La dea di ghiaccio e l'incantatore

di londonlilyt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** Ma chi ti ha dato la patente! ***
Capitolo 3: *** Chiappete gelate e notti insonni... ***
Capitolo 4: *** il gatto con il topo... ***
Capitolo 5: *** lavoriamo insieme? ***
Capitolo 6: *** Esci con me! ***
Capitolo 7: *** Esci con me o ti brucio la Ferrari! ***
Capitolo 8: *** VENEZIA..... ***
Capitolo 9: *** E' dolce sognar...... ***
Capitolo 10: *** stronza frigida! ***
Capitolo 11: *** Vi presento Cleo ***
Capitolo 12: *** La proposta...magari fosse indecente! ***
Capitolo 13: *** Il russo scoppiato. ***
Capitolo 14: *** Si entra in azione. ***
Capitolo 15: *** I like big asses...... ***
Capitolo 16: *** che fai...mi muori?! ***
Capitolo 17: *** Passeggiata lungo il fiume. ***
Capitolo 18: *** Niente piu' pazienza. ***
Capitolo 19: *** E se il cielo stesse per cadere? ***
Capitolo 20: *** Chi diavolo e' quel tizio? ***
Capitolo 21: *** I fantasmi del passato. ***
Capitolo 22: *** Ferite ancora aperte...... ***
Capitolo 23: *** Le verita' nascoste I ***
Capitolo 24: *** Le verita' nascoste II ***
Capitolo 25: *** The game is out. ***
Capitolo 26: *** Una notte buia. ***
Capitolo 27: *** Tho' guarda...... ***
Capitolo 28: *** A volte ritornano..... ***
Capitolo 29: *** Rescue me. ***
Capitolo 30: *** Serve aiuto? ***
Capitolo 31: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Residenza dell’ambasciatore tedesco in Austria, 30km da Vienna.

I loro sguardi si incontrano attraverso il salone affollato: quello di lui scuro e vellutato come la notte, quello di lei terso e chiaro come il cielo a primavera.

Lui  sorrise sicuro facendo scorrere gli occhi lenti sulle curve di lei come in una morbida carezza, mentre il sorriso sornione che le aveva rivolto si allargava sempre più facendogli brillare le pupille scure come il peccato.

Lei non sorrise ma ricambiò l’occhiata, tornando poi a guardarlo in viso con un sopracciglio ben curato alzato: che avesse trovato la merce scadente? Con una scrollatina di spalle e un’occhiata gelida riportò l’attenzione al gruppetto di uomini con cui stava parlando pocanzi.

Lui si offese, sapeva benissimo di possedere un fisico che avrebbe fatto invidia al migliore degli atleti e il suo sangue misto e coloriti scuri gli davano quell’aura di magnetismo animale che attirava le donne come le api al miele. Il suo orgoglio maschile era stato ferito mortalmente e chiedeva vendetta: non gli piaceva essere dismesso a quel modo.

Posò la coppa di champagne che stava bevendo e si fece largo tra la folla, il passo sicuro e cadenzato di chi sapeva esattamente dove andare. Nonostante la calaca, era difficile perderla di vista, era l’unica nota di colore in un mare nero formato da uomini in smoking.

L’abito da sera che portava era una visione in celeste: il bustino aderente che lasciava le spalle nude metteva in risalto la vita sottile e il seno sodo, la gonna scendeva morbida e aperta a campana fino alle caviglie, un peccato pensò con rammarico, perché di sicuro copriva un paio di gambe che non finivano più.

Non portava i guanti e i capelli biondi erano stati tirati su in modo da mettere in mostra il collo elegante adornato da una collana di diamanti, veri da quello che riusciva a vedere da quella distanza, quel collier doveva valere una fortuna.

-Credo che questo ballo sia riservato a me- disse una volta che l’ebbe raggiunta, liberandola del bicchiere e prendendola per mano in un unico fluido movimento.

-Se lor signori mi vogliono scusare- mascherando la sorpresa e l’irritazione la donna si fece condurre docilmente sulla pista da ballo, non poteva rischiare una scenata proprio ora. Ma l’avrebbe fatto amaramente pentire di averla disturbata.

Le note di un valzer si diffusero leggere nell’aria mentre i ballerini iniziavano a muoversi.

-Devo ancora decidere se lei è solo temerario o completamente incosciente, mi pareva di averle fatto capire che non ero interessata- puntualizzò fredda.

-Sa come si dice, “La fortuna aiuta gli audaci”- agilmente le fece fare una giravolta –credevo stesse facendo la preziosa e poi non sono un tipo che si può ignorare con tanta facilità-

Era vero, glielo leggeva negli occhi. Non era il tipo che accettava un no come risposta non senza giocare fino all’ultima carta; ma lei non aveva tempo di giocare stasera, in un altro momento si sarebbe anche divertita ad interpretare la parte dell’oca ma ora aveva un impegno.

Doveva liberarsi di questo...questo...non riusciva neanche a trovargli un nome, convinta solo che fosse pericoloso; lei li riconosceva a pelle i tipi pericolosi, soprattutto se quel pericolo rischiava di minacciarla da vicino, non le piaceva affatto la luce che gli aveva visto brillare nello sguardo quando i loro occhi si erano incrociati e lei non aveva nessuna intenzione di esplorre la causa del brivido che l'aveva colta quando si erano guiardati.

I due continuarono a ballare, ignari dell’immagine che stavano presentato al resto degli ospiti. Lui così scuro e attraente, lei così chiara ed eterea: sembrava che il giorno e la notte si fossero appena incontranti, li nel bel mezzo della pista da ballo, scatenando ogni tipo di energia sopita presente nell’aria e caricandola di elettricità.

-Deve ritenersi davvero fortunato che al momento non mi vada di fare una scenata e attirare l'attenzione di tutti!- gli disse dopo un breve silenzio, sperando di raffreddargli tutti i bollenti spiriti.

-E crede davvero che non l’abbiamo già attirata?- le rispose piano.

La donna si diede una veloce occhiata attorno, era vero constatò, quasi tutti gli occhi erano puntati su di loro. Maledizione! Non ci voleva, era riuscita a non farsi notare più di tanto quella sera.

-Spero sia contento, volevo passare una serata in incognito e lei mi ha rovinato tutto- per “sbaglio” un affilatissimo tacco dei suoi costosi sandali si andò a infilzare sulle dita dei piedi di lui che nonostante tutto non perse il ritmo, ma trattenne bruscamente il respiro –ops...-

-Bisbetica, è sempre così carina con gli aspiranti spasimanti?- era piena di spine la biondina.

-Quali aspiranti spasimanti?- chiese ironica.

-Non ha nessuna intenzione di rendermi le cose facili, vero?- ma non si aspettava una risposta –le va di bere qualcosa insieme?- attacco diretto, l’arma migliore.

-Mi pare di averle detto di non essere interessata- di sfuggita vide l’ora nell’orologio di lui, doveva fare in fretta –lasci che le dica che lei non è il mio tipo. Li preferisco magri e bassi-

-Ma davvero! E se fossi stato magro come un fuscello e alto un metro e venti?-

-Alti con le spalle larghe, mi auguro che ci siamo capiti?- gli disse guardandolo dritto negli occhi, grande sbaglio...il calore che emanava lo sguardo di lui fu difficile da resistere, così intenso che quasi le sembrava che le stesse fisicamente sfiorando la pelle con le dita.

In quel momento la musica finì e lei si volse per andarsene senza rinvolgergli un’altra parola. La stava facendo sentire strana, ed era meglio lasciare certe cose nei cantucci bui dove erano state relegate.

Lui non era della stesso parere, prima che potesse scappare le avvolse le mani attorno alla vita e se la tenne stretta contro.

-Posso almeno sapere il tuo nome?- le bisbigliò in un orecchio, l’alito caldo che le solleticava il collo.

-Genie- rispose lei piano, rabbrividendo involontariamente, non si era aspettata un incontro così ravvicinato con il corpo muscoloso di lui.

-Perché esaudisci i desideri?-

-No- più che vederlo lui percepì il suo sorriso –perché riesco a scomparire in una nuvoletta di fumo-

Gli scivolò alle spalle e scomparve tra la folla.

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Capitolo 2
*** Ma chi ti ha dato la patente! ***


Lui si voltò in fretta per vedere in che direzione fosse andata ma non la vide da nessuna parte: era come scomparsa nel nulla.

“Lasciala perdere amico mio” gracchiò l’impercettibile auricolare che aveva all’orecchio “quella é più fredda del mare del nord, mi si é avvizzito solo a guardarla negli occhi!”

Sempre pieno di tatto il suo amico Jules, avrebbe dovuto fare quattro chiacchere con il ragazzo prima o poi.

“Comunque la tua preda é appena sgattaiolata sul terrazzo” poi rise “e non intendevo la principessa dei ghiacci! Mi riferivo a Chang”

Stronzo! Ma era venuto lì per fare un lavoro stasera e aveva perso abbastanza tempo. Con una luce felina da predatore che gli brillava nello sgurdo si diresse verso la terrazza pronto all'azione.

La donna camminava veloce lungo il corridoio buio rischiarato appena dalla fioca luce lunare che filtrava dalle finestre laterali e cercando di fare il minimo rumore con i tacchi sul marmo lucido; la sua destinazione era dopo il prossimo angolo ovvero: l’appartamento privato dell’ambasciatore tedesco.

La guardia che doveva stare davanti alla porta faceva il giro dei corridoi ogni ora e lei doveva essere ancora in tempo per trovare via libera e non farsi scoprire. Ne avrebbe avuto di più se non avesse perso minuti preziosi a ballare con quel sollevatore di pesi gonfiato...accidenti a lui!

In genere le bastava sfoderare la sua occhiata gelida per scoraggiare chiunque, ma lui no...liu doveva far prevalere il testosterone.

Delle voci provenienti dal corridoio opposto la spinsero immediatamente all’azione, senza il minimo rumore scivolò nell’anticamera.

Tutto era buio, a parte il debole chiarore proveniente dal moderno camino a gas; con gesti svelti sganciò la gonna che portava indosso che cadde a terra con un tonfo sordo mostrando i pantaloni in pelle aderenti che portava sotto.

Tirando giù l’orlo per coprire tutta la gamba, si diede una veloce occhiata attorno, doveva sbrigarsi, meno stava in quella stanza meglio era.

Con passo deciso si diresse verso il comodino sul lato sinistro del letto, la cassaforte con gli oggetti “molto” personali dell’ambasciatore era incassata nel muro dietro al piccolo mobile. Riuscì a spostarlo abbastanza facilmente, era pesante per essere così piccolo pensò, mentre con una sottile pila illuminò il muro dall’intonaco liscio...della cassaforte neanche traccia. Tastò in cerca di uno scomparto segreto, ma nulla.

Come era possibile? Non poteva essersi sbagliata così grossolanamente, forse aveva sbagliato lato del letto, ma neanche dall’altra parte c’era nulla; era con la merda fino al collo e non poteva perdere tempo ad aprire anche quella che si trovava dentro lo spogliatoio, doveva fare una ricerca accurata e veloce.

Mise a posto i comodini, ma come faceva quello sulla destra ad essere talmente pesante rispetto all’altro...si fermò di scatto, troppo pesante? Forse troppo per un semplice comodino.

Lo esaminò attentamente in cerca di doppi fondi o false pareti, ma ancora nulla, che fosse un secrétaire?

Con cautela spinse il ripiano in cima cercando la direzione in cui dovrebbe spostarsi il pannello e infatti, lentamente, lo fece scorrere verso sinistra trovandosi difronte la cassaforte.

-Piccola figlia di puttana.....- bisbigliò trionfante.

L’ambasciatore era un idiota, quella cassaforte era di un modello semplicissimo a combinazione e lei ci sarebbero voluti meno di cinque per aprirla.

Era così concentrata che non sentì il rumore della prima scarica di proiettili proveniente dal giardino, ma non mancò la seconda: grossi guai erano in vista. Prese il video e i due dischetti che erano all’interno e li mise nella fondina quadrata che aveva allacciata sulla coscia sinistra.

Doveva dileguarsi prima che qualcuno la scoprisse. Recuperò la gonna che si era tolta poco prima visto che nascosta tra le sua pieghe c’era la giaccha dello stesso stile dei pantaloni, fuori faceva un freddo polare e lei doveva essere pronta all'azione non mezza assiderata! Poi strappò la sottana semi trasparente dalla seta celeste sentendosi in colpa nel rovinare un così bell'abito. A prima vista sembrava una normalissima sottogonna rigida, ma era fatta di un materiale particolare, leggero e resistentissimo cucito a spirale in modo da poter essere srotolato all’occorenza.

Legò il lembo iniziale al parapetto del balcone e agilmente si calò nel giardino sottostante. Una volta a terra si disfò della parrucca bionda, liberando i suoi naturali capelli neri e delle sopraciglia finte, i tacchi erano un problema ma aveva gli stivali nella macchina che era parcheggiata a cento metri più in là. Doveva sbrigarsi, sembrava che gli spari si stessero facendo più vicini.

Corse svelta sul leggero strato di neve che era caduta nelle ultime ore, se non le veniva un principio di assideramento oggi sarebbe sopravvissuta a qualsiasi cosa in futuro.

Era oramai vicina alla vettura quando un raggio di luce lunare fece capolino da dietro le nuvole illuminando le curve lucide e snelle della sua Ferrari nera nuova di autofficina, illuminando anche una figura scura accucciata vicino alla serratura del lato guidatore. Qualcuno stava cercando di rubarle la sua macchina nuova di zecca! Lo avrebbe ammazzato su due piedi! Ma lo sapeva quanto le era costato farsi modificare quella macchina con tutti i suoi accessori preferiti!

Estrasse la pistola e senza fare il minimo rumore si avvicino.

-Ti suggerisco di togliere le tue luride zampacce dalla mia macchina, se non vuoi che ti faccia a colabrodo!- provò con l’inglese, sperando che il ladro fosse poliglotta, non le andava di sfoderare tutto il suo repertorio linguistico mentre stava gelando.

L’uomo rimase immobile maledicendo la sua cattiva sorte, era quasi riuscito ad aprire lo sportello! Proprio ora doveva arrivare il proprietario...correzione la proprietaria, dalla voce era una donna e anche armata se la minaccia aveva un qualche fondamento.

Si voltò lentamente e si ritrovò davanti...catwoman?

Anche al buio i suoi occhi azzurri brillavano come fari nella notte, da dove sbucava fuori?

Per poco la donna non gli sparò, era l’uomo della pista da ballo! Che cosa stava combinando?

-Saresti almeno così gentile da darmi un passaggio?- chiese con accenno di sorriso che non mancava mai di rendere il gentil sesso più sensibile alle sue richieste.

-Scordatelo, ora muoviti lento e...-

Non ebbe il tempo di finire, un faro gli venne puntato addosso e fù dato l’allarme.

-Cazzo!- prese le chiavi e aprì gli sportelli –Sali idiota!-

Una volta al posto di guida fece partire il motore con un rombo e innestò la prima, partendo sgommando mentre un esercito di guardie partiva al loro inseguimento.

-Non credi che sia meglio che guidi io dolcezza?- chiese preoccupato, le donne erao leggermente pericolose dietro il volante di bolidi come quello. E poi se doveva scappare lui sarebbe riuscito a seminare i loro inseguitori con più facilità.

-Nessuna guida la mia bambina tranne me- gli disse gelida sorvolando sul “dolcezza” –ora renditi utile e aziona il telecomando dentro al cruscotto-

-A che serve? Non mi ritrovo sbalzato dalla macchina con tutto il sedile vero?- rise scherzando solo a metà.

-No...se premi il tasto giusto- spiegò sarcastica –serve per far saltare il cancello, non vorrai che graffi la vernice nuova vero?-

-Dio non voglia...- rispose con un soppraciglio alzato e premento il piccolo bottoncino rosso.

Trenta secondi dopo sfrecciarono a duecento all’ora attraverso un cancello laterale ancora fumante con i loro inseguitori alle calcagna.

-Quanti sono?- volle sapere lei con gli occhi incollati sull'asfalto.

-Quattro macchine e sembra che ci sia una jeep con montata sopra una mitragliatrice dall’aspetto minaccioso- rispose guardandola, con la netta impressione di averla già vista –ci siamo per caso incontrati da qualche altra parte?-

Lei fece solo un mezzo sorrisetto e aprì il tettuccio.

-Non so che diavolo stavi facendo, ma adesso rimedi a tutto sto casino!-

-Cosa ti fa credere che sia stato io?- chiese cercando di mantenere l’equilibrio dopo una brusca sterzata

-Mi auguro che tu sia armato- gli disse senza degnarsi di rispondergli -altrimenti ci sono delle cose nello scomparto nascosto dietro al sedile che ti potrebbero essere utili-

Spinto da un misto di curiosità e necessità messe assieme, tirò fuori il borsone scuro da dietro al sedile e vi diede un’occhiata dentro, lasciandosi scappare subito dopo un fischio di apprezzamento: la ragazza sapeva di cosa stava parlando.

La borsa conteneva esplosivo C4, delle granate, una mitraglietta automatica, una 357 magnum, di un modello che non aveva mai visto in vita sua, e due semi automatiche.

-Ed io che ho sempre creduto che le donne mettessero la cipria nelle borsette!- voleva essere una battuta ma lei non la trovò divertente.

-Le sciaquette che frequenti di solito magari...-

-Noto una punta di gelosia?- chiese con l’intento di provocarla, prima di sparire fuori dal tettuccio a lanciare un pò di granate.

-Ecco cos’è, dopo una notte indimenticabile mi sono dimenticato il tuo nome e il mattino dopo non ti ho chiamato!- disse rientrando per prendere altre munizioni.

-COSA!- gli rivolse un’occhiata omicida e poi sbottò in tono acido –se fosse successa una cosa del genere, credimi sarei stata io quella che si sarebbe dimenticata il tuo nome all’alba!-

-Molto difficile...- con un sorriso malizioso scomparì nuovamente fuori dal tettuccio.

Fumando di rabbia, non le rimase altro da fare che schiacciare il piede a tavoletta sull’accelleratore, ma guarda che tipo inutile!

-Senti un pò dolcezza, non sarebbe meglio che li seminassi, non posso continuare a sventrare la campagna austriaca-

-Che cosa credi che stia cercando di fare!- quelli erano più appiccicosi delle piattole –va bene è ora di chiudere il gioco!-

Premette un bottone al lato del volante e da sotto l’alettone posteriose venne scaricato del liquido nero sospetto.

-Prendi una granata e lanciala!- gli ordinò.

Lui obbedì senza protestate e poco dopo si alzò sui loro inseguitori un muro di fiamme alto tre metri che fece saltare in aria la prima macchina e impedì agli altri di continuare a seguirli.

-Mai visto nulla di simile! Che razza di infiammabile era quello?- chiese con ammirazione, mai visto nulla di simile.

-Ricetta personale-

Lui tornò a guardarla osservandola con attenzione, doveva essere una del mestiere se aveva a disposizione delle cose così soffisticate, e chissà quali altri aggegi nascondeva quella macchina. Non aveva fatto una una piega durante l’inseguimento e guidava con la maestria di un pilota di formula uno, la domanda era: per chi lavorava?

Continuò a guardare il suo profilo mentre guidava e la sensazione che l’avesse già vista non l’aveva ancora abbandonato; poi qualcosa che luccicava attraverso l’apertura della giacca aderente di lei attrasse la sua attenzione: sembravano diamanti...chiuse gli occhi a fessura, per poi sgranarli subito dopo dalla sorpresa.

-Porca...la biondina della pista da ballo!- sussurò sorpreso, anche se non avrebbe dovuto esserlo.

-E bravo il mio tardone!- lo congratulò impassibile.

-Che ci facevi alla villa?-

-Non ti riguarda, tu che ci facevi alla villa?-

-Non ti riguarda-

-Allora siamo pari- svoltò in una stradina secondaria che portava a Vienna e che era ssempre poco trafficata –chi ti ha aiutato ad organizzare l’operazione alla villa, il macellaio sotto casa?-

-È stato solo un piccolo errore di calcolo- rispose seccato, l’intera serata era stata un completo fallimento, non aveva bisogno che lei aggiungesse anche il sale sulle ferite –per chi lavori?-

-Per chi ha più soldi, costo cara io-

-Una mercenaria?-

-Di altissimo borgo- gli diresse un’occhiata obbliqua –A differenza di alcuni principianti-

-Ehi! Senti un pò...- iniziò offeso, era il migliore della sua sezione e non aveva nessuna intenzione di farsi fare a pezzi senza reagire.

-No tu sentimi bene!- furibonda inchiodò la macchina mandandolo a sbattere contro il cruscotto con la fronte –stasera mi sei quasi costato 200mila dollari americani e hai scatenato un putiferio che se siamo fortunati non finirà su tutte le pagine dei giornali domani!-

I suoi clienti non sarebbero stati contenti, gli aveva assicurato che l’operazione si sarebbe svolta con il massimo della riservatezza e che nessuno si sarebbe accorto di nulla, almeno non fino a quando fosse stato troppo tardi, invece per colpa del tizio che ora stava seduto sui suoi costossissimi sedili in pelle, rischiava di ritrovarsi con la reputazione danneggiata.

-Ed ora scendi!- sibilò, tanto che lui quasi si aspettò di veder spuntare una linguetta biforcuta.

-Siamo nel bel mezzo del nulla, non puoi essere seria!- cercò in vano di protestare.

-Non ho ancora provato il sedile- gli fece con voce stranamente dolce –ma se ti vuoi offrire volontario....-

Tra i due mali scegli sempre il minore, era quello che il suo istinto di soppravvivenza stava gridando al momento, quindi scese dalla macchina con tutta la dignità che riuscì a mantenere visto che era fumante di rabbia.

-Non ti preoccupare, sono sicura che il macellaio tuo complice sarà nei paraggi, non dovrai gelarti quelle belle chiappette per molto!-

Prima che potesse sgommare via una volta chiuso lo sportello, lui le bussò il vetro.

-Questa me la paghi dolcezza, nessuno prende in giro l’Incantatore in quel modo e la passa liscia-

Lei non fece una piega, non credeva ad una parola anche se il luccichio degli occhi di lui le diede lo stesso i brividi.

-Aspetterò con il fiato sospeso!- chiuse il finestrino e sgommò via.

L’uomo rimase sul ciglio della strada vedendola scomparire in una nuvoletta di fumo, per la seconda volta quella sera.

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Capitolo 3
*** Chiappete gelate e notti insonni... ***


Che stronza! Pensò, mentre attivava il segnalatore di posizione, Jules non avrebbe impiegato molto a trovarlo.

Le avrebbe fatto rimangiare quelle parole velenose una per volta! Aveva già fatto il primo passo, le aveva piantato una cimice nel cruscotto ed era sicuro che lei non l’avrebbe mai trovata a meno che non la stesse appositamente cercando, e se lo considerava un'idiota....le avrebbe fatto chiedere pietà a quella vipera!

Poi scoppiò a ridere, così aveva delle belle chiappette! Quando le aveva notate? Interessante, forse aveva valutato male la situazione.

Un altro piano diabolico stava iniziando a prendendo forma nella sua testa quando un paio di fari spuntarono all’orizzonte, sperava con tutto il cuore che fosse Jules, era congelato.

Genie entrò nella sua camera d’albergo sbattendo la porta, aveva appena avuto un incontro poco amichevole con il cliente che non era affatto contento, se tutta la faccenda della villa veniva anche remotamente collegata a lui e i suoi soci lei aveva finito di lavorare in quell’ambiente.

Maledizione a lui! Da dove accidenti spuntava fuori!

Piena di stizza si infilò nella doccia ma l’acqua calda non le migliorò l’umore di molto. Chissa per chi lavorava, si chiese incuriosita suo malgrado; anche se l’aveva insultato e trattato da incompetente, sapeva che una giornata storta capitava a tutti e lui aveva provato di sapersela cavare dando del filo da torcere ai loro inseguitori. Le doleva ammetterlo, ma aveva seguito l’intera scena dallo specchietto retrovisore e ne era rimasta favorevolmente colpita.

Avrebbe dovuto relegare il loro incontro nel dimenticatoio ma sembrava non riuscirci, perchè?

Non era solo per il fatto che le aveva quasi rovinato il lavoro, c’era qualcosa d’altro sotto, qualcosa che forse era meglio lasciar perdere lei non sapeva che farsene di uno così. Con un sospiro di stanchezza, si infilò sotto le coperte chiudendo gli occhi e imponendosi di addormentarsi, il mattino dopo aveva un lungo viaggio da iniziare e doveva riposarsi.

Incantatore un paio di palle, pensò seccata, che razza di nome in codice poi! Si sarebbe dimenticata di lui nel giro di dieci minuti!

Ma l’indomani era ancora più stanca e arrabbiata di quando era andata a letto, un paio di occhi scuri come la notte le avevano fatto compagnia fino all’alba non lasciandole un attimo di riposo.

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Capitolo 4
*** il gatto con il topo... ***


MONACO 6 MESI DOPO......

Genie ritornò nella sua stanza d’albergo quasi strisciando quella notte, la testa le faceva un male cane e la faccia le pulsava, maledizione a quel bastardo, era un bene che l’aveva già ucciso altrimenti sarebbe stata tentata a tornare indietro e finirlo.

Con sollievo si chiuse la porta alle spalle, solo per estrarre la sua pistola con scatto felino e puntarla contro la poltrona, c’era qualcuno! Ma si blocco prima di sparare, ormai lo riconosceva dal respiro quello!

-Ciao dolcezza!- la lampada accanto alla poltrona si accese illuminando una parte del corpo del suo “ospite”.

-Che cosa vuoi? Sei l’ultima persona che ho voglia di vedere al momento!- mise i documenti che aveva rubato quella sera nella valigetta e chiuse la serratura magnetica a combinazione, non era il caso di farsi spiare dal nemico.

-Veramente ero qui di passaggio e sono venuto a farti un saluto- per poco non gli venne un colpo quando vide come era vestita, o per essere più precisi come era svestita, va bene che faceva caldo....

Stivali al ginocchio dai tacchi a spillo altissimi, una mini che sarà stata larga esagerando trenta cm e indossata bassa sui fianchi, il seno era a malapena coperto da un reggiseno a balconcino di pelle, era tutto nero e lucido.

-Ciao- senza degnarlo di un’altra occhiata si chiuse in bagno.

Si tolse la parrucca e la gettò nel cestino, non la voleva vedere mai più, poi si diede un’occhiata allo specchio.

L’occhio sinistro era gonfio e quasi chiuso, domani sarebbe diventato di un bel viola acceso, anche il labbro era gonfio e spaccato, sperava solo che non le rimanesse una cicatrice, un particolare del genere era facilmente riconoscibile in caso di identificazione.

Il suo bersaglio per quel lavoro l’aveva ridotta in quelle condizioni, gli piaceva essere violento con le sue puttane e lei si era fatta cogliere alla sprovvista, ma un unico pugno era tutto quello che le aveva mollato, visto che l’aveva fatto subito fuori e gli aveva svuotato la cassaforte.

Quello che le bruciava di più era il perché si era fatta cogliere di sorpresa, e se l’era trovato comodamente seduto nella sua stanza ad aspettarla. Infatti se si fosse concentrata di più su ciò che stava facendo invece di congratularsi con se stessa (e alla luce dei nuovi sviluppi inutilmente) per essergli sfuggita per l’ennesima volta, ora non sarebbe ridotta come una zampogna.

Il loro gioco era iniziato due settimane dopo il fatidico incontro in Austria, lui le aveva rubato la macchina e poi le aveva telefonato, dicendole che la prendeva in prestito per una settimana e poi gliela riportava. Lei era andata in escandescenza, lo aveva minacciato di morte e poi aveva riattacato, come aveva fatto a trovarla e a trovare la sua preziosa Ferrari?

Mistero risolto quando gliel’aveva restituita, riverniciata di un fucsia acceso, aveva quasi pianto quando l’aveva vista, le aveva messo un trasmettitore e lei come un’idiota non aveva controllato. Inoltre nel cruscotto le aveva lasciato un cellurare, che lei non aveva buttato ma che aveva criptato, in modo che il segnale non venisse rintracciato, l’unico numero in memoria era quello di lui.

L’aveva chiamato e gli aveva annunciato che se voleva la guerra l’avrebbe avuta con gli annessi e connessi, e aveva iniziato mandando il conto della riverniciatura al suo dipartimento, infatti aveva scoperto che lavorava per il governo inglese, niente meno che un accanito pattriota, da vomitare!

Quelli erano i peggiori, erano pieni di principi morali.

Dal giorno si vedevano con una regolarità allarmante per scambiarsi insulti e angherie.

Lei aveva cercato di farlo saltare in aria un paio di volte, ma sempre senza molta convinzione, lui le aveva messo alcune di quelle fialette puzzolenti che i bambini usano a carnevale, nel sistema di aereazione della macchina, le ci erano voluti tre giorni per togliersi  di dosso l’odore (immaginatevi la difficolta del giocare a fare la femme fatale con i clienti quando puzzavi come un lattrina a cielo aperto!) e una settimana e dieci alberelli sullo specchietto, per toglierlo dagli interni della vettura.

Lei era riuscita a fargli arrivare una bomba sulla scrivania dell’ufficio, era scoppiato il panico tra i colleghi, avevano cercato di disinnescarla ma non ci erano riusciti, si erano riparati meglio che potevano e una volta esplosa, fece solo tanto fumo, mentre un pagliacetto dondolava avanti e indietro sulla sua molla ridendo e facendosi beffe delle grandi spie addestrate al pericolo, con la sua veste colorata dove sopra c’erano state scritte quattro lettere “BOOM”.

Lei aveva riso per una settimana, anche perché si era agganciata al sistema di sicurezza e aveva assistito a tutta la scena, lui un pò meno, era diventato mezzo sordo dopo la sfuriata del suo capo.

E così via per sei mesi, avevano giocato al gatto con il topo. Il fatto sconcertante, che non avrebbe ammesso neanche sotto tortura, era che lei si stava divertendo, come non le era mai capitato da tanto tempo, si impegnava come non mai a far perdere le sue tracce, si inventava modi irritanti per colpirlo e veniva ricambiata con la stessa moneta, era diventato una sorta di divertimento per tutti e due.

Ma quella sera non aveva voglia di giocare, voleva solo andare a letto e morire. Quando uscì dal bagno dopo una doccia veloce e avvolta solo nell’accappatoio, per poco non le venne un infarto, lui era ancora lì!

-Mi hai fatto quasi prendere un colpo! Che ci fai ancora qui?- per fortuna da dove era seduto non le vedeva la faccia, non avrebbe retto la sua pietà.

-Quattro chiacchere?- chiese innocente.

-Mi pareva di averti detto di andartene- si draiò sul fianco non dolorante con un sospiro di sollievo, sperando che scomparisse e la lasciasse in pace.

-Che succede dolcezza ti vedo fiacca!- in genere quando la chiamava “dolcezza” era garantito di farle perdere le staffe in tempo record, ma neanche si mosse, che le succedeva?

Senza il minimo rumore si avvicinò al letto, che stesse male? I capelli lunghi le coprivano il viso e non riusciva a vederla bene in faccia.

L’aveva appena sfiorata, quando lei si mise a sedere e gli afferrò il polso in una morsa micidiale, aveva dei riflessi da invidiare, e un occhio nero da far arrossire un pugile.

-Che cavolo ti é successo?- chiese preoccupato, e ignorando la luce omicida dell’occhio sano.

-Ti ho detto di andartene, non tira aria- il tono di voce era vicino all’isteria, ne aveva avuto abbastanza di dominazione maschile per quel giorno, voleva solo stare sola a leccarsi le ferite.

Si rilassò quando lo vide muoversi senza una parola verso la porta e chiudersela alle spalle, tornò a sdraiarsi, aveva davvero bisogno di dormire.

Cinque minuti dopo, faticava a reprime un gemito di sofferenza nello sentire la porta della sua camera che si apriva nuovamente, era tornato.

Perché la torturava a quel modo? Un minimo di pietà no?

Lui era in bagno furibondo che inumidiva un’asciugamano, era andato a prenderle del ghiaccio, sperando che quell’occhio non fosse conciato peggio di quello che sembrava, chi l’aveva ridotta a quel modo?

Certo non doveva essere sorpreso, erano gli inconvenienti del mestiere, ma non gli piaceva vedere una donna ridotta in quelle condizioni, anche se quella donna era esasperante e molto probabilmente se l’era meritato, ma c’erano altri modi di infliggere dolore senza lasciare i segni!

Con un impacco freddo in mano le si sedette vicino sul letto, pregando che non avesse nessun coltello nascosto in quell’accappatoio, gli avrebbe tagliato la gola e arrivederci a chi ci ha visto!

-Se mi tocchi ti taglio le mani!- lo minaccio con voce malferma.

-Ma fai silenzio! Ti ho solo portato del ghiaccio per quell’occhio. Se non ci metti nulla, domani non sarai in grado di vedere- ignorandola e con cautela le mise l’impacco sul viso sentendola trattenere bruscamente il respiro.

Lei non disse nulla, non aprì l’occhio sano per guardarlo, non lo voleva guardare, non le piaceva quando le persone erano gentili con lei.

E il fatto che fosse lui ad essere gentile la metteva ancora più a disagio.

-Chi ti ha ridotto in queste condizioni?- se non era morto avrebbe provveduto lui.

-Già cadavere non ti preoccupare-

E va bene, niente divertimento per stasera.

-Come va?- il ghiaccio avrebbe dovuto alleviare il gonfiore.

-Vattene Etienne, non mi serve il aiuto- era la prima volta che usava il suo nome da quando si erano incontrati.

Durante una delle loro conversazioni telefoniche lui si era stancato di sentirsi chiamare “Incantatore” da lei, con quel perenne tono di disprezzo e le aveva detto di chiamarlo Etienne, che stranamente era il suo vero nome, nonostante anche lui avesse diverse identità finte che usava all’occorrenza.

-Stronza ingrata!- ma stava sorridendo –non hai un posto dove andare per leccarti le ferite e riposare?-

-Perché che cos’ha questa camera d’albergo che non va?- le costava una fortuna alloggiare in quel posto.

-È triste e patetica, non ti ci vedo nei panni di Oliver Twist, orfanella senza fissa dimora-

-Ma vai a quel paese!- cerco di colpirlo ma prese solo aria, visto che lui la teneva inchiodata al letto con l’impacco freddo sulla faccia, che al momento aveva smesso di pulsare.

-Attenta, ho un’impacco freddo e non ho paura di usarlo!- la vide rilassarsi nuovamente, e notò l’accappatoio, seriamente per la prima volta,  sotto era nuda e profumava come un budino al caramello ancora caldo, doveva essere il sapone che aveva usato. Chissa perché, ma era convinto che usasse saponi dagli odori pungenti, proprio come lei, invece eccola qui che profumava come una caramella, cercò di ignorare l’immagine fuggevole che gli era appena passata per la testa di lui che la scartava e la leccava tutta.

Quella donna non smetteva mai di stupirlo.

Erano mesi che si divertiva come un matto, farla infuriare era facile come accendere un fiammifero, e che spettacolo, gli occhi le brillavano in un modo che non aveva mai visto prima, sembravano mandare lampi, e quella lingua biforcuta avrebbe steso chiunque.

Era intrigato, le donne che frequentava in genere o erano super-stronze o erano super-puttane, questa era super-stronza ma con un’etica, e non era una super-puttana.

“La dea di ghiaccio” veniva chiamata nell’ambiente, e lui l’aveva scoperto per caso, una volta lei glielo aveva spiattellato al culmine di una sfuriata, pentendosene amaramente subito dopo, lui aveva iniziato a ridere e lei aveva riattaccato offesa, non si erano parlati per tre settimane, fino a quando non aveva deciso di andarla a stanare nel buco dove si era nascosta.

Ora capiva perché nessuno sembrava sapere nulla di lei, non conoscevano il suo nome ma solo il soprannome con cui veniva chiamata, nessuno sapeva nulla delle sue diverse identità, solo una casella di posta dove poteva essere contattata.

-Ti detesto, vattene, non mi sei neanche simpatico!- gli disse con sentimento, non lo voleva vicino, non quando aveva la guardia abbassata e non lo poteva trattare da zerbino come voleva.

-Non è vero, io sono simpatico a tutti!- le rispose offeso, aveva una mezza idea che al momento non fosse solo la faccia ad essere piena di lividi.

-Come hai fatto a trovarmi questa volta?-

-Jules, quel ragazzo è un fenomeno, riuscirebbe a trovare una vergine in un bordello!-

-Dovrei convincere Jules a lavorare per me uno di questi giorni, almeno ritroverei un pò di pace-

-Fatica sprecata mi è fedelissimo-

-Non hai l’esclusiva sulle doti ammaliatrici sai, me la so cavare anche io, soprattuto con gli uomini, ragionate tutti dalla cintura in giù- disse con scherno.

-Femminista o lesbica?- chiese schivando prontamente la ginocchiata –e poi con Jules è fatica sprecata, lo terrorizzi-

-Che vuol dire?-

-Che sa di cosa sei capace e ti vuole evitare come la peste!-

-Allora ricordami di rompergli tutte due le gambe!-

-Mi dispiacerebbe parecchio, ci sono affezionato e poi mi toccherebbe vendicarlo- magari poteva contemplare una vendetta che includesse lenzuola di seta, un letto morbido e un paio di manette...valeva la pena tentare.

-Ti vado a prendere dell’altro ghiaccio- tutte quelle fantasie non gli facevano bene, non quando l’oggetto del desiderio ti era sdraiato vicino con indosso solo l’accappatoio –dovresti cercare di dormire, in un paio di giorni il gonfiore dovrebbe passare-

-È quello che cerco di fare da almeno quindici minuti, ma tu sei qui a rompere le palle e a fare casino- rispose acida, doveva riportare le cose alla situazione originale non voleva che diventassero troppo intime.

Lui non rispose, in silenzio le mise un impacco fresco sul viso. Ed ora che faceva? La abbandonava in queste condizioni? Forse era il caso di tenerle compagnia per qualche ora.

Genie rimase immobile con l’occhio chiuso, se lo ignorava magari andava via, anche se la solitudine non le era molto allettante quella sera. Cosa le prendeva ultimamente? Non aveva bisogno di nessuno lei e soprattutto non di lui, non della sua gentilezza o dei suoi occhi neri o del suo corpo caldo e solido. Forse doveva prendersi una vacanza, una lunga vacanza. Magari sarebbe dovuta tornare a Londra, aveva degli affari in sospeso li che andavano controllati.

Decisa a far finta di nulla e sentendosi meglio a causa dell’impacco freddo iniziò a contare le pecorelle, con encomiabile concentrazione, una per volta, via che saltavano la staccionata.

Peccato che mentre si addormentava comparve nel suo campo visivo il pastorello, alto, capelli scuri e occhi vellutati, che a petto nudo tosava le bianche pecorelle, il sole che gli faceva brillare le goccioline di sudore, che dal collo scivolavano lente sul torace e lungo i muscoli degli addominali, per scomparire sotto la vita dei ruvidi pantaloni di tela grezza, la stagione della tosatura era appena iniziata....

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Capitolo 5
*** lavoriamo insieme? ***


Al mattino dopo.....

Un odorino niente male le stava solleticando il naso, mmmm.....pensò il suo stomaco brontolando, ieri non aveva cenato. Stiracchiandosi soddisfatta socchiuse l’occhio sano e localizzò la fonte di quel profumino, era il carrello con la colazione fermo accanto al letto, e tutto sembrava ancora caldo e appena sfornato.

Si mise a sedere di scatto, pagandone il prezzo due secondi dopo, quando una fitta di dolore le trafisse la testa, doveva stare attenta, l’occhio non avrebbe sopportato altri abusi per qualche giorno.

Si guardò attorno, aspettandosi di vederlo spuntare da qualche parte, come fanno i funghi in genere, ma non c’era, se ne era andato. Il problema era, a che ora? Aveva passato l’intera notte nella sua stanza? E come era possibile che lei avesse ugualmente dormito come un sasso?

 Era stato lui ad ordinarle la colazione?

Lei non aveva detto nulla alla portineria, quindi non potevano essere stati loro, perché diamine l’avrà fatto?

Diede un’occhiata sotto i vari coperchi e dentro le teiere. C’era del succo d’arancia, del caffè, del pane tostato con il burro e tre tipi di marmellata diversi, dei croissant e una piccola brocca di latte caldo. Ma cosa credeva che era un maiale all’ingrasso!

Prendendo la tazzina del caffè, si accorse che sotto c’era un bigliettino ripiegato.

-Per favore fa che sia il cameriere che ci sta provando!-

Invece no, lui le aveva lasciato un messaggio.

“Non sapendo i tuoi gusti ti ho fatto portare un pò di tutto quello che offriva il menú, PREVENUTA!....”

Lo appallottolò e lo lanciò in un angolo, poteva anche andare a quel paese per quello che le interessava!

Fece colazione, continuando a scoccare occhiatine alla pallina di carta abbandonata nell’angolo, ma cosa le interessava cosa diceva il resto di quella stupida lettera, erano solo poche righe! Continuò a mangiare facendo finta di nulla, ma alla fine la curiosità ebbe la meglio.

“...Metti del ghiaccio prima di andare a letto stasera e domani l’occhio starà meglio, anche se i lividi ci metteranno un pó di più a sparire.

 

Ps: Ora sei in debito di una, verrò a riscuotere quando meno te l’aspetti!”

Ma che coraggio! In debito per cosa poi! Molto probabilmente a quest’ora le aveva già rubato la macchina, per la terza volta, e la starà facendo riverniciare di chissà quale orrendo colore. Era fortunato che ci teneva troppo a quel gioiello, altrimenti l’avrebbe fatta saltare in aria con lui dentro!

Gettò il foglio sul letto e aprì l’armadio per vestirsi, doveva lasciare la stanza in mattinata e non aveva ancora deciso che fare.

Si sedette sulla sponda per infilarsi gli stivali e il foglio scivolò a terra svolazzando. Con i gomiti sulle ginocchia rimase a fissare la paginetta bianca dove risaltava la calligrafia di lui, forte e decisa, esattamente come Etienne.

Le era poi così indifferente come aveva cercato di convincersi nelle ultime settimane?

Forse no, ma lei non era materiale da relazioni stabili o durature o che in qualche modo assomigliassero ad un legame di qualche tipo, non dopo la Colombia...con una mano si maneggiò la fronte, meglio non andare lì, o avrebbe iniziato ad avere di nuovo gli incubi.

Quella parte della sua vita era finita, anche se continuava a tormentarla costantemente.

Forse doveva solo farsi una sana scopata con l’inglesino dai coloriti mediterranei e non pensarci più, non riusciva neanche a ricordarsi l’ultima volta che aveva fatto del sesso, molto probabilmente avrebbe trovato polvere e ragnatele lì sotto!

Con stizza prese la borsa e ci mise tutte le sue cose non preoccupandosi minimamente dell’ordine, un’altro lavoro era quello che le serviva e poi se ne sarebbe andata in vacanza, e si sarebbe dimenticata di lui una volta per tutte!

EUROPA DELL’EST......

Etienne si mosse tra gli alberi senza fare alcun rumore, il passo leggero e felpato sulle foglie secche.

