Il canto della Sirena di NevanMcRevolver (/viewuser.php?uid=90088)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi chiamo Sorrento Seebacher ***
Capitolo 2: *** Atlantide ***
Capitolo 3: *** Il risveglio del Kaioh ***
Capitolo 4: *** Nuovo arrivato ***
Capitolo 5: *** Isaac ***
Capitolo 6: *** Risveglio ***
Capitolo 7: *** Rivalsa ***
Capitolo 1 *** Mi chiamo Sorrento Seebacher ***
Capitolo
1
Mi
chiamo Sorrento Seebacher
Mi
chiamo Sorrento Seebacher.
Sareste
così gentili da voler
ascoltare la mia storia?
Tranquilli,
non vi spaventate!
Non è poi così lunga.
A
modo suo, nonostante i vari
risvolti, è una storia che è andata a lieto fine.
Anzi,
perché fine?
Che
il Sommo Poseidone, signore
dei mari, non si risvegli più? Non voglio crederci, e nutro
la speranza che,
prima o poi io possa tornare ad allietare le sue giornate con il mio
flauto.
Sono
nato il 10 settembre in
Austria.
Di
mio padre non so molto, ad
essere onesti: ricordo che aveva un negozio di strumenti musicali.
Molto
probabilmente proprio per
questo mi innamorai sin da subito della musica.
Ricordo
che mio padre mi regalò,
da piccolo, un violino per il mio decimo compleanno.
Questo
è l’ultima memoria che ho
di mio padre: dopo sei mesi morì.
Andò
a Vienna per partecipare ad
una mostra di strumenti musicali. Il Fato volle, però, che
il ponte che egli
stava attraversando con il suo carro cedesse, e che precipitasse dentro.
Più
semplicemente, annegò.
Chi
avrebbe mai pensato che la
mia vita sarebbe stata stravolta sin dall’infanzia
dall’acqua, alla quale sarei
rimasto legato per anni e anni al cospetto del grande Poseidone?
Il
fato a volte è ironico, se non
crudele.
Ricordo
che il fiume non esitò a
mangiare il corpo di mio padre, tanto da non poterlo più
riavere indietro per
offrirgli una sepoltura degna di questo nome.
La
nostra situazione economica
non era delle migliori, e mia madre dovette lavorare sodo per darmi
un’istruzione adeguata.
Abbandonai
i miei studi di
violino e decisi di studiare il flauto traverso.
In
realtà gli strumenti a fiato
non mi avevano mai appassionato più di tanto, ma quella
decisione veniva
davvero dal mio profondo. Anzi, era più come se qualcuno me
lo avesse
suggerito.
All’età
di dieci anni non sapevo
quanto sarebbe valsa quella mia decisione!
A
scuola mi dedicavo anima e
corpo negli studi, e per questo non riuscii a socializzare molto con i
miei
compagni.
Forse
era anche un po’ colpa del
mio aspetto bizzarro: non è normale trovare sulla faccia
della Terra un bambino
dai capelli viola e gli occhi color amaranto!
Si
sa: i bambini per certe cose
sono piuttosto schizzinosi, non sono in grado di accettare come alcuni
adulti
gli “scherzi” di Madre Natura.
In
ogni caso, anche se con
qualche difficoltà riuscii a stringere amicizia con due
ragazzi: Florian e
Theresa.
Erano
i miei migliori amici.
Ancora
oggi, di tanto in tanto,
mi chiedo che fine abbiano fatto.
Sono
vivi? Sono morti? Sono
Sposati? Hanno figli? Che lavoro fanno?
Ma
soprattutto…
Si
ricordano ancora di me?
Andiamo
con ordine, però!
Conobbi
Florian e Theresa il
primo giorno di scuola. Me ne stavo appoggiato alla parete in fondo
all’aula
perso nei miei pensieri, senza ricordare davvero dove mi trovassi.
Mi
lanciarono una pallina di carta.
Mi chinai e la presi in mano. Poi mi guardai intorno per capire chi me
l’avesse
lanciata.
Sulla
porta c’era un ragazzino
che odiavo dal primo momento che vidi.
L’astio
era tale che non
ricordavo mai il suo nome, e nemmeno oggi riesco a ricordarlo:
evidentemente la
sua esistenza, per me, contava davvero poco.
Sghignazzò
ed era curioso di
vedere la mia reazione.
Vedendo
che me ne restavo per i
fatti miei senza considerarlo davvero più di tanto quello
iniziò ad urlarmi
contro.
-Mostro!
Chi nasce con i capelli
viola non è normale, lo sai?-
“Non
considerarlo! Tanto prima o
poi deve stancarsi!” pensavo.
-E
forse nelle mutande non hai
niente! Sei una femminuccia!- mi urlò, ridendo e
coinvolgendo qualche altro.
Ero
letteralmente mortificato.
Tremavo,
non sapevo cosa dire,
come reagire, se reagire.
Quello
che riuscii a fare fu solo
inumidirmi gli occhi e chinare il capo per terra.
Non
volevo farmi vedere che stavo
piangendo, per cui mi girai verso il mio giubbotto fingendo di cercare
qualcosa
nelle tasche.
La
campanella, disgraziatamente,
ritardava a suonare, e io non sapevo che fare.
Non
potevo mica restare rivolto
verso l’attaccapanni tutto il tempo!
Fu
allora che mi sentii chiamare
da una manina.
-Hey,
lascialo stare…-
Era
una voce femminile a parlare.
Mi
girai che non riuscivo più a
trattenere le lacrime, e piani.
Dopo
qualche istante mi pulii il
viso con la manica della divisa.
Mi
rivolsi verso la ragazza, e
notai che dietro ci stava anche un bambino, che mi guardava,
incuriosito, senza
odio, innocente.
Abbozzai
ad un sorriso, e non
riuscii a fare nulla di più.
-Theresa
e Florian- disse,
indicando prima sé stessa e poi l’altro.
-Sorrento…-
mormorai; ero ancora
così agitato da non scandire bene le parole; i due, infatti,
si sporsero in
avanti, non avendo sentito.
Mi
schiarii la voce: -Sorrento-
dissi, fiero del mio nome.
Mi
sorrisero e poi se ne andarono
ai loro posti.
Nei
giorni a seguire parlavo con
loro due sempre più spesso, e nacque fra noi un legame
davvero forte, quasi
fraterno, di cui ancora oggi ne conservo il dolce ricordo e assaporo la
triste
nostalgia.
Ogni
volta che tornavo a casa,
mia madre mi chiedeva come fosse andata la giornata a scuola; anche se
ero
piccolo, riuscivo a capire che la cosa non le interessasse davvero
molto: la
perdita di mio padre era ancora recente, e lei, in particolare,
l’avvertiva
ancora come une ferita che continua sempre a sanguinare senza mai
rimarginarsi.
In
ogni caso le rispondevo che
tutto andava bene e che stavo stringendo amicizia con Theresa e Florian.
Allora
lei mi accarezzava il viso
e mi preparava da mangiare.
Ed
io, vedendola, puntualmente,
stavo male, nonostante fossi un semplice bambino di soli dieci anni
avevo una
fortissima empatia. Alla fine, col passare del tempo, mia madre se ne
fece una
ragione, e si riprese: ritornò alla vita dopo questo stato
di pseudo-morte.
Tutto
andava per il meglio, il
lavoro di mia madre portava a casa i suoi benefici, e sotto il tetto di
casa
Seebacher non mancò mai nulla.
Un
giorno, esattamente dopo sette
mesi dalla morte di mio padre, ricordo che stavo in camera e suonavo il
flauto:
aveva appena finito la parte di solfeggio e iniziavo a dilettarmi nelle
prime
melodie.
Erano
di una facilità
sconcertante, ma per me, un novellino nell’uso del flauto,
erano davvero
impegnative.
Però
ero comunque concittadino di
molti compositori, Mozart su tutti.
“Ed
io non sarò da meno!” pensai,
mentre voltavo la pagina dello spartito, quando mia madre
entrò in stanza e mi
abbracciò forte.
Spaventato,
mi ficcai anche il
flauto nell’occhio, ma vedere mia madre ridere era uno
spettacolo che valeva la
pena di quel piccolo dolore.
-Che
succede?- le chiesi, quando
si calmò.
-E’
arrivata una lettera
dall’Italia, è di tua zia Selene! Ci ha invitati a
Venezia!-
Guardai
mia madre stupefatto.
-Venezia…-
le dissi, guardandola
come se fosse una dea e con tutto lo stupore possibile.
“La
città galleggiante!” pensai.
-Quando
ci andiamo?- le chiesi,
non appena riacquistai un filo di voce.
-Fra
una settimana!- rispose lei,
sistemandomi il vestito e esaminando l’occhio, che si era un
po’ gonfiato.
Stupidamente,
anzi, in maniera
molto puerile, pensai: “Finalmente andrò in
gondola”. Per me sarebbe stato il
massimo!
Come
stabilito, una settimana
dopo partimmo alla volta della Laguna veneta.
La
prima cosa che notai di
Venezia, non appena misi piede in terra, era l’odore.
Dopo
qualche minuto il mio corpo
si era già abituato, e non ci feci più caso,
anche perché ero troppo impegnato
a guardarmi intorno.
Salutammo
gli zii, a piedi,
facemmo un rapido giro della città.
-In
questi giorni, poi, la
visiterete con più calma!- disse zia Selene.
Passammo
davanti a Palazzo Seta,
la Basilica di San Marco, la Torre dell’Orologio.
Ero
stupefatto da tutta
quest’arte che mi circondava, anche se i miei occhi di tanto
in tanto
guizzavano verso i canali, dove i gondolieri scorrazzavano la gente di
qua e di
là, fornendo anche indicazioni e descrizioni della
città.
Gli
altri evidentemente se ne
accorsero, perché sentii dire mia madre dire: -Se non lo
porto in gondola è
capace che si ammazza!-
Fermarono
la prima barca vuota, e
il viaggio ebbe inizio.
Ricordo
che dopo aver solcato un
po’ quelli che erano i canali più importanti, zia
Selene disse di andare verso
il mare aperto, per vedere Venezia in tutta la sua interezza.
Ci
lanciammo, allora, verso il
mare aperto: fu allora che accade.
Uno
scossone fece sussultare
l’imbarcazione, tanto che, impauriti, tutti, gondoliere
compreso, ci arpionammo
letteralmente all’imbarcazione.
La
barca, allora, prese
inizialmente a girare su sé stessa, poi sempre
più velocemente.
-SONO
LE CORRENTI!- urlò il
nocchiere, cercando di riportare la gondola su acque più
calme.
I
suoi tentativi, però, furono
vani: la gondola girò sempre più velocemente,
come una trottola impazzita e poi
un colpo la prese dal basso.
La
barca venne spezzata in due di
netto, precipitando e portandoci con sé.
Non
appena il mio corpo fu
sott’acqua, non sentii più nulla.
La
vista era annebbiata, ma
scorsi le figure di mia madre e i miei zii che nonostante tutto, invece
di
risalire, andavano sempre più giù, e del
gondoliere, che perdeva sangue dalla
testa.
Non
potevo respirare, ma i miei
polmoni reclamavano ossigeno, la cui mancanza non fece altro che farmi
perdere
coscienza del mio corpo.
L’udito
era come se non mi fosse
mai appartenuto, e questo muto e umido silenzio mi spaventava.
Presi
a tremare, e a perdere
coscienza: dovevo respirare, ma non potevo.
“Muoio”
pensai.
Sentii
il mio corpo scivolare
verso il fondo.
Svenni.
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Capitolo 2 *** Atlantide ***
Capitolo
2
Atlantide
Intorno a me era un continuo
brusio, un infinito mormorare
di parole che mi rimbombava ferocemente nel cervello.
