Forgiveness

di _Mary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto (Libellula) ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


DISCLAIMER: i personaggi appartengono a JK Rowling, la fic non ha scopo di lucro. Le strofe riportate appartengono alla canzone ‘Forgiveness’, di Elisa.

 

 

Forgiveness

 

 

Capitolo primo.

I’m lost and scared to live this life
I thought I’d always be strong
This rage this dark side I don’t want to see
Lays there…  Lays there… lays there…

 

Si strinse al petto le ginocchia, rannicchiata nell’angolo tra il lavandino e gli scaffali delle pentole, incassando la testa tra le spalle. Il silenzio era troppo per poter uscire da quell’angolo in penombra, troppa la sorpresa per l’irruzione di quegli uomini nella sua casa per potersi semplicemente alzare e ricominciare a cucinare.

 

Tremava. Si mordeva con forza un labbro, ma ciò non le impediva di farsi sfuggire rapidi singhiozzi, tutti ravvicinati, che le scuotevano le spalle esili e risuonavano nella casa ormai vuota, infrangendosi contro le pentole di quella cucina sporca e contro i suoi mobili cadenti.

 

Qualche raggio del caldo sole estivo arrivava a sfiorare la sua pelle attraverso le tende pesanti della finestra, tratteggiando i contorni delle poltrone e delle sedie rovesciate del salotto. C’era silenzio, una cosa che la ragazza non ricordava di aver mai sentito, in tutti quegli anni, a causa dei continui borbottii di suo padre o dei rumori di suo fratello, sempre impegnato a distruggere qualcosa.

 

O a chiamare i serpenti.

 

Sentì un brivido percorrerle la schiena al pensiero dei serpenti. L’avevano sempre terrorizzata, lei non aveva quell’abilità di parlargli che rendeva tanto sicuro suo fratello. Quando vedeva i serpenti impallidiva e si rintanava tra le pentole di coccio, mentre la risata sguaiata di suo padre le feriva le orecchie ed il cuore. E ora che suo fratello non c’era più, forse i serpenti se la sarebbero presa con lei.

 

Li avevano portati via, tutti e due, ed avevano lasciato lei da sola. Non poté trattenere altri singhiozzi quando si chiese cosa avrebbe fatto, senza di loro e senza un briciolo di magia.

 

La magia che era scorsa nelle vene di tutti i suoi antenati, e che sembrava essersi esaurita proprio per lei. Mai, neanche nel più profondo nel suo cuore, aveva osato pensare, o sperare, che le portassero via suo padre e suo fratello, anche se era facile abbandonarsi ai sogni, quando era sola e senza nessuno che la controllasse. Non aveva mai davvero sperato si ritrovarsi da sola, perché non valeva niente senza di loro. Era una Magonò, e tanto sarebbe bastato a renderla la vergogna di qualsiasi famiglia; specialmente per quel che riguardava la sua.

 

A poco a poco i singhiozzi si calmarono, ed anche il respiro tornò ad essere regolare. Lentamente, decise di provare ad alzarsi. Si mise silenziosamente sulle ginocchia, per poi alzarsi con cautela, impaurita dalle ombre di quella casa. La sala era nelle condizioni in cui gli Auror l’avevano lasciata, nel più completo disordine, e la porta ancora aperta cigolava nella lieve brezza.

 

Merope le si avvicinò. Un passo dopo l’altro, uscì da quella cucina sporca che era stato il suo rifugio per quasi tutta la vita. La spinse leggermente, aprendola del tutto. La luce diretta del sole le ferì gli occhi, abituati alla penombra delle ultime ore. Si ritrasse velocemente, tornando nell’abbraccio della casa, e chiuse bruscamente la porta. Quando si decise ad aprirne di nuovo uno spiraglio, socchiuse gli occhi, mettendo a fuoco i particolari di quel paesaggio tanto familiare: alberi e colline erano sorprendentemente al loro posto, nonostante tutto quello che era successo, e ciò le diede un po’ di coraggio.

Almeno, quello necessario ad uscire del tutto.

 

Cautamente, arrivò allo spiazzo davanti alla porta, guardandosi intorno. Quasi si sarebbe aspettata di vedere tornare suo padre e suo fratello che le ordinavano di tornare dentro e non farsi vedere, lei, la vergogna della loro casata.

 

Ma nessun ringhio arrivò a riprenderla, mentre si spingeva ancora un po’ più in là, verso valle.

 

Il sole scottava, e Merope decise di tornare sui propri passi. Sfiorò con la punta delle dita la porta della casa, portando timidamente la mano al serpente appeso ad essa. Era viscido, e gli mancavano parecchie squame. Merope lo prese per la coda e tirò, staccandolo dalla porta.

 

Si ritrovò a far saettare lo sguardo dal serpente al chiodo ancora conficcato nella porta. Lo lasciò cadere, disgustata, e rientrò in casa, decidendo di riordinare la sala.

 

Quando ebbe finito ed ebbe aperto tutte le finestre, facendo entrare luce ed aria in abbondanza, Merope si lasciò sfuggire un breve sorriso. Lo represse subito, allarmata, guardandosi intorno. Fu allora che ricordò che li avevano portati via.

