Thomas Foster, storia di un vampiro di dav_id89 (/viewuser.php?uid=94073)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fra le strade di Londra ***
Capitolo 2: *** L'inizio di un racconto ***
Capitolo 3: *** L'angelo e il demonio ***
Capitolo 4: *** Il servo del vampiro ***
Capitolo 5: *** La cripta ***
Capitolo 6: *** Rivelazioni ***
Capitolo 1 *** Fra le strade di Londra ***
Capitolo I
THOMAS FOSTER, STORIA
DI UN VAMPIRO.
Capitolo I: “Fra le
strade di Londra”
Le tenui luci dei lampioni illuminavano
fiocamente le strade semibuie di un quartiere londinese. L'aria
gelida di quella notte di dicembre penetrava nelle ossa, provocando
brividi lungo la spina dorsale. Almeno così mi ricordavo che dovesse
essere pressapoco la sensazione del freddo.
Il cielo risplendeva immobile di tutte
le sue stelle, le quali avrebbero probabilmente lasciato il posto al
grigio delle nuvole la mattina seguente. Odiavo quel grigiore ma allo
stesso tempo ero costretto ad amarlo per necessità. Il silenzio
quasi sovrannaturale era rotto solamente dal rumore dei miei passi,
lenti, flemmatici, ma nel contempo decisi e sicuri.
Mi fermai di fronte ad una vetrina
illuminata ed entrai. Poggiai il sacco che avevo in spalla di fronte
una delle numerose lavatrici e, lentamente, vi buttai dentro la
biancheria da lavare impostando il programma idoneo. Sospirai stanco,
non nel corpo bensì nell'animo.
Scansai la ciocca nera che mi scendeva
costantemente sulla fronte, il movimento per ricondurla al suo posto
era diventato quasi automatico. Quei capelli che, insieme alle
sopracciglia e agli occhi neri come pece, mettevano in risalto il
pallore spettrale del mio volto. Mi tolsi la giacca nera del completo
che avevo indosso e arrocciai le maniche della camicia bianca fino
sopra il gomito.
Accesi una sigaretta mentre aspettavo
la fine del lavaggio. Magari quell'involucro cilindrico di tabacco
avesse potuto uccidermi... ma non poteva, purtroppo.
Il ticchettio dell'orologio a
muro scandiva, in periodiche nicchie di tempo, il silenzio
che mi avvolgeva come un manto di impenetrabile oscurità. Ogni
singolo ticchettio turbava il mio temporaneo e fragile stato di
quiete. L'ultimo suono emesso da quell'irritante aggeggio fu il suo
infrangersi sul pavimento.
Meglio... molto meglio.
Udii di fronte a me il rumore delle
porte che si aprivano, una zaffata di profumo mi inebriò i sensi.
Divino odore di sangue, giovane,
fresco. Istantaneo l'impulso di soddisfare l'improvvisa sete che mi
assalì. Tuttavia quella sera non avevo intenzione di uccidere.
La guardai di sottecchi, una ragazza
bionda sui venticinque anni. Sentii i suoi occhi su di me, come non
capirla, il fascino che esercitavo su di lei era quasi irresistibile.
Allo stesso modo delle piante carnivore, che attirano a loro gli
insetti grazie all'odore che emanano, così io la attiravo a me.
Una piccola e docilissima preda che
veniva incontro alla migliore delle trappole: la seduzione.
Sperai, con non troppa convinzione, che
la ragazza decidesse di ascoltare l'ancestrale senso di pericolo che
avvertono le prede, quando nelle loro vicinanze si aggira un famelico
predatore.
Non lo fece:
“Strano trovare qualcuno qui a
quest'ora.” civettò rivolgendomi un sorriso.
Non volevo uccidere quella notte, non
uccidevo mai in quella data. Tuttavia la gola già mi ardeva
immaginando quel sangue succulento.
“Già...” le risposi alzando
leggermente gli occhi su di lei.
“Mi chiamo Johanna.”
“Johanna...” mormorai il suo nome.
Il lieve senso di vertigine che ebbe al suono armonioso delle mie
parole, quasi la fece cadere tra le mie braccia. E così sarebbe
stato in un’altra situazione, si sarebbe adagiata dolcemente fra la
stretta apparentemente innocua del mio corpo, con i sensi inebriati
dalla mia voce, totalmente alla mia mercé. Non quella sera, per ora
stavo solamente giocando con lei. Arrossì imbarazzata.
“Sei di queste parti?” mi domandò.
“Non proprio...” le risposi
continuando a tessere la mia tela, dalla quale non sarebbe più
potuta fuggire.
“Io vivo qui vicino, non ti ho mai
visto in questa lavanderia.”
“È da poco che sto qui.”
“Ah... quindi non sei di Londra?”
“In realtà si, ci sono nato. Ma era
un'altra Londra...” e comunque non vi ero rimasto molto.
Mia madre morì nel darmi alla luce e
mio padre la seguì sei anni più tardi. La depressione in cui era
caduto dopo la morte della moglie lo aveva in fine condotto ad
impiccarsi. Quella scena era tutt'ora vivida nella mia memoria,
seppure fossero passati quasi tre secoli. Riflettevo spesso
domandandomi come sarebbe andata, se la mia vita umana fosse iniziata
diversamente. In un'epoca in cui la borghesia stava lentamente
iniziando a prendere forma come ceto a sé, ma sarebbe passato del
tempo prima che l'aristocrazia cominciasse a sentirne il peso, la mia
sola fortuna fu di essere raccolto dalle caritatevoli braccia del
fratello di mio padre. Padre Philippe mi portò con sé e mi permise
di avere un'istruzione, un pasto caldo tutti i giorni ed un letto in
cui riposare la notte.
Johanna si schiarì la voce, mi riebbi
da quei pensieri.
“Bello il tuo anello,
un po' strano ma... bello.”
Assaporai l'ultimo tiro della sigaretta
e gettai il mozzicone a terra, schiacciandolo con il tallone.
“Si, è un regalo di molto tempo fa.”
“Deve essere molto vecchio, sembra
quasi di un'altra epoca!” esclamò affascinata dal rubino
incastonato al centro.
“È molto antico, ma dimmi, perché
sei in giro a quest'ora? Potresti incontrare tipi poco
raccomandabili. Ladri, stupratori, di questi tempi ogni angolo che
giri potrebbe essere l'ultimo.” l'ironia era la più bella maschera
dietro la quale celavo le mie vere intenzioni.
“Ho avuto le prove a teatro fino a
tardi. Domani sera andremo in scena”
“Davvero? Che cosa rappresentate?”
“Il fantasma dell'Opera”
Il suo odore di dolcissimo e succulento
nettare purpureo, mi rendeva difficile tirarla per le lunghe. Però,
bellissimo come sempre, l'agguato, il “corteggiamento” della
preda. Quella complicata danza intorno all'oggetto del desiderio era
ogni volta un piacere di cui godere fino in fondo. Il tutto
culminante nell'esplosione di piacere che era il sangue. L'esperienza
mi portava ad assaporare al massimo ogni attimo della caccia, a dare
valore ad ogni vita che avrei poi spezzato. In modo che ogni vittima
sarebbe rimasta impressa indelebilmente nella memoria: unica, a suo
modo speciale... Rimanemmo l'uno di fronte all'altra perdendo il
contatto con la realtà; lei perché completamente ammaliata dal mio
sguardo ed io perché totalmente insensibile allo scorrere del tempo.
Il segnale acustico che avvisava della
fine del lavaggio infranse quella sorta d' incantesimo.
Raccogliemmo ognuno le proprie cose,
non volevo lasciarmi scappare quella preda, dovevo trovare un modo...
“Ti andrebbe di venire a teatro
domani sera? Ho qui un biglietto per la platea, doveva venire mia
sorella ma è rimasta bloccata a
Northampton. Il suo bambino ha l'influenza.”
La fortuna girava dalla mia parte.
Avrei comunque trovato un modo per ucciderla, a costo di farle un
banalissimo agguato la notte successiva. Ma così era più
divertente, avrei assaporato meglio la preda. Presi la sacca con la
biancheria di nuovo pulita e la issai in spalla.
“Mi piacerebbe molto, ti ringrazio.
Però solamente se poi mi permetti di invitarti a cena e di
riaccompagnarti a casa.”
“Certo, speravo me lo chiedessi. A
proposito, non mi hai ancora detto come ti chiami..”
“Mi chiamo Thomas... A domani sera
allora.”
Mi porse il biglietto togliendolo dalla
tasca della giacca. Andai verso di lei e, mentre si avvicinava al mio
viso aspettandosi un bacio, presi il piccolo foglietto di carta e me
ne andai.
Era la notte fra il 12 ed il 13
dicembre. Molto tempo prima giurai che non avrei più ucciso in
quella data. Ero stato tentato dall'irresistibile odore del sangue ma
non avevo ceduto, tuttavia il banchetto con Johanna era solamente
rimandato di qualche ora.
Passai la giornata a leggere, era una
delle mie occupazioni preferite. Non amavo la compagnia, quella umana
mi risultava ben presto noiosa, forse perché troppo succulenta.
Quella di altri vampiri non mi entusiasmava più di tanto, avevano la
tendenza ad essere invadenti e poi, comunque sia, odiavo dover
condividere il cibo. La solitudine può essere capita ed apprezzata
solo quando si ha un'eternità per viverla.
Quella mattina osservando la libreria
avevo deciso di rileggere “Il fantasma dell'Opera”.
Il capolavoro di Leroux mi portava ad
esplorare le nicchie più segrete del celebre teatro di Parigi;
conoscevo a memoria ogni parola di quel libro, ma preferivo rileggere
quei polverosi volumi piuttosto che avventurarmi negli ultimi best
sellers. Sembrava una psicosi di massa la passione che era scaturita
negli ultimi anni per i vampiri. Predatori della notte ormai
dimenticati dalle loro stesse prede, entrati a far parte delle
creature di fantasia. Era irritante vedere ammirazione invece che
orrore, in molte facce di uomini o donne che stavano per morire sotto
la ferrea morsa dei miei canini. Proprio quest'ultima categoria di
illusi mi divertiva terrorizzare, prima di berne il sangue. Ero
crudele? Spietato?
Probabile, ogni cacciatore in fondo
gioca il ruolo del cattivo.
Mi accorsi che era quasi l'ora di
andare, il piccolo teatro si trovava a non molta distanza dalla mia
abitazione in Oxford Street. Un loft un po' spoglio, arredato con i
pochi oggetti dai quali non mi ero mai separato.
Mi vestii in modo elegante ma non
eccessivo. L'avrei portata a mangiare un hot-dog o qualcosa del
genere dopo lo spettacolo, adducendo qualche scusa per giustificare
il mio astenermi dal cenare.
Indossai una semplice camicia
azzurrina, una giacca e dei pantaloni scuri. Mi infilai al polso un
orologio dal quadrante grande, con un classico cinturino in pelle e
optai per degli occhiali da vista, naturalmente non graduati, con una
fine montatura nera. L'abbigliamento era uno dei miei tanti vezzi, se
ne devono avere molti quando si ha tempo libero in abbondanza e
parecchio denaro da spendere. Rimirai l'anello con il rubino color
sangue incastonato nel mezzo. Una smorfia mi attraversò il viso
al
riemergere dei ricordi che si collegavano a quell'oggetto. Scossi la
testa, decidendo di non attardarmi oltre, mi diressi verso la porta e
scesi in strada. Passai di fronte le innumerevoli vetrine di Oxford
Street senza degnarle di un' occhiata.
La via dello shopping. Originariamente
creata per separare la parte ricca dalla parte povera della città,
da sempre sede dei negozi più costosi. Mi infilai in una delle
traverse in direzione di Soho Square, attraversando il piccolo parco
sul quale vegliava giorno e notte la statua di Carlo II. Il sovrano
decapitato dal popolo in quella che si ricorda come la prima
insurrezione d'Inghilterra.
Il teatro era da quelle parti,
abbandonato a se stesso in un minuscolo vicolo buio. A lato
dell'entrata una vetrinetta incorniciava la locandina con i nomi
degli attori. La scritta grande al centro informava i passanti che
quella sera si sarebbe messa in scena una delle opere più famose in
assoluto: The Phantom of the Opera.
Porsi il biglietto al ragazzo
all'entrata e fui accompagnato al mio posto. Mi sedetti in una delle
poltroncine rosse tra le prime file e attesi l'inizio dello
spettacolo, dominando l'istinto di mordere la prima persona che mi
fosse capitata a tiro. Non bevevo sangue da più di una settimana e
la sete cominciava a diventare difficilmente sopportabile. Cercai di
ricordare l'odore di Johanna, rompere quel digiuno con il suo sangue
sarebbe stato idilliaco, non dovevo aspettare molto ormai, cos'è in
fondo qualche ora per un essere condannato all'eternità?