-Sembra
stia meglio!-
-Forse
non si sveglierà mai più:
resterà in coma!-
-Non
possiamo permetterlo. Il
Sommo Poseidone non ci perdonerebbe mai!-
-E
se fosse già morto…-
-Non
dirlo nemmeno per scherzo
imbecille!-
L’istinto
mi diceva di restare
fermo, non profferire parole, suoni o sospiri, ma la
curiosità ebbe la meglio,
e mi sforzai ad aprire gli occhi.
Sforzai,
esatto: me li sentivo
pesanti, come staccati dal corpo e a malapena riconducibili alla mia
volontà.
-Silenzio!-
Il
brusio cessò subito.
-Si
sta svegliando!-
Allora
sentii una voce femminile
sussurrarmi all’orecchio: -Dai, ce la farai! Ancora uno
sforzo!-
Chiamai
a raccolta tutte le mie
energie e seguii il consiglio di quella voce sconosciuta.
Lentamente
aprii gli occhi, e la
luce mi ferì in pieno.
Tutto
era estremamente luminoso:
come se fossi stato messo in una stanza piena si specchi che non
facevano altro
che riflettere la luce all’infinito.
Gemetti
dal dolore, e cercai di
capire chi fosse la donna che mi avesse parlato.
Scorsi
la figura di una ragazza
bionda: ad occhio e croce, per quel che mi sembrava, era della mia
stessa età,
pressappoco.
-C-chi
sei?- mormorai.
-Thetis-
rispose lei, sardonica,
come se fosse la cosa più ovvia del mondo. –E tu?-
-Sorrento
Seerbach- risposi.
Lei
mi fissò per qualche istante,
e poi accennò a quello che era il fantasma di un sorriso:
-E’ bene che ti sia
ripreso!-
Allora
mi alzai di botto, ed ebbi
un forte senso di nausea e vertigini, tanto che dovetti poggiarmi al
letto dove
ero steso.
Ancora
non mi ero accorto che mia
avevano adagiato su un materasso.
-Dove
è mia madre? E i miei zii?-
chiesi, con una leggera nota di disperazione in volto.
Notai
che assieme a Thetis, nella
stanza c’erano altre cinque uomini; guardai negli occhi
ognuno di loro,
aspettandomi una risposta.
-Morti-
disse quindi Thetis, con
un tono che suonava tremendamente indifferente.
-Non
ho capito- dissi con voce
stranamente ferma.
-Morti-
ripeté lei, con lo stesso
tono glaciale.
-E’
impossibile! Eravamo in
gondola a Venezia quando cademmo in mare! Se io sono vivo devono
esserlo anche
loro! E poi, chi siete? Dove mi trovo?- urlai, fermo sulla mia
infantile
logica.
Thetis,
che nel frattempo si era
girata di spalle, mi lanciò una terribile occhiataccia che
mi fece subito
ammutolire.
-Dove
ti trovi, ci stai
chiedendo. Sei nella terra di Poseidone, il Signore dei mari!-
-Dove?-
chiesi, temendo di non
aver capito.
-Benvenuto
ad Atlantide,
Sorrento!- disse lei, con un sorriso lupesco.
Un
attimo di silenzio. Dovevo
digerire il rospo.
-Tua
madre e i tuoi zii- riprese
uno dei presenti, anticipando la mia domanda –sono morti.
Annegati. Rassegnati
e abbi fiducia! Ti stiamo dicendo tutta la verità-
-Non
ci credo- dissi, risoluto e
in tono pacato.
Presi
a girarmi per la stanza e
urlai in continuazione “Mamma, dove sei?”. Ero
sempre più preoccupato.
E
poi cos’era questa storia?
Poseidone,
Atlantide, per me
erano solo leggende, storie per intrattenimento. Nient’altro.
-Non
ci crederà mai!- disse
Thetis –Portategli il vestito, allora. Vuoi una prova che tua
madre è morta e
che, di conseguenza sei giunto ad Atlantide? Eccola!-
Dopo
qualche istante entrò un
uomo con il vestito che mia madre aveva indosso il giorno che andammo
in
gondola a Venezia.
Era
bagnato e macchiato di
sangue.
La
prova lampante che ero
diventato completamente orfano.
“Sei
solo, ormai, Sorrento!”
pensai.
Mi
aggrappai al vestito di mia
madre e scoppiai in un lungo e lamentoso pianto.
Thetis,
allora, mi si avvicinò e
mi disse: -Mi dispiace, ma era l’unico modo per ottenere la
tua fiducia!-
Volevo
semplicemente stare da
solo, e iniziai a provare un odio profondo per quella ragazza: non
aveva fatto
niente, era palese che era sincera. Ma non potevo fare a meno di
detestarla.
Non
risposi e iniziai subito a
tremare, e altre lacrime sgorgarono fuori, cadendo sul vestito umido.
Ero
solo, abbandonato a me
stesso, in un luogo (o mondo?) sconosciuto, in mezzo a gente
sconosciuta, in un
letto a me estraneo, con il vestito di mia madre fra braccia.
La
stanchezza, maligna, si fece
sentire più tardi e, dopo aver versato le ultime lacrime,
lanciato un ultimo
urlo straziato con voce rotta e rauca, mi addormentai.
Dopo
qualche ora mi sentii abbastanza
in forze per avere il coraggio di alzarmi e muovere qualche passo,
lasciai la
veste di mia madre, sul letto, e andai ad aprire la porta.
Non
appena varcai la soglia verso
il mondo esterno, furono due le cose a stupirmi: il fatto che quattro
uomini armati
mi si erano inchinati davanti; poi il paesaggio.
L’odore
della salsedine era
fortissimo; alzai lo sguardo verso l’alto, con
l’istinto di voler vedere il
sole, ma lo spettacolo che mi si parò dinnanzi è
difficile da descrivere:
bisogna viverlo per capirlo.
Al
posto del cielo, sconfinata,
si stendeva l’acqua.
Il
mare regnava sovrano: si
stendeva a perdita d’occhio e con il suo movimento anche i
luccichii del sole
si muovevano.
Vedevo
il moto delle onde, e
allora mi chiesi come facessi a respirare sott’acqua, ma su
questo non mi
soffermai più di tanto, accettai la cosa e amen.
Vidi
che a fianco alle stanze
dove avevo riposato c’era uno strapiombo: mi avvicinai e
cercai di scrutarne il
fondo, ma invano: il buio lì regnava sovrano.
Se
non avessi visto tutto con i
miei occhi non avrei mai creduto alle parole di Thetis: diceva, dunque,
la
verità.
La
vidi, quindi, arrivare da
lontano.
-Salve,
Sorrento! Avanti, ho il
compito di mostrarti il regno del nostro Signore- disse.
Mi
avvicinai alla ragazza e la
seguii per le vie ampie che solcavano quei misteriosi fondali marini.
Qua
e la scorgevo delle piccole
abitazioni e, in lontananza, delle strutture altissime.
-Sono
colonne quelle laggiù?- le
chiesi.
-Sì-
rispose Thetis –quelle sono
delle colonne, e non pilastri qualsiasi! Sorreggono le volte dei sette
mari,
degli oceani di cui Kaioh Poseidon è sovrano!-
La
guardai stralunato: per me
quella situazione era assurda, per quanto vera.
-Le
acque del mondo sono dominio
del Sommo Poseidone, e sono divise in sette regioni: l’Oceano
Artico, l’Oceano
Antartico, il Pacifico Settentrionale, il Pacifico Meridionale,
l’Atlantico
Settentrionale, l’Atlantico Meridionale e, infine,
l’Oceano Indiano. Ogni
colonna sorregge una di queste regioni, e la loro integrità
è di vitale importanza
per l’esistenza di Atlantide. Mi segui?- disse Thetis.
-Sì,
ma tu come sai tutte queste
cose? O non sei umana?-
-Spiacente,
ma lo sono anche io.
Sono di origini danesi, e sono scesa qui in Atlantide dopo il
prodigioso
“risveglio”!-
-Risveglio?-
chiesi, ancora più
confuso.
-Tempo
al tempo- chiuse il
discorso, lei.
Camminammo
a lungo e Thetis
rispondeva alle mie domande con fare meccanico.
Giungemmo,
poi, davanti al
palazzo più bello che vidi in tutti i miei dieci, quasi
undici, anni di vita.
Dinnanzi
a noi si ergeva un
tempio, svettante su un ampia piazza.
C’erano
numerose colonne e dietro
il santuario si estendeva una struttura sia in larghezza che in
lunghezza.
Dietro di ciò, lo spettacolo ancora più
stupefacente: una colonna enorme, più
grande di quelle che vidi, si ergeva verso l’alto, e non
riuscii a scorgerne la
fine.
Poco
più in basso, a destra e
sinistra, a strapiombo scendevano due cascate, creando un fragoroso e
vitale
rumore.
L’intera
struttura, piazza,
ingresso e colonna erano di una tenue tinta color sabbia, striata di
lievi
riflessi dorati.
-Questo
è il Palazzo di Kaioh
Poseidon- disse lei.
Thetis
si avviò al suo interno,
mentre io mi avviai molto lentamente, a bocca aperta, incantato da
questo
straordinario spettacolo.
-Divino…-
mormorai.
-Bene!-
disse Thetis –Vedo che
stai cominciando a capire-.
Camminammo
per lunghi corridoi
senza pareti laterali, per cui era possibile vedere il paesaggio
circostante e
le cascate ai lati dell’edificio, che, ad ogni piano,
formavano delle piscine
che poi svuotavano la propria acqua in basso.
Thetis,
allora, svoltò
improvvisamente ed andò ad aprire un grande portone, ai cui
lati c’erano due
guardie.
-Entra-
mi disse, sempre rivolta
di spalle.
Iniziavo
ad odiare questo suo
atteggiamento di sufficienza, e non avevo la più pallida
idea che dopo qualche
tempo Thetis sarebbe stata mia sottoposta.
Guardandola
con astio, entrai
nella stanza.
Era
piccola, scarsamente
illuminata e andava odore di chiuso: istintivamente arricciai il naso.
In
fondo scorsi la sagoma di un piccolo
altarino, ed anche molto basso, a dirla tutta.
Sulla sua superficie
c’erano un vaso intarsiato d’oro e
avorio. Sul coperchio era attaccato un biglietto fra coperchio e vaso
con
un’iscrizione dai caratteri a me ignoti.
-Quello è il nome di
Athena in greco antico- mi spiegò
Thetis e lì, in quel vado, è racchiuso il potere
del Sommo Poseidone,
l’Imperatore degli oceani. Un giorno lo vedrai di persona e
lo servirai
fedelmente- finì, con tono solenne.
Uscimmo, e mi venne da chiedere:
-Cosa intendi dire?-
Thetis mi fisso in viso e disse:
-Un giorno anche tu ti
risveglierai, Sorrento. Tu sarai uno dei cavalieri, dei soldati
più importanti
fra le fila del Signore dei mari. Al momento ad Atlantide siete
arrivati in
due. Oltre te è arrivato un ragazzo di nome Kanon, un greco-
-Raccontami di Kanon- le dissi.
-Non so molto di lui. So che
è stato allontanato dal
fratello, nonché suo gemello. Il primo è
cavaliere della costellazione dei
Gemelli e custode dell’omonima casa al Grande Tempio di
Atene, dove vive la dea
Athen, o il suo Gran Sacerdote. Di preciso non so cosa sia successo, ma
Saga,
suo fratello, lo rinchiuse in una grotta piena d’acqua, nella
speranza che
l’alta marea lo facesse annegare. Si salvò e il
dio Poseidone, nella sua
magnanimità gli ha concesso l’onore di entrare nel
suo esercito, diventando il
Generale degli abissi più importante. Kanon è
stato il primo a scendere in
Atlantide, e ha l’ordine di custodire il vaso con lo spirito
del Sommo. Fra
qualche tempo Kanon dovrà aprirlo, e lo spirito del Kaioh
andrà ad abitare nel
suo corpo umano, nella sua attuale reincarnazione- mi spiegò
lei.
