Il canto della Sirena

di NevanMcRevolver
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi chiamo Sorrento Seebacher ***
Capitolo 2: *** Atlantide ***
Capitolo 3: *** Il risveglio del Kaioh ***
Capitolo 4: *** Nuovo arrivato ***
Capitolo 5: *** Isaac ***
Capitolo 6: *** Risveglio ***
Capitolo 7: *** Rivalsa ***



Capitolo 1
*** Mi chiamo Sorrento Seebacher ***


Capitolo 1

Mi chiamo Sorrento Seebacher

 

 

Mi chiamo Sorrento Seebacher.

Sareste così gentili da voler ascoltare la mia storia?

Tranquilli, non vi spaventate! Non è poi così lunga.

A modo suo, nonostante i vari risvolti, è una storia che è andata a lieto fine.

Anzi, perché fine?

Che il Sommo Poseidone, signore dei mari, non si risvegli più? Non voglio crederci, e nutro la speranza che, prima o poi io possa tornare ad allietare le sue giornate con il mio flauto.

 

Sono nato il 10 settembre in Austria.

Di mio padre non so molto, ad essere onesti: ricordo che aveva un negozio di strumenti musicali.

Molto probabilmente proprio per questo mi innamorai sin da subito della musica.

Ricordo che mio padre mi regalò, da piccolo, un violino per il mio decimo compleanno.

Questo è l’ultima memoria che ho di mio padre: dopo sei mesi morì.

Andò a Vienna per partecipare ad una mostra di strumenti musicali. Il Fato volle, però, che il ponte che egli stava attraversando con il suo carro cedesse, e che precipitasse dentro.

Più semplicemente, annegò.

Chi avrebbe mai pensato che la mia vita sarebbe stata stravolta sin dall’infanzia dall’acqua, alla quale sarei rimasto legato per anni e anni al cospetto del grande Poseidone?

Il fato a volte è ironico, se non crudele.

Ricordo che il fiume non esitò a mangiare il corpo di mio padre, tanto da non poterlo più riavere indietro per offrirgli una sepoltura degna di questo nome.

La nostra situazione economica non era delle migliori, e mia madre dovette lavorare sodo per darmi un’istruzione adeguata.

Abbandonai i miei studi di violino e decisi di studiare il flauto traverso.

In realtà gli strumenti a fiato non mi avevano mai appassionato più di tanto, ma quella decisione veniva davvero dal mio profondo. Anzi, era più come se qualcuno me lo avesse suggerito.

All’età di dieci anni non sapevo quanto sarebbe valsa quella mia decisione!

A scuola mi dedicavo anima e corpo negli studi, e per questo non riuscii a socializzare molto con i miei compagni.

Forse era anche un po’ colpa del mio aspetto bizzarro: non è normale trovare sulla faccia della Terra un bambino dai capelli viola e gli occhi color amaranto!

Si sa: i bambini per certe cose sono piuttosto schizzinosi, non sono in grado di accettare come alcuni adulti gli “scherzi” di Madre Natura.

In ogni caso, anche se con qualche difficoltà riuscii a stringere amicizia con due ragazzi: Florian e Theresa.

Erano i miei migliori amici.

Ancora oggi, di tanto in tanto, mi chiedo che fine abbiano fatto.

Sono vivi? Sono morti? Sono Sposati? Hanno figli? Che lavoro fanno?

Ma soprattutto…

Si ricordano ancora di me?

Andiamo con ordine, però!

Conobbi Florian e Theresa il primo giorno di scuola. Me ne stavo appoggiato alla parete in fondo all’aula perso nei miei pensieri, senza ricordare davvero dove mi trovassi.

Mi lanciarono una pallina di carta. Mi chinai e la presi in mano. Poi mi guardai intorno per capire chi me l’avesse lanciata.

Sulla porta c’era un ragazzino che odiavo dal primo momento che vidi.

L’astio era tale che non ricordavo mai il suo nome, e nemmeno oggi riesco a ricordarlo: evidentemente la sua esistenza, per me, contava davvero poco.

Sghignazzò ed era curioso di vedere la mia reazione.

Vedendo che me ne restavo per i fatti miei senza considerarlo davvero più di tanto quello iniziò ad urlarmi contro.

-Mostro! Chi nasce con i capelli viola non è normale, lo sai?-

“Non considerarlo! Tanto prima o poi deve stancarsi!” pensavo.

-E forse nelle mutande non hai niente! Sei una femminuccia!- mi urlò, ridendo e coinvolgendo qualche altro.

Ero letteralmente mortificato.

Tremavo, non sapevo cosa dire, come reagire, se reagire.

Quello che riuscii a fare fu solo inumidirmi gli occhi e chinare il capo per terra.

Non volevo farmi vedere che stavo piangendo, per cui mi girai verso il mio giubbotto fingendo di cercare qualcosa nelle tasche.

La campanella, disgraziatamente, ritardava a suonare, e io non sapevo che fare.

Non potevo mica restare rivolto verso l’attaccapanni tutto il tempo!

Fu allora che mi sentii chiamare da una manina.

-Hey, lascialo stare…-

Era una voce femminile a parlare.

Mi girai che non riuscivo più a trattenere le lacrime, e piani.

Dopo qualche istante mi pulii il viso con la manica della divisa.

Mi rivolsi verso la ragazza, e notai che dietro ci stava anche un bambino, che mi guardava, incuriosito, senza odio, innocente.

Abbozzai ad un sorriso, e non riuscii a fare nulla di più.

-Theresa e Florian- disse, indicando prima sé stessa e poi l’altro.

-Sorrento…- mormorai; ero ancora così agitato da non scandire bene le parole; i due, infatti, si sporsero in avanti, non avendo sentito.

Mi schiarii la voce: -Sorrento- dissi, fiero del mio nome.

Mi sorrisero e poi se ne andarono ai loro posti.

Nei giorni a seguire parlavo con loro due sempre più spesso, e nacque fra noi un legame davvero forte, quasi fraterno, di cui ancora oggi ne conservo il dolce ricordo e assaporo la triste nostalgia.

Ogni volta che tornavo a casa, mia madre mi chiedeva come fosse andata la giornata a scuola; anche se ero piccolo, riuscivo a capire che la cosa non le interessasse davvero molto: la perdita di mio padre era ancora recente, e lei, in particolare, l’avvertiva ancora come une ferita che continua sempre a sanguinare senza mai rimarginarsi.

In ogni caso le rispondevo che tutto andava bene e che stavo stringendo amicizia con Theresa e Florian.

Allora lei mi accarezzava il viso e mi preparava da mangiare.

Ed io, vedendola, puntualmente, stavo male, nonostante fossi un semplice bambino di soli dieci anni avevo una fortissima empatia. Alla fine, col passare del tempo, mia madre se ne fece una ragione, e si riprese: ritornò alla vita dopo questo stato di pseudo-morte.

Tutto andava per il meglio, il lavoro di mia madre portava a casa i suoi benefici, e sotto il tetto di casa Seebacher non mancò mai nulla.

Un giorno, esattamente dopo sette mesi dalla morte di mio padre, ricordo che stavo in camera e suonavo il flauto: aveva appena finito la parte di solfeggio e iniziavo a dilettarmi nelle prime melodie.

Erano di una facilità sconcertante, ma per me, un novellino nell’uso del flauto, erano davvero impegnative.

Però ero comunque concittadino di molti compositori, Mozart su tutti.

“Ed io non sarò da meno!” pensai, mentre voltavo la pagina dello spartito, quando mia madre entrò in stanza e mi abbracciò forte.

Spaventato, mi ficcai anche il flauto nell’occhio, ma vedere mia madre ridere era uno spettacolo che valeva la pena di quel piccolo dolore.

-Che succede?- le chiesi, quando si calmò.

-E’ arrivata una lettera dall’Italia, è di tua zia Selene! Ci ha invitati a Venezia!-

Guardai mia madre stupefatto.

-Venezia…- le dissi, guardandola come se fosse una dea e con tutto lo stupore possibile.

“La città galleggiante!” pensai.

-Quando ci andiamo?- le chiesi, non appena riacquistai un filo di voce.

-Fra una settimana!- rispose lei, sistemandomi il vestito e esaminando l’occhio, che si era un po’ gonfiato.

Stupidamente, anzi, in maniera molto puerile, pensai: “Finalmente andrò in gondola”. Per me sarebbe stato il massimo!

Come stabilito, una settimana dopo partimmo alla volta della Laguna veneta.

La prima cosa che notai di Venezia, non appena misi piede in terra, era l’odore.

Dopo qualche minuto il mio corpo si era già abituato, e non ci feci più caso, anche perché ero troppo impegnato a guardarmi intorno.

Salutammo gli zii, a piedi, facemmo un rapido giro della città.

-In questi giorni, poi, la visiterete con più calma!- disse zia Selene.

Passammo davanti a Palazzo Seta, la Basilica di San Marco, la Torre dell’Orologio.

Ero stupefatto da tutta quest’arte che mi circondava, anche se i miei occhi di tanto in tanto guizzavano verso i canali, dove i gondolieri scorrazzavano la gente di qua e di là, fornendo anche indicazioni e descrizioni della città.

Gli altri evidentemente se ne accorsero, perché sentii dire mia madre dire: -Se non lo porto in gondola è capace che si ammazza!-

Fermarono la prima barca vuota, e il viaggio ebbe inizio.

Ricordo che dopo aver solcato un po’ quelli che erano i canali più importanti, zia Selene disse di andare verso il mare aperto, per vedere Venezia in tutta la sua interezza.

Ci lanciammo, allora, verso il mare aperto: fu allora che accade.

Uno scossone fece sussultare l’imbarcazione, tanto che, impauriti, tutti, gondoliere compreso, ci arpionammo letteralmente all’imbarcazione.

La barca, allora, prese inizialmente a girare su sé stessa, poi sempre più velocemente.

-SONO LE CORRENTI!- urlò il nocchiere, cercando di riportare la gondola su acque più calme.

I suoi tentativi, però, furono vani: la gondola girò sempre più velocemente, come una trottola impazzita e poi un colpo la prese dal basso.

La barca venne spezzata in due di netto, precipitando e portandoci con sé.

Non appena il mio corpo fu sott’acqua, non sentii più nulla.

La vista era annebbiata, ma scorsi le figure di mia madre e i miei zii che nonostante tutto, invece di risalire, andavano sempre più giù, e del gondoliere, che perdeva sangue dalla testa.

Non potevo respirare, ma i miei polmoni reclamavano ossigeno, la cui mancanza non fece altro che farmi perdere coscienza del mio corpo.

L’udito era come se non mi fosse mai appartenuto, e questo muto e umido silenzio mi spaventava.

Presi a tremare, e a perdere coscienza: dovevo respirare, ma non potevo.

“Muoio” pensai.

Sentii il mio corpo scivolare verso il fondo.

Svenni.

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Capitolo 2
*** Atlantide ***


Capitolo 2

Atlantide

 

 

Intorno a me era un continuo brusio, un infinito mormorare di parole che mi rimbombava ferocemente nel cervello.

