te, che mi abbracci. “Stavo pensando.”

“A cosa?” Mi sposti i capelli e mi posi un bacio sulla nuca.

“A noi.”

Ti sento sorridere.

 

Keplero non aveva tutti i torti: ogni Sole ha i suoi pianeti; ogni pianeta ha il suo sole.

L’unica differenza è che io sono l’unico pianeta del mio Sole.



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Capitolo 12
*** Libertà ***





Pairing: Anna/Antonio;
Seconda persona: Anna.







Libertà




Libertà.

Di non dare spiegazioni.

Di decidere per te e tua figlia senza dover rendere conto a nessuno.

Di leggere fino a tardi, di non leggere affatto; di andare presto a dormire o di passare la notte inseguendo i pensieri.

Libertà di essere arrabbiata per un vestito macchiato o felice di un sorriso di Emilia.

Libertà di offendere il proprio fratello per la sbandata presa per una serva.

Libertà di uscire da sola, di impartire ordini alla servitù senza sensi di colpa, di sbagliare e non aver paura del giudizio di qualcuno.

Di sbagliare e non aver qualcuno da abbracciare liberando i tuoi errori in un pianto sommesso sulla sua spalla.

Di svegliarti e avere il letto vuoto, di addormentarti con il martellare del cuore nel petto chiedendoti se fosse una libertà, quella di non avere anche il suo respiro a tenerti compagnia.

Libertà… come quella di non ascoltare le sue raccomandazioni, come quella di non sentire il bisogno di chiedere il suo aiuto e ricevere rassicurazioni ad ogni starnuto di Emilia.

 

Libertà di sentirti sola, senza di lui.

Di piangere ai suoi ricordi, di immaginare la sua mano appoggiarsi sulla tua spalla per farti voltare e ridere di un suo sorriso.

Libertà di odiarti, di odiare lui, di odiare l’amore, la lontananza, gli stupidi principi in cui preferiva annegare. Di odiare l’orgoglio che vi separava, la testardaggine di una donna che voleva avere ragione anche quando era palese il contrario, le pazzie di un uomo che aveva tentato di cambiare le leggi della gerarchia sociale mostrandosi ora solo più debole dinnanzi a tuo fratello, cui era stato concesso di mantenere il titolo garantendolo anche alla sua sposa.

Non aveva combattuto abbastanza. E non era rassegnazione, questa?

Non avevi combattuto abbastanza per restare al suo fianco; avevi lasciato che scegliesse un’altra donna.

E non era prevaricazione, ingiustizia, voglia di illudere, questa?

 

Ma non era trascorso troppo tempo da quando odiavi la sua insistenza nel presentarsi a casa tua a quando non potevi fare a meno di dissetarti dei suoi occhi.

Aveva scelto te per la seconda volta in una vita.

Aveva scelto te come seconda donna della sua vita.

E non è inganno, non è prendersi gioco della tua solitudine e voglia di ricominciare dal principio?

 

E poi ti chiedevi perché non avresti dovuto sentirti soddisfatta, a prenderti la libertà di odiarlo.

Anche solo per il fatto che non avresti mai smesso di amarlo.



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Capitolo 13
*** Malattia ***





Pairing: Anna/Antonio (mi chiedo perché continuo a riportarlo, vista la fantasia delle mie storie in questa sezione);
Seconda persona: Anna.

Ambientazione: quando e dove più vi piace... nella prima serie.

Premessa: per questa one-shot ho impiegato uno stile che ho preso in prestito da una persona che ho "conosciuto" in un altro fandom. Spero che, se mai leggerà questa storia, lo prenda solo come ammirazione per l'uso immancabile nelle sue ff di questi incisi in corsivo, che adoro - altrimenti non glieli avrei certo rubacchiati!

Premessa2: non credo di aver mai dedicato una storia a qualcuno. Ebbene... oggi vorrei dedicare questa storia a due persone. La mia cara Sara, che da quando mi ha trovata non mi ha più lasciata e che, quando inizio a temere che non mi recensisca più perché si è rotta le scatole di leggere di 'sti due, mi sorprende sempre più adorabilmente scrivendo parole che mi commuovono. Peccato solo non avertele dedicate tutte, le mie storie! Non posso non menzionare Sofia, che dopo aver letto la storia si chiederà: "diamine, con tutte le storie possibili da dedicarmi, proprio questa?". Sì, lo so, mi scuso per la presenza di frasi, argomentazioni, temi simili alla tua seconda one-shot, ma il bello è che l'ho scritta prima che tu la inserissi, e mi piaceva troppo, per rinunciare alla sua pubblicazione. Quindi perdonami, se puoi! (ecco, magari se la immagini con la voce di Anna disperata, il mio tentativo otterrà più successo!)







Malattia




“Mi prende una cosa qui, nel petto. Me lo sento scoppiare, devo allentare il corsetto perché riesca a respirare meglio. E allo stomaco… una morsa che non mi dà tregua. Non ho appetito, anzi, spesso la nausea. Mi gira la testa quando mi muovo velocemente, e mi fa male quando sto troppo seduta o sdraiata. Ma è il cuore, che batte forte, tutti i giorni, e non mi dà pace.”

“Potrei darvi un calmante e qualcosa per stimolare l’appetito, ma in ogni caso non risolveremmo il problema all'origine.”

“Cosa intendete dire?”

“Che cureremmo i sintomi e non la malattia. Permettete che vi ascolti il cuore?”

Portasti le dita a slacciare la veste, ma ti assicurò che non ce n’era bisogno – già ti chiedevi perché avevi chiamato lui.

Si sporse verso di te, appoggiando piano l’orecchio al petto e una mano dietro la schiena, per non sbilanciarsi – per tenerti stretta.

L’attacco di panico che ti stava sopraggiungendo avrebbe falsato la valutazione: tu – no, il tuo cuore – nemmeno adesso riuscivi a guardarlo con gli occhi da paziente.

Era solo un dottore… – no, non lo era.

E quel calore che penetrava sotto la tua pelle? E la mancanza d’aria, il respiro corto – come a nuotare sempre più velocemente verso la superficie, impiegando parsimoniosamente le ultime riserve?

Si staccò, piano.

Volle ascoltare anche i polmoni, ma stavolta la veste scese, lungo la tua schiena – e lo fece insieme a un brivido, quando le sue mani ti sfiorarono.

 

“Anna, non siete malata.”

“Sto male, certo che sono malata.”

“Ma non per cause patologiche. È… la vostra mente a condizionare a reazioni anomale il vostro corpo. Ma siete sanissima.”

“Lo sapevo. Lo sapevo che avrei dovuto chiamare un medico migliore!”

Ma lui era il medico migliore, lo sapevi anche tu – ed eri la prima a dirlo.

Solo avresti voluto che non confermasse i tuoi dubbi.

Solo avresti voluto che i suoi occhi non ti guardassero così – quasi a farti sentire nuda.

“Mi spiace non avervi saputo aiutare.” E continuava a non controbattere, a non reagire alle tue arroganti parole come chiunque altro avrebbe fatto.

Raccolse il cappello e strinse il palmo della mano attorno alla maniglia della borsa. Perché tutta quella fretta?

Ti mettesti a sedere sul letto, i piedi a terra, pronta ad alzarti. “Che cosa devo fare?”

“Dirmi che c’è un motivo, se avete chiamato me.”

Scuotesti la testa. “Non lo farò solo perché me lo dite voi. Voi che siete l’ultimo a cui si possa concedere tale diritto.”