-Quindi anche io sarò
Generale, un giorno?- chiesi.
-Per questo sei qui. Il vortice che
ti ha risucchiato è
stato generato dal potere del Dio dei mari. Era il suo modo per averti
con sé,
siccome sa che sarai uno dei sui Generali!- rispose Thetis
–Anche tu un giorno
indosserai la tua Scale, e adempirai ai tuoi doveri!-
-Scale?- le chiesi, perplesso.
-Seguimi-
Andammo, allora, in un'altra stanza
dove erano custodite
sette armature, disposte tutte su un lungo altare.
Erano completamente d’oro
e di raffinata bellezza.
Solo che le armature che vidi non
corrispondevano a quelle
che si è soliti immaginare: queste avevano forme bizzarre.
Davanti a me vedevo un drago, una
specie di cavallo,
qualcosa di simile ad un pesce, un uomo con una lancia e un aureola di
fuoco,
una salamandra, un mostro da tanti volti e un uccello con il volto da
donna, e
su un ripiano più alto, un uomo con un tridente in mano.
-Davanti a te, in ordine, vedi
Dragone del mare, Cavallo
del mare, Kraken, Crisaore, Limniade, Scilla, Sirena e, in alto, le
sacre
vestigia del Kaioh- disse, con tono reverenziale.
Erano uno spettacolo stupendo, e
pensare che una di quelle
armature sarebbe stata la mia…
Dopo qualche istante, usciti, le
chiesi se anche lei fosse
una guerriera.
-Si, ma il mio rango è
inferiore del tuo. Quando sarà il
momento sarò Thetis di Mairmaid. Mentre la Scale che hai
visto prima
rappresenta la classica sirena greca, con corpo di uccello e volto
umano, la
mia armatura rappresenta l’ideale sirena nordica: una donna
con la coda da
pesce- rispose.
-E quale sarà la mia
armatura?- chiesi, ansioso.
-Non te lo so dire. Quando ti
risveglierai lo capirai da
solo! Il giro è finito. Puoi fare quello che meglio credi-
mi disse Thetis,
lasciandomi solo nell’atrio del palazzo.
Mi girai cercando di scorgere la
sommità della colonna, ma
niente.
“E’
altissima!” pensai.
Nel frattempo presi a passeggiare,
meravigliato.
Non rimproveratemi: non mi ero
dimenticato della morte di
mia madre, ma avevo bisogno di distrarmi, dovevo girare pagina. E a
quell’età
il fatto che sarei diventato un guerriero per me rappresentava un
ottimo
diversivo. Sapere che tutto era già disegnato mi
consolò, e dopo poco tempo,
nonostante la mia tenera età, me ne feci una ragione, non
per mancanza
d’affetto e amore, ma perché capii che contro la
morte solo un dio è in grado
di fare qualcosa. Io ero solo un umano, un bambino, pedina degli dei,
quindi
non potevo agire diversamente.
Mi fermai a vedere gli allenamenti
di alcune persone, e mi
stavo chiedendo come mai Thetis, invece, non me ne parlò.
Possibile che per un Generale non
ci sia un addestramento?
Possibile che sarei dovuto restare impreparato fino al mio risveglio?
D’un tratto mi sentii
chiamare: -Tu! Laggiù!- urlò una
voce.
Mi girai, e un uomo alto, magro e
con una lunga chioma mi
veniva in contro.
Capii subito chi fosse.
Quel giorno lo conobbi.
Meiou
Hades parla:
Salve miei cari lettori!
Allora? Cosa ve ne pare di questa
piccola idea? Spero che
abbia suscitato il vostro interesse, anche perché si parla
(giustamente) di
tanti personaggi, ma perché non fantasticare anche sulla
vita di Sorrento? Come
personaggio non sarà dei più importanti, vero, ma
perché non dare a questa
figura un po’ di tono?!
A Diana924:
ciao! Sì, la vita di Sorrento, almeno
fino a questo momento, è molto intensa, ma fidati, tutto
acquisterà maggior
spessore con lo svolgimento dei fatti! Spero che questo capitolo ti sia
piaciuto! ^^
Approfitto per pubblicizzare due
miei scritti, se non vi
dispiace:
Il
canto del
demone (Originale – Fantasy)
La
danza delle
anime di carta (Originale – Fantasy)
A presto, miei cari! ^^
|
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Capitolo 3 *** Il risveglio del Kaioh ***
Capitolo
3
Il
risveglio del Kaioh
Avanzava
verso di me, sicuro di
quello che stava facendo.
Vederlo
muoversi così, con passo
incalzante e senza esitazioni verso di me, mi fece spavento.
La
cosa che più mi sorprese di
lui erano i capelli, di un blu intenso, scuro come il mare, profondo
come il
cielo. Era alto, magro, occhi chiari e uno sguardo per niente
rassicurante.
-Chi
sei?- mi chiese, fissandomi
violentemente con il suo sguardo accigliato.
La
prima impressione che ebbi di
lui era che fosse un tipo piuttosto cattivo, arrogante.
Non
sapevo che non stessi
sbagliando!
-Sorrento
Seerbach- risposi,
timidamente.
-Sei
quello nuovo?- mi chiese di
nuovo, con tono duro.
Annuii.
“Bene.
Ora sono ‘quello nuovo’,
non più Sorrento! Che fortuna!” pensai,
amareggiato.
-Questa
sera sarà liberato lo
spirito del Kaioh. E’ bene che tu lo sappia,
poiché dopo non molto, forse,
anche tu avrai il tuo risveglio. Chiaro?-
Ero
in Atlantide da poche ore
eppure stava succedendo di tutto: Thetis mi aveva appena detto che lo
spirito
del dio era rinchiuso nel vaso e che sarebbe passato ancora un
po’ di tempo
prima della sua apertura. Ora quello mi diceva che quella stessa sera
il Kaioh
avrebbe preso possesso della sua reincarnazione. Che casino!
-Quando
sarà il tempo, Thetis
andrà a prendere Sua Maestà per portarlo nel suo
regno- disse.
Un
attimo di silenzio e: -Perché
me lo dici? Devo venire?- chiesi.
Mi
rise addosso: questo era il
colmo. Poteva essere l’uomo più forte del mondo ma
questo non doveva farlo.
Volli saltargli addosso, ma non lo feci.
Perché?
Era e sarebbe stato un
mio superiore, e se l’avessi picchiato, dopo per me sarebbero
stati cazzi
amari!
-No!
Te l’ho solo detto per non
farti restare impreparato. Ah, non riceverai addestramenti, non so se
Thetis te
lo abbia detto. Saprai tutto al momento del risveglio, Sorrento!- e
fece per
andarsene.
-Sei
Kanon, vero?- gli urlai,
anche se sapevo già che fosse lui.
Non
mi degnò di uno sguardo e
continuando imperterrito sulla sua strada mi disse solo: -Non
dimenticare il
mio nome!-
Lo
detestavo già dal primo
istante, ma cosa potevo farci? Ognuno è fatto a modo suo,
no?!
Andai
ancora in giro per le vie
di Atlantide, cercando di non pensare alla sgradevole conversazione
appena
avuta con Kanon.
Ma
ovviamente, più ti sforzi nel
non pensare una cosa, più quella ti si pianta nella scorza
celebrale: un
classico!
Persi,
quindi, buona parte del
mio tempo libero bighellonando e rodendomi il cervello con assurdi
pensieri.
Giunsi,
quindi, non sapendo più
cosa fare davvero, nella mia nuova casa.
Possibile
che quelle fosse tutta
mia e che avessi anche una scorta personale?
Non
riuscivo ancora a
capacitarmene.
-Come
le pare il regno di
Atlantide, signore?- mi chiese una guardia, arrivato
sull’uscio
dell’abitazione.
“Signore?
Io?” pensai,
entusiasta.
-Devo
abituarmi…- risposi. Entrai
nella stanza e, sul letto, giaceva ancora il vestito di mia madre.
Lo
piegai come meglio potei e mi
girai per trovare un posto dove conservarlo: solo allora mi resi
davvero conto
della stanza che mi venne data.
Perfettamente
quadrata, aveva una
finestra che affacciava sulla destra della struttura, rivolta verso il
palazzo
del Kaioh.
Il
letto dove avevo dormito era
alto e coperto da lenzuola bianche, senza rifiniture.
Un
armadio giaceva sulla parete
opposta alla porta. Lo aprii e ci adagiai dentro il vestito di mia
madre.
Mi
accorsi che dentro c’erano
diverse tuniche e vesti, di ogni tessuto: raso, seta, cotone, canapa.
Erano
tutti coloratissimi:
c’erano vestiti color bianco, oro, rosso, cobalto, nero,
giallo, verde.
Tirai
verso di me una tunica
bianca: volevo cambiarmi, non volevo più portare quei panni,
ma non sapendo
cosa si indossasse sotto, poiché era impossibile restare
nudi sotto
l’indumento, chiamai la guardia fuori, per farmi spiegare
come funzionasse.
Ero
abituato ai pantaloni e alle
giacchette della divisa scolastica, non di certo a vesti
così lunghe e larghe!
Quello
mi spiegò che nei cassetti
c’erano tutte le sottovesti necessarie, e mi
lasciò solo.
“Devo
lavarmi!” pensai.
Mi
diressi verso l’unica porta
che c’era oltre quella d’ingresso.
Il
bagno che mi si parò davanti
era piccolo ma intimo, forse un po’ troppo azzurro e pieno di
conchiglie e
coralli, ma cosa potevo pretendere da un’abitazione di
Atlantide?
Mi
spogliai e abbandonai i
vestiti in un angolo e mi diressi verso la vasca.
“Da
dove esce l’acqua?” pensai,
non vedendo leve o valvole che potessero ricondurre ad un rubinetto.
Entrai
nella vasca, cercando di
vedere se all’interno ci fosse qualche indizio che potesse
aiutarmi a risolvere
questo mistero.
Non
appena mi sedetti sul fondo,
l’acqua iniziò ad uscire da piccoli fori posti ai
lati.
Capito
il meccanismo, mi lavai e,
dopo essermi asciugato, decisi di indossare una tunica bianca con gli
orli
color porpora.
Mi
sentivo ridicolo. Troppo,
invero.
Cercai
di sbarazzarmi dell’imbarazzo
della situazione e decisi di tornare dove avevo visto quegli uomini
allenarsi.
Non
avevo niente di meglio da
fare, non avevo nemmeno con me il flauto a confortarmi.
Tornai
nell’area degli
allenamenti e mi sedetti sugli spalti.
Quelli,
per me, non si
allenavano: si stavano uccidendo!
I
pugni arrivavano violenti su
ogni parte del corpo e da ogni angolazione, ma quelli, incassato un
colpo, ne
mandavano subito altri in risposta. Sembravano instancabili, inumani
nelle loro
tenute nere.
Più
tardi capii che erano fatte
di squame ed erano abbastanza resistenti quanto viscide al tatto.
Urlavano
in continuazione, chi
per vittoria, chi per sconfitta, chi per dolore.
Era
un’immagine insolita quella,
e non riuscii a capacitarmi del fatto che io, prima o poi avrei agito
esattamente come loro: risveglio o non risveglio, non ero fisicamente e
psicologicamente pronto!
Non
mi accorsi che il tempo passò
molto velocemente. Solo quando i combattenti se ne andarono capii che
era
tardi.
Avevo
fame, troppa, ma non sapevo
dove dovevo andare.
Thetis
mi aveva mostrato le
bellezze di Atlantide, ma non i luoghi utili alla mia sopravvivenza!