Quando Jules gli aveva detto di aver avvistato qualcosa, aveva deciso di andare a controllare, sperando che fosse solo un grosso animale e non uno dei soldati che popolavano la base ai piedi della collina, secondo le loro rilevazioni non ci doveva essere nessuna sentinella da quelle parti, erano tutte posizionate più in basso.

Si infilò gli occhiali con i sensori termici e si diede un’occhiata attorno, non c’era nessuno, eppure Jules gli aveva dato quelle coordinate. Che fosse uno di quegli idioti a cui piace osservare gli uccelli nel loro abitat naturale? Magari era appollaiato su qualche ramo.

Diede un’occhiata alle fronde, che stavano immobili per la mancanza di vento, e alla fine la vide, la macchiolina rossa, definitivamente un corpo caldo.

Si tolse gli occhiali, terzo albero sulla sinistra, silenzioso come una gatto si fece avanti lentamente fino a rimanere sotto la pianta ma fuori dalla portata visiva dell’intruso.

Quando lo vide un largo sorriso gli incurvò le labbra, avrebbe riconosciuto quel fondoschiena sodo ovunque!

Genie mise da parte il binocolo e inserì alcuni dati nel palmare che aveva appeso alla cintura. Quando stavi legato ad un albero con cinghie e rampini avere tutto agganciato alla cintura era una bella comodità.

Un fruscio la fece voltare si scatto, non c’era nulla, doveva essere un’altro uccello, una decina di minuti fa le era successa la stessa cosa, si era messa in allerta per nulla.

Solo che ora aveva anche una strana sensazione, i peli sulla nuca le si erano rizzati all’improvviso, aveva l’impressione di non essere più sola...

-Ciao dolcezza!-

Lei perse la presa con gli scarponi da montagna chiodati che teneva sul tronco e finì a penzolare come un salame dall’albero.

-Ma io ti ammazzo!-

Velocemente prese il silenziatore e dopo averlo avvitato alla pistola iniziò a sparare, prima a destra dell’albero, poi a sinistra e anche sui rami che stavano sopra la sua testa, fino a quando non esaurì il caricatore.

-Andiamo era solo uno scherzo e anche divertente!-

-Aspetta che ricarico e ti faccio vedere quanto sono divertita!-

-Non mi vorrai davvero sparare?-

-Dammi solo altri tre secondi e vedi!-

-Mi chiedo che cosa accadrebbe se slegassi uno di questi nodini qui...mmm- il silenzio indicava che stava seriamente ponderando la questione.

-Cosa vuoi che...- si bloccò a metà frase, si era appena ricordata quali nodini c’erano da quelle parti, quelli che tenevano le sue corde allacciate ai rampini –non oseresti!-

-Tu mi vuoi sparare!-

-Va bene, per oggi non ti sparo, ora stai lontano dai miei nodini!-

-Vuoi una mano a risalire?- le chiese sporgendosi dal tronco con un sorriso a trentadue denti.

-No grazie!-

In poco tempo riprese la postazione e gli sferrò un pugno dritto sulla mascella.

-Ahi! Non avevamo fatto la pace!- chiese massaggiandosi la parte dolorante, si era impegnata in quella botta la ragazza!

-Ho solo promesso di non spararti- rispose candida riprendendo il binocolo.

-Cavilli....- poi adocchiò l’abbigliamento di lei –lo sai che mi piace un sacco quando ti metti il completino da catwoman per andare in missione-

-Non ti aspetterai che miagoli per caso?- fingendo indifferenza continuò ad osservare i movimenti alla base della collina.

-Miagolare no, ma magari un pó di fusa- la frase venne accompagnata da un’allusiva alzata di sopracciglia.

-Sogna-

Tra loro calò il silenzio, ma lei poteva chiaramente sentire lo sguardo intenso di lui su di se.

-Cosa? Cosa hai da fissare a quel modo!- chiese irritata.

-Mi chiedevo semplicemente se...dopo aver riempito la gattina di panna sarei capace di farle fare le fusa-

Per poco non le cadde il binocolo di mano, il tono di voce che aveva usato era quello che ti aspetteresti in una camera da letto, basso, profondo, leggermente roco e denso di calde promesse.

-Vedo che l’occhio va meglio- le disse saltando di palo in frasca.

-Eh?- disse guardandolo come se gli fossero appena spuntate le ali.

-Il tuo occhio dolcezza- scandì le parole come se stesse parlando con una mentecatta –vedo che sta meglio, è rimasto solo un leggero alone giallastro-

-Non chiamarmi dolcezza!- si era ripresa in fretta.

-E come dovrei chiamarti? Genie? Va bene, però ti prendi tutte le battutacce che ne seguiranno, come “dove ti posso sfregare per fare esaudire tutti i miei desideri Genie” oppure “perchè non usi un pó delle tua magia su di me Genie” o...-

-Ho capito basta così!- lo interruppe secca –chiamami Sasha se proprio ti va!-

-Mmmm...già mi piace di più, Sash, Sashy, Sa...-

-Dimmi che accidenti ci fai qui e poi vattene!- inveì con voce dura.

Non le piaceva come pronunciava il suo nome, la faceva sembrare una cosa intima e le faceva venire strani brividi.

-E qui credo che abbiamo un problema- il divertimento era sparito completamente dal suo tono di voce –credo che siamo entrambi qui per lavoro o sbaglio?-

-Io si non so tu- quindi non era venuto a riscuotere? Meno male! Di che si preoccupava poi!

-E che tipo di lavoro sarebbe?-

-Non ti aspetterai che ti spifferi tutti i dettagli vero?- chiese melliflua con un sopracciglio alzato.

-Faresti meglio, altrimenti ti seguo e ti rompo tutte le uova nel paniere, e la cosa finisce come alla villa in Austria-

Entrambi sapevano che una cosa del genere non doveva accadere qui, la situazione era delicata, per tutti e due.

Sasha lo osservò con attenzione, il tempo le era nemico, aveva solo tre giorni per portare a termine il lavoro, e ne aveva già perso uno, se doveva perdere tempo ad evitarlo o a porre rimedio ai suoi sabotamenti non avrebbe concluso nulla.

-Sai già che la base militare abbandonata qui sotto è stata occupata da alcuni mercenari e il loro capo malato di mente?- iniziò cedendo di malagrazia.

-Il suo nome è Sergej Karmanov,- continuò lui -è sbucato all’improvviso otto mesi fa sulla scena internazionale e sta velocemente diventando una spina nel fianco per tutti-

-Tutti uguali, riescono a mettere insieme tre mercenari e quattro fucili e si credono pronti a conquistare il mondo- disse schifata –il lascito della grande madre Russia immagino-

-Bhè l’ometto si sta impegnando parecchio. Ha rubato qualcosa che non gli appartiene e sono stato mandato a riprenderla-

-E sarebbe?-

-Ah no, prima tu- non era mica scemo.

-Sergej ha rapito qualcuno, ed io sono stata mandata a riprenderla-

-La biondina?- dall’espressione di lei ne dedusse di aver fatto centro –è arrivata due giorni fa-

-E sai anche dove la tengono?- l’importante era provarci.

-Con Jules e i suoi marchingegni che fanno la sorveglianza? Ti posso dire anche di che colore ha le mutandine-

-Non è un informazione attinente al caso. La biondina è la figlia diciannovenne di Roschia Rubilov, a quanto pare non ha ceduto ai ricatti di Sergej e lui gli ha preso la figlia, ha fino a dopodomani per...diciamo adeguarsi, altrimenti la ragazza finisce male-

-Sergej è riuscito a rubare dei progetti per un nuovo cannone, devo riprenderli prima che riesca a farne un prototipo e a convincere qualcuno a comprarlo. Ho carta libera posso fare tanti danni quanti mi pare-

-Ora si spiega- interessata diede un’altra occhiata al suo bersaglio.

-E...?- la incitò a continuare.

-Rubilov è il proprietario di una delle più grandi e produttive acciaierie dell’Europa dell’est, mi ha detto che Sergej lo vuole costringere ad unirsi ad un suo progetto. Non mi ha detto quale e io non ho chiesto-

-Il nostro Sergej si tiene ben impegnato vedo- dovevano sbrigarsi e salvare la ragazza, senza i progetti la vita della biondina non sarebbe valsa due soldi, se volevano riuscire dovevano cooperare –allora come procediamo?-

-Che vorresti dire?-

-Andiamo, se vogliamo uscirne vincitori bisogna che facciamo un pó di lavoro di squadra-

-Non faccio lavoro di squadra io- puntualizzo se ancora non l’aveva capito.

-Io e Jules siamo qui già da cinque giorni, abbiamo raccolto una marea di utilissime informazioni, le quali tu non hai tempo di raccogliere, io non ho fretta, ma tu si. E ti giuro che se mi metti i bastoni tra le ruote ti lego e ti getto nel furgone fino a quando tutta la faccenda non è conclusa-

Lo odiava a morte quando aveva ragione, le servivano informazioni che non aveva tempo di raccogliere, lei voleva una cosa e lui ne voleva un’altra, le possibilità di successo erano doppie se lavoravano insieme, avrebbero potuto risolvere la faccenda nel modo più pulito possibile.

-Non ti aspettare che prenda ordini- senza guardarlo iniziò a scendere.

-Lungi da me l’idea- agile come una scimmia atterrò sul terreno al suo fianco –il furgone è da questa parte-

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Capitolo 6
*** Esci con me! ***


Il silenzio sceso tra loro mentre si incamminavano verso il furgone dove stava Jules, iniziò a farsi imbarazzante, almeno per lei.

Come mai non aveva ancora sollevato la questione del finto debito che lei gli doveva? Era curiosa di sapere con che cosa ne sarebbe venuto fuori.

-Così Jules è venuto in missione con te- disse di punto in bianco, giusto per riempiere il silenzio.

-Si- la guardò in modo strano –ma ti proibisco di rompergli qualcosa, mi serve integro!-

-Ed io che ci tenevo così tanto- disse sarcastica, si era dimenticata che lo aveva minacciato di spezzare tutte e due le gambe a quell’impiccione, ma visto che c’era un po di divertimento se lo poteva prendere –lo posso almeno sapventare?-

Ma era seria? A quanto pareva si.

-Oh va bene lo puoi spaventare, ma ti avverto che neanche infartuato mi serve a molto-

-Guastafeste!-

Continuarono a camminare in silenzio, ma quanto distava questo stupido furgone!

-Esci con me- si era bloccato all’improvviso, con l’espressione di uno che aveva appena troavato un tesoro di inestimabile valore –a cena-

Lei per poco non era finita a faccia in giù nel terriccio morbido, e quello da dove saltava fuori?

-Sei in debito di una no? Io la macchina non te l’ho toccata dopo il tuo ultimo scherzetto, esci con me e siamo pari-

-Ma sei impazzito?- quasi quasi desiderava che le rubasse la macchina invece.

-No, ho chiesto un appuntamento, che c’è di strano?- sapeva benissimo che si sarebbe rifiutata, e si sarebbe opposta in tutti i modi possibili e immaginabili, ma lui non avrebbe desistito e prima o poi l’avrebbe incastrata nell’uscire con lui, era solo questione di tempo.

-Neanche cadavere!- lo piantò lì e continuò a camminare, per fortuna poteva vedere il furgone in lontananza.

-Cambierai idea- le gridò dietro ridendo, gli sembrò di sentire una specie di grugnito in risposta.

Jules stava smanettando con il computer dentro al furgone quando sentì lo sportello aprirsi.

-Non ti crederai che cosa sta combinando la biondina!- rise, credendo che fosse Etienne.

-No dimmi!- rispose una voce femminile.

Il ragazzo si voltò di scatto con la pistola in mano.

-Tu da dove diavolo sbuchi fuori?- non aveva visto Etienne che si godeva la scena da fuori.

Sasha si piegò oltre la pistola per avvicinare il viso a quello di lui, aveva notato come gli tremavano le mani.

-Buh...- gli fece fare un salto e il caricatore caddè pateticamente per terra con un tonfo.

-Adesso basta- entrò e si chiuse dietro lo sportello.

-Dove l’hai trovata!- volle sapere visibilmente sollevato, ora che anche l’amico era presente.

-Appollaiata su un albero- rispose semplicemente.

-A testa in giù non ne dubito!-

All’occhiata interrogativa di Sasha, Etienne si affrettò a spiegare con non poco divertimento.

-È convinto che sei una vampira succhia sangue-

E a sottolineare il fatto Jules tirò fuori una treccia di teste d’aglio e gliela lanciò addosso, aspettandosi di vederla davvero andare in fumo.

-Ma è normale?- chiese preoccupata di stare per lavorare con uno psicopatico.

Dall’aspetto lo sembrava, capelli in disordine, occhialini, barba incolta, magrolino, sembrava una molla pronta a scattare, chissà se era in grado di svolgere il lavoro sul campo.

-Normalissimo, quando non è nervoso- gli si sedette accanto –che hai scovato?-

-La biondina si tiene molto impegnata, praticamente si struscia su ogni persona di sesso maschile che entra dalla porta- a dimostrazione fece andare il filmato che aveva raccolto.

-Ora capisco perchè paparino voleva che fosse una donna a riportargli la figlia- i due la guardarono con fare interrogativo –mi ha offerto una fortuna, dicendomi che ero l’unica che voleva inquanto donna, ora capisco perchè. La ragazza è una piccola sgualdrinella-

E Jules non sembrava avere nessuna intenzione di spegnere lo schermo.

-E voi due siete due guardoni! Spegni quell’affare!-

-Tecnicamente- specificò Jules –siamo due spie, quindi fa di noi due spioni!-

A bocca aperta Sasha prese una delle teste d’aglio e gliela tirò dietro beccandolo in pieno (difficile mancare in uno spazio così ristretto!)

-Basta così bambini, abbiamo del lavoro da fare. Non fare quella faccia Jules, Sasha ci darà una mano in questa missione- lo scetticcismo del ragazzo era pienamente visibile –sono sicuro che si comporterà benissimo, non è vero?-

-Oh si, prometto di non succhiarvi neanche una goccia di sangue!- giurò con un mezzo sorriso sarcastico, ma dove era capitata?

-Basta con il porno e via con le mappe-

I tre misero tutte le loro controversie da parte ed iniziarono a pianificare l’attacco alla base.

Era calata la notte, il cielo nuvoloso era ideale per una missione dove l’importante era non essere visti.

I due, completamente vestiti di nero, si muovevano svelti tra gli alberi, avvicinandosi velocemente al loro obiettivo. Jules era rimasto indietro, si sarebbe occupato di fornirgli una copertura per entrare e di coprirgli le spalle durante la fuga.

Si fermarono al limite della boscaglia, tra breve Jules avrebbe fatto saltare la corrente, avevano cinque minuti per entrare nel perimetro e nascondersi, prima che venisse ripristinata.

Quando tutto fù buio le grida delle sentinelle coprirono il loro ingresso attraverso la rete e nel momento in cui la luce tornò erano già nascosti dietro uno dei camion.

Ora avrebbero dovuto separarsi, i proggetti e la ragazza erano tenuti ai lati opposti dell’edificio, da quel momento sarebbero stati soli, si sarebbero rincontrati nella foresta.

Etienne e Sasha si scambiarono un’occhiata, lui le fece l’occhiolino bisbigliandole sorridendo “sta attenta”. Lei gli rispose solo “come sempre”, ma le brillavano gli occhi, non le era mai capitato si sentirsi così eccitata prima di iniziare un nuovo lavoro. In un battito di ciglia se ne erano andati.

Sasha era arrivata senza problemi alla porta della ragazza, ma la guardia non c’era, dove accidenti si era cacciata?

Dalla stanza provenivano degli strani rumori e la porta era accostata, che razza di sicurezza!

Una volta vicina alla porta gli “strani rumori” si fecero gemiti espliciti, speriamo che la ragazza si stia divertendo da sola, pensò con gli occhi chiusi. Silenziosamente aprì la porta, non era il suo giorno fortunato, la biondina ci stava dando dentro con la guardia, buon per lei visto che le stava dando le spalle, con una botta lo fece finire disteso per terra.

-Ehi! Io non avevo ancora finito!- protestò la ragazza.

-Peccato, perche ora ti metti questi e mi segui!- ordinò dandole un fagotto nero. –mi ha mandato tuo padre a riprenderti-

-Era ora!- si lamentò petulante –mi stavo annoiano a morte!-

Ma se aveva tenuto la lingua più impegnata di quella di un formichiere! Piccola stronzetta viziata!

Una volta vestita la prese per un gomito e la trascinò nel corridoio.

-Non una parola ti avverto o ti lascio qui!-

Erano appena uscite fuori quando una raffica di spari ruppe il silenzio della notte dando l’allarme.

Etienne scivolò nella stanza senza essere visto, la cassaforte che custodiva i proggetti era sistemata in un angolo. Era un modello moderno, con serratura a combinazione digitale e chiusura magnetica, ma Jules gli aveva fornito tutti gli attrezzi utili del mestiere, aprirla sarebbe stato un gioco da ragazzi.

I rotoli con i disegni erano lì come pure i dischetti per il modello in 3D, nella cassaforte c’erano anche altri fogli, dargli un’occhiata e sapere cosa stava combinando Sergej non avrebbe guastato.

Ma quello che trovò non gli piacque per niente. Le carte erano copie di documenti ufficiali provenienti da uno dei laboratori di ricerca e sviluppo del ministero della difesa inglese. Come aveva fatto Sergej a procurarseli? Quelle informazioni erano classificate come riservate, poche persone ne avevano l’accesso. Le prese e le mise nello zaino che aveva in spalla, al suo capo sarebbe interessato dargli un’occhiata.

Nello stesso modo in cui era entrato scivolò via. Sergej era stato uno stupido a scegliere quel posto come base, era troppo grande e lui non aveva abbastanza uomini, i quali erano costretti a fare delle ronde e a spostarsi da una parte all’altra del perimetro.

Girato l’angolo si ritrovò faccia a faccia con una guardia che secondo i rilevamenti non doveva trovarsi li.

-E tu chi cazzo sei?- sbraitò l’energumeno in un accento incomprensibile.

Etienne non perse tempo, gli mollò un paio di pugni e lo fece finire dritto disteso a terra, ma non riuscì ad evitare la raffica di proiettili che partì dal mitra dando l’allarme.

Oramai non aveva più senso fare i guardinghi, si mise a correre verso la rete, infilandosi come un fulmine nel bosco dove era parcheggiata la moto di Sasha.

Visto che lei era arrivata con una moto da motocross, avevano deciso di scambiarsi il bottino, lei avrebbe avuto più possibilita di cavarsela senza la ragazza, e i loro inseguitori sarebbero andati dietro a quello che ritenevano più importante, dando a Etienne una possibilità in più di mettere in salvo la biondina.

Sasha era nel posto prestabilito che l’aspettava, insieme alla ragazza, si tolse lo zaino e glielo passò.

-Che cosa hai combinato questa volta?- saltò in sella e accese il motore.

-Assolutamente nulla! Sempre prevenuta tu!-

Una raffica di spari mise fine alla loro discussione e i due si separarono in tutta fretta andando in direzioni diverse.

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Capitolo 7
*** Esci con me o ti brucio la Ferrari! ***


Era l’alba quando il furgone si fermò nel vicolo buio a fari spenti, per permettere alla figura nascosta nell’ombra di salire.

-Tutto a posto?- le chiese Etienne sollevato di vederla, anche perchè da ore cercava di rifiutare gli inviti espliciti e non della biondina che gli stava seduta accanto.

-Tenaci i segugi, ma alla fine sono riuscita a seminarli- quindi rivolse uno sguardo omicida alla ragazza, a cui mancavano solo pochi centimetri per finire dritta sulle ginocchia di Etienne –a cuccia tu!-

La ragazza si rimise seduta al suo posto con espressione scocciata.

-Ho dato istruzioni a Jules di lasciarti dove ti verrà facile prendere un taxi e riportare Tatiana alla villa di suo padre...-

-Ma io voglio che mi riporti tu a casa!- lo interruppe in tono lamentoso e approffitandone per abbarbicarsi all’arto più vicino, il braccio di lui.

-Ti consiglio, se non vuoi ritrovarti con due moncherini al posto delle tue belle manine di startene seduta e in silenzio, ma soprattutto con le appendici in tasca!- il tono di voce avrebbe terrorrizzato anche i morti, e poi ad un diverito e sconcertato Etienne –e tu non farti strane idee!-

Ci mancava solo che pensasse che fosse gelosa, perchè non lo era! Assolutamente no!

La riunione tra padre e figlia fù stomachevole, “la piccola principessa”, come la chiamava il padre, non aveva perso tempo ad iniziare a frignare e a lamentarsi su come l’avevano terrorrizzata i suoi rapitori. Sasha aveva capito dove la piccola mercenaria stava andando a parare, paparino avrebbe dovuto sborsare una cifra di denaro in shopping, come terapia per la poverina.

E poi chiamavano lei fredda calcolatrice!

Sasha si accomodò su una delle poltrone di cuoio che stavano davanti alla scrivania di Rubilov, accavallando le lunghe gambe fasciate dalla pelle nera.

-Non credevo che ci sarebbe riuscita signorina- si sedettè e si accese un sigaro, i freddi occhi grigi puntati su di lei.

-E per questo che mi paga un sacco di soldi, e se non le dispiace ho fretta, mi deve ancora metà del compenso- il fatto di avere cinque dei suoi scagnozzi che le stavano alle spalle non le piaceva affatto.

-Prima abbiamo delle questioni di cui parlare- fece una pausa tirando una boccata –dove sono i progetti?-

-Quali progetti?- come faceva a sapere che erano spariti così in fretta?

-Quelli che sono stati rubati dalla cassaforte del mio amico Sergej la notte scorsa. Li rivoglio-

-Ahh quei progetti. Mi duole informarla che non li ho, sono tornati al loro leggittimo proprietario, ovvero il governo inglese-

-Cosa!- gridò saltando in piedi –non è possibile!-

-Dovrebbe essere contento- gli disse lentamente, aveva iniziato ad avere dei sospetti e voleva constatare che fossero fondati.

-Crede davvero che Sergej mi stesse ricattando?- rise ma senza allegria –non riuscivamo a metterci daccordo sul prezzo, per questo si è preso mia figlia!-

I sospetti erano fondati. Avrebbe dovuto iniziare a chiedere più informazioni ai suoi clienti d’ora in poi prima di accettare un’incarico, errori di questo tipo potevano costarle cari.

-Quindi niente soldi immagino?-

-Immagina bene, toglietele la pistola!-

-Allora forse è meglio che vada a controllare come sta “la piccola principessa”- gli suggerì mentre le sue due pistole finivano sulla scrivania –le ho messo una bomba addosso-

-Non le credo, Tatiana se ne sarebbe accorta-

-È cucita nella giacca militare che indossa, la zip è bloccata e prima che riesca a togliersela sarà troppo tardi, ha ancora quattro minuti se non sbaglio. Non avrà davvero creduto che sarei venuta qui senza avere un piano di riserva?-

-Puttana! Tu e tu venite con me, voi tre tenetela sotto tiro e se alza solo un sopracciglio sparatele!-

Come una furia lasciò lo studio sbattendo la porta.

Sasha si infilò una mano in tasca, ma prima che potesse fare altro le venne puntata una pistola alla tempia.

-Volevo solo una sigaretta!-

L’uomo infilò la mano insieme alla sua e tolse fuori il pacchetto controllandolo, sembrava normale, gliene porse una e lo gettò sulla scrivania.

-E l’accendino?-

Seccato l’uomo prese quello del capo dalla scrivania e la fece accendere, l’idiota.

Dieci secondi dopo la gettò nel castino che saltò in aria scatenando il panico e dando il via alla sparatoria, quegli idioti non sapevano riconoscere una sigaretta da un petardo!

Sasha si riprese le pistole fece piazza pulita delle sue guardie, poteva sentire i rinforzi che arrivavano correndo, in fretta prese la rincorsa e si gettò fuori dalla finestra, grazie al cielo aperta, dall’aspetto quei vetri dovevano essere anti proiettile e anti sfondamento.

Di corsa attraversò il prato, doveva trovare riparo era troppo esposta! Visto che il muro di cinta era vicino decise di arrampicarsi e saltarlo, in strada avrebbe avuto più possibilità di scamparla.

Era appena atterrata sull’asfalto quando una moto le si fermò vicino sgommando.

-Sali!- le disse il pilota alzando la visiera del casco.

-Etienne!- non si fece ripetere l’invito due volte, gli saltò dietro e partirono a tutta velocità proprio mentre il cancello si apriva per lasciar passare due macchine nere pronte all’inseguimento.

Lei gli sfilò la pistola dalla fondina e cercò di liberarsi dei loro inseguitori, ma era difficile prendere la mira come si deve da quella angolazione.

-Cerca di seminarli!- gridò.

Lui diede un’accellerata e fece un pò si slalom nel traffico, prima di infilarsi in una via secondaria e salire a tutta velocità su una rampa inclinata. Il loro saltò finì dentro il vano di un camion coperto da un telo cerato che si richiuse alle loro spalle, erano spariti dalla vista.

Non avevano calcolato la velocità però, ed entrambi andarono a sbattere con violenza contro la parete metallica in fondo.

Rimasero a terra storditi e doloranti per diversi minuti, ma sentirono le macchine sfrecciargli accanto senza fermarsi.

-Questa è la cosa più stupida che ti abbia mai visto fare da quando ti ho incontrato!- gli disse tra un gemito e l’altro.

-Ha funzionato però!- rispose nello stesso modo.

-Già...ti meriti un dieci e lode per l’inventiva nelle fughe!- rise.

-Riderei se non credessi di avere di tutte le costole rotte!- gemette.

-Fa davvero così male?- chiese mettendosi a sedere con cautela.

-Solo quando respiro-

-Come facevi a sapere che sarei stata nei guai?- era stata davvero sorpresa nel vederlo fuori dalla villa.

-Jules ha raccolto delle informazioni su Rubilov, e la sua reputazione non è così candida come ha cercato di farti credere con la storia del ricatto. Sono venuto solo per accertarmi che fosse tutto apposto-

Sasha sorvolò sul perchè avrebbe dovuto importargliene qualcosa.

-Lui è Sergej erano in combutta, non riuscivano a mettersi daccordo sulla spartizione dei proventi-

-Immaginavo- poi la guardò con un sorriso decisamente inquietante –lo sai che significa?-

-Non mi piace quell’espressione e la stessa che hai quando stai per sparare cazzate-

-Ora sei davvero in debito con me!- le rispose contento mettendosi a sedere –ho salvato quel tuo bel culetto rotondo da fine certa, decisamente me ne devi una! Ora sei costretta ad uscire con me!-

Lei sbattè le palpebre sorpresa, cercando di capire se era davvero serio o se la stava prendendo in giro, ma no, sembrava serio, e molto compiaciuto con se stesso.

-Non puoi essere serio!-

-Perchè no?-

Già perchè no?

-Perchè....perchè...perchè no!- e brava Sasha, che argomentazioni convincenti!

-Devo dire che le tue ragioni meritano profonda attenzione- affascinante, era come guardare un pesce fuor d’acqua che si dimenava e boccheggiava, forse era il caso di darle una mano –facciamo così, tu esci con me, ed io prometto solennemente di non toccarti piú la Ferrari-

Quello catturò la sua attenzione.

-Non la tocchi piú? Neanche un graffietto? Neanche le vai vicino?- volle sapere.

-Nulla di nulla, lo sai che non è normale questo tuo attaccamento morboso a quella macchina?- sbotto offeso, lui era decisamente meglio di una Ferrari.

-Ad ognuno il suo- si alzò per dare una sbirciatina fuori, notando che si stavano dirigendo nella zona dove stava il suo albergo.

-Allora?-

-Ci devo pensare- rispose evasiva.

-Eh no, non è un’offerte negoziabile ed è a tempo limitato-

-È un ricatto bello e buono questo sai?- allora perchè l’idea di uscire con lui le stava facendo le cose piú impossibili al battito cardiaco?

-Chiamalo come ti pare se ti fa sentire meglio, il fine giustifica i mezzi-

Il camion si fermò e lei saltò a terra.

-Ci vediamo a Venezia Sasha, in Piazza San Marco tra un mese!- le gridò dietro.

Lei non si voltò e in risposta gli fece solo un gestaccio con il dito, a cui lui rise di cuore.

-Verrà- si disse ancora sorridendo.

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Capitolo 8
*** VENEZIA..... ***


VENEZIA.....

Sasha sedeva al tavolino di un bar di Piazza San Marco facendo finta di leggere il giornale. Accanto a lei i resti di un espresso e un cornetto mezzo mangiucchiato, il fanfarone non si era ancora fatto vedere!

Il perchè fosse venuta poi era ancora un mistero, certo l’idea che lui non le toccasse più la macchina aveva il suo fascino, e alla fine quella era l’unica cosa che contava. Ma gli avrebbe fatto rimpiangere di averlo anche solo pensato un ricatto del genere!

Il cellulare squillò.

“Salve dolcezza!” la salutò la voce di lui.

-Dove sei? Sono almeno dieci minuti che ti aspetto!-

“Addirittura! Comunque sono nella Piazza, fammi un salutino così ti vedo!”

Lei abbassò il quotidiano guardandosi attorno, e lo vide, camicia bianca di lino, larghi pantaloni chiari tutti tasche e occhiali da sole scuri, l’estate in Italia era particolarmente calda, si era tagliato i capelli, ora li portava corti e a spazzola. Ed era circondato da una marea di piccioni, forse doveva andare lì, spaventare i volatili e sperare che gli scagazzassero addosso tutti insieme!

-Girati, sono dietro di te seduta ad uno dei tavoli del bar- con quello chiuse la comunicazione.

Mio Dio! Pensò, ma era legale essere così attraenti? Quasi rimpiangeva il brutto scherzo che gli stava per giocare, quasi.

Serrò la mascella con forza, per impedirsi di fare qualcosa di stupido e umiliante, tipo...sbavare?

Lui l’aveva vista e le si stava avvicinando sorridendo, mentre lei piegava lentamente il giornale e lo posava accanto alla tazzina.

Il sorriso di lui si spense immediatamente quando la vide da vicino.

-Mi auguro che tu stia scherzando!- il tono era piatto ma con una punta di apprensione.

-Perchè? Non ti piace il mio vestito?- chiese con finta innocenza, l’aveva studiato nei minimi dettagli.

-E come accidenti dovrei chiamarti?-

-Bhè al momento l’identità che sto usando è quella di...suor Giulietta!- dovette fare una fatica immane per trattenersi dal ridergli in faccia –quindi se vuoi puoi usare quello!-

Etienne ancora non credeva ai suoi occhi, si era vestita da suora! L’abito grigio scuro, quelle terribili scarpe marroni con la suola piatta, neanche sua nonna le usava più scarpe del genere, e il velo! Si era azzardata anche a mettersi il velo!

Maledetta doppio giochista!

-Non ho nessuna intenzione di portarti in giro vestita a quel modo!- protestò.

-Va bene, ma voglio che sia messo a verbale che sei stato tu a tirarti indietro e l’accordo vale, la mia macchina non si tocca più, io all’appuntamento mi sono presentata!- quel vestito avrebbe spento i bollori di qualunque uomo, l’aveva scelto con intenzione, non le piaceva essere costretta a fare ciò che non le andava.

-Ma che faccia tosta!-

Non ci poteva credere! Aveva trovato un modo magistrale per evitare l’intera faccenda, mentre lui non aveva pensato ad altro per tutto il mese passato, non si sarebbe fatto sconfiggere così facilmente, questo era un gioco che si poteva fare anche in due.

-Va bene...suor Giulietta- per poco non si strozzò pronunciando il nome –andiamo, facciamo un bel giretto turistico-

-Come vuoi figliolo- rispose, con un’espressione che sperava fosse pia –osservare le meraviglie ispirate dal signore è un balsamo per l’anima-

Le sembrò di sentirlo digrignare i denti.

Con il procedere del pomeriggio Sasha aveva smesso di pensare alla sua trovata come geniale, ma come ad un’arma a doppio taglio che l’avrebbe fatta sanguinare a morte, se non moriva di noia prima!

Lui l’aveva portata in ogni chiesa, cattedrale e chiostro che avesse un qualche minimo significato storico o religioso, per non parlare del fatto che l’aveva invitata a dire una preghiera di fronte ad ogni statua della Madonna che trovavano per strada, davanti alla quale era sempre riunito un piccolo gruppo di fedeli, davanti al quale era meglio non causare nessun tipo di scandolo, dal tronde doveva pur sempre rimanere nell’anonimato.

Toccò il fondo, quando lui la fece entrare nell’ennesima chiesa, proprio quando stavano per iniziare i vespri, e l’anziano sacerdote l’aveva invitata a condurre la preghiera, per poco non scoppiava, lì nella chiesa piena di vecchiette e con il vecchio prete che la guardava speranzoso, ora avrebbe fatto una strage!

Per fortuna Etienne decise di intervenire facendo capire al parroco che lei non capiva e parlava una parola di italiano e così erano scappati il più in fretta possibile.

-Ti conviene andare a cambiarti prima che ti porti a passare la notte in un convento- le disse con una calma mortale, ma era ad un passo dallo sbellicarsi dalle risate, l’aveva fatta ammattire oggi!

Sapeva che lei non si sarebbe ritirata dal loro appuntamento, altrimenti l’accordo saltava e ci andava di mezzo quella stupida Ferrari, e tutto aveva giocato a suo vantaggio.

-Stronzo!- non era brava  a cedere le armi.

In silenzio si diressero all’albergo di lei, che lo lasciò in portineria mentre andava di sopra a cambiarsi.

Maledizione a lui! Riusciva sempre ad essere un passo avanti!

Decise di impiegarci il più a lungo possibile, magari si sarebbe stancato e se ne sarebbe andato, ma era sicurissima che avesse una pazienza da far invidia a Ghandi!

Quando Etienne la vide scendere le scale, non riuscì a trattenere un sorriso di apprezzamento, il completo era di cotone bianco traforato nello stile zingaro come andava di moda ultimamente, trasparente il tanto necessario per distinguere il colore della biancheria che portava ma non i dettagli, dei sandali argentati che le fasciavano le caviglie sottili e portava una borsettina coordinata. Semplice e pulito,  la faceva sembrare una ragazza comune pronta a godersi la serata, chi poteva immaginare che questa fanciulla dall’aspetto innocuo potesse farti fuori in cinque modi diversi!

-Cambia espressione sembri pronta per andare al patibolo!- la prese in giro guidandola fuori.

Finirono per cenare in una simpatica trattoria a conduzione familiare, dove il mangiare era buono e l’ambiente molto rustico e caratteristico.

E dove per poco Sasha non fece gli occhi neri alla cameriera che continuava a mandare occhiatine dolci ad Etienne, ma non lo vedeva che era in compagnia!

E dove Sasha si chiese per la millesima volta che cosa ci faceva lì con lui, che continuava a parlare e a raccontarle storie incredibili sulle sue missioni insieme a Jules. Sembrava che non gli importasse che lei non stesse partecipando in modo consistente alla conversazione, che cosa gli poteva raccontare? Che si vendeva al migliore offerente e che nessun lavoro era troppo basso per lei?

-Ci rinuncio!- dichiarò lui sconfitto –sono tre quarti d’ora che hai la stessa espressione, qualunque cosa dica! Non lo sai che corrugare la fronte a quel modo provoca rughe precoci?-

Quello le strappò una risatina.

-Lo vedi che allora sai come si sorride, ti fa sembrare anche più carina- la complimetò con un sorriso che avrebbe sciolto il più freddo dei cuori.

-Ho ricevuto complimenti più elaborati di quello sai- la noia che sembrava trasudare da ogni parola, ma che in realtà nascondeva l’effetto devastante che quel sorriso aveva avuto su di lei.

-Ma nessuno era altrettanto sincero- era possibile che non riuscisse a farla sciogliere neanche un pochino? Era la donna più difficile che avesse mai incontrato –ora è il tuo turno, ho parlato più che abbastanza per una settimana-

-Vuoi che inizi a raccontarti delle mie imprese sul campo?-

-No grazie ho appena mangiato, e visto che era buonissimo gradirei che rimanesse dove si trova al momento! Perchè non mi racconti invece come mai ti chiamano la dea di ghiaccio?- quella sarebbe stata una storia interessante.

-Colpa di un balordo francese,- disse svuotando il bicchiere del vino in un sorso solo –non è riuscito a farmi godere a letto e si è inventato il nomignolo-

-Bugiarda!- rise dopo qualche secondo di silenzio meravigliato, quella ragazza se ne usciva con le cose piú assurde –la versione corretta se non ti dispiace-

-Cosa ti fa credere che non sia la verità?-

-Perchè hai l’espressione che assumi in genere quando mi dici balle tanto per farmi stare zitto-

-Me l’ha dato un collega dopo una missione particolarmente cruenta- voleva la verità e accontentiamolo allora –alla fine disse che non aveva mai visto nessuno sfoggiare tanto sangue freddo, la parte della dea viene dal lato poetico dello stronzo che sosteneva che la mia bellezza non era terrena e altre cazzate del genere-

Quello che omise fù il fatto che il tizio per poco non vomitò dopo averla vista ammazzare cinque persone quella notte in maniera sanguinosa senza battere ciglio e con lo sguardo più freddo e distaccato che avesse mai visto nel corso di tutta la sua carriera, non era normale, e si era convinto, da buon colombiano superstizioso, che lei doveva appartenere ad una razza non di questa terra.

Quella era stata la sua ultima missione di squadra, in Colombia, dopo aver portato a termine la sua vendetta. Immagini di quella notte iniziarono a vorticarle davanti gli occhi e lei le scacciò immediatamente, aveva giurato di non pensarci mai più e fino ad ora aveva fatto un ottimo lavoro.

-A quello posso credere- si era aspetato qualcosa del genere.

-Ma da dove sbuchi fuori tu?- chiese al colmo della curiosità e dopo aver ritrovato una parvenza di calma, a quest’ora un uomo normale sarebbe già scappato a gambe levate con la paura di ritrovarsi cadavere da un momento all’altro.

-Dal solito posto immagino, mamma non te l’ha spiegato che la cicogna non esiste?-

-Sii serio per una volta maledizione a te!-

-Sei tu quella che prende la vita troppo seriamente Sasha- gli occhi di lui si fissarono su quelli grandi e blu di lei –tutti abbiamo degli scheletri nascosti nell’armadio, ma quello che ho imparato tanto tempo fà e che non ha importanza con quanto impegno cerchiamo di tenerli nascosti, prima o poi saltano fuori-

Sasha fù percorsa da un brivido, quello sguardo sembrava arrivarle dritto dentro, così scuro e intenso. Se Etienne avesse visto quali scheletri si nascondevano nel suo armadio gli si sarebbe accapponata la pelle, avrebbe girato di spalle e non si sarebbe piú voltato indietro.

-Non ho la piú pallida idea di cosa tu stia parlando-

-No immagino di no- aveva visto quelcosa di oscuro agitarsi dentro i suoi occhi, forse era meglio non approfondire l’argomento per quella sera. Cosa nascondeva quella facciata acida e inavvicinabile che mostrava al prossimo?

-Andiamo dai, - la trascinò fuori prendendola per mano –ti porto a fare un giro-

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Capitolo 9
*** E' dolce sognar...... ***


Lei lo senguì in silenzio, non sapeva come reagire al suo modo di comportarsi, passava dallo spensierato al serio in un battito di ciglia, ed ora si comportava come se nulla fosse successo tra loro al tavolo.

Aveva fatto pochi passi quando Etienne si fermò per salutare qualcuno.

-Marco! Ci porti a fare un giro?-

Sasha adocchiò con occhi sgranati la gondola che stava ferma sul canale.

-Riccardo amico mio! Sali, Sali!- rispose l’uomo gioviale.

Lei lo guardò con un soppracciglio alzato e una muta domanda nello sguardo, Riccardo?

-Siamo in incognito suor Giulietta, non te lo dimenticare- le bisbigliò in un orecchio prima di saltare nella barchetta –allora, non vieni?-

Sasha guardò scettica il guscio di nocciolina che galleggiava e il gondoliere che avrà avuto almeno cent’anni, e aveva l’aria di uno che stava per schiattare da un momento all’altro.

-Non morde te lo posso assicurare- le tese una mano per aiutarla a salire.

Lei la prese e saltò dentro, perdendo momentaneamente l’equilibrio quando la gondola ondeggiò, non era facile rimanere stabili con i tacchi che indossava, ma lui le avvolse un braccio intorno alla vita stringendosela contro.

-Tutto bene?-

Non capì la domanda, sentiva solo l’alito caldo di lui che le solletticava il collo e il calore del corpo solido premuto contro il proprio, cercò di fare un profondo respiro per riprendere il controllo, ma finì con inspirare l’odore di lui che le fece quasi girare la testa, il dopo barba misto a quello suo personale, oh mio Dio! Come poteva un semplice profumo stordirti a quel modo?

-Sei sei pronta possiamo andare Sasha?- le chiese poi.

-Eh...? Si certo- in tutta fretta si mise seduta lontana da lui, con i sensi ancora scossi e il corpo che formicolava in tutti i punti in cui aveva toccato quello di lui, mentre un campanellino di allarme si metteva a suonare nella sua testa segnalando pericolo.

Non avrebbe dovuto bere vino a cena, pensò, l’alcol non fa bene, rallenta le funzioni cerebrali, ecco cosa era appena successo.

Il gondoliere si mise a remare, portandoli lentamente lungo i canali di una Venezia illuminata in parte dai lampioni e in parte dalla luna piena, che brillava nel cielo estivo trapuntato di stelle, era la notte ideale per incantare e lasciarsi sedurre.

Etienne si stiracchiò languido, allungando le braccia sopra la testa, trucco vecchio e banale, ma vediamo se riusciva a metterle un braccio attorno le spalle senza perderlo...

-Se solo ti azzardi te lo amputo quel braccio!-

Apparentemente no, seccato incrociò le braccia sul petto osservando di sbieco la sua compagna che sedeva rigida accanto a lui guardando fisso davanti a se, come se all’orizzonte ci fosse qualcosa di estremamente interessante. Le dava altri cinque minuti, nessuno poteva resistere alle gondole di Venezia.

-Che ne dici di una canzone Marco?- gridò Etienne al gondoliere che non se lo fece ripetere due volte, ed iniziò a cantare con una voce stranamente piacevole per uno di quell’età.

“È dolce sognare e lasciarsi cullare

nell’incanto della notte....

Le stelle d’or con il loro splendor sono gli occhi della notte....

Sei vicino al tuo amore che a te si stringerà

La notte con la sua magia quanti cuori unir saprà....”

Il suo italiano era un pò arruginito, ma aveva la vaga sensazione di conoscere la canzone e  incuriosita guardò Etienne che la stava canticchiando sommessamente.

-Da dove le pesca Marco certe canzoni? Per quel che ne so, questa potrebbe parlare di maiali e capre che brucano l’erba-

-Marco ha un repertorio molto variegato- rise –e no, la canzone non parla di capre che brucano l’erba-

Silenzio.

-Allora?- chiese spazientita dalla mancanza di ulteriori informazioni.

-È la colonna sonora del film della Disney “Lilli e il vagabondo”-

Silenzio.

-Ti piacciono i cartoni animati?- il tono di voce derisorio.