 

Allora, Merope decise di sorridere di nuovo, ed al sorriso seguì una risata stentata, quella di chi non riesce a ricordare più bene come si faccia a ridere. Rimase ad ascoltare la sua eco, mentre assaporava, per la prima volta nella vita, quel dolce miele che è la libertà.

 

 

 

 

Questa fic ha partecipato al 'Classici Disney Contest' indetto da Lyrapotter, classificandosi seconda a parimerito. L’idea era di scegliere uno dei cartoni animati Disney tra quelli disponibili, al quale era collegata una traccia, una citazione, una coppia, etc., ispirata al cartone stesso. A me, con Hercules, sono capitate due battute: ‘Meg... ma perché l’hai... non avresti dovuto’, ‘Le persone fanno sempre cose pazze... quando sono innamorate’.

Continuate a seguirmi e scoprirete come le ho inserite u.u (<3)

Questa raccolta è composta da cinque one-shot/flash-fic. Ne posterò una alla settimana.

Detto ciò, il filo conduttore di questa raccolta è la canzone ‘Forgiveness’ di Elisa, che mi è capitata come traccia ad un altro contest e che ho deciso di sfruttare anche per questo.

Ringrazio di nuovo la giudiciA per il contest e mi complimento con tutte le partecipanti *-*

Penso di aver scritto tutto... posterò il giudizio alla fine dell’ultimo capitolo.

 

Un abbraccio,

Ilaria

 


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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Capitolo secondo.

You felt the pain
You felt the fear
But you chose not to see
Made it your destiny…

La giornata era davvero calda. Merope si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore, sospirando.

Il sole picchiava contro la sua nuca. Non c’erano alberi, in quel tratto di strada. Persino la terra risentiva di quel caldo, arida ed assetata, mentre l’ennesimo viaggiatore le passava davanti a cavallo, sollevando una nuvola di polvere rossiccia. Le fronde degli alberi dietro di lei non erano abbastanza folte da creare ombra sufficiente a ripararsi dal calore estivo. O, almeno, non a quell’ora.

Merope rivolse uno sguardo alla casa dietro gli alberi, tentata di entrare. Avrebbe potuto osservare Tom come aveva sempre fatto, da dietro la finestra della sua stanza. Anche quel giorno, quando sapeva che sarebbe tornato dalla città.

Tom andava sempre in città, il mercoledì. Andava a trovare Cecilia, la bella ragazza che Merope aveva visto spesso con lui. E, ogni volta, si fermava a quel bivio a far riposare il cavallo.

Tenne ostentatamente lo sguardo fisso su un albero, impedendosi di abbassarlo sulla fiala che aveva in mano. Il liquido era inodore ed incolore, proprio come era scritto nel libro di suo padre che aveva trovato. Era riuscita a prepararlo tutto da sola.

Non riuscì ad impedire ad un sorriso incerto di farsi strada sul suo viso, a quel pensiero. Nessuno lo avrebbe mai creduto possibile. Nessuno l’avrebbe creduta capace di compiere magie. Eppure, aveva preparato un filtro d’amore.

La fiala era fredda, tra le sue mani, e sembrava incredibilmente pesante.

Sapeva che non era giusto. Sentiva che non avrebbe dovuto cedere alla tentazione, che era scorretto, che sarebbe stata anche punibile per legge, se lo avesse fatto.

Ma scacciò quei pensieri velocemente quanto si erano presentati. Era una follia, lo sapeva.

Ma le persone fanno sempre cose pazze, quando sono innamorate.

Fu allora che sentì il rumore di un cavallo che si avvicinava. Andò rapidamente a nascondersi tra gli alberi – pensava che altrimenti Tom non si sarebbe fermato.

E quando, proprio come aveva previsto, lo vide trattenere il cavallo fino a fermarsi e poi scendere per andare a sedersi sulla roccia sulla quale era seduta lei stessa fino a pochi secondi prima, il cuore le si fermò.

Sarebbe potuta tornare indietro, lo sapeva. Sarebbe bastato voltare le spalle a Tom e gettare la fiala ed il suo contenuto in un fiume, o in fondo ad un pozzo, e continuare ad aspettare il ritorno di suo padre.

Ma lei non voleva. Era stanca di aspettare. Stanca di aspettare suo padre, stanca di aspettare Tom, quando passava sotto la sua finestra, stanca di fingere di non esistere.

Prese il recipiente che si era portata dietro e stappò la fiala con mano tremante: il liquido scivolò dolcemente nella ciotola di coccio. Gettò la fiala per terra e si fece avanti, esitando.

Si accorse subito che Tom l’aveva notata, perché lo vide irrigidirsi. Continuò ad avanzare verso di lui, guardandolo.

Non disse nulla, si limitò a porgergli la ciotola; non sapeva cosa stesse pensando, ma sapeva che non se ne sarebbe andato. Le sembrò che la ringraziasse con gli occhi, un po’ esitante, prima di prendere la ciotola dalle sue mani e bere d’un sorso il suo contenuto.