Pensai
che lo fece apposta e,
cercando di trovare un posto che potesse sembrare ad una mensa, la
maledicevo
come meglio potevo.
-Che
parole soavi, Sorrento!-
disse all’improvviso una voce dietro di me.
Mi
girai e, nel giro di poche
ore, mi ritrovai di nuovo con Kanon.
“Perfetto…”
pensai ironico: non
avevo ancora digerito il rospo di prima.
Lo
guardai in faccia senza
salutarlo, cercando di capire cosa volesse ora.
-Serve
una mano?- mi chiese,
portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-No,
grazie- risposi, con tono
neutro.
Lo
stomaco, però, mi tradì: emise
un brontolio lungo e sommesso: reclamava la sua parte.
Kanon,
sogghignò, e mi indicò la
via per la mensa.
Lo
vidi dirigersi verso il
palazzo reale: evidentemente stava andando ad aprire il vaso dove era
custodito
lo spirito del Kaioh.
Arrivato
in mensa, mangiai
velocemente quella sbobba dall’aspetto vomitevole, e tornai
nel mio piccolo
appartamento.
Avevo
sonno, ma non riuscivo a
dormire: avevo il respiro lievemente accelerato, preda
dell’ansia e non
riuscivo nemmeno a capire il perché.
Mi
affacciai alla finestra, nella
speranza che un po’ d’aria fresca avesse potuto
aiutarmi.
Istintivamente
alzai lo sguardo
verso l’alto, alla ricerca di stelle inesistenti, coperte da
quello spesso
mantello d’acqua.
Fu
allora che accadde: ci fu uno
scoppio e un boato assordante proveniente dal palazzo reale.
Mi
girai verso la fonte del
suono, e notai che questo aumentava costantemente il suo volume, poi,
improvvisamente, un azzurrognolo raggio luminoso salì verso
la superficie
dell’acqua.
L’energia
sprigionata da
quell’esplosione era immensa.
Subito
le correnti marine presero
a vorticare ferocemente creando fatali mulinelli e tempeste marine: i
venti
erano così forti che abbatterono alcune colonne che
adornavano le strade di
Atlantide.
Ci
fu anche una scossa di
terremoto molto violenta, tanto che caddi per terra e non riuscii
più a
rialzarmi per la violenza delle scosse. In un istante di apparente
quiete uscii
fuori e mi ritrovai davanti lo spettacolo più terrificante
che potessi mai
immaginare.
Corsi
di filato di nuovo in casa,
appena in tempo: una nuova e violenta scossa.
Le
strade si sfaldarono, e violenti
getti d’acqua irruppero fuori: per me quello era
l’inferno.
Il boato divenne sempre
più assordante, tanto che anche se
mi tappai le orecchie, lo sentivo ugualmente, come se fosse nella mia
testa.
Poi,
improvvisamente, tutto, così
cominciò, finì.
Volsi
lo sguardo verso la
finestra, e vidi il raggio man mano scomparire verso l’alto,
per eclissarsi
definitivamente.
Non
appena tutto finì, mi alzai
sentii urli di vittoria e gioia provenire da ogni parte di Atlantide.
Avevo
paura di quello che era
successo, perciò non misi il becco fuori dalla mia stanza e
aspettai il mattino
dopo per uscire e capire cosa fosse successo, anche se, più
o meno, avevo già
capito.
Per
quel poco tempo che rimase,
dormii male e non molto: feci qualche sogno non proprio bello, ma non
ricordo
esattamente cosa.
Mi
preparai velocemente e mi
lanciai a rotta di collo verso il palazzo del Kaioh, ma dovetti
rallentare più
di una volta per evitare di ammazzarmi in qualche buca in strada,
provocate
dalle scosse del giorno prima.
Arrivai
nel castello e chiesi
alle guardie di Thetis o Kanon, ma la ragazza mi venne subito incontro.
-E’
stato liberato lo spirito di
Poseidone ieri sera, vero?- le chiesi con il fiato corto per via della
corsa.
-Ovviamente.
E chi altrimenti?!-
rispose lei.
Feci
per andarmene, ma lei mi
trattenne dicendomi: -Fra non molto dovrebbero scendere anche gli altri
Generali, e quando i tempi saranno maturi si aprirà una
nuova Guerra Santa, e
tutti dovremo onorare il nostro Signore. Tieniti pronto!- e
sparì dietro una
porta, senza darmi un minimo tempo di reazione.
Lo
spirito del mio Signore era
stato liberato e io?
Io
niente! Non mi sentivo poi
così diverso dal giorno prima, da un anno addietro.
Io
ero ancora Sorrento e ancora
non riuscivo a sentirmi legato a quella terra per me ancora nemica e
sconosciuta, non ero ancora in grado di appoggiare la causa a me ignota
di un
dio a me sconosciuto o comunque lontano.
Ero
ancora me stesso, con i miei
dieci anni sulle spalle.
Ma
per me, a mia insaputa e
contro il mio volere, era stato già tutto scritto.
Sarei
diventato Generale, un
giorno.
Che
mi fosse piaciuto o no, avrei
combattuto per la causa di un altro, avrei dato la mia vita, la mia
fede per
altra gente.
Sarei
diventato, inevitabilmente
un’altra goccia nell’oceano.
Una
lacrima.
Nient’altro.
Meiou Hades parla:
Salve
ragazzi.
Tutto
bene?
Il
Kaioh è stato liberato, e fra
un po’ scenderanno in Atlantide anche gli altri personaggi.
Chi
sarà il prossimo? Non lo so
nemmeno io.
In
ogni caso, volevo informarvi
che la storia di Sorrento sarà più fedele
all’anime.
Ergo
i personaggi saranno più
simili a quelli dell’anime e sarà incluso anche
l’intermezzo di Asgard, che nel
manga non esiste.
E
poi, la lasciate qualche
recensione? Penso che la storia, infondo, meriti, no?! *fa gli occhi
lucidi e
tentatori*
A
presto!
|
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Capitolo 4 *** Nuovo arrivato ***
Capitolo
4
Nuovo
arrivato
Passarono
circa sei mesi da
quando scesi in Atlantide, e le giornate passavano lente, monotone,
sempre
uguali a sé stesse.
Il
tedio diventava sempre
maggiore, e i vari incontri con Kanon non miglioravano la situazione.
Alla
freddezza di Thetis mi ero
abituato, ma la presenza di quel giovano dai capelli insolitamente blu
mi
innervosiva: non riuscivo mai ad abituarmi.
Da
quando il Kaioh è stato
liberato siamo stati quasi tutti impegnati nel rendere di nuovo
abitabile quel
posto.
Ho
detto quasi perché Thetis
ovviamente non lavorava, ed io, invece, lavoravo solo quando mi andava,
come
del resto Kanon.
Un
giorno stavamo spazzando una
strada, liberandola dai detriti e dalle pietre meno pesanti.
Decisi
di andarmene, anche perché
non potevo fare più niente.
Presi
a passeggiare per le vie di
Atlantide, senza una destinazione precisa.
Perdermi
era impossibile, anche
perché avevo calcato così tante volte quelle
strade che ora le conoscevo a
menadito.
Ero
completamente solo, perso nei
miei pensieri e canticchiavo a bassa voce, con le labbra chiuse, e mi
spinsi
verso una delle regioni meno colpite dal sisma.
Il
paesaggio, lì, era diverso dal
centro del regno: l’acqua sembrava più chiara,
limpida e fresca.
Le
tonalità del fondale erano
così chiare da accecare gli occhi.
Mi
sedetti su un masso e mi
incantai nell’ammirare il panorama: i coralli, le alghe, la
sabbia e
quell’azzurro infinito si stendevano verso
l’infinito in ogni direzione.
Il
silenzio era sovrano, e io non
cercavo altro.
Mi
stesi, allora, con lo sguardo
rivolto verso la volta d’acqua e…
Un
tonfo.
Qualcosa
era caduto: forse
un’altra colonna aveva ceduto! Andai sul posto per vedere la
gravità della
situazione.
Non
vedevo nulla di strano: le
pietre erano ai loro posti, i coralli se ne stavano indifferenti e le
colonne
erano ancora in piedi.
Mi
girai e sentii un rantolio: mi
voltai ancora, ma non riuscivo a capire da dove provenisse.
Un
sospiro, un morboso
attaccamento alla vita, enorme paura della morte: ecco cosa sentivo: ma
non
erano mie queste sensazioni.
Aggirai
un masso per capire cosa
fosse la fonte di tutto questo, quando lo vidi.
Un
ragazzo stava riverso in
terra, con il volto rivolto verso l’alto, tremendamente
sfigurato, sporco di
sangue.
Tutto
il volto era coperto da un
lenzuolo scarlatto, anche i capelli e la bocca sembrava impastata dal
liquido.
Mi avvicinai, intimorito e spaventato, ma mi allontanai subito.
Respirava
a mala pena, e il petto
si alzava e abbassava con movimenti spasmodici, scattanti e per niente
elastici.
La
pelle stava diventando chiara,
forse troppo, e le labbra, nonostante tutto quel sangue, stavano
evidentemente
perdendo colore.
Corsi
via e tornai indietro.
Chiesi
aiuto e sulla strada del
ritorno trovai un gruppetto di guardie.
Una
di queste si allontanò per andare
a chiamare Thetis e Kanon, mentre gli altri mi seguivano sul punto dove
avevo
trovato il moribondo.
Quando
tornammo quasi non
respirava più, e aveva perso molto sangue, anche se il
flusso era diminuito.
Il
massimo che le guardie fecero
era assicurarsi che quello non perdesse molto sangue.
Di
corsa, arrivarono anche Thetis
e Kanon, i quale congedarono tutti, me escluso.
-Devi
aiutarci a curarlo!- mi
disse Kanon, senza la minima traccia di ironia sul volto.
Annuii
con movimenti isterici e
scattanti del capo: avevo paura, forse troppa.
Kanon
si chinò sul corpo del
ragazzo e lo esaminava, mentre Thetis poggiava per terra un vasto
arsenale di
roba.
-Passami
quell’unguento verde,
Sorrento!- mi disse Thetis.
Le
porsi il vasetto: emanava un
odore nauseabondo.
Non
appena Kanon poggiò un po’ di
quella melma maleodorante sul corpo del ragazzo, il sangue prese a
ritirarsi.
Non
usciva più, ma quello che era
già stato versato ritornò in corpo, e le membra
del giovane ripresero subito
colore.
Per
il sangue che si era già
incrostato non si fece niente: bisognava lavarlo e
nient’altro.
Il
respiro tornò regolare, ma il
ragazzo era incosciente.
Il
sangue ancora sporcava il
viso, ma almeno era salvo.
Tutto
grazie ad un po’ di crema!
Non ci potevo credere, ma la cosa mi ridava coraggio e fiducia.
Non
tutto era perduto, quindi!
-Passami
quello!- mi disse Kanon.
Stava
indicando una boccetta di
vetro piena di un liquido rosa.
-Versane
un po’ sulla ferita- mi
disse.
Mi
accovacciai di fianco al
ragazzo e stappai la fiala: l’odore era nauseate e pungente.
Storcendo il muso
versai parte del liquido sul viso deturpato. Non appena la soluzione
toccò la
pelle si elevò una piccola nuvoletta di fumo e si sentiva
uno sgradevole
sfrigolio, come carne che stesse cocendo ai ferri.
Tamponai
e Thetis, allora, alzò
delicatamente la testa del malcapitato per poggiarla sulle sue
ginocchia.
-Meno
male che non è cosciente.
Non gli sarebbe piaciuto!- disse, prendendo ago e filo.
Gli
stava mettendo dei punti
lungo tutta la cicatrice.
Disgustato,
mi voltai dall’altra
parte, cercando di restare calmo.