-Sembra stia meglio!-

-Forse non si sveglierà mai più: resterà in coma!-

-Non possiamo permetterlo. Il Sommo Poseidone non ci perdonerebbe mai!-

-E se fosse già morto…-

-Non dirlo nemmeno per scherzo imbecille!-

L’istinto mi diceva di restare fermo, non profferire parole, suoni o sospiri, ma la curiosità ebbe la meglio, e mi sforzai ad aprire gli occhi.

Sforzai, esatto: me li sentivo pesanti, come staccati dal corpo e a malapena riconducibili alla mia volontà.

-Silenzio!-

Il brusio cessò subito.

-Si sta svegliando!-

Allora sentii una voce femminile sussurrarmi all’orecchio: -Dai, ce la farai! Ancora uno sforzo!-

Chiamai a raccolta tutte le mie energie e seguii il consiglio di quella voce sconosciuta.

Lentamente aprii gli occhi, e la luce mi ferì in pieno.

Tutto era estremamente luminoso: come se fossi stato messo in una stanza piena si specchi che non facevano altro che riflettere la luce all’infinito.

Gemetti dal dolore, e cercai di capire chi fosse la donna che mi avesse parlato.

Scorsi la figura di una ragazza bionda: ad occhio e croce, per quel che mi sembrava, era della mia stessa età, pressappoco.

-C-chi sei?- mormorai.

-Thetis- rispose lei, sardonica, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. –E tu?-

-Sorrento Seerbach- risposi.

Lei mi fissò per qualche istante, e poi accennò a quello che era il fantasma di un sorriso: -E’ bene che ti sia ripreso!-

Allora mi alzai di botto, ed ebbi un forte senso di nausea e vertigini, tanto che dovetti poggiarmi al letto dove ero steso.

Ancora non mi ero accorto che mia avevano adagiato su un materasso.

-Dove è mia madre? E i miei zii?- chiesi, con una leggera nota di disperazione in volto.

Notai che assieme a Thetis, nella stanza c’erano altre cinque uomini; guardai negli occhi ognuno di loro, aspettandomi una risposta.

-Morti- disse quindi Thetis, con un tono che suonava tremendamente indifferente.

-Non ho capito- dissi con voce stranamente ferma.

-Morti- ripeté lei, con lo stesso tono glaciale.

-E’ impossibile! Eravamo in gondola a Venezia quando cademmo in mare! Se io sono vivo devono esserlo anche loro! E poi, chi siete? Dove mi trovo?- urlai, fermo sulla mia infantile logica.

Thetis, che nel frattempo si era girata di spalle, mi lanciò una terribile occhiataccia che mi fece subito ammutolire.

-Dove ti trovi, ci stai chiedendo. Sei nella terra di Poseidone, il Signore dei mari!-

-Dove?- chiesi, temendo di non aver capito.

-Benvenuto ad Atlantide, Sorrento!- disse lei, con un sorriso lupesco.

Un attimo di silenzio. Dovevo digerire il rospo.

-Tua madre e i tuoi zii- riprese uno dei presenti, anticipando la mia domanda –sono morti. Annegati. Rassegnati e abbi fiducia! Ti stiamo dicendo tutta la verità-

-Non ci credo- dissi, risoluto e in tono pacato.

Presi a girarmi per la stanza e urlai in continuazione “Mamma, dove sei?”. Ero sempre più preoccupato.

E poi cos’era questa storia?

Poseidone, Atlantide, per me erano solo leggende, storie per intrattenimento. Nient’altro.

-Non ci crederà mai!- disse Thetis –Portategli il vestito, allora. Vuoi una prova che tua madre è morta e che, di conseguenza sei giunto ad Atlantide? Eccola!-

Dopo qualche istante entrò un uomo con il vestito che mia madre aveva indosso il giorno che andammo in gondola a Venezia.

Era bagnato e macchiato di sangue.

La prova lampante che ero diventato completamente orfano.

“Sei solo, ormai, Sorrento!” pensai.

Mi aggrappai al vestito di mia madre e scoppiai in un lungo e lamentoso pianto.

Thetis, allora, mi si avvicinò e mi disse: -Mi dispiace, ma era l’unico modo per ottenere la tua fiducia!-

Volevo semplicemente stare da solo, e iniziai a provare un odio profondo per quella ragazza: non aveva fatto niente, era palese che era sincera. Ma non potevo fare a meno di detestarla.

Non risposi e iniziai subito a tremare, e altre lacrime sgorgarono fuori, cadendo sul vestito umido.

Ero solo, abbandonato a me stesso, in un luogo (o mondo?) sconosciuto, in mezzo a gente sconosciuta, in un letto a me estraneo, con il vestito di mia madre fra braccia.

La stanchezza, maligna, si fece sentire più tardi e, dopo aver versato le ultime lacrime, lanciato un ultimo urlo straziato con voce rotta e rauca, mi addormentai.

Dopo qualche ora mi sentii abbastanza in forze per avere il coraggio di alzarmi e muovere qualche passo, lasciai la veste di mia madre, sul letto, e andai ad aprire la porta.

Non appena varcai la soglia verso il mondo esterno, furono due le cose a stupirmi: il fatto che quattro uomini armati mi si erano inchinati davanti; poi il paesaggio.

L’odore della salsedine era fortissimo; alzai lo sguardo verso l’alto, con l’istinto di voler vedere il sole, ma lo spettacolo che mi si parò dinnanzi è difficile da descrivere: bisogna viverlo per capirlo.

Al posto del cielo, sconfinata, si stendeva l’acqua.

Il mare regnava sovrano: si stendeva a perdita d’occhio e con il suo movimento anche i luccichii del sole si muovevano.

Vedevo il moto delle onde, e allora mi chiesi come facessi a respirare sott’acqua, ma su questo non mi soffermai più di tanto, accettai la cosa e amen.

Vidi che a fianco alle stanze dove avevo riposato c’era uno strapiombo: mi avvicinai e cercai di scrutarne il fondo, ma invano: il buio lì regnava sovrano.

Se non avessi visto tutto con i miei occhi non avrei mai creduto alle parole di Thetis: diceva, dunque, la verità.

La vidi, quindi, arrivare da lontano.

-Salve, Sorrento! Avanti, ho il compito di mostrarti il regno del nostro Signore- disse.

Mi avvicinai alla ragazza e la seguii per le vie ampie che solcavano quei misteriosi fondali marini.

Qua e la scorgevo delle piccole abitazioni e, in lontananza, delle strutture altissime.

-Sono colonne quelle laggiù?- le chiesi.

-Sì- rispose Thetis –quelle sono delle colonne, e non pilastri qualsiasi! Sorreggono le volte dei sette mari, degli oceani di cui Kaioh Poseidon è sovrano!-

La guardai stralunato: per me quella situazione era assurda, per quanto vera.

-Le acque del mondo sono dominio del Sommo Poseidone, e sono divise in sette regioni: l’Oceano Artico, l’Oceano Antartico, il Pacifico Settentrionale, il Pacifico Meridionale, l’Atlantico Settentrionale, l’Atlantico Meridionale e, infine, l’Oceano Indiano. Ogni colonna sorregge una di queste regioni, e la loro integrità è di vitale importanza per l’esistenza di Atlantide. Mi segui?- disse Thetis.

-Sì, ma tu come sai tutte queste cose? O non sei umana?-

-Spiacente, ma lo sono anche io. Sono di origini danesi, e sono scesa qui in Atlantide dopo il prodigioso “risveglio”!-

-Risveglio?- chiesi, ancora più confuso.

-Tempo al tempo- chiuse il discorso, lei.

Camminammo a lungo e Thetis rispondeva alle mie domande con fare meccanico.

Giungemmo, poi, davanti al palazzo più bello che vidi in tutti i miei dieci, quasi undici, anni di vita.

Dinnanzi a noi si ergeva un tempio, svettante su un ampia piazza.

C’erano numerose colonne e dietro il santuario si estendeva una struttura sia in larghezza che in lunghezza. Dietro di ciò, lo spettacolo ancora più stupefacente: una colonna enorme, più grande di quelle che vidi, si ergeva verso l’alto, e non riuscii a scorgerne la fine.

Poco più in basso, a destra e sinistra, a strapiombo scendevano due cascate, creando un fragoroso e vitale rumore.

L’intera struttura, piazza, ingresso e colonna erano di una tenue tinta color sabbia, striata di lievi riflessi dorati.

-Questo è il Palazzo di Kaioh Poseidon- disse lei.

Thetis si avviò al suo interno, mentre io mi avviai molto lentamente, a bocca aperta, incantato da questo straordinario spettacolo.

-Divino…- mormorai.

-Bene!- disse Thetis –Vedo che stai cominciando a capire-.

Camminammo per lunghi corridoi senza pareti laterali, per cui era possibile vedere il paesaggio circostante e le cascate ai lati dell’edificio, che, ad ogni piano, formavano delle piscine che poi svuotavano la propria acqua in basso.

Thetis, allora, svoltò improvvisamente ed andò ad aprire un grande portone, ai cui lati c’erano due guardie.

-Entra- mi disse, sempre rivolta di spalle.

Iniziavo ad odiare questo suo atteggiamento di sufficienza, e non avevo la più pallida idea che dopo qualche tempo Thetis sarebbe stata mia sottoposta.

Guardandola con astio, entrai nella stanza.

Era piccola, scarsamente illuminata e andava odore di chiuso: istintivamente arricciai il naso.

In fondo scorsi la sagoma di un piccolo altarino, ed anche molto basso, a dirla tutta.

Sulla sua superficie c’erano un vaso intarsiato d’oro e avorio. Sul coperchio era attaccato un biglietto fra coperchio e vaso con un’iscrizione dai caratteri a me ignoti.

-Quello è il nome di Athena in greco antico- mi spiegò Thetis e lì, in quel vado, è racchiuso il potere del Sommo Poseidone, l’Imperatore degli oceani. Un giorno lo vedrai di persona e lo servirai fedelmente- finì, con tono solenne.

Uscimmo, e mi venne da chiedere: -Cosa intendi dire?-

Thetis mi fisso in viso e disse: -Un giorno anche tu ti risveglierai, Sorrento. Tu sarai uno dei cavalieri, dei soldati più importanti fra le fila del Signore dei mari. Al momento ad Atlantide siete arrivati in due. Oltre te è arrivato un ragazzo di nome Kanon, un greco-

-Raccontami di Kanon- le dissi.

-Non so molto di lui. So che è stato allontanato dal fratello, nonché suo gemello. Il primo è cavaliere della costellazione dei Gemelli e custode dell’omonima casa al Grande Tempio di Atene, dove vive la dea Athen, o il suo Gran Sacerdote. Di preciso non so cosa sia successo, ma Saga, suo fratello, lo rinchiuse in una grotta piena d’acqua, nella speranza che l’alta marea lo facesse annegare. Si salvò e il dio Poseidone, nella sua magnanimità gli ha concesso l’onore di entrare nel suo esercito, diventando il Generale degli abissi più importante. Kanon è stato il primo a scendere in Atlantide, e ha l’ordine di custodire il vaso con lo spirito del Sommo. Fra qualche tempo Kanon dovrà aprirlo, e lo spirito del Kaioh andrà ad abitare nel suo corpo umano, nella sua attuale reincarnazione- mi spiegò lei.