-No mia cara- poi puntualizzò offeso –ma è quello che ti becchi quando vai a trovare i tuoi nipotini di tre e cinque anni, Disney fino alla nausea-

-Hai dei nipotini?- chiese allibita.

-E una sorella, e una madre e un padre e degli zii e dei cugini,- continuò divertito dallo sguardo sgranato di lei –davvero, da dove credevi che venissi da sotto un cavolo?-

-No e che non credevo che un lavoro del genere ti permettesse il lusso di una famiglia- lei la sua neanche se la ricordava più, e il fatto che tutti la credessero morta certo non aiutava.

-In effetti no, cerco di stare lontano da loro il più possibile- la tristezza gli velò momentaneamente lo sguardo –ma vedo di non perdere le grandi riunioni annuali, come il Natale-

La sua fantasia infingarda scelse quel momento per produrre un immagine di Etienne, che seduto davanti al camino, leggeva una favola di Natale ad una bimbetta dai coloriti scuri come i suoi che beatamente si succhiava il pollice, mentre i riflessi del fuoco innondavano entrambi di luce dorata.

Sbatté più volte la palpebre eliminando la scenetta dalla sua mente, da dove saltava fuori? Doveva ripristinare l’equilibrio al più presto, le cose tra loro stavano diventando troppo intime, se continuava così presto le avrebbe proposto di conoscere sua madre!

-Sai- le disse lui in tono casuale –dovresti venire con me a conoscere mia madre, lei ti adorerebbe, come il piccolo cactus che ha in cucina!-

-Eh no...-

Si girò di scatto pronta a saltare in acqua, il rischio della salmonella era meglio di quello che stava succedendo in quella gondola.

-Aspetta!- rise lui afferandola per la vita e sedendosela vicino –stavo scherzando! Sei molto prevedibile lo sai?-

-Non era divertente!- lo rimproverò tagliente, mentre la sua risata profonda le faceva correre dei brividi lungo la schiena.

-Si che lo era, solo che tu sei troppo acida per apprezzare battute di spirito!- stava ancora sorridendo, ma dentro gli era scoppiato l’inferno.

Le sue mani erano ancora posate attorno la vita di lei, poteva sentire il calore della sua pelle attraverso il cotone sottile dei vestiti, le era così vicino che avvertiva con chiarezza il suo profumo, delicato e leggermente fruttato, da fargli venire la pelle d’oca.

Le loro teste erano a pochi centimetri l’una dall’altra, se si fosse girata ora le loro labbra si sarebbero trovate ad un soffio dallo sfiorarsi, gli ci sarebbe voluto molto poco per baciarla, baciarla come aveva voluto fare da quella sera del loro incontro a Monaco, quando l’aveva trovata con la faccia gonfia e bisognosa di cure, nonostate lei avvesse protestato a gran voce del contrario, aveva scoperto che gli piaceva tanto quando era tutte spine.

-Non è vero...- si bloccò a metà frase, girandosi di scatto si era ritrovata ad un soffio dal volto sorridente di Etienne.

Mio Dio! Visto da così vicino era da togliere il fiato, i suo occhi scuri sembravano ancora più profondi del solito, il respiro caldo di lui le sfiorava delicatamente il viso facendola rabbrividire, all’improvviso le venne l’impellente desiderio di accarezzare i lineamenti decisi del suo viso con le dita, la guancia liscia rasata di fresco, i mento leggermente a punta, e le labbra. Per quelle labbra una donna sarebbe stata disposta a vendere l’anima.

-Cosa credi di fare?- ma era sua quella vocina sottile?

-Nulla-

-Bene, perché altrimenti non...-

Non ebbe occasione di finire la minaccia che stava per formulare, perché le labbra di lui l’avevano istantaneamente zittita.

Caos. Quello che le era appena scoppiato nel cervello era caotico e incontrollabile caos, tutta l’attrazzione che provava per lui e che aveva represso in tutti questi mesi le esplose dentro con la violenza di una bomba.

Etienne a mala pena riuscì a trattenere un gemito di trionfo, la stava baciando ed era ancora vivo per raccontarlo.

Lentamente con una mano le accarezzò la schiena, fino a fargliela scivolare dietro il collo, che pelle morbida aveva, con il pollice le sfiorò un punto sensibile sotto  l’oreccchio, sentendola trattenere bruscamente il respiro, mentre con le carezze umide della sua lingua cercava di farle perdere completamente la testa.

Sasha era troppo sorpresa per reagire, anche se una vocina nella sua testa gridava decisa “sparagli! Sparagli!”, il suo corpo se ne infischiava altamente e rispondeva allegro “era ora!”, crogiolandosi nel calore che quel bacio e quelle carezze le stavano facendo nascere dentro.

La gondola andò a sbattere con un tonfo contro la banchina rompendo l’incantesimo, sembrava che fossero arrivati alla loro destinazione.

Lei si staccò di scatto, guardandosi attorno con l’espressione di un animale che si sente in trappola, il cuore le stava battendo ad un ritmo frenetico e aveva il fiato corto, cosa diavolo le era preso? Come aveva potuto cedere a quel modo?

-Siamo arrivati- le fece notare lui piano.

-Dove?- poi la vide, qualche metro più in fondo stava l’entrata del suo albergo.

Districandosi dal suo abbraccio saltò fuori dalla gondola rivolgendogli uno sguardo omicida.

-Scordatelo! Fatti a fare una doccia fredda!- elargito il consiglio girò di spalle e si allontanò con passo instabile dalla gondola.

-Aspetta testona!- le gridò dietro lui, cercando di raggiungerla dopo aver pagato il gondoliere –grazie Marco, alla prossima-

Saltò anche lui sulla banchina e le corse dietro.

-Sparisci Casanova da quattro soldi!- era furiosa, ma con se stessa, come aveva potuto abbandonarsi a quel modo, per un misero bacio!

Bhè tanto misero non era visto che era riuscito ad accenderla come un fiammifero!

-Ti vuoi fermare!-

L’afferrò per un gomito cercando di trattenerla e preparandosi a parare qualsiasi colpo letale che gli sarebbe arrivato, e non fù deluso, infatti nel girarsi lei cercò di sferrargli un pugno micidiale dritto in un occhio, e lui in risposta le afferrò entrambi i polsi e glieli bloccò dietro la schiena.

-Credi davvero che se volessi farti seriamente del male mi fermerebbe una presa da femminuccia come questa?-

-No, ma confido nel tuo buon cuore che lascerai in pace i gioielli di famiglia, ci sono molto affezionato-

-Lasciami andare, il nostro appuntamento finisce qui!-

-Dimmi perchè stai scappando a questo modo?- il bacio sulla gondola le era piaciuto tanto quanto era piaciuto a lui, ed ora non capiva questa fuga improvvisa.

-Io non scappo- puntualizzò –solo perchè ti ho permesso insignificanti palpeggiamenti al chiaro di luna, non significa che la serata debba finire in una camera d’albergo!-

-Devi smettere di frequentare scaricatori di porto mia cara. IO non palpeggio!- non gli piaceva l’idea di vedere sminuito così quello che si erano scambiati pocanzi.

-Senti,- iniziò cercando di mantenere un tono ragionevole –ci siamo divertiti, è stato interessante, ma ora ognuno per la sua strada-

-Va bene- rispose prontamente lui.

Lei rimase di sasso, “va bene”? Cedeva così, senza lottare, senza una protesta, senza...senza convincerla a passare la notte con lui! E a che cosa era mirata allora tutta quella dimostrazione di virilità maschile sulla gondola? A farla impazzire?

-Va...va bene?-

-Certo- poi il sorriso sornione fece la sua comparsa –ma prima mi devi dare il bacio della buona notte no?-

Ahhh! Ecco dove stava l’inganno!

-Te lo puoi anche....- ma non finì.

Ecco, non era giornata, se diceva qualcosa che non gli andava la zittiva in maniera molto efficace.

Etienne aveva deciso di prendersi il bacio della buona notte nonostante tutte le sue proteste!

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Capitolo 10
*** stronza frigida! ***


La porta della camera d’albergo di Sasha si spalancò con violenza andando a sbattere rumorosamente contro il muro, lasciando passare la coppia che avvinghiata continuava a baciarsi.

Il bacio della buona notte iniziato in strada, era continuato nell’ascensore, nel corridoio, diversi minuti davanti alla porta chiusa, ed ora continuava anche mentre i due cadevano di peso sul letto.

Oramai ai campanellini di allarme che avevano iniziato a suonarle in testa si era aggiunta una sirena con i lampeggianti  rossi di estremo pericolo, la vocina che continuava a chiedere il sangue del colpevole di tanto sconvolgimento, era armata fino ai denti pronta a morire in battaglia, mentre tutto il suo corpo si ribellava ignorandola e i suoi ormoni facevano festa.

Etienne era totalmente perso nell’euforia del momento, non riusciva a smettere di baciarla e di accarezzare ogni centimetro di pelle su cui riusciva a posare le dita, era così morbida e calda che gli veniva voglia di urlare dal piacere di averla tutta per se quella notte.

Senza interrompere il bacio, le fece scivolare una mano sul ginocchio accarezzandole delicatamente la coscia e portandosi dietro la gonna sollevandogliela intorno alla vita e scoprendo nuovi punti sensibili da acarezzare.

Sasha cercava di riprendere fiato e rimettere ordine nella sua testa, tutto vorticava troppo velocemente attorno a lei, aveva bisogno di qualche minuto per pensare.

-Non credi di...stare andando un pò...troppo veloce?-

-Sono mesi che aspetto...credimi sto andando anche troppo lento!-

Lei stava per uscirsene con una battutaccia su buchi nei muri e bambole gonfiabili, ma si trattenne, non era il momento di provocarlo a quel modo. Erano mesi che aspettava? Pensò all’improvviso, che voleva dire? Che erano mesi che stava in astinenza? No, non poteva essere! Non un tipo come lui! Ma se invece...

Sasha allungò una mano cercando di aprire il casseto del comodino, se le cose dovevano procedere alla velocità della luce era meglio tenersi pronti, ma lui prese possesso della sudetta mano posandosela sulla schiena.

-Etienne...- lo chiamò tra un bacio e l’altro, la sua impazienza stava diventando ridicola –il necessario è dentro il comodino...se mi restituisci la mano...-

Lui si scostò leggermente per guardarla in viso, lo sguardo velato dal desiderio e un’espressione ebete dipinta in faccia, fino a quando comprese quello che lei gli stava dicendo.

Sasha lo vide armeggiare con la zip di uno dei tasconi laterali dei suoi pantaloni, e tirarne fuori tre secondi dopo una stinga di preservativi, ordinatamente ripiegati e avvolti nel loro pacchettino rosso lucido.

Come se nulla fosse Etienne li abbandonò sul letto e riprese da dove era stato interrotto.

Lei dal canto suo non riusciva a distogliere lo sguardo, girava sempre con le tasche piene di profilattici? E quel che era peggio, aveva passato l’intera giornata in sua compagnia con le tasche piene di profilattici!

Il porco arrapato! Ma per chi l’aveva presa!

Finalmente la vocina assetata di sangue riprese controllo della situazione.

Sasha gli assestò una ginocchiata in un rene che gli tolse il respriro, e poi lo scaraventò giù dal letto facendogli picchiare la testa contro il comodino.

-Ahi! Ma che ti é preso!- chissa perchè ma non credeva che quello facesse parte del programma per la serata.

-Che mi é preso!- prese la stringa e gliela tirò addosso –questo mi é preso, brutto porco che non sei altro!-

-Cosa?- si mise a sedere non capendoci più nulla, perché diavolo era furibonda ora?

-Sei andato in giro per Venezia insieme a me e avevi le tasche piene di preservativi! Schifoso maniaco!- afferrò il cuscino e glielo scaraventò contro.

-Cosa!- ignorando il cuscino scattò in piedi –sei arrabbiata per quello!-

-Per chi cavolo mi hai preso eh? Per una volgare prostituta!- gli sibilò contro arrabbiata –sparisci, prima che decida di spararti!-

-Credimi se avessi pensato una cosa del genere, me ne sarei aproffittato diverso tempo fà!- le rispose furioso, la rabbia che veniva alimentata dalla frustazione sessuale, che al momento stava raggiungendo i livelli di guardia.

-Vattene! Sono sicura che la cameriera del ristorante sarà ben contenta di fornirti consolazione, visto che non ha smesso di sbavarti addosso per tutta la sera!-

-Tu sei tutta bacata in testa!- e quello da dove saltava fuori ora? –ne ho abbastanza dei tuoi giochetti da stronzetta frigida! Quando hai deciso se ti piace o meno fare del sesso fammi uno squillo!-

Con quello lasciò la stanza sbattendo furente la porta e facendo tremare i vetri.

Sasha rimase diverso tempo ferma al centro del letto, chiedendosi che cosa aveva combinato.

Da dove era saltata fuori tutta quella scenata?

Dal tronde era solo sesso, perché farsi tanti problemi.

La rabbia sulla comparsa dei preservativi era stata solo una scusa, dentro nel profondo lo sapeva, aveva avuto una reazione sproporzionata, sapeva che tutta quell’emozione era venuta fuori da quel’angolino buio della suo cuore che lei teneva sempre sotto chiave. La comparsa di Etienne nella sua vita stava riportando in vita senzazioni che credeva morte per sempre, ma perché proprio lui? Perché proprio ora?

Era vero che si sentiva attratta da lui come non le capitava da tempo, in genere i pochi uomini che si era portata a letto nel corso degli anni, le avevano suscitato un blando interresse e nulla piú. Ed uno che spariva dopo una settimana. Accidenti a lui! Cosa aveva di tanto diverso dal resto della popolazione maschile! Ne trovavi anche di più belli in circolazione!

Ma lei non riusciva a toglierselo dalla testa, quegli occhi così scuri e profondi, che sembravano racchiudere misteriosi segreti, che sembravano leggerle dentro, e non avevano paura di quello che avrebbero trovato. Che fosse quello il motivo per cui lei era così attratta? Che Etienne fosse talmente sicuro di se e di quello che era da non avere paura di nulla?

Al colmo della disperazione si ranicchiò come una palla sopra le coperte, il corpo ancora le tremava al ricordo delle carezze appassionate delle mani di lui, la frustrazione sessuale era una brutta bestia, soprattutto quando ti rendevi conto che l’ogetto del desiderio ti era perso per sempre.

Ancora furente Etienne spalancò l’armadio della sua stanza e ne tirò fuori la valigia, non sarebbe rimasto in quella stupida città un minuto di più. Una delle città più romantiche al mondo un paio di palle! Non quando avevi a che fare con un ghiacciolo frigido, che preferirebbe mettere i tuoi attributi maschili nel frullatore piuttosto che sfiorarti anche solo con un dito.

Stronza! Aveva chiuso con lei, aveva sprecato anche troppo tempo ad andarle dietro e cercare di sbrinarla, avrebbe avuto migliori possibilità con il freezer di casa!

Stava ribollendo di rabbia, e di una buona dose di desiderio non appagato, quello della peggior specie. Per quale motivo si era arrabbiata così tanto per un paio di preservativi! Era deformazione professionale la sua, andava in giro pronto per ogni evenienza, se per quello si era portato dietro anche la pistola, ma non voleva dire che si aspettasse di usarla prima della fine della serata!

Doppia stronza! L’avrebbe lasciata perdere, se era contenta di passare le sue notti da sola a pianificare sul come ammazzare la gente erano affari suoi lui se ne lavava le mani.

Maledizione a lei! Con un sospiro frustrato si mise a sedere sul letto, gomiti sulle ginocchia e testa tra le mani.

Eppure...eppure quella sera aveva visto qualcosa brillarle nello sguardo, qualcosa di turbolento, come se i ricordi che si celavano dietro la facciata fossero troppo terrificanti da affrontare.

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Capitolo 11
*** Vi presento Cleo ***


LONDRA.....

Sasha entrò nel suo piccolo ufficio con in mano una tazza di latte macchiato, l’aveva appena comprato in un Caffè Nero ad Oxford Street.

Dopo essersi tolta il cappoto accese il riscaldamento, faceva un freddo cane oggi, e si accinse a controllare la posta, durante la sua assenza le scartoffie si erano accumulate, figurarsi se la sua socia si occupava di cose così mondane come i conti da pagare!

Il trillo della campanella sulla porta d’ingresso, annunciava l’arrivo della menzionata socia, non poteva essere altri che lei, visto che non erano ancora aperti.

-Buon giorno!- esordì una voce squillante.

La voce apparteneva ad una rossa tutta curve di moderata altezza, infatti riusciva a malapena a raggiungere il metro e settanta con i tacchi, occhi grandi e verdissimi e un spuzzatina di lentiggini sul naso.

Vi presento Cleo.

Cleo era una giovane stilista di talento, di origini irlandesi, un tempo lavorava per una grossa casa di moda, ma sognava da sempre di aprire un atelier tutto suo. Un giorno lei e Sasha si erano incontrate per caso ad una fiera del lavoro, naturalmente Sasha era sotto copertura, e avevano iniziato a fare quattro chiacchere.

Stranamente alla spietata mercenaria era passata la voglia di sparare alla rossa chiaccherona dopo i primi cinque minuti, constatando che la ragazza aveva voglia di sfondare da vendere e un buon piano per iniziare in proprio, quello che le mancava erano i fondi.

Quindi dopo aver visto alcuni dei suoi lavori, sia sulla carta che dal vivo, Sasha aveva deciso di finanziarla, per diverse ragioni:

1)Doveva far sparire dei soldi dalla provenienza sospetta alla svelta.

2)Le serviva una copertura duratura da tenere tra un lavoro e l’altro, era faticoso crearsi una nuova identità ogni due o tre mesi.

3)L’investimento le sembrava buono.

4)Aveva finalmente trovato il modo di sfruttare il suo master in contabilità.

Perciò era nata la “Clash enterprise”, il nome era pessimo ma era stata Cleo a sceglierlo, visto che era lei quella creativa Sasha si era aspettata qualcosa di più brillante e sofisticato, ma che ci volete fare, anche i geni hanno i loro giorni no, così le due ragazze avevano aperto il piccolo studio di moda in Bond Street.

Tutto questo era successo tre anni fa, certo il primo periodo avevano fatto la fame, ma negli ultimi mesi i soldi avevno iniziato ad entrare in maniera stabile e stavano riuscendo a farsi notare nell’ambiente, Cleo sperava di essere in grado di poter organizzare una propria sflilata l’estate prossima.

-Buon giorno Cleo- senza alzare lo sguardo continuò ad aprire la posta, la ragazza faceva parte di quella categoria di persone che erano sempre allegre la mattina, quanto la detestava.

-Che muso lungo! Tieni ho io quello che ci vuole-

Con un largo sorriso le mise sotto al naso la scatola bianca che aveva in mano da quando era entrata, e tutta soddisfatta si sedette sulla poltrona davanti alla scrivania della socia.

Rassegnata Sasha l’aprì, sapeva benissimo cosa c’era dentro, tutte le mattine era la stessa storia. Infatti dentro la scatola facevano bella mostra di se muffin al cioccolato, donuts e danish alla vaniglia, Cleo era convinta che lei era troppo magra e aveva bisogno di mettere su un pò di peso, quindi, da quando era tornata in città la ricopriva di dolci alla prima occasione.

-Mi farai venire un infarto uno di questi giorni lo sai?- tremava al pensiero di quanto burro era stato usato per fare quei dolci.

-Ah! E quale grasso dovrebbe bloccarti le arterie mia cara?- chiese divertita.

-Non hai nulla da fare oggi? Clienti, disegni, ecc. ecc.-

-Nulla, ho un appuntamento con un cliente alle 11, se si degna di farsi vedere, lo sai come sono questi ricconi, e al momento ho un blocco creativo, quindi non ho nulla da fare per le prossime due ore!- spiegò allegra, ignorando il gemito di sofferenza dell’altra.

Cleo oltre ad essere sempre di buon uomore, era anche terribilmente ottimista e un’inguaribile romantica.

A Sasha ricordava un barboncino francese, avete presente no, quelli bianchi tutto pelo, quelli che ti facevano le feste ogni volta che entravi nel loro campo visivo, quelli che più li tratti male e più ti si affezionano e tornano da te scodinzolando.

Lei era il tipo che prendeva a calci i bastardi che se lo maritavano, ma non i cagnolini, quello era davvero scendere in basso, perciò senza che lei se ne fosse resa conto Cleo si era scavata un posticino confortevole nella sua vita e non aveva nessuna intenzione di abbandonarlo.

-Vedo che ti sei finalmente decisa a prendere spunto da uno dei manichini che abbiamo in vetrina- le disse indicando il maglioncino a righe, la mini in jeans, i calzettoni a metà coscia coordinati al maglione e gli stivali bassi.

-Ti ho già spiegato che essendo la contabile di questa compagnia, non ho bisogno di seguire le mode, e poi lo sai che non piace dare nell’occhio con il vestire- quella era deformazione professionale, perdersi nella folla e vestire in maniera poco riconoscibile.

-No mia cara, tu in genere ti vesti come un pugno in un occhio che è diverso, e questo ovviamente quando decidi di abbandonare la pelle nera-

-Senti, ho del lavoro da sbrigare, se vuoi stare qui, vedi di fare silenzio- detto ciò iniziò a caricare i programmi che le sarebbero serviti sul pc.

Stranamente Cleo rimase in silenzio sulla sua sedia, continuando a fissarla, apparentemente calma, ma potevi notare dal luccichio dei suoi occhi che le rotelline nel suo cervellino stavano girando a pieno ritmo.

-Cosa c’è?- chiese rassegnata incrociando le braccia.

-Sei pronta a parlare ora?- chiese seria.

-Non capisco...-

-...di cosa tu stia parlando- finì per lei –bla bla bla, mi ripeti sempre la stessa cosa, sei tornata da più di un mese, e sto morendo dalla voglia di sapere cosa ti è successo-

-Cosa ti fa credere che mi sia successo qualcosa?- chiese sulla difensiva, un’altra caratteristica snervante di Cleo era il fatto di essere troppo percettiva nei confronti del prossimo, già un paio di volte era andata vicino allo smascherarla.

-Sei diversa, hai una strana espressione nello sguardo, più triste,- la osservò pensierosa inclinando la testa di lato -e poi hai sempre il muso lungo e sei sempre nervosa, ti posso assicurare che ultimamente non è affatto divertente lavorare con te!-

-Vai a fare qualche scarabocchio Cleo. Ora!-

La ragazza sapeva quando era ora di ritirarsi, ma non prima di averle lanciato un’ochiataccia che diceva “visto cosa intendo?”.

Una volta rimasta sola nell’ufficetto Sasha chiuse gli occhi e se li massaggiò con le dita, aveva abbastanza problemi nel scendere a patti con quello che era successo a Venezia da sola, non aveva bisogno che Cleo infilasse ulteriormente il dito nella piaga.

Non passava giorno in cui non pensasse a lui, lasciava il cellulare acceso in evenienza che si decidesse a chiamarla, ma non era successo, non si era fatto sentire da quando l’aveva lasciata nella camera d’albergo.

Era ancora furente? Doveva esserlo, lei si era comportata in maniera terribile e lui doveva essersi sentito preso in giro, doveva averla presa per una di quelle oche che si divertivano a giocare con gli uomini per poi mandarli a quel paese.

La cosa più triste era che le mancava, terribilmente, le mancavano i suoi scherzi idioti, le sue battute poco divertenti, il modo in cui la chiamava “dolcezza”, come se lo intendesse sul serio, oramai si era abituata a ricevere le sue telefonate regolari e si ritrovava a controllare il cellulare diverse volte al giorno, sperando di trovare una chiamata persa o un messaggio, ma mai nulla.

Afflitta nascose la testa tra le braccia piegate, come si era infilata in un pasticcio simile! Perchè la sua vita non era più semplice come prima!

Di umore sempre più nero andò a pranzo da sola, Cleo era ancora impegnata con il cliente delle 11, che a quanto pareva aveva deciso di presentarsi. Dopo un panino veloce, ne comprò uno anche per la sua socia e se ne tornò in ufficio, le strade erano affollate di turisti e quasi non si poteva camminare sui marciapiedi, e il fatto che si gelasse e che il cielo fosse plumbeo non scoraggiava nessuno.

Una volta tornata alla sua scrivania controllò la posta nella casella criptata della “dea di ghiaccio”, forse doveva concentrarsi in qualcosa di più impegnativo che non la contabilità del piccolo atelier, ma non c’era nulla.

Annoiata sollevò i piedi e li mise sulla scrivania, appoggiandosi sullo schienale della poltroncina girevole stiracchiò le braccia sopra la testa, quel pomeriggio si prospettava lungo e noioso.

Vagamente si rese conto del trillo della campanella che annunciava un visitatore e del suono attutito di voci, doveva essere arrivato un’altro cliente.

Ma qualche secondo dopo la sua porta si aprì silenziosa.

-Salve Sasha-

Sasha perse l’equilibrio e si schiantò a terra con tutta la sedia, si era stiracchiata un pò troppo.

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Capitolo 12
*** La proposta...magari fosse indecente! ***


Atterrita  Sasha guardava gli stivali marroni che si intravedevano dalla sua postazione sul pavimento, non poteva essere!

Invece si! Era lui! Ed ora? Si chiese presa dal panico.

-Ti sei fatta male?- le chiese divertito, aveva fatto un bel tonfo quando era caduta.

-Sto benissimo!- rispose, tra lo stizzito e l’umiliato, alla faccia della sofisticazione che si era ripromessa di usare se l’avesse rincontrato.

-Hai intenzione di stare per terra ancora per molto?-

-Certo che no!- alla svelta si rimise in piedi sistemando anche la sedia e cercando di trovare il coraggio di guardarlo.

Quando infine sollevò lo sguardo quasi le mancò il fiato, era ancora più bello di come se lo ricordava. I jeans stretti che aderivano alle gambe muscolose, lo spesso maglione a collo alto di lana che portava, il quale era di una sfumatura chiara che faceva risaltare ancora di più i suoi coloriti scuri, ti faceva venir voglia di infilarti sotto alle pieghe calde assieme a lui.

Se non avesse fatto l’idiota a Venezia magari a quest’ora starebbe davvero dividendo quel maglione con lui.

Sbattendo più volte le palpebre si costrinse a tornare alla realtà, notando l’espressione guardinga del suo viso, il calore spensierato che era solito rivolgerle non c’era più. Che l’avesse davvero perso per sempre? Ignorando la fitta di rimpianto e rimorso che le aveva serrato lo stomaco prese posto sulla sua sedia dietro la scrivania.

-A cosa devo il piacere?- chiese mantenendo un tono che sperava suonasse professionale, e ricevendo in cambio una strana occhiata che sembrava dire “se vogliamo fare finta di nulla....”

-Curiosità- prese posto su una sedia difronte a lei acavvallando le lunghe gambe e cercando di imitare il contegno freddo di lei.

Se voleva fare finta che nulla fosse accaduto tra loro, allora anche lui poteva stare al gioco, dal tronde non gli andava di essere ulteriormente preso in giro, pensarci gli bruciava ancora, tra le altre cose. Visto che più spesso del necessario se la ricordava sdraiata sul letto dell’albrgo, con i capelli scuri sparsi sul cuscino, gli occhi che brillavano per il desiderio e il viso arrossato dall’eccitazione.

-Curiosità?-

-Quando Jules mi ha detto dove ti potevo trovare volevo constatare con i miei occhi che non mi stesse prendendo in giro- con un’occhiata significativa indicò il piccolo ufficio –atelier di moda?-

-E un modo come un’altro per investire i soldi- spiegò scrollando le spalle.

-E la rossa?- chiese con un luccichio strano nello sguardo.

-La mia socia, quella che disegna gli abiti- se si azzardava anche solo a fare un pensierino su Cleo lo faceva davvero fuori!

-Interessante, e lei sa...diciamo delle tue entrate alternative?-

-Non ne ha idea-

-E cosa le dici quando devi sparire giorni interi per un lavoro?-

-Le ho detto che lavoro part-time per una multinazionale nel dipartimento contabile e che mi mandano in giro per il mondo a fare revisioni e controlli-

-Geniale!- lei si che sapeva raccontare bugie con i fiocchi! Poi come se si fosse reso conto solo ora della cosa strana chiese divertito –contabilità?-

-Uno dei miei tanti talenti-

Etienne rimase a guardarla in silenzio per qualche secondo, c’erano tante cose di lei che non conosceva, ma che avrebbe tanto voluto scoprire, se solo lei gli permetesse di avvicinarsi e la smettesse di alzare tutte le barriere difensive ogni volta che le cose si facevano intime.

-Sono venuto anche per farti una proposta- le disse piano, aspettando uno scoppio che fortunatamente non avvenne.

-La risposta è no, ma vai avanti lo stesso- prendendo un respiro profondo si mise comoda sulla poltrona, anche perchè il battito cardiaco non si decideva a rallentare, quando lo aveva sentito pronunciare la parola “proposta” aveva quasi sperato che fosse seguita da “indecente”.

-Voglio aiuto a catturare un latitante- ignorando il suo rifiuto, dalla stasca posteriore dei pantaloni tolse un fascicolo ripiegato in due e glielo porse.

Sasha lo prese cercando di ignorare come fosse ancora tiepido dal calore del corpo di lui e come i fogli conservassero una leggera traccia del suo profumo.

-Thò guarda il nostro amico Sergej!- esclamò allegra.

-L’unico e il solo. Dopo il nostro scherzetto è sparito dalla circolazione, ma a quanto pare non ha smesso di complottare. Questa volta è riuscito a mettere le mani su una formula per un’arma batterica, se riesce a mettere le mani anche su un chimico conseziente e sugli ingredienti giusti provocherà una strage-

Lei fece scorrere lo sguardo sulle informazioni contenute nel dossier, quello era toccato nel cervello! Se attivava una bomba del genere non gli sarebbe rimasto un posto sicuro dove godersi i proventi dei ricatti che di sicuro avrebbe attuato a spese dei maggiori governi mondiali.

-E cosa vorresti esattamente da me?- meglio essere specifici.

-Una piccola mano d’aiuto?-

-Che succede nel vostro ufficio? Carenza di personale?- chiese sarcastica, era consapevole che lei non aveva aveva un’alta opinione dei suoi colleghi.

-No, ma c’è stata una sospetta fuga di notizie e Sergej è entrato in possesso di documenti riservati che potevano essere ottenuti solo tramite il nostro ufficio. Mi è stata data carta bianca, e al momento solo io e Jules siamo coinvolti nell’operazione, una persona esterna mi farebbe comodo- senza togliere che avrebbero dovuto passare tanto tempo assieme e che magari.....ma meglio non avventurarsi in quel territorio, non ora.

Aveva passato tre settimane ad escogitare la scusa giusta per andarla a trovare e non aveva intenzione di bruciarsi quella possibilità.

-Cosa ti fa credere che non sia proprio Jules il traditore, o me se per quello. L’incontro in Austria potrebbe anche non essere stato accidentale-

Cosa credeva che fosse, stupido? Quelle erano tutte ipotesi che aveva già formulato e scartato.

-Jules mi è troppo fedele, per non parlare del fatto che siamo come fratelli, non mi tradirebbe mai, e tu...e a te non importa un fico della politica o dei giochi di potere, e inoltre Sergej non ha il denaro necessario per comprarti-

Lei rimase qualche minuti sorpresa, ammirrando il modo di ragionare del suo cervello, aveva fatto centro in maniera magistrale!

Ma prima che potesse rispondere furono interrotti da qualcuno che spalancò la porta senza bussare.

-Sasha ti devo chiedere...- la rossa si bloccò sulla soglia fingendo contrizione –oh, non sapevo fossi ancora impegnata con un cliente-

Piccola bugiarda! Con interesse guardò l’orologio, mezz’ora, l’impicciona tutte lentiggini era riuscita a trattenere la sua natura curiosa per 30 minuti tondi tondi, doveva essere un record!

Etienne si alzò immediatamente in piedi per salutare la nuova arrivata con un sorriso accecante.

-Molto piacere io mi chiamo Etienne- esordì stringendole la mano –e tu devi essere Cleo-

-Si- visto che lui era andato subito sull’informale anche lei seguì l’esempio –sei venuto per affari?-

-Vermanete no, io e Sasha ci conosciamo da lungo tempo, anche se quello che ho visto nella splendida vetrina qui fuori mi ha quasi tentato a fare qualche acquisto, opera tua?-

-Fino a l’ultima cucitura- era leggermente arrossita all’implicito complimento –magari c’è qualcuno speciale a cui non dispiacerebbe qualcosa di particolare-

-Nessuno mi spiace-

Sasha guardava allibita l’incantatore all’opera per la prima volta da quando l’aveva incontrato, in trenta nano secondi aveva ridotto Cleo ad un ammasso di gelatina molle, con qualche battutina, un paio di complimenti e quel sorriso micidiale. Ma esisteva davvero qualcuno che ancora credeva a quella marea di fesserie?

Cleo da parte sua era estatica, chi era questo bel pezzo di figliolo? Da dove sbucava fuori? E soprattutto, com’è che non l’aveva mai visto prima da queste parti!

Era talmente affascinata che quasi si perse le occhiatine che di tanto in tanto il fusto lanciava alla sua socia, quasi, che succedeva qui? Intrigata si rivolse verso Sasha con una battutina e notando l’espressione torva, che sconfinava nella furia omicida, e quella da dove saltava fuori? Non l’aveva mai guardata a quel modo.

Fece scorrere lo sguardo da l’uno all’altra senza mancare la conversazione e all’improvviso avvenne l’illuminazione!

Ecco cosa le era successo! Il figo da paura! Qualcosa di tempestoso era successo tra i due!

Oh questa era troppo bella per lasciarsela scappare! Anche se mandava in frantumi tutte le sue speranze di una serata in sua compagnia!

-Sai è la prima volta che incontro uno degli amici di Sasha- iniziò –vi conoscete da molto?-

-Da abbastanza-

-Bhè ora che ci siamo incontrati devi passare di qui più spesso- guardà l’altra ragazza in maniera significativa –non vorremmo che la nostra Sasha si sentisse sola!-

-Assolutamente no!- convenne divertito, da dove sbucava fuori questa simpatica ragazza? E molto perspicace anche, era sicuro che avesse capito che tra lui e Sasha c’era molto di più che una semplice amicizia.

Terrorizzata Sasha decise che era arrivatoil momento di interveneire e di separare i due.

-Volevi qualcosa Cleo?- chiese seccata.

-Oh si!- in effetti doveva chiederle qualcosa, si era preparata un’ottima scusa per l’interruzzione –ho un ordine da finire a giorni ma il materiale non è ancora arrivato, ed é in ritardo di una settimana-

-Fammi indovinare, il signor Thomson?-

-Proprio lui- Cleo lasciava sempre che fosse lei a vedersela con i fornitori, era stupefacente la velocità con venivano serviti, se la socia si metteva in mezzo.

Senza aggiungere altro Sasha prese il telefono e compose il numero dell’ufficio de signor Thomson.

-Potrei parlare con il signor Thomson per favore?- pausa –é riunione eh- pausa -un messaggio? Ma certo! Gli dica che Sasha Logan ha chiamato riguardo all’ordine non ancora cosegnato, di non preoccuparsi a spedirlo, domani devo andare da quelle parti per affari e passerò io a prenderlo di persona- pausa –si é tutto, me lo saluti-

Sasha chiuse il telefono e azionò il cronometro che teneva nel cassetto.

Etienne era sgomento, che succedeva? Cleo sorrideva come se sapesse che tra poco stava per succedere qualcosa di estremamente divertente e Sasha sedeva tutta soddisfatta nella sua sedia tranquillamente ad aspettare.

Il telefono squillò, dopo esattamente due minuti e dieci secondi, constatò soddisfatta, l’ultima volta ne erano passati cinque.

-Sasha Logan- pausa –non c’era bisogno che mi richiamasse signor Thomson, ho...-pausa –ma non mi crea nessun disturbo...- pausa –se ne é sicuro!- pausa –grazie mille e arrivederci-

-Il tuo ordine arriva domani tramite corriere espresso-

Cleo scoppiò a ridere.

-Devi sapere Etienne- iniziò a spiegare con gli occhi ancora umidi dalle risate –che i nostri fornitori hanno il terrore di Sasha, una volta o l’altra li ha visitati tutti infondendogli una paura del diavolo e non si sono più azzardati a metterci in secondo piano. Ma ogni tanto, come oggi, si dimenticano e allora Sasha fa le sue telefonatine, che in superfice non hanno nulla di intimidatorio, ma sotto sotto raccontano tutta un’altra storia, e quando lei si offre di andare a prendere l’ordine di persona é probabile che il giorno dopo te lo consegni il titolare in in carne e ossa facendoti le sue personali scuse!-

Lui le rivolse un’occhiata che sembrava dire “perché non sparagli direttamente?”

“Perché mi servono vivi idiota!”

-Ti trattieni ancora per molto Etienne?- gli chiese Cleo speranzosa, moriva dalla voglia di conoscere tutti i dettagli.

-Il necessario- poi colto da un’improvvisa ispirazione –sai sto cercando di convincere Sasha a lavorare per me!-

-Interessante! Hai avuto fortuna?-

-Al momento no, ma tu potresti aiutarmi-

Entrambi la stavano completamente ignorando, persi nella loro piccola cospirazione.

-Se posso-

-Dimmi, com’é lavorare con un tipo come Sasha? Devi ammettere che non é la persona più facile con cui andare daccordo-

-Ma no!- poi si rivolse alla socia come se solo allora si fosse ricordata che era ancora nella stanza –mi ricorda tanto un chiwawa!-

-Interessante!- con gli occhi sgranati cercò di contenere le risate.

-Ma si, qui cagnolini piccoli, piccoli, che abbaiano in continuazione digrignando i denti, ma che sono tanto tanto, adorabili!-

Etienne non ce la fece più e scoppiò a ridere, avrebbe descritto Sasha in tanti modi diversi, ma adorabile? Quella ragazza gli aveva aperto tutta una nuova prospettiva.

Anche Sasha aveva perso la pazienza, con stizza aprì e chiuse diversi cassetti, doveva pur avere una pistola lì da qualche parte! Gli avrebbe sparato, ecco che cosa avrebbe fatto! E cosa saltava in mente a Cleo poi! Le metafore canine erano di sua esclusiva proprietà!

-Oramai é tardi per il pranzo, ti va di andare a bere un caffé?- chiese Etienne con voce dolce.

Sasha si bloccò all’istante con un mezzo infarto in corso, la stava invitando? Poi alzò gli occhi, no, stava invitando Cleo, che al momento saltellava di gioia accettando l’invito. Oca!

-Ci vediamo dopo Sasha!- la salutò la rossa.

-Già Sasha, ci vediamo dopo!- fece eco Etienne, divertendosi come non gli capitava da settimane!

Lei li guardò sparire attraverso la porta, se quello era un suo piano per farla ingelosire cascava male! Infatti non avrebbe funzionato, lui poteva passare le sue giornate con tutte le oche di Londra se era per quello! Lei aveva...ma chi voleva prendere in giro, era verde di gelosia!

Mledizione! Non poteva continuare così, sarebbe diventata matta a lungo andare!

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Capitolo 13
*** Il russo scoppiato. ***


Nei giorni seguenti Sasha se lo ritrovò costantemente tra i piedi, era quasi sempre in ufficio, per la delizia di Cleo, lo incontrava al supermecato, quelle rare volte in cui si ricordava che doveva pur mangiare, in giro per la strada.

Ed ogni volta le chiedeva se aveva intenzione di accettare al sua offerta, il tempo stringeva e lui doveva entrare entrare in azione non appena Jules gli avesse fornito una locazione.

Il fatto era che lei stava seriamente pensando di unirsi a lui, lavoravano bene insieme e Sergej non le era poi così simpatico.

Quella mattina era arrivata in ufficio più tardi del solito, aveva dormito da schifo ed era di umore pessimo, e quando era di umore pessimo saltava fuori la pelle nera, come testimoniavano gli stivali, la mini a metà coscia ed uno spolverino lungo fino ai piedi, l’unica eccezzione erano le calze coprenti e il dolce vita, che erano sempre neri, ma non erano di pelle.

Entrando raccolse la posta da terra, Cleo non era ancora arrivata, normale per lei, non si presentava mai a lavoro prima delle dieci.

Una volta alla scrivania iniziò a smistare la corrispondenza, tra le mani le capitò una di quelle buste gialle con l’imbottitura, non c’era l’indirizzo stampato sopra ma il suo nome scritto a penna, che strano, doveva essere stato recapitato a mano.

Dentro c’era un cd per computer, sorpreso lo inserì nel lettore del pc, sperando che non ci fosse un virus, ma in genere quelli ti venivano recapitati tramite posta elettronica non la buca delle lettere.

Sempre più sconcertata vide aprirsi la finestra del Media Player, a quanto pareva era un filmato, molto probabilmente Etienne le aveva mandato qualcosa che trovava divertente solo lui.

Ma quello che vide sul monitor le ghiacciò il sangue nelle vene. Cleo era legata e imbavagliata, in quello che sembrava essere un magazzino abbandonato, gli occhi sgranati dal terrore e il volto rigato di lacrime, indossava ancora gli abiti del giorno prima, quindi dovevano averla rapita mentre tornava a casa, c’era qualcun’altro accanto a lei, una biondina che non aveva mai visto prima, legata allo stesso modo.

Con la mano che tremava leggermente prese la cornetta e fece il suo numero di casa, pregando che fosse uno scherzo di pessimo gusto, ma rispose la segreteria.

Cercando di mantenere la calma compose allora il numero del cellurare sperando che fosse acceso e ci fosse campo, sollevata lo sentì squillare.

Ma la voce che rispose non era quella della sua socia, ma quella di un uomo dal pesante accento russo.

“Allora? Hai trovato il mio regalino?”

-Sergej immagino?- chiese gelida, senza staccare lo sguardo dalle immagini sullo schermo e azionando il piccolo registratore che teneva sempre collegato al telefono.

Deformazione professionale.

“Non mi piace quando gli altri si impicciano dei miei affari, non ho apprezzato la tua interferenza”

-Prenditela con Rubilov allora, era lui a finanziare la missione-

“L’idiota, comunque, ho altre mire per la mia folgorante carriera da terrorista, scommetto che il tuo amichetto ti ha già detto cosa sto combinando, vero?”

-Vagamente- chi stavano spiando, lei o Etienne?

“Mi mancano ancora un paio di cose che non sono disponibili sul mercato nero, quindi gradirei che me le portassi, la lista è nel cd”

-Li hai i soldi per pagarmi?- chiese indifferente.

“Mi farai fare le cose nel modo più faticoso vero? La tua amichetta dai capelli rossi è davvero carina”

-Non é il mio tipo-

“Bella, intelligente e anche simpatica, un’assassina piena di qualità, mi chiedo se la tua amichetta resisterebbe ad una serata in compagnia dei miei soldatini...”

-Fottuto bastardo!-

“Ah stiamo arrivando da qualche parte allora, la rossa ci ha raccontato delle storielle davvero divertenti sulla vostra allegra amicizia, é incredibile come un della droga data in quantità controllate sciolga la lingua”

Maledizione! chissà cosa aveva raccontato Cleo, era in una posizione pessima, se lo convinceva che la sua socia era una pedina senza valore rischiava di vederla morta in un paio d’ore, dall’altro lato le rivoltava lo stomaco dargli quel tipo di potere su di lei, lei li faceva i ricatti, non li subiva.