Era l’uomo più bello che avesse mai visto; e quando lo vide bere, Merope si sentì rinascere.

Aveva stregato l’uomo che amava. Sapeva che, prima o poi, sarebbe stata punita per questo.

Ma le persone fanno sempre cose pazze, quando sono innamorate.

 

 

 

 

Eccomi tornata con il secondo capitolo di questa raccolta *-* Ringrazio chi ha aggiunto la storia alle Seguite, chi ha letto e, ovviamente, chi è stato tanto gentile da recensire:

Julia Weasley: ti ho già scritto che vederti tra i recensori mi fa sempre piacere? *-* A me Merope fa pena fino a quando non strega Tom: non ha conosciuto né felicità né amore nella sua infanzia – anzi, nella sua vita, fatta eccezione per la ‘parentesi Tom’ – però poi ha perso la mia comprensione, ad essere sincera. Ma quando mi è capitata quella citazione non ho potuto fare a meno di abbinargliela, quindi eccomi qui XD

PaytonSawyer: bentrovata! *-* Quella raccolta è sulla lista – la famosa lista u.u – e prima o poi la finirò, quando mi sarò rimessa in pari con le storie del club dei duallanti... uff. Bon, spero che questo capitoletto ti abbia soddisfatta <3

Whateverhappened: ehh già, come ho già detto, io sono come quell’erba cattiva di cui non ricordo mai il nome: potrebbe sembrare che io scomparsa, ed invece ritorno sempre, con raccolte su personaggi ogni volta più secondari u.u Felice che ti sia piaciuta, considerando che non è sui Black (sigh!) e che mi sono lanciata su un personaggio che io stessa ho snobbato abbastanza, prima del contest... <3

Fri rapace: ciao! Mi sa che l’altra di cui parli è quella che avevi consigliato sul forum - pubblicata su Accio, vero? Mi era piaciuta molto... Ho trovato due drabble su Merope ultimamente, sembra che in questo periodo abbia solleticato l’ispirazione di parecchi XD O almeno di più gente del solito. Ma sto divagando u.u Rimanere senza le due figure che sono state i suoi ‘padroni’ per una vita deve averla lasciata spiazzata, secondo me, anche se poi si è ripresa alla grande .-. Spero di non deluderti! <3

 

Ci vediamo lunedì prossimo!

Un abbraccio,

Ilaria


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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Capitolo terzo.

 

It was the love untaught
Trapped in your mind
So empty with me…
A silent stone that struck my heart
While I looked for a sign, a sign…

 

Merope gettò un’occhiata nervosa all’orologio a pendolo. Non le era mai piaciuto, quell’orologio: i suoi rintocchi erano tremendamente rumorosi e veloci, il promemoria di un idillio che non sarebbe potuto durare per sempre. Sembrava che le dita voraci del tempo avessero preso quegli ultimi giorni e li avessero trascinati via, in un turbine di pentimenti e decisioni da prendere, di rimpianti per un tempo che Merope sapeva prossimo alla conclusione e di flebile speranza per un futuro che aveva ben poco di luminoso.

 

La sera prima non aveva dato a Tom la pozione. Era stata sul punto di farlo, ma, all’ultimo momento, le erano mancate le forze. Lui era lì, non sospettava nulla, e la chiamava amore. Avrebbe dovuto essere tutto perfetto.

 

E non era quella luce che lei avrebbe voluto vedere nei suoi occhi, non erano quelli i baci che avrebbe voluto ricevere, non erano quelli i sussurri che avrebbe voluto sentire. Non era quelle carezze che Merope aveva sempre desiderato. Le manifestazioni d’amore dell’uomo che amava erano fragili e fredde come una splendida rosa senza profumo*.

 

C’era il vuoto in quella casa in cui erano andati a vivere. Non c’era nulla, solo i rintocchi di un vecchio pendolo. Merope non voleva questo. Voleva essere amata, e voleva che non fosse una pozione a renderlo possibile.

 

Era stato così che aveva deciso, anche perché, follemente, una piccola parte di lei aveva cominciato a sperare, negli ultimi due mesi. Lei stessa si diceva che non era possibile, che Tom non poteva amarla davvero, e che, se non gli avesse più dato il filtro, l’avrebbe abbandonata a se stessa, con l’unica compagnia di quella manciata di mesi luminosi e caldi come nient’altro che Merope avesse mai conosciuto.

 

Ma in quel momento c’era il bambino.

 

Si portò una mano al ventre ancora piatto, abbassando lo sguardo. Si disse che Tom sarebbe rimasto. L’avrebbe fatto per lui, se non per un amore che non poteva provare. Tentò di convincersi di questo, mentre aspettava, paziente, che lui si svegliasse e la raggiungesse.

 

Non lo sentì arrivare, e non era preparata a ciò che avrebbe visto. Quando si voltò, vide l’ombra dell’uomo che aveva conosciuto che la fissava, stralunato.

 

Era terrorizzato, confuso, furioso.

 

Non era quello l’uomo a cui avrebbe voluto parlare di suo figlio.

 

“Ciao, Tom” lo chiamò, cercando di infondergli con la sua voce tutta la dolcezza possibile. Tutto il suo cuore.