-Quindi anche io sarò Generale, un giorno?- chiesi.

-Per questo sei qui. Il vortice che ti ha risucchiato è stato generato dal potere del Dio dei mari. Era il suo modo per averti con sé, siccome sa che sarai uno dei sui Generali!- rispose Thetis –Anche tu un giorno indosserai la tua Scale, e adempirai ai tuoi doveri!-

-Scale?- le chiesi, perplesso.

-Seguimi-

Andammo, allora, in un'altra stanza dove erano custodite sette armature, disposte tutte su un lungo altare.

Erano completamente d’oro e di raffinata bellezza.

Solo che le armature che vidi non corrispondevano a quelle che si è soliti immaginare: queste avevano forme bizzarre.

Davanti a me vedevo un drago, una specie di cavallo, qualcosa di simile ad un pesce, un uomo con una lancia e un aureola di fuoco, una salamandra, un mostro da tanti volti e un uccello con il volto da donna, e su un ripiano più alto, un uomo con un tridente in mano.

-Davanti a te, in ordine, vedi Dragone del mare, Cavallo del mare, Kraken, Crisaore, Limniade, Scilla, Sirena e, in alto, le sacre vestigia del Kaioh- disse, con tono reverenziale.

Erano uno spettacolo stupendo, e pensare che una di quelle armature sarebbe stata la mia…

Dopo qualche istante, usciti, le chiesi se anche lei fosse una guerriera.

-Si, ma il mio rango è inferiore del tuo. Quando sarà il momento sarò Thetis di Mairmaid. Mentre la Scale che hai visto prima rappresenta la classica sirena greca, con corpo di uccello e volto umano, la mia armatura rappresenta l’ideale sirena nordica: una donna con la coda da pesce- rispose.

-E quale sarà la mia armatura?- chiesi, ansioso.

-Non te lo so dire. Quando ti risveglierai lo capirai da solo! Il giro è finito. Puoi fare quello che meglio credi- mi disse Thetis, lasciandomi solo nell’atrio del palazzo.

Mi girai cercando di scorgere la sommità della colonna, ma niente.

“E’ altissima!” pensai.

Nel frattempo presi a passeggiare, meravigliato.

Non rimproveratemi: non mi ero dimenticato della morte di mia madre, ma avevo bisogno di distrarmi, dovevo girare pagina. E a quell’età il fatto che sarei diventato un guerriero per me rappresentava un ottimo diversivo. Sapere che tutto era già disegnato mi consolò, e dopo poco tempo, nonostante la mia tenera età, me ne feci una ragione, non per mancanza d’affetto e amore, ma perché capii che contro la morte solo un dio è in grado di fare qualcosa. Io ero solo un umano, un bambino, pedina degli dei, quindi non potevo agire diversamente.

Mi fermai a vedere gli allenamenti di alcune persone, e mi stavo chiedendo come mai Thetis, invece, non me ne parlò.

Possibile che per un Generale non ci sia un addestramento? Possibile che sarei dovuto restare impreparato fino al mio risveglio?

D’un tratto mi sentii chiamare: -Tu! Laggiù!- urlò una voce.

Mi girai, e un uomo alto, magro e con una lunga chioma mi veniva in contro.

Capii subito chi fosse.

Quel giorno lo conobbi.

 

 

 

 

 

Meiou Hades parla:

Salve miei cari lettori!

Allora? Cosa ve ne pare di questa piccola idea? Spero che abbia suscitato il vostro interesse, anche perché si parla (giustamente) di tanti personaggi, ma perché non fantasticare anche sulla vita di Sorrento? Come personaggio non sarà dei più importanti, vero, ma perché non dare a questa figura un po’ di tono?!

 

A Diana924: ciao! Sì, la vita di Sorrento, almeno fino a questo momento, è molto intensa, ma fidati, tutto acquisterà maggior spessore con lo svolgimento dei fatti! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto! ^^

 

Approfitto per pubblicizzare due miei scritti, se non vi dispiace:

 

Il canto del demone (Originale – Fantasy)

 

La danza delle anime di carta (Originale – Fantasy)

 

A presto, miei cari! ^^

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Capitolo 3
*** Il risveglio del Kaioh ***


Capitolo 3

Il risveglio del Kaioh

 

 

Avanzava verso di me, sicuro di quello che stava facendo.

Vederlo muoversi così, con passo incalzante e senza esitazioni verso di me, mi fece spavento.

La cosa che più mi sorprese di lui erano i capelli, di un blu intenso, scuro come il mare, profondo come il cielo. Era alto, magro, occhi chiari e uno sguardo per niente rassicurante.

-Chi sei?- mi chiese, fissandomi violentemente con il suo sguardo accigliato.

La prima impressione che ebbi di lui era che fosse un tipo piuttosto cattivo, arrogante.

Non sapevo che non stessi sbagliando!

-Sorrento Seerbach- risposi, timidamente.

-Sei quello nuovo?- mi chiese di nuovo, con tono duro.

Annuii.

“Bene. Ora sono ‘quello nuovo’, non più Sorrento! Che fortuna!” pensai, amareggiato.

-Questa sera sarà liberato lo spirito del Kaioh. E’ bene che tu lo sappia, poiché dopo non molto, forse, anche tu avrai il tuo risveglio. Chiaro?-

Ero in Atlantide da poche ore eppure stava succedendo di tutto: Thetis mi aveva appena detto che lo spirito del dio era rinchiuso nel vaso e che sarebbe passato ancora un po’ di tempo prima della sua apertura. Ora quello mi diceva che quella stessa sera il Kaioh avrebbe preso possesso della sua reincarnazione. Che casino!

-Quando sarà il tempo, Thetis andrà a prendere Sua Maestà per portarlo nel suo regno- disse.

Un attimo di silenzio e: -Perché me lo dici? Devo venire?- chiesi.

Mi rise addosso: questo era il colmo. Poteva essere l’uomo più forte del mondo ma questo non doveva farlo. Volli saltargli addosso, ma non lo feci.

Perché? Era e sarebbe stato un mio superiore, e se l’avessi picchiato, dopo per me sarebbero stati cazzi amari!

-No! Te l’ho solo detto per non farti restare impreparato. Ah, non riceverai addestramenti, non so se Thetis te lo abbia detto. Saprai tutto al momento del risveglio, Sorrento!- e fece per andarsene.

-Sei Kanon, vero?- gli urlai, anche se sapevo già che fosse lui.

Non mi degnò di uno sguardo e continuando imperterrito sulla sua strada mi disse solo: -Non dimenticare il mio nome!-

Lo detestavo già dal primo istante, ma cosa potevo farci? Ognuno è fatto a modo suo, no?!

Andai ancora in giro per le vie di Atlantide, cercando di non pensare alla sgradevole conversazione appena avuta con Kanon.

Ma ovviamente, più ti sforzi nel non pensare una cosa, più quella ti si pianta nella scorza celebrale: un classico!

Persi, quindi, buona parte del mio tempo libero bighellonando e rodendomi il cervello con assurdi pensieri.

Giunsi, quindi, non sapendo più cosa fare davvero, nella mia nuova casa.

Possibile che quelle fosse tutta mia e che avessi anche una scorta personale?

Non riuscivo ancora a capacitarmene.

-Come le pare il regno di Atlantide, signore?- mi chiese una guardia, arrivato sull’uscio dell’abitazione.

“Signore? Io?” pensai, entusiasta.

-Devo abituarmi…- risposi. Entrai nella stanza e, sul letto, giaceva ancora il vestito di mia madre.

Lo piegai come meglio potei e mi girai per trovare un posto dove conservarlo: solo allora mi resi davvero conto della stanza che mi venne data.

Perfettamente quadrata, aveva una finestra che affacciava sulla destra della struttura, rivolta verso il palazzo del Kaioh.

Il letto dove avevo dormito era alto e coperto da lenzuola bianche, senza rifiniture.

Un armadio giaceva sulla parete opposta alla porta. Lo aprii e ci adagiai dentro il vestito di mia madre.

Mi accorsi che dentro c’erano diverse tuniche e vesti, di ogni tessuto: raso, seta, cotone, canapa.

Erano tutti coloratissimi: c’erano vestiti color bianco, oro, rosso, cobalto, nero, giallo, verde.

Tirai verso di me una tunica bianca: volevo cambiarmi, non volevo più portare quei panni, ma non sapendo cosa si indossasse sotto, poiché era impossibile restare nudi sotto l’indumento, chiamai la guardia fuori, per farmi spiegare come funzionasse.

Ero abituato ai pantaloni e alle giacchette della divisa scolastica, non di certo a vesti così lunghe e larghe!

Quello mi spiegò che nei cassetti c’erano tutte le sottovesti necessarie, e mi lasciò solo.

“Devo lavarmi!” pensai.

Mi diressi verso l’unica porta che c’era oltre quella d’ingresso.

Il bagno che mi si parò davanti era piccolo ma intimo, forse un po’ troppo azzurro e pieno di conchiglie e coralli, ma cosa potevo pretendere da un’abitazione di Atlantide?

Mi spogliai e abbandonai i vestiti in un angolo e mi diressi verso la vasca.

“Da dove esce l’acqua?” pensai, non vedendo leve o valvole che potessero ricondurre ad un rubinetto.

Entrai nella vasca, cercando di vedere se all’interno ci fosse qualche indizio che potesse aiutarmi a risolvere questo mistero.

Non appena mi sedetti sul fondo, l’acqua iniziò ad uscire da piccoli fori posti ai lati.

Capito il meccanismo, mi lavai e, dopo essermi asciugato, decisi di indossare una tunica bianca con gli orli color porpora.

Mi sentivo ridicolo. Troppo, invero.

Cercai di sbarazzarmi dell’imbarazzo della situazione e decisi di tornare dove avevo visto quegli uomini allenarsi.

Non avevo niente di meglio da fare, non avevo nemmeno con me il flauto a confortarmi.

Tornai nell’area degli allenamenti e mi sedetti sugli spalti.

Quelli, per me, non si allenavano: si stavano uccidendo!

I pugni arrivavano violenti su ogni parte del corpo e da ogni angolazione, ma quelli, incassato un colpo, ne mandavano subito altri in risposta. Sembravano instancabili, inumani nelle loro tenute nere.

Più tardi capii che erano fatte di squame ed erano abbastanza resistenti quanto viscide al tatto.

Urlavano in continuazione, chi per vittoria, chi per sconfitta, chi per dolore.

Era un’immagine insolita quella, e non riuscii a capacitarmi del fatto che io, prima o poi avrei agito esattamente come loro: risveglio o non risveglio, non ero fisicamente e psicologicamente pronto!

Non mi accorsi che il tempo passò molto velocemente. Solo quando i combattenti se ne andarono capii che era tardi.

Avevo fame, troppa, ma non sapevo dove dovevo andare.

Thetis mi aveva mostrato le bellezze di Atlantide, ma non i luoghi utili alla mia sopravvivenza!