-Taglia corto buffone, dimmi ora e luogo-

“È tutto nel cd, buon divertimento”

-Chi é la bionda?- sarebbe stato utile sapere chi stava ricattando oltre lei.

“Chiedi al tuo amichetto lui la conosce molto bene”

-Lo sai di essere carne morta vero?- gli disse, ignorando l’ondata di gelosia che l’aveva assalita, chi accidenti era quella bionda! -Qualunque cosa accada, io ti cerco e ti ammazzo, per aver anche solo pensato di attraversarmi la strada-

“Mi dovrai acchiappare prima”

-Non sottovalutarmi, un’ultima cosa, toccala, anche solo con un dito e ti ammazzo nel modo più violento che riesco a trovare- senza aspettare risposta chiuse la comunicazione, non avevano più nulla da dirsi.

Il filmato finì e lo schermo diventò nero, ma a lei non importava, l’espressione del viso di Cleo era marchiata a fuoco nella sua memoria, doveva tirarla fuori di lì, al più presto, prima che le facessero irreparabilmente del male.

Si rese conto di avere il fiato corto, le mani le tremavano e un velo di sudore le imperlava il labbro superiore, ricordi che era meglio tenere sepolti minacciavano di riaffiorare in tutta la loro violenza, Cleo non sarebbe sopravvissuta ad un’esperienza del genere!

Fece dei respiri profondi e si impose di calmarsi, non era questo il momento di perdere la testa.

Prese il cd e la cassetta con la registrazione della conversazione appena avuta con Sergej e si catapultò fuori, doveva andare a casa a prendere la Ferrari e poi aveva una visita da fare, al diretto responsabile di tutto questo casino, se si fosse tenuto alla larga da Cleo, non l’avrebbero presa di mira!

Negli uffici del quartiar generale, del secondo gruppo di spie più potenti al mondo scoppiò il caos, quando si sparse la voce che una sventola venuta fuori dal film di Matrix  era appena uscita dall’ascensore e stava percorrendo a passo di carica il corridoio.

Alla sventola in questione poco importava dell’effetto da infarto che stava dando in giro, aveva un bersaglio, ma non riusciva a localizzarlo.

Si fermò di scatto avvicinandosi al primo uomo che capitava a tiro afferrandolo per la cravatta.

-Etienne?- chiese abbassandosi gli occhiali da sole neri sulla punta del naso in modo da guardare il tizio dritto negli occhi.

-C-chi?- balbetto quello con il terrore di diventare di pietra sotto quello sguardo freddo.

-L’idiota che chiamano l’incantatore,- specificò –dove lo trovo?-

-Oh Etienne! In fondo a sinistra- rispose con un sussurro, la ragazza gli stava assottigliando la riserva di ossigeno tramite la cravatta.

Con passo deciso si diresse verso la porta indicata lasciando che lo spolverino le svolazzasse dietro mentre camminava.

Senza tante cerimonie spalancò la porta facendo un ingresso ad effetto che lasciò i cinque uomini lì riuniti momentaneamente senza parole.

Con lo sguardo inchiodò la sua preda e gli si avicinò con passo lento.

Etienne riuscì a mascherare molto bene la sorpresa nel vederla lì, come era entrata? Come era riuscita a passare i controlli di sicurezza?

-Me li hai portati dritti sulla porta di casa, incompetente!- gli disse gelida togliendosi gli occhiali con gesti misurati.

-Ti avverto che stai cammindo su terreno instabile ghiacciolino- lo sguardo duro e freddo quanto quello di lei, non le avrebbe permesso di fargli fare la figura dell’idiota davanti a tutti i suoi colleghi.

-Questo mi é stato recapitato con la posta del mattino- il cd gli caddé davanti sul tavolo con un rumore secco, ma lui non si fece distrarre –goditi lo spettacolo stronzo!-

Con quell’ultima frecciatina girò di spalle per andarsene.

Aveva una missione da pianificare e non aveva tempo da perdere, era ferma davanti all’ascensore quando una voce da sopra la spalla se ne uscì con:

-Ti si vede la fondina della pistola legata attorno alla coscia quando cammini-

Non ci poteva credere! Chi era questo nuovo idiota!

-Sparisci, ho ammazzato per molto meno ti posso assicurare!- neanche si degnò di girarsi.

-Carina e assetata di sangue, combinazione interessante-

Lei si girò di scatto e si ritrovò a fissare due occhi blu come i suoi che appartenevano a...ad un manichino da vetrina, l’abito che indossava oltre ad essere firmato e di prima di qualità era impeccabile. Il tizio che lo portava non era bello nel senso comune della parola ma trasudava fascino e pericolo da ogni poro.

Con quali assurdi criteri reclutavano le spie in questo posto!

-Ho detto sparisci!-

Lui semplicemente scosse la testa divertito.

-Non lo sai che si attirano più mosche con il miele che non con l’aceto?-

-Ti posso assicurare che sono fornita di un’ottima carta moschicida!-

In quel momento le porte si aprirono con un bling e l’uomo scivolò nell’abitacolo.

-Sopra o sotto?- chiese con gli occhi che brillavano.

Prima che Sasha potesse rispondere o cercare di sparargli, fù afferrata per un gomito e immobilizzata con violenza contro il muro.

-Etienne?- sconcertato l’uomo fece capolino dalle porte aperte –ricordami che prima o poi dovremmo fare quattro chiacchere su come attrarre l’altro sesso, senza ricorrerre a rituali barbarici-

-Fatti gli affari tuoi James, non hai niente altro da fare?- disse in tono minaccioso.

-Barbaro- le porte si chiusero su un divertito James.

Etienne spostò nuovamente l’attenzione sulla donna più infuriante del mondo che stranamente non aveva ancora cercato di liberarsi, le tolse gli occhiali e li gettò per terra.

Gli occhi azzurri stavano bruciando di rabbia.

-Azzardati un’altra volta a fare una scenata simile e mi dimentico di averti mai conosciuto- la minaccia era chiara nel tono freddo e impersonale, non avebbe tollerato altro in futuro.

-Hai finito?- faticava a mantenere  la calma, un’Etienne così violento e spietato non l’aveva mai visto e le stava facendo un certo effetto.

-Non ancora, immischiati in questa faccenda senza il mio permesso e do l’ordine di spararti a vista, sono serio Sasha- aveva appena visto il filmato contenuto nel cd, le cose si erano complicate in maniera imprevista, il tempo dei giochi era finito –ti chiamo tra un paio d’ore-

Una volta libera si infilò tra le porte dell’ascensore che si stavano aprendo, senza degnarlo di un’altra un’occhiata o di una parola.

-Questa volta, preparati a prendere ordini recluta, altrimenti te ne farò pentire amaramente-

Lei non rispose, ma lui poté vedere il lampo di ribellione che le brillò nelle sguardo, mentre le porte si chiudevano lentamente.

Quando finalmente Sasha arrivò alla macchina stava tremando come una foglia, questa volta aveva superato il limite ed Etienne gliel’aveva fatto capire, non sarebbe stato più tanto tollerante nei confronti della sua lingua tagliente, il fatto che l’idea di Cleo in mano di quella banda di mercenari la terrorrizzase come niente altro in vita sua non contava come scusante.

Sapeva che le sue minacce erano fondate, non le avrebbe permesso di buttarsi da sola in questa missione, era costretta ad accettare il suo aiuto.

Etienne ritornò nella sala conferenze, alla riunione che Sasha aveva così teatralmente interrotto, il rapimento di Cleo cambiava nettamente le cose, non potevano permettere che le capitasse nulla di male.

Sapeva di essere stato estremamente duro con Sasha, ma non aveva altra scelta, la ragazza bionda era un suo agente, era stata mandata sotto copertura, a quanto pareva la copertura era saltata, ora dovevano cercare di salvare un’agente, un civile e nel frattempo fermare quel pazzoide russo, erano nella merda fino al collo.

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Capitolo 14
*** Si entra in azione. ***


Sasha osservò con soddisfazione il suo arsenale sistemato sopra il tavolo della cucina, si stava preparando alla battaglia, fucili, pistole, granate e pugnali facevano bella mostra di se pronti all’uso.

Facendo mente locale credeva di avere anche un lancia razzi nascosto da qualche parte, valeva la pena dare una controllatina. Fù distratta dal campanello.

Andando ad aprire sperava solo che non fosse il brufoloso del 4G, nonostante lo ignorasse costantemente quando lo incontrava sul pianerottolo, quello continuava a sperare.

Etienne era davanti alla sua porta completamente vestito di nero.

-Domani all’alba si entra in azione- le disse entrando.

-Accomodati- lo invitò sarcastica chiudendo la porta.

-Dobbiamo chiarificare....dove diavolo credi di andare? A iniziare la terza guerra mondiale!- aveva intravisto l’armamentario sul tavolo.

-Devo pure difendermi in qualche modo!-

-Si ma...lasciamo perdere non ho tempo!- concentrò la sua attenzione su di lei, quello che stava per dirle non le sarebbe piciuto affatto –domani mattina ti rechi al luogo dell’apuntamento con Jules con quello che il maniaco ti ha chiesto e con una squadra per guardarvi le spalle, il vostro compito e di cercare di catturarlo-

-E Cleo?-

-Dovrebbe portarla con se, altrimenti non ha nulla da scambiare, io mi devo occupare dell’altro ostaggio si chiama Sonia, é uno dei miei agenti, si era infiltrata, ma a quanto pare la copertura é saltata. Il matto non ha dato istruzioni in proposito, credo che volesse solo farci capire di averla scoperta, la userà come merce di scambio più avanti, e non ho nessuna intenzione che accada-

Così la bionda era una collega, da quanto lavoravano insieme?

-Missione ben organizzata, grazie per la consultazione-

-Mettiamo bene in chiaro alcune cose- iniziò serio –ti lascio venire solo perché il pazzo ti ha contattata, rompimi le palle più del necessario e ti sparo per poi mollarti nel primo buco che trovo. Ti assicuro che Cleo o non Cleo, non mi sarei mai sognato di farti intervenire in una misione del genere-

-Ma senti, borioso arrogante! Ti posso assicurare di essere sopravvissuta fino ad ora senza le tue missioni salva mondo!- ribatté punta sul vivo, poteva avere diversi difetti, ma il suo lavoro lo sapeva fare a regola d’arte.

-Basta che ci capiamo- per lui la discussione era finita –Jules viene a prenderti alle cinque, fatti trovare pronta-

Una volta fuori Etienne sosprirò esasperato, come si poteva adorare e destestare qualcuno allo stesso tempo e con la stessa intesità?

Con tutte le donne poco complicate che gli cadevano ai piedi, doveva essere irrimediabilmente attratto da quella che sembrava non lo volerlo e che aveva la dolcezza di un cobra!

Donne! Valle a capire! E si che lui di esperienza ne aveva!

All’ora prestabilita Jules e Sasha si recarono all’appuntamento, un ponte non trafficato che a quell’ora veniva avvolto dalla nebbia e rendeva scarsa la visibilità. Luogo scontato ma ben scelto.

Sasha era armata fino ai denti, anche se non si notava, tutte le armi erano abilmente nascoste e sperava che anche il suo improbabile compagno d’armi fosse altrettanto fornito.

-Lo sai vero che é una trappola?- le chiese lui.

-Certo, quello ci spara alla prima occasione, ma prima si assicurerà che abbiamo le cose giuste in quella valigetta-

Non si dissero altro perché un’altro furgone nero si stava dirigendo verso di loro.

Un uomo alto, biondo e sulla quarantina scese dallo sportello laterale.

-Hai quello che ti ho chiesto?-

-Hai la mia amica?-

Sergej fece un mezzo cenno con la mano e la testa rossa di Cleo sbucò dallo sportello, per scomparire poi altrettanto velocemente.

-Torniamo agli affari-

Sasha si fece dare la valigetta da Jules, la posò per terra e le diede un calcio, facendola scivolare vicino all’uomo in attesa, che non sembrava minimamente interessato.

-Il tuo amichetto non é venuto?- le chiese sarcastico.

-È appollaiato sopra un albero pronto a spararti, fai venire Cleo avanti-

Un’energumeno la fece scendere e a passo lento iniziarono a camminare verso di loro.

C’era qualcosa di strano, pensò Sasha, perché non aveva ancora controllato il contenuto della valigetta? E cosa era quel sorriso soddisfatto?

-Non ti interessa sapere se quello che ti abbiamo portato é quello che volevi?- ovviamente non lo era, ma gli ci sarebbe voluto un abile chimico e l’attrezzatura adatta per stabilirlo con certezza.

-Non al momento-

Lei sapeva che era una trappola, l’importante era uscirne vivi, ma aveva quella strana sensazione che qualcosa non andasse per il verso giusto, e il suo istinto non la tradiva mai.

NEL FRATTEMPO IN UN MAGAZZINO ABBANDONATO....

Etienne e la sua squadra in assetto da guerra, avevano coperto il perimetro. Pochissime guardie erano rimaste per controllare che la prigioniera non scappasse, sarebbe stato un lavoretto da ragazzi eliminarle e liberare Sonia.

All’ingresso si separarono, lui e un’altro dovevano andare dalla prigioniera, mentre gli altri si sarebbero occupati delle guardie.

Silenziosi come fantasmi si spostarono per i corridoi semi bui, come mai non avevano incontrato nessuno?

Qualcosa non andava dovevano sbrigarsi.

Con un calcio spalancò la porta della stanza dove tenevano Sonia, infatti era sul pavimento legata ed imbavagliata come un salame, sembrava che non le avessero fatto eccessivamente del male.

-Siamo venuti a prenderti- con il coltello tagliò corde e bavaglio.

-Oh Etienne per fortuna sei arrivato! Quello é matto!- pignucolò la donna.

-Andiamo dobbiamo sbrigarci!- l’aiutò ad alzarsi e le girò le spalle per controllare che non ci fosse nessuno nel corridoio.

Nessuno dei due uomini la vide estrarre due pistole cariche di tranquillanti fino a quando non fù troppo tardi.

-Regola numero uno, mai girare le spalle- disse dopo avergli sparato tanto tranquillante da addormentare un elefante.

-Puttana...- Etienne non riuscì a bisbigliare altro prima di accasciarsi a terra con in mano una simpatica frecceta colorata, era stato giocato.

-Andiamocene, prima che gli altri capiscano cosa sta succedendo- disse ai due uomini che erano usciti da dietro una parete nascosta e si stavano caricando Etienne in spalla –mio fratello ormai deve aver concluso i suoi affari sul ponte-

Sasha guardò con apprensione i lenti progressi della sua amica, mano a mano che passavano i minuti la sensazione che qualcosa fosse terribilmente sbagliato non l’abbandonava.

Scambiò un’occhiata d’intesa con Jules se qualcosa doveva succedere sarebbe successo ora.

-Lo sapete vero che non ne uscirete vivi?- disse l’uomo beffardo.

-Questioni di punti di vista, di al tardone di sbrigarsi-

-Ehi Roski, la signora ha fretta!-

In quel momento l’estremità del ponte alle loro spalle saltò in aria compromettendo la metà dove stavano loro, che si stava velcemente sbriciolando, il bastardo aveva calibrato l’esplosione da professionista, a lui non sarebbe successo nulla, e se la stava già dando a gambe.

Quello diede il permesso a Sasha e Jules di aprire il fuoco, e di darsela a gambe sfuggendo al crollo del ponte. Il quale li aveva tagliati dal resto della squadra, non sarebbero potuti intervenire.

Ma fù inutile, sgommando il furgone si mise tra loro e i il bersaglio, aiutandoli in una fuga veloce e lasciandoli a mani vuote.

-Non ci posso credere! Come abbiamo fatto a farci fregare come pivelli!- gridò furibonda.

-Hai notato anche tu qualcosa di strano?- le chiese Jules perplesso.

-Spiegati- se l’aveva notato anche Jules allora...

-Come se non gli interessasse che ci fossimo presentati, o del contenuto della valigetta-

-C’é puzza di bruciato, andiamo e scopriamo se Etienne ha avuto più fortuna-

Come un leone in gabbia, Sasha camminava avanti e indietro nell’ufficio di Etienne.

Come era potuto andare tutto talmente storto?

Non solo non era riuscita a liberare Cleo, ma ora anche Etienne era disperso e l’unico in grado di fare luce sulla faccenda era l’agente che ora dormiva come un angioletto nell’infermeria, imbottito di tranquillanti.

-Non potresti sbrigarti!- scatto contro Jules, che stava seduto davanti ad una serie di apparecchiature per la localizzazzione satellitare e due computer, cercando di scovare il luogo dove si erano nascosti i terroristi con gli ostaggi.

-Sto facendo il meglio che posso! E se la smettessi di agitarti a quel modo saresti più di aiuto, mi rendi nervoso!-

-Com’é allora che sei sempre riuscito a trovare me in pochissimo tempo?-

-Tu mia cara dopo le prime volte non ti sei più presa la briga di coprire le tracce in maniera effettiva, era un gioco da ragazzi scovarti-

-Non é vero!- possibile che avesse fatto una cosa del genere?

-Se ti fa piacere crederlo- poi senza alzare lo sguardo dallo schermo puntò il divano che stava nell’angolo –ed ora siediti e fai silenzio, mi deconcentri!-

Sasha decise di obbedire, se voleva avere l’aiuto di Jules era meglio seguire le sue regole, e quel divano aveva un aspetto molto comodo.

Certo rimanere a guardare il soffito non era il massimo per contenere il nervosismo che rischia di scoppiare, quindi fù sorpresa quando, con in sottofondo i bip ipnotizzanti dei macchinari si Jules, scivolò nel sonno.

Qualche ora dopo si svegliò di soprassalto, con la pistola in mano puntata dritta in mezzo agli occhi di Jules.

-La prossima volta evita di toccarmi, potrei prima sparare e poi chiedere chi va la!-

-Li hai trovati!-

-No, ma ci sono vicino, le cose si sono complicate ulteriormente nelle ultime ore però-

-Santo cielo che é successo ora?- di certo peggio di così non poteva andare.

-L’agente che era con Etienne ha ripreso conoscenza, apparentemente era una trappola organizzata da Sonia per catturare Etienne-

-Cosa!- apparentemente poteva invece.

-Sonia era la talpa che passava le informazioni, tu, Cleo, le armi batteriche erano tutte fumo negli occhi, apparentemente il bersaglio fin dall’inizio era lui-

-Che cosa vogliono da lui?-

-Presumiamo codici di accesso, ad una particolare sezione del nostro sistema, codici che possiedono solo il responsabile e il suo vice, al momento il nostro responsabile non é disponibile, ed Etienne era un bersaglio migliore-

-E cosa conterrebbe questa sezione particolare?- ma in realtà non voleva saperlo...

-L’ubicazione di alcuni laboratori dove si sviluppano armi particolari e i luoghi dove prototipi e prodotti finiti sono custoditi-

Ecco perché avevano Cleo, la volevano usare come incentivo se Etienne non si decideva a parlare, e lei era stata coinvolta per assiccurarsi che lui andasse a salvare la bionda invece che la ragazza

-Li devi trovare Jules! E in fretta, se riescono a estorcergli quei codici prima che li salviamo, saranno solo dei cadaveri ambulanti!-

Senza ulteriori indugi si rimise al lavoro, era vicino orami a scovare dove si trovavano, era sicuro che ancora non avessero lasciato il paese, non ne avevano il tempo, e il campo di ricerca era ristretto alle zone facilmente raggiungibili dal ponte dove avevano avuto lo scontro.

-Fammi un favore Jules, quando li hai trovati, non dire nulla-

-Ma sei impazzita!- esclamò allibito –potrei essere accusato di tradimento per una cosa del genere lo sai?-

-Mi serve solo un vantaggio di un paio d’ore- gli si avvicinò per poterlo guardare dritto negli occhi –sai di cosa sono capace Jules, posso portarli fuori senza sparare neanche un colpo se ne avessi l’opportunità, non te lo chiederei se non lo ritenessi importante-

L’altro rimase a guardarla a lungo, sapeva che Etienne si fidava di lei, lo portava a limiti di sopportazione estremi, e lo faceva uscire di testa, ma sapeva che nel suo lavoro era fenomenale, forse doveva darle quel vantaggio e poi far arrivare una squadra in tempo per portarli tutti in salvo.

Fù il computer a scegliere per lui, li aveva scovati.

-Sono in una fabbrica abbandonata sulla costa est, tre ore di macchina, ma con quella Ferrari che ti ritrovi ci arrivi in metà tempo- le diede un foglio con i dettagli –di do un’ora, non di più, si tratta del mio migliore amico!-

-Sarà sufficente-

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Capitolo 15
*** I like big asses...... ***


Sasha diede un’ultima occhiata all’edificio tramite il binocolo, munito di sensori per la visione notturna e quelli termici, aveva tutte le informazioni che servivano, l’esatto numero di guardie, la loro postazione, l’ubicasione delle stanze che al momento erano in uso, e quella della stanza dove tenevano i prigionieri. La quale si trovava sul retro dell’edificio, per fortuna al pian terreno, era riuscita ad intravedere Etienne ma non Cleo, sperava solo che stesse bene.

Con gesti sicuri sistemò tutte le armi in modo che non le fossero d’intralcio ma che fossero pronte all’uso e si calò il passamontagna in testa, contava sull’effetto sorpresa, non si aspettavano certo di essere localizzati tanto velocemente, e soprattutto si aspettavano che un’esercito gli andasse dietro, non una sola persona.

Era arrivato il momento di entrare in azione.

Silenziosa come un’ombra si mise a correre tra la folta vegetazione che era cresciuta attorno alla fabbrica, il sole stava per tramontare e le forniva un’ottima copertura, presto sarebbe arrivata la squadra con Jules, doveva fare in fretta.

Evitando le due guardie che stavano di vedetta scivolò dentro la finestra mancante della stanza accanto a quella dove stava Etienne.

Rimase accucciata sul pavimento per qualche secondo in ascolto, cercando di capire se qualcuno l’avesse vista, ma sentiva solo il silenzio della notte e...qualcuno che cantava? Sembrava la voce di Etienne, e sembrava che stesse canticchiando un rap. Qualcosa che suonava come “I like big asses...”

Sempre senza fare rumore si avvicinò alla porta che comunicava quelli che una volta dovevano essere stati degli uffici, sperando che non si fosse bloccata con il tempo, non le andava di dover passare per il corridoi, avrebbero poturo vederla, soprattuto se l’entrata era sorvegliata.

Con cautela cercò di aprirla, era dura ma non eccessivamente danneggiata.

Etienne era seduto su una sedia, con le mani legate dietro la schiena e le caviglie immobbilizzate contro le gambe e stava ancora canticchiando. Notò che aveva un occhio nero e il labbro gonfio da dove colava un rivoletto di sangue rappreso, ma per il resto sembrava stare bene.

E notò con apprensione che di Cleo non c’era traccia nella stanza.

-I like big asses and I cannot lie...all my brothers cannot deny...- finalmente si accorse di non essere più solo –ehilà catwoman!-

-Shh!- gli tappò la bocca con la mano scoprendosi il viso –zitto altrimenti ci scoprono!-

Lo sentì sorridere sotto il palmo, lo prese come un segno che aveva capito.

-Però come sei ingraassata dall’ultima volta che ti ho visto con quel completino!-

-Cosa!- gli bisbigliò offesa.

-Ma non fà nulla, tanto sai che I like big asses and I cannot lie...-

Lei lo guardò in maniera strana, che gli era preso? Gli diede un’occhiata alle pupille, dilatate tutte e due. Etienne era irrimediabilmente fatto, che gli avevano dato?

-Etienne che ti hanno dato?-

-Non lo so, ma mi fa tanto tanto contento!- le disse con un largo sorriso.

Quello complicava leggermente le cose, lui sarebbe stato completamente inutile.

-Etienne ascolta bene- gli prese il viso tra le mani per cercare di catturare la sua attenzione per più di due secondi –gli hai per caso dato i codici di accesso?-

-Si!- rispose tutto allegro –quando scopriranno cosa aprono gli verrà un colpo!-

Non ci voleva, appena avranno ottenuto quello che vogliono lo faranno fuori e così Cleo.

-Spero che muoiano per l’odore!- disse con un’espressione che doveva essere sadica, ma non sortiva l’effetto desiderato –gli ho dato il codice segreto che apre il mio armadietto nella palestra, sono settimene che ci tengo le scarpe senza lavarle!-

Era totalmente andato, ma con ancora un briciolo di coscienza.

-Ora ti libero, ma prometti di stare zitto e buono-

-Si mamma!-

-Dov’é Cleo?- chiese mentre cercava di aprire le manette, non potevano usare della corda!

-Tanto carina la tua amica rossa!- uno strattone violento ai polsi lo fece sussultare –sadica, l’ho sempre detto! Quello che ti ci vuole é una bella sbattuta! Ma tu non sembri interessata, mi chiedo perché-

-Magari é con te che non mi interessa- fatto o non fatto non era il momento di toccare certi argomenti.

-Nha, sono troppo affascinante! Allora? Cos’hai che non va? La cellulite? Non ti fai la ceretta? Le ginocchia storte?-

-Basta così!- le manette si aprirono con uno scatto –sai se c’e una guardia alla porta?-

-Un’energumeno di poche parole e ancora meno pazienza, mi ha preso a pugni solo dopo la seconda volta che l’ho fatto correre qui dentro, dopo di che mi ha completamente ignorato!- il labbro inferiore sporgeva triste –non avevo nulla da fare, che cosa si aspettava!-

-Sei libero, fai finta di non esserlo e vedi di chiamare l’energumeno dentro, dobbiamo andare a cercare Cleo e non ci servono testimoni- con quello scomparve dietro la porta socchiudendola solo in parte.

-Ehi energumeno! La mia amica con le chiappe grandi é venuta a prendermi!-

Nulla.

-Ti avevo avvisato che non gli sono simpatico!-

-Ritenta e questa volta senza distribuire insulti!-

-Non é colpa mia se hai mangiato come un maialino in questi ultimi tempi!-

La porta si saplancò senza preavviso e un’energumeno dall’aspetto poco raccomandabile si avvicinò ad Etienne.

-Ora hai rotto, ti faccio stare zitto una volta per tutte!-

Ma prima che potesse colpirlo, Sasha lo tramortì da dietro con una spranga di ferro.

-Così impari!- gli disse alzandosi, mossa azzardata, perché l’intera stanza prese a girargli attorno.

-Stai bene?- gli chiesse sorreggendolo con un braccio attorno alla vita.

-Gira tutto e ti vedo doppia, ma non mi lamento-

-Riesci a venirmi dietro?-

-Certo per chi mi hai preso!-

-In silenzio!-

-Quello mi verrà un pochino più difficile, qualunque cosa mi abbiano dato, non riesco a stare zitto per più di due minuti alla volta-

Dovevano avergli dato qualche tipo di siero della verità.

-Dobbiamo andare, non ci vorrà molto prima che si accorgano che l’energumeno é sparito-

Una volta nel corridoio cercarono di fare il meno rumore possibile, impresa non facile, visto che Etienne non riusciva a smettere di sghignazzare.

Passarono di fronte ad una porta dalla quale filtrava della luce, dall’esterno non le risultava che ci fosse qualcuno in quella stanza e da dentro non proveniva nessun rumore.

-Rimani qui- gli ordinò estraendo la pistola con il silenziatore.

Riducendo il rumore al minimo spalancò la porta assicurandosi che la stanza fosse vuota.

Lo era, a parte Cleo, che era sul pavimento legata e imbavagliata, e che la guardò con gli occhi sgranati non appena la vide entrare.

-Stai bene?- per fortuna gli idioti avevano usato della corda questa volta.

-Sono quasi morta di paura!- di slancio e con le lacrime agli occhi l’abbracciò –credevo che dopo il fiasco sul ponte non mi avresti più trovato!-

-Donna di poca fede!- tentò di scherzare ricambiando brevemente l’abbraccio –dobbiamo andare, tra poco qui scoppiera il putiferio e non vogliamo ritrovarci nel mezzo-

-Abbiamo compagnia, qualcuno sta venendo dall’altra parte del corridoio!- l’avvertì Etienne dalla porta.

-Maledizione!- dove era la squadra di Jules?

Sentì una voce che conosceva bene.

-Questa volta lo ammazzo! Portate la ragazza, vediamo se gli passa la voglia di scerzare!-

La finestra della stanza dove stavano era stata sbarrata con delle assi, da lì non c’era via di fuga, non gli restava che correre dalla parte opposta e sperare di poter scappare da lì.

-Ascoltare bene, ora li distraggo e voi vi mettete a correre e cercate di uscire da qui, oramai Jules non dovrebbe essere lontano- estrasse due pistole e ne porse una ad Etienne –riesci ad usarla?-

-Certo!- sorridendo tolse la sicura.

-Centrando il bersaglio intendo-

-Come siamo pretenziosi!-

-Lasciamo perdere. Cleo stai ataccata ad Etienne come una sanguisuga e non smettere di correre qualunque cosa accada- da una tasca tolse due granate –appena queste saltano, si inizia a scappare-

-E tu che farai?- le chiese Cleo, che stranamente stava prendendo tutta la faccenda con filosofia.

-Non ti preoccupare vi seguo subito dopo-

-Bene! Perché hai una marea di spiegazioni da darmi!-

-Dopo- se ne usciamo vivi pensò tirando la linguetta e gettando le granate nel corridoio, ora iniziava lo spettacolo.

Si potevano già sentire delle grida, avevano scoperto che il prigioniero non era più dove l’avevano lasciato.

L’eplosione gli fornì la copertura ideale per la fuga, fumo e detriti impedivano la visuale, Etienne e Cleo si misero a correre, mentre Sasha, con una pistola per mano sparava qualche colpo in direzione delle voci, con un pò di fortuna ne avrebbe beccato qualcuno, poi si girò e si mise a correre dietro gli altri due.

Non aveva la più pallida idea di dove portasse quel corridoio, ma sperava che non sarebbero finiti dalla padella nella brace.

Erano finiti nel magazzino della fabbrica dove la copertura in caso di sparatoria era minima, qualche cassa abbandonata e dove vi era un’unica entrata.

-Merda!- Sasha si guardò velocemente attorno, non gli restava che fare lo slalom fra le casse e sperare che dietro la porta dell’ingresso ci fossero i rinforzi.

Si scambiò un’occhiata con Etienne, avrebbero dovuto correre verso la porta cercando di non fare da facile bersaglio, facile più a dirsi visto che avevano Cleo con loro.

Dovevano anche sbrigarsi, passi veloci potevano sentirsi nel corridoio dal quale erano arrivati e le passerrelle in metallo sopra alle loro teste iniziavano a popolarsi di soldati.

Sotto una pioggia di proiettili e cercando di restituire il fuoco si gettarono al riparo dietro uno scatolone di legno, sperando che reggesse.

-Se vogliamo avere una minima possibilità di cavarcela, bisogna far saltare la porta!- gli gridò sopra gli spari-

-E come pensi di fare senza farti ridurre ad un colabrodo?- le possibilità di rimanere in vita si assottigliavano ogni minuto che passava, si erano infilati in un vicolo cieco e sarebbero morti come topi in gabbia, ma avrebbero lottato fino all’ultimo respiro.

-Con questo- da una tasca laterale tirò fuori un panetto grigio che assomigliava tanto ad esplosivo al plastico.

-Tesoro ti adoro!- l’afferrò per il collo e premette brevemente le labbra contro le sue.

-Ti sembra il momento!- ma sotto sotto si era goduta ogni secondo.

-Con te non é mai il momento! Uno impara a prendersi quello che gli capita! Ora vai e fai saltare in aria cose!-

Lasciandogli caricatori e pistole, estrasse la mitraglietta e si mise a correre verso l’ampia porta alla fine del magazzino, cercando di coprirsi le spalle, rischiò quasi di inciampare quando sentì una fitta al fianco, questa volta si era giocata il fegato, se lo sentiva.

Con un salto si nascose dietro un’altra cassa e preparò il suo pacchetto esplosivo, sperava solo che da quella distanza sarebbe scoppiato al momento giusto.

Tirò la linguetta e lanciò tutto contro la porta, il buco che ne venne fuori era troppo piccolo, sarebbero dovuti passare uno alla volta, accidenti!

Dovevano tentare comunque, fece cenno ad Etienne di raggiungerla, mentre con la mitraglietta cercava di coprirgli le spalle, un’altra fitta al braccio la fece sussultare, ma non cercò di non badargli.

-Non ci passeremo tutti insieme, dobbiamo tentare uno alla volta!- le disse non appena l’ebbe raggiunta.

-Lo so- poi vide il sangue che ancora gli usciva dal sopracciglio –ti sei fatto beccare-

-Inconvenienti del mestiere, e poi non lo sai che ne vengono fuori cicatrici molto sexy!- poi come se nulla fosse si rivolse a Cleo –al mio tre ti metti a correre e ti infili in quel buco, capito?-

-E voi due?- chiese preoccupata.

-Ce la caveremo-

-Fai come dice Cleo!- le mise in mano delle chiavi –una volta fuori corri verso sinistra al riparo nei cespugli, fai il giro dell’edificio e raggiungi il viale di ingresso, costeggialo e dopo due km troverai la Ferrari, prendila e scappa a tutta velocità!-

-Ma...-

-Niente ma! Fallo e basta!-

-Uno...due...tre!-

Ma prima che la ragazza potesse muovere un muscolo la porta del magazzino esplose con un boato e furono investiti da una pioggia di schegge di legno, a quanto pareva i rinforzi erano arrivati.

E come i ratti che abbandonano la nave che sta per affondare, non appena si furono resi conto di essere in inferiorità numerica, Sergej e compagni se la diedero a gambe.

Mentre da dietro una linea di soldati in assetto da combattimento sbucava fuori Jules con un ghigno soddisfatto stampato in faccia.

-Il capo e dall’altra parte che aspetta che i ratti escano fuori!-

-Ve la siete presa comoda!- lo sgridò Etienne.

-Non dirlo a me, dillo a wonder woman qui, era ansiosa di venire a salvarti!- poi specificò –da sola-

-Non sai mai quando chiudere quella boccaccia non e vero Jules!- chissa ora cosa andava a pensare quello, con quel cervello rattrappito dalla droga!

-Scusate ma...- li interruppe la vocian sottile di Cleo che si osservava le mani sporche di sangue -...credo di stare per svenire-

Jules la acchiappò al volo prima che si schiantasse per terra.

-Alla rossa non piace il sangue eh?- però la rossa era carina, chissa se l’aveva il ragazzo.

-Deve essere stata colpita- preoccupato le diede un’occhiata al braccio –non é nulla solo un graffietto, sei fortunato, prima che questa mi svenga tra le braccia me le ritrovo avvizzite!-

-Ehi!- protestò la donna in questione, poco ne sapeva lui, che se stava in piedi per altri cinque minuti si sarebbe cimentata pure lei nel primo svenimento della sua vita, il fianco le faceva male, il braccio le pulsava e la testa iniziava a ronzarle per la perdita di sangue.

-Andiamo, l’elicottero ci aspetta, vediamo di sparire prima che compaia la polizia locale, se riusciamo a convincerli con la solita scusa dell’esercitazione siamo a posto, ma é meglio che non vedano civili-

Una volta seduta sull’elicottero accanto ad Etienne, Sasha riuscì a stento a trattenere un sospiro di sollievo, aveva bisogno di un dottore e subito, senza accorgersene posò la testa sulla spalla di lui, cercando di non svenire.

-Che c’é dolcezza, sei in vena di coccole dopo una missione ben riuscita?- chiese con tono provocatorio.

-Non mi sento per niente bene- e gli svenne dritta tra le braccia.

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Capitolo 16
*** che fai...mi muori?! ***


Etienne sedeva in silenzio su una sedia accanto al letto di Sasha, l’unico rumore che gli teneva compagnia era il lento e regolare respiro di lei e i bip delle macchine che monitoravano le sue funzioni vitali.

Non si era ancora svegliata, non appena erano tornati alla base aveva subito un’operazione urgente per rimuovere il proiettile dal braccio e quello dal fianco che per poco non le aveva spappolato il fegato, i medici l’avevano salvata per miracolo

Anche lui era stato fuori combattimento per diverse ore una volta che gli effetti della droga erano scomparsi, ma non appena ritornato in se, si era posizionato al suo fianco e non si era mosso, così come non si era mossa lei.

-Andiamo dolcezza- sussurrò piano –non vorrai tirare le cuoia per così poco-

Senza disturbarla fece scivolare la mano nella sua, era fredda e pallida, sperando di infonderle un pò di calore le strinse piano le dita sfregandole il dorso con il pollice.

Non lo poteva lasciare proprio ora! Avevano ancora tante cose in sospeso da risolvere loro due!

Doveva ancora convincerla che loro due insieme avrebbero fatto scintille, doveva ancora convincerla  a fidarsi di lui, doveva ancora scoprire i suoi segreti, come mai ogni tanto il suo sguardo diventava cupo e pieno di dolore, doveva ancora scoprire un sacco di cose su di lei.

Le dita strette tra le sue ebbero un fremito, speranzoso aspettò che anche le iridi blu facessero la loro comparsa da dietro le palpebre chiuse.

-Ciao dolcezza- la salutò piano.

-Sei ridotto da schifo- gli rispose senza preamboli, con la voce leggermente roca,

-Tu sei ridotta peggio, una vera ciofeca!- puntualizzo sorridendo, al colmo della felicità che si sentisse in vena di insultarlo.

-Cosa é successo?- si ricordava di essere salita sull’elicottero e poi tutto nero.

-Mi sei svenuta dritta tra le braccia!- disse soddisfatto –e dopo sei dovuta andare d’urgenza in sala operatoria, sei viva per miracolo, per poco non ti giocavi il fegato-

-Ha! Lo sapevo!- ecco perché era tutta un dolore –Cleo?-

-Sta bene, si é fatta solo un graffietto, e credo che Jules le stia tenendo compagnia, sembra piuttosto affascinato-

-Se se la porta a letto e non la chiama digli che lo faccio finire in un coro di voci bianche!-

-Riferirò-

-Sergej?- volle sapere.

-Ho paura che sia riuscito a scapparci- vide il lampo di rabbia che le passò nello sguardo –credimi il sentimento é reciproco. Sonia é rimasta uccisa nella fuga, ci crederesti che quei due erano fratello e sorella! Lei lo credeva morto per mano degli agenti inglesi, per quello si é infiltrata nelle nostre file, per scoprire il colpevole, ma quando lui é ricomparso ha sfruttato la sua posizione in diverso modo-

-Mi auguro che Jules riesca a rintracciarlo al più presto, appena lo trova lo faccio secco! Il piccolo topo di fogna!-

-Pensa a resuscitare dai morti prima- possibile che quella ragazza non pensasse ad altro!

-Credo che mi farò un pisolino allora, tu fai quello che ti pare- e con quello chiuse gli occhi, dandosi della stupida, proprio non ci riusciva a non trattarlo come uno zerbino?

Era rimasta sorpresa nel vederlo seduto accanto al suo letto, per quanto era rimasto lì? Voleva dire che gli importava ancora qualcosa o che si sentiva solo in colpa perché era rimasta ferita cercando di salvarlo?

E qualunque fosse il motivo le importava davvero?

Etienne sospirò sconfitto, a quanto pareva era stato appena dismesso e invitato ad andarsene, accidenti a lei!

Si stava alzando per andar via, quando la stretta attorno alle sue dita si accentuò, stupito la guardò in viso.

-Rimani- gli bisbigliò così piano che lui credette di non aver capito bene.

Stando attento a non farle male le si sdraiò accanto avvolgendola in un caldo abbraccio.

-Testona- le disse baciandola piano sulla fronte –non lo sai che basta chiedere-

Oramai dovrebbe aver imparato che tutte le sue arie da spaccona nascondevano ben altro.

Lei non disse nulla, non aveva nulla da dire, un nodo le si era formato in gola, stava risentendo di tutte le emozioni estreme provate nelle ultime ore, il terrore per il rapimento di Cleo, loro due ai ferri corti, il salvataggio sul filo del rasoio, il sollievo nel vederlo ancora tutto d’un pezzo, non era brava con le parole, non lo era mai stata, quindi decise di non rovinare quel fragile momento di tregua tra loro e di rimanere in silenzio, affondando il viso nella sua spalla e godendo della sua vicinanza.

Arrivavano certi momenti nella vita dove l’unica cosa di cui hai bisogno é il calore di una persona amica.

Nessuno dei due notò la porta della stanza che si chiudeva silenziosamente.

Cleo rimase a lungo a fissare l’uscio chiuso, voleva sapere come stava Sasha, ma non voleva interrompere quello che sembrava un momento intimo fra innamorati, un’attimo quei due si odiavano e quello dopo erano abbracciati in un letto, valli a capire.

-Che ci fai fuori dal letto ricciolina?-

Lei si girò di scatto con un sussulto, era stata talmente assorta che non l’aveva sentito avvicinarsi.

-Ciao Jules, volevo vedere come stava Sasha, ma non é il momento adatto- ammise a malincuore.

-Con la vampira? Vallo a trovare un momento adatto!- all’espressione confusa della ragazza scosse il capo divertito –lascia perdere, é una storia lunga-

-Questo posto sembra pieno di storie lunghe, ma nessuno che voglia raccontarle, perché non inizi con il dirmi cosa succede tra quei due-

-Perché non ne ho la più pallida idea- dall’espressione di lei capì che non se la sarebbe cavata con così poco –diciamo che Etienne non é abituato ad essere attratto da donne che non se lo filano di striscio, almeno in apparenza e la tua amica non sa cosa vuol dire cedere ai compromessi, non so esattamente cosa sia successo tra di loro, ma ogni volta che si trovano nella stessa stanza volano scintille. Ti basta?-

-Per il momento-

-Ora tornatene a letto- girandola verso la sua porta le diede una leggera spintarella, anche perché la vista da quella angolazione era niente male.

-Veramente il dottore ha detto che me ne posso andare quando voglio- gli disse rientrando nella sua stanza e gettandosi sul letto.

-Va tutto bene?- un pò era preoccupato per lei, quello che le era capitato negli ultimi giorni andava fuori ogni schema, e anche se non si era abbandonata ad isterismi, non voleva dire che non fosse scossa.

-Vuoi sapere come mai non mi sono abbandonata a scene madre di isteria dopo aver scoperto che la mia socia, non che amica é una spia, il suo quasi fidanzato é una spia, gli amici del suo quasi fidanzato sono tutte spie, dopo essere stata rapita da terroristi russi fuori di testa e agenti traditori? Mha, come dice mia mamma “quello che non ti uccide ti rende più forte” no? O ti fa ingrassare? Non mi ricordo con esattezza! E poi lo choc non é ancora passato, richiedimelo domani- non fece una piega quando lo sentì ridere, messa così la situazione sembrava quasi assurda –credo che in fondo lo sospettassi, Sasha é parecchio strana per essere normale, doveva per forza nascondere qualcosa-

Jules decise di sorvolare sul fatto che tecnicamente Sasha era una mercenaria a pagamento, stava dalla parte di chi aveva più soldi, ma forse quello era meglio non dirlo a Cleo.