 

Lui non rispose. Merope esitò.

 

“Tom, per favore, siediti accanto a me”.

 

L’altro non parlò. Si limitò a continuare a fissarla, ad indietreggiare bruscamente quando la vide alzarsi. Merope abbassò lo sguardo.

 

Non era mai stata a suo agio in quella casa. Era troppo diversa dalla sua, e l’unica cosa che l’aveva resa bella ai suoi occhi era la convivenza con Tom. A lui era piaciuta subito, invece, in ogni particolare.

 

E lei era stata felice di poterlo soddisfare, permettendogli di scegliere, se non il soggetto, almeno lo scenario della loro vita.

 

Tom sembrava totalmente incapace di parlare. Merope si sorprese, quindi, quando sentì la sua domanda. Secca, dura, fredda come una tempesta d’inverno.

 

“Come hai fatto?”

 

Merope sospirò, tornando a sedersi, torturandosi un lembo della veste con la mano. Quella notte, mentre gli ultimi effetti del filtro d’amore stavano svanendo nel corpo di Tom, aveva preso la sua decisione: gli avrebbe detto tutta la verità. E prendere quella decisione era stato infinitamente più difficile di qualsiasi altra cosa Merope avesse mai fatto nella vita.

 

“Ho manipolato la tua mente, Tom” rispose, senza avere il coraggio di guardarlo. “Sono una strega. Ho preparato un filtro d’amore” disse brevemente.

 

I rintocchi del pendolo continuavano a rimbombare nella stanza. A Merope sembrava che il battito del suo cuore fosse ancor più rumoroso, ma era certa che nessun altro potesse sentirlo. Stava per dire qualcos’altro, quando Tom trovò di nuovo la forza di parlare. Le aveva voltato le spalle, come se il solo vederla gli risultasse penoso.

 

“Come… perché l’hai… non avresti dovuto…” farfugliò al vuoto, portandosi una mano tra i capelli.

 

Merope fece un mezzo sorriso triste. Lo sapeva, che non avrebbe dovuto. Lo sapeva eccome. Ma ciò che la sua mente le aveva detto quando aveva preso quella decisione, era stato l’opposto di ciò che il suo cuore le aveva sussurrato.

 

“Le persone fanno sempre cose pazze… quando sono innamorate”.

 

Tom si irrigidì. Merope, dopo qualche istante in cui sembrò che il tempo si fosse fermato solo per loro, solo per quella stanza, gli si avvicinò: avrebbe voluto abbracciarlo, fargli capire che andava tutto bene, che l’aveva amato in quei mesi e avrebbe potuto continuare a farlo per tutta la vita. Avrebbe voluto dirgli tante cose. Che avrebbero potuto ricominciare dall’inizio, che avrebbero potuto crescere il loro bambino, che le dispiaceva e desiderava solamente il suo perdono.

 

E avrebbe voluto dirglielo in un sussurro, perché potesse sentire soltanto lui quei pensieri della sua anima sofferente.

 

Fece per prendergli la testa tra le mani, ma lui la scansò bruscamente.

 

“Sta’ lontana da me, strega” sibilò, indietreggiando velocemente ed avviandosi a grandi passi verso la porta di casa. Merope gli bloccò il passo, mettendoglisi davanti.

 

“Lasciami…” gemette, tentando di mantenere salda la voce.

 

“Che tu possa bruciare all’inferno, insieme a tutti quelli come te!” ruggì Tom, non osando avvicinarsi a lei. Forse era spaventato da ciò che lei avrebbe potuto fargli con i suoi poteri.

 

Come se Merope avesse la forza di fargli del male.

 

“Ti prego, Tom, perdonami!” disse, sentendo la sua voce incrinarsi. “Io… io ti amo, te lo giuro, e se ho agito così è stato perché…”.

 

“Fammi uscire di qui” la interruppe Tom, fuori di sé, provando ad aggirarla.

 

Merope, disperata, giocò la sua ultima carta.

 

“Aspetto un bambino, Tom”.

 

Per qualche secondo, questa frase sembrò calmare l’altro. O, almeno, sembrò avere il potere di farlo zittire. Per qualche, meraviglioso secondo, Merope pensò che Tom sarebbe rimasto per suo figlio. Sapeva che non avrebbe mai potuto amarla, ma lei avrebbe almeno potuto vederlo e trascorrere del tempo con lui, fino a quando, un giorno, quei tempi sarebbero apparsi troppo distanti, nient’altro che nebbia di fronte al pomeriggio assolato della vecchiaia.

 

Ma Tom non la pensava così.

 

“Che vada all’inferno anche lui”.

 

Merope si sentì fermare il cuore. Quasi non si accorse che Tom l’aveva strattonata via dalla porta, e che era uscito correndo in strada. Rimase lì, per terra, davanti alla porta aperta, senza la forza di rimettere insieme i frammenti di una vita infranta.

 

Senza il coraggio di pensare ad un domani che si prospettava freddo ed oscuro, senza niente ad illuminarlo.