Pensai che lo fece apposta e, cercando di trovare un posto che potesse sembrare ad una mensa, la maledicevo come meglio potevo.

-Che parole soavi, Sorrento!- disse all’improvviso una voce dietro di me.

Mi girai e, nel giro di poche ore, mi ritrovai di nuovo con Kanon.

“Perfetto…” pensai ironico: non avevo ancora digerito il rospo di prima.

Lo guardai in faccia senza salutarlo, cercando di capire cosa volesse ora.

-Serve una mano?- mi chiese, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

-No, grazie- risposi, con tono neutro.

Lo stomaco, però, mi tradì: emise un brontolio lungo e sommesso: reclamava la sua parte.

Kanon, sogghignò, e mi indicò la via per la mensa.

Lo vidi dirigersi verso il palazzo reale: evidentemente stava andando ad aprire il vaso dove era custodito lo spirito del Kaioh.

Arrivato in mensa, mangiai velocemente quella sbobba dall’aspetto vomitevole, e tornai nel mio piccolo appartamento.

Avevo sonno, ma non riuscivo a dormire: avevo il respiro lievemente accelerato, preda dell’ansia e non riuscivo nemmeno a capire il perché.

Mi affacciai alla finestra, nella speranza che un po’ d’aria fresca avesse potuto aiutarmi.

Istintivamente alzai lo sguardo verso l’alto, alla ricerca di stelle inesistenti, coperte da quello spesso mantello d’acqua.

Fu allora che accadde: ci fu uno scoppio e un boato assordante proveniente dal palazzo reale.

Mi girai verso la fonte del suono, e notai che questo aumentava costantemente il suo volume, poi, improvvisamente, un azzurrognolo raggio luminoso salì verso la superficie dell’acqua.

L’energia sprigionata da quell’esplosione era immensa.

Subito le correnti marine presero a vorticare ferocemente creando fatali mulinelli e tempeste marine: i venti erano così forti che abbatterono alcune colonne che adornavano le strade di Atlantide.

Ci fu anche una scossa di terremoto molto violenta, tanto che caddi per terra e non riuscii più a rialzarmi per la violenza delle scosse. In un istante di apparente quiete uscii fuori e mi ritrovai davanti lo spettacolo più terrificante che potessi mai immaginare.

Corsi di filato di nuovo in casa, appena in tempo: una nuova e violenta scossa.

Le strade si sfaldarono, e violenti getti d’acqua irruppero fuori: per me quello era l’inferno.

Il boato divenne sempre più assordante, tanto che anche se mi tappai le orecchie, lo sentivo ugualmente, come se fosse nella mia testa.

Poi, improvvisamente, tutto, così cominciò, finì.

Volsi lo sguardo verso la finestra, e vidi il raggio man mano scomparire verso l’alto, per eclissarsi definitivamente.

Non appena tutto finì, mi alzai sentii urli di vittoria e gioia provenire da ogni parte di Atlantide.

Avevo paura di quello che era successo, perciò non misi il becco fuori dalla mia stanza e aspettai il mattino dopo per uscire e capire cosa fosse successo, anche se, più o meno, avevo già capito.

Per quel poco tempo che rimase, dormii male e non molto: feci qualche sogno non proprio bello, ma non ricordo esattamente cosa.

Mi preparai velocemente e mi lanciai a rotta di collo verso il palazzo del Kaioh, ma dovetti rallentare più di una volta per evitare di ammazzarmi in qualche buca in strada, provocate dalle scosse del giorno prima.

Arrivai nel castello e chiesi alle guardie di Thetis o Kanon, ma la ragazza mi venne subito incontro.

-E’ stato liberato lo spirito di Poseidone ieri sera, vero?- le chiesi con il fiato corto per via della corsa.

-Ovviamente. E chi altrimenti?!- rispose lei.

Feci per andarmene, ma lei mi trattenne dicendomi: -Fra non molto dovrebbero scendere anche gli altri Generali, e quando i tempi saranno maturi si aprirà una nuova Guerra Santa, e tutti dovremo onorare il nostro Signore. Tieniti pronto!- e sparì dietro una porta, senza darmi un minimo tempo di reazione.

Lo spirito del mio Signore era stato liberato e io?

Io niente! Non mi sentivo poi così diverso dal giorno prima, da un anno addietro.

Io ero ancora Sorrento e ancora non riuscivo a sentirmi legato a quella terra per me ancora nemica e sconosciuta, non ero ancora in grado di appoggiare la causa a me ignota di un dio a me sconosciuto o comunque lontano.

Ero ancora me stesso, con i miei dieci anni sulle spalle.

Ma per me, a mia insaputa e contro il mio volere, era stato già tutto scritto.

Sarei diventato Generale, un giorno.

Che mi fosse piaciuto o no, avrei combattuto per la causa di un altro, avrei dato la mia vita, la mia fede per altra gente.

Sarei diventato, inevitabilmente un’altra goccia nell’oceano.

Una lacrima.

Nient’altro.

 

 

 

 

 

Meiou Hades parla:

Salve ragazzi.

Tutto bene?

Il Kaioh è stato liberato, e fra un po’ scenderanno in Atlantide anche gli altri personaggi.

Chi sarà il prossimo? Non lo so nemmeno io.

In ogni caso, volevo informarvi che la storia di Sorrento sarà più fedele all’anime.

Ergo i personaggi saranno più simili a quelli dell’anime e sarà incluso anche l’intermezzo di Asgard, che nel manga non esiste.

E poi, la lasciate qualche recensione? Penso che la storia, infondo, meriti, no?! *fa gli occhi lucidi e tentatori*

A presto!

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Capitolo 4
*** Nuovo arrivato ***


Capitolo 4

Nuovo arrivato

 

 

Passarono circa sei mesi da quando scesi in Atlantide, e le giornate passavano lente, monotone, sempre uguali a sé stesse.

Il tedio diventava sempre maggiore, e i vari incontri con Kanon non miglioravano la situazione.

Alla freddezza di Thetis mi ero abituato, ma la presenza di quel giovano dai capelli insolitamente blu mi innervosiva: non riuscivo mai ad abituarmi.

Da quando il Kaioh è stato liberato siamo stati quasi tutti impegnati nel rendere di nuovo abitabile quel posto.

Ho detto quasi perché Thetis ovviamente non lavorava, ed io, invece, lavoravo solo quando mi andava, come del resto Kanon.

Un giorno stavamo spazzando una strada, liberandola dai detriti e dalle pietre meno pesanti.

Decisi di andarmene, anche perché non potevo fare più niente.

Presi a passeggiare per le vie di Atlantide, senza una destinazione precisa.

Perdermi era impossibile, anche perché avevo calcato così tante volte quelle strade che ora le conoscevo a menadito.

Ero completamente solo, perso nei miei pensieri e canticchiavo a bassa voce, con le labbra chiuse, e mi spinsi verso una delle regioni meno colpite dal sisma.

Il paesaggio, lì, era diverso dal centro del regno: l’acqua sembrava più chiara, limpida e fresca.

Le tonalità del fondale erano così chiare da accecare gli occhi.

Mi sedetti su un masso e mi incantai nell’ammirare il panorama: i coralli, le alghe, la sabbia e quell’azzurro infinito si stendevano verso l’infinito in ogni direzione.

Il silenzio era sovrano, e io non cercavo altro.

Mi stesi, allora, con lo sguardo rivolto verso la volta d’acqua e…

Un tonfo.

Qualcosa era caduto: forse un’altra colonna aveva ceduto! Andai sul posto per vedere la gravità della situazione.

Non vedevo nulla di strano: le pietre erano ai loro posti, i coralli se ne stavano indifferenti e le colonne erano ancora in piedi.

Mi girai e sentii un rantolio: mi voltai ancora, ma non riuscivo a capire da dove provenisse.

Un sospiro, un morboso attaccamento alla vita, enorme paura della morte: ecco cosa sentivo: ma non erano mie queste sensazioni.

Aggirai un masso per capire cosa fosse la fonte di tutto questo, quando lo vidi.

Un ragazzo stava riverso in terra, con il volto rivolto verso l’alto, tremendamente sfigurato, sporco di sangue.

Tutto il volto era coperto da un lenzuolo scarlatto, anche i capelli e la bocca sembrava impastata dal liquido. Mi avvicinai, intimorito e spaventato, ma mi allontanai subito.

Respirava a mala pena, e il petto si alzava e abbassava con movimenti spasmodici, scattanti e per niente elastici.

La pelle stava diventando chiara, forse troppo, e le labbra, nonostante tutto quel sangue, stavano evidentemente perdendo colore.

Corsi via e tornai indietro.

Chiesi aiuto e sulla strada del ritorno trovai un gruppetto di guardie.

Una di queste si allontanò per andare a chiamare Thetis e Kanon, mentre gli altri mi seguivano sul punto dove avevo trovato il moribondo.

Quando tornammo quasi non respirava più, e aveva perso molto sangue, anche se il flusso era diminuito.

Il massimo che le guardie fecero era assicurarsi che quello non perdesse molto sangue.

Di corsa, arrivarono anche Thetis e Kanon, i quale congedarono tutti, me escluso.

-Devi aiutarci a curarlo!- mi disse Kanon, senza la minima traccia di ironia sul volto.

Annuii con movimenti isterici e scattanti del capo: avevo paura, forse troppa.

Kanon si chinò sul corpo del ragazzo e lo esaminava, mentre Thetis poggiava per terra un vasto arsenale di roba.

-Passami quell’unguento verde, Sorrento!- mi disse Thetis.

Le porsi il vasetto: emanava un odore nauseabondo.

Non appena Kanon poggiò un po’ di quella melma maleodorante sul corpo del ragazzo, il sangue prese a ritirarsi.

Non usciva più, ma quello che era già stato versato ritornò in corpo, e le membra del giovane ripresero subito colore.

Per il sangue che si era già incrostato non si fece niente: bisognava lavarlo e nient’altro.

Il respiro tornò regolare, ma il ragazzo era incosciente.

Il sangue ancora sporcava il viso, ma almeno era salvo.

Tutto grazie ad un po’ di crema! Non ci potevo credere, ma la cosa mi ridava coraggio e fiducia.

Non tutto era perduto, quindi!

-Passami quello!- mi disse Kanon.

Stava indicando una boccetta di vetro piena di un liquido rosa.

-Versane un po’ sulla ferita- mi disse.

Mi accovacciai di fianco al ragazzo e stappai la fiala: l’odore era nauseate e pungente. Storcendo il muso versai parte del liquido sul viso deturpato. Non appena la soluzione toccò la pelle si elevò una piccola nuvoletta di fumo e si sentiva uno sgradevole sfrigolio, come carne che stesse cocendo ai ferri.

Tamponai e Thetis, allora, alzò delicatamente la testa del malcapitato per poggiarla sulle sue ginocchia.

-Meno male che non è cosciente. Non gli sarebbe piaciuto!- disse, prendendo ago e filo.

Gli stava mettendo dei punti lungo tutta la cicatrice.

Disgustato, mi voltai dall’altra parte, cercando di restare calmo.

