Thomas Foster, storia di un vampiro

di dav_id89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fra le strade di Londra ***
Capitolo 2: *** L'inizio di un racconto ***
Capitolo 3: *** L'angelo e il demonio ***
Capitolo 4: *** Il servo del vampiro ***
Capitolo 5: *** La cripta ***
Capitolo 6: *** Rivelazioni ***



Capitolo 1
*** Fra le strade di Londra ***


Capitolo I

THOMAS FOSTER, STORIA DI UN VAMPIRO.


Capitolo I: “Fra le strade di Londra”


Le tenui luci dei lampioni illuminavano fiocamente le strade semibuie di un quartiere londinese. L'aria gelida di quella notte di dicembre penetrava nelle ossa, provocando brividi lungo la spina dorsale. Almeno così mi ricordavo che dovesse essere pressapoco la sensazione del freddo.
Il cielo risplendeva immobile di tutte le sue stelle, le quali avrebbero probabilmente lasciato il posto al grigio delle nuvole la mattina seguente. Odiavo quel grigiore ma allo stesso tempo ero costretto ad amarlo per necessità. Il silenzio quasi sovrannaturale era rotto solamente dal rumore dei miei passi, lenti, flemmatici, ma nel contempo decisi e sicuri.
Mi fermai di fronte ad una vetrina illuminata ed entrai. Poggiai il sacco che avevo in spalla di fronte una delle numerose lavatrici e, lentamente, vi buttai dentro la biancheria da lavare impostando il programma idoneo. Sospirai stanco, non nel corpo bensì nell'animo.
Scansai la ciocca nera che mi scendeva costantemente sulla fronte, il movimento per ricondurla al suo posto era diventato quasi automatico. Quei capelli che, insieme alle sopracciglia e agli occhi neri come pece, mettevano in risalto il pallore spettrale del mio volto. Mi tolsi la giacca nera del completo che avevo indosso e arrocciai le maniche della camicia bianca fino sopra il gomito.
Accesi una sigaretta mentre aspettavo la fine del lavaggio. Magari quell'involucro cilindrico di tabacco avesse potuto uccidermi... ma non poteva, purtroppo.
Il ticchettio dell'orologio a muro scandiva, in periodiche nicchie di tempo, il silenzio che mi avvolgeva come un manto di impenetrabile oscurità. Ogni singolo ticchettio turbava il mio temporaneo e fragile stato di quiete. L'ultimo suono emesso da quell'irritante aggeggio fu il suo infrangersi sul pavimento.
Meglio... molto meglio.
Udii di fronte a me il rumore delle porte che si aprivano, una zaffata di profumo mi inebriò i sensi.
Divino odore di sangue, giovane, fresco. Istantaneo l'impulso di soddisfare l'improvvisa sete che mi assalì. Tuttavia quella sera non avevo intenzione di uccidere.
La guardai di sottecchi, una ragazza bionda sui venticinque anni. Sentii i suoi occhi su di me, come non capirla, il fascino che esercitavo su di lei era quasi irresistibile. Allo stesso modo delle piante carnivore, che attirano a loro gli insetti grazie all'odore che emanano, così io la attiravo a me.
Una piccola e docilissima preda che veniva incontro alla migliore delle trappole: la seduzione.
Sperai, con non troppa convinzione, che la ragazza decidesse di ascoltare l'ancestrale senso di pericolo che avvertono le prede, quando nelle loro vicinanze si aggira un famelico predatore.
Non lo fece:
“Strano trovare qualcuno qui a quest'ora.” civettò rivolgendomi un sorriso.
Non volevo uccidere quella notte, non uccidevo mai in quella data. Tuttavia la gola già mi ardeva immaginando quel sangue succulento.
“Già...” le risposi alzando leggermente gli occhi su di lei.
“Mi chiamo Johanna.”
“Johanna...” mormorai il suo nome. Il lieve senso di vertigine che ebbe al suono armonioso delle mie parole, quasi la fece cadere tra le mie braccia. E così sarebbe stato in un’altra situazione, si sarebbe adagiata dolcemente fra la stretta apparentemente innocua del mio corpo, con i sensi inebriati dalla mia voce, totalmente alla mia mercé. Non quella sera, per ora stavo solamente giocando con lei. Arrossì imbarazzata.
“Sei di queste parti?” mi domandò.
“Non proprio...” le risposi continuando a tessere la mia tela, dalla quale non sarebbe più potuta fuggire.
“Io vivo qui vicino, non ti ho mai visto in questa lavanderia.”
“È da poco che sto qui.”
“Ah... quindi non sei di Londra?”
“In realtà si, ci sono nato. Ma era un'altra Londra...” e comunque non vi ero rimasto molto.
Mia madre morì nel darmi alla luce e mio padre la seguì sei anni più tardi. La depressione in cui era caduto dopo la morte della moglie lo aveva in fine condotto ad impiccarsi. Quella scena era tutt'ora vivida nella mia memoria, seppure fossero passati quasi tre secoli. Riflettevo spesso domandandomi come sarebbe andata, se la mia vita umana fosse iniziata diversamente. In un'epoca in cui la borghesia stava lentamente iniziando a prendere forma come ceto a sé, ma sarebbe passato del tempo prima che l'aristocrazia cominciasse a sentirne il peso, la mia sola fortuna fu di essere raccolto dalle caritatevoli braccia del fratello di mio padre. Padre Philippe mi portò con sé e mi permise di avere un'istruzione, un pasto caldo tutti i giorni ed un letto in cui riposare la notte.
Johanna si schiarì la voce, mi riebbi da quei pensieri.
“Bello il tuo anello, un po' strano ma... bello.”
Assaporai l'ultimo tiro della sigaretta e gettai il mozzicone a terra, schiacciandolo con il tallone.
“Si, è un regalo di molto tempo fa.”
“Deve essere molto vecchio, sembra quasi di un'altra epoca!” esclamò affascinata dal rubino incastonato al centro.
“È molto antico, ma dimmi, perché sei in giro a quest'ora? Potresti incontrare tipi poco raccomandabili. Ladri, stupratori, di questi tempi ogni angolo che giri potrebbe essere l'ultimo.” l'ironia era la più bella maschera dietro la quale celavo le mie vere intenzioni.
“Ho avuto le prove a teatro fino a tardi. Domani sera andremo in scena”
“Davvero? Che cosa rappresentate?”
“Il fantasma dell'Opera”
Il suo odore di dolcissimo e succulento nettare purpureo, mi rendeva difficile tirarla per le lunghe. Però, bellissimo come sempre, l'agguato, il “corteggiamento” della preda. Quella complicata danza intorno all'oggetto del desiderio era ogni volta un piacere di cui godere fino in fondo. Il tutto culminante nell'esplosione di piacere che era il sangue. L'esperienza mi portava ad assaporare al massimo ogni attimo della caccia, a dare valore ad ogni vita che avrei poi spezzato. In modo che ogni vittima sarebbe rimasta impressa indelebilmente nella memoria: unica, a suo modo speciale... Rimanemmo l'uno di fronte all'altra perdendo il contatto con la realtà; lei perché completamente ammaliata dal mio sguardo ed io perché totalmente insensibile allo scorrere del tempo.
Il segnale acustico che avvisava della fine del lavaggio infranse quella sorta d' incantesimo.
Raccogliemmo ognuno le proprie cose, non volevo lasciarmi scappare quella preda, dovevo trovare un modo...
“Ti andrebbe di venire a teatro domani sera? Ho qui un biglietto per la platea, doveva venire mia
sorella ma è rimasta bloccata a Northampton. Il suo bambino ha l'influenza.”
La fortuna girava dalla mia parte. Avrei comunque trovato un modo per ucciderla, a costo di farle un banalissimo agguato la notte successiva. Ma così era più divertente, avrei assaporato meglio la preda. Presi la sacca con la biancheria di nuovo pulita e la issai in spalla.
“Mi piacerebbe molto, ti ringrazio. Però solamente se poi mi permetti di invitarti a cena e di riaccompagnarti a casa.”
“Certo, speravo me lo chiedessi. A proposito, non mi hai ancora detto come ti chiami..”
“Mi chiamo Thomas... A domani sera allora.”
Mi porse il biglietto togliendolo dalla tasca della giacca. Andai verso di lei e, mentre si avvicinava al mio viso aspettandosi un bacio, presi il piccolo foglietto di carta e me ne andai.
Era la notte fra il 12 ed il 13 dicembre. Molto tempo prima giurai che non avrei più ucciso in quella data. Ero stato tentato dall'irresistibile odore del sangue ma non avevo ceduto, tuttavia il banchetto con Johanna era solamente rimandato di qualche ora.
Passai la giornata a leggere, era una delle mie occupazioni preferite. Non amavo la compagnia, quella umana mi risultava ben presto noiosa, forse perché troppo succulenta. Quella di altri vampiri non mi entusiasmava più di tanto, avevano la tendenza ad essere invadenti e poi, comunque sia, odiavo dover condividere il cibo. La solitudine può essere capita ed apprezzata solo quando si ha un'eternità per viverla.
Quella mattina osservando la libreria avevo deciso di rileggere “Il fantasma dell'Opera”.
Il capolavoro di Leroux mi portava ad esplorare le nicchie più segrete del celebre teatro di Parigi; conoscevo a memoria ogni parola di quel libro, ma preferivo rileggere quei polverosi volumi piuttosto che avventurarmi negli ultimi best sellers. Sembrava una psicosi di massa la passione che era scaturita negli ultimi anni per i vampiri. Predatori della notte ormai dimenticati dalle loro stesse prede, entrati a far parte delle creature di fantasia. Era irritante vedere ammirazione invece che orrore, in molte facce di uomini o donne che stavano per morire sotto la ferrea morsa dei miei canini. Proprio quest'ultima categoria di illusi mi divertiva terrorizzare, prima di berne il sangue. Ero crudele? Spietato?
Probabile, ogni cacciatore in fondo gioca il ruolo del cattivo.
Mi accorsi che era quasi l'ora di andare, il piccolo teatro si trovava a non molta distanza dalla mia abitazione in Oxford Street. Un loft un po' spoglio, arredato con i pochi oggetti dai quali non mi ero mai separato.
Mi vestii in modo elegante ma non eccessivo. L'avrei portata a mangiare un hot-dog o qualcosa del genere dopo lo spettacolo, adducendo qualche scusa per giustificare il mio astenermi dal cenare.
Indossai una semplice camicia azzurrina, una giacca e dei pantaloni scuri. Mi infilai al polso un orologio dal quadrante grande, con un classico cinturino in pelle e optai per degli occhiali da vista, naturalmente non graduati, con una fine montatura nera. L'abbigliamento era uno dei miei tanti vezzi, se ne devono avere molti quando si ha tempo libero in abbondanza e parecchio denaro da spendere. Rimirai l'anello con il rubino color sangue incastonato nel mezzo. Una smorfia mi attraversò il viso al riemergere dei ricordi che si collegavano a quell'oggetto. Scossi la testa, decidendo di non attardarmi oltre, mi diressi verso la porta e scesi in strada. Passai di fronte le innumerevoli vetrine di Oxford Street senza degnarle di un' occhiata.
La via dello shopping. Originariamente creata per separare la parte ricca dalla parte povera della città, da sempre sede dei negozi più costosi. Mi infilai in una delle traverse in direzione di Soho Square, attraversando il piccolo parco sul quale vegliava giorno e notte la statua di Carlo II. Il sovrano decapitato dal popolo in quella che si ricorda come la prima insurrezione d'Inghilterra.
Il teatro era da quelle parti, abbandonato a se stesso in un minuscolo vicolo buio. A lato dell'entrata una vetrinetta incorniciava la locandina con i nomi degli attori. La scritta grande al centro informava i passanti che quella sera si sarebbe messa in scena una delle opere più famose in assoluto: The Phantom of the Opera.
Porsi il biglietto al ragazzo all'entrata e fui accompagnato al mio posto. Mi sedetti in una delle poltroncine rosse tra le prime file e attesi l'inizio dello spettacolo, dominando l'istinto di mordere la prima persona che mi fosse capitata a tiro. Non bevevo sangue da più di una settimana e la sete cominciava a diventare difficilmente sopportabile. Cercai di ricordare l'odore di Johanna, rompere quel digiuno con il suo sangue sarebbe stato idilliaco, non dovevo aspettare molto ormai, cos'è in fondo qualche ora per un essere condannato all'eternità?
Mi gustai a pieno la discreta rappresentazione di una delle mie opere preferite e attesi, pazientemente, l'arrivo della mia preda alla fine dello spettacolo.
“Ciao!” mi salutò Johanna baciandomi sulla guancia “sono contenta che sei venuto, allora dove andiamo? Ho una fame da lupi.”
“Ti va un hot-dog? Prendiamo la metro fino a Westminster e facciamo una passeggiata lungo il Tamigi.”
“Perfetto! Lì vicino c'è un posto carinissimo dove possiamo berci una birra.”
Mi prese la mano e uscimmo dal teatro, il suo odore era divino. Già in una situazione normale l'avrei trovato irresistibile. In quel momento particolare in cui la sete mi aggrediva come una belva feroce, capii che dovevo chiamare a raccolta tutto il mio autocontrollo per trattenermi dal morderla nel primo vicolo che mi fosse capitato a tiro.