“Spero di rivedervi presto, Anna.”

“Io no.”

Sorrise. “Lo vedete? State già guarendo.”

Sfacciato.

Per essersene andato con quel sorriso beffardo in volto – per non averlo potuto sentire premuto sulle tue labbra.

Per non aver concluso il discorso – per aver lasciato intuire troppo bene di aver compreso la tua bugia.

Ma quando ti gettasti contro la porta per rincorrere i suoi passi, il corridoio non ti offrì che l’eco del tuo affanno.



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Capitolo 14
*** Nobiltà ***





Pairing: Anna/Antonio;
Prima persona: Antonio;
Seconda persona: Anna.

Ambientazione: il flashback è ambientato ai tempi in cui Anna e Antonio smisero di vedersi; la parte successiva è nella prima serie.

Premessa: uno dei tanti motivi per cui mi piace scrivere su questa coppia è il loro passato enigmatico, o almeno quello che è frutto delle inconsapevoli "sviste" da parte degli autori, che hanno preferito far progredire la storia con un'improbabile seconda serie, piuttosto che ricostruire gli eventi passati dando un senso logico alla vita di Anna e Antonio. Io ho sempre cercato di far incastrare tutti i pezzi del puzzle, ma temo che, se dovessi raccontare tutto ciò che hanno passato per filo e per segno durante la loro adolescenza (?), finirei per modificare almeno un elemento della storia originale, perché... non ha senso, accidenti. Ma i riflettori erano puntati su altri due, cosa vogliamo pretendere...
Con questa piccola fanfiction ho messo nero su bianco la mia interpretazione della chiave di tutta la vicenda, ossia il perché Antonio avesse lasciato Anna. Come sempre, non abbondo di sequenze descrittive, perché non sono qui per scrivere un romanzo con personaggi originali; preferisco lasciare il contesto all'immaginazione del lettore.
Ne ho scritte di meglio, non c'è dubbio, e credo che il problema sia che questo tema è troppo esteso e articolato per essere limitato ad una flash-fic. In ogni caso, non potevo non trattarlo.







Nobiltà




“Non posso, Anna.”

“È per questo, no? È perché sono una contessa, perché voi siete nobile quanto me, perché non sopportate di appartenere ad una società che dà importanza solo al denaro e all’apparenza, no? Ditemi che è così e che non avete smesso di amarmi.”

“Non posso, Anna, non posso sposarvi.”

“Ditemi che non mi volete perché la vostra famiglia ha interrotto ogni rapporto con voi e che ne siete felice, così potrete avere per moglie quella ragazza del borgo e verrete per sempre estraniato dalla nobiltà che tanto odiate!”

 

Non è contato a niente, hai visto? Mi maledico ogni giorno, per aver creduto che ognuno di noi possa scegliere chi amare. E ora non posso fare altro che guardarti da lontano, accarezzando con gli occhi il tuo viso stanco, con sciocca invidia per il vento che dalla finestra ha il permesso di far dondolare i tuoi capelli.

«Dottore, scusate, non vi ho sentito arrivare. Cosa dicevate?»

«Soltanto che Emilia si è ripresa completamente.» Con un cenno del capo mi congedo, pregando che l’immagine dei tuoi occhi scompaia presto dalla mia mente.

«Vi accompagno?»

Non costringermi a guardarti di nuovo.

«Antonio.»

 

Avevi ragione, amore mio.



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Capitolo 15
*** Ossigeno ***





Pairing: Anna/Antonio (Anna-centric);

Ambientazione: prima serie, anche se c'è un piccolo riferimento che potrebbe portare alla seconda.









Ossigeno






Anna sollevò gli occhi dalle righe che stava leggendo, distratta dal rumore di grossi tomi sfogliati e gettati a terra uno sull’altro in una pila informe.

«Emilia fai attenzione» la rimproverò pacatamente. «E alzati da lì.»

«Sì madre» obbedì levandosi in piedi e aggiustandosi la gonna, mentre il suo sguardo veniva attratto da un angolo della vetrina che stava svuotando. «Questo cos’è?» la fanciulla accarezzò la copertina grigia del volume impolverato che aveva preso in mano, e percorse con un dito le lettere in rilievo che ne componevano il titolo. «Elementa medicinae» lesse, per catturare l’attenzione della madre non così propensa ad assecondarla in quell’opera di riordino della libreria.

Emilia ci riuscì, perché vide Anna fissarla come se si fosse appena dichiarata innamorata del proprio cugino. E un libro era niente, a confronto.

«Lo conoscete?» lo consegnò alla madre appena la raggiunse. «Mi piace la copertina» continuò, osservando Anna tracciare coi polpastrelli ghirigori invisibili su di essa.

Gli angoli erano sfilacciati, il dorso quasi strappato; le tremarono le mani quando Emilia le propose di cercare in prima pagina il nome del proprietario, per verificare se mai fosse esistito un dottor Ristori tra i loro antenati.

Anna trasse un lungo respiro, sperando che la curiosità di sua figlia andasse scemando insieme al tempo che passava, ma i suoi occhi rimasero lì, spalancati, sospesi ad aspettare quel gesto domandandosi perché sua madre non morisse dalla voglia di aprirlo.

«Non è nostro, Emilia.»

Le si chiarì ogni dubbio, quando Anna le fece leggere quel nome graffiato sulla carta ingiallita.

 

“Indovina chi ti è venuto a trovare” la contessa Agnese si fece da parte e lasciò passare un Antonio impacciato e imbarazzato da quell’arrivo annunciato ufficialmente.

Anna si alzò e accennò un inchino, nascondendo l’impazienza di correre ad abbracciarlo.

“Avete intenzione di studiare anche oggi pomeriggio?” sbottò infastidita appena sua madre lasciò la stanza, indicando con un cenno del capo il libro che Antonio teneva sottobraccio.

“E voi di tenermi il muso per tutta la giornata?” sorrise, sedendosi accanto a lei e iniziando a sfogliare il volume a caso solo per coltivare la sua ira.

“Voglio andare a fare una passeggiata” dichiarò, le braccia ancora conserte.

 

Il pensiero di avere accanto quel libro le fece compagnia tutta la notte; si svegliò diverse volte, ma mai allungò il braccio per verificare che fosse ancora lì: le bastava la sensazione di percepire quell’oggetto come se il proprietario non fosse più così distante, e il suo cuore batteva nel timore che scomparisse a toccarlo.

 

“Sedetevi qui.”

“Avevate promesso di non aprirlo” ribatté arrogante.

Antonio le afferrò la mano. “C’è una cosa che vorrei voi leggeste.”

“Mi si sporcherà l’abito.”

Si tolse veloce la giacca e la distese sull’erba umida. “Ora non più.”

“Ma la vostra giacca…”

“Non importa.”

Anna lo raggiunse sul prato e si appoggiò a lui, che le guardò i suoi occhi grandi e scuri sorridendo.

“Allora?”

“Temo che l’autore del testo abbia tralasciato qualcosa, qui, in questo punto.” Il suo lapis percorse qualche riga. Anna fece per controbattere, ma Antonio non la lasciò parlare. “Proprio qui, quando parla del cuore, vedete?”

“A dir la verità-”

Non era difficile ricordarsi anche di come quella stessa grafite si fosse fissata alla carta scrivendo il nome di Anna, accanto all’elenco degli elementi indispensabili alla contrazione del cuore e alla vita umana.