Mi gustai a pieno la discreta
rappresentazione di una delle mie opere preferite e attesi,
pazientemente, l'arrivo della mia preda alla fine dello spettacolo.
“Ciao!” mi salutò Johanna
baciandomi sulla guancia “sono contenta che sei venuto, allora dove
andiamo? Ho una fame da lupi.”
“Ti va un hot-dog? Prendiamo la metro
fino a Westminster e facciamo una passeggiata lungo il Tamigi.”
“Perfetto! Lì vicino c'è un posto
carinissimo dove possiamo berci una birra.”
Mi prese la mano e uscimmo dal teatro,
il suo odore era divino. Già in una situazione normale l'avrei
trovato irresistibile. In quel momento particolare in cui la sete mi
aggrediva come una belva feroce, capii che dovevo chiamare a raccolta
tutto il mio autocontrollo per trattenermi dal morderla nel primo
vicolo che mi fosse capitato a tiro.
Prendemmo la metro alla stazione di
Tottenham Court Road salendo sulla Northern line, la linea nera,
verso Embankment e da lì cambiammo sulla Circle, la linea gialla,
scendendo alla fermata successiva, Westminster. All'uscita della
metro il Big Ben si stagliò di fronte a noi come una visione. Mi
affascinava così tanto da trovarlo quasi ipnotico, quell'orologio mi
ricordava ogni volta quanto il tempo per me non avesse alcun
significato. Ero qualcosa di immobile in un mondo in cui tutto muta
costantemente. Attraversammo il Westminster Bridge godendo di uno dei
più bei panorami di Londra: a destra, alle nostre spalle si
stagliava il profilo illuminato della House of Parliament e del Big
Ben, e a sinistra, di fronte a noi il London Eye illuminato di una
splendente luce blu si rifletteva sul Tamigi.
“Un mio amico italiano che ha vissuto
a Londra per un paio d'anni mi ha detto che vivere qui ti fa sentire
al centro del mondo” osservò Johanna “per me è così normale...
sono nata qui e ci vivo da sempre. Tu hai viaggiato molto?”.
Sorrisi, erano più di trecento anni
che viaggiavo, tentando di scappare da qualcosa da cui nessuno può
fuggire: la rabbia, il rimorso, il rancore...
“Ho viaggiato molto si... e alla fine
sono tornato a Londra dopo tanto tempo.”
“Perché sei tornato? Ti mancava casa
tua?”
“Me ne sono andato da Londra che ero
troppo piccolo per ricordarla, è per quello che sono voluto tornare.
Curiosità diciamo.”
“Io non mi sono mai mossa da qui
invece” sospirò appoggiandosi al parapetto “vorrei vedere
Parigi, Vienna, Venezia... magari insieme ad una compagnia teatrale.
È il mio sogno...”
Osservai quei bellissimi occhi azzurri
perdersi sognanti verso il cielo “Quindi non sogni Hollywood o
Broadway?” le domandai. I sogni degli umani, quanto li invidiavo...
anche io sognavo molto tempo fa... un vampiro non ha sogni, per
assurdo è proprio l'eternità ad impedirglielo. La vita umana è
appesa ad un filo così sottile che un semplice soffio di vento può
farla precipitare nell'abisso. Loro lo sanno, proprio questa
consapevolezza di precarietà fa nascere nei cuori sogni
irraggiungibili e la speranza li rende quasi palpabili, li fa
sembrare sempre a portata di mano.
Il paradosso dell'eternità è che
soltanto chi non ne dispone può usufruirne veramente.
“Assolutamente no!” mi rispose lei
quasi indignata “non sogno la ribalta, vorrei semplicemente fare
ciò che amo, recitare. E vorrei esibirmi in giro per il mondo, tutto
qui.”
Povera Johanna, non sapeva ancora che
il suo sogno era destinato a non realizzarsi mai.
Ero perfettamente consapevole che il
mio delitto più grande non era spezzare vite, ma trascinare
nell'abisso della morte anche tutti i sogni e le speranze delle mie
vittime. Se avessi avuto un'anima avrebbe sicuramente bruciato
all'inferno.
“Beh, allora che ne pensi?” mi
chiese poco dopo aver ripreso a camminare lungo il ponte.
“Riguardo cosa?”
“Quello che ha detto il mio amico, ti
senti al centro del mondo? Oppure è così anche nelle altre città
in cui sei stato?”
Riflettei su quella domanda, il mio
punto di vista rispetto a molti dei luoghi in cui avevo trovato
dimora era fortemente mutato durante i miei tre secoli e più di
vita. Tuttavia una risposta del genere avrebbe potuto leggermente
turbarla.
“Non saprei” risposi infine
“dipende da te sentirti al centro oppure nel margine più buio del
mondo. Ma dimmi, il tuo amico come mai se ne è andato?”
“Gli mancava il sole. Il grigiore di
Londra lo deprimeva, io penso invece che ogni giornata di sole qui è
speciale, è più bella perché è rara. Tu che ne pensi?”
“La scarsità di sole è uno dei
motivi per cui apprezzo particolarmente questo posto”
Ci fermammo alla fine di Westminster
Bridge, di fronte un piccolo chiosco di hot-dog.
Le dissi che non avevo appetito e la
osservai finire il panino con una voracità che mi divertì. Almeno
lei aveva messo a tacere i morsi della fame, la mia sete invece si
faceva sempre più difficile da tenere a bada. Fui sul punto di
pentirmi di aver tirato il mio pasto tanto per le lunghe.
Ci fermammo poco più avanti, di fronte
ad un altro chiosco gestito da un ragazzo con dei lunghi capelli
rasta neri, Johanna ordinò una birra e subito dopo si divorò
letteralmente una crepes con la Nutella.
Mi stavo spazientendo, la via sotto il
London Eye, la ruota panoramica più grande d'Europa, era piena di
gente e tutta quell'abbondanza di sangue succulento mi faceva ardere
la gola come fuoco.
Mi concentrai sulla mia preda cercando
di recuperare il controllo. La presi per mano e proseguimmo fino
all'Hungerford Bridge, il ponte percorribile solo a piedi che
riconduceva sulla riva opposta, proprio di fronte la fermata della
metro di Embankment.
Era trascorsa un'ora da quando eravamo
usciti da teatro, le lancette del Big Ben segnavano le undici e
ventidue. Salimmo sulla metro e prendemmo la linea marrone, la
Bakerloo line, fino a Oxford Circus, a sole tre fermate da lì. Un
forte vento ci investì quando risalimmo gli scalini verso la
superficie, freddo da far gelare le ossa a giudicare dall'espressione
della mia preda.
Immaginai che a questo punto, se fossi
stato il personaggio di qualche stupido libro sui vampiri, lo
scrittore si sarebbe profuso in una lunga digressione su quanto
quella ragazza fosse diversa da tutte le altre che avessi mai ucciso.
Sul fatto che qualcosa di mai provato prima mi trattenesse
dall'affondare i miei denti nel suo collo, i miei occhi si sarebbero
persi nei suoi azzurri e limpidi come un ruscello d'acqua purissima
e... e chissà quali altre fantasie.
Gli umani ignorano cos'è veramente
essere un vampiro. La sete ti aggredisce come rovi di spine lungo
ogni centimetro del tuo corpo. Il minimo odore di sangue umano in
quelle situazioni ti manda in visibilio. Ogni capacità razionale
svanisce e rimane solo la sete, devastante come un incendio. Ti senti
pervadere da brividi di puro istinto predatore, il tuo corpo morto
non potrebbe essere più vivo che in quella situazione. Ogni capacità
sovrannaturale propria dei vampiri triplica di intensità, non si è
mai così veloci, così forti, così dannatamente scaltri come quando
si ha sete. Con gli anni si impara a gestire il proprio corpo, ci
vogliono secoli per riuscire a bilanciare il rapporto fra sete ed
autocontrollo.
Non bevevo sangue da una settimana e
mezzo. Johanna era là, l'unico motivo per cui non l'avevo ancora
uccisa era il fatto che volevo gustarmi quella meravigliosa preda
succulenta tranquillamente in casa mia, senza fretta. Probabilmente
non l'avrei uccisa subito, l'avrei svuotata poco a poco del suo
nettare vitale, beandomi di ogni goccia che fosse stillata dai fori
che miei canini avrebbero procurato sul suo corpo. Quel pensiero mi
procurò un fremito di eccitazione.
Tutto ciò fa di me un essere crudele?
Sono un vampiro, una creatura della
notte, un essere non più umano che si nutre del sangue delle sue
prede naturali. Ebbene si, probabilmente lo sono, ma ho provato sulla
mia pelle che vi sono esseri umani molto più malvagi.
“Terra chiama Thomas! Ci sei?” la
voce squillante della ragazza mi distolse improvvisamente da uno dei
miei numerosi voli pindarici.
“Si, ci sono” mi accorsi di essere
quasi arrivato all'angolo di casa mia “ti va di salire?” le
chiesi, forse in modo troppo diretto.
“Non lo so... forse è il caso che
torni a casa per questa sera...”
Fui attraversato da un impeto d'ira, mi
trattenni dal digrignare i denti per il disappunto. Avevo altri modi
per farle cambiare idea, mi sarebbe bastato continuare a parlare,
tergiversare e sfoderare l'arma infallibile del fascino su di lei per
indurla a salire. Ma non ne avevo voglia, ero stufo di continuare a
girarci intorno. Così feci una cosa che fino a qualche decennio
prima neanche mi sarei sognato, era per così dire “l'ultima
spiaggia”.
La baciai, le sue labbra calde sulle
mie gelide, il tocco delle sue mani sulla mia nuca e il cataclisma
che mi investì le membra urlandomi di morderla. Volevo il suo
sangue, volevo saziare la mia sete, subito, in quell'istante.
Allontanai il mio viso dal suo cercando di apparire il più normale
possibile.
“Sali su con me” le sussurrai e
com'era ovvio mi prese per mano e mi seguì.
L'ascensore dallo spazio angusto ci
condusse tra sinistri cigolii verso il piano più alto. Lei era mia
ormai, completamente soggiogata a me, lo vedevo dai suoi occhi, dal
suo sguardo. Introdussi la chiave nella toppa del grande portone di
legno nero che si spalancò di scatto, come spinto da un'improvvisa
folata di vento. Entrai, l'oscurità all'interno del loft era quasi
palpabile, mi avvolse come un mantello impenetrabile e mi sentii a
mio agio. La mia preda era in casa mia, indifesa, senza la minima
possibilità di salvezza. Attraversai l'ampio salone, le tende nere
spalancate per la notte lasciavano penetrare la debole luce esterna.
Non che qualche semplice raggio di sole avrebbe potuto uccidermi, una
delle falsità più grosse che giravano da secoli, la luce solare mi
rendeva semplicemente debole.
La guidai su per le scale, nel soppalco
che fungeva da camera da letto. Gli unici mobili erano un letto a
baldacchino dai tendaggi viola logori e un comò coperto da un panno
bianco. In un angolo, celato dalle tenebre, uno scrittoio
colmo d'con numerosi fogli di carta sparsi sopra di esso e
un calamaioinchiostro, erano
l'eremo in cui mi rifugiavo sempre più spesso ultimamente.
“Aspettami qui, torno subito.” le
dissi prima di scendere al piano inferiore per chiudere la porta a
chiave e togliermi la camicia. Avevo sperimentato più volte quanto
fossero difficili da lavare le macchie di sangue.
All'improvviso udii una melodia,
l'unica cosa che riusciva a far breccia nel mio cuore di ghiaccio. Mi
fiondai di sopra in un battito di ciglia. Johanna, di fronte al comò,
aveva scansato uno dei lembi del lenzuolo che lo
ricoprivano e aveva azionato il piccolo carillon, che
riproduceva la melodia che mi ricordava i giorni felici in cui anche
io avevo amato. Appena avevo sentito dell'invenzione di questo
piccolo aggeggio, alla fine del 1700, mi ero precipitato a Ginevra
dall'orologiaio Antoine Favre, colui che l'aveva brevettato. Gliene
avevo commissionato uno per ascoltare in qualsiasi momento quella
splendida melodia, che ogni volta mi riportava alla mente lei...
Sentii scorrere sul mio viso piccole
lacrime umide e una morsa mi serrò lo stomaco, il tempo non lenisce
le ferite se sei condannato all'eternità.
La ragazza sobbalzò quando mi vide
apparire al suo fianco.
“Scusami, non volevo...” la zittii
poggiandole una mano sulle labbra e attesi finché la melodia del
carillon non fu giunta alla fine.
“Non fa niente” mi limitai a dire,
tanto fra poco sarebbe morta. Coprii di nuovo il piccolo strumento
musicale con l'angolo bianco del lenzuolo mentre Johanna continuava a
curiosare per la stanza. Cominciava a darmi sui nervi. Mi voltai con
l'intenzione di porre fine alla sua vita e nel contempo a saziare la
mia sete. La vidi di fronte lo scrittoio, intenta a leggere qualche
pagina che aveva raccolto a caso dalla pila disordinata di fogli.