Restammo così, in assoluto silenzio, per quasi mezz’ora. Solo quando Thetis dichiarò di aver finito mi girai. Non me ne ero accorto, ma aveva tolto il grosso della sporcizia dal volto del ragazzo, rivelando un’arruffata chioma smeraldina su un viso infantile ma dai lineamenti stranamente duri per quell’età.

Notai che aveva fasciato parte del capo del ragazzo: dalla fronte fino alla guancia. La ferita, quindi, doveva essere molto lunga.

Chiamammo alcune guardie che erano rimaste nei dintorni, che si caricarono il corpo sulle proprie spalle e lo portarono verso il nucleo del regno.

-E’ un altro prescelto?- chiesi, senza sapere a chi mi rivolgessi davvero.

-Nessuno arriva vivo in Atlantide: solo un Generale!- mi rispose Kanon, guardando fisso dinnanzi a sé, tronfio, superbo della propria persona.

Il suo passo era incalzante, sicuro, anche se una leggera ombra di dubbio gli si era stagliata sul viso accigliato.

Notò che lo stavo fissando e mi si rivolse in maniera non molto gentile.

-Che hai da guardare, tu?!- mi abbaiò contro.

Distolsi subito lo sguardo. L’avevo offeso, e il modo in cui si rivolse mi fece sentire davvero male, tanto da farmi sentire gli occhi lucidi. Mi consolò il fatto che forse ero riuscito a toccare un nervo scoperto, un lato di lui che Kanon non voleva far vedere.

Decisi di andarmene per i fatti miei per evitare l’insolenza di Thetis e le sfuriate di Kanon.

Mentre camminavo, fantasticavo sul mio futuro da Generale: la bionda sarebbe stata sistemata e non avrebbe alzato così facilmente la cresta.

Con l’altro avrei saputo mantener testa, o quanto meno farmi rispettare.

In ogni modo il viso del nuovo arrivato mi si era stagliato in mente, indelebile.

Mi incuriosiva tantissimo.

Da dove veniva? Come si chiamava?

Qual era la sua storia? Anche lui aveva naufragato?

Volevo conoscerlo al più presto.

Dovevo conoscerlo.

Avevo bisogno di amici, perché l’idea di passare il tempo restante per i fatti miei non mi allettava per niente.

Avevo bisogno di parlare con qualcuno che non fosse Kanon, Thetis o le guardie.

Più semplicemente, volevo dare una svolta alla situazione: mi aveva stancato.

Aspettai che dopo il rancio ognuno si ritirasse nelle proprie stanze.

Ognuno era libero di andare dove volesse quando lo ritenesse più opportuno, ma di notte nessuno preferiva andare in giro.

Io non facevo eccezione, ma per quella sera mi armai di sacrosanto coraggio e mi diressi verso Thetis, chiedendole dove avessero sistemato il nuovo arrivato.

Mi indicò una stradina che si allontanava dalla piazza principale e mi avviai.

Arrivai davanti ad una casetta molto simile alla mia, con due guardie ai alti della porta.

Quando mia avvicinai all’uscio, i due non mi fermarono, ormai mi conoscevano tutti in Atlantide, dopo sei mesi di permanenza.

Era stato poggiato su un letto. L’avevano pulito del sangue rimanente che si era incrostato e ora aveva un aspetto completamente diverso.

Mi avvicinai per vederlo meglio.

“Cosa cazzo ci faccio qui?” mi chiesi.

Non appena feci per andarmene sentii un rantolio, come se qualcuno si sforzasse di fare qualcosa.

Mi girai e vidi che sul volto del nuovo c’era una lieve smorfia di dolore.

Mi avvicinai cercando di aiutarlo.

Aprì l’occhio e mi vide con sguardo appannato, la palpebra era semichiusa, tanto da non rivelare davvero l’occhio sotto di essa.

-C-chi sei? Dove sono?- chiese, la voce flebile.

-Sei in Atlantide, al sicuro. Mi chiamo Sorrento. Tu?-

-Dove mi trovo?-

-In Atlantide, al sicuro. Tu come ti chiami?- gli chiesi.

-Isaac- rispose, e si addormentò di nuovo, abbandonando la testa sul cuscino.

Rimasi così per qualche altro secondo, decidendo poi di andarmene.

Sarei tornato, l’avrei conosciuto.

Forse avevo un amico.

 

 

 

 

 

Meiou Hades parla:

Bentrovati cari!

Aggiorno con questo capitolo, con l’arrivo di un nuovo personaggio: Isaac, Generale del mare Artico e cavaliere di Kraken.

Ovviamente, lui non lo sa, e non teniamo questa notizia ben nascosta altrimenti gli roviniamo la sorpresa u.u

Che ve ne pare?

Rispondo alle recensioni del terzo capitolo.

 

A LuluXI: ciao! Grazie per le recensioni che lasci! Mi fa piacere che ti piaccia come scrivo, grazie ancora! E sono lieto che non abbia preferenze fra manga e anime! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!

 

A data81: grazie mille anche a te! Comunque non so se hai letto la mail che ti ho inviato. In ogni caso credo che inserirò anche l’intermezzo di Asgard: ho trovato il modo per far sembrare tutto abbastanza coerente!

 

Grazie a tutti e al prossimo capitolo!

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Capitolo 5
*** Isaac ***


Capitolo 5

Isaac

 

 

Avevo molte domande da fargli.

Da dove vieni? Quanti anni hai? Ma soprattutto…come diavolo sei arrivato qui? Cosa ti è successo?

Perché quella ferita all’occhio?

Perché?

Forse sarei stato troppo invadente: chi ero io per chiedere cose del genere?

Infondo quando arrivai in Atlantide non venni sottoposto a nessun interrogatorio.

Ma avevo paura di restare solo.

Dovevo conoscerlo, o in quel mondo così azzurro e liquido mi sarei definitivamente perduto.

Il giorno dopo mi alzai e mi diressi verso la casa di Isaac.

Esattamente come l’altra volta, le guardie non mi fermarono ed entrai nelle stanze del nuovo arrivato, dopo aver bussato.

Se ne stava steso sul letto a fissare il soffitto e, non mi degnò di uno sguardo, tranne quello che mi concesse al mio ingresso per capire chi fossi.

Lo salutai, ma quello si limitò a fissare il soffitto, senza rispondere.

-Come stai?- gli chiesi, tanto per avviare una conversazione.

Quello mormorò qualcosa di assurdamente incomprensibile; io non volli insistere per evitare di sembrare piuttosto opprimente.

Perché faceva così?

Nella mia infantile logica non avevo fatto nulla di male, non credevo che forse potessi sembrare di troppo in quel momento.

Avevo solo dieci anni, infondo!

Feci per andarmene, siccome non riuscivo a cavare dalla bocca di quello nemmeno una parola.

Quando arrivai sull’uscio sentii un leggero sospiro alle mie spalle. Non mi voltai e me ne tornai a bighellonare per le strade del regno.

Sicuramente Isaac non mi avrebbe dato la sua amicizia.

In quel momento sentivo bisogno della musica, del mio flauto: sarebbe riuscito a consolarmi.

Dopo ben sei mesi dal mio arrivo andai da Thetis, nel palazzo del Kaioh e le chiesi che fine avesse fatto il mio strumento.

-Non crederai mica che uno strumento così leggero e fragile sia resistito ai vortici che ti hanno risucchiato?-

-Per niente, ma volevo giusto saperlo. E comunque cambia i toni…- le dissi, secco, e me ne andai senza lasciarle il tempo di replicare.

Ne avevo le scatole piene di quella lì. Non vedevo l’ora di ottenere quel dannato risveglio solo per farmi rispettare una volta per tutte.

I miei piedi si muovevano meccanicamente, senza sapere dove mi stessero portando.

Mi sarei meravigliato se mi fossi trovato sulle pendici di un crepaccio o di muso per terra senza rendermene davvero conto.

Mi sedetti sul rudere di una colonna e rimasi lì, per non so quanto tempo, quando mi sentii toccare alle spalle.

Pensando che fosse Thetis, mi voltai con sguardo fulmineo e velenoso.

In realtà era una guardia, che vendendo questo atteggiamento apparentemente immotivato si offese un po’.

-Il signor Isaac la vuole nelle sue stanze- disse.

Mi alzai e mi incamminai verso la mia nuova meta.

Cosa era successo?

Come mai ora mi cercava?

Cosa voleva dirmi?

E soprattutto, perché?

Quando entrai nella stanza, vidi che Isaac era ancora steso, ma il busto era eretto, poggiato su una serie di cuscini.

Lo guardai, interrogativo e quello non riuscì a sostenere il mio sguardo per più di tre secondi.

Era palesemente imbarazzato.

-Volevo scusarmi per il comportamento di prima-

-Non c’è problema- risposi.

Silenzio.

Ancora e ancora.

E nessuno dei due osava interromperlo.

Tanto per fare qualcosa mi avvicinai alla finestra e ammirai il paesaggio.

Ovviamente anche lì, il panorama era molto simile a quello che si vedeva dalle mie stanze: sabbia, acqua ovunque e bolle d’acqua che salivano dai fondali più profondi.

Era di una bellezza e inquietudine sconcertante: di una particolare grazia che ti afferrava alla gola e non ti faceva più respirare: in Atlantide, nonostante tutto sembrasse uguale, la meraviglia non conosceva limiti, ed io ero diventato sua vittima.

-Dove siamo?- chiese all’improvviso Isaac.

-Siamo in Atlantide, nel regno di Poseidone-

Mi voltai per fissarlo, e lui ricambiava duramente col suo unico occhio.

-Capisco- disse con voce neutra.

Sgranai lo sguardo: come faceva ad accettare la realtà su due piedi? Solo io non riuscivo a credere nelle parole di Thetis quando me lo disse?

-Non capisco…- mormorai, affranto.

-Cosa?- mi chiese Isaac.

-Come mai mi hai creduto fin da subito? Come puoi accettare così, su due piedi, la presenza di un dio per il quale un giorno combatterai?-

-Ti sbagli- sentenziò.

-Perché?- chiesi.

-Io sono cresciuto con l’idea che gli dei esistono, ecco perché mi sono rassegnato, se così si può dire!- esclamò.

-Spiegati meglio-

-Prima dimmi come ti chiami- mi disse.

-Mi chiamo Sorrento- risposi.

-Bene, Sorrento. Devi sapere che io sono finlandese e da qualche anno mi sono trasferito in Siberia per conseguire l’investitura a Cavaliere di Bronzo-

-Cavaliere?-

-Si, Cavaliere del Cigno. Avevo un amico, lì. Si chiamava Hyoga. Eravamo molto legati, nonostante fossimo avversari per diventare Cavalieri di Athena. Sai, le terre emerse sono sotto il protettorato della dea Athena, i cieli appartengono a Zeus, gli Inferi ad Hades e…-

-I mari a Poseidone- terminai per lui.