Prendemmo la metro alla stazione di Tottenham Court Road salendo sulla Northern line, la linea nera, verso Embankment e da lì cambiammo sulla Circle, la linea gialla, scendendo alla fermata successiva, Westminster. All'uscita della metro il Big Ben si stagliò di fronte a noi come una visione. Mi affascinava così tanto da trovarlo quasi ipnotico, quell'orologio mi ricordava ogni volta quanto il tempo per me non avesse alcun significato. Ero qualcosa di immobile in un mondo in cui tutto muta costantemente. Attraversammo il Westminster Bridge godendo di uno dei più bei panorami di Londra: a destra, alle nostre spalle si stagliava il profilo illuminato della House of Parliament e del Big Ben, e a sinistra, di fronte a noi il London Eye illuminato di una splendente luce blu si rifletteva sul Tamigi.
“Un mio amico italiano che ha vissuto a Londra per un paio d'anni mi ha detto che vivere qui ti fa sentire al centro del mondo” osservò Johanna “per me è così normale... sono nata qui e ci vivo da sempre. Tu hai viaggiato molto?”.
Sorrisi, erano più di trecento anni che viaggiavo, tentando di scappare da qualcosa da cui nessuno può fuggire: la rabbia, il rimorso, il rancore...
“Ho viaggiato molto si... e alla fine sono tornato a Londra dopo tanto tempo.”
“Perché sei tornato? Ti mancava casa tua?”
“Me ne sono andato da Londra che ero troppo piccolo per ricordarla, è per quello che sono voluto tornare. Curiosità diciamo.”
“Io non mi sono mai mossa da qui invece” sospirò appoggiandosi al parapetto “vorrei vedere Parigi, Vienna, Venezia... magari insieme ad una compagnia teatrale. È il mio sogno...”
Osservai quei bellissimi occhi azzurri perdersi sognanti verso il cielo “Quindi non sogni Hollywood o Broadway?” le domandai. I sogni degli umani, quanto li invidiavo... anche io sognavo molto tempo fa... un vampiro non ha sogni, per assurdo è proprio l'eternità ad impedirglielo. La vita umana è appesa ad un filo così sottile che un semplice soffio di vento può farla precipitare nell'abisso. Loro lo sanno, proprio questa consapevolezza di precarietà fa nascere nei cuori sogni irraggiungibili e la speranza li rende quasi palpabili, li fa sembrare sempre a portata di mano.
Il paradosso dell'eternità è che soltanto chi non ne dispone può usufruirne veramente.
“Assolutamente no!” mi rispose lei quasi indignata “non sogno la ribalta, vorrei semplicemente fare ciò che amo, recitare. E vorrei esibirmi in giro per il mondo, tutto qui.”
Povera Johanna, non sapeva ancora che il suo sogno era destinato a non realizzarsi mai.
Ero perfettamente consapevole che il mio delitto più grande non era spezzare vite, ma trascinare nell'abisso della morte anche tutti i sogni e le speranze delle mie vittime. Se avessi avuto un'anima avrebbe sicuramente bruciato all'inferno.
“Beh, allora che ne pensi?” mi chiese poco dopo aver ripreso a camminare lungo il ponte.
“Riguardo cosa?”
“Quello che ha detto il mio amico, ti senti al centro del mondo? Oppure è così anche nelle altre città in cui sei stato?”
Riflettei su quella domanda, il mio punto di vista rispetto a molti dei luoghi in cui avevo trovato dimora era fortemente mutato durante i miei tre secoli e più di vita. Tuttavia una risposta del genere avrebbe potuto leggermente turbarla.
“Non saprei” risposi infine “dipende da te sentirti al centro oppure nel margine più buio del mondo. Ma dimmi, il tuo amico come mai se ne è andato?”
“Gli mancava il sole. Il grigiore di Londra lo deprimeva, io penso invece che ogni giornata di sole qui è speciale, è più bella perché è rara. Tu che ne pensi?”
“La scarsità di sole è uno dei motivi per cui apprezzo particolarmente questo posto”
Ci fermammo alla fine di Westminster Bridge, di fronte un piccolo chiosco di hot-dog.
Le dissi che non avevo appetito e la osservai finire il panino con una voracità che mi divertì. Almeno lei aveva messo a tacere i morsi della fame, la mia sete invece si faceva sempre più difficile da tenere a bada. Fui sul punto di pentirmi di aver tirato il mio pasto tanto per le lunghe.
Ci fermammo poco più avanti, di fronte ad un altro chiosco gestito da un ragazzo con dei lunghi capelli rasta neri, Johanna ordinò una birra e subito dopo si divorò letteralmente una crepes con la Nutella.
Mi stavo spazientendo, la via sotto il London Eye, la ruota panoramica più grande d'Europa, era piena di gente e tutta quell'abbondanza di sangue succulento mi faceva ardere la gola come fuoco.
Mi concentrai sulla mia preda cercando di recuperare il controllo. La presi per mano e proseguimmo fino all'Hungerford Bridge, il ponte percorribile solo a piedi che riconduceva sulla riva opposta, proprio di fronte la fermata della metro di Embankment.
Era trascorsa un'ora da quando eravamo usciti da teatro, le lancette del Big Ben segnavano le undici e ventidue. Salimmo sulla metro e prendemmo la linea marrone, la Bakerloo line, fino a Oxford Circus, a sole tre fermate da lì. Un forte vento ci investì quando risalimmo gli scalini verso la superficie, freddo da far gelare le ossa a giudicare dall'espressione della mia preda.
Immaginai che a questo punto, se fossi stato il personaggio di qualche stupido libro sui vampiri, lo scrittore si sarebbe profuso in una lunga digressione su quanto quella ragazza fosse diversa da tutte le altre che avessi mai ucciso. Sul fatto che qualcosa di mai provato prima mi trattenesse dall'affondare i miei denti nel suo collo, i miei occhi si sarebbero persi nei suoi azzurri e limpidi come un ruscello d'acqua purissima e... e chissà quali altre fantasie.
Gli umani ignorano cos'è veramente essere un vampiro. La sete ti aggredisce come rovi di spine lungo ogni centimetro del tuo corpo. Il minimo odore di sangue umano in quelle situazioni ti manda in visibilio. Ogni capacità razionale svanisce e rimane solo la sete, devastante come un incendio. Ti senti pervadere da brividi di puro istinto predatore, il tuo corpo morto non potrebbe essere più vivo che in quella situazione. Ogni capacità sovrannaturale propria dei vampiri triplica di intensità, non si è mai così veloci, così forti, così dannatamente scaltri come quando si ha sete. Con gli anni si impara a gestire il proprio corpo, ci vogliono secoli per riuscire a bilanciare il rapporto fra sete ed autocontrollo.
Non bevevo sangue da una settimana e mezzo. Johanna era là, l'unico motivo per cui non l'avevo ancora uccisa era il fatto che volevo gustarmi quella meravigliosa preda succulenta tranquillamente in casa mia, senza fretta. Probabilmente non l'avrei uccisa subito, l'avrei svuotata poco a poco del suo nettare vitale, beandomi di ogni goccia che fosse stillata dai fori che miei canini avrebbero procurato sul suo corpo. Quel pensiero mi procurò un fremito di eccitazione.
Tutto ciò fa di me un essere crudele?
Sono un vampiro, una creatura della notte, un essere non più umano che si nutre del sangue delle sue prede naturali. Ebbene si, probabilmente lo sono, ma ho provato sulla mia pelle che vi sono esseri umani molto più malvagi.
“Terra chiama Thomas! Ci sei?” la voce squillante della ragazza mi distolse improvvisamente da uno dei miei numerosi voli pindarici.
“Si, ci sono” mi accorsi di essere quasi arrivato all'angolo di casa mia “ti va di salire?” le chiesi, forse in modo troppo diretto.
“Non lo so... forse è il caso che torni a casa per questa sera...”
Fui attraversato da un impeto d'ira, mi trattenni dal digrignare i denti per il disappunto. Avevo altri modi per farle cambiare idea, mi sarebbe bastato continuare a parlare, tergiversare e sfoderare l'arma infallibile del fascino su di lei per indurla a salire. Ma non ne avevo voglia, ero stufo di continuare a girarci intorno. Così feci una cosa che fino a qualche decennio prima neanche mi sarei sognato, era per così dire “l'ultima spiaggia”.
La baciai, le sue labbra calde sulle mie gelide, il tocco delle sue mani sulla mia nuca e il cataclisma che mi investì le membra urlandomi di morderla. Volevo il suo sangue, volevo saziare la mia sete, subito, in quell'istante. Allontanai il mio viso dal suo cercando di apparire il più normale possibile.
“Sali su con me” le sussurrai e com'era ovvio mi prese per mano e mi seguì.
L'ascensore dallo spazio angusto ci condusse tra sinistri cigolii verso il piano più alto. Lei era mia ormai, completamente soggiogata a me, lo vedevo dai suoi occhi, dal suo sguardo. Introdussi la chiave nella toppa del grande portone di legno nero che si spalancò di scatto, come spinto da un'improvvisa folata di vento. Entrai, l'oscurità all'interno del loft era quasi palpabile, mi avvolse come un mantello impenetrabile e mi sentii a mio agio. La mia preda era in casa mia, indifesa, senza la minima possibilità di salvezza. Attraversai l'ampio salone, le tende nere spalancate per la notte lasciavano penetrare la debole luce esterna. Non che qualche semplice raggio di sole avrebbe potuto uccidermi, una delle falsità più grosse che giravano da secoli, la luce solare mi rendeva semplicemente debole.
La guidai su per le scale, nel soppalco che fungeva da camera da letto. Gli unici mobili erano un letto a baldacchino dai tendaggi viola logori e un comò coperto da un panno bianco. In un angolo, celato dalle tenebre, uno scrittoio colmo d'con numerosi fogli di carta sparsi sopra di esso e un calamaioinchiostro, erano l'eremo in cui mi rifugiavo sempre più spesso ultimamente.
“Aspettami qui, torno subito.” le dissi prima di scendere al piano inferiore per chiudere la porta a chiave e togliermi la camicia. Avevo sperimentato più volte quanto fossero difficili da lavare le macchie di sangue.
All'improvviso udii una melodia, l'unica cosa che riusciva a far breccia nel mio cuore di ghiaccio. Mi fiondai di sopra in un battito di ciglia. Johanna, di fronte al comò, aveva scansato uno dei lembi del lenzuolo che lo ricoprivano e aveva azionato il piccolo carillon, che riproduceva la melodia che mi ricordava i giorni felici in cui anche io avevo amato. Appena avevo sentito dell'invenzione di questo piccolo aggeggio, alla fine del 1700, mi ero precipitato a Ginevra dall'orologiaio Antoine Favre, colui che l'aveva brevettato. Gliene avevo commissionato uno per ascoltare in qualsiasi momento quella splendida melodia, che ogni volta mi riportava alla mente lei...
Sentii scorrere sul mio viso piccole lacrime umide e una morsa mi serrò lo stomaco, il tempo non lenisce le ferite se sei condannato all'eternità.
La ragazza sobbalzò quando mi vide apparire al suo fianco.
“Scusami, non volevo...” la zittii poggiandole una mano sulle labbra e attesi finché la melodia del carillon non fu giunta alla fine.
“Non fa niente” mi limitai a dire, tanto fra poco sarebbe morta. Coprii di nuovo il piccolo strumento musicale con l'angolo bianco del lenzuolo mentre Johanna continuava a curiosare per la stanza. Cominciava a darmi sui nervi. Mi voltai con l'intenzione di porre fine alla sua vita e nel contempo a saziare la mia sete. La vidi di fronte lo scrittoio, intenta a leggere qualche pagina che aveva raccolto a caso dalla pila disordinata di fogli.
“Sei uno scrittore?” mi chiese.
“Una specie...”
“È strano vedere qualcuno che usa ancora il calamaio, non ti piacciono i computer?”
“Non molto, diciamo che rispecchia di più la mia personalità e le mie ormai compassate abitudini.”
la ragazza si voltò sorridendo “Cosa stai scrivendo?” la sua curiosità mi divertì.
“Una bella storia, molto autobiografica...”
“Davvero?! Mi piacerebbe leggerla quando l'avrai finita. Hai intenzione di farla pubblicare?”
No, non ne avevo la minima intenzione.
“Ancora non lo so, ma non credo che farai in tempo a leggerla, procede un po' a rilento...” molto a rilento in realtà. Johanna si avvicinò al letto e si sedette “Peccato...” mormorò, tenendo fra le mani alcuni dei fogli colmi di parole. “Mi faresti un riassunto? Sono troppo curiosa” quella proposta mi lasciò interdetto. Naturalmente non dovevo neanche perdere tempo a risponderle. Dovevo solo avvicinarmi, morderla e saziarmi del suo sangue. Tuttavia c'era qualcosa che mi intrigava, raccontare alla mia preda la mia storia... da pazzi! Eppure...
Mi sedetti accanto a lei, guardai l'ora, c'era tutto il tempo...