Su quella pagina cadde una lacrima che sbiadì l’inchiostro stampato: Antonio si sarebbe infuriato, assicurò Anna a se stessa.

 Allora ne cadde un’altra.











Note: Ho avuto dubbi su un particolare della storia fino all'ultimo: mi sono informata su quando è stata realizzata per la prima volta la matita così come la conosciamo noi e ho scoperto che è datata 1761, perciò, per evitare fastidiosi anacronismi, ho deciso di impiegare l'accezione iniziale di questo comune strumento, lapis. È anche vero che, facendo un paio di conti, l'anno del flashback potrebbe essere anche successivo a questa data, però non posso essere sicura di come la chiamassero in quell'epoca.

E... sì, l'impressione che la fanfiction non sia conlcusa ce l'ho anch'io, ma preferisco lasciarla sospesa in questo modo: lascia maggior libertà di riflessione.



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Capitolo 16
*** Polvere ***






Polvere






«Buongior… oh! Ma che sta succedendo?»

«Niente, sto solo mettendo un po’ in ordine. Spero di non averti svegliata.»

La donna deviò lo sguardo, ma il viso stanco ammise la verità.

«Elisa, hai bisogno di riposare.»

«Ho troppi pensieri per la testa.»

Antonio fece per ribattere, ma Elisa scansò l’argomento per lei ormai chiuso, preferendo mostrare interesse per i ripiani e i cassetti che il medico stava svuotando.

«Mangia qualcosa almeno. Sai che devi mantenerti in forze, e se non vuoi farlo per te-»

«Fallo per il bambino» completò automaticamente la frase, aggiungendo di essere passata per la cucina e di aver messo sotto i denti un paio di biscotti.

Antonio la guardò scettico, ma Elisa giurò e si mise a ridere.

 

«Sei sempre così calmo e rassicurante» commentò dopo aver osservato in silenzio per qualche minuto le sue operazioni di riordino.

Le sorrise, incerto se metterla o meno al corrente del reale motivo per cui avesse trovato quell’insolita distrazione.

«Io non ci riesco» sospirò Elisa.

«E invece dovresti» la riprese, «e saresti meno preoccupata se questa notte avessi chiuso occhio almeno un paio d'ore» tornò sull’argomento, esibendola come una delle tante scuse per l’apprensione di Elisa, oltremodo giustificata.

«Sei ancora convinta di tornare a Rivombrosa a cercare la lista? Potrei andare io, o incaricare qualcuno…»

«Vedo che hai ancora molto lavoro da fare. Ti serve una mano?» trovò un pretesto per non mettere in discussione la propria decisione.

Appurato che non avrebbe desistito, Antonio annuì con un sorriso di rassegnato cedimento. Perlomeno quel leggero lavoro manuale avrebbe aiutato a non pensare, cosa di cui entrambi avevano bisogno.

 

Elisa si lasciò cadere su una sedia, per esaminare qualche oggetto e una pila di vari tomi ritrovati in un angolo del mobile.

Sfogliò distratta un volume dalle pagine rese fragili dal tempo, ma la propria attenzione venne attratta da un cofanetto della grandezza di un libro, così lo pose di fronte a lei.

«Qui sopra sembra esserci tanta polvere quanta ne abbiamo ripulita sinora» osservò, ora curiosa. Sembrava che nessuno l’avesse toccato da un’eternità, constatò, mentre con uno straccio riportava alla luce i decori dorati che si intrecciavano per tutta la superficie del contenitore. Notò che la serratura era chiusa.

«Antonio, per caso…»

«Dove l’hai trovato?»

Elisa si spaventò, temendo di aver fatto qualcosa di sbagliato. Gli indicò il punto della libreria, ma Antonio non la rimproverò, né le intimò di rimetterlo a posto, bensì continuò, con gesti meccanici, a spolverare le copertine di ogni libro a cui si stava dedicando, e a riporli nei rispettivi spazi.

«Manca la chiave» Elisa si azzardò ancora, ma solo dopo averlo detto fece riferimento all’eventualità che Antonio ne fosse ben consapevole. «Dov’è?» fu quindi più esplicita.

Il contenuto di quella scatola era indubbiamente importante per lui e riaverlo tra le mani avrebbe significato rivivere ricordi dimenticati, qualunque essi fossero. Ed Elisa aveva l’impressione che Antonio non desiderasse altro che la sua insistenza, per esternare ciò che si costringeva a tenere segreto.

«Non è qui.»

«E dove, allora?»

Antonio la fissò a lungo, ma Elisa resse il suo sguardo finché non ottenne una risposta.

«In mezzo ad altrettanta polvere, se mai quella chiave esiste ancora. Polvere nobile» aggiunse sdegnato.

«Anna.»

 

«Me l’aveva regalato lei, perché ci tenessi le sue lettere. Lo chiuse l’ultima volta che ci siamo visti, e portò via con lei la chiave, dicendomi che non ne avrei più avuto bisogno, perché avevo appena tagliato i ponti con lei e col passato.»

Sfiorò con due dita i decori sul coperchio, sorridendo, perché svelare quel ricordo fu come risentire la sua voce.

«Ma tu non hai mai chiuso col passato» evidenziò la donna a costo di essere ridondante. «Forzalo con un coltello, una lama, con qualsiasi cosa…»

«Sarebbe inutile come forzare il suo cuore.» Guardò Elisa negli occhi, avidi di parole. «Ho bisogno della chiave, e della sua mano che l’accompagni a fare scattare la serratura.»

«Sì ma-»

L’interruppe poggiando una mano sul suo braccio. «Solo lei mi può aiutare a spazzare via tutta questa polvere dal nostro passato.»

Elisa seguì con gli occhi il cofanetto mentre Antonio lo sollevava dal tavolo e lo riponeva al suo posto sulla libreria.

«Quanto tempo sei disposto ad aspettare, ancora?»

Sorrise mestamente, di spalle.

Tutto il tempo necessario, avrebbe voluto rispondere, ma i suoi pensieri vennero interrotti da forti e insistenti colpi alla porta. Antonio avrebbe giurato di sentire Anna chiamarlo più volte, ma rise dell’eventualità che fosse la sua voce.

Se ne assicurò voltandosi verso Elisa, che lo stava osservando turbata.

«Non è possibile» sussurrò, correndo ad aprire.










Note: Mi piace partire da una scena della fiction, perché sono quelle che mi danno più spunto. Possono essere continuate, completate, rivissute, alterate; in questo caso ho voluto narrare un evento probabile accaduto prima di una di esse. Siamo nella prima serie, nel 25esimo episodio (ultima puntata), quando Anna scappa insieme ad Emilia dalla tenuta, rifugiandosi da Antonio, dove scopriamo si fosse nascosta anche Elisa. Ho lasciato l'ultima battuta volontariamente di dubbia attribuzione, perché nella realtà è stata Elisa ad aprire la porta, e sinceramente trovo che entrambi avrebbero potuto farlo allo stesso modo: non sono riuscita a "scegliere" tra i due, perché mi piace immaginarli entrambi.





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Capitolo 17
*** Quindici ***






Quindici




«Tornerete a visitarla?» Anna sperò di mascherare l’impaccio con il disinteresse, sotto il debole sole di quella giornata, che prepotentemente si prefiggeva di riscaldare la terra ancora intorpidita dall’inverno passato.