“Sei uno scrittore?” mi chiese.
“Una specie...”
“È strano vedere qualcuno che usa
ancora il calamaio, non ti piacciono i computer?”
“Non molto, diciamo che rispecchia di
più la mia personalità e le mie ormai compassate abitudini.”
la ragazza si voltò sorridendo “Cosa
stai scrivendo?” la sua curiosità mi divertì.
“Una bella storia, molto
autobiografica...”
“Davvero?! Mi piacerebbe leggerla
quando l'avrai finita. Hai intenzione di farla pubblicare?”
No, non ne avevo la minima intenzione.
“Ancora non lo so, ma non credo che
farai in tempo a leggerla, procede un po' a rilento...” molto a
rilento in realtà. Johanna si avvicinò al letto e si sedette
“Peccato...” mormorò, tenendo fra le mani alcuni dei fogli colmi
di parole. “Mi faresti un riassunto? Sono troppo curiosa” quella
proposta mi lasciò interdetto. Naturalmente non dovevo neanche
perdere tempo a risponderle. Dovevo solo avvicinarmi, morderla e
saziarmi del suo sangue. Tuttavia c'era qualcosa che mi intrigava,
raccontare alla mia preda la mia storia... da pazzi! Eppure...
Mi sedetti accanto a lei, guardai
l'ora, c'era tutto il tempo...
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Capitolo 2 *** L'inizio di un racconto ***
capitolo II
Capitolo II: “L'inizio
di un racconto”
Thomas Foster nacque a Londra nella
notte tra il 20 ed il 21 ottobre 1669.
Sua madre, Kate Harrow morì nel darlo
alla luce e suo padre Julien si ritrovò da solo a dover crescere
quella creatura. Erano tempi in cui mettere al mondo un figlio era
una crudeltà.
Nella maggior parte dei casi moriva nei primi anni di
vita, oppure rimaneva orfano di madre, ed anche nella migliore delle
ipotesi sarebbe vissuto tra mille difficoltà e privazioni.
Julien aveva ventidue anni quando perse
la cosa a cui teneva di più al mondo. Kate era stato il suo primo e
unico amore. La morte della sua giovane moglie lo indusse a sfogare
il suo dolore nelle taverne dei bassifondi londinesi, luride topaie
in cui la prima cosa che si percepiva entrando era il puzzo
insostenibile degli avventori e del vomito sui pavimenti logori.
Il piccolo Thomas era lasciato alle
cure della sorella di Kate che lo allattava insieme a suo figlio.
Né ora che erano in fasce né mai, lui
e suo cugino avrebbero conosciuto il minimo segno d'affetto da parte
della donna che li nutriva. I figli dovevano campare con l'unico
scopo di contribuire, un giorno, al sostentamento economico della
famiglia.
Il primo ricordo di Thomas risale
all'età di sei anni. Aveva da poco iniziato a piovere quel
pomeriggio, il cielo era grigio come al solito su Londra e aveva da
poco salutato suo cugino Oliver, che lo aveva riaccompagnato a casa
insieme alla zia. La piccola porta di legno si era aperta cigolando
e, di fronte ai suoi occhi, suo padre con un cappio intorno al collo
dondolava appeso ad una corda da una trave del
soffitto. Lo shock gli tolse la parola per parecchio tempo. Rimase a
vivere nella casa di suo cugino per due anni, finché un giorno bussò
alla porta un frate francescano, vestito con un semplice saio marrone
e con ai piedi un vecchio paio di sandali. I genitori di Oliver lo
conoscevano, fu un sollievo per loro quando quell'uomo dichiarò
nelle sue intenzioni portare con sé Thomas in Francia, quell'uomo
era il fratello di Julien, Padre Philippe.
Thomas pianse quando capì di doversi
separare da suo cugino, l'unica persona per cui sentiva di provare
affetto. Tuttavia fu in seguito costretto ad ammettere che era stato
fortunato. Il monastero nel quale fu portato gli permise di imparare
a scrivere e a leggere, si appassionò al latino e al greco e divenne
ben presto uno studente modello. Aveva ripreso l'uso della parola
grazie alla compagnia degli altri ragazzi e alla benevolenza dei
frati, data la sua capacità nello studio e la sua attitudine
all'obbedienza tanto cara all'ordine monastico. In seminario capì
che l'unica via per vivere decentemente era prendere i voti. Scelse
di seguire quella strada e tutto filò liscio, fino al giorno in cui
tutte le sue prospettive furono mandate all'aria da un evento
imprevisto.
Era la mattina del 12 dicembre 1694. Il
nord-est della Francia era stato coperto da uno spesso strato di neve
e le strade, già difficoltose da percorrere in inverno, erano state
rese ancor più impraticabili. Eppure alle prime luci dell'alba le
porte del monastero furono percosse da colpi ripetuti ed insistenti;
Thomas era protetto dal freddo pungente solo dal saio e da una
pesante coperta di lana.
Si precipitò alle grandi porte di
legno e, aiutato da alcuni confratelli, lasciò entrare un malandato
cavallo pezzato sul quale ciondolava un uomo in apparente stato di
incoscienza.
Prima che i frati facessero in tempo a
fermare la cavalcatura, il corpo adagiato su di essa cadde di peso
tra la neve fresca. Thomas si avvicinò a quell'uomo appoggiando il
volto di esso sulle ginocchia. Aveva il viso piagato dalle
intemperie, presentava tutti i segni del congelamento ma, in un
sussulto i suoi occhi improvvisamente si riaprirono e un rantolo uscì
dalla sua bocca, debole ma scandito: “Nosferatus”.
L'uomo ancora svenuto fu trasportato su
uno dei giacigli del dormitorio, adibito ad ospitare gli occasionali
viandanti. Ci vollero tre giorni prima che fosse in grado di parlare,
al che il priore volle essere lasciato solo con lui. Intanto per il
monastero serpeggiava una sorta di muta paura, aleggiava tra i
confratelli più anziani un timore palpabile, i più giovani venivano
tenuti all'oscuro di quello che era stato lo scopo di un viaggio così
ardito da parte del malandato viaggiatore.
Thomas fu convocato all'alba del 22
Dicembre dal priore, accompagnato da suo zio Philippe.
Fu fatto sedere su di una vecchia panca
di legno, scomoda e scricchiolante. L'anziano frate con gli occhi
infossati e rossi, a causa della ben nota insonnia che lo affliggeva,
gli sedette accanto.
“Figliolo,” esordì “quel povero
ragazzo giunto fin qui a cavallo purtroppo non ha superato la notte.”
chissà perché la notizia non lo sorprendeva, era ridotto così male
che non sarebbe bastato un miracolo. “Tuttavia,” proseguì il
priore “grazie a Dio è riuscito a riferirci il motivo del suo
viaggio. Si sono dette molte cose in questi giorni, soprattutto da
parte dei nostri confratelli anziani. Vecchie storie, vecchie
leggende e paure stanno inquinando i loro cuori.”
“Ho udito qualcosa, ma nulla di
preciso. Solo vecchie superstizioni che...”
“Già già già...” mormorò
l'anziano francescano, prima che frate Philippe prendesse la parola.
“Thomas, è semplice. Il demonio è
all'opera con i suoi malvagi sortilegi per portare nell'oscurità le
anime dei più deboli. È nostro compito combatterlo con i mezzi che
ci ha fornito Nostro Signore.
La città da cui veniva quel ragazzo è
colpita da un flagello che solo il demonio può aver ordito. Io e te
partiremo domattina per aiutare quella povera gente.” il cipiglio
sul volto di Philippe era deciso. Sul suo viso fino coperto da una
rada barba bianca traspariva una forte determinazione. Non osò
replicare, avrebbe seguito suo zio anche in capo al mondo. Tuttavia
era preoccupato. Non tanto per le futili chiacchiere dei confratelli,
né per l'aria di gravità scorta sulla faccia del priore. Ciò che
lo turbava era l'espressione indelebile nella sua mente, del ragazzo,
mentre gli aveva sussurrato quell'unica parola: puro terrore.
Partirono la mattina seguente
preparandosi ad un lungo giorno di viaggio, reso ancora più duro
dalla difficoltà procurata ai cavalli dalla neve e dalla tormenta
che sembrava avvicinarsi.
I confratelli li salutarono con le
lacrime agli occhi, come se li dessero già per morti. Come avevano
previsto la cavalcata fu durissima. Alla fine della giornata le
temperature erano precipitate ed il freddo era divenuto
insopportabile, le cavalcature davano segni di cedimento. Così
appena scorsero un'abitazione sul tragitto decisero di fermarsi per
chiedere ospitalità. Furono accolti con gioia da una famiglia di
contadini, entusiasti di avere l'occasione di ospitare due uomini di
chiesa.
Si misero a tavola per la cena in un
locale angusto riscaldato da un piccolo camino. Sembrava una famiglia
felice quella là, nonostante vivessero solo dei frutti della terra
con la miseria sempre in agguato, costretti a dipendere dai capricci
del tempo per poter riuscire a sfamare i due figli.
Thomas non aveva mai vissuto una realtà
come quella, vedere una famiglia sorridere, guardare una madre
amorevole prendersi cura dei propri figli, lui che una madre non
l'aveva mai avuta, lo colse alla sprovvista. Gli tornarono in mente
gli anni precedenti all'arrivo dello zio, pensò a suo padre, a suo
cugino, chissà se la vita era stata generosa con Oliver come lo era
stata con lui.
Si ridestò da quei pensieri quando
Philippe domandò dell'uomo a cavallo che era giunto al convento. Le
gentili chiacchiere di poco prima, il calore con cui erano stati
accolti aveva lasciato il posto ad un gelido silenzio. Il padrone di
casa rispose in malo modo che non vedevano passare nessuno di lì
dall'inizio dell'ondata di freddo. Finito di cenare padre Philippe si
avvicinò a Thomas. “Mentono” gli disse “cercherò di farmi
dire cos'è accaduto quando l'uomo a cavallo è passato di qui, tu
avvicina il figlio e cerca di scoprire qualcosa.”
“Ma ha solo dieci anni, è ancora un
bambino...” obbiettò dubbioso.
“Proprio per questo sarà sincero.”
Fece come gli era stato ordinato,
avvicinò il ragazzo intento a coricarsi sul proprio
giaciglio:
“Vorrei chiederti di un uomo passato di qui qualche
giorno fa. Te ne ricordi?” il ragazzino annuì
“C'è qualcosa che ti ricordi di
lui?”
“Stava male, era spaventato... e
aveva freddo.”
“Davvero? Ha parlato con i tuoi
genitori?” il ragazzino annuì di nuovo.
“Voleva dormire qui ma papà gli ha
detto che non poteva restare... l'ha fatto dormire nel fienile.”
“Davvero? E perché?”
“Papà era arrabbiato perché lui ha
parlato con me.”
“Ricordi cosa ti ha detto?”
Il ragazzino abbassò gli occhi e si
morse il labbro inferiore. Evidentemente gli era stato detto di non
parlarne. Thomas provò a persuaderlo ma gli riuscì difficile. Aveva
passato metà della sua vita in un monastero e relazionarsi con
qualcun altro gli risultava estremamente difficoltoso, forse proprio
per questo motivo Philippe lo aveva mandato a carpire notizie dal
bambino.
“Io sono un frate. Puoi dirmelo, è
importante...”
“Lui... ” era titubante. Thomas
aspettò in silenzio “lui ha detto che ci sono i servi del diavolo
al suo villaggio. Ha detto che il pastore è d'accordo col lupo e che
il suo nascondiglio è nel luogo in cui riposa il fiore d'inverno.
Poi è arrivato papà...”
Il frate accarezzò la testa del
bambino “Ora dormi, quell'uomo stava male, non sapeva quello che
diceva.” cercò di rassicurarlo e poi sia rialzò per riferire a
suo zio.
Lo trovò seduto al tavolo che si stava
congedando dai due padroni di casa, entrambi visibilmente scossi.
“Andiamo a coricarci.”
“Il ragazzino...”
“Non ora, domattina mi dirai tutto
quanto. È tardi, andiamo a dormire.”
Si sdraiarono a terra sopra due coperte
e, in breve, il sonno sopraggiunse.
All'alba erano già a cavallo. Avevano
dato una breve benedizione alla famiglia che li aveva ospitati per la
notte e si erano avventurati lungo il percorso che li avrebbe portati
a destinazione entro sera. Fu Philippe a interrompere il silenzio,
cadenzato solo dall'affondare degli zoccoli dei cavalli fra la neve.
“Dimmi Thomas, cosa ha detto il
ragazzo?”
“Era spaventato. L'uomo a cavallo
delirava, gli ha detto che nel villaggio ci sono i servi del diavolo,
che il pastore è d'accordo con il lupo e che il suo nascondiglio è
nel luogo in cui riposa il fiore d'inverno. Non riesco a capire cosa
significhi.”