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Capitolo 2
*** L'inizio di un racconto ***


capitolo II

Capitolo II: “L'inizio di un racconto”


Thomas Foster nacque a Londra nella notte tra il 20 ed il 21 ottobre 1669.
Sua madre, Kate Harrow morì nel darlo alla luce e suo padre Julien si ritrovò da solo a dover crescere quella creatura. Erano tempi in cui mettere al mondo un figlio era una crudeltà.
Nella maggior parte dei casi moriva nei primi anni di vita, oppure rimaneva orfano di madre, ed anche nella migliore delle ipotesi sarebbe vissuto tra mille difficoltà e privazioni.
Julien aveva ventidue anni quando perse la cosa a cui teneva di più al mondo. Kate era stato il suo primo e unico amore. La morte della sua giovane moglie lo indusse a sfogare il suo dolore nelle taverne dei bassifondi londinesi, luride topaie in cui la prima cosa che si percepiva entrando era il puzzo insostenibile degli avventori e del vomito sui pavimenti logori.
Il piccolo Thomas era lasciato alle cure della sorella di Kate che lo allattava insieme a suo figlio.
Né ora che erano in fasce né mai, lui e suo cugino avrebbero conosciuto il minimo segno d'affetto da parte della donna che li nutriva. I figli dovevano campare con l'unico scopo di contribuire, un giorno, al sostentamento economico della famiglia.
Il primo ricordo di Thomas risale all'età di sei anni. Aveva da poco iniziato a piovere quel pomeriggio, il cielo era grigio come al solito su Londra e aveva da poco salutato suo cugino Oliver, che lo aveva riaccompagnato a casa insieme alla zia. La piccola porta di legno si era aperta cigolando e, di fronte ai suoi occhi, suo padre con un cappio intorno al collo dondolava appeso ad una corda da una trave del soffitto. Lo shock gli tolse la parola per parecchio tempo. Rimase a vivere nella casa di suo cugino per due anni, finché un giorno bussò alla porta un frate francescano, vestito con un semplice saio marrone e con ai piedi un vecchio paio di sandali. I genitori di Oliver lo conoscevano, fu un sollievo per loro quando quell'uomo dichiarò nelle sue intenzioni portare con sé Thomas in Francia, quell'uomo era il fratello di Julien, Padre Philippe.
Thomas pianse quando capì di doversi separare da suo cugino, l'unica persona per cui sentiva di provare affetto. Tuttavia fu in seguito costretto ad ammettere che era stato fortunato. Il monastero nel quale fu portato gli permise di imparare a scrivere e a leggere, si appassionò al latino e al greco e divenne ben presto uno studente modello. Aveva ripreso l'uso della parola grazie alla compagnia degli altri ragazzi e alla benevolenza dei frati, data la sua capacità nello studio e la sua attitudine all'obbedienza tanto cara all'ordine monastico. In seminario capì che l'unica via per vivere decentemente era prendere i voti. Scelse di seguire quella strada e tutto filò liscio, fino al giorno in cui tutte le sue prospettive furono mandate all'aria da un evento imprevisto.
Era la mattina del 12 dicembre 1694. Il nord-est della Francia era stato coperto da uno spesso strato di neve e le strade, già difficoltose da percorrere in inverno, erano state rese ancor più impraticabili. Eppure alle prime luci dell'alba le porte del monastero furono percosse da colpi ripetuti ed insistenti; Thomas era protetto dal freddo pungente solo dal saio e da una pesante coperta di lana.
Si precipitò alle grandi porte di legno e, aiutato da alcuni confratelli, lasciò entrare un malandato cavallo pezzato sul quale ciondolava un uomo in apparente stato di incoscienza.
Prima che i frati facessero in tempo a fermare la cavalcatura, il corpo adagiato su di essa cadde di peso tra la neve fresca. Thomas si avvicinò a quell'uomo appoggiando il volto di esso sulle ginocchia. Aveva il viso piagato dalle intemperie, presentava tutti i segni del congelamento ma, in un sussulto i suoi occhi improvvisamente si riaprirono e un rantolo uscì dalla sua bocca, debole ma scandito: “Nosferatus”.
L'uomo ancora svenuto fu trasportato su uno dei giacigli del dormitorio, adibito ad ospitare gli occasionali viandanti. Ci vollero tre giorni prima che fosse in grado di parlare, al che il priore volle essere lasciato solo con lui. Intanto per il monastero serpeggiava una sorta di muta paura, aleggiava tra i confratelli più anziani un timore palpabile, i più giovani venivano tenuti all'oscuro di quello che era stato lo scopo di un viaggio così ardito da parte del malandato viaggiatore.
Thomas fu convocato all'alba del 22 Dicembre dal priore, accompagnato da suo zio Philippe.
Fu fatto sedere su di una vecchia panca di legno, scomoda e scricchiolante. L'anziano frate con gli occhi infossati e rossi, a causa della ben nota insonnia che lo affliggeva, gli sedette accanto.
“Figliolo,” esordì “quel povero ragazzo giunto fin qui a cavallo purtroppo non ha superato la notte.” chissà perché la notizia non lo sorprendeva, era ridotto così male che non sarebbe bastato un miracolo. “Tuttavia,” proseguì il priore “grazie a Dio è riuscito a riferirci il motivo del suo viaggio. Si sono dette molte cose in questi giorni, soprattutto da parte dei nostri confratelli anziani. Vecchie storie, vecchie leggende e paure stanno inquinando i loro cuori.”
“Ho udito qualcosa, ma nulla di preciso. Solo vecchie superstizioni che...”
“Già già già...” mormorò l'anziano francescano, prima che frate Philippe prendesse la parola.
“Thomas, è semplice. Il demonio è all'opera con i suoi malvagi sortilegi per portare nell'oscurità le anime dei più deboli. È nostro compito combatterlo con i mezzi che ci ha fornito Nostro Signore.
La città da cui veniva quel ragazzo è colpita da un flagello che solo il demonio può aver ordito. Io e te partiremo domattina per aiutare quella povera gente.” il cipiglio sul volto di Philippe era deciso. Sul suo viso fino coperto da una rada barba bianca traspariva una forte determinazione. Non osò replicare, avrebbe seguito suo zio anche in capo al mondo. Tuttavia era preoccupato. Non tanto per le futili chiacchiere dei confratelli, né per l'aria di gravità scorta sulla faccia del priore. Ciò che lo turbava era l'espressione indelebile nella sua mente, del ragazzo, mentre gli aveva sussurrato quell'unica parola: puro terrore.
Partirono la mattina seguente preparandosi ad un lungo giorno di viaggio, reso ancora più duro dalla difficoltà procurata ai cavalli dalla neve e dalla tormenta che sembrava avvicinarsi.
I confratelli li salutarono con le lacrime agli occhi, come se li dessero già per morti. Come avevano previsto la cavalcata fu durissima. Alla fine della giornata le temperature erano precipitate ed il freddo era divenuto insopportabile, le cavalcature davano segni di cedimento. Così appena scorsero un'abitazione sul tragitto decisero di fermarsi per chiedere ospitalità. Furono accolti con gioia da una famiglia di contadini, entusiasti di avere l'occasione di ospitare due uomini di chiesa.
Si misero a tavola per la cena in un locale angusto riscaldato da un piccolo camino. Sembrava una famiglia felice quella là, nonostante vivessero solo dei frutti della terra con la miseria sempre in agguato, costretti a dipendere dai capricci del tempo per poter riuscire a sfamare i due figli.
Thomas non aveva mai vissuto una realtà come quella, vedere una famiglia sorridere, guardare una madre amorevole prendersi cura dei propri figli, lui che una madre non l'aveva mai avuta, lo colse alla sprovvista. Gli tornarono in mente gli anni precedenti all'arrivo dello zio, pensò a suo padre, a suo cugino, chissà se la vita era stata generosa con Oliver come lo era stata con lui.
Si ridestò da quei pensieri quando Philippe domandò dell'uomo a cavallo che era giunto al convento. Le gentili chiacchiere di poco prima, il calore con cui erano stati accolti aveva lasciato il posto ad un gelido silenzio. Il padrone di casa rispose in malo modo che non vedevano passare nessuno di lì dall'inizio dell'ondata di freddo. Finito di cenare padre Philippe si avvicinò a Thomas. “Mentono” gli disse “cercherò di farmi dire cos'è accaduto quando l'uomo a cavallo è passato di qui, tu avvicina il figlio e cerca di scoprire qualcosa.”
“Ma ha solo dieci anni, è ancora un bambino...” obbiettò dubbioso.
“Proprio per questo sarà sincero.”
Fece come gli era stato ordinato, avvicinò il ragazzo intento a coricarsi sul proprio giaciglio:
“Vorrei chiederti di un uomo passato di qui qualche giorno fa. Te ne ricordi?” il ragazzino annuì
“C'è qualcosa che ti ricordi di lui?”
“Stava male, era spaventato... e aveva freddo.”
“Davvero? Ha parlato con i tuoi genitori?” il ragazzino annuì di nuovo.
“Voleva dormire qui ma papà gli ha detto che non poteva restare... l'ha fatto dormire nel fienile.”
“Davvero? E perché?”
“Papà era arrabbiato perché lui ha parlato con me.”
“Ricordi cosa ti ha detto?”
Il ragazzino abbassò gli occhi e si morse il labbro inferiore. Evidentemente gli era stato detto di non parlarne. Thomas provò a persuaderlo ma gli riuscì difficile. Aveva passato metà della sua vita in un monastero e relazionarsi con qualcun altro gli risultava estremamente difficoltoso, forse proprio per questo motivo Philippe lo aveva mandato a carpire notizie dal bambino.
“Io sono un frate. Puoi dirmelo, è importante...”
“Lui... ” era titubante. Thomas aspettò in silenzio “lui ha detto che ci sono i servi del diavolo al suo villaggio. Ha detto che il pastore è d'accordo col lupo e che il suo nascondiglio è nel luogo in cui riposa il fiore d'inverno. Poi è arrivato papà...”
Il frate accarezzò la testa del bambino “Ora dormi, quell'uomo stava male, non sapeva quello che diceva.” cercò di rassicurarlo e poi sia rialzò per riferire a suo zio.
Lo trovò seduto al tavolo che si stava congedando dai due padroni di casa, entrambi visibilmente scossi.
“Andiamo a coricarci.”
“Il ragazzino...”
“Non ora, domattina mi dirai tutto quanto. È tardi, andiamo a dormire.”
Si sdraiarono a terra sopra due coperte e, in breve, il sonno sopraggiunse.
All'alba erano già a cavallo. Avevano dato una breve benedizione alla famiglia che li aveva ospitati per la notte e si erano avventurati lungo il percorso che li avrebbe portati a destinazione entro sera. Fu Philippe a interrompere il silenzio, cadenzato solo dall'affondare degli zoccoli dei cavalli fra la neve.
“Dimmi Thomas, cosa ha detto il ragazzo?”
“Era spaventato. L'uomo a cavallo delirava, gli ha detto che nel villaggio ci sono i servi del diavolo, che il pastore è d'accordo con il lupo e che il suo nascondiglio è nel luogo in cui riposa il fiore d'inverno. Non riesco a capire cosa significhi.”
“Già, è strano... le sue ultime parole prima di morire sono state altrettanto enigmatiche. Quando il priore ha parlato con lui era delirante, ha detto di aver visto Lui, che nessuno al villaggio gli credeva perché sono tutti sotto il potere del maligno. Poi ha parlato di una chiave che apre un armadio e di un cofanetto a forma di conchiglia.”
“Cosa ne pensi?”
“Penso che quando arriveremo lì scopriremo cosa sta succedendo. Mi raccomando solo di una cosa Thomas: stai sempre vigile e abbi fede in Dio”
Giunsero in vista del villaggio che si sviluppava su di una piccola collina, alle ultime luci del giorno. Scorsero da lontano il campanile di una modesta chiesa ed un vasto raggruppamento di case in pietra, attorno ad un castello di discrete dimensioni.
Udirono le campane suonare in lontananza i rintocchi scanditi di un funerale. Affrettarono il passo dei cavalli e giunsero in prossimità della chiesa. Dalle grandi porte in legno stava uscendo una processione di uomini e donne, incolonnati a capo chino dietro una semplice bara di legno sorretta da quattro persone. In testa al corteo un parroco grassoccio con una bibbia in mano, spargeva incenso davanti a sé intonando una litania in latino.
“Dove stanno andando?” domandò Thomas. I morti a quell'epoca venivano seppelliti in nicchie scavate al di sotto delle chiese. Solo un secolo più tardi Napoleone capì la necessità di seppellire i morti fuori dalle mura cittadine per prevenire il diffondersi di malattie, ordinando la consacrazione di appezzamenti di terreno da adibire a cimiteri.
Philippe non rispose ma spronò il cavallo verso la direzione presa dal corteo. La bara era stata adagiata su una tavola di legno circondata da paglia e da rami secchi. Thomas rimase di stucco quando vide cospargerla d'olio ed appiccarvi il fuoco. Osservò suo zio aspettandosi che intervenisse per fermare quello scempio, ma quello non sembrava minimamente intenzionato ad interferire. Osservava la scena imperturbabile. Attesero che la pira si fosse spenta per avvicinare il prete che aveva officiato alla cerimonia. Li accolse in malo modo, sembrava tutt'altro che felice di vederli li.
“Cosa ci fanno qui due frati? Al vostro convento erano finite le scorte di cibo? Sappiate che qui non ne troverete, non troverete altro che morte da queste parti.”
Padre Philippe si fece avanti “Un uomo a cavallo è giunto fino al nostro convento giorni fa, ha chiesto il nostro aiuto per la gente di questo villaggio.”
Il grasso prete proruppe in una fragorosa risata.
“Si è dato tanta pena per cosa? Lui l'ha salvata la propria vita, ha messo in salvo se stesso fregandosene della nostra cittadina e manda due fraticelli sprovveduti in nostro aiuto. Un codardo simile dovrebbe essere impiccato per quanto mi riguarda.”
“Colui che chiamate codardo è morto a causa della fatica e del freddo sofferto per giungere fino a noi.”
“Stupido oltre che codardo!” proruppe il prete prima di puntare il suo grosso indice ad un centimetro dal viso di Philippe, “Voi... voi non potete fare nulla per noi! La città è condannata! Ogni uomo, donna e bambino è condannato! Il demonio in persona ha preso dimora in questo villaggio!”
Padre Philippe osservò il suo interlocutore con un misto d'odio e di ripugnanza.
“Ai miei occhi siete solo un vile, che ha permesso alla paura di sgretolare la vostra fede. Estirperò il demonio da questo luogo a costo della vita. Sarete al mio fianco? Solo questo vi chiedo, metterete da parte il terrore che vi attanaglia il cuore e lotterete con me per proteggere questa povera gente?”
Il prete spalancò gli occhi e, scosso da un tremito afferrò le spalle del frate urlando come un folle.
“Voi non sapete quello che dite!” urlò mentre lacrime di disperazione gli rigavano il viso, “Voi non potete capire ciò che vi attende!”
In quello stesso istante una voce rimbombò tra le vaste navate della chiesa.
“Cosa sta succedendo?! Chi siete voi?”
Domandò un uomo alto e snello, vestito di abiti di foggia pregiata, andando verso di loro.
“Padre, calmatevi...” disse sorreggendo il prete ed aiutandolo a sedersi su una delle panche in legno.
Il naso importante e leggermente adunco gli dava un cipiglio nobiliare ed i modi con i quali si comportava facevano pensare ad una personalità di rilievo.
“Sono frate Philippe e lui è frate Thomas, del convento francescano a un centinaio di chilometri a nord di qui. Giorni fa è giunto da noi un ragazzo a cavallo che ci ha informati dell'incresciosa situazione in cui vi trovate.”
“Sia ringraziato il cielo!” esclamò l'uomo, “allora Sebastian è vivo! Ditemi, come sta, è ferito?”
“In realtà è morto pochi giorni fa, non ha retto la fatica del viaggio e soprattutto il freddo che ha dovuto patire.”
“Oh mio Dio...” mormorò l'altro, “dovrò dirlo alla madre, povera donna... ha perso entrambi i figli in poco meno di un mese... vi prego di seguirmi, padre Armand è molto scosso.” uscirono dalla chiesa lasciando il prete con le mani giunte intorno alla testa, scosso dai singhiozzi. Una volta fuori capirono chi fosse l'uomo che in precedenza aveva interrotto il loro dialogo. Lo attendeva un manipolo di cavalieri armati ed una carrozza condotta da due cavalli possenti dal pelo lucido, si presento egli stesso: “Sono Juques, conte di... bah! Lasciamo stare i titoli. Di questi tempi il mio ruolo pesa come un macigno. Sono felice che siate qui, la vostra presenza mi rassicura. Se Sebastian è venuto a da voi avrà pensato che poteste aiutarci a fronteggiare questi avvenimenti nefasti. Era un bravo ragazzo, intelligente ed avveduto, quindi vi prego di accettare la mia ospitalità al castello come segno di fiducia nei suoi e nei vostri confronti.”
La carrozza li condusse in breve a destinazione. Jaques si congedò da loro affidandoli ai domestici, che li accompagnarono alla camera destinata ad ospitarli per le notti a venire. Era ormai tramontato il sole ed i corridoi di pietra, illuminati solo da candelabri e fiaccole appese ai muri, conferivano un'aria quasi spettrale al castello. Thomas osservava tutto ciò con meraviglia e curiosità. Soprattutto la stanza in cui furono alloggiati lo colpì per lo sfarzo e la quantità di suppellettili che adornavano ogni angolo. Si sentiva tuttavia a disagio. Preferiva di gran lunga l'austerità del monastero a quell'ostentazione esagerata di ricchezza. Quando furono lasciati soli, Thomas prese coraggio e si decise a confessare allo zio i dubbi che lo affliggevano:
“Perché hanno bruciato il corpo nella bara?”
“Per paura che tornasse sotto altra forma.” rispose Philippe con voce stanca.
“Credo di non capire...”
“Thomas, siediti. Abbiamo a che fare con creature che hanno stretto un patto col demonio, bevono il sangue dei vivi per nutrirsi ma non tutti coloro che sono stati morsi muoiono. Alcuni vengono trasformati nello stesso genere di creature che li ha uccisi, per questo è bene bruciare i corpi di coloro che vengono morsi.”
“Ma... è orribile! Che razza di creature... ”
“Vengono chiamati in molti modi” lo interruppe lo zio, “esistono da sempre, infestano la terra da quando è stata creata, da queste parti sono comunemente conosciuti col nome di vampiri.”
“Possiedono le persone?”
“No, colui che diviene un vampiro rimane sé stesso. È solamente più spietato, scaltro e potente di quanto non lo sia stato da vivo. Inoltre alcuni hanno anche dei poteri magici che farebbero impallidire quelli di qualunque strega.”
“Sono...” deglutì in evidente stato di agitazione prima di porre quella domanda, “sono immortali?”
“Non subiscono i segni del tempo, la loro età rimane quella in cui avviene la trasformazione e possono vivere in eterno. Dunque si, sono immortali. Tuttavia possono morire. Vi sono innumerevoli modi descritti dalle culture più disparate, ma l'elemento comune è uno solo, il più importante: la fede. Solo la tua fede può ucciderli, la tua forza contro di loro risiede nella capacità di vedere la luce, di credere che il bene sia più forte del male. Non può essere spiegato, ricorda solamente che la tua fede è l'unica vera arma che hai contro di loro.”
“Da come ne parlate sembra che non sia la prima volta che vi trovate in una situazione simile.”
“Infatti non lo è. Comunque è tardi Thomas, tieni a mente ciò che ti ho detto. Ora preghiamo e poi mettiamoci a dormire, ci sveglieremo all'alba.”