Il riverbero le fornì un’ulteriore scusa per non sollevare lo sguardo, impegnato a contare i passi che distanziavano la donna e il suo accompagnatore dalla loro meta.

«Se non avete nulla in contrario sì.» La condizionale rese il disagio meno tollerabile: le accuse trattenute tra le righe per mero rispetto parvero schiacciarla, quasi fino a desiderare di colpevolizzarsi per le pene subìte.

 

«Ve ne saremo molto riconoscenti.» Formale, grato: questo fu il tono neutrale che preferì. «Soprattutto perché in passato sono stata molto ingiusta con voi.» Lo guardò, tormentandosi le mani, e chiedendosi se avesse dovuto sforzarsi a ricercare un modo diverso per esprimere il proprio turbamento.

Il medico si voltò per un attimo verso di lei, la medesima donna che adorava quando Antonio le sorrideva accarezzandole le guance, e che non avrebbe mai voluto arrivasse l’alba, quando si tratteneva con lui. Lei che non aspettava altro che il rumore degli zoccoli del suo cavallo, che la chiamavano dalla sua stanza e la facevano correre giù per la scalinata per raggiungere le sue braccia.

 

Continuava a guardarlo, sperando in un suo gesto, in una sua frase, in un qualsiasi segno che non le facesse rimpiangere di essersi confessata.

«E cosa ve lo fa pensare oggi?» continuò a perseguitare i suoi occhi perché potesse leggerne le profondità, invano. Era serio, ferito, pronto a scaricarle addosso tutte le cattiverie che fino a poco tempo prima uscivano dalla bocca di lei. Ma non disse altro, e aspettò che fosse Anna, a rispondere.

E poi parlò. Gli disse che si capiscono molte cose, nei momenti di difficoltà. Si vergognò di sé, delle proprie reazioni quando lo vedeva piombarle in casa chiamato da qualcuno che ormai non chiedeva più chi fosse, perché ormai evidente: sempre lei, sempre Elisa, come se facesse apposta, a procurarle questo dolore, o forse solo a mettere in mostra davanti alla sua padrona come stavano in realtà le cose.

Sorrise. Ma lui non le vide, le sue labbra farlo.

«Forse è tardi, ma…»

Era tardi.

Era tardi per poter pensare anche solo di ricostruire un rapporto diverso con lui. Era tardi per esprimere le sensazioni, le emozioni, i pensieri, positivi, ma soprattutto negativi, che ad ogni incontro con lui le riempievano l’anima e la mente non facendola più respirare. Ma non era tardi per poter avere un po’ di speranza, immaginare una vita diversa, senza dissidi, senza odio.

«Volevo dirvi quanto…» Trasse un grosso respiro e cercò di continuare la frase scacciando tutto il resto dalla sua mente, ma faticò non poco, a trovare le parole giuste, a continuare a respirare, a mandare giù quel grosso groppo in gola che non voleva andarsene. «Quanto mi dispiace, per vostra moglie.» La sua voce decisa e per niente esitante, risultato dell’abitudine a reprimere la sincerità del cuore, le parve inadatta e incapace di essere intesa tale.

 

Mogliemoglievostra moglie

Era il ruolo nel quale avrebbe dovuto calarsi parecchi anni prima, per accompagnare quell’uomo nel corso della sua vita. Le due famiglie, legate da lunga amicizia, avevano favorito e apprezzato l’affetto insorto tra i giovani, ignari delle complicazioni causate dalla crescita nella bambagia degli agi nobiliari, che la mente già matura di Antonio aveva imparato a disprezzare.

E quante volte Anna aveva provato a convincersi che fosse stato davvero solo affetto, quello che provava per lui, per via della lunga frequentazione avviatasi sin dall’infanzia. Ma ogni volta che s’impuntava su quella risoluzione, era costretta a tornare sui suoi passi.

Prima per gioco, poi senza chiedersene il motivo, poi perché in età da matrimonio… erano ormai quindici anni che due sentimenti contrastanti quali amore e odio li accomunavano e li inseguivano dannandoli.

Quindici anni li avevano distanziati donando loro un lavoro impegnativo ma gratificante, una moglie sicura di sé ma dall’animo fragile, una figlia piena di sogni, pronta ad imparare, a dare e ricevere amore.

Quindici anni erano serviti a ricercare e ottenere un equilibrio, ora messo in discussione, in due vite nelle quali l’uno era senza l’altra.

«In effetti pare molto strano detto da voi.»

Anna sorrise, perché era vero. «Potete anche non credermi. Ma oggi ho sentito il bisogno di pregare per lei.»

Già pronto a salire sul calesse, Antonio tornò a girarsi verso di lei, stavolta con imprevisto stupore. «Vi ringrazio» rispose, guardandola negli occhi a cui sorrise.

 

Erano state le sue scuse ufficiali, ed ora Anna avvertiva il cuore più leggero. Ma per quanto poteva sentirsi meglio, forse finché il calesse non avesse oltrepassato il cancello?

«Devo andare, io… ho altri pazienti da visitare.»

Lo osservò parlare, incantata dal suono della sua voce, senza concentrarsi sul significato delle parole, intese solo dopo: stava per lasciarla.

Antonio annuì in segno di saluto, mostrando fretta di partire. Chissà se per non continuare quel dialogo e quel gioco di sguardi. O chissà se per evitarla proprio perché aveva paura di rimanere lì con lei, da soli, senza che nessuno erigesse tra loro barriere d’imbarazzo.

Gli ripeté l’arrivederci che Antonio le aveva promesso, mentre tante altre parole bramose di essere scambiate le morirono in gola. Avrebbe voluto avvicinarsi di qualche passo, trattenergli un lembo del soprabito, esprimergli il bisogno di colmare una distanza che pareva infinita. Sembrava essere vittima di un sogno, quando una paralisi irreversibile alle gambe ti impedisce di muoverti, di saltare, scappare o inseguire qualcuno.

Anna rimase inabile davanti a lui, con le labbra a disegnare un sorriso e la mente in bilico su una striscia di terra tra due crepacci.

 

Era passato troppo tempo, per sperare nel conseguimento di una nuova realtà accanto all’uomo mai dimenticato.

 

Ma forse ne era passato troppo poco, perché due anime orgogliose si arrendessero al bisogno reciproco mai attutito.








Note: Ribadisco il mio attaccamento alla fiction. Ultimamente mi trovo davvero incapace di inventare da zero scene da descrivere compatibili con il carattere dei personaggi, perciò ripiego, soddisfatta allo stesso modo, su particolari ripresi dalla realtà della serie televisiva. Siamo nel 19esimo episodio, nel momento in cui Anna accompagna all'uscita della tenuta Antonio, terminata la visita ad Elisa.





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Capitolo 18
*** Regole ***


Regole




Tua madre ti diceva sempre che una signorina deve attenersi ad alcuni doveri imprescindibili, dettati dall’appartenenza ad un casato nobiliare. Tu annuivi seria, la schiena ritta e le spalle tese a simulare la sua impeccabile postura.

 

Tuo padre ti impose lo studio della letteratura, l’apprendimento della matematica e del latino.

Ti insegnò a leggere, ma tu insegnasti a lui ad ascoltare, quando i suoi occhi erano divenuti troppo deboli per poter distinguere le macchie d’inchiostro.

 

Tuo fratello ti dimostrò che non esistono regole da non poter infrangere o moderare secondo il proprio interesse. La vita può essere scevra di rimpianti, se affrontata con coraggio e talvolta smoderatezza. I rischi non sono mai abbastanza, se confrontati alle soddisfazioni che se ne trae.