 

 

 

 

 

 

 

*Si può ricordare l’amore? È come evocare un profumo di rose in una cantina. Puoi richiamare l’immagine di una rosa, non il suo profumo’, di Henri Miller.

 

 

 

 

 

 

 

 

Terza flashfic – postata di corsa, perché non c’è gusto a fare le cose con calma. O almeno, in questo periodo i miei professori la pensano così, e chi sono io per fargli cambiare idea?

Riguardo alla prossima, c’è un problema: è bloccata in un contest che dovrebbe terminare il 30 novembre. Non potrò postarla fino all’uscita dei risultati, e ciò vuol dire che ci rivedremo verso metà dicembre, più o meno, proroghe e tempi di giudizio permettendo. Incrocio le dita...

Grazie a chi ha letto, ma in particolar modo a chi ha recensito:

 

Julia Weasley: nah, macché denuncia! Gradisco molto questo tipo di stalking, credimi u.u Non detesto Merope, ma non mi piace... c’è da dire che è dieci posizioni più in alto del suo caro marito, nella mia classifica di gradimento XD Ma penso si sia già visto in questo capitolo. Spero che quel contest si chiuda effettivamente il 30 e non slitti per proroghe varie, posterò il prossimo capitolo un minuto dopo che avranno postato i risultati! <3

 

Payton: come sempre gentilissima <3 Spero che ti sia piaciuta anche questa flash, ci stiamo avviando verso la conclusione... <3

 

Whateverhappened: ne sei proprio sicura? Guarda che io sono un’erbaccia di quelle tremende, eh XD Ecco, in un posto così non potrei proprio viverci. Non avrei davvero voluto essere nei tuoi panni *pat-patta* Le è andata benissimo, se quella pozione – per farti capire a che livelli sono arrivata, avevo scritto ‘proporzione’. Non ce la faccio più *mani tra i capelli* – l’avessi preparata io, minimo Tom si sarebbe trasformato in un cactus, e pure bello spinoso XD Ma immagino che la storia non sarebbe andata avanti in quel caso, emh. Comunque. Voldie arriverà solo alla fine della fine dell’ultimo pezzo del finale, anzi, comparirà solo indirettamente XD Ma vaaa beh. <3

 

Lilyblack: ciao! Felice di aver mantenuto la ‘grigezza’ di Merope *-* Spero solo di non aver pasticciato in questo capitolo, che ha delle tinte un po’ più forti rispetto a quelli precedenti... Grazie grazie grazie per la recensione, vederla lì mi ha fatto saltellare sulla sedia, tengo moltissimo al tuo parere *-* <3

 

Lyrapotter: ciao! Sììì, mandiamo al rogo Riddle senior - e pure il figlio, già che ci siamo! ... *emhemh* Dovrei essere più professionale, me ne rendo conto, ma Tom Riddle sr mi sta davvero molto, molto antipatico, ed il figlio è la causa diretta ed indiretta delle morti dei personaggi che preferisco, quindi... u.u

Sono davvero contenta di averti fatto rivalutare questo personaggio, anche perché non è di sicuro tra quelli che preferisco – e l’ho scelto perché la citazione sembrava fatta apposta per lei, non per altro - *-* Quindi, grazie grazie grazie <3

 

 

 

 

Bon, a questo punto devo davvero scappare e provare a fare qualcosa. Arrivederci a tutti, e grazie per avermi seguita fin qui <3

Un abbraccio,

Ilaria

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto (Libellula) ***


Libellula.

 

There on the bottom inside
Looking lost like a child
But I know that you’re mine
We only need
forgiveness.

 

Faceva freddo. Merope si strinse ancora un po’ nel mantello logoro, divenuto di un colore indefinibile tra il grigio ed il marrone, non riuscendo a smettere di battere i denti.

 

Era vestita in modo troppo leggero per l’autunno, che stava velocemente morendo per cedere il posto all’inverno. Avrebbe voluto poter avere qualcosa per comprarsi un mantello più pesante. Avrebbe voluto tante cose, in realtà, non ultimo del cibo.

 

Quando aveva lasciato casa sua insieme a Tom non avrebbe mai immaginato di poter finire così. Ricordava di essersi chiusa alle spalle la porta, felice, portando in una sacca le poche cose che aveva. Aveva immaginato un futuro davanti a sé, un futuro che era durato troppo poco, e che aveva visto svanire durante una mattinata d’autunno che non avrebbe mai dimenticato.

 

Aveva fame. La fame non si placa con un mantello più pesante. Lo stomaco le gorgogliava così forte che si stupiva nessun altro potesse avvertire quel rumore. Le si contorceva al solo pensiero di un po’ di pane caldo, e non lo sentiva più se pensava a qualcosa di più raffinato.

Lei, però, non ci pensava. Aveva imparato a non riflettere su cose che non erano alla sua portata, l’aveva imparato da quando aveva capito che nulla era più alla sua portata. O forse, non lo era mai stato.

 

Si accoccolò meglio contro il muro, a gambe incrociate. Quel giorno sembrava che nessuno delle persone affrettate che passava di lì, per quell’angolo della Londra babbana, avesse tempo da spendere per poter trarre fuori anche soltanto un soldo dalla propria borsa colorata.