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Capitolo 3
*** L'angelo e il demonio ***


Capitolo III

Capitolo III “L'angelo e il demonio”


L'aria asfittica della cantina buia nella quale si trovava era impregnata da un pesante olezzo di morte, misto a quello acre e metallico del sangue. Un uomo giaceva a terra a capo chino implorandolo di fermarsi, piangeva scosso dai singhiozzi invocando Dio e i santi.
L'odore acre e metallico del sangue... la sua gola ardeva in preda ad una sete bruciante, la testa invasa dall'unico pensiero di mettere fine a quell'atroce sensazione.
Quell'uomo supplicante inginocchiato davanti a lui. L'odore della sua paura, si avventò sopra di esso con foga e conficcò i canini nelle carni sentendo scorrere in lui nuova linfa vitale.
Thomas si svegliò di colpo con il cuore che batteva ritmi forsennati. Ricordava quell'odore terribile, gli occhi di quell'uomo, la sete e la voglia indescrivibile di bere sangue ed in fine la meravigliosa sensazione di quel liquido scarlatto nel suo corpo. Quel sogno appariva incredibilmente vivido e reale, ogni minimo particolare impresso indelebilmente nella sua memoria.
Si alzò a fatica dal letto. Philippe dormiva profondamente, così decise di accendere una candela e fare due passi. Tanto per cercare di calmarsi.
Percorse il corridoio di pietra fino in fondo e ritornò indietro. Si era leggermente calmato quando una sottile striscia di luce inondò il punto in cui si trovava in precedenza. Si accorse che era semplicemente luce lunare. Probabilmente doveva essersi spalancata una finestra, pensò, e facendosi coraggio raggiunse l'altra estremità del corridoio: in effetti una delle porte era leggermente aperta. Si accostò senza far rumore, una ragazza dai lunghissimi capelli biondi gli dava le spalle, rivolta verso la finestra dalla quale entrava prepotentemente la luce della luna piena.
Era completamente nuda ed una specchio posto al lato di lei, gli permise di poter scorgere anche le morbide forme dei seni. Rimase lì, impietrito, totalmente incapace di muoversi. Ad un tratto la ragazza si girò e i loro occhi si incrociarono per un istante, prima che Thomas si affrettasse a raggiungere, emotivamente scosso, la sua stanza. La prepotenza con cui le immagini di quel corpo nudo s'insinuavano nella sua mente era incontrastabile, provava un'emozione mai sperimentata prima. Non riuscì a riprendere sonno fino a che, di buon ora, padre Philippe si destò.
Si recarono subito a cavallo al villaggio, scortati da quattro soldati. Appena giunsero in prossimità della chiesa udirono delle grida e dei pianti. Accorsero subito e si resero immediatamente conto che la notte aveva portato via con se anche una vita. I due frati si fecero largo tra la piccola folla che si era radunata e riuscirono ad entrare nella piccola casa in legno, di fronte alla quale si era accalcata tanta gente. Thomas frenò un conato di vomito, quando vide il cadavere che giaceva scomposto di fronte a loro. Era una donna dai lunghi capelli castani e stringeva al petto un bambino, il quale aveva trovato la medesima fine della madre, dei piccoli fori sul collo testimoniavano il morso del vampiro. Philippe fece portare fuori i corpi e li benedisse di fronte ai presenti, li incoraggiò a gran voce a non disperare, ad avere fede in Dio perché quello li avrebbe salvati.
Molti di loro si inginocchiarono a quelle parole, altri intonarono preghiere, comunque tutti sembravano aver riacquistato in parte una dose di fiducia. Thomas non aveva seguito suo zio all'esterno dell'abitazione, perlustrò le tre piccole stanze; il mobilio era scarso, contrastava in modo impressionante con la camera in cui aveva trascorso la notte, i pochi mobili il legno erano in condizioni pessime. Non trovò nulla di interessante, eppure... si decise ad uscire ma il destino volle che inciampò nell'unico tappeto presente in tutta la casa. Lo sollevò e sotto di esso scorse una piccola botola, sentiva dall'esterno suo zio che parlava a gran voce. Non era il caso di interromperlo così sollevò l'apertura sui cardini che cigolarono rumorosamente. Il buco permetteva a malapena il passaggio di un uomo, vi si calò a fatica a causa del saio che rendeva difficili i movimenti. Si lasciò andare pregando Dio che il salto non fosse eccessivo. I suoi piedi fortunatamente toccarono terra quasi subito, si rese conto che il bordo della botola era a portata di braccia per favorire la risalita. La piccola stanzetta nella quale si trovava era debolmente illuminata da una grata, posta al livello della strada. Doveva essere una sorta di magazzino, poiché conteneva svariati sacchi di grano e qualche barile presumibilmente contenete birra. Ciò che lo colpì fu l'odore terribile che aleggiava lì dentro, così forte da mozzargli il respiro: odore di morte e di sangue. Riconobbe allora quel luogo, il sogno della notte precedente, era proprio in quello scantinato che aveva avvertito l'impulso irrefrenabile di mordere. Capì all'istante cosa avrebbe visto a terra di fronte a lui. Abbassò lo sguardo ed era lì, lo stesso uomo del sogno, il corpo senza vita rannicchiato in quel minuscolo scantinato buio. Risalì al piano superiore, sconvolto. Sentì uno spasmo risalirgli dallo stomaco, si accasciò a terra e vomitò, gli occhi colmi di lacrime ed i tremiti che scuotevano il suo corpo non gli impedirono di raggiungere Philippe ed avvertirlo del ritrovamento.
“È vivo?” gli chiese.
“No, se lo fosse stato?”
“Avremmo dovuto ucciderlo noi.”
Thomas non si aspettava quelle parole. Lui aveva visto tutto, lui aveva visto attraverso gli occhi del vampiro, aveva partecipato emotivamente all'uccisione di quell'uomo, ebbro del sangue fuoriuscito da collo della vittima. Forse il demonio si era impossessato anche di lui?
No, c'era qualcos'altro, ma non riusciva a capire cosa. Avrebbe voluto confidare tutto a suo zio ma sentirlo dire quella frase lo aveva frenato. Bruciarono quei corpi come da consuetudine in casi simili e si radunarono poi in chiesa per pregare in memoria del defunto. Il prete non officiò alla cerimonia, lasciò fare a frate Philippe. Si rannicchiò in un cantuccio della chiesa a pregare sommessamente.
A mezzodì tornarono al castello per il pranzo con il conte. Giunti a destinazione Thomas si sentì afferrare la manica da suo zio, che lo prese a braccetto servendosi di lui come sostegno.
“Non vi sentite bene zio?”
“Tutt'altro. Ascoltami: i corpi che abbiamo ritrovato questa mattina erano tre, ed il vampiro ha ucciso anche la scorsa notte. Al contrario di quanto si pensa queste creature non hanno un bisogno così esasperato di cibo. Ciò fa supporre che abbiamo a che fare con minimo due di questi esseri, di cui uno è sicuramente stato trasformato da poco tempo ed ha un bisogno maggiore di nutrimento. Mi segui?”
“Certo.”
“Non hai notato niente di strano in quella casa?”
Thomas sobbalzò convinto che Philippe avesse intuito qualcosa, si stava già preparando a confessargli del sogno ed era prontissimo a subirne tutte le conseguenze.
“Ho trovato questo.” disse suo zio porgendogli una pedina di legno intagliata, il sollievo che provò inizialmente lasciò quasi subito il posto alla curiosità.
“È un cavallo!”
“Esatto. Una pedina degli scacchi in una casa del popolo. Non c'è dubbio, appartiene a colui che ha compiuto la strage e va cercato in questo castello, nessuno del villaggio sarebbe in grado di giocare a scacchi.”
“Avete già un'idea?”
“Si, lo vedrai fra poco.”
Percorsero il dedalo di corridoi che conduceva alla sala da pranzo e quando vi entrarono Thomas fu colto da un capogiro. Su un lato del lungo tavolo imbandito di pietanze, sedeva la ragazza bionda che aveva visto la notte precedente. Gli sorrise rischiando di fargli balzare il cuore fuori dal petto. Fece finta di nulla, faticando a mantenere la calma si sedette di fronte a lei.
“Questi sono i due frati giunti dal monastero.” disse il conte rivolto alla ragazza, “frate Philippe e frate Thomas, questa è mia figlia Diana.”
Ella batté le palpebre e Thomas fu quasi sicuro di vedere gli occhi accendersi di un azzurro intenso, come dotato di luce propria. La gola si inaridì di colpo e lo stomaco si serrò sotto i battiti forsennati del suo cuore. Philippe non disse nulla durante tutto il pasto, il conte si profuse così in un monologo interminabile sulle vicende di quella cittadina e sulla storia dei suoi avi. Descrivendo in fine la morte incresciosa della moglie avvenuta per partorire la figlia. Thomas aveva occhi solo per lei, la guardava cercando di non farsi notare, la sentì incredibilmente vicina quando seppe della sorte della madre.
Quando venne il momento di congedarsi padre Philippe si schiarì la voce, per la prima volta da quando erano entrati in quella stanza parlò: “Conte, mi scuso per la mia sfacciataggine, ma ho la strana abitudine di intrattenermi con il mio priore in una partita di scacchi dopo il pasto. Gradirebbe assecondare le ormai trite abitudini di un vecchio frate?”
Thomas s'irrigidì, suo zio aveva davvero intenzione di accusare il conte?!
“Mi piacerebbe molto! Ho il medesimo vezzo, tuttavia mi rincresce dover rifiutare. Ho l'abitudine di portarmi dietro come portafortuna il mio pezzo preferito. Devo averlo dimenticato da qualche parte, la memoria comincia a farmi cilecca purtroppo. Comunque vedrò di farmi fabbricare al più presto un'altra pedina dal falegname. Ora scusatemi ma ho delle faccende da sbrigare.”
Quando rimasero soli Thomas espresse i propri dubbi: “Non sembrava qualcuno che avesse qualcosa da nascondere...”
Philippe lo guardò severo.
“Non fidarti mai delle apparenze. Sono esseri scaltri. Inoltre tutto torna: il ragazzo, Sebastian è dovuto fuggire perché ha visto la vera natura del conte. Ricordi le sue parole? Il pastore è d'accordo con il lupo, il conte è il pastore che dovrebbe accudire il suo villaggio e la gente che vi abita, invece ha venduto la propria anima al diavolo.”
Era terribile quella situazione, si trovavano nella tana del lupo. Thomas iniziò per la prima volta a temere seriamente per la propria vita.
“Cosa avete intenzione di fare?”
“Non posso agire da solo, soprattutto perché il conte ha dei servi. Chiederò aiuto al parroco, ma non prima di aver scoperto l'identità dell'altro vampiro che sottostà al conte. O degli altri vampiri nella peggiore delle ipotesi. Ho la sensazione che l'altra creatura si trovi nel villaggio, inizierò da laggiù, però insieme diamo troppo nell'occhio. Tu rimani al castello, dai un'occhiata in giro ma rimani nell'ombra e sii prudente, non essere avventato. Tieni d'occhio la ragazza, quell'essere non è più suo padre e potrebbe farle del male in qualsiasi momento, o peggio, trasformarla in una di loro.”
Thomas annuì, anche se l'idea di rimanere da solo fra quelle mura lo terrorizzava. Suo zio partì poco dopo e lui si ritrovò solo e senza la minima idea di cosa fare. Decise in primo luogo di cercare Diana e stare con lei per proteggerla, in realtà non era per niente convinto di poter proteggere nessuno tuttavia il pensiero di stare con lei lo faceva sentire più al sicuro.
La trovò in uno dei salotti, seduta su una poltrona verde smeraldo.
“Ciao!” lo salutò.
“Buon... buongiorno.” ripose timido arrossendo visibilmente.
“È bello avere qualcuno qui in giro oltre alle guardie e ai domestici. Soprattutto perché credo che abbiamo più o meno la stessa età. Oh! Ma che maleducata, siediti.” gli fece spazio accanto a lei. “Ero venuta qui per suonare, ti dispiace se...”
“No, assolutamente, prego. Mi farebbe molto... molto piacere sentirvi, sentirti.”
Diana estrasse da un astuccio un flauto ed iniziò ad intonare le prime note. Fin da subito la melodia che uscì da quello strumento portò Thomas in un meraviglioso stato di estasi, era qualcosa di stupendo, di paradisiaco. Non aveva mai sentito quella canzone eppure sapeva di appartenergli, era come se lo trasportasse in luoghi lontani ed idillici, come se la sua mente si lasciasse cullare dalle onde del mare, come se il vento trasportasse la sua anima lontano...
“Incredibile...” mormorò non appena la ragazza smise di suonare. Ella sorrise ringraziandolo.
“Era la canzone preferita di mia madre. Mi manca, anche se non l'ho mai conosciuta.”
“So quello che vuol dire, anche mia madre è morta nel darmi alla luce.”
“Davvero? Non ho mai conosciuto nessuno che potesse capirmi, i sensi di colpa, la solitudine, l'impossibilità di ricordare il suo volto... ” gli occhi le cominciarono a riempirsi di lacrime.
“Lo so...” mormorò Thomas posando la sua mano su quelle di lei. Diana si alzò andando verso la finestra.
“È terribile quello che sta succedendo al villaggio, ogni notte ho paura che toccherà a me.”
“Ti prometto che nessuno ti farà del male.” la rassicurò Thomas sentendosi in dovere di proteggerla. Forse provava qualcosa per lei, non avrebbe dovuto, ma non poteva farne a meno.
“Dici sul serio?”
Lui annuì, era determinato più che mai a porre fine a quel massacro. Avrebbe aiutato suo zio a uccidere il conte a costo della sua stessa vita.
La ragazza si avvicinò a lui e lo abbracciò. Il ricordo ancora vivido del suo corpo nudo lo fece ardere dentro, non aveva mai provato quelle sensazioni, non avrebbe mai pensato che potessero essere così forti e difficili da dominare.
Il ritorno di suo zio lo riportò con i piedi per terra. Fecero sapere al conte che intendevano cenare con la servitù, poiché era per loro un orario più convenzionale alle usanze del monastero. Poi come al solito si misero a letto di buon ora, per essere svegli alle prime luci dell'alba.
Thomas apprese che le ricerche di Philippe non avevano portato novità, si era ritrovato a dover rincuorare i cittadini casa per casa.
“È anche questo un ottimo modo per combatterli.” aveva precisato, “Una fede forte è l'unica arma contro di loro, ricordalo.”
Tenne mente di nuovo quel consiglio. Anche se l'unico pensiero che lo accompagnò prima della notte fu che, per nulla al mondo, una creatura angelica come Diana sarebbe stata infettata dai servi del demonio. Lo avrebbe impedito a tutti i costi.