“Già, è strano... le sue ultime
parole prima di morire sono state altrettanto enigmatiche. Quando il
priore ha parlato con lui era delirante, ha detto di aver visto Lui,
che nessuno al villaggio gli credeva perché sono tutti sotto il
potere del maligno. Poi ha parlato di una chiave che apre un armadio
e di un cofanetto a forma di conchiglia.”
“Cosa ne pensi?”
“Penso che quando arriveremo lì
scopriremo cosa sta succedendo. Mi raccomando solo di una cosa
Thomas: stai sempre vigile e abbi fede in Dio”
Giunsero in vista del villaggio che si
sviluppava su di una piccola collina, alle ultime luci del giorno.
Scorsero da lontano il campanile di una modesta chiesa ed un vasto
raggruppamento di case in pietra, attorno ad un castello di discrete
dimensioni.
Udirono le campane suonare in
lontananza i rintocchi scanditi di un funerale. Affrettarono il passo
dei cavalli e giunsero in prossimità della chiesa. Dalle grandi
porte in legno stava uscendo una processione di uomini e donne,
incolonnati a capo chino dietro una semplice bara di legno sorretta
da quattro persone. In testa al corteo un parroco grassoccio con una
bibbia in mano, spargeva incenso davanti a sé
intonando una litania in latino.
“Dove stanno andando?” domandò
Thomas. I morti a quell'epoca venivano seppelliti in nicchie scavate
al di sotto delle chiese. Solo un secolo più tardi Napoleone capì
la necessità di seppellire i morti fuori dalle mura cittadine per
prevenire il diffondersi di malattie, ordinando la consacrazione di
appezzamenti di terreno da adibire a cimiteri.
Philippe non rispose ma spronò il
cavallo verso la direzione presa dal corteo. La bara era stata
adagiata su una tavola di legno circondata da paglia e da rami
secchi. Thomas rimase di stucco quando vide cospargerla d'olio
ed appiccarvi il fuoco. Osservò suo zio aspettandosi che
intervenisse per fermare quello scempio, ma quello non sembrava
minimamente intenzionato ad interferire. Osservava la scena
imperturbabile. Attesero che la pira si fosse spenta per avvicinare
il prete che aveva officiato alla cerimonia. Li accolse in malo modo,
sembrava tutt'altro che felice di vederli li.
“Cosa ci fanno qui due frati? Al
vostro convento erano finite le scorte di cibo? Sappiate che qui non
ne troverete, non troverete altro che morte da queste parti.”
Padre Philippe si fece avanti “Un
uomo a cavallo è giunto fino al nostro convento giorni fa, ha
chiesto il nostro aiuto per la gente di questo villaggio.”
Il grasso prete proruppe in una
fragorosa risata.
“Si è dato tanta pena per cosa? Lui
l'ha salvata la propria vita, ha messo in salvo se stesso
fregandosene della nostra cittadina e manda due fraticelli
sprovveduti in nostro aiuto. Un codardo simile dovrebbe essere
impiccato per quanto mi riguarda.”
“Colui che chiamate codardo è morto
a causa della fatica e del freddo sofferto per giungere fino a noi.”
“Stupido oltre che codardo!”
proruppe il prete prima di puntare il suo grosso indice ad un
centimetro dal viso di Philippe, “Voi... voi non potete fare nulla
per noi! La città è condannata! Ogni uomo, donna e bambino è
condannato! Il demonio in persona ha preso dimora in questo
villaggio!”
Padre Philippe osservò il suo
interlocutore con un misto d'odio e di ripugnanza.
“Ai miei occhi siete solo un vile,
che ha permesso alla paura di sgretolare la vostra fede. Estirperò
il demonio da questo luogo a costo della vita. Sarete al mio fianco?
Solo questo vi chiedo, metterete da parte il terrore che vi
attanaglia il cuore e lotterete con me per proteggere questa povera
gente?”
Il prete spalancò gli occhi e, scosso
da un tremito afferrò le spalle del frate urlando come un folle.
“Voi non sapete quello che dite!”
urlò mentre lacrime di disperazione gli rigavano il viso, “Voi non
potete capire ciò che vi attende!”
In quello stesso istante una voce
rimbombò tra le vaste navate della chiesa.
“Cosa sta succedendo?! Chi siete
voi?”
Domandò un uomo alto e snello, vestito
di abiti di foggia pregiata, andando verso di loro.
“Padre, calmatevi...” disse
sorreggendo il prete ed aiutandolo a sedersi su una delle panche in
legno.
Il naso importante e leggermente adunco
gli dava un cipiglio nobiliare ed i modi con i quali si comportava
facevano pensare ad una personalità di rilievo.
“Sono frate Philippe e lui è frate
Thomas, del convento francescano a un centinaio di chilometri a nord
di qui. Giorni fa è giunto da noi un ragazzo a cavallo che ci ha
informati dell'incresciosa situazione in cui vi trovate.”
“Sia ringraziato il cielo!” esclamò
l'uomo, “allora Sebastian è vivo! Ditemi, come sta, è ferito?”
“In realtà è morto pochi giorni fa,
non ha retto la fatica del viaggio e soprattutto il freddo che ha
dovuto patire.”
“Oh mio Dio...” mormorò l'altro,
“dovrò dirlo alla madre, povera donna... ha perso entrambi i figli
in poco meno di un mese... vi prego di seguirmi, padre Armand è
molto scosso.” uscirono dalla chiesa lasciando il prete con le mani
giunte intorno alla testa, scosso dai singhiozzi. Una volta fuori
capirono chi fosse l'uomo che in precedenza aveva interrotto il loro
dialogo. Lo attendeva un manipolo di cavalieri armati ed una carrozza
condotta da due cavalli possenti dal pelo lucido, si presento egli
stesso: “Sono Juques, conte di... bah! Lasciamo stare i titoli. Di
questi tempi il mio ruolo pesa come un macigno. Sono felice che siate
qui, la vostra presenza mi rassicura. Se Sebastian è venuto a da voi
avrà pensato che poteste aiutarci a fronteggiare questi avvenimenti
nefasti. Era un bravo ragazzo, intelligente ed avveduto, quindi vi
prego di accettare la mia ospitalità al castello come segno di
fiducia nei suoi e nei vostri confronti.”
La carrozza li condusse in breve a
destinazione. Jaques si congedò da loro affidandoli ai domestici,
che li accompagnarono alla camera destinata ad ospitarli per le notti
a venire. Era ormai tramontato il sole ed i corridoi di pietra,
illuminati solo da candelabri e fiaccole appese ai muri, conferivano
un'aria quasi spettrale al castello. Thomas osservava tutto ciò con
meraviglia e curiosità. Soprattutto la stanza in cui furono
alloggiati lo colpì per lo sfarzo e la quantità di suppellettili
che adornavano ogni angolo. Si sentiva tuttavia a disagio. Preferiva
di gran lunga l'austerità del monastero a quell'ostentazione
esagerata di ricchezza. Quando furono lasciati soli, Thomas prese
coraggio e si decise a confessare allo zio i dubbi che lo
affliggevano:
“Perché hanno bruciato il corpo
nella bara?”
“Per paura che tornasse sotto altra
forma.” rispose Philippe con voce stanca.
“Credo di non capire...”
“Thomas, siediti. Abbiamo a che fare
con creature che hanno stretto un patto col demonio, bevono il sangue
dei vivi per nutrirsi ma non tutti coloro che sono stati morsi
muoiono. Alcuni vengono trasformati nello stesso genere di creature
che li ha uccisi, per questo è bene bruciare i corpi di coloro che
vengono morsi.”
“Ma... è orribile! Che razza di
creature... ”
“Vengono chiamati in molti modi” lo
interruppe lo zio, “esistono da sempre, infestano la terra da
quando è stata creata, da queste parti sono comunemente conosciuti
col nome di vampiri.”
“Possiedono le persone?”
“No, colui che diviene un vampiro
rimane sé stesso. È solamente più spietato, scaltro e potente di
quanto non lo sia stato da vivo. Inoltre alcuni hanno anche dei
poteri magici che farebbero impallidire quelli di qualunque strega.”
“Sono...” deglutì in evidente
stato di agitazione prima di porre quella domanda, “sono
immortali?”
“Non subiscono i segni del tempo, la
loro età rimane quella in cui avviene la trasformazione e possono
vivere in eterno. Dunque si, sono immortali. Tuttavia possono morire.
Vi sono innumerevoli modi descritti dalle culture più disparate, ma
l'elemento comune è uno solo, il più importante: la fede. Solo la
tua fede può ucciderli, la tua forza contro di loro risiede nella
capacità di vedere la luce, di credere che il bene sia più forte
del male. Non può essere spiegato, ricorda solamente che la tua fede
è l'unica vera arma che hai contro di loro.”
“Da come ne parlate sembra che non
sia la prima volta che vi trovate in una situazione simile.”
“Infatti non lo è. Comunque è tardi
Thomas, tieni a mente ciò che ti ho detto. Ora preghiamo e poi
mettiamoci a dormire, ci sveglieremo all'alba.”
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Capitolo 3 *** L'angelo e il demonio ***
Capitolo III
Capitolo III “L'angelo
e il demonio”
L'aria asfittica della cantina buia
nella quale si trovava era impregnata da un pesante olezzo di morte,
misto a quello acre e metallico del sangue. Un uomo giaceva a terra a
capo chino implorandolo di fermarsi, piangeva scosso dai singhiozzi
invocando Dio e i santi.
L'odore acre e metallico del sangue...
la sua gola ardeva in preda ad una sete bruciante, la testa invasa
dall'unico pensiero di mettere fine a quell'atroce sensazione.
Quell'uomo supplicante inginocchiato
davanti a lui. L'odore della sua paura, si avventò sopra di esso con
foga e conficcò i canini nelle carni sentendo scorrere in lui nuova
linfa vitale.
Thomas si svegliò di colpo con il
cuore che batteva ritmi forsennati. Ricordava quell'odore terribile,
gli occhi di quell'uomo, la sete e la voglia indescrivibile di bere
sangue ed in fine la meravigliosa sensazione di quel liquido
scarlatto nel suo corpo. Quel sogno appariva incredibilmente vivido e
reale, ogni minimo particolare impresso indelebilmente nella sua
memoria.
Si alzò a fatica dal letto. Philippe
dormiva profondamente, così decise di accendere una candela
e fare due passi. Tanto per cercare di calmarsi.
Percorse il corridoio di pietra fino in
fondo e ritornò indietro. Si era leggermente calmato quando una
sottile striscia di luce inondò il punto in cui si trovava in
precedenza. Si accorse che era semplicemente luce lunare.
Probabilmente doveva essersi spalancata una finestra, pensò, e
facendosi coraggio raggiunse l'altra estremità del corridoio: in
effetti una delle porte era leggermente aperta. Si accostò senza far
rumore, una ragazza dai lunghissimi capelli biondi gli dava le
spalle, rivolta verso la finestra dalla quale entrava prepotentemente
la luce della luna piena.
Era completamente nuda ed una specchio
posto al lato di lei, gli permise di poter scorgere anche le morbide
forme dei seni. Rimase lì, impietrito, totalmente incapace di
muoversi. Ad un tratto la ragazza si girò e i loro occhi si
incrociarono per un istante, prima che Thomas si affrettasse a
raggiungere, emotivamente scosso, la sua stanza. La prepotenza con
cui le immagini di quel corpo nudo s'insinuavano nella sua mente era
incontrastabile, provava un'emozione mai sperimentata prima. Non
riuscì a riprendere sonno fino a che, di buon ora, padre Philippe si
destò.
Si recarono subito a cavallo al
villaggio, scortati da quattro soldati. Appena giunsero in prossimità
della chiesa udirono delle grida e dei pianti. Accorsero subito e si
resero immediatamente conto che la notte aveva portato via con se
anche una vita. I due frati si fecero largo tra la piccola folla che
si era radunata e riuscirono ad entrare nella piccola casa in legno,
di fronte alla quale si era accalcata tanta gente. Thomas frenò un
conato di vomito, quando vide il cadavere che giaceva scomposto di
fronte a loro. Era una donna dai lunghi capelli castani e stringeva
al petto un bambino, il quale aveva trovato la medesima fine della
madre, dei piccoli fori sul collo testimoniavano il morso del
vampiro. Philippe fece portare fuori i corpi e li benedisse di
fronte ai presenti, li incoraggiò a gran voce a non disperare, ad
avere fede in Dio perché quello li avrebbe salvati.