Restammo
così, in assoluto
silenzio, per quasi mezz’ora. Solo quando Thetis
dichiarò di aver finito mi
girai. Non me ne ero accorto, ma aveva tolto il grosso della sporcizia
dal
volto del ragazzo, rivelando un’arruffata chioma smeraldina
su un viso
infantile ma dai lineamenti stranamente duri per
quell’età.
Notai
che aveva fasciato parte
del capo del ragazzo: dalla fronte fino alla guancia. La ferita,
quindi, doveva
essere molto lunga.
Chiamammo
alcune guardie che
erano rimaste nei dintorni, che si caricarono il corpo sulle proprie
spalle e
lo portarono verso il nucleo del regno.
-E’
un altro prescelto?- chiesi,
senza sapere a chi mi rivolgessi davvero.
-Nessuno
arriva vivo in
Atlantide: solo un Generale!- mi rispose Kanon, guardando fisso
dinnanzi a sé,
tronfio, superbo della propria persona.
Il
suo passo era incalzante,
sicuro, anche se una leggera ombra di dubbio gli si era stagliata sul
viso
accigliato.
Notò
che lo stavo fissando e mi
si rivolse in maniera non molto gentile.
-Che
hai da guardare, tu?!- mi
abbaiò contro.
Distolsi
subito lo sguardo.
L’avevo offeso, e il modo in cui si rivolse mi fece sentire
davvero male, tanto
da farmi sentire gli occhi lucidi. Mi consolò il fatto che
forse ero riuscito a
toccare un nervo scoperto, un lato di lui che Kanon non voleva far
vedere.
Decisi
di andarmene per i fatti
miei per evitare l’insolenza di Thetis e le sfuriate di Kanon.
Mentre
camminavo, fantasticavo
sul mio futuro da Generale: la bionda sarebbe stata sistemata e non
avrebbe
alzato così facilmente la cresta.
Con
l’altro avrei saputo mantener
testa, o quanto meno farmi rispettare.
In
ogni modo il viso del nuovo
arrivato mi si era stagliato in mente, indelebile.
Mi
incuriosiva tantissimo.
Da
dove veniva? Come si chiamava?
Qual
era la sua storia? Anche lui
aveva naufragato?
Volevo
conoscerlo al più presto.
Dovevo
conoscerlo.
Avevo
bisogno di amici, perché
l’idea di passare il tempo restante per i fatti miei non mi
allettava per
niente.
Avevo
bisogno di parlare con
qualcuno che non fosse Kanon, Thetis o le guardie.
Più
semplicemente, volevo dare
una svolta alla situazione: mi aveva stancato.
Aspettai
che dopo il rancio
ognuno si ritirasse nelle proprie stanze.
Ognuno
era libero di andare dove
volesse quando lo ritenesse più opportuno, ma di notte
nessuno preferiva andare
in giro.
Io
non facevo eccezione, ma per
quella sera mi armai di sacrosanto coraggio e mi diressi verso Thetis,
chiedendole dove avessero sistemato il nuovo arrivato.
Mi
indicò una stradina che si allontanava
dalla piazza principale e mi avviai.
Arrivai
davanti ad una casetta
molto simile alla mia, con due guardie ai alti della porta.
Quando
mia avvicinai all’uscio, i
due non mi fermarono, ormai mi conoscevano tutti in Atlantide, dopo sei
mesi di
permanenza.
Era
stato poggiato su un letto.
L’avevano pulito del sangue rimanente che si era incrostato e
ora aveva un
aspetto completamente diverso.
Mi
avvicinai per vederlo meglio.
“Cosa
cazzo ci faccio qui?” mi
chiesi.
Non
appena feci per andarmene
sentii un rantolio, come se qualcuno si sforzasse di fare qualcosa.
Mi
girai e vidi che sul volto del
nuovo c’era una lieve smorfia di dolore.
Mi
avvicinai cercando di
aiutarlo.
Aprì
l’occhio e mi vide con
sguardo appannato, la palpebra era semichiusa, tanto da non rivelare
davvero
l’occhio sotto di essa.
-C-chi
sei? Dove sono?- chiese,
la voce flebile.
-Sei
in Atlantide, al sicuro. Mi
chiamo Sorrento. Tu?-
-Dove
mi trovo?-
-In
Atlantide, al sicuro. Tu come
ti chiami?- gli chiesi.
-Isaac-
rispose, e si addormentò
di nuovo, abbandonando la testa sul cuscino.
Rimasi
così per qualche altro
secondo, decidendo poi di andarmene.
Sarei
tornato, l’avrei
conosciuto.
Forse
avevo un amico.
Meiou Hades parla:
Bentrovati
cari!
Aggiorno
con questo capitolo, con
l’arrivo di un nuovo personaggio: Isaac, Generale del mare
Artico e cavaliere
di Kraken.
Ovviamente,
lui non lo sa, e non
teniamo questa notizia ben nascosta altrimenti gli roviniamo la
sorpresa u.u
Che
ve ne pare?
Rispondo
alle recensioni del
terzo capitolo.
A
LuluXI: ciao! Grazie per
le recensioni che lasci! Mi fa piacere che ti piaccia come scrivo,
grazie
ancora! E sono lieto che non abbia preferenze fra manga e anime! Spero
che
anche questo capitolo ti sia piaciuto!
A
data81: grazie mille
anche a te! Comunque non so se hai letto la mail che ti ho inviato. In
ogni
caso credo che inserirò anche l’intermezzo di
Asgard: ho trovato il modo per
far sembrare tutto abbastanza coerente!
Grazie
a tutti e al prossimo
capitolo!
|
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Capitolo 5 *** Isaac ***
Capitolo
5
Isaac
Avevo
molte domande da fargli.
Da
dove vieni? Quanti anni hai?
Ma soprattutto…come diavolo sei arrivato qui? Cosa ti
è successo?
Perché
quella ferita all’occhio?
Perché?
Forse
sarei stato troppo
invadente: chi ero io per chiedere cose del genere?
Infondo
quando arrivai in
Atlantide non venni sottoposto a nessun interrogatorio.
Ma
avevo paura di restare solo.
Dovevo
conoscerlo, o in quel
mondo così azzurro e liquido mi sarei definitivamente
perduto.
Il
giorno dopo mi alzai e mi
diressi verso la casa di Isaac.
Esattamente
come l’altra volta,
le guardie non mi fermarono ed entrai nelle stanze del nuovo arrivato,
dopo
aver bussato.
Se
ne stava steso sul letto a
fissare il soffitto e, non mi degnò di uno sguardo, tranne
quello che mi
concesse al mio ingresso per capire chi fossi.
Lo
salutai, ma quello si limitò a
fissare il soffitto, senza rispondere.
-Come
stai?- gli chiesi, tanto
per avviare una conversazione.
Quello
mormorò qualcosa di
assurdamente incomprensibile; io non volli insistere per evitare di
sembrare
piuttosto opprimente.
Perché
faceva così?
Nella
mia infantile logica non
avevo fatto nulla di male, non credevo che forse potessi sembrare di
troppo in
quel momento.
Avevo
solo dieci anni, infondo!
Feci
per andarmene, siccome non
riuscivo a cavare dalla bocca di quello nemmeno una parola.
Quando
arrivai sull’uscio sentii
un leggero sospiro alle mie spalle. Non mi voltai e me ne tornai a
bighellonare
per le strade del regno.
Sicuramente
Isaac non mi avrebbe
dato la sua amicizia.
In
quel momento sentivo bisogno
della musica, del mio flauto: sarebbe riuscito a consolarmi.
Dopo
ben sei mesi dal mio arrivo
andai da Thetis, nel palazzo del Kaioh e le chiesi che fine avesse
fatto il mio
strumento.
-Non
crederai mica che uno
strumento così leggero e fragile sia resistito ai vortici
che ti hanno
risucchiato?-
-Per
niente, ma volevo giusto
saperlo. E comunque cambia i toni…- le dissi, secco, e me ne
andai senza
lasciarle il tempo di replicare.
Ne
avevo le scatole piene di
quella lì. Non vedevo l’ora di ottenere quel
dannato risveglio solo per farmi
rispettare una volta per tutte.
I
miei piedi si muovevano
meccanicamente, senza sapere dove mi stessero portando.
Mi
sarei meravigliato se mi fossi
trovato sulle pendici di un crepaccio o di muso per terra senza
rendermene
davvero conto.
Mi
sedetti sul rudere di una
colonna e rimasi lì, per non so quanto tempo, quando mi
sentii toccare alle
spalle.
Pensando
che fosse Thetis, mi
voltai con sguardo fulmineo e velenoso.
In
realtà era una guardia, che
vendendo questo atteggiamento apparentemente immotivato si offese un
po’.
-Il
signor Isaac la vuole nelle
sue stanze- disse.
Mi
alzai e mi incamminai verso la
mia nuova meta.
Cosa
era successo?
Come
mai ora mi cercava?
Cosa
voleva dirmi?
E
soprattutto, perché?
Quando
entrai nella stanza, vidi
che Isaac era ancora steso, ma il busto era eretto, poggiato su una
serie di
cuscini.
Lo
guardai, interrogativo e
quello non riuscì a sostenere il mio sguardo per
più di tre secondi.
Era
palesemente imbarazzato.
-Volevo
scusarmi per il
comportamento di prima-
-Non
c’è problema- risposi.
Silenzio.
Ancora
e ancora.
E
nessuno dei due osava
interromperlo.
Tanto
per fare qualcosa mi
avvicinai alla finestra e ammirai il paesaggio.
Ovviamente
anche lì, il panorama
era molto simile a quello che si vedeva dalle mie stanze: sabbia, acqua
ovunque
e bolle d’acqua che salivano dai fondali più
profondi.
Era
di una bellezza e
inquietudine sconcertante: di una particolare grazia che ti afferrava
alla gola
e non ti faceva più respirare: in Atlantide, nonostante
tutto sembrasse uguale,
la meraviglia non conosceva limiti, ed io ero diventato sua vittima.
-Dove
siamo?- chiese
all’improvviso Isaac.
-Siamo
in Atlantide, nel regno di
Poseidone-
Mi
voltai per fissarlo, e lui
ricambiava duramente col suo unico occhio.
-Capisco-
disse con voce neutra.
Sgranai
lo sguardo: come faceva
ad accettare la realtà su due piedi? Solo io non riuscivo a
credere nelle
parole di Thetis quando me lo disse?
-Non
capisco…- mormorai,
affranto.
-Cosa?-
mi chiese Isaac.
-Come
mai mi hai creduto fin da
subito? Come puoi accettare così, su due piedi, la presenza
di un dio per il
quale un giorno combatterai?-
-Ti
sbagli- sentenziò.
-Perché?-
chiesi.
-Io
sono cresciuto con l’idea che
gli dei esistono, ecco perché mi sono rassegnato, se
così si può dire!-
esclamò.
-Spiegati
meglio-
-Prima
dimmi come ti chiami- mi
disse.
-Mi
chiamo Sorrento- risposi.
-Bene,
Sorrento. Devi sapere che
io sono finlandese e da qualche anno mi sono trasferito in Siberia per
conseguire l’investitura a Cavaliere di Bronzo-
-Cavaliere?-
-Si,
Cavaliere del Cigno. Avevo
un amico, lì. Si chiamava Hyoga. Eravamo molto legati,
nonostante fossimo
avversari per diventare Cavalieri di Athena. Sai, le terre emerse sono
sotto il
protettorato della dea Athena, i cieli appartengono a Zeus, gli Inferi
ad Hades
e…-
-I
mari a Poseidone- terminai per
lui.
-Esatto.