 

Elisa ti raccontò la sua storia. Ti spiegò che tutto può realizzarsi, che la forza è vincolata alla speranza e alla fiducia, ma si deve essere in grado di retrocedere o di rallentare al momento giusto. Non sempre alla volontà corrisponde il compimento di un obiettivo.

L’importante è non arrendersi.

Finché c’è tempo, finché c’è luce.

Finché c’è cuore.

 

Tuo marito impose una sola regola al tuo matrimonio.

Denaro e proprietà.

Tu accondiscendesti all’unione predisposta dalla tua famiglia perché queste erano le stesse condizioni che i Radicati avevano garantito ai Ristori.

Nessuno dei due ebbe ciò che era stato promesso loro.

 

Emilia è la tua rinascita. Quei riccioli mori rimbalzano sulle sue spalle mentre ti corre incontro pronta ad abbracciarti. Tu no, non sei pronta a riceverla tra le tue braccia senza impaccio, a renderle affetto. Cosa ti ha cambiato, Anna? Esigi da tua figlia il rispetto dell’etichetta, l’assunzione di un determinato contegno. Ma non riesci a crescerla nella rigidità in cui hanno allevato te. Emilia reclama libertà, possibilità di rincorrere le proprie curiosità. Ha bisogno di imparare cose nuove, di respirare l’umidità del sottobosco, di essere cullata dal moto armonioso di un cavallo.

 

Antonio è la tua vita.

È la tua adolescenza, la tua innocenza, lo spettro dei tuoi sentimenti.

Con lui hai imparato ad amare e a lasciarti amare, hai creduto nell’odio che ti annebbiava la ragione e sei stata costretta a ricrederti.

Antonio è la tua rabbia, la tua illusione, i sogni a occhi aperti e quelli dentro a un letto.

Antonio è la tua serenità, la tua gioia e il tuo autocontrollo.

È un sorriso da nascondere, un broncio da vantare, la voglia di essere sempre se stessi e quella di cambiare.

Antonio non ti ha imposto regole: ha ritenuto valide le tue.

Ma la fiducia, quella stessa che infondevano tua madre e tuo padre, quella che pretendeva tuo marito, che dài ogni giorno ad Emilia, che Fabrizio riponeva in Elisa e che Elisa rispetterà sino all’ultimo giorno della sua vita… sei stata capace di gettarla nel baratro della vergogna.

Non ti senti più donna, non ti senti più viva. Galleggi sul fiume dei giorni trasportata passivamente dalla corrente.

Gli altri non capiscono cosa significhi, perché gli altri non sanno. E non possono vedere il vuoto negli occhi di Antonio, quello stesso che lui vedrà nei tuoi. Non immaginano le notte insonni, il tremore delle mani nel tentativo di scarabocchiare una lettera.

Ma quale lettera, ma quali parole, dialoghi, spiegazioni… ma quale gesto sarebbe in grado di riavvolgere i minuti, i mesi e gli anni?

L’unica costrizione è quella di andare avanti, accumulare ricordi, dubbi, rimorsi, conversazioni e silenzi.

Eppure, niente di tutto questo ti restituirà Antonio. Lo leggi nel suo sguardo, mentre piangi di fronte a lui, in ginocchio.

Perdonami di esistere, gli vorresti gridare. Perdonami di averti rubato la vita, perdonami di non averti rispettato, di non aver seguito i tuoi consigli, dei miei errori e dell’abito da vittima che continuo a indossare.

La sua voce fredda ti toglie l’aria dai polmoni: c’è una sola regola, in questo gioco[1], e nessuno è autorizzato a sovvertirla.

«Finalmente ti libererai di me per sempre.»







[1] Il gioco di Salvati, rappresentato nel suo apice dal duello che avrebbero affrontato poco dopo questa scena.

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Capitolo 19
*** Segreto ***






Segreto



 

Dovevo immaginarlo.

Da come parlottavano, riempiendo i vuoti tra le parole con qualche occhiata nella mia direzione.

Io distoglievo lo sguardo, arrotolando il lenzuolo tra le dita e fingendo di non accorgermi di loro, di essere unicamente presa dalla mia sofferenza.

Dovevo saperlo.

Per il solo fatto di essere una donna.

Strinsi gli occhi, cercando di innalzare una barriera tra me e loro, in piedi sull’uscio della porta ad agitare le braccia, gli sguardi, i pensieri.

«L’ha rovinata» mio padre non si curò di abbassare la voce. «Si è rovinata.»

Udii il medico di famiglia congedarsi a passi affrettati, accennando un saluto.

«Quando lo si saprà a Torino…»

«Smettetela, conte. Nessuno lo verrà a sapere.»

«Come intendete agire, allora? Dandola in sposa a-»

«Il figlio dei Magliano.»

Sussultai.

Non importava come mi sentissi, né se stessi bene.

A loro stava unicamente a cuore garantire il riserbo della famiglia, e trovare la soluzione più rapida ed efficace a questo guaio.

Il guaio più bello del mondo.

«Credete potrà essere ancora interessato? Quando scoprirà il motivo per cui si sono affrettate le nozze…»

«Il motivo rimarrà in questa casa» proseguì mia madre. «Ma dobbiamo sbrigarci. Il marchese sarà anche tonto, ma tutti sanno quanto dura una gravidanza.»

Mi rannicchiai avvicinando le ginocchia al petto.

Avevo freddo, ma non mi mossi a cercare la coperta, col timore di attirare l’attenzione su di me.

«Quando nascerà, niente potrà convincerlo che non sia figlio suo.»

Una lacrima mi rigò il viso e bagnò il cuscino.

Mia madre sospirò, forse stupita di aver pronunciato tali parole. «Tu credi ce la farà a tenere per sé questo segreto?» si rivolse al marito, che rimase in silenzio qualche istante.

«Non per tutta la vita.»

 

Non per tutta la vita, mamma.

Anche se me lo hai fatto promettere, anche se me lo hai fatto giurare, anche se mi hai donato conforto tra le lacrime, chiamandomi piccola, chiamandomi figlia.

Quella bambina che ti ha delusa, ma che continuerai a proteggere, stringendola in un abbraccio e custodendo la verità come un fiore in una teca di vetro.

 

E si può chiamare tradimento corrergli incontro sotto la pioggia, nel buio di una sera, mentre a palazzo Alvise sbraitava ubriaco contro i servi?

O guardare i suoi occhi illuminarsi di una gioia mai provata, dopo essersi bloccato a metà di un movimento?

 

«Perdonami Antonio» di averti mentito tutti questi anni.

 

Perdonami, madre, per non avere mantenuto la parola, per essere volata a ritrovare la mia gioia, per aver chiesto alla vita che mi restituisse ciò che mi aveva riservato e poi sottratto.

Ma avevo bisogno che le sue mani afferrassero titubanti le mie, e che le sentissi tremare, come i brividi stavano facendo con il mio corpo, di un’emozione mai vissuta.

Che studiasse attonito la mia espressione, chiedendo silenziose spiegazioni.

Che sorridesse, incredulo, alle mie lacrime.

 

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Capitolo 20
*** Tu ***





Tu

 

«Sei stato tu a scegliere per entrambi» parlò Anna senza guardare negli occhi l’amante che aveva nel letto. Sedeva sul bordo, le dita a torturare il lenzuolo sgualcito. A coprirla era una sottoveste slacciata, che le ricordava senza tregua le mani che gliel’avevano fatta scivolare di dosso poco prima.