Molti di loro si inginocchiarono a
quelle parole, altri intonarono preghiere, comunque tutti sembravano
aver riacquistato in parte una dose di fiducia. Thomas non aveva
seguito suo zio all'esterno dell'abitazione, perlustrò le tre
piccole stanze; il mobilio era scarso, contrastava in modo
impressionante con la camera in cui aveva trascorso la notte, i pochi
mobili il legno erano in condizioni pessime. Non trovò nulla di
interessante, eppure... si decise ad uscire ma il destino volle che
inciampò nell'unico tappeto presente in tutta la casa. Lo sollevò e
sotto di esso scorse una piccola botola, sentiva dall'esterno suo zio
che parlava a gran voce. Non era il caso di interromperlo così
sollevò l'apertura sui cardini che cigolarono rumorosamente. Il buco
permetteva a malapena il passaggio di un uomo, vi si calò a fatica a
causa del saio che rendeva difficili i movimenti. Si lasciò andare
pregando Dio che il salto non fosse eccessivo. I suoi piedi
fortunatamente toccarono terra quasi subito, si rese conto che il
bordo della botola era a portata di braccia per favorire la risalita.
La piccola stanzetta nella quale si trovava era debolmente illuminata
da una grata, posta al livello della strada. Doveva essere una sorta
di magazzino, poiché conteneva svariati sacchi di grano e qualche
barile presumibilmente contenete birra. Ciò che lo colpì fu l'odore
terribile che aleggiava lì dentro, così forte da mozzargli il
respiro: odore di morte e di sangue. Riconobbe allora quel luogo, il
sogno della notte precedente, era proprio in quello scantinato che
aveva avvertito l'impulso irrefrenabile di mordere. Capì all'istante
cosa avrebbe visto a terra di fronte a lui. Abbassò lo sguardo ed
era lì, lo stesso uomo del sogno, il corpo senza vita rannicchiato
in quel minuscolo scantinato buio. Risalì al piano superiore,
sconvolto. Sentì uno spasmo risalirgli dallo stomaco, si accasciò a
terra e vomitò, gli occhi colmi di lacrime ed i tremiti che
scuotevano il suo corpo non gli impedirono di raggiungere Philippe ed
avvertirlo del ritrovamento.
“È vivo?” gli chiese.
“No, se lo fosse stato?”
“Avremmo dovuto ucciderlo noi.”
Thomas non si aspettava quelle parole.
Lui aveva visto tutto, lui aveva visto attraverso gli occhi del
vampiro, aveva partecipato emotivamente all'uccisione di quell'uomo,
ebbro del sangue fuoriuscito da collo della vittima. Forse il demonio
si era impossessato anche di lui?
No, c'era qualcos'altro, ma non
riusciva a capire cosa. Avrebbe voluto confidare tutto a suo zio ma
sentirlo dire quella frase lo aveva frenato. Bruciarono quei corpi
come da consuetudine in casi simili e si radunarono poi in chiesa per
pregare in memoria del defunto. Il prete non officiò alla cerimonia,
lasciò fare a frate Philippe. Si rannicchiò in un cantuccio della
chiesa a pregare sommessamente.
A mezzodì tornarono al castello per il
pranzo con il conte. Giunti a destinazione Thomas si sentì afferrare
la manica da suo zio, che lo prese a braccetto servendosi di lui come
sostegno.
“Non vi sentite bene zio?”
“Tutt'altro. Ascoltami: i corpi che
abbiamo ritrovato questa mattina erano tre, ed il vampiro ha ucciso
anche la scorsa notte. Al contrario di quanto si pensa queste
creature non hanno un bisogno così esasperato di cibo. Ciò fa
supporre che abbiamo a che fare con minimo due di questi esseri, di
cui uno è sicuramente stato trasformato da poco tempo ed ha un
bisogno maggiore di nutrimento. Mi segui?”
“Certo.”
“Non hai notato niente di strano in
quella casa?”
Thomas sobbalzò convinto che Philippe
avesse intuito qualcosa, si stava già preparando a confessargli del
sogno ed era prontissimo a subirne tutte le conseguenze.
“Ho trovato questo.” disse suo zio
porgendogli una pedina di legno intagliata, il sollievo che provò
inizialmente lasciò quasi subito il posto alla curiosità.
“È un cavallo!”
“Esatto. Una pedina degli
scacchi in una casa del popolo. Non c'è dubbio, appartiene a
colui che ha compiuto la strage e va cercato in questo castello,
nessuno del villaggio sarebbe in grado di giocare a scacchi.”
“Avete già un'idea?”
“Si, lo vedrai fra poco.”
Percorsero il dedalo di corridoi che
conduceva alla sala da pranzo e quando vi entrarono Thomas fu colto
da un capogiro. Su un lato del lungo tavolo imbandito di pietanze,
sedeva la ragazza bionda che aveva visto la notte precedente. Gli
sorrise rischiando di fargli balzare il cuore fuori dal petto. Fece
finta di nulla, faticando a mantenere la calma si sedette di fronte a
lei.
“Questi sono i due frati giunti dal
monastero.” disse il conte rivolto alla ragazza, “frate Philippe
e frate Thomas, questa è mia figlia Diana.”
Ella batté le palpebre e Thomas fu
quasi sicuro di vedere gli occhi accendersi di un azzurro intenso,
come dotato di luce propria. La gola si inaridì di colpo e lo
stomaco si serrò sotto i battiti forsennati del suo cuore. Philippe
non disse nulla durante tutto il pasto, il conte si profuse così in
un monologo interminabile sulle vicende di quella cittadina e sulla
storia dei suoi avi. Descrivendo in fine la morte incresciosa della
moglie avvenuta per partorire la figlia. Thomas aveva occhi solo per
lei, la guardava cercando di non farsi notare, la sentì
incredibilmente vicina quando seppe della sorte della madre.
Quando venne il momento di congedarsi
padre Philippe si schiarì la voce, per la prima volta da quando
erano entrati in quella stanza parlò: “Conte, mi scuso per la mia
sfacciataggine, ma ho la strana abitudine di intrattenermi con il mio
priore in una partita di scacchi dopo il pasto. Gradirebbe
assecondare le ormai trite abitudini di un vecchio frate?”
Thomas s'irrigidì, suo zio aveva
davvero intenzione di accusare il conte?!
“Mi piacerebbe molto! Ho il medesimo
vezzo, tuttavia mi rincresce dover rifiutare. Ho l'abitudine di
portarmi dietro come portafortuna il mio pezzo preferito. Devo averlo
dimenticato da qualche parte, la memoria comincia a farmi cilecca
purtroppo. Comunque vedrò di farmi fabbricare al più presto
un'altra pedina dal falegname. Ora scusatemi ma ho delle faccende da
sbrigare.”
Quando rimasero soli Thomas espresse i
propri dubbi: “Non sembrava qualcuno che avesse qualcosa da
nascondere...”
Philippe lo guardò severo.
“Non fidarti mai delle apparenze.
Sono esseri scaltri. Inoltre tutto torna: il ragazzo, Sebastian è
dovuto fuggire perché ha visto la vera natura del conte. Ricordi le
sue parole? Il pastore è d'accordo con il lupo, il conte è il
pastore che dovrebbe accudire il suo villaggio e la gente che vi
abita, invece ha venduto la propria anima al diavolo.”
Era terribile quella situazione, si
trovavano nella tana del lupo. Thomas iniziò per la prima volta a
temere seriamente per la propria vita.
“Cosa avete intenzione di fare?”
“Non posso agire da solo, soprattutto
perché il conte ha dei servi. Chiederò aiuto al parroco, ma non
prima di aver scoperto l'identità dell'altro vampiro che sottostà
al conte. O degli altri vampiri nella peggiore delle ipotesi. Ho la
sensazione che l'altra creatura si trovi nel villaggio, inizierò da
laggiù, però insieme diamo troppo nell'occhio. Tu rimani al
castello, dai un'occhiata in giro ma rimani nell'ombra e sii
prudente, non essere avventato. Tieni d'occhio la ragazza,
quell'essere non è più suo padre e potrebbe farle del male in
qualsiasi momento, o peggio, trasformarla in una di loro.”
Thomas annuì, anche se l'idea di
rimanere da solo fra quelle mura lo terrorizzava. Suo zio partì poco
dopo e lui si ritrovò solo e senza la minima idea di cosa fare.
Decise in primo luogo di cercare Diana e stare con lei per
proteggerla, in realtà non era per niente convinto di poter
proteggere nessuno tuttavia il pensiero di stare con lei lo faceva
sentire più al sicuro.
La trovò in uno dei salotti, seduta su
una poltrona verde smeraldo.
“Ciao!” lo salutò.
“Buon... buongiorno.” ripose timido
arrossendo visibilmente.
“È bello avere qualcuno qui in giro
oltre alle guardie e ai domestici. Soprattutto perché credo che
abbiamo più o meno la stessa età. Oh! Ma che maleducata, siediti.”
gli fece spazio accanto a lei. “Ero venuta qui per suonare, ti
dispiace se...”
“No, assolutamente, prego. Mi farebbe
molto... molto piacere sentirvi, sentirti.”
Diana estrasse da un astuccio un flauto
ed iniziò ad intonare le prime note. Fin da subito la melodia che
uscì da quello strumento portò Thomas in un meraviglioso stato di
estasi, era qualcosa di stupendo, di paradisiaco. Non aveva mai
sentito quella canzone eppure sapeva di appartenergli, era come se lo
trasportasse in luoghi lontani ed idillici, come se la sua mente si
lasciasse cullare dalle onde del mare, come se il vento trasportasse
la sua anima lontano...
“Incredibile...” mormorò non
appena la ragazza smise di suonare. Ella sorrise ringraziandolo.
“Era la canzone preferita di mia
madre. Mi manca, anche se non l'ho mai conosciuta.”
“So quello che vuol dire, anche mia
madre è morta nel darmi alla luce.”
“Davvero? Non ho mai conosciuto
nessuno che potesse capirmi, i sensi di colpa, la solitudine,
l'impossibilità di ricordare il suo volto... ” gli occhi le
cominciarono a riempirsi di lacrime.
“Lo so...” mormorò Thomas posando
la sua mano su quelle di lei. Diana si alzò andando verso la
finestra.
“È terribile quello che sta
succedendo al villaggio, ogni notte ho paura che toccherà a me.”
“Ti prometto che nessuno ti farà del
male.” la rassicurò Thomas sentendosi in dovere di proteggerla.
Forse provava qualcosa per lei, non avrebbe dovuto, ma non poteva
farne a meno.
“Dici sul serio?”
Lui annuì, era determinato più che
mai a porre fine a quel massacro. Avrebbe aiutato suo zio a uccidere
il conte a costo della sua stessa vita.
La ragazza si avvicinò a lui e lo
abbracciò. Il ricordo ancora vivido del suo corpo nudo lo fece
ardere dentro, non aveva mai provato quelle sensazioni, non avrebbe
mai pensato che potessero essere così forti e difficili da dominare.
Il ritorno di suo zio lo riportò con i
piedi per terra. Fecero sapere al conte che intendevano cenare con la
servitù, poiché era per loro un orario più convenzionale alle
usanze del monastero. Poi come al solito si misero a letto di buon
ora, per essere svegli alle prime luci dell'alba.
Thomas apprese che le ricerche di
Philippe non avevano portato novità, si era ritrovato a dover
rincuorare i cittadini casa per casa.
“È anche questo un ottimo modo per
combatterli.” aveva precisato, “Una fede forte è l'unica arma
contro di loro, ricordalo.”
Tenne mente di nuovo quel consiglio.
Anche se l'unico pensiero che lo accompagnò prima della notte fu
che, per nulla al mondo, una creatura angelica come Diana sarebbe
stata infettata dai servi del demonio. Lo avrebbe impedito a tutti i
costi.
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Capitolo 4 *** Il servo del vampiro ***
Capitolo IV
Capitolo IV “Il servo
del vampiro”
I suoi passi rimbombavano tra gli spazi
immensi di quel luogo, non aveva sete quella notte ma aveva un affare
da sbrigare. Spalancò una piccola porta di legno spaccandola con uno
schianto, un uomo cadde dal letto e si prostrò di fronte a lui a
mani giunte.
“Mio signore sono al vostro
servizio!”
“Taci!” la voce che uscì dalla sua
bocca era spettrale, quasi un sibilo, ma allo stesso tempo decisa ed
imperiosa.
“Mio signore vi prego non uccidetemi!
Ho fatto tutto ciò che mi avete ordinato, vi ho servito con lealtà!”
“Infatti non sono qui per ucciderti
ma per donarti la vita eterna.”
Detto ciò morse il suo servo per il
quale provava un sentimento al limite della repulsione. Lo lasciò in
fin di vita e si portò il proprio polso verso la bocca, morse con
forza provando una fitta lancinante, fatto ciò avvicinò il polso
alla bocca del suo servo il quale bevve avidamente. Si sentiva
spossato, mano a mano che il sangue defluiva da lui diventava sempre
più debole...