-Una volta mentre tornavamo a casa completamente andate alle prime luci del mattino, siamo state accostate da un tizio losco, che se l’é data a gambe cinque minuti dopo, Sasha l’aveva pestato per bene, e mi aveva detto che aveva fatto un corso di autodifesa- si alzò dal letto e prese i vestiti che erano stati lavati e asciugati, ma che avevano visto tempi migliori, li avrebbe buttati una volta a casa –forse é meglio che mi prepari e me ne vada-

-Vuoi che ti accompagni a casa?-

-Lo faresti davvero?- chiese guardandolo con gratitudine.

-È il minimo- per quello sguardo solo sarebbe andato dietro a Sergej disarmato! E poi doveva aproffittare dell’aura da salvatore che lo circondava al momento.

-Grazie, non mi va di tornarci da sola- gli disse sorridendo.

Jules era completamente andato.

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Capitolo 17
*** Passeggiata lungo il fiume. ***


Sasha guardava con aria distratta il traffico che scorreva lento sotto la finestra del suo appartamento, la giornata grigia si adattava perfettamente all’umore tetro in cui era piombata negli ultimi giorni.

Il dottore l’aveva spedita a casa dopo due settimane di degenza che avevano rischiato di farla impazzire, prescrivendole assoluto riposo. Aveva una avversione mortale per gli ospedali, tutta quella inattività ti costringeva a pensare e pensare non era una buona cosa, ti portava a fare delle conclusioni e a prendere decisioni.

E lei di decisioni ne aveva prese parecchie mentre era impegnata a fissare il soffito, non era convinta che fossero quelle giuste, ma una situazione come quella appena passata non doveva ripetersi.

Una riguardava l’allontanarsi definitivamente dalla sua socia, era meglio inscenare un’altra morte e tagliare tutti i legami, e poi c’era Etienne.

Le cose quando si trattanevano di lui si complicavano inevitabilmente, sarebbe stato un pò più difficile sparire senza che lui iniziasse a cercarla in ogni angolo sperduto del mondo, con la perseveranza di un segugio.

Con un sospiro prese la busta gialla da sopra il divano e si infilò la giacca, doveva andare a parlare con Cleo, avevano rimandato troppo a lungo una discussione faccia a faccia mentre era ancora in ospedale, ma ora non poteva più, presto Jules sarebbe riuscito a localizzare Sergej e lei aveva tutte le intenzioni di unirsi ad Etienne per la caccia.

La trovò alla sua scrivania intenta a disegnare svogliatamente un nuovo modello, dalle pallottole di carta sparse in giro, deduceva che non stava avendo molto successo.

Sembrava essersi ripresa bene, a parte i segni ancora evidenti lasciati dalle corde sui polsi, avrebbero impiegato diverso tempo a sparire completamente.

-Ciao Cleo-

L’interessata per poco non cadde dallo sgabbello.

-Mi hai fatto prendere un infarto! Che bisogno hai di strisciarmi alla spalle così!-

-Tecnicamente, non ti sono striasciata alle spalle, e poi la campanella che abbiamo sulla porta fa un rumore del diavolo, eri talmente assorta che non avresti sentito un’orda di barbari che ti passava acccanto-

-Cavilli!- il fatto era che ultimamente sembrava essere sempre nervosa, lei e Sasha aveva diverse cose da discutere, ma l’argomento non era mai stato toccato nelle poche volte in cui era andata a trovarla.

-Dobbiamo parlare Cleo, verresti un attimo nel mio ufficio-

Una volta dentro chiuse la porta.

-Quando parti?- le chiese sedendosi sulla poltroncina per gli ospiti.

-Cosa ti fa credere che stia per partire?- non si sedette dietro la scrivania ma sul ripiano davanti all’altra ragazza, quelle che doveva darle non erano buone notizie.

-Quando hai quella luce negli occhi e inizi con “dobbiamo parlare”, vuol dire che devi sparire per settimane-

Troppo dannatamente perspicace la ragazza!

-Jules non é ancora riuscito a produrre risultati quindi per il momento non si va da nessuna parte- anche perché le veniva il fiatone solo all’idea di doversi alzare dal letto, figuriamoci correre dietro ad un terrorista –volevo solo che avessi questa-

-Di che si tratta?- chiese aprendo la busta gialla che le aveva dato.

-La cessione della mia parte della nostra società, se dovesse succedermi qualcosa passa tutto a te-

-Oh...- sorpresa lesse brevemente i fogli, sembrava tutto in regola ed estremamente formale –questo Sergej deve essere davvero un avversario temibile-

-Una spina nel fianco nulla più- rispose con una scrollatina di spalle, non aveva voglia di parlare di quel parassita.

-Allora come mai mi dai questi documenti proprio ora?- chiese sospetta guardandola con attenzione.

-Solo una precauzione, avrei dovuto farlo tempo fa-

-Solo una precauzione eh....- ripeté distratta tornando a guardare i fogli erano tre anni che lavoravano assieme e lei sentiva il bisogno di prendere questa “precauzione proprio ora, strano –quanto tempo pensi di dover stare via?-

-Difficile dirlo, tutto dipende da dove il ratto é andato a nascondersi...- calò il silenzio tra loro, forse era meglio smettere di girare intorno all’argomento –Cleo...mi dispiace per quello che é successo, non sarebbe mai dovuto accadere-

-Jules dice che sono gli inconvenienti del mestiere, ed é per quello che risulta molto difficile avere una vita privata-

-Jules ha ragione, ma ti assicuro che non accadrà più- aveva iniziato a prendere le precauzioni necessarie –inoltre, gradirei che non ne facessi parola con nessuno-

-Anche Jules mi ha chiesto la stessa cosa, particolare scontata direi, chi vuoi che mi creda? Rischio di ritrovarmi con in mano una bella ricetta per il prozac- le spiegò mezza divertita.

-Dì un pò, ma con quanta frequenza vedi Jules?- che stesse davvero nascendo del tenero tra i due, o la sindrome del salvatore aveva messo radici?

-Oh bhé...- stava per dire “non tanto spesso quanto vorrei” ma si trattenne, chissà perché ma non era sicura la socia avrebbe approvato –abbastanza spesso, é stato molto gentile con me e poi é tanto carino-

-Dovresti stargli alla larga, ormai dovresti sapere che non é salutare stare vicino a tipi come noi- ci mancava solo che ora la collegassero a Jules oltre che a lei.

-Tanto il danno é fatto, perché non aproffittare della situazione- Jules le piaceva davvero, con quell’aria da scienziato pazzo e un senso dell’umorismo niente male –così invece di una mi ritrovo con due guardie del corpo! Che vuoi che mi capiti!-

Cleo aveva cercato di fare una battuta ma vide che Sasha non era affatto divertita.

-Non capisco il perché di tutta questa agitazione, se non é un problema per me, perché lo deve essere per voi!- sbotto scocciata, per chi l’avevano presa!

-È questo il problema Cleo, non capisci- possibile che trovasse tutta la situazione eccitante invece che preoccupante? –il tipo di gente come quel russo é all’ordine del giorno per noi, non c’é nulla di emozionante in quello che facciamo solo pericolo...-

-Non sono una bambina Sasha! Non c’é bisogno che mi si debba insegnare la differenza tra bene e male, se decido di continuare a frequentare sia te che Jules, sono affari miei!-

-È qui che ti sbagli...- si bloccò prima di dire cose che Cleo non dovrebbe sapere.

-Cosa vuoi dire? Non mi puoi impedire di vedere Jules se mi va...- ma l’epressione chiusa di lei non prometteva nulla di buono –ma non é di lui che stiamo parlando, non é vero?-

-Non so di che diavolo parli-

-Che cosa stai tramando Sasha?- chiese con un brutto presentimento.

-Assolutamente nulla, ora se non ti spiace, me ne vado a casa a riposare- e senza aggiungere altro lasciò l’ufficio chiudendo piano la porta.

Cleo le avrebbe volentieri tiranto il ferma carte in testa! Che modo di finire le discussioni! Praticamente era scappata, voltando le spalle ad una confrontazione in piena regola, da cosa stava scappando? Con aria assente tornò a guardare la busta, era sempre più convinta che quei documenti non fossero solo una precauzione, sembrava quasi che...sembrava quasi che la sua socia si stesse preparando a scomparire.

Etienne rimase immobile davanti alla porta di Sasha indeciso se bussare o meno.

Era andato li con il desiderio di vederla, di verificare come stava, e se stava seguendo i consigli del medico, ed anche perché aveva avuto una strana conversazione con Jules. A quanto pareva Cleo era preoccupata per la sua socia, si stava comportando in maniera strana ed era sicura che stesse per combinare qualcosa che non sarebbe piaciuto a nessuno di loro. Quindi lo aveva mandato in missione da Etienne.

E lui per mascherare il tutto le aveva portato un’offerta di pace, le chiavi erano in tasca, non gli restava che bussare.

Quando Sasha sentì il campanello ebbe un sussulto, sdraiata sul divano, era stata così immersa nei propri pensieri che l’interruzione le aveva fatto prendere un colpo, chi poteva essere? Non aveva proprio voglia di vedere nessuno.

Con il morale a terra e un’espressione poco allegra aprì comunque e rimase sorpresa nel vedere Etienne fermo nel corridoio, non lo vedeva da quando aveva lasciato l’ospedale.

Il ricordo del loro tenero abbraccio impresso in maniera indelebile nella mente.

-Etienne...-

-Ciao dolcezza- la salutà sorridendo, almeno non gli aveva sbattuto la porta in faccia –ti ho portato una cosa-

-Davvero?- incuriosita lo fece entrare chiudendo la porta, segretamente contenta che avesse ripreso a chiamarla “dolcezza”.

-Tieni- dalla tasca tolse le chiavi.

-Le chiavi della mia Ferrari?- le aveva credute perse, anche se ne aveva un’altro mazzo, inoltre non aveva fatto ancora in tempo ad andare a riprendersela.

-È parcheggiata nel garage del palazzo, sono andato a riprendertela- come era carina quella sera, gli occhi luminosi e i morbidi capelli che le incorniciavano il viso delicato, anche se ancora un pò pallida.

Era andato a riprenderle la macchina e gliel’aveva riportata sin sulla porta di casa? Tra tutti i gesti carini che avrebbe potuto rivolgerle quello era forse il più dolce.

-Grazie- non sarebbe riuscita a fermare il sorriso caldo e compiaciuto che le era salito sulle labbra, neanche se ne andava di mezzo la sua vita.

Icoraggiato dal successo appena avuto Etienne decise di sfidare ulteriormente la sorte.

-Oggi fanno i fuochi d’artificio sul Tamigi vicino a Waterloo Bridge, ti va di andare a dare un’occhiata?-

Lo guardò perplessa e confusa, che ci doveva fare con lui? In ospedale si era ripromessa di stargli alla larga, ma averlo di fronte con quell’aria sexy ed uno dei suoi meravigliosi maglioni a collo alto che la facevano impazzire, mandava tutto a monte, come resistergli? E poi le aveva portato la Ferrari, non poteva trattarlo a pesci in faccia dopo qualcosa di così gentile.

-Perché no, tanto non ho nulla da fare- si infilò il cappotto e lo seguì fuori dalla porta.

L’appartamento di Sasha era nella zona di Pimlico, quindi prendendo un bus, in una ventina di minuti arrivarono in una delle zone a più elevata densità turistica di Londra, quella attorno al parlamento.

Camminando in silenzio l’uno accanto all’atro si diressero lungo il fiume verso il London Eye. Faceva un freddo terribile ma come al solito nessuno sembrava badarci, visto come erano gremiti i marciapiedi.

Pensieroso Etienne si fermò sotto la ruota gigante che si muoveva lenta.

-Che succede?-

-Aspetta qui- rispose semplicemente sparendo tra la folla.

Quindici minuti dopo lo vide tornare tutto sorridente e prenderla per mano per mettersi in fila.

-Ma sei serio?- gli chiese sconcertata.

-Assolutamente, lo spettacolo da là sopra sarà sensazionale!- l’ispirazione gli era venuta all’improvviso, la vista delle luci di Londra da quell’altezza doveva essere da togliere il fiato, e poi quella sera era in vena di romanticherie.

Dopo una fila interminabile, saltarono al volo in una delle capsule e si prepararono a godersi lo spettacolo, se tutto andava bene avrebbero visto anche i fuochi pirotecnici da lì sopra.

-È buffo sai, ma ho vissuta a Londra per tre anni e non mi é mai neanche passato per la testa di salire su questo affare- ammise sorpresa con lo sguardo perso nelle acque scure del fiume.

-Certe cose é meglio farle in compagnia-con un dito le sfiorò il braccio che era stato ferito –come ti senti?-

-Mi sto riprendendo, il braccio non fa più male, ma il fianco non smetterà di darmi fastidio per parecchio-

Notò che erano quasi arrivati in cima e d’impulso le disse:

–Chiudi gli occhi-

-Cosa?-

-Accontentami chiudi gli occhi- la incitò.

Decise di assecondarlo, non sapendo neanche lei il perché, forse quella sera non aveva voglia di litigare e di mettere in discussione ogni minima cosa. Era piombata in un umore strano e atipico per lei.

Trattenne il respiro quando lo sentì muoversi alle sue spalle e circondarle la vita con tutte e due le braccia, avvolgendola con il calore del suo corpo, avrebbe dovuto dire qualcosa, intimargli di spostarsi....ma che diavolo! Stava benissimo così!

-Aprili ora- le sussurò piano all’orecchio.

E quando lo fece li sgranò dalla sorpresa.

Ai suoi piedi era distesa la città illuminata a giorno da luci multicolori, i riflettori puntati sul Big Ben lo facevano brillare di diverse sfumature dorate, affianco l’Abazia di Westminster sembrava essere avvolta da un’aura di mistero e micistimo, i lampioni illuminavano i margini del fiume delimitanto la sua serpentina, se sapevi dove guardare in lontananza riuscivi addirittura ad intravedere il cupolone della cattedrale di St. Paul.

Quelle strade che di giorno erano solo gremite di gente e di traffico caotico ora sembrava permeate di magia, non si sarebbe mai aspettata nulla di simile.

-È meraviglioso...- bisbigliò incantata, intrecciando le dita con le sue senza rendersene conto.

-Speravo che ti sarebbe piaciuto-

Con un sorriso soddisfatto se la strinse ancora più vicina con fare casuale, meglio non attirare troppo l’attenzione verso atteggiamenti sospetti, visto che la ragazza aveva deciso di collaborare sull’andamento della serata.

Lei sembrava talmente rilassata e contenta che non voleva rischiare di spezzare l’incanto e portare a galla l’acida con la lingua affilata, stasera aveva voglia di starsene tranquillo e magari scambiare qualche effussione con la moretta che se ne stava silenziosa tra le sue braccia.

Sasha chiuse gli occhi con un sospiro, come era possibile che ancora non gli avesse staccato la testa a morsi? Non doveva sentirsi bene, non aveva un briciolo di furia combattiva stasera, se la vicinanza di una ragazzo belloccio...belloccio? ma chi voleva prendere in giro, Etienne trasudava virilità da ogni poro, era per quello che rientrava nella categoria degli estremamente pericolosi.

Sentiva la sua vicinanza con ogni centimetro di pelle, neppure si ricordava l’ultima volta in cui aveva provato nulla di simile, e se solo per questa volta si lasciasse trasportare dal momento?

In quel momento un botto soffocato ruppe il sommesso vociare all’interno della capusula e furono innondati dai colori,  i fuochi d’artificio erano iniziati.

-Hai freddo?- l’aveva sentita tremare, e non voleva che abusasse delle poche forze appena riaquistate –forse é meglio che ti riporto a casa, hai bisogno di riposare-

-Va bene- non le riuscì di dire altro, magari poteva invitarlo a tenerle compagnia per un pò, si era appena resa conto che non le andava di stare da sola quella sera.

Per tornare a casa presero un taxi, non piaceva a nessuno dei due l’idea di stare ad aspettare al freddo l’arrivo dei mezzi pubblici.

Il silenzio tra loro stava lentamente cambiano, man mano che si avvicinavano all’appartamento di lei, che fare?

Etienne non aveva voglia di lasciarla, ma a seconda di come andava la serata era possibile che si sarebbe ritrovato preso a calci e buttato per strada, d’altra parte, poteva anche prepararsi per colpire molto basso, visto che apparentemente tutte le difese erano state disattivate.

Sasha continuava imperterrita a guardare fuori dal finestrino, acutamente consapevole dell’uomo seduto accanto a lei sul sedile, il suo calore, il suo odore, il modo casuale con cui la sua coscia solida strusciava contro la sua.

Chiuse gli occhi colta improvvisamente dal panico, non voleva che le restasse vicino, ma ne aveva anche abbastanza di restare sola, che fare?

Ben presto si ritrovarono faccia a faccia sotto il palazzo di lei.

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Capitolo 18
*** Niente piu' pazienza. ***


-Grazie per la passeggiata- banale ma era un inizio –é stato carino-

-Il piacere é stato tutto mio- scambiarsi banalità era l’ultimo dei suoi pensieri, ma con il ricordo di quello accaduto a Venezia non era sicuro se il metodo “o la va o la spacca” avrebbe funzionato. Ma d’altra parte, la serata era stata un pò particolare, e il fatto che avesse ancora tutte le sue appendici attacate prometteva bene.

-Forse é meglio che vai a casa, fa un freddo terribile, ti congelerai- ma che diceva! E anche con quel tono preoccupato! E se lui la prendeva davvero sul serio e la piantava li come una fessa?

-Credo che riuscirò a sopravvivere al principio di assideramento- quanto era zuccona quella ragazza! Lui moriva dalla voglia di baciarla e lei invece continuava con le banalità! Rimasero per qualche minuto a guardarsi in faccia in silenzio, non sicuri su cosa dire.

Va bene, piano d’azione B, visto che la pazienza non ci porta da nessuna parte, attacca e non darle il tempo di pensare!

Lentamente, in modo da darle il tempo di protestare, voleva tentare ma non morire provando, le fece scivolare una mano dietro il collo posando le labbra sulle sue, lei si era irrigidita ma non gli aveva ancora sparato, buon segno.

Decise allora di trasformare quel bacio in qualcosa di più intimo, accarezzandola con la lingua e invitandola schiudere le labbra.

Sasha non si fece ripetere l’invito, e ben presto quel primo bacio casto diventò qualcosa di rovente, gli si fece più vicina per aderire meglio al suo corpo nonostante lo spesso cappotto di lana, lasciando che i suoi sensi venissero sommersi dal suo sapore, dal suo calore, dal suo respiro che sapeva di menta.

Lo stava baciando di nuovo, si stava facendo trsportare nuovamente dalle circostanze, come le era accaduto a Venezia, ma ora non era sicura di avere la forza di mandarlo via o di trovare una scusante per fargli una scenata. Perché no? Si chiese, perché non lasciarsi trasportare sempre più in alto, entrambi sapevano che non c’era nessun futuro per loro, allora perché non godersi il presente?

Con un sospiro di resa gli fece scivolare le braccia attorno al collo, aggrppandosi a lui come se fosse un salva vita, e sentendo la sua mano che le accarezzava lenta la schiena.

“Salve ti ricordi di me!” squillò la vocina stronza che appariva nei momenti meno opportuni e armata fino ai denti.

“Andiamo lo sai che stai facendo uno sbaglio madornale, non costringermi a tirare fuori le armi pesanti”

Sasha chiuse gli occhi ignorandola e approfondendo ancora di più il bacio con Etienne.

“Non me ne vado tanto facilmente. Cosa ne é stato del proposito di continuare la nostra vita, senza un uomo tra le scatole eh? O senza nessuno se é per quello! Forza, non iniziare qualcosa che tanto non porterà a nulla”

Ci furono due minuti di meraviglioso silenzio nellla sua testa, destinato a non durare naturalmente.

“Da quale parte credi che scapperà il tuo attraente incantatore una volta che avrà scoperto tutti i tuoi sporchi segreti?”

Sconvolta Sasha si staccò da lui senza avere neanche il coraggio di guardarlo in faccia o di fornirgli una qualunque spiegazione.

-Lascia perdere Etienne- gli disse invece con il fiato corto –é meglio se mi stai lontano!-

-Cosa!- ma era ammattita –Dio Sasha! Ma che ti prende! Un minuto ti stai sciogliendo tra le mie braccia e quello dopo sei fredda come il ghiaccio e mi dici di starti alla larga! Me la vuoi dare una spiegazione!-

-Non ti devo nessuna spiegazione!- gli disse fredda, ma con un groppo in gola che le stava rendendo difficile respirare, lei non piangeva e non avrebbe di certo iniziato ora –dammi retta e stammi alla larga-

Prima che il povero ragazzo potesse riprendersi dallo choc lei aveva aperto il portone d’ingresso ed era sparita dentro l’androne buio, correndo verso il suo appartamento come se un branco di lupi selvaggi le fosse alle calcagna.

Tremando si ranicchiò sul divano abbracciandosi le ginocchia.

Cosa aveva combinato anche questa volta? Etienne non si meritava di essere trattato a quel modo.

Desolata chiuse gli occhi cercando di calmare il battito irregolare del cuore, avrebbe mai smesso di avere paura e di diffidare sempre del prossimo? Anche quando l’altra persona non aveva fatto altro che dimostrare di essere degna di fiducia.

La vocina stronza si ritirava sempre in buon ordine a questo punto, lasciandola ad affogare nell’autocommiserazione e a chiedersi per quale motivo non fosse sul letto, in camera sua, ad esplorare nuove posizioni insieme all’uomo che aveva appena piantato al freddo e al gelo sotto casa.

Sasha non seppe per quanto tempo rimase ranicchiata sul divano insensibile a quello che le stava attorno, ma ad un certo punto fù bruscamente riportata alla realtà da un violento bussare alla porta.

Decise di ignorarlo, non era in casa.

Ma il bussare si fece ancora più rumoroso, un’altro paio di colpi e la porta sarebbe volata dai cardini.

Lentamente prese la pistola, non si sapeva mai, e vi si avvicinò.

-Metti via quella pistola e apri questa stramaledetta porta!- tuonò Etienne dall’altro lato.

Sasha sbiancò e la pistola le cadde di mano, finendo con un tonfo sul pavimento. Cosa ci faceva lui di nuovo lì?

-Aprimi o ti butto giù la porta a spallate!-

Raccogliendo quel poco di coraggio che le era riamasto gli aprì, anche perché stava facendo tanto di quel baccano che presto avrebbe fatto accorrere tutto il piano.

Lui entrò senza guardarla e si bloccò vicino al divano passandosi una mano prima sul viso e poi tra i capelli, un gesto che aveva compiuto spesso nelle ultime ore visto il loro stato.

-Ho passato l’ultima ora a vagare per i vicoli bui di questo quartiere, cercando una spiegazione logica a questo tuo comportamento ma credimi,- allora si voltò a guardarla, lei non si era mossa dalla porta e sembrava aver appena visto un fantasma –non sono riuscito a venir fuori con nulla di plausibile!-

Era sconvolto pensò lei, gli occhi gli brillavano di furia, ma di quella che in genere nasceva dal dolore, lei l’aveva sperimentata spesso per non riconoscerla in altri, quella sera l’aveva ferito con il suo rifiuto.

-Perché sei tornato qui Etienne?- gli chiese piano.

-Perché!- ripeté quasi gridando –perché devo sapere la verità dannazione! Calda, fredda, calda, fredda, é un gioco che non mi va più Sasha, le cose si chiariscono qui una volta per tutte, stasera!-

Lei deglutì a vuoto e si preparò alla battaglia, quanto le sarebbe stato difficile convincerlo di non provare la minima attrazzione per lui? Dirgli la verità era fuori questione, anche perché dopo tutto questo tempo i contorni di tutta la sua situazione erano diventati incredibilmente sfumati.

-Dimmelo una volta per tutte! Sei lesbica?-

Presa in contro piede Sasha non poté fare altro che guardarlo sbattendo ripetutamente le palpebre.

-No- sbottò, rendendosi conto solo dopo di aver appena gettato al vento un’ottima scusante.

-Ermafrodita?-

-No-

-Eri per caso un uomo prima?-

-No-

-Sei frigida?-

-No-

-Non sarai di quelle a cui piacciono i sedicenni mi auguro!-

-Ma la vuoi smettere!- vagabondare per i vicoli di Pimlico con la sola compagnia del suo cervello gli aveva decisamente fatto male.

-E allora maledizione dove lo tieni!-

Sasha lo guardò scomparire nella sua camera da letto a bocca aperta, era uscito fuori di testa.

Quando lo raggiunse vide che le stava meticolosamente svuotando i casseti, gettando per aria tutto il loro contenuto.

-Cosa diavolo stai cambinando?- ora iniziava a scaldarsi.

-Voglio sapere dove lo tieni!-

-Ma di che parli!- con orrore vide tutta la sua biancheria intima volare sul pavimento.

-Voglio sapere dove tieni quel maledetto vibratore che ti piace più della cosa vera! Perché credimi, quella é l’unica spiegazione che sono riuscito a trovare che avesse un pò di senso!-

Se la situazione non fosse seria gli avrebbe riso in faccia tanto era assurdo, mio Dio cosa gli aveva fatto? Possibile che la frustrazione sessuale lo avesse ridotto a questi livelli?

Prima che arrivasse all’armadio e iniziasse a portare devastazione anche lì, decise che era arrivato il momento di intervenire e con una mossa fulminea gli fece perdere l’equilibrio scaraventandolo sul letto e piazzandosi a cavalcioni sul suo addome.

-La vuoi smettere e ti calmi- gli disse incrociando le braccia e guardandolo seria.

-Calmarmi!- l’afferrò per le spalle e la scosse con delicatezza –mi stai facendo diventare matto! Ho tutto il diritto di essere furibondo!-

-Se mi avessi dato retta e mi avessi lasciato perdere non saresti in queste condizioni- gli disse cercando di essere ragionevole, non era il caso di arruffargli ulteriormente il pelo.

-Ha! Che colpa ne ho se sono uno stronzo masochista, irrimediabilmente attratto da una che a mala pena mi fa avvicinare alla porta di casa, figuriamoci ad un letto!-

-Siamo in un letto, fino a prova contraria- era così carino che non riuscì a trattenersi dal prenderlo in giro.

-Bella botta di culo!-

-Hai mai pensato che magari...- deglutì a vuoto –il gioco non vale la candela?-

-Inizio a pensare di no, ma non lo sapremo mai con certezza vero?- la provocò con un sopracciglio alzato.

Sbagliava o la sua vanità femminile aveva appena ricevuto un’insulto?

-Ma davvero- cambiando espressione gli si avvicinò posando i palmi delle mani sul letto ai lati delle sue spalle –stai cercando di provocarmi per caso Etienne?-

-Sta funzionando?- chiese guardingo, questo era uno sviluppo della situazione che non aveva previsto.

-Forse- con labbra leggere come ali di farfalla lo baciò sulla bocca, per poi scivolare sulla mascella liscia rasata di fresco fino ad arrivare alla zona sensibile vicino all’orecchio.

-Se credi che basti così poco, caschi male- con fare petulante incrociò le braccia sul petto –ha mal di testa!-

Lei non poté fare a meno di ridere.

-Poverino, dove ti fa male, qui?- chiese baciandogli la fronte –qui?- gli  baciò una tempia –qui?- le sue labbra si posarono sullo zigomo.

Etienne l’afferrò per la vita facendola rotolare in modo da invertire le loro posizioni e la baciò, quasi con violenza, un uomo aveva dei limiti di sopportazione e lui aveva appena raggiunto i suoi.

-Il tempo dei giochi é finito Sasha- le disse con il fiato corto e guardandola dritta negli occhi azzurri che avevano iniziato a brillare di desiderio –hai passato mesi a scappare e a tenermi a distanza, a Venezia ti sei inventata una scusa per poter fare una scenata megistrale, voglio sapere perché! Ormai sono a corto di idee e di pazienza-

-Cosa ti fa credere che...- ma si bloccò, dall’espressione dei suoi profondi occhi neri capì che non si sarebbe accontentato di nulla che non fosse la verità.

Era serio questa volta, a seconda della sua risposta lui sarebbe sparito e non l’avrebbe più cercata, definitivamente, non ci sarebbero stati altri cambi di programma. Ma alla fine, non era questo che voleva, che lui sparisse e la lasciasse in pace?

L’idea di non vederlò più non le piaceva per niente, le faceva strane cose alle valvole del cuore, non le restavano che le mezze verità.

Etienne aspettò paziente che lei si decidesse a parlare, con il cuore che batteva ad un ritmo forsennato, se quello che sentiva stasera non gli piaceva, possedeva davvero il coraggio di girare di spalle e andarsene? Molto probabilmente si, non aveva senso stare dove non si era voluti o sperare in qualcosa che era morto in partenza.

-Il fatto é che...io non...- con un sospiro chiuse gli occhi e ritentò, non era facile ammettere le proprie debolezze, non per lei almeno –non sono molto brava con le relazioni interpersonali...per necessità ho imparato a tenere il prossimo a distanza e a non fidarmi di nessuno, ed ora mi viene spontaneo come respirare. Anche con Cleo é la stessa cosa, cerco di non starle troppo attorno e di mantenere il rapporto ad un livello superficiale, per evitare di ...di...-

-Affezionarti?- finì per lei, aveva notato quanto le stava costando l’ammissione e la capiva.

Faceva da troppo tempo lo stesso lavoro per non sapere quanto ne risentissero i rapporti personali e come certe cose cambiassero il tuo atteggiamento verso il mondo, vedevi ombre anche dove c’era il sole.

-Già...come vedi non vale la pena essere coinvolti con un tipo come me, porto solo guai- voleva essere un avvertimento per lui e un’ammonizione per se stessa, era inutile sperare nell’impossibile, la sua vita non sarebbe cambiata da quello che era.

-Ma davvero- disse pensieroso, convinto che sotto ci fosse dell’altro ma restio ad approffondire, aveva ottenuto parecchio quella sera potevano iniziare a costruire da li.

Prima doveva convincerla a rettifficare l’assurda convinzione che era meglio stare da soli.

 

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Capitolo 19
*** E se il cielo stesse per cadere? ***


-Etienne per favore, cerca di ragionare, se...-

Non finì mai la frase, lui l’aveva zittita con le sue labbra, accarezzandole in maniera suggestiva l’interno della bocca con la lingua e incitandola a rispondere.

-Ci sono quelle occasione mia cara- le disse intercalando ogni parola con breve bacio –in cui parli troppo-

-Etienne- sospirò piano, non certa se stava sospirando di piacere o di rassegnazione.

-Perché non ne parliamo domattina a colazione?- deliberatamente spostò le labbra sul suo collo, risalendo fino all’orecchio e iniziando a mordicchiarlo.

-A colazione?- chiese tremando per il subdolo assalto –no, no, no, tu ora te ne vai- ma non c’era un briciolo di convinzione nella sua voce.

-Va bene- la sua mano ne aproffittò per scivolare sotto l’orlo del maglioncino azzurro e peloso che indossava, facendo scorrere le dita  su ogni centimetro di pelle calda che riusciva a raggiungere.

-Sono seria Etienne- intimò alzando obbediente le braccia mentre lui le sfilava l’indumento da sopra la testa e lo gettava da qualche parte.

-Anche io- rispose adocchiando un pò deluso il semplice reggiseno nero di cotone che portava –vedo che non avevamo in mente la seduzione quando hai accettato di uscire con me!-

Ridendo schivò lo schiaffo poco convinto di lei.

-Se sei davvero convinto di voler andare avanti con questa...cosa- non sapeva neanche che nome dare al loro rapporto tanto era strano –dobbiamo mettere in chiaro alcune cose-

-Sarebbe?- chiese affondando il viso nell’incavo dei suoi seni morbidi, notando con piacere che quell’insignificante reggiseno si apriva sul davanti.

-Che tra noi c’é solo sesso, che non ti aspetti nient’altro- l’idea le dava un pò di sicurezza in un certo qual modo, niente legami sentimentali e non ci si aspettava nulla da lei.

Lui si irrigidì e sollevò il capo.

-Un pò squallida come premessa per una relazione non ti sembra?- ma era normale quella ragazza?

-P-prendere o lasciare-

-Come vuoi- ma non era molto contento –ad una condizione-

-Cioé?- chiese sospettosa, cosa poteva volere? Gli aveva appena offerto il sogno di ogni uomo, sesso senza attacamenti di nessun tipo.

-Che non scappi- vedendo l’espressione confusa di lei spiegò –se le cose iniziano a mettersi in un modo che non ti aggrada rimani e ne parliamo, non te la dai a gambe come tuo solito-

Era una promessa difficile da fare, visto che stava già pianificando la fuga, ma le promesse erano fatte per essere infrante no?

-Quante storie che fai! Va bene, niente più fughe in giro per il mondo-

-Bene- tanto se scappava l’avrebbe trovata in qualsiasi buco in cui sarebbe andata a nascondersi.

-Bene-

Silenzio. I due rimasero a guardarsi.

-Cosa...mmm...stai aspettando?- gli chiese sconcertata.

-Non saprei- era pensieroso –non siamo mai arrivati a questo punto e sinceramente non so come procedere-

Lei sgranò gli occhi sorpresa, che fine aveva fatto la reputazione di incantatore, seduttore, idolo delle donne ecc. ecc.?

-Non in quel senso!- precisò offeso, aveva capito dove stavano andando a parare i pensieri di lei.

-Oh...vuoi un incentivo?- chiese maliziosa.

Senza mai staccare lo sguardo dal suo aprì il reggiseno e se lo sfilò gettandolo per terra, vide gli occhi di lui incupirsi per il desiderio, mio Dio pensò, era come guardare nell’infinito, così scuro e pieno di misteri. 

-Ti serve altro?- senza aspettare una risposta gli circondò il collo con un braccio e lo baciò, fino a quando sentì la mano calda e ruvida di lui scorrerle sulla schiena nuda in una lunga carezza e arrestarsi dietro al collo.

Sasha cercò di non irrigidirsi, sapeva benissimo che lui doveva essersi accorto delle brutte cicatrici che le solcavano la schiena, ma sperava che non facesse domande, non le andava di mentirgli proprio ora, decise invece di concentrarsi sulle sue labbra deliziose.

Etienne continuò a baciarla e ad accarezzarla a lungo, aprendo la zip della gonna al ginocchio che portava e facendogliela scivolare sui fianchi. Portava il reggi calze! Pensò soddisfatto, odiava i collant non li trovava per niente sexy, con i denti le stuzzicò la pelle sensibile appena sopra l’orlo delle mutandine, aveva notato le piccole cicatrici ormai sbiadite, così come aveva sentito quelle sulla schiena, ma non aveva fatto domande, un giorno, si ripromise, si sarebbe fatto raccontare tutta la storia, ma non stasera. Stasera aveva tutte le intenzioni di avvolgerla in una fitta rete di piacere e calore dalla quale non sarebbe scappata tanto facilmente.

Lasciandola per qualche istante si tolse il maglione e le scarpe, voleva stare pelle contro pelle, con gesti sicuri slacciò i gancetti che tenevano su le calze e dopo avergliele lentamente sfilate dalle gambe se le avvolse attorno ai fianchi, tornando a baciarla senza darle un momento di tregua.

Gli piaceva ogni centimetro del corpo di lei, anche se magari era un pò troppo magra,  fece scorrere la bocca più in basso fino ad arrivare ai suoi seni rotondi, certo che quel reggiseno ne aveva nascosto di curve!

Osservando attentamente ogni sua più piccola reazione, le lambì un capezzolo con la lingua per poi asciugare la scia umida con il suo alito caldo,  con piacere vide il piccolo bocciolo scuro farsi duro, riservò lo stesso trattamento all’altro, vedendola chiudere gli occhi trattentdo il respiro e inarcando la schiena come per offrirsi ad altre carezze, afferrandogli le spalle per trattenerlo, definitivamente la ragazza non era frigida!

Stava per spostrsi più in basso quando fù colpito da un pensiero terribile.

-Maledizione!- sbottò frustrato.

-C-cosa succede?- non capiva cosa stesse accadendo, ma se si fermava ora gli avrebbe sparato!

-Non sono venuto preparato- ammise triste –dopo la scenata che mi hai fatto a Venezia ho quasi paura a mettermene uno in tasca-

Quando finalmente il cervello confuso dal desiderio di Sasha registrò quello che le stava dicendo, non era sicura se ridergli in faccia o baciarlo per essere stato attento.

-Non importa ho cambiato metodo- quasi si sentì offesa dall’espressione scettica di lui –non crederai davvero che sia così stupida da mentire su una cosa del genere?-

-Lungi da me l’idea!- e prima che lo potesse buttare fuori a calci riprese a baciarla, con quella non si sapeva mai!

Il suo diabolico assalto ai sensi di lei riprese in tutto il suo splendore, mani, labbra, ogni centimetro di pelle che aderiva a quello di lei era uno strumento usato per farla perdere nei meandri del luogo magico in cui Etienne voleva portarla quella notte.

Con il fiato corto finì di spogliare entrambi, ora erano pelle contro pelle, senza impedimenti o barriere che li separassero, le curve di lei si adattavano morbide a quelle più solide di Etienne, finalmente insieme, come se fossero i pezzi combacianti di un puzzle, quella sera, si ripromise lui, le avrebbe fatto toccare il cielo con un dito.

La vocina stronza si era rintanta nel suo angolo sconfitta, la signora sapeva perdere con grazia.

Aprendo gli occhi Sasha si ritrovò davanti un solido muro, costituito da muscoli, ricoperti da una pelle liscia e abbraonzata. Come erano arrivati nel suo letto?

Lui era ancora lì! Pensò subito allerta, con il minimo movimento alzò il capo, sperando con tutto il cuore che stesse ancora dormendo. Assolutamete partito, tanto che non era sicura stesse ancora respirando.

Cercò di muoversi, e si rese conto le sarebbe stato alquanto difficile, lui le stava praticamente dormendo avvinghiato addosso, come aveva fatto ad addormentarsi in quella posizione proprio non lo sapeva, la gente normale in genere dormiva ad angoli opposti del letto.

Lentamente si sciolse dal suo abbraccio infilandogli un cuscino al suo posto, che lui nel sonno abbracciò stretto.

Si sedette sul bordo del letto, guardandosi attorno nella fioca luce del giorno che filtrava dalle tende, sembrava che fosse appena passato un tornado, c’erano vestiti da per tutto, inquieta raccolse la prima cosa che le capitò a tiro e se la fece scivolare sopra la testa, solo una volta fuori dalla stanza si rese conto che era il maglione di lui.

Con un sorrisino affondò il viso nelle pieghe morbide, profumava come lui, chiuse gli occhi per qualche secondo, come destava il mattino dopo, quando bisognava scendere a patti con le stupidaggini fatte la sera prima.

Che poi fosse o meno una stupidaggine era ancora tutto da decidere, quello che aveva provato la notte scorsa era qualcosa che non sentiva da tempo immemorabile e che non era sicura di voler sperimentare nuovamente. Etienne aveva cercato di farle capire in ogni modo che tra loro c’era qualcosa di più che semplice attrazione fisica, ogni carezza, ogni bacio, erano stati permeati di una passione e di una tenerezza che aveva rischiato di farla crollare...non ci voleva pensare!

Con decisione attraversò il salotto e aprì la finestra, fuori facevano cinque gradi ma non le importava, l’aria fredda le avrebbe schiarito i pensieri.

Era ancora lì a fissare il traffico, quando due braccia muscolose l’afferrarono da dietro stringendola contro il corpo caldo che aveva appena imparato a conoscere.

-Che ci fai con la finestra aperta fa un freddo cane- allungò una mano e la chiuse.

-Riattivo la circolazione- scherzò adagiando la testa sul suo avambraccio.

-Qualunque cosa sia, ti proibisco di pensarci!- ordinò affondando il viso nei suoi capelli scompigliati.

-Cosa ti fa credere che stessi pensando a qualcosa di brutto?-

-Con quell’espressione? Ormai ho imparato a riconoscerla, porta solo guai, per fortuna sono un maestro nell’arte dei diversivi!-

E con destrezza la fece voltare sempre tenendola tra le braccia per baciarla, fino a che non la sentì ammorbidirsi contro di se.

-Ti avverto che nel palazzo difronte abita un vecchietto che é un guardone recidivo, é persino munito di binocolo- cercando di fermarlo prima che provasse ad andare oltre, o che portasse altro caos nelle sue emozioni già sottosopra.

-Oh...allora quello cambia tutto!- esclamò.

-Sono contenta che finalmente sei ragionevole-

-Certo!- ma con un luccichio sinistro nello sguardo la sollevò per il sedere bloccandola contro la parete e facendosi abbracciare dalle gambe di lei –vediamo se riusciamo a dare al vecchietto un bell’infarto!-

-Etienne!- ma subito dopo scoppiò a ridere, chi era lei per rovinare un piano così geniale.

Quando la tempesta finalmente si placò entrambi erano senza fiato, e nel momento in cui i piedi di Sasha toccarono nuovamente il pavimento, lei si accorse che le ginocchia si rifiutavano di cooperare, per fortuna il braccio saldo di lui le circondava ancora la vita, altrimenti sarebbe finita a terra come una pera cotta.

-Buon giorno- le bisbigliò in un orecchio, facendola rabbrividire.

Lei si limitò a sorridere soddisfatta, che altro poteva dirgli? Le sue grida di poco fa avevano detto abbastanza.

-Ho bisogno di una doccia- disse allora.

-Mmmm....anche io- il tono era talmente sensuale che bisognava essere sordi per mancare l’implicita richiesta.

-Nooo, tu te ne stai buono qui- gli disse sorridendo e allontanandosi verso il bagno –anzi meglio, riordina il casino che hai combinato in camera mia in preda alla follia della notte scorsa-

Guastafeste, pensò lui sorridente, mentre con la testa inclinata di lato si godeva lo spettacolo del suo fondoschiena, che ondeggiando provocante spariva dietro la porta del bagno.

Tornando in salotto dopo essersi vestita, Sasha trovò Etienne assorto in una convesazione telefonica al cellulare, l’espressione seria di lui non prometteva nulla di buono.

-Cosa succede?- chiese quando ebbe finito.

-Jules ha trovato una pista- annunciò baciandola piano sulle labbra –fai le valigie dolcezza, tra poco si parte-

-Dove si é nascosto il verme?-

-Washington D.C. USA-

-Interessante- si abbandò tra le sue braccia, solo per avere la scusa di nascondere il viso contro la sua spalla, non voleva che vedesse l’ondata di panico che quelle parole le avevano appena procurato.

Mio Dio! Di tutti i posti disponibili al mondo proprio quello doveva scegliere!

 

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Capitolo 20
*** Chi diavolo e' quel tizio? ***


Sasha passeggiava avanti e indietro nella piccola stanza dell’albergo di terz’ordine in cui erano andati a stare, mentre Jules trafficava con i suoi marchingegni informatici e Etienne se ne stava bello rilassato sopra il letto.

-Com’é possibile che non l’hai ancora trovato!- chiese per l’ennesima volta, erano arrivati negli Stati Uniti già da una setimana e ancora non avevano concluso nulla, la pista che li aveva condotti lì si era raffreddata ed ora era come se dovessero rincominciare tutto da capo.