 

Merope sentiva battere i denti, ma non poteva farci nulla. Sperava che il bambino potesse non sentire tutto quel freddo. Lui non lo meritava.

 

Faceva sempre pena alla gente vedere una donna incinta costretta a chiedere l’elemosina. Per questo Merope non nascondeva la sua condizione, sperando che qualche caritatevole mano guantata lasciasse cadere qualcosa ai suoi piedi, in cambio di una benedizione. Con quei soldi, comprava da mangiare per mantenersi. Non era mai molto, una pagnotta di pane doveva durare il più a lungo possibile, anche quando diventava così dura o collosa da essere immangiabile. A volte le era sembrato di sentire dei denti quasi cedere contro pezzi particolarmente duri, e allora aveva bagnato quel pezzo con un po’ d’acqua, continuando a mangiare. Dei soldi ottenuti vendendo i cimeli di famiglia le era rimasto un unico Zellino.

 

Uno Zellino che non avrebbe mai usato, si era detta. L’ultimo ricordo collegato alla sua famiglia, alla sua casa che, ormai, era stata probabilmente abbattuta. Lo conservava stretto al petto, per poter pensare di non essere caduta così in basso da avere speso completamente tutto quello che aveva. Uno Zellino non era nulla, ma per lei significava un’ultima cosa: la dignità.

 

Qualcuno fece cadere un paio di monete sulla stoffa del suo mantello, proseguendo velocemente. Merope mormorò un ringraziamento, dopodiché decise di andarsene. Raccolse con cura la manciata di monete davanti a sé, sbatté accuratamente il mantello, per togliergli di dosso almeno un po’ di sporcizia, e si allontanò, cercando un posto in cui dormire. Avrebbe potuto Evocare una coperta o accendere un fuoco, ma non voleva.

 

Non voleva avere niente a che fare con la magia. Mai più. Neanche a costo di dormire in quel modo, rannicchiata in un vicolo. Da quando era comparsa la magia nella sua vita, tutto era andato a rotoli. Se non avesse mai deciso di provare a fare Incantesimi o a preparare filtri, a quell’ora sarebbe stata nella sua casa, al caldo.

 

Ma, si disse, non avrebbe neanche potuto godere di quei pochi mesi di serenità con Tom.

 

Aveva fame. Non sapeva se, addormentandosi in quel modo, il giorno seguente sarebbe riuscita a mangiare. Non voleva neanche spendere i pochi soldi della giornata, però. Fu in quel momento che vide, contro il verde brillante delle foglie di una siepe, quelle che sembravano bacche rosse.

 

Rosa canina. Solo il nome di quella pianta profumava di casa, dei pomeriggi d’infanzia in cui sua madre era ancora viva e preparava infusi, facendole sgranocchiare quei frutti rossi. Un odore buonissimo di abbraccio e calore, contro il freddo di quella sera.

 

Senza pensarci due volte, Merope colse più frutti che poté, mangiandoli mentre continuava a camminare. Il succo di quelle bacche le bagnava la bocca, e quel pasto insufficiente sarebbe stata la sua cena. Il giorno seguente avrebbe comprato del pane.

 

A volte andava così: non sempre poteva permettersi di mangiare. C’era chi si stupiva nel vederla così magra, nel vedere la pelle del suo viso tanto tesa sopra i suoi zigomi, e nel vederla accarezzarsi il ventre con quelle mani quasi scheletriche, in un gesto che era una fragile carezza contro il freddo dell’autunno. Merope a volte rimaneva a lungo ad osservare i passanti, a vedere come tutti evitavano il suo sguardo.

 

Alla fine, scelse una panchina vicino ad un’aiuola. A volte qualcuno veniva a scacciarla, temendo che fosse una malintenzionata. Merope non aveva la forza e la voglia di resistere, e si trascinava via, inseguendo l’ombra di un avvenire in cui potesse avere un tetto o, almeno, una coperta.

 

Avrebbe potuto cercare un lavoro. Non voleva. Non voleva fare più niente, non aveva neanche la forza di morire. Voleva soltanto consumarsi, spegnersi lentamente, espiando almeno in parte le sue colpe, cullata dai ricordi di giorni passati. Vagabondava senza meta, e le dispiaceva di non riuscire a provare poco più di un tiepido affetto per la vita che portava in grembo, ma era così.

 

Non provava più niente per nessuno, nemmeno per se stessa. Ed aveva deciso di morire così, in modo anonimo, a causa del freddo o della denutrizione.

 

Si sdraiò cautamente su un fianco. Non sapeva esattamente da quanto tempo fosse scivolata nel sonno, esausta, prima di sentire qualcuno avvicinarsi. Tentò di aprire gli occhi, ma non ce la fece. Aveva freddo, aveva fame e probabilmente sarebbe morta quella notte. Tanto valeva che qualcuno la uccidesse subito.

 

Eppure, dopo qualche borbottio incomprensibile, sentì qualcosa di morbido posarsi su di lei. L’abbraccio di una coperta in una serata come quella stupì Merope a tal punto da costringerla ad aprire gli occhi, cercando con lo sguardo lo sconosciuto.