Tornando al discorso,
nonostante le avversità, io e Hyoga ci aiutavamo come
potevamo, anche perché
gli allenamenti del nostro Maestro erano difficili-
-Chi
era il tuo Maestro?-
-Camus
dell’Acquario, Cavaliere
d’Oro, nonché custode dell’undicesima
casa al Grande tempio di Atene, residenza
di Athena e del suo Gran Sacerdote. Era freddo con noi, ma si capiva
che ci
voleva bene e ci aiutava come meglio poteva. Il suo potere risiedeva
nelle
energie fredde, e volle trasmetterlo a noi, affinché
padroneggiassimo al meglio
l’armatura del Cigno. Un giorno eravamo in licenza, e ricordo
che Hyoga voleva
andare a fare visita alla tomba della madre, che giaceva in una nave
che si era
inabissata fra le gelide acque della Siberia. Non appena ruppe la
lastra di
ghiaccio che lo divideva dal suo traguardo si gettò. La
corrente era
violentissima, e le tempeste marine erano più forti del
solito. Gli suggerii di
non tuffarsi, di aspettare, ma non mi diede retta, e si
tuffò. Dopo pochi
istanti era in balia della tempesta. Avevo paura: volevo aiutarlo.
Dovevo
aiutarlo. Così mi tuffai anche io. Appena lo presi lo
rigettai in superficie,
ma non feci in tempo a risalire che un violento flusso
d’acqua mi catturò,
sbattendomi in continuazione. Ricordo che urtai la testa contro un
pezzo di
ghiaccio, che si conficcò nell’occhio. Avevo
l’istinto di urlare, ma sapevo che
non dovevo. L’acqua fredda inoltre rallentava sempre di
più i miei movimenti e
rallentava i miei ragionamenti, tanto da farmi perdere coscienza.
Cadevo
in profondità, ma riuscivo
a respirare, nonostante l’acqua sera mi sovrastasse ovunque.
Fu
allora che lo sentii…- mormorò
alla fine.
-Cosa?-
chiesi, ansioso.
-La
Sua voce, quella del Sommo
Poseidone: “Diverrai Generale degli abissi, sarai salvato per
mano mia, e per
la mia causa combatterai, Isaac. Sono Poseidone re dei mari e ti chiamo
al mio
cospetto. Accetti?”. Avevo paura della morte, per cui ho dato
la mia fedeltà a
lui- finì.
Sentivo
che le sue parole erano
piene di risentimento, ma non riuscivo a capire il perché.
Dopo
qualche istante di silenzio
Isaac parlò di nuovo.
-Come
si diventa Generale?-
-Ci
sarà, prima o poi, il tuo
risveglio. Prenderai davvero coscienza del fatto che sarai Generale, e
lo
Spirito di uno dei guerrieri di Poseidone si risveglierà in
te. In Atlantide
siamo in tre: tu, io e Kanon. Diverremo Generali e combatteremo per la
causa
del re dei mari. I Generali sono sette, uno per ogni mare-
-Ne
mancano ancora quattro, quindi…-
mormorò.
Annuii
e non riuscii a
trattenermi: -Perché prima parlavi con risentimento?-
Isaac
chinò lo sguardo e arricciò
il sopracciglio.
-E’
colpa di Hyoga, troppo legato
alle sue emozioni, alle sue debolezze…al suo passato. Non sa
dimenticare, e per
diventare Cavaliere non è bene. Per colpa sua ho perso un
occhio! Per colpa
sua, infondo, ho dovuto rinunciare alle vestigia del Cigno per
diventare
Generale di Poseidone.-
Le
sue parole mi spaventarono,
tanto da togliermi la parola.
Cosa
avrei mai potuto
rispondergli? Erano un rimorso e una rabbia troppo grandi le sue,
impossibili
da curare, e sicuramente lui non avrebbe di certa accettato
l’aiuto di
qualcuno, tanto meno il mio, ancora uno sconosciuto.
Non
appena pensai alle cose che
disse sul suo amico Hyoga, mi venne da pensare se Isaac mi avesse mai
dato la
sua amicizia.
Forse
anche io ero troppo
sensibile, troppo debole, troppo nostalgico, legato al passato.
Ero
condannato a rimanere solo al
novantanove percento dei casi, ma non volevo demordere: mai come questa
volta
ero determinato nell’ottenere quello che volevo.
Sì,
a dieci anni quasi undici già
sapevo cosa volevo, e la mia nuova vita mi aveva completamente cambiato.
-Dove
vivono i Generali?- chiese
improvvisamente Isaac.
Indicai
le colonne che si
vedevano sullo sfondo dell’azzurra e sabbiosa Atlantide.
-Dietro
ogni colonna ci sono le
stanze personali dei Generali, e ognuno avrà la sua
servitù- o almeno così mi
disse Thetis, un giorno, quando anche a me venne in mente la stessa
domanda di
Isaac.
-Dimmi,
Isaac- dissi, cercando di
riportare il discorso sulla sua storia –com’era
questo Camus come insegnante?-
-A
mio avviso il migliore.
Viaggiava spesso perché doveva sbrigare faccende anche in
Grecia, al Grande
Tempio, ma quando veniva in Siberia da noi, ci dedicava il massimo del
suo
tempo e il meglio dei suoi insegnamenti. Penso di esser stato davvero
fortunato
per aver ottenuto il Cavaliere dell’Acquario come Maestro.
Anche se le nostre
fedi, ora, sono per divinità diverse, devo molto a
quell’uomo. Era sempre
calmo, sapeva sempre cosa fare, dove farlo e come farlo:
l’equilibrio fatto
persona. Apparentemente era freddo, ma si vedeva che ci volesse bene e
che
fosse ossessionato dal nostro addestramento- disse, con la voce intrisa
di
orgoglio per il suo Maestro.
-Io
non ho ricevuto alcun
addestramento da nessuno, invece…- mormorai, invidioso di
questa mia mancanza.
Mi
sentivo inferiore a quel
ragazzo, ma sapevo che non avrei dovuto esserlo: al risveglio saremmo
stati
tutti uguali, ma, ancora una volta, i miei pensieri infantili avevano
avuto la
meglio.
-Impossibile!
E come sei arrivato
qui?- chiese, sbigottito.
-Naufragio.
Ero a Venezia con la
mia famiglia, quando la gondola incappò in un vortice. Sono
sopravvissuto solo
io, e sono arrivato qui- dissi, liquidando la faccenda in due parole,
con tono
piuttosto secco. Il dolore di tutte le perdite alle quale avevo
assistito era
ancora forte, lancinante.
Lo
sentivo montare da dentro come
una bestia incatenata che si dimena ferocemente per liberarsi.
Quel
dolore era come una lama
rovente, che mi tagliava le carni da dentro senza pietà e
ritegno; di notte mi
capitava di piangere, ancora, per mia madre, mia zia Selene, mio padre,
Florian
e Theresa, che non avrei rivisto mai più.
Forse
era proprio questo dolore
che mi spingeva a comportarmi così: alcuni lo chiamano
‘istinto di
sopravvivenza’. Io preferisco chiamarlo ‘paura
della solitudine’, perché di
questo, per me, si trattava.
No.
Ero più che deciso a non
rimanere da solo. Fu allora che glielo chiesi.
-Isaac,
vorresti essere mio
amico?- chiesi, la voce timida, bassa e imbarazzata. Avevo sempre avuto
difficoltà a socializzare. Di solito erano gli altri ad
avvicinarsi a me.
Ma
questa volta era diverso: o mi
sarei mosso di mia iniziativa, o niente!
Avevo
paura della reazione di
Isaac, di un suo rifiuto, di una sua non-risposta, di un suo silenzio
troppo
eloquente.
Lo
guardai, in attesa.
Silenzio.
Se ne stava lì, zitto,
muto.
Poi,
inavvertitamente, sorrise e
annuì.
Di
rimando sorrisi anche io.
Non
ci avrei mai creduto: non ero
più solo!
E
non sapevo quanto quel sorriso,
quel movimento della testa avessero avuto importanza per la mia vita.
Non
sapevo che il rapporto fra me e Isaac sarebbe rimasto duraturo.
Non
sapevo niente di tutto
questo, ma ero contento.
Avevo
un amico!
Meiou Hades parla:
Salve
ragazzacci!
Che
ve ne pare? Spero di esser
riuscito nell’intento. Ho cercato di far sembrare il
carattere di Isaac il più
fedele possibile all’anime/manga, ma alcuni cambiamenti sono
necessari per lo
svolgimento dei fatti.
Rispondo
alle recensioni del
capitolo precedente:
A
LuluXI: allora? Cosa ne
pensi di questo capitolo? Ti ha soddisfatta? Comunque anche a me Isaac
ha
sempre affascinato, e proprio per questo l’ho fatto entrare
subito nella
storia.
A
data81: ciao! Non so se
hai letto la mia risposta in precedenza. In ogni caso te la riscrivo
qui. Il
tuo dubbio è decisamente motivato, siccome ti dissi che la
storia sarebbe stata
più simile all'anime. Ma questo è il punto,
più simile, non identica. Ci
saranno, ovviamente, anche dei riferimenti al manga. In ogni caso, per
come
penso che sarà strutturata la storia, che il maestro di
Isaac sia Camus o il
Cavaliere della Corona Boreale, è di scarsa importanza,
poiché sarà solo citato.
In ogni caso, come avrai constatato alla fine ho optato per Camus. Abbi pazienza, che fra poco
Sorrento avrà
il suo risveglio! E allora se ne vedranno delle belle!
Alla
prossima!
|
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Capitolo 6 *** Risveglio ***
Capitolo
6
Risveglio
Nei
giorni a seguire conobbi
meglio Isaac.
Scoprii
che caratterialmente era
molto chiuso, forse per timidezza, o, più semplicemente, per
distacco.
Aveva
dei modi di fare piuttosto
strani, a mio avviso: era freddo, così come i ghiacci nei
quali era stato
temprato.
Quando
si tolse la benda ero
spaventato dal suo aspetto: una lunga cicatrice solcava il suo volto,
sfigurandolo per tutta la guancia. L’occhio, o quel che ne
rimaneva, invece,
era turbato da una sfumatura violacea.
Ricordo
che andavamo in giro per
le strade del regno, e gli mostravo le colonne dei sette mari, le
strade, i
luoghi di addestramento dei cavalieri del Kaioh, e il Palazzo Reale.
Esattamente
come me qualche tempo
prima, Isaac rimase meravigliato da tanto splendore e dalla presenza di
così
tanta luce, nonostante vivessimo negli abissi più profondi
dei sette mari.
-E
queste- gli dissi, indicandole
–sono le vestigia dei Generali! Un giorno arriveremo ad
indossarle, e allora
serviremo il Kaioh-.
Non
me ne ero reso conto, ma quei
mesi di permanenza in Atlantide mi avevano dato uno scopo per vivere,
mi
avevano fatto accettare quella nuova e sconosciuta causa.
-Sono
stupende!- mormorò Isaac,
estasiato da quelle luccicanti figure.
Anche
io ogni volta che vedevo le
Scale non potevo fare a meno di meravigliarmi di tutta questa bellezza
e
meraviglia.
Mi
avvicinai all’armatura che,
però, mi affascinava più di tutte: quella della
Sirena.
Quando
Thetis me ne parlò rimasi
meravigliato: ero solito immaginare le sirene come donne senza gambe ma
con una
lunga coda da pesce! Quella, invece, era la Sirena di Omero, la Sirena
degli
dei: una donna con il corpo da volatile.
Ricordo
che Thetis, un giorno,
prima dell’arrivo di Isaac mi narrò del mito di
Ulisse.
Mentre
tornava da Troia, diretto
verso Itaca, voleva ascoltare il canto delle sirene.
Ovviamente,
impazzì: chiunque
ascolti il loro canto perde il senno, fa di tutto pur di raggiungerle,
anche
cercare di far schiantare sugli scogli la propria nave.
Per
quelle creature ogni
individuo avrebbe messo da parte ogni suo desiderio, avrebbe
dimenticato ogni
suo obiettivo, pur di averle accanto a sé, pur di ascoltarle
in eterno, quelle
splendide e subdole creature.