-Se continui ad importunarmi in questo modo non lo troveremo mai- le fece notare in tono saccente, senza mai staccare gli occhi dallo schermo.

-Se ti impegnassi un pò di più magari....fammi vedere che stai combinando!- e quando vide cosa c’era sullo schermo per poco non lo fece fuori –stai chattando con Cleo! Ma non ci posso credere!-

-Impicciati degli affari tuoi!- poi ad Etienne –portala via prima che le pianti un paletto nel cuore!-

Divertito Etienne si affrettò a dividere i due mocciosi, prima che se le dessero di santa ragione.

-Andiamo lascialo stare, se lo innervosisci non ragiona più-

La prese per un braccio e la portò nella stanza affianco, quella che loro due dividevano, Jules preferiva stare con i suoi giocattolini. Era sconcertato dal comportamento di lei, era sempre nervosa, sembrava che non vedesse l’ora di andarsene da quel paese e la notte non dormiva, passava le ore a passeggiare o se riusciva ad addormentarsi il suo sonno era particolarmente agitato. Cosa stava accadendo?

-Allora?-

-Allora cosa?- voltandogli le spalle si avvicinò alla finestra, come per controllare che nessuna persona sospetta si stesse avvicinando all’edificio dalla strada.

-Cosa ti prende, stai facendo impazzire sia me che Jules, e voglio saperne la ragione-

-Sono sempre di pessimo umore quando mi si sta facendo perdere tempo-

-Sei strana da quando abbiamo lasciato Londra- le andò accanto e la fece voltare –dimmi cosa succede-

-Nulla, devi sempre dare un secondo significato ad ogni mio comportamento, stronza e acida, lo sapevi come era la situazione prima di farti coinvolgere- rispose secca e cercando di sviare la sua attenzione.

Cosa gli poteva dire? Che stava vivendo nel terrore di incontrare qualcuno che avrebbe potuto riconoscerla? Era vero che la città era grande, ma per quello che erano venuti a fare era possibile che qualcun’altro stesse cercando Sergej, e se incappava in qualche vecchio collega, come l’avrebbe spiegato ad Etienne senza raccontargli la verita?

Si rendeva conto di essere sempre tesa e insopportabile, ma non ne poteva fare a meno, in tutti questi anni si era tenuta alla larga dagli Stati Uniti, non accettava lavori che l’avrebbero portata li. O altri che erano anche remotamente connessi con il paese, aveva deciso di non metterci più piede, ed era riuscita a mettere in atto il suo proposito, finora per lo meno.

-Lo stai ancora facendo, mi stai tenendo a distanza, credevo che l’avessimo superata quella fase- con quella ragazza riusciva solo a fare un passo avanti e due indietro.

-Io ho i miei segreti e tu hai i tuoi Etienne, facci il callo!-

-Con l’unica differenza che io sono pronto a raccontarti i miei, ma tu sembri particolarmente attaccata ai tuoi- con tenerezza le accarezzò il viso con il dorso della mano –da cosa stai scappando esattamente Sasha?-

-N-nulla- poteva anche evitare di starle così vicino, quando lo faceva non riusciva a pensare con chiarezza, ci mancava solo che si scambiassero confidenze, il loro rapporto era già abbastanza ravvicinato così come lo era al momento.

-Bugiarda- glielo leggeva dritto negli occhi, teneva qualcosa nascosto.

-Facci il callo anche con quello- si allontanò da lui dirigendosi verso la porta, doveva allontanarsi in fretta.

Ma quando l’aprì si trovò quasi naso a naso con Jules.

-Che c’é? Cleo si é rotta un’unghia?- gli chiese asciutta.

-Certe volte sei davvero antipatica lo sai?- ribatté il ragazzo con lo stesso tono.

-Bhé nessuno ti ha detto di venire!- non é che Jules le desse sui nervi, anzi, ma non era dell’umore adatto per essere gentile.

-Ma quanto sei stronza, comunque ero venuto a dirvi che ho trovato qualcosa mentre stavo facendo una ricerca con le impronte vocali, tramite il sistema di comunicazione satellitare-

-Dove?- chiese subito dirigendosi nell’altra stanza.

-Periferia sud della città- spiegò una volta ripreso il suo posto davanti al monitor e aperto la finestra con la mappa.

-Conosco la zona e so come arrivarci, andiamo-

Senza ulteriori commenti lasciò la stanza.

-Rimani qui Jules, se abbiamo problemi ti contatto nel solito modo e organizzi la missione di salvataggio-

Con passo moderato seguì la ragazza che si era appena fiondata fuori dalla camera, e non fù affatto stupito nel vederla fuori dall’albergo con il motore acceso che aspettava impaziente.

-Cammini come una vecchia signora!- con quello partì sgommando immettendosi nel traffico.

Quella era un’altra delle cose che l’avevano sorpreso, Sasha sembrava conoscere la città come il palmo della sua mano, e il fatto che sapesse esattamente dove fossero diretti, ne era ulteriore prova. Che avesse vissuto lì per diversi anni? Magari ci era scresciuta, il suo comportamento era quello di una persona sicura di ciò che la circondava e completamente a suo agio, avrebbe dovuto approfondire l’argomento.

Nel giro di venti minuti arrivarono in una zona industriale brulicante di attività, dovevano solo trovare il luogo esatto, e sperare che non fosse troppo tardi e Sergej non avesse già abbandonato il perimetro.

Tenendo il motore al minimo,aggirarono un’edificio di mattoni che a prima vista sembrava essere abbandonato e parcheggiarono l’auto in un vicolo.

Senza dare troppo nell’occhio decisero di entrare passando per la scala antincendio, qualche finestra doveva essere per forza accessibile da li. Con passi felpati e cercando di mantenere l’anonimato, fecero una brave ispezzione dell’area in cui si erano intruffolati, che risultava essere un deposito per macchinari edili, se le sagome che riuscivano ad intravedere dal finestrone dell’ufficio in cui erano finiti erano di qualche indizio.

-Cerchiamo di dare un’occhiata attorno,- suggerì lui piano -se la situazione si complica c’é la diamo a gambe dritti per la macchina e riprendiamo le ricerche in un secondo momento-

Quando uscirono sulla passerella esterna si resero conto di essere molto in alto e che, se camminavano chini e rasenti al muro, non li avrebbe visti nessuno da sotto. Erano quasi arrivati dall’altra parte, quando sentirono delle voci provenire dal basso, ma erano troppo lontani per capire cosa stessero dicendo.

Di comune accordo decisero di scendere di un piano, usando la scala a pioli ancorata al muro e sperando che reggesse. Quello che non si apsettavano di trovare, una volta girato l’angolo, era l’agente in tenuta d’attacco della NSA.

L’uomo li guardò esterreffatto per qualche secondo, prima di dare l’allarme nella ricetrasmittente che portava all’orecchio.

Quello spinse Etienne all’azione, con gesti rapidi disarmò l’agente e lo tramortì, non ci si ammazza tra colleghi.

-Separiamoci é meglio, ci vediamo alla macchina come stabilito- Sasha non aspettò risposta e si allontanò estraendo al pistola, poteva già sentire le voci degli uomini che di sotto tentavano la fuga, e non erano neanche sicuri se la loro preda era tra i fuggitivi.

Cosa ci faceva la NSA in quel posto? Se gli agenti erano lì pronti ad entrare in azione doveva esserci sotto qualcosa di grosso. In che razza di guaio si erano cacciati inavvertitamente? Ora l’agenzia li avrebbe cercati, anche solo per interrogarli.

Al pensiero fù percorsa da un brivido freddo, non lo poteva permettere, sarebbe stato disastroso.

Riuscì ad arrivare ad una finestra virtualmente indisturbata, infatti aveva dovuto tramortire solo un’agente, dopo averla sfondata, si calò sul cornicione, camminando piano verso il tubo di scolo della grondaia. Scelta azzardata ma nei film funzionava sempre, no?

Con un salto atterrò sul cassonetto e poi per terra, doveva al più presto raggiungere Etienne.

Non aveva fatto un solo passo quando sentì la canna di una pistola premerle contro la schiena.

-Voltati lentamente- le ordinò una voce maschile, che le risuonava vagamente familiare.

Sasha fece solo un mezzo giro, sistemandosi nella posizione ideale che le avrebbe permesso di disarmarlo, ma lui riuscì a prevedere e neutralizzare ogni sua mossa, alla fine si ritrovarono in una posizine di stallo, pistole puntate l’uno contro l’altro.

Formidabile, pensò lei, solo Etienne riusciva a tenerle testa a quel modo, ma quando sollevò lo sguardo su di lui, le si ghiacciò il sangue nelle vene.

-Mark....?- le scappò, con tutti gli agenti disponibili all’NSA, proprio lui doveva capitarle!

Vide la sua mano tremare leggermente e gli occhi castani che lentamente si dilatavano per la sorpresa.

-Vivian...?-

Una macchina arrivò a tutta velocità e si fermò con un stridio di gomme vicino a loro, costringendo i due a saltare si lato su una pila di rifiuti.

-Sali!- gridò Etienne aprendo la portiera.

Sasha non se lo fece ripetere, saltò dentro e gli ordinò di partire. Mio Dio non ci poteva credere. Non lui! Eppure quella stupida città era grande!

 Una volta tornati in albergo si chiuse in bagno, non era nelle condizioni di affrontare le domande di Etienne, in macchina era stato impegnato a controllare che nessuno li stesse seguendo e non aveva detto nulla, ma si era accorto che qualcosa non andava.

Non lui maledizione! Mark sapeva che era in città, ora l’avrebbe cercata, l’avrebbe cercata finché non l’avrebbe trovata e allora...e allora sarebbe stata costretta ad affrontare tutti i demoni dal quale aveva cercato di scappare negli ultimi anni.

Lo stomaco le si strinse al pensiero e non resistendo più Sasha si chinò sul water e iniziò a vomitare.

Etienne rimase sbigottito a fissare la porta del bagno, sensazione non nuova per lui da quando aveva incontrato Sasha, cosa accidenti era appena successo? Chi era il tizio che per poco non le sparava per averla ridotta in quello stato?

Con un sospiro si mise comodo sedendosi sul letto, chissà perché ma aveva la strana sensazione che non sarebbe uscita tanto presto dal bagno.

La sentì vomitare, sentì l’acqua che scorreva, poi capì dal rumore che si stava lavando i denti, e poi nulla, nessuna intenzione di uscire da lì.

Passò quasi un’ora prima che la porta si aprisse, giusto in tempo, la sua pazienza era agli sgoccioli.

Sasha non si sorprese affatto nel vederlo seduto sul letto dritto davanti alla porta del bagno, non se la sarebbe cavata tanto facilmente, chiuse la porta e vi si appoggiò contro in silenzio, non sapeva da che parte iniziare.

-Chi era quel tizio?- vista l’espressione cadaverica, decise di renderle le cose più semplici facendo tutte le domande.

-Un ex collega di quando lavoravo alla NSA- rispose lanciandoli un’occhiatina in tralice, come avrebbe reagito a questa nuova informazione?

-Lavoravi per la NSA?- quella si che era una sorpresa.

-Dove pensavi che avessi imparato il mestiere?-

-Non mi sono mai soffermato a pensarci, per riuscire ad entrare li devi essere cittadino americano e parecchio dotato. Le cose sono due, o hai fatto un formidabile lavoro di falsificazione, o possedevi tutti i requisiti adatti-

-Diciamo che possedevo tutti i requisiti adatti- se solo avesse saputo l’intera verità gli sarebbe caduta la mascella dalla sorpresa.

-E rivedere un ex collega ti ha sconvolto a quel modo?- ecco la domanda che avrebbe scatenato il putiferio.

-No e che...ero...- mentire o non mentire?

-Non mentirmi, tanto me ne accorgo- non voleva altre bugie.

All’improvviso Sasha si rese conto che non voleva dirgli la verità per non ferirlo, come era possibile? Eppure...

-Il suo nome é Mark Hamilton- si lasciò cadere pesantemente sul letto vicino a lui, detestava quando decideva di scavare nel suo passato con la stessa tenacia di un cane attaccato all’osso –siamo stati insieme per un periodo, tanto che...tanto che avevamo deciso di sposarci- assoluto silenzio accolse quella notizia.

Etienne rimase immobile, convinto di non aver sentito bene, lei che si sposava? E cosa aveva fatto questo Mark per convincerla? Di sicuro doveva averla drogata per farla acconsentire.

Già lo detestava, con tutto il cuore.

-E cosa é successo per impedire la coronazione del grande sogno?- non riuscì a non usare un tono sarcastico, lo faceva infuriare che esistesse qualcuno che non aveva dovuto lottare con le unghie e con i denti per ogni più piccola concessione che la riguardava.

-Ho scoperto che la vita matrimoniale non faceva per me e me ne sono andata- una versione riveduta e corretta dei fatti ma per quel giorno non gli avrebbe detto altro, sentiva il terreno sotto i suoi piedi iniziare a franare e non era piacevole –andiamo, Jules si aspetterà un reso conto-

Seguendola Etienne capì che c’era dell’altro, i segreti stavano lentamente venendo a galla, e se la sua reazione alla vista di questo Mark era stata talmente violenta, voleva dire che gli stava nascondendo qualcosa di molto importante.

 

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Capitolo 21
*** I fantasmi del passato. ***


Mark Hamilton entrò nel suo ufficio chiudendo piano la porta dietro di se, aveva ancora indosso il giubotto anti proiettile, non aveva pensato a toglierselo tanto era ancora sconvolto.

Quando quella mattina avevano organizzato la missione non si era aspettato che si concludesse in un tale disastro, e non si era aspettato di trovarsi faccia con lei, non più, non dopo tutto questo tempo.

Si sedette dietro la sua scrivania e si tolse il giubetto, era incredibilmente ingombrante l’affare, agitato si passò più volte le mani tra i corti capelli scuri, quando era nervoso lo faceva sempre. Fece scorrere lo sguardo sulla fila di cassetti che stavano alla sua immediata sinistra, ed i suoi occhi si posarono sull’ultimo. Titubante l’aprì e prese uno dei due fascicoli che vi erano conservati, un fascicolo che non vedeva da cinque anni.

Sulla copertina color crema c’era un nome: “Vivian Trent”

Sapeva a memoria quali informazioni erano contenute lì dentro, certificato di nascita, la lista delle varie scuole frequentate dalla ragazza, il suo curriculum nell’esercito, le varie specializzazzioni, esplosivi, armi, combattimento a mani nude, erano le cose che le riuscivano meglio, poche persone sapevano che lei quelle cose le sapeva fare già da quando aveva quindici anni.

Lentamente Mark continuò a sfogliare le pagine, sapeva anche cosa conteva l’ultimo foglio.

L’ultimo foglio era un certificato di morte, Vivian Trent era morta di incidente stradale il 12 Aprile del 1999, la sua macchina era volata dentro al fiume e il cadavere non era mai stato trovato.

Colpa delle correnti, aveva concluso la polizia e il caso era stato chiuso.

Prese la fotografia che era nascosta sotto al foglio, ritraeva lui e Vivian al mare, il sole splendeva e loro due ridevano spensierati mentre provavano ad abbronzarsi, lei cercava sempre di stare sotto al sole il più possibile.

Gli occhi le brillavano caldi in quella foto, di una vitalità che lui aveva visto scomparire senza che potesse fare nulla per evitarlo, lei non gliel’aveva permesso, aveva preferito scappare e lui era rimasto mesi ad affoggare nel senso di colpa.

Non aveva mai creduto alla storia dell’incidente, l’aveva cercata per diverso tempo dopo, ma senza risultati, era sparita e non aveva nessuna intenzione di farsi trovare.

Gli si era accapponata la pelle, quando, dopo due mesi, la storia di quello successo in Colombia alla villa di Ortega aveva iniziato a circolare, sapeva che era stata lei, era stata la messa opera della sua vendetta personale contro il trafficante, ma non credeva che sarebbe stata così sanguinosa, aveva fatto una strage.

Il bastardo se lo meritava però, chiuse gli occhi cercando di scacciare le immagini che avevano iniziato a vorticargli in testa, quelle di quando l’aveva salvata dopo tre settimane di prigionia per mano dei colombiani. Lo faceva ancora stare male pensarci.

Se Simon Kay non fosse già morto l’avrebbe ammazzato con le sue mani, quel verme schifoso! Era stata tutta colpa sua se le loro vite erano state sconvolte.

Mise il fascicolo da parte e prese l’altro, sulla copertina c’era scritto: “La Dea di Ghiaccio”

In quel fascicolo invece, erano contenute tutte informazioni non ufficiali, che aveva raccolto nel corso degli anni, era quasi sicuro dell’identità di questa spietata mercenaria comparsa sulla scena quattro anni fa, ma le descrizioni che aveva non riusciva a farle combaciare.

La Dea di Ghiaccio era fredda, crudele, senza un briciolo di compassione, si faceva pagare profumatamente per il suo aiuto ed erano pochi i lavori che disdegnava, una volta incontrato lo sguardo dei suoi occhi gelidi, non la si dimenticava facilmente, ed era un tipo di persona a cui non volevi assolutamente attravversare la strada.

Che cosa era diventata Vivian una volta lasciati gli Stati Uniti?

L’idea che lei facesse quel tipo di lavoro non faceva altro che aggiungere alle sue colpe, avrebbe dovuto salvarla, non solo dalla prigionia ma anche dai demoni che ora la perseguitavano.

Lo squillo del cellulare lo fece sussultare.

-Pronto- la voce gli tremava leggermente.

“Ciao amore! Come va in ufficio?”

-Annie- non riuscì a trattenre un sorriso di gratitudine, sua moglie l’aveva appena tirato fuori dal baratro dei ricordi.

“Hai una voce strana tesoro tutto bene?”

-Il solito non ti preoccupare, tu piuttosto come stai? Nausea?-

“Ho appena finito di vomitare mio caro se é quello che mi stai chiedendo” rispose allegra.

-Mi spiace amore, prova con del pane tostato- suggerì.

“Era del pane tostato quello che é appena finito nello scarico, comunque, mi chiedevo se ti andrebbe di non cenare stasera, in queste condizione la sola idea di preparare da mangiare mi fa aumentare i conati!”

-Non ti preoccupare- rispose ridendo –prendo qualcosa sulla via di casa-

“Mio eroe! Cosa farei senza di te!”

-Ti amo tanto lo sai?- disse all’improvviso.

“Anche io ti amo tanto...sei sicuro di stare bene?”

-Si sono solo molto impegnato, tutto qui-

“Allora ci vediamo stasera?”

-Certo a stasera-

“Non tardare, qui ci sono due persone...anzi, una e mezzo, che hanno assolutamente bisogno della tua presenza”

Mark chiuse la comunicazione e rimase qualche secondo a fissare la foto del suo matrimonio con Annie che teneva sulla scrivania.

Stavano aspettando il loro primo bimbo ed entrambi erano al settimo cielo.

La scomparsa di Vivian gli aveva spezzato il cuore, e gli ci erano voluti anni prima di decidersi ad uscire con un’altra donna, poi era comparsa Annie, era stata la sua salvezza, non le aveva mai raccontato i dettagli di cosa era successo, ma solo che la sua fidanzata era morta in un incidente, e lei aveva fatto di tutto per lenire le ferite che si era portato dentro per tanto tempo, e che ora minacciavano di riaprirsi.

Ma questa volta avrebbe fatto qualcosa di più, questa volta non le avrebbe permesso di tagliarlo fuori, ed avrebbe iniziato con lo scoprire cosa ci faceva in quell’edificio dove un gruppo di sud americani pericolosi stavano avendo un’incontro.

Etienne era sdraiato al buio a fissare il soffito, non riusciva a dormire, Sasha invece russava piano ranicchiata al suo fianco.

Era ancora pallida e due occhiai scure facevano bella mostra di se, aveva mangiato pochissimo nelle ultime ore, parlato ancora meno e in silenzio era andata a letto.

Non avevano avuto occasione di approfondire la conversazione avuta quel pomeriggio, erano stati impegnati a discutere la loro prossima mossa e le opzioni a disposizione, le quali non erano rosee al momento.

Ma lei era stata distratta e poco propensa a fornire un punto di vista, sembrava essere lontana chilometri. Chi era questo fantomatico fidanzato sbucato dal nulla?

Oggi si era drammaticamente reso conto di quanto poco la conoscesse, di come il suo passato era avvolto nel mistero e di quanto lei fosse restia a parlarne, se la comparsa di questo Mark, l’aveva fatta reagire in quel modo, quali altre sorprese l’aspettavano?

Istintivamente allungò un braccio e se la strinse contro.

I suoi limpidi occhi azzurri erano stati velati da qualcosa di cupo e turbolento per tutta la sera e lui, la grande spia, si era ritrovato a non sapere che pesci prendere.

Forse era arrivato il momento di guardare in faccia la realtà, ci teneva a lei e parecchio anche, l’aveva fatto ammattire come nessuno in vita sua, e anche se certe volte le avrebbe volentieri spaccato quel delicato cranietto, si era anche divertito, e si era trovato sempre più affascinato.

Quando si era svegliato nel letto di lei, aveva pensato contento che non gli sarebbe dispiaciuto svegliarsi a quel modo tutte le mattine, e poi quando l’aveva vista vicino alla finestra con indosso il suo maglione, i capelli arrufati, le guance rosse e quell’espressione assorta, gli si era fermato il cuore talmente era bella.

Provava la strana voglia di tenersela vicina e di proteggerla, una specie di “Tu Jane io Tarzan”, voleva saperla sana e salva e al sicuro, non gli andava di riprovare il senso di impotenza e disperazione che aveva sperimentato in ospedale, quello che voleva era che lei lo facesse entrare nel suo piccolo mondo e che non lo tenesse più a distanza.

Ia cosa stava iniziando a farlo arrabbiare, fino ad ora l’aveva solo infastidito, perché si era convinto che con un pò di persuazione avrebbe abbattuto tutte le sue difese, ma ultimamente... ultimamente si era reso conto che qualcosa di più profondo le si agitava dentro. Quali segreti stava cercando di nascondere con tanta tenacia?

Una cosa gli era chiara però, una volta venuti a galla avrebbero scatenato l’inferno tra loro due, e quello che sinceramente sperava di più era che lei gli consentisse di rimettre insieme i pezzi. Perché arrivati a questo punto, era sempre più convinto di essersi innamorato.

 

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Capitolo 22
*** Ferite ancora aperte...... ***


Sasha non poteva credere di star facendo una cosa del genere, ma dopo due giorni di inutili ricerche aveva deciso che era arrivato il momento di sbloccare la situazione, anche perché c’era mancato poco che li scoprissero.

Jules aveva pensato di agganciarsi al sistema della NSA, voleva scoprire se avevano delle informazioni che gli sarebbero potute risultare utili, come una spiegazione sulla loro presenza in quell’edificio, ma gli era stata tesa una trappola informatica e se non avesse avuto i riflessi pronti, ora si sarebbero trovati tutti e tre amanettati nelle celle dell’agenzia.

Le erano venuti i sudori freddi quando quell’idea aveva fatto capolino nel suo cervello, aveva inventato mille scuse per non metterla in pratica, ma poi alla fine aveva deciso di prendere il toro per le corna, non voleva trovarsi faccia a faccia con il suo passsato in un momento in cui si sarebbe trovata in svantaggio, se doveva affrontarlo lo avrebbe fatto a modo suo.

E poi non avrebbe avuto bisogno ri rinvangare nei ricordi, era venuta per un motivo e non si sarebbe fatta sviare. Con decisione prese posto sulla comoda poltrona in pelle dietro la scrivanie e si accinse ad aspettare il suo obbiettivo, sapeva che era nell’edificio e presto sarebbe dovuto tornare nel suo ufficio.

Con una punta di curiosità lasciò vagare lo sguardo per la stanza, spartano come ufficio, ma era sicura che il suo proprietario non ci passasse molto tempo, quando aveva chiesto di lui era rimasta colpita dal fatto che avesse ottenuto una promozione, da semplice agente era passato a vice direttore operativo, non esisteva nessuno che se lo meritasse più di lui.

Gli occhi le caddero sulla cornice che conteneva una fotografia, quella di un matrimonio, si era sposato!

Involontariamente provò una stretta al cuore, che cosa si aspettava? Sembrava così felice in quella foto e l’amore per la donna che gli stava al fianco gli brillava negli occhi castani,  non poteva fargli una colpa per aver deciso di continuare la sua vita.

Stava ancora osservando la foto quando dalla porta le arrivò un sorpreso:

-E tu come sei arrivata fino a qui?-

-Ciao Mark- la battaglia era appena iniziata.

Furibondo Mark si diresse a passo di carica verso il suo ufficio, era circondato da incopetenti! Pensò per La centesima volta, si erano lasciati sfuggire la preda proprio quando l’avevano dentro la rete, ed ora chissa se avrebbero avuto un’altra opportunità come quella appena persa.

Fù molto sorpreso nel vedere qualcuno comodamente seduto sulla sua poltrona che ammirava assorto la foto del suo matrimonio, chi diavolo era!

Poi quando lei sollevò lo sguardo per poco non gli venne un’infarto, non l’aveva riconosciuta, con gli occhiali spessi, i capelli tirati su e la semplice gonna e camicetta, avrebbe benissimo potuto passare per una delle tante segretarie e assistenti che giravano per i piani. A quanto pareva nel corso degli anni era diventata una maestra anche nell’arte del travestimento.

-E tu come sei arrivata fino a qui?-

-Sai benissimo che sono cresciuta in questi corridoi, li conosco come le mie tasche- molto lentamente rimise la cornice al suo posto, non voleva che vedesso quanto il suo matrimonio l’avesse colpita.

Con passo misurato e le mani in tasca, ostentando una calma che era ben lontano da provare, l’uomo si avvicinò alla scrivania, per quale motivo era venuta da lui?

-Mi servono informazioni- disse, andando subito al punto e prima che lui potesse sollevare qualche argomento privato.

-E cosa ti fa credere che sono disposto a dartele?- avrebbe davvero avuto il coraggio di lasciare quell’ufficio senza parlargli?

Lei sollevò un soppracciglio con fare sarcastico che sembrava prenderlo in giro “oh puoi stare certo che me le darai”. Un gesto così tipico e così familiare per lei che Mark ebbe un brivido. Si sentiva come se stesse davanti ad uno spettro, sapeva che era sciocco e assurdo, ma la sensazione non se ne voleva andare.

-Equo scambio- con fare sobrio e distaccato incrociò le braccia sul petto, era sicura che anche lui avesse delle domande da farle sulla sua comparsa in quell’edificio –cosa ci faceva l’NSA in quell’edificio?-

-Eravamo dietro ad un gruppo di sud americani che si divertono a trafficare in armi e che ultimamente hanno preso di mira i depositi dell’esercito. Tu che ci facevi li?-

-Ero sulle tracce si Sergej Karmanov, lo conosci?-

Senza dire una parola Mark aprì l’archivio e dopo aver tirato fuori un fascicolo glielo mise davanti.

-È questo il tuo uomo?-

-Decisamente lui- rispose guardando con attenzione le foto contenute nella cartella –che ci fa con questa gente?-

-Ancora non ne siamo certi, é appena arrivato. Chi era il tizio alla guida della macchina?- se voleva l’equo scambio non le avrebbe dato pace.

Lei sollevò lo sguardo al suo tono di voce.

-Un collega- rispose vaga.

-Un collega?- ripeté per nulla soddisfatto –di che tipo?-

Forse era meglio raccontargli qualcosina in più se voleva convincerlo ad aiutarla.

-Lavora per il governo inglese- specificò in tono incolore.

-Sei passata a lavorare per la concorrenza?- chiese stupito.

-Non proprio, ma Etienne sa essere convincente-

-Ci vai a letto?- non aveva voluto usare il tono dell’amante geloso, ma era uscito fuori lo stesso e soprattutto non era stata sua intenzione fare una domanda del genere.

-Non hai nessun diritto di farmi quella damanda- replicò fredda, i suoi rapporti con Etienne non riguardavano nessun’altro che non fosse lei.

-Giusto, ho perso tutti i diritti il giorno del tuo finto funerale, non é vero?- chiese sarcastico.

-Mark non mi sembra il caso di rinvangare storie sepolte da tempo- disse, cercando freneticamente una via d’uscita da quella conversazione che si stava facendo scomoda.

-Sepolte?- ripeté esterrefatto, aveva davvero intenzione di ignorarlo dopo tutto –ti sei mai soffermata un minuto a pensare, quali conseguenze le tue azioni avrebbero avuto sulle persone che ti sei lasciata dietro?-

 -No- rispose piano, tutto ciò che si ricordava di quel periodo era la rabbia, il dolore, la disperazione e il desiderio feroce di scappare e vendicarsi, di allontanarsi da tutti e di punire le persone responsabili di averle rovinato l’esistenza.

-Infatti dannazione!- gridò -come credi mi sia sentito quella mattina, quando arrivando in ufficio ho trovato il tuo anello sulla mia scrivania? E quando poche ore dopo mi é arrivata la notizia del tuo presunto incidente?-

-Non potevo rimanere, non più, non dopo...- non riuscì a finire, ricordi che credeva sepolti per sempre stavano tornando a galla, dall’angolo buio in cui erano stati relegati tanto tempo fa.

-Ed io Vivian? Contavo davvero così poco per te che hai sentito il bisogno di allontanarti anche da me- ogni parola era carica della pena provata tanti anni fa, che il tempo aveva lenito ma che in realtà non era mai stata dimenticata –é stata come una pugnalata dietro la schiena constatare che non avevi nessuna fiducia in me, che non hai creduto, neanche per un secondo, che avrei voluto starti vicino nonostante tutto-

-Mark...- con le ginocchia che le tremavano leggermente Sasha si alzò dalla poltrona, era arrivato il momento di porre fine alla discussione –Vivian Trent non é morta in quell’incidente stradale, ma in una piccola cella in Colombia tanti anni fa, la ragazza che hai creduto di salvare non esisteva già più-

-Non ti credo- la smentì sicuro.

-Le persone cambiano Mark- con passo deciso si diresse verso la porta, decidendo vigliaccamente di non guardarlo in faccia.

-La strada che ti sei scelta non porta da nessuna parte, solo verso l’autodistruzione, non puoi continuare a scappare per sempre-

-Stammi lontano- gli intimò con un tono duro che non aveva mai usato con lui –non hai la minima idea di cosa sia capace ora-

Preoccupato Mark si voltò a fissare la porta chiusa dalla quale lei era appena uscita, chiedendosi vagamente come si salvava qualcuno che credeva di non meritare di essere salvato?

Sasha rimase a lungo seduta in macchina con gli occhi chiusi, le mani strette sul volante, in un flebile tentativo di calmarne il tremito, l’incontro non era andato esattamente come aveva pianificato. Come aveva potuto pensare di poterlo affrontare con calma e razionalità?

Era stato uno sbaglio, tutta questa faccenda era stata uno sbaglio, avrebbe dovuto lasciare che Etienne andasse da solo dietro a Sergej mentre lei abbandonava Londra e in silenzio spariva nell’ombra per l’ennesima volta.

Ma non era mai troppo tardi, ora tornava in albergo, lasciava il foglio con l’indirizzo che aveva sotratto dal file di Mark, una missione era pur sempre una missione dopo tutto, e poi prendeva il primo aereo che lasciava il paese, senza guardarsi indietro.

Accese il motore e sgommando uscì dal parcheggio, con la strana sensazione di stare per compiere un’enorme sbaglio.

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Capitolo 23
*** Le verita' nascoste I ***


Etienne non poteva credere di essere caduto talmente in basso, entrare con scasso nella casa di un ex della sua ragazza, davvero patetico, ma a mali estremi estremi rimedi, ne aveva abbastanza di bugie e mezze verità, quella sera si sarebbe fatto raccontare tutto, era convinto che questo Mark avrebbe potuto fornirgli i tasselli mancanti del passato di Sasha, che lei custodiva così gelosamente.

La casa era buia e vuota, aveva visto una donna uscire una ventina di minuti prima, sperava che sarebbe stata via a lungo, o almeno il necessario per consentirgli di fare quattro chiacchere con il fidanzato misterioso.

Mark era stanco morto, non vedeva l’ora di sedersi sul suo comodo divano con in mano una birra fredda e rilassarsi, la giornata non era stata delle migliori.

Quando aprì la porta di casa si meravigliò nel trovarla completamente al buio, dove era finita Annie?

-Annie?- ma non ricevette risposta, forse era uscita.

Trovò un biglietto sul frigo “Mia sorella ha avuto un’altra delle sue crisi, la cena é nel microonde, ti chiamo appena posso”, chissà quale perdente l’aveva mollata questa volta, pensò lui, aprendo il frigo e stappandosi la tanto agognata bottiglia, dopo il primo sorso si sentì subito meglio, fù allora che ebbe la netta sensazione di non essere solo.

Lentamente estrasse la pistola e rasente al muro si diresse nel salotto.

-Oh andiamo, se avessi voluto ammazzarti l’avrei già fatto!- spiegò una voce dal buio e dal vago accento britannico.

Sempre con la pistola puntata Mark accese la luce, per trovarsi davanti uno sconosciuto, che se ne stava tranquillo seduto su una delle sue poltrone con le braccia conserte e le gambe accavvallate.

-Chi sei?- se muoveva solo un capello gli sparava.

-Il tuo incubo peggiore?- al momento era ciò che desiderava essere per il suo avversario, ma dalla sua espressione capiva che non era il caso di tergiversare –non la bevi eh? Un collega in cerca di informazioni suona meglio?-

-Che tipo di informazioni? E soprattutto come sei entrato?- chiese senza abbassare la pistola.

-Trucchi del mestiere, ora abbassi il cannone o mi devo vedere costretto a farti del male?- non era certo un comportamento professionale, ma avrebbe goduto nel dargli un paio di pugni.

Lui geloso, da non credere!

-Non usare la tattica del duro con me, non funziona- e poi in tono freddo –cosa vuoi?-

-Informazioni, mi pare di avertelo già detto- ripeté scocciato –informazioni su Sasha-

-Chi?-                                                                                                             

-Sasha, la moretta a qui per poco non sparavi l’altro giorno- che gli avesse raccontato l’ennesima bugia? Si chiese con un moto di rabbia, gliela avrebbe pagata molto cara.

-Oh....- abbassando la pistola e domandò –il tizio della macchina?- sempre con l’arma pronta si prese la birra dalla cucina e si stravaccò sul divando, a debita distanza dal suo “ospite”.

Etienne lo guardò sorpreso, niente più paura dello sconosciuto nel salotto di casa? Ma erano normali questi americani?

-C’é un codice di comportamento tra colleghi, mi auguro che lo rispetterai- spiegò bevendo un sorso dalla bottiglia, e notando l’occhiata che gli lanciò l’altro continuò con –la mia ospitalità non si estende ai rinfreschi, dimmi cosa vuoi sapere e poi sparisci, prima che mia moglie torni a casa-

Così facile? Si chiese Etienne sconcertato, che fosse davvero pronto a dirgli tutto quello che voleva sapere?

-Non é che stai per raccontarmi un mucchio di bugie vero?- chiese sospetto –perché allora mi incazzo maledettamente!-

-Dipende da cosa vuoi sapere- non era ancora sicuro, se la presenza dell’agente britannico nel suo salotto fosse una cosa buona o meno.

Etienne rimase interdetto per un attimo, cosa voleva sapere? Dannazione! Lui voleva sapere tutto!

-Con quale nome la conoscevi?-

-Quello vero-

-Quello vero!- ripeté sorpreso –perché l’ha un nome vero?-

-Vivian Trent- rispose, ancora combattuto sulla decisione di accontentarlo e dargli le informazioni che chiedeva, di certo Vivian non gliene sarebbe stata grata.

Vivian, che nome pensò lui, gli piaceva di più Sasha, Vivian ti faceva pensare ad una ragazza piccola e dolce, non ad una che aveva tante spine quanto un cactus!

-Come mai non lavora più alla NSA? Ha tradito o é stata buttata fuori?- volle sapere.

-Ha semplicemente lasciato l’incarico- rispose vago.

-E i suoi superiori l’hanno “semplicemente” lasciata andare? Una con le sue abilità!- esclamò incredulo, c’era dell’altro sotto se lo sentiva.

-Si se...se tutti fossero stati convinti che Vivian Trent é morta in un incidente stradale-

-Spiegati-

-Vivian ha inscenato la sua morte per poter lasciare il paese senza destare sospetti-

Molto teatrale come uscita di scena, ma efficace se si voleva sparire.

-Andiamo, non costringermi a strapparti di bocca ogni minimo dettaglio!- disse esasperato all’espressione ancora circospetta di lui.

-Sono cose molto private quelle che vuoi sapere, non mi piace spettegolare sulle altre persone. Perché non chiedi a lei i dettagli?- che alla fine fosse venuto da lui per avere informazioni che potessero nuocerle? Allora gli avrebbe sparato, qui nel salotto di casa sua.

-Perché se la conosci bene quanto credo, sai benissimo che le sue labbra sono cucite, e a doppio filo direi- rispose sarcastico e a corto di pazienza, non era abituato a giustificare le sue motivazioni.

Si quella era delle caratteristiche di Vivian che riconosceva, se aveva un segreto se lo sarebbe portato fino alla tomba.

Chi era questo tizio per lei?

-Che tipo di rapporti ci sono tra voi due?- chiese a brucia pelo –se siete solo colleghi come dice lei, allora...-

-Come dice lei?! Quando vi sareste incontrati esattamente?-  chiese minaccioso, ecco dove era sparita! L’idea che fosse andata ad incontrarsi con un vecchio amante non gli piaceva affatto.

-Non te l’ha detto?-

-È stata molto evasiva come al solito- anche perché non l’aveva ancora vista da quando aveva lasciato la loro stanza d’albergo quella mattina.

Mark osservò con attenzione l’uomo, era arrabbiato per l’omissione di informazioni da parte di una collega in missione, oppure, era arrabbiato come solo un fidanzato geloso lo poteva essere? Per la prima volta da quando lui era comparso, si chiese se magari non avesse trovato un’alleato. Qualcuno che avrebbe potuto convincere Vivian a districarsi dal tipo di vita in cui era finita e che magari l’avrebbe aiutata a chiudere ferite, che anche a distanza di anni, stavano ancora sanguinando. Era disposto a correre dei rischi? Dopo tutto non sapeva nulla di lui.

-Sei al mia ultima spiaggia- gli disse allora Etienne, avvertendo la reticenza dell’altro –altrimenti non mi sarei mai sognato di fare questa visita, la trovo alcuanto degradante viste le circostanze. Sono mesi che le corro dietro, ma vengo sempre tentuto e debita distanza, ho provato in tutti i modi ad abbattere le barriere che si é costruita attorno con tanto accanimento, ma con scarsi risultati, mi servono le munizioni giuste-

I due si scambiarono un lungo sgurdo silenzioso.

Mark in quel momento prese una decisione

-Ci sono delle premesse da fare prima- iniziò piano –il padre di Vivian é stato il direttore operativo della NSA per diversi anni. Dopo la morte della madre, quando lei aveva poco più di sei anni, lui iniziò a portarsela in ufficio, dal principio di nascosto, ma con il passare del tempo la bambina divenne una specie di mascotte, e praticamente venne cresciuta tra spie, agenti e intrighi internazionali.

Mentre le sue coetanee andavano a lezione di balletto, lei imparava arti marziali letali e come montare e smontare armi, prima dei diciotto anni aveva ricevuto l’addestramento base che in genere si da ad un marines-

-Entrando all’NSA voelva seguire le orme del padre allora?- dire che era sorpreso era un eufemismo, lui aveva avuto un addestramento meticoloso, ma non ci era praticamente cresciuto assieme.

-Non proprio, ha tentato di fare carriera altrove prima, l’esercito, qualche anno nella CIA, solo dopo la scomparsa del padre durante un’operazione si é decisa a fare domanda, e con le referenze di cui disponeva é stata subito accettata- inquieto Mark lasciò il suo posto sul divano e si diresse alla finestra, osservando il vicinato, ma senza realmente vederlo, ora avrebbe dovuto raccontargli la parte difficile della sua storia –io e lei ci conoscemmo tramite il padre, quando finalmente venne a lavorare all’agenzia, ci frequentevamo già da tempo-

-Fammi un favore, sorvola sui vostri rapporti romantici se non ti dispiace!- ci mancava solo che gli raccontasse quanto erano stati felici insieme.

Al tono duro Mark gli rivolse un’occhiata strana, definitivamente un fidanzato geloso, pensò, ma bene.

-Nell’ufficio venne prontamente accettata, e quasi tutti la consideravano un’agente eccellente-

Etienne dedusse che la parola chiave della storia era quel “quasi”, ma rimase in silenzio ad aspettare che Mark finisse il suo racconto.

-C’era qualcuno che invece la detesta cordialmente e non ne faceva mistero, Simon Kay. Simon era un maschilista puro, e non gli andava giù che Vivian fosse riuscita ad entrare tanto facilmente tra le fila della NSA, la considerava una raccomandata e poco affidabile inquanto donna.

Le cose degenerarono quando un giorno Vivian gliele ha suonate nella palestra, difronte ad una schiera di spettatori,  era stanca del suo spettegolare alle sue spalle e gli intimò di lasciarla in pace e di starle alla larga. Inutile dire che Simon iniziò ad odiarla seriamente dopo l’episodio, ma nessuno si aspettava che lui sarebbe sceso talmente in basso-

-Cosa accadde?-

-Kay venne incaricato di dirigere una missione di recupero di alcune armi, sottratte da un deposito americano per mano di un cartello di trafficanti colombiani, gli Ortega- lo sentì trattenere il respiro al nome, allora la storia aveva fatto il giro anche oltre oceano –i migliori furono scelti per quella missione e Vivian era tra loro, sarei dovuto andare anche io, ma ero impegnato altrove, e quando tornai era troppo tardi, erano già partiti.

Il gruppo riuscì a recuperare le armi, ma qualcosa andò storto, non tutti rientrarono alla base...quel bastardo di Kay aveva lasciato Vivian in mano ai colombiani-

-No!- nel silenzio della stanza il sussurro pieno di angoscia di Etienne rimbombò come uno sparo.

 

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Capitolo 24
*** Le verita' nascoste II ***


Mark rimase perso nei ricordi per qualche minuto, la disperazione che aveva provato quando gli avevano dato la notizia, la rabbia nel sapere che Kay aveva architettato tutto sin dall’inizio e il dolore che ne era scaturito per lui e per Vivian, tutto per colpa di quel geloso figlio di puttana!

-Kay non pagò mai le conseguenza delle sue azioni, aveva fatto tutto secondo il manuale e aveva portato a termine la missione con minime perdite, ed anche se tutti sapevano cosa c’era sotto, la commissione non lo poteva condannare senza prove più concrete-

-Quanto tempo é rimasta prigionira dei colombiani?- chiese con difficoltà.

-Quasi tre settimane- rispose mesto.

-Mio Dio!- doveva esserle accaduto di tutto in un periodo talmente lungo, era un miracolo che fosse sopravvissuta.