-Esatto. Tornando al discorso, nonostante le avversità, io e Hyoga ci aiutavamo come potevamo, anche perché gli allenamenti del nostro Maestro erano difficili-

-Chi era il tuo Maestro?-

-Camus dell’Acquario, Cavaliere d’Oro, nonché custode dell’undicesima casa al Grande tempio di Atene, residenza di Athena e del suo Gran Sacerdote. Era freddo con noi, ma si capiva che ci voleva bene e ci aiutava come meglio poteva. Il suo potere risiedeva nelle energie fredde, e volle trasmetterlo a noi, affinché padroneggiassimo al meglio l’armatura del Cigno. Un giorno eravamo in licenza, e ricordo che Hyoga voleva andare a fare visita alla tomba della madre, che giaceva in una nave che si era inabissata fra le gelide acque della Siberia. Non appena ruppe la lastra di ghiaccio che lo divideva dal suo traguardo si gettò. La corrente era violentissima, e le tempeste marine erano più forti del solito. Gli suggerii di non tuffarsi, di aspettare, ma non mi diede retta, e si tuffò. Dopo pochi istanti era in balia della tempesta. Avevo paura: volevo aiutarlo. Dovevo aiutarlo. Così mi tuffai anche io. Appena lo presi lo rigettai in superficie, ma non feci in tempo a risalire che un violento flusso d’acqua mi catturò, sbattendomi in continuazione. Ricordo che urtai la testa contro un pezzo di ghiaccio, che si conficcò nell’occhio. Avevo l’istinto di urlare, ma sapevo che non dovevo. L’acqua fredda inoltre rallentava sempre di più i miei movimenti e rallentava i miei ragionamenti, tanto da farmi perdere coscienza.

Cadevo in profondità, ma riuscivo a respirare, nonostante l’acqua sera mi sovrastasse ovunque.

Fu allora che lo sentii…- mormorò alla fine.

-Cosa?- chiesi, ansioso.

-La Sua voce, quella del Sommo Poseidone: “Diverrai Generale degli abissi, sarai salvato per mano mia, e per la mia causa combatterai, Isaac. Sono Poseidone re dei mari e ti chiamo al mio cospetto. Accetti?”. Avevo paura della morte, per cui ho dato la mia fedeltà a lui- finì.

Sentivo che le sue parole erano piene di risentimento, ma non riuscivo a capire il perché.

Dopo qualche istante di silenzio Isaac parlò di nuovo.

-Come si diventa Generale?-

-Ci sarà, prima o poi, il tuo risveglio. Prenderai davvero coscienza del fatto che sarai Generale, e lo Spirito di uno dei guerrieri di Poseidone si risveglierà in te. In Atlantide siamo in tre: tu, io e Kanon. Diverremo Generali e combatteremo per la causa del re dei mari. I Generali sono sette, uno per ogni mare-

-Ne mancano ancora quattro, quindi…- mormorò.

Annuii e non riuscii a trattenermi: -Perché prima parlavi con risentimento?-

Isaac chinò lo sguardo e arricciò il sopracciglio.

-E’ colpa di Hyoga, troppo legato alle sue emozioni, alle sue debolezze…al suo passato. Non sa dimenticare, e per diventare Cavaliere non è bene. Per colpa sua ho perso un occhio! Per colpa sua, infondo, ho dovuto rinunciare alle vestigia del Cigno per diventare Generale di Poseidone.-

Le sue parole mi spaventarono, tanto da togliermi la parola.

Cosa avrei mai potuto rispondergli? Erano un rimorso e una rabbia troppo grandi le sue, impossibili da curare, e sicuramente lui non avrebbe di certa accettato l’aiuto di qualcuno, tanto meno il mio, ancora uno sconosciuto.

Non appena pensai alle cose che disse sul suo amico Hyoga, mi venne da pensare se Isaac mi avesse mai dato la sua amicizia.

Forse anche io ero troppo sensibile, troppo debole, troppo nostalgico, legato al passato.

Ero condannato a rimanere solo al novantanove percento dei casi, ma non volevo demordere: mai come questa volta ero determinato nell’ottenere quello che volevo.

Sì, a dieci anni quasi undici già sapevo cosa volevo, e la mia nuova vita mi aveva completamente cambiato.

-Dove vivono i Generali?- chiese improvvisamente Isaac.

Indicai le colonne che si vedevano sullo sfondo dell’azzurra e sabbiosa Atlantide.

-Dietro ogni colonna ci sono le stanze personali dei Generali, e ognuno avrà la sua servitù- o almeno così mi disse Thetis, un giorno, quando anche a me venne in mente la stessa domanda di Isaac.

-Dimmi, Isaac- dissi, cercando di riportare il discorso sulla sua storia –com’era questo Camus come insegnante?-

-A mio avviso il migliore. Viaggiava spesso perché doveva sbrigare faccende anche in Grecia, al Grande Tempio, ma quando veniva in Siberia da noi, ci dedicava il massimo del suo tempo e il meglio dei suoi insegnamenti. Penso di esser stato davvero fortunato per aver ottenuto il Cavaliere dell’Acquario come Maestro. Anche se le nostre fedi, ora, sono per divinità diverse, devo molto a quell’uomo. Era sempre calmo, sapeva sempre cosa fare, dove farlo e come farlo: l’equilibrio fatto persona. Apparentemente era freddo, ma si vedeva che ci volesse bene e che fosse ossessionato dal nostro addestramento- disse, con la voce intrisa di orgoglio per il suo Maestro.

-Io non ho ricevuto alcun addestramento da nessuno, invece…- mormorai, invidioso di questa mia mancanza.

Mi sentivo inferiore a quel ragazzo, ma sapevo che non avrei dovuto esserlo: al risveglio saremmo stati tutti uguali, ma, ancora una volta, i miei pensieri infantili avevano avuto la meglio.

-Impossibile! E come sei arrivato qui?- chiese, sbigottito.

-Naufragio. Ero a Venezia con la mia famiglia, quando la gondola incappò in un vortice. Sono sopravvissuto solo io, e sono arrivato qui- dissi, liquidando la faccenda in due parole, con tono piuttosto secco. Il dolore di tutte le perdite alle quale avevo assistito era ancora forte, lancinante.

Lo sentivo montare da dentro come una bestia incatenata che si dimena ferocemente per liberarsi.

Quel dolore era come una lama rovente, che mi tagliava le carni da dentro senza pietà e ritegno; di notte mi capitava di piangere, ancora, per mia madre, mia zia Selene, mio padre, Florian e Theresa, che non avrei rivisto mai più.

Forse era proprio questo dolore che mi spingeva a comportarmi così: alcuni lo chiamano ‘istinto di sopravvivenza’. Io preferisco chiamarlo ‘paura della solitudine’, perché di questo, per me, si trattava.

No. Ero più che deciso a non rimanere da solo. Fu allora che glielo chiesi.

-Isaac, vorresti essere mio amico?- chiesi, la voce timida, bassa e imbarazzata. Avevo sempre avuto difficoltà a socializzare. Di solito erano gli altri ad avvicinarsi a me.

Ma questa volta era diverso: o mi sarei mosso di mia iniziativa, o niente!

Avevo paura della reazione di Isaac, di un suo rifiuto, di una sua non-risposta, di un suo silenzio troppo eloquente.

Lo guardai, in attesa.

Silenzio. Se ne stava lì, zitto, muto.

Poi, inavvertitamente, sorrise e annuì.

Di rimando sorrisi anche io.

Non ci avrei mai creduto: non ero più solo!

E non sapevo quanto quel sorriso, quel movimento della testa avessero avuto importanza per la mia vita. Non sapevo che il rapporto fra me e Isaac sarebbe rimasto duraturo.

Non sapevo niente di tutto questo, ma ero contento.

Avevo un amico!

 

 

 

 

 

Meiou Hades parla:

Salve ragazzacci!

Che ve ne pare? Spero di esser riuscito nell’intento. Ho cercato di far sembrare il carattere di Isaac il più fedele possibile all’anime/manga, ma alcuni cambiamenti sono necessari per lo svolgimento dei fatti.

Rispondo alle recensioni del capitolo precedente:

 

A LuluXI: allora? Cosa ne pensi di questo capitolo? Ti ha soddisfatta? Comunque anche a me Isaac ha sempre affascinato, e proprio per questo l’ho fatto entrare subito nella storia.

 

A data81: ciao! Non so se hai letto la mia risposta in precedenza. In ogni caso te la riscrivo qui. Il tuo dubbio è decisamente motivato, siccome ti dissi che la storia sarebbe stata più simile all'anime. Ma questo è il punto, più simile, non identica. Ci saranno, ovviamente, anche dei riferimenti al manga. In ogni caso, per come penso che sarà strutturata la storia, che il maestro di Isaac sia Camus o il Cavaliere della Corona Boreale, è di scarsa importanza, poiché sarà solo citato. In ogni caso, come avrai constatato alla fine ho optato per Camus. Abbi pazienza, che fra poco Sorrento avrà il suo risveglio! E allora se ne vedranno delle belle!

 

Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Risveglio ***


Capitolo 6

Risveglio

 

 

Nei giorni a seguire conobbi meglio Isaac.

Scoprii che caratterialmente era molto chiuso, forse per timidezza, o, più semplicemente, per distacco.

Aveva dei modi di fare piuttosto strani, a mio avviso: era freddo, così come i ghiacci nei quali era stato temprato.

Quando si tolse la benda ero spaventato dal suo aspetto: una lunga cicatrice solcava il suo volto, sfigurandolo per tutta la guancia. L’occhio, o quel che ne rimaneva, invece, era turbato da una sfumatura violacea.

Ricordo che andavamo in giro per le strade del regno, e gli mostravo le colonne dei sette mari, le strade, i luoghi di addestramento dei cavalieri del Kaioh, e il Palazzo Reale.

Esattamente come me qualche tempo prima, Isaac rimase meravigliato da tanto splendore e dalla presenza di così tanta luce, nonostante vivessimo negli abissi più profondi dei sette mari.

-E queste- gli dissi, indicandole –sono le vestigia dei Generali! Un giorno arriveremo ad indossarle, e allora serviremo il Kaioh-.

Non me ne ero reso conto, ma quei mesi di permanenza in Atlantide mi avevano dato uno scopo per vivere, mi avevano fatto accettare quella nuova e sconosciuta causa.

-Sono stupende!- mormorò Isaac, estasiato da quelle luccicanti figure.

Anche io ogni volta che vedevo le Scale non potevo fare a meno di meravigliarmi di tutta questa bellezza e meraviglia.

Mi avvicinai all’armatura che, però, mi affascinava più di tutte: quella della Sirena.

Quando Thetis me ne parlò rimasi meravigliato: ero solito immaginare le sirene come donne senza gambe ma con una lunga coda da pesce! Quella, invece, era la Sirena di Omero, la Sirena degli dei: una donna con il corpo da volatile.

Ricordo che Thetis, un giorno, prima dell’arrivo di Isaac mi narrò del mito di Ulisse.

Mentre tornava da Troia, diretto verso Itaca, voleva ascoltare il canto delle sirene.

Ovviamente, impazzì: chiunque ascolti il loro canto perde il senno, fa di tutto pur di raggiungerle, anche cercare di far schiantare sugli scogli la propria nave.