«Appena seppi del tuo matrimonio corsi alla tenuta» affermò placido Antonio, trattenendosi dal toccarla, dallo sfiorarla ancora, dal baciarla tra i capelli.

Anna finse di non avere sentito.

Finse che quelle parole fossero frutto della sua mente e delle sue numerose ricostruzioni di quei giorni passati, che spesso facevano capolino nei momenti di noia, di sconforto o di nostalgia.

Finse di provare solo indifferenza, quando dentro di lei si sentiva smarrita, angosciata, rassegnata; quando le sue labbra tremavano e i suoi occhi si inumidivano.

 

Non si possono amare due donne allo stesso tempo, e la tua scelta aspettava nella vostra umile casa che tu tornassi dal lavoro, quel giorno come tutti gli altri.

 

«Ero venuto a cercarti» aggiunse, avendo previsto il suo silenzio.

Lo sguardo della donna si perse, alla ricerca di quei momenti che aveva giurato a se stessa di dimenticare.

«Avevo chiesto aiuto ad Amelia perché potessi entrare.»

La mano che stringeva il lenzuolo si bloccò.

«Avevo bisogno di vederti. Di parlarti.»

 

Non si può pretendere di avere ascolto quando ascolto si ha negato.

 

«Tuo padre…»

«Basta!»

«Ho creduto di liberarmi del mondo a cui appartenevo allontanandomi dalla mia famiglia e da te.»

«Ti prego…»

«Voglio che tu sappia che me ne pento ogni giorno.» Si sporse verso di lei a sfiorarle un braccio, che ritrasse prontamente.

«Sarà quello che farò io di ciò che è successo oggi.»

Antonio le si avvicinò, le gambe a terra a stringere il suo corpo esile contro il suo, e un braccio a cingerle la vita. Anna non si mosse, ma non riuscì a celare il fremito che la scompose al ricordo ancora troppo vivido del contatto con la sua pelle, dei suoi sussurri flebili destinati unicamente a lei, della dolcezza dei suoi baci.

«Anna stammi a sentire.»

La donna scosse la testa e posò le proprie mani sulle sue, strette sul ventre, immobili e resistenti ad ogni tentativo di fuga.

«È tardi.»

«Se solo volessi, potremmo-»

«Dimenticare il nostro passato? Ricominciare una nuova vita? Immaginare che non sia successo niente? Fingere di amarci come allora?»

«Potremmo smettere di fingere.»

 

Sei stato tu a scegliere per entrambi. E lo stai facendo ancora, convinto che ciò che per te corrisponde al giusto equivalga anche al mio bene.

 

«Siamo stati distanti così tanto tempo che non riuscirei più a distinguere la realtà dal sogno.»

«Il confine tra i due non è sempre così netto. Anna, io ti amo.»

Anna chiuse gli occhi e respirò profondamente, contrastando il capogiro che la colse.

«È una follia» farfugliò una volta riacquistata consapevolezza di sé.

«L’hai detto anche vent’anni fa.»

«Allora non sapevo cosa significasse.» Si girò verso di lui, e gli posò le mani sulle spalle. Il cielo dei suoi occhi esprimeva pazienza, pace e sicurezza. «Oggi sì.»

 

Tu sei mia realtà, mio sogno e mia follia.

 

 

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Capitolo 21
*** Urla ***






Urla

 

«Dottor Ceppi. Sarà un piacere, per me, uccidervi.»

 

«Antonio!»

«Non voglio starti a sentire, Anna!»

«E invece ti conviene.»

«Non permetterti di stabilire ancora delle regole tra noi.»

«Non sono stata io a farlo.»

«Ah no?» si voltò, così finalmente potei prendere spavento riconoscendo un’espressione di avversione che non gli apparteneva. Scosse la testa alla mia mancanza di risposta. «Sei stata un’incosciente.»

«Mai lo sono stata meno di allora! Tu non ti sei mai macchiato di colpe dettate dall’istinto, dalla passionalità, dalla superficialità…?»

«È successo vent’anni fa, Anna! Ero un ragazzino.»

«Continua a nasconderti dietro queste banali scuse. Non sei morto in carcere, ma lo farai per mano di uomo misero.»

«Avrei preferito passare il resto della mia vita in quella cella, piuttosto che-»

«Io, avrei preferito morire, quelli che tu chiami vent’anni fa, invece di trascorrerli pensando a chi non avrei mai più creduto di riavere.»

Si zittì, studiando le mie parole.

«Pensi sia stato facile tornare con te dopo ciò che mi avevi fatto passare?» Abbassai la voce e deviai lo sguardo, come volessi parlare a me stessa. «Forse per te era tutto così naturale… riappropriarsi dell’affetto del primo amore» risi amaramente.

«Non espierò mai questa colpa, vero?» parlò come se stesse sfidandomi.

«No, perché tu scegliesti un’altra» feci una pausa, per serbarmi ancora qualche istante prima di cadere nella trappola del rimorso. «Io ho sempre scelto te» mormorai, la testa bassa, quasi vergognandomi di quella confessione fanciullesca, sebbene racchiudesse il nocciolo della mia vita in una coltre di sincerità.

Antonio non fece alcun movimento.

«Stavolta più che mai.» E sollevai le gonne, fissandolo negli occhi con un’espressione compassionevole più che ripugnata.

Quindi mi affrettai fuori dalla stanza, prima che l’irrazionalità del mio sentimento mi costringesse ad ammettere errori mai commessi, pur di mantenere sul bilico dell’equilibrio gli ultimi frammenti della nostra storia.

 

Solo quando mi accomodai in carrozza, pronta ad impartire al vetturino l’ordine di avviarsi, la portiera si spalancò di colpo, facendomi d’istinto portare una mano sul cuore.

«La marchesa ha dimenticato il baule più piccolo» ansimò la giovane serva, in pieno timore di subire un rimprovero per la mancata solerzia.

Annuii, posando il bauletto sul sedile di fronte a me, quasi fosse un compagno di viaggio.

 

E chissà se il petto mi stava facendo male per lo spavento o piuttosto per aver sperato, nell’infinitesimo di un istante, di riaverlo accanto a me, così da gridare al mondo che non m’importava più di niente, se non dei suoi sorrisi e della stretta delle sue braccia.




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Capitolo 22
*** Vedova ***


Vedova

 

«Si consola facilmente, la vedova Radicati.»

I commenti maliziosi delle nobildonne che si intrattenevano attendendo udienza dal re non potevano essere più ostentati. Se fino a quel momento l’attenzione di Anna ignorava le loro chiacchiere, le signore avevano abbandonato ogni discrezione quando i loro sguardi indagatori avevano intercettato il cenno che Antonio aveva rivolto ad Anna dalla parte opposta del corridoio.

«Oh, si è offesa.»

«Che avremmo detto di scandaloso?»

Anna sentiva i loro occhi vispi adesi alla propria schiena, rapidi a calcolare traiettorie, a congetturare emozioni, mentre l’abito frusciava veloce attorno alle proprie gambe.

«Niente di sconosciuto.»

«Se solo l’avesse scelto giovane ed altolocato…»

«Allora, mia cara, la nostra si chiamerebbe invidia.»

«E adesso, invece, di che si tratta?» domandò Fabrizio con drammatizzato fare complice, sopraggiunto dopo aver notato la repentina evasione della sorella.