-In quel periodo il direttore operativo era un vecchio amico del padre di Vivian, in una missione non ufficiale mi accompagnò in Colombia per cercare di salvarla- chiuse gli occhi tremando al ricordo –quando la trovammo, desiderai con tutto il cuore che l’avessero ammazzata, sarebbe stato più misericordioso-

All’improvviso Mark si ritrovò nuovamnete in una cella buia e fetida, con davanti il corpo nudo e martoriato della donna che amava, con gli occhi pieni di lacrime l’aveva coperta, sollevata delicatamente tra le braccia e l’aveva portata in salvo.

-Le cicatrici sulla schiena- sussurò, inconsapevole di aver parlato a voce alta e strappando l’altro a ricordi dolorosi.

-Ortega aveva un tirapiedi abile con la frusta- se le aveva notate voleva dire che i loro raporti erano davvero intimi –la riportai a casa non appena possibile e rimase due settimane in ospedale-

-Che fina ha fatto questo Kay?- il tono era piatto, ma la mente stava già elaborando dieci modi diversi per ammazzarlo.

-Morto- rispose con un sospiro –una settimana dopo essere uscita dall’ospedale Vivian decise di ritornare a lavorare, feci di tutto per convincerla a prendersi un periodo di pausa, ma non mi stette a sentire, una luce strana le brillava nello sguardo, fredda, calcolatrice, ed io ero terrorrizzato; aveva iniziato a tenermi a distanza, non voleva che le parlassi anche solo velatamente, di quello che era successo in Colombia, si comportava come se nulla fosse accaduto.

Iniziò a peseguitare Kay, non in maniera aperta, ma in modo subdolo e terrificante, una specie di gioco del gatto con il topo, lo stava facendo impazzire, lui non la poteva attaccare apertamente, perché dopo quello che aveva fatto, i colleghi non lo vedevano di buon occhio, e fuori non riusciva mai a coglierla sul fatto o ad anticipare le sue mosse. In ufficio lei lo ignorava, ma Dio solo sa cosa gli combinava fuori. Il gioco andò avanti per due settimane, fino a quando Vivian decise di finirlo, lo fece fuori facendolo sembrare un incidente e procurandosi un alibi di ferro.

Sapevo che sarebbe andata a finire a quel modo ma non ho mai fatto nulla per fermarla, non seriamente per lo meno, nel profondo ero convinto che il bastardo si meritasse tutto quello che gli stava accadendo, ma non mai soffermato a pensare a cosa stesse accadendo a lei.

Eravamo diventati due estranei, raramente mi faceva varcare la soglia di casa, non sapevo da dove iniziare a sciogliere il muro di ghiaccio che aveva eretto tra di noi, non mi ha mai permesso di aiutarla, nonostante sapesse che avrei fatto di tutto per lei-

Etienne rimase sconcertato dal tono sofferente, lui aveva i sudori freddi solo a sentire il racconto, cosa dovevano aver passato invece i diretti interessati?

-Vivian mise in vendita la casa dove era nata e cresciuta,- continuò a raccontare -non riuscivo a capacitarmene, sapevo come era affezzionata a quel posto, ho chiesto spiegazioni, cercando ancora una volta di starle vicino, ma fù molto evasiva e una setttimana dopo la finalizzazzione della vendita capii il perché-

-Il finto incidente?- chiese, ma sapeva già la risposta.

-Fù archiviato come incidente, ma tutti furono convinti che si fosse trattato di suicidio, un’esperienza come quella avrebbe provato il più duro dei combattenti, figuriamoci una ragazza come Vivian. Ma io sapeva che non era vero, la mattina dell’incidente trovai l’anello di fidanzamento che le avevo regalato sulla mia scrivania, e con qualche ricerca scoprii che i soldi ricavati dalla vendita della casa erano scomparsi nella rete bancaria in una serie di trasferimenti, così Vivian Trent riuscì a sparire senza lasciare traccia-

-Mio Dio!- ripeté Etienne ancora una volta.

-Non é finita qui- se voleva sapere la verità dietro al comportamento freddo e distaccato di Vivian, tanto valeva dirgliela tutta –hai mai sentito la storia riguardante la scomparsa della famiglia Ortega?-

-Chi non l’ha sentita, gli Ortega erano una delle famiglie più ricche e potenti del Sud America, trafficavano in tutto, droga, prostitute, persone, ma soprattutto armi- rispose automaticamente con la mente impegnata altrove.

-È stata lei- con le gambe leggermente instabili si risedette sul divano, mettendo da parte la birra ormai calda.

-Scusa?- di sicuro non aveva capito bene.

-Sono sicurissimo che é stata lei- ripeté.

-Ma é stato un massacro! La villa di Ortega venne rasa al suolo con tutti i suoi occupanti ancora dentro, e tutte le sue guardie trucidate da un piccolo drappello di uomini. La convinzione generale al tempo, era che si fosse trattato di una rappresaglia da parte di una famiglia di avversari-

-Già, quello é lo stile di Vivian, si é vendicata di quello che le avevano fatto con gli interessi-

La storia aveva suscitato scalpore e preoccupazione al tempo, ci mancava solo che si iniziasse un feudo tra trafficanti per rendere il clima internazionale ancora più teso, ma quando poi non successe nulla di altrettanto cruento e non si riuscirono a trovare tracce degli autori della carneficina, tutti avevano tirato un sospiro di sollievo.

Etienne era senza parole, poteva solo indovinare quanta rabbia e quanto dolore si era celato dietro azioni talmente estreme, non poteva condannarle, c’era un verme in meno al mondo, ma quali conseguenze avevano avuto su di lei? Sapeva un paio di cose sulla sete di vendetta, e una di queste era che non ti portava la pace che uno si sarebbe aspettato.

-La mercenaria che chiamano la dea di ghiaccio é lei non é vero?- volle sapere allora Mark.

-È lei-

-Santo cielo, qualcuno la deve fermare rpima che si faccia ammazzare!- lo guardò con un’occhiata significativa, voleva fargli capire l’urgenza della situazione –la strada che sta percorrendo é stata scelta per disperazione, un modo per tenere a bada i fantasmi, non perché fosse allettante o perché si fanno ottimi guadagni, si sta distruggendo.

Vivian era...era diversa prima della Colombia, sapeva come mitigare parole dure con un gesto gentile, i suoi occhi brillavano di una luce calda, invece che duri e vuoti come ora. Quando si é risvegliata in ospedale, mi sono accorto che la persona che conoscevo non c’era più, ma ero e sono ancora disposto a fare di tutto per riportarla indietro!-

Etienne lo guardò sconcertato a quel discorso, e non tanto sicuro che stessero parlando della stessa persona, stavano davvero parlando del suo piccolo cactus?

Ma non ebbe tempo di formulare una risposta perché i fari di una macchina che parcheggiava nel vialetto d’ingresso, illuminarono la stanza.

-Dannazione! Quella è mia moglie Annie, devi....sparire-

Quando si era voltato verso la poltrona il posto era già vuoto, Mark pregò per l’ennesima volta di aver fatto la scelta giusta.

Etienne camminava con passo lento per i vicoli bui della città, il racconto di Mark che gli vorticava in testa come un mare in burrasca, mentre cercava di rimettere ordine nel caos, impresa non semplice. Era andato in cerca di risposte e le aveva trovate, solo non sapeva se erano quelle che si aspettava. Come si si aiutava qualcuno a scendere a patti con qualcosa di talmente doloroso? Con qualcosa dalla quale si è cercato di scappare, ogni giorno per anni,  ora il fatto che Sasha non avesse una fissa dimora acquistava tutto un’altro significato e dava concretezza a quello che già sospettava da tempo, che stesse scappando, ma ora sapeva da cosa.

Con lo sguardo vuoto alzò gli occhi verso il cielo, il cuore che batteva dolorosamente nel petto, aveva delle decisioni da prendere e un piano da formulare, se non stava attento l’avrebbe persa per sempre, ma non ci teneva neanche a rigirare il coltello nella piaga, che disastro, pensò con un sospiro.

Voleva andare da lei ora, stringerla tra le braccia e convincerla che con lui sarebbe stata al sicuro, che avrebbe sconfitto i demoni che la perseguitavano da anni, ma lei non glielo avrebbe mai permesso, lei doveva sempre fare la fredda e distaccata mercenaria, quella che non aveva bisogno di nessuno, tanto meno di lui.

I ricordi della loro prima notte insime si fecero strada con forza nella sua mente, era stata diversa quella notte,  quella notte era riuscito a toccare e a far emergere quella parte di lei che veniva tenuta sempre sotto stretto controllo, per un breve momento passione e tenerezza avevano fatto crollare la maschera di indifferenza che era diventata una seconda natura per lei.

Come sarebbe stato vederla sempre a quel modo? Vederla rilassata e sorridere più spesso? Perchè ora che ci faceva caso, l’aveva vista sorridere raramente da quando l’aveva incontrata, forse era arrivato il momento di rischiare tutto e sperare che la fortuna fosse dalla sua,  se l’aveva vinta, il premio avrebbe surclassato di gran lunga ogni sua più fervida immaginazione.

Con passo svelto e sicuro, si diresse verso l’albergo, pregando tutti i santi che lei non se ne fosse già andata.

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Capitolo 25
*** The game is out. ***


Sasha stava saltellando su e giù, cercando di infilarsi lo stivale, quando la porta della stanza si aprì e Etienne comparve sulla soglia.

Maledizione! Era quasi riuscita a svignarsela senza dare nell’occhio, aveva incaricato Jules di controllare l’indirizzo che gli aveva dato e lui non si sarebbe minimamente preoccupato di dove andava lei, allora si era cambiata e si era preparata ad andarsene, sperando che Etienne non arrivasse, ora avrebbe dovuto iniziare ad inventare una serie di bugie per toglierselo dai piedi.

-Era ora!- sperò che il tono di voce suonasse adeguatamente seccato –Jules ha trovato qualcosa, sta controllando un indirizzo, credo siamo sulla pista giusta-

Pronta a sfruttare al meglio le sue doti di attrice, si voltò a guardarlo, ma le parole le si strozzarono in gola alla vista della sua espressione.

-Che c’é?- sembrava che gli fosse morto qualcuno.

-Dobbiamo parlare- le disse chiudendo piano la porta e rimanendovi appoggiato contro, bloccandole così una via di fuga.

-Dall’espressione che hai sembra che sia successo qualcosa di irreparabile- cercò di mantenere un tono leggero, ma dentro tremava, sopraffatta da uno strano presentimento.

-Ho appena avuto un’interessante conversazione con il tuo amico...Mark Hamilton- la bomba era esplosa, sperava solo di riuscire a limitare lo spargimento di sangue.

-C-cosa?- sgranò gli occhi e istintivamente fece un passo indietro, allontanandosi da lui.

-Sono andato a trovare il tuo amico Mark- chiarì guardandola dritta negli occhi –e mi ha raccontato una storia molto interessante-

-No...- sapeva tutto! Glielo leggeva in faccia, Mark gli aveva raccontato ogni cosa!

-Sasha, perché non mi hai mai...- iniziò, ma lei non lo fece finire.

-Come ti sei permesso!- lo interuppe furiosa –non avevi nessun diritto di intrometterti nei miei affari privati!-

-Ero preoccupato- ribattè calmo –ti stavi comportando in maniera strana, anzi ti sei sempre comportata in maniera strana con me. Tutti quei tira e molla, il tenermi sempre lontano, non mi hai mai offerto una spiegazione che avesse senso!-

-Allora hai deciso di andare a ficcanasare per conto tuo! Non posso credere che Mark abbia spiattellato tutto!- poi colta da un sospetto gli chiese –l’hai per caso pestato a sangue?-

-Non gli ho torto un capello- rispose, un pò annoiato che lei si preoccupasse ancora per lui.

-Non ne avevate dirito! Nessuno dei due! La mia vita privata non è cosa che vi riguardi!- ribadì.

-Come puoi dire una cosa del genere, dopo quello che c’é stato tra di noi!- invei staccandosi dalla porta e andandole vicino.

-C’è stato solo sesso Etienne, senza significato- ma erano solo parole vuote e prive di fondamento e lei ne era consapevole  –piacere senza legami, era quello che abbiamo stabilito nel mio appartamento-

-Tu l’hai stabilito, io ho accettato solo per farti stare più tranquilla- chiarificò serio –basta nascondersi Sasha, non ti sei ancora stancata di tutti questi sotterfugi? Perché io sono sicuro di averne avuto abbastanza-

-Ti è andato in pappa il cervello!- lo prese in giro, ma con l’espressione di un animale braccato, che si era appena reso conto di non avere nessun altro posto in cui scappare–ti comporti in maniera talmente appiccicosa con tutte le ragazze che ti scopi per una notte?- domandò caustica.

Capì immediatamente di aver detto la cosa sbagliata, quando vide i suoi occhi scuri accendersi di furia.

-Dannazione a te!- le gridò contro, afferandola per le spalle e scuotendola –io ti amo maledizione!- gli sfuggì innaspettatamente.

Silenzio assoluto accolse la notizia, Etienne si pentì subito di averglielo detto a quel modo, con un tono rabbioso che non quel tipo di dichiarazione non aveva niente a che fare.

-Tu sei impazzito- gli disse a voce bassa e scostandosi le sue mani da dosso con un gesto brusco.

Sasha non aveva intenzione di rimanere un minuto di più in quella stanza, quasi correndo si diresse verso la porta, ma la mano di lui premuta contro il pannello di legno non le permise di aprirla.

-Lasciami passare- gli intimò minacciosa, cercando di controllare l’ondata di panico e paura che minacciava di sommergerla.

-Io ti amo dolcezza- le ripetè piano tra i capelli –passa il tuo tempo a scappare se ti va, ma non scappare da me-

No, no, no....gridava il suo cervello, mentre il battito del cuore le rimbombava nelle orecchie, facendosi quasi assordante, come era possibile che le stesse capitando una cosa del genere, lei era la dea di ghiaccio, non aveva bisogno dell’amore di nessuno!

Ma in un angolino buio del suo cuore, il germoglio della speranza era appena sbocciato, nutrito dal calore irradiato dalle parole di lui.

-Come puoi dire di amarmi se non sai nemmeno chi sono?- gli chiese con voce malferma, e cercando di sciogliere il nodo che le si era fermato in gola.

-So quello che mi basta- le braccia di lui le cinsero la vita abbracciandola –sei la ragazza che ha rischiato tutto per venirmi a salvare in quella fabbrica abbandonata, sei la ragazza che ho baciato al chiaro di luna, in una delle città più romantiche del mondo, sei la ragazza che ho tenuto stretta a me in una fredda notte d’inverno, sei il mio piccolo cactus tutte spine...-

-Oh smettila!- tremando si scostò da lui, allontanandosi di qualche passo, per pochi istanti si era fatta sedurre dalla sua voce morbida e bassa che sussurrava parole dolci e appassionate, parole in grado di aprire quelle porte che credeva chiuse per sempre.

-Così sei in vena di sentire storie stasera, non é vero?- gli chiese spavalda, gli avrebbe raccontato esattamente come stavano le cose e gli avrebbe fatto capire che lei era solo una finzione, che non era la persona che credeva –perchè allora ti posso riferire la mia versione dei fatti. Mark ti ha raccontato che fine ha fatto la famiglia Ortega? Credo di si, dal tronde è una storia che ha fatto il giro del mondo,  nessuno é mai riuscito a scoprirne gli artefici, ma sono sicura che almeno lui è riuscito a fare 2+2.

Vuoi sapere i dettagli Etienne? Vuoi sapere come sono stata fortunata ad avere tutta la famiglia sotto lo stesso tetto per una bella riunione? O come il piccolo drappello di uomini che ero riuscita a mettere insieme si è infiltrato nella casa ammazzando chiuque gli capitasse davanti?-

-Sasha...- gli si spezzò il cuore alla vista del profondo dolore che le si leggeva negli occhi.

-Ora viene la parte interessante, c’erano cinque bambini alla villa quando l’ho fatta saltare in aria, lo sapevi? Ho ammazzato Enrique Ortega con le mie mani, e poi ho fatto saltare le cariche di esplosivo che avevo posizionato in tutte le possibili vie di fuga, intrappolando tutti i suoi occupanti e lasciandoli morire come topi!-

-Sasha no...-

-Ora dimmi ancora che mi ami Etienne!- la sua risata amara gli fece accapponare la pelle –un’assassina spietata e dal sangue freddo, ecco quello che sono diventata quella notte, senza anima e senza morale-

Questa volta quando Sasha si accinse ad aprire la porta lui non la fermò.

-Sai perchè ho lasciato l’NSA Etienne?- chiese all’improvviso enza voltarsi –perchè non sopportavo più il modo in cui i miei colleghi avevano iniziato a guardarmi, con lo stesso sguardo carico di pietà che hai tu in questo momento-

E se ne andò chiudendo piano la porta.

-Non è pietà dolcezza- bisbigliò lui alla stanza vuota –ma comprensione e amore-

Sconfitto si lasciò cadere sul letto, aveva giocato d’azzardo e aveva perso, lui non era bastato per sconfiggere i fantasmi del passato.

Non le sarebbe andato dietro, non ora, nello stato d’animo in cui era, molto probabilmente questa volta, gli avrebbe sul serio piantato una pallottola dritta in mezzo al cuore, avrebbe portato a termine la sua missione e poi l’avrebbe inseguita fino in capo al mondo, non se la sarebbe lasciata scappare.

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Capitolo 26
*** Una notte buia. ***


La macchina sfrecciava nel traffico cittadino senza una meta precisa, sotto la luce artificiale dei lampioni le vie sembravano tutte uguali e senza importanza per la persona che stava al volante.

Sasha cercava invano di concentrarsi sulla guida, per impedire di venir soprafatta dalla disperazione, nella sua mente continuava a rivivere la scenata appena svoltasi nella stanza d’albergo, mentre pezzi di ricordi sepolti dagli anni, tornavano a tormentarla crudelmente.

Quasi a corto di benzina, frenò di botto inchiodando la macchina in una strada poco illuminata, tremante incrociò le braccia sul volante e vi posò sopra la testa con un singhiozzo sofferente, gli occhi le bruciavano, ma le lacrime non volevano scendere, neanche se la ricordava più l’ultima volta che aveva pianto.

Sentendosi come una tigre in gabbia, scese dalla vettura e ad occhi chiusi respirò a pieni polmoni l’aria fredda della sera, dandosi un’occhiata attorno si accorse con sorpresa di essere in una zona familiare, non si era  resa conto di aver imboccato l’uscita che l’avrebbe portata fino a quel posto.

Fece qualche passo lungo il muro di mattoni rossi e si fermò davanti ad un cancello, era chiuso, lo immagginava vista l’ora, lo sguardo le scivolò lungo il viale rischiarato debolmente dalla luce della luna e quella tenue dei lampioni sulla strada.

Colta da un impulso improvviso lo scavalcò, e pochi secondi dopo atterrò con un salto dall’altra parte, anche al buio sapeva in quale direzione andare.

Ignorando l’atmosfera tetra e surreale, si incamminò tra le file di lapidi fino a che trovò quello che cercava, due croci su un piedistallo, la scritta su una diceva:

“Jessica Trevor Trent

Madre devota”

Mentre sull’altra:

“Jack Trent

Collega stimato e padre affezionato”

 

Accanto ad ognuna c’era un mazzo di fiori appassiti da tempo, molto probabilmente opera di Mark.

Come una arrivata allo stremo delle forze, Sasha si lasciò cadere sull’erba accanto alle due tombe, non aveva visitato quel luogo da quando aveva lasciato gli Stati Uniti, non che importasse, visto che era convita che suo padre si stesse rivoltando nella bara e sua madre non doveva essere affatto orgogliosa di quello che la loro bambina era diventata.

Aveva rinnegato tutti gli insegnamenti impartiti da suo padre, difendere i deboli, lottare contro le ingiustizie e mantenere l’ordine e la sicurezza nel paese, suo padre era stato orgoglioso del suo lavoro, lo svolgeva con diligenza e impegno, e nel corso degli anni aveva cercato di trasmetterle la stessa passione, lei invece si era rivelata una delusione.

La sua vita stava andando a rotoli, gli anni passati a costruirsi un’esistenza ordinata erano stati cancellati dalle poche parole che lei ed Etienne si erano scambiati in albergo. Quelle poche parole erano state capaci di ridurre il suo piccolo mondo preciso in un cumulo di macerie, catapultandola nuovamente nell’incubo che aveva cercato con tutte le forze di dimenticare.

Non erano i ricordi della prigionia a tormentarla, ma quello che era successo in Colombia dopo, se chiudeva gli occhi riusciva ancora a vedere le fiamme che si alzavano alte dalla villa, le grida di terrore e l’odore del sangue, e lei che con lo sguardo impassibile, completamente ricoperta del sangue delle sue vittime, fissava fredda il risultato della sua opera.

Si ricordava la voce di Gonzales, il mercenario che l’aveva aiutata a reclutare il resto del gruppo, che le diceva spaventato; “Ricordami di non pestarti mai i piedi chica”, tutti erano rimasti sconcertati dalla crudeltà dimostrata dalla donna che li aveva assunti, e in quel momento neanche lei si era riconosciuta.

Chi era quell’essere calcolatore senza nessun rispetto per la vita umana? Chi era quella donna acceccata dalla sete di vendetta? Pronta a tutto pur di raggiungere il proprio obiettivo.

Quello che era diventata quella notte le aveva fatto venire la nausea, non aveva guardato in faccia nessuno o fatto distinzioni, tutti dovevano morire e così era stato, ed alla fine si era chiusa nella piccola casetta dalle tegole rosse che aveva affittato, e non era uscita per tre giorni.

Tre giorni in qui aveva sperato di morire e di non sentire più il dolore sordo che le pulsava in petto, tre giorni in cui la sua mente, ormai diventata insensibile, aveva finalmente registrato la sua condotta barbarica, e tre giorni in cui si era resa conto che la sua vendetta non aveva portato nessuna parvanza di pace ma solo altro dolore, e rimorsi che si sarebbero affievoliti con il tempo ma non sarebbero mai scomparsi.

Quando era uscita dal suo isolamento, le erano state riferite le storie che avevano iniziato a circolare approposito della “dea di ghiaccio”, le ci era voluto un pò per capire che stavano parlando di lei, all’inizio si era fatta un paio di risate sarcastiche sulla cosa, ma poi aveva deciso che le si addiceva, Vivian Trent era scomparsa per sempre, se le serviva una nuova identità  perché non quella?

Gonzales le aveva proposto di entrare in società con lui e lei aveva accettato, le aveva permesso di entrare nell’ambiente dei mercenari a pagamento, di farsi conoscere e di crearsi un nome, e che nome, uno dei più ricercati e temuti.

Un rumore improvviso, proveniente dal folto degli alberi la fece irrigidire, drizzando le orecchie fece scivolare una mano allo stivale, dove teneva il coltello.

-Porti ancora uno dei tuoi affilatissimi coltelli legati alla caviglia?- chiese una voce dall’oscurità.

-Cosa ci fai qui?-  lui era l’ultima persona che aveva voglia di vedere al momento.

-Speravo di trovarti in questo posto, ho pensato che magari una visita alle loro tombe era in programma, specialmente stasera-

-Come hai potuto Mark?- lo attaccò arrabbiata –non avevi nessun diritto di raccontargli nulla!-

Mark fece qualche passo titubante sul prato buio e le si sedette accanto, riusciva a malapena a vederla, ma forse per quello che dovevano dirsi era meglio così, l’oscurità ti dava un senso di anonimato e sicurezza.

-Si é presentato nel salotto di casa e ha preteso informazioni, che potevo fare, sparargli?-

-Sarebbe stato preferibile!- sbottò senza convinzione.

-Chissa perché, ma non credo che me ne saresti stata grata-

-Non sai quello che hai fatto Mark, non era il caso di coinvolgere Etienne in qualcosa che non lo riguarda-

-Forse ho pensato che avevi bisogno di un pò di compagnia, nel piccolo inferno privato che ti sei creata con le tue stesse mani-

-Risparmiami la tua filosofia spicciola ti prego!-

-In efetti la mia filosofia non ti é mai piaciuta- ammise con un vago sorriso –gli ho raccontato tutto perché mi è sembrato uno con il fegato necessario per contrastarti e perché mi é sembrato di capire che a te ci tenga parecchio, altrimenti non sarebbe venuto da me-

-Ma proprio a me dovevano capitare tutti gli uomini deviati!- sussurrò abattuta sfregandosi gli occhi con il palmo della mano.

-Spiegami perchè l’idea di farlo avvicinare a te ti terrorrizza così tanto? Eppure se la memoria non mi inganna, uno amazzerebbe per stare al fianco di una donna come te-

-La filosofia spicciola sta riaffiorando Mark, ed io non ho voglia di starti ad ascoltare stasera, hai combinato già abbastanza danni-

Sasha stava per alzarsi e andarsene, quando la mano di lui scattò e le afferrò il polso in una morsa micidiale trattenendola.

-Questa volta non te ne vai, é ora che abbiamo quella discussione che avremmo dovuto avere quasi sei anni fà- aumentò la stretta, rendendo inutili i flebili tentativi di fuga di lei.

-Basta scappare- le intimò deciso –ormai dovresti aver scoperto che non importa quanto corri lontano o veloce, il tuo passato riuscirà sempre a starti dietro-

-Va al diavolo!-

-Insultarmi non ti servirà a nulla-

-Mio Dio Mark, come fai a non capire!- gli gridò contro con voce rotta, era arrivata al punto di rottura, non avrebbe retto ancora per molto.

-Spiegamelo-

Per diversi minuti gli unici rumori attorno a loro furono il vento freddo, che soffiava leggero tra le fronde degli alberi, e il suono attutito del traffico cittadino.

Quando alla fine Mark si convinse che lei non gli avrebbe raccontato nulla, il suono improvviso della sua voce lo fece quasi sobbalzare.

-Quello che sono diventata quella notte mi terrorrizza- ammise per la prima volta a voce alta –sapevi che nella villa c’erano cinque bambini?-

Lo sapeva, aveva letto tutti i rapporti delle autorità del luogo e quelli del medico dell’obitorio.

-Tu lo sapevi?- volle sapere.

-No, ma non fa alcuna differenza...-

-Avresti attaccato lo stesso la villa se l’avessi saputo?-

Ci pensò sù, sarebbe andata avanti con il piano se avesse saputo che nella villa erano presenti dei bambini? Non ne era sicura, magari sarebbe stata più cauta e scelto i suoi bersagli con più cura, ma ora non c’era modo di esserne certi.

-Onestamente? Non lo so- lo sguardo le si perse nel buio  mentre i ricordi di quella terribile notte le scorrevano vividi davanti agli occhi –ero come impazzita quella notte, l’unico pensiero riccorrente era quello di farli fuori tutti, senza eccezzioni, dal primo all’ultimo e ci sono riuscita, solo che sono riuscita anche a coinvolgere persone innocenti nel processo-

-Ti sei sentita meglio dopo?-

-Ho avuto incubi per mesi!- rise, ma senza allegria –e li ho tuttora adesso. Tu ed Etienne credete di conoscermi, ma siete due poveri illusi,  non sapete che razza di mostro possa diventare-

Mark non le aveva ancora lasciato il polso, percepiva chiaramente i violenti tremiti che le stavano scuotendo il corpo, doveva aver raggiunto il limite, tenersi dentro cose del genere per tutti questi anni ti logorava.

-Magari credi che nessuno possa capire cosa hai passato in quei momenti, ma non hai mai dato a nessuno la possibilità di provare a comprendere, non sei un’assassina capace solo di atti brutali Vivian...-

-Come puoi dire una cosa del genere, dopo...dopo...- detestò con tutto il cuore la voce incrinata che ne era venuta fuori.

-Un mostro senza anima a quest’ora non sarebbe qui a crogiolarsi nei sensi di colpa, ripensando al passato- le disse cercando di confortarla –é per questo che ti sei attaccata con tanta tenacia alla tua immaggine di mercenaria fredda e spietata? Per tenere sotto chiave quelle emozioni oscure che credi ora facciano parte di te?-

Sasha ebbe un sussulto, come aveva fatto ad andare così vicino al centro del bersaglio?

Era per quello che cercava di non lasciarsi andare, di tenere sempre sotto controllo, quello che la circondava e i minimi dettagli del suo lavoro, una dimostrazione di violenza come quella accaduta in Colombia non avrebbe più dovuto ripetersi, ma facendo così aveva allontanto il resto del mondo da lei, le mura che si era costruita attorno tenevano tutto dentro, ma allo stesso tempo tenevano anche tutto fuori,  tenendo tutte le persone a debita distanza.

Ed era quello che aveva sistematicamente fatto con Etienne, negando la sua attrazione per lui, relegando la loro notte insieme ad un insignificante interludio piacevole, tenendolo lontano, ma segretamente desiderando che tra loro ci fosse qualcosa di più e quello la spaventava, se fosse esplosa di nuovo, sarebbe stata capace di fargli del male? Il solo pensiero la terrorrizzava come poche cose in vita sua, trovarsi davanti il corpo esanime di lui come conseguenza di un suo scatto d’ira l’avrebbe annienatata.

-Non accadrà più- le disse come se le avesse letto nel pensiero.

-Ne sembri estremamente sicuro-

-Sono sicuro che spesso, il dolore e la sofferenza ci portino a compiere azioni che in genere non ci sogneremo mai di fare, non condono ciò che hai fatto Vivian, ma credo che ti meriti delle attenuanti, e sono sicuro che non avresti mai fatto del male a degli innocenti deliberatamente- le lasciò il polso e si mise in piedi, avrebbe voluto abbracciarla e consolarla in qualche modo, ma non era più un compito che spettava a lui, forse era arrivato il momento di rimandarla dall’inglese –il tipo di assoluzione che cerchi non te la può dare nessuno se non tu stessa, credo che ti sia punita abbastanza in tutti questi anni. Perché non torni da lui?-

-Perché a quest’ora sarà di sicuro sparito dalla circolazione- rispose amara.

-Non ci scommetterei se fossi in te-

Pochi istanti dopo Sasha si ritrovò sola.

 

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Capitolo 27
*** Tho' guarda...... ***


La grande dea di ghiaccio ridotta ad un groviglio tremante di emozioni contrastanti, se solo i suoi nemici potessero vederla ora sarebbe stata cancellata per sempre dal loro libro nero.

Dove era finito il sangue freddo e le tutte le sue capacità analitiche? Bastava davvero così poco per mandarla in confusione?

“Credi davvero che sia poco quello che ci é successo?”

Thò guarda la vocina era tornata, che accidenti voleva, non era il momento adatto! E poi che cos’era questo “ci”?

“Come sempre, con te non è mai il momento adatto, e poi ho tutti i diritti di usare il plurale, da dove credi che venga?”

Va al diavolo!

“Insultarmi non ti servirà a nulla”

Che fai origli le conversazioni altrui?

“Se ci riguardano si, e sottolineo che il ragazzo ha colto dritto nel segno!”

Che ne sai tu sparisci.

“Ti conosco meglio di chiunque altro! Ti ricordo che sono quella che ti ha aiutato a seguire tutti i mantra idioti che hai continuato a ripeterti nel corso degli anni, per preservare la tua sanità mentale!”

Sasha non poteva credere di star avendo questa conversazione, che fosse il primo sintomo della pazzia?

“Credici mia cara perché non me ne vado tanto facilmente!”

Vattene, sei solo portatrice di guai, come a Venezia!

“Adesso non inizirea a scaricarmi le colpe di tutte le tue disgrazie?”

È sempre colpa tua! Se una volta tanto te ne stessi zitta e buona....

“Stai solo tergiversando, parliamo di cose serie”

Non abbiamo nulla da dirci noi due!

“Credo che il discorso appena fatto da Mark non ti sia ancora entrato in quella zucca dura, ma non dovrei essere sorpresa vero!”

Ho abbastanza problemi al momento, ti dispiace?

“Puoi mentire a tutti gli altri, ma non a me, è uno spreco inutile di energie. Credo che sia arrivato il momento di guardare il passato dritto in faccia e cercare di trovare un pò di pace”

Facile a dirsi.

“Abbiamo fatto uno sbaglio, un’errore di giudizio che rimpiangeremo per il resto dei nostri giorni”

Sono morte delle persone a causa dei miei errori.

“Ci sono delle attenuanti, non ti sei resa conto che nonostante tutto Mark ha sempre continuato a sperare che lo contatassi, non ti ha mai giudicato e sarebbe stato ben felice di riaverti al suo fianco, lui ha capito”

Mark non ragiona con il cervello in questo caso.

“Ed Etienne?”

Lui definitivamente non sta ragionando con il cervello!

“Magari perché è con il cuore che ragiona il fusto inglese. Anche lui sa la verità e non ti ha giudicato un mostro senza pietà...”

Smettila...

“Ti ha detto che ti ama e che hai fatto? Sei scappata sbattendogli la porta in faccia!”

Smettila....

“È ora di tornare a vivere mia cara, di non permettere più ai fantasmi del passato di governare la nostra vita, non sei stanca di avere sempre la guardia alzata?”

Santo cielo basta!

“Permettermi di dirti un’ultima cosa, nonostante tutte le scuse che ti sei costruita nel corso degli anni, anche Jack avrebbe capito”

Un pò di pietà no eh? Mi piacevi di più quando eri una rompi palle!

“Jack sapeva fare questo lavoro meglio di chiunque altro, sapeva quali conseguenze hanno su un’agente certe esperienze, non ti avrebbe mai condannato come stai facendo con te stessa al momento”

Non ci posso credere! Non hai limiti tu!

“Neanche uno, è il bello di non esistere, non nel senso letterale della parola,  basta con la sceneggiata della stronza acida totale, riporta l’equilibrio! E per la miseria torna in albergo da lui!”

Era ferma davanti alla porta della loro stanza da almeno cinque minuti, ma non aveva ancora trovato il coraggio di entrare.

Dopo un’altra ora di girovagare, in meraviglioso silenzio, aveva deciso che non era il caso di sprecare altra benzina ed era ritornata in albergo, almeno per provare che aveva ragione lei ed Etienne aveva di sicuro alzato i tacchi.

Ma se invece era rimasto? Che cosa avrebbe fatto?

Con il cuore che batteva all’impazzata aprì lentamente l’uscio e piano se lo richiuse alle spalle.

Lo sguardo scivolò immediatamente verso il letto, e lì, nella flebile luce che filtrava dalle tende chiuse sulla finestra, vide i contorni della sua sagoma addormentata, non se ne era andato!

Non sapeva se esserne grata o incredibilmente terrorrizzata, avevano così tante cose da dirsi, e spiegazioni da dare, cui non era sicura di poter articolare, molto probabilmente avrebbero finito con l’avere un litigio infuocato, o molto probabilmente sarebbero finiti dritti nel letto a scambiarsi effusioni, ora come ora, non trovava la prospettiva spiacevole.

In silenzio si svestì e dopo essersi infilata una maglietta si fece scivolare sotto le coperte, stando attenta a non svegliarlo.

Era intenta a fissare il soffitto con interesse, quando Etienne si voltò di scatto verso di lei con un sospiro esasperato e l’afferrò per la vita, trascinandosela accanto abbracciandola stretta.

-Ma sei gelata!- esclamò sorpreso.

-Credevo dormissi- rispose confusa e non poco sconvolta.

-Come se fosse facile-

Lei rimase in silenzio, mentre una delle mani di lui le accarezzava pigra la schiena e un delizioso calore iniziava a diffondersi per tutto il corpo, era davvero tanto stanca, stanca di lottare in continuazione senza un momento di respiro, stanca di dover sempre stare sulla difensiva, ma soprattutto, era stanca di stare da sola.

Gli fece scivolare un braccio attorno alla vita, stringendosi a lui e inspirando ad occhi chiusi il suo profumo, le era sempre piaciuto ora che ci pensava, eppure sapeva solo di sapone e di qualcosa di particolare solo suo.

L’aveva fatto dannare, pensò con un mezzo sorriso,  cercando di sfuggirgli in tutti i modi possibili ed immaginabili, negando anche solo remotamente di avere un debole per lui, quando invece avrebbe voluto trovarsi in questa posizione tutte le notti.

Lui aveva detto di essere innamorato, era davvero possibile? Conoscevano molto poco l’uno dell’altro,  ma il modo appassionato in cui le aveva fatto quella dichiarazione era stato sincero, e il fatto che non se ne fosse andato, ma che fosse rimasto li ad aspettarla, era più esplicito di mille parole.

Ora l’unico problema era quello di stabilire che cosa provasse lei. Aveva passato così tanto tempo a negare di provare qualcosa, che non era sicura di essere in grado di ricordarsi come si provassero sentimenti reali, quello di cui aveva bisogno era altro tempo, tempo per ricordarsi cosa voleva dire stare vicino ad un’altro essere umano e farlo partecipe del tuo mondo, tempo in cui ricordare cosa voleva dire essere amati e ricambiare il sentimento, quel pensiero la fece rabbrividere, scuotendola da capo a piedi.

-Hai ancora freddo?- chiese avendo percepito il tremito, e rimboccando meglio le coperte attorno ai loro corpi.

-No-

Di nuovo silenzio, magari era il caso di parlare e di dare qualche spiegazione.

-Perchè sei rimasto?- chiese invece.

-E dove sarei dovuto andare?-

-Il più possibile lontano da qui?- stava per dire “il più possibile lontano da me”, ma si era trattenuta.

-In qualunque posto avessi deciso di andare, ero sicuro che fosse nella direzione opposta a quella in cui stavi scappando tu, quindi ho deciso di starmene buono qui, ad aspettare l’evolversi degli eventi-

-Molto coraggioso-

-Molto intelligente direi!-

-Etienne...- iniziò titubante, ma lui non la fece finire.

-Non c’è bisogno di dire nulla,  credo tu abbia passato abbastanza per questa sera, ne possiamo anche parlare domattina, mi basta che tua sia tornata-

Lei quasi tirò un sospiro di sollievo per la concessione di questa piccola tregua, come faceva ad essere così compresinsivo e tollerante? Tutte le sue emozioni erano ancora sotto sopra, e non era sicura di riuscire a rimettere ordine, il tanto necessario che le consentisse di affrontare una discussione con lui, non in quel momento.

-Grazie- bisbigliò piano, ranicchiandosi meglio contro di lui e rilassandosi al calore del suo corpo.

-Buona notte-

Solo quando sentì il respiro regolare di lei, Etienne si concesse di rilassarsi, non poteva ancora credere che fosse tornata!

Rimasto solo in quella stanza per diverse ore, si era ormai convinto che Sasha non sarebbe più tornata, ci aveva sperato, ma sapeva che non l’avrebbe fatto, per cui, quando aveva sentito la porta aprirsi per poco non gli era scoppiato il cuore in petto dal sollievo, era rimasto immobile, facendo finta di essere addormentato fino a che lei non si era infilata sotto le coperte, con la pazienza agli sgoccioli aveva aspettato che aprisse bocca e che gli dicesse qualcosa, ma nulla.

Alla fine esasperato si era voltato e l’aveva presa tra le braccia, anche perchè aveva avuto bisogno di toccarla e di constatare che non stesse avendo le alluccinazioni.

Era vero che al momento non voleva spiegazioni, avrebbero avuto tempo per parlare il mattino seguente, ora voleva solo stringerla e godersi quel poco di pace che potevano condividere insieme, il fatto che lei fosse tornata invece di fuggire, era per lui, già un passo avanti.

Ma il mattino dopo non ebbero tempo di parlare, Jules aveva localizzato con precisione la posizione di Sergej,  e in meno di dieci minuti si ritrovarono tutti e tre nella macchina, diretti alla periferia ovest della città.

Il quartiere dove si era andato a nascondere, era abitato per la maggior parte da immigrati, uno in più o in meno non svrebbe fatto la differenza o suscitato interesse, e il palazzo dove erano diretti non prometteva nulla di buono. Lasciando Jules in macchina con i suoi ageggi elettronici, si diressero verso il portone aperto.

Dall’altro lato della strada, seduto in un cafè dall’aspetto poco pulito, un uomo dai lineamenti latini e il viso coperto da occhiali da sole e cappellino, stava parlando al cellulare.

-Di a Ramon che il pesce ha abboccato- con un sorriso maligno rimise il telefono in tasca e lasciò il locale.

 

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Capitolo 28
*** A volte ritornano..... ***


Sulle scale non incontrarono nessuno, a parte una vecchietta che a passo lento portava il cane a fare una passeggiata.

In poco tempo arrivarono all’appartamento indicato da Jules, estrassero le pistole e con un cenno di assenso Etienne spalancò la porta con un calcio, sperando di cogliere il loro bersaglio di sorpresa, ma a prima vista il posto sembrava vuoto, e non in tono con l’ambiente circostante.

Sergej doveva passarsela davvero bene, i mobili erano tutti nuovi e si vedeva che l’appartamento era stato appena ristrutturato.

Con circospezione fecero qualche passo, sempre tenendo tutto sotto controllo, per fermarsi poi sulla soglia della cucina, l’uomo che cercavano era seduto al tavolo con la mano stretta attorno ad una lattina di birra.

-La pacchia è finita Sergej!- gli annuncio Sasha gelida –alzati lentamente e con le mani bene in vista!-

Ma non ci fu risposta, neanche un tremito, ed ora che lo osservavano meglio, era troppo immobile.

Lentamente Etienne fece il giro del tavolo,  sempre con la pistola puntata gli afferrò una spalla e lo spinse contro lo schienale della sedia, scoprendo il motivo della mancanza di reazione.

Il manico di un coltello da macellaio spuntava dal mezzo del torace del russo.

-Morto stecchito- con due dita gli toccò il collo –e neanche da tanto direi-

-Che perdita inutile di tempo!-

-Andiamocene, non vorrei trovarmi faccia a faccia con chiunque lo abbia accoppato, se è stato un regolamento di conti la faccenda non ci riguarda-

Ma prima che potessero muovere un muscolo, sentirono il rumore di qualcosa che, dopo aver infranto il vetro della finestra del salotto, rotolava sul pavimento.

I due cercarono riparorono ai lati dello stipite della porta, sbirciando nella stanza accanto e cercando di scoprire se stavano per saltare in aria, mentre uno strano fumo bianco si alzava da dietro il divano.

-Fumogeni?- provò ad indovinare lei.

-La faccenda non mi piace, puzza di trappola, andiamo via!-

Ma non arrivarono mai alla porta, una lastra di metallo era appena scesa con un tonfo sordo, bloccandogli la via di fuga, mentre altre bombolette di gas venivano lanciate attraverso le finestre.

-La finestra che da sulla scala antincendio!- le disse affernadola per il gomito e quasi tascinandosela dietro.

Ma il rumore di altre lastre, dello stesso spessore metallico di quella che bloccava la porta, riecheggiò per tutta la casa, fino a che Etienne e Sasha si ritrovarono al buio in una nube di fumo.

-Una trappola!- esclamò tossendo, il gas iniziava ad irritarle i polmoni.

-E a quanto pare ci siamo caduti come allocchi!- scosse la testa per chiarirsi le idee, il gas stava iniziando ad avere effetti strani su di lui.

-Dall’odore sembrerebbe soporifero...-

-Almeno non hanno...intenzione di farci...fuori subito... –

Pochi istanti dopo le due spie erano stese sul pavimento prive di sensi.

Nel rinvenire Sasha si rese conto di aver un mal di testa apocalittico e di essere stata ammanettata per bene ad una sedia in legno massiccio.