Toccai
la Scale della Sirena, e
fu allora che accadde.
Non
appena la pelle toccò le gelide
scaglie d’oro sentii un violentissimo strappo allo stomaco.
Non
volli urlare per evitare di
spaventare Isaac, che nel frattempo se ne stava davanti
all’armatura di
Crisaore, mitico figlio del Signore dei mari.
Inavvertitamente,
però, sentii un
altro strappo provenire dalle viscere, questa volta decisamente
più violento.
Urlai,
non ce la facevo a
sopportare quel dolore: era come sentire le proprie interiora lacerarsi
e
prendere fuoco.
Il
dolore passò poi alla testa,
che sembrava sul punto di esplodere, tanto che pulsava.
Mi
ritrovai a terra senza
rendermene conto, urlante mentre mi reggevo il capo con le mani.
Ero
completamente sudato,
tremante, e respiravo a fatica: avevo a malapena la percezione del mio
corpo.
Nello
stesso momento, sentii,
dentro di me, crescere una forza sempre più potente, eterea,
nuova eppure allo
stesso tempo antica. In un certo senso mi era familiare.
Allora
sentii nella mia testa una
voce maschile, bassa e possente, una voce intrisa di
autorità, rispetto e
sapienza.
Esattamente
come prima, era come
se avessi sempre conosciuto anche il proprietario di quella voce,
perché lo
ascoltai senza protestare, placido.
“Tu
arriverai, prima, delle Sirene, che tutti
gli uomini
incantano, chi arriva da loro.
A colui che ignaro s'accosta e ascolta la voce
delle Sirene, mai più la moglie e i figli bambini
gli sono vicini, felici che a casa è tornato,
ma le Sirene lo incantano con limpido canto,
adagiate sul prato: intorno è un mucchio di ossa
di
uomini putridi, con la pelle che raggrinza”.
Non
appena le parole si spensero
urlai di nuovo: una nuova fitta, all’altezza del petto.
La
voce, allora, ritornò a
parlare.
-Sorrento!
E’ il tuo Signore che
ti parla, è a Poseidone re dei mai che devi rivolgere la tua
attenzione! E’
giunto il momento, è ora che il Generale della Sirena si
risvegli in te. Non
hai scelta, sei stato già stato predestinato a questo. Sarai
il protettore
della colonna dell’Oceano Atlantico Meridionale, la
difenderai con la musica e
gli inganni delle sirene anche a costo della tua vita. Userai la musica
pur di
adempire a questo scopo: darai nuova voce al canto delle sirene!-
La
voce si spense di nuovo,
abbandonandomi al mio dolore e alle fitte incessanti.
Il
dolore era così forte che non
avevo nemmeno la forza di urlare.
Sentii
solo, vagamente, Isaac dire
che sarebbe andato a cercare aiuto.
Le
fitte diminuirono di intensità
molto lentamente e, nello stesso momento, sentivo la mia mente
trasformarsi,
allargarsi verso nuove conoscenze, verso nuove energie e sentimenti.
Improvvisamente
la sentii vuota:
non persi la memoria (altrimenti non avrei mai potuto raccontarvi
questa
storia), ma la percepivo estremamente leggera, immensa, in grado di
poter
accogliere in sé parte delle stelle e i mari.
Pensavo
che stessi delirando, ma
non sapevo che proprio dalle stelle e dai mari sarebbe provenuto il mio
potere.
Poi,
lentamente, dalle zone più
remote e mai battute del mio cervello, si levò, lenta
un’arcana e inquietante
melodia.
Aveva
un ché di minaccioso:
sembrava un efficace augurio di morte.
Improvvisamente
la mia vista fu
affollata da eteree figure: fanciullone che volavano, ridevano, in un
vortice
incantatore.
Erano
loro! Erano le Sirene, e mi
stavano chiamando!
Non
potevo rifiutare, per cui mi
abbandonai ai loro richiami e la melodia cambiò, diventando
apparentemente
allegra e veloce, per poi ritornare di nuovo lenta e minacciosa.
Allora
i dolori svanirono
completamente, e sentii una presenza permeare il mio corpo:
un’entità delicata,
fragile che nascondeva in sé i dolori e i deliri della morte.
Sentii
inavvertitamente freddo,
poi caldo e ancora freddo, e la musica continuava ancora a
riecheggiare. La
sentivo disturbata, per cui capii che non era solo nella mia testa, ma
in tutta
la stanza.
Cercai
di alzarmi poggiando la
mano all’altare dov’erano esposte le armature.
Arrancai
verso quella della
Sirena, e capii che era da lì che proveniva la musica;
istintivamente toccati
di nuovo le scaglie, e questa volta la musica si spense.
Caddi
all’indietro perché non
avevo nuove energie e, fra le mie mani, si materializzò
qualcosa di freddo,
lungo e affusolato.
Gettai
uno sguardo verso la nuova
presenza: un flauto!
Era
la cosa più bella che avessi
mai visto: più, a mio avviso, dell’armatura della
Sirena e di Poseidone.
Era
completamente d’oro.
Era
elegantissimo e dall’aspetto
estremamente raffinato, cesellato da figure e pezzi di avorio e coralli
rossi e
bianchi.
Era
leggerissimo e la mia mano
riusciva a tenerlo su senza molti problemi, nonostante fosse
d’oro massiccio.
Una
voce maschile, delicata, poi,
mi sussurrò qualcosa direttamente dall’interno del
mio corpo, della mia mente.
“Delle
sirene la musica
di
fatal e cotanto tristo incanto,
d’inganno
e nulla farà il suo danno.
E’ il canto della
morte
Che di silenzi
lascia la sua scia,
è il canto della
morte
che alle sue
spalle lascia malinconia”.
Mi
alzai, con molta fatica, ma ci
riuscii.
Non
ero più io, Sorrento; o
almeno non ero più solo.
Ero
sempre lo stesso, eppure
diverso.
Lo
spirito del Generale della
Sirena si era risvegliato in me! Guardai ancora verso il flauto e gli
sorrisi
come si fa per gli amanti.
Portai
il flauto alla bocca e mi
misi a suonare la stessa melodia che aveva accompagnato il mio
risveglio e le
mie pene in quel momento.
Sentii,
poi, dei passi
avvicinarsi verso di me, oltre la porta, per poi arrestarsi del tutto.
-E’
il canto delle sirene…-
mormorarono.
Mi
sembrava Kanon, ma in quel
momento la cosa non mi interessava: l’unica certezza e
verità, in quel momento,
stava nella musica!
Kanon,
Isaac, Thetis e alcune
guardie irruppero poi nella stanza, guardandomi.
Ricambiai
il loro sguardo.
Ricambiai
quello di Kanon,
accigliato e pensoso.
Quello
di Thetis, incredulo.
Quello
di Isaac, carico di
ammirazione.
Sorrisi
debolmente a
quest’ultimo, che ricambiò.
Allora
Thetis, in tono solenne,
disse: -Kanon, ora non sei il solo: abbiamo un altro Generale!-
Rivolsi
fugacemente lo sguardo
verso di loro quando sentii il corpo farsi improvvisamente pesante.
Lo
sentivo lento, addormentato.
Tutta
si fece ovattato.
Svenni.
Meiou Hades parla:
Ciao
ragazzi, scusate il ritardo,
ma la scuola mi ah tenuto impegnatissimo!
Vi
posto questo capitolo.
Lo
so, è breve, ma ho preferito
concentrarmi sul risveglio di Sorrento, per cui ho dato uno spaccato
decisamente più introspettivo alla storia.
Penso
che nonostante le dimensioni
sia spesso e corposo, o no?! La prime parole in corsivo sono tratte
dall’Odissea di Omero; le seconde sono farina del mio sacco.
Cosa
ne pensate?
Ah,
dimenticavo…potrete pensare
che accadono troppo cose stupefacenti a questo povero disgraziato.
Beh…in realtà
fra un avvenimento a l’altro c’è un
notevole salto temporale, e farò narrare a
Sorrento solo gli avvenimenti degni di nota!
Rispondo,
ora, alle recensioni
dello scorso capitolo!
A
data81: ciao! Bene,
spero che il capitolo ti abbia soddisfatto, e come hai supposto tu, il
flauto
ha avuto un ruolo fondamentale nel risveglio del Generale! Per quanto
riguarda
i tempi d’ambientazione, più o meno sono quelli da
te indicati!
A
LuluXI: ciao! Si ho
scelto, alla fine, Camus per far legare meglio la storia, anche se il
Cavaliere
d’oro è solo citato. Spero che anche questo
capitolo ti sia piaciuto!
Ne
approfitto per pubblicizzare
un’altra mia fanfition del fandom di Saint Seiya: Le
Fleur Du Mal.
Questa è una Spectre-centric fiction, e per il momento
è pubblicato il solo
primo capitolo! Passate anche di qui, se vi va!
A
presto!
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Capitolo 7 *** Rivalsa ***
Capitolo
7
Rivalsa
Mi
risvegliai in una stanza a me
completamente nuova.
Era
perfettamente quadrata,
ampia: il pavimento era interamente di pietra levigata, mentre le
pareti
sembravano essere fatte solamente di coralli rossi e bianchi. La
mobilia,
ancora una volta, era esigua, ma di una raffinatezza milioni di volte
superiore
a quella della mia precedente abitazione: una cassapanca intarsiata
d’oro ai
piedi del letto e un enorme armadio, che occupava tutta la parete,
decorato con
gemme e avorio.
Una
finestra offriva una vista
mozzafiato di Atlantide.
Mi
accorsi di essere steso in un
enorme letto posto al centro della stanza.
Ricacciai
le lenzuola di lino e
mi alzai.
“Dove
diamine sono?” pensai.
Uscii
dalla stanza da letto,
ritrovandomi in un ampio ingresso, illuminato e adornato di cuscini e
basse
panchine.
Al
centro della sala c’era un
tavolino di legno, sul quale c’era una statua
d’argento raffigurante una sirena
greca: aveva le ali spiegati, pronta per spiccare il volo, gli occhi
chiusi e
la bocca appena aperta, in estasi.
-Generale!-
disse una voce alle
mie spalle.
Mi
voltai, e vidi una donna
piuttosto bassa ma anche abbastanza avanti con
l’età: la chioma era color
ebano, esattamene come i suoi occhi, ma striata da qualche capello
bianco.
Portava una veste marrone scuro, come il cordoncino, anche se di una
tonalità
più chiara, in vita.
Il
viso aveva un’espressione
piuttosto dura, con qualche ruga a inciderle la pelle.
-Generale!-
ripeté.
-Chi
sei?- le chiesi.
-Poplia,
da Atene per servirla.
Sono la responsabile delle pulizie della vostra dimora, Generale!-
Annuii
e le chiesi dove fossimo.
-Ovviamente
presso la sua base:
la colonna dell’Oceano Atlantico Meridionale!-
Come
avevo fatto a dimenticarlo?
Ero
diventato Generale degli
Abissi, Cavaliere del Sommo Poseidone.
-Serve
qualcosa, signore?- mi
chiese Poplia.
-No…-
mormorai, andandomene nella
mia stanza.
“E
così, il grande giorno è
arrivato, Sorrento! Ora dovrai solo aspettare il momento per ammazzarti
e
sostenere il Kaioh” pensai, amareggiato.
Inutile
mentire!
Avevo
voglia di sostenere
Poseidone, certo, ma avevo paura di morire!
Penso
che questa sia una paura
legittima per gli esseri umani.
Come
sarei morto?
Velocemente?
Lentamente?
Dolorosamente?
Senza provare
assolutamente nulla?
Come
sarebbe stato morire?
Facile
o difficile?