 

Che fosse un angelo o cosa, Merope non lo seppe mai. Il giorno dopo arrivò alla conclusione che dovesse essere un mago o una strega, per avere Evocato per lei una coperta.  Chi, altrimenti, avrebbe potuto regalargliene una? Una parte di lei sapeva di dover essere grata per quel dono, e che forse, rimanendo in quella zona, l’individuo misterioso si sarebbe fatto di nuovo vivo per aiutarla. Fu per quello che se ne andò di nuovo, portando però con sé quel dono inaspettato.

 

Era verde, in stoffa abbastanza pesante, e Merope notò il ricamo di una libellula in un angolo. Una libellula che spiccava il volo verso il sole, lasciandosi alle spalle la terra.

 

Alzò lo sguardo al cielo, cercando il sole, nascosto da un mare di nuvole in movimento. Avrebbe voluto poter spiccare il volo anche lei, e forse il misterioso donatore l’aveva intuito.

 

Ma non avrebbe mai potuto. Aveva perso le ali da molto tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Di ritorno dopo la chiusura del contest Only One-shot, al quale questa fic si è classificata terza – ringrazio la giudiciA e mi complimenti di nuovo con le partecipanti *___*
Non ho molto da dire, il contest consisteva nello scegliere un 'pacchetto' che conteneva vari elementi - i miei erano 'Povertà', 'Zellino', 'Rosa canina', 'Libellula'. Mi limito a riportare il giudizio ricevuto. Posterò il prossimo ed ultimo capitolo dopodomani <3

Un abbraccio,

Ilaria

 

Libellula, _Mary

• Grammatica e forma: 10/10;

• Caratterizzazione dei personaggi: 5/5;

• Originalità della trama: 5/5;

• Attinenza al tema assegnato: 10/10;

• Utilizzo dell'elemento assegnato: 4.5/5;

• Utilizzo dei prompt: 4/5;

• Gradimento personale: 1.75/2;

• Cambio pacchetto: //

Totale: 40.25/42

 

Mi ha colpita, non lo nego.

Non ho mai seriamente letto nulla su Merope, e devo dire che questo sprazzo che hai dato della sua vita mi piace. Sono quasi sicura che leggerò la tua raccolta, prossimamente.

La grammatica e la forma sono perfette, non ho trovato nulla di errato in questa shot.

Anche l'originalità ha il punteggio massimo perché, come ho detto prima, non ho mai letto nulla di così incentrato su Merope. Solo una fic di Yaya, che però descriveva un altro momento della sua vita.

La povertà che trasuda da queste righe mi ha stretto il cuore; il tema è stato perfettamente centrato.

Avrei voluto che utilizzassi meglio sia lo Zellino – che comunque contribuisce a caratterizzare la protagonista – che i due prompt, per questo le due penalizzazioni; in ogni caso sono “minime” mezzo punto per ciascuno.

Merope mi ha convinta solo alla fine. La sua caratterizzazione inizialmente non mi ha “dato” (non mi viene in mente nessun altro verbo al momento ._.) molto, ma rileggendo ho trovato un personaggio davvero strano e sfaccettato, che mi ha soddisfatta completamente.

Il gradimento personale è molto alto perché, come ti ho già detto, questa shot mi ha colpita molto.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Epilogo.

 

Forgiveness... For we have paid
Forgiveness is our key to the world
Forgiveness for the love untaught
It’s forgiveness I’ll be… Waiting for…

 

Il dolore alla pancia, ai reni, a tutto il corpo l’aveva straziata per quasi un giorno intero, prima che riuscisse a trovare un orfanotrofio. Non aveva capito cosa avesse detto la ragazza che l’aveva praticamente raccolta dalle scale di quel posto, ma aveva sentito molta agitazione intorno a sé. Parole, rassicurazioni, aiuti per quella che sembrava una vagabonda in travaglio, talmente sbandata da essere arrivata in un orfanotrofio per partorire.

 

C’era stato qualcosa che le aveva fatto capire che non tutto era andato come sarebbe dovuto. Era stata l’occhiata di una delle ragazze, rivolta a quella che sembrava la più anziana lì dentro. E poi, era stata tutta una giostra di bugie e pietose rassicurazioni, sul fatto che se la sarebbe cavata, che avrebbe potuto tenere in braccio il suo bambino già qualche ora dopo, che sarebbe andato tutto bene.

 

Aveva sorriso serenamente. Così, sarebbe morta. E non avrebbe visto crescere suo figlio. Il suo bambino sarebbe stato affidato ad altre mani, suo padre non l’avrebbe mai voluto, e lei avrebbe chiuso gli occhi per sempre.

 

La prospettiva di andarsene non la turbava; aveva perso la sua ragione di vivere. Avrebbe potuto salvarsi ricorrendo alla magia, forse, ma non ne era neanche troppo sicura. Tanto valeva cogliere al volo quell’occasione per dormire per sempre.

 

Aveva un’ultima cosa da chiedere: che il bambino venisse chiamato Tom, come suo padre, e Orvoloson, come suo nonno. Una delle ragazze le assicurò che così sarebbe stato fatto, forse intuendo che anche lei aveva capito, nonostante tutto, a cosa fosse destinata.