La stanza in cui era stata rinchiusa era totalmente spoglia e a prima vista senza finestre, l’unica luce disponibile veniva offerta da un piccolo lampadario sul soffitto, quanto tempo era rimasta priva di sensi? E Jules? Si era accorto che li avevano catturati o avevano preso anche lui? Di Etienne non c’era traccia, sperava solo che non l’avessero fatto fuori su due piedi lì nell’appartamento.

Il gas che avevano usato doveva essere stato davvero potente, pensò, vedeva la stanza ondeggiare, le ci volle qualche minuto per rendersi conto che la stanza stava davvero ondeggiando e che non erano gli effetti dell’anestetico, era su una barca?

Dovevano essere su uno degli estuari che sfociava a Chesapeka Bay, facilmente raggiungibile dalla città. Qualche secondo dopo sentì le pareti tremare e il rombo del motore che veniva avviato, stavano andando da qualche parte, molto probabilmente avrebbero navigato il fiume.

La porta venne spalancata senza tante cerimonie, lasciando passare quattro uomini, che si posizionarono contro la parete ai due lati dello stipite, liberando la via per una quinta persona.

Sasha non potè fare a meno di guardare il nuovo arrivato con sconcerto, non sicura se credere a quello che vedeva o meno, sembrava che Freddy Krugher con indosso un abito di Armani fosse appena entrato nella sua piccola cella.

-Finalmente ci incontriamo- le disse l’uomo, con un pesante accento e la voce che assomigliava ad un rantolo, mentre con passo instabile e con l’aiuto di un bastone le si avvicinava.

-Il piacere è tutto tuo ti assicuro- il tono sarcastico e leggermente canzonatorio.

-Lo sarà mia cara te lo posso assicurare, prima che la notte sia finita- disse lui respirando a fatica.

Ora che li osservava bene, i cinque sembravano originari dell’America Latina, che fossero i compari di Sergej? I trafficanti colombiani di cui le aveva parlato Mark?

-Io e il mio socio non abbiamo nulla a che vedere con Sergej, solo un piccolo regolamento di conti, ed a quanto pare siamo stati battuti sul tempo-

-Sono perfettamente consapevole quali rapporti  tu e il tuo “socio” avevate con il russo-

-Allora converrai che non c’è bisogno di tutta questa pagliacciata- ma un brivido lungo la schiena le diceva che c’era dell’altro sotto.

-Oh ma vedi, c’era il bisogno, il russo ha fatto solo da esca, non era lui il pesce che avevo intenzione di catturare- l’uomo fissò i suoi piccoli occhietti scuri in quelli di lei –sono cinque anni che aspetto questo momento e ho tutte le intenzioni di godermi ogni istante-

Contro chi stava cercando vendetta? Contro lei o contro Etienne? Entrambi dovevano avere una lista di tizi loschi pronti a vendicarsi lunga chilomentri.

-Visto che siamo in tema, che fine ha fatto il mio socio?-

-Per il momento è in perfetta salute- fece un gesto impercettibile con la testa ad uno degli uomini, il quale sparì subito dopo attraverso la porta –non vorrei che si perdesse la festa-

-Bando ai convenevoli, a cosa debbo l’onore di questo soggiorno?-

-Non hai la più pallida idea di chi io sia vero?- sembrava alquanto compiaciuto della cosa.

-Dovrei?-

-In tempo debito-

Il tirapiedi di Freddy ritornò portandosi dietro Etienne bendato e ammanettato,  e prima di rimuovere il fazzoletto che copriva i suoi occhi, lo incantenò contro il muro, dove Sasha poteva chiaramente vederlo.

Etienne non mosse neanche un capello, quando la luce improvvisa gli ferì gli occhi e a poco a poco prendeva atto della piccola riunione che si stava svolgendo in quella stanza, almeno Sasha sembrava stare bene.

-Ma che bella riunione amichevole!- commentò sarcastico –ora che si fa? Un bel gioco di società?-

Il rumore del pugno che lo colpiva riecheggiò sinistro nella stanza, e Sasha si chiese se per caso era di nuovo fatto a causa del gas, non poteva essere talmente temerario.

-Non apprezziamo il sarcasmo-  rantolò l’uomo.

-Non me lo dire!- poi rivolto a Sasha –la mascherina di carnevale è un amico tuo dolcezza?-

Al secondo pugno lei gli lanciò un’occhiataccia, ma la voleva smettere di provocarli!

-Tra qualche ora al nostro amico inglese sarà passata la voglia di scherzare!-

-Il gioco non è divertente se si è da soli, perchè non mi dici per quale motivo hai fatto fuori Sergej?-

-Non mi serviva più- gli occhietti neri si posarono sadici di nuovo su di lei –aveva adempiuto al suo compito-

-Quello di attirarci in una trappola?-

-Era la dea di ghiaccio che volevo, l’inglese è un optional-

Quindi era lei il bersaglio, ma chi accidenti erano questi tizi!

-Andiamo, adesso arriva il colpo di scena no?-

-Povera Vivian, essere all’oscuro non è una bella sensazione- all’espressione sconvolta di lei si lasciò scappare una risatina asmatica –oh, so quello e tante altre cose, mi ci sono voluti anni per raccogliere le informazioni necessarie per incastrarti, ma io sono un uomo paziente-

-Chi diavolo sei?- chiese mentre le si drizzavano i capelli sulla nuca.

-Ramon Ortega- con piacere vide i suoi occhi dilatarsi dall’orrore –scampato alle fiamme dell’inferno, mio fratello Enrique non è stato altrettanto fortunato-

-Mio Dio...- erano spacciati.

-Questo che vedi- continuò indicando il suo corpo martoriato –è il risultato del tuo operato di quella notte! Sono l’unico superstite di quell’incendio, tutta la mia famiglia è stata sterminata in un colpo solo!-

-Tuo fratello ha avuto quello che si meritava- le era scappato, non era riuscita a trattenersi.

-Puttana!- gridò afferrandola per la gola con la mano guantata –rimpiangerai di aver deciso di andare contro la famiglia Ortega!-

Sasha stava iniziando a vedere sfocato per la mancanza di ossigeno, vagamente registrò Etienne che protestava e il rumore di un’altro cazzotto andato a segno, poi la presa venne allentata e lei fù scossa da un’eccesso di tosse, mentre cercava di riempirsi i polmoni d’aria il più in fretta possibile.

-Non te la caverai in maniera così pulita, ho aspettato anni per potermi vendicare, tutti i mesi passati in ospedale a pianificare la tua dipartita, gli anni passati a ricostruire il patrimonio degli Ortega, mentre continuavo a raccogliere informazioni. Ho manovrato Sergej come un burattino per poter arrivare ad attirare l’attenzione della dea di ghiaccio, ed ora ho intenzione di avere la mia giusta vendetta, lunga e dolorosa- uno degli uomini si staccò dal muro e si infilò un paio di guanti di pelle nera –permettimi di presentarti Paco. Al mio amico Paco piace infliggere dolore nei modi più sottili e duraturi-

-Qualuncue cosa Paco abbia in mente, sono sicura che non sia paragonabile con l’inventiva di tuo fratello- si congratulò con se stessa, per essere riuscita a mascerare la paura che provava.

-Vedremo,- rispose vago e pronto ad assestarle un’altro colpo –per il momento credo che il mio amico Paco si eserciterà sull’inglese, tu che ne dici? Ti va di goderti lo spettaccolo?-

-No...- involontariamente diede un violento strattone alle manette, neanche sentendo la fitta di dolore –bastardo! Mi volevi, ed ora mi hai, lascialo fuori da questa storia!-

-Ma vedi, io sono un tipo molto elastico, mi adatto facilmente ai cambiamenti di programma. Credo che ora il piano includa far fuori il tuo amorino molto lentamente, con te che stai a guardare  e solo dopo sarà il tuo turno- il sorriso sadico fece nuovamente la sua comparsa mentre Paco tirava fuori un coltello dall’aspetto minaccioso e faceva a brandelli la maglia scura di Etienne.

 

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Capitolo 29
*** Rescue me. ***


Due ore dopo Sasha era ancora legata alla sedia, a testa china e con il viso rigato di lacrime.

Ramon e i suoi scagnozzi erano appena andati via, avevano smesso ti torturare Etienne solo dopo che li aveva supplicati piangendo di lasciarlo stare.

Cercando di combattere l’ondata di nausea che rischiava sopraffarla, sollevò lo sguardo su di lui, non sapeva neanche se era ancora coscente, sperava con tutto il cuore di no, il dolore doveva essere insopportabile. Altre lacrime le scivolarono lungo le guance alla vista del suo torace insaguinato, il viso era pesto e gonfio, mentre goccioline di sangue continuavano a cadergli dal naso, andando a ingrossare la piccola pozza che gli si era formata ai piedi, era mezzo inginocchiato a terra e solo le catene che lo inchiodavano contro il muro gli impedivano di cadere.

-Etienne...- cercò di chiamarlo, ma dalla gola serrata non le uscì nessun suono.

Mio Dio cosa gli aveva fatto! Era tutta colpa sua, l’aveva coinvolto in qualcosa che non lo riguardava, ed ora sarebbe morto!

Doveva portarlo in salvo, doveva provare a portarlo via da quella barca costi quel che costi!

Era sicura che le avessero tolto tutte le armi, ma aveva ancora qualche asso nella manica, letteralmente, nella manica della sua giacca in pelle doveva esserci un ferretto abilmente nascosto nella cucitura laterale, utile per uscire da situazioni di questo genere.

Con pazienza  cercò di aprire alcuni dei punti, cercando di sfolarlo lentamente, se le cadeva erano finiti, tirò un sospiro di sollievo quando finalmente ebbe il sottile pezzo di metallo tra le dita.

Fece un respiro profondo, doveva calmare il tremito delle mani, la sua goffagine avrebbe potuto farle perdere minuti preziosi, con il labbro superiore imperlato di sudore si accinse a trafficare con la serratura delle manette, impresa difficile, visto che non poteva vedere cosa stava facendo.

Sorrise trionfante al sonoro “click” che indicava l’apertura della piccola serratura, ora le restavano quelle dei piedi. Una volta libera si avvicinò tremante ad Etienne, non sapeva neanche se o dove toccarlo, per la paura di fargli ancora più male.

Incurante del sangue, gli prese la testa fra le mani sollevandogliela delicatamente.

-Etienne...tesoro ti prego rispondi- singhiozzò disperata.

Etienne fluttuava beato in un mare fatto di oscurità, dove il dolore veniva attenuato dal buio che lo avvolgeva, quel Paco ci sapeva fare, e la polvere di peperoncino sulle ferite aperte era stata un tocco da maestro, era pronto a chiedere pietà dopo solo la prima mezz’ora, patetico. Ma non era lui che volevano sentire supplicare, lo sapeva, e se alla fine l’avevano lasciato in pace, voleva dire che per il momento avevano ottenuto quello che cercavano.

Un suono leggero come un alito di vento si intromise nel suo rifugio, cos’era? Lo sentì nuovamente,  sembrava che qualcuno lo stesse chiamando, erano già tornati? Gli era difficile ammetterlo, ma non avrebbe retto altre due ore in compagnia di Paco, non aveva mai incontrato qualcuno che provasse un tale piacere perverso ad infliggere dolore. Ancora quel suono.

La voce gli sembrava familiare però, e si stava facendo sempre più insistente, ora nella sua oscurità vedeva un puntino di luce in lontananza, la luce non era mai una cosa buona quando si era svenuti, ma sembrava che la voce provenisse da quella direzione.

Qualcosa gli gocciolava sulla faccia, e bruciava maledettamente, chissà cosa si era inventato Paco. Con rilutazza Etienne aprì l’occhio meno gonfio e si trovò davanti il viso rigato di lacrime di Sasha, lei che piangeva? E da quando?

-Ehi dolsessa- non era venuto fuore come doveva ma era il meglio che poteva fare con le labbra ridotte in quelle condizioni.

-Grazie al cielo! Credevo ti avessero pestato più del necessario!-

-Dolsessa smetti di piansere brusia!- la supplico mentre veniva investito da un nuovo fiotto di lacrime.

-Idiota!- ma sorrideva mentre lo insultava –ora ti libero, riesci a stare in piedi? Dobbiamo andarcene in più in fretta possibile-

-Si froverò-

Mentre armeggiava con le manette di lui, Sasha stava cercando di formare uno straccio di piano. Quanto erano lontani dalla civiltà? Quante miglia avevano percorso lungo il fiume? Se quelli erano i contrabbandieri di armi di cui le aveva parlato Mark, forse a bordo della barca avrebbero trovato delle pistole, altrimenti le loro possibilità di fuga erano molto esigue.

Quando riusci a liberarlo, Etienne cadde sopra il pavimento sulla schiena, emettendo un gemito di dolore.

-Etienne!- gridò allarmata.

-Dammi qualshe minufo, non mi senfo fiù le brassia-

Sasha dovette usare parecchia immagginazione per capire quello che le voleva dire, ma comprese lo stesso il senso, sperava solo che non li scoprissero.

-Ti fa molto male?- con la punta delle dita gli scostò alcune ciocche scure dalla fronte sudata.

-Solo quanfo resfiro- scherzò, era come se la parte superiore del suo corpo fosse in fiamme, la testa gli pulsava con violenza e credeva di avere almeno due costole rotte.

-Etienne, dobbiamo andare, se rimaniamo ancora qui c’è il rischio che ci scoprano-

Stringendo i denti contro il dolore Etienne si alzò e la seguì.

Fuori dalla porta non c’era nessuna guardia, dovevano essere sicuri che i prigionieri non sarebbero andati da nessuna parte.

-Che barca pensi che sia?- gli chiese sotto voce.

-Sembra una chiatta- se parlava piano riusciva a scandire meglio le parole.

-Mark mi ha detto che Sergej si era unito ad un gruppo di trafficanti di armi colombiani- gli raccontò mentre camminavano veloci lungo un corridoio –visti i precedenti della famiglia Ortega, credo che siano loro, pensi che stiano trasportando un carico?-

-Me lo auguro con tutto il cuore, altrimenti saremo costretti a svignarcela in silenzio e a lasciarli scappare se non vogliamo rimetterci le penne-

Erano arrivati davanti ad una porta, se la fortuna li assisteva, quella era la stiva con le casse che contenevano la merce.

-Natale è arrivato in anticipo!- bisbigliò lui occhieggiando il carico esterrefatto, da dove le avevano prese tutte queste armi?

Si armarono fino ai denti, avevano intenzione di fare piazza pulita del nemico e allo stesso tempo di cercare di non affondare la chiatta, Mark avrebbe voluto indietro il carico.

Si fecero strada fino in coperta, il ponte era brulicante di attività, sembrava che stesse succedendo qualcosa, poi nel silenzio della notte rimbombò il rumore di un megafono “Qui è la guardia fluviale, spegnete il motore e fatevi accostare”, che fosse un controllo di routine o meno, era il momento adatto per entrare in azione, le guardie avrebbero chiamato rinforzi e i colombiani non sarebbero riusciti a scappare tanto facilmente.

-È ora di dare inizio allo spettacolo!- stava per lanciarsi in azione quando Etienne la trattenne per un gomito.

-Sta attenta, abbiamo un sacco di conti in sospeso tu ed io-

Lo guardò in viso per qualche istante, nonostante gli occhi fossero ridotti a due fessurine, la preoccupazione per lei brillava nel suo sguardo, lentamente Sasha gli sfiorò le labbra con le proprie, stanto attenta a non fargli male e gli sorrise.

-Farò il possibile-

-E questa volta dolcezza...assicurati di averli davvero fatti fuori tutti!-

Con un soppracciglio alzato gli fece vedere le due granate che si era messa in tasca, e lui non potè fare a meno di ridere.

-Si, ma Paco è mio!-

Si separarono e andarono in direzioni opposte, quell’affare era lungo almeno 40 metri, ed era pieno di sun americani, venti contro due,  avevano buone possibilità di essere fatti fuori in men che non si dica, la situazione ideale per entrambi.

Quello che doveva essere il comandante della bagnarola stava discutendo animatamente con un’ufficiale in divisa, apparentemente era un controllo di routine, Sasha tolse la sicura della bomba e la gettò in acqua, l’esplosione scatenò il panico, e tutti tirarono fuori le pistole, era quello che lei ed Etienne stavano aspettando.

Furono avvistati in poco tempo e iniziarono subito a dargli la caccia, l’ufficiale della guardia fluviale sembrava ferito, mentre il suo collega parlava freneticamente alla radio, se riuscivano a resistere il tanto necessario, presto sarebbero arrivati i rinforzi.

Cercando riparo meglio che potevano Sasha ed Etienne puntarono a far fuori il numero maggiore di trafficanti, vivi o morti per loro non faceva alcuna differenza, quando sentirono il rombo del motore che saliva di giri, stavano cercando di svignarsela in tutta fretta.

Sasha aveva ancora una granata, forse poteva danneggiare il motore e bloccare la fuga. Sparando una raffica di proiettili si mise a correre verso  il fondo della chiatta, la granata stretta in mano, con la coda dell’occhio vide il suo socio che se le stava dando di santa ragione con Paco, gli uomini e il loro orgoglio, non poteva semplicemente sparargli e farla finita!

La distrazione le costò cara, solo all’ultimo minuto vide l’energumeno che la fece cadere, facendole scivolare di mano la granata, che rotolò via.

Da terra gli sferrò un violento calcio al ginocchio e sperò con tutto il cuore di avergli rotto una rotula, e senza degnarlo di un’altra occhiata si lanciò alla ricerca della granata.

La trovò e riprese a correre tirando la linguetta, ma prima che potesse lanciarla, l’energumeno tornò in azione e la granata rotolò vicino ad una montagnetta di rifiuti coperta da un telo, apparentemente non gli aveva fratturato nulla.

-Ora hai rotto! E fai bene ad avere paura!- l’aveva visto impallidire, ma si rese conto che non era per lei.

Si voltò e ne vide subito la causa, la granata non era rotolata vicino a dei rifiuti, ma alle taniche del carburante per la chiatta.

-Porca puttana!-

Come un fulmine si diresse verso l’ultimo punto dove aveva visto Etienne, ma non era più lì, dove si era cacciato?

Poi lo vide, era bloccato dietro una cassa, assediato da tre colombiani che stavano sparando come forsennati, doveva aver eliminato Paco, ma era anche vicinissimo all’onda d’urto dell’esplosione.

Con la pistola in mano corse in suo aiuto gridando.

-In acqua! Sta per saltare tutto!-

Un’esplosione devastante li scaraventò entrambi dentro il fiume.

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Capitolo 30
*** Serve aiuto? ***


L’impatto con l’acqua gelata le tolse il respiro, a corto d’aria fece il possibile per raggiungere la superfice.

La chiatta era andata a fuoco e molti dei suoi occupanti stavano saltando fuori bordo, alla luce delle fiamme scandagliò velocemente la il fiume, aveva perso Etienne nella caduta, ed ora non lo vedeva da nessuna parte, sperava solo che non fosse caduto vittima delle violente correnti, nelle condizioni in cui era non avrebbe potuto opporre molta resistenza.

-Etienne!- gridò ma non vide traccia di lui da nessuna parte.

All’improvviso un faro accecante venne puntato su di lei.

-Serve aiuto?-

-Mark! Per fortuna!- ad una ad una vide arrivare altre barche cariche di agenti, mentre numerosi riflettori illuminavano l’acqua alla ricerca di altri fuggiaschi.

-Non ringraziare la fortuna,  il tuo amico hacker mi ha contattato-

Jules! L’avrebbe volentieri baciato in quel momento.

-Non t-trovo Etienne...s-siamo caduti in acqua e...- i denti avevano iniziato a battere, se non usciva in fretta si sarebbe assiderata.

La luce del faretto si spostò da lei per continuare la ricerca di Etienne, fino a quando riuscì a localizzarlo, a qualche metro di distanza, ancorato ad una cassa che galleggiava a pelo d’acqua.

Con poche veloci bracciate Sasha lo raggiunse, accertandosi che stesse ancora respirando.

-Etienne- gli andò vicino, scostandogli i capelli bagnati dal viso, era gelato e le sue labbra iniziavano a diventare blu.

-Ciao dolcez-zza, sei ancora tu-tutta inte-tera?- era ghiacciato fino al midollo.

-Tu-tutta d-d’un pe-pezzo, andi-diamo, M-Marak è ar-rrivato con i rinfo-forzi-

Con l’aiuto di alcuni agenti vennero issati a bordo.

-Che diavolo ti è successo!- esclamò Jules andandogli incontro.

-I co-colombiani han-nno l-la mano pesante- stava tremando come una foglia e i denti non smettevano di battere.

-Sei ridotto uno straccio- osservò Mark rivolto ad Etienne –Gerry è un esperto di pronto soccorso, fatti d’are un’occhiata, e vedrà anche di trovarvi qualcosa di asciutto da indossare-

Il  gruppetto si spostò sotto coperta dove venne tirata fuori la cassetta del pronto soccorso e delle coperte.

-Ora spiegatemi, come mai un gruppo di trafficanti d’armi colombiani voleva farvi la pelle?- chiese Mark.

-Perchè il loro capo era Ramon Ortega, era me che volevano- spiegò, mentre sotto la protezione della coperta si accingeva a spogliarsi, al diavolo la modestia, si stava congelando.

-Non ci credo!- esclamò sorpreso –ma dovrebbe essere morto!-

-Vivo e vegeto, anche se orribilmente sfigurato- chissà come aveva fatto a mantenere la sua identità un segreto in tutti questi anni.

-Scusate, mi devo accertare che il maledetto bastardo non scappi!- veloce come un lampo se ne andò.

-Amico sei ridotto davvero male!- puntualizzò Gerry, armeggiando con garze, cerotti e disinfettante –questo è il meglio che posso fare al momento, fatti vedere da un dottore, l’acqua sporca del fiume potrebbe infettare le ferite. Dentro quell’armadio dovrebbero esserci delle uniformi di riserva- chiuse la sua cassettina e se ne andò.

Anche Jules decise di andarsene, non era interessante fare il terzo in comodo.

-Ehi Jules...- lo fermò lei –ottimo lavoro-

Lui la guardò interdetto per qualche secondo, poi sorrise con un sopracciglio alzato.

-Poi come glielo spiegavo a Cleo, che avevo lasciato affogare la sua socia? Quella è capace di spellarmi vivo, per qualche insana ragione ci tiene a te!- e se ne andò prima che la vampira potesse trovare qualcosa da tiragli in testa.

Etienne e Sasha approffittarono della solitudine per cambiarsi i vestiti e cercare altre coperte asciutte, quelle che avevano erano oramai umide.

-Vieni dolcezza! Tanto vale dividere quel poco calore corporeo che ci è rimasto- senza darle tempo di accettare l’offerta, se la mise in grembo e avvolse una coperta di lana attorno ai loro corpi tremanti.

Sasha non aveva nessuna intenzione di protestare, era talmente ghiacciata che dubitava di riuscire a scaldarsi tanto facilmente, con indosso un maglione e un paio di pantaloni di almeno quattro taglie più grandi, si raggomitolò contro di lui avvolgendogli il corpo con le braccia e posandogli la testa sulla spalla.

Per lunghi minuti rimasero ad ascoltare il rumore dell’acqua che si infrangeva contro lo scafo e il via vai degli agenti che cercavano di tenere la situazione sotto controllo, c’erano tante cose che dovevano dirsi, ma rompere la quiete che era scesa tra loro sembrava quasi un peccato.

-Dormi?- era da un pò che non la sentiva muoversi.

-No, ho ancora freddo- in tutta risposta lui se la strinse ancora di più contro e lei sorrise, l’aveva detto a posta –come ti senti?-

-Un pò meglio, un bagno nell’acqua gelata ha fatto miracoli- il freddo aveva anestetizzato parecchi dei suoi lividi.

Poverino, pensò lei, doveva essere tutto un dolore ma la teneva in braccio ugualmente.

-Mi dispiace per quello che è successo,- esordì mesta -a tuo malgrado sei stato coinvolto in qualcosa che non ti riguarda-

-Cose che capitano visto il lavoro che facciamo, stando insieme questo tipo di siatuazioni si ripeteranno-

-Stando insieme?- ripetè, con il battito cardiaco che accellerava –anche dopo quello che è successo?-

-Specialmente dopo quello che è successo- sorridendo le baciò la fronte –ora sei mia dolcezza, alla prima fuga che mi piazzi, ti riacchiappo e ti lego al letto!-

-Oh Etienne...- rise con le lacrime agli occhi.

-Non pensi che valga la pena smettere di scappare e vedere se possiamo far funzionare questa relazione?- chiese speranzoso, voleva con tutto il cuore che le cose tra loro due potessero procedere normalmente.

Far funzionare una relazione con lui? Il solo pensiera la faceva sudare freddo, ma non per la paura. Avere di nuovo un futuro, dopo tanto correre, dopo tanto nascondersi, fermarsi e non avere più nulla da temere, sembrava quasi troppo bello per essere vero!

Non essere più tormentata dai ricordi,  ricostruirsi davvero una vita, anche se qualche volta il loro lavoro si sarebbe messo in mezzo, sarebbero stati insieme, nonostante sapesse la verità la voleva ancora accanto. Possibile che non fosse riuscita a vedere ciò che tutti gli altri sembravano cogliere con tanta facilità?

A quanto pareva aveva delle rivalutazioni di giudizio da fare.

-Allora docezza? Torni con me a Londra?- il lungo silenzio non prometteva bene a parer suo.

-Si- rispose con semplicità, non c’era altro da dire, entrambi sapevano cosa quel “si” implicava.

-Niente più fughe? Lo dico seriamente questa volta, mi sono accorto che a Londra mi hai spudoratamente mentito ed ora voglio una promessa solenne-

-Promesso, niente più fughe- diceva sul serio, non aveva più nulla da cui scappare, se voleva correre era solo verso di lui, non lontano da  lui.

-Ti amo dolcezza, mi hai intrigato dal primo momento in cui ti ho vista, nella quella sala da ballo con indosso l’abito da sera celeste, dopo quell’istante, non ho fatto altro che essere sempre più attratto dalla dea di ghiaccio; che con me non aveva niente di freddo, infatti riuscivo a farla accendere come un fiammefero ogni volta che le andavo vicino- l’ultimo commento era mirato a prenderla un pò in giro, ricordandole come gli veniva facile farla uscire dai gangheri.

-Oh Etienne...- se quella non era una dichiarazione d’amore non sapeva cos’altro potesse esserlo!

Le parole le uscirono di bocca come un fiume in piena che rompe gli argini, iniziò a raccontargli della discussione avuta con Mark al cimitero, della missione andata male a causa di Simon Kay, delle paure che l’avevano attanagliata in tutti questi anni, mentre lui si limitava a stringerla e ad ascoltare, interrompendola solo ogni tanto per farle qualche domanda.

Mark era sul ponte che osservava la scena attraverso una delle piccole finestrelle, si sentiva un guardone, ma voleva essere certo che Vivian fosse in buone mani, ed ora era convinto che lo fosse, la vide piangere e vide la mano di lui che le accarezzava consolatrice i capelli. Si, era in ottime mani. Etienne non le avrebbe permesso di tornare nel suo piccolo angolo buio.

Spostò lo sguardo verso la riva, i suoi uomini stavano ancora cercando Ramon Ortega, pregavo solo di trovarlo, anche cadavere gli andava bene! All’improvviso gli venne voglia di vedere Annie, di posare la mano sulla pancia rotonda che solo ora iniziava a vedersi, voleva raccontarle tutto, le verità che le aveva taciuto in tutti questi anni, dirle che finalmente si sentiva libero, come se qualcuno gli avesse tolto un grosso peso dalle spalle, i sensi di colpa l’avevano finalmente abbandonato, e poteva lasciarsi il passato alle spalle.

Ancora poche ore e poi sarebbe potuto andare a casa, si disse con un sorriso, a casa dalla sua Annie.

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Capitolo 31
*** EPILOGO ***


Sasha sedeva fumante di rabbia sul lato passeggero del fuoristrada che Etienne aveva noleggiato all’aereoporto.

Gli lanciò un’altra occhiataccia furente, mentre lui la ignorava sistematicamente e continuava a guidare canticchiando insulse canzoncine natalizie.

Non poteva credere si essere stata incastrata a quel modo! Per una stupida scommessa persa, ora si ritrovava a passare le feste con la famiglia di lui, a poco erano servite le sue assicurazioni che lei non festeggiava il Natale, e il litigio di proporzioni bibliche che avevano avuto qualche giorno fà.

Non era riuscita a inventare nessuna scusa plausibile per rifiutare la sua proposta, non aveva potuto uasare il lavoro, perchè anche i cattivi se ne stavano buoni durante le feste, non aveva potuto dirgli che andava da Cleo, perchè la piccola traditrice si era rintanata con Jules in un piccolo alberghetto perso nel nulla della Scozia, e poi c’era stata la stupida scommessa che lei aveva ingomignosamente perso.

Bella fine per le settimane idilliache che avevano passato da quando avevano lasciato l’America!

Dopo aver fatto un salto all’ospedale e dopo che Mark gli ebbe confermato di aver trovato il cadavere di Ramon Ortega, sulla riva del fiume leggermente più a sud da dove si era svolta la sparatoria, lei ed Etienne avevano lasciato che Jules tornasse a casa a fare rapporto e si erano rifugiati in un’isoletta poco abitata dei caraibi.

Era stato meraviglioso, di giorno lei si crogiolava al sole, mentre lui, per rispetto delle ferite, se ne stava all’ombra a sorseggiare cocktail dai colori variopinti e pieni di frutta, mentre la sera, raramente lasciavano il loro bungalow e passavano il tempo a fare l’amore o lunghe chiaccherate, tanto che ormai pensava che il muscolo più sviluppato che avesse fosse la lingua.

Avevano anche avuto delle liti magistrali, infatti una sera, Etienne era finito sul portico a schivare noci di cocco!

Ancora la faceva sorridere il modo in cui dopo avevano fatto pace.

-Stai sorridendo! A che pensi?- stava iniziando ad averne abbastanza del suo uomore nero, era Natale insomma!

-A quanto sei idiota e manipolatore!-

-Sei ancora arrabbiata!- esclamò incredulo –se hai intenzione di tenermi il muso per tutta la durata nel nostro soggiono, non mi lasci altra scelta...lo vado a dire alla mia mamma!-

Sasha dovette mettersi una mano sulla bocca per non scoppiare a ridere, le rendeva davvero difficile essere arrabbiata con lui per lunghi periodi.

-Ma lo sai che sei impossibile!-

-La mia caratteristica migliore!- non l’avrebbe mai ammesso, ma aveva ragione ad essere arrabbiata con lui, aveva barato spudoratamente per vincere quella scommessa, ma portarla a casa sua per le feste, la considerava come una specie di terapia di recupero. Le cose erano due, o lo mollava su due piedi, sulla scia del trauma di incontrare i suoi, o la ammorbidiva definitivamente e ciao ciao stronza acida! Anche se dubitava che la lingua affilata sarebbe scomparsa del tutto.

-Andiamo dolcezza- stava usando il suo tono seduttivo –sono anni che aspetto di portare a casa una ragazza che sia in grado di tenere testa a quella virago di mia madre, non rubarmi il mio momento di gloria!-

A quel punto Sasha scoppiò davvero a ridere, come poteva tenergli il muso quando usava quel tono di voce con lei!

La loro meta si proffilava all’orizzonte, la fattoria situata nel sud dell’Irlanda, dove abitava la sorella di Etienne, Shannon, con il marito iralndese e due bambini, e dove allevavano cavalli.

Sasha provò una fitta di panico nel vedere il numero di macchine parcheggiate difronte alla casa, che doveva ammettere essere molto caratteristica.

-Ma quanta gente ha invitato tua sorella?-

-Non tanta, non con il nuovo arrivato- rispose distratto.

-Quale nuovo arrivato?-

-Non ti avevo deto che mia sorella ha avuto un’altro bimbo sei settimane fà?-

-No!- non ci poteva credere, tutti sarebbero stati a sospirare e fare versetti sul miracolo della vita, stava per sentirsi male!

-Sorridi dolcezza siamo arrivati!- e totalmente ignaro dell’effetto che quella piccola chicca aveva avuto su Sasha, scese dalla macchina –ti ricordi la storia vero?-

-Si, ci siamo conosciuti alla centrale di polizia dove lavori, io sono stata appena trasferita li, e insieme ci dedichiamo allegramente alla lotta contro il crimine!- ripetè sarcastica, gliel’aveva fatta recitare un milione di volte da quando si erano messi in viaggio, ma capiva l’importanza di tenere tutti all’oscuro di cosa lui facesse realmente.

Ogni ulteriore discussione venne bloccata da una donna che venne fuori dalla porta correndo e investendo Etienne con un fiume di parole in spagnolo intercalate da abracci, quella doveva per forza essere la madre, la somiglianza era inequivocabile.

Etienne le aveva raccontato che la madre era spagnola, il padre inglese e la sorella si era traferita in Irlanda dopo essersi sposata, finalmente aveva capito da dove provenivano quei coloriti scuri così tipici degli abitanti delle zone mediterranee.

Sasha si appiccicò un sorriso in faccia e raddrizzando la schiena si accinse ad entrare nella tane del leone, come se incontrare tutta la famiglia del tuo ragazzo, tutta in un colpo solo, fosse una cosa normalissima, il moretto doveva ringraziare che lei possedesse dei nervi d’acciaio!

Riuscì a sopravvivere la prima ora senza spargimento di sangue, all’ultimo conteggio aveva incontrato: i suoi genitori, la sorella con tutta la famiglia, due zie con rispettivi mariti, quattro cugini e alcuni parenti del proprietario di casa, il tutto continuando sempre a sorridere, tra breve le sarebbe venuta una paresi!

Finalmente si ritrovò in un agolino solitario del salotto, dove poteva essere beatamente ignorata da tutti, quindi si lasciò andare contro lo schienale della poltrona chiudendo gli occhi.

-Questa famiglia fà quell’effetto a tutti la prima volta- disse una voce divertita.

Non si era accorta di Shannon, che sedeva sotto alla finestra su una sedia a dondolo intenta ad allattare l’ultimo arrivato.

-Non voleva essere un insulto-

-Nessun insulto- rise lei staccando il bimbo adormentato e riabbottonandosi la maglia –siamo un gruppo di rumorosi impiccioni, quando ci riuniamo- era consapevole che la povera ragazza era stata sottoposta al terzo grado, specialmente dalla loro genitrice Miranda.

Sasha non aveva mai avuto una famiglia numerosa, quindi non aveva nulla con cui paragonare quella di Etienne, che tutto sommato non era poi così male.

-Oh no! Jamie ne sta combinando un’altra delle sue!- disse Shannon all’improvviso alzandosi.

Jamie altri non era che il primogenito di cinque anni, che apparentemente al momento stava cercando di convincere la sorellina Julia di tre, ad entrare dentro al forno.

-Ti spiace?- le chiese mettendole tra le braccia il bimbo addormentato –non ti preoccupare l’istinto materno colpisce tutte prima o poi!-

E prima che potesse aprir bocca, per rifiutare naturalmente, si ritrovò tra le braccia un piccolo fagottino caldo.

Quale istinto materno! Pensò spaventata, lei aveva l’istinto omicida, l’istinto di soppravvivenza, un’istinto al pericolo, ma non quello materno!

Per quale ragione al mondo le neo mamme avevano l’irritante abitudine di mollare in braccio i loro pargoli a chiunque avesse dimostrato il più piccolo interesse!

Etienne per poco non si strozzò con la birra che stava bevendo quando, cercando con lo sguardo Sasha, la vide seduta su una poltrona con in braccio il suo nipotino, e l’espressione più terrorrizzata che le avesse mai visto, forse era meglio andare a salvarla.

-Questo lo prendo io- le disse togliendole di mano il neonato.

-Grazie al cielo!-

-Aspetta qui, torno subito!- ridendo recapitò il piccolo sano e salvo tra le braccia del padre e poi tornò a prenderla –andiamo ti accompagno di sopra, così puoi riposarti e farti una doccia se ti va-

Allora Dio esisteva davvero!

La loro stanza era piccola ma accogliente, con una visuale molto pittoresca della valle sottostante.

Finalmente soli e lontani da sguardi indiscreti, Etienne la prese tra le braccia per baciarla appassionatamente per diversi minuti, con il fatto di averla arrabbiata per diversi giorni, le loro effusioni amorose si erano ridotte a zero.

-Grazie- le sospirò a fior di labbra.

-E di che?- ancora tremava per quel bacio da capogiro.

-Per non aver ammazzato nessuno di sotto!-

Lei rise colpendolo scerzosamente sulla nuca.

-Ti ricordo che non mi hai permesso di portare nessun tipo di arma!-

-Non con i bambini in casa. Il che mi ricorda- continuò baciandola velocemente sulle labbra –che gli ho promesso di portarli a fare una cavalcata, tu puoi rimanere rintanata qui fino all’ora di cena se ti va-

Una volta sola Sasha si lascio cadere sul letto abbracciando uno dei morbidi e gonfi cuscini, odorava di pino e limone.

Natale non era mai stata la sua festa preferita, dopo la scomparsa di sua madre quando era bambina,  suo padre aveva fatto di tutto per farglielo passare nel modo migliore, ma c’era sempre quell’aria di tristezza tra loro due che era difficile da ignorare, quelli con Mark erano stati abbastanza carini, e dopo la Colombia...a quel punto aveva semplicemente smesso di curarsene.

Con decisione scosse la testa, ai tropici lei ed Etienne avevano deciso di vivere la loro relazione nel presente e lontano dal mondo in cui lavoravano, come due persone normali, e in genere le persone normali passavano le feste con la famiglia, si disse, forse aveva esagerato a prendersela così tanto, ma le brutte abitudini erano dure a morire, aveva imparato a pensare solo a se stessa, ed ora le cose dovevano nuovamente cambiare.

Chissà, magari dopo altre due birre avrebbe anche potuto iniziare a divertirsi...facciamo tre, vista la moltitudine di parentela.

Un paio d’ore dopo, ritornò al piano di sotto, dopo essersi lavata e cambiata, e si mise alla ricerca di Etienne, dopo la cavalcata era tornato in camera a lavarsi e cambiarsi velocemente, a quanto pareva i bambini lo stavano braccando, richiedendo ogni secondo della sua attenzione.

Quando lo vide dovette sbattere più volte le palpebre per accertarsi di non avere le visioni, la scena sembrava appena uscita da una delle sue fantasie più recondite.

Lui era seduto sul pavimento davanti al camino, con Julia comodamente sistemata in braccio che contenta si succhiava il pollice, mentre la voce profonda e quieta dello zio le leggeva una storia di natale e il riverbero della fiamma illuminava entrambi di una morbida luce dorata. Il cuore le si strinse in maniera quasi dolorosa, bisognava essere davvero cinici per rimanere impassibili davanti ad un quadretto così tenero.

 Lui la vide e le sorrise, a quel punto sussurrò qualcosa nell’orecchio di Julia, che acchiappò il libro e corse via.

-Che lei hai detto?- chiese una volta che gli fù vicino.

-Che era arrivato il tuo turno di giocare con me!- le bisbigliò allusivo in un’orecchio abbracciandola.

-Etienne!-

-Andiamo, voglio mostrarti una cosa!-

Afferrando al volo le loro giacche la guidò attraverso la cucina e fuori dalla porta che dava sul portico nel retro e poi nel giardino, facendola fermare in un angolo poco visibile dalle finestre della casa.

-Volevo che vedessi questo- disse indicando il panorama.

Il sole stava tramontando nella piccola valle, dove il fitto bosco veniva diviso in due dal fiume, che scorreva pigro verso la sfera arancione che scompariva lenta, il cielo era tinto di diverse sfumature di violetto, mentre le prime stelle della sera facevano capolino nella volta celeste, l’aria frizzante era carica dei profumi dell’inverno, mentre tutto intorno a loro diventava immobile e silenzioso.

-Come fai a trovare sempre panoramidel genere, da togliere il fiato? Lo fai con una frequenza quasi allarmante!-

-Che ci vuoi fare, i romantici seri hanno tutte le fortune, e poi con quello che mi è costato averti, devo lavorare sodo se voglio convincerti a restare!-

Se continuava a produrre sorprese di questo tipo non se ne sarebbe andata tanto facilmente, soddisfatta rimase in silenzio ad ascoltare i rumori della notte e le risate attutite che ogni tanto arrivavano dalla casa.

-Oh guarda quella povera piantina gelata!- esclamò lui all’improvviso.

Sorpresa diede un’occhiata al giardino sottostante, credendo che avesse visto qualche fiorellino scampato al gelo invernale, ma si rese conto che lo sguardo di lui era rivolto da tutt’altra parte, verso l’alto, verso...una piantina di vischio appesa ad una trave, che solitaria oscillava piano alla brezza gelida.

-Lo sai no, che le tradizioni vanno rispettate?-

-Da quanto stai architettando questa cosa?- chiese sospettosa.

-Da diverse ore devo dire!-

E finalmente la pianticella potè adempire al suo destino.

-Buon Natale dolcezza- le augurò, con gli occhi scuri che brillavano solo per lei, sotto la luce delle stelle notturne.

Dalla casa le giunse il suono di altre risate e finalmente Sasha comprese, lì in quell’istante, in cui riusciva a vedergli fin dentro l’anima.

Comprese come mai il tipo di lavoro che faceva, non l’aveva trasformato in un bastardo disilluso, comprese cosa lo spingeva a compiere quello stesso lavoro senza gettare la spugna, come mai si fosse talmente accanito nel voler scavare nel suo passato e ad essere disposto a non giudicarla così duramente come aveva fatto lei con se stessa, si rense conto anche di qualcosa che avrebbe dovuto accettare diverso tempo fà, cioè di essersi innamorata di Etienne e di non averglielo mai detto.

Anche dopo la loro vacanza, nonostante si fosse aperta con lui e gli avesse confidato cose molto intime, non aveva mai pronunciato quelle parole, aveva tentato un paio di volte, ma i dubbi e le incertezza che ancora non l’avevano abbandonata, gliele facevano bloccare in gola. Basta! Non più!

Non aveva fatto abbastanza per lei? Non aveva dimostrato in tutti i modi di essere sincero e di volerla accanto nonostante tutto? Di che altro aveva bisogno?

-Io ti amo lo sai!- disse tutto d’un fiato, prima di perdere il coraggio e fù ricompensata da un sorriso talmente tenero, che la fece sciogliere dentro come un cioccolatino.

-Mi chiedevo quando avresti finalmente trovato il coraggio di dirlo- stringedola la baciò dolcemente –niente più fantasmi?-

-Niente più fantasmi- affermò con sicurezza, rendendosi conto che era la verità, oramai era libera, si sentiva improvvisamente leggera come una piume, dove prima c’era solo buio ora era tornato il sole.

Lui chinò il capo e le diede un bacio che esprimeva quello che semplici parole non avrebbero mai potuto descrivere.

-Torniamo dentro, inizia a fare freddo-

Quella sera Etienne si ritenne l’uomo più fortunato di questa terra, aveva corso dei rischi, ed alla fine aveva vinto, non c’erano più ombre scure nelllo sguardo di lei e giurò che finchè fosse dipeso da lui, non c’è ne sarebbero più state.

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