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Capitolo 4
*** Il servo del vampiro ***


Capitolo IV

Capitolo IV “Il servo del vampiro”


I suoi passi rimbombavano tra gli spazi immensi di quel luogo, non aveva sete quella notte ma aveva un affare da sbrigare. Spalancò una piccola porta di legno spaccandola con uno schianto, un uomo cadde dal letto e si prostrò di fronte a lui a mani giunte.
“Mio signore sono al vostro servizio!”
“Taci!” la voce che uscì dalla sua bocca era spettrale, quasi un sibilo, ma allo stesso tempo decisa ed imperiosa.
“Mio signore vi prego non uccidetemi! Ho fatto tutto ciò che mi avete ordinato, vi ho servito con lealtà!”
“Infatti non sono qui per ucciderti ma per donarti la vita eterna.”
Detto ciò morse il suo servo per il quale provava un sentimento al limite della repulsione. Lo lasciò in fin di vita e si portò il proprio polso verso la bocca, morse con forza provando una fitta lancinante, fatto ciò avvicinò il polso alla bocca del suo servo il quale bevve avidamente. Si sentiva spossato, mano a mano che il sangue defluiva da lui diventava sempre più debole...
Thomas si destò di soprassalto, ansimava e sudava, la testa gli doleva come se avesse ripetutamente colpito un muro. Chi era? Che cosa stava succedendo? Il primo pensiero corse a Diana, balzò dal letto cercando di non fare rumore ed uscì in corridoio percorrendolo velocemente verso la stanza della ragazza. Era chiusa, rimase fermo di fronte alla porta, incapace di decidere se entrare o meno. Alla fine la curiosità di vedere se era al sicuro vinse. Posò la mano sulla maniglia e l'abbassò lentamente, aprì la porta e tirò un sospiro di sollievo quando vide la sagoma di lei sotto le coperte del letto a baldacchino. La luce della luna entrava come la notte precedente. Ora poteva anche tornarsene in camera sua, invece rimase immobile sulla porta, ipnotizzato da quel volto bellissimo. Fece qualche passo vero di lei, il lembo delle coperte era scostato lasciando intravedere una pallida spalla scoperta. Vi adagiò sopra la mano e scansò centimetro dopo centimetro la stoffa che la copriva. Eccola la, meravigliosa come la sera precedente, nuda sotto i suoi occhi. Non seppe dire quanto tempo stette immobile a guardarla, ma ad un certo punto ella aprì gli occhi. Lo guardò, gli prese la mano e lo guidò verso di lei. Avvicinò le labbra alle sue e lo baciò. Thomas era ormai in un'altra dimensione, completamente abbandonato a lei, lo accompagnò sopra il letto e coprì entrambi trascinando il giovane frate verso sensazioni che non avrebbe mai più dimenticato.
“È ora di andare Thomas, svegliati!” la voce di Philippe rimbombò all'interno della stanza.
Thomas aveva fatto appena in tempo a rientrare in camera e farsi ritrovare nel suo letto.
Si alzò a fatica avendo passato una nottata pressoché insonne, ancora inebriato dalle emozioni della nottata appena trascorsa.
Montarono a cavallo come la mattina precedente e raggiunsero il villaggio, capendo che era stata mietuta una nuova vittima.
“Strano...” mormorò Philippe.
“Cosa?”
“Il ritmo con il quale uccidono, o sono in molti oppure il conte è davvero molto furbo.”
Smontarono da cavallo e si avvicinarono al gruppetto di persone radunate in cerchio intorno al corpo di un ragazzo. Una donna piangeva tenendo la testa del figlio, che non avrebbe dovuto avere più di una quindicina d'anni, poggiata sul grembo.
“Perché si trovava fuori di casa?” domandò Philippe a quella povera donna, che non fece altro che scuotere la testa e urlare che era stato portato via dal suo letto. Il frate benedisse il corpo e poi sentenziò che andasse bruciato come tutti gli altri. La donna cominciò ad urlare e si gettò sul corpo del figlio impedendo a chiunque di avvicinarsi. Fu portata via a forza da alcuni uomini del villaggio sotto gli occhi increduli di Thomas, che non poté impedirsi di piangere. Aiutò a trasportare il corpo e notò che la mano del ragazzo era stretta intorno a qualcosa, evitando di farsi notare prese lo strano oggetto e lo infilò nella bisaccia per esaminarlo più tardi insieme allo zio.
“Dov'è il prete?” domandò Philippe.
“Non si sente bene!” gli rispose un uomo anziano dalla fronte spaziosa e la schiena ricurva, “sono il falegname, sono stato questa mattina a riparargli la porta e l'ho trovato a letto.”
Philippe apparve preoccupato “Mi serve il suo aiuto maledizione... ” mormorò sottovoce, “Thomas, io dopo il funerale radunerò i fedeli per un pomeriggio di preghiere, tu torna al castello e assicurati che la ragazza sia al sicuro. La situazione è più grave del previsto.”
Mangiarono a pranzo una fetta di pane e della carne salata insieme ad alcuni uomini del villaggio, poi venne l'ora per Thomas di raggiungere Diana, dimenticandosi completamente dell'oggetto ritrovato nelle mani del ragazzo.
Cavalcò fino al castello impaziente di vederla e la trovò in biblioteca. Aveva in mano un libro dalla copertina nera e sembrava profondamente immersa nella lettura.
“Ciao.” la salutò.
“Ho saputo di quel povero ragazzo.” gli disse con le lacrime agli occhi.
“È terribile... lo so.”
“Ma non potete farci niente?”
“Ogni giorno siamo sempre più vicini Diana, ma Philippe sembra preoccupato. Crede che non ce ne sia solo una di queste creature.”
“Vuoi dire che sono in molte?”
“Non lo sappiamo, sembra di si per le vittime che stanno mietendo. Siamo già a quattro morti da quando siamo qui noi, quattro morti in due giorni sono molti. Da quando hanno iniziato ad uccidere?”
“Da metà novembre ci sono state le prime vittime, ma è dai primi giorni di dicembre che hanno iniziato a fare strage. Mio padre dice che ad oggi si contano in tutto quarantadue morti.”
“Diana...” Thomas le accarezzò il viso guardandola negli occhi, “promettimi che qualunque cosa succederà non perderai la testa.”
“Che vuoi dire?”
“Non credo che sia opportuno dirtelo ma hai il diritto di sapere. Tuo padre è il vampiro.”
Lo guardò come se fosse pazzo, le guance le si rigarono di lacrime.
“Tu menti...”
“No Diana ti prego ascoltami...”
“Tu menti!” urlò e alzandosi di scatto corse via.
Il resto del pomeriggio trascorse al rilento. La preoccupazione per Diana impediva a Thomas di concentrarsi in qualunque attività. Quando venne la sera il conte. Era insieme al capitano delle guardie e si stavano dirigendo verso gli stabili che ospitavano i cavalli.
Intanto la notte scendeva veloce e in lontananza si udivano tuoni che annunciavano una tempesta in arrivo. Si diresse in cucina chiedendo ai domestici un tozzo di pane per cena, nel mentre udì la voce di Philippe provenire dal cortile esterno e si ricordò dell'oggetto contenuto nella sua bisaccia. Guardandosi intorno per assicurarsi che non vi fossero orecchi indiscreti raggiunse lo zio e lo chiamò in disparte.
“Ho trovato questa nelle mani del ragazzo, scusate mi è sfuggito di mente di darvela prima.” così dicendo gli porse la piuma blu.
“Mio Dio...” mormorò Philippe spalancando gli occhi “sai cos'è questa?”
Thomas scosse la testa, non ne aveva idea.
“È la prova che stavo cercando! So chi è l'altro vampiro. Davvero non la riconosci Thomas? Pensa, chi ha delle piume blu sul proprio copricapo?”
La soluzione brillò nella mente di Thomas come un'illuminazione: “Il capitano delle guardie! L'ho visto prima insieme al conte, si dirigevano verso le stalle dei cavalli. ”
“Esatto, dovevo immaginarlo... ascoltami, non ce la posso fare da solo. Mi serve l'aiuto del parroco e soprattutto il tuo. Tienili d'occhio, quando io e il prete arriveremo dovrai dirci dove si trovano, intesi?”
“Intesi. Il parroco ce la farà? Oggi ho sentito che non stava molto bene.”
“Ce la deve fare, comunque non ha nulla di grave ha preso solo una botta. Il destino peggiore l'ha avuto la porta della sua camera. Quel colpo di vento l'ha spaccata, sarà stata sicuramente marcia.”
Philippe si stava avviando verso il cavallo.
“Ho detto a Diana di suo padre.” confessò Thomas in un filo di voce.
“Hai fatto una mossa molto sciocca, soprattutto per la sua incolumità. Comunque ora non è importante, sappiamo chi sono e dobbiamo ucciderli. Concentrati su questo ora.” detto ciò montò a cavallo e lo spronò verso il villaggio.
Thomas prese coraggio e tornò alla finestra da cui aveva visto in precedenza il conte e il capitano. Godeva di un'ottima visuale, li avrebbe sicuramente visti uscire. Vide la pioggia iniziata a cadere fitta ed insistente bagnare in pochi secondi l'intera superficie del vetro, anche così la visuale era accettabile. I minuti passavano e non c'era traccia dei due, si mise a rimuginare sul sogno della notte precedente, non riusciva a ricordare i dati essenziali come il viso dell'uomo che aveva morso e il luogo dove si trovava. Il primo fulmine giunse così improvviso da farlo sobbalzare ed il tuono che lo seguì fece vibrare la vetrata della finestra. Quel rumore fragoroso gli riportò alla mente un dettaglio del suo sogno: una porta spaccata dalla sua furia. E una frase detta da un uomo morente, il pastore è d'accordo con il lupo.
“Oh no...” seppe per certo che doveva correre più veloce del vento. Maledisse il saio che gli ostacolava i movimenti e si precipitò a rotta di collo fino al cortile esterno. Vide un cavallo legato sotto il porticato e slegandolo alla svelta vi montò sopra. Si avventurò sotto la pioggia battente spronando la sua cavalcatura al limite delle sue possibilità verso il villaggio.
Come aveva fatto a non pensarci prima? Come era potuto sfuggirli un dettaglio tanto importante? Aveva mandato suo zio verso la morte.
Giunse di fronte la chiesa ed inciampò nella staffa cadendo bocconi nel fango. Era fradicio e completamente sporco di terra ma non poteva fermarsi ora, ogni secondo perso diminuiva la speranza di ritrovare Philippe ancora in vita. Spalancò la porta della navata laterale e corse verso l'altare; si parò di fronte a sé una scena surreale. Nella penombra dell'abside, i lampi illuminavano a tratti la lotta serrata che stava avvenendo tra frate Philippe ed il prete. Quest'ultimo con un ghigno diabolico faceva valere il nuovo vigore e la velocità acquisita con la trasformazione in vampiro, mentre il frate armato di un grosso crocefisso d'oro gli impediva di avvicinarsi. Come riuscisse quell'oggetto a spaventare il vampiro Thomas non riusciva a capirlo, probabilmente la fede di suo zio gli permetteva di respingere con facilità gli attacchi di quell'essere. La battaglia infuriava in prossimità dell'altare. Il prete saltava con movimenti innaturali ad altezze incredibile, si aggrappava alla sommità delle colonne per poi piombare di nuovo dall'alto sopra il frate. Questi dal canto suo non cedeva di un millimetro la sua posizione, tenendo alta la croce cercava lo scontro diretto. Sembrava che il vampiro provasse in qualche modo di aggirare il simbolo sacro per prendere Philippe alle spalle. Quella strana danza concitata finì quando il prete scorse Thomas, un ghigno maligno gli si dipinse sul volto e con rapidità disarmante iniziò a correre verso di lui. Al che il frate tirò fuori da sotto il saio una piccola e tozza bottiglia che lanciò in direzione del vampiro. Uno schizzo di liquido trasparente raggiunse la schiena di quell'essere che, come se fosse stato bruciato da olio bollente, urlò e cadde in avanti. Philippe gli fu sopra in un battibaleno, ma Thomas scorse con la coda dell'occhio un movimento alla sua destra in prossimità della colonna più vicina.
Riuscì a vedere una sagoma coperta da un mantello nero che si avventò su di lui e lo gettò a terra, cadendo la sua testa impattò con violenza una panca di legno facendogli quasi perdere i sensi.
L'ultima cosa che vide prima di svenire fu suo zio in piedi sulla schiena del prete, con il grande crocefisso sollevato che, calandolo con violenza sopra il nemico, gli fracassava la spina dorsale e, in un bagliore lo riduceva in cenere. Subito dietro le spalle di Philippe la sagoma col mantello nero, nascosta dall'oscurità che egli stessa sembrava emanare, impugnava una spada. Un fendente orizzontale tagliò di netto la testa del frate facendo sgorgare un fiotto di sangue. L'unica cosa che Thomas vide dell'assassino di suo zio oltre la spada, fu un anello con un grosso rubino rosso sangue incastonato al centro.
Si risvegliò parecchie ore più tardi, il temporale sembrava cessato e su di lui vegliava Diana. Vide il suo splendido viso chino su di lui.
“Finalmente ti sei svegliato, ero preoccupata.” Thomas tossì e la ragazza gli porse un bicchiere d'acqua che bevve avidamente, “Frate Philippe è morto, le guardie hanno detto che la chiesa era un lago di sangue. C'era anche il corpo del prete, era carbonizzato.”
“Tuo padre... ” Thomas provò ad alzarsi ma fu colpito da un capogiro e dovette sdraiarsi di nuovo.
“Mio padre non c'è, sembra sparito. Ho paura che tu abbia ragione su di lui... nella sua camera da letto è stato trovato un mantello nero ed una spada insanguinata.”
Le accarezzò il viso, era così bella e così fragile.
“Ora dormi.” gli disse lei “resterò qui vicino a te.”
Le palpebre erano diventate pesanti, si lasciò andare al confortevole abbraccio del sonno.