«Oh» sobbalzò l’ultima voce, troppo concentrata nella conversazione per accorgersi dell’intromissione. «Conte Ristori, perdonante l’impertinenza: sono solo chiacchiere di vecchie galline annoiate.»

«Mi avete tolto le parole di bocca. E ora scusate» le fulminò con lo sguardo, «ma io e la contessa Ristori mia moglie siamo attesi da sua maestà.»

«Che sfrontatezza! E tutto per difendere la sorella.»

«Amica mia, riteniamoci privilegiate a non appartenere alla loro famiglia. Tra nobili decaduti e serve insignite di titoli nobiliari, chi avrebbe il coraggio di affacciarsi alla finestra?»

Le interlocutrici accondiscesero, scuotendo più volte la testa in segno di commiserazione.

 

«Anna, aspettate.»

La donna camminava a passo svelto, più dispiaciuta che adirata, verso la prima uscita che desse sui giardini. Il tentativo di non farsi scalfire da quelle parole taglienti era fallito, sebbene fosse convinta che il proprio allontanamento avesse provocato in loro maggiore ilarità e materiale su cui affinare le loro supposizioni.

La sontuosità del palazzo era immersa nel silenzio: gli ospiti erano concentrati negli appartamenti reali, con l’illusione che le proprie esigenze venissero prima o poi assecondate dal re, o con la pretesa di scambiare fantasie e aggiornarsi sulle ultime notizie di corte. Nemmeno i numerosi membri della servitù parevano interessarsi dell’uomo e della donna che giocavano a rincorrersi.

Quando il corridoio si aprì sul porticato che incorniciava il cortile interno, Anna rallentò, percorrendo solo alcuni ulteriori passi, quasi come a saggiare la consistenza dell’erba.

Il suo inseguitore rallentò a sua volta, fiducioso nel termine della fuga di Anna, e si fermò a distanza dietro di lei.

«Non dovete prendervela.»

«Avete sentito tutto?» Si meravigliò della stupidità della domanda.

Era evidente che avesse sentito.

Avevano sentito tutti.

«Mi spiace.»

«Non ho bisogno della vostra pietà.»

Anna allargò il ventaglio di pizzo e prese a farsi aria.

«Non avrei mai voluto che la mia presenza fosse fonte di questo ciarlare imbarazzante. Perdonatemi se ho insistito ad accompagnarvi.»

Sapevano entrambi che l’invito non proveniva da Antonio, bensì da Elisa e Fabrizio. L’uomo le si avvicinò silenziosamente, timoroso che un approccio troppo brusco la portasse ad allontanarsi.

«Non mi sembra avessimo assunto atteggiamenti equivoci» continuò dopo essersi rassegnato al silenzio di Anna, che si trattenne anche dall’informarlo che rincorrere una donna per consolarla non era niente di diverso.

In fondo apprezzava quelle attenzioni.

In fondo.

«La gente ci conosce, cataloga le nostre vite, le incrocia col nostro passato» esordì Anna. «Non si dà tregua, indaga su ogni gesto per rintracciarne ambiguità, sottintesi.» Voltò appena il capo e studiò Antonio con la coda dell’occhio.

«Si stancheranno presto: in noi non troveranno niente di tutto ciò.» Fece una pausa. «O sbaglio?» le sussurrò ad un orecchio, imponendosi di non sfiorarle il viso con le labbra.

Il ventaglio di Anna smise di agitarsi.

«Sbaglio» bofonchiò Antonio.

«Avete detto?»

«Che è tutto molto chiaro e non c’è motivo di nasconderci.»

La mano di Anna tornò a muoversi nervosa. «Infatti» concordò.

«Quindi possiamo rientrare.»

La donna continuò a farsi aria più intensamente, ostinandosi a fissare il prato innanzi a sé.

«E questo» sfilò il ventaglio dalle mani di Anna, «non vi serve più.»

Come previsto, si girò e l’aggredì con furia, ordinandogli di restituirle il maltolto.

«Non muovetevi» le intimò Antonio, gli occhi rivolti a un punto oltre le sue spalle.

«Che cosa?! Ridatemi il mio v-»

«Lo dico per voi.» La prese delicatamente per le spalle affinché non si spostasse.

Il gesto le scatenò la reazione opposta. «Non toccatemi.»

«Anna, vi prego» la supplicò. «Ci stanno guardando.»

Indifferente ad ogni avvertimento, la donna si voltò e riconobbe alcune delle signore che tanto si erano prodigate a diffondere i propri giudizi.

Tornò a fissare Antonio, le labbra tremanti alla ricerca di domande pertinenti o parole sufficientemente offensive.

«Ve l’avevo detto» evidenziò lui.

«Vi odio» sibilò, e non poté non adocchiare di nuovo il capannello di donne.

«Smettetela di guardarle» le raccomandò non riservando riguardi alla provocazione. «Altrimenti penseranno che stiamo parlando di loro.»

«E non è quello che stiamo facendo?»

Antonio sorrise alla naturalezza di Anna, e fece lo stesso alle nobildonne, che si affrettarono a rispondere con cenni e occhiate compiaciute.

«Avete sorriso loro» gli fece notare con stizza.

«No.»

«Sì invece» lo rimbeccò.

«Rispettabilità e condiscendimento: me l’avete insegnato voi. Siete gelosa?»

«Di quelle quattr-» un’occhiataccia di Antonio le suggerì di placare il tono. Si lisciò il vestito e respirò profondamente, costringendosi al contegno. «Cosa consigliate di fare?» bisbigliò, rassegnandosi alla collaborazione.

«Quello che preferite. Potremmo rientrare, dileguarci verso l’uscita, oppure…»

«Oppure cosa?»

Antonio fece un passo verso di lei.

«Che fate? Non vorrete mica…»

Ma non si mosse, mentre Antonio, incantato a scrutare i suoi occhi, le carezzava il viso con un dito. Il pollice le sfiorò le labbra, che si dischiusero. Anna continuò a fissarlo attonita e incapace di compiere alcun gesto. Il cuore insisteva a battere più forte, l’ambiente intorno a lei a perdere di spessore.

Eppure non era passato troppo tempo da quando l’aveva avuto così vicino, sebbene entrambi avessero tentato l’impossibile pur di dimenticare quel giorno.

Vanamente.

Al diavolo le dicerie, i commenti aspri e disprezzanti, il mito della perdita recente di un marito. Avevano mai conosciuto la felicità, loro? Avevano vissuto metà della propria vita sognandone un’altra, abbandonata e rinchiusa in una gabbia di vetro, che desse la possibilità di osservarla ma non quella di renderla tangibile?

Antonio le posò una mano sul fianco e Anna si sentì intrappolata, perduta, senza modo né motivo di imporre resistenza.

Senonché quel gesto non volle annullare l’ultimo fiato di distanza, bensì atterrare insieme di nuovo nello stesso giardino da cui provenivano.

«Avete ragione. Meglio che vi lasci sola» pronunciò mimando un sorriso.

E se ne andò, lasciandola sospesa, inappagata, a domandarsi confusa quando avesse detto cosa fosse meglio, chi avesse avuto ragione o torto, quali parole si sarebbero scambiati nel loro successivo incontro, e quando questo avrebbe avuto luogo.

Prima di scomparire all’interno del palazzo, Antonio si voltò l’ultima volta.

Accennò un inchino e sorrise: aveva ancora il suo ventaglio in mano.