Thomas si destò di soprassalto,
ansimava e sudava, la testa gli doleva come se avesse ripetutamente
colpito un muro. Chi era? Che cosa stava succedendo? Il primo
pensiero corse a Diana, balzò dal letto cercando di non fare rumore
ed uscì in corridoio percorrendolo velocemente verso la stanza della
ragazza. Era chiusa, rimase fermo di fronte alla porta, incapace di
decidere se entrare o meno. Alla fine la curiosità di vedere se era
al sicuro vinse. Posò la mano sulla maniglia e l'abbassò
lentamente, aprì la porta e tirò un sospiro di sollievo quando vide
la sagoma di lei sotto le coperte del letto a baldacchino. La luce
della luna entrava come la notte precedente. Ora poteva anche
tornarsene in camera sua, invece rimase immobile sulla porta,
ipnotizzato da quel volto bellissimo. Fece qualche passo vero di lei,
il lembo delle coperte era scostato lasciando intravedere una pallida
spalla scoperta. Vi adagiò sopra la mano e scansò centimetro dopo
centimetro la stoffa che la copriva. Eccola la, meravigliosa come la
sera precedente, nuda sotto i suoi occhi. Non seppe dire quanto tempo
stette immobile a guardarla, ma ad un certo punto ella aprì gli
occhi. Lo guardò, gli prese la mano e lo guidò verso di lei.
Avvicinò le labbra alle sue e lo baciò. Thomas era ormai in
un'altra dimensione, completamente abbandonato a lei, lo accompagnò
sopra il letto e coprì entrambi trascinando il giovane frate verso
sensazioni che non avrebbe mai più dimenticato.
“È ora di andare Thomas, svegliati!”
la voce di Philippe rimbombò all'interno della stanza.
Thomas aveva fatto appena in tempo a
rientrare in camera e farsi ritrovare nel suo letto.
Si alzò a fatica avendo passato una
nottata pressoché insonne, ancora inebriato dalle emozioni della
nottata appena trascorsa.
Montarono a cavallo come la mattina
precedente e raggiunsero il villaggio, capendo che era stata mietuta
una nuova vittima.
“Strano...” mormorò Philippe.
“Cosa?”
“Il ritmo con il quale uccidono, o
sono in molti oppure il conte è davvero molto furbo.”
Smontarono da cavallo e si avvicinarono
al gruppetto di persone radunate in cerchio intorno al corpo di un
ragazzo. Una donna piangeva tenendo la testa del figlio, che non
avrebbe dovuto avere più di una quindicina d'anni, poggiata sul
grembo.
“Perché si trovava fuori di casa?”
domandò Philippe a quella povera donna, che non fece altro che
scuotere la testa e urlare che era stato portato via dal suo letto.
Il frate benedisse il corpo e poi sentenziò che andasse bruciato
come tutti gli altri. La donna cominciò ad urlare e si gettò sul
corpo del figlio impedendo a chiunque di avvicinarsi. Fu portata via
a forza da alcuni uomini del villaggio sotto gli occhi increduli di
Thomas, che non poté impedirsi di piangere. Aiutò a trasportare il
corpo e notò che la mano del ragazzo era stretta intorno a qualcosa,
evitando di farsi notare prese lo strano oggetto e lo infilò nella
bisaccia per esaminarlo più tardi insieme allo zio.
“Dov'è il prete?” domandò
Philippe.
“Non si sente bene!” gli rispose un
uomo anziano dalla fronte spaziosa e la schiena ricurva, “sono il
falegname, sono stato questa mattina a riparargli la porta e l'ho
trovato a letto.”
Philippe apparve preoccupato “Mi
serve il suo aiuto maledizione... ” mormorò sottovoce, “Thomas,
io dopo il funerale radunerò i fedeli per un pomeriggio di
preghiere, tu torna al castello e assicurati che la ragazza sia al
sicuro. La situazione è più grave del previsto.”
Mangiarono a pranzo una fetta di pane e
della carne salata insieme ad alcuni uomini del villaggio, poi venne
l'ora per Thomas di raggiungere Diana, dimenticandosi completamente
dell'oggetto ritrovato nelle mani del ragazzo.
Cavalcò fino al castello impaziente di
vederla e la trovò in biblioteca. Aveva in mano un libro
dalla copertina nera e sembrava profondamente immersa nella lettura.
“Ciao.” la salutò.
“Ho saputo di quel povero ragazzo.”
gli disse con le lacrime agli occhi.
“È terribile... lo so.”
“Ma non potete farci niente?”
“Ogni giorno siamo sempre più vicini
Diana, ma Philippe sembra preoccupato. Crede che non ce ne sia solo
una di queste creature.”
“Vuoi dire che sono in molte?”
“Non lo sappiamo, sembra di si per le
vittime che stanno mietendo. Siamo già a quattro morti da quando
siamo qui noi, quattro morti in due giorni sono molti. Da quando
hanno iniziato ad uccidere?”
“Da metà novembre ci sono state le
prime vittime, ma è dai primi giorni di dicembre che hanno iniziato
a fare strage. Mio padre dice che ad oggi si contano in tutto
quarantadue morti.”
“Diana...” Thomas le accarezzò il
viso guardandola negli occhi, “promettimi che qualunque cosa
succederà non perderai la testa.”
“Che vuoi dire?”
“Non credo che sia opportuno dirtelo
ma hai il diritto di sapere. Tuo padre è il vampiro.”
Lo guardò come se fosse pazzo, le
guance le si rigarono di lacrime.
“Tu menti...”
“No Diana ti prego ascoltami...”
“Tu menti!” urlò e alzandosi di
scatto corse via.
Il resto del pomeriggio trascorse al
rilento. La preoccupazione per Diana impediva a Thomas di
concentrarsi in qualunque attività. Quando venne la sera il conte.
Era insieme al capitano delle guardie e si stavano dirigendo verso
gli stabili che ospitavano i cavalli.
Intanto la notte scendeva veloce e in
lontananza si udivano tuoni che annunciavano una tempesta in arrivo.
Si diresse in cucina chiedendo ai domestici un tozzo di pane per
cena, nel mentre udì la voce di Philippe provenire dal cortile
esterno e si ricordò dell'oggetto contenuto nella sua bisaccia.
Guardandosi intorno per assicurarsi che non vi fossero orecchi
indiscreti raggiunse lo zio e lo chiamò in disparte.
“Ho trovato questa nelle mani del
ragazzo, scusate mi è sfuggito di mente di darvela prima.” così
dicendo gli porse la piuma blu.
“Mio Dio...” mormorò Philippe
spalancando gli occhi “sai cos'è questa?”
Thomas scosse la testa, non ne aveva
idea.
“È la prova che stavo cercando! So
chi è l'altro vampiro. Davvero non la riconosci Thomas? Pensa, chi
ha delle piume blu sul proprio copricapo?”
La soluzione brillò nella mente di
Thomas come un'illuminazione: “Il capitano delle guardie! L'ho
visto prima insieme al conte, si dirigevano verso le stalle dei
cavalli. ”
“Esatto, dovevo immaginarlo...
ascoltami, non ce la posso fare da solo. Mi serve l'aiuto del parroco
e soprattutto il tuo. Tienili d'occhio, quando io e il prete
arriveremo dovrai dirci dove si trovano, intesi?”
“Intesi. Il parroco ce la farà? Oggi
ho sentito che non stava molto bene.”
“Ce la deve fare, comunque non ha
nulla di grave ha preso solo una botta. Il destino peggiore l'ha
avuto la porta della sua camera. Quel colpo di vento l'ha spaccata,
sarà stata sicuramente marcia.”
Philippe si stava avviando verso il
cavallo.
“Ho detto a Diana di suo padre.”
confessò Thomas in un filo di voce.
“Hai fatto una mossa molto sciocca,
soprattutto per la sua incolumità. Comunque ora non è importante,
sappiamo chi sono e dobbiamo ucciderli. Concentrati su questo ora.”
detto ciò montò a cavallo e lo spronò verso il villaggio.
Thomas prese coraggio e tornò alla
finestra da cui aveva visto in precedenza il conte e il capitano.
Godeva di un'ottima visuale, li avrebbe sicuramente visti uscire.
Vide la pioggia iniziata a cadere fitta ed insistente bagnare in
pochi secondi l'intera superficie del vetro, anche così la visuale
era accettabile. I minuti passavano e non c'era traccia dei due, si
mise a rimuginare sul sogno della notte precedente, non riusciva a
ricordare i dati essenziali come il viso dell'uomo che aveva morso e
il luogo dove si trovava. Il primo fulmine giunse così improvviso
da farlo sobbalzare ed il tuono che lo seguì fece vibrare la vetrata
della finestra. Quel rumore fragoroso gli riportò alla mente un
dettaglio del suo sogno: una porta spaccata dalla sua furia. E una
frase detta da un uomo morente, il pastore è d'accordo con il lupo.
“Oh no...” seppe per certo che
doveva correre più veloce del vento. Maledisse il saio che gli
ostacolava i movimenti e si precipitò a rotta di collo fino al
cortile esterno. Vide un cavallo legato sotto il porticato e
slegandolo alla svelta vi montò sopra. Si avventurò sotto la
pioggia battente spronando la sua cavalcatura al limite delle sue
possibilità verso il villaggio.
Come aveva fatto a non pensarci prima?
Come era potuto sfuggirli un dettaglio tanto importante? Aveva
mandato suo zio verso la morte.
Giunse di fronte la chiesa ed inciampò
nella staffa cadendo bocconi nel fango. Era fradicio e completamente
sporco di terra ma non poteva fermarsi ora, ogni secondo perso
diminuiva la speranza di ritrovare Philippe ancora in vita. Spalancò
la porta della navata laterale e corse verso l'altare; si parò di
fronte a sé una scena surreale. Nella penombra dell'abside, i lampi
illuminavano a tratti la lotta serrata che stava avvenendo tra frate
Philippe ed il prete. Quest'ultimo con un ghigno diabolico faceva
valere il nuovo vigore e la velocità acquisita con la trasformazione
in vampiro, mentre il frate armato di un grosso crocefisso d'oro gli
impediva di avvicinarsi. Come riuscisse quell'oggetto a spaventare il
vampiro Thomas non riusciva a capirlo, probabilmente la fede di suo
zio gli permetteva di respingere con facilità gli attacchi di
quell'essere. La battaglia infuriava in prossimità dell'altare. Il
prete saltava con movimenti innaturali ad altezze incredibile, si
aggrappava alla sommità delle colonne per poi piombare di nuovo
dall'alto sopra il frate. Questi dal canto suo non cedeva di un
millimetro la sua posizione, tenendo alta la croce cercava lo scontro
diretto. Sembrava che il vampiro provasse in qualche modo di aggirare
il simbolo sacro per prendere Philippe alle spalle. Quella strana
danza concitata finì quando il prete scorse Thomas, un ghigno
maligno gli si dipinse sul volto e con rapidità disarmante iniziò a
correre verso di lui. Al che il frate tirò fuori da sotto il saio
una piccola e tozza bottiglia che lanciò in direzione
del vampiro. Uno schizzo di liquido trasparente raggiunse la schiena
di quell'essere che, come se fosse stato bruciato da olio bollente,
urlò e cadde in avanti. Philippe gli fu sopra in un battibaleno, ma
Thomas scorse con la coda dell'occhio un movimento alla sua destra in
prossimità della colonna più vicina.
Riuscì a vedere una sagoma coperta da
un mantello nero che si avventò su di lui e lo gettò
a terra, cadendo la sua testa impattò con violenza una panca di
legno facendogli quasi perdere i sensi.
L'ultima cosa che vide prima di svenire
fu suo zio in piedi sulla schiena del prete, con il grande crocefisso
sollevato che, calandolo con violenza sopra il nemico, gli fracassava
la spina dorsale e, in un bagliore lo riduceva in cenere.
Subito dietro le spalle di Philippe la sagoma col mantello nero,
nascosta dall'oscurità che egli stessa sembrava emanare, impugnava
una spada. Un fendente orizzontale tagliò di netto la testa del
frate facendo sgorgare un fiotto di sangue. L'unica cosa che Thomas
vide dell'assassino di suo zio oltre la spada, fu un anello con un
grosso rubino rosso sangue incastonato al centro.
Si risvegliò parecchie ore più tardi,
il temporale sembrava cessato e su di lui vegliava Diana. Vide il suo
splendido viso chino su di lui.
“Finalmente ti sei svegliato, ero
preoccupata.” Thomas tossì e la ragazza gli porse un bicchiere
d'acqua che bevve avidamente, “Frate Philippe è morto, le guardie
hanno detto che la chiesa era un lago di sangue. C'era anche il corpo
del prete, era carbonizzato.”
“Tuo padre... ” Thomas provò ad
alzarsi ma fu colpito da un capogiro e dovette sdraiarsi di nuovo.
“Mio padre non c'è, sembra sparito.
Ho paura che tu abbia ragione su di lui... nella sua camera da letto
è stato trovato un mantello nero ed una spada insanguinata.”
Le accarezzò il viso, era così bella
e così fragile.
“Ora dormi.” gli disse lei “resterò
qui vicino a te.”