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Capitolo 5
*** La cripta ***


Capitolo V

Capitolo V “La cripta”


Era buio, lo circondavano strane pareti di marmo, fredde e spoglie. Molti nomi e preghiere incise in caratteri latini. Poi un corridoio e una porta che conosceva molto bene. Un letto a baldacchino dai tendaggi rossi. Un mobile d'ebano con dei cassetti, aprì il secondo tirandolo a sé. Un cofanetto a forma di conchiglia, lo prese tra le mani e con un piccolo click lo aprì. Una chiave d'oro era appoggiata sopra un minuscolo cuscino. Era in un'altra stanza ora, la stanza in cui Diana aveva suonato il flauto, c'era un armadio, un armadio... un armadio...
“Thomas... Thomas svegliati...”
Aprì gli occhi destato dalla voce di Diana.
“Hai dormito quasi tutto il giorno, è passata l'ora del pranzo da un pezzo. Come ti senti?”
“Meglio, ho ancora male alla testa. Devo andare al villaggio.”
“No che non devi! Devi riposare.”
“Mio zio è morto, devo celebrare il funerale.”
“Ma... ci penserà qualcun altro...”
“Il prete è morto, sono l'unico che può celebrare il rito.”
Meccanicamente si alzò dal letto, fu colto da un capogiro ma resistette rimanendo in piedi.
“Non sei al sicuro qui. Verrai con me oggi.”
“Io... non so se...”
“Diana, non intendo discuterne.” aveva preso coraggio e soprattutto sapeva per la prima volta nella sua vita ciò che andava fatto, “Oggi celebreremo i funerali di mio zio, domani metterò fine una volta per tutte a questa storia.” si fece procurare degli abiti, il suo saio era lurido.
Si fecero scortare da un manipolo di guardie a cavallo alle quali Thomas consegnò un crocifisso a testa benedicendoli uno ad uno. Giunto al villaggio radunò li popolo e fu aiutato nei preparativi per il funerale. Aveva lasciato la ragazza con un gruppo di donne all'interno di una casa presidiata dalle guardie.
“Dov'è Diana?” chiese ad uno dei cavalieri quando tutto fu pronto.
“Non si sente bene, ha detto che vi attende alla fine della cerimonia.”
“Continuate a rimanere di guardia alla casa, se dovesse succedere qualcosa non esitate a chiamarmi.” detto ciò si avviò verso l'altare.
Diede l'ultima benedizione ai defunti e officiò il funerale come gli era stato insegnato al monastero. Infine parlò a quella gente provata dalle sofferenze. I volti scarni per la paura in cui stavano vivendo da più di un mese gli provocarono un moto di colera verso quelle maledette creature malefiche.
“C'è un'arma. Un'unica arma con la quale ognuno di voi può sconfiggere questi mostri. L'arma che permise a Mosè di separare le acque del Mar Rosso e condurre il popolo del Signore verso al libertà. L'arma che ha permesso a frate Philippe di estirpare il demonio che si era impadronito del vostro amato parroco: la fede. Soltanto la fede può salvarvi, pregate e riponete tutte le vostre speranze in Dio poiché se avrete fede egli vi salverà...”
Iniziò così la sua predica che durò a lungo. Non era un oratore abile come suo zio ma quella sera, grazie alla determinazione e alla sicurezza che provava riuscì a parlare ai cuori dei fedeli. Sperò in cuor suo che bastasse veramente la fede per tornare vivo da ciò che lo aspettava.
Fu trattenuto fino a dopo il tramonto da un elevato numero di confessioni. Ognuno sembrava voler arrivare alla sera con l'anima pronta al trapasso. Cercò di rassicurarli ma le troppe vittime, le numerose famiglia spezzate, come si poteva chiedere a quella gente di aver fede in Dio dopo che anche il loro parroco gli aveva voltato le spalle?
La testa lo martellava con delle fitte insopportabili. Raggiunse Diana e insieme alle guardie tornarono al castello. Avrebbe voluto porre fine alla maledizione quella stessa notte ma non poteva, doveva prima recuperare le forze, e comunque non aveva la più pallida idea di dove cercare il conte. Aveva appurato l'innocenza del cavaliere. Quello era stato un semplice errore di valutazione, probabilmente indotto dal conte stesso ed era sicuro che la chiave si trovasse proprio dove aveva visto nel sogno. Ma la stanchezza e il dolore dovuto alla ferita lo vinsero. Si sedette con Diana di fronte al camino acceso nel salone centrale del castello, decisero di dormire insieme sul divano uno a fianco all'altra. Fecero di nuovo l'amore, con passione, Thomas faticava a credere che fosse possibile provare determinate sensazioni. Avrebbe voluto vivere così per sempre. Amava Kate, non poteva più negarlo nemmeno a sé stesso.
“Come si chiamava tua madre?” le chiese la ragazza destandolo dal dormiveglia.
“Si chiamava Kate. La tua?”
“Rose, aveva i capelli biondi come i miei e gli occhi grandi. Dicono tutti che era bellissima.”
Si addormentarono accompagnati dallo scoppiettio del fuoco e dall'ululare del vento.
Fu una notte senza sogni per Thomas, la mattina seguente si svegliò rigenerato. La testa non gli doleva più e si sentiva pronto ad affrontare qualsiasi cosa gli si fosse parata davanti. Indossò di nuovo il suo saio, che era stato lavato dai domestici il giorno precedente. Gli dissero che aveva delle visite dal villaggio, chiese a Diana di aspettarlo in biblioteca e si affrettò verso il cortile antistante al maniero. Lo attendeva una delegazione del popolo, si fece loro portavoce il gobbo falegname:
“Frate, ho pensato che aveste bisogno di tutto l'aiuto possibile. Purtroppo non sono più un giovincello ma ho fabbricato per voi questo.” gli porse un paletto di legno, da un'estremità era stata intagliata una croce e dall'altra era talmente appuntito da poter trapassare un uomo con facilità.”
“Cos'è?” domandò Thomas constatando la leggerezza e la facilità di maneggiare tale oggetto.
“È frassino. Le leggende dicono che conficcandolo nel cuore dei non morti li riduca in cenere.”
“Anch'io vi ho portato qualcosa.” si fece avanti una donna che riconobbe come la madre del bambino ucciso due giorni prima “È una spezia potente contro queste creature, un misto di aglio ed erbe.” Thomas prese il piccolo sacchetto e ringraziò, anche se abbastanza scettico sull'efficacia di quel rimedio.
“Io ho pensato che questo potrebbe esservi utile.” anche il fabbro aveva collaborato forgiando un coltellino d'argento.
“Vi ringrazio di cuore per...”
Il falegname lo interruppe “Non dovete ringraziarci, fate solo in modo che questa maledizione lasci il nostro villaggio per sempre.”
“Ce la farò, ve lo prometto.”
Quella dimostrazione di fiducia lo convinse ancora di più che era tempo di andare fino in fondo.
Si diresse immediatamente in camera di Diana. Lei era in biblioteca e non voleva disturbarla, non sapeva ancora cosa avrebbe trovato nella sua ricerca e sperava di non doverla coinvolgere. Come nel sogno il mobile era la, col suo legno d'ebano scuro. Aprì il secondo cassetto e trovò il cofanetto a forma di conchiglia, lo aprì con quel click chiaro e distinto del sogno e prese la chiave rimettendo la piccola scatola al suo posto.
Trovò in breve tempo la stanza nella quale aveva udito Diana suonare quella splendida melodia e vide l'armadio. Introdusse la chiave nella toppa, questa girò facendo scattare i cardini.
Le ante si spalancarono meccanicamente, lasciando fuoriuscire il tipico odore dei luoghi remoti che rimangono chiusi a lungo. Accese una candela ed entrò, in quella che sembrava una stanza molto grande, cercò a tentoni una qualche finestra ma non la trovò. Si accorse però di un canale metallico con una fessura che correva come una cornice lungo tutte le pareti. Tastò quello strano congegno e portandosi le mani verso il naso capì che si trattava di olio, avvicinò la fiamma della candela alla fessura che si apriva tra le lastre metalliche. La fiamma arse lungo tutto il perimetro della sala, illuminando a giorno quello che sembrava un magazzino pieno di cianfrusaglie: vecchi ritratti di una ragazza bionda che somigliava incredibilmente a Diana, ceramiche di ogni tipo, porcellane, maschere esotiche, una strabiliante collezione di bambole, oggetti dei più rari e meravigliosi che Thomas avesse mai visto. Ma la cosa che attirò tutta la sua attenzione fu un fiore sotto vetro, una rosa rossa, resa secca dal tempo, aveva assunto un colore così scuro da sembrare irreale.
“Thomas!” esclamò una voce proveniente dal salotto adiacente. Si voltò vedendo Diana che lo osservava sulla porta, era furente.
“Non avevi il diritto di entrare qui!”
“Diana, perdonami credevo di poter trovare degli indizi...”
“Indizi su cosa?! Questa è la stanza di mia madre, non troverai nulla qui dentro.”
Uscii a testa china, gli occhi le brillavano di lacrime. Al contrario di quanto mi aspettassi mi buttò le braccia al collo.
“Scusami, so che tu puoi capirmi. Questa stanza è l'unico ricordo tangibile che ho di lei... ”
Certo che la capiva, comprendeva a pieno il suo dolore. Soprattutto ora che aveva perso anche suo padre. Era rimasta sola proprio come lui.
L'accompagnò a sedere e, vedendola scossa le chiese di suonargli ancora quella meravigliosa melodia. Stavolta non prese il flauto, ma prese un altro astuccio, più grande e largo questa volta.
Ne estrasse un violino e iniziò a suonare. Le sensazioni furono le stesse della prima volta, così belle, così paradisiache. Quando Diana finì e fece per riporre lo strumento, Thomas scorse un foglietto ripiegato all'interno della custodia.