Per quelle creature ogni individuo avrebbe messo da parte ogni suo desiderio, avrebbe dimenticato ogni suo obiettivo, pur di averle accanto a sé, pur di ascoltarle in eterno, quelle splendide e subdole creature.

Toccai la Scale della Sirena, e fu allora che accadde.

Non appena la pelle toccò le gelide scaglie d’oro sentii un violentissimo strappo allo stomaco.

Non volli urlare per evitare di spaventare Isaac, che nel frattempo se ne stava davanti all’armatura di Crisaore, mitico figlio del Signore dei mari.

Inavvertitamente, però, sentii un altro strappo provenire dalle viscere, questa volta decisamente più violento.

Urlai, non ce la facevo a sopportare quel dolore: era come sentire le proprie interiora lacerarsi e prendere fuoco.

Il dolore passò poi alla testa, che sembrava sul punto di esplodere, tanto che pulsava.

Mi ritrovai a terra senza rendermene conto, urlante mentre mi reggevo il capo con le mani.

Ero completamente sudato, tremante, e respiravo a fatica: avevo a malapena la percezione del mio corpo.

Nello stesso momento, sentii, dentro di me, crescere una forza sempre più potente, eterea, nuova eppure allo stesso tempo antica. In un certo senso mi era familiare.

Allora sentii nella mia testa una voce maschile, bassa e possente, una voce intrisa di autorità, rispetto e sapienza.

Esattamente come prima, era come se avessi sempre conosciuto anche il proprietario di quella voce, perché lo ascoltai senza protestare, placido.

 

“Tu arriverai, prima, delle Sirene, che tutti

gli uomini incantano, chi arriva da loro.
A colui che ignaro s'accosta e ascolta la voce
delle Sirene, mai più la moglie e i figli bambini
gli sono vicini, felici che a casa è tornato,
ma le Sirene lo incantano con limpido canto,
adagiate sul prato: intorno è un mucchio di ossa

di uomini putridi, con la pelle che raggrinza”.

 

Non appena le parole si spensero urlai di nuovo: una nuova fitta, all’altezza del petto.

La voce, allora, ritornò a parlare.

-Sorrento! E’ il tuo Signore che ti parla, è a Poseidone re dei mai che devi rivolgere la tua attenzione! E’ giunto il momento, è ora che il Generale della Sirena si risvegli in te. Non hai scelta, sei stato già stato predestinato a questo. Sarai il protettore della colonna dell’Oceano Atlantico Meridionale, la difenderai con la musica e gli inganni delle sirene anche a costo della tua vita. Userai la musica pur di adempire a questo scopo: darai nuova voce al canto delle sirene!-

La voce si spense di nuovo, abbandonandomi al mio dolore e alle fitte incessanti.

Il dolore era così forte che non avevo nemmeno la forza di urlare.

Sentii solo, vagamente, Isaac dire che sarebbe andato a cercare aiuto.

Le fitte diminuirono di intensità molto lentamente e, nello stesso momento, sentivo la mia mente trasformarsi, allargarsi verso nuove conoscenze, verso nuove energie e sentimenti.

Improvvisamente la sentii vuota: non persi la memoria (altrimenti non avrei mai potuto raccontarvi questa storia), ma la percepivo estremamente leggera, immensa, in grado di poter accogliere in sé parte delle stelle e i mari.

Pensavo che stessi delirando, ma non sapevo che proprio dalle stelle e dai mari sarebbe provenuto il mio potere.

Poi, lentamente, dalle zone più remote e mai battute del mio cervello, si levò, lenta un’arcana e inquietante melodia.

Aveva un ché di minaccioso: sembrava un efficace augurio di morte.

Improvvisamente la mia vista fu affollata da eteree figure: fanciullone che volavano, ridevano, in un vortice incantatore.

Erano loro! Erano le Sirene, e mi stavano chiamando!

Non potevo rifiutare, per cui mi abbandonai ai loro richiami e la melodia cambiò, diventando apparentemente allegra e veloce, per poi ritornare di nuovo lenta e minacciosa.

Allora i dolori svanirono completamente, e sentii una presenza permeare il mio corpo: un’entità delicata, fragile che nascondeva in sé i dolori e i deliri della morte.

Sentii inavvertitamente freddo, poi caldo e ancora freddo, e la musica continuava ancora a riecheggiare. La sentivo disturbata, per cui capii che non era solo nella mia testa, ma in tutta la stanza.

Cercai di alzarmi poggiando la mano all’altare dov’erano esposte le armature.

Arrancai verso quella della Sirena, e capii che era da lì che proveniva la musica; istintivamente toccati di nuovo le scaglie, e questa volta la musica si spense.

Caddi all’indietro perché non avevo nuove energie e, fra le mie mani, si materializzò qualcosa di freddo, lungo e affusolato.

Gettai uno sguardo verso la nuova presenza: un flauto!

Era la cosa più bella che avessi mai visto: più, a mio avviso, dell’armatura della Sirena e di Poseidone.

Era completamente d’oro.

Era elegantissimo e dall’aspetto estremamente raffinato, cesellato da figure e pezzi di avorio e coralli rossi e bianchi.

Era leggerissimo e la mia mano riusciva a tenerlo su senza molti problemi, nonostante fosse d’oro massiccio.

Una voce maschile, delicata, poi, mi sussurrò qualcosa direttamente dall’interno del mio corpo, della mia mente.

 

“Delle sirene la musica

di fatal e cotanto tristo incanto,

d’inganno e nulla farà il suo danno.

E’ il canto della morte

Che di silenzi lascia la sua scia,

è il canto della morte

che alle sue spalle lascia malinconia”.

 

Mi alzai, con molta fatica, ma ci riuscii.

Non ero più io, Sorrento; o almeno non ero più solo.

Ero sempre lo stesso, eppure diverso.

Lo spirito del Generale della Sirena si era risvegliato in me! Guardai ancora verso il flauto e gli sorrisi come si fa per gli amanti.

Portai il flauto alla bocca e mi misi a suonare la stessa melodia che aveva accompagnato il mio risveglio e le mie pene in quel momento.

Sentii, poi, dei passi avvicinarsi verso di me, oltre la porta, per poi arrestarsi del tutto.

-E’ il canto delle sirene…- mormorarono.

Mi sembrava Kanon, ma in quel momento la cosa non mi interessava: l’unica certezza e verità, in quel momento, stava nella musica!

Kanon, Isaac, Thetis e alcune guardie irruppero poi nella stanza, guardandomi.

Ricambiai il loro sguardo.

Ricambiai quello di Kanon, accigliato e pensoso.

Quello di Thetis, incredulo.

Quello di Isaac, carico di ammirazione.

Sorrisi debolmente a quest’ultimo, che ricambiò.

Allora Thetis, in tono solenne, disse: -Kanon, ora non sei il solo: abbiamo un altro Generale!-

Rivolsi fugacemente lo sguardo verso di loro quando sentii il corpo farsi improvvisamente pesante.

Lo sentivo lento, addormentato.

Tutta si fece ovattato.

Svenni.

 

 

 

 

 

Meiou Hades parla:

Ciao ragazzi, scusate il ritardo, ma la scuola mi ah tenuto impegnatissimo!

Vi posto questo capitolo.

Lo so, è breve, ma ho preferito concentrarmi sul risveglio di Sorrento, per cui ho dato uno spaccato decisamente più introspettivo alla storia.

Penso che nonostante le dimensioni sia spesso e corposo, o no?! La prime parole in corsivo sono tratte dall’Odissea di Omero; le seconde sono farina del mio sacco.

Cosa ne pensate?

Ah, dimenticavo…potrete pensare che accadono troppo cose stupefacenti a questo povero disgraziato. Beh…in realtà fra un avvenimento a l’altro c’è un notevole salto temporale, e farò narrare a Sorrento solo gli avvenimenti degni di nota!

Rispondo, ora, alle recensioni dello scorso capitolo!

 

A data81: ciao! Bene, spero che il capitolo ti abbia soddisfatto, e come hai supposto tu, il flauto ha avuto un ruolo fondamentale nel risveglio del Generale! Per quanto riguarda i tempi d’ambientazione, più o meno sono quelli da te indicati!

 

A LuluXI: ciao! Si ho scelto, alla fine, Camus per far legare meglio la storia, anche se il Cavaliere d’oro è solo citato. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!

 

Ne approfitto per pubblicizzare un’altra mia fanfition del fandom di Saint Seiya: Le Fleur Du Mal. Questa è una Spectre-centric fiction, e per il momento è pubblicato il solo primo capitolo! Passate anche di qui, se vi va!

A presto!

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Capitolo 7
*** Rivalsa ***


Capitolo 7

Rivalsa

 

 

Mi risvegliai in una stanza a me completamente nuova.

Era perfettamente quadrata, ampia: il pavimento era interamente di pietra levigata, mentre le pareti sembravano essere fatte solamente di coralli rossi e bianchi. La mobilia, ancora una volta, era esigua, ma di una raffinatezza milioni di volte superiore a quella della mia precedente abitazione: una cassapanca intarsiata d’oro ai piedi del letto e un enorme armadio, che occupava tutta la parete, decorato con gemme e avorio.

Una finestra offriva una vista mozzafiato di Atlantide.

Mi accorsi di essere steso in un enorme letto posto al centro della stanza.

Ricacciai le lenzuola di lino e mi alzai.

“Dove diamine sono?” pensai.

Uscii dalla stanza da letto, ritrovandomi in un ampio ingresso, illuminato e adornato di cuscini e basse panchine.

Al centro della sala c’era un tavolino di legno, sul quale c’era una statua d’argento raffigurante una sirena greca: aveva le ali spiegati, pronta per spiccare il volo, gli occhi chiusi e la bocca appena aperta, in estasi.

-Generale!- disse una voce alle mie spalle.

Mi voltai, e vidi una donna piuttosto bassa ma anche abbastanza avanti con l’età: la chioma era color ebano, esattamene come i suoi occhi, ma striata da qualche capello bianco. Portava una veste marrone scuro, come il cordoncino, anche se di una tonalità più chiara, in vita.

Il viso aveva un’espressione piuttosto dura, con qualche ruga a inciderle la pelle.

-Generale!- ripeté.

-Chi sei?- le chiesi.

-Poplia, da Atene per servirla. Sono la responsabile delle pulizie della vostra dimora, Generale!-

Annuii e le chiesi dove fossimo.

-Ovviamente presso la sua base: la colonna dell’Oceano Atlantico Meridionale!-

Come avevo fatto a dimenticarlo?

Ero diventato Generale degli Abissi, Cavaliere del Sommo Poseidone.

-Serve qualcosa, signore?- mi chiese Poplia.

-No…- mormorai, andandomene nella mia stanza.

“E così, il grande giorno è arrivato, Sorrento! Ora dovrai solo aspettare il momento per ammazzarti e sostenere il Kaioh” pensai, amareggiato.

Inutile mentire!

Avevo voglia di sostenere Poseidone, certo, ma avevo paura di morire!

Penso che questa sia una paura legittima per gli esseri umani.

Come sarei morto?

Velocemente? Lentamente?

Dolorosamente? Senza provare assolutamente nulla?

Come sarebbe stato morire?

Facile o difficile?