Le palpebre erano diventate pesanti, si
lasciò andare al confortevole abbraccio del sonno.
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Capitolo 5 *** La cripta ***
Capitolo V
Capitolo V “La
cripta”
Era buio, lo circondavano strane pareti
di marmo, fredde e spoglie. Molti nomi e preghiere incise in
caratteri latini. Poi un corridoio e una porta che conosceva molto
bene. Un letto a baldacchino dai tendaggi rossi. Un mobile d'ebano
con dei cassetti, aprì il secondo tirandolo a sé. Un cofanetto
a forma di conchiglia, lo prese tra le mani e con un
piccolo click lo aprì. Una chiave d'oro era
appoggiata sopra un minuscolo cuscino. Era in un'altra stanza ora, la
stanza in cui Diana aveva suonato il flauto, c'era un armadio, un
armadio... un armadio...
“Thomas... Thomas svegliati...”
Aprì gli occhi destato dalla voce di
Diana.
“Hai dormito quasi tutto il giorno, è
passata l'ora del pranzo da un pezzo. Come ti senti?”
“Meglio, ho ancora male alla testa.
Devo andare al villaggio.”
“No che non devi! Devi riposare.”
“Mio zio è morto, devo celebrare il
funerale.”
“Ma... ci penserà qualcun altro...”
“Il prete è morto, sono l'unico che
può celebrare il rito.”
Meccanicamente si alzò dal letto, fu
colto da un capogiro ma resistette rimanendo in piedi.
“Non sei al sicuro qui. Verrai con me
oggi.”
“Io... non so se...”
“Diana, non intendo discuterne.”
aveva preso coraggio e soprattutto sapeva per la prima volta nella
sua vita ciò che andava fatto, “Oggi celebreremo i funerali di mio
zio, domani metterò fine una volta per tutte a questa storia.” si
fece procurare degli abiti, il suo saio era lurido.
Si fecero scortare da un manipolo di
guardie a cavallo alle quali Thomas consegnò un crocifisso a testa
benedicendoli uno ad uno. Giunto al villaggio radunò li popolo e fu
aiutato nei preparativi per il funerale. Aveva lasciato la ragazza
con un gruppo di donne all'interno di una casa presidiata dalle
guardie.
“Dov'è Diana?” chiese ad uno dei
cavalieri quando tutto fu pronto.
“Non si sente bene, ha detto che vi
attende alla fine della cerimonia.”
“Continuate a rimanere di guardia
alla casa, se dovesse succedere qualcosa non esitate a chiamarmi.”
detto ciò si avviò verso l'altare.
Diede l'ultima benedizione ai defunti e
officiò il funerale come gli era stato insegnato al monastero.
Infine parlò a quella gente provata dalle sofferenze. I volti scarni
per la paura in cui stavano vivendo da più di un mese gli
provocarono un moto di colera verso quelle maledette creature
malefiche.
“C'è un'arma. Un'unica arma con la
quale ognuno di voi può sconfiggere questi mostri. L'arma che
permise a Mosè di separare le acque del Mar Rosso e condurre il
popolo del Signore verso al libertà. L'arma che ha permesso a frate
Philippe di estirpare il demonio che si era impadronito del vostro
amato parroco: la fede. Soltanto la fede può salvarvi, pregate e
riponete tutte le vostre speranze in Dio poiché se avrete fede egli
vi salverà...”
Iniziò così la sua predica che durò
a lungo. Non era un oratore abile come suo zio ma quella sera, grazie
alla determinazione e alla sicurezza che provava riuscì a parlare ai
cuori dei fedeli. Sperò in cuor suo che bastasse veramente la fede
per tornare vivo da ciò che lo aspettava.
Fu trattenuto fino a dopo il tramonto
da un elevato numero di confessioni. Ognuno sembrava voler arrivare
alla sera con l'anima pronta al trapasso. Cercò di rassicurarli ma
le troppe vittime, le numerose famiglia spezzate, come si poteva
chiedere a quella gente di aver fede in Dio dopo che anche il loro
parroco gli aveva voltato le spalle?
La testa lo martellava con delle fitte
insopportabili. Raggiunse Diana e insieme alle guardie tornarono al
castello. Avrebbe voluto porre fine alla maledizione quella stessa
notte ma non poteva, doveva prima recuperare le forze, e comunque non
aveva la più pallida idea di dove cercare il conte. Aveva appurato
l'innocenza del cavaliere. Quello era stato un semplice errore di
valutazione, probabilmente indotto dal conte stesso ed era sicuro che
la chiave si trovasse proprio dove aveva visto nel sogno. Ma la
stanchezza e il dolore dovuto alla ferita lo vinsero. Si sedette con
Diana di fronte al camino acceso nel salone centrale del castello,
decisero di dormire insieme sul divano uno a fianco all'altra. Fecero
di nuovo l'amore, con passione, Thomas faticava a credere che fosse
possibile provare determinate sensazioni. Avrebbe voluto vivere così
per sempre. Amava Kate, non poteva più negarlo nemmeno a sé stesso.
“Come si chiamava tua madre?” le
chiese la ragazza destandolo dal dormiveglia.
“Si chiamava Kate. La tua?”
“Rose, aveva i capelli biondi come i
miei e gli occhi grandi. Dicono tutti che era bellissima.”
Si addormentarono accompagnati dallo
scoppiettio del fuoco e dall'ululare del vento.
Fu una notte senza sogni per Thomas, la
mattina seguente si svegliò rigenerato. La testa non gli doleva più
e si sentiva pronto ad affrontare qualsiasi cosa gli si fosse parata
davanti. Indossò di nuovo il suo saio, che era stato lavato dai
domestici il giorno precedente. Gli dissero che aveva delle visite
dal villaggio, chiese a Diana di aspettarlo in biblioteca e si
affrettò verso il cortile antistante al maniero. Lo attendeva una
delegazione del popolo, si fece loro portavoce il gobbo falegname:
“Frate, ho pensato che aveste bisogno
di tutto l'aiuto possibile. Purtroppo non sono più un giovincello ma
ho fabbricato per voi questo.” gli porse un paletto di legno, da
un'estremità era stata intagliata una croce e dall'altra era
talmente appuntito da poter trapassare un uomo con facilità.”
“Cos'è?” domandò Thomas
constatando la leggerezza e la facilità di maneggiare tale oggetto.
“È frassino. Le leggende dicono che
conficcandolo nel cuore dei non morti li riduca in cenere.”
“Anch'io vi ho portato qualcosa.”
si fece avanti una donna che riconobbe come la madre del bambino
ucciso due giorni prima “È una spezia potente contro
queste creature, un misto di aglio ed erbe.” Thomas prese il
piccolo sacchetto e ringraziò, anche se abbastanza scettico
sull'efficacia di quel rimedio.
“Io ho pensato che questo potrebbe
esservi utile.” anche il fabbro aveva collaborato forgiando un
coltellino d'argento.
“Vi ringrazio di cuore per...”
Il falegname lo interruppe “Non
dovete ringraziarci, fate solo in modo che questa maledizione lasci
il nostro villaggio per sempre.”
“Ce la farò, ve lo prometto.”
Quella dimostrazione di fiducia lo
convinse ancora di più che era tempo di andare fino in fondo.
Si diresse immediatamente in camera di
Diana. Lei era in biblioteca e non voleva disturbarla, non sapeva
ancora cosa avrebbe trovato nella sua ricerca e sperava di non
doverla coinvolgere. Come nel sogno il mobile era la, col suo legno
d'ebano scuro. Aprì il secondo cassetto e trovò il cofanetto a
forma di conchiglia, lo aprì con quel click chiaro e distinto
del sogno e prese la chiave rimettendo la piccola scatola al suo
posto.
Trovò in breve tempo la stanza nella
quale aveva udito Diana suonare quella splendida melodia e vide
l'armadio. Introdusse la chiave nella toppa, questa girò facendo
scattare i cardini.
Le ante si spalancarono meccanicamente,
lasciando fuoriuscire il tipico odore dei luoghi remoti che rimangono
chiusi a lungo. Accese una candela ed entrò, in quella che sembrava
una stanza molto grande, cercò a tentoni una qualche finestra ma non
la trovò. Si accorse però di un canale metallico con una fessura
che correva come una cornice lungo tutte le pareti.
Tastò quello strano congegno e portandosi le mani verso il naso capì
che si trattava di olio, avvicinò la fiamma della candela alla
fessura che si apriva tra le lastre metalliche. La fiamma arse lungo
tutto il perimetro della sala, illuminando a giorno quello che
sembrava un magazzino pieno di cianfrusaglie: vecchi ritratti
di una ragazza bionda che somigliava incredibilmente a Diana,
ceramiche di ogni tipo, porcellane,
maschere esotiche, una strabiliante collezione
di bambole, oggetti dei più rari e meravigliosi che
Thomas avesse mai visto. Ma la cosa che attirò tutta la sua
attenzione fu un fiore sotto vetro, una rosa rossa,
resa secca dal tempo, aveva assunto un colore così scuro da sembrare
irreale.
“Thomas!” esclamò una voce
proveniente dal salotto adiacente. Si voltò vedendo Diana che lo
osservava sulla porta, era furente.
“Non avevi il diritto di entrare
qui!”
“Diana, perdonami credevo di poter
trovare degli indizi...”
“Indizi su cosa?! Questa è la stanza
di mia madre, non troverai nulla qui dentro.”
Uscii a testa china, gli occhi le
brillavano di lacrime. Al contrario di quanto mi aspettassi mi buttò
le braccia al collo.
“Scusami, so che tu puoi capirmi.
Questa stanza è l'unico ricordo tangibile che ho di lei... ”
Certo che la capiva, comprendeva a
pieno il suo dolore. Soprattutto ora che aveva perso anche suo padre.
Era rimasta sola proprio come lui.
L'accompagnò a sedere e, vedendola
scossa le chiese di suonargli ancora quella meravigliosa melodia.
Stavolta non prese il flauto, ma prese un altro astuccio, più grande
e largo questa volta.
Ne estrasse un violino e iniziò a
suonare. Le sensazioni furono le stesse della prima volta, così
belle, così paradisiache. Quando Diana finì e fece per riporre lo
strumento, Thomas scorse un foglietto ripiegato all'interno della
custodia.
“Cos'è?” chiese.
“È lo spartito della canzone, l'ha
scritto mia madre. Non lo uso più, ormai la conosco a memoria.” lo
porse a Thomas che lesse ad alta voce il titolo.
“Rosa d'inverno.”
“Già... è un gioco di parole.”
spiegò Diana “Mia madre era inglese, si chiamava Rose Winter.”
Un'idea lo raggiunse come una
folgorazione.
“Winter Rose! Rosa d'inverno! Ma è
chiaro!”
La ragazza lo guardò senza capire.
“Sebastian, il ragazzo che ha
raggiunto il nostro monastero per avvisarci della tragedia ha detto
queste parole: la tana del lupo è dove riposa il fiore d'inverno.
Dove è sepolta tua madre?”
“Nella cripta di famiglia, a circa
due chilometri da qui.”
“È lì che si nasconde tuo padre.
Diana, devo andare... ” uscì in fretta dalla stanza, doveva agire
prima del tramonto del sole. La notte quelle creature diventavano più
forti mentre di giorno erano vulnerabili. Cercò il capitano delle
guardie, ma fu avvisato dai domestici che era scoppiato un incendio
al villaggio e le guardie erano accorse ad aiutare a domare il fuoco.
La certezza che quell'evento non fosse casuale non lo trattenne
comunque dal suo intento. Fece sellare un cavallo e stava per partire
al galoppo quando vide Diana venire verso di lui.
“Vengo con te.”
“No, è fuori discussione! Non
metterai a rischio la tua vita per... ”
“Per mio padre?! Si invece, è
l'unica persona della mia famiglia che mi è rimasta e voglio vederlo
con i miei occhi se è davvero lui che ha portato questa maledizione
al villaggio! Thomas... tu avresti fatto la stessa cosa...”
Non poteva fermarla, era vero, lui
avrebbe fatto la stessa cosa.
Cavalcarono sotto il cielo grigio
finché non raggiunsero una collinetta sulla quale svettava un
monumento marmoreo, aveva la forma rotonda di un tempio greco.
Legarono i cavalli ed entrarono.
Non vi era nessuna apertura nella
pietra. Thomas iniziò a tastare ogni centimetro della struttura ma
Diana lo precedette. Si avvicinò ad una fessura, dalla quale
sgorgavano rivoli d'acqua come da una fontanella e fece scattare un
meccanismo. Una delle colonne girò su se stessa, scoprendo una
scalinata a chiocciola che scendeva verso il basso.