Una
cosa, però, è certa. La vita
non è uno scherzo, non è un gioco…e di
conseguenza non è per niente facile.
Forse la morte, invece, lo è.
In
fin dei conti, annullarsi,
smettere di respirare, essere passato da qualche lama da parte a parte
è una
cosa, in confronto, decisamente più semplice.
Che
davvero, in quel momento,
fossi percorso da un così forte e psicotico desiderio di
morte?
Certo!
A
volte non desideravo altro,
ricongiungermi con mia madre e mio padre per lasciare a qualcun altro
questo
grosso affare.
Per
favore, non biasimatemi per
questo, ma avevo paura, tanta.
Pensavo
a queste cose quando
sentii la domestica chiamarmi.
-Signore,
ci sono visite per lei-
-Sì-
le rispose, distrattamente
–un attimo e arrivo-
Mi
sistemai velocemente, passando
con noncuranza la spazzola sulla chioma decisamente allungatasi negli
ultimi
tempi.
“Forse
dovrò tagliarli…” pensai,
e uscii dalla stanza.
In
soggiorno chi trovai?
Niente
poco di meno ché…Kanon…
Quanto
lo detestavo…
A
pelle non mi infondeva fiducia.
Sembrava nascondere qualcosa. Era decisamente strano, sotto questo
punto di
vista.
-Ciao,
Kanon- lo salutai
freddamente, lasciando qualche secondo di silenzio prima di nominarlo.
-Finalmente
ti sei svegliato!-
Lo
guardai storto, senza capire
cosa intendesse.
Evidentemente
capì che non
afferravo il suo discorso.
-Sei
rimasto incosciente per una
quattro giorni, Sorrento!-
Quattro
giorni?
Mai
dormito così tanto in vita
mia anche sé la circostanza in questo momento è
decisamente diversa.
-Comunque-
riprese Kanon, senza
badare tanto alla situazione e accavallando le gambe come se fosse in
casa
propria –ora avrai, esattamente come me, una tua residenza
privata, servitù, e,
più o meno, tutto quello che vorrai-
L’idea
di avere così tanto potere
mi allettava e seduceva tremendamente.
Io,
a quasi undici anni, potevo
fare tutto quello che volevo!
-Capisco-
dissi, cercando di
mantenere freddezza e indifferenza. Anche se eccitato dalla notizia, la
presenza di Kanon mi dava ancora fastidio. Diamine, quanto lo detestavo!
-E
dimmi, Kanon, cosa dovresti
dirmi? Sai, a questo ci sarei arrivato da solo, prima o poi!-
Sapevo
che stavo sfiorando il
limite dell’educazione: era pur sempre più grande
di me, sia in età che di
grado (purtroppo…), ma sul momento non me ne importava
davvero più di tanto.
-Tanto
per iniziare, prima di
arrivare al dunque, ti do un piccolo consiglio, Sorrento: cambia tono
quando
parli con me. Chiaro?-
Appunto.
-Comunque,
ora sei un Generale.
Non riceverai alcun addestramento perché il tuo spirito, e
di conseguenza il
tuo corpo, conosce già tutto. Fra qualche tempo potrai avere
un allievo, se la
cosa ti aggrada- disse Kanon, alzandosi e facendo schioccare le dita.
-Un…allievo?
Io? E’ uno scherzo,
vero?- dissi, non credendo nemmeno ad una parola detta da Kanon. Era
decisamente impossibile che io avessi un allievo a
quell’età!
-E’
una possibilità. E la cosa si
realizzerà solo se ne sei d’accordo, ovviamente-
rispose l’altro, con un tono
piuttosto gelido e autoritario.
Senza
degnarmi di un altro
sguardo, Kanon si alzò, mosse in modo millimetrico il capo
in segno di una
sorta di saluto e se ne andò.
Rimasi
a pensare qualche istante.
Chissà
come sarebbe stato avere
un allievo. E cosa avrei mai potuto insegnargli, io?
L’unica
cosa che conoscevo bene,
sia per lo studio che per la mia “nuova”
identità di Generale della Sirena, era
la musica.
Come
avrei mai potuto insegnare
ad un ragazzo a combattere con la musica?
Certo,
il canto e la melodia
delle sirene erano di fatale bellezza e potenza (non osavo mettere in
dubbio
questa verità).
L’unica
soluzione era che io
prendessi un po’ di dimestichezza, nel frattempo, con me
stesso, con la musica
delle sirene, allenandomi, a prescindere da quello che dicesse Kanon, e
poi
cercare di adattare il tutto al mio ipotetico allievo, nel caso in cui
avessi
accettato l’offerta.
Che
situazione!
-Signore-
mi chiamò Poplia.
-Dimmi-
-Il
bagno è pronto, so che non me
lo ha chiesto, ma ho pensato che avrebbe voluto farne uno dopo tutto
questo
tempo in quello stato!-
Che
gentile!
Sì,
Poplia lo era, ma la sua
presenza, al momento, forse perché ancora non mi ci ero
abituato mi sembrava di
troppo, un po’ stretta, a dire la verità!
Ringraziai
la donna e la
congedai, in modo da non averla davanti.
Mi
lavai senza troppa fretta.
Ero
teso, e un bagno mi avrebbe
solo aiutato a sciogliere la spina dorsale estremamente rigida.
Dopo
essere stato a mollo
nell’acqua per quasi un’ora, me ne uscii con le
mani tutte rattrappite. Mi
asciugai velocemente e misi la prima toga che mi capitò fra
le mani: marrone, di
tela, semplice, grezza e per nulla vistosa.
Uscendo
dalla stanza, mi voltai
verso lo specchio, e, dopo tanto tempo, mi vidi.
I
lineamenti si erano fatti più
duri: i tratti infantili erano cominciati a sparire, mentre il viso
cominciava
a farsi un po’ più affilato.
Ero
decisamente cambiato negli
ultimi tempi.
Ormai
della mia vita passata
conservavo solo un amaro ricordo, e nient’altro, e ne avevo
una nuova davanti,
tutta da vivere, assaporare e far sanguinare, in veste di Generale.
Per
prima cosa volli incontrare
Thetis, la guerriera sirena.
Uscii
dai miei alloggi, diretto
alla sala delle Scale, per vestire la mia armatura e cercare di
prendere
familiarità il più presto possibile.
Per
quella mia decisione,
qualcosa, in me, esultò: lo spirito della Sirena.
Sul
cammino trovai una guardia,
alla quale ordinai di cercare Thetis e di farmi raggiungere nel Palazzo
del
Kaioh, affinché mi aiutasse a vestire le scaglie
d’oro.
Arrivato
a destinazione, salii
rapidamente la gradinata che conduceva alla stanza e, ammirando le
vestigia,
aspettavo la ragazza.
-Ai
vostri ordini, Generale!-
Mi
voltai. Era inginocchiata, col
capo chino, verso di me.
Sorrisi
meccanicamente.
-Aiutami
a vestire- le ordinai.
Quella
si alzò e iniziò a
smontare l’armatura, coprendo prima le gambe, poi il bacino,
il petto, le
braccia e infine l’elmo.
Il
mio corpo aderiva
perfettamente con l’armatura, tanto da darmi la massima
mobilità, senza che le
scaglie mi dessero fastidio.
Presi
il flauto, che era rimasto
sull’ara, e lo ammirai per qualche secondo: il mio braccio
era finalmente
completo, ora.
-Thetis?-
chiamai.
-Mi
dica- rispose lei, con tono
intriso di rispetto.
Inavvertitamente
mi girai, e le
diedi un forte e sonoro schiaffo in pieno viso, in modo che venisse
colpita
dalle nocche.
Forse
la colpii troppo forte, o
forse perché la mano, vestita dall’armatura era
diventata decisamente più
pesante, fatto sta che da un angolo della bocca sbucò una
gocciolina di sangue.
Automaticamente,
lei si portò la
mano sul viso, e le si inumidirono gli occhi.
-Mi
dispiace comportarmi così, ma
sei una mia sottoposta! Se prima ero ancora inesperto, non giustifica
il fatto
che tu abbia tiranneggiato su di me. Capito?-
Lei,
in tutta risposta, rimase in
silenzio, guardandomi fisso negli occhi.
Silenzio.
Silenzio.
Ancora
silenzio.
-Esigo
una risposta- le dissi,
usando il tono più autoritario che potessi.
-Lei,
signore, non può capire!-
mi disse.
-Farò
uno sforzo, allora. Parla!-
Si
asciugò il viso dal sangue e
prese allora a parlare.
-Non
sa cosa significhi tutto
questo per me! Ho vissuto al fianco del Sommo Poseidone da quando ne ho
memoria. Le sembra giusto che dopo tutta questa fedeltà,
questo amore verso la
sua idea, dopo tutto il tempo trascorso qui, a vegliare
sull’urna che lo teneva
prigioniero, io non debba essere premiata? Anche io avrei voluto
diventare un
Generale degli abissi. E invece? Sono stata eletta al rango di
cavaliere
sirena. Un semplice soldato come tutti gli altri. Ma io valgo di
più! Sono
invidiosa di tutti voi Generali, Sorrento. Le sembra giusta come cosa?-
mi
rispose, gesticolando furiosamente e con gli occhi sgranati per la
rabbia.
Non
avevo mai pensato che Thetis
potesse mai provare cose del genere.
Lei
che provava invidia? Beh, la
cosa mi sembrava davvero strana, ma a quanto pare, era proprio
così.
-Mi
dispiace per te, Thetis, ma
non sei comunque giustificata! Più di una volta ti ho detto
di cambiare i toni,
ma vedo che questo non è successo, almeno finché
lo spirito del Generale non si
è risvegliato in me! E questo ti da molti punti a tuo
sfavore. Per ora, che
questa discussione, e quel mio sentito, schiaffo, ti siano di lezione,
ma la
prossima volta non esiterò a dartene due, se alzerai ancora
la cresta. Ora
vattene!- le dissi, secco.
Lei,
testa china, se ne andò,
senza voltarsi indietro e senza rialzare il capo finché non
sparì dalla mia
vista.
Dopo
tanto tempo, mi ero ripreso
il mio onore e avevo riscattato tutte le ferite del mio orgoglio.
Anche
se mi ero posto male nei
confronti di Thetis, ero decisamente soddisfatto di me stesso.
Sorridendo,
accarezzai il flauto,
che sembrava pulsare di vita propria.
Lo
sentivo.
“Suonami,
fai tornare in vita le
sirene!” mi diceva.
Uscii
dalla stanza, chiudendomi
la porta alle spalle.
La
Dolce Melodia di Requiem
avrebbe presto riecheggiato negli abissi più oscuri e
profondi.
L’Atlantico
del Sud avrebbe
cantato ancora: non sarebbe più rimasto in silenzio.
Meiou Hades parla:
Ciao
ragazzi!
Scusate
per l’orripilante ritardo
con cui aggiorno!
Ecco.
Vi propongo questo
capitolo, dove Sorrento si è rivalso su Thetis.
Onestamente,
non vedevo l’ora di
scriverlo!
E,
sempre seguendo la storyline
dell’anime, si è accennato al fatto che Sorrento
avrà un allievo, niente che
poco di meno ché Mime di Asgard.
Ovviamente,
Folken non sarà
eliminato, e Mime, in sintesi, dovrà sostenere due
allenamenti in parallelo.
Ora
rispondo alla recensione del
capitolo precedente.
A
LuluXI:
ciao! Come va? Mi fa
piacere che tu abbia apprezzato il capitolo di prima, e vedo che, in
quanto a
gusti letterari, andiamo d’accordo: l’Odissea
è qualcosa di davvero sublime, a
mio avviso! Il comportamento di Kanon, come vedi, non è per
niente cambiato, ma
quello di Thetis si è decisamente ammorbidito! Spero che
anche questo capitolo
ti sia piaciuto!
Alla
prossima!
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