Una cosa, però, è certa. La vita non è uno scherzo, non è un gioco…e di conseguenza non è per niente facile. Forse la morte, invece, lo è.

In fin dei conti, annullarsi, smettere di respirare, essere passato da qualche lama da parte a parte è una cosa, in confronto, decisamente più semplice.

Che davvero, in quel momento, fossi percorso da un così forte e psicotico desiderio di morte?

Certo!

A volte non desideravo altro, ricongiungermi con mia madre e mio padre per lasciare a qualcun altro questo grosso affare.

Per favore, non biasimatemi per questo, ma avevo paura, tanta.

Pensavo a queste cose quando sentii la domestica chiamarmi.

-Signore, ci sono visite per lei-

-Sì- le rispose, distrattamente –un attimo e arrivo-

Mi sistemai velocemente, passando con noncuranza la spazzola sulla chioma decisamente allungatasi negli ultimi tempi.

“Forse dovrò tagliarli…” pensai, e uscii dalla stanza.

In soggiorno chi trovai?

Niente poco di meno ché…Kanon…

Quanto lo detestavo…

A pelle non mi infondeva fiducia. Sembrava nascondere qualcosa. Era decisamente strano, sotto questo punto di vista.

-Ciao, Kanon- lo salutai freddamente, lasciando qualche secondo di silenzio prima di nominarlo.

-Finalmente ti sei svegliato!-

Lo guardai storto, senza capire cosa intendesse.

Evidentemente capì che non afferravo il suo discorso.

-Sei rimasto incosciente per una quattro giorni, Sorrento!-

Quattro giorni?

Mai dormito così tanto in vita mia anche sé la circostanza in questo momento è decisamente diversa.

-Comunque- riprese Kanon, senza badare tanto alla situazione e accavallando le gambe come se fosse in casa propria –ora avrai, esattamente come me, una tua residenza privata, servitù, e, più o meno, tutto quello che vorrai-

L’idea di avere così tanto potere mi allettava e seduceva tremendamente.

Io, a quasi undici anni, potevo fare tutto quello che volevo!

-Capisco- dissi, cercando di mantenere freddezza e indifferenza. Anche se eccitato dalla notizia, la presenza di Kanon mi dava ancora fastidio. Diamine, quanto lo detestavo!

-E dimmi, Kanon, cosa dovresti dirmi? Sai, a questo ci sarei arrivato da solo, prima o poi!-

Sapevo che stavo sfiorando il limite dell’educazione: era pur sempre più grande di me, sia in età che di grado (purtroppo…), ma sul momento non me ne importava davvero più di tanto.

-Tanto per iniziare, prima di arrivare al dunque, ti do un piccolo consiglio, Sorrento: cambia tono quando parli con me. Chiaro?-

Appunto.

-Comunque, ora sei un Generale. Non riceverai alcun addestramento perché il tuo spirito, e di conseguenza il tuo corpo, conosce già tutto. Fra qualche tempo potrai avere un allievo, se la cosa ti aggrada- disse Kanon, alzandosi e facendo schioccare le dita.

-Un…allievo? Io? E’ uno scherzo, vero?- dissi, non credendo nemmeno ad una parola detta da Kanon. Era decisamente impossibile che io avessi un allievo a quell’età!

-E’ una possibilità. E la cosa si realizzerà solo se ne sei d’accordo, ovviamente- rispose l’altro, con un tono piuttosto gelido e autoritario.

Senza degnarmi di un altro sguardo, Kanon si alzò, mosse in modo millimetrico il capo in segno di una sorta di saluto e se ne andò.

Rimasi a pensare qualche istante.

Chissà come sarebbe stato avere un allievo. E cosa avrei mai potuto insegnargli, io?

L’unica cosa che conoscevo bene, sia per lo studio che per la mia “nuova” identità di Generale della Sirena, era la musica.

Come avrei mai potuto insegnare ad un ragazzo a combattere con la musica?

Certo, il canto e la melodia delle sirene erano di fatale bellezza e potenza (non osavo mettere in dubbio questa verità).

L’unica soluzione era che io prendessi un po’ di dimestichezza, nel frattempo, con me stesso, con la musica delle sirene, allenandomi, a prescindere da quello che dicesse Kanon, e poi cercare di adattare il tutto al mio ipotetico allievo, nel caso in cui avessi accettato l’offerta.

Che situazione!

-Signore- mi chiamò Poplia.

-Dimmi-

-Il bagno è pronto, so che non me lo ha chiesto, ma ho pensato che avrebbe voluto farne uno dopo tutto questo tempo in quello stato!-

Che gentile!

Sì, Poplia lo era, ma la sua presenza, al momento, forse perché ancora non mi ci ero abituato mi sembrava di troppo, un po’ stretta, a dire la verità!

Ringraziai la donna e la congedai, in modo da non averla davanti.

Mi lavai senza troppa fretta.

Ero teso, e un bagno mi avrebbe solo aiutato a sciogliere la spina dorsale estremamente rigida.

Dopo essere stato a mollo nell’acqua per quasi un’ora, me ne uscii con le mani tutte rattrappite. Mi asciugai velocemente e misi la prima toga che mi capitò fra le mani: marrone, di tela, semplice, grezza e per nulla vistosa.

Uscendo dalla stanza, mi voltai verso lo specchio, e, dopo tanto tempo, mi vidi.

I lineamenti si erano fatti più duri: i tratti infantili erano cominciati a sparire, mentre il viso cominciava a farsi un po’ più affilato.

Ero decisamente cambiato negli ultimi tempi.

Ormai della mia vita passata conservavo solo un amaro ricordo, e nient’altro, e ne avevo una nuova davanti, tutta da vivere, assaporare e far sanguinare, in veste di Generale.

Per prima cosa volli incontrare Thetis, la guerriera sirena.

Uscii dai miei alloggi, diretto alla sala delle Scale, per vestire la mia armatura e cercare di prendere familiarità il più presto possibile.

Per quella mia decisione, qualcosa, in me, esultò: lo spirito della Sirena.

Sul cammino trovai una guardia, alla quale ordinai di cercare Thetis e di farmi raggiungere nel Palazzo del Kaioh, affinché mi aiutasse a vestire le scaglie d’oro.

Arrivato a destinazione, salii rapidamente la gradinata che conduceva alla stanza e, ammirando le vestigia, aspettavo la ragazza.

-Ai vostri ordini, Generale!-

Mi voltai. Era inginocchiata, col capo chino, verso di me.

Sorrisi meccanicamente.

-Aiutami a vestire- le ordinai.

Quella si alzò e iniziò a smontare l’armatura, coprendo prima le gambe, poi il bacino, il petto, le braccia e infine l’elmo.

Il mio corpo aderiva perfettamente con l’armatura, tanto da darmi la massima mobilità, senza che le scaglie mi dessero fastidio.

Presi il flauto, che era rimasto sull’ara, e lo ammirai per qualche secondo: il mio braccio era finalmente completo, ora.

-Thetis?- chiamai.

-Mi dica- rispose lei, con tono intriso di rispetto.

Inavvertitamente mi girai, e le diedi un forte e sonoro schiaffo in pieno viso, in modo che venisse colpita dalle nocche.

Forse la colpii troppo forte, o forse perché la mano, vestita dall’armatura era diventata decisamente più pesante, fatto sta che da un angolo della bocca sbucò una gocciolina di sangue.

Automaticamente, lei si portò la mano sul viso, e le si inumidirono gli occhi.

-Mi dispiace comportarmi così, ma sei una mia sottoposta! Se prima ero ancora inesperto, non giustifica il fatto che tu abbia tiranneggiato su di me. Capito?-

Lei, in tutta risposta, rimase in silenzio, guardandomi fisso negli occhi.

Silenzio.

Silenzio.

Ancora silenzio.

-Esigo una risposta- le dissi, usando il tono più autoritario che potessi.

-Lei, signore, non può capire!- mi disse.

-Farò uno sforzo, allora. Parla!-

Si asciugò il viso dal sangue e prese allora a parlare.

-Non sa cosa significhi tutto questo per me! Ho vissuto al fianco del Sommo Poseidone da quando ne ho memoria. Le sembra giusto che dopo tutta questa fedeltà, questo amore verso la sua idea, dopo tutto il tempo trascorso qui, a vegliare sull’urna che lo teneva prigioniero, io non debba essere premiata? Anche io avrei voluto diventare un Generale degli abissi. E invece? Sono stata eletta al rango di cavaliere sirena. Un semplice soldato come tutti gli altri. Ma io valgo di più! Sono invidiosa di tutti voi Generali, Sorrento. Le sembra giusta come cosa?- mi rispose, gesticolando furiosamente e con gli occhi sgranati per la rabbia.

Non avevo mai pensato che Thetis potesse mai provare cose del genere.

Lei che provava invidia? Beh, la cosa mi sembrava davvero strana, ma a quanto pare, era proprio così.

-Mi dispiace per te, Thetis, ma non sei comunque giustificata! Più di una volta ti ho detto di cambiare i toni, ma vedo che questo non è successo, almeno finché lo spirito del Generale non si è risvegliato in me! E questo ti da molti punti a tuo sfavore. Per ora, che questa discussione, e quel mio sentito, schiaffo, ti siano di lezione, ma la prossima volta non esiterò a dartene due, se alzerai ancora la cresta. Ora vattene!- le dissi, secco.

Lei, testa china, se ne andò, senza voltarsi indietro e senza rialzare il capo finché non sparì dalla mia vista.

Dopo tanto tempo, mi ero ripreso il mio onore e avevo riscattato tutte le ferite del mio orgoglio.

Anche se mi ero posto male nei confronti di Thetis, ero decisamente soddisfatto di me stesso.

Sorridendo, accarezzai il flauto, che sembrava pulsare di vita propria.

Lo sentivo.

“Suonami, fai tornare in vita le sirene!” mi diceva.

Uscii dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle.

La Dolce Melodia di Requiem avrebbe presto riecheggiato negli abissi più oscuri e profondi.

L’Atlantico del Sud avrebbe cantato ancora: non sarebbe più rimasto in silenzio.

 

 

 

 

 

Meiou Hades parla:

Ciao ragazzi!

Scusate per l’orripilante ritardo con cui aggiorno!

Ecco. Vi propongo questo capitolo, dove Sorrento si è rivalso su Thetis.

Onestamente, non vedevo l’ora di scriverlo!

E, sempre seguendo la storyline dell’anime, si è accennato al fatto che Sorrento avrà un allievo, niente che poco di meno ché Mime di Asgard.

Ovviamente, Folken non sarà eliminato, e Mime, in sintesi, dovrà sostenere due allenamenti in parallelo.

Ora rispondo alla recensione del capitolo precedente.

 

A LuluXI: ciao! Come va? Mi fa piacere che tu abbia apprezzato il capitolo di prima, e vedo che, in quanto a gusti letterari, andiamo d’accordo: l’Odissea è qualcosa di davvero sublime, a mio avviso! Il comportamento di Kanon, come vedi, non è per niente cambiato, ma quello di Thetis si è decisamente ammorbidito! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!

 

Alla prossima!

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