“Cos'è?” chiese.
“È lo spartito della canzone, l'ha scritto mia madre. Non lo uso più, ormai la conosco a memoria.” lo porse a Thomas che lesse ad alta voce il titolo.
“Rosa d'inverno.”
“Già... è un gioco di parole.” spiegò Diana “Mia madre era inglese, si chiamava Rose Winter.”
Un'idea lo raggiunse come una folgorazione.
“Winter Rose! Rosa d'inverno! Ma è chiaro!”
La ragazza lo guardò senza capire.
“Sebastian, il ragazzo che ha raggiunto il nostro monastero per avvisarci della tragedia ha detto queste parole: la tana del lupo è dove riposa il fiore d'inverno. Dove è sepolta tua madre?”
“Nella cripta di famiglia, a circa due chilometri da qui.”
“È lì che si nasconde tuo padre. Diana, devo andare... ” uscì in fretta dalla stanza, doveva agire prima del tramonto del sole. La notte quelle creature diventavano più forti mentre di giorno erano vulnerabili. Cercò il capitano delle guardie, ma fu avvisato dai domestici che era scoppiato un incendio al villaggio e le guardie erano accorse ad aiutare a domare il fuoco. La certezza che quell'evento non fosse casuale non lo trattenne comunque dal suo intento. Fece sellare un cavallo e stava per partire al galoppo quando vide Diana venire verso di lui.
“Vengo con te.”
“No, è fuori discussione! Non metterai a rischio la tua vita per... ”
“Per mio padre?! Si invece, è l'unica persona della mia famiglia che mi è rimasta e voglio vederlo con i miei occhi se è davvero lui che ha portato questa maledizione al villaggio! Thomas... tu avresti fatto la stessa cosa...”
Non poteva fermarla, era vero, lui avrebbe fatto la stessa cosa.
Cavalcarono sotto il cielo grigio finché non raggiunsero una collinetta sulla quale svettava un monumento marmoreo, aveva la forma rotonda di un tempio greco. Legarono i cavalli ed entrarono.
Non vi era nessuna apertura nella pietra. Thomas iniziò a tastare ogni centimetro della struttura ma Diana lo precedette. Si avvicinò ad una fessura, dalla quale sgorgavano rivoli d'acqua come da una fontanella e fece scattare un meccanismo. Una delle colonne girò su se stessa, scoprendo una scalinata a chiocciola che scendeva verso il basso.
Thomas iniziò a scendere le scale, tese la mano a Diana che lo seguiva passo passo. Il buio e l'odore di umido si facevano sempre più persistenti. Sentì il terreno sotto di lui farsi più morbido. Avevano percorso la scala fino in fondo ed urtò un oggetto. Si abbassò tastando qualcosa che riconobbe essere una lanterna, riuscì ad accenderla facendo luce di fronte a loro. Proseguì tenendo alta la lanterna con la mano destra e la mano di Diana con la sinistra.
“Dov'è sepolta Rose?”
“Dobbiamo andare fino in fondo, ci sono delle scale che scendono verso il basso. Laggiù c'è una grande stanza, dove mio padre ha fatto costruire una statua che ci raffigura tutti e tre insieme.”
Proseguirono fino alle scale, quel luogo era immenso. Videro una luce provenire dal locale sottostante.
“Resta qui.” disse Thomas sottovoce porgendole la lanterna “Se dovesse accadere il peggio urlerò il mio nome, a quel segnale fuggi più veloce che puoi.”
“Se tu morirai saremmo tutti perduti. Compresa io... buona fortuna.” gli disse prima di baciarlo.
Thomas prese coraggio e cercò di ricordare ciò che gli aveva detto suo zio: abbi fede in Dio.
Poggiò il piede sul primo scalino cercando di non far rumore, passo dopo passo giunse all'interno della stanza. Era illuminata da alcune fiaccole appese al muro. Vide subito la statua di cui parlava Diana; una scultura in marmo della sua famiglia, tutti insieme come non lo erano mai stati.
In fondo, all'interno di una bara senza coperchio distinse una sagoma coperta da un velo nero. Afferrò il picchetto di frassino tenendo la croce ben visibile di fronte a sé e parlo con voce imperiosa:
“Alzati creatura del demonio! Sono qui per ucciderti!”
Nessuna reazione si ebbe dal corpo all'interno della bara.
“Conte Jaques so che siete voi il vampiro! Alzatevi e venite ad affrontarmi!”
Nulla si mosse. Il coraggio con cui era entrato iniziava a dissiparsi. Si costrinse ad avvicinarsi alla bara, la mano gli doleva per la forza con cui stringeva la croce in frassino. Giunse sopra il corpo e scansò il velo: balzò indietro quando vide gli occhi vitrei del conte sotto di lui, il corpo era là, ma dava la sensazione di essere morto da un pezzo. Lo esaminò e concluse attraverso la sue conoscenze mediche che doveva essere deceduto non più di un giorno prima. Rimase sconcertato nel constatare che presentava sul collo i segni del morso di un vampiro.
“Così mio padre non è il vampiro...” si voltò di scatto. Diana era la, dietro di lui. Abbassò la testa sconsolato.
“Non so più cosa pensare... Diana se il conte non è il vampiro allora...”
“Thomas, mio padre è morto... Abbracciami ti prego.”
Si avvicinò a lei stringendola a sé.
“Brancolo nel buio Diana. Philippe si era sbagliato ed io non ho la minima idea di cosa...”
“Non ci pensare ora Thomas. Siamo tu ed io, solo tu ed io.... Rilassati, sei stanco, molto stanco...”
I suoi occhi si appesantirono e le membra sembrarono intorpidirsi, stava per addormentarsi fra le braccia di Diana. Sentì i baci della ragazza sul suo collo, morbidi e caldi, soprattutto caldi, umidi. Avvertì lontano come se provenisse da qualche altro luogo l'odore del sangue, acre e metallico.
Tutto d'un tratto, improvvisa e lancinante una fitta si propagò da suo collo al resto del corpo.
Gli sembrò di ardere. L'odore di sangue ora è più forte, più vicino, troppo vicino. Il caldo umido sul suo collo non erano baci, era il suo sangue che colava in rivoli rossi fino alle spalle.
Trasse un respiro profondo e spinse il crocefisso che teneva ancora in mano verso di lei. Il solo contatto con il corpo provocò un urlo di dolore alla ragazza che si ritrasse e con un colpo buttò a terra il picchetto. Thomas cadde, debole e indifeso, quasi incapace di muoversi.
“Io ti amo...” fu capace di dire prima che Diana piombasse su di lui serrandogli di nuovo la mascella sul collo. Si stava lasciando andare, stava consegnandosi completamente in mano a lei. Voleva morire, non aveva più nessun senso vivere sapendo che la prima e unica persona che aveva amato lo aveva ingannato per tutto il tempo. Poi pensò al villaggio, a quella povera gente che avrebbe continuato a morire ogni notte finché Diana non avesse sterminato tutti quanti.
Sentì la forma de coltellino regalatogli dal fabbro sotto il suo saio, lo afferrò e in un attimo di lucidità lo conficcò nel fianco della vampira. Quella si alzò emettendo un suono demoniaco, estrasse il coltello dalle carni e lo gettò lontano. Sarebbe stata di nuovo sopra di lui se Thomas non avesse preso il sacchetto contenente le spezie e non gliele avesse lanciate contro. Fu incredibile l'effetto che ebbero su di lei, si gettò a terra contorcendosi e gridando. I punti in cui la strana sostanza era venuta a contatto con la pelle erano ustionati. Thomas non si fermò a riflettere, ormai agiva meccanicamente. Si trascinò verso il picchetto, con uno sforzò immane di rialzò in piedi, si gettò sopra Diana e conficcò il paletto dritto nel cuore della ragazza. Un ultimo urlo assordante riempì la stanza prima che il corpo iniziasse a carbonizzarsi.
Thomas, incapace di credere a ciò che era appena successo, incapace di accettarlo si sdraiò sulla schiena ed aspettò la morte che sarebbe sopraggiunta a breve.
Sentiva freddo, ma non un freddo convenzionale, un freddo diverso, un freddo più interiore che esterno. La vita stava scivolando via lentamente dal suo corpo.
E se non ci fosse nient'altro? E se tutto finisse qui? Ebbe paura.
Udì dei passi sulla scale, ma forse era solo un allucinazione uditiva. No, erano reali quei passi, si stavano avvicinando. Chiuse gli occhi, ormai la cosa non lo riguardava più. Sentì una mano sulla sua nuca sorreggerli la testa ed una voce che delicatamente lo chiamava.
Aprì gli occhi con un ultimo sforzo, mise a fuoco una mano di fronte a lui, la stessa mano che aveva brandito la spada dando la morte a Philippe. Riconobbe l'anello con il rubino. Sorrise, quindi uccidere Diana era stato inutile, c'era un altro vampiro in libertà.
“Thomas, guardami. Non mi riconosci? È passato molto tempo...”
Cercò di vedere bene quel volto, gli era familiare. La sua memoria si sforzò di ricordare.
“Oliver...” mormorò infine.
“Si cugino mio, sono io... sono qui per salvarti, per darti il dono oscuro.”
“No... io non voglio...”
“Thomas, cugino mio... stai morendo, vedi qualche luce lontana? Vedi qualche sentiero verso il quale la tua anima dovrebbe incamminarsi? Credo di no...”
“La mia... la mia fede ha sconfitto...”
Oliver rise: “La tua fede? Thomas, la tua fede non c'è mai stata. Hai ucciso Diana di giorno mentre era molto più vulnerabile. Inoltre se quegli oggetti hanno avuto effetto non è sicuramente merito tuo... ma di chi te li ha donati.”
“Cosa vuoi da me?”
“Voglio che ti riunisca a me dopo tutti questi anni. Siamo rimasti solo noi Thomas, anche i miei genitori sono morti.”
“Tu hai ucciso Philippe...”
“Se non lo avessi fatto lui avrebbe ucciso me...”
Thomas lo guardò sorridendo e provò pena per lui.
“È stato bello rivederti Oliver. Addio...” detto ciò la morte lo colse nella notte tra 12 ed il 13 dicembre 1694.