 

“Spero che somigli a suo padre…” mormorò Merope.

 

Poi chiuse gli occhi. Passò gli ultimi istanti della sua vita a chiedere perdono, ad implorare una forza in cui non aveva mai creduto perché portasse il suo messaggio a chi le era più caro.

 

Chiese perdono ad Orfin. Chiese perdono a suo padre. Chiese perdono al bambino.

 

E chiese perdono a Tom, che non avrebbe mai saputo dove lei fosse morta, né dove fosse suo figlio.

 

Fu mentre si sentiva stordita da uno strano torpore, simile al sonno, ma più freddo, che lo vide: Tom era ai piedi del suo letto, e le sorrideva, tendendole una mano.

 

 

 

 

 

 

 

Siamo arrivati alla fine :D

Ringrazio chi ha letto, seguito e recensito <3

Riporto il giudizio della giudiciah, ringraziandola nuovamente.

Alla prossima!

Un abbraccio,

Ilaria

 

2° Classificata a parimerito
_Mary-Forgiveness


Grammatica e sintassi: 9.9/10 punti
Stile: 9.5/10 punti
Originalità: 9/10 punti
Caratterizzazione dei personaggi: 10/10 punti
Attinenza alla traccia: 10/10 punti
Gradimento personale: 10/10 punti
Totale: 58.4/60 punti

Avevo tante belle aspettative quanto ho aperto la tua storia e ovviamente non sono stata delusa ^^
Ormai non ho dubbi che potresti metterti a raccontare la storia del fratello del prozio della cugina di secondo grado della madre di Tal dei Tali e io amerei ogni singola parola di ciò che hai scritto.
Dal punto di vista grammaticale, è una storia praticamente perfetta: giusto un ‘si’ che doveva essere un ‘di’ e un ‘era’ che doveva essere ‘erano’, nulla di drammatico.
Adoro il tuo stile: la tua storia si legge tutta d’un fiato e con tale piacere che, nonostante fosse già bella lunghetta di suo, sarei andata avanti molto volentieri. Ti ho penalizzata giusto un pochino perché ci sono un po’ troppe virgole che frammentano la lettura. Ma a parte questo è tutto davvero perfetto.
Le tue capacità di caratterizzazione hanno dello straordinario: sai creare personaggi vividi praticamente dal nulla o da quel poco che il canon ci permette di ricavare. Da ciò puoi capire che la tua Merope mi ha conquistato: hai descritto in modo perfetto il suo cammino emotivo dal momento dell’arresto di Orvoloson e Orfin fino alla sua triste fine in orfanotrofio. Merope è uno di quei personaggi per cui non ho mai provato particolare interesse, devo dire: pur amando i personaggi secondari e pur essendo lei in un certo senso una ‘vittima’, nella mia mente è rimasta catalogata come un personaggio negativo, probabilmente perché non riesco assolutamente a condividere certe scelte di vita che ha fatto. Ma questo tuffo nella sua psiche mi ha fatto cambiare un pochino il mio punto di vista: l’ho trovata assolutamente coerente con quello che si evince di lei dal sesto libro, senza dubbio, ma hai posto la questione in modo che mi fa comprendere il suo modo di agire, anche se non lo approvo. Non sono certa di essermi spiegata bene: il concetto è che l’introspezione di Merope mi è molto piaciuta e mi ha fatto capire meglio questo personaggio.
Spendo giusto due parole per Tom Riddle Senior: pur filtrato nell’ottica distorta dell’amore di Merope, mi è risultato assolutamente detestabile come doveva essere, soprattutto nel capitolo in cui abbandona moglie e figlio. Ottimo. Visti i genitori che ha avuto, non stupisce certo che Voldemort sia diventato la persona che è diventato.
Sull’originalità ero un po’ indecisa, visto che comunque parlando di questo particolare personaggio gli spunti sono quello che sono e più di tanto non si può inventare. Eppure, eppure… Hai avuto un tuo approccio particolare nel trattarli: in particolare, ho amato la prima shot, dove descrivi Merope subito dopo l’arresto di padre e fratello. Ecco, questa Merope per la prima volta libera e soprattutto felice mi è piaciuta tantissimo: c’è una grande parte di me che urla al what if perché mi ha fatto nascere un fortissimo senso di ingiustizia nei suoi confronti.
Ora, dopo aver letto questa storia, mi è venuto automatico pensare che la tua citazione sia stata costruita ad hoc per questa coppia: si adatta perfettamente a quello che Merope ha fatto pur di avere Tom, anche se sapeva che era sbagliato e folle e ne avrebbe di certo pagato le conseguenze.
Ah, mi stavo quasi dimenticando di spendere due parole sul finale: se anche la storia non mi fosse piaciuta, le ultime cinque righe sono qualcosa di talmente meraviglioso che mi avrebbero fatto rivalutare la storia in blocco. Del resto, sembra che tu abbia un talento per chiudere in bellezza i capitoli: cinque capitolo, cinque perle conclusive. Bravissima!

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