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Capitolo 23
*** Zitta ***


Zitta

 

Mi sembrava di aver udito dei rumori strani.

Come dei colpi, dei tonfi sommessi, dei passi frettolosi e sconosciuti.

Mi sporsi oltre la parete per verificare di persona l’origine di quel trambusto, il cuore in gola e il fiato corto. Non avrei voluto essere così agitata: avrebbe potuto trattarsi di un temporale, delle imposte che qualcuno aveva dimenticato di chiudere e che sbattevano per il vento. Avrebbe potuto essere già mattino e il mio sonno leggero mi aveva tradita, troppo sensibile persino ai piccoli gesti quotidiani che la servitù compiva all’alba per risvegliare la tenuta.

Il buio era quasi completo; avevo preferito non accendere lumi, ma me ne stavo rammaricando. Il freddo marmo delle scale intorpidiva i miei piedi nudi mentre scendevo al piano di sotto, facendo attenzione a non inciampare, aggrappata alla ringhiera. Dalle finestre si intravvedeva ancora l’oscurità della notte: constatai allora come il giorno fosse lontano, allo stesso modo della mia camera, dove avrei preferito essere ora, benché la curiosità e soprattutto il terrore e l’apprensione nei confronti della mia famiglia e di questa stessa tenuta si fossero vestiti di supremazia nei confronti di tutto il resto.

Oltre ai colpi cadenzati sempre più vicini, riuscivo a riconoscere alcune voci, senza discernere le singole parole. Altrimenti avrei saputo tornare saviamente di corsa sui miei passi.

Attenta ad ogni movimento, ad ogni ombra sulle pareti, a riflettere su quali avvenimenti stessero avendo luogo a mia insaputa, non udii l’avvicinarsi di una figura alle mie spalle, né nei suoi passi leggeri, né nel suo respiro ora più teso.

Una mano mi coprì la bocca, e iniziai ad annaspare alla ricerca d’aria, spalancando gli occhi per lo spavento e gridando contro le dita serrate sul mio volto che cercavo di strappare inutilmente da me. Con la mano libera mi trascinò contro il suo corpo, violentemente e con la prepotenza di chi desidera appropriarsi di qualcosa o difenderla a tutti i costi.

«State zitta e non muovetevi.»

La furia nei miei muscoli contratti a divincolarmi si placò non appena la sua voce raggiunse in un sussurro il mio orecchio. Mi lasciai andare sorretta dal suo corpo, mentre le forze sembravano avermi abbandonata per il panico che mi aveva brancato. La sua mano si allentò leggermente per permettermi di respirare, non senza affanno.

«Cosa ci fate qui?» esclamai forte, per vincere la tensione contro le mie labbra, che si fece di nuovo più intensa.

«Fareste meglio a chiedermi cosa stia succedendo.»

Iniziai a strattonargli le braccia, imprigionata dalla solidità della sua presa.

«Promettetemi di rimanere in silenzio» depose la propria condizione.

Annuii prontamente, così che potesse liberarmi la bocca.

«Cosa diavolo-»

«Vi ho detto di tacere!» mi intimò rigirandomi verso di lui, che aveva dimenticato per un attimo la delicatezza e lo scoglio del tempo e di un titolo nobiliare che si ergeva tra di noi.

La veste da notte frusciò contro il suo corpo e lui mi premette contro di sé, le mie forme ad aderire alle sue senza il vincolo delle pesanti stoffe dei miei abiti consueti.

Lasciai che i secondi passassero indefiniti, perché l’angoscia si placasse. Deglutii più volte, la bocca secca e gli occhi affaticati nel cogliere nel buio ogni particolare dell’uomo di fronte a me.

Continuai a fissare il riflesso della poca luce naturale che filtrava dalle finestre nelle sue iridi azzurre, impegnate ad alternare la loro attenzione su di me e verso l’ambiente circostante.

Scossi leggermente la testa, sperando di fargli intuire quanto fossi disposta a non fiatare pur di ricevere qualche spiegazione.

«Dobbiamo andare via da qui» dichiarò invece.

Entrambi sollevammo lo sguardo, quando udimmo qualcuno improntare la scalinata con passi rapidi.

«Che succede, Antonio?»

Mi fece segno di rimanere in silenzio e mi trascinò in un angolo ancora più buio, a lato della scala, dove la penombra ci avrebbe esclusi dalla vista. Trattenemmo il respiro finché l’uomo non fu quasi davanti a noi.

«Ma è Fabrizio» notai, a bassa voce. «Fabrizio!»

«No, Anna!» le braccia di Antonio mi circondarono rapide perché non mi spostassi né lasciassi che la mia impulsività prendesse il sopravvento. Tuttavia il suo impegno non riuscì a trattenere la mia avventatezza.

Fabrizio si avvicinò titubante al recesso in fondo alla scala, e sul suo volto si dipinse rabbia e sorpresa quando ci vide, stretti l’una tra le braccia dell’altro, spaventati e ignari degli eventi.

«Anna» si tranquillizzò relativamente quando mi riconobbe. «Portala via, Antonio.»

Antonio provò a chiedere spiegazioni, a proporsi perché l’accompagnasse dov’era diretto, ma Fabrizio non cedette, né si permise di aprir bocca più del necessario.

«Accompagnala nelle sue stanze, e non muovetevi di lì per nessuna ragione al mondo» insistette, per poi proseguire il suo cammino a passo sostenuto.

Fu in quel momento che distinsi la pistola nascosta tra le pieghe dei pantaloni allacciati di tutta fretta. Dalla parte opposta oscillava il fodero della spada.

Strinsi forte una manica di Antonio con il terrore che mi invase il corpo. Appena Fabrizio scomparve nell’oscurità, mi indicò di fargli strada verso il piano superiore.

I colpi, le grida e lo sferragliare delle armi che dimostrarono l’inizio di una colluttazione impedì al mio buon senso di seguire l’ordine di mio fratello. Scattai in direzione dell’ala posteriore della tenuta, annebbiata dal terrore che stesse verificandosi l’inevitabile.

Antonio mi raggiunse e di nuovo cercò di imporre razionalità nei miei gesti. «È pericoloso, Anna. Dobbiamo andarcene.»

«Non voglio lasciarlo solo.»

«E io non voglio lasciare sola voi. Siate ragionevole e fidatevi di lui. Se vi ha detto di-»

«Ho paura, Antonio.» La mia voce echeggiò per il corridoio, e lui si incupì, incerto su come gestire quella situazione che gli era piombata addosso. «Non posso perdere anche lui» abbassai lo sguardo a terra, seguendo le linee della veste sottile.

«Non succederà. Fabrizio è stato nell’esercito: sa come comportarsi senza mettere in pericolo la propria vita e quella degli altri.»

Titubante, tornai sui miei passi e raggiungemmo la scala.

Salita sul primo gradino mi voltai indietro, con la preoccupazione infondata che Antonio non si allontanasse da me.

Mi guardò aspettando che parlassi, i nostri occhi ora quasi alla medesima altezza.

«Non lasciarmi, ti prego» bisbigliai, la voce spezzata da un singhiozzo soffocato.

Antonio si sporse verso di me e accolse il peso, il calore, i fremiti del mio corpo che si lasciò sostenere totalmente. Una mano sul capo mi teneva ancor più stretta a lui, casomai fosse stato possibile.

«No, Anna. Non ti lascio più» sussurrò baciandomi tra i capelli.

 

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