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Capitolo 6
*** Rivelazioni ***


Capitolo VI

Capitolo VI “Rivelazioni”


Vidi Johanna commuoversi alla fine di quella storia.
“È triste...” commentò “ma bella.”
“Grazie...”
Era stato strano raccontare quella storia a lei, tuttavia la sete impellente poneva le riflessioni in secondo piano. La osservai alzarsi dal letto ed andare verso il comò coperto dal lenzuolo. Scoprì il carillon facendo nuovamente girare gli ingranaggi e riempiendo la stanza di quella melodia. Dopodiché con uno strattone più forte scoprì completamente il mobile, si vide riflessa nello specchio antico poggiato sopra il mobile d'ebano. Gettai le mie braccia intorno a lei, mi baciò ma poi, voltandosi si sorprese vedendo solo se stessa nel riflesso. Sentii il suo cuore accelerare, il suo respiro farsi più forte.
“Johanna...” le sussurrai all'orecchio, “mi ricordi Diana...” la morsi assaporando ogni singola goccia di quel sangue scorrere dentro di me, sentii la vita abbandonare il suo corpo lentamente, mano a mano che ne bevevo il sangue. Avrei potuto fermarmi, ero ancora in tempo per lasciarla in vita, ma non lo feci: la sete era troppo forte ed il suo sangue troppo buono.
Adagiai il suo corpo sopra il letto e mi ci distesi accanto.
La mia storia consegnata alla muta testimonianza di Johanna... eccetto la mia morte.
Non avevo visto la luce quella notte, nessun sentiero da seguire, solo la ferrea morsa del freddo che portava via la vita dalle mie membra. Oliver mi offrì la via di scampo più facile, l'unica via d'uscita per eludere la morte. Accettai il dono oscuro.
Mi svegliai la mattina successiva la mia morte in camera di Diana e in fondo al letto vidi Oliver, con il solito mantello nero legato intorno al collo.
“Perché?” fu la prima domanda che decisi di porgli.
“Thomas, sono felice che ti senta bene! Mi chiedi perché? Perché sapevo che eri qui, sapevo fin dall'inizio che ti trovavi nel monastero a pochi chilometri dalla città. Volevo riunirti a me, ecco perché.”
“Non credo di capire...”
“Sono arrivato qui a novembre, avevo sete e mi sono dissetato col sangue della gente di questo villaggio. Poi ho visto Diana e ho pensato che avrebbe potuto essere un'ottima esca per te, come vedi non mi sono sbagliato. Ho indotto attraverso i miei poteri il povero Sebastian a correre al monastero, conoscevo i trascorsi di Philippe ed ero sicuro che ti avrebbe portato con lui. Certo, c'era una piccola probabilità che potessi sbagliarmi ma non sarebbe stato poi così grave, non ho limiti di tempo per i miei obiettivi. Ho a disposizione un'eternità.”
“Ma perché coinvolgere il prete?”
“La fede è l'unica arma che ci sconfigge, che sia cristiana, pagana o musulmana è indifferente.
Il prete era un debole, un uomo pieno di vizi e povero di fede. È stato semplice tirarlo dalla mia parte. Si sa, quando il gregge perde il proprio pastore rimane in balia del lupo. Ad ogni modo, quando siete arrivati sapevo che tuo zio mi avrebbe dato del filo da torcere, anche se a dir la verità mi ha un po' deluso. La prima notte ti ho fatto vedere attraverso i miei occhi l'uccisione di quell'uomo. È questo il mio potere, il regno dell'inconscio, la dimensione onirica della realtà umana!” proruppe in una fragorosa risata dopo quell'affermazione, ricordare tutt'ora il suo modo teatrale di celebrare le vittorie mi irrita in maniera indicibile, “Volevo farti sentire la sete insopportabile, la meravigliosa sensazione del sangue! C'era anche Diana con me quella notte, poi, appena tornata al castello ti ha folgorato semplicemente col suo corpo. Ho cercato di sviare Philippe con la pedina degli scacchi, non pensavo che ci cascasse... e anche la mossa della piuma non è stata male. Diana ha recitato in modo divino, è per questo che non sono intervenuto nella vostra contesa all'ultimo sangue, anche lei sarebbe stata una compagna formidabile, forse un po' pericolosa ma... meglio così! Il mio fedele servo era destinato alla sconfitta, il prete non aveva la minima possibilità contro tuo zio, mi è servito solo come esca.”
“Perché la spada? Perché non l'hai morso come tutti gli altri?”
“Avrei rischiato di essere incenerito dal suo stesso sangue. E poi... il resto lo sai già... Non avverti una sensazione strana Thomas?”
“Si... Ho sete!”
Quel giorno fra me e me, col pensiero rivolto a Diana giurai di ucciderlo. Giurai che avrei impegnato ogni singolo giorno di quella nuova vita, per scoprire a pieno i miei nuovi poteri e li avrei utilizzati tutti per distruggerlo. Ma questa è un'altra storia ed io ho di nuovo bisogno di sangue...

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