Thomas iniziò a scendere le scale,
tese la mano a Diana che lo seguiva passo passo. Il buio e l'odore di
umido si facevano sempre più persistenti. Sentì il terreno sotto di
lui farsi più morbido. Avevano percorso la scala fino in fondo ed
urtò un oggetto. Si abbassò tastando qualcosa che riconobbe essere
una lanterna, riuscì ad accenderla facendo luce di
fronte a loro. Proseguì tenendo alta la lanterna con la mano destra
e la mano di Diana con la sinistra.
“Dov'è sepolta Rose?”
“Dobbiamo andare fino in fondo, ci
sono delle scale che scendono verso il basso. Laggiù c'è una grande
stanza, dove mio padre ha fatto costruire una statua che ci raffigura
tutti e tre insieme.”
Proseguirono fino alle scale, quel
luogo era immenso. Videro una luce provenire dal locale sottostante.
“Resta qui.” disse Thomas sottovoce
porgendole la lanterna “Se dovesse accadere il peggio urlerò il
mio nome, a quel segnale fuggi più veloce che puoi.”
“Se tu morirai saremmo tutti perduti.
Compresa io... buona fortuna.” gli disse prima di baciarlo.
Thomas prese coraggio e cercò di
ricordare ciò che gli aveva detto suo zio: abbi fede in Dio.
Poggiò il piede sul primo scalino
cercando di non far rumore, passo dopo passo giunse all'interno della
stanza. Era illuminata da alcune fiaccole appese al muro. Vide subito
la statua di cui parlava Diana; una scultura in marmo della sua
famiglia, tutti insieme come non lo erano mai stati.
In fondo, all'interno di una bara senza
coperchio distinse una sagoma coperta da un velo nero.
Afferrò il picchetto di frassino tenendo la croce ben visibile di
fronte a sé e parlo con voce imperiosa:
“Alzati creatura del demonio! Sono
qui per ucciderti!”
Nessuna reazione si ebbe dal corpo
all'interno della bara.
“Conte Jaques so che siete voi il
vampiro! Alzatevi e venite ad affrontarmi!”
Nulla si mosse. Il coraggio con cui era
entrato iniziava a dissiparsi. Si costrinse ad avvicinarsi alla bara,
la mano gli doleva per la forza con cui stringeva la croce in
frassino. Giunse sopra il corpo e scansò il velo: balzò indietro
quando vide gli occhi vitrei del conte sotto di lui, il corpo era là,
ma dava la sensazione di essere morto da un pezzo. Lo esaminò e
concluse attraverso la sue conoscenze mediche che doveva essere
deceduto non più di un giorno prima. Rimase sconcertato nel
constatare che presentava sul collo i segni del morso di un vampiro.
“Così mio padre non è il
vampiro...” si voltò di scatto. Diana era la, dietro di lui.
Abbassò la testa sconsolato.
“Non so più cosa pensare... Diana se
il conte non è il vampiro allora...”
“Thomas, mio padre è morto...
Abbracciami ti prego.”
Si avvicinò a lei stringendola a sé.
“Brancolo nel buio Diana. Philippe si
era sbagliato ed io non ho la minima idea di cosa...”
“Non ci pensare ora Thomas. Siamo tu
ed io, solo tu ed io.... Rilassati, sei stanco, molto stanco...”
I suoi occhi si appesantirono e le
membra sembrarono intorpidirsi, stava per addormentarsi fra le
braccia di Diana. Sentì i baci della ragazza sul suo collo, morbidi
e caldi, soprattutto caldi, umidi. Avvertì lontano come se
provenisse da qualche altro luogo l'odore del sangue, acre e
metallico.
Tutto d'un tratto, improvvisa e
lancinante una fitta si propagò da suo collo al resto del corpo.
Gli sembrò di ardere. L'odore di
sangue ora è più forte, più vicino, troppo vicino. Il caldo umido
sul suo collo non erano baci, era il suo sangue che colava in rivoli
rossi fino alle spalle.
Trasse un respiro profondo e spinse il
crocefisso che teneva ancora in mano verso di lei. Il solo contatto
con il corpo provocò un urlo di dolore alla ragazza che si ritrasse
e con un colpo buttò a terra il picchetto. Thomas cadde, debole e
indifeso, quasi incapace di muoversi.
“Io ti amo...” fu capace di dire
prima che Diana piombasse su di lui serrandogli di nuovo la mascella
sul collo. Si stava lasciando andare, stava consegnandosi
completamente in mano a lei. Voleva morire, non aveva più nessun
senso vivere sapendo che la prima e unica persona che aveva amato lo
aveva ingannato per tutto il tempo. Poi pensò al villaggio, a quella
povera gente che avrebbe continuato a morire ogni notte finché Diana
non avesse sterminato tutti quanti.
Sentì la forma de coltellino
regalatogli dal fabbro sotto il suo saio, lo afferrò e in un attimo
di lucidità lo conficcò nel fianco della vampira. Quella si alzò
emettendo un suono demoniaco, estrasse il coltello dalle carni e lo
gettò lontano. Sarebbe stata di nuovo sopra di lui se Thomas non
avesse preso il sacchetto contenente le spezie e non gliele avesse
lanciate contro. Fu incredibile l'effetto che ebbero su di lei, si
gettò a terra contorcendosi e gridando. I punti in cui la strana
sostanza era venuta a contatto con la pelle erano ustionati. Thomas
non si fermò a riflettere, ormai agiva meccanicamente. Si trascinò
verso il picchetto, con uno sforzò immane di rialzò in piedi, si
gettò sopra Diana e conficcò il paletto dritto nel cuore della
ragazza. Un ultimo urlo assordante riempì la stanza prima che il
corpo iniziasse a carbonizzarsi.
Thomas, incapace di credere a ciò che
era appena successo, incapace di accettarlo si sdraiò sulla schiena
ed aspettò la morte che sarebbe sopraggiunta a breve.
Sentiva freddo, ma non un freddo
convenzionale, un freddo diverso, un freddo più interiore che
esterno. La vita stava scivolando via lentamente dal suo corpo.
E se non ci fosse nient'altro? E se
tutto finisse qui? Ebbe paura.
Udì dei passi sulla scale, ma forse
era solo un allucinazione uditiva. No, erano reali quei passi, si
stavano avvicinando. Chiuse gli occhi, ormai la cosa non lo
riguardava più. Sentì una mano sulla sua nuca sorreggerli la testa
ed una voce che delicatamente lo chiamava.
Aprì gli occhi con un ultimo sforzo,
mise a fuoco una mano di fronte a lui, la stessa mano che aveva
brandito la spada dando la morte a Philippe. Riconobbe l'anello con
il rubino. Sorrise, quindi uccidere Diana era stato inutile, c'era un
altro vampiro in libertà.
“Thomas, guardami. Non mi riconosci?
È passato molto tempo...”
Cercò di vedere bene quel volto, gli
era familiare. La sua memoria si sforzò di ricordare.
“Oliver...” mormorò infine.
“Si cugino mio, sono io... sono qui
per salvarti, per darti il dono oscuro.”
“No... io non voglio...”
“Thomas, cugino mio... stai morendo,
vedi qualche luce lontana? Vedi qualche sentiero verso il quale la
tua anima dovrebbe incamminarsi? Credo di no...”
“La mia... la mia fede ha
sconfitto...”
Oliver rise: “La tua fede? Thomas, la
tua fede non c'è mai stata. Hai ucciso Diana di giorno mentre era
molto più vulnerabile. Inoltre se quegli oggetti hanno avuto effetto
non è sicuramente merito tuo... ma di chi te li ha donati.”
“Cosa vuoi da me?”
“Voglio che ti riunisca a me dopo
tutti questi anni. Siamo rimasti solo noi Thomas, anche i miei
genitori sono morti.”
“Tu hai ucciso Philippe...”
“Se non lo avessi fatto lui avrebbe
ucciso me...”
Thomas lo guardò sorridendo e provò
pena per lui.
“È stato bello rivederti Oliver.
Addio...” detto ciò la morte lo colse nella notte tra 12 ed il 13
dicembre 1694.
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Capitolo 6 *** Rivelazioni ***
Capitolo VI
Capitolo VI
“Rivelazioni”
Vidi Johanna commuoversi alla fine di
quella storia.
“È triste...” commentò “ma
bella.”
“Grazie...”
Era stato strano raccontare quella
storia a lei, tuttavia la sete impellente poneva le riflessioni in
secondo piano. La osservai alzarsi dal letto ed andare verso il comò
coperto dal lenzuolo. Scoprì il carillon facendo nuovamente girare
gli ingranaggi e riempiendo la stanza di quella melodia. Dopodiché
con uno strattone più forte scoprì completamente il mobile, si vide
riflessa nello specchio antico poggiato sopra il mobile
d'ebano. Gettai le mie braccia intorno a lei, mi baciò ma poi,
voltandosi si sorprese vedendo solo se stessa nel riflesso. Sentii il
suo cuore accelerare, il suo respiro farsi più forte.
“Johanna...” le sussurrai
all'orecchio, “mi ricordi Diana...” la morsi assaporando ogni
singola goccia di quel sangue scorrere dentro di me, sentii la vita
abbandonare il suo corpo lentamente, mano a mano che ne bevevo il
sangue. Avrei potuto fermarmi, ero ancora in tempo per lasciarla in
vita, ma non lo feci: la sete era troppo forte ed il suo sangue
troppo buono.
Adagiai il suo corpo sopra il letto e
mi ci distesi accanto.
La mia storia consegnata alla muta
testimonianza di Johanna... eccetto la mia morte.
Non avevo visto la luce quella notte,
nessun sentiero da seguire, solo la ferrea morsa del freddo che
portava via la vita dalle mie membra. Oliver mi offrì la via di
scampo più facile, l'unica via d'uscita per eludere la morte.
Accettai il dono oscuro.
Mi svegliai la mattina successiva la
mia morte in camera di Diana e in fondo al letto vidi Oliver, con il
solito mantello nero legato intorno al collo.
“Perché?” fu la prima domanda che
decisi di porgli.
“Thomas, sono felice che ti senta
bene! Mi chiedi perché? Perché sapevo che eri qui, sapevo fin
dall'inizio che ti trovavi nel monastero a pochi chilometri dalla
città. Volevo riunirti a me, ecco perché.”
“Non credo di capire...”
“Sono arrivato qui a novembre, avevo
sete e mi sono dissetato col sangue della gente di questo villaggio.
Poi ho visto Diana e ho pensato che avrebbe potuto essere un'ottima
esca per te, come vedi non mi sono sbagliato. Ho indotto attraverso i
miei poteri il povero Sebastian a correre al monastero, conoscevo i
trascorsi di Philippe ed ero sicuro che ti avrebbe portato con lui.
Certo, c'era una piccola probabilità che potessi sbagliarmi ma non
sarebbe stato poi così grave, non ho limiti di tempo per i miei
obiettivi. Ho a disposizione un'eternità.”
“Ma perché coinvolgere il prete?”
“La fede è l'unica arma che ci
sconfigge, che sia cristiana, pagana o musulmana è indifferente.
Il prete era un debole, un uomo pieno
di vizi e povero di fede. È stato semplice tirarlo dalla mia parte.
Si sa, quando il gregge perde il proprio pastore rimane in balia del
lupo. Ad ogni modo, quando siete arrivati sapevo che tuo zio mi
avrebbe dato del filo da torcere, anche se a dir la verità mi ha un
po' deluso. La prima notte ti ho fatto vedere attraverso i miei occhi
l'uccisione di quell'uomo. È questo il mio potere, il regno
dell'inconscio, la dimensione onirica della realtà umana!”
proruppe in una fragorosa risata dopo quell'affermazione, ricordare
tutt'ora il suo modo teatrale di celebrare le vittorie mi irrita in
maniera indicibile, “Volevo farti sentire la sete insopportabile,
la meravigliosa sensazione del sangue! C'era anche Diana con me
quella notte, poi, appena tornata al castello ti ha folgorato
semplicemente col suo corpo. Ho cercato di sviare Philippe con la
pedina degli scacchi, non pensavo che ci cascasse... e anche la mossa
della piuma non è stata male. Diana ha recitato in modo divino, è
per questo che non sono intervenuto nella vostra contesa all'ultimo
sangue, anche lei sarebbe stata una compagna formidabile, forse un
po' pericolosa ma... meglio così! Il mio fedele servo era destinato
alla sconfitta, il prete non aveva la minima possibilità contro tuo
zio, mi è servito solo come esca.”
“Perché la spada? Perché non l'hai
morso come tutti gli altri?”
“Avrei rischiato di essere incenerito
dal suo stesso sangue. E poi... il resto lo sai già... Non avverti
una sensazione strana Thomas?”
“Si... Ho sete!”
Quel giorno fra me e me, col pensiero
rivolto a Diana giurai di ucciderlo. Giurai che avrei impegnato ogni
singolo giorno di quella nuova vita, per scoprire a pieno i miei
nuovi poteri e li avrei utilizzati tutti per distruggerlo. Ma questa
è un'altra storia ed io ho di nuovo bisogno di